Il cavaliere delle camelie

di kou_oniisan01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una primavera senza gemme ***
Capitolo 2: *** Tra orgoglio e incoerenza: l'anima di un vero ariano ***
Capitolo 3: *** Solo ragazzi ***



Capitolo 1
*** Una primavera senza gemme ***


-No....-
Il suo sguardo si era spento, mostrando un volto che sembrava sconsolato e amareggiato per ciò che aveva appena letto; chiuse il diario, lo afferrò con la mano sinistra che fece scivolare lungo tutto il corpo, mosciamente, si appoggiò alla finestra guardando il sole che se ne andava, lasciando un meraviglioso tramonto che illuminava timidamente, con luce soffusa, l’aula di scuola in cui si trovava.
Si mise la mano destra in tasca, non cambiò espressione neanche quando un ciuffo di quei meravigliosi capelli biondi gli cadde sul viso. Poi sogghignò malignamente, mostrando i denti e ridacchiando appena, socchiudendo i felini occhi azzurri che gli adornavano il volto.
D’improvviso si aprì la porta dell’aula, le cerniere arrugginite cigolavano accompagnando l’entrata di una splendida fanciulla dai capelli nerissimi, che parevano essere di velluto, in quanto a bellezza era paragonabile unicamente ad un fiore che sboccia in primavera, un fiore che racchiude l’incanto e l’eleganza di una ragazza dalla pelle chiara e pallida come un giglio e le labbra tinte di un rosso spento che ricordava i petali di una camelia.
Entrando nella stanza, alla vista di quel ragazzo, lei sgranò gli occhi assumendo un’espressione sbalordita e la luce del tramonto le illuminò gli occhi mostrando l’azzurro che li dipingeva.
- Nathan…che ci fai qui a quest’ ora? – la ragazza pronunciò quel nome in maniera acida e non comunicava altro che disprezzo, pareva quasi agonizzante per il solo fatto di doverlo pronunciare.
- La stessa cosa dovrei chiederla a te. - disse stiracchiandosi.
- Nulla, ho dimenticato il quaderno di matematica e non posso fare i compiti senza. – attraversò l’aula velocemente, noncurante del ragazzo che la osservava, giunse all’ultimo banco della terza fila e si chinò per prendere qualcosa che evidentemente non c’era. Raddrizzò lentamente la schiena voltando la testa in direzione di Nathan.
- Ce l’hai tu? – il giovane mostrò spavaldamente il diario che stringeva con la mano sinistra, si distaccò dalla finestra e si diresse speditamente incontro alla ragazza.
- Già… notai che l’avevi dimenticato sotto il banco, pensavo di ridartelo, ma poi il contenuto era troppo interessante. – Si avvicinò ancor più a lei con un sorriso sprezzante che mostrava appena i denti lucidi, tendendole il diario, ma quando la ragazza tentò di afferrarlo ma lui fece in tempo a ritirarlo e con la destra le afferrò la mano.
“Il leone e la sua preda.”
- Sei ebrea. – la ragazza assunse un’espressione di disprezzo e rabbia.
- E ora che vuoi fare?! Denunciami? Vigliacco, piuttosto che vivere con gente come te preferisco morire! Chiama le SS! – la rabbia si tramutò in disperazione che poi sfociò nel pianto; si lasciò cadere a terra con il braccio ancora mantenuto dalla stretta di Nathan. Si accovacciò anche lui.
- No…Andrea io penso di poterti sfruttare in altro modo. – e posò il diario sul grembo della ragazza.
- In cambio del mio silenzio sarai la mia bambolina, farai tutto ciò che ti ordinerò, senza discutere anche se non ti piacerà o sarà imbarazzante, tu patirai senza fiatare. – Andrea sollevò la testa, mostrando un volto devastato dalle lacrime in cui non si rispecchiava altro che rabbia e dolore.
- Ho capito, va bene. – singhiozzò asciugandosi le lacrime con il lembo della manica.
- Ok. Ok. Ora basta piangere, le ragazze che piangono non sono carine per nulla. Domani fermati dopo la scuola, così farai i miei compiti. – si alzò da terra e iniziò a girovagare per la stanza.
- Ma non c’è il rischio che ci scoprano? –
- Basta che stiamo attenti e andrà tutto bene. – Andrea storse il naso.
- E come la mettiamo con i miei genitori? – lo disse in maniera acida e arrabbiata alzando leggermente il sopracciglio sinistro e inarcando verso l’alto il labbro superiore, Nathan rimase allibito e si zittì all’ improvviso ma poi prese fiato e riuscì a controbattere.
- Certo che quando si tratta di rispondere in maniera antipatica ti riprendi in fretta…e comunque non ne ho la più pallida idea, inventa una scusa che regga… tipo che ti sei trovata il ragazzo oppure che stai dando ripetizioni ad un tuo compagno. Sei comunque al corrente del fatto che sono ben disposto ad aiutarti se si tratta di recitare la parte di fidanzato e che nel farlo sono un esperto. – ammiccò.
- Tsk! Il solito marpione, ecco uno dei motivi per cui ti odio! Non devi prenderti troppa confidenza con me solo perché ci conosciamo! Me la sbrigherò da sola! –


Il giorno a venire, dopo la scuola rimasero in classe a svolgere i pochi compiti assegnati, inutile dire che l’umore di Andrea non era dei migliori ma sembrava insolitamente calma e pacata nonostante tutto ciò che stesse accadendo intorno a sé: il trascorrere di nuovo del tempo con Nathan, la morte della tanto amata gattina e poi la guerra…tutte cose che fino a qualche ora prima non le causavano altro che stress.
-Hai portato tutto? – Nathan si mise a cavalcioni sulla sedia circondandone con le braccia lo schienale e appoggiando la testa sulle braccia.
- Sì, sì…dai iniziamo-
- Ah! Non hai capito che i compiti li farai tutti tu? – parlò con fare sfottente sorridendo e ridacchiando sarcasticamente, piegando appena la testa. Andrea inarcò il labbro superiore in segno di disprezzo e alzando il sopracciglio mimò una smorfia, poi prese a scrivere.
- Mi sto divertendo molto a guardarti sgobbare! – sorrise soddisfatto. La ragazza non gli diede corda e pensò solo a risolvere i suoi esercizi di matematica nella maniera più accurata e repentina possibile, anche Nathan rimase sbalordito di quanto fosse brava, la osservava con attenzione fino a rimanerne incantato, l’aveva sempre trovata splendida e ammirevole per l’impegno che ci metteva nel fare qualsiasi cosa…in passato infatti aveva provato a stringere un legame con lei che però, sfortunatamente non andò a buon fine. Si sottrasse per un attimo ai suoi pensieri, perché più di quelli c’erano altre questioni che lo affliggevano, domande a cui solo la ragazza sapeva rispondere.
- Piccola come hai fatto a sfuggire alle SS? – la ragazza alzò il viso e lo fulminò con occhi di ghiaccio, poi lo abbassò nuovamente e riprese a scrivere.
- Proprio ora non ha senso che tu me lo tenga nascosto – lei non emise un fiato e continuò a scrivere indifferente. Nathan iniziò ad alterarsi cambiando anche il tono che passò da dolce ad acido.
- Sei ancora arrabbiata come me per questo piccolo ricatto o c’è qualcos’altro? - Nuovamente non rispose alla domanda, ma questa volta si stropicciò gli occhi come se stesse per piangere, a braccia conserte si mise sul tavolo con la testa raccolta da quelle e iniziò a parlare con tono basso che pareva quasi un mugugno.
- Che idiota che sei…se solo quella volta… - alzò il busto e si mise le mani sul viso coprendolo interamente.
- Sei il peggiore. - Nathan non aveva mai provato tanta vergogna, aveva sempre trovato ignobile far piangere una persona, a maggior ragione se poi si trattava di una ragazza.
- Non mi importa del passato, non mi attacco mica a quello, e per ciò che ho fatto in passato non chiedo scusa a nessuno.
- Andrea espresse con il volto la sua rabbia ma non fiatò, riprese la penna e terminò di scrivere.
- Quanto ti ci vuole ancora? Mi sto annoiando a morte. Muoviti nonnetta! -
- Perché tutta questa fretta? Se non mi avessi distratto continuamente avrei finito prima. Che antipatico. – fece segno di aver terminato mostrandogli il quaderno con gli esercizi.
- Allora metti tutto a posto e copriti, dobbiamo andare in un posto…. – senza fare domande la ragazza si mise il cappotto grigio, si infilò il cappello e i guanti e voltandosi Nathan le prese la mano minuta, aveva la mano liscia e morbida con delle dita lunghe e affusolate, riusciva a sentirla più vicina a sé, credeva di poter quasi comprendere il dolore e l’angoscia che la affliggeva, riusciva quasi a capire cosa significasse essere “diverso” attraverso il calore di quella mano; iniziò a trascinarla per i vecchi corridoi della scuola che ormai erano spettrali, non vi era neanche l’ombra di un professore, nemmeno una donna delle pulizie, a entrambi parve strano che ancora nessuno li avesse cacciati.
Usciti dalla scuola si ritrovarono in una viuzza circondata unicamente da case che formavano un labirinto indistricabile nelle cui strade passeggiava poca gente tra cui ragazzini, compagni di classe dei due, casalinghe indaffarate e anziani. Ad Andrea dava fastidio farsi toccare anche se solo la mano, da un ragazzo, soprattutto in pubblico; aveva già sviluppato in passato un certo fastidio, quasi disgusto nell’avere contatti fisici come abbracciarsi o prendersi per mano con qualsiasi ragazzo che non fosse suo fratello Jacob a cui era molto affezionato.
- Ora basta...lasciami la mano, mi dà fastidio essere toccata mi mette in imbarazzo…e poi i contatti diretti non facevano parte del nostro accordo. –
- No ti sbagli, l’accordo era che tu avresti fatto tutto ciò che ti avrei ordinato senza fiatare, proprio come una bambola, per cui adesso zitta e cammina. – strinse ancora di più la presa, era praticamente avvinghiato alla mano della ragazza, come un bambino in fasce al seno della propria mamma.
- Mi dà la nausea quanto tu possa essere superficiale, io non sono una bambola, ci stiamo solo facendo dei favori a vicenda, involontari nel mio caso, ma a vicenda. –
- Pensala come vuoi, poi i fatti sono questi. – si meravigliava egli stesso di quanto potesse essere cattivo a parole. Nathan stesso a volte pensava che il rapporto tra loro due fosse davvero strano, un rapporto compassione-odio davvero complicato che aveva origini da un gesto ingenuo, più doloroso di un colpo di pistola.
Il vento s’alzò d’improvviso.
Camminando scorsero la figura di due uomini vestiti interamente di nero, con gli stivaloni lucidi e una fascia rossa sul braccio, probabilmente soldati della Gestapo: trattenevano con insistenza un uomo. Cercarono di ignorarli ma poi, quando finirono col ritrovarsi in parallelo con quegli uomini, videro che uno dei due soldati aveva infilato una mano in tasca; strano, vero? Quando si ha davanti un uomo che potrebbe essere potenzialmente pericoloso solitamente si sta in guardia con le mani libere da eventuali intoppi; ma poi notarono che da quel vecchio giaccone nero in cui il soldato aveva infilato la mano stava fuoriuscendo in tutta lentezza e tranquillità una pistola. Con uno scatto repentino Nathan trascinò con sé Andrea in un vicolo buio tappandole la bocca e tenendola ferma con l’altro braccio, riusciva ancora a sbirciare da quel cunicolo e per fortuna nessuno si era accorto di loro. Sentì il respiro di Andrea accelerare, gonfiava e sgonfiava il petto velocemente e si poteva udire anche il rumore di quel respiro frenetico. Lui osservava la scena con un nodo alla gola e la tensione che saliva nel vedere quell’uomo estrarre la pistola completamente dalla tasca, tirare l’estrattore che scorrendo sul carrello produceva un rumore simile ad un “click” e, con la pistola carica, puntare.
Anche non vedendo la ragazza sapeva bene cosa stava accadendo, si scollò dalla bocca la mano di Nathan rivolgendo lo sguardo al ragazzo e parlò con voce soffocata dall’ansia.
- Ti prego fermalo! - Il soldato aveva il dito fermo sul grilletto, come se stesse aspettando l’attimo giusto per sparare.
-Non posso farci niente! Quell’uomo lo ammazzerebbe lo stes…. – Sgranò gli occhi continuando a guardare quell’uomo in divisa illuminato solo da una fioca luce velata, fino ad accorgersi che quello era ben più di un semplice soldato.
Stava per premere il grilletto, era solo una questione di secondi quando poi d’improvviso si udì un fortissimo – Padre! – la persona con la pistola in mano e la giacca nera consumata rivolse lo sguardo verso il ragazzo, poi sussurrò alla figura scura sul cui petto spiccava una stella gialla:
- Ringrazia che c’è mio figlio…- ripose l’arma nel giaccone e si incamminò incontro ai due ragazzi. La tensione svanì tutta d’un tratto, Nathan sciolse la presa che teneva bloccata a lui la fanciulla, però riprese a stringerle la mano.
- Nathan, che ci fai da queste parti? Oh! Vedo che ti sei deciso a portare a casa una ragazza! Sei tutto tuo nonno! – disse sorridendo e guardando la mano del figlio tenere saldamente quella di Andrea; lei tentò di liberarsi dalla presa del ragazzo ma senza successo, la sua di mano rispetto a quella di Nathan era davvero piccola, quella del ragazzo invece era davvero molto grande, sul dorso le vene erano talmente nette che parevano piante rampicanti.
Nathan annuì lietamente, le guance di Andrea si colorarono di un rosso vivissimo e tentò di guardare altrove per l’imbarazzo, portandosi la mano chiusa in un pugno sulle labbra, poi guardò in basso.
- Bene figlio mio, il Führer è sicuramente fiero di te! Lui sente e vede tutto! Perché non ce la presenti meglio al compleanno di tua madre? –
- Va bene padre sarò lieto di portarla a casa nostra sabato durante la festa…però adesso vorrei andare, sai com’è le donne danno un gran daffare! – circondò la ragazza con un braccio unendo quel gesto a un sorriso alquanto arcaico.
- Non c’è bisogno che ti scusi figlio mio, anch’io quand’ero un giovanotto facevo di tutto per tua madre; però ti voglio a casa per l’ora di cena! –
- Sarò puntuale. – Sgattaiolò scortando la ragazza, camminava a passo veloce ma non osò lasciare la mano di Andrea sempre infastidita da quel gesto. Si ritrovarono infine in una villetta costeggiata da alberi a fusto largo e molto alti, con una chioma folta e delle ramificazioni fitte, non vi era ancora alcuna traccia di boccioli, l’inverno stava terminando ma la primavera non dava ancora segno di essersi risvegliata.
Il vento cominciò ad incalzare, diventando più freddo e potente, Andrea tremava ma non voleva darlo a vedere, si sentiva debole quando era costretta ad accettare aiuto da qualcuno, anche se si trattava di un gesto semplice come prendere in prestito un indumento. Nathan si accorse che la manina della ragazza si era fatta alquanto fredda, si voltò, con l’altra mano le prese il polso, la tirò a sé e la abbracciò.
- Così va meglio, principessa? – la ragazza a quel gesto sgranò gli occhi, per il nervoso serrò i denti, mise le mani sul petto di lui e iniziò a spingere in direzione opposta per tentare di liberarsi; spingeva con tutta la forza che aveva in corpo, tutta la forza che quelle esili braccia potessero sopportare, e spingeva serrando i denti.
- Lasciami! Ti odio! Sparisci dalla mia vita! Mi fai schifo! Donnaiolo! Sei solo uno schifoso dalla mentalità perversa! -
- Non paragonarmi a persone del genere. –sgranò gli occhi freddi e in quel momento le strinse ancora di più il polso, per il dolore Andrea converse le dita sul palmo a mo’ di pugno e con il viso assunse un’espressione dolorante, chiudendo appena l’occhio sinistro e abbassando la testa.
Nathan si accorse di starle facendo male, così le lasciò il polso e mollò la stretta ma non si discostò neanche di un millimetro da lei. Le accarezzò la guancia dolcemente, per poi sfiorarle delicatamente il labbro. Sogghignò.
- Non sarà oggi, non sarà domani, ma tanto prima o poi un altro bacio, anche solo uno, riuscirò a rubartelo. –


-Le brillavano gli occhi…non potevo fare a meno di guardarli, ha degli splendidi occhi azzurri. – è ciò che pensò Nathan non appena arrivò a casa. Entrò nella sua stanza, chiuse la porta, non accese neanche la luce tanto era bella la luna che illuminava la stanza, si sbottonò la camicia facendola scivolare lentamente lungo tutto il suo corpo fino a farla cadere a terra, si buttò sul letto a pancia in su con il viso rivolto verso il soffitto tanto poco interessante, e iniziò a pensare.

 

- Ero in classe, stavo ridendo e scherzando con Erik, lui è il mio migliore amico, con lui ho fatto le migliori cavolate della mia vita, se ci ripenso ancora mi viene da ridere…eravamo praticamente circondati da un mucchio di ragazze, ci sentivamo come star del cinema, io e lui a scuola siamo molto popolari, circondati da ragazze, e soprattutto belli: avevamo tutto ma evidentemente a me non bastava. L’unica cosa che mi mancava era lei, forse in realtà era l’unica cosa di cui avevo bisogno, l’unica cosa per me irraggiungibile e che desideravo con tutto il cuore.
Mi scollai di dosso quel mucchio di ragazze, mi feci spazio con lo sguardo di tutti su di me, camminavo lentamente con il batticuore verso quella figura magrolina di spalle di cui potevo osservare solo i lunghi e lisci capelli neri con due ciocche raccolte dolcemente da un nastrino di velluto rosso.
-Ciao Andrea, che stai facendo? – lei si girò rivelandomi il suo splendido e candido viso, era una visione celestiale, una dea dagli occhi azzurri e le labbra carnose e rosse come una camelia.
- Ah ciao…niente sto leggendo un libro. –
- Sul serio? Anch’io amo molto leggere, mi è piaciuto molto Romeo e Giulietta di William Shakespeare. È il mio preferito. – lei mi sorrise teneramente.
- Se ti va potremmo andare insieme in biblioteca e poi magari perché non farci un giretto, l’aria è ancora gradevole. – non era la prima volta che chiedevo ad una ragazza di uscire però con lei era tutto diverso, non era una ragazza normale, per me era speciale.
- Perché no. Va bene dopo la scuola? –
- Ma certo signorina. – lei mi sorrise nuovamente, io ricambiai. Fu il giorno più felice di tutta la mia vita ero finalmente riuscito ad accorciare la distanza tra noi due. Diventammo molto amici, uscivamo insieme spesso ed in classe ormai eravamo diventati inseparabili ed il mio amore per lei cresceva di giorno in giorno però poi…

 

 

Andrea tornò a casa più furiosa che mai, lanciò il cappotto sul divano e si chiuse in camera sbattendo ferocemente la porta. I suoi genitori non erano in casa, l’unico presente era suo fratello maggiore che accorgendosi del malumore della sua sorellina bussò alla porta della camera.
- Andrea sono io… posso entrare? – silenzio. Jacob spalancò la porta, la stanza era illuminata da una luce soffusa, tiepida, che illuminava solo il corpo della ragazza distesa sul letto; Jacob si sedette accanto a lei.
- Sorellina… che ti è successo stavolta? – prese ad accarezzarle i capelli per tranquillizzarla; era ormai un rituale, ogni volta che Andrea era arrabbiata suo fratello le si sedeva accanto e le accarezzava i capelli parlandole tranquillamente.
- Nulla, sono solo stanca. –
- La recitazione non ha mai fatto per te, avanti cos’hai, sono tuo fratello a me puoi dirlo. –
-…- silenzio.
- C’entra di nuovo lui? –
-Sì… - - Che ha fatto stavolta quel pezzente? Se ti tocca di nuovo giuro su nostra madre che lo ammazzo! – iniziò ad alzare la voce per la rabbia, nessuno doveva toccare sua sorella, per lui era il bene più prezioso.
- Lascia stare Jacob, ti ho già detto cosa potrebbe succedere se qualcuno di noi facesse un passo falso…e poi dico davvero non ne vale la pena. – alzò appena la testa dal cuscino, si rannicchiò su se stessa appoggiandosi sull’addome del fratello.
- “Non sarà oggi, non sarà domani, ma tanto prima o poi un altro bacio, anche solo uno, riuscirò a rubartelo”, è così che ha detto, a volte non capisco se io gli piaccia veramente o se sono solo un passatempo…ripensando a quella volta poi…

 

- A primo impatto mi sembrava un ragazzo pieno di sé con la mania per le ragazze però “una persona che legge “Romeo e Giulietta” non può essere cattivo e poi è davvero un bel ragazzo, il suo viso è molto espressivo, e quando sorride appaiono delle simpaticissime fossette sulle guance che gli danno lo sguardo dolce e sereno di un bambino, però allo stesso tempo ha dei tratti molto virili, ad esempio ha la mascella sporgente che non è un tratto comune a tutti i ragazzi di diciassette anni e come se non bastasse ha il fisico di un pugile...” è ciò che pensavo ma in realtà è proprio come appare: egoista.
Quella volta lo stavo aspettando fuori da scuola, mi aveva promesso che saremmo andati insieme in biblioteca e che se avessi voluto avremmo mangiato una torta insieme, l’avrei voluto tanto. Ma all’uscita lui non c’era. Allora pensai “magari è rimasto in classe a rimettere in ordine, vado a dargli una mano”. Ero felicissima, ma poi, quando aprii la porta di quella classe, lui era lì che baciava un’altra ragazza, la teneva stretta a sé. A quel punto mi sentii mancare il fiato, al posto dell’aria nei polmoni avevo le lacrime, erano talmente tante che volevano fuoriuscire ma io cercavo di trattenerle. Lacrime. Non riuscii neanche a chiudere la porta e a muovermi di un centimetro. Nathan girò la testa e mi vide lì che piangevo.
- Andrea perdonami! Non ne avevo l’intenzione, ti giuro! – mi venne incontro, tentò di prendermi la mano, ma io gli diedi la porta in faccia. Scappai correndo per tutto il corridoio, mi sembrava infinito e intanto nella mia testa andava a ripetizione l’immagine di quel bacio. Arrivai al cancello della scuola dove mi fermai, il mio cuore non ce la faceva più, lui mi raggiunse.
- Andrea ho sbagliato, lo so! Ho ceduto ai miei impulsi e mi dispiace! Io ti amo! -
- Parole al vento, idiota, sei solo uno spregevole egoista! -
 le lacrime continuavano a scendermi a vagonate lungo tutta la guancia…

Le presi la mano candida.
- Ti dimostrerò che ti amo. –
La baciai.

Mi baciò.

-Che idiota con quel gesto non ho fatto altro che allontanarla ancor più da me. –

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Capitolo 2
*** Tra orgoglio e incoerenza: l'anima di un vero ariano ***


Era un giovedì mattina diverso dal solito. I professori avevano fatto radunare tutti gli studenti per una visita medica a sorpresa nella grande palestra, che per questo era stata adibita a studio medico dividendola in due settori: femminile e maschile.
I test consistevano in alcune prove fisiche: forza, resistenza e agilità erano alla base di tutto; un buon tedesco non mancava di nessuno di questi fattori, ognuno era fondamentale, e a far da cornice a tutto c’era la tenacia da guerriero anch’essa imprescindibile per il raggiungimento dei propri obbiettivi.
Finita la visita rientrarono tutti nelle aule. Nathan si precipitò da Erik con un sorriso smagliante sul volto e la cartella medica tra le mani.
- A te com’è andata? – il ragazzo si tirò indietro il ciuffo di capelli biondi con la mano ed espressione soddisfatta.
- Benissimo: nordico, classe 1 B. E a te Nathan? – anch’egli sorrise compiaciuto mettendosi la mano sinistra in tasca.
- Nordico, Classe 1 A, mi pare ovvio. – Nathan alzò il braccio tendendo la mano destra all’amico che fece la medesima cosa e sorridendo si strinsero la mano come due vincitori. Poi Erik tirò Nathan vicino a sé, circondandolo con un braccio intorno al collo e con l’altra mano indicò una ragazza seduta all’ultimo banco della terza fila.
- Senti amico…ma tu hai ancora intenzione di provarci con Andrea? – Nathan stralunò gli occhi, ingoiando un po’ di saliva per lo sbigottimento, blaterò qualcosa di incomprensibile accompagnato da mugugni di ogni genere, poi però riuscì a recuperare un certo equilibrio mentale lasciando interdetto Erik che attendeva un risposta. -Em…ehe…e bhe…c’è…non credo…- l’amico tolse il braccio dal collo di Nathan, si posizionò nuovamente di fronte a lui raggiante più che mai.
- Lo prenderò come un no! – si diresse spensierato verso il banco dove era seduta la ragazza e iniziò a conversarci tranquillamente. Nathan non ebbe il coraggio di muovere un muscolo, quella scena lo fece sentire impotente come non si era mai sentito prima, se avesse reagito probabilmente avrebbe perso l’amicizia di Erik, perché tra amici ci si incoraggia, ci si aiuta a vicenda e come buon amico lui avrebbe dovuto dare manforte al suo compagno; lui in altre occasioni l’avrebbe fatto, però… non lei, non Andrea.
Continuò ad osservare la scena inerme nel disperato tentativo di riuscire a capire cosa fare; ci fosse stato almeno il professore in classe, Erik non avrebbe avuto possibilità di parlare con la ragazza. D’un tratto vide Andrea girarsi e guardare verso di lui, si girò nuovamente e riprese a parlare con il ragazzo. Non gli aveva regalato un sorriso per tutta la durata della conversazione, era rimasta alquanto impassibile e annoiata, glielo si leggeva in faccia, non faceva altro che annuire e giochicchiare con la penna tra le dita.
Suonò la campana.
La ragazza uscì dall’aula seguita a ruota da Erik, Nathan sussultò, raccolse lo zaino da terra e si precipitò nel cortile della scuola; lo spazio, a pianta rettangolare, era riempito da alberelli sparsi qua e là e, accanto ad essi, panchine sistemate nelle zone ombrose; i due si sedettero sulla panchina sempre pedinati dallo scrutare pensieroso di Nathan. Si avvicinò un po’ di più riuscendo ad afferrare a malapena cosa i due si stavano dicendo, ma rimase nascosto nell’ombra di un albero, lontano dagli occhi e dal cuore di Andrea.
- Tu cosa fai nel tempo libero? – la ragazza rivolse lo sguardo verso Erik felice della domanda che le era stata posta, rispose sorridendo e portandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
- Io amo molto leggere i racconti, non solo le saghe germaniche ma anche le storie d’amore, i libri fantastici e leggende… tu? – lui ridacchiò facendola innervosire.
- Leggere…se devo essere sincero non mi piace affatto, lo trovo inutile, lo dice anche il nostro Führer: per noi uomini è meglio lo sport! – Andrea sorrise forzatamente e girò la testa: quanto non lo sopportava.
- Senti, ma tu esci già con qualcuno? – lei sobbalzò arrossendo in viso.
- Eh? Certo che no! Che domande! – si portò una mano davanti alla bocca abbassando lo sguardo. Nathan udì tutto, irritandosi alla risposta di Andrea e fece di tutto per trattenersi dall’intervenire, avrebbe sinceramente voluto portare via con sé la ragazza, ma sapeva che se l’avesse fatto lei si sarebbe arrabbiata.
- Bene! Allora perché domani non vieni al mio incontro di boxe così poi usciamo? Parteciperà anche Nathan, probabilmente saremo avversari. – lei spalancò gli occhi sorpresa, non pensava che al suo persecutore piacessero gli sport violenti, lo vedeva più un tipo da gare di velocità.
- Non…non lo so…penso che potrei. Ma ora devo andare…ciao. – radunò le sue cose e corse via, Erik la salutava con la mano più felice che mai, non smise finché non la vide scomparire, poi si alzò e solo allora notò Nathan che se ne stava nascosto dietro l’albero, gli andò incontro con le mani in tasca e la beatitudine sul volto.
- Sono stato grande vero? –tese il pugno verso l’amico che lo colpì svogliatamente.
- Sì sei stato grande…- i due amici si salutarono per andare ognuno per la propria strada. La direzione di Nathan era l’aula della loro classe in cui c’era già Andrea ad aspettarlo, ma nonostante tutto camminava lentamente per i corridoi con le mani nelle tasche dei pantaloncini e lo sguardo basso, cupo, immerso nei suoi pensieri. Arrivò nell’aula. Lei si era addormentata sul banco, con la testa poggiata tra le braccia incrociate, aveva un’aria serena nonostante la posa alquanto scomoda, il viso era ancora roseo, alcune ciocche di capelli si erano posate sulle braccia e sembravano avvolgerla caldamente come una coperta, chissà cosa stava sognando. Nathan si sedette sulla sedia senza far rumore e prese ad osservarla. “Che calma” pensò, gli dispiaceva quasi svegliarla però il sole era già basso e non avevano ancora fatto i compiti, allora le accarezzò la guancia per svegliarla, era davvero liscia e morbida sembrava di toccare una nuvola di colore roseo che si distingueva dal resto del viso pallido, continuò ad accarezzarla toccandole appena, quasi per paura, il labbro inferiore anch’esso vellutato. La vide alzare appena le palpebre dalle lunghe ciglia scure, adagio, fino ad aprire completamente gli occhi lucidi e azzurri con sguardo assonnato, sembrava di vedere un germoglio sbocciare.
-Ehi, finalmente ti sei svegliata. – parlava sorridendo, con tono basso e tranquillo, non sembrava affatto turbato dalla conversazione avvenuta tra Andrea ed Erik. La ragazza alzò il capo e arrossì teneramente, mettendosi le mai sul viso e guardando in tutte le direzione come in cerca di una qualche via di fuga.
- Non stavo russando, vero? – Nathan scoppiò in una fragorosa risata, poi scosse la testa a braccia conserte.
- No, non ti preoccupare non stavi russando. – la ragazza tirò un sospiro di sollievo, poi guardando il volto divertito del ragazzo ridacchiò graziosamente anche lei.
- Senti, ma Erik ti ha per caso parlato di un incontro di box che si terrà domani? – Andrea diventò improvvisamente seria, sembrava anche abbastanza nervosa, lo si deduceva da quel grattarsi freneticamente e anche in maniera abbastanza violenta le mani.
- Sì…in realtà mi ha chiesto di andarci perché poi voleva che uscissimo un po’ insieme…e io, insomma, non sapevo cosa dire e…ho accettato. – Nathan si alzò di scatto dalla sedia e iniziò a vagabondare per la stanza agitato fino a fermarsi vicino alla finestra, le mani congiunte, le dita intrecciate, l’una che stringeva l’altra e lo sguardo rivolto verso la strada.
- A quel torneo parteciperò anch’io, io ed Erik potremmo trovarci l’uno contro l’altro e a quel punto…per chi farai il tifo? – lei rimase interdetta da quella domanda, a volte non capiva proprio cosa passasse per il cervello di quell’adolescente e non sapendo cosa rispondere iniziò a balbettare.
- Ehm…eh…io e te non siamo mica fidanzati…- il ragazzo si voltò verso di lei, poi si distaccò dalla parete andandole incontro passeggiando.
- Ma lui ti piace seriamente o è solo una tattica per farmi ingelosire? – lei s’alzò dalla sedia appoggiandosi una mano sul fianco con aria scocciata e viso imbronciato.
- Non montarti la testa stupido, mi voglio solo divertire un po’ anche se quell’idiota del tuo amico non mi interessa affatto! E poi a te che importa se tifo per te o per Erik? - Nathan si indispettì e le andò incontro fino a trovarsi faccia a faccia con lei, chiedendosi il perché lei non riuscisse a capire i suoi sentimenti, in fondo in passato si era dichiarato, le doveva sembrare normale che si ingelosisse un po’.
- Allora facciamo una scommessa: nel caso io ed Erik ci affrontassimo, se vincesse lui tu saresti libera di uscire con chi vuoi, anche nel tuo status di bambolina, io non avrei da ridire; se invece vincessi, l’unica persona con cui uscirai sarò io e inoltre questo sabato dovrai venire a casa mia per il compleanno di mia madre. Che fai piccola, accetti? – Andrea, ancor più furiosa di quanto già non fosse, accettò la scommessa.


L’incontro, aperto a tutti, si svolse nella palestra comunale: chiunque poteva assistervi, tranne gli ebrei, infatti all’ingresso c’era un grande cartello con la scritta “ nicht für juden”, “non per gli ebrei”. L’interno era immenso e al centro si ergeva il ring di forma quadrata costeggiato da una lunga fila di spalti occupati dagli spettatori. C’era molta gente, ma Andrea si fece coraggio nonostante la calca, nonostante quella spaventosa scritta sul cartello: in fondo l’unico a conoscenza del suo segreto era Nathan.
Si sedette tra le prime file insieme a dei suoi compagni di classe che erano venuti ad assistere al match. Guardandosi intorno vide Erik in compagnia di Nathan, sorridevano come sempre, sembrava non gli importasse di vincere o perdere, sembrava che i due amici non si rendessero conto che qualche minuto dopo sarebbero stati avversari o meglio nemici. L’arbitro salì sul ring con un microfono in mano.
- Nell’angolo rosso Nathaniel Schneider e nell’angolo blu Erik Schreiber! – i due ragazzi salirono sul ring illuminati dalla luce accecante e accolti dalla folla in delirio, i loro sguardi erano diversi rispetto a quelli di prima, forse perché nell’aria si respirava competizione e ogni grido di incoraggiamento in realtà era solo un incitamento alla violenza sconsiderata. - Conoscete le regole, niente colpi sotto la cintura…1,2,3…boxe! – si udì il tintinnio di una campanella e subito i due lottatori iniziarono a studiarsi con la guardia alta che copriva il volto. Erik sferrò il primo pugno più velocemente possibile con il braccio sinistro, ma Nathan lo schivò portandosi sulla destra e assestandogli un colpo sul petto con il braccio destro che gli fu immediatamente restituito nell’addome, accompagnato da una raffica di pugni che colpivano tra la faccia e il ventre finché uno non gli raggiunse il viso facendolo sbattere contro un angolo del ring. Il naso e il labbro iniziarono a sanguinargli, ma si riprese noncurante. Andrea sussultò alla vista del sangue assumendo un’espressione preoccupata. Erik rincominciò ad attaccare appioppandogli pugni sull’addome e sul petto, Nathan stava quasi per cadere ma poi sentì urlare.
- Colpiscilo idiota pervertito! – il ragazzo guardò con la coda dell’occhio, era stata Andrea ad urlargli di colpirlo, d’un tratto si fece coraggio e la grinta gli pervase il corpo facendogli colpire l’avversario il più ferocemente possibile, con una ripetizione infinita di colpi fino a mandarlo K.O con un destro dritto in faccia.
La folla esultò euforica, alzandosi in piedi e applaudendo ai combattenti, anche Erik riuscì a rialzarsi stringendo la mano del compagno, sorrideva nonostante avesse preso tante botte, consapevole di aver perso combattendo con onore. I due andarono negli spogliatoi abbracciandosi. Erik fu il primo ad uscire dalla palestra e notò Andrea su una panchina, da sola, che stava leggendo un libro, le andò incontro richiamando la sua attenzione agitando il braccio.
- Ciao! Sono felice che tu sia venuta all’incontro! – lui si sedette accanto a lei circondandola con un braccio, cosa che le diede molto fastidio.
- Sei stato bravo. – lui sorrise contento.
- Ti ringrazio, sono rimasto sorpreso di quanto Nathan sia migliorato, solitamente, tra noi due, ero io ad avere la meglio. – lei accavallò le gambe poggiando il libro sul grembo e reggendolo con entrambe le mani.
- Ah…capisco…- rimase sorpresa dal fatto che Erik non avesse sentito l’incitamento che lei aveva gridato a Nathan, forse era anche più tranquilla e rincuorata da questo, probabilmente se l’avesse sentito avrebbe iniziato ad insospettirsi del rapporto tra lei e l’amico. Uno dei tagli sul viso di Erik riprese a sanguinare dallo zigomo.
- Ti sta sanguinando di nuovo il taglio, ti do un fazzoletto. – prese un fazzolettino di carta dalla tasca del cappotto rosso e glielo porse gentilmente. Il ragazzo prese il fazzoletto ringraziandola, scontento del fatto che non fosse stata lei stessa a metterglielo sulla ferita. Intanto uscì dalla palestra anche Nathan, contento di aver vinto l’incontro e soprattutto la scommessa, ma, suo malgrado, appena guardò verso la panchina notò le braccia di Erik che stringevano saldamente il corpo della ragazza, bloccata da quel gesto impulsivo. Nathan per la rabbia e lo sbalordimento gli andò incontro con passo deciso e pugni serrati, con espressione che sul suo viso non s’era mai vista prima, si potevano distinguere collera, dolore, vendetta e gelosia, tutti orribili sentimenti sul volto di un giovane innamorato. Afferrò la mano di Andrea per staccarla violentemente dalle braccia del ragazzo.
- Scusa amico ma la mia risposta alla domanda di ieri mattina è sì, la amo troppo per lasciarla andare via così…senza rancore va bene Erik? – se ne andò via lasciando l’amico seduto sulla panchina, stupefatto dalla reazione di Nathan. Camminarono in silenzio fino ad arrivare al portone della casa di Andrea dove bloccandola contro la porta con il braccio, le parlò con tono rabbioso e fare inquieto.
- Mi spieghi che diavolo ci facevi abbracciata ad Erik? Sono stato io a vincere l’incontro! Io ho vinto la scommessa! E tu sei la mia bambolina! Capito stupida ebrea?! Tu e quelli della tua razza siete tutti così, non sapete neanche mantenere le promesse! E dire che eri stata tu stessa ad incitarmi a colpirlo! – colpì ferocemente la porta con il pugno, facendola spaventare, tanto che ella si portò le mani al petto e togliendole per un attimo ogni forza di replicare.
- E questo che cosa c’entra?! Mettiti un po’ nei miei panni, io sono solo una ragazza costretta a sottostare a voi uomini! E poi che c’entrano gli ebrei? Stiamo parlando di me non delle persone come me! Questo lo stai usando solo come scusa! Ci etichettate come stupidi, incapaci, indegni e inutili e se anche tu la pensi così almeno smettila di dirmi “ti amo”, sii coerente almeno con te stesso! – lui incattivì lo sguardo contrattaccando con tono severo.
- Stai zitta stupida, non osare criticarmi. Sappi che per farti perdonare domani sera parteciperai al compleanno di mia madre e non fare storie, perché sappi che se farai anche un solo passo falso spiffererò tutto. – rimosse la mano dal portone.
- Fatti trovare pronta per le venti…e mettiti qualcosa di decente. – se ne andò senza aggiungere nulla, lasciando la povera Andrea con le spalle al muro, amareggiata e angosciata, con la sola voglia di piangere.

 

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Capitolo 3
*** Solo ragazzi ***


“Quando ero piccola tutte le mie compagne di scuola sognavano di diventare delle bellissime principesse, vivere in una magnifico castello dalle altissime torri e sposare un prode cavaliere che le avrebbe difese da qualsiasi pericolo; ma io ero dell’idea che se ci doveva essere un intrepido guerriero che avrebbe salvato tutte le principesse del regno, quello dovevo essere io! Se ci ripenso adesso, da bambina ero un vero maschiaccio, non andavo molto d’accordo con le altre bambine, le trovavo alquanto noiose e prive di inventiva, le bambole di pezza i pentolini per cucinare e le macchine da cucito non erano certo nella mia lista dei giochi preferiti, le bambine si spaventavano per ogni stupidaggine e a volte erano davvero cattive tra di loro: a me invece piaceva giocare a pallone, nascondermi nei vicoli del paese per evitare di perdere a nascondino, gareggiare in corse sfrenate fino alla chiesetta in fondo alla strada e andare a caccia di bottini improbabili come la muta dei serpenti, ossa di piccoli roditori e cadaveri di insetti enormi per poi tornare a casa con i pantaloni bucati e un’altra cicatrice per ricordare quell’avventura, un’altra cicatrice che mi ricordava che io non ero diversa perché femmina. Jacob mi vestiva da ragazzo, mi faceva indossare i suoi vecchi vestiti e poi sgattaiolavo fuori di casa con lui con i capelli legati dentro il cappello ed un’altra identità che portava il nome di Ilian. Non mi chiedevo il perché dovessi vestirmi come un bambino, forse il bello di avere sei anni è proprio perché certe cose non te le chiedi, a me bastava giocare ed ero felice così; ma il tempo corre e le persone cambiano e ben presto non mi trovai più così bene dietro la maschera di Ilian, il cuginetto di Jacob dai grandi occhioni azzurri e ad undici anni, durante una partita di pallone, dopo aver segnato il goal decisivo mi tolsi il cappellino e la mia maschera si ruppe. Quel giorno capii che anche gli eroi non sono solitari e che non le devono salvare tutte loro le principesse e che spesso hanno bisogno loro di essere salvati, ed il cavaliere, che in quel momento stava combattendo contro gli altri ragazzini per difendermi, era mio fratello.”
- Ehi Andrea, ha telefonato una persona. – la signora Müller si appoggiò sull’uscio della porta, cercando di incrociare lo sguardo della figlia che se ne stava sul letto, rannicchiata su se stessa e avvolta da una coperta bianca.
- Era il tuo fidanzatino…- la donna sorrise maliziosamente arrotolandosi un ciuffo dei capelli intorno al dito, Andrea emise un mugugno raggomitolandosi ancora di più nelle coperte. La donna iniziò a pensare che forse quell’attacco di tristezza non era una normale crisi adolescenziale immotivata, ma che in realtà, probabilmente, sotto quello strato di coperte, qualcosa c’era.
- Ehi scimmietta, cosa ti prende? Cos’hai? Ne vuoi parlare? – la ragazza non rispose, allora la donna le sedette a fianco e le infilò le dita tra i capelli neri trascinando i polpastrelli ruvidi, rovinati da vagonate di detersivi di qualsiasi tipo, e attacchi di nervosismo troppo violenti.
- Voglio dire, quando mi fidanzai con tuo padre passai sette notti in bianco per quant’ero eccitata, tu invece eri più felice il giorno in cui hai trovato un marco per terra. – Andrea rotolò accanto alla madre accucciandosi sulle gambe della donna dai corti capelli neri, poi la guardò nei grandi occhi color mirto, graffiati da schizzi di verde erbetta.
- Non voglio andare alla festa di stasera…- la donna cambiò espressione sorpresa da quell’affermazione.
- Come non ci vuoi andare? Non capisco, dovresti essere contenta di andare alla festa di compleanno di sua madre, le hai anche comprato un bellissimo regalo, io davvero non capisco…cosa c’è che non va? – la figlia incupì ancora lo sguardo e si coprì la faccia con la coperta.
- Secondo te io sono sbagliata? Intendo esteriormente. – la donna sorrise portandosi la mano sulla fronte.
- Ma che sciocchezze stai dicendo, certo che vai bene, alla tua età è normale sentirsi sbagliate e non accettare il proprio fisico. –
- No, è che…nella sua famiglia sono tutti biondi, altissimi…e non sono ebrei. – la madre sentì salirle un nodo in gola.
- Pensi davvero che essere bassi o di media altezza, con i capelli neri ed ebrei sia una brutta cosa? Hai paura che alla festa tutti ti giudichino perché hai i capelli neri? – Andrea scosse la testa, si alzò e si sedette vicino alla madre tirandosi la coperta.
- Però tu non puoi capire, non sei ebrea, papà lo è, io e Jacob lo siamo, perché i figli di un ebreo sono ebrei. –
- Questo non c’entra niente, a prescindere da ciò che dice la Torah, tu sei ciò che vuoi essere. Dio, qualsiasi Dio, ama tutti, a prescindere. Poi scusa, da quando ti fai questi problemi, sei sempre stata orgogliosa di ciò che sei, credi di essere sbagliata perché lo dicono a scuola? – Andrea iniziò a mordicchiarsi le dita nervosamente.
- Lo so che chi pensa che gli “ariani” siano migliori è stupido, però il fatto che io debba nascondere ciò che sono mi fa stare male, come quando da piccola per giocare mi dovevo vestire da maschio…e ogni volta che mi specchio, mi guardo, e cerco di capire cosa non va in me, ogni volta trovo un nuovo motivo per odiarmi. – la madre si alzò di scatto, mettendosi a braccia conserte.
- Più di ciò che ti ho già detto non posso dirti, però posso darti la certezza che se un ragazzo con i capelli biondi, alto e con gli occhi chiari è innamorato di una ragazza come te, è la riprova che non sei affatto inferiore a nessuno. – la donna si voltò e aggiustandosi il tailleur dalla lunga gonna nera uscì dalla camera della figlia senza battere ciglio. Andrea si mise le mani sul viso e prese dei respiri profondi; d’improvviso le tornarono in mente gli ultimi giorni passati con Nathan, che, come una pellicola scorrevano veloci nella sua testa e le facevano pensare quanto il suo compagno di scuola fosse cambiato, a quanto non fosse più il ragazzo sereno e gentile di pochi mesi prima, a quanto le mancassero quei piccoli gesti che la facevano sentire speciale, a quanto le mancassero quei cortesi e timidi baci sulla guancia, le lunghe chiacchierate seduti su una panchina del parco e l’imbarazzo delle loro dita che si intrecciavano faticosamente, le figuracce in biblioteca e il nascondersi continuamente dagli sguardi indiscreti dei passanti e la paura ogni volta che venivano fermati da dei soldati. E le voci nella sua testa parlano.
-Mi fa male il petto. Vorrei dire tutto a mamma, vorrei poterle dire tutto ciò che mi sta succedendo, ma…se lo facessi…lei farebbe qualcosa di avventato…conosco bene il suo caratterino…no, non posso. -
- Tieniti tutto dentro, non volevi essere un supereroe da piccola? Devi essere tu a salvarli, devi rinunciare a sentirti bene per una volta, ora non puoi più tornare indietro; non voltarti! Non farlo! Fallo per la tua famiglia! Fallo per Jacob! –
- Ma io non posso farlo, io non sono adatta, lo dicono tutti; lo dicono i muri, lo dicono le strade, lo dicono i manifesti, lo dice la gente! Ripetono all’unisono “non vai bene”. E forse hanno ragione, sennò non sarei andata così male al test fisico di giovedì, forse se fossi stata più “adatta” sarei riuscita a correre più veloce, o a saltare più in alto o ad arrampicarmi più in fretta. Se non so fare queste cose come faccio a salvare la gente? Come faccio? –
- Gli eroi non sono solo muscoli, tu hai il cervello: pensa, pensa…-
- Forse se faccio tutto ciò che Nathan mi chiederà senza protestare…forse riuscirò a proteggerli. –
- Non puoi proteggere gli altri se prima non proteggi te stessa, va bene mettere gli altri al primo posto ma…che ne sai di ciò che passa per la sua mente: pensa, pensa…sei un povero agnellino in mezzo ad un branco di lupi affamati, che farai? –
- Se divento una pecora nera forse loro non si accorgeranno di me. Li devo ingannare…ma per Nathan? –
- Per Nathan…se non è stupido come pensiamo, probabilmente riusciremo a ricondurlo sulla strada della ragione. Ricorda cosa ti ha detto la mamma “se un ragazzo con i capelli biondi, alto e con gli occhi chiari è innamorato di una ragazza come te, è la riprova che non sei affatto inferiore a nessuno.”. Non farti ipnotizzare da ciò che dicono gli altri, tu sei un’eroina, la gente la salvi tu, ma non da sola, hai tuo fratello dalla tua parte. -
- Lo faccio per lui, gli devo tanto. È l’unico di cui mi fido. –
- Si va in scena. –

-Buonasera signora Müller, sono Nathaniel Schneider…si ricorda…le ho telefonato stamattina…- si percepiva una nota di imbarazzo e di insicurezza nelle parole di Nathan, testimoniata anche da un leggero rossore sulle guance e dalla postura da soldatino. La donna gli sorrise dolcemente, tranquillizzandolo con un solo sguardo.
- Ma certo che mi ricordo! Che gentile che sei a venirla a prendere! Sono davvero felice della tua visita, ma adesso perché non ti accomodi in salotto? – gli diede una pacca sulla spalla per spingerlo ad accomodarsi, poi gli sfilò velocemente il giaccone grigio e lo appese all’appendiabiti.
- Puoi sederti su quel divanetto se vuoi…ma guarda, più ti osservo e più mi rendo conto che sei proprio un bel ragazzo, devo ammettere che mia figlia ha gusto. – la donna ridacchiò compiaciuta mettendo in imbarazzo Nathan che, sorpreso, non sapeva cosa rispondere.
- La ringrazio molto signora…noto che lei e Andrea vi somigliate moltissimo, forse è per quello che sua figlia è incantevole. – la signora Müller ridacchiò nuovamente e si diresse verso un armadietto basso, con le porte in vetro, contenente bottiglie di liquore.
-Ah! Non hai visto mio marito! Lei è tutta suo padre! E a proposito perdonami per la sua assenza ma non poteva proprio essere presente stasera…e comunque non c’è bisogno di tutte queste formalità, chiamami tranquillamente Hanja. Posso offrirti qualcosa? – Nathan non riuscì a trattenere un altro sorriso e scosse la testa acconsentendo alla proposta fattagli dalla donna. Poco dopo scese, agitata, Andrea accompagnata da suo fratello e già pronta con cappotto, sciarpa e cappello, Nathan si alzò di scatto dal divanetto e notò che Jacob lo stava osservando con sguardo cagnesco.
Ha gli stessi occhi verdi e i capelli scuri di sua madre…solo che…porca paletta se è inquietante! Questo mi vuole uccidere, me lo sento! Com’è possibile? Somiglia tantissimo ad Hanja solo che quello sguardo non l’ha preso da sua madre! Mi sta venendo mal di stomaco!
Nathan si irrigidì nuovamente, assumendo di nuovo la posa da soldatino sull’attenti; Jacob li si avvicinò e gli strinse la mano come se stesse schiacciando una noce a mani nude, così forte che Nathan finse un sorriso per evitare di mostrare il dolore.
-Piacere, sono Jacob il fratello maggiore di Andrea. –
- Molto piacere…sono Nathaniel Schneider. – il biondo ritirò la mano e fece un discreto cenno di andarsene alla ragazza, che lo osservava divertita.
- Mamma, se non ti dispiace noi andiamo. –
- Ah ma certo, andate tranquilli, non vorrei che faceste ritardo. – Nathan salutò nuovamente Hanja e Jacob e si affrettò a raggiungere la porta tirando Andrea per un braccio.
- La ringrazio tanto signora, a presto! – entrambi i ragazzi salirono sull’auto nera scintillante che li aspettava di fuori e appena chiusero gli sportelli, la Mercedes partì scattante verso una stradina poco illuminata. Tutto tacque per qualche minuto, Nathan osservava Andrea che guardava fuori dal finestrino con aria assorta, si chiese cosa sarebbe stato meglio fare, in fondo era ancora terribilmente arrabbiato con la ragazza che li sedeva di fianco, ma sapeva bene che non parlarle sarebbe stato come perdere una partita di pallone e gli “ariani” detestano perdere.
-Tuo padre dov’era? – Andrea li lanciò un’occhiataccia rispondendo sottovoce.
- Non sarebbe meglio parlare in un altro posto? –
- Tranquilla, quell’idiota che sta guidando l’auto non capisce un “H” di tedesco, è un rosso, un sporco e lurido comunista. Parla solo russo. – la ragazza sospirò con aria arresa e si stropicciò gli occhi stanchi.
- Sei gentile come al solito a quanto vedo…mio padre è in America, ad Hoboken nel New Jersey. Sta cercando lavoro, così tra qualche mese ci traferiremo tutti da lui. Ma a te che importa? – Nathan si voltò con sguardo incredulo, con la rabbia che li cresceva sempre più in corpo e un nodo alla gola che li premeva sul pomo d’Adamo. Si zittì e si raccolse il viso tra le mani, sentendo la gola secca e la voce soffocata dall’angoscia, li faceva mele il petto e fece di tutto per trattenere le lacrime, ma anche per un pugile che incassa milioni di pugni, anche per lui, i dolori del cuore sono difficili da sopportare.
- Ehi…cos’hai? - il ragazzo alzò lo sguardo mostrando gli occhi tempestati di rosso che risaltavano il ghiaccio che colorava l’iride, gli zigomi arrossati e le lacrime che li attraversavano le guance intersecandosi, formando una ragnatela trasparente.
- A me importa. – Andrea ebbe un tuffo al cuore, rivide finalmente in lui il ragazzo sensibile perso tempo prima, quello che la faceva sentire speciale, quello che la faceva sentire importante. Le si strinse il cuore pensando che non aveva mai visto Nathan piangere, tanto che le lacrime vennero anche a lei. Un abbraccio inaspettato colse di sorpresa il ragazzo, che accolse tra le sue braccia il corpo tremante di Andrea e lo strinse forte fino a sentire il cuore della ragazza battere all’impazzata, fino a sentire il dolce profumo di vaniglia che emanava da sempre e che lo rassicurava come la carezza di una mamma.
- Ti prometto che…tenterò…di rimanere…anche se per ora non riesco a perdonarti. - la ragazza tentò di distaccarsi dall’abbraccio di Nathan, ma lui fece forza con le braccia, tenendola stretta.
- Ancora un po’…solo un altro po’…non ti chiedo altro…te lo chiedo per favore. - la ragazza sospirò asciugandosi le lacrime e lui sorrise, sentendosi il petto più leggero.
- Non hai capito niente, come al solito. Sei proprio ottuso. -

 

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