Luna d'argento: Primordio notturno

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sopravvivenza ***
Capitolo 2: *** In viaggio ***
Capitolo 3: *** Sogni premonitori ***
Capitolo 4: *** Saggia guida ***
Capitolo 5: *** La forza del branco ***
Capitolo 6: *** Il dolore e il destino ***
Capitolo 7: *** Il volere del fato ***
Capitolo 8: *** Comprendere me stessa ***
Capitolo 9: *** Sui propri passi ***
Capitolo 10: *** Coppie e gelosia ***
Capitolo 11: *** Rivivere l'infanzia ***
Capitolo 12: *** Cuore selvaggio ***
Capitolo 13: *** Mai più sola ***
Capitolo 14: *** Il potere della speranza ***
Capitolo 15: *** Nuova vita ***
Capitolo 16: *** Nucleo familiare ***
Capitolo 17: *** Ombra nel buio ***
Capitolo 18: *** Lieto evento ***
Capitolo 19: *** Silenzio sospetto ***
Capitolo 20: *** Sacrificio d'onore ***



Capitolo 1
*** Sopravvivenza ***


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Luna d’argento: Primordio notturno
 

 
Capitolo I
 

 
Sopravvivenza
 

 
Correvo. Non facevo altro che correre, ed ero ormai rimasta da sola. Fuggivo nel buio muovendomi nella muta foresta e dentro di me non cercavo che aiuto. Oltre a me neanche un’anima, e nella tetra oscurità, una luce. In alto nel cielo, ora scuro e tinto di nero, l’argentea luna. Brillava in tutto il suo regale splendore, e mi accompagnava nel mio viaggio alla ricerca di un riparo dalla paura e dal dolore, provati quando ero ancora troppo giovane e ingenua per fiutare da lontano il disgustoso e penetrante odore del pericolo. Facevo quindi del mio meglio per scappare e allontanarmi dalla minaccia che aveva brutalmente ucciso i miei genitori. Una saggia e affidabile coppia di lupi che aveva dato alla luce me e i miei fratelli Rhydian e Astral. Il mio nome è Runa, e fuggo sperando nella sopravvivenza. So bene di essere ancora inesperta, ma nonostante tutto voglio fuggire e provare a salvarmi.  Ricordo bene quel giorno, quasi come se fosse appena ieri. Ho perso tutto in quella nefasta e fatidica notte, ma non il mio nome. Sono Runa, lupa bianca nata dai capibranco Alistair e Nadia, e con la lucentezza degli astri come solenne testimone, affido al cielo un mio pensiero, e recitando una preghiera, non desidero altro che la salvezza. Ora come ora, sto scappando dal dolore e da una minaccia a me completamente sconosciuta, e forse, addentrandomi nei meandri di questa verde e cupa foresta, riuscirò nel mio intento più importante, ovvero eccellere nell’arte sacra a noi lupi, l’ardua e quasi impossibile sopravvivenza. Ansimando, miro il cielo punteggiato di sfavillanti stelle, che parlandomi mi incoraggiano ad andare avanti e proseguire in quella che è la mia missione. Sono stanca, ma non posso mollare. Questa stellata notte ai miei occhi diversa, poiché io, Runa, ho stretto un indissolubile patto con me stessa.

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Capitolo 2
*** In viaggio ***


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Capitolo II
 

 
In viaggio
 

 
Il giorno stava per spuntare nella verde e silenziosa foresta, e il timido sole iniziava a mostrare il suo ancora pallido volto. Le lunghe ore notturne si susseguivano, ed io mi sentivo infinitamente stanca. Ero ormai sul punto di cedere, e dopo un ulteriore passo, mi accasciai. Caddi preda del sonno sotto un grande albero, e dopo un tempo che non riuscii a definire, qualcuno mi svegliò. Mi sentii quindi scuotere, e mugolando qualcosa in risposta, aprii lentamente gli occhi. Azzurri come la chiara acqua del fiume dove solevo abbeverarmi da cucciola, incontrarono due iridi quasi auree. Di fronte a me un lupo dal pelo nero, che ad essere sincera, non ricordavo di aver mai visto. Per qualche strana ragione, mi squadrava da capo a piedi, ed io non capivo. “Seguimi.” Disse, guardandomi e attendendo che gli obbedissi. In quel momento, ero spaventata, e mentre il mio intero corpo tremava, mi decisi. Alzandomi da terra, scelsi di camminare al suo fianco, dando quindi inizio ad un viaggio che non sembrò aver fine. Con l’arrivo della sera, le cose cambiarono repentinamente. La stanchezza si stava di nuovo facendo sentire, e le zampe mi dolevano come non mai. “Quanto manca ancora?” Ebbi la sola forza di chiedere, ansimando e faticando a respirare. Per mia mera sfortuna, quell’interrogativo non trovò mai una risposta, e concedendomi del tempo per me stessa, arrestai il mio cammino sdraiandomi fra l’erba. Così facendo, attirai su di me l’ira e l’attenzione del mio compagno di viaggio. “Non posso andare avanti per molto.” Biascicai, sperando che le mie parole non lo adirassero ulteriormente. “Alzati.” Replicò, fissandomi minaccioso. “Non ce la faccio.” Risposi, con la voce che mi si spezzava come un fragile ramoscello. “Ho detto alzati!” ringhiò, afferrandomi per il collo e sfogando su di me tutta la sua collera. Mantenendo il silenzio, accusai il colpo, e da quel momento in poi la sorte parve sorridermi. Difatti, qualcuno arrivò in mio soccorso, ed io, stanca e ferita, rimasi perfettamente immobile ad ascoltare la conversazione che ne seguì. “Cosa fai, Scar? Rubi i cuccioli?” gli chiese quell’individuo, con gli occhi che rilucevano di rabbia. “Non l’ho rubata. È adulta, e ha scelto di seguirmi.” Rispose il mio aguzzino, che ora aveva un nome che avrei presto imparato ad odiare. “Lasciala andare e non muoverti.” L’ammonì l’altro lupo, guardandolo e attendendo impaziente la sua resa. “Non accadrà, Scott.” Rispose, ringhiando e sputando quel nome come il più letale dei veleni. “Lasciamola scegliere.” Continuò lo stesso Scott, muovendo un singolo passo in avanti. Subito dopo, entrambi posarono i loro sguardi su di me. chiamando quindi a raccolta le mie forze e il mio coraggio, mi rimisi in piedi, e barcollando, presi la mia decisione. Spostando il mio sguardo sul saggio Scott, mi incamminai verso di lui, e in quel preciso istante, le nostre zampe si toccarono. I nostri sguardi si incrociarono appena un attimo dopo, e in me sopraggiunse una sorta di paralisi. Ero ormai debole, e la ferita al collo mi debilitava. Accorgendosene, Scott scelse di provare a lenire le mie sofferenze, riuscendoci perfettamente e annullando il mio dolore. “Come ti chiami?” mi chiese, perdendosi istintivamente nel profondo azzurro dei miei occhi. “Runa.” Biascicai, mentre sentivo le forze abbandonarmi. “Dormirai qui per stanotte.” Sussurrò, sdraiandosi al mio fianco e posando la sua zampa sulla mia. Certa di potermi fidare, mi addormentai poco dopo, e tacendo nel mio sonno, immaginai la fine del mio viaggio.  

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Capitolo 3
*** Sogni premonitori ***


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Capitolo III
 

 
Sogni premonitori
 

 
Era notte fonda, e mi ero svegliata di soprassalto. La causa della mia veglia era un incubo orribile e ricorrente, che riportava alla mia mente il ricordo dell’uccisione dei miei genitori. Allora non ero che una cucciola, e in quella così nefasta notte, mangiavamo. Mio padre era appena tornato da una battuta di caccia, ed io e i miei fratelli banchettavamo con la carcassa di una giovane volpe. Ad essere sincera, odiavo la caccia, ma sapevo bene che in un mondo selvaggio come quello in cui vivevo, esisteva una sola ed unica regola. Mangiare o essere mangiati. Una frase semplice e al contempo enigmatica, che avevo presto imparato ad accettare. Ad ogni modo, quel ricordo si fece spazio nella mia mente, e ripensandoci, mugolai fino a nascondere il viso fra le zampe. I miei lamenti interruppero il sonno di Scott, che ridestandosi dal torpore in cui era caduto, mi guardò con aria preoccupata. “Che cos’hai?” mi chiese, sfiorandomi la zampa con la sua. “Niente, va tutto bene.” Mentii sapendo di farlo e vergognandomi di me stessa. “Non disperare. So quanto può essere difficile. Ti manca il tuo branco?” mi disse, completando quel suo discorso con una domanda. Alle sue parole, non risposi, limitandomi a chinare il capo e dargli le spalle. “Io non ho un branco. O almeno non più.” Risposi poi in tono cupo, con una voce così bassa e profonda da non risultare di mia naturale appartenenza. “Che è successo? Chiese Scott, avvicinandosi e apparendo sempre più preoccupato. “Sono morti. Tutti morti, e ora non sono che polvere nel vento.” Dissi, sempre facendo uso di quel tono così freddo e rude. “Cosa? Chi è stato?” indagò, scattando in piedi e ringhiando sommessamente. “Non lo so, ma quel lupo somigliava  a Scar.” Continuai, guardandolo negli occhi e andando alla disperata ricerca di conforto. “Runa, io non lo sapevo… mi dispiace tantissimo.” Mi disse, per poi avvicinarsi e strofinare dolcemente il suo muso contro il mio. “Grazie di esserci.” Risposi, traendo conforto dalle sue parole e abbandonandomi ad un cupo sospiro. “Vorrei tanto rivedere i miei fratelli.” Continuai, guardandolo con aria sconsolata. Alle mie parole, Scott parve illuminarsi. Divenendo quindi rigido come un’asse di legno, fissò lo sguardo su un punto lontano e a me invisibile, e annusando l’aria, colse un odore. “Vieni con me.” Disse, iniziando a correre e invitandomi a seguirlo. Lanciandomi in una corsa sfrenata, gli fui subito accanto, e astenendomi dal porre domande, mi limitai a continuare a correre. Il tempo scorreva, e confusa, mi guardavo intorno. Cercai di capire dove fossi, ma nonostante i miei sforzi, fallii nel mio misero intento. I miei occhi saettavano muovendosi con una velocità a dir poco incalcolabile, e malgrado stessi dando il meglio di me stessa, mi sentivo persa. “Dove siamo?” chiesi, arrendendomi all’evidenza. “Non devo dirtelo, devi saperlo.” Mi disse Scott, incoraggiandomi a pensare e concentrarmi. Confusa e stranita da quelle parole, lo guardai con aria interrogativa. “Usa il tuo istinto.” Continuò, fornendomi un utile consiglio. Per pura fortuna, le sue parole funsero per me da iniezione di coraggio e autostima, e posando per un attimo il mio sguardo su di lui, scelsi di fare un tentativo. Chiudendo gli occhi, respirai a pieni polmoni, e benchè stessi usando l’immaginazione, mi sembrò letteralmente di sognare. Ad occhi chiusi, rividi mia sorella, e avvolto nella nebbia dei miei seppur nitidi ricordi, un secondo lupo dal manto argenteo e dissimile dal mio. Riuscendo poi a tornare alla realtà, imitai il comportamento mostrato da Scott, e annusando l’aria, avvertii un cambiamento. Avevo appena sentito un odore, troppo forte e conosciuto per essere confuso. Iniziando a correre, venni travolta dalla paura, e parlando con me stessa, sperai di raggiungere la mia meta in tempo. Poteva sembrare incredibile, ma quella sorta di visione aveva riportato alla mia mente il ricordo della mia vecchia tana, luogo dove nei miei tempi da cucciola solevo rifugiarmi assieme alla mia famiglia. Respirando a fondo, corsi fino a sentire dolore al fianco, e fermandomi, venni pervasa dalla felicità. Ero ormai arrivata, e chinando il capo annusai il terreno. Il mio naso si riempì dei profumi della foresta, e tornando a guardare il cielo, ululai. Dalla mia gola fuggì un ululato forte, chiaro e udibile persino a chilometri di distanza, del quale non mi sarei mai ritenuta capace. Non un semplice verso, ma un modulato richiamo al quale speravo che la mia famiglia rispondesse. I minuti sparivano lentamente dalla mia vita, e Scott era al mio fianco. Mi aveva seguita, e dopo quanto era accaduto, mi guardava fiducioso. Improvvisamente, il silenzio venne rotto come vetro dal fruscio delle foglie degli alberi e dal sibilo del vento, e in quel preciso istante, una grossa fiera mi si avvicinò. “Chi sei?” chiese Scott, frapponendosi fra me e la belva nel tentativo di difendermi. “Vengo in pace.” Rispose il lupo, chinando il capo in segno di rispetto. Non appena la docile bestia rialzò lo sguardo, un particolare attirò la mia attenzione. I suoi occhi. Grigi come l’umida nebbia settembrina, mi colpirono come una freccia scagliata contro un bersaglio. “Mi chiamo Silver, e tu devi essere Runa.” Disse, presentandosi e avvicinandosi fino a sfiorarmi il muso. “Come fai a conoscermi?” chiesi, apparendo ai suoi occhi incerta e dubbiosa. “Non ne hai la minima idea, ma tutto è deciso dal destino. Disse, per poi tacere e studiare l’espressione dipinta sul mio muso ora contratto in una smorfia di dolore misto ad un’indescrivibile sensazione di confusione mentale. Ad essere sincera, non sapevo se fosse stata la mia mente a renderlo possibile, ma per qualche strana ragione, quella singola ed enigmatica frase sembrò echeggiare nel vuoto e nel silenzio creatosi fra di noi. “Che significava? Chi era Silver? Non avevo certezze, e lasciandomi travolgere dallo sconforto, mi arresi. Chinando lo sguardo, diedi loro le spalle, e fuggendo, desiderai ardentemente che ogni attimo della realtà della quale vivevo ogni secondo non fosse che una bugia. Non riuscivo ad accettarlo, ed ero troppo spaventata per mantenere la concentrazione o la mia stessa sanità psicologica. Concedendomi del tempo per riflettere, mi fermai a pensare, e facendo uso della ragione, mi convinsi di una nuova verità. Forse i miei sogni e i miei pensieri non erano casuali, e per la stessa ragione, potevano essere letteralmente definiti premonitori.

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Capitolo 4
*** Saggia guida ***


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Capitolo IV
 

 
Saggia guida
 

 
Era ormai passato un intero mese, e non riuscivo ancora a credere a quanto fosse successo. Le ore notturne avevano finito per essere soppiantate da quelle diurne, e con l’arrivo del mattino, non avevo fatto altro che correre e allontanarmi il più possibile da Scott. A quanto sembrava, Silver mi conosceva sin da cucciola, ma nonostante tutto, non riuscivo a fidarmi, e le sue parole non avevano fatto altro che confondermi. Che cosa voleva da me? Cosa significavano? Non potevo saperlo, e la confusione regnava all’interno della mia giovane mente. Un incredibile senso di vergogna mi pervadeva, ed ero così imbarazzata da non volere che mi rivedesse. Stanca e assetata, mi ero fermata di fronte ad uno specchio d’acqua, e chinandomi, avevo scelto di bere. Dopo averlo fatto, rallentai il passo, e camminando nella foresta, sentii un suono a me sconosciuto. Quasi istintivamente, mi voltai, per poi notare che nessuno sembrava seguirmi. Ero sola, e con lo scorrere dei minuti, quel suono non accennava a svanire. Colta alla sprovvista, volsi il mio sguardo al cielo, e fu allora che lo vidi. Un grande gufo dalle ali bianche, che volando silenzioso mi guardava con aria alquanto calma. Per qualche strana ragione, sembrava venirmi incontro, e fermandomi di colpo, lo lasciai fare. “Sembri smarrita, che ti succede?” mi chiese, appollaiandosi sul ramo più alto di un albero a me vicino. “Sto cercando il mio branco, ma tu chi sei? Risposi, faticando a respirare a causa della corsa che avevo da poco terminato. A quella domanda, l’erudito gufo rispose prontamente. “Owen è il mio nome, e posso condurti in ogni dove. “Sto cercando il mio branco.” Ripetei, parlando in maniera ora più calma e chiara. “Intendi il resto dei lupi grigi?” indagò, andando alla ricerca di maggiori informazioni. “Proprio loro. Li hai visti?” chiesi, sperando nella positività di una sua risposta. “In questa foresta li ho visti errare, e dritta da loro ti posso portare.” Mi disse, parlando in maniera poetica e in rima rigorosamente baciata. “Dici davvero?” chiesi, ritrovandomi costretta a scuotere il capo per l’incredulità. “Segui il mio volo e il mio andare muto, arriverai dove devi in meno di un minuto.” Continuò, spostandosi lentamente da una parte all’altro di quel ramo. In quel momento, mi fermai a pensare, e guardandomi intorno, scelsi di fidarmi. “Andiamo, ti seguo.” Gli dissi, per poi vederlo spiegare le ali e iniziare a volare nell’azzurro cielo. Ricominciando a correre, mi concentrai su quella che sarebbe presto diventata la mia meta, e respirando a pieni polmoni, mi persi in un autentico sogno ad occhi aperti. Spostando tutta la mia attenzione sul mio cammino, credetti fermamente di poter rivedere la mia famiglia. Lasciando che il vento mi accarezzasse il pelo, immaginai la felicità sui volti dei miei fratelli. Ad ogni modo, la sera calò in fretta, e con lo spuntare della luna, mi ritrovai in una radura. Una volta arrivata, mi fermai di colpo, e riempiendo i polmoni di gentile e fresca aria, ululai. Proprio come la prima volta, speravo che i membri della mia famiglia accorressero, e stavolta la fortuna scelse di sorridermi. Difatti, e per la prima volta dopo un così lungo lasso di tempo, potevo dirmi di nuovo felice. Davanti ai miei occhi si palesarono i miei amati fratelli, e avvicinandomi, li salutai con calore. “Astral! Rhydian!” li chiamai, per poi strofinare il mio muso contro i loro. “Avevo perso ogni speranza, ma grazie al cielo siete vivi!” dissi, guardandoli entrambi negli occhi e mostrando la mia immensa letizia. “Cosa vi è successo? Chiesi poi, notando delle piccole ferite in prossimità dei loro occhi. Te lo spiegheremo, ma non ora.” Rispose mio fratello Rhydian, con lo sguardo fisso su di me e il pelo grigio come fumo mosso dal vento che intanto si era alzato. “Vieni con noi.” Proruppe mia sorella, riuscendo con quelle parole a riportarmi alla realtà dalla quale mi ero estraniata. Mantenendo il silenzio, mi limitai ad annuire, e seguendola, sperai che mi portasse in un posto caldo e sicuro. Avevo freddo, e non mangiavo da giorni. Camminando, mi voltai per un singolo attimo, e notando una sorta di luccichio in lontananza, sentii la gioia avvolgermi come una coperta di foglie autunnali ormai secche e prossime alla morte. Il tempo aveva continuato a scorrere senza apparente sosta, e durante il mio cammino al fianco dei miei tanto amati fratelli, imparai una preziosa lezione. D’ora in avanti, avrei ritrovato la fiducia in me stessa e nel resto del mondo, poiché tutto ciò di cui avevo bisogno non era che una saggia guida.

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Capitolo 5
*** La forza del branco ***


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Capitolo V
 

 
La forza del branco
 

 
Come ogni mattina, il sole prendeva il suo posto nell’azzurro e terso cielo, risvegliandosi dal suo ozioso letargo dietro ai monti. Il tempo continuava a scorrere, e finalmente potevo dirmi felice e mai più sola. I miei fratelli erano con me, e camminando, li seguivo senza porre domande. Fermandoci, ci eravamo concessi del tempo per bere al fiume, e fatti pochi passi, iniziai a sentire i morsi della fame. Il mio ultimo pasto risaliva a pochi giorni prima, e inutile era dire che fossi affamata. Abbassando leggermente il capo, annusai accuratamente il terreno, e concentrandomi, raggiunsi la tana di un coniglio. Tentando di snidarlo, ritrassi le labbra in un ringhio sordo. Accorgendosi del mio piano, Rhydian e Astral decisero di aiutarmi, e appena un attimo dopo, la nostra trappola scattò come una molla. Spaventata dalla nostra vista, la povera bestiola provò a fuggire, ma fallendo nel suo misero intento, ottenne come unico risultato quello di finire nelle nostre grinfie. Formando una squadra a dir poco perfetta, accerchiammo l’animale, e con un balzo, Rhydian gli fu addosso. I suoi artigli penetrarono nella tenera carne, e tutt’intorno si diffuse l’odore del sangue. Un flebile verso e un impercettibile movimento delle zampe furono l’ultimo spasmo di vita di quel povero coniglio. “Il pranzo è servito.” Disse Rhydian, avvicinandosi a me e ad Astral e mostrando i denti in quello che potei unicamente definire un sorriso. Attonita, continuavo a fissare il cadavere della nostra preda, e disgustata, non mossi un passo. Alla mia reazione, i miei fratelli mi guardarono spaesati e confusi. “Qualcosa non va?” mi chiese Astral, dubbiosa. “Sto bene. Ora mangiamo.” Risposi, evitando quella sorta di campo minato e consumando parte del pasto che mi spettava. Subito dopo, riprendemmo il nostro viaggio, e nel pomeriggio, giungemmo in un luogo a me anonimo e ignoto. Eravamo ormai fuori dalla foresta, e migliaia di odori diversi raggiungevano il mio naso, riempiendolo quasi completamente. “Che posto è questo?” chiesi, rivolgendomi a Rhydian e attendendo una sua qualsiasi risposta. “Un villaggio umano.” Mi disse lui, parlando in tono serio. “Resta con noi e non ti accadrà nulla.” aggiunse Astral, ammonendomi e riuscendo a dissipare ogni mio dubbio. Camminavo lentamente, aggirandomi guardinga e pronta ad affrontare ogni pericolo. Improvvisamente, la situazione parve ribaltarsi. Con un semplice e involuto movimento della zampa, spostai un innocuo sasso, e mantenendo il silenzio, pregai che nessuno avesse sentito. Per pura sfortuna, le mie speranze vennero tradite, e le mie preghiere rimasero inascoltate. Di fronte a noi degli umani. Comuni mortali che si credevano a noi superiori, e che per qualche strana e a me ignota ragione, ci temevano, considerandoci malvagi o ostili. Ad ogni modo, quel villaggio appariva abitato, e un suono mai sentito prima mi spaventò a morte. Tremando come una foglia, mi guardai intorno alla ricerca di una via di fuga, e pur trovandola, non riuscii a muovermi. In quel preciso istante, vidi ciò che non avrei mai neanche lontanamente sperato di vedere. Uno di quegli uomini aveva in mano una pericolosa arma, e paralizzandomi, chiusi gli occhi. Seppur inconsapevolmente, tremavo, e recitando le mie preghiere, credetti di non farcela. “È finita. Mi uccideranno.” Pensai, parlando con me stessa e temendo il peggio. In quel preciso istante, un colpo di fortuna. Il mio udito venne solleticato da un latrato forte e pieno d’ira. Riaprendo gli occhi, rividi Scott. A quanto sembrava, ci aveva seguiti, e abbaiando, tentava strenuamente di allontanare gli ostili umani. “Fuggite, li trattengo io.” Ci ordinò, dandoci quindi il tempo di scappare e allontanarci dal pericolo. Ascoltando le sue parole, ci rifugiammo nella foresta, e con il cuore in gola, attesi che Scott tornasse indietro. Poco prima di scappare, sentii un suo guaito, e la tristezza ebbe la meglio su di me. Era incredibile, ma nel giorno del nostro primo incontro, qualcosa era cambiato. Nel lasso di tempo trascorso in completa solitudine, non avevo fatto altro che abbandonarmi a dei ponderati soliloqui, avendo modo di capire che il mio comportamento in presenza di Scott aveva una semplice e naturale ragione. Stentavo a crederci, ma mi ero innamorata. Il suo pelo bruno unito agli occhi verdi come la rigogliosa erba, mi avevano decisamente colpita. Ad ogni modo, il tempo sembrava essersi letteralmente fermato, e guardandomi indietro, avvertii un’orribile sensazione attanagliarmi lo stomaco. Forse Scott non ce l’aveva fatta, e mantenendo il silenzio, mossi un passo in avanti. “Hai sentito cos’ha detto, andiamo.” Mi disse Rhydian, guardandomi fissamente negli occhi ed esortandomi ad allontanarmi. Anche se a malincuore, scelsi di seguirlo. Ogni passo oltre il villaggio risultava doloroso, e rivolgendo un ultimo pensiero a Scott, non ebbi desiderio dissimile dalla sua vittoria in quell’impari scontro. La foresta era piena di pericoli, e il mondo umano appariva ai miei occhi perfino peggiore. Gli umani sapevano essere infidi e sospettosi, e alle volte capaci di una violenza superiore a quella animale. In breve, potevo unicamente contare sulla forza mia e del mio branco.    

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Capitolo 6
*** Il dolore e il destino ***


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Capitolo VI
 

 
Il dolore e il destino
 

 
Tre giorni dopo la disavventura nel mondo degli umani, sono tornata alla mia tana in compagnia dei miei fratelli, e con l’arrivo del pomeriggio mi sono avventurata nella foresta alla costante e continua ricerca di Scott. Lo conoscevo da poco, e non sapevo davvero nulla d lui, ma nonostante tutto, sapevo bene di amarlo. Alla sua vista, il mio cuore sembrava letteralmente impazzire, e concedendomi del tempo per pensare, mi ero ritrovata nei meandri della mia stessa mente. Confusa, sola e incerta sul da farsi. Riflettendo, compresi che la mia corsa sembrava aver perso di senso, e andando alla ricerca di conforto, mi recai al fiume, unico luogo dove sapevo di riuscire a ritrovare la calma e la tranquillità perdute. Ad essere sincera, amavo chiudere gli occhi e fermarmi a pensare, sentendo il fruscio del vento scuotere le foglie e i rami degli alberi, per poi accarezzarmi il pelo. Tenendo gli occhi aperti, ammiravo il sole in lontananza, ormai in procinto di sparire in quello specchio d’acqua e far posto alla maestosa luna e alle compagne stelle. Di punto in bianco, un suono mi distrasse. Qualcuno mi chiamava per nome, e quasi istintivamente, mi voltai. Era Astral. Era evidentemente venuta a cercarmi, e mi guardava con aria preoccupata e colma di apprensione. “Stai bene?” mi chiese, sedendosi al mio fianco e tentando di confortarmi. “No.” Risposi, parlando in tono mesto e chinando il capo a causa della vergogna. “Vuoi parlarne? Forse starai meglio.” Continuò, esortandomi a rivelarle la verità che da ormai lungo tempo non facevo che nasconderle. “Ricordi il lupo che ci ha salvate al villaggio?” le chiesi, dando inizio al mio discorso con quella domanda. Mantenendo il silenzio, Astral si limitò ad annuire, per poi continuare a guardarmi e attendere che riprendessi a parlare. “Credo davvero di amarlo.” Ammisi, tacendo e studiando l’ora confusa espressione dipinta sul suo muso solcato da una ferita. Per pura fortuna era lieve, e nonostante la stessa, mia sorella non sembrava provare dolore. “Sei seria?” indagò lei, apparendo curiosa e desiderosa di dettagli riguardo alle mie questioni di cuore. “Sì.” Mi limitai a rispondere, mentre al solo pensiero il mio battito cardiaco non faceva che aumentare il suo dapprima lento e pacato ritmo. “Cosa sai di lui?” continuò, incoraggiandomi ad aprirmi completamente e svelare ogni mio segreto. Scivolando nel più completo mutismo, non risposi, ma facendomi coraggio, scelsi di parlare. “Si è preso cura di me quando sono scappata, ed è sempre stato gentile. Non credevo potesse accadere, eppure…” dissi, parlando con una velocità tale da credere di non poter essere compresa. “Runa, calmati. È tutto normale. Sei ancora giovane, e non certo l’unica a innamorarti.” Rispose, fornendomi utili consigli e saggi avvertimenti. “Ricorda solo una cosa. Fa ciò che senti e ascolta te stessa.” Continuò, riuscendo con quelle parole a sollevarmi il morale e l’autostima. “Grazie.” Dissi, avvicinandomi e sfiorandole una zampa. “Andiamo a casa prima che Rhydian ci scopra.” Mi ammonì, invitandomi a ripercorrere i miei passi e tornare alla tana. Concedendomi del tempo per pensare, compresi che Astral aveva ragione. Rhydian era nostro fratello maggiore, e sin da quando non eravamo che cucciole innocenti, aveva sempre e in ogni occasione tentando di proteggerci. Conoscendolo forse meglio di noi stesse, mia sorella ed io sappiamo bene che la nostra scomparsa lo turberebbe enormemente. Una volta arrivata a casa, consumai un lauto pasto consistente nella carcassa di un ormai attempato cervo, troppo debole e vecchio per riuscire a fuggire dalle grinfie di lupi del nostro calibro. Ad ogni modo, la scoperta di quel cadavere mi confuse, togliendomi quindi ogni singola parola di bocca. Dubbiosa, chiesi spiegazioni a Rhydian, che mi rispose di non avere alcun merito in quella cattura. In quel momento, nessun ragionamento appariva logico. Stando ai miei ricordi legati alla disavventura nel villaggio degli umani, Rhydian era rimasto ferito durante il combattimento volto a proteggere me ed Astral, a seguito del quale, affermava di faticare a muoversi e zoppicare, seppur non in maniera vistosa. Trovandomi di fronte a tale rivelazione, non avevo mostrato reazione dissimile dal soffrire per lui, sperando quindi che si riprendesse in fretta. Ad ogni modo, mangiai senza proferire parola, e sdraiandomi nel mio giaciglio d’erba e foglie, mi addormentai lentamente. Sprofondai quindi in una profonda dimensione onirica, dalla quale pregai con tutto il cuore di non risvegliarmi. Poteva sembrare incredibile, ma utilizzavo i miei sogni come distrazione dal mondo reale, dalle sue insidie e dai pericoli che nascondeva, ma per qualche arcana ragione, il mio espediente finì per fallire. Difatti, sognai l’incontro avuto con gli umani, ricordando la paura provata, che seppur lentamente, si univa al dolore che aveva seguito le ferite e la scomparsa di Scott. Ero preoccupata, e mi agitavo nel sonno, scoprendomi intenta a chiamare il suo nome. Ad essere sincera, speravo ardentemente che i miei sogni potessero diventare realtà, ma per pura sfortuna, ciò in cui mi limitavo a credere non sarebbe sicuramente mai accaduto. Svegliandomi, uggiolai sommessamente, e nascondendo il muso fra le zampe, non provai che vergogna. Ora come ora, il mio cuore e il mio gentile animo sembravano divisi in due metà esattamente uguali. Un lato era rappresentato dal mio immenso dolore, e l’altro, in completo disaccordo con il primo, si concretizzava nella fredda e oscura ineluttabilità del mio destino. Ancora una volta, ero mortalmente incerta e non sapevo cosa fare, ma qualcosa, una sorta di voce dentro di me mi esortava a credere nelle mie capacità. Il tempo scorreva, ed io non attendevo che alcuni drastici cambiamenti colmi di positività.

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Capitolo 7
*** Il volere del fato ***


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Capitolo VII
 
 
Il volere del fato
 
 
Mattina. La luce solare giocava nel cielo fendendo le nuvole come la spada di un prode e valoroso combattente, e illuminando l’intera foresta, mi svegliava dal sonno in cui mi ero permessa di cadere con l’arrivo della precedente e ormai scomparsa notte. Rimettendomi in piedi, rilassavo i muscoli, e aprendo gli occhi, li vedevo. I miei fratelli erano al mio fianco, e per una ragione che non comprendevo, Rhydian appariva incredibilmente serio. “C’è qualcuno che vuole vederti.” Mi disse, per poi muovere un singolo passo in avanti e sentire un sottile e fragile ramoscello spezzarsi sotto la sua possente zampa. A quel suono, un cespuglio si mosse, e in quell’istante, un lampo di genio mi illuminò la mente. Era un segnale, e qualcosa stava per accadere. “Non ne ho alcuna intenzione.” Risposi, voltandomi fino a dargli le spalle. “Ne sei proprio sicura? Disse una cavernosa voce appena dietro di me. “Completamente.” Continuai a muso duro, convinta delle mie idee e del mio ferreo volere. “Faresti meglio a voltarti. Non vorrai mancarmi di rispetto, vero?” chiese, terminando quella frase con una sarcastica e acida risata che ad essere sincera non sopportai. Alla sua reazione, qualcosa scattò nella mia mente, e rigirandomi con uno scatto rabbioso, riconobbi l’identità del mio interlocutore. “Scar! Che cosa ci fai qui?” gridai, per poi avvicinarmi con estrema lentezza e ringhiare in preda all’ira. In quel momento, mi sentivo oltraggiata, ferita e in altri termini, una lupa nuova e diversa. A quanto sembrava, le mie emozioni giocavano un ruolo chiave in quella che era la mia vita, e il silenzio predominava nella foresta. “Rispondi, vigliacco!” continuai, esortandolo ad aprir bocca e continuare a parlare. “Sono qui solo per metterti in riga. Vieni con me e scoprirai tutto.” Mi disse, invitandomi a seguirlo oltre la fitta foresta che conoscevo e amavo con tutta me stessa. Sede della mia infanzia, e secondo i miei pensieri, del resto della mia vita. “Non muoverò un passo.” Aggiunsi, sfidandolo con la voce. “Bene, ottima risposta. Sembra che ci voglia altro per convincerti.” Frasi che riempirono quel così lugubre silenzio giungendo alle mie orecchie come minacce. I secondi passarono veloci, e qualcosa, o meglio qualcuno di completamente diverso entrò nel mio campo visivo. “Silver?” chiamai, incerta e dubbiosa. “Runa, non c’è tempo per spiegare, devi seguirmi e venire con me se vuoi salvarti.” Disse, apparendo ai miei occhi teso e visibilmente preoccupato per me. “Perché dovrei?” chiesi, indispettita e scontenta di quella così misera spiegazione. “Te l’ho detto! È tutto scritto nel destino! Ora fuggi sei vuoi vivere!” continuò, con la voce rotta dall’emozione e l’animo evidentemente ferito. A quelle parole, ebbi un sussulto. Aveva ragione? Potevo fidarmi? Non ne avevo la minima idea. Andando quindi alla ricerca di approvazione e conforto, guardai i miei fratelli. Prendendo parte a quel muto gioco di sguardi, non risposero, ma in compenso, un’altra voce disturbò il mio udito. “Sei davanti a una scelta. Puoi accettare e farti valere, o rifiutare e scappare via come l’addomesticata che sei. Disse Scar, riprendendo la parola e completando quel discorso con un lemma che apparve ai miei occhi come un orribile insulto. “Non chiamarla addomesticata!” rispose Rhydian, balzando di fronte a lui e tentando in ogni modo di difendermi. Di lì a poco, ciò che non mi sarei mai aspettata. Una vera e propria lotta fra Scar e Rhydian ebbe inizio, e proprio come Silver mi aveva suggerito di fare, a me non toccò che fuggire al suo fianco. Muovendo passi incerti e colmi di dubbi, violai il confine della foresta assieme a lui, ben sapendo di stare abbandonando il resto della mia famiglia nelle mani dell’odioso Scar. Ad ogni modo, tutto sembrava essere accaduto troppo in fretta, e di fronte alla forse dolorosa evidenza, mi ero arresa al volere del fato.

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Capitolo 8
*** Comprendere me stessa ***


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Capitolo VIII
 
 
Comprendere me stessa
 
 
Sette giorni. Una settimana che aveva appena raggiunto la sua triste fine, scomparendo dal calendario della mia vita e facendo lentamente spazio ad una completamente nuova. Il sole non ha ancora fatto la sua comparsa nel cielo, e al suo posto, nuvoloni neri. Il freddo vento soffia riuscendo a raggiungere perfino le mie ossa, e mostrando il mio stoicismo, non mi lamento. Silver cammina al mio fianco, restandomi vicino al solo scopo di aiutarmi a mantenere il mio esiguo calore corporeo. Improvvisamente, un incredibile dolore. Un appuntito e ormai spezzato ramo mi è entrato nella zampa. Sanguino, e la mia vista è offuscata dalla sofferenza. Quasi istintivamente mi fermo, e accorgendosi dello stato in cui verso, Silver fa del suo meglio per aiutarmi e prendersi cura di me. Guidandomi quindi verso il fiume più vicino, mi chiede di immergerci la zampa incriminata e sanguinante. “Va meglio adesso?” chiede, non appena poso di nuovo la zampa sul terreno. “Grazie.” Rispondo, per poi tacere e riprendere il cammino lasciato in sospeso. “Dove vuoi portarmi?” indago, mantenendo il silenzio nell’attesa di una sua risposta. “Al sicuro.” Risponde, mostrando quello che identifico come un sorriso. Il silenzio cala fra di noi, e viene rotto da un potente tuono. Guaendo, mostro la mia paura, e il mio corpo viene scosso da tremiti sempre più evidenti. “Ci siamo quasi.” Mi avverte, respirando a fatica a causa della stanchezza che sa bene di provare. Il tempo scorre, e prima che riesca ad accorgermene, la pioggia inizia a cadere. La stessa bagna il mio povero corpo, insinuandosi nel mio pelo e perfino nella mia pura e candida anima. Per pura fortuna, Silver ed io troviamo un riparo. Una grotta mai vista prima, che davanti ai miei occhi increduli appare ignota. Tremando, muovo qualche indeciso passo in avanti, e ciò che vedo mi terrorizza. Un fuoco acceso che crepita donando alla grotta luce e calore, ma che è per me una fonte di angoscia. Spaventata, uggiolo debolmente, ma incoraggiata da Silver, mi avvicino. Protendo quindi una zampa in avanti, e una scintilla rischia di raggiungermi. Colta alla sprovvista, indietreggio nuovamente, e rintanandomi in un angolo della grotta, mi sdraio. Mostrandosi preoccupato per me, Silver passa la notte a consolarmi fino a che non mi addormento. Mi sveglio solo alcune ore dopo, scoprendo che è ormai giorno e che non siamo soli. Silver è già in piedi, e sembra avermi aspettato. “Vieni.” Sembra dire, mantenendo il silenzio e avviandosi verso l’uscita del nostro caldo e accogliente rifugio. Fidandomi ciecamente, lo seguo senza indugio, e una volta fuori, scopro la verità. Siamo di nuovo al villaggio umano, e un orribile presentimento mi induce a non abbassare la guardia. “Mantieni la calma qualunque cosa succeda.” Mi ammonisce, fornendomi un utile consiglio che spera non disattenda. Camminando al suo fianco, mi aggiro guardinga, finchè un pellerossa non ci sbarra la strada. Confuso, ci squadra entrambi da capo a piedi, per poi compiere la peggiore delle azioni. Per qualche strana ragione, provò ad accarezzarmi, e il mio primo e ancestrale istinto fu quello di mordere. Convinta del mio gesto, ferii la mano di quell’uomo, che ritraendosi per il dolore, sparì subito dalla nostra vista. In poco tempo, una folla di suoi simili ci raggiunse. Fra di loro c’erano anche dei cuccioli d’uomo, e uno di loro, al sicuro fra le braccia della madre, piangeva spaventato. In quel preciso istante, Silver mi guardò con aria seria, quasi a volermi redarguire per ciò che avevo fatto. Mantenendo il silenzio, non si avvalse del dono della parola, poiché il suo sguardo appariva estremamente eloquente. “Che cos’hai fatto?” sembrava chiedermi, facendo uso di un muto linguaggio che compresi quasi subito. Di fronte alla sua contrariata espressione, non mostrai che vergogna, e voltandomi, provai subito a fuggire. Alle mie spalle il latrato di Silver e le grida di quella povera gente, il cui animo era ora colmo di ira e rancore. Sapevo bene di aver ferito un umano, ma ad essere sincera, provavo emozioni miste. Vergogna, ma non certo rimorso. Sin da cucciola, ero stata allevata secondo lo stile di vita e le regole della selva, e il contatto con i mortali era sempre stato ripudiato. Come unico risultato da quella ferrea educazione, avevo ottenuto l’odio verso il popolo umano vivente appena fuori dai boschi, e organizzato in piccole comunità che crescevano di giorno in giorno, proprio come un branco di lupi a me simili. Ad ogni modo, il dolore alla zampa non tardò a ripresentarsi, e sentendomi improvvisamente debole, fui costretta a fermarmi. In quel mentre, Silver mi raggiunse. Appariva stanco, e il suo respiro era irregolare. “Ti rendi conto di ciò che hai fatto? Ferire gli umani è sbagliato!” mi disse, redarguendomi e fissandomi negli occhi. A quelle parole, non risposi, ma in compenso sentii una giusta rabbia crescermi dentro. “Forse lo è per te.” Risposi, parlando in tono mestamente cupo. Fra noi due sei l’unico a non capire.” Aggiunsi, con la voce rotta dall’emozione e spezzata come la giovane vita di una preda uccisa da un cacciatore. “Capire cosa?” mi chiese, indagando e facendo uso del medesimo tono colmo di rabbia. “Sono stata una sciocca. Non riesco ancora a credermi di essermi fidata di te.” Esordii, riprendendo la parola e tacendo al solo scopo di ritrovare la calma ormai persa. “Credi sia una mia colpa? Io non ti ho costretto!” gridò, avvicinandosi con fare minaccioso e difendendosi da quella sorta di accusa. “Come puoi dirlo? Se non avessi insistito non avrei scelto te!” risposi, alterandomi di colpo e perdendo completamente il controllo delle mie stesse e fragili emozioni. “Runa…” mi chiamò tentando disperatamente di ammansirmi. “Allontanati subito da me.” Gli dissi, indietreggiando impaurita e con la coda fra le zampe. “Volevo solo  aiutarti.” Continuò, parlando in tono calmo e sperando nella mia comprensione. “Aiutarmi? Tu mi hai rovinata!” gridai, mentre il mio corpo sembrava cedere a causa dell’impegno che profondevo nel non perdere completamente la ragione. “Hai cercato di plagiarmi, ma io non sono come te. Odio gli umani, e non voglio essere addomesticata!” urlai infine, per poi dargli definitivamente le spalle e allontanarmi fuggendo nel buio. L’oscurità mi ricopriva aiutandomi a rimanere priva di un’identità e facilitando la mia fuga. Correvo senza apparente sosta, e finalmente avevo capito. In questo così lungo lasso di tempo, Silver aveva cercato di indurmi a seguire ogni sua mossa, per poi passare a convincermi delle sue idee. Per pura fortuna, avevo scelto di ascoltare la mia voce interiore, e finalmente mi scoprivo capace di comprendere me stessa.  

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Capitolo 9
*** Sui propri passi ***


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Capitolo IX

Sui propri passi

È di nuovo spuntato il giorno, e il sole è mio compagno. Il silenzio mi avvolge, ed io non sento nulla. L’unico suono a me udibile è quello dei miei passi, lenti ma decisi. Vago nella foresta ormai da ore, e tento in tutti i modi di ritornare alla mia tana. Detesto ammetterlo, ma credo di essermi persa. Fermandomi di colpo, annuso l’aria, e poi il terreno, sperando di cogliere un odore familiare. Per pura fortuna, il mio espediente appare valido, e correndo, riesco a tornare a casa. Ad ogni modo, trovo qualcosa di davvero insolito ad attendermi. Sono completamente sola, e su un albero dal robusto tronco, campeggia un segno inconfondibile. Artigli. Qualcuno deve averlo lasciato come avvertimento, e avvicinando, lo esamino meglio. Per qualche strana ragione, ha l’odore della mia famiglia. Chiudendo gli occhi, mantengo il silenzio in attesa di una qualsiasi risposta, e il bubolare di un gufo mi distrae dall’informe moltitudine dei miei pensieri. A quanto sembra, Owen è tornato. Felice di vederlo, chiamo il suo nome, e notandomi, scende in picchiata, fino a sistemarsi sul ramo di un albero. “Sei tornata!” mi dice, salutandomi calorosamente. “Hai per caso visto gli altri?” gli chiedo, con un filo di preoccupazione nella voce. “Neanche l’ombra.” Risponde tristemente, con le ali ferme e il becco curvo in un’espressione alquanto mesta. “Cosa dicono i tuoi istinti?” chiede a sua volta, ponendomi una domanda con la quale riesce a spiazzarmi. “Non sono lontani.” Rispondo, sentendomi improvvisamente molto più fiduciosa. “Buon segno.” osserva il mio amico alato, continuando a guardarmi dall’alto di quel ramo. “Torneranno presto, ed io sarò con loro.” Conclude, poco prima di spiegare le ali e volar via fino a scomparire dalla mia vista. Rinfrancata da quelle parole, mi sdraiai nel mio solito giaciglio, e rimanendo allerta, attesi. Le ore passarono, e proprio quando stavo decisamente per perdere ogni speranza, rieccoli. Rhydian e Astral non mi avevano abbandonato, ed erano tornati al solo scopo di trovare un riparo dai pericoli. “Cosa ti è successo?” chiese Astral, notando l’aspetto del mio pelo ora rovinato dalla precedente pioggia e dalla lite avuta con Silver. Non volendo farla preoccupare, non risposi. Ritrovandomi di fronte alla sua insistenza, mi ritrovai costretta a cedere e vuotare il sacco riguardo all’accaduto. È stato Silver.” Dissi semplicemente, non notando che i miei occhi sembravano brillare per la rabbia alla sola pronuncia di quel nome. “Ti ha ferita?” intervenne Rhydian, ringhiando leggermente e scattando subito in piedi. “No, ma ha cercato di plagiarmi.” Continuai, facendo suonare quella frase estremamente enigmatica. “Che vuoi dire?” chiesero entrambi, parlando all’unisono come gemelli. “Voleva avvicinarmi agli umani, ma sono scappata, ed ora sono qui.” Continuai, ricordando ogni singolo particolare di quell’avvenimento e scegliendo conseguentemente di tacere. “Noi non siamo addomesticati.” Sibilò Rhydian, sussurrando al solo fine di non essere sentito. Ad ogni modo, il suo tentativo si dimostrò fallimentare, e mantenendo la calma, Astral ed io provammo a farlo ragionare. “So come la pensi, ma non accadrà nulla.” disse lei, per poi sdraiarsi al mio fianco e chiudere gli occhi. La notte scese sulla foresta con estrema lentezza, e sfinita, mi addormentai cadendo preda del sonno. Mi svegliai alle prime luci dell’alba, avendo la fortuna di ammirare il sorgere del sole. Il mio amico Owen aveva scelto di raggiungermi e augurarmi il buongiorno, e alla sua vista, non potei far altro che sorridere. “Sei mattiniero, sbaglio?” chiesi scherzosamente, notando che appariva insolitamente taciturno. “Hai ragione, ma come stanno?” indagò riferendosi ai miei amati fratelli. “Grazie al cielo bene.” Risposi, per poi scivolare nel silenzio e chinare il capo per abbeverarmi al vicino fiume. La calma regnava sovrana in questo così soleggiato mattino, e improvvisamente, la mia concentrazione si spezzò come in maniera a dir poco inesorabile. Una lupa dal manto nero come la notte si avvicinava guardandosi intorno, e incontrando il mio sguardo, indietreggiò quasi istintivamente. “Non ti farò del male.” Le dissi, incoraggiandola ad avvicinarsi. Alle mie parole, la lupa non ebbe reazione dissimile dal muovere qualche passo in avanti, e in poco tempo mi fu accanto. Quando fu abbastanza vicina, notai un particolare. La sua corporatura appariva esile come lo stelo di un fiore, e gli occhi erano rossi come lamponi. In altri termini, era davvero bellissima. “Come ti chiami?” le chiesi, spinta dalla curiosità e desiderosa di fare nuove conoscenze. “Dharma, e tu?” rispose timidamente, rigirandomi quindi la domanda. “Io sono Runa.” Dissi, regalandole un sorriso e sperando nella sua fiducia. Alcuni attimi dopo la vidi imitarmi e iniziare a bere, e con grande sorpresa, notai che le sue zampe erano scosse da evidenti tremiti. “Stai tremando. Hai freddo?” le chiesi, preoccupata. “No, ma ho paura.” Rispose. Ora anche la voce le tremava. “Hai un posto dove andare?” continuai, ponendole un secondo interrogativo. “Purtroppo no. Mi hanno cacciata, e da allora sono sola.” Mi disse, rivelandomi una verità alla quale stentai a credere. “Vuoi venire?” indagai, voltandomi e invitandola generosamente a seguirmi. “Andrà tutto bene?” mi chiese, mostrandosi titubante. “Te lo prometto.” Dissi, sorridendole e concentrandomi sul cammino che mi avrebbe riportata alla mia tana. “Conoscerai il mio branco.” Le dissi, correndo e non avendo alcuna intenzione di fermarmi. “Aspetta.” Mi implorò, frapponendosi fra me e il sentiero che percorrevamo. “Cosa c’è?” chiesi, dubbiosa. In realtà non sono da sola.” Confessò, chinando il capo in preda alla vergogna. Subito dopo, la vidi fuggire, e seguendola in silenzio, mi nascosi alla sua vista. Camminando ad occhi bassi, mantenevo la calma e la concentrazione. Ad ogni modo, mi lasciai guidare fino a una radura nei pressi di una cascata, e fu solo allora che scoprii il suo mondo. Stando a quanto avevo appena avuto l’occasione di vedere, anche Dharma aveva un branco, e si era fermata a parlare con un lupo incredibilmente simile a lei. Per un singolo attimo mi interrogai sul loro legame, ma prestando il mio orecchio alla loro conversazione, lasciai cadere l’argomento. “Ti prego, Chronos, devi fidarti. Hanno detto che possono aiutarci!” la sentii dire, con la voce irrimediabilmente corrotta dal dolore. “Sai che non abbiamo bisogno di nessuno.” replicò lui, visibilmente iroso. “Ricrediti, e vieni con me. In caso contrario sarai libero di andartene.” Rispose lei, sperando che le sue parole non avessero il suono di una supplica. Alle stesse, il lupo non mosse un muscolo, e annuendo forzatamente, si decise a seguirla. Notando quanto stava accadendo, temetti di essere scoperta, e nascondendomi, riuscii a evitare il peggio. Ad ogni modo, e sempre in compagnia di Dharma, tornai a casa, con la ferma e precisa intenzione di ripararmi dalle ormai prossime intemperie. Attorno a noi si era infatti diffuso l’odore della pioggia, e sapevo bene che fra non molto la stessa avrebbe  iniziato a cadere. Una volta arrivata, mi avvicinai ai miei fratelli. “Chi sono? Tuoi amici?” chiese Rhydian, sorpreso e stranito dalla presenza dei due lupi al mio fianco. “Loro sono Chronos e Dharma. Vorrebbero restare, se per voi va bene.” Dissi, sperando segretamente nella loro approvazione. Quasi ignorando le mie parole, Rhydian si avvicinò alla mia amica, e annusando l’aria attorno a lei, assunse un’aria alquanto pensierosa. “Permesso accordato.” Disse poi, avendo la fortuna di vedere la gioia dipingersi sul volto di Dharma. “Grazie.” Soffiò lei, inchinandosi al suo cospetto come fosse l’umile serva di un decorato principe. “Nessun problema.” Rispose lui, quasi arrossendo alla sua vista. In quel momento, lo vidi esitare, e un dubbio si fece spazio nella mia mente. Che anche mio fratello, lupo dal cuore nobile e duro, si fosse innamorato? Non ne avevo alcuna certezza, ma il rossore presente sul suo muso era un chiaro segnale. Il tempo continuò a scorrere, e con l’arrivo della notte, feci posto a Dharma, che sdraiandosi fra me ed Astral, si addormentò rapidamente. Al contrario di tutti gli altri, ormai impegnati a sognare fino al sorgere del sole, io non dormivo. Difatti, faticavo a farlo, poiché mille pensieri affollavano la mia mente. Per qualche strana ragione, avevo di nuovo paura, e temevo per la mia incolumità. Sapevo bene di essere al sicuro, ma tale convinzione continuava a sparire dalla mia mente. Un mio pensiero era poi sempre rivolto ai miei nonni Titan e Athena, capostipiti del branco e padroni prima dei miei ormai defunti genitori, forse ancora vivi, o forse ridotti a carcasse divenute lauto pasto per cauti avvoltoi. Scuotendo il capo, tentai di liberare la mente da quell’orribile concezione, e incrociando le zampe, rivolsi un’ennesima preghiera alla luna. Poco prima di addormentarmi, compresi qualcosa di incredibilmente importante. Ne avevo passate tante, e ciò che realmente importava era l’essere, in buona compagnia, riuscita a tornare sui miei passi.

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Capitolo 10
*** Coppie e gelosia ***


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Capitolo X

Coppie e gelosia

Era di nuovo l’alba, e appena sveglia, trascorrevo il mio tempo immersa nel fiume dei miei ancora nitidi ricordi. Sospirando cupamente, concentravo il mio pensiero sui miei amati nonni. Pensandoci, ricordo ancora bene i miei tempi da cucciola, che svanivano con ogni ciclo solare e durante i quali venivo allevata ed educata nel migliore dei modi. Ora sono una lupa adulta, ma volgendo un semplice sguardo alle mie spalle, non riesco a fare a meno di pensare alla mia giovinezza. Stando ai racconti di mio fratello Rhydian, sembra ieri che mi divertivo giocando con i nostri genitori e affilando gli artigli sulla corteccia dei secolari alberi del bosco. Ad ogni modo, il tempo scorre, e tutto intorno a me è calmo. È ormai passato un altro mese, e sia Dharma che Chronos fanno ormai parte del nostro branco. Per qualche strana ragione, lui ed Astral sembrano andare incredibilmente d’accordo. Non ho alcun modo di dirlo con certezza, eppure ogni suo movimento, unito ai suoi genuini sorrisi e al comportamento che ha recentemente adottato, lascia presagire che i battiti del suo cuore stiano seppur lentamente aumentando. A quanto sembra, l’amore ha colpito anche il suo giovane cuore, e mantenendo il silenzio, non posso fare altro che mostrarmi felice per lei. Lo stesso discorso è poi applicabile a mio fratello Rhydian, il cui animo appare ai miei occhi molto più rilassato. Da ormai qualche giorno, infatti, lui e Dharma non fanno che giocare come cuccioli innocenti, tendendosi agguati e rincorrendosi nella verde e accogliente foresta. Forse è ancora presto, ma nonostante tutto, so bene che il suo cuore batte con forza inaudita, e che la giovane Dharma, ancora timida e priva di fiducia in sé stessa, e la causa del suo benessere. Sdraiata accanto ad un albero, ammiro il paesaggio e il cielo mattutino, e mentre le nuvole che passano assumono forme curiose e suggestive, non faccio altro che parlare con me stessa. Tristi ricordi spaziano quindi nella mia mente, e chinando il capo, non posso che deprimermi. Quella che ora provo non è che pura gelosia. Ovunque mi guardi non vedo che coppie felici, e nessuno sembra essere da solo. È difficile da credere, ma l’amore è l’unica cosa che mi manca, e di cui ora ho un disperato e ardente bisogno. Chiudendo gli occhi, tento in ogni modo di dormire, e cadendo in un indescrivibile stato di torpore, cedo agli allettanti richiami del sonno. Oppormi è letteralmente inutile, e prima che la luna mostri il suo volto, mi rifugio nei miei sogni. I minuti svaniscono lentamente dalla mia vita, e un orribile incubo mi riporta alla realtà. Le immagini appaiono indistinte, ed io non sento altro che grida. La foresta sta bruciando, e molti lupi fuggono. Ululati di dolore e paura si susseguono, e il fuoco si propaga. Sopraffatta dalla paura, mi sveglio, e un mio urlo squarcia il silenzio della notte. Allarmata, Astral tenta subito di consolarmi, e mentre il mio battito cardiaco non fa che accelerare, lascio che mia sorella mi offra il suo aiuto. Finisco quindi per addormentarmi nuovamente, e fallendo nel misero intento di passare una notte tranquilla, fuggo senza dire una parola. Fra un passo e l’altro, mugolo sonoramente, e prima che riesca ad accorgermene, mi ritrovo in uno degli angoli più remoti del mio habitat naturale. L’odore che aleggia nell’aria mi ricorda un luogo già visitato, e acquattandomi fra l’erba e le foglie, mantengo il silenzio venendo cullata dallo scorrere dell’acqua del ruscello a me vicino. “Cosa sto facendo?” mi chiedo, parlando con me stessa e non provando altro che vergogna. Non riuscivo a crederci. Ero di nuovo scappata di casa, e per quale ragione? Gelosia mista al dolore che provavo dopo la scomparsa di Scott, unico individuo in grado di amarmi oltre alla mia famiglia, che forse ora passava la notte a cercarmi e a preoccuparsi per me. ero davvero disperata, e ululando all’argentea e maestosa luna, speravo segretamente che i miei fratelli riuscissero a ritrovarmi. Desideravo l’amore, e in questo così lungo lasso di tempo mi ero dimostrata cieca e incapace di comprendere la realtà che mi circondava. L’affetto della mia famiglia era l’unica cosa di cui avessi bisogno, e in assenza dello stesso, il mio cuore appariva completamente vuoto. Le lancette del tempo continuavano a muoversi, e mentre le foglie cambiavano colori, i miei sentimenti e i miei pensieri non mutavano neanche di una misera virgola.  

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Capitolo 11
*** Rivivere l'infanzia ***


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Capitolo XI

Rivivere l’infanzia

Un ennesimo ciclo solare stava ormai terminando, e le tenebre notturne venivano sconfitte e squarciate dalla luce solare, che trovando il suo posto nel cielo, donava nuova vita al bosco in cui vivevo. Ero ancora una fuggitiva, e non ero tornata a casa, ma nonostante tutto stavo imparando a vivere da sola. Da ormai alcuni giorni mi cibavo di bacche e frutta, e occasionalmente di qualche pesce portato in braccio dalla corrente del fiume, mia unica fonte d’acqua e quindi di vita. I minuti scorrevano, e nel silenzio, qualcuno chiamava il mio nome. Nella mia mente balenavano mille pensieri diversi, e fingendo indifferenza realmente non provata, ignoravo quei richiami. Qualcuno mi stava cercando, ed io non volevo essere ritrovata. Continuavo quindi a fuggire, e in quel momento, il mio cuore batteva all’impazzata. Un improvviso dolore al petto mi costrinse a fermarmi, e crollando in terra, pregai che nulla di infausto mi accadesse. Ancora una volta il mio corpo venne scosso da alcuni incontrollabili tremiti, e la mia stabilità era seriamente minata. Alcuni attimi dopo, anche la mia vista parve cedere, e con gli occhi velati dal dolore, non mi mossi. Chiudendoli, recitai le mie preghiere, attendendo quindi la vana salvezza. Per pura fortuna, nulla accadde. Rimasi illesa, e attorno a me solo il buio. Oltre all’oscurità, il nulla più totale. Alcune ore svanirono dalla mia vita, e quando finalmente riaprii gli occhi, scoprii di essere tornata a casa. Qualcuno doveva avermici trasportato, e guardandomi intorno, non riuscii a carpire l’identità di quell’individuo. Come ero ormai solita constatare, Rhydian ed Astral erano al mio fianco, così come Chronos e Dharma, ma assieme a loro sembrava esserci qualcun altro. Notando la presenza di due lupi dal manto color dell’ambra, ringhiai preparandomi all’attacco, ma venni fermata da Rhydian. “Runa, sta calma. Non vogliono farci del male.” Disse, avvicinandosi e aiutandomi a ritrovare la calma. “Allora chi sono?” replicai, guardandolo con occhi iniettati di sangue. A quelle parole, mio fratello non rispose, ma in compenso uno dei due lupi mosse qualche passo nella mia direzione. “Sembra che tu abbia perso la memoria, nipote mia.” Disse, per poi scrollarsi energicamente lo sporco dal pelo. In quel preciso istante, tutto mi fu chiaro. “Nonno? Nonna?” biascicai, con la voce rotta dall’emozione e la mente vuota e confusa. “Esatto, Runa. Siamo noi.” Proruppe la lupa, avvicinando la sua zampa alla mia. “Ma come… e soprattutto perché?” chiesi, stranita da quelle parole e dalla sua enigmatica presenza. “Vogliamo solo proteggerti, ora fidati e resta con noi.” Mi disse mio nonno, guardandomi con la solita aria serafica che lo caratterizzava sin dal giorno della mia nascita. “Fidati.” Una semplice frase che avevo ormai sentito migliaia di volte, e che avevo imparato ad ignorare. Difatti, sapevo bene che riporre la mia fiducia in coloro che mi circondavano mi aveva solo fatto del male, ma ora tutto era diverso. I miei tanto amati nonni erano di nuovo al mio fianco, e la felicità era tornata a pervadere il mio animo ferito. “Lo farò.” Dissi in tono solenne, mentre qualcosa in me mutava con estrema lentezza. I miei giorni continuavano a passare e susseguirsi, e dopo il ritorno dei miei vetusti nonni, mi sembrava davvero di rivivere l’ormai scomparsa e lieta infanzia. Ad essere sincera, non attendevo altro sin dal giorno della mia fuga, e finalmente, dopo quasi un intero anno di dolore e paura, il mio sogno si era tramutato in pura realtà

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Capitolo 12
*** Cuore selvaggio ***


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Capitolo XII

Cuore selvaggio

Il canto degli uccelli mi svegliava dal mio immenso torpore, e un verso ormai conosciuto aveva il potere di farmi scattare in piedi come una molla. Ancora assonnata, mi strofinai un occhio con la zampa, e mirando il cielo, notai che lasciò cadere qualcosa in terra. Quel misterioso oggetto atterrò su un mucchio di foglie, e nel tentativo di aiutarmi, Owen scese in picchiata. Raggiungendo il terreno, mi aiutò a cercare il regalo che sembravo aver perso, e appena un attimo più tardi, scopro la presenza di alcune piccole e succose bacche. “Avrai fame.” Osservò, dividendole equamente con me e tenendone una ferma nel becco. “Sei silenziosa, come mai?” Continuò, riprendendo a parlare solo dopo aver consumato il suo seppur frugale pasto. Sulle prime, quella domanda mi spiazzò. Ne conoscevo perfettamente la risposta, ma nonostante tutto, non volevo assolutamente rivelare tutta la nuda e cruda verità. “Non preoccuparti, sono solo stanca.” Dissi, mentendo e sapendo di mentire come un criminale durante un interrogatorio. “Ne sei proprio sicura? Dai, dillo al tuo amico.” Rispose, ponendomi un secondo interrogativo e tacendo nella semplice attesa di una mia risposta. Sorridendo debolmente, scelsi di mantenere il silenzio, e notando la mia resistenza, Owen non demorse, e continuando a saltellarmi intorno come un passero, attese forse invano una rivelazione che non gli avrei concesso. “Te lo dirò solo se vieni con me.” Dissi soltanto, invitandolo a seguirmi.” Annuendo, Owen si arrampicò sul mio dorso, e una volta raggiunta la cima di quella metaforica vetta, spiccò subito il volo. Guardandolo esibirsi in quel buffo spettacolo, risi di gusto, e spostando nuovamente il mio sguardo sul cielo, guidai il mio amico fino alla mia tana. Per pura fortuna non era poi così lontana, e una volta arrivati, mi fermai di scatto. Subito dopo, i miei fratelli mi notarono, e così anche i miei nonni. Entrambi, mi si avvicinarono, ma la cupe espressioni dipinte sui loro musi mi rendevano nervosa. Il loro assordante silenzio non era poi da meno, e con lo scorrere dei preziosi secondi, compresi di averne avuto abbastanza. A quanto pareva, avevano avuto modo di comprendere il motivo della mia esitazione, e guardandomi, non attendevano che di scoprire la verità. “Devo dirvi una cosa, e dovete saperlo tutti.” Esordii, sentendo il mio pelo rizzarsi e ogni fibra del mio corpo vacillare. “Mi sono innamorata.” Confessai, fallendo nel misero tentativo di non tremare per l’emozione di fronte a quella semplice idea. A quelle parole, mio nonno non mosse foglia. “Chi ha avuto tale fortuna?” chiese mia nonna, apparendo curiosa e desiderosa di risposte. “Si chiama Scott, ed è orfano di un branco.” Ammisi, confessando la realtà che avevo a lungo nascosto e che aveva l’inconfondibile sapore del dolore, che avevo provato per la prima volta durante la mia ormai famosa fuga alla volta della libertà. In quel momento, non sentii nient’altro che il suono del silenzio, che unito a quello del mio giovane cuore che continuava a battere, disturbava il mio udito, rendendomi completamente sorda. Ad ogni modo, la quiete venne spezzata come una robusta corda dalle dure parole del mio amato e vetusto nonno. Il pelo chiaro e di un colore simile all’argento, e una singola macchia nera proprio sopra all’occhio destro. Quelli i suoi tratti distintivi, che in nessuna occasione avrei confuso con altri. “Credo che sia orfano anche della vita, Runa.” Disse, ottenendo come unico risultato quello di minare il mio equilibrio e la mia felicità. Rimanendo ferma e immobile, ascoltai quanto avesse da dirmi senza interrompere, ma con la sua fine, quella frase scatenò in me un’ingiusta e forse esagerata reazione. “Cosa?” esclamai, iniziando istintivamente a tremare e sapendo di essere ormai prossima a svenire. “Ci dispiace, ma corrisponde alla verità.” Continuò Rhydian, facendosi avanti e tentando in ogni modo di consolarmi. “No, non può essere… io lo amo!” gridai, dando loro le spalle ed evitando accuratamente di parlare al passato. Come potevo farlo? Nonostante lo scorrere del tempo, i miei sentimenti non erano cambiati, e quella notizia mi aveva sconvolta. “No.” Mi ripetevo, parlando con me stessa e no avvertendo altro che il suono del mio respiro, ora affannato a causa della sfrenata corsa in cui ero impegnata. In quel momento, mi sembrava di correre con la stessa velocità del vento, e annusando il terreno, speravo di sentire il suo odore. Speravo che i miei istinti fossero in grado di aiutarmi, ma le ore passarono con velocità inaudita. La sera scese lenta, e guardandomi intorno, scelsi di fermarmi e interrompere il mio cammino. Ero davvero stanca, e il freddo che pungeva come migliaia di appuntiti spilli non era certo d’aiuto. Stremata dai miei stessi sforzi, mi sdraiai in terra, e la verde erba mi offrì un giaciglio per la notte. Abbandonandomi ad un cupo sospiro, chiusi gli occhi, e nell’esatto momento in cui credetti di aver perso ogni speranza, un particolare attirò la mia attenzione. Un odore raggiunse il mio umido naso, e grazie al mio fiuto sopraffino, riuscii a carpire ogni dettaglio riguardo alla sua provenienza. Riprendendo il mio viaggio, continuai ad annusare l’aria nel tentativo di non perdere quella scia odorosa, e camminando, prestavo attenzione al mondo che mi circondava. Per qualche strana ragione, la vegetazione iniziava a sparire, e di fronte a me non c’era che un terreno arido e spoglio. Quasi istintivamente, mi fermai. Il villaggio degli umani era ormai vicino, e dati i ricordi legati a quel luogo, rinunciai a raggiungerlo. Ad ogni modo, sacrificai anche il mio stesso riposo, e tornando a casa il più in fretta possibile, provai ad attirare l’attenzione di ognuno dei membri della mia famiglia. Sapevo bene che stavano dormendo, ma la cosa non mi toccava. Ciò che avevo da dirgli era di vitale importanza, e non avrei certo atteso il mattino per farlo. “Ragazzi, vi sbagliavate, Scott è vivo! È vivo!” dissi euforica, svegliando il mio intero branco. “Runa, ti prego, sarà stato un sogno, ora torna a dormire.” Mi disse Dharma, per poi sbadigliare e lasciarsi vincere dalla stanchezza. “Dico sul serio!” replicai, parlando a bassa voce e tentando in ogni modo di convincerla. Per pura sfortuna, i miei sforzi risultarono vani, e sospirando, mi sdraiai al fianco di Rhydian e Astral. Uno sbadiglio preannunciò la mia resa ai richiami del sonno, e chiudendo per l’ennesima volta gli occhi, mi arresi addormentandomi. Era impossibile. Nessuno voleva credermi, eppure sapevo bene di non aver mentito. Ogni evento che avevo vissuto non era che reale, ma ancora una volta ero rimasta sola e in compagnia del mio cuore selvaggio.

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Capitolo 13
*** Mai più sola ***


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Capitolo XIII

Mai più sola

Come in ogni buia e stellata notte, dormivo. Il mio sonno era sfortunatamente appena stato interrotto da una stranissima sensazione, e guardando verso l’alto per un singolo e semplice istante, scoprii l’arrivo della pioggia. Fredda acqua che cadeva dalle nuvole che si muovevano sinuose nel cielo in compagnia della luna e delle stelle, e scuotendo il capo, mi liberai in fretta dei miei ormai soliti e cupi pensieri. Svegliandomi, mi ero concessa del tempo per riflettere, e mentre anche lo stesso cielo sembrava piangere il mio dolore, mi convincevo sempre più profondamente delle parole dei miei nonni. “Forse è anche orfano della vita.” Questa la frase che il mio vetusto ma saggio nonno Titan mi aveva rivolto non appena avevo avuto il coraggio di parlargli di Scott. Per qualche strana ragione, sia lui che la sua amata moglie erano certi della scomparsa dello stesso Scott, ma io non ero di tale avviso. Forse era il mio dolore a parlare, ma mi scoprivo testarda e incapace di accettare la realtà. Il tempo continuava a scorrere, e i miei nitidi ricordi spaziavano nella mia mente. D’improvviso rimembrai l’odore che avevo sentito prima delle tenebre, e chinando il capo, mi decisi. Sarei nuovamente partita con l’arrivo dell’alba, e stavolta non mi sarei assolutamente permessa di fallire. Avrei sicuramente ritrovato il mio amato Scott, e nulla mi avrebbe fermata. Rimanendo in silenzio, scivolai nuovamente nel sonno, e solo al mattino, iniziai le mie ricerche. Sparendo come sabbia nel deserto portata via dal vento, non dissi nulla, e trascorsi le successive ore ad impegnarmi in quella che era la mia missione. Mi muovevo veloce e con estrema decisione. I miei muscoli erano tesi, e la mia concentrazione pareva impossibile da spezzare. Il silenzio regnava attorno a me come un indiscusso sovrano, e improvvisamente, un suono attirò la mia attenzione. Un mugolio colmo di dolore raggiunse le mie orecchie, e fu solo allora che vidi ciò che vidi. Scott era lì davanti a me, e il suo corpo era solcato da profonde ferite. Una disgustosa pozza del suo stesso sangue giaceva al suo fianco, e anche se per un mero attimo, temetti di star male. Una fitta di improvviso e giusto dolore mi attanagliò lo stomaco, e ben presto mi ritrovai incapace di respirare. Non volevo crederci, non poteva essere vero. Avvicinandomi lentamente, lo scossi muovendo una zampa, ma lui non ebbe alcuna reazione. Disperata, chiamai con insistenza il suo nome, e di fronte alla sua apparente immobilità, mi arresi. A quanto sembrava, il mio intero branco aveva ragione, e la mia innata caparbietà mi aveva portato a credere il contrario. Seppur lentamente, mi voltai, e in quel preciso istante, tutto sembrò cambiare. “Runa.” Il mio nome pronunciato da una voce flebile e quasi morente, e una reazione della quale non riuscii a capacitarmi. “Scott! Sono qui. Ti prego parlami!” lo implorai, avvicinandomi e sentendomi nuovamente vincere dalla tristezza. “Lasciami qui e fuggi, lui ti sta cercando.” Biascicò, facendo suonare quella frase come il suo ultimo desiderio prima della sua ormai imminente morte. Rimanendo perfettamente immobile, non mossi un muscolo, ma lasciandomi investire da una forza quasi mistica, scelsi di agire. In un gesto forse dettato dalla mia disperazione, strofinai il muso contro il suo, avendo il piacere e la fortuna di percepire il suo respiro, che alla pari con il battito del suo cuore, era debole ma presente. “Ti porto via.” Gli dissi, incoraggiandolo ad alzarsi nonostante le ferite. Il pelo scuro e di un colore simile al prezioso avorio rovinato da dei segni riconducibili a graffi e morsi. Il suo dorso sanguinante, ma una forza incredibile che gli permetteva di tenere il mio passo. Un improvviso colpo di tosse mi allarmò, e fissando il terreno, lo vidi. Era sangue. I minuti svanivano con lentezza esasperante, e una cosa era ormai certa. Se non lo avessi aiutato, sarebbe morto di lì a poco. “Afferra la mia coda.” Dissi, fornendogli un utile consiglio in una situazione di tale calibro. Annuendo lentamente, Scott decise di obbedire, e forse per un tempestivo intervento da parte di forze a noi sconosciute, arrivammo nuovamente alla mia tana. “Aiutatemi.” Pregai, mentre le condizioni del mio amato sembravano peggiorare. Alla sua vista, i miei compagni sobbalzarono. Non credevano ai loro occhi, eppure la loro vista non era stata ingannata. Voltandosi, mio fratello scavò una sorta di piccola buca, che scoprii dimora di alcune foglie dallo strano aspetto. Afferrandole con la bocca, le depositò sul dorso di Scott, che lamentandosi per il dolore e il bruciore, non fece che preoccuparmi. “Presto starai meglio.” Soffiai, nel tentativo di consolarlo ed evitare che perdesse definitivamente i sensi. Intanto, i miei nonni mi fissavano. Data la calma espressione che li caratterizzava in quel momento, sembravano provare un forte senso di vergogna. “Avevi ragione.” Sussurrò mia nonna, guardandomi negli occhi e spostando poi lo sguardo sull’apparentemente esanime corpo del mio amato. Unendomi a quel gioco di sguardi, ringhiai sommessamente, e dandole le spalle, tornai a vegliare su Scott. Il bubolare di un gufo mi indusse a sollevare la testa, e appena un attimo più tardi, il mio sguardo incrociò quello di Owen. Ancora una volta, scendeva in picchiata, e per qualche arcana e a me ignota ragione, portava qualcosa nel becco. Un fragile rametto da cui pendevano alcune bacche. “Fate in modo che le mangi, lo guariranno.” Disse, zampettandomi accanto. Seguendo il suo consiglio, afferrai quel ramo a mia volta, e avvicinandomi a Scott, gliela porsi. Ritrovando lentamente l’equilibrio, si lasciò letteralmente imboccare da me, e barcollando, provò ad avvicinarsi. Prontamente, e con riflessi degni di un felino, gli fui accanto, reagendo al solo fine di evitare una sua caduta. Ad ogni modo, i secondi continuavano a susseguirsi sparendo dalla mia vita senza alcuna sosta, e con l’andare degli stessi, Scott migliorava sensibilmente. Sembrava letteralmente incredibile, ma le sue ferite non erano più una minaccia, e seppur ancora presenti, non rappresentavano un pericolo. La luna prese quindi il suo posto nel cielo, e con la sotto il velo notturno, qualcosa accadde. Scott era ancora debole, ma nonostante quel che avevamo passato, il mio cuore conteneva un messaggio che sentivo di dovergli rivelare. Ad essere sincera, avrei voluto che l’intera situazione prendesse una piega diversa, ma ormai il dado era tratto, ed io non avrei mantenuto il silenzio. Ad ogni modo, appariva addormentato, e poco prima di cedere e cadere fra le braccia di Morfeo, mi avvicinai a lui, e chinando il capo, gli leccai dolcemente il muso. Forse dormiva, o forse era incosciente, e in quella sfortunata eventualità, avrei ripetuto quell’azione infinite volte, fino ad acquistare la sicurezza di essere amata e non sentirmi mai più sola.

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Capitolo 14
*** Il potere della speranza ***


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Capitolo XIV

Il potere della speranza

Le ore passavano, ed io ero sveglia. La luna, argentea e possente, era mia fedele compagna in questa fredda notte, infondendomi il coraggio che mi permetteva di continuare la mia veglia. Mirando per l’ennesima volta il cielo, mugolavo, e i miei occhi non facevano che bruciare. Il dolore emotivo che provavo era immenso, e in silenzio, soffrivo. La mia famiglia era sempre presente, ma al contrario di me, persa in una profonda dimensione onirica. Con mia grande sorpresa, perfino Owen aveva scelto di restare al mio fianco, ma per pura sfortuna, le notizie che mi aveva portato non erano certo di buon auspicio. “Forse non se ne andrà, o per scelta funesta, morirà.” Mi disse, parlando in rima. Lo conoscevo ormai da lungo tempo, e avevo avuto modo di capire che soleva farlo solo in determinate occasioni. “Non può succedere. Non dopo quello che ho fatto.” Replicai, ponendo inaudita enfasi sull’ultima frase che pronunciai. Alle mie parole, Owen non ebbe reazione dissimile dal guardarmi senza capire, e raccogliendo le mie forze e il mio coraggio, parlai. “Ho scoperto di amarlo, e l’ho baciato.” Confessai, per poi venir sopraffatta da un inspiegabile senso di vergogna. “Se gli hai donato il tuo cuore, rinverrà con il passar di queste ore.” Rispose, mantenendo una calma a mio dire mostruosa. Subito dopo, volò via senza dare spiegazioni, ma ora mi sentivo di nuovo sicura. Sin da quando lo avevo conosciuto, il mio amico dalle ali bianche non mi aveva mai risparmiato una delle sue perle di saggezza, fino ad oggi sempre corrispondenti a verità. Rinfrancata dalle sue parole, mi sistemai sul mio letto di morbide e fresche foglie, e addormentandomi, sperai per il meglio. Il mattino mi svegliò solo alcune ore più tardi, e notando che il sole aveva preso il posto della luna nell’ora azzurra e tersa distesa di bianche e soffici nuvole, mi abbandonavo a dei cupi sospiri. Rivolgevo mute preghiere al vento che aveva lentamente iniziato a spirare, e spostando il mio sguardo su Scott, tentai di svegliarlo. A quel proposito, posai la zampa sul suo fianco, e muovendola con dolcezza, espressi un unico desiderio, ovvero quello di rivederlo vivo e vigile. Le mie stesse emozioni ebbero quindi la meglio su di me, e iniziando inconsciamente a tremare, mi ritrovai costretta ad arrendermi. Anche stavolta, mi rifiutavo di crederci. Owen mi aveva parlato, e mi aveva assicurato che tutto sarebbe andato per il meglio, ma a quanto sembrava, quella sorta di profezia appariva priva di fondamenta. Concedendomi del tempo per riflettere, compresi che le sue parole dovevano forzatamente essere parte del suo semplice tentativo di consolarmi. Dopo quanto era accaduto ne ero completamente certa, ma nonostante la dura realtà che si palesava davanti ai miei occhi, arrendermi era in quel momento l’ultimo dei miei pensieri. Allontanandomi da Scott, mi misi subito alla ricerca di mia Astral, e non appena la trovai distesa accanto alla sua tana, mi acquattai al suo fianco, come solevo fare da cucciola. In quel preciso istante, non ebbi desiderio dissimile dallo scomparire per sempre, conservando la segreta speranza di stare vivendo un orribile incubo. “Come sta? Meglio?” mi chiese, notando la mia tristezza e volendo unicamente informarsi sulla sua condizione. “Sembra stabile, ma non credo ce la farà.” Risposi, parlando in tono mesto e fuggendo dai suoi sguardi, che per quanto benevoli e colmi di preoccupazione, non potevano inseguirmi. “Non ricordi cos’ha detto Owen? È mattina, perciò puoi sperare.” Mi disse lei, tentando di risollevarmi il morale e fallendo in quel misero intento. Sconsolata e priva di pazienza, mi allontanai dandole le spalle, e fra un passo e l’altro, lasciai che un ricordo mi tornasse in mente. Dovevo sperare, ed era vero, ma dati i miei oscuri trascorsi, non ne avevo la forza. Il mio povero animo era vittima di una violenta tempesta, e cadendo come corpo morto e ormai privo di vita, svenni accanto al mio amato Scott. Un ennesimo sogno accompagnò la mia incoscienza, e dormendo, mi scoprii nervosa e agitata. La mia mente appariva confusa, ma in compenso non vedevo altro che Scott. Rimembrai quindi i momenti pregressi alla sua attuale condizione, compreso il giorno del nostro primo incontro, durante il quale mi aveva salvata da Scar e offerto un riparo dalle intemperie di quella notte. Con il cuore che batteva all’impazzata, mi svegliai faticando a respirare, e guardandomi attorno, notai un particolare. La zampa di Scott pareva aver cambiato posizione, e ora giaceva accanto alla mia. Istintivamente, lo guardai con fare amorevole, e appena un istante dopo, un evento incredibile mi sconvolse. Aprendo gli occhi, Scott spostò la sua attenzione su di me, e respirando piano, chiamò il mio nome. “Runa… io ti… ti…” una frase che per pura sfortuna non trovò mai una fine, e che da circa un anno sognavo di sentire. “Risparmia le energie.” Dissi, guardandolo e sperando che non finisse di nuovo preda dell’inerzia. Il sole fece quindi capolino da dietro una nuvola, e illuminando il mio volto, mi permise di ritrovare la forza necessaria ad agire. I miei occhi bruciavano, ed io mi sentivo debole, ma mostrando il mio stoicismo, posai un bacio sul muso di Scott, che per tutta risposta, parve ricambiare. “Io ti amo, Runa.” Mi disse, per poi raccogliere le sue forze e il suo coraggio e provare ad alzarsi. Il tempo scorreva, e la situazione continuava a migliorare. Le parole di Owen si dimostrarono vere, e riuscendo finalmente a muoversi e mantenere l’equilibrio, Scott si avvicinò lentamente a me. Rimanendo perfettamente immobile, lo lasciai fare, e tutto accadde in fretta. I nostri sguardi si incrociarono nuovamente, e il mio dolore scomparve. Un secondo bacio rivelò i nostri sentimenti, e finalmente, dopo una lunga e incalcolabile attesa, tornai a credere nel più grande dei poteri, ovvero quello della speranza.

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Capitolo 15
*** Nuova vita ***


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Capitolo XV

Nuova vita

Era ormai pomeriggio inoltrato. Il sole inondava l’azzurro cielo e la verde erba, ed io non facevo che divertirmi. Alcuni giorni avevano raggiunto la loro fine, passando e svanendo nel buio della notte. Ero in compagnia di Scott, ed entrambi correvamo fra l’erba. Respiravo a pieni polmoni, e mentre la felicità mi pervadeva, tutto lasciava presagire che il mio dolore e la mia paura fossero finalmente scomparsi. Potevo finalmente dirmi più tranquilla, e mentre correvo, Scott chiamava il mio nome. “Fermati!” diceva, faticando a tenere il mio passo e tentando in ogni modo di raggiungermi. Mi aveva sfidata ad una corsa fino al lago, e data la mia grande determinazione, non mi sarei certo fermata. “Prima devi prendermi!” urlai di rimando, lasciandomi poi sfuggire una piccola risata. Imitandomi, Scott si unì alla mia ilarità, e accelerando il passo che teneva, provò ad avvicinarsi a me. Per sua sfortuna, anche questo tentativo si rivelò vano, e poco tempo dopo, fissai il mio sguardo sul terreno. Percorrevo un sentiero privo di ostacoli, e mentre il mio naso si riempiva di odori sconosciuti, sentivo la gioia ostruire ogni poro della mia pelle. Un singolo attimo scomparve dalla mia vita, e tornando a guardare dritto davanti a me, lo vidi. Il lago che Scott ed io avevamo deciso di raggiungere, uno specchio d’acqua limpida che pareva brillare sotto i raggi del sole. Ad ogni modo, c’era un unico problema. La vicinanza con il villaggio degli umani. Ad essere sincera, odiavo quelle così altezzose creature, e non passò molto prima che ricordassi la mia disavventura avuta con uno di loro, che brandendo un’arma, aveva cercato di uccidermi. Scuotendo il capo, mi liberai da quel pensiero, e avvicinandomi all’acqua, mi specchiai. Non vidi nient’altro che il mio riflesso, e cosa ancora più importante, i miei occhi. Due iridi di un azzurro profondo e penetrante, quasi paragonabile al colore dei preziosi zaffiri. Una caratteristica congenita, e stando alle parole di Scott, solo una delle ragioni che gli avevano permesso di innamorarsi di me. “Sei bellissima.” Mi disse, non appena riuscì a raggiungermi. Guardandolo, non potei fare a meno di sorridere, e sentendomi spingere leggermente, finii per perdere l’equilibrio e cadere in acqua. Colta alla sprovvista da quell’evento, non seppi davvero cosa fare, ma muovendo freneticamente le zampe, riuscii a tornare a galla. “Scusa.” Disse Scott, chinando il capo a causa della vergogna. “Sta zitto.” Risposi, arrossendo lievemente e colpendogli il muso con la zampa in maniera affatto offensiva. Sentendosi quasi ferito dal mio gesto, Scott indietreggiò lentamente, e allontanandosi da me, parve scomparire oltre il sentiero. “Aspetta!” lo pregai, uscendo subito dall’acqua e lanciandomi in una corsa alla sua ricerca. “Ti ho fatto male?” gli chiesi, non appena fui abbastanza vicina da farmi sentire.      “No, è solo che…” rispose, per poi scivolare nel mutismo e lasciare quella frase in sospeso. Confusa e stranita da quelle parole, lo guardai senza capire. Mantenendo il silenzio, Scott continuò a camminare, e prima che avessi modo di accorgermene, ci ritrovammo di nuovo alla nostra tana. “Dove siete stati?” ci chiese Astral, curiosa quanto il resto del branco. “In giro.” Risposi, avendo cura di mantenere quella sorta di segreto ed evitare che venisse svelato. Subito dopo, mi scrollai l’acqua in eccesso dal pelo, bagnando l’erba e le foglie presenti sul terreno. “Devo dirti una cosa.” Esordì poi Scott, rompendo il suo silenzio e avvicinandosi sia a me che ai miei fratelli. Abbassando le orecchie, mostrai la mia incertezza, e con una semplice mossa del capo, lo invitai a parlare. Il silenzio cadde nuovamente nell’intera foresta, e un rumore ci distrasse. La figura di Silver apparve da dietro a un albero, e spostando il mio sguardo su di lui, ritrassi le labbra in un ringhio sordo. “Che cosa ci fai qui?” chiese Rhydian, avanzando e mostrando i denti. “Anch’io devo parlare con Runa.” Rispose, guardandosi intorno e cercando conforto nei miei occhi. “Vattene, lei non vuole vederti.” Continuò lui, al solo scopo di difendermi e allontanare quello che ormai consideravo un intruso. Per nulla spaventato da quella minaccia, Silver rimase immobile, e avvicinandosi a me, tentò di indurmi a seguire le sue orme. “So di aver sbagliato. Ho cercato di cambiarti, ma ti amo, e voglio che tu sia parte del mio branco.” Disse, sperando di convincermi e attendendo una mia risposta. Posando il mio sguardo su di lui, concentrai le mie energie nella frase che avrei pronunciato, e sospirando lievemente, glielo dissi. “No.” Confessai, mantenendo la calma e conservando la segreta speranza di non avergli spezzato il cuore. “Cosa? Perché? Chiese, non riuscendo a credere a ciò che aveva appena sentito. “Ho detto di no. Il mio cuore appartiene a Scott, e voglio essere la sua metà.” Ammisi, tornando poi a guardare il mio amato negli occhi e lasciando che i nostri musi si sfiorassero. Alle mie parole, Silver apparve sconfitto, e con la coda fra le zampe, decise di ritirarsi, sparendo fra gli alberi e la vegetazione. “Tornerò.” Disse, poco prima di lasciarci da soli e celarsi alla nostra vista. Voltandomi, notai che per qualche strana ragione Scott tremava, e faticava a reggersi in piedi. “Stai bene?” gli chiesi, preoccupata. “Non riesco a crederci. Dicevi davvero?” mi chiesi, mentre il suo intero corpo tremava e il suo battito cardiaco continuava ad accelerare. In completo e perfetto silenzio, mi limitai ad annuire e leccargli il muso, e al mio gesto seguirono dei forti ululati da parte dei miei congiunti. Al calar della notte, mi sdraiai al fianco del mio amato Scott, e tacendo, mi concessi del tempo per riflettere. Anche stavolta, il mio arduo vivere mi aveva messa di fronte ad una scelta, e seguendo il mio istinto, unito al battito del mio giovane cuore, avevo agito prontamente, scegliendo di iniziare a costruire una nuova vita con colui che amavo.

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Capitolo 16
*** Nucleo familiare ***


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Capitolo XVI

Nucleo familiare

Una singola notte era passata, e con la luce della luna che brillava sui nostri corpi, Scott ed io ci eravamo arresi alla passione che sapevamo di condividere sin dal giorno del nostro primo e fortuito incontro, e oggi, con lo spuntare del dorato e magnifico sole, mi sento diversa. Per qualche arcana ragione, ho molto più appetito del solito, e il mio umore tende a cambiare di continuo. Ora come ora, perfino la presenza dei membri del mio branco mi infastidisce, risultando pungente come foglie d’ortica. Non so ancora spiegarlo, eppure so bene che qualcosa deve essermi forzatamente accaduto. Andando alla ricerca di conforto e spiegazioni, mi sono confidata con mia nonna, che stranamente, ha deciso di non pronunciarsi. In preda alla confusione, mi sono appartata in un angolo della foresta, e ululando, ho chiamato il mio caro amico Owen. Lo conoscevo ormai da lungo tempo, ed ero quasi certa che la sua poetica saggezza mi sarebbe stata d’aiuto. Un mio ululato aveva squarciato il silenzio, e alcuni minuti dopo, il mio arguto compagno mi aveva raggiunto. “Cosa ti turba? Perché mi hai chiamato? Chiese, dubbioso. “Ho bisogno del tuo aiuto.” Dissi, tacendo nel tentativo di pensare e organizzare il mio prossimo discorso. “Come posso mostrarmi utile?” chiese poi, attendendo silenziosamente una mia risposta. “Sono giorni che mi sento strana. Non capisco il perché, eppure potrei essere…” continuai, spezzando quella frase perché troppo spaventata per concluderla.  “In attesa?” proruppe il mio amico, cogliendomi impreparata. “Sì, come lo sai?” chiesi, confusa e stranita. “La mia India ha pronunciato queste parole, e presto delle uova si schiuderanno al sole.” Rispose, avvalendosi delle sue ormai solite e perfette rime baciate. “È fantastico.” Risposi, congratulandomi con lui e riferendomi alla gioia che avrebbe provato nel diventare padre. Non proferendo parola, il mio amico si limitò ad annuire e salutarmi, per poi congedarsi da me. Spiccando il volo, sparì nel cielo, e guardandolo allontanarsi, parlai con me stessa. “Posso farcela.” Mi dissi, iniziando quindi a camminare a avviandomi verso la mia tana. Il mio nido, la mia meta, l’obiettivo che mi ero prefissata. La raggiunsi dopo un tempo interminabile, e incrociando lo sguardo e il cammino di Scott, mi bloccai, congelando come pioggia destinata a tramutarsi in neve. Il sangue mi si fermò nelle vene, e tremando, tentai in ogni modo di mantenere l’equilibrio. Spinto dalla curiosità, prese ad annusarmi, e indietreggiando, mi scansai impaurita. Il mio stesso odore avrebbe tradito le speranze che conservavo, e il mio segreto sarebbe inevitabilmente andato in pezzi. “Sei diversa.” Mi disse, avanzando al solo scopo di raggiungermi e confortarmi in un momento di dolore e confusione pari a quello che vivevo in quel momento. “Va tutto bene?” chiese poi, attirando forse involontariamente l’attenzione del resto dei membri del branco. Straniti da quanto stava accadendo, mi fissarono sgranando gli occhi, e sentendo il mio corpo venire invaso dalla rabbia e dalla tensione, rimasi completamente immobile, volendo unicamente evitare il peggio. Sapevo bene che la collera provata avrebbe potuto rendermi capace di gesti o azioni involute, e rompendo il silenzio con un debole uggiolio, mi accorsi di aver ricominciato a tremare. Le sensazioni che provavo erano indescrivibili, e ringhiando sonoramente, assunsi una posizione di difesa. Una zampa in avanti, l’altra indietro, i denti in mostra e i muscoli tesi.“Non sono diversa, sono… sono incinta, ecco.” Dissi, guardando i miei congiunti con fare minaccioso e temendo la loro reazione. “Runa, non preoccuparti. Mantieni la calma, andrà tutto bene. Rispose il mio Scott, avvicinandosi senza timore e tentando di riportarmi alla ragione. In quel preciso istante, lo guardai nuovamente negli occhi, e in quelle iridi verdi come fresche foglie primaverili, ricordai ogni cosa. Il nostro incontro, il dolore che avevamo condiviso, e cosa più importante, il nostro amore. Aveva ragione, avrei dovuto fidarmi, e ogni singola e vitrea tessera di quel perfetto mosaico avrebbe trovato il suo posto. Ancora una volta, gli occhi mi bruciavano, e sdraiandomi, nascosi il viso fra le zampe. La tristezza si era annidata nel mio animo, ed io ero terrorizzata. “Ho paura.” Biascicai, con il cuore che batteva con forza inaudita e il corpo ancora scosso da violenti e visibili tremiti. “Runa, possiamo farcela. Pensaci. Avremo dei cuccioli.” Continuò Scott, guardandomi con fare amorevole e accostando il suo muso al mio. A quella reazione, seguì un mio breve silenzio, che spezzai come una seppur robusta corda pronunciando una frase che ricorderò finche avrò vita e memoria. “I nostri cuccioli.” Confessai, ponendo inaudita enfasi su quell’ora importantissimo pronome. Alle mie parole, Scott rimase immobile e stupito, salvo poi scegliere di baciarmi e trascorrere il resto del suo tempo con me. In breve, le sue zampe sfiorarono le mie, e numerosi baci si susseguirono. “Ti amo.” Continuava a ripetermi, rotolandosi fra l’erba ancora fresca e invitandomi a fare lo stesso. Felice e calma, obbedivo a quei muti ma al contempo dolci ordini, e quando il pelo mi si riempì di foglie e steli d’erba, mi scrollai la terra e lo sporco di dosso, causando l’ilarità di tutti i presenti. “Sta attenta.” Si lamentò scherzosamente Rhydian, indietreggiando lentamente. Riuscendo ad evitare di scompormi, risi della sua codardia, avendo poi l’immenso piacere di vedere un sorriso spuntare sul volto del mio amato. Tornando al suo fianco, mi acquattai nuovamente fra l’erba, e con l’arrivo del pomeriggio, mi sentii improvvisamente stanca. Tutto in me stava cambiando, e una piccola e nuova vita giaceva inerme proprio sotto il mio cuore. Il tempo avrebbe lentamente continuato a scorrere come acqua in un fiume, e un giorno, in un futuro non troppo lontano, Scott ed io avremmo formato il nostro nucleo familiare, composto da giovani cuccioli che avremmo amato più della nostra stessa vita.

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Capitolo 17
*** Ombra nel buio ***


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Capitolo XVII

Ombra nel buio

Anche quest’oggi il mattino svegliava l’intera foresta, e mentre il sole mostrava il suo luminoso volto, aprivo gli occhi, apparendo ormai sveglia e vigile. Data la mia condizione, il mio appetito non sembrava aver fine, e per qualche arcana ragione, non riuscivo a sperimentare la sazietà. Sapevo bene che delle nuove e piccole anime giacevano appena sotto il mio cuore, e nonostante la felicità mia e di Scott a riguardo, ancora una volta la paura trovava il suo posto nel mio fragile animo. Nel giorno della mia scoperta, avevo fatto una promessa al mio intero branco, secondo la quale avrei protetto la vita dei miei futuri cuccioli con la mia. Ad ogni modo, i minuti scorrevano, e con essi venivano via anche le ore, che susseguendosi, davano inizio al pomeriggio, la cui seppur tenue luce era poi soppiantato dal buio e dal gelo notturno. A quanto sembrava, la notizia della mia gravidanza aveva letteralmente fatto il giro del bosco, e ogni singolo animale contribuiva al mio benessere. Durante i suoi silenziosi voli diurni, Owen non dimenticava mai di portarmi delle succose bacche con cui nutrirmi, e se gli scoiattoli avevano creato per me una nuova sorta di nido, la stessa cosa accadeva alla mia alimentazione, ora più ricca che mai. La carne e il pesce non mi mancavano, e per qualche oscuro motivo, la carcassa di un animale sempre diverso giaceva nei pressi di quella che era la mia tana. Mostrando tutta la sua preoccupazione per me, Scott non muoveva un passo oltre la nostra casa, ragion per cui la presenza di quelle prede non era certo da attribuirsi a lui. “Ma allora chi?” mi chiedevo, mangiando e non riuscendo a gioire del seppur lauto pasto. “Chi mi sta nutrendo?” il secondo dei due interrogativi che popolavano la mia mente assieme a migliaia di altri continuava a ripresentarsi, e malgrado i miei sforzi e la mia concentrazione, nessuno sembrava mai trovare una risposta. La mia intera vita sembrava essere divenuta un mistero degno di nota e rispetto, ed io che la vivevo senza alcuna riserva, non sembravo più in grado di comprenderla. I giorni passavano senza apparente sosta, e dopo appena una settimana, qualcosa cambiò radicalmente. Chronos e Dharma, rispettivamente gli amanti di mia sorella Astral e mio fratello Rhydian, non facevano altro che guardarsi intorno e annusare alternativamente l’aria e il terreno. Guardandoli senza capire, andavo alla ricerca di spiegazioni, e le risposte fornitemi da Dharma apparivano incredibilmente enigmatiche. “Presto sarà qui.” Diceva, tremando e faticando a mantenere la calma. “Ci troverà, e dovremmo fuggire.” Aggiungeva, parlando con un tono di voce stranamente neutro, quasi come se fosse preda di un orribile stato di trance. Mantenendo il silenzio, lasciavo che la sua angoscia mi contagiasse, e mettendomi alla ricerca di Scott, pregavo perché riuscisse a consolarmi. Concedendomi quindi del tempo per pensare, comprendevo che una spiegazione logica al suo timore doveva forzatamente esistere, e sdraiandomi fra l’erba, tentavo di ignorare quei cupi pensieri. La notte scese lenta, e con il suo arrivo, mi addormentai dopo ore di infruttuosi tentativi. Le parole di Dharma producevano un orrendo eco all’interno della mia mente, e scuotendo il capo, provavo a dormire. Ferma e immobile nel mio nuovo letto di foglie, ascoltavo il regolare e ritmico battito del mio cuore, che mi cullava assieme alla presenza del mio amato Scott. Fu quindi questione di alcuni minuti, e lui si addormentò al mio fianco. Dopo quanto aveva fatto per me e i suoi futuri figli, le sue energie sembravano essersi letteralmente consumate, e una sana dormita era ciò che gli serviva. Silenziosa come una preda che spera di non essere catturata, mantenevo la mia immobilità, e d’improvviso, il mio placido sonno venne interrotto. Al mio risveglio non vidi che una strana ombra serpeggiare fra gli alberi da me distanti, e pur imputando la colpa di tutto alla mia fervida immaginazione, galoppante come un destriero nelle sconfinate praterie oltre il tramonto, mi convinsi di una forse inesistente ombra nel buio.

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Capitolo 18
*** Lieto evento ***


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Capitolo XVIII

Lieto evento

Un mese raggiungeva il suo seppur sospirato culmine, e molte cose erano ormai cambiate, liberandomi dalla monotonia in cui sembravo essere stata rinchiusa. Ora come ora, la mia gravidanza progredisce senza alcun problema, ma nonostante tale e incredibile notizia, la strana ombra che avevo visto durante una notte di luna piena, continua a comparire in un mio sogno ricorrente. Da ormai qualche giorno, mi sveglio di soprassalto voltandomi e fissando punti lontani e avvolti dal buio. Niente. Non vedo mai nulla, e le parole dei miei congiunti mi inducono a credere di stare immaginando ogni cosa. Per loro mera sfortuna, non ho alcuna intenzione di arrendermi. Seduta accanto ad un albero, rifletto e continuo a guardarmi attorno, apparendo tesa, nervosa, e incapace di restare calma. So bene che qualcosa sta per accadere, e camminando, mi impegno in un confuso e costante andirivieni. Il nervosismo mi porta a graffiare i tronchi degli alberi attorno a me. Notando lo stato in cui verso da ormai lungo tempo, Scott rimane al mio fianco, tentando con ogni mezzo di riportarmi alla calma. “Devi smetterla, finirai per farti male.” Mi avverte ogni volta, guardandomi negli occhi e mostrandomi la sua preoccupazione. Mantenendo il silenzio, scelgo di non rispondere, ma fissando il mio sguardo sul terreno, noto che ha ragione. Anche stavolta, la mia zampa sta sanguinando , e lo stress che mi governa non è certo un balsamo per i cuccioli che porto in grembo. Stando al pensiero di Scott, il tempo scorre, loro crescono, e le cose si aggiusteranno. “Sono qui, e non accadrà nulla.” Continua a ripetere, mentre il verde dei suoi occhi si fonde con l'azzurro dei miei. Il mio cuore batte con forza, e lentamente, mi convinco. Con Scott al mio fianco, nulla potrà ferirmi. Ad ogni modo, la sera cala assieme al silenzio, e raggomitolandomi come un felino nella mia tana, sono ormai prossima a dormire. Un improvviso dolore mi sveglia, e mugolando, raccolgo le mie forze e il mio coraggio. Ho bisogno di aiuto, e camminando a fatica, mi trascino fuori dal mio rifugio, incrociando gli sguardi dei membri del mio branco. I loro animi sono colmi di terrore, e i miei lamenti non cessano. Preoccupato, Scott si avvicina, e posando la sua zampa sulla mia, mi infonde sicurezza. “Calma, presto sarà tutto finito.” Dice, posando il suo amorevole sguardo su di me. Abbozzando un debole sorriso, annuisco lentamente, e chiudendo gli occhi, mi sento venir meno. Sto per svenire, ma non posso permettere che accada. La vita dei miei cuccioli dipende da me, e arrendermi non è fra le mie possibilità. “Tieni duro.” Continua Scott, con la voce corrotta da un filo di preoccupazione. Nel tentativo di risparmiare le energie, non muovo foglia. Il tempo scorre, e dopo ore di sofferenza, assisto al lieto evento. Sono stanchissima, e tre adorabili cuccioli hanno appena fatto il loro ingresso nel mondo. “Sei stata fantastica.” Mi dice Scott, complimentandosi e lasciando che il suo sguardo si posi sui suoi figli. La felicità lo pervade, e i suoi occhi lo tradiscono. Ciò che prova è amore per quei minuscoli esseri, che un giorno, in un futuro che spero non si riveli troppo lontano, cresceranno fino all’età adulta. I miei fratelli mi sono vicini, e guardandomi negli occhi, Astral mi regala un sorriso. In completo silenzio, Rhydian la imita, e lo stesso comportamento è adottato dai miei nonni. Taciturni, ma al contempo felici di aver assistito alla nascita dei loro nipoti, due maschi e una femmina. La stanchezza mi debilita, la luna mi accompagna, e so che presto finirò per perdere i sensi, ma questo non mi impedisce di concentrarmi sui miei figli. Murdoch, King e Cora. Questi i loro nomi, e perfetto il loro stato di salute. Appena nati, e così fragili da poter essere strappati alla vita con estrema facilità. I minuti svaniscono, e sdraiandomi sul fianco, mi arrendo sprofondando in un sonno privo di oniriche e false visioni.

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Capitolo 19
*** Silenzio sospetto ***


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Capitolo XIX

Silenzio sospetto

I lunghi giorni continuano a susseguirsi scomparendo dal calendario della mia vita, e con loro viene via il passato. Ben cinque settimane sono ormai svanite, e tale lasso di tempo ha portato delle liete novelle. Scott ed io ci amiamo come sempre, e i nostri cuccioli hanno ormai compiuto circa un mese d’età. Con il passare dei giorni, ognuno di loro sta lentamente maturando una propria personalità. Murdoch ha ereditato il magnifico e bruno pelo del padre, mentre i piccoli King e Cora lo presentano grigio, tratto caratteristico presente nella mia famiglia. Ad ogni modo, lei mi appare diversa. I suoi occhi sono azzurri come il cielo mattutino, e al contempo grigi come le pietre trasportate dall’acqua del vicino e tranquillo fiume. Ognuno di loro non fa che giocare, e tramite tale attività impara a difendersi e dosare la sua forza. Volendo unicamente evitare che si feriscano anche senza volerlo, li tengo costantemente d’occhio, lasciando talvolta che tale compito venga assolto da un qualunque membro del mio branco. A tal proposito, Rhydian si mostra ai miei occhi in maniera completamente differente. Difatti, si prende cura di quei cuccioli in maniera incredibilmente attenta, quasi come se fossero suoi. Lo stesso discorso è poi applicabile a mia sorella Astral, lupa buona e paziente come i nostri attempati nonni. Per qualche strana ragione, l’unico anello debole di questa metaforica catena sembra essere Chronos. Non era presente nel giorno della loro nascita, e sin da allora non ha mai neanche provato a farsi perdonare. Mi duole dirlo, ma sembra davvero che li odi. Ora come ora, sono giovani e ingenui, e mi capita di ridere vedendoli tormentare lo stesso Chronos, iroso e glaciale come una bufera di neve. Giocando, si divertono a mordergli le caviglie o rubargli il cibo, costringendolo poi a inseguirli fino allo sfinimento. Ad ogni modo, il suo comportamento mi giunge distaccato. In molte occasioni li ignora, volgendo loro sguardi privi di calore o importanza. Tale situazione mi avvilisce, e accucciandomi accanto a Dharma, uggiolo debolmente. “Cosa c’è?” mi chiede lei, curiosa e al tempo stesso preoccupata. “Chronos.” Dissi, con la voce corrotta da una sottile vena di dolore. “Sai bene che ho avuto dei cuccioli, ma non vorrebbe che esistessero.” Aggiunsi, esternando con quelle parole i miei sentimenti a riguardo. “Runa, non è vero. Deve solo abituarsi.” Rispose, parlando unicamente in difesa dell’amato fratello. “Forse hai ragione.” Continuai, parlando mestamente e incrociando le zampe anteriori. Subito dopo scivolai nel silenzio, e chiamando a me i miei piccoli, mi sdraiai sul fianco, dando quindi loro modo di nutrirsi. Sapevo bene che erano ormai grandi per il latte materno, ma in cuor mio credevo fosse ancora presto perché assaggiassero la cedevole ma nutriente carne. Lentamente, il pomeriggio sfumava nel tetro imbrunire, e ad occhi chiusi, riflettevo. Con lo scorrere del tempo, il mio futuro si delineava chiaramente, ma nonostante la felicità che sapevo di provare, ero ancora incerta riguardo al mio avvenire. Non ero che una giovane madre con la sua famiglia pronta a tendere una mano amica, e dati i miei ormai noti trascorsi, ogni tipo di silenzio mi appariva sospetto.  

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Capitolo 20
*** Sacrificio d'onore ***


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Capitolo XX
 

 
Sacrificio d’onore
 

 
Mi sveglio come ogni mattina, con il sorgere del dorato sole. Migliaia di pensieri diversi inondano la mia mente governata dalla confusione, ma uno troneggia sugli altri. Per qualche strana ragione, sono convinta che l’ombra presente nella foresta e nei miei sogni non sia affatto immaginaria, ma bensì reale e minacciosa. Il tempo scorre, e il mio corpo trema. Sono di nuovo tesa, e perfino i miei cuccioli sembrano accorgersene. La prima a farlo è Cora, che avvicinandosi lentamente, mi guarda con aria interrogativa. Volendo evitare che si preoccupi, sorrido debolmente sperando di convincerla, abbandonandomi poi ad un cupo sospiro. “Di nuovo quel sogno, vero? Mi chiede Rhydian, posando il suo sguardo su di me e attendendo una risposta. Scegliendo il silenzio, mi limito ad annuire, e abbassando il capo, sospiro nuovamente. “Ho paura, che ne sarà di noi?” dissi, terminando quel discorso con una domanda. “Non accadrà nulla.” Rispose Scott, intervenendo al solo scopo di rassicurarmi. “Lo credi davvero?” indagai, parlando in tono mesto e agendo con fare sconsolato. Guardandomi, non parla, ma sorridendo, mi fornisce una chiara risposta. Ottimista per natura, è convinto che tutto andrà bene, ma io e i miei cari nonni siamo di tutt’altro avviso. Difatti, anche mia nonna Athena ha ammesso di aver visto la stessa e identica ombra che mi sono ritrovata dinanzi alcune notti fa, e al solo pensiero, il suo corpo è scosso da leggeri tremiti. Qualcosa non va in questo posto, ed io svelerò questo mistero. Ad ogni modo, il mattino lascia spazio al pomeriggio, e questo svanisce con l’arrivo della sera. Come al solito, il cielo si tinge di nero. Le brillanti stelle lo punteggiano, e la luna brilla. Un astro possente e per alcuni magico, mi infonde forza e sicurezza. Mirando il cielo, la guardo intensamente, e il rumore di un ramo che si spezza all’improvviso mi distrae, riportandomi alla realtà. Un intruso ha scoperto la nostra tana, e aiutato dall’oscurità, il nemico avanza. Il mio cuore sembra fermarsi, e una sorta di paralisi mi impedisce ogni movimento. Allarmato, Scott assume la posizione d’attacco. Un ringhio sommesso abbandona le sue labbra, ed è ormai pronto a difendersi. Certi dell’imminente pericolo, i miei congiunti lo imitano, e i piccoli rifiutano di muoversi. Improvvisamente, una forza sconosciuta mi anima, e avvicinandomi a loro li afferro per il collo, portandoli subito al sicuro fra l’erba alta. L’azzurro dei miei occhi risalta sotto la luce dell’argentea luna, e un passo falso tradisce il nostro rivale, la cui identità si rivela nello spazio di un momento. È Scar. Il grosso lupo nero che proprio come Silver aveva tentato di indurmi a seguirmi le sue orme e unirmi a lui nel suo viaggio di sangue, dolore e distruzione. A quanto sembrava, era tornato a cercarmi, e stavolta, meditava vendetta. Un singolo attimo scompare dalla mia giovane vita, e un’accesa battaglia ha inizio. Nel tentativo di difendere il branco e la famiglia, Scott e Rhydian attaccano lottando con tutte le loro forze, ma ogni sforzo appare inutile. È molto più forte di tutti noi messi insieme, e per qualche arcano motivo, è perfino in grado di prevedere ogni nostra mossa. La battaglia prosegue, ed io rimango ferma e inerme. Sono troppo spaventata per farmi avanti, e proprio quando credo che sia realmente finita, la voce del mio animo inizia a parlarmi. “Pensa al tuo branco, e salvalo.” Mi dice, per poi scomparire e spingermi ad agire al solo e unico fine di proteggere me stessa e coloro che amo. I minuti scorrono, e davanti a me non ci sono che dolore, ferite e sangue. Animata stavolta dalle esigue forze che sono riuscita a raccogliere, mi lancio in una corsa sfrenata verso il mio unico obiettivo, ovvero Scar. Il mio amato Scott era ancora impegnato in una dura lotta contro di lui, ma i suoi riflessi risultavano rallentati. Le ferite coprivano il suo corpo, e bruciando, gli impedivano di muoversi con l’agilità che lo caratterizzava. Ero furiosa. Scar aveva osato toccare la mia unica ragione di vita ancora una volta, e non potevo permetterlo. Doveva morire, ed io me ne sarei assicurata personalmente. Correndo, lo raggiunsi, e con un balzo, lo allontanai da uno Scott ferito e sanguinante. “Runa, no!” gridò lui, nella vana speranza di fermarmi e dissuadermi dal mio intento. “È me che vuole, prendi i cuccioli!” risposi, ritrovandomi faccia a faccia con quell’orribile e apparentemente invincibile bestia. Tentando di difendermi, rotolai fra l’erba, e azzannandogli il collo, lo inchiodai a terra, per poi costringerlo a fissarmi. “Scegli.” Gli dissi, guardandolo con occhi colmo d’odio e d’ira.” La vita o la fuga.” Continuai, ponendo inaudita enfasi sulle parole che pronunciai. Ascoltandomi in silenzio, Scar prese la sua decisione, e rialzandosi con fatica da terra, sparì nel bosco, con il suo lurido sangue che colando dalle sue aperte e fresche ferite, macchiava l’erba e le foglie. Non era morto, ma io gli avevo imposto un ultimatum. Poteva fuggire o perire per mia mano. Fuggendo, era scomparso dalla mia vista, e guardandolo andarsene, parlai con me stessa. “Codardo.” Pensai, mentre si allontanava camminando con una lentezza che potei unicamente definire esasperante. Voltandomi, incrociai gli sguardi colmi di stupore dei miei congiunti. Una prima battaglia sembrava vinta, e finalmente, potevamo gioire. Le mie zampe e il mio muso apparivano sporchi di sangue, ma la cosa non mi toccava. Tutti noi non eravamo altro che animali selvaggi, e quello che avevo compiuto, poteva essere considerato un sacrificio d’onore.
 
Salve a tutti! Inizio con il ringraziare ciascuno di voi per aver letto e seguito con passione la storia di Runa. Il suo viaggio non è ancora finito, e noi ci vedremo nel seguito. Non mancate, e grazie ancora,
 
Emmastory :)

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