The Best I Ever Had

di Chemical Lady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, Parte I: Las Vegas. ***
Capitolo 2: *** Prologo Parte II : Miami. ***
Capitolo 3: *** Prologo Parte III: New York ***
Capitolo 4: *** Parte Prima, Capitolo Primo: Why do we fall in love so easy? Even when it’s not right.... ***
Capitolo 5: *** Parte Prima. Capitolo Secondo: How it feels to love a girl someday.. ***
Capitolo 6: *** Parte Prima, Capitolo Terzo: I was in the dark, I was falling hard with an open heart. ***
Capitolo 7: *** Parte Prima, Capitolo Quarto: Lovers hold on to everything ***
Capitolo 8: *** Parte Prima, Capitolo Quindo: Send a signal to guide me home ***



Capitolo 1
*** Prologo, Parte I: Las Vegas. ***


Titolo: The Best I Ever Had.
Raiting:
Arancione
Personaggi Principali: Greg Sanders; Don Flack; Ryan Wolfe; Tre nuovi personaggi.
Ambientazione: CSI Las Vegas: tra la tredicesima e la quattordicesima stagione. Ho risparmiato a chiunque non avesse visto gli avvenimenti della 14x01, così da non creare spoiler. Per quel che riguarda New York e Miami, la fine di tutte le stagioni.
Avvertenze:  Potrebbero esserci scene di violenza, che verranno opportunamente segnalate.
Discriminate: Non posseggo ne la trama di fondo ne i personaggi principali, eccezione fatta delle tre protagoniste femminili. Ho inventato io stessa il caso trattato. Il resto è proprietà esclusiva della CBS. Non scrivo a scopo di lucro.
 
Crossover delle tre serie CSI: Las Vegas, Miami e New York.
La stanza era silenziosa, totalmente scura se fatta eccezione per una lamina di luce che sembrava provenire da sotto ad una porta.
Le faceva male la testa, ogni osso del suo corpo come se si fosse improvvisamente presa una brutta influenza.
Era confusa, spaventata, ma non sola.
Sentiva qualcuno muoversi accanto a lei di tanto in tanto e, a quei fruscii, seguiva un mugugno acuto, femminile e sofferente.  Non poteva scoprire chi ci fosse lì, con lei, poiché i polsi e le caviglie legati le impedivano di spostarsi, ma quella persona non doveva passasela meglio di lei.
In un certo senso, il pensiero di avere qualcuno accanto la rinfrancò. Almeno non era sola, aveva una speranza di scappare. Solo, come?

Buona lettura.
 
 
 


 

 
 
Prologo, Parte uno: Las Vegas.
 
 
 
 
 
 
Circa tredici anni prima 
Las Vegas, Nevada.
Laboratori della Polizia Scientifica.
Past.
 
Il lungo corridoio dei laboratori le pareva infinito mentre camminava fianco a fianco col suo nuovo capo. Non riusciva a trattenersi dal lanciargli di tanto in tanto delle occhiatine, troppo curiosa di lavorare fianco a fianco con quel uomo che pareva intessante.
Harper Kessler era davvero molto giovane, aveva ventidue appena fatti e la laurea in criminologia ancora calda fra le mani, ma non era una scema, sapeva che ostentando sicurezza andava sul sicuro. Nonostante questa facciata dentro di sé stava praticamente tremando di ansia, gioia, curiosità e voglia di dimostrare quanto vale.
“Ora che hai conosciuto il team e il detective Brass passo a mostrarti velocemente il laboratorio, poi raggiungeremo Caterine al Lago Meed, dove è stata appena pescata una gamba.”
“Senza nulla attaccato?” chiese la ragazza e lui annuì.
“Va trovato il resto, ora.”
Harper si sentiva ancora un po’ a disagio all’idea di far parte dei un team che pareva così affiatato. Appena entrati nella zona degli armadietti aveva visto parlare quel gruppo di ragazzi come se fossero amici di infanzia, ridendo e scherzando, e si chiese se mai anche lei sarebbe entrata così in contatto con loro.
Francamente, lo sperava.
Ad averle fatto l’impressione migliore per il momento era un ragazzo moro, con gli occhi che ‘sorridevano’. Esatto, riusciva a sorridere con solo gli occhi e questo l’aveva stupita. “Nick Stokes” si era presentato con entusiasmo, per primo, porgendole la mano con un sorriso raggiante.
Caterine era stata la seconda, che con molta educazione le aveva stretto la mano dandole il benvenuto. E poi c’era stata Sara, con lei aveva sentito che no, non sarebbero diventate poi così amiche. Non sapeva quanto stava sbagliando a giudicarla.
Avevano incontrato poi Robbins, il coroner, appena fuori dall’ascensore e Brass poco più avanti.
Gil le fece cenno di fermarsi un istante ed entrare prima di lui in uno dei cubicoli dalle pareti di plastica trasparente che formavano l’area tecnica “Questo è il laboratorio delle impronte digitali, il cui coordinatore è Mandy” guardò una ragazza all’interno dell’ufficio tutta intenta a lavorare “Questo è Bobby Dawson” continuò Grissom mentre un uomo dall’aria simpatica le porgeva la mano “addetto al laboratorio balistico…. E lui è Archie, per l’analisi dei dati audio-video. Il resto dei ragazzi li conoscerai durante le indagini e… Oh, per la miseria!” Grissom smise di parlare guardando con disappunto un altro laboratorio, prima di avvicinarsi a passi abbastanza sostenuti, in una marcia che ad Harper parve quasi minacciosa.
“Ma questa è musica meta?” chiese la giovane con aria divertita, seguendolo.
Il supervisore spalancò la porta, andando a staccare la spina di un piccolo stereo che sembrava esser stato portato da casa. Subito un ragazzo, che sembrava anche lui piuttosto giovane, si voltò, scontrando per la prima volta un paio di occhi che mai più sarebbe riuscito a levarsi dalla mente.
“Questo è Greg Sanders, addetto al laboratorio di analisi del DNA” le disse Grissom sbrigativo,  visto che il giovane topo di laboratorio sembrava aver perso l’uso del verbo. Harper lo studiò per bene come era solita fare con chiunque entrasse in contatto con lei. Non a caso era una profiler, era una distorsione professionale, la sua.
Capelli castano-biondicci ingellati, maglietta vecchia e sbiadita di Marilyn Manson sotto al camice, jeans strappati sulle ginocchia.
Era un autentico outsider, per quel luogo.
D’altro canto, anche lui l’aveva studiata.
Era bella, decisamente molto bella. Bassina, minuta e dalla pelle di porcellana tanto era chiara. Ma quello che lo colpì maggiormente, a parte quello che sembrava un polsino degli Slipknot che sbucava dalla manica della camicia formale, era stato il viso: sembrava uscito da un suo sogno. Gli occhi azzurrissimi erano limpidi come due pozze di acqua cristallina, grandi ed espressivi. I capelli erano chiarissimi, di un biondo naturale, molto curati e tagliati in modo da farli cadere armoniosi e lisci alla base del collo. Un ciuffo  non gli era mai parso così peccaminoso, anche se paradossalmente, la giovane sembrava caduta dal cielo.
La bionda si sentì un po’ imbarazzata da quegli sguardi e subito si spostò una ciocca dal viso dietro all’orecchio rivelando una fila di anelle su di esso.
“Lei è Harper Kessler” proseguì il supervisore, vedendo che la situazione pareva non volersi sbloccare “è il nostro nuovo acquisto, che ben promette. Ora andiamo da Caterine per quel-”
“Grissom aspetta!” Greg arrivò davanti all’uomo e alla ragazza “Ecco io mi chiedevo se…. Ecco….”
Gil attese qualcosa come venti secondi e poi fulminando il ragazzo uscì, seguito dalla biondina. “Allora ci vediamo qui in giro” le disse Greg facendola voltare, un po’ smarrita “Si perché io…. Io lavoro qui!”
“Beh, se sei il tecnico del DNA direi di si” ironizzò la giovane per poi sbrigarsi a seguire i capo “È sempre così?”chiese, divertita.
“Avvolte anche peggio” ammise l’uomo mentre uscivano alla volta della sua prima scena del crimine “Non preoccuparti, anche tu ti affezionerai a Greg.” le disse mettendo in moto l’auto “Se posso farti una confessione, e con questo intendo che non devi dirglielo, sarà anche eccentrico e vagamente seccante, ma nel suo lavoro è il migliore. Prendiamo molti respiri profondi per calmarci, ma non credo che sia un elemento sostituibile nel team.”
Harper annuì senza darci troppo peso.
Non che le interessasse molto di quel singolo elemento, pensò mentre il capo le parlava anche di un certo Warrick Brown, che doveva ancora conoscere, infondo era solo un tecnico, ci avrebbe parlato si e no solo per i risultati delle analisi….
Quanto si sbagliava.

 
 
 
 
July, 10 2013.
Periferia di Las Vegas (NV).
Ore 21.15 pm.
Present.
 
 
Il numero 112 di Buffalo Drive, a Summerlin, è  la tipica strada di periferia, dove abbondano le villette a schiera piena di belle famigliole felici almeno all’apparenza.
Quando Harper parcheggiò il suv d’ordinanza in fondo alla via, laddove il vicolo cieco formava una piazzola di forma circolare contornata di case, non sapeva che quel luogo le avrebbe cambiato la vita.
L’aria gelida del deserto soffiava forte, così tanto da costringerla ad alzare il colletto della giacca leggera che indossava quella sera. Rossa, di pelle, con grandi tasche parecchio comode. Si diresse verso il baule e da esso prese, come da ruotine, il kit, prima di avviarsi verso il nastro giallo. I vicini si erano radunati in branco attorno ad una grande villa dall’aspetto raffinato, ma Scott ci mise due secondi a spostare un paio di curiosi per lasciarla passare “Buonasera, Kessler.”
“Ciao Scotty, chi è già arrivato?”
L’agente la aiutò, sollevando il nastro per permetterle di passare senza doversi abbassare troppo “Il Capitano Brass è già dentro insieme a Stokes e a Finlay.”
“Urrà” la donna finse di esultare, strappando un sorrisetto all’agente, prima di dirigersi ad ampi passi verso l’ingresso. Prima, però, dovette farsi una bella camminata. Capì subito perché il nastro era stato posto fuori dalla cancellata principale: il primo cadavere era riverso in una pozza di sangue, al centro del grande cortile di ghiaia bianca e fine e siepi. Era protetto alla vista dei curiosi solo dalla berlina nera che doveva essere di sua proprietà e aveva la testa letteralmente spaccata. Harper si chinò su di lui, guardandogli il viso sul quale si era dipinta un’espressione sorpresa. Doveva essere iniziato lì, in quel cortile, l’assassino l’aveva sorpreso mentre stava per entra in casa, prima di andare a sfogare la sua sete di sangue sulla famiglia dell’uomo. Sì, perché Harper aveva montato il servizio solo venti minuti prima, ma alla radio aveva sentito che aveva a che fare con  un omicidio multiplo.
Si raddrizzò, andando vero l’ingresso dell’imponente villa, cercando di scrollarsi di dosso l’apatia che provava ormai da qualche tempo, ma che, invece di svanire, si faceva sempre più forte.
Da qualche mese, quel lavoro per cui aveva dato la vita e che l’aveva sempre gratificata, iniziava a diventare più un peso che una liberazione.  Iniziava a chiuderle ogni spazio libero, a privarla del suo ossigeno. Forse però non dipendeva dall’atmosfera del laboratorio o dai casi complessi; c’erano state giornate no e criminali furbi in tutti quei tredici anni di lavoro presso il dipartimento di Las Vegas….
Qualcos’altro stava cambiando, anzi, era già cambiato e quel qualcosa l’aspettava ai piedi di una grande scalinata.
Quando Harper vide Greg chino su una delle vittime, sentì il cuore sprofondare nel petto. Lui ci mise qualche istante a notarla, preso come era dallo scattare foto al corpo senza vita di una ragazza di circa diciotto anni, anche lei riversa in una pozza di vermiglio sangue. Quando i loro occhi si scontrarono, color miele nell’azzurro più limpido, si fissarono per un istante.
Poi lui riprese a far foto, senza dire nulla, e lei si avvicinò “Scotty mi aveva detto che avrei trovato Nick dentro.” Disse, cercando di sembrare disinteressante, mentre esaminava il cadavere. Notò una sostanza strana alla base del collo, patinata “L’hai già catalogata questa?”
“Sì, puoi prendere un campione” rispose lui, a sua volta fingendo un tono falsamente rilassato “Nick comunque ha risposto ad una chiamata mentre stavo arrivando io. Russell ha bisogno di lui per una rapina e un tentato omicidio.  Spero non sia un problema per te, se ci sono io.”
La donna prese un campione, etichettandolo “ No, non lo è.” La risposta fu più gelida di quanto Greg si sarebbe aspettato in un primo momento. La guardò alzarsi e porgergli il tampone, ben attenta a non sfiorare la sua mano nemmeno per sbaglio “Vado a vedere se Finn ha bisogno di me.” aggiunse rapidamente, defilandosi  verso la cucina, dove poteva chiaramente sentire la voce della collega che parlava al cellulare.
“Harper, aspetta.” Per impulso, le prese gentilmente il polso. Voleva dirle qualcosa, qualsiasi cosa servisse per farla rimanere lì, ma non gli venne in mente nulla.
Senza riuscire ad attirare il suo sguardo, lasciò che la mano scivolasse via dal suo bracco e tornasse ad impugnare la macchina fotografica.
Sanders la guardò andare via, concedendosi una malinconia velata nello sguardo, ora che lei non lo stava più guardando. Tutte le volte che si parlavano, quando lui andava a prendere Aubree o lei la passava a prendere, sembravano due sconosciuti.
Non sembravano genitori di una bambina di otto anni.
Non sembravano sposati.
Non sembrava nemmeno che si conoscessero.
Con un sospiro, riprese dove aveva lasciato,facendo la sola cosa che gli veniva davvero bene per distrarsi: buttarsi a capofitto nel caso.
 
 
Finn accolse Harper con un’espressione tutt’altro che felice, al contrario di David che le sorrise gioviale mentre rigirava il cadavere di una donna anziana a faccia in su, per poterlo mettere nella busta del corner “Pensavo fosse il tuo giorno libero” le disse il medico, mentre lei appoggiava il kit su un ripiano della cucina precedentemente esaminato.
“Copro Sara, oggi.” Rispose Kessler, aprendo il kit per prendere un paio di guanti e la torcia, che poi infilò in tasca. “Cosa abbiamo qui?”
“Tabita Murray, la madre del proprietario della casa, Joseph Murray.” Rispose Finn, lanciandole un’occhiata eloquente.
Harper socchiuse le labbra per stupore “Quel Murray? Il gioielliere di Cartier?”
“Esattamente.”
Kessler fischiò piano. Il solo pensiero di tutti i diamanti che potevano essere custoditi all’interno di una cassaforte in quella casa le fece dimenticare per un istante Greg “Quindi il movente è la rapina?”
“Ma non hanno preso nulla.” le fece sapere la collega “Il custode ci ha indicato la cassaforte: intatta. Vieni, ti faccio vedere gli ultimi due corpi.”
Harper si sbrigò a seguire Finn. Passarono di nuovo accanto a Greg, ma nessuna delle due lo guardò. In quel momento fu un caso, ma quasi tutto il laboratorio era schierato dalla parte della donna, quando si sussurravano pettegolezzi su loro due.
Li avevano visti crescere, da novizia e tecnico di laboratorio a due agenti su campo. Le mura della scientifica li avevano visti incontrarsi per la prima volta e innamorarsi. Li avevano visti scoprirsi sempre di più, conoscersi e litigare. Avevano addirittura visto la nascita dalla loro bambina.
Ma tutto ormai sembrava essersi appassito.
Tutto aveva assunto contorni sfocati e tristi.
Traballanti e svuotati di ogni speranza.
La stanza in cui la condusse Finn era sempre al piano terra, non sembravano esserci corpi al piano di sopra. Su tre sedie erano legati e imbavagliati tre corpi. Una terza sedia giaceva riversa al suolo, le corde erano tagliate e lasciate lì. “Questa sono la moglie, una delle due figlie maggiori e la sorella di Murray. Il figlio minore, Chad, è vivo anche se in condizioni critiche. I paramedici l’hanno slegato in fretta e hanno pestato il sangue, portandolo un po’ ovunque. Ma guarda la” le fece segno verso la finestra.
Harper si avvicinò, accendendo la torcia. Il vetro era spaccato, così come l’asse mezzana dello scuro. “Perché entrare da qui? Dopotutto avevano ucciso il capo famiglia. Bastava prendergli le chiavi ed entrare dall’ingresso.”
Finn la guardò stranita “Secondo quale supposizione pensi che Murray Senior sia morto per primo? Senza contare che quella potrebbe essere anche una via di fuga. Si sono sentiti degli spari, non potevano uscire dalla porta principale.”
Harper annuì piano, scrollando il capo “Sì io…. Scusami. No, non ci sto molto con la testa.”
La collega sospirò, mentre guardava Kessler prendere dal Kit la polvere per impronte. Iniziarono a lavorare, Harper sulla finestra e Finn sulle corde e sui rilievi principali, in silenzio. L’agente più anziano lasciò passare qualche minuto, prima di rompere il silenzio che era venuto a crearsi “Aubree come sta?”
Harp alzò lo sguardo su di lei, dopo aver constatato che non c’erano impronte utilizzabili. “Ora è da mia madre. La tiene sempre lei quando faccio le notti e ormai ha più arredata la stanza da lei che a casa nostra…”
Finn le si fece più vicina, reggendo il pennelletto della polvere magnetica in una mano, mentre portava l’altra sul fianco “Non ti ho chiedo dov’è ora, ma come sta.”
“Le manca il papà” ammise Harper, cercando di soffocare il tono triste “Greg la tiene tutti i lunedì, per il suo giorno libero e lo domenica notte…. La va a prendere ogni tanto a scuola, ma lo vede un terzo di prima e già prima ci vedeva poco entrambi. Ora addirittura mai insieme.”
La collega la guardò dispiaciuta, ma decisa a farle forza “Non preoccuparti, credo che la situazione si risolverà. È un brutto periodo per voi, ma Greg tiene alla sua famiglia, di questo penso di esserne certa.”
Harper non rispose subito, perché non riusciva a trovare le parole. Aveva interrogato Nate Haskell, Natalie Davies…. Era una profiler, era abituata a saper cosa dire anche nelle situazioni peggiori. Non si era mai fatta cogliere in fallo da un solo criminale e vantava un certo self-control, ma come reggere il peso della propria vita che si sbriciola?
“Ho conosciuto un uomo.” Iniziò, cauta. Sapeva che tutti i loro colleghi erano particolarmente sensibili all’argomento, come se il pensiero che davvero potessero divorziare fosse a loro insopportabile. Con Finn però era diverso. Lei non li aveva visti innamorarsi, crescere e tutte le stronzate di prima. Lei era arrivata in un momento in cui le cose avevano già iniziato a mutare, anche se loro coprivano quello scroscio in sottofondo con i suoi dei baci. Infatti, la collega la lasciò parlare senza interromperla, cosa che mai sarebbe riuscita a fare con Nick nonostante fossero molto amici “Si chiama Carson, lavora come aiuto cuoco al Belleview, il ristorante accanto al mio stabile. Sono passata spesso di lì ultimamente, soprattutto la domenica quando sono a casa sola, per prendere qualcosa da mangiare e ci siamo conosciuti. Lui è gentile, mi ha chiesto di uscire molte volte e venerdì, per la mia serata libera, ho accettato. Mi ha portata in un posto bellissimo, con una vista panoramica unica sul Bellagio e ha anche pagato il conto. È stato gentile e ha avuto un’accortezza che non sentito da molto tempo.”
Finn annuì lentamente “Cavolo, bel colpo. E aveva già…?”
Harper sbuffò una risata “Che tipo di ragazza credi che io sia? Ci siamo scambiati un paio di castissimi baci sulle guance, quando mi ha accompagnata a casa. Intendo rivederlo però.” Fece una pausa, riponendo nel kit il pennello. Nessuna impronta, nulla di nulla “Lo so che è stupido, ma io sono stanca di guardare mio marito che rincorre Morgan per il laboratorio, o finge di non vedermi. Io vivo da mia madre con mia figlia da quasi cinque mesi.” Ammise infine, lasciando spiazzata Finlay che no n si aspettava che le cose andassero davvero così male “Siamo separati e tutto è successo senza accordi ne nulla. Io l’ho accusato di tradirmi e lui non solo non ha negato,ma ha sciorinato un discorso senza senso su dei suoi dubbi riguardo noi due. Non ha pensato ne a me ne a Aubree. Per questo mi rifiuto di sentirmi in colpa, se vedo un altro. Mi farà bene.”
“Lo credo anche io, puoi vederla quanto meno come una pausa. Se poi Greg tornerà sui suoi passi-”
“A quel punto rifletterò su cosa fare.” La interruppe Harper, secca. Non poteva negare a se stessa quanto Greg le mancasse, di quanto avrebbe davvero voluto delle scuse. Lo aveva già perdonato una volta e avrebbe potuto anche rifarlo, ma uscire con Carson l’aveva fatta sentire di nuovo bella e importante. Unica. “Vado a controllare il perimetro esterno, ok?”
Finn annuì “Finisco i rilievi sulla porta e ti raggiungo.”
“Grazie.” Passando, Harper le appoggiò una mano sul braccio. Non la stava ringraziando perché aveva detto che sarebbe andata a darle una mano ad esaminare un cortile certamente immenso. Non la stava ringraziando perché non avrebbe mandato Greg.
La ringraziava per averla ascoltata, anche se loro due non avevano mai avuto poi così tanta confidenza.
Il giardino era buio pesto.
Harper arrivò un po’ a fatica alla finestra, notando che Finn aveva già lasciato la stanza. Forse aveva finito le buste di carta ed era uscita a prenderle nell’auto.
Fece i rilievi sulla finestra reggendo le torcia tra i denti, ma anche lì  nulla di fatto, eccetto un piccolo brandello di uno strano tessuto nero, sottile ma che pareva foderato in qualche modo. Lo imbustò, appoggiando sulla finestra, prima di camminare verso il muretto esterno, cercando di capire da dove potessero essere usciti gli assassino o l’assassino.
Sentì un rametto spezzarsi dietro di lei, alla sua destra e illuminò quella porzione di giardino, non vedendo nulla se non alberi d’arancio e cespugli di lavanda.
“Finlay?” chiamò a voce misurata “Brass?”
Nessuna risposta, forse era stata lei stessa a fare quel rumore.
Sospirò, nervosa, camminando ancora in quel sentiero scosceso tra la vegetazione curata ma un po’ troppo fitta, arrivando al muro.
Non sembrava esser passato nessuno da lì, la terra non era smossa e non c’erano segni di alcun tipo. Abbassò un poco la torcia, sentendo un altro rumore, più vicino.
Non ebbe però la prontezza di voltarsi in tempo.
Sentì qualcuno schiacciarla contro il muro, mentre la torcia le cadeva a terra e un panno umido le veniva premuto sul viso. Tentò senza successo di urlare, sbracciandosi quanto più possibile, ma fu tutto inutile.
Tirò anche un paio di calci al suo aggressore sconosciuto, ma non ci volle molto prima che il cloroformio iniziasse a fare effetto, rendendola inerte. Cadde addormentata e venne portata via con rapidità, senza che nessuno potesse accorgersi di nulla all’interno della grande villa.
Continua.
 
 
 
 
Nda.
Salve a tutti!
Approdo in questo fandom che AMO follemente.
Chiedo scusa se ci metterò un pochetto ad aggiornare, farò il possibile vista l’università e la ricerca del lavoro.
La ff è quasi finita e completamente strutturata. Avevo preso a postarla in un forum, ma ho cambiato praticamente tutto!
Ho inventato dei nuovi personaggi, sperando che possa intrigarvi la trama di fondo.
Il primo personaggio inventato ve l’ho presentato in questo prologo, è Harper Kessler, lavora presso la polizia scientifica di Las Vegas ed è sposata con Greg Sanders, con cui ha avuto anche una bambina.
Dal nome potrete intuire qualcosa del suo passato, se siete attenti!
Come presta volto immagino la bella Sarah Gadon, anche se per il 2013 dovete invecchiarla un pochetto!
Ogni commento sarà sempre ben accetto, positivo o negativo che sia!
 
A presto con il prossimo capitolo!
Un abbracci
Jessy
 

 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Prologo Parte II : Miami. ***


Titolo: The Best I Ever Had.
Raiting: Arancione
Personaggi Principali: Greg Sanders; Don Flack; Ryan Wolfe; Tre nuovi personaggi.
Ambientazione: CSI Las Vegas: tra la tredicesima e la quattordicesima stagione. Ho risparmiato a chiunque non avesse visto gli avvenimenti della 14x01, così da non creare spoiler. Per quel che riguarda New York e Miami, la fine di tutte le stagioni.
Avvertenze:  Potrebbero esserci scene di violenza, che verranno opportunamente segnalate.
Discriminate: Non posseggo ne la trama di fondo ne i personaggi principali, eccezione fatta delle tre protagoniste femminili. Ho inventato io stessa il caso trattato. Il resto è proprietà esclusiva della CBS. Non scrivo a scopo di lucro.
 
 
Buona lettura.





 
 
 
 
 
 
Quindici  anni prima
Contea di Miami Dade, Florida.
Mojito Bar.
Past.
 
 
Miami sa essere molto calda sin dalla placidità di una mattinata di fine maggio.
Questo è il primo pensiero che ebbe Speed, quando scese dal suo Hummer  d’ordinanza, accuratamente parcheggiato in sosta vietata.
Dovevano solo provarci a trainare via uno dei quei mostri, targati polizia scientifica su entrambi i lati.
Controllò l’orario sul suo orologio da polso, pronto già a millemila scuse da rifilare a Delko, col quale avrebbe dovuto far colazione quella mattina. Peccato che del compagno di squadra portoricano non ci fosse nemmeno l’ombra.
Un sbuffò, poi un altro.
Sicuramente aveva fatto tardi la sera precedente, dopo che lo aveva lasciato al Flamingo a rimorchiare quella rossa doveva aver fatto davvero tardi se era così tanto in ritardo.
Tentò di chiamarlo.
Per tre volte rispose la segreteria, irritandolo….
-Qui Erick Delko della polizia scientifica, al momento non posso rispondere…. –
Bla, bla, bla….
Non aveva tempo da perdere in cazzate visto che da lì a un’ora sarebbe dovuto montare di turno, così decise di far colazione da solo, maledicendo Delko in tutte le lingue che conosceva (americano e quello spagnolo striminzito che aveva imparato in polizia).
Il Mojito Caffè, che di notte si animava con tutti i peggiori fenomeni da baraccone di Miami, la mattina sembrava un graziosissimo bar con una bellissima vista sul porto della città. Speed chiese un tavolo all’esterno, valevano sempre la pena quel paio di dollari in più per poter fare colazione con il cadenzato rumore delle onde in sottofondo.
La tazza ricolma di fumante caffè nero non ci mise poi molto ad arrivare, insieme a un paio di biscotti regalati dalla cameriera dal sorriso luminoso, che per farsi buona gli agenti di polizia non si faceva problemi a dispensare dolciumi.
Proprio mentre stava addentando il secondo, gli occhi scuri di Speedle si fermarono su una figura, seduta al tavolino accanto al suo. Da lì non si spostarono più.
Una  bella ragazza, dai lunghi capelli ramati che arrivavano fino alla cintura di una luminosità naturale. Era molto pallida, tanto che il colore della pelle non si scostava poi molto da quello del vestito lungo e bianco, da spiaggia, definito con una cintura di pelle e perline marroncine. Sul capo aveva una cappello piuttosto largo, di paglia, che le nascondeva gran parte del viso.
Speed si chiese di che colore fossero i suoi occhi, anche se li immagino verdi come due smeraldi.
Guardò la mano sottile dalle mani eleganti mescolare il cappuccino con eleganza, prima di condurre il cucchiaino alle labbra e leccare via la schiuma sopra.
Si era concentrato così bene sulle labbra rosee della ragazza che non si accorse che questa, probabilmente disturbata dal tanto fissare, si era voltata verso di lui stranita e ora ricambiava lo sguardo.
Oh, wow, non aveva mai visto degli occhi così blu. Un colore elettrico e vivo, evanescente che però, a pensarci bene gli ricordava qualcosa.
Anzi, qualcuno.
Però non gli sovvenne nessuno in particolare, in quel momento.
Si scambiarono qualche sguardo e poi, come manna dal cielo, la rossa sorrise timidamente, riabbassando gli occhi sul libro che aveva davanti.
Tim lo prese come un segnale.
Abbandonò l’ultimo biscotto, alzandosi insieme alla tazza e avvicinandosi al tavolo della ragazza e chiedendo gentilmente di sedersi con lei. Quando ebbe un cenno di assenso, si sedette alla sua destra prendendo un sorso di caffè.
Aveva passato tutto il venerdì sera a provare a rimorchiare una ragazza sperando così di dimenticare Pam, ma aveva fallito miseramente. Forse era la sua giornata fortunata.
Si permise di guardarle finalmente il viso, ora ben visibile e dalle gote arrossate, constatando che doveva avere si e no diciotto anni.
Quando poi abbassò gli occhi sul libro e ne lesse l’intestazione, capì che anche se sembrava molto giovane, la ragazza doveva andare all’università e averne almeno 20 di anni, per studiare certe cose.
“Sei una studentessa di Criminologia?” domandò gentile.
Lei accarezzò la pagina del libro, prima di sorridere un po’ di più e rispondere “Diciamo di sì…. Spero di fare questo lavoro un giorno.”
La voce di quella ragazza era pura musica. Squillante ma affatto irritante.
“Io sono Tim” Le disse, porgendole la mano e vergognandosi quasi di averle così ruvide quando lei la strinse con la sua morbida e vellutata.
“Io sono Melrose”
Un nome bellissimo, perfetto per lei.
“Sei una turista?” domandò lui, e lei scosse il capo.
“No, sono nata a New York ma vivo a Miami da…. Da sempre. Mio padre si è trasferito qui per lavoro.”
“Io sono nato a Syracuse!” disse sorpreso Speed “Sarà a… Un’oretta e mezzo da New York!”
Lei lo guardò un po’ sorpresa “Il mondo è piccolo e pieno di coincidenze”
“Sai, a proposito di coincidenze” disse Speedle appoggiando un dito sul libro “Io faccio parte della polizia scientifica della Contea di Dade, se ti serve qualche delucidazione”
Quel che accadde dopo stupì moltissimo Speed, lasciandolo stranito.
Melrose perse del tutto il sorriso, sbiancando leggermente. Chiuse il libro con un tonfo e lo ripose in borsa, controllando l’orologio sul cellulare “I-io devo scappare, scusami…”
Comportamento sospetto, forse troppo sospetto…
“Hey, scusa…” Quando Speed notò che la ragazza sembrava parecchio nervosa la costrinse a voltarsi verso di lui prendendole il polso “Si più sapere che ti prende?!”
“Sei nel turno di giorno?” rilanciò lei, deglutendo piano.
Lui annuì lentamente, chiedendosi cosa stesse nascondendo.
Non fece in tempo a chiedere che uno sparo lo fece trasalire “Sotto al tavolo!” le disse mentre schizzava in piedi, estraendo la pistola.
Un altro sparo e poi un altro.
Un uomo a terra a pochi metri da lui.
Afferrò il cellulare, chiamando dalla selezione rapida la Centrale di Polizia “Qui agente Speedle, CSI, c’è appena stata una  sparatoria all’angolo tra Kent Street e Ocean  Drive, richiedo interventi immediati e un’ambulanza, uomo a terra, ripeto, uomo a terra!”
Attese la conferma veloce prima di avanzare con la pistola in mano verso l’uomo.
Un colpo in mezzo agli occhi. Un solo colpo che aveva steso un manzo d’uomo.
Rinfoderò l’arma, voltandosi verso la ragazza che era appena uscita da sotto al tavolo e guardava la scena…. Preoccupata?
Che diavolo nascondeva?!
Una cosa era certa, non poteva lasciarla andare….
 
 
Tim aveva capito che qualcosa non andava quando aveva visto Horatio arrivare a passo di marcia verso di lui, ma non si era fermato a parlargli. Aveva proseguito, fino alla rossa, appoggiandole le mani sulle spalle.
“Melly, come ti senti?” la piega lievemente preoccupata della voce del collega lo mise in allarme, ma nemmeno molto dopotutto.
Solo… Melly?? La conosceva??
“Sì, papà, sto bene…. Quell’agente mi ha protetta…”
Speed scontrò lo sguardo con quello di Horatio e capì dove aveva già visto gli occhi di Melrose. Doveva essere un idiota per non aver notato la somiglianza, sembrava la carta carbone di suo padre.
Horatio lo aveva ringraziato, prima di portare via con se Melly che gli aveva sorriso un’ultima volta con aria colpevole. Non aveva paura di essere scoperta per qualcosa di criminale, quando aveva saputo che Speed era nella polizia scientifica.
Aveva paura che suo padre sapesse che aveva saltato scuola.
Perché andava ancora al liceo.
Ed era la figlia diciassettenne di Caine.
Ottimo.
Aveva abbordato la figlia minorenne di un collega. E non uno a caso, di Horatio Caine.
Molto minorenne, come il capo Donner aveva gentilmente sottolineato milioni di volte mentre facevano i rilievi attorno al cadavere, facendo ridere Delko. Tim rise molto meno, passando allo stadio contemplativo.
Non aveva incontrato solo la figlia del futuro capo, quella mattina, ma molto di più….
Se lo sentiva, anche se non lo sapeva.
 
 
 
July, 10 2013.
Contea di Miami Dade
Ore 20.12 pm.
 




La radio diffondeva una melodia per tutta la casa, arrivando anche sulla veranda esterna dove una donna leggeva rapita un libro di Irvine Wesh.
In realtà fingeva di interessarsi così tanto alla lettura per non pensare ad altro…
Come ogni anno il dieci di luglio, suo padre prendeva Tim e lo portava allo zoo, in mattinata, poi a mangiare qualcosa e infine in ufficio con lui fino a sera. Lo teneva anche a dormire, promettendogli di non dire a sua madre che aveva fatto un po’ troppo tardi per un bambino di dieci anni.
Il motivo era chiaro: in quel particolare giorno, Melrose Caine Speedle necessitava di tempo per se stessa, perché quello era un anniversario importante per lei.
Non era l’anniversario della morte del marito, no, quella aveva tentato di tutti i modi di rimuoverla dalla sua testa….
Era qualcosa che da ricordare era molto più doloroso.
Quel giorno sarebbero dovuti essere dieci anni di matrimonio.
E invece non ne era passato nemmeno uno solo.
Si appoggiò il libro in grembo mentre tentava di trattenere le lacrime, che parevano pronte a cadere a causa di quel pensiero. Per lei era molto peggio ricordare il giorno delle sue nozze rispetto a quello del funerale di Speed, perché un singolo giorno triste aveva spazzato via anche tutti quelli felici, quelli che davvero le mancavano.
Non ci provava, però, ad esorcizzare quel dolore cercando distrazioni. Non voleva smettere di star male, perché fermamente convinta che se avesse smesso di provare dolore allora Speed sarebbe morto per davvero.
Sapeva che non sarebbe mai tornato a casa, che non avrebbe più varcato la soglia dell’ingresso lamentandosi del caldo, del traffico, di come Calleigh gli stava addosso perché stesse attento a come teneva quella maledetta pistola, per l’umidità che gli faceva venir male alla cervicale…
A quando le sorrideva, avvicinandosi rapidamente per lasciarle un bacio a fior di labbra prima di proporre di andare a cena da qualche parte.
Anche se lei sapeva che non l’avrebbe mai più incontrato, in lei verteva sempre quella tenacia tipica dei Caine che, nonostante la consapevolezza, la teneva ancorata al suo passato e a Speed.
Non  solamente perché, ogni volta che guardava il suo bambino, non poteva fare a meno che sorridere malinconicamente pensando a quanto fosse uguale al suo papà, ma anche perché nonostante fossero ormai passati quasi nove  anni, per lei era ancora troppo presto dimenticare. Faticava persino a lasciarsi andare per superarlo, nonostante ci avesse provato diverse volte e avesse accettato un altro uomo nella sua vita.
Le sembrava irrispettoso verso il suo primo, vero, grande amore. Non poteva farci nulla.

Nessuno era d’accordo su questo punto, soprattutto suo padre e Delko.
“Guarda come hai ridotto Ryan” le aveva detto sarcastico Erick, ridacchiando “Quanto avrà messo su? Venti chili da quando gli hai spezzato il cuore?”
Quello era un tasto particolarmente dolente per Melly, ed Erick lo sapeva fin troppo bene. Per questo ci marciava.
Per anni, Melrose e Ryan erano andati avanti a tira e molla continui, uscendo per poi lasciarsi. Prima lui aveva tradito la fiducia della rossa, poi lo aveva fatto lei, poi erano arrivati al punto che non potevano stare insieme per quieto vivere, ma faceva male.
Alla fine, tornavano sempre insieme.
Stavano insieme anche in quel momento e, seppur le cose sembrassero appianate, ogni tanto la paura di un litigio o di una incomprensione li spaventava.
“Wolfe ci sta male sul serio” ritornava sempre all’attacco il cubano, facendola sentire uno schifo da una parte e facendola imbufalire dall’altra “Insomma…. Lui è davvero preso di te, lo sai. Lo è da quando è stato trasferito qui”
“Vuoi dire a quando passava ancora dalla porta?” Madison non poteva rimanere seria, sarebbe esplosa a piangere se no “Qualcuno gli dica che infilare quel culone nei pantaloni bianchi è un’idea pessima!”
Erick rise a sua volta, beccandosi un paio di occhiatacce poco gentili da uno dei tecnici del laboratorio tracce “Si è anche rimesso in forma, per evitare le prese in giro.”
“Nessuno si dimenticherà mai della stazza da piccolo cetaceo che aveva assunto un paio di anni fa. Deve arrendersi a questa verità.”
L’amico l’aveva guardata pronto a ribattere, ma poi aveva dovuto trattenere sulla lingua una battuta facile a causa dell’arrivo del loro oggetto di discussione.
Erick era stato il migliore amico di Speed per anni e anni, fino alla sua morte. Aveva sofferto moltissimo, forse quanto lei, per la dipartita prematura dell’uomo e sapeva perfettamente che Ryan non avrebbe potuto prendere il suo posto nel cuore di Melly. Poteva però scavarsi una nicchia tutta sua.
Infondo,  Delko lo poteva anche ancora sopportare. Quando sproloquiava troppo, soprattutto dopo un paio di Martini, poteva metterla in seria difficoltà, ma poteva sopportarlo.
Il vero problema era suo padre.
Chiunque conosca  Horatio Caine sa che quell’uomo sa esattamente quali corde andare a toccare per smuovere una persona,  per quanto banale potesse essere un discorso lui lo caricava sempre di sentimento e significato.
Facendo davvero male, alle volte, ma quel dolore era spesso utile ad aprire gli occhi.
“Lui non tornerà, Mel, tu ora devi andare avanti. Lo sai  anche tu che se potesse te lo direbbe anche lui. Speed non avrebbe mai voluto vederti passare la vita sola a piangerti addosso per la sua perdita. Poi continuare ad amarlo e ad onorare il suo ricordo anche se accetti qualcuno al tuo fianco. Andare avanti non significa dimenticare, ma farsi una ragione degli accadimenti della vita.”
Una sola volta glielo aveva detto, una sola, ma ogni sguardo che le aveva lanciato dopo voleva sempre ribadire quel concetto. E lei stava male non solo per se stessa, ma anche per coloro che le stavano attorno.
Lo squillo del suo cellulare la riportò alla realtà bruscamente, così si portò una mano agli occhi di asciugarli prima di rispondere con voce sicura “Speedle”
-Come siamo autoritari stasera!- la voce dall’altro capo la fece sbuffare, ma al tempo stesso sorridere appena –Senti Rose, ho ordinato un tavolo per due in un ristorante sulla costa. Essendo un luogo abbastanza costoso e di lusso, ho dovuto supplicare per quel posto, ergo non puoi dirmi di no!-
La donna scosse il capo, incupendosi. Lui era l’unica persona a chiamarla Rose, era qualcosa di unico e speciale che avevano tra loro, non poteva usarlo così come se fosse un’arma di ricatto “No, Ryan. Lo sai che oggi non sono in vena. Quando torni a casa possiamo mangiare una pizza davanti ad un  film ma-”
-…Non ti permetterò di vivere oltre nel passato.- rispose lui, gelandola –Stiamo insieme da troppo tempo e non me la sento di continuare a vederti in questo stato. Voglio fare qualcosa per aiutarti a superare questo tuo blocco. -
“Non sei tu a doverlo fare.”
-Invece sì. È una cosa che dovevi mettere in conto quando mi hai detto di sì quel giorno, sul molo.-
La rossa decise di non arrabbiarsi, con Wolfe era praticamente fiato sprecato. Era così testardo da batterla, la maggior parte del tempo. “Non puoi chiedermi di uscire, Ryan…. Io ho i miei tempi.”
-Hai avuto dieci anni, Rose- quella risposta le fece abbassare gli occhi –Io voglio che tu decida di lasciarti alle spalle questa giornata ora. Perché sei bellissima e dolcissima. E io ti amo.- fece una pausa aspettando obiezioni che non arrivarono –Sono da te tra mezz’ora esatta, mettiti qualcosa di carino. Ok?-
“Ok …. Hai vinto. Ma voglio tornare subito a casa, dopo cena.”
-Affare fatto, a dopo Rose.- non le diede il tempo di rispondere, ma la ragazza aveva percepito la voce di Tripp in sottofondo. Doveva essere ancora in Centrale, magari a smaltire un po’ di scartoffie. Si alzò contro voglia  dal divanetto della veranda, scostando la zanzariera per poter entrare in casa. Mezzora per prepararsi era un po’ poco effettivamente, ma doveva  non avvertire suo padre visto che Tim era già da lui.
Eppure, istintivamente, decise di chiamarlo ugualmente.
Compose sull’Iphone il numero del tenente, camminando verso la camera da letto “Papà ciao. Scusami se ti disturbo ma dovrei chiederti un parere.”
-Non mi disturbi affatto tesoro.-
“Dove siete?” prese tempo la Mel, entrando nella stanza senza guardare la parete sopra al letto ne il comò. Si diresse in bagno.
-Siamo in ufficio a disegnare case e cani. Timmy è decisamente più bravo di me.-
Melrose sorrise intenerita poi sospirando disse “Papà, stasera vado a cena fuori.”
Lo aveva detto con un tono strano, quasi come se in realtà fosse una sedicenne che chiede al padre il permesso di uscire, con una punta di incertezza.
Dall’altra parte silenzio. Era riuscita a zittire Horatio Caine.
Pochi ci riuscivano.
“Papà…?”
-Esci?- chiese con voce meravigliata –Mi prendi in giro?-
“Sul serio…. Beh, Ryan…. Lui mi ha chiesto di cenare insieme, aveva già prenotato così io ho accettato.” Non sembrava per nulla convincente.
Horatio però parve quasi contento della cosa –Il signor Wolfe guadagnerà molti punti con questa mossa…-
La rossa sbuffò “Papà, non dirmi che tieni il punteggio dei miei ragazzi come quando io e Madison andavano al liceo.”
-Affatto, ma credo che il nostro signor Wolfe sia speciale, tesoro-
Non era certa di quello che stava facendo, non credeva fosse giusto. E decise di dirlo al padre “Papà, secondo te sto commettendo un errore?”
-Perché dovresti commettere un errore?-
“Per Tim,” e il tenente sapeva che non alludeva di certo al bambino che stava colorando davanti a lui “Lui…. Io mi sento incolpa ad uscire stasera.” tornò nella stanza, guardando quella grande bandiera americana appesa sul letto e ricordando quando essa ricopriva la bara del marito “Però mi sento come se…. Dovessi uscire.”
-Era da tanto che aspettavo di sentirti dire queste cose, sono felice che Ryan aiutata.-
Lei fece una piccola pausa, prima di acconsentire con un sospiro“Lo so, papà.”
Lo sapeva sul serio.
-Ora preparati, non vorrai deludere il signor Wolfe. Ci vediamo domani mattina in ufficio, porto a scuola io Tim così non devi passare da casa.- lei lo salutò e fece per riattaccare, ma Horatio la fermò –Non sentirti in colpa per aver voglia di vivere. È giusto così-
Melrose non era mai stata brava a inglobare le emozioni, era solita commuoversi, piangere. Come in quel momento, “Ti voglio bene papà”
-Anche io. Divertiti, ve lo meritate entrambi.-
Appoggiò il cellulare sul comò, prendendo in mano una cornice che ritraeva Tim Speedle e lei dopo poche settimane dall’inizio della loro storia. Lei pareva una ragazzina accanto ad un uomo fatto come lui, ma non le importava. Era certa che fosse quello giusto.
Aveva un sorriso bellissimo, un modo di fare tutto suo ma che le metteva davvero allegria.
Lo amava ancora, ne era certa, ma suo padre aveva ragione. Doveva vivere.
Ryan  faceva di tutto per farla felice, per starle accanto e anche se non era mai riuscita a dirglielo, provava qualcosa di forte per lui.
Non poteva negarlo e di certo non intendeva farlo.
Sentì dei rumori al piano di sotto e alzò gli occhi per il largo anticipo del suo accompagnatore, così appoggiando la cornice scese rapidamente le scale “Ryan! Ma avevi detto mezz’ora o sbaglio?”
Nessuna risposta, non sembrava esserci nessuno così convinta di aver sentito male fece per tornare al piano di sopra. Poi un rumore sinistro in cucina e per un attimo il cuore le si fermò. Chi poteva essere, quindi? Con cauta attenzione aprì il mobiletto dell’ingresso prendendo la pistola e avviandosi verso la cucina che però pareva deserta.
Rilassò le braccia, scuotendo il capo e sentendosi una stupida quando qualcuno la afferrò da dietro chiudendole una mano sulla bocca. Per lo spavento le scappò di mano la pistola che cadde a terra e la giovane decise che avrebbe venduto cara la pelle. Iniziò ad opporsi lottando, spingendo l’uomo e ricevendo a sua volta una spinta che la mandò a rovesciare il tavolino del salotto e alcuni libri della libreria. La lotta continuò per alcuni minuti nei quali la giovane morse e graffiò l’aggressore alcune volte, creando una confusione incredibile in casa, prima di soccombere.
Una siringa le affondò nel collo, iniettandole  un liquido che bruciava come lava e che non ci mise che una manciata di secondi ad addormentarla.
 
 
Continua.




Nda.
Sto cercando di postare rapidamente le introduzioni dei personaggi inventati, così che possiate farvi un’idea della storia ^^
Melrose Caine, vedova Speed, col pg della bellissima Susan Coffey!
Avremo modo di conoscere anche lei più a fondo andando avanti!
Intanto ringrazio le 43 persone che hanno letto il primo capitolo e Echelon90 che ha messo la storia nei preferiti^^
Grazie infinite.
A presto con l’introduzione sul nostro personaggio di New York!
Un abbraccione
Jessy 

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Capitolo 3
*** Prologo Parte III: New York ***


 
Titolo: The Best I Ever Had.
Raiting: Arancione
Personaggi Principali: Greg Sanders; Don Flack; Ryan Wolfe; Tre nuovi personaggi.
Ambientazione: CSI Las Vegas: tra la tredicesima e la quattordicesima stagione. Ho risparmiato a chiunque non avesse visto gli avvenimenti della 14x01, così da non creare spoiler. Per quel che riguarda New York e Miami, la fine di tutte le stagioni.
Avvertenze:  Potrebbero esserci scene di violenza, che verranno opportunamente segnalate.
Discriminate: Non posseggo ne la trama di fondo ne i personaggi principali, eccezione fatta delle tre protagoniste femminili. Ho inventato io stessa il caso trattato. Il resto è proprietà esclusiva della CBS. Non scrivo a scopo di lucro.
 
Buona lettura.
 





 

 
 


 
 
Dodici anni prima.
World Trade Center,
New York.
 
 
Flack assaporò con lentezza il primo caffè della giornata, rimanendo saldamente appoggiato all’autopattuglia con i fianchi.
Era un normale martedì mattina di inizio settembre, l’aria era umida ma ancora parecchio calda, tenendo conto del fatto che non erano ancora scoccate le otto. Hank, seduto al posto passeggero, sfogliava svogliato una copia un po’ stropicciata del New York Times che aveva di certo preso al distretto e digrignava i denti, commentando di tanto in tanto con acidità una particolare manovra del governo Clinton che lui non trovava opportuna.
Se non ce l’aveva con il Presidente, allora passava a commentare tutto ciò che il Sindaco Giuliani aveva detto o fatto quella settima , per la città.
Don lo ascoltava divertito, scrollando di tanto in tanto il capo e domandandosi perché la gavetta di pattuglia dovesse proprio passarla con quel vecchio brontolone di Hank Atman. Certo, era più un favore a suo padre che altro, visto che ciò che il tenente Atman non aveva avuto in senso dell’umorismo, era compensato da una grande esperienza. Era il classico uomo nato con il distintivo appuntato al petto, così come lui, dopotutto.
Controllò l’orologio da polso, notando che stavano per scoccare le otto. Forse avrebbe fatto in tempo a prendere anche una ciambella, prima dell’inizio del solito giro di ronda. Alzò gli occhi, guardando tutta Liberty Street, sino ad incontrare il profilo delle Torri Gemmelle, che si stagliavano alte davanti a lui.
Sì, qualcosa nello stomaco sarebbe stato utile.
Non sapeva perché, ma era solito fidarsi delle sue sensazioni.
 
 
“Patricia, lo sai vero che sto rischiando grosso per te?”
“Santo cielo, Andrea, che vuoi che sia? Non si sono nemmeno accorti che ci siamo allontanate dal gruppo!”
Due ragazze, una biondina e l’altra mora, si aggiravano nei pressi di Fulton St. come delle ladre attorno ad una banca. Mentre la prima, Patricia, sembrava particolarmente eccitata all’idea di aver abbandonato il gruppo del loro liceo, che stava sicuramente continuando a dirigersi verso il MoMa, l’altra, Andrea, non sembrava condividere questo sentimento.
Aveva acconsentito a seguire l’amica in quella sua folle idea solo perché, per lei, era al pari di una sorella;  nonostante vivessero a Hoboken, per loro erano rare le occasioni in cui potevano aggirarsi per Manhattan, così la giovane di Maio aveva accettato di staccarsi dai professori e dagli altri studenti.
“Se siamo alla fermata della metro alle undici e mezzo, non se ne accorgeranno nemmeno” aveva detto vaga Patricia, mentre tenendosi per mano si incamminavano lungo la strada, passando in rassegna ogni negozio “Questa è una bella occasione per poter fare una comparsata da Howard a lavoro! Sai che faccia farà vedendomi lì!”
Andrea si limitò a sorridere all’amica. Howard era il fidanzato ventenne della bionda  stava svolgendo il suo apprendistato come avvocato  al Word Trade Center, nello studio di suo padre.
“Va bene, ma solo dieci minuti.” Le disse la morettina, facendola gioire “Dopo voglio arrivare sulla 5th e passare in rassegna ogni negozio da Soho a Plaza Square!”
Si scambiarono uno sguardo complice, entrambe entusiaste all’idea, prima di avviarsi verso la fine della via, fino alla grande piazza che già si intravedeva dall’angolo con la Gold…
 
…. Dopo di che, i ricordi di quella mattina si fecero confusi per la giovane di Maio.
Non ricordava con precisione dove si trovasse, anni dopo aveva provato a ricostruire quella tragica giornata, ma aveva ancora la prospettiva distorta e non ricordava da che angolazione avesse visto il primo aereo schiantarsi contro la torre nord del Word Trade Center. Ricordava solo lei che stringeva con entrambe le mani il polso di Patricia per impedirle di correre verso i palazzi e di come un gruppo di persone in fuga le avevano separate, per sempre.
Non l’aveva più rivista, nonostante l’avesse disperatamente cercata, incurante dei pompieri che le ordinavano di andarsene, del cellulare che non riceveva il segnale, della seconda torre colpita.
Non riusciva nemmeno a ricordare esattamente dove si trovasse quando il mondo che conosceva era crollato insieme ai due giganteschi grattacieli.
I ricordi ripresero, come un fiume in piena, solo nel momento in cui si ritrovò sola, sotto alla cenere e alla polvere, con qualcosa di caldo a colarle dalla fronte. Non avrebbe più dimenticato gli attimi successivi alla tragedia.
Era seduta in terra con la schiena appoggiata ad un palazzo che pareva cigolare sempre più forte, incapace di vedere attorno a sé a causa della ferita alla testa e dello stordimento. Una nube di polvere l’aveva investita e lei era riuscita in qualche modo a ripararsi dietro a quel muro, nonostante l’aria attorno a lei si fosse fatta satura, si era protetta la bocca e il naso con il  suo foulard bianco.
Sentiva urla in lontananza, ma giungevano alle sue orecchie ovattate, come se molte, moltissime persone stessero urlando dentro a dei bicchieri di vetro. Che pensiero stupido, chi avrebbe mai potuto fare qualcosa di così folle?
Folle come abbattere due palazzi in piena città.
Tentò di alzarsi, ma ci riuscì solo al quarto tentativo, facendo leva sulle braccia e contro quel muro ruvido. Uscì, trovandosi di fronte il nulla più assoluto. Rischiò di cadere nuovamente, mentre cercava di orientarsi o di capire quanto meno come fare per raggiungere lo sbocco della metropolitana. Ironicamente, credeva che se si fosse ricongiunta a tutti i suoi compagni di scuola, sarebbe andato tutto bene.
Forse anche Patricia era la con loro.
Si aggrappò a questa falsa speranza, continuando  a girare piano su se stessa per cercare una qualsiasi indicazione.
Nulla.
Stava per arrendersi, quando notò qualcuno venirle incontro. Una figura alta, vestita di scuro ma anch’esso totalmente ricoperto di polvere.
Un poliziotto.
Quando le fu di fronte, riuscì a vederlo per bene. Era giovane, sembrava un cadetto con la divisa  che ancora sapeva di cellofan.  I suoi occhi erano due frammenti di limpido cielo, grandi e ricolmi di spavento. Riusciva, però, a mantenere un certo controllo.
Andrea lo invidiò molto.
“Signorina? Signorina mi sente?” le chiese, deciso ma con il tono ammorbidito dalla tensione. Le appoggiò una mano al braccio, guardandola in volto e constatando che era solo una ragazzina. “Perdi molto sangue.” Decretò, mentre Andrea lo guardava ancora con espressione del tutto persa. Le prese il foulard dalla mano, appoggiandolo contro il taglio, e lei sussultò per il dolore “Dobbiamo allontanarci, velocemente.”
“Devo raggiungere la metro.” Si limitò a dire la giovane, opponendo una scarsa resistenza quando lui le passò un braccio attorno alla vita, per portarla via “La mia classe ora è al MoMa…. Io e Patricia ci siamo allontanate…. Era una bravata, non pensavamo di-“ alcuni singhiozzi le spezzarono la voce “D-devo trovare P-Patricia…”
“Non possiamo fare nulla per nessuno, ora” le disse il poliziotto, mantenendo quel tono morbido ma sicuro. Lei lo lasciò fare, portando un braccio attorno alle spalle del ragazzo per sostenersi a lui mentre iniziavano a camminare lentamente verso un qualsiasi luogo in cui Andrea avrebbe ricevuto cure mediche. La mora si aspettava di vedere altri agenti di polizia e pompieri correre verso le macerie, sfidando la polvere e un fumo nero dall’aria tossica che si alzava dalla carcassa del grattacielo, ma ciò non avvenne.
Tutto sembrava essersi bloccato, come se qualcuno di molto abile avesse deciso di fermare il tempo.
Si sentiva sospesa…
Camminarono per diverso tempo, mantenendo un passo lento e cadenzato, poi fu il ragazzo a proporre ad Andrea di fermarsi “Devi riposare, siediti qui”disse, indicandole un paio di blocchi di cemento di forma quadrata, sui quali la aiutò a sedersi. Per quanto ci provasse, lei non riusciva a smettere di singhiozzare. Non aveva fatto altro, per tutto quel tragitto, più per lo spavento che per il dolore alla testa “Stai tranquilla, te la caverai…”
Quella voce la rassicurò, calmandola appena. Una volta aiutata la giovane, anche lui si abbassò, inginocchiandosi accanto a lei e controllando la ferita. Sembrava davvero brutta, ma almeno non sanguinava quasi più. Tenne ancora il foulard premuto su di essa, anche quando Andrea si sporse per abbracciarlo. Oltre la sua spalla, la ragazza vide due pompieri, seduti contro un’auto. Sembravano sfiniti così come lo sembravano loro due.
Si strinse in quell’abbraccio, cercando di soffocare i singhiozzi nel petto, ma con scarso risultato. Lui la strinse a sua volta, accarezzandole la schiena e staccandosi solo quando vide arrivare qualcun altro.
“Hey fermo! Non puoi andar avanti!” Quando il poliziotto si staccò, Andrea sentì molto freddo. Tenendo premuta la ferita, guardò quello scambio di battute davanti a lei.
“Tranquillo, sono un collega!” disse l’altro, basso e biondino, mentre si abbassava una bandana dalla bocca e mostrava un distintivo.
“Come ti chiami?”
“Messer, Danny Messer”
“Ascolta, Messer, non serve che tu vada la-“
“No, io voglio andare-“
“No, aspetta-”
“Voglio andare ad aiutare!”
“Sono tutti morti!”
Andrea non riuscì ad impedirsi di singhiozzare più forte, perché lo sapeva. Lo sapeva che erano tutti morti, che lei era viva per volere del Signore e che molti altri non avevano avuto la stessa fortuna.
Sentirlo dire dal poliziotto dagli occhi di cielo, però, fu come una pugnalata per lei.
“Sono tutti morti… Lei è ferita e mi serve una mano per portarla da un medico.” Tornò da lei, inginocchiandosi e appoggiando piano una mano sul suo ginocchio “Vieni, adesso troviamo qualcuno che possa darti un’occhiata.”
Anche il biondino le andò vicino, scostandole  il foulard per guardare il taglio “Si sta infettando, va lavato in fretta.” Insieme al collega, aiutarono la giovane ad alzarsi e ripresero la loro marcia, sorreggendola insieme.
“Come ti chiami?” le chiese di punto in bianco il biondino, sorridendole incoraggiante con tutto l’entusiasmo possibile, vista la situazione.
Lei deglutì un paio di volte, cercando di umettarsi le labbra secche. “Andrea di Maio”
“Vivi qui vicino, Andrea? Perché non eri a scuola?”
“No, sono di Hoboken.” Rispose lei, oscillando appena e appoggiandosi meglio contro il poliziotto moro. Le girava la testa, fortissimo “Sono qui con la mia classe, eravamo diretti al MoMa, ma io e la mia migliore amica ci siamo allontanate e ritrovate qui…”
“Ora sai dove si trova lei?” chiese gentile il biondino, ma l’altro ragazzo scrollò il capo, come a chiedergli di fermarmi. Andrea trattenne le lacrime, decisa a lasciarsi andare solo una volta riabbracciati sua madre e suo padre.
Arrivarono fin davanti all’albergo Excelsior e lì, un pompiere molto giovane, li fece entrare dicendo che c’erano ben quattro medici ad aiutare.
“Io mi chiamo Danny” disse il biondino ad Andrea, mentre la aiutava a stendersi sulla barella. “Sarò qui intorno, se hai bisogno per qualsiasi cosa, chiedi pure di me.”
Lei si limitò ad annuire, così lui le appoggiò una mano sulla spalla scambiando un ultimo sguardo con il poliziotto più alto. Poi uscì, lasciandoli soli in quell’angolo della gigantesca hall dell’hotel.
Andrea si aspettava quasi di vedere il poliziotto che l’aveva trovata scomparire, andare ad aiutare gli altri o semplicemente a cercare di contattare i suoi parenti, ma non accadde. Il giovane prese uno sgabello dal bancone del minibar e si mise accanto a lei, sorridendole appena. I suoi occhi si stavano pian piano spegnendo, come se tutta la stanchezza e la paura iniziassero a consolidarsi in lui insieme ad una lenta consapevolezza di ciò che era avvenuto.
Il braccio iniziava a dolerle, così lo abbassò e immediatamente lui portò una mano sul foulard ormai saturo di sangue, affinché continuasse a tamponare la ferita.
Lei sorrise, massaggiandosi il bicipite “Posso sapere il nome del mio salvatore?” domandò, ingenuamente.  Non sapeva bene come atteggiarsi, dopotutto era un agente, ma era anche il suo salvatore.
“Flack.” Rispose lui, prima di correggersi “Beh, Don. Tutti però mi chiamano sempre per cognome e alle volte tendo a dimenticarmi il mio nome di battesimo.”
Lei ridacchiò appena, ma si irrigidì di colpo. Anche le costole le facevano male, sicuramente erano una conseguenza di una caduta che non ricordava. Non si lamentò però, c’erano tante altre persone che avevano più bisogno di lei in quel momento. Riprese a parlare con il ragazzo, Flack, per non addormentarsi “Anche mio padre è un poliziotto.” Disse, stupendolo “È lo sceriffo di Hoboken e conoscendolo sarà spaventatissimo. Sa che sono in città oggi.”
“Allora sarà meglio cercare di contattare il suo distretto, posso uscire a chiedere a qualcuno se mi da una radio e-”
“No, ti prego!” per puro istinto, Andrea aveva portato una mano sul polso del ragazzo. Costringendolo a rimanere seduto. “Non mi lasciare qui, da sola…”
Gli occhi cangianti della giovane si riempirono di paura al punto tale da renderla quasi concreta, palpabile.
Flack non ebbe il cuore di far nulla.
Avrebbe chiesto ad un collega.
Si limitò a sistemarsi meglio sullo sgabello, prendendo una garza sterile che un’infermiera aveva portato loro, per sostituirla al foulard sporco “Non vado da nessuna parte. Aspetterò con te il medico e verrò in ospedale, nel frattempo mi sarò procurato una radio.”
“Rimarrai con me fino a che mio padre non mi troverà?”
Lui si guardò alle spalle, notando un gran via vai di colleghi fuori dalle vetrate della struttura. La città aveva bisogno di lui, ma poteva iniziare da lei. Un cittadino per volta.
“Non mi muoverò da qui” Le promise.
…. E a ciò si attenne.
 
 
 
 
 
 
 
July, 12 2013.
In una strada di Manhattan (New York).
Ore 02.05 am.
 
 
 
La navata della chiesa era come esplosa in un boato, quando gli sposi, finalmente, si erano scambiati il primo bacio.  Se l’ansia prima della cerimonia aveva dilatato i tempi sino a renderli insopportabili, dopo il fatidico sì tutto si fece più veloce e frenetico.
C’erano state le foto, il lancio del riso, altre foto e poi il ricevimento in quel piccolo ristorante italiano che a stento li conteneva tutti, ma che aveva quella bellissima pista per danzare e il menù più buono di tutta la città. Christine aveva scongiurato Mac di scegliere quel posto e lui aveva deciso di accontentarla, a costo di far dannare ogni cameriere che doveva passare fra i tavoli stipati.
Quando meno gli invitati sarebbero stati tutti vicini.
Ne era valsa la pena, visto che tutti avevano ballato, riso e celebrato la sua ritrovata felicità. Non credeva che sarebbe mai successo, non ci sperava nemmeno, ma era riuscito ad innamorarsi di nuovo. Dimenticare Claire non sarebbe stato mai possibile, sarebbe per sempre rimasta una sorta di tassello incompleto nel suo cuore, ma Christine per lui era importante. Unica e sua.
Solo, in modo diverso.
La festa era andava avanti per quasi sette ore, ma ormai la maggior pare degli invitati era tornata a casa. Gli sposi si erano appena ritirati, quando anche il resto della squadre decise che era ora di tornare a casa.
“Una gran cerimonia!” aveva esordito Danny, reggendosi alla spalla di Lindsay, che a stento riusciva a reggere il peso del marito. Del marito sbronzo, per la precisione. Lui e Adam avevano alzato di molto il gomito e non avevano fatto altro che costatare quanto fosse ben riuscita la cerimonia. O quanto fosse bello l’abito di Christine.
“Credo sia ora di andare a letto” Lindsay sembrava lapidaria, così tanto da strappare sorrisi e sbuffi. “Niente sbuffi, Adam! Come pensi di tornare?”
“Ci penso io.” Si propose Jo, aprendo la mano sotto al naso del collega ubriaco “Però sono arrivata fin qui con Sid, quindi mi servono le chiavi dell’auto.”
Adam prese a frugare dentro alle tasche dello smoking, estraendo poi vittorioso le chiavi del suo suv. “Eccole!”
“E anche questa è fatta” disse ridacchiando Hawkes, passando un braccio attorno alle spalle di Sid, che si era sfilato gli occhiali da vista per massaggiarsi gli occhi stanchi “Possiamo dividerci. Andrea, ti serve un passaggio?”
La ragazza, che si era tenuta lievemente in disparte durante la conversazione, annuì energicamente “Sarebbe perfetto, Sheldon.”
“Ci penso io.” Andrea si voltò, incontrando lo sguardo tranquillo di Flack “Sono di strada, inutile far fare un giro così lungo a Hawkes.”
Il ragazzo di colore guardò la giovane detective, che annuì. “Allora va bene, ci vediamo domani sera!”
“Buon ritorno a tutti.” Li salutò con gentilezza Jo, mentre cercava di far camminare Adam in linea retta.
Andrea si avviò dietro a Flack, reggendo il cappotto nero tra le braccia, in silenzio. Non che le desse fastidio passare del tempo con il collega, ma qualcosa dentro di lei moriva ogni qualvolta gli occhi chiari dell’uomo incontravano i suoi.
Entrò in auto, allacciandosi con un gesto automatico le cintura, mentre Don metteva in moto e si apprestava a risalire la Madison, in direzione Harlem. Rimasero in silenzio per un pochetto, poi fu lui a rompere il ghiaccio; iniziarono a parlare delle solite cose, come il caso appena concluso, la stupidità abissale con la quale ogni tanto Adam si poneva, a quanto Lucy stesse crescendo…
Don, però, non prestava molta attenzione. Aveva la testa altrove…
La loro storia era ormai finita da qualche mese, dopo moltissimi tira e molla.
Certo, non era la prima volta che decideva di chiudere con Andrea e, puntualmente, ci ricascava, ma quella volta gli era sembrata più definitiva che mai.
Sapeva che non sarebbero tornati insieme e, anche se in lui era maturata la consapevolezza che per Andrea sarebbe stato meglio così, non riusciva a lasciarsi tutto alle spalle.
L’aveva vista crescere, prima come cadetto, poi come agente. Le aveva insegnato tutto quello che sapeva sul mestiere da detective e doveva ammettere di aver fatto un ottimo lavoro.
Andrea era tutto quello che si potesse ricercare in una donna: bella, molto intelligente, con un buon carattere. Era timida, introversa per certi aspetti ma incredibilmente decisa al lavoro.
Poteva beccare un francobollo al buio, quando sparava. Le invidiava la mira e il modo in cui riusciva a non far tremare mai le mani quando impugnava la sua nove millimetri, mentre le bastava un non nulla per arrossire quando le si rivolgeva un complimento.
Soprattutto se era lui a farlo.
Che lei stravedesse per Flack non era di certo un segreto per nessuno. Si vedeva dal modo in cui lo guardava o gli sorrideva, nei suoi gesti sempre più accorti quando si trattava di lui.
Gesti che non sempre avevano trovato un riscontro.
Soprattutto in quell’ultimo periodo, Don si era fatto più scostante e anche questo non era un mistero. Per questo Hawkes voleva essere certo che lei volesse davvero un passaggio dell’amico.
I motivi erano tanti, troppi, stupidi presi uno ad uno ma enormi se sommati fra loro.
Quando imboccarono la 73th, Don si accorse di essere rimasto zitto per troppo tempo.
Voltò appena il capo, guardando con la coda dell’occhio Andrea, che fissava fuori dal finestrino con in insistenza.
Oh, bel lavoro…
Stava per dire qualcosa, ma delle transenne in mezzo alla strada lo costrinsero ad inchiodare.
“Scusa, non le avevo viste.” Disse, cercando di capire perché la vita fosse chiusa a quell’ora di notte “Ti avevano anticipato nulla circa dei lavori sulla strada?”
Andrea corrugò le sopracciglia “No, è strano in effetti. Però da qui posso andare a piedi, saranno si e no due minuti.”
“Insisto per accompagnarti” decretò l’uomo, facendo marcia in dietro per poter parcheggiare l’auto a lato della strada “Non vorrei che tu facessi brutti incontri.”
La mora sorrise appena, scendendo quando il motore venne spento “Un  vero cavaliere” gli disse, iniziando a camminare accanto a lui sul marciapiede.
Don cercò di dire qualcosa, ma tutto quello che gli sovveniva sembrava incredibilmente banale o stupido.
Andrea se ne accorse “Vuoi salire a prendere un caffè?” domandò candidamente, tanto che Flack non si sentì di insinuare nulla.
Però non gli parve il caso “A dire il vero preferirei tornare a casa.” Le rispose mentre svoltavano l’angolo e imboccavano la Lexington, la via dove la giovane viveva in un monolocale piccolo ma carino.
Si fermarono davanti alla porta d’ingresso e lei prese a frugare nella borsa in cerca delle chiavi “Sicuro? Mia mamma mi ha spedito una qualità nuova di caffè italiano. Ha un gusto tostato che non puoi nemmeno immaginare se non lo provi”
Quando rialzò il capo sorridente, Flack fece davvero molta fatica a dire di no di nuovo “Non questa sera.” rispose al sorriso “Cascasse il mondo io giuro che….” Si bloccò di netto, facendo corrugare le sopracciglia della ragazza.
Il suo sguardo si fissò su un punto imprecisato oltre la spalla della collega e tacque d’improvviso. Ma non pensieroso come prima, sebbene preoccupato. La bocca si aprì appena mentre gli occhi rivelavano un’irrequietezza che stonava molto che il solito modo di porsi del detective.
“Don?” Andrea lo chiamò incerta prima di voltarsi e trovare, puntata al suo viso, una pistola. La giovane si irrigidì mentre sentiva la mano di Don stringersi attorno al suo braccio e tirarla a sé.
“Via le pistole, tutti e due. Tu, donna, metti giù la borsa.” disse pacato l’uomo mentre altri due arrivavano da dietro FLack, anche loro pistole alla mano.
“Chi diavolo siete voi?!” chiese con grinta il detective mentre Andrea si stringeva a lui, del tutto spiazzata dallo spavento.
“Via le pistole, ho detto, o facciamo fuoco” Con riluttanza Flack prese dalla fondina alla caviglia la pistola di scorsa che portava sembra con sé, mentre la mora appoggiava a terrà la borsa che conteneva a sua volta l’arma di riserva della poliziotta. Uno dei tre uomini levò quegli oggetti dalla strada “Ora a terra, detective Flack, veloce.”
Lentamente, Don si abbassò subito imitato da Andrea, ma l’uomo sulla sinistra si avvicinò afferrandola per un braccio e tirandola a sé  “No! Lasciami!”
“Lasciatela andare!” scattò Flack rialzandosi e tentando in qualche modo di affrontare l’uomo, come dimenticandosi che era armato e lui no.
Il terzo elemento, quello sulla destra, si avvicinò a lui sferrandogli un colpo alla nuca con il calcio della pistola.
“DON!”
Il detective cadde a terra mentre Andy prendeva a strattonare il braccio per liberarsi. Non lo sapeva nemmeno lei come ci riuscì, ma prese la pistola al uomo che la tratteneva e riuscì a sparargli, beccandolo in pieno. Non si avvertì alcun suono, segno che in qualche modo dovevano aver installato un silenziatore interno alla canna. L’uomo cadde ma appena la giovane si voltò pronta a puntare l’arma anche contro gli altri due vide che quello di destra aveva l’arma puntata alla desta di Flack in ginocchio.
“Buttala o gli apro un foro per dar aria ai neuroni” disse con lo stesso tono apatico del primo e la mora non esitò a lasciar cadere l’arma a terra. Il primo uomo le si avvicinò dandole uno schiaffo in pieno viso e facendole così perdere l’equilibrio.
“Figlio di puttana! Non osare!” urlò il Don, che però non poteva far molto se non osservare con impotenza la scena.
“Vediamo di sbrigarci, stiamo facendo troppa confusione” disse l’uomo che teneva sotto tiro Flack al compagno e quello annuì
Nello stesso istante uno assestò un altro colpo a Flack, che cadde a terra privo di sensi mentre il secondo prendeva dalla giacca una piccola custodia di alluminio contenente una piccola siringa.
“Don…” la mora singhiozzò guardando il ragazzo svenuto a pochi metri da lei.
Si sentì tirare per i capelli all’indietro e poi uno dei due uomini le infilò la siringa diritta nel collo mentre l’altro controllava cosa fosse successo al loro terzo.
Tutto cessò, Andrea non sentiva più nemmeno i suoi singhiozzi.
Doveva essere un potente anestetico, visto che non si accorse nemmeno di quanto tempo ci mise per crollare.



Nda.
Eccomi qui con la fine del prologo!
Anche la nostra eroina di New York è stata presa dai cattivi.
Chi saranno?
Si scoprirà solo leggendo u.u

Adesso che ho concluso le introduzioni, proseguirò con la storia alternando i pezzi al passato tra un csi e l'altro, mentre la parte narrativa del 'presente' sarà mista. Un po' Las Vegas, un po' Miami, un po' New York.
Come sempre, ringrazio chi mi legge, ma gradirei davvero molto un parere ^-^
Chi delle protagoniste vi piace di più?Quale storia secondo voi è più interessante? Quale meno?

A presto, un abbraccione
Jessy

 

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Capitolo 4
*** Parte Prima, Capitolo Primo: Why do we fall in love so easy? Even when it’s not right.... ***


Titolo: The Best I Ever Had.
Raiting:
Arancione
Personaggi Principali: Greg Sanders; Don Flack; Ryan Wolfe; Tre nuovi personaggi.
Ambientazione: CSI Las Vegas: tra la tredicesima e la quattordicesima stagione. Ho risparmiato a chiunque non avesse visto gli avvenimenti della 14x01, così da non creare spoiler. Per quel che riguarda New York e Miami, la fine di tutte le stagioni.
Avvertenze:  Potrebbero esserci scene di violenza, che verranno opportunamente segnalate.
Discriminate: Non posseggo ne la trama di fondo ne i personaggi principali, eccezione fatta delle tre protagoniste femminili. Ho inventato io stessa il caso trattato. Il resto è proprietà esclusiva della CBS. Non scrivo a scopo di lucro.
 
Buona lettura.
 
 
 

 
 
Funny how the heart can be deceiving
More than just a couple times
Why do we fall in love so easy
Even when it’s not right
 
 
 
 
 
 



Parte Prima: To Drown 
Capitolo Uno. 



 
 
 
Tredici anni prima.
Las Vegas,
Nevada.
 
Era passato già un anno all’arrivo di Harper nella scientifica di Las Vegas, e quell’anno le era parso così ricco di eventi da suscitarle quasi stupore.
Innanzi tutto aveva capito che lavorare nel turno di notte implicava sopratutto avere il doppio del lavoro rispetto al turno diurno, ma che la compagnia era nettamente superiore. Aveva legato, come aveva immaginato all’inizio di quella avventura, soprattutto con Stokes e un paio di tecnici tra cui Kao e David, l’aiutante coroner. Nonostante Sara non fosse la sua migliore amica, si era molto ricreduta su di lei.
Tutto procedeva al meglio, all’interno del team, tra scherzi e sfide, soprattutto tra Warrick e Nick.
Grissom, ogni giorno che passava, non poteva far altro che sembrarle sempre di più un uomo degno di stima, con un bagaglio culturale immenso e un’arguzia unica.
La sola nota dolente –se tale si poteva poi definire- era solo il modo stressante col quale Sanders la perseguitava. Se lo vedeva apparire da ogni anfratto, con il solito sorriso e la richiesta di un’uscita posta in modo sempre più originale, nonostante  lei reclinasse  sempre. All’inizio in modo gentile, poi scocciato e poi alla fine era arrivata ad un livello tale di sarcasmo da spaventarsi da sola.
“Sai no, Sanders? Le possibilità che io accetti di uscire a cena con te sono tante quante quella dei Dallas Cowboy di vincere il superbowl.” o “Sono allergica alla pizza, mi dispiace” o “Greg la mia voglia di vederti al di fuori dell’ambito lavorativo è direttamente proporzionale al piacere che potrei provare sbattendo ripetutamente la testa contro alla parete mentre tu mi scartavetri la schiena”
E ancora “Sono allergica al cibo giapponese, anche se mi vedi mangiarne tonnellate a pranzo.”, “Non posso uscire, scusa. Mamma non vuole che esca con gli sconosciuti”, “Devo controllare che la vernice si asciughi uniformemente su tutte le pareti di casa mia”, “Sono allergica a te, non l’avevi capito? L’averti attorno mi provoca eruzioni cutanee dolorosissime”  e infine “Sono debole di cuore, la tua avvenenza potrebbe causarmi un arresto del miocardio”
La tenacia del ragazzo però andava premiata. Non sembrava voler mollare, ma lo faceva sempre in modo così gentile che, alla fin fine, per Harper era quasi un passatempo.  Secondo Catrine lei era davvero una predestinata, perché Greg non aveva mai assillato a quel modo nessuna.  Secondo Nick, se avesse accettato di uscire con lui una sola volta poi l’avrebbe fatta finita.
Tanto valeva seguire quel consiglio.
“Ehy Harp! Senti volevo chiederti-”
“Va bene!!” lo afferrò per il camice scuotendolo appena “Domani è il mio giorno libero, e anche il tuo a quanto ne so, giusto? Da me alle sette e mezzo e vedi di portarmi in un posto non squallido, grazie!”
Lui sgranò gli occhi un istante prima di sorridere radioso “A dire il vero volevo solo sapere se avevi sto da qualche parte Warrick, visto che sto girando a vuoto con i suoi referti da venti minuti.  Ma…. Perfetto! Domani sera alle sette e mezzo da te. Aspetto un sms col tuo indirizzo!”
La bionda appoggiò la fronte alla parete di plaxiglas mentre Hodges la guardava alzando un sopracciglio “Non dire nulla tu, non azzardarti ad aprire bocca…”  lui fece segno di chiuderla con una cerniera prima di rientrare nel suo laboratorio, lasciandola nel corridoio. Aveva accettato e già si era pentita, consapevole che quel ragazzo non le era del tutto indifferente e che uscirci poteva rivelarsi una catastrofe.
Mischiare vita privata e lavoro avrebbe causato solo pasticci.
…. O forse no?
“Mi stai facendo credere che era davvero il capitano della squadra di scacchi?” chiese stranita lei, mentre l’attacco di risate riprendeva a scuoterle le spalle, rendendole doloranti le costole. Non credeva di aver mai riso così tanto in tutta la sua vita.
“Eh già” ammise Sanders “So cosa stai pensando” aggiunse poi “Che cosa nerd, eh? Visto che con un buon novanta percento tu al liceo eri una cheerleader”
“Non ti permettere di insultarmi così” disse lei spingendolo appena “Io ero un’alternativa piuttosto di spessore, ascoltavo metal  su metal e non ero per nulla popolare. Ma non ho mai subito atti di bullismo, il periodo Goth teneva lontane le cheerleader bullette, ci consideravano appestati!”
“Ci credo, sei così bella che non potevano prenderti di mira…. Se non per un altro motivo, ovviamente”
La bionda abbassò lo sguardo sul marciapiede che stavano percorrendo fianco a fianco, imbarazzata e incapace di replicare. Greg dal canto suo arrossì vistosamente, rendendosi conto di aver davvero esagerato in quel caso.  Lo pensava sul serio, però.
Percorsero un bel pezzo della Strip e poi tornarono indietro, e, nonostante la folla di turisti e non solo lungo la vita a loro sembrava quasi di essere soli.
Ripresero l’auto dopo quasi tre ore di chiacchiere leggere e sorrisi a metà. Quando arrivarono sotto casa della ragazza, lei si slacciò la cintura e gli sorrise appena, senza guardarlo negli occhi “Sai Sanders, alla fine non è stato tanto male. Pensavo fossi molto più pesante. Ora mi lascerai in pace, vero?”
Lui incrinò il capo di lato “Ma come? Non vuoi fare il bis la prossima settimana?”
Lei rise e lui si aspettò la liquidata più dolorosa dell’anno, che però non arrivò “Perché no?” gli chiese, guardandolo finalmente nelle iridi castane, poi si sporse lasciandogli un bacio sulla guancia “Buona notte, Sanders.”
“’Notte, Kessler.”
Lei scese chiudendo la portiera e lui  la guardò avvicinarsi alla porta di ingresso al palazzo con già le chiavi in mano, prima di appoggiarsi al sedile e chiudere gli occhi. Il sorriso ebete sul suo viso diceva tutto, ma appena si portò una mano alla guancia confermò i suoi pensieri: il fatto di sentire ancora le labbra morbide di Harper lì, il suo profumo davvero buonissimo che non era ne profumo o altro, ma suo, il modo in cui era assolutamente perfetta gli fece capire che era finita.
Era del tutto innamorato di lei, perso dall’istante in cui per la prima volta l’aveva vista.
Si spaventò un po’ quando sentì la portiera riaprirsi con uno scatto e nel giro di pochi secondi qualcuno lo stava baciando, tenendogli una mano dietro alla nuca. Non aveva bisogno di aprire gli occhi per capire chi fosse, visto che quello era esattamente il profumo della donna a cui stava pensando.
Ricambiò il bacio con impeto, appoggiando una mano sul braccio della bionda. Continuarono a baciarsi per diversi secondi, poi si staccarono entrambi rossi in viso.
“Ecco, è solo che…” Harper stava cercando di spiegare quell’assurda rientrata in scena “Mi sono trovata davvero bene, stasera. Grazie, a domani” disse senza però muovere un  muscolo.
Greg sorrise appena, rincollando le labbra alle sue.
Non si mossero di lì fino a che l’alba tinse di rosso il cielo di Las Vegas, allora capirono che aveva fatto un po’ tardi…
 
 


 
 
July, 10 2013. 
Miami, Florida.
Ore 20.41 pm.
Present
 
 
 
Ryan era lievemente in ritardo, ma aveva l’assoluta convinzione che Melrose non fosse ancora pronta perché come ogni donna doveva tenerci molto a farsi bella.
Era la logica maschile avere certi stereotipi sulle donne.
Dopotutto, lui aveva appena staccato uno dei turni peggiori della sua vita e intendeva fare almeno una doccia prima di uscire di casa per andare a cena.
Senza contare che quella, era la grande sera.
L’avrebbe fatto.
Si rigirò la scatolina di velluto tra le mani, mentre suonava alla porta. Aveva come suo solito dimenticato le chiavi di casa nella fretta mattutina, senza calcolare che quello era il giorno libero di Mel
Spostò il peso da un piede all’altro, pensando emozionato alle parole da dire, come dirle per non sembrare un coglione….
Suonò nuovamente alla porta, notando che però essa non era agganciata. Guardò stranito la maniglia e chiedendosi se per caso Mel l’avesse lasciata aperta perché aveva notato che non aveva preso il suo mazzo, prima di infilarsi sotto alla doccia.
Era strano però, la sua ragazza aveva come la fobia che qualcuno potesse entrare in casa e far del male a lei o a Timothy.
Qualcosa, quindi, non andava….
“Mel?” la chiamò entrando nell’ingresso mentre gli ultimi raggi di sole serali illuminavano tenuamente la casa “Hey! Perché lasci la porta aperta, pazza di una rossa?” urlò su per le scale, ma ancora non ricevette risposta.
Solo a quel punto voltò il viso verso il salotto e notò il caos che lì regnava, e, istintivamente, prese la pistola dalla fondina, schiacciandosi contro la parete. Non ci volle nulla a fare due più due.
Porta aperta, casa sotto sopra e di Melrose nessuna traccia.
Gli si gelò il sangue nelle vene.
Vide che anche in cucina la situazione era analoga così si avvicinò alla radio della polizia, posta su uno dei ripiani, accendendola e comunicando alla centrale senza farsi nemmeno una domanda “Qui Wolfe, della scientifica. Sono al 201 di Sunny Road, e richiedo rinforzi per un’effrazione e un presunto rapimento. Richiedo rinforzi immediati.”
Attese qualche istante, sempre con le orecchie tese per cercare di avvertire se ci fosse qualcun altro nell’abitazione.
-Qui centrale, messaggio ricevuto. Agisci con cautela fino all’arrivo dei rinforzi-
Il ragazzo fece per rispondere ma una voce conosciuta prese a parlare con agitazione –Wolfe sono qui vicino, ti raggiungo in un minuto-
Ryan si guardò attorno ancora una volta, tenendo le orecchie ben tese per captare qualsiasi rumore proveniente dall’abitazione “Ricevuto Horatio, io intanto verifico che il perimetro sia sicuro.”
Guardò in tutte le stanze ma di Melrose, come aveva previsto, nessuna traccia. Diede un calcio alla porta uscendo e si trovò davanti qualcuno che ben conosceva, affannato “Dannazione Walter! Vuoi che ti spari?!”
“Mel…. Lei….?”
Wolfe abbassò lo sguardo grave, trattenendo un pugno che sentiva di voler sferrare al muro “Nulla.”
Il ragazzone di colore gli appoggiò una mano alla spalla “La troveremo. Ora vieni. Scendiamo ad aspettare Caine”
“Ma dobbiamo fare qualcosa!” Ryan strappò il braccio alla presa dell’amico, che mantenne a stento la calma.
“E cosa?!” domandò, troppo teso per andarci piano “Pensaci…. Cosa possiamo fare? Dobbiamo trattarlo come ogni altro caso, prendi il kit e aiutami a fare i rilievi. Passando, mi è parso di aver  visto  che c’è  una sorta di foglietto accanto al telefono nell’ingresso, ma senza guanti non l’ho toccato e- Wolfe aspetta! Non toccare nulla! Non contaminare la scena!”
“Pensi che io sia stupido?” domandò quello imbufalito “voglio solo leggere cosa c’è scritto….”
“Non stupido, ho solo paura che ciò che provi per Melrose offuschi il tuo giudizio. Non commettere cazzate, ti prego.” Si morse le labbra “Non fraintendermi, anche io voglio trovarla, ma devi essere lucido.”
Si scambiarono un’occhiata, poi scesero insieme al piano inferiore. Ryan trovò ciò che cercava, ma non lo toccò.
Appena però lesse il contenuto del bigliettino, sbiancò ulteriormente “L’essenziale è invisibile agli occhi. Non cercate chi avete perso se prima non ritrovate ciò che avete dimenticato” lesse a voce alta “Il piccolo Principe!? Ci prende in giro?”
“Possibile, ma noi possiamo metterlo dentro facendo il nostro lavoro.” Disse Walter, tentennando appena per per l’indecisione prima di incamminarsi verso l’uscita. Doveva prendere il suo kit.
“E come faccio a stare calmo !? È Melrose dannazione! Chissà cosa potrebbero farle!”
Walter appoggio entrambe le mani sulle sue spalle, mentre il cortile iniziava a riempirsi  di sbirri che presero a delimitare l’area col nastro giallo del dipartimento “Se ti fai prendere dalle emozioni non ci aiuterai a trovarla. Faresti solo un pessimo lavoro…. Quindi controllati! Pensa a lei e pensa a Tim!”
Horatio li trovò così, quando arrivò nel cortile prima che lo chiudessero e parcheggiando l’Hummer un po’ fuori mano, per evitare di inquinare una possibile via di accesso. Nonostante gli fosse difficile mantenere la calma, visto che si trattava di sua figlia, non poteva lo stesso rischiare.
“Tim ora voglio che mi ascolti bene” disse slacciando la cintura al nipote di quasi dieci  anni, che guardava curioso tutto quel trambusto “Ora ti accompagno da quella poliziotta laggiù. Promettimi che rimarrai con lei fino a che non tornerò a prenderti, senza entrare in casa. Me lo prometti?”
“Ok nonno.”
Scesero entrambi dall’auto e il rosso condusse il piccolo a destinazione, assicurandosi che sarebbe stato al sicuro.  “Ryan, fammi un resoconto della situazione poi vai da Tim. Non voglio che si spaventi, quindi parlaci anche tu. Ho già avvertito Cally e Tripp che stanno arrivando insieme a Erick. Noi dobbiamo metterci subito al lavoro, questa scena è calda, visto che ho sentito Mel mezz’ora fa.  Dobbiamo trovare mia figlia così in fretta che Tim non si accorgerà nemmeno della sua assenza.”

 
 
 
July, 10 2013. 
Periferia di Las Vegas (NV).
Ore 22.05 pm.
Present.
 
 
 
 
 
Quando D.B. Russel scese dall’auto, vide una moltitudine di persone, tra poliziotti e civili, accalcati davanti ai grandi cancelli della villa dei Murray.
Nonostante questo non le gli difficile passare oltre il nastro giallo e, guardarsi attorno con aria angosciata, aspettandosi di trovare Greg paralizzato sull’ingresso insieme a Brass, percorse il giardino ciottolato notando il corpo del padrone di casa, ancora riverso accanto all’auto.
Tutto sembrava rallentato.
Una volta dentro, Greg lo stupì. Lo intravide di sfuggita, con addosso il giubbetto d’ordinanza, uscire verso il giardino esterno, passando per la porta della cucina. Lo seguì immediatamente.
“Greg!” il ragazzo si alzò guardando il capo, che lo abbracciò velocemente appoggiando a terra il kit. Non gli sfuggì tutta la preoccupazione che il ragazzo aveva negli occhi “Stai già facendo i rilievi sulla scena di Harp?”
“Io…. Sì, devo D.B… Se mi fermo e ci penso io giuro che impazzisco, perché era qui con me, cazzo, e poi….” Disse sbrigativo mostrando le buste contenenti il portafoglio della moglie, la pistola d’ordinanza, quella di scorta, il distintivo e il cellulare. In una grande busta di carta appoggiata sul pavimento, Russel intravide il cappotto rosso della ragazza. “Quando Finn ha iniziato a chiamare a voce alta il suo nome in giardino,  non sono riuscito a pensare ad altro che mentre io ero dentro al salone, a poco più di cinquanta metri, lei era la fuori con chissà chi e-”
“Calmati Greg” disse determinato Russel, prima di accigliarsi “Hai chiamato il resto della squadra? Morgan sta venendo qui? Sara e Nick stanno correndo qui dalla centrale, io ero su una scena. “ il supervisore prese un gran respiro. Doveva in primo luogo calmare se stesso, poi i suoi uomini “Cosa abbiamo qui?”
“Nulla” disse Sanders, trattenendosi dal dare un calcio al suo kit, appoggiato a terra accanto all’ingresso della cucina  “Nessun residuo di nessun tipo, nessuna impronta. Niente di niente, dannazione!” alzò troppo la voce, portando le mani ai capelli.
Nick arrivò proprio in quel momento, guardando prima Russel e poi Sanders, “Greg mi dispiace davvero tantissimo…. Faremo tutto il possibile e anche di più per portarla a casa da Aubree presto”
“Grazie Nick” rispose lui con voce un po’ spenta.
“Ora ci siamo noi” gli disse Russel, assestandogli una pacca sulla spalla “Vai a casa, stai con tua figlia, ti chiameremo ad ogni minima svolta..”
Sanders, però, scrollò il capo.
“No, intendo partecipare alle indagini.” Prese il cellulare dalla tasca del gilet d’ordinanza, prima di scambiare uno sguardo col capo.
D.B. capì al volo “Nick, tracciamo il perimetro esterno, Finlay avrà bisogno di una mano in questo giardino immenso.”
Stokes si limitò ad annuire, seguendo Russel, ma dando prima una pacca amichevole sulla spalla del collega.
A Greg rimaneva una cosa da fare, prima di lasciare che il lavoro lo assorbisse in pieno.
Doveva fare una chiamata importante…
Il telefono squillo tre o quattro volte e, infine, qualcuno rispose.
-Pronto?-
“Haether, sono Greg” fece una pausa, chiudendo gli occhi “Vieni alla centrale appena puoi e porta con te Aubree. È successo un casino.”
 
 
 
Nda
Eccomi tornata :D
Iniziamo a lavorare seriamente sulla storia e sulle sue evoluzioni, finalmente!
Come avrete notato, ho inserito una canzone, in questo caso Try di Pink, all'inizio della storia. 
Lo farò per ogni capitolo e mi piacerebbe molto se voi leggeste ascoltandola. 
Ogni canzone sarà riferita al pezzo in corsivo, al passato, e in questo caso è velata di una certa malinconia...


Che ne pensate dell'impostazione generale della storia?
Come sempre, si accettano critiche e commenti.
Grazie a chi legge e a chi mi ha recensita in particolare!
Un abbraccione
Jessy
 

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Capitolo 5
*** Parte Prima. Capitolo Secondo: How it feels to love a girl someday.. ***


Titolo: The Best I Ever Had.
Raiting: Arancione
Personaggi Principali: Greg Sanders; Don Flack; Ryan Wolfe; Tre nuovi personaggi.
Ambientazione: CSI Las Vegas: tra la tredicesima e la quattordicesima stagione. Ho risparmiato a chiunque non avesse visto gli avvenimenti della 14x01, così da non creare spoiler. Per quel che riguarda New York e Miami, la fine di tutte le stagioni.
Avvertenze:  Potrebbero esserci scene di violenza, che verranno opportunamente segnalate.
Discriminate: Non posseggo ne la trama di fondo ne i personaggi principali, eccezione fatta delle tre protagoniste femminili. Ho inventato io stessa il caso trattato. Il resto è proprietà esclusiva della CBS. Non scrivo a scopo di lucro.
 
Buona lettura.
 

 

 
How it feels to love a girl someday..
 (http://www.youtube.com/watch?v=EE57oaVEQZA)
 
Parte Prima: To Drown
Capitolo Due.
 
 
 
 
Quindici anni  prima.
 Contea di Miami Dade.
 
Melrose  Caine percorreva quei corridoi da quando era una bambina, quasi ogni i giorni. Quando aveva undici anni preferiva passare le sue giornate dentro alla centrale dove lavorava suo padre, piuttosto che al parco con sua sorella Madison e la loro babysitter.
Il tutto era forse riconducibile alla sua infanzia, passata senza una figura materna.  Questo faceva di suo padre Horatio la sola persona che aveva al mondo, oltre ad essere colui che stimava più di tutti.
Quando si era trasferito, dagli artificieri alla polizia scientifica, il suo nuovo ufficio era diventato il paese dei balocchi, per la piccola Melrose. Amava trascorrere del tempo in quel luogo che profumava sempre di pulito, riempiendo la scrivania del padre con pastelli a cera e fogli e  sognando di essere un’importante detective, in lotta contro i cattivi.
L’eroe di qualcuno, così come Horatio lo era per lei.
Passava qualche ora la settimana lì, sorvegliata da qualche tecnico o da Alexx Woods, un’amica del padre che lavorava come patologa del dipartimento e che in fondoaveva visto crescere lei e Madison.
Il tempo passava, ma nulla cambiava. Il pulmino scolastico, che la scaricava davanti a casa quando era più piccola, venne sostituito dalla metropolitana quando si recava lì dopo scuola. Essa sbucava perfettamente all’inizio del viale dove era situato il dipartimento della Contea di Dade.
Là dentro la conoscevano tutti quanti;  era la figlia di Horatio, c’era cresciuta fra quelle mura e ora studiava ardentemente per poter diventare una capace criminologa. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, certo, dopotutto la sua gemella aveva passato il test di medicina ed era ben intenzionata a diventare medico, ma le ambizioni di Melrose superavano quelle di Madison in grandezza. Voleva rendere suo padre davvero fiero di lei, anche se lui lo sarebbe stato a prescindere.
Tornando a quel giorno di quindici anni prima, più o meno, per Melrose era quindi routine recarsi ogni santo giorno in Centrale e quasi mai succedeva qualche evento di determinata rilevanza.  Aveva sentito parlare di sparatorie nell’ingresso e di pazzi che si introducevano nei laboratori per seminare il panico, ma ogni volta che si trovava lì non poteva far altro che pensare che quel luogo era il posto giusto dove studiare e sperare in una mano per preparare i test finali dell’ultimo anno.
“Buongiorno Melrose.  È andato tutto bene oggi, a scuola?”
“Ciao Trip! Si, tutto ok.” sorrise all’uomo, mentre  si avviava con la tracolla che le gravava sulla spalla verso l’ascensore. L’ufficio di suo padre era collocato al terzo piano. “Papà è impegnato?”
“So che sta parlando con il nuovo membro del team, quello che è arrivato un paio di settimane fa.  Ma ancora non so chi diavolo sia, quindi non chiedere!”
La giovane ridacchiò “Vado io ad indagare, anche se è il vostro lavoro e non il mio”
“Insolente!”
Le porte dell’ascensore si chiusero sulle risatine della ragazza, che scrollando il capo raggiunse il terzo piano. Camminò a passo lento fino alla porta dell’ufficio, trovandola chiusa. Le veneziane abbassata sulla porta a vetri così attese qualche minuto. La pazienza non era mai stata una sua dote, così bussò  un paio di volte, alzandosi sulle punte per farsi vedere oltre il vetro satinato dell’ampia vetrata.  Salutò  suo padre che, con un sorriso, le fece cenno di entrare.
Appena mise piede nella stanza avvertì un forte odore di colonia maschile e il suo sguardo cadde sulla figura seduta davanti a Caine, che subito non si voltò verso di lei, mantenendo un posa un po’ storta sulla sedia.
“Entra, Melly. Ti presento ufficialmente l’ultimo acquisto del team, anche se so che avete già avuto il piacere di incontrarvi.” La giovane chiuse la porta alle sue spalle prima di percorrere con passi leggeri la stanza, fermandosi accanto alla sedia del padre e appoggiandosi alla sua spalle.  Guardò per la prima volta il volto di  quello che sarebbe diventato suo marito “Lui è Tim Speedle, si è trasferito da poco qui, fa parte del team da un paio di settimane. Lei è una delle mie due figlie, Melrose.”
Si sporse in avanti stringendogli la mano e lui fece lo stesso, con un sorrisetto tirato.
Guardandolo, Melly confermò tutto ciò che aveva pensato di lui la prima volta che l’avbeva visto al Mojito Club: era parecchio trasandato per essere al lavoro, specialmente se si pensa che era ancora in prova. Però quella camicia sgualcita, la barba di due o tre giorni, i jeans sbiaditi gli davano…. Fascino?
Anche lui spese qualche secondo per guardare la ragazza, anche se dovette trattenersi parecchio perché aveva davanti non solo un suo superiore, ma anche il padre di quella giovane. Non voleva farsi terra bruciata attorno solo perché gradiva ciò che aveva di  fronte .
Era davvero molto carina, anche se doveva avere si e no diciotto anni: i capelli , di un rosso ramato più scuro di quello del tenente, le arrivavano appena sotto alle spalle ed erano lisci e lucidi come seta colorata. Gli occhi, di un taglio allungato, erano di un azzurro particolare, un  blu vivo unico. Fisicamente era abbastanza avvenente, proporzionata anche se alta e non eccessivamente magra.
Lì si concluse però il loro colloquio
Non si parlarono più quel giorno visto, che Horatio ricevette una chiamata ed entrambi partirono su una scena del crimine fresca. Ebbe occasione di parlare con lui  il giorno successivo, però, quando lo vide chino sul tavolo del laboratorio dei dati audio-video.
Voleva conoscerlo, quindi doveva un po’ esporsi.
“Ciao.” Esordì con semplicità, agitando una mano davanti a sé.
Si sentì incredibilmente stupida.
Speed si voltò a guardarla sorridendo appena “Hey, la figlia del tenente …. Allora è vero che praticamente vivi qui” lei arrossì vistosamente, chinando appena il viso per potersi nascondere dietro la chioma rossa.
“Eh, già…. È quasi una seconda casa.”
Lui le lanciò un’occhiatina veloce prima di avvicinarsi di poco “Mi ricordo del nostro primo incontro e del fatto che stavi studiando criminologia. Ti unirai a noi, immagino.”
“Appena finirò il liceo, mi iscriverò alla Dade University per seguire dei corsi di criminologia, sì.”
Lui rimase un istante in silenzio, pensandoci su “Posso farti una domanda un po’ indiscreta?” attese un cenno, seppur imbarazzato, prima di aggiungere “Quanti anni hai, di preciso?”
Lei alzò appena un sopracciglio indecisa se mentire o meno,  ma poi seguì i precetti cardine della vita in casa Caine: essere sempre onesti e farsi coraggio “Diciassette.”
Tutta la cordialità dell’uomo sparì in quel istante “Scherzi?”
“Perché dovrei scherzare?” iniziava a sentirsi confusa  leggermente presa in giro.
 “Ah…. Allora credo dovresti andare.” le disse sbrigativo “Ho molto da fare, qui.”
Melrose rimase spiazzata “Se avessi avuto vent’anni, avresti avuto meno da fare?” chiese quasi aggressiva, guardandolo male, ma poi sbuffò ravvivandosi i capelli all’indietro “Buon lavoro, Speedle”
‘Che nome idiota, come chi lo porta’ pensò la rossa, ma non disse nulla. Non voleva che pensasse che fosse anche infantile, anche se lei si sentiva ancora parecchio piccola da quel punto di vista.
Non riuscì ad ingoiare il rospo, lì per lì.
“Aspetta.” provò lui a scusarsi, ma lei arrivò alla porta senza guardarlo.
“Non preoccuparti, non dirò a mio padre di questa tua mossa meschina, se ti preoccupa!” Detto ciò sparì, lasciandolo solo a meditare su quel discorso.
Nessuno dei due l’aveva ancora capito perché i temi erano decisamente acerbi, ma entrambi avevano lasciato un segno forte dentro l’altro dal primo istante in cui si erano visti.
Lui era tutto ciò che ad una ragazzina come Melrose poteva interessare in un uomo, era intelligente e particolare seppur non bellissimo; lei invece era tutto ciò che Speed aveva sempre cercato in una ragazza, anche se non lo sapeva….
Caparbia, determinata e vera.
 
***
 
 
July 11 2013
Laboratorio della Scientifica
Las Vegas, Nevada

Ore 00.24


 
Ronald Everett era piuttosto popolare in città, non solo perché tutti erano consapevoli di quanto quell’uomo fosse ricco, ma anche per la sua linea dura, che era solito tenere con i dipendenti. Per questo, quando lo videro entrare nell’area adibita ai laboratori della scientifica con un cartellino da visitatore appuntato al petto che pareva strappato con la violenza, nessuno gli impedì di passare nonostante quella fosse un’area off limit per chiunque non lavorasse lì.
Di aspetto non pareva molto minaccioso, sembrava un mite sessantenne vestito di tutto punto, ma in realtà era un vero  squalo, e questa ferocia gliela si leggeva negli occhi di un azzurro unico e raro.
Come quelli di Harper
“Dove è Catherine Willows?!” chiese con prepotenza ad Archie, affacciandosi alla porta del suo laboratorio “E allora, bel cinesino?! Ti conviene sbrigarti a dirmelo oppure potresti diventare un mite afroamericano!”
Archie scattò il piedi, ignorando del tutto il computer e disse “Scusi, signor Everett, ma Caterine non lavora più qui! Mi segua, per favore, la porto dal capo in carica.” lo precedette fino all’ufficio del supervisore del turno di notte e li prese a bussare “Russel? È arrivato il signor Everett e lui….”
“Lui è veramente incazzato” disse l’uomo andando alla scrivania “Che diavolo è successo a mia figlia? Dov’è quel coglione di Sanders?!”
“Signor Everett, io sono D.B. Russel.” Disse il capo, superando Finlay che, seduta davanti alla sua scrivania, fissava l’uomo entrato come una furia. Allungò la mano verso il padre naturale di Harper, che la strinse sbrigativo “Mi dispiace conoscerla in queste circostanza”
“Un’occasione vale l’altra, per quel che importa” rispose burbero Everett, ““Signor Russel veniamo al sodo, cosa diavolo state aspettando a dirmi la somma?”
Finn scambiò uno sguardo con D.B., prima di domandare  “Quale  Somma?”
L’uomo davanti a loro sbuffò contrariato. “La somma del riscatto!” disse, come se fosse palesemente ovvio ““È evidente che chi ha preso mia figlia vuole qualcosa in cambio per poterla rilasciare!”
Il supervisore sospirò “Non sappiamo in effetti quale sia il suo interesse verso Harper. Non abbiamo trovato nulla che possa riportare ad un rapimento allo scopo di arricchirsi.”
“Non avete trovato…. Nulla?”
Finlay riprese la parola, alzandosi in piedi. “Il caso è ancora aperto, non credo che dovremmo parlarne con lei.”
Per risposta. Everett ridacchiò sotto i baffi, andò verso la porta solo per chiuderla e poi tornò verso i due agenti.
“Coraggio, scienzatelli da quattro soldi, sono tutto orecchi.”
 
 
 
La saletta comune era immersa nel silenzio più totale, nonostante fosse piena di persone. Morgan sembrava parecchio  intenta a torturarsi una ciocca bionda con le dita tremolanti e smise solo quando David le passò una tazza di caffè caldo, che accetto di buon grado prima di lanciare un’occhiata preoccupata a Brass che sedeva su una sedia del tavolo, mentre anche Henry e Robbins li raggiungevano  in attesa di notizie.
“Mi dispiace Greg” sussurrò il coroner a Sanders, mentre si sedeva accanto a lui stringendo fra le mani la stampella.
“Grazie doc…. Grazie davvero a tutti per essere qui anche se-”
“Dio sei così inutile che mi chiedo che diavolo ci fai al mondo!” Ronald entrò nella sala con passo veloce, facendo sussultare il genero che poi però gemette appena “Ma cosa diavolo stavi facendo mentre rapivano mia figlia? I colpi biondi ai capelli?! Stavi per caso sbattendoti un’altra collega?!”
“Signor Everett, posso capire che ora lei sia turbato” provò a dire Nick con tatto, nel vano tentativo di spalleggiare l’amico. Morgan portò una mano al viso, sentendosi molto fuori posto quando l’uomo d’affari la fulminò con lo sguardo “Ma ora qui stiamo provando a risolvere questa situazione incresciosa…. Anche Greg, che tra l’altro è quello più toccato, tiene duro e lavora per trovare Harper.”
“Eh, certo” disse ironico l’uomo “Dopo aver causato questo casino prova a porvi rimedio…. Come sempre, vero Sanders?”
“Signor Everett la prego di sedersi e smetterla, o dovrò chiederle di lasciare lo stabile” lo ammonì con voce severa Robbins.
Questi sbuffò una risata sarcastica, prima di passare un bigliettino da visita a Russel, che insieme a Finn lo avevano seguito. “Voglio sapere qualsiasi cosa succederà, ogni pelo e ogni fibra che analizzerete. Mettetevi al lavoro, grandi investigatori. Se mia figlia non torna a casa, avrete meno finanziamenti per i vostri esperimenti da piccolo chimico!”
Girò sui tacchi, lasciando la stanza.
Greg lo seguì oltre le vetrate, mentre Nick appoggiava una mano sulla sua spalla “Non ascoltarlo, Greggo. Non gli sei mai andato a genio e non cambierà di certo idea ora…”  si interruppe bruscamente, quando vide l’amico scattare in piedi, guardando il punto in cui Ronald si era fermato a parlare con qualcuno. Quando riprese a camminare, tutti notarono una bella donna sulla cinquantina che camminava verso di loro tenendo per mano una bambina con i capelli chiari e lo sguardo assonato.
Hodges aprì loro la porta, mentre Greg si avvicinava veloce a sua figlia.
“Heather, grazie per essere venuta.” Disse Sanders, mentre la piccola si avvicinava, abbracciandolo in vita e facendo cadere la copertina rosa che teneva sulle spalle.
Greg si chiese come avrebbe fatto a dirglielo, dopotutto aveva solo otto anni.
“Cosa sta succedendo? Dov’è Harper?” domandò la donna con l’ansia nella voce.
Lui si morse il labbro, sussurrando a voce bassa “Io…. Non lo so.”
Russel vide la bambina alzare gli occhi su di loro, così si chinò davanti a lei, cercando di suonare allegro “Hey Bree.” Le sorrise, accarezzandole piano i capelli biondi, mentre lei portava una mano agli occhio stanchi “Hai sonno, vero?”
“Voglio la mamma.” Disse la piccola guardando il supervisore, confusa “Dovevo aspettarla a casa, ma non è tornata per potarmi a scuola. Quando torna?” domandò, con tono sempre più vicino alle lacrime, per la stanchezza e la frustrazione di non capire cosa stesse succedendo
Greg si chinò a sua volta e sorrise alla piccola, come meglio riuscì“Presto amore” le disse, prendendola a sé e stringendola “ Adesso papà la cerca…”
Russel guardò  Morgan, alla sinistra di Sanders, chiedendosi a cosa stesse pensando, sembrava quasi che si sentisse in colpa per qualcosa “Morgan, dimmi che tu hai qualcosa.”
Lei trasalì, allontanando qualsiasi pensiero si fosse cristallizzato nella sua mente “Si, ho analizzato l’orma di un battistrada. Non sono stati poi così precisi alla fine, uscendo hanno inoltre sbattuto contro quel cassonetto lasciando un po’ di vernice nera contro alla lamiera metallica. Hodges ha già analizzato tutto.”
“Dovete cercare un Fiorino” disse il tecnico “Un modello della Fiat, marca italiana. Non troppo grande,  non avrà dato nell’occhio.”
Il supervisore sospirò “Invece sono stati davvero precisi. Ci hanno presi in giro molto bene.”
“Speriamo che Sara abbia trovato qualcosa sugli effetti personali di Harper” disse Nick, sconsolato “Io ho fatto un buco nell’acqua con i testimoni.”
“Nessuno ha visto ne sentito nulla” aggiunse Brass, senza entusiasmo.
“Va bene, allora aspettiamo Sara. Passatemi del caffè.”
Hodges scattò, preparando una tazza anche per il supervisore, che lanciò uno sguardo a Greg, che teneva in braccio un’assonnata Aubree mentre parlava sottovoce con Heather, consolando e cercando un po’ di consolazione a sua volta.
Finlay lo precedette di nuovo, dando voce anche ai suoi pensieri “Dovresti andare a casa e stare con tua figlia, Greg. Qui ci siamo noi.”
“No, voglio partecipare all’indagine” rispose senza troppi giri di parole Sanders, non notando lo sguardo d’approvazione negli occhi di Lady Haether nel sentirlo parlare così determinato  “e voglio che loro due stiano per un po’ con noi, in laboratorio, almeno per stanotte. Possono rimanere qui in saletta, magari dormire sui divanetti, ma  devo sentire Aubree vicina a me, al sicuro.” disse lui appoggiando in terra la bimba e chinandosi per guardarla in viso  “Amore, adesso papà deve lavorare, ok? Prometti di fare la brava e rimanere qui, senza toccare nulla?” Lei annuì sporgendosi per dargli un bacio sulla guancia e poi lui si rialzò tenendole la mano,  mentre ai colleghi del ragazzo si stringeva il cuore “Bene. Vediamo di fare qualcosa di concreto…. Analizziamo tutto, anche per tre volte di seguito…. Non ho intenzione di aspettare che siano loro a contattarci”
Sara apparve in quel momento, sospirando contrita.
Dietro di lei, Archie aveva la stessa espressione.
Non tornavano a mani vuote, ma le loro notizie non erano buone.
 
 
 
 
 
July, 12 2013.
Upper East Side– Manhattan (New York).
Ore 03.42 pm.
 
 
 
 
Quando Flack aprì gli occhi lo fece, fondamentalmente,  per due motivi.
Numero uno, sentiva qualcuno che lo chiamava insistentemente ‘Signore’ e la cosa iniziava ad alterarlo, e non poco.
Numero due, il suo cellulare suonava in modo a dir poco insopportabile.
Provò ad alzarsi, ma la testa gli doleva moltissimo e, alzando gli occhi, si accorse che c’era una donna giovane, sulla trentina al massimo,  che gli teneva premuto quello che pareva uno straccio pieno di ghiaccio sulla nuca.
“No, stia fermo!” disse mentre accanto a lei un uomo della stessa età che osservava la scena con gli occhi sgranati, “Abbiamo chiamato un ambulanza, dovrebbe arrivare a momenti! Ha una brutta ferita alla testa e poi-”
“Andrea….” Riuscì solamente a dire Don, mentre facendo leva sulle braccia alzava almeno il busto per guardarsi attorno. O almeno tentare di mettere a fuoco “Dove… Andrea?!”
La donna lo guardò preoccupata “Non c’è nessun altro qui.”
In un lampo, il ricordo di ciò che era successo si fece dolorosamente strada nella memoria di Don e a quel punto nulla gli impedì di alzarsi a sedere, portando una mano a sostituire quella della donna sulla sua nuca.
A nulla servirono le preghiere affinchè rimanesse steso, prese il cellulare in mano, rispondendo ad una nuova chiamata –Flack ma dove cazzo sei?! Mi sto ancora riprendendo da una sbronza epocale e da due ore di sonno e mi hanno chiamato! Non posso anche stare a cercare te che…-
“Danny, ascoltami bene.” disse il moro nel panico, continuando a guardarsi attorno “Ero con Andy, sotto casa sua. E poi lei…. Danny l’hanno presa!”
Il biondo, dall’altra parte del telefono, si drizzò seduto nel divanetto della saletta comune,  lentamente, sotto lo sguardo stranito di Lindsay -Cosa? In che senso…. Flack, chi ha preso Andrea?!-
Jo, che stava versando del caffè in una tazza, ancora stravolta dalla mancanza del sonno, parve svegliarsi di colpo.
Do, nel frattempo, era riuscito ad alzarsi in piedi con l’aiuto del uomo che l’aveva soccorso, e aveva iniziato a camminare lentamente, con la sola paura ad evitargli di crollare di nuovo a terra “Due uomini…. Uno è qui steso a terra.” Da dietro ad una pila di scatoloni da imballaggio lasciati lì per la raccolta della spazzatura,  spuntavano le gambe di un uomo e appena la donna se ne accorse si pietrificò, prendendo per mano il marito “Danny ci hanno teso un agguato e l’hanno portata via dopo avermi steso! Mi sono svegliato ora e di lei nemmeno l’ombra!”
-Chiamo Mac e corriamo lì! Ma tu come stai?! Sei ferito?!-
“Una brutta botta in testa, ma sto bene! Dobbiamo trovare Andy!”
-Arriviamo Don, non fare nulla di stupido e non muoverti-
Il detective mise il cellulare in tasca rivolgendosi poi ai suoi soccorritori, “Sono un poliziotto” li rassicurò, facendoli sospirare sollevati “Ora mi occorre che voi rimaniate qui per dare una deposizione…. Io devo tracciare la scena. Devo impedire che qualcuno la contamini e poi….”
Era nel panico più totale, tanto che anche i due se ne accorsero e subito la donna gli fu di nuovo accanto facendolo sedere sulle scale che conducevano all’ingresso del palazzo“Brent” chiamò poi il marito “Vai a cercare una bottiglia d’acqua”
Questi annuì, partendo con passo spedito  dopo aver lanciato un ultimo sguardo all’uomo a terra, evidentemente morto “Non si muova, agente. Potrebbe avere in corso una commozione cerebrale….”
“Grazie mille signora…? Ma non importa, sto benissimo”
Lei però non gli diede retta, controllandogli gli occhi e poi la ferita, spostando un paio di ciuffi di capelli neri striati d’argento “Mi chiami pure Susan, o dottoressa Elias.”
Flack rimase sorpreso “Un dottore”
“Sì, è fortunato, agente”
Don strinse fra le mani il tessuto lucido dei pantaloni mentre con la testa era tornato di nuovo  all’aggressione. A quando gliela avevano strappata via…
“No, non lo sono affatto.”

 
Continua.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Parte Prima, Capitolo Terzo: I was in the dark, I was falling hard with an open heart. ***


Note di inizio Capitolo:
So che ci ho messo un po’ ad aggiornare, ma intanto la storia non sembra suscitare interesse alcuno.
Continuo a pubblicarla perché ci tengo, è studiata nel dettaglio e voglio che venga letta anche solo da una persona.
 
Una piccola libertà che mi prendo è quella di affermare che se tutti commentassero quello che leggono sempre, allora non esisterebbero fandom morti.
Tipo questo.
 
Spero di non essermi attirata l’odio di nessuno, ho semplicemente esternato qualcosa che penso sul serio, il giorno del mio compleanno.
Non credo nemmeno di essere la sola a pensarlo.
Detto questo, Buona lettura a tutti.
Se qualche anima buona deciderà di recensire, mi farà felice.
 
Jessy
 



 
 
 
 
 
 
 
 
Yeah, I was in the dark
I was falling hard
With an open heart
I'm wide awake

( http://www.youtube.com/watch?v=qr7WtDRWPlQ )
 
 
 
 

Parte Prima: To Drown 
Capitolo Terzo. 
 
 
Cinque anni e mezzo prima
  New York City
Trinity Hospital.
 
Andrea sospettava di essere una sorta di predestinata, visto che si trovava sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Si trovava spesso in situazioni allarmanti, tanto da iniziare a chiedersi se la sfortuna la seguisse come una piccola nuvola grigia personale; A tre anni si era persa al centro di Newark, città poco raccomandabile nel Jersey, e si era imbattuta in un ritrovo per tossicodipendenti. Era tornata alla madre illesa tre giorni dopo, accompagnata da una ragazza madre che poi aveva accettato di disintossicarsi.
A dodici anni era rimasta coinvolta in un incidente stradale di portata planetaria mentre tornava a casa in autobus e, seppur illesa, aveva fatto di nuovo morire di paura i suoi genitori.
A quattordici anni la prima di una lunga serie di sparatorie, in un centro commerciale della sua città natale, Hoboken.
A diciassette, mentre camminava con suo padre, un poliziotto dislocato sempre in New Jersey, era rimasta coinvolta nell’esplosione di una cisterna che era costata al padre un orecchio e quindi la carriera nel dipartimento.
E poi questo…
Aveva preso ad indossare la divisa della polizia di New York da nemmeno un mese quando l’agente Angell ci lasciò le penne, durante un turno di servizio.
Con  lei  presente.
Seduta al bancone del bar, mescolava distrattamente un caffè, quando venne raggiunta dalla detective. Sembrava particolarmente di buon umore “Agente di Maio, anche tu qui?”
Lei forzò un sorriso “Inizia il turno tra un’ora, detective.” Disse con rispetto, verso ad un suo superiore.
 “Sei fortunata, io a dirla tutta oggi faccio la balia.” disse facendo un cenno a un trio di uomini, che stavano giusto ordinando la consumazione “Non mi  è mai piaciuto tenere d’occhio uomini grandi e grossi quando per le strade ci sono persone che davvero ne hanno bisogno…”
“Capisco” rispose semplicemente la morettina, scrollando le spalle “Posso offrirle un caffè?” domandò poi con un sorrisetto nervoso.
L’altra capendo il disagio scosse appena il capo “Stavolta passo, ora se vuoi scusarmi un secondo…” prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, voltando le spalle alla collega per comporre velocemente il numero di Flack.
Andy dal canto suo rimase in disparte, con gli occhi fissi su quel caffè che ormai si stava raffreddando, chiedendosi come fosse possibile odiare una persona accomodante e gentile come Jessica Angell, solo perché era innamorata dell’uomo che anche Andrea anelava.
Aveva lavorato un paio di volte con Flack, lo aveva conosciuto un po’ meglio una sera, quando a caso chiuso si era ritrovata a compilare un rapporto senza la minima idea di dove iniziare. Lui si era offerto di aiutarla, ed era stata la fine.
 Non era più il suo eroe, l’uomo che l’aveva salvata dall’inferno.
Quel uomo, che aveva tanto desiderato di conoscere meglio, le era piaciuto non  solo dal punto di vista estetico. Si era anche rivelato davvero intelligente e stimolante.
Sembrava perfetto, insomma.
Peccato che fosse non sono più grande di lei di più di dieci anni, ma anche preso di una donna bellissima.
E Andrea non era mai stata una ragazza a cui piacere fare i capricci, o con la forza di imporsi sul piano caratteriale,  quindi aveva rinunciato in partenza….
Alzò gli occhi dalla tazzina solo per incontrarli con quelli vitrei di una Madonna, posta sul mobile dietro al bancone e per, un istante,  la pregò di darle anche solo una minima chance.
Non voleva nulla se non una possibilità di poter mostrare a Flack quanto anche lei potesse essere interessante. Voleva solo rendergli indietro almeno in parte, quello che lei stessa aveva ricevuto.
Nonostante lui non l’avesse nemmeno riconosciuta il suo primo giorno, al contrario di Danny Messer.
Per lui, lei era solo una matricola. Un agente come molti altri.
Non fece in tempo a cancellare questo pensiero, che un fragore fortissimo la fece sobbalzare. Dietro di lei, un camion aveva appena sfondato la facciata del piccolo Bar ed era entrato in esso buttandone giù una parte. Andrea si alzò di scatto e con un piede si spinse dietro al bancone proprio mentre una scarica di proiettili, provenienti da quella che poteva essere solo una mitraglietta automatica o semiautomatica,  si abbatteva su di esso. Rimase ferma mentre i colpi rimbombavano e appena si stopparono decise di agire. Fece appena in tempo a estrarre la pistola dalla fondina e ad alzarsi per fare fuoco che l’uomo misterioso che aveva sparato stava già dandosela a gambe.
Sparò verso l’uomo, sperando di colpirne le gambe per fermarlo, ma lui fu davvero veloce.
“Fermo! Polizia di New York!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola facendo il giro del bancone per inseguirlo, ma qualcosa attirò la sua attenzione. A terra, stesa in una pozza di sangue vermiglio che sempre più si allargava, giaceva il detective Angell “No…. Jess?! Jess mi senti?!” le chiese, inginocchiandosi accanto a lei “Jess resisti….” Prese  la radio “Centrale, qui agente di Maio, matricola 91727. C’è appena stata una sparatoria al Bar Direction, nell’angolo tra la ventisettesima e la Industrial! Mandate immediatamente soccorsi, agente a terra, ripeto, agente a terra!” lasciò cadere la radio lungo il petto, mentre dalla centrale confermavano di aver ricevuto “Jess, ascoltami. Stanno arrivando, quindi resisti, va bene?” lasciò vagare lo sguardo sul corpo del superiore, sino alla ferita che aveva sul fianco. Alzò leggermente la camicia, guardando il foro del proiettile vomitare sangue “Oh cristo…” appoggiò le mani   su di essa premendo con forza, ma quel flusso non pareva voler diminuire….
Da lontano, sentì le sirene della polizia ed in breve molti agenti arrivarono in suo soccorso. Compreso Flack.
Si accorse del suo arrivo solo quando la spinse via con forza, per potersi inginocchiare accanto alla fidanzata, ormai priva di sensi.
“Jess…. Oddio Jess!  Chiamate i soccorsi! Jess resta con me, ascoltami….” Lanciò uno sguardo ad Andrea carico di quello che pareva odio misto ad ansia che impietrì la giovane, poi si alzò in piedi con la donna ferita fra le braccia, sparendo velocemente dalla scena del crimine.
Un agente la aiutò da sedersi su una poltroncina mentre lo sguardo vitreo della giovane restava fisso sulla mano ricoperta di sangue di Angel.
“Buon Dio…. Andrea!” la giovane alzò gli occhi su Danny, che avanzava preoccupato verso di lei “Come ti senti?! Sei ferita?!” lei scosse il capo “Cosa è successo?”
“Non lo so, davvero” rispose Andy con voce flebile, guardando il grosso camion nero che ancora se ne stava al centro della scena “Quel camion…. Ha sfondato la parete e un pazzo si è messo a sparare. Sembrava un AK-47, ma non ci giurerei, ero spaventata e mi sono buttata dietro al bancone, rispondendo poi al fuoco. Ho sparato cinque proiettili, in direzione dell’autocarro. Non sono riuscita a fermarlo e non l’ho seguito quando ho visto il detective Angel a terra, ferita ad un fianco.”
“Ora lei dove è?!”
“Il detective Flack l’ha portata via. Presumo in ospedale, circa quindici minuti fa.”
“Andiamo, vieni. Qui non siamo utili e potrai depositare la tua versione dopo.” la prese per un braccio, accompagnandola fino alla sua auto e poi all’ospedale. Arrivarono dentro praticamente di corsa e vennero indirizzati a terapia intensiva dove videro Don, seduto sulle panche di freddo metallo, con lo sguardo perso sulla parete davanti a se.
Ad Andy non sfuggì nulla, ne il modo morbido di tenere le mani aperte, tra le gambe dalle ginocchia aperte. Quello sguardo remissivo e smarrito, quell’enorme macchia rossa sulla camicia.
“Non promette bene…” sussurrò al biondo, mentre lo raggiungevano.
“Don…. Come sta Angel?’” chiese Danny, guardandolo preoccupato e l’altro ci mise molto a trovare la forza di rispondere.
“…. Lei…. Se n’è andata.”
Ad Andrea mancò il fiato per qualche istante mentre avvertiva Danny avvicinarsi alla parete per darvi un paio di pugni. La giovane si lasciò scivolare sulla poltroncina accanto a Flack, mentre questo smetteva di trattenersi ed iniziava a piangere lacrime amare.
Danny era incazzato nero, Don disperato…
Andrea del tutto sconvolta.
Lentamente fece scivolare la mano sotto alla camicetta della divisa d’ordinanza, toccando appena il crocifisso d’oro che la madre le aveva regalato il giorno della sua cresima e poi smettendo come ustionata dal metallo prezioso. Non poteva essere vero, non poteva essere stata la sua preghiera a…. No.
E se fosse davvero stata colpa sua?
Per una vera cattolica, quando una preghiera alla Madonna si avvera è un piccolo miracolo, un segno dell’esistenza divina e della sua infinità bontà.
Ma quello era troppo, era un abominio.
Si portò una mano alla bocca mentre una lacrima rotolava sulla sua guancia pallida, poi una seconda, una terza…
“ M-mi dispiace Don.” sussurrò singhiozzante, appoggiando una mano sul braccio del detective che annuì appena, appoggiando la sua mano su quella di Andrea. Danny si sedette dall’altra parte, appoggiando una mano sulla spalla del moro e lì attesero di poter portare il corpo di Jess a Sid.
Andrea si sentiva in colpa e si odiava, sperando in cuor suo che quello fosse solo un brutto incubo o una beffa del fato. Tornando indietro nel tempo, avrebbe convinto Jess ad accettare quel maledetto caffè, portandola poi con se dietro al bancone.
Al sicuro.
 
 
 
July 12 2013
Laboratorio della Scientifica
Las Vegas, Nevada
Ore 00.48
 
 
 “Archie, prego”
Sara si scostò, lasciando avanzare il tecnico.
Il ragazzo asiatico lanciò un’occhiata ansiosa a Greg, schiarendosi la voce“Ecco, mentre diramavo il dispaccio sulla sparizione di Harper mi sono imbattuto in un paio di comunicati simili, provenienti da New York e Miami. All’inizio non ci ho dato molto peso, ma quando ho terminato di segnalare il rapimento, ho visto che anche a questi due dipartimenti sono sparite due agenti…. Alla stessa ora di Harper. Ho chiamato Sara perché era la più vicina a me e anche lei ha capito che non poteva essere solo una coincidenza. Melrose Caine e Andrea DiMaio” aggiunse poi passando a Russel due schede “Sono sparite questa sera intorno alle sette e trenta.”
“Sì, conosco questa ragazza” disse Russel osservando attentamente il viso di una giovane ragazza con i capelli mori e grandi occhi di miele “Lavora per McTaylor , hanno parlato in videoconferenza quando hanno rapito la sua fidanzata. È un detective. ”
Nick si affacciò alla spalla del supervisore, indicando la scheda della rossa “Io conosco lei, di vista. All’ultimo convegno di scienze forensi a Dallas, ha intrattenuto un seminario sull’importanza delle interferenze nelle tracce audio video.”
“Dal cognome direi che si tratta della figlia del tenente Caine, lo conosco di fama.” Aggiunse Robbins,  tenendo le mani mollemente appoggiate al suo bastone. “Mi ricordo che Caterine mi ha parlato di un caso, qualche tempo fa, a cui hanno lavorato queste due giurisdizioni insieme al dottor Lagstone.”
Greg prese i due fogli osservandoli come se fossero due nuovi capitoli del vangelo che attestavano che Gesù adorava giocare a Squash, mentre anche Finlay li guardava, seduta accanto a lui “Ma questo potrebbe significa che le ragazze sono state prese da coloro che sono implicati in quel caso?”
Albert la guardò preoccupato, “Spero di no, sinceramente. Sono delle bestie. Costringere le ragazze a prostituirsi, diventare madri surrogato e anche, in alcuni casi, espiantare gli organi per rivenderli al mercato nero.”
Calò un silenzio teso nella stanza “Vanno contattati” disse Brass, solenne.
“Me ne occuperò io, bel lavoro Archie.” terminò Russel mentre i suoi occhi restavano fermi sulla figura di Greg, pietrificato e incapace di far qualsiasi cosa non fosse l’osservare quelle foto.
Sara lo bloccò prima che uscisse dalla stanza. “Non è tutto” disse, prendendo qualcosa dalla tasca interna del camice. Un bigliettino, imbustato come una prova “Era dentro ad una delle tasche della giacca di pelle di Harper.”
Il capo lesse attentamente, prima di schiarirsi la voce “L’essenziale è invisibile agli occhi. Non cercate chi avete perso se prima non ritrovate ciò che avete dimenticato.” Si voltò verso tutta la squadra, per poi uscire dalla stanza con passo veloce.
“Certo che sono delle belle ragazze….” Commentò Hodges, sempre più preoccupato mentre Brass prendeva il cellulare dalla tasca dei pantaloni, uscendo dalla saletta.
“Dobbiamo trovare Harper.” Decretò Nick, “ Vado a ricontrollare di nuovo la scena.”
“Vengo con te.” Si intromise Morgan “Magari troveremo qualcosa che potremmo collegare a quel bigliettino.”
Entrambi uscirono, seguiti poco dopo da David e Robbins. Prima di tornare alla sala autoptica, il vecchio coroner appoggio una mano sulla spalla di Sanders, stringendola forte.
Coloro che rimasero all’interno della saletta mantennero il silenzio.  
Greg rimase seduto al tavolo, con le mani conserte sotto al mento e lo sguardo perso sul divanetto, dove dormiva pesantemente sua figlia. Era crollata non appena si era seduta lì.
Heather era uscita con la scusa di trovare qualcosa da mangiare per i ragazzi, visto che non si sarebbero mossi dal laboratorio per molto tempo.
Nessuno aveva davvero fame, ma anche lei voleva rendersi utile.
Hodges iniziò a giocherellare con una penna, mentre Sara si versava un po’ di caffè.
Archie si sedette
Finlay stava cercando qualcosa da dire a Greg, una parola di conforto, quando il detective Moreno fece il suo ingresso nella stanza.
“Ho saputo solo ora.” Disse nervoso, attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti “Aggiornatemi, subito.”
Finlay lo guardò stranita, prima di avanzare un passo verso di lui “Non mi risulta che tu sia stato assegnato al caso, Moreno.”
L’uomo la guardò irritato “A me invece risulta che, nel caso in cui a venir rapito sia un membro del distretto, tutti hanno l’obbligo morale di mettersi in prima linea.” Replicò piccato, prima di sospirare e calmarsi.
Lanciò uno sguardo a Sanders, per poi portare le mani dietro alla testa e fare mezzo giro su se stesso.
“Ok, ora come ora è stupido tenerlo ancora nascosto.” Disse più a se stesso che agli altri.
Hodges si alzò nervosamente dalla sedia, camminando verso di lui “Vieni con me,  detective, ti aggiornerò io.”
“Fermi tutti, che sta succedendo?” chiese Sara, passando lo sguardo sui due uomini.
Greg si alzò a sua volta, serrando la mascella.
Da qualche tempo aveva notato che Moreno girava un po’ troppo attorno ad Harper; il programma di recupero per ragazzi di strada, il fatto che Harper fosse il primo agente che Moreno chiamava su ogni sua scena, quando rispondeva ad una chiamata….
Il solo fatto che avesse chiesto il trasferimento dalla Buon Costume alla Omicidi era sospetto.
Il Detective appoggiò le mani ai fianchi, fissando il pavimento per alcuni istanti, prima di decidersi a parlare “So qualcosa che forse potrebbe aiutarci con il caso.”
Finn lo guardò sorpresa “Parla, quindi!” lo esortò, non perdendosi lo sguardo nervoso che Hodges aveva lanciato al poliziotto “Si può sapere che diavolo sapete, voi due?”
“Un paio di giorni fa, di ritorno di un pranzo, ho accompagnato Harper a casa.” Spiegò il detective “Abbiamo trovato sua madre, la Signora Kessler, in preda al panico. Qualcuno era riuscito ad entrare in casa scassinando la porta d’ingresso mentre lei era fuori. Era andata a prendere Aubree a scuola.”
Greg si intromise “Harper mi ha detto che non hanno preso nulla.”
Cautamente, Moreno gli rispose “Nulla di valore. Almeno,  niente soldi o gioielli, ma hanno rubato delle foto e hanno messo a soqquadro una sola stanza…. Quella di Harper.”
“Va assolutamente controllata, allora” disse frettolosa Sara, prendendo la sua giacchetta dalla sedia e indossandola.
“Harper ha già fatto i rilievi, non trovando nulla.” le disse Moreno, mentre lei sfrecciava fuori dalla stanza.
Finlay scrollò le spalle “Tentare non nuoce. Perché non ha sporto denuncia? Se eri lì con lei, dovevi semplicemente prenderne atto tu.”
Carlos si appoggiò con i fianchi al tavolo, dando volutamente le spalle a Sanders “Non avevamo tempo e lei ha insistito per non rovinare la giornata.”
Improvvisamente, la bionda capì tutto.
Il linguaggio quasi criptato di Moreno, il comportamento di Hodges…
Peccato che non fu la sola.
Sanders fece il giro del tavolo, avvicinandosi pericolosamente al detective “Che tipo di impegni avevate? E soprattutto, perché vi siete visti a pranzo? Nessuno dei due lavora a quell’ora, mi pare.”
Moreno si prese il suo tempo, valutando i pro e i contro che sarebbero incorsi nell’affrontare quel discorso in un momento del genere. A cosa serviva tenerlo ancora nascosto? Ormai era parecchio che lui e Harper si erano separati e Greg non si era risparmiato le sue avventure. Morgan, quella ragazza trovata morta nel pianoforte…
Non era nella pozione di fare nulla e, più di qualsiasi altra cosa, non poteva impedire a Carlos di aiutarlo a trovarla.
Nessuno avrebbe potuto impedirlo.
“Usciamo insieme.” Disse quindi il detective, guardandolo diritto negli occhi “Da quattro mesi. Abbiamo festeggiato con un pranzo al Palermo e poi siamo andati a fare un giro sulla Strip.”
Greg non sapeva cosa dire. Probabilmente, non si mise ad urlare solo per non svegliare Bree “Tu mi stai dicendo che esci con mia moglie da quattro mesi?” domandò sconvolto e irritato “E me lo dici così?”
“Preferivi una raccomandata?” chiese Moreno senza risparmiarsi il sarcasmo “Harp non ha mai voluto dire nulla in dipartimento per evitare di farti stare male, mentre tu invece non ti sei risparmiato di certo di farti vedere in intimità con la figlia di Hackley, o con quella tipa, Allison Bailey, con cui ti sei rivisto prima che morisse. Tu credi che Harper non sapesse nulla? Semplicemente accettava le tue stupide uscite da ragazzino. Hai voluto tu una pausa, Sanders.”
Greg fece un passo avanti, ma Finlay si mise in mezzo, trattenendolo “Come ti permetti di parlarmi così?”
“La verità fa male, immagino.” Insistette il detective.
La bionda lo fulminò con lo sguardo “In questo momento, potresti dimostrarti più delicato.”
“Però ha ragione.” Sorprendentemente, Hodges esordì così. Con tono basso, distaccato, mentre guardava in un punto imprecisato del pavimento davanti a sé “Ora come ora, Moreno ha tanti diritti quanti ne hai tu di voler partecipare a questa indagine.”
Greg lo guardò incredulo “Non puoi pensarlo davvero.”
“Invece lo penso.” Disse secco il tecnico “E scommetto che lo pensano anche gli altri. Ti sei comportato come ti sei comportato, Greg. Accettalo.”
“Io sono il padre di Aubree” insistette Sanders.
Moreno, che non si era risparmiato nulla, esplose in una risata bassa “Eri il padre di Aubree anche mentre guardavi tua moglie impacchettare le sue cose e tornare da sua madre. Lo eri mentre sorridevi a Morgan Brody o facevi chissà cosa con Allison.”
“Quello che facevo non sono affari tuoi, Moreno.”
Il detective alzò le mani in un ironico segno di resa “Non sono affari tuoi nemmeno quello che facevo io con Harp. Io l’ho sostenuta in questi mesi, le sono stato accanto, sono stato il suo appoggio, mentre tu con il tuo menefreghismo l’hai solo ferita.” Si voltò verso Hodges “Spiegami tutto quello che sai.”
“Andiamo nel mio laboratorio…” il tecnico fece strada ed entrambi sparirono nel corridoio.
Greg si scostò bruscamente da Finlay, la quale scrollò la testa “Così era un  cuoco, eh? Harper mi ha mentito.”
“Quindi lo sapevate tutti, tu, Hodges, e nessuno mi ha detto nulla?” sbottò Sanders, al limite.
Portò le mani ai capelli, mentre la collega allungava una mano verso di lui, cercando di farlo calmare “Stasera, Harper mi ha detto che si vedeva con uno, ma mi ha mentito alludendo ad un cuoco. Non sapevo fosse Moreno e non sapevo che uscissero da così tanto.”
“Però pensi che lui abbia ragione, vero?”
Finn lo guardò determinata, dopotutto era famosa per non avere peli sulla lingua “Se lo penso? Sì, credo che Moreno abbia ragione.”
Greg sbuffò una risata senza colore “Tutto ciò è assurdo.”
“Credo inoltre che abbia ragione anche Hodges. Avete lo stesso diritto di cercarla. Starà a lei poi decidere chi è quello che ne ha più diritto di tutti.”
Greg non aggiunse altro.
Si voltò, andando a sedersi sul divano, accanto ad Aubree.
Le scostò i capelli dal viso, sentendo Finlay lasciare la stanza, chiudendosi la porta dietro alle spalle. Sapeva anche lui che avevano ragione loro.
Tutti loro.
Eppure faceva male pensare che non era più lui il bastone a cui Harper si sarebbe appoggiata nei suoi momenti peggiori.
Lo era sempre stato, infondo, per tredici anni.




 
 
Dodici anni prima
Las Vegas, Nevada.
Tribunale della Contea di Clarke
 

 
La scientifica sotto accusa.
Harper trovava tutto ciò a dir poco ridicolo “Mettiamo in pericolo le nostre vite giorno dopo giorno ed è così che ci ripaga la comunità?” chiese irritata, portandosi il caffè alle labbra e soffiandovi piano “Facendo dei controlli incrociati su di noi per vedere se ci sono dei problemi?” continuò con un certo nervosismo nella voce.
Nota che Warrick percepì subito “Oh andiamo…” le appoggiò una mano sulla spalla “Non sarai preoccupata per via di Greg, voglio sperare.”
“Se scoprono che usciamo….” Si morse le labbra “Potrebbero farci delle storie. Potrebbero addirittura trasferire uno dei due al turno di giorno per quanto ne so.” sospirò spostandosi i capelli dal viso “Tutto per colpadi Tom Haviland. Non poteva rimanersene ad Hollywood?”
“Calma. Devi stare calma.” Entrambi stavano spiando gli affari interni interrogare Archie “Quelli fiutano la pura come gli animali. Non hai nulla di cui preoccuparti, non avete mai avuto un atteggiamento sconveniente qui e al di fuori del laboratorio potete fare quello che volete.” Il ragazzo di colore la guardò apprensivo “Dicono di me cose molto peggiori. Dicono che ho contaminato le tracce di sangue”
“Ridicolo…. È tutto ridicolo. Ci riprendono per delle cazzate.” il cellulare le vibrò in tasca. Estraendolo, lesse il messaggio che Sanders le aveva appena inviato “Greg vuole parlarmi. Che faccio?”
“Vai” si limitò a dirle Brown, come se fosse la cosa più logica di tutte “Io continuo a cercare la maglia che indossavo quella sera, quella che ho buttato via come un idiota.”
Il bionda scosse il capo “Era piena del sangue della vittima dell’incidente stradale, hai fatto una cosa che avrebbe fatto chiunque, me compresa. Allora vado da Greg, e tra un’ora ci vediamo in tribunale.” Warrick la salutò con un cenno mentre lei camminava spedita per il corridoio, il rumore dei tacchi a spillo ad accompagnarla. Entrò nel laboratorio del DNA portandosi una ciocca bionda dietro all’orecchio “Mi cercavi?”Sanders alzò il viso a guardarla poi con molta calma prese una cartellina e, alzandosi la mascherina sino ad adagiarla sulla cuffia che aveva in testa, le si affiancò, mostrandole dei fogli di un caso decisamente non suo “Ma che…?”
“Fingi di leggere dei referti.” le disse indicando il foglio con di un dito guantato. Prese un attimo,  mentre Harper capiva e stava al suo gioco, poi con un sospiro disse “So che ti hanno convocata in tribunale.”
La ragazza annuì avvicinandosi di più e prendendo uno dei fogli in mano “Già.” disse continuando ad osservare la carta “Come il resto della squadra, dopotutto.” Sospirò a sua volta, prima di decidere di alzare occhi in quelli nocciola del ragazzo “Sono preoccupata.”
Lui le sorrise appena “Non dovresti.” Sentì la mano di Greg appoggiarsi sulle sue reni “Sei una bravissima criminologa e con questo tajer sei uno schianto” Lei abbassò di nuovo gli occhi sulla cartellina, riponendo il foglio “Non possono farti nulla. Nessuna prova raccolta da te ha riscontrato problemi.”
Lei parve un po’ rincuorata “Hai ragione.” sentì la mano di Greg togliersi velocemente, mentre il ragazzo si scostava da lei. Alzando gli occhi scontrò quelli indagatori di Geràrd e subito ricambiò con uno sguardo sprezzante “Non ce la faccio più” disse al ragazzo mentre l’uomo si allontanava, scarabocchiando qualcosa sulla sua cartellina  “Odio sentirmi braccata.”
“Sembriamo Romeo e Giulietta, non ti pare?” disse il ragazzo appoggiando il fascicolo. Lei annuì, mentre Caterine e Nick entravano in laboratorio, anche loro vestiti alla meglio, pronti per il tribunale.
“Noi andiamo Harper, vieni?” chiese la Willows e la ragazza subito annuì.
“Fammi l’in bocca al lupo” disse poi rivolta al ragazzo, ma lui fece di meglio.
Si guardò attorno circospetto prima di riavvicinarsi ad Harper, sotto lo sguardo attento di Caterine e un sorrisino di Stokes.
Si chinò su di lei appoggiandole le labbra ad una guancia, strappandole così un sorriso sincero “Sono certo che andrà tutto bene.”
 
Per Harper, quell’attesa, stava diventando una lunga e straziante agonia. Il primo a finire sotto torchio fu Nick, che si era dimenticato di scrivere i riferimenti del caso sotto alle foto dei dadi, non riconoscendo quello con sopra la saliva di Tom e il sangue della vittima . Perse, quindi, credibilità.
Greg l’aveva chiamata durante l’udienza di Stokes, in pena nonostante si ostinasse a confortare la Kessler –Potrei passare mentre sono in aula e poi…-
“No, è meglio di no, Greg.” la bionda sospirò “Non possiamo comprometterci di più di quello che ormai siamo già. Però apprezzo molto. Sei davvero dolcissimo.”
-Lo so- lo sentì ridacchiare e non potè impedirsi di sorridere –Allora ci vediamo qui alla fine dell’udienza. Tieni duro.-
“Come sempre. A dopo.”
Rimise il cellulare nella borsa e fece per prendere una sigaretta, quando dalla porta uscì Warrick, imbufalito. Come da previsione era andata malissimo, un po’ perché non aveva recuperato la camicia, non trovandola da nessuna parte, e un po’ perché avevano ritirato fuori la vecchia storia del gioco d’azzardo, che tra l’altro non si era ancora conclusa.
Toccò poi a Sara Sidle, alla quale furono attribuite accuse davvero pesanti, come quella che aveva chiesto lei stessa ad Hank di sistemare le prove come più piacevano a lei solo per poter compiacere Grissom.
“Se a te hanno detto questo, figurati cosa diranno a me.” Harper si sistemò la gonna, alzandosi dalla panchina sulla quale sedeva con Nick “Hank è un paramedico,  Greg il tecnico del DNA, due pesi due misure…”
La morettina la guardò risentita e senza aggiungere altro si allontanò “Cosa intendi dire alla giuria?” chiese Caterine “Che stai con Greg?”
“Ma non è vero. Noi due non stiamo insieme. Non c’è nulla di ufficiale…”
Nick la guardò attentamente e fece per dire qualcosa, ma una guardia chiamò la bionda, annunciando che era arrivato il suo momento.
“Stai tranquilla. Non rispondere con eccessiva arroganza e mantieniti fredda e distaccata.” le disse Nick, appoggiandole entrambe le mani sulle spalle “Io sarò qui ad aspettarti.” lei annuì e poi dopo aver scambiato uno sguardo con Caterine, che le accarezzò il braccio mentre passava. Entrò nella sala con lo stesso entusiasmo di un condannato in marcia sul miglio verde.
Camminò decisa fino al banco dei testimoni, giurando di dire la verità con una mano posta sulla Bibbia con fermezza.  Si sedette, cercando di mostrarsi tranquilla  davanti alla cara Margheret, avvocato di difesa di Tom.
Fredda e distaccata, ma non arrogante.
Poteva farcela.
L’avvocato scambiò qualche parola con Geràrd prima di alzarsi e avvicinarsi al microfono.
“Può per cortesia sillabare il suo nome?”
L’agente avvicinò il viso al microfono “Harper Kessler. K-E-S-S-L-E-R.” disse ringraziando di averci azzeccato con estrema facilità, visto che nervosa come era, una sola sillaba poteva sparire dalla sua memoria.
Sarebbe stato un inizio pessimo.
“Bene, signorina Kessler. Dai nostra fascicoli risulta che ha fatto un ottimo lavoro nella raccolta delle prove.” disse l’avvocato tranquillamente “Nessun errore è stato riscontrato ma…. Può per favore illustrare alla corte cosa ha raccolto e dove?”
“Certamente” Harper si schiarì la voce “Ho esaminato lo stanzino nel quale l’imputato si è recato per lavarsi le mani. Io stessa mi sono occupata del lavandino mentre la mia collega, Caterine Willows, ha raccolto le impronte dei piedi sul pavimento. Ho trovato del sangue nei condotti e quelle impronte sono andate ad attribuirsi all’imputato, alla base del lavandino.”
“Molto bene” disse con una punta di ironia Margheret “Ma non è la sola cosa che ha fatto, vero? Ha portato a far esaminare il sangue suppongo.”
Harper assottigliò gli occhi, si aspettava proprio che arrivasse a quel punto “Certamente, ed esso è risultato essere della vittima.”
“ Conosce Greg Sanders, quindi?”
“Ovviamente” disse la Kessler “Lui è il nostro esperto del DNA, molte prove raccolte sulla scena di un crimine passano per le sue mani. Non posso non conoscerlo.”
“Immagino, e mi dica, signorina Kessler…. In che rapporti si trova con il signor Sanders?” Harper rimase in silenzio qui due secondi che consentirono all’avvocato di aggiungere “Le ricordo che è sotto giuramento.”
“Questo non è affatto un problema” ribeccò Harper, cercando di mantenersi calma “Tra me e il signor Sanders ci sono stati diversi incontri, al di fuori dell’ambito lavorativo. Durante i turni di servizio, ci siamo sempre e solo limitati a svolgere il nostro lavoro al meglio. Questo lo può testimoniare chiunque all’interno del laboratorio.”
“Non ha risposto alla domanda.” dichiarò l’avvocato.
“Invece sì.”
“No, la sua risposta lascia più di una persona confusa.” Le lanciò uno sguardo a dir poco penetrante “Stiamo parlando di uscite in amicizia, o qualcosa di più…. Intimo?”
“Mi sta chiedendo se sono andata a letto con Greg Sanders?” eccola, la sua solita grinta che emergeva dirompete “La risposta ‘chiara’, così che tutti possano comprenderla,  è sì e ora le spiegherò anche i motivi: quando ho un caso aperto io passo 17 ore al giorno in laboratorio, qualche volta si sfiorano le venti se ci sono dei casi di spessore e comunque non sono quasi mai meno di 12, se poi non si contano i numerosi doppi turni. Vivo lì, non ho mai il tempo di vedere la mia famiglia, figurarsi avere una relazione minimamente stabile.” Si interruppe vedendo che tutti pendevano dalle sue labbra “Io lavoro molto bene, lo ha detto lei stessa che non avete potuto trovare alcuna prova della mia negligenza. Se svolgo bene il mio lavoro penso di aver diritto ad andare a letto con chi più mi aggrada, al di fuori del orario di lavoro.”
“Certo, la sua vita privata è, in quanto tale, solo affar suo.” si sbrigò a dire l’avvocato “Ma non crede possa essere controproducente avere una storia con un collega che, come lei stessa ha detto, ha un ruolo così centrale all’interno del laboratorio?”
“E chi ha parlato di una storia? Sono confusa.” disse sprezzante la bionda, convinta di averla fatta franca. Ma si sbagliava perché l’avvocato sapeva essere molto più stronza di lei.
“Ok. Le faccio l’ultima domanda…. Non prova nulla per il signor Sanders quindi?”
Ad Harper si bloccò il fiato in gola “Non vedo l’utilità della domanda.” disse poi rivolta al giudice che però l’esortò a rispondere, decidendo che quella domanda poteva chiarire meglio alcuni punti. Che punti poi? Che importanza poteva avere?  “Sì, provo qualcosa.”
“Quindi afferma di andare a letto col signor Sanders, di provare qualcosa per lui…. ma non avete una storia?”
Harper si trovava davvero posta in una condizione di totale insicurezza e confusione, così decise di essere totalmente sincera “Non lo so. La storia è troppo complicata. Di certo, non è qualcosa di inerente a questo caso. Greg non ha manomesso nessuna prova per me e questo potete verificarlo facendo ricontrollare i campioni di sangue in un altro lavorato. ”
Margheret sorrise compiaciuta, nonostante la zelante risposta di Harper “Ovviamente, possiamo farlo, ma il punto qui è un altro.” Dandole le spalle, si rivolse ai giurati, convinta di aver fatto centro. “Membri della giuria, possiamo far affidamento sull’interpretazione di una persona che non ha chiari nemmeno  i suoi pensieri sulla sua vita privata?”
 
Seduta sulla panchina, davanti al suo armadietto aperto, Harper non resistette più.
Sfogò tutta la sua frustrazione, lasciando che le lacrime le scendessero dagli occhi mentre stringeva fra le mani la stoffa liscia della gonna nera. Greg la vide passando di lì, di spalle rispetto alla porta “Nick mi ha detto che eravate tornati e che non è andata benissimo” disse avvicinandosi alla ragazza che non si mosse, tenendo incassato il collo nelle spalle e i capelli sciolti davanti al viso “Vuoi raccontarmi cosa ti hanno chiesto?” le chiese dolcemente, appoggiandole una mano alla spalla che a quel contatto sussultò. Greg allora le andò davanti,  sedendosi accanto a lei e spostandole via i capelli “Harp, ma stai piangendo?” chiese stupito, vedendo il viso delle giovane arrossato dalle lacrime. Lei non rispose, limitandosi a strizzare gli occhi, mentre un leggero tremolio le si diffondeva per tutto il corpo.
Un braccio  del ragazzo le passò attorno alle spalle mentre la attirava a sé, appoggiandola al petto. Con l’altra mano prese la sua, intrecciando le dita con quelle di Harper.
Rimase quasi sconvolto da quella visione.
Harper non piangeva praticamente mai. L’aveva vista commuoversi per qualche caso particolarmente ostico, ma mai piangere così disperatamente.
Sembrava distrutta e questo lo feriva più di ogni altra cosa.
“N-non è giusto” disse a fatica, mentre non riusciva ad impedirsi di piangere “Io lavoro duro e questo è quello che ri-ricevo in cambio?!”
“Shh…. È tutto ok.” le appoggio un bacio sulla fronte, continuando a stringerla a sé.
Harper non si sforzò nemmeno di controllare che qualcuno potesse vederli quando alzò il capo verso Greg, scontrando le sue labbra e accarezzandole dolcemente in un bacio.
Aveva bisogno di sentire che quello che stava facendo non era sbagliato.
Perché sapeva benissimo che non lo era affatto.
 
 
 
 
 
July 12 2013
Manhattan  (New York)
Lexigton Ave.
Ore 01.12 am.
 
 
Sheldon alzò gli occhi dal cadavere e li puntò al cielo, come se da esso potesse mai venire qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse condurli immediatamente da Andrea.
Il tempo scorreva e loro non riuscivano ad esaminare la scena come solito per diversi motivi, primo fra tutti, di Sid non si vedeva nemmeno l’ombra.
“Non possiamo spostare il cadavere fino a che il coroner non arriva.” Disse il ragazzo di colore rivolto a Danny, appena colse quel suo sguardo che sembrava voler buttare tutto all’aria  “Voi? Scoperto qualcosa?”
Il biondo sospirò sconsolato “Se non fosse che hanno perso un uomo, conferirei a questi criminali il premio di ‘migliore rapimento dell’anni’. Sono stati velocissimi, silenziosi e meticolosi nonostante gli spari e non si sa come hanno portato via Andy dalla strada, visto che eccetto i colpi di arma da fuoco, nessuno ha sentito o visto nulla. Ne furgoni, ne un’auto.”
“Nessuna idea?”
“Ho appena controllato qui attorno tutte le banche, uffici e negozi che utilizzano videocamere di sorveglianza, chiedendo al detective Lovato di far alzare tutti dalle brande e ottenere i filmati di stasera” disse Lidsay avvicinandosi, accaldata dalla corsa “Corro in laboratorio con Adam e iniziamo a visionarli, appena arriveranno.”
“Io porto i bossoli alla balistica” disse Jo, mostrando loro delle bustina di plastica contenente le preziose prove “La pistola non è ne quella di Flack ne quella di Andrea, sembra una calibro 45. Controllando nell’IBIS, forse riusciamo a risalire ad un nome”
“Don come sta?” chiese Adam al biondo, che scosse piano il capo prima di voltarsi. A pochi metri da loro, su una panchina, sedevano Flack e Mac, il primo con il capo chino e una mano appoggiata alla nuca, per tamponare il sangue nonostante esso avesse finito di scorrere. Taylor invece gli parlava piano, come a voler creare una sorta di zona privata e intima, tra loro due.
Insieme, tentavano di ricostruire quella scena ancora e ancora, per non perdere nemmeno un piccolo dettaglio.
“Quanti erano precisamente?”
“Tre, Mac” rispose il moro sospirando “Tre figli di puttana. Sono usciti dal nulla…. Hanno messo quella fottuta deviazione e noi ci siamo cascati come due novellini.”
Mac aggrottò le sopracciglia “Deviazione?”
“Sulla strada principale. Se no perché pensi che avrei lasciato l’auto sulla 73th?”
“Non saprei ma sulla via principale non c’è nessuna deviazione.”
Flack alzò il capo di scatto, pentendosene non appena avvertì una fitta forte “Devono averla rimossa, perché prima c’era. Ne sono certo.”
“Come erano questi uomini? Li hai visti bene?”
Don annuì “Non portavano maschere o altro, ma erano professionisti, Mac. Non degli stupidi qualsiasi. Sapevano il fatto loro….”
Il cellulare del supervisore prese a vibrare e appena gettò un’occhiata allo schermo, non riconobbe il numero. Non capì nemmeno da che Stato fosse partita, ma sicuramente non da New York.
Ignorò volutamente la chiamata, decidendo di richiamare non appena finito di occuparsi di Flack. Fece mente locale “Anche se so che servirà a poco, perché i professionisti spesso sono irrintracciabili, vorrei che tu ci fornissi un identikit dei due uomini che sono scappati. Hai ucciso tu il terzo?”
Il moro scosse il capo “Andrea…. Lei lo ha disarmato e poi gli ha sparato.”
“Perché poi ha lasciato andare la pistola?”
“Perché un’altra era puntata alla mia testa. Dopo ho sentito solo uno di loro dire che dovevano sbrigarsi e quello accanto a me mi ha colpito alla nuca facendomi perdere i sensi. Da li un buco nero…”
L’agente gli diede una pacca sulla spalla “Andrà tutto bene Don, la troveremo”
“Mac è colpa mia, io non sono stato in grado di-”
“Non dire sciocchezze” Taylor si accorse di esser stato un po’ duro così addolcì il tono “Tu hai fatto il possibile”
Sentì il cellulare che riprendeva a farsi sentire così si alzò e con garbo chiese a Flack di aspettare un istante, prima di allontanarsi di qualche passo.
“Taylor.”
-Buonasera, detective Taylor- la voce profonda di un uomo  arrivò pacata, vagamente pragmatica.
“Scusi se devo essere brusco” mise le mani avanti l’agente newyorkese “Ma sono oberato di lavoro e chiunque lei sia-”
-Anche a lei manca un agente, sbaglio?-
Taylor si irrigidì un istante soppesando la frase attentamente. Forse aveva in linea uno dei rapitori.
Con un gesto della mano, richiamò l’attenzione della sua squadra, indicando poi il cellulare. Danny fu il primo a capire, allertando Adam che subito prese il portatile dalla sua auto.
“Potrebbe darsi.” Rispose cauto Mac “Con chi sto parlando, tanto per iniziare?”
-D. B. Russel.- si identificò subito l’uomo, stupendolo –Sono il supervisore del turno di notte, scientifica di Las Vegas-
Quelle parole lasciarono Taylor ancor più interdetto “La scientifica di Las Vegas?” domandò senza capire.
-Harper Kessler, uno dei miei agenti,  è sparita stasera intorno alle sette e mezzo, sulla scena del crimine a cui stava lavorando con altri due suoi colleghi. Nessuna impronta o altre tracce da parte del rapitore, o dai rapitori. Sappiamo solo l’ha dovuta senz’altro sedare per portarla via, visto che Harper è una combattente. Non sappiamo altro…. Il biglietto trovato nella giacca di Harper era pulito da impronte e altro, immagino che ne abbia ricevuto uno anche tu, sicuramente con una frase del Piccolo Principe sopra.-
Mac ascoltò attentamente ogni singola parola, facendo cenno ad Adam di controllare “Come faccio a sapere che siete davvero della scientifica di Las Vegas?” domandò scandendo per bene.
Il ragazzo si mise subito al lavoro.
-Ti basterà tracciare il numero, non credi?-
Mac dovette attendere pochi secondi.
Adam alzò un pollice, confermando che stava davvero parlando con un collega.
“Buonasera, Russel, mi dispiace fare la sua conoscenza in questa circostanza.”
-Per favore, chiamami D.B. Io mi sono preso confidenza senza nemmeno chiederla, ma ora come ora ho altro per la testa.-
Ma tirò un sorrisetto teso,”E sia, D.B. Tornando al discorso di prima… Il bigliettino, con la frase del Piccolo Principe…. L’avevano messo in tasca a Flack, il nostro detective che era con la giovane poliziotta che hanno rapito qui a New York.  Stesso modus operandi, anche noi non abbiamo testimoni.  Sono fuggiti senza essere visti, nonostante questa non sia di certo una città deserta.  Abbiamo di meglio, forse: bossoli e un rapitore ci ha lasciato le panne.”
-La giovane Andrea di Maio è davvero un asso con la pistola in mano.-
“Già lo è….” Mac sorrise appena prima di sospirare “Come procediamo, Russel? Posso garantire da ora che che le prove raccolte non porteranno da nessuna parte.”
-Sicuramente. Sanno il fatto loro queste persone….- D.B. prese un respiro prima di concludere – Va avvertito anche il tenente Caine, della polizia scientifica di Miami.-
Taylor fissò pensieroso un punto a terra, vicino alle sue scarpe, prima di aver un’illuminazione “Vuoi dire che…?”
-Sua figlia, Melrose, anche lei CSI. Scommettiamo che le modalità sono le medesime?-
“Come è possibile che siano riusciti a fare tutto questo in una sola notte?” domandò senza capire Taylor “Ci penso io, a chiamare Caine. Poi che si faremo?”
-Beh, direi di fare ciò che ci è stato detto: troviamo ciò che abbiamo dimenticato e così troveremo le ragazze. Ho intenzione di mettere tutta la squadra sui vecchi casi di Harper e cercare possibili implicazioni.-
“Faremo così anche noi, poi ci riagioneremo.”
-D’accordo, buona fortuna con Caine.-
“Lui è un buon amico, ma sono certo che non gli farà poi così piacere sapere che ragazza di casino si è creato.”
-Immagino. Buona fortuna, Mac.-
“Anche a te,D.B”
Mac chiuse la chiamata, andando nella rubrica e sfogliandola prima di trovare il numero del collega di Miami.
“Mac, che succede?” chiese Flack, senza capire..
L’altro gli battè la mano sulla spalla “Ho una chiamata fondamentale da fare. Tu vai a casa a prepararti, datti una risistemata e di anche a Danny e gli altri di farlo...”
“Prepararmi per cosa?”
“Ricontrolleremo ogni caso, ogni rapporto e ogni virgola del lavoro di Andrea, da cinque anni e mezzo a questa parte.”
 

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Capitolo 7
*** Parte Prima, Capitolo Quarto: Lovers hold on to everything ***





But something tells me I'm not alone
But lovers hold on to everything
And lovers hold on to anything
I chased your love around a figure 8
I need you more than I can take
You promised forever and a day
And then you take it all away
http://www.youtube.com/watch?v=rNpBahr49mA )


Parte Prima: To Drown 
Capitolo Quarto. 
 
 
 
 
 
Dodici anni prima,
Contea di Miami Dade.
Casa Caine.
 
Melrose entrò nella sua stanza lentamente, guardandosi attorno prima di sospirare e sorridere. Stringeva fra le mani un foglio di carta che valeva molto di più di qualsiasi pezzo da cento dollari, valeva anni di sudore, sacrifici, impegno….
Appoggiò quel foglio, ancora arrotolato e sigillato da un piccolo nastrino di raso rosso, e si sfilò il cappello e la toga blu, appoggiandoli su di una sedia ordinatamente. Era difficile realizzare che ce l’aveva fatta, che aveva raggiunto quell’importante obbiettivo e che l’aveva fatto con almeno un paio di anni di anticipo rispetto al normale.
Forse perché era davvero brillante come tutti le dicevano, o forse perché essere figlia di Horatio Caine ti da già una garanzia di partenza.
Con dei geni del genere, era difficile non realizzarsi.
La sua gemella Madison era felice per lei, ma nonostante questo un po’ invidiosa. Si era laureata per prima, ma sicuramente l’avrebbe presto raggiunta.
Si sedette sul letto prendendo un quadro vuoto e il rotolo, poi stese il figlio e lo mise dentro alla cornice, osservandolo solo a lavoro ultimato.
Melrose Caine, laureata in Antropologia Forense e Scienze dell’Investigazione.
Suonava dannatamente bene, così bene che pareva irreale….
Suo padre bussò lievemente alla porta e lei gli diede il permesso di entrare con voce trillante e allegra.
“Sei pronta per uscire?” le chiese con un sorriso, sedendosi accanto a lei sul letto.
La rossa scosse piano il capo “A dire il vero, no. Contavo di cambiarmi ma…. Stavo contemplando la laurea con sguardo adorante, poi penserò a cosa fare.”
Lui ridacchiò prendendola il quadro dalle mani e osservandolo attentamente, con sguardo fiero “Suppongo che questo vada appeso al piano di sotto dove tutti possano vederla per bene. Tu cosa ne pensi?”
“Perfetto, direi.” si limitò a dire alzandosi e aprendo l’armadio, “Ora viene il difficile…. Scegliere cose mettere.”
“Penso che qualsiasi cosa andrà bene per il tuo fidanzato” sottolineò il tenente facendo sospirare pesantemente la figlia “Quando me lo presenterai?”
“Mai, visto che non ho il fidanzato.” gli rispose lei, con tono ovvio.
Lui non aggiunse altro se non un’occhiata eloquente prima di uscire, che lei però non colse perché era troppo impegnata a fingere indecisione sui vestiti. Cercare di far fesso Horatio Caine era decisamente fuori dalla sua portata, forse fuori dalle possibilità di chiunque a dirla tutta, ma lei ci provava lo stesso.
Prese il cellulare dalla borsa inviando un sms frettoloso prima di prendere un vestito bianco intero ed infilarlo velocemente. Lasciò i capelli liberi così come piacevano a lui e truccò velocemente gli occhi ceruli prima di afferrare un paio di scarpe col tacco alto e la borsa. Scese le scale velocemente fino ad arrivare in sala dove Horatio aveva già attaccato la laurea. Sorrise appena, prima di rivolgersi al rosso, seduto sul divano con un giornale fra le mani e lo sguardo attento “Papà, io esco. Non aspettarmi alzato e impedisci a Madison di mettere sottosopra camera mia.”
“Ho avuto un’illuminazione improvvisa” disse alzandosi di scatto e lasciando il giornale sul cuscino del divano, prima di afferrare gli occhiali da sole “Devo tornare alla scientifica, forse è presto per chiudere il caso Nerdarl.”
Melrose sgranò appena gli occhi “Vai al lavoro? Ora?” lui annuì “Con chi lavori al caso?”
Solo a quel punto il rosso alzò gli occhi in quelli della giovane e, improvvisamente, capì. Sorrise appena, afferrando il cellulare e componendo un numero “Con il capo e Callight….”
La ragazza, che non si era accorta di nulla sospirò “Vado o faccio tardi!” si avvicinò lasciandogli un bacio sulla guancia “Ciao papà!”
“Guida piano.”
Il rosso si portò il telefono all’orecchio, osservando la figlia uscire dal vialetto di casa in auto, dalla finestra.
-Donner-
“Megan, ci troviamo alla scientifica ora.”
-Horatio? Perché ora? Sono appena arrivata a casa e mio marito…-
“Potrei aver risolto il caso Nerdarl.”
-Perché non chiami Callight e Speedle? Ci stai lavorando con loro-
Lui sorrise appena, infilandosi gli occhiali da sole e afferrando le chiavi di casa “Callight la avverto subito. Mentre Speed non credo sia reperibile stasera….”
-Come non reperibile?!-
“Diciamo che gli ho dato libera…. La serata.”
 
Appena Tim Speedle sentì il campanello suonare si riscosse dai suoi pensieri controllando l’orologio appeso alla parete.
Si alzò con calma arrivando alla porta del suo appartamento e aprì alzando un sopracciglio “Sei in ritardo” disse, mentre si faceva da parte per permettere alla rossa di entrare. Lei scrollò le spalle, sorridendogli appena.
“Cosa vuoi che siano dieci minuti, se paragonati alla durata del universo?” gli disse appoggiando la borsa sulla poltrona, prima di voltarsi verso di lui e trovarlo subito dietro di se. Gli appoggiò entrambe le mani sul petto mentre lui appoggiava le sue sui fianchi magri della giovane “Tu sei arrivato in ritardo la sera del mio Prom. Bella guardia del corpo mi aveva affibbiato papà…”
Lui sorrise “Beh ti ho difesa tutta la sera, no?”
“Ci ho messo un anno a farmi dare un bacio, dopo quella sera, Tim. Ergo sei tremendamente in ritardo rispetto a me…”
“Ho recuperato mi pare….” Si chinò verso il viso di Melrose, appoggiando le labbra sulle sue mentre le mani scivolavano sulle reni, per permettergli di stringerla di più. Mel gli portò le braccia attorno al collo, aderendo al suo petto, ma il suono un una campanella li fece separare “Il forno.” le disse, lasciandola andare e dirigendosi verso la cucina.
“Non ci posso credere, hai davvero cucinato per me?” constatò ridacchiando la rossa, prima di prendere posto alla tavola imbandita “Wow, sono davvero stupita…. Vino invecchiato, candele…. Hai fatto le cose per bene stavolta”
“Io sono sempre serio.” le disse appoggiando un piatto al centro del tavolo e facendola ridere “Cosa c’è?”
“Hai fatto la pizza?”
“Ho scongelato una pizza, diciamo.” le disse imbarazzato, facendola ridere di più “Hey lo sai che sono una frana hai fornelli.”
Lei gli prese la mano “Sei davvero tenerissimo.” sussurrò guardandolo negli occhi “E onestamente questo è tutto quello che voglio per festeggiare la mia laurea.”
Lui sorrise di rimando, stringendole la mano prima di indicare con l’altra la pizza “Diamoci dentro prima che si raffreddi.”
Presero posto uno accanto all’altra e la giovane si perse un attimo a contemplare il tramonto sull’oceano. Poteva intravederlo da una finestra.
Poi le sovvenne qualcosa.
“Stasera potevi venire tu da me” gli disse, prendendo una fetta di pizza “Papà è andato a lavoro…”
Speed aggrottò le sopracciglia “Come mai?”
“Ha detto che ha avuto un illuminazione su quel caso… Quello della ragazza morta al Potions.”
“Il caso Nerdarl?” chiese poi, stupito, e lei annuì “Strano che non mi abbia chiamato.”
“Come mai?”
“Lavoro con lui al caso…”
La rossa sgranò appena gli occhi “Scherzi?”
“No.”
La ragazza ci pensò su un istante, prendendo un sorso di vino “Ha detto che chiamava Megan e Cally. Perché loro hanno il caso aperto con lui…”
“Beh, Megan non lavorava al caso con noi. Ne ha chiuso uno stasera.”
“Ma cosa significa allora tutto questo?”
Speed la guardò, seriamente divertito, prima di addentare la pizza.
“Che forse siamo nei guai.”
 
 
 
 
July, 12 2013.
Contea di Miami Dade
Ore  02.03 am
 
-La faccenda è grave Horatio, i tre rapimenti sembrano collegati e quanto mi dici…. Il modus operandi è lo stesso anche lì da voi a Miami.-
Caine teneva in una mano il biglietto che i rapitori avevano lasciato accanto al telefono dell’ingresso di casa di sua figlia e nell’altra sorreggeva il cellulare all’orecchio “Temo proprio che sia così, Mac. Come procediamo ora?”
-Con Russel di Las Vegas mi sono già accordato. Abbiamo pensato di ricontrollare tutti i casi delle ragazze, cercando incongruenze e magari punti in comune. Ci aggiorneremo il prima possibile, naturalmente.-
“Non mancherò di certo io…. Farò di tutto per riportare la madre a mio nipote” di alzò in piedi “Vado a dare la bella notizia alla squadra: dobbiamo esaminare dodici anni di casi.”
-A presto, Caine.-
Rimise il cellulare in tasca non appena staccata la chiamata e camminò rapidamente sino alla sala ricreativa, dove si era radunata tutta la sua squadra “Niente!” sbottò scocciato Erick buttando la cartellina sul tavolo e guardando incazzato Ryan e Walter “Come è possibile?! Avete esaminato la scena e non avete trovato niente?!”
“Nessuna arma eccetto quella di Mel, che comunque non ha fatto fuoco. Niente impronte da nessuna parte, niente tracce di alcun tipo.  Niente” rincarò Walter, irritato “Questo figlio di puttana è più pulito di un di ipocondriaco!”
“Almeno noi eravamo lì!” Ryan aggredì Delko, punto sul vivo “Tu dove diavolo eri?! Non hai sentito la chiamata dalla radio della polizia?!”
“Signori…” tutti e tre si voltarono verso Caine, zittendosi immediatamente “Nonostante la scarsità di prove…. Non siamo soli”
Ryan alzò un sopracciglio “In che senso ‘non siamo soli’, Horatio?”
“Nel senso che anche un paio di colleghe di Las Vegas e New York sono sparite.”
Callight si drizzò sulla sedia “Vuoi dire che…. Abbiamo un collegamento con loro?”
Lui annuì “Ricordate Harper Kessler? È venuta a trovarci due volte, sia con  Brown e la Willows che l’anno scorso, con Raymond Langston. Lavora a Las Vegas ed è un famoso perito Profiler.”
“Quella bella bionda, magra, alta…. Affascinante ragazza del Nevada? Come dimenticarla” sorrise furbescamente Erick, smettendo appena Caine lo fulminò con lo sguardo.
“Lei e un’altra giovane sono state sequestrate con lo stesso modus operandi e alla stessa ora di Melrose…. Dobbiamo ricontrollare ogni caso, ogni fascicolo. Se trovate anche la più piccola sbavatura o sospetto, allora segnatelo da parte. Riporteremo ogni scoperta a Las Vegas.”
“Io partirei dal caso del traffico di donne che ha riguardato tutti e tre i distretti” disse Wolfe, facendo un passo avanti “Ricordo che era una gran brutta faccenda, spero davvero che non c’entri nulla.”
“Lo spero anche io” disse Walter preoccupato, “Ricordo le foto di tutte quelle povere ragazze….”
“Vado a prendere tutto” disse Delko, facendo per uscire, ma Caine lo bloccò.
 “No tu no, Erick. Voglio che tu vada a ricontrollare da capo casa di Melrose. Vedi se trovi qualcosa in giardino o in strada, non abbiamo controllato per bene se c’erano eventuali tracce di pneumatici.  Così potrai continuare a far battute non divertenti, ma quanto meno noi non ti sentiremo.” Delko abbassò gli occhi, mentre il rosso si concentrava con Ryan e Walter “Voi iniziate da quel caso.”
Cally lo guardò, determinata “Io cosa posso fare, Horatio?”
“Devi farmi un favore personale, poi potrai venire ad aiutare i ragazzi.” Il rosso le appoggio una mano sulla spalla, mentre uscivano dalla saletta “Ho già chiamato Alexx e lei è disposta a tenere Tim con sé, per qualche giorno.”
La bionda annuì “Vuoi che lo porti da lei?”
“Mi faresti un grande favore, io voglio analizzare per bene quel bigliettino. Inchiostro, cartoncino…. Sono sicuro che ci possa essere qualcosa.”
La bionda annuì, “Andrà tutto bene, Horatio.”
“Ne sono certo.”
La guardò allontanarsi in fretta, prima di portare le mani sui fianchi. Alzando gli occhi verso l’orologio dell’ingresso, vide che s’erano fatte già le due e un quarto.
Doveva sbrigarsi.
 
 
 
Cinque anni  prima,
New York City
Dipartimento investigativo.
 
 
Taylor nervoso  non era un bello spettacolo per nessuno.
Soprattutto per la sua squadra.
“Come mai il capo ha un diavolo per capello?” chiese Messer, spingendosi con la sedia a rotelle vicino all’agente di Maio e poi  porgendole una mano
Lei vi versò dentro un paio di caramelline al cioccolato.
Andrea e Lindsay si scambiarono uno sguardo e un sospiro prima di tornare a fissare il piccolo schermo della sala ricreativa, in cui le immagini di un arresto correvano veloci come la voce del cronista.
“Prima mi ha ripreso per una sciocchezza” disse scocciato Adam “Passo sempre come lo zimbello di turno solo perché sono l’ultimo arrivato ma, hey! È lei non è nemmeno una di noi! È uno sbirro!”
Andrea lo vide mentre la indicava e con un sorrisetto disse “Ma io sono brava, Adam. Faccio i miei turni e lavoro molto perché voglio diventare detective.”
Quello era anche il motivo per cui si trovava lì in quel momento.
Con la tragica morte di Jessica si era liberato un posto di primordine tra i detective, e lei aveva fatto domanda seppur non avesse che tre mesi di servizio alle spalle.
Aveva intuito, aveva aiutato molto nella cattura dei colpevoli e aveva reso giustizia ad Angel insieme agli altri.
Meritava una chance.
“Senza contare” aggiunse Messer “che nessuno con un po’ di cuore potrebbe prendersela con una ragazza con degli occhi grandi da Bamby come lei”
La ragazza sorrise soddisfatta mentre Stella entrava in saletta salutandoli.
“Stellam tu sai cosa prende a Mac?” domandò Lindsay.
La donna sospirò “Sì, e penso sia meglio che lo sappiate da me, che da qualche malalingua.” si guardò attorno come per assicurarsi che nessuno fosse in ascolto, e poi abbassando la voce disse “Flack non si trova.”
Andy sgranò gli occhi mentre Danny si drizzava sulla sedia accanto a lei, improvvisamente serio “Come, non si trova?”
“Cellulare staccato. A casa sua nessuno risponde al citofono.” sospirò “Vorrei solo sapere cosa gli sta succedendo…”
“La morte di Angel lo ha toccato nel profondo” constatò Lindsay, con tono triste.
Danny intervenì “Ma non è il genere di persona che metterebbe a repentaglio la sua carriera. Dai, è Flack! Donald Flack! È praticamente nato col distintivo appuntato sul petto…. Non ho mai conosciuto nessuno così dedito al suo lavoro come lui, Mac a parte.”
“Io so cosa gli prende.” Andrea era molto combattuta se parlare o meno, ma alla fine decise di fare la cosa giusta.
Stella la guardò senza capire “Lo sai?”
La morettina annuì “Di solito, il venerdì sera, visto che non lavoro, esco con le mie amiche e una tappa fissa è l’aperitivo da Barney’s, a pochi passi dalla casa di una ragazza con la quale ho studiato”
“Conosco quel posto” disse Stella pensierosa “è molto vicino all’appartamento di Don”
“Beh…. L’altra sera quando siamo arrivate mi sono molto stupida di trovarvi Flack.” tutti gli occhi ora, oltre che essere puntati su di lei, si sgranarono sino all’inverosimile “Era totalmente sbronzo, non è stato in grado nemmeno di dirmi perché non fosse di turno. So solo che grazie ad Erika e Sofia sono riuscita a trovare il suo portafoglio per controllare l’indirizzo e poi lentamente lo abbiamo portato a casa. E lì mi sono stupita ancora di più.”
Danny, ormai senza parole, trovò la forza per domandare “Come mai?”
“Vive in una topaia.” la mora sospirò “Insomma, non che mi aspettassi una villa ottocentesca, contando anche che il lavoro del detective paga bene ma non i lussi. Invece vive nella sua stessa spazzatura praticamente. C’era una casino pazzesco, la posta di due settimane fa ancora chiusa, bottiglie di alcool mezze vuote su ogni superficie piana. Non ho toccato nulla, eccetto la spazzatura che assieme alle altre abbiamo raccolto velocemente per dare almeno una vaga ripulita. Quando siamo uscite lui era collassato a letto, mi sono premurata che non avesse problemi poi me ne sono andata.” Si guardò le mani insicura poi mormorò, con voce piccola “So solo che da quel giorno non mi guarda più nemmeno negli occhi, segno che qualcosa si ricorda.”
Tutti erano ufficialmente senza parole.
Stella la portò con se nell’ufficio di Mac e lì la ragazza raccontò di nuovo tutto quello che aveva  detto ai colleghi.
Mac guardò un foglietto, sul quale era scarabocchiato un indirizzo e poi andò verso la saletta chiamando con se la morettina “Prendi Danny e vai a casa di Don, scoprite tutto quello che riuscite.”
“Mac?” il supervisore si voltò a guardarla “Pensi che sia. Pensi che sia per Jess?”
Lui sospirò prima di annuire lievemente e poi sparire nel corridoio.
E ad Andrea tornò su il senso di colpa lancinante che non la lasciava da alcuni mesi a quella parte. 
 
 
 
 
 
July 12 , 2013.
Ore 08.00 am.
Las Vegas,
Laboratori della polizia scientifica.
 
 
Capitava spesso di respirare un’aria pesante all’interno dei laboratori della scientifica, ma quella volta era tutta un’altra storia.
Hodges non faceva altro che controllare l’orologio  tamburellano le dita sul tavolo della saletta comune  e visionando ogni tanto qualche pagina di rapporto “Penso sia assurdo” sussurrò di punto in bianco attirando l’attenzione di tutti coloro che se ne stavano seduti davanti con lui in mutismo “Non possiamo starcene qui con le mani in mano.”
“Pensi che io stia bene in queste condizioni?” chiese frustrato Greg “Sto seriamente pensando di prendere l’auto e buttare all’aria tutta Las Vegas fino a che non trovo mia moglie! Ma se davvero sono coinvolte anche due agenti di altri due Stati chissà dove l’hanno portata!”
“L’unico che se ne sta con le mani in mano, poi, sei tu Hodges.” Decretò Brass, tenendo il capo contro il polso, mentre chiudeva un’altra cartellina, mettendola in cima alla pila di quelle visionate.
“Qui possiamo andare avanti giorni e giorni…” sussurrò sconfortato Moreno, scuotendo il capo mentre terminava di leggere quello che per lui poteva anche essere il millesimo rapporto. “Queste non sono nemmeno un decimo di tutte le cartelle di casi a cui Harper ha lavorato” disse, allungando una mano avanti e indicando la grande tavolata totalmente sommersa da documenti ufficiali.
Sara alzò gli occhi su di lui, mentre anche Morgan li raggiungeva con Nick al seguito.
Entrambi erano carichi di cartelle di vecchi casi “Eccone qui altri” disse Stokes “Abbiamo dato un’occhiatina preliminare in deposito e, se ricordo bene alcuni di questi casi, Harper ha subito delle minacce.”
Greg allungò una mano, afferrando una cartella senza degnare di uno sguardo Morgan “È come cercare un ago in un pagliaio. ”
“La lista è lunga” disse Sara, appoggiando i gomiti al tavolo “Insomma… Harper è sempre stata un osso abbastanza duro. Non è accomodante per nulla, e anche se ho sempre molto ammirato il suo temperamento fiero e deciso si è fatta parecchi nemici.”
“Si ma nessuno ha mai provato a farle del male.” Greg scosse il capo, osservando la foto di un uomo dal viso accigliato “A questo caso abbiamo lavorato insieme quasi cinque anni fa.”
“E se fosse una ripicca contro di te, Greg?” chiese Moreno esaminando una documento che parve destare di nuovo il suo interesse. “Sei finito anche in tribunale.”
“Dobbiamo sempre pensare oltre le quattro mura dei nostri laboratori” affermò Finlay, buttando il fascicolo al centro del tavolo “Non possiamo stabilire se è un fatto personale e questo lavoro è inutile. Nessuno può odiare tanto tre persone di tre città così lontane e portarle via la stessa notte, spendendo Dio solo sa quanti soldi per ingaggiare professionisti.”
Nick sospirò facendo lo stesso “E quindi?”
“Aspettiamo”
Greg si alzò di scatto, spaventando David e senza aggiungere nulla uscì velocemente andando verso l’ascensore. Nick scambiò uno sguardo con Sara prima di sospirare “Per me è frustrante starmene qui sapendo che Harp è in mano a chissà chi. Ma per Greg deve essere molto peggio” disse la Sidle, mentre anche Moreno si alzava con il cellulare in mano, deciso a chiamare chissà chi.
“Quando abbiamo perso Warrick mi sono ripromesso che mai avrei permesso a uno dei nostri di andarsene da quella porta dentro un sacco di plastica” Nick parlava piano, con una mano sotto al mento e lo sguardo vuoto “Non potrei mai perdonarmelo.”
Hodges abbassò il capo mentre Henry entrava nella stanza con in mano un vassoio di caffè, appoggiandolo poi sul tavolo “Novità?” tutti scossero il capo e lui sospirò sedendosi accanto all’altro tecnico.
Rimasero un istante in silenzio, meditando sulla gravità della situazione fino a che Morgan non scoppiò in un piccolo singhiozzo. Subito Finlay le fu accanto, permettendole di piangere sulla sua spalla.
 
Greg arrivò sul tetto della scientifica, avvicinandosi a Russel che osservava ispirato il cielo.
“Il sole bacia Las Vegas” gli disse senza nemmeno voltarsi a guardarlo, percependo chi fosse forse dal modo di camminare un po’ strascicato “Pensala così Greg…. Se piovesse sarebbe peggio no?”
“Pioggia o sole, i mia figlia ora è a scuola scortata da un agente, e dopo tornerà a casa  senza la mamma. Non doveva andare così.”
Il supervisore lo guardò, appoggiandogli poi una mano sulla spalla “Andrà tutto bene. Abbiamo a disposizione non uno, ma tre ottimi laboratori. Insieme, salveremo Harper e la ripoteremo da Bree.”
Greg sospirò, annuendo poco convinto.
Non sapeva quanto ancora avrebbe resistito prima di impazzire, ma incanalare tutte quelle emozioni gli risultava davvero difficile.
“Ti va di parlare?” domandò Russel con apprensione, prima di aggiungere “Non sei obbligato, ma credo che ti farebbe bene. Fino a ieri non vi parlavate quasi, oggi questo. Posso capire che tu sia confuso.”
“Non sono confuso.” Decretò con sicurezza Sanders “Sono un idiota.” Spostò lo sguardo verso l’orizzonte, guardando il deserto estendersi a perdita d’occhio attorno a loro. Si sentiva esattamente così, solo al centro di qualcosa di infinito, alla ricerca dell’irraggiungibile “Quando ci siamo sposati, ero convinto che saremmo invecchiati insieme. Come nelle pubblicità o nei film, insieme fino alla fine. Poi ho iniziato ad avere dubbi su dubbi e ho lasciato che la paura di aver preso decisioni sbagliate mi portasse lontano da lei. Volevo  parlarle, ma non l’ho fatto perché avevo paura di sentirmi dire che avevo perso la mia occasione.”
Il capo sospirò “Avrai il tempo di rimediare.”
“Questo non puoi dirlo.”
“Invece sì.” Insistette D.B. “La conosco e lotterà per tornare da te. Non esiste nulla che potrebbe impedire a quella donna di tornare da te, nonostante tu l’abbia delusa già due volte. Lo so perché si vede lontano un miglio che ti ama.”
Sanders si lasciò sfuggire un sorrisetto “Lo pensi davvero?”
“Sì, e non esiste niente e nessuno che possa impedirvi di ritrovarvi.” Passò accanto a lui, diretto verso la porta “Ora torno al lavoro. Tu rimani qui e rilassati un altro po’. Voglio rivedere la determinazione sgorgarti dagli occhi quando scenderai di sotto.”
Greg lo guardò sparire oltre la porta che conduceva al tetto, prima di avvicinarsi al parapetto per appoggiarsi.
Guardò di nuovo il deserto, trovandolo meno sconfinato.
Sì, avrebbe fatto di tutto per riaverla e nessun rapitore o detective lo avrebbe impedito.
 

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Capitolo 8
*** Parte Prima, Capitolo Quindo: Send a signal to guide me home ***


11


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There's no hate,

There's no love

Only dark skies that hang above

I call your name as I walk alone

Send a signal to guide me home

Light the night up, you're my dark star

And now you're falling away
https://www.youtube.com/watch?v=r-kCm6gpu2A)

 

 

Parte Prima: To Drown 
Capitolo Quinto. 

 

 

 

 

Dodici anni prima

Miami Dade

Laboratori della Scientifica .

 

Melrose non era abituata a fallire.

Per quello, una volta sbagliata completamente l’interpretazione delle prove su un caso all’apparenza semplice, si era chiusa in stessa, arrabbiata con le sue abilità.

Poteva fare di meglio.

Doveva fare di meglio.

Suo padre sembrava tranquillo, non tanto perché l’analisi era sommaria e l’indagine preliminare, ma soprattutto perché era seriamente convinto che fosse solo frutto di una banale svista.

Quando però le aveva caldamente consigliato di farsi un giro e mangiare qualcosa prima di tornare in laboratorio, si era decisamente scaldata.

Non era più una bambina, poteva lavorare dieci ore filate sorretta solo dallo spirito forte del caffè nero.

Seduta davanti alla centrale, sul bordo del marciapiede,  non si era nemmeno accorta di Speed. Si era avvicinato con le mani nelle tasche dei jeans sgualciti e si era seduto accanto a lei “Ho una domanda.”

“Se è riguardo al caso Parker no, non ho ancora avuto il piacere di ricomporre la vetrata visto che papà mi ha praticamente cacciata  dal laboratorio.”

“A dire il vero, la domanda centra con noi due.”

La rossa alzò gli occhi nei suoi “Spara.”

“Hai parlato della nostra storia con Callight, per caso?”

Mel  scrollò le spalle “Non so, è possibile.” si lasciò sfuggire un sospiro nervoso mentre parava in dietro i lunghi capelli “Senti, siamo dei criminologi, no? Tutti sanno tutto di noi ormai. Papà da per scontato che sono da te se non rientro e mi chiede sempre come stai quasi come se lui non avesse mai a che fare con te. Eric ci prende sempre in giro. Alex mi ha chiesto perché, il natale scorso non abbiamo fatto la cartolina di auguri insieme.” fece una pausa “Non credi sia ora di lasciar stare tutto e uscire allo scoperto? Sai, non mi dispiacerebbe uscire qualche volta con i colleghi e comportarci come quando siamo nascosti dalle pareti di casa tua.”

“Per te è facile parlare, chi ci rimette la faccia sono io.” disse l’uomo ovvio, facendola infuriare ancora di più. “Sei la figlia del capo, Mel!”

“Ti vergogni di me, quindi??”

“Non travisare la mie parole.” Rispose cautamente l’uomo “ Solo che sono più grande di te e non di poco, sei la figlia di Horatio Caine, quindi tutti potrebbero additarmi come un arrampicatore sociale.”

Melrose si alzò di scatto “Senti, fino a che non sarai in grado di capire cosa vuoi davvero e finalmente deciderai di non trattarmi come se volessi solo venire a letto con me, beh... Vieni a cercarmi, Speedle.”

Melly…

“No, col cavolo! Tutti pensano che io sia una sorta di scopa-collega per te. E io sono stanca…

Melrose, ma io-”

Non fece nemmeno in tempo a comporre una frase sensata che la ragazza era sparita, tornando dentro ai laboratori.

Tim portò le mani al viso, soffocando in esse un urlo esasperato.

Era complicata, quella ragazza.

 

 

 

 

July, 12 2013.

Luogo e ore sconosciuti.

 

 

Quando Melrose aprì gli occhi, non realizzò per bene cosa stava succedendo .

Si trovava in un cubicolo buio e a giudicare dalle vibrazioni era in movimento.

Tentò di muoversi ma le mani e i piedi erano bloccati da delle corde e del nastro adesivo sulla bocca le impediva di emettere anche il più piccolo suono. Non che volesse farlo, dopotutto.

Se il lavoro le aveva insegnato qualcosa, era ad essere un minimo astuta.

Decise di rimanere in silenzio fino a che quel veicolo, presumibilmente il bagagliaio di una furgone, avrebbe finito la sua corsa e poi avrebbe provato a scappare.

Esso si arrestò dopo quelle che le sembravano ore, tempo che passò rimuginando sul possibile motivo per il quale si trovava in quel casino, e, appena sentì qualcuno intento ad aprire il bagagliaio chiuse gli occhi, fingendosi ancora svenuta.

Un paio di voci distinti la colpivano mentre notava il cambiamento di luce nonostante le palpebre abbassate “Guarda, sta ancora dormendo” disse la prima voce, ridacchiando “Appena il signor Mardock la vedrà ci pagherà a potremo squagliarcela prima di trovarci addosso Caine e la sua squadra.”

Il secondo sospirò prendendo Mel per le spalle e girandola per poterla prendere in braccio “Non vedo l’ora di tornare in Florida, qui non mi piace per nulla.”

Melrose ascoltava, sempre fingendosi incosciente, tremando internamente.

Non era più in Florida?!

Dove l’avevano portata?!

A giudicare da quello che quei due avevano detto conoscevano molto bene anche la fama di suo padre, quindi loro erano senza dubbio dei mercenari assordati da un certo Mardock….

Si fece trasportare sempre a occhi chiusi e attese il momento propizio per tentare la fuga.

Esso arrivò nell’esatto momento in cui uno dei due si allontanò, e l’altro la appoggiò a terra prima di uscire a sua volta.

Solo a quel punto Melrose aprì gli occhi, appena la porta venne agganciata, e si guardò attorno.

Sembrava un ripostiglio o comunque una stanza di deposito, tutta in cemento con solo una microscopica finestrella e una porta di ferro a tenuta stagna.

Mentre osservava quel luogo vide qualcosa, nella penombra.

Anzi, qualcuno.

Stesa a terra dall’altra parte della stanza rispetto a lei c’era una giovane ragazza, con lunghi capelli castani scuri.

Anche lei era legata e imbavagliata esattamente come lei, ma si trovava ancora in uno stato di totale incoscienza. 

Ringraziando gli anni di danza riuscì a passare le braccia da dietro a davanti e a strappare il nastro adesivo dalle labbra. Si mise poi sulle ginocchia e gattonò verso la mora, appoggiandole una mano alla gola e sentendone nitido il battito cardiaco.

“Signorina mi, sente?”

La scosse piano per una spalla, mentre si guardava attorno per cercare qualcosa con cui tagliare le corde e liberarsi così i polsi, ma non vide nulla.

Appena riabbassò gli occhi li scontrò con quelli della giovane, grandi e luminosi. La ragazza si guardò attorno nel panico, muovendo freneticamente il collo.

“Si calmi.” disse la rossa strappando il nastro adesivo dalla bocca dell’altra “Io sono Melrose Caine, polizia scientifica di Miami.” a quelle parole la morsa sgranò gli occhi aprendo appena la bocca “Le garantisco che andrà tutto bene. Sa dirmi il suo nome?”

“Sì io sono Andrea di Maio, sono un detective della Omicidi di New York, trentaduesimo distretto.” a quel punto fu il turno della rossa, di stupirsi.

“New York? Siamo a New York quindi?”

La mora scosse piano il capo “Prima ero legata e imbavagliata in quello che dal suono sembrava un piccolo elivelivolo. Forse un volo charter. Poi mi hanno sedata di nuovo.”

La rossa si appoggiò con la schiena contro una parete, guardando con apprensione le corde. Si lasciò prendere dallo sconforto per alcuni minuti e poi si rialzò di scatto “Voltati, ti slego le corde…

La mora annuì e la lasciò fare, ma la rossa con entrambi i polsi legati trovò un po’ di difficoltà nell’impresa.

Stava per riuscirci quando la porta si aprì e dentro entrarono un paio di uomini con in mano dei panni imbevuti di quello che certamente era cloroformio.

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo, sicure che qualsiasi tentativo avrebbero potuto fare sarebbe miseramente fallito.

 

 

 

Dodici anni anni e mezzo prima,

Las Vegas,

Nevada

 

 

 

Harper  rientrò alla scientifica con in mano tre buste di reperti da analizzare.

Trovare la scena del crimine primaria era stata davvero un’impresa, ma grazie alle ottime competenze di Archie e ad un cellulare perso dalla vittima era riuscita nel suo intento.

Passando per la centrale di polizia fu intercettata da Brass che le si affiancò “Il sospettato si chiama Albert Priscol…” lesse velocemente dal suo taccuino “Era il fidanzato della vittima. È andato al Desert Palm questa mattina per far controllare un taglio e applicare qualche punto, ma poi si è sentito male e l’hanno trattenuto.”

“Male?” chiese la giovane fermandosi davanti all’ascensore che, gentilmente, il Capitano chiamò per lei “Grazie, Jim”

Lui fece un cenno col capo “Ho mandato un agente a prelevarlo visto che a quanto pare aveva fretta di firmare le carte per essere dimesso. Visti i suoi precedenti è stato facile ottenere un mandato per un campione di DNA.”

“Precedenti?” chiese la bionda, incuriosita.

“Percosse.” Disse l’uomo, con tono quasi ovvio “Ha preso un tubo e ha rotto i fanali ad un cameriere che a suo avviso si era comportato sgarbatamente, prima di riservare lo stretto trattamento alle sue gambe”

“Contando che la vittima è stata trovata col viso ridotto ad una polpetta…riflettè pensierosa la giovane, mentre le porte si aprivano “Ci sono buone probabilità che sia stato lui. Interroghiamolo  e mandiamo il DNA a Greg, ma prima analizzo questi vestiti e cerco qualcosa dal contenuto di un cestino.”

“Lavori sola al caso?” domandò Brass.

“Si sono sola!” riuscì a rispondere lei, prima che ascensore ripartisse verso i piani alti della scientifica. Una volta arrivata consegnò i referti all’addetto perché li annotasse e si raccomandò di farglieli avere subito per poter iniziare a lavorarci su.

Una pausa caffè nell’attesa non era male come idea.

Entrò nella sala ricreativa dove Nick stava parlando al telefono. Le lanciò un saluto e un sorrisetto prima di tornare ad inveire contro Dio solo sa chi, voltando le spalle alla ragazza che intanto si stava versando un po’ di caffè in una tazza del dipartimento.

Hodges scivolò nella stanza con in mano una cartellina “Non indovinerai mai cosa ho trovato nel sistema circolatorio della vittima” disse con una certa soddisfazione.

“Valium” rilanciò lei, prendendo un sorso di caffè. Lui ci rimase male, e le passò stizzito il foglio “Non prendertela, D…. c’era la casa piena di flacconi vuoti!”

“Anche lei ne era piena.” Decretò lui, incrociando le braccia “Il livello nel sangue era così alto che penso sia questa la causa della morte, non i colpi in testa”

“Interessante” fu il solo commento della bionda, mentre osservava Greg avvicinarsi dall’altra parte del muro di plexiglass “Secondo te Sanders ha già lavorato sui i miei campioni?”

“Sei positiva” commentò acidamente Hodges, prima di sorridere ruffiano “Solo io sono zelante.”

Greg li raggiunse salutando con un cenno Stokes “Devi venire con me” disse poi alla bionda “Grissom ci aspetta nel suo ufficio” disse tentennante, ignorando il collega che lo stava guardando male.

“Ci?” domandò stupita Harper prima di prenderlo a braccetto e incamminarsi con lui fino all’ufficio del capo, lasciando David con in mano la tazza del caffè.

Greg rimase in silenzio durante tutto il tragitto, così la bionda lo bloccò prima di entrare “Hey.” gli accarezzò il braccio, spostandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio “Ho fatto qualcosa di sbagliato, per caso?”

Lui sgranò gli occhi “Cosa- No! Assolutamente no…. Solo.” si morse le labbra “Meglio parlarne con Grissom,.” disse guardandola negli occhi, prima di chinarsi su di lei a lasciarle un bacio veloce sulle labbra.

Entrarono uno dopo l’altra nell’ufficio del capo.

Gil alzò gli occhi, schermati dagli occhialetti, su di loro, invitandoli a sedersi davanti a lui.

Sembrava molto concentrato su delle carte.

Entrambi presero posto su due sedie, posizionate davanti alla scrivania. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese titubante la ragazza, ma Grissom scrollò il capo.

“Vorrei parlarti di una cosa, per avere delle rassicurazioni. Ora non c’entra il lavoro.”

Lei ascoltò con attenzione, ma senza capire.

Greg invece si limitò a fissare gli occhi sul pavimento.

Gil si sfilò gli occhiali, prima di puntare gli occhi in quelli della bionda.

“Vorrei conoscere la natura del tuo rapporto con Heather Kessler.”

Harper tirò un pallido sorriso, come se se lo aspettasse. Se lo aspettava va tempo, dopotutto.

“Lei è, sfortunatamente, mia madre.”

 

July 12 , 2013.

Ore 10.00 am.

Las Vegas,

Laboratori della polizia scientifica.

 

 

 

Aubree era silenziosa quanto il padre e con lui condivideva anche lo stesso cipiglio pensieroso.

Nonostante i divanetti della sala relax non fossero di certo comodi, la bambina aveva dormito tutta la notte. Era stata la sola a trovare riposo.

Gli altri avevano lavorato incessantemente e nell’andirivieni continuo di persone, Lady Heather non aveva trovato riposo.

Anzi, si era dannata più che mai, domandandosi cosa stesse succedendo a sua figlia.

La sua unica figlia, ormai.

Ancora ricordava quando era morta Zoe. La sua piccola Zoe.

Era stato tremendo, aveva rischiato di perdere se stessa e Harper, allora. E adesso, rischiava di rivivere nuovamente una situazione simile.

Non avrebbe retto alla tensione, ma avere vicina la giovane nipotina la aiutava a mantenere i nervi saldi.

“Nonna?”

La donna, ancora bellissima, si voltò verso le piccola, scostandole una ciocca di capelli chiari dal viso, per poterlo accarezzare “Dimmi, tesoro mio.”

“La mamma è stata rapita, vero?”

Heather non rispose subito, perché si prese del tempo per pensare al motivo per cui Bree fosse così recettiva. Così sveglia.

Aveva due genitori a cui era impossibile nascondere qualcosa e lei sembrava aver ereditato un certo acume. Le accarezzò i capelli, prima di passare il braccio attorno alla sua spalla, lanciando un’occhiata al disegno che stava facendo “Sì, tesoro.” Le rispose, con tono carezzevole.

La bambina abbassò gli occhi sui pastelli a cera, stringendo fra le mani quello verde, prima di rialzare le iridi color miele in quelle chiarissime della donna “Papà la troverà.”

Heather sorrise “Ne sono sicura…” le disse, prima di alzarsi “Rimani qui, la nonna deve chiamare un vecchio amico.”

Bree annuì, tornando a dedicarsi al suo lavoro e consentendole di alzarsi.

Heather prese il telefono dalla tasca dei pantaloni neri, uscendo dalla stanza, ma rimanendo davanti alle vetrate per non perdere di vista la bambina.

Non l’avrebbe persa d’occhio nemmeno un istante, non sapevano chi aveva preso Harper, né perché.

La donna iniziò a scorrere la rubrica e solo quando trovò il numero, portò il telefono all’orecchio.

Non aveva parlato a Greg di quell’idea.

Quell’uomo, che non riusciva a decifrare, che trattava sua figlia come una principessa e poi la abbandonava, non avrebbe tenuto per sé la cosa e c’è chi si sarebbe sentito scavalcato.

Ma necessità faceva virtù in quel caso, e lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per riportare a casa Harper.

Al quarto squillo,una voce rispose.

E Heather si sentì già più tranquilla.

Gil?”

-…Heather.-

 

 

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