Il brigante

di alessandroago_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 52 ***
Capitolo 54: *** Capitolo 53 ***
Capitolo 55: *** Capitolo 54 ***
Capitolo 56: *** Capitolo 55 ***
Capitolo 57: *** Capitolo 56 ***
Capitolo 58: *** Capitolo 57 ***
Capitolo 59: *** Capitolo 58 ***
Capitolo 60: *** Capitolo 59 ***
Capitolo 61: *** Capitolo 60 ***
Capitolo 62: *** Capitolo 61 ***
Capitolo 63: *** Capitolo 62 ***
Capitolo 64: *** Capitolo 63 ***
Capitolo 65: *** Capitolo 64 ***
Capitolo 66: *** Capitolo 65 ***
Capitolo 67: *** Capitolo 66 ***
Capitolo 68: *** Capitolo 67 ***
Capitolo 69: *** Epilogo, prima parte ***
Capitolo 70: *** Epilogo, seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

PROLOGO

 

 

Faceva freddo, quella sera. Molto freddo.

Nonostante fossero solo gli ultimi giorni  d’ottobre, cadeva una pioggerellina lieve, a tratti mista a neve.

Comunque Giovanni era abituato al freddo e all’umidità. Scese dal suo cavallo, e fece cenno ai suoi compagni di fare come lui. Lasciarono i loro cavalli liberi nella boscaglia, sicuri che non si sarebbero mossi di lì. Erano animali addestrati, adatti per compiere quel genere di missioni.

Giovanni si avviò verso una grande villa, seguito da quindici uomini, che eseguivano ciecamente i suoi ordini. Erano tutti armati di fucile.

 Dall’altro lato della villa, altri quindici dei suoi avevano lasciato le cavalcature e gli stavano venendo incontro, in silenzio. Vide la figura bassa e tarchiata di Mario, il suo braccio destro, che guidava l’altro gruppo.

‘’Zvàn, tutto a posto. Non c’è nessuno che vigili la villa. Possiamo entrare in azione’’, disse Mario, che gli si avvicinò cercando di non fare troppo rumore.

 Zvàn era il nome di Giovanni tradotto in romagnolo, e per questo gli piaceva che tutti i suoi uomini lo chiamassero così. Poi, quel nome aveva quel non so che di indefinito, e Giovanni amava essere qualcosa d’ indefinito.

 Lui era un brigante della peggior specie, e se avesse avuto qualche distinzione particolare sarebbe stato individuato subito dalla gendarmeria pontificia e impiccato sul posto. Per questo doveva stare attento.

‘’Bene, Mario. Tu e i tuoi restate qui fuori, e controllate che nessuno abbandoni la villa. Naturalmente, se arrivano delle guardie o persone armate, avvisateci. Noi andiamo a prendere parte alla festa’’, disse all’amico, facendogli l’occhiolino.

Poi, come i gufi che planano silenziosamente nella notte, facendo dell’oscurità il loro regno, i quindici briganti di Mario si appostarono nel buio in punti dove avevano migliore visibilità, per controllare meglio la situazione.

 Intanto, Giovanni si avviò verso la villa dei Siario.

 I Siario erano una famiglia nobile che si era impiantata in Romagna, dove era forte del sostegno papale. Quei dannati ricchi non facevano altro che sfruttare i poveri contadini del luogo, che venivano trattati quasi come schiavi. Lui, in passato aveva avuto modo di conoscere quella famiglia, e la reputava una delle più corrotte e senza scrupoli del territorio. Quindi, derubarli sarebbe stato un piacere.

Avevano preso possesso di molte terre, e si arricchivano sulle spalle dei contadini che le coltivavano. Mentre i padroni andavano a ritirare gran parte del raccolto, e successivamente a venderlo, ai poveri contadini non veniva dato quasi nulla, e spesso erano costretti a vivere in condizioni pietose.

Perché in Romagna si moriva di fame, come ben sapeva Giovanni. Ma lui era lì apposta; da semplice contadino era diventato uno dei più spregiudicati briganti romagnoli anche per portare più giustizia, e per vendicare i torti ricevuti in passato. Ogni nobile o borghese che veniva derubato o ammazzato, era un beneficio in più per i poveri, con i quali a volte Giovanni divideva il bottino in gran segreto, ma comunque sicuro che non l’avrebbero mai tradito.

Si avvicinò alla villa, e guardò, con fare cauto, dalla finestra. Dentro, si stava tenendo la festa di fidanzamento della figlia di Siario, che stava per contrarre matrimonio con un altro nobile della zona.

Bene, i suoi informatori gli avevano dato le dritte giuste, si disse. Fece preparare tre dei suoi. I tre uomini, grossi e robusti, si prepararono a caricare la porta di casa, per sfondarla. Prima però Giovanni volle provare a smuovere la maniglia. E la porta si aprì. I nobili non si erano neppure chiusi dentro, quindi non si aspettavano alcun tipo di sorprese.

Giovanni chiamò i suoi e gli sussurrò di seguirlo con i fucili carichi e pronti a far fuoco. Poi, prese forza e spalancò la porta. In pochi passi, si trovò al centro del salone, dove alcune decine di signorotti locali stavano banchettando. Comunque, non erano in molti.

‘’C’è un posto a tavola anche per me e per i miei uomini?’’, disse Giovanni ad alta voce.

Tutti, nella sala, si voltarono a guardarlo. Le risa morirono in gola, mentre i loro volti sbiancavano. L’avevano riconosciuto. D’altronde, non potevano non riconoscerlo; era alto, indossava vestiti rattoppati in più punti, aveva una lunga barba incolta e un grande cappello sgualcito a coprirne le calvizie. Era la classica immagine del feroce bandito che compiva rapine.

 Poco dopo, i suoi fecero irruzione nella grande camera, bloccando tutte le vie d’uscita. Siario si alzò, e si avvicinò senza alcuna paura a Giovanni.

‘’Brigante, qui non troverai nulla. Siamo qui per festeggiare, non per mercanteggiare con del denaro’’, disse con fare disinvolto.

Giovanni sorrise. Siario era il solito prepotente di un tempo, il classico nobile che non vuole cedere di fronte a niente e a nessuno. I suoi banditi puntavano i fucili contro gli invitati. Tutti sapevano che non si sarebbero fatti alcuno scrupolo a uccidere, quindi nessuno si mosse.

 ‘’Oh, suvvia nobile Siario, non credo che tu qui non abbia due monete per me e per i miei amici’’, disse Giovanni, avvicinandosi a lui.

 ‘’No, neppure una’’, disse Siario, con tono di sfida.

Giovanni lo fissò con odio, e lo maledì. Se il suo scopo era provocarlo, ci stava riuscendo bene.

Era un uomo alto, con due baffetti bianchi, poco folti. Al polso, un luccichio gli fece capire che aveva pure un bracciale d’oro. Inoltre, quei dannati nobili giravano imbottiti di oro e denaro, denaro rubato ai più poveri e ai più indifesi, e pretendevano anche di fare i prepotenti quando si trovavano in condizione di inferiorità.

Doveva far capire subito a quel gentiluomo che in quel momento non aveva a che fare con due contadini armati di forcale, bensì con un gruppo organizzato e armato fino ai denti.

‘’Bene, mio caro Siario, visto che qui non hai denaro, noi prendiamo tua moglie e tua figlia come ostaggi, così poi nei prossimi giorni, se le rivorrai, ci potrai fornire una bella sommetta’’, disse Giovanni.

 Siario impallidì.

Giovanni fece cenno a due dei suoi, che si avvicinarono alla bella giovane che se ne stava ancora seduta vicino al suo fidanzato, e alla donna, più matura, che se ne stava a fianco del posto vuoto lasciato dal marito, che si era alzato per parlare con i briganti. I due muscolosi uomini afferrarono le due donne, e  fecero per portarle fuori. Tutti gli invitati se ne restarono seduti, e le donne lanciarono gridolini spaventati.

Poi, il fidanzato della figlia di Siario si alzò, e si lanciò contro i banditi, cercando di colpirli con i pugni. Subito, i fucili furono puntati tutti su di lui.

Giovanni dovette intervenire immediatamente, prima che facessero fuoco su quello stolto. Come potesse un essere imbellettato come una donna, con il volto imberbe e con uno sguardo da ebete cercare di fermare un gruppo di banditi armati, poteva saperlo solo lui, pensò.

 ‘’Fermi! Non sparate’’, disse, con voce tonante. Non voleva spargimenti inutili di sangue.

Subito i suoi abbassarono i fucili, ma il giovincello non si arrendeva. Sferrava pugni da bambino, con quelle sue mani bianche e gracili, addosso al bandito che teneva ferma la sua futura sposa. Il bandito non le sentiva neppure, quelle misere botte. Forse il giovane cercava solo di farsi onore. Oppure era semplicemente uno stupido.

Giovanni fece cenno a uno dei suoi, che si avvicinò subito. Prese il ragazzo, che doveva avere  più o meno venticinque anni, e lo colpì con un pugno. La sua mano forte e callosa penetrò a fondo nel ventre del giovane, che si piegò in due dal dolore. Poi, il bandito gli sferrò un potente calcio in un fianco, facendolo ruzzolare a terra fino ai margini della stanza. Il giovane restò rantolante al suolo.

‘’E non t’azzardare più a muoverti di lì’’, disse Giovanni, tornando a fissare il suo sguardo su Siario.

‘’Non abbiamo tutta la notte. Fuori i soldi, o i miei uomini potrebbero perdere la testa’’, disse, fissando il nobile con fare minaccioso.

 Siario aveva perso tutta la sua calma da quando avevano messo le mani addosso alla moglie e alla figlia. I banditi tornarono a puntare i fucili sugli invitati, e si prepararono a sparare.

 ‘’Basta così. Venite con me, vi consegnerò tutto ciò che ho a disposizione’’, disse Siario, con fare docile.

 Giovanni sorrise, e iniziò a seguire Siario, che lo condusse in un’altra stanza. Dietro al nobile, si appostò un altro bandito, che gli puntava alla schiena un fucile carico, per ricordargli che non doveva fare scherzi.

Giovanni fece un cenno con la testa ai suoi uomini, che sarebbero rimasti nella sala delle cerimonie. Un cenno che significava ‘potete procedere’.

Il nobile, ignaro di quello che sarebbe accaduto ai suoi ospiti, portò Giovanni in una stanzetta laterale, dove c’era solo una grossa cassapanca, piena di farina. Siario la spostò con fatica, poi con un piede calciò via un’asse di legno scuro, posizionato come sostegno della cassa, e apparve una botola.

 Giovanni era euforico; i suoi informatori gli avevano detto che in quella casa il nobile teneva nascosta una fortuna, e non si erano sbagliati. La botola fu aperta in un attimo dal bandito, che si gettò subito a rovistare, avido. Era piena di sacchetti contenenti monete sonanti. E anche gioielli. In meno di dieci minuti, Giovanni ne riempì un quarto di un sacco di tela, che si caricò sulle spalle, in modo da renderlo ben visibile a tutti.

Quando tornarono nella sala, gli invitati erano stati tutti controllati, e privati di ogni gioiello o moneta che avevano indosso.

Siario, appena se ne accorse, tirò una sguardo gelido a Giovanni, che invece gli sorrise nuovamente.

 ‘’Vi ho dato spontaneamente del denaro per fare in modo che voi non toccaste gli invitati. E invece, li avete derubati. E loro erano sotto la mia tutela, in quanto miei ospiti’’, disse il nobile, con fare minaccioso.

Giovanni lo fissò, divertito. Quello era il nobile più bigotto che avesse derubato. Ma anche quello a cui aveva soffiato la somma più grossa.

 ‘’Su,  non te la prendere così. D’altronde, anche noi ci siamo considerati tuoi ospiti. Vero amici?’’, chiese ai compagni.

‘’Certamente!’’, risposero gli altri, ridendo.

 ‘’Maledetti! Vi farò ricercare dalle guardie e vi farò impiccare tutti!’’, gridò Siario, perdendo il senno e diventando paonazzo.

Tutti presero a bisbigliare, spaventati dal fatto che i banditi potessero compiere azioni violente a causa della sua reazione isterica. Ma Giovanni continuò a sorridere, imperterrito.

 ‘’Vedo che il nobile Siario non si è divertito molto, questa sera. D’altronde, anche noi siamo ancora un po’ insoddisfatti’’, disse, rivolgendosi ai suoi uomini.

Due di loro presero Siario per le braccia, e lo immobilizzarono. Poi gli tolsero tutti i gioielli che aveva addosso, compreso il grosso braccialetto che aveva attirato l’attenzione di Giovanni poco prima.

Giovanni gli si avvicinò, e gli tolse il costoso abito che indossava. Era un abito bellissimo.

 ‘’Bello. Questo me lo tengo io. Và all’inferno ’’, disse al nobile.

 Poi, i suoi uomini lo spinsero, e lo fecero cadere a terra. Siario iniziò a maledirli in modo vigoroso, ma tanto loro non potevano più sentirlo. In pochi attimi, i briganti lasciarono libere anche le due donne prese in ostaggio e attraversarono il cortile della villa, raggiungendo i cavalli. Giovanni fece il verso della civetta, che era il segnale per avvertire quelli che facevano vigilanza che era ora di muoversi.

 La festa era finita, era ora di andarsene.

 Il gruppo di uomini si radunò tutto nel cortile della villa, mentre tra le mura domestiche risuonavano le grida delle donne, ancora spaventate da quella visita inaspettata.

‘’Abbiamo fatto un buon bottino, questa sera. Ora andiamocene’’ disse Giovanni, rivolgendosi ai suoi uomini. Poi, spronò il suo cavallo, seguito da tutti gli altri.

 Appena in tempo, poiché dalla strada principale giunsero delle grida; erano arrivate le guardie pontificie, forse richiamate dal chiasso della villa. O forse qualcuno era riuscito ad avvisarle.

 Alcune tentarono di inseguire i briganti. Subito, gli uomini di Giovanni fecero fuoco, e bastarono un paio di colpi di fucile per far fuggire le guardie. Giovanni sorrise, tornando completamente in sé, e senza neppure girarsi continuò spronare il suo bel cavallo, per tornare prima al rifugio.

Nessuno poteva più fermare lui e la sua banda.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per la lettura J

Spero vi sia piaciuto questo prologo. Questa è la mia prima storia che pubblico nella sezione storico, e la seconda che pubblico su EFP.

Innanzi tutto, vorrei fare alcune piccole precisazioni. Il brigante Giovanni, così come la famiglia di Siario e  tutti i personaggi che saranno citati in questo racconto, sono frutto della mia fantasia, e non sono mai realmente esistiti. Sto inquadrando la mia storia in Romagna, terra di banditi e briganti, cercando di inserire al meglio i miei personaggi nella storia. Ovviamente, cercherò di creare un quadro storico il più realistico possibile, e spero che lo apprezzerete.

Nell’Ottocento, numerosi briganti operavano in Romagna, compiendo ogni genere di crimine, e restando molto spesso impuniti. A volte, venivano catturati dopo molti anni di inseguimenti, e facevano una brutta fine. Altre volte la spuntavano. L’unica cosa certa è che la loro vita, fatta di avventure, azione e rapine, a volte avvolte in un’aura di mito e mistero, mi è sempre parsa affascinante, e spero che anche voi la gradiate.

Bene, mi sembra di aver detto tutto J Non ho alcuna pretesa con questa storia, solo di intrattenervi un po’.

Se siete arrivati fin qui, spero che vogliate lasciarmi una recensione, in modo che io possa capire cosa ne pensate di questa storia J

Grazie a tutti!! J

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

CAPITOLO 1

 

 

Giovanni se ne stava a sistemare la refurtiva incassata durante le ultime scorrerie del gruppo. C’erano tante monete ed alcuni gioielli.

Mise le monete in un sacchetto, che sistemò sotto il tavolo, mentre lasciò in bellavista i gioielli.

Si trovava in una cascina abbandonata, sul crinale appenninico nel versante romagnolo. Quella era la zona scelta appositamente da lui; gli Appennini erano poco abitati, anche perché la terra era brulla e poco adatta all’agricoltura. La pianura era facilmente raggiungibile in poche ore di galoppo, permettendogli di compiere azioni fulminee nella ristretta fascia pedemontana, per poi tornare ad addentrarsi verso i monti. In quel luogo aspro ci viveva solo qualche povero pastore, e ogni tanto qualcuno di loro passava di fronte alla cascina con il suo magro gregge. Nessuno faceva caso ai briganti.

Inoltre, quello era la zona stabilita per gli scambi tra fuorilegge; lui e la sua banda consegnavano i gioielli e gli oggetti  più preziosi che erano riusciti a rubare ad alcuni contrabbandieri toscani, che le rivendevano poi nel Granducato. Quella era una pratica illegale, che comunque continuava ad essere praticata da tempi immemorabili senza che le gendarmerie riuscissero in qualche modo a fermarle.

La merce rubata era tutta stesa sul tavolo, e Giovanni se ne stava tranquillamente seduto, rigirandosi tra le mani quegli splendidi gioielli. Si fermò un attimo, osservando il bracciale di Siario, che aveva rubato alcune sere prima. Sorrise, poiché quello doveva valere un bel po’ di denaro.

 Il colpo a casa dei Siario aveva dato una grande reputazione al gruppo dei suoi briganti. Le sue gesta si erano diffuse subito tra i contadini, naturalmente ingigantite e modificate, e ora tutti vedevano in lui un eroe. Se era riuscito a beffare quel demonio di Siario, avrebbe potuto rapinare e deridere chiunque, dicevano, poiché tutti odiavano i nobili. Ma attraverso quella rapina, aveva chiuso anche i conti che aveva in sospeso con quell’uomo.

Quello era stato il suo più grande colpo; fino a quel momento, si era limitato a prendere di mira qualche villa isolata, sempre di nobili di poco conto, e con pochi spiccioli. Ma quel colpo grosso, gli era costato anche una bella taglia sulla sua testa; tutte le guardie si erano immediatamente messe in moto, e stavano ricercando la sua banda per tutta la pianura.

Ma nessuno si sarebbe mai avventurato sugli Appennini in quel periodo dell’anno. Faceva già molto freddo, ben presto la neve avrebbe ricoperto tutto, e tra ghiaccio e gelo cercare dei briganti sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Comunque, per ora aveva vietato ai suoi uomini di muoversi, perché era troppo pericoloso. Non aveva programmato nessun altra azione nell’immediato. Tanto, entro due giorni si sarebbero stancati di cercarlo. I gendarmi, ultimamente, erano piuttosto vagabondi, e meno ne facevano, meglio era, poiché non volevano correre troppi rischi.

 In più, anche quel giorno si erano aggiunti ai suoi uomini altri cinque ragazzi, tutti accattoni, pronti a combattere per avere cibo e soldi. Era vero che una parte del bottino lui la spartiva con i poveri, con i contadini e con i suoi informatori, che erano ormai ovunque, ma gran parte della refurtiva la teneva lui, e ne dava un po’ ai suoi uomini, che si accontentavano di poco. Pagava molto bene gli informatori, che così gli diventavano molto fedeli, visto che spesso i loro datori di lavoro li pagavano poco e li trattavano male.

Ormai possedeva un vero e proprio esercito personale; con  nuovi arrivati, il suo gruppo raggiungeva quasi le ottanta unità. Ben presto, se fosse stato ben attento a non farsi catturare, avrebbe potuto attaccare anche consistenti gruppi di guardie armate, e nessuno avrebbe più potuto fermarlo. Purtroppo aveva anche molti rivali, poiché erano tantissimi i gruppi di fuorilegge in azione sul territorio, ma erano tutti più deboli del suo, e ricevevano minore sostegno dal popolo, poiché erano considerati semplici tagliagole.

Pian piano, sfruttando quel raro momento di solitudine, incominciarono a tornargli alla mente le immagini del suo sfortunato passato.

 La sua prima sfortuna era stata quella di nascere durante il periodo del dominio delle truppe napoleoniche. I francesi, affermando di portare la libertà, avevano liberato la Romagna dalle truppe del Papa, costringendo alla fuga chierici e nobili. Questo aveva solo penalizzato il territorio, che era già povero di suo, e tantissimi contadini si erano trovati in grosse difficoltà. Durante la sua infanzia, quei dannati francesi se n’erano andati, portandosi dietro tutte le cose di valore che avevano trovato, e tutto era tornato come prima, se non peggio. I signori di un tempo tornarono nelle loro terre, per spremerle ancora di più. Il malumore dei contadini era tangibile, e molto spesso scoppiavano rivolte, represse nel sangue dalle guardie pontificie, che non si spaventavano a commettere inutili stragi.

Lui era figlio di contadini, che lavoravano nelle campagne del forlivese come braccianti, al servizio proprio dei Siario, che a quel tempo erano tornati da poco a riprendere possesso delle loro terre. Aveva due fratelli più grandi e uno più piccolo, e altri due erano morti in tenera età, a causa delle malattie e della malnutrizione.

 Suo padre e sua madre venivano assunti a giornata nei grandi appezzamenti terrieri di quei ricchi signori, che però erano molto furbi nella gestione delle paghe. Infatti, avendo a disposizione tantissimi possibili braccianti, contrattavano fino all’ultimo sui salari, che erano magrissimi. Ai poveri lavoratori non restava altro che accettare, se non volevano morire di fame, senza alcun margine di trattativa.

Così i suoi genitori lavoravano a turni, e portavano a casa un magro salario, che non bastava a sfamare la famiglia. Pure la casa in cui vivevano era di proprietà dei Siario, a cui dovevano versare pure un affitto. La situazione era critica, ma per lui andava fin troppo bene, poiché lui almeno aveva un tetto sopra la testa e un tozzo di pane raffermo da mettere sotto i denti, mentre ogni giorno vedeva bambini, adulti e anziani accalcarsi di fronte ai portoni di ferro delle case dei ricchi, per chiedere l’elemosina.

Anche lui aveva iniziato a lavorare fin da subito, da quando aveva undici anni, svolgendo piccole mansioni che anche un bambino poteva fare. I suoi fratelli maggiori furono mandati dai genitori a fare i garzoni in alcune botteghe di Forlì, così almeno avrebbero mangiato e forse un giorno avrebbero potuto applicare alla perfezione un mestiere redditizio.

Quando fu il suo turno di partire, all’età di sedici anni, lui era fuggito di casa. Non voleva diventare un calzolaio, oppure tornare a fare la fame come contadino. Lui voleva essere libero. Allora era un ragazzo, ma aveva delle idee chiare in testa. Era un ragazzo più alto degli altri, ma talmente tanto magro che si potevano vedere le ossa premere sotto la pelle del suo corpo. I capelli erano castani, così come gli occhi. Per diventare un vero brigante gli era bastato solo farsi crescere un po’ di barba, rubare un fucile, trovare altri compagni, cosa che tra l’altro si era rivelata molto semplice, ed addentrarsi verso i monti, alla ricerca di un posto sicuro dove nascondersi. E così si era ritrovato ad essere un fuorilegge.

Ora, almeno, non era più magro e consunto come un tempo. Il cibo raramente mancava alla sua banda, e ora si trovava ad essere un uomo di trent’anni in piene forze. Commettere furti e rapine ai danni dei più ricchi gli aveva permesso di vivere meglio e di mettere qualcosa sotto i denti, senza condurre una vita di stenti agli ordini di un prepotente padrone. Ultimamente era riuscito a mettere da parte pure un po’ di denaro.

Mentre rifletteva, sentì bussare alla porta.

‘’Vieni, Gianni’’, disse al ragazzo che stava bussando, in attesa di essere ricevuto.

Gianni gli era sempre vicino, era un giovane affidabile e spesso e volentieri lo lasciava fare da vedetta al suo nascondiglio, in modo da poterlo avvisare in caso di necessità. Non era molto alto, ma aveva un fisico slanciato ed era in grado di compiere lunghe corse senza sentire neanche un po’ di fatica. In poche parole, era il tipo giusto da far da sentinella.

Il resto del gruppo dei briganti si trovava nell’altro lato della montagna, in una grotta naturale ben nascosta e quasi irraggiungibile per chi non era abituato a fare delle scalate. Era il rifugio ideale, che veniva utilizzato dopo aver compiuto rapine consistenti. Nessuna guardia sarebbe salita fin lì per cercarli.

Giovanni ora si trovava in quella cascina solo per attendere l’arrivo dei fuorilegge toscani, che avrebbero acquistato la sua merce rubate per farla passare al di là del confine e portarla ai ricchi mercanti fiorentini, che l’avrebbero poi rivenduta. Poi, si sarebbe riunito al suo gruppo, e li avrebbe raggiunti. Infatti, lui di giorno stava con i suoi compagni nella grotta, e solo di sera li abbandonava, andandosene a dormire in una piccola casetta più a valle.

 Gianni si fece avanti, a passi felpati come quelli di un gatto. Il suo viso era leggermente teso, in una smorfia che presagiva qualcosa di non proprio positivo.

 ‘’Ci sono i toscani, giusto?’’, chiese Giovanni con sicurezza, non badando all’espressione del ragazzo.

‘’No, Zvan, in realtà abbiamo un altro genere di visite’’, disse il ragazzo, in evidente imbarazzo.

 Giovanni inarcò un sopracciglio. Non attendeva nessun altro in quel suo luogo segreto.

‘’Spero che non siano austriaci, allora! Dai, dimmi chi mi cerca’’, disse Giovanni, con un sorriso.

Gli austriaci andavano a rinforzare le truppe pontificie, e le aiutavano nella ricerca dei fuorilegge, compiendo azioni nei punti più difficili da raggiungere. Ma lui sapeva bene che non si trattava di austriaci, se no Gianni gli avrebbe fatto un verso, per avvertirlo.

‘’No, Zvàn. E’ il nostro informatore di Ravenna, che ci ha portato anche alcuni ospiti. Non proprio graditi, tra l’altro’’, disse Gianni. Poi, si avvicinò all’orecchio di Giovanni. ‘’Concorrenza’’, sussurrò.

Giovanni si agitò sulla sedia. Si chiese come si fosse permesso quell’infido informatore a portare al loro covo segreto ‘la concorrenza’, che nel gergo della banda stava a indicare un altro capo di briganti. Non fece in tempo a rispondere ad altro, poiché il piccolo ometto, che era il suo informatore alla corte dell’Arcivescovo di Ravenna, fece capolino sulla porta.

 ‘’Prego, Marco, entra pure. Gianni mi stava informando ora della tua inattesa visita. Spero mi porti qualche buona notizia’’, disse Giovanni, stando ben attento a non mostrare la sua rabbia. Almeno per ora.

Quel Marco era il tipico soggetto che poteva irritare chiunque. Aveva un fisico tozzo, con un poderoso ventre che premeva al di sotto degli abiti, che era veramente una cosa rara. Inoltre, in genere aveva un modo di parlare dotto, che faceva quasi ridere Giovanni. Dopo ogni informazione che passava, insisteva per ricevere soldi, ed era molto avido. In genere, era molto polemico, e gli piaceva dilungare su numerose questioni, creando problemi con chi trattava con lui. Insomma, non era proprio il tipo con cui un brigante potesse andare d’accordo. Ma Marco serviva molto alla banda, poiché era l’unica spia che avevano presso l’Arcivescovo di Ravenna, ed era un soggetto sempre informato su tutto. In fondo, i soldi che chiedeva se li guadagnava, anche se aveva un modo di fare irritante.

 ‘’Salve, Zvàn. Non porto buone notizie, ma ottime notizie’’, disse Marco, sorridendo.

 Giovanni fece cenno a Gianni di posizionarsi sulla porta, e rimase impassibile al sorriso dell’informatore.

‘’Certo, certo, immagino. D’altronde, per farti scomodare dai tuoi agi alla corte dei chierici ravennati, e per farti compiere questo lungo e rischioso viaggio, serviva un’ottima notizia. Dimmi tutto’’, disse, con fare guardingo, sistemandosi meglio sulla sedia.

 ‘’Tranquillo, la mia assenza momentanea non la noteranno neppure. Un mio uomo di fiducia mi sta sostituendo egregiamente, e tutti si fidano di lui, mentre io risulto ammalato. Ma torniamo a noi. Sono venuto fin qui per portarti un possibile alleato. Insieme, farete grandi cose’’, disse Marco.

Giovanni lo fissò, innervosito. Quel Marco si credeva di essere lui il capo del gruppo, forse. Ma lui l’avrebbe sistemato a dovere. Lavorava per lui da solo un anno, ma si stava facendo sempre più prepotente. Stava per iniziare a parlare, quando dalla porta entrò un uomo.

Gianni tentò di fermarlo, ma il tipo lo colpì e lo gettò a terra.

Giovanni si alzò, furioso.

 ‘’Chi sei? Come osi entrare in casa mia e colpire un mio uomo di fiducia?’’, chiese, tirando fuori una pistola carica dalla tasca e puntandola contro lo sconosciuto. L’uomo si fermò. E Giovanni lo riconobbe.

‘’Calma, compagno. Io sono Aldo, il capo della banda delle paludi ravennati, spero ti ricordi di me. Abbiamo già fatto piccoli affari insieme, alcuni anni fa. Scusa per il tuo amico, ma dovevo entrare in fretta, perché non ho molto tempo. Sono qui per parlarti di un affare che potrebbe interessarti. E’, senz’ombra di dubbio, un affare che non potrai rifiutare’’, disse Aldo, alzando la mano sinistra. Marco annuì vigorosamente, come per voler sostenere ciò che aveva già detto poco prima.

 Giovanni tornò a sedersi, annuendo e ignorando Gianni, che era ancora a terra. Si trovava di fronte al grande Aldo, il capo della banda di briganti che operava nelle paludi attorno a Ravenna. Se lo ricordava più giovane. Ma comunque era lui,  poiché gli aveva mostrato la mano sinistra, alla quale mancavano due dita, mentre nel pollice aveva un grosso anello di ferro ben inciso.

Le due dita mancanti erano il suo segno di riconoscimento.  Era molto famoso in tutta la Romagna. Ed era il tipico soggetto con cui non avrebbe mai voluto averci a che fare, poiché era conosciuto da tutti per la sua fama di feroce tagliagole. In realtà, alcuni anni fa aveva dovuto incontrarlo, anche se solo di sfuggita, per alcuni commerci illegali di sale, che dalla costa dovevano attraversare gli Appennini per andare verso il sud. In ogni caso, era stato un affare da poco, e in quel momento non aveva prestato molta attenzione al suo aspetto fisico.

 La banda di Aldo operava in maniera totalmente diversa dalla sua; contrabbandava sale, compiva rapimenti e uccideva senza pietà chiunque provasse ad intralciarlo, mentre lui, di solito, si limitava a rapinare.

Aveva la fama di essere sleale, ma aveva molti scagnozzi, che comunque erano feccia della società e feroci assassini. Doveva liberarsi al più presto possibile di quel tipo, poi, con calma, se la situazione l’avrebbe richiesto, avrebbe fatto sparire anche quell’impiccione di Marco senza dare troppo nell’occhio. Per ora, non aveva alcuna intenzione di intrattenere una possibile trattativa importante con un tipo come Aldo. Ma alla fine si decise ad ascoltarlo ugualmente, per evitare inutili discussioni tra bande.

Aldo fece cenno con la testa verso l’informatore e Gianni. Doveva intrattenere una discussione privata. Giovanni sapeva che, se ci teneva veramente a una collaborazione, Aldo avrebbe giocato tutte le sue carte per convincerlo, e che non voleva nessuno tra i piedi. Soprattutto, non voleva un pericoloso polemico come Marco.

Giovanni fece cenno a Marco e a Gianni, che nel frattempo si era rialzato, di uscire e di lasciarli soli. Gianni prese con la forza Marco, e lo trascinò fuori. Poi chiuse la porta, e Giovanni mise la refurtiva a terra, sgombrando il tavolo, ma tenendo a portata di mano la pistola.

 I due capi dovevano parlarsi tra loro senza testimoni.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per avermi letto!

Con questo primo capitolo inizia la storia vera e propria. Questa volta abbiamo conosciuto Giovanni.

Nel prossimo capitolo conosceremo meglio Aldo e scopriremo la sua proposta, e vedremo se Giovanni accetterà di affrontare una nuova e pericolosa avventura.

Vorrei informarvi che pubblicherò un capitolo a settimana, nella giornata di lunedì. Cercherò di essere molto puntuale con gli aggiornamenti.

Vorrei fare un ringraziamento speciale a Rossella0806 per aver inserito la mia storia nelle preferite e per averla recensita, e anche a Steph808 per averla seguita e recensita. Grazie!!! J Spero vogliate continuare a lasciare un vostro pensiero sulla storia.

Ringrazio anche tutti voi che siete giunti fin qui! Spero che la storia vi stia incuriosendo J Grazie a tutti!!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

CAPITOLO 2

 

 

Giovanni, appena Gianni chiuse la porta dietro di sé si trovò solo, di fronte al temutissimo Aldo.

Il capo della banda delle paludi era un uomo alto e slanciato, fisicamente molto diverso dai classici romagnoli. A parte l’altezza spropositata, aveva due occhi azzurri estremamente chiari, e i capelli biondi, nonostante iniziassero a diventare bianchi. La barba, che si stava facendo bianca anch’essa, era lunga e unticcia. Intanto, Aldo si stava fasciando di nuovo la mano sinistra, alla quale mancavano due dita. Era un uomo forte e muscoloso.

 Giovanni sapeva bene di trovarsi di fronte ad un feroce bandito. Circolavano voci che in gioventù fosse stato un tipo violento, e che dopo aver commesso diversi crimini fosse riuscito ad ammazzare con una sola pistola parecchie guardie che tentavano di arrestarlo, prima di riuscire a darsela a gambe e di fondare una banda di delinquenti nelle vaste paludi che si estendevano attorno e a nord di Ravenna.

Quello era un luogo difficile; lì c’erano in opera numerose bande, tutte in conflitto l’una con l’altra. Inoltre, durante le calde estati l’afa era insopportabile, e nugoli di zanzare infette erano pronte a pungerti, iniettandoti malattie letali. Un luogo dove nessuno avrebbe voluto vivere.

 Aldo, a quanto pare, ci viveva bene e aveva fatto di quel luogo la sua casa. Quell’uomo sembrava fosse solo invecchiato fisicamente, perché da ogni suo poro emanava ancora quel carisma e quella forza tipici di un capobanda.

E non solo. Emanava anche un lezzo da far rabbrividire chiunque si trovasse nel raggio di due metri da lui. Pure Giovanni, che era abituato alla scarsa pulizia del corpo, provò disgusto di fronte a quella massa che puzzava di pesce marcio, probabilmente uno dei pochi cibi che riuscisse a racimolare senza problemi nella sua zona lavorativa.

Aldo in quel momento lo guardò e gli sorrise, come se fosse in grado si leggere nei suoi pensieri, scoprendo la sua dentatura giallastra. Giovanni continuava a fissarlo in volto, imperterrito, senza abbassare lo sguardo. In realtà, era un po’ intimorito, poiché era quasi impossibile restare impassibili di fronte ad un soggetto come quello.

‘’Allora, socio, sono qui per parlarti di un affare importante’’, disse Aldo, interrompendo quel silenzio pieno di tensione che era calato tra loro.

 Parlava il dialetto di Ravenna, un romagnolo con sfumature lievemente diverse da quello che parlava Giovanni, ma che comunque si comprendeva senza troppi problemi.

‘’Questo l’ho capito. Vieni al punto, che ho fretta. E comunque, non chiamarmi ancora socio. Per ora non ho alcun affare in corso con te’’, disse Giovanni.

‘’Vedo che però qui fai buoni affari’’, disse Aldo, non badando alle frettolose parole appena pronunciate da Giovanni e indicando la mercanzia che era stata accatastata al suolo poco distante. Giovanni notò che Aldo cercava appunto di ignorarlo, sentendosi più forte di lui, e cercava di parlare solo di ciò che gli saltava all’occhio o alla mente. Probabilmente, per darsi più importanza e per metterlo in soggezione. La vecchia volpe sapeva ancora farsi il fatto suo.

‘’Nella nostra zona, noi non riusciamo più a mangiare. Non si fanno più colpi buoni, ormai la gendarmeria è la nostra nemica costante e siamo sempre braccati. In più, la povertà si fa sentire, e i ricchi non vagano più carichi di denaro come un tempo. Ma io ho trovato la soluzione. Una soluzione che raggiungeremo insieme. Fidati, ci sarà bottino e fama in abbondanza per entrambi. Potremmo vivere in tranquillità per un bel pò’’, continuò Aldo.

‘’Ora basta giri di parole e chiacchiere varie. Voglio conoscere ciò che vuoi propormi. Oppure, se non hai da dire niente ma vuoi solo curiosare, vattene’’, disse Giovanni, scandendo bene le parole.

‘’Oh, finalmente vedo che ti ho incuriosito un po’. Tornando a noi, tu hai una spia che lavora per te presso l’Arcivescovo di Ravenna, ma io ne ho ben due. E sono più affidabili della tua, perché noi se non ci riferiscono tutto li ammazziamo. Dunque, a quanto pare, un ricco conte romano si sta spostando rapidamente, con una diligenza, verso Ravenna. Per ora sosta ancora a Rimini, ma è questione di un paio di giorni prima che parta alla volta di Ravenna, e sarà costretto ad attraversare le fitte pinete che si estendono a sud della città, in modo da ridurre il tragitto. E noi l’attenderemo lì.

 Devi sapere che quel conte gode dell’appoggio del Papa, ed è una figura ben vista a Roma. Si chiama Luigi Scalindi,  ed è originario proprio di Ravenna. Ancora non sappiamo perché Gregorio XVI abbia incaricato un suo nobile di fiducia per compiere questa pericolosa missione, quando poteva usare altri mezzi, ma questo non importa. E’ l’occasione che fa per noi. Infatti, ha commesso l’idiozia di portarsi sua figlia con sé. Il conte al suo seguito non avrà molto denaro, ma potrà poi procurarselo. Se rapiamo la ragazza, ci faremo dare tantissimo denaro, visto che suo padre può permetterselo’’, disse Aldo, con lo sguardo vacuo e in un modo un po’ confuso. Si stava già immaginando la scena. Giovanni rise. Era abituato a compiere rapine presso uomini adulti e pronti a difendersi, e non rapimenti di donzelle indifese. Pensò che quello era proprio un piano tipico dei banditi delle paludi, pronti a sfruttare ogni possibile situazione favorevole per guadagnarci qualcosa.

‘’Tu sei folle. Parli al plurale, e non sai che io rifiuterò la tua offerta. Non riesco ancora a capire perché hai contattato la mia spia, mettendomi in pericolo, e perché ti sei rivolto proprio a me. Ci sono decine di bande di banditi in azione su tutto il territorio. Va da loro. E poi, sono ancora parecchio ricercato per i miei recenti furti, e non gradirei essere impiccato per aver commesso qualche sciocchezza’’, disse Giovanni. Aveva anche paura di cadere in possibili tranelli. Ora aveva un po’ di soldi, e non aveva immediato bisogno di gettarsi in una simile avventura.

 ‘’Stupido! Tu parli come un’idiota! Ascoltami bene, prima di farmi arrabbiare. Tu sei il brigante più conosciuto ormai, e hai tuoi ordini hai un piccolo esercito, cosa che gli altri non hanno. Nessuno può fermarti, e lo sai. Pensa; io sono arrivato a raggiungerti fin qui senza problemi, e ciò significa che la gendarmeria si è già stancata di cercarti, se no avrei provato ad attendere che le acque si fossero calmate. E durante il percorso non ho incontrato né guardie né posti di blocco, quindi non stanno ricercando nessuno per ora, fidati di me. Ti fai troppi scrupoli, ragazzo. Nella vita, per fare colpi grossi bisogna anche rischiare. Si vede che fin ora hai rapinato solo piccoli nobili di campagna’’, disse Aldo, approfittandosene per fermarsi per un secondo, senza però dare la possibilità a Giovanni di rispondere, ma dandogli il tempo di comprendere le sue frecciatine. Infatti, mentre Giovanni stava per ribattere, riprese subito il discorso.

‘’ Ora ascolta bene, perché questo è il piano, e tu lo eseguirai. Io e i miei uomini vi indichiamo la zona migliore dove tendere un’imboscata, e tu e i tuoi combatterete contro le guardie austriache che scortano il convoglio. Verranno anche alcuni dei miei uomini ad aiutarvi. Poi, rapirete la figlia del nostro caro conte, e la nasconderete qua, in attesa che venga pagato un cospicuo riscatto. Vi lascerò custodire la ragazza sia per far in modo di mostrare la mia lealtà, sia anche per il fatto che noi non abbiamo posti sicuri dove poterla vigilare. Però, col riscatto faremo metà’’, concluse Aldo, come se fosse già stato tutto deciso da lui stesso. Giovanni si concesse un sorriso, per nulla intimorito dall’atteggiamento aggressivo del suo interlocutore. Sapeva fin da subito che Aldo avrebbe tentato di convincerlo e tranquillizzarlo in ogni modo, per far sì che la questione apparisse semplice, e che se fosse stato necessario avrebbe anche urlato. Il vecchio bandito voleva sfruttare la sua anzianità per comandarlo come se fosse una bestia da soma. Giovanni doveva dimostrare la sua autorità.

‘’Senti, Aldo, non stai parlando con un tuo sottoposto, ma con un brigante armato, e un tuo possibile socio. Quindi, modera il tuo comportamento. Io faccio solo ciò che mi aggrada, e non devo di certo rispondere a te per quello che faccio. Inoltre, mi dici solo ora che ci sarà anche uno scontro armato. Sai, vero, che la situazione potrà diventare molto pericolosa per tutti? E sai che dopo un attacco e un rapimento così saremo ricercati ovunque? Nessuno si azzarda a toccare i nobili preferiti dal Papa. A quel punto, anche il mio rifugio sulle montagne sarebbe insicuro’’, disse, fissandolo dritto negli occhi, senza timore. Aldo parve rendersi conto che non aveva a che fare con un debole, e si acquietò un attimo, soprattutto per il timore di ricevere un rifiuto. Inoltre, anche lui capì che i dubbi di Giovanni erano fondati. Ebbe un breve moto di rabbia, che seppe trattenere bene. Infine, strinse i pugni e riprese a parlare, facendosi più tranquillo.

 ‘’Zvàn, ovvio che sono scortati da qualche guardia! Ma sono un numero ridotto, per velocizzare l’andatura del gruppo, che deve essere entro breve presso l’Arcivescovo per discutere di questioni molto importanti e urgenti. Ma ti garantisco che anche i miei uomini combatteranno al vostro fianco, e che potremo sopraffarli facilmente. Dobbiamo lasciare vivo solo il conte e sua figlia. Il conte poi ci prenderemo la briga di accompagnarlo fino alle periferie di Ravenna, in modo da evitargli possibili altri incontri scomodi, che possono mandare all’aria il nostro piano. Per il resto, non devi pensare a nulla, perché faremo in modo che in un primo momento le colpe cadano sul nostro gruppo, quindi saremo ricercati noi nelle paludi e voi vi lasceranno in pace, se vi nasconderete qua, sui monti. A noi, d’altronde, non interessa molto se siamo braccati, perché siamo seminomadi e sempre pronti a spostarci. Ma comprendi che non possiamo farlo se abbiamo a carico una ragazza. E quella tocca a te tenerla, anche per il fatto che tu hai il nascondiglio più sicuro di tutti’’, disse Aldo, facendosi calmo.

Giovanni si fece serio, e pensò per alcuni istanti. Amava le avventure, e questa gli sembrava bella ed abbordabile per lui e i suoi uomini, tutti ben addestrati a combattere e armati di fucile e qualche pistola. In seguito, gestire la ragazza non sarebbe stato un problema. Aldo lo fissò per un po’, poi interruppe i suoi pensieri.

‘’Qual è la tua risposta, allora?’’, gli chiese.

‘’Non lo so, ancora. Voglio garanzie’’, disse Giovanni. Aldo sorrise.

‘’Nessuna garanzia. Solo la mia parola di brigante, e la ragazza, che vi lascerò custodire. Che vale il doppio di ogni altra cosa. Inoltre, ti garantisco che non incontrerai guardie durante il tuo percorso. Farò in modo di usare la mia banda per creare problemi e per far concentrare tutte le loro forze nelle paludi a nord di Ravenna, in modo che non ci disturbino. Vedrai, alla fine sarai soddisfatto, e ci divideremo il riscatto’’, disse Aldo.

Giovanni continuò a restare perplesso. Certo, un assalto ad una diligenza non era roba da poco. Per di più se era scortata da un buon numero di soldati, e se c’erano numerose guardie nei paraggi. Poi, la zona di conflitto non entrava nella sua zona abituale, che era situata nella fascia pedemontana, e non sulla costa. Inoltre, doveva mettersi nelle mani di quell’odioso bandito. Voleva più certezze. Quella poteva essere una follia.

‘’Marco!’’, gridò. Aldo si agitò, ma Giovanni gli fece cenno di restare calmo. La spia entrò furtivamente.

‘’Eccomi, Zvan’’.

’’Marco, è vera la notizia del conte e della diligenza? Non provare a mentirmi o ti farò ammazzare all’istante’’, disse Giovanni. Marco sbiancò.

 ‘’No, no, è vera. Anch’io l’avevo intercettata, ma non sono stato a riferirtela perché sapevo che non avevi basi nella zona. Ma l’intervento della banda delle paludi cambia tutto. E’ veramente un occasione che non puoi sprecare, ci saranno soldi in abbondanza per tutti. Anche l’Arcivescovo ravennate tiene in alta considerazione quell’uomo, e tutti i chierici sanno che possiede vasti terreni agricoli vicino a Roma, dai quali ogni anno ricava immense ricchezze. Inoltre, viene lautamente pagato dal Papa, per il quale a volte svolge alcuni servigi. Se tu rapissi la figlia, che a quanto pare ama molto, lui sarebbe disposto a pagare qualunque cifra pur di riaverla. E noi tutti, a quel punto, diventeremo ricchissimi’’, concluse Marco, con fare sicuro. Giovanni capì che non stava mentendo.

 ‘’Bene. Spero che tu non mi abbia mentito, perché pagherai ogni possibile incidente con la vita. Ma ora vattene, torna a Ravenna. Non voglio che tu ti faccia scoprire. In quanto a noi’’, disse Giovanni, rivolgendosi ad Aldo, ‘’ l’affare andrà in porto. Quando sarà il momento opportuno, Marco informerà entrambi. Io mi sposterò in pianura con tutti i miei uomini migliori, e ci incontreremo al limitare della pineta, lungo la strada sterrata secondaria che porta a Ravenna, vicino alle risaie. Poi ci mostrerete il luogo prescelto, e noi attenderemo e agiremo. La ragazza ce la terremo noi, in attesa del riscatto, poi divideremo il bottino’’, disse Giovanni, riassumendo tutto d’un fiato. Aveva già calcolato a mente quanto tempo ci voleva per giungere alla pineta ravennate. Più o meno mezza giornata di galoppo. Poco male, si poteva fare.

‘’Perfetto’’, disse Aldo, porgendogli la mano, che tra l’altro era tutta lercia.

‘’Ma attenzione; se solo proverete ad attaccarci o a tirarci altri scherzetti sconvenienti, noi faremo fuoco su di voi e vi stermineremo. Quindi, niente inganni e niente tradimenti’’, disse Giovanni.

‘’Ovvio che no. Vedrai, andrà tutto bene. Ben presto sarai ricchissimo. Saremo ricchissimi’’.

 ‘’Lo spero’’, disse Giovanni, stringendo la mano del bandito.

Avevano siglato il patto. Alla fine, la voglia di avventura di Giovanni era riuscita a vincere sulla sua rigida razionalità. Aldo se ne andò, e sparì senza tanti cerimoniali, seguito da Marco.

Gianni, intanto, si fece avanti, seguito da un individuo ben vestito.

 ‘’Zvàn, ci sono i toscani’’, disse, avvicinandosi. Poi, fece accomodare l’uomo all’interno della cascina.

Giovanni si alzò un attimo, e accompagnò Gianni alla porta. Non aveva timore a lasciar gironzolare perfetti estranei in quel luogo, poiché dentro quella cascina ospitavano chi chiedeva loro udienza, senza paura di eventuali tradimenti, visto il fatto che tutti ci guadagnavano ad avere rapporti con loro. Poi, quel luogo era distante dal loro nascondiglio.

 Gianni gli si avvicinò all’orecchio per un istante solo, prima di allontanarsi e di tornare alla solita postazione di guardia.

‘’Zvàn, hai fatto bene ad accettare. Sento che faremo un buon gruzzolo’’, disse. Giovanni gli sorrise nuovamente, con fare gioviale.

 ‘’Ora sai anche prevedere il futuro? O spii dietro le porte, come farebbe un bambino monello?’’, gli chiese.

Gianni gli ricambiò il sorriso, poi scosse il suo grosso testone e si allontanò. Giovanni tornò a sedersi, di fronte al toscano, e gli mostrò la merce. Gli occhi del forestiero luccicarono, e Giovanni comprese che anche quel giorno avrebbe fatto buoni affari.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo!

Spero di avervi intrattenuto un po’. Ribadisco che questa è la seconda storia che scrivo, ed è la prima in assoluto che pubblico nella sezione ‘storico’. Vi prego quindi di essere clementi con me J

Vorrei fare alcuni ringraziamenti. Grazie a Rossella0806 per recensirmi, per aver inserito il racconto tra i tuoi preferiti e per le belle parole che stai spendendo per questa storia. Grazie, sul serio, mi fa piacere che questo racconto ti piaccia J Spero vorrai continuare a farmi sapere cosa ne pensi della storiaJ

Grazie anche a Steph808, che segue la storia e  la recensisce. Grazie J

Grazie anche a S1mo94, che ha inserito la mia storia tra le seguite e mi ha recensito l’ultimo capitolo che ho pubblicato. Spero veramente che la storia continui a piacerti J Grazie J

Grazie anche a lauraymavi, che ha inserito il mio racconto tra le sue storie seguite. Grazie!! J

Grazie anche a tutti voi che siete giunti fin qui J

Sono solo un ragazzo con poca esperienza, e ringrazio chiunque mi dia un suo parere. Grazie, ragazze/i, per le recensioni positive che mi avete fatto.

Grazie ancora! J  A lunedì prossimo J

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

CAPITOLO 3

 

 

Giovanni stava sellando il suo cavallo.

 Erano passati solo tre giorni dal suo incontro con Aldo, e Marco aveva già avvisato entrambi dell’imminente arrivo del conte. A quanto pare, la diligenza avrebbe dovuto attraversare la pineta di Ravenna nella prima serata di quel giorno stesso.

 Giovanni aveva già fatto preparare i suoi uomini, che stavano scalpitando, bramosi di nuove avventure, dopo parecchi giorni in cui erano stati immobili.

 Fortunatamente, il tempo sembrava promettere bene. Era ancora mattino, comunque il sole irraggiava le montagne, rendendo il clima leggermente più gradevole. Ma il brigante conosceva la sua terra, e sapeva che lì, soprattutto in quel periodo dell’anno il clima poteva cambiare rapidamente. E questo a svantaggio della loro missione.

 Per ora non sapeva ancora come fosse il tempo nella pianura, ma già si immaginava quella fitta coltre di nebbia che accompagnava i romagnoli che vivevano lì per parecchi mesi dell’anno.

Finalmente, salì in groppa al suo destriero, un bell’animale rubato alcuni anni fa, quando era poco più che un puledro, da un mercante che lo stava portando al foro boario di Forlì, per venderlo. Giovanni l’aveva chiamato Furia.

Il nome gli stava a pennello, poiché fin dall’inizio si era rivelato un animale piuttosto irrequieto, che comunque, dopo un opportuno addestramento, era riuscito ad acquietarsi un po’. Era un cavallo che quando veniva spronato al galoppo era in grado di raggiungere velocità molto notevoli, e non si lasciava mai maneggiare da nessuno che non fosse Giovanni stesso, se no tendeva a scalciare e a imbizzarrirsi. Giovanni amava quell’animale, che era anche un suo fedele compagno durante le scorribande.

I suoi uomini erano impazienti, e lo attendevano già sopra ai cavalli.

 ‘’Zvàn, oggi pensavamo che non saresti riuscito a sellare Furia. Ci hai messo quasi un’eternità’’, disse Mario, il suo braccio destro, sorridendo.

 ‘’Certamente. Non dovete dimenticare che, se va tutto bene, qui sopra questa sera dovrà salirci una contessina. E le contessine di solito non montano animali mal sellati’’, disse Giovanni, scatenando l’ilarità generale.

‘’Ragazzi, dividetevi in gruppi composti da una decina di componenti ciascuno. Poi, io partirò per primo, seguito da alcuni di voi che sceglierò io stesso, mentre quelli che rimarranno partiranno un po’ dopo di me. E’ importante che vi muoviate in gruppi ridotti, e che percorriate strade secondarie, per non dare nell’occhio. Evitate i centri abitati. Il viaggio che ci attende è lungo e rischioso, state sempre pronti a far fuoco in caso di pericolo, ma non fate sciocchezze. Non voglio che nessuno ci scopra, e se vi trovate in situazioni sconvenienti, datevi alla fuga, e subito dopo aver seminato gli inseguitori, tornate sulla vostra strada. In ogni gruppo fate in modo che ci sia uno un po’ esperto della zona, così potrà aiutarvi, e non ingaggiate risse con contadini o soggetti vari che incontrerete lungo il vostro cammino. E ora, dividetevi’’, disse Giovanni, interrompendo le risa dei suoi uomini.

Aveva deciso di frammentare il gruppo degli uomini che sarebbero andati con lui per fare in modo di dare meno nell’occhio. Certo, essere in pochi poteva significare essere anche in svantaggio e in pericolo, ma in realtà tutti loro erano abituati alle fughe precipitose, quindi, in caso di necessità, non ci sarebbero stati molti problemi. Lui sarebbe partito con lieve anticipo proprio per incontrare per primo Aldo, e per sondare il terreno.

Al nascondiglio avreva lasciato una ventina di uomini, quelli più giovani e più irrequieti, in modo da non creare intralci a un’operazione già di per sé complicata. Aveva incaricato alcuni dei nuovi arrivati di preparare una piccola dimora più a valle, che era abbandonata da tempo e che faceva proprio al caso loro. Era il luogo ideale dove rinchiudere l’eventuale prigioniera.

 I briganti, intanto, continuavano a guardarsi l’un l’altro, e iniziarono a comporre i gruppi, che vennero tutti sbagliati. Alcuni erano composti da molti individui, altri da pochi.

Giovanni sorrise, ricordando parecchi dei suoi uomini non sapevano contare.  Lui l’aveva imparato da solo, perché gli serviva, ma molti di quei ragazzi non avevano mai avuto molte opportunità per contare oggetti, poiché non avevano mai avuto niente. Giovanni scambiò un’occhiata d’intesa con Mario, e insieme iniziarono a sistemare i gruppi. Poi, scelsero nove uomini, che sarebbero partiti con loro nel primo gruppo.

Dopo un po’, finalmente, Giovanni vide che era tutto pronto.

 ‘’Andiamo. E ricordatevi che dovete essere puntuali. Cercate di non perdervi, di non dare nell’occhio e di non fare tardi’’, disse Giovanni, come ultimi avvertimenti. I suoi uomini fecero cenni affermativi con la testa, come chi non ne può più di ascoltare prediche.

 Poi, il suo stallone partì. Ben presto, si trovò ad affrontare il ripido pendio che portava a valle. I ciottoli cercavano di recare offesa ai duri zoccoli di Furia, ma il cavallo era scaltro ed esperto, e giunse a valle immune, come anche gli altri cavalli. Cavalcarono moderatamente, per non fare stancare gli animali.

 Ben presto, le figure dei ripidi monti furono rimpiazzate da quelle più dolci e arrotondate delle colline. Attorno agli undici uomini, c’erano solo alberi. Le abitazioni erano poche, e tutte di contadini. La cavalcata continuò tranquilla anche quando giunsero nella pianura.

Di fronte a loro, la pianura romagnola si estendeva ovunque, dando a tutto un senso di tranquillità, non più interrotta da brulli calanchi ma da siepi spoglie. Stettero ben attenti a non dare nell’occhio, ed evitarono tutti i centri urbani.

Attraversarono solo pochi villaggi, sperduti in mezzo al nulla. I boschi immacolati dei monti, in  pianura erano sostituiti dai campi agricoli. In quel periodo dell’anno, i campi erano quasi tutti arati, e la terra marrone scuro combatteva un conflitto perenne contro l’intenso blu del cielo. In molti terreni iniziava già a nascere il grano, che stava facendo la sua comparsa perforando il terreno con la sua prima foglia. Fortunatamente, non c’era la nebbia.

Era metà giornata, e il clima era piuttosto caldo per il periodo. Giovanni si tolse il suo pesante mantello, e inspirò a pieni polmoni quell’aria, che non sapeva più di selvaggio ma odorava di sapori vari, prodotti da quel magro pasto che ogni santo giorno le donne stavano a preparare con tanta cura per i loro mariti e i loro figli.

Continuarono a percorrere una strada di terra battuta, poco distante da un minuscolo gruppo di case, costruite l’una a fianco dell’altra, come quasi per volersi proteggere a vicenda.

Scelsero di attraversare un luogo che veniva chiamato le larghe, poiché era una zona poco abitata, ma comunque in compenso era molto coltivata. I briganti, fortunatamente, non incontrarono mai una guardia o qualcuno che potesse dar loro problemi.

 I contadini erano nei campi, a sfruttare quel giorno soleggiato per finire la semina delle fave, uno degli elementi essenziali per il prossimo anno, anche se parecchi di loro erano già nelle loro case, pronti a pranzare.

 I briganti continuarono a percorrere la stradina sterrata che attraversava le larghe con calma, consapevoli che entro un paio d’ore sarebbero giunti a destinazione.

 La strada era veramente in condizione penosa. I carri, trainati perlopiù da asini e muli, avevano tracciato profondi solchi nel suolo.

Attorno a loro, si susseguivano piccoli vigneti e terreni coltivati, tutti separati tra loro da alte siepi di alberelli spinosi, ormai tutti spogli. Quelle siepi erano importantissime, poiché fornivano la legna necessaria ai contadini durante la lunga stagione fredda.

 Lungo la strada, che era un rettilineo che attraversava la campagna, incontrarono solo un pastorello, che doveva avere circa tredici anni. Badava a due pecore, stando ben attento che brucassero solo sulla riva del piccolo fosso che fiancheggiava la strada, controllando che non lo saltassero per andare a nutrirsi nei campi coltivati. Il giovane era pelle e ossa, e vestiva abiti tutti rattoppati, indossati da chissà quanti prima di lui. Un cagnolino lo seguiva, tutto malandato.

 Vedendo i briganti, e vedendo che cavalcavano dei cavalli, pensò che fossero dei ricchi. Non si vedevano spesso uomini a cavallo da quelle parti. Subito, il ragazzino si allontanò dalle pecore, e si avvicinò a Giovanni, che stava cavalcando lentamente, in modo da non stancare troppo Furia.

 ‘’Bel cavallo, signore’’, disse il ragazzo, avvicinandosi quasi di corsa.

‘’Si chiama Furia, ragazzo’’, disse Giovanni, sorridendogli.

 ‘’Io mi chiamo Giulio, e quello è Fòf’’, disse il ragazzino, indicando il cane, e cercando di mettersi davanti a Furia, per cercare di fermare Giovanni.

Subito, gli uomini dietro di lui si arrestarono ed iniziarono ad agitarsi, e Giovanni fece loro cenno di stare calmi. Poteva essere una trappola. Magari, il ragazzo era lì per intrattenerli, in modo che perdessero tempo prezioso, o forse poteva essere una spia. Ma Giovanni era certo che questa volta non si trattava di nulla di tutto ciò.

‘’Bhè, se avete i soldi per poter nutrire un cavallo così bello, potreste avere anche qualche spicciolo per me. Ho tanta fame, e da due giorni tutto quello che riesco a mangiare è un minuscolo uovo sodo, che neppure mi basta ad alleviare quel vuoto che ho nella mia pancia’’, continuò a dire Giulio, speranzoso.

Giovanni gli fece un grande sorriso, e rovistò nella saccoccia di tela grezza che portava appesa a fianco del cavallo. Estrasse un pezzo di pane piuttosto fresco.

‘’Tieni, Giulio, non ho altro’’, gli disse.

 ‘’Oh, grazie signore, questo basta e avanza. Grazie, grazie!’’, continuò a dire Giulio, allungando le sue scarne braccia verso Giovanni, che gli porse il cibo.

Subito, il ragazzino smise di ringraziare, e addentò in modo famelico quel pezzo di pane. Il cane, vedendo il padrone mangiare, iniziò subito a saltellargli attorno, annusando il terreno in cerca di qualche possibile briciola.

‘’Anche lui ne vuole un po’’, disse Giovanni a Giulio, sorridendo. Il ragazzino scrollò le spalle.

‘’No, lui si arrangia’’, disse Giulio, senza smettere di masticare.

‘’Giulio, è meglio che ora torni alle tue pecore’’, disse Mario, che fino a quel momento era stato in silenzio, e indicò i due animali, che nel frattempo si erano allontanati, e stavano per addentrarsi in un terreno coltivato.

‘’Oh! Grazie di tutto, signori, ma ora devo andare’’, disse il ragazzo, prima di ripartire di corsa per cercare di raggiungere le due bestiole, prima che potessero combinare danni. ‘’Ehi! Ehi!’’, prese a gridare, mentre correva lungo la strada, per cercare di fermare l’avanzata del piccolo gregge. Fòf lo seguì, scodinzolando.

Giovanni scosse la testa, divertito.

‘’Vedete?’’, disse Giovanni rivolto ai suoi uomini, ‘’Vi siete agitati per niente. Non era una trappola, era solo un monello affamato. Siete troppo agitati, state calmi, o se no daremo nell’occhio’’.

 ‘’Hai ragione, Zvàn. Comunque, stiamo facendo tardi’’, disse Mario, più rilassato.

Subito, Giovanni strattonò lievemente le redini di Furia, e il cavallo aumentò l’andatura, notando che, effettivamente, l’amico aveva ragione. Tutti gli altri fecero lo stesso.

Ben presto, però, ebbero un oscuro presagio. Proprio verso Ravenna e la costa, il cielo era scuro. E visto che c’era il sole ovunque attorno a loro, quello poteva significare solo una cosa; nebbia. E Giovanni sapeva che vicino alla costa la nebbia poteva essere veramente molto fitta. Comunque, continuarono a procedere spediti.

Di lì a poco, la prima fresca foschia iniziò ad avvolgerli. Il sole si abbassava sempre più, e gli uomini iniziarono a temere di arrivare in ritardo, oppure di perdersi. Dai fossi saliva una  nebbiolina lieve, e più si andava verso la costa, più la situazione peggiorava. I campi pian piano iniziarono a scomparire, inghiottiti da quell’intangibile nulla. Giovanni iniziò ad imprecare, seguito a raffica dai suoi uomini.  La nebbia poteva aiutarli a nascondersi, ma allo stesso tempo la foschia poteva impedire ai tiratori di prendere la mira giusta, sprecando munizioni che invece avrebbero dovuto abbattere il nemico in poco tempo. E se il nemico riusciva ad accorgersi in tempo che era sotto tiro, sarebbe stato tutto ancora più complicato.

‘’Dannazione, Mario! Speriamo che questa sera ci vada tutto bene’’, disse all’amico.

 ‘’Stai calmo, Zvàn. Al massimo torniamo indietro a mani vuote’’,  rispose Mario da dietro.

 Giovanni si girò e lo fulminò, e Mario cadde in un profondo silenzio, seguito da tutti gli uomini. Sapevano che il capobanda era scaramantico, e odiava le gufate. E Mario ne aveva appena fatta una, seppur involontariamente.

‘’Noi non torneremo a mani vuote, a patto di sterminare tutti quei tagliagole delle paludi. Abbiamo perso un giorno solo per prepararci e giungere fin qui, maledizione!’’, sbottò Giovanni con stizza, senza rivolgersi a nessuno in particolare, almeno in apparenza. Nessuno fiatò più, mentre la nebbia si faceva sempre più fitta e Giovanni imprecava sempre più forte.

‘’Ormai dovremmo esserci’’, disse Giovanni, dopo un altro po’ di imprecazioni.

 Infatti, poco dopo a poco distanza da loro, apparve sfocato il limitare della pineta. La strada che stavano percorrendo si inoltrava al suo interno, tra sterpaglie e pini marittimi.

 ‘’E ora dove saranno, quegli inutili esseri?’’, borbottò, riferendosi ai banditi delle paludi. Poco dopo, dalla vicina boscaglia uscì una figura alta. Era Aldo, che veniva loro incontro. Appena arrivò vicino a Giovanni, parlò.

‘’Socio, sei arrivato in ritardo. I tuoi uomini sono giunti qui già da un bel pò’’, disse.

‘’Come?’’, chiese Giovanni, stupito.

‘’Vieni con me’’, gli rispose il bandito, e lo condusse nella pineta. Giovanni, seguito dai suoi uomini, tentennò un attimo, avendo il dubbio di cadere in una trappola. Non si fidava.

‘’Oh, avanti Zvàn, non ho teso nessuna trappola. Smettila di essere così sospettoso nei miei confronti’’, disse Aldo, notando i suoi tentennamenti.

Giovanni lo seguì, smontò da cavallo e dopo poco si ricongiunse con gli altri uomini. C’erano già tutti, nonostante fossero partiti dopo di lui.

Tutti i suoi briganti gli andarono incontro a piedi, affermando di essersi preoccupati per il suo ritardo, temendo che fosse accaduto qualcosa. Lui li rassicurò, e parlò con loro. Fortunatamente, anche gli altri gruppetti erano riusciti a giungere lì senza guai. Intanto, stava iniziando a calare la notte.

 ‘’Zvàn, è tutto pronto. Seguimi con i tuoi uomini, vi mostrerò il luogo per l’imboscata. La nebbia, vedrai, non sarà un problema. Questa sera non è particolarmente fitta, e vedrai che non impedirà la nostra azione, ma ci favorirà nascondendoci un pò’’, disse Aldo con fare sicuro, interrompendo tutti i discorsi.

Tutti si fecero silenziosi, e iniziarono ad inoltrarsi nella boscaglia, tenendo i cavalli per le briglie, per non perderli. Aldo li accompagnò in un punto dove la strada si faceva lievemente più stretta, e curava un po’ verso destra. Lì la diligenza avrebbe sicuramente rallentato, si disse Giovanni, soddisfatto.

 ‘’D’ora in poi, silenzio assoluto. Allontanate di poco i cavalli, e appostatevi ben nascosti lungo il ciglio della strada. A breve, le nostre prede transiteranno di qui. Ricordate che Ravenna è poco distante da qui, quindi lo sono anche le guardie. Io sarò posizionato nell’altro lato della strada, con alcuni dei miei uomini. I piani sono sempre quelli, nulla è variato’’, disse Aldo, prendendo poi ad allontanarsi.

 Giovanni fece allontanare di poco i cavalli, lasciando un uomo con loro, che era poi anche lo stalliere, che li tranquillizzava e li controllava.

 Intanto, lui e i suoi uomini si appostarono nella boscaglia, e prepararono i fucili. Poi, ci fu solo silenzio.

 I suoni degli animali notturni giungevano attutiti, mentre la nebbia veniva spinta da un lieve venticello gelido, ma almeno in certi momenti la visibilità era abbastanza buona.

 Giovanni meditò un po’, mentre sentiva che il suo pesante mantello iniziava ad inumidirsi. Aveva iniziato a cadere una fitta pioggerellina lieve.

Giovanni non ne poteva più di attendere. E fu proprio in quel momento che si sentì uno scalpiccio in avvicinamento. E, poco dopo, apparve la diligenza. Era circondata da molte guardie, probabilmente abili austriaci. Le loro ravvicinate uniformi bianche erano ben visibili nonostante la foschia, ed inoltre alcuni avevano acceso qualche torcia, per illuminare la strada. Ben presto, nonostante la foschia che le avvolgeva, fu chiaro che erano parecchie, e non un numero esiguo, come aveva detto Aldo.

 Giovanni tentennò, temeva per l’incolumità dei suoi uomini, poiché quelle guardie erano veramente molte. Ma non si poteva più tornare indietro. Ora, bisognava sperare solo di far funzionare l’elemento sorpresa. Le guardie continuarono ad avanzare lentamente, rallentando. Avevano un modo di fare apparentemente tranquillo. Ormai non si aspettavano più di fare brutti incontri.

 Anche la diligenza, che ora era ben visibile e vicina ai briganti, rallentò, come previsto. La nebbia, come aveva previsto Aldo, alla fine non impedì né rallentò l’operazione.

Appena le guardie furono a tiro, i fucili dei briganti presero a far fuoco, spezzando il fragile silenzio di quella notte tardo autunnale.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo! Spero vi sia piaciuto J

Riusciranno i briganti a compiere la loro missione? Lo scopriremo nel prossimo capitolo J

Piccola anticipazione; nel prossimo capitolo conosceremo la contessina J

Per ora mi limito a ringraziare tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le loro preferite o seguite, e a ringraziare i tre recensori J grazie J

Intanto che ci sono, auguro a tutti buone feste! J A lunedì prossimo J

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

CAPITOLO 4

 

 

Teresa non si era goduta per niente quel lungo viaggio che da Roma l’aveva portata fino a Ravenna.

Non tanto per la fretta con il quale era stato percorso, ma per il fatto che era molto preoccupata per il suo futuro. Aveva vent’anni, era alta nella media ed aveva dei lunghi capelli castani, finissimi al tatto, che di solito teneva raccolti in una lunga treccia. Tutti le dicevano che era molto bella.

Era figlia del conte Luigi Scalindi, di origini romagnole ma trapiantato nella città eterna per vivere più vicino alla corte papale.

Non c’erano mai stati motivi di incomprensione tra lei e suo padre, solo ora si stava creando una frattura tra loro. Suo padre, infatti, aveva deciso di farla sposare. Perché lui si diceva preoccupato per lei.

In primo luogo per l’età, poiché ben presto, secondo lui, la sua bellezza avrebbe iniziato a sfiorire, e quindi nessun buon partito l’avrebbe più voluta al suo fianco sull’altare.

Se fosse stato per lei, avrebbe scelto di non sposarsi mai; conosceva gli atteggiamenti degli uomini, soprattutto i partiti buoni, come li chiamava suo padre, e sapeva che erano infedeli ed in alcuni casi pure aggressivi con le mogli.

A Roma aveva conosciuto Maria, la figlia di un altro conte amico di suo padre, che aveva solo un anno in meno di lei, e che suo padre l’aveva data in sposa da poco ad un giovane nobile romano. Lei le aveva mostrato alcuni lividi sulle braccia, e le aveva raccontato di tutti i tradimenti che il marito perpetrava anche in casa, con le domestiche.

Quando lei le aveva chiesto come facesse a sopportare tutto questo, la risposta dell’amica era stata una scrollata di spalle ed un secco ‘quando sarai sposata anche tu, capirai’. Ma lei questo non voleva capirlo.

E quando suo padre era tornato a casa, poco prima della partenza per Ravenna, e le aveva riferito che le aveva trovato un marito, lei per poco era svenuta. Ma non aveva potuto obiettare molto, poiché era già stato tutto deciso dagli uomini. Dannati uomini, si disse. Lei era una ragazza a cui piaceva parlare liberamente e ribattere. Ma sapeva che ai maschi questo non piaceva affatto.

‘’Teresa, perché continui a tenermi il broncio e a non parlarmi più?’’, chiese improvvisamente suo padre, interrompendo quel silenzio che era sceso tra loro e che ormai durava da settimane.

 Lei scrollò le spalle, come sempre. Suo padre iniziò ad irritarsi. Era un uomo maturo, con una barba quasi completamente bianca e ben curata, non molto alto e quasi calvo. Amava vestire elegante e in genere era un tipo molto tranquillo ed aveva molta pazienza con tutti.

Era stato un buon padre per lei, il migliore del mondo. Un buon uomo, sempre rispettoso nei suoi confronti e in quelli della moglie, ed era una cosa non da tutti.

Teresa riconosceva che da quando sua madre era morta, il padre non le aveva mai fatto mancare nulla, e l’aveva amata e cresciuta con tutte le attenzioni. Non aveva fratelli, sua madre a fatica era riuscita a far nascere lei, poi non era riuscita più ad avere figli, fintanto che parecchi anni fa era morta, a causa di una febbre alta che l’aveva debilitata. E Teresa ne aveva sofferto molto. Ma quel vuoto che si era creato in lei era stato in parte colmato dal padre.

‘’Dimmi cosa c’è che non va, almeno. Sono stanco di vederti sempre così giù di morale, così triste. Dimmi qualcosa. Se vuoi fare una sosta, ci fermiamo. La strada, nonostante sia una delle migliori, ha delle buche, ti capisco. Ogni tanto, qualche scossone c’è. Ci fermiamo, allora? Sei stanca?’’, continuò suo padre, diventando sempre più apprensivo.

 ‘’No!’’ disse seccamente Teresa. Voleva restare chiusa nei suoi pensieri, temeva che lui, questa volta, non la potesse capire.

Suo padre, intanto, la guardava allibito. Possibile che non capisca, si chiese Teresa. Poi, capì che aveva sbagliato a rivolgersi a suo padre in quel modo.

 ‘’Teresa, mia cara, sai che ti ho sempre voluto bene ed ho sempre esaudito ogni tuo desiderio, anche quello rischioso di seguirmi in questo viaggio. Ma tu non mi parli più, e se ti chiedo qualcosa tu mi aggredisci. Io non ti ho insegnato ad usare queste maniere testarde e maleducate’’, disse il padre, fissandola.

Era vero, doveva essere grata a suo padre, si disse Teresa. Quando un mese fa lui era tornato a casa e le aveva riferito di quel viaggio un po’ lungo, lei aveva insistito per prenderne parte, con la scusa che ultimamente si sentiva sola.

 Di solito Gregorio XVI per inviare messaggi nelle sue terre utilizzava altri mezzi, ma quella volta bisognava parlare con un Arcivescovo importante, quello di Ravenna, e serviva una persona nobile per svolgere quel ruolo.

 Suo padre aveva insistito molto per farsi affidare quel ruolo, perché voleva rivedere la sua Ravenna, la città dov’era nato, dove si era sposato e dove era stata concepita Teresa. Era anche consapevole della pericolosità del tragitto.

Suo padre, comunque, aveva tentennato un bel po’ prima di dare quella risposta affermativa.

Effettivamente, bisognava attraversare gli Appennini, e soprattutto attraversare zone infestate da criminali d’ogni genere. Ma alla fine aveva acconsentito, ed erano partiti insieme, scortati da una trentina di guardie.

La verità era che aveva voluto andare con suo padre per fuggire alla corte di Alfonso, il suo futuro sposo, per non vederlo. Non lo sopportava. L’aveva visto due sole volte e i suoi modi così ambigui, allo stesso tempo falsi e femminei, l’avevano disgustata. Non era di certo il genere d’uomo con il quale lei avrebbe scelto di passare tutta la sua vita. Gli occhi di quel giovane mostravano tutta la sua insicurezza e la sua instabilità. In certi momenti il suo sguardo esprimeva calma e tranquillità, in altri rabbia primordiale e violenta. Sì, lei quel ragazzo lo odiava, e non voleva averci niente a che fare.

Comunque, tornò ad essere gentile. Se voleva parlare con suo padre e farsi ascoltare senza alterarlo, quella era una prerogativa importante.

 ‘’Hai ragione, padre, e ti chiedo scusa per il mio comportamento’’, disse Teresa, calmandosi.

 Si era decisa a parlargli del suo problema. Insomma, lei non voleva contrarre quel matrimonio. Intanto, fuori stava scendendo la notte, e all’interno della diligenza papale si fece sempre più buio. Teresa sapeva che doveva approfittarne di quella sera per parlare del problema con il padre, perché tra poche ore sarebbero giunti a Ravenna, e lì lui sarebbe stato molto impegnato fin da subito, e meno incline ad ascoltarla con calma. E trattare la vicenda durante il viaggio di ritorno probabilmente sarebbe già stato troppo tardi.

 ‘’Dai, allora, se vuoi raccontarmi ciò che ti assilla, ti ascolterò. Ora o mai più, dopo sarò molto occupato, come tu ben sai’’, disse il padre, facendosi più dolce nei suoi confronti. Nelle ultime ore si era rilassato parecchio, poiché era quasi giunto a destinazione, senza intoppi o rischi.

‘’Sì, padre. volevo parlarti del matrimonio che mi hai organizzato’’, disse Teresa, tutto d’un fiato. Suo padre sorrise.

‘’Ragazza mia, non devi preoccuparti di niente. Alfonso è un bravo ragazzo, e sarà anche un buon marito. Stai tranquilla’’, gli disse, bonariamente.

Prima di rispondere, Teresa fece un grande sospiro, e guardò per un attimo il panorama fuori dalla diligenza. A fianco a lei, al di fuori, c’era una guardia a cavallo, che a malapena si distingueva, a causa della fitta nebbia. Una nebbia che però era a banchi, e che ogni tanto concedeva un po’ di visuale.

Le fiaccole delle guardie illuminavano un po’ l’ambiente circostante, mostravano che il panorama era cambiato. Attorno a loro si intravedevano le ombre scure dei pini. Stavano percorrendo l’ultimo pezzo di strada che li separava da Ravenna, la loro meta. Teresa doveva spicciarsi e affrontare quel discorso.

‘’Padre, magari si mostra così, buono e calmo, ma in realtà è un violento. E se mi tradisse? E se mi facesse del male?’’, disse la ragazza al padre.

 Il padre scosse la testa, ma apparve sorpreso dalle parole della figlia.

‘’Queste cose sulla violenza chi te le ha dette? Quella tua amica, Maria?’’, chiese suo padre. Lei annuì.

‘’Sapevo che non dovevo farti frequentare quella ragazza! Sì, suo marito è un poco di buono, un brutto ceffo, ma se l’è dovuto sposare obbligatoriamente, perché era l’unico che l’ha voluta e suo padre era pieno di debiti. Ma per te non è così. Alfonso è un bravo ragazzo, educato e gentile. L’ho scelto anche perché avrà più o meno la tua età, quindi potrete trovare qualcosa in comune, così com’è successo tra me e tua madre. Teresa, devi capire che io non ci sarò per sempre. Sto già per superare i cinquant’anni, non sono più un ragazzo. E voglio che qualcuno si occupi di te, sai benissimo che una ragazza perbene non può vivere da sola, senza un buon marito. E quello sarà Alfonso, l’ho già scelto. E quando torneremo da questo viaggio, tra un paio di settimane, vi sposerete. Vedrai che poi mi ringrazierai per questo, perché è veramente una persona speciale’’, disse il padre, con toni delicati ma risoluti. Non ammetteva altre repliche.

Teresa abbassò lo sguardo, e una lacrima gli scese lungo la guancia. Sapeva che suo padre e sua madre si erano amati, ma quello era stato un caso fortuito del destino.

 ‘’Figlia mia, perché fai così?’’, disse suo padre, dolcemente, cercando di avvicinarsi a lei.

Poi, improvvisamente, accadde l’imprevedibile.

Si sentirono degli spari, poi delle urla.

Le guardie erano state attaccate da fuorilegge armati.

 ‘’Briganti!’’, disse suo padre, allarmato.

Teresa dimenticò in un attimo la vicenda del suo vicino matrimonio, e si gettò verso suo padre, abbracciandolo.

‘’Padre!’’, disse Teresa, quasi urlando. Suo padre l’avvicinò a sé.

‘’Stai tranquilla Teresa, ce la caveremo’’, disse senza tanta convinzione alla figlia.

 

 

 

Giovanni non attese altro tempo.

 Le guardie pontificie furono colte completamente di sorpresa, non si aspettavano più attacchi, poiché erano vicinissimi alla loro meta.

 I briganti di Giovanni furono implacabili; fecero fuoco più volte, nascondendosi nella boscaglia, mentre le guardie cadevano, una dopo l’altra.

Poi, però, si riversarono in strada, seguiti dai pochi uomini di Aldo, che si rivelarono subito utili. Nel buio si vedevano solo i loro abiti laceri, poiché erano bendati. Parecchi di loro non avevano armi, a parte dei pugnali. Erano mal armati, ma molto forti e rapidi. Forse era stato proprio per il fatto che non avevano molte armi che Aldo si era rivolto ad un’altra banda, pensò Giovanni.

Il brigante schizzò dritto verso la diligenza, mentre la strada diventava rossa di sangue.

 I suoi uomini avevano fatto un’eccellente pulizia; già più di una decina di guardie giacevano a terra, morte o moribonde. Altre cercavano ancora di opporre resistenza, ma nel buio gli uomini di Aldo sgusciavano tra i cavalli, pugnalando i loro cavalieri.

Giovanni notò che dentro alla diligenza c’era una candela accesa. Si avvicinò e fece per aprirne lo sportello, ma una guardia gli sbarrò la strada, e da sopra al suo cavallo gli puntò il fucile, pronta a premere il grilletto.

Giovanni puntò la sua pistola, premette il grilletto e sparò. Il colpo, a causa della fretta non andò a segno, e si limitò a ferire di striscio la spalla della guardia, che nel frattempo aveva già aggiustato la mira.

 Giovanni fece per sparare di nuovo, ma la pistola era da ricaricare. Il brigante imprecò come non mai. Ma ora era troppo tardi per tentare di inserire la pallottola o cercare di muoversi. Non c’era più molto da fare.

 Fu in quel momento che uno dei tagliagole della palude saltò in sella da dietro, afferrando la guardia e tranciandogli di netto il collo. Mentre il corpo della guardia scivolava giù dal cavallo, partì uno sparo, che andò verso l’alto, mancando Giovanni, che ringraziò per la prima volta Dio per avergli salvato la vita. Perché quella era stata proprio fortuna.

Mentre si accingeva ad aprire lo sportello della diligenza, lo scontro a fuoco si acquietò, pian piano. Le guardie erano state sopraffatte tutte.

Spalancò lo sportello, e si trovò di fronte ad un uomo ben maturo, con la barba quasi completamente bianca, corta e ben curata, e con un’espressione terrorizzata sul volto. Aggrappato a lui, c’era una bellissima ragazza, che non doveva avere più di venti-ventidue anni. Il suo bel volto era rischiarato dal lume di una candela accesa, ed aveva dei bellissimi capelli castani, raccolti in una lunga treccia. Erano il conte e sua figlia.

‘’Uscite’’, ordinò Giovanni.

I due, timorosi ma accondiscendenti, scesero lentamente dal convoglio. Giovanni notò che tutti i suoi uomini erano attorno a lui, più o meno in salute. Avevano acceso qualche torcia, per vederci meglio.

Giovanni esaminò i due. Dietro di lui c’era anche Aldo.

 ‘’Bene, conte. Ora andrai a Ravenna, seguendo questa strada, e racconterai dell’accaduto. Noi ci terremo tua figlia, e tu ci verserai un buon riscatto. Poi la libereremo. Ma ricorda; se non versi un riscatto equo, noi ci teniamo tua figlia. Per sempre’’, disse Giovanni al conte.

‘’Appena avrai a disposizione una buona somma, recati alla capanna abbandonata che si trova cinquanta passi più avanti di qui. Ci sarà sempre qualcuno pronto ad ascoltarti e a farmi chiamare. Ma vieni solo, e non fare scherzi, se non vuoi che facciamo scherzi pure noi’’, aggiunse Aldo, puntando il dito verso la figlia del conte.

 Il conte annuì, grevemente. Aveva capito che non poteva farci nulla, e che era già un caso se non l’avevano ammazzato.

 La ragazza, invece, lanciò un gridolino, e capendo che di lì a poco le sarebbe successo qualcosa, tentò la fuga. Giovanni sentì i suoi uomini sghignazzare mentre le facevano lo sgambetto e la lasciavano cadere a terra.

 Prima che potesse succederle qualcosa di spiacevole, Giovanni allontanò con una spinta il conte e afferrò sua figlia per un braccio, tirandola su da terra.

‘’Lasciami, schifoso!’’, gridò la giovane, iniziando ad agitarsi in modo scomposto.

‘’Teresa!’’, gridò il padre, intanto che veniva trattenuto da due briganti.

 ‘’Smettila di agitarti, ragazza! Non c’è nulla che tu possa fare. Solo arrenderti’’, gli disse Giovanni. Ma Teresa iniziò a gridare come un animale morente, agitandosi e cercando di gettarsi a terra.

A quel punto, Giovanni la trascinò con forza fino al suo cavallo, mentre la ragazza continuava a dimenarsi. Rapidamente, anche i suoi uomini raggiunse i cavalli, e lui montò su Furia. Poi sistemò Teresa davanti a lui, e la cinse con suo braccio destro con forza, per non farla fuggire o cadere.

 Stappò un pezzo del suo abito, e imbavagliò la ragazza, per non farla gridare, mentre Mario da terra gli dava una mano.

Poco dopo, con i suoi uomini, andò in strada, e prese congedo da Aldo.

‘’Allora, il piano è sempre quello che abbiamo stabilito all’inizio. Manteniamoci in contatto’’, disse Giovanni, rivolto all’altro capo, anch’esso circondato dai suoi uomini.

Aldo annui. ‘’Certo’’, rispose, preparandosi per allontanarsi.

 Ma ben presto fu udibile un forte scalpiccio, e alcuni spari.

 ‘’I gendarmi di Ravenna! Via! Via!’’, gridò Aldo, scatenando una fuga generale.

Probabilmente,  le guardie pontificie si erano messe in allarme dopo aver sentito gli spari dei briganti, ed erano giunte fin lì per soccorrere la diligenza.

Troppo tardi, si disse Giovanni, facendo girare il cavallo e lanciandosi al galoppo sfrenato, stringendo forte la giovane. Dietro di lui, i suoi uomini lo seguirono. Anche gli uomini di Aldo si dileguarono in fretta.

Il conte, intanto, andava incontro alle guardie gridando.

Dopo poco, Giovanni si accorse che nessuno li stava più inseguendo.

 Le guardie si erano accontentate del conte e del suo messaggio per l’Arcivescovo, e non volevano rischiare la vita per una ragazza.

E intanto lui stava fuggendo con la sua banda, con la ragazza ben stretta tra le sue forti braccia.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo!

Ringrazio tantissimo tutti coloro che lasciano una recensione e che tengono la mia storia tra le loro seguite o preferite J

Grazie a tutti! a lunedì prossimo J

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

CAPITOLO 5

 

 

Giovanni fece ritorno con il suo gruppo al loro nascondiglio tra i monti senza esser stato inseguito da nessuno.

 Il gruppo armato non aveva incontrato difficoltà di alcun tipo, a parte la fitta nebbia della pianura, che però aveva svolto anche un ruolo di protezione nei loro confronti.

Infatti, avevano proseguito a velocità moderata per quasi tutta la fascia pedemontana, stando attenti a non perdersi. La nebbia aveva attutito i suoni e li aveva inghiottiti tutti nel buio, facendo sparire la banda al suo interno, come se in realtà loro fossero stati solo fantasmi.

Nessuno li aveva inseguiti probabilmente anche perché sarebbe stato veramente difficile star dietro ad un grosso gruppo armato senza sapere neppure quale strada avessero scelto o quale sarebbe stata la loro destinazione, dovette constatare il capo dei briganti.

Con un clima così umido e freddo, le guardie avevano preferito starsene al coperto a Ravenna, ed iniziare le ricerche della ragazza solo l’indomani mattina, non appena la nebbia avesse accennato ad alzarsi. Ma sarebbe stato troppo tardi. Infatti, era quasi mattina quando Giovanni tornò a casa, tra le sue amate montagne.

La nebbia l’avevano lasciata in pianura, e ora, lì tra i monti il sole stava per prepararsi a sorgere. L’aria era gelida, e Giovanni cercò di coprire meglio con il suo mantello la ragazza, che nel frattempo si era calmata e non cercava più di agitarsi. Forse si era arresa al suo destino.

Giovanni era in imbarazzo, ma cercava di non mostrarlo. Non si era mai imbarazzato di nulla, ma non aveva mai avuto a che fare con una ragazza nobile. E, per l’appunto, ora stava stringendo forte quel corpo femminile tra le sue braccia.

 Una fitta gli attraversò lo stomaco. Aveva trent’anni ma non aveva mai avuto una relazione duratura con una ragazza. Non ne aveva il tempo, e conduceva una vita sregolata e al di fuori della legge.

Poi, tutto ad un tratto, prese coscienza di ciò che stava pensando, e cercò di accantonare tutti quei suoi insulsi ed inutili pensieri. Pensieri dovuti ad una lunga notte insonne e piena zeppa di pericoli.

Un brigante non se ne fa nulla di una donna al suo fianco, si disse. Al massimo, per svagarsi un po’, c’era Lina, la prostituta dei briganti, che viveva in un isolato casolare più a valle. Era una donna strana, e non si sapevano le reali motivazioni per cui aveva deciso di seguire i briganti e di vendere il proprio corpo a loro, ma in realtà il motivo di tutto ciò lo si poteva facilmente intuire.

Ultimamente, aveva iniziato anch’essa a discostarsi dal gruppo, dopo esser riuscita a mettere da parte un po’ di gruzzolo e ad avere un tetto sulla testa. Ora cercava di far valere la propria indipendenza, ma quando le andava si concedeva ancora a chi la pagava. Però, sempre più raramente.

Magari, se la contessina gli avesse causato problemi, si sarebbe rivolto a lei per chiedere consiglio riguardo alle donne e ai loro comportamenti.

Ancora una volta, si sgridò da solo. Lui era un brigante, un uomo adulto e un fuorilegge, e non doveva starsi a fare scrupoli sul comportamento di una ragazza. Lei avrebbe accettato passivamente tutto ciò che lui le avrebbe imposto.

Giunto di fronte al casolare in pietra disabitato che aveva fatto precedentemente preparare per la ragazza, fermò il cavallo. Subito dietro di lui si fermò pure Mario, che scese da cavallo e si avvicinò al suo capo.

Giovanni gli allungò la ragazza, e Mario la prese, stringendola forte. La ragazza si lasciò sfuggire un lamento.

‘’Piano. Fai a modo, è una ragazza, non un sacco di patate. E ci serve tutta intera, quindi occhio a non farle male’’, disse Giovanni, sorridendo verso il suo braccio destro, che si limitò ad annuire, imbarazzato.

Giovanni, mentre scendeva da cavallo, continuò a sorridere. Quella volta sarebbe stato un compito duro per tutti. I briganti della sua banda non erano abituati a trattare fanciulle indifese, e il comportamento impacciato di Mario ne era la prova.

Mario era il più vecchio della banda. Con i suoi quarant’anni, con la barba che iniziava ad avere qualche filo bianco ed un corpo muscoloso e tonico, era di gran lunga il più saggio del gruppo, e Giovanni se lo teneva sempre vicino proprio perché aveva sempre a portata di mano una soluzione per tutto.

 Ma si vedeva chiaramente che non aveva molta esperienza con l’altro sesso. Un conto era cercare una prostituta, un altro conto era avere a che fare con una nobildonna appena rapita da una diligenza.

Giovanni si accinse ad aprire il catenaccio che teneva sigillata la porta del casolare, e scosse la testa verso l’amico, divertito. Mario arrossì, mentre la ragazza aveva ripreso a dimenarsi tra le sue braccia, opponendo resistenza. Era quasi una scena comica, poiché il veterano dei briganti cercava di stare attentissimo con la ragazza, mentre lei si dibatteva come una selvaggia.

Alla fine, Mario e Giovanni entrarono in casa e si chiusero la porta dietro di loro.

Fu solo allora che Mario mise a terra la ragazza, e Giovanni le si avvicinò, e le tolse il bavaglio.

 

 

Teresa, appena le tolsero il bavaglio, mosse subito la bocca, che le era rimasta intorpidita.

Aveva tutto il corpo indolenzito, a causa della lunga cavalcata, durante la quale era dovuta stare in una posizione scomoda. Ma almeno, fino a quel momento, nessuno le aveva fatto del male.

Si trovava di fronte a due briganti barbuti e vestiti di abiti rattoppati, più simili a pezzenti che ad altro. Durante tutto il viaggio era dovuta stare attaccata al corpo di quello che sembrava il capo, e che tutti chiamavano Zvàn, e aveva dovuto sopportare anche il suo pessimo odore. Una cosa a dir poco nauseante.

‘’Benvenuta. Questa sarà la tua casa, almeno fintanto che tuo padre non avrà pagato un buon riscatto’’, disse il capo dei briganti.

 Teresa si guardò attorno, cercando di ambientarsi a quel nuovo ambiente. Si trovava in un casolare sperduto, composto da due camere.

 Capì immediatamente che quella era una catapecchia che era stata rassettata di recente solo per lei.

Infatti, i mobili erano pochissimi, di legno mal lavorato e tutti con numerose pecche. Il pavimento, fatto di duri pezzi di pietra irregolari, lasciava intravedere un po’ di terreno sottostante. Un piccolo tavolo si trovava in mezzo a quella stanza semivuota, mentre a lato della porta d’ingresso c’era una piccola stufetta, con un po’ di legna accatastata poco distante. Teresa notò che lì dentro faceva freddo. Come se le avesse letto nel pensiero, Mario si accinse ad accendere la piccola stufa.

 ‘’Ti piace? Non è di certo la villa signorile alla quale eri abituata, ma questo è il meglio che possiamo offrirti’’, disse ancora Zvàn, con una vena di ironia, interrompendo l’accurata ispezione di Teresa.

 Teresa, come se si rendesse conto solo in quel momento della sua situazione, tremò forte, e si sentì in preda al panico. Ovviamente, non rispose al brigante.

 ‘’Ragazza! mi capisci quando parlo?’’, le chiese ancora il brigante, che continuava a fissarla.

Certo che ti capisco, brutto ceffo, si disse Teresa dentro di sé. Quei briganti parlavano il dialetto romagnolo, quella lingua dura e gutturale che spesso utilizzava suo padre. Una lingua che lei conosceva bene, poiché entrambi i suoi genitori, da quando era piccolissima, spesso e volentieri lo parlavano, e tutt’ora, a volte, per parlare con suo padre utilizzava lei stessa quel linguaggio.

‘’Zvàn, forse la ragazza non ci capisce. Boh, capirà un’altra lingua del sud. O forse è sorda. Come facciamo, adesso?’’, chiese Mario con fare preoccupato, mentre nel frattempo si era appostato con le spalle contro la porta.

‘’Mario, non diventare una mammina apprensiva, per favore. Quando l’ho catturata, ieri sera, parlava e capiva benissimo la nostra lingua, e non era neppure sorda’’, disse Giovanni, rivolto all’amico. Poi, fece qualche passo verso la ragazza.

‘’Teresa, capisci quando parlo o no?’’ tuonò Giovanni, avvicinandosi paurosamente a lei e utilizzando il nome che aveva pronunciato suo padre quando avevano allontanato la figlia da sé. Teresa, spaventata dalla reazione del brigante, annuì.

‘’Sì, vi capisco’’, disse.

 ‘’Bene. Allora non ci sarà alcun problema o incomprensione tra noi. Tu vivrai qui fintanto che tuo padre non pagherà il tuo riscatto. Non ti mancherà nulla, e ti sarà fornito tutto ciò che chiederai, nel limite del possibile. Ti saranno serviti tre pasti abbondanti al giorno, e potrai usufruire come vorrai di questa misera abitazione. Nella stanza a fianco di questa c’è una spaziosa camera da letto. Poi, vedrai tu stessa. Nessuno qui ti farà del male, quindi puoi  stare tranquilla. Io mi chiamo Giovanni, e questo è Mario. Appostato di fronte alla tua porta ci sarà sempre qualcuno a sorvegliarti. Se ti servirà qualcosa, chiedi. Intesi?’’, concluse Giovanni. Teresa annuì.

 ‘’Molto bene, allora. Andiamo Mario, abbiamo molto lavoro da fare’’, disse poi Giovanni, rivolto all’amico.

 I due uscirono, e chiusero la porta con un catenaccio esterno.

 Teresa raggiunse una sedia e le si afflosciò sopra.

E ora che farò, si chiese. Di certo non avrebbe collaborato con quei dannati briganti. Questo no. Avrebbe causato loro numerosi problemi. Nonostante le sue numerose paure, iniziò a studiare un piano per fuggire.

Si alzò dalla sedia e andò a studiare l’altra camera. Non c’era una porta a separare la cucina dalla camera da letto, per far in modo che il calore della stufa si distribuisse un po’ ovunque.

Notò subito che se la cucina non era molto spaziosa, la camera da letto lo era. Era più allungata, certo, ma aveva un letto dall’apparenza confortevole e pulito.

 Anche quella stanza era quasi vuota, c’era solo un minuscolo tavolino, posizionato a fianco del letto, con sopra una brocca piena d’acqua e un bicchiere.

La stanza era ben illuminata da due finestre, che si affacciavano su uno spiazzo erboso. Poteva aprire i vetri verso l’interno, ma lei non poteva fuggire perché le finestre avevano possenti grate di ferro. Teresa notò che ad un vetro era mezzo rotto, e mancava un angolo inferiore. Il buco era stato tappato con un pezzo di stoffa.

 A fianco della finestra, c’era un piccolo armadio. Lo aprì, e notò che era vuoto. Benissimo, si disse. Si guardò la sua bella veste, munita di una magnifica gonna, che si era sporcata tutta e lacerata in più punti. Avrebbe avuto bisogno di cambiarsi, ma non ne aveva l’opportunità.

Teresa sospirò. Non vedeva possibili vie di fuga, ed era ridotta come una stracciona.

 Inoltre, ben presto avrebbe fatto molto freddo e sarebbe caduta molta neve. E lei si trovava dentro ad un rudere disperso tra i monti.

Andò verso il letto, e le si distese sopra. Fu subito inghiottita dal soffice materasso, che era stato imbottito di foglie secche di granturco,  un modo molto semplice ed economico utilizzato dai contadini per riposare meglio. Almeno c’era anche un cuscino, constatò.

Improvvisamente, notò che non sarebbe riuscita a trattenere a lungo i suoi bisogni fisici. Le serviva un bagno, ma non c’era. Sapeva che tutti i minuscoli bagni delle case dei contadini erano situati fuori di casa, di solito a fianco della stalla o nel retro dell’abitazione. Erano minuscole capanne, create solo allo scopo di offrire una momentanea protezione a chi ne aveva bisogno. Ma lei non poteva uscire.

Si alzò dal letto e si avvicinò alla porta dalla quale era entrata poco fa, ricordandosi di ciò che le aveva detto Giovanni.

 ‘’Scusa, avrei bisogno di… ’’, disse, a voce alta, con crescente imbarazzo, e cercando le parole giuste per esprimersi. Comunque, non riuscì a completare la frase.

Una persona sghignazzò, al dì la della robusta porta di legno. Aveva già capito qual’era il problema.

 ‘’Arrivo’’, disse una voce indistinta.

 Sentì un rumore di passi che si allontanavano, per riavvicinarsi poco dopo. La porta si scostò di poco, giusto il necessario per far entrare un secchio di ferro arrugginito, che fu gettato rozzamente in mezzo alla cucina, provocando un forte fracasso che fece sobbalzare la ragazza.

 Poi, la porta tornò a richiudersi, e il rumore del catenaccio risuonò per tutta la stanza.

‘’Un secchio!?’’, disse Teresa, stupita.

‘’Ehi, ragazza, che ti aspettavi? Accontentati’’, disse nuovamente la voce, continuando a ridere e con toni volgari.

 Teresa prese il secchio, e lo mise in un angolo della stanza da letto. Quella prigionia sarebbe stata veramente dura, si ripeté.

Poi, la voglia di scoprire dov’era finita e la voglia di fuggire lasciarono spazio alla disperazione. Teresa si prese il volto tra le mani e si mise a piangere. Quei brutti ceffi avrebbero richiesto un sacco di soldi al padre per liberarla. E constatò che lei sarebbe stata la sua rovina. Doveva fare qualcosa, immediatamente. Ma non sapeva di preciso cosa.

Voleva solo tornare da suo padre, e tornare a casa. Voleva solo quello.

Ma forse voleva troppo. In ogni caso, doveva escogitare un piano.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo! J

Ringrazio tantissimo le persone che hanno inserito la mia storia tra le seguite o le preferite. Grazie a tutti, siete gentilissimi J Questa è una delle mie prime storie e vi ringrazio della fiducia che avete riposto in me. Spero di non deludervi J

Spero anche che vogliate spendere un secondo del vostro tempo per lasciarmi anche solo una minuscola recensione, se vi va J Ringrazio tutti coloro che lo faranno, e vi prometto che cercherò di ricambiare.

Grazie, di nuovo, a tutti J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

CAPITOLO 6

 

 

Erano passati già tre giorni da quando l’avevano rapita, e Teresa non aveva ancora toccato cibo.

Visto che non poteva in alcun modo fuggire, e visto anche che i briganti le avevano detto che la volevano sana e in forze, lei aveva pensato che l’unico modo per farla rilasciare in fretta fosse quello di non nutrirsi. Se fosse diventata pallida e smunta come un cadavere, e se avesse rischiato di morire, i briganti forse si sarebbero resi conto che la loro merce di scambio stava avendo dei problemi, e forse l’avrebbero liberata… forse.

 Teresa aveva ancora molti dubbi, e soprattutto molta fame.

Da quando era stata rinchiusa in quella catapecchia non aveva toccato cibo, anche se tre volte al giorno entrava uno di quei bruti per controllare che fosse tutto a posto e per portare la sua razione di cibo.

Quella sua chiusura di stomaco che aveva provato il primo giorno, dovuta alla disperazione e all’ansia che provava, era poi diventata una forma di protesta durante il secondo giorno, ma già in quel terzo giorno si stava tramutando inesorabilmente in una voglia smoderata di nutrirsi.

Quella sera, la cena consisteva in una scodella di brodo caldo, una piccola coscia di pollo lessata posata su un piatto curvo, ed una mezza piadina.

Lei se ne stava seduta sulla sedia proprio di fronte a quelle pietanze, che nonostante tutto erano molto invitanti. I briganti stavano facendo del loro meglio per offrirle del buon cibo, in modo che non patisse la fame. Quella fame che stava montando in lei senza più limiti.

Il suo unico desiderio era affondare il cucchiaio nel brodo caldo e portarselo alle labbra. E poi c’era anche una minuscola razione di carne, che doveva essere una cosa ben rara per i briganti. Aveva l’acquolina in bocca, e temette di perdere il controllo di sé stessa e di gettarsi a mangiare. Ma la protesta doveva proseguire.

Si alzò dalla sedia della cucina e andò nella camera da letto, in modo da togliersi dal davanti quell’invitante pasto. Ormai il suo corpo era sempre più debole, e probabilmente a chi la guardava doveva apparire come uno spettro pallido con due occhiaie scure sotto gli occhi. Non era mai stata molto in carne, anzi, era sempre stata piuttosto magra. E stare quasi quattro giorni senza mangiare l’aveva indebolita di molto.

Si sdraiò sul letto, sfinita. Le lenzuola profumavano ancora di bucato, nonostante fossero ruvide e tessute con del filo grezzo. Affondò il suo volto nel cuscino.

Proprio mentre si lasciava andare per l’ennesima volta alla disperazione, e riprendeva silenziosamente a piangere, sentì la porta che si apriva. Entrò Mario.

L’uomo si richiuse la porta dietro di sé, e per prima cosa guardò il piatto, che era ancora appoggiato lì dove era stato lasciato da lui un’ora prima. Dopo aver constatato che neppure quella volta lei non aveva toccato cibo, entrò nella camera da letto e le si avvicinò.

 ‘’Perché ti comporti così? Dovrai pur mangiare qualcosa, prima o poi. Vieni dai’’, le disse con gentilezza, invitandola ad andare a mangiare qualcosa.

‘’Lasciami stare e vattene. Piuttosto che rimanere rinchiusa qui, preferisco morire’’, rispose lei al brigante, cercando di pronunciare quella frase in modo aggressivo e motivato.

 Invece, la sua voce uscì flebile e debole. Mario la fissò, preoccupato.

Era proprio di fronte all’ultimo spiraglio di luce prima del tramonto, che entrava a illuminare quella dannata prigione, e Teresa poté vedere che quell’uomo maturo e grosso come un armadio provava sentimenti. Vide che Mario era veramente preoccupato per lei, al di là del fatto che lei fosse solo una merce di scambio.

L’uomo le si avvicinò ancora di più, e la fissò intensamente. Teresa alzò il suo volto dal cuscino e sostenne il suo sguardo, mentre una lacrima solitaria continuava a solcarle il viso, fin quando non cadde sul letto. L’uomo scosse la testa.

‘’Ragazza, stai male. Non puoi continuare così. Per favore, mangia qualcosa’’, disse Mario, con tono molto gentili.

Teresa rimase colpita dal fatto che quel brigante avesse usato il per favore. Era veramente una forma di cortesia rara e pressoché sconosciuta per quei rudi uomini. Ma fu in quel momento che lei fu certa che anche quell’uomo dall’apparenza così dura aveva un cuore.

Comunque, lei rifiutò il suo invito, e scosse nuovamente la testa.

A quel punto, si aspettava che lui la forzasse a mangiare. Ma invece si girò, e tornò vero la cucina. Lasciò lì il cibo, aprì la porta ed uscì, richiudendola con il catenaccio esterno. Teresa sentì un breve battibecco. Probabilmente, c’era sempre qualche altro brigante a sorvegliare la porta mentre l’altro stava dentro.

 Poi, sentì una botta nel vetro della finestra.

‘’Torno tra poco’’, disse la voce apprensiva di Mario, che si stava allontanando.

 Teresa si chiese dove stesse andando. Comunque, qualsiasi cosa fosse andato a fare, sarebbe tornato tra breve.

Forse l’avrebbe torturata, per farla mangiare. Poi si disse che ciò non era possibile, nessuno le avrebbe mai fatto nulla del genere. Mario non l’avrebbe fatto di sicuro.

 Lo stesso Giovanni, che aveva visto solo il primo giorno, era stato ben chiaro; nessuno le avrebbe torto un capello.

Rodendosi nel dubbio, Teresa fu scossa da un tremito di paura.

 

 

 

Giovanni stava risistemando i numerosi guadagni ricavati dalla vendita dei gioielli rubati durante le ultime rapine quando sentì bussar forte alla porta. Si trovava nella solita cascina, ovvero il suo luogo preferito per fare affari e per tenere i conti della banda.

‘’Avanti, entra’’, disse, pensando che fosse Gianni.

Poi, si ricordò che aveva l’aveva incaricato di sorvegliare la porta della casa dov’era rinchiusa la ragazza. E, infatti, vide sbucare l’inconfondibile figura di Mario.

‘’Mario, cos’è successo?’’, disse, non aspettandosi visite dell’amico.

 ‘’La ragazza, Teresa, non mangia da quando l’abbiamo portata qui. È pallida e debole, dobbiamo fare qualcosa per farla mangiare’’, disse Mario tutto d’un fiato, e con aria preoccupata.

 ‘’Oh, Mario, è da quando è arrivata quella ragazza che sei diventato insopportabile. Non ti preoccupare, sarà soltanto un capriccio passeggero. Vedrai, appena avrà fame, mangerà’’, disse Giovanni, sorridendo all’amico.

Era incredibile che quell’uomo ormai maturo si lasciasse impressionare così da una giovane nobile viziata.

Dal canto suo, Giovanni non si era neppure preso la briga di andarla più a vedere. Le faceva preparare i pasti migliori, aveva sgridato i suoi uomini, poiché se ne stavano a sghignazzare da dietro la porta ogni volta che lei richiedeva qualcosa, e aveva fatto promettere a tutti che nessuno l’avrebbe mai toccata, per quanto potesse valere la promessa di un fuorilegge.

 Lui voleva quella ragazza totalmente integra, se no non sarebbe più valso il riscatto. In più, aveva messo Gianni, il suo guardiano più fedele, a controllare per quasi tutte le ore del giorno la porta della ragazza, in modo che fosse nessuno potesse  importunarla, mentre aveva lasciato a Mario il compito di portarle i pasti e di esaudire le sue richieste, sempre nei limiti del possibile.

Tutto questo l’aveva fatto per garantire una sicurezza alla sua mercanzia vivente.

Comunque, Mario, che se ne restava ancora lì a fissarlo, non sorrise, né si tranquillizzò.

‘’Giovanni, vieni a vedere tu stesso. La ragazza non sta bene. Ormai è molto debole. Deve mangiare a tutti i costi’’, ripeté.

 ‘’Va bene, visto che la fai tanto lunga e che continui ad insistere verrò con te a vederla. Vedrai, con me mangerà abbondantemente’’, disse Giovanni, sbuffando e alzandosi.

Uscì con poca voglia dalla cascina e si avvolse nel suo grosso mantello. Il sole tra poco sarebbe tramontato, e nonostante quella fosse stata una giornata serena, il freddo era pungente. Percorse la strada in discesa che conduceva al casolare in pochi attimi.

Come si aspettava, Gianni era lì, in piedi, di fianco alla porta.

‘’Apri questa dannata porta’’, disse Giovanni, rivolto al ragazzo.

Aveva dovuto abbandonare i suoi impegni per quella stupida contessina, e ora lei lo avrebbe ascoltato, e avrebbe fatto tutto ciò che lui le avrebbe richiesto.

Gianni si affrettò ad aprire la porta, e Giovanni entrò, seguito da Mario. Dopo aver visto il piatto ancora pieno di cibo nel mezzo del tavolo, Giovanni si precipitò come una saetta nella camera da letto.

Mario si arrestò nella cucina. Teresa era ancora stesa sul letto.

 ‘’Ragazza, perché non mangi? Cosa credi di fare, comportandoti così?’’, le chiese Giovanni con fare aggressivo, avvicinandosi al letto.

 Lei non rispose. Lui si avvicinò e la tirò su, con rabbia.

 Teresa gemette, presa alla sprovvista dall’attacco di rabbia del brigante. E fu in quel momento che Giovanni si accorse del suo stato. Teresa era pallidissima, e stava veramente perdendo peso.

Lasciò la ragazza, cercando di fare il più dolcemente possibile. Non si aspettava la situazione fosse veramente così critica.

 ‘’Da quanti giorni non mangi?’’, le chiese, questa volta con voce più bassa e pacata.

‘’Quattro giorni’’, sussurrò la ragazza.

‘’Bene. Ora, invece, mangerai. Non vedi come ti sei ridotta facendo così? Ben presto ti ammalerai e morirai’’, disse Giovanni, tentando di esagerare un po’ la questione, anche per spaventarla e per farla desistere dal suo digiuno.

 ‘’Meglio morire che restare chiusa qui’’, ribadì Teresa.

 ‘’Teresa, mettiti in testa che questa è solo una soluzione momentanea. Vedrai che entro un mese tuo padre pagherà il riscatto, e noi ti rilasceremo subito. Tra non molto sarai libera di tornare alla tua vita di sempre. Fai uno sforzo e mangia’’, disse il brigante.

 ‘’No!’’, bisbigliò Teresa, con fare deciso.

‘’Molto bene. Mario, porta il brodo. La ragazza adesso ha fame’’, disse ad alta voce Giovanni. Non si sarebbe fatto piegare da una donna viziata con capricci da bambini.

Mario arrivò con la scodella curva, che conteneva il brodo. La mise sotto il naso della ragazza. E in quel momento vide un lampo attraversare gli occhi di Teresa. Indubbiamente, la ragazza aveva fame e voleva mangiare.

‘’Mangia, su’’, ripeté.

Teresa fu quasi in procinto di afferrare il cucchiaio che le veniva avvicinato da Mario e mangiare. Mosse rapidamente un braccio, e si tirò su dal letto. Poi, appena stava per mangiare, in lei tornò quella strana forza che la spingeva a comportarsi da cocciuta, e tornò nuovamente a distendersi.

‘’Portate via quella roba. Io non mangio niente’’, disse la ragazza, con tono di voce deciso.

Giovanni perse definitivamente la pazienza.

 ‘’Mario, tirala su’’, disse Giovanni. Mario afferrò la ragazza con delicatezza, e la tirò su, vincendo la sua debole resistenza.

 Giovanni restò scosso dalla delicatezza che Mario riservava a quella ragazza. Era sempre stato uno dei suoi uomini più duri, ed ora era quasi irriconoscibile. Accantonò quel pensiero, mentre prendeva una cucchiaiata di brodo e l’avvicinava al volto di Teresa.

 ‘’Apri la bocca, avanti’’, disse, con fare irritato. Teresa non l’aprì.

‘’Devo aprirtela con la forza? Sai che ne sarei capace, vero?’’, gridò, in preda alla rabbia.

 Teresa, impaurita, aprì la bocca, mansueta, e lui le versò dentro il brodo. La ragazza chiuse la bocca, fece quasi per mandar giù, ma improvvisamente sputò il brodo addosso a Giovanni.

Il brigante andò su tutte le furie. Questo era decisamente troppo, era veramente un umiliazione. Con un calcio, spostò il piccolo comodino a fianco del letto, e mandò in frantumi la brocca dell’acqua che era posata lì sopra.

Facendosi trascinare dalla rabbia, alzò la mano destra, pronto per smollarle uno schiaffo. Lei chiuse gli occhi, rassegnata e pronta per subire il colpo. E fu in quel momento che la mano di Giovanni si fermò in aria, e i suoi occhi si soffermarono a studiare i tratti del volto della ragazza. Solo ora notava la sua bellezza.

Teresa aveva dei tratti nobili, ed un magnifico viso rotondeggiante. Il suo volto manteneva dei lineamenti fieri, nonostante le sofferenze dell’ultimo periodo e la paura di subire quello schiaffo.

Sì, Giovanni dovette riconoscerlo a sé stesso, quella ragazza era testarda ed orgogliosa, ma era anche molto bella. Lentamente, la rabbia scomparve, ed abbassò la mano.

Teresa riaprì gli occhi, stupita dal fatto di non essere stata colpita. Il suo sguardo esprimeva una dignità non da tutti. Una dignità che Giovanni non si sentì di spegnere con la forza. D’altronde, se lui si fosse trovato nella sua stessa situazione, chissà come avrebbe reagito. Ma lei era pure una ragazza, una ragazza con poca forza fisica ma tanta forza mentale.

 Si girò e diede le spalle alla ragazza. Fece per andare verso la cucina, mentre Mario lasciava libera Teresa.

Giovanni posò la scodella curva con brodo sul tavolo, nello stesso punto dove l’aveva trovato. Poi, prima di uscire, si girò verso Teresa.

 ‘’Ho recepito la tua risposta. Mario, non portare più cibo alla ragazza. Quando lo vorrà, lo chiederà a Gianni, che sarà come al solito appostato nelle vicinanze, e che mi informerà subito. Sarò io stesso a servirla, signorina. Mario, porta via il cibo. Buonasera’’, disse, dando le spalle a tutti ed uscendo dal casolare.

 Mario si allontanò da Teresa, ed andò a prendere la scodella. Con un atteggiamento triste, uscì anche lui, ma non prima di aver gettato un’ultima occhiata a Teresa, che nel frattempo era tornata a distendersi sul letto.

Poi, il catenaccio si richiuse per l’ennesima volta, mentre il sole era ormai tramontato, lasciando la ragazza sola e immersa nel buio.

Teresa non ebbe modo di gioire della sua vittoriosa resistenza, e neppure dell’affronto che aveva fatto al capo dei briganti. Giovanni non pareva intenzionato a lasciarla andare, e neppure a presentarsi nuovamente. Ebbe un brivido alla schiena.

Non sapeva più come comportarsi, doveva uscire da lì. Voleva tornare a casa.

 

 

‘’Giovanni, non puoi fare così. La ragazza se non mangia subito morirà’’, disse Mario, rincorrendo Giovanni.

‘’Se non mangia oggi, mangerà domani’’, ribatté Giovanni, stizzito.

‘’No, domani potrebbe essere troppo tardi, e tu lo sai. Fa qualcosa’’.

 ‘’E cosa dovrei fare? Ho fatto un dannato errore a rapirla, tutto qui. Ci sta solo causando dei problemi. È solo una piantagrane’’, disse Giovanni, con foga.

Però, dentro di sé dovette ammettere che la trovava anche molto bella. Nascose subito quel pensiero, come se temesse che altri potessero sentirlo.

 ‘’Giovanni, dai, in fondo ci renderà un sacco..’’, insistette Mario.

 ‘’Vuoi forse farmi credere che tu tieni tanto a quella ragazza solo perché ci sarà pagato un riscatto? Pensi che io sia scemo a non capire che c’è qualcos’altro sotto? Non lo so, da quando è arrivata Teresa io non ti riconosco più’’, rispose Giovanni, arrabbiandosi.

 Subito dopo, però, si pentì di quello che aveva detto. Mario si era fermato, e aveva abbassato lo sguardo.

‘’Compagno, che hai? Sono state le mie parole a ferirti?’’.

 ‘’Lascia stare, Zvàn’’, disse Mario, mentre iniziò ad allontanarsi, ‘’è tutta un’altra storia. Forse, un giorno, se me la sentirò, te la racconterò. Buonanotte’’.

‘’Anche i briganti pericolosi e violenti come te provano dei sentimenti allora, eh?’’, disse Giovanni, raggiungendo il suo braccio destro e dandogli una pacca sulla spalla.

Mario scosse la testa, e sorrise. Era un sorriso amaro. Poi, continuò ad allontanarsi senza dire più niente.

Giovanni, invece, tornò indietro, e imbucò un tortuoso sentiero che portava più a valle. Doveva risolvere quel problema, che stava iniziando a scombussolare la sua mente e la vita dei suoi compagni. E per avere una soluzione a quel problema, ora sapeva a chi doveva rivolgersi. A Lina.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo!

Premetto che, pian piano, già dai prossimi capitoli, mi avventurerò nelle vite dei briganti e dei vari personaggi del racconto.

Ringrazio nuovamente tutti coloro che hanno inserito il mio racconto tra le storie seguite, preferite o ricordate J nei prossimi capitoli cercherò di ringraziarvi tutti, nelle mie note.

Ma un grandissimo e speciale ringraziamento va a quei quattro lettori che han risposto al mio appello nell’ultimo capitolo, lasciandomi delle magnifiche recensioni. Grazie ragazze/i! J E’ un onore per me avere dei lettori così attenti e gentili J Spero vogliate continuare a seguire il mio racconto passo per passo, e magari a sostenerlo con qualche recensione J ve ne sarei immensamente grato J spero di continuare a meritarmeli i vostri complimenti, e di non deludervi J

Grazie, di nuovo, a tutti! A lunedì prossimo J

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

CAPITOLO 7

 

 

Giovanni percorse l’ultimo tratto che lo separava dalla casa di Lina stando attento a non scivolare.

Nonostante ormai fosse giunto il momento delle prime nevicate, finora il clima si era limitato ad essere piuttosto mite. Così, continuava a piovere, e si creava una fanghiglia pericolosa, che faceva scivolare  le suole degli stivali.

Nel buio quasi totale, si trovò a bussare alla porta di Lina.

La casa di Lina era una classica abitazione contadina in legno, con un solo piano e poche camere, per lo più poco spaziose. Invece, nel retro era direttamente collegata con il capanno degli animali e un orticello ben custodito.

Lina era sicuramente in casa, poiché si vedeva la luce di una candela accesa dalla finestra, ma non aprì subito. Giovanni bussò più forte.

Conosceva Lina da parecchi anni, e sapeva che era una donna alla quale piaceva fare solo quello che le pareva. E se non le andava di aprirlo, non l’avrebbe fatto. Sbuffò, e si preparò per tornare alla sua cascina.

 Mentre iniziava ad allontanarsi, la porta si aprì di colpo.

‘’Bussi alla mia porta e te ne vai? Sei in vena di fare scherzi, questa sera?’’, disse la voce decisa di Lina. Giovanni sorrise.

‘’No, ma non mi aprivi’’, si giustificò.

 ‘’Se non ti aprivo era perché avevo altro da fare. Accomodati’’, disse la donna, con fare poco amichevole.

Giovanni entrò nella casetta. All’interno faceva parecchio caldo, e si entrava direttamente nella cucina, dove una stufa fumava ancora, mentre un moncone di candela illuminava l’ambiente.

‘’Che vuoi?’’, chiese Lina, spostando una sedia dal tavolo e facendo sedere il brigante.

 Alla luce della candela Giovanni si trovo a fissarla.

 Lina era ormai una donna fatta, anche se doveva avere solo quattro o cinque anni in più di Teresa. Non molto alta, con dei bei capelli castani e lisci, non mostrava nessun segno particolare. A parte gli occhi. Erano grigi, un colore piuttosto raro, e fissavano duri l’interlocutore. Facevano chiaramente capire che Lina non era la tipica ragazza poco di buono, pronta a sottomettersi a chiunque, purché la pagasse. Lei era una ragazza dal passato ignoto, un passato che nessuno dei briganti conosceva ma che l’aveva resa dura e coriacea.

Comunque, le motivazioni che l’avevano spinta a compiere certe scelte di vita si potevano comprendere anche senza bisogno di spiegazioni. La povertà e i disordini sociali continui erano la vera piaga della loro terra natia. Fino a poco fa non era stata altro che una prostituta, ma dopo aver messo da parte un piccolo gruzzolo, era riuscita a risistemare quella vecchia capanna e a renderla accogliente, aveva iniziato a coltivare un orto tutto suo e a gestire qualche animale domestico. Così, ultimamente non aveva avuto più bisogno di vendere il proprio corpo.

‘’Lina, sai vero che alcuni giorni fa abbiamo rapito una ragazza, e l’abbiamo rinchiusa nella casa abbandonata che è poco più su di qui?’’, chiese Giovanni, dopo essersi risistemato meglio sulla sedia, e rispondendo alla domanda della donna.

 ‘’Certo che lo so, anche se ne sono rimasta un po’ sorpresa. Questo era un gruppo di briganti nato per essere serio, per rapinare i ricchi che strangolano la nostra terra, e non per rapinare giovani ragazze indifese romane’’, disse Lina, lasciando chiaramente intendere il suo disappunto. Come sempre, era informata su tutto.

 ‘’Stai tranquilla, mi sono pentito anch’io di averla rapita. Appena suo padre pagherà il riscatto richiesto, la dovremmo liberare in uno stato dignitoso. Ma a quanto pare non è la classica ragazza obbediente, anzi, da parecchi problemi. Non trovando modo di fuggire, ha smesso di mangiare, e se continuerà così, probabilmente si ammalerà e morirà. E io non so cosa fare’’, ammise Giovanni a voce bassa. Lina rise forte.

‘’Il grande Zvàn, capo di una delle più terribili bande di briganti della zona, si fa mettere in difficoltà da una ragazzina? Oh, questa è buona’’, disse Lina, continuando a ridere.

Giovanni notò che la donna rideva in modo strano, quasi come per volerlo provocare. Strinse i pugni, e inspirò, cercando di non perdere la pazienza. Queste donne lo stavano uccidendo.

‘’Una ragazzina cocciuta e molto, molto determinata a proseguire il cammino di digiuno che ha iniziato. Quella ragazza non scherza, e se muore, niente denaro. Senza pensare a tutti i problemi che ci causerà con Aldo e la sua banda. Senti, Lina, tu sei l’unica donna di questo posto di cui io mi possa fidare, perché ti conosco da molto tempo e so che in fondo sei molto leale, quindi smettila di burlarti di me. Ti chiedo solo di andare a parlare con la ragazza e di convincerla a mangiare e a non commettere sciocchezze. Ovviamente, sarai lautamente pagata per questo’’, disse Giovanni. Lina smise di ridere.

‘’Pagata. Pagata. Voi uomini credete sempre che con un po’ di denaro tutto si risolva. Vi mettete nei guai, e per liberarvene pagate. Sì, a volte può essere la soluzione giusta. Ma non sempre’’, disse Lina, spostando il suo sguardo verso la finestra.

 ‘’Sono una donna libera ora. Per parecchio tempo, ho dovuto vendervi il mio corpo, solo per poter mettere qualcosa sotto i denti. Ma ora ho una dimora, ho l’orto e i miei animali, e posso finalmente permettermi di fare solo ciò che voglio. Non mi importa nulla del tuo denaro rubato’’, continuò, dando le spalle al brigante e continuando a guardare l’oscurità che c’era al di là del vetro.

Giovanni si preparò ad andarsene. Quell’enigmatica donna non l’avrebbe aiutato. Si accinse ad alzarsi dalla sedia, pronto ad uscire da quella dannata casa.

‘’La situazione è così grave?’’, chiese tutto ad un tratto Lina, continuando a dare le spalle a Giovanni, ma con un tono di voce serio.

‘’Sì, lo è’’, disse Giovanni, ritrovando la speranza di un possibile aiuto. Lina si girò, e lo fissò.

 ‘’Va bene, andrò a farle visita. Come si chiama?’’, chiese la donna.

 ‘’Teresa’’.

‘’Perfetto. Conducimi da lei’’.

Giovanni uscì di nuovo. Mentre affrontava la salita, non si volse indietro ad osservare Lina, che camminava poco dietro di lui. A rompere il silenzio della notte c’era solo il rumore dei suoi passi, mentre la donna lo seguiva silenziosa, come se fosse un gatto abituato a vagare nell’oscurità.

La condusse fin sulla porta dell’abitazione dov’era rinchiusa Teresa, ed aprì il catenaccio. Lina si accinse ad entrare.

‘’Ferma. Non  voglio che tu pensi che io sia uno che non rispetta la parola data. Accetta questi soldi. Mettiamola così; questo è solo un anticipo’’, disse Giovanni, allungandole una mano contenente delle monete.

 Lina lo fissò, e tornò a ridere. La sua mano non corse a prendere le monete, ma a scansare Giovanni, ed entrò nella cucina, richiudendosi la porta dietro di sé.

Giovanni rimase interdetto con le monete in mano, e fissò la porta chiusa.

 Scosse la testa, pensando che probabilmente col tempo sarebbe riuscito a compiere ogni genere di rapina, ma non sarebbe mai arrivato a capire fino in fondo le donne.

 

 

Teresa sentì che la porta stava venendo riaperta di nuovo.

Ebbe paura. Si chiese cosa le avrebbero fatto. Non temeva Mario, che in fondo doveva essere un uomo buono. Non temeva neppure Giovanni, poiché se le avesse voluto far del male glielo avrebbe fatto poco prima.

E poi, al lume di candela, vide entrare una figura femminile, che si guardò per un attimo intorno, guardinga, per poi avviarsi verso di lei. Teresa notò subito che si trattava di una donna, che doveva essere più grande di lei, ma non di molto, al massimo di quattro anni.

La donna continuò ad avvicinarsi a lei, e Teresa vide che era vestita con abiti poveri ma puliti, aveva un volto comune, e un atteggiamento che mostrava forza e sicurezza. Poi, si sedette sul suo letto. E fu allora che parlò.

 ‘’Ciao Teresa, mi chiamo Lina. Piacere di conoscerti’’, disse la donna, con tono molto gentili.

‘’Come fai a sapere come mi chiamo?’’, le chiese subito Teresa, stupita.

 ‘’Me lo ha detto Giovanni poco fa’’, rispose Lina. Teresa annuì, ma non disse più nulla.

 ‘’Mi ha anche detto che è da molto che non mangi. Infatti, ti vedo molto magra e scarna. Teresa, se vuoi vivere devi anche mangiare. Sappi che i briganti non ti lasceranno andare mai fintanto che non sarà versato il riscatto. E sai che ci vorrà un po’, quindi non fare sciocchezze e mangia’’, continuò a dire Lina, interrompendo quel breve silenzio che era sceso tra loro.

 ‘’Sarò la rovina di mio padre. Gli faranno pagare un grosso riscatto, e tutto per colpa mia. Aveva ragione, dovevo restare a casa e non insistere per seguirlo in questo dannato viaggio’’, disse Teresa, esprimendo i suoi pensieri a voce alta.

‘’Stai tranquilla, vedrai che il riscatto non sarà altissimo’’, cercò di tranquillizzarla Lina, pur sapendo che stava mentendo.

 ‘’Voglio andarmene di qui. Fammi fuggire, te ne prego’’, disse Teresa, vedendo in quella donna una possibilità di scampo. Lina fece un sorriso amaro.

 ‘’Questo non posso farlo. Di fronte alla porta di sono due briganti armati. Come potrei riuscire a farti fuggire?’’, disse Lina, scrollando le spalle e mostrandosi complice. Teresa annuì, e iniziò a pensare che quella donna doveva essere simpatica.

‘’Hai ragione. Ma tu cosa vuoi da me?’’, chiese Teresa sommessamente. Lina sorrise.

 ‘’Solo farti ragionare. E farti capire che devi mangiare, e smetterla di fare tutte queste storie. Sai, ben presto tornerai alla tua vita di sempre, sarà questione di poco. Devi capire che questo sarà solo un momento passeggero, e che quello che per te è un incubo ben presto passerà. Potrai tornare a sorridere, e  a riabbracciare i tuoi cari. Molto presto’’, disse Lina con modi gentili, e con fare affabile.

Le si avvicinò per controllare il suo stato fisico. Teresa non poté fare a meno di notare quanto fosse strana quella donna.

 Doveva avere solo qualche anno in più di lei, ma non si poteva più definire una ragazza. Il suo volto esprimeva, attraverso quelle piccole rughe che aveva proprio sotto gli occhi, visibili solo ora che si era avvicinata alla luce della candela, mostravano quanta sofferenza doveva aver patito quel suo esile corpo, e quanto i suoi occhi avessero pianto in passato.

 E furono proprio i suoi occhi a colpire Teresa. Erano sempre fissi sul volto di chi le rivolgeva la parola, come se fossero in grado di scrutare l’animo dell’interlocutore. Mostravano anche che quella era una donna che aveva sofferto, ma che era riuscita a superare le avversità. Inoltre, erano di una strana tonalità di grigio.

 ‘’Devi mangiare. Subito. O forse vuoi morire?’’, disse Lina, togliendole per un attimo lo sguardo di dosso. Teresa, a quel punto, sentendosi meglio di fianco ad una figura femminile e non riuscendo più a trattenere la fame, annuì con la testa.

‘’Ho fame. Devo mangiare’’, disse a bassa voce, cedendo alla tentazione. Non ne poteva veramente più.

Lina sorrise, soddisfatta, e andò immediatamente verso la porta.

‘’Zvàn!’’, disse. L’uomo le rispose, dall’altra parte della porta, senza aprire. ‘’Porta qualcosa da mangiare. Teresa ha fame’’, disse Lina.

Per alcuni istanti non sentì nulla, poi udì i passi del brigante, che si stava allontanando.

‘’Guarda qui che disastro. Hai fatto pure spegnere la stufa’’, sbottò Lina, mentre prese a maneggiare per riaccendere il fuoco. Per un po’ stette in silenzio, mentre una nuova fiammella iniziava ad illuminare la stanza.

‘’Teresa, chi sei?’’, chiese Lina poco dopo, ad alta voce. Teresa la fissò con fare interrogativo, mentre si alzava dal letto. ‘’Intendevo quale grado nobiliare hai’’, ripeté.

 ‘’Sono la figlia del conte Luigi Scalindi’’, rispose.

‘’Ah, una contessina allora’’, disse Lina, iniziando rattizzare il fuoco e a buttarci nuova legna sopra, per non farlo spegnere.

‘’E tu, chi sei?’’, chiese Teresa, titubante.

 Lina alzò lo sguardo, e sorrise. Anche quello era un sorriso dal retrogusto amaro, e il volto di Lina parve corrucciarsi lievemente.

‘’Sono stata una prostituta, fino a poco fa. Mi vendevo ai briganti’’, disse, con amarezza e sincerità, non nascondendosi dietro a false parole.

Teresa trasalì, di fronte a quelle parole sincere. Stava parlando con una prostituta. Lei non ne sapeva molto di quelle donne, ma aveva sentito suo padre definirle come poco di buono, e coloro che andavano a letto con i mariti delle altre donne.

Ebbe un moto di disgusto. Lina, che la stava fissando, comprese tutto.

 ‘’Se ti interessa saperlo, ora non lo sono più. Ora, grazie ai guadagni e ai lavori richiesti dopo le prestazioni che effettuavo, sono una donna libera e indipendente. Non ho più bisogno di vendere il mio corpo a nessuno’’, continuò a dire Lina.

 Teresa continuava a restare nello stupore. Quella donna aveva coraggio, ed esprimeva direttamente i concetti con chiarezza e sincerità, senza paura di scandalizzare chi l’ascoltava. Non tentava neppure di mascherarsi un po’.

Teresa, dopo l’iniziale sorpresa e disgusto, trovò la forza di parlare nuovamente.

‘’Grazie’’, disse.

‘’Di che?’’, chiese Lina, sorpresa.

‘’Per la tua sincerità’’, rispose Teresa. Lina scrollò le spalle, e sorrise.

‘’In questo luogo, nessuno si nasconde. Si è ciò che si è. Nessuno ha bisogno di mettersi dei veli di fronte al volto. Qui non siamo nei saloni nobiliari dove si danno feste tutti i giorni, dove tutti i partecipanti devono fingersi belli, bravi e buoni. Qui, su questi monti, si vive nella realtà. E la realtà va accettata così com’è’’, continuò Lina.

 Teresa non poté che essere d’accordo con le sue parole. Le venne in mente il marito della sua amica Maria, quell’uomo che dava feste e si mostrava gentile ed elegante con tutti, ma in realtà era solo un bruto. Si limitò ad annuire.

Fu in quel momento che entrò Giovanni. Lina gli si avvicino e prese la scodella con il brodo, che era già stato scaldato.

‘’Bene, vedo che Zvàn ha già scaldato tutto. Ora, mangia’’, le disse la donna, sistemando tutto sul tavolo. Poi, indossò il suo mantello e se ne andò.

‘’Non ho altro da fare, qui. Vado a casa. Teresa, tornerò domattina a trovarti’’, disse la donna, dopo aver lanciato uno sguardo rassicurante a Giovanni.

Poi, se ne andò, richiudendo la porta dietro di sé.  Giovanni, intanto, era rimasto in piedi a fissarla. Teresa alzò lo sguardo, e lo posò su di lui.

‘’Ti disturbo se mi fermo un attimo qui, o preferisci che vada fuori?’’, chiese il brigante. Sembrava impacciato da qualcosa.

‘’No, resta pure’’ disse Teresa, che poi abbassò lo sguardo e prese a mangiare.

 Al suo pasto si era aggiunto anche un altro quadretto di piadina, lievemente bruciacchiata ma buona. Anzi, per Teresa era tutto buonissimo, e appena sentì il cibo scivolargli in gola e poi verso lo stomaco, si sentì subito molto meglio.

Mangiò per alcuni minuti senza pensare ad altro. Non appena finì il cibo, alzò lo sguardo, e vide che Giovanni era ancora lì, seduto su una sedia poco distante, e la stava fissando intensamente.

Non appena notò che Teresa ricambiava il suo sguardo, l’uomo riabbassò il suo.

Teresa continuò a fissarlo, notando che quel volto aveva qualcosa di speciale. Qualcosa che la incuriosiva.

Giovanni era un uomo alto nella media, di corporatura muscolosa, grandi occhi scuri e si comportava di solito con fare aggressivo. Ma in quel preciso momento appariva calmo come un agnellino.

Teresa notò che si era tolto il cappellaccio che portava sempre, e l’aveva appoggiato a terra. Il brigante era ancora giovane, nel pieno delle sue forze, ma non doveva avere meno di trent’anni.

 I capelli erano radi ed erano un po’ lunghi, mentre la barba, che era folta, scura e non curata, dava a Giovanni un’espressione indomita, quasi selvaggia. Senza il cappello sgualcito in testa, i suoi capelli si erano lievemente arruffati, mostrando anche un inizio di calvizie. Come se avesse capito a cosa stava pensando la ragazza, il brigante si passò la mano destra tra la folta barba, come per cercare di sistemarsela un po’. Visto in quel modo, a Teresa ricordò un qualche antico filosofo greco, uno di quei personaggi di cui suo padre le aveva più volte parlato.

Quel buon uomo di suo padre le aveva insegnato personalmente a leggere e a scrivere, e con una pazienza infinita le aveva raccontato la storia dell’uomo, compreso i racconti di quei barbuti ed antichi greci.

 ‘’Mi sembri un antico greco’’, disse Teresa tutto a un tratto, rompendo brutalmente il silenzio, con toni ironici.

‘’Un antico.. Che?’’, chiese Giovanni, trasalendo.

Si era acquietato lì, su una sedia e al calduccio, e pensava che Teresa non gli avesse mai rivolto la parola. Ed ora, invece, si ritrovava a fissarla con un espressione tra lo stupito e l’offeso.

‘’Un greco. Erano degli uomini saggi, vissuti parecchio tempo fa. Più o meno, dovevano avere il tuo stesso aspetto. Erano dei filosofi. Alcuni li hanno anche ritratti, e i loro volti sono stati scolpiti nella pietra, per essere ricordati da tutti’’, disse Teresa, semplificando la questione e rivolgendosi al brigante con toni riconcilianti. Infatti, Giovanni sembrava essersela presa.

 ‘’Spero che non sia un offesa… Greco’’, provò a pronunciare poco dopo.

 ‘’No, non lo è. Era solo un mio stupido pensiero, scusami’’, disse Teresa, che notò subito che il brigante tornava a rilassarsi.

‘’Deve far parte di quelle cose inutili di cui parlano i nobili’’, continuò a dire Giovanni, facendosi calmo.

 ‘’No, non sono inutili. Sta di fatto che parecchie di queste cose si possono riscontrare sui libri…’’, continuò Teresa, ma Giovanni non la lasciò finire.

‘’Libri… Cose inutili, che non servono a nulla’’, disse il brigante, con un tono di voce alto. Teresa lo fissò, allibita.

‘’E invece servono molto’’, ribadì. Giovanni sorrise.

‘’Certo, hanno una loro funzione specifica. Bruciare nei camini. Pensa, una volta Mario ne aveva rubato uno da qualche posto, di preciso non ricordo. C’erano strani segni scritti, e dopo aver provato a guardarlo lo ha gettato nel fuoco. È durato poco tra le fiamme, ma ha scaldato un po’ l’ambiente. Ne servirebbero di più a sto mondo, e di certo il fuoco si accenderebbe con meno problemi. A volte abbiamo solo legna verde, che brucia con difficoltà. Quelli, invece, bruciano benissimo, ma si carbonizzano subito. L’importante è strappare l’involucro di pelle che li avvolge’’, disse Giovanni, sorridendo, usando toni ironici.

 Teresa continuò a fissarlo. Se qualcuno si fosse permesso di dire cose del genere in un ambiente aristocratico al quale lei era abituata, prima di tutto veniva fatto passare per demente e poi allontanato ed emarginato.

Comunque, Giovanni, vedendo che la ragazza non ricambiava il suo sorriso, e lo fissava in modo stralunato, si risistemò sulla sedia e smise anch’esso di sorridere.

 ‘’Che ho detto di male? Hai mai provato a gettarne uno nel camino?’’, chiese, con fare innocente ma continuando ad essere lievemente ironico.

‘’No. Costano una fortuna, come potrei gettarli nel camino? E poi sono utili. Aprono al mente, ed aiutano chi legge a farsi un’idea della realtà’’, continuò a dire imperterrita Teresa.

‘’Sì, certo, sono utili, ma non di certo per te, ragazza. Tu, certe cose, non dovresti neppure leggerle, e sinceramente non capisco perché qualcuno abbia voluto corrompere i tuoi pensieri insegnandoti queste sciocchezze inutili, soprattutto per una donna. Invece di insegnarti a lavare i piatti o a rispettare un uomo, ti hanno rovinato con delle sciocchezze’’, disse Giovanni, alzandosi dalla sedia.

‘’No, non mi ha rovinato nessuno. Mi è stato solo insegnato a pensare’’, disse Teresa, risoluta. Giovanni le si avvicinò, mentre si rimetteva il capellaccio sgualcito in testa.

‘’Ragazza, voglio darti un consiglio. Pensa un po’ meno, e stai attenta a come parli e a quello che fai. Prima mi hai sputato addosso, poi mi hai dato del…’’, il brigante si passò una mano tra la barba, prima di continuare, mentre si era fatto pensieroso, ‘’del greco, poi cerchi sempre di tener testa a tutti e di far sempre di testa tua. Ti comporti come un animale selvatico, sei sempre pronta a discostarti e a mordere. Stai attenta, prima o poi qualcuno cercherà di raddrizzarti e di renderti domestica, con le buone o con le cattive’’, concluse Giovanni, dirigendosi verso la porta. Teresa si alzò anch’essa, e trovò il coraggio di rispondere.

‘’E quel qualcuno dovresti essere tu?’’, chiese, pentendosi subito dopo di aver detto quelle parole.

Giovanni si immobilizzò, e si girò un attimo a fissarla, come se le volesse dire qualcosa. Poi, distolse lo sguardo, scosse la testa ed uscì, senza replicare, lasciando sola Teresa.

La ragazza continuò a fissare la porta ancora per qualche istante, poi andò verso il suo letto, portandosi dietro la candela accesa.

 Si sdraiò, e si sistemò meglio sotto le coperte, poi spense la candela, cercando di non pensare troppo alle ultime cose che le erano accadute.

 Prima di addormentarsi, la sua mente, che di solito andava verso suo padre e la sua casa, andò verso Giovanni.

Quel brigante, in fondo, non era crudele e perfido, come aveva pensato fin dall’inizio. Poteva apparire burbero, e ignorante, ma lei era sicura di aver visto più volte nei suoi occhi un guizzo di intelligenza. Poi, non era colpa sua se nessuno l’aveva mai acculturato.

 D’altronde, non si poteva pensare che un uomo abituato solo a rubare e a vivere nascosto sui monti fosse una persona in grado di apprezzare i libri o di intavolare un discorso ben articolato. E poi, in fondo, quel volto barbuto e selvaggio le dava un senso di tranquillità e di saggezza.

Aprì per un istante gli occhi, dandosi della sciocca. Quell’uomo era un bruto, uno che causava solo disagi. Era un uomo che doveva essere impiccato.

 Ma era anche un uomo che aveva risvegliato la sua curiosità.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Premetto che non ho nulla contro i libri, contro i filosofi o altro… ho solo lasciato parlare i personaggi, ed ho cercato di scrivere qualcosa di compatibile con le  diverse personalità dei due protagonisti.

Ho riflettuto a lungo su come far iniziare il rapporto tra Teresa e Giovanni. Alla fine ho scelto di farlo iniziare in un modo un po’ turbolento. Ma d’altronde, ormai un po’ Giovanni lo conosciamo, e sappiamo che è fatto così J

Ringrazio tutti coloro che seguono la mia storia, e in particolar modo quelle quattro magnifiche persone che nel capitolo scorso hanno lasciato un loro pensiero sul racconto, incoraggiandomi e facendomi complimenti, che spero di continuare a meritarli. Grazie J J spero vogliate continuare a spendere qualche parola per il racconto, e spero anche che la vicenda continui a piacervi J

Ancora una volta, grazie a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

CAPITOLO 8

 

 

Teresa stava facendo un bellissimo sogno.

C’era suo padre, e sua madre. Suo padre era più giovane, la barba era ancora quasi totalmente nera ed aveva un fisico più tonico. Sua madre, una bellissima donna mora e con grandi occhi castani, la fissava, felice.

 Era il giorno del suo dodicesimo compleanno, e ancora Teresa non sapeva che ben presto, nel giro di pochi mesi, sua madre sarebbe morta.

Sua madre le aveva fatto un regalo, ed ora lei lo stava tenendo tra le braccia. Era una bellissima bambola di pezza, ben lavorata e dalle vesti raffinate. Ormai lei era grande per le bambole, ma aveva sempre avuto una passione particolare per quegli oggetti che si assomigliavano così tanto alle persone. I suoi genitori lo sapevano, e gliene avevano regalata una magnifica.

Suo padre la guardava con un sorriso, felice, mentre la mamma le si avvicinava.

 ‘’Ti piace?’’, le chiese. Teresa alzò lo sguardo dalla bambola, e fissò in volto la madre. O, almeno, ci provò. Ciò che vide era sfocato, come se fosse solo un piccolo pezzetto di un lontano ricordo sepolto nella sua memoria. Ma lei non ci fece caso, era troppo felice.

 ‘’Grazie, mamma, è bellissima…’’, disse, restando senza parole. Sua madre rise, si abbassò e la strinse forte tra le sue braccia.

‘’La mia bambina…’’, le sussurrò.

 ‘’Mamma, grazie’’, ripetè Teresa, godendosi quell’abbraccio.

‘’Spero che questo regalo speciale ti ricordi per sempre di me. Ogni volta che lo vedrai’’, disse, come se avesse già previsto l’immediato futuro.

‘’Perché dici così, mamma? Tu sarai sempre con me. Per sempre’’, disse, con la sua voce fragile da bambina.

‘’Certo che sarò sempre con te. Sempre e per sempre’’, continuò a ripeterle la madre, continuando a stringerla tra le sue braccia.

Teresa stava così bene in quel momento, pregava che non terminasse mai, mentre si sentiva finalmente bene e rilassata.

Poi, un boato assordante interruppe il sogno, e tutto scomparve rapidamente. Teresa si trovò a balzare sul letto. Era lievemente sudata, ed era pure molto agitata.

 Si guardò attorno, alla ricerca di sua madre, di suo padre, o almeno di quella bambola. Ma non trovò niente di tutto ciò. Immediatamente dopo, la sua coscienza riprese possesso della sua razionalità, e ricordò tutto, tornando nel mondo reale.

 Tutto attorno, la luce del mattino illuminava la stanza, mentre in lei, nel giro di pochi istanti, giungeva la consapevolezza di aver sognato. Era solo un sogno, si disse. La bambola, il babbo e la mamma erano il frutto di un sogno. Lei ora non era con loro, perché la mamma era morta, il babbo era chissà dove disperato e pronto a pagare un grosso riscatto per riaverla a suo fianco viva e vegeta, e quella bambola era nella sua stanza, a Roma. Lei ora si trovava rinchiusa in una catapecchia disgustosa, circondata da pericolosi briganti e da prostitute e dispersa tra i monti. Quella era la pura e cruda realtà.

 Eppure, era certa che qualcuno avesse provocato un dannato rumore, talmente forte da svegliarla.

 Mi vogliono rubare pure i sogni, vogliono solo darmi sofferenza, si disse, mentre una rabbia primordiale prendeva possesso del suo corpo. Come una belva inferocita, si rigirò su sé stessa e tirò via quello straccio di coperta che usava per non raffreddarsi durante la notte.

Doveva trovare quell’essere disgustoso che l’aveva svegliata. In preda alla rabbia, balzò in piedi. Si ritrovò a barcollare, per poi lasciarsi cadere di nuovo sul letto. Il suo corpo le aveva ricordato le sofferenze degli ultimi giorni, e il fatto che non si era ancora del tutto ripresa dalla sua astensione dal cibo.

Si prese il volto tra le mani, e iniziò a piangere, mentre Lina, la causa del rumore improvviso che l’aveva svegliata, se ne stava ferma sulla porta, a fissarla. 

‘’Ehi, ma… Che ti succede?’’, chiese la donna, sbalordita dall’atteggiamento folle di Teresa.

 ‘’Niente’’, rispose la ragazza, asciugandosi le lacrime, e tornando calma.

 ‘’Non direi che non ti sia successo niente. Sono entrata per portarti la colazione e tu sei balzata su dal letto come una pazza. Stai male?’’, le chiese Lina, premurosa. Vedendo che la ragazza non rispondeva, appoggiò la colazione sul tavolo e si avvicinò a lei.

‘’Ehi, non piangere più’’, le disse, dolcemente.

Teresa la guardò. La donna dovette capire dai suoi occhi che in quel momento soffriva non per qualche dolore fisico, ma per la mancanza di qualcosa. Lina le sorrise dolcemente, e le asciugò le lacrime con il suo grembiule, fresco e profumato di bucato.

Poi, senza dire nulla, l’abbracciò. Quell’abbraccio era così simile a quello che aveva sognato poco fa, e lei lo ricambiò con calore. Le due donne, una prostituta e una giovane contessina, se ne stettero abbracciate per un po’, immerse in un silenzio che valeva più di mille parole.

 Teresa si sentì improvvisamente in sintonia con quella donna, che tra l’altro per lei era ancora una sconosciuta, poiché l’aveva conosciuta solo la sera prima, ma dentro sé sentiva che loro due erano simili. Poi, lentamente, l’abbraccio si sciolse.

 ‘’Va meglio, ora?’’, chiese Lina, sorridendole dolcemente. Teresa annuì, e ricambiò il sorriso.

‘’Bene’’, disse Lina, più rilassata.

Poi, Teresa andò in cucina e prese a mangiare ciò che le aveva appena portato la donna. Lina, intanto, si accinse ad uscire.

‘’Grazie’’, le disse Teresa, prima che aprisse la porta.

‘’Non devi ringraziarmi. Anzi, non ringraziarmi proprio più. Tutto quello che faccio lo faccio con piacere, e non per cercare sostegno o parole di ringraziamento. Tra un po’ ci rivedremo, ora devo andare che ho da fare. Ciao’’, le disse Lina, uscendo, ma con toni dolci e sorridendole.

Teresa, rimasta sola, pensando che quelle persone erano troppo strane.

 

 

 

Giovanni se ne stava tranquillo a pulire la canna del suo fucile.

Era da un po’ che non aveva fatto quel lavoro, ed ora la canna era quasi otturata. Si trovava nel retro della sua cascina, che ultimamente fungeva anche da casa. Non gli andava di andarsi a mischiare con gli altri, da quando aveva visto la magnifica Teresa.

Quasi si vergognava, aveva paura che gli altri lo vedessero in uno stato che tutti avrebbero definito di innamoramento, ma che per lui era solo puro interesse, nulla di più. Sì, Teresa gli piaceva un bel po’.

 Il suo volto gli era rimasto impresso dalla sera precedente, un volto un po’ scarno ma bello e fiero. I suoi freschi tratti nobili la rendevano una creatura attraente ai suoi occhi, e voleva assolutamente rivederla. Si disse che entro sera le sarebbe andato a far visita.

Mentre era sovrappensiero, non si accorse di essere osservato.

‘’Ehm…’’, tossicchiò una voce femminile poco distante.

Giovanni si girò improvvisamente, preso alla sprovvista.

‘’Scusa Zvàn se ti disturbo, ma volevo parlare con te di una questione’’, disse Lina, che se ne stava impalata nel mezzo della porta.

‘’Oh, sì, certo…’’, disse Giovanni, imbarazzato. Non si aspettava quella visita, e neppure che quella donna interrompesse i suoi pensieri. Lina, intanto, continuava a guardarlo in modo strano.

‘’Che succede? Non ti ho mai visto così strano. Sembri in imbarazzo’’, disse Lina, continuando a fissarlo. Il brigante abbassò lo sguardo.

‘’Niente, stavo risistemando un po’ il mio fucile. Ma vieni, entra pure’’, disse Giovanni, recuperando il suo solito modo di fare.

 ‘’Oh, ma non credo che ci fosse bisogno di imbarazzarsi così tanto per il fatto che ti ho visto pulire un fucile. Sembrava che tu fossi molto assorto in dei tuoi pensieri’’, disse Lina, entrando nella cascina e chiudendo la porta.

Giovanni, preso in contropiede,  si limitò a scrollare le spalle e ad evitare gli occhi della donna.

‘’Boh, siete tutti così strani questa mattina… Non sarà che l’aria di montagna inizia a darvi alla testa?’’, continuò Lina, sorridendo.

‘’No, non credo. Ma tu eri venuta qui per chiedermi qualcosa se non sbaglio. Dimmi pure’’, disse il brigante, evitando il discorso.

 ‘’Ecco, sono qui per parlare di Teresa’’.

 Giovanni si fece subito attento, e Lina lo notò, e sorrise impercettibilmente.

‘’Che vuoi da quella ragazza? Ricorda che deve andarsene. È solo una merce’’, ribadì Giovanni, ma con fare poco serio.

‘’La ragazza dovrà andarsene, certo, ma tra un bel po’. Il prelievo che avete richiesto a suo padre non sarà di certo pronto prima del prossimo mese. E la ragazza sta impazzendo’’, disse Lina, delicatamente.

‘’Che significa tutto ciò?’’, chiese il brigante con fare insospettito.

‘’Significa che la ragazza sta soffrendo molto, e che ben presto ci causerà altri problemi. Tenterà di scappare, o, peggio ancora , di suicidarsi, creandoci infiniti problemi’’, disse Lina.

‘’Perché mi dici tutto questo? Cos’è successo?’’.

‘’Poco fa, quando le sono andata a portare il primo pasto della giornata, la ragazza si è risvegliata da un incubo, e pareva impazzita. Ha tirato via le coperte, è balzata sul letto ed ha tentato di avvicinarmi. Poi, fortunatamente, le sono venute a meno le forze, se no sono certo che avrebbe tentato di ammazzarmi gettandomi qualcosa contro’’, disse Lina, seria. Giovanni la fissò, sbalordito.

‘’Va bene, farò in modo di posizionare due dei miei uomini più forti a controllare la porta. Se a te non ti va di andarci perché ti senti insicura, non andarci più’’, disse Giovanni, risolvendo la questione.

‘’No, non è questo il punto. Lei si farà male, e farà del male anche a noi. Se fugge, o se commette qualche atto estremo, Aldo e la sua banda non ce la faranno passare liscia. Sai che quei tagliagole sono mal armati, ma molto rapidi e feroci. Rischiamo di metterci in uno scontro tra bande’’, disse Lina. Giovanni annuì.

 ‘’Sì, certo, lo capisco. Ma non riesco a comprendere dove vuoi arrivare tu’’, disse, nuovamente insospettito.

‘’Voglio chiederti di affidarmi la ragazza. Me ne prenderò cura personalmente, a casa mia’’, disse la donna.

Giovanni sbatté un pugno sul tavolo, facendola sobbalzare sulla sedia.

‘’Ma chi ti credi di essere? Tu non fai parte della banda, e questi sono problemi miei. Ti sei lasciata impressionare dal suo comportamento. Tu la lascerai libera, e lei si perderà nei boschi e morirà. È questo il lieto fine che vuoi?’’, gridò forte l’uomo.

‘’Calmati, Zvàn. Dammi la ragazza, e la terrò in casa con me. Non uscirà all’aperto, e potrai far vigilare la mia casa per tutta la giornata, in modo da esser sicuro dell’incolumità dell’ostaggio. La notte tornerà a riposarsi in casa sua, ma di giorno vivrà con me’’.

‘’Perché stai facendo tutto questo, Lina?’’, chiese Giovanni, ancora arrabbiato.

 ‘’Per tutelare me stessa e la mia casa. Se a quella ragazza succede qualcosa, qui si riempirà di banditi incalliti. E dovrò dire addio a tutto quello che ho costruito con tanta fatica’’, disse Lina, ‘’ma anche per solidarietà femminile’’, ammise infine. Giovanni iniziò a calmarsi, e a pensare che in fondo non era un’idea malvagia. Se Teresa avesse trovato qualcuno con cui parlare e condividere qualcosa, probabilmente non avrebbe tentato di fuggire o di creare un’altra marea infinita di problemi. Dopo pochi istanti, si decise a dare la sua risposta.

‘’Ebbene sì, ti darò l’opportunità di tenerti la ragazza. Ma sarai sorvegliata continuamente da Gianni, che starà appostato sempre in zona, attento ad ogni tua mossa. Felice, adesso?’’, disse Giovanni, con toni quasi ironici.

‘’Puoi contarci. Ora sono soddisfatta. Sai che puoi fidarti di me, non farò nulla che possa nuocere a te e alla ragazza’’, continuò Lina, sorridendo.

‘’Questo lo vedremo’’, disse Giovanni, fingendosi incerto. In realtà, si fidava di quella donna tremendamente strana, ma anche molto leale.

 ‘’Mi piacerebbe che la ragazza mi venisse recapitata già subito questa mattina’’, disse Lina. Giovanni sorrise di fronte alla sfrontatezza di quella donna.

 ‘’Non stai correndo un po’ troppo?’’, chiese.

 ‘’No, fidati di me. Vedrai, andrà tutto bene’’, disse Lina, con fare sicuro.

 ‘’Bene, Teresa verrà accompagnata da Gianni a casa tua tra poco. Quindi, preparati ad accoglierla. Ma ricorda; la tua abitazione sarà sempre sorvegliata, quindi niente scherzetti’’, disse Giovanni.

 Lina si allontanò in fretta, sorridendo, mentre il brigante sospirò e si accinse ad andare a parlare con Gianni. La situazione stava continuando a sfuggirgli dalle mani. Sperò solo che alla fine andasse tutto bene.

 

 

 

Teresa sentì del chiacchiericcio al di là della porta.

Si avvicinò per ascoltare, ma era troppo tardi. Il catenaccio si aprì, ed entrò dentro Gianni, il suo guardiano.

‘’Vieni con me’’, le disse, con fare apatico.

‘’Dove mi vuoi portare?’’, chiese Teresa, leggermente spaventata. Gianni scrollò le spalle.

 ‘’Lo vedrai tra poco’’, disse, prendendola per un braccio.

Fuori, c’era un altro brigante che lei non aveva mai visto, ed entrambi la trattennero per le braccia, in modo da non farla fuggire, e iniziarono a scendere verso valle.

‘’Dove mi state portando?’’, chiese ancora Teresa, iniziando ad agitarsi.

 ‘’Stai calma, ragazza. Tra poco lo vedrai’’, ripeté il brigante.

Dopo poco, apparve una casetta in legno. Teresa fu portata fin lì, e Gianni aprì la porta, facendola entrare all’interno. Si entrava direttamente nella cucina, e proprio nel bel mezzo della stanza c’era Lina, che le sorrideva.

‘’Che significa tutto ciò?’’, chiese Teresa, guardando la donna con fare interrogativo.

‘’Ho chiesto con Giovanni di tenerti un po’ qui con me, per  farti sentire meno sola. Ti piace come idea?’’, chiese Lina.

 ‘’Eccome se mi piace!’’, disse Teresa, avvicinandosi alla donna.

Intanto, i due briganti erano ancora in mezzo alla porta.

‘’Che fate lì impalati? Fuori di qui!’’, disse Lina, risoluta.

‘’Ma abbiamo ricevuto l’ordine di controllarvi…’’, tentò di dire Gianni.

‘’Sì, certo, ma fuori da queste mura. Statevene appostati fuori dalla porta, non qui dentro. E ora, fuori!’’, disse Lina, spingendoli via e sbattendo dietro di sé la porta. Gianni e l’altro brigante, imbarazzati, la lasciarono fare, e uscirono.

 ‘’Li comandi sempre così?’’, chiese Teresa, divertita.

‘’Più o meno. Ora posso permettermelo’’, disse Lina, sorridendole.

 Poi, le due donne si abbracciarono, felici. Era nata un’amicizia.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Teresa, a quanto pare, sta per trovare un’inaspettata amica. Nei prossimi capitoli continueremo a seguire le varie vicende dei nostri due protagonisti.

Vorrei ringraziare tantissimo Dan, Grace Kelly, S1mo94 e Rossella0806, che recensiscono ogni mio capitolo, aiutandomi a dissipare i miei dubbi e sostenendomi passo per passo. Grazie!! J

Ovviamente, ringrazio anche tutti quelli che mi lasciano una recensione ogni tanto, e tutti coloro che seguono e leggono la mia storia. Grazie a tutti! J

A lunedì prossimo J

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

CAPITOLO 9

 

 

Era ormai mezzogiorno, e Teresa era ancora a casa di Lina, come pattuito. La donna stava preparando un po’ di pastasciutta.

Teresa se ne stava immobile, seduta su una sedia, ad osservare la maestria delle mani di Lina ad impastare. Per lei era sorprendente vedere quella donna al lavoro, poiché ci metteva molto impegno in ogni cosa che faceva. Ormai l’impasto era pronto, e per avere la sfoglia pronta c’era solo da stendere il tutto con il mattarello.

 ‘’Che c’è, non hai mai visto nessuno a preparare un po’ di pasta?’’, chiese Lina, sorridendole, mentre continuava ad impastare.

 ‘’No, effettivamente no. Il cibo da me lo preparavano le domestiche, e non mi sono mai soffermata a guardarle. Però, sembra divertente’’, ammise Teresa.

‘’Ti piacerebbe provare?’’, chiese Lina, fissandola.

‘’Certo!’’, rispose Teresa, incuriosita. Si chiese come dovesse essere posare le mani sull’impasto, e cercare di sistemarlo adeguatamente.

‘’Vieni’’, le disse Lina.

 La donna versò poco più di un pugno di farina sul tavolo, poi le porse un uovo di gallina, talmente tanto piccolo da sembrare ridicolo. Teresa si avvicinò al tavolo, e fissò gli ingredienti con fare sorpreso.

 ‘’Perché così poco?’’, chiese, indicando ciò che gli aveva fornito Lina.

‘’Oh, perché so già che come prima volta non verrà molto bene. E se a casa tua la farina e le uova non mancano mai, qui tendono a scarseggiare, quindi non posso permettermi di sciuparle. Ma avanti, prova’’, le disse Lina, facendosi da parte, ma continuando a sorridere.  

Teresa fece per prendere l’uovo. Lina scosse la testa.

 ‘’No. Prima fai questo’’, le disse, mettendo la mano nel mezzo della minuscola dose di farina e sistemandola come se fosse un cerchio, con un buco nel mezzo. Lo fece sempre con delicatezza, ed il suo volto era serio mentre eseguiva quella semplice mossa.

‘’Ecco, ora puoi rompere l’uovo’’, le disse nuovamente la donna.

Teresa prese l’uovo, e fece per ammaccarlo. Improvvisamente, fu invasa dal dubbio. Doveva misurare la forza necessaria. Con un colpo non troppo deciso, batté il guscio dell’uovo sul tavolo. Si creò solo una piccola crepa, dalla quale iniziò a fuoriuscire l’albume. Teresa fissò Lina, impacciata. La donna, pazientemente, tornò a sorridere.

‘’Così’’, le disse, prendendole le mani e guidandole le dita, insegnandole ad aprirlo con decisione sulla farina.

‘’Ora impasta’’, disse nuovamente Lina, soddisfatta.

 Teresa prese ad impastare ripetendo i gesti che aveva visto compiere fino a poco fa dalla donna. Con le mani, sbatté l’uovo e pian piano iniziò ad impastare il tutto.

‘’Non male, per essere la prima volta’’, disse Lina, che continuava a fissarla.

Teresa dovette più volte reprimere un moto di disgusto. Le sue mani erano tutte impiastricciate e appiccicose, e muoverle era difficoltoso. Lina le stette vicino, e in poco tempo il minuscolo impasto era pronto.

‘’Pensavo di non riuscirci’’, disse Teresa, alla fine.

‘’Teresa, sei troppo titubante. Devi buttarti nei lavori, non fermarti a pensare. Comunque, come prima volta va molto bene. Se continui così, nel periodo della tua permanenza ti insegnerò altri lavoretti, giusto per passare il tempo. Alla fine potrai essere una brava donna di casa’’, disse Lina, ridendo.

‘’Oh, non ne dubito. Sai quanti disastri combinerò, nel frattempo?’’, disse Teresa, ridendo anch’essa. Si era divertita parecchio a fare quel lavoretto manuale, e le sarebbe piaciuto impararne altri.

 ‘’Ma no, vedrai. Impari in fretta, se lo vuoi’’, rispose la donna.

Teresa pensò che Lina era veramente strana; sicuramente, il suo aspetto fisico cominciava ad essere quello di una donna matura, ma il suo comportamento duro a tratti tornava ad essere quello di una ragazza, proprio come lei.

 E fu in quel momento che i pensieri della giovane furono interrotti, poiché qualcuno bussò alla porta. Lina smise di ridere ed andò ad aprire.

Dalla porta entrò Giovanni.

 ‘’A quanto pare, vi trovate bene insieme’’, disse subito il nuovo arrivato, gettando un’occhiata a Teresa.

 La ragazza sostenne il suo sguardo rigido, che non appena si accorse di essere ricambiato fece spuntare un bel sorriso.

Teresa si sentì immediatamente imbarazzata, e temette di arrossire. Non era abituata a sostenere gli sguardi degli uomini, e neppure a ricambiarli. Ma quello sguardo aveva pure qualcosa in più. Tra le sopracciglia folte e la barba lunga del brigante, si vedevano due guancie lievemente arrossate dal freddo del mattino, e nonostante quell’individuo dovesse essere un personaggio rozzo, brutale ed occasionalmente violento, i suoi occhi castani apparivano in qualche modo dolci.

 Dentro di lei, Teresa ultimamente aveva sentito mutare quell’odio aspro che aveva provato nei confronti di quell’uomo. Ora non provava più odio, ma un interesse crescente verso la sua figura.

‘’Zvàn, guarda qui. È con me da appena mezza mattinata e, di sua iniziativa, ha già fatto il suo primo impasto!’’, disse Lina, mostrando al brigante il piccolo preparato di Teresa.

‘’Oh. È venuto anche bene. Beh, almeno ora non parlerà più di libri e nomi vari, ma anche di pasta’’, disse Giovanni, bonario, e strappando un sorriso alla ragazza.

Teresa tornò a puntare gli occhi su di lui. Penso che, se fosse stato sbarbato, risistemato e rivestito sarebbe sicuramente stato un bell’uomo. Ma era piacente anche così.

‘’Bene. Ho piacere che vi troviate bene insieme. Ora me ne tornerò ai miei impieghi’’, disse Giovanni.

 ‘’Che fai, oggi? Non sono previste rapine, vero?’’, indagò Lina.

‘’No, nessuna rapina. Da oggi, e per i prossimi giorni, assisterò all’addestramento dei nuovi arrivati’’, disse Giovanni.

‘’Interessante’’, disse Lina, continuando a sorridere.

‘’Non particolarmente. Parecchi non sanno neppure imbracciare un fucile. Però voglio creare dei buoni tiratori, quindi mi impegnerò parecchio a dar loro lezioni’’, disse Giovanni, orgoglioso.

 ‘’Oh, non ne dubito’’, rispose improvvisamente Teresa, rompendo quel suo breve silenzio. Giovanni puntò nuovamente i suoi occhi su di lei.

‘’Ti piacerebbe vederli, ed uscire un po’ di casa? Sotto stretta sorveglianza, naturalmente, ma almeno uscirai un po’ all’aria aperta’’, le chiese il capo dei briganti.

‘’Sì’’, disse Teresa, facendosi interessata. Nella sua vita non aveva mai visto molto, era sempre stata chiusa in casa, a parlare con qualche altra amica di sciocchezze varie o a cercare di ricamare. Vedere uomini che maneggiavano armi poteva essere interessante, ed essere controllata non le importava particolarmente. O almeno, non nella situazione in cui si trovava ora. E poi le andava veramente di uscire un pò.

 ‘’Bene. Allora, magari, nei giorni a venire ti farò scortare da qualcuno ad assistere agli addestramenti. Se ti va’’, continuò Giovanni, non togliendogli gli occhi di dosso.

 ‘’Certo che mi va’’, disse Teresa.

 ‘’Perfetto. Allora, alla prossima’’, disse Giovanni, avviandosi verso l’uscita.

Lina l’accompagnò, e richiuse la porta dietro di lui. dopodiché si avvicinò a Teresa, sorridendole.

‘’Ti vedo in imbarazzo, Teresa. C’è qualcosa che non va nel capo dei briganti?’’, le chiese, con fare inquisitorio.

‘’No, no’’, si affrettò a rispondere Teresa.

‘’Non mentirmi. Vedo interesse nei tuoi occhi. E anche nei suoi. Non ti ha tolto gli occhi di dosso fintanto che è stato qui’’.

 ‘’Ora sei tu che menti, e che dici sciocchezze’’, disse Teresa, sempre più in imbarazzo.

‘’Ah sì? Guarda che io certi sguardi li so riconoscere. Ho molta più esperienza di te. Di certo, da quando sei arrivata qui Zvàn è cambiato molto. Gli interessi, non ne dubito. È venuto qui solo per te, in tanti anni che vivo in questa casa non si è mai presentato alla mia porta senza un motivo valido. Ma stai in guardia’’, disse Lina, con fare serio.

‘’Basta dire sciocchezze’’, ripeté Teresa, imbarazzata a più non posso.

‘’Sì, hai ragione. Basta dire sciocchezze. Ancora non ti ho mostrato i miei animali. Se ti interessa vederli’’, disse Lina, scrollando le spalle, più per proporre qualcosa e cambiare discorso che altro.

 ‘’Certamente’’, disse Teresa, tornando a sorridere, e felice di cambiare discorso.

Mentre Lina si voltava per aprire una minuscola porticina che portava in un piccolo capanno nel retro dell’abitazione di legno, Teresa non poté far altro che chiedersi perché dentro di lei stava continuando a crescere quell’interesse malsano nei confronti di quel vile brigante. D’altronde, era solo un fuorilegge qualsiasi. Un fuorilegge che però continuava a sperare di rivedere al più presto possibile.

 

 

Quando uscì dall’abitazione di Lina, Giovanni era felice.

 Teresa stava finalmente bene, e tutto stava funzionando al meglio. Era felice perché ora la ragazza gli avrebbe dato minori problemi. O, forse, anche per qualcos’altro.

 Aveva cercato di incontrare il suo sguardo fiero e bello più di una volta, ma lei si era sottratta ai suoi occhi con fare intimidito. Solo alla fine, poco prima di andarsene, lei lo aveva fissato. Ma non più con un moto di disprezzo, ma quasi con un interesse crescente.

 Il brigante tornò di nuovo a rimproverarsi. Non doveva neppure pensare a quella ragazza. Si ripeté che lei era solo una mercanzia da barattare in cambio di tanto, tanto denaro.

Lei era una contessina, una giovane che ben presto avrebbe contratto matrimonio e che avrebbe vissuto una vita immersa negli agi. Lei era una ragazza che ben presto lui non avrebbe mai più rivisto, dopo averla riportata a suo padre, continuò a ripetersi.

Raggiunse i suoi uomini senza neanche accorgersene. Mario stava gridando contro i ragazzi più lenti ed impacciati. Quando vide arrivare Giovanni, smise un istante di sgridare i più giovani e lo guardò.

‘’Zvàn, sembri inquieto, oggi. C’è qualcosa che non va?’’, gli chiese, vedendolo silenzioso e taciturno.

 ‘’Oh, no, niente. Come vanno i ragazzi?’’, chiese Giovanni, schivo, senza sbilanciarsi troppo nella sua iniziale risposta. Mario fece una smorfia.

‘’Fanno schifo. Poi, ci sono alcuni di loro che sono veramente scarsi, e che non volevano neppure provare ad impugnare il fucile. Comunque, ultimamente hanno fatto veramente tanti progressi, tranne uno o due’’, disse l’amico. Giovanni puntò il suo sguardo suo ragazzi, che non avevano perso tempo, ed avevano subito sfruttato quella pausa per fare comunella.

 ‘’Puoi andare, Mario. Ora ci parlo io con loro’’, disse Giovanni, dando una lieve pacca sulla spalla dell’amico, che prese subito ad allontanarsi.

‘’Oggi fate solo chiacchiere da donnicciole? Avanti, ora si fa sul serio’’, disse ad alta voce Giovanni, richiamando i ragazzi.

 I giovani si misero in fila, ognuno con un fucile. Giovanni passò loro davanti, fissandoli.

Più o meno, dovevano avere tutti tra i diciotto e i vent’anni. L’età classica dove tutti i giovani che avevano problemi fuggivano dalle rispettive famiglie, più che altro per la fame e per il fatto che i genitori non potevano più permettersi di mantenerli oltre. E di certo il brigantaggio era una valida alternativa al duro lavoro dei campi; rendeva denaro e raramente mancava il cibo, ma era pur sempre un attività piena di rischi.

‘’Bene. Ora fatemi vedere cosa siete in grado di fare, uno alla volta. Se non siete in grado di sparare, non sarete neppure in grado di difendervi o di minacciare qualcuno, e per la banda sarete solo un’inutile peso. E neppure in grado di abbattere selvaggina e di portare un po’ di cibo alla nostra tavola. Quindi, impegnatevi’’, disse Giovanni, che poi si allontanò.

Poco distante, piantò un paletto, e ci mise sopra un pezzo di coccio abbastanza grande. Era l’unica cosa che poteva permettersi di frantumare. I ragazzi si fecero avanti uno ad uno, presero la mira e spararono.

Giovanni si sentì soddisfatto del lavoro di Mario, che aveva indubbiamente dato i suoi frutti. Non avevano ancora molta mira, a volte prima di sparare provavano ancora un fremito, ma entro pochi giorni sarebbero stati pronti per entrare a tutti gli effetti nella banda.

 Di certo, si potevano mandare nei boschi in cerca di un qualche capriolo. Avrebbero finito la pratica rendendosi utili alla comunità, senza sprecare troppe costose munizioni.

 Ben presto, venne il turno dell’ultimo. Era un ragazzo smilzo, con i capelli ramati e con un volto scarno e lentigginoso. Giovanni puntò tutta la sua attenzione su di lui.

Il ragazzo fu l’unico ad imbracciare in modo sbagliato il fucile e a sparare un colpo totalmente fuori bersaglio. Gli altri dieci giovani presero a ridere. Il capo dei briganti li raggelò con uno sguardo.

 ‘’Ehi, ragazzo’’, disse Giovanni, avvicinandosi a lui. Il tipo lo fissò male. ‘’Non si imbraccia così il fucile. Guarda, ora ti mostro…’’.

‘’Non ho bisogno che me lo mostri tu. Lo so già fare da solo. È stato un semplice errore che non si ripeterà più. A casa mia ero il più esperto di tutti con le armi’’, disse il giovane, interrompendo Giovanni con fare aggressivo.

 Gli altri ragazzi ripresero a ridere, e pure a Giovanni sfuggì un sorriso. Probabilmente quel tipo non l’aveva neppure mai visto un fucile, fino a quel momento.

‘’Come ti chiami, grande tiratore?’’, chiese Giovanni in tono ironico. Tutti presero a ridere più forte, e Giovanni tornò a farli tacere.

 ‘‘Fabio!’’, disse il ragazzo, quasi urlando e con il volto in fiamme.

‘’Bene, Fabio. Hai commesso un grave errore, ma può succedere a tutti, prima o poi. Quindi, ora riprova e fammi vedere le tue capacità’’, disse Giovanni, facendosi serio.

Il giovane tentennò, imbracciò nuovamente il fucile in modo sbagliato. Giovanni fece per muoversi verso di lui e correggerlo, ma il giovane gli rivolse uno sguardo gelido.

Giovanni allora lo lasciò fare. E naturalmente la pallottola non sfiorò neppure il bersaglio.

Si alzarono altre risate.

 ‘’Basta, voi! Al diavolo!’’, disse Giovanni, fissando gli altri ragazzi, inferocito. Poi, tornò ad avvicinarsi a Fabio.

‘’Allora, Fabio, ora ti mostro come si tiene il fucile e come si prende la mira’’, disse poi, pazientemente.

 ‘’Lo so già!’’, gli gridò Fabio in faccia.

 Nessuno dei giovani fiatò. Giovanni perse la pazienza.

‘’Tu non sai niente! Sei solo un arrogante! Sai a chi stai urlando in faccia, bamboccio?’’, gridò Giovanni, che si fece avanti minaccioso e strappò il fucile di mano al ragazzo. Fabio abbassò lo sguardo e fece un cenno affermativo con la testa.

‘’Bene, se lo sai sei anche uno stupido! E ora torna con gli altri. Domani ti insegnerò meglio. E non permetterti mai più di urlarmi in faccia. Capito?’’, continuò Giovanni, implacabile. Il giovane fece un altro cenno affermativo con la testa. Ma i suoi occhi ribollivano di rabbia.

 ‘’Via di qui. Andate al covo’’, disse Giovanni, rivolto a tutti. I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, e presero ad allontanarsi velocemente.

 Mentre tutti gli altri giovani presero a bisbigliare tra loro e a camminare spediti, Fabio continuò a camminare lentamente, per girarsi ogni tanto a lanciare occhiate piene d’odio a Giovanni. Il capo dei briganti ricambiò ogni occhiataccia con rabbia crescente.

‘’Ti ho sentito urlare come non mai. Ti hanno dato dei problemi?’’, disse Mario, giungendo da dietro.

‘’Sì, quel tipo coi capelli rossi. Gli altri ragazzi sono pronti, ormai. Mandali a caccia nei boschi, così faranno pratica. Ma non far allontanare da qui quel Fabio’’, disse Giovanni.

‘’Va bene, ho capito’’, disse Mario.

‘’Capito un corno. Quello mi ha gridato in faccia, e scommetto che se non gli avessi strappato il fucile di mano mi avrebbe sparato in faccia! Per fortuna non è ancora in grado di impugnare un’arma. Non ne ho mai visti dei tipi del genere. Di solito arrivano ragazzi motivati e pronti ad ascoltare… ma quello grida come se fosse già il padrone di tutto’’, continuò Giovanni, prendendo a camminare. Mario gli andò dietro.

‘’Sì, sarà sicuramente un tipo un po’ spostato. Lo faro sorvegliare giorno e notte dai suoi compagni. Lo odiano tutti, quindi non ci saranno problemi’’, disse Mario.

‘’Bene. E non lasciare in alcun modo che si allontani da qui o che cerchi di tornare a casa’’, disse Giovanni.

‘’Sarà fatto’’.

 ‘’Perfetto. A più tardi, allora’’, disse Giovanni, continuando ad allontanarsi, diretto alla sua cascina.

 ‘’Non scherzare con quel tipo, Zvàn. Potrebbe diventare pericoloso’’, aggiunse Mario, prima di prendere la direzione opposta. Giovanni si fermò un attimo, e si girò lentamente indietro.

‘’A lui ci penso io. Tu non farlo allontanare e fallo tenere d’occhio’’.

Mario si limitò ad allontanarsi e fare un cenno affermativo.

Giovanni proseguì verso la sua cascina, in preda alla rabbia. Nessuno, da quando lui era un capo, si era mai permesso di comportarsi così nei suoi confronti. Ma lui l’avrebbe sistemato a dovere.

 Mentre entrava in quella che ormai stava diventando la sua dimora fissa, i suoi pensieri tornarono a Teresa. E la rabbia svanì, lentamente.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Spero di avervi intrattenuto un po’ anche questa volta.

Ringrazio tutti quelli che mi seguono e che mi leggono, e in modo particolare tutti quelli che ogni volta dedicano cinque minuti del loro tempo per lasciare una recensione e per farmi conoscere i loro pensieri sul racconto, dissipando i miei dubbi d’autore. Grazie, di cuore, a tutti J

A lunedì prossimo, e grazie di nuovo J

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

CAPITOLO 10

 

 

L’indomani mattina, Giovanni non perse tempo, e si alzò di buon ora. Era appena l’alba, e il gelo della notte attanagliava e stritolava in una morsa mortale l’erba verde delle montagne.

Si vestì in fretta e con abiti pesanti, poi uscì, portandosi dietro la sua pistola. Quel giorno era veramente pieno di aspettative per lui. Prima di tutto, si era svegliato col piede giusto.

Quella notte aveva riposato veramente bene, e non vedeva l’ora di vivere quella giornata. Si sentiva spensierato così come quand’era un ragazzino, e non sapeva se questo era un male o un bene.

Mentre camminava spedito verso la zona dove si tenevano gli addestramenti, Giovanni non poté far a meno di chiedersi da dove provenisse tutta quella gioia primordiale. La risposta alla sua domanda gliela fornì la sua mente stessa. Nei suoi pensieri apparve il volto di Teresa, che gli sorrideva.

 Teresa, quella ragazza che stava riempiendo la sua mente con il suo volto fiero e nobile. Un volto che non avevano le altre ragazze. Giovanni sorrise, tra sé, prima di sentirsi in imbarazzo, poiché stava ancora pensando ancora a quella ragazza. E la realtà tornò, spazzando via i suoi sogni.

Teresa era una nobile che doveva tornare da suo padre in cambio di denaro, nulla di più, si ripeté. Però, sognarla era così bello. Gli dava la forza per non essere più quel burbero che era diventato. La voleva assolutamente rivedere.

Poco distante, Mario aveva già risistemato tutto come il giorno precedente.

‘’Oh, Zvàn’’, lo salutò il suo braccio destro, andandogli incontro. Giovanni si limitò a sorridergli e a fargli un cenno di saluto. Ma Mario era serio.

‘’Zvàn, è già passata più di una settimana dall’ultima rapina. Gli uomini si stanno stancando di essere inattivi, e richiedono a gran voce di compiere qualche azione. Sono preoccupati per te, perché stai sempre solo e non vai più al covo a parlare con tutti noi. Io per ora ho detto che non stai molto bene, e che ti limiti a portare avanti gli addestramenti dei giovani, ma questo non può continuare per sempre. Anche loro ben presto inizieranno a pensare che c’è qualcosa che non va’’, disse Mario. Giovanni si fece serio, e finì di ascoltare il fiume rapido di parole che gli aveva appena pronunciato in faccia il suo compagno d’avventura.

‘’Perché, c’è qualcosa che non va?’’, bofonchiò Giovanni, non trovando altro da dire. La spensieratezza di poco prima era già sparita.

‘’Accidenti se c’è. Sei stato un grande capo per noi, e per quasi tutti hai rappresentato un padre ed un fratello. Ci hai sfamati, a volte ti sei comportato da eroe, ci hai raccolti e vestiti, senza stare a dire che ci hai salvato dalla fame. Hai condiviso tutto con noi; ma da quando è arrivata la ragazza, hai smesso. Stai solo, nella tua cascina. Non vieni più a intrattenerti con il tuo gruppo. Capisco che la ragazza possa muovere compassione o ansia, a me è successo lo stesso. Ma prima o poi si deve tornare alla realtà’’, continuò Mario.

 Per Giovanni fu come battere la testa contro un muro. Fino a quel momento, aveva pensato che attorno a lui fossero gli altri ad essere cambiati, a partire da Mario o Lina, ma in realtà era lui stesso l’unico ad essere cambiato. Mario aveva ragione. Comunque, non voleva mostrarsi debole, perché lui non era mai stato debole. Non come era ora.

Si vergognò nuovamente di lui. Era un uomo di trent’anni, non era più un adolescente, e per di più era sempre stato fiero di sé stesso e di come si comportava, sempre con risolutezza e con sicurezza. Ma ora l’aveva persa, quella sicurezza.

La sua mente tornò a scivolare lentamente verso Teresa, quella splendida ragazza che voleva avere al più presto accanto a sé. Quel pensiero lo tormentava era come se fosse affetto da qualche malattia.

Eppure, dopo un po’ che pensava, si limitò a scrollare le spalle in faccia a Mario, cercando di mascherare il semplice fatto che l’amore, dentro di lui, si stava comportando come un ragno, che nascosto nelle profondità della sua mente, aveva iniziato a tessere una tela talmente tanto resistente da non poter più essere spezzata.

‘’Su, Mario. Dov’è il rosso?’’, chiese Giovanni, con fare tranquillo. Mario lo fissò, incerto se le sue parole avessero fatto presa o no. Poi, rispose.

 ‘’Il ragazzo sta arrivando. Gli altri giovani li ho mandati quasi tutti a caccia’’.

‘’Ma io volevo solo lui, tranquillo’’, disse Giovanni, con fare malevolo.

‘’Zvàn, non puntarti su di lui. Ne può nascere un gioco pericoloso’’, disse Mario. Giovanni fissò l’amico con fare compassionevole.

 ‘’Quel tizio so io come trattarlo. Tu lascia fare a me, di quelli ne ho piegati tantissimi. Diventerà un agnellino’’, disse, ridendo.

Mario espresse solo un sorriso di circostanza. Evidentemente, continuava a non condividere le sue scelte. E, improvvisamente, al capo dei briganti tornò in mente la promessa fatta a Teresa il giorno prima.

‘’Mario, porta qui la ragazza. Le ho promesso di farle vedere gli addestramenti e di farla stare un po’ all’aria aperta’’, disse Giovanni, sorridendo. Mario non ricambiò il sorriso, e lo fissò con fare strano.

‘’Ti ha dato di volta il cervello? Ma a chi ti riferisci?’’, provò a dire, nonostante conoscesse già la risposta.

‘’Lo sai benissimo. Con noi c’è una sola ragazza’’, ribatté Giovanni.

‘’Tu stai perdendo la ragione. Se le succede qualcosa, e se scappa, Zvàn, non oso immaginarne le conseguenze. Ci metterai tutti nei guai, continuando così. Non hai più a cuore la tua banda?’’, continuò Mario.

 ‘’Tu non ti preoccupare. Fai ciò che ti ho detto. Portala qui, mi prendo tutte le responsabilità’’, disse Giovanni, continuando a sorridere.

Mario scosse la testa, e si allontanò con passo greve. Intanto, Fabio comparve sul pendio, e si avvicinò a Giovanni, guardandolo torvo.

‘’Avanti, ragazzo. Sai che odio i ritardatari. Quindi, preparati’’, disse Giovanni. Fabio si fermò, e lo fissò con rancore.

‘’No. Prima devo pulire il mio fucile. Poi, sparerò’’, disse il giovane.

Giovanni iniziò subito ad irritarsi, ma si accorse che lo scopo del giovane era proprio provocarlo. Fece un profondo sospiro, e finse che tutto andasse bene.

‘’Va bene, pulisci il fucile, ma fallo un fretta’’, sbottò.

 Fabio tirò fuori dalle sue tasche due pezzuole luride, ed iniziò a maneggiarci con molta calma. Giovanni gli tolse gli occhi di dosso, non poteva più vedere quel buono a nulla. Scommise che prima di sera l’avrebbe fatto secco con un colpo di pistola.

 ‘’Nessun altro dei tuoi compagni ti ha seguito?’’, chiese il brigante, rompendo il silenzio, solo per ascoltare la risposta del giovane. Fabio scrollò le spalle.

 ‘’Boh, mi sa che sono andati tutti a caccia, visto che in questo gruppo di briganti si pensa solo alla cacciagione e alle nobildonne’’, disse il ragazzo, lanciando uno sguardo di sfida a Giovanni.

 Il capo dei briganti strinse i pugni, e prese ad avvicinarsi. L’altro lo lasciò fare, continuando a fissarlo, imperterrito.

Giovanni sentì una mano fremere. Un bel manrovescio non avrebbe fatto male a quello sfrontato, si disse. Poi, mentre alzava la mano, sentì dei passi dietro di sé. Si girò e si trovò di fronte a Mario e a Teresa. Mario lo fissava, imbarazzato, poiché Teresa aveva rischiato di assistere a quell’atto di violenza.

 ‘’Oh, Teresa. Come stai?’’, chiese Giovanni, abbassando velocemente il braccio e sorridendo, lievemente imbarazzato.

Non doveva mostrarsi alla signorina con i suoi atti bruti. A fianco a lui, Fabio lo fissava, tutto sorridente. Giovanni gli avrebbe sputato in faccia, se non ci fosse stata Teresa. Il bastardo si era accorto che stavano giungendo, così ne aveva approfittato per ferirlo, dovette riconoscere il capo dei briganti.

‘’Tutto bene, grazie. Ma qui non mi sembra che sia lo stesso’’, disse Teresa, con un tono di voce curioso.

‘’Oh, Fabio è un ragazzetto a volte un po’ insolente, ha bisogno che qualcuno gli insegni a stare al mondo e a tacere’’, si affrettò a dire Giovanni, mentre pian piano il sorriso spariva dalla faccia di Fabio.

 Infatti, poco dietro stavano uscendo dalla boscaglia parecchi dei suoi compagni. Con loro avevano due caprioli e un giovane cinghiale.

 ‘’Oh, ragazzi, avete fatto caccia grossa, oggi. Bene. Mario vi ha addestrato veramente bene’’, disse Giovanni, fiero di loro. Tutti lo ricambiarono con grandi sorrisi soddisfatti. L’unica a non sorridere era Teresa.

 ‘’Che c’è?’’, le chiese Giovanni, imprudentemente.

‘’Niente’’, disse la ragazza.

Giovanni notò che cercava di distogliere lo sguardo dalla cacciagione, e capì che non voleva vedere sangue o animali morti.

‘’Portateli là, e preparateli. Questa sarà la nostra cena’’, disse Giovanni, indicando un punto tra gli alberi poco distante, e dietro a Teresa, in modo che la scuoiatura non venisse effettuata proprio in faccia alla ragazza. I giovani si spostarono, continuando a parlare tra loro.

 ‘’Teresa, spero di farti passare un po’ di tempo. Questa mattina ci saranno le esercitazioni di Fabio. Avanti, fannullone. È ora di mostrarci cosa sai fare’’, disse Giovanni rivolgendosi a Fabio.

 ‘’Certo, assisterò volentieri. Sempre meglio che stare segregata in una bettola’’, disse la ragazza, con la sua solita lingua pungente.

 Giovanni la ignorò, e dette ordine a Fabio di iniziare a sparare. Il ragazzo prese il suo fucile e fece per prendere la mira. Poi, lo abbassò improvvisamente.

 ‘’Io non sparo, qui’’, disse con fare minaccioso.

‘’Che c’è che non va, adesso? Ho già perso più di un’ora questa mattina per starti dietro, buono a nulla. Quindi, ora spara, e vediamo se sei ancora un ottimo tiratore come lo eri a casa di tuo padre’’, disse ad alta voce Giovanni.

 Poco distante, i giovani briganti aguzzarono le orecchie e si misero ad osservare la scena, incuriositi. Alcuni ridacchiarono. Fabio si fece rosso in volto.

 ‘’Io non sparo se c’è una donna che mi guarda. Le donne portano sfortuna, e se sparassi ora non riuscirei a centrare il bersaglio’’, ribatté.

‘’Tu non centreresti il bersagli neppure se fosse grande e grosso come un orso, stupido che non sei altro. Teresa l‘ho invitata qui io, e non per raccogliere le tue insolenze’’, rispose Giovanni, girandosi poi verso Teresa.

 ‘’Il ragazzo ti ha mancato di rispetto, Teresa. Merita una lezione’’, disse nuovamente Giovanni, preparandosi nuovamente a lanciargli un manrovescio.

 

 

Teresa si trovò improvvisamente ad essere catapultata in una lite tra componenti della banda.

Un ragazzo coi capelli rossi ed insolente l’aveva quasi offesa, e tutto sotto il naso di Giovanni, che appariva già inferocito di per se. Mario le strinse più forte il braccio, mentre la mano del capo dei briganti stava per abbassarsi sul volto di Fabio.

‘’No. Non mi ha offeso, lascialo stare, per favore’’, disse Teresa, con tono calmo. Giovanni si fermò per l’ennesima volta, e la guardò.

‘’Come vuoi. Hai sentito? Anche la contessina ti ha perdonato, insolente che non sei altro. E ora, voglio vedere quello che sai fare’’, disse Giovanni.

‘’No! Fintanto che c’è la donna io non sparo!’’, ripeté deciso il giovane.

Teresa vide che Giovanni si stava adombrando sempre di più, ma allo stesso tempo cercava di trattenersi perché c’era lei lì presente. Si sentì di troppo.

‘’Hai ragione a non sparare se c’è Teresa, perché anche una donna che non ha mai toccato un’arma saprebbe sparare molto meglio di te, mascalzone! E ora basta, mi hai stufato’’, disse il capo dei briganti, cercando di prendere il fucile al giovane.

 Attorno a loro, tutti ridevano dietro a Fabio, il cui volto continuava ad essere rosso come un pomodoro.

‘’No, non credo. Quella ragazza appassita non riuscirebbe neppure a premere il grilletto’’, continuò imperterrito Fabio.

 ‘’Tu credi? Accetto la tua sfida, giovane brigante’’, disse Teresa, con voce squillante. Tutti smisero di ridere, e puntarono gli occhi su di lei.

‘’Non scherziamo. Lascialo perdere, ha la zucca vuota quello’’, disse Giovanni.

Teresa improvvisamente si sentì piena di sé. Quella era l’occasione della sua vita per far vedere agli uomini che lei valeva almeno quanto loro. Era un momento che aveva atteso per tuta la sua vita.

 ‘’No, Fabio mi ha lanciato una sfida. E io lo sfiderò. Proverò a sparare, poi vedremo chi farà meglio’’, disse Teresa, sentendo crescere dentro di sé anche la paura.

 Si chiese cosa la stesse spingendo a compiere quell’azione esagerata, senza che nessuno gliela avesse imposta. Giovanni la fissò. Il suo sguardo rimase fisso sul suo volto, e lei poté sentirne quasi il peso. Era uno sguardo pieno di dubbi, certo, ma anche pieno di ammirazione per lei. Teresa si riempì d’orgoglio, e capì che non poteva tirarsi indietro.

‘’Dà qua’’, disse Giovanni, voltandosi e strappando di mano il fucile a Fabio, ed avvicinandosi a Teresa.

‘’Zvàn, questa è una follia!’’, disse Mario, mentre tutt’attorno i giovani continuavano a stare fermi a fissare la scena, incuriositi.

 ‘’Nessuna follia. Ragazza, se vuoi accettare le sfida, potrai tentare di sparare. Al primo tiro ti darò una mano. Al secondo farai tutto da sola. Questo varrà anche per Fabio, che ti precederà’’, disse il capo dei banditi, non togliendole gli occhi di dosso.

 ‘’Accetto la sfida’’, disse Teresa con toni risoluti.

Giovanni sorrise, e pure Fabio lo fece, mentre Mario iniziò a borbottare imprecazioni. A quel punto, il capo dei briganti caricò l’arma e la pose nuovamente a Fabio, che non fece storie.

 L’aiutò un secondo a mettersi in posizione, e gli insegnò a prendere la mira. Poi, il ragazzo sparò.

Il tiro non centrò il bersaglio.

Fabio ricaricò rapidamente, e da solo sparò nuovamente al bersaglio, mancandolo per l’ennesima volta. Altre risate si levarono dagli spettatori.

‘’Che nessuno rida, qui; la ragazza non farà di certo meglio di me. Sempre se arriva a premere il grilletto’’, disse Fabio ad alta voce, con un odioso ghigno stampato sul volto. Tutti annuirono, e tornò il silenzio. Teresa si fece avanti, mentre Giovanni le sistemava il fucile.

 Teresa lo imbracciò, e sentì l’arma appoggiarsi poco sopra dei seni. Giovanni le tenne le mani, e le indicò come prendere la mira.

 ‘’Non farle commettere quest’inutile pazzia! Rischia di farsi male’’, disse per l’ennesima volta Mario. ‘’Oh, taci!’’, disse malamente Giovanni, indispettito dal comportamento dell’amico ed avvicinandosi all’orecchio di Teresa.

‘’Ho visto i tuoi occhi e il tuo sguardo fiero. Tu vali almeno il doppio di quel bamboccio. Facci vedere chi sei, so già che non fallirai’’, le bisbigliò all’orecchio.

 Teresa tenne stretta l’arma, e toccò il grilletto.

 Per un attimo ebbe paura di ogni sua azione. Poi, senza neppure accorgersene, sparò. La pallottola colpì di striscio il bersaglio, facendolo muovere, ma senza frantumarlo. Attorno a lei si levarono risate e grida, mentre Giovanni ricaricava nuovamente il fucile e glielo porgeva nuovamente.

In pochi attimi, ripeté i gesti che aveva effettuato poco fa, e sparò. Quella volta, sentì il forte urto alla spalla, mentre le pallottole mandarono in frantumi il bersaglio di coccio.

 Tutti i briganti urlarono, e presero a deridere e a battere pacche sulle spalle di Fabio, che non attese tempo e se ne andò, con il volto livido dalla rabbia.

‘’Una ragazzina che ha più coraggio di un uomo’’, disse Mario, fissandola. Nonostante la sua iniziale reticenza a farle compiere la sfida, ora la ammirava.

‘’Sei molto brava, Teresa. Tu dovevi nascere uomo. Avrei fatto di te un grandissimo brigante’’, disse Giovanni, che la guardava quasi estasiato.

Lei si limitò solo a scrollare le spalle, e a fingere indifferenza. In realtà era fiera di lei stessa, mentre tutto attorno i briganti ridevano alle spalle Fabio, che ormai si stava allontanando con foga. Teresa si avvicinò a Giovanni.

‘’L’ho battuto. Ma sappi che ti sei fatto un nemico, qui’’, disse, quasi bisbigliandolo. Il brigante la fissò con intensità crescente, poi abbassò lo sguardo.

‘’Lo so. Ma è un nemico che non temo. Non ho nemici in casa mia’’, disse il brigante con fare tranquillo, ma in realtà lei riuscì a cogliere un qualche tratto di nervosismo.

 ‘’Andrea! Porta Teresa da Lina. Qui non c’è più nulla da vedere’’, disse poi il capo dei briganti ad un giovane.

‘’Certo’’, rispose prontamente il ragazzo, e la prese sottobraccio.

Teresa notò che doveva avere qualche anno in più di lei, e non era molto più vecchio come Giovanni, eppure non aveva quel fascino burbero e selvaggio di quell’uomo ormai fatto. Il capo dei briganti la trattava con cortesia e gentilezza, e quel giorno l’aveva pure protetta dalle calunnie di quel giovane. Per non parlare poi dei suoi occhi castani sempre fissi su di lei.

 Mentre pensava, Teresa si lasciò scortare senza dar cenno a fuggire né agitarsi, tanto ormai si era arresa al suo destino. Però pensò anche che Giovanni si era liberato troppo in fretta di lei. E se l’aveva fatto, un motivo c’era.

Si chiese cosa l’avesse portato a comportarsi così frettolosamente, poi però si ritrovò di nuovo di fronte alla porta di Lina, e lei la accolse con un grande sorriso, e i suoi pensieri svanirono tutti.

Pensò che in fondo, poi, non si trovava così male.

 

 

Poco dopo che Teresa si fu allontanata, Giovanni sciolse il gruppo dei giovani. Mario gli si avvicinò.

‘’Zvàn, perché non mi hai lasciato riportare indietro Teresa?’’, chiese con la voce che aveva una nota di preoccupazione.

Giovanni storse il naso di fronte a quella domanda. Fino a poco prima l’amico gli aveva parlato duramente, mettendogli in mostra i suoi crudi pensieri riguardo a Teresa, e poi ora si mostrava così attento a lei. Provò quasi gelosia. Una gelosia che si affrettò a nascondere.

‘’Perché tu mi servi ora, Mario. Devo parlarti. E voi via, tornate al rifugio’’, disse rivolgendosi ai giovani, che sparirono prontamente.

‘’Cos’è tutta questa fretta?’’, tornò a chiedere Mario. Giovanni lo fissò storto.

 ‘’Voglio che gli stiano dietro. Quel Fabio ora te lo affido a te e ai suoi compagni. Lo so che lo odiano, e tu sfrutta quel rancore per farlo sorvegliare, giorno e notte. Quella testa calda è capace di commettere di tutto, soprattutto ora che è arrabbiato, e noi non vogliamo che fugga per portarci al covo la gendarmeria. Quindi, sorveglialo ed addestralo tu, con i tuoi metodi. E se cerca di fuggire, fallo secco’’, disse Giovanni, concludendo il discorso.

‘’Perfetto. Hai ragione, lo farò. Oh, posso finire di addestrarlo con il mio metodo migliore?’’, chiese prontamente Mario.

Giovanni lo guardò, ma non sorrise. Sapeva che quello che l’amico chiamava metodo migliore era in realtà il metodo più duro, fatto di punizioni e dolori.

‘’Procedi come credi. Fintanto che quel tizio non si piega e collabora. L’alternativa è farlo sparire, ma è sconveniente. Per ora, cerca di sorvegliarlo nel migliore dei modi, e fa ciò che vuoi, ma non farlo fuggire né allontanare’’, ribadì il Giovanni.

 ‘’Sarà fatto’’, concluse Mario, che prese subito ad allontanarsi.

Giovanni prese con sé il suo fucile, che era stato gettato a terra poco distante da Fabio, e tornò alla sua cascina. Sempre col pensiero costante di Teresa, quella magnifica ragazza che aveva sì la lingua tagliente, ma era coraggiosa anche più di un uomo.

 Dopo aver chiuso la sua cascina, seguì il consiglio di Mario e se ne stette per tutta la giornata con i suoi briganti, a giocare a carte e a bere in compagnia.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Spero veramente che la storia continui ad essere di vostro gradimento J

Ringrazio tutti quelli che mi seguono, e spero veramente che la storia vi stia intrattenendo almeno un po’ J non ho nessun altra pretesa J

Se vi va, vi invito a farmi sapere se la storia continua a piacervi J vi ringrazio di tutto, siete i migliori lettori del mondo J

Grazie, ancora, a tutti! A lunedì prossimo J

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Captitolo 11

CAPITOLO 11

 

 

Teresa si sentiva pienamente soddisfatta di sé.

Solo due giorni fa aveva dato una grande prova di coraggio, imbracciando un fucile e battendo un uomo che le aveva lanciato un affronto. Era un uomo di scarso valore, ma pur sempre un uomo.

Quella mattina c’era un sole caldo, e non sembrava neppure di essere alle porte di dicembre. Durante la notte aveva gelato, ma il lieve manto di brina si era sciolto in fretta, ed ora tutto il manto erboso attorno alla casa di Lina riluceva alla luce del sole, mandando piccoli riflessi abbaglianti.

 Lei stava osservando tutto questo dalla finestrella della cucina dell’amica, con fare malinconico. Voleva tornare ad uscire, a stare all’aria aperta, e magari a rincontrare nuovamente quel burbero di Giovanni. Un brigante duro con tutti per quanto era cortese e gentile nei suoi confronti. Aveva notato una vena di galanteria nei suoi comportamenti, nonostante il tutto fosse immerso in un mare di rozzezza.

 Intanto, si stava strofinando le mani contro il tessuto ruvido del suo nuovo vestito. Lina le aveva fornito degli abiti femminili abbastanza nuovi e puliti, e anche se erano un po’ scomodi e da contadini, non ci si poteva lamentare.

‘’Teresa, puoi venire un attimo qui?’’, disse la voce di Lina, in modo gentile. Teresa smise di fissare il paesaggio montano e prese ad andare verso il luogo dal quale aveva sentito provenire la voce dell’amica.

‘’Sono qui’’, ripeté Lina, e Teresa la trovò nel capanno sul retro dell’abitazione, adibito come rifugio per gli animali.

 ‘’Dimmi’’.

‘’Guarda qui. Tienimi un attimo questo cestino, che devo raccogliere le uova… Ma questa chioccia non ne vuole proprio sapere di levarsi dal nido’’, disse la donna, tutta intenta a cercare di frugare sotto le penne di una gallina in cova. L’animaletto era inferocito, e mentre starnazzava, cercava disperatamente di beccare le mani di Lina.

 ‘’Buona, non ti faccio mica male’’, disse la donna, che porse il cestino in vimini con le uova a Teresa, per poi tornare a bisticciare con l’animale. Teresa sorrise, mentre Lina, tutta seria, cercava di uscire dallo scontro con il minor numero di becchi possibile.

 ‘’Fa male?’’, chiese Teresa, ironica. Lina scosse le spalle.

‘’Non tanto, ma è meglio non prenderne di becchi, no? Questa chioccia poi è particolarmente tenace’’, disse Lina, che finalmente riuscì a tirarla leggermente su dal nido e a prendere le uova.

 ‘’Oh, finalmente. Vieni pure qui vicino’’, disse nuovamente Lina, sorridendo. Poi, rapidamente, raccolse tutte le uova che la bestiola aveva tentato di covare, e le mise nel cestino.

‘’Ha iniziato a covare solo oggi, quindi posso sostituirle. Queste uova non sono proprio delle migliori, sono molto piccole, prodotte da una gallina giovane…’’continuò a dire la donna, analizzandole.

 Teresa continuò a fissarla senza dire nulla, incuriosita. Poi, tutta a un tratto, la donna si girò verso di lei e le prese il cestino. Poi, le passò la chioccia.

 ‘’Me la terresti un  attimo? Torno subito, vado a prendere delle uova migliori, in modo da farle covare’’, le disse, rientrando subito dentro la cucina e tirandosi dietro la porta, per non fare uscire il tepore che c’era nella zona di casa riscaldata.

Teresa tenne la gallina tra le mani, nonostante lei starnazzasse forte, e  non ne volesse sapere di stare lì tra le sue mani.

 ‘’Sta buona’’, le sussurrò la ragazza.

E fu in quel momento che sentì un fruscio proveniente dalla porta del capanno, che era aperta. Si girò, per vedere meglio, sperando che non fosse un animale predatore. E si trovò di fronte a Giovanni.

Teresa trasalì, mentre il capo dei briganti le sorrise.

‘’Cosa ci fai tu qui?’’, disse Teresa a voce alta, sorpresa. Giovanni le fece cenno di abbassare il tono.

‘’Vieni’’, le disse, cercando di farla uscire dalla porta del capanno.

‘’No! Dove mi vuoi portare? Tu stesso mi hai imposto di non uscire, e di essere sorvegliata costantemente’’, disse la ragazza, questa volta a voce più bassa.

‘’Oh, speravo ti andasse di uscire un po’, senza nessuno attorno’’.

Teresa fissò Giovanni intensamente. L’uomo continuava a guardarla, e il sorriso non era scomparso dal suo volto.

‘’Uhm…’’, disse la ragazza, abbassando lo sguardo.

 ‘’Che c’è? Forse ti faccio paura?’’, le chiese il capo dei briganti, mentre sul suo volto appariva una smorfia di rammarico.

‘’No, no, certo che no’’, si affrettò a rispondergli la ragazza.

 ‘’E allora vieni con me, dai. Muoviti, o Lina tornerà’’.

‘’Oh…’’, mugugnò Teresa imbarazzata, abbassando lo sguardo sulla gallina, che nel frattempo si era calmata.

‘’Quella lasciala lì a terra. Non le accadrà niente, tornerà nel suo nido. E ora sbrigati, se ti va’’, sussurrò frettolosamente Giovanni.

Teresa era ancora molto combattuta sul da farsi. Alla fine mise l’animale a terra, e seguì il brigante. Appena uscì dal capanno, la luce del sole la travolse, e quasi la accecò. Giovanni riprese a sorridere, nervoso. Lì fuori c’erano due cavalli già sellati.

‘’Sai cavalcare?’’, le chiese con gentilezza.

‘’Non… molto’’, disse Teresa, con poca convinzione. Giovanni rise.

 Teresa si sentì un’inetta. Era già salita a cavallo, ma per poco e in realtà non sapeva cavalcare e neppure dare i comandi al cavallo.

 ‘’Nessun problema. Ho portato Pezzato, uno dei nostri cavalli migliori. È docile e tranquillo, può essere cavalcato da chiunque, e segue sempre Furia. Monta su, dai’’, disse Giovanni, accingendosi a montare il suo.

Teresa lo guardò imbarazzata. Giovanni rise sotto i baffi.

‘’Ho capito’’, le disse, e l’aiutò a salire in groppa al cavallo. Teresa arrossì quando le forti mani dell’uomo la toccarono, dandole una mano a salire, senza però sostare troppo o essere inopportune.

La ragazza ben presto si trovò a sistemarsi sulla sella. Dovette riconoscere che era veramente scomoda. Fece una smorfia. Giovanni intanto era montato con un balzo su Furia, ed era già pronto a partire.

 ‘’E ora andiamo. Tieni stretta le redini, e non agitarti, se no cadi. Preferisci salire sul mio cavallo, insieme a me?’’, le chiese, sorridendo in modo ironico.

 ‘’Non ci pensare neppure. Me la so cavare’’, gli rispose la ragazza, con fare sicuro.

 ‘’Bene, allora andiamo’’, disse il brigante, facendo partire Furia.

Teresa rimase immobile, quasi terrorizzata. Non aveva la benché minima idea di come far partire il suo animale, e neppure dover il brigante la volesse portare.

Fortunatamente, il cavallo partì da solo, al passo. I suoi movimenti erano lenti e delicati, e ben presto Teresa trovò piacevole e rilassante persino la sella. I cavalli iniziarono ad inoltrarsi nel bosco, lentamente.

Dalla porta del capanno, Lina stava silenziosamente assistendo alla scena. Appena i cavalli scomparvero alla sua vista, inghiottiti dal bosco, lei rientrò, scuotendo la testa con evidente disapprovazione.

 

 

I cavalli proseguirono per un po’, senza fermarsi.

Giovanni stesso non si girò e non disse nulla, mentre Teresa aveva ripreso a starsene rigida ed immobile sulla sella, cercando di non pensare che poteva cadere. Il brigante la stava portando piuttosto lontano, poiché a tratti si percorrevano brevi salite, in altri ripide discese. E il terrore di cadere aumentava.

Il suo cavallo procedeva con estrema lentezza ma con facilità, non temeva ciottoli e neppure il fango, e pian piano Teresa si sentì un po’ più rassicurata. Ma non troppo.

Intanto, si chiedeva cosa avesse pensato Lina quando non l’avesse più trovata nel capanno. Forse avrebbe dato l’allarme. O forse no. Quella donna era veramente imprevedibile.

 I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti quando Pezzato si fermò. Teresa si azzardò ad alzare lo sguardo e a guardare avanti. Giovanni scese dalla groppa di Furia e le si avvicinò, tendendole la mano, pronto ad aiutarla a scendere.

Dopo un paio di movimenti goffi, finalmente la ragazza poté sentire nuovamente il terreno sotto i suoi piedi. Si guardò attorno, senza dire una parola.

 Si trovava immersa nel verde, in una radura nel mezzo del bosco. Attorno a lei c’erano solo alberi totalmente spogli e marroni, mentre invece l’erba lottava ancora contro il gelo, ed aveva una colorazione giallastra.

 ‘’Che razza di luogo è questo?’’, chiese Teresa a Giovanni, con gentilezza. Il brigante non stava esaminando l’ambiente circostante, ma sembrava perso in sé stesso.

 ‘’Guarda’’, le disse, puntando l’indice verso una zona indefinita.

La ragazza si trovò così a fissare il panorama mozzafiato che quel luogo le offriva. Si trovavano su un lato di un monte, a da quello spiazzo libero si poteva osservare tutto il fondovalle… e anche oltre. Si potevano vedere case e villaggi vicini, animali domestici al pascolo e anche bestie selvatiche, che gironzolavano placidamente nei versanti soleggiati. Il sole continuava a splendere intensamente, senza riuscire però a mitigare l’aria, che restava piuttosto fresca. Teresa ebbe un brivido, e si strinse meglio attorno a sé il suo mantello.

‘’Perché mi hai portato fin qui?’’, chiese nuovamente la ragazza.

Giovanni distolse un attimo il suo sguardo dal paesaggio. Agli occhi di Teresa apparve come una qualche antica divinità dei boschi; i suoi occhi marroni erano molto profondi, mentre la barba incolta e l’aspetto duro e semplice di quell’uomo lo facevano indubbiamente somigliare a qualcosa di ancestrale.

‘’Questo è il mio luogo preferito. Ci vengo sempre quando mi va di stare un po’ solo’’, rispose l’uomo, fissandola.

‘’Hai voglia di stare solo?’’ , disse stupidamente Teresa, a corto di domande. Si morse un labbro. Il brigante era molto preso da quel luogo, che doveva significare molto per lui, e lei gli poneva solo domande stupide. Comunque, il brigante ruppe le sue fattezze rigide e si lasciò sfuggire nuovamente un sorriso.

‘’Molte volte ho voglia di stare solo. Solo con la mia terra, la terra in cui sono nato, e che non mi ha dato nulla, o quasi’’.

‘’Non dovresti lamentarti, tu. C’è gente che sta peggio’’, ribatté Teresa. Giovanni, che aveva voltato lo sguardo, tornò subito a puntarlo su di lei.

‘’Pensi che se avessi avuto qualcosa mi sarei ridotto a rubare? Ad essere considerato un ladro, un uomo da forca?’’, le disse. Le sue parole dure uscirono come un sussurro, come un bisbiglio, e furono subito portate via dalla brezza gelida che soffiava sui monti. Teresa abbassò lo sguardo.

‘’Scusami. A volte parlo a vanvera’’, gli rispose.

‘’No, non parli a vanvera. Tu sei sempre così sincera, non ti fai scrupoli a dire la verità. Sono poche le persone come te’’, continuò a dire Giovanni, sempre parlando a bassa voce.

 Teresa comprese che quello doveva essere un luogo per lui quasi inviolabile. Un luogo quasi sacro, dove aveva racchiuso tutte le sue speranze, tutti i suoi sogni. Un luogo dove lui non era più il brigante duro e forte, ma un uomo come un altro. Un uomo che non si faceva problemi ad ammettere che rubava, e rubava perché in realtà lui stesso era povero, e in qualche modo doveva sbarcare il lunario. Lì poteva ammettere che non era un eroe impavido, in grado di derubare chiunque solo per il gusto di farlo e di sentirsi onnipotente, grazie alla forza della sua banda. Tutto questo Teresa lo capiva, lo stava capendo. Quel luogo era intriso di sogni nuovi e antichi di quell’uomo. Da lì si poteva vedere che il mondo era vasto, e attorno a loro c’era molta vita. E per chiunque li avesse visti, da quel punto, erano solo puntini insignificanti come lo erano tanti altri.

Improvvisamente, Giovanni prese Teresa per un braccio, invitandola a seguirlo. Lei non disse nulla, sorpresa, e si lasciò guidare. Il suo tocco non era duro, le sue dita sfioravano appena il suo braccio, tanto bastava per lasciarsi condurre.

Il brigante la portò di fronte ad una grossa pietra che fuoriusciva dal suolo. Nulla di insolito, ce n’erano parecchie su quei monti, ma quella aveva la superficie piatta, quasi come se fosse stata fatta apposta per sedersi sopra. Giovanni, infatti, si sedette, e invitò anche lei a farlo.

Teresa si sedette al suo fianco, e, incuriosita, passò la mano destra su un piccolo grumo di muschio, che se ne stava tenacemente attaccato a quel pezzo di roccia, come a volerla sfidare in un duello mortale. La ragazza continuò a starsene in silenzio, assorta, immaginando mondi e stando a contatto con la natura.

‘’Sai, non ho mai portato nessuno qui, finora. Tu sei la prima a condividere con me questo luogo’’, disse Giovanni, interrompendo il silenzio.

‘’Questo posto è magico’’, concluse Teresa, guardandosi attorno. Ai piedi di una spoglia ginestra, un magnifico fungo spuntava dal terreno. Il suo colore era strano, di un rosso simile a quello del sangue. Teresa si alzò, e gli si avvicinò.

‘’Ferma. Non toccarlo, è velenoso’’, gli disse Giovanni da dietro. Lei tornò subito sui suoi passi.

 ‘’Conosci anche i funghi?’’, gli chiese. Altra domanda dalla risposta scontata.

‘’Solo alcuni. E quello è uno dei più letali’’.

‘’Oh’’, disse Teresa, tornando a sedersi a fianco del brigante.

 ‘’Scusa la mia ignoranza riguardo alla natura e alla vita. La verità è che non ho mai visto nulla. Me ne accorgo solo ora. Pensa, è come se non avessi mai vissuto’’, sussurrò Teresa.

‘’Perché?’’, le chiese subito il brigante.

‘’A Roma stavo chiusa praticamente tutto il giorno in casa. Le uniche cose che si potevano fare era ricamare, due chiacchiere con qualche amica strana, prendere parte ad una cena tra nobili. Tutte cose che solo ora mi appaiono così stupide. Erano solo scenette, dove si deve mettere in mostra che si è gentili, cortesi e in grado di intavolare un discorso. Bambocciate dove ognuno cerca di mettere in mostra sé stesso, di lusingarsi da solo e cercare di mostrarsi superiore agli altri, almeno in qualcosa’’, continuò Teresa, facendo una breve pausa.

‘’Quindi a te non piaceva la tua vita?’’, tornò a chiederle Giovanni. Teresa scrollò le spalle.

‘’Sì, fino a pochi giorni fa sì. Pensavo che quella fosse l’unica vita degna di essere vissuta. Una vita tranquilla e di piaceri, ma chiusa e ristretta in un mondo immaginario. Ero chiusa in una gabbia, e non me ne rendevo conto. E questo lo capisco solo ora, che mi sto confrontando con una nuova realtà’’.

‘’E quella realtà sarei… io?’’.

 ‘’Sì, tu, Mario, Lina, tutti i ragazzi della banda che ho visto. Persone e volti che non avrei mai visto se tu non mi avessi rapito’’.

 ‘’E’ stato tutto casuale. C’è voluto un po’ per convincermi a rapirti, non volevo. Fino a poco fa, non avevo mai rapito ragazze’’, disse Giovanni. Teresa sorrise.

‘’Si vede’’.

 ‘’No, non si vede un bel nulla. E ora è meglio che torniamo a ricongiungerci agli altri’’, disse Giovanni con fare sbrigativo, e cambiando totalmente i toni. Teresa capì di aver sbagliato qualcosa, nel suo discorso.

‘’Giovanni, perdonami se ho detto qualcosa di sbagliato… io non…’’, provò a dire, mentre il brigante si alzava.

 ‘’Non hai detto nulla di sbagliato. Ma è ora di tornare indietro’’, rispose il brigante, con un  tono cortese. Eppure, qualcosa non andava, e quell’equilibrio che era durato fino a poco prima si era spezzato.

Giovanni pareva tornato quel burbero frettoloso di sempre. Rapidamente, l’aiutò a montare in sella, poi ripercorsero il tragitto di poco prima, in rigoroso silenzio.

Ben presto Teresa si ritrovò di nuovo nel retro della casa di Lina. Mentre l’aiutava a scendere da cavallo, la ragazza piantò i suoi occhi in quelli del brigante.

‘’Grazie per avermi fatto uscire un po’, e per aver condiviso con me il tuo luogo. È stato bellissimo’’, gli disse. Giovanni sorrise, e per un attimo il suo volto tornò quello raddolcito di poco prima.

 ‘’Non ho intenzione di tenerti rinchiusa dentro una catapecchia di legno. Se vorrai potrai uscire. Ma sempre parzialmente scortata. Te lo dico già ora; se tenterai di fuggire, ti perderai tra i boschi e morirai. Si estendono quasi all’infinito, e sono una vera trappola per chi non li conosce, ed inoltre sono pieni di lupi, che in inverno sono particolarmente affamati. Quindi, non fare azioni sciocche o avventate’’, le disse l’uomo, che poi salì di nuovo su Furia e prese ad allontanarsi, sempre tallonato da Pezzato. Le lanciò un ultimo sorriso, poi scomparve nuovamente tra la boscaglia.

Teresa restò lì ferma, come se fosse di pietra. Se solo il brigante avesse saputo quanto lei aveva iniziato ad amare quel posto, non le avrebbe neppure detto quelle frasi di avvertimento di poco prima. Sorrise tra sé e sé, e cercò di aprire la porta del capanno degli animali. Era chiusa a chiave.

Sentendo i rumori, Lina arrivò e la aprì da dentro.

 ‘’Com’è andata l’escursione?’’, le chiese subito la donna, con un sorriso sulle labbra.

 Teresa ci rimase un po’ male. Quella donna sapeva tutto, come sempre.

‘’Piacevole’’, si limitò a dire Teresa. Lina smise di sorridere, mentre la riaccompagnava dentro.

‘’Non sognare, Teresa. Per favore, non sognare’’, le disse, mentre si accingeva ad entrare nella calda cucina.

Teresa non ebbe il coraggio di chiedere il perché di quelle parole, non le importavano particolarmente. Si rilassò subito, sedendosi vicino alla stufa, avvolta da un caldo tepore e pensando a quell’uomo che fino a poco prima era stato con lei.

 

 

Giovanni tolse la sella a Furia, continuando a chiedersi se aveva fatto bene a portare la ragazza con sé e a prometterle di lasciarla parzialmente libera. Tutto quello appariva come una follia. L’ennesima che commetteva, ultimamente.

Ad un certo punto, quando Teresa gli aveva fatto involontariamente capire che stava perdendo la testa per lei, e che non era un tipo molto esperto con le ragazze, aveva perso completamente la calma. E l’aveva riportata indietro.

Ma ora se ne pentiva; voleva esser stato lassù ancora per un po’, e poi chissà. Magari l’avrebbe baciata. Lui era sicuro che lei non si sarebbe ritratta. Anzi, ne era certo che non l’avrebbe fatto.

Come una doccia fredda, gli tornò in mente che lei, quella bella e dolce ragazza, doveva tornare da suo padre. Doveva tornare a casa, alla vita di sempre.

Con un pugno chiuso, si colpì la coscia sinistra, riuscendo quasi a farsi male. Imprecò vigorosamente, e si prese la testa tra le mani. Non sapeva veramente più come comportarsi, e non aveva nessuno con cui confidarsi.

Fece un profondo respiro ed andò a cercare i suoi compagni, sperando di svagarsi un po’ e di smettere di pensare e di commettere sciocchezze.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.

Credo abbiate notato che sto cercando di far entrare Teresa all’interno del mondo rurale, e naturalmente anche voi, miei cari lettori, vi siete trovati al suo interno, seguendo passo per passo le avventure e le nuove scoperte della nostra protagonista. Spero solo che la mia storia non sia qualcosa di banale o noioso J

Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo e seguendo la storia, e anche tutti coloro che ogni volta spendono due parole per il mio racconto. Grazie a tutti! J

A lunedì prossimo J

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

CAPITOLO 12

 

 

Teresa, finalmente, quella notte riposò tranquilla.

Tenne sempre una candela al fianco del suo letto, in modo che in caso di bisogno o incubi avesse sempre potuto accenderla con rapidità. Ma fortunatamente ciò non accadde.

Quando si risvegliò, la mattina del giorno successivo alla sua avventura con Giovanni, lei era in piena forma. Aveva riposato benissimo, e ormai si trovava a suo agio anche in quella catapecchia dove era costretta a dormire.

Per ora, l’inverno aveva solo dato un assaggio di sé durante novembre, e poi non si era più rivisto.

Dalla finestra della camera da letto di Teresa entrava un sole caldo, che pareva la volesse avvolgere in un abbraccio. Però, ben presto il bagliore fu troppo fastidioso, e la ragazza fu costretta ad alzarsi.

Uscendo da sotto le coperte, Teresa scoprì che in casa era piuttosto freddo. Si mise un abito qualsiasi, e si coprì meglio con un pesante mantello, dopodiché si accinse ad accendere la stufa. Ma, improvvisamente, qualcuno aprì la porta. Era Lina.

‘’Beh, come mai tu qui?’’, chiese Teresa, stupita dall’arrivo della donna. Erano rimaste d’accordo che quella mattina avrebbero fatto mangiato insieme, a casa sua.

‘’Ieri sera Zvàn mi ha fatto sapere che si fida di te, e che d’ora in poi sarai in semilibertà. Quindi, non verrà più Gianni a prelevarti, ma puoi uscire tranquillamente con me’’, disse la donna.

‘’Questo significa che posso anche uscire da sola?’’, chiese Teresa, speranzosa. Lina scrollò le spalle.

 ‘’Non lo so, non ha specificato. Andiamo?’’.

‘’Dove?’’, chiese Teresa, ingenuamente. Con la testa era ancora ferma all’uscita a cavallo del giorno prima.

‘’Ma a casa mia, ovvio’’, le disse Lina, sorridendole. Teresa si coprì meglio, ed uscì di casa, seguendo l’amica.

Ben presto, le due si trovarono a consumare il primo pasto della giornata insieme. Teresa non parlò molto, e i suoi pensieri tornavano sempre al giorno precedente.

‘’Pensi ancora a ieri?’’, le chiese improvvisamente Lina, facendola quasi sobbalzare sulla sedia.

‘’No. Lo sai che alla mattina non mi piace molto parlare’’, disse Teresa, senza troppa convinzione. Era inutile nasconderle qualcosa, quella donna capiva sempre tutto.

‘’Ah’’, si limitò a dire Lina, senza chiedere altro. Teresa apprezzò quel gesto.

‘’Scusa se te lo chiedo. Ma dove sta Giovanni tutto il giorno?’’, chiese la ragazza dopo un po’, sopraffatta dalla curiosità. Le sembrava strano non sapere ancora dove vivesse quell’uomo misterioso. Lina sorrise.

‘’Fino a poco tempo fa, non aveva un posto fisso. Di notte rapinava, di giorno se ne stava a casa di un qualche fedele contadino, oppure nel covo dei briganti, nell’altro versante del monte. Ora, invece, compie meno rapine, ma più fruttuose, e se ne sta in una cascina che lui stesso ha risistemato, poco più su di qui. Ma perché tutta questa curiosità, ora?’’, chiese la donna, con toni seri ma non nascondendo un sorriso.

‘’Oh, nulla’’, si affrettò a dire Teresa, scrollando le spalle, e stando attenta a non chiedere altro.

 Poi, come di consuetudine, Lina andò a prendersi cura dei propri animali, e Teresa la seguì. Voleva stare impegnata, e non le andava di starsene con le mani in mano e pensare.

Aprendo la porticina sul retro dell’abitazione di Lina, entrò direttamente nel capanno degli animali, molti dei quali se ne stavano lì placidi, senza alcun timore nei suoi confronti.

Fin da subito, la ragazza era stata attratta dai conigli, che erano le creature che avevano una parvenza più tranquilla di tutte le altre. Si diresse subito verso le loro stie. Lina allevava i suoi conigli dentro grandi stie di legno e con un fondo pieno di paglia pulita, dove gli animaletti potevano muoversi liberamente, però senza poter fuggire.

Aprì una stia, dove al suo interno una grossa femmina tutta bianca se ne stava sdraiata, con a fianco tutti i suoi cuccioli. Teresa ne contò sette. Pensò di nutrirla.

Poco distante, Lina aveva già portato l’erba con cui sfamarli. L’aveva raccolta la sera precedente dai prati, e l’aveva lasciata in un piccolo carretto. 

La ragazza prese un pugno di quell’erba, e si avvicinò alla stia. Si chinò, e la diede alle bestiole, che si misero subito a mangiare voracemente. Lina, intanto, poco distante, si stava accingendo ad uscire.

‘’Torno a breve, vado a cercare qualche fungo commestibile. Vicino alle radici di quegli alberi poco distanti ce n’è sempre qualcuno. Non uscire, mi raccomando. Torno subito’’, ribadì di nuovo la donna, che poi si avvolse uno scialle attorno al collo ed uscì dal capanno, con un cestino in mano.

Teresa rimase sola con gli animali, e per un po’ continuò a gettar loro del cibo.

Lina tardava a tornare, e la ragazza, chiedendosi dove si fosse cacciata, aprì la porta del capanno e si mise a cercarla con lo sguardo. Ovviamente, della donna non c’era neppure l’ombra. La luce del sole la travolse, e le venne una voglia improvvisa di uscire. Si ricordò delle parole di Giovanni e di Lina, e decise di metterle da parte.

Facendo un profondo respiro, uscì dal capanno e si chiuse la porta dietro di sé. Camminò attorno al perimetro dell’abitazione dell’amica, poi si trovò davanti ad un sentiero sterrato, che saliva più su verso la cima del monte.

Teresa prese a percorrerlo. Aveva una grande voglia di fare una passeggiata, e di stare un po’ sola. Poi, sarebbe tornata da Lina. D’altronde, non poteva perdersi, fintanto che avesse continuato a seguire il sentiero. Al massimo, se qualcuno l’avesse vista allontanarsi, l’avrebbe fermata e riportata indietro.

Prese a camminare con passo deciso, mentre attorno a lei gli uccelli cantavano allegramente. Presa dall’euforia, fece un profondo respiro, inalando l’aria pura di montagna, e continuò la sua salita, stando però attenta a non perdere il sentiero.

Tutt’a un tratto sentì un breve starnazzare provenire da un cespuglio spoglio poco distante. Teresa, incuriosita, abbandonò per un secondo il sentiero, e prese a dirigersi verso la fonte del rumore.

Lì per lì non vide nulla, ma poi si accorse che, acquattato al suolo e mimetizzato tra le  foglie secche, c’era un magnifico fagiano maschio. La ragazza, facendosi prendere dalla curiosità, gli si avvicinò, e l’animale la lasciò fare.

Non appena Teresa gli fu sopra, cercò di acchiapparlo. Il volatile, con un balzo spiccò il volo, ma cadde dopo una decina di metri. Era veramente malridotto.

La ragazza, intenzionata a capire i problemi dell’animale selvatico, tornò ad avvicinarsi al volatile, che la lasciò nuovamente fare, per poi spiccare il volo di nuovo, e cadere a peso morto poco più avanti. A quel punto, Teresa non voleva farselo scappare.

Quella creatura, nella misera situazione in cui si trovava sarebbe diventata una preda facile per i predatori. Tornò ad avvicinarsi all’animale, che questa volta si lasciò acchiappare, sfinito.

Teresa se lo rigirò tra le mani. Era un magnifico maschio, con una lunga coda marrone scuro. Era anche piuttosto pesante, ma l’ala destra era ferita. La ragazza continuò a tenerlo tra le sue mani, e pensò di portarlo a Lina, per vedere se c’era qualcosa che lei potesse fare per salvarlo.

Ma non appena cercò il sentiero, si accorse di averlo perso di vista. Aveva inseguito il volatile a lungo, perdendo l’orientamento, ed ora si trovava dispersa nel bosco. Si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa di familiare, ma non trovò nulla. Ciò che vide furono solo alberi spogli, foglie secche e qualche cespuglio di ginepro.

Con il cuore che batteva forte, e il volatile ben stretto tra le mani, non sapeva come comportarsi. Si sedette a terra, spaesata. Si trovava nel mezzo dei boschi e non aveva la più pallida idea di come orientarsi per trovare una qualche abitazione.

Sapeva che, se avesse ripreso a scendere verso valle, forse sarebbe riuscita a trovare di nuovo il sentiero che aveva abbandonato, ma sapeva anche che poteva essere ancora più rischioso, nel caso non fosse riuscita a trovare la via di casa. Lupi e belve selvagge si aggiravano in quel bosco, alla costante ricerca di possibili prede.

Disperata, sentì i suoi occhi inumidirsi, ma improvvisamente, sentì qualcosa. Era un rumore di colpi, più precisamente colpi d’accetta.

Teresa, sicura di esser vicina a trovare qualcuno che l’avrebbe tolta dai guai e l’avrebbe riportata indietro, si alzò e prese a camminare in direzione del rumore, sempre tenendo stretto l’animale ferito.

Si mosse rapidamente, seguendo il rumore dell’accetta, che continuava ad abbattersi su un qualche pezzo di legno, e ben presto si trovò al limitare di un piccolo spiazzo erboso, con al centro una cascina ben custodita. Poco più in là, passava un sentiero di terra battuta, del tutto simile a quello che lei aveva abbandonato poco fa.

Dal retro della cascina, continuava a sentirsi chiaramente il fragore dei colpi dell’accetta. Teresa pensò di riprendere il sentiero e provare ad andare verso valle. Ma qualcosa la incuriosiva.

Spinta dalla paura di perdersi e dalla curiosità, uscì dalla boscaglia rinsecchita e prese a muoversi furtivamente verso il retro dell’abitazione, cercando di non fare movimenti bruschi per non spaventare il volatile, che stringeva ancora tra le mani.

 La porta sul retro era aperta, e la ragazza ben presto si trovò a sbirciare dentro. E con immensa sorpresa, Teresa scoprì che colui che spaccava la legna era proprio Giovanni. L’uomo le dava le spalle, e non si era accorto della sua presenza.

‘’Mi hai appena salvato, lo sai?’’, disse la ragazza ad alta voce, entrando nella cascina. Giovanni si girò, colto di sorpresa.

‘’Ma che ci fai tu qui?’’, chiese il brigante, sbalordito.

‘’A dir la verità, non lo so, poiché ci sono arrivata per caso. Oh, ma tu continua pure il tuo lavoro, non voglio disturbarti’’, disse Teresa, notando che l’uomo aveva lasciato cadere l’accetta e si era immobilizzato a fissarla.

 

 

Giovanni continuò a fissare la ragazza, sbalordito.

Quella giovane gli stava sorridendo, anche se l’aveva spaventato, e lo fissava con uno sguardo dolce e selvaggio allo stesso tempo. I suoi vestiti erano tutti sporchi di fango, e tra le mani stringeva un volatile. Notò che era un fagiano.

‘’Sei una qualche strega dei boschi, forse? Scusa, ma tu mi appari qui davanti, con i vestiti tutti sporchi di terra e stringendo tra le mani un fagiano. Cosa dovrei pensare, io?’’, continuò a dire Giovanni, guardandola.

‘’Oh, nulla. Al massimo, dovresti pensare che mi hai salvata’’, disse la giovane, che con fare autoritario entrò all’interno della cascina e si mise a sedere su una sedia.

‘’E’ la seconda volta che lo dici. Da cosa ti ho salvato? E perché sei venuta qui, conciata così, e con quell’animale?’’, continuò a chiedere Giovanni, che con un calcio spostò la legna, e chiuse la porta.

‘’Sono uscita di nascosto dalla casa di Lina, volevo solo fare una passeggiata, giuro. Poi, però, ho notato questo fagiano in difficoltà, e l’ho inseguito per un po’, per poterlo catturare. Ma quando ci sono riuscita mi ero persa nel bel mezzo del bosco. Sono riuscita ad uscirne solo seguendo il rumore dei tuoi colpi d’accetta. Così sono giunta fin qui, e ti ho trovato’’, spiegò Teresa con semplicità. Giovanni si sedette anch’esso, e fece veramente molta fatica a trattenere un sorriso.

‘’Quindi Lina non sa nulla. Ho tolto la sorveglianza alla casa, in modo da lasciarvi un po’ più libere, e tu subito te ne vai. Non so cosa pensare’’.

‘’Non devi pensare a nulla, te l’ho già detto. Ti do la mia parola che non uscirò più così, e non mi perderò più nei boschi. Per un attimo, ho avuto molta paura’’, ammise la ragazza, alla fine della promessa.

Giovanni continuò a fissarla, cercando di mostrarle un volto duro, e la ragazza dovette accorgersene, poiché abbassò lo sguardo, ed abbandonò quell’atteggiamento spavaldo che aveva avuto fino a poco prima.

‘’Non preoccuparti. Ascolterò le tue promesse, e le accetterò, poiché sono certo che le manterrai. Mi mostri quel fagiano?’’, le chiese Giovanni, sorridendole. Teresa sorrise anch’essa, e glielo passò.

‘’Non vola, e mi sembra che sia ferito ad un’ala’’, disse la giovane.

Giovanni esaminò il volatile. Sembrava ancora in buona salute, ed era piuttosto grasso. Le piume erano ben pulite, quindi non era malato. Poi, però, notò la ferita all’ala. Era una ferita fresca, provocata da una pallottola. Inoltre, quella condizione di sforzo aveva affaticato di molto l’animale, che probabilmente non aveva neppure le forze per correre o camminare. Forse era stato pure inseguito a lungo dal cane di qualche contadino o da qualche predatore.

‘’Non è nulla. È solo stanco e ferito di striscio ad un’ala. Qualcuno dei ragazzi gli avrà sparato, mancandolo’’, disse Giovanni dopo poco, rassicurando la ragazza.

‘’Oh. Ma se ora lo libero, non guarirà mai. Fuori è pieno di belve affamate…’’. Giovanni non la lasciò finire.

‘’E se lo vedono i ragazzi ci faranno un arrosto. No, meglio non liberarlo, se lo vuoi proprio salvare. Chiedi con Lina se ha una stia dove poterlo mettere per un paio di settimane, in modo tale da tenerlo al sicuro. Vedrai, basterà nutrirlo bene e tornerà come prima’’, disse il brigante.

‘’Grazie. Hai sempre un qualche consiglio e qualche parola gentile per me, e nonostante tu e gli altri mi stiate trattando benissimo, io non faccio altro che creare problemi o cacciarmi nei guai’’, disse Teresa. Giovanni sorrise nuovamente.

‘’Ma se sei qui è a causa mia. Sono io a doverti chiedere scusa’’, trovò la forza di dirle.

‘’Notizie di mio padre?’’, chiese la ragazza tutto d’un fiato, titubante. Il brigante scosse la testa.

‘’No, per ora nulla. Sei stata rapita da poco più di una settimana, è normale. Vedrai, a breve ci saranno novità’’, le disse, per incoraggiarla.

‘’E tu quanto denaro gli hai chiesto?’’, chiese la ragazza, facendosi guardinga. Aveva toccato un tasto dolente.

Giovanni in realtà aveva affidato la contrattazione a Marco e a Aldo, non potendo far di meglio. Per ora non aveva ancora idea della cifra che avevano richiesto. Sperò che non fosse esagerata. Comunque, quella domanda lo fece arrabbiare, poiché lo fece sentire quasi un inetto, uno che non era in grado di gestirsi da solo i propri affari.

‘’Ho richiesto quanto ritenevo giusto. E ora, ti riporterò subito da Lina, che starà cercando di avere tue notizie. Avanti, andiamo’’, le disse Giovanni, che si alzò bruscamente e la prese sottobraccio.

La ragazza si fece cupa, e non disse più nulla per tutto il successivo tragitto verso valle. Giovanni ben presto iniziò a sentirsi in colpa per il modo con cui l’aveva trattata.

‘’Teresa, non volevo… ecco, io non volevo essere così brusco prima. In realtà, ecco… mah, basta’’, iniziò a dire alla ragazza, impacciandosi.

Lei lo guardò. Giovanni incontrò nuovamente quei magnifici occhi, e notò che erano offuscati da qualche preoccupazione.

‘’Non devi dirmi nulla. Sono affari tuoi’’, gli disse, scrollando le spalle.

Giovanni abbassò lo sguardo, e continuò a camminare a suo fianco, insegnandole il tragitto. Comunque, il brigante non trovò la forza per dirle altro fino a quando non si trovarono di fronte alla porta di Lina.

E fu allora, che la ragazza si voltò sprezzante verso di lui, e le sue parole gli morirono in gola.

‘’Grazie per avermi accompagnato fin qui, stai pur certo che non uscirò più. Oh, quasi dimenticavo; avvertimi quando avrai ricevuto il mio riscatto, così potrò tornarmene a casa. Niente più briganti puzzolenti, finalmente’’, disse la giovane, calcando le parole con ira, quasi sputandogliele in faccia. Poi, con forza, richiuse la porta della casa di Lina, lasciando il brigante lì fuori, sbalordito.

Un po’ pentito per il suo comportamento burbero, Giovanni prese a tornare verso la sua cascina. Avrebbe voluto svelare alla giovane quanto in realtà lui teneva a lei, e magari abbracciarla, per sentire il calore del suo corpo. Ultimamente, loro due erano andati piuttosto d’accordo.

Ma lei, giustamente, era tornata a bistrattarlo. Con un sospiro colmo di tensione e imbarazzo, il brigante entrò nuovamente nella sua cascina, e trovò Mario seduto al tavolo.

‘’Oh’’, disse all’amico.

‘’Zvàn, dov’eri finito? Caspita, lo sapevi che dovevo venire per finire di sistemare il piano di questa sera’’, lo apostrofò subito l’amico, che era già lievemente innervosito. Evidentemente, non sapeva nulla della scappatella di Teresa.

Giovanni, che si era totalmente dimenticato del furto programmato per quella sera, poiché era troppo preso dalla ragazza, annuì grevemente e stette zitto.

Si sedette anche lui, e iniziò ad ascoltare la strategia di Mario in silenzio. Quel giorno, non gli andava proprio di far nulla. Teresa l’aveva trattato veramente male, e lui era stato troppo duro nei suoi confronti.

Chiuse gli occhi, e improvvisamente si alzò dalla sedia.

Sentì su di sé tutto il peso dello sguardo di Mario.

‘’Zvàn, che hai ora?’’, gli chiese l’amico, stupito.

‘’Niente, ho mal di testa. Per favore, organizza tutto tu come meglio credi, io vado a riposare’’, gli disse, sbattendogli la porta del retro in faccia.

Prendendosi il volto tra le mani, il brigante si distese sul suo letto, e cercò di trovare rifugio alle sue paure nel sonno.

 

 

Teresa entrò in casa di Lina come una belva inferocita, dopo aver sbattuto la porta in faccia al brigante.

‘’Teresa, così non si fa. Sei fuggita, poi torni rabbiosa come non mai. Ma che succede? Sai che mi ero preoccupata?’’, le disse l’amica. Teresa sentì sciogliersi la tensione, e la rabbia svanì, lasciando il posto allo sconforto.

Quel brigante non ricambiava di certo il suo interesse. Era un uomo primitivo e burbero, sempre pronto a lasciarsi andare a scatti d’ira. Il fagiano, intanto, continuava a starsene buono tra le sue mani.

‘’Lina, perdonami, mi ero allontanata. Ho preso questo fagiano, che è ferito, ed ho incontrato Giovanni, come avrai visto anche tu’’, le spiegò.

‘’Tu incontri troppo spesso Zvàn. Ragazza, non pensare a lui, te l’ho già detto. Lascialo perdere, ignoralo. Ma ora fammi vedere questa creatura’’, disse la donna, afferrando il fagiano.

‘’Oh, è ferito. Che facciamo? Un arrosto?’’, chiese ancora la donna, fissando Teresa. La ragazza scossa la testa.

‘’No, voglio che guarisca, così poi lo libererò di nuovo. Giovanni mi ha detto di chiederti se hai una stia per lui, in modo da proteggerlo. Se lo liberassi ora, morirebbe’’.

‘’Zvàn ha ragione. Una stia ce l’ho, nel capanno. Comunque, resto dell’idea che farlo arrosto sarebbe stato meglio’’, continuò a dire la donna, con toni ironici.

‘’Magari un’altra volta’’, le rispose scherzosamente Teresa.

Insieme, poi, sistemarono l’animale e lo sfamarono.

La sera venne in fretta, e Teresa fu accompagnata a casa da Lina.

Lina le sbarrò la porta, e lei andò a letto lievemente turbata. Non voleva pensare al breve battibecco che c’era stato tra lei e il brigante. Nonostante tutto, avevano iniziato ad andare d’accordo, e a lei non dispiaceva affatto la sua compagnia, anche se a volte tendeva a diventare burbero ed aggressivo.

Decise di accantonare quei pensieri e di dormire, pensando che ci sarebbe stato tempo per rimediare a quegli screzi. Lei voleva che quell’uomo così duro e rude, ma allo stesso tempo protettivo nei suoi confronti, la degnasse di più attenzioni. A lei piaceva.

Pian piano, Teresa scivolò nel sonno, ignara di quello che stava per accadere a Giovanni.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo! J

Spero sia stato di vostro gradimento. Sto cercando di inserire piccoli colpi di scena in ogni capitolo, in modo da continuare a tener viva la vostra attenzione, intanto che i nostri protagonisti si confrontano tra loro. Spero di esserci riuscito J

Ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questo racconto, ed ovviamente anche coloro che ogni volta mi lasciano delle magnifiche recensioni, facendomi sapere i loro pensieri sulla storia. Grazie J

Grazie, ancora, a tutti J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

CAPITOLO 13

 

 

Giovanni quella sera non era tranquillo.

Aveva lasciato pianificare tutto da Mario, che poco prima gli aveva riferito ciò che aveva deciso, ma lui se n’era praticamente già dimenticato.

Diede tutta la colpa a quella ragazza. Non avrebbe mai dovuto rapirla. Le sue parole l’avevano ferito, ma l’avevano anche fatto riflettere. Si sentì improvvisamente un bruto, e si rese conto che, a volte, aveva un carattere molto aggressivo, e allo stesso tempo stupido.

Infatti, non appena gli veniva fatto notare qualcosa che a lui non andava giù, tendeva a perdere la pazienza. Era vero che Teresa l’aveva trattato male, ma prima di tutto era stato lui a farlo. Per la prima volta in vita sua avrebbe voluto chiedere scusa, e magari chiedere perdono a quella ragazza.

Nel frattempo Furia deviò con masso con un movimento brusco, che fece tornare in sé Giovanni.

Attorno a lui, i suoi uomini stavano cavalcando in rigoroso silenzio. Con lui c’erano Mario e altri dieci uomini, un gruppo piuttosto ristretto, ma più che adatto per compiere piccole rapine.

Quella sera avrebbero tentato di rapinare un piccolo signorotto, la cui villa distava un paio d’ore di cavallo dal covo dei briganti. Quella doveva essere, più che una rapina, un’esercitazione, per tenere in allenamento i suoi ragazzi. Infatti, stando a ciò che erano venuti a sapere i briganti dall’informatore, quel signorotto non era molto ricco.

Giovanni dovette riconoscere di non sapere neanche il cognome della vittima, visto che aveva lasciato pianificare tutto al suo braccio destro, ma poco importava. Una rapina era pur sempre una rapina, e i nomi non facevano molta differenza, era il bottino ad essere importante.

Ben presto, si ritrovò insieme con i suoi al luogo designato. In silenzio, tutti smontarono da cavallo, lasciando gli animali liberi.

Mario e Giovanni avanzarono per primi, seguiti dagli altri dieci.

La villa del signorotto era poco più che una casa normale. Giovanni cercò lo sguardo di Mario, quasi come per volergli chiedere cosa l’avesse spinto a scegliere quel luogo, ma anche l’amico aveva il volto corrucciato, e nel buio il capo dei briganti non riuscì a notare altro. Comunque ormai era fatta, ed era troppo tardi per tornare indietro.

Velocemente, Giovanni iniziò a percorrere i pochi passi che lo separavano dall’uscio dell’abitazione.

Il capo dei briganti constatò che la casa giaceva in condizioni misere; sul retro, un’edera incolta si aggrovigliava fin quasi al tetto, mentre una vecchia capanna andava in rovina.

Continuò a non fare caso a tutti quegli elementi, ed arrivò alla porta della villa. Con un colpo, la sfondò. Il legno era marcio. Quella era la classica porta di un’abitazione abbandonata.

Giovanni si ritrasse subito, capendo che quella si trattava di una trappola.

‘’Via di qui!’’, gridò ai suoi uomini, che lo guardarono stupiti.

Poi, dal nulla partì un colpo, che ferì di striscio uno dei suoi uomini. Subito, tutti capirono, e si gettarono verso ai cavalli.

Dalla porta dell’abitazione abbandonata emersero alcune figure, che presero a sparare.

In pochi attimi, con il fiatone, Giovanni si ritrovò a balzare in sella a Furia, e a speronare l’animale. Ma ciò non bastò. Infatti, nel buio i suoi uomini erano riusciti a superarlo, lasciandolo lievemente indietro. Gli altri cavalli correvano tutti all’impazzata, mentre Furia veniva colpito di striscio alla testa.

L’animale s’imbizzarrì, e si impennò, agitandosi in preda al dolore, mentre il sangue rosso sgorgava dal suo muso. Giovanni ebbe paura, e constatò che era rimasto solo, visto che i suoi uomini erano tutti passati oltre. Il gruppo si era dissolto, ed ognuno correva per salvare sé stesso.

Lottando disperatamente sulla sella, e cercando di non cadere, il capo dei briganti pensò di essere giunto al capolinea. Dopo alcune carezze, però, Furia si rimise a correre dietro agli altri briganti, ma ciò non bastò.

I criminali erano quasi riusciti a raggiungerlo, e fecero fuoco su Giovanni.

Furia, rapidissimo, riuscì a seminare i nemici, ma il brigante gridò dal dolore. Una pallottola era appena entrata nella spalla, e un’altra nel polpaccio destro. Cercando di non cadere dalla sella, continuò a spronare il suo cavallo, e ben presto riuscì a seminare i nemici. Ma il sangue continuava ad inzuppare i suoi vestiti.

Ansimando, Giovanni fece rallentare Furia, e si tastò la spalla. Ritrasse la mano e la fissò; era tutta sporca di sangue.

Pregò di non essere raggiunto dai nemici mentre inveiva contro Mario e gli altri, che lo avevano lasciato indietro. Pian piano, insieme con il sangue, iniziò a perdere anche la coscienza. Il brigante si abbassò sulla sella, emettendo forti grugniti, come se, insieme al suono gutturale, riuscisse ad espellere anche un po’ del dolore che provava.

Dopo un periodo di tempo indeterminato, con Furia che progressivamente rallentava, Giovanni si rese conto di non riuscire più a restare lucido.

Mentre la sua vista si annebbiava, riuscì ad intravedere una figura a cavallo che si stava avvicinando. Gli parve di sentire un tono di voce familiare, ma non ne era sicuro.

Poi, tutto si fece buio.

 

 

 

Teresa quella mattina si svegliò male. Per tutta la notte aveva avuto incubi, ed aveva riposato veramente molto poco.

Si alzò di buon ora, si vestì in fretta, poi aspettò l’arrivo di Lina, che, come ogni giorno ormai, la passava a prendere per poi andare entrambe a casa sua.

Quella mattina tirava un vento forte, e a tratti cadevano minuscoli fiocchi di neve. Teresa notò che doveva fare piuttosto freddo.

Mentre la ragazza rattizzava la stufa, sentì che qualcuno apriva la porta, ed infatti entrò Lina. La donna si affacciò solo per un momento sulla soglia.

‘’Su Teresa, andiamo, prima che si metta a nevicare più intensamente’’, le disse, restando fuori e socchiudendo la porta.

Teresa non si fece ripetere il messaggio due volte. Infatti, si avvolse in un pesante mantello e raggiunse l’amica, che la prese subito sottobraccio.

‘’Che dici, ne farà molta di neve?’’, chiese Teresa, incuriosita dai fiocchi, che stavano iniziando a cadere sempre più fitti. A Roma non nevicava quasi mai, e lei era immersa nello stupore.

‘’No, non credo. Non soffia il vento da neve. Vedrai, al massimo ne farà una spanna, poi smetterà’’, le disse la donna, con fare sicuro.

Teresa rabbrividì mentre una raffica di vento gelido la travolgeva. L’inverno sembrava che fosse arrivato da un momento all’altro. Solo il giorno prima il clima era gradevole, e splendeva il sole.

A passi svelti, le due donne raggiunsero il sentiero che andava a valle, verso la casa di Lina. Teresa continuò a tenere lo sguardo puntato verso il basso, per fare in modo che i suoi occhi non venissero frustati dal vento gelido. A dire dell’amica quello non era vento da neve, ma era comunque molto freddo.

Improvvisamente, un nitrito frantumò il frastuono del vento. La ragazza guardò Lina, che nel frattempo aveva sentito anche lei, però la donna si limitò a scrollare le spalle e proseguire.

Non fecero in tempo a percorrere una ventina di passi che davanti a loro apparvero i briganti a cavallo. Le due donne si fecero da parte, lasciando passare la colonna dei loro cavalli. Tutti erano incappucciati e avvolti in grossi mantelli, che non lasciavano intravedere quasi nulla.

Teresa notò fin da subito la mancanza delle figure di Mario e Giovanni. Comunque, non ci prestò molto caso, e neppure Lina lo fece. Non appena la colonna ebbe finito di transitare, la ragazza trovò la risposta alla sua domanda di poco prima.

Lina e Teresa mossero pochi passi avanti, e  da dietro un cespuglio di ginepro apparve Mario, che, a piedi, con la mano destra teneva le redini del suo cavallo, mentre con quella sinistra cercava di guidare anche Furia.

Teresa a momenti gridò. Accasciato sul suo cavallo, Giovanni pareva senza sensi. Aveva una mano premuta sulla spalla. La ragazza, con un balzo, gli si avvicinò.

‘’Giovanni! Giovanni!’’, provò a chiamarlo, scuotendolo.

‘’Ma cos’è successo?’’, chiese Lina a Mario, stupita.

Teresa toccò la testa del brigante, che in quel momento girò il volto verso di lei e la guardò. La ragazza notò che aveva gli occhi vitrei.

‘’A… aiutami’’, bisbigliò l’uomo, che cercò di togliere il piede sinistro dalle staffe.

Teresa si passò una mano tra i capelli scompigliati dal vento ed inumiditi dalla neve, e vide che il volto del brigante era pallido e sconvolto dal dolore.

Mario, intanto, era rimasto in rigoroso silenzio, e non rispose alla valanga di domande di Lina.

 Teresa cercò di fare del suo meglio, tolse prima un piede poi l’altro dalle staffe, mentre Mario si avvicinava per aiutare il suo capo a smontare.

‘’Siamo troppo lontani. Dove vuoi andare? Teresa, lascialo lì sopra’’, disse Mario ad un certo punto, categorico. Giovanni lo fissò.

‘’No. Voglio scendere qui. Poi… poi mi porterete…’’. Il capo dei briganti non terminò la frase.

‘’Ha perso molto sangue. Non ha ferite gravi, ma ha galoppato per parecchie ore e se qualcuno non gli cura la ferita alla spalla morirà dissanguato. È in confusione, ora lo lego sul cavallo e lo portiamo alla sua cascina’’, continuò a dire Mario.

‘’No!’’, ribadì Giovanni, che poi, con una lieve spinta, si fece ruzzolare giù dal cavallo.

Fortunatamente, Mario riuscì ad afferrarlo, almeno in parte, attutendogli la botta con il duro terreno ghiacciato.

‘’E’ pazzo’’, disse Mario.

‘’Non è pazzo. Soffre. Avete cavalcato a lungo, e gli scossoni del cavallo avranno danneggiato le parti lese. Avanti, portiamolo a casa mia, che è poco distante, poi gli darò un’occhiata’’, suggerì Lina.

Tutti furono d’accordo, compreso Giovanni, che annuì con la testa.

‘’Chiama indietro qualche ragazzo, che ci aiuti a trasportarlo’’, continuò a dire Lina. Mario scosse la testa, amareggiato.

‘’Non credo che sia il momento giusto. Questa notte se la sono presa per il fatto che abbiamo subito un agguato. E vedere il loro capo ridotto in questa maniera potrebbe metter loro strane idee in testa, per questo ho viaggiato dietro la colonna, un po’ distanziato’’, disse l’uomo, scrollando le spalle con un gesto di rassegnazione.

‘’Oh. Ma cos’è successo di preciso?’’, continuò a chiedere Lina, mentre aiutava Mario a sorreggere il capo dei banditi.

‘’Due giorni fa ho avuto una soffiata. Una spia si è recata da me per indicarmi un’abitazione di piccoli nobili, a poche ore di galoppo da qui. Pensavo fosse una buona idea per far svagare i ragazzi, e l’ho suggerito anche al capo, che ha accettato subito. Però, a quanto pare, era stata tesa una trappola. La casa era tetra, sembrava disabitata, e Zvàn si è fatto strada ed è entrato all’interno della dimora. Poi, improvvisamente, sono esplosi i primi colpi, e tutti siamo fuggiti, in un modo a dir poco disperato. Dopo un po’, mi sono accorto che il capo non era con noi, così sono tornato indietro per cercarlo, e l’ho ritrovato così. Comunque, poteva finire anche peggio’’, concluse Mario.

Teresa, che nel frattempo stava tirando per le redini dei due cavalli, per farli muovere più velocemente, rimase in ascolto, senza dire nulla. A tratti, il vento era così impetuoso che sembrava ruggire nel mezzo degli albero spogli.

‘’Ma chi può essere stato ad organizzare questa trappola?’’, continuò a chiedere Lina, che pareva insaziabile di risposte.

‘’Ancora non lo sappiamo. Ma lo scoprirò molto presto. Farò catturare l’informatore che ha mentito, ovunque esso si stia nascondendo’’, rispose Mario con decisione, lasciando la stessa Lina senza altre domande.

Teresa non era riuscita a dire nulla. Vedere quell’uomo così forte ridotto in quel modo, le faceva male. E pensare che solo il giorno prima l’aveva pesantemente offeso. La ragazza si sentì in colpa.

Giovanni arrancava, sorretto a fatica dal suo braccio destro e da Lina. Le sue guance, a volte si gonfiavano, come se cercasse di trattenere dentro di sé un ruggito di dolore. Eppure, quell’uomo, nonostante le ferite, manteneva una grande dignità, e non fece alcuna scenata o pianto.

Teresa si accorse che anche Furia era ferito al muso, fortunatamente solo di striscio.

Ben presto, i quattro si trovarono di fronte alla porta di Lina. Teresa attese un attimo fuori con i cavalli, fintanto che Lina e Mario non ebbero sistemato alla meglio il brigante ferito.

Poi, Mario tornò fuori, il volto livido dal freddo e dalla rabbia. Prese le redini dei cavalli, e si allontanò senza dire nulla. Era in apprensione per il suo capo.

Teresa entrò subito nella casa di Lina, felice di non dover più affrontare la tempesta che infuriava lì fuori. Giovanni era disteso sul letto della donna, che intanto gli stava togliendo il mantello, che era lacero ed insanguinato.

‘’Teresa, metti una pentola d’acqua a scaldare sulla stufa’’, le disse Lina. Teresa obbedì subito.

Lina mise a nudo la spalla del brigante e parte del petto, e prese ad analizzare la ferita.

‘’Niente di troppo serio. La pallottola è rimasta dentro e la ferita va richiusa, però non è nulla di eccessivamente grave’’, disse la donna, con evidente sollievo. Teresa sorrise, senza dire nulla.

‘’La… gamba’’, sussurrò il ferito. Lina e Teresa lo fissarono con fare interrogativo, poi la donna notò un foro nello stivale destro. Con decisione, Lina lo sfilò, facendo sfuggire un gemito al brigante.

Effettivamente, Giovanni era stato colpito anche al polpaccio destro, apparentemente di striscio. Almeno lì, il sangue stava cominciando a raggrumarsi.

‘’La tua fortuna è stata che quei tizi non avevano una grande mira’’, riprese a dire Lina, mentre strappava una parte dei calzoni del brigante, che prese ad agitarsi.

‘’E sta buono! Non pensare ai calzoni, pensa a te stesso’’, gli disse, con toni quasi ironici. L’uomo non rispose. Poi, sempre con tatto, la donna si mise ad ispezionare meglio anche quella ferita.

‘’Niente di grave anche qui. Ma bisogna ripulire, richiudere e disinfettare tutto. Io non sono capace di fare tutto ciò’’, disse Lina.

‘’E allora come facciamo?’’, chiese improvvisamente Teresa, con toni ansiosi.

‘’Oh, stai tranquilla. Nella vallata ci vive una contadina che è capace di curare le ferite ed estrarre i proiettili. Tutti dicono che è molto brava. Si sa, in momenti come questi donne del genere servono sempre. Vive  non molto distante da qui’’, continuò a dire la donna.

‘’Beh, allora è abbastanza vicina a noi’’, osservò la giovane con sollievo.

‘’Non cantar vittoria troppo presto, ragazza. Andare a cercarla, con una giornataccia così, sarà veramente dura. Ma io ci andrò ugualmente’’, concluse la donna, che si mise ad indossare il mantello.

Teresa continuò a guardarla senza dire nulla. La donna, poco dopo, prese anche un sacchettino, con alcune monete all’interno, e stringendolo forte si accinse ad uscire.

‘’Teresa, cercherò di fare il più presto possibile. Tu stai qui con Zvàn, e cerca di tenerlo sveglio’’, disse frettolosamente Lina, che poi tirò un sospiro ed uscì.

La ragazza le gettò un’ultima occhiata dal vetro della finestra. La donna arrancava, poiché il vento era molto forte. Poi, al suolo c’erano già alcuni centimetri di neve. Ben presto, Lina scomparve nella tormenta. Teresa sospirò, prese una sedia e andò a sedersi a fianco del brigante.

‘’Stai tranquillo, vedrai che tornerà presto’’, provò a dirgli, per rassicurarlo. Giovanni si girò verso di lei.

‘’Non credo che farà tanto presto. E poi… e poi, le ferite…. Non si curano così in fretta…. Ed ho perso troppo sangue’’, concluse il brigante, con il respiro affannato.

‘’No, basta, ti prego, non parlare più. Lascia che lo faccia io’’, gli disse Teresa, preoccupata per il suo stato di salute. Lui alzò lo sguardo, e puntò i suoi occhi in quelli della ragazza. Fu uno sguardo silenzioso, ma allo stesso tempo pieno di significati. Teresa lesse dolore nei suoi occhi, ma anche sentimenti repressi.

La ragazza si risistemò meglio sulla sedia, e prese a narrare qualche racconto che le avevano raccontato durante la sua giovinezza, in modo da intrattenere il brigante e cercare di tenerlo sveglio, ma ben presto si accorse di ottenere l’effetto contrario.

Lina non tornava, e il brigante era sempre più pallido ed assonnato. Dalla ferita alla spalla aveva ripreso ad uscire sangue. Teresa iniziò a guardarsi attorno, in preda al panico, senza sapere cosa fare. Intanto, Giovanni chiuse gli occhi.

A quel punto, la ragazza tentò un ultimo appiglio, ovvero esprimere i suoi pensieri e dire la verità. Espresse quei pensieri che la tormentavano già da un po’.

‘’Giovanni’’, gli disse. Il brigante sussultò lievemente, e con grande fatica la guardò. ‘’Non devi morire. Pregherò perché tu non muoia, poiché per me sei una persona importante e perché… perché… mi piaci davvero un bel po’ ’’, ammise Teresa, balbettando. Il suo volto divenne subito paonazzo, mentre abbassava lo sguardo, in preda all’imbarazzo.

Si sentì una bambina stupida. Si chiese dove fossero finite le sue buone maniere, in fondo non era stata educata per comportarsi in quel modo. Lei era una contessina, e da lei ci si aspettava un certo comportamento, e non di rivelarsi e di parlare come una popolana. Eppure, in quel momento le parve la scelta migliore.

A quel punto, il brigante spalancò gli occhi dalla sorpresa, ma non disse nulla.

Per tutto il resto del tempo, le sue palpebre lottarono per stare aperte, e i suoi occhi furono sempre e solo fissi su di lei.

Teresa si sforzò di continuare a mostrarsi calma, e di tanto in tanto cercava di sorridere, pregando che Lina tornasse presto.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Giovanni è caduto in un’imboscata, ma ancora non sappiamo di preciso chi sia il fautore di tutto ciò. Forse lo scopriremo più avanti… J

Teresa invece ha trovato il coraggio di pronunciare certe parole, anche se in un momento poco opportuno. Però, è riuscita a rivelare il suo interesse.

Come procederà la vicenda? Lo scopriremo a breve J

Grazie a tutti voi, miei carissimi lettori, per passare a leggere questo racconto, e per averlo scelto J

Grazie, ancora, a tutti! J a lunedì prossimo J

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

CAPITOLO 14

 

 

 

Dopo un lungo periodo di tempo, Teresa sentì che la porta di casa di Lina si stava aprendo. E, infatti, l’amica entrò subito, seguita da un’altra donna alta che stringeva una sacca di tela tra le mani.

La ragazza tirò un sospiro di sollievo.

Il brigante non le aveva tolto gli occhi di dosso neppure per un attimo, anche se il suo sguardo si stava affievolendo sempre di più. La ferita alla spalla, che era peggiorata durante la lunga galoppata, stava continuando a sanguinare, mentre Giovanni era pallidissimo e pareva sul punto di svenire.

La donna alta si tose il pesante giaccone che aveva indosso, e si guardò subito attorno.

‘’Voglio una brocca d’acqua pulita e fresca, una pentola di acqua tiepida e qualche pezzo di stoffa. In fretta, possibilmente’’, disse bruscamente la sconosciuta.

Quella donna era piuttosto matura, la si poteva anche già definire vecchia. Aveva i fianchi larghi e i capelli che iniziavano ad avere qualche filo grigio.

Intanto che Teresa se ne stava a fissare la nuova arrivata, Lina si diede da fare, e in pochi attimi aveva procurato tutto quello che serviva. La vecchia annuì, soddisfatta, mentre iniziava ad estrarre dalla sacca il materiale che le serviva, e che si era portata dietro da casa sua.

Lina, in un momento di tregua, si avvicinò a Teresa.

‘’Io devo andare alla cascina di Zvàn a prendere altro denaro, quella vecchia fa un buon lavoro ma vuole essere pagata molto bene. Poi, andrò dai briganti ad informarli della situazione. Te la senti di stare qui, sola con Vanna?’’, le chiese la donna, facendo cenno verso la nuova arrivata.

A Teresa quella vecchia non piaceva proprio, ma le avrebbe fatto piacere stare vicino a Giovanni in modo da monitorarlo, per sperare che non gli succedesse nulla di male.

‘’Vai pure, Lina. Starò qui con piacere’’, rispose, infine, Teresa. Lina la guardò con un’aria strana.

‘’Ormai mi fido molto di te. Quando uscirò, chiuderò a chiave la porta, in modo che nessuno possa provare ad entrare… o ad uscire’’.

‘’Non devi preoccuparti per me. Non fuggirò, lo sai’’, disse Teresa, facendo l’offesa per l’insinuazione della donna.

‘’Lo sai che perdersi qui è facile. Poi, con una giornata così, morirai assiderata in fretta. Comunque se la vecchia ti chiede qualcosa, prova a farle da assistente, poiché potrebbe averne bisogno’’, continuò a dire Lina, imperterrita.

‘’Certo’’, assicurò Teresa.

‘’Perfetto. Io vado, allora’’, concluse la donna. Teresa si limitò ad annuire.

Non appena Lina fu uscita, la ragazza tornò a puntare la sua attenzione su Vanna, e notò che stava maneggiando un bicchiere. Teresa le si avvicinò incuriosita.

‘’Gli ho somministrato un miscuglio di erbe. Vedrai, con questo dormirà come un angioletto e non sentirà alcun dolore’’, disse Vanna senza guardarla, gli occhi fissi sui suoi strumenti. Teresa si limitò ad annuire, e non disse nulla.

Infatti, dopo poco Giovanni si addormentò per effetto del sonnifero, e la vecchia prese subito a lavorare attorno alla ferita della spalla. Con estrema delicatezza, ripulì la ferita, e in pochi attimi estrasse la pallottola. Poi, si mise a richiudere e a fasciare il tutto.

 Teresa si allontanò, tutto quel sangue e quel maneggiare l’avevano disgustata.

Si avvicinò alla finestra, e si mise a guardare fisso fuori. La neve cadeva ancora, a fiocchi grandi come piccoli sassi, ma a terra ce n’era a malapena due spanne. Il vento forte colpiva l’abitazione di Lina con una furia spropositata, e gli spifferi si facevano sentire.

La ragazza si avvolse al meglio una sciarpa di lana attorno al collo, e andò a sedersi nella cucina, controllando la stufa in modo da mantenerla sempre accesa.

Dopo un periodo di tempo indefinito, la vecchia fece capolino sulla porta.

‘’E’ fatta. Ora è tutto a posto. Il polpaccio era solo ferito di striscio, nulla di grave. L’unica preoccupazione è la spalla. Comunque, tra un paio d’ore, più o meno, si risveglierà. Non preoccuparti se avrà visioni o un sonno disturbato, ha perso molto sangue. L’importante è che ogni volta che si sveglia, qualcuno gli somministri una buona dose d’acqua pulita. Il resto verrà da sé. Si rimetterà in forze molto in fretta se berrà, vedrai’’, le disse Vanna, facendole l’occhiolino e parlando velocemente.

Proprio in quel momento, la porta d’ingresso si aprì, e Lina entrò in casa, sbuffando. Il suo volto era livido dal freddo.

Vanna ripeté tutto a alla donna, che poi le allungò un sacchettino di stoffa, che Teresa immaginò pieno di monete.

Soddisfatta, la vecchia si avvolse meglio nei suoi abiti laceri e se ne andò, immersa nella tormenta.

‘’Ormai farà buio, Teresa. Dovresti tornare nella tua dimora. Comunque, Mario ha detto che nessuno ti controllerà questa notte, poiché farà molto freddo, e ha chiesto a me di badarti e di tenerti qui’’, le disse la donna.

Teresa ebbe un tuffo al cuore. Avrebbe potuto stare vicina al suo Giovanni per tutta quella notte.

‘’Grazie, resterò qui molto volentieri’’, rispose a Lina, sorridendole.

‘’Com’è andata?’’, chiese l’amica, facendo cenno verso la camera da letto.

Teresa le spiegò tutto, poi, insieme andarono a visionare la situazione. Il brigante stava dormendo ed era tranquillo, come era stato loro detto. Le due donne tirarono un silenzioso sospiro di sollievo, poi tornarono nell’adiacente cucina.

‘’Questa notte andrà controllato. Spero di essere in grado di tenere gli occhi aperti, la tormenta e il freddo mi hanno sfinita’’, disse Lina.

 ‘’Lo farò io’’, disse Teresa, convinta. Lina la guardò stupita.

‘’Sicura? Sei pronta per star sveglia buona parte della notte?’’.

‘’Certo che lo sono, non sono più una bambina. Fidati di me. Se si sveglierà e chiederà qualcosa, glielo darò, e gli darò dell’acqua. E poi, di letti non ne abbiamo’’, osservò infine la ragazza.

‘’Oh beh, io farò un giaciglio con la paglia, andrà più che bene. Ne farò uno anche per te’’, disse Lina.

‘’No, non stare a preoccuparti per me. Me ne starò su una sedia a fianco del letto del capo dei briganti, così correrò meno il rischio di addormentarmi e se si sveglia, potrò essere sempre pronta a controllarlo’’. 

‘’Contenta tu, contenti tutti. Ormai farà buio, vado a preparare qualcosa di caldo e un giaciglio per me’’, continuò a dire la donna, scrollando le spalle e andando nell’adiacente capanno degli animali.

Teresa se ne stette per un po’ a osservare la donna mentre faceva i suoi soliti lavori domestici. Poi, scaldò due ciotole di brodo e fece a quadretti due piadine, e quella fu la cena.

‘’Ho pensato che dormirò nel capanno degli animali, lì sarà caldo ed ho già preparato un bel mucchio di soffice paglia. Naturalmente, la stufa qui la gestirai tu, e per ogni bisogno chiamami. Se vorrai dormire un po’, ti darò volentieri il cambio. Vedi tu. Ora vado proprio a chiudere un occhio, sono sfinita’’, disse poi la donna, sbadigliando. Poco dopo, sprangò la porta d’ingresso.

Poi, Teresa la lasciò andare a riposare, e ben presto si trovò sola in cucina. Fuori era buio, la tormenta continuava, e aveva a disposizione alcune candele, decisamente poche da tenere accese tutta la notte. Inoltre, non poteva accedere il camino, poiché il forte vento, scendendo lungo la larga canna fumaria dell’abitazione, avrebbe causato solo fumo.

Chiedendosi come fare per illuminare le stanze, accese un piccolo fuoco nel piccolo braciere che Lina teneva in angolo della cucina, sempre pronto all’evenienza.

La ragazza sapeva che poteva essere pericoloso, e che avrebbe potuto far scoppiare un incendio, quindi si ripromise di stare sveglia e di mantenere vivo il fuocherello, mentre così poteva almeno illuminare le stanze.  

Poi, prese una sedia e la posizionò a fianco del letto in cui Giovanni giaceva senza sensi, e si sedette.

Teresa ebbe un brivido, poiché ogni tanto qualche spiffero o qualche raffica impetuosa di vento la facevano sobbalzare, ma si avvolse meglio il collo nella sua sciarpa e si mise a fissare il brigante.

Il suo volto era ancora pallido, ma non mostrava più quei lineamenti tirati tipici di chi non ne può più di soffrire. L’uomo continuava a riposare placidamente da ore, e Teresa sperò che non gli succedesse nulla di male. Non dopo quello che lei gli aveva ammesso. Eppure, quel corpo pareva non aver voglia di risvegliarsi.

La ragazza continuò a stare seduta sulla sedia per un lungo lasso di tempo. Poi si alzò, bevve un sorso d’acqua fresca che le tolse un po’ del torpore che l’avvolgeva ormai da un po’, e si avvicinò alla finestra, osservando il buio che c’era fuori e immaginando di vedere i fiocchi di neve cadere dal cielo, turbinando.

E fu in quel momento che, con la code dell’occhio, notò un piccolo movimento nel letto dell’infermo.

 

 

 

Giovanni aveva vissuto quei momenti di dolore come se fossero solo momenti lontani.

Non ricordava quasi nulla, tant’era stravolto dal dolore e dalla perdita di sangue.

Una volta portato nel letto di Lina, aveva pensato di morire. Sapeva che se certe ferite non venivano suturate nell’immediato portavano ad un progressivo dissanguamento e alla morte, e Lina non sembrava tornare mai. Poi, Teresa era apparsa quasi all’improvviso nel suo campo visivo, cercando di raccontargli cose sciocche.

Ma ad un certo punto, gli aveva detto una cosa. Che lui le piaceva. Non era sicuro di aver capito bene, oppure che si trattasse di un’allucinazione, comunque questo gli aveva donato le ultime forze necessarie per non mollare e per aspettare il soccorso di Lina, che era arrivato dopo un po’. Da lì ripartivano i suoi ultimi ricordi, poi una vecchia guaritrice gli aveva somministrato quello che doveva essere un potente sonnifero.

Ora lui si trovava a lottare con il suo flebile flusso di coscienza, che non aveva alcuna voglia di spegnersi e che lo tormentava con sogni ripetitivi e dall’apparenza tremendamente reale.

All’improvviso, per l’ennesima volta si trovò di nuovo nel giardino di quella maledetta villa.

In bocca, il sapore acre del sangue lo disgustava. Si girò indietro, e notò che con lui non c’era nessuno.

A passi svelti, prese a dirigersi verso l’ingresso dell’abitazione. Attorno a lui c’erano solo buio e ombre grottesche, e ben presto provò una forte sensazione di spavento.

Lui non voleva entrarci in quella casa, eppure suo corpo continuava a muoversi, quasi di corsa, verso quella porta chiusa. Dopo un breve momento carico di tensione, Giovanni si trovò nuovamente di fronte a quella porta di legno.

Cercò qualcosa con cui far leva ed aprirla, ma non appena la sfiorò, il legno di cui era composta si frantumò in mille pezzi. Era marcio. Giovanni, anche senza volerlo, entrò nella villa. Fece alcuni passi e si trovò in uno spazioso corridoio buio.

Al suo fianco, c’erano numerose porte chiuse. Afferrò una fiaccola trovata casualmente a terra, e prese a muoversi nuovamente  verso una delle porte.

Pochi istanti prima che la potesse sfiorare, essa si spalancò, rigurgitando fuori numerosi uomini armati. Giovanni saltò indietro, e prese a correre, eppure era già troppo tardi.

I nemici fecero fuoco, e una pallottola gli entrò nella spalla, e un'altra nel polpaccio. Gridando con tutto il fiato che aveva in gola, cadde rovinosamente a terra a pochi passi dall’uscita, che poteva essere la sua unica salvezza.

Stringendo la spalla, cercò di rialzarsi ma notò che decine di uomini dal volto indefinito gli erano addosso, ed aveva decine di pistole puntate contro.

Alzò lo sguardo e si trovò di fronte ad un volto noto, l’unico che lui avesse già visto in precedenza. Aldo, il capo della banda delle paludi, lo stava osservando, trionfante. Il suo viso era tutto un sorriso, mentre gli puntava la pistola alla testa.

‘’No, perché lo fai? Aspetta!’’, provò a dirgli, ma il bandito non rispose, anzi, rise forte e premette il grilletto.

Giovanni, all’improvviso, si trovò immerso nel buio più totale. Pensò di essere morto. Ben presto provò una sensazione strana, sembrava che stesse precipitando nel vuoto. Forse, stava precipitando verso l’inferno. D’altronde, nella sua vita non era mai stato troppo buono.

Prima che si potesse rendere conto di qualcos’altro, la sua mente scivolò improvvisamente verso Teresa. La voleva rivedere, voleva dirle che le dispiaceva di come si era comportato, e che lui ricambiava il suo interesse. Ma era troppo tardi, era stato ucciso da Aldo.

‘’Nooo!’’, ruggì, con tutta la potenza che aveva in corpo, rendendosi conto che poteva ancora parlare, o almeno pensare, e questo riaccese una minuscola speranza in lui.

Una fitta dolorosa sconvolse il suo corpo, e per un attimo, gli parve di vedere della luce. Si chiese da dove provenisse. Pensò che forse stava finendo all’inferno, e che quella luce fosse prodotta dalle fiamme eterne di cui tanto parlavano i preti, ma dovette smentirsi.

Sembrava che i suoi occhi si fossero riaperti, e di fronte a lui, stagliata contro la flebile luce di un qualche piccolo braciere acceso chissà dove, la figura di una donna lo stava osservando.

Giovanni, dopo un istante di esitazione, riconobbe la figura di Teresa. Non voleva perdere tempo; stava morendo e voleva parlarle, anche se non sapeva neppure se la ragazza era reale.

Si rese conto di riuscire a muovere una mano, però ben presto ne perse ancora l’uso. Un barlume di lucidità gli suggerì che ben presto il sonnifero l’avrebbe respinto di nuovo verso il vuoto di poco prima, tra sparatorie e ombre.

Lui doveva parlarle prima che fosse troppo tardi.

Fu in quel momento che riuscì finalmente a muovere coscientemente le labbra e a pronunciare una frase di senso compiuto.   

 

 

 

Teresa non aveva visto male. Infatti, il brigante stava muovendo una mano.

Pensando che stesse per risvegliarsi, la ragazza riempì il suo bicchiere d’acqua, pronta a servirlo non appena si fosse svegliato. Poi, tornò a sedersi sulla sedia a fianco del letto, sempre col bicchiere in mano.

Ben presto il volto del ferito parve contorcersi in una smorfia indefinita, e lei capì che molto probabilmente stava sognando.

Dopo poco, bofonchiò qualcosa nel sonno, ma la ragazza non riuscì a capire bene quello che stava dicendo, sembrava che il brigante stesse chiedendo a qualcuno di aspettare, poi tutto calò nel silenzio totale. Teresa restò ancora un po’ a guardare il suo volto, che parve rilassarsi, almeno per un po’.

‘’Noooo’’, gridò improvvisamente il ferito.

Teresa a momenti lasciò cadere il bicchiere, e un po’ d’acqua le si rovesciò addosso ugualmente. Spaventata dall’urlo selvaggio dell’uomo, la ragazza si alzò e si avvicinò ancora di più a lui.

Giovanni, intanto, appariva sconvolto, come se stesse sognando qualcosa di orribile. Teresa si chiese se Lina si fosse svegliata sentendo quel grido selvaggio, ma dovette riconoscere che molto probabilmente non l’aveva neppure sentito, poiché tra i rumori del legno scricchiolante e il ruggito impetuoso del vento della tormenta, avrebbe potuto anche crollare mezza casa che i rumori sarebbero stati inghiottiti da quel caos primordiale. Infatti, la donna non si svegliò.

Pian piano, intanto, il brigante aprì gli occhi. Teresa, che si era posizionata proprio con il volto sopra al suo, notò che gli occhi sembravano velati. L’uomo parve riconoscerla, e prese a balbettare qualcosa di incomprensibile. La ragazza non si preoccupò di tutto questo; la vecchia l’aveva lasciato detto che il sonnifero che gli aveva somministrato avrebbe avuto quegli effetti. Quindi, si preparò ad allungargli un po’ d’acqua.

‘’Teresa, sei tu?’’, disse Giovanni tutt’a un tratto, riuscendo a pronunciare qualcosa di sensato, e riprendendo un po’ di coscienza.

‘’Sì, sono io’’, gli sussurrò la ragazza.

‘’Io devo dirti una cosa… ed ho sete’’, continuò a dire a bassa voce l’uomo, tornando a socchiudere gli occhi. Teresa si accinse a dargli da bere, prima che si riaddormentasse.

‘’Me la dirai domattina, quando ti risveglierai completamente. Ora bevi’’, gli disse Teresa con tono bassi e pacati, mentre gli avvicinava il bicchiere alle labbra.

‘’No, devo dirti una cosa, prima’’, continuò a ribattere Giovanni.

‘’Ora bevi. Aspetta, ti alzo un po’ la testa’’, continuò a ripetere Teresa, assolutamente non intenzionata a lasciarlo senza bere, visto che anche lui aveva richiesto dell’acqua. Cercò di toccarlo, ma l’uomo si mosse, ritraendo lievemente la testa.

‘’No, devi ascoltarmi, prima. Poi berrò’’, disse nuovamente il brigante, serrando le labbra.

La ragazza capì che doveva lasciarlo parlare per un attimo, se no quel cocciuto non avrebbe bevuto.

‘’Dimmi allora, ma sbrigati’’.

‘’Sto per morire, lo sai?’’.

‘’Non morirai, stai tranquillo. Quelle visioni che hai e le sensazioni che provi sono dovute alle erbe. Domani sarai come nuovo’’, gli disse Teresa, sorridendo.

‘’No, io sto per morire. E non voglio andarmene… andarmene senza averti detto una cosa’’, continuò il brigante, a bassa voce e con brevi pause.

‘’Ecco, scusa per averti trattato male e per averti fatto soffrire. Sei la più bella ragazza che io abbia mai visto, e non ti meritavi tutto il dolore che ti ho procurato’’, riprese a sussurrare il ferito. Teresa abbassò gli occhi e non disse nulla.

‘’Nonostante tutto, tu mi piaci. Sei la prima ragazza che mi piace veramente… tu sei la mia tentazione. Sei così bella… e così testarda e dura, proprio come me. Sì, forse ti amo, ma tra me e te sai che non può esserci nulla…. Quando poco fa mi hai detto che ti piaccio, io, nella mia sofferenza, mi sono sentito meglio… e ora… sto per lasciare… se vuoi… farmi un favore… un regalo, te ne prego…’’, continuò a sussurrare Giovanni, mentre la sua razionalità tornava a vacillare, e stava per rientrare nel sonno.

Teresa rimase scossa dalle parole appena pronunciate dal brigante. Non aveva mai creduto che il suo interesse fosse ricambiato.

‘’Un regalo… prima di morire… fammelo, te ne prego… non te ne pentirai…’’, continuava a dire l’uomo.

‘’E quale sarebbe questo regalo che ti dovrei fare?’’, trovò la forza di chiedere Teresa, cercando di non lasciarsi andare alle emozioni. Erano soli lì, il loro dialogo non sarebbe mai trapelato fuori da quella stanza.

‘’Un bacio. Dammi un bacio… un bacio sulle labbra. Poi, berrò… e farò tutto quello che vuoi… se ricambi il mio interesse, baciami… un bacio…’’, continuò a ripetere il brigante.

Teresa si sentì avvampare le guance. Non aveva mai baciato un uomo, tantomeno intendeva farlo in quel momento. Però, le sarebbe piaciuto darlo a quell’uomo che a lei piaceva tanto. Doveva decidere in fretta.

Chiuse gli occhi, ed avvicinò il suo viso a quello di Giovanni, poi, rapidamente, lo baciò sulle labbra. Il tutto durò solo un istante, e ben presto quel bacio casto finì, e la ragazza tornò a rialzarsi, notando che il brigante ora aveva riaperto gli occhi e la stava fissando.

‘’Grazie… ti amo, Teresa. Ora posso bere, e poi morirò in pace’’, disse l’uomo, socchiudendo nuovamente gli occhi.

La ragazza, paonazza in volto e con le mani tremanti, gli alzò leggermente la testa e gli diede da bere. Lui bevve abbondantemente, e pochi istanti dopo crollò nuovamente nel sonno.

Teresa rimase così da sola, tremando nel bel mezzo della notte e della tempesta. Una tempesta che ora, oltre che travolgere la casa di Lina, travolgeva anche i suoi sentimenti.

Aveva sempre sognato il primo bacio. Da piccola, pensava che fosse riservato ad un principe, poi, col tempo, aveva capito che sarebbe stato dato ad un qualche nobile scelto dalla sua famiglia. Però, mai avrebbe creduto di darlo ad un brigante. Comunque, fu felice di averlo fatto, e di aver estraniato i suoi sentimenti. Ora anche lui sapeva, e ricambiava.

Chiuse gli occhi, e si immaginò il volto di suo padre adirato per quello che lei aveva appena fatto. Li riaprì e sorrise da sola. Gli aveva appena sfiorato le labbra con le sue, non aveva commesso nulla di grave.

Immersa nei suoi pensieri, la ragazza arrivò al mattino stanca e distrutta dalla lunga notte insonne, ma felice per quello che era successo.

Sperò solo che, a breve, quando Giovanni fosse tornato a svegliarsi definitivamente, si fosse ricordato di ciò che c’era stato fra loro, e delle loro confidenze.

Quando Lina si svegliò, e andò a vedere come andava la situazione, trovò Teresa tutta sorridente, nonostante le profonde occhiaie dovute alla notte insonne.

La donna non poté far altro che fissarla, sorpresa.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Ormai, i nostri due protagonisti sanno che provano un interesse l’uno per l’altra, e chissà… ma forse Giovanni quando si risveglierà non ricorderà neanche nulla. Vedremo J

Grazie ancora a tutti, spero che la storia continui a piacervi J a lunedì prossimo J

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

CAPITOLO 15

 

 

 

‘’Cosa c’è da essere così sorridente?’’, chiese Lina, dopo aver fissato la ragazza per qualche istante senza dire nulla.

‘’Oh, niente. Sono solo contenta che tutto vada bene. Giovanni è ancora vivo, e continua a riposare’’, rispose Teresa, cercando di mantenere un modo di fare innocente.

‘’Ah beh, questo lo vedo. Mi sembra che abbia anche riacquistato un buon colore. Non ti sembra anche tu?’’, chiese la donna con un tono insonnolito, mentre si accingeva ad avvicinarsi al letto del brigante.

‘’Sì, è vero’’, dovette riconoscere la ragazza.

Giovanni sembrava stare molto meglio, il suo volto era tranquillo e rilassato, e stava riacquistando il suo solito colore rosato.

‘’Per fortuna si è calmata anche la tormenta. Sai, questa notte il vento soffiava talmente tanto forte che ad un certo punto sembrava che gridasse come una persona’’, continuò a dire Lina, mentre ispezionava la stanza e spegneva il braciere lasciato acceso da Teresa.

La ragazza arrossì un po’, e dovette riconoscere che a quella donna non sfuggiva veramente nulla. Forse, però, le loro rivelazioni non era riuscita a sentirle.

‘’Può darsi. Il vento a volte gioca brutti scherzi’’, si limitò a rispondere nuovamente Teresa.

La ragazza si avvicinò alla finestra, e notò che iniziava ad albeggiare. La tormenta, effettivamente, si era placata, e la neve al suolo non era molta. Pian piano, anche il vento stava smettendo di soffiare.

Ma, tutto d’un colpo, un forte ululato infranse quel breve momento di silenzio.

Lina alzò subito la testa.

‘’Lupi. E non sono neppure molto distanti da noi. La fame e il freddo li hanno portati ad avvicinarsi di nuovo alle abitazioni’’, constatò con fare esperto la donna.

‘’Pensa che io non ne ho mai visto uno’’, ammise Teresa. Lina la guardò.

‘’Meglio così. Se questi ti trovassero in giro oggi, non ci penserebbero un solo istante ad aggredirti. D’inverno trovano meno prede, e quindi sono anche molto pericolosi, poiché sono molto affamati. In questo periodo dell’anno, sono pelle e ossa’’, spiegò Lina, continuando a fare le sue solite cose.

‘’Meglio non uscire fintanto che non sarà giorno. Comunque, bisognerà stare attenti lo stesso’’, continuò a biascicare la donna, quasi tra sé e sé.

Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. Le due donne sussultarono.

‘’Chi può essere?’’, chiese Teresa, spaventata.

‘’Boh. Comunque, stai tranquilla, non credo che i lupi abbiano imparato a bussare alle porte’’, disse Lina, ironica, scrollando le spalle ed avviandosi verso la porta d’ingresso. Con cautela, aprì la porta, senza spalancarla.

‘’Sono io, Lina. Aprimi’’, disse una voce maschile al di là della porta. Teresa la riconobbe subito; era quella di Mario.

‘’Beh, Mario, come mai qui a quest’ora? Ci hai spaventate’’, ammise Lina, facendolo entrare in casa.

‘’Mi dispiace di avervi spaventate, ma volevo vedere come stava il nostro capo. Mi ha fatto stare in pensiero tutto ieri e persino questa notte. Non vedevo l’ora di avere sue notizie’’, disse Mario, sorridendo debolmente. Si vedeva che era molto provato e che aveva riposato poco.

‘’Oh, per ora è tutto a posto, e sembra stare molto meglio. È andato tutto come Vanna aveva previsto. E poi, è stato assistito da Teresa per tutta la notte. Pensa che io ho dormito, mentre lei non si è staccata un attimo dal suo capezzale, servendolo come una serva’’, continuò a dire Lina, mentre Mario, dopo aver sbattuto gli stivali all’ingresso, si accingeva ad entrare nella camera da letto.

‘’Lo so che quella è una ragazza speciale, me ne sono reso conto fin dal primo giorno’’, disse l’uomo, che poi entrò nella camera da letto. Teresa abbassò lo sguardo, arrossendo lievemente, imbarazzata.

‘’Buongiorno, Teresa. Mi han già detto che ti sei presa cura del mio amico e capo. Te ne sono grato’’, continuò a dire il brigante.

‘’Non ha richiesto nulla di particolare, è stato semplice’’, provò a dire la ragazza.

Mario, intanto, le passò accanto e si recò a guardare Giovanni, che continuava a dormire, sotto l’effetto del sonnifero.

‘’Sta molto meglio. Non appena si risveglierà, sarà come prima’’, continuò a dire l’uomo, sollevato, guardando meglio l’amico.

‘’E questo è anche grazie a te’’, disse nuovamente Mario, alzando gli occhi dal letto e puntandoli su Teresa.

Lina, intanto, che per un momento si era affacciata all’entrata della camera da letto, si allontanò, per andare nella cucina, in modo da preparare qualcosa da offrire al brigante e alla ragazza.

‘’Non c’è bisogno che mi ringrazi’’, ribadì Teresa, sempre a occhi bassi. Mario le si avvicinò.

‘’Sei una ragazza speciale, Teresa. Noi ti abbiamo rapito, ti abbiamo rovinato la vita, eppure ti prendi anche cura di noi. Non sei una ragazza qualunque, e neppure una di quelle insopportabili nobildonne. Mi ricordi tanto un’altra persona speciale, che ho perso ormai da parecchi anni’’, continuò a dire l’uomo. ‘’Lascia che ti stringa una mano in segno di gratitudine’’, le disse nuovamente, allungandole la mano destra, che la ragazza strinse con vigore.

‘’Non ho fatto niente di che’’, continuò a dire Teresa, imbarazzata da tutta quella gratitudine riversata nei suoi confronti.

‘’Invece hai sempre fatto molto. Anche per lui, e per noi’’, ribadì Mario.

Teresa voleva chiedere qualcosa su quella persona speciale che Mario aveva citato poco prima. Quell’uomo le appariva misterioso, visto che nessuno sapeva nulla del suo passato. Si chiese se quella persona speciale, ormai scomparsa, fosse un qualche suo familiare.

‘’Mario, perdonami, ma poco fa hai citato una persona speciale per te, che purtroppo è scomparsa. Chi era?’’, chiese d’istinto la ragazza, mordendosi subito dopo il labbro inferiore. Quell’uomo l’aveva riempita di complimenti fino a quel momento, e lei lo ricambiava con domande maleducate e sfacciate.

Prima che il brigante potesse anche solo muovere un sopracciglio, corse subito ai ripari.

‘’Mario, scusa, sono stata una maleducata. Non devi dirmi nulla’’, provò a dirgli.

Ma ormai il brigante pareva disposto a fornirle una risposta. Con uno sguardo rapido, constatò che non c’era nessuno nei paraggi, a parte loro due e il ferito addormentato.

‘’Non hai chiesto niente di che. Ti risponderò subito, ma ti chiedo di non raccontare a nessuno quello che ti narrerò ora. È il mio passato… un passato che nessuno qui conosce, e che dovrei aver sepolto già da un bel po’. Provo dolore a raccontarlo, ma so che di te posso fidarmi. È un segreto, diciamo. Un segreto tra noi’’, disse l’uomo.

‘’Tu potrai fidarti totalmente di me’’, gli rispose la ragazza. Mario, intanto, aveva gli occhi umidi.

‘’Non voglio che gli altri sappiano che soffro ancora. Sai, sono ormai vecchio, e i vecchi non devono dare il cattivo esempio. Soprattutto qui, in questo luogo e in questa banda, sopravvive solo chi è più forte e più adatto a sopportare le sofferenze in silenzio. Tutti noi, d’altronde, abbiamo passato momenti molto dolorosi’’, continuò a dire a bassa voce l’uomo.

Quel rude brigante era in grado di sorprendere in continuazione Teresa. In compagnia degli altri, era un pilastro del gruppo, un vero e proprio punto di riferimento. Eppure, quando era da solo, diventava un essere spaurito e debole. Comunque, la ragazza non disse nulla.

 ‘’Ecco, la verità è che tu somigli tanto a mia figlia. Ma proprio tanto. L’ho notato non appena ti ho visto per la prima volta. Anche lei aveva dei bei capelli proprio come i tuoi, dei bei occhi e uno spirito un po’ ribelle’’, disse Mario, sempre a voce moderata.

‘’Perché… aveva?’’, chiese Teresa con dolcezza. Quell’uomo le faceva pena. Sotto la sua rigida maschera da uomo duro e inflessibile, fiorivano una marea di sentimenti.

‘’Aveva, poiché è morta. Non ho potuto far nulla per salvarla. Dopo aver abbandonato la mia famiglia d’origine, mi ero sposato con una bellissima donna, Augusta. Augusta era il meglio del meglio per me, ed infatti, già nel primo anno di matrimonio, mi diede una bellissima figlia. Si chiamava Lucia. Ma Augusta non sopravvisse al parto’’, iniziò a raccontare Mario, con fervore crescente, e facendo una piccolissima pausa, che non diede tempo neppure a Teresa di dire qualcosa.

‘’La bambina per sopravvivere aveva bisogno di una casa, di una balia, di un padre che guadagnasse qualcosa. Ebbene, io facevo il bracciante, e non guadagnavo quasi nulla. Così decisi di trovare un compromesso; avrei fornito tutto il denaro necessario per la crescita di mia figlia, ma avrei abbandonato la retta via, per diventare un fuorilegge, e fu quello che feci.

 Così, aggregandomi ad un gruppo di briganti che compivano rapine attorno a Forlì, riuscii ad avere denaro a sufficienza per il suo mantenimento, e affidai la bambina ad una famiglia di contadini poco distante, in modo che la crescessero con un tetto sulla testa ed insieme ai loro bambini. E fu così che la bimba sopravvisse ai primi mesi di vita, e ben presto divenne una ragazza, e che ragazza; era bellissima proprio come sua madre. Io passavo a trovarla di rado, non potevo farmi vedere troppo in giro, e commisi così l’errore di non esserle stato accanto abbastanza a lungo.

Mentre io ero impegnato a nascondermi, cinque anni fa, un’epidemia di febbri fece numerose vittime, e mia figlia ne fu contagiata. Non le potei stare vicino, poiché ero molto ricercato in quel periodo, e lei morì dopo alcuni giorni, senza che suo padre abbia avuto neppure il tempo per darle un ultimo sguardo. Avrà pensato male di me, ne sono certo’’, disse Mario, fermandosi un attimo e guardando Teresa, che abbassò gli occhi senza dire nulla.

‘’Avevo una figlia, e non sono neppure stato in grado di aiutarla e di crescerla in maniera dignitosa. Questo è l’unico rimorso che ho, vorrei tornare indietro e poter fare di meglio per lei. Gli altri contadini hanno tanti figli, eppure riescono a crescerli quasi tutti, io invece avevo solo lei e l’ho persa’’, continuò a borbottare Mario, sottovoce, mentre una lacrima prese a scorrergli lungo la guancia destra, per poi sparire subito dopo tra la barba. Teresa si trovò nuovamente in imbarazzo.

‘’Mario, mi dispiace, e non volevo farti tornare alla mente questi ricordi’’, provò a dirgli la ragazza.

‘’No, hai fatto bene. Qui nessuno conosce il mio passato, mi sono aggregato a questa banda solo alcuni anni fa e tanto, prima o poi, l’avrei dovuto confessare a qualcuno. Posso darti un consiglio?’’, riprese a dire Mario. Teresa fece un cenno affermativo con il capo.

‘’Sei così bella, e sei anche ricca. Non sei una contadina, e non sei una ragazza debole. Quando tornerai alla tua vita di sempre, cerca di essere felice. Non farti raggirare, scegliti un pretendente che ti ami e che ti protegga, non uno stupido o un bruto. Tu mi ricordi tanto mia figlia, non voglio che ti succeda nulla di male. Se ti dovesse succedere qualcosa di male, starei male anch’io’’, disse Mario, tremando.

Teresa continuava a rimanere stupita da quell’uomo e da ciò che diceva, ma capiva che era troppo scosso per capire che la sua vita era ben altro. Non appena lei sarebbe tornata a casa, suo padre l’avrebbe spedita direttamente tra le mani di un uomo inutile e stupido. E lei avrebbe sicuramente sofferto. Comunque, decise di non dare troppo dispiacere all’uomo che si era confidato con lei. Quel mattino, la ragazza imparò che anche gli uomini più duri avevano un cuore, e anche un truce passato da raccontare.

‘’Seguirò il tuo consiglio’’, gli rispose, senza esitare.

‘’Posso abbracciarti?’’, chiese il brigante, più sereno.

‘’Certo’’, gli disse la ragazza. Mario la abbracciò, e la strinse nella sua stretta, una stretta calda come quella di un padre. Teresa fu quasi certa che, per un attimo, lui avesse pronunciato il nome di sua figlia.

 ‘’Venite pure, ho scaldato un po’ di latte di capra’’, disse ad alta voce Lina, dalla cucina. L’atmosfera che si era creata si dissolse, e Mario si discostò da Teresa.

 ‘’Andiamo pure di là’’, le disse l’uomo, sorridendole. Teresa ricambiò il sorriso, poi, insieme, andarono nella cucina, dove Lina aveva effettivamente sistemato due tazze con dentro del latte.

‘’Non si è ancora svegliato?’’, chiese la donna, appena i due furono nella stanza.

‘’No, non ancora. Ma non penso che dormirà ancora per molto’’, rispose Mario.

 Teresa lo guardò, e notò che aveva ritrovato la sua solita espressione seria e rigida, senza alcuna traccia di sofferenza o lacrime.

I due si sistemarono e bevvero il loro latte, mentre fuori spuntava il sole. Il vento ormai aveva perso intensità, e non si sentiva più dar tormento alla casa, mentre le nuvole cariche di neve se n’erano  andate.

Finirono il piccolo pasto in fretta, e pochi istanti dopo sentirono tossire.

‘’Zvàn!’’, disse Mario, quasi incredulo. I tre andarono nella camera da letto, e trovarono il capo dei briganti intento ad alzarsi.

‘’Sdraiati immediatamente!’’, ruggì Mario. Giovanni lo guardò con una smorfia beffarda.

‘’Io faccio come mi pare. E se mi va di alzarmi, mi alzo. E poi, conosco questo genere di ferite, vedrai che non mi accadrà nulla’’, disse il ferito.

‘’No…’’, tentò di dire Mario, ma Giovanni lo interruppe con un gesto categorico.

‘’Devo andare dai ragazzi, per rassicurarli. La mia banda ha bisogno di me’’, continuò a dire il capo dei briganti, mentre si alzava.

 Teresa, più imbarazzata che mai, cercò di nascondersi dietro a Lina, chiedendosi se il brigante si fosse ricordato di quel bacio, e delle sue confessioni.

 

 

Giovanni si trovava a discutere con Mario, poiché non voleva che si alzasse.

Si dovette sforzare ad alzare al voce, poiché non se la sentiva di offendere l’amico. Un amico che aveva sofferto tanto. Non aveva mai saputo nulla del suo passato, ma ora ne conosceva almeno una parte, d’altronde si era sempre chiesto quale fosse il motivo per cui, fin dal primo giorno, si era preso tanto a cuore Teresa.

Aveva ripreso i sensi già da un po’, ma appena aveva riaperto gli occhi si era trovato ad ascoltare un segreto che Mario stava rivelando alla ragazza. Entrambi non lo stavano guardando, e lui, ancora intorpidito dagli effetti del sonnifero, aveva richiuso gli occhi e se ne era stato ad ascoltare, fingendo di continuare a dormire. E così aveva origliato tutta la storia del suo fedele compagno d’avventure.

Intanto che ascoltava ad occhi chiusi, i suoi ricordi erano tornati agli eventi di quella notte, e al bacio di Teresa. Lei lo amava, e lui pure. Sentì che dentro di sé voleva amarla, e voleva vivere una relazione con lei.

Poi, però, tutto si era adombrato, poiché sapeva che la ragazza, prima o poi, se ne sarebbe dovuta andare.

Se ne era stato silenzioso e immobile nel letto ad ascoltare fintanto che Lina  non aveva chiamato la ragazza e l’amico nell’altra stanza, e così lui aveva avuto campo libero.

Con un sospiro, si era tirato su dal letto, ed aveva cercato di muoversi. Il suo corpo aveva ripreso sensibilità, e gli effetti del sonnifero sembravano essere svaniti in un attimo, facendo divenire il dolore alla spalla e al polpaccio qualcosa di atroce.

Talmente tanto che non aveva potuto far a meno di farsi sfuggire un gemito, che aveva cercato di coprire subito con due colpi di tosse. Comunque, a quel punto, ormai gli altri se n’erano accorti che era sveglio, poiché l’avevano sentito.

Sbuffando, e facendo il sordo alle raccomandazioni di Mario, Giovanni tirò via le coperte e si tirò su completamente dal letto. La ferita di striscio al polaccio generava un bruciore sostenibile, ma la spalla non dava tregua. Provò subito a infilarsi gli stivali, con scarsi risultati.

‘’Vuoi proprio sempre fare di testa tua te, eh?’’, parve rimproverarlo Lina, mentre si chinava a dargli una mano.

Ben presto Mario non disse più nulla, e Lina lo aiutò a mettersi il mantello. Teresa, nel frattempo, sembrava distaccata, immersa in un silenzio imbarazzato.

Giovanni, per un attimo, si fece sfuggire un flebile sorriso, poiché immaginava che la ragazza stesse ancora pensando a ciò che era successo durante la notte. Quello doveva esser stato il suo primo bacio. Magari, sperava che lui se ne fosse dimenticato. O forse no, e ne aspettava ancora. Quei pensieri gli diedero la forza di muoversi, dando le spalle ai presenti e dirigendosi subito verso la porta. I suoi passi furono incerti e traballanti, ma non volle alcun aiuto. Non voleva mostrarsi debole.

‘’Zvàn, visto che vuoi proprio fare di testa tua, almeno ascoltami un attimo.  Devi stare a riposo, e alla sera verrò alla tua cascina per cambiarti le fasciature. Cerca di non fare sforzi, o la ferite peggioreranno. Se farai tutto questo, entro una settimana starai veramente molto meglio’’, disse Lina, con toni autoritari.

Mario non appariva molto convinto del comportamento irritato del suo capo, ma se ne stette zitto, mentre Teresa continuava a starsene in disparte. Giovanni ringraziò, biascicando alcune parole ed uscendo all’aria aperta.

La neve a terra non era molta, e non impediva i movimenti, anche se faceva piuttosto freddo. Fece un altro sospiro, più per cercare di calmare il dolore che altro.

Dopo poco, sentì dei passi a suo fianco. Era Mario che l’aveva raggiunto, tenendo tra le mani un bastone da passeggio.

‘’Non è che ti han dato anche una botta in testa, Zvàn? Sei più burbero del solito. Non hai neppure ringraziato Teresa, che ti ha vegliato tutta la notte’’, disse l’amico, risentito.

Giovanni continuò a lottare contro il dolore che lo tormentava, ma dentro di sé trovò lo spazio per un breve momento di divertimento; se solo l’amico avesse saputo che lui l’aveva già ringraziata, donandole le sue labbra. E se lei avesse voluto, gliele avrebbe donate di nuovo.

‘’Soffro molto, amico. E soffrirà ancora di più Aldo, quando ce l’avrò tra le mani’’, disse Giovanni. Mario lo guardò, sbalordito.

‘’Cosa centra Aldo, adesso?’’, chiese l’amico, incuriosito.

‘’E’ stato lui ad organizzare l’attacco ai nostri danni, due sere fa’’, rispose molto semplicemente Giovanni.

‘’No, questo non puoi dirlo. Non può essere stato lui, sarebbe stato tutto a suo sfavore’’, disse Mario, scrollando la testa. Giovanni si fermò un attimo, riprendendo respiro.

‘’E’ stato lui. Ha paura di me, ed ha organizzato tutto per farmi fuori. Se la banda fosse rimasta senza un capo, per lui sarebbe stato più semplice ingannarla al momento del pagamento del riscatto. Quei soldi li vuole tutti per sé’’.

‘’Può darsi, ma noi abbiamo la ragazza. Senza ragazza, non si conclude nulla’’.

 ‘’Ma pensi sul serio che a lui importi qualcosa della ragazza? Lui imbroglia, ruba e uccide. Vuole solo il bottino’’, continuò Giovanni, imperterrito.

‘’No, ora basta, Zvàn. Non dire sciocchezze, tutto questo non sta in piedi. E poi, in tutta sincerità, non ho idea di come tu abbia fatto a pensare ad Aldo’’, continuò a dire l’amico, sempre più scettico.

‘’L’ho sognato’’, disse Giovanni, con convinzione, senza pensare che questo sarebbe potuto essere oggetto di derisione. Infatti, Mario sorrise.

‘’No, Zvàn, è stato il sonnifero. Erano tutte allucinazioni. E ora smettila di pensare a queste sciocchezze, i ragazzi ti vogliono vedere sano e in forze’’, continuò Mario.

‘’Sì, quei ragazzi che al primo sparo mi hanno scaricato, lasciandomi indietro’’, ribatté con ira Giovanni.

‘’Oh, beh, cerca di capire. Lo spavento a volte fa brutti scherzi. Abbiamo rischiato tutti di morire in quell’imboscata. Cerca di capirli, e non mostrarti adirato con loro. Anzi, prometti a tutti un qualche premio, così te li legherai di più a te’’.

‘’Dannazione’’, bisbigliò Giovanni, dopo che l’amico ebbe finito di parlare. Nella sua carriera da capobanda, non si era mai trovato così in difficoltà a gestire la situazione. Lo stivale fece pressione sul polpaccio ferito, e per un attimo il brigante sembrò perdere l’equilibrio, rischiando di farsi male.

Mario, rapido come non mai, si affrettò sorreggerlo e a passargli il bastone, in modo da poter appoggiare parte del peso. A breve furono al covo, circondati dagli altri membri del gruppo.

Nessuno gli diede pacche, per via della ferita, ma tutti furono ugualmente molto cordiali.

Il capo dei briganti cercò di mostrarsi forte e sicuro di sé, e promise a tutti un po’ di denaro in più e maggior sicurezza durante le spedizioni a venire, entrambe cose che forse non avrebbe potuto mantenere.

Tutti comunque ne furono felici, e passarono una giornata tranquilla mentre Giovanni ben presto si trovò a trascinarsi verso la sua cascina, tutto solo.

Si chiuse la porta dietro di sé, mentre una lacrima gli scorreva lungo il viso. Era da anni che non piangeva, ma il dolore gli aveva fatto perdere il suo solito autocontrollo. Con un tonfo sordo, si lasciò cadere su una sedia, mentre le ferite facevano male, soprattutto quella alla spalla.

Lina si presentò molto presto, e cambiò con estrema cura la fasciatura alla spalla. Non disse nulla, se ne stette in silenzio tutto il tempo e dopo poco se ne andò.

Il brigante non voleva stare da solo quella notte, non se la sentiva. Il buio stava giungendo, e ben presto la notte avrebbe avvolto nuovamente tutto, portando con sé ombre ed incubi.

Eppure, proprio per questo, pensò che quella fosse la notte giusta per commettere una follia.

Appena furono calate le tenebre, si preparò nuovamente per uscire. Afferrò il bastone che gli aveva fornito Mario, gli si appoggiò ed abbandonò la sua cascina, zoppicando lievemente.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Giovanni ora sta meglio, e Teresa conosce il segreto di Mario. Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento J

Grazie a tutti quelli che ogni volta mi lasciano una recensione, e grazie anche tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le loro seguite, preferite o ricordate J  siete gentilissimi J

Grazie, per l’ennesima volta, a tutti J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

CAPITOLO 16

 

 

Teresa quella sera era tornata a dormire nella dimora che era stata appositamente preparata per lei il giorno del suo rapimento. Non aveva voluto stare a dormire da Lina, ormai, senza Giovanni, non aveva più senso farlo.

Andò a letto vestita, poiché il freddo durante la notte si faceva molto intenso, e le coperte scaldavano solo fino ad un certo punto.

Si infilò rapidamente sotto le lenzuola, e spense la candela. Si era appena fatto buio, ma per risparmiare legna e cera, di solito andava a letto non appena scendeva la notte, svegliandosi poi non appena iniziava ad albeggiare.

Le notti erano lunghe in quel periodo dell’anno, e Teresa passava momenti interminabili sotto quelle coperte, a volte coprendosi la testa, sempre nel timore di vedere un qualche spettro degli abitanti che l’avevano preceduta in quella casa.

Quella sera proprio non riusciva a prender sonno. Nonostante la precedente notte passata in bianco, il sonno tardava a presentarsi. Come al solito, si coprì bene, si girò su un fianco, poi prese un lembo del lenzuolo e se lo mise sul volto, come per volersi proteggere dall’ignoto che la circondava.

In quella posizione strana, i suoi pensieri scivolarono dapprima verso casa, poi verso Giovanni. Continuava a chiedersi se l’uomo si fosse ricordato di quello che c’era stato tra loro. Solo un bacio, ma per lei quel bacio valeva tanto, poiché era stato il primo che aveva dato.

Per l’ennesima volta, tornò a pensare che da piccola aveva immaginato di riservare il primo bacio per un grande condottiero o chissà, magari per un principe. E infine, il suo principe era stato un brigante barbuto e dall’aspetto piuttosto grezzo. Si trovò a ridere da sola per le sciocchezze a cui stava pensando.

Poi, con un sospiro, si girò sull’altro lato, pensando che quella sarebbe stata una lunga notte.

Finalmente, dopo un poco, il sonno iniziò a prendere il sopravvento, fintanto che un rumore impercettibile non disturbò la sua quiete mentale. In un attimo, la ragazza si ritrovò sveglia e attenta.

Per un po’ non sentì nulla, e questo la rassicurò. Convincendosi da sola che non c’era stato nessun rumore, e che si era immaginata tutto, Teresa tornò a girarsi di nuovo su un fianco e a chiudere gli occhi.

In quel momento, un altro rumore, questa volta più forte, la fece sobbalzare. Proveniva dalla serratura della porta.

Con il cuore che batteva forte nel petto, la ragazza gettò via le coperte che la coprivano e si sedette sul letto. Prontamente, accese la candela e si guardò attorno. Non c’erano spettri né altro, quindi dovette riconoscere che quel rumore doveva essere di altra natura. Forse di natura umana.

Un brivido le scese lungo la schiena, pensando che un brigante qualsiasi avesse potuto entrare e molestarla.

Si rassicurò, pensando che forse c’era Gianni nei paraggi. Poi, le tornò in mente che Lina le aveva detto che quella notte si sarebbe assentato per un po’, però lei sarebbe stata al sicuro poiché la porta era chiusa, e la chiave l’avevano solo lei, Giovanni, Mario e Gianni stesso.

Pochi istanti dopo, la serratura cedette definitivamente, facendo un rumore abbastanza forte.

La ragazza, terrorizzata, raccolse da terra un pezzo di legno, pronta a lanciarlo all’aggressore. Era ovvio ormai che qualcuno stava per entrare. Si mosse a passi svelti verso la porta della cucina.

‘’Chi sei?’’, provò a dire, la voce tremolante. Nessuna risposta.

Con gli occhi sgranati, Teresa non sapeva cosa fare. Tremava dal terrore, mentre si guardava attorno, attendendo che qualcuno facesse irruzione dalla porta d’ingresso, ormai senza serratura. Eppure, la porta non fu aperta.

Con prudenza, la ragazza strinse il pezzo di legno tra le mani, e si avvicinò alla porta, per cercare di capire meglio quale fosse l’origine di tutto quel trambusto. Quella fu l’unica cosa che le venne in mente.

Compiendo piccoli passi si avvicinò alla porta.

Improvvisamente, un sassolino colpì il vetro della finestra.

Teresa restò immobile, pietrificata. Non capiva il senso di quello che stava succedendo, e ormai lo spavento lasciava spazio alla disperazione. Chiedendosi il perché di tutte quelle azioni, fissò per un attimo la finestra, e per un istante fu certa di aver visto un’ombra muoversi.

Si allontanò dalla porta, tanto non poteva fare più nulla per richiuderla, e prese a correre verso la sua stanza da letto. Con due balzi, si gettò sul suo giaciglio e si coprì la testa con un cuscino, quasi piangendo, mentre la porta d’ingresso veniva spalancata.

Subito, uno spiffero gelido arrivò fino al letto, e Teresa, terrorizzata, continuò a stringere tra le mani il pezzo di legno. Non appena il bruto avesse cercato di toccarla, lei lo avrebbe colpito alla testa.

L’aggressore richiuse la porta, e lei poté sentirne i passi che si avvicinavano. Erano passi non troppo veloci, quasi traballanti, e questo la spaventò ancora di più. Forse era un mostro che viveva tra quei monti, o chissà quale abominio. Comunque, si preparò a scattare.

‘’Ahuuuu! Uuuu!’’, ululò lo sconosciuto. Sembrava un verso di un lupo vero, però non lo era. In quel momento capì che si trattava di un qualche malintenzionato che voleva divertirsi con lei.

‘’Beccati questo!’’, gridò Teresa, scoprendosi e tirando il pezzo di legno verso l’aggressore, che era nel bel mezzo della porta della camera da letto. Eppure, il pezzo di legno cadde a terra proprio ai piedi dell’aggressore, che si tolse il mantello, lasciandolo scivolare su una sedia poco distante.

Solo allora Teresa riconobbe Giovanni.

Il brigante, dapprima sorridente, fece una smorfia di dolore e si sfiorò leggermente la spalla. Poi, posò gli occhi su di lei.

‘’Piaciuto lo scherzo?’’, le disse l’uomo, tornando a sorridere. Teresa lo guardò, inferocita.

Con tre salti gli fu addosso, e lo afferrò per la barba. Nonostante il fatto che l’uomo ferito cercasse di allontanarla, lei non retrocedette di un millimetro.

‘’La vuoi sapere una cosa, brigante? Sei proprio un grande idiota’’, gli disse con rabbia, lasciandolo e andandosi a gettare nel suo letto, con il cuore che ancora batteva forte nel mezzo del petto. Non fece neppure caso alle parole pesanti che aveva appena pronunciato. Fino a quel momento, non si era mai permessa di comportarsi così con nessuno.

 

 

Giovanni si trovò a sorridere.

Teresa l’aveva sorpreso ancora una volta; aveva cercato di combattere e di affrontarlo, gettandogli contro pure un pezzo di legno.

Guardò la ragazza, che era distesa sul suo letto, con il volto ancora pallido per lo spavento subito, e lui non poté far a meno di sentirsi divertito. Anche se la giovane gli aveva gettato contro brutte parole, lui la vedeva lievemente sollevata. Poi, ancora una volta, una fitta alla spalla lo fece sospirare.

‘’Come ti è venuto in mente di fare tutto questo? Sei forse tornato ad essere un bambino piccolo? Non so, sei ferito, dovresti stare a riposo, eppure ti trovo qui a notte fonda, a tirare sassi alla mia finestra e a cercare di sfondarmi la porta’’, disse Teresa, la voce ancora lievemente stridula, ma con una bozza di un sorriso accennata sulle labbra.

‘’Non esageriamo, adesso. E comunque, per te farei questo e altro, fidati. Ti sei forse dimenticata di quello che mi hai detto ieri? E di quello che abbiamo fatto? Il dolore fisico è ciò che mi ha spronato a venire qui da te, per parlarne’’, le disse, continuando a sorridere.

Poi si sedette su una sedia, poco distante dal letto. La ragazza saltò su, e lo fissò.

‘’Ora mi sembri un’indemoniata’’, continuò a provocarla il brigante, cercando di sorridere. Si era impegnato seriamente per spaventare la ragazza, ma tutto questo non aveva fatto altro che dargli maggior tormento fisico.

‘’Taci. Per questa notte me ne hai già fatte passare abbastanza. Cosa vuoi?’’, gli disse, con un espressione apparentemente dura e senza accennare minimamente a voler dare una risposta alla questione sollevata poco prima.

‘’Magari un altro bacio’’, tornò a dirle Giovanni, sorridendo.

‘’Ma tu sei pazzo. È da quando ti hanno ferito che sei cambiato. E poi, dovresti essere a riposo, e non dovresti fare tanto movimento. Quindi, ora torna alla tua cascina e vai a dormire’’, gli disse Teresa. Il brigante non poté non sentire che la ragazza cercava solo apparentemente di allontanarlo.

‘’Non ho intenzione di tornare alla cascina. Se vuoi, resterò qui con te’’, le disse, cercando di sorridere. Alla fine non ci riuscì, poiché un’altra fitta dolorosa stravolse il suo volto.

‘’Co… come vuoi’’, balbettò Teresa, guardandolo. Aveva la solita aria imbarazzata, quella che assumeva ogni volta che si sentiva lievemente a disagio.

Giovanni fu comunque felice di non esser stato rifiutato. Poi, si alzò e le si avvicinò, facendo uscire da una tasca una bella collana, che posò tra le mani della ragazza. Teresa la fissò, incuriosita, e se la rigirò tra le mani.

‘’E questo cosa significa?’’, gli chiese dopo un piccolo periodo di silenzio.

‘’Beh, significa che ho deciso di farti un regalo. Sei stata molto gentile con me, te lo sei meritato’’, rispose lui, per niente imbarazzato. Teresa gli rivolse uno sguardo duro.

‘’Basta, Giovanni. Questa notte sei veramente fuori di te. Spero tu te ne renda conto. E poi, io non indosso oggetti rubati’’, gli disse la ragazza, gettandogli indietro la collana e rivolgendogli un’altra occhiata gelida. La collana cadde nel pavimento, e il suo tintinnio risuonò per tutta la stanza.

Giovanni abbassò lo sguardo, ferito. Teresa gli aveva rigettato in malo modo il suo regalo, e gli aveva rivolto solo brutte parole. Con un gesto deciso, si alzò e, prendendo il suo bastone, cercò di uscire dignitosamente da quella situazione imbarazzante.

Diede le spalle alla ragazza, e si diresse verso la porta, cercando di non mostrare nessuna traccia della sua sofferenza. D’altronde, aveva ragione lei. Era andato ad importunarla nel cuore della notte, senza alcun motivo, portandole un oggetto rubato, quando in realtà lei avrebbe potuto averne decine di quei gingilli, una volta tornata a casa.

A passi lenti, si diresse verso la porta, e la riaprì. Aveva sbagliato, il suo posto era con la sua banda e quella era solo una ragazza che aveva rapito per averne un riscatto. E lei l’aveva baciato solo per farlo contento, e forse non le importava nulla di lui. Ora gli appariva tutto chiaro, anche se faceva male riconoscerlo.

‘’Aspetta’’, disse la voce di Teresa, poco dietro di lui. Probabilmente l’aveva seguito, e lui, tant’era preso dalla rabbia, non se n’era neppure accorto.

Non gli andava di girarsi per rivederla, e magari spendere altre inutili parole, voleva andarsene. Ma, alla fine, il suo cuore ebbe la meglio sulla ragione. Si fermò nel bel mezzo della porta spalancata, e si girò indietro.

Teresa era pochi passi dietro di lui. Il suo volto non era più duro, ma preoccupato. Forse, aveva capito che l’aveva ferito, con le sue parole.

‘’No, non voglio sentire altro da te. Mi hai…’’, provò a dire Giovanni, ma non riuscì a completare la frase. Teresa gli si avvicinò, rapida come una faina, e lo baciò, chiudendogli la bocca.

Il bacio durò solo pochi istanti, e non appena la ragazza allontanò il suo volto, Giovanni non seppe resistere alla tentazione. Allungò le mani, e passò la sua mano destra tra i bellissimi capelli sciolti della ragazza.

Poi, sorridendole, la baciò, mentre dietro di lui la porta tornava a richiudersi, sbattendo fuori il freddo della notte. Quello che si scambiarono non fu più un bacio casto, ma qualcosa di più.

No, lei non era solo una ragazza rapita. Lei era la ragazza che gli piaceva di più al mondo.

 

 

Teresa si lasciò andare, liberandosi di tutta la tensione che aveva accumulato nell’ultimo periodo, e perdendosi in quel magnifico bacio.

Non aveva mai pensato che baciare qualcuno fosse qualcosa di così bello. Soprattutto se lo si ama veramente. 

Il brigante aveva un lieve odore di selvatico, che non era sgradevole al naso della ragazza, anzi, le appariva strano ma piacevole.

Non appena abbandonò le sue labbra, Giovanni la fissò negli occhi. Teresa gli sorrise, e gli passò una mano tra la folta barba, rimanendo sconcertata dal fatto che tutti quei peli fossero lisci al tatto, e che non formavano alcun nodo.

‘’Mi piace veramente un sacco la tua barba’’, provò a dirgli, poco dopo. Anche Giovanni sorrise.

‘’L’ho notato’’, le rispose, passandole una mano tra i capelli. Teresa abbassò la sua mano, e involontariamente sfiorò le bende dell’uomo. Giovanni si ritrasse subito da lei, poggiandosi una mano sulla fronte e facendo una smorfia.

‘’Scusa, giuro, non volevo…’’, si affrettò a dire Teresa, tremendamente dispiaciuta dal fatto di aver fatto involontariamente del male a quell’uomo che finora l’aveva trattata con tanto garbo.

‘’Non è nulla, tranquilla, tra poco passa’’, la rassicurò il brigante, che cercò di distendere un sorriso, con scarsi risultati. Solo in quel momento la ragazza notò i suoi occhi infossati.

‘’Giovanni, devi riposare un po’. Tutta questa agitazione non ti farà bene’’.

‘’Sì che me ne farà. Voglio stare con te, e voglio essere vegliato da te’’, le disse con toni dolci. Teresa lo guardò in modo strano, chiedendosi quanto quell’uomo rude doveva essersi innamorato di lei per giungere a parlare in quel modo.

‘’Prenditi pure il mio letto. Tanto, proprio non ho sonno’’, gli disse, mentendo, e il brigante non perse tempo. Dopo poco, era già disteso sul letto.

‘’Ehi, non approfittarne eh?’’, disse la ragazza, ironica.

‘’Non ne sto approfittando. C’è posto per entrambi, qui’’, le disse il brigante, facendosi un po’ da parte e battendo una mano sullo spazio rimasto libero.

Teresa divenne tutta rossa in volto. Sapeva che si poteva condividere il letto solo dopo il matrimonio, lo prevedeva l’etichetta. Le ragazze che facevano diversamente, erano ritenute poco di buono. E lei non era una poco di buono.

‘’Ehm…’’, tossicchiò, imbarazzata, cercando di andare verso la cucina.

‘’Suvvia! Non ti sto chiedendo nulla! Solo un po’ di attenzioni, tutto qui’’, disse ad alta voce il brigante, anch’esso ironico. Teresa non gli badò.

 ‘’Dormi lì e taci’’, sbottò dalla cucina, scuotendo la testa. Il brigante non disse più nulla.

La ragazza iniziò a chiedersi se lui l’amava veramente, o se era solo un momento di follia o uno scherzo. Solo ora iniziavano a saltarle alla mente domande che aveva sempre cercato di nascondere dentro di sé.

Si chiese cosa facessero le coppie nei letti nuziali. Subito, tornò ad accantonare quella domanda.

Una volta, quand’era più piccola e ingenua, aveva chiesto a suo padre come facevano a nascere i bambini. Ovviamente, non aveva ottenuto nessuna risposta adeguata. Da quel momento in poi, aveva capito che quell’argomento era un vero e proprio tabù e che le ragazze per bene non dovevano neppure pensare a tali cose.

L’unica risposta che aveva ricevuto era di lasciare libera la sua mente da cose impure. Quindi, le venne da pensare che l’attrazione che provava per Giovanni era impura. E, a rigor di logica, quei baci che lei gli aveva dato erano atti impuri e vergognosi. Ebbe un sussulto, e per un attimo le sorsero dei dubbi, che ricacciò indietro poco dopo, sorridendo da sola.

In quel momento non si trovava nella civiltà o in una chiesa, era sperduta sui monti, tenuta come prigioniera ma innamorata del suo carceriere. Tutto questo aveva dell’ironico.

Prima di annegare nei suoi pensieri, Teresa bevve un bicchiere d’acqua gelida, che la riportò per un attimo alla realtà. Si accorse di avere molto sonno, e di non poter reggere a lungo. Doveva trovare un posto dove dormire.

Improvvisamente, si chiese cosa stesse facendo Giovanni. Non aveva aperto bocca da un bel po’. La ragazza ebbe paura che stesse per farle un altro scherzo.

Con fare circospetto, andò nella camera da letto. Il brigante era a pancia in su, e dormiva profondamente. Teresa sorrise, e decise di provare a distendersi un po’ nel lato libero del letto. Per fortuna, il letto era piuttosto ampio.

Si promise di distendersi solo, di non dormire e neppure di avvicinarsi troppo al corpo dell’uomo. Lentamente, si appoggiò sul letto e si sistemò al meglio, stando attenta a non svegliare il brigante e a non sfiorarlo. Poi, spense la candela.

Giovanni non si mosse, e Teresa poteva udire il suo respiro lento e regolare.

Guardandolo nel buio, la ragazza ben presto perse la cognizione del tempo e finì per addormentarsi.

 

 

Era quasi l’alba.

Giovanni si svegliò, e pian piano si tirò su dal letto, cercando di non fare rumore o movimenti bruschi. Più il tempo passava e più riposava, meno la ferita alla spalla faceva male. Quella al polpaccio si era già cicatrizzata da sé, e probabilmente presto sarebbe guarita.

A suo fianco, Teresa dormiva con un sorriso stampato sul volto. Gli fece tenerezza.

Il brigante, dopo essersi messo al meglio il suo mantello, si abbassò con delicatezza su di lei, e le diede un bacio sulla fronte, stando attento a non svegliarla.

Poi, a passi felpati, abbandonò la casa, risistemando un po’ la porta e gettando via il pezzo di legno che la ragazza gli aveva tirato contro la notte prima. Nessuno doveva scoprire che lui quella notte era stato lì.

Poi, una volta risistemato tutto, sbarrò la porta d’ingresso e andò velocemente verso la sua cascina, ignorando i suoi dolori fisici, mentre il terreno ghiacciato scricchiolava sotto la suola dei suoi stivali.

 

 

‘’Buongiorno!’’.

Una voce femminile interruppe il suo sonno tranquillo, e Teresa si ritrovò a svegliarsi immersa nel panico.

Imbarazzata, per un attimo cadde preda di un terrore cieco, e, con gli occhi ancora appannati dal sonno, cercò subito la sagoma di Giovanni a suo fianco. Lina, sulla porta, la stava fissando con curiosità.

Teresa, intanto, notò che il letto era vuoto, e tirò un sospiro di sollievo. Il brigante doveva essersene andato all’alba.

‘’Teresa, cosa stai cercando?’’, le chiese Lina, incuriosita dal suo strano comportamento.

‘’Delle risposte!’’, disse Teresa, senza neppure pensare. Disse la prima cosa che le venne in mente. D’altronde, non poteva dirle che cercava il brigante.

Lina rise forte.

‘’Cosa? Delle risposte? Sei impazzita per caso?’’, le disse la donna, che poi tornò nella cucina continuando a ridere.

Teresa si tirò su dal letto, e si rese conto che veramente cercava delle risposte. Quelle domande che si era fatta durante la notte martellavano nella sua mente, e sapeva che l’unica persona in grado di risponderle correttamente e senza fare scandalo era proprio Lina. Lei doveva conoscere sicuramente le risposte a quegli interrogativi.

Indossò  velocemente il suo mantello, e si diresse il cucina, dove Lina la stava aspettando per andare a casa sua, con un sorriso stampato sul volto, ed uscirono insieme.

‘’Cerchi ancora delle risposte?’’, chiese Lina con toni ironici, tornando ad affrontare l’argomento di poco prima. Teresa prese la palla al balzo.

‘’Certo che le cerco ancora. Anche perché tu sei l’unica a questo mondo in grado di fornirmele’’, le rispose, con imbarazzo. Lina la guardò con aria interessata, smettendo di sorridere.

‘’Non ho proprio idea di dove tu voglia arrivare. Sono una povera donna ignorante, quali risposte vuoi che ti sappia dare? Non sono mai andata a scuola, non so neppure come si scriva il mio nome. Non credo di poterti dire molto’’, le disse, riprendendo a sorridere.

‘’Riguardo a certe cose che sai… dicono che sono impure, e che non vanno neanche pensate… ecco, cose che tu dovresti già aver visto o fatto…’’, continuò Teresa, balbettando e diventando lievemente rossa in viso. Era spaventata all’idea che l’amica pensasse male di lei ora, oppure che la sgridasse.

E invece, la donna riprese a ridere.

‘’Ah, ho capito dove vuoi arrivare! Beh, se proprio insisti, quelle risposte posso fornirtele. Però, prima voglio sapere una cosa. Non ne sai proprio nulla a riguardo?’’, chiese Lina, preparandosi ad aprire la porta d’ingresso della sua casa in legno.

‘’No’’, ammise Teresa, scrollando le spalle.

‘’Allora ti dirò tutto a riguardo, se lo vorrai. Però, prima, sarà meglio che ti occupi del tuo volatile ferito’’, le disse la donna, sorridendo ed indicandole il capanno degli animali. La ragazza pensò che la donna cercasse di sviare il discorso.

Teresa, infatti, andò subito a prendersi cura dell’animale, che ormai stava iniziando a guarire, ma non gli prestò molta attenzione. Era attratta dalle risposte di Lina.

Poco dopo, si recò subito in cucina, e mentre facevano colazione, Lina le spiegò quelle cose, sempre su sua richiesta. Teresa, imbarazzata, le nascose nel fondo della sua mente, promettendosi di non pensarle mai più.

Eppure, a conversazione finita, si sentiva stranamente soddisfatta.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Giovanni e Teresa stanno cambiando, pian piano. Il burbero brigante si sta raddolcendo, mentre la ragazza sta maturando sempre di più, e cerca di lasciare dietro di sé tutti quegli insegnamenti che le hanno passato fino a quel momento, arrivando a porsi interrogativi non proprio adatti alla sua classe nobiliare. Tutto questo sarà un danno per entrambi? Oppure sarà un processo positivo? Lo scopriremo presto J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

CAPITOLO 17

 

 

I giorni passavano sempre più in fretta.

Teresa si sentiva profondamente cambiata, non era più quella ragazzina spaurita che soli pochi mesi prima si sarebbe messa a piangere per una bambola. Ora, nonostante in teoria fosse ancora una prigioniera, nella realtà si sentiva più libera che mai.

Le piaceva la natura, e stava ore ad ascoltare il canto degli uccelli, nonostante il freddo pungente dell’inverno.

Ormai, nell’ultima settimana la neve era diventata una compagna costante degli Appennini, e il freddo era un amico che proteggeva i briganti dalle guardie, ma che allo stesso tempo li costringeva a modificare le loro abitudini.

Teresa non si sentiva più sola; ogni giorno, sapeva di avere un posto speciale nel cuore di Giovanni, anche se non erano mai riusciti a chiarirsi definitivamente le idee.

Lei lo amava, e lui pure. Si frequentavano assiduamente, e lui andava a trovarla di nascosto quasi tutte le sere, abbracciandola e baciandola con dolcezza. Ma il problema erano le loro vite, troppo distanti per trovare un punto in comune.

La distanza sociale, per ora, non era un eccessivo problema, anche perché in quel luogo era pressoché inesistente, mentre ormai lei era in grado di preparare la pasta e la piadina, sapeva custodire e curare gli animali e conosceva buona parte delle piante, così come il brigante, che invece aveva preso ad interessarsi ai libri e ai suoi studi. Per lei, era come vivere un sogno. Un sogno che si sarebbe infranto a breve, non appena suo padre avesse pagato il riscatto.

Al solo pensiero di quell’evento, una lacrima calda premette all’interno della sua palpebra. Con il dorso della mano, la ragazza corse a sfregarsi lievemente gli occhi. Non voleva che nessuno la vedesse piangere, ora lei si sentiva veramente sé stessa.

L’ansia e la cattiveria dei primi giorni si erano tramutate in calma e voglia di risolvere ogni problema con la razionalità. E avrebbe risolto anche quel problema. Infatti, aveva intenzione di avvicinare Giovanni, e di parlargli in modo franco.

Il brigante era guarito in fretta dalle ferite, riusciva a muoversi quasi come prima ed ora stava veramente molto meglio. Tra loro c’era stata solo una marea di baci e tante parole dolci, ma nulla di più. Nessuna promessa d’amore, nient’altro. Teresa voleva sapere ad ogni costo se lui la voleva a suo fianco.

Sorrise tra sé e sé, pensando a quanto fossero diventati ripetitivi i pensieri che scorrazzavano nella sua mente. Lina era lì con lei, poco distante, sempre a gettare legna dentro all’implacabile stufa.

‘’Se continua a fare così freddo, entro poco tempo avremo finito tutta la legna secca. E dopo ce ne sarà solo di quella verde’’, sospirò la donna.

‘’E dai, su, non farne una catastrofe. E’ appena una settimana che fa freddo, prima il tempo è sempre stato clemente. E poi, se inizi a bruciare la legna verde, chissà che fumo farai!’’, disse Teresa all’amica, ridacchiando. L’amica la guardò torva.

‘’Non sto scherzando. Tra pochi giorni, se continuerà così, sarò costretta a farlo’’.

‘’Ma smettila! Nel capanno ci sono ancora due cataste di legna da ardere. Potrai riscaldarti per tutto l’inverno!’’, continuò ad affermare Teresa.

‘’Forse hai ragione tu’’, disse Lina, scrollando le spalle. Ultimamente, quella donna era sempre meno ottimista riguardo al futuro, e Teresa non ne capiva il perché.

Smettendo di ridere, la ragazza si avvinò all’amica, che nel frattempo si era seduta su una sedia. Aveva l’aria abbattuta.

‘’Ehi, che c’è?’’, le disse, avvicinandosi.

‘’Niente’’, disse Lina, sempre con lo sguardo triste.

‘’Non mi pare che tu non abbia niente’’. Lina non rispose.

‘’Ti ricordi quando nei primi giorni eri tu a consolarmi?’’, le disse nuovamente, vedendo che la donna non aveva voglia di aggiungere altro. Eppure, non appena Lina sentì quella frase, si mosse a disagio sulla sedia.

‘’Oh, avanti, dimmi cosa ti assilla’’, continuò Teresa, sorridendole e abbracciandola con fare amichevole. Lina si divincolò dalla sua stretta, si alzò e si allontanò da lei.

‘’Possibile che tu proprio non capisca?’’, le disse a bassa voce, e per la prima volta, Teresa vide sul suo volto un’espressione sofferente. Fu certa che anche una lacrima stava per scenderle lungo una guancia.

‘’No’’, rispose alla donna, smettendo di sorridere.

‘’Allora, capirai presto’’, ribadì Lina, girandosi ed andando nella sua camera da letto.

Teresa si sedette su una sedia, e si prese per un attimo la testa tra le mani. Era vero che ora era molto maturata, e ora nella sua mente la cultura aristocratica e quella contadina si fondevano per creare qualcosa di forte ed originale. Sapeva persino com’erano fatti gli uomini, le aveva spiegato tutto l’amica, pian piano.

Eppure, solo in quel momento capì cosa assillava Lina, e cosa la stava rattristando ora. Era la consapevolezza che il suo tempo lì, tra i briganti, stava per concludersi.

Si alzò dalla sedia, e si avvicinò alla finestra, triste. Fuori, la neve bianca copriva tutto, dando quel senso di bellezza primordiale che Teresa tanto amava. Persino il più brutto o ruvido degli oggetti diventava il più bello e il più regolare, una volta coperto dalla neve.

Ecco, lei ora desiderava solo essere come uno di quegli alberi, e mettere le proprie radici lì sui monti. Niente più nobili, niente più abitazioni sfarzose, niente più parole false. Eppure la società stava per richiamarla indietro, lei se lo sentiva, così come se lo sentiva anche Lina.

La donna le si era affezionata molto, essendo l’unico individuo femminile della zona, e poi loro due erano molto simili.

Teresa si mosse con prudenza verso la porta. Pian piano, prese consapevolezza di ciò che doveva fare. Sapeva che il tempo per lei stava per scadere, ma non era troppo tardi, anzi, aveva ancora un bel po’ di tempo a disposizione per chiarire ogni questione.

Si avvolse la sua sciarpa di lana attorno al collo, ed uscì, abbandonando la casa di Lina.

A passi svelti, scomparve alla prima curva del sentiero innevato, in modo che l’amica non avesse potuto seguirla. Quella era una sfida solo sua, sua e di Giovanni.

 

 

Giovanni gettò il suo mantello sul tavolo della sua cascina, come se fosse uno straccio. Dentro di lui provava soltanto rabbia.

Mario gli aveva appena riferito che quel giovane rosso, Fabio, aveva iniziato a sparlargli dietro in sua assenza. I giovani, per ora, non lo ascoltavano neppure, però prima o poi sarebbe potuto accadere qualcosa di grave.

Inoltre, l’informatore che aveva portato la banda nel luogo dell’agguato di alcune settimane prima si era totalmente volatilizzato nel nulla, come se si fosse trattato di un’allucinazione. Eppure, il capo dei briganti era pronto a scommettere qualsiasi cifra sul fatto che il traditore si fosse nascosto tra i folti canneti delle paludi ravennati, protetto dal suo ipotetico mandante.

Mentre rifletteva su quei problemi, qualcuno bussò alla porta ed entrò. Giovanni riconobbe subito di chi si trattava; era Teresa.

La ragazza batté i piedi, poi si avvicinò ad una sedia, senza dir nulla. Sembrava avvilita. Giovanni la fissò male, anche lui era arrabbiato, e non gli andava proprio in quel momento di stare con lei. Eppure, poco dopo, tutti i suoi problemi scomparvero, lasciandolo solo a fissare la ragazza, che si stava togliendo la sua sciarpa di lana.

‘’Allora, cos’è tutto questo silenzio? E poi, non dovresti uscire con questo freddo. Lo sa Lina?’’, prese a chiede il brigante. La ragazza lo guardò con un’aria di sufficienza.

‘’No, non lo sa, ma non mi importa. Voglio parlare con te’’.

‘’Oggi no. Non me la sento, sono stanco e…’’.

‘’Non mi importa neppure di quello! Ma lo sai che ormai è passato un bel po’ da quando sono qui, e il nostro tempo sta per scadere?’’, disse la ragazza, guardando il brigante con i suoi grandi occhi castani e arrivando subito al punto.

‘’E quindi…’’, prese a dire di nuovo Giovanni, travolto dalle parole della ragazza.

‘’E quindi niente. Io vengo da te per parlare e riflettere su ciò che ci siamo detti, e su ciò che abbiamo fatto, e l’unica cosa che tu sai dire è ‘e quindi’, oppure ‘sono stanco’ o ‘non me la sento’?’’, disse Teresa, alzando lievemente la voce.

‘’Teresa, ci sarà tempo per pensare a noi, fidati, lasciamo perdere ora’’, disse Giovanni, quasi sbrigativo.

‘’Ma voi uomini siete tutti così stupidi? O lo sei solo tu in particolare? Dovete pensare solo a una cosa per volta e cercate di organizzarvi… e alla fine perdete tutto!’’, esclamò la giovane, lasciando Giovanni sbigottito. Teresa non gli si era mai presentata in uno stato simile.

Il brigante sbuffò, e si prese la testa tra le mani, appoggiandosi allo sbilenco tavolo di legno.

‘’Teresa, basta, per favore’’.

‘’Come fai a dirmi basta? Guarda, te lo voglio dire apertamente, ora. Io ti amo, brigante! Ti amo. E tu?’’.

Giovanni continuò a guardare la giovane, sconvolto. Teresa era cambiata molto ultimamente, era molto schietta e diretta, e nel giro di poche settimane non era più quella ragazza sperduta e disperata che aveva rapito. Era matura, ormai.

‘’Ti amo anch’io, Teresa, ma devi capire che noi…’’, disse il brigante, sospirando e facendo una piccola pausa.

‘’Che noi cosa?’’, continuò ad incalzarlo la ragazza. Sembrava volesse provocarlo.

 ‘’Che noi abbiamo le nostre vite, e i nostri progetti, che sono molto diversi’’.

‘’Non sono diversi, se tu lo vuoi. Prima mi baci, mi vieni a trovare la notte, mi coccoli e mi riempi di attenzioni… e poi ti dimentichi di me! E questo che intendi fare, forse. Dimenticarmi’’, disse la giovane, smettendo di fissarlo ed abbassando lo sguardo. Giovanni rimase colpito da quelle parole così forti.

‘’No, Teresa, io ti amo, e voglio andare a fondo con te. Per ora, ci siamo scambiati solo qualche bacio e qualche parola, ma quando sarà tutto a posto, faremo diversamente, e staremo insieme. Per sempre. Niente e nessuno potrà più separarci’’.

‘’E quando sarà tutto a posto? Mai, te lo dico io’’, continuò la giovane.

‘’Teresa, sei venuta qui arrabbiata, io non so cosa ti assilla. Non ne ho colpa, non sfogarti su di me. Sto solo cercando di fare del mio meglio, ti sto dando tutto quello che posso. Non posso farci nulla se la situazione è così tremendamente complicata. Ti posso solo dire che, in ogni caso, andrà tutto bene, te lo assicuro. Prova a fidarti di me’’, provò a dire il brigante, temendo di perdere la sua fiducia.

Poi, la ragazza lo sorprese nuovamente. Con rapidi gesti, si alzò e gli si avvicinò. Poi, lo abbracciò e lo baciò appassionatamente. Lui la lasciò fare, e ricambiò. La amava, non aveva dubbi a riguardo, e glielo voleva dire, voleva prometterle amore eterno, eppure c’era qualcosa dentro lui che non andava.

Sapeva che l’avrebbe delusa prima o poi. Quella non era la sua vita, lei si era fatta solo un viaggio mentale all’interno della sua testa, senza tenere più conto della realtà. Anche lui si era fatto quel viaggio, e non voleva più smettere. Ora, voleva solo sognare.

‘’Ti amo, Teresa, lo giuro. Ti amo, e troverò una soluzione a tutto questo. Ti voglio per sempre a mio fianco’’, disse Giovanni, in preda alla passione. Lei gli sorrise, non disse nulla e riprese a baciarlo. Dopo poco, le loro labbra tornarono a dividersi, e la ragazza lo guardò, soddisfatta.

‘’Quasi non ti riconosco più. Eri una ragazza così spaesata, così…’’.

‘’Così fragile, lo so. Ma le persone cambiano, e le esperienze fortificano. Sarà anche che ho scoperto l’amore’’, gli rispose Teresa, sorridendo, senza lasciargli concludere la frase.

Anche Giovanni le sorrise, sperando di riuscire a tenerla con sé. Però, dentro di lui sapeva già che la loro relazione non poteva avere un esito positivo.

Lei era pur sempre un’aristocratica, una ragazza che doveva desiderare una vita di agi, e lui questo non glielo avrebbe mai potuto fornire. Anche perché, anche se lui riuscisse a tenerla con sé, sicuramente ne sarebbe scaturita una disputa tra bande, con successivi disordini irreparabili. Ma non era solo quello il problema. Loro avrebbero anche potuto fuggire insieme, ma alla fine si sarebbero solo ridotti alla fame, e la giovane contessina lo avrebbe sicuramente odiato, a quel punto. Lui, in quel momento, non poteva offrirle niente di sicuro.

Si ripeté che i suoi sentimenti non contavano, e che avrebbe riportato la ragazza al padre non appena ce ne sarebbe stata l’occasione. Poi, se la loro relazione era destinata a durare, il destino li avrebbe fatti rincontrare in circostanze diverse. Ma ora, una relazione duratura e seria tra loro era improponibile.

Eppure, il brigante questo non lo disse a Teresa, e anzi, le mostrò un grande sorriso. Non voleva che lei conoscesse i suoi pensieri e i suoi dubbi, per il resto ci avrebbe pensato su, tanto di tempo ancora ne aveva un bel po’ a disposizione.

‘’Come sta il tuo fagiano?’’, le chiese dopo un po’, con fare gentile.

‘’Sta molto meglio. Probabilmente, saprà già volare di nuovo’’, rispose Teresa, sorridendo e prendendogli una mano. Giovanni la lasciò fare.

‘’Cosa pensi di farne?’’, le chiese nuovamente.

‘’Lo libererò. Voglio che torni in natura. Sai, ci ho pensato molto durante gli ultimi giorni, e mi piacerebbe liberarlo là, in quel magnifico posto che mi hai mostrato alcune settimane fa. Nel tuo posto segreto’’, ripeté Teresa, per esser certa che lui avesse capito. Il brigante scrollò le spalle.

‘’Mi sembra un posto ottimo. Meglio attendere un po’, però’’.

‘’No, preferirei andarlo a liberare il primo giorno di sole. Sarebbe bellissimo tornare lassù’’.

‘’Ehi, piano, non correre troppo. Chi ti dice che ti lascerò entrare ancora una volta nel mio posto segreto?’’, disse Giovanni, inizialmente fingendosi serio, poi ridacchiando.

Aveva notato che Teresa aveva fretta, sentiva anche lei che a breve la sua avventura sarebbe finita. E allora, il brigante si chiese il perché delle loro bugie. La verità era che loro non avrebbero mai potuto stare insieme, o formare una famiglia. O almeno, non in quel momento.

Giovanni fu travolto dai suoi sentimenti contrastanti. Lui la amava sul serio Teresa, ma avrebbe dovuto fronteggiare il mondo intero per averla per sempre a suo fianco. E  lui, in quel momento, voleva fronteggiare a muso duro quel mondo balordo, fatto di scorrettezze e di dolore.

‘’Lo so che mi ci porterai ancora, tanto ormai li ho già violati tutti e due i tuoi posti segreti’’, rispose lei dopo una piccola pausa, ironica, senza nessuna traccia di preoccupazione nella voce.

‘’Ah sì? E sentiamo, quale sarebbe l’altro mio posto segreto?’’, chiese ancora il brigante, divertito.

‘’Il tuo cuore’’, gli rispose Teresa, sorridendo.

Giovanni abbassò lo sguardo, imbarazzato, e sapendo che la giovane era innamorata follemente di lui, così come lo era lui per lei. Eppure, quando giungeva all’apice della felicità con quella magnifica ragazza, c’era sempre quel qualcosa, come un’ombra, che gli impediva di essere veramente felice.

Poco dopo, un qualcuno bussò alla porta, facendo allarmare i due. Era Lina. la donna entrò nella cascina, trafelata.

‘’Ah sei qui. Te ne sei andata senza dir nulla, temevo di averti fatto arrabbiare. Scusa, non era mia intenzione’’, disse subito all’amica.

Teresa si alzò dalla sua sedia, le andò incontro e l’abbracciò.

 

 

Teresa aveva temuto, anche solo per un attimo, che fosse qualche brigante a bussare alla porta. Se qualcuno della banda fosse entrato in quel momento e avesse colto lei e Giovanni in flagrante, ci sarebbero stati problemi. Invece, era Lina, che si era preoccupata per lei.

‘’E’ tutto a posto’’, sussurrò all’orecchio dell’amica, mentre l’abbracciava. Poi, l’abbraccio si sciolse, e Teresa pensò che era ora di lasciare Giovanni alla sua vita, almeno per quella giornata.

‘’E’ meglio che torniamo a casa tua, Lina. Ciao, Giovanni’’, disse al brigante, prendendo l’amica sottobraccio e abbandonando la cascina. Il brigante le guardò uscire senza dire  nulla, e tornò serio.

La ragazza non fu molto dispiaciuto a lasciarlo, tanto quella sera si sarebbero rincontrati di nuovo in segreto, ed ora era importante non mostrarsi troppo.

‘’Ehi, ma… non strattonarmi così!’’, sbottò Lina, mentre Teresa seguiva il sentiero innevato che portava a valle. Teresa non disse nulla, lasciando l’amica.

‘’I miei sospetti erano fondati. Tra te e lui c’è qualcosa’’, continuò a stuzzicarla l’amica. Teresa scollò le spalle, con fare innocente.

‘’E se anche fosse?’’.

‘’Se così fosse, sarebbe un bel problema. Teresa, ecco… io questa mattina ho reagito così d’impulso, la realtà è che mi dispiace che tu presto ci lascerai, per tornare a casa, sposarti…’’.

‘’Io non mi sposerò mai con nessun altro che non sia Giovanni! Ricordatelo’’, disse Teresa ad alta voce, fermandosi per un attimo. Lina la guardò, rivolgendole quei bei occhi grigi e pieni di tristezza.

‘’Molto presto, dovrai rivalutare i tuoi piani, allora. Comunque, proverò a ricordarlo’’, disse la donna.

‘’No, Lina, non dire così. A lui ho donato i miei primi baci, e a lui mi donerò per tutta la vita’’, continuò a dire Teresa, riprendendo a camminare e svelando per la prima volta i suoi più profondi pensieri. Lina sorrise.

‘’Quanto sei giovane, Teresa… eppure, mi sembrava che tu fossi cresciuta molto nell’ultimo periodo. Invece, sei la solita ingenua. Sei patetica’’. Le parole dell’amica ferirono profondamente Teresa.

‘’Cos’è, sei gelosa? Il brigante lo volevi tutto per te?’’, disse la ragazza, piena di rabbia e rossa in volto. Lina non smise di sorridere, ma il suo sorriso non era volto ad offendere l’amica.

‘’Ma ti senti quando parli? Io non lo voglio il tuo brigante, tienitelo pure. Ecco, io parlo così con te perché sono tua amica, e mi ritengo in obbligo di dirti la verità e di aprirti gli occhi’’.

‘’Le amiche si aiutano, si supportano e danno consigli. Tu invece mi offendi’’, provò a dire Teresa, mentre un’ombra di dubbio stava per prendere posto nella sua mente.

‘’No, Teresa, io voglio solo che tu non soffra. Le cose, in questo mondo, a volte non vanno proprio come vorresti e beh… lui ti ama sul serio, e questo si vede, ma a volte l’amore deve essere accantonato, a favore del bene di tutti. Non so se mi capisci, ma a breve ti torneranno in mente le miei parole e ci rifletterai su. Per ora, mi scuso, e ti prego di fingere che io non abbia mai detto nulla. Tengo molto a te, mi sono affezionata come se fossi una mia sorella minore, e non vorrei mai vedere le lacrime sul tuo viso. Soprattutto, se saranno innocenti’’, rispose la donna, con toni bassi e gentili.

 Poi, entrarono finalmente in casa, e il gelo che era sceso tra loro si dissolse, tornando a lasciar spazio alla normalità.

Teresa cercò in tutti i modi di dimenticare le parole dell’amica, certa che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi.

Aiutò l’amica a svolgere le faccende domestiche, nutrì gli animali e il fagiano ferito, e preparò delle buone piadine. Ormai, era in grado di fare tutto, era quasi una vera contadina. Le sue mani erano arrossate dal contatto con l’acqua gelida, e non si spaventava più di nulla.

E per concludere la giornata, quella sera Giovanni andò a farle la solita visita. Teresa non disse nulla, e nessuno dei due accennò al loro futuro, affidandosi completamente al presente.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Chiedo scusa a tutti voi lettori. Mi rendo conto io stesso che in alcuni punti sono costretto a velocizzare un po’ la narrazione, però spero mi capirete, d’altronde non posso soffermarmi troppo su tutto, o rischio di non arrivare mai al nocciolo della questione. A volte sono costretto, per così dire, a tagliar corto, e un po’ me ne dispiace.

Detto questo, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Come potete constatare anche voi, il rapporto tra Teresa e Giovanni è quanto mai delicato e fragile. È un rapporto appena costruito, un rapporto appena nato. Beh, del resto, pian piano, scopriremo come si evolverà la vicenda J

Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia, e in modo particolare tutti coloro che si soffermano un attimo a lasciare anche una qualche recensione. Siete veramente gentilissimi, tutti quanti J

Grazie di nuovo, a tutti J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

CAPITOLO 18

 

 

 

Il mattino successivo alla discussione con Lina, Teresa si svegliò piuttosto agitata. Era nervosa, anche se non lo voleva ammettere a sé stessa. Si alzò piano dal letto, e, altrettanto lentamente, si vestì.

Solo dopo essersi vestita prestò attenzione al sole, che splendeva basso all’orizzonte. Il cielo era sereno, e quel giorno, probabilmente, la temperatura sarebbe finalmente aumentata. La neve al suolo si era tramutata in ghiaccio nella notte, ma comunque non era molta, solo alcuni centimetri, poiché la maggior parte si era già sciolta nelle giornate precedenti. Alla vista del sole, tornò in lei anche il buonumore e la calma.

Smettendo di pensare agli eventi del giorno prima, sentì subito il classico bussare di Lina alla porta. Ormai, Teresa si era completamente abituata a quella ripetitività quotidiana, e andò ad aprire l’amica.

‘’Buongiorno!’’, disse subito la donna, con un tono euforico. Teresa sorrise.

‘’Ma che succede?’’, le chiese, con toni ironici.

‘’C’è il sole oggi, mia cara! È tornato a farsi vedere anche qui, finalmente’’, disse Lina, sorridendo.

‘’Faresti meglio a non sorridere. Se c’è il sole, non significa che non dovrai bruciare legna nella stufa, e ormai ti resta solo quella verde, che fa più fumo’’, le disse Teresa, prendendola in giro.

‘’Oh, ma piantala’’, rispose l’amica, tirandole una gomitata ad un  fianco.

‘’Ahi, smettila!’’, disse Teresa, ridendo. Poi, prendendosi sottobraccio come sempre, uscirono e raggiunsero la casa di Lina.

La temperatura esterna non era troppo bassa, e probabilmente entro mezzogiorno l’ultima neve superstite si sarebbe sciolta. E così fu.

La mattinata passò calma, come al solito. Teresa aiutò l’amica a fare i lavoretti domestici, e andò a nutrire il suo fagiano, che era completamente guarito, ed era pronto a riprendersi la sua libertà. Poi, dopo aver pranzato, la temperatura gradevole spinse la ragazza ad uscire e ad ascoltare il canto degli uccelli, tutti presi a cercare cibo a terra. La neve e il ghiaccio si erano sciolti in fretta, e ne restavano tracce solo nei versanti ancora non soleggiati.

Teresa aveva voglia di uscire e di godersi quella bella giornata, ma improvvisamente pensò che quello era il momento giusto per liberare il fagiano, che aveva nutrito poco prima.

Entrò nel capanno degli animali e prese la gabbia con l’animale dentro, e si diresse spedita verso la cascina di Giovanni, sperando che lui ci fosse. In poco tempo, compì la salita che portava alla cascina e bussò.

Da dentro, l’inconfondibile brontolio del brigante risuonò ovunque. Sorridendo, Teresa aprì la porta, ed entrò, lasciando la piccola gabbia fuori dall’abitazione.

‘’Teresa!’’, disse Giovanni, piacevolmente sorpreso.

‘’Immagina perché sono venuta qui’’, gli disse la ragazza, continuando a sorridere. Giovanni scosse la testa, senza dire nulla, almeno per un momento.

‘’Forse ci sono; oggi è una bella giornata, quindi vorresti liberare il tuo volatile’’, disse il brigante, dopo alcuni minuti di silenzio. Teresa fece una smorfia complice.

‘’Certo… sei perspicace!’’, gli disse.

‘’Oh, se non lo fossi stato, probabilmente sarei morto da un bel po’ ’’.

‘’Perché dici così?’’, chiese Teresa, sorpresa da quella repentina risposta.

‘’Oh, nulla. Allora, andiamo?’’, chiese il brigante, sbrigativo, alzandosi dalla sedia e sorridendo.

‘’Certo!’’, rispose la ragazza, contenta.

 

 

Nulla fu nuovo per loro, tutto andò come la volta precedente.

Giovanni sellò Furia e Pezzato, e successivamente aiutò Teresa a salire sul cavallo. La ragazza si sentì felice quando le mani dell’uomo si posarono su di lei, anche se solo per un istante.

Poi, i cavalli partirono. Non era particolarmente freddo, e mentre percorrevano i sentieri di terra battuta che portavano al loro luogo segreto, la ragazza non se la sentì di stare in silenzio. Si era abituata all’andamento di Pezzato, e non temeva più di cadere, sapendo di essere al sicuro su quel mansueto animale.

Prima di iniziare a parlare, si strinse meglio al petto il fagiano, che teneva con la mano libera, mentre l’altra stringeva le briglie. Il volatile, come al solito, se ne stava tranquillo tra le mani di Teresa, come se fosse consapevole che era stata lei a salvarlo.  

‘’Giovanni’’, disse dopo poco.

‘’Dimmi’’, rispose lui, pazientemente.

‘’Tu sai parecchie cose di me e della mia vita, ma io non so nulla della tua. Raccontami qualcosa di te e della tua vita passata’’, disse la ragazza. Subito, vide il brigante irrigidirsi sulla sella.

‘’Se ti va, se no fa lo stesso’’, tentò di rimediare Teresa. Ormai conosceva il comportamento del brigante, e sapeva che si irritava facilmente, soprattutto se lo si faceva pensare ad argomenti di cui non voleva parlare.

‘’No, mi va. C’è qualcosa di specifico che vuoi sapere?’’, chiese l’uomo con voce calma, sorprendendo Teresa. La ragazza ci pensò su per un attimo, prima di rispondere.

‘’Chi erano i tuoi genitori?’’.

Giovanni scrollò le spalle.

‘’Contadini. Contadini morti di fame, che facevano i braccianti’’.

‘’Oh’’, disse Teresa, abbassando lo sguardo. Si diede della sciocca, poiché non avrebbe dovuto porre quella domanda. D’altronde, era scontato che i genitori di un brigante fossero persone povere.

Giovanni, intanto, si girò un attimo indietro e la guardò sorridendo.

‘’Che c’è, ti ho deluso? Pensavi fossi figlio di un qualche nobile? Ah, no, questo no, mi dispiace ma devo deluderti allora. Ho sofferto la fame per buona parte della mia giovinezza, e a me è andata particolarmente bene. Due dei miei fratelli sono morti per questo’’, continuò Giovanni, con fare cinico.

Teresa si pentì di aver iniziato quello che sembrava un interrogatorio, poiché aveva riportato alla luce un passato pieno di dolore del brigante. E lei non voleva rovinare quella giornata speciale in quel modo.

‘’Basta così, per favore’’, provò a dire, per interromperlo.

‘’Cos’è, hai paura di sentire come va il vero mondo? Guarda che la maggior parte della gente vive al di fuori dei grandi palazzi signorili, ed ogni giorno deve affrontare soprusi e fame’’, continuò a dire il brigante, lasciandosi andare, con cinismo crescente.

Teresa non disse nulla, imbarazzata e consapevole di aver rovinato quel momento di intimità con le sue stupide domande. A quel punto, il brigante si accorse che stava sbagliando, e non disse più nulla, fintanto che non giunsero a destinazione. Solo allora, mentre aiutava Teresa a smontare da cavallo, la guardò e le parlò con toni carichi di scuse.

‘’Perdonami per prima, Teresa. Mi sono lasciato andare ai ricordi, che come avrai capito, non sono piacevoli. Ma tu non ne hai colpa’’, le disse, guardandola con quei suoi occhi profondi e sinceri.

‘’No, sono io che sono stata imprudente e maleducata a voler entrare nella tua vita’’, disse la ragazza, scrollando le spalle. Giovanni sospirò.

‘’Non è così, è colpa mia che mi lascio sempre trasportare dalla rabbia. E questo è un male, poiché dovrei lasciarmi trasportare solo dall’amore, ora’’, aggiunse il brigante, che poi, a sorpresa, la baciò.

Il bacio durò appena un attimo, ma la ragazza sapeva che quello non era il momento giusto per lasciarsi andare, visto che prima di tutto dovevano completare la missione per la quale erano giunti fin lì.

‘’Comunque, non sei l’unico della tua banda ad aver avuto un duro passato’’, disse Teresa poco dopo, mentre il brigante le faceva cenno di seguirlo.

‘’Hai ragione, c’è chi ha passato di peggio. Mario ha pure perso la sua unica figlia’’.

La ragazza si bloccò per un istante, sorpresa dall’affermazione di Giovanni. Mario le aveva detto che non aveva mai rivelato il suo segreto con nessuno, e quindi era impossibile che il suo compagno d’avventure fosse a conoscenza di quel tragico evento.

‘’Come fai a saperlo?’’, chiese la ragazza, titubante. Il brigante si girò verso di lei e sorrise con fare innocente.

‘’Beh, io so tutto’’.

‘’Non è possibile che tu sappia tutto. Mario ha giurato di non aver mai rivelato il suo segreto a nessuno, tranne che a me, e poi scopro che tu lo conosci già. Non me la racconti giusta, quindi voglio sapere come fai ad essere a conoscenza di questo fatto’’, continuò Teresa, imperterrita.

‘’Se proprio ci tieni, te lo dirò, ma solo dopo aver liberato il tuo volatile. Seguimi, ora’’, le disse Giovanni, invitandola a proseguire.

Teresa a quel punto si mise a seguire la sua guida, e ben presto giunsero allo stesso luogo dove si erano intrattenuti alcune settimane prima. Il panorama era sempre lo stesso, tranne per il fatto che, nel versante opposto, c’erano una decina di grosse vacche bianche al pascolo. Viste da lì, sembravano solo puntini lontani, eppure Teresa sapeva che quelli erano animali di grossa taglia.

‘’Basta guardare in giro. È giunto il momento di ridare la libertà al tuo amico’’, disse Giovanni, interrompendo i pensieri della ragazza.

Teresa strinse a sé il fagiano per un’ultima volta.

Il volatile non si muoveva, era veramente molto mansueto, e alla ragazza dispiaceva tantissimo separarsi da lui, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Con un sospiro, lasciò andare la creatura, che in un primo momento si guardò attorno, smarrito. Poi, dopo aver percorso un paio di metri a piedi, prese il volo raso terra e sparì tra la boscaglia, lanciando forti versi.

La ragazza quasi esplose dalla felicità. La creatura che aveva accudito ora sapeva nuovamente volare, ed era perfettamente guarito. Si sentì importante, poiché era riuscita a salvare la vita di un essere vivente.

Anche Giovanni se n’era stato fermo, immobile a godersi la scena.

‘’Ce la farà a sopravvivere?’’, chiese Teresa, non appena il volatile scomparve dalla sua vista.

‘’Certo che ce la farà, è guarito perfettamente. Fintanto che resterà in questa zona, sarà al sicuro, poiché ci sono pochi predatori, ed inoltre non è un’area dove i ragazzi vanno a caccia. In più, qui ci vive anche una femmina solitaria, della sua stessa specie, l’ho vista parecchie volte. Sono certo che tra un paio di mesi, se torneremo qui troveremo una bella famigliola di fagiani’’, disse il brigante, sorridendo. Teresa si rilassò, felice di aver dato un nuovo futuro a quella sfortunata creatura.

Eppure, la ragazza continuava ad avere una domanda che la rodeva dentro di sé. Si avvicinò al brigante, che nel frattempo si era seduto su una roccia. Il sole era abbastanza caldo, e Teresa si sentì bene come non mai, almeno per un istante.

‘’Ora me lo devi dire. Come fai a conoscere il segreto di Mario?’’, disse la ragazza, riprendendo la conversazione di poco prima. Il brigante sghignazzò.

‘’Ma è ovvio! Ho ascoltato la vostra conversazione’’. Teresa rimase impietrita.

‘’Come… cosa… vuoi dirmi che…’’.

‘’Sì, voglio dirti che ho spiato. Involontariamente, però’’, ammise Giovanni, sorridendo.

‘’Che mascalzone che sei! Tutti noi eravamo preoccupati per la tua salute, e attendavamo che tu ti risvegliassi. Invece, te ne stavi ad occhi chiusi ad origliare i segreti altrui!’’, disse la ragazza, con voce offesa.

‘’Non è andata proprio così, però, se lo dici tu…’’, disse il brigante, ridendo.

‘’Non c’è nulla da ridere! L’hai combinata grossa. Quello è il segreto di Mario, e non vuole che qualcuno lo vada a spifferare in giro’’, continuò Teresa, irritata.

‘’Ehi, stai tranquilla, non dirò nulla. Sai che i miei compagni possono sempre contare su di me’’.

‘’Ed io?’’.

‘’Tu? Che c’entri tu?’’, disse il brigante con toni ironici, scoppiando poi a ridere, seguito a ruota da Teresa. Alla fine, le si avvicinò e l’abbracciò, stringendola forte tra le sue braccia muscolose.

‘’Ma certo che puoi contare su di me’’, le sussurrò all’orecchio, poi la baciò. Teresa, colta come sempre di sorpresa, lo ricambiò con passione.

Da quel momento in poi, iniziò il più bel pomeriggio che lei avesse mai vissuto. Le ore passarono tra coccole, baci e dimostrazioni d’amore. Lei lo amava, e lui la ricambiava con passione. Era tutto a posto, pensò.

Le ore passarono in fretta, e ben presto il sole iniziò ad abbassarsi all’orizzonte.

‘’Ora dobbiamo andare, o non riusciremo a tornare a casa’’, notò Giovanni, che si alzò in piedi, ripulendo il suo mantello. Teresa si limitò ad annuire, dispiaciuta, ma pur sempre consapevole del fatto che il brigante aveva ragione.

Raggiunsero in fretta i cavalli, che stavano pascolando liberamente nelle vicinanze, e si misero in marcia. Il viaggio di ritorno fu più silenzioso di quello d’andata, almeno all’inizio. A Teresa non andava di parlare, non sapeva il perché.

A metà del tragitto, Giovanni si agitò improvvisamente sulla sella, mentre Furia nitrì forte. Teresa inizialmente non vide nulla, ma si spaventò, poiché anche il placido Pezzato provò un brivido e si fermò.

Il brigante cercò di riprendere il controllo del suo cavallo, che aveva preso paurosamente ad indietreggiare, mentre con la mano destra correva a tirar fuori la pistola dalla fondina nascosta sotto il mantello.

Teresa, sbalordita, continuò a non capire cosa stesse succedendo, almeno fintanto che il suo sguardo non incontrò un paio d’occhi gialli e profondi. Capì subito che si trattava di un lupo. L’animale era fermo nel mezzo del sentiero di terra battuta, e fissava i cavalli spaventati, ma non sembrava aggressivo. Comunque, era molto magro.

‘’Dannazione!’’, continuò ad imprecare Giovanni, mentre si ristabiliva sulla sella e si preparava a prendere la mira. Il brigante puntò la pistola e in un attimo fu pronto per sparare.

‘’No!’’, gridò Teresa, facendo girare l’uomo, che così si deconcentrò per un attimo dal lupo. L’animale, dopo aver dato un’occhiata a Teresa, sgattaiolò via, sparendo tra i cespugli bassi di ginepro che circondavano il sentiero. Quando Giovanni tornò a prendere la mira, era troppo tardi.

‘’Che ti è preso? Se non avessi urlato, da quest’ora quello l’avrei già fatto secco. Cosa credi di fare, salvandolo? L’hai visto quant’era magro, no? Quella bestia affamata è un pericolo’’, disse Giovanni, schiumante di rabbia.

‘’Non era pericoloso. L’ho capito subito’’, disse Teresa, per nulla intimorita.

‘’A volte sei proprio strana, Teresa’’, sbottò il brigante, che poi riprese la discesa, scrollando le spalle.

I cavalli all’inizio furono un po’ reticenti a proseguire, poiché sentivano ancora l’odore del predatore, ma poco dopo ripresero a muoversi come se non fosse mai successo nulla.

Giovanni cercò di velocizzare il ritorno, e non disse più nulla. Lo stesso fu per Teresa, che non fece altro che pensare alla bellezza che aveva intravisto in quei magnifici occhi gialli. Era tutta la vita che sognava di vedere un lupo, ed ora era stata accontentata. Aveva sempre immaginato i lupi come animali grossi e grassi, e non così magri e minuti, ma faceva lo stesso, lei era soddisfatta di averne visto uno, ma soprattutto non le aveva fatto paura.

Quando riuscirono a rientrare stava già per farsi buio, e Giovanni la lasciò alla sua abitazione in gran fretta, promettendole che sarebbe tornato più tardi. La ragazza, felice di aver passato quel magnifico pomeriggio pieno d’amore, entrò nella sua abitazione e chiuse la porta dietro di sé.

Poco dopo, scoprì che Lina le aveva lasciato un pasto pronto sul tavolo della cucina. Sorridendo, e pensando che all’indomani avrebbe dovuto ringraziare l’amica e scusarsi per la sua improvvisa scomparsa, Teresa si sedette e si gustò lentamente le sue pietanze.

 

 

Teresa aveva finito di cenare già da un po’, e fuori dalla finestra era già tutto completamente buio. Giovanni tardava a raggiungerla, quella sera.

Con un pizzico di preoccupazione, la ragazza si mise ad ammucchiare un po’ di legna vicino alla stufa. Poi, sentì un rumore, quasi un fruscio, provenire al di là della porta.

Subito, Teresa pensò che si trattasse di Giovanni, e abbandonò la legna per dirigersi verso la porta. Ma proprio quando stava per aprirla, sentì un piccolo verso, un verso simile ad un ululato. Impaurita ed incuriosita allo stesso tempo, la ragazza scelse di non aprire la porta ma di guardare dalla finestra, in modo da scoprire chi c’era lì fuori.

I vetri della finestra della cucina erano appannati, e decise di aprirli, in modo da vedere tutto in modo più chiaro, tanto c’erano le grate e chiunque fosse stato lì fuori non avrebbe potuto farle nulla. Sorrise, pensando che magari si trattava di Giovanni che le faceva lo stesso scherzo di un po’ di tempo prima.

Con un sospiro, e preparandosi a ricevere lo schiaffo gelido dell’aria notturna, spalancò i vetri e posò sul davanzale una candela accesa. E fu così che scoprì che quella volta non si trattava di nessuno scherzo.

Poco distante dalla porta d’ingresso, c’era un lupo. L’animale la stava fissando con i suoi profondi occhi, come se la stesse studiando. Teresa lo fissò, e notò che era molto magro, e le parve di riconoscerlo; si trattava dello stesso lupo che avevano incontrato lei e Giovanni quel pomeriggio.

L’animale se ne stette ancora per un attimo a fissarla, poi si dileguò nel buio. La ragazza richiuse la finestra, ma non fece in tempo a fare altro che la porta si aprì.

‘’Auuuuh!’’, ululò Giovanni, entrando in casa e cercando di coglierla di sorpresa.

‘’Smettila!’’, disse Teresa, stizzita, chiudendo subito la porta.

‘’Ehi, che succede? E…’’. il brigante non fece in tempo a dire altro, poiché la ragazza gli mise una mano sulla bocca.

‘’Smettila di fare il suo verso. Solo un istante fa era qui fuori, e mi guardava’’.

‘’Chi ti guardava?’’, chiese Giovanni, stupito, non appena Teresa lo lasciò parlare.

‘’Il lupo che abbiamo visto questo pomeriggio. Ci ha seguito, è giunto fin qui ed era proprio di fronte alla porta’’.

‘’E’ raro che i lupi si avvicinino così alle abitazioni, ed è impossibile che un lupo ti abbia preso di mira e che ti abbia seguito per tutto un pomeriggio. Non hai visto com’era magro? Quello avrà avuto le forze per fare a malapena venti passi’’, disse il brigante, sorridendo.

‘’Era lui! Ed era qui’’, continuò Teresa.

‘’Io sono arrivato poco fa, e ti garantisco che qui fuori non c’erano lupi’’.

‘’Se n’era appena andato, forse è scappato sentendoti arrivare e…’’.

‘’Basta, Teresa. Hai subìto uno spavento tale oggi pomeriggio che ora vedi lupi ovunque’’, disse il brigante, con lo stesso tono di chi non crede neppure ad una parola del suo interlocutore. Teresa s’imbronciò.

‘’Tu puoi pensare ciò che ti pare, ma il lupo c’era’’, continuò la ragazza, decisa più che mai ad essere creduta. Giovanni scrollò le spalle.

‘’Allora c’era. Come vuoi tu’’, le disse, facendola arrabbiare ancora di più. La ragazza non sopportava chi la trattava con sufficienza.

‘’Guarda ch…’’.

Teresa non riuscì a dire altro, perché Giovanni la prese tra le sue braccia e la baciò.

‘’Non voglio stare tutta la notte a litigare a causa di un lupo. Se c’era, ora se n’è andato ed è nel suo bosco, lontano da qui. Pensiamo a noi’’, le sussurrò dolcemente.

‘’Hai ragione’’, riconobbe Teresa, calmandosi. Poi, ripresero a baciarsi.

‘’Sai, io mi sarei stancata di tutti questi baci. Vorrei passare a qualcos’altro, qualcosa di più impegnativo per noi’’, disse la ragazza poco dopo. Giovanni la guardò, stupefatto.

‘’Cosa intendi per qualcosa di più impegnativo?’’, le chiese.

‘’Dai che lo sai anche tu. Quello che fanno tutte le coppie, no?’’, disse Teresa, maliziosa. Intanto, lo stupore non accennava a sparire dal volto del brigante.

‘’Si può sapere chi ti ha raccontato certe cose?’’, chiese Giovanni, intuendo che qualcosa non andava. Teresa rise forte.

‘’Lina!’’, gli rispose. Giovanni scosse la testa, avvilito.

‘’Avrei dovuto immaginarlo che ti avrebbe raccontato e spiegato certe cose. Le parlerò al più presto, deve smetterla di parlare di certi argomenti con te’’.

‘’No, non prendertela con lei, si è solo limitata a rispondere alle mie domande. Sono stata io la prima ad indagare, e lei inizialmente era anche reticente a fornirmi risposte’’, disse Teresa, cercando di scusare l’amica. D’altronde, era la verità.

‘’Capisco’’, disse Giovanni, ‘’però, certe cose è meglio che tu te le tolga dalla testa. Dimenticale’’.

‘’Ho capito, non ti senti pronto. Lina ha detto che a volte può succedere’’, disse Teresa con innocenza, notando che il brigante continuava a guardarla con aria spaesata. Era ovvio che si sentiva attratto da lei, ma non voleva fare quel passo in più che avrebbe permesso loro di unirsi ancora di più.

Poco dopo, i due chiacchierarono parecchio, senza entrare più negli argomenti affrontati poco prima. Poi, il brigante si addormentò, quasi all’improvviso.

Teresa si distese a suo fianco senza alcun imbarazzo. Quella notte dormì tranquilla, abbracciata all’uomo che amava, e pensando che quella era stata la giornata più bella della sua vita. Nel sonno, le parve di udire più volte degli ululati di un lupo selvatico, ma invece di svegliarsi e spaventarsi, si raggomitolò ancor di più tra le braccia di Giovanni, e continuò a dormire serenamente.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Grazie a tutti per aver letto anche questo capitolo J

Per fortuna che c’è la nostra Teresa! Come avrete notato, è una vera e propria protettrice degli animali. Dopo aver salvato il fagiano, è riuscita anche a salvare la vita di un lupo. Giovanni, invece, è più impulsivo.

Spero che il racconto continui ad essere di vostro gradimento.

Vorrei anche permettermi di aggiungere che ho iniziato un’altra storia, il suo nome è ‘La guerra di Fortwar II’. Nonostante sia il seguito di un racconto che ho già pubblicato alcuni mesi fa, cercherò di renderlo leggibile per tutti. È un racconto fantasy, molto diverso da ‘Il brigante’, comunque spero possa interessare anche a qualcuno di voi. Ringrazio già tutti coloro che saranno così gentili da passare a darci un’occhiata J

Ho iniziato anche una raccolta di piccole poesie, intitolata ‘Avanzi di pensieri’. Spero che anche questa mia nuova avventura interessi a qualcuno di voi.

Lo so, sto scrivendo un po’ troppo ahah J

Mi scuso per la mia nota eccessivamente lunga, e auguro a tutti voi di passare una felice giornata J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

CAPITOLO 19

 

 

 

Giovanni si svegliò all’alba, e posò subito lo sguardo sulla sua amata.

Teresa stava ancora dormendo tra le sue braccia, il suo volto era sereno e disteso. Sembrava un angelo.

Con un sorriso stampato sul volto, il brigante si mosse leggermente, e, con una dolcezza della quale neppure lui era a conoscenza di possedere, sfilò il suo braccio da sotto di lei. Si alzò, e prese a sistemarsi addosso il suo pesante mantello, stando sempre attento a non fare il minimo rumore.

Appena si fu rivestito completamente, con delicatezza rimboccò le coperte alla sua amata, in modo che nessuna parte di lei potesse essere esposta al freddo della casa, poi sgusciò via, soffermandosi a guardarla per un’ultima volta solo quando fu sulla porta della stanza.

La ragazza continuava a dormire come se nulla fosse successo, come se lui non si fosse mai allontanato. Il suo viso continuava ad essere sereno e tranquillo.

Il brigante dovette riconoscere che era la più bella ragazza che lui avesse mai visto, e, sempre con un sorriso stampato sul volto, si diresse verso la porta d’ingresso ed uscì dalla casa.

Il sole stava per sorgere, e un alone rossastro stava bruciando all’orizzonte, mentre la terra era dura e ghiacciata. Dopo una settimana tempestosa, il bel tempo era tornato, e il clima sembrava fosse tornato stabile.

 A passi rapidi, Giovanni giunse alla sua cascina, e si affrettò ad entrare. Solo quando stava per sedersi di fronte ad una tazza di latte calda gli tornarono in mente le parole della sera prima di Teresa. Le sciocchezze sul lupo e le questioni più serie riguardanti il loro amore.

Sospirando, pensò che forse lei aveva ragione, che un passo in più si sarebbe potuto anche fare, ma ciò che lo spaventava era il dopo. Dopo aver fatto quel passo in più, non si sarebbe più potuti tornare indietro, e la vita della sua amata avrebbe potuto subire danni irreparabili.

Sospirando nuovamente, trangugiò la sua colazione senza neppure gustarsela un po’, poi andò nel retro a spaccare della legna, in modo da poterla mettere nella stufa. Quei movimenti ripetuti e sfiancanti con l’accetta lo facevano stare meglio, poiché gli permettevano di non pensare, almeno per un po’, ai suoi problemi d’amore. Ma quel giorno tutto doveva andare storto.

Dopo poco, mentre il brigante aveva già ammucchiato un bel po’ di legna pronta all’uso, sentì aprirsi la porta d’ingresso della cascina, e udì delle persone parlare animatamente. Giovanni provò un tuffo al cuore, poiché riconobbe da subito di chi era quella voce; era di Marco.

Con il cuore che batteva forte, si precipitò subito nella stanza principale, dove Gianni lo stava aspettando, in compagnia dell’uomo grasso. Il brigante non sorrise, anzi, sul suo volto non fu in grado di reprimere una smorfia di disgusto, mentre avanzava a passi lenti verso una sedia, accostata al suo solito tavolo.

‘’Zvàn! Che piacere rivederti! Come stai? Sai, ho saputo che alcune settimane fa sei stato vittima di un incidente…’’, disse subito Marco, fingendo zelo e gioia nel rivederlo.

Giovanni lo guardò con sdegno crescente, anche perché quel grassone gli aveva fatto tornare in mente l’agguato in cui aveva rischiato di rimetterci la pelle.

Era ancora sicuro che in qualche modo quell’evento fosse frutto di una qualche strategia di Aldo, anche se non ne aveva parlato più con nessuno. E assieme ad Aldo, c’erano buone probabilità che avesse complottato anche Marco. Eppure, il brigante accantonò quei pensieri, pensando che forse erano solo frutto della sua fantasia.

‘’Piacere tutto mio. Tutto a posto, per ora’’, biascicò Giovanni a denti stretti. Marco non diede molto peso al suo comportamento burbero e scostante, forse anche perché non gliene importava molto. Il brigante gli fece cenno di sedersi.

‘’Su con il morale, amico. Porto ottime notizie’’, continuò l’informatore, sedendosi mentre Gianni si dileguava uscendo silenziosamente dalla cascina.

‘’Come al solito’’, biascicò nuovamente il brigante.

‘’Hey, amico! Quasi non ti riconosco più! Cosa ti assilla?’’, continuò Marco, imperterrito, con falso interessamento.

‘’Smettila di chiamarmi amico. Io non sono tuo amico, grassone. Dimmi ciò che hai da dire e poi vattene’’, sibilò Giovanni, appoggiandosi al tavolo.

Il brigante immaginava il perché di quel viaggio compiuto dall’informatore, e sapeva che aveva a che fare con il riscatto di Teresa. E se il riscatto stava per essere pagato, questo avrebbe significato un cambiamento forzato della loro relazione.

Giovanni non voleva ascoltare quell’uomo, l’avrebbe voluto ammazzare prima che avesse potuto parlare, per poi farlo sparire e, in caso che qualcuno gli avesse chiesto qualcosa, affermare che era arrivato già ferito ed era morto poco dopo, senza riuscire a dire nulla. Eppure doveva trattenersi.

Intanto, l’informatore finalmente si fece tetro alle parole del brigante, e smise di mostrarsi felice e sorridente.

‘’E’ proprio vero che voi straccioni non avete rispetto per nessuno. Ho compiuto un viaggio lunghissimo e pieno di pericoli per portarti ottime notizie, e tu mi riempi di sguardi d’odio e di parole offensive’’, continuò a far notare Marco, con fare aggressivo.

Giovanni non ne poteva più di quella conversazione ripetitiva ed inutile, a tratti offensiva. In un altro momento, l’avrebbe punito per ciò che aveva detto, ma lasciò correre, d’altronde il primo ad offendere era stato proprio lui. E inoltre quello non era il momento adeguato per intavolare un’inutile discussione.

‘’Dai su, dimmi quello che hai da dire e facciamola finita’’, concluse il brigante, sospirando e conoscendo già, in cuor suo, quello che gli avrebbe detto il suo interlocutore di lì a poco.

‘’Ciò che ho da dirti è esattamente ciò che ti starai immaginando ora, credo. Il riscatto è pronto per essere versato nelle nostre tasche. Parliamo di una cifra… uhm… considerevole’’, disse Marco, cercando la parola giusta, e successivamente dando una pacca alla spalla del brigante, che grugnì nervosamente.

‘’Beh, quello lo immaginavo’’, disse Giovanni dopo poco, con lo sguardo fisso a terra.

‘’Hey, dovresti essere contento! Perché hai quell’espressione torva?’’, disse nuovamente Marco, riprendendo ad utilizzare quei toni amichevoli, quasi lo volesse deridere.

Il brigante a quel punto fu preso dai dubbi, e si chiese se quel ciccione sospettasse qualche tresca tra lui e Teresa. Solo un istante dopo, dovette togliersi dalla testa quell’idea bizzarra, tanto nessuno avrebbe potuto immaginare una cosa simile.

In ogni caso, un dolore cieco e un forte senso di smarrimento iniziarono a pervaderlo, mentre si chiedeva cosa sarebbe stato ora di loro. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, eppure non si era preparato a dovere. Non aveva neppure un piano.

Capì che l’unica cosa che poteva fare per ora era quella di ascoltare e  allontanare il ciccione, possibilmente in fretta, poi parlare con Teresa ed escogitare qualche possibile piano d’azione.

‘’Boh’’, disse nuovamente Marco, che, sfruttando il breve istante in cui il brigante si era perso in sé stesso si era messo a fissarlo con un modo strano.

‘’Basta! Che hai da guardare? Parla, caspita. O vuoi farmi attendere tutta la giornata? Dimmi tutto’’, disse Giovanni ad alta voce, facendo sobbalzare il suo interlocutore.

‘’Sì, sì, hai ragione, vengo subito al punto. Dunque, la contessina la dovrai riportare te stesso domani pomeriggio alle porte di Ravenna, nella stessa zona dove avete teso l’imboscata un mese fa. Io e Aldo vi consigliamo di scendere in pochi; la pianura è molto sorvegliata ultimamente, e un grosso numero di uomini attirerebbe comunque l’attenzione di tutti. Due uomini dovrebbero bastare per scortare te e la nostra preziosa merce…’’.

‘’Non sta a te decidere quanti uomini devo portarmi dietro, mi assumo tutti gli eventuali rischi e pericoli. Va avanti’’, disse Giovanni, interrompendo l’informatore, che si agitò sulla sedia.

‘’Certo, chiedo scusa. Il mio era solo un consiglio, pensavo potesse esserti utile, ma andiamo avanti nel discorso. Mentre tu o un tuo uomo consegnerete la ragazza al padre, che l’attenderà lungo la strada principale, altri due di voi andranno alla capanna abbandonata, sempre lungo la strada e a solo una cinquantina di metri dal luogo del rapimento. Lì ci sarà Aldo, che vi consegnerà la vostra parte di bottino, che sarà stato versato poco prima della consegna della giovane. Poi, una volta diviso il malloppo, ognuno andrà per la sua strada’’, concluse l’informatore, strofinandosi le mani grassocce sui pantaloni, soddisfatto.

‘’Spero che il tutto si svolga in correttezza. Non vorrei trovarmi a Ravenna, distante dal mio rifugio, con una ventina di tagliagole che mi inseguono per ammazzarmi. Sai, non sarebbe la prima volta che mi capita una cosa del genere’’, disse il brigante, con una punta di nero sarcasmo, rievocando gli eventi accaduti alcune settimane prima.

‘’Oh no, garantisco che il tutto si svolgerà correttamente’’, disse Marco, alzando le mani al cielo in segno d’innocenza. Giovanni, nonostante le sue paure e la rabbia crescente, sorrise.

‘’Vorrei potermi fidare ciecamente di te. Sappi che, in caso di un qualche inconveniente, il primo a rimetterci la pelle sarai proprio tu. Non importa dove scapperai o dove andrai, qualcuno ti prenderà e ti porterà da me. Quindi, fa in modo che vada tutto bene, ne va della tua salute’’, disse Giovanni, laconico.

‘’Sì, supervisionerò io stesso il tutto, e vedrai che sarà tutto svolto con estrema regolarità’’, garantì l’uomo grasso.

‘’E se io non volessi portarvi la ragazza domani?’’, chiese Giovanni, a bruciapelo.

‘’Questo non puoi farlo, Aldo si arrabbierebbe, anche perché rovineresti tutti i suoi piani. Ha una gran fretta di incassare la sua parte di bottino! E poi, grazie al bel tempo degli ultimi giorni, ora si può scendere in pianura facilmente, ed andrà tutto bene. Gli anziani pescatori della costa assicurano che sta per arrivare una fase molto lunga di clima avverso, e quindi bisogna concludere il tutto in fretta. E domani sarà il giorno giusto’’, disse l’informatore, irremovibile.

Giovanni pensò che potevano avere ragione, ma in fondo i pescatori della costa erano la feccia della società, e spesso e volentieri mentivano, anche perché erano sempre ubriachi. Oppure, certe cose poteva inventarsele Aldo da solo. Però, stava di fatto che nessuno era più disposto a dargli tempo, e domani nel primo pomeriggio avrebbe dovuto essere alle porte di Ravenna.

‘’Perfetto. A domani, allora’’, disse il brigante tutto d’un fiato, congedando l’informatore e liberandosi della sua scomoda ed irritante figura. Tanto, non c’era più nulla da fare, era stato tutto stabilito senza di lui.

Marco se ne andò in fretta, con il grosso pancione prominente che si muoveva sotto i vestiti.

Mentre se ne andava, Giovanni restò a fissarlo per un brevissimo momento, pensando alle punizioni che gli avrebbe potuto infliggere nel caso qualcosa fosse andato storto, ma si trattò proprio solo di un attimo. Subito dopo, prima di andare ad informare Mario, decise di andare a parlare con Teresa, e chiarirsi le idee.

A passi svelti, per l’ennesima volta si trovò a percorrere il sentiero in discesa che portava al casolare destinato alla sua amata. Il sole era già sorto, e probabilmente a breve Lina sarebbe andata a prenderla per accompagnarla fino a casa sua, e questo avrebbe rovinato tutti i suoi piani. Quindi, doveva fare in fretta.

Infatti, giunse di fronte alla porta di Teresa quasi di corsa e col fiatone, e si trovò a sgattaiolare dentro come un ladro. La ragazza si era appena alzata ed era ancora in camera da letto, e, non aspettandosi nessuno, quando si trovò di fronte Giovanni lanciò un gridolino spaventato.

‘’Ma che ci fai tu qui a quest’ora?’’, chiese la giovane, cercando di ricomporsi dall’iniziale spavento.

‘’Non porto belle notizie’’, disse il brigante, continuando ad ansare. Teresa, nel frattempo, corse ad abbracciarlo.

‘’Questo l’ho capito. E poi, sei anche sudato, ed hai il fiatone…’’.

‘’Teresa, devo parlarti seriamente. E abbiamo poco tempo’’, disse ancora Giovanni, interrompendola. A quel punto, la ragazza si fece seria.

‘’Dimmi, ti ascolto’’.

‘’Ecco, ho appena finito di parlare con Marco, colui che mi ha fatto da intermediario con Aldo, l’altro tuo rapitore. Ebbene, domani pomeriggio tuo padre ti attende. Ti dovrò riportare a casa, a quanto pare’’, disse Giovanni, tutto d’un fiato. Il volto di Teresa divenne una maschera di emozioni contrastanti.

‘’Non c’è alcun modo di posticipare un po’? Così potremmo organizzarci’’.

‘’No’’, rispose Giovanni, laconico.

‘’No... ma che ne sarà di noi, Giovanni? Mi stai praticamente allontanando da te. Se mi ami, fuggiamo subito, fintanto che siamo in tempo’’, disse la ragazza, gettando uno sguardo verso il suo armadio.

‘’Ci avevo pensato anch’io. Ma dopo? Qui ci sarà una guerriglia, gli uomini di Aldo attaccheranno i miei uomini, rimasti senza capo, e sarò io a sancire la loro morte. Ci saranno solo disordini e sofferenza. E per cosa? Per fare il morto di fame per strada. Teresa, se scappiamo, dovrai dire addio per sempre alla vita che hai vissuto finora. Saremo costretti all’accattonaggio, fuori di qui non c’è neppure lavoro, e moriremo in mezzo ad una strada senza nulla in mano. E’ questo che vuoi? Se lo vuoi, facciamo così’’, disse Giovanni.

A dirla tutta, non lo avrebbe mai fatto tutto quello, neppure per amore. Lasciare la sua banda nei problemi per finire lungo ad una strada, senza un tetto e neppure un tozzo di pane, e chiedere l’elemosina, sancendo anche la perdita della sua dignità.

Sperava veramente che Teresa riuscisse a capire che quella non era la soluzione giusta per loro, prima che fosse troppo tardi. Probabilmente, lei si sarebbe stancata in fretta di quella vita, per tornare indietro da suo padre ed abbandonarlo per sempre, non appena si fosse resa conto di quella cruda realtà.

Perché lui c’era già stato una volta in mezzo ad una strada, prima di formare la sua banda di briganti, e sapeva cosa significava stare giorni interi senza mangiare né riposare.

‘’No, non è la soluzione giusta, hai ragione’’, disse Teresa dopo averci pensato un po’ su.

‘’La penso come te’’, confermò il brigante, riconoscendo che la ragazza era molto intelligente.

‘’E allora cosa proponi?’’, tornò a chiedere Teresa, con la voce che tremava. Non voleva perderlo, e lei lo amava e questo lui lo sapeva, ma non c’era nulla che si potesse fare, almeno in quel momento.

‘’C’è una sola cosa da fare. Ti devo riportare da tuo padre’’, disse il brigante.

‘’No. Tu non mi ami sul serio, allora. Non allontanarmi da te, ti prego’’, prese a dire Teresa, iniziando a piangere sommessamente.

Giovanni si aspettava quella reazione, e fu subito pronto per spiegarle la situazione.

‘’Siamo nei guai entrambi. Se tu non torni, sai che saremo tutti nei guai? Io, te, Lina, gli altri briganti, tutti gli abitanti della zona. Guardie ovunque, tagliagole in ogni angolo e noi due che facciamo la fame in chissà quale luogo, poiché non abbiamo neanche un soldo. Questa non è una soluzione, è solo un capriccio che finirà male. Teresa, devo riportarti indietro. Poi, seguiremo un piano che ho ideato da poco, e torneremo insieme. Per sempre questa volta, e niente e nessuno potrà più separarci’’, disse il brigante, la voce ammorbidita dal comportamento della giovane, che continuava a disperarsi.

‘’E quale sarebbe, questo tuo piano? Presentarti a mio padre come possibile pretendente? Oh, non lo conosci, è tutto d’un pezzo e non approverebbe mai un amore come il nostro. Un amore impossibile’’, disse la ragazza, avvicinandosi nuovamente a lui e abbracciandolo.

‘’Non ne dubito. Però ti riporterò da tuo padre, concluderemo ogni faccenda e in seguito potrai fuggire. Questa sera tornerò, e ci organizzeremo alla perfezione, non temere. Andrà tutto bene, e staremo per sempre insieme. Niente e nessuno potrà più separarci’’, le disse, mostrando sicurezza, nonostante fosse più insicuro che mai.

Poi la baciò, e se ne andò, lasciando la ragazza sola, a confrontarsi con il suo incerto futuro.

 

 

Teresa si appoggiò al muro di casa, senza forze.

Giovanni se n’era appena andato, lasciandola sola a combattere contro le sue paure. Il momento tanto odiato era giunto, ed ora bisognava trovare una soluzione.

Una soluzione per mantenere vivo il loro amore, che comunque, a dispetto dei pronostici, non aveva vacillato neppure per un solo istante fino a quel momento. Ormai, tra loro due si era creato un legame impossibile da spezzare.

Ma d’altronde, era vero che lei amava profondamente Giovanni, ma era pure vero che non avrebbe mai accettato di vivere insieme a lui per strada a chiedere l’elemosina. Forse per un mese avrebbe resistito, vivendo d’amore, poi però avrebbero vinto la rabbia e l’abbattimento.

In più, avrebbe avuto piacere di vedere suo padre, almeno per potergli dare un ultimo saluto. Aveva sempre fatto molto per lei, e cercava di fare ancora tanto.

La ragazza dovette ammettere a sé stessa che l’unica soluzione era quella di tornare, anche se per poco, da suo padre, anche una possibile separazione momentanea da Giovanni le faceva molto male.  

Sovrappensiero, Teresa non si rese neppure conto di avere Lina di fronte a sé, che la guardava.

‘’Che faccia da funerale! Ma che hai?’’, chiese l’amica, andandole incontro e riscuotendola dai suoi pensieri.

‘’Domani mio padre pagherà il riscatto’’, disse Teresa, senza tanti giri di parole. Lina rimase per un attimo confusa, poi abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i capelli, in modo molto lento. C’era rimasta male, indubbiamente.

‘’E adesso?’’, tornò a chiedere la donna, dopo una piccola pausa.

‘’Non c’è nessun adesso, Lina. C’è solo un domani. Domani me ne andrò da qui, domani tornerò da mio padre, e dopodomani tornerò ancora qui’’.

‘’Non andrà così, Teresa. Lo sai anche tu. Se non affronti la situazione ora, nel presente, non la affronterai più. Chi ha tempo non aspetti altro tempo, mi dicevano sempre quand’ero più giovane. Pensa a qualcosa se vuoi restare qui, fa qualcosa ora; domani sarà troppo tardi. Domani, sarai già lontana sia da me che da Zvàn’’, disse l’amica, la voce rotta dalla pressione dei sentimenti.

Teresa capì ciò che l’amica voleva dire, cioè che lei poteva immaginarsi ogni fuga possibile da casa, oppure un finto rapimento, ma forse non ci sarebbe mai riuscita.

E la parola ‘forse’ non la sconvolse mai come in quel momento. Pensò che era strano dare significati così diversi e profondi ad una sola parola.

‘’Domani… sarà come oggi. Oppure come ieri. Mi ero affezionata a te e a questa vita libera. Ho donato il mio primo bacio ad un uomo forte e duro, un uomo in grado di proteggermi e che amo, nonostante abbia commesso degli errori in passato e nonostante che all’inizio mi abbia fatta soffrire. Mi ha dato tanto amore, sai, e mi ha sempre rispettata nel mio intimo. Eppure, ora di tutta questa parentesi resta solo il dubbio e l’incertezza. L’unica certezza che ho è che, molto probabilmente, tornerò prigioniera e schiava della società. Eppure, non posso richiedere a Giovanni un sacrificio troppo grosso per lui, mi capisci? Un sacrificio che è addirittura più grande di noi due messi insieme’’, continuò Teresa, imperterrita. Lina fece cenno affermativo con la testa.

‘’Capisco. Non so cosa dire, Teresa’’, disse Lina, che improvvisamente si coprì il volto con la mano destra ed uscì dalla casa, lasciandola sola.

‘’Aspetta, Lina!’’, gridò Teresa, inseguendola, ma l’amica se ne stava già andando, piangendo di nascosto da tutti.

Con la sua mano, voleva nascondere a tutti il suo pianto, il nuovo dolore che provava al solo pensiero di perdere l’amica che aveva trovato da così poco, ma alla quale si era affezionata.

Teresa questo lo capiva, e non poté far altro che lasciarsi sfuggire una nuova lacrima, e sperare di riuscire a trovare una soluzione con Giovanni quella sera.

 

 

Giovanni, intanto, aveva appena finito di spiegare la questione a Mario.

Il suo braccio destro si era limitato a sostenere fermamente le parole di Marco, e aveva più volte detto di fidarsi abbastanza del suo giudizio. Quindi, si era preso la responsabilità di formare il gruppo che sarebbe partito l’indomani mattina all’alba.

Il gruppo sarebbe stato composto da tre compagni, e naturalmente da Giovanni stesso. Non c’era stato modo di nascondere nulla all’amico, poiché Gianni, che come al solito aveva origliato, gli era già andato a riferire tutto, e Giovanni si era trovato inconsciamente a maledirlo. Ma d’altronde non aveva neppure detto alla sentinella di tacere, quindi non gli poteva recriminargli nulla, ma la rabbia restava. Ora aveva le mani legate, e ormai poteva solo fare ciò che gli veniva imposto dagli altri.

Sembrava che tutti fossero sempre pronti a strappare un pizzico di potere dalle mani del loro capo.

Giovanni aveva lasciato Mario ad occuparsi delle rifiniture del piano, ma non era contento. A parte il fatto che non voleva separarsi da Teresa, tre uomini erano decisamente pochi, e lasciavano spazio ad ogni possibile agguato.

Comunque, se Marco aveva ragione nel dire che la pianura era particolarmente sorvegliata in quel periodo, quattro uomini e una ragazza non avrebbero di certo dato nell’occhio, mentre dieci uomini sarebbero stati maggiormente in pericolo.

Pieno di dubbi, il capo dei briganti non poteva far altro che attendere la sera, quando sarebbe andato dalla sua amata per costruire un piano valido. Un piano che avrebbe permesso loro non solo di tornare a sognare, ma di esaudire i loro desideri.

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Purtroppo, i nostri due protagonisti si trovano ad affrontare la loro prima scelta difficile. Si daranno alla fuga o riusciranno a costruire un piano valido, che permetta loro di continuare a sognare e ad amarsi? Lo scopriremo molto presto.

Ringrazio tutti coloro che seguono la storia!

Soprattutto, ringrazio in modo particolare tutti coloro che si soffermano a lasciare un loro pensiero. Grazie quindi a tutti i recensori J il vostro supporto è importantissimo per me J

Grazie ancora a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

CAPITOLO 20

 

 

Lina tornò a farsi viva dopo poco.

Dopo l’inaspettata fuga, era tornata da Teresa tutta mogia, e l’aveva abbracciata senza dirle nulla, ma solo dopo un po’ aveva trovato il coraggio di parlarle.

‘’Scusami, ho fatto male ad arrabbiarmi, prima. Non volevo, sul serio. Tanto, ho sempre saputo che te ne saresti dovuta andare’’, disse la donna, la voce disturbata da una vena triste.

‘’Non dire così, Lina. In ogni caso, io questo mese trascorso qui non lo dimenticherò mai, e vedrai che tornerò. A breve, tornerò’’, disse Teresa all’amica, per rassicurarla.

‘’Ne sei poi così certa? E poi ti avevo detto di non sognare, e di non innamorarti di Zvàn. Ora, soffrirai inutilmente’’.

‘’Non soffrirò inutilmente, perché noi ci amiamo, e vogliamo vivere insieme. Questo, mio padre dovrà accettarlo in ogni modo. Gli parlerò, e qualcosa riuscirò a risolvere, se non troverò nessun altra soluzione’’, continuò la ragazza con fare sicuro.

‘’Teresa, non risolverai nulla, so come finiscono certe cose, fidati di me. Sei solo una ragazzina, e là, a Roma, un uomo ti aspetta per condurti all’altare, giusto?’’, chiese Lina, triste. Teresa annuì.

‘’E allora non hai già più nessuna via di fuga. Il tuo destino è già segnato, e di questa avventura ti resterà solo un ricordo sbiadito nella tua mente. Non appena tornerai da tuo padre, e non appena arriverai a Ravenna, questa parte della tua vita sarà irrimediabilmente chiusa e conclusa’’, continuò Lina, senza pietà.

‘’Non sarà così, perché ora che ho imparato a vivere, ed ora che so cos’è l’amore, non ho più intenzione di vivere chiusa in casa, o di tenere certi comportamenti. Ora sono libera’’, sibilò Teresa, arrabbiata.

‘’Oh sì, sei libera, ma solo per ora. Non appena i tuoi piedi toccheranno la terra sabbiosa di Ravenna, tu tornerai ad essere la contessina spaurita in procinto di sposarsi. Dai retta a me’’, continuò Lina, sempre più spietata.

Teresa era allibita. Poi, comprese il perché di quelle parole; l’amica era in gran apprensione per lei, e la stava solo stuzzicando, cercando di farla riflettere meglio.

‘’Lina, perché tutte le volte devi comportarti così e parlarmi in questo modo? Ho detto che una soluzione la troverò, costi quel che costi. La contessina che faceva solo quello che le imponevano ormai è irrimediabilmente morta’’, disse la ragazza, calmandosi improvvisamente. Lina scosse la testa.

‘’Vedremo. Ma vogliamo passare l’ultimo giorno insieme a discutere?’’, chiese la donna, dopo poco.

‘’No’’, disse Teresa, mordendosi un labbro.

‘’Allora andiamo a fare una passeggiata. Ti va?’’, propose Lina.

‘’Certo!’’.

Teresa accettò subito l’invito, e dopo poco le due amiche si trovarono a camminare al sole, immerse nella natura, lasciando da parte la discussione di poco prima.

Lina la portò a vedere il suo orto, che ormai era ridotto ad uno spiazzo di terra brulla e rovinata dal gelo. Di ortaggi c’erano solo alcuni cavoli, che tra l’altro avevano le foglie giallastre a causa del freddo, mentre ai margini del piccolo appezzamento vangato c’era una pianta di rosmarino parecchio rinsecchita.  

Teresa aveva scoperto solo ora l’orto, non per il fatto che non fosse a conoscenza della sua esistenza ma semplicemente perché non aveva mai avuto interesse a vederlo.

Eppure, quel giorno ogni cosa aveva un aspetto nuovo, un aspetto unico, e la ragazza voleva assaporare ogni cosa che la circondava. Anche il chiasso degli uccellini, che si azzuffavano tra i rami spogli e che erano sempre alla ricerca di cibo, non risultava in alcun modo fastidioso, anzi, dava allegria alle due amiche.

Così, tra chiacchiere e passeggiate, si fece in fretta pomeriggio, e a Teresa vennero le lacrime agli occhi. Vedendo il sole abbassarsi, pronto a sparire e a nascondere una volta per tutte quel fantastico mondo, le venne da pensare a dove sarebbe stata l’indomani a quell’ora.

Molto probabilmente, a parlare con suo padre, mentre Giovanni, Lina e l’Appennino sarebbero rimasti solo ricordi. Anche Lina pian piano iniziò a perdere zelo, e più e ore passavano, più le due amiche diventavano tristi.

Quella sera, Teresa non trovò neppure le forze per mangiare, e si trovò a fissare il suo piatto, insieme all’amica. In quel momento, le parole si erano fatte talmente tanto pesanti da non riuscire più ad uscire dalle loro bocche.

Però, fu Lina a trovare la forza per rompere quel silenzio assordante che era sceso tra loro. Come sempre, lei era ancora la più forte.

‘’Ecco, ormai ti dovrò riaccompagnare alla tua abitazione. Non vorrei lasciarti partire con il groppo in gola, e senza averti adeguatamente salutato’’, trovò il coraggio di dire la donna.

‘’Non ce n’è bisogno. Se partirò, prima di un batter d’occhio sarò di nuovo qui con voi. Giovanni mi ha detto che ha un piano’’, rispose Teresa, atona.

Lina la guardò con aria di sufficienza; non le credeva. O almeno, non del tutto.

‘’Lo spero’’, disse Lina, senza contraddirla, e continuando il suo discorso, ‘’però non mi sarei mai aspettata che tra noi sarebbe nato un rapporto così intenso. Teresa, tu sei l’unica amica che io abbia mai avuto’’.

A quel punto del discorso, la donna sembrava seria e forte, dietro quella maschera di sicurezza che indossava spesso, per difendersi dagli urti della realtà.

‘’Anche tu sei l’unica vera amica che io abbia mai avuto’’, riconobbe Teresa, cercando di mantenere la calma.

‘’Ecco, questo… dovrebbe essere un saluto’’, disse Lina, che a quel punto non riuscì più a nascondere i propri sentimenti. Abbracciò forte la ragazza, che ricambiò con calore.

‘’No, questo non è un saluto. È solo un congedo momentaneo. Anzi, è solo l’inizio. La mia nuova vita sarà confermata domani’’, disse Teresa, cercando di mantenere una certa sicurezza in ciò che diceva. Ma in realtà non ne era affatto sicura.

‘’E’ ora che ti accompagni al tuo letto’’, disse la donna, sciogliendo l’abbraccio.

‘’Sì, certo’’, dovette dire Teresa, quasi forzatamente. Non voleva separarsi dall’amica, ma d’altronde doveva andare ad aspettare Giovanni, che a breve sarebbe arrivato per spiegarle il suo piano d’azione.

La ragazza si coprì bene, poi, insieme con l’amica, andò al suo casolare. Teresa non disse nulla durante quel percorso, così come non disse nulla Lina, che procedeva spedita a suo fianco.

La tensione dentro lei la faceva quasi star male, eppure a tratti riusciva a perdersi nel paesaggio arrossato dalla luce del tramonto, chiedendosi quando avrebbe potuto rivederlo nuovamente da quel luogo. In preda all’incertezza, si ritrovò di fronte alla sua porta, già spalancata dalla sua fedele accompagnatrice.

Teresa la guardò con fare incerto, puntando gli occhi in quelli dell’amica, che erano così profondi che non permettevano quasi mai a qualcuno di poterci rovistare dentro. Eppure, quella sera esprimevano dolore e dispiacere.

‘’Ci vediamo domattina. Verrò a darti un ultimo saluto, prima che tu parta’’, disse Lina, trovando il coraggio di parlare.

‘’Sì, grazie’’, rispose Teresa, incapace di dire altro. Aveva un magone in gola che quasi la strozzava. Da quel momento in poi, per quella sera non voleva rivedere di nuovo l’amica, per non mostrarsi eccessivamente sofferente.

‘’Quanto è strana la vita, Teresa? Sei arrivata qui da prigioniera, e te ne vai piangendo di dispiacere’’, riconobbe la donna, mentre la ragazza si accingeva ad entrare in casa.

‘’Hai ragione. È molto strana’’, rispose Teresa, non potendo far altro che riconoscere la veridicità della frase dell’amica.

‘’Ti saluto, Teresa. Questa mattina mi sono permessa di fare un salto qui e lasciarti un mio regalo, lo troverai dentro all’armadio. Ti chiedo solo una cosa; mi farebbe più piacere se lo guardassi domattina, prima di partire… occhio quindi ad aprire il mobile. Per il resto, beh, non so che altro dire. Ciao, per ora’’, disse infine la donna, congedandosi ed evitando possibili lacrime.

‘’Ciao, Lina, e buonanotte. Ci vediamo domattina, e grazie di tutto. Il regalo lo guarderò domattina, ma non ce n’era alcun bisogno di prepararmene uno’’, disse Teresa, lanciando un fugace sorriso all’amica, che alzò le mani, come per dire che le aveva fatto piacere, per poi allontanarsi e sparire velocemente nella penombra.

Teresa chiuse la porta, e andò a sedersi sul letto, fantasticando sul regalo che l’amica le aveva lasciato dentro all’armadio.

Il periodo d’attesa, così, passò più velocemente del previsto.

 

 

Teresa era ancora persa a fantasticare sul regalo di Lina quando si accorse che Giovanni tardava ad arrivare.

Non appena se ne accorse, in lei nacque un senso d’ansia insopportabile, che la portò a pensare che il brigante non avesse voluto farsi vedere per il semplice fatto che non aveva un piano.

Però, quando ormai sembrava tardissimo, e la casa era illuminata solo da un tenue lume di candela, Giovanni arrivò.

Entrò cautamente, e salutò la ragazza con un semplice cenno del capo e un grande sorriso. Uno di quei sorrisi che facevano tanto impazzire Teresa.

‘’Alla buon ora. Iniziavo a pensar male di te’’, disse la ragazza, andandogli incontro.

‘’Perchè? Ero solo indaffarato. Ma ora sono qui, no?’’, rispose il brigante, continuando a sorridere.

‘’Non c’è nulla da sorridere. Non ti dispiace neanche un po’ che domani riprenderemo le nostre vite, l’uno lontano dall’altra?’’, chiese Teresa, indispettita.

‘’Oh, no, perché sarà solo per un brave periodo, al massimo una settimana. Poi, torneremo a vivere insieme, e formeremo una famiglia, finalmente’’, disse Giovanni, mostrando sicurezza.

Quell’atteggiamento tranquillizzò Teresa per un attimo. Ma per un attimo solo.

‘’Giovanni, se mi porterai da mio padre sarà molto difficile per noi rincontrarci. E questo lo sai bene’’, rispose la ragazza, ricadendo nei soliti dubbi.

‘’Ho un piano, ti ho detto. Lasciamelo spiegare, poi mi dirai cosa ne pensi. Va bene?’’.

‘’Va bene’’, disse Teresa, accondiscendente.

‘’Perfetto. Noi faremo così; domani ti riporterò da tuo padre, e tutto si svolgerà così come era stato pattuito. Però, non finirà qui la vicenda, perché tu continuerai a mantenerti in contatto con Marco, una mia fedele spia che informerò di tutto domani stesso, e che mi riferirà dove vivi con tuo padre. Così potrai scegliere il giorno in cui fuggire di casa, e io ti aspetterò alle porte di Ravenna, oppure potrò anche tentare di entrare in città senza dare nell’occhio, poi fuggiremo insieme. È molto semplice, come vedi’’, spiegò il brigante.

‘’Uhm, non è poi così semplice. E se quel Marco si rifiutasse di aiutarci? E se incontrassi qualche intoppo, e non riuscissi a fuggire?’’, disse Teresa, esponendo i suoi dubbi.

‘’Tranquilla, in ogni caso non sarà un problema. In un modo o nel’altro, utilizzando e corrompendo la servitù, riuscirai sempre a far sapere qualcosa a Marco, che vive presso la corte arcivescovile. Con la scusa di scrivere messaggi a qualche uomo di Chiesa, potrai sempre mantenerti in contatto con me, poiché Marco mi invierà oralmente i tuoi messaggi con urgenza tramite persone fidate. Riguardo al mio informatore, lui mi deve dei favori e farà tutto ciò che gli dirò di fare. Quindi, mi sembra tutto a posto’’.

‘’La fai facile. Però spero proprio che tutto vada bene. Non ho più alcuna intenzione di stare chiusa in casa e di andare in sposa a quel mostro del mio promesso’’, disse Teresa, dubbiosa.

‘’Andrà tutto bene, non temere. Prenderò molte precauzioni. Farò anche in modo che Marco ti mandi a casa un servo fidato, in modo che possa sempre consegnare i messaggi nella più totale sicurezza. Tuo padre non si insospettirà del servo, sarà mandato a nome dell’arcivescovo per servirvi, visto che siete suoi ospiti importanti. Poi, dopo questa piccola separazione, potremo vivere le nostre vite in tutta tranquillità qui, sui monti che hanno visto nascere il nostro amore.

Lo hai capito il motivo per cui domani ti devo riportare obbligatoriamente da tuo padre, vero?’’, cercò di accertarsi nuovamente il brigante, alla fine del suo lungo discorso.

‘’Sì. D’altronde, ti devo dare ragione, non c’è altro modo d’agire, a parte seguire questo piano’’, concluse Teresa.

‘’Purtroppo sì. Potremmo anche fuggire, e stare insieme, ma andremo alla malora entrambi. Non riusciremo neppure a passare un paio di mesi insieme, poiché, senza casa né cibo, e in pieno inverno, moriremo lungo una strada, denutriti e assiderati. Inoltre, tutti qui saranno in pericolo, compreso Lina. Non possiamo permetterci di giocare con la vita degli altri’’.

‘’Hai ragione. Questo l’avevo capito. E poi, l’ammetto; vorrei rivedere mio padre’’.

Giovanni sorrise a quell’ammissione della ragazza.

‘’Lo immaginavo. E poi, è giusto così’’, disse il brigante, riprendendo a sorridere.

‘’Mi ha cresciuta da solo, non mi ha mai fatto mancare nulla e mi vuole bene. Se sparissi così, gli spezzerei il cuore, e non se lo merita’’, riconobbe la ragazza, in preda ai sensi di colpa.

‘’E’ così un buon uomo tuo padre?’’, chiese Giovanni, curioso.

‘’Oh, certo che lo è. Farebbe di tutto per me, se glielo chiedessi’’.

‘’Allora chiedigli il permesso di stare assieme a me’’, disse il brigante, ironico.

‘’Questo è qualcosa che va al di fuori dell’ordinario, e lo sai anche tu. Lui non ti conosce, pensa solo che tu sia un essere senza cuore, uno straccione senza un soldo che tra poco verrà impiccato pubblicamente. Quindi, per lui è una follia, e se riuscisse a scoprire una cosa del genere mi riporterebbe subito a Roma’’, disse Teresa, seria. Il brigante parve colpito da quelle parole.

‘’Ah’’, disse, senza aggiungere altro.

‘’Ehi, non te la prendere. È solo che non ti conosce, e non sa quanto sei buono, in realtà’’, disse Teresa, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla.

‘’E io sarei così buono, in fondo?’’.

‘’Oh, sì che lo sei. Sei buonissimo’’, disse la ragazza, che poi si alzò il punta di piedi e lo baciò con lentezza.

Anche quel bacio fu magico, e ben presto i due innamorati si trovarono trascinati in un crescendo di sensazioni uniche.

‘’Non preoccuparti del domani. Voglio cacciar via ogni dubbio dalla tua mente; farò in modo che Marco ti faccia arrivare un servo di fiducia, in modo che possa sempre portare messaggi, come ti ho già detto. E poi, la nostra separazione durerà pochissimo, poi vivremo per sempre insieme. Inoltre, sai cosa faremo? Non appena ti avrò riportato qui, e in quel momento avremo definitivamente chiuso con in nostro passato, lascerò il comando della banda a Mario, e con i soldi del riscatto, se vorrai, potremmo comprarci una bella abitazione e vivere una vita dignitosa. Oppure, potresti rispedirli a tuo padre, e noi magari cercheremo di organizzarci in altro modo e potremmo continuare a vivere qui, in questa cascina. Ti piacerebbe fare così?’’, disse Giovanni, dopo poco, inebriato dalla bellezza della ragazza. Non gli piaceva mettersi nelle mani di quel suo infido informatore, ma non poteva fare in altro modo. L’indomani avrebbe concordato tutto al meglio, e gli avrebbe promesso una consistente cifra, pur di riuscire ad attuare quel rischioso piano.

‘’Io so solo che non posso più vivere senza di te. Ti amo troppo, amore mio’’, disse Teresa, che afferrò i vestiti di Giovanni e fece per svestirlo.

‘’No!’’, disse il brigante a quel punto, capendo quello che voleva fare la ragazza. Il suo tono era duro e risoluto, contrariamente a quello utilizzato poco prima.

‘’Perché no?’’, chiese Teresa, ingenuamente. Non riusciva proprio a capire il perché di quei rifiuti continui, tanto ne era certa che anche lui provasse quell’attrazione selvaggia nei suoi confronti. Eppure, non voleva darle corda.

‘’Perché non è ancora il momento, Teresa. Nel caso che… no, lascia perdere. Quando torneremo insieme, faremo questo passo avanti, che ci legherà per sempre. Te lo giuro, e sai che i giuramenti io li mantengo sempre’’, disse il brigante, guardandola fissa con quei suoi occhi profondi. Teresa non riuscì a prendersela per quell’ennesimo rifiuto.

‘’Ho capito. Ma nel caso di cosa?’’, continuò la ragazza, riprendendo la parte di discorso lasciata in sospeso da Giovanni.

‘’Nel caso di niente, te l’ho detto mille volte, andrà tutto bene e torneremo insieme’’.

‘’Non sei convincente, mio caro. Tu hai dei dubbi’’, riconobbe Teresa, allontanandosi da lui per un momento.

‘’Anche tu ne hai parecchi, mi sembra di capire’’, disse il brigante, e Teresa non poté far altro che fare un cenno affermativo con il capo. Dopodiché, scese un silenzio pesante tra i due.

‘’Sono molto stanco, Teresa. Andiamo a letto? Anche perché ormai è tardissimo, e domattina dobbiamo alzarci presto’’, disse il brigante, dopo un po’.

‘’Hai ragione. Andiamo’’, acconsentì Teresa, che dopo alcuni minuti si trovò distesa al fianco dell’uomo che amava. Il brigante si addormentò subito, cadendo in un sonno pesante, mentre Teresa rimase sola, al buio a pensare all’indomani.

Dopo un po’, si trovò ad alzarsi dal letto, e ad andare verso la finestra.

Guardò fuori. Tutto era illuminato dal chiarore della luna piena, che era talmente tanto luminosa da nascondere numerose stelle. Il prato di un verde intenso durante il giorno, ora era nero e grigio, e alla ragazza parve magnifico.

Improvvisamente, i suoi occhi andarono a soffermarsi su una macchia scura, che pareva si fosse mossa. E, infatti, quella massa era il corpo di un lupo. Il suo lupo, quello che aveva salvato dalla pistola di Giovanni, era lì, e la stava fissando al di là del vetro.

L’animale parve vederla, e i suoi occhi gialli si fissarono su di lei. Poi, fece qualche passo avanti, e si mostrò in tutta la sua magnificenza al chiarore della luna.

Teresa restò a guardare la scena come se fosse pietrificata, totalmente presa dalla magra creatura, che nel frattempo si era seduta per un attimo, non togliendole gli occhi di dosso.

Nonostante il vetro ed alcuni metri di terreno la separassero dall’animale, la ragazza poteva sentire su di sé tutto il peso di quello sguardo fiero e selvaggio. Uno sguardo consapevole.

Poi, il lupo alzò la testa ed ululò forte.

Il suo verso distrusse il silenzio della notte, spaventando Teresa, che guardò subito verso Giovanni. Il brigante non si era svegliato. Quando la ragazza tornò a guardare fuori, il lupo si stava allontanando.

Prima di sparire tra i cespugli spogli, gettò un ultima occhiata a Teresa, poi scomparve definitivamente.

Con il cuore che batteva forte, la ragazza tornò a letto. Andò a raggomitolarsi tra le braccia del brigante, che emise un lieve grugnito. Eppure, continuò a dormire, e continuò a farlo anche quando lei gli accarezzò dolcemente il volto, per dargli poi un bacio sulle labbra.

Dopodiché, Teresa non riuscì a prendere sonno subito, e rimase vigile per un periodo di tempo indeterminato, sempre attenta ad ogni possibile rumore proveniente da fuori. Eppure, il lupo non ululò più.

Ogni tanto, il canto ritmico di una civetta risuonava ovunque, e fu proprio quel canto ad accompagnare la ragazza fino alle porte del sonno.

La giovane finalmente si addormentò, scivolando in un sonno pesante e pieno di incubi. Un sonno pieno di paure per il futuro.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

Ciao a tutti e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguire la storia J

Ormai, la separazione momentanea dei nostri due protagonisti sembra confermata e certa. D’altronde, non possono fare molto altro. Lina è piuttosto nervosa, e questo si nota, ma anche Teresa e Giovanni lo sono.

Nel prossimo capitolo capiremo meglio come proseguirà il racconto.

Vi informo che la storia non è in procinto di concludersi, anzi, il progetto è ancora piuttosto lungo.

Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

CAPITOLO 21

 

 

 

Teresa, nonostante tutto, riuscì a riposare un poco quell’ultima notte.

Non era ancora mattina quando aprì gli occhi e si trovò ad accoccolarsi ancora di più tra le braccia di Giovanni, che non se n’era ancora andato. La ragazza sorrise, tra sé e sé, pensando a quello che sarebbe potuto succedere quel giorno.

E fu così che i ricordi tornarono. Fu come se la sua mente li avesse accantonati e nascosti durante quel breve periodo di sonno, per poi farli riemergere subito dopo il risveglio e farli ricadere sulla coscienza della giovane come se fossero macigni.

Appena capì che ben presto avrebbe lasciato quel luogo per essere riportata a Ravenna, la ragazza si agitò e non fu più in grado di stare lì distesa. Scivolò via dall’abbraccio del brigante addormentato, e si avvicinò alla finestra, quella da cui aveva visto il lupo, la sera prima. Anche lui era venuto a porgerle un ultimo saluto.

Teresa non era per niente sicura di ciò a cui stava andando incontro; sapeva che il rientro a casa era obbligatorio, e che senza quell’azione forzata per loro due ci sarebbero stati solo problemi.

Ma sapeva anche che non era tutto così semplice come l’aveva fatta passare Giovanni poche ore prima, e che qualcosa poteva andare storto nel loro piano. Anzi, c’erano buone probabilità che sarebbero sorti altri problemi, ma lei avrebbe combattuto anche con le unghie per non perdere il suo amore.

Ora si sentiva più matura, non era più una ragazzetta sperduta, ma era una ragazza in grado di nutrire degli animali, andare a cavallo e di preparare i pasti. Lei non era più la contessina di un tempo, ora che aveva imparato a vivere.

Il cuore, improvvisamente, prese a battere all’impazzata nel suo petto, come se fosse un martello su un’incudine.

Subito, dentro di lei i sentimenti iniziarono ad essere contrastanti. Una parte di lei voleva restare lì, con Lina e Giovanni, in quella zona lontana da tutto e da tutti, mentre l’altra parte voleva tornare da suo padre. Lo voleva veramente rivedere. Solo ora si rendeva conto che avrebbe gradito un suo abbraccio, una sua dimostrazione d’affetto.

Si rincuorò, ricordandosi che entro sera forse l’avrebbe ricevuta, perdendo però l’abbraccio di Giovanni, che per lei era più importante di ogni altra cosa.

Abbandonando momentaneamente la sua battaglia interiore, Teresa fu assalita dalla voglia di scoprire in cosa consisteva il regalo di Lina.

Intanto, nel letto Giovanni continuava a dormire, silenzioso come sempre. Il suo respiro costante non faceva mai un minimo rumore, era come avere a fianco una presenza silenziosa ma protettiva.

Ignorandolo completamente, la ragazza accese una candela, in modo da illuminare bene la stanza, e si diresse verso l’armadio. Posò una mano sull’anta destra, pronta ad aprirla, ma improvvisamente si fermò. Voleva assaporare al meglio il piacere della scoperta, poiché dentro lei sapeva che all’interno di quel mobile c’era qualcosa di speciale.

‘’Che fai?’’, bofonchiò Giovanni, la voce ancora impastata a causa del sonno. Teresa si girò verso il brigante, che si era appena svegliato, probabilmente a causa della luce della candela.

‘’Nulla’’, mentì la ragazza.

Voleva gustarsi quell’ultimo regalo da sola, senza che nessuno vedesse cosa le era stato riservato. Quindi, a passi sinuosi, tornò verso il letto, e si distese nuovamente a fianco del suo innamorato.

‘’Teresa, tra poco devo andare’’, disse Giovanni, a voce bassa.

‘’Lo so’’, riconobbe Teresa, nuovamente triste. Il suo cuore rallentò i battiti, e le concesse alcuni attimi di calma.

‘’Ehi, non ti abbattere. Quello di oggi non sarà un addio. Sarà solo la svolta che porterà all’inizio della nostra vita. Una vita che vivremo insieme’’, disse il brigante, sorridendo.

Il suo sorriso uscì spontaneo, ma insicuro. Ben presto scomparve dalle labbra di Giovanni, come se si fosse trattato solo di un riflesso. Era un sorriso pieno di incertezze, questo Teresa lo aveva capito.

‘’Lo spero’’, si limitò a dire la ragazza, senza mostrare sorrisi né altro, abbassando lo sguardo.

Fu in quel momento che Giovanni sfiorò il suo volto con la sua mano destra, e, con estrema delicatezza, glielo alzò, per poi darle un lungo bacio. La ragazza restava sempre sorpresa dalla delicatezza che potevano avere quelle mani ruvide, e si lasciò andare per un po’, fintanto che il bacio durò. Poi, tornò ad immergersi nella triste realtà.

‘’Ora devo proprio andare. Sarà un viaggio piuttosto lungo, e se vogliamo essere a Ravenna per il pomeriggio dobbiamo sbrigarci’’, disse il brigante, alzandosi e preparandosi in un attimo.

Teresa continuò a restare immersa nel suo silenzio, per poi alzarsi non appena vide che Giovanni era pronto per uscire.

Gli si avvicinò, e quella volta fu lei a baciarlo per prima. Quel bacio fu lungo e pieno di passione, un bacio che pareva quasi d’addio. Poi, le loro labbra tornarono a staccarsi, e il brigante sgattaiolò via, nel buio in cui era ancora avvolto il mondo.

‘’Preparati, tra non molto verrò a prenderti’’, disse Giovanni, già inghiottito dal buio.

Teresa richiuse la porta e si avvicinò alla finestra, guardando fuori. Il buio ben presto avrebbe lasciato spazio all’alba. Quel giorno sarebbe stato piuttosto soleggiato, ma molto freddo.

Con un sospiro, finalmente si avvicinò all’armadio, e lo spalancò.

Subito, la ragazza restò meravigliata. All’interno del mobile c’era il suo bellissimo abito con il quale era giunta fin lì, e che indossava il giorno in cui era stata rapita. Era pulito e splendente.

Subito, la giovane andò a cercare lo strappo che le avevano fatto i briganti, ma non lo trovò. Lina aveva ricucito il tutto con il miglior materiale che era riuscita a trovare, ed aveva fatto un lavoro eccezionale. Poco dopo, Teresa gettò via il suo abito da contadina, e indossò quello che era stato risistemato per lei. Le andava alla perfezione, ed era ancora bellissimo.

Tutta sorridente, fece per richiudere l’armadio ma notò qualcosa che non aveva mai visto lì dentro. Sul fondo di legno, c’era appoggiato un sacchetto di tela abbastanza consistente, pieno di qualcosa. Teresa l’aprì, e notò che era pieno di erbe essiccate, minuscole foglie triturate e miscelate, che formavano un composto con un lieve odore di campo.

La ragazza scrollò le spalle, pensando che fosse qualcosa di cui Lina si fosse dimenticata proprio lì dentro. Prese il sacchetto e richiuse le ante, proprio in tempo per vedere l’alba.

Il chiarore rossastro del sole nascente aveva preso ad illuminare il cielo, dando una sensazione di beatitudine alla giovane, che si sentì solo momentaneamente rincuorata. Sapeva che l’indomani mattina avrebbe visto quella stessa alba da un’altra finestra, da un luogo molto lontano da lì.

Mentre Teresa continuava a pensare a quel pomeriggio, Lina entrò in casa. La ragazza non si accorse subito della presenza dell’amica, ma non appena la vide non ci fu tempo per parole o altro, e si gettò subito ad abbracciarla.

‘’Grazie per il vestito, Lina! E’ tornato bellissimo, così come quando l’avevo acquistato’’, disse subito Teresa, stretta all’amica.

‘’Ah, ci ho messo tanto per risistemarlo. Quasi due settimane. Mi fa piacere che ti piaccia così tanto, ho fatto del mio meglio. Ma ora, per favore, non stringermi così forte!’’, tossicchiò la donna. Teresa lasciò l’amica, tutta felice.

‘’Tieni, questo deve essere qualcosa che ti sei dimenticata dentro all’armadio, quando ci hai sistemato dentro il vestito’’, disse la ragazza, porgendo il sacchetto delle erbe essiccate all’amica. Lina la guardò stranita.

‘’Teresa, quel sacchetto è per te. È un regalo prezioso, una precauzione da usare in caso di necessità…’’.

‘’Vieni, Teresa! Dobbiamo andare!’’, disse ad alta voce Giovanni, entrando nell’abitazione e interrompendo bruscamente il discorso di Lina.

L’uomo, non appena vide le due donne parlare, si avvicinò a loro, e, sorpreso, si fermò sulla soglia della stanza da letto, ad ammirare il vestito di Teresa.

‘’Quello è lo stesso vestito che ti ho strappato quando ti ho rapita?’’, chiese alla ragazza.

‘’Sì, è proprio questo’’, disse Teresa, facendo un girò su sé stessa e mostrando la bellezza della sua veste, perfettamente pulita e ricucita.

‘’Sei bellissima! Ora si che mi sembri una contessina. Con quegli abiti da contadina sembravi una ragazza qualsiasi’’, disse il brigante, appoggiandosi allo stipite della porta.

‘’Effettivamente questo è molto più morbido, ma un po’ più scomodo. Comunque, devo ringraziarti, Lina. Hai riportato in vita il mio magnifico vestito, me l’aveva comprato il babbo a Rimini e mi piaceva veramente tanto’’, ammise Teresa, lisciandosi la veste con le mani, e lasciando andare il sacchetto delle erbe, che cadde a terra. Subito, il brigante si gettò a raccoglierlo.

‘’Ma… cosa…’’, iniziò a dire, mentre lo apriva.

Lina ebbe un moto d’ansia, mentre Teresa rimase impassibile.

‘’Lina, no. Anche questa è opera tua! Teresa, restituiscigli subito questo sacchetto’’, intimò Giovanni, fattosi serio.

‘’No, è un suo regalo e io l’accetto’’, disse Teresa, risoluta. Poi, con una mano riuscì a strappare il sacchetto dalle mani del brigante, preso alla sprovvista dalla sua azione.

La ragazza non aveva idea di cosa servissero quelle erbe essiccate, ma voleva tenerle per sé. Era un regalo ed un ricordo dell’amica.

‘’Lina, la vuoi proprio rovinare questa ragazza. Perché ti comporti sempre così? Prima le spieghi certe cose, poi le metti tra le mani questo sacchetto, e lei lo difende come se contenesse oro puro. Teresa, almeno sai a cosa servono queste erbe?’’, chiese il brigante, sempre più cupo, mentre Lina incrociò le braccia e si preparò ad affrontarlo, con un aria di sfida impressa sul volto.

‘’No, non lo so’’, ammise la contessina, con riluttanza.

Anche se le sarebbe piaciuto scoprire a cosa servisse quel regalo, non accettava che Giovanni si comportasse così duramente con Lina, d’altronde non aveva fatto nulla di male.

‘’Spiegaglielo allora, visto che sei tu l’esperta in queste cose. O glielo vuoi far tenere in mano fino a Ravenna, quando suo padre la potrà riabbracciare e potrà vedere con i suoi occhi quello che la figlia si è portata dietro?’’, continuò Giovanni, imperterrito, rivolgendosi a Lina.

‘’La potrebbe anche vedere che non capirebbe il suo uso. Questa non è roba per conti. E comunque, queste sono erbe molto costose e molto rare. Sono pochissime le persone in grado di saperle trovare e miscelare. Eppure, sono riuscita a farmele dare da Vanna a un prezzo bassissimo’’, continuò la donna, sempre più irosa. Teresa poté solo starsene immobile ad ascoltare la discussione quanto mai animata tra i due.

‘’Te l’ha data a basso prezzo forse perché non è miscelata bene e può essere pericolosa. Tu sai meglio di tanti altri che queste cose a volte possono avere effetti parecchio nocivi su chi le assume’’, proseguì il brigante, ormai incontenibile.

‘’Oh, per favore, basta. Spiegatemi a cosa servono queste… erbe, così potrò capirvi anch’io’’, disse Teresa, interrompendo la discussione e cercando di comprendere meglio il tutto. D’altronde, se Giovanni si era adirato così tanto, un motivo ci doveva essere.

‘’Teresa, quello che stringi tra le mani non è un qualsiasi sacchetto pieno di erbe essiccate. È un miscuglio di erbe che va assunto con attenzione e correttezza. Serve per impedire possibili gravidanze’’, disse Lina, tutto d’un soffio ed abbassando lo sguardo, con aria colpevole.

La ragazza a momenti si mise a ridere, chiedendosi il perché di quel gesto.

‘’Lina, quasi mi fai ridere. Perché mi hai dato questa roba?’’, disse Teresa, ironica, mentre a suo fianco il brigante se ne stava in silenzio.

‘’Questa roba, come la chiami tu, ha una grande potenzialità. Se avrai rapporti intimi con degli uomini, basterà che tu faccia bollire un po’ d’acqua e che ci butti dentro un pizzico di queste erbe essiccate. L’acqua diventerà un po’ scura, sembrerà una tisana, e tu la dovrai bere fintanto che ancora scotta, perché se la lascerai raffreddare non farà più effetto. Mai più di un pizzico, e sempre in acqua bollente. Se farai così, potrai prevenire gravidanze, per così dire, indesiderate’’, disse Lina, sempre con lo sguardo rivolto verso terra e sussurrando quelle parole come un fiume in piena.

‘’In poche parole, non è roba per te, Teresa. È roba per prostitute, e tu non stai andando in mezzo ad una strada ma in un’abitazione signorile, dove queste erbe non ti serviranno mai. E poi, sono solo sciocche superstizioni da contadini, in fondo non servono a nulla. Dammi quell’inutile sacchetto, così lo getto via’’, disse Giovanni, cercando di prendere il sacchetto di mano alla ragazza, che si ritrasse prontamente.

‘’No!’’, disse Teresa, sorprendendo il brigante.

‘’Come no?’’, le chiese subito lui, arrabbiato.

‘’E’ un regalo che Lina ha fatto a me. Non la userò, la terrò per ricordo’’, si giustificò la ragazza.

Lina sapeva sempre tutto, era come se conoscesse il futuro delle persone. Se le aveva fatto quel regalo, un motivo poteva esserci. Giovanni sbuffò, stanco di discutere.

‘’E va bene, se proprio insisti tienila con te, e nascondila. Ma non usarla mai, anche perché non ce ne sarà bisogno. E ora andiamo, o faremo tardi’’, disse il brigante, che poi andò subito alla porta ed uscì fuori, mentre un forte nitrito risuonava tutt’attorno.

Tutto era pronto per la sua partenza, dovette riconoscere la ragazza. Teresa si mosse prontamente verso l’uscita del casolare, ma Lina la afferrò per un braccio.

‘’Hai fatto bene a tenere con te il mio regalo. È un regalo importante, quel miscuglio è rarissimo e pressoché introvabile, e funziona sempre, fidati. Ricordati le mie indicazioni’’, sussurrò Lina, facendole l’occhiolino.

 ‘’Ma… perche mi hai dato questa roba?’’, richiese Teresa, liberandosi della stretta dell’amica  e muovendosi verso la porta d’ingresso.

‘’Non si sa mai, Teresa… l’incognita è troppo alta. Io spero di rivederti qui al più presto, come mi hai assicurato, però nella vita non si può mai sapere nulla con certezza. E poi certe cose possono sempre servire’’, disse Lina con incertezza, cupa in volto.

‘’Capisco. E dovrei affrontare i pericoli della vita con degli infusi di erbe preparati da una vecchia guaritrice, che vive sperduta tra le cime degli Appennini? Va beh, mi fiderò di te. Ma sappi che nulla andrà storto, vedrai. Entro una settimana sarò nuovamente qui, Giovanni passerà a riprendermi’’, disse Teresa, sorridendo mestamente.

‘’Hai ragione, andrà tutto bene’’, disse l’amica, senza rispondere al suo sorriso e lasciando che Teresa uscisse di casa.

Non appena la ragazza uscì fuori, vide che Giovanni l’attendeva, tenendo in mano le briglie di Furia. Altri tre briganti se ne stavano poco più indietro, chiacchierando. Dei tre, la giovane riconobbe solo Gianni, gli altri erano due ragazzetti sbarbati e giovani, ed erano già posizionati sul sentiero che portava a valle, pronti per partire.

Teresa si avvicinò a Giovanni, che la fece montare in sella a Furia, per poi salire anche lui, mettendola in una posizione piuttosto scomoda.

‘’Non potrai cavalcare da sola, oggi. Ci metteremmo troppo tempo, e tutti si insospettirebbero. Quindi, dovrai accontentarti di dividere la sella con me’’, le sussurrò il brigante, mentre sfoggiava un sorriso impacciato sul volto. Un sorriso che pareva non aver voglia di mostrarsi, pieno di dubbi e di imbarazzo. Lina si avvicinò a loro, e porse un fagotto a Teresa.

‘’No, Lina, dei regali me ne hai fatti anche troppi, non posso accettarlo’’, disse subito la ragazza, senza sorridere.

‘’Tieni. Il viaggio sarà lungo, ti ho preparato un piccolo pasto. Inoltre, all’interno ci sono anche i vestiti che ti avevo dato nei primi giorni, se magari ti serviranno per fuggire e per nasconderti meglio tra la gente…’’, provò ad ipotizzare la donna, seria.

Teresa le analizzò il volto. Era tirato e stanco. Era il volto di una persona estremamente dispiaciuta.

‘’Grazie di tutto, Lina. Ci rivedremo presto’’, garantì Teresa, allungandosi e prendendo il fagotto che le porgeva la donna. Lo strinse subito forte a sé.

‘’Lo spero’’, disse Lina, e quelle furono le sue ultime parole.

‘’Andiamo’’, sussurrò Giovanni, frettoloso.

‘’Un attimo’’, disse la ragazza, guardandosi per un’ultima volta intorno.

Guardò quel casolare che l’aveva ospitata poco più di un mese prima, guardò il paesaggio e il sole nascente, inspirò a pieni polmoni quell’aria. Ora, quell’insieme di cose le davano la sensazione di essere a casa. Solo lì, tra quei monti, aveva trovato una parentesi di libertà, una libertà che ora viveva dentro di lei e che nessuno sarebbe mai più riuscito ad estirpare. Le parve incredibile che solo due mesi fa non avesse la minima idea che quel luogo magico esistesse.

Eppure, era arrivata fin lì in lacrime, e partiva ancora più triste di quando ci era stata portata con la forza. Ripensò nuovamente al fatto che il mondo era veramente strano.

‘’Andiamo’’, disse piano la ragazza al brigante, che non se lo fece ripetere e fece partire subito Furia.

Teresa guardò Lina per un’ultima volta, e le fece un cenno di saluto, che la donna prontamente ricambiò. L’amica era appoggiata al muro dell’abitazione, il volto imperturbabile. Giovanni passò a fianco dei tre briganti, richiamandoli, e loro si misero subito a seguirlo.

Teresa si girò per un’ultima volta, e fu sicura di vedere Lina che si asciugava il volto con un fazzoletto. Piangeva. La ragazza chiuse gli occhi, mentre Giovanni la stringeva più forte a sé, per non farla cadere. Lina, la dura, infine aveva pianto e si era lasciata andare. In silenzio, e quasi di nascosto, senza che nessuno potesse vederla.

Teresa sentì una lacrima scivolare sul suo viso, e subito corse ad asciugarsela con una mano.

‘’Stai tranquilla, tornerai qui con me entro pochi giorni. Andrà tutto bene’’, le sussurrò il brigante per l’ennesima volta, stando attento a non farsi sentire dai suoi compagni che cavalcavano poco più indietro da loro.

La ragazza annuì e stette in silenzio, pensando a quanto sarebbe stato duro quel viaggio. Si trovava in una posizione scomodissima, ma almeno non era imbavagliata come quando era stata rapita.

Suo padre le aveva raccontato che il viaggio di ritorno sembrava sempre meno lungo di quello d’andata, semplicemente perché si sapeva già ciò che ci si sarebbe dovuti aspettare. La giovane sperò che ciò fosse vero.

Intanto, pensieri, delusioni, il suo amore per Giovanni e la libertà ritrovata ora erano tutti aspetti che vacillavano nella sua giovane mente.

Teresa sospirò, si sistemò meglio tra le braccia del brigante, che non la stritolava come la prima volta, anzi la teneva stretta a sé con dolcezza. Il suo braccio sinistro non la stringeva, ma pareva solo appoggiato lì per non farla scivolare giù. Strinse a sé il fagotto di Lina, nel quale aveva inserito anche il sacchetto delle erbe essiccate, nel timore di perderlo, e se lo sistemò al meglio.

Poi, quasi all’improvviso, si sentì stanca. La lunga notte passata quasi insonne si fece sentire, e l’andamento ritmico e controllato di Furia non fece altro che incrementare la sonnolenza. I briganti, intanto, se ne stavano tutti in rigoroso silenzio, seguendo il loro capo.

La ragazza si accoccolò meglio vicino a Giovanni e si lasciò scivolare nel sonno, sicura che il brigante non l’avrebbe mai lasciata cadere, né lei né il suo fagotto.

 

 

Gli scossoni, sempre più forti, la risvegliarono.

Teresa si trovò ancora tra le braccia di Giovanni, ed il calore del suo corpo l’aveva tenuta al caldo, nonostante il freddo di quella giornata serena stesse cercando di penetrare ovunque.

La ragazza si guardò attorno,  sperduta, e scoprì che erano già arrivati alla pianura. Riconobbe che doveva aver riposato un bel po’. Il sole splendeva già alto in cielo, e dietro di lei si vedevano le colline, ormai sullo sfondo ma ancora ben visibili.

Cercò di ispezionare meglio con lo sguardo il territorio circostante, per comprendere meglio quanto ci mancasse al suo arrivo. Solo allora il brigante si accorse che si era svegliata.

‘’Buongiorno, bellissima. Hai dormito come una bambina per l’intera mattinata’’, le sussurrò, sorridendo amabilmente.

‘’Lo so, me ne sono accorta’’, disse Teresa, dispiaciuta. Avrebbe voluto stare sveglia, e godersi quel viaggio, appiccicata all’uomo che amava, ma aveva sciupato anche quella possibilità.

Provò a rincuorarsi, pensando che ben presto avrebbe potuto vivere la sua intera vita accanto a lui, una vita libera, selvaggia e spensierata, fatta di amore e avventure. Eppure, in quel momento difficile non riuscì a crederci appieno.

‘’Siamo quasi arrivati’’, annunciò Giovanni ad alta voce agli altri tre briganti, che cavalcavano ancora dietro di loro, in rigoroso silenzio.

Ben presto, Teresa si ritrovò a rivivere la stessa scena di un mese prima. L’ambiente circostante mutò, e le abitazioni dei contadini e i campi coltivati lasciarono spazio ai pini e alla boscaglia, mentre la strada si allargava e si inoltrava all’interno della pineta. Era la stessa strada che aveva percorso con suo padre, la stessa in cui era stata rapita.

Ancora una volta, il suo cuore iniziò a battere forte. Voleva baciare Giovanni, avvinghiarsi a lui in modo che non la potesse lasciare, eppure non poteva. Non ci riusciva.

I cavalli continuarono a proseguire ad un passo più che sostenuto, e ad un certo punto Giovanni fermò il gruppo.

‘’Gianni, tu e i ragazzi andrete alla capanna abbandonata, sapete anche voi dov’è, ce l’ha indicata Aldo la sera del rapimento. Lì vi attenderà il nostro socio. Non fatevi consegnare il bottino, tra poco verrò io a ritirarlo, ma intrattenetelo e controllate che non compia azioni sconvenienti. Io vi raggiungo tra poco’’, concluse il brigante, facendo ripartire Furia. Gianni egli altri due briganti scomparvero in fretta tra la boscaglia, bassa ma rigogliosa.

‘’Teresa, tra poco ci separeremo’’, constatò Giovanni, la voce quasi rotta dalla disperazione. La ragazza non aggiunse nulla. Non ce la faceva proprio.

‘’Mi aspettavo un saluto un po’ meno silenzioso, ma va bene così. Stai attenta, entro poco avrai notizie di me, poi staremo insieme per sempre’’, disse il brigante, che poi fece rallentare il cavallo, per abbassarsi e baciare Teresa sulle labbra. La ragazza ricambiò il bacio, mentre l’ennesima lacrima scorreva lungo il suo viso.

‘’Non piangere. Questo è solo l’inizio, vedrai. Torneremo insieme entro meno di un battito di ciglia’’, le sussurrò nuovamente il brigante, utilizzando quelle solite parole che ormai erano diventate una sorta di portafortuna per loro, mentre la ragazza continuò a restare chiusa in sé stessa.

Il cuore parve esplodere nel suo petto quando, con la vista annebbiata dalle lacrime, intravide suo padre. Era in piedi, a fianco di una bella carrozza. Non appena li vide arrivare, iniziò a camminare verso di loro.

Giovanni la afferrò e la mise a terra, senza dire nulla.

Teresa a quel punto non resistette all’istinto di gettarsi tra le braccia di suo padre. Percorse quei pochi metri che la separavano da lui barcollando, tutta indolenzita dalla postura che aveva dovuto assumere nelle ultime ore, e stringendo forte il fagotto di Lina.

Suo padre le sorrise, e spalancò le braccia, pronto ad accoglierla con calore.

‘’Padre’’, gli disse, non appena finì nel suo abbraccio. L’uomo la ricambiò con affetto.

‘’Figlia mia. È tutto a posto, è tutto finito’’, le disse.

Fu a quel punto che la ragazza si girò indietro, a cercare Giovanni. Ma del brigante non c’era più neppure l’ombra. Se n’era già andato.

Teresa si liberò dall’abbraccio del padre, percorse qualche passo ma alla fine si lasciò cadere in ginocchio, distrutta. Solo in quel momento aveva capito cosa significava separarsi da colui che, nell’ultimo periodo, era diventato il suo punto di riferimento.

‘’Giovanni!’’, gridò, con tutta la forza che aveva, arrivando a farsi male alla gola.

Il suo grido straziante ruppe il silenzio della pineta, facendo fuggire una gran moltitudine di uccelli, ma ovviamente non ottenne risposta.

Suo padre, dietro di lei, la fissò sconvolto.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

È giunto il momento tanto atteso. Ora Teresa è tornata con suo padre, mentre Giovanni andrà a riscattare il bottino. Ma andrà tutto bene? Vi lascio con questa domanda, che troverà risposta nel prossimo capitolo J

Grazie a tutti per il vostro sostegno J

A lunedì prossimo J

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

CAPITOLO 22

 

 

 

Giovanni guardò Teresa gettarsi tra le braccia del padre, che nel frattempo sembrava molto felice di aver ritrovato la figlia.

Il brigante non trovò la forza per soffermarsi di più, e face partire Furia al galoppo, in modo da potersi allontanare il più possibile dalla ragazza, se no sarebbe stato tentato di tornare indietro per riprenderla con sé. Eppure sapeva che per quello doveva attendere.

Non si girò mai indietro, non voleva rivederla proprio in quel momento. Guardarla gli avrebbe spezzato il cuore. Si fece forza, sapendo che tra poco avrebbe incontrato Marco, e in ogni caso lui l’avrebbe aiutato ad organizzare la fuga della sua amata. Era certo che tutto si sarebbe svolto per il meglio.

Infatti, alla fine aveva deciso di mettere in pratica i consigli del suo informatore, ed aveva preso con sé solo tre dei suoi uomini. Però, non aveva incontrato nessuna guardia durante il viaggio, e questo l’aveva insospettito parecchio. Stando a ciò che aveva detto Marco, avrebbero dovuto esserci guardie ovunque, eppure non ne aveva intravista neppure una.

Mentre Furia avanzava lentamente verso la capanna dove l’avrebbe dovuto aspettare Aldo, Giovanni ebbe un brutto presentimento, che ricacciò subito indietro.

D’altronde, ormai era portato a pensar male della vecchia volpe delle paludi solo per via di quei sogni che aveva fatto poco più di tre settimane prima. In realtà, tutto era tranquillo e fino a quel momento ogni cosa sembrava procedere nel modo più giusto. Il brigante notò il sentiero che si inoltrava per una decina di metri nella boscaglia, e si accinse ad abbandonare la strada principale.

Gli parve di sentire un grido straziante, in lontananza.

Fermò il cavallo, per un attimo. Era certo che Teresa avesse gridato il suo nome. In preda ai sensi di colpa, si morse il labbro inferiore e si abbassò leggermente sulla groppa di Furia, per poi accingersi a ripartire e a concludere l’affare con Aldo. In quel momento, non poteva fare nulla per lei.

Eppure, tentennò ancora un attimo, continuando a pensare alla ragazza, e all’amore che provava per lei. Avrebbe voluto tornare indietro al galoppo sfrenato e raccoglierla al volo, per poi tenerla stretta a sé e riportarla nel suo covo, ma purtroppo sapeva bene che questo era impossibile. Se l’avesse fatto, i suoi tre ragazzi sarebbero morti, e la banda di Aldo avrebbe causato disagi a non finire. Quindi, si apprestò ad entrare nella boscaglia.

Improvvisamente, udì uno scoppio di grida, poco distante da lui. Partì un colpo di pistola, poi un secondo. Erano uomini quelli che gridavano. I suoi uomini.

Non riuscendo a capire, non trovò la forza di percorrere il sentiero che gli si apriva davanti, mentre un brivido freddo percorse il suo corpo dalla testa ai piedi. Subito dopo, altri due spari, e le grida si acquietarono per un attimo.

Giovanni estrasse la sua pistola, la caricò e si fece coraggio. Furia si mosse, eppure tornò a fermarsi. Infatti, dal mezzo della boscaglia spuntò Gianni, che ruzzolò a terra. Il suo volto era una maschera di sangue.

Il cavallo di Giovanni iniziò ad irritarsi e ad agitarsi, mentre il brigante, sempre più sconcertato, cercò di smontare di sella per soccorrere l’amico. Gianni tentò di rialzarsi, lasciando a terra una pozza di sangue.

‘’Zvàn vai via! Era una trappola, li hanno uccisi, volevano te’’, iniziò a gridare l’amico, mentre ricadeva nuovamente a terra.

Il brigante voleva fuggire, mentre ormai era certo che Aldo lo voleva far fuori. Eppure, non poteva lasciare l’amico lì.

Mentre Gianni gli faceva cenno di andarsene, il capo dei briganti strinse la pistola tra le mani e lanciò Furia verso l’amico, tentando un ultimo disperato tentativo di raccoglierlo e di salvarlo. Eppure, poco distante una decina di pistole fecero fuoco, e le pallottole volarono ovunque.

Gianni venne colpito una, due e tre volte, e il suo corpo si accasciò a terra senza vita, mentre Furia scartava di lato e si gettava al galoppo sfrenato verso la pianura interna. Subito dietro di lui, spuntò Aldo, seguito da una decina dei suoi migliori scagnozzi. Impugnavano pistole scadenti ma micidiali, ed erano pronti ad inseguirlo per ucciderlo. Quella volta facevano sul serio, e parevano ben organizzati.

A Giovanni tornò in mente l’ultimo agguato che aveva subìto, mentre gli parve che la vecchia cicatrice alla spalla fosse tornata ad aprirsi. Tutto ad un tratto il dolore si fece insopportabile, e il brigante ruggì, mentre le pallottole sibilavano attorno a lui, colpendo tronchi d’albero o il suolo.

Il brigante cercò di pensare razionalmente, e capì che i suoi aggressori stavano solo giocando con lui; probabilmente ce n’erano altri sparsi per tutta la pineta, pronti ad aggredirlo, sfruttando la loro conoscenza del territorio. Ben presto gli aguzzini lo avrebbero colpito, e non valeva più la pena seguire la strada principale, poiché avrebbe significato solo una morte più dolorosa. Meglio morire con un solo proiettile conficcato in testa che con decine di pallottole disseminate per tutto il corpo.

Giovanni riconobbe che doveva correre il rischio di inoltrarsi nel fitto sottobosco, che avrebbe potuto nascondere altri banditi ma che gli avrebbe anche fornito una piccola protezione, e non lo avrebbe lasciato esposto al tiro dei nemici, nonostante il fatto che i banditi delle paludi non avessero una buona mira.

Per un istante solo, il brigante si girò indietro, e vide Aldo che, ghignante, si accingeva a sparagli. Aveva già caricato la sua pistola, ed aveva preso la mira corretta. Lo avrebbe ucciso, da lì a poco.

Giovanni tentò la sua ultima mossa, e spinse Furia a saltare nella boscaglia, abbandonando definitivamente la strada principale. L’animale era fuori controllo, terrorizzato dall’odore del sangue e dagli spari, eppure, all’ultimo, scartò e si gettò tra gli sterpi.

Lo sparo di Aldo partì in ritardo, forse il bandito era stato colto di sorpresa dalla mossa estrema di Giovanni, eppure la pallottola sibilò a poca distanza dall’orecchio destro del brigante, perdendosi poi tra gli alberi. Fortunatamente, non era stato colpito.

Mentre Furia si gettava tra le sterpaglie rinsecchite e pungenti, sembrò vacillare per un attimo. Anzi, sembrò proprio che stesse per azzopparsi. Eppure, per miracolo, il cavallo riprese la sua corsa, piuttosto rallentata fintanto che non raggiunse un sentiero in terra battuta, probabilmente utilizzato dai raccoglitori di pinoli.

Furia continuò a correre nel bel mezzo della pineta, mentre Giovanni si abbassava sulla schiena dell’animale per proteggersi da possibili proiettili. Per fortuna, dopo poco, gli spari cessarono, inghiottiti dalla boscaglia.

Il brigante fece rallentare il suo cavallo, che obbedì subito, e cercò un qualche punto di riferimento. Ormai era pomeriggio inoltrato, e doveva uscire dalla pineta prima che facesse buio.

Quello era il territorio di Aldo e della sua banda, era quasi la loro casa. Sicuramente, avrebbero organizzato qualche battuta di caccia all’uomo, per poterlo ritrovare e finire. Doveva uscire da quella trappola. Ormai era diventato solo un grande ostacolo per i banditi; sapevano che se fosse riuscito a sopravvivere avrebbe potuto vendicarsi. Quindi, avrebbero cercato di ucciderlo ad ogni costo.

Giovanni iniziò a guardarsi attorno con più attenzione. I grandi pini erano molto alti, e la loro chioma rigogliosa adombrava il sottobosco, che era composto da altissimi sterpi che in quel periodo dell’anno erano gialli e rinsecchiti, per via del freddo e delle gelate notturne.

Nel raggio del visibile, il brigante non riuscì ad individuare nessun punto di riferimento che avrebbe potuto aiutarlo ad uscire da quel labirinto di sterpaglie e alberi. Giovanni, solo più che mai, si premette la ferita alla spalla, che sembrava essersi risvegliata a causa dello spavento, mentre il suo cuore batteva così tanto forte nel petto che sembrava stesse per esplodere. Doveva prendere una decisione, e soprattutto doveva riprendere a muoversi subito, se no lo avrebbero rintracciato.

Scese un attimo da Furia, cercando di organizzare al meglio i propri pensieri, e bevve un sorso d’acqua, più che altro per cercare di calmarsi e rinfrescarsi un attimo.

E il senso di colpa arrivò subito, più forte della paura. Gianni e altri due dei suoi ragazzi erano morti a causa sua. Il brigante si lasciò prendere dallo sconforto, ma capì che quello non era il momento giusto per ragionare.

Salì di nuovo in sella al suo cavallo, che ora respirava più regolarmente e si era riposato un attimo, e lo fece ripartire.

Giovanni decise di seguire le piste dei raccoglitori di pinoli, che erano le uniche vie percorribili nel bel mezzo di quel disordine. Di certo quella era la scelta più logica, e i suoi nemici avrebbero preso a percorrere quei suoi stessi sentieri, quindi doveva uscire da lì in fretta.

Nonostante sapesse che la maggior parte della pineta era tenuta custodita e pulita dagli uomini, sempre pronti raccoglierne ogni possibile frutto commestibile, quell’area era ancora allo stato selvaggio, e nessun cavallo poteva riuscire a muoversi in fretta nel bel mezzo di quegli arbusti rinsecchiti e pungenti.

Spronò Furia a velocizzare il passo. In lontananza, un cavallo nitrì. I banditi di Aldo erano già sulle sue tracce.

Zigzagando tra quel caos primordiale, pensò che quel sentiero avrebbe dovuto portare da qualche parte, e che prima o poi sarebbe sbucato al di fuori di quel territorio selvaggio. Ma non c’era molto altro tempo per pensare.

Mentre il suo cuore batteva all’impazzata, sentì un grido poco distante. Altri banditi, sempre più vicini a lui. Spinse Furia alla massima velocità percorribile in un sentiero così malmesso, ma il cavallo sembrava già sul punto di cedere. Sfiancato dalla lunga cavalcata che lo impegnava già da più di mezza giornata, l’animale ansava e a breve non sarebbe riuscito più a mantenere un passo costante.

Giovanni prese ad imprecare, ed ogni tanto si girava indietro.

Ben presto si accorse che forse non sarebbe uscito più da quella maledetta boscaglia, d’altronde i sentieri si snodavano dappertutto e lui ne sceglieva sempre uno a caso, quello che forse avrebbe avuto più probabilità di portarlo fuori dal labirinto di sterpi e alberi.

Altre grida giunsero fino a lui, sempre più vicine.

Giovanni cercò di mettere da parte la paura e si preparò al confronto. Non aveva intenzione di farsi uccidere dai nemici senza aver prima combattuto. Impugnò al meglio la sua pistola, mentre Furia rallentava ulteriormente.

E fu proprio in quel momento che il brigante si accorse che, poche decine di metri di fronte a lui, la pineta terminava, ed iniziavano i campi coltivati della pianura interna. Quasi perdendo il controllo di sé, cercò di spronare il cavallo a riprendere la corsa, senza alcun risultato.

Dietro di lui, poté udire il rumore degli zoccoli dei suoi aguzzini. Giovanni continuò a guardarsi intorno, mentre Furia finalmente usciva fuori dalla pineta, mantenendo un passo stanco e lento.

Infatti, non fece in tempo neppure ad attraversare il primo campo arato che i banditi di Aldo uscirono allo scoperto, e presero a far fuoco.

Era finita. Le pallottole presero a sfrecciare ovunque, una lo colpì di striscio alla testa ed il sangue iniziò a colare, copioso, sul suo volto, annebbiandogli la vista.

Poi, altri spari. Di fucile, questa volta. Giovanni si pulì il volto in fretta e tornò a girarsi indietro, pronto a far fuoco, ma si accorse che stavano spuntando guardie ovunque.

I gendarmi, armati di fucile, fecero fuoco sui banditi di Aldo, arrestandone l’avanzata. Alcuni di loro caddero a terra, feriti o morti, mentre tutti gli altri si affrettarono a tornare a rifugiarsi nella pineta, dove le guardie avrebbero fatto più fatica a rintracciarli. Qualche contadino doveva esser corso a Ravenna dopo aver udito gli spari e il trambusto, avvisando i custodi della legge, che avevano agito di conseguenza.

Furia scattò, terrorizzato dal rumore, e riprese a galoppare al massimo delle sue capacità mentre le guardie non parevano intenzionate ad inseguire il brigante solitario, preferendo di occuparsi di finire i banditi rimasti feriti.

Giovanni si accasciò nuovamente sulla schiena del suo cavallo, sperando che nessuno tentasse di inseguirlo, e fortunatamente fu così. Il cuore poté rallentare il suo battito. Mai un intervento della gendarmeria era stato così tanto gradito.

Ben presto si trovò disperso nelle campagne ravennati, cavalcando lentamente. Forse si era perso, ma non voleva pensarci, poiché in quel momento realizzava che nulla aveva più senso.

Giovanni riconobbe che neppure la sua stessa vita ormai era rovinata. Si chiese come avrebbe potuto spiegare ai suoi compagni che aveva sbagliato tutto, che aveva portato i loro compagni alla morte e che era stato ingannato due volte.

Il brigante sapeva che i capi, dopo sconfitte così dure, venivano facilmente rimpiazzati. Aveva dato due schiaffi alla sua banda, uno dopo l’altro; il primo quando li aveva cacciati nei guai facendoli cadere in un agguato solo per il fatto che lui pensava a Teresa e non gli andava di organizzare da solo le sue rapine, e il secondo glielo aveva dato ora, portando al mattatoio tre dei suoi uomini più fedeli. Avrebbe dovuto organizzarsi in un modo migliore e prendere con sé più uomini, in modo da poter sventare ogni possibile sotterfugio del nemico, ed invece si era fatto raggirare.

Ora il fedele Gianni non ci sarebbe stato più a dargli una mano. Era morto per nulla.

Per un attimo, i suoi pensieri scivolarono verso Teresa, e capì che aveva perso anche lei. Marco e Aldo erano avevano organizzato l’ennesimo agguato, e lui ci era caduto in pieno, perdendo il suo amore e la sua dignità. Nessun servo avrebbe aiutato la sua amata a fuggire, loro due non si sarebbero più rivisti. Quella era la fine di tutto.

Immerso nel bagliore rossastro di un tramonto maledetto, il brigante trovò le forze per chiedere indicazioni ad un contadino del luogo, lasciandogli una moneta e facendosi indicare la strada che aveva perso di vista da quando si era gettato tra gli sterpi della pineta.

Furia aveva ripreso a muoversi in modo stanco e lento, ma non aveva più importanza, ormai. Giovanni arrivò a sperare che i gendarmi lo rintracciassero, e che lo fucilassero sul posto.

Si chiese con quale coraggio si sarebbe ripresentato ai suoi compagni, e come avrebbe fatto a spiegare l’accaduto.

Con la mano destra, si grattò via un po’ di sangue raggrumato da una guancia. La ferita di striscio alla fronte non faceva particolarmente male, ma il cuore sì.

Pensò che era meglio fuggire, andarsene lontano, magari verso sud, rifarsi una vita e cercare di rintracciare Teresa, ma era troppo leale per farlo. Avrebbe affrontato il suo gruppo, ed avrebbe accettato la loro punizione.

Mentre calava la sera, il brigante si ritrovò a cavalcare solo, stanco e dolorante verso il luogo che per lui ormai non sarebbe stata più una casa, bensì il luogo dove forse avrebbe riposato il suo sonno eterno. I briganti non erano avvezzi a perdonare certe colpe dei loro capi.

 

 

 

Teresa se ne stette con le ginocchia a terra per un po’.

Suo padre la guardava senza capire cosa poteva averla spinta a compiere quel gesto dall’apparenza insensata. Eppure, dopo poco, il conte le andò vicino e la strattonò, costringendola a rialzarsi.

‘’Figlia, tirati su. Di chi è quel nome che hai appena invocato?’’, chiese l’uomo, con toni pacati.

‘’Padre, Giovanni è…’’, iniziò a dire la ragazza, ma subito dopo si rese conto che non poteva dirlo al padre. Se avesse sospettato di una possibile follia della figlia, di certo avrebbe alzato la guardia e l’avrebbe controllata continuamente. Quindi, in un attimo decise di non rivelargli nulla.

‘’Non è nessuno, padre. Perdona il mio comportamento, sono molto stanca’’, disse infine la ragazza, con un tono di voce forzatamente tranquillo.

‘’Non mi sembra che la signorina sia particolarmente stanca, signor conte. Mi sembra piuttosto triste’’, disse una voce proveniente da dietro di lei.

Teresa riconobbe subito quella voce. L’aveva sentita tante volte, forse troppe, e l’aveva sempre odiata. Un brivido gelido la percosse, per poi lasciare spazio al panico e alla paura.

La ragazza si girò indietro appena in tempo per vedere il giovane che si stava muovendo verso di loro. Si trattava proprio di Alfonso, il suo promesso sposo.

Subito, Teresa rivolse uno sguardo smarrito ed implorante al padre, che fece finta di non aver visto nulla e si mosse verso il giovane. La ragazza non poté far altro che chiedersi cosa ci facesse lui lì. Di certo non era portatore di buone notizie per lei.

‘’Alfonso, Teresa è davvero stanca ora. Tieni presente che ha viaggiato a lungo’’, disse il conte, affiancandosi al giovane e parlandogli con toni confidenziali, nello stesso modo in cui un padre si rivolgerebbe ad un figlio.

Non era una novità, la ragazza aveva sentito più volte dire da suo padre che Alfonso era come un figlio per lui, il figlio maschio che non aveva mai avuto. Alfonso accettava di essere trattato in modo cortese e confidenziale, ma si rivolgeva sempre al conte con il dovuto riguardo. Il loro era un rapporto strano. Anzi, Alfonso era di per sé molto strano.

Teresa non poté non notare quanto fosse elegante quel giorno; era vestito come un vero signore. In mano aveva un bastone da passeggio tutto intarsiato e con magnifiche decorazioni minuziose, che gli faceva assumere un’aria decisamente signorile e matura. I suoi vestiti erano sontuosi e magnifici.

Il ragazzo aveva ventiquattro anni, ed era piuttosto alto e con un fisico asciutto e attraente. Ogni volta che sorrideva, metteva in mostra una dentatura bianca e perfetta, che faceva da sfondo ad un bel viso rotondeggiate e ben rasato. I capelli erano tagliati non troppo corti, in modo da poter essere tirati all’indietro, ed erano di colore castano chiaro.

Era indubbiamente un ragazzo molto bello, ma che non aveva mai convinto Teresa. Sembrava nascondere dei segreti.  

Il suo comportamento in genere era subdolo, aveva delle buone doti oratorie e raccontar bugie era all’ordine del giorno. Ma d’altronde, se non poteva farlo lui non poteva farlo nessun altro.

Alfonso, infatti, non era altro che il nipote prediletto di papa Gregorio XVI. Era anche per quello che suo padre voleva consegnarla a lui; era uno degli uomini più privilegiati del periodo che vivevano nello Stato della Chiesa. Si diceva che Gregorio, nei momenti vuoti delle sue impegnative giornate, lo ascoltasse sempre e tendesse ad esaudire ogni sua piccola richiesta.

Mentre il suo promesso sposo la fissava, Teresa non poté far altro che restare pietrificata a guardarlo senza neppure riuscire a celare la sua espressione stupita. Il giovane, scaltro come sempre, si accorse del suo imbarazzo e si affrettò a prenderle la mano tra le sue e, inchinandosi leggermente, le diede un soffice bacio.

‘’Teresa, è un piacere rivederti sana e in forze’’, disse il giovane che, dopo il baciamano aveva tirato su la testa, e le sorrideva affabilmente.

Teresa non trovò la forza per dire nulla, strinse a sé il fagotto di Lina ed abbassò lo sguardo. Dentro di lei, i suoi sentimenti erano in tumulto.

‘’E’ rimasta muta sua figlia, signor conte?’’, chiese Alfonso dopo un po’, sempre col sorriso sulle labbra.

‘’Sai com’è fatta, caro Alfonso. Teresa è una ragazza molto timida, e poi ha appena vissuto la fine di un incubo, è comprensibile che ora non se la senta di parlare’’, provò a giustificarsi il conte, imbarazzato dal mutismo della figlia.

‘’Beh, Teresa, è molto scortese da parte tua non parlarmi, non dopo il lungo viaggio che ho fatto per vederti’’, aggiunse il ragazzo, con toni tranquilli.

‘’Solo per vedermi? O c’è dell’altro?’’, chiese Teresa tutt’a un tratto, rompendo il suo mutismo e gettandosi in una situazione quanto mai imbarazzante.

‘’Teresa! Chiedi subito perdono al tuo futuro sposo per la tua insolenza’’, la riprese subito suo padre, con toni che non ammettevano repliche.

‘’Alfonso, ti prego di perdonarla. Non voleva offenderti, sono sicuro che anche lei sia felicissima di rivederti, però ora è molto stanca e confusa…’’, riprese a dire il conte, con toni di scuse.

‘’Ma certo, non c’è bisogno di nessuna scusa, signor conte. È tutto comprensibile’’, continuò a dire il ragazzo, sempre mantenendo il sorriso stampato sul viso. Eppure, Teresa fu certa di aver visto un lampo d’ira nei suoi occhi. E fu per quello che non se la sentì di rispondergli.

‘’Comunque, mia cara Teresa, sono venuto fin qui non solo per vederti, ma anche per darti una buona notizia, probabilmente la più bella che tu abbia mai udito. Mi permetterò di dirtela subito, se tu almeno avrai la cortesia di farmi vedere cosa ti sei portata dietro in quel fagotto’’, continuò a dire Alfonso, fissandola da capo a piedi e con un’espressione lievemente disgustata sul volto. Teresa comprese subito che voleva metterla in imbarazzo con suo padre, e temette di sapere già quale sarebbe stata la bella notizia.

‘’Figlia cara, non tentennare. Non hai sentito cosa ti ha appena chiesto Alfonso? Avanti, esaudisci la sua gentile richiesta’’, continuò suo padre, fulminandola con lo sguardo.

La ragazza stava per mettersi a piangere. Quel ritorno si stava rivelando il peggior incubo della sua vita. Ma, nonostante tutto, aprì il fagotto di Lina e ne mostrò il contenuto. Fortunatamente, il sacchetto con le erbe era nascosto sotto i vestiti,e nessuno lo vide. Comunque, la mano sinistra di Alfonso corse a coprirsi la bocca, mentre metteva in scena un’espressione talmente tanto disgustata da poter lasciare sconvolto chiunque. Il conte rimase leggermente perplesso, inarcò un sopracciglio ma cercò di mantenersi rigido in volto.

‘’Stracci da contadino. Gettali via subito, Teresa, è roba sporca e totalmente inadatta per una ragazza nobile e bella come te. E poi, quelle bestie là, che vivono nascoste tra i monti, chissà quante malattie hanno. Signor conte, sa che secondo i più recenti studi sulle malattie…’’.

‘’Non ora Alfonso, per favore. Sei molto gentile a fornire tutti questi consigli a mia figlia, si vede che la ami molto e che vuoi già proteggerla da ogni possibile insidia del mondo, però prima di tutto avremmo bisogno di tornare alla nostra dimora, in modo che Teresa possa darsi una ripulita e riposarsi un attimo. Se vorrai, ti attenderemo a cena. Sarai il benvenuto al nostro desco, così potrai dare a mia figlia la buona notizia di cui parlavi poco fa. La situazione, così, sarà più consona al nostro grado’’, disse il conte, molto affabile ma non nascondendo un vago rimprovero.

‘’Ma certo, signor conte. Accetto volentieri il vostro invito’’, ribadì il giovane, ripetendo frasi come un uccelletto ammaestrato.

Teresa se ne stette in rigoroso silenzio, sapeva che suo padre non avrebbe gradito un altro suo intervento non richiesto, ma non poté far a meno di provare dispiacere per tutto ciò che Alfonso le aveva detto.

Aveva dato a Giovanni, a Lina e a Mario delle bestie, ed aveva chiamato stracci i suoi ricordi. Solo allora iniziò a rendersi conto che la realtà in cui era tornata a vivere era orribile, per lei.

Avrebbe voluto spiegare che quei briganti che lei aveva avuto modo di conoscere non erano esseri così feroci e spietati come pensavano tutti, ma che erano persone con un cuore, costrette a rubare per sfamarsi e restare in vita. Eppure, non voleva spingersi troppo in là e lasciare indizi su una sua possibile fuga. Perché lei sarebbe fuggita al più presto da quella situazione, e Alfonso non l’avrebbe mai avuta.

In quel preciso istante, numerosi spari riecheggiarono per tutta la pineta. Teresa ebbe da subito un brutto presentimento.

‘’Che succede?’’, chiese il conte, allarmato.

‘’Saranno quei briganti che litigano tra loro, non sarebbe la prima volta. Si sa, per prendersi certi bottini quelle bestie sarebbero pronte ad uccidere i loro stessi familiari’’, affermò Alfonso, saccente.

Il brutto presentimento si trasformò in panico, dentro Teresa. Sentiva che Giovanni era in pericolo.

Mentre suo padre e Alfonso si congedavano l’un l’altro, la ragazza fu tentata dal girarsi indietro e fuggire. Eppure, una mano forte e decisa la afferrò prima che avesse potuto fare un solo passo.

‘’Vieni, Teresa. Sei stata anche troppo scorbutica, per oggi’’, le disse suo padre, che quasi la costrinse ad entrare dentro la loro carrozza.

‘’Padre…’’, tentò di dire la ragazza, notando il suo improvviso cambiamento d’umore. Alfonso, intanto, se n’era già andato, a dorso del suo magnifico destriero.

‘’No, non dire nulla. Le cose sono cambiate, e anche di molto. Ti spiegherò meglio tra un po’, quando ti sarai riposata’’, le disse, accompagnandola dentro, senza lasciare la presa neppure per un istante.

Teresa fu quasi sul punto di opporre resistenza, ma alla fine lasciò fare.

Non appena fu all’interno della carrozza, la ragazza non poté far altro che affondare il suo volto tra i vestiti e piangere come una bambina, sotto lo sguardo rigido e severo di suo padre, che non le chiese nulla ma si limitò a fissarla, sempre più adirato.

‘’Teresa, non ti riconosco più. Sembri una pazza. Che fine ha fatto l’educazione che ti ho impartito? E perché ti disperi tanto? Dovresti essere felice. O, almeno, fingere felicità quando vedi Alfonso’’, le sibilò tra i denti, la voce dura che non esprimeva alcun tipo di comprensione.

La ragazza non disse nulla, e si limitò ad asciugarsi le lacrime.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Devo fare una precisazione; come tutti gli altri personaggi del racconto, anche Alfonso è frutto della mia immaginazione. In poche parole, da quel che so, Gregorio XVI non ha mai avuto un nipote talmente tanto prediletto da poter finire nelle sue grazie. Quindi, la figura di Alfonso non è mai esistita nella realtà.

Detto questo, spero che il racconto in sé risulti abbastanza verosimile e gradevole da leggere.

Mi farebbe molto piacere leggere i vostri pareri sulla storia, che come avrete capito, sta prendendo una certa piega. Ma non disperate, anzi, ricordate che il racconto non è in procinto di concludersi, ed è ancora piuttosto lungo e complesso.

Per ora posso solo dirvi che sono piuttosto soddisfatto di essere riuscito, fino  a questo momento, ad aggiornare con puntualità ogni lunedì.  

Grazie a tutti coloro che continuano a seguire il racconto, e in modo particolare a chi continua a sostenerlo con gentili recensioni J grazie!!

A lunedì prossimo J

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

CAPITOLO 23

 

 

 

Mentre la carrozza proseguiva la sua corsa verso l’abitazione del conte suo padre, Teresa smise di piangere e cercò di ricomporsi. Nella sua mente, vicende, parole ed immagini si sovrapponevano l’un l’altra, per formare un quadro alquanto disordinato, ma tenuto insieme dalla paura.

Suo padre non la guardava nemmeno, i suoi occhi erano puntati a terra e non accennavano a rialzarsi.

La ragazza voleva fuggire da quel posto. Non sapeva neppure se Giovanni stava bene, e qual’era l’origine degli spari di poco prima. Inoltre, le era stato detto che tutto era cambiato. Questo non preannunciava nulla di buono.

All’interno della carrozza regnò il silenzio assoluto, mentre Teresa continuava a frugare dentro di sé, cercando almeno di rassicurarsi, pensando che tutto in fondo sarebbe andato per il meglio e che entro pochi giorni sarebbe tornata libera. Dopo aver assaggiato la libertà, non voleva più tornare in gabbia.

Ma per affrontare il tutto non doveva piangere, mai più. Piangere era inutile e la faceva sentire nuovamente come quella ragazzina che era stata fino a pochi mesi prima. Per continuare a cercare la propria libertà, e per ritrovare il suo amore, avrebbe lottato anche con le unghie.

Dopo un periodo di tempo indeterminato, la carrozza si fermò. Il conte scese, e fece cenno alla figlia di seguirlo.

La ragazza fu presa sottobraccio dal padre, che la tenne vicina a sé con una stretta più forte del previsto. Aveva paura che lei facesse scenate in pubblico, ed aveva capito che qualcosa tra loro si era spezzato. Nulla sarebbe stato più come prima, anche se la giovane non ne aveva ancora totalmente compreso il motivo.

A passo svelto, attraversarono un giardinetto ben curato, dove qualche servo stava facendo finta di affaccendarsi, sorpreso nel dolce far nulla dal padrone di casa. In ogni caso, i servi neppure alzarono la testa, mentre il conte non li degnò nemmeno di uno sguardo ed accompagnò la figlia verso l’ingresso di casa.

L’abitazione era decisamente più piccola del normale e non era di certo una villa signorile; incastonata tra altre case simili, quella dimora non era nulla di speciale e non faceva una grande figura.

Teresa comprese che forse quel trattamento irrisorio poteva aver inacerbito ancora di più suo padre. Il conte amava il lusso, un lusso giusto però, che mettesse in risalto la sua origine nobiliare, però non poteva di certo soggiornare in una casa dall’apparenza così insignificante.

Nessuna scalinata portava all’ingresso, c’era solo una porta semplice che dava sul cortile, come le dimore dei contadini.

La ragazza continuò a rimanere esterrefatta dal tutto, e quando entrò nella casa, notò che dentro era anche peggio. Era composta da stanze piccole, gli spazi erano ridotti al minimo e pure i mobili erano pochi e di certo non pregiati. Nessun’opera d’arte era alle pareti, e nessun spazioso corridoio conduceva alle misere stanze. Teresa, allibita, guardò suo padre, che era scuro in volto.

‘’Ogni volta che entro in questo tugurio, mi sale il voltastomaco. Non svolgerò mai più missioni diplomatiche’’, disse il padre, quasi come se le avesse letto nella mente, lasciandola libera ed invitandola a seguirla.

‘’Questa è la tua stanza. Lo so, questo ambiente non è dignitoso neppure per un contadino che abbia due soldi in tasca, ma tanto entro un paio di giorni ce ne andremo. Ora sistemati e poi fatti subito un bagno e riposati. Questa sera ti voglio vedere in splendida forma’’, disse il padre, con fare duro.

Teresa poté solo stare ad ascoltare, travolta dagli eventi.

Non appena entrò il quella che avrebbe dovuto essere la sua camera, notò subito la ristrettezza dell’ambiente, e la scarsità di mobilia. La ragazza pensò che forse era meglio l’abitazione che le avevano dato i briganti.

Suo padre se ne andò in fretta, lasciandola momentaneamente sola. Teresa si diresse subito verso l’armadio, che trovò pieno dei suoi vestiti nuovi, che comunque erano stati gettati dentro a caso. I servi non si erano neppure presi la briga di prendersi cura dei suoi abiti. Ma alla giovane non importava più di tanto, e fece un po’ di spazio tra le vesti gettate quasi alla rinfusa per sistemare il fagotto le aveva preparato Lina.

Prima di richiudere le ante, le tornò in mente che l’amica le aveva detto di averle preparato uno spuntino, e la ragazza andò velocemente a controllare. Infatti, la donna le aveva preparato un panino.

Nonostante l’ansia a cui era sottoposta, Teresa provò una certa fame, ma prima doveva farsi un bagno. Prese una veste pulita, richiuse l’armadio ed uscì nello stretto corridoio, trovandosi faccia a faccia con suo padre, che se ne stava seduto su una scomoda sedia in legno, leggendo un libro. Lei lo guardò, spaurita.

Lui la stava controllando. Non fece in tempo a porsi altre domande, poiché le fece subito un cenno con un dito.

‘’Il bagno è là. C’è una vasca e un po’ di detergenti. Vedi di uscire da lì splendida e pulita’’, disse il conte, spingendola a proseguire verso la stanza da bagno.

Teresa, sperduta più che mai, si trovò di fronte all’ennesimo ambiente angusto e spoglio, ma almeno era ben illuminato. Una finestrella, posta piuttosto in alto, illuminava a dovere la stanza, nel cui centro era posizionata una vasca di dimensioni piuttosto ridotte.

La ragazza si tolse i vestiti, ignorando il freddo, e si diresse verso quella vasca che pareva più una tinozza, sperando in un bagno caldo.

I servi avevano l’avevano riempita per lei, ma l’acqua non era calda, era quasi fredda. La giovane ebbe un brivido, e fu in procinto di tornare indietro ma non se la sentì di affrontare nuovamente suo padre, e alla fine si immerse.

Provò un brivido gelido, l’acqua ormai era quasi fredda eppure era ancora sopportabile. Si diede una lavatina veloce, per poi uscire quasi subito dalla vasca, che aveva anche una macchia di ruggine sul bordo.

Disgustata, Teresa dovette asciugarsi e rivestirsi da sola e in fretta  e furia, per non prender freddo, mentre al di là del muro, nel giardinetto, alcuni servi schiamazzavano. Invece di servire il conte, la servitù se ne stava a fare gli affari propri, con evidente maleducazione. Quando udì una tremenda imprecazione, la ragazza si trovò a fuggire dal bagno, allibita.

Trovò suo padre nella postazione dove l’aveva lasciato poco prima. L’uomo inarcò un sopracciglio, vedendola.

‘’Ci hai messo poco. L’acqua non l’avrai nemmeno vista’’, le disse il padre, sempre mantenendo un tono di voce scontroso. Teresa impallidì.

‘’Padre, chiedo scusa, ma l’acqua era gelida’’, disse la giovane, con toni concilianti. Il conte si mosse subito sulla sedia.

‘’Caspita, questi servi sono odiosi e dispettosi. Sembra che il nostro amato Arcivescovo ce li abbia scelti su misura per noi, per renderci la vita impossibile’’, sbottò, sempre più irritato.

In quel momento, uno scoppio di grida improvviso interruppe la conversazione. Alcuni servi si stavano azzuffando nel cortile, dove pareva fosse scoppiata una rissa, mentre le imprecazioni erano assordanti. Il conte balzò subito in piedi, con un diavolo per capello.

‘’Ora mi sentiranno! Ma che razza di gente è questa, che non ha rispetto per nessuno, neppure per gli inviati del loro signore! Fino a vent’anni fa, fintanto che ho vissuto in questa città, la situazione non era così disperata come ora. Se vogliono il pugno di ferro, lo avranno! Parola mia!’’, sbottò suo padre, che si diresse velocemente verso il cortile, dando l’occasione a Teresa per chiudersi nella sua camera ed evitare ulteriori discorsi con il genitore.

Mentre la giovane si pettinava i capelli, rendendoli belli e voluminosi, la voce autoritaria di suo padre risuonava per tutta l’abitazione, mentre i servi smettevano di azzuffarsi. Ma non appena il conte fu tornato in casa, le grida ripresero a risuonare ovunque, anche se in modo più debole.

Teresa non riusciva a capire cosa fosse andato storto. Quella doveva essere una missione diplomatica, suo padre doveva portare solo alcune informazioni all’Arcivescovo, eppure non era stato neppure trattato come un ospite di un certo grado, anzi, era stato sbattuto in una bettola ed era rimasto vittima dell’insubordinazione della servitù. La giovane in quel momento capiva appieno la rabbia del genitore, che prontamente aveva sfogato su di lei.

E capì anche perché la controllava; non sospettava una fuga d’amore, ma che qualcuno la importunasse.

Ora era tutto più chiaro, eppure desiderava sapere il significato di quei spari di poco prima. Dentro di sé, sentiva che qualcosa era andato storto anche a Giovanni, e in cuor suo sperava che non gli fosse successo nulla di grave. Lui era rimasto la sua unica ancora di salvezza.

Con il cuore che batteva forte, afferrò il panino di Lina e lo divorò avidamente. Era ottimo, come sempre.

Mentre nel giardinetto ormai i servi si erano acquietati, Teresa si sdraiò sul suo letto, un lettino piccolo, stretto e parecchio scomodo, e si mise a guardare il soffitto della camera. Fortunatamente, era in buono stato.

Sospirando, la ragazza si lasciò andare, addormentandosi.

 

 

 

Un forte tonfo la risvegliò.

Teresa, spaventata, balzò su dal letto, mentre il suo cuore batteva all’impazzata. All’inizio pensò che si fosse trattato di un qualche scherzo di Giovanni, ma purtroppo la realtà era che il brigante non era più lì vicino a lei, pronto a proteggerla.

Si voltò verso la porta della stanza e vide una serva impacciata alle prese con un bicchiere, che si era frantumato a terra.

La giovane, che doveva avere più o meno la sua stessa età, alzò lo sguardo dal pavimento e le lanciò uno sguardo di sfida. Teresa riconobbe che quella ragazza aveva veramente una faccia da impertinente, e si chiese se la serva che le avrebbe mandato Giovanni avesse avuto lo stesso volto.

Lei si rifiutava anche solo di pensare che fosse successo qualcosa di male al suo amato, lui era troppo coraggioso per lasciare che qualcuno lo ingannasse. Forse era stato il brigante stesso a far fuori i banditi rivali e ad essersi ripreso tutto il bottino. E lei era certa che il suo amato glielo avrebbe restituito tutto, ormai lo conosceva troppo bene.

‘’Mi scusi signorina, vostro padre mi ha dato l’ordine di venire a svegliarla, e ad invitarla a scendere per la cena. Mi ha detto di dirle che si deve vestire bene, poiché il vostro promesso sposo vi attende. Oh, mi scuso per aver rotto il suo bicchiere, provvederò subito a procurarne un altro’’, disse la giovane, con toni decisamente poco cortesi.

Teresa fu in procinto di aprir bocca e di dirgliene quattro, ma ci ripensò. Quei servi sembravano istigati da qualcuno a dare il peggio di sé, e se li avesse insultati, loro avrebbero provato piacere, notando che stavano causando disagi.

La contessina quindi si alzò dal letto, come una vera signora si risistemò al meglio il suo vestito e, a passi veloci lasciò la stanza, non senza aver lanciato un piccolo sorriso alla servetta che, nel frattempo, se n’era stata con le mani in mano a guardarla. La giovane rimase stupita dal suo gesto, e Teresa ne fu felice, anche se solo per un attimo.

Infatti, ben presto si trovò di fronte a una tavola imbandita, mentre suo padre era già seduto a capotavola ed invitava Alfonso a fare altrettanto. La contessina lo maledì.

Il giovane, non appena vide Teresa, parve perdere la ragione. Prontamente, le fece un piccolo cenno con la mano destra, quasi ad invitarla a prender posto a fianco a lui, poi ne approfittò per spostare leggermente la sedia e per far sedere la contessina, che sorrise cortesemente al suo pretendente.

‘’Alfonso! Non c’è alcun bisogno di scomodarsi così tanto per Teresa, per ogni cosa c’è la servitù’’, disse il conte, sorridendo.

‘’Oh, signor conte, per me è un piacere poter far posto alla sua magnifica figlia. E poi, la servitù non è proprio ottima. Quando sono arrivato, una serva sgarbata non voleva neppure farmi entrare. Ed ha pure imprecato, appena mi ha lasciato passare’’, disse il ragazzo.

‘’Immaginavo. Questa è la servitù appropriata a questa casa, se così si può chiamare. Preferirei chiamarla tugurio’’, disse il conte, nuovamente.

‘’Ho notato. Insomma, qui è tutto così squallido, non è di certo un luogo adatto ad ospitare un grande signore ed ambasciatore come lei. Potrei chiederle chi gliel’ha affidato?’’, chiese il giovane conte, affabile come sempre.

Teresa si sentiva già esclusa da ogni genere di conversazione, e abbassò il suo sguardo. Avrebbe voluto annoiarsi e chiudersi in sé stessa, ma non poteva proprio deconcentrarsi in quel momento. Presto, i due uomini avrebbero potuto parlare degli spari del pomeriggio nella pineta.

‘’Me l’ha affidata l’Arcivescovo in persona, con il suo solito modo di fare signorile e galante’’, disse il conte, con un tono di voce tranquillo ma che non ammetteva altre domande. Fece un cenno con la testa ad indicare le giovani servette che si stavano affaccendando poco distante. Logicamente, potevano far la spia di possibili discorsi disdicevoli e malevoli rivolti alle eminenti figure di quella città, e creare discussioni inutili. Alfonso capì subito.

‘’Ma certo, dovevo arrivarci da solo. Ma, se posso permettermi, chiederei di elevare un po’ di più il nostro discorso, soprattutto a riguardo alle nuove scoperte che si stanno avvicendando ormai ovunque al di là dei nostri confini’’, disse il ragazzo, saccente come al solito.

‘’Assolutamente sì, raccontaci qualcosa a riguardo. Io e mia figlia ascolteremo tutto con attenzione. Purtroppo, i miei ultimi impegni mi stanno portando via anche la voglia di leggere…’’, disse il conte, quasi come scusa.

Alfonso iniziò a brillare come una stella in quella stanza semibuia, illuminata solo da flebili candele, mentre la situazione pareva precipitare. Pian piano le candele andavano spegnandosi, mentre nessuno le sostituiva, e le pietanze continuavano ad avvicendarsi sul tavolo. Pietanze da poveri, e pure semifredde.

Mentre Alfonso continuava a parlare con foga, più che altro per cercare di ignorare la situazione ridicola nella quale si trovavano, il conte iniziò a diventare sempre più scuro in volto, mentre Teresa perse totalmente interesse, ed iniziò a lasciare le pietanze nei piatti. Lina era certamente più capace in cucina di tutte quelle cuoche.

Lentamente, tutto quel parlottare e quel cibo poco gustoso l’avevano nauseata, e si accinse a chiedere il permesso al padre per alzarsi e ritirarsi in camera. Avrebbe detto di non sentirsi bene, cosa che tra l’altro era vera. Non aveva più senso stare lì ad ascoltare un ragazzo altezzoso che raccontava le sue stupidaggini.

D’altronde, fu chiaro che nessuno avrebbe detto qualcosa di importante proprio in quel momento, la serata era sfumata già da un po’.

La giovane si accinse ad aprir bocca, approfittando di un breve momento di silenzio del suo promesso sposo, ma dovette fermarsi. Infatti, Alfonso si alzò dal tavolo, indignato, quasi gettando a terra la sua sedia, mentre il conte se ne stava immobile, quasi pietrificato.

Teresa tornò subito attenta, e ben presto capì cos’era successo. Una servetta sbadata era riuscita a sporcare gli abiti di Alfonso, mentre cercava di mettergli nel piatto una porzione di un qualche cibo sgradevole.

‘’Ora basta. È tutta la serata che ci mancate di rispetto! Vi voglio qui subito, tutti! Vai a chiamare anche le altre serve!’’, ruggì il giovane conte, con gli occhi fuori dalle orbite dalla rabbia.

La giovane, quasi impassibile, se ne rimase immobile, mentre alcune cuoche dall’aria sfacciata si mettevano a braccia conserte all’ingresso della stanza. Non c’era neppure stato bisogno di farle chiamare, se ne stavano tutte lì in orecchio.

‘’Oh, vedo che siete già tutte qui presenti. Moto bene. Voglio subito i vostri nomi e i vostri cognomi, compresi quelli dei vostri mariti, e le rispettive professioni. Nei prossimi giorni, i gendarmi verranno a farvi visita, e a perquisire le vostre abitazioni. Chiedo prima il permesso di procede al padrone di casa. Signor conte, in qualità di inviato papale, e detenendo il potere di guidare le guardie in momenti di crisi, vorrei solo far punire tutte le insolenze che stanno macchiando la vostra condizione di vita da ormai un mese’’, disse Alfonso, mentre il conte, sorpreso dalla reazione del giovane, si limitò ad annuire.

Le serve parvero impaurirsi, tutte tranne una, un donnone grosso e robusto, dall’aria volgare.

‘’E lei chi è per poterci fare accuse così gravi e per denunciarci?’’, chiese la donna, per nulla impaurita.

‘’Non si risponde così ad un nobiluomo! Terrò conto anche di questo, poiché io non devo dirvi proprio nulla. Però, visto che insistete, io sono il conte Alfonso Cappellari, nonché nipote di Papa Gregorio XVI e suo fedele servitore. E ora, fuori nomi, cognomi e indirizzi, sia i vostri sia quelli degli altri servi che lavorano in questa casa; dovete essere perfettamente rintracciabili, tutti quanti. Tra qualche giorno la gendarmeria verrà a controllare che non siate ribelli o persone pericolose per il mantenimento della quiete all’interno del nostro Stato, visto il comportamento alquanto strano che state sfoggiando già da un po’. Avete macchiato indelebilmente un messo papale, e ne pagherete le conseguenze’’, disse il giovane, sempre più arrogante, mentre con un tovagliolo cercava di togliere un residuo di cibo rimasto appiccicato al suo abito nuovo.

Le serve sbiancarono, diventarono remissive ed una ad una si fecero avanti, pregando ed implorando perdono.

Alfonso annotò meticolosamente i loro dati su un piccolo taccuino tascabile che si portava sempre dietro, senza lasciarsi impressionare dalla scenata. Tutti avevano paura dei gendarmi, sempre duri e spregiudicati, e probabilmente chi aveva istigato i servi a comportarsi male non aveva detto loro che il conte avrebbe avuto eminenti ospiti a cena.

‘’Ho concluso. Fintanto che le vostre case non saranno ispezionate, siete invitate caldamente a non lasciare la città di Ravenna per alcun motivo, né voi né le vostre famiglie. In caso contrario, sarete ricercate su tutto il territorio del nostro Stato, e sarete considerate rivoluzionarie. Per ora, l’importante è che continuiate a servire in questa casa e in modo decisamente più delicato di come avete fatto finora. Riferite anche agli altri servi che ora non sono presenti’’, concluse Alfonso, il tono di voce pacato ma freddo, in grado di raggelare anche chiunque.

‘’E ora andatevene, e tornate domattina. Per questa notte non abbiamo bisogno di voi. Via!’’, sbottò il conte.

Subito, le serve sparirono, senza neppure tentare di replicare.

I tre nobili rimasero in silenzio fintanto che non furono sicuri che tutte le donne avessero abbandonato la casa. Poco dopo, infatti, la porta d’ingresso si richiuse, gettando le servette nel buio della notte.

‘’E’ poi vero quello che hai detto, Alfonso?’’, chiese il conte, lievemente divertito.

‘’Certo che no. Tutti noi sappiamo molto bene che, per ora, non ci sono risorse necessarie per controllare il popolo in modo così meticoloso. Inoltre, sono certo che la maggior parte dei nomi qui scritti sono falsi. Eh beh, comunque mi sembrava giusto spaventarle. Vedrete, signor conte, che d’ora in poi, la servitù non vi darà più alcun problema’’, aggiunse Alfonso, sorridendo.

‘’L’importante è che non mi disturbino più. Ora le ho cacciate, finalmente’’, disse il conte, sollevato.

‘’E’ stata una scelta giusta, la sua?’’, chiese con cortesia il giovane nobile.

‘’Meglio soli che mal accompagnati, mi dicevano. Ora che se ne sono andati tutti, potrò chiudere per bene la mia porta e dormire sonni tranquilli’’, ribadì il conte, per nulla dispiaciuto del trattamento inflitto alla servitù.

‘’Signor conte, lei ha indubbiamente ragione. Sta di fatto che questa è stata solo una messa in scena per metterla in ridicolo, glielo dico io. In queste terre ribelli, tutti tramano contro il potere del santo pontefice. Tutto questo sarà riferito a mio zio, lo farò io stesso in persona, non appena tornerò a Roma’’, disse il ragazzo, borioso.

‘’Non ne dubito. Però, sarebbe meglio tralasciare, d’altronde ormai il nostro amato pontefice ha tanto a cui pensare. Io, invece, ho dovuto solo far fronte a un po’ di indisciplina della servitù’’.

‘’No, qui si sbaglia; lei ha dovuto affrontare l’indisciplina della Chiesa stessa, che è mal radicata in questo territorio. I prelati preferiscono tenere i piedi in due staffe, trattando amabilmente gli inviati papali durante gli incontri privati ma servendoli male in maniera indiretta, in modo da mostrare al popolino che anche loro sono dalla stessa parte dei repressi. È una strategia ormai diffusa nei luoghi lontani dalla nostra eterna capitale.

Ma d’altronde, i nostri cari chierici non possono far molto di fronte ai barbari che vivono in queste terre; a volte, dico a me stesso che sarebbe meglio abbandonare queste zone, e cercare di consolidarci al meglio più a sud, dove la gente è meno incline alle idee rivoluzionarie. Eppure, il mio amato zio continua la sua lotta, inviando contingenti in questa terra aspra e dai modi di vivere brutali, sempre in procinto di ribellarsi.

Però, ammetto che il nostro pontefice ha ragione nel voler tenersi questi territori, poiché se li lasciassimo un attimo incustoditi, e dico un attimo solo, qui succederebbe il finimondo. Questa gente è spinta da impulsi pagani, quasi primordiali…’’.

‘’Alfonso, non esageriamo, ora. Sono perfettamente d’accordo con le tue tesi, però ti garantisco che quello che il clima che si è formato qui ora è profondamente diverso da quello che c’era solo vent’anni fa, quando sono venuto a vivere a Roma. La gente era cordiale e remissiva, nessuno si sarebbe mai immaginato che ben presto tutto sarebbe cambiato. Ora questa gente vuole la libertà a tutti i costi, e, tenaci come sono, sarà difficile far cambiar loro idea. La loro mente è stata annebbiata dai falsi valori che nell’ultimo periodo stanno scuotendo anche gli altri Stati della nostra penisola’’, disse il conte, interrompendo con educazione il giovane istruito.

Teresa tornò nuovamente a chiudersi in sé stessa, mentre i due uomini continuavano a far salotto, incuranti della tavola ancora da sparecchiare che avevano di fronte. Ma d’altronde, quell’abitazione non aveva alcuna comodità migliore.

‘’Lei indubbiamente sa, signor conte, che dopo le grandi rivolte di alcuni anni fa qui è cambiato tutto. Si dice che, poco più a nord di qui, grosse bande di banditi armati girovaghino tutto il giorno, passando d’in paese in paese, corrompendo i pensieri del popolo ignorante.

Nei nostri monti, centinaia di fuorilegge tessono la loro tela, mentre noi non abbiamo le capacità per sistemare tutto. Almeno, per ora. Appena ritornerò a Roma, ho intenzione di richiedere a mio zio l’affidamento di un buon contingente di austriaci. Ora sono abbastanza maturo per poter guidare la mano armata della Santa Chiesa e per poter riportare un po’ d’ordine in questi luoghi ribelli’’, affermò Alfonso, sempre più zelante.

Teresa sospirò, mentre il conte si preparava di nuovo a ribattere. Ormai si era arresa ad ascoltare le chiacchiere degli uomini, più che altro per non irritare ancora di più suo padre con una sua possibile fuga.

‘’Certo Alfonso, faresti un grande favore al nostro grande pontefice, ne sono certo. Se ce ne fossero di più di ragazzi come te, ora non saremmo arrivati a questo punto’’, continuò subito il conte.

‘’Lei mi lusinga. Beh, cercherò di fare del mio meglio. Comunque, oggi pomeriggio c’è stata un’altra grave dimostrazione di quello che può succedere se non proteggiamo meglio le nostre città’’, aggiunse Alfonso.

Teresa, quasi addormentata sulla sua sedia, aguzzò le orecchie.

‘’Cos’è successo? Riguardo a quegli spari che abbiamo sentito anche noi?’’, chiese suo padre. A quel punto, la ragazza era perfettamente vigile.

‘’Proprio riguardo a quello. Quei briganti che hanno riportato Teresa sono morti. Sono stati uccisi in un agguato preparato da un’altra banda rivale, che è poi stata lungamente inseguita dalle guardie, che ne hanno uccisi parecchi, prima che riuscissero a nascondersi nelle pinete’’, disse il ragazzo che, in preda alla foga del racconto, arrossì lievemente in volto.

Teresa, invece, si sentì improvvisamente male. Giovanni poteva essere morto.

‘’Che significa? Sono morti tutti?’’, chiese la giovane, allarmata, non badando più al galateo. Suo padre la guardò male, mentre Alfonso fece finta di nulla.

‘’Sì, Teresa, sono morti tutti. Tre di loro sono stati uccisi lungo la strada principale, con loro c’era anche il capo’’, disse il giovane, fissandola con fare incuriosito.

‘’Erano quattro in tutto’’, disse Teresa, con un filo di voce. Forse qualcuno si era salvato. Forse Giovanni non era morto.

‘’Sono morti tutti, ti dico. Ho parlato con il gendarme che ha diretto la sortita poco più a nord della città, e mi ha detto che il capo, quel montanaro chiamato Giovanni, diventato piuttosto famoso nella regione per le sue rapine, è morto, ed era a terra, riverso lungo la strada principale, mentre gli altri due suoi compagni erano vicino ad una capanna disabitata, sempre senza vita. Insomma, è stato riconosciuto. Il quarto sarà sicuramente morto durante l’inseguimento successivo; mi hanno assicurato che nessuno dei banditi è riuscito ad inoltrarsi nella pianura interna’’, continuò Alfonso, non togliendole gli occhi di dosso.

La ragazza abbassò lo sguardo, mentre la fortezza di sicurezza che si era costruita attorno nell’ultimo periodo crollava come se fosse di sabbia. Giovanni era morto, e senza il brigante lei non era più nulla. Non avrebbe amato più nessuno, e non sarebbe mai più stata libera.

Un piccolo barlume di speranza le fece credere per un attimo che il brigante fosse riuscito a fuggire dall’agguato, e che le guardie avessero sbagliato nel riconoscerlo, d’altronde lui e Gianni erano fisicamente molto simili. Però anche quel barlume morì quasi subito in lei. Se c’era stato un inseguimento e una successiva carneficina, il brigante ancora parzialmente malmesso dallo scorso scontro a fuoco non avrebbe avuto possibilità di esserne uscito vivo.

‘’Ma, mia cara Teresa, sono venuto fin qui per dirti altro, non per parlare di banditi. Ecco, vorrei comunicarti che io e tuo padre abbiamo concluso un accordo, e che ben presto saremo marito e moglie. Ho richiesto la tua mano a tuo padre, e lui ha gentilmente acconsentito. Ci sposeremo dopodomani, presso la basilica di sant’Apollinare Nuovo, qui a Ravenna. E non preoccuparti di nulla, tutto è già stato preparato durante la tua assenza’’, aggiunse il giovane, sorridendo con fare spavaldo.

Teresa lo guardò, stralunata, mentre perdeva il controllo di sé e dei suoi sentimenti.

Si alzò lentamente dalla sua postazione, guardò con fare colpevole suo padre e quello che avrebbe dovuto diventare il suo sposo, e pensò a Giovanni. Tutto era cambiato così in fretta che non aveva avuto neppure il tempo di accorgersene.

Nessuno l’avrebbe più salvata da quell’incubo, il suo amore era morto nel peggiore dei modi. Era tutto finito, per lei.

Mentre Alfonso le rivolgeva uno sguardo interrogativo, lei si sentì mancare le forze e perse i sensi.

Ciò che ricordò in seguito fu solo la sua botta contro il pavimento gelido, lievemente attutita da suo padre, che era riuscito ad afferrarla per il bordo della veste.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Grazie a chi continua a seguire il racconto, e un grandissimo grazie a chi continua a sostenermi con delle bellissime recensioni. È sempre un piacere leggere i vostri pensieri sul racconto J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

CAPITOLO 24

 

 

 

Giovanni continuò ad arrancare ancora per un po’ su per le sue amate montagne, per poi sedersi sul bordo del sentiero che stava percorrendo.

Ormai furia si era stancato, faticava a tenerlo in sella e così lui l’aveva lasciato a pascolare per un po’. Dopo quella breve pausa, si sarebbero rimessi in marcia subito, visto che ormai erano quasi giunti a destinazione.

Il brigante ormai non si considerava più un capo, e non aveva idea di come avrebbero reagito i suoi compagni nel momento in cui l’avessero visto in quello stato e a mani vuote. Ormai, era certo che gli altri suoi uomini fossero in fermento, poiché lui avrebbe dovuto far ritorno ancora la sera del giorno precedente, insieme con gli altri tre briganti e con il malloppo. Eppure, tutto era andato storto.

Giovanni si mosse lievemente, spostandosi su un masso a bordo del sentiero che portava verso quello che fino a pochi giorni prima era stato il suo covo e la sua casa.

Si sistemò al meglio, sospirando ed affondando il volto tra le mani, cercando di mantenere la calma. Ormai non gli importava più di morire, voleva solo liberarsi dell’onta che aveva lasciato sul suo gruppo, facendosi ripetitivamente ingannare dal nemico, per il semplice fatto che nell’ultimo periodo si era concentrato solo su Teresa, il suo grande amore.

Un grande amore che lui stesso aveva lasciato allontanare, e che pareva irrimediabilmente perso.

Ormai, non poteva più far nulla per riprenderla con sé, soprattutto nel qual caso avesse perso il controllo della banda, o, ancora peggio, se fosse stato ucciso da un qualche compagno rivale. Comunque, era molto probabile che loro non l’avrebbero mai perdonato. E neppure Teresa l’avrebbe fatto.

Ora, quella splendida ragazza avrebbe aspettato invano un suo messaggio, e il suo cuore, nella vana attesa, si sarebbe infranto. L’avrebbe odiato, per poi ripudiarlo e finire sposata con un qualche nobile. Almeno, avrebbe vissuto una vita piena di agi, cosa che lui non avrebbe mai potuto offrirle.

Con le lacrime agli occhi, guardò il cielo, mentre si preparava ad albeggiare. Aveva viaggiato per quasi tutta quella notte a piedi, per non far azzoppare il suo destriero che, ormai sfinito, si era disteso a terra pure lui, poco distante. L’inseguimento nella pineta l’aveva sfiancato.

Giovanni si chiese cosa l’avesse spinto a far ritorno. Sarebbe dovuto scappare lontano, ma la sua onestà glielo impediva. Non poteva abbandonare i suoi compagni senza aver prima spiegato loro come si era svolta la questione.

Non voleva che lo credessero un traditore. E in cuor suo, sperava ancora in una qualche sorta di perdono, che sicuramente gli avrebbe permesso di rafforzare nuovamente il gruppo e di organizzare una spedizione punitiva ai danni dei banditi di Aldo.

Ed anche per organizzare la cattura di Marco, l’ennesimo informatore traditore. Non si era neppure presentato all’appuntamento, consapevole di quello che sarebbe successo. Giovanni promise di fargliela pagare, nel caso fosse riuscito a sopravvivere all’ira dei suoi compagni, giustamente frustrati.

Se fosse riuscito a catturare Marco vivo, avrebbe potuto poi sapere dove risiedeva il padre di Teresa a Ravenna, e mandare uno dei suoi uomini sotto false vesti ad aiutarla a fuggire. Il brigante dovette riconoscere che forse non era tutto perduto, ma doveva prima spicciarsi a raggiungere il suo covo. Solo dopo aver discusso col gruppo si sarebbe deciso il suo futuro.

Prese le redini di Furia e lo fece rialzare, poi gli montò subito in sella. L’animale, inizialmente reticente, tornò subito calmo e riprese a muoversi al passo.

Giovanni si godette per un po’ la lenta cavalcata, e ben presto il paesaggio tornò ad essere familiare. Solo allora si accorse di non riuscire più a provare sentimenti; era talmente tanto stanco di riflettere e di avere paura che la sua mente si rifiutava di pensare ad altro.

Eppure, l’immagine di Teresa era sempre con lui. In quel momento capiva quanto l’amava. D’altronde, tutti coloro che conosceva erano uomini fatti, che stavano bene anche senza di lui, ma la sua piccola Teresa era indifesa. Era maturata un po’, non viveva più nel mondo dei sogni ma non poteva affrontare da sola un’intera società che voleva decidere il suo destino.

Lui avrebbe dovuto proteggerla, eppure non ci era riuscito. Poteva esser fuggito con lei, averla stretta tra le braccia in quel preciso istante e cercando di mantenere intatta la sua stessa dignità, ma in realtà aveva perso pure quella. Non era neppure più da considerarsi un capo.

La sua catena di pensieri senza emozioni si bloccò di colpo quando notò di essere di fronte alla casa di Lina. La donna uscì proprio in quel momento dalla sua abitazione, richiamata dal rumore di zoccoli sul sentiero, e, incurante del freddo, si affacciò sull’uscio.

Ma, non appena riconobbe Giovanni, parve pietrificarsi. Furia si fermò un attimo a fissarla, mentre la donna si metteva una mano sulla bocca e tornava in casa, richiudendo la porta dietro di sé.

Giovanni scosse la testa, amareggiato. Quel gesto non preannunciava nulla di buono. La donna doveva aver udito qualche brutta notizia su di lui, e doveva aver inteso che qualcosa era andato storto.

Ben presto, da poco più su iniziarono a sentirsi grida e richiami. I suoi compagni l’avevano avvistato.

Giovanni notò che dovevano aver posizionato delle vedette, visto che in quel momento sarebbero stati indubbiamente preoccupati a causa dell’eccessivo ritardo del rientro dei compagni.

Il capo dei briganti continuò la sua salita, il volto arrossato dal freddo e le mani avvolte in duri guanti di cuoio indurito, mentre lo stanchissimo Furia continuava a salire in modo regolare. Dentro di sé, il cuore batteva all’impazzata.

Quando giunse di fronte alla sua cascina, quella stessa che era diventata la sua dimora, si trovò di fronte ad un gruppo ben nutrito dei suoi compagni, mentre continuavano ad aggiungersene altri in modo costante. Tutti volevano vederlo, e volevano sentire ciò che era successo.

Parecchi dei volti che lo circondavano erano tesi e gli rivolgevano occhiate incandescenti, mentre altri erano ancora lievemente intorpiditi dal sonno. Giovanni si chiese come aveva fatto a ridursi a quel punto, ma non pensò più di farla finita o di fuggire. Avrebbe raccontato l’accaduto e si sarebbe preso le sue colpe.

Eppure, l’ansia prese fin da subito ad attanagliarli la mente, e con gli occhi andò alla ricerca del viso amico di Mario, e lo individuò ai margini del gruppo.

Non appena si accorse di esser stato avvistato, l’amico si fece avanti, e prese le redini di Furia.

‘’Cos’è successo? Dove sono gli altri?’’, chiese subito Mario, con un bisbiglio, che incredibilmente risuonò ovunque, trasportato dal silenzio eccessivo di una mattina gelida. Gli altri briganti si strinsero attorno a loro, in silenzio, pronti ad ascoltare la risposta.

‘’Abbiamo subìto un agguato. Gianni e gli altri compagni sono morti tutti, uccisi da Aldo e dai suoi banditi’’, rispose Giovanni, cercando di mantenere la voce ferma.

Mario si limitò ad annuire, serio, mentre gli altri briganti continuarono a stare in silenzio. Giovanni capì che se l’aspettavano, d’altronde era ovvio che qualcosa fosse andato storto.

‘’L’ennesimo agguato. Non ci credo! È tutto un inganno!’’, ruggì una voce piena di rancore.

Il capo dei briganti si girò di lato, e solo allora vide il giovane Fabio. Il ragazzo rosso quella mattina era bordò anche in faccia, pieno di rabbia.

‘’E tu che ne sai? Stai zitto’’, disse Giovanni, innervosito.

‘’Lo so e basta. Compagni, non vedete che questo soggetto, che noi dovremmo chiamare capo, si sta facendo beffe di noi? Non è stato vittima di un agguato, poiché ha incassato il bottino. Poi ha ucciso i suoi stessi compagni, ha nascosto la sua bella contessina ed ora torna qui con due parole di scuse, per poi sparire nuovamente! Traditore!’’, continuò a gridare il rosso.

Giovanni quasi svenne, e si sentì malissimo. Il ragazzo gli stava rivolgendo accuse diffamanti e insopportabili.

Preso dalla rabbia, estrasse la sua pistola e fece per puntargliela contro. Eppure, più mani corsero subito a strapparla dalla sua presa e a gettarla al suolo.

Poi, uno dei più giovani afferrò il suo mantello, e, tirando con tutta la forza, trascinò Giovanni giù dalla sella, mentre Fabio guardava la scenetta, compiaciuto.

Colui che era stato il capo di quel gruppo fino a pochi giorni prima si trovò umiliato, tremante a terra, mentre la sua banda era pronta a sfogare la sua ira su di lui. Sarebbe stato pestato e ammazzato per qualcosa che non aveva fatto, per un crimine che non aveva commesso.

Pensò che fosse tutto finito, eppure la voce squillante di Mario interruppe la follia generale.

‘’Smettetela, e lasciatelo parlare. Io gli credo. È sempre stato come un padre per noi, e da quando ha creato questa banda ci ha sempre protetti e sfamati, raccogliendoci dalla miseria e dalla povertà. Ritengo che sia ingiusto che gli si vengano rivolte accuse infondate’’, disse l’amico, facendo tacere i compagni. Giovanni ne approfittò per rialzarsi da terra.

‘’Non sono accuse infondate! L’ho visto, il nostro capo, quando solo alcuni giorni fa è uscito di nascosto con la contessina rapita, portandola in un luogo non molto distante da qui, dove l’ha distesa a terra e l’ha fatta sua! Ed ora l’avrà nascosta da qualche parte, quella sgualdrina, e ci ha ingannato per tenersi tutto il malloppo e per fuggire con lei tra qualche giorno!’’, continuò a gridare il giovane rosso, facendo inferocire nuovamente il gruppo dei briganti.

‘’Non è vero, Fabio! Tu menti spudoratamente’’, provò a dire Giovanni a sua discolpa, ma ormai la sua figura si era sminuita enormemente. Il dolore lo travolse, e le calunnie di Fabio erano insostenibili.

Durante il periodo della sua assenza, doveva essersi lavorato per bene ogni singolo membro del gruppo. Fabio, pur di incastrarlo e di soffiargli il posto di comando, doveva averlo pedinato per giorni interi, quindi era probabile che fosse a conoscenza anche delle sue notti con Teresa. Era vero che non aveva testimoni a suo favore, però, una volta innescato il dubbio sulla relazione impossibile del capo, tutte le possibili conclusioni sarebbero venute da sé.

Il brigante riconobbe che quella era stata una mossa molto astuta.

‘’Non mento, invece. Posso portarvi tutti al luogo dove il nostro capo se ne stava disteso con la sua amata’’, continuò il giovane, imperterrito. Notando che aveva numerosi consensi, iniziò anche a gonfiare il petto. Era pronto a dare il colpo finale.

Giovanni comprese subito che era in pericolo. In un'altra occasione gli sarebbe anche bastato farla finita, e cedere la sua posizione privilegiata a qualcun altro, come ad esempio Mario. Ma non se ne parlava proprio di lasciare il suo gruppo di briganti, che aveva costruito con tanta fatica, nelle mani di quell’esaltato ragazzetto. Sapeva che doveva promettere qualcosa al suo gruppo.

‘’Vedete? Non risponde neanche più. Solo perché sa che quello che sto dicendo è la pura verità. Compagni, se mi accogliete come vostro nuovo capo, io vi farò diventare i briganti più temuti e famosi del nostro territorio!’’, gridò il giovane rosso, ancora più forte.

A quel punto, i briganti più maturi scossero il capo, comprendendo quali erano i reali interessi del ragazzo, ma i più giovani facevano ancora un tifo sfrenato per lui.

‘’Non vedete che vi sta prendendo in giro, ragazzi? Vuole solo prendere il mio posto, calunniandomi. Guardatemi in faccia’’, disse Giovanni, quasi urlando e posandosi una mano sulla ferita ormai cicatrizzata che aveva sulla fronte, ‘’sembro uno che vi mente? C’è stato un agguato là, e la colpa non è di nessuno di noi. Semplicemente, siamo stati poco previdenti. Non ho intascato il vostro bottino, sono sempre stato molto leale con voi, e ciò che dice quel ragazzo sono solo falsità. Compagni miei, lasciate che io resti al vostro comando, e vi renderò ancora più ricchi dei conti. Vi porterò al covo dei banditi di Aldo, e ci prenderemo il loro oro, fino all’ultimo spillo, e poi li puniremo e cattureremo anche l’informatore ciccione che ci ha tradito. Questo piccolo insuccesso è accaduto solo per portare ancora più soldi nelle nostre tasche. Fidatevi nuovamente di me, e vi coprirò d’oro’’.

A quel punto del discorso, anche il più giovane dei briganti stava guardando Giovanni con fare pieno di ammirazione. Il capo dei briganti aveva fatto leva su ciò che contava di più per i suoi compagni, ovvero l’oro e il denaro. Il resto veniva dopo.

La sua vittoria fu evidente; subito, parecchi tra i più maturi si scusarono con lui per i dubbi che avevano avuto sul suo conto, lasciando solo il giovane rosso, che si allontanò, borbottando indispettito.

Mentre Mario parlava a suo favore, ricordando al gruppo ciò che aveva fatto per loro e per proteggerli e sfamarli, Giovanni continuò a pensare a Fabio e a quanto sarebbe potuto diventare pericoloso. La banda l’aveva quasi seguito già quella prima volta nelle sue follie, e forse alla prossima occasione la discussione avrebbe rischiato davvero di degenerare ulteriormente, magari facendoci pure scappare il morto.

Il capo dei briganti ricordò un detto popolare che gli ripeteva spesso suo padre quand’era piccolo, ovvero che due galli nel pollaio erano sempre troppi. Fabio, evidentemente, era di troppo ed avrebbe fatto solo baccano, fintanto che non fosse riuscito nel suo intento di prendersi la banda. Ormai, questo era chiaro. E lui, se avesse voluto mantenere la sua posizione di rilievo ben salda, avrebbe dovuto farlo fuori.

Giovanni tornò a concentrarsi sul presente e sulla sua banda.

‘’Compagni, vi chiedo scusa per quello che è accaduto, ma non è stato a causa mia. Posso solo assicurarvi che li puniremo tutti’’, disse al gruppo, e alcuni individui presero quasi a festeggiare, mentre altri restarono rattristati a causa della morte dei tre compagni.

Ogni calunnia di Fabio sulla possibile relazione amorosa con Teresa fu dimenticata quasi subito, lasciando spazio a sogni di ricchezza. Tutti sapevano che Aldo nascondeva un vero e proprio tesoro da qualche parte, frutto di decenni di scorrerie, e tutti sognavano di averlo a loro disposizione. Quei ragazzi avevano menti semplici, sempre pronte a credere in una qualsiasi promessa ben formulata.

‘’Andiamo, Mario, seguimi’’, disse infine il brigante, afferrando l’amico per un braccio ed allontana dolo dagli altri compagni, tutti presi dall’euforia di un prossimo abbondante bottino.

Nessuno badava più a loro due, ormai la rabbia del gruppo era scemata, mentre Fabio si era allontanato, rosso di vergogna, e se ne stava seduto a terra poco distante, lo sguardo perso verso il bosco.

‘’Perché hai tutta questa fretta, Zvàn? Lascia stare, qualunque cosa tu abbia da dirmi me la spiegherai domani. Ora il tuo posto è con loro, sei appena riuscito a riprenderteli. Mostra a tutti il tuo potere’’, disse Mario, indicando i briganti.

‘’Loro sono già a posto così, per ora. Dobbiamo parlare urgentemente, e trovare soluzioni drastiche ed immediate’’, disse Giovanni. L’amico lo guardò per un attimo, poi annuì, e lo seguì senza dire altro.

Solo quando furono dentro alla loro cascina ripresero a parlare.

‘’Mario, dobbiamo agire subito. Aldo ci ha ingannati, ma è stato punito dai gendarmi, che hanno ucciso parecchi dei suoi nelle pinete. Dobbiamo approfittarne, fintanto che è debole, per entrare nel suo territorio e dargli la caccia. Devo mantenere ciò che ho promesso ai miei uomini, e anche la mia dignità, altrimenti questa volta perderò proprio tutto’’, disse Giovanni, risoluto, mentre si sedeva sulla sua sedia. Mario non la prese tanto seriamente, e si mise a ridere.

‘’Zvàn, non dire sciocchezze! Siamo stati gabbati. Non possiamo permetterci di dare la caccia ad Aldo, anche perché non lo troveremo mai. Tutti sanno che ha parecchi nascondigli’’, disse l’amico, bonario.

‘’No. Noi lo troveremo. Anche perché ho intenzione di prendere anche il grasso maiale e di portarlo qui. Tu hai qualche idea su come fare?’’, chiede Giovanni, serissimo in volto.

‘’Se per grasso maiale intendi Marco, beh, su questo possiamo rimediare. So esattamente tutto su di lui, non può sfuggirci’’.

‘’Perfetto. Manda subito due ragazzi a cercarlo, e fa in modo che siano molto cauti e piuttosto forti, poiché voglio che lo rapiscano dal suo comodo letto e me lo portino fin qui’’. Mario fece un sospiro.

‘’Uhm, si può fare. Se vuoi faccio partire subito due ragazzi, anzi, meglio tre. So esattamente dove vive, e tutte le sue abitudini, d’altronde dopo i problemi che abbiamo avuto circa un mesetto fa con gli informatori non posso permettermi che ci creino altri disguidi. Ma, prima di tutto, gradirei che tu mi spiegassi perfettamente ciò che è successo e come sono morti i nostri compagni’’, disse l’amico, anch’esso serio.

‘’Ci sarà tempo per questo. Ora fai partire subito alcuni uomini, raccomanda loro che siano cauti nel muoversi e che eseguano gli ordini alla perfezione. Voglio che la palla di lardo sia qui, al mio cospetto, il prima possibile. Allora risponderà subito alle nostre domande’’, disse Giovanni, con fare deciso. Mario lo guardò con sospetto, ma solo per un attimo.

‘’Perfetto, sarà fatto. Vedrai, entro domattina avremo il nostro caro Marco qui con noi, a farci compagnia. Però, appena ho fatto partire i ragazzi torno qui, e tu mi spiegherai tutto dettagliatamente’’, disse Mario, con toni incuriositi.

Subito, uscì dalla cascina a passi svelti e scomparve.

 

 

Giovanni se ne restò un po’ solo, a riflettere sull’accaduto. Smise di pensare all’accoglienza di Fabio, concentrandosi sui suoi problemi amorosi.

In realtà, non c’era molto tempo. Teresa presto sarebbe andata via da Ravenna, e lui doveva far di tutto per riprenderla con sé. Lui l’amava, e le aveva promesso che si sarebbe preso cura di lei, non poteva  lasciarla sola, in balìa di un futuro molto incerto. Aveva parlato anche di un promesso sposo, e questo fece arrabbiare ancor di più il brigante, poiché anche solo il pensiero che qualcuno baciasse con passione il suo grande amore lo rendeva pazzo di invidia e di gelosia.

Forse, era esattamente così; aveva perso Teresa da un solo giorno, e stava già impazzendo. Sbatté un pugno chiuso sul tavolo, disperato, mentre voleva ruggire e liberare tutto il suo insostenibile dolore.

Pensò che forse sarebbe stato meglio lasciare il controllo della banda a Mario, per poi andare a cercare la sua bella, però questo avrebbe alimentato ulteriori critiche su di lui, e non voleva passare per disonesto.

Pensò nuovamente che, se solo avesse seguito il suo istinto, e fosse fuggito con la ragazza qualche giorno prima, ora avrebbe sofferto il freddo e la fame, ma forse non sarebbe stato nulla in confronto a questo senso di profonda mancanza che provava.

Teresa era diventata molto importante per lui, un amore serio, ma lui quasi se ne accorgeva solo ora che era troppo tardi.

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da Mario, che entrò nella cascina senza neppure avvisare e con molta fretta.

‘’Bene, è tutto sistemato. Ora, raccontami cos’è accaduto. Per favore, non nascondermi nulla’’, disse l’amico, sedendosi al suo fianco.

Giovanni prese a raccontare l’accaduto con voce distante e atona, come se quegli eventi appartenessero già ad un imminente passato. La sua mente, intanto, tendeva a tornare sempre verso a Teresa, e all’errore che aveva commesso nel riportarla indietro senza prendere nessuna precauzione. Aveva sbagliato tutto.

La sua voce atona vacillò solo quando si trovò a raccontare l’eroica morte di Gianni. Anche Mario dovette riconoscere che quell’uomo era stato veramente una grande persona, coraggiosa e sincera.

Quand’ebbe finito di spiegare tutto, Mario lo guardò insoddisfatto.

‘’Zvàn, però non me la racconti giusta. Ci hai promesso vendetta e oro, è vero. Ma ti interessa veramente il bene e l’unità della banda? Oppure stai facendo tutto questo solo per te, per cercare quella magnifica contessina?’’, chiese l’amico, malizioso ma deciso.

‘’Non capisco dove vuoi arrivare. Io lo faccio solo per la banda’’, provò a mentire il brigante, con voce non troppo convinta e tentennante.

‘’Non dire sciocchezze, e non provare a mentirmi. Ormai sono anni che ci conosciamo, e ormai capisco quando mi dici delle bugie. Ed inoltre me n’ero accorto che tra te e lei c’era qualcosa, non sono mica cieco’’, lo apostrofò subito Mario.

Giovanni non ebbe il coraggio di negare oltre, non se la sentiva di nascondere la verità.

‘’Hai ragione, amico mio. Lei era diventata tutto per me, e ogni giorno mi donava il suo sorriso e le sue labbra innocenti. E io l’ho persa in malo modo, dopo averle fatto mille promesse. Ora mi odierà per il resto della sua vita, non avrà più il coraggio di guardare in faccia un uomo a causa mia. Non sono neppure stato capace di proteggerla e di amarla’’, riconobbe Giovanni, tramutando i suoi pensieri in parole.

L’amico, a sorpresa, sorrise e gli posò una mano sul braccio.

‘’Ti capisco, so cosa vuol dire innamorarsi e poi perdere colei che ami. Vedrai, riusciremo a rimediare la situazione e ad accontentare tutti. Per una volta, cercheremo un lieto fine per le nostre vicende’’.

Giovanni guardò Mario, dapprima stupito, poi con un sorriso radioso stampato sul volto.

‘’Sono davvero fortunato ad avere incontrato una persona come te. Grazie per la tua vicinanza, amico, e per esserci sempre e per sostenermi in ogni cosa che faccio, anche la più folle. Grazie, sul serio, per avermi offerto il tuo aiuto, te ne sarò riconoscente a vita’’, disse Giovanni, quasi felice. Mario si limitò a sorridere.

‘’E’ giusto così. Ma ora, basta rimpianti o musi tristi, è ora di organizzare un piano con i fiocchi. Ci riempiremo di soldi e riprenderemo Teresa, costi quel che costi!’’, disse Mario, eccessivamente euforico.

Giovanni si lasciò trasportare fin da subito dall’entusiasmo dell’amico, e gli strinse la mano con vigore.

‘’Faremo tutto questo, amico mio’’, gli disse, sorridente e felice come mai lo era stato nell’ultimo periodo. E finalmente il brigante si lasciò andare, ed abbracciò Mario, il suo unico vero amico.

Finalmente, un barlume di speranza era tornato a brillare nel suo animo, ferito gravemente dagli eventi negativi dell’ultimo periodo.

‘’E con Fabio? Come dobbiamo procedere? D’altronde, dovremmo trovare un qualche provvedimento. È da quando sei partito che non ha fatto altro che fomentare i compagni, e sono certo che, se continuerà così, prima o poi ne combinerà delle grosse’’, disse Mario, tornando a sedersi e lasciando per un attimo da parte la gioia di aver ritrovato l’amico sano e salvo.

‘’Non lo so. Ora che Gianni è venuto a mancare, non abbiamo nessuno di affidabile per controllarlo continuamente. Comunque, ci penseremo. Per ora, beviamoci qualcosa’’, disse Giovanni, mettendo sul tavolo due bicchieri e andando a prendere una brocca di vino. Mario annuì, parzialmente soddisfatto.

Dopodiché, i due amici sorseggiarono del buon vino in compagnia, parlando dell’incerto piano che avrebbero dovuto ideare.

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Come vedete, Giovanni è vivo e vegeto, però i gendarmi l’hanno scambiato con Gianni, con il quale si assomigliava molto. In quell’epoca molto spesso avvenivano scambi come quello che è accaduto in questo racconto, dato che di solito i gendarmi non avevano neppure mai visto i capi dei briganti dal vivo, e si dovevano affidare all’intuito e alle descrizioni altrui, che a volte però traevano in errore.

Ma questo la nostra Teresa non lo sa, purtroppo, e crede che il brigante sia morto. Nel prossimo capitolo torneremo da lei J

Grazie a tutti voi che seguite questo racconto, ammetto che non mi sarei mai aspettato di avere un così vasto seguito. Grazie a tutti! J

Un grande grazie anche a tutti i gentilissimi recensori che mi lasciano sempre i loro importantissimi riscontri J grazie J

Per ultimo, ma di certo non meno importante, un grande grazie anche a Letylove31 per avermi inserito tra i suoi autori preferiti. Per me è un grande onore! Grazie! J

Grazie di nuovo a tutti J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

CAPITOLO 25

 

 

 

 

Quando Teresa riprese i sensi, le parve che il mondo attorno a lei vorticasse all’impazzata.

La ragazza si ritrovò a fissare un soffitto bianco, mentre tutto il resto era confuso. Con un sospiro, cercò di muoversi, e scoprì che era più difficile del previsto.

Si trovava distesa sopra un letto dalle lenzuola anch’esse bianche, che qualcuno le aveva rimboccato con premura. Eppure, nella sua mente regnava la confusione. Non sapeva di preciso dove si trovava, e all’inizio immaginò di essere ancora là sui monti con Lina, mentre attendeva di vedere il suo Giovanni.

E fu così che il mondo smise di vorticare e le crollò addosso. Ricordò tutto, dalla caduta della sera precedente a quelle orribili parole pronunciate da Alfonso, che non meritavano neppure di essere ricordate.

Pian piano, la ragazza riuscì a recuperare tutte le sue facoltà, e scoprì che qualcuno era in quella stanza con lei, ne poteva udire il respiro. Non aveva intenzione di sapere chi fosse, poiché tutto quello che stava vivendo le pareva un incubo senza fine, eppure un qualche istinto la spinse ad alzarsi sui gomiti.

Subito, riconobbe suo padre. Il conte stava leggendo qualcosa, ed era placidamente seduto su una scarna sedia imbottita. Appena si accorse che la figlia si era risvegliata, inarcò un sopracciglio, come se fosse incredulo di fronte a quell’evento, poi si affrettò a richiudere il volume che stava leggendo e si precipitò a suo fianco.

‘’Figlia cara! Finalmente hai ripreso i sensi! Ci hai fatto prendere un bello spavento ieri sera’’, disse il padre, felice di rivedere la figlia sveglia.

Teresa tornò a sdraiarsi, non le importava nulla di suo padre. Non disse nulla, e distolse lo sguardo da lui.

‘’Teresa, che ti succede? Hai dato una brutta botta, capisco, ma se non l’attutivo poteva essere stata anche peggio. Stai male? Farò venire qui un medico per farti visitare subito’’, disse il conte, sempre più premuroso.

La ragazza si passò una mano tra i capelli sciolti, che si erano lievemente aggrovigliati a causa della posizione scomoda in cui aveva dormito, e si chiese se fosse possibile che lui proprio non capisse. Eppure era un uomo adulto, il cui nero intenso dei capelli aveva lasciato spazio al grigiore dell’età matura, ma non capiva. Ed il vero problema era che neppure le andava incontro.

‘’Non c’è bisogno di nessun medico, padre. Sto bene così’’, disse infine Teresa, troppo stressata per poter sopportare anche l’intervento di un perfetto estraneo, che le avrebbe ulteriormente compresso la mente con una marea di domande sul suo stato fisico e mentale.

‘’Invece sì, ce n’è assolutamente bisogno. Ora vado a dirlo con qualche servo, in modo che si rechi subito a cercarne uno qualificato. Sperando che ce ne siano ancora in questa dannata città’’, sbottò il conte, per nulla interessato al parere della figlia, che emise un altro sospiro irritato.

‘’Padre, vi dico che non ce n’è bisogno, sto bene così’’.

‘’Se stai bene così, allora spiegami cos’è successo ieri sera. Sei caduta a terra a peso morto, e sono certo che si tratta di qualcosa di grave’’, continuò il padre, imperterrito.

Teresa a quel punto rischiò di perdere la pazienza, ma si trattenne. Sapeva che un qualche comportamento impulsivo avrebbe potuto far inacerbire suo padre in maniera incontrollata. Quindi, moderò la voce prima di parlare, in modo da cercare di chiarire il problema.

‘’Ho intenzione di spiegarvelo, sarò io stessa a dirvelo prima che sia troppo tardi. Non ho alcuna intenzione di sposarmi con Alfonso, e ritengo che mi abbiate fatto un grave torto a promettermi in sposa a lui e ad organizzare il matrimonio in mia assenza’’, disse la ragazza, dandosi subito dopo della sciocca. Era andata subito al punto, e questo non era un bene. Infatti, suo padre la guardò male.

‘’Tu non devi ritenere proprio nulla. Ti sposerai a breve con Alfonso, è tutto deciso. Io l’ho deciso, e ricorda che l’ho fatto solo ed esclusivamente per il tuo bene. Quel ragazzo è stato così gentile da rimandare di qualche giorno la celebrazione a causa del tuo precario stato di salute, anche se questo gli ha portato non pochi problemi’’, disse il conte, risoluto.

Teresa abbassò lo sguardo, e perse fin da subito quel pizzico di spavalderia che l’aveva portata ad affrontare l’argomento in modo così schietto e diretto. Eppure, non voleva farsi abbattere così facilmente. Avrebbe combattuto, così come la sua amica Lina le aveva insegnato durante quel mese di lontananza dalla civiltà.

‘’Padre, per favore, io non voglio sposare Alfonso, io amo…’’, a quel punto la ragazza divenne rossa in volto e interruppe la frase che aveva iniziato. Infatti, si era lasciata andare, ed aveva parlato troppo. Maledì la confusione e l’ansia che stavano annebbiando la sua mente.

Suo padre purtroppo si accorse subito del momento di debolezza che stava attraversando la figlia, ed avendo sentito quelle parole tornò indietro a grandi falcate e in un attimo le fu subito addosso.

‘’Tu ami chi, Teresa? Ecco, questo è il problema, avrei dovuto immaginarlo. Ed ecco il motivo della tua ribellione. Dimmi subito di chi si tratta o te ne pentirai, poiché lo imparerò, in qualche modo. E dopo saranno problemi grossi per te’’, disse l’uomo, cauto. Prese la sua sedia, l’avvicinò al letto e tornò a sedersi, fissando la giovane, tutta rossa in volto.

Teresa si trovò così totalmente scoperta, con una grande confusione in testa, e continuò nella sua follia. Si sarebbe fatta male da sola, ma non le importava più.

‘’Io… amo… Giovanni’’, disse, con voce titubante. Suo padre ormai aveva vinto contro di lei, e sapeva che gli avrebbe dovuto riferire tutto, se non voleva cadere in ripicche o problemi vari. Ed ora era solo un ostaggio, un ostaggio in balìa dei suoi aguzzini, che avevano preso la forma di suo padre e di Alfonso.

‘’Giovanni, eh? Dimmi chi è questo tizio. Non me ne hai mai parlato, penso che sia giunto il momento’’, continuò a dire il conte, con fare apparentemente tranquillo. La ragazza si illuse che se avesse confessato tutto poi lui l’avrebbe finalmente capita.

‘’Giovanni è il brigante che mi ha rapita. Mi amava, e io avrei tanto voluto restare insieme a lui per sempre’’, disse Teresa, gli occhi bassi per non incontrare quelli del padre. Eppure, quando l’uomo balzò in piedi, non le fu possibile non fissarlo in volto.

‘’Un brigante! Un morto di fame! Un fuorilegge! Ecco con chi hai cercato di screditare il buon nome della nostra famiglia! Sei un’infame, Teresa. Te ne rendi conto di quello che hai appena detto? Che ami un brigante? Dimmi almeno che sai che i briganti sono ladri, persone disoneste e perfide, pronte a far del male al prossimo? Gente da forca, cattiva e senza misericordia, che non hanno rispetto per nessuno? Gente che non merita neanche di guardarti, senza un soldo e senza alcun valore morale?’’, prese a dire ad alta voce il conte come se fosse diventato improvvisamente folle, con gli occhi dilatati e il volto pallido, bianco quasi come il soffitto della stanza. Teresa abbassò lo sguardo, ed iniziò a piangere sommessamente.

‘’Non è vero, padre. Lui era buono con me, mi amava e mi ha ricoperta di attenzioni’’, aggiunse la giovane, ormai totalmente incapace di gestire la situazione. Ormai, la razionalità che l’aveva aiutata fino a pochi giorni prima era totalmente sparita, lasciandola sola e stravolta.

‘’Ti amava, eh? Ne sei sicura? O amava i tuoi soldi, piccola ingenua che non sei altro? E ti ricopriva di attenzioni. Dimmi subito che genere di attenzioni ti dava, prima che io perda completamente la ragione. E sii sincera, o rovinerai totalmente la stima e la fiducia che ho avuto per te fino a questo momento’’, urlò il conte fuori di sé.

Una serva si affacciò sulla soglia della stanza, attirata dal trambusto, e l’uomo la cacciò via in malo modo, per poi chiudere subito la porta.

Poi, iniziò a camminare avanti e indietro attorno al letto della figlia, ormai in balìa degli eventi.

‘’Niente di che. Mi parlava, una volta mi ha pure abbracciato…’’, disse Teresa, lasciando cadere la frase, per cercare di salvare almeno qualche ricordo piacevole da quell’intromissione forzata. Il padre comprese che mentiva.

‘’Qualunque cosa voi abbiate fatto non mi interessa in modo specifico, anche perché immagino che tu non me lo dirai mai. Voglio solo sapere una cosa; ti sei mai concessa a lui… fisicamente?’’, chiese l’uomo, indagatore, cercando di scegliere le parole più appropriate.

‘’No, padre. Glielo posso giurare’’, rispose con sicurezza la ragazza, consapevole di dove volesse arrivare suo padre. Voleva sapere se lei e Giovanni avevano fatto l’amore.

Il conte sogghignò, quasi soddisfatto.

‘’Bene. Questa è una cosa importante. Tu sei una ragazza perbene, caspita! La figlia di un conte dalle origini nobilissime. E quindi, mi giurerai qui, ora, di fronte a me, che non farai mai più menzione della tua relazione con nessuno. Giura; ti è testimone l’Onnipotente. Se violerai il giuramento, andrai direttamente all’inferno, e non credo tu voglia questo’’, disse il conte, avvicinandosi alla figlia. Il suo volto era ancora sconvolto dalla rabbia.

Teresa si spaventò sentendo le parole serie e terribili del padre, mentre molti dubbi si annidavano nella sua mente.

‘’Padre, glielo giuro. Non ne parlerò mai più con nessuno’’, assicurò la ragazza, scossa da un brivido.

‘’Bene. Sappi che quello che hai fatto ha macchiato in modo indelebile la reputazione della nostra famiglia, e ci ha dato vergogna a non finire. Sappi anche che altri padri hanno costretto le loro figlie ad andare in convento per molto meno. Se Alfonso dovesse venire a conoscenza di questa scappatella, ti lascerebbe in un attimo, e noi questo non lo possiamo permettere. Intesi?’’, continuò l’uomo, sempre più severo.

Teresa non poté far altro che annuire, mentre si asciugava il volto con il lembo del lenzuolo.

‘’Ora voglio sapere un’ultima cosa da te, poi non farò mai più menzione all’accaduto. Quel dannato brigante… non avrà mica intenzione di tornare a riprenderti?’’, le chiese, avvicinando il volto a quello della figlia, che strabuzzò gli occhi.

‘’Ah, è così, vedo. Teresa, continui a sorprendermi. Questi non sono intrighi da tessere alle spalle di un padre che ti ha sempre voluto molto bene. Per farti perdonare da me, ora dovrai dirmi dov’è il suo nascondiglio’’. Teresa non ebbe dubbi su come rispondere, quella volta.

‘’Voleva venire a riprendermi, ma è morto. Era il brigante che mi teneva vicino a sé il giorno in cui mi ha riportata qui, ed è stato ucciso… nell’agguato della pineta’’, disse la ragazza, tentennando solo sulle ultime parole. Le dispiaceva immensamente scaricare così quell’uomo che l’aveva amata, ma non poteva fare altrimenti. Pronunciare la parola morto fu un dolore incredibile per lei.

‘’E’ vero, l’ha detto anche Alfonso. Ed infatti, uno dei tre corpi rinvenuti era proprio del capo banda, chiamato Giovanni… bene, tutto torna. Vedo che ti sei pentita e mi hai detto la verità. Ma stai attenta; sarai strettamente sorvegliata da me. Sappi che non possiamo permetterci che Alfonso rompa il fidanzamento per una storia inesistente, anche perché ormai non può più’’, disse il conte riflettendo, tornando a sedersi e riacquistando un po’ di colore.

Teresa riconobbe il padre stava tornando a rilassarsi, rassicurato dalle sue parole. Però, altri dubbi sorsero in lei, non arrivando a capire il motivo delle ultime parole pronunciate.

‘’Perché ormai non può più?’’, tornò a chiedere la giovane, ingenuamente. Il padre si passò una mano sul volto, poi rispose.

‘’Teresa, devi sapere che i briganti mi hanno chiesto un sacco di soldi per liberarti. Non li avevo in contanti, mi sarebbero serviti mesi per raccoglierli, e Alfonso mi ha fatto un ingente prestito ma… non potrò più risarcirlo in monete. In poche parole, lui ha chiesto espressamente la tua mano, e non ho potuto rifiutare. E’ anche per questo che ho deciso di fare testamento in suo favore, non avendo eredi maschi, e alla mia morte tutto il mio patrimonio passerà a lui. Non ti preoccupare, i soldi che otterrà tuo marito dai nostri beni di famiglia li spenderà per il tuo benessere. Vedrai, sarai trattata come una principessa, servita e riverita da tutti’’, aggiunse il conte, cercando di chiudere la questione.

Teresa rimase allibita di fronte a ciò che suo padre le aveva appena rivelato. Per lei era tutto finito, quindi. Gli altri, gli uomini, avevano deciso tutto al posto suo, pianificando un matrimonio da lei non voluto.

Ora era tutto più chiaro; Alfonso era giunto fin lì in fretta e furia per sposarla prima che il conte suo padre potesse avere un qualche ripensamento sulle sue promesse future oppure potesse restituirgli il prestito, ed ora era smanioso di prendersi lei e di aggiudicarsi un grande patrimonio, per cui nessuno avrebbe più potuto arrestare i suoi progetti.

‘’Non guardarmi in modo così spaesato. Tu dovresti già essere sposata da qualche anno, come tutte le altre coetanee del tuo stesso grado nobiliare. E poi, mica l’han scelto loro, il pretendente. Quindi, non ti è andata poi così male, perché Alfonso ti ama e farà di tutto per proteggerti, ed insieme creerete una grande famiglia. Sarete felici insieme, vedrai’’, continuò a dire il padre, lasciando poi scivolare una mano verso il taschino della sua giacca, per prendere un consistente sigaro e fumare.

Pochi istanti dopo, Teresa si sentì disgustata. Odiava l’odore del fumo, ma questo non poteva dirlo a suo padre. Anzi, ora odiava anche lui, ed odiava Alfonso, che se l’era presa a tradimento. Maledisse mentalmente il suo promesso sposo mentre si girava goffamente su un fianco facendo finta di provare a riaddormentarsi, sperando che suo padre se ne andasse, in modo da rimanere sola.

Infatti, il suo gesto ricevette un’effettiva ricompensa. Suo padre si alzò, si tolse il sigaro dalla bocca e le si avvicinò.

‘’Teresa, ti lascio riposare, noto che sei stanca. Devi riprenderti in fretta, quindi dormi. Ah, e ricorda le mie parole; non appena uscirò da questa stanza, tu dovrai dimenticare la nostra discussione, ma dovrai anche tenere a mente il giuramento che mi hai fatto. Non pensare mai più a quella tua storia, era solo un errore sciocco e ingenuo, tu sei la figlia di un conte e come tale riceverai uno sposo del tuo grado. Dimentica tutto, e non parlare mai più di certi argomenti; la tua nuova vita inizia ora.

E non volermi male, io sono tuo padre e tutto questo l’ho organizzato per amore tuo, e sappi che non mi sentirò bene fintanto che non avremo lasciato questa città e tu sarai sposata. Solo allora tornerò sereno. A più tardi’’, concluse il conte.

Le sue parole furono pesanti come macigni per Teresa. La ragazza ormai era totalmente confusa, quasi non riusciva più a capire se aveva amato Giovanni o no, e se quello era stato solo un grave sbaglio.

Trattenne il respiro e tenne chiuso gli occhi fintanto che suo padre non fu uscito dalla stanza.

Il conte richiuse la porta dietro di sé, e Teresa sentì che percorse pochi passi per poi sedersi su una sedia poco distante, in modo da tenere sempre vigilata la sua porta. La ragazza si sentiva in trappola, quasi soffocata. Non si era mai resa conto di quanto fosse odioso suo padre, e di quanto fosse odioso il mondo in sé.

Poco dopo tornò ad aprire gli occhi e a guardarsi intorno. Puntò il suo sguardo al soffitto, e rimase immobile per un po’, a riflettere. Nella sua mente si avvicendavano decine di immagini, di scene contorte e di parole confuse.

Le tornò in mente il passato; in particolare quando sua madre le parlava, e quando le dava qualche dimostrazione d’affetto. Suo padre era sempre stata un’immagine confusa nei suoi ricordi, almeno fintanto che sua madre non era venuta a mancare. Eppure, non le era mai parso così perfido e insensibile, ma in ogni caso doveva essere sempre stato così.

Le tornarono in mente anche ricordi lontani in cui suo padre le sorrideva, oppure quando al prendeva in braccio, stringendola a sé con affetto.

E decise di accantonare tutti quei ricordi; quell’uomo l’aveva cresciuta solo per condannarla a sposare qualcuno che lei odiava, e non poteva mai averla amata veramente. Se le avesse veramente voluto bene, non l’avrebbe costretta a fare ciò che non voleva.

Ma sapeva, purtroppo, che tutti i padri e gli uomini erano così; semplicemente, era insito nella loro natura il volersi imporre nella vita delle donne della loro famiglia.

Una lacrima rancorosa scivolò fin sul cuscino, creando una vasta macchia umidiccia. La ragazza spostò la testa, la tirò su leggermente e maledisse per l’ennesima volta tutti gli uomini, per poi piegare in due il cuscino e risistemarsi meglio, cercando una posizione più comoda per riflettere.

A quel punto, quando il rancore nei confronti di suo padre accennò ad acquietarsi, le tornò in mente Giovanni. Lui non era un uomo qualsiasi; era una persona valorosa e gentile, che l’aveva amata senza volere nulla in cambio, ma solo perché lei gli piaceva sul serio.

Improvvisamente, una nube scura offuscò i suoi ricordi piacevoli insieme con il brigante, mentre sorgevano una moltitudine di dubbi. La ragazza si chiese se le parole pronunciate da suo padre fossero vere. Indubbiamente erano pesanti e le facevano molto male.

Era giunto a definirla un’infame, come se fosse una ragazza di pessima reputazione. Lei aveva seguito solo il suo cuore, ma in fondo era possibile che il brigante l’avesse sedotta solo per il fascino dei soldi di suo padre, oppure per rovinarle la vita.

E i dubbi rovinarono la sua idea di Giovanni, il brigante che l’aveva portata nel suo luogo con lei, condividendo i suoi segreti. Il brigante che era morto, ucciso a tradimento da altri pericolosi banditi.

Mentre iniziava a piangere sempre più intensamente, ebbe paura di non riuscire più a trattenere i singhiozzi, e che suo padre si accorgesse che non stava riposando.

Lentamente, spostò le coperte e si alzò, dirigendosi verso il suo armadio, sperando solo che nessuno avesse spostato nulla al suo interno. Sapeva che lì dentro avrebbe trovato le risposte alle sue domande, e magari anche una magra consolazione.

Con attenzione, aprì le ante, e tirò un sospiro di sollievo. Nessuno aveva rovistato tra le suo cose, tantomeno le aveva risistemate. Subito, la ragazza prese a frugare tra i vestiti che aveva appositamente ammucchiato sul fondo del mobile, e ben presto ritrovò il fagotto che si era portata dietro dai monti.

Con delicatezza, si ritrovò a strofinare il ruvido vestito di tela grezza, quello che le aveva regalato Lina e che lei aveva indossato per tanti giorni. Poi, prese il sacchetto delle erbe essiccate, che le aveva sempre regalato l’amica.

Felice che tutto fosse ancora al suo posto, e che nessuno avesse curiosato tra le sue cose, Teresa le nascose e risistemò tutto al meglio e in rigoroso silenzio. Poi, si avviò a richiudere l’armadio, eppure qualcosa la immobilizzò.

Appeso all’attaccapanni in legno, c’era l’abito che indossava il giorno in cui era stata riconsegnata a suo padre. Riaprì le ante, e l’afferrò, tirandolo fuori dal mobile.

Le mani della ragazza corsero a sfiorare le cuciture di Lina, che avevano fatto sparire alcuni strappi causati da Giovanni il giorno del suo rapimento. Poi, qualcosa la spinse ad annusarlo. Se lo avvicinò al viso con lentezza, quasi avesse paura di compiere un simile gesto.

Improvvisamente, trovò la forza per affondarci il viso. All’altezza della schiena, sentì una fragranza inusuale, che le pareva di aver annusato tante altre volte. E subito lo riconobbe. Era l’odore di Giovanni; quell’odore di selvatico, che non era per nulla sgradevole. Il suo odore era ancora lì, nel punto dove l’aveva tenuta stretta a sé, e dove lei aveva potuto sentire il suo cuore battere. I loro corpi erano stati separati solo dai vestiti.

La ragazza cercò avidamente di aspirare tutto quell’odore, mentre dentro di lei i dubbi lasciavano spazio alle certezze. Ora era certa che la sua storia con Giovanni non era stata un errore, e che il brigante l’amava veramente. Così come Mario non era un uomo da forca, e Lina non era solo una schifosa donna di strada.

Per un attimo, la giovane fu euforica, per poi tornare ad essere triste mentre continuava a tenere il volto infossato nell’abito. Infatti, lei quelle persone non le avrebbe più riviste.

Lei non sarebbe mai più fuggita, Giovanni era morto e Alfonso stava per sposarla per poi riportarla a Roma. Donare il suo primo bacio a Giovanni però non era stato un errore visto che quell’uomo si meritava tutto l’amore del mondo, contrariamente a quello che le aveva detto suo padre.

A quel punto capì che, nonostante lui fosse morto, lei non avrebbe mai smesso per un istante di amarlo. Il brigante era stata l’unica persona di quel mondo ad averla fatta sentire veramente sé stessa e ad averle fatto aprire gli occhi, e di questo gliene sarebbe stata immensamente grata per sempre.

Con lentezza, Teresa chiuse l’armadio, tenendo con sé il vestito e tornando a letto. Mentre compieva il breve tragitto, per un attimo ebbe la netta sensazione che forse non era tutto perduto, e che Giovanni fosse ancora vivo da qualche parte, ma ricacciò subito indietro quei pensieri. Se Alfonso aveva assicurato che era morto, il brigante doveva essere deceduto sul serio, d’altronde lui sapeva sempre tutto con certezza.

Tornando a distendersi, riprese a piangere sommessamente, poi si mise il vestito a suo fianco, sotto le lenzuola e ben nascosto da occhi indiscreti, ma non prima di averlo annusato per un ultima volta.

Fu così che la giovane si addormentò con il profumo del suo amore perduto nelle narici, e con l’immagine del brigante ben stampata nella mente, mentre suo padre, nella stanza adiacente, picchiettava con le dita sul bracciolo della sua sedia, quasi volesse cronometrare il tempo del dolore di sua figlia .

 

 

 

Quando Teresa si risvegliò, era già sera.

Rimise a posto di gran fretta l’abito che aveva tenuto a suo fianco mentre dormiva, e si rivestì al meglio. Poi, si accinse ad andare a farsi un bagno.

Non aveva più timore di incontrare suo padre, e con decisione uscì dalla sua stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

Suo padre infatti era poco distante, sempre alle prese con la lettura. Non appena la vide, le sorrise bonariamente, come se non fosse mai successo nulla tra loro.

‘’Hai riposato molto, figliola. Mi sembra anche che tu stia meglio’’, le disse il conte, continuando a sorriderle.

‘’E’ così, padre’’, rispose la giovane, di poche parole.

‘’Tra poco sarà servita la cena, ti voglio vedere in forma’’, aggiunse il conte. Teresa si bloccò per un attimo, prima di porgli la fatidica domanda che aveva preso a frullarle per la mente.

‘’Anche Alfonso cena con noi?’’. La giovane sentì suo padre sospirare.

‘’No, questa sera no’’.

La ragazza sorrise, confortata da quelle parole, e non badando all’espressione contrariata di suo padre andò a prepararsi per la cena.

Dopo aver fatto un bagno, questa volta con acqua calda al punto giusto e assistita da serve competenti, si abbigliò al meglio e si accinse a scendere per la cena.

Oltre ad indossare un bellissimo abito nuovo di colore scuro, la ragazza indossò anche un superficiale sorriso accattivante e sfrontato. Ormai aveva capito tutto, il sonno l’aveva aiutata a chiarirsi le idee.

Gli uomini attorno a lei avrebbero potuto costringerla anche ad amarli e rispettarli, ma nessuno di loro sarebbe mai riuscito a farle dimenticare la sua profonda storia con Giovanni.

Lei lo avrebbe amato per sempre, e nel suo cuore nessun altro sarebbe più riuscito a farsi spazio, neppure con la forza.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

In questa nota mi limiterò solo a ringraziarvi tutti, per ora non ho nulla da aggiungere. Grazie per la costanza con la quale mi seguite! Spero solo che il racconto continui a piacervi e ad essere verosimile J

Per l’ennesima volta, ringrazio tantissimo tutti i recensori, sempre gentilissimi e cordiali J grazie J

A lunedì prossimo J

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26

CAPITOLO 26

 

 

 

 

Da quando era tornato con la sua banda, nulla era stato più come prima per Giovanni.

Nonostante fossero passati solo un paio di giorni dalla partenza di Teresa, sembrava che tutto fosse profondamente cambiato da quel momento in poi.

La sua cascina, i suoi compagni, il verde dell’erba e persino il bagliore del sole ormai avevano un significato solo marginale, e il capo dei briganti ormai non si sentiva più sicuro di sé come prima. Era come se improvvisamente si fosse stancato di quella vita, e volesse smollare tutto per poi andare alla ricerca della sua amata.

Si era fatto ingannare più volte, e questo aveva fatto quasi sparire la sua voglia continua di avventura.

Mentre camminava verso un luogo indefinito, Giovanni calciava via i sassolini che incontrava lungo il suo cammino, come se fossero i problemi che avrebbe dovuto risolvere nel migliore dei modi in passato.

Ora sapeva che tutto era flebile e momentaneo, e che ormai non esistevano certezze. I suoi compagni l’avrebbero tenuto con loro fintanto che avrebbe saputo farli arricchire e divertire, ma quando avrebbe smesso di farlo sarebbe diventato solo un peso per tutti, e gli avrebbero girato le spalle per sempre. E così comprese anche la precarietà del suo futuro.

E poi, un futuro senza Teresa sarebbe stato un futuro senza alcun senso. Aveva riversato su quella ragazza molti progetti, idee che solo due mesi prima non gli sarebbero neppure passati per la mente.

In certi momenti era riuscito anche ad immaginarsi una famiglia. Lui, Teresa e i loro figli. Ma questo forse era stato solo un’illusione, d’altronde aveva sempre saputo che il momento dei guai sarebbe arrivato a breve. Ed aveva anche sempre saputo che il loro era un amore impossibile, ma non si aspettava che tutto si fosse reso così complicato.

Il brigante si riscosse all’improvviso quando sentì le grida di Mario, che come al solito litigava con Fabio.

Giovanni riconobbe che avrebbe dovuto utilizzare un pugno più duro per gestire la situazione, resa costantemente precaria dalle idee dei più giovani, guidati e strumentalizzati dal ragazzo rosso, che ormai stava sfruttando a più non posso il momento di debolezza del capo per riuscire a tirare a sé gli interessi del gruppo.

I litigi erano frequenti, e l’insofferenza si faceva notevolmente sentire, rendendo irosi tutti i compagni. Il brigante sapeva che spesso accadeva quel fenomeno, soprattutto quando i gruppi diventavano piuttosto consistenti, ed allora serviva un capo carismatico, in grado di tenersi tutti stretti prima che l’unità si sfasciasse. E lui ormai non si sentiva più così.

Se solo avesse avuto Teresa a suo fianco, per tenersela stretta e per poterla amare avrebbe rovesciato mari e monti pur di mantenere una certa dignità, ma senza di lei ormai gli appariva tutto vuoto.

Si accorse solo in quel momento di essere fermo, appoggiato al tronco di un grande albero spoglio, mentre il suo sguardo opaco viaggiava continuamente senza riuscire a soffermarsi da nessuna parte.

Si riscosse definitivamente, e decise di raggiungere Mario, sperando che questi fosse riuscito ad averla vinta su Fabio e magari avesse pure buone notizie su Teresa. Il gruppo di uomini partito alla ricerca di Marco avrebbe già dovuto essere di ritorno, e questo non lasciava presagire nulla di buono. Forse, quella ricerca si sarebbe rivelata l’ennesima sconfitta per lui.

Rapidamente, si diresse verso la zona dove aveva sentito il baccano di poco prima, ed infatti trovò l’amico seduto su una pietra, il volto stanco e tirato infossato tra le mani.

Giovanni gli si avvicinò cautamente, e prese posto a suo fianco.

‘’Ancora problemi con Fabio?’’, chiese con discrezione.

‘’Problemi?! Quello lì ci farà fuori a breve, se non ci sbarazziamo di lui’’, disse Mario, riscuotendosi.

‘’Ce ne sbarazzeremo presto. Hai in mente qualche soluzione?’’, chiese Giovanni, sollecitando l’amico a parlare.

‘’Uhm, no. O almeno, non una in particolare. Sta di fatto che sarà un’operazione che dovremo svolgere nell’ombra; se qualche altro giovane scoprisse che vogliamo far del male a quell’esaltato, potrebbe aversene per male e riferirglielo. E dopo, sarebbero guai molto seri. Per evitare rivolte o disguidi, dobbiamo farlo secco di notte, magari strangolandolo nel sonno’’. Giovanni sorrise, compiaciuto.

‘’Sei ancora sveglio come una volta, vecchia volpe. Eppure, nell’ultimo periodo mi sembri un po’ giù di morale’’.

‘’Senti chi parla! Mi sembri un fantasma, Zvàn. Io non posso portare avanti tutto a tuo nome, ritorna al tuo posto. Non farti abbattere dalle parole di un ragazzetto pazzo, quello lì ti dico io come lo faremo fuori; mi intrufolerò accanto al suo giaciglio e lo soffocherò, per poi gettarne il corpo in una fossa. Non ne posso più delle sue lamentele, mi sta sfiancando e ben presto la situazione diventerà ingestibile, ne sono certo’’, disse Mario, lievemente preoccupato.

‘’Hai ragione, dobbiamo risolvere la questione al più presto. A proposito, hai notizie dei ragazzi che abbiamo mandato in cerca di Marco?’’, chiese Giovanni, approfittando del momento. Mario fece un cenno negativo con la testa, prima di rispondere.

‘’No, ancora nessuna. Questo mi dà disagio. Se è andato storto qualcos’altro, non so, le cose si metteranno ancora peggio per noi’’.

‘’Non preoccuparti. In ogni caso, ce la faremo. Grazie per il tuo supporto; è molto importante per me potermi fidare di qualcuno’’, ribatté il capo dei briganti. Mario sorrise debolmente.

‘’Sai, è anche colpa mia se siamo giunti a questo punto. Se solo ti avessi ascoltato quando mi spiegavi i tuoi sospetti su Aldo, ora non saremmo ridotti così. Mi sento in colpa, Zvàn’’, riconobbe Mario, triste.

‘’Non devi sentirti in colpa, alla fine avrei sbagliato io stesso e mi sarei fidato dei nostri nemici. Sul serio, sarebbe finita male comunque’’, riconobbe Giovanni, dando una leggera pacca sulla schiena dell’amico, che sorrise nuovamente.

Per alcuni attimi, tra i due ci fu solo silenzio. Un silenzio quasi imbarazzato, e Giovanni fu in procinto di alzarsi e di congedarsi dall’amico.

‘’Pensi ancora a lei, vero?’’, chiese improvvisamente Mario, rompendo il silenzio e scompigliando le intenzioni del capo dei briganti, che per un attimo fu in imbarazzo, incerto se parlare liberamente oppure tenersi tutto dentro. Alla fine, vinse la voglia di lasciarsi andare; sapeva che di Mario avrebbe sempre potuto fidarsi.

‘’Sì, mi manca molto’’, ammise all’amico.

‘’Capisco. È anche a causa mia se l’hai persa, ma la riporteremo qui. Sono certo che tu avessi ideato qualche piano per riprendertela, dopo la chiusura dell’accordo con Aldo’’, continuò Mario, lasciando perplesso Giovanni, che non poté far altro che riconoscere che l’amico era veramente perspicace.

‘’Sì, è così. Mi sarei dovuto accordare con Marco e con qualche servo, in modo da aiutarla a fuggire e a ricongiungersi con me. Solo così la nostra storia avrebbe avuto un lieto fine’’.

‘’Ehi, non essere triste. Voi due siete le persone migliori che io abbia mai conosciuto, e la vostra storia è destinata ad avere un lieto fine. Se tu la ami con tutto te stesso, vedrai che riuscirai a ricongiungerti con lei prima o poi’’, disse Mario con voce sicura. Giovanni tentennò un attimo prima di rispondere.

‘’Non ne puoi essere certo. L’ho già persa, ormai’’, disse il brigante, con toni cupi.

‘’Sai, ormai ho una certa età, e ne ho viste di tutti i colori. Ho imparato che un pezzente astuto e rapido nei movimenti con una pistola scadente tra le mani può far fuori anche cinque gendarmi cresciuti con le miglior armi in pugno, e che per imporsi su un'altra persona basta percuoterla e spaventarla.

Però, questo gioco di forza e destrezza, pronto a disfarsi nel momento in cui il più forte gira le spalle per un attimo lasciando via libera al più debole che potrà diventare il vincitore della sfida, non vale in amore. L’amore è un legame indissolubile, una forza che non perde mai vigore. Tu e Teresa siete molto legati e se lo vorrete, presto o tardi vi ritroverete. Su questo non ho dubbi’’, disse Mario, sempre con sicurezza.

Giovanni sorrise, confortato dalle parole sincere e profonde dell’amico.

‘’Grazie, Mario. Non so come farei senza di te’’.

‘’Staresti sicuramente meglio. Ultimamente mi sento un’incompetente e…’’. Il discorso fu bruscamente interrotto dall’arrivo di Lina, che prese a gesticolare, stizzita.

‘’Eccovi qui, seduti su una pietra e a far salotto. Poco più a valle, di fronte a casa mia, sono appena arrivati i ragazzi che avevate mandato in missione. Vi hanno cercato ovunque ma senza risultato. Dove avete la testa, uomini?’’, continuò a ripetere la donna, con smorfie tragiche.

I due briganti si guardarono in faccia, e presi da un’inaspettata gioia, si diressero subito a valle, lasciando indietro Lina, che nel frattempo continuava a sbraitare.

In poco tempo, i due amici si trovarono di fronte a casa della donna, dove i giovani briganti erano scesi di sella per abbeverarsi. Eppure, a momenti prese un colpo a Giovanni; Marco non era con loro.

Mentre Mario continuava ad avanzare con sicurezza, il capo dei briganti si fermò e per un attimo fu incerto sul da farsi. Non se la sentiva di ascoltare altre brutte notizie, eppure era suo compito farlo, d’altronde lui era il loro capo. Quindi si fece coraggio e si avvicinò ai giovani con cautela.

Mario, intanto, aveva già preso le redini della situazione. A volte la sua maturità e la sua capacità di nascondere le emozioni era veramente molto utile.

‘’Ragazzi, che cos’è successo? Avete tardato a tornare. E Marco dov’è?’’, disse subito il maturo brigante, tempestando i ragazzi di domande. Uno di loro finì di bere da una borraccia e lo fissò.

‘’Abbiamo cercato per quasi un giorno quel maledetto bastardo ed abbiamo setacciato tutti i suoi possedimenti eppure non l’abbiamo trovato. È sparito, assieme a tutte le sue ricchezze. Nel frattempo, abbiamo provveduto ad incendiargli la sua magnifica villa di campagna, giusto per pagarci il disturbo. Dovevi sentire i servi come gridavano! Abbiamo terrorizzato tutti’’, si vantò il ragazzo, guardando prima Mario, poi Giovanni e in seguito anche i suoi due compagni, che risero insieme a lui a fine discorso.

Mario gli allungò subito uno scappellotto.

‘’Ragazzo, forse non hai ancora capito che non si prendono di mira le persone più povere, ma solo i ricchi e coloro che ci fanno torti. Quindi, dovete vergognarvi. Io non ho più nulla da chiedere, continuate pure a parlare con il capo’’, disse poi Mario, facendo l’occhiolino a Giovanni e allontanandosi un po’, mentre i tre ragazzi smettevano di ridere, imbarazzati per essere stati svergognati come bambini piccoli.

Giovanni notò che dovevano avere all’incirca una ventina d’anni, l’età in cui molto spesso i colpi di testa prevalgono sulla razionalità, e decise di non rimproverarli ulteriormente. D’altronde, a quanto pareva avevano svolto la loro missione quasi alla perfezione.

Il vero problema era che ormai il suo gruppo di fuorilegge si era ampliato così tanto da non permettergli di conoscere a fondo ogni suo componente, e a volte neppure si ricordava il loro nome, come in quel caso. Questo fatto, indubbiamente, penalizzava parecchio la sua figura di capo, ma in fondo era il giusto prezzo da pagare per la crescente popolarità della banda.

‘’Ragazzi, non dovevate dare nell’occhio. Ormai, Marco e i suoi protettori sapranno che lo stiamo cercando, e saranno già in guardia. E poi, non dovete tartassare o spaventare le persone più povere. Ma, tornando alla missione… non avete proprio trovato nulla? Neppure una traccia? Magari qualcuno sapeva dove si era nascosto…’’, provò Giovanni, cercando di gestire al meglio la situazione e i suoi sentimenti.

‘’Assolutamente nulla, capo. Marco se n’è andato da un paio di giorni. Una carrozza è passata a prenderlo presso la sua villa di campagna, poco all’infuori di Ravenna, per poi sparire per sempre’’, disse uno dei giovani, un ragazzone castano grosso come un armadio.

‘’Ah, sparito eh? E nessuno ha idea di dove sia andato? Ovvero, spero che voi abbiate fatto qualche domanda ai servi, o ai contadini della campagna circostante’’, aggiunse Giovanni, indagatore.

‘’Oh, sì, certo. Abbiamo indagato in modo molto… ehm… gentile’’, aggiunse il ragazzo che aveva parlato per primo, molto più minuto del secondo.

‘’Immagino. Ma cosa aspettate? Su, ditemi tutto’’, disse Giovanni, ironico.

Immaginava che quei tre pazzerelli avessero terrorizzato buona parte della pianura, approfittando della lontananza dal capo e della missione loro assegnata, ma non valeva la pena continuare ad indagare su quell’argomento, quando invece c’era in ballo il futuro di Teresa, che dipendeva solo dal grassone.

Se Giovanni fosse riuscito a trovarlo, si sarebbe fatto dire dov’era situata la residenza del padre della sua amata e sarebbe andato lui stesso a riprendersela, anche a costo di dover affrontare l’intera gendarmeria di Ravenna. Ma ormai Marco sembrava essere sparito.

‘’Sappiamo per certo che il traditore ha lasciato la sua villa, non prima però di aver prelevato tutte le sue cose di maggior valore e di averle preparate a dovere, come se avesse dovuto affrontare un viaggio. Poi, dopo essersi ritirato dalla sua carica presso la sede dell’arcivescovado, e dopo aver lasciato un suo successore, affermando che a causa di un improvviso peggioramento dei suoi disturbi fisici non se la sentiva più di mantenere quel ruolo che aveva ricoperto per parecchi anni, è stato prelevato presso la sua villa di campagna da una carrozza dubbia, di colore scuro.

I servi han detto che hanno sistemato i valori del loro padrone su quel mezzo, poi sono stati congedati, mentre il cocchiere, un tizio strano con le mani fasciate e incappucciato ha preso le redini ed è partito a tutta velocità non appena è salito Marco. Comunque, la carrozza era abbastanza malridotta e i cavalli erano piuttosto magri, ed ha imbucato la strada sterrata che porta verso nord, tanto che i servi sono rimasti sorpresi da tanta sobrietà, e soprattutto dalla direzione scelta. Questo è tutto quello che abbiamo appreso’’, concluse il ragazzo castano, mentre gli altri due annuivano.

Giovanni comprese tutto. Aldo aveva fatto prelevare Marco, e lo avrebbe protetto nelle paludi a nord di Ravenna. Il cocchiere non era altro che un bandito in grado di gestire una carrozza vecchia e rigorosamente rubata. Era tutto chiarissimo, ora.

‘’Grazie ragazzi, siete stati utilissimi. Ora andate a riposarvi’’, disse Giovanni frettolosamente, congedando i ragazzi, che, sorpresi da tanta fretta, presero a parlottare tra loro e ad allontanarsi.

Il capo dei briganti fu sicuro di aver intravisto un riflesso dorato fuoriuscire da una tasca di uno dei giovani. Probabilmente, si trattava di un qualche oggetto di valore trafugato dalla residenza del traditore.

Giovanni non diede importanza al fatto, tanto sapeva che ai suoi compagni piaceva arraffare, e si diresse verso Mario che, nel frattempo, se n’era stato seduto poco distante su un tronco secco disteso a terra.

‘’Hai sentito, amico? Marco è protetto da Aldo, ora ne sono certo, e tutte le disgrazie nelle quali ci siamo imbattuti nell’ultimo periodo sono state organizzate da loro. Ma non la passeranno liscia’’, disse Giovanni, in preda alla rabbia.

‘’Che intendi fare?’’, chiese Mario, curioso.

‘’Ovvio! Andare a fare un giro nelle paludi. Con tutta la banda, ovviamente. Puniremo tutti i loro affronti’’, continuò a dire Giovanni, mentre Mario scuoteva la testa.

‘’Troppo rischioso. Non possiamo fare una cosa del genere’’, disse l’amico, affranto.

‘’Mario, dobbiamo rischiare. In ogni caso, ci abbiamo solo da guadagnare. Se attacchiamo i nostri nemici, potremmo ritrovare Marco, potremmo impossessarci di nuove ricchezze e mettere in affanno il gruppo di Aldo’’, continuò Giovanni, sempre più deciso.

‘’Hai ragione. Ma se qualcosa va storto? Tu ci spingi ad addentrarci in territorio nemico dimenticandoti che nel bel mezzo di un territorio paludoso e molto vasto ci sono tantissimi posti in cui poter fare agguati o nascondersi, soprattutto se conosci bene il luogo. Non dimenticarti che Aldo ci affronterà in casa sua se faremo così, una casa che lo protegge da tanto tempo e che noi non conosciamo’’.

‘’Hai ragione. Ma vale la pena rischiare. Se le cose si metteranno male torneremo indietro, e porterò il gruppo ad assaltare qualche ricca dimora, così tutti saranno contenti. Però sono certo che questa volta avremo i risultati sperati, grazie al fatto che i nostri nemici non immaginano neppure che noi balzeremo loro addosso all’improvviso’’, disse ancora il capo dei briganti, riflettendo.

‘’Sai, potrebbe funzionare. Ma dovremo essere davvero molto scaltri, e muoverci in piccoli gruppi per non dare nell’occhio, altrimenti avremo subito addosso anche la gendarmeria. Poi, dovremmo riuscire a trovare il luogo preciso dove dimorano i banditi… insomma, non è semplice e si correranno certamente molti rischi, ma non è una missione impossibile. E poi, magari tra i nostri c’è qualcuno che può passarci qualche informazione utile per scovare il loro nascondiglio, d’altronde non tutti sono sempre stati in questa banda, e il nostro nemico è parecchio conosciuto, ormai’’, riconobbe Mario a quel punto, serio in volto.

‘’Bene, metti in giro la voce, così se qualcuno sa si farà avanti. Ma ora seguimi, andiamo alla cascina e prepariamo un piano d’azione perfetto. Aldo verrà colto di sorpresa questa volta, te lo garantisco’’, assicurò Giovanni, che per la prima volta negli ultimi giorni si sentiva di nuovo sicuro di sé e speranzoso. Sapeva che doveva escogitare un piano in fretta, prima che fosse troppo tardi.

 

 

Era ormai tarda nottata quando un ragazzo bussò alla porta della cascina. Giovanni l’aprì, sempre fissato da Mario, anch’esso sorpreso. Ormai, non si aspettavano più che qualcuno si facesse avanti. Mario aveva chiesto a parecchi delle informazioni, ma pareva che Aldo fosse sconosciuto a tutti.

‘’Che vuoi?’’, chiese Giovanni, fingendosi irritato. Voleva che fosse il giovane a spiegare il motivo della sua visita così tardiva.

‘’Ho saputo… insomma, sono venuto a conoscenza di quell’affare… che state cercando qualche informazione…’’.

‘’Su Aldo’’, concluse Mario, interrompendo il balbettio del giovane e facendosi attento. Il ragazzo annuì con vigore.

Giovanni riconobbe che si trattava di uno di quelli che si erano uniti alla banda ormai da un po’, e che da quanto sapeva veniva proprio dalla costa. Era alto e muscoloso, ma il volto butterato lo rendeva alquanto sgradevole alla vista. Si chiamava Lorenzo, e doveva avere poco più di vent’anni.

‘’Sai qualcosa su di lui? Ad esempio, dove si trova il suo nascondiglio, o qualsiasi altra informazione utile. Il volpone sta ben attento a nascondersi’’, continuò a spronarlo Mario.

‘’Ecco… sono in imbarazzo a parlarne, sapete, non vorrei che voi mi giudicaste male…’’.

‘’Ma noi ti ricompenseremo, invece. Parla liberamente’’, disse Giovanni, interrompendolo e spronandolo nuovamente ad arrivare al sodo.

‘’In poche parole, se vi interessa dove si nasconde Aldo, e dove si trova il suo covo, io posso dirvi come arrivarci’’, disse il giovane, smettendo di balbettare e con fare sicuro. Gli altri due briganti si guardarono e quasi risero.

‘’Non scherzare, è impossibile… al massimo saprai dove dirige i suoi traffici’’, disse Mario, sorridendo.

‘’No, so tutto su di lui… e non scherzo. Prima di giungere qui, sono stato nella sua banda per quasi un anno, nel quale ho avuto modo di conoscere molto bene il vecchio’’, affermò il giovane, sempre in imbarazzo.

‘’Chi sei tu?’’, chiese Giovanni a quel punto, diventando serissimo. Se si trattava di un bugiardo pronto a mentire pur di avere una ricompensa, si era sbagliato di grosso. Non si sarebbe fatto raggirare anche quella volta.

‘’Ehi, calma capo. Voglio aiutarti con tutto me stesso. Aldo e i suoi mi hanno ingannato! Non dividevano i bottini delle scorrerie con i più giovani, costringendoli a fare la fame. Io avevo sedici anni, ero appena scappato di casa per unirmi a loro e avevo tanta voglia di gloria. Insomma, infine ho derubato i miei compagni e sono scappato da loro, disertando. Per alcuni mesi ho vissuto nel panico, sperperando tutto quello che avevo rubato, poi ho deciso di venire fin qui, d’altronde era l’unico luogo dove potevo nascondermi da coloro a cui avevo fatto un grave affronto. Mi hanno cercato ovunque credo, e alla fine avranno pensato che io sia morto’’, disse poi Lorenzo, abbassando lo sguardo. Giovanni e Mario a quel punto si guardarono in faccia, indecisi. D’altronde, se tutto ciò era vero si trovavano di fronte ad un traditore, di quelli che venivano uccisi e ricercati ovunque.

‘’Perché ci stai dicendo tutto ciò? Potevi solo spiegarci che certe cose le avevi solo sentite dire, eppure tu ci dici che sei un fuggiasco e un traditore’’, disse Mario, con circospezione.

‘’Voglio solo ringraziarvi e farvi un favore, e poi mi avete ordinato voi di parlare liberamente. Ormai voi siete la mia famiglia, e contrariamente ad altre bande qui i nuovi arrivati vengono integrati subito e sfamati. Spero mi perdonerete per i miei errori passati, ora non sono più un ladro. Questa per me è la mia casa, e non farei mai dei torti a voi, voglio precisarlo’’, disse il giovane con decisione, sempre con lo sguardo fisso a terra.

‘’Se ci darai le indicazioni per giungere al covo di Aldo, ti perdoneremo e ti ricompenseremo. Ma guai a te se ci prendi in giro, eh!’’, disse Giovanni, ormai interessato solo a ricevere le informazioni che cercava da tempo. Lorenzo, nel frattempo, sembrava sincero.

‘’Lo farò… vi dirò tutto ciò che volete sapere’’, disse il ragazzo, sicuro di sé.

‘’Perché non ti sei fatto avanti prima?’’, chiese Mario, brusco. Gli occhi del ragazzo si spalancarono.

‘’Prima di tutto, non avete mai chiesto nulla riguardo ad Aldo. E poi, sono giunto qui a quest’ora avanzata solo per non farmi vedere dai miei compagni, che in questo momento stanno dormendo. Sapete, avrei dovuto dar loro spiegazioni se mi fossi recato qui prima’’, rispose Lorenzo, lievemente imbarazzato ma sempre con grande sincerità. Ovviamente, non voleva che gli altri lo etichettassero come un traditore e un nemico. Gli altri due briganti si guardarono in volto e lo invitarono a procedere e a parlare.

Lorenzo si dimostrò sicuro di sé, e in pochissimo tempo Mario aveva a disposizione tutte le informazioni utili. Per precauzione, Giovanni decise che durante la missione il giovane sarebbe rimasto insieme a qualche altro meno preparato al covo, in modo da essere sorvegliato, non permettendogli quindi di fuggire nel remoto caso in cui avesse mentito spudoratamente.

Il tutto comunque fu da subito chiaro e dall’apparenza sincera, e non appena il giovane si congedò, Giovanni e il suo braccio destro sapevano come procedere e dove andare in modo piuttosto preciso. Gli unici problemi erano che avevano davvero poco tempo a disposizione, e che stavano azzardando davvero tanto.

 

 

Dopo aver organizzato tutto molto in fretta, il mattino successivo Giovanni si trovò in testa ai suoi uomini, che lo fissavano ancora intorpiditi dal sonno e stupefatti dalla repentina decisione del loro capo.

Infatti, il capo dei briganti era deciso a mettere in azione il piano ideato con Mario durante quella lunga notte pressoché insonne, e non aveva neppure avuto il tempo di spiegarlo ai compagni. Quella mattina aveva mandato il suo amico e braccio destro a svegliare tutti i briganti all’alba, per prepararli alla repentina partenza e per spiegar loro in cosa consisteva il piano. Erano decisi a seguire le indicazioni di Lorenzo, che sembravano sicure. A quel punto, valeva la pena rischiare.

‘’Ragazzi, vi ho fatto svegliare all’alba per un motivo ben preciso. Oggi stesso andremo a far visita ad Aldo, e vendicheremo i nostri compagni!’’, ruggì Giovanni, cercando di dimostrarsi convincente. Ma i briganti lo guardarono storto, tranne alcuni giovani, che presero a gioire, felici di gettarsi in una nuova e pericolosa avventura.

‘’Zvàn, ci stai forse dicendo che proprio oggi scenderemo in pianura?’’, chiese uno dei briganti più maturi, perplesso. Era Dario, uno dei più maturi e saggi del gruppo.

‘’Esatto’’, disse Giovanni, sicuro di sé. Intanto, con la coda dell’occhio notò che il giovane Fabio si era appena aggiunto al gruppo, e spintonava chi gli stava attorno per farsi avanti. Il capo dei briganti lo ignorò.

‘’Ma l’hai visto il cielo?! Il buon tempo è finito, capo. Assalteremo Aldo tra qualche settimana, poiché tra poche ore inizierà a nevicare, e non smetterà per giorni… se facciamo così, rischiamo di rimanere tagliati fuori dal nostro territorio! Nevicherà moltissimo!’’, prese a dire il maturo brigante, iniziando ad agitarsi.

I compagni iniziarono a guardare il cielo, indispettiti. Nonostante il fatto che Giovanni non volesse dar corda al compagno, alzò gli occhi verso al cielo come tutti gli altri. Notò subito che non era limpido, anzi; era quasi totalmente offuscato dalle nubi.

Soffiava una lieve brezza gelida, ma di certo non così fredda da portare della neve. Al massimo, avrebbe fatto una spolverata lì sui monti, per poi tramutarsi in pioggia sulle colline e nella pianura limitrofa.

Il capo dei briganti non se ne intendeva molto di clima e di periodi nevosi, si era sempre affidato ad altri oppure ai suoi sensi. Ma quella volta era diverso; non poteva in alcun modo farsi fermare da ipotesi, ma doveva proseguire ad ogni costo, se no avrebbe rischiato di perdere definitivamente Teresa.

Per un attimo, quasi si vergognò dei suoi pensieri egoistici, poiché avrebbe rischiato di mandare i suoi uomini dritti nei guai solo per un suo interesse, però fu solo per un attimo, poi riprese la sua solita padronanza di sé.

‘’Dai, Dario, non farà nulla. Non vedi che non è tempo da neve? Andiamo, su. Andate a prendere i cavalli, tra poco vi voglio qui pronti a partire’’, disse Giovanni, risoluto, rivolgendosi al maturo compagno.

I briganti andarono a prendere i cavalli, borbottando tra loro, ma Dario si avvicinò nuovamente al suo capo.

‘’Zvàn, ascoltami una buona volta. È pericoloso; rischiamo di trovarci nel bel mezzo di una tormenta, frammentati e dispersi in un territorio che non conosciamo bene. Con queste cose non si scherza’’, continuò a dire l’uomo, con fare serio. D’altronde, si trovavano proprio nel bel mezzo del periodo più nevoso dell’inverno.

Giovanni riconobbe che doveva essere sincero, ma non doveva cedere proprio in quel momento. D’altronde, era anche vero che nessuno era in grado di prevede il clima alla perfezione, e che Dario poteva anche sbagliarsi malamente, oppure poteva essere stato pilotato da Fabio.

‘’No, Dario vai a prendere il tuo cavallo. Tra poco partiamo’’, disse Giovanni, atono.

Dario si allontanò per andare a prendere il suo cavallo, alzando le mani verso al cielo, come per dire che lui l’aveva avvertito. Il capo dei briganti non ci fece caso, ormai la sua testa era già a Ravenna, vicino alla sua Teresa. E fu in quel momento che una voce ruppe il silenzio che lo circondava.

‘’Zvàn, hai segnato il tuo destino. Questo errore ti costerà caro, e io potrò definitivamente prendere il tuo posto. Quindi, ti conviene pregare che non nevichi’’, sibilò il giovane Fabio, appostato alle spalle del suo capo.

Quando Giovanni si voltò per guardarlo il giovane si era già girato per dirigersi verso le stalle dei cavalli, ma si girò un attimo per fargli un sorriso. Un sorriso perfido e lugubre.

Giovanni si passò una mano sul volto, disperato, ma il solo pensiero che prima di sera avrebbe potuto avere nuove notizie sulla sua amata gli ridiede le forze necessarie per continuare nel suo testardo piano.

Dal tanto che pensava a Teresa non si accorse neppure che Mario gli stava porgendo Furia già sellato, e ben presto si trovò circondato dai suoi uomini. In pochi istanti, si issò in sella, per poi sistemarsi al meglio il cinturone con le pallottole e il fucile, in modo che non gli desse troppo fastidio durante la cavalcata.

Notò subito che Dario e Fabio erano tra gli ultimi, a parlottare tra loro, e questo lo fece innervosire parecchio.

‘’Compagni, procederemo come sempre; ci divideremo nei soliti gruppetti, e ci ritroveremo tutti nel luogo in cui abbiamo rapito la contessina. Da lì poi procederemo tutti insieme verso nord, e andremo a scovare il nostro nemico. Prima di sera, saremo ricchissimi. Come sempre, vi vieto di ingaggiare dispute con i contadini che incontrerete, non voglio che vi cacciate nei guai proprio in questo momento delicato. In ogni evenienza, datevela a gambe. E ora, non sprechiamo altro tempo; andiamo’’, disse Giovanni, mentre spronò subito Furia, che si mosse con rapidità, lasciando dietro di sé tutti i briganti a parlottare tra loro.

Poi, il gruppo si dissolse e ognuno si unì a qualche altro compagno, mentre tutti iniziarono la discesa seguendo sentieri diversi. Giovanni tirò un sospiro di sollievo, ma fu raggiunto subito da Mario, che lo guardò con fare severo.

‘’Speriamo solo di non aver commesso l’ennesima follia’’, gli bisbigliò tra i denti, mentre una decina di briganti si erano uniti al loro gruppo.

Giovanni non poté non notare Fabio, che aveva deciso di seguirlo e che lo fissava pochi metri più indietro con fare divertito. Era ovvio che voleva godersi tutta la sua possibile rovina, e gioirgli in faccia. D’altronde, il piano era venuto fuori abbastanza in fretta, e c’erano grosse probabilità che qualcosa andasse storto.

Giovanni scosse la testa rassegnato, poi guardò Mario e gli parlò piano, in modo che nessuno potesse sentirlo.

‘’Speriamo che vada tutto bene, o sarà la nostra rovina’’, disse all’amico, con toni cupi e preoccupati. Teresa gli stava costando veramente molto cara. Ma lui l’amava alla follia, e la voleva riavere con sé. E l’unico modo per riprenderla con sé era ritrovare quella maledetta spia traditrice.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Chissà se Giovanni riuscirà nel suo intento… lo scopriremo presto, non temete J

Ringrazio per la millesima volta tutti coloro che seguono e recensiscono il racconto! Siete gentilissimi J

A lunedì prossimo J

 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

CAPITOLO 27

 

 

 

 

Era mattina presto, e Teresa si era già alzata.

Quel giorno tutto sembrava stranamente calmo. Suo padre si era già alzato anche lui, poiché quella sarebbe stata una giornata importante per tutti loro. Tra poco, sarebbero arrivate le sarte per prendere le misure per il suo abito da sposa.

Ormai il giorno del matrimonio era imminente; lei si sarebbe dovuta sposare con Alfonso l’indomani pomeriggio. E per quello le sarte avrebbero dovuto lavorare con tempi molto ristretti per preparare un abito piuttosto sfarzoso, anche se non in maniera esagerata.

A causa della fretta e della mancanza di tempo, il conte aveva detto loro di prepararsi a cucire un abito bello e nobiliare, ma non eccessivamente vistoso o elaborato.

Con un sospiro teso, la ragazza si lasciò attrarre dal suo soffice letto, però sapeva che ben presto suo padre l’avrebbe fatta chiamare, non appena sarebbero arrivate le sarte.

Quei giorni erano veramente duri per la giovane; prima di tutto, la sua vita  e le sue certezze erano state duramente sconvolte dalla morte del suo innamorato, in seguito dal duro comportamento del padre ed infine della consapevolezza che nessuno l’avrebbe salvata dal suo truce destino, ovvero finire in sposa ad Alfonso.

Subito dopo le nozze, suo padre l’aveva informata che lei e suo marito sarebbero partiti immediatamente per Roma, subito dopo un breve festeggiamento.

Era vero che Alfonso, in quanto nipote del Papa e persona importante e nobile, avrebbe potuto far organizzare una cerimonia colossale, con tantissimi invitati e chierici, ma questa non era stata una sua priorità. Stranamente, il suo promesso sposo aveva dato la priorità alla fretta.

E lei sapeva perché; voleva sposarla in fretta solo per prendersi il consistente patrimonio di suo padre, e prendersi lei, che era stata la vittima delle sue intenzioni fin dal primo giorno che le aveva messo gli occhi addosso.

Teresa aveva avuto modo di conoscere a grandi linee il comportamento di Alfonso, e doveva riconoscere che era un giovane molto ambizioso, e costantemente alla ricerca di contratti che avrebbero potuto far aumentare il suo patrimonio personale, meglio se in modo considerevole.

E lei era solo una clausola, così come il loro matrimonio era un puro e mero contratto.

Sempre più avvilita, Teresa si trovò a fissare il cielo di Ravenna dalla finestra della sua camera. Un cielo che quel giorno era oscurato dalle nubi, mentre i vetri delle finestre si annebbiavano a causa del freddo esterno.

La giovane riconobbe che, quel giorno, avrebbe potuto anche nevicare.

Pensò alla neve; a Roma non ne aveva mai vista. Però, aveva iniziato a prendere confidenza con quello strano fenomeno atmosferico solo nell’ultimo mese, che aveva passato in mezzo ai briganti. Era tutto così strano, quando nevicava.

Proprio in quel momento, una serva la chiamò.

‘’Signorina, suo padre vi avvisa che sono arrivate le sarte, e che tutti vi aspettano nella sala’’, disse la giovane, con grande educazione.

Era la stessa che il primo giorno aveva rotto il bicchiere a terra, eppure Teresa non aveva potuto far a meno di notare quanto era cambiata dal primo momento in cui l’aveva vista; lo sguardo sfacciato si era tramutato in un flebile sorriso. Le parole di Alfonso avevano avuto degli ottimi effetti, e la servitù era diventata subito efficiente e gentile, e non aveva causato alcun tipo di problema.

La contessina sorrise, e si preparò ad abbandonare la sua stanza, decisamente infastidita dalla preparazione del matrimonio.

L’unica nota positiva era che fino all’indomani pomeriggio non avrebbe più rivisto il suo promesso sposo visto che suo padre gli aveva momentaneamente vietato di vederla. A suo dire, lo sposo non doveva vedere la sua futura moglie nei giorni immediatamente precedenti al matrimonio, poiché ciò avrebbe potuto portare sfortuna alla coppia che stava per formarsi.

Ma Teresa era certa che il conte suo padre avesse fatto in modo di non farle incontrare Alfonso per non farla stressare ulteriormente, visto che ormai era a conoscenza di ciò che pensava di quel giovane. Forse vedeva in questo gesto un ultimo atto d’amore paterno.

La contessina tornò poi a pensare a Giovanni, mentre si accingeva a mostrarsi al padre, che nel frattempo continuava ad attenderla in una stanza poco distante. Se solo all’altare ci fosse stato lui ad aspettarla, lei sarebbe stata decisamente euforica in quel momento.

Poi si immaginò il brigante vestito bene, con un’aria nobile sul viso completamente rasato, mentre era circondato da nobili che gli volevano stringere la mano e fargli congratulazioni. La ragazza, a quel pensiero, quasi si mise a ridere da sola; non era una situazione adatta al suo Giovanni.

Sicuramente, se il brigante si fosse trovato realmente in una situazione simile a quella da lei appena immaginata, si sarebbe messo ad imprecare o a litigare con qualcuno, generando un certo caos che avrebbe fatto fuggire tutte le persone nobili.

Non appena Teresa si accorse di avere un abbozzo di sorriso sulle labbra, si affrettò subito a reprimerlo, e smise di pensare a quelle cose che in realtà non sarebbero mai accadute.

Non c’era nulla da sorridere, Giovanni era morto, e probabilmente non gli avevano dato neppure una degna sepoltura, e di certo lui non l’avrebbe mai attesa all’altare.

Ora doveva solo pensare al suo imminente e triste futuro, e non voleva che nessuno la vedesse con un sorriso sul volto. Nessuno doveva pensare che lei era felice. Ma Teresa era felice solo quando ripensava a Giovanni, a volte anche a Lina, ma mai quando viveva in quella lugubre realtà.

Facendo un profondo respiro, la contessina si preparò ad affrontare la masnada di sarte, che nel frattempo erano tutte prese a chiacchierare a bassa voce.

Non appena entrò nella misera saletta, le donne si zittirono tutte, guardandola. Suo padre si alzò dalla sua poltrona e le si avvicinò.

‘’Figlia mia, perché hai indosso ancora quei vestiti neri?’’, chiese subito il conte a voce bassa, lievemente spazientito.

Teresa non si era neppure accorta di essersi rivestita nello stesso modo degli ultimi giorni, indossando abiti neri e scuri, più adatti ad un lutto che a un grande matrimonio.

‘’Il mio cuore è in lutto, padre. Mi dispiace’’, sussurrò la ragazza, in modo quasi impercettibile, ma suo padre che le era vicino capì tutto al volo.

L’uomo alzò le mani al cielo, prima di avvicinarla e di fingere di darle un bacio sulla guancia.

‘’Smettila con questa storia, te l’ho già detto. Dimentica tutto e non parlarne, non voglio scandali’’, le sussurrò velocemente all’orecchio, allontanandosi subito dopo.

‘’Bene, le signore qui presenti ti prenderanno le misure per prepararti un buon abito. Lascia fare loro, io intanto osserverò e alla fine mi permetterò di scegliere e di dare il miglior giudizio sull’abbozzo di abito che  per loro sarà più adatto a te’’, disse il conte ad alta voce, come se non fosse successo nulla, sorridendo amabilmente e tornando a sedersi.

Subito, Teresa fu circondata dalle donne, che con mani esperte e con i loro strumenti e metri iniziarono ad ideare e a prendere misure.

‘’Signorina, potrei darvi un consiglio? Voi siete così giovane e bella, e dovreste vestirvi in modo più vivace. Sapete, il nero non vi si addice, sembra quasi che siate in lutto per qualcosa…’’, disse una sarta piuttosto matura, mentre cercava di infilare uno spillo in un pezzetto di stoffa che serviva per prendere le misure.

Il conte tornò a sorridere, soddisfatto che qualcun altro sostenesse le sue parole, mentre Teresa si trovò per un attimo in imbarazzo.

‘’Avete ragione, farò del mio meglio per vestire abiti più colorati e vivi’’, disse la contessina, con voce sicura ma triste.

Da quel momento in poi, nessuno disse più nulla, e le donne fecero molto in fretta. Infatti, dopo poco suo padre iniziò a ragionare con loro sul costo dell’abito e sulle possibili bozze.

‘’Non voglio nulla di eccezionale. Sono disposto a pagare anche molto, purché il materiale utilizzato sia il migliore e il più pregiato, e che l’abito sia comodo e idoneo. Insomma, un abito che possa fare una buona figura’’, disse dopo poco, mentre la sarta più anziana gli mostrava tutti i possibili progetti.

Ben presto, il progetto dell’abito era pronto, ma iniziarono le lamentele.

‘’Signor conte, vogliate scusarci, ma non abbiamo molto tempo per preparare una simile veste. Ecco, ci vorrebbero giorni interi di lavoro…’’, disse nuovamente la sarta più esperta. Il conte sbuffò.

‘’Sono disposto a pagare il doppio per il vostro lavoro, ma voglio che entro domattina l’abito sia qui, e che voi a metà giornata l’abbiate già messo indosso a mia figlia’’.

Le sarte annuirono, e, felici della prospettiva di incassare una grossa somma, se ne andarono, spergiurando che avrebbero lavorato anche tutta quella notte per far prima.

Il conte sorrise, e le congedò rapidamente, contento di essere riuscito a sistemare la questione dell’abito.

Teresa nel frattempo se n’era stata lì a fare presenza fisica, e non le era mai stata rivolta neppure una domanda. Tutti stavano prendendo decisioni al suo posto, e a nessuno interessava necessariamente sapere come la pensava.

Con rassegnazione crescente, la giovane cercò di congedarsi dal padre, ma lui la fermò, lanciandole uno sguardo duro e severo.

‘’Teresa, dimentica il tuo passato e quelle strane idee che hai in testa, te lo dico per il tuo bene. Soffrirai solamente, mentre ora devi iniziare a vivere e a sorridere, perché ben presto avrai un marito a tuo fianco’’, disse il conte, che alla fine le diede le spalle e tornò a sedersi nella sua solita poltroncina, per poi risistemarsi meglio gli occhiali e riprendere a leggere un volume piuttosto consistente.

Teresa prese quel gesto come un congedo, e uscì subito dalla saletta, per poi tornare a richiudersi nella sua stanza, chiedendosi quando quell’incubo avrebbe avuto fine.

Poi, riconobbe che non avrebbe mai avuto fine, poiché Giovanni, il suo unico grande amore, era morto, e nessuno l’avrebbe più tolta da quella situazione che ben presto sarebbe diventata insostenibile.

La ragazza si sedette sul suo letto, e si lasciò travolgere nuovamente dalle emozioni. Quando le prime lacrime presero a solcarle il viso, se le asciugò con indignazione, pensando che tutto quello che stava passando non le avrebbe di certo fatto bene.

Se solo ci fosse stato Giovanni a suo fianco, e se tutto fosse andato a finire come loro avevano pianificato, ora lei si sarebbe trovata a suo fianco per sempre, libera tra i monti. Lei non voleva sposarsi con quell’odioso Alfonso.

Forse, pensò che sarebbe stato meglio se fosse fuggita con il suo amato, e anche se avessero patito la fame, almeno non si sarebbero divisi. Senza la figura forte del brigante, la giovane si sentiva persa.

Cercando di lasciarsi alle spalle la rabbia e il rancore degli ultimi giorni, Teresa si sedette su una sedia vicino alla finestra e afferrò il libro che aveva finito poco fa di leggere, più per distogliersi dai brutti pensieri che per rifletterci su.

Eppure, la ragazza riconobbe che quel libro l’aveva colpita parecchio, e infatti l’aveva letteralmente divorato; era il Candide di Voltaire.

Nonostante quel libricino fosse scritto in francese, lei era riuscita a comprenderlo fino in fondo ma le era rimasto l’amaro in bocca.

D’altronde, il protagonista aveva girato buona parte del globo per amore, e aveva lottato contro ogni genere di sfortuna e disgrazia, eppure alla fine di tutto si era accontentato di iniziare a vivere in modo molto semplice, coltivando un suo piccolo orto.

Un sorriso sarcastico le apparve sul viso, mentre tornava ad accantonare il volumetto. Ormai aveva imparato che quei francesi erano persone molto strane, con idee e ideali di certo molto diversi da quelli degli abitanti dello Stato della Chiesa.

Ma la cosa che l’aveva fatta più arrabbiare leggendo quel libro era che Candide, il protagonista sempliciotto, alla fine era riuscito a ritrovare la sua amata, mentre Giovanni, che non era per nulla sciocco, non sarebbe mai riuscito a salvarla da quella situazione veramente drammatiche per lei poiché era morto in un subdolo agguato.

La breve parentesi di calma lasciò spazio all’ennesimo momento di rabbia, e la giovane si alzò, abbandonando la lettura e le riflessioni, per guardare dalla finestra.

Era quasi metà giornata eppure il cielo dicembrino era cupo e scuro. Una lieve brezza gelida faceva muovere i rami spogli degli alberi che si trovavano lungo la strada antistante la loro abitazione momentanea, e fuori doveva fare davvero freddo.

Le tornò in mente quando Lina sbuffava non appena faceva freddo e c’era da bruciare della legna. Teresa scosse la testa, e per un solo istante si lasciò sfuggire un sorriso, ricordando l’amica mentre parlava di legna verde con un tono di voce drammatico.

Il sorriso scomparve subito, e tornò lo sconforto.

A quel punto, in cui tutto sembrava oscuro e il futuro pareva tremendo, la ragazza sapeva cosa doveva fare. Lentamente, si avvicinò all’armadio, ed aprì le ante.

Nascosto tra i vari vestiti, che erano stati riposizionati al meglio da qualche obbediente serva, afferrò a due mani la veste che Lina le aveva risistemato. Per l’ennesima volta, cercò con gli occhi le ultime cuciture fatte dall’amica, per poi ripassare il loro lieve rilievo con le dita.

Poi, proprio in fondo al mobile, nascosti in un cassetto, tirò fuori gli abiti da contadina che aveva indossato durante la sua permanenza tra i briganti, e li osservò. Era come se fossero reperti di un’altra vita.

Infine, estrasse il sacchetto di erbe essiccate che le aveva regalato Lina, e l’annusò. Il suo lieve odore di campo era piacevolissimo, e le ricordava tantissimo il suo soggiorno e le sue avventure con il brigante.

Poi, con discrezione, risistemò il tutto e richiuse il mobile. Una lacrima voleva scendere lungo il suo viso, l’ennesima, ma lei la ricacciò indietro, tanto non aveva più senso piangere.

Se c’era una cosa che aveva afferrato con certezza, era che il mondo in cui viveva non era il mondo migliore possibile come le aveva voluto insegnare suo padre, poiché se quello fosse stato un mondo giusto, niente e nessuno, neppure la sorte avversa, si sarebbe frapposto tra lei e il suo brigante, e nulla avrebbe potuto contrastare il loro amore.

In quel momento udì la voce dura del conte, che stava chiacchierando al piano di sotto, e notò che forse aveva ricevuto una visita di un qualche noioso nobile della città. A lei comunque non importava, e si mise a pensare a come avrebbe dovuto passare quell’ultima giornata da nubile.

Volle accantonare tutti i suoi pensieri riguardo al futuro e a tutto il resto, e anche alle sue incertezze, per concentrarsi su una qualche lettura.

Con poca voglia, prese un libro a caso dal piccolo mucchietto che si era portata dietro da Roma, e l’aprì.

Con disinteresse, non lesse il titolo dell’opera ma aprì il volume a metà, quasi come per voler capire meglio di cosa trattasse. Lesse a malapena quattro righe, e capì che parlava d’amore.

E lei ora odiava la parola amore, perché il vero amore, quello disinteressato e senza barriere, a quel mondo non esisteva, e pensò che tutti gli scrittori che scrivevano opere romantiche in fondo raccontavano solo bugie, illusioni senza senso.

Irritata da quel pensiero, la giovane si passò una mano tra i capelli e richiuse definitivamente il libro senza neppure leggere il titolo, gettandolo in malo modo con gli altri cinque e decidendo di non leggere più per quel giorno.

Si alzò nuovamente dalla sua sedia e tornò ad avvicinarsi alla finestra.

Non appena guardò fuori, si accorse che nevicava intensamente.

Fiocchi grandi come sassolini cadevano dal cielo senza fretta, fluttuando nell’aria, mentre il vento si stava facendo più sostenuto.

Le strade si erano rapidamente fatte silenziose, e tutti si stavano rintanando nelle loro abitazioni in fretta, riparandosi dal freddo intenso e dalla bufera. Anche suo padre, dalla stanza vicina, congedò l’ospite, che se ne andò in tutta fretta sulla sua carrozza.

Teresa, per qualche attimo, fu felice di guardare quel lieto spettacolo, ma presto rabbrividì; le temperature, a causa del vento, stavano calando anche nell’abitazione, nella quale non mancavano degli spifferi gelidi.

Senza avvisare nessuna serva, in modo che venisse a rattizzare la stufa, la giovane si infilò sotto le coperte e si lasciò andare al sonno.

Mentre dormiva, poteva sognare, e molto spesso si trovava ancora là, sui monti, e c’era Giovanni, a volte anche Lina e Mario.

Mentre stava ad occhi chiusi, poteva volare con la mente fin là, e realizzare i suoi desideri.

Sperando di fare un bel sogno, la giovane cercò di addormentarsi nonostante fosse quasi mezzogiorno, sapendo che così avrebbe evitato il pasto e che suo padre l’avrebbe lasciata riposare.

Avvolta nelle calde coperte, la ragazza tornò a sorridere, e chiudendo gli occhi pensò a quei disgraziati che quel giorno avrebbero dovuto affrontare quella brutta tormenta, ma fu solo per un attimo.

Teresa scivolò subito nel sonno più profondo, l’unico luogo dove poteva tornare ad essere viva e a rivedere il suo amore perduto.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Questo è l’ultimo in cui regna un’apparente calma. Nei prossimi capitoli ne succederanno di tutti i colori, e saranno piuttosto movimentati.

In ogni caso, spero che la vicenda si segua bene così come la sto scrivendo. Sto alternando i punti di vista dei due protagonisti, ma bisogna anche ricordare che certe vicende si svolgono contemporaneamente.

Bene, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia continui ad essere di vostro gradimento. Ultimamente avevo pensato di ‘tagliare’ un po’ la trama, poi ho deciso di mantenere il progetto originale, così come mi era venuto in mente la prima volta, altrimenti mi sembrava di passarvi un racconto piuttosto insoddisfacente. Quindi, state tranquilli, miei cari lettori! La storia è ancora lunga e complessa, e ne succederanno di ogni genere.

Grazie a tutti, dai recensori a chi semplicemente segue il racconto J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

CAPITOLO 28

 

 

 

 

Giovanni non si sentiva bene quel giorno.

Ormai era normale per lui essere inquieto, però durante quell’importante missione si sentiva davvero a disagio. Un nodo alla gola quasi lo strangolava, costringendolo a deglutire più volte, mentre i suoi compagni se ne stavano in silenzio.

Era stato così per gran parte del viaggio; tutti se ne stavano avvolti in un silenzio teso, compreso Mario, che non aveva più trovato il coraggio di aprir bocca, mentre il giovane Fabio continuava a sorridere, in rigoroso silenzio, godendo di quei momenti d’incertezza altrui.

Il capo dei briganti si girava spesso indietro a guardarlo, e ben presto ci aveva trovato gusto, poiché non aveva neppure fatto un fiocco di neve fino a quel momento. Il tempo pareva reggere e il cielo era oscurato da dense nuvole scure che parevano così pigre da non riuscire neppure a far piovere.

Così, Fabio aveva iniziato ad abbandonare il suo sorriso, mentre Giovanni stava riacquistando un po’ più di sicurezza.

Era quasi mezzogiorno, e col suo gruppetto si trovava ormai a un paio d’ore massimo dalla zona di Aldo. In lontananza, le colline si stavano facendo sempre più piccole, mentre soffiava una brezza gelida abbastanza consistente dalla vicina costa, che a volte portava odore di mare e salsedine.

Subito, il brigante ebbe la sensazione che, per la prima volta dopo parecchi giorni, Teresa fosse ancora vicina a lui. Infatti, la ragazza poteva essere in una qualsiasi casa della vicina Ravenna, e questo lo rendeva speranzoso. Se solo entro sera fosse riuscito a rintracciare quel grassone del suo informatore, avrebbe saputo dove si trovava la sua amata e la sarebbe andata a riprendere subito, mantenendo la sua promessa.

Ma il clima disteso che si era creato dentro di lui negli ultimi minuti si gelò presto; un piccolo fiocco di neve discese dal cielo, sotto lo sguardo dei briganti, che presero a borbottare.

‘’Ci siamo! Inizia lo spettacolo’’, disse ad alta voce Fabio, in fondo al piccolo gruppetto.

Giovanni ebbe un moto di rabbia, mentre Mario divenne scuro in volto e fece per fermare il cavallo, ma il suo capo glielo impedì con un cenno perentorio della mano destra.

‘’Non far caso a quel fetente, Mario. Prima di sera, tutto il nostro gruppo sarà più unito che mai, e sarà proprio lui ad essere l’emarginato’’, ribatté Giovanni con freddezza, mentre gli altri briganti ridacchiarono.

‘’Ne sei proprio sicuro, grande capo?’’, continuò ad insistere Fabio, per stuzzicarlo a reagire, ma il capo dei briganti si mantenne sicuro e fermo in sella, senza ribattere e senza voltarsi indietro.

Ben presto, la situazione iniziò ulteriormente a precipitare. I fiocchi si infittirono, mentre si alzava un vento sempre più forte. Mario iniziò a preoccuparsi, e iniziò ad agitarsi sulla sella.

‘’Stai tranquillo, amico. Questo non è vento da neve, per ora; è bora scura. Fintanto che soffierà, le temperature si manterranno lievemente miti e la neve sarà mista, e non farà accumuli’’, disse Giovanni con sicurezza. Mario annuì senza dir nulla, poco convinto.

In ogni caso, per un bel po’ continuò così. Il nevischio faceva solo del bagnato a terra, mentre il freddo non sembrava particolarmente intenso, anche se il vento era piuttosto sostenuto.

Quando il gruppetto di briganti raggiunse il luogo dove era stata rapita Teresa, e dove si sarebbero dovuti radunare tutti quanti, Giovanni scoprì che loro erano i primi ad arrivare. Lievemente indispettito, fece nascondere i cavalli poco distante dalla strada, mentre si sistemò al meglio con i suoi compagni tra la boscaglia, in una posizione dove nessuno avrebbe potuto vederli, ma da dove loro avrebbero potuto individuare i compagni.

Gli altri si fecero attendere, e ci volle un po’ prima che i gruppetti iniziassero ad arrivare, ma andò tutto al meglio. Infatti, tutti in briganti giunsero illesi, anche se ciò che avevano da dire non era confortante. A quanto pareva, nelle zone interne stava già nevicando intensamente.

‘’Compagni, dobbiamo fare in fretta. Entro poco saremo nel territorio di Aldo, e compiremo una razzia di tutto ciò che troveremo nel suo covo. Poi, in fretta, torneremo tutti verso i nostri monti’’, disse Giovanni, insicuro sul da farsi.

‘’Scherzi? Dobbiamo tornare indietro subito! Se nevicherà forte per alcune ore, saremo totalmente tagliati fuori dai monti e resteremo al freddo e al gelo per chissà quanto tempo! Ritiriamoci!’’, prese a urlare Fabio, esprimendo il malcontento del gruppo.

Molti iniziarono a dar ragione al ragazzo, e Giovanni si ritrovò nuovamente alle strette.

‘’Avanti ragazzi, faremo in fretta e torneremo al nostro covo carichi di denaro. Sono certo che a breve smetterà di nevicare, e non avremo alcun problema a tornare nella nostra zona’’, disse Giovanni, pensando che avrebbe dovuto far sparire quel Fabio già dalla prima volta in cui aveva avuto modo di conoscerlo.

Non poteva tirarsi indietro proprio ora, che era ad un passo da Teresa, e ad un certo punto quasi si vergognò per il suo egoismo. Stava mettendo nei guai seri i suoi compagni solo per un suo capriccio d’amore.

La banda però si risistemò ugualmente, pronta per partire, rassicurata dalle parole del suo capo e invogliata dal possibile bottino, e pure Fabio si unì al gruppo, borbottando.

Giovanni sospirò, caricò il suo fucile e se lo mise sulle spalle, riprendendo posto sulla sella di Furia. Poi, risistemò al meglio il cinturone con le pallottole che portava stretto alla vita, e partì al galoppo, seguito dal gruppo e puntando verso nord.

Ben presto, tutto attorno a loro mutò. La neve iniziò a cadere copiosa e a far presa al suolo, mentre il cammino era piuttosto arduo. Il terreno era soffice sotto gli zoccoli dei cavalli, e il paesaggio iniziava a diventare bianco.

Se c’era un lato positivo in tutto ciò, riconobbe Giovanni dentro di sé, era che nessun gendarme avrebbe messo la sua brutta faccia fuori da Ravenna in un giorno così freddo. Quindi, continuò a far percorrere al suo gruppo alcune strade in buono stato senza temere pericoli.

Mario iniziò ad aiutarlo, indicandogli le direzioni da seguire solo con l’uso delle mani. Il maturo brigante era una guida, come sempre; durante la sua triste vita, aveva girato in lungo e in largo la Romagna e sapeva con sicurezza come muoversi, e le indicazioni ricevute da Lorenzo gli avevano fornito ancor più sicurezza e punti di riferimento importanti.

Giovanni si avvolse una pesante sciarpa attorno al collo, mentre il vento smetteva di soffiare. Il freddo si fece intenso, mentre i suoi piani morivano dentro alla sua mente. Attorno a lui, i briganti se ne stavano in silenzio, accompagnati solo dal flebile fruscio della neve che si posava ovunque.

In quel momento nevicava davvero forte. Il capo dei briganti scosse la testa, pensando alla triste sorte che lo perseguitava. Infatti, nevicava raramente fin sulla costa ma proprio quel giorno in cui lui avrebbe dovuto compiere la sua più importante missione eccola lì, la dama bianca, pronta a fermarlo e a rendergli arduo il cammino.

Con difficoltà, mentre la visuale stava diminuendo sempre di più, Mario si avvicinò al suo capo.

‘’Zvàn, siamo dei pazzi. Non dovevamo rischiare così tanto. Ora siamo sommersi dai guai… e dalla neve’’, mormorò il maturo brigante, mentre si sistemava un panno sulla testa, in modo da non permettere alla neve di insudiciargli i capelli lievemente brizzolati.

‘’Non possiamo più fare passi indietro ora, caro amico. Dobbiamo solo fare in fretta’’, sussurrò Giovanni, rassegnato. Dietro di loro, gli altri briganti parlavano sommessamente, lievemente irritati e preoccupati dalla situazione meteorologica.

Ben presto, il consistente gruppo si trovarono ad arrancare in un terreno paludoso e ricoperto da fitti gruppi di canne, mentre i cavalli affondavano nel pantano e volavano le prime imprecazioni. Dopo altri lunghi minuti passati in quello stato, Mario si avvicinò nuovamente a Giovanni.

‘’Zvàn, ci siamo quasi. Bisogna che tutti i ragazzi si zittiscano, poi procederemo tra i canneti e ci getteremo su un vecchio casolare dall’apparenza disabitata, che dovrebbe essere poco più avanti. Da quanto ci è stato riferito, Aldo passa lì la maggior parte della sua giornata e ci tiene la refurtiva. Ma il silenzio sarà importantissimo, perché se ci scoprissero, saranno subito pronti a fuggire. Però, dobbiamo fare anche in fretta’’, ammise la matura guida, tesa in volto.

Giovanni si trovò in difficoltà, poiché rapidità nei movimenti e silenzio non erano proprio un binomio perfetto, quindi si limitò a far cenno ai ragazzi di star zitti e di procedere spediti dietro di lui.

Come se non avesse detto nulla, Fabio si gettò in avanti, in sella al suo cavallo, incitandolo con la voce. Giovanni perse definitivamente la pazienza, mentre Mario, con uno scatto felino, lo colpì alla testa con il bastone che aveva utilizzato fino a quel momento per sondare il livello dell’acqua nei punti dove pareva più profonda.

Il giovane non riuscì più a gridare, e, con la voce spezzata dal dolore, si ritrovò a terra, disarcionato. Giovanni smontò e gli fu subito addosso.

‘’Adesso mi senti, stupido vigliacco. A causa tua, forse ci avranno già scoperti. So che è quello che vuoi, ma non farò il tuo gioco, e se non ti ho piantato una pallottola nella schiena è solo per non fare rumore. E ora, taci’’, gli disse il brigante, che poi prese il ragazzo per il collo e gli affondò il viso nel pantano, per poi lasciarlo andare.

Il capo dei briganti tornò a montare in sella a Furia, e facendo cenno al gruppo di riprendere la rapida marcia. Solo dopo un po’ tornò a girarsi indietro, e vide che il giovane rosso era ancora a terra, il volto infangato, mentre nessuno degli altri briganti lo degnava di un soccorso.

A quel punto, Giovanni perse letteralmente la testa. Spingendo Furia a proseguire sempre più spedito, si ritrovò a venire schiaffeggiato da alcune canne, mentre gli zoccoli dei cavalli facevano un notevole frastuono, ma non c’era più tempo.

Infatti, dopo un battito di ciglia, apparve la fantomatica abitazione citata da Lorenzo, situata su un isolotto lievemente sopraelevato dal livello della palude. La casa era molto grande e a due piani, indubbiamente di qualche pescatore di anguille che doveva averla abbandonata parecchio tempo addietro.

Eppure, si vedeva che doveva essere un covo; la porta era semiaperta, e questo fece agitare ulteriormente il capo dei briganti, che però fece cenno al suo gruppo di avanzare e di prepararsi a far fuoco, in caso di necessità.

A quel punto, Giovanni lanciò Furia al trotto, e schizzando via acqua e fango, si trovò davanti alla porta di quello che doveva essere il covo di Aldo.

Quasi non ci credeva. Nessuno era mai riuscito ad entrare illeso nel territorio di Aldo, neppure i gendarmi, eppure lui ora era lì. Scese in fretta dal cavallo e spalancò la porta dell’abitazione.

Subito, con lui entrarono una buona decina di uomini, uno dietro l’altro, tutti armati fino ai denti. Ma non ci fu bisogno di nulla, poiché la casa era vuota.

Giovanni e Mario, affiancati e con il cuore che batteva forte nel loro petto, percorsero lo strettissimo corridoio iniziale e si ritrovarono direttamente in quella che doveva essere stata in passato un’ampia cucina, mentre in quel momento c’era solo un tavolo e tantissime sedie, compreso un focolare che fumava ancora.

Il capo dei briganti capì che i banditi dovevano essersene andati da poco, quindi dovevano averli avvistati ma non in tempo per poter organizzare un qualche attacco a sorpresa. Sul tavolo, c’erano ancora i resti di un qualche pasto, e numerose briciole di pane raffermo.

Giovanni non ebbe tempo per sorridere, e si gettò subito nelle camere adiacenti, mentre altri suoi uomini continuavano ad entrare.

‘’Mario, vai a dire che una decina di uomini devono restare fuori di guardia alla porta, mentre gli altri inizino fin da subito a mettere sottosopra tutto. Da qualche parte dovrebbe esserci nascosto un gruzzoletto’’, disse il capo dei briganti al suo fedele braccio destro, che annuì subito e tornò indietro ad avvisare gli altri briganti.

Giovanni continuò ad addentrarsi nelle camere, mentre i suoi uomini ormai dilagavano ovunque, distruggendo ogni misero mobile che capitava loro a tiro, alla famelica ricerca del mitico oro di Aldo. Ma il capo dei briganti sapeva che la vecchia volpe era scaltra, e se aveva avvistato qualche invasore in tempo, doveva aver nascosto al meglio il suo tesoro.

Come ogni capo, anche Aldo doveva nascondere la sua refurtiva in un covo sicuro, e stando alle parole di Lorenzo, doveva trattarsi proprio di quell’abitazione.

Quindi, il capo dei briganti non perse tempo a devastare tutto, ma si mise a studiare le stanze. Sapeva per certo che ogni capo aveva nascondigli segreti, e anche in quel covo doveva essercene almeno uno.

Mentre attorno a lui infuriava il caos, si chiese dove fossero finiti i banditi e Aldo, ma non stette a farsi troppi problemi. Ora che aveva occupato la loro abitazione, e i suoi uomini avrebbero potuto prendere posizione e difendersi, non gli importava più di tanto.

Uno scoppio di grida lo fece trasalire; proveniva dal piano superiore.

Per un attimo, tutti si fermarono, aspettandosi un agguato o uno scontro a fuoco, ma tutto tornò subito tranquillo, riconoscendo che forse era scoppiata una piccola lite per un qualche oggetto prezioso. In ogni caso, Giovanni decise di andare a controllare. Non voleva che la situazione diventasse ingestibile.

Mentre proseguiva verso le scale, per un attimo fu attratto dalla finestra della stanza che stava attraversando. Non seppe il perché, ma seguì il suo istinto, e guardò fuori, dove Mario stava controllando i ragazzi, che se ne stavano a fare la guardia con i fucili in mano.

Dopo aver verificato che era tutto a posto, il brigante si accinse a salire le scale, dove ogni tanto si poteva sentire il proseguo di un qualche battibecco, però prima calpestò un grande tappeto di tela, che divideva in due la stanza. Era simile a quelli che regolarmente si mettevano in ogni abitazione di contadini, e Giovanni non ci fece molto caso almeno fintanto che un suo stivale non fece un lieve tonfo.

Il capo dei briganti tornò subito sui suoi passi, e pestò nuovamente il punto di poco prima. Ancora un tonfo sordo. Come un pazzo, Giovanni stracciò il misero tappeto e lo gettò distante da lui, appallottolandolo, mentre gli altri suoi uomini che avevano assistito alla scena gli si avvinarono, incuriositi da quel comportamento dall’apparenza folle. Eppure, il capo dei briganti era certo che sotto a quel tappeto ci fosse un qualche nascondiglio segreto.

Con le mani, tastò il pavimento fatto di assi di legno, fintanto che non trovò  il punto dove il suono dei colpi rimbombava lievemente. Sicuro di sé, estrasse in suo coltellino piegabile dalla tasca, lo aprì e lo puntò nel minuscolo spazio tra due assi.

Subito, l’asse si mosse e cedette, e con lei anche altre che le stavano a fianco.

Giovanni si inginocchiò si diede da fare a spostarle, e in un attimo si trovò di fronte al tesoro di Aldo. Appoggiate su un terreno molliccio ed isolate dall’umidità da un tappeto di foglie di canna palustre, c’erano due belle casse piene per metà di oggetti di valore, e anche parecchie monete.

Mentre tutti i briganti si erano fermati, sbalorditi dalla vista di quella consistente ricchezza, Giovanni dovette riconoscere che il suo rivale doveva già aver portato via quasi la metà della refurtiva contenuta in quel nascondiglio, lo testimoniavano anche le posizioni sbilenche in cui erano stati lasciati gli oggetti.

Molto probabilmente, qualcuno aveva avvisato Aldo, che però era riuscito a portar via solo parte dei suoi averi, ed aveva preferito tentare di nascondere ciò che non sarebbe riuscito a caricare, vista la scarsità del tempo a sua disposizione. Infatti, le assi non dovevano rimbombare quando qualcuno ci passava sopra, e semplicemente era stato frutto di fortuna aver trovato quel gruzzolo, che era frutto di decenni di scorrerie e razzie.

Con la fronte imperlata di sudore, Giovanni si alzò da terra, e riconobbe che quella frettolosa ritirata del nemico non presagiva nulla di buono.

Non aspettandosi alcun tipo di assalto, Aldo doveva aver diviso i suoi banditi in tutto il suo territorio circostante, in modo da cercare di evitare assembramenti e risse, visto che quel giorno il clima non permetteva scorrerie e gli uomini potevano riposarsi un attimo.

Quindi, a breve, molto probabilmente Aldo sarebbe tornato con un gran numero dei suoi, che forse si stavano già radunando tra i canneti poco distanti. Giovanni riconobbe che non c’era molto tempo.

In quel momento, una mano amica lo riscosse, appoggiandosi sulla sua spalla destra. Era Mario, che doveva già aver saputo della scoperta del tesoro.

‘’Mario, fai raccogliere in fretta tutta questa ricchezza in dei sacchi di tela e farla assicurare ai cavalli. Entro pochissimo ce ne andremo’’, disse il capo dei briganti al suo braccio destro, senza lasciargli neppure il tempo per replicare, ma solo per annuire.

Poi, mentre Mario faceva sistemare la refurtiva in due sacchi, in modo che si potesse trasportare meglio, Giovanni si catapultò su per le scale scricchiolanti e quasi marce che portavano al piano superiore, ma si bloccò.

Infatti, si trovò di fronte quattro dei suoi ragazzi, che stavano malmenando un uomo grasso. Il capo dei briganti lo riconobbe subito, e il suo cuore quasi smise di battere a quella vista; i suoi uomini avevano catturato Marco. Il grassone cercava di ribellarsi come poteva, ma i briganti lo trascinavano a peso morto, a terra.

‘’Marco, che bella sorpresa. Finalmente ci rincontriamo’’, disse Giovanni, cercando di nascondere la sua euforia. Finalmente, dopo aver riguadagnato la fiducia nei suoi uomini e la sua solita sicurezza, avrebbe ritrovato anche Teresa. Nel frattempo, la spia trasalì, riconoscendolo.

‘’Eh sì’’, fu quello che riuscì a dire il grassone, malmenato da tutti. Giovanni sorrise, godendosi la sua vittoria completa. Infatti, era riuscito incredibilmente a raggiungere tutti i suoi obbiettivi.

‘’Ti hanno scaricato, vero? Per Aldo eri solo una pedina qualsiasi’’, disse il capo dei briganti, infierendo su quella che fino a poco tempo fa era stata la sua spia. Marco scrollò le spalle.

‘’Aldo se n’è andato poco fa con i suoi. Se ne sono andati in fretta e mi ha lasciato qui con la scusa di non avere una cavalcatura adatta a sostenere il mio peso, ma mi ha assicurato che presto sarebbe tornato a riprendermi… con i rinforzi’’, disse la spia, soffermandosi a calcare sulle ultime parole pronunciate e ghignando.

A quel punto, Giovanni sapeva che sarebbe dovuto andare a controllare che i ragazzi avessero caricato tutto, e poi fuggire alla svelta, ora che aveva le tasche piene. Eppure, qualcosa glielo impedì, e si avvicinò al grassone, prendendolo per il collo.

‘’Dimmi dov’è Teresa. Dove vive, la strada dove suo padre soggiorna… dimmi tutto quello che sai su di lei’’, disse il brigante, con toni calmi.

‘’Allora è come sospettavo… hai avuto una tresca con la contessina eh? Ma da me non avrai mai nulla… non ti dirò nulla!’’, disse Marco, con fare strafottente. Giovanni lo colpì con un pugno nel ventre, facendo gemere la spia, che poi riprese ad ansare.

‘’Non ti dirò nulla… nulla…’’, continuò a ripetere il grassone.

Giovanni a quel punto non aveva altra scelta che darsela a gambe. Si passò una mano sudaticcia tra i corti capelli, sapendo che era probabile che la spia non parlasse solo per fargli perdere tempo e per lasciare che Aldo si organizzasse meglio. E questo lui non poteva permetterlo, poiché avrebbe messo in difficoltà i suoi uomini.

‘’Ragazzi, caricatelo su un cavallo, ma circondatelo e controllatelo costantemente, non deve fuggire, e se potete legatelo, ma non malmenatelo troppo, mi serve vivo’’, disse Giovanni ai suoi quattro briganti, che tentennarono un attimo.

‘’In fretta, ragazzi! Su’’, li spronò nuovamente il loro capo, che poi si preparò ad abbandonare frettolosamente quell’abitazione maledetta.

A passi svelti, seguito dappresso dai suoi ultimi quattro briganti e da Marco, sempre trascinato con forza, Giovanni vide che Mario aveva eseguito ogni suo ordine alla svelta, e che le due cassette che contenevano il bottino di Aldo erano state svuotate.

Con soddisfazione, Giovanni uscì per ultimo dal covo dei banditi appena depredato, e subito Mario gli venne incontro.

‘’Zvàn, ho già fatto caricare tutto, notando la tua fretta. Gli uomini sono già pronti per partire, aspettiamo solo te… e lui’’, disse il maturo brigante, sorridente, facendo cenno con la testa verso Marco, che stava venendo caricato e legato su un cavallo, sempre in fretta. Anche il capo dei briganti si sistemò su Furia.

‘’Sì, ora ce ne andiamo. Aldo potrebbe tornare da un momento all’altro e non voglio che ci colga imprep…’’.

Giovanni non riuscì a finire la frase, interrotto dal rumore di alcuni spari. Subito, i briganti furono pronti a far fuoco, mentre numerosi banditi sbucavano da tutti i canneti circostanti.

Per fortuna, parecchi erano mal armati, e questo agevolò per un attimo i briganti di Giovanni, che prontamente reagirono ai colpi, ferendo ed uccidendo parecchi uomini di Aldo.

‘’Dannazione! Via di qui, ragazzi! Seguitemi’’, ruggì Giovanni, facendosi sentire dai suoi e prendendo a ripercorrere il tragitto che avevano fatto per giungere fin lì.

La neve sembrava avesse smesso di cadere, mentre a terra un lieve strato nevoso si scioglieva sul pantano, creando una poltiglia micidiale e scivolosa. I cavalli dei briganti resistettero, e ben presto il consistente gruppo si trovò a lasciarsi alle spalle il covo di Aldo.

‘’Veloci, ragazzi, su! Da un momento all’altro arriveranno altri banditi, e dopo saranno guai seri!’’ continuò ad urlare Giovanni, sempre seguito da tutti i suoi.

Altri banditi presero a sbucare ovunque, ma senza cavalcature, e ben presto Giovanni si trovò a tirare un sospiro di sollievo. Tra i suoi uomini non ce n’erano di feriti gravi, ed erano tutti con lui. Eppure, in coda al gruppo, qualcuno gridò.

Il capo dei briganti rallentò, e si voltò indietro per un attimo, giusto in tempo per vedere il giovane Fabio, che aveva perso di vista già da un po’, da quando l’aveva abbandonato nel fango, mentre veniva attaccato da due banditi, che erano già arrivati a strappargli le redini del suo cavallo.

Il ragazzo cadde a terra, trascinato da un bandito, che era già pronto a finirlo, ma incredibilmente il rosso estrasse la sua pistola carica e fece fuoco.

Con soli due colpi abbatté entrambi gli aggressori, per poi rimettersi in sella e lanciarsi in un pericolosissimo galoppo, pronto a rischiare ogni vertebra del collo pur di non restare staccato dal gruppo.

Giovanni imprecò malamente, visto che per un attimo solo aveva sperato che la causa dei problemi del gruppo venisse ucciso, eppure, incredibilmente, il giovane era arrivato a abbattere due uomini in brevissimo tempo e con una mira eccezionale.

Il capo dei briganti si sentì insicuro, mentre Mario tornava ad affiancarlo e a fargli strada.

‘’Hai visto?’’, chiese il braccio destro, poco distante da lui, riferendosi a Fabio.

‘’Certo. Spero solo che i prossimi due colpi non siano rivolti alle nostre schiene’’, disse Giovanni, con sprezzante ed incauta ironia. Mario si lasciò sfuggire una risatina tesa, e riprese il suo lavoro di guida.

Ben presto, tutti i briganti si ritrovarono nuovamente alle porte di Ravenna, dove si erano riuniti alcune ore prima. A terra c’era solo un lieve manto nevoso, mentre dal cielo cadevano solo fiocchi sparsi, ma il freddo era pungente.

‘’Compagni, ora proveremo a tornare al nostro covo. Non sprecate fiato per parlare, e cercate di cavalcare ad un ritmo costante. Non ci divideremo, percorreremo insieme delle stradine di campagna e staremo lontani dai centri abitati, e vedrete che nessuno ci attaccherà. Se i briganti di Aldo dovessero giocarci altri scherzetti, dobbiamo svignarcela e non dobbiamo ingaggiare alcun tipo di conflitto, ma non credo che usciranno dal loro territorio con un tempo così inclemente. E ora, in marcia; presto sarà sera, e visto che sarà probabile che riprenda a nevicare, dobbiamo muoverci in fretta’’, concluse Giovanni, parlando ai suoi uomini radunati attorno a lui. I loro volti erano euforici, e tutti erano felici per il grosso bottino incassato.

Gli unici giù di morale erano Marco e Fabio. Il giovane rosso cavalcava nelle retrovie, l’espressione impaurita e trepidante. La lezione di poco prima doveva averlo spaventato parecchio. Il grassone, invece, se ne stava mogio, senza lamentarsi.

Giovanni riprese così a far muovere Furia, il suo prezioso cavallo. Quelle splendide creature erano ormai provate da lunghe ore di freddo e di fatica, e ormai procedevano con una certa lentezza, mentre il loro respiro produceva nuvolette di vapore caldo.

Mentre il gruppo di briganti continuava la cavalcata, Giovanni stoppò improvvisamente il suo cavallo.

‘’Che fai?’’, chiese Mario, fermandosi anche lui.

‘’Devo parlare con Marco. Se mi dirà dove si trova Teresa, andrò a Ravenna a cercarla, mentre tu riporterai i compagni al covo, tanto ormai la strada è spianata. Andrà tutto bene’’, disse il capo dei briganti, con fare sicuro.

‘’E’ una follia, Zvàn! Farà bufera sta notte, non puoi restare senza un tetto sulla testa! Marco lo interrogheremo al covo, e poi tornerai a Ravenna con qualche ragazzo e rapirete la giovane… ma non ora!’’, borbottò l’amico, che però non fu ascoltato.

Giovanni si diresse verso Marco, afferrò le briglie del suo cavallo, strappandole di mano ad un giovane brigante, e se lo portò vicino a sé.

‘’Marco, dimmi dov’è Teresa’’, provò a dire alla spia, che però scosse subito la testa.

‘’Non te lo dirò mai’’, rispose il ciccione, ghignando.

‘’Cos’è che non capisci, ancora? Se farai in modo di farmi riavere la contessina, e di aiutarmi anche solo con qualche indicazione, ti libererò, e nessuno ti torcerà un capello. Anzi, ti perdonerò e ti darò un bel po’ di denaro’’, disse Giovanni, facendosi scuro in volto.

‘’Sei tu che non capisci. Ti odio, Giovanni, mi fai schifo tu e tutta quella gentaglia che ti circonda. Ti ho tradito per questo. Voglio essere sincero con te, per ora; non ho alcuna intenzione di dirti dove si trova la ragazza e dove soggiorna suo padre’’, affermò la spia, con un sorriso grottesco sul volto.

Era ovvio che Marco si stava vendicando per le offese che lui stesso gli aveva lanciato in passato, ma come ogni persona ricca voleva mantenere un certo onore, e non voleva in alcun modo piegarsi a colui che sarebbe stato il suo sicario.

Perché ora il grassone aveva le mani legate dietro alla schiena, e stava finendo dritto verso la sua fine. Perfino Aldo si era sbarazzato di quel viscido voltagabbana, e questo significava molte cose. Comunque, Giovanni alzò il pugno destro e tornò a colpire la spia con forza.

‘’Va bene, fa come vuoi. Ma sappi che mi fai tornare al covo molto arrabbiato, e che niente e nessuno potrà salvarti dalla tua punizione. Se vuoi che io usi le maniere forti, le userò senza sconti’’, disse il capo dei briganti, con rabbia, strattonando le briglie del cavallo del prigioniero, che intanto aveva una smorfia dolorante sul viso.

Gli altri briganti l’avevano distaccato un po’ ma ci mise pochissimo a raggiungerli, per poi riconsegnare Marco a coloro che lo avrebbero controllato fino al covo. Giovanni maledì quell’uomo, e maledì anche sé stesso per essersi fidato di quell’essere.

Quando tornò in testa al gruppo, non disse neppure una parola col curioso Mario, e se ne stette in silenzio, schiumante di rabbia. Almeno ora i suoi compagni erano felici, Fabio era stato momentaneamente spaventato e se ne stava avvolto in un silenzio confuso, mentre aveva punito Aldo ed aveva catturato Marco.

Ma per il momento non si era ancora ricongiunto con Teresa, il suo amore, la  persona più importante della sua vita. Con tristezza, continuò a cavalcare, mentre riprendeva a nevicare.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Giovanni è riuscito nel suo intento, e, quasi a sorpresa, ha derubato pure Aldo e si è vendicato. Ma ora che succederà? Beh, chissà! Presto lo scopriremo J

Grazie a tutti per il sostegno che mi offrite ogni volta J

Bene, al prossimo capitolo J a lunedì prossimo J

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29

CAPITOLO 29

 

 

 

 

Attorno a Teresa c’erano solo nobili e parecchia neve. Durante la mattinata aveva nevicato a lungo, e a terra c’erano accumuli consistenti, ma la grande e chiassosa Ravenna non si era affatto fermata.

Quando scese dalla sua carrozza, vestita di tutto punto, le parve di vivere un incubo, mentre alcune serve le sorridevano e le tenevano leggermente alzato il suo magnifico vestito, in modo che non si sporcasse strisciando al suolo. Le girava forte la testa ed era davvero molto agitata.

Il giorno prima non aveva toccato cibo ed aveva cercato di dormire per tutta la giornata. Almeno, nei suoi sogni poteva tornare libera, mentre nella realtà non lo era. Riconoscere che tutti i suoi desideri erano andati in frantumi le faceva male, e pensare che entro poco più di un’ora avrebbe dovuto dimenticare ogni sua esperienza passata per gettarsi tra le braccia di un odioso Alfonso la faceva impazzire.

Mentre camminava con lentezza, tutto attorno a lei perdeva di significato. Suo padre l’aspettava all’ingresso di Sant’Apollinare Nuovo, la grande basilica bizantina di Ravenna. Attorno a lei c’erano parecchie carrozze posteggiate tutte in un ordine impeccabile, e che dovevano appartenere agli invitati, mentre il bianco della neve fresca mandava bagliori accecanti. La basilica sembrava piuttosto grande, ed aveva una struttura antica, e con la neve che le faceva da contorno sembrava splendida.

Con un sospiro, la ragazza continuò a camminare, sempre lentamente, cercando di godersi quegli ultimi momenti all’aperto. Non sapeva come avrebbe reagito durante quella stupida cerimonia; forse sarebbe svenuta, o magari sarebbe morta.

La giovane pensò che morire in fondo non sarebbe stato tanto male, poiché le avrebbe permesso di ricongiungersi col suo Giovanni e di non soffrire più.

Quando si trovò di fronte a suo padre, quasi si mise a piangere, ma lui si limitò a darle un rapido buffetto su una guancia e a prenderla sottobraccio, per accompagnarla all’interno della basilica. Teresa fece un grande respiro, inspirando tutta l’aria che poté, poi si lasciò condurre all’interno del luogo di culto.

Non appena entrò dentro, decine di volti a lei sconosciuti si girarono per guardarla, alcuni con indifferenza, altri con un sorriso ebete stampato sulle labbra, mentre un organo iniziava a suonare quella sinfonia molto dolce che l’avrebbe accompagnata fino all’altare.

A lei non importava nulla degli sguardi che ricevette e puntò i suoi occhi di fronte a sé. Non ci riuscì per molto, poiché ben presto scoprì che quel luogo sacro aveva qualcosa di grandioso; ovunque erano presenti mosaici stupendi.

Suo padre strinse lievemente il braccio attorno al suo, cercando di attirare la sua attenzione, ma lei preferì restare immersa nei suoi pensieri. Per lei tutto quello che stava vivendo non aveva più senso, era solo un incubo, un’imposizione altrui sulla sua vita. Parecchio distante, ai piedi dell’altare, colui che sarebbe dovuto diventare il suo consorte sorrideva beatamente e sembrava felice.

Teresa notò che lei invece doleva avere un’aria davvero spaesata, poiché gli sguardi dei presenti non si staccavano mai dal suo volto, e man mano che procedeva verso l’altare si facevano sempre più seri, mentre lei continuava a cercare di ignorarli.

Rallentò ulteriormente il suo cammino, tanto che suo padre fu quasi costretto a fermarsi, ma se era irritato per il suo comportamento non lo diede a vedere. Solo allora Teresa trovò la forza per lanciargli un ultimo sguardo, poco prima che lui la lasciasse a fianco del suo futuro sposo, che le si avvicinò di un passo e le sfiorò la mano sinistra con la sua, rivolgendole un grande sorriso.

La ragazza sentì che il suo battito cardiaco aveva ripreso a diminuire, ma il mondo aveva ripreso a vorticare attorno a lei. Il volto di Alfonso, tutto sorridente, divenne una maschera mostruosa, e la giovane fece davvero una gran fatica a non lasciarsi andare al pianto.

Il suo promesso sposo era un ragazzo magnifico; aveva un fisico perfetto e un modo di vestirsi impeccabile, era ricco e nobile e l’avrebbe potuta trattare come una vera signora. Però, non riusciva proprio a piacerle, e non riuscì a ricambiare il suo sorriso.

Mordendosi il labbro inferiore, e in preda all’angoscia, si accorse che la cerimonia stava incominciando. Per l’occasione, a celebrarla c’era un vescovo di una diocesi romana, venuto al nord solo per quell’evento speciale, visto che era un caro conoscente di Alfonso e del pontefice. Era un ometto basso e dall’aspetto insignificante, che Teresa prontamente classificò come disgustoso.

Quel pomeriggio tanto odiato era giunto, e quella data avrebbe avuto per sempre un significato negativo per lei. I pensieri ripreso a vorticare nella sua mente annebbiata, mentre la cerimonia iniziava ufficialmente.

Quella fu l’ora più drammatica della vita della giovane. Quel prelato parlava incessantemente, e Alfonso pareva molto felice. Ma Teresa non lo era.

Cercando di non svenire in pubblico, evento che avrebbe potuto far sospendere quella farsa o prolungarla, la giovane si mise a guardarsi attorno con circospezione, cercando di non farsi notare troppo dai presenti, che se ne stavano in silenzio dietro di lei.

La basilica era piuttosto grande e spaziosa, ed era decisamente magnifica; le pareti rilucevano di mille colori, ed erano tutte decorate con l’antica tecnica del mosaico. Con risvegliato interesse, la giovane si chiese quanto tempo ci avessero messo gli artisti di un’epoca lontanissima per sistemare nel posto giusto tutti quei minuscoli frammenti di pietra.

Tutti i protagonisti dei mosaici erano ritratti in situazioni riguardanti gli albori della Chiesa, e i loro volti erano tutti sorridenti e rilassati. La ragazza non poté non chiedersi perché quei visi erano così sereni, quando in realtà erano stati posizionati in un luogo dove i giovani venivano obbligati dalle loro famiglie a sposarsi, in una situazione tutt’altro che tranquilla.

Improvvisamente, Teresa capì che quegli sguardi vacui non dovevano essere rivolti al mondo materiale, ma a quello spirituale, e allora distolse lo sguardo e lo fissò sulla pavimentazione.

Mentre la funzione continuava, la giovane fu più volte costretta a ripetere frasi che lei non avrebbe mai voluto dire, ma sapeva che se non l’avesse fatto ci sarebbero stati solo guai e ripicche. Fece un altro profondo sospiro e si inginocchiò a fianco di Alfonso.

Dopo un periodo di tempo che parve interminabile, si rialzò e fu costretta nuovamente a guardare in volto il suo sposo. Un libro in latino era aperto di fronte a lei, e Alfonso già leggeva. Con estremo imbarazzo e con la voce impacciata, anche Teresa lo fece, una volta giunto il suo turno.

Tutto passò più in fretta del previsto, e quel momento tanto atteso dagli invitati giunse quasi senza preavviso. Alfonso disse il suo sì senza neppure batter ciglio, sorridendo e mostrando felicità, e poco dopo Teresa si trovò di fronte al vescovo che la fissava, in attesa del suo assenso. In realtà, le aveva rivolto anche la domanda ma lei era troppo confusa per stare attenta a tutto.

Solo allora però, si pose la fatidica domanda. Si chiese se voleva sposare Alfonso o no. Non poteva fare altrimenti, era questa la verità; un suo rifiuto sarebbe costato caro sia a lei che a suo padre. Nessuno avrebbe più richiesto la sua mano.

Per un solo istante, la giovane trovò la forza per girare il volto e dare un’occhiata alla porta della basilica. Un silenzio teso era sceso tra i presenti, mentre Teresa guardava morire i suoi sogni.

Per un attimo ancora, sperò che Giovanni sfondasse l’ingresso di quel luogo sacro, facendo irruzione coi suoi uomini per salvarla da quell’orrendo futuro, ma poi comprese che il suo amato doveva essere morto sul serio, altrimenti non avrebbe permesso a quella farsa di verificarsi.

Lentamente, la ragazza imbronciata tornò a guardare colui che tra meno di pochi attimi sarebbe stato il suo sposo. Tra loro non c’era più alcuna distanza, e ormai a separare o ad unire i loro destini bastava solo un suo sì o un suo no. Erano entrambe parole brevi, ma che in quel contesto avevano un importanza troppo grande per essere pronunciate alla leggera.

Teresa sapeva che, in ogni caso, da quel momento in poi il suo futuro sarebbe cambiato irrimediabilmente.

Mentre lei continuava a riflettere e a fissarlo, Alfonso perse il suo sorriso disinvolto, irritato dal ritardo di quel consenso. Dietro di loro, dopo il silenzio si accese qualche parlottio lontano; gli invitati avevano già iniziato a pensar male della novella sposa.

Teresa sentì una lacrima umida che cercava di sgorgare sul suo volto, ma cercò di reprimerla. Con stizza, la giovane pensò nuovamente a Giovanni, e a come sarebbe stato bello se la posto di quel cialtrone di Alfonso ci fosse stato lui, col suo sorriso carismatico e sincero.

Solo a quel pensiero, Teresa si ritrovò a sorridere, e pensò che era il momento di pronunciare quell’ultima, fatidica breve frase. D’altronde, Giovanni, il suo amato brigante, era morto e non poteva più far nulla per lei. E lei lo avrebbe sempre amato, nel profondo del suo cuore, e se in quel momento avrebbe dato il suo assenso, ciò non avrebbe mai potuto intaccare ciò che ancora provava per quell’uomo dall’animo gentile.

Con un sospiro, la ragazza fissò il vescovo e aprì le labbra.

‘’Sì, lo voglio’’, disse Teresa, la voce ridotta a qualcosa di insignificante e remoto.

Solo in quel momento si rese conto di aver sposato l’unico ragazzo che lei aveva odiato da sempre.

Gli attimi successivi furono rilassati. L’ambiente si disgelò, e gli invitati ripresero a sorridere, mentre i due giovani si scambiavano le fedi. Teresa infilò l’anello al suo sposo con estrema fatica, le sue mani erano sudaticce a causa della tensione e i guanti candidi che indossava la impedivano non poco, mentre Alfonso poco prima glielo aveva già messo con estrema destrezza. E poi, dopo aver ricevuto il consenso del vescovo, i due poterono scambiarsi il primo bacio.

Alfonso le prese per la prima volta il volto tra le sue mani, e la baciò con apparente lentezza. In realtà, fu solo un rapido bacio casto sulle labbra, eppure a Teresa parve interminabile e disgustoso.

La ragazza non riuscì a celare una smorfia di disgusto non appena poté allontanare il suo viso da quello dello sposo, e Alfonso se ne accorse, così come alcuni dei presenti. Il suo sposo non la prese bene, e le lanciò una dura occhiataccia. Teresa non disse nulla, sapendo che il peggio doveva ancora venire.

Infatti, uscì a braccetto con lui dalla basilica, mentre tutti cercavano di congratularsi, e Alfonso ringraziava con ardore, mentre lei si limitava a mostrare un flebile sorriso.

La giovane realizzò appieno solo allora che da quel momento in poi la sua vita sarebbe irrimediabilmente cambiata, e che avrebbe dovuto dire addio alla sua giovinezza e dedicare tutta sé stessa al suo nauseante marito, e questo la angosciò ulteriormente.

Tra complimenti, auguri e strette di mano, il tempo iniziò a scorrere molto lentamente, fintanto che i due giovani sposi non salirono sulla carrozza che li avrebbe portati poco distante, dove si sarebbe tenuto il banchetto nuziale. In altre circostanze, Alfonso l’avrebbe sposata in una qualche cappella di famiglia a Roma, per poi offrire un grande banchetto nella sua sontuosa villa, ma lì a Ravenna non aveva avuto modo di organizzare tutto con semplicità e sfarzo.

Appena si sedette, Teresa sospirò rumorosamente, mentre Alfonso prendeva posto a suo fianco, prendendole la mano destra tra le sue.

‘’Hai visto, mia cara Teresa? Quei signori che si sono complimentati con noi poco prima sono gli altri miei zii, quelli che vivono a Udine. Hanno fatto tanta strada per partecipare a questo evento. Ma tu hai capito chi erano, vero? Dai, quell’uomo abbastanza alto con la moglie bionda…’’.

Il giovane non fece in tempo a finire, poiché Teresa lo interruppe.

‘’Sì, certo, li ho notati’’, disse la ragazza con un tono di voce seccato e stanco. Il suo giovane sposo la guardò in tralice.

‘’Oh diamine, mia cara Teresa, non dirmi che ti disgusto così tanto? Non mi hai mai sorriso, e se ti dico qualcosa mi tratti con sufficienza. C’è qualcosa che ti turba?’’, chiese il giovane sposo, interdetto.

La novella sposa non sopportava già più suo marito, nonostante fossero a malapena pochi minuti che il loro matrimonio si era concluso, e non sapeva come fare ad affrontare quella situazione e quelle domande. Pensò che se ci fosse stata Lina lì con lei, qualche soluzione l’avrebbe trovata. Ma ormai, era tutto finito. Quelli erano solo lontani ricordi.

‘’No, è tutto a posto, grazie’’, rispose la giovane con cortesia, mostrando un tenue sorriso. Anche Alfonso sorrise, e non disse più nulla per un po’.

Solo allora Teresa ricordò che aveva perso di vista suo padre, ma si rassicurò vedendo che anche altre carrozze stavano seguendo la loro, e lui molto probabilmente sarebbe stato su una di quelle.

Per quanto riguardava il suo sposo, lui non aveva genitori. Suo padre era morto in guerra poco prima della sua nascita, e suo madre era morta nel darlo alla luce. Non aveva fratelli né sorelle, e i suoi rapporti di parentela erano pochi, più che altro riguardavano fratelli e sorelle del padre, poiché i famigliari della madre vivevano in Spagna, essendo originari della Catalogna. Suo zio, fratello di suo padre ed ora anche pontefice, aveva fatto di tutto per non fargli mancare nulla e per fargli avere una perfetta educazione, la più appropriata al suo lignaggio. Questo era ciò che le aveva rivelato suo padre, pochi giorni prima di partire per Ravenna, e doveva essere vero. Finora, non aveva mai avuto il coraggio di approfondire con Alfonso, credendo che quell’argomento avrebbe potuto irritarlo.

‘’Tra poco ci sarà un banchetto in nostro onore, ed intendo concluderlo in fretta. Mi spiego meglio; gli invitati resteranno lì a festeggiare a lungo, ma noi ci dilegueremo già in prima serata. Dobbiamo tornare urgentemente a Roma, e non vedo l’ora di mostrarti la splendida abitazione dove passeremo il resto della nostra vita’’, tornò a dire Alfonso, interrompendo quel momento di silenzio. Teresa annuì e non replicò, ma rimase perplessa dalla fretta eccessiva del suo sposo.

‘’Ho molti piani per il nostro futuro, mia cara moglie. In ogni caso, sarà grandioso per entrambi, vedrai’’, disse nuovamente il giovane, sicuro di sé.

La sua sposa non poté far altro che annuire nuovamente, e poco dopo la carrozza si fermò, salvandola dai discorsi di quel borioso ragazzo, con il quale avrebbe dovuto trascorrere la sua intera vita.

Lui le sorrise e scese dalla carrozza, poi le prese la mano e l’aiutò con gentilezza a scendere. Di fronte a lei c’era una magnifica villa, con un grande giardino innevato e con alberi alti e stupendi.

‘’Ti piace? Questa dimora è il regalo di nozze che ci ha fatto il nostro adorato pontefice, mio zio. Così, ogni volta che ci andrà di tornare in queste terre, avremo uno spazio sicuro tutto nostro’’, disse Alfonso, sorridendo. Per l’ennesima volta, Teresa sorrise debolmente e fece un piccolo cenno di assenso.

Ben presto, gli invitati presero a giungere a frotte, seguendo i due sposi all’interno della magnifica dimora. Per la prima volta in quei giorni, la giovane contessina si trovò a spalancare la bocca dalla sorpresa; infatti, dopo essere entrati nella vasta abitazione e dopo aver percorso un breve ma ampio corridoio, si trovò ad entrare in uno splendido salone.

Teresa non ne aveva mai visti di così ampi e spaziosi in tutta la sua vita, e il bello era che traboccava di cibo e di servitori pronti a occuparsi degli invitati. Alfonso dovette vedere il suo volto esterrefatto, poiché si lasciò sfuggire una breve risatina soddisfatta.

Subito, gli invitati presero a riversarsi nella grande sala e a parlare tra loro, e lei si trovò a girovagare senza meta a fianco di suo marito per tutto quell’ampio ambiente, salutando e ringraziando chiunque per aver partecipato alla cerimonia, e ricevendo complimenti e doni. Ovviamente, si scambiarono anche molte chiacchiere, più che altro pettegolezzi nobiliari.

Ben presto, la giovane si sentì sfinita, e non ne poteva più di quell’abito eccessivamente voluminoso e pensante per lei.

La prematura notte invernale stava già iniziando ad avvolgere i quartieri nobiliari di Ravenna, e da quella mattina Teresa non aveva avuto un attimo di pace.

Solo dopo un po’ alcuni invitati iniziarono ad andarsene, e mentre un’orchestrina iniziava a suonare un dolce motivetto, intrattenendo gli ospiti rimasti, Alfonso le parlò all’orecchio.

‘’E’ ora di ritirarsi. Penso che parecchi ospiti si intratterranno qui ancora per un po’, parlottando tra loro, e in tutto questo scompiglio non si accorgeranno neppure che ce ne siamo andati. Vai a casa di tuo padre,  una carrozza ti aspetta già pronta di fronte all’ingresso della villa e fai caricare i bagagli; entro un’ora passerò a prenderti, così partiremo subito’’, le disse suo marito, teso in volto. Quella lunga giornata aveva sfinito anche lui.

Teresa non disse nulla, non le andava ed era talmente stanca che il solo pensiero di fuggire da quell’inferno era una grossa consolazione. Cercando di fare il più in fretta possibile, la giovane si dileguò dall’immensa sala senza che nessuno dei presenti la degnasse di uno sguardo, tant’erano presi dalle chiacchiere, dal cibo e dall’intrattenimento musicale.

Dopo aver percorso il breve ma ampio corridoio si trovò all’infuori dalla villa, e subito fu sferzata da una ventata d’aria gelida.

Quasi perdendo il fiato, la giovane si affrettò a cercare con fare disperato la carrozza che l’avrebbe dovuta portare a casa di suo padre, e alla fine finì quasi per scivolare su una lastra di ghiaccio. Fortunatamente, una mano ferma la aiutò a restare in equilibrio.

‘’Grazie’’, sussurrò Teresa con fare lievemente inquieto allo sconosciuto, che nel frattempo la fissava con fare incuriosito, non aspettandosi quel ringraziamento.

‘’Di nulla, signorina. Vi stavo proprio aspettando, poiché il conte vostro marito mi aveva avvisato del vostro imminente arrivo’’, disse l’uomo, e solo allora la ragazza si accorse che era vestito con gli abiti soliti da cocchiere.

Teresa sorrise, rimproverandosi per essere così sbadata, e si affrettò a salire sulla carrozza che l’attendeva poco distante, sempre aiutata dall’esperto servitore. Il viaggio durò poco, e incredibilmente dopo non molto la giovane si trovò ad arrancare verso l’ingresso dell’umile dimora di suo padre, dove prontamente la serve vennero fuori in giardino per aiutarla col vestito.

Quando finalmente si trovò al caldo in casa, vide che suo padre la stava aspettando, in piedi nel bel mezzo dell’angusto corridoio e con un’aria stralunata.

‘’Padre! Come mai non siete ancora al banchetto?’’, chiese la giovane sposa, sorpresa.

‘’Non sono riuscito a restare là per molto. Ora va e cambiati in fretta, indossa abiti più comodi. I tuoi bagagli sono già tutti pronti. Appena avrai finito, devo parlarti… è importante, cerca di fare in fretta’’, le disse suo padre, triste in volto.

Quell’accoglienza infelice fece agitare Teresa, che non si aspettava di ritrovarsi suo padre lì a casa. Nonostante il fatto che indossasse ancora gli stessi abiti di quella mattina, il conte doveva essere tornato in quella misera abitazione da parecchio tempo, a testimoniarlo c’erano l’acre odore di fumo e un bicchiere mezzo pieno di vino posato poco distante su un tavolino. Per un attimo si preoccupò per lui; sapeva che da un po’ era tormentato da una brutta tosse che non accennava ad andarsene, e si chiese se si potesse trattare di qualcosa di più grave del previsto.

La ragazza scosse la testa, cercando di smettere di pensare e spingendosi ad agire. Ben presto si trovò nella sua stanza, e grazie all’aiuto di due serve, si cambiò in fretta. Con l’ultima parte di rabbia rimasta nel suo corpo, allontanò da sé in malo modo quell’abito odioso, e si accinse ad andare a parlare col padre, in attesa dell’arrivo di Alfonso, che non avrebbe tardato molto.

Il conte la stava attendendo nella misera camera da pranzo, seduto su una sedia e fumando nervosamente il suo solito sigaro. Sapeva che gli faceva male, e che il fumo lo spingeva a tossire, ma non riusciva proprio a perdere il vizio.

‘’Andate fuori tutte da questa stanza, e chiudete la porta’’, disse suo padre alle serve che erano nei paraggi, con toni sgarbati.

La servitù obbedì subito e con disciplina, e Teresa in un attimo si trovò sola a fronteggiare suo padre. La giovane non aveva idea di quello che lui le voleva dire, ma pensò che fosse qualcosa di davvero importante, visto l’ansia che provava quell’uomo che era sempre molto calmo.

Incredibilmente, il conte si alzò dalla sedia e spense il sigaro con una sola spinta decisa sul misero tavolo, non preoccupandosi di rovinarlo, e le si avvicinò, per poi abbracciarla. La ragazza si trovò presa alla sprovvista da quel gesto, e si mostrò incredibilmente rigida nel ricambiarlo.

‘’Che c’è, figlia mia? Mi odi, vero? Hai ragione. Hai ragione’’, ripeté il conte, distaccandosi un attimo da lei e guardandola negli occhi. La giovane era profondamente scossa da quell’improvvisa dimostrazione d’affetto, molto insolita per quell’uomo rigido di suo padre.

‘’No… perché dovrei odiarvi?’’, trovò il coraggio di dire Teresa, titubante.

‘’Per quello che ti ho fatto. Ho visto il tuo sguardo vacuo tutto oggi, uno sguardo che mi ha ferito a morte. Giuro, mia cara figlia, che non volevo farti sposare con un uomo che odiavi… te lo giuro! Ma la paura di perderti, di non ritrovarti più e la disperazione hanno preso il sopravvento su di me, povero vecchio che non sono altro…’’, riprese a dire il conte, e una lacrima scese rapidamente tra i peli della sua curatissima barba.

Teresa non sapeva che altro rispondere. Si chiese il perché di quello sfogo improvviso, ma non trovò la forza per chiedere altro. Si limitò ad abbassare lo sguardo. 

‘’Parlami, Teresa! Questi sono gli ultimi istanti in cui potrò parlare solo con te, te ne rendi conto? Dimmi qualcosa. Cosa ne pensi del tuo futuro?’’, riprese a dire il conte suo padre, travolgendola con le sue domande. Lì per lì la ragazza non seppe cosa rispondere, sorpresa, ma alla fine si lasciò andare.

‘’Padre, io odio Alfonso. L’ho odiato dal primo giorno in cui l’ho visto e lo odierò per sempre. Il mio cuore non sarà mai suo, ma di colui che mi ha amato sul serio e che il destino l’ha fatto morire lungo una strada. Non ci sarà alcun futuro sereno, per me’’, ammise la giovane, sciogliendosi definitivamente. Il conte non parve scosso da quelle parole, e tornò ad abbracciarla più forte.

‘’Che stupido che sono stato! Non volevo vederti infelice, figlia mia. Sai, l’ho promesso sul letto di tua madre, poco prima che venisse a mancare. Le ho promesso che non ti avrei costretto all’infelicità eterna. Ma io non ho rispettato quel giuramento, ed ora perderò anche te, che sei la mia unica figlia e l’unica cosa veramente importante che ho a questo mondo! Come farò a vivere d’ora in poi, sapendo che sei infelice e soffri a causa di una mia scelta? Se solo avessi capito prima tutto questo, ti avrei pure lasciata fuggire con un brigante, se era questo ciò che chiedevi’’, tornò a dire suo padre, stringendola forte a sé.

Solo allora la sorpresissima Teresa si accorse che il conte puzzava di alcol, e che probabilmente doveva aver bevuto parecchio poco prima. Non facendo caso alle parole grosse che aveva appena pronunciato il padre, la ragazza lo allontanò da sé, ma con dolcezza, senza rifiutarlo.

‘’Non dovete disperarvi per me. Il mio unico amore l’ho perduto, è morto, mentre voi avevate un accordo con Alfonso, ed era da rispettare. Farò tutto ciò che il mio ruolo di moglie richiede senza fare scenate, così come fanno tante altre ragazze’’, assicurò la giovane con maturità e con decisione.

‘’Che figlia coraggiosa che ho! Stai affrontando un dramma con estrema calma… un dramma generato da me. Che andasse a quel paese l’accordo con quel giovane presuntuoso, a me importa solo della felicità di mia figlia, caspita!’’, ruggì il conte, allontanandosi da Teresa e dando un pugno sul tavolo.

La giovane andò vicino al padre, che nel frattempo tossì rumorosamente, e cercò di calmarlo e di evitare scenate. Sapeva che era ubriaco, una cosa decisamente insolita per lui, ma le sue parole dovevano essere vere, poiché solo l’alcol era riuscito ad aprire i sentimenti di quell’uomo rigido. E lei a suo padre voleva veramente tanto bene, nonostante le ultime delusioni che le aveva imposto.

‘’Non c’è più nulla da fare, padre mio. Ora sono sposata, e mio marito mi passerà a prendere tra poco. Vi prego, calmatevi, e non bevete mai più. Se vi vedrò ancora in questo stato, giuro che soffrirò tantissimo’’, disse infine Teresa, cercando di concludere quella dolorosa discussione. Alfonso sarebbe arrivato da un momento all’altro e non voleva di certo che vedesse suo padre in uno stato confusionario.

Indubbiamente, questo stava portando il conte a parlare in modo parecchio esagerato e contorto, esprimendo comunque i suoi pensieri.

‘’Sei così bella, Teresa cara. Ti avrei concessa a un qualche altro nobile, se solo avessi potuto… l’avresti scelto tu, certo… avrei fatto di tutto per te… mi sembrava la scelta giusta all’inizio, ma ho sbagliato…’’, continuò a dire suo padre, singhiozzando.

Teresa si passò una mano tra i capelli, disperata, poi si avvicinò al conte e lo fece sedere. Fuori, si udì chiaramente il rumore di una carrozza che si stava fermando proprio davanti al cancello dell’abitazione; Alfonso era arrivato.

‘’Padre, andate subito a letto, e dormiteci su. Non preoccupatevi più di me, ci farò l’abitudine. Per me un uomo vale l’altro ora, che ho perso il mio grande ed unico amore’’, disse la ragazza, mentendo e sul punto di piangere, mentre chinava il volto sulla testa quasi calva del padre, per darle un lieve bacio d’addio. L’uomo sorrise a quel gesto inaspettato d’affetto.

‘’E’ arrivato, l’ho sentito. Vai, su, ci vediamo a Roma, e sappi che in ogni caso potrai sempre contare su di me. Farò in modo di conoscere al più presto l’indirizzo dove andrete a vivere, così potrò farti visita di tanto in tanto. Per il resto, conosco Alfonso e so che tende ad essere insopportabile, e nel caso dovesse mancarti di rispetto, io…’’.

‘’Non accadrà mai nulla, riusciremo a star bene insieme, vedrete. Ora devo andare, e riposate, mi raccomando. Ci rivedremo presto’’, disse Teresa con cortesia, sfiorando le mani del padre con le sue.

Poi si allontanò velocemente, ma nel bel mezzo della porta della stanza si voltò indietro per guardare suo padre. Il conte se ne stava seduto, la testa tra le mani, come se fosse piena di problemi.

La ragazza sospirò, e per un attimo pensò di non partire con Alfonso ma di restare col padre, ma poi capì che contestare suo marito la sera stessa delle nozze non era proprio la scelta giusta da fare. Quindi, tornò a camminare verso la porta d’ingresso, cercando di non girarsi più indietro, mentre le serve quasi correvano per i corridoi, cercando di portar fuori gli ultimi bagagli.

Teresa uscì di casa, e fu nuovamente avvolta dal gelo intenso. Rabbrividendo, ebbe l’amara sensazione che suo padre le stesse nascondendo qualcosa. Quell’ultima scenata doveva avere un qualche significato che lui non le aveva rivelato, d’altronde quell’uomo tutto d’un pezzo ed integerrimo non si era mai gettato nell’alcol, e neppure aveva mai espresso così con chiarezza le sue idee. Qualcosa dentro di lui doveva aver irrimediabilmente vacillato, e molto probabilmente nulla sarebbe più stato come prima da quel momento in poi.

La ragazza provò panico al solo pensiero di perdere anche suo padre in qualche disgrazia, poiché senza di lui sarebbe rimasta totalmente sola a quel mondo. Sola con Alfonso.

In ogni caso, represse in fretta quei brutti pensieri, mentre entrava nella carrozza di suo marito, gentilmente aiutata dal cocchiere, che stranamente era lo stesso di poco prima e che l’aveva portata fin lì. Con estrema sorpresa, aveva avuto modo di notare che la servitù aveva già caricato tutti i bagagli sulla carrozza, e aveva già quasi finito di assicurarli al meglio, in modo da non farli cadere durante il percorso, e quindi comprese che di lì a poco sarebbero partiti.

Non appena entrò nel mezzo, la prima cosa che fece fu quella di sedersi, sfinita, per poi notare che suo marito la guardava con un’aria strana. Alfonso aveva due occhietti infossati, quasi porcini, che la stavano infastidendo.

‘’Partiamo, finalmente’’, disse dopo un solo istante, non appena la carrozza si accinse a muoversi.

‘’Sarà un lungo viaggio, mia cara Teresa. Avremo modo di conoscerci meglio, puoi starne certa’’, affermò infine Alfonso, senza lasciar dir nulla a sua moglie, che restò turbata.

A Teresa lo sguardo di suo marito non piaceva, e, per l’ennesima volta in quella dannata giornata, ebbe paura. Quel viaggio verso sud si preannunciava veramente lungo e difficile. E se anche suo padre provava rimorso, ormai il suo destino era quello di vivere una vita che non aveva più senso per lei, e di soffrire.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Spero vi sia piaciuto. Ce l’ho messa tutta per descrivere il matrimonio e i vari particolari, e lo so, ho tralasciato qualche aspetto ma l’ho fatto solo per non rendere tutto eccessivamente lungo e noioso. Questo è stato uno dei capitoli più impegnativi che io abbia mai scritto finora, e spero davvero che sia stato gradito J

Bene, vi ringrazio tutti! Un grande grazie va ancora ai miei magnifici recensori, che ogni volta sono sempre presenti e mi sostengono con calore, dandomi tantissima forza per continuare questa avventura, che comunque, ripeto, non è assolutamente in procinto di concludersi. Ne dovranno accadere ancora di tutti i colori J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

CAPITOLO 30

 

 

 

 

Il viaggio di ritorno fu duro e arduo, e mise seriamente in difficoltà Giovanni e il suo gruppo di fuorilegge.

Se nella ristretta pianura interna stava nevicando in modo piuttosto consistente, ma ancora senza eccessivi accumuli, già sulle colline la questione si faceva più difficile.

Arrancando, Furia sbuffò, emettendo talmente tanta aria dalle froge che riuscì a creare una vistosa nuvoletta di vapore condensato. Giovanni gli diede una lieve pacca di incoraggiamento sulla schiena, che l’animale parve gradire.

I briganti dietro di lui parlottavano felici, e anche se stava calando la sera, la visuale restava buona, poiché in quel momento nevicava debolmente e la neve già al suolo rifletteva gli ultimi bagliori del giorno, creando uno scenario suggestivo. Solo Fabio continuava a non lasciarsi coinvolgere dall’euforia generale e se ne stava tra gli ultimi, mentre il suo cavallo pareva già sfinito da quel lungo giorno.

La notte si preannunciava davvero molto fredda, e bisognava muoversi in fretta. Il capo dei briganti sapeva che ci voleva ancora qualche ora prima di giungere al covo, ma l’importante era che non iniziasse nuovamente a nevicare, poiché ciò avrebbe ridotto di molto la visuale e avrebbe rischiato di far perdere i briganti, che a quel punto sarebbero rimasti senza alcun punto di riferimento.

Al suolo dovevano esserci una ventina di centimetri abbondanti di neve, e i garretti dei cavalli affondavano facilmente nel manto fresco, affaticandoli ulteriormente. Solo allora Giovanni comprese quant’era stata imprudente l’avventura in cui si era gettato senza neppure riflettere.

Mario, a suo fianco, era rigido in sella e pareva perso nei suoi pensieri. Poco prima, loro due insieme avevano cercato di far parlare Marco, ma non ci erano riusciti. Il grassone li odiava, e molto probabilmente temeva di morire.

E faceva bene, perché Giovanni gli aveva messo un mantello sulle spalle solo perché gli serviva per avere informazioni sulla sua amata, altrimenti lo avrebbe già ucciso senza pietà. Quel viscido informatore si stava comportando come un indegno, sfoggiando una cocciutaggine non da tutti, e questo aveva ulteriormente innervosito il capo dei briganti, già infuriato per non essere riuscito a sapere dove fosse stata portata Teresa.

Sapeva che il tempo ormai era poco, e che se non fosse riuscito a riprendere i contatti con la contessina entro pochi giorni avrebbero potuto sorgere altri problemi. Passandosi la mano destra tra la barba, il brigante riprese a pensare nuovamente alla sua amata, chiedendosi cosa stesse facendo in quel momento. Molto probabilmente sarebbe stata in una qualche abitazione nobiliare, servita e riverita da tanti servi e magari era pure seduta ad un grande tavolo, mangiando pietanze ottime e raffinate.

Giovanni scosse la testa, sorridendo a quei pensieri, poiché sapeva che tutto ciò non era gradito a Teresa, che amava solo la libertà. Tornò a ripromettersi che lui l’avrebbe liberata, e che l’avrebbe ripresa con sé, in un modo o in un altro. Aveva giurato, e i giuramenti li manteneva sempre.

‘’Si vede che sei felice, amico mio! Che lezione abbiamo dato ad Aldo! Mi immagino il suo brutto volto con impresso un ghigno agghiacciante mentre impreca a non finire!’’, disse Mario, che nel frattempo si era avvicinato al suo capo di soppiatto ed aveva approfittato per avviare una conversazione. Giovanni lo guardò, sorridendo.

‘’Hai ragione. Però se l’è meritata. La vecchia volpe non si aspettava un’azione così rapida da parte nostra, si vede che sta perdendo colpi’’.

‘’Sì, Aldo è deboluccio, ultimamente. Ma a quanto pare, il nostro sgradito ospite non lo è, e si ostina a non voler rivelare nulla. Lui sa tutto, ne sono certo’’, tornò a dire Mario, facendo cenno con la testa verso Marco, che  pareva un fantoccio mentre se ne stava ricurvo sul suo cavallo.

‘’Parlerà a breve, vedrai. Prima di domattina, sapremo dove si trova Teresa, e solo allora sarò veramente felice’’, disse Giovanni quasi sussurrando, mentre il sorriso gli moriva sulle labbra. Una sensazione di sconforto tornò a prendere possesso della sua mente, e dovette fare un silenzioso sospiro per non impazzire. Lui la rivoleva con sé, quella magnifica ragazza.

‘’Capisco’’, disse infine Mario, tornando ad allontanarsi e cercando di rispettare il suo dolore.

‘’Torna qui, amico, fammi compagnia se ti va. Il tempo così passerà più in fretta’’, disse Giovanni, tornando a mostrare un flebile sorriso. Non voleva sentirsi solo proprio in quel momento di gloria.

Infatti, mai come allora era stato amato dai suoi uomini, e dopo che avrebbe spartito con loro il bottino, l’avrebbero amato e sostenuto ancora di più. Ma senza Teresa quella non era una vittoria vera.

Mario ricambiò il suo sorriso, e tornò ad avvicinarsi a lui, con fare sincero.

Mentre la prematura notte invernale avvolgeva le vallate dell’Appennino, il gruppo dei briganti si accingeva a tornare al sicuro, al caldo del loro covo, mentre Giovanni stette un po’ tranquillo, chiacchierando con il più grande amico che lui avesse mai avuto.

 

 

Una volta giunti al covo, era già notte fonda.

Aveva ripreso a nevicare copiosamente, e probabilmente non sarebbe stato possibile ridiscendere a valle nei prossimi giorni.

Alla fine, le previsioni di Dario parevano essersi realmente avverate, ma Giovanni non stette a pensarci troppo su. D’altronde, quel continuo nevicare avrebbe potuto rendergli pressoché impossibile la partenza verso Ravenna per l’indomani mattina, e questo lo rendeva nervoso.

Con tutto sé stesso, sperò che smettesse di nevicare, ma in cuor suo sapeva che se avesse smesso si sarebbe poi ghiacciato tutto, e un lastrone di ghiaccio era impercorribile per un cavallo. Quindi, non gli restò altro da fare che disperarsi e cercare di sperare in un qualche miracolo.

I suoi compagni se n’erano andati tutti a letto felici e contenti, dopo che aveva spiegato loro che l’indomani mattina avrebbe diviso il bottino in parti uguali tra tutti i membri del gruppo, mentre lui stava arrancando insieme a Mario verso la sua cascina, dove avevano già scaricato il consistente bottino.

Dietro di loro, un taciturno Marco camminava a fatica e con le mani legate, mentre veniva trascinato con la forza dai due briganti. La spia pareva aver freddo, e il suo volto era già livido. Con uno strattone più forte, Giovanni spinse il grassone a muoversi più in fretta, mentre Mario si accingeva ad aprire la cascina.

Non appena entrò in quella che stava diventando la sua dimora fissa, il brigante non poté non rabbrividire, poiché anche lì dentro era entrato il freddo. Richiudendo la porta dietro di sé e consegnando la spia a Mario, che nel frattempo aveva già acceso un mozzicone di candela, Giovanni si diresse ad accendere la stufa.

Solo dopo aver reso l’ambiente più gradevole si decise a rivolgere la propria attenzione verso Marco. Non aveva alcuna fretta, in quel momento. Il capo dei briganti si sistemò al meglio sulla sua solita sedia, lasciando in piedi la spia e guardandola con fare torvo.

‘’Devo restare anch’io?’’, chiese Mario, capendo che stava per giungere il momento tanto atteso dall’amico.

‘’Sì’’, si limitò a dire Giovanni, guardando poi il suo braccio destro mentre andava a sedersi vicino alla stufa, mettendosi in un angolino della stanza, quasi come se temesse di essere invadente. Infatti, Mario si limitò a posizionarsi comodamente e a stare in silenzio, quasi come se si fosse tramutato in un fantasma.

Giovanni alzò gli occhi e li puntò su colui che l’aveva tradito.

‘’Cosa mi costringi a fare, Marco. Hai visto? Stai soffrendo inutilmente. Se solo tu mi portassi da Teresa, o almeno mi dicessi dove si trova di preciso…’’, provò a dire il capo dei briganti con toni gelidi ma non aggressivi, venendo però subito interrotto da Marco, che si oppose con un cenno rigido della testa.

‘’Uhm, forse te lo dirò… ma quando mi andrà’’, si limitò a dire la spia, senza aggiungere altro e guardando verso terra.

‘’Perché ti ostini così tanto? Sai che potrei ucciderti in ogni istante ma tu tieni la testa alta e mi rispondi malamente. Bene, inizierò ad usare le maniere dure con te’’, disse Giovanni, sospirando rumorosamente.

‘’Sospettavo che tra te e quella contessina fosse nato qualcosa; l’ho notato subito, già dal giorno in cui sono venuto ad informarti che la trattativa con Aldo era conclusa’’, disse improvvisamente Marco, ridacchiando. Giovanni si innervosì.

‘’Sei un gran bastardo, Marco. Mi avevi giurato fedeltà, eppure alla prima occasione che hai avuto mi hai tradito. Cosa credevi di fare? Sapevi che Aldo ti avrebbe poi lasciato in pasto ai tuoi nemici, per lui non conti nulla’’, continuò a dire il capo dei briganti, con foga crescente. Aveva proprio intenzione di ascoltare ciò che si sarebbe azzardato a rispondere quel verme d’uomo.

‘’Non è così. Non ti vedi, Zvàn? Vivi nel tuo mondo, un mondo dalle apparenze sincere e miserabili. Forse credevi che Aldo avesse altre spie a Ravenna, invece aveva solo me. Tu hai potuto catturarmi solo perché hai agito di sorpresa, se no non mi avresti neppure mai più rivisto. Aldo mi avrebbe trovato un'altra occupazione e mi avrebbe sostenuto e nascosto sotto la sua ala protettrice’’, disse il grassone con fare sicuro, mentre sul suo volto appariva un ghigno grottesco.

Quelle parole caddero come macigni su Giovanni, che si sentì doppiamente beffato. Quasi non poteva crederci a quello che aveva appena udito.

‘’Vuoi forse dirmi che per tutti questi anni hai servito sia me che Aldo? Sei solo un lurido traditore. Ma le pagherai tutte, le tue malefatte’’, riuscì a dire il brigante, mentre sentiva che il suo volto si stava arrossando dalla rabbia.

‘’Ho servito solo Aldo, stupido brigante. Non ti sei mai chiesto perché non ti giungevano mai molte notizie dalle zone del ravennate? Devi sapere che in questi anni hai perso tantissime occasioni buone per diventare ricco e famoso in tutta la zona, e solo perché ho direzionato il tutto verso il tuo nemico, che mi pagava profumatamente e non mi chiamava mai grassone, rispettandomi. Beh, l’ultimo affare con la contessina era d’obbligo svolgerlo con te, ma solo perché avevi più uomini a disposizione. E poi sapevamo che avremmo potuto ingannarti’’, aggiunse Marco, tornando sorridente.

Giovanni si sentì quasi mancare il pavimento da sotto i piedi, e ringraziò di essere seduto. Aveva appena scoperto di essere stato raggirato per anni da quel brutto ceffo, e questo lo sconvolgeva, ma in ogni caso non poteva permettersi di lasciarsi andare all’ira.

‘’Perché mi stai dicendo tutto questo? Potrebbe costarti caro’’, trovò la forza di aggiungere il brigante. D’altronde, la spia avrebbe potuto benissimo tenersi per sé la verità, eppure aveva spontaneamente deciso di sputargliela in faccia col sorriso sulle labbra.

‘’Te lo sto dicendo solo perché sono certo che non mi lascerai andare più via da qui… vivo. Tu mi ammazzerai comunque. Voglio solo prendermi la mia rivincita; per anni mi hai insultato in modo gratuito, e hai mostrato disprezzo verso di me. Non ne potevo più, sembrava che in certi momenti tu fossi in procinto di scoprire il mio doppio gioco, ma fortunatamente non è stato così. Ed ora, la vittoria finale è tutta mia e voglio che tu lo sappia’’, disse Marco con un tono di voce calmo, quasi glaciale.

Giovanni abbassò gli occhi e guardò il tavolo che aveva di fronte, cercando di riorganizzare meglio i suoi pensieri. Dopo due notti senza dormire e una lunghissima cavalcata al gelo, tutto quello gli pareva solo uno spettacolino intavolato di fronte a lui solo per umiliarlo. Quello era il prezzo per essersi fatto ingannare più volte.

Poco distante, Mario continuava a starsene tranquillo, e il suo volto non esprimeva alcuna emozione. Non voleva entrare nelle faccende personali del suo capo, e il viaggio doveva averlo affaticato parecchio.

‘’Non avrai alcuna vittoria finale. Soffrirai, e tanto per questo. Ma dopotutto credo di poterti perdonare, in parte, ma solo se mi dirai dov’è Teresa’’, tornò a chiedere Giovanni, cercando di calmare il caos che aveva nella sua mente e indirizzando un ultimo disperato tentativo razionale verso l’argomento più importante per lui. Non poteva lasciarsi trasportare dalla stanchezza e dalle emozioni proprio in quel momento cruciale.

‘’Quanto sei patetico, quasi mi meraviglio di te. Il tuo cuore è così annebbiato dall’amore che provi per una donna che ti costringe quasi a strisciare ai miei piedi. Sono convinto che se te lo chiedessi, tu lo faresti senza indugio anche qui, di fronte al tuo amico, se solo ti promettessi di dirti dove potrai trovare la tua amata. Ma è troppo tardi, mi dispiace. Il tuo sogno è finito’’, affermò Marco, tornando a sorridere.

Giovanni si irritò sempre di più, ma allo stesso tempo ebbe un brutto presentimento, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare quel viscido uomo con le ultime frasi da lui pronunciate.

‘’Non sta a te darmi delle condizioni, poiché mi dirai ogni cosa che ti chiedo. So come estorcere informazioni, fidati’’, disse il brigante, con fare aggressivo. Ormai, stava iniziando a stancarsi di quel giro di parole e di falsità, e non voleva scoprire più nulla. Voleva solo sapere dove si trovava Teresa, solo quello. Il resto veniva dopo e in ogni caso ormai era irrilevante.

‘’Non ne dubito, ed è per questo che mi risparmierò ogni genere di sofferenza. Ti dirò tutto ciò che mi chiederai, ora posso finalmente. Sai, il mio silenzio ti ha fatto perdere tanto tempo prezioso’’, assicurò la spia, raggiante in volto.

Il capo dei briganti iniziò a muoversi sulla sedia, mostrando tutto il suo disagio. Non riusciva proprio a capire quel ritrovato comportamento remissivo del traditore, e che non aveva alcun senso per lui sorridere di fronte alle parole che aveva appena pronunciato. Decise di incalzarlo e di andare più a fondo, anche perché le ultime parole da lui pronunciate l’avevano alquanto incuriosito.

‘’Dimmi dove si trova Teresa, e così potrò andare a riprenderla, come le ho promesso. Tutto il resto non mi interessa più, ormai’’, disse Giovanni, sospirando e sentendosi incredibilmente vuoto dopo quella richiesta calma. Temeva che fosse successo qualcosa di grave, poiché la spia non era mai stata così gongolante prima di quel momento.

‘’Non la rivedrai mai più, sciocco di un brigante. Teresa ormai se n’è andata per sempre’’, disse Marco, continuando a sorridere con coraggio.

‘’Per… sempre?! Che significa?’’, chiese Giovanni, sobbalzando. Anche Mario si agitò lievemente, poco distante.

‘’Significa che è finita subito tra le braccia del suo amato Alfonso, il suo promesso sposo, e si sarebbero sposati oggi stesso. Ma non cercarla, mio caro; da quel che so, da quest’ora sarà già in viaggio verso Roma. La ragazza ti ha sempre mentito, non ti ha mai amato sul serio, e non appena ha potuto si è sposata ed è fuggita da queste terre, così non la potrai mai più ritrovare. Come ogni nobile, ha solo giocato con un servo, per poi…’’.

Marco non riuscì a finire la frase, poiché Giovanni si alzò di scatto dalla sedia e lo colpì con un pugno al volto. La spia crollò a terra, mentre il capo dei briganti non poteva credere alle sue orecchie.

‘’Non mentirmi. Teresa mi sta ancora aspettando a Ravenna, e mi ama. Dimmi dove si trova, prima che ti ammazzi’’, tornò a dire Giovanni, scuro in volto dalla rabbia e con gli occhi sgranati dalla sorpresa, mentre anche Mario si alzava dalla sua postazione per dar manforte all’amico, se ce ne fosse stato bisogno.

‘’Mi hai fatto male… ancora… puzzone d’un brigante… le facevi schifo…’’, tornò a dire Marco, che fu poi nuovamente colpito da un calcio al ventre prominente.

Giovanni stava per estrarre la pistola e finirlo ma Mario gli fermò la mano, ricordandogli che doveva mantenere la calma, almeno per un po’.  Nel frattempo, la spia se ne stava riversa al suolo, mentre un rivoletto di sangue gli fuoriusciva dalle labbra spaccate.

‘’Dimmi dov’è!’’, ruggì Giovanni, ormai in preda alla follia e alla rabbia.

‘’Te l’ho detto… se n’è andata, ormai… si è sposata questa mattina’’, disse Marco, pesto e sanguinante a terra.

Giovanni non poté far altro che mordersi un labbro screpolato dal freddo e fissare il buio fuori dalla finestra della cascina.

Teresa non lo amava, era questa la verità. Lo aveva preso in giro, poi non appena era tornata dal padre aveva preferito dimenticarlo e scegliere una vita di certo molto più agiata di quella che lui le avrebbe mai potuto offrire. La contessina gli aveva mentito fin dal principio, già da quando gli aveva dato il suo primo bacio, fino a giungere ad affermare che lei odiava il suo promesso sposo, che in realtà amava. Il brigante sentì il mondo crollargli addosso, e mai si sentì tanto solo. In fondo, era stato raggirato da tutti, e questo era veramente una cosa grave.

Perfino la sua fidata spia di Ravenna lo aveva ingannato, dando informazioni importanti al suo nemico ed organizzando un’imboscata a suo sfavore. E poi, Teresa, la ragazza nobile che lui amava, l’aveva preso in giro trattandolo come un oggetto senza senso.

Con rancore crescente, si disinteressò del traditore e si diresse verso la finestra, per guardare fuori e cercare di calmarsi. Ma in realtà la rabbia era tale che avrebbe voluto iniziare a spaccare tutto, a partire da quella dannata sedia dov’era stato seduto fino a quel momento, e magari anche quella maledetta finestra che ogni notte gli permetteva di guardare il cielo stellato al caldo della sua cascina, e che gli aveva riempito la testa di falsi sogni.

Incredibilmente però, la mano forte e decisa di Mario gli afferrò un braccio, costringendolo a tornare sui suoi passi e a guardarlo in faccia.

‘’Zvàn, vedo dai tuoi occhi e dal tuo comportamento che hai creduto a questo traditore. Non devi credergli, sta mentendo. Teresa ti amava, ne sono certo. Ogni volta che hai avuto bisogno, lei c’è sempre stata, e i suoi occhi brillavano di gioia quando ti vedeva. Ora non lasciarti ingannare nuovamente, e se è vero che si è sposata non è stato certo per sua spontanea iniziativa. Vai più a fondo; lui vuole raggirarti per un’ultima volta, non dargli questa opportunità! Non lasciare che l’abbia vinta di nuovo’’, disse Mario, con la voce incrinata dall’ombra di una delusione.

Giovanni capì ciò che intendeva l’amico, e lo ringraziò con una piccola pacca sulla schiena. Poi, rapido come un felino, balzò su Marco, e, afferrandolo per i vestiti, lo rimise in piedi e prese a strattonarlo con forza. Il traditore aveva il volto tumefatto e sanguinante, e non accennava a dire altro.

‘’Mi hai mentito, eh? Per l’ennesima volta. Ma questa volta non finirà come le altre. Dimmi la verità’’, provò a dire il capo dei briganti, momentaneamente scosso dallo stato in cui aveva ridotto la spia. Marco aprì nuovamente le labbra, e sfoggiò un ghigno orrendo.

‘’Non capisci mai nulla, cocciuto d’un brigante. Non vedi che il tuo amichetto Mario ti sta ingannando? Lui sapeva che Teresa non poteva vederti e si stava prendendo gioco di te, eppure trova il coraggio di spronarti a farmi del male, solo per nascondere le sue falsità. Io ti sto aprendo gli occhi, finalmente…’’.

Marco non riuscì a concludere neppure quella frase, poiché Giovanni tornò a colpirlo di nuovo al ventre. Il traditore tornò ad accasciarsi al suolo, gemendo dal dolore.

Il brigante non avrebbe mai e poi mai permesso a quell’essere viscido di infangare il suo onore e di sparlare su Mario, l’amico più fedele che lui avesse mai avuto.

Ancora una volta, il suo braccio destro rimase impassibile di fronte alle accuse roventi che gli erano appena state scagliate dal traditore, e non volle neppure insozzarsi una mano per colpirlo. Infatti, si limitò a scrollare la testa e a richiamare l’attenzione dell’amico, ormai sul punto di perdere la ragione.

‘’Come volevasi dimostrare, sta mentendo. Non farti ingannare nuovamente dalle sue parole, che non vale neppure la pena di commentare’’, disse con sicurezza il maturo brigante, tornado a sedersi nella sedia dov’era stato comodo fino a poco prima.

Giovanni ormai era sfinito da quella lunga discussione, e con un ultimo atto rabbioso, si gettò sul traditore. Lo spinse con forza, riuscendo a farlo girare, per poi attaccarlo al legno del pavimento, lasciandolo disteso supino a terra, sudato e sanguinante.

Dal suo abito insudiciato e lievemente strappato, fuoriusciva qualcosa che attirò l’attenzione del brigante. Con lentezza, Giovanni si abbassò e strappò dal collo la catena che portava il traditore, e che aveva un ciondolo. Si trattava di un crocefisso qualsiasi, e sicuramente non d’oro e neppure d’argento, ma fatto col semplice ferro.

Per un attimo, il brigante rimase colpito dall’oggetto, e capì che poteva fare al caso suo. Molto probabilmente, il traditore doveva essere molto credente, e decise di giocarsi l’ultima ed estrema carta che aveva rimasto in pugno per cercare finalmente di scoprire la verità su Teresa.

Tornò ad abbassarsi su Marco, che respirava con fatica, e scoprì che in quel momento doveva essere spaventato a morte, poiché sapeva che entro poco la sua vita avrebbe avuto fine. Sapeva che non avrebbe potuto fuggire in alcun modo alla punizione dei briganti.

Giovanni avvicinò il piccolo oggetto al volto della sua vittima, che se ne stava ancora totalmente disteso nella posizione in cui era rimasto dopo l’ennesimo colpo subìto, come se si fosse finalmente arreso.

‘’Marco, stai per morire. Ti sei condannato da solo, poiché se solo ti fossi degnato di aiutarmi o di comportarti in un modo più idoneo, ti avrei lasciato andare. Però, prima di dire addio a questo mondo, voglio che tu mi ripeta dov’è finita Teresa, giurando su questo oggetto sacro che ti porti sempre dietro. Beh, sappi che se mi mentirai per l’ennesima volta, soffrirai anche nell’altra vita che ti attende. E non soffrirai solo per poche ore, ma in eterno’’, disse Giovanni con un tono di voce straordinariamente calmo e moderato, mentre metteva il piccolo crocefisso tra le mani congiunte del traditore, che si limitò a guardarlo dapprima con curiosità, per poi strabuzzare gli occhi e cadere in un profondo mutismo. Non voleva né parlare né giurare.

Il capo dei briganti capì di aver fatto la mossa giusta. In un primo momento, gli dispiacque di aver dovuto tirare in ballo persino il Signore, ma non poteva fare altrimenti. Non aveva altro modo per far parlare con sincerità quell’uomo falso.

‘’Dimmi la verità, e ti giuro che non ti farò mai più alcun male. Non ti percuoterò più, in un certo senso ti lascerò nuovamente libero. Però, sta a te iniziare la tua nuova vita; sono certo che se mentirai nuovamente con le tue ultime parole, non sarai perdonato dal giudizio divino’’, continuò il brigante, incalzando ulteriormente Marco, ormai sfinito dal dolore, dal freddo e dalla paura.

Il ciccione deglutì rumorosamente, e spalancò gli occhi, e in un attimo fu chiaro che le sue ultime resistenze avevano ceduto.

‘’Teresa era a Ravenna, ma ora non c’è più. Questa mattina è stata costretta a sposarsi con il giovane conte Alfonso Cappellari, nonché nipote amatissimo del nostro grande pontefice, e dovrebbero già essere partiti da qualche ora verso Rimini, per poi scendere fino a Roma, dove vivranno la loro vita coniugale. Non so altro, a parte che la ragazza odiava il suo promesso sposo e che è stata costretta da suo padre a sposarlo, poiché aveva organizzato in precedenza il loro matrimonio’’, disse Marco con un tono di voce molto basso e spaventato.

Giovanni dovette chinarsi su di lui per poter sentire le sue parole, e poi si sentì ancor più male di prima. In quel momento, era certo che Marco avesse detto solo la verità; ormai distrutto sia fisicamente che mentalmente, il traditore era serio in volto, e anche parecchio scosso. Fu così che il brigante comprese che non avrebbe più rivisto la sua amatissima Teresa, e non trovò la forza per dire altro.

Dopo un istante, estrasse la pistola e con una rapidità incredibile la puntò alle tempie di Marco e sparò.

Subito, il grasso corpo della spia smise di tremare e una piccola pozza di sangue iniziò ad allargarsi sul pavimento.

Giovanni si rialzò lentamente, rimettendo nella fondina la sua pistola e voltandosi verso Mario, che nel frattempo era stato fermo ed in rigoroso silenzio, rispettando le decisioni del suo capo. Per un instante, il capo dei briganti non fu in grado di odiare profondamente Marco, ma odiò sé stesso per essersi fatto ingannare e per aver fatto delle promesse alla sua amata che non era riuscito poi a mantenere. Ora Teresa era tra le braccia del suo sposo, infelice, e lui non l’avrebbe più rivista.

Con un ultimo gesto di pietà, Giovanni si chinò e sistemò meglio il crocefisso tra le mani di Marco, slegandogli anche i polsi, per poi tornare a guardare Mario.

‘’Vai a seppellirlo, intanto che in terreno non è ghiacciato. Togli la neve da vicino a una pianta, fai una buca bella profonda e poi buttacelo dentro’’, disse il capo dei briganti, sfinito.

‘’Lo farò senz’altro, anche se sarà difficoltoso trasportarlo’’, fece prontamente notare Mario.

‘’Hai ragione. Ora mettilo qui fuori, poi vai a chiamare un compagno e fatti aiutare. Farete in fretta, vedrete’’, disse Giovanni, ormai sul punto di cedere ai sentimenti. Non ne poteva più di quella dannata giornata, voleva solo dormire. Dormire, sperando di dimenticare.

‘’Tu non vieni?’’, chiese con cautela il suo braccio destro, già in procinto di trascinare fuori dalla cascina il cadavere.

‘’No. Ho bisogno di riposare’’.

Mario annuì, e, dopo aver spalancato la porta della cascina, trascinò fuori il cadavere.

Giovanni richiuse la porta dietro di lui, e con uno straccio ripulì il pavimento dal sangue, poi gettò tutto nel fuoco. Un fumo acre si sparse per la stanza, ma il brigante non ci fece più caso.

Quasi come un automa, raggiunse il suo letto nel retro della sua dimora e, senza neppure svestirsi, si coprì con le coperte e si lasciò andare al sonno, pensando solo e solamente a Teresa, e cercando di rimuovere quelle brutte scoperte che aveva fatto poco fa. Ora lei era sposata e sarebbe andata a vivere lontano da lui.

Soffocato dai truci pensieri, alla fine vinse il sonno, e il brigante si ritrovò nuovamente con la sua amata, cullandola nei suoi sogni.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Sembra tutto concluso, ormai. Teresa è in viaggio verso sud con suo marito, mentre Giovanni è impossibilitato a fare qualsiasi cosa. Però, attenzione, miei cari lettori; da questa apparente fine partirà un nuovo inizio. Vi chiedo solo un po’ di pazienza. In cambio, vi assicuro che cercherò di non farvi mai annoiare J

Quindi, le avventure e le esperienze dei nostri due protagonisti continuano.

Grazie a tutti voi che avete inserito il racconto tra le vostre storie seguite/preferite/ricordate, e un grande grazie ai recensori J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

CAPITOLO 31

 

 

 

 

Per Teresa quei lunghi e pressoché ininterrotti giorni di viaggio furono un incubo senza fine.

Alfonso era sempre più pressante, ed era costantemente agitato, poiché aveva una gran fretta di far ritorno nelle sue terre, creando un clima a dir poco insostenibile.

Avevano viaggiato per quasi tutta la prima notte, e si erano fermati solo un paio d’ore a Rimini, dove avevano potuto riposare un po’ in un’altra villa di proprietà del giovane conte, per poi rimettersi in marcia già all’alba.

Infatti, suo marito aveva chiaramente espresso che non aveva alcuna intenzione di soggiornare in abitazioni che non fossero di sua proprietà, e quindi bisognava muoversi in fretta. Fortunatamente, suo zio gli aveva donato numerose dimore disseminate un po’ in tutto il territorio, ma questo al giovane non bastava. Era sempre dietro a lamentarsi, e ben presto divenne logorroico.

Anche in quel momento, dopo tre giorni di viaggio praticamente ininterrotti verso sud, Alfonso si stava lagnando. La carrozza a volte procedeva a passo d’uomo, e questo lo irritava parecchio. Teresa poté solo guardare al di là dei vetri del mezzo, osservando il paesaggio, mentre suo marito continuava a parlare di quanto stesse diventando lungo quel viaggio e di come fossero disobbedienti i servi.

La giovane sposa ricordò la scenata di qualche sera prima, quando erano giunti in una dimora di proprietà di suo marito e non avevano trovato neppure una serva pronta a preparare un piccolo pasto. Subito, il conte era andato fuori di sé, arrivando addirittura a promettere il licenziamento delle serve negligenti, quando in realtà non ne avevano neppure colpa, poiché nessuno le aveva avvertite del loro imminente arrivo.

Per Teresa bastava solo gestire le situazioni con un pizzico di calma, ma suo marito non era della sua stessa idea, e ad ogni minimo problema sbraitava e tendeva ad arrabbiarsi. Pareva che tutto gli fosse dovuto, e che il sole sorgesse solo per lui al mattino. Si comportava davvero come un bambino viziato.

Mentre Alfonso continuava a parlare con foga, la contessina non poté far altro che sospirare con fare stanco e godersi il bel paesaggio dei dolci colli laziali. Lì al sud la stagione invernale era decisamente più mite, e la neve l’avevano lasciata indietro già da parecchi giorni, anche se faceva ugualmente freddo.

Il vetro della carrozza si appannò lievemente, e subito Teresa mosse una mano per togliere quell’alone e per tornare ancora una volta ad osservare il mondo esterno ed immaginare una vita senza quella creatura petulante di suo marito.

Ma, all’improvviso, qualcosa distrusse quel suo breve momento di calma interiore. Con una potente manata, Alfonso spinse le tendine di fronte agli occhi di sua moglie, impedendole così di guardar fuori dalla carrozza.

‘’Moglie mia, mi ascoltate o no?! Almeno degnatevi di ascoltarmi quando parlo, e guardatemi in faccia senza guardare fuori! Questa è solo educazione, che come vedo sembra che non ve l’abbia ha insegnata nessuno. Male, starà a me insegnarvela’’, sbottò il giovane conte, irato. Da quando si erano messi in viaggio, suo marito aveva iniziato a darle del voi, giustamente, rispettando in questo modo il suo rango e la condizione, però a volte quand’era irritato tornava a parlarle come se fosse una bambina o addirittura a rimproverarla duramente, proprio come quella volta.

Teresa fece per muovere la mano verso la tendina per scostarla nuovamente, ma poi ci ripensò, d’altronde se l’avesse fatto poi Alfonso si sarebbe innervosito ancora di più. Quindi, si limitò a non rispondere e a guardare fisso verso terra.

Se c’era una cosa che aveva imparato in quei giorni, era che con suo marito non si discuteva; in un modo o nell’altro, voleva sempre aver ragione lui. Quindi, replicare ad una sua affermazione, anche la più inopportuna, avrebbe significato solo inimicarselo ancora di più, e visto che lei avrebbe dovuto dividerci la vita con quell’insopportabile uomo, alla fine aveva capito che non doveva parlare.

La ragazza riconobbe che aveva ragione Lina. Da quando era tornata a vivere la sua solita vita, era tornata ad essere la contessina spaurita di sempre, la giovane silenziosa di cui tutti potevano farne ciò che più aggradava loro.

‘’Chiedo scusa’’, disse infine rivolta al marito, con toni umili e concilianti. Ma questo non parve placarlo, anzi.

‘’Non dovete scusarvi con me. Non è colpa vostra se nessuno vi ha insegnato un po’ di galateo e un modo di parlare nobile; sembrate una contadina. Le ho viste le vostre mani, sapete? Sono arrossate come la serva che tutte le mattine va a prendere i secchi dell’acqua al pozzo della mia abitazione a Ravenna. In tutta sincerità, sono sempre più preoccupato per come farò a mostrarvi a Roma, dove i conti girano a braccetto con dame bellissime e curate, e a me toccherà andare in giro con una ragazza che sembra una sguattera’’, disse suo marito, continuando ad infierire e non accennando neppure a provare un minimo sentimento.

Teresa fu quasi in procinto di dirgli di lasciarla andare, di abbandonarla lì, in quel luogo a caso, così non avrebbe più dovuto sopportare la sua presenza.

‘’Migliorerò, col tempo’’, disse infine la ragazza, mordendosi il labbro inferiore e tenendo a freno la lingua e i sentimenti. Non aveva voglia di sentire un’altra sfuriata di quel giovane borioso.

‘’Lo spero vivamente. Anche perché i nobili che frequento io non sono quelli che frequentava vostro padre, sapete? Dimenticatevi di quella feccia. Io incontro solo nobili che godono di  immense ricchezze, e che sono abituati a trattare anche con re e regine. Nobiluomini e dame che provengono dagli ambienti più abbienti di Francia e di Spagna, anche alcune d’Inghilterra. E di certo voi, cara moglie, non potete competere con loro. Dovremo lavorarci su. Il vostro comportamento è grezzo, va modellato’’, continuò a dire Alfonso, imperterrito, quasi come se stesse svolgendo un’analisi approfondita di sua moglie, che per l’ennesima volta si sentì costretta a non replicare. Fece solo un breve cenno affermativo con la testa, per poi cercare di nuovo di guardare al di là del vetro, ma le tendine tirate glielo impedirono.

‘’Vedete come vi comportate? Siete sfuggevole, selvatica. Non sapete intrattenere alcun tipo di conversazione, e vi importa solo di voi stessa. Non mi sarei mai creduto che foste così! Quando eravate con vostro padre, ed ebbi modo di incontrarvi le prime volte, lui mi assicurava che era solo timidezza. Ora mi sembra che si tratti di un vizio maleducato e pessimo’’, aggiunse Alfonso, sempre più irritato.

Teresa sospirò, pregando che si stancasse in fretta di bistrattarla in quel modo.

Tutto ad un tratto, la carrozza prese a rallentare gradualmente, fin quasi a fermarsi, e subito Alfonso si mise all’erta, dimenticandosi di sua moglie. Con rapidi gesti, scostò le tendine che esso stesso aveva tirato davanti ai vetri e si mise a guardare fuori con ansia crescente.

Teresa sapeva che il giovane conte aveva paura di finire vittima di un qualche attacco di banditi o briganti, anche se in realtà la zona a rischio l’avevano superata ormai da giorni. Quelle che stavano attraversando erano zone tranquille, dove la gente si accontentava di poco e dove la malavita era decisamente ridotta.

Eppure, suo marito temeva lo stesso un qualche assalto. La contessina si mise ad immaginare che il suo Giovanni fosse lì, di fronte a quella maledetta carrozza insieme col suo gruppo, pronto a riprenderla con lui, ma purtroppo sapeva che non era così.

Eppure, lei sentiva sempre vicino a sé la figura calma e controllata del brigante, e ancora, durante la notte, poteva sentire il lieve contatto delle sue labbra sulla pelle della sua fronte, e se si impegnava un po’, riusciva a ricordare alla perfezione il suo lieve odore di campagna, quell’odore di selvatico che a lei piaceva tanto.

Era riuscita a portarsi dietro, di nascosto da tutti, l’abito che le aveva rattoppato Lina e il sacchetto delle erbe essiccate, entrambi pezzi importanti poiché erano stati toccati dall’unico uomo della sua vita e dall’unica amica che lei avesse mai avuto.

Quello era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto avvicinare al suo naso quel sacchetto, in modo da poter sentire ancora una volta il profumo di quei luoghi dove aveva vissuto il mese più bello e significativo della sua vita, eppure non poteva. Se solo Alfonso l’avesse scoperta a fare una cosa simile, si sarebbe sicuramente infuriato.

Intanto, la carrozza si fermò definitivamente.

‘’Che fai, cocchiere? Perché ti fermi? Ho fretta di arrivare alla mia dimora!’’, disse a voce alta Alfonso, per l’ennesima volta, rivolgendosi al cocchiere senza scendere. Al comando della carrozza c’era lo stesso uomo che era passato a prendere Teresa la sera stessa della partenza, e che in seguito aveva scoperto che si trattava del cocchiere personale di suo marito.

‘’Siamo quasi arrivati, signore. Manca poco, visto che avete detto di volervi recare nella vostra villa di campagna, e ne approfitto per dare un attimo di respiro ai cavalli’’, rispose il cocchiere, con toni calmi e sicuri.

‘’Non devi approfittarne di nulla, ai cavalli serve della frusta, non dell’aria. E se non la sai usare, dovrò trovare al più presto un tuo sostituto, mi sa. Quindi muoviti, voglio riposare sul mio soffice letto, finalmente’’, tornò a dire Alfonso, chiudendo la discussione a distanza.

Infatti, dopo poco  i cavalli ripartirono, anche se in modo molto lento e stanco. Il cocchiere faticò non poco a gestirli, e più volte bisbigliò parole che a Teresa parvero imprecazioni, ma che fortunatamente non giunsero alle orecchie di suo marito, visto che era troppo soddisfatto dell’effetto delle sue parole.

‘’A voi piace la campagna, vero Teresa? È per questo che ho deciso che soggiorneremo per le prime settimane proprio poco distante da qui, in una zona tranquillissima e immersa nel verde’’, tornò a dire Alfonso, questa volta rivolgendosi alla moglie e parlando a voce bassa e moderata.

‘’Sì, certo’’, disse la ragazza, annuendo.

Subito dopo, finalmente, Alfonso si zittì e smise di parlare, lasciando campo libero ai pensieri di Teresa. La ragazza, inizialmente felice di aver sentito che il viaggio sarebbe presto finito, fu poi presa dal panico.

Se il viaggio era finito, e se ben presto sarebbero stati nella loro dimora, questo avrebbe significato che suo marito l’avrebbe richiamata ai suoi doveri coniugali.

La contessina sapeva in linea di massima in cosa consistevano queste cose, glielo aveva spiegato Lina tempo addietro, ma lei non si sarebbe mai concessa ad un uomo viscido come Alfonso. Fino a quel momento, loro due si erano limitati a dividere il letto, ma lui non le aveva mai chiesto nulla, anche a causa della sua continua fretta e dell’agitazione che ormai lo stavano dominando da giorni. Si era limitato a sbraitare continuamente e a dare tutto il peggio di sé, senza minimamente importarsi di lei. Però, una volta raggiunta la tranquillità, di certo le avrebbe chiesto qualcosa. E lei non voleva.

Sapeva che, ora che era sposata, aveva degli obblighi ben precisi da rispettare per diventare una brava moglie, ma quel passo in più che era stata disposta in passato a fare con Giovanni non era disposta a farlo con Alfonso.

Quel ragazzo, suo marito, non le piaceva, anzi lo odiava con tutta sé stessa. L’unica consolazione che aveva rimasto nella sua giovane vita era quella di pensare costantemente al brigante, quell’uomo che l’aveva amata sul serio ma che aveva avuto la sfortuna di morire.

Molto probabilmente, non avrebbe neppure avuto una tomba, e questo pensiero la indispettiva parecchio, perché quell’uomo meritava molto rispetto, nonostante il fatto che per il mondo fosse solo un fuorilegge come un altro.

Le piaceva pensare che lui fosse lì con lei, quasi come se le tenesse la mano dall’aldilà, sempre pronto a proteggerla e ad intervenire se le cose si fossero messe male.

Sapeva che quella era solo un’illusione e che Giovanni ormai era morto già da oltre due settimane, ma lei non si arrendeva e pregava continuamente di rivederlo, di avere il piacere di rincontrarlo un’altra volta, anche nell’altro mondo.

Senza di lui, lei non era nulla, era solo una ragazza sperduta e spaesata, che tutti, compreso il suo novello marito, bistrattavano senza alcuna pietà. Il brigante l’aveva resa una ragazza consapevole delle sue capacità, che però lei aveva perso non appena aveva saputo della sua prematura morte. Senza più Giovanni, non aveva neppure la pena lottare contro il destino avverso. Nulla aveva più senso, senza il suo grande amore.

Per un po’, la carrozza proseguì la sua lenta corsa senza accennare a fermarsi, e i pensieri di Teresa poterono viaggiare indisturbati verso i ricordi della sua infanzia e dell’uomo che aveva amato più d’ogni altro, il tutto favorito dall’incredibile silenzio di Alfonso, che a sua volta rimase assorto nei suoi pensieri. Ma la pace non era destinata a durare a lungo.

Infatti, non molto tempo dopo la carrozza si accinse ad entrare in un vasto giardino recintato. La contessina guardò fuori dal vetro, approfittando del fatto che suo marito aveva di nuovo scostato le tendine, e poté vedere il magnifico ingresso del giardino.

Infatti, la carrozza varcò un grande portone di ferro battuto, adornato con due magnifiche aquile di bronzo, che incutevano un reverenziale timore a chiunque entrasse in quel luogo.

I cavalli rallentarono ancora di più la loro lenta corsa, e proseguirono seguendo un tracciato che doveva portare alla villa di Alfonso.

‘’Siamo quasi arrivati, preparati a scendere’’, la avvertì suo marito, che nel frattempo si stava accingendo a sistemarsi bene i vestiti.

Teresa lo guardò fisso mentre lui si sistemava al meglio il cravattino, che si era spostato durante le lunghe ore di viaggio, per poi agguantare il suo inseparabile ed unico bastone da passeggio. Aveva davvero un aspetto nobile, e la giovane dovette riconoscere che nel modo di vestirsi suo marito era uno degli uomini più attenti che lei avesse mai conosciuto.

Dopo poco, come c’era da attendersi, la carrozza si fermò definitivamente, e il cocchiere, rapido ed operativo come sempre, si affrettò ad aprire lo sportello.

Alfonso scese per primo, lasciando il bastone da passeggio al servo ed allungando una mano verso Teresa, che scese anch’essa con grande attenzione e afferrando con delicatezza l’arto che le porgeva il marito, ben sapendo che un gesto troppo brusco poteva diventare poi oggetto di un’altra lunga ed estenuante discussione.

Appena fu scesa, la ragazza rimase stupefatta da ciò che vide. Infatti, si trovò di fronte ad una delle più belle ville che lei avesse mai visto, e quella che aveva davanti a sé era addirittura meglio di quella di Ravenna, dove avevano festeggiato il loro matrimonio.

La villa in questione, vista da fuori, pareva immensa, e doveva avere tantissime stanze. L’ingresso era magnifico, e come in quasi tutte le abitazioni signorili di campagna, aveva una porta ampia e in legno pregiato, mentre una scalinata in pietra circondata da alcune statue quasi a grandezza d’uomo la costeggiavano fino all’ingresso, come se quelle sculture stessero a vigilare su chi entrava nell’abitazione.

Attorno a lei, c’erano solo grandi alberi secolari, che con i loro rami spogli sembrava stessero per toccare quel lieve sole invernale.

Un grande cipresso proiettava la sua ombra fin alle prime finestre della villa, mentre il giardino era molto ampio e spazioso, e soprattutto ricco di verde.

Notò che il selciato che conduceva alla villa, quello che poco prima aveva percorso la carrozza, era circondato da una siepe di rose, che in quel periodo dell’anno erano potate molto vicino a terra ed erano totalmente spoglie. La giovane pensò che tutti quegli alberi e quei fiori avrebbero di certo reso splendido quel luogo, durante la stagione estiva.

Il suo sguardo a quel punto corse oltre al giardino, in parte recintato, e notò che la vista era stupenda. Attorno a lei, le dolci colline laziali creavano un panorama molto suggestivo, ma mai più bello di quello che si vedeva dal luogo segreto di Giovanni. Quel ricordo la fece rabbuiare, ma fu solo per un secondo, poiché un chiacchiericcio costante e un qualche risata attirarono la sua attenzione.

Poco dietro di lei e separate dal palazzo da un’alta siepe di cipressi ben potati, le due grandi abitazioni che ospitavano perennemente la servitù erano piene di vita, e di tanto in tanto qualche bambino faceva capolino da dietro ad un qualche tronco d’albero, subito richiamato indietro e sgridato dalle voci perentorie dei genitori, già in fermento per l’arrivo del conte e della sua consorte.

‘’Ho capito che tutto questo vi piace. Ci ho messo un po’ per organizzare tutto alla perfezione, ma vedo che il risultato è di vostro gradimento, e ciò ripaga appieno i miei sforzi’’, disse Alfonso, che fino a quel momento l’aveva lasciata lì, immobile ad esplorare quel luogo nuovo per lei.

Teresa annuì con convinzione, e si lasciò sfuggire un sorriso, il primo da tanti giorni. Suo marito, colpito da quella lieve dimostrazione di gioia, la prese sottobraccio e fece per accompagnarla in casa, ma quando si trovò di fronte alla scalinata, a sorpresa si chinò e con forza la prese in braccio, sollevandola da terra e tenendola stretta a lui.

Teresa, sorpresa e spaventata, quasi si mise a sgambettare, ma suo marito le sorrise e la rassicurò.

‘’Vostro padre mi ha detto che è usanza romagnola prendere in braccio la sposa e condurla nella casa dove si consumerà il matrimonio, che sarà poi la casa coniugale. E sapendo che ciò è una tradizione della vostra famiglia, ho deciso di riproporvela, sperando che ciò avveri il mio desiderio di vivere una lunga e gioiosa vita insieme a voi, piena di soddisfazioni e di figli’’, le sussurrò suo marito alle orecchie, sorridendole amabilmente.

Teresa rimase tesa, e, lungo la scalinata, le braccia del giovane conte, poco avvezze agli sforzi fisici, a tratti rischiarono di cedere e di lasciarla cadere, ma ciò non accadde. Dietro di loro, parecchi servi si misero ad osservare la scena, incuriositi, mentre Alfonso arrancava verso la porta aperta della villa.

Ma quella sarebbe dovuta essere una passeggiata per lui, ed invece fu una fatica immensa. Il giovane conte aveva senz’altro esagerato, e quando giunse all’interno dell’abitazione e tornò a posarla dolcemente a terra, era decisamente affaticato e arrossato in volto, per poi ribattere la porta dietro di sé, allontanandosi dagli sguardi indiscreti dei servi, che battevano le mani per la dimostrazione di forza del loro padrone.

Alfonso prese un attimo di respiro, poi, sempre a sorpresa, prese il volto di Teresa tra le sue mani e la baciò con dolcezza. La ragazza lo lasciò fare con disgusto, e quando le labbra del marito incontrarono le sue, inorridì. Con la mano destra fece una lieve pressione sul suo petto, come a volerlo allontanare. Lui prontamente comprese il suo rifiuto, e si scostò da lei.

‘’Perché fate così? Vi amo, ve lo giuro. Scusate se a volte sono pesante, ma non posso farci nulla, è il mio carattere. Lasciatevi baciare, almeno’’, disse il giovane conte, afferrandole la mano e approfittando di quel momento in cui non li stava osservando nessuno ed erano soli.

Teresa si ritrasse, non sapendo cosa rispondere. Gli voleva dire che non lo amava, che non lo sopportava e che era stata costretta a sposarlo, ma non lo fece. Si limitò a fissare un grande quadro fissato alla parete del corridoio in cui si trovavano, e non disse nulla, tornando chiusa in quel mutismo che le ormai le era tanto familiare.

Sapeva che per Alfonso doveva aver costato molto pronunciare il suo amore per lei e criticarsi, ma era pur sempre un uomo che a lei non piaceva affatto. Suo marito, intanto, sospirò e lasciò andare la sua mano con arrendevolezza.

‘’Buon pomeriggio, signor conte e signora contessa! La villa è totalmente pronta, così come la servitù lo è per soddisfarvi in ogni vostra richiesta’’, disse tutto ad un tratto una voce femminile squillante e matura, togliendo Teresa da quella situazione che stava rischiando di diventare parecchio scomoda.

Alfonso tornò ad essere quello di sempre e ne approfittò subito per fare una caterva di domande a quella che doveva essere la governante dell’abitazione. Si trattava di un donnone altro e robusto, di certo non attraente, e la contessina riconobbe che non doveva avere meno di una cinquantina d’anni. Il volto rotondeggiante e grassoccio era contornato da una folta chioma di capelli striati di bianco, ed aveva un’espressione sfrontata e sicura.

‘’Mia cara moglie, questa è Carla, la governante di questo palazzo. E’ lei qui che dirige i servi, e che controlla che ogni loro mansione venga svolta alla perfezione. Per ogni vostro bisogno, potrete fare completo affidamento su di lei’’, disse Alfonso, rivolgendosi alla sua sposa, che, per l’ennesima volta si limitò ad annuire e a mostrare un breve sorriso.

‘’Molto bene. Ora andrò a controllare la corrispondenza, che dovrebbe essermi stata recapitata qui e che sarà sicuramente parecchia. Voi, intanto, potrete visitare l’abitazione’’, tornò a dire Alfonso, abbandonandola in fretta e furia sull’ingresso per poi catapultarsi in uno studiolo poco distante.

Teresa si fermò un attimo a fissare suo marito dalla porta, ma il giovane conte era già totalmente assorto dalla lettura di una lettera che aveva appena aperto. Carla, intanto, la fissava.

‘’Signora, io supervisionerò i servi che stanno scaricando i bagagli, in modo che non succedano imprevisti. Potrà comodamente visitare la casa con Anna, la fidatissima cuoca’’, disse la petulante governante, chiamando poi quella fantomatica Anna.

Teresa rimase ancora in silenzio, e fece solo un breve cenno d’assenso col capo. Poi, rimase colpita dalla donna che le si presentò davanti. Anna prontamente sbucò da una stanza laterale, remissiva e con ancora indosso il lungo grembiule che si metteva per svolgere la sua mansione, mentre Carla sgusciò via, congedandosi frettolosamente.

La contessina non badò a quell’atto maleducato, ma si incentrò sulla figura femminile che aveva davanti a sé, che nel frattempo stava sfoggiando un sorriso gioviale e sincero, uno di quei sorrisi che Teresa non vedeva da un bel po’.

E non poté non notare la somiglianza tra lei Lina; quella donna pareva una sua copia.

Non doveva avere neppure trent’anni eppure il suo volto appariva vissuto, ed aveva dei lunghi capelli castani lisci, molto simili a quelli dell’amica. L’unica differenza degna di nota tra le due donne era il colore degli occhi; quelli di Anna erano verdi come smeraldi.

‘’Signora, se vuole, può seguirmi’’, disse la serva con gentilezza, fissandola.

‘’Certo. Mostrami ogni stanza, così almeno avrò modo di orientarmi un po’ in questa immensa abitazione’’, disse Teresa, con un tono di voce da funerale.

La serva dovette intuire il suo disagio, e le fece un sorriso incoraggiante. Poi, prese a mostrarle tutte le varie stanze con attenzione e dovizia di particolari.

La contessina se ne stette in silenzio, ma almeno visse quei momenti con calma e tranquillità, poiché quella donna si assomigliava così tanto a Lina che le dava un senso di familiarità e di sicurezza.

In un solo istante, ebbe la certezza che quella donna sarebbe stata la sua salvezza, e prese rispondere ai suoi sorrisi con altri sorrisi altrettanto educati e disinvolti.

L’unica cosa che la preoccupava in quel momento era il fatto che Alfonso aveva fatto tanta fatica a portarla fino all’interno di quel palazzo signorile. Lei era pure magra, e pesava davvero poco. E stando ai detti popolari, se il marito faceva eccessiva fatica a compiere quel gesto rituale, avrebbe significato che il matrimonio sarebbe stato duro e difficile da sopportare, così come lo era stato il primo sforzo coniugale.

Teresa s’incupì per un attimo, poi represse quei brutti pensieri e tornò a concentrarsi sulla nuova abitazione, seguendo la sua gentile guida.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo! J

Dopo un lungo viaggio, Teresa è giunta a destinazione. Presto scopriremo come si evolverà il suo rapporto con Alfonso.

Bene, spero che il tutto continui ad intrattenervi.

Grazie a tutti, e soprattutto grazie a quei pochi coraggiosi che continuano a lasciare un loro parere ad ogni capitolo e a sostenermi J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32

CAPITOLO 32

 

 

 

Si fece rapidamente sera, e Teresa non aveva più avuto modo di vedere suo marito.

Pareva che Alfonso fosse stato inghiottito dalle scartoffie che doveva leggere. Infatti, il giovane conte non aveva più messo piede fuori dal suo studiolo, dove si era fatto pervenire solo una leggera cena.

Teresa, invece, aveva regolarmente cenato nella grande stanza dove, da quel momento in poi, lei e suo marito avrebbero consumato i loro pasti. Sempre che lui non fosse troppo impegnato come in quel primo giorno.

La grande e sfarzosa villa, che ormai lei considerava a tutti gli effetti un palazzo, era vastissima e piena di stanze grandi e spaziose. Di certo, la stanza in cui lei aveva consumato il suo pasto era da considerarsi quasi un salone, dal tanto che era ampia e spaziosa.

Anna si era rivelata un’ottima serva, remissiva e gentile, mentre la governante sembrava fosse più acida e corrosiva dell’aceto. Quel donnone era sempre dietro a sbuffare e dare ordini, mentre l’intera servitù si dava da fare sotto il suo attento e superbo sguardo.

Teresa ebbe come l’impressione che la stesse tenendo d’occhio, poiché ovunque andasse, quell’invadente figura compariva dietro di lei, borbottando qualcosa. Questo aveva irritato parecchio la contessina, che non era di certo abituata a farsi fare da balia dalle serve.

A casa del conte suo padre non c’erano mai stati troppi servi, bastava solo che fossero volenterosi e che lavorassero con una buona lena. Lì invece pareva che si facesse di tutto pur di dimostrare l’opulenza della famiglia, persino utilizzando un numero di servi talmente tanto eccessivo che a momenti si correva il rischio di farsi pestare i piedi.

Pensierosa, Teresa si alzò dal grande tavolo dove aveva cenato tutta sola, lasciando la maggior parte delle porzioni che le erano state servite nel piatto.

‘’Signora, il cibo non era di vostro gradimento?’’, chiese con estrema cortesia Anna, l’unica delle serve che pareva fosse davvero sempre intenzionata a dare il meglio di sé.

Da poco, Teresa aveva scoperto che era la moglie di Giuseppe, il cocchiere di Alfonso, nonché colui al quale era quasi caduta addosso la sera del suo matrimonio e che aveva poi condotto la carrozza da Ravenna fino a quel palazzo.

‘’No Anna, il cibo era ottimo. Il problema è tutto mio. Non ho fame e non riesco a mandar giù nulla’’, ammise la ragazza, sorridendo debolmente.

‘’E’ la prima sera che trascorrete qui, vedrete che prima o poi vi ambienterete al meglio’’, disse saggiamente la donna, che iniziò ad aiutare altre due serve a sparecchiare, mentre Teresa si allontanava.

‘’Lo spero. Anna, mi accompagneresti alla camera da letto? Sono molto stanca, e i lunghi giorni di viaggio mi hanno sfinito’’, chiese la ragazza, passandosi una mano tra i capelli con fare stressato.

‘’Certo, signora’’, rispose Anna, sorridente come sempre e facendole strada per gli ampi corridoi di quel palazzo.

‘’Grazie. Avevo proprio paura di perdermi, sai, sono appena arrivata qui e tutto mi sembra eccessivamente ampio’’, affermò Teresa dopo poco, mentre percorreva senza fretta la larga scala che portava al piano superiore dell’abitazione. Anna parve scossa da quel ringraziamento.

‘’Non dovete ringraziarmi, signora. Il mio compito è quello di servirvi prima di tutto in cucina, ma anche eseguire ogni altro vostro ordine’’, disse la serva, guardando per un attimo la contessina in faccia. Teresa non poté far altro che sentirsi rassicurata da quello sguardo che le ricordava tantissimo quello di Lina.

‘’Senti, Anna, ti vorrei dare un altro ordine, approfittando della tua completa disponibilità’’, disse dopo poco la ragazza, fermandosi per un attimo. La serva si fermò anch’essa, e la guardò con fare confuso.

‘’Ehi, stai calma, non ti chiederò nulla di che. Per favore, quando siamo sole, potresti smetterla di chiamarmi signora? Mi fa sentire eccessivamente vecchia. Ho appena vent’anni’’, aggiunse la contessina, lasciandosi sfuggire un sorriso impacciato.

‘’Oh, no, non posso farlo, anche perché non saprei chiamarvi in altro modo, e se il conte vostro marito dovesse sentirmi mi caccerebbe subito’’, disse la serva, facendosi tutto d’un tratto implorante.

Teresa si rabbuiò; non le andava affatto bene che suo marito si rendesse odioso pure agli occhi della servitù con le sue fisse da nobiluomo paranoico. Il mondo e le mode ultimamente stavano cambiando di molto, ma il conte continuava ad essere rigido e inflessibile come pochi. Comunque, la contessina non poteva mettere a rischio il lavoro della fedele serva solo per un suo stupido capriccio.

 ‘’E d’altronde, dovete pure ricordare che ora siete sposata. Non posso più chiamarvi signorina’’, puntualizzò la metodica serva, riprendendo a camminare. La contessina riconobbe che la donna aveva ragione.

‘’Sì lo so… purtroppo sono sposata’’, disse la giovane, lasciando andare quella breve affermazione, alquanto pericolosa. Anna la udì distintamente, ma fece finta di non aver sentito.

In ogni caso, Teresa notò che il suo volto era teso, e molto probabilmente doveva aver paura di subire ripicche da parte di Alfonso. Decise quindi di non costringerla ad ascoltare discorsi sconvenienti proprio quel giorno, che era il primo che aveva trascorso in quel luogo.

Poco dopo, la serva la fece entrare nella grande camera da letto matrimoniale, per poi congedarsi con un augurio di trascorrere una buona nottata e con un abbozzo di sorriso sulle labbra.

Teresa neppure la ascoltò più, tant’era presa da quel luogo, ma non appena quella figura che le sembrava tanto familiare si allontanò, si pentì subito di non averla trattenuta un po’ con lei. Quell’immensa stanza la inquietava; era illuminata dall’ultimo bagliore del sole calante, e la mobilia riluceva in un modo atipico.

C’era un qualcosa di surreale in quell’ambiente troppo ampio e spazioso. Il crepitio di un caminetto posto in un angolo della camera la attirò, ma per poco. Subito, tornò a concentrarsi su quel grande letto dall’apparenza soffice, che avrebbe dovuto condividere per il resto dei suoi giorni con un uomo che non amava.

Presa da un’incredibile nostalgia, gli si distese sopra. Le lacrime iniziarono a rigarle il volto, e per la prima volta in vita sua si sentì totalmente sola. Nessuno era a suo fianco, neppure suo padre. In quel palazzo, c’erano solo perfetti sconosciuti e un uomo che attendeva solo di farla sua.

La nostalgia si tramutò in angoscia, e la giovane prese nuovamente a tormentarsi i capelli. Era stanca e non desiderava altro che provare a dormire, nella speranza di ritrovare Giovanni in quel luogo immaginario, ma non sapeva che fare.

Si sarebbe dovuta togliersi di dosso gli abiti per restare in sottoveste, ma questo la inquietava parecchio, poiché sapeva che il suo corpo sarebbe rimasto piuttosto scoperto, e questo avrebbe sicuramente attirato l’attenzione di suo marito.

Spaesata, alla fine decise di levarsi di dosso gli abiti che aveva indossato quel giorno, mettendosi addosso la veste da camera che la copriva di più. Poi, con circospezione si mise sotto le pesanti coperte, e, nonostante non fosse poi così freddo nella stanza, se le rimboccò al meglio, quasi volesse nascondersi dagli occhi indiscreti del suo sposo.

Una volta ricoperta, finalmente si sentì momentaneamente protetta e, avvolta dall’abbraccio caldo delle coperte e stimolata dalla morbidezza del materasso, cadde in un sonno profondo. Quella volta il suo desiderio fu esaurito, e nei suoi sogni poté trascorrere un po’ di tempo in compagnia del suo amato brigante, che ormai non apparteneva più a quel mondo.

 

 

Baci e carezze.

Teresa sorrise dolcemente nel sonno, pensando che fosse il brigante a fare tutto ciò. Eppure, ben presto si ritrovò costretta ad aprire gli occhi, mentre una mano invadente stava lentamente scivolando sul suo ventre.

Con uno scatto repentino, la ragazza spostò quell’arto che la stava accarezzando in un modo volgare e si risvegliò tutto d’un colpo.

La stanza era completamente buia, ma poteva chiaramente sentire il rumore di un respiro regolare vicino al suo orecchio destro. E subito capì che quell’arto che stava aderendo al suo fianco era quello di suo marito.

Alfonso, imperterrito, non si lasciò scoraggiare, e tornò nuovamente all’attacco, tirandosi lievemente su e baciandola sulle labbra, mentre la contessina cercava di allontanarsi da lui. Doveva essersi addormentata, e suo marito doveva essere entrato da poco sotto le coperte, ma tutto quello che stava accadendo la stava disgustando parecchio.

‘’E smettetela di agitarvi, cosa credete di fare?’’, disse tutto ad un tratto Alfonso, con toni bruschi che ferirono ancora di più sua moglie, che non rispose. Teresa si morse le labbra, e lasciò che la mano del suo sposo tornasse a sfiorarle il ventre.

La ragazza voleva almeno cercare di vedere attorno a lei, ma l’oscurità non le permetteva alcunché.

‘’Ehi, siamo marito e moglie ora. Non dovete temermi, anzi, non preoccupatevi di nulla, farò tutto io. Poi, magari imparerete e a suo tempo saprete anche ricambiarmi’’, disse suo marito con toni più gentili, quasi avesse riconosciuto di essere partito in modo sbagliato.

Poi, con maggior ardore, tornò a far aderire il corpo al suo. Le sue mani corsero al volto della moglie, che poté sentirselo sfiorare con delicatezza, per poi ricevere un altro bacio sulle labbra, questa volta più intenso del precedente. Infatti, sembrò non avesse mai fine e che Alfonso fosse in preda ad una furiosa eccitazione.

Sembrava che la lingua del suo sposo cercasse di farsi spazio tra le sue labbra, che lei prontamente serrò, cosa che fece stizzire suo marito, che prese a respirare con più affanno.

La contessina sentiva il suo respiro e il suo sapore, ed era veramente orrendo. Ben sapeva che Giovanni, il suo unico amore, non si era mai comportato così con lei, ma sapeva anche che purtroppo ora era sposata, ed aveva dei precisi doveri coniugali.

Da brava moglie quindi decise di piegarsi al volere del marito, e lo lasciò fare. Fu tutto così disgustoso che per Teresa quel momento divenne un trauma da dimenticare.

Quando Alfonso le sfilò con delicatezza la veste da camera che indossava, non senza qualche richiesta d’aiuto, la giovane pregò che il buio della stanza potesse almeno nascondere la sua nudità, ma non fu così.

Infatti, dove non arrivavano gli occhi arrivavano le mani. Tutto quel toccare ed esplorare la fecero quasi impazzire, e nonostante le richieste continue di Alfonso, lei neppure pensò per un istante di ricambiare le sue dolci carezze. Proprio non ci riusciva.

Mentre quel rituale sgradevole continuava, capì di non essere pronta ad affrontare quel grande passo, ma non poteva fare altrimenti, ormai suo marito lo richiedeva. E d’altronde, aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, e con grande convinzione ripeté a sé stessa di non opporsi a nulla e di assecondarlo, continuando a ricordare i suoi doveri da moglie.

E ciò che seguì tutte quelle calde attenzioni, che Lina tempo addietro aveva definito come fare l’amore, fu tremendo. Mai Teresa si era creduta che un rapporto di coppia fosse così complicato, e di quel brutale momento le rimase impresso solo il dolore fisico che aveva provato. Solo un grande dolore, e nient’altro.

 

 

Fortunatamente, dopo un periodo di tempo lunghissimo che alla contessina era parso un’eternità, tutto si concluse.

Alfonso, ansante, si distese a suo fianco, smettendo di dedicarle attenzione, come se si fosse trattato solo di un divertimento momentaneo.

‘’Teresa, mia cara, sembrate di pietra. Assecondate i vostri sensi e lasciatevi andare’’, le disse suo marito, lievemente irato.

‘’Mi… mi facevate male’’, si lasciò sfuggire la giovane, sul punto di piangere.

Alfonso si accorse dal suo tono di voce che qualcosa tra loro non stava funzionando, e, con uno slancio, accese una candela che teneva sempre di fianco al letto, più per comodità personale che altro.

La giovane ebbe così modo di vedere in modo nitido suo marito, che tornò subito a distendersi nudo di fianco a lei, costringendola a distogliere subito gli occhi da quel corpo che poco prima l’aveva posseduta.

‘’Ehi, che c’è? Siamo marito e moglie ora, potete vedermi anche svestito, anzi, dovete. Non c’è nulla di male in quello che abbiamo fatto, dovete capirlo, e se vogliamo avere figli dovremo rifarlo altre volte. Io voglio solo che comprendiate che vi amo sul serio, nient’altro’’, concluse Alfonso, tornando a prendere il volto della moglie tra le sue mani ed avvicinandolo al suo.

Teresa chiuse gli occhi, e lasciò che lui la baciasse con lentezza. Quel bacio non era neppure paragonabile a quelli che si era scambiata con il brigante, baci pieni d’amore e di desiderio, e pareva solo un’azione forzata.

‘’E rilassatevi un po’, se no non vi godete nulla’’, tornò a dire il giovane conte, per poi tornare a baciarla con ardore.

‘’Ma il mio vero problema è che ho il timore di capire perché non mi ricambiate’’, disse nuovamente Alfonso, non appena smise di baciarla. Teresa si rabbuiò improvvisamente, temendo che il marito potesse tornare ad adirarsi con lei.

‘’Non mi ricambiate perché non mi amate. Non sarete mica innamorata di qualcun altro? Magari volete già tradirmi, oppure avete già avuto altri rapporti in passato’’, chiese ancora il conte suo marito, fissandola con fare indagatore, mentre nel frattempo tornava sotto le calde coperte.

‘’No, per favore non dite certe cose’’, rispose la contessina con ostentata sicurezza. Come al solito, suo marito correva sempre a delle affrettate conclusioni senza pensarci troppo su.

Di certo, lei non lo avrebbe tradito con nessuno. Non era una donna di malaffare, e neppure una poco di buono, ed inoltre l’unico uomo che lei avesse mai amato era morto, e quindi non le restava altro che tenere fede ai suoi giuramenti e cercare di amare suo marito con tutta sé stessa.

‘’E allora perché…’’, tentò di indagare il conte, interrotto poi subito dalla moglie.

‘’Col tempo imparerò ad amarvi, Alfonso’’, disse infatti Teresa tutto d’un fiato, emettendo poi un sospiro.

‘’Lo spero. Lo spero davvero’’, concluse il conte, per poi tornare a spegnere la candela e a distendersi per bene nel letto. Poi, soddisfatto e senza badare più alla moglie, si voltò su un fianco e si addormentò.

Teresa ascoltò il suo respiro diventare regolare, per poi tramutarsi in forti brontolii. Dovette ammettere che suo marito era uno di quegli uomini talmente tanto insopportabili da riuscire anche a rovinare il sonno della propria moglie con il suo stupido russare.

Ben sapeva che se se ci fosse stato il brigante a suo fianco l’avrebbe presa tra le sue braccia, per tenerla al caldo stretta al suo corpo, e in rigoroso silenzio, visto che non russava. Eppure, Alfonso rumoreggiava continuamente e disturbava ogni minuto di quiete quotidiana, riuscendo pure a tramutare le notti in incubi eterni e reali.

Mentre restava così, sola a fissare il buio, la ragazza capì solo in quel momento quello che c’era stato tra lei e il marito, e rifletté sulle parole che aveva pronunciato poco prima. Quello che avevano fatto era esattamente ciò che le aveva raccontato anche Lina poco tempo prima, e quindi quella sequenza di gesti dolorosi aveva una sua precisa finalità, ovvero quella di generare una nuova vita.

Giunta a quella conclusione, Teresa non riuscì più a prendere sonno, terrorizzata al solo pensiero di concepire un figlio. Alfonso era una persona odiosa e mediocre, e lei non avrebbe potuto sopportare di dare la vita a una creatura che anche solo si assomigliasse a colui che la stava tormentando.

Lui era suo marito, e lei avrebbe di certo svolto i suoi doveri coniugali, ma non gli avrebbe mai permesso di violare talmente tanto la sua intimità da imprimerle dentro di sé una nuova vita che, con ogni probabilità, sarebbe stata uguale al padre.

La giovane però, a quel punto, trovò la risposta al suo immenso problema, e con grande attenzione si alzò dal letto e tornò a rimettersi la sua veste da notte. Sapeva che stava agendo come una pazza, ma la sua mente ormai non ragionava più logicamente, forse a causa dell’eccessiva ansia che aveva dovuto sopportare durante l’ultimo periodo.

A tentoni, prese a muoversi verso il grande armadio dove aveva fatto riporre ordinatamente i suoi panni, e fortunatamente riuscì ad aprirne le ante senza alcun cigolio.

Soddisfatta, iniziò a cercare i cassetti, e con una lieve pressione, riuscì ad aprire quello superiore. A quel punto, mosse con attenzione il primo stato di biancheria, fino a giungere ad un panno grezzo e ruvido, e, lentamente, lo scostò e afferrò il sacchetto di erbe essiccate che le aveva donato Lina. Con grande lentezza, e con il cuore che le batteva forte nel petto, richiuse il cassetto e appoggiò le ante, senza richiuderle, ma in modo che ad un occhio assonnato apparissero sigillate.

Sperando di non aver sbagliato nulla, prese a muoversi verso la porta della stanza, sempre cercando di non far rumore e di attingere dalla sua memoria i ricordi della sera precedente, in modo da orientarsi. Dopo parecchi passi a vuoto, finalmente riuscì a trovare la maniglia della porta, ma prima di aprirla si fermò ed attese di sentire il russare regolare del marito. Alfonso, fortunatamente non si era svegliato, e anzi, continuava a dormire beatamente.

Un lieve sorriso apparve sul volto della contessina che, con una mossa rapida, aprì la porta e sgusciò nel corridoio, fortunatamente sempre illuminato. Sempre con estrema cautela, richiuse la porta e iniziò a muoversi verso la cucina, dove almeno avrebbe potuto trovare qualcosa con cui scaldare un po’ d’acqua, mentre nascose dietro di sé il sacchetto delle erbe, anche se in realtà sapeva che molto probabilmente non doveva essercene bisogno, d’altronde doveva essere tarda notte e la servitù a rigor di logica doveva essere a riposo a quell’ora.

Con un po’ d’ansia, cercò di sfruttare ogni ricordo di quella giornata, e scese al piano inferiore, dove poté orientarsi meglio e giungere facilmente nella cucina. Dopo aver attraversato la grande sala da pranzo a grandi falcate, la giovane si trovò in quell’ambiente adibito solo per le serve, poiché erano sempre e solo loro ad utilizzarlo, ma subito notò che qualcosa non andava.

Infatti, da dietro ad una pila di piatti la contessina poté udire un rumore abbastanza forte, prima che Anna le si parasse davanti.

‘’Signora! Avete bisogno di qualcosa?’’, si affrettò a dire la serva, con una voce che faceva trasparire tutta la stanchezza accumulata durante una lunga giornata di lavoro.

‘’Uhm, no…’’, disse Teresa, sorpresa di aver trovato quella donna ancora al lavoro. Nonostante tutto però, non voleva che la vedesse a prepararsi quell’infuso.

‘’Oh, beh, se posso esservi utile sono qui… non dovete far altro che chiedere’’, tornò a dire la serva, sorridendo debolmente.

Teresa annuì, sperando che la donna se ne andasse, ma invece si mise ad asciugare una pila di piatti. Nel frattempo, afferrò una giubba di suo marito dall’attaccapanni all’angolo del salone e se la mise indosso, imbarazzata dal fatto di dover girare piuttosto svestita per casa sotto gli occhi della servitù.

‘’Anna, ma tu qui lavori anche la notte? Vai a casa, hai una famiglia e devi riposarti’’, tornò a dire Teresa, sedendosi su una sedia poco distante dalla donna.

‘’Non dovreste preoccuparvi per me, sareste voi a dover riposare a fianco del vostro uomo a quest’ora. È notte fonda, signora’’, disse la donna, continuando il suo lavoro.

A Teresa tornò in mente ciò che le aveva fatto suo marito poco prima, e le salì il ribrezzo. Si sentiva sporca, come se Alfonso con quell’atto da lei non desiderato l’avesse resa peggiore, quasi una creatura infame.

Mentre il voltastomaco la faceva star male, decisa che non poteva più aspettare. Doveva provare le erbe di Lina, prima che fosse troppo tardi. Si alzò dalla sedia, e si diresse verso l’angolo della cucina dov’erano sistemati tutti i tegami puliti, e prese un pentolino. Anna smise di asciugare i piatti e la fissò, mentre la giovane appoggiava sul tavolo il sacchetto delle erbe e si versava dell’acqua nel piccolo recipiente.

‘’Non dovete disturbarvi, sul serio, se avete bisogno non dovete fare altro che chiedere’’, tornò a ribadire la serva, che lasciò perdere il suo impiego per avvicinarsi alla contessina, cercando di aiutarla mentre avvicinava un po’ di brace al bordo del grande focolare ormai spento della cucina, e con gesti lenti prese a rattizzarla e a inserirla nell’apposito vano incavato nel camino, per poi appoggiare il pentolino sopra al tutto, in modo che non si bruciasse il fondo.

‘’Anna, non preoccuparti, come vedi so cavarmela. Sul serio, torna a casa e riposa’’, tornò a dire la contessina, che ormai non era più poi tanto scocciata nell’avere vicino a sé quella figura che aveva un’apparenza per lei rassicurante.

‘’Non ho mai visto una contessa prepararsi da sola la brace’’, disse la serva, imbarazzata, mentre guardava la giovane con fare incuriosito e sorpreso. Teresa si lasciò sfuggire un sorriso teso.

‘’Ogni giorno si impara sempre qualcosa… o come in questo caso, ogni notte’’, precisò la giovane, facendo sfuggire una risatina alla serva, che era tornata al lavoro di poco prima. Dopo pochi istanti, l’acqua bolliva già, e Teresa prese un pizzico di quelle erbe essiccate e glielo gettò dentro, mischiando il tutto poi con un cucchiaio.

‘’Non è proprio l’ora di una tisana rilassante, questa’’, fece notare Anna, sempre ben disposta ad intavolare un qualche discorso.

Teresa sorrise tra sé e sé, notando che Lina aveva ragione quando le aveva assicurato che nessuno avrebbe riconosciuto quelle erbe e la loro effettiva funzione, scambiandola per una semplice tisana qualsiasi.

Mentre l’acqua era diventata giallastra, la contessina afferrò il pentolino e rovesciò il suo contenuto dentro una tazzina, per poi bere il tutto in fretta, rischiando pure di ustionarsi il palato. Poi, si preparò a tornarsene a letto, poiché se suo marito si fosse accorto della sua momentanea fuga, di certo le avrebbe chiesto qualche spiegazione.

‘’Anna, ti posso fare una richiesta?’’, chiese la contessina con gentilezza. La donna la guardò e sorrise.

‘’Ma certo, ve l’ho già detto. Qualsiasi cosa’’.

‘’Non dire mai con nessuno quello che è successo questa notte. Se qualcuno dovesse chiedertelo, come ad esempio mio marito, beh digli che mi hai preparato tu stessa una tisana di tua conoscenza’’, disse Teresa, cercando di nascondere una buona dose di emozione, mentre tornava a nascondere il sacchetto delle erbe di Lina.

‘’Va bene’’, rispose la donna con fare ingenuo, sempre tutta sorridente.

Teresa fu felice di aver notato che la serva non aveva compreso in cosa consisteva quel miscuglio di erbe e quella tisana, e che doveva aver pensato che non voleva che suo marito venisse a conoscenza che sapeva anche preparasi qualcosa da sola in cucina. D’altronde, tutti sapevano quanto fosse particolare ed eccentrico Alfonso, e  in fondo si trattava di dire solo una piccola ed innocua bugia.

‘’Ora basta lavorare, devi riposare anche tu. Vai da tuo marito’’, ordinò la contessina, mentre si sfilava la giubba e la rimetteva al suo posto, stando lontana da ogni occhio indiscreto.

‘’No, non posso’’, rispose dalla cucina la donna, con timore reverenziale.

‘’E’ un ordine, Anna. Vai a dormire, qui finisci domattina’’, ribadì Teresa, mentre si avviava verso lo scalone che portava al piano superiore.

‘’Vi ringrazio, signora. Se me lo ordinate, lo farò senz’altro’’, rispose la donna, la cui voce ormai lontana giunse alle orecchie di Teresa, indaffarata a salire le scale e soddisfatta di essere riuscita a convincere la cocciuta serva.

Ben presto la ragazza si ritrovò nuovamente di fronte alla porta della camera da letto, e tornò ad entrare, non prima di aver preso una grossa boccata d’aria. Fortunatamente, suo marito continuava a russare indisturbato, lasciandole campo libero.

Con sicurezza, Teresa rimise il sacchetto delle erbe a posto e richiuse l’armadio, poi, a passi felpati tornò fino al letto, dove si ridistese, tornando a coprirsi bene con le coperte. Solo allora tirò un sospiro di sollievo, e pregò che quelle erbe facessero l’effetto desiderato.

‘’Cosa state combinando?’’.

La voce di Alfonso mandò in frantumi i pensieri della moglie, che neppure si era accorta che aveva smesso da poco di russare, tant’era presa dalla gioia di essere riuscita nel suo intento.

‘’Nulla. Mi ero solo seduta sul bordo del letto, non avevo sonno’’, disse la ragazza, improvvisando.

Suo marito parve crederle, poiché grugnì rumorosamente e si girò nuovamente su un fianco, tornando a dormire e lasciando la contessina di nuovo sola, a pensare al suo misero destino.

 

 

Incredibilmente, nonostante il costante russare di suo marito, Teresa riuscì a chiudere un occhio quella notte. Ma, nonostante ciò, la mattina successiva era piuttosto stanca, e si vestì con poca lena, mentre Alfonso non era neppure più a suo fianco al risveglio.

Pensò che poi non era così male alzarsi e non vederlo, ma quella piccola gioia venne subito a mancare quando pensò a quello che aveva fatto con lui solo poche ore prima. Si sentiva di nuovo sporca, come se fosse stata solo un’ingenua che fosse stata posseduta da qualcosa di malvagio durante una notte di follia.

Prendendo fiato e restando immobile, la ragazza si passò una mano tra i lunghi capelli castani sciolti, cercando invano di reprimere quei pensieri e di nasconderli nelle profondità della sua mente, ma nonostante tutti i suoi sforzi ci riuscì solo in parte, e al solo pensiero che ogni sera avrebbe dovuto consumare quel rituale con l’uomo che aveva sposato la faceva stare in ansia. Ma in fondo, si ripeté che non si sarebbe opposta in alcun modo ad ogni sua richiesta, d’altronde lui era pur sempre suo marito.

Fu in quel momento che la porta della stanza da letto si spalancò, ed Alfonso entrò a grandi falcate. Teresa notò che il suo volto era teso, ma comunque si avvicinò a lei e la baciò sulle labbra.

‘’Come va? Dormito bene questa notte?’’, chiese il giovane conte, fissandola negli occhi.

‘’Meravigliosamente’’, trovò il coraggio di rispondere la contessina, stando però attenta a nascondere quel pizzico di sarcasmo che l’aveva spinta a pronunciare quella lunga parola.

Alfonso annuì grevemente, e poi fece un gesto che sua moglie non capì. Infatti, si avvicinò al letto e scostò le coperte, mentre con i suoi occhi controllava scrupolosamente le lenzuola. Teresa restò immobile, fissando con curiosità quel gesto a dir poco strano.

Dopo poco, suo marito bofonchiò qualcosa in tono compiaciuto, e con un gesto irruento, strappò dal letto il lenzuolo sottostante, di un bianco candido. Poi, lo distese e lo piegò a metà con attenzione, come se volesse mettere in risalto un qualche punto specifico.

In seguito, Teresa rimase ancora più perplessa; infatti, Alfonso spalancò la finestra della loro stanza, e mise in bella mostra il lenzuolo, per poi richiudere i vetri ed avvicinarsi a Teresa, che fu baciata con dolcezza dal marito, che pareva soddisfatto.

‘’Abbiamo un grande futuro di fronte a noi, moglie cara. Avremo una grande famiglia e tante soddisfazioni, e potremmo amarci come nessun altro ha mai fatto finora. Vi amo, amore mio’’, sussurrò il giovane conte, per poi dare le spalle alla moglie e uscire dalla stanza con la stessa fretta con cui era entrato.

Teresa rimase ancora immobile, perplessa, e alla fine si decise a muoversi e andare a vedere quel lenzuolo in bella mostra. Non notò nulla di strano, a parte che nella zona esposta alla vista c’era una vistosa macchia rossa, colore del sangue. La giovane non seppe capacitarsi di ciò, e con una leggera scrollata di spalle fece per dirigersi verso il piano inferiore per fare una piccola colazione, ma fu quasi travolta da Carla, la grossa governante, che entrò nella stanza con parecchie lenzuola pulite e candide.

‘’Buongiorno, signora contessa’’, bofonchiò il donnone, chiamando subito altre due giovani serve a svolgere le mansioni nella stanza.

‘’Carla, tu sai perché mio marito ha messo in bella mostra quel lenzuolo?’’, chiese ingenuamente la giovane, approfittando di un momento opportuno. Carla la guardò sbalordita, come se avesse detto qualcosa di una banalità assurda.

‘’Fatevelo spiegare da lui, io non posso saperlo’’, disse infine, scuotendo la testa con fare deluso.

Teresa se ne andò da quella stanza con stizza, odiando la maleducazione di quella governante, per poi precipitarsi giù, recandosi nella sala da pranzo e sedendosi su una comoda sedia.

Subito, alcune serve più giovani le fecero i complimenti, e lei rispose a loro con gentilezza e ringraziando, senza però capire il motivo di tutto ciò. Solo quando Anna uscì dalla cucina per servirla, trovò il coraggio di chiedere nuovamente qualcosa. In cuor suo sapeva che poteva ricevere risposte da quella donna dall’apparenza sincera.

‘’Anna, servimi tu’’, affermò la contessina, facendo cenno alle altre serve di allontanarsi un po’.

Mentre la donna la serviva con attenzione, Teresa pronunciò quella domanda che aveva sulla punta della lingua già da un po’.

‘’Tu sai spiegarmi il perché di tutti questi complimenti e del lenzuolo messo in vista dalla finestra?’’, chiese la giovane, tentennando. Anna spalancò gli occhi, e per un attimo parve indecisa sul risponderle.

‘’Signora, significa che voi vi siete concessa a vostro marito per la prima volta e che eravate vergine, e quindi noi non possiamo non farvi i nostri più sentiti auguri di buona vita coniugale. E ora chiedo scusa’’, disse infine la donna a bassa voce, per poi tornare nelle sue cucine, congedandosi e lasciando Teresa in uno stato confusionale.

Alla fine, la ragazza comprese che il gesto di Alfonso era indirizzato a vedere se lei aveva mai avuto altri rapporti con degli uomini, e questo la fece indispettire e non poco. Non si era neppure fidato di lei, e aveva messo in mostra quella piccola macchia di sangue come se fosse un trofeo. Anzi, lei stessa era considerata un trofeo in quella casa, un oggetto senza senso che poteva solo essere utilizzata nei momenti che più aggradavano a suo marito.

Con disgusto, la contessina allontanò la sua colazione senza averla neppure sfiorata con il cucchiaino, e se diresse nuovamente verso la stanza da letto, sperando che quell’odiosa governante se ne fosse andata da quella camera. Si sentiva talmente tanto male che aveva bisogno di stare sola con sé stessa.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Spero di essere riuscito nel mio intento di verosimiglianza. Scrivere un capitolo del genere non è semplice, e strutturarlo al meglio non è poi così scontato. Ci sono molti personaggi che compaiono in questo capitolo, e ciascuno con un comportamento diverso, ed ognuno di loro richiede una certa attenzione. Al di là del fatto che la nostra protagonista sta soffrendo parecchio, spero di avervi intrattenuto per un po’.

Non stupitevi se anche questo capitolo riguarda la nostra protagonista; in realtà, anche in futuro spesso si ripeteranno capitoli riguardanti Teresa, poiché la nostra contessina vivrà le emozioni più intense e avrà modo di venire a contatto con più situazioni diverse. In ogni caso, nel prossimo capitolo torneremo dal brigante.

Grazie di tutto, a lunedì prossimo J

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


Capitolo 33

CAPITOLO 33

 

 

 

 

Giovanni era ancora nella sua cascina, chiuso da dentro col catenaccio, in modo che nessuno potesse interrompere quel suo piccolo momento di tranquillità.

In realtà, non era per nulla tranquillo, anzi, era agitatissimo e disperato. Da quando aveva saputo, quattro giorni prima, che Teresa si era sposata ed aveva già lasciato Ravenna per raggiungere la sua residenza coniugale situata nella campagna romana, non aveva più avuto pace.

Aveva pensato di andare anch’esso verso sud, nella vana speranza di poterla ritrovare, ma poi si era reso conto che non si sarebbe mai orientato, e probabilmente avrebbe rischiato solo di morire. Non era mai uscito da quel suo ristretto territorio, e non si era mai spinto tanto a sud, e lungo la strada avrebbe rischiato di essere aggredito da altri banditi, oppure di morire assiderato durante l’attraversata degli Appennini.

Ormai era tutto finito, la sua promessa non l’aveva mantenuta e Teresa era tra le braccia di un qualche odioso nobile, mentre lui era impossibilitato a far qualunque cosa.

Con un sorriso triste, ricordò il loro breve amore e dovette pensare di mettere la parola fine alla loro vicenda, d’altronde sembrava tutto perduto, anche se qualcosa dentro lui gli dava speranza. Era la voce di Mario, che solo una settimana prima gli aveva detto che se solo lo avesse desiderato intensamente, il destino lo avrebbe ricompensato, e che se si trattava di amore vero, prima o poi sarebbe riuscito a rincontrare la sua Teresa.

Quindi, giunse alla conclusione che avrebbe atteso, anche a costo di lasciar scorrere la sua intera vita nella speranza di rivedere quel sorriso dolce e sincero, e di ascoltare quella voce chiara e melodica. Riconobbe che, molto probabilmente, non sarebbe mai più riuscito ad amare un’altra donna in quel modo.

Ma la speranza era sempre l’ultima a morire, e la prova di ciò risiedeva proprio in Mario stesso, che pareva essersi preso una bella cotta. Da alcuni giorni, sembrava avesse sempre la testa tra le nuvole, e appariva sempre più impacciato.

Infatti, il capo dei briganti aveva avuto modo di scoprire che il suo braccio destro e Lina avevano iniziato una serie di frequentazioni assidue. Il tutto era incominciato repentinamente, ma Giovanni era certo che un qualche tarlo fosse già presente da parecchio tempo, già da quando lui stesso era rimasto ferito nell’agguato della villa abbandonata, ed era stato sottoposto alle cure di Teresa e della competente contadina.

Quella donna era ormai matura, doveva avere una trentina d’anni, più o meno, e nonostante il suo oscuro passato, ormai era padrona del suo destino. Da  quando aveva smesso di esercitare la sua poco rispettabile professione, e da quando aveva un tetto stabile sulla testa, Lina era radicalmente cambiata, e questo il saggio e maturo Mario non se l’era lasciato sfuggire.

Anche in quel momento doveva trovarsi a casa sua, visto che si era congedato poco prima dal suo capo con una scusa impacciata e banale.

Giovanni sorrise e non poté far altro che augurare il miglior futuro possibile a quella novella coppia, che nonostante le frequentazioni continue e assidue, si rifiutava di ammettere l’ipotetica relazione amorosa. Sia Mario che Lina avevano un passato triste alle spalle, un passato lugubre da dimenticare, e quella era la loro occasione buona per trovare un po’ di pace interiore.

Con un sospiro stanco, il capo dei briganti concluse di risistemare il denaro che si era tenuto dopo il saccheggio ai danni di Aldo, che era decisamente molto, nonostante l’avesse in parte spartito con tutti i membri del gruppo.

Pareva che quelle due casse contenessero davvero un tesoro inesauribile, e tutti ne avevano ricevuto una cospicua parte. Il clima ormai era tornato disteso, e nessuno si preoccupava più dell’eccessivo freddo di quel periodo, e la fame ormai era solo un ricordo lontano. Con tutti quei soldi, avrebbero potuto comprare persino della carne, e addirittura qualcosa da fumare.

Giovanni risistemò al meglio la sua parte in una cassettina e la nascose ben bene sotto la catasta della legna da ardere, tra i vari tronchi spezzati e truciolati. Quello era sicuramente un posto dove nessuno l’avrebbe mai cercato dei soldi, nel qual caso che qualche pazzo o malintenzionato fosse stato davvero disposto a derubarlo.

Poi, con tranquillità, uscì dalla sua cascina, stando attento a richiudere bene la porta dietro di sé, in modo da non permettere al freddo di entrare.

Sospirando, si appoggiò un attimo con la schiena al muro di legno della sua piccola dimora, e alzò il viso. Piccoli fiocchi di neve continuavano a cadere incessantemente, e lo spettacolo era piacevole da vedere.

Il capo dei briganti ricordò il periodo in cui la neve era sinonimo di morte, fame e sofferenza, ma ormai quel tempo si poteva definire concluso, e quindi ci trovò gusto nel perdere il suo sguardo in quel cielo che ormai era costantemente cupo e perturbato.

Negli ultimi anni, gli inverni erano stati sempre più lunghi e duraturi, e questo aveva provocato non pochi disagi ai contadini già molto poveri, ma questo a lui importava solo relativamente. Ormai aveva le tasche piene di soldi e il ventre pieno di cibo.

Si chiese se continuare quella vita pericolosa e piena di avventure gli facesse ancora bene, e se magari fosse il caso di ritirarsi e di lasciare il suo posto a qualcun altro, ma subito tornò ad allontanare quel misero pensiero, sorridendo tra sé e sé. Il brigantaggio l’aveva reso così com’era, e non l’avrebbe mai abbandonato per nulla al mondo. Forse l’avrebbe lasciato solo se fosse stato vittima di una qualche sfortuna o se fosse diventato troppo vecchio, ma in quel momento non era proprio il caso.

Stava bene così, si sentiva in pace con sé stesso ma si sentiva incompleto. Il suo sogno era quello di farsi una famiglia, sogno purtroppo fortemente impedito dalla professione che svolgeva, ma la breve esperienza con Teresa aveva risvegliato in lui un’incredibile voglia di vivere e di amare, ora che poteva davvero non far mancare nulla alla propria consorte e godere anche di qualche momento libero.

Mentre continuava a guardare il cielo con fare assorto, sentì un certo schiamazzare provenire dal sentiero che portava a valle.

Subito, il capo dei briganti si fece guardingo, ma il suo volto serio tornò a rasserenarsi non appena vide Lorenzo venirgli incontro, seguito da Luca, un altro giovane della banda con cui ultimamente aveva legato parecchio.

A Giovanni piaceva notare anche i sentimenti che si sviluppavano tra i vari componenti del gruppo durante i momenti di prosperità; molto spesso nascevano forti amicizie, e alcuni andavano parecchio d’accordo.

Ma rimase perplesso nel vedere che i due giovani tenevano stretti tra le mani due giovani tacchini maschi, e che gli andarono incontro, come se volessero fare quattro chiacchiere. Lui li attese senza muoversi, accogliendoli con un sorriso.

‘’Zvàn, guarda questi!’’, disse Lorenzo mentre avanzava a fatica verso il suo capo, con la neve che li faceva affondare gli stivali in profondità. Nel frattempo, alzò il tacchino che teneva stretto tra le mani come se fosse un trofeo.

‘’Ho visto, ragazzi. Ma dove li avete presi?’’, chiese il capo dei briganti con curiosità. Sapeva che quegli animali da cortile venivano custoditi dai contadini, e se erano tra le mani dei due ragazzini poteva anche significare che li avevano rubati.

‘’Ce li ha dati un contadino più a valle. Ha detto che questi vengono belli… e grassi!’’, sorrise Luca, parlando per la prima volta. Era giovanissimo, doveva avere all’incirca quindici o sedici anni, e il suo volto era ancora liscio come quello di un bambino. Era proprio quell’espressione a tratti infantile che lo rendeva simpatico al capobanda.

‘’Non credo che ve li abbia regalati, però’’, fece notare Giovanni, mentre ormai era stato raggiunto dai due giovani, che sembravano entrambi felicissimi. Sembrava che tra le mani stringessero dell’oro.

‘’Ma no, ovvio. Li abbiamo comprati, e ammetto che ce li ha fatti pagare un bel po’ ‘’, tornò a dire Lorenzo, lievemente perplesso.

Giovanni sorrise tra sé e sé e scosse la testa, divertito. Per molti contadini, i briganti del suo gruppo non erano altro che possibili acquirenti, visto che spesso avevano denaro con loro. Di frequente, cercavano di vender loro di tutto, e pure a prezzi esagerati.

Con delicatezza, il brigante passò una mano sul soffice petto dei due animali, che nel frattempo se ne stavano immobili, quasi come se il freddo li avesse congelati.

‘’Ma sono magrissimi! Se non si ingrassano un po’, non riusciranno neppure a diventare adulti’’, fece notare il capo dei briganti, che poi rimase sorpreso nel vedere i due giovani adombrarsi.

‘’Ci hanno fregato un bel po’ di soldi per questi due, ma sono certo che li faremo ingrassare. Verranno forti e sani’’, disse Luca, risoluto, mentre pure Lorenzo annuiva alle sue parole, anche se con minore convinzione.

‘’Esatto, proprio così. Anche perché ho speso parecchi dei miei guadagni per acquistarli’’, aggiunse Lorenzo.

Giovanni sorrise, e non si sentì di infierire e di dire loro che quelle due creature non valevano neppure due soldi. Sapeva che Lorenzo aveva messo parecchio denaro da parte, poiché lui stesso glielo aveva consegnato al ritorno dalla spedizione contro Aldo, in modo da poterlo ringraziare. D’altronde, era stato solo grazie a quel ragazzo e al suo coraggio se erano riusciti a derubare la vecchia volpe e a punire Marco. Comunque, restava pur sempre un ragazzo un po’ ingenuo, anche se era parecchio onesto.

‘’Queste bestiole non sono ancora pronte per essere mangiate… sono troppo giovani. Lo sapete questo, vero?’’, chiese Giovanni, apprensivo.

‘’Ma certo, non prenderci per stupidi! Ti volevamo proprio chiedere se possiamo metterli nel recintino a fianco del rifugio dei cavalli…’’, ne approfittò subito Lorenzo, lasciando cadere la frase. Doveva tenerci davvero molto a quei due animali, d’altronde rappresentavano il suo primo acquisto.

‘’Sì, certo’’, li assicurò il capo dei briganti, che però notò che i due ragazzi non avevano ancora concluso le richieste, e indirizzò loro uno sguardo interrogativo.

‘’Ecco… noi questi due non vorremmo mangiarli. Vorremmo tenerli’’, specificò Luca, mordendosi un labbro.

‘’Questo è un problema. Sono due maschi, non andranno d’accordo a lungo’’, sottolineò Giovanni, senza sbilanciarsi.

‘’Se ti sta bene, tra due mesetti quando arriverà la buona stagione e questi due tacchini saranno diventati adulti, potremmo costruire due recinti divisi…’’, azzardò nuovamente Lorenzo, impacciato. Appariva ovvio che volesse tenere i due animali, ma aveva paura che il capo li facesse uccidere per dividerli con gli altri briganti, e questo Giovanni lo capì al volo. Quei due ragazzi erano stati così gentili a chiedere con cortesia il suo parere che lui li avrebbe di certo ricompensati.

‘’Ma sì, basta che facciate tutto da soli e che vi occupiate di loro nei momenti liberi. Poi, magari, se prendete qualche femmina in primavera poi potete farli riprodurre, e poi potreste venderli o spartirli con gli altri del gruppo. Le tacchine covano spesso e fanno molte uova, sono molto produttive. Insomma, potrebbe essere davvero una buona idea’’, riconobbe Giovanni, mentre i due giovani si guardavano in faccia e sorridevano, felici.

‘’Grazie, Zvàn! Lo faremo senz’altro’’, assicurò Luca, il giovanissimo volenteroso sempre pronto a tutto pur di inseguire i suoi sogni. Essendo figlio di contadini, il suo sangue lo stava richiamando al lavoro dei genitori, e questo era davvero bello.

‘’Ragazzi, serviranno quattro femmine, due per maschio, così sarete sicuri che le uova saranno tutte fecondate e pronte per l’eventuale cova. In ogni caso, prima però dovrete costruire il recinto, e io controllerò che voi l’abbiate sistemato bene, non voglio animali starnazzanti ovunque’’, ridacchiò Giovanni, bonario. I due ragazzi risero con lui, e si accinsero a congedarsi, felicissimi.

‘’Ma che bello! Avevo proprio voglia di farmi un brodo caldo!’’, disse una voce, mentre un ragazzo si gettò di corsa addosso a Luca, facendolo barcollare.

Giovanni quasi impazzì quando notò che il guastafeste era Fabio, il suo giovane avversario rosso di capelli e pronto a tutto pur di imporsi.

‘’Che fai? Lascialo andare, quei due tacchini non sono tuoi! Intesi?’’, disse subito il capo dei briganti, avventandosi sul ragazzo rosso e allontanandolo da Luca, che si rimise in equilibrio, tenendo stretto il suo volatile.

Fabio rise, poi allungò una mano ed afferrò il tacchino di Lorenzo per una zampa, tirandolo verso di sé. La povera bestiola prese a dimenarsi, mentre Giovanni caricò un pugno.

‘’Lascialo! Ma che c’è, ti ha dato di volta il cervello, forse?! Così gli rompi una zampa, idiota!’’, prese a gridare Lorenzo, scosso dalla reazione violenta del rosso, che nel frattempo continuava a tener stretto l’animale.

I due ragazzi non potevano difendersi dai soprusi di Fabio, così come i due volatili, e Giovanni intervenne con prontezza. Sapeva che quell’aggressione era rivolta a lui, per irritarlo, e non voleva che fossero gettati in mezzo altri soggetti innocenti.

Infatti, colpì subito il suo avversario con un potente manrovescio, che lo fece scivolare a terra.

‘’Ragazzi, andate a sistemare i vostri animali, qui non c’è più nulla da vedere. Avete il mio permesso di tenerli e di gestirli come meglio volete’’, disse Giovanni, risoluto, mentre spingeva i due ragazzi ad andarsene e a lasciar fare a lui.

I due giovani compresero al volo, e si allontanarono in fretta, mentre Fabio si rialzava da terra. Il rosso perdeva sangue dal labbro inferiore, spaccato dal colpo del capobanda.

‘’I ragazzini hanno bisogno della balia, non si sanno neppure difendere da soli! Vigliacchi! Codardi!’’, gridò il giovane prepotente, rivolgendosi ai due ragazzi che se ne stavano andando.

‘’Fottiti, Fabio! Sei un gran figlio di puttana!’’, gli gridò di rimando Luca, che si voltò di nuovo indietro. Giovanni lo fulminò con lo sguardo, e il ragazzino smise di attaccar briga e si spicciò a raggiungere Lorenzo, che nel frattempo aveva continuato ad allontanarsi.

Dopo un solo istante i due erano già scomparsi, inghiottiti dal bosco spoglio e ricoperto di neve.

‘’Fabio, perché dobbiamo arrivare a questo punto? Sai, sono stato fin troppo buono con te, finora. Ma non ho intenzione di continuare a farmi mettere i piedi in terra. Hai sancito la tua fine, ragazzo. Per iniziare, ora te le suonerò per bene, così vediamo se ti passa la voglia di fare il prepotente’’, disse Giovanni, una volta rimasto solo con il rosso. Si era davvero stancato di avere a che fare con quel tipo, era ora di passare ad una soluzione concreta.

Si voltò un istante e afferrò un grosso bastone di legno, pronto a colpire il giovane rosso, ma non appena tornò a cercarlo non lo ritrovò più a terra.

Per un attimo, Giovanni pensò che fosse fuggito, ma dovette ricredersi poco dopo, quando si accorse di avere una pistola puntata alle tempie. Con grande sorpresa, il capo dei briganti si trovò spiazzato di fronte a quell’arma da fuoco.

‘’Schifoso verme, metti giù quell’arma! Subito!’’, ruggì Giovanni, rendendosi conto che la situazione era alquanto disperata. Nessuno poteva venire in suo soccorso, visto che Mario e gli altri pochi fidati non erano in zona, e lui non poteva più far molto per cercare di opporsi al ragazzo, che sembrava aver preso sicurezza.

Fino a quel momento, infatti, la loro era stata una pura battaglia verbale e piena di raggiri, visto che Fabio non si era mai azzardato ad affrontare il capo in uno scontro diretto e armato. Eppure, proprio in quel momento di stabilità, quel ragazzo doveva aver trovato la forza per fare quel passo avanti che non avrebbe di certo portato a nulla di buono.

Giovanni riconobbe che il rosso doveva essere frustrato dai suoi ultimi successi, che in pratica l’avevano costretto a defilarsi lentamente dal gruppo, visto che lui non era mai riuscito a fare qualcosa di concreto. E quella rabbia repressa l’aveva spinto a compiere quella follia.

‘’Non sei tu a dare ordini qui, come vedi. Quindi, ora farai quello che ti dirò, e metti giù il bastone, se no sparo. E non scherzo questa volta; ti faccio davvero secco se non obbedisci’’, disse il giovane ribelle, mentre il suo viso tornava ad infuocarsi, come ogni volta in cui si agitava.

‘’Bastardo! Cosa vuoi da me?’’, tornò a dire Giovanni, sempre ad alta voce, sperando di attirare l’attenzione di qualcuno, ma purtroppo sapeva che nessuno era in zona. Doveva sbrigarsela da solo.

‘’Oh, voglio solo che tu entri nella tua cascina, e che mi mostri dove tieni nascosti i tuoi averi, dai soldi agli oggetti preziosi’’, disse il giovane, avvicinandosi di più e continuando a puntare l’arma.

Giovanni deglutì e lasciò cadere il bastone; sapeva che questa volta non si scherzava affatto, e che quello non era un gioco.

‘’Non… non lo farò mai’’, tentò di dire il brigante, ormai alle strette, ed iniziando ad avere paura. La morte non l’aveva mai spaventato, ma quell’azione repentina l’aveva parecchio scosso. E sapeva che quella volta molto probabilmente non l’avrebbe passata liscia.

‘’Dici? Avanti, entra nella cascina. Su!’’, iniziò a spronarlo Fabio, puntandogli la pistola e facendo cenno con la testa verso la dimora.

Giovanni a quel punto tentennò, poi scosse la testa ed entrò nella cascina, sperando di avere l’occasione di sbarazzarsi del giovane, ma non fu così. Il rosso non abbassò mai la guardia e neppure l’arma, mentre il suo dito solleticava costantemente il grilletto.

‘’Bravo! Come sei obbediente, capo! Ora mostrami dove hai nascosto i tuoi averi’’, disse Fabio, soddisfatto di sé e con un tono di voce beffardo.

Giovanni tentennò nuovamente, poi pensò di perdere tempo. Se si fosse diretto a mostrargli il suo nascondiglio, di certo il ragazzo l’avrebbe ucciso subito dopo. Quindi, si diresse con scioltezza verso un vecchio sacco tagliato a metà che fungeva da tappeto per asciugarsi i calzari, proprio di fronte alla stufa e poco distante dall’ingresso, e si chinò, come per toglierlo.

‘’Non mi freghi! Questo trucco l’ho già visto nel nascondiglio di Aldo. Avanti, dimmi dove nascondi la refurtiva o sparo! Sto perdendo la pazienza, ti avviso’’, disse il giovane rosso, infuriandosi.

‘’Noi briganti abbiamo tutti più o meno le stesse regole, no? I nascondigli pressappoco sono sempre gli stessi…’’, provò a dire Giovanni con voce calma e ferma.

‘’Stronzate! Mi stai facendo incazzare’’, tornò a dire Fabio, sempre più furioso.

‘’Cosa mi farai dopo che ti avrò mostrato dove custodisco i miei valori?’’, disse Giovanni, rassegnandosi e tirandosi nuovamente su dal pavimento. Non poteva far nulla, e purtroppo la battaglia per lui era persa. Non gli restava altro che arrendersi.

‘’Ti ammazzerò comunque. Morirai, mi hai fatto soffrire troppo! Guarda come mi sono ridotto a causa tua; sono uno spettro, uno odiato da tutti. Pagherai per tutto ciò, puoi starne certo’’, tornò a dire il rosso, ghignando. Giovanni riconobbe che il ragazzo aveva totalmente perso la ragione, e il suo sguardo era tipico degli squilibrati.

‘’Se in ogni caso morirò, non ho intenzione di muovere un dito. Avanti, ammazzami ora’’, lo spronò il capo dei briganti, abbassando lo sguardo.

‘’Oh beh, certo, tu morirai in ogni caso, ma se non mi darai i tuoi averi ammazzerò anche tutti i tuoi amici, uno dopo l’altro; non dirmi che ti piacerebbe sapere che quel coglione di Mario e quella sgualdrina di Lina faranno la tua stessa fine’’, continuò Fabio, ridacchiando.

‘’Tu sei pazzo. In ogni caso, li ammazzerai comunque’’, riconobbe Giovanni, sconcertato dall’espressione folle del giovane.

‘’Può darsi’’, disse il rosso, continuando a ridacchiare con fare isterico.

Giovanni si accinse a morire, e puntò lo sguardo a terra, pensando per un’ultima volta a Teresa e pregando che lei non condividesse il suo stesso destino pieno di sofferenze.

‘’Mi sa che l’unico a morire sarai tu, per oggi’’, disse tutt’a un tratto una voce, prima che un randello si abbattesse sulla testa del giovane pazzo, che ruzzolò a terra per l’ennesima volta, gridando. Rapidamente, Lorenzo afferrò la pistola del nemico, mentre Luca faceva strada a Mario, che si piegò un attimo a raccogliere il bastone con cui aveva colpito Fabio poco prima.

‘’Zvàn, te la sei vista brutta eh! Per fortuna questi due giovani coraggiosi sono corsi subito ad avvisarmi. Hanno avvisato anche il resto del gruppo’’, disse il vecchio amico, sfoggiando un sorriso teso.

‘’Oh, ragazzi io non so come ringraziarvi! Siete stati provvidenziali’’, disse Giovanni, sciogliendosi definitivamente ad andando a stringere la mano dei suoi salvatori, con immensa gratitudine.

Nel frattempo, Fabio era ancora steso a terra, ma non aveva perso i sensi. Il giovane rosso piangeva sommessamente, distrutto dall’ennesima sconfitta.

‘’Ma… è scarica!’’, disse improvvisamente Lorenzo, analizzando la pistola.

‘’Come?!’’, dissero in coro gli altri tre presenti, stupiti.

‘’Ve lo giuro! Non aveva neppure inserito la pallottola’’, ripeté Lorenzo con incredulità. Poi, mostrò a tutti il caricatore scarico. Giovanni fu il primo a reagire, e scosse la testa.

‘’Il ragazzo è fuori di sé, è pazzo. Questo non è il posto adatto per lui’’, disse il capo dei briganti con rassegnazione, mentre il rosso continuava a singhiozzare, piegato in due a terra. I presenti si guardarono in volto, in cerca di una soluzione.

Effettivamente, non potevano rispedirlo dalla sua famiglia d’origine o allontanarlo, poiché avrebbe potuto causare immensi problemi. Se quel demente si fosse recato dalla gendarmeria a denunciarli, avrebbe poi potuto portare le guardie fino al loro covo. Ma d’altronde, non potevano neppure continuare a lasciare libero quel folle, visto che era un pericolo costante.

‘’Vi dico che avete ragione, e che questo non è più il posto adatto per lui. Infatti, verrà via con me’’, disse una voce calma e assorta. I quattro briganti si voltarono verso la porta d’ingresso, dove, piazzato proprio al centro di essa, il maturo Dario li stava fissando con un sorriso beffardo sul volto.

‘’Cosa significa questa messinscena?’’, chiese Mario, irritato dal comportamento sfrontato del compagno.

‘’Significa che non potete fargli nulla e che è sotto la mia protezione, e se solo se vi azzarderete di nuovo a colpirlo, o addirittura a torcergli un capello, io sarò la vostra rovina. Andiamo, Fabio’’, concluse Dario, che poi si avvicinò al ragazzo rosso e lo strattonò, costringendolo a rialzarsi.

‘’No, voi non andate da nessuna parte. Voglio delle spiegazioni’’, disse Giovanni, mentre Lorenzo tornava ad afferrare il randello di legno con cui aveva colpito Fabio poco prima.

‘’Non è così difficile, Zvàn. Se non fosse stato per questo imbranato, che non è neppure in grado di maneggiare un’arma, da quest’ora saresti già morto, ed io avrei già avuto il potere nel gruppo’’, affermò Dario, ridacchiando, mentre Fabio perdeva i sensi e rovinava a terra. Subito, il maturo brigante gli alzò le gambe e prese a dargli piccoli schiaffi sulle guance.

‘’Anche tu sei pazzo. Da questa cascina non uscirà vivo nessuno di voi due’’, affermò Giovanni, andando a cercare il suo fucile, già pronto a far fuoco. Non era a conoscenza di ciò che c’era tra Dario e Fabio, ma in ogni caso si trattava di qualcosa di negativo per lui.

‘’Tu dici? Qui attorno ho appostato cinque fidatissimi dei miei, pronti a far fuoco se solo mi punterete un’arma. Vedete quella finestra? Si frantumerà in mille schegge se qualcuno cercherà di farmi del male, e voi morirete tutti, perché i miei continueranno a far fuoco senza fermarsi. Quindi, non fate azioni azzardate’’, continuò a dire Dario, mentre gli altri quattro briganti si guardarono tra loro, sbigottiti.

Giovanni guardò fuori dalla finestra, e notò un luccichio provenire da un cespuglio rinsecchito di rovi. Era uno scintillio emesso da una canna di fucile, e il maturo brigante non scherzava.

‘’Che hai intenzione di fare?’’, chiese il capo dei briganti, sempre più perplesso. Dario ridacchiò prima di parlare, mentre Fabio riprendeva lentamente conoscenza. Era molto rilassato, come se stesse aspettando da tempo di fare quel discorso.

‘’Per ora nulla, la mia avventura in questo gruppo si conclude qui. Tra poco ci sarà l’intera banda qui presente, attirata dal pronto allarme dato da Lorenzo, e non posso più permettermi di continuare a restare. Ora, io e i miei sei compagni ce ne andremo, e fonderemo una nuova banda. Sai, se questo stronzetto non avesse rovinato tutto, da quest’ora avrei già avuto il tuo posto, e voi sareste stati tutti morti. Lo dicevo io; Fabio, fai come ti dico e ti ricompenserò a dovere. Ma lui no, gridava e litigava, rendendo tutto più difficile’’, disse ancora Dario con un tono sconsolato, mentre aiutava Fabio a rialzarsi, passandosi un suo braccio sulle sue robuste spalle.

‘’Eri tu allora la causa dei continui dibattiti… eri tu a fomentare Fabio e i più giovani! Hai utilizzato dei ragazzini per cercare di giungere al tuo losco scopo! Sei un traditore’’, disse Giovanni, e improvvisamente tutto gli fu chiaro. Il giovane rosso era solo un ragazzo squilibrato, che veniva manovrato dal maturo Dario, che a sua volta cercava di portare dalla sua parte i più giovani della banda, visto che ancora erano inesperti.

‘’Non sono un traditore. Qui tu hai già una grandissima banda, più grande addirittura di quella di Aldo! Capisci che puoi essere invincibile? Eppure tu continui a rapinare una villa o a gettare i ragazzi allo sbaraglio. Se solo li avessi portati dalla mia parte, e tu e Mario foste morti, io avrei avuto campo libero e la banda tutta per me. Sono il più vecchio e il più esperto, qui’’, continuò il brigante traditore, mentre muoveva qualche passo sorreggendo Fabio.

Lorenzo strinse il randello e fu sul punto di muoversi, ma Mario lo bloccò. Anche lui doveva aver notato la reale presenza dei cinque cecchini.

‘’Io non sarei mai stato agli ordini di un capo che ha fondato il suo potere su un tradimento’’, si limitò ad aggiungere Lorenzo, sprezzante, mentre cercava di controllarsi.

‘’E allora potevi andartene e fondare una tua banda, nessuno ti avrebbe obbligato a rimanere. Ed è proprio quello che faremo io e Fabio; abbiamo perso lo scontro, e ora ce ne andremo per sempre. Vorrei ammazzarvi tutti, ma so che dopo gli altri della banda ci daranno la caccia, e quindi, come congedo, dovrete accontentarvi di un semplice saluto. Addio’’, disse Dario, uscendo poi dalla cascina con fare scenico, sempre seguito da Fabio, che si sfiorava la fronte con fare dolorante. Subito, dietro di loro altri cinque ragazzi si unirono a loro, imbracciando fucili e mirando la porta aperta della cascina.

I quattro briganti se ne stettero immobili fintanto che i traditori furono scomparsi dalla loro vista.

‘’Dannazione! Siamo stati gabbati nuovamente’’, sbuffò Mario, distrutto e sul punto di disperarsi.

‘’Stai calmo, amico mio. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di simile, ma non mi aspettavo che sarebbe stato tutto così complicato. Siamo di fronte ad un tradimento studiato a tavolino da mesi; Dario ha sfruttato Fabio, un giovane con un certo disagio mentale, e altri giovani esaltati senza che noi ce ne fossimo accorti. Alla fine, per non rischiare la propria vita, ha utilizzato nuovamente quel pazzo di Fabio per compiere l’ultima azione ai miei danni, ma il ragazzo si è dimostrato debole e stupido, ed ha mandato a monte il piano’’, disse Giovanni con voce calma e piatta.

‘’Non capisco… avevamo capito che non gli andavi a genio già da quando aveva fatto delle storie prima della partenza per la spedizione contro Aldo, eppure ha sempre utilizzato Fabio promettendogli una parte di potere… e Fabio poi l’avrebbe richiesto, visto che aveva intenzione di compiere una strage’’, disse ingenuamente Luca.

‘’Hai molto da imparare, ragazzino. Quando in gioco c’è il potere, gli uomini diventano delle belve senza cuore. Se Fabio mi avesse ucciso, e se fosse riuscito a uccidere anche Mario, Dario l’avrebbe poi ucciso a sua volta, cercando di dimostrare la sua lealtà uccidendo un pazzo e colui che tutti credevano l’unico in grado di compiere quel gesto efferato, e a quel punto, senza noi due punti di riferimento e senza testimoni che avessero potuto smascherarlo, per lui farsi riconoscere come nuovo capo sarebbe stato facilissimo, visto l’età matura e l’esperienza che ha alle spalle. Ma ora ormai si è giocato tutto, è stato scoperto, e sapendo che rischiava davvero grosso e che Fabio avrebbe potuto tradirlo da un momento all’altro, ha agito di conseguenza, richiamando i suoi pochi fedeli e riprendendosi il rosso, per poi andarsene. Per fortuna, Fabio non avrebbe ucciso nessuno… penso proprio che quel pazzo avrebbe tradito il suo oppressore, altrimenti avrebbe caricato la pistola’’, concluse Giovanni, riflettendo ed allargando le braccia.

‘’Aspetta un attimo… quindi Fabio non voleva ammazzarti?’’, chiese Mario, perplesso.

‘’Se avesse voluto farlo, avrebbe caricato l’arma, no? È un’incapace, però quello lo sa fare. A questo punto penso proprio che avrebbe aspettato il momento propizio per scaricare colui che lo manovrava. Penso abbia compiuto tutta questa scena solo perché era sotto tiro dei suoi cinque compagni. Ma quando poi siete arrivati voi tre, che avevate pure allarmato l’intero gruppo, ormai non valeva più la pena uccidere, perché avrebbe causato loro solo problemi ulteriori, e visto che era andato tutto a rotoli, Dario ha deciso di uscire allo scoperto, recuperando i suoi e andandosene.

A questo punto, parecchi sanno del loro tradimento organizzato e se avessero commesso un qualche delitto glielo avrebbero fatto pagare senz’altro’’, disse il capo dei briganti, sorridendo amaramente, e completando la sua spiegazione dei fatti. A quel punto, tutto pareva chiaro, e i quattro briganti rimasero un attimo in silenzio.

‘’E adesso?’’, chiese Lorenzo.

‘’Adesso lasceremo che se ne vadano. Sette bocche in meno da sfamare’’, disse Mario, acido.

‘’Non ditelo neppure per scherzo, perché ora viene il bello. Se quelli se ne andranno, ci faranno poi concorrenza e ci manderanno sicuramente la gendarmeria, facendo qualche soffiata. Ho impiegato quattordici anni della mia vita per creare questa numerosissima banda, e non permetterò che si sfasci proprio ora, che sembra tutto stabile. Se riusciranno ad andarsene, e se non ci causeranno guai, altri seguiranno il loro esempio e il gruppo si frantumerà’’, aggiunse Giovanni con fare sicuro.

‘’E… quindi?’’, chiese Luca,esprimendo la perplessità generale.

‘’Non ho mai approvato certi metodi, e non ho mai avuto modo di attuarli, ma questa volta non ho scelta. Mi aiuterete?’’, chiese Giovanni, guardando i suoi fidi amici.

‘’Certo!’’, dissero gli altri tre briganti con sicurezza, quasi all’unisono.

‘’Perfetto. Nessuno se ne andrà di qui senza aver prima pagato il giusto prezzo per il tradimento. Ho proprio in mente un piano…’’, concluse il capo dei briganti, tornando a fissare i suoi tre uomini, che parevano pendere dalle sue labbra.

Con sorpresa, si lasciò sfuggire un sorriso teso, mentre Mario, Luca e Lorenzo erano pronti ad ascoltare l’idea del loro capo.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Anche Giovanni è nei guai, e ha rischiato grosso questa volta. È stato vittima di un tradimento, ma c’è ancora parecchio da dire, soprattutto su Fabio e sul suo inusuale modo di comportarsi, anche se in parte parrebbe tutto risolto. A breve, scopriremo meglio tutto J

Ringrazio tantissimo i miei cinque recensori, che con grande gentilezza lasciano sempre un loro pensiero e mi sostengono. Quindi ringrazio Letylove31, S1mo94, Clairy93, Rossella0806 e Grace Kelly. Il vostro sostegno mi spinge a proseguire, questa non è una storia semplice e conoscere le vostre opinioni è importante per me. Grazie! J

Grazie anche a tutti gli altri lettori.

A lunedì prossimo J

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 ***


Capitolo 34

CAPITOLO 34

 

 

 

 

Teresa non resistette a lungo chiusa nella camera da letto. Ora che sapeva che suo marito non era in zona, sentiva che doveva sfruttare quel momento propizio per cercare di prendere una boccata d’aria.

Lei non era di certo una ragazza che amava stare chiusa in casa, ed aveva una gran voglia di uscire e di gustarsi lo splendido giardino di quel lussuoso palazzo. A passi felpati, uscì dalla stanza da letto e tornò al piano inferiore, dove si diresse direttamente alla porta d’ingresso.

‘’Dove state andando, signora?’’, chiese la voce burbera della governante, che nel frattempo la stava fissando dalla porta di una stanza poco distante.

Teresa si voltò lentamente verso di lei e la guardò sorridendo. Non le andava di arrabbiarsi, quel giorno. Anche perché pareva ovvio che quella vecchia la stesse seguendo e controllando.

‘’Non porti troppe domande, Carla. Svolgi le tue mansioni e non preoccuparti per me, perché sai anche tu che non sono più una bambina. Non mi perderò, stai tranquilla’’, disse la contessina con un tono di voce ironico e cantilenante, facendo ritirare subito la governante, che si limitò a scrollare la testa e ad allontanarsi.

Soddisfatta, Teresa uscì di casa, e dopo aver percorso la colossale scalinata, si ritrovò immersa nel verde.

Con interesse crescente, la contessina si lasciò trasportare dai sensi, e guardandosi attorno scoprì che era tutto magnifico. Le colline limitrofe apparivano fiere e selvagge, un po’ come quelle romagnole, e le abitazioni erano scarse e più che altro disabitate, in quel periodo dell’anno.

Mentre percorreva il sentiero che collegava la villa al grande cancello che sfociava sulla stradina ghiaiata, la giovane guardò le piante di rose spoglie, pensando nuovamente a quale spettacolo floreale avrebbero dato vita in primavera. Ma ad un tratto un vociare lontano la fece ritornare in sé.

Sorpresa, decise di seguire quelle voci. Senza pensare più a nulla, e sentendosi libera, si inoltrò dietro all’abitazione, e dopo aver attraversato uno spazio tra la fitta siepe di cipresso che delimitava il retro del palazzo, si trovò nel bel mezzo delle due grandi case comuni della servitù, che aveva già avuto modo di notare il giorno prima.

Le abitazioni erano a due piani e dall’apparenza povera, e alcuni bambini ridacchiavano e si spintonavano davanti ad una porta spalancata. Da dentro, una voce irosa richiamò i piccoli, sgridandoli per aver lasciato l’uscio aperto, e subito i bambini si affrettarono a chiuderlo.

Non appena videro Teresa, si fecero guardinghi e le si avvicinarono.

‘’Tu sei nuova? Non ti abbiamo mai visto qui’’, chiese subito una bambina minuta, che non doveva avere più di sei anni.

‘’Sì, sono nuova’’, disse Teresa, sorridendo. Gli altri tre bambini, tutti maschi e piuttosto svegli, si avvicinarono alla contessina per guardarla meglio.

‘’Hai dei bellissimi abiti!’’, disse subito un piccolo, avvicinandosi fino a riuscire a sfiorare la veste di Teresa, che lo lasciò fare, ridacchiando.

‘’Bambini! Dove siete finiti?’’, prese nuovamente a chiamare una voce, che proveniva dal retro dell’umilissima abitazione. Quella voce non era sconosciuta a Teresa, che non fu per niente sorpresa quando si trovò di fronte ad Anna, che invece rimase molto scossa.

‘’Ma… signora! A cosa dobbiamo questa vostra graditissima visita?’’, chiese la serva, in imbarazzo totale.

‘’Mamma, guarda questa donna com’è vestita bene! È venuta per aiutarti?’’, chiese la bambina, per nulla interessata dalle parole appena pronunciate dalla madre.

‘’Ma che dici, Guglielmina! Lascia stare la signora. Lei qui è la padrona e va trattata con rispetto’’, si affrettò a dire Anna, prendendo in braccio la bimba.

‘’Anna, sul serio, mi imbarazzi. Io qui non sono la padrona di niente, è tutto di mio marito… ma questi sono i tuoi figli?’’, chiese la contessina, sorpresa.

‘’Ah, non tutti questi birbantelli, ovviamente! Però ora vi presento Guglielmina e Francesco, i miei due figli’’, disse la serva, soddisfatta, mentre uno di quei bambini dal volto sveglio si faceva avanti, tutto sorridente. Doveva avere qualche anno in più della bimba, forse otto anni. Gli altri si volatilizzarono in un istante, tornando in casa.

‘’Ho già avuto il piacere di conoscerli, solo che non sapevo il loro nome. Ciao Francesco, e ciao Guglielmina! Io mi chiamo Teresa’’, disse la ragazza, sorridendo anch’essa.

‘’Ciao!’’, dissero quasi all’unisono i due bambini, felici di aver fatto la sua conoscenza.

‘’Non si dice ciao alla signora, si dice buongiorno…’’, disse Anna, rimproverando con dolcezza i due bimbi, che ridacchiarono divertiti.

‘’Ma smettila, Anna, stai tranquilla. Qui non siamo tra quelle dannate mura… e poi non c’è alcun bisogno di riprendere i bambini, sono davvero molto educati e svegli. Si vede che non hai fatto mancar loro nulla’’, disse Teresa, sempre sorridente.

‘’Sì, avete ragione. Ma non sapete quanti sforzi mi sono costate queste due bocche fameliche! Non sempre il padrone è stato buono con noi’’, disse la serva, lasciandosi andare.

Teresa si rabbuiò per un attimo, tornando a pensare a suo marito che faceva patire la fame a dei bambini innocenti, mentre Anna si accorse subito di aver parlato troppo.

‘’Chiedo perdono, signora, vi prego di dimenticare ciò che ho detto… che stupida che sono… vi chiedo di perdonarmi, anche in ginocchio…’’, disse la serva, mettendo a terra la bambina e continuando a supplicare.

La contessina rimase in silenzio per un attimo, decisamente innervosita. Per un po’ di tempo, era quasi riuscita a dimenticarsi di suo marito, ma ecco che veniva fuori un’altra storia davvero poco onorevole per lui. Alfonso doveva essere un padrone severo, non c’era dubbio.

‘’Anna, smettila subito! Non hai detto nulla di male. Purtroppo, conosco mio marito e so come si comporta, quindi non mi hai detto nulla che non potessi immaginare. Puoi star tranquilla, non dirò a lui ciò che hai detto’’, concluse Teresa, sempre più scura in volto. Se c’era una cosa che non poteva tollerare, era lo sfruttamento dei più poveri.

Suo padre era sempre stato un uomo d’onore, ed aveva sempre pagato bene i suoi servi, sia coloro che lavoravano in casa che i contadini, che ogni giorno si spezzavano la schiena nei campi di sua proprietà. A volte, lasciava loro anche una piccola parte del raccolto calcolata in base al numero dei membri della famiglia, in modo che tutti potessero avere cibo a sufficienza anche durante l’inverno.

Ma sapeva che erano pochi a comportarsi così, e la maggior parte si limitava a sfruttare senza alcuna pietà ogni singolo lavoratore, e Alfonso doveva far parte di quei soggetti appena citati.

‘’Signora, davvero, mi dispiace…’’.

‘’Non una parola in più, o mi offendi sul serio. Non voglio alcuna scusa da te, sei solo stata sincera’’, riconobbe Teresa, ammutolendo l’imbarazzata serva.

Il breve silenzio fu interrotto dalle grida dei due bambini, che avevano iniziato a giocherellare con un cagnetto maculato, che era appena arrivato di corsa. L’animale era contento di ricevere le attenzioni dei due bambini, e scodinzolava tutto felice, abbaiando rumorosamente.

‘’Fufi basta. A cuccia’’, prese a dire Francesco, ridendo. Il cane obbedì e smise subito di far baccano, obbedendo al padroncino.

‘’Che bel cagnolino! È vostro?’’, chiese la contessina, avvicinandosi alla bestiola.

‘’Sì. Si chiama Fufi’’, disse Guglielmina, tutta felice.

Teresa notò che l’animale era davvero molto magro, e le ossa premevano sotto la pelle, quasi come se volessero fuoriuscire da quel corpo scarno.

‘’Ma… è magrissimo!’’, si lasciò sfuggire Teresa, ricordando subito dopo che quei bambini facevano già fatica a trovare qualcosa da mangiare per loro, e non c’era nulla da stupirsi se per il cane c’era poco o nulla. Infatti, Anna si limitò a scrollare le spalle, mentre i bambini neppure ci fecero caso a quell’affermazione, e ripresero a far baccano col cane.

‘’Teresa, vuoi venire a vedere gli animali?’’, chiese la bambina, lasciando perdere per un attimo il cane e prendendo per mano la contessina.

‘’Guglielmina, ti prego! Ti ho già detto che non puoi chiamare la signora per nome, e non credo che le stalle siano un posto ben gradito dalla padrona’’, disse Anna, cercando di far desistere la bambina e di impartirle qualche regola. Teresa le fece cenno di calmarsi.

‘’E’ tutto a posto, Anna, tranquilla. Andrò con piacere a vedere gli animali! Ma chi mi farà da guida? Non so dove sono’’, disse Teresa, sorridendo.

‘’Noi!’’, dissero i bambini, felici per aver coinvolto la nuova arrivata. Anna guardò Teresa con fare preoccupato.

‘’Signora, non siete in alcun modo costretta a seguire i bambini, anzi’’, disse la serva, che fu subito messa a tacere dalla contessina.

‘’Lo faccio con piacere! Ho proprio un gran bisogno di stare un po’ fuori e di non stare rinchiusa in quella lugubre dimora’’, affermò Teresa, sorridendo con calore e cercando di dimostrare che in fondo era davvero contenta di seguire i bambini.

Anna si tranquillizzò un po’ e si mise anche lei a seguire i due piccoli, già spediti verso le stalle. In vita sua, la ragazza nobile non aveva mai visitato una stalla, e non aveva mai avuto a che fare con animali così grossi. Aveva avuto modo di imparare a convivere con i volatili e gli animali di piccola taglia di Lina, ma mai con altre creature.

La stalla era situata nel retro dell’abitazione della servitù, ed era al pian terreno. Al primo piano, infatti, proprio sopra agli animali, c’erano le varie camere da letto, così che il calore prodotto dagli animali poco più sotto riuscisse a scaldare lievemente anche il piano superiore, in modo da evitare di consumare della preziosissima legna.

Le stalle avevano il soffitto bassissimo, e alcune grosse e tozze vacche se ne stavano a ruminare con grande tranquillità, mentre alcuni bambini giocavano tra le loro zampe e alcuni uomini adulti riempivano le carriole con lo sterco di quei placidi animali.

Un uomo maturo uscì dalle stalle spingendo la sua carriola, e appena vide Anna accennò un saluto, ma non appena si accorse della presenza di Teresa rimase di stucco.

‘’Tranquillo, continua pure il tuo lavoro, non badare a me’’, si affrettò a dire la contessina, mentre l’uomo quasi si mise a balbettare, sorpreso dall’inaspettata visita.

‘’Qui è molto raro ricevere visite dei padroni, signora. È un onore vedere che vi stiamo così a cuore da degnarvi di giungere fino alle stalle’’, disse l’uomo, riprendendo il respiro e replicando con fare sornione. Anna gli scoccò subito uno sguardo tagliente, nel tentativo di non far spingere le parole dell’uomo troppo in là, cosa che tra l’altro non accadde.

Ben presto, si creò un numeroso assembramento di contadini, curiosi di vedere la sposa del padrone, nonché la nuova signora di casa. Sempre più incuriositi dallo strano comportamento della contessina, numerosi servi lasciarono i loro impieghi e si affrettarono a giungerle vicino, in modo da poterla osservare meglio.

‘’Questa è la mia nuova amica Teresa’’, disse Guglielmina ad alta voce, mettendosi in mostra davanti a tutti.

‘’Gugliemina, quante volte ti devo spiegare che non devi chiamare la signora per nome?’’, la riprese subito sua madre, con toni così forti che la bimba quasi si mise a piangere.

‘’Anna, lasciala stare, è solo una bambina…’’, disse Teresa, un po’ impacciata. Non era abituata ad essere nel centro dell’attenzione, e quella situazione aveva molto di irreale. Quei servi la stavano guardando come se lei fosse una donna proveniente da un altro mondo.

‘’Se non imparerà l’educazione fin da subito, dopo saranno guai ser… oh!’’, esclamò Anna, interrompendosi bruscamente e spostando l’attenzione di tutti verso il limitare di una bassa siepe spoglia.

Infatti, da lì dietro sbucò un uomo giovane, che teneva tra le braccia una ragazza che doveva avere poco più di vent’anni. La giovane gridava, e quel giovane che doveva essere suo marito cercava di tranquillizzarla, stringendola a sé e dicendole parole calme e tranquille, dirigendosi proprio verso l’assembramento dei contadini, che subito si agitarono. Infatti, la ragazza pareva stare parecchio male.

‘’Cos’è successo? Si è sentita male?’’, chiese subito Anna, con fare premuroso e andando incontro alla coppia, mentre alcuni uomini mandavano in casa i bambini, in modo che non vedessero nulla che avesse potuto turbare i loro sonni.

‘’Sì… mia moglie è incinta di qualche mese, e dice di avere forti dolori al ventre. Ha paura di perdere il bambino’’, disse l’uomo giovane con fare affannato, stringendo a sé la sua sposa.

‘’Dobbiamo portarla in casa, poi cercherò di prepararle qualcosa in modo che la situazione non peggiori… per ora mi sembra che si tratti solo di affaticamento’’, affermò prontamente Anna, dopo aver ascoltato il balbettio della ragazza, che pareva in preda al panico.

‘’Ehi, stai calma, vedrai che tutto passerà e il tuo bimbo starà bene’’, concluse Anna, sfiorandole i capelli. La contadina sorrise e la lasciò fare, mentre suo marito si accingeva a portarla all’interno dell’abitazione comune.

Teresa a quel punto si sentiva d’intralcio, e non sapeva che fare, ma almeno in quel momento nessuno le stava più rivolgendo neppure un pizzico d’attenzione.

‘’Stavamo tagliando qualche ramo secco dalla siepe, in modo da raccogliere un po’ di legna da ardere, ma poi si è sentita male…’’, continuò a spiegare il marito della giovane, sempre cercando di portarla in casa, mentre Anna e gli altri contadini seguivano la giovane coppia, sempre più preoccupati. Teresa rimase stupita da tanta solidarietà; infatti, pareva che l’intera comunità fosse rimasta molto colpita da tutto quel dolore.

Mentre la contessina seguiva la scena con apprensione, sentì un rumore forte che si stava dirigendo verso le abitazioni della servitù. Si voltò, e vide che si trattava di una carrozza, ma non una qualsiasi; era quella di suo marito.

La giovane sospirò forte e rimase immobile, incapace anche solo di pensare di fare un altro passo. Sapeva che Alfonso l’avrebbe ripresa per essersi recata dalla servitù.

La carrozza si fermò poco distante, immersa nel disinteresse generale, poiché tutti erano in apprensione per la ragazza che si era sentita male.

Alfonso scese con fare irritato, senza neanche aspettare che il cocchiere gli aprisse lo sportello, e con foga si diresse subito verso l’assembramento di contadini. Teresa si passò una mano sul volto con fare preoccupato, e per un attimo abbassò lo sguardo. Sapeva che in un qualche modo era giunto fin lì per lei, e che forse Carla aveva continuato a tenerla d’occhio, facendo poi la spia.

Non appena rialzò lo sguardo da terra, suo marito la stava fissando ed era a due passi da lei, con gli occhi fuori dalle orbite e le guance arrossate. La degnò solo di uno sguardo flebile, e poi si diresse direttamente verso il ragazzo che stava trasportando sua moglie verso le due abitazioni dei servi.

‘’Che cosa sta succedendo qui?’’, chiese il conte con voce perentoria. Solo allora i contadini fecero caso a lui, e parecchi, girandosi a guardarlo, strabuzzarono gli occhi e si ritrassero, tornando di fretta a svolgere le loro solite mansioni, mentre la ragazza ancora si lamentava e Anna cercava di calmarla.

‘’Signor conte, la ragazza si è sentita male. Dobbiamo portarla dentro in modo da non esporla al freddo, e poi ci darò un’occhiata’’, disse Anna con fare coraggioso, fronteggiando il padrone.

‘’Si è sentita male, eh? E cos’ha, si è scorticata un dito?’’, chiese Alfonso, con un tono derisorio. A quel punto Teresa si fece avanti, e raggiungendo il marito, si fece forza e intervenne.

‘’E’ una ragazza incinta che stava trasportando della legna da ardere. Ora non sta bene, è meglio che vada a riposare e che qualcuno la visiti’’, disse la contessina, affiancandosi al marito, che la guardò con fare divertito.

‘’Voi che ci fate qui, nel mezzo degli sguatteri? Vi sembra un posto da frequentare, forse? E poi, parlate anche a loro favore. Vi rendete conto di quello che stai facendo? Parlate a favore di questi vagabondi. Che moglie ingenua che mi è capitata! È tutta scena, questa! E te lo mostrerò’’, prese a dire il conte, iniziando uno dei suoi soliti discorsi pesanti e insopportabili e degnando la moglie di uno sguardo.

‘’Sta male, vi dico. Ho visto con i miei occhi…’’, provò a dire Teresa, per poi venire subito interrotta dal marito.

‘’Voi non avete visto nulla! Avete visto solo quello che volevano farvi vedere. Avanti, tornate al lavoro’’, disse il conte, iniziando ad alzare la voce.

‘’Vi prego… mia moglie non può… aspetta un bambino, giuro che lavorerò il doppio per voi, e che lavorerò anche per lei, ma lasciatela riposare qualche ora…’’, provò a dire il pover’uomo, sorreggendo con fatica la sua donna, che ancora ansimava. Anna si fece da parte, abbassando la testa; ormai lei aveva fatto tutto il possibile. Teresa invece sentì crescere dentro di sé una grande ed irrefrenabile rabbia, mentre suo marito sorrideva.

‘’Non mi importa; quattro braccia sono sempre meglio di due, no? Dovresti saperlo anche tu, che neppure conosci i numeri. Quindi, tornate subito al lavoro, tutti e due, o non riceverete la paga per un mese. La mia umile dimora deve essere sempre calda, e non ho intenzione di stare al fresco a causa di una che dice di non sentirsi bene’’, concluse il conte, sempre più irritato.

‘’Non ho mai studiato, ma fino a quattro so contare, e so che c’è una differenza tra i due numeri. Ma posso anche promettervi che lavorerò anche qualche ora in più all’alba…’’.

‘’Non mi interessa! Al lavoro, tutti e due. E mettila giù, le gambe le ha ancora’’, disse nuovamente Alfonso, costringendo i contadini a piegarsi al suo volere e interrompendo il pover’uomo, che smise di supplicare e rimise a terra la sua donna, che cominciò a muoversi da sola verso la legna da portare al palazzo, sempre lamentandosi ogni tanto. Un mese senza ricevere la paga era decisamente insostenibile, e l’unica cosa che si poteva fare per non soffrire la fame era quella di obbedire al padrone.

‘’Marito mio, per favore, vi supplico… lasciate stare quella coppia di bravi lavoratori’’, intervenne Teresa, portando una mano al petto del marito, cercando di stimolarlo a darsi una calmata e a ragionare. Invece, ottenne l’effetto contrario.

‘’Bravi lavoratori?! Le inventano tutte pur di non far nulla. Vedi? Sta già meglio, e d’altronde devono tornare al lavoro. Voi venite con me, dobbiamo parlare’’, disse infine Alfonso, per nulla quietato dalle parole carezzevoli della moglie, e anzi, la prese a braccetto e con forza si incamminò verso la carrozza.

Il buon Giuseppe, che aveva assistito alla scena e al battibecco in cui sua moglie era stata rimproverata, si fece da parte e si accinse a far entrare la coppia di coniugi, lanciando occhiate infuocate ad Alfonso.

Attorno a loro, i servi erano tornati tutti al lavoro, e questo aveva reso baldanzoso il giovane conte, che salì sul suo mezzo con un sorriso sul volto, mentre Teresa continuava ad essere accompagnata quasi forzatamente.

Quando le allungò la mano per aiutarla a salire, Giuseppe la guardò con pena, forse immaginando quello che avrebbe dovuto sopportare entro pochi istanti. La contessina trovò la forza per muovere le sue labbra e per lanciargli un fugace sorriso, per poi tornare a riprendere la solita espressione rigida e impaurita.

Non appena furono soli dentro alla carrozza, Alfonso non attese altro tempo.

‘’Se volete andare d’accordo con me, dovete cambiare fin da subito, Teresa. Così non va e non può andare’’, disse il conte con fare triste, ma pur sempre con decisione.

‘’Non ritengo di aver fatto nulla di male’’, rispose prontamente Teresa, mentre la carrozza riprendeva a muoversi, pronta a riportarla verso quel grande palazzo che molto probabilmente sarebbe diventato la sua prigione perpetua.

‘’Smettetela di fare la sciocca, questo non è proprio il momento. Siamo qui da appena due giorni, e non avete fatto altro che darmi delusioni’’, continuò Alfonso, puntando il suo rigido sguardo sulla moglie, che rabbrividì.

‘’Non capisco’’, provò a dire la ragazza, anche se in realtà capiva, eccome se capiva. Eppure, sperava in un qualche miracolo, e che quella discussione che stava prendendo una piega sbagliata cadesse lì, finendo nel dimenticatoio, d’altronde lei non aveva fatto nulla di male. Ma quella volta non fu così.

‘’Siamo partiti male fin da subito. Non sapete gestire la servitù; Carla mi ha riferito che vi comportate in modo scostante con le serve, dando troppe confidenze ad alcune e non badando alle altre. I servi vanno controllati e sgridati se è ritenuto necessario, altrimenti tendono a non far nulla. Inoltre, questa mattina quando sono sceso per consumare la mia colazione, sappiate che Anna, la nostra amatissima cuoca che protegge le serve negligenti, non era presente. E questo perché voi l’avevate mandata a riposare. Ma non vi è bastato questo, no; avete perseverato, ed ora vi ritrovo a fomentare la servitù e a seguire il soccorso di una fannullona…’’.

‘’Basta così, per favore. Non voglio sentire altro’’, biascicò Teresa, mentre le lacrime stavano per bagnare il suo viso e trovando il coraggio per dire qualcosa.

‘’Basta così?! Allora sapete anche voi che avete sbagliato, e non siete una stupida come temevo. Ora vi parlerò chiaramente; non voglio che vi mettiate a seguire i servi fino alle loro sudice dimore, oppure a perdere tempo con i contadini della tenuta. Voi siete mia moglie, e dovete mantenere una certa dignità’’, tornò a dire Alfonso, ormai in preda ad una rabbia cieca. Teresa si asciugò una lacrima con il dorso della mano destra e se ne rimase in silenzio, chiedendosi se quell’incubo avesse mai potuto avere fine.

‘’Questa è solo una delle prime regole della nostra convivenza. E poi, ho notato che neppure mi amate, e non provate neanche a farlo. Giusto?’’, chiese nuovamente suo marito, tornando ad infierire. Teresa abbassò lo sguardo e non rispose.

‘’Continuate a stare zitta, confermando tutte le mie ipotesi. Sapete, poche ore fa ero davvero fiero di voi, per la prima volta abbiamo fatto l’amore e, anche se non vi è piaciuto, io l’ho gradito molto. Poi, sembrava quasi che aveste messo la testa a posto, e poi dopo un istante eccovi di nuovo ad avventurarvi in una delle vostre sciocchezze. Così non va… ma io so come fare per farvi iniziare a ragionare. La nostra vita coniugale inizierà non appena rimetteremo piede nella nostra dimora, ve lo garantisco’’, concluse Alfonso, sospirando. Sua moglie non poté far altro che disperarsi, e sperare che tutto quello che stava vivendo potesse prendere una piega migliore, prima o poi.

Di lì a poco, la carrozza si fermò di fronte alla loro immensa abitazione, e mentre Alfonso continuò a restare nel suo momentaneo mutismo, il cocchiere tornò ad aiutarli a farli scendere, per poi andarsene poco dopo, non appena il conte e sua moglie iniziarono a percorrere la scalinata che conduceva all’ingresso di casa.

Teresa, sempre condotta a braccetto dal marito, non poté far altro che notare la tristezza che le imponevano quelle misere statue, e quel misero marito che si trovava a suo fianco.

Sapeva che lui l’avrebbe fatta soffrire ancora, ma nonostante tutto sentiva che aveva ancora le forze per opporsi al suo volere, per non diventare definitivamente un suo oggetto ed avere ancora una volontà propria. Alfonso stava mostrando un misto di gelosia e di possessività da spavento, un attaccamento morboso e quasi infantile nei suoi confronti, continuando a parlare dei suoi dubbi e dei suoi sospetti su di lei, infierendo senza sosta.

Con tristezza, constatò che era davvero vicinissima a cedere, ad impazzire. Quella vita per lei era una gabbia senza senso, una costrizione, e seppe che ben presto non l’avrebbe sopportata più. Capì che forse a breve, se tutto fosse continuato ad essere così pesante, avrebbe trovato le forze per compiere un gesto estremo, ma represse subito quel pensiero lugubre. Fintanto che avrebbe avuto forza interiore, avrebbe combattuto ed avrebbe vissuto, contrapponendosi a quel marito che molto probabilmente le avrebbe imposto solo limiti e divieti.

Con un sospiro, si ritrovò dentro al palazzo, e suo marito si sciolse e le lasciò il braccio con cui l’aveva guidata fino a quel momento. Le lanciò un’occhiata piena di rimprovero, e Teresa capì che la discussione di poco prima non era ancora conclusa, ma rinviata ad un momento più propizio.

Infatti, Alfonso si diresse subito verso la sua piccola biblioteca, dove si metteva a fare i conti e a pensare ai prossimi investimenti agricoli, visto che si fidava solo di sé stesso, e si richiuse al suo interno, isolandosi dal mondo com’era suo solito fare. Quando lei era in casa, suo marito era quasi sempre tranquillissimo.

La contessina si diresse subito verso una stanzetta che aveva visitato per la prima volta solo poche ore prima, e dove aveva lasciato un libro che le piaceva, riprendendo a leggere e cercando anch’essa di estraniarsi dal mondo e di godersi quel breve momento di pausa.

Mentre leggeva, per alcuni istanti rivolse una preghiera a quella ragazza sofferente che suo marito aveva costretto a tornare al lavoro, sperando che non le succedesse nulla di male, altrimenti non sarebbe mai riuscita a perdonarselo.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Pian piano, la vicenda sta diventando davvero molto drammatica. Per alcuni dei prossimi capitoli, Teresa vivrà davvero una brutta situazione, ma dopo tanta sofferenza… chissà… potrebbe improvvisamente tornare la speranza J

Grazie a tutti! A lunedì prossimo J

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Capitolo 36
*** Capitolo 35 ***


Capitolo 35

CAPITOLO 35

 

 

 

‘’Penso che stiamo commettendo una follia’’.

La voce di Mario ruppe il silenzio della notte, mentre i quattro briganti si stavano muovendo silenziosamente, alla ricerca di una qualche traccia dei loro nuovi nemici. Giovanni ridacchiò.

‘’Non sarebbe neppure la prima, mio caro amico! Ultimamente mi sembra di fare solo mosse azzardate. Ma fidati, questa volta sarà tutto piuttosto facile’’, rispose il capo dei briganti, stando ben attento ad ispezionare il manto nevoso che lo circondava da ogni parte.

Non aveva nevicato più per quella giornata, e ormai la neve si era indurita ed era quasi diventata ghiaccio con l’arrivo della gelida notte. I sette briganti in fuga in ogni caso dovevano aver obbligatoriamente lasciato delle impronte sulla neve, permettendo quindi agli inseguitori di raggiungerli ovunque essi si fossero fermati per trascorrere la nottata.

Naturalmente, Giovanni aveva deciso di attendere l’arrivo della prematura oscurità invernale, in modo da potersi muovere con più sicurezza.

‘’Macché, stai scherzando, spero. Non sono sicuro che questa volta riusciremo a tornare a casa vivi! Ricorda che loro sono sette, e noi solo quattro. E poi, chi ci assicura che non abbiano cancellato le impronte? Tanto sapevano che avremmo potuto inseguirli’’, continuò a sussurrare Mario dopo una brevissima pausa, mentre Luca e Lorenzo lo seguivano da dietro, guardinghi.

‘’Noi siamo solo quattro, è vero, ma ricorda che siamo pochi ma letali. Loro non si aspettano un qualche inseguimento, o almeno ne attendono uno di grosse dimensioni, rumoroso e con parecchi membri della banda. Quando piomberemo loro addosso, saremo silenziosissimi e finirli sarà facilissimo. E, per quanto riguarda le impronte, vedrai che non le avranno cancellate; avevano troppa fretta per confondere le tracce’’, rispose Giovanni, sempre attento a non fare troppo rumore.

Alla fine aveva deciso di non coinvolgere gli altri membri della banda in quell’inseguimento, anche nel timore di possibili disordini. Quindi, aveva optato per una caccia all’uomo silenziosa e relativamente sicura, sperando che tutto fosse andato così come aveva previsto.

‘’Zvàn!’’, disse tutto d’un tratto Lorenzo, indicando un punto indefinito nel manto nevoso.

Subito, gli altri tre briganti lo seguirono, e videro fin da subito le impronte lasciate dai sette uomini, che in quel punto avevano abbandonato il loro percorso rettilineo per iniziare una rapida discesa verso valle.

‘’Bene, sono loro’’, disse il capo dei briganti, che poi si mise a seguire le orme a passi rapidi e sostenuti.

Dietro di lui, si formò una cortissima colonna formata dai suoi pochi compagni, che si armarono al meglio e continuarono a seguire il capo.

Il freddo pungente si faceva sentire, e i rumori del bosco spoglio potevano far spaventare chiunque. Fortunatamente, la neve rifletteva qualche bagliore lunare di tanto in tanto, mettendo quindi in affanno il buio più profondo della notte, che andava a prendere posizione soprattutto ai piedi degli alberi sempreverdi, che con le loro lugubri ombre gettavano spazi oscuri sui temerari briganti.

Ben presto, Giovanni fu certo di aver già quasi raggiunto il nemico, visto che le ultime impronte parevano molto fresche. Molto probabilmente, i ribelli erano stanchi e non erano riusciti a fare molta strada, visto che erano appesantiti anche dalle loro misere cose che si erano portati dietro dal covo.

I briganti continuarono a scendere rapidamente verso valle, cercando di non scivolare sul ghiaccio. Dopo poco, infatti, i bagliori di un fuoco acceso risvegliarono il loro interesse.

‘’Stupidi e sbadati. Vogliono proprio farsi scoprire! Oppure ci stanno depistando, e vogliono che noi andiamo dove pare a loro, in modo da lasciarli fuggire indisturbati’’, disse prontamente Luca, cercando di comprendere la situazione.

‘’Non credo. Non è questione di depistarci, ma solo che fa talmente tanto freddo che non possono stare senza fuoco, altrimenti rischierebbero come minimo qualche gelone’’, spiegò Giovanni, certo di aver già ritrovato i nemici.

‘’Effettivamente, non hanno fatto molta strada, Zvàn…’’, provò a far notare Mario, cercando capire quanto fosse sicuro il suo capo.

‘’Ma quanta strada vuoi che abbiano fatto, amico?! Appiedati e stanchi, nel bel mezzo della neve e del gelo, con quell’impedito di Fabio da tirarsi dietro e con Dario che non è più molto arzillo… beh, non hanno avuto modo di allontanarsi di più, né di proseguire col buio’’, rispose ancora Giovanni, sempre più certo sul da farsi.

Infatti, riprese subito a muoversi verso il fuoco, spingendo i compagni a seguirlo. Fece loro cenno di stare in silenzio e di procedere in modo cauto e silenzioso, poiché un rumore improvviso avrebbe potuto far attirare su di loro l’attenzione di quei pericolosi soggetti. E allora sarebbero stati guai seri.

Fortunatamente, i suoi tre compagni furono silenziosi e impercettibili, e lo seguirono senza alcun problema.

Mentre si avvicinava al fuoco, Giovanni si fermò, cercando di scrutare meglio. Poco distante, notò un rifugio in stato di abbandono, che si rassomigliava ad un capanno da caccia utilizzato comunemente dagli abitanti della zona, mentre un uomo incappucciato se ne stava semidisteso a fianco del fuoco acceso.

Molto probabilmente era stato lasciato di guardia, mentre gli altri sei ribelli dovevano essere all’interno del rifugio a riposare. Giovanni fece un cenno a Lorenzo, che prontamente gli si avvicinò con cautela.

‘’Quello sdraiato è tuo. Non so chi è, non si vede il volto ma penso proprio che sia parecchio insonnolito. Avvicinati di soppiatto da dietro, tappagli la bocca e attendi un istante prima di farlo secco, in modo che noi possiamo entrare in quella baracca senza che nessun rumore ci disturbi’’, sussurrò il capo al ragazzo, che parve perplesso.

‘’Devo… ucciderlo?’’, chiese infatti subito dopo Lorenzo.

‘’Sì. Non te la senti? Avresti dovuto dirmelo prima, pensavo che lo scopo della missione fosse chiaro’’, disse Giovanni, sorpreso.

‘’Scherzi? Nessun problema, ho già ucciso in passato. Era solo una semplice domanda’’, rispose il ragazzo, sciogliendosi e scrollando le spalle. Il capo dei briganti lo fissò per un attimo, perplesso, per poi sussurrargli le ultime parole.

‘’Non voglio che ci scoprano. Ora vai, se no mando Mario’’.

Non fece in tempo a sussurrare altro, poiché Lorenzo aveva già iniziato a dirigersi verso il brigante semiaddormentato. Silenzioso come un animale predatore, il giovane si avvicinò con cautela al ribelle, quasi strusciando a terra.

‘’Amici, non c’è più tempo! Ora andiamo. In pochi istanti dobbiamo essere dentro la baracca abbandonata, e poi inizieremo subito a sparare. Nessuno deve uscire vivo da lì’’, tornò a bisbigliare Giovanni ai due compagni rimasti, che annuirono e si mossero subito dietro di lui.

Nel frattempo, Lorenzo con un balzo fu sopra al brigante, e gli tappò la bocca. Poi, con forza, spinse il viso infagottato dell’uomo nella neve, facendoglielo affondare. Il ribelle prese a muoversi fin da subito, sorpreso, poiché non si sarebbe mai aspettato un agguato tanto perfetto e silenzioso, ed era pure quasi addormentato.

Soddisfatto, Giovanni avanzò quasi di corsa fino alla porta della baracca, e fece irruzione al suo interno. Un altro fuocherello stava bruciando al centro del capanno, sul pavimento in terra battuta, mentre tutt’attorno c’erano i ribelli distesi e addormentati.

Il capo dei briganti non attese neppure un attimo, e iniziò a far fuoco sui corpi distesi ed avvolti nei loro miseri stracci di abiti. Insieme a lui, anche Luca e Mario iniziarono a sparare, e in pochi istanti il tutto fu concluso. Al suolo avevano già iniziato ad allargarsi misere pozze di sangue rossastro, proprio sotto i corpi dei deceduti, che molto probabilmente neppure si erano accorti che stavano per morire.

‘’Avete già fatto?’’, chiese Lorenzo, entrando nella capanna.

‘’A quanto pare, sì. E tu?’’, chiese prontamente Mario al ragazzo, che annuì vigorosamente. Le sue mani erano sporche di sangue, e doveva aver fatto fuori anche il suo nemico.

Giovanni si chinò ed iniziò a controllare che i briganti fuggitivi fossero tutti morti, e con lentezza iniziò a scoprire i loro volti e a tastarne il polso, in modo da scoprire se avevano ancora il battito cardiaco. I suoi tre compagni si misero subito all’opera dietro di lui, seguendolo.

‘’Te l’avevo detto che bastavamo noi quattro. Se eravamo giunti qui con tutta la banda ci avrebbero sentiti e avrebbero ripreso la loro fuga, rendendoci tutto più difficile e sfruttando il buio per nascondersi’’, disse Giovanni, mentre rimetteva il ruvido cappuccio di lana sul volto del cadavere di Dario, che aveva lasciato il mondo dei vivi nel sonno.

‘’Ci è andata bene! Questi erano davvero mal organizzati, bastavano due uomini per farli fuori tutti. Quanta poca scaltrezza! Dario, devo riconoscerlo, era davvero stupido. Ha sbagliato tutto fin dall’inizio’’, osservò poi Mario, sospirando.

Giovanni non rispose, poiché era tremendamente dispiaciuto per quella carneficina che si sarebbe potuta anche evitare. Quegli uomini erano pur sempre stati suoi compagni, ed ucciderli era stato davvero difficile per lui, ma ben sapeva che entro pochi giorni avrebbero potuto diventare i suoi peggiori nemici, quindi alla fine dovette placare il suo senso di colpa.

Quando si accinse a controllare l’ultimo improvvisato giaciglio, buttò una mano sugli stracci ammucchiati e ci affondò. Sorpreso, e quasi non credendo ai suoi occhi, gettò via tutto con un calcio e scoprì che il settimo ribelle mancava.

‘’Ragazzi, chi manca?’’, chiese il capo dei briganti, attirando l’attenzione degli altri compagni, che nel frattempo gli stavano dando le spalle e stavano completando la loro ispezione. Tutti si voltarono verso di lui, altrettanto sorpresi.

‘’Manca Fabio’’, fece notare Luca, con voce tentennante.

‘’Dannazione!’’, disse ad alta voce Giovanni, lanciandosi subito fuori dal capanno e cercando possibili tracce fresche nella neve.

Fortunatamente, notò subito un paio di orme fresche direzionate verso il retro del rifugio, che non potevano essere state lasciate dai suoi tre uomini. Quindi, Giovanni non perse tempo e si mise a seguirle, nella disperata ricerca di quel ragazzo pazzo. Se gli fosse sfuggito quel demente, molto probabilmente sarebbero stati guai seri, e doveva assolutamente rintracciarlo.

Continuò a seguire le orme in solitaria, lasciando indietro i tre compagni, che nel frattempo erano rimasti dentro il misero capanno, ancora sorpresi.

Le tracce portavano verso valle, e Giovanni le seguì di corsa, iniziando a respirare affannosamente. Ben presto, dovette fermarsi e constatare che non ce l’avrebbe fatta a proseguire oltre.

Fabio era fuggito in un qualche modo sconosciuto, poiché non era uscito nei momenti antecedenti all’agguato e neppure durante l’epilogo della vicenda. Doveva essere uscito dal rifugio per fare qualche bisogno nel retro, intrattenendosi per un po’, ed una volta uditi gli spari doveva essere fuggito subito verso valle. Eppure, non poteva aver percorso tanta distanza.

Però, stranamente, le orme finivano poco lontano.

Giovanni si fermò un attimo, perplesso, per poi udire un lieve rantolare. Si trattava di un respiro umano, affannato e affaticato.

Guardingo, il capo dei briganti prese a guardarsi attorno, e notò subito una figura accucciata a fianco di un grosso tronco d’albero.

Accorgendosi di essere stato avvistato, Fabio uscì allo scoperto, puntando la sua pistola verso colui che era stato il suo capo fino a poche ore prima.

‘’Questa volta non è scarica’’, precisò il rosso a bassa voce, col respiro ancora affannato.

Giovanni si fermò e fissò il ragazzo rosso, che si era arrestato a pochi metri da lui. Con dispiacere crescente, notò che si stava ripetendo il copione di poche ore prima, con la sola differenza che quella volta la pistola doveva essere davvero carica.

‘’Fabio, calmati. Ho capito che ultimamente eri pressato, e magari non hai neppure mai capito le mie vere intenzioni nei tuoi confronti’’, disse il capo dei briganti, sospirando.

Mentre si chiedeva il perché del fatto che i suoi compagni non fossero riusciti a seguirlo, pensò che l’unica cosa che poteva fare era trovare un compromesso. Sperando di non far commettere gesti folli al ragazzo, lasciò cadere a terra l’arma che stringeva tra le mani.

Il rosso lo guardò, lievemente stupito.

‘’Non saprei… sono stato parecchio confuso, nell’ultimo periodo. Ma so di per certo che tu mi vuoi ammazzare. Non so perché hai lasciato cadere la tua arma, ed ho il timore di cadere in un qualche tranello’’, disse Fabio, facendo qualche passo indietro. Si stava preparando per fuggire, e questo Giovanni non poteva permetterlo. Quel giovane confuso avrebbe potuto creare grossi guai alla sua banda.

‘’Non sono un tuo nemico, così come credi. Non ho mai voluto farti intenzionalmente del male, e quelle poche volte che ti ho colpito è stato solo perché tu non mi lasciavi altre alternative. Capisco come ci si sente ad essere forzati a far qualcosa che non si condivide…’’, tentò di dire il capo dei briganti, cercando di intrattenere il ragazzo.

‘’Mi picchiavano. Se non facevo quello che mi ordinavano, Dario veniva da me di notte, nel mio giaciglio, e mi afferrava per il collo, promettendomi di strangolarmi e di farmi sparire, e sapevo che prima o poi l’avrebbe fatto se non avessi obbedito ai suoi ordini. Voleva qualcuno che deconcentrasse il capo, in modo che lui avesse potuto aver campo libero per i suoi loschi interessi personali. Non ero l’unico, estorceva i magri guadagni anche ad altri giovani, ricattandoli e malmenandoli. A me, aveva anche promesso una parte del potere se avessi collaborato con lui, ma non ero così stupido da credergli’’, aggiunse Fabio, lasciandosi finalmente andare. I suoi occhi verdi e dilatati rilucevano al chiaro di luna e nei riflessi della neve come se fossero smeraldi.

Giovanni chinò il capo, chiedendosi come avesse potuto non accorgersi di tutto quello che stava accadendo all’interno del suo gruppo, per poi trovare subito la risposta. Ultimamente si era lasciato andare con la contessina, ed aveva seguito solo sé stesso e i suoi ideali, lasciando in disparte la sua banda, e questo aveva provocato quel caos quasi irreparabile.

Per un attimo, si sentì davvero in colpa nei confronti dei suoi compagni, e anche di Fabio, costretto a comportarsi così come gli veniva ordinato.

‘’Capisco. Giuro che non mi ero accorto di nulla, e di questo mi sento davvero in colpa. Ma… perché tu ora non eri con loro nel capanno?’’, chiese Giovanni, anche se in realtà già immaginava la risposta. Stava solo cercando di intrattenere il giovane, cercando di farlo rilassare.

Fabio ridacchiò nervosamente, e abbassò la pistola di qualche centimetro.

‘’Me ne stavo andando. Quegli stolti dormivano pesantemente, così ho avvolto alcuni dei miei abiti nella paglia ed ho fatto un involucro che a prima vista si assomigliava ad un corpo, ed infine ho coperto tutto col mio mantello, in modo che fino al mattino successivo nessuno avesse potuto accorgersi che io non c’ero più. Ma poi siete arrivati voi, ed avete rovinato tutto!’’, ruggì il giovane, riprendendo quell’aria da folle che lo rendeva davvero orribile da vedere. Rialzò nuovamente la pistola e sfiorò il grilletto.

‘’Non abbiamo rovinato niente, invece! Questo è un nuovo inizio, ed ora abbiamo eliminato tutte le mele marce del gruppo. Se tornerai indietro con noi, ti garantisco che sarai ben accetto e che potrai riprendere la vita di prima, senza più nessuno che ti faccia del male. Pensaci, Fabio; ti sto dando una grande occasione di rivincita’’, sussurrò Giovanni, lievemente impaurito dall’atteggiamento del rosso.

‘’Non mentirmi nuovamente! Quei bastardi dei tuoi amichetti non mi accetteranno mai. Lorenzo, Luca, Mario… tutta gente che mi odia! Non posso tornare, ma ti lascerò in vita. Ho capito che non eri poi così male come capo, per questo vivrai. Ma non provare a fermare la mia fuga o ti ammazzo! Giuro che ti ammazzo!’’, ripeté Fabio in modo frenetico, mentre continuava ad avvicinarsi al capo disarmato ed inerme. Poi, fece qualche passo indietro, pronto a riprendere la corsa verso valle.

‘’Torna con noi! Avrai un tetto, del cibo, dei soldi… se fuggirai ora, non avrai più nulla! Ti ridurrai come uno straccione, perché fuori di qui c’è solo morte e povertà! Vieni con noi’’, tornò a dire Giovanni con toni quasi supplichevoli.

Incredibilmente, il rosso si fermò e abbassò la pistola, per poi inginocchiarsi a terra, lasciandosi scivolare come se fosse rimasto senza forze.

‘’Non ne posso più, Zvàn. Questa vita non mi ha dato niente, e non ho neppure più le forze per continuare il mio cammino. Se mi riprenderai con te, sarò felice di tornare al covo. Ti chiedo perdono per tutto’’, bisbigliò il giovane, mentre abbassava lo sguardo con fare stanco. Giovanni quasi esultò di fronte a quell’imprevedibile e facile resa, e gli andò vicino, abbassandosi anche lui.

‘’Sarai ben accetto’’, gli disse, sfilandogli la pistola da tra le mani e gettandola poco distante. Il rosso lo lasciò fare, e si alzò insieme al suo capo, lasciandosi sorreggere.

Improvvisamente, uno scalpiccio interruppe quel breve momento di calma, e Giovanni si preoccupò, sperando che non si trattasse di una qualche belva selvatica pronta ad aggredirli, poiché in quel momento non erano neppure armati.

Cercando di capire quale fosse la causa di quei rumori, ben presto capì che si  trattava di rapidi passi umani, e che doveva trattarsi di un qualche suo compagno. Attese un istante, per poi annunciarsi e per fare in modo da evitare possibili azioni brusche e fuori controllo dei ragazzi, ma Luca balzò di fronte a lui con la stessa rapidità di un felino e fece fuoco su Fabio.

Il colpo partì mentre il ragazzo era ancora in movimento, e la pallottola non fu precisa, ferendo il rosso al braccio destro. Prontamente, Fabio si ritrasse e si discostò da Giovanni.

‘’Mi… mi hai tradito! Mi hai disarmato solo per farmi uccidere… questa non te la perdonerò mai!’’, biascicò il rosso, e prima che il capo dei briganti potesse fermarlo, si gettò in una velocissima e sfrenata corsa verso valle, mentre Luca ricaricava la sua arma.

‘’Basta, Luca! Fabio, torna indietro! Non è come sembra…’’, gridò Giovanni, ma ormai il giovane rosso era stato inghiottito dall’oscurità. Luca guardò perplesso il suo capo.

‘’Pensavo dovessi ammazzarlo. Erano questi i tuoi ordini’’, disse il ragazzo, scrollando le spalle.

‘’Hai combinato un disastro. E’ vero, era quello il mio ordine iniziale, ma ero riuscito a sistemare tutto, mentre ora quel pazzo sta scappando, e chissà dove andrà e come si comporterà. Se non lo ritroviamo saranno guai grossi’’, concluse Giovanni, che poi si gettò ad inseguire le orme del ribelle, lasciando indietro Luca e non preoccupandosi più di nulla.

Per un po’ riuscì a seguire le tracce di sangue fresco lasciate dal ferito, poi alla fine cadde al suolo, sfinito.

Raggomitolandosi su sé stesso, il brigante cercò di riprendere un respiro regolare prima di tornare a cercare i suoi compagni d’avventura. Ormai, il giovane rosso poteva essere ovunque, e vista la sua velocità, per Giovanni era impossibile raggiungerlo.

Fabio aveva ripreso fiato, per poi fuggire veloce come una lepre quando era stato sotto tiro. Se Luca avesse aspettato solo un attimo a mostrarsi, si sarebbe concluso tutto al meglio, e lui avrebbe potuto pure spiegare bene la vicenda e riportare con sé quel pericoloso ragazzo, che magari in futuro avrebbe anche potuto raddrizzare. Invece, anche quella volta era andato tutto a rotoli. Con stizza, si rimise in piedi e incominciò la rapida salita che lo stava attendendo.

Solo dopo un po’ si ritrovò nel punto in cui era riuscito a fermare Fabio, e scoprì che gli altri tre compagni lo stavano aspettando lì, parlottando tra loro e stringendo tra le mani due fiaccole accese.

Non appena lo videro arrivare, Mario gli andò incontro, mentre Luca rimase in disparte, sul suo giovane volto appariva solo un espressione colpevole.

‘’Mi dispiace. Non volevo rovinare tutto… pensavo fosse giusto così’’, disse il ragazzo, facendo bloccare Mario sul posto. Tutti attendevano la risposta del capo.

‘’In fondo, non è successo nulla di male. Forse sarebbe scappato comunque, o ci avrebbe creato altri problemi, non fa nulla. Hai fatto solo ciò che ti avevo richiesto poco fa, e non hai sbagliato. Anzi, vi ringrazio tutti per come avete eseguito i miei ordini; siete stati davvero bravi, non ho nulla di cui lamentarvi’’, disse ragionevolmente Giovanni, fermandosi anche lui e passandosi una mano sulla fronte, imperlata di sudore gelido. Il suo tono di voce era normale, non era né deluso e neppure ironico, e i tre compagni accettarono il ringraziamento in silenzio.

‘’Ovviamente, non è finita qui. Mario, dovrai trovare Fabio ovunque si nasconda. Non sarà difficile, basterà chiedere in giro se qualcuno ha notato un ragazzo solo e ferito ad un braccio, rosso di capelli. È pure disarmato. Vedrai, lo ritroveremo senza problemi’’, concluse il capo dei briganti, continuando a rompere quel silenzio stanco che era sceso tra i suoi uomini.

‘’Sì, non sarà difficile. Ormai è l’alba, e ne approfitterò subito per sguinzagliargli al seguito qualche ragazzo, e vedrai che lo ritroveremo. Lo vuoi morto?’’, chiese Mario, serio. Giovanni si imbronciò ed abbassò lo sguardo verso terra, chiedendosi dentro di lui quale fine volesse per quello stupido ragazzo rosso.

Con l’animo a pezzi, riconobbe che non avrebbe potuto sopportare di vedere un altro della banda ucciso per sua espressa volontà.

‘’No, voglio solo che lo rintraccino e che me lo riportino vivo. Al resto, ci penso io’’, concluse il capo dei briganti, lasciando tutti stupiti. In ogni caso, Mario annuì e nessuno ebbe da ridire sulla sua scelta.

‘’Voglio andare io a cercarlo’’, si fece avanti Lorenzo, che finora era rimasto in disparte.

‘’No, tu non andrai da nessuna parte. Voi tre che siete qui con me, resterete a mio fianco e d’ora in avanti sarete i miei più validi aiutanti, non voglio che avvengano altre diatribe all’interno della banda, e d’ora in poi mi aiuterete anche a controllare e monitorare tutto’’, affermò Giovanni, non lasciando possibilità di dibattito. Aveva deciso di dare più valore ai due più giovani e sinceri amici che aveva nel gruppo, così che anche loro avessero la giusta ricompensa per tutto ciò che svolgevano ogni giorno per lui e per l’onestà dimostrata nei suoi confronti.

‘’Ma io credevo di esserti d’aiuto già da parecchio tempo’’, disse tutt’a un tratto Mario, ridacchiando.

‘’Oh, tu sì, ma i ragazzi no. Ho avuto modo di conoscerli da poco’’, rispose Giovanni, ridendo anch’esso.

‘’Benvenuti tra gli amici del capo, allora!’’, esclamò Mario con gioiosa ironia, disgelando definitivamente l’ambiente, mentre i due giovani si dimostrarono lusingati dalle parole del loro capobanda.

Giovanni cercò di non pensare alla fine dei suoi compagni, sapendo di aver fatto la cosa giusta, e cercò di rimanere sereno in compagnia dei suoi amici, mentre tutti e quattro insieme riprendevano a dirigersi verso il covo.

 

Quando rientrarono al covo, era già l’alba.

Mario andò subito a svegliare alcuni briganti, mandandoli poi nel capanno più a valle a seppellire i sei corpi dei compagni, in modo che non rimanessero insepolti.

La notizia si diffuse a macchia d’olio, e ben presto tutti erano a conoscenza della causa degli spari che avevano udito distintamente durante la notte. Alcuni briganti gli fecero i complimenti, mentre altri se ne stettero zitti, ma in fondo Giovanni fu certo che per un bel po’ nessuno si sarebbe mai più arrischiato di ribellarsi al suo potere, conoscendo la fine a cui sarebbero andati incontro.

Da quel giorno, per il capo dei briganti sarebbe iniziata una nuova vita, una vita più tranquilla e un comando più facile, visto l’aumento dei suoi aiutanti, eppure, anche in quel momento di stabilità la sua mente tornò a Teresa, quella ragazza che ormai aveva perso da più di un mese.

Si chiese dove fosse, e come si trovasse con suo marito. Si rispose dicendosi che sicuramente sarebbe stata bene, e forse addirittura era felice, e in quel momento magari era sotto le coperte calde di un morbido letto, abbracciata al suo consorte.

Di certo doveva essersi dimenticata di lui, altrimenti avrebbe potuto fuggire, oppure fargli sapere qualcosa tramite vie traverse, magari utilizzando qualche servitore. Ma invece, nulla di nulla.

Indispettito da quei pensieri, scosse la testa e rientrò nella sua cascina, sperando che un po’ di riposo potesse togliergli dalla testa tutte quelle riflessioni amare.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

I ribelli sono stati duramente puntiti, ma come avrete notato, Fabio è riuscito a darsela a gambe. Riusciranno a rintracciarlo? Chissà!

Nel prossimo capitolo torneremo da Teresa J

Grazie di nuovo a tutti voi, e in modo particolare a tutti i fantastici recensori che mi sostengono sempre con entusiasmo J

Grazie di cuore J a lunedì prossimo J

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Capitolo 37
*** Capitolo 36 ***


Capitolo 36

CAPITOLO 36

 

 

 

 

All’alba, Teresa si era già alzata.

Da sola, immersa nella penombra della camera da letto, iniziò a vestirsi in silenzio.

Aveva paura pure di fare un minimo rumore, poiché se suo marito si fosse svegliato, poi non immaginava come avrebbe potuto reagire. Se l’avesse di nuovo attratta a sé con la sua solita lussuria volgare, molto probabilmente non avrebbe retto e l’avrebbe schiaffeggiato.

Ormai, ogni notte si sdraiava vicino a lei e pretendeva le sue attenzioni, e non poteva rifiutargliele. Nonostante dentro di sé non volesse concedersi a lui, sapeva che era la cosa giusta da fare, poiché era sua moglie, e alla fine si lasciava andare, anche se nel suo intimo non voleva.

Alfonso sospettava una qualche tresca passata con qualche uomo, ma non le aveva mai chiesto niente di specifico. Gli bastava che fosse stata vergine la prima notte di nozze, tutto qui.

Mentre si sistemava la sua comoda veste, iniziò a muoversi verso la porta, che aveva precedentemente lasciato socchiusa.

Come ogni notte, dopo aver consumato il solito rapporto con suo marito si era recata a prepararsi quella tisana di erbe che le aveva lasciato Lina. Purtroppo, le erbe essiccate stavano venendo a meno, e sapeva che prima o poi le avrebbe finite, ed allora ci sarebbe stato il rischio di concepire un figlio di quell’uomo che tanto odiava, ma che alla fine aveva sposato.

Uscì dalla grande camera richiudendo la porta con lentezza e, notando che il respiro di suo marito era regolare e che non si era svegliato, prese a muoversi verso il piccolo balconcino che si affacciava sul grande giardino di fronte al palazzo.

Aveva avuto la fortuna di non incontrare nessuno mentre percorreva l’ampio corridoio, e approfittandone, aprì con lentezza i pesanti scuri di legno che tenevano fuori la luce del sole.

Non appena li ebbe aperti, si trovò immersa nel rossore del sole nascente. La ragazza provò un brivido intenso, ma riconobbe che lì il freddo era molto attenuato rispetto al nord.

Prese una boccata d’aria gelida che quasi le fece male ai polmoni, ma nonostante tutto si affacciò ugualmente dalla ringhiera che circondava quell’angusto terrazzino, che non era affatto grande. Era di ristrette dimensioni proprio per evitare che diventasse un luogo dove ci si potesse soffermare, visto che la vita nobiliare si doveva svolgere tra le mura domestiche e non in bella vista, di fronte a quelli che suo marito riteneva fossero solo degli zotici.

Sotto di lei, il verde intenso dell’erba si estendeva a vista d’occhio, mentre dall’altro lato della strada si notava un’altra grande villa signorile, probabilmente disabitata in quel periodo dell’anno. Ai nobili piaceva recarsi in campagna durante l’estate, quando in città faceva caldo, eppure Alfonso aveva voluto soggiornare in quel palazzo durante l’inverno, e Teresa non ne capiva il motivo.

Lì era tutto più scomodo; infatti suo marito per uscire doveva sempre far preparare la carrozza e tutto era decisamente difficile, persino procurarsi i viveri da mandare avanti il tutto. Eppure, Alfonso usciva ogni sera come se nulla fosse, e rientrava a notte fonda.

Fortunatamente, nelle ultime settimane l’attraeva a sé con minore impulso, come se fosse già sazio, anche se comunque svolgeva il suo compito coniugale ogni notte. Quei ritardi notturni eccessivi, accompagnati da parecchi assenteismi diurni, stavano portando la contessina a pensar male del marito. Però, alla fine cercava sempre di non farci eccessivo caso.

D’altronde, Alfonso era pur sempre un nobile molto impegnato e colto, che doveva essere ben accetto in ogni salotto.

Però, lei non poteva mai partecipare a quelle uscite. Suo marito era molto geloso, e mai una volta l’aveva accompagnata in città, e dal giorno in cui si era fatta beccare a gironzolare negli ambienti della servitù non le aveva neppure più permesso di uscire da quella dannata abitazione.

Ogni volta che si avvicinava alla porta, quell’insopportabile Carla, la governante, le faceva delle domande e la fermava, non badando affatto alle loro differenze sociali e al rispetto che le doveva portare. A nulla valevano le sue lamentele, e pareva che quel donnone fosse realmente incaricata di controllarla in continuazione e di impedirle di stare all’aria aperta.

Per quello era costretta ad uscire di prima mattina sul balcone, in modo respirare un po’ d’aria pura. Alfonso era logorroico e insopportabile quando era a casa, quindi riconobbe che più se ne stava in giro, più lei stava meglio, anche se ultimamente sembrava più tranquillo e meno fastidioso del solito.

Pensando queste cose, accantonò momentaneamente i brutti pensieri sul marito, dirigendo la sua mente verso suo padre. Sapeva che Alfonso aveva lasciato che occupasse un’altra abitazione signorile poco distante, ma lei non aveva mai ricevuto una sua visita. Aveva timore che il conte stesse male, e che soffrisse di qualche malessere. Voleva vederlo a tutti i costi, e di certo avrebbe chiesto a breve a suo marito di concederle il permesso di andare a fargli visita.

Nel frattempo, sotto di lei, la servitù aveva già iniziato il suo operato quotidiano, mentre del resto il silenzio dominava ancora ovunque, in quelle campagne.

‘’Teresa! Vi cercavo, e vi ritrovo qui al freddo. Rientrate subito, o vi ammalerete senz’altro!’’.

La voce di Alfonso risuonò ovunque, e la contessina si morse il labbro inferiore, infastidita. Si voltò verso il marito, e scoprì che lui le sorrideva. Il suo volto era rilassato e disteso, e questo era decisamente strano.

Alfonso era sempre stato un uomo serio e insopportabile, e Teresa proprio non capiva il perché del fatto che nelle ultime settimane fosse diventato così tranquillo. Decise quindi di non turbarlo, e rientrò subito nell’abitazione, con obbedienza e rispetto. D’altronde, pensò che il fatto di averla sempre sotto controllo lo avesse lievemente rilassato.

Si doveva essere svegliato subito dopo di lei, e si era già vestito in modo impeccabile.

‘’Andiamo a fare colazione’’, le disse lui, prendendola sottobraccio ed avviandosi verso la larga scala che conduceva al piano inferiore.

Teresa continuò a lasciarlo fare, anche se era sempre più incuriosita da quello strano comportamento del marito, che inizialmente non si era mai dimostrato premuroso e dolce nei suoi confronti, ma si era semplicemente limitato ad ignorarla durante tutto il giorno.

Quando giunsero al piano inferiore, si recarono subito nella sala da pranzo, dove la grande tavola era già stata imbastita di tutto punto solo per loro.

‘’Signori, vi siete alzati molto presto, questa mattina. Tra un istante Anna vi servirà la vostra colazione’’, disse Carla, sbucando all’improvviso dalla porta dell’adiacente cucina, per poi ritirarsi subito di nuovo all’interno per litigare con qualche serva. Effettivamente, la governante aveva cercato di giustificare il fatto che il pasto non fosse ancora stato preparato e che quindi non fosse neppure pronto per essere servito nell’immediato.

Lo sguardo di Teresa corse subito verso il volto di suo marito, che di solito si irritava molto per quel genere di piccole negligenze. Eppure, Alfonso fece una breve smorfia che comunque scomparve dopo un attimo, lasciando spazio ad un sorriso lievemente stanco.

Teresa continuò a seguirlo, perplessa, e dopo che lui ebbe preso posto a capotavola, si sedette pure lei.

‘’Alfonso, avevo pensato di chiedervi una cortesia’’, disse la contessina, approfittando di quel momento in cui suo marito era decisamente di buonumore.

‘’Ditemi, mia cara moglie’’, rispose il conte con interesse.

Teresa rimase allibita per un attimo, di fronte a quell’eccesso di cortesia nei suoi confronti; infatti, suo marito raramente era disponibile ad ascoltarla.

‘’Vorrei chiedervi il permesso di recarmi a far visita a mio padre, nei prossimi giorni. Mi farebbe piacere vederlo e informarmi sul suo stato di salute’’, spiegò la contessina, cercando di essere convincente e sicura di sé. Alfonso inarcò un sopracciglio e la fissò.

‘’Non credo sia possibile’’, rispose infatti con un tono deciso.

‘’E perché mai? Vive qui vicino, nel palazzo a fianco al nostro e a pochi passo da noi, non capisco il perché voi non vogliate che io mi rechi da lui. Potete venire anche voi ad accompagnarmi, se preferite così’’.

‘’No, non insistete. Vostro padre è appena arrivato, e non è ancora disposto a ricevere visite. È tutto da risistemare in quel palazzo e non vuole che voi vi preoccupiate ad andarlo a trovare proprio ora. Vi assicuro che sta bene, comunque’’, continuò Alfonso, non lasciando neppure una possibilità di ribattere a Teresa, che si diede per vinta anche quella volta. Suo marito si era dimostrato chiuso, come sempre, nonostante l’avesse inizialmente illusa con quel suo modo gentile.

Nel frattempo, Anna fece il suo ingresso nella sala, e con grazia iniziò a servire la colazione ai due coniugi, interrompendo quella discussione, che in pratica era già conclusa.

‘’Sapete, ho ricevuto parecchi inviti a cena, ultimamente. Quindi, anche per le prossime settimane non tornerò presto alla sera. Vi chiedo scusa se non vi prendo con me, ma sono serate impegnative e so che voi vi annoiate, quindi preferisco lasciarvi riposare’’, disse Alfonso con calma, mentre si accingeva ad avvicinarsi la sua tazza alle labbra.

Teresa per un certo verso gioì dentro di sé, poiché sapeva che se il marito avrebbe continuato ad intrattenersi fuori fino a notte fonda non avrebbe poi avuto più di tante energie per chiederle un atto di coppia, ma allo stesso momento provò anche rabbia, rancore e solitudine.

Si chiese nuovamente come mai quell’uomo fosse cambiato così radicalmente dai primi tempi, e soprattutto quali fossero le abitazioni che visitava alla sera.

Si chiese ancora il perché della scelta di rimanere in campagna, quando in realtà potevano recarsi a vivere a Roma, nel centro della vita intellettuale e vicini a tutti gli agi. Eppure, decise di assecondarlo anche quella volta. Non voleva che pensasse troppo a lei.

‘’Non c’è problema, fate come più vi aggrada’’, bofonchiò la contessina poco dopo, avvicinandosi anch’essa la tazza alle labbra. Una bella sorsata di latte caldo le discese lungo la gola, dandole sollievo dall’arsura che provava durante la notte.

‘’Grazie. Siete una moglie splendida, davvero, e non smetterò mai di ringraziare l’Onnipotente per avermi concesso la vostra mano. Ma ora mi dispiace, devo proprio andare’’, disse Alfonso, lasciando metà del contenuto nella sua tazza ed alzandosi dal tavolo.

Teresa si ritrovò di fronte a delle magnifiche parole, ma che in ogni caso la rendevano sempre più sospettosa. Ormai ne era certa; suo marito nascondeva qualcosa.

‘’Non finite neppure la vostra colazione con calma?’’, chiese subito la contessina, facendosi avanti. Suo marito la guardò e scosse la testa, mettendosi indosso una pesante giacca.

‘’No, ho alcune faccende da risolvere questa mattina. A più tardi’’, disse Alfonso, allontanandosi.

Teresa scrollò le spalle, stando attenta a non farsi vedere dal marito, e lo lasciò andare. Tanto meglio così.

Quando Anna le si avvicinò per servirla nuovamente, la contessina fece cenno di rifiuto, per poi addentare un biscotto ancora caldo.

‘’Basta così, Anna. Sono già sazia’’.

Anna si ritirò sorridendo, ma Teresa tornò a fermarla.

‘’Come sta Diana?’’, chiese la contessina, lievemente preoccupata.

Ormai erano settimane che era in pena per quella ragazza che si era sentita male proprio sotto i suoi occhi, e che non aveva più avuto modo di rivedere, in modo da verificare il suo reale stato di salute. Fortunatamente, Anna le dava notizie ogni giorno, ma a quanto pareva la ragazza continuava a stare poco bene, e visto che non aveva dei soldi per pagare un dottore e che non poteva permettersi di non lavorare, la situazione non pareva migliorare.

Teresa avrebbe fatto volentieri qualcosa per lei, ma suo marito le aveva vietato ogni genere d’azione, promettendole ripicche nel caso si fosse mossa a favore di quella che lui considerava una semplice fannullona.

Anna la guardò, e poi riabbassò gli occhi.

‘’Diana, beh… Diana ha…’’, balbettò la serva.

‘’Diana ha… cosa?’’, chiese Teresa, spronando la donna a parlare. Rimase lievemente sorpresa da quel balbettio, poiché la serva si era sempre dimostrata rapida nel rispondere.

‘’Diana ha perso il bambino ieri sera. Ora continua a non stare bene, e stiamo pregando tutti per lei. Più di così, non possiamo fare’’, disse la donna, con gli occhi lucidi. Poi, dopo un breve inchino, si congedò e si allontanò, mentre a Teresa crollava il mondo addosso. Non si sarebbe mai aspettata che la ragazza perdesse suo figlio, e che tutto finisse così male.

Si rimproverò per non aver fatto nulla per lei, e si sentì veramente in colpa. Perse interesse per il biscotto che aveva iniziato a sgranocchiare, e ne abbandonò una metà sul piattino che le era stato sistemato di fronte, per poi alzarsi e abbandonare quella grande sala inospitale e dirigersi verso un luogo più tranquillo e privato, più che altro per cercare di rielaborare l’accaduto.

Molto scossa dall’ultima affermazione di Anna, la contessina si diresse subito verso la biblioteca del palazzo, l’unico luogo tranquillo dove avrebbe potuto stare sola e riflettere.

Attraversò il lungo corridoio centrale di tutta fretta, per poi salire nuovamente la scala che portava al piano superiore ed entrare nella prima stanza che le si parò di fronte. Con cautela, richiuse la porta dietro di sé e si diresse verso una poltroncina sistemata proprio sotto la grande finestra.

Contrariamente alle altre stanze, la biblioteca era davvero di ristrette dimensioni anche se conteneva parecchi volumi, ma non era quello che interessava alla contessina in quel momento.

Teresa si sedette ed affondò il suo viso tra le mani, e si mise a piangere con sommessa disperazione. Ormai aveva capito di essere in trappola. Suo marito la stava trattando con maggior rispetto, ma non le permetteva di uscire di casa e di parlare con suo padre, lasciandola sempre sola.

Si sentiva sempre sorvegliata ovunque, ed in effetti era così; Carla, la fedele governante, le stava sempre alle calcagna, controllando che non tentasse di uscire. Inoltre, Alfonso pareva nascondere dell’altro, e quelle uscite fino a notte tarda la stavano insospettendo parecchio, e poi, infine, aveva causato la morte di una creatura innocente nel grembo della madre, e stava permettendo un selvaggio sfruttamento dei contadini delle sue tenute. Sfruttava i poveri senza pietà, quell’uomo non conosceva né mezzi termini né la clemenza. Era come un burattinaio; per un momento illudeva, cercando di controllare le varie situazioni con finta gentilezza, e poi poco dopo svelava il suo vero comportamento.

Tutti questi pensieri continuavano a frullare per la mente della ragazza che, ormai devastata dalla solitudine e dalla paura, continuò a piangere, cercando di non singhiozzare troppo forte. Sapeva che la vecchia governante poteva essere con le orecchie appoggiate sul legno della porta, a spiarla per poi riferire a suo marito del comportamento che aveva mostrato durante la giornata.

Alfonso non era un buon marito, era una persona gelosa e forse anche malata. Teresa voleva uscire, almeno respirare un po’ d’aria fresca, ma sapeva che neppure quello le era concesso, e si avvilì ancora di più. Ormai non c’era più limite al peggio.

Per non impazzire, si alzò e si asciugò le lacrime con la manica della sua veste lunga, fregandosene del fatto che si poteva sporcare. Poi, afferrò un libro a caso dalla libreria.

Per un attimo, i suoi pensieri volarono verso il contenuto di quello scritto, che pareva davvero antico; la copertina in pelle era lievemente rovinata dal passare degli anni e dalle mani che l’avevano sfiorata, e la carta al suo interno era giallastra.

Non c’era scritto alcun titolo sulla copertina, come andava tempo addietro, e quindi ebbe la certezza che si trattasse di qualcosa di piuttosto antico. Con un pizzico di interesse, smise un attimo di piangere e si concentrò su quell’oggetto, che in quel momento era l’unico amico che le veniva concesso.

Lo aprì con cautela, e leggendo le prime righe, scoprì che era scritto in latino e che parlava di medicine. La contessina aveva appreso il latino in passato, ma nel non praticarlo ormai l’aveva in parte dimenticato, eppure qualcosa ci riusciva a capire. Era un volume medico in cui si trattava tutte le possibili cure per ogni morbo o umore sbagliato.

Si chiese il perché del fatto che suo marito collezionasse solo libri del genere, che tanto non importavano neppure a lui, e chiuse il volume con disinteresse. Tanto sapeva che non conteneva nessun rimedio per la sua infelicità.

Sorridendo amaramente per gli ultimi pensieri bislacchi che le erano passati per la mente, decise di tornare nella camera da letto e di distendersi un po’, in modo da poter provare a dormire nuovamente. Come nell’ultimo mese, il sonno era l’unica via di fuga da quella vita infame.

A volte si rimproverava per come si stava comportando e per quello che pensava. D’altronde, a lei non mancava nulla, visto che viveva in un grande palazzo caldo e pieno di cibo, mentre tante ragazze della sua stessa età soffrivano la fame ed erano costrette a lavorare tutto il giorno, sfruttate da uomini perfidi come suo marito. Ed ecco qual’era il vero problema; suo marito era un uomo perfido. Se lui e quella dannata governante fossero magicamente spariti, lei sarebbe di certo stata molto meglio, e di certo sarebbe andata subito a far visita a suo padre, per poi tornarsene al nord, a cercare un piccolo ricordo del suo grande amore, che ormai pareva perduto.

Smettendo di fantasticare, riaprì la porta ed uscì nel corridoio, dirigendosi subito verso il grande e soffice letto matrimoniale, che senza suo marito diventava davvero molto ospitale.

Doveva percorrere solo pochi metri, eppure qualcosa la bloccò; infatti, alle narici le giunse un odore acre di fumo, quasi un lezzo, che aveva qualcosa di innaturale. Teresa ebbe un brutto presentimento, poiché quell’odore sgradevole veniva prodotto solo quando venivano bruciate delle stoffe.

Con curiosità e paura, la contessina si diresse a passi spediti verso la camera da letto, dove le finestre erano tutte spalancate, segno che qualche serva stava pulendo e risistemando la stanza.

Infatti, non appena varcò la soglia, trovò Carla in persona vicino al caminetto, mentre con un arnese rattizzava il fuoco, che pareva stesse lambendo qualcosa dalle forme famigliari per Teresa.

La governante fece una smorfia strana, tipica di chi viene colto sul fatto mentre ne sta combinando una delle grosse, mentre la contessina prese ad avvicinarsi al fuoco, con cautela, quasi avesse paura di scoprire cosa stesse bruciando.

Il crepitio e l’odore alquanto disgustoso le fecero capire certe cose, e, per un attimo, cercò di comprendere meglio il tutto. Poi, quando vide e comprese, rimase ferma e immobile per un istante, che le parve durare un secolo.

Quello che stava bruciando nel fuoco non era legna e neppure stoffa qualsiasi; erano quegli abiti che le aveva dato Lina il giorno in cui se n’era andata dai briganti, e il suo abito rosa che era stato ricucito sempre dall’amica, e che ormai era l’unico ricordo che le era rimasto di lei e di Giovanni.

Dopo un lungo silenzio, la ragazza si lasciò sfuggire un gridolino, e come se tutto le fosse crollato addosso, curvò la testa e si passò una mano sulla fronte, mentre Carla aveva ripreso a rattizzare il fuoco, in modo che bruciasse tutto più in fretta.

‘’Questa non te la perdonerò mai, ricordatelo’’, trovò il coraggio di sibilare Teresa, puntando il dito contro la governante, che prontamente fece spallucce.

‘’Non mi importa, signora. Io sono qui per fare gli interessi della vostra famiglia e per eseguire gli ordini di vostro marito; niente di più, niente di meno’’, rispose la vecchia, acida come sempre.

La contessina lanciò un ultimo sguardo a ciò che era rimasto di quegli abiti; la stoffa ormai si era scolorita e tutto si era carbonizzato. Non valeva neppure più la pena di cercare di spegnere il fuoco, tanto ormai era tutto irrimediabilmente distrutto.

‘’Ti odio, dannata vecchia. Sei una maledetta. Ti auguro tutto il male possibile, strega’’, sibilò nuovamente Teresa, che ormai era sul punto di impazzire e non riusciva più a trattenere la sua rabbia. Carla sbiancò, ma non ribatté. Effettivamente, sapeva di averle fatto un grave torto.

La contessina si voltò e si accinse ad uscire dalla stanza, mentre due grosse lacrime premevano per fuoriuscire nuovamente sul suo volto. Però, un barlume di lucidità la spinse a fermarsi e a voltarsi un’ultima volta verso la governante, alla disperata ricerca di un pizzico di verità.

‘’E’ stato mio marito ad ordinarti di fare questo?’’, chiese la ragazza, con la voce disturbata dalla crescente voglia di piangere e di lasciarsi andare.

‘’Sì, è stato lui stesso, poco fa, a consegnarmi questi stracci e a darmi l’ordine di bruciarli. Non… non sapevo che contassero così tanto per voi’’, rispose Carla, in un modo un po’ meno aspro del solito.

A Teresa bastò quella risposta, e abbandonò la stanza quasi di corsa. Si fermò solo un attimo, quando sentì che la governante l’aveva seguita fin nel corridoio.

‘’Quanta scena per un mucchio di vestiti pidocchiosi, signora! Vostro marito ve ne comprerà altri mille, ne sono certa. In questa casa, non c’è mai stata così tanta vergogna come da quando siete arrivata voi, con le vostre strane idee e il vostro comportamento meschino’’, affermò la vecchia, parlando ad alta voce dalla porta della stanza da letto. Teresa si fermò sul posto, e si voltò indietro per l’ennesima volta, fronteggiandola.

‘’Torna al tuo posto, megera. Non sta a te giudicare le mie scelte e il mio modo di comportarmi. E che sia l’ultima volta che ti permetti di rivolgerti a me con questi toni insolenti! Intesi?’’, disse la ragazza, nuovamente sul punto di esplodere dalla rabbia. La governante annuì con disinteresse, per poi sorridere e ritornare a fare le sue cose come se nulla fosse successo.

Teresa tornò sui suoi passi, e mentre tornava a rinchiudersi in biblioteca ebbe fin da subito chiaro un concetto; Carla l’avrebbe odiata per sempre, fintanto che avrebbe continuato a servire in quella casa. E il problema era che non l’ascoltava neppure, poiché ascoltava solo Alfonso, l’unico e vero padrone della dimora.

Lei, in quella casa non contava niente e non sarebbe mai contata nulla. Avrebbe finito la sua vita rinchiusa in un orrendo palazzo, privata della sua libertà e di ogni possibilità di scelta. Suo marito la odiava e le aveva nuovamente fatto male in modo subdolo, e pure tutta la servitù la odiava, tranne Anna, che era l’unica che pareva ben disposta nei suoi confronti.  

Tonando a sedersi sulla poltroncina di poco prima, la giovane riprese a piangere, con crescente disperazione. Ora aveva perso anche gli ultimi ricordi della più bella avventura che avesse mai vissuto nella sua deprimente vita, ed era impossibilitata a fare qualsiasi cosa.

E fu in quel momento di disperazione atroce che capì che era pronta ad affrontare anche l’ultima verità, quella più importante, ovvero dove si recasse ogni sera suo marito, quel mostro che le aveva tolto ogni felicità e che credeva di poterle strappare ogni ricordo.

Sapeva che c’era un’unica persona in grado di saperle svelare quell’ultima verità, e si trattava proprio di Anna.

Suo marito era il cocchiere di Alfonso, e ogni sera lo portava fuori, quindi di certo doveva aver riferito alla moglie dove accompagnava il padrone fino all’ora tarda, a meno che non fosse davvero molto riservato. Ma Teresa sapeva che Anna e Giuseppe avevano un buon rapporto di coppia e chiacchieravano spesso e volentieri, quindi la serva doveva per forza sapere qualcosa.

Asciugandosi nuovamente le lacrime, la ragazza si sentì pronta ad agire, e con incredibile rapidità uscì di nuovo dalla biblioteca e si diresse direttamente verso le cucine. Sospettava di essere ad un passo da qualche rivelazione scomoda, e dentro di sé sapeva che qualcos’altro sarebbe cambiato a breve.

Quando si trovò di fronte all’ingresso della grande sala dove consumava abitudinariamente i pasti, Teresa fece un profondo sospiro ed entrò, cercando la fedele serva, che a quell’ora doveva già essere nelle cucine ad iniziare a preparare il pranzo.

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Come avrete senz’altro notato, il rapporto tra Teresa e Alfonso è sempre più precario. Nei prossimi due capitoli noteremo come si evolverà la situazione e resteremo in compagnia della contessina, che vivrà uno dei momenti più drammatici della sua esistenza. Potete facilmente capire che la svolta tanto attesa non è eccessivamente lontana, e spero di non annoiarvi col racconto.

Grazie di cuore a tutti coloro che ogni volta si soffermano a lasciare un pensiero J

Grazie, di nuovo, a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 38
*** Capitolo 37 ***


Capitolo 37

CAPITOLO 37

 

 

 

 

Teresa si mosse velocemente verso la cucina, approfittando del fatto che in quel momento Carla era occupata, e che quindi non avrebbe di certo spiato la conversazione che avrebbe intrattenuto di lì a poco con Anna.

Mestamente, fece capolino all’interno di quell’ambiente riservato alla servitù, dove il caldo era quasi asfissiante e un fuoco ardeva continuamente in un camino ben attrezzato.

E subito notò Anna; la serva era già indaffarata a controllare la brace sotto una pentola, mentre con la mano sinistra stringeva un mestolo.

‘’Anna! Puoi venire qui un attimo?’’, chiese Teresa, sorridendo.

La sua voce interruppe le chiacchiere delle altre tre serve presenti, che si fecero subito guardinghe e ripresero subito a lavorare sodo. Anna lanciò loro un’occhiataccia mentre si alzava dalla sua postazione, che fu subito occupata da una ragazza più giovane, che doveva essere una sua aiutante.

‘’Ditemi, signora. Desiderate qualcosa di specifico per pranzo?’’, chiese la serva, sempre molto disponibile.

‘’No, in realtà dovrei parlarti d’altro. Seguimi, se puoi’’, disse Teresa, facendo cenno con la testa verso la sala. Anna annuì, e dopo aver ripreso verbalmente le altre cuoche si affrettò a seguirla.

‘’Non qui. Vieni con me in biblioteca’’, continuò Teresa, sorridendole.

Anna iniziò a sentirsi a disagio, capendo che la padrona le avrebbe chiesto sicuramente qualcosa di non troppo comodo, e mentre camminava spedita strisciava continuamente le mani sul suo grembiule bianco, con fare agitato.

La contessina non voleva farla emozionare eccessivamente, e continuò a rivolgerle caldi sorrisi, nonostante il fatto che questo le costasse un grande sforzo. Le lacrime volevano ancora uscire a tutti i costi dalle sue palpebre.

Non appena giunse alla biblioteca, invitò la serva a seguirla con un solo cenno della mano e richiuse la porta dietro di sé per l’ennesima volta.

‘’Signora, io…’’, tentò di dire Anna, già parecchio agitata.

‘’Sei l’unico appiglio che ho rimasto con la verità. Ti farò una semplice domanda, ti prego di rispondermi con sincerità’’, disse Teresa, affrettandosi ad interrompere la donna, che a quel punto abbassò lo sguardo. Si aspettava già una qualche domanda scomoda.

‘’Tuo marito è il cocchiere del mio, e ogni sera lo porta fuori ed ha modo di sapere esattamente dove si reca. Ecco, vorrei sapere dove va Alfonso ogni sera, e cosa fa fino a notte fonda, se lo sai’’, disse poi la contessina, sillabando bene ogni parola. Non avrebbe riformulato quel breve discorso pericoloso neppure per un sacchetto di monete sonanti.

Anna si agitò lievemente, e continuò a tenere lo sguardo fisso a terra.

‘’Io… signora… non lo so. Mio marito quando torna a casa è stanco, e come avete detto anche voi, è già notte fonda. Non è che mi parli sempre… e poi è molto discreto…’’, provò a dire la serva, ma non fu affatto convincente.

Anna non sapeva mentire, e quel balbettio era la prova che in realtà sapeva qualcosa. Era lì che finivano le somiglianze con Lina; quella donna si assomigliava molto sul piano fisico all’amica che aveva conosciuto alcuni mesi fa, però non era schietta come lei e si faceva più problemi nel modo di comunicare.

‘’Non sto mettendo in dubbio la discrezione di Giuseppe, che da tutti noi è ben conosciuta e molto apprezzata. Si tratta solo di farmi un piccolo favore. Se sai dove si reca mio marito a fare le ore piccole, dimmelo, per favore’’, disse la contessina, arrivando addirittura a ringraziare la serva, che in risposta arrossì e non osò alzare gli occhi da terra.

Teresa sbuffò, e anch’essa abbassò lo sguardo, delusa. Pareva ovvio ormai che non avrebbe mai scoperto nulla.

Si voltò lentamente, e si diresse verso l’ampia finestra che si affacciava sul grande giardino del palazzo. Con rassegnazione, guardò nuovamente quell’immensa distesa verde, ben sapendo che i suoi piedi non l’avrebbero mai più potuta sfiorare, almeno fintanto che suo marito avesse continuato ad essere così morbosamente geloso di lei, anche  se in quel momento la ragazza si chiese se quella segregazione forzata fosse davvero sinonimo di gelosia, oppure si trattasse solo di paura.

Paura che lei avesse potuto ficcanasare nei suoi interessi e nelle sue proprietà, e scoprire qualcosa di scomodo, oppure semplicemente dare ascolto a qualche servitore.

‘’Signora, mi vergogno anche solo a guardarvi in faccia. Non posso tenere questo peso dentro di me per altro tempo, nonostante il fatto che mio marito mi abbia fatto promettere di mantenere il segreto. Ma voi siete sempre stata così buona e gentile nei miei confronti… oh, mi dispiace! Mi dispiace per tutto’’, disse improvvisamente Anna, squarciando quel silenzio teso che ormai stava impregnando la biblioteca da fin troppo tempo.

Teresa tornò a guardare la serva, con ritrovata speranza.

‘’Sai qualcosa, quindi! Per favore, svelami quel che sai…’’, chiese subito la contessina, supplichevole.

‘’Siete proprio sicura di volerlo sapere? Sapete, scoprire certe cose potrebbe cambiarvi radicalmente la vita, e potrebbe portarvi ad un certo punto… fa troppo male, questa verità. Non abbiate fretta di scoprirla’’, disse nuovamente la serva, sempre più in imbarazzo.

‘’La voglio sapere ora, la verità. Ogni cosa ha un costo; e se quella che mi stai per svelare è qualcosa di scomodo, richiederà un certo sacrificio per essere accettato, come ogni cosa. Ma ora non tenermi più sulle spine; sono pronta ad ascoltarti’’.

La contessina a quel punto pendeva dalle labbra della serva, che comunque non pareva particolarmente intenzionata a parlare, e così fu certa che suo marito ne stesse combinando delle grosse. Deglutì, ed attese la risposta tanto desiderata.

‘’Ve lo dirò, allora. Mai nessun padrone mi aveva trattato bene quanto voi, e io voglio davvero ricompensarvi, ma non voglio che vi succeda nulla di male. Ogni marito ha un lato oscuro, ed ogni moglie deve saper mandare giù qualche boccone amaro. Promettetemi che non farete follie a causa di quello che vi dirò… per il vostro e per il nostro bene’’, disse nuovamente Anna, con un tono di voce basso e agitato.

‘’Dipende. Ora parla’’, concluse Teresa, disinteressata ormai da ogni qualsiasi giro di parole e desiderosa di scoprire finalmente ciò che pareva essere diventato un qualcosa di veramente grave.

‘’Giuseppe, mio marito…’’.

‘’Sì, lo so che è tuo marito. Prosegui’’, disse improvvisamente la contessina, interrompendo bruscamente la balbuziente serva e spronandola a proseguire.

Per un attimo la ragazza provò un certo rimorso per la fretta con cui stava conducendo quel dibattito, poiché ormai le pareva di stare dirigendo una qualche indagine della gendarmeria, ma in realtà non ne poteva proprio più.

Sapeva che da un momento all’altro la vecchia governante avrebbe finito di svolgere le sue mansioni, e che sarebbe tornata a tenerle il fiato sul collo ed a origliare, rendendo tutto davvero difficile. La verità, quindi, doveva venire a galla ora o mai più.

‘’Mi vergogno da impazzire a dirvelo… ecco, non so come ho fatto a guardarvi in faccia per tutto questo tempo senza dirvi nulla, non vi meritate quello che vi sta facendo vostro marito. In pratica, beh, Giuseppe accompagna vostro marito ogni sera in un determinato luogo…’’, disse la donna, stoppandosi di nuovo.

‘’Sì alle sue solite cene. Ma dove? È vero che va nella vicina Roma?’’, chiese la contessina, in procinto di smantellare ogni suo dubbio su Alfonso, e pentendosi di aver pensato male di lui.

‘’No, assolutamente no. Lo porta… in una casa di piacere, un bordello alle periferie della capitale. Non va ad alcuna cena, anzi, ultimamente sta rifiutando tutti gli inviti, da quello che si mormora. Mio marito conosce i cocchieri degli altri nobiluomini, certe cose le sa.... Inoltre, sta ben attento a non mostrarsi e frequenta quel luogo pagando profumatamente e chiedendo il massimo riserbo. A volte si reca anche in case da gioco… d’azzardo, anche se sono illegali non importa. Giuseppe glielo accompagna con la carrozza fin quasi sull’ingresso…’’, ammise infine Anna, bordò in volto e tremendamente imbarazzata, quasi balbettando.

Teresa rimase da prima pietrificata, poi si passò una mano tra i capelli e abbassò lo sguardo, facendo un grande sospiro.

Lì per lì non seppe cosa pensare, anche se l’odio che provava per suo marito crebbe a dismisura. Sapeva che le parole di Anna erano veritiere, lei non mentiva mai. E non poteva dire una menzogna così grande.

Alla fine, quindi, Alfonso si era deciso a dedicarsi al gioco e ad altre presenze femminili, ed era per quello che ultimamente non era più focoso come nelle settimane iniziali.

‘’Oh, per l’Onnipotente! Signora, vi prego davvero di non dire nulla a vostro marito, se no saprà che sono stata io e il mio Giuseppe a tradirlo! Ci farà del male a non finire, ci farà perire se vorrà, e farà del male anche ai nostri figli!’’, prese a supplicare Anna, terrorizzata, mentre si inginocchiava e supplicava. Era davvero terrorizzata dalla possibile reazione di Alfonso. Teresa abbassò lo sguardo su di lei.

‘’Puoi stare tranquilla. Non dirò nulla, ma ora torna al tuo lavoro, non devi destare sospetti con la tua prolungata assenza’’, disse la contessina, congedando la serva, che prontamente si dileguò, ancora in preda al panico.

Teresa tornò a sedersi, spostando la sedia e posizionandola vicino alla finestra, in modo da poter continuare a guardare fuori dal vetro.

Il vuoto aveva occupato tutto il posto nella sua mente, un vuoto che sapeva di fallimento. Aveva fallito come donna, perdendo il suo primo amore e lasciandosi allontanare da lui. Aveva fallito come madre, decidendo di non avere figli e assumendo anticoncezionali. Aveva fallito come figlia, non potendo neppure frequentare suo padre. Aveva fallito anche come moglie, non accontentando suo marito e lasciando che se lo portassero via altre donne. Nonostante il fatto che lei non lo amasse, Alfonso era pur sempre il suo consorte, e un pizzico di gelosia e rancore le si smosse dentro.

Ed infine, pensò di avere fallito anche come essere umano, poiché col suo atteggiamento arrendevole era riuscita a perdere ogni genere di libertà e a finire rinchiusa in un palazzo, che in realtà era solo una grande gabbia, dove neppure la servitù le portava rispetto visto che lei non contava nulla lì dentro. Era solo un’estranea, niente di più, niente di meno. E così sarebbe stato per sempre.

Seguendo con lo sguardo una grossa nube scura, che viaggiava solitaria nel cielo invernale quasi come se fosse ormai giunta la tanto attesa primavera, Teresa capì che ben presto il tempo sarebbe migliorato ma non per lei. Nubi grigie e pioggia avrebbero regnato per sempre nel suo cuore ferito e nella sua mente delusa, e seppe che era giunto il momento per farla finita.

Sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare apertamente suo marito, soprattutto nel timore che potesse far del male ad Anna e alla sua numerosa famiglia, che era tanto bisognosa di denaro e cibo.

Prese la sua decisione in un attimo, sapendo che per lei il futuro non avrebbe mai riservato nulla di buono, ma prima scelse di compiere un ultimo gesto di carità.

Si alzò dalla poltroncina in vimini e si diresse subito verso lo studiolo del marito, quel luogo in cui si rinchiudeva ogni volta che era in casa. Nonostante le fosse stato velatamente proibito di entrarci, la ragazza aprì la porta senza timore e fece capolino nella stanza, che in quel momento era in ordine e vuota, visto che suo marito doveva essere fuori a controllare un qualche possedimento di campagna.

Si diresse verso il tavolino in legno che dominava il centro della stanzetta, che era piuttosto ristretta ed angusta, visto che era pure circondata da scaffali pieni di scartoffie, ed aprì il cassetto centrale, spostando la sedia che aveva di fronte.

Teresa si trovò davanti al nascondiglio dove Alfonso metteva gli spiccioli e una piccola parte del denaro, visto che la maggior parte dei contanti li custodiva avidamente in un altro nascondiglio situato proprio sotto il loro letto matrimoniale, sempre nel timore che qualche servo invadente potesse rubarglieli, oppure che un intruso avesse potuto intrufolarsi nel palazzo e commettere un furto. Alfonso odiava le banche e i banchieri, e non voleva assolutamente affidare il suo denaro a loro, marchiandoli come strozzini e uomini infingardi.

Stando attenta, prelevò una sommetta irrilevante, ma che comunque sarebbe bastata per far venire fin lì un medico mediocre, in modo da poter visitare e curare Diana, poi risistemò tutto come aveva trovato e abbandonò lo studio, e dirigendosi subito verso le scale che portavano al piano inferiore.

Carla fece capolino da una stanza adiacente, ma in ritardo; infatti, non era riuscita a sorprendere Teresa, che nel frattempo stava nascondendo nel pugno chiuso ciò che aveva prelevato. La governante sorrise con fare beffardo, e pure la contessina, impacciata più che mai, riuscì a ricambiare allo stesso modo, più che altro per non destare possibili sospetti.

Velocemente, scese le scale e si diresse nuovamente verso le cucine, ma trovò Anna nella sala da pranzo, mentre stava pulendo la superficie dell’immenso tavolo dove venivano consumati i pasti.

La serva la fissò imbarazza, e probabilmente temeva un qualche discorso pericoloso, ma Teresa la rassicurò avvicinandosi a lei con calma, e infilandole rapidamente la mano destra nella tasca del grembiule, lasciando libero il denaro che aveva stretto fino a quel momento.

Un istante dopo, Anna si ritrasse, sbigottita, mentre Teresa le faceva cenno di calmarsi.

‘’Anna, è tutto a posto. Mio marito non saprà mai nulla di ciò che mi hai detto, e nella tua tasca c’è il denaro sufficiente per far venire un medico fin qui e aiutare Diana. Non fatevi scoprire da Alfonso, mi raccomando’’, disse Teresa a bassa voce. Anna rimase lievemente sorpresa.

‘’Grazie, signora’’, ringraziò la serva, ancora col volto lievemente arrossato dall’imbarazzante rivelazione fatta poco prima.

‘’Ora… beh, ora… ti devo ringraziare. Non so quando… ci rivedremo. Sei davvero una serva gentilissima, ti sono grata di tutto’’, concluse Teresa, mentre le veniva da piangere.

Si voltò e riprese a ripercorrere i suoi passi di poco prima, intenta a raggiungere nuovamente e per l’ultima volta il piano superiore di quel dannato palazzo, consapevole di avere sulle sue spalle lo sguardo preoccupato della fedele serva, ma poco le importava.

Si sentiva davvero sola, e sapeva che con tutto quel girovagare per il palazzo, sembrava più una pazza che una comune ragazza nobile. Si asciugò il volto con dolcezza, sentendo poi il suo fazzoletto che si inzuppava di lacrime calde, ma ormai neppure quello le importava più.

Si diresse direttamente allo spazioso bagno, che era poco distante dalla stanza da letto, e per farlo dovette transitare nuovamente sotto gli occhi della vecchia governante, che le lanciò l’ennesimo sguardo di sfida, che la contessina prontamente ignorò, cercando di evitare che vedesse il suo viso.

Ormai, Teresa aveva altro per la testa, e sentiva di avere un piano definitivo per dare una svolta alla sua vita. Entrò nel bagno e richiuse la porta dietro di sé.

Ignorò momentaneamente la grande vasca, posizionata in una posizione piuttosto privilegiata e centrale della stanza, e si diresse subito verso un armadietto di legno, collocato al lato della porta.

Appoggiò con lentezza una mano sul pomello che apriva la piccola anta del mobile, e rimase ferma ed immobile per un istante, pensando a quello che avrebbe fatto e se si fosse trattato della scelta giusta per lei.

Riprese a piangere con ritrovato impeto, e si passò la mano sinistra tra i capelli, quasi volesse soffermarsi ancora a riflettere. Poi, prese forza ed aprì il mobiletto.

Quella volta non dovette cercare nulla e neppure perdere tempo nel rovistare; ciò che cercava riluceva di fronte a lei. La piccola limetta che utilizzava suo marito per radersi era lì, poca distanza dal suo volto, e prontamente la afferrò.

Estrasse la lama di ferro dall’interno del piccolo arnese in legno, che serviva per mantenere salda l’impugnatura durante la rasatura, e lo rovinò leggermente, ma non ci fece caso. A lei importava solo quella tagliente lama, nient’altro.

Aveva letto in un libro di un metodo rapido e veloce per dire addio alla vita, e in quel momento, sentendosi delusa e allo stremo, pensò che facesse proprio al caso suo, visto che non disponeva di altri mezzi più appropriati.

Disperata e traballante, indecisa e terrorizzata, ma allo stesso tempo consapevole di non voler continuare a vivere una vita che non sentiva più sua, si diresse a passi incerti verso la vasca da bagno, mentre singhiozzava sempre più forte.

A quel punto, non le importava neppure che qualcuno la sentisse piangere. La disperazione, alla fine, aveva vinto sulla sua razionalità.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Ringrazio infinitamente, per l’ennesima volta, quei pochi coraggiosi che mi sostengono sempre! Grazie J

Nel prossimo capitolo torneremo un attimo da Giovanni, un personaggio che ultimamente ho un po’ trascurato, e poi… beh, scopriremo se per Teresa questa sarà davvero la fine, oppure un nuovo inizio, sia per lei che per il brigante, naturalmente. Vedremo J

Grazie a tutti J a lunedì prossimo J

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Capitolo 39
*** Capitolo 38 ***


Capitolo 38

CAPITOLO 38

 

 

 

 

Giovanni stava tornando al suo covo, seguito dai suoi uomini.

Soddisfatto, il capo dei briganti ormai tiranneggiava ovunque; la sua banda pareva inarrestabile, e ultimamente aveva ritrovato il suo carisma, mentre i suoi compagni gli erano fedeli.

Tutti contribuivano alle rapine, e mentre Mario guidava metà gruppo a compiere scorrerie, l’altra metà seguiva Giovanni e il giovane Luca, sempre più deciso e promettente, oltre che fedele al suo capo. Il covo rimaneva nelle mani di Lorenzo, l’altro giovane fedelissimo, sempre attento a ogni possibile inconveniente.

Anche quella sera era andato tutto alla perfezione, e la rapina ai danni di un ricco marchese di Bertinoro era andata alla perfezione. L’unica ansia era se pure a Mario era andato tutto bene, ma quando finalmente rientrò nella sua cascina, lasciando gli ultimi impicci a Luca, lo ritrovò insieme a Lorenzo mentre si bevevano un bicchiere di grappa.

‘’Zvàn, siamo i padroni qui! Va tutto alla perfezione, sembra che perfino la gendarmeria sia spaventata da noi! Possiamo definirci ricchi, ormai’’, disse subito Mario andandogli incontro, sorridendo come un bambino.

Giovanni tirò un sospiro di sollievo. Era sempre in ansia quando l’amico si allontanava da lui, seguendo i suoi soliti percorsi pericolosi che lo portavano a compiere mirabolanti avventure.

‘’Non essere troppo spensierato, e non esagerare, mio caro amico! Ultimamente il nostro amato pontefice ha smesso di spedire i suoi soliti gruppi di soldati stranieri perché preferisce difendere il suo didietro e tenersi stretto il sud, mentre Aldo si limita a colpire qua e là a nord di Ravenna. Ma se questo momentaneo equilibrio dovesse rompersi…’’.

‘’Non si romperà mai più! Sembra che tutto sia perfetto e alla nostra portata’’, disse Mario euforico, interrompendo il suo capo. A quanto pareva, era già un po’ brillo, altrimenti non avrebbe mai detto simili sciocchezze.

‘’Prima o poi cambierà qualcosa, vedrai. Quando il gatto non c’è, i topi ballano, è risaputo. La scarsità di gendarmi dell’ultimo periodo non è passata inosservata dal popolo, e circolano già certe voci rivoluzionarie. È meglio far bottino intanto che si può, poiché si prospettano nuovi tempi bui’’, concluse Giovanni, non badando al suo maturo braccio destro, che pareva ormai su un altro mondo, decisamente più euforico di quello reale.

‘’Eppure, non credo che ci saranno nuove rivoluzioni. Ricordo bene l’ultima di qualche anno fa, anche se ero ancora molto giovane. Gli austriaci fecero strage, massacrando buona parte dei rivoluzionari di Forlì…’’, tentò di dire Lorenzo, cercando di inserirsi nella conversazione, ma fu bruscamente interrotto da Mario, che divenne rosso in volto e prese foga.

‘’Stronzate! Sono tutte stronzate! Gli austriaci ne hanno ammazzati a malapena una ventina, perché tutti i contadinotti sono scappati a gambe levate non appena li hanno visti! Pensavano di trovare la libertà e rendere libere queste terre solo con una zappa in pugno e quattro chiacchiere’’, disse il maturo brigante, lievemente impedito nel parlare. Giovanni ridacchiò.

‘’Non è così. Almeno ci hanno provato! E’ una vergogna che la nostra terra non possa evolversi a causa di un potere che la strozza. Insomma, la gente parla; si dice che più a nord stiano costruendo ferrovie, lunghi serpenti di ferro su cui si muovono delle carrozze, e che stiano aprendo numerose fabbriche. Qui non c’è nulla, se non alcune zappe senza taglio e alcune carrozze arrugginite trainate da magri ronzini’’, disse il capo dei briganti, esprimendo il pensiero diffuso che circolava ultimamente tra il volgo.

‘’E’ vero! Non c’è lavoro onesto, non c’è nulla. Di questo passo, non so dove finiremo’’, disse Mario, tornando serio e sedendosi vicino alla stufa.

‘’Te lo dico io come andrà a finire. Prima o poi, qualcuno riuscirà a strappare questa terra dalla tirannia di chi la governa e dai privilegi vecchi come il mondo’’, concluse Giovanni, mentre Lorenzo annuiva alle sue parole.

‘’Non saremo mai liberi… la libertà va guadagnata! I figli della nostra terra preferiscono restare nei loro campi e abbassare il capo, nessuno combatte. E se non si combatte, non c’è futuro, te lo dico io!’’, disse ancora Mario, apparentemente insoddisfatto.

‘’Non sarà sempre così. Io voglio combattere con tutto me stesso per la mia terra!’’, disse Lorenzo, sicuro di sé.

‘’Sei solo un ragazzino, cosa vuoi capirne tu di queste cose? Quando ti punteranno contro un fucile, poi vedremo se vorrai continuare a ribellarti’’, ribadì Mario, facendo irritare il ragazzo.

‘’Basta così’’, disse Giovanni, intervenendo e interrompendo la discussione nascente. Non voleva rovinarsi quella serata a causa dell’alcol.

I due compagni lo guardarono, sbalorditi dal suo repentino intervento, ma annuirono e non discussero più.

Scese un cupo mutismo nell’abitazione, e quando Mario allungò nuovamente una mano verso il bicchiere ancora mezzo pieno di grappa, Giovanni si affrettò ad allontanarglielo. Il suo braccio destro lo guardò mortificato.

‘’E piantala di bere. Non so se Lina poi sarà contenta di ritrovarti brillo’’, disse Giovanni, sorridendo.

Solo dopo un istante si rese conto di aver parlato troppo, e di essersi lasciato andare a causa della stanchezza. Quella frase poteva far irritare ancor di più l’amico.

‘’Non ho ben capito cosa intendevi dire’’, disse infatti Mario subito dopo, fingendosi perplesso. Giovanni sorrise nuovamente e decise che era ora di riposare, poiché ormai era già l’alba.

‘’Mario, intendevo dirti che è ora di andare a letto. Lascia qui il bicchiere e va a riposare, pomeriggio ti voglio in forma’’, disse il capo dei briganti, allungando una pacca all’amico, che si alzò dalla sedia sulla quale si era seduto già da un po’.

‘’Agli ordini, capo!’’, disse il maturo brigante, e senza dire altro abbandonò la cascina. Doveva essere davvero stanco.

Poi, Giovanni intravide la sua tozza figura mentre si dirigeva verso valle, indubbiamente verso l’abitazione di Lina. Sorrise nuovamente e indirizzò quella poca attenzione che ormai aveva rimasto verso Lorenzo, che non pareva aver voglia di schiodarsi dalla sua sedia.

‘’Ragazzo, le mie parole valgono anche per te. A letto, su’’, lo spronò subito dopo, notando la sua poca voglia di muoversi. Il giovane brigante si alzò dal suo posto, obbediente.

‘’Ti ringrazio per avermi dato tanta fiducia. Ultimamente credo di più in me stesso, e mi sento davvero a casa in questo gruppo. Grazie’’, disse Lorenzo, sincero, mentre allungava una mano verso il suo capo, che prontamente gliela strinse con fare amichevole.

‘’E’ un piacere, te lo meriti. Tu e Luca siete due giovani davvero volenterosi’’, disse Giovanni, bonario.

‘’Anche i tacchini stanno bene. Vedrai, entro un anno ne avremo così tanti che potremo mangiare carne ogni sera!’’, aggiunse il ragazzo, ridacchiando.

‘’Perfetto, ma non esagerate. A domani’’, concluse Giovanni, congedando il ragazzo, che subito dopo uscì dalla cascina salutando con un semplice gesto della mano.

Il capo dei briganti si diresse alla porta e la chiuse da dentro, poi si preparò per andare a letto. Un pensiero gli invase la mente, e cercò fin da subito di allontanarlo. A preoccuparlo era Fabio; il giovane rosso aveva fatto perdere le tracce dietro di sé, e a quanto pareva risultava introvabile.

Scrollando al testa, Giovanni tonò nuovamente a pensare a ciò che gli aveva detto Mario, ovvero che il giovane doveva essere morto durante la rocambolesca fuga di quella notte gelida ed invernale.

Ferito, sanguinante e disarmato, il giovane doveva essere morto assiderato oppure doveva essere stato aggredito da qualche fiera selvatica, per poi essere divorato. Quella era l’unica risposta alla sua scomparsa, poiché un giovane rosso e ferito non poteva passare inosservato nei paesi circostanti, dove sicuramente si sarebbe dovuto recare per cercare un qualche rimedio alle sue ferite, e magari un tetto sulla testa e un lavoro.

Il capo dei briganti smise di pensare a quel giovane pazzo e si diresse verso la stufa, per spegnerla, in modo che non potesse causare incendi durante il suo riposo ma qualcosa lo pietrificò. A fermarlo era la solita sensazione di vuoto che lo coglieva alla sprovvista ogni volta che si faceva ora di andare a dormire.

Sospirando, lasciò perdere per un attimo la stufa e si diresse verso il suo sbilenco comodino, che aveva costruito lui stesso con delle assi che aveva comprato a poco prezzo da un falegname più a valle.

Lo aprì, e ci trovò il suo vero tesoro; quel piccolo pezzetto di stoffa che aveva strappato dalla veste di Teresa la sera in cui l’aveva rapita. L’aveva lasciato lì dentro per lungo tempo, poi, quando se n’era ricordato, aveva iniziato quasi a venerarlo.

Ormai, quello straccetto insignificante era diventato per lui l’ultimo ricordo del suo unico e vero amore, l’amore che aveva perduto mesi fa ma che ancora non era riuscito a superare. Tra lui e quella contessina si era instaurato un rapporto talmente tanto profondo che forse non sarebbe bastata una vita per dimenticarlo. Eppure, in quel momento non poteva far altro che stringere quel ricordo tra le mani e sperare che la ragazza stesse bene, poiché non poteva fare altro.

Più volte aveva pensato di mettere sulle tracce di Teresa un qualche suo uomo, che avrebbe poi lautamente pagato. Però, aveva avuto paura di azzardare troppo, visto che c’era caso che la giovane si fosse creata una splendida famiglia, e che magari fosse già in dolce attesa, amata e cullata dal marito che ormai l’aveva rimpiazzato da alcuni mesi.

Se lui fosse tornato a farsi vivo, sempre se ci fosse mai riuscito, avrebbe rischiato di spezzare quell’equilibrio familiare, e magari avrebbe ricevuto un rifiuto, e questo non poteva proprio permetterselo. Se Teresa l’avesse rifiutato, non aveva idea di come avrebbe potuto reagire.

Quindi, preferiva continuare a sperare che stesse bene e a ricordare quei bellissimi momenti che avevano vissuto insieme, senza cercare di intaccare il presente. Il loro era stato un amore semplice e naturale, selvaggio e senza vincoli, ma irreale. Un amore impossibile.

Sempre tenendo tra le mani quel lembo di stoffa, il brigante si diresse verso la finestra e guardò fuori; il sole stava per nascere, immerso in un’alba che ormai era mitigata da un lieve torpore primaverile. Il cielo era stupendo, e si chiese se pure la sua amata contessina lo stesse guardando, da qualche parte, ma dovette riconoscere che da quell’ora così prematura la giovane doveva ancora dormire.

Si immaginò la ragazza distesa su un soffice letto, gli occhi socchiusi e il respiro regolare, abbracciata da un qualcuno che doveva essere suo marito.

Quest’ultimo particolare riempì nuovamente di rabbia il brigante, che si sentiva impotente. Voleva raggiungere il suo amore a tutti i costi, ma ben sapeva che questo avrebbe potuto avere grandi rischi, da lui già valutati con scaltrezza.

Alla fine, concluse la sua riflessione capendo che non c’era molto che potesse fare, e si decise ad andare a riposarsi.

Lasciò perdere la stufa e pensò solo a sdraiarsi al meglio, lasciandosi accogliere dal suo soffice letto imbottito di calda paglia, non prima di aver risistemato al meglio quel pezzetto di stoffa che significava davvero tanto per lui.

Il sonno non tardò molto ad arrivare, e il brigante si lasciò andare, addormentandosi.

 

Il sonno era giunto in fretta, ma se ne andò altrettanto frettolosamente.

Dopo un breve periodo di tempo, Giovanni si ritrovò di nuovo in piedi, con la fronte aggrottata mentre guardava dalla finestra della sua cascina. Era appena metà mattinata, doveva aver dormito a malapena un paio d’ore, però si sentiva di nuovo pieno di energie, ma non di certo felice. La vera felicità era un ricordo lontano, ormai.

Si decise ad uscire dalla sua abitazione, e di farsi una passeggiata nel bosco circostante, immerso nel verde e sorvegliato dal sole, che quel giorno splendeva come non mai.

Si mise addosso un pesante giaccone, ed uscì nella fresca aria mattutina, prendendo fin da subito il sentiero che si inoltrava nella boscaglia e che si dirigeva verso valle.

Era da molto tempo che il capo dei briganti non faceva passeggiate del genere, infatti l’ultima volta che si era avventurato in quella zona era stato con Teresa. E così gli tornò in mente la contessina, e la giornata gli parve ancora meno serena.

Con un pizzico di rimorso e col cuore ancora dolorante, Giovanni continuò a camminare per un po’, seguendo quel sentiero di terra battuta che veniva seguito quasi esclusivamente dai cacciatori della banda quando si recavano alla ricerca di selvaggina.

Immerso nei suoi pensieri, non si accorse neppure della vecchia che se ne stava inchinata poco distante da lui, e quasi le finì addosso. Fortunatamente, riuscì a fermarsi giusto in tempo, e la donna si voltò verso di lui e lo guardò.

Per un attimo, a Giovanni parve una perfetta sconosciuta, poi la riconobbe; si trattava di Vanna, quella donna alta e ormai matura che faceva la guaritrice, e che pochi mesi prima si era presa cura anche di lui, quand’era rimasto ferito alla spalla a causa dell’agguato tesogli da Aldo.

Vanna, nel frattempo, già gli sorrideva.

‘’Zvàn, è proprio vero che ultimamente hai la testa persa tra le nuvole! A momenti mi finivi addosso, guarda almeno dove vai. Lungo il cammino si incontrano molti ostacoli, e bisogna saperli evitare ed affrontare in modo accurato, e non certo andandogli a sbattere contro!’’, ridacchiò la donna, divertita.

Il brigante non la conosceva molto bene, e fino a quel momento non le aveva mai dato tanta confidenza, ma comunque lei era stata gentile con lui e gli si era rivolta con toni gentili, quindi pensò di ricambiarla con cortesia.

‘’Scusa, Vanna. È vero, la mia testa pare che sia partita, e che sia andata lontano’’, rispose Giovanni, sfoggiando un sorriso di circostanza. La donna lo fissò con fare indagatore.

‘’Il tuo è un problema di cuore, non di testa. Si sa, quando il cuore si perde, gli va dietro anche la mente. Non è che… entrambi stiano inseguendo quella magnifica contessina, quella Teresa che avevi rapito alcuni mesi fa?’’, chiese la donna dopo un attimo, sorridendo di fronte al successivo imbarazzo del brigante, che rimase di stucco di fronte alla sua affermazione.

‘’Beh, vedo che ci ho azzeccato. Oh, Zvàn, non fare l’adolescente; quella contessina ti amava, e lo farà per sempre. Non fasciarti la testa, e vedrai che se lo vorrai ardentemente, qualcuno ascolterà le tue suppliche e ti accontenterà’’, disse Vanna, sicura di sé e non accennando a smettere di sorridere.

Il brigante invece iniziò ad innervosirsi; quella donna, che tutti a valle consideravano una strega, stava parlando un po’ troppo.

‘’Vanna, non mi fa piacere che tu apra la bocca a vanvera. Non mi conosci neppure, e pretendi di parlare di cose che non ti riguardano affatto’’, rispose a tono Giovanni, lievemente indispettito dall’intrusione forzata della donna, che smise di sorridere e fece un passo indietro.

‘’Sbagli, ragazzo. Ti conosco meglio di quanto tu creda; più volte ti ho curato e conosco alla perfezione ogni malanno che hai avuto. E poi, dalla tua voce, dal tuo modo di comportarti e da ciò che dici, riesco a capire davvero tanto di te’’, disse Vanna, guardandolo.

Giovanni decise di non farle caso, ed abbassò lo sguardo. Come un bambino spaventato, sentiva che quella donna era strana, e decise di non discuterci. Quindi si accinse a fare dietrofront e a riprendere di nuovo la sua passeggiata.

‘’Vuoi scappare da me, vero? Come tutti. Per chi mi conosce, resto pur sempre una strega, una donna con doti particolari e che fa cose strane. Ma sappi che voglio solo aiutare la gente, ed ora voglio aiutare anche te; non è un caso che il destino ci abbia fatti incontrare proprio oggi. Voglio aiutarti a scoprire la verità, se tu lo vorrai, naturalmente, e ti do l’occasione di venire con me fino alla mia abitazione, per toglierti dalla mente tutti quei dubbi che ti assillano. Dopo, vedrai che starai meglio. Ma la scelta aspetta solo a te, ed hai due vie che ti si aprono di fronte; una ti permetterà di fuggire da me, e di continuare a vivere nel dubbio, l’altra è di seguirmi in silenzio e scoprire il tuo futuro. Scegli tu’’, disse Vanna, seguendo un tortuoso giro di parole. Il brigante inarcò un sopracciglio, incuriosito.

‘’Non credo in certe cose, tantomeno nelle veggenti’’, concluse Giovanni, scrollando la testa. Vanna sorrise.

‘’Perché non hai mai consultato me. Non sbaglio mai una previsione. Ma se non ci credi e non ti interessa, capisco, ma sappi che stai voltando la schiena ai tuoi dubbi… ma non sto ad aggiungere altro. Se vorrai star meglio, seguimi in silenzio, altrimenti riprendi la tua strada’’, concluse la vecchia, che poi si voltò e si allontanò, seguendo sempre il solito sentiero.

Giovanni rimase immobile a guardare la donna, e incredibilmente si mise a seguirla. Qualcosa dentro di lui premeva e lo tormentava, e voleva trovare le risposte ai suoi problemi. Non necessariamente avrebbe creduto a ciò che la vecchia gli avrebbe predetto, ma forse voleva solo togliersi una curiosità.

Aveva sempre sentito parlare delle guaritrici in grado di prevedere anche il futuro, e questo aveva attirato la sua attenzione fin da quando era un bambino, anche se alla fine le aveva sempre evitate. Ma quella volta decise di fare uno strappo alla regola; si sarebbe recato da quella vecchia.

Si mise a seguirla a distanza, sempre in silenzio, come gli era stato detto, e la seguì fino ad una dimora in legno poco più a valle, dove la vecchia aprì la porta ed entrò.

Il brigante si fece forza e si recò alla porta, per poi bussare. Subito, Vanna lo aprì, sorridendo e mostrando la sua dentatura ingiallita.

‘’Sapevo che avresti fatto la scelta giusta. Accomodati’’, disse la vecchia, indicandogli una sedia posizionata a fianco di un piccolo tavolo.

Giovanni entrò direttamente in quella che sembrava una semplice cucina, anche se in realtà c’era un aroma strano nell’aria. Decise di non farci caso e di non dire nulla, sedendosi. Vanna nel frattempo agguantò un mazzo cospicuo di carte, e gli si sedette di fronte, seria.

‘’So tutto ciò che mi serve di te. Non ti farò domande, quindi… tranne una; se c’è qualcosa che ti tormenta e che vuoi scoprire, chiedimelo espressamente’’, disse la donna, ormai totalmente inespressiva. La poca luce che entrava dalla finestra della stanza gettava ombre spettrali ovunque, e ben presto il brigante si sentì in soggezione, eppure ebbe la risposta pronta.

‘’Teresa… voglio sapere di Teresa. Come sta e se… se avrò modo di rivederla, almeno un’altra volta nella mia vita’’, disse Giovanni, quasi balbettando. Si sentiva vulnerabile, poiché sapeva che si stava scoprendo molto, ma aveva deciso di fidarsi della vecchia, che fece un cenno affermativo con la testa e mischiò le carte, per poi sistemarle in un mucchietto e mettergliele di fronte.

‘’Taglia il mazzo dove vuoi, con la mano destra e posizionalo verso sinistra’’, disse Vanna, quasi come se fosse un ordine. Giovanni eseguì in silenzio, senza fiatare.

La donna afferrò il mucchietto che non era stato spostato ed estrasse una carta, apparentemente a caso, e la appoggiò sul tavolo. Poi, diede una rapida occhiata all’ultima carta del mazzo che era stato spostato, per poi rimetterlo giù e non toccarlo più. Un istante dopo, posizionò una quindicina di carte sul tavolo in un ordine strano e senza che si potessero vedere le figure, per poi meditare un istante e riprendere subito a rigirarle.

Giovanni ebbe così modo di vedere per la prima volta le figure delle carte; sembravano semplici carte da gioco, eppure alcune avevano immagini strane, e fu certo di non averle mai viste in circolazione.

Mentre se ne stava col fiato sospeso, ed era affascinato da quel rituale, la vecchia prese a parlare con un tono di voce pacato ma deciso, in ogni caso neutro. Vanna sembrava che non stesse provando più alcun’emozione.

‘’Sappi una cosa; lei tornerà. Tornerà da te, e riprenderà a vivere la sua vita, che ormai le sembra opaca e piena di dolore. Tornerà a breve, ma devi sapere che c’è dell’altro’’, disse la vecchia, mentre nel frattempo continuava a guardare le carte dispiegate di fronte a lei. Giovanni sorrise, quasi felice; il sentirsi dire che Teresa sarebbe tornata da lui lo riempì di gioia.

‘’Sappi che ritroverai quell’amore che credevi perduto, ma ogni cosa ha un prezzo, e perderai ciò che hai più a cuore in questo momento. Non sarà bello né piacevole, ma Teresa, quella contessina, saprà come procedere. Non posso dirti molto altro di più, le carte sono ambigue a questo punto. Ma è certo; Teresa tornerà da te, ma in seguito perderai ciò che hai di più caro. Il destino dà qualcosa, e toglie altro, come sempre’’, continuò Vanna, sempre senza esprimere nessun sentimento. La sua voce non cambiò mai tono. Il brigante comunque sorrise e scosse la testa.

‘’Non ti credo. Teresa è lontana da me, è sposata e ha dei precisi doveri. Non tornerà mai da me! Son tutte sciocchezze, queste’’, disse Giovanni, scettico, mentre inarcava un sopracciglio. Cercò di non esprimere la felicità che stava sentendo dentro di sé, d’altronde Vanna gli aveva dato una nuova speranza, anche se non veritiera.

‘’Non ho mai sbagliato una lettura in oltre quarant’anni di pratica, ragazzo! Se ti ho detto che lei tornerà da te, e pure tra non molto, è vero e vedrai che accadrà. Solo allora mi ringrazierai. Vuoi sapere altro di specifico?’’, chiese Vanna, che sorprendentemente espresse i suoi pensieri sempre con un tono di voce pacato e regolare. Questo mise in soggezione il brigante, che divenne frettoloso di andarsene da quella casa. Temeva che lì dentro regnasse davvero qualche stregoneria.

‘’No, non mi interessa altro. Me ne vado’’. Giovanni si alzò repentinamente e si diresse verso la porta.

‘’Ragazzo, non risolvi niente così. Non vuoi sapere cosa perderai? Parla con me, ridispongo le carte e riprovo a…’’.

La voce di Vanna si spense dietro di lui, non appena richiuse la porta.

Si ritrovò di nuovo all’aria aperta, e con passi veloci ritrovò il sentiero che lo avrebbe riportato alla sua cascina e iniziò a seguirlo senza darsi tregua.

Ben presto, Giovanni si trovò col fiatone, e decise di rallentare, certo che quella dannata strega non l’avesse più raggiunto e neppure importunato con le sue stramberie. Non appena rallentò, gli parve di ritornare in sé, e la fretta che lo aveva spinto a fuggire da quella casa svanì definitivamente.

Ben presto, scoprì di essere ritornato alla sua cascina, e riprendendo foga, si velocizzò ed entrò nell’abitazione, di nuovo agitato. Chiuse la porta e andò a sedere proprio sotto la finestra che dava sul prato verde, dove ci notte si potevano vedere tutte le stelle del cielo.

Improvvisamente, si ritrovò a pensare di nuovo alle parole pronunciate poco prima dalla vecchia veggente, e sorrise. Non voleva crederle, ma ammise a sé stesso che quella donna gli aveva ridato speranze. Se Teresa fosse tornata da lui in un qualche modo, sarebbe ritornato felice.

Si chiese quale fosse la cosa che gli stava più a cuore ultimamente, escludendo la contessina. Non dovette pensarci a lungo per capire che si trattava della sua banda di briganti.

Si maledì per essersi recato da quella strega, e si alzò dalla sedia, passandosi una mano sulla fronte aggrottata. Quella veggente gli avrebbe di certo portato sfortuna.

Per un attimo, ebbe paura, ma alla fine sorrise e si rilassò, decidendosi di dimenticare per sempre quella falsa profezia. Teresa non sarebbe mai più tornata da lui e doveva farsene una ragione.

Per smettere di pensare a questo argomento scomodo, decise di recarsi dagli altri briganti, per bere qualcosa in compagnia, e così fece, passando il resto della mattinata e del pomeriggio con i suoi compagni d’avventura, dimenticandosi momentaneamente di quello strambo incontro.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Continuo a ringraziare infinitamente tutti coloro che mi sostengono in questa lunga avventura e che mi lasciano qualche loro pensiero. Grazie! J

Grazie ancora J a lunedì prossimo J

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Capitolo 40
*** Capitolo 39 ***


Capitolo 39

CAPITOLO 39

 

 

 

 

Teresa si inginocchiò al fianco della spaziosa vasca da bagno.

Distese un braccio sul gelido bordo, per poi appoggiarci sopra la testa, riprendendo a singhiozzare sempre più forte. Delusa e stanca, la contessina strinse tra le dita quella lama da barba che finalmente l’avrebbe resa libera.

A quel punto però, la giovane si chiese se quella fosse la scelta giusta da fare, d’altronde non ne era proprio certa che la fine giungesse in modo rapido e indolore. Con la mano libera ne approfittò per arricciarsi alcuni capelli ribelli, seguendo un movimento che faceva spesso durante il giorno, mentre le lacrime calde continuavano a colarle lungo il viso, finendo poi a scivolare verso il fondo della vasca.

La ragazza capì che se aveva intenzione di farla finita doveva fare in fretta, poiché non aveva alcuna intenzione di essere scoperta da qualcuno e di essere rimproverata. E poi, se suo marito avesse scoperto ciò che stava tentando di fare, forse l’avrebbe addirittura allontanata e internata tra i pazzi.

Forse, non sarebbe stata una cosa tanto pessima, visto che era pur sempre meglio che continuare ad essere la sua vittima prediletta, ma in ogni caso preferiva non pensarci neppure a quella situazione. Strinse forte la piccola ed affilata lama e la appoggiò sul polso sinistro, mentre un altro singhiozzo squarciava il silenzio attorno a lei.

Mentre la lama iniziava ad affondare lievemente nella soffice pelle, qualcuno bussò alla porta con forza. Teresa sobbalzò, e in un attimo ritornò in sé, sapendo di dover prendere una decisione; o farla finita e restare in silenzio, continuando ciò che aveva iniziato, oppure rispondere e capire chi la cercava.

Tornò a premere la lama sul polso e si accinse a tagliarsi.

‘’Signora! Signora, sento che state piangendo! Sono preoccupata per voi, vi prego, aprite la porta!’’.

La voce sconvolta di Anna la riportò definitivamente alla realtà, e in un attimo lasciò cadere la lama a terra, allontanandola da sé con un calcio. Poi, si asciugò le lacrime col polsino della veste, che prontamente risistemò, e si recò ad aprire la porta alla donna, sapendo ormai che quel momento di enfasi e di pazzia di poco prima si era definitivamente concluso.

Con un sospiro, aprì la porta e lasciò entrare la serva, che nel frattempo aveva continuato a bussare e a disperarsi.

‘’Oh, signora! Vi è successo...’’. Anna entrò dentro di fretta ed agitata, ma i suoi occhi si fermarono subito sulla piccola lama che, nel frattempo, rifletteva in un angolo della stanza il bagliore della luce che entrava dalla finestra.

Teresa si accorse di essere stata scoperta subito, e si rimproverò di non essere stata più attenta e previdente, e di non aver nascosto meglio la sua piccola arma.

La donna, rimasta interdetta, le fissò anche il polso sinistro, dove una striscia rossastra aveva preso a colare lentamente giù per la mano, verso il pavimento. Seguendo gli occhi della serva, la contessina si accorse che alla fine era riuscita lo stesso a tagliarsi, anche se si era fatta solo un graffio superficiale.

Paonazza in volto dalla vergogna e dalla disperazione, la ragazza abbassò lo sguardo e si appoggiò alla parete della stanza.

‘’Lo sapevo che non dovevo dirvelo. Vi siete fatta male da sola, e questo solo a causa delle mie parole. Dimenticatele! Non sono poi così certa che ciò che vi ho detto sia vero… sapete, mio marito…’’, disse Anna, dirigendosi subito verso la padrona con preoccupazione crescente.

‘’Tuo marito ne sa più di tutti noi messi assieme. Grazie per avermi detto al verità, anche se era scomoda’’, si limitò a dire la contessina, laconica. In quel momento, il suo unico desiderio era quello di fuggire da quel luogo.

‘’Posso medicarvi? Vado a prendere una garza, aspettat…’’.

‘’No, non serve nulla, è solo un taglietto’’, si affrettò a dire Teresa, gelando la serva. Se suo marito avesse notato che aveva un polso fasciato e ferito, le avrebbe fatto mille domande. Per lei, sarebbe stato più facile nascondere la ferita sotto le maniche del suo vestito, senza aggiungere altri particolari che avrebbero senz’altro attratto l’attenzione di Alfonso.

La serva si fermò, e chiuse la porta dietro di sé, capendo che qualunque altro servo avrebbe potuto vedere la padrona ridotta in quel modo poco piacevole. Nel frattempo, la ragazza continuò a fissare il suo sangue, che a piccole gocce cadeva sul pavimento.

‘’Forse hai ragione, Anna. Dobbiamo fasciarlo, altrimenti sporcherò tutto il palazzo’’, ammise infine la contessina, sempre più preoccupata per sé stessa. La ferita aveva iniziato a farle male all’inverosimile, e ad un certo punto riprese a piangere, disperata.

Anna le si avvicinò, le prese il polso e lo controllò con fare esperto.

‘’Non è nulla. Vado a prendere qualcosa con cui fasciarvi’’, concluse la donna, con sicurezza.

‘’Non mi lasciare sola, ti prego. Sto tanto male…’’, sussurrò Teresa, afferrando Anna con la mano illesa e tenendola vicino a sé, spaventata. Ormai sapeva di aver toccato il fondo, e, ormai senza speranze, stava cercando di ancorarsi all’unico possibile appiglio che le si trovava di fronte, e poco importava se si trattava di una semplice serva.

Inaspettatamente, la donna la lasciò fare e le si avvicinò, poi a sorpresa l’abbracciò. Quello fu un abbraccio lungo, molto simile a quello che le aveva donato Lina durante il suo primo giorno dai briganti; un abbraccio materno e caldo.

La rabbia e lo sconforto della ragazza si attenuarono un po’, e riuscì a calmarsi. Anna, notando che si era effettivamente calmata, si staccò da lei, sciogliendo l’abbraccio.

‘’Signora, torno subito. Nessun altro servo verrà qui, dirò che vi sto aiutando a farvi il bagno, e che non avete bisogno di altro’’, disse la serva, perspicace. Infatti, se quella serpe di Carla si fosse accorta di quel taglio volontario, di certo l’avrebbe riferito ad Alfonso. Teresa annuì e lasciò che la donna se ne andasse.

Rimasta sola, si accasciò a terra, priva di forze e spossata da quella lunga giornata. Se qualche altro l’avesse vista in quel preciso momento, l’avrebbe scambiata di certo per una moribonda.

Intanto, il sangue non accennava ad arrestare la sua fuoriuscita dalla ferita, e la giovane tornò a preoccuparsi. Sorrise per un attimo, pensando che fino ad un istante prima voleva farla finita, mentre ora si spaventava per un taglietto.

Non riuscì a pensare ad altro, poiché Anna entrò di nuovo nella stanza.

‘’Veloce ed efficiente, come sempre’’, disse Teresa, sollevata.

Anna mostrò un sorriso teso e la invitò ad alzarsi, accennando con la testa verso la vasca. Teresa capì, si alzò e si sedette sul bordo dell’oggetto, tenendo il polso ferito verso l’interno, in modo che il sangue non lordasse ancora di più il pavimento.

La serva lavò delicatamente la ferita con un po’ d’acqua, poi, in un battito di ciglia, prese a fasciare il tutto, in modo da fermare quella piccola emorragia.

‘’Non sprecare tanta fatica per nulla, mia cara e fedele Anna. Tanto, non vivrò a lungo; ho intenzione di finire l’opera al più presto’’, disse la contessina, sentendo di nuovo che stava ripiombando in quel baratro buio di poco prima. Non avrebbe sopportato di rivedere Alfonso ancora una volta.

Anna si fermò e la gelò con lo sguardo.

‘’Non sta a me giudicare ciò che fate, ma in questo caso posso assicurarvi che mi sembrate una bambina. Se potessi, due schiaffi ve li darei; dovete ritornare in voi. Dov’è finita la contessina calma e simpatica che è arrivata qui poche settimane fa?’’, disse la donna, riprendendo poi il suo lavoro.

‘’E’ morta, Anna. Uccisa da suo marito. Pensa; come farò quando lui tornerà a casa, questa notte tardi, e mi attrarrà a sé con una passione morta e sepolta? Mi sfiorerà con quelle mani sudaticce, le stesse con cui ha strofinato qualche altra poco di buono solo alcune ore prima. Mio marito è un mostro disgustoso, è stato lui ad aver segnato la mia fine e ad avermi portato ad una scelta estrema’’, sibilò Teresa, rabbiosa. Anna parve impietosita, e abbassò lo sguardo, finendo di fasciare il polso.

‘’Non fate così. Magari…’’, provò a dire la donna, questa volta senza alcuna sicurezza nel suo tono di voce.

‘’Magari nulla. Anna, non posso più vivere qui… non ci riesco’’, disse la contessina, riprendendo a piangere sommessamente.

‘’Pure io…’’, disse sottovoce la serva, facendo sussultare Teresa.

‘’Signora, vi prego, non ditelo a vostro marito, ma io e la mia famiglia ce ne andiamo da qui. Il conte non ci paga bene, e facciamo la fame; ora, che ho scoperto di essere incinta del terzo figlio, sono riuscita a convincere mio marito ad abbandonare questo luogo, e visto che il signor conte non ci darà mai il permesso di andarcene, fuggiremo’’, ammise infine la donna, sempre sotto lo sguardo attento della contessina, che a quel punto si sentì sempre più sola. Se anche Anna se ne fosse andata, per lei in quel palazzo non ci sarebbe rimasto più alcun sorriso caloroso, ma solo odio e disprezzo da parte di tutti.

‘’Se vuoi che io stia zitta, devi promettermi che mi porterete con voi’’, sibilò Teresa, smettendo di piangere e mostrando una cattiveria non da lei. La sua mente già provata era corsa subito ad attaccarsi all’unica via di fuga che il destino le stava offrendo.

Anna sbiancò, non attendendosi una simile proposta. Come sempre, quella donna era gentile e premurosa, ma poco previdente e pure un po’ ingenua.

‘’Io credevo di potermi fidare di voi, per questo ve l’ho detto, e non per essere ricattata’’, disse un istante dopo la serva, mettendosi subito sulle difensive.

‘’Non voglio ricattarti. Voglio solo tornare a vivere; se mi lascerai qui, mi ammazzerò. È questo che vuoi? Ti prego, salvami! Se mi aiuterai a fuggire, potrò tornare ad essere felice…’’.

‘’Felice, ma con chi? Noi, signora, siamo diretti al nord; mia sorella e suo marito sono fuggiti anni fa da questa situazione sfavorevole, e sono riusciti a trovare un buon lavoro a Milano. Noi andremo fin lì per lavorare, correndo parecchi rischi, ma voi sarete disposta a farlo? E poi, vostro marito vi cercherà dovunque, mettendoci tutti in pericolo’’, fece notare la donna, che comunque non parve mal disposta alla richiesta sorprendente della contessina, che ormai era raggiante. I suoi occhi si spalancarono, mentre un immenso sorriso tornava ad aleggiare sul suo volto dopo tantissimo tempo.

Infatti, capì che se fosse riuscita a fuggire da lì, avrebbe potuto tornare nel luogo che le aveva rapito il cuore; sarebbe potuta tornare su quei bei monti, e ritrovare la più cara amica che lei avesse mai avuto, Lina, e magari scoprire qualcosa di più sulla dolorosa fine del suo amato brigante.

Se Anna e la sua famiglia si fossero diretti a nord, avrebbero potuto lasciarla nell’entroterra romagnolo, in modo che lei avesse poi potuto ritornare da sola in quel luogo sperduto. Non le importava dei rischi che avrebbe corso; sapeva che se non fosse fuggita da quel palazzo, si sarebbe senz’altro tolta la vita, prima o poi. Oppure sarebbe definitivamente impazzita.

Non ne poteva davvero più di suo marito, e si sentiva male ogni volta che lo vedeva, che ne percepiva la sua voce. Lo odiava, e odiava sé stessa per aver acconsentito a sposarlo, anche se in realtà non aveva avuto molto margine di scelta, visto che era già stato tutto deciso senza di lei. Ma quel matrimonio degenere ben presto si sarebbe concluso, in un qualche modo più o meno violento, poiché una storia di quel genere non poteva continuare, e questo la contessina lo sapeva bene.

‘’No, non saremo in pericolo. E poi, so già dove recarmi. Parlane con tuo marito e fammi sapere qualcosa di più riguardo al piano di fuga, se non vuoi che lo dica ad Alfonso’’, disse Teresa, abbassando la voce. Anna abbassò lo sguardo, scontenta e impaurita. Quello era un vero ricatto, ma non poteva fare altro per salvarsi.

‘’Va bene, signora, ma non assicuro niente e non so come la prenderà. Sto già capendo che a causa della mia confidenza finiremo tutti in guai grossi; se il signor conte dovesse scoprirci, non avrà pietà di noi’’, bisbigliò di risposta la serva, sempre più preoccupata, mentre finiva di pulire il pavimento dal sangue e risistemava la stanza.

‘’Alfonso non ci scoprirà se ci organizzeremo alla perfezione’’, disse la contessina, spaventata e insicura, ma certa che non avrebbe mai più avuto un’opportunità così ghiotta per fuggire dalle grinfie di suo marito.

‘’E ora andiamo, usciamo di qui. Tra noi non è successo nulla, io non ti ho mai sentito parlare e tu non mi hai mai visto piangere o fare altro’’, concluse poi Teresa, spingendo la serva ad abbandonare il bagno. Ormai, ci erano chiuse dentro già da un bel po’ e potevano attirare l’attenzione della curiosissima Carla, quindi era meglio tornare ciascuno al proprio posto.

Col cuore che le batteva forte in petto, la contessina si ritrovò a dirigersi per l’ennesima volta alla piccola biblioteca, cercando di nascondere i suoi occhi rossi a tutti, così come il suo ritrovato sorriso.

 

 

Era notte fonda quando suo marito rientrò.

Teresa era già a letto, come al solito, e neppure si era azzardata a chiedersi dove Alfonso avesse trascorso l’intera giornata, e soprattutto in compagnia di chi. Però, quella notte gli avrebbe fatto qualche domanda, era per quello che aveva scelto di attenderlo, stando sveglia.

In quelle lunghe ed interminabili ore di attesa, immersa nel buio, la ragazza aveva fantasticato sulla sua possibile fuga. Anna non le aveva fatto sapere più nulla, e questo la inquietava; effettivamente, aveva paura che la serva fuggisse con la sua famiglia senza dirle nulla, d’altronde era la cosa più logica da fare. Ma da un certo verso voleva pensare che quella donna fedele non avrebbe dimenticato le sue parole, e neppure il suo ricatto.

La giovane, comunque, si affrettò a risistemarsi meglio la vestaglia e a nascondere bene le fasciature di quella mattina.

Nel frattempo, Alfonso entrò nella stanza da letto in malo modo, aprendo la porta con un gesto che aveva solo l’apparenza del silenzioso, visto che in realtà fece un baccano che fece sussultare la ragazza, nonostante fosse già pronta ad attendere l’entrata del marito.

Una chiara luce di candela illuminò lievemente l’ambiente, mentre la contessina si alzava sui gomiti.

‘’Siete ancora sveglia, mia cara?’’, chiese immediatamente Alfonso, che per un attimo strabuzzò gli occhi.

La contessina rimase stupita da quanta falsità avesse in corpo quell’uomo, che dopo averla tradita tornava a casa e si azzardava a rivolgerle una frase gentile, visto che non era neppure suo solito farlo. In genere, si limitava a criticarla aspramente.

‘’Sì, non riesco proprio a prendere sonno. Ma è tardissimo! Voi dove siete stato, finora?’’, chiese la ragazza, come se non sospettasse nulla.

Alfonso intanto si svestì rapidamente, anche se in  un modo innaturale e decisamente impacciato, e si sdraiò al suo fianco.

‘’A una cena importante. C’era un bel banchetto, si è parlato di tutto. Insomma, alla fine si è fatto tardi… si sa, il tempo fugge sempre. Ed ora desidero solo di andare a letto e dormire’’, disse suo marito, lasciando cadere l’argomento.

Teresa sentì che suo marito puzzava leggermente di alcol, e che doveva aver bevuto abbondantemente. Non ebbe il coraggio di chiedere nulla a riguardo, ma sospettava che Alfonso fosse alticcio, visto anche il modo in cui si era svestito poco prima.

La discussione sembrava conclusa ancor prima di essersi sviluppata, e il giovane conte si coprì con le coperte e si accinse a spegnere la candela. Ma, improvvisamente, la sorte parve girare a favore di Teresa, che notò un qualcosa di rosa che era caduto dal taschino della giacca del marito, piegata in malo modo e lasciata su una sedia imbottita a fianco del letto.

Quel piccolo oggetto rosa era caduto svolazzando ed era così lampante che attirò subito l’attenzione della guardinga contessina.

‘’Aspettate un attimo a spegnere, per favore’’, disse Teresa, alzandosi dal letto e bloccando suo marito, che stava già per soffiare sulla fiammella accesa.

Lui la guardò con fare incuriosito mentre si chinava a raccogliere quell’oggetto strano, che in realtà era un leggiadro fazzolettino di stoffa. Subito dopo, notando che la moglie lo stava osservando con attenzione, il conte parve arrossire.

‘’Vi è caduto il fazzoletto, non potevo lasciarlo lì e non raccoglierlo. Ma… che bel colore! Da quando portate con voi dei bei fazzolettini rosa?’’, chiese Teresa, con un tono calmo e tranquillo. In realtà, sul fazzoletto c’era pure scritto qualcosa, che la ragazza non ebbe il coraggio di leggere.

Quell’oggetto non apparteneva ad Alfonso e al suo guardaroba, ed inoltre era uno dei classici regali che si scambiavano tra amanti. Regali compromettenti, da meretrici vogliose di mantenere i loro clienti fissi.

‘’E’… è caduto alla marchesa… alla marchesa… l’ho raccolto e mi sono dimenticato di ridarglielo. Domani sera provvederò a restituirglielo’’, disse il conte, rosso in volto e balbuziente. Teresa sapeva che di averlo in pugno in quel momento, e decise di continuare ad approfondire.

‘’Beh, questa marchesa non ha un nome? E poi, è presente tutte le sere ai vostri banchetti e si porta in giro fazzolettini ricamati da lasciare in giro, come le comuni poco di buono?’’, chiese la ragazza, che aveva preso forza. Ma suo marito parve andare fuori di sé, a quel punto.

‘’Mettete quel fazzoletto nel taschino della giacca e non azzardatevi ad aprirlo, e dimenticatevene. Per il resto, non vi riguarda nulla, e non siete tenuta a fare altre domande’’, disse Alfonso, gelandola.

L’uomo era già sulla difensiva, e i suoi occhi parevano gonfi dalla rabbia. Teresa ebbe paura che l’alcol e la rabbia potessero renderlo aggressivo, eppure non poteva lasciar perdere proprio in quel momento, visto che era riuscita a trovare un oggetto compromettente e che confermava i suoi sospetti e ciò che le aveva confidato Anna.

Vedendo il marito alterato, decise di proseguire l’indagine, cercando di incalzarlo in maniera più velata.

‘’Come preferite. Ma vorrei chiedervi se anch’io potrei partecipare ad una delle vostre solite cene, così potrò uscire un po’ di casa’’, disse Teresa, rimettendo a posto il fazzolettino, con delicatezza e disgusto.

‘’No. A voi non vi è mai piaciuto stare in compagnia’’, continuò Alfonso, laconico e gelido. La contessina nel frattempo tornò a letto, al suo fianco, e subito il conte si affrettò a spegnere la candela, e il buio li avvolse.

‘’Ora sì. Ho voglia di uscire un po’, anche solo per stare un po’ con voi’’, disse Teresa, che furbamente cercò di non lasciar trapelare alcun sospetto sulle sue reali consapevolezze, e mantenendo un tono di voce calmo e tranquillo. Aveva avuto tutto il tempo per convincersi che suo marito la tradiva, e quella recidività se l’aspettava.

‘’La mia risposta è no. E ora dormiamo, che è tardi’’, concluse Alfonso, girandosi su un fianco e dando le spalle alla moglie.

‘’Ma io non ho sonno. Mi andrebbe di continuare il nostro discorso di poco prima’’, disse Teresa a sorpresa.

‘’Ah, no? Peccato, a me non va di parlare, ma di svolgere il mio compito da bravo marito’’, rispose Alfonso, tornando a girarsi verso di lei.

Teresa rabbrividì, sapendo che suo marito aveva giocato d’astuzia anche quella volta, nonostante il fatto che fosse lievemente brillo. In meno di un istante, le fu sopra e prese ad accarezzarla in un modo lascivo, ma decisamente rozzo.

Le prime notti in cui avevano fatto l’amore, Alfonso era voglioso e frettoloso, ma in quel momento, come nell’ultimo periodo, le attenzioni che le riservava erano a dir poco disinteressate, tipiche di un uomo già soddisfatto.

Incredibilmente, si trovò le sue labbra a far pressione sulla sua bocca, quasi come se volesse spingerla al silenzio e a dimenticare i dubbi di poco prima.

Da tempo non la baciava, e quando Teresa sentì il suo sapore, inorridì. Quello che la stava baciando non era più il conte noioso e perbene che aveva sposato, ma un uomo che puzzava di alcol e di altre donne, non era più un uomo fedele a lei.

Allontanò il suo volto e cercò di impedirgli di compiere altre azioni.

‘’No, Alfonso, vi prego. Questa sera sono indisposta, e lo sarò per un paio di giorni, ancora’’, disse la contessina, utilizzando una scusa plausibile per rifiutarlo.

‘’Capisco. Buonanotte, allora’’, concluse Alfonso, lasciandola totalmente perdere e affondando il volto nel suo cuscino, allontanandosi.

Teresa, rimasta inizialmente allibita dall’accaduto, dopo un attimo sorrise, nascosta dal buio della stanza. Si era liberata di suo marito per quella notte, e lui aveva ingenuamente fatto il suo gioco, ritraendosi in modo precipitoso e confermando il fatto che fosse già ampliamente stanco e sazio, e che la sua mossa era solo una tattica per metterla a tacere e chiudere la discussione pericolosa di poco prima.

Poi, la tristezza prese a crescere dentro di lei, mentre suo marito stava già iniziando a russare. Doveva fuggire a tutti i costi da quel palazzo, altrimenti avrebbe perso la ragione.

La ragazza chiuse gli occhi, e sospirando rumorosamente, cercò di affogare i suoi brutti pensieri nel sonno, girandosi su un fianco e cercando di riuscire ad addormentarsi, e fortunatamente ben presto ci riuscì, dimenticandosi per qualche ora dello strazio della sua vita.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguirmi con grande assiduità e interesse J

Per Teresa si prospetta una probabile fuga… ben presto avremo modo di vedere cosa accadrà.

Ringrazio infinitamente tutti i recensori e i lettori, e tutte le persone che sostengono attivamente il racconto. Senza di voi, non so se sarei arrivato fino a questo punto J grazie per avermi dato fiducia J

Ultimamente ho pubblicato anche qualche one shot, se a qualcuno può interessare le può trovare sul mio profilo, insieme alle altre storie.

Grazie di cuore a tutti! A lunedì prossimo J

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 40 ***


Capitolo 40

CAPITOLO 40

 

 

 

 

La mattina successiva, Teresa si svegliò con un forte mal di testa.

Cercando di ignorarlo, riuscì pure a farci sopra dell’ironia, pensando che forse aveva utilizzato troppo il suo cervello quella notte per escogitare un piano di fuga da quel palazzo. Eppure, non le era venuto in mente nulla. Poteva solo affidarsi ad Anna.

Con passi strascicati, si diresse fino al solito tavolo, dove Alfonso aveva già fatto colazione poco prima. La ragazza si sentì felice di non doverlo vedere, e in compenso sorrise amabilmente alla fedele cuoca, che sbucò subito dall’adiacente cucina pronta a servirla.

La serva ricambiò il sorriso, e si chinò lievemente per versarle un po’ di latte caldo nella sua tazzina.

‘’Signora, ho delle novità da darvi’’, bisbigliò Anna all’improvviso, e a momenti Teresa sobbalzò. Roteando rapidamente gli occhi, la contessina notò che nessun altra serva si era accorta di quella breve frase pronunciata, e con un rapido gesto afferrò la tazza mezza piena e si accinse a portarla alle labbra.

‘’Non qui, non ora. Ti aspetto tra due ore nella biblioteca’’, mormorò la ragazza, sfiorando poi con le labbra la tazzina e ingurgitando un consistente sorso del suo contenuto. Anna sorrise nuovamente, facendo intendere che aveva capito, e si allontanò con rapidità.

Teresa si sentì euforica, anche se già immaginava che non sarebbe mai potuta fuggire da quella lugubre prigionia, ma questo non la scoraggiò a pensare in modo positivo, e la sua mente già viaggiava verso nord, verso quei monti ospitali e verso la sua cara amica Lina. Quindi, con apparente rilassatezza, mangiò con grande calma e sgranocchiò parecchi fragranti biscottini, prima di alzarsi dal tavolo e recarsi nella solita biblioteca.

L’agitazione di Carla le fece intuire che suo marito doveva trovarsi in casa quella mattina, molto probabilmente doveva essere a leggere la sua solita e impegnativa corrispondenza, quindi doveva cercare di organizzare tutto con molta attenzione se non voleva essere scoperta.

Si diresse quindi alla biblioteca, e socchiuse la porta, in modo da poter sbirciare nel corridoio ogni tanto, poi afferrò un libro qualsiasi e si mise a leggerlo senza alcun interesse. In realtà, i suoi occhi scorrevano le righe senza comprenderne il significato, e le lettere erano solo una sequenza di forme senza senso che le passavano da sotto gli occhi, dal tanto che era agitata.

Infatti, dopo poco la contessina si ritrovò a riporre il libro con delicatezza e ad andare verso la finestra, dalla quale si mise ad osservare per l’ennesima volta quell’immenso cortile, mentre il cuore iniziava a battere sempre più rapidamente nel suo petto.

In realtà dovette ammettere a sé stessa che non provava alcuna euforia, ma solo paura. Era a conoscenza del fatto che fuggire dalle grinfie di Alfonso poteva essere molto difficile, anche perché era costantemente aiutato da alcune serve e dalla governante, che lo tenevano informato su tutto. E se anche fosse riuscita a fuggire, sapeva che ben presto avrebbe avuto alle calcagna uno stuolo di persone pagate da suo marito per riportarla indietro, ma forse questa era la cosa meno preoccupante.

A terrorizzarla, c’era la prospettiva che Anna si tirasse indietro e che rifiutasse di fuggire, nel timore di qualche ripicca.

Teresa sapeva che se non fosse fuggita in quel momento, avrebbe poi rischiato di farsi del male da sola in modo serio; ormai, un istinto autolesionista e suicida si era sviluppato dentro di lei, e prendeva ad assillarla in ogni momento di sconforto, lasciandola sempre più debole e confusa. Quei mesi di lontananza da tutti e quella vita forzatamente ed inaspettatamente solitaria l’avevano resa davvero molto fragile.

Poco dopo, all’improvviso, un lieve bussare la fece trasalire, capendo che doveva trattarsi di Anna. A passi lenti, quasi avesse paura di scoprire che non si trattasse della fedele serva ma di suo marito, si diresse alla porta e la spalancò, facendo sgusciare dentro la sua ospite tanto attesa.

Dopo aver richiuso la porta, Teresa si trovò di fronte ad una donna alquanto tesa, che non si assomigliava neppure alla solita e calma serva.

‘’Signora, abbiamo un piano. Mio marito è così tanto disperato da come lo tratta Alfonso che è disposto a tutto pur di abbandonare questo posto e sono riuscito a convincerlo a portare anche voi. Non sapete che fatica! Giuseppe si è infuriato come non mai ed ho temuto che mandasse tutto all’aria, ma alla fine ha capito la vostra situazione e si è detto disposto ad aiutarvi.

‘’Faremo così; questa sera mio marito non accompagnerà il conte alle solite uscite serali, visto che si è già dato malato e con la febbre. Il conte se ne andrà in giro con un altro cocchiere più giovane, quindi uscirà lo stesso, e dopo che sarà uscito, vi verrò a chiamare e con circospezione uscirete e verrete fino alla strada qui di fronte, e troverete già il cancello aperto ed una carrozza pronta ad aspettarvi’’, disse tutto d’un fiato la serva, a bassa voce e guardandosi intorno, come quasi a voler ispezionare tutta l’area circostante per essere sicura che nessuno la stesse sentendo.

Teresa sapeva che la fuga di servi non era una cosa così rara e quindi non avrebbe attirato particolari attenzioni del padrone, ma allo stesso tempo sapeva bene che la fuga della contessa consorte del conte poteva essere davvero rischioso. Anzi, lo era, e pure molto.

‘’Ma… se Alfonso sarà partito sulla sua carrozza…’’, provò a dire la contessina, per un attimo perplessa.

‘’Non preoccupatevi, ne ha due. Quella che usa sempre è la più nuova, ma ne possiede un’altra che non usa quasi mai, e che Giuseppe però sa utilizzare. Per i cavalli, beh, ne prenderemo quattro. Gli stallieri non immaginano una simile mossa da parte nostra, e si fideranno quando mio marito dirà loro che ha ricevuto l’ordine di provare la vecchia carrozza, visto che è momentaneamente indisposto ad accompagnare in giro il signor conte, e dato che il padrone fa sempre far qualcosa anche a chi è ammalato… beh, nessuno dovrebbe opporre resistenza’’, tornò a dire Anna con grande fretta, ma fu subito interrotta dalla ragazza.

‘’E’ pericoloso andare in carrozza, meglio prenderci quattro cavalli e andarcene…’’, tentò di dire Teresa, che però notò un’occhiataccia di rifiuto da parte di Anna, che ne approfitto subito dell’attimo di silenzio e perplessità della giovane per riprendere a spiegare il piano.

‘’Lo sappiamo, ma non abbiamo altro modo! Ricordate che con noi ci saranno i nostri due bambini, e per loro andare a cavallo sarebbe difficoltoso, e anche per voi e per me. Comunque, non dirò altro; questa sera vi avviserò con estrema prudenza, quando sarà arrivato il momento. Voi dovrete solo uscire da questo palazzo e dirigervi verso la strada, dove troverete noi e la carrozza pronti alla fuga. Non dovrete fare altro’’, disse Anna, lasciando intendere che non voleva spiegare altri particolari più complessi, correndo pure il rischio di essere udita da qualcuno. Teresa annuì, comunque soddisfatta dall’idea.

‘’Si può fare. Ma quando Alfonso saprà che ce ne siamo andati, beh, ci ricercherà ovunque’’, fece poi notare la contessina, cercando di nascondere un breve brivido euforico che la attraversò dalla testa ai piedi.

‘’Sì, sappiamo anche questo. Tenete presente che Carla cercherà di avvisarlo subito, non appena sarete scomparsa, ma a questo punto è un rischio che dobbiamo correre. Per il resto della fuga, ci penseremo strada facendo; mio marito conosce bene tutte le strade di mezza penisola e sa come muoversi e come seminare chi ci seguirà. E poi, pregheremo che vada tutto bene… non abbiamo altro da fare se non affidarci al Signore, in modo che faccia giustizia e ci apra la strada per lasciarci alle spalle questo inferno’’, concluse la donna, facendosi poi un segno della croce, seguita da Teresa.

‘’Bene. È pericoloso parlare ora, Carla è in zona. A questa sera’’, concluse a sua volta la contessina, congedando Anna e lasciando che tornasse ai suoi impegni, in modo che la sua assenza dalle cucine non diventasse troppo prolungata. La serva lasciò la stanza con un passo deciso, ma non senza aver lanciato uno sguardo preoccupato a Teresa, che comprese che la donna doveva avere tanta paura.

Solo quando Anna fu fuori da quella stanza la ragazza si chiese perché la stesse aiutando, d’altronde avrebbe pur sempre potuto affermare che non sarebbe fuggita, per poi andarsene ugualmente e lasciarla tra le grinfie di suo marito in eterno. Forse, quella brava donna era stata spinta dal fatto che sapeva quanto fosse odioso Alfonso, e doveva di certo aver compreso la sua orribile situazione.

In ogni caso, Teresa le fu grata per averle dato nuove speranze. Anche se tutto pareva facilissimo sulla carta, nella realtà non lo era affatto, e la contessina tornò ad essere nuovamente nervosa, decidendo di dirigersi nella stanza da letto, dove avrebbe potuto distendersi e riposarsi un po’, visto che quella notte già si preannunciava agitata e non poteva ritrovarsi in quella situazione a lei propizia con una grossa stanchezza addosso.

Quindi, nonostante fosse in apprensione, decise di provare a riposare un po’, e così fece.

 

La contessina in realtà non riuscì a dormire, ma se ne stette distesa con gli occhi chiusi, lasciando che la sua mente viaggiasse, libera come l’aria.

Solo quando si accorse che doveva essere quasi ora di cena, decise di alzarsi e di dirigersi nel salone da sola, senza attendere che qualcuno la andasse a chiamare. Aveva troppa paura che quella vecchia arpia di Carla potesse leggerle il panico e lo smarrimento che regnavano nei suoi vispi occhi, che si muovevano in ogni direzione ma senza riuscire a soffermarsi troppo su un punto fisso.

Scese rapidamente lo scalone, mentre il cuore riprendeva a batterle forte nel petto, e quando si trovò di fronte al tavolo imbandito per un istante ebbe paura di svenire.

Poi, quando constatò che suo marito avrebbe cenato con lei quella sera, si rabbuiò ed ebbe il presentimento che qualcosa nel piano di Anna sarebbe andato storto. E purtroppo, molto probabilmente non ci sarebbero state molte altre occasioni per fuggire.

Alfonso, infatti, era seduto a capotavola e stava sistemando meglio il suo tovagliolo, anche se in realtà sembrava che ci stesse giocherellando con aria assorta.

‘’Marito mio, questa sera non cenate fuori?’’, chiese Teresa con un filo di voce, giungendogli da dietro e prendendo posto a suo fianco. Tentò comunque di utilizzare un tono sicuro e fermo.

‘’Uhm, no, ma uscirò lo stesso. Ho un invito da un caro amico dei quartieri periferici romani, dove nella sua grande abitazione adibisce salotti letterari, e dove le persone più dotte della zona si raccolgono…’’.

La menzogna impacciata di Alfonso fu interrotta dall’arrivo di Anna e di altre due serve, che posarono sul tavolo i grandi recipienti col cibo, per poi iniziare a fare le porzioni e metterle nei piatti.

Alfonso si mostrò fin da subito interessato al cibo e si immerse nuovamente nei suoi pensieri, mentre la contessina si ritrovava per l’ennesima volta col piatto traboccante di delizie proprio sotto il suo naso, ma con una grande nausea, provocatale molto probabilmente dalle menzogne di suo marito.

Già si immaginava Alfonso circondato da ragazze provocanti e seminude in una qualche casa di piacere, ma decise di non pensare a quelle cose durante quella serata e cercò di comportarsi nel modo più normale possibile, e provando a nutrirsi.

Con fatica, si portò la forchetta alla bocca e ingurgitò un piccolo boccone di petto di pollo sminuzzato, e il senso di nausea tornò ad accrescere. Era da alcuni giorni ormai che quel fastidio la tormentava, soprattutto alla mattina, quand’era accompagnato da un forte mal di testa, e fino a poco prima non ci aveva mai fatto troppo caso, ma in quel momento era decisamente insopportabile. Diede la colpa a tutta l’ansia che la stava letteralmente distruggendo in quegli ultimi giorni, e si sforzò di continuare la pagliacciata e di mangiare come se niente fosse.

Ad un tratto trovò il coraggio per alzare gli occhi dal piatto e per gettare una rapida occhiata ad Anna, che se ne stava in piedi poco distante, e visto che aveva già servito le portate principali, attendeva di togliere le stoviglie sporche e di sostituirle con cura e attenzione.

Il suo volto non era teso ma stanco, e due profonde fossette le creavano delle ombre insolite su quel viso che di solito era raggiante e rilassato. L’ansia stava corrodendo anche lei.

Emettendo un’impercettibile sospiro, Teresa inghiottì un altro minuscolo bocconcino e prese a fissare suo marito con circospezione, attendendo il momento in cui si sarebbe alzato da tavola e se ne fosse andato, lasciandole campo libero.

Il tempo passava, mentre un pensieroso Alfonso continuava a sbocconcellare il cibo, sempre immerso in un mutismo che gettava un velo di panico su tutto il salone, e pareva che non avesse affatto voglia di alzarsi da tavola. L’ansia della contessina aumentò ancora, ma fortunatamente a quel punto il conte si alzò dal suo posto e abbandonò il salone con malagrazia, afferrando bruscamente il suo bastone da passeggio ed andandosene.

Poco dopo, la ragazza poté sentir sbattere la porta d’ingresso, dando inizio al suo piano. Si alzò anch’essa dal suo posto e abbandonò il salone, per poi tornare nella camera da letto, sbarrando la porta e sperando che suo marito non tornasse indietro o in camera.

Con rapidità, prese da sopra l’armadio la valigetta da viaggio che aveva appositamente preparato e mise al suo interno solo due cambi d’abito e un po’ di biancheria più intima, tutta lavata e pronta all’uso. Richiuse la piccola valigia e la nascose sotto il letto, per poi risistemare l’armadio e richiuderlo, riaprendo poi anche la porta, e attendendo solo Anna.

La serva pareva che non venisse mai avanti, e ben presto Teresa quasi si vergognò di averle creduto, visto che dovevano essere già passate almeno due ore dalla partenza di suo marito, e che ormai era notte fonda, ma dovette ricredersi quando sentì il suo classico bussare alla porta. La serva non attese che Teresa la aprisse, e si affacciò da sola dentro la stanza.

‘’Signora, è ora. Io vi aspetterò dentro la carrozza… quasi tutte le altre serve sono tornate tutte nei loro alloggi, ma Carla è ancora in giro, state attenta. Il piano è lo stesso, a tra poco, e fate in fretta… altrimenti dovremo partire senza di voi’’, concluse rapidamente la donna, per poi allontanarsi in tutta fretta.

Teresa si chinò ed afferrò la sua piccola valigia, poi in fretta e furia quasi si catapultò giù per la scalinata. Le pareva tutto troppo bello per essere vero.

Al piano inferiore fece molta attenzione e si mosse lentamente, in modo da poter deviare la vecchia vipera nel caso che l’avesse vista, e ben presto si trovò di fronte alla porta d’ingresso. Col sorriso sulle labbra, appoggiò la sua mano destra sul legno liscio e fece per spingere verso l’esterno, ma una mano estranea e gelida la afferrò per un braccio e la bloccò.

‘’Dove credete di andare, signora contessa? Fuori è buio e freddo, è meglio che stiate in casa e che torniate a letto’’.

La dura e rigida voce di Carla la bloccò ad un solo passo dalla libertà. Si voltò e la guardò, e capì che pure lei aveva inteso il suo tentativo di fuga, d’altronde aveva già notato che si stava portando dietro una piccola valigia da viaggio.

‘’Lasciami andare. Molla la presa’’, sibilò la contessina, rabbiosa, mentre scandiva bene le parole. Ma il donnone sorrise e strinse di più il suo braccio.

‘’Ora tornate a letto, vi ci accompagno io’’, affermò la matura governante, strattonandola.

Teresa fu costretta a fare un passo indietro, e capì che la robusta donna era molto più forte di lei. Quasi con brutalità, la allontanò dalla porta e prese a trascinarla verso le scale. La contessina non riuscì neppure a gridare, perché quando tentò di farlo la donna le mise la mano libera sulla bocca.

‘’Volete proprio dare scandalo? La moglie del conte che fugge di casa come una comune stracciona. Vergognatevi! Quando vostro marito tornerà, vi punirà, ne son certa. E ammetto che se vi desse quattro schiaffi, vorrei essere lì per godermi la scena e per dirgli che ha fatto un buon lavoro, perché voi vi meritate solo di quelli, dannata ragazzaccia viziata…’’.

La voce della governante divenne solo un brusio nella mente della contessina, che si ritrovava di nuovo a percorrere le scale di poco prima, trascinata con la forza. Quella era la fine di ogni suo sogno; suo marito le avrebbe di certo fatto del male, e Carla l’avrebbe controllata giorno e notte. Sapeva che Anna tra pochi istanti se ne sarebbe andata, abbandonandola per sempre in quel truce destino, d’altronde il tempo stava scorrendo inesorabilmente.

Disperata, e non potendone più di sentire le ingiurie infamanti che la governante le stava rivolgendo contro, la sua mente cercò una soluzione e la trovò. Tentò di strattonare la governante, ma la sua presa era ferrea. Allora, vedendosi ogni via di fuga preclusa e con un rapido scatto carico di disperazione, la contessina afferrò con la mano libera una piccola statuina di bronzo posizionata al margine della scalinata, e con forza colpì la testa del donnone, che vacillò.

‘’Ahhh!’’, gridò Carla, lasciando subito la contessina e toccandosi la testa. Il sangue prese a scorrere sul suo viso, mentre la serva riprendeva il controllo di sé.

‘’Che tu sia maledetta, ragazza! Pagherai per questo, oh se pagherai!’’, sibilò la donna, che afferrò il bordo della veste dell’impacciata Teresa, che si trovò anch’essa a scivolare sul pavimento liscio e a cadere a terra.

Dolorante e distrutta mentalmente, la ragazza impugnò di nuovo la statuina e la lanciò di nuovo verso la donna, che nel frattempo era troppo concentrata a strattonarla per la veste per deviarla. Quella volta, Carla svenne in una pozza di sangue. Piangendo, la contessina si rialzò e si diresse subito verso la porta d’ingresso.

Rapidamente, la aprì senza voltarsi indietro, e la richiuse dietro di sé con violenza, facendole fare una botta sorda. Incredula per ciò che aveva appena fatto, si ritrovò a muoversi nel buio fino alla strada, dove la carrozza che l’avrebbe salvata la stava ancora aspettando, vecchia e dall’apparenza macilenta.

Mentre le si dirigeva incontro quasi di corsa, dovette riconoscere che in quel momento si sentiva una belva disumana, un demonio. Forse aveva ragione Alfonso, anche se le costava ammetterlo proprio in quel momento; il suo carattere era rozzo e animalesco, e tutto il male che aveva fatto a Carla lo confermava.

Però, ammise a sé stessa che era davvero disperata, e forse pure folle. Promise di pregare ogni giorno, in modo che Dio la potesse graziare di quell’orrendo peccato appena commesso.

Lo sportello del mezzo si aprì e lei entrò, infilando dentro la valigia. Una piccola candela illuminava l’ambiente, e Anna la stava fissando con fare spaventato.

‘’Ho temuto che non veniste. Ancora un attimo e saremmo partiti, stare fermi qui è troppo pericoloso’’, disse subito dopo la serva, che però si ammutolì di fronte alla contessina, che aveva un lembo della veste sporco di sangue.

‘’Cos’è successo?’’, si affrettò infatti a chiedere subito dopo la donna, sorpresa e sbigottita come non mai. Teresa si sedette e si sistemò la sua piccola valigia tra le gambe, scrollando le spalle.

‘’Carla si è accorta che stavo fuggendo e si è dimostrata più aggressiva e agguerrita del previsto’’.

‘’E voi… voi…’’.

‘’Non l’ho uccisa, l’ho solo stordita. Si riprenderà tra poco’’, disse la contessina, poco sicura di sé. Forse la governante era morta, oppure sarebbe morta a breve, non lo sapeva, però era a conoscenza del fatto che l’erba cattiva tende a non morire mai, e cercò di mettersi il cuore in pace. Non voleva rovinarsi quel magnifico momento, visto che aveva ritrovato la libertà. Ora pensava solo alla fuga.

Nel frattempo, Anna parve rassicurarsi, e con un gesto lento aprì un piccolo sportellino dietro di lei e disse al marito di partire. Subito dopo, la carrozza si mosse.

La ragazza notò che quel mezzo vecchio tendeva a sobbalzare ad ogni minima buca, e che era davvero scomodo, ma poteva raggiungere una buona velocità.

‘’I bambini?’’, chiese con preoccupazione Teresa, mentre cercava di non farsi scivolare via la valigia.

‘’Sono lì… ora stanno dormendo entrambi, li ho coperti un po’ ‘’, la rassicurò la serva, sempre parlando a bassa voce, mentre indicava una piccola pila di panni proprio a suo fianco.

I due piccoli erano stati coperti dalla madre con talmente tanta cura che pareva quasi che non ci fossero neppure. Effettivamente, dentro a quella carrozza era davvero freddo, e numerosi spifferi entravano dalle varie fessure del legno, ormai allargate di molto anche a causa del lungo periodo di disuso del mezzo.

Alla ragazza tornò in mente quando sua madre la copriva con premura, quand’era piccola e la metteva a letto. Contrariamente a parecchie nobildonne, sua madre si prendeva spesso cura di lei, cercando di lasciarla il meno possibile con la balia, forse proprio perché già sapeva che la sua vita non sarebbe durata a lungo e che l’avrebbe lasciata a breve da sola a quel mondo, per sempre.

Quei ricordi la riportarono alla sua non lontana infanzia, e le fecero tornare in mente suo padre. Come se fosse stata colpita da un fulmine, la giovane scattò verso i vetri del mezzo e si mise a guardare fuori, alla disperata ricerca dell’abitazione del conte.

‘’Che succede, signora?’’, chiese Anna, spaventata da quella sua reazione brutale e repentina.

‘’Dì con tuo marito che si fermi di fronte al primo palazzo che incontrerà alla sua sinistra’’, rispose la giovane contessina, improvvisamente disperata. Doveva a tutti i costi avvisare suo padre, ed invitarlo a fuggire di lì, perché non appena Alfonso si sarebbe accorto della sua fuga, prontamente si sarebbe sfogato su di lui.

Questo grave screzio avrebbe di certo potuto intaccare il rapporto di fiducia tra suo padre e il pontefice, per via di quello che lei aveva combinato. Avrebbe quindi dovuto mettere una pezza anche lì, cercando di salvaguardare l’unico elemento della sua famiglia rimasto a quel mondo.

Anna ripeté tutto al marito, che inizialmente si dichiarò impossibilitato a fermarsi, ma dopo alcune suppliche lo fece.

La carrozza rallentò progressivamente, mentre Teresa afferrò il suo scialle e si accinse a scendere, sperando che quella fosse davvero l’abitazione del genitore; d’altronde, lei non l’aveva mai vista prima di quel momento, ma si stava affidando a quel che aveva sentito dire da suo marito ad un servo che avrebbe dovuto portare una lettera a suo padre. O, meglio ancora, si stava affidando a ciò che era riuscita ad origliare in modo distratto qualche giorno prima.

La ragazza aprì lo sportello e scese, lasciandosi avvolgere dal buio impenetrabile di quella notte gelida.

‘’E’ una follia, signora! Cosa credete di fare? Dobbiamo continuare a fuggire, e non possiamo fermarci ad ogni isolato!’’, disse Giuseppe a voce moderata, subito zittito dalla moglie, che dall’interno lo pregò di tacere, avendo compreso appieno il senso di quella fermata dall’apparenza inutile.

‘’Sarò di ritorno tra un attimo’’, lo rassicurò la contessina, che poi si diresse direttamente verso il giardino del palazzo, fingendo di non sentire i sospiri irritati del suo salvatore.

Si guardò attorno per un istante, cercando di capire se si stava recando verso un’abitazione a caso o proprio verso quella di suo padre, e dovette riconoscere che, stando alle parole che aveva origliato alcuni giorni prima da suo marito, quella doveva essere l’abitazione giusta.

Si avvicinò al grande cancello di ferro e lo scostò con fatica, per poi richiuderlo. Poi, quasi si mise a correre attraverso il giardinetto che la separava dal grande palazzo che aveva di fronte. Sapeva che il tempo a sua disposizione era poco e che doveva utilizzarlo al meglio.

Mentre grandi nuvolette di vapore condensato uscivano dalla sua bocca, la ragazza si trovò anche a sistemarsi lo scialle sulla testa, avvolgendosi metà volto e tutti i capelli, più che altro come precauzione; se lì con ci avesse abitato suo padre, l’avrebbero potuta scambiare per un ladro, oppure avrebbero potuto identificarla, ma sapeva che quelli erano tutti rischi che doveva correre.

Si sentì una pazza quando, mettendo le mani a coppa davanti alla bocca, chiamò suo padre, posizionandosi sotto una finestra ancora illuminata che dava sul cortile.

‘’Padre!’’, gridò per l’ennesima volta la ragazza, per poi prepararsi a fuggire. Non sapeva neppure se aveva sbagliato casa, oppure se Alfonso aveva mentito, magari accorgendosi che lei stava origliando.

Il terrore di quel silenzio prese il sopravvento su di lei, e si accinse a correre via, di nuovo verso la carrozza. Suo padre, d’altronde, era un uomo adulto e avrebbe saputo come cavarsela anche da solo, e conoscendola bene, avrebbe di certo compreso quella sua fuga.

Eppure, quando sembrava tutto perduto, la finestra si aprì e una voce roca giunse fino alle sue orecchie.

‘’Teresa… Teresa cara… vai alla porta, ti apriranno…’’.

La contessina riconobbe a stento la voce del padre, e con il cuore che batteva forte e piena di incredulità, si diresse verso la porta d’ingresso, dove dopo pochi istanti qualcuno gliela spalancò in faccia, quasi accecandola con la luce che proveniva dal corridoio interno.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguire il racconto J

Come vedete, la fuga è iniziata. Ma andrà a buon fine? Lo scopriremo nei prossimi due capitoli.

Grazie ancora a tutti i recensori e a tutti coloro che seguono e sostengono la storia J

A lunedì prossimo J

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Capitolo 42
*** Capitolo 41 ***


Capitolo 41

CAPITOLO 41

 

 

 

 

Teresa non attese che la serva che aveva di fronte le rivolgesse la parola. Con foga, quasi la travolse e si intrufolò in casa, cercando disperatamente di orientarsi e di raggiungere la camera dalla quale suo padre le aveva rivolto la parola solo pochi istanti prima.

La servetta si mise a gridare come una forsennata, spaventata dal suo comportamento da pazza, mentre la contessina si gettava su per le scale, pronta a raggiungere il piano superiore, dove si trovavano le camere da letto.

Sentì di nuovo la voce di suo padre, bassa e controllata, e si diresse verso la stanza dalla quale proveniva, chiedendosi il perché del fatto che lui non le era andato incontro.

La porta era socchiusa e lei la spalancò con una spinta decisa, per poi trovarsi di fronte ad una scena che la sconvolse. Il suo corpo fu scosso da un brivido, e quando l’uomo disteso sul letto la vide, tremò anch’esso.

Sibilando un ordine perentorio, la serva che gli stava allungando un bicchiere si allontanò da lui ed uscì dalla stanza, guardando Teresa con timore. Infatti, la ragazza si accorse solo allora che stava ancora indossando il suo scialle avvolto attorno alla testa, e il suo volto era quasi totalmente coperto, tranne gli occhi e qualche ciocca di capelli.

Trovandosi sola con suo padre, se lo tolse e gli si avvicinò.

‘’Teresa… perché non sei venuta prima? Ti ho scritto tante volte…’’.

Un violento colpo di tosse interruppe bruscamente le parole sofferte del conte. Teresa fissò quell’uomo senza riuscire a riconoscerlo fino in fondo; il suo volto era contratto in una smorfia indefinita, mentre alcune goccioline di sudore brillavano sulla sua fronte.

Quel corpo, un tempo tarchiato ma forte, ora era debole e magro, e gli occhi erano lievemente velati. La barba, che teneva sempre curata, gli era stata rasata in malo modo, e alcuni piccoli peli sfuggiti alla frettolosa lama del rasoio parevano lunghi e affusolati come i radi capelli, anch’essi in disordine e arruffati.

‘’Padre, non è colpa mia. Alfonso mi ha impedito fino all’ultimo di vedervi, e se alla fine sono riuscita ad apprendere dove abitavate è stato solo grazie ad un colpo di fortuna. Ma voi, ditemi cosa vi è successo’’, disse la ragazza, afferrando la mano scarna che le stava porgendo suo padre e stringendola con vigore, cercando di passarle un po’ di calore. Infatti, era gelida.

‘’Figlia mia, ho rimasto poco da vivere. Il dottore che mi ha visitato… ha detto che il mio male è nei polmoni, e non c’è cura. Ho perso tutte le forze, faccio fatica pure a bere da solo, ma manca poco alla fine dei miei giorni. Ormai quel dannato male ha preso il possesso del mio corpo… sono sempre solo… ti va di stare un po’ con me? Sono mesi che non ci vediamo’’, disse il conte, sempre lievemente impedito nel parlare.

Il suo respiro si fece improvvisamente affannato e rantolante, e nel riprendere fiato emise un rumore così orribile che la ragazza provò ribrezzo per quell’uomo che aveva sempre idealizzato, anche se solo per un istante. Passandosi la mano libera tra i capelli, Teresa poi comprese che non avrebbe dovuto rivelare della sua fuga, ben sapendo che a quel punto avrebbe dovuto mentire. Non poteva far stare in ansia un malato per un suo capriccio.

‘’No, padre, vi affaticherete troppo. Resterò… resterò ancora un attimo, sono di passaggio’’, disse la ragazza, imbarazzata. Il conte alzò lievemente la testa e la fissò con i suoi occhi castani e profondi, che per un attimo parve che avessero ripreso vita e colore.

‘’Tu non sei qui a farmi visita. Non a quest’ora tarda. Tu stai scappando, figlia mia, stai fuggendo da tuo marito!’’, disse l’uomo, diventando severo. Poi, il suo volto si rilassò di nuovo dopo un attimo, non appena ebbe riappoggiato la testa sul cuscino.

La contessina rimase allibita di fronte all’autorità espressa dal padre malato, e riconobbe che non gli si poteva nascondere proprio nulla. Era sempre stato così, il conte; perspicace e intelligente. E così era anche poco prima della morte.

‘’Sì, me ne vado’’, disse la ragazza con un sussurro, quasi temendo di rivedere suo padre quando si arrabbiava e spalancava gli occhi, con quella reazione rabbiosa che a volte l’aveva intimorita parecchio. Ma quella volta, come c’era da aspettarselo, non ci fu alcuna reazione di quel tipo.

‘’Lui è perfido. Mi ha detto che eri malata, che non potevi vedermi, poi pochi giorni fa mi ha scritto una lettera dove diceva che mi odiavi per averti costretto a sposarti e che non mi avresti mai più voluto rivedere. Maledetto Alfonso. Non è mai venuto a farmi visita, mi scriveva lettere da casa sua in modo da non vedermi in faccia e da non dovermi affrontare.

‘’Si è praticamente preso gioco di me, di un malato e del padre di sua moglie! Ma tu non fuggire, Teresa. So che è difficile, ma lui è tuo marito, e questo non è un mondo dove una nobildonna può permettersi di girare sola… lo so, quel ragazzo è perfido e odioso ma non fare sciocchezze… perché in un modo o in un altro ti ritroverà, e allora… allora… ti farà del male. Tanto male… si vendicherà’’, disse il conte, mentre una lacrima scendeva sul suo viso scarno. Teresa l’asciugò con la manica della sua veste.

‘’Non posso più vivere così, reclusa in una casa e tradita. Ho bisogno di respirare, di vivere…’’.

‘’E di amare. Tu cerchi ancora un amore perduto, Teresa cara… e perderai pure te stessa se continuerai così. Torna a casa e fai finta di niente. Dimentica pure me, se lui te lo chiederà… o soffriremo tutti!’’.

Le parole di suo padre caddero come macigni sulla coscienza della spaurita Teresa, certa che quelle parole contenessero molte verità.

‘’Io… io ho già perso me stessa. Forse sono solo una pazza’’, mormorò la ragazza, sul punto di piangere, mentre nella sua mente riviveva quegli attimi di poco prima, in cui aveva duramente colpito Carla alla testa.

‘’Non sei pazza, piccola mia. Chiunque avrebbe fatto la tua stessa scelta se si fosse trovata a vivere con un uomo come tuo marito. E pensare che con me si è sempre comportato da bravo ragazzo! Ma mentiva, ora lo so. Era solo un teatrino, quello che metteva in scena. Ma se scapperai da lui, farà davvero sul serio ed utilizzerà tutto ciò che avrà a disposizione per riprenderti con sé… e dopo soffrirai’’, tornò a ripeterle il conte, che in quel momento pareva davvero molto lucido, forse a causa di tutte quelle emozioni che stava provando dentro di lui.

Teresa gli strinse con più forza quella mano che stava continuando a tendere verso di lei.

‘’Mi aspettano. Devo andare, o dovranno lasciarmi indietro, in pasto ad Alfonso. Non tornerò mai da lui’’, disse la ragazza, riprendendo di nuovo contatto con la realtà e capendo che ormai doveva aver trascorso un bel po’ di tempo all’interno di quell’abitazione.

‘’Almeno non hai commesso la follia di fuggire da sola’’, rispose il conte, sorridendole debolmente. Teresa annuì, accorgendosi solo in quel momento che suo padre stava appoggiando la sua scelta, anche se non si era espresso in modo diretto, e che le parole di poco prima erano indirizzate solo a farla ragionare un po’. Anche lui ora odiava Alfonso.

‘’Prega per me, figlia mia. Non so se ci rivedremo più, allora’’.

‘’Non dite così, padre. Ci rivedremo, presto o tardi. Tornerò’’, disse la contessina, la voce incrinata dall’incertezza e dalla voglia di lasciarsi andare all’ennesimo pianto.

‘’Ne sono certo, ma non mi troverai più qui. Ora che sono a conoscenza di ciò che stai facendo, non posso restarmene ad un passo da colui che ti ha fatto commettere questa follia. Me ne andrò lontano da qui, ordinerò che preparino le mie cose in fretta e al più presto tornerò a Ravenna, dove mi farò adibire una qualche abitazione con gli ultimi e pochi soldi che mi restano. Se avrai bisogno di qualcosa… cercami lì, in quella città. Gran parte dei nobili mi conoscono… non avrai problemi a rintracciarmi…’’, disse il conte, riprendendo a respirare affannosamente.

‘’In questo stato è meglio non muoversi, padre. Dovete restare qui e riposare, o peggiorerete’’, affermò Teresa, una volta tanto sicura di quello che stava dicendo. Per una frazione di secondo, le passò per la mente la strana idea di prendere il genitore con sé, ma poi capì che un uomo malato era solo un impiccio per la loro fuga.

Ben presto, ebbe quindi la consapevolezza che avrebbe dovuto abbandonare per sempre suo padre in balìa del destino.

‘’La mia sorte non cambierà, la morte mi attende dietro l’angolo, ormai’’, constatò il conte con grande oggettività, tornando a mostrare una bozza di sorriso.

‘’Non sarà così, ci rivedremo…’’.

‘’Dove andrai?’’, chiese bruscamente il conte, interrompendo le ultime parole della figlia.

‘’Sui monti… tornerò da quella contadina che avevo conosciuto durante il periodo in cui sono stata trattenuta dai briganti’’, disse Teresa, semplificando di molto le varie spiegazioni.

‘’La montanara… ti terrà con lei e ti aiuterà senz’altro. Quelle donne sono molto di cuore, e soprattutto molto leali. Però, abbi l’accortezza di nasconderti bene. Ricorda che Alfonso potrà arrivare dappertutto, soprattutto se resterai nelle terre di questo Stato. Non fare scelte azzardate, banali o scontate’’.

‘’Farò del mio meglio. Addio, padre’’, concluse Teresa, alzandosi. Si era inginocchiata a suo fianco, e gli lasciò la mano, sempre con dolcezza.

‘’Sarai sempre con me, figlia mia. Sempre… e non sarai mai sola, perché sarò costantemente con te con il mio pensiero… sii forte e prudente’’, disse nuovamente il conte, che poi con un gesto lento recuperò un oggetto che teneva sul comodino poco distante.

Alla vacua luce di candela e in tutta quella caotica mischia di emozioni, la ragazza non si era neppure accorta che suo padre teneva vicino a sé le sue bambole, quelle che le aveva regalato da bambina. E, in quel momento, gliene mostrò una, rivolgendole un tenue sorriso.

Teresa, riconoscendo che suo padre le voleva davvero tanto bene, si vergognò immensamente per aver pensato male di lui alcuni mesi prima, e non resistette oltre. Di fronte a quell’immagine così forte, che da quel momento in poi non riuscì più a togliersi dalla mente, si compresse le mani sul volto e si lasciò andare ad un pianto isterico.

Suo padre la udì piangere, e vedendola così triste, cercò di sfiorarle una mano, ma a quel punto la ragazza si ritrasse. Sapeva che non poteva perdere altro tempo, e che doveva andarsene, altrimenti avrebbe corso il rischio di non riuscire più ad abbandonarlo per sempre.

Si allontanò di scatto dal moribondo e aprì la porta della stanza, coprendosi di nuovo la testa e il volto col suo scialle, e si diresse verso il piano di sotto.

Quasi travolgendo un’altra serva, Teresa ben presto si trovò di fronte alla porta d’ingresso e si accinse ad aprirla e a lasciare quel palazzo. Ma, a quel punto, commise l’errore di soffermarsi un attimo in più, riuscendo ad udire i singulti di suo padre, che stava piangendo con fatica, emettendo rantoli che si sentivano fin lì e chiamandola, invocando in modo disperato il suo nome. Il conte non voleva essere lasciato solo, non voleva perderla. Lei era l’ultima persona cara che gli restava nella sua triste vita.

La contessina strinse i pugni, e mentre grosse lacrime calde le scorrevano lungo il viso, aprì la porta e la richiuse dietro di sé. Poi, iniziò a correre per quell’immenso giardino, mentre i richiami di suo padre la rincorrevano ovunque, come se la stessero perseguitando. Allo stesso tempo, cercò di reprimere un altro attacco di nausea, non senza qualche difficoltà.

Raggiunse la carrozza e ci salì sopra in fretta e furia, e subito dopo il mezzo si mosse, riprendendo la sua corsa. Teresa si limitò a togliesi lo scialle e a nascondere il suo viso tra le mani, incurante di tutti coloro che le stavano attorno. Il dolore era troppo forte da sopportare.

‘’Cos’è successo là dentro?’’, chiese Anna con gentilezza, avvicinandosi alla contessina e prendendole ad accarezzarle i lunghi capelli con un fare materno, mentre la carrozza riprendeva subito al sua folle corsa.

‘’Mio padre. Morirà a breve, tutto solo’’. Teresa non ebbe coraggio di dire altro, e la sua voce fu interrotta da un forte singhiozzo. Stette subito attenta a moderare il suo pianto, in modo da non svegliare i bambini, che continuavano serenamente a dormire.

‘’Capisco. Siete ancora in tempo per tornare indietro, se non ve la sentite di lasciare tutto’’, continuò la donna, cercando di capirla. Ma la ragazza la fulminò con una sola occhiata.

‘’Tornare indietro significa tornare da Alfonso, e questo non posso permetterlo. Mio padre è vecchio ormai, e la sua vita l’ha vissuta. A suo tempo è stato amato e rispettato, ha conosciuto il mondo ed ha avuto modo di esplorarlo, nel limite del possibile. Se io non fuggo ora, non vivrò mai una mia vita, sarò per sempre un oggetto privo di valore, segregata in un’abitazione dove tutti mi mancano di rispetto e dove non valgo nulla. Non ho mai chiesto tanto, ma non posso restare per sempre sola con quell’essere crudele di mio marito’’, concluse Teresa, riprendendo a piangere sommessamente e cercando di ragionare attentamente.

Anna le sorrise e non disse nulla, rimanendo in silenzio a coccolarla, quasi come se fosse una bambina. Fu solo grazie a quelle piccole cure che la ragazza non impazzì, visto che ormai la sua vita pareva senza senso.

Per un attimo, si sentì bene, mentre le lacrime si erano esaurite e una sensazione di stanchezza la pervase. Socchiudendo gli occhi, si allontanò un attimo dalla fedele serva e si appoggiò bene con la schiena, cercando di trovare una buona posizione per lasciarsi andare e riposare.

Ben presto la trovò ma gli scossoni rimanevano fortissimi, e rendevano tutto molto precario e difficile, mentre anche i bambini presero a mugugnare nel sonno. Anna la lasciò sola e si concentrò di nuovo sui suoi figli, stando attenta che non si scoprissero e che non prendessero freddo.

Mentre il sonno stava giungendo, Teresa fu travolta da un altro attaccò di nausea. Tornò di nuovo ad alzarsi e a sedersi, tenendosi stretta il ventre.

‘’Signora, tutto a posto?’’, chiese prontamente Anna, mentre la guardava con fare stupito.

‘’Tutto a posto. Ecco, ora è di nuovo tutto a posto’’, mormorò la giovane, spaventata, passandosi una mano sul ventre e cercando di non pensare alla fitta di poco prima. Fortunatamente, non aveva mangiato quasi nulla, altrimenti avrebbe di certo rimesso.

‘’Non mi pare che sia tutto a posto’’, disse nuovamente la serva, indagando.

‘’E’ solo un po’ di nausea. Ultimamente, tutta questa ansia che ho provato mi deve aver fatto molto male’’, concluse da sé la contessina, cercando di non pensare ad altro.

‘’Non è che siete… incinta?’’, chiese nuovamente Anna, facendo sobbalzare la ragazza, che prontamente si infuriò. D’altronde, la serva non aveva alcun motivo di doversi interessare così tanto alla sua vita, e quella pura e mera supposizione l’aveva irritata parecchio.

‘’No, non sono incinta. È solo stanchezza’’, disse poi Teresa, cercando di calmare la sua rabbia. Capendo che la serva non sapeva del suo utilizzo costante delle erbe di Lina, decise di non dire altro e di dimenticare quell’ipotesi balzana e decisamente improbabile. Lei non era incinta, e ne era convintissima.

‘’Anche a me a volte capita. Ma ora sono alla terza gravidanza, e ormai ci sono abituata a quelle nausee fastidiose. Tra l’altro, quando aspettavo il mio primo figlio erano davvero molto intense…’’.

‘’Ora basta, per favore. Voglio riposare’’, disse la contessina, interrompendo bruscamente il discorso della serva. Non voleva neppure sentir parlare di gravidanze e di bambini in quel momento, quindi tornò a sdraiarsi, mentre la donna si rassegnava al silenzio, senza essersela minimamente presa per quell’atto di maleducazione.

Una volta sdraiata sullo scomodissimo sedile, Teresa fu travolta nuovamente da quel senso di nausea, ma cercò di non pensarci. Tentò di dormire, ma non ci riuscì. Cercò di voltarsi su un fianco, stando in una posizione ancora più scomoda, mentre Anna continuava a guardarla con uno sguardo quasi materno.

Alla fine, la ragazza riuscì a chiudere un occhio e a schiacciare un pisolino, costantemente tormentata dai forti scossoni della vecchia carrozza e dai suoi problemi fisici, che non accennavano a darle tregua.

 

 

Intanto, nel palazzo di Alfonso…

 

 

Sara aveva appena finito il lavoro che aveva lasciato Anna, la cuoca, che quella sera sembrava scomparsa. Le sue mani le facevano male, a forza di lavare piatti e sgobbare da quella mattina.

Era molto giovane, aveva appena una ventina d’anni, ma non per questo infaticabile; i suoi muscoli chiedevano solo riposo. Con malo modo, la ragazza si liberò della scopa con cui aveva spazzato il salone da pranzo dei conti, e notando che era tarda notte, biascicò una qualche imprecazione contro la cuoca, che non si era neppure degnata di aiutarla, e abbandonò le cucine, dirigendosi verso la porta del palazzo, pronta ad uscire e a far ritorno dalla sua famiglia.

Assorta e stanca, passò davanti allo scalone che portava al piano di sopra della villa, senza neppure degnarsi di alzare lo sguardo da quelle fastidiose vesciche che le stavano spuntando sui polpastrelli delle mani. Eppure, un lamento attirò la sua attenzione.

Girandosi verso la fonte di quel raccapricciante suono, la giovane serva rimase a bocca aperta scoprendo che ad emetterlo era stata Carla, quella vipera della governante, che era accasciata a terra. Non appena Sara notò del sangue sul pavimento, quasi svenne, e lanciò un gridolino terrorizzato, mentre faceva alcuni passi indietro ed andava a sbattere contro il muro alle sue spalle.

‘’Stupida ragazza, invece di strillare vieni ad aiutarmi!’’, la rimproverò subito quel donnone, mentre cercava di rialzarsi da terra. Sara si ricoprì il volto con le mani ed emise un altro grido, e fu in procinto di scappare. Se la governante era stata ridotta in quel modo, poteva significare che in giro per il palazzo doveva esserci un qualche malintenzionato pronto a far del male anche a lei.

Ebbe l’impulso di fuggire, per un attimo.

‘’Smettila di gridare, idiota! Vuoi darmi una mano o no? Se non vieni subito qui ad aiutarmi, puoi star certa che quando mi rialzerò le mie mani lasceranno lo stampo sul tuo volto! Ti prenderò a schiaffi fino a domattina! E poi ti farò cacciare’’, sibilò la vecchia serpe, acida più che mai.

Sapendo che quella vecchia non scherzava affatto, Sara si fece forza, e tenendo sempre una mano sul volto, prese a salire gli scalini procedendo a tentoni e barcollando, cercando solo di non guardare il sangue e di non cadere.

Arrivata al primo pianerottolo, afferrò la mano tesa della governante, senza fissarla in volto e socchiudendo gli occhi. Un solo istante dopo, la mano forte e rigida della donna le si abbatté sul volto, schiaffeggiandola e facendole un male incredibile.

‘’Smettila di fare la scema e pulisci tutto, qui. Io vado a medicarmi’’, le ordinò la governante, tastandosi la testa, dove la ragazza notò un orrendo squarcio nel cuoio capelluto.

La giovane fece per ritrarsi nuovamente, ma Carla le porgeva già un secchio e uno straccio.

‘’Hai capito o no!? Voglio tutto lindo in un istante. E risistema le statuine a lato della scalinata; non deve restare alcuna traccia di ciò che è accaduto. Intesi?’’, continuò ad ordinarle la vecchia, irritata più che mai. Sara annuì e senza voglia bagnò lo straccio, cerando con gli occhi un qualche arnese che le permettesse di evitare di inginocchiarsi e di insozzarsi le mani nel sangue.

‘’Lavora, su! O devo fare tutto io? Avanti!’’, sbottò di nuovo Carla, e Sara non ebbe altra alternativa che reprimere un conato di vomito e iniziare a strisciare il pavimento con lo straccio, in ginocchio ed umiliata. Avrebbe voluto riempire di insulti quella maledetta donna, ma sapeva che dopo avrebbe perso il lavoro e per lei e la sua famiglia ci sarebbe stata solo fame e indigenza, quindi proseguì senza sosta la sua opera di pulizia.

Il sangue era quasi rappreso, ed era duro da distaccare dai gradini; con forza, la giovane iniziò a far pressione sullo straccio, ma solo un istante dopo fu spintonata via sempre da Carla, che era tornata all’attacco.

In pochi istanti, la donna si era medicata la ferita, appoggiandole sopra una pezza bagnata con acqua fresca, posizionata in modo a dir poco precario. Un rivoletto di sangue color vermiglio iniziò subito ad inzuppare tutto.

‘’Ho una missione per te. Qui finirò io’’, disse nuovamente la governante, guardandola di sbieco. La giovane si rialzò e poco si ritrovò con una manciata di monete in mano.

‘’Muoviti verso il paesino che è poco più a valle e trova un cocchiere disposto a portarti fino a Roma. Fatti portare fino ai quartieri periferici ad est della città, più precisamente nella zona delle case di tolleranza. Una volta lì, perlustra i vicoli circostanti finché non noterai la carrozza del nostro padrone, ed entra subito nel locale davanti a cui è stata lasciata e cercalo. Dovrai ritrovare ad ogni costo il conte e riferirgli che deve tornare subito a casa; digli che sua moglie… sua moglie l’ha combinata grossa. E ora, vai, non c’è tempo da perdere’’, concluse  frettolosamente Carla, chinandosi sullo straccio.

‘’Ma… Roma è grande e caotica, ogni strada è piena di gente ad ogni ora… la zona dei bordelli poi è impraticabile di notte… non sono certa di riuscire a trovare il conte’’, disse la ragazza tutto d’un fiato, ancora perplessa dalla strana richiesta che le era stata fatta.

‘’Non importa, prima di mattina tornerà a casa da solo. Ma tu cercalo e fai del tuo meglio per trovarlo e rimandarlo a casa il prima possibile. Vai, ora, e prima di domattina torna pure tu, comunque sia andata la tua ricerca’’, concluse quindi la governante, congedandola e indicandole la porta con malo modo.

Sara annuì e si allontanò da quella donna maledetta, uscendo velocemente da quel palazzo e trovandosi nel bel mezzo dell’oscurità di una notte quasi primaverile, ma ancora piuttosto fredda.

Rabbrividendo, si diresse prima verso casa, dove recuperò il suo pesante giaccone tutto rattoppato, e senza farsi vedere da nessuno sgattaiolò fino alla strada, preparandosi a scendere in paese. Ancora scossa dalle rivelazioni che le erano state fatte, la giovane si ritrovò ad essere certa che si sarebbe persa, se solo avesse seguito gli ordini di quella vecchia. Girare di notte era pericolosissimo, e dopo una lunghissima giornata di lavoro non riusciva nemmeno più a reggersi in piedi, e a fatica seguì il dolce sentiero di collina l’avrebbe portata alla sua meta.

Dopo poco, si ritrovò al vicino villaggio, sorridente più che mai; infatti, in un solo istante la sua mente le aveva fornito la soluzione a tutti i suoi problemi e sapeva esattamente cosa fare.

Muovendosi con rapidità, raggiunse la casa dell’unico cocchiere del piccolissimo centro abitato, e bussò alla porta, che fu aperta dopo poco e non senza qualche brontolio. Di notte, infatti, quasi nessuno viaggiava e fino a quel momento il cocchiere aveva placidamente riposato nel suo letto.

Il volto irrigidito dell’uomo maturo le si parò davanti, e Sara gli allungò una manciata di monete sonanti, per poi mostrare al meglio il suo volto, lasciandolo illuminare dalla tenue luce che proveniva da dentro l’abitazione.

‘’Questa è la tua paga. Se domani qualcuno ti chiederà se mi hai accompagnato nei quartieri periferici e malfamati di Roma, tu dovrai dire di sì, e che mi hai riaccompagnato fin qui che era quasi mattina, mentre io ero stanca e sfinita, dopo le mie mille ricerche, che però non avevano dato frutti. Non avrai bisogno di dare altri particolari, questo basterà. Io sono Sara, e sono una serva del palazzo del conte Alfonso Cappellari. Mentirai per me?’’, chiese la giovane, dopo la rapida spiegazione. Il cocchiere la guardò di traverso, perplesso da quell’inusuale richiesta, ma annuì con convinzione non appena vide che la ragazza gli stava allungando altro denaro.

‘’Perfetto, allora. Ricordi tutto ciò che ti ho detto o devo ripetere di nuovo?’’, chiese di nuovo Sara, continuando a dare denaro all’uomo.

‘’Ormai non sono più un ragazzo, ma la memoria ce l’ho ancora buona. E questi soldi mi hanno aiutato parecchio a ricordare subito tutto’’, disse l’uomo, accettando con piacere ciò che gli veniva offerto.

‘’Lo spero’’, disse infine la ragazza, allontanandosi, mentre il suo interlocutore tornava a richiudere la porta.

Con un sorrisetto sfrontato, Sara si trovò a bussare ad un’altra porta poco distante. Un cane iniziò ad abbaiare, subito zittito da una voce calda e perentoria, una voce che lei amava.

La porta finalmente si aprì e si trovò di fronte ad un magnifico ragazzo.

‘’Che ci fai tu qui, a quest’ora?!’’, chiese il giovane, stupito.

‘’Sapevo che mi avresti aperto tu, Roberto. Mi ospiti per questa notte?’’, chiese la giovane, mentre si metteva le braccia dietro la schiena e mostrava quel visetto innocente, che sapeva essere irresistibile ad ogni uomo.

‘’Ma certo. I miei dormono della grossa, possiamo stare insieme… non si accorgeranno di nulla, spero’’, disse Roberto, sorridendo e mostrandosi felice per quella visita inaspettata.

Sara entrò in quell’umile dimora, e si lasciò scortare fino al letto del suo fidanzato segreto, situato in una stanzina ristretta e spoglia.

Lui richiuse lentamente la porta, mentre la giovane gli si avvicinava e si toglieva il pesante giaccone. Le sue labbra la raggiunsero poco dopo, baciandola con dolcezza ma senza far rumore, sempre con il panico di essere sentiti dai genitori del ragazzo, che ormai era in preda ad un’irrefrenabile eccitazione.

La giovane serva si lasciò andare, e per un attimo sorrise di gusto, sapendo che era riuscita a fregare la vecchia e severa governante. Quella notte, per lei sarebbe stata calda e piena d’amore, e non di certo fredda e pericolosa. Aveva pure tenuto da parte ancora qualche soldo, che avrebbe poi utilizzato in futuro per comprarsi qualche abito nuovo, essendo stanca di indossare solo vestiti vecchi e rattoppati.

Quando si distese sul duro letto, abbracciata ed avvinghiata al suo amante, ridacchiò sommessamente, soddisfatta del suo lavoro e del suo ingegno.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Come avrete notato, la fuga di Teresa continua, anche se è solo all’inizio. Ho aggiunto una breve parte sulla fugace comparsa di Sara, una delle serve di Alfonso, che mi è stata solo di aiuto per farvi capire che Carla non è morta e che Teresa sta guadagnando tempo prezioso. Infatti, la giovane serva non è andata a cercare il conte, offrendo parecchie ed essenziali ore di tempo alla contessina in fuga, ore difficilmente recuperabili da probabili inseguitori.

Nel prossimo capitolo scopriremo come si concluderà la fuga, e la reazione di Alfonso.

A lunedì prossimo, e grazie ancora a tutti J

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Capitolo 43
*** Capitolo 42 ***


Capitolo 42

CAPITOLO 42

 

 

 

 

 

Quella folle ed azzardata fuga non tardò molto a rendersi davvero complicata per la contessina.

Nonostante il fatto che ormai l’inverno se ne stesse andando, le temperature restavano comunque piuttosto rigide. Teresa sapeva fin dal principio che tutto non sarebbe stato molto semplice, ma non avrebbe mai immaginato che ben presto la fuga si fosse tramutata in una sorta d’inferno.

Tutto si era reso complicatissimo da quando erano stati costretti ad abbandonare la carrozza, sellando i cavalli e utilizzandoli per passare il flebile confine con il Granducato di Toscana, visto che Giuseppe non era più intenzionato a continuare a seguire la strada diretta che li avrebbe portati al nord all’interno dello Stato della Chiesa. Alfonso avrebbe potuto rintracciarli in ogni momento, e non potevano compiere scelte ovvie tenendosi pure la carrozza, ma solo scelte difficili e rischiose.

Stando attenti a non attraversare i grandi centri abitati, si erano limitati a percorrere le strade costiere, che li avevano costretti più volte ad addentrarsi nella brulla Maremma, che restava comunque una zona aspra nonostante l’impegno dei Lorena per bonificarla al meglio. E lì era arrivata la febbre.

Teresa, devastata dalla nausea continua e da una bruttissima influenza, fu più volte in procinto di lasciarsi andare e di cadere dalla sella del suo cavallo, ma riuscì a sopravvivere.

Ben presto le scorte di cibo che si era portata dietro Anna finirono, e la ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti divenne sfiancante, mentre tutto attorno alla contessina era confuso, a causa della febbre alta che la tormentava senza sosta.

Le lunghe notti fredde passate all’addiaccio la devastarono. Per fortuna, la fedele serva e suo marito ebbero cura di lei, trattandola quasi come una bambina, sfamandola e curandola con gentilezza e devozione. In un’altra occasione, di certo la giovane sarebbe stata presa dalla voglia di dirigersi verso Firenze e di fantasticare, ma non quella volta, in cui desiderava solo che quel lunghissimo e sfiancate viaggio terminasse.

Giuseppe conosceva alla perfezione la maggior parte di quelle strade e non si perse mai, e il suo grande senso dell’orientamento li aiutò a procedere spediti verso la loro meta. Era un uomo molto esperto e pronto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo e di mantenere le promesse fatte.

Ben presto, Teresa aveva le cosce piagate a causa della costante cavalcata, e mentre i bambini piangevano, ormai stanchi pure loro, lei si accasciava a dorso del cavallo e chiudeva gli occhi, lasciando passare lunghi momenti nel quale era totalmente incosciente. Nulla in quei momenti bui le dava più la forza per continuare quel viaggio, neppure la voglia di rivedere Lina e di tornare a riprendersi un po’ di libertà.

Più volte sentì litigare i suoi due salvatori, poiché Giuseppe rimproverava la moglie per quella follia. Eppure Anna scrollava le spalle e si prendeva tutte le accuse del marito senza replicare, sempre sapendo che l’acidità dell’uomo era provocata anche nel suo caso da quel lungo viaggio. Entrambi non si erano mai pentiti di averla aiutata ad allontanarsi da Alfonso, anche se temevano per la sua vita.

Dopo aver attraversato il Granducato senza alcun intoppo, la parziale attraversata dell’Appennino fu disastrosa. La neve regnava ancora sulle vette più alte, e la febbre peggiorò.

Ben presto, ci furono pochissimi momenti di coscienza per la contessina, che restava sempre sotto stretta osservazione della fedele serva, che la aiutava in tutto. Quando capiva qualcosa, la giovane sorrideva, e guardando il suo corpo magro e scarno all’inverosimile, pensava che ormai era ridotta ad essere uno scheletro irriconoscibile. Solo il ventre tendeva ad arcuarsi lievemente, quasi fosse lievemente gonfio, e lei pregava di non peggiorare ulteriormente.

In quel momento la sua fedelissima amica e salvatrice l’aveva riscossa da un momento di incoscienza, e la stava fissando con fare preoccupato.

‘’Signora, le nostre strade si dividono qui. Noi procederemo verso nord e verso la pianura, voi invece tornerete ad unirvi a quella contadina di vostra conoscenza. In bocca al lupo per tutto’’, disse Anna, prendendole le mani e aiutandola a discendere dalla sella, dandole qualcosa da bere e un pezzo di pane ormai secco, che divorò con due rapidi morsi.

La contessina non fu certa di quello che aveva udito, poiché le pareva che la donna le avesse parlato per lunghi minuti, ma in ogni caso aveva compreso l’essenza del discorso. Con fatica, spalancò gli occhi e cercò di orientarsi; all’inizio fu tutto difficile, pure mettere a fuoco ciò che la circondava, poi tutto attorno a lei si illuminò e per un attimo la sua mente tornò quella di sempre.

Nonostante fossero passati parecchi mesi, la stradina sterrata circondata dalle siepi spoglie che portava verso le montagne interne e il covo di Giovanni era lì, di fronte a lei.

Teresa sorrise con difficoltà, e, con un pizzico di ritrovata forza, fece intendere che voleva ritornare in sella.

‘’Ora so dove sono. Proseguirò da sola’’, disse la giovane, a bassa voce, muovendo le labbra secche ed arse dalla febbre e continuando a sorridere.

‘’Bene’’, le rispose Anna, rispondendo al suo saluto e aiutandola a tornare in sella. Un solo istante dopo, la ragazza spinse di nuovo il suo magro cavallo a proseguire, lasciandosi dietro la comitiva dei suoi salvatori.

‘’Addio, amici, non vi dimenticherò mai. A voi devo tutto… addio, per ora. Ci rivedremo, prima o poi, spero’’, disse la giovane, sorridendo e cercando di parlare a voce alta. Non vide i suoi due salvatori, la sua vista era tornata sfocata e sentì solo alcune delle loro parole d’addio, che dopo un istante dimenticò. Ormai, in testa aveva solo la grande voglia di rivedere l’amica Lina.

Il cavallo continuò a scalare la docile collina, e poi prese a percorrere la discesa, mentre ormai tutto tornava familiare per Teresa, come se fosse passata dal di lì solo il giorno prima. Sapeva che non mancava molto, e voleva sbrigarsi.

Un forte dolore al ventre la deconcentrò, e il crampo parve pervaderle persino al testa, che prontamente strinse tra le mani, lasciando le briglie e rischiando di cadere. Voleva gridare, ma non ci riuscì.

Tornò a controllare il cavallo e a spingerlo a proseguire più velocemente, mentre sentiva di nuovo l’odore della libertà e il suo corpo sembrava che stesse tornando in suo possesso, così come la vista.

Un lieve venticello gelido la fece tremare, e rimase a bocca aperta quando dopo un po’ si trovò a pochi passi dalla casa di Lina, di quell’amica che le aveva insegnato a vivere. In fondo, era solo grazie a lei se era riuscita compiere quella follia.

Incredula e credendola un’illusione dovuta alla febbre alta che la opprimeva da tempo, la ragazza cercò di scendere da cavallo, ma naturalmente, goffa com’era, rimase con un piede impigliato in una staffa e cadde malamente. La botta contro il duro suolo gelido fu tremenda, e Teresa gridò con tutte le ultime forze in suo possesso.

Mentre guardava la porta dell’abitazione dell’amica che si apriva, sentì l’ennesimo dolore al ventre, che questa volta si trasformò in una fitta lancinante.

Il cavallo si allontanò velocemente da lei, che nel frattempo era riuscita a liberare il piede e cercava di raggomitolarsi a terra, mentre sentiva un liquido caldo scorrerle tra le gambe. Per un attimo ebbe l’impulso di guardare ma capì che doveva lasciar perdere e che non si trattava di nulla di positivo. Riuscì ad intravedere solo del liquido rosso. Doveva essere sangue.

Il dolore che provava tornò ad essere talmente tanto forte che le impedì di nuovo di ragionare, e quando sentì una voce preoccupata che le stava rivolgendo la parola, Teresa svenne, perdendo definitivamente i sensi.

 

 

 

Nel frattempo, a Roma…

 

 

 

Alfonso stava aspettando da ben due ore suo zio, a Forte Sant’Angelo.

Non era un’attesa piacevole, non solo per il luogo scelto dal pontefice stesso per il loro incontro privato, ma anche a causa della lunghissima attesa che aveva preceduto quell’appuntamento.

Da quando suo zio aveva ricoperto la massima carica dello Stato e della Chiesa, aveva iniziato a trascurarlo parecchio e lo incontrava solo su sua richiesta, e anche se non lo trattava con tanto calore, almeno gli forniva tutto ciò che gli chiedeva e faceva in modo di liberarsi in fretta dai suoi impegni per dedicargli un po’ di tempo in privato, visto che tra loro c’era un legame molto intenso, quasi come tra un padre e un figlio.

Ma quella volta aveva decisamente esagerato; l’aveva fatto attendere per quasi due settimane senza avergli mai fatto arrivare una qualche risposta. Se all’inizio aveva pensato che la causa di tutto ciò fossero solo i suoi continui impegni, si era ricreduto quando aveva letto dove il pontefice l’avrebbe voluto incontrare.

Il Forte era una prigione, un luogo continuamente sorvegliato e pressoché inaccessibile, lugubre e rumoroso, e non era di certo un posto adatto ad una chiacchierata.

In quel momento, una guardia lo stava fissando di traverso, controllandolo costantemente.

Il giovane conte sbuffò e fu in procinto di andarsene, ben sapendo che se poi suo zio fosse realmente arrivato, si sarebbe adirato parecchio se non l’avesse trovato ad attenderlo. E visto che doveva chiedergli qualcosa di davvero importante, decise di mettere a freno il suo orgoglio e di sopportare quella lunga ed umiliante attesa.

Si sedette e iniziò a fumare, cosa che faceva raramente e quando era nervoso, concentrandosi solo su di sé e convogliando la sua rabbia verso Teresa, quella maledetta ragazza che l’aveva imbrogliato e che lo aveva preso in giro. La sua fuga era stata anch’essa umiliante, e di certo il buon nome della sua famiglia era stato lesionato in modo grave.

A causa sua, aveva dovuto inventare una storia incredibile e l’avrebbe dovuta raccontare per bene a suo zio, mentendo spudoratamente al pontefice in persona e andando contro a tutti i principi che gli erano stati passati già dalla più tenera età, ma purtroppo ben sapeva che non poteva fare altro, altrimenti avrebbe dovuto confessare anche le sue colpe, e questo non poteva permetterselo. Quel frammento di dignità che gli era rimasto lo voleva tenere stretto a sé a tutti i costi.

Ricordò quando, dopo essersi distaccato da una delle sue amanti a pagamento, era tornato al suo palazzo al solito orario di tutte le volte, ed era ormai mattino. Era ancora pieno di voglie, e di certo non avrebbe trascurato qualche attenzione a quella pazza di sua moglie, e quando aveva scoperto da Carla che se n’era andata, e che era fuggita in malo modo, aveva perso completamente la testa. Aveva poi scoperto che la governante aveva mandato una domestica a cercarlo, ma non era riuscita a rintracciarlo, obbligandolo a riconoscere che nessuno nel suo palazzo era stato negligente, e che la colpa di ciò che era accaduto era da scaricare solo ed esclusivamente su Teresa. Per tutta la restante notte aveva riflettuto senza sosta, e il mattino successivo aveva già una lettera pronta per suo zio.

Poi le cose si erano rese lunghe e complesse, e solo dopo così tanto tempo era riuscito parzialmente a raggiungere il suo obiettivo. Sapeva che Teresa doveva già essere molto lontana da lì, ma lui aveva un piccolo vantaggio; sapeva quasi di sicuro dove si trovava.

La contessina spaurita doveva essere tornata dai bifolchi montani che l’avevano trattenuta a lungo durante il periodo del suo rapimento, e di cui aveva spesso e volentieri parlato molto bene in passato.

Gli Appennini e le colline romagnole potevano essere l’unico posto dove si sarebbe potuta nascondere quella giovane. Ma, in ogni caso, non sarebbe stato facile per lui rintracciarla, e prima di tutto c’era da mentire con accuratezza.

‘’Nipote, prima mi cerchi con insistenza e poi non ti degni neanche di salutarmi? Stai diventando tremendamente scortese’’.

La voce rigida, dura e profonda del pontefice fece trasalire il giovane conte, che prontamente smise di pensare e balzò in piedi, gettando a terra mezzo sigaro e pestandolo, spegnendolo definitivamente.

Ancora agitato e infastidito per non essersi accorto dell’arrivo dell’amato zio, cercò di passarsi rapidamente una mano sugli abiti, prima di avventarsi a fare un profondo inchino, e prendendo la mano ingioiellata dell’uomo che aveva di fronte, la baciò lievemente e con estremo riguardo, sapendo che colui che era uno degli uomini più potenti del mondo era pur sempre un soggetto amante delle gentilezze e del buon galateo.

Rialzando lentamente la testa, notò che lo zio era scortato da una decina di gendarmi, e si chiese come avesse fatto a non udire il loro arrivo.

Poi, fissò il pontefice.

‘’Santo Padre, chiedo umilmente scusa. Sappiate che non vi avevo udito perché stavo pregando talmente tanto intensamente che neppure un colpo di cannone mi avrebbe potuto deconcentrare’’, disse Alfonso, continuando a restare lievemente genuflesso.

Gregorio XVI gli sorrise blandamente prima di far cenno alle guardie di allontanarsi da loro e si sedette poco distante da lui. Le sue vesti erano sempre sgargianti, mentre il suo viso mostrava evidenti segni di stanchezza.

Il Papa era sempre stata una persona magra e attiva, ma in quel momento della sua vita una leggera pinguedine iniziava a mostrarsi quasi con sfacciataggine. Il suo volto ben rasato esprimeva durezza e serietà allo stesso tempo, che insieme al suo titolo e ai suoi abiti, rendeva unico quell’uomo che altrimenti sarebbe sembrato insignificante, visto che era davvero molto basso.

‘’Alfonso, parlami pure liberamente, ora. Perché mi hai cercato con tanta insistenza?’’, chiese lo zio, una volta certo che nessuno del suo seguito avesse potuto origliare la conversazione.

‘’Vostra Santità…’’.

‘’Non usare toni troppo solenni, in questo momento nessuno ascolta il nostro discorso e di certo sarebbero solo un impiccio, perché questa volta devo proprio parlare con te da uomo a uomo, prima di tutto’’, continuò lo zio, interrompendo bruscamente la frase iniziata poco prima dal nipote, che deglutì e si trovò in imbarazzo.

Da quando era diventato pontefice, mai una volta suo zio si era permesso di lasciargli tanta libertà nei dibatti, e mai così tanta segretezza e attenzione. E poi, le parole da lui dette poco prima non preannunciavano nulla di buono.

‘’Ehm, zio, è successa una cosa davvero grave’’, disse il giovane conte, cercando un approccio più informale, come gli era stato richiesto poco prima.

‘’Io direi che ne sono accadute più di una’’, rispose il pontefice, inarcando un sopracciglio. A quel punto Alfonso si fece perplesso.

‘’Mia moglie è stata rapita…’’.

‘’Tua moglie, da ciò che ho saputo, se n’è andata proprio mentre tu te la stavi spassando con una poco di buono e sperperavi i tuoi soldi in una casa da gioco’’.

Le parole dello zio caddero come macigni sul giovane conte, che rimase a bocca aperta e non seppe più che dire. Abbassò lo sguardo, e si chiese come poteva esser stato così tanto stupido da farsi scoprire. Eppure, era certo di aver svolto tutto con cautela, e il suo palazzo in campagna era lontano da occhi indiscreti. Neppure Teresa, che doveva sospettare qualcosa su di lui, avrebbe potuto dire qualcosa con qualcuno, visto che non avevano vicini indiscreti e le aveva impedito di uscire di casa.

‘’Non è andata proprio così’’, tentò di dire il giovane, ormai strozzato dall’imbarazzo e certo che non valeva neppure più la pena di affermare altro, tanto ormai era stato scoperto. Se suo zio aveva detto certe cose, era certo che fossero accadute, visto che non aveva mai parlato a vanvera in vita sua.

‘’E’ così, invece, e anche tu non stai facendo molto per tentare di mentirmi. Sai, le voci circolano in fretta… voci piene di verità, però’’, tornò a dire lo zio, assorto, mentre guardava verso terra e continuava a mostrare un espressione indecifrabile. Non gli si rivolgeva neppure con gentilezza, ma con un tono quasi sprezzante, di certo non riconoscendogli neppure l’età adulta ma trattandolo come un bambino.

‘’E’ per questo che mi avete fatto attendere così tanto? Sapevate che avevo avuto dei problemi con mia moglie, e neppure mi avete concesso un minuto del vostro tempo… pensavo mi voleste bene come un padre! E un padre non abbandona il proprio figlio nel momento del bisogno’’, disse il giovane conte, cercando di deviare leggermente il discorso e sperando che l’illustre zio non infierisse oltre. Solo allora si accorse che stava perdendo la testa a causa dell’imbarazzo e che si stava davvero comportando come un bambino.

‘’Tua moglie è stata rapita, eh? E tu che facevi, intanto che veniva rapita? Dov’eri, di preciso?’’.

La sfilza di domande del pontefice gli caddero nuovamente addosso, infierendo ulteriormente. Sapeva che tutto sarebbe stato complicato, ma ora sembrava esserlo sempre di più. Lo zio era sempre stato per lui come un padre, e nonostante il fatto che la sua educazione fosse stata lasciata ad altre persone di sua scelta, era pur sempre l’uomo con cui aveva creato un unico ed intenso rapporto famigliare in tenera età.

‘’Lei… lei aveva voluto far ritorno a tutti i costi verso il nord, per tornare a Ravenna. Ma, purtroppo, è stata nuovamente vittima dei briganti… be’, io ero troppo preso dai miei impegni, l’avrei raggiunta solo dopo qualche giorno…’’, improvvisò Alfonso, mentre sentiva alcune gocce di sudore freddo che gli imperlavano la fronte. Sapeva che forse non avrebbe ottenuto alcun aiuto quella volta, e quella prospettiva lo terrorizzava.

‘’Sì, eri troppo preso dal male che dovevi perpetuare. Raccontami ciò che vuoi, ma purtroppo conosco la verità, anche se posso provare a dimenticarla per qualche istante. Hai smesso di battere la retta via già da un po’, ragazzo. In questi ultimi sei anni sei cambiato tantissimo, sei diventato sempre più squallido, e anche se io non sono potuto essere presente con costanza come prima, so tutto di te, perché i miei occhi e le mie orecchie sono ovunque e vigilo sul tuo comportamento anche a distanza.

‘’Sei caduto nella perdizione e nella depravazione, lo sai?’’, continuò lo zio, imperterrito. Infieriva senza pietà e senza mostrare sentimenti apparenti, sempre con uno sguardo indifferente, mettendo davvero a disagio il nipote, che dovette riconoscere che quell’uomo doveva avergli riservato qualche minaccia per spaventarlo, altrimenti non si sarebbe dilungato così tanto e non avrebbe scelto quel luogo lugubre per incontrarlo.

Nel frattempo, un lungo lamento si udì chiaramente fin dalle loro postazioni, senz’altro emesso da un carcerato.

‘’Lo so, purtroppo. Chiedo perdono a voi e all’Onnipotente per ciò che ho fatto, ma la mia povera testa da ragazzo non mi permetteva di vedere la luce. Ora la vedo, sono libero. Da quando ho perso Teresa, mia moglie, nonché l’unica che ho scoperto di amare veramente, ho compreso di aver sbagliato.

‘’Son disposto a far penitenza ogni giorno e a recarmi a pregare mattina e sera di ogni giorno e a confessarmi, pur di tornare a purificarmi, e mi tratterrò da ogni peccato carnale. Ma per favore, aiutatemi a ritrovare mia moglie, o ricadrò nel baratro. Ve ne prego, aiutatemi’’, disse Alfonso, sul punto di piangere. Quella che doveva essere una commedia si stava trasformando in un drammatico spettacolo teatrale, durante il quale doveva improvvisare e cambiare continuamente maschera. Era stato scoperto, ma non era tutto perduto.

Ovviamente, voleva ritrovare Teresa solo per vendicarsi, e non di certo per tornare ad amarla. Lui ci aveva già provato a volerle bene, ma la sua fuga aveva distrutto tutto ciò che provava per lei. Ora, restava solo l’insofferenza e l’odio.

‘’Voglio crederti, per questa volta. D’altronde, è mio compito darti una seconda possibilità, una possibilità di redenzione. Ti aiuterò, dimmi ciò che ti serve e te lo offrirò. Ma sappi una cosa’’, disse il pontefice, allungando la mano e puntando con il dito la grande porta che portava alle celle dei detenuti e facendo una piccola pausa ad effetto.

‘’Se sgarrerai ancora, sarai legalmente punito. Il gioco d’azzardo in ambienti clandestini è illegale, e anche se non posso vietarti di farti trascorrere tempo con delle poco di buono, be’ sono certo che riuscirò a farti smettere anche con quello.

‘’Perché ti farò sbattere qui dentro, in una cella e mischiato agli altri gaglioffi! Ogni giorno, sì, ogni giorno, da qui entrano decine di persone che hanno commesso reati di vario genere, e sai che lì dentro la situazione è parecchio rigida. Non costringermi a punirti severamente; ora ti ho spiegato la vicenda con le buone. Al prossimo sbaglio, questo è il luogo che ti spetta’’, continuò a dire lo zio, sempre serissimo e a bassa voce.

Alfonso abbassò lo sguardo, ferito e incredulo; era praticamente impossibile che qualcuno lo avesse spiato in ogni sua azione per mesi, scoprendo tutto quel lato di sé che aveva cercato di nascondere a chiunque. Alla fine, aveva capito che suo zio gli stava dando una lezione tosta e diretta, incontrandolo in quel luogo spaventoso solo per mostrargli ciò che avrebbe fatto di lui se avesse continuato a screditare il buon nome della famiglia.

‘’E sappi anche che ho occhi ovunque; se farai qualcosa di sbagliato, lo verrò di certo a sapere’’, concluse lo zio, assumendo una posizione più comoda sullo scanno su cui aveva preso posto.

In un attimo, Alfonso fu certo anche di essere riuscito a capire come fosse stato possibile tutto ciò; doveva essere stato spiato dagli uomini di Luigi Lambruschini, il nuovo cardinale segretario di Stato. Con quel dannato chierico aveva avuto ampie discussioni in seguito ad alcuni acri di terreno della sua antica e nobile famiglia confinanti con alcuni di sua amministrazione, e questo aveva inasprito talmente tanto i loro rapporti che avevano rischiato entrambi di essere puniti.

Ma erano ormai passati sei anni da quegli eventi, e a dirla tutta non si sarebbe mai aspettato che quell’uomo fosse stato in grado di scalare tanto facilmente i gradini del potere. Ora, dopo solo alcuni mesi, il novello segretario aveva già instaurato un subdolo regime di spie, sparse su tutto il territorio dello Stato e sempre pronte a parlare, ma mai si sarebbe creduto che fosse giunto pure a metterne alle sue calcagna. Ma d’altronde, era l’unico soggetto in grado di far sapere certe cose direttamente a suo zio ed essere ciecamente creduto.

Mandando giù il boccone amaro, il giovane conte tornò a guardare lo zio, inacidito più che mai, non essendo neppure in grado di trovare un modo per vendicarsi dal grave colpo basso che aveva subito. Luigi era un braccio destro del pontefice, un’intoccabile. Poteva solo incassare in quel momento, sperando che in un qualche modo la sua fortunata esperienza potesse aver disgraziatamente termine.

‘’Ho capito la lezione. Vi ho già fatto molte promesse che manterrò, ma ora vi chiedo e vi scongiuro di dimenticare ogni brutta cosa che avete appreso sul mio conto e di tornare a vedermi come il vostro adorato nipote. Vi prego di aiutarmi a ritrovare mia moglie’’, prese a supplicare Alfonso, ormai bordò dalla vergogna e dalla rabbia. Stava perdendo ogni dignità ormai, e vendicarsi di Teresa gli stava costando davvero molto caro.

‘’Ti aiuterò, e ti darò una seconda possibilità. Dimmi cosa vuoi da me’’, rispose lo zio, sospirando. Per l’ennesima volta, non lo avrebbe abbandonato, dimostrava di avere un cuore gentile.

‘’Alcuni gendarmi, solo questo. Non importa il numero, basta solo che sappiano trovare informazioni utili e che siano in grado di riportarmi mia moglie, che temo sia ancora in mano ad alcuni criminali o da alcuni contadini che li stanno aiutando, nascosti nelle montagne romagnole’’, disse Alfonso, lasciandosi andare e sperando in un qualche generoso aiuto.

‘’Uhm, potrebbero essere nascosti ovunque… d’altronde, ora che siamo nella stagione invernale sarà anche difficile perlustrare quel territorio selvaggio. Ma acconsentirò al tuo desiderio e ti darò parecchi uomini, però voglio che tu mi prometta che mi farai pulizia di tutti quei gruppetti di banditi che stanno infestando il nord.

‘’Mi risulta che ci sia una banda molto attiva anche nelle paludi attorno a Ravenna; voglio che anche quella banda lì sia estirpata, d’altronde non si può andar avanti con tutti quei ladri e contrabbandieri ad un solo passo da una città così strategica ed importante per il controllo del settentrione’’, disse il pontefice, riflettendo.

‘’Sarà fatto. Così avrò modo di riscattarmi anche nei confronti vostri e dello Stato al quale appartengo, contribuendo attivamente a punire i fuorilegge e ritrovando mia moglie’’, si affrettò ad aggiungere il giovane conte, felice per essere ormai ad un piccolo passo dal successo. Ora doveva star attento e giocarsi le sue ultime carte, cercando di dimenticare tutto ciò che gli era stato detto poco prima.

‘’Bene, allora. Naturalmente, sarai supportato, e qualcuno di mia conoscenza ti aiuterà a ritrovare tua moglie. Infatti, ho l’uomo che fa per te; fa parte del manipolo con cui mi sono fatto scortare qui poco fa, ed è molto reattivo ed intelligente. Sta dimostrando di saper trattare con tutti i personaggi illustri che incontra, obbedisce ad ogni ordine e se riuscirà anche a soddisfare le tue richieste e a ripulire un po’ i nostri territori settentrionali, lo eleverò di grado. Solo che… è austriaco’’, aggiunse lo zio, a voce bassa. Alfonso annuì.

‘’Nessun problema, anzi meglio così’’, disse il conte, ben sapendo che gli austriaci erano molto più rigorosi e attenti in ogni cosa. Il pontefice annuì a sua volta, compiaciuto.

‘’Joseph! Joseph, vieni qui’’, disse ad alta voce lo zio, richiamando una delle guardie che l’aveva scortato fino al Forte. Subito, un giovane si avvicinò con grande prontezza.

‘’Questo è Joseph Neuer. Non far caso alla sua giovane età, ha grandi capacità e te lo dimostrerà. Ha una prontezza di riflessi eccezionale.

‘’Joseph, questo è mio nipote Alfonso, lui ti aiuterà nella tua nuova missione e tu cercherai di fargli ritrovare sua moglie, finita tra le mani dai briganti romagnoli. Se riuscirai a ripulire i nostri territori settentrionali da ribelli, banditi e briganti, farò in modo di riconoscerti un’altissima carica. Ti fornirò un manipolo consistente di uomini ben armati, ti nominerò loro comandante e farai tutto il possibile per svolgere il compito che ti ho affidato’’, disse il pontefice, lasciando che la guardia gli baciasse la mano ingioiellata.

‘’Lo farò senz’altro, Santissimo Padre’’, rispose il giovane, piuttosto incerto nell’articolare le frasi.

Alfonso nel frattempo lo studiò, e dovette ammettere che sembrava davvero un tipo tosto. Alto e slanciato, con due occhi di un azzurro glaciale e i capelli di un biondo oro, rappresentava il classico incubo germanico di ogni suddito, in grado di intimorire chiunque solo con la sua presenza. Presto, quando lo avrebbe visto in azione, avrebbe poi di certo compreso meglio il suo modo di comportarsi.

Nel frattempo, si scambiarono una rigida stretta di mano.

‘’Puoi tornare con gli altri, per ora. Più tardi ti darò tutte le disposizioni necessarie, la carica che ti serve e ti affiderò un certo numero di gendarmi’’, disse il pontefice, che non volle ascoltare neppure i ringraziamenti del giovane, che fu subito congedato con un semplice gesto della mano. I due parenti, rimasti nuovamente soli, si fissarono nuovamente.

‘’Ti ho dato ciò che volevi. Entro due giorni al massimo, ti manderò qualcuno ad avvisarti, e partirai verso il nord insieme ai gendarmi. Il viaggio sarà lungo, perché farete qualche tappa intermedia, ma ti assicuro che non ti pentirai di nulla’’, disse lo zio, tranquillo come sempre.

‘’Grazie, non so come ringraziarvi, sul serio…’’.

‘’Pentiti di ciò che hai fatto e rispetta le tue promesse. E torna ad onorare tua moglie. Se giungerà ancora voce di qualche tua malefatta, sai che il posto che ti aspetterà è questo, e se gettare fango sul nostro buon nome di famiglia continuerà a piacerti così tanto, talmente tanto da abbandonare ogni retta via, ti farò punire. Sono il parente più prossimo che hai, e intendo insegnarti l’educazione e il rispetto, anche se ciò potrà essere molto spiacevole. Non ho altro da aggiungere’’, concluse il pontefice, rialzandosi dallo scranno su cui si era seduto parecchio tempo prima. Anche Alfonso seguì il suo esempio.

‘’Vi ringrazio di nuovo, e spero di rivedervi presto, magari in tempi più rapidi di questa volta…’’.

Il giovane conte non riuscì a finire la frase, poiché lo zio lo fulminò con lo sguardo. Sapendo di essersi spinto oltre, cercò di rimediare ma fu messo a tacere.

‘’Non una parola in più, ragazzo. Non farmi pentire del grosso regalo che ti ho fatto! Sappi che se ne farai un cattivo uso, la punizione sarà dietro l’angolo. Se tornerai ad onorare il tuo nome, comportandoti come un vero conte, farò in modo di trovare sempre un momento per poterti parlare, come ho sempre fatto.

‘’Altrimenti, l’attesa potrebbe diventare addirittura più lunga di questa volta… potrebbe essere eterna, così come le fiamme dell’inferno che ti attenderanno, pronte solo a bruciarti’’, disse lo zio, concludendo definitivamente la conversazione e tornando con fare irritato dalle sue guardie senza neppure salutarlo e congedarlo in modo normale.

Alfonso si affrettò ad uscire dal Forte e a percorrere il lungo ponte che lo collegava alla terraferma, procedendo spedito sul Tevere e senza guardarsi attorno, non avendo intenzione di passare un secondo di più in quel luogo orrendo.

Solo quando si fu allontanato di parecchio riprese a respirare, riconoscendo che quella volta l’aveva fatta grossa, facendosi scoprire da tutti e facendo arrabbiare anche l’importantissimo zio, una delle persone più importanti del mondo, nonché l’unico soggetto che in genere lo accontentava sempre in tutto e che si era sempre preso cura di lui fin dalla più tenera età.

Ma sapeva che quella volta lo zio era davvero arrabbiato, e che se fosse riuscito a scoprire qualcos’altro di brutto su di lui gli avrebbe senz’altro inflitto una pena esemplare, anche se non si era sottratto alla sua richiesta d’aiuto.

Quell’uomo rigido era stato in grado di fronteggiare i moti che avevano scosso il suo pontificato fin dall’inizio, e di tener testa ai più grandi sovrani europei, arrivando addirittura a non promuovere quel rinnovamento che veniva costantemente richiesto alla sua forma di politica.

In modo temerario, era momentaneamente riuscito anche ad evitare la costruzione di un sistema ferroviario nel suo Stato, ben sapendo che questo avrebbe comportato solo un grande dispendio di denaro, visto che nei suoi territori non erano presenti né miniere di carbone né di ferro, e tutto pareva parecchio svantaggioso, anche se presto avrebbe di certo dovuto istituire una commissione per analizzare meglio i possibili costi e svantaggi, più per perder tempo che per reale interesse.

Alfonso sorrise, riconoscendo la mestizia del parente. E sorrise nuovamente quando capì che ora aveva Teresa in pugno; con la collaborazione della gendarmeria, sarebbe di certo riuscita a trovarla ovunque si fosse nascosta, se aveva commesso l’errore di restare in quello Stato.  

Ma in ogni caso, era certo che l’avrebbe ritrovata a nord, visto anche che pure suo padre era partito immediatamente poco dopo di lei, tornando a Ravenna ed evitando accuratamente di rispondere alle sue lettere. Comunque, quella congiura avrebbe ben presto avuto fine e la sua vendetta si sarebbe abbattuta senza pietà su colei che in fondo l’aveva reso un mostro rabbioso.

Se solo Teresa l’avesse amato con sincerità, senza pensare sempre a qualche vecchia fiamma, lui di certo non l’avrebbe mai tradita, e non avrebbe dovuto ridursi a strisciare ai piedi di suo zio come un verme.

Quando si trovò di fronte alla sua carrozza, gli tornò in mente Giuseppe, il cocchiere che era aveva aiutato sua moglie a fuggire, e sputò in terra, prima di salire sul mezzo, sotto lo sguardo stupefatto del suo nuovo servitore. Avrebbe punito anche quello, se fosse riuscito a rintracciarlo. Lui e sua moglie Anna.

‘’Che hai da guardare?! Muoviti, riportami a casa’’, disse il conte, vedendo che il nuovo cocchiere era ancora fermo a guardarlo. L’uomo annuì e si spicciò a far partire la carrozza.

Alfonso si irritò lievemente, ricordando che quella sera non avrebbe potuto divertirsi in alcun modo e che avrebbe dovuto dire addio ai suoi piaceri carnali, ma se quello era il giusto prezzo per la vendetta, era disposto ad accettarlo.

Gettò uno sguardo sornione al di là dei vetri, sapendo che ora non avrebbe dovuto far altro che pazientare ed attendere, visto che suo zio era un uomo di parola.

Con un sospiro lento, riprese a pensare a come avrebbe affrontato sua moglie una volta che l’avrebbe ritrovata, perdendo la cognizione del tempo e ritrovandosi ben presto a sonnecchiare, seduto sul comodissimo sedile della sua nuovissima carrozza, pagata ed acquistata solo alcuni giorni prima.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguire il racconto J

Questo capitolo è stato durissimo da scrivere, in primo luogo perché mi son permesso di far scorrere il tempo più velocemente del previsto. Inoltre, l’inserimento dei personaggi storici non è stato facile, così come la scelta dei vari ambienti in cui far svolgere le vicende.

Per chi se lo stesse chiedendo, il Forte Sant’Angelo non è altro che l’odierno Castel Sant’Angelo, che nell’ottocento era un carcere.

Ribadisco che tutti i personaggi principali sono di mia invenzione, a partire da Teresa, Giovanni e Alfonso. Altri, come l’appena citato Luigi Lambruschini e il pontefice stesso, sono realmente esistiti, e chiedo scusa se magari la ricostruzione storica non è perfetta ma avevo bisogno di romanzare un po’ il racconto, in modo da renderlo più gradevole da leggere. Anche la figura di Joseph Neuer è di mia invenzione.

Nel prossimo capitolo, vi dirò solo che ci sarà il momento tanto atteso, almeno da buona parte di voi, e tornerò a concentrarmi sui due protagonisti del racconto.

Ringrazio tutti i lettori e i recensori! Siete davvero gentilissimi a seguirmi in questo lungo viaggio J

Ancora grazie a tutti J buona giornata e a lunedì prossimo J

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Capitolo 44
*** Capitolo 43 ***


Capitolo 43

CAPITOLO 43

 

 

 

 

Quando Teresa si risvegliò si trovò distesa su un soffice letto, mentre il sole le scaldava le coperte.

Non ricordò subito cosa le era successo, e dovette richiudere improvvisamente gli occhi, sentendosi ancora stanca ed insonnolita. Con le mani, strofinò lievemente il lenzuolo sotto di lei, scoprendo che era ruvido e grezzo, come quello in cui aveva dormito durante il periodo del suo rapimento. Eppure, non poteva essere vero.

Pian piano i ricordi tornarono a galla nella sua mente, ma le parvero sogni dal tanto che erano confusi; ricordò il volto di Anna e Giuseppe, la lunghissima marcia, lei malata e i bambini che piangevano continuamente e la caduta finale di fronte a quella che doveva essere stata la casa di Lina.

Ma doveva essere tutto un sogno. Tra un istante, quando lei avrebbe riaperto gli occhi, si sarebbe nuovamente ritrovata in quel maledetto palazzo, assieme a suo marito. Tutto doveva essere frutto di una sua suggestione o della febbre alta.

‘’Sembra stia meglio’’.

Una voce bassa risuonò poco distante da lei, che rimase incredula nel riconoscerla. Non era possibile che quella voce maschile fosse proprio la stessa che aveva tanto amato in passato.

A quel punto, aprì gli occhi e si alzò sui gomiti, trovandosi di fronte la faccia di Giovanni, che la guardava sorridendo, seduto su una sedia poco distante dal letto su cui era distesa. La contessina quasi si sentì male, sapendo che quell’uomo doveva essere morto, e credette di essere morta pure lei.

Non capendo, tornò a distendersi appoggiando una mano sulla sua fronte, scoprendo che non era più calda, e che quindi la febbre doveva essersi notevolmente abbassata. Quando le mani di lui le sfiorarono una guancia con dolcezza, fu certa che quello non era un sogno e che il brigante non fosse un’allucinazione.

In ogni caso, dovette riconoscere che sarebbe pur sempre stata la più bella e reale allucinazione del mondo.

‘’Zvàn, sei proprio tu?’’, chiese la giovane, mormorando a fatica quelle poche parole. La sua gola era tremendamente secca, e col fatto che non aveva parlato a lungo, la voce era pure impastata.

‘’Sono io… alla fine ci sei riuscita, sei tornata da me’’, le bisbigliò all’orecchio, facendole riaprire gli occhi.

‘’Non sai quanto mi è costato farlo’’, gli rispose, cercando di guardarlo in volto.

Improvvisamente, Teresa incontrò i suoi occhi castani e provò un tuffo al cuore, chiedendosi il perché fossero così profondi e attraenti. Quegli occhi così ordinari erano in grado di affascinarla come non mai in quel momento.

Poco dopo, alzò lievemente la testa e si avvicinò al viso del brigante.

‘’So quanto ti è costato, invece. E ora torna a riposare, se vuoi guarire per bene’’, le disse lui con dolcezza, appoggiandole il palmo della sua mano destra sulla fronte e facendole nuovamente adagiare la testa sul cuscino.

‘’Lo farò… anche se ho la sensazione di aver riposato per mesi interi’’, riconobbe la giovane, lasciandosi sfuggire un fugace sorriso, il primo da quando si era risvegliata.

‘’Effettivamente’’, disse il brigante, tornando a sedersi sulla sua sedia e lasciando cadere il discorso.

‘’Ti credevo morto. O forse sono morta pure io e ti ho raggiunto nell’aldilà’’, mormorò la ragazza, dando una svolta alla conversazione.

‘’Chi ti ha detto questo?’’, chiese il brigante, da subito apparentemente incuriosito.

‘’Alfonso… mio marito’’, rispose subito la contessina, sibilando quel nome con odio e disprezzo. Non si era dimenticata di quell’uomo disgustoso, anche se in quel momento non ce l’aveva di fronte e avrebbe voluto cancellarlo per sempre dalla sua memoria.

‘’No, non sono morto, come vedi. Tuo marito si sbagliava’’, disse Giovanni, con un tono decisamente infastidito.

‘’Teresa! Teresa cara! Come stai?’’.

Una Lina felicissima interruppe la conversazione in corso, avvicinandosi subito alla contessina.

‘’Lina! Non sai quanto ho desiderato di rivederti, amica mia!’’, disse Teresa, euforica. Eppure, quando cercò di rialzarsi totalmente dal letto, sentì che non aveva le forze necessarie per farlo.

‘’Anch’io, mia cara. Ma ora non muoverti troppo; tra poco Vanna verrà a controllare la tua situazione, e per riabbracciarci ci sarà tempo’’, disse la donna, aiutandola a distendersi nuovamente sul letto.

‘’Perché… cosa mi è successo? Perché quando sono caduta da cavallo ho provato una strana sensazione…’’, iniziò a chiedere la contessina, piombando in uno stato quasi confusionale. Le tornarono in mente quei brutti momenti, ma non come illusioni lontane, bensì come ricordi dolorosi e reali.

‘’Non ora, ci sarà tempo per spiegare ciò che è accaduto. Non ora’’, continuò a ripeterle Lina, che divenne seria e le rimboccò le coperte. Un bussare ritmico alla porta di casa la distrasse nuovamente.

‘’Vai un attimo ad aprire, Zvàn. Dovrebbe essere Vanna’’, disse Lina, mentre il brigante si alzava dal suo posto ed andava ad aprire la porta.

Teresa si sentì nuovamente confusa, e per un attimo fu in procinto di richiamare indietro Giovanni. Non voleva che si allontanasse da lei, e addirittura allo stesso tempo non credeva che quell’uomo che tanto aveva amato potesse essere ancora vivo.

Voleva toccarlo, accarezzarlo, magari anche baciarlo e dirgli quanto lo amava, ma non ci riuscì. Mentre si perdeva in quei futili pensieri, l’immagine di suo marito le riapparve nella sua mente, a ricordarle che lei avrebbe potuto toccare e baciare solo lui, e che non era più la contessina nubile di qualche mese prima.

A quel punto però, nella stanza fece irruzione quella stessa guaritrice che si era presa cura anche del brigante, quand’era rimasto ferito nell’agguato di qualche tempo prima.

‘’Vedo che si è risvegliata. È in stato confusionale, vero?’’, chiese Vanna col suo vocione potente e sicuro, osservandola con attenzione.

‘’No, ci ha riconosciuto e anche se per ora è limitata nei movimenti, sembra abbastanza in forma’’, rispose Lina, mentre anche Giovanni rientrava nella stanza, stando però in disparte.

‘’Uhm, buon segno. Oggi le somministrerò per l’ultima volta quest’infuso, da domani vedrete che riprenderà tutti i sensi e starà molto meglio, anche se dovrà continuare a riposare per un bel po’ ’’, concluse la vecchia, iniziando a tirar fuori dalla sua sacca di tela i suoi piccoli strumenti e iniziando a miscelare qualcosa.

Teresa chiuse gli occhi, cercando di ignorare quel chiacchiericcio e concentrandosi su sé stessa, come se tutto ciò che la circondava non le riguardasse.

‘’Per quanto riguarda la sua vita futura… ecco, quell’aborto che ha subìto la provocherà danni permanenti?’’, chiese Lina, sottovoce.

La contessina spalancò gli occhi bruscamente. Lina doveva aver pronunciato quella parola specifica, e ne voleva avere la certezza, uscendo definitivamente dalle sottili nebbie che stavano tornando a riprendere possesso della sua mente.

‘’Aborto? State parlando di me? Io non ero incinta, io non aspettavo un bambino!’’, gridò la ragazza, reagendo in modo esagerato e perdendo il controllo di sé. Quasi non si riconobbe quando pronunciò quella frase, visto che la sua voce era orrendamente stravolta.

Le due donne la guardarono con fare stupito, poi Vanna le si avvicinò con qualcosa in mano. Era un bicchiere, e glielo avvicinò al volto.

‘’Bevi questo, e vedrai che entro questa sera starai nuovamente meglio’’, disse la vecchia, mentre Teresa allontanava il suo volto, per non bere quella roba. Eppure, la mano ferma di Vanna passò dolcemente dietro alla sua testa, alzandogliela, mentre la ragazza smetteva di opporre resistenza, e come una bambina si metteva sorseggiare quel liquido amaro.

La vecchia le sorrise non appena ebbe finito di bere, e si allontanò da lei, alzandosi e ricevendo i ringraziamenti di Lina.

Mentre la vista della contessina iniziava ad offuscarsi, poté vedere Giovanni mentre si avvicinava alla vecchia, offrendole del denaro, che però rifiutò con un gesto perentorio.

‘’Non voglio i tuoi soldi, Zvàn. Mi sono presa cura della ragazza gratuitamente, e spero che tu le ridia la felicità che ormai ha perso. Te l’avevo detto che sarebbe tornata, come vedi non sbaglio mai…’’.

La voce di Vanna divenne un brusio lontano, mentre la giovane sprofondava nel sonno. Riconoscendo che doveva aver bevuto qualche infuso potente, dovette arrendersi al sonno senza combattere troppo e allontanando la sua curiosità, sapendo che lo scontro che avrebbe dovuto sostenere sarebbe stato impari.

Dopo pochi istanti, tornò a dormire profondamente, immersa in un sonno buio e vuoto, senza sogni, un sonno indotto e innaturale.

 

 

Giovanni non fece in tempo a ringraziare Vanna, poiché la vecchia guaritrice gli diede le spalle dopo aver pronunciato le sue ultime parole, e dopo che lui si era trovato costretto a confermare che non aveva sbagliato le sue preveggenze.

A quel punto, ancora lievemente scosso dall’ennesimo incontro con la vecchia, riconobbe che quella donna era sempre in grado di turbarlo.

Rimise in tasca i suoi soldi, pensando ad un possibile modo per sdebitarsi senza pagare in monete, e tornò a osservare Teresa, che nel frattempo aveva ripreso a dormire. Lina le rimboccò nuovamente le coperte e si allontanò da lei, uscendo dalla stanza e rivolgendogli un sorriso sincero, prima di tornare a svolgere le sue mansioni quotidiane.

Il brigante invece rimase ancora lì, a fianco di quel letto, dove quella stupenda ragazza stava riposando.

Cinque giorni fa, quando Lina era andato a cercarlo, non avrebbe mai creduto che lo volesse avvertire del ritorno della contessina, e, inutile a dirlo, non appena era stato avvisato si era precipitato subito a vederla. L’aveva trovata magra, malridotta e sporca di sangue. Sangue raggrumato.

Vedendola così pallida e insanguinata, era quasi morto di dolore, ma poi aveva capito ciò che era successo e Vanna si era presa cura di lei fin da subito e con grande attenzione, poiché tutti temevano per la sua vita. Eppure, la giovane da quando si era svegliata non aveva chiesto nulla sulla sua gravidanza, e quando aveva udito la brutta notizia che la riguardava, si era comportata come una pazza.

Si chiese se fosse davvero possibile che non fosse a conoscenza del fatto che aspettava un figlio, ma d’altronde il suo comportamento irragionevole pareva confermare quella teoria. D'altra parte, Teresa era davvero cambiata negli ultimi quattro mesi ed era quasi irriconoscibile.

Con nessuno attorno, Giovanni si alzò dal posto in cui era seduto da giorni e si diresse verso la finestra della camera da letto di Lina.

Era da quando era tornata la ragazza che lui non si era mosso dal suo capezzale, e aveva lasciato tutto in mano a Mario e ai suoi giovani nuovi aiutanti. Come un tempo, si sentì nuovamente perso di lei, perché nonostante fosse cambiata parecchio anche nell’aspetto, più smunto e dimesso rispetto a prima, l’amore per la contessina era tornato a galla con forza.

Si discostò dalla finestra e si avvicinò al letto dove la giovane stava riposando. Il suo volto era tranquillo e rilassato, di certo i rimedi che le aveva somministrato la guaritrice avevano fatto effetto.

I suoi lunghi capelli castani erano sciolti, e anche un po’ in disordine. Non potendo vederli così, il brigante allungò una mano e cercò di sistemarli in modo più naturale, ma a quel punto non seppe resistere.

La sua mano scivolò sul viso della bella addormentata, sfiorandolo con estrema delicatezza, come se si trattasse di un fiore raro e delicato. In quel momento, avrebbe dato di tutto pur di vedere quei bei occhi spalancarsi e guardarlo, mentre un sorriso sbocciava su quelle labbra morbide, di cui ricordava ancora il sapore.

Eppure, a quel punto ritrasse la mano, mentre tornava la consapevolezza che quella ragazza non era più sua e non lo sarebbe mai stata per davvero. Ora lei era sposata con un nobile autoritario e ricco, con lui aveva concepito un figlio e non era escluso che lo amasse, anche se quella rocambolesca fuga che l’aveva portata fin lì sembrava confermare il contrario.

Si rimproverò, promettendosi di trattenersi da quel momento in poi, poiché tra loro era tutto finito.

Il braccio sinistro, rimasto appoggiato sulle coperte, portava fino alla sua mano, bella e soffice, che tante volte aveva stretto la sua, ma la fede d’oro che portava al dito sembrava essere un monito, un avvertimento forte e chiaro.

Giovanni tornò a sedersi, comprendendo che per loro d’ora in poi era tutto rovinato, e che tra loro non ci sarebbe stato più nulla, sempre se ci fosse stato qualcosa in passato. Nel breve momento di lucidità, Teresa aveva pure detto che lo credeva morto, quindi molto probabilmente lei non era tornata fin lì per rivederlo, bensì per cercare un qualcosa da Lina.

La consapevolezza di non essere più nulla per la contessina, di essere solo un pericolo e un peso per lei lo fecero inasprire, sapendo che tutto ciò che provava nei suoi confronti in quel momento non avrebbe mai potuto essere applicato alla realtà.

Riconobbe con dolore che stava vivendo in un mondo immaginario; tra loro due non ci sarebbe mai stato più nulla, d’altronde non sarebbe neppure stato giusto. Per tante volte in quei giorni aveva pregato che lei si risvegliasse, che lo baciasse e che gli avesse rivolto parole gentili, ma invece in quel momento, solo pochi istanti dopo averle parlato, sembrava tutto confuso e peggiorato. Riconobbe anche di sentirsi enormemente geloso.

Si alzò dalla sedia con stizza ed abbandonò quella camera, cercando di schiarirsi le idee.

‘’La lasci sola?’’, chiese Lina, vedendolo andare via.

‘’Non ha bisogno di me’’, rispose il brigante, sbrigativo. In fondo, Teresa aveva a disposizione una guaritrice, un’amica e se avesse voluto anche un marito, e lui si sentiva improvvisamente d’impiccio a suo fianco.

‘’Che è successo? Ti ha detto qualcosa di non troppo cortese, poco fa?’’, tornò a dire Lina, facendosi seria e con fare apprensivo, avvicinandolo mentre si gettava sulle spalle il suo pesante giaccone.

‘’No’’, rispose seccamente Giovanni, avvicinandosi alla porta, pronto ad uscire. In realtà, neppure sapeva perché si stava comportando così, come un bambino.

‘’Fermati. Se qualcosa è andato storto è solo perché era sotto gli effetti di…’’.

‘’Non mi importa! Lei è sposata ora, non ritengo giusto starle a fianco. Non sono certo che le farebbe piacere’’, tagliò corto Giovanni, interrompendo la donna che ormai pareva molto perplessa.

Giovanni aprì la porta ed uscì in fretta, ignorando Lina che continuava a porgli domande e cercava di trattenerlo e di capire meglio la sua improvvisa reazione. Ma ormai non c’era più nulla che potesse fare, poiché il brigante improvvisamente vedeva tutto sotto aspetti differenti a quelli iniziali.

Iniziò a percorrere il sentiero che portava verso la sua cascina in fretta e furia, e quando sentì qualcosa di caldo scivolargli lungo le guance, dovette riconoscere che erano lacrime. Non le volle asciugare con un fazzoletto, preferì che restassero lì e si nascondessero tra i peli della barba, poiché non voleva toccarle e renderle reali, ma questo gli costò uno sforzo immane, visto che dovette fare altre considerazioni.

Infatti, riconobbe che non aveva mai pianto in vita sua se non per dei forti dolori fisici; non aveva mai pianto quando aveva lasciato dietro di sé i suoi genitori, quando aveva visto alcuni dei suoi fratelli morire tra mille stenti e quando aveva dovuto uccidere alcuni membri della sua banda a tradimento e nel sonno.

In pratica, c’era voluta quella dannata contessina per farlo piangere per davvero, poiché era a causa sua se in quel momento stava versando tutte le sue lacrime.

Si chiese cosa volesse in realtà e perché fosse tornata; lui la amava, certo, ma Teresa non poteva amarlo e per di più non sapeva neppure che fosse vivo, ed a suo tempo aveva preferito la soluzione più semplice a quella più difficile. Aveva preferito ascoltare le parole di suo marito senza porsi domande, ritenendolo morto fin da subito e senza neppure più pensarlo, così come si fa con qualcosa di difficile da accettare.

Lui si sentiva un problema troppo grande per lei e non voleva più soffrire per quella situazione. Si disse che forse aveva ragione l’ormai defunto Marco, quando tempo addietro gli aveva detto che la contessina aveva finto di amarlo. Forse, la ragazza stava solo facendo un doppio gioco, più per divertirsi che altro.

Il brigante scrollò la testa e fu sul punto di rimproverarsi per le follie a cui stava pensando, ma si trovò proprio di fronte a Mario.

‘’Zvàn, credevo fossi a fianco di Teresa! Che ci fai qui?’’, chiese l’amico, che nel frattempo stava facendo il percorso contrario e si stava dirigendo verso casa di Lina.

‘’Torno alla mia cascina’’, rispose seccamente il capo dei briganti, distogliendo gli occhi da Mario e riprendendo a camminare.

Aveva paura che l’amico potesse vedere che erano arrossati dal pianto. Forse pure il suo viso lo era, quindi decise di muoversi e di non intrattenersi.

‘’Ah. Dopo ci rivediamo più giù, va bene? Lina mi ha invitato a cena e penso che pure tu sia ben accetto…’’.

‘’Non credo che mi vedrai più lì’’, mormorò il brigante, affiancando Mario e superandolo. Ma l’amico l’afferrò saldamente per un braccio, costringendolo a fermarsi.

‘’Che è successo? Hai avuto dei problemi con Lina? No, spero di no, è sempre così gentile…’’.

‘’Ho detto di no. Non preoccuparti per me, passerà, e non ho avuto nessun problema con Lina, davvero. E ora togli quella mano e lasciami andare’’, sibilò Giovanni, ormai offuscato dalla rabbia. Mario lo guardò sbigottito e lo lasciò andare, abbandonandolo così a ribollire nel suo brodo velenoso.

Quando giunse di fronte alla sua cascina, affrettò il passo ed entrò con rapidità, richiudendo la porta dietro di sé e afferrando il suo boccale.

Si sedette al tavolo ed iniziò a bere tutto ciò che gli capitava a tiro, bastava solo che qualcosa gli andasse giù in gola e che interrompesse la sua catena di dolorosi pensieri.

Ma qualcuno bussò alla porta, proprio quando sembrava che quel momento di rabbia stesse per svanire.

‘’Zvàn, aprici, sappiamo che sei lì dentro e dobbiamo chiederti delle cose’’, disse Luca, che Giovanni prontamente riconobbe dalla voce. Dal lieve chiacchiericcio, comprese che doveva esserci anche il suo migliore amico Lorenzo, l’altro suo aiutante.

‘’Adesso no, andatevene. Non ho tempo’’, rispose il brigante, posizionandosi meglio sulla sua sedia e appoggiandosi al tavolo con fare stanco.

‘’Per favore, vorremmo parlarti di…’’.

‘’Di che cosa?’’, lo interruppe bruscamente il brigante, cercando di farli tacere ed allontanare. Non riusciva a sopportare di dover vedere qualcuno quando si trovava in quello stato pietoso e rabbioso, quindi non li avrebbe di certo lasciati entrare.

‘’Ehm… ecco… del nuovo pollaio…’’, prese a biascicare Luca al di là della porta, interdetto dalla brusca reazione del capo, che da dentro scosse la testa. I ragazzi gli volevano parlare di tacchini e pollai mentre lui aveva la testa piena di problemi e di pensieri vari.

‘’Domani, ho detto! Ora no. Magari anche dopodomani’’, rispose Giovanni, ancora infastidito e devastando i loro piani. I due ragazzi non ribatterono più nulla e presero ad allontanarsi.

‘’Ma che ha?’’, chiese Lorenzo a bassa voce, senza sapere che il suo capo da dentro poteva sentirlo, immerso nel silenzio com’era.

‘’Boh, Mario ha detto che è tornata la contessina di qualche mese fa, quella per cui aveva una cotta. Avrà perso la testa per amore, ho sentito dai più vecchi che può succedere, a volte. Ma io non lo so se è vero, mica l’ho vista questa contessina…’’, rispose Luca, mentre Giovanni non fu più in grado di sentire altro, poiché i due si erano allontanati dalla porta.

Il capo dei briganti appoggiò la testa sulle braccia conserte e distese sul tavolo, mentre chiudeva gli occhi e pensava a quanto si fosse reso ridicolo agli occhi di tutti durante quel giorno. In quel momento, nacque in lui anche la consapevolezza di aver esagerato con la sua reazione spropositata, mentre la rabbia spariva del tutto e lasciava spazio alla vergogna per essersi comportato in modo così infantile ed egocentrico.

Mettendo da parte il suo boccale e tranquillizzandosi, tornò ad alzarsi e si diresse verso il suo letto, sul quale si distese per riflettere.

In un attimo, con la calma e la quiete che erano tornate a regnare dentro di lui, riconobbe che entro sera avrebbe dovuto chiedere scusa a tutti quelli con cui si era comportato male, ricordandosi di ascoltare anche i ragazzi e di acconsentire ad ogni loro richiesta, d’altronde si stavano pur sempre comportando benissimo e in modo responsabile in ogni ambito.

Ma prese la dura decisione di girare alla larga da Teresa, poiché rivederla gli avrebbe solo fatto male. Se tra loro due non poteva esserci più nulla, non aveva neppure senso perdersi in chiacchiere inutili e trascurare la sua banda.

L’avrebbe ignorata, sperando che il più presto possibile se ne fosse andata da quel posto, portandosi via la sua bellezza e la sua presenza, in modo che lui avesse avuto la possibilità per dimenticarla totalmente. Nonostante avesse desiderato per mesi quel momento, ora si trovava ad odialo e ripudiarlo.

Nuovamente, si ritrovò sul punto di piangere a causa della sua repentina e inflessibile decisione, ma non poteva fare altrimenti, se no avrebbe solo sofferto per nulla.

Prima di andare a scusarsi con tutti, decise prima di riposarsi per un po’, quindi si lasciò andare sul letto cercando di non pensare alla contessina, anche se nella realtà tutto fu impossibile. Lei viveva dentro di lui ed era costantemente nei suoi pensieri, era diventata una fissazione.

Voleva vederla e in realtà moriva dalla voglia di tornare da Lina e di sedersi di nuovo al suo capezzale, sperando che si risvegliasse presto, ma si ripeté che non l’avrebbe mai dovuto fare, altrimenti avrebbe sofferto di nuovo, e sarebbe tornato vulnerabile come alcuni mesi prima. Lui era un capo, e come tale si doveva comportare.

Cercando invano un modo per dimenticarla, scivolò rapidamente nella dormiveglia e subito dopo nel sonno, favorito dalle lunghe notti passate da sveglio a fianco di colei che in fondo non lo meritava.

Eppure, lui la amava ugualmente con tutto sé stesso.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Come vedete, Giovanni e Teresa hanno avuto modo di rivedersi… ma qualcosa è andato storto. Giovanni in realtà è molto geloso ed ha dei pensieri che lo turbano, ma vedremo che i nostri due protagonisti avranno modo di parlarsi e di chiarirsi pian piano, ed avranno un bel po’ di tempo tutto per loro e per ricercare una nuova stabilità nel loro fragile rapporto.

D’ora in poi, per un po’ resteremo sempre in compagnia dei due protagonisti, e seguiremo l’evolversi graduale del loro rapporto, che deve solo essere consolidato, poiché le basi ci sono già. Vedremo tutto a suo tempo J

Grazie di cuore per continuare a seguire il racconto, e un immenso grazie agli immancabili recensori, che sono sempre gentilissimi ed importantissimi per me J

Grazie ancora e buona giornata a tutti J

A lunedì prossimo J

 

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Capitolo 45
*** Capitolo 44 ***


Capitolo 44

CAPITOLO 44

 

 

 

 

Quando Teresa si risvegliò, dopo un periodo di tempo indeterminato ma apparentemente molto lungo, riprese velocemente i sensi e si affrettò ad aprire gli occhi, sperando che quello che le era parso un sogno fosse realtà e che colui che amava stesse ancora vegliando su di lei.

Si alzò subito sui gomiti e, riconoscendo che si trovava ancora nella stanza di Lina, cercò subito con gli occhi il brigante, ma dopo un istante dovette amaramente constatare che di lui non c’era traccia.

Ancora confusa, per un attimo ebbe paura, mentre i ricordi, anche quelli più brutti, tornavano a offuscarle la mente, costringendola a restare in uno stato di confusione.

‘’Lina! Lina!’’, disse ad alta voce la contessina, augurandosi che l’amica potesse darle conforto e sperando che fosse in zona. Fortunatamente, la donna si precipitò subito in camera.

‘’Teresa! Cos’hai fatto?’’, le chiese subito Lina, preoccupata.

‘’Scusa… scusa se ti ho allarmata. È solo che… non volevo si trattasse solo di un sogno’’, disse la ragazza, smettendo di trattenere il fiato e cercando di scacciare l’ansia che per qualche istante l’aveva avvinghiata in una morsa letale.

‘’Nessun sogno, questa è la realtà. Ci sei riuscita, finalmente! Sei tornata’’, la rincuorò l’amica, avvicinandosi a lei e sedendosi sulla sedia sulla quale si era posizionato anche il brigante.

‘’Non sai quante cose ho da dirti… e quanto ho sofferto. Ma dov’è Zvàn? Voglio vederlo’’, chiese subito Teresa, impaziente. Il brigante le era tornato in mente e voleva assolutamente rivederlo e parlargli, per potergli raccontare tutto quello che le era capitato durante il lungo periodo che non erano stati insieme. Ma soprattutto, per dirgli quanto lo amava.

‘’Be’, Zvàn, ecco, non so. Magari arriverà, prima o poi… ed è da un po’ che non si è fatto vedere’’, disse Lina, impacciata e in evidente imbarazzo, mentre scrollava lievemente le spalle con fare innocente.

‘’Sta male? Si è ammalato? Ha litigato con qualcuno? Dove lo posso trovare, ti prego dimmelo Lina, devo parlargli, devo…’’.

La contessina non riuscì a finire la caterva di domande e la frase che stava pronunciando, poiché le venne da piangere. Aveva inseguito un sogno, fuggendo da suo marito e lanciandosi alla ricerca dell’amica e di qualche ricordo del suo amore perduto, ed ora che aveva scoperto che Giovanni era ancora vivo e vegeto, ecco che non era più a suo fianco.

‘’Lo ami ancora?’’, chiese Lina, continuando a stare seduta sulla sedia e guardandola in modo serio.

‘’Non voglio neppure che tu mi ponga questa domanda. Non sai quello che ho dovuto sopportare in questi mesi, e se sono giunta fin qui è solo per trovare qualche ricordo di lui, qualcosa che mi dicesse che era ancora disposto ad aspettarmi, ed ora che so che è vivo devo parlargli e vederlo’’, disse la giovane, tutto d’un fiato e con fare esasperato. In realtà, non poteva più fare a meno di lui.

‘’Teresa, mia cara, ora ti vedo in forma e penso che possiamo parlarci chiaramente. Tu sei sposata, sai benissimo che non potrai mai avere altri uomini al di fuori di tuo marito. Il matrimonio è una cosa seria, e l’adulterio femminile è punibile’’, disse l’amica, con un tono di voce neutro e indicando la sua fede nuziale con un dito, come quasi per volergliela ricordare.

Teresa spalancò la bocca di fronte a quelle parole. Dovette comunque riconoscere che l’amica aveva detto una cosa vera, come sempre, mentre lei si stava lasciando andare solo ai sentimenti. Oppure solo alla sua ragione, ormai stanca di soffrire.

‘’Sono sposata, è vero! Ma sono stata costretta a sposare un mostro, un uomo odioso che mi teneva rinchiusa in un palazzo e non mi permetteva di parlare con nessuno, isolandomi persino da mio padre! E non parlarmi di infedeltà coniugale, poiché mio marito ogni notte si intratteneva con delle prostitute in un bordello. Quindi risparmiami le tue considerazioni’’, concluse la contessina, inasprendosi più del previsto. Irritata come non mai, si tirò su dal letto e si mise a sedere, pronta ad alzarsi.

‘’No, Teresa, mi dispiace, mi hai frainteso. Non volevo assolutamente mettere in dubbio il fatto che hai sofferto ma solo ricordarti che ora le cose sono radicalmente cambiate. Se prima tutto era già impossibile, ora è addirittura impensabile; ma non prendertela per le mie parole e torna a sdraiarti, ancora per alcuni giorni hai bisogno di riposare’’, la bloccò subito Lina, alzandosi e tornando ad essere premurosa con lei.

‘’Non mi importa del riposo. Io devo parlare con Giovanni, solo questo, e se lui non è qui, vuol dire che andrò io a cercarlo’’, concluse la giovane, alzandosi dal letto e tentando di trovare con gli occhi qualche abito, visto che si trovava in vestaglia. La valigetta che si era portata dietro dal palazzo di Alfonso era rimasta assicurata alla sella del suo cavallo, ma quando lei era caduta e l’animale si era allontanato forse era andata perduta.

‘’No, ora è meglio di no. Non cercare i tuoi abiti, li ho recuperati ma non te li darò per oggi. E calmati subito; l’agitazione potrebbe farti molto male’’, disse la donna, facendola poi tornare a sdraiarsi.

‘’Ho avuto solo una semplice influenza, Lina. Ora non l’ho più e sono guarita; perché dovrei continuare a stare a riposo?’’, chiese comunque la contessina, irritata.

‘’Senti, Teresa, io non te l’ho detto finora perché mi aspettavo che fossi tu stessa a dirlo o almeno a chiedere qualcosa. Ma visto che tu non ti preoccupi minimamente di nulla e pensi solo al brigante, te lo ricorderò io; hai perso tuo figlio. Hai avuto un aborto cadendo dalla sella, quando sei giunta qui’’.

Le parole semplici, schiette e dirette dell’amica caddero come macigni sulla già provata Teresa, che si ritrovò di nuovo ad essere incredula.

‘’Io non ero incinta. Io non ho mai perso mio figlio, semplicemente perché non sono mai stata incinta’’, ripeté la giovane, con fare confuso. Eppure, si ricordò di quelle nausee frequenti, delle parole di Anna, e soprattutto di quel sangue e di quel dolore che l’avevano trafitta subito dopo la caduta da cavallo.

Non ci aveva mai pensato troppo su fino a quel momento, d’altronde la febbre alta aveva totalmente modificato la sua percezione della realtà fino a poco prima, ma ora comprendeva che tutto ciò poteva essere vero. Ma non poteva e non voleva crederci.

‘’Invece sì. Eri incinta di quasi due mesi, quando sei arrivata qui, e la brutta caduta ti ha provocato l’aborto. Non sappiamo se questo triste evento avrà ripercussioni sulla tua vita futura, comunque Vanna dice di no, ma a patto che continuerai a riposarti e a non agitarti eccessivamente per un altro paio di settimane. Poi si vedrà’’, aggiunse Lina, seria più che mai.

Teresa non poté far altro che accettare tutto con incredulità. Aveva appena scoperto di aver perso suo figlio, la prima creatura che aveva avuto in grembo, e questo la spaventava parecchio. Eppure, aveva cercato di fare del suo meglio per evitare la gravidanza, e con attenzione aveva sempre preparato i suoi soliti infusi di erbe.

‘’Lina, comunque non è possibile. Ho sempre utilizzato le erbe che mi avevi dato tu in modo corretto’’, disse prontamente la ragazza, che ricordò solo in quel momento di aver dimenticato sacchettino che le aveva dato l’amica nel palazzo di suo marito, ma a quel punto non poté far altro che cercare di non pensarci, d’altronde al suo interno c’erano rimaste davvero poche erbe e nessuno avrebbe mai capito di cosa si trattasse, sempre se suo marito si fosse preso la briga di rovistare nei suoi cassetti e nel suo armadio, rimasto pieno dei suoi abiti, visto che se n’era portata dietro solo due.

Conosceva i metodi di Alfonso, e sapeva che molto probabilmente, in preda alla rabbia, doveva già aver mandato la sua dannata governante a gettare tutto nel fuoco, sempre se fosse riuscita a sopravvivere alle brutte botte che aveva ricevuto in testa. Teresa cercò di non pensarci più.

‘’Mah, dipende. Quante ne assumevi?’’.

‘’La dose che mi avevi consigliato, ma solo per le prime settimane. Poi, in seguito sono stata costretta ad utilizzarne di meno, poiché stavano per finire…’’.

‘’Non c’è bisogno che tu dica altro. Se ne assumevi una quantità inferiore, non producevano alcun effetto’’, disse Lina, con sicurezza.

Teresa non poté far altro che abbassare lo sguardo e comprendere che alla fine era successo l’inevitabile, proprio quando meno se l’aspettava. In quel momento non sapeva come avrebbe poi rielaborato il tutto, poiché era ancora lievemente confusa, ma sapeva che la piena consapevolezza di quello che era successo non le avrebbe fatto bene.

‘’Mi dispiace’’, tornò a dire l’amica, vedendo lo sguardo abbattuto della contessina, che scrollò le spalle.

‘’Quel bambino mi avrebbe legato per sempre a lui. Come avrei fatto ora, se fosse stato ancora vivo dentro di me? No, non l’avrei mai potuto sopportare… sarei impazzita, ne sono certa’’, disse Teresa, senza molto rimorso. Ma in cuor suo qualcosa stava cominciando a roderla, ed anche ad impensierirla.

‘’Potrò avere altri figli?’’, chiese di nuovo, non lasciando spazio di replica all’amica.

‘’Vanna non lo sa. Dice che secondo lei non ci saranno ripercussioni, ma dovrai stare a riposo ancora per un po’, e stare calma, poi si vedrà. Entro tre settimane, si vedrà’’, disse Lina, cercando di non essere tragica. Teresa annuì, ben sapendo a cosa si riferiva l’amica. Sapeva che entro un mese si sarebbe dovuto ripresentare il suo solito e regolare ciclo, e questo l’avrebbe salvata dalla possibile sterilità.

Ci sarebbe rimasta molto male se avesse dovuto anche accettare di essere rimasta sterile, ma d’altronde suo marito sembrava averle davvero portato via tutto. Era vero che avrebbe voluto avere figli, ma non certo suoi, bensì di Giovanni, ma sapeva anche che con lui non avrebbe mai potuto avere nulla, ora che tutto era irrimediabilmente cambiato. Forse, sarebbe davvero stato meglio non poter avere più figli.

Si sdraiò per bene sul letto e si lasciò rimboccare le coperte come una bambina, restando pensierosa.

‘’Lina, ti prego, devo vedere il brigante. Me lo andresti a chiamare? Ti supplico’’, chiese dopo poco Teresa, sempre più preoccupata. Sapeva di non essere in una situazione facile, e l’unica cosa che poteva fare in quel momento era proprio cercare colui che amava, in modo da provare di ricevere qualche garanzia, ben sapendo che molto probabilmente Alfonso sarebbe tornato a cercarla.

Voleva sapere se Giovanni l’amava ancora e sul serio, e se era disposto a trascorrere una vita da fuggiaschi insieme a lei, poiché questo sarebbe stato il costo del loro amore.

‘’No, non ora…’’, rispose però la donna, impacciata e lievemente in imbarazzo.

‘’Be’, se non puoi ora e se pure lui non può, diglielo pomeriggio e fallo venire quando gli pare, basta che sia a breve e al più presto possibile’’, continuò ad insistere la ragazza, sapendo che l’imbarazzo dell’amica non preannunciava nulla di buono.

‘’Non è questo che intendevo. Ecco, non posso andarlo a chiamare semplicemente perché lui… ecco, lui…’’.

‘’Ho capito’’, disse la contessina, facendo così interrompere alla donna la vana ricerca di una qualche parola più confortante della frase più semplice del mondo, ovvero che lui non la voleva vedere.

Eppure, si chiese il perché del fatto che solo pochi giorni prima stesse attendendo il suo risveglio con così tanta apprensione, mentre in quel momento la stava allontanando.

Un profondo senso di dolore e di disperazione la pervase dalla testa ai piedi.

‘’No, non so se hai capito. Non voglio che tu intenda questo allontanamento come qualcosa di malvagio, o per semplice odio. Sembra che sia irritato da più cose, dentro di lui ha una rabbia primordiale e capricciosa tipica degli uomini. Vedrai, prima o poi gli passerà’’, disse Lina, scrollando le spalle e mostrando semplicemente che lei non poteva farci nulla in ogni caso. Teresa si morse un labbro e tornò ad affondare la testa nel cuscino, chiudendo gli occhi.

‘’Quando gli passerà potrebbe essere troppo tardi’’, mormorò, chiudendo definitivamente la conversazione e voltandosi su un fianco. L’amica intese subito al volo il messaggio ma non aggiunse altro, sapendo che comunque non avrebbe potuto fare nulla per lei.

In quel momento, qualcuno bussò vigorosamente alla porta, e Lina si precipitò subito ad aprirla.

‘’Quanta foga, e che maleducazione! Chi è questo screanzato?’’, sibilò la donna, inacerbita come non mai dal bussare isterico e violento sul legno dell’uscio.

Teresa sollevò lievemente la testa, e cercò di osservare chi avrebbe varcato la soglia di casa, approfittandone di un pizzico di visuale sul breve e ristretto corridoio. Poi, sentì che qualcuno stava entrando con rapidità.

‘’Oh’’, disse Lina, mentre poco dopo si iniziarono a sentire lievi suoni sommessi.

La contessina rimase allibita riconoscendo che pareva rumore di baci. Scossa e spaventata, non ebbe il coraggio per muoversi ed andare a vedere se stava andando tutto bene o se si trattasse di un intruso.

‘’Smettila, non ora…’’, disse Lina poco distante, nel corridoio, mentre il fruscio di passi lenti stava portando la padrona di casa e lo sconosciuto verso la camera da letto.

‘’Perché no? Sta dormendo, lei…’’.

L’intruso aveva parlato, e mentre i baci riprendevano a fare il solito rumore pieno di passione, la contessina rimase sconcertata nello scoprire che pareva che si trattasse della voce di Mario, ma non ci volle credere. Comunque, le parve evidente che l’amica avesse fatto colpo su qualcuno, e che quel qualcuno la stesse ricambiando appassionatamente.

Dovette riconoscere che era davvero cambiato tutto nel giro dei pochi mesi durante i quali non era stata presente.

‘’No, è…’’.

Fu inutile quel tentativo di Lina di far retrocedere il suo focoso amante, poiché la donna passò di fronte alla porta spalancata della contessina avvinghiata al nuovo entrato, che la teneva stretta in un abbraccio amorevole e passionale.

A nulla valse la voglia di Teresa di voltarsi sull’altro fianco e di fingere di dormire, oppure di farsi gli affari suoi, poiché rimase a bocca spalancata di fronte all’amica e Mario, che continuavano a baciarsi di fronte a lei, dirigendosi verso il retro dell’abitazione.

‘’Oh…’’, disse tutt’a un tratto Mario, sorpreso nel scoprire che la ragazza lo stava fissando.

‘’Ho cercato di dirtelo, cafone!’’, disse Lina, liberandosi del suo abbraccio e dandogli un lieve schiaffo sulla guancia destra. In ogni caso, entrambe ben presto si imporporarono e divennero rosse all’inverosimile.

‘’Chiedo scusa per ciò che hai visto, Teresa, non era davvero nostro intento farti assistere…’’, tentò di dire la donna, scusandosi e guardando di sottecchi l’amante, che rimase serio ed impacciato.

‘’No, questa è casa tua e puoi farci ciò che ti pare, per me non è un problema… anzi se vuoi ti lascio pure il letto, vado a sedermi in cucina…’’, si lasciò sfuggire Teresa, imbarazzata più che mai.

In realtà, si rese conto del doppio senso della sua frase solo dopo averla pronunciata, poiché voleva riferirsi al fatto che l’amica doveva aver dormito a lungo assieme al suo innamorato sul giaciglio di paglia improvvisato nel capanno degli animali a causa sua, e questo l’aveva fatta sentire in colpa per un momento. Ma ormai il danno era fatto, e i due non compresero il senso di ciò che aveva appena detto loro.

‘’Dai, non fare ironia, non mi sembra il caso. Resta pur lì, sei un’amica inferma e non ha importanza in questo momento dove io dorma o dove… oh insomma, resta pure lì senza farti problemi. E poi, mica siamo bestie! Si fa solo una volta ogni tanto’’, disse infine Lina, rompendo il ghiaccio e ridacchiando.

Teresa sorrise mentre guardava Mario, che nel frattempo si passava una mano sul volto e sulla barba, mentre il suo viso ormai maturo e rigido era in fiamme.

‘’Ma guardalo! Prima fa il bischero ed adesso è bordò e tace! Ah, caro Mario, devi ancora imparare a prenderti la giusta responsabilità delle tue azioni’’, continuò a canzonarlo Lina, sorridendo anch’essa, mentre la contessina si lasciava sfuggire una risatina divertita.

Di fronte alle due donne, il maturo brigante ormai pareva in preda al panico e incassò tutto stando in silenzio e guardando verso terra.

‘’Ovviamente sto scherzando, amore mio’’, concluse Lina, tornando poi ad avvicinarsi a lui e baciandolo nuovamente con dolcezza.

Si scambiarono un bacio da favola, dovette riconoscere Teresa; un bacio che non aveva nulla di carnale, ma lento e calibrato.

‘’Come avrai capito, noi due abbiamo una relazione’’, disse Mario, rompendo il suo silenzio e staccandosi da Lina. La contessina annuì, sorridendo.

‘’Però, per favore, non fare chiacchiere. Non lo sa nessuno qui, almeno spero’’, continuò a dire il maturo brigante.

‘’Certo, vi assicuro che non dirò nulla. Di me potete fidarvi’’, si affrettò a dire con sicurezza Teresa.

‘’Perché, credi davvero che nessuno se lo immagini? E poi, prima o poi dovremmo venire allo scoperto. Sai che voglio sposarti… voglio sceglierti e tenerti a mio fianco per tutta la vita’’, disse Lina, strofinando l’ampio petto del maturo brigante, che nel frattempo continuava ad essere in imbarazzo.

‘’Temo che questo non sarà possibile nell’immediato. Ma se dovesse esserci un momento propizio, lo coglieremo senz’altro al volo’’, rispose Mario, sincero. La sua compagna non la prese tanto bene, anche se lo baciò nuovamente sulle labbra.

‘’Be’, Teresa ora ti lascio sola a riposare un po’, se hai bisogno… chiamami, sono nel retro’’, disse l’amica, accennando a chiudere la porta.

‘’Stai tranquilla, fai anche troppo per me. Ora ho proprio bisogno di fare un pisolino, non necessito di altro, grazie’’, la congedò la contessina, che prontamente tornò a voltarsi su un fianco e a chiudere gli occhi, mentre Lina chiudeva la porta della stanza.

Ovviamente, non appena fu certa che non c’era più nessuno ad osservarla, riaprì gli occhi e si mise a fissare il soffitto in legno, cercando le risposte alle sue domande e alle sue inquietudini in quelle assi scure.

Era felice per Lina e Mario, ma dovette ammettere di provare un pizzico di gelosia per loro; erano una coppia affiatata, e che di certo non avrebbe trovato molti problemi. Invece, tra lei e il suo grandissimo ed unico amore, tutto pareva concluso e distrutto.

Era consapevole che tutto tra loro si era complicato all’inverosimile, ma se il brigante non le voleva neppure parlare, ogni suo sforzo sarebbe stato inutile. E poi le tornò alla mente la storia del bambino, di suo figlio, morto a causa delle sue scelleratezze, e dell’anziano conte suo padre, che aveva abbandonato senza un minimo di pietà nel letto di morte, e gli aveva voltato le spalle, fuggendo mentre ancora lui la chiamava in modo disperato.

In quel momento, ebbe la certezza che lei doveva essere davvero pazza per aver commesso tutte quelle atrocità, e non si sentì molto dissimile da Alfonso. Forse, stando vicino a suo marito era diventata un mostro anche lei.

A quel punto la contessina chiuse gli occhi, sperando di trovare sollievo da quella marea di interrogativi e di dolore.

 

 

 

Giovanni si allontanò dal retro della casa di Lina non appena vide che il suo braccio destro stava per entrare anch’esso all’interno dell’abitazione.

Per un attimo, una profonda invidia lo pervase, poiché anche lui avrebbe voluto entrare in quella casa e vedere la sua contessina, invece di passare il tempo a cercare di spiarla da fuori, ma poi si rimproverò, poiché comprese che d’altronde nessuno gli vietava di farlo.

Si era imposto quel divieto doloroso da solo, sapendo che se avesse perseverato ad andare a farle visita avrebbe solamente sofferto, poiché prima o poi lei lo avrebbe abbandonato di nuovo. Magari amava suo marito, ed era fuggita solo per tornare un po’ da Lina, ma dovette ammettere a sé stesso che quel suo pensiero era davvero stupido e banale. Se fosse venuta solo per fare una visita all’amica, non sarebbe arrivata mezza morta, dopo quella che doveva essere stata una rocambolesca fuga.

La sua testa era piena di dubbi, e l’unica persona che poteva dissiparli era lì, dentro a quella casa, ma lui non voleva parlarle mai più, perché sapeva che Teresa, con la sua melodica voce che tanto gli era mancata, non avrebbe fatto altro che fomentare il profondo amore che provava ancora per lei.

Si rimproverò anche per il suo comportamento infantile; spiare la ragazza per vedere come stava era una cosa davvero vergognosa. Si stava comportando come uno stupido, e doveva assolutamente smetterla.

Allontanandosi da quella casa, decise di dirigersi verso le nuove costruzioni dei suoi giovani aiutanti, Luca e Lorenzo, che nel tempo libero si davano parecchio da fare ad ultimare i loro nuovi pollai. Almeno, in questo modo si sarebbe svagato un po’ ed avrebbe smesso di pensare alla contessina.

Aveva cercato di scusarsi anche con loro la sera precedente, esprimendo il suo grande desiderio di visionare al più presto il loro lavoro, ed ora avrebbe mantenuto ciò che aveva detto. Lui era un capobanda, e come tale doveva farsi rispettare, ma allo stesso tempo non doveva mancare di rispetto ai suoi uomini.

Nel frattempo, non ci mise molto a raggiungere i ragazzi, che stavano lavorando anche in quel momento, mentre ormai pareva quasi tutto ultimato.

‘’Zvàn, che bello trovarti qui!’’, disse subito Lorenzo, vedendolo e facendogli una calorosa accoglienza. Anche Luca sorrise e accennò un saluto, stando attento a non far cadere un’asse pericolante, che non era ancora stata inchiodata alla parete laterale del piccolo capanno.

‘’Siete stati davvero bravi! Ragazzi, mi sorprendete ogni giorno. State facendo davvero un buon lavoro’’, riconobbe il capo dei briganti, sorridendo. Per un attimo riuscì pure a scordarsi di Teresa, mentre guardava i due all’opera.

‘’Ti ringraziamo per i complimenti. Ma tu, che hai fatto? Sei molto assente nell’ultimo periodo, e sembri sempre pensieroso’’, chiese Luca con un tono indagatore, che lasciava trapelare tutta la sua curiosità. Lorenzo lo fulminò con lo sguardo mentre il volto di Giovanni tornava ad oscurarsi.

‘’Penso proprio che qualcuno mi abbia lanciato il malocchio, amici. Ho la testa piena di problemi e di frasi insulse, sembra quasi che stia per scoppiare. A presto, e continuate così, vedrete che verrà un bel lavoro’’, rispose infine il capo dei briganti, passandosi una mano sul volto e tornando ad allontanarsi, dando le spalle ai giovani e dileguandosi in fretta.

Sentì di nuovo Lorenzo mentre stava riprendendo il giovane amico per la sua eccessiva curiosità, mentre dentro di sé pensava che tutti ormai dovevano sapere il motivo delle sue ultime assenze.

Quando fu certo che nessuno poteva più vederlo e che era solo tra gli alberi spogli, si fermò e si sedette, tormentato dai suoi pensieri, capendo che non sapeva davvero come comportarsi. Ben presto, sarebbe diventato lo zimbello di tutti, ma questo in fondo non gli importava. Gli importava solo di Teresa.

In ogni caso, nel dubbio decise che avrebbe aspettato che fosse lei a fare la prima mossa, in modo da vedere se ancora le stava a cuore, anche se tutto ciò gli faceva davvero molto male, e tornando a reprimere la sua immensa voglia di rivederla e di parlarle, pensò che sarebbe stato il tempo a fornirgli tutte le risposte di cui aveva bisogno.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto questo capitolo J

La situazione è in stallo, ma non temete, già nel prossimo capitolo i nostri due protagonisti avranno modo di dialogare e di incontrarsi.

Grazie di cuore per il sostegno e per continuare a seguirmi con assiduità J

A lunedì prossimo J

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Capitolo 46
*** Capitolo 45 ***


Capitolo 45

CAPITOLO 45

 

 

 

 

Dopo una settimana di amara reclusione, Teresa aveva ricevuto il permesso da Vanna di poter tornare a vivere un’esistenza normale, però cercando di non eccedere con l’ansia e di non fare troppi sforzi.

La vecchia guaritrice era passata ogni giorno a farle visita, e tutto pareva a posto, anche se la risposta finale ad ogni ultimo interrogativo sarebbe arrivata solo tra un’altra settimana, all’incirca. La contessina non aveva più rivisto Giovanni, e questo la faceva stare davvero in ansia.

Nel frattempo, approfittando della possibilità di poter tornare all’aperto, si era affrettata ad uscire nel cortile di Lina, per poi dirigersi verso la cascina del brigante, sperando di poterlo vedere, nonostante il fatto che la dolce scalata che doveva affrontare la affaticasse lievemente.

Il suo corpo non si era ancora totalmente ripreso dalla dura batosta del lungo e temerario viaggio che aveva affrontato, e non aveva dimenticato neppure quella febbre alta che le aveva dato problemi per settimane, oltre a quel triste aborto.

Le dispiaceva di aver perso il bambino, così come le dispiaceva di aver perso anche suo padre, ed aveva continuato a recriminarsi tutte queste cose per l’intero periodo della sua lenta guarigione, ma in quel momento cercò di allontanare quei truci pensieri e di concentrarsi sul suo obiettivo principale, ovvero Giovanni.

Quell’uomo che credeva morto era lì, a pochi passi da lei, e avrebbe potuto concederle una nuova vita, se solo avesse voluto. Ma chissà se lo voleva, d’altronde lui pareva volerla allontanare, quasi rifiutare.

La ragazza decise di non lasciarsi travolgere nuovamente dai suoi soliti interrogativi, che ormai erano diventati davvero monotoni e ripetitivi, e con decisione si costrinse a proseguire quell’ardua ricerca, che forse sarebbe risultata vana. In ogni caso, di certo le avrebbe regalato un po’ di risposte. Continuando la salita, Teresa cercò di non pensare alla fatica e di stare serena, ascoltando i canti degli uccelli, estremamente eccitati dall’imminente arrivo della primavera, che quell’anno pareva ormai in netto ritardo.

Quando giunse di fronte alla cascina, fu quasi sommersa dai ricordi; ricordò i baci scambiati col brigante solo pochi mesi prima, e la castità e l’intensità del loro amore. Erano passati solo quattro mesi da quei momenti, eppure tutto pareva irrimediabilmente cambiato.

Poco dopo, trovò finalmente la forza per reprimere le emozioni che la stavano attanagliando, e bussò con forza alla porta. Il suono dei suoi colpi rimbombò all’interno della cascina, ma nessuno rispose.

Un lieve movimento, quasi impercettibile, fece concentrare tutta la sua attenzione su una tenda rattoppata, che pareva essersi mossa, ma la giovane dovette riconoscere che forse si era trattato solo di un illusione. Nessuno la aprì, e, delusa più che mai, la contessina decise di tornare da Lina, visto che nessuno era in casa.

Mentre riprendeva la discesa, mille pensieri ripresero a frullarle per la mente, rattristata dall’ennesima delusione. Forse, se avesse continuato a vivere con Alfonso, in quel momento sarebbe stata almeno al sicuro, in attesa di un figlio e vicina a suo padre.

Sorrise nuovamente, capendo che anche quella volta aveva pensato ad una stupidaggine, d’altronde tra lei e suo marito era tutto finito lì, e sperò che lui non la cercasse mai più, e che magari avesse inventato una scusa da spargere in giro, una scusa che non l’avesse reso ridicolo agli occhi della società, rendendolo nuovamente libero. Ma anche quella era una triste sciocchezza; se tutto fosse stato così facile, non avrebbe mai dovuto affrontare quella temeraria fuga.

Teresa era immersa nei suoi pensieri, ma a quel punto udì degli schiamazzi che attirarono la sua attenzione. Lievemente incuriosita, decise di andare a vedere da dove provenivano, sperando di trovare anche il brigante.

Quindi smise di seguire il sentiero, e avanzando di qualche metro si trovò immersa nella boscaglia. Ricordando quell’ultima volta in cui si era ritrovata in una situazione simile, quando aveva salvato il fagiano e si era persa, si sentì ancor più a disagio, ma sentendo che l’intensità delle voci aumentava decise di proseguire il suo cammino e di lasciarsi definitivamente indietro il sentiero.

Dopo aver percorso qualche altro metro si trovò a fare una rocambolesca irruzione in uno spazio disboscato di recente, mentre due giovani ragazzi, che all’incirca dovevano avere qualche anno in meno di lei, stavano lavorando e chiacchierando.

Subito, i due interruppero il loro lavoro e la fissarono. Teresa, imbarazzata più che mai, osservò quello che pareva essere un capanno per gli animali, ormai totalmente ultimato; infatti, mancavano solo poche assi sul tetto, mentre una staccionata delimitava una ristretta parte di bosco. Doveva trattarsi di un pollaio o di qualcosa di simile.

‘’Scusate se ve lo chiediamo, ma… chi siete?’’, chiese uno dei due ragazzi, che pareva di qualche anno più grande dell’altro, rivolgendosi a lei con grande cortesia.

‘’Sono Teresa’’, disse la contessina, vergognandosi ed arrossendo subito dopo. Era ovvio che quei due ragazzi non avevano idea di chi potesse essere, e magari avrebbe dovuto spiegar loro qualcosa di più, invece di pronunciare stupidamente il suo nome. Ma in quel momento era l’unica cosa che le era venuta naturale da dire.

‘’Piacere… Teresa. Ma che ci fate qui? Una ragazza ben vestita e tutta sola nel bel mezzo di questa boscaglia?’’, tornò a chiedere lo stesso giovane, lanciando un’occhiata incuriosita all’altro amico, che nel frattempo l’aveva affiancato.

‘’Ecco, sono ospite di Lina… non so se la conoscete… comunque, me ne vado, tolgo il disturbo…’’, disse la giovane, impacciata e imbarazzata più che mai. Ora che la sua curiosità l’aveva portata a fare l’ennesima figura da stupida, era meglio se si fosse ritirata.

‘’Certo che la conosciamo! La conoscono tutti, qui. E no, certo che non dovete togliere il disturbo! Se volete, vi facciamo vedere quello che stiamo costruendo, se siete curiosa… d’altronde, voi siete la contessa di cui tutti parlano, vero?’’, continuò il giovane, con fare sempre più curioso. Teresa sbiancò, riconoscendo che la voce del suo ritorno doveva essersi sparsa ormai ovunque.

‘’Sì, penso di sì. Ma non darmi del voi e chiamami pure Teresa’’, disse la ragazza, cercando di togliersi dal pasticcio che lei stessa aveva creato.

‘’Oh, piacere di conoscerti, allora! Io sono Lorenzo, e lui è Luca, e siamo i due aiutanti di Zvàn! Però nel tempo libero ci dedichiamo alla costruzione di un riparo per i nostri volatili’’, continuò il giovane, presentandosi e allungando una mano, che la contessina strinse con prontezza. Poi, strinse anche quella di Luca, un ragazzo che doveva avere almeno diciassette anni ma che ne dimostrava molti di meno. Il suo visetto glabro era sorridente e rilassato come quello di un bambino.

‘’Piacere tutto mio! Se vorrete, darò volentieri un’occhiata’’, si limitò a dire la ragazza, ormai sempre più convinta che tutto fosse cambiato, poiché quei due ragazzi non li aveva mai visti in compagnia del suo amato brigante, tempo addietro.

‘’Ma certo! Avvicinati pure!’’, disse Luca, parlando per la prima volta e iniziando ad illustrarle il loro lavoro.

La contessina finse interesse, anche se in realtà non ne provava granché e non ci capiva nulla, e lo fece solo per ricambiarli della cortesia e del calore con cui l’avevano accolta. E proprio quando iniziò a sentirsi a suo agio con quei ragazzi, fece la sua improvvisa comparsa colui che cercava da giorni.

Giovanni sbucò dal nulla, anch’esso dalla boscaglia, tutto sorridente e pronto a salutare i giovani aiutanti, ma rimase interdetto non appena vide la contessina, bloccandosi sul posto.

Teresa lo fissò con intensità, cercando i suoi occhi sfuggevoli, mentre il brigante ormai pareva in imbarazzo. Il suo sguardo era sfuggevole, e la ragazza fu certa che se avesse potuto, se la sarebbe svignata, ma in quel momento non poteva proprio. Riconobbe che doveva odiarla per qualcosa visto che continuava a comportarsi in modo così strano con lei.

Intanto, anche i due ragazzi smisero di parlare, e restarono immobili a fissare gli sguardi timidi dei due.

‘’Ragazzi, lasciate stare la contessina. A lei i pollai non interessano; riaccompagnatela da Lina e aiutatela nella discesa, non deve fare troppi sforzi’’, disse il brigante, teso in volto. Una sensazione fredda pervase la contessina, che si inacidì.

‘’Ora sto bene e posso fare tutto ciò che mi pare da sola, Zvàn. In ogni caso, i tuoi amici han fatto un bel lavoro, ed ascoltare le loro spiegazioni mi intrattiene parecchio, ma temo davvero che dovrò tornare un’altra volta per concludere di udire la loro magnifica descrizione del tutto, perché vorrei parlarti. Da solo’’, disse bruscamente Teresa, più che mai decisa a non lasciarsi scappare quell’occasione d’oro.

I due ragazzi annuirono e si allontanarono, mentre sul loro volto aleggiava un sorrisetto incuriosito; la ragazza fu certa che a breve si sarebbero posizionati dietro un cespuglio per origliare la loro conversazione, ma questo in fondo non le importava. Ora che aveva di fronte a sé l’uomo che amava, avrebbe cercato in tutti i modi di fargli capire quanto contava per lei, senza farsi eccessivi scrupoli.

‘’Dimmi quello che hai da dire, ma fai in fretta, Mario mi aspetta…’’.

‘’Mario in questo momento può anche attendere’’, disse bruscamente Teresa, interrompendo il brigante, che scrollò le spalle e la guardò con fare incuriosito.

‘’Sei diventata molto acida. Ricorda che io non sono un tuo servitore, e che quindi non ho alcun obbligo di sottostare ai tuoi ordini’’, si limitò a rispondere il brigante, con un tono inespressivo.

La contessina abbassò lo sguardo, e diventando pensierosa, si passò una mano tra i capelli, pensando a come fare per scusarsi. Effettivamente, aveva appena sbottato quello che poteva sembrare un ordine, anche se lo aveva fatto involontariamente.

‘’Nulla è come sembra, Zvàn. E io te lo dimostrerò’’, disse la ragazza dopo aver riflettuto un attimo, rialzando lo sguardo e tornando a fissare l’uomo che aveva desiderato per mesi e che aveva creduto morto.

La sua vista si fece sfocata, mentre due abbondanti lacrime iniziavano a solcarle il viso.

 

 

Giovanni rimase sconvolto quando la vide piangere.

Se per lui era già stato difficilissimo tenerle testa fino a quel momento, cercando di non darle corda, evitando i suoi sguardi e dando risposte scortesi, in quell’istante fu certo che pure la fortezza mentale che si era costruito nelle ultime settimane stesse per vacillare e crollare definitivamente.

Teresa era lì, di fronte a lui, con tutta la sua bellezza e con quelle lacrime calde che le scivolavano lungo le guance, e dovette reprimere l’istinto di andargliele ad asciugare con le sue stesse mani, e dirle che lei era davvero troppo bella per rovinare il suo viso con quelle misere gocce d’acqua.

Ma dovette reprimere tutto, e cercare di convincersi a resistere. Anche se ormai pareva molto difficile proseguire con i propositi che si era prefissato.

‘’Non piangere, non serve a nulla’’, riuscì a dire dopo un po’, con il tono di voce più burbero che riuscì a riprodurre, anche se in realtà doveva aver parlato come un ragazzino innamorato.

‘’Non sai quante lacrime ho versato, negli ultimi quattro mesi. Il pianto è diventato il mio più fedele amico, ormai’’, disse la ragazza, asciugandosi le lacrime.

‘’Cosa vuoi da me?’’, chiese a quel punto Giovanni, incerto sul da farsi. Sapeva che non avrebbe retto a lungo; l’avrebbe voluta abbracciare e rassicurare, magari anche cullarla come faceva un tempo, ma sapeva che non poteva. Forse, lei non glielo avrebbe neppure permesso.

‘’Voglio solo parlarti e spiegarti perché sono qui, nient’altro’’, rispose la contessina, smettendo definitivamente di piangere.

‘’Non c’è nulla da spiegare. Sei tornata per fare una visita a Lina, niente di più, niente di meno’’, concluse frettolosamente il brigante, appoggiando la schiena ad un tronco d’albero, cercando di rilassarsi un po’.

I suoi sentimenti erano in subbuglio dentro di lui, e questo gli faceva provare una strana sensazione di smarrimento, poiché gli pareva ancora surreale che stesse conversando con quella ragazza che aveva più volte temuto di non rivedere mai più.

‘’Ti sbagli. Stai parlando come uno sciocco, o forse è davvero ciò che sei.

Ho attraversato una mezza penisola per cercare un qualche ricordo di te. Per poter trovare qualcosa che ancora profumasse di te mi sono ammalata, ho perso il mio primo figlio, ho lasciato indietro mio padre in punta di morte ed ho dovuto lottare come una belva contro chiunque ha cercato di ostacolare la mia libertà, ed ora mi trovo qui ad averti ritrovato vivo e vegeto, e più burbero che mai, sempre pronto a fuggire pur di non incontrarmi.

Se ti sei fatto una nuova compagnia, non hai che da dirlo; non ti parlerò più, se è questo che vuoi’’, disse Teresa con foga, sputandogli una valanga di parole in faccia. Poi, irritata, gli diede le spalle e si incamminò verso la boscaglia, probabilmente alla ricerca del percorso che l’avrebbe ricondotta al sentiero che portava a casa di Lina.

‘’Aspetta un attimo’’, sbottò Giovanni, cercando di richiamare la ragazza. Ecco, in quel momento sentì che stava definitivamente per cedere.

Lei si fermò e si voltò a guardarlo, e i suoi grandi occhi castani e pieni di tristezza parvero sfiorargli il viso.

‘’Hai affrontato tutto questo… per me?’’, chiese il brigante, mentre ormai la sua voce era calma e passionale. Lei lo guardò con maggiore intensità, e fece due passi verso di lui.

‘’Pensavo che tu fossi morto, ma ho sempre continuato ad amarti. Devi sapere che sono stata costretta a sposarmi, e che fino all’ultimo ho sperato che tu mi venissi a salvare, ma quegli spari che avevo sentito alcuni giorni prima nella pineta non mi lasciavano molti dubbi, purtroppo.

Appena ho potuto, son fuggita dalle campagne romane per venire qui, e pur sapendo che il percorso sarebbe stato tremendamente lungo e difficile, l’ho affrontato solo per tornare a cercare un ricordo di te, e per chiedere un soccorso a Lina, anche se momentaneo, e fortunatamente alcuni amici mi hanno aiutato molto durante la fuga. Oserei dire che senza di loro sarei morta!

Ma alla fine sono giunta fin qui, e quando mi sono risvegliata, e ti ho visto al mio fianco, beh… sono rimasta senza parole dalla gioia! Eppure, quella felicità che ho provato è svanita subito, come sempre nella mia vita. La scoperta che ho perso il mio primo figlio, e la tua latitanza mi hanno riportato nuovamente a cadere nel buio.

Ma non starò qui se tu non lo vorrai, sappilo. Ma se mi dirai anche solo una parola dolce, una sola, ti donerò per sempre il mio amore. Anche se te l’ho già donato in passato, questa volta ti assicuro che niente e nessuno potrà più separarci’’, concluse la giovane, mentre sulle sue giovani e fresche gote compariva un lieve rossore, generato dalla foga di parlare e di cercare di spiegarsi.

Giovanni non aveva fatto altro che restare ad ascoltare la storia di sofferenza della sua amata senza dire nulla, lasciando defluire da lei tutta quella rabbia repressa che di sicuro la stava tormentando già da un bel po’.

Eppure, in quel momento, il brigante restava leggermente perplesso, anche se ormai continuava a sentirsi sul punto di cedere definitivamente.

‘’Ma lo senti quello che dici, ragazzina? Tu straparli. Hai un marito che ti attende, del quale aspettavi un figlio, ed hai commesso solo una follia. Pensi che io sia stupido, o che sia una tua bambola? Lo so che non appena ti andrà di cambiare aria tornerai da lui!

Abbiamo avuto in passato un’occasione per stare insieme per sempre, e mi hai abbandonato, preferendo tuo padre e il tuo buon nome di famiglia a me! Ed ora torni qui, giurandomi un amore impossibile, senza tener conto dei tuoi doveri coniugali e delle tue responsabilità. In ogni caso, se pensi di prendermi in giro, sappi che non ci cadrò, questa volta’’.

Le parole tristi del brigante caddero nuovamente nel silenzio della boscaglia, mentre Teresa gli si avvicinava ancora di più.

‘’Non avevamo scelta, Zvàn! Non potevamo far altro, l’avevi riconosciuto pure tu a suo tempo! Ma ora possiamo…’’.

‘’Possiamo cosa? Ma vuoi ricordarti una volta per tutte che sei sposata con un uomo potentissimo, di cui porti ancora la sua promessa d’amore eterno al dito della mano sinistra? Che aspettavi un figlio da lui, e sei fuggita senza badare a nulla, se non al tuo egocentrismo? Sei una pazza’’.

Le nuove frasi che pronunciò Giovanni furono devastanti. Lui stesso si vergognò di ciò che aveva detto, non appena ebbe finito di parlare, mentre una rabbia sadica lo trascinava sempre più distante da lei. Sapeva di aver esagerato davvero troppo quella volta, ma in ogni caso, riteneva giusto far chiarezza su tutto, e ricevere le sue dovute spiegazioni.

‘’E’ questo che pensi? Mi chiami pazza? Sì, lo sono davvero, te lo confermo! Perché se non lo fossi stata, mi sarei tolta la vita quando ne ho avuto l’occasione, piuttosto che tornare da un burbero e un villano come te! E, per la precisione, ti giuro su ogni cosa che io non ho mai amato Alfonso e lo odio per tutto il male che mi ha fatto. E non sapevo di aspettare un figlio da lui! Ma con te ho chiuso.

Se devi parlarmi solo per ferirmi, meglio che non mi parli più. Domani stesso me ne andrò, mi farò nascondere da mio padre a Ravenna, così non dovrai più darti pena a nasconderti per causa mia. Addio, brigante. Non ti cercherò mai più’’, disse la contessina, adombrandosi sempre di più, mentre riprendeva a piangere.

Giovanni vide di nuovo il suo volto sempre più stanco, mentre le lacrime tornavano a percorrere lo stesso percorso di poco prima, mentre lui si sentiva davvero a pezzi. Quella era la fine di tutto, del loro sogno impossibile e della loro relazione proibita.

La ragazza gli diede le spalle e si diresse direttamente verso la boscaglia, come poco prima, ma questa volta senza un attimo di esitazione. Rimasto a bocca aperta e senza parole, il brigante rischiò di rimanere muto per davvero.

‘’Non… non partire con così tanta fretta. Prenditi il tempo che ti serve per rimetterti’’, disse infine Giovanni, pronunciando le parole più banali che poteva dire in quella situazione.

‘’Smettila di preoccuparti per me. Io per te non sono più nessuno, come hai lasciato intendere poco prima’’, concluse la giovane, senza voltarsi indietro e sparendo tra la boscaglia, mentre il brigante scivolava lentamente verso terra. La disperazione a quel punto si fece acuta, e non poté non piangere.

‘’Perché deve essere tutto così difficile? Ti amo, Teresa. In fondo, io ti amo ancora, e ti amerò per sempre’’, sussurrò alla terra, mentre se ne stava chino al gelido suolo, cercando di nascondere quell’ultima, disperata fase del suo dramma.

‘’Ti amo, ti amo, ti amo’’, ripeté altre tre volte, come se avesse davvero perso la ragione. Ma non trovò la forza di gridare quelle parole, in modo che lei avesse potuto udirle, ma le tenne per sé, altrimenti sapeva che avrebbe perso definitivamente il suo onore, gettando all’aria tutte le futili frasi pronunciate fino a quel momento.

Dopo un po’ di tempo passato in quello stato, si rialzò lentamente, con le ginocchia e i gomiti sporchi di fango.

Si diresse direttamente verso la sua cascina, senza pensare troppo durante il tragitto, e richiudendosi al suo interno. Una volta che fu di nuovo barricato in quel luogo protetto, tornò a lasciarsi andare ad un pianto duro e preoccupato; riconobbe che mai una volta nella sua vita si era disperato così tanto.

Teresa era tornata e lui la amava ancora alla follia, eppure tutto sembrava concluso per una semplice discussione e per un marito scomodo e di troppo. Il primo giorno, quando aveva rivisto la sua amata, si era sentito rinascere, ma in breve tempo si era trasformato tutto in un incubo orrendo.

Si chiese ci fossero state altre vie d’uscita, e per un momento non ne trovò neppure una. Poi, sempre immerso nella disperazione, capì che non poteva lasciarla partire. Se suo marito era davvero un bruto e lei non lo amava, lui avrebbe fatto di tutto per difenderla e sostenerla.

Capì di aver sbagliato tutto, e di essere stato dannatamente impulsivo; come sempre, si lasciava trasportare solo dalla sua testardaggine. Si alzò dalla sedia sulla quale si era posizionato poco prima, e diede un forte pugno alla parete della stanza, facendosi anche male da solo.

Mentre le sue nocche sanguinavano, se le ripulì su un fazzoletto di stoffa, cercando di non far caso a quel dolore fisico che l’aveva aiutato a sfogare la rabbia che provava dentro.

Continuando a darsi dello stupido, si accinse ad uscire nuovamente dalla cascina, ma quella volta per recarsi a casa di Lina, poiché se era vero che Teresa se ne sarebbe andata l’indomani, avrebbe dovuto fermarla e parlarle al più presto.

Si promise che quella volta sarebbe toccato a lui fare chiarezza, e spiegare tutti i sentimenti che provava nei suoi confronti.

Sempre più sicuro di aver sbagliato approccio, richiuse la porta della sua abitazione dietro di sé, e si diresse a passi sicuri verso la sua amata contessina. Quella volta, aveva finalmente deciso che non se la sarebbe lasciata sfuggire mai più, se era questo che voleva anche lei, e le avrebbe rivelato quanto in realtà la amava, scusandosi per le parole che le aveva detto poco prima a causa della rabbia e della paura che aleggiavano dentro di lui.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguire la storia J

E, come avrete di certo notato, tra i nostri due protagonisti non è andato tutto per il meglio. Il primo approccio è fallito, ma vedremo che forse prestissimo tutto potrà sistemarsi. Giovanni è più che mai intenzionato a svelare il suo amore, e questa volta forse si scoprirà definitivamente, rompendo la barriera di insicurezze e paure che lui stesso aveva innalzato.

Continuo a ringraziare infinitamente i miei soliti quattro recensori, che sono sempre pronti a sostenermi e a lasciare un graditissimo parere. Grazie J e grazie anche a tutti gli altri lettori che continuano a seguire la vicenda J

Grazie a tutti, a lunedì prossimo J

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Capitolo 47
*** Capitolo 46 ***


Capitolo 46

CAPITOLO 46

 

 

 

 

Teresa rientrò in casa di Lina con foga, sbattendo la porta dietro di sé.

Dandosi della stupida, si chiese come avesse potuto anche solo pensare che tra lei e il brigante ci fosse potuto essere spazio per le parole e le spiegazioni, d’altronde non c’era più nulla da dire. Era tutto limpido come l’acqua delle sorgenti di quelle vette impervie.

Scansò Lina con un braccio quando le si parò di fronte con uno sguardo interrogativo, e tornò nella stanza da letto dell’amica, dove si gettò con rabbia verso il piccolo e unico armadio presente, aprendolo e andando subito a cercare il cassetto riservato alle sue cose.

Aprì anche quello, e recuperando la sua piccola e leggera valigia da viaggio, con cui era giunta fino a lì, iniziò a gettarci dentro la roba alla rinfusa.

‘’Ma… cosa stai combinando?’’, chiese l’amica, affacciandosi alla porta della stanza. La sua voce esprimeva sorpresa e stupore di fronte a quell’esagerata sequenza di azioni, e accorgendosene, Teresa abbassò il ritmo dei suoi movimenti.

Appena si fermò per un attimo, capì che era al limite delle forze e che tutta quell’agitazione non le stava facendo affatto bene. Senza badare minimamente all’amica e senza risponderle, la ragazza smise di frugare tra le sue poche e misere cose ed afferrò la sua fede nuziale d’oro, sfilandosela e gettandola contro il muro con tutta la forza di cui disponeva in quel momento.

Il risultato fu che l’anello rimbalzò nel muro e cadde poco distante da lei, mentre la contessina si trovava a chiedersi perché non se ne fosse liberata prima di quell’oggetto dall’apparenza così piccola ma che in realtà si era rivelato parecchio ingombrante.

‘’Adesso basta. Non ti rendi conto che ti stai comportando come una pazza? Mi distruggerai tutta la casa se continuerai e così, e farai del male anche a te stessa’’, tornò a dire Lina, sfiorandole un braccio e attirando la sua attenzione. Teresa, sentendo ancora quella parola che le aveva detto poco prima il brigante, sussultò, ma almeno ritornò in sé.

‘’Domani me ne vado, se non questa sera stessa. Il mio cavallo è ancora qui?’’, chiese la ragazza, guardando verso terra. Il suo viso era in fiamme, e non ebbe il coraggio di lasciarlo scrutare dall’amica.

‘’Sì, è con gli altri cavalli, ma tu non te ne andrai. Non in questo stato, almeno; non sei ancora completamente guarita, hai avuto una perdita di sangue considerevole…’’.

‘’Non importa. Non voglio restare qui un giorno di più’’, disse la contessina, interrompendo l’analisi accurata di Lina, che si sedette sul bordo del letto, invitando anche lei a farlo.

‘’E’ a causa sua, giusto?’’, chiese poco dopo l’amica, non appena Teresa ebbe preso posto a suo fianco.

‘’A causa sua e a causa mia’’.

‘’Fai male a prendertela, Teresa. Gli uomini sono fatti così, sono scostanti, a volte impulsivi, ma poi passa tutto e tornano dalle loro donne. Lui ti ama ancora, e anche tanto, ma ha paura. È per questo che si sta comportando così, non vuole realmente allontanarti’’, disse l’amica con un tono calmo e dolce, che fece tranquillizzare lievemente la contessina.

‘’Parli in questo modo solo perché non hai idea di ciò che mi ha detto un istante fa. Mi ha detto che sono una pazza, che voglio prenderlo in giro…’’.

‘’Ha paura. Paura di perderti’’.

Teresa scosse la testa alle parole dell’amica, e si morse un labbro.

‘’Zvàn non sa le tue intenzioni, e teme che tu te ne vada, o che ben presto torni con tuo marito. E poi, lo sai, ormai sei sposata’’, continuò a dire saggiamente Lina.

‘’Gli ho detto tutto. Gli ho detto che non tornerò mai più con mio marito, e se vuole, potremmo provare di nuovo ad amarci. Per sempre, questa volta’’, disse Teresa, sicura di sé.

‘’E lui…’’.

‘’Lui non vuole e in un certo senso mi ha incoraggiato ad andarmene, anche se mi ha consigliato di riprendermi del tutto prima di farlo’’, continuò la contessina, sconsolata. Quando riprese a piangere non ci fece neppure caso, tanto ormai il pianto pareva essere diventato il suo eterno compagno di vita.

‘’Se avesse realmente voluto che tu te ne andassi, non ti avrebbe consigliato di attendere un po’ ‘’, le fece riconoscere l’amica, asciugandole una lacrima con il suo candido fazzoletto di stoffa.

‘’Non ho più intenzione di stare qui, soffrirei inutilmente. Domani mattina all’alba me ne andrò, ho deciso’’, concluse Teresa, disperata ma risoluta.

‘’Per andare dove, sentiamo?’’, la incalzò l’amica, con un pizzico d’ironia che fece innervosire per un attimo la contessina.

‘’Andrò da mio padre a Ravenna, come ti ho già detto. Anche se non so di preciso dove soggiorna, cercherò di rintracciarlo nella sua unica residenza in periferia, poi…’’.

‘’Poi tuo marito verrà a cercarti, ti ritroverà e ti riporterà a casa sua. È tutto a posto’’, continuò Lina, sempre con un pizzico di sarcasmo.

‘’Mi credi stupida? Mi nasconderò da qualche parte’’, rispose la contessina, imbeccando nuovamente l’amica.

‘’Una ragazza tutta sola in questo mondo povero e senza futuro! Cosa credi di fare? Non potrai nasconderti tutta la vita. Qui almeno sei relativamente al sicuro, e potrai restarci tutto il tempo che vorrai. Ti ospiterò qui da me, e anche se con lui non funzionerà più, ci spalleggeremo a vicenda e cercheremo di tirare avanti in qualche modo’’, propose gentilmente l’amica, sempre con grande garbo.

‘’No, non posso accettare la tua ospitalità. Mi fa piacere che tu me la offra ma non posso davvero accettarla; tu e Mario avete bisogno della vostra intimità…’’.

‘’Non dire una parola di più. Io e Mario abbiamo dei progetti ben precisi, certo, ma tu non sei un impaccio, e non dai alcun fastidio… insomma, non preoccuparti di nulla. Se ti ho detto che puoi restare, puoi davvero restare; sei mia amica, e le amiche nel momento del bisogno si supportano sempre e in ogni caso. Vedrai, prima o poi tutto si risistemerà’’, disse con risolutezza la donna, interrompendo la contessina e parlandole con grande schiettezza e sincerità, giungendo al punto senza tanti giri di parole.

Alla fine del discorso dell’amica, Teresa la stava fissando estasiata e piena di gioia; quella era la Lina che le era tanto mancata.

‘’Grazie. Sei davvero la più grande amica che io abbia mai avuto! Ricambierò prima o poi, te l’assicuro’’, disse la giovane, grata più che mai all’amica per tutto quello che aveva fatto e stava continuando a fare per lei.

‘’Non preoccuparti di nulla. Vedrai, a breve c’è caso che tutto prenda un’altra piega; li conosco abbastanza bene, gli uomini…’’, concluse Lina, lasciando cadere la frase.

‘’Ma non so se resisterò a lungo qui, vedendolo da lontano e non potendolo avvicinare…’’.

La frase della contessina fu interrotta dalle timide botte prodotte dalle nocche della mano di qualcuno che stava bussando alla porta.

Lina lanciò un’occhiata rassicurante a Teresa, che nel frattempo era tornata ad essere calma, e si diresse ad aprire l’uscio mentre la contessina si aspettava l’ingresso di Mario.

Invece, quando quel qualcuno entrò, la giovane rimase senza fiato dalla sorpresa.

 

 

Tremendamente spaventato dall’avvertimento della contessina, che nonostante tutto amava ancora come durante il periodo del loro primo amore, Giovanni si era recato direttamente a casa di Lina. Sapeva che lì avrebbe trovato colei che amava e con cui avrebbe potuto chiarire molte altre cose.

Così come si era già giurato a sé stesso, quella volta avrebbe parlato con sincerità, esprimendo tutto ciò che provava sul serio e senza omettere nulla, tenendo però ben presente l’impossibilità della loro relazione, e sperando che la ragazza gli concedesse una breve udienza. In ogni caso, non avrebbe mai permesso che se ne fosse andata di lì senza prima dirle cosa continuava a provare per lei.

Bussò con insistenza a quella porta che gli era molto familiare, e quando Lina lo aprì, i suoi occhi corsero subito verso la camera dove Teresa aveva trascorso il suo periodo di malattia e debolezza. Lina non disse nulla, seria in volto, e si scansò, facendogli solo un breve cenno con la mano ed invitandolo silenziosamente ad entrare.

L’iniziale imbarazzo provato dal brigante a causa delle settimane di latitanza da quella casa svanì in fretta non appena mosse i primi passi verso la contessina, che lo stava fissando stando in piedi, con una mano ancora appoggiata al bordo del letto, quasi gli si volesse aggrappare prima di perdere i sensi. Quando guardò dentro la stanza, notò il disordine e comprese che tutto ciò era accaduto a causa sua e della sua cocciutaggine.

Si fermò sulla porta della stanza, mentre lei continuava a studiarlo con i suoi magnifici occhi, purtroppo lievemente arrossati e rovinati dal recente pianto, mentre Lina si recava sul retro, lasciandoli soli.

‘’Devo parlarti’’.

Giovanni ruppe la pesante coltre di silenzio che era calata sulla casa, cercando di frantumare quell’imbarazzo che si era creato tra loro due.

‘’Per dirmi cosa? Che sono una matta?’’, rispose la contessina, meno acida del previsto. Il brigante constatò che sembrava essersi tranquillizzata un po’, nonostante il fatto che gli stesse comunque rispondendo a tono.

‘’Non hai capito il mio discorso di poco fa. Non volevo dirti questo’’.

‘’Qualunque cosa tu voglia dirmi, non ha più importanza, ormai. Lina mi ha offerto la sua ospitalità, e nonostante io sia attratta da questo lusinghevole invito, non so se resterò. Penso che, in fondo, per me sarebbe meglio andarmene’’, disse la ragazza, tornando a sedersi sul letto.

Gli occhi del brigante si soffermarono sull’anello d’oro gettato malamente a terra, mentre nel frattempo continuava a riflettere i raggi del sole che lo colpivano. Sembrava essere un monito, un regolatore di quella discussione, e che cercasse di ricordargli che qualsiasi cosa che avrebbe detto da quel momento in poi sarebbe potuta diventare esageratamente pericolosa per lui e avrebbe potuto ritorcersi contro alla sua buona volontà. Ma questo, in quel preciso istante, contava davvero poco.

‘’Vorresti andartene anche se ti dicessi che io ti amo, e che non ho mai smesso di amarti?’’, disse Giovanni, sfruttando l’impeto del coraggio che si stava facendo strada dentro di lui. Era difficile parlare in modo così diretto, ma in realtà in quel momento non c’era altra scelta che gli permettesse di mostrare i suoi reali sentimenti.

Dopo la rivelazione, il tempo parve rallentare; la contessina non rispose subito, si lasciò sfuggire un breve sorriso quando i suoi occhi sfiorarono quelli di lui, per poi dirigersi successivamente verso l’anello d’oro che continuava a giacere sul pavimento di legno scuro, tornando ad essere triste.

‘’Anche io ti amo, e ti amerò per sempre. Ma credo che tu abbia ragione; ormai il nostro rapporto non può più funzionare’’.

Giovanni si appoggiò allo stipite della porta e sospirò. Il silenzio tornò ad avvolgerli per un breve momento, facendoli sentire più soli che mai.

‘’Ti va di venire con me a fare un piccolo giro a cavallo? Non ti affaticherai, mentre nel frattempo avremo modo e tempo per chiarirci le idee e parlare in tutta tranquillità’’, disse il brigante, serio e pensieroso. Di certo, un bel giro a cavallo poteva essere un modo ideale per rompere tutte quelle ultime barriere che si erano frapposte tra loro, e cercare di trovare una soluzione a tutti i loro problemi.

Teresa annuì e si alzò senza dire nulla, pronta a seguirlo. Insieme, abbandonarono la casa di Lina e si diressero direttamente verso le stalle dov’erano custoditi i cavalli, anche se non ci fu bisogno di entrarci poiché Furia era fuori al pascolo assieme ad un’altra decina scarsa di quegli utilissimi animali.

Giovanni non trovò il coraggio per dire nulla, e si limitò solo a fischiare e a chiamare il suo cavallo, che accorse subito al richiamo del padrone, mentre Teresa si era limitata a seguirlo fin lì, in silenzio e senza aver detto nulla. Il suo volto non appariva sereno, ma provato; due piccole e quasi invisibili fossette le attraversavano le guance, dando una parvenza molto più matura al suo viso.

Mentre Furia lo raggiungeva, il brigante rimase per un attimo ancora a fissare quella ragazza che ormai sembrava adulta, una donna cresciuta troppo in fretta, immersa nel dolore e nel pianto.

Subito dopo, iniziò a strigliare con forza il cavallo mentre si avvicinava alle stalle, che in realtà non erano altro che un rifugio provvisorio in legno sempre sull’orlo di collassare a causa degli implacabili agenti atmosferici. Almeno quell’ambiente basso e ristretto era costantemente controllato e tenuto pulito; infatti, ognuno di quegli animali valeva una fortuna, e quindi non ci si poteva assolutamente permettere che quelle forti e preziose creature si ammalassero o si sporcassero troppo.

Afferrò la misera sella consunta che era appoggiata in modo sgraziato a terra vicino all’ingresso, e sistemò Furia con attenzione, arrivando pure a dimenticarsi per qualche istante della presenza della ragazza.

Quand’ebbe finito, si voltò e la ritrovò poco distante, mentre accarezzava il muso di un altro cavallo, quello che l’aveva portata fin lì. L’animale non si era dimenticato di colei che l’aveva cavalcato durante quelle dure settimane di stenti, e si lasciava sfiorare con apparente gioia, come se fosse stato contento di averla ritrovata.

Giovanni sorrise a quella vista, dopo molti giorni in cui era stato davvero giù di morale, e afferrò un’altra sella mentre si avvicinava alla contessina.

‘’Vuoi cavalcare lui?’’, chiese con cortesia, mentre la giovane si limitava per l’ennesima volta ad annuire e a farsi da parte.

Sempre più sconcertato da quei silenzi tesi, si mise all’opera ed entro un breve lasso di tempo fu tutto pronto. Montando su Furia, non poté non raccomandarsi con la contessina, che ormai pareva essere diventata muta.

‘’Quel cavallo non è come Pezzato, se non lo sai cavalcare e guidare non so come…’’. Il brigante non riuscì neppure a finire le raccomandazioni, poiché la ragazza era già saltata in sella con una notevole agilità, grazie anche ai pratici vestiti da contadina che indossava.

Giovanni quindi si limitò quindi a scrollare le spalle e a spronare la sua cavalcatura a partire.

‘’Come vedi, ora so anche cavalcare. Non ho più bisogno dei tuoi consigli’’, replicò la contessina, uscendo finalmente dal suo mutismo.

‘’Meglio così, no?’’, disse Giovanni, bonariamente. La ragazza parve però prenderla come un’offesa.

‘’Certo, è sempre meglio che dipendere dagli altri in ogni…’’.

‘’Ferma la tua rabbia, te ne prego. Non voglio discutere con te, il mio era solo un modo di dire e per cercare di ribattere. Quanto sei cambiata, Teresa… non so se te ne accorgi’’, disse il brigante, interrompendo la ragazza e lasciandosi affiancare da lei lungo il largo sentiero che procedeva in salita.

Lei a quel punto lo guardò con crescente intensità.

‘’Lo so, e di questo ti chiedo scusa. Sono diventata davvero cattiva, ultimamente’’, disse, sfregando la groppa del suo cavallo con la mano sinistra.

‘’Non sei diventata cattiva, sei solo più dura. Credo che tutte queste ultime sofferenze abbiano lasciato un segno dentro di te’’, mormorò il brigante, lasciando poi che i suoi occhi tornassero a viaggiare nel cielo, guardando le nubi bianche e placide che si stavano dirigendo verso sud, mentre una brezza leggera rendeva gelida l’aria montana.

‘’E’ sicuramente così’’, si limitò ad osservare la ragazza, lasciandosi sfuggire un triste sogghigno.

Giovanni tornò a guardarla, e così facendo incontrò i suoi occhi, quegli smeraldi che aveva lasciato dietro di sé parecchi mesi prima. E in quel momento, vedendoli così pieni di vita, una vita nuova che pareva resuscitata, fu certo la contessina gentile e cortese di qualche mese prima non era andata definitivamente perduta, ma doveva solo trovare la giusta strada per venire fuori di nuovo.

‘’Lui… lui ti amava?’’.

Quella domanda uscì all’improvviso dalle labbra del brigante, essendo troppo pressante per essere tenuta dentro. In un attimo, la ragazza distolse lo sguardo da lui, capendo bene il significato di quella frase interrogativa.

‘’Alfonso non è come tutti gli altri uomini. Lui è l’essere più spregevole che io abbia mai conosciuto. Non mi amava assolutamente, mi ha sposata solo per incassare una buona dote e cercare di farsi fare testamento da mio padre.

‘’Andava ogni sera in un bordello, amando le poco di buono che gli capitavano a tiro come se fossero state loro le sue vere mogli. Si sfogava talmente tanto con loro che quando tornava a casa a notte fonda si accasciava sfinito sul letto e faceva fatica anche a svestirsi’’, rispose Teresa, senza un minimo di imbarazzo e tornando a guardare il suo interlocutore con un sorriso sadico. Pareva volesse vedere la reazione che lui avrebbe avuto all’udire quella notizia.

Giovanni non resse quel misero sorriso autolesionista, tipico di tutti coloro che ormai si erano fatti una ragione di essere stati traditi e trattati come uno straccio vecchio.

‘’Di certo era un mostro, se ti trattava così’’, mormorò il brigante, ancora scosso da ciò che aveva udito e tenendo gli occhi bassi.

‘’Tu pensa che quando ho trovato le prove inequivocabili del suo tradimento, cercava anche di discolparsi e di dire che quel misero fazzoletto rosa che gli era caduto dal taschino era di una qualche marchesa. Quando insistetti, si arrabbiò, confermando ogni mia ipotesi’’, continuò a dire la ragazza, quasi fosse felice di ricordare quei momenti.

‘’Ora basta, non voglio sapere più nulla né di lui né di quello che hai dovuto subire durante quei quattro mesi di lontananza da me. Se vorrai, sarò disposto anche a proteggerti col mio stesso corpo, pur di difenderti da tutti coloro che vorranno nuovamente ferirti e farti del male’’, tornò a dire il brigante, lievemente irritato dalla piega che aveva preso la discussione.

Fino a quel momento, non aveva mai avuto modo di conoscere la parte più annichilita della sua amata, e mai si sarebbe aspettato una simile forza da parte sua nel ripercorrere quei momenti che per lei dovevano essere stati di certo molto drammatici.

Giovanni alzò gli occhi e la vide sorridere, mentre annuiva con fare sicuro. Quel sì valeva molto per lui.

Quando si ritrovò nel suo luogo segreto, dove tempo prima era sbocciato il loro amore, non si sorprese più di tanto, visto che entrambi nel bene o nel male erano sempre rimasti legati a quel posto magnifico.

Insieme, scesero dalle loro cavalcature e si diressero verso quelle pietre scarne che sbucavano dal suolo, e che fornivano un posto su cui sedersi, nonostante la loro gelida e dura rigidità. Come se il tempo si fosse fermato, si ritrovarono così, l’uno a fianco dell’altra, seduti alla stessa maniera di alcuni mesi prima, mentre un silenzio magico li avvolgeva.

Quel momento di quiete fu interrotto da un breve starnazzare, che preannunciò il passaggio di due fagiani, che sbucarono dal bel mezzo degli spogli cespugli circostanti, e notando la presenza dei due esseri umani, si affrettarono a ritirarsi in tutta fretta.

‘’Zvàn! Hai visto?’’, disse a quel punto la contessina, puntando il dito verso il punto in cui i due volatili erano spariti e con un’espressione piacevolmente sorpresa sul volto, quasi da bambina.

‘’Sì, ho visto. Non te l’ho detto perché non ho avuto modo di farlo finora, ma a quanto pare il fagiano che hai salvato ha trovato una compagna, che molto probabilmente a breve inizierà a deporre le uova’’, rispose Giovanni, felice per aver visto quei timidi amici pennuti.

Aveva già notato la coppia di fagiani alcuni giorni prima, durante una delle sue frequenti e brevi escursioni in solitaria, ma questo l’aveva rattristato, perché l’aveva fatto tornare a pensare al fragile rapporto tra lui e la contessina. Forse era per questo che la sua mente era riuscita persino a dimenticare quel recente evento, ma per fortuna, al momento giusto i due dolci innamorati gli avevano fatto una sorpresa.

‘’Sono davvero felice. Sì, ora sono felice, dopo tanti mesi trascorsi in prigionia!’’, esclamò la ragazza con crescente entusiasmo, mentre il brigante riconosceva la contessina vitale e gioiosa di qualche mese prima. Sorrise compiaciuto mentre la guardava, e pure lui si sentì sollevato.

Ma quando lei gli si avvicinò e lo abbracciò, sentì che il suo cuore perse un battito. O forse due.

Non capendo le reali intenzioni della ragazza, il brigante non riuscì a rilassarsi subito, e mentre lei lo osservava e si stava allontanando da lui, sembrava quasi recriminarsi da sola per aver compiuto quel gesto euforico esagerato.

Ma a quel punto Giovanni trovò la forza per ricambiarla e per avvolgerla in un caldo e caloroso abbraccio. La strinse forte a sé, senza farle male ma facendole sentire che lui c’era, facendo entrare dentro di lei la sua presenza e i suoi sentimenti.

Quando Teresa ricambiò nuovamente la sua stretta, il brigante fu certo che tra loro era cambiato qualcosa, e che quella barriera invalicabile costruita dalla società e dai loro pensieri oscuri si era finalmente frantumata, lasciandoli riavvicinare.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per continuare a seguire il racconto J

Pian piano, i nostri due protagonisti si stanno riavvicinando. Ormai, questo abbraccio finale vale molto più di mille parole… non ci resta che attendere il prossimo capitolo per scoprire cos’altro accadrà J

Continuo a ringraziare tutti voi lettori, e in modo particolare i recensori J

Grazie a tutti! A lunedì prossimo J

 

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Capitolo 48
*** Capitolo 47 ***


Capitolo 47

CAPITOLO 47

 

 

 

 

Per un istante, quell’abbraccio avrebbe illuso chiunque, pure il più convinto pessimista del mondo. Ma non illuse Giovanni, pronto ad essere di nuovo allontanato dalla contessina non appena lei si fosse resa conto di essersi lasciata andare un po’ troppo. Eppure, quella stretta continuò per un periodo di tempo inverosimilmente lungo.

Il silenzio li avvolgeva entrambi, e anche la solita lieve e gelida brezza dei monti pareva essersi momentaneamente quietata, dando un senso d’irrealtà al tutto. Il brigante, sempre più emozionato, si lasciò vincere dai sensi, e affondò il suo viso tra i capelli di Teresa, mentre la sua guancia ruvida e barbuta strofinava contro quella liscissima e morbida della ragazza.

Da parte sua, anche la contessina pareva essersi lasciata definitivamente andare, e mentre l’abbraccio continuava, lei si accoccolò ancora di più tra le sue braccia, quasi come se stesse ricercando il suo calore corporeo. Eppure, come entrambi sapevano, quel momento magico non era destinato a durare in eterno.

Giovanni la guardò mentre si discostava lievemente da lui, e alzava il suo volto, piantando gli occhi nei suoi. Era uno sguardo indagatore il suo, quasi a voler vedere se quell’effimero contatto preannunciava solo una nuova tempesta e una rottura definitiva, oppure una riappacificazione.

Dopo un istante, la ragazza parve sazia di quello sguardo, e tornò ad abbassare gli occhi, ma a quel punto il brigante le mise due dita sotto al mento, facendole rialzare il volto e fissandola con la sua stessa intensità di poco prima, per poi offrirle un ampio sorriso.

La contessina parve momentaneamente imbarazzata.

‘’Zvàn, voglio sapere una cosa, una sola. Ti prego di essere sincero, perché questa domanda è importante quasi come la mia stessa vita’’, mormorò Teresa, continuando a guardarlo e socchiudendo gli occhi con un misto di dolcezza e malinconia.

‘’Chiedi pure’’, rispose Giovanni, utilizzando il suo stesso tono di voce basso e moderato. Immaginava quale domanda stesse per porgli, e preparò subito la risposta. Una risposta breve e sincera.

‘’Sono ancora importante per te?’’.

Quella domanda così stranamente formulata lasciò per un attimo sorpreso il brigante, che poi sorrise e si accinse a rispondere alla sua amata, ma non senza prima averle sfiorato la sua soffice guancia con un dito.

 

 

Teresa se ne stette in trepidante attesa, ed avendo notato un attimo di esitazione negli occhi del brigante, temette in una qualche e improbabile risposta brusca, una delle sue solite frasi sbrigative e burbere. Ma quando le sorrise e le sfiorò la guancia con una delle sue grosse e ruvide mani, ebbe la certezza che per lui contava ancora qualcosa.

‘’Tu conti tantissimo per me. Io non ho mai smesso neppure per un istante di amarti, questo devi saperlo’’, le sussurrò, continuando le sue dolci carezze.

Teresa abbassò lo sguardo, e per un attimo si lasciò trascinare dai sentimenti che stava provando. Non sapeva come rispondergli, come dirgli che anche lei lo amava più di ogni cosa, semplicemente per il fatto che temeva di non essere creduta.

‘’Pure io ti amo. Voglio che sia chiaro che, se vuoi, sono disposta a non lasciarti mai più. Sono disposta a giurarti amore eterno, perché senza di te non sono capace di vivere’’, disse infine la giovane, tornando ad incontrare gli occhi del brigante, sempre abbracciato a lei. Lui le stava sorridendo con affetto e sincerità, e tutta quella dolcezza la stava facendo impazzire. Era tornato tutto come ai primi tempi, all’attimo dell’inizio del loro primo e casto amore.

Avvicinò le sue labbra a quelle di Giovanni, che in quell’istante le parevano così perfette e invitanti.

‘’No’’, disse lui con risolutezza, allontanando il suo volto.

A quel punto l’incantesimo si ruppe, e Teresa si sciolse da quel caldo abbraccio che forse era durato più del previsto.

‘’Non è giusto’’, tornò a dire Giovanni. Il suo tono di voce era deluso e dispiaciuto, e questo tornò a fare presa sulla ragazza, che per un attimo si era lasciata vincere da quello schietto no.

‘’Allora cos’è giusto? Che io continui ancora a desiderarti per tutta la mia misera vita, sola e lontana da te, mentre un uomo schifoso mi rende sua? È questo ciò che ritieni giusto?’’.

La contessina pronunciò quelle parole con un pizzico di rabbia, e poi, con impeto e con risolutezza, si avvicinò all’unico uomo che lei avesse mai amato e lo baciò. Le sue labbra sfiorarono quelle del brigante senza che lui cercasse di allontanarle, e solo allora lei si accorse di quanto le erano mancate.

Giovanni la lasciò fare e poi, tornando a riabbracciarla, la baciò con una passione travolgente e primitiva, una passione che doveva essere stata repressa per tutti quegli interi e lunghi mesi durante i quali il destino li aveva separati. Per la contessina quello fu il più lungo e travolgente bacio della sua vita, non avendone mai ricevuti di così intensi fino a quel momento.

Le loro labbra sembravano ballare al suono di una musica lontana e ormai dimenticata, una musica antica e piena di amore ancestrale.

‘’Ti amo’’, gli sussurrò la contessina all’orecchio, distaccandosi momentaneamente dal brigante e lasciandosi definitivamente andare tra le sue braccia.

In quell’istante pareva che tutto potesse davvero accadere. In pochi attimi, entrambi si trovarono a terra, distesi sull’ampio e caldo mantello di Giovanni, mentre le loro labbra tornavano a sfiorarsi e ad incontrarsi, e come per magia sembrava che tutti quei pensieri che li avevano tenuti a freno fino a quel momento fossero spariti.

La contessina, ormai in preda ad una frenetica eccitazione, sembrava aver perso la ragione, e quando andò alla ricerca di un pizzico di razionalità non fu in grado di trovarla; ormai era completamente travolta da una marea di sensazioni e di sentimenti estremamente piacevoli. Quelle sensazioni dovevano essere provate e ricambiate anche dal brigante, visto che continuava a baciarla con passione crescente.

La situazione sfuggì rapidamente di mano ad entrambi, e Giovanni si distese, posizionandosi sopra di lei, senza mai smettere di baciarla.

Teresa si trovò a strofinare con le sue mani l’ampio e villoso petto del brigante, dopo avergli sbottonato buona parte del sottile camicione da contadino che gli avvolgeva il busto, e lui pareva totalmente incurante del freddo, tant’era preso da lei, dalla sua bocca e dai suoi occhi. In quel momento non c’era bisogno di altre parole, ma solo del contatto fisico dei loro due corpi.

Eppure, quando le mani del brigante le sfiorarono i seni, provò un brivido. Un brivido di panico, poiché l’ultimo e unico uomo che l’aveva fatto era stato suo marito Alfonso, l’uomo da cui era scappata e con cui aveva concepito un figlio, che aveva perso alla fine della lunga fuga dalla prigionia laziale.

La contessina distaccò le labbra da quelle del brigante e smise di ricambiarlo, tirandosi indietro e cercando di sottrarsi alla sua stretta, nel tentativo di rimettersi in piedi e ricomporsi.

Vide un barlume di stupore negli occhi di lui, che poi divenne un luccichio carico di incertezza. Giovanni la guardò con fare stupito, mentre lei si ritraeva e si rimetteva in piedi, sistemandosi i vestiti e allontanandosi, quasi come se fosse stata solo uno spettro.

La forza dei ricordi, brutale come una di quelle tempeste estive che mandavano in frantumi la dolce bonaccia d’agosto che tempo addietro avvolgeva la casa di Roma in cui era cresciuta, l’avevano terrorizzata talmente tanto che ora si ritrovava a guardare il paesaggio da sola, senza quasi riuscire a vederlo, dopo aver lasciato a terra l’uomo che amava.

‘’Teresa’’.

Giovanni la chiamò da dietro, e lei non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarlo. Sapeva che gli doveva delle scuse, poiché prima aveva fatto di tutto per sedurlo e poi l’aveva abbandonato sul più bello, proprio nell’istante in cui avrebbe dovuto dimostrare che l’amore di cui aveva tanto parlato era vero e sincero.

‘’Scusa. Scusami tanto’’.

Quelle furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, mentre il vento gelido dei monti iniziava a sfiorarla di nuovo e ad entrarle sotto i vestiti, facendola rabbrividire. Si sentiva una pazza, una disperata.

‘’Sono io a doverti delle scuse’’, disse il brigante, che nel frattempo l’aveva raggiunta, senza che lei neppure se ne accorgesse. Nonostante il fatto che la giovane l’avesse appena rifiutato, lui la abbracciò, e l’avvolse nel suo mantello, cercando di proteggerla dal freddo.

‘’Non dire sciocchezze…’’.

‘’E’ stata colpa mia, ho esagerato. Mi sono lasciato andare; i miei sensi e le mie voglie hanno prevalso su tutto e non avevo alcun diritto di comportarmi così con te’’, le disse, interrompendola.

Solo allora Teresa ebbe il coraggio di guardarlo in faccia; i suoi occhi esprimevano un lieve senso di colpa, e doveva sentirsi davvero dispiaciuto per quello che era accaduto.

‘’Zvàn, è colpa mia, solo e solamente mia. Le paure che avevo momentaneamente nascosto sono fuoriuscite di nuovo, mi è tornato in mente Alfonso e quello che mi faceva, e ciò che ho dovuto sopportare… quando mi hai sfiorato con la mano mi è sembrato quasi che…’’. Un forte singhiozzo la costrinse ad interrompere la frase, mentre Giovanni le mostrava un ampio sorriso.

‘’Basta così. Non ricordare, se fa male. So che è difficile, ma ora sei qui, e sei con me; niente e nessuno potrà più farti del male, tienilo presente. E se vorrai, per te io ci sarò sempre. Ma ti prego, ora non piangere’’, le sussurrò lui con dolcezza, stringendola ancora di più.

La ragazza ormai aveva capito quant’era tremendamente fragile, e quel gesto tornò a darle la sicurezza necessaria per farle dimenticare i brutti ricordi e per tranquillizzarsi un po’.

Solo allora si trovò a contatto con il suo busto ancora nudo, poiché il brigante non aveva avuto il tempo necessario per riabbottonarsi il camicione, e per un istante tornò ad appoggiare la mano al centro dell’ampio petto dell’amato.

Poté sentire il suo cuore battere all’impazzata, e capì che doveva essere molto agitato per quello che era successo poco prima. Le parve impossibile che proprio a pochi centimetri da lei, sotto quel sottile strato di pelle, si trovasse uno degli organi vitali di quell’uomo dall’apparenza così dura e coriacea, ma che in realtà era pur sempre un essere umano come gli altri.

Era lei che in quel momento lo vedeva superiore ai comuni mortali. E lo faceva perché lo amava con tutta sé stessa.

‘’Sono stata una stupida. Non permetterò più che le mie ansie frenino il nostro amore, te lo prometto’’, sussurrò Teresa, tornando in sé stessa e calmandosi. Poi, alzò il volto, e tornò a baciare il brigante, che la ricambiò prontamente.

‘’Non sei una stupida, non lo sei stata e non lo sarai mai. Tutti noi aspiriamo ad un futuro migliore, e nel caso ci portino via la libertà, beh, soffriamo. Ma ora, davvero, ti chiedo di vedere solo il lato positivo della vicenda; siamo tornati insieme, ci amiamo tantissimo e niente e nessuno potrà più separarci’’, rispose Giovanni poco dopo, smettendo di baciarla e iniziando a rivestirsi in tutta fretta.

Solo allora la contessina notò che stava tremando dal freddo, capendo quanto era stata egoista anche quella volta, pensando solo a scaldare sé stessa senza minimamente interessarsi del suo amato. Gli allungò il suo mantello, ma lui lo rifiutò, senza dire nulla e sorridendo. Pareva davvero felice, nonostante tutto.

‘’E se… se Alfonso dovesse tornare… a riprendermi?’’, tornò a sussurrare Teresa, folgorata da quel pensiero che aveva espresso in parole non appena le era passato per la mente e che l’aveva lasciata spiazzata, interrompendo l’ennesimo momento felice.

Era certa del fatto che suo marito fosse molto vendicativo e che avesse il potere necessario per avviare una sua ricerca, anche se non sapeva di preciso dove lei si fosse nascosta. Ma in ogni caso, solo in quel momento si rendeva conto di aver fatto la scelta più ovvia e sciocca, tornando nelle terre che le stavano tanto a cuore.

‘’Se dovesse tornare a riprenderti, se la dovrà vedere con me’’, le rispose placidamente il brigante, per nulla intimorito da quelle parole, affrontate col sorriso sulle labbra.

‘’Lui potrebbe…’’.

‘’Quell’uomo non può nulla su di te. Ora che so che non lo ami e che sono a conoscenza di tutto il male che ti ha fatto, dovrà passare sul mio cadavere per riaverti. E se anche riuscisse ad ammazzarmi, tornerò sotto forma di spettro, per tormentarlo e assassinarlo nel sonno. Tu non sei sua e non torni da lui, se non lo vuoi. Non sei un suo oggetto, e io ti proteggerò ad ogni costo’’, continuò a dire Giovanni, interrompendola nuovamente mentre esprimeva altri dubbi.

Teresa a quel punto abbassò lo sguardo, sperando davvero che quell’uomo disgustoso di suo marito non riuscisse mai più a rintracciarla, poiché continuava ad essere certa che lui avesse iniziato a pianificare una qualche vendetta. La ragazza non riuscì a pensare ad altro, poiché il brigante tornò ad abbracciarla, visto che era riuscito a rivestirsi completamente.

‘’Non devi preoccuparti più di nulla, te l’ho già detto. Devi solo dimenticare’’, tornò a dirle, mentre il suo alito caldo le sfiorava una guancia.

La contessina rimase lì ferma per un po’, in silenzio, mentre il suo sguardo si perdeva nel magnifico paesaggio che le offriva il loro luogo segreto, il luogo dove il loro amore era sbocciato ed era stato ricambiato.

Nonostante l’imminente arrivo della mite e tardiva primavera, molte vette erano ancora ricoperte da un sottile strato di neve, che in quell’ora del giorno riluceva magnificamente, entrando in contrasto con l’azzurro incontaminato del cielo.

‘’Torniamo alla cascina, che ne dici? È già da un bel po’ che ci siamo allontanati, e c’è caso che ci sia qualcuno in ansia per noi’’, disse il brigante dopo un po’, facendole capire che era ora di andarsene e di abbandonare quel luogo stupendo.

Teresa annuì, ben consapevole che Lina doveva essersi di certo allarmata, poiché era a conoscenza degli ultimi screzi tra lei e il suo amato, e forse poteva anche giungere a conclusioni fin troppo affrettate. Quindi, si affrettò a seguirlo e a raggiungere i cavalli, posizionandosi subito sulla sella. E da lì in poi, ripercorsero lo stesso tragitto di poco prima, ma restando in silenzio ed affiancati, in modo che i loro occhi e i loro sorrisi avessero potuto sfiorarsi continuamente.

A quel punto, il muro che si era creato tra loro era definitivamente crollato, e non c’era bisogno di tante altre parole per esprimere l’immensa felicità che regnava nei loro cuori. Teresa pensò che quello era il giorno in cui era tornata a respirare, il giorno in cui era tornata a vivere.

 

 

Non volendo più restare a vivere con Lina, più che altro per non disturbarla eccessivamente, Teresa era riuscita ad estorcere all’amica il permesso di tornare ad abitare in quella vecchia dimora dove aveva soggiornato subito dopo il suo rapimento.

La contessina aveva raccontato tutto all’amica, che effettivamente non era rimasta più di tanto sorpresa dalla piega che avevano preso gli eventi, e dopo averle detto che era molto felice per lei, aveva iniziato a farle una predica incredibile, cercando di spiegarle che non doveva più allontanarsi così, senza dirle niente, poiché in quella zona si aggiravano animali e persone pericolose, e che non doveva intrattenersi fuori così tanto senza avvertirla, altrimenti si sarebbe senz’altro preoccupata.

Così, il resto del pomeriggio era volato via, mentre la ragazza annuiva alle prediche di Lina, che ormai pareva comportarsi come una madre nei suoi confronti, mentre in realtà attendeva solo che si facesse sera, per recarsi di nuovo in quell’abitazione che non aveva visto da molti mesi.

E infatti, dopo aver cenato con l’amica, si era messa subito in marcia per raggiungere la sua nuova casa, di cui poteva usufruire liberamente visto il fatto che era disabitata ormai da tanto tempo.

Teresa aveva rifiutato di farsi accompagnare da Lina, poiché a casa sua era arrivato anche Mario e non voleva recare ulteriore disturbo, e dopo aver preso su le sue poche cose, aveva riconsegnato il letto all’amica e se n’era andata da sola, immersa nel rossore del sole calante, che stava lentamente e inesorabilmente tramontando.

La distanza era davvero poca da percorrere, eppure la ragazza si sentiva estremamente stanca e non vedeva l’ora di giungere in quell’abitazione, sapendo che anche solo rivederla avrebbe risvegliato in lei parecchie sensazioni contrastanti. Quella era la casa dove aveva riposato per la prima volta tra le braccia di un uomo ed era il luogo in cui erano iniziate tutte le sue avventure col brigante.

Quando finalmente la scorse, si mise a camminare più in fretta, tenendo ben stretta tra le mani la sua valigetta e cercando di non scivolare sul fango umido del sentiero, e tentando anche di rimanere concentrata sul suo obiettivo.

‘’Buh!’’.

Teresa si voltò di scatto, cercando la fonte di quel verso apparentemente umano, ma non fece in tempo a ruotare mezzo busto che una mano grande e forte le coprì gli occhi.

Sconcertata, la ragazza lanciò un gridolino, e solo in quel momento si rese conto che avrebbe fatto meglio ad ascoltare i consigli dell’amica e a farsi accompagnare.

‘’Indovina chi è’’, ridacchiò il suo assalitore, mentre la giovane riconosceva la voce dell’uomo.

‘’Scemo di un brigante! Mi hai fatto prendere un bello spavento! È così che tratti le dame, adesso? Le assali? Oppure applichi i giochetti che facevi da bambino?’’, disse subito Teresa, sciogliendosi.

Giovanni, che doveva averla attesa nascosto tra i cespugli rinsecchiti al margine del sentiero, le tolse la mano da sopra gli occhi e avvicinò il suo viso.

‘’Uhm, non saprei proprio…’’, disse lui, sorridendole e baciandola con passione. Teresa si soffermò un attimo a ricambiarlo, prima che lui si distaccasse.

‘’Dai, non vogliamo fare notte. Ti aiuto a raggiungere il casolare’’, le disse, cercando di prenderle la valigia da viaggio.

‘’Come facevi a sapere che mi sarei diretta qui?’’, chiese la contessina, per un attimo stupita, mentre si ritraeva per evitare che afferrasse le sue cose.

Quando il brigante si limitò a scrollare le spalle per risponderle, capì che l’amica l’aveva lasciata andare solo perché sapeva che avrebbe poi detto a Giovanni di seguirla e aiutarla lungo il percorso. Per un attimo, la ragazza provò un po’ di stizza, che fortunatamente svanì poco dopo, quando fu alleggerita dal peso della valigia, poiché finalmente decise di lasciarla al brigante.

‘’Lina è tremenda. Ne sa sempre una più del diavolo’’, mormorò Teresa, rievocando ancora i pensieri di poco prima.

‘’Non l’avevi ancora scoperto?’’, la canzonò di risposta il brigante, ridacchiando sotto i baffi. La contessina lo guardò.

‘’Non hai molto da ridere. Pensa a portare la valigia, su’’.

‘’Guarda che lo sto già facendo! E pesa anche poco. Eh, si vede che non sei come tutte le altre donne!’’, continuò a dire il brigante, sempre sorridente.

‘’Ah, sì? E perché non sarei come le altre?’’, disse la contessina, fermandosi sul posto, lievemente irritata dall’affermazione di poco prima.

‘’Ma perché tu sei speciale!’’, esclamò Giovanni, senza un attimo di esitazione, fermandosi anch’esso lungo il sentiero ed allungando un bacio alla sua amata.

‘’Dai, che manca poco. Ormai e buio e non voglio restare fuori, immersa in questa boscaglia selvatica’’, disse poi Teresa, cercando di evitare quelle smancerie, che di certo le facevano piacere, ma forse non era proprio il momento giusto da applicarle. In realtà temeva di fare brutti incontri, e nonostante il fatto che avesse un uomo forte e robusto al suo fianco, questo non la rassicurava di molto, poiché lui era tutto preso a fare lo sciocco e a guardarla, senza stare attento ai possibili pericoli.

‘’Oh, rilassati. Non c’è nulla, o quasi nulla, che ti possa nuocere! Stai tranquilla’’, disse infatti il brigante qualche istante dopo.

‘’E’ quel quasi che hai appena pronunciato che mi spaventa. Ma credo che, in fondo, tu abbia ragione. Però, ammetto che sono anche molto ansiosa di rientrare in quella casa!’’, esclamò la giovane, lievemente emozionata.

‘’Uhm, non credo che troverai tanti cambiamenti. Le stanze saranno più o meno come le hai lasciate tu, visto che non è più stata abitata dopo la tua permanenza’’, tornò a dire il brigante, scrollando le spalle.

Facendosi forza e cercando di non pensare alla stanchezza crescente, Teresa si concentrò totalmente sugli ultimi metri che la separavano dal suo obiettivo.

Quando si trovò di fronte al casolare, le parve di rivivere quei giorni spensierati e turbolenti di qualche mese prima, e senza attendere il suo accompagnatore, si gettò verso la porta, trovandola già con il catenaccio aperto.

Entrò di soppiatto, come se avesse paura che nel frattempo fosse stata occupata da qualcuno, ma si trovò di fronte alle stesse stanze di qualche mese prima, e tutto era esattamente nello stesso ordine con cui lei aveva l’aveva lasciato. In un attimo si trovò senza fiato, mentre si dirigeva verso la stanza da letto.

L’armadio, le cui ante erano ancora semiaperte, lasciava intravedere al suo interno quel paio d’abiti da contadina che aveva lasciato lì il giorno della sua partenza. Tutto era rimasto così come lo aveva lasciato lei.

Una fitta la travolse, poiché tornò a ripensare a quanto aveva sofferto dall’istante in cui aveva abbandonato quelle stanze, finendo tra le grinfie di un marito mostruoso e insopportabile.

Giovanni la raggiunse, e dopo aver appoggiato la piccola valigia sul tavolo e aver richiuso la porta dietro di sé, le cinse le spalle con le sue braccia. Lei gli sfiorò una mano.

‘’Riuscirò mai a dimenticare?’’, mormorò, mentre la sua voce ormai era ridotta ad un sussurro.

‘’Sei una ragazza forte, Teresa. Sono certo che prima o poi ce la farai’’, le rispose Giovanni, che poi l’abbracciò e la strinse a sé, intuendo ciò a cui stava pensando.

In quel momento, la contessina comprese che era solo grazie a quell’uomo se lei era ancora viva, perché viveva solo per lui. Ormai, il brigante era la parte più importante di lei.

‘’Tienimi stretta, perché senza te non posso più vivere. Sei tu la mia vita, ora. La mia nuova vita’’, aggiunse la ragazza, cercando di non lasciare incompleto nessun discorso. Poi, alzò lo sguardo e guardò quell’uomo forte, e si lasciò andare.

‘’Sono sfinita, Zvàn. Non ce la faccio davvero più! Oggi è stata una giornata davvero pesante per me, visto che non ero più abituata a tanti sforzi. Ti dispiacerebbe sistemare i miei pochi averi, mentre io mi distendo un attimo sul letto?’’, disse nuovamente la ragazza, mentre i suoi occhi volavano verso il comodo giaciglio sul quale aveva passato notti stupende.

‘’Certo che no. Lo farò volentieri’’, rispose prontamente il brigante, sciogliendo l’abbraccio e dandosi subito da fare.

Mentre si dirigeva verso il letto, la contessina pensò che il suo grande amore era davvero un gentiluomo.

‘’Grazie per tutto quello che stai facendo per me, amore mio’’, disse poi, distendendosi sul soffice giaciglio, mentre lui la guardava e sorrideva con fare compiaciuto. Era davvero felice per lei, e pareva contento del modo con cui l’aveva chiamato.

Teresa sorrise con dolcezza, e mentre affondava il volto nel cuscino e chiudeva gli occhi per un istante, si lasciò andare alla stanchezza e si addormentò profondamente, dimenticandosi di tutto e di tutti.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

I nostri due protagonisti sono riusciti finalmente a capirsi, e tutto sembra andare per il meglio. Chissà se per loro due ci sarà la tanto attesa tranquillità.

Continuo a ringraziare tutti i recensori e tutti i lettori che seguono il racconto J

Grazie di cuore a tutti, e buon inizio settimana J a lunedì prossimo J

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Capitolo 49
*** Capitolo 48 ***


Capitolo 48

CAPITOLO 48

 

 

 

 

Quando Teresa riaprì gli occhi, un crescente senso di colpa la mise subito in guardia.

Si rimproverò per essersi lasciata andare al sonno in un momento tanto delicato, lasciando Giovanni tutto solo alle prese con i suoi pochi bagagli. Eppure doveva aver riposato un bel po’, poiché in quel momento doveva essere notte fonda visto che attorno a lei regnava il silenzio più assoluto, mentre il buio della casa nascondeva ogni cosa.

Le morbide coperte che la proteggevano dall’aria gelida della casa abbandonata erano calde e ospitali. Poco dopo, con grande sorpresa la contessina scoprì che in quella stanza non faceva poi così tanto freddo, quindi il brigante doveva aver acceso anche la stufa e il camino nelle ore precedenti.

In quel momento si trovava al margine del letto, e quando cercò di portarsi più al centro, spostandosi leggermente e a tentoni, sfiorò un braccio nudo. Incredula, la giovane si affrettò ad accendere la candela che tempo prima aveva lasciato sullo sbilenco comodino, sempre a portata di mano, e scoprì subito che il suo amato era disteso al suo fianco.

Stupita ed incuriosita, si lasciò sfuggire un lento sorriso, mentre si avvicinava a lui. Giovanni dormiva profondamente, il suo volto era rilassato ed era estremamente bello, e Teresa capì che quell’uomo era affascinante in ogni momento della giornata e della nottata. In ogni caso, lei lo trovava bello in ogni momento della sua vita.

Gli sfiorò il volto con la punta delle dita e con estrema delicatezza, sempre stando attentissima a non fare troppa pressione e a non svegliarlo. Eppure, quando le sue mani scivolarono tra i fitti peli della barba, il brigante si riscosse con estrema rapidità.

Anzi, quando spalancò gli occhi e le rivolse un caldo sorriso, ebbe come la sensazione che lui avesse solo finto di dormire, cercando di scoprire con gusto come si sarebbe comportata.

‘’Credevo dormissi’’, bisbigliò infine la contessina, senza esprimere direttamente nessuno dei suoi pensieri.

‘’Certo, ho dormito fintanto che l’hai fatto anche tu’’, disse lui, la voce per nulla impastata e sempre forte e sicura.

‘’Non mi sembrava. Anzi, per me sei sempre stato sveglio! Dimmi la verità’’, suppose a quel punto Teresa, lanciandogli uno sguardo indagatore.

‘’Quella che ti ho detto è la pura verità. Ma quando ti sei svegliata e ti sei messa ad agitarti nel letto, non ho potuto fare a meno di smettere di dormire pure io e di svegliarmi’’, rispose lui, sorridendole nuovamente.

La ragazza si sentì nuovamente in colpa per aver fatto delle false supposizioni senza tener conto di tutto quello che il brigante aveva fatto per lei e per lasciarla riposare, e capì che anche in quel momento gli doveva delle scuse.

‘’Scusami, davvero. Tu sei stato in piedi a sistemare la casa e i bagagli mentre io dormivo profondamente. E poi ti ho anche svegliato! Sono un’ingrata’’, disse Teresa, scusandosi con un pizzico di sarcasmo.

‘’Tranquilla, ho fatto solo il mio dovere. Sono io a doverti delle scuse, perché ne ho approfittato per infilarmi nel tuo letto senza chiedertelo, ma sai, era già tardissimo e non potevo…’’.

‘’Basta così. Tu sei graditissimo nel mio letto, e anzi, d’ora in poi se vorrai condividere questa casa con me, ne sarei davvero felicissima. Grazie di tutto, amore mio’’, disse la contessina, interrompendo il discorso del brigante e baciandolo a sorpresa sulle labbra. Il bacio fu rapido e veloce, ma molto ben accetto.

‘’Sei stato davvero gentilissimo a prenderti cura della casa. Ora tutti gli ambienti sono caldi e accoglienti, e…’’.

‘’E i tuoi bagagli sono tutti a posto, mi sono preso la briga di disfare la valigia e di sistemare tutto nell’armadio’’, concluse Giovanni, interrompendola con tranquillità.

Teresa sorrise, e di fronte alla bontà d’animo e alla disponibilità di quell’uomo, il suo cuore parve sciogliersi. Nessuno era mai stato così premuroso con lei, forse solo i suoi genitori.

‘’Ti sei meritato un altro bel bacio, allora’’, ridacchiò la contessina, avvicinandosi di nuovo al suo amato e baciandolo.

Quel bacio fu molto più lungo del precedente, mentre le loro mani si intrecciavano, per poi sciogliersi e correre lungo i loro corpi seminudi, ma nascosti sotto le coperte. Quella volta, dentro Teresa si mosse un istinto primordiale, un istinto che non si era mai rivelato così forte dentro di lei, perché in quel momento desiderava solo di avere quell’uomo nella sua più completa totalità.

Nessuna muraglia immaginaria e nessuna ansia la pervasero quando spinse Giovanni a fare l’ennesimo ed ultimo passo avanti, un passo inevitabile che li avrebbe legati per sempre. Non ci fu bisogno di parole o altro, quello che accadde fu solo la realizzazione di un loro desiderio, la realizzazione più pratica del loro amore.

Infatti, per la prima volta in vita sua la contessina scoprì davvero cosa significasse fare l’amore, cosa che in realtà non era così tremenda come aveva sempre pensato. I loro due corpi divennero un tutt’uno in un batter d’occhio, e in un altro batter d’occhio la ragazza si trovò col volto di Giovanni a pochi centimetri dal suo, mentre il suo cuore batteva all’impazzata.

Lui la osservava, mentre i suoi lineamenti riprendevano i tratti normali, abbandonando quell’espressione estremamente tirata di poco prima, quando insieme erano giunti al culmine del piacere.

Un piacere talmente tanto intenso e travolgente che spinse Teresa a pensare che la sua vita precedente si fosse conclusa pochi istanti prima, quando la sua mente le aveva donato alcuni attimi di godimento estremo e il suo corpo finalmente si era deciso ad accettare un nuovo rapporto, dandole l’idea che fosse finalmente guarito dalla tremenda emorragia di alcune settimane prima, e da quel triste aborto.

Ora la contessina sapeva che avrebbe dovuto voltare pagina; il suo primo bambino che aveva concepito purtroppo era morto, ma ne avrebbe potuti concepire tanti altri con Giovanni, il suo vero e unico amore, se la natura avesse voluto.

In quell’istante anche Alfonso scompariva all’orizzonte, inghiottito dall’oblio. E Teresa capì di non essere mai stata tanto felice in vita sua. Baciò Giovanni con convinzione, mentre la tenue luce dell’alba iniziava ad illuminare l’interno di quella stanza, dove l’amore la stava facendo da padrone.

 

 

Ravenna, qualche ora dopo…

 

 

Alfonso spense il sigaro che stava fumando, non appena vide che anche l’integerrimo comandante Neuer era arrivato.

In sua presenza, tutto doveva essere estremamente in ordine, ed inoltre non sopportava l’odore del fumo e del tabacco, suscitando l’ilarità di buona parte dei soldati pontifici, ma non di certo del manipolo di austriaci di cui era al comando.

‘’Buongiorno’’, disse subito Neuer, notando che il conte lo stava attendendo.

Il giovane comandante parlava discretamente la lingua italica, anche se la pronuncia risultava sempre dura e sgradevole da ascoltare. In quel momento si trovavano alla corte dell’Arcivescovo, in un’ala del palazzo che era stata riservata solo per l’austriaco, e di cui poteva usufruirne liberamente, anche se in realtà Neuer si era limitato ad occupare una sola stanza, che aveva risistemato personalmente e secondo il suo rigido punto di vista. Le altre stanze le aveva affidate ai suoi rigorosissimi gendarmi.

Alfonso si sedette su una sedia, gettando il resto del sigaro fuori dalla finestra aperta, che aveva spalancato per cercare di trattenere meno fumo all’interno della stanza.

‘’Buongiorno, comandante. Ci sono novità?’’, chiese il conte, mentre Neuer storceva il naso e faceva una smorfia. Doveva aver sentito il puzzo del fumo.

‘’Sì, ce ne sono’’, disse poi, di poche parole come sempre.

Da quando era stato frettolosamente nominato comandante di un cospicuo manipolo di guardie sue connazionali, Neuer era diventato ancora più sicuro di sé e ancora più rigido. Alfonso riconobbe che suo zio doveva avere notato quell’attitudine al lavoro e alla giustizia che caratterizzava quel giovane, che non doveva avere più di venticinque anni.

‘’Bene. Allora, se c’è qualcosa che mi riguarda, me lo potreste cortesemente dire?’’, chiese il conte, con un tono di voce già lievemente irritato. Se si era giunti a quel punto era solo perché lui l’aveva richiesto, d’altronde quelle guardie scelte e ben preparate erano state mandate al nord quasi esclusivamente per aiutarlo a ritrovare sua moglie, anche se ciò era un segreto tra il conte e l’austriaco.

La motivazione ufficiale dell’arrivo di quel contingente in realtà era un’altra; eliminare ogni gruppo di briganti in azione sul territorio e cercare di far capire al popolo che quelle terre non erano state abbandonate. Il tutto doveva svolgersi con estrema delicatezza e responsabilità, in modo da non fomentare possibili rivolte, anche attraverso l’uso di un massiccio numero di spie prezzolate.

D’altronde, gli austriaci erano bravissimi con le armi e ben addestrati, ma restavano pur sempre degli stranieri, e nelle Legazioni Pontificie gli stranieri erano visti come nemici, e non potevano di certo cercare informazioni tra i popolani, poiché venivano guardati fin da subito con sospetto e malcelato odio.

‘’Sappiamo dove vive il padre di vostra moglie. Un informatore ha parlato e ci ha fornito l’indirizzo, anche se ha assicurato che la figlia non vive con lui’’, disse Neuer, guardandolo con quei suoi occhi di ghiaccio e iniziando a passeggiare con fare nervoso davanti alla finestra. Alfonso deglutì, evitando di dire sciocchezze o di fare scenate, mentre una certa amarezza stava prendendo possesso della sua mente.

Il comandante gli allungò comunque un foglietto su cui era scritta qualche informazione stentata, che il giovane conte appallottolò e gettò nel fuoco che ardeva nel piccolo caminetto a lato della porta, avendo però prima letto e memorizzato l’indirizzo.

‘’Voi siete la persona più strana che io abbia mai incontrato. Insomma, prima cercate delle risposte, e quando riesco a fornirvele le bruciate’’, disse Neuer, fulminandolo con un solo sguardo, per poi riprendere a passeggiare, scrollando la testa con evidente disapprovazione.

‘’Il vecchio non mi interessa più’’, mormorò Alfonso, anche se la sua voce giunse senza problemi alle orecchie dello straniero, che comunque si limitò a guardare fuori dalla finestra con grande menefreghismo. Era sempre così, quel giovane; rigido e apparentemente insensibile.

E d’altronde del vecchio conte Luigi non gliene importava davvero più niente, visto che sua figlia non l’aveva seguito e non avrebbe mai avuto il permesso di interrogarlo per scoprire se sapeva qualcosa su di lei. Quindi, meglio concentrarsi direttamente sulla ricerca di Teresa. Sul vecchio magari si sarebbe concentrato più avanti, in modo da poterlo punire a dovere, ma quella sarebbe stata una faccenda molto più privata.

‘’E allora cos’è che vi importa? Se non vi interessa più nulla di ciò che posso offrirvi, potreste anche tornarvene nel vostro bel palazzo’’, aggiunse l’austriaco dopo qualche istante.

Il giovane conte sobbalzò, incredulo di fronte a ciò che gli aveva appena detto quell’odioso soldato. Sapeva bene che gli stava antipatico, e l’odio che provava nei suoi confronti era spesso malcelato dietro ad un velo di cortesia, ma mai fino a quel momento era giunto ad invitarlo apertamente ad andarsene.

Per il comandante avere lui tra i piedi era un rallentamento, poiché non aveva alcun addestramento militare ed era un puro e semplice civile che però cercava di ficcanasare dappertutto e di comandare quando ne capitava l’occasione.

Alfonso quindi riusciva a comprendere l’odio di Neuer, ma non poteva assolutamente permettersi di perdere altro terreno e di lasciare che quel giovane comandante potesse prendere in mano le redini della vicenda.

‘’Mi è sembrato di udire un lieve affronto nelle vostre parole, ma lo dimenticherò senza problemi. Sapete, se sono qui è perché il mio amato zio, nonché l’uomo più importante di Roma, se non anche del mondo intero, mi ha concesso di seguirvi e di farmi aiutare da voi nelle mie ricerche. E visto che è anche grazie alle mie richieste che voi siete avanzato di grado in modo così rapido, vi prego davvero di rivolgervi a me in modo più consono. Sapete, non vorrei dover scrivere qualche lamentela da spedire ai piani alti…’’, disse il giovane conte, non senza un po’ di nervosismo.

Solo quando vide che Neuer aveva lievemente spalancato gli occhi e si era limitato ad annuire lievemente aveva provato un certo senso di piacere, poiché aveva capito che con il suo ricatto era riuscito a piegarlo.

Sapeva di avere quasi in pugno quell’uomo, ma sapeva anche che i suoi ricatti erano illusori. Mai e poi mai suo zio e le cariche più alte del suo Stato si sarebbero abbassati ad ascoltare le sue lamentele da giovincello, soprattutto in quel momento, ma la carica fresca e recente del comandante restava molto delicata, e Neuer non era ancora riuscito a prendersi tutta quella piccola autorità che gli era stata momentaneamente affidata. Il giovane austriaco era scaltro e sapeva che stava camminando sull’orlo di un baratro invisibile, e che al minimo passo sbagliato ogni errore commesso gli sarebbe costato molto caro.

‘’Ho capito. E so che dobbiamo collaborare’’, mormorò l’austriaco, ormai vinto e piegato.

Alfonso si concesse un sorriso, e mentre osservava il nemico momentaneamente sconfitto, iniziò già a meditare la prossima mossa da fare. Neuer era una persona ligia al dovere, ed era pronto a tutto pur di portare a termine ogni missione che gli veniva affidata, ed era il genere d’uomo giusto da far cadere nella polvere. E Alfonso avrebbe fatto di tutto pur di metterlo nei guai, poteva starne certo.

In ogni caso, col passare del tempo il comandante avrebbe di certo cercato di rafforzare la sua posizione, e questo il giovane conte doveva proprio impedirlo.

‘’Ora sì che si ragiona’’, rispose poi, guardando il collaboratore in faccia, con fare sfrontato. Neuer roteò gli occhi e si sedette.

‘’Bene. Allora, come dite di procedere? Chi preferite cercare?’’, chiese il l’austriaco, ormai vinto.

Alfonso non smise di sorridere, poiché quelle domande che gli erano state poste erano pur sempre il sinonimo del fatto che era riuscito a piegare quella mente di acciaio al suo volere, e che Neuer, involontariamente, gli stava dando sempre più potere, poiché in realtà lui avrebbe solo dovuto starsene in silenzio e in un angolo, lasciando fare ai gendarmi e limitandosi ad attendere buone notizie.

Ed invece, si trovava improvvisamente al centro dell’azione, e nel bel mezzo di una situazione alquanto ambigua. E a lui piacevano tantissimo le situazioni ambigue, poiché trovava sempre il modo per sguazzarci dentro e per guadagnarci qualcosa.

‘’Per prima cosa, dovete mandare spie ovunque. Bisogna rintracciare qualche bifolco in grado di dirci dove si trovano i nascondigli dei briganti, soprattutto quelli montani’’, disse il conte, con fare fiero e spocchioso, da vero sapiente.

‘’Non sono uno stupido. Già prima di partire verso Ravenna ho scritto alla scarna Gendarmeria già presente in città, facendo iniziare l’operazione, ed ora, grazie ai nuovi supporti che ho portato dalla capitale, il lavoro continua incessantemente. Stiamo cercando informazioni sulla banda di un certo Zvàn, un brigante che pare stia creando numerosi danni…’’.

‘’E’ su di lui che dovete concentrare le ricerche. Su di lui e suoi uomini, perché sono quelli lì che hanno rapito mia moglie. Loro la trattengono da qualche…’’.

‘’Come fate ad esserne così certo, scusate? Nessuno vi ha chiesto esplicitamente dei riscatti, mi pare di aver capito’’.

La frase di Neuer interruppe quei momenti concitati. Alfonso, in pieno imbarazzo, abbassò gli occhi, sapendo che non poteva tradirsi in alcun modo, e si mise a cercare una scusa plausibile. D’altronde, non poteva ammettere che Teresa se n’era andata, che l’aveva abbandonato per inseguire un qualche pezzente e qualche sogno da bambina.

‘’Perché è stata rapita mentre attraversava gli Appennini, tutto qui. Non mi sembra che al momento ci siano altre bande in azione in quella zona, o sbaglio?’’, chiese il conte, cercando di deviare momentaneamente il discorso e di non dire nulla riguardo ai suoi più intimi pensieri.

‘’No, effettivamente parrebbe di no. Ma le informazioni che ci sono giunte sono molto scarse e non è detto che si rivelino false. Potremmo trovarci immersi in un alveare pieno di vespe’’, concluse l’austriaco, perdendo lo sguardo tra qualche scartoffia che teneva appoggiato sulla piccola scrivania che aveva di fronte.

‘’Ma… questo famigerato Zvàn, non era morto tempo addietro? Ora la sua banda sarà guidata da altri, oppure si sarà divisa…’’, tornò a dire il giovane conte, perplesso.

Era pur sempre certo che Teresa avesse provato qualcosa per quell’uomo, poiché quando parecchi mesi prima aveva informato il suocero della sua morte, la ragazza era svenuta in malo modo.

‘’No, anzi. Era una notizia falsa, come spesso accade. Non era lui ad essere morto durante un confronto armato con la Gendarmeria, bensì un suo brigante che gli si assomigliava parecchio. Ed infatti, questo Zvàn ultimamente sta depredando e rubando senza limiti, e la sua banda pare sempre più forte ed unita’’, si limitò a dire Neuer, tornando poi a perdersi nuovamente tra le scartoffie.

Fortunatamente non vide il lampo d’ira che attraversò gli occhi del giovane conte, che in quel momento fu certo che sua moglie si stesse nascondendo proprio presso quel brigante. Sapendo che forse qualche pezzente doveva già averla resa sua, gli venne quasi da rimettere, ma cercò di tenere a freno sia la lingua che il suo modo di comportarsi. D’altronde, le sue per ora erano pure e semplici supposizioni.

‘’Ho capito. Credo che comunque lei sia stata rapita da quei brutti ceffi; e se finora non hanno chiesto riscatti, sarà solo perché nessuno di loro sa scrivere. Magari non sanno neppure parlare una lingua comprensibile’’, disse Alfonso, cercando di riprendere padronanza di sé ed inventando scuse plausibili.

‘’Possibile’’, concluse l’austriaco, scrollando le spalle.

‘’Bene, allora visto che non ci sono novità, me ne andrei…’’, continuò il conte, alzandosi dalla sedia e preparandosi a congedarsi. Sapeva che lì non era molto ben voluto, e non voleva restare in compagnia di quello straniero per più del tempo necessario.

‘’Sì, certo. E non preoccupatevi, quando avrò a disposizione informazioni più importanti, vi manderò a chiamare’’, disse il comandante, alzandosi anche lui dalla sua sedia ed avviandosi verso la porta.

Alfonso sogghignò, notando che Neuer stava continuando a cercare di fare tutto il possibile per allontanarlo da lui, anche se mascherava ogni parola di troppo con modi pacati e cortesi.

‘’Per me non è un problema venire qui di persona ogni giorno’’, concluse il conte, scrollando nuovamente le spalle, senza smettere di sogghignare.

Molto probabilmente, Neuer non aveva neanche la minima idea di dove trovarlo, visto che non aveva voluto neppure il suo indirizzo, e di certo stava giocando d’astuzia. Un’astuzia davvero superficiale e stupida, però.

Infatti, il comandante cercò di replicare qualcosa, ma fu bruscamente interrotto dal brutale ingresso di un gendarme, che fece praticamente irruzione nella stanza.

Neuer gli piantò addosso i suoi rigidi occhi di ghiaccio.

‘’Spero che tu abbia un buon motivo per piombare così nel mio studio’’, disse l’austriaco, davvero irritato. I suoi occhi parvero dilatarsi, mentre Alfonso osservava la scena con grande attenzione.

‘’Certo, signore! Abbiamo trovato chi fa al caso nostro, a quanto pare. Un nostro informatore ci ha messo in contatto con il soggetto in questione e ce lo ha praticamente recapitato’’, disse il gendarme, lievemente arrossato in volto. Il comandante cambiò repentinamente atteggiamento.

‘’Oh, bene! Questa sì che è una buona notizia! Ma costui… dov’è?’’, chiese infatti poco dopo, mentre tornava a sedersi sulla sedia di poco prima. Senza dire o chiedere niente, anche Alfonso tornò alla sua postazione.

‘’E’ qui, se volete lo faccio entrare…’’, rispose prontamente il gendarme, lanciando un’occhiata ad Alfonso, che cercò di rimanere impassibile.

‘’Sì, fallo entrare subito. E questo è il conte Cappellari ed è coinvolto nelle nostre ricerche, può restare ad ascoltare’’, disse Neuer, scuotendo una mano e invitando il gendarme a fare ciò che gli era stato richiesto. Infatti, l’uomo si affrettò subito ad uscire dalla stanza e a far entrare colui che li avrebbe potuti aiutare.

Alfonso si sistemò più comodamente sulla sedia quando vide entrare nella stanza un ragazzo dai capelli rossi e il viso pieno di lentiggini, che camminava con fare intimidito e a testa bassa. Il giovane doveva avere almeno diciotto anni, a quanto pareva, forse qualcosa in meno, e si limitò a restare in piedi e in silenzio mentre si sfiorava una rudimentale fasciatura ad un braccio.

‘’Salve’’, si limitò a dire il giovane rosso, la voce resa roca dal freddo a cui doveva essere stato esposto nei giorni passati. Al conte non sfuggirono le sue mani bluastre, colpite dai geloni.

‘’Salve. Tu saresti il tizio in grado di fornirci informazioni sui briganti che stanno creando problemi a questa terra?’’, chiese subito Neuer, senza alcun convenevole e con un po’ d’ironia. Effettivamente, lo straccione aveva un’apparenza davvero misera e ridicola.

‘’Prima di tutto, mi chiamo Fabio e non tizio. Poi, no, non sono in grado di darvi solo informazioni sui gruppi dei briganti’’, disse il giovane con fare arrogante, biascicando parole confuse. Alfonso quasi si mise a ridere di fronte a quel quadretto formato da un cupo austriaco dall’accento duro ed aspro e da quel tipetto arrogante. E decisamente stupido.

Il conte non esitò un attimo a guardare Neuer in faccia, poco prima che rispondesse. Voleva godersi tutta quella pagliacciata.

‘’E allora che ci sei venuto a fare fin qui? Se non sai nulla…’’. Il capitano fu bruscamente interrotto da Fabio, che alzò una mano con fare risoluto.

‘’Io non posso solo darvi informazioni su di loro. Posso portarvi fin dentro ai loro covi!’’, disse il giovane rosso, mentre Neuer restava momentaneamente ammutolito.

‘’Beh, bene direi. Allora dicci tutto quello che sai e alla svelta, così potremo verificare se ciò che riferisci può essere vero e plausibile’’, disse il comandante dopo un attimo di riflessione. Fabio sogghignò.

‘’Mi hanno detto che se avrei parlato, avrei ricevuto una ricompensa. Una bella somma di denaro’’.

‘’Avrai tutto ciò che richiedi, ma a suo tempo e solo quando avrai parlato e riferito tutto quello che sai, scortandoci poi fino ai loro covi’’, disse Neuer, mentre il giovane sorrideva, compiaciuto. Anche Alfonso continuava a sorridere e ad ascoltare, seduto in disparte. Per nulla al mondo si sarebbe perso quel dibattito che si stava rivelando sempre più interessante.

‘’Parlaci un po’…’’.

‘’Vi dirò subito tutto, ho bisogno di quei soldi che mi darete come ricompensa. Posso portarvi nei covi delle bande di Zvàn e Aldo, il bandito delle paludi. So dirvi quanti uomini hanno, dove si recano di solito, un po’ di tutto…’’, continuò a dire il giovane, come un fiume in piena pronto a straripare. Neppure il comandante ebbe modo di interrompere la lunga sequenza di informazioni che il rosso pronunciò in tutta fretta, e si limitò ad annotare qualche particolare e ad annuire grevemente di tanto in tanto.

Nel frattempo, il giovane conte continuava a sorridere, rendendosi conto che quel ragazzo avrebbe potuto rendersi molto utile e che al sua stupidità era davvero incredibile. Il giovincello di campagna neppure immaginava che la ricompensa non consisteva in denaro, bensì nel beccarsi per primo una pallottola in testa, ancora prima che la ricevessero tutte quelle persone che stava tradendo proprio in quel momento.

Ma questo Alfonso ovviamente non lo disse, e rimase in rigoroso silenzio ad ascoltare.

‘’Come fai a sapere tutte queste cose?’’, chiese Neuer, non appena il giovane parve fermarsi, senza fiato.

‘’Ovvio, no? Fino a poco tempo fa ho partecipato ad alcune sortite con la banda di Zvàn, il montanaro. Poi, ha cercato di ammazzarmi… una brutta storia, insomma. Negli ultimi due mesi ho cercato disperatamente di entrare nel gruppo di Aldo, senza riuscirci e beccandomi qualche pallottola… ma ora non mi importa più nulla di briganti e banditi, sapete? Mi sono pentito di tutto ciò che ho commesso, e grazie al denaro che mi darete potrò rifarmi una nuova vita’’, disse Fabio, raggiante. Neuer scambiò un’occhiata triste con il conte, poiché entrambi sapevano che non avrebbero mai al mondo elargito qualcosa a quell’avanzo della società, ma che dovevano stare al gioco per concludere al più presto la loro missione.

‘’Va bene. Ma se posso permettermi’’, iniziò a chiedere Alfonso, che per la prima volta aprì la bocca, cercando con gli occhi il consenso del comandante, che prontamente gli fu concesso con un semplice cenno del capo, ‘’vorrei chiederti se in una di queste due bande che conosci hai avuto mai modo di vedere una ragazza, una giovane nobile rapita…’’.

‘’Ma certo! Da Zvàn, che lo scorso autunno rapì una contessina, si chiamava Teresa. Non è che rapisse gente ogni giorno eh, ma solo quella volta. Ci fu una bella tresca, e tra i due nacque un amore da favola; io per primo derisi il capo. Ma poi la riportarono indietro, da suo padre’’, si affrettò subito a dire il giovane rosso, pieno di voglia di parlare e con grande foga, quasi travolgendo Alfonso, che decise di non far caso a tutta quella cafonaggine contadina, capendo che quella ragazza alla quale si era riferito era proprio quella Teresa, la sua Teresa.

Il sorriso non fu più in grado di rispuntare sulle sue labbra, e si sentì adombrare.

‘’Teresa. Non è il nome della vostra amata moglie?’’. La domanda dell’austriaco fece diventare bordò il giovane conte, che annuì e abbassò lo sguardo.

‘’Mia moglie era già stata rapita una volta da questo Zvàn, poco prima di sposarmi’’, mormorò Alfonso, imbarazzatissimo.

‘’Ho capito. Fabio, per ora resterai qui, ospite presso i nostri amatissimi fratelli chierici, che si prenderanno cura di te e non ti faranno mancare dei buoni pasti. Presto torneremo a parlare, in modo da poter razionalizzare tutto per bene e poter creare un buon piano d’azione’’, disse Neuer, notando la rabbia che stava rendendo paonazzo il conte, che anche se cercava disperatamente di tranquillarsi non ci riuscì affatto.

Sua moglie, Teresa Scalindi, una ragazza nata in seno ad una nobilissima famiglia, si era da sempre comportata come una sgualdrina con qualunque uomo avesse incontrato lungo la sua breve vita, ed aveva donato a tutti le sue attenzioni, a tutti tranne che a lui, suo legittimo marito. E la cosa più brutta era che sempre più persone stavano venendo a conoscenza di tutta quella lunga vicenda.

Era certo che Teresa avesse cercato di conoscere carnalmente quel brigante e che quel Zvàn avesse lasciato un segno indelebile dentro di lei, altrimenti non si sarebbe sempre comportata così male con lui, che in fondo era il suo legittimo marito. Infatti, per tutta la durata della loro convivenza la ragazza si era limitata a frignare giorno e notte, per poi fuggire alla prima occasione, molto probabilmente per cercare di tornare da quell’uomo che amava.

Sperò solo che una volta che la banda di quel viscido brigante montagnolo fosse stata scoperta e distrutta, di non trovarla lì, tra quei brutti ceffi, oppure tra le braccia di un qualche uomo pidocchioso. Perché se l’avesse scoperta a commettere un atto del genere, l’avrebbe di certo ammazzata sul posto. Oppure, l’avrebbe frustata prima di ammazzarla, giusto per farle comprendere che prendersi gioco di lui non era stata una buona idea.

Intanto, Fabio uscì dalla stanza, apparentemente soddisfatto e senza neppure comprendere che sarebbe stato costantemente sorvegliato di lì a poco, in modo che non potesse più tirarsi indietro dall’impegno preso.

A quel punto, Neuer si avvicinò cautamente al conte, mettendogli una mano sulla spalla.

‘’La ritroveremo. Vedrete, vostra moglie sarà senz’altro in compagnia di quel brigante’’, disse l’austriaco, lanciando l’ennesima e velata frecciatina.

Alfonso si rialzò, scrollandosi di dosso quella mano odiosa e guardando con odio quello straniero, quasi pentendosi di aver richiesto allo zio l’intervento di quell’abile soggetto.

‘’Mia moglie non è in compagnia di un brigante, è stata rapita. Rapita, intesi?’’, concluse il conte, uscendo dalla stanza e sbattendo la porta dietro di sé. Alla fine, la rabbia aveva vinto sulla sua razionalità.

Ora, anche Neuer sapeva della tresca tra sua moglie e il capo di quei loschi briganti, e visto che l’austriaco sospettava una fuga volontaria già da prima, continuava ad afferrare al volo ogni occasione per ferirlo.

Per il momento, erano in parità; il comandante voleva allontanarlo e sapeva la verità sulla vicenda, ma lui stesso lo teneva strettamente in pugno con dei piccoli ricatti. E ben presto avrebbe anche trovato un modo per ingannare quel borioso straniero.

Il giovane conte scese in strada e scelse di raggiungere la sua abitazione a piedi, visto che la sua residenza era poco distante da lì. Si trattava della stessa abitazione dove era stato consumato il suo banchetto di nozze; era un bel palazzo che gli ricordava costantemente Teresa.

Ancora pieno di rabbia, Alfonso tornò a sperare che sua moglie fosse fuggita all’infuori dello Stato della Chiesa, e che non si fosse recata da quei briganti pidocchiosi per tradirlo, perché se così fosse stato, lui le avrebbe tolto la vita. Nessuno poteva permettersi di infangare in un modo così orrendo il buon nome della sua famiglia e il suo onore.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Teresa e Giovanni finalmente sembrano una coppia affiatata, ma… Alfonso è già arrivato a Ravenna ed è molto arrabbiato. Come avrete notato, abbiamo rincontrato anche il giovane Fabio.

Grazie a tutti per continuare a seguirmi J

Buona giornata a tutti voi, e ancora grazie di cuore J a lunedì prossimo J

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*** Capitolo 49 ***


Capitolo 49

CAPITOLO 49

 

 

 

 

I giorni passavano in fretta, mentre Teresa si sentiva sempre meglio.

Ormai si era rimessa completamente, e il suo corpo era tornato in forze, ed inoltre stava anche riacquistando peso. La sua pelle aveva ripreso colore, mentre la febbre e il dolore fisico si erano ridotti ad essere solo ricordi sbiaditi. L’unica cosa che la disperava era il fatto che non era tornato il suo solito ciclo mensile, nonostante l’avesse atteso per parecchie settimane, e quello doveva essere il sinonimo del fatto che, molto probabilmente, dopo il brutto incidente accadutole dopo la fuga da suo marito non sarebbe mai più riuscita a concepire figli.

Per fortuna, ad allietare le sue nottate e la maggior parte delle sue giornate c’era Giovanni, il brigante di cui era ancora perdutamente innamorata e a cui si concedeva ogni notte.

Forse, il non ritorno del suo ciclo naturale era dovuto al fatto che poteva essere nuovamente incinta, per quel che ne sapeva, e il seme del suo amato brigante poteva già aver attecchito da qualche settimana dentro di lei, anche se questo era presto per essere affermato con sicurezza.

In ogni caso, la giovane si limitò a scartare quella strana ipotesi, d’altronde il suo corpo proveniva da una brutale sequenza di eventi che l’avevano scombussolato, e di certo non poteva essersi già ripreso a tal punto da poter concedere ad una nuova vita di germinare e svilupparsi dentro di sé.

Mentre la contessina sistemava il suo letto, quello della casa di cui aveva ripreso possesso un mesetto prima, si chiese come se la stesse spassando quel mostro di Alfonso, sperando che non si fosse messo alla disperata ricerca di lei. Sapeva anche di aver lasciato molti indizi, forse troppi, lungo il suo percorso, e quindi poteva essere in pericolo.

Il solo pensiero di poter recare danno al suo amato brigante e ai suoi fedeli amici le fece male, ma in realtà non poteva far altro che non pensarci, d’altronde Giovanni le aveva sempre assicurato che in quel posto lei era al sicuro e che niente e nessuno si era mai avventurato fin lì.

Ma il capo dei briganti non conosceva Alfonso come lo conosceva lei, e non sapeva quanto fosse cocciuto e testardo. Sperò che si fosse dimenticato di lei, oppure che fosse stato magnanimo e che avesse deciso di lasciarla al suo destino, ma in realtà sapeva che queste erano tutte frottole e che quell’uomo doveva essere sulle sue tracce già da qualche mese, da quando era fuggita dalle sue grinfie. Suo marito non l’avrebbe mai perdonata per l’affronto che gli aveva lanciato, fuggendo da casa insieme a dei servitori, ripudiandolo nel peggiore dei modi.

Sospirando, la contessina decise di lasciar perdere le faccende domestiche, cose in cui non era molto portata e che aveva avuto modo di apprendere solo di recente, e decise di uscire un po’ all’aria aperta, in modo da poter dimenticare, anche solo per un attimo, tutti quegli strani pensieri che le frullavano per la mente.

D’altronde, l’unica cosa che poteva fare era vivere la giornata, dimenticando il passato e non pensando al futuro, concedendosi totalmente a Giovanni e cercando di dimostrargli tutto l’amore che provava per lui, vivendo quei giorni come se fossero un sogno. Però, in cuor suo, pregava e sperava che quel sogno potesse durare per sempre, anche se sapeva che col ritorno della buona stagione il suo amato brigante avrebbe ricominciato a compiere le sue solite ed efferate scorrerie, che l’avrebbero di certo fatta stare in ansia per lui.

Quando uscì all’aria aperta, si sentì rinascere, mentre nel frattempo iniziava a percorrere il largo sentiero che l’avrebbe portata fino a casa di Lina, e fino in prossimità della cascina del suo amato e del covo dei briganti. Ma sapeva che quella mattina Giovanni era parecchio impegnato, poiché doveva controllare alcuni lavori che stavano portando avanti i suoi compagni più giovani e che non avrebbe avuto tempo da dedicarle, quindi con grande rassegnazione si diresse direttamente dall’amica.

Tutt’attorno a lei, la primavera stava sbocciando, verde e calda come non mai.  Le gemme degli alberi si stavano aprendo ed alcuni di loro erano già in fiore, mentre il sottobosco appariva sempre più rigoglioso e l’aria si faceva decisamente più mite rispetto alle settimane appena trascorse.

Mentre percorreva quel sentiero immerso nel verde chiaro, fresco di nascita, Teresa si sentì più libera che mai, e con una mano sfiorò i cespugli che la circondavano, senza mai fermarsi e proseguendo verso il suo obiettivo. Ma quando si trovò di fronte alla casa di Lina, trovò la porta già aperta. Nonostante il fatto che le giornate fossero un po’ più calde rispetto a qualche giorno prima, non era ancora il momento di lasciare che il calore della casa fuoriuscisse all’aperto.

Lievemente sovrappensiero, la ragazza entrò ugualmente, e con fare disinvolto si trovò direttamente nella cucina, dove Lina stava chiacchierando amabilmente con il suo Mario. Teresa si bloccò subito sul posto, sentendosi già di troppo e capendo di aver disturbato, ma i due la stavano già fissando.

‘’Teresa, mia cara!’’, disse subito l’amica, avvicinandosi a lei e per nulla indispettita dall’ingresso barbaro e frettoloso della giovane, che effettivamente non si era neppure presa la briga di bussare, approfittando del fatto che la porta era già aperta. Anche Mario la salutò cortesemente, sorridendole.

‘’Scusate se non ho bussato, ho trovato la porta aperta e…’’.

‘’Stai tranquilla, hai fatto bene ad entrare! Come stai? Mi sembri sempre più in forma’’, disse l’amica, interrompendola e rassicurandola.

‘’Molto meglio ora, grazie’’, rispose cortesemente la contessina, mentre Lina si faceva in quattro a tirare fuori piccoli biscottini da ogni angolo.

‘’Tieni, mangia un po’. Era da qualche giorno che non eri più passata a farmi visita! Come ti trovi in quella casa?’’, tornò a chiederle l’amica, allungandole anche una fetta di ciambella, ben cotta e dorata.

La contessina la accettò, e mentre addentava la fetta di quel bel dolce, pensò che effettivamente era da un po’ che non era passata a far visita a Lina. La nuova abitazione la stava impegnando molto, e visto che ci teneva a sistemarla come meglio le pareva, era sempre indaffaratissima e i lavoretti non le mancavano mai.

‘’Mi trovo bene, grazie. Beh, chiedo scusa per averti trascurato un po’, ma davvero, il tempo fugge sempre…’’. La giovane interruppe bruscamente la frase che stava dicendo, dopo aver riconosciuto di aver pronunciato le stesse sagge parole che le aveva sussurrato suo marito tempo addietro, e quasi con lo stesso tono di voce sicuro e risoluto.

Teresa si trovò dopo un attimo a guardare fisso verso terra, impietrita da qualche arcano potere. E, mentre sentiva su di sé lo sguardo caldo dei suoi due amici, capì che non poteva farsi arrestare sempre dai brutti ricordi e dagli spettri del passato, che ormai riaffioravano in modi strani e repentini.

Quindi, alzò lo sguardo da terra e sorrise come se niente fosse, ricambiata dagli altri due.

‘’Beh, sì, hai ragione. Capisco. Non hai nulla di cui scusarti’’, disse Lina con tranquilla.

Il sorriso caldo che apparve sul volto dell’amica fece chiaramente capire alla contessina che lei già sapeva quello che stava succedendo con Giovanni. E doveva immaginare ciò che avevano fatto.

Teresa cercò di reprimere il lieve rossore che si stava velocemente impossessando delle sue gote, e cercò di cambiare discorso. Provò a dire qualcosa, ma mentre il suo imbarazzo sembrava rendersi sempre più visibile, pensò che forse sarebbe stato meglio andarsene e lasciare Lina con il suo Mario, che nel frattempo se ne stava in disparte, non particolarmente interessato al loro discorso tra donne.

‘’Eh sì, purtroppo è così. In ogni caso, sono solo passata a farti un breve saluto; ho intenzione di fare una passeggiata. Col bel tempo, mi è venuta voglia di stare all’aria aperta’’, disse infine la contessina, interrompendo il suo breve silenzio imbarazzato. Lina annuì.

‘’Certo, mi sembra un’ottima idea. Ma stai attenta, e non allontanarti troppo dai sentieri. Potresti perderti’’, disse l’amica, molto accondiscendente. Forse aveva davvero voglia di restare sola con il suo uomo, riconobbe la ragazza.

‘’Tranquilla, ho imparato la lezione. E poi, non mi allontanerò molto, al massimo seguirò uno dei sentieri limitrofi a quello principale. A dopo’’, concluse Teresa, congedandosi definitivamente e abbandonando la casa dell’amica.

In realtà, non aveva alcuna intenzione di passeggiare all’aria aperta, ma in quella casa si sentiva di troppo e non voleva disturbare Lina, che aveva già fatto tanto per lei e si era sacrificata già più di una volta. Quindi, riprese il sentiero che l’avrebbe riportata verso valle, alla sua nuova casa.

Poi, però, capì che in quell’abitazione si sarebbe solo annoiata ulteriormente, e approfittando del fatto che ultimamente si sentiva di nuovo in forma e il suo corpo stava perfettamente bene, decise di farla per davvero una camminata.

In un attimo deviò il suo solito percorso e imboccò un piccolo sentiero limitrofo, tra l’altro l’unico ben battuto. Non appena iniziò a camminare verso quella zona che ancora le era ignota, ebbe un attimo di panico e decise di non proseguire a lungo, e al massimo di allontanarsi dal sentiero principale di venti passi, non di più.

Però, ben presto si trovò immersa in un paradiso colorato, e la sua mente si ritrovò a perdere razionalità, mentre sfiorava decine di arbusti in fiore. I magnifici fiorellini bianchi, che pareva spuntassero ovunque su quei tristi cespuglietti che erano stati malamente pestati per tutto l’inverno, erano profumatissimi, e la contessina si ritrovò ad annusarli e a raccoglierne alcuni con fare sognante.

La fece tornare in sé solo una spina, che le si impiantò in un polpastrello. E così, dopo un po’ si accorse di essersi allontanata di più di venti passi dal sentiero principale, e che forse era ora di tornare a casa.

Tornando seria in volto, scacciò quella felicità che aveva provato per un po’ di tempo, e si rimise in marcia, ripercorrendo quel tratto di boscaglia che aveva attraversato poco prima, senza soffermarsi più a guardare i fiori o ad ascoltare i canti d’amore degli uccellini, che se ne stavano sugli alberi a cinguettare.

Eppure, sentì un lieve canticchiare, quasi un rumore sommesso, però di origine umana. Questo bloccò Teresa sul posto, e attirò la sua grande curiosità. E quasi non si accorse quando si trovò di fronte a Vanna, la vecchia guaritrice che le aveva salvato la vita.

La donna era inginocchiata e raccoglieva degli strani funghi che crescevano vicinissimi ad un tronco d’albero.

‘’Teresa! Come stai? Che piacere rivederti così in forma!’’, disse subito la vecchia, che nel frattempo l’aveva avvistata e si era già prontamente rimessa in piedi, sorridendo amabilmente. Molto più amabilmente di quanto ci si potesse attendere da una vecchia come quella.

Teresa rispose al sorriso, mostrandone anch’essa uno raggiante.

‘’Bene, ora! E questo solo grazie a te’’, rispose la contessina, sorridente ma cauta. Quella donna le incuteva un timore reverenziale, anche se era solo una vecchia sorridente. Ma poteva benissimo essere sua nonna.

‘’Oh, io non ho fatto niente di che’’, disse la vecchia, banalizzando anche con l’aiuto di un rapido gesto delle mani.

‘’Non è vero. Quando sono arrivata qui ero uno straccio, ed ora… guardami!’’, disse la giovane, sempre continuando a sorridere.

‘’Sì, ho visto che ti sei rimessa del tutto e che sei rifiorita. Quando eri arrivata qui, ho temuto per te, sai? Una ragazza così giovane, malata, denutrita, disidratata, e con una pericolosa emorragia. Eri in una situazione davvero molto critica. Ma sapevo che ti saresti salvata’’, disse la donna, scrollando le spalle.

Effettivamente, quella vecchia fece provare un brivido freddo alla contessina. Anche se Vanna era cordiale, rimaneva pur sempre strana. I suoi abiti erano vecchi e rattoppati, mentre i capelli erano ormai totalmente bianchi ed erano coperti da un ampio fazzoletto, ben legato dietro la nuca. Sembrava davvero una strega, abbigliata in quel modo. Una di quelle streghe che popolavano le favole che le erano state raccontate durante la sua breve e triste infanzia.

‘’Sì lo so, me n’ero resa conto. Grazie per avermi aiutata’’, mormorò la contessina, ormai in soggezione.

‘’Ripeto che non ho fatto nulla di speciale. Chiunque avrebbe cercato di fare del suo meglio vedendoti in quello stato’’, ripeté la vecchia, scrollando di nuovo le spalle. Poi, si chinò a raccogliere altri funghi.

Prendendo quel gesto come una forma di congedo, Teresa si accinse a tornare sui suoi passi.

‘’Come va con Zvàn, il brigante?’’.

La domanda di Vanna la colse già voltata di spalle. Con un timido sorriso, la contessina tornò a fissare la sua interlocutrice.

‘’Bene…’’, rispose la giovane, mentre le sue guance tornavano ad arrossire. Quella donna pareva sapere tutto su di lei e sul suo amato, e non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire qualche altro particolare dalla sua bocca. Semplicemente, voleva riprendere la sua strada.

‘’Beh, pure io direi che va tutto bene. Noto che vi siete dati da fare, eh?’’, tornò a dire Vanna, abbandonando il suo cestino a terra ed iniziando ad avvicinarsi alla ragazza.

‘’In… in che senso?’’. A quel punto, Teresa non sapeva che dire. E quella fu l’unica sequenza di parole che riuscì a fare uscire dalla sua bocca.

‘’Oh, insomma, non ti vedi? Il tuo corpo sta rifiorendo molto rapidamente. I tuoi fianchi hanno ripreso ad allargarsi, i tuoi seni stanno tornando ad essere prosperosi. Hai già un figlio dentro di te, mia cara. Di nuovo’’, disse la donna, guardandola in volto e sorridendo.

Teresa, incredula, fuggì dal suo sguardo, mentre la sua mente veniva travolta da decine di pensieri.

‘’Non può essere. Sono tornata qui da poco, e dopo i problemi che ho avuto, non potrò mai avere figli’’, mormorò la ragazza, cercando di lasciar spazio alla razionalità. In fondo, quella donna poteva benissimo riempirla di sciocchezze, poiché nessuna persona qualunque poteva dire con certezza certe cose fintanto che non fossero diventate evidenti. Ma Vanna continuò a sorridere.

‘’Quando avete fatto l’amore per la prima volta?’’, chiese la vecchia, mentre Teresa la fissava, sbigottita. Mai nessuno si era permesso di chiedere una cosa del genere a lei, e perlopiù in modo così diretto e sfacciato.

‘’Un mese fa, all’incirca’’, disse la ragazza, a voce bassissima, mentre le sue gote diventavano bordò.

‘’E da allora hai più avuto…’’. Almeno quella domanda non ebbe il coraggio di fargliela direttamente e di concluderla. La contessina comprese che si riferiva al suo solito ciclo.

‘’No’’, rispose, sempre a bassa voce ed imbarazzata.

A quel punto della discussione, la ragazza avrebbe voluto solo fuggire da lì, lasciandosi alle spalle la vecchia che la stava mettendo in soggezione. Eppure, una sensazione simile alla curiosità la tratteneva, quasi costringendola ad ascoltare e rispondere.

‘’Vedi? La risposta potevi dartela anche da sola, allora’’, concluse Vanna, facendo qualche passo indietro.

‘’Ho avuto molti problemi, vedrai che prima o poi tornerà tutto alla normalità, almeno spero. Non sono incinta, per ora, e forse non lo sarò mai più’’, disse Teresa, cercando di portare alla luce la verità. La sua verità.

‘’Non hai avuto problemi così gravi, te lo assicuro. E il tuo corpo, appena è giunto il momento, ha lasciato che il vostro desiderio, il tuo e quello del brigante, potesse generare subito una nuova vita’’, disse Vanna, che poi si arrestò all’improvviso, diventando seria in volto e smettendo di sorridere.

Teresa la fissò interdetta, assimilando prima di tutto le parole appena pronunciate dalla vecchia, e poi stando in silenzio per un istante.

‘’Basta così, Vanna’’.

La voce dura e sicura di Giovanni squarciò quel breve silenzio teso, mettendo fine ai discorsi della vecchia.

 

 

Giovanni era quasi esploso dalla rabbia quando aveva trovato Teresa in compagnia di quella strega, e per poco non l’aveva zittita subito.

Era andato a cercare la sua giovane innamorata a casa di Lina, non avendola trovata nell’abitazione che avevano occupato qualche tempo prima, e l’amica gli aveva detto che era andata a fare una passeggiata lungo i sentieri poco distanti. Ma mai si sarebbe creduto di trovarla in compagnia di Vanna.

Infatti, era stato attirato lì dal suono delle loro voci, e quando aveva individuato le due donne si era limitato a nascondersi dietro un cespuglio vicino ed ascoltare, poiché quello che stava dicendo la vecchia era sconvolgente.

Aveva origliato fintanto che aveva potuto, ma quando Vanna aveva superato ogni limite, cercando di mettere in testa a Teresa di aspettare un figlio, era dovuto balzare fuori dal suo nascondiglio per riprenderla a dovere.

Ed ora, la strega lo stava fissando in silenzio, mentre Teresa gli sorrideva blandamente. Vanna aveva fatto davvero tanto per lui e l’aveva salvato, salvando la vita anche alla sua amata, ma niente e nessuno poteva permetterle di parlare in quel modo così sfacciato.

‘’Zvàn, stai tranquillo. Stavamo solo chiacchierando’’, disse la vecchia, scongelandosi e riprendendo a parlare.

‘’No, tu stavi riempiendo la testa di Teresa con mille sciocchezze. Devi piantarla di seguire me e lei, cercando di metterci in testa cose inesistenti’’, disse il brigante, innervosito. Aveva provato talmente tanta rabbia nel vedere Teresa in compagnia di quella donna che ora si ritrovava a sfogarsi in malo modo.

‘’Ah sì? Allora non ti fidi ancora di me. Eppure, le mie predizioni finora si son sempre avverate. Guarda Teresa’’, disse Vanna, replicando con tono piuttosto insolente. Il capo dei briganti scrollò la testa.

‘’Ora basta, davvero. Ne ho ascoltate fin troppe delle tue predizioni, e pure Teresa non le vuole più sentire. Vattene, lasciaci soli’’, disse Giovanni, risoluto. Teresa gli si avvicinò e gli sfiorò una mano.

‘’Non essere così aggressivo con Vanna, lei ha fatto molto per noi. Non merita questo tuo attacco rabbioso’’, disse la contessina a bassa voce. Giovanni riconobbe un vago tentativo di calmarlo.

‘’Faresti meglio ad ascoltare ciò che ti ha detto questa gentile contessina’’, replicò subito dopo la vecchia, che però si diede per vinta ed iniziò ad allontanarsi.

Giovanni guardò prima una e poi l’altra, e non disse nulla, mentre Teresa gli stringeva più forte la mano e Vanna si allontanava.

‘’E ricorda; il destino dà qualcosa, e toglie qualcos’altro. Tu ora hai ritrovato Teresa, ma dovrai stare attento, altrimenti perderai…’’.

Il vano, ennesimo tentativo della vecchia andò in frantumi sotto l’ira del brigante, che a quel punto era più che mai sicuro di non voler sentire altro da lei. Infatti, Vanna era tornata a voltarsi indietro e a guardarlo, smettendo di allontanarsi.

‘’Pronuncia un’altra parola e ti ammazzo, strega! Vuoi proprio mandarmi in malora, vero? Lo so a cosa ti stavi riferendo, quel giorno, e anche ora. Tu hai maledetto la mia banda di briganti per i giorni a venire, e se non ti rimangi le parole che hai detto io… io ti…’’.

La rabbia scemò rapidamente dal brigante non appena Teresa lo fissò con quei suoi grandi occhi, dilatati dallo spavento. Evidentemente, temeva che potesse far del male a quell’anziana donna. Ma lei non sapeva nulla di tutte quelle predizioni negative che gli erano state fatte.

‘’Sei stato tu a dire e a pensare che perderai la tua banda di briganti, sei stato tu a sancire la tua maledizione e a gettartela addosso. Io quel giorno mi limitai a prevedere che avresti perso ciò che ti stava più a cuore, oltre alla contessina, e ora tu hai riconosciuto che ciò è la tua banda. Fine del discorso’’, concluse la vecchia, con un’espressione tesa in volto. Anche lei doveva temere un suo nuovo scatto d’ira.

‘’Vattene. Vattene, prima che io perda definitivamente la pazienza, e che compia qualcosa di cui potrei pentirmene’’, disse il brigante, cercando di calmarsi solo per far stare tranquilla la sua Teresa. Ma quella vecchia doveva sparire dalla sua vita, e subito.

‘’Non temere, non ci rivedremo mai più, caro Zvàn. È scritto nel nostro destino’’, disse la vecchia, questa volta tornando a sorridere.

‘’Non esiste nessun destino. È l’uomo che si crea la sua vita e fa le sue scelte. Solo gli stupidi credono nel destino di cui ti piace tanto parlare’’, sbottò Giovanni, tornando ad irritarsi.

‘’Ne sei così certo? Beh, un giorno, alla fine di tutto, ci penserai su, e in quel momento scoprirai chi tra noi due ha ragione. Ma non ora. Addio’’, concluse la vecchia, questa volta definitivamente.

Vanna tornò ad allontanarsi, e quella volta non si voltò più indietro. Giovanni ritrovò un po’ di calma, e la rabbia si tramutò in irrequietezza, mentre si chiedeva ciò che aveva voluto passargli quella vecchia. Magari, l’aveva veramente maledetto. Però, stranamente, gli aveva salvato la vita più volte.

‘’Grazie di tutto!’’, urlò Teresa a sorpresa, facendo sobbalzare il brigante.

La vecchia, ormai a distanza, dovette udirla ugualmente, poiché alzò la mano destra e la scosse, salutando. Ma non si voltò mai più indietro.

‘’Perché ti sei comportato così con lei? Ha salvato la vita ad entrambi, ed era giusto darle ascolto e lasciarla parlare’’, disse la contessina, quella volta rivolgendosi a lui.

‘’Tu non hai idea di cosa mi ha detto. Lei… lei mi spaventa. Ha qualcosa che non appartiene agli umani, penso sia un dono. È una strega’’, sussurrò il brigante, assorto nelle sue inquietudini.

‘’Smettila, ti prego. Non sarai mica diventato uno di quegli sciocchi contadini della pianura, che credono ad ogni stupida superstizione che esiste a questo mondo? Perché se è così, non sei più lo stesso Zvàn che ho conosciuto molti mesi fa’’, disse Teresa, tra l’ironia e la serietà. Il capo dei briganti scosse la testa.

‘’Non pensiamoci più, va bene?’’, le disse poco dopo, guardandola. Lei era bellissima, e stava ricambiando il suo sguardo con vivo interesse.

‘’Come faccio a non pensarci più? Mi ha detto che aspetto un figlio. Un figlio tuo’’, mormorò la contessina, calcando per bene ogni parola.

‘’Non può essere vero, lo sai anche tu. È troppo presto’’.

‘’E se fosse davvero così?’’.

‘’Oh, basta, ti prego, non assillarmi con quelle stupidaggini. Ora chi è tra noi due che crede nelle streghe?’’.

‘’Tu, questo è certo. Ma ora rispondimi e sii serio serio; e se io aspettassi davvero un figlio nostro… che faremo?’’, disse la contessina, quasi con incredulità ed afferrandolo per un braccio, costringendolo a fermarsi e a guardarla in volto.

‘’Non sarebbe un problema’’, mormorò Giovanni con sicurezza.

‘’Un figlio nato all’infuori del matrimonio, da un tradimento. Concepito dopo una fuga, mentre il mio legittimo marito potrebbe piombarmi addosso in ogni qualsiasi momento…’’.

‘’Basta, ora sei tu che ti stai facendo troppi problemi. Guarda in faccia la realtà; ora è troppo presto, ma se mai dovesse accadere, accoglierò questo bambino come se fosse il più grande dono di questo mondo. E io amerei ancora di più sua madre’’, disse il capo dei briganti, sorridendo.

‘’Oh…’’.

Teresa doveva essere rimasta colpita da quelle parole sincere, che gli erano uscite dal cuore. D’altronde, loro stavano condividendo il letto da parecchi mesi, e se avessero continuato a farlo, sarebbe stato ovvio che il piccolo sarebbe arrivato se il corpo della sua amata si fosse di nuovo stabilizzato, prima o poi.

Il brigante non resistette oltre e la baciò.

‘’Non lo so, sta di fatto che non ho più avuto i miei soliti sanguinamenti. Forse è perché sono rimasta sterile, ma non lo si può sapere con certezza. Sarà meglio che chieda a Lina qualche altra delle sue erbe…’’.

‘’No, non dirlo neppure per scherzo’’, disse subito Giovanni, risoluto. Se il loro amore doveva essere coronato da un figlio, questo sarebbe stato un evento magnifico ed eccezionale, ed avrebbe riempito di gioia il suo misero cuore di fuorilegge.

‘’Tu allora… lo vorresti un figlio, un figlio nostro?’’. La domanda era fuggita dalle labbra di una sorpresa Teresa.

‘’Ma certo che lo vorrei, te l’ho già detto. Per me non c’è problema’’.

Ma la contessina non parve per nulla soddisfatta di quella risposta.

‘’Ma sarebbe un figlio illegittimo…’’.

‘’Un bastardo, sì. Uno di quei bambini che non vengono visti di buon occhio dalla società. Ma per suo padre, sarà sempre il miglior figlio del mondo’’, disse Giovanni, sempre con grande sincerità. Quelle erano parole che sentiva davvero sue, perché lui amava davvero quella ragazza, e ogni cosa che gli avrebbe dato sarebbe sempre stata bella. Soprattutto un figlio.

‘’Ci sistemeremo, vedrai. Se questo accadrà, lascerò la banda e cercheremo un modo per diventare una famiglia normale e crescere nostro figlio come fanno tutti’’, continuò a dire il brigante, ma anche lui sapeva che tutto ciò sarebbe stato estremamente difficile, se non impossibile. Mai e poi mai avrebbe abbandonato il brigantaggio e i suoi uomini.

‘’Dici sul serio?’’, chiese nuovamente Teresa, tutta presa e concentrata sulle sue parole. Doveva essere felicissima, visto il sorriso che le attraversava il suo giovane volto, rendendolo ancora più stupendo.

‘’Sì, dico sul serio. Ma ora non pensiamo a queste cose, davvero, non c’è motivo. Se ti va, posso riaccompagnarti a casa, oppure a fare un giro a cavallo, tanto per questo pomeriggio ho finito i lavori che avevo in sospeso con i miei uomini’’, propose Giovanni, cercando di uscire dal labirinto di invisibili pensieri creato dall’incontro con Vanna.

Teresa accettò, sorridendo.

‘’Scegli tu, a me va bene qualsiasi cosa, basta che io stia insieme a te’’, concluse la giovane, lasciandosi poi portare a fare un giro a cavallo, trascorrendo così un altro magnifico pomeriggio.

Giovanni riconobbe che non era mai stato così tanto felice in vita sua.

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per continuare a seguire questa lunga storia J

Vi preannuncio che la parte finale si sta avvicinando a grandi passi.

Grazie di cuore ai fantastici recensori, che ogni settimana mi lasciano un loro graditissimo parere e mi sostengono senza stancarsi mai, offrendomi forza e supporto.

Grazie di cuore a tutti, e buona giornata J  a lunedì prossimo J

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Capitolo 51
*** Capitolo 50 ***


Capitolo 50

CAPITOLO 50

 

 

 

 

Teresa si fermò un attimo a fissare il brigante, stremata. Era ormai sera, e stavano tornando da quel pomeriggio magnifico, fatto solo di divertimento e risate. Ormai, sembrava che fossero tornati ragazzini, ma questo doveva essere l’effetto del forte legame amoroso che li univa.

Pure lui ricambiò il suo sguardo, anche se solo per un istante, visto che stava togliendo le selle ai cavalli.

Quella sera, avrebbero cenato entrambi allo stesso desco e sarebbero rimasti assieme anche per tutta la notte, com’era ormai di consuetudine per loro. Entrambi sapevano che quella sarebbe stata una delle ultime nottate in cui avrebbero condiviso il letto, poiché nei prossimi giorni il brigante avrebbe ripreso a compiere le sue scorrerie, e questo li avrebbe tenuti distanti per parecchio tempo. Di giorno, Giovanni avrebbe dovuto riposare e preparare i piani con Mario e i suoi giovani aiutanti, e la notte sarebbe dovuto andare a fare bottino. E tutto ciò le recava dispiacere, ma sapeva che in fondo era giusto così.

La contessina, ancora vestita come una qualsiasi umilissima contadina, si appoggiò al tronco di un albero vicino, in modo da poter attendere con pazienza il suo amato, alle prese con Furia, che a quanto pareva non aveva alcuna intenzione di entrare nel rifugio assieme agli altri cavalli, ma alla fine si ammansì ed entrò in quella stalla pericolante.

Giovanni richiuse il portone dell’improvvisata costruzione in legno e si diresse verso di lei, sorridendole.

‘’Allora? Che si fa, ora?’’, le chiese cortesemente, sempre senza smettere di sorridere.

‘’Sei tu l’uomo! Dovresti ordinare ciò che preferisci’’, rispose lei, facendo spallucce. Poi, si lasciò sfuggire una risatina divertita.

‘’Ah, è così? Per te quindi sono un pappamolle, un uomo che non comanda e non ordina?’’, chiese lui, inarcando un sopracciglio e incrociando  le braccia sul petto.

‘’Stavo scherzando, Zvàn. Tu sei il miglior uomo che io abbia mai conosciuto, perché tutti fanno ciò che dici senza farti arrabbiare o ripetere qualcosa. Hai un modo molto gentile di comportarti, e tutti possono solo esserti fedeli e grati per quello che sei, ed è per questo che è impossibile non amarti’’, gli rispose Teresa, facendo un passo avanti e scoccandogli un casto bacio sulle labbra.

‘’Donne…’’, disse poi il capo dei briganti, alzando le mani al cielo come un vecchio padre, per poi ridere.

Teresa lo prese a braccetto e lasciò che lui la riportasse a quella che era ormai diventata a tutti gli effetti casa loro, lasciandosi trasportare dal suo braccio, che gli faceva da guida.

Tempo addietro, la contessina aveva letto un magnifico libro che parlava di cavalieri e di dame, e di come quelle stesse dame affidassero totalmente la loro vita a quegli uomini coraggiosi che avevano giurato di proteggerle dalle barbarie dei potenti signorotti locali. Ecco, in quel momento lei si sentiva una dama che con fermezza si affidava al suo cavaliere, il suo fedele ed amato brigante.

Questa scenetta le fece sfuggire una risatina, poiché si immaginò vestita da signora medioevale e questo suscitò un breve momento di improvvisa ilarità.

‘’Che c’è che ti fa divertire così tanto? Ormai è buio pesto, e di solito tremi di paura quando ci apprestiamo a percorrere questo tratto di sentiero’’, disse il brigante, stringendo più forte a sé il suo braccio. Teresa lo guardò, anche se il buio non le permetteva di scorgere i tratti del suo volto, che comunque immaginò fossero rilassati.

‘’Pensavo che tu ed io, in questo momento, saremmo potuti essere un cavaliere e una dama, se fossimo nati tanto tempo fa. Tutto qui’’, rispose lei, con fare sbarazzino. Esprimere una di quelle storielle che le era passata per la mente la metteva un po’ in soggezione, perché era come se stesse scoprendo una parte di sé, un lato interiore che preferiva tenere nascosto, poiché a volte la faceva sentire stupida ed infantile.

‘’Beh, potremmo esserlo anche adesso. Io so cavalcare e tu sei una nobildonna’’, rispose il brigante, leggermente divertito. La contessina gli sferrò una lieve gomitata.

‘’Ma no, io in questo momento sono vestita da contadina, non indosso certi abiti bellissimi. E tu, mica indossi un’armatura. Da quel che so, non hai neppure una spada’’, ribatté Teresa, divertendosi a stuzzicarlo ulteriormente.

‘’Non mi serve una corazza per essere invulnerabile. Mi basta solo un po’ d’astuzia’’, concluse Giovanni, scrollando lievemente le spalle.

‘’Io comunque ti vedrei per davvero con addosso un’armatura lucente, e una spada al fianco. Saresti un ottimo guerriero’’.

‘’Non più di quanto potrei esserlo con un’arma in grado di sparare proiettili di piombo. Quello sì che è il modo di combattere, mica con del ferro’’.

‘’Sei libero di pensarla come vuoi, ma i combattimenti erano più onorevoli quando gli uomini si affrontavano con l’acciaio, faccia a faccia e a pochi passi l’uno dall’altro. Troppo facile ficcare una pallottola nella schiena del nemico da una lunga distanza’’, tornò a dire la contessina, cercando di non darsi per vinta.

‘’Se è questo che pensi, non sarò di certo io a dirti di cambiare idea. Comunque, questi uomini di cui mi parli, vissuti tanto tempo fa, proprio non li capisco’’, disse infine il brigante, che con un basso grugnito di disapprovazione mise fine a quella banale discussione.

Nonostante il fatto che Teresa avesse cercato di passare qualche nozione storica al suo amato, lui restava pur sempre un uomo cocciuto e anche molto ignorante. Ignorante nel senso buono del termine, poiché a volte, non sapendo le cose, diceva sciocchezze oppure cercava di cambiare discorso. Era anche per queste brevi parentesi di ingenuità e di fragilità che lei lo amava.

La tenue discussione a quel punto si interruppe totalmente, poiché si trovarono di fronte alla loro abitazione.

Teresa entrò per prima, andando subito a dare un’occhiata a quello che c’era in cucina. Infatti, Lina doveva averle portato delle verdure nel pomeriggio, poiché nel centro dello scarno tavolo c’erano parecchi vegetali ammucchiati, e la contessina constatò che si trattava quasi per la totalità di vari tipi di insalate e di radicchi.

‘’E tutta questa roba chi l’ha portata? Tu?’’, chiese Giovanni, avvicinandosi a lei da dietro. Teresa scollò le spalle.

‘’Boh, non lo so. Penso che comunque sia stata opera di Lina, qualche settimana fa mi aveva detto che aveva parecchie verdure quasi pronte per essere raccolte, nell’orto. Quindi, ce ne ha portate un bel po’ ‘’.

‘’Mai chiudere la porta, vero?’’, chiese con ironia il brigante.

‘’Sai che mi dimentico, a volte. E poi qui ci sono solo animali, alberi…’’.

‘’Briganti, fuorilegge di vario genere, ladri e chi più ne ha, più ne metta. È ora che ti svegli, ragazza mia, perché qui non siamo nella tua villa piena di fedeli servitori. Qui sei circondata da banditi, e anche se io cerco di insegnare a loro un po’ di disciplina, parecchi non mi danno ascolto’’, la apostrofò Giovanni, interrompendola e parlando con toni duri. Teresa incrociò le braccia sul petto, e appoggiandosi al tavolo, lo guardò storto.

‘’Senti, non sono più una bambina. E non mi piacciono le ramanzine. Comunque, prometto che starò più attenta e chiuderò sempre la porta, d’ora in poi’’, replicò la giovane, lasciando inizialmente trapelare la sua irritazione per essere stata ripresa così duramente. Sapeva che il brigante a volte le si rivolgeva con toni severi solo per il suo bene, ma in ogni caso doveva controllarsi con lei.

Comunque, alla fine la diede vinta a lui. Giovanni non parve troppo convinto dalle sue parole, o forse fu lievemente irritato dal suo atteggiamento poco cortese, e per un attimo parve in procinto di replicare, ma improvvisamente si diresse verso la porta, come se fosse stato attratto da dei rumori sospetti.

Lei lo seguì, e lo trovò nel bel mezzo della porta d’ingesso spalancata, mentre un ometto basso di statura e ormai di età avanzata si faceva avanti.

‘’Zvàn, chiedo scusa, davvero, mi scuso per essermi recato qui a quest’ora, d’altronde è quasi notte… però ho bisogno d’aiuto’’, mormorò lo sconosciuto, avanzando nuovamente. Teresa fu in procinto di fare un passo indietro, mentre il brigante rimase impassibile.

‘’Hai bisogno… d’aiuto? Non so proprio come fare ad aiutarti, d’altronde neppure ti conosco’’, disse Giovanni, imperturbabile.

‘’Ti prego… posso dirti chi sono. Magari se potessi entrare… al caldo…’’, continuò a dire l’uomo, sfregandosi le mani l’una contro l’altra.

Giovanni si discostò, lasciando entrare lo sconosciuto. Teresa avrebbe voluto dargli due schiaffi, poiché solo un istante prima l’aveva rimproverata per aver lasciato l’uscio aperto, mentre ora lui stesso stava facendo accomodare in casa un perfetto estraneo, sbucato da chissà dove. In realtà, alla fine si trattenne e non gli disse nulla ma si limitò a fulminarlo con lo sguardo, mentre si accingeva a tornare nell’adiacente cucina.

Infatti, poco dopo trotterellarono dentro alla stanza ben due bambini piccoli, tenuti per mano da una ragazzetta che non doveva avere più di quindici anni, mentre l’estraneo che si era presentato alla porta chiudeva la fila, in silenzio e seguito da Giovanni.

Teresa quasi si mise in un angolo, sentendosi di troppo, poi ricordò le regole che le erano state impartite anni addietro, e cercò di ricomporsi un po’, ma era talmente tanto timida che tutti quegli estranei sbucati dal nulla la stavano mandando in panico.

‘’Accomodatevi pure, e sedetevi se volete’’, disse la ragazza con toni accomodanti, scostando una sedia dal tavolo mentre faceva l’invito di rito.

‘’Grazie! Ma… chi è questa magnifica signorina? Io sono venuto fin qui perché i tuoi compagni mi hanno detto che avevi occupato questa vecchia dimora per avere qualche comodità in più, ma nessuno mi ha detto che ci vivevi con una bella donna!’’, disse l’estraneo adulto, l’unico che finora aveva parlato. Giovanni prima guardò lei, che non trovò il coraggio di dire nulla, e si accinse a rispondere.

‘’Non è quello che credi. Lei… beh, lei è la donna che amo, punto. Non ti impicciare’’, disse Giovanni, continuando ad essere un tantino freddo.

La contessina capì che quell’uomo doveva averla scambiata per una comune prostituta in vendita tra i briganti, e arrossì in volto, mentre le parole frettolose del brigante non avevano aiutato di molto quell’uomo a togliersi quell’idea dalla testa.

La ragazza ammise a sé stessa che quella volta ci era rimasta male. E che quello era il secondo, piccolo dispiacere che il suo amato le aveva donato nel giro di una qualche decina di minuti.

‘’Beh, comunque, è meglio che mi presenti, se non mi hai già riconosciuto. Sono Guglielmo, uno dei pochi contadini del fondovalle, e dove spesso, tempo addietro, ti ho venduto parecchie vettovaglie per la tua banda di briganti, assieme ad altri contadini. Speravo ti ricordassi di me…’’, mormorò l’uomo, ormai totalmente disinteressato a Teresa.

Mentre la ragazza e i due bambini guardavano fuori dalla finestra, la contessina poté percepire i loro sguardi vacui come se fossero puntati su di lei. I tre giovani erano magrissimi, e i loro corpi scarni parevano costituiti solo da ossa. I polpacci della ragazza erano sottili quanto il manico di un badile, mentre gli altri due bambini avevano gambe simili a ramoscelli.

Lo sconosciuto adulto, che nel frattempo stava fissando Giovanni con fare indagatore, nella speranza di essere riconosciuto, era vestito di abiti vecchi e logori, e ovviamente tutti rattoppati. I calzari che aveva ai piedi erano dello stesso colore di una metà abbondante dei calzoni, visto che erano coperti per la quasi totalità da fango e sporcizia. E il fetore che aveva quell’uomo era insopportabile, sembrava quasi un misto tra un odore di stalla e di sudore, e si stava propagando rapidamente in tutta la stanza.

In una frazione di secondo, la contessina si trovò a distogliere lo sguardo da quello sconosciuto, quasi disgustata, anche se sapeva che comunque erano pochi i contadini che si lavavano ogni tanto e ancora di meno erano quelli che potevano indossare abiti puliti all’infuori della domenica. Quindi, dovette moderare la sua brevissima repulsione aristocratica, e tornò a concentrarsi momentaneamente sul suo amato.

‘’Sì, sì, ora ricordo. Vendevi anche del fieno per i cavalli, mi pare’’, disse il brigante, dopo essersi preso alcuni minuti in cui si era concentrato sul volto dell’estraneo.

‘’Sì, certo. Mi ricordo che te ne ho venduto più di un carretto, alcuni inverni fa’’, disse l’uomo che poco prima si era presentato come Guglielmo, sorridendo.

Era il primo sorriso che appariva su quel volto non tanto vecchio, ma segnato dalla fatica. I suoi occhietti scuri erano lievemente infossati, mentre una corta barba grigia incorniciava quel volto rotondo e da persona scaltra.

‘’Bene. Quindi, ora potrai dirmi a cosa devo la tua gradita visita’’, tornò a dire Giovanni, lanciando un’occhiata ai bambini, mentre prendeva posto su una sedia e faceva accomodare anche colui che ormai era considerato un ospite a tutti gli effetti. Guglielmo seguì il suo sguardo e capì.

‘’Oh, loro sono i miei tre figli. Mia moglie è morta qualche mese fa nel dare alla luce il quarto bambino, che ora è con una balia. Ecco, diciamo che il problema è proprio questo; ho parecchi figli, una balia da pagare e gli affari non vanno affatto bene. Questo freddo inverno si è portato via anche l’ultimo asino che mi era rimasto, e dovrei ricomprarne almeno uno giovane, altrimenti dovrò dire addio ai mercati e ai guadagni. Ma, ahimè, non ho un soldo in tasca, neppure una monetina da nulla! E’ per questo che son venuto fin qui’’.

‘’Hai bisogno di soldi, quindi?’’, chiese Giovanni, facendo una domanda che però aveva il retrogusto di una constatata affermazione.

‘’Sì. Tutti nella valle ti considerano un brav’uomo, e anche se rubi ai ricchi, sei sempre disposto a dare una mano ai bisognosi. Ho bisogno di un piccolo prestito, ma proprio piccolo, e ti giuro sul mio onore che ti riporterò tutti i soldi nei prossimi mesi, fino all’ultima moneta’’, disse ancora Guglielmo, esplicando il suo scopo dopo una valanga di parole. Teresa vide Giovanni annuire, e tornò a guardare i figli dell’uomo.

I bambini parevano essere neutri, i loro occhi vacui non esprimevano nulla se non la fame, e il loro volto scavato ne era l’ennesima conferma. Ma la ragazza più grande pareva davvero a disagio. Le sue mani continuavano a sfregarsi, e il suo volto esprimeva tristezza e dispiacere, mentre cercava sempre di evitare ogni sguardo che le veniva indirizzato, quasi avesse da nascondere qualcosa.

Interpretando quello strano comportamento come un’eccessiva timidezza, la contessina tornò a fissare il suo amato, che dopo aver accettato la richiesta di prestito del suo interlocutore, aveva afferrato il piccolo contenitore in cui custodiva una ridotta somma di denaro, e ci stava frugando dentro con le mani.

Presa da uno strano senso di angoscia, fu in procinto di prendere le redini della conversazione e chiedere al brigante di non aiutare quegli sconosciuti e di cacciarli via, ma poi sapeva che avrebbe recato offesa a degli ospiti e avrebbe dovuto giustificare la sua repentina e non richiesta presa di posizione, quindi se ne stette ancora ferma in un angolo della stanza e non disse nulla.

Dopo poco, Giovanni passò una certa somma a Guglielmo, ma la contessina cercò di non guardare quanto denaro gli avesse dato, sentendosi sempre più agitata. Era come se dentro di lei si fosse risvegliato un primitivo senso di allerta, che voleva a tutti i costi annunciarle che stava per accadere qualcosa di grave, e che il suo amato non doveva dare nulla a quell’uomo.

Giovanni era una persona buona e d’animo gentile, e di fronte alle richieste d’aiuto non si tirava mai indietro. Lei invece in quel momento si sentiva un’aristocratica tirchia, attaccata al denaro, e questo al fece vergognare per un attimo. Però, quella situazione la faceva davvero sentire a disagio, e continuava a recarle fastidio, anche se non conosceva il motivo di quella strana sensazione che stava provando.

Quando tornò a rialzare gli occhi e a guardare il brigante, Guglielmo aveva già intascato ciò che gli era stato prestato, mentre un sorriso amabile gli era apparso sul volto. Un sorriso apparentemente gentile, ma tremolante, come se anche su di lui aleggiasse l’ombra di qualcosa di oscuro.

‘’Grazie. Sono in debito con te’’, disse l’ospite, dopo aver messo nelle sue tasche lerce tutto il denaro che gli era stato dato.

‘’Non devi sentirti in debito di nulla. Quel denaro te lo regalo, in  modo che tu possa avere cura dei tuoi figli senza far loro mancare nulla. Non lo rivoglio indietro, intesi?’’, disse Giovanni, serio.

‘’Non posso accettare questo regalo…’’, sussurrò l’uomo, sorpreso dalle parole del brigante.

‘’Invece puoi. Fai stare bene i tuoi figli, questa è l’unica cosa che ti chiedo in cambio. Se lo farai, sarà come se mi avessi saldato il debito’’, concluse Giovanni, sorridendo con dolcezza. E con grande sincerità.

Ma attorno a lui solo Guglielmo rispose al sorriso, accettando di fatto il prestito, che ormai era diventato un regalo, poiché né i due bambini né la ragazza sorrisero. Anzi, la ragazza pareva avere gli occhi gonfi, pronti a far scivolare delle lacrime lungo le guance. Eppure, non disse mai nulla, neppure una parola, e quando il brigante scortò tutti alla porta e li lasciò ritornare alla loro dimora, lei non si prese neanche la briga di dire una parola di congedo o ringraziamento.

Se questo poteva lasciarlo passare ai due bambini, Teresa riconosceva che non era un gesto cortese da parte di una ragazza ormai in età da marito. E tutto in quell’incontro era stato decisamente strano e anomalo.

Giovanni richiuse dopo poco la porta dietro di sé, tornando nella cucina, mente Teresa lo fissava con insistenza.

‘’Che c’è? Te la sei presa perché quell’uomo ha pensato che tu fossi una poco di buono? Ma no, non fare così. In altre circostanze avrei potuto spiegare chi eri e come stavano realmente le cose, ma ora potresti essere ricercata da tuo marito e svelare la tua identità e la nostra situazione di coppia potrebbe rivelarsi davvero pericoloso’’, disse il brigante, sempre con grande serietà.

‘’Non è per questo… è per lo strano comportamento di quella gente. Hai notato la ragazza? Non ha mai detto una parola, e pareva sul punto di piangere. Era agitata, sembrava che si sentisse in colpa ed avesse paura’’, disse Teresa, pensierosa. Effettivamente, ciò che aveva detto il brigante poco prima l’aveva ferita, ma solo per un brevissimo istante, poiché le sue vere preoccupazioni riguardavano altro, non certo ciò che alcuni contadini del fondovalle pensavano su di lei.

‘’Teresa… quella giovane stava morendo di fame e di freddo. Cosa volevi che dicesse?’’, tentò di giustificarla Giovanni.

‘’No, non era per il freddo. La ragazza era piuttosto in carne, rispetto agli altri due bambini… e non parevano neanche fratelli. E tu hai dato dei soldi a dei perfetti sconosciuti’’, disse la contessina, cercando di spiegarsi meglio. Ma quand’ebbe finito di parlare, notò un lieve sconcerto sul volto del suo amato.

‘’Non me l’aspettavo da te tutta questa avarizia. In pratica, non li sopportavi perché ho dato loro del denaro’’, affermò infatti Giovanni, sempre più duro.

‘’No, non è per questo…’’.

‘’Quel denaro l’ho preso rubandolo, non me lo sono guadagnato onestamente. Ho avuto la fortuna di poterlo rendere mio in modo illecito, e quindi ho anche il dovere di spartirlo con i meno fortunati di me. Che razza di uomo sarei se non aiutassi gli altri? E poi, non ho dato loro una grande somma, stai tranquilla’’, continuò il brigante, imperterrito.

‘’Lasciami parlare, non è questo che volevo dire. È solo che… mi è parso tutto così strano’’, disse Teresa, bloccandolo prima che avesse potuto dire altro e cercando di farsi capire.

‘’Non c’è nulla di strano, parecchi poveri vengono a chiedermi cibo o denaro’’.

‘’Sì, ma nessuno si è mai presentato qui, alla porta di questa casa’’, affermò di slancio la contessina. Giovanni, prima di rispondere, rise forte.

‘’Va bene, questo è vero, ma venivano tutti alla cascina. Nessuno, a parte alcuni dei miei compagni, sa che ora vivo qui, e quindi è normale che…’’.

Teresa lo lasciò parlare e non lo ascoltò, visto che era tutto normale per lui. Abbassò lo sguardo e si chiuse in sé stessa, cercando di capire da dove sbucasse quella sensazione che la stava logorando da dentro. Di certo, lei voleva eluderla e dimenticarla.

‘’…e quindi i miei compagni gli hanno indicato il sentiero per giungere fin qui. Guglielmo l’ha detto poco prima di andarsene, se tu avessi ascoltato la conversazione. Eppure, non ascolti neppure ora. Che hai che ti assilla?’’.

La voce di Giovanni tornò a riecheggiare nella sua mente non appena la sfiorò con le dita. Poi, le prese il volto tra le mani, stringendolo in una calda carezza.

‘’Non lo so, Zvàn… davvero, provo una strana sensazione. Un misto tra paura e impotenza, non so come descriverla meglio. Sembrava che quell’uomo si fosse trascinato dietro quei giovani solo per crearsi una copertura convincente, mentre nel frattempo ne approfittava per osservare tutto…’’, mormorò la contessina, godendosi quel breve contatto e lasciando andare i suoi pensieri.

‘’Smettila, oggi è uno di quei giorni in cui ti fissi sul fatto che c’è qualcosa che non va e non riesci più a ragionare come si deve. A volte sei piacevolmente strana, lo sai?’’, chiese Giovanni, con affetto e sorridendole. E lei non seppe più resistere al suo sorriso, e lo baciò.

‘’Chiamala pure stravaganza femminile. Ormai dovresti essere abbastanza adulto per capire che ogni donna ha i suoi pregi… e i suoi difetti’’, gli disse con velata ironia, dopo che le loro labbra si furono distaccate.

‘’Nel tuo caso sono più i pregi che i difetti, fidati di me’’, concluse il brigante, abbracciandola e tenendola stretta a sé, quasi cullandola. E in quel momento, ogni problema e ogni brutta sensazione abbandonò la mente della contessina, che si lasciò andare in quell’abbraccio, sciogliendosi come neve al sole.

Si svestirono in un attimo, frettolosamente come sempre, poiché quando sentivano il bisogno l’uno dell’altra era sempre così che andava a finire. Niente complimenti e nessuna carezza di troppo, solo i loro due corpi uniti e nient’altro. Eppure, quella volta andò tutto diversamente.

Mentre Teresa si sdraiava sul letto, e Giovanni le si avvicinava, un forte conato di vomito la bloccò, costringendola a spostarsi e a sedersi sul bordo del loro giaciglio. La ragazza si premette con delicatezza il ventre, mentre il forte senso di nausea sembrava attenuarsi.

‘’Che succede? Ti senti male?’’.

La voce preoccupata del brigante la raggiunse come se fosse stata lontanissima, mentre nella mente della contessina qualcosa le suggeriva che era di nuovo incinta. Quando capì che Vanna poteva aver avuto ragione, riconoscendo il classico malessere della gravidanza precedente, si voltò verso Giovanni e lo guardò.

Il suo amato la stava fissando con intensità, mentre il suo volto esprimeva una grande preoccupazione. Lei avrebbe voluto sorridergli, ma capì che prima avrebbe dovuto diglielo. Fece per aprire la bocca, ma si prese un istante per pensare come dirgli che sarebbe diventato padre, e che finalmente avrebbe avuto un figlio.

Gli sorrise comunque, mentre lui continuava a guardarla con perplessità crescente.

Teresa si accinse a dargli la buona notizia, ma proprio mentre apriva nuovamente la bocca, alcuni spari risuonarono in lontananza.

In un attimo, il brigante era all’erta.

‘’Hai sentito anche tu quegli spari?’’, chiese subito a Teresa, disinteressandosi per un momento a lei.

‘’Sì’’, mormorò la contessina, ‘’ma sono distanti’’.

‘’No, sono molto più vicini di quello che sembra. Provengono dal covo, e da quest’ora la maggior parte dei miei uomini sono ancora tutti svegli. Non vorrei che fosse scoppiata una rissa’’, aggiunse il brigante, stando in orecchio. Subito dopo, altri spari ruppero il silenzio della notte, questa volta apparentemente più vicini dei precedenti.

Giovanni non attese altro e balzò in piedi, rivestendosi in un batter d’occhio, mentre Teresa veniva presa nuovamente dal panico di poco prima. Anche lei si rivestì al meglio, mentre il brigante si dirigeva di corsa verso la porta d’ingresso.

Altri spari riecheggiarono ovunque, e la contessina non riuscì a trattenersi.

‘’Zvàn!’’, gridò, un attimo prima che lui aprisse la porta.

Giovanni si voltò a guardarla, mentre i suoi occhi esprimevano stupore. E paura. Per la prima volta, Teresa vedeva la paura anche negli occhi di quell’uomo sempre sicuro di sé. E capì che quello non era il momento giusto per dirgli che sarebbe diventato padre. Avrebbe atteso un momento più propizio per farlo.

‘’Vai pure. E stai attento! Qualunque cosa stia accadendo là fuori, potrebbe essere pericolosa’’, disse alla fine la ragazza, con un tono di voce piagnucolante e spaventato. Non voleva lasciare andare il suo amato, ma sapeva che lui non se ne sarebbe rimasto con le mani in mano e sarebbe corso ugualmente al covo.

Il brigante la guardò e le lanciò un fugace sorriso.

‘’Non ti preoccupare, non è nulla. Sarà scoppiata una piccola rissa, la sederò in un attimo…’’.

Giovanni non riuscì a concludere la frase, poiché la porta d’ingresso fu violentemente sfondata. Il legno vecchio non resse oltre e quando andò in pezzi fece un fracasso assurdo.

Il capo dei briganti riuscì a fare qualche rapido passo indietro, sbalordito, mentre la porta cadeva a pezzi nel bel mezzo di casa e il vetro di una finestra andava in frantumi.

Teresa a quel punto lanciò un grido tremendo, ormai in preda al panico. Poi, si ritrovò catapultata nel bel mezzo del caos.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguire il racconto J

A quanto pare, è finito quel momento di pace che era riuscito a far riavvicinare i nostri due protagonisti. Ma che starà succedendo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo.

Grazie infinite ai recensori, che mi riempiono sempre di complimenti e mi sostengono senza stancarsi mai. Grazie per tutto il supporto che mi state offrendo J

Grazie di cuore a tutti, e buona giornata J a lunedì prossimo J

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Capitolo 52
*** Capitolo 51 ***


Capitolo 51

CAPITOLO 51

 

 

 

 

Giovanni vide la porta di casa che crollava davanti ai suoi piedi, mentre lui cercava di indietreggiare, lasciando libero un suo riflesso innato e perdendo la padronanza di sé a causa della paura.

Quando due uomini armati lo afferrarono per le braccia e lo trascinarono fuori dalla sua abitazione, poteva udire distintamente le grida di panico di Teresa, ma non riuscì a reagire in nessun modo. Infatti, a tenerlo fermo con forza non erano due uomini qualsiasi, e questi stavano per legargli le mani dietro alla schiena.

Quei due uomini erano due gendarmi, lo poteva constatare dalle divise lucenti che indossavano, ed in più non parlavano neppure una lingua comprensibile. Dovevano essere due stranieri, forse si trattava dei fantomatici austriaci di cui aveva sentito parlare per anni, senza mai averne visto uno a distanza ravvicinata.

La presenza di quegli uomini per lui significava solo una cosa; che era la fine di tutto. La fine di un sogno, la fine della sua vita.

Deglutì con forza, smettendo di agitarsi e lasciando che i due gendarmi lo legassero per bene. Ancora non riusciva a capire come fosse potuto succedere tutto ciò, e la sua mente tornava indietro a qualche attimo prima, quando si stava per concedere all’amore della sua magnifica contessina, sperando che quello che stava vivendo fosse solo un incubo.

Ma sapeva che non era così. Infatti, era ancora mezzo svestito, e ben presto il freddo della notte permeò sotto gli abiti e invase tutto il corpo, dandogli una sensazione di intorpidimento generale. Intanto, i due gendarmi iniziarono a trascinarlo a terra a peso morto, lasciando che si sporcasse tutto nel fango.

Giovanni rialzò la testa, cercando di capire perché non lo avevano ancora ucciso; era infatti consuetudine che le guardie fucilassero subito i briganti, sempre nel timore che potessero fuggire o compiere altre nefandezze prima di morire.

Tornò a strattonare e a puntare i piedi al suolo, tentando una vana resistenza, ma i due gendarmi erano molto forti e continuarono a trascinarlo via.

‘’Uccidetemi’’, disse ai due, ‘’uccidetemi ora. Avanti!’’, gridò nuovamente il brigante, accecato dall’ira. I due gendarmi continuarono a parlare tra loro in una lingua incomprensibile, e molto probabilmente non lo capirono neppure.

‘’Dannati, luridi bastardi’’, tornò a dire, a voce sommessa. Ma non tanto da non essere udito.

Infatti, i due gendarmi si fermarono per un attimo, mettendolo in piedi. Giovanni tremò e chiuse gli occhi, aspettandosi uno sparo, invece a colpirlo fu solo un pugno al volto. Il brigante scivolò a terra da solo, mentre la testa gli doleva all’inverosimile e la vista diventava sfocata.

Solo quando sentì il sapore acre del sangue nella sua bocca tornò a riprendere un po’ di lucidità, mentre i due individui erano tornati a chiacchierare tra loro e a trascinarlo verso un punto non definito. Il brigante riconobbe che quegli uomini capivano dannatamente bene le parolacce, e a causa del dolore che gli avevano procurato, decise volutamente di non importunarli più, anche perché era ormai certo che non lo avrebbero ucciso nell’immediato.

Iniziò a guardarsi attorno, nel vano tentativo di orientarsi e di capire dove si trovava di preciso e dove lo stavano portando, in modo da poter ideare qualche piano per fuggire, visto che si trovava pur sempre nel suo territorio, ed era a casa sua. Però, dovette ammettere a sé stesso che non sarebbe stato facile liberarsi e fuggire con le braccia legate mentre due colossi lo stavano trattenendo con forza, quindi pensò di desistere e di attendere di scoprire che intenzioni avevano.

Nel frattempo, Giovanni notò con grande dolore che c’erano molti incendi appiccati attorno a lui, fino alla vallata. Numerose case dovevano essere state brutalmente perquisite, in un modo del tutto insolito per i gendarmi, che invece dovevano rispettare le leggi. Ma lì, sui monti, la verità era che le leggi non esistevano per nessuno.

Riconobbe che lo stavano trascinando più a monte, verso la sua cascina, e quando si trovò di fronte alla casa di Lina, notò che tutte le finestre erano in frantumi, e un incendio stava divampando nel retro, dove erano custoditi la paglia e il fieno degli animali.

Con amarezza, si chiese che fine avesse fatto Teresa, la sua amata. Forse era già stata uccisa. A quel punto si trovò a rimproverarsi, poiché era suo dovere nasconderla ed aver cura di lei. D’altronde, la contessina gli aveva affidato la sua vita, e lui l’aveva sprecata. Sperò solo che nessuno si fosse azzardato a sottoporla ad una qualsiasi violenza, altrimenti sarebbe impazzito.

A quel punto, riconobbe che lo stavano portando verso il covo. Ovunque risuonavano grida e spari, e la notte era illuminata a giorno dagli incendi, divampati ovunque nei rifugi dei briganti e nelle case dei contadini loro amici.

A Giovanni parve ovvio che non doveva esserci più alcuna resistenza, e che ormai era tutto perduto. Nonostante il fatto che la sua banda contasse talmente tanti componenti da poter formare una sorta di piccolo esercito, i gendarmi avevano colpito di notte, dopo aver eluso ogni sentinella, ed avevano preso possesso di tutte le postazioni principali della banda in un batter d’occhio, cogliendo tutti nel modo più improvviso. Questo era decisamente molto strano, visto che la Gendarmeria non poteva conoscere così bene i suoi territori e i punti nevralgici della banda, e tutto ciò fece sorgere molti dubbi nella sua mente.

Lasciò che i gendarmi lo trascinassero ancora per un po’, mentre con difficoltà percorrevano il sentiero in salita e continuavano a parlare tra loro con voce sommessa e in un linguaggio incomprensibile.

Quei due uomini erano alti, giovani e forti; i loro capelli erano chiari e quasi rilucevano come astri nel buio della notte, quando i bagliori delle fiamme lontane li colpivano. Dovevano essere davvero dei bravi tiratori, visto che erano anche ben armati, e Giovanni ebbe la certezza che non sarebbe mai riuscito a fuggire vivo da tra le mani di quei due energumeni, quindi abbassò la testa e sputò a terra del liquido rossastro.

Il dolore che provava nella testa e in bocca era molto forte, quasi da paralizzarlo, e molto probabilmente anche qualche dente doveva essersi spezzato nel duro impatto di poco prima.

Di lì a poco, senza quasi accorgersene, il capo dei briganti si ritrovò di fronte alla sua cascina, immerso nelle grida dei suoi compagni. Infatti, molti dei suoi uomini erano stati raccolti lì, le braccia legate dietro la schiena e il volto pestato. In ogni caso, quelli catturati non dovevano essere più di una ventina, e poco distante altri spari continuavano a risuonare ovunque, rompendo il silenzio della notte.

‘’Basta così! Arrendetevi! Non c’è più motivo per combattere, fuggite se potete!’’.

Solo allora Giovanni riconobbe la voce di Mario, che anch’esso stava venendo trasportato fin lì, dove i gendarmi stavano raccogliendo tutti i briganti. Il maturo brigante pareva disperato, e mentre invocava la fuga dei compagni, il suo volto era tumefatto e pesto. Doveva essere stato catturato nel sonno e poi picchiato a dovere, dopo aver tentato una vana resistenza.

Ignorando momentaneamente il suo dolore fisico e ciò che lo circondava, i suoi occhi corsero a cercare disperatamente Teresa; effettivamente, anche lei doveva essere portata fin lì, se era stata catturata. Giovanni sperò che fosse riuscita a scappare, ma sapeva che quella volta non sarebbe potuta andare da nessuna parte, visto che la loro abitazione non aveva altre porte, e lei era rimasta intrappolata nella stanza da letto mentre altri due uomini erano entrati nella casa. Sperò nuovamente che nessuno l’avesse sottoposta a violenze fisiche.

A quel punto, i suoi pensieri furono bruscamente interrotti, poiché i due gendarmi che lo trattenevano lo gettarono al suolo con forza, lasciando che la sua testa sbattesse senza tanti complimenti sul terreno fangoso, e a quel punto capì che forse sarebbe arrivata anche la sua fine.

Al suo fianco, venne buttato a terra un uomo, poi altri due. Il capo dei briganti riuscì a roteare di poco la testa, e vide che distesi assieme a lui c’erano Mario, Luca e Lorenzo. Tutti nella sua stessa posizione supina.

Chiuse gli occhi quando sentì qualcosa che gli sfiorava il ventre. Poi, ricevette una frustata talmente tanto violenta che lo costrinse a riaprirli.

‘’Sei tu Zvàn, il capo di questa banda?’’.

Giovanni si trovò di fronte a due uomini, che lo stavano guardando attentamente dall’alto; uno era senz’altro un gendarme, ed era molto simile agli altri che l’avevano portato fin lì. Alto, chiaro di capelli e giovane, e con un volto dai tratti eccessivamente rigidi. Dal colore della divisa e dal suo portamento, comprese che doveva essere un uomo di rango superiore agli altri. Doveva trattarsi del comandante di quel manipolo di soldati.

L’altro uomo, che gli aveva rivolto la parola e gli aveva posto quella domanda, non aveva alcuna parvenza militare. Il suo volto perfetto e ben rasato lo stava fissando, mentre un largo sorriso gli era apparso sulle labbra. Impugnava un frustino per cavalli, ed aveva l’aspetto di un nobile, anche se era ancora piuttosto giovane.

Senza rispondere, il capo dei briganti deglutì e continuò a chiedersi il perché di tutta quella farsa. D’altronde, ogni volta che venivano catturati dei fuorilegge, essi venivano subito uccisi, e nessuno poneva troppe domande.

Eppure, quella volta pareva tutto diverso da ciò che era accaduto in passato ad altre bande, e questo lo coglieva impreparato. Sapeva che prima o poi la sua avventura sarebbe finita, ma non si sarebbe mai creduto che prima della sua morte qualcuno lo avesse frustato come una bestia da soma e gli avesse rivolto la parola in modo così scrupoloso.

‘’Sono io Zvàn, colui che cercate’’, mormorò Mario, disteso a suo fianco.

Giovanni guardò l’amico mentre in un attimo veniva tirato su in piedi e veniva colpito al ventre con un pugno da un gendarme.

‘’Lo voglio morto subito, questo. Non fucilatelo, fatelo penzolare da un albero’’, disse il giovane nobile, indicando Mario.

‘’Sono io Zvàn! Sono io! Non ascoltatelo’’, ruggì il capo dei briganti, furioso per il fatto che l’amico gli avesse rubato l’identità. Effettivamente, doveva averlo fatto per proteggerlo da dolori maggiori.

Il giovane nobile lo fissò.

‘’Bene, abbiamo due Zvàn, a quanto vedo. Esigo che questi due vengano portati a Ravenna, li fucilerete lì allora. Voglio che vedano la fine dei loro giorni insieme, visto che hanno anche lo stesso nome’’, tornò a dire il giovane nobile, lasciando trapelare un pizzico di malsano divertimento mentre parlava.

Giovanni si accinse a replicare, per cercare di spiegarsi, ma rimase sorpreso dal silenzio che era calato attorno a lui.

Gli spari avevano smesso di risuonare ovunque e parecchi roghi divoravano tutti i vari rifugi dei briganti, mentre i suoi uomini che erano stati catturati stavano venendo condotti più a valle da una decina di gendarmi armati a puntino e pronti a far fuoco. Il capo dei briganti non seppe capacitarsi di quanti uomini avesse perduto, o di quanti danni avessero inflitto alla sua banda, e questo gli creò un grande dispiacere, subito sopito.

Attorno a lui, si erano raggruppati un’altra decina di gendarmi, quasi a sorvegliare la scena inedita che si stava svolgendo di fronte a loro.

Si accinse nuovamente ad aprire la bocca e a ribattere, ma rimase senza parole. Una ragazza stava venendo trascinata di peso da un altro gendarme, che stava cercando di domare quella giovane furiosa che scalciava ovunque, nel vano tentativo di liberarsi.

Ben presto, tutti gli occhi dei presenti erano puntati su quella ragazza. E quella ragazza era la sua Teresa.

 

 

Teresa non era riuscita a scappare dall’abitazione, poichè era stata talmente tanto scombussolata da quello che era successo che non era stata neppure in grado di tentare di fuggire dalla finestra. I suoi aggressori erano due, ed aveva identificato subito le loro divise tipiche dei gendarmi.

Avrebbe voluto parlare e dir loro qualcosa, ma uno dei due l’aveva già afferrata e l’aveva strattonata in malo modo, trascinandola verso la porta. L’altro gendarme non li aveva seguiti, già certo che il compagno non potesse perdere la presa.

Ed effettivamente era stato proprio così. Il gendarme era forte e corpulento, anche se non eccessivamente alto, e le sue braccia erano due tenaglie fatte di muscoli.

E lei, così esile, non aveva potuto far altro che lasciarsi trascinare dovunque quell’uomo avesse voluto, cercando però di sferrargli qualche calcio, di tanto in tanto. Aveva visto il covo dei briganti in fiamme, assieme a tutte le abitazioni da loro occupate, ed aveva anche visto Giovanni mentre veniva catturato da due aggressori armati. Nonostante la paura, era riuscita a pregare per lui e per loro figlio.

Aveva pregato per tutto e per tutti, ma non per non rivedere mai più Alfonso, visto che non le era passato per la mente. Ed in quel preciso momento, lui la stava fissando.

Il giovane conte la guardò con un occhiata inespressiva, mentre Giovanni se ne stava in piedi dietro di lui, con un labbro spaccato, e con Mario, Luca e Lorenzo a terra e legati.

‘’Tu! Ti odio. Sei un mostro’’, sibilò la contessina, dopo aver realizzato che doveva essere stato quel’essere disgustoso di suo marito ad aver organizzato quell’agguato, anche se non aveva idea di come avesse fatto a scoprire il nascondiglio dei briganti.

‘’Come, signorina? Lo sapete con chi state parlando?’’, mormorò Alfonso di risposta, lo sguardo vacuo e apparentemente stupito.

Teresa rimase sorpresa da quella risposta, e andò su tutte le furie. Quel mostro di suo marito voleva proprio tormentarla fino all’ultimo, ed ora non capiva il suo strano comportamento.

Era certa che anche lui l’avesse riconosciuta, nonostante il fatto che fosse notte e che le torce non scacciassero tutto il buio che li circondava.

‘’Lo so chi sei. Sei mio…’’.

La contessina non riuscì a dire altro, perché Alfonso le diede uno schiaffo. Poté sentire la sua mano fredda mentre si abbatteva sul suo volto, e il grido di Giovanni, che aveva cercato di impedire quel gesto. Eppure, si ritrovò con un labbro spaccato anche lei, come il suo amato.

‘’Imbavagliate questa poco di buono, e fate in modo che non insulti più nessuno e che non gridi. Portatela a valle e assicuratevi che stia lontana dai briganti. Questa ragazza la prendo sotto la mia tutela’’, disse Alfonso, mentre un gendarme già la imbavagliava. Teresa cercò di agitarsi o di replicare, ma era già troppo tardi e un bavaglio le impediva di parlare.

‘’E’ forse questa vostra moglie?’’, chiese un uomo, un altro giovane. Teresa, nonostante la rabbia, riconobbe che doveva trattarsi di un gendarme di alto grado.

‘’No, comandante Neuer. Mia moglie finora non è stata trovata da nessuna parte. Vi prego di mostrarmi ogni donna che troverete nelle vicinanze del covo dei briganti, in modo che io possa controllare che non si tratti della mia amata consorte. Rovistate ovunque; potrebbero averla nascosta in una delle tante case di quei contadini più a valle’’, disse il giovane conte, con un tono di voce sconsolato.

Teresa lo guardò con disgusto; ora sapeva di essere in trappola. Suo marito doveva aver escogitato un piano per farle del male e vendicarsi, e questa volta neppure immaginava cosa le avrebbe fatto e quali tattiche avrebbe utilizzato.

Due gendarmi le avevano legato i polsi dietro la schiena, mentre era anche imbavagliata. Lanciò un’occhiata piena di allarme a Giovanni, sperando che fosse lui la sua voce e che dicesse qualcosa, ma il brigante aveva lo sguardo vacuo, sembrava non capire. E d’altronde, lui non conosceva Alfonso, e lei non poteva smentire in alcun modo le bugie del marito, ora che non poteva neanche più parlare.

Nessun altro tra i presenti la conosceva, e si trovava di fronte a dei perfetti sconosciuti che non avevano la benché minima idea di chi fosse lei in realtà. La ragazza abbassò lo sguardo, capendo che se anche fosse riuscita a rivelare che quell’odioso conte era suo marito, avrebbe pur sempre perso Giovanni, il suo unico grande amore.

Combattuta, continuò a tenere lo sguardo fisso a terra, mentre cominciava a piangere. Ora sapeva che era giunta la fine del suo sogno; Alfonso avrebbe prima fatto uccidere il suo amato assieme a tutti i suoi compagni, poi avrebbe fatto del male anche a lei, soprattutto se avesse saputo che era incinta di un figlio non suo, e che aveva perso il suo legittimo erede mentre fuggiva dal suo palazzo.

Sperò solo che avesse intenzione di ucciderla in fretta, in modo da darle l’occasione di potersi ricongiungere per sempre col suo unico grande amore.

Quella era la fine di tutto; della sua vita, del suo amore, e di quel minuscolo figlio che aveva in grembo e che non sarebbe mai venuto al mondo.

 

 

Alfonso era soddisfatto del suo operato.

Mentre Teresa e gli ultimi quattro briganti venivano portati a valle, in modo da potersi ricongiungere con la colonna dei gendarmi, che li avrebbe condotti fino alla pianura dove sarebbero iniziate le fucilazioni, si lasciò raggiungere da Neuer.

L’austriaco doveva aver iniziato a dubitare di lui, visto che non era più sicuro come quella mattina, quando la missione doveva ancora avere inizio.

‘’Signor conte, quella ragazza pareva conoscervi. E anche molto bene’’, gli disse il comandante senza fare preamboli ed indicando Teresa, che camminava pochi passi più avanti di loro, imbavagliata e legata.

‘’Certo che mi conosce. È stata una mia domestica a Ravenna, ma poi… ecco, sapete come vanno certe cose; si era invaghita di me, e l’ho dovuta cacciare. Non badate se mi sputerà addosso ogni genere di accusa; è andata giù di testa ed ha perso la ragione. Ad un certo punto, era giunta a bussare alla mia porta, dicendo di essere mia moglie. Povera pazza, povera illusa. Qui tra i briganti avrà di certo trovato chi le dava quel qualcosa che io non le ho concesso.

‘’Comunque, ho intenzione di darle una mano e di riprenderla a lavorare per me, visto che qui per lei è tutto finito… povera anima in pena. Il bavaglio è solo una precauzione, altrimenti le sue grida rabbiose avrebbero incendiato nuovamente gli animi dei briganti’’, mormorò il giovane conte, cercando di fingere al meglio.

Se il teatrino che stava mettendo in scena fosse stato convincente, avrebbe vinto su tutti ed avrebbe ottenuto ogni agognata rivincita. Avrebbe punito Teresa, avrebbe punito il suo amante ed avrebbe punito anche Neuer, quello straniero che voleva fare tanto l’inflessibile ma che in realtà era uno stupido. Perché solo uno stupido poteva comportarsi in quel modo, catturando tutti i briganti che si fossero arresi ai suoi gendarmi per poi farli fucilare in pianura, di fronte a frotte di contadini irrequieti.

Gli ordini di suo zio erano stati chiari e perentori; non si doveva far nulla che potesse spingere il popolo a creare nuove sommosse. Quella era una missione molto delicata. E di certo, far vedere i briganti mentre venivano massacrati non sarebbe di certo stata un’ottima idea, visto che la popolazione più povera molto spesso si affidava proprio a loro per chiedere cibo e aiuto.

Inoltre, Zvàn era uno dei capobanda più conosciuti per la sua generosità e per l’altruismo verso coloro che erano in difficoltà, e mostrare a tutti mentre veniva fucilato da degli austriaci, degli stranieri che a stento parlavano la lingua locale, li avrebbe di certo inferociti. E forse, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, ci sarebbe stata una nuova insurrezione del popolo, che avrebbe gettato discredito e disprezzo sul giovane comandante.

Alfonso sogghignò a quel pensiero, poiché Neuer si era affidato al suo consiglio e lui l’aveva ingannato nel peggiore dei modi, sfruttando la sua giovane età e la sua poca conoscenza del territorio e della popolazione. E alla fine, anche per lui quello sarebbe stato l’ultimo incarico della sua vita. Nessuno avrebbe creduto alle sue parole, vista la sua scarsa esperienza, e di certo sarebbe finito direttamente nelle celle buie di Forte Sant’Angelo senza avere neppure l’opportunità di replicare qualcosa. Nessuno si sarebbe più preso a cuore la sua situazione, neppure la sua vera patria, e sarebbe morto di stenti in quel lugubre carcere, dopo anni di sofferenze.

‘’Ho capito, ho capito’’, mormorò Neuer a suo fianco, scrollando lievemente la testa con un modo di fare che pareva esprimere agitazione. Parlava lentamente, riflettendo qualche secondo prima di aprire la bocca.

Alfonso sogghignò nuovamente, riprendendo a guardare la breve colonna di uomini che aveva di fronte a sé. Guardò la sua Teresa, che in quel momento gli dava le spalle, e capì che se la sarebbe ripresa, per poi farla sparire in un qualche modo.

L’avrebbe uccisa, ma non prima di averle mostrato che per lei non c’era più via di fuga, dicendole che suo padre era morto e che aveva fatto fucilare il suo amante. Nessuno la conosceva, e nessuno poteva più proteggerla.

Le avrebbe sputato in faccia che, dopo aver organizzato tutto con la Gendarmeria, era riuscito a far parlare un componente della banda del suo amante ed aveva pagato cospicuamente un contadino della zona per farlo andare ad individuare dove vivesse il suo tanto amato pezzente, in modo che fosse potuto cadere direttamente tra le braccia della morte. L’avrebbe umiliata.

Poco più avanti di lei, i presunti capi dei briganti stavano camminando anch’essi, ben legati. Sapeva esattamente chi era Zvàn, ma non aveva idea di chi fossero gli altri tre, anche se era certo che ricoprissero qualche posizione privilegiata nella banda, visto come si erano dati da fare per urlare ordini agli altri fuorilegge.

Avrebbe chiesto a Neuer di far fucilare i due più giovani assieme al resto dei briganti sopravvissuti, mentre quel Zvàn e l’altro che voleva spacciarsi per lui sarebbero finiti impiccati ad un albero alle periferie di Ravenna, in modo che chiunque entrasse o uscisse dalla città potesse vedere che fine facevano i capi dei fuorilegge. In questo modo, quel pezzente dell’amante di sua moglie sarebbe stato in buona compagnia, a marcire tra gli sguardi di tutti. Chiunque doveva vedere che era morto.

Forse, però, sarebbero stati ancora di più a marcire su quell’albero. Infatti, numerosi gendarmi erano stati inviati nelle paludi a nord della grande città, a ricercare le bande che le infestavano da decenni, e se anche lì tutto fosse andato secondo i piani, ben presto ci sarebbe stata un’altra buona cinquantina di gaglioffi da estirpare dal mondo dei vivi, ed almeno un altro capobanda da impiccare assieme agli altri due pezzenti montanari.

‘’Quel Fabio non ci ha ingannato, alla fine’’, tornò a dire l’austriaco, dopo qualche attimo di silenzio, mentre montava sul suo cavallo. Anche Alfonso se ne fece porgere uno da un gendarme appiedato.

‘’Eh, già. Non aveva molte altre possibilità, se voleva ricevere quella fantomatica ricompensa. Non credete?’’, disse Alfonso, guardando colui con cui si sarebbe dovuto alleare, e che invece stava tradendo nel modo più subdolo che esistesse.

‘’Ma… in cosa consisteva questa ricompensa? Non l’ho mai capito, anche se ho finto di stare al gioco’’.

Alfonso sorrise nuovamente di fronte alla leggerezza e alla stupidità del comandante. Era vero che Neuer era davvero rigoroso e attento, ma non era per niente furbo.

‘’Ma è ovvio’’, tornò a dire Alfonso, ‘’la ricompensa consiste nell’essere fucilato per primo. Così non vedrà i suoi vecchi amici mentre soffrono e attendono la morte’’.

Il buio impediva di molto la visuale, ma il giovane conte fu certo che il comandante lo stesse fissando con incredulità.

‘’Non so se faccio bene ad ascoltarvi. A volte mi sembrate un uomo spregiudicato, e i vostri consigli non so dove mi porteranno e quanto mi saranno utili’’, disse Neuer a sorpresa, la voce dura ma incerta.

Alfonso quella volta lo guardò, smettendo di sorridere e temendo che i suoi orribili piani fossero stati scoperti. Cercando di sembrare impassibile a quella velata accusa, trovò una risposta accurata.

‘’Vi saranno senz’altro utili. Chi meglio di me sa dirvi che tipo d’uomo e quale genere d’azione preferisce mio zio? E poi io sono vostro amico, non temete. Ve l’ho già detto. Se volete fare della strada, dovrete ascoltarmi… anche perché, diciamocelo in faccia; io sono colui che potrebbe anche farvi arrivare in alto’’, disse poco dopo il giovane conte, con fare convinto. In realtà, continuava solo a sputare falsità, e il giovane comandante continuava a dargli credito, continuando a cadere clamorosamente nella trappola che gli aveva teso.

‘’Sì, certo, lo so…’’, sussurrò infatti Neuer poco dopo, anche se con un tono non molto convinto.

‘’Vorrei darvi un consiglio, comandante. Ora siete solo all’inizio della vostra carriera, e siete di alcuni anni più giovane di me. Siete ancora un ragazzo, diciamocelo, e devo anche riconoscervi che siete molto in gamba. Beh, ecco, d’ora in poi diffidate di tutti coloro che si proclamano vostri amici, perché potrebbero farvi lo sgambetto quando meno ve l’aspettate… non so se mi spiego’’.

‘’Certo che vi siete spiegato. Capisco. Sono giovane, sì, ma so quel che faccio e di chi mi devo fidare. Ma a questo punto, mi fate sorgere una domanda ovvia; voi siete davvero mio amico, come ultimamente professate di essere?’’, concluse Neuer, non senza una punta di triste sarcasmo sul finale della domanda.

‘’Ma certo’’, si affrettò a rispondere Alfonso, ‘’sono il miglior amico che voi possiate mai avere. E ve ne renderete conto a breve. Nel frattempo, dubitate di chiunque altro vi dirà di esserlo’’.

Il giovane conte a quel punto diede di sprone al cavallo, facendolo distanziare da quello del comandante, ma solo per lasciarsi sfuggire un sorriso malvagio e per portarsi più vicino a Teresa.

Gli avevano riferito che era stata trovata nell’abitazione che gli era stata segnalata da Guglielmo, un contadino del luogo che si era preso il rischio di scoprire dove si sarebbe rifugiato il capo dei briganti durante quella lunga notte in cambio di denaro. E costui aveva anche soffiato altri soldi a quel Zvàn, usando tre ragazzini innocenti come copertura.  Un altro traditore da impiccare, insomma.

Ma questo non importava quanto il fatto che sua moglie condividesse desco e letto con un brigante, un rifiuto dell’umanità, un immondo bandito puzzolente e lercio, vestito con stracci logori. Lei lo aveva ripudiato per un pezzente.

Mentre la rabbia tornava ad aumentare dentro di lui, si accorse che il suo viso doveva essersi arrossato dalla foga con cui stava pensando a tutte le onte che aveva subito.

Ma poi, fece un grosso sospiro, capendo che tutto ciò avrebbe avuto fine a breve. Solo un paio di giorni, e il suo piano si sarebbe completato alla perfezione.

Ma prima di quel momento, si sarebbe vendicato anche con sua moglie.

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.

Siamo entrati nella parte finale, che comunque sarà abbastanza consistente. Come avrete capito, sarà anche molto drammatica.

Tutto è in bilico, e per adesso la sorte sembra girare a favore di Alfonso… anzi, oserei dire che Alfonso ha tutto sotto controllo. Ma sarà davvero così? Lo scopriremo presto…

Vi ringrazio per continuare a seguirmi, e voglio soffermarmi a ringraziare pubblicamente Simo94, Rossella0806 e Clairy93 per continuare a seguirmi assiduamente e a lasciarmi puntualmente un loro graditissimo parere! Ringrazio anche Grace Kelly e Letylove31 per continuare a seguire il racconto e per farmi sapere che la vicenda continua ad essere di loro gradimento. Grazie di cuore!!

Ringrazio anche tutti i lettori ‘’silenziosi’’, sperando che ce ne siano ancora e che anche qualcun altro continui a leggere il racconto.

Grazie di cuore a tutti, e buona giornata J  a lunedì prossimo J

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Capitolo 53
*** Capitolo 52 ***


Capitolo 52

CAPITOLO 52

 

 

 

 

 

All’alba, Giovanni era distrutto sia fisicamente che mentalmente. Procedeva a stenti come il più stanco dei mendicanti, mentre gli altri suoi compagni sopravvissuti all’attacco della Gendarmeria lo stavano seguendo.

La lunga marcia notturna li aveva portati fino ai piedi delle colline, dove iniziava quel lembo di pianura interna che gli era tanto familiare. Eppure, in quel momento nulla poteva più salvarlo dalla disperazione, neppure la vista delle terre in cui era nato, mentre tutto veniva illuminato dal sole nascente. Aveva pianto nel buio, da solo, senza emettere alcun singhiozzo.

Mario era dietro di lui, l’aveva sentito parlare qualche volta, ed era sempre stato zittito in malo modo, mentre si erano uditi distintamente alcuni spari dalla coda della colonna. Sapeva che i compagni che non erano con lui in quel gruppetto dovevano essere tutti morti durante la notte, oppure dispersi tra le montagne, senza più un appiglio su cui basarsi e ripartire, immersi nei boschi bui e pieni di belve affamate.

Approfittando delle prime luci dell’alba, il capo dei briganti si guardò attorno, notando che dietro di lui non dovevano esserci rimasti più di una ventina dei suoi, circondati e controllati da un buon numero di gendarmi, ed erano tutti stanchi e legati. Non era rimasto quasi nulla del centinaio di uomini che era riuscito a raccogliere negli ultimi mesi.

Luca e Lorenzo arrancavano nelle retrovie, con grande affanno.

In quel momento però si accorse che Teresa mancava, e si fermò. Guardò ovunque in modo disperato, ma non fu in grado di vederla.

‘’Teresa! Teresa!’’, gridò Giovanni, in preda alla più cupa disperazione.

‘’Taci!’’, sibilò un gendarme, che gli si avvicinò a cavallo e fece cenno di colpirlo. Avendo ancora il volto tumefatto dalla sera precedente, decise di non arrischiarsi a prendere altre botte, e tornò a camminare, mentre sentiva ancora gli occhi umidi.

Mario l’affiancò con difficoltà.

‘’L’ha portata via poco fa’’, mormorò con fatica il suo braccio destro, stando attento a non farsi udire dai gendarmi.

‘’Chi? Chi l’ha portata via?’’, chiese Giovanni, a voce moderata.

‘’Parla piano, se ti sentono ti fan male. O ti ammazzano’’, tornò a dire Mario, preoccupato.

Il capo dei briganti sogghignò, visto che era proprio la morte ciò che bramava di più in quel momento. Sapeva che prima o poi l’avrebbero ucciso, e non aveva intenzione di starsene lì ad aspettare che gli facessero fuori sotto al naso tutti i suoi uomini.

Ma prima di morire, voleva sapere che ne era stato di Teresa, e annuì lievemente all’amico.

‘’Quell’uomo, quello giovane. E’ stato lui a prenderla e a portarla via’’, tornò a dire Mario, ‘’dai, quello vestito da nobile. Di certo, non era un gendarme’’.

‘’Sì, sì ho capito di chi stai parlando. Ti stai riferendo a quel pazzo che ieri sera ci ha chiesto chi era il capo e che mi ha sferrato una frustata, come se io fossi una bestia da soma’’, mormorò Giovanni, ricordando quel giovane odioso e ben vestito.

‘’Proprio lui’’, rispose Mario.

‘’Teresa… Teresa pareva che lo conoscesse!’’, tornò a dire il capo dei briganti, ricordando la reazione della sua amata, che quando aveva visto quell’uomo strano e perfido aveva cercato di dirgli qualcosa di spiacevole.

‘’Sì… vero anche questo’’, confermò l’amico, che poi rimase indietro di qualche passo, dando qualche attimo a Giovanni per pensare e riflettere, poiché in quel momento nella sua mente erano sorti mille dubbi.

La contessina, infatti, gli aveva parlato più volte di Alfonso, suo marito, che aveva descritto come perfido e spregevole, sempre ben vestito e ben rasato, e dal tono di voce austero e aspro. E, da quel che lei gli aveva raccontato, non conosceva alcun uomo nobile e giovane a parte lui. E quel giovane conte poteva arrivare dappertutto, grazie alle sue parentele, e poteva aver fatto smuovere persino la Gendarmeria.

Il brigante grugnì rumorosamente quando riconobbe che tutto coincideva, e che quell’uomo spregevole doveva essere il fantomatico Alfonso, che era tornato per riprendersi sua moglie. Teresa era sempre stata un po’ ingenua, e doveva avergli lasciato qualche traccia di sé e del luogo in cui si sarebbe nascosta.

Giovanni imprecò a bassa voce, riconoscendo che la sua amata in quel momento doveva essere tra le grinfie di suo marito, un uomo perfido e vendicativo che sarebbe potuto diventare il suo aguzzino.

‘’Lina… c’è anche Lina con noi…’’.

La voce di Mario gli giunse alle orecchie come se fosse solo un ronzio. Giovanni si voltò un attimo indietro, scorgendo la donna in fondo alla colonna, mentre arrancava a fatica nella melma. In tutto quel trambusto, non si era neppure accorto che l’amica era ancora dietro di loro.

‘’Non capisco… che intenzioni hanno? E perché hanno preso anche Lina?’’, chiese Giovanni al suo braccio destro, mentre la sua voce si tramutava in un rantolo. La sua gola era secca, e la notte di cammino ininterrotto l’avevano reso talmente tanto stanco da impedirgli di parlare troppo.

‘’Colpa… colpa di quel bastardo che si è portato via Teresa. È stato lui a dire che anche Lina doveva venire con noi. Ha fatto prelevare tutti i contadini della valle dalle loro dimore, e poi, assieme al comandante dei gendarmi, ne ha scelti alcuni e li ha fatti mettere nella colonna, mentre la maggior parte li ha rilasciati’’, mormorò Mario, sempre più affaticato. Giovanni si ritrovò a pensare nuovamente che qualcosa non quadrava, nel tutto.

‘’Non funziona così. Perché non ci han fucilati subito? Perché questa farsa e questa umiliante marcia, se ci avevano già tutti in pugno? Non è così che la Gendarmeria procede, di solito. E poi, io non ho visto quando i contadini venivano…’’. Giovanni non riuscì a completare la frase, poiché tornò a prendere una boccata d’aria, ma l’amico comprese ugualmente ciò che voleva dire.

‘’Non hai visto nulla perché piangevi. Sembravi perso in quel momento, e lo sembravi fino a poco fa, fin quando ti ho rivolto la parola’’, rispose Mario, scrollando leggermente le spalle e cercando di non farsi notare dai gendarmi.

Il capo dei briganti rimase sorpreso nell’udire le parole dell’amico, e quasi si ritrovò di nuovo a piangere. Si era comportato come un poppante; era scoppiato in lacrime ed aveva abbandonato il suo gruppo, concentrandosi solo su sé stesso e smettendo di osservare ciò che stava accadendo attorno a lui.

Era stato Mario a gridare ordini ai briganti fino all’ultimo minuto, non lui, che era il loro capo. Ed era stato sempre Mario ad essere rimasto attento e vigile.

Si sentiva davvero un perdente. In quel momento, gli tornarono alla mente le parole di Vanna, e gli toccò riconoscere che quell’odiosa donna aveva avuto ragione anche quella volta, ed era riuscita a prevedere tutto. Forse, era stata proprio lei a maledirlo.

‘’Hai idea di cosa ci faranno?’’, tornò a chiedere Mario, questa volta però con un tono più piagnucoloso.

Giovanni lo fissò per un attimo, poi voltò di poco la testa, solo il giusto necessario per vedere anche qualche contadino che arrancava in fondo alla triste colonna. E per un attimo, gli parve di aver riconosciuto Guglielmo, quell’uomo che gli aveva richiesto un prestito proprio la sera prima.

‘’Non lo so. In ogni caso, moriremo’’, mormorò di risposta al suo braccio destro, mentre tornava a cercare di voltarsi indietro, rallentando l’andatura. Un colpo alla schiena lo costrinse a tornare a guardare avanti e a non voltarsi più.

Mario rallentò anch’esso, e rimase più indietro, mentre Giovanni riuscì a riprendere una buona andatura, inspirando sonoramente. I suoi muscoli erano in fiamme, e il suo corpo disidratato e stanco era sicuro di star finendo al patibolo, quindi ogni passo avanti per lui era una promessa di liberazione da quel forte dolore fisico.

Tornò a pensare a Teresa, e riconoscendo il suo più totale fallimento anche nei suoi confronti, cercò di concentrarsi solo sui suoi passi e di non pensare a nulla. In quel momento, era davvero impossibilitato a fare altro.

Rialzò la testa solo quando la colonna si bloccò bruscamente, e i gendarmi che la circondavano da ogni lato si dispiegarono in cerchio attorno ai briganti. Non capendo la causa di quella fermata, Giovanni si guardò attorno, notando che si trovavano vicino ad in centro abitato e che le colline erano ormai alle loro spalle.

Ma ad attirare la sua attenzione fu un gran vociare, che proveniva da davanti alla testa della colonna. Quando il comandante si distaccò dai suoi, si aprì un piccolo varco che permise al capo dei briganti di vedere che c’erano tanti altri gendarmi, lì. E tanti altri prigionieri.

Il comandante fece un gesto perentorio, e subito furono spintonate altre persone all’interno del cerchio di guardie, sempre legate come i suoi uomini. Giovanni non ebbe alcun esitazione; si trattava dei banditi delle paludi.

Trascinandosi con indolenza, una ventina di banditi vennero mischiati ai suoi briganti, e subito riconobbe Aldo. Il capo dei banditi troneggiava sui suoi uomini superstiti come se fosse un gigante, alto e ingrigito, con la sua solita chioma brizzolata e la barba unticcia.

Non appena riconobbe il suo avversario, fece un breve cenno di saluto con la testa, mentre si lasciava andare ad un sorriso disgustoso, sfoggiando la sua dentatura giallastra.

‘’Anche tu qui! Che sorpresa, Zvàn! E pensare che parevi invincibile e introvabile’’, disse il capo dei banditi, con un tono ironico e divertito che sapeva di sfottò.

‘’Il tempo passa ma tu resti sempre un vecchio demente, Aldo. Guarda i nostri uomini; tra poco moriranno, come noi. Non c’è nulla da ridere’’, sbottò Giovanni, rancoroso.

Non aveva dimenticato di trovarsi di fronte ad un nemico che gli aveva teso una trappola mortale, che aveva ucciso il suo valoroso amico Gianni e che lo aveva ingannato più volte. Però, Aldo si lasciò sfuggire una risatina gelida ed isterica.

‘’C’è molto da ridere, invece. E sai il perché? Il grande e magnanimo Zvàn, buono e gentile con tutti, è stato ingannato’’.

‘’Sì, da te’’, ribatté il capo dei briganti, sputando al suolo l’unico rimasuglio di saliva che aveva rimasto in bocca e cercando di colpirgli gli stivali.

‘’No, da un membro della sua banda, che si è recato dalla Gendarmeria ed ha mangiato poi nello stesso piatto degli stranieri’’, concluse Aldo, sorridendo amaramente ed allontanandosi di qualche passo, evitando lo sputo.

‘’Ti sei sconfitto da solo, mio caro amico. La magnanimità non serve nulla a questo mondo, e di certo su questa vicenda ci avrei ulteriormente riso su, bevendoci anche due bei bicchieri colmi di un buon vino rosso, ma non oggi. Perché la tua stupidità ha portato alla rovina anche me e la mia banda. Sei tu il demente, non io’’, concluse il capo dei banditi delle paludi, allontanandosi di qualche passo e dando definitivamente le spalle a Giovanni, che era ancora a bocca aperta e sconvolto. Si chiese se fosse possibile che qualcuno della sua banda l’avesse tradito, e dovette riconoscere che non lo era, poiché nei mesi scorsi non era scomparso nessuno dalla banda, neppure momentaneamente. Quindi, Aldo doveva aver sostenuto quelle orrende accuse solo per farlo arrabbiare ancora di più.

A testa bassa, fu spinto da dietro a riprendere il cammino, e la colonna, che nel frattempo si era allungata grazie all’aggiunta dei banditi superstiti di Aldo, riprese a muoversi.

Sfiancato, il capo dei briganti ebbe il timore di crollare al suolo e morire, mentre il caldo sole primaverile gli baciava le spalle. Però ben presto la colonna si fermò nuovamente, alle periferie di un piccolo centro abitato di pianura.

E fu lì che Giovanni ebbe le risposte ai suoi interrogativi, e fu costretto a dar ragione ad Aldo. Dalle retrovie, Guglielmo fu afferrato da due gendarmi e trascinato in testa alla colonna, mentre un ragazzo a cavallo era uscito da uno dei primi vicoli lastricati del paese, pronto a correre incontro ai prigionieri. Quando giunse anch’esso in testa alla colonna e smontò da cavallo, Giovanni rabbrividì, riconoscendo Fabio.

Il giovane ragazzo rosso sembrava molto soddisfatto, e subito si fece largo tra i gendarmi e guardò i prigionieri. Non appena vide colui che era stato il suo capo, fece un cenno di saluto con la mano destra, mentre Giovanni era allibito. Deluso da tutto e da tutti, tornò ad abbassare lo sguardo, sperando di cadere a terra e di morire lì, essendo certo ormai di essere stato tradito.

Ma un rumore forte lo riscosse, costringendolo ad alzare lo sguardo e a notare che anche una carrozza trainata da due cavalli era arrivata sul posto, mentre un cocchiere si sbrigava a far scendere quel giovane nobile che aveva visto la sera scorsa con i gendarmi. Giovanni non riuscì a togliergli gli occhi di dosso, soprattutto quando notò che lo stava cercando con lo sguardo, mentre nel frattempo gli era comparso un sorriso perfido sulle labbra.

Scrollando la testa, il capo dei briganti distolse lo sguardo e fissò la carrozza, rimanendo pietrificato per l’ennesima volta. Al suo interno, le tendine erano state tirate in modo che nessuno potesse vedere se c’era qualcuno dietro di esse, ma per un istante si scostarono leggermente, lasciando intravedere una giovane mano mentre sfiorava il vetro.

Poi, la tendina si scostò all’improvviso, lasciando intravedere un mezzo volto di Teresa, mentre poco dopo la ragazza tornava a sparire, lasciando con le dita una lieve strisciolina rossastra sul vetro. Era sangue.

‘’Teresa! Teresa! Che tu sia maledetto, lasciala andare e non farle del male! Teresa!’’.

Le grida disperate di Giovanni riecheggiarono ovunque, mentre l’uomo perdeva la ragione e si gettava verso la carrozza, nel vano tentativo di raggiungerla. Se la sua giovane amata era stata legata e abilmente nascosta all’interno di quel mezzo, doveva salvarla.

Però, un duro colpo alla schiena lo fece sbilanciare, facendolo cadere a terra, mentre un gendarme si accaniva su di lui, riempiendolo di calci.

‘’Basta così’’.

Quando Giovanni riuscì ad alzare nuovamente il volto, vide che il giovane nobile aveva fermato il gendarme e lo stava fissando, sorridendo. Poi, si chinò al suo fianco.

‘’E’ finita, non fare mosse sciocche, stupido d’un brigante. O devo chiamarti Zvàn? Oh, non avrebbe molto senso farlo’’, mormorò, fingendo di controllare se aveva riportato ferite dalla brutta aggressione subita. Giovanni lo guardò negli occhi, rigirandosi, sempre steso a terra ed ansante.

‘’Tu… tu sei quel bastardo del conte Alfonso, marito della mia amata Teresa?’’, riuscì a chiedere il brigante, ormai troppo malandato per pensare di potersi rialzare e di raggiungere la contessina prigioniera.

‘’Sono proprio io. E ti assicuro che ben presto smetterai di chiamarmi bastardo, perché la tua lurida bocca da morto di fame smetterà di aprirsi e cinguettare. Creperai nel peggiore dei modi, e darai pure spettacolo, perché la tua morte sarà il monito che terrorizzerà Ravenna e il popolo, oltre che la mia vendetta’’, aggiunse il giovane conte, guardandolo e sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisetti soddisfatti. Poi, fece cenno ai gendarmi di allontanarsi ancora di più da loro, cosa che fu eseguita subito.

‘’Non fare del male a Teresa. Uccidimi se vuoi, fammi penzolare da un albero per ore o fammi trivellare dai gendarmi, ma ti prego, non far del male a Teresa. Io… la amo troppo… lei è più importante di ogni cosa, lei è fragile, è innocente, non merita tutto questo odio e questa violenza. Sfogati su di me, ma lei lasciala stare’’, aggiunse il brigante, singhiozzando e in preda alla più cupa disperazione.

Sapeva che per lui c’era solo la morte, ma se solo fosse riuscito ad estorcere una misera promessa a quel nobile, per quanto sarebbe valsa, si sarebbe comunque sentito meglio. Forse.

‘’Il vostro amore durerà in eterno, perché lei ti seguirà a breve. Oppure no. Potrei prima farla sparire, mandarla in un qualche bordello in Spagna, ti piacerebbe come idea? D’altronde, nessuno la conosce, nessuno sa chi è, non ha parenti e neppure conoscenti. Quindi, potrò renderla una bella meretrice. Se l’è meritato, dopo essersi concessa persino ad un pezzente puzzolente come te. Le farò del male, tanto male’’, infierì Alfonso, piegandosi sulle ginocchia e avvicinandosi al volto del brigante, che strattonò le corde che gli tenevano bloccati i polsi, nel vano tentativo di slegarsi e di colpire il suo aguzzino.

‘’Smettetela. Qui sono io il comandante, e decido io la sorte dei prigionieri. A voi, in quanto civile, è vietato importunare gli uomini prima della loro esecuzione, e vi invito caldamente ad allontanarvi e ad andarvene, lasciando risolvere la questione a chi ne ha la competenza’’.

La voce forte e incerta del comandante straniero risuonò chiara alle spalle del giovane nobile, che si rialzò in piedi. Giovanni riconobbe che comunque non poteva aver udito nulla della loro breve discussione, poiché avevano sempre parlato a voce molto bassa.

‘’Comandante Neuer, potete allontanarmi e non ascoltarmi, questo sì, ma perdereste ogni soddisfazione in più. Non so se mi spiego, ma sapete chi sono’’, rispose Alfonso, sempre con un sorrisino beffardo stampato sul volto.

Giovanni notò che il comandante austriaco abbassò lo sguardo, vinto. Quel Neuer era scivolato tra le orribili grinfie del perfido conte come solo un ingenuo poteva fare.

‘’Ho… ho capito. Potete rimanere, se volete, ma non confabulate con i prigionieri, e state attento a non indispettirli ulteriormente. Abbiamo praticamente completato la missione, e non voglio guai sul finale’’, aggiunse il comandante, freddo e distante.

Giovanni avrebbe voluto fargli notare che il nobile che aveva di fronte a sé era un mostro, un uomo che stava per far del male a una ragazza innocente che per di più era sua moglie, ma non ci riuscì. Non aveva più senso, ora che l’intera vicenda era totalmente gestita in maniera subdola da Alfonso.

Nel frattempo, il giovane conte annuiva con aria saccente e soddisfatta.

‘’Però, siate furbo e concedetevi un finale ad effetto. Se li farete tutti fuori subito, non avrebbe molto senso, e si sa, il popolo per imparare la lezione deve prima vederla con i propri occhi. Quindi, fate fuori tutta questa feccia, in modo che non sia più tra i piedi e che non possa fuggire, ma lasciate da parte i capi e portateli a Ravenna, per un esecuzione pubblica’’, aggiunse Alfonso solo un istante dopo, ammiccando verso Giovanni.

‘’Forse avete ragione, anche se in realtà volevo chiudere subito la questione. Quali sono i soggetti che mi consigliate di portare a Ravenna?’’, chiese subito dopo il comandate, perplesso.

Giovanni a quel punto fu costretto a riconoscere che quel Neuer era davvero un giovane dall’apparenza rigida e glaciale, ma che in realtà era il più bamboccio che lui avesse mai visto, e riconobbe con un pizzico di ironia che quello straniero era titubante e preoccupato solo da ciò che avrebbero pensato le massime cariche dello Stato. Forse solo perché gli doveva essere stato promesso un qualche incarico più importante se fosse riuscito a portare a termine quella delicata missione.

‘’Vi consiglio di portare con voi quello a terra, il capo dei montanari, e quello là, che ieri sera aveva cercato di spacciarsi per lui. Così potranno morire assieme, visto che a quanto pare hanno pure lo stesso nome. Assieme a loro prenditi Aldo, il vecchio spilungone delle paludi. Solo loro tre’’, continuò a spiegare il conte, indicando i tre soggetti al comandante, che seguiva il dito dell’interlocutore, annuendo senza particolare grinta.

Giovanni ne approfittò di quei brevi attimi di distrazione per cercare di rialzarsi e raggiungere la carrozza, ma non appena si fu messo sulle ginocchia fu nuovamente gettato a terra da un gendarme, che doveva averlo tenuto d’occhio a distanza.

Allora, notando che non ce l’avrebbe mai fatta a salvare Teresa da solo, cercò di aggrapparsi all’ultimo appiglio.

‘’Signore, dentro a quella carrozza c’è una ragazza, legata  e ferita! Fatela scendere di lì, salvatela!’’, iniziò a gridare il capo dei briganti, attirando subito l’attenzione dell’austriaco, mentre il solito gendarme appostato alle sue spalle lo colpiva di nuovo, costringendolo al silenzio.

Alfonso si irrigidì, mentre il comandate lo fissò con noia.

‘’Che sta dicendo, questo qui? Parla di una ragazza, mi pare…’’, disse poi Neuer, fissando il giovane conte.

‘’Non sa quello che dice, è in uno stato confusionale. Parlerà di quella ragazza’’, disse Alfonso, indicando qualcuno nel fondo della colonna.

‘’No! Non…’’, tentò di ripetere il capo dei briganti, nuovamente colpito alla schiena e zittito.

‘’Era una prostituta dei suoi uomini, forse addirittura la sua personale’’, continuò a dire Alfonso, senza badare alla reazione di Giovanni e allontanando Neuer, che non parve per nulla interessato a ciò che aveva udito. Per lo straniero lui era solo un fuorilegge qualsiasi, un uomo da fucilare e basta.

Quando il gendarme lo tirò su da terra e lo trascinò di nuovo tra gli altri, cercò invano di voltarsi e guardare la carrozza di Alfonso, ma non ci riuscì.

‘’Che ne facciamo di questa?’’.

La voce di Neuer risuonava ovunque, mentre Lina veniva momentaneamente allontanata dalla colonna e dal tiro dei gendarmi.

‘’Oh, nulla. Lasciatela ai vostri uomini per qualche notte, vedrete che sapranno loro cosa farne…’’, rispose Alfonso in lontananza.

Qualcuno tra i prigionieri gridò, e Giovanni riconobbe che doveva trattarsi di Mario, ma non ebbe la forza di aiutare i suoi amici, ora che aveva perso la sua amata e l’aveva lasciata tra le grinfie di un pazzo carnefice, che sembrava star bene solo quando faceva del male agli altri e che stava gestendo tutta l’operazione della Gendarmeria in un modo subdolo e meschino.

Il capo dei briganti abbassò lo sguardo quando notò che le fucilazioni sarebbero iniziate di lì a poco, mentre gli altri fuorilegge venivano messi in fila davanti a una buona decina di gendarmi già pronti a far fuoco, e si preparò a morire, ma incredibilmente due braccia forti lo trascinarono da parte. Si trattava di un altro gendarme, che lo stava conducendo all’accampamento provvisorio delle guardie, stanziato poco più in là.

Assieme a lui, furono prelevati Mario e Aldo, proprio come aveva consigliato Alfonso. Ora aveva la certezza che avrebbe sofferto per altri giorni ancora, e che la sua fine sarebbe arrivata solo a Ravenna.

Mario scalciava e imprecava, ma nessuno ci faceva caso, mentre Aldo era impassibile e muto, come tutto il resto dei briganti sopravvissuti a quella notte e messi in fila per essere fucilati. Di Lina non era rimasta nessuna traccia, mentre la carrozza del conte ripartiva, allontanandosi da quel luogo che ben presto avrebbe puzzato solo di morte e portandosi via definitivamente Teresa.

Abbattuto più che mai, Giovanni lasciò che lo trascinassero di peso, avendo perso ogni forza, ma riuscì comunque a voltare indietro la testa giusto in tempo per vedere la fucilazione dei primi uomini, tra cui c’era anche Guglielmo, il contadino che doveva averlo tradito la sera precedente, chiedendogli soldi e ingannandolo solo per identificarlo e fargli trovare la Gendarmeria sotto la porta di casa, chiudendogli quindi ogni via di fuga.

Subito dopo di lui, fu il turno di Luca e Lorenzo, e il brigante distolse lo sguardo, impotente e dispiaciuto di fronte a quel massacro.

‘’Mi avevate promesso una ricompensa, maledetti!’’.

Giovanni era appena tornato a guardare avanti quando udì quella voce familiare. Tornò a girarsi, e per un breve momento anche il gendarme che lo trascinava si fermò a guardare quello che stava accadendo.

Infatti, poco distante, altri briganti e banditi erano stati messi in fila, e assieme a loro un ragazzo rosso stava sbraitando e gridando come un folle. Era di nuovo Fabio, e il capo dei briganti lo riconobbe subito.

‘’Io vi ho condotto ai loro covi, ho convinto alcuni contadini a collaborare e a tradirli e ad indicarvi dove si trovavano di preciso i loro capi, e voi mi avevate promesso di lasciarmi libero e di premiare la mia azione. Non potete farmi questo!’’, continuò a gridare il rosso, tra la derisione dei gendarmi.

‘’Noi rispettiamo sempre le promesse. Questo è il premio che ti abbiamo riservato’’, disse una guardia straniera con un linguaggio stentato, ridendo assieme ai compagni e sparando dritto al petto di Fabio, che stramazzò subito al suolo, senza vita.

‘’Ora sei anche libero. Ti abbiamo liberato dal tuo misero corpo, no? Inetto e stupido bastardo d’un brigante’’, disse ad alta voce un altro straniero, con rudezza e disgusto.

Giovanni, allibito, tornò a dare le spalle al macabro spettacolo e anche il gendarme che lo tratteneva riprese a strattonarlo, questa volta con un sorrisetto sulle labbra. Il capo dei briganti ora era certo di essere stato tradito, e fu costretto a riconoscere che era stato troppo buono con Fabio permettendogli di vivere, avendo anche smesso di farlo cercare dopo qualche settimana dalla sua fuga e credendolo morto. In ogni caso, ora anche quel giovane rosso era morto per davvero.

Tradito e sfinito, il capo dei briganti si lasciò trasportare verso una meta a lui sconosciuta, mentre cercava di non pensare a nulla, tanto non aveva più alcuna importanza recriminarsi qualcosa o riflettere.

Però fu costretto a riconoscere che le previsioni di Vanna si erano avverate, e che aveva perso tutto ciò che gli stava a cuore, cioè tutta la sua banda e i suoi amici. E persino Teresa.

Ed era lì che la vecchia strega si era sbagliata, dicendogli che lei sarebbe stata la sua salvezza da quella catastrofe, poiché la contessina in quel momento era con suo marito, che forse l’aveva già ammazzata o l’avrebbe imbarcata al primo porto per qualche destinazione remota e sperduta.

Scrollando la testa con stanchezza, e ascoltando gli spari lontani che stavano facendo strage dei suoi amici e compagni d’avventura, Giovanni non poté far altro che sperare che la morte giungesse prima di mettere piede a Ravenna, in modo da toglierlo da quel mondo in cui la sua stessa esistenza non aveva più alcun senso.

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Le cose si mettono male… sempre peggio! Il nostro Giovanni a quanto pare è spacciato e Teresa è stata portata via da Alfonso, eppure non è tutto finito. Staremo a vedere.

Grazie ai miei soliti recensori, che ogni volta mi lasciano un loro graditissimo ed importantissimo parere.

Grazie di cuore a tutti J buona giornata e a presto J

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Capitolo 54
*** Capitolo 53 ***


Capitolo 53

CAPITOLO 53

 

 

 

 

 

Giovanni continuava a camminare con minore vigore. A suo fianco, Mario e Aldo sembravano due statue di pietra, impassibili e silenziosi com’erano.

Loro tre erano gli ultimi fuorilegge superstiti, poiché tutti gli altri erano stato fucilati nei giorni precedenti, e ormai avevano perso ogni speranza di uscirne vivi da quella triste vicenda. Lo stesso Giovanni aveva smesso di farsi illusioni, ed ogni passo era un dolore tremendo che lo faceva soffrire.

Sapeva di aver perso definitivamente Teresa, e che la morte lo stava attendendo a pochi passi da lui. Infatti, dopo ben tre lunghi giorni di cammino, i gendarmi erano tornati a Ravenna come vincitori, e loro tre erano la dimostrazione materiale della loro vittoria totale sulle brande di banditi che ultimamente stavano infestando il territorio.

Giovanni, ancora con le mani legate dietro la schiena e ormai praticamente prive di sensi, continuò la sua marcia per le larghe strade della grande città, sempre circondato da una buona dozzina di gendarmi, e se anche i suoi due compagni di sventura erano muti e silenziosi, attorno a lui regnava ugualmente il caos.

Ravenna a quell’ora del mattino era a dir poco caotica, mentre lungo le strade venivano montate bancarelle improvvisate e le persone con qualche soldo potevano acquistare ciò che più interessava a loro, anche se molti venditori si spicciavano a far sparire parte della merce quando vedevano i gendarmi, poiché la maggior parte di essa era frutto di traffici illeciti.

Forti grida si levavano ovunque, mentre alcuni pescatori, che nella notte avevano fatto incetta di pesce, mettevano in mostra la loro mercanzia, e le strade si facevano sempre più affollate.

Giovanni sapeva che la sua vita avrebbe avuto fine nel bel mezzo di quel frastuono, ma non poteva fare nulla se non riprendere fiato e continuare a camminare.

Vedendo il gruppetto di gendarmi in uniforme, i passanti si facevano bruscamente da parte, lasciandoli passare, ma non senza aver prima lanciato loro delle occhiatacce. Ormai, il popolo si era abituato alla scarsità di guardie, e vedere tutti questi stranieri forti, biondi e ben armati doveva far loro impressione. Tutti camminavano spediti, ma restavano molto ostili alla presenza di quei soggetti armati.

Giovanni tornò ad abbassare lo sguardo e a limitarsi a seguire le gambe dei gendarmi che aveva davanti a sé, che per entrare in città avevano lasciato le loro cavalcature nelle periferie, per evitare di scombussolare ancora di più il fragile equilibrio che regnava in quel momento nelle strade. Sapeva che la sua fine stava per giungere, e che tra pochi passi il suo cuore avrebbe cessato di battere per sempre, e questo lo tormentava.

Spinto da un’incredibile ed ultimo desiderio di libertà, colui che era stato il capo di una grandissima banda di briganti alzò gli occhi verso il cielo, osservando un gruppetto di chiassosi volatili bianchi che con le loro strida stavano facendo tutto il possibile per contribuire ad incrementare il chiasso urbano. Quegli uccelli non li aveva mai visti sui suoi monti, e per lui erano creature nuove ed estremamente curiose, ed erano riusciti ad attirare la sua flebile attenzione.

E fu proprio in quel momento che i gendarmi lo costrinsero a fermarsi. Il brigante notò che anche i suoi due compagni si erano fermati, sempre a suo fianco.

Si trovavano in una piazzetta non tanto ampia ma che poteva offrire una buona visuale a chiunque si fosse soffermato un attimo a guardare la scena. Giovanni non conosceva Ravenna e non aveva la benché minima idea di dove si trovasse di preciso, ma era sicuro di trovarsi in un punto centrale della città e del mercato, poiché i gendarmi avrebbero di certo cercato di svolgere l’esecuzione pubblica di fronte al maggior numero di spettatori possibile.

Quello era un macabro monito per tutti, per invitare i civili a non credersi impunibili e a non sostenere banditi e criminali, poiché altrimenti avrebbero fatto la loro stessa fine.

Mario sbottò qualcosa di incomprensibile mentre veniva sbattuto con le spalle contro un alto muro di mattoni che circondava il lato più occidentale della piazza, mentre Aldo continuò a restare impassibile. Anche Giovanni rimase in silenzio, limitandosi a deglutire con difficoltà di tanto in tanto, e chiuse gli occhi quando notò che gli stavano puntando contro l’arma con la quale lo avrebbero ucciso.

Tutto parve fermarsi in quell’istante. Sentiva su di sé decine di sguardi, mentre ormai attendeva solo lo sparo che avrebbe definitivamente mandato in frantumi la sua vita.

‘’Ehi!’’.

Quel grido iroso fece spalancare gli occhi al brigante, che notò subito una piccola ressa pochi passi dietro ai tre tiratori. Si accorse che anche i suoi compagni di sventura stavano guardando quello che stava succedendo, così come i gendarmi, che avevano momentaneamente perso interesse per le loro vittime.

Subito dopo, parve nascere un tafferuglio tra un uomo e un gendarme, mentre quest’ultimo veniva difeso dagli altri suoi compagni.

Giovanni non capì molto di ciò che stava accadendo, ma i vari presenti si stavano tutti soffermando a guardare l’inedita scena.

‘’Cosa sta succedendo qui?’’.

La voce perentoria di Neuer riportò momentaneamente l’ordine nella piazza, mentre il comandante, che era appena giunto sul posto, si accingeva a smontare dalla sua cavalcatura e lanciava sguardi infuocati dovunque. Era giunto fin lì da solo ed in sella ad un magnifico cavallo bianco, e pareva quasi un’apparizione sovrannaturale. Alto, slanciato e con indosso un uniforme sgargiante, sembrava più un principe che un soldato.

Giovanni pensò che se non fosse stato così stolto da prostrarsi ai piedi del perfido Alfonso nella speranza che lui mettesse una buona parola sul suo conto, nessuno sarebbe stato in grado di fermare quello straniero così integerrimo e perfetto, ma purtroppo decisamente ingenuo.

Nel frattempo, l’uomo che aveva generato quell’attimo di agitazione si fece avanti, ed avanzò con fare baldanzoso verso il comandante del manipolo dei gendarmi, tenendo ben dritta la testa e mostrando una smorfia irritata, mentre trascinava a braccetto una ragazza poco più che ventenne. Dai loro abiti poco puliti e rattoppati in più punti si capiva che dovevano essere indubbiamente dei contadini.

‘’Signor comandante, costui invece di svolgere il proprio ruolo ha importunato mia figlia’’, disse ad alta voce il contadino, sempre tenendo la figlia accanto a sé, una ragazza spaurita e bordò in volto dalla vergogna, mentre puntava il dito della mano destra verso un gendarme.

‘’I miei uomini non molestano nessuno. Loro obbediscono solo alla legge, e le donne non le guardano di certo’’, rispose Neuer con finta sicurezza, lanciando però un’occhiataccia ai suoi gendarmi.

Giovanni, che stava guardando inebetito quella scenetta inedita, fu riportato alla realtà da una gomitata di Aldo, che era a suo fianco in attesa della morte.

‘’Visto? I bastardi hanno dei problemi. La questione si fa interessante’’, sussurrò il vecchio bandito.

‘’Questo non ci salverà dalla morte, ma allungherà solo le nostre pene. Tra un istante sarà tutto concluso e ci sarà la nostra esecuzione’’, mormorò di risposta il brigante, ben lungi dal credere che un contadino qualsiasi potesse creare guai ad un gruppo di gendarmi.

Effettivamente, il manipolo di Neuer era composto esclusivamente da austriaci, gli stranieri più perfetti e intransigenti presenti nel territorio dello Stato pontificio, ma tutti sapevano che a volte alcuni di loro potevano creare complicazioni, ad esempio a causa di donne contese o altro. Le donne e l’alcol restavano comunque due problemi molto comuni tra quegli stranieri che volevano fingersi perfetti.

‘’Vi dico che quella guardia ha sfiorato i seni di mia figlia, poi mi ha anche sbeffeggiato e insultato quando ho cercato di proteggerla!’’, ruggì il contadino, continuando a tenersi stretto la figlia spaventata, mentre il suo volto diventava paonazzo dalla rabbia e continuava ad indicare con insistenza un gendarme dal volto rubizzo.

Nella piazza, tutti i presenti continuavano a soffermarsi ad osservare la scena con crescente interesse mentre Neuer si avvicinava all’uomo del suo manipolo con passo incalzante, intanto che gli altri gendarmi facevano un passo indietro e Giovanni riprendeva fiato, riempiendo di nuovo la sua gabbia toracica con del buon ossigeno. Gli pareva impossibile che la sorte gli stesse allungando la vita. Una vita che comunque avrebbe avuto termine a breve, purtroppo.

‘’E’ vero ciò che dice quest’uomo arrabbiato? Gli hai davvero toccato la figlia, e lo hai insultato?’’, disse Neuer, questa volta arrabbiato pure lui. Il gendarme, alto e scuro di capelli, non si nascose e neppure ebbe delle titubanze.

‘’Sì, è in parte vero. Quella ragazza metteva in mostra le sue mercanzie ed ho allungato una mano. Ma è stata lei a provocarmi, essendo così poco vestita, e suo padre dovrebbe avere la buona grazia di coprirla meglio, poiché a quest’ora della mattina fa ancora fresco’’, disse il colpevole, ammettendo in parte il misfatto. Per di più, pareva leggermente ubriaco, e faceva spesso piccole soste mentre parlava.

‘’Come vi permettete di affermare una tale infamia? Guardate, gente! Vi pare forse poco vestita, mia figlia?’’, prese a gridare il contadino offeso, mandando davanti a sé la figlia e mostrandola a tutti gli spettatori.

Giovanni lasciò che la sua mente si assuefacesse a quella situazione, concentrandosi su ciò che gli stava accadendo attorno, anche perché il suo cervello era sotto pressione da giorni e ormai una stanchezza incontrollata stava per vincere su tutto, impedendogli di tornare a pensare alla sua imminente morte.

‘’Te l’ho detto, Zvàn; le cose si mettono male per gli stranieri. Vedrai’’, tornò a bisbigliargli Aldo, ma Giovanni non badò al nemico e continuò a guardare la scena che aveva di fronte, e il padre che stava mostrando a tutti la figlia, mentre parecchi spettatori gli davano man forte. Effettivamente, la ragazza era vestita alla perfezione e non aveva assolutamente nulla di provocante.

Anche Neuer dovette riconoscerlo, annuendo con la testa.

‘’Non mi farò incastrare e punire a causa di quella troia!’’, gridò di risposta il gendarme accusato, iniziando a dare i numeri e a urlare parole in una lingua incomprensibile.

‘’Smettila subito di parlare in tedesco!’’, tornò ad urlargli addosso il comandante, ma ormai il più era fatto.

Udendo l’ingiuria gridata dalla guardia alticcia e colpevole, e capendo con certezza che si trattava di un oppressore straniero, la folla insorse, ed iniziarono a volare frutti marci e insulti vari.

Giovanni notò che a quel punto tutti i nobili presenti si sbrigarono a sparire in fretta e furia, mentre numerosi straccioni erano già sul punto di commettere follie.

Il brigante si lasciò sfuggire un sorriso, il primo in quei giorni, mentre Aldo gli dava l’ennesima gomitata, per fargli notare che non si era sbagliato di molto. In effetti, aveva azzeccato la previsione.

‘’Basta così! Il gendarme che avete qui di fronte a voi è indubbiamente colpevole, e sarà punito per la sua azione. Ma ora siamo qui per un esecuzione pubblica, non per parlare di donne. Procedete!’’, ruggì Neuer, sovrastando le grida della folla e cercando di placarla, ricevendo l’effetto contrario.

Mentre il cuore di Giovanni tornava a battere all’impazzata e il tenue sorriso sul suo volto spariva in fretta, i gendarmi eseguirono l’ordine del comandante e si prepararono all’esecuzione pubblica. Ma qualcuno tolse dei ciottoli dalla pavimentazione della piazza e li lanciò contro i tiratori.

‘’Che reati hanno commesso questi uomini che volete uccidere?’’.

Una voce roca riuscì ad emergere dalle grida convulse dei popolani arrabbiati. Giovanni si strinse nelle spalle e cercò di mantenersi ancora attento all’intera vicenda.

‘’Questi uomini sono fuorilegge! Sono dei briganti che vi hanno rubato il pane, e per questo pagheranno con la vita. E che nessuno si azzardi ad intralciare ulteriormente la giustizia e la legge!’’, rispose il comandante Neuer, cercando di fare qualche passo indietro e di riprendere le redini del suo cavallo, che nel frattempo però gli stava già venendo portato via per le briglie da quel contadino che aveva accusato il suo gendarme.

‘’Voi stranieri e i nobili ci portate via il pane, non i briganti! Andatevene!’’, ruggì la folla, quasi all’unisono. E la follia dilagò in un lampo.

Mentre Neuer cercava di recuperare la sua cavalcatura, alcuni ignoti gli sbarrarono la strada e gli impedirono di riprendersela, urlandogli in faccia che era giusto così, poiché la figlia del contadino era stata violata e il cavallo era ciò che gli spettava per rifarsi dai danni subiti.

Il comandante tornò subito di corsa dai suoi uomini, che nel frattempo venivano tempestati di sassi e grida acute, mentre anche gli abitanti delle case circostanti iniziarono a bersagliarli con tutto ciò che capitava loro sotto mano.

Giovanni iniziò a strattonare le corde che lo tenevano stretto, sperando di riuscire a liberarsi e a scappare, ma non ci riuscì, mentre a suo fianco anche i suoi due compagni stavano facendo la stessa cosa, ugualmente senza risultati.

Neuer fece immediatamente ripiegare i suoi uomini, evitando ogni sorta di confronto armato, e Giovanni fu bruscamente afferrato e strattonato, per poi essere trascinato di peso verso un luogo a lui ignoto.

Un qualcosa lo colpì in pieno petto, forse un sasso, ma non gli fece troppo male, mentre invece i polsi avevano iniziato a sanguinare di nuovo, dove i lacci che li tenevano legati stretti avevano iniziato a sfregare brutalmente la pelle sottostante.

Poi, una brutta botta in testa lo tramortì, e non riuscì neppure a capire da dove gli fosse giunta, mentre le grida continuavano a riecheggiare attorno a lui e due gendarmi continuavano a trascinarlo di peso.

Poco tempo dopo, il brigante perse i sensi, tutto sporco e respirando a fatica.

 

 

‘’Sta riprendendo i sensi’’.

La voce di Aldo giunse alle orecchie di Giovanni come se fosse stata lontanissima da lui. Però, costrinse il brigante ad aprire gli occhi e a ritornare a vivere l’incubo di poco prima.

Infatti, non appena si risvegliò del tutto, si ritrovò sdraiato su quello che sembrava un ristretto tavolo di legno, lercio e puzzolente. A due soli passi da lui, Aldo lo stava fissando nella semioscurità che avvolgeva tutto, mentre Mario era solo una massa indistinta appoggiata con le spalle alle sbarre dell’angusta cella, illuminata solo marginalmente da una fiaccola lontana.

E in quel momento, Giovanni seppe con certezza che dovevano essere stati trasportati in una prigione.

‘’Che… cosa…’’, bisbigliò, un attimo confuso.

Mario pareva essersi addormentato, mentre Aldo continuava a guardarlo con fare divertito.

‘’E’ da un bel po’ che dormi, brigante. Sei svenuto, e a dirla tutta credevo che ti volessero far fuori subito, ma la folla era così inferocita che il comandante ha dato l’ordine di scortarci tutti e tre in questa piccola cella, in modo da non fare arrabbiare ancora di più il popolo, che questa mattina si è quasi ribellato. Sapevano che se ti avessero ucciso la folla si sarebbe arroventata ancora di più, e che se ti avessero lasciato indietro qualcuno poi ti avrebbe liberato. Astuti questi stranieri, eh?’’, chiese infine il vecchio bandito, andando a sedersi a fianco di Giovanni, che non si alzò e restò sdraiato, mentre nel frattempo constatava che in quel momento non aveva più i polsi legati.

‘’Eh sì. Questi tizi sanno il fatto loro, ma restiamo pur sempre immersi nei problemi. Sai per caso dove ci troviamo?’’, chiese distrattamente il brigante, massaggiandosi i polsi e le mani. Aldo sogghignò.

‘’Sei sempre così poco sveglio, Zvàn? No, credo di no, saranno state le dodici ore di sonno ininterrotto ad averti fatto eccessivamente male. O la botta in testa che hai ricevuto questa mattina’’, replicò poco dopo il capo dei banditi, con malcelata ironia.

Giovanni si alzò sui gomiti, pronto ad affrontarlo e a rispondergli a modo, ma si accorse di essere a pezzi, e che i suoi muscoli gli dolevano ad ogni minimo movimento. Tornò a sdraiarsi, alla fine.

‘’Sei proprio un deficiente. E comunque, non hai risposto alla mia domanda’’, tornò a dire il brigante, pensando se era davvero vero che era rimasto senza sensi per così tanto tempo, mentre con una mano si sfiorava le tempie, costatando che la brutta botta che aveva ricevuto quella mattina non aveva provocato altri danni se non un lieve bernoccolo.

‘’Qui l’unico deficiente che c’è sei tu. È a causa tua se ora ci troviamo in questa situazione e se i nostri uomini sono morti. Se invece di fidarti di tutti e di innamorarti follemente di una contessa sposata, fossi stato più attento a tenere sotto controllo i tuoi uomini, anche punendoli se necessario, ora non saremmo giunti a questo punto’’, replicò Aldo, questa volta con serietà.

Giovanni si sentì ribollire dalla rabbia, ma dovette riconoscere che il suo nemico non aveva tutti i torti. Entrambi erano stati traditi dal doppio gioco di Fabio, e se lui avesse ucciso quel giovane invece di soffermarsi cercando di dargli una seconda possibilità e lasciandoselo poi sfuggire, di certo in quel momento non si sarebbero trovati in quella tragica situazione. Quindi, non se la sentì di tornare ad affrontare quell’argomento e se ne rimase in silenzio.

‘’Comunque, ora ci troviamo in una piccola cella del palazzo dell’Arcivescovo. Non siamo nelle prigioni cittadine, poiché non hanno voluto portarci fin lì sempre per paura di possibili sommosse, e ci terranno rinchiusi qui dentro fino a domattina, quando si saranno calmate le acque e ci sarà la nostra esecuzione. Non pubblica, questa volta’’, tornò a dire Aldo, rompendo il silenzio che era sceso tra loro ed alzandosi in piedi, iniziando a camminare avanti e indietro nell’angusta cella.

Giovanni annuì, mentre pian piano i suoi occhi si abituavano all’oscurità della notte e poté vedere che la cella era circondata da tre lati da un muro altissimo, mentre le sbarre e la porta davano su un angusto corridoio che portava direttamente al cortile del palazzo, dove due giovani gendarmi insonnoliti stavano facendo loro la guardia, standosene all’ingresso con una fiaccola accesa appesa al muro. Il soffitto non riusciva a scorgerlo.

Da quella fiaccola distante giungeva quel po’ di luce che permetteva al brigante di vedere blandamente i suoi compagni di sventura, e che gli permise anche di dare un’occhiata attorno a sé in modo da cercare ipotetiche vie di fuga, ma già un istante dopo fu costretto a demordere, poiché i muri parevano davvero spessi e le sbarre robustissime, e in ogni caso era impossibile abbattere due gendarmi armati a mani nude.

L’unico aspetto positivo era che si trovavano al piano terra ed erano scarsamente vigilati, ma purtroppo sapeva che nessuno sarebbe venuto a salvarli e a tirarli fuori di lì. Tutti coloro che il brigante conosceva erano morti.

Pensò per un attimo a Teresa, chiedendosi che fine avesse fatto e logorandosi l’anima con quella domanda, per poi tornare a fissare Mario, il suo braccio destro, che in quel momento pareva più morto che vivo. Pensò ancora che stesse dormendo.

Il brigante pensò di rivolgergli la parola, visto che ancora non l’aveva fatto, e magari di cercare di svegliarlo.

‘’Mario’’, disse a bassa voce, chiamando l’amico, che però non dette segni di vita.

‘’Mario!’’, tornò a dire il brigante a voce più alta, facendo sussultare Aldo e anche le due guardie all’ingresso. Il suo braccio destro mosse la testa, mostrando che era sveglio e vivo, ma non rispose e non disse nulla.

‘’Smettila, Zvàn! Vuoi che ci percuotano perché facciamo baccano? Spero di no. E smettila di chiamare il tuo amichetto, tanto da quando ci hanno sbattuto qui dentro non ha fatto altro che restare muto e in silenzio, più morto che vivo, in attesa della morte’’, disse Aldo, a voce più bassa e controllata.

 A Giovanni non rimase altro da fare che tornare a tacere e a guardare verso la pavimentazione lercia della cella, non riuscendo a fissare il vecchio amico e lo stato in cui malamente versava. Gli tornò in mente anche Lina, ma non volle neppure pensare a quale fine avesse fatto.

Stando a quello che era riuscito a capire alcuni giorni prima, doveva essere stata gettata tra le braccia dell’intero manipolo di Neuer, più come sfogo che per altro. Anche quella decisione era frutto della mente perversa di quel maledetto di Alfonso, quel conte spregevole che era riuscito a fare il buono e il cattivo tempo di quella triste vicenda, utilizzando inganni e sotterfugi, e raggirando il giovane ed inesperto comandante Neuer, che doveva essere ai suoi primissimi incarichi e che non doveva essersi reso conto che la sua azione eccessivamente violenta ed irritante gli si sarebbe ritorta contro.

D’altronde, se c’era una cosa che il pontefice non voleva che accadesse era proprio quella di far agitare il popolo, e Neuer era perfettamente riuscito a fare pure quello. Non dubitava quindi che il giovane comandante ben presto avrebbe perso tutte le sue novelle cariche, per finire nuovamente nell’anonimato, o per essere punito e rispedito nel suo Paese d’origine.

Con indolenza, Giovanni si ritrovò costretto ad abbandonare tutti quei pensieri e a rigirarsi su un fianco, alla ricerca di un po’ di sollievo fisico.

‘’Ehi, hai intenzione di tenerti questo giaciglio per tutta la notte? Sai, anche gli amici hanno bisogno di distendersi un po’ ’’, tornò a dire Aldo, riprendendo a parlare. Il brigante lo fissò con fare scocciato.

‘’Mario non è più in questa realtà, i miei due validissimi aiutanti e giovani amici sono morti, fucilati dai gendarmi e tu non sei mio amico. Quindi, il mio posto non lo cedo a nessuno, per ora. Solo a Mario, se lui me lo chiederà’’, aggiunse Giovanni, fissando per un attimo il suo braccio destro e notando che anche quella volta non aveva avuto alcuna reazione. La sua mente se n’era davvero andata da quel corpo robusto e tozzo, reduce da mille avventure.

Con amarezza, gli tornò in mente anche Luca e Lorenzo, ma solo marginalmente, poiché loro erano già morti da qualche giorno, e ben presto li avrebbe rincontrati nell’aldilà, sempre se ciò fosse realmente esistito e che non si trattasse solo di una favola inventata dai preti.

E lì, avrebbe chiesto loro scusa per gli errori che aveva commesso, e per averli lasciati morire senza poterli aiutare in alcun modo.

‘’Uhm, metti da parte l’odio che provi per me, per una volta. Stiamo per morire, dobbiamo essere più buoni’’, ribatté Aldo, riprendendo ad utilizzare quel suo solito tono a metà tra l’ironico e il serio. 

‘’Puoi scordartelo, bastardo. Devo ricordarti che in passato mi hai ingannato nel peggiore dei modi, e che per ben due volte hai attentato alla mia vita? Quindi taci, che ci fai più bella figura’’, sbottò il brigante, irritato dal vecchio bandito, che quella volta rise.

‘’Ho fatto solo il mio interesse! Niente di più, niente di meno. E per fare i miei interessi in genere non sto a rispettare ogni accordo’’, rispose Aldo, concludendo la sua breve risata e parlando.

Giovanni preferì non replicare e tenersi il suo posto, pensando che non avrebbe mai perdonato quel bandito crudele neppure per tutto l’oro del mondo, o anche a costo della sua vita. Quell’uomo era ingannevole e perfido, ed ora stava facendo il gentile con lui quasi come per prenderlo in giro, visto che faceva dell’ironia su ogni cosa che diceva.

Aldo non si sarebbe smentito mai, neppure prima di morire, ed era davvero indegno di continuare a pestare la terra con i piedi. Per lui, la forca era la soluzione più giusta. Ma anche una pallottola ficcata nelle tempie poteva essere una buona alternativa.

‘’Dai, su! Fammi un po’ di spazio, sono più vecchio di te. E ai vecchi devi portare rispetto, giovanotto! Avanti fammi spazio’’, tornò a dire il vecchio bandito, ormai sempre più deciso a volersi sdraiare, e iniziando a spintonarlo.

Giovanni si limitò ad assestargli un calcio in pieno petto, allontanandolo definitivamente, per poi tornare a socchiudere gli occhi.

Con altra amarezza, decise di smettere di pensare alla sua morte imminente, e con grande stupore si ritrovò ad invocare il Signore e a chiedere la sua clemenza, in preda ad un’oscura disperazione. Lo pregò perché facesse in  modo che qualcuno lo venisse a salvare da quella morte certa, e che Teresa stesse bene.

Ovviamente, invocò il miracolo anche per Mario e Lina. Ma quand’ebbe finito di invocare Dio mentalmente, si trovò più stanco di prima, e più solo.

Si sentiva davvero abbandonato a sé stesso, certo che nessuno l’avesse salvato dall’esecuzione che si sarebbe tenuta tra qualche ora, forse già all’alba, anche perché durante tutta la sua vita era sempre stato ateo e non credeva che il Creatore a quel punto estremo si fosse scomodato ad ascoltare le sue misere suppliche da peccatore pentito all’ultimo minuto. E in quel momento il panico stava regnando dentro di lui.

Quindi, tornò ad agitarsi e a constatare che il suo cuore aveva ripreso a battere molto velocemente, mentre sperava in un qualche miracolo impossibile, ma più che altro sperava anche che la morte giungesse presto, in modo da liberarlo da tutti quei pensieri e da tutta quell’inutile sofferenza.

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.

Le cose continuano a non andare tanto bene per il nostro Giovanni, che ormai si ritiene senza speranze, travolto da tutto il male che Alfonso ha generato. Eppure, è ancora vivo… e, in un certo senso, a volte i miracoli posso accadere per davvero.

Nel prossimo capitolo che pubblicherò scopriremo cosa sta accadendo a Teresa e che fine ha fatto. Sarà uno dei capitoli più importanti di questa consistente parte finale, e scopriremo come si evolverà la situazione.

Grazie per continuare a seguirmi e a sostenermi!

Grazie di cuore a tutti, e buona giornata J a lunedì prossimo J

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Capitolo 55
*** Capitolo 54 ***


Capitolo 54

CAPITOLO 54

 

 

 

 

 

Non appena Alfonso le tolse dal volto il sacco che quasi la stava soffocando, Teresa inspirò tutta l’aria che poté far entrare nei suoi polmoni. Cercò di muoversi, ma le braccia le erano state saldamente legate dietro la schiena.

Non sapeva dove si trovava, e dovevano essere all’incirca tre giorni che non usciva da un’angusta stanza buia, dove suo marito l’aveva rinchiusa dopo averla strappata a Giovanni. L’aveva lasciata al buio, sola e impaurita, e senza neppure averle rivolto la parola.

Era rimasta raggomitolata su sé stessa per ore, nascondendo il volto tra le ginocchia e appoggiando le spalle ad un muro, fintanto che i suoi bisogni fisici non l’avevano portata a muoversi, scoprendo che a poca distanza da lei qualcuno si era preso la premura di lasciare un secchio, una brocca d’acqua e tre tozzi di pane già praticamente raffermi. Tutto il necessario per rimanere in vita un paio di giorni e riuscire a mantenere comunque una certa igiene, anche se al buio era tutto complicatissimo.

Aveva cercato di fuggire, perlustrando poi la stanza e sfiorandone i muri con le mani, ma si era rivelata totalmente spoglia e l’unica porta presente era chiusa e sbarrata, e fatta di ottimo legno duro e robusto.

La contessina aveva provato ad invocare aiuto e a prenderla a spallate, ma il risultato era stato un totale nulla di fatto. La porta era troppo resistente.

Per giorni aveva pianto, avvolta dalle tenebre, mentre pensava a Giovanni, il suo amore, che di certo in quel momento doveva già essere morto. L’ultima volta che l’aveva visto era stato quando Alfonso aveva fatto una piccola sosta nel luogo dove si sarebbero tenute le prime esecuzioni dei briganti, ed era riuscita ad intravederlo da lontano, senza essere certa che lui l’avesse vista.

In ogni caso, era legata e si era ferita le dita nel tentativo di riuscire a sciogliere il nodo che la obbligava a restare china ed immobile, ed era stata impossibilitata a richiamarne l’attenzione. Anche se ben sapeva che Giovanni non poteva fare più nulla per lei, essendo anch’esso legato e controllato da decine di gendarmi, e da parte sua non era riuscita neppure a richiamare l’attenzione di altre persone, poiché nessuno la stava cercando e suo marito aveva preso tutte le precauzioni giuste per farla sparire per bene e per impedirle di intralciare i suoi piani.

Per giorni si era arrovellata a riportare a galla quei brutti ricordi, sapendo che ben presto sarebbe arrivava anche la sua fine, visto che aveva finito sia il cibo che l’acqua, e nessuno accennava a tirarla fuori da quella stanza e a salvarla. Eppure, la porta si era aperta di colpo proprio quando lei aveva ormai perso le speranze, spalancando l’accesso ad una figura alta e magra; quella di suo marito.

Prima che lei avesse potuto fare qualsiasi mossa, lui l’aveva già afferrata, legandole nuovamente i polsi e infilandole la testa dentro ad un sacco ben stretto sul volto, per poi trascinarla verso un luogo altrettanto ignoto.

Ed ora, mentre cercava di riprendere fiato, si trovava di fronte ad Alfonso. Loro due da soli. E la contessina sapeva che ciò non preannunciava nulla di buono.

‘’Respira e stai calma’’, le disse suo marito, ormai tramutatosi nel suo aguzzino, mentre le aveva appena tolto il sacco che le impediva di vedere e di respirare normalmente e le slegava anche i polsi.

Teresa riprese ad avere un respiro regolare, e mentre il suo cuore continuava a battere all’impazzata si strofinò i polsi, sempre più irritati a causa delle varie legature. Notò che lui non le dava più del voi, ma solo del tu. Doveva essere davvero arrabbiato nei suoi confronti per toglierle anche l’unica forma di rispetto che le aveva sempre riservato.

Sentendosi libera per un attimo, si accinse a gridare, visto che fino a quel momento non aveva potuto farlo a causa del sacco stretto che le era stato messo in testa e che le aveva impedito di sciupare fiato.

‘’Puoi gridare, se proprio ci tieni. Ma non te lo consiglio, perché a questo punto sarebbe inutile; nessuno verrà in tuo aiuto. Qui ci siamo solo io e te, mia dolce moglie’’, le disse Alfonso, con un tono di voce irritante.

Teresa ci ripensò e si guardò attorno, riuscendo ben presto a far riabituare gli occhi alla tenue luce di alcune candele, ammassate in modo caotico sul grande tavolo che dominava quell’anonima vasta sala, avvolta dal buio della notte nei suoi angoli più lontani.

Ma solo un istante dopo la contessina riuscì a riconoscere il luogo in cui si trovava, mentre metteva a fuoco più particolari di quell’ambiente spazioso. Si trattava del salone in cui si era tenuto il loro banchetto di nozze, ormai parecchio tempo fa.

Quindi, con un moto di stizza, la ragazza dovette riconoscere che suo marito doveva averla tenuta segregata nella cantina della casa che le era stata donata dallo zio come regalo di nozze, e che non l’aveva mai portata fuori da quella città. Si trovavano ancora a Ravenna, una delle città più abitate delle Legazioni Pontificie, anche se quel quartiere nobiliare era praticamente deserto, poiché la ragazza si ricordò che le case erano molto distanziate tra loro e visto che la maggior parte di esse doveva essere ancora in costruzione, durante la notte quasi nessuno si trovava in quella zona. Nessuno avrebbe potuto udire neppure uno sprazzo di ciò che sarebbe accaduto in quell’immensa abitazione.

La contessina fu costretta a riconoscere che non valeva davvero la pena di gridare, poiché ciò avrebbe dato solo maggior gusto al sadismo orrendo di Alfonso.

‘’Non chiamarmi mai più così. Cosa vuoi da me? Ti ho lasciato, ti ho abbandonato. Non ti amo, Alfonso! Ti odio. Lasciami andare, ti prego… lasciami andare, fammi uscire di qui e lasciami libera’’, iniziò a mormorare la ragazza, sapendo di essere in trappola. La grande porta del salone era chiusa, quasi certamente a chiave, e suo marito le gironzolava attorno come un cane affamato, sempre pronto a balzarle addosso se avesse cercato di fare anche solo un movimento brusco.

‘’Non ci penso neanche a lasciarti andare via da me. Non hai più nessuno che possa proteggerti in questo mondo! Tuo padre ci ha lasciati da un paio di giorni, è già cibo per vermi. Il tuo amato brigante è morto assieme ai suoi amici, e qui non sono presenti stupide domestiche pronte ad aiutarti. Quindi, io sono l’unico che può aver cura di te’’, le disse Alfonso, calmo e tranquillo in modo irreale. Teresa deglutì e si lasciò scivolare in ginocchio sul pavimento gelido, mentre tornava a piangere.

‘’Non ti ho fatto nulla di male, non merito tutto ciò a cui mi stai sottoponendo. Sono stata costretta a sposarti…’’.

‘’E quindi sei costretta ad amarmi e a rispettarmi per tutta la vita. Per tutta la tua misera vita’’, ribatté Alfonso, interrompendola e pronunciando le parole in modo molto marcato.

‘’No, io non ti amo e non ti amerò mai’’, disse la contessina, sputando fuori la verità con odio e disprezzo. Suo marito rise forte alle sue spalle.

‘’Imparerai ad amarmi, allora. Perché ora mi sono vendicato, almeno in parte, e l’astio che provavo nei tuoi confronti si sta trasformando in qualcosa di più invitante e curioso. Ma ti assicuro che non ti perdonerò per tutto ciò che mi hai fatto e per gli affronti che mi hai lanciato’’, disse poco dopo il giovane conte, smettendo di ridere.

‘’Certo che non mi perdonerai, anche perché aspetto un figlio non tuo, bensì del mio unico amore’’, sussurrò la contessina, ormai intenta a sfinire il marito. Sperava con tutta sé stessa che, sapendo che era incinta di un altro e che lo aveva tradito sotto tutti gli aspetti, mettesse fine a quella dolorosa ed inutile farsa.

Con le mani, si sfiorò il ventre ancora piatto, ma pieno di vita. Teresa sapeva che poteva sbagliarsi e che era troppo presto per essere certa di attendere nuovamente un figlio, ma la precedente esperienza le aveva insegnato a riconoscere ogni minimo segnale. Ed era certa che dentro di lei pulsava una nuova vita, frutto di un amore condiviso e libero.

La contessina fu brutalmente strappata dai suoi pensieri quando le mani di Alfonso le si strinsero attorno al suo esile collo.

‘’Sei davvero una puttana. Questa non me l’aspettavo, lo ammetto’’, le disse suo marito, mentre la ragazza cercava di graffiargli le braccia, impotente.

‘’Ma io ho bisogno di te… almeno, fintanto che non avrò raggiunto i miei scopi. Una volta che saremo sbarcati in Spagna, ti farò sparire in un bordello, così potrai sollazzarti quanto ti pare con i pezzenti e gli uomini di poco onore’’, continuò a dire Alfonso dopo un attimo di esitazione, mollando la presa e lasciando che Teresa tornasse a respirare.

‘’Spagna?’’, disse la contessina, riprendendo fiato e allontanandosi di qualche passo dal marito.

‘’Sì, in questi due giorni ho preparato tutto alla perfezione. Ho prenotato una cabina solo per noi due su un’imbarcazione mercantile molto discreta, che partirà dal porto di questa città all’alba, cioè tra poco. Ci imbarcheremo e staremo al sicuro per tutto il lunghissimo viaggio, e quando sbarcheremo a Barcellona… beh, tanto per iniziare, ti dovrò far ripulire. Anzi, troverò già subito una qualche donna esperta in materia, che svolga questo lavoro sporco entro due ore, così potremmo partire. Perché se voglio poi abbandonarti, voglio per davvero che dentro tu abbia un figlio mio’’, concluse Alfonso, sorridendo mestamente nella penombra del salone.

Teresa si cinse il grembo con le mani, mentre un brivido freddo faceva scuotere tutto il suo corpo. Per nulla al mondo avrebbe lasciato che quel mostro di suo marito le strappasse dal corpo suo figlio, dopo che gli aveva ucciso il padre e il nonno, più tutti gli amici della madre, poiché anche Lina doveva essere stata uccisa, dopo che era stata gettata tra le braccia della soldataglia cittadina.

‘’No… è notte fonda, non troverai nessuno… non puoi…’’, singhiozzò la giovane, facendo due passi indietro ed andando a sbattere con la schiena contro un mobiletto di legno.

‘’Certo che posso. Sono tuo marito, e in più… ho questo dalla mia parte. E con questo, puoi avere tutto ciò che vuoi a questo mondo, e anche subito’’, aggiunse Alfonso, mostrando un pesante salvadanaio. Doveva essere pieno di denaro.

‘’Non… no… non lascerò… non andrò in Spagna… non…’’.

La voce di Teresa si era ridotta ad essere un singulto petulante, continuamente interrotto dai singhiozzi disperati. Ormai, la ragazza non credeva davvero più di poter fuggire dalle grinfie di quel mostro che aveva sposato e che alla fine si era rivelato essere uno dei peggiori criminali che lei avesse mai potuto incontrare lungo la sua vita.

‘’Oh, la Spagna è l’unica scelta che abbiamo a disposizione. Dopo tutto quello che ho combinato nel nostro Stato, il mio amato zio vorrà punirmi a vita. Mi condannerà alla prigionia per il resto dei miei giorni, dopotutto farebbe anche bene, visto che sono riuscito a spargere disordini e terrore ovunque nel nord.

‘’Ravenna è di nuovo irrequieta, mentre il popolino delle campagne sembra pronto a nuove sommosse. In più, ho fatto commettere al comandante Neuer un sacco di errori, primo tra tutti far massacrare in modo così immondo tutti quei briganti, innescando la più totale disapprovazione della gente per bene, che prima si lamentava se veniva derubata mentre ora fa la mediocre per il semplice fatto che lo spettacolino sanguinario non è stato di loro gusto. Però, il massimo che rischia Neuer è solo di venire rispedito direttamente nella sua patria o di finire in gattabuia, dove di certo qualcuno lo tirerà fuori, prima o poi, mentre per me… non c’è nessuna ricompensa per aver fatto un’opera di pulizia di livelli grandiosi. E nessuno che possa aiutarmi.

‘’Poco male, Teresa mia; qui rischio solo di essere incarcerato, e mi rifarò una vita nelle campagne della Catalogna, nel più totale anonimato. Per te, invece, farò in modo di farti inserire in un bordello con vista sul mare, in modo che tu possa giacere con i clienti in un posto che goda di una bella vista, ritienilo un regalo da parte mia. Ma prima…’’, concluse il giovane conte, sfiorando il salvadanaio.

‘’Non verrò, non mi toglierai mio figlio, non mi rinchiuderai in un bordello… vattene, vai in Spagna e lasciami libera… dimenticati di me’’, riprese a dire la contessina, ma quando fissò gli occhi del marito, comprese che le sue parole non avrebbero mai fatto effetto. Infatti, Alfonso la stava guardando con occhi spiritati in grado di incutere terrore su chiunque si posassero. Erano gli occhi di un pazzo, di un uomo giunto ad un punto di rottura con la ragione.

‘’Prima di iniziare questo lungo, lunghissimo viaggio, lascerai dietro di te anche tuo figlio. I marinai non vedono di buon occhio le donne a bordo, figuriamoci se sono pure gravide… quindi, quello che hai in grembo deve andarsene’’, aggiunse Alfonso, senza far caso alle parole che aveva pronunciato la contessina solo un istante prima.

‘’No’’, gridò la ragazza, acquattandosi a terra mentre il marito le si avvicinava.

‘’Invece sì. E non fare così, sai quanti piccoli bastardini potrai generare nel bordello dove lavorerai? Davvero tanti, sei ancora molto giovane. E non posso lasciarti libera, comprendimi; so che andresti subito a fare la spia e mi tradiresti, rovinando i miei piani di fuga e facendomi poi arrestare. E a quel punto, sarei costretto a dire la verità su tutto ciò che è accaduto. No, fidati di me; la piccola creatura deve andarsene, e tu invece mi seguirai’’.

‘’No, mai’’, sibilò la contessina, continuando ad acquattarsi contro il muro e piangendo.

‘’Vuoi farmi proprio perdere la pazienza, vero? Senti, se proprio vuoi fare tante storie, l’alternativa è questa, e io partirò da solo tra qualche ora’’, disse Alfonso, sovrastando la moglie e sfoderando una pistola, che teneva ben nascosta sotto la giacca.

‘’Io parto, e tu finisci morta nel porto, a galleggiare tra le navi e a marcire. Non male come cosa, considerando che nessuno ti conosce. Ti strapperò di dosso ogni vestito, così sembrerai una comune prostituta uccisa da un cliente un po’ arrabbiato… nessuno ti riconoscerà e nessun indizio riporterà a me. Ho già detto alle autorità che non ti ho ritrovato in vita presso i briganti, e nessuno può sospettare qualcosa. Mi piace come idea. E anche molto’’, concluse il giovane conte, che poi appoggiò la pistola sul mobiletto a fianco di Teresa e prendendo una decina di proiettili dal taschino della giacca, caricando l’arma con abilità.

La contessina riconobbe che si trattava di una vecchia rivoltella, con una canna notevolmente allungata. Un’arma molto pericolosa e dalla precisione micidiale.

‘’Stammi lontano… non ti permetterò di farmi del male’’, riuscì a dire la ragazza, disperata, mentre il marito si inginocchiava a poca distanza da lei, abbandonando la rivoltella carica sul mobiletto poco distante. In quel momento, non riusciva a riflettere sulle cose terribili che le stava dicendo Alfonso, ma pensava solo a sé stessa e a tenerlo a distanza di sicurezza.

‘’Non vuoi venire con me. Ero certo che durante quel lungo viaggio avessimo avuto modo per chiarirci e dialogare un po’, ma hai ragione, saresti solo un peso. Quindi, lascia che tuo marito ti ami un’ultima volta, prima di dirti definitivamente addio’’, mormorò il giovane conte, che con un guizzo fulmineo le afferrò un polso. Teresa gridò e cercò di fuggire, ma non ci riuscì.

Alfonso la trattenne con forza, attraendola subito a sé e spingendola con la schiena contro il muro, incastrandola così in un angolo, mentre il basso mobiletto chiudeva ogni via di fuga alla contessina, che continuò a lottare come una disperata nonostante sapesse che per lei era tutto perduto.

Lui le bloccò i polsi, poi tentò di toglierle la veste, rischiando di lacerarla. Teresa gridò nuovamente, e mentre cercava di difendersi, incontrò per un attimo gli occhi di suo marito, e ciò che vide fu solo pazzia.

Alfonso aveva perso completamente la testa, e di certo la sua intenzione era quella di violentarla prima di ucciderla e di occultare il suo cadavere, per poi fuggire dopo poche ore su una nave diretta lontanissimo dal luogo in cui aveva combinato un disastro. E la contessina fu costretta a riconoscere che suo marito era riuscito ad orchestrare un piano davvero rischioso e orribile, ma che alla fine ne era rimasto lui stesso vittima, finendo schiacciato sotto il peso della sua crescente follia.

Teresa si lasciò vincere per un attimo, cercando di riprendere fiato, e Alfonso ne approfittò subito per baciarla con violenza, mentre le sue mani smettevano di cercare di immobilizzarla e correvano lungo il suo corpo, per poi fissarsi attorno al collo, senza stringere troppo quella volta.

La ragazza lasciò che la bocca del suo pazzo marito sfiorasse la sua, per poi entrare in azione e piantargli le unghie nel volto, creando una decina di escoriazioni sanguinanti. Alfonso, preso alla sprovvista dalla violenta reazione della moglie, mollò la presa attorno al collo della vittima e si passò le mani sul volto, lanciando anch’esso un grido di dolore.

Teresa non perse tempo, e cercando di sfuggire alle grinfie del giovane conte e di uscire da quell’angolo del salone che stava diventando una trappola mortale, cercò di salire sul mobiletto che aveva a suo fianco, riuscendoci a fatica. La ragazza cercò di muoversi rapidamente e di distanziare il marito, ma il mobiletto invece di reggerla cedette, rovesciandosi e facendola cadere assieme a lui.

Teresa rovinò a terra, per fortuna senza farsi troppo male, e a poca distanza da lei cadde anche la pistola, che suo marito aveva lasciato appoggiata e carica proprio sullo stesso mobiletto che lei aveva rovesciato. L’arma non lasciò partire alcun colpo accidentale nella caduta, ma andò a finire proprio vicino alle mani della contessina assieme a una decina di proiettili, che ruzzolarono al suolo.

Alfonso tornò alla carica, vedendola in difficoltà, e si accinse di nuovo ad avvicinarsi e a riprendere la violenza che era stata bruscamente interrotta sul nascere. Il suo volto era tutto segnato dai graffi, e i suoi occhi erano rabbiosi, e quando la luce delle candele li colpiva, sembravano emanare lampi di follia.

In preda al panico e senza pensare ad altro, la ragazza fece la prima cosa che le venne in mente, ed afferrò la rivoltella carica per poi puntarla contro il suo aguzzino.

‘’Ti ammazzo se fai un altro passo verso di me. Sparo, te lo giuro’’, mormorò Teresa, smettendo di piangere e lasciando fluire fuori dalle sue labbra quelle poche parole.

‘’Mi hai già fatto male, ferendomi al volto. Sei davvero una belva selvatica, ma io so come domarti, e ti domerò! Metti giù quell’aggeggio, non sai neppure come utilizzarlo… rischieresti solo di farti male da sola o di mancare il bersaglio, facendomi innervosire ancora di più’’, disse il giovane conte, mentre respirava affannosamente. Però, Teresa notò che si era fermato a poca distanza da lei e pareva nervoso, di certo intimorito dall’arma che gli stava puntando contro.

Poi, notando che lei non aveva intenzione di abbassare la rivoltella, suo marito si mosse lievemente di lato. E Teresa capì che stava cercando di avvicinarla gradualmente, in modo da poterla disarmare.

Infatti, Alfonso allungò un braccio e cercò di afferrare l’arma, ma la ragazza si lasciò scivolare a terra, mettendosi in ginocchio. Poi, in un attimo, rialzò la rivoltella e fece fuoco, puntandola contro la sagoma di suo marito.

La pallottola partì senza preavviso, poiché la giovane non aveva premuto il grilletto con tanta determinazione, e con facilità colpì Alfonso, che si premette una mano sul basso ventre ed indietreggiò.

Teresa si mise una mano sul volto, mentre con la destra abbassava la rivoltella.

‘’Mi… mi hai sparato!’’.

Alfonso pronunciò quella frase affermativa con grande stupore, prima di guardare la ferita lasciata dal proiettile e notare che stava perdendo molto sangue.

Il conte rialzò subito gli occhi.

‘’Non deve finire così. Non è giusto. Non dopo tutto quello che ho fatto…’’.

Alfonso non riuscì a concludere la frase, poiché Teresa gli si avvicinò e gli sparò una seconda volta, colpendolo al petto e scaricando la rivoltella.

Solo quando suo marito fu disteso a terra in una pozza di sangue la ragazza riuscì a muoversi e ad abbassare l’arma, per poi lasciarla cadere a terra e iniziare a piangere sommessamente. Si avvicinò ad Alfonso, e vide che era morto, poiché il petto ferito aveva smesso di alzarsi ed abbassarsi, mentre i suoi vestiti erano macchiati di sangue ed erano laceri dove le pallottole lo avevano colpito. Però, i suoi occhi folli e dilatati erano rimasti aperti, e parevano fissarla con rabbia.

Teresa si riscosse, distogliendo lo sguardo da quella macabra visuale, e cercando di non pensare al fatto che aveva commesso un omicidio, si diresse verso la maestosa porta d’ingresso del salone. Voleva fuggire da quella casa al più presto.

Quando la giovane provò ad aprire la grande porta, però, fece l’amara scoperta che era chiusa a chiave.

Con grande nervosismo, si diresse nuovamente verso il cadavere del suo defunto marito, per cercargli addosso le chiavi, essendo l’unica cosa che le era venuta in mente. Deglutendo, rovistò in tutte le tasche dei vestiti del cadavere, senza però trovare nulla.

Esasperata, la contessina abbandonò il cadavere del marito e si diresse verso le finestre, pensando di uscire da lì, visto che il salone si trovava al piano terra, ma una volta che le ebbe aperte si trovò davanti solo a possenti inferriate di ferro.

Mentre il cuore riprendeva a battere fortissimo nel suo petto, la giovane fu costretta a riconoscere che non aveva alcuna via di fuga. Poi, ebbe un’idea.

Raccolse la rivoltella ed inserì un proiettile così come aveva visto fare da suo marito solo pochi minuti prima, e si diresse verso la porta. Puntò l’arma contro la serratura e fece fuoco, nel vano tentativo di farla saltare, ma fu tutto inutile.

Arrabbiata, la giovane prese un altro proiettile e ricaricò l’arma, poi si diresse di nuovo verso quella porta che le impediva la fuga da quel luogo che ormai puzzava solo di sangue e morte. Il buio stava per tornare a regnare attorno a lei, mentre sul grande tavolo restava solo un mozzicone di candela acceso. Però, quando si preparò a sparare di nuovo, la contessina sentì dei passi che si stavano dirigendo verso di lei, e provenivano dal di là della porta.

Interdetta e sorpresa, credendosi sola in quell’abitazione, fece due passi indietro e sentì che qualcuno stava girando una chiave nella serratura, facendo definitivamente scattare ed aprire la porta. E, dopo solo una frazione di secondo, la contessina si trovò di fronte a Carla, la perfida governante di Alfonso.

‘’Voi? Voi che ci fate qui, libera e senza il padrone?’’, chiese la governante, sorpresa.

Teresa, rimasta impietrita per un attimo, si limitò poi ad indicare la sagoma distesa sul pavimento.

Vedendo il sangue e il corpo riverso al suolo, Carla le si avvicinò, richiudendo la porta, ma non a chiave. La donna aveva capito all’istante ciò che era accaduto.

‘’Voi lo avete ucciso, maledetta. Ho adorato il conte Alfonso da quando è nato, e da quando è venuto alla luce l’ho servito ogni giorno e mi sono occupata di lui. E voi… voi me lo avete ucciso. Era come un figlio per me… ma non la passerete liscia, questa volta’’, tornò a dire la governante, allibita e rabbiosa, mentre tornava indietro a richiudere la porta a chiave. Poi, la donna aprì in cassetto del mobiletto poco distante e ne estrasse un lungo coltello.

Capendo ciò che stava per succedere, e che sarebbe rimasta nuovamente in trappola, Teresa gridò, attirando nuovamente l’attenzione di Carla, che la fissò con odio e rancore.

‘’Vi ho sempre odiato. Non eravate la donna giusta per il giovane conte, voi l’avete fatto impazzire. Vi odio’’, concluse la governante, mettendosi nella tasca del grembiule la chiave dell’unica via di fuga di quel salone e impugnando saldamente il lungo coltello. Teresa capì che a breve quella dannata vecchia pazza le avrebbe fatto del male e l’avrebbe uccisa, se solo avesse avuto modo di avvicinarla.

Tornò ad alzare la rivoltella, e avvicinandosi in un attimo alla vecchia, cercò di ricordare ciò che le aveva spiegato Giovanni, tempo addietro, quando le aveva insegnato a sparare e a prendere la mira con il fucile.

‘’Stupida ragazzina, non giocare con le armi. Ti farai di certo del male’’, la canzonò quell’odiosa vecchia, per nulla intimorita. Da quando aveva visto il cadavere di Alfonso, pareva aver perso totalmente la ragione, mentre il coltello creava bagliori luccicanti e spaventosi, in grado di rendere più verosimile quella scena da incubo.

Teresa non attese altro tempo, prese la mira così come le aveva insegnato il suo amato e le sparò dritto nel mezzo dell’ampio petto, uccidendola all’istante. Il donnone, infatti, cadde riverso al suolo, morta stecchita, mentre il coltello cadeva a terra, tintinnando sonoramente.

Teresa non attese altro tempo, ed estrasse la chiave dal grembiule senza pensarci troppo su e si diresse verso la porta, aprendola subito dopo.

Tirando un sospiro di sollievo, si appoggiò poi al muro del salone, cercando di calmare il suo cuore, che continuava a batterle fortissimo nel petto. Le sue mani tremavano come foglie al vento, mentre la consapevolezza di aver fatto una strage e di essere un’assassina crebbe dentro di lei a dismisura.

Altre lacrime calde presero a scenderle lungo le guance, mentre si accingeva a fare il primo passo verso la libertà, ma ebbe il timore di doversi ritrovare faccia a faccia con un qualche altro malintenzionato pronto a farle di nuovo del male, d’altronde aveva sempre creduto di essere sola con suo marito in quell’abitazione ma era poi sbucata fuori anche la perfida Carla, che aveva custodito le chiavi del salone per tutto quel tempo.

Quindi, tornò sui suoi passi e riprese con sé la rivoltella, raccogliendo poi un’altra decina di pallottole dal pavimento, su cui si erano sparse dopo la caduta del mobiletto.

Ricaricò la rivoltella e la tenne stretta tra le mani, per poi dirigersi verso quel salvadanaio che le aveva mostrato suo marito, che in quel momento era tristemente abbandonato sul tavolo a fianco delle candele. Era di terracotta, e con una botta forte lo mandò in frantumi sul tavolo.

Teresa si trovò stupefatta a guardare una quantità incredibile di monete di grande valore e di decine di banconote spiegazzate, fatte entrare con la forza dentro al contenitore dall’angusto pertugio superiore.

Sapendo che qualche soldo le avrebbe fatto comodo, visto che stava per uscire in strada vestita con abiti strappati da suo marito e senza un pezzo di pane, afferrò una saccoccia di tela che pendeva dall’attaccapanni vicino alla porta e ci buttò dentro tutto il malloppo, per poi dirigersi direttamente verso l’uscita di casa, sperando che anche quella non fosse sbarrata.

Non si voltò indietro a guardare la carneficina che aveva commesso, e tremando dalla testa ai piedi, si avviò verso l’ultima porta che le precludeva la libertà, brancolando nel buio.

Fortunatamente, l’ingresso era solo a qualche metro dalla porta del salone, e non ebbe difficoltà a trovarlo, e con forza fece leva sulla grande maniglia, spalancando la porta. E si trovò nel bel mezzo del piccolo giardino, libera nella notte.

Teresa richiuse la porta e si gettò a capofitto verso la strada, trovando aperto anche il cancelletto esterno del curatissimo giardinetto e respirando a pieni polmoni. Le pareva impossibile di essere riuscita a sopravvivere alla follia di suo marito e a quella della sua infida governante, che doveva averlo seguito per tenergli sempre in ordine la casa e aiutarlo a mettere in atto la sua tremenda vendetta.

La contessina si fermò all’angolo della strada buia che stava percorrendo di corsa, incurante del fresco della notte primaverile e riprendendo fiato.

Si trovò ad appoggiarsi ad una cancellata di un’abitazione nobiliare a lei sconosciuta, chiedendosi con disperazione cosa ne avrebbe fatto ora della sua vita. Le sue mani erano ancora sporche di sangue, mentre continuava a tenere ben salda la stretta sulla sua arma carica. Era solo un’assassina, una ragazza senza casa né parenti, ma almeno suo marito le aveva lasciato un bel gruzzoletto.

Improvvisamente, decise di compiere l’unica scelta che le poteva salvare la vita; si sarebbe recata al porto e all’alba si sarebbe imbarcata sul mercantile dove suo marito aveva già prenotato una cabina in gran segreto, e sarebbe fuggita in Spagna, sperando che gli ufficiali di bordo l’avessero ugualmente accettata sull’imbarcazione. Anche se non sapeva il nome del mercantile, avrebbe chiesto informazioni ai marinai che avrebbe incontrato nel porto, certa che qualcuno le avrebbe saputo indicare la nave giusta dove provare ad imbarcarsi, visto che non erano molte le imbarcazioni che effettuavano viaggi così lunghi.

Piangendo sommessamente e strascicando i piedi, la giovane si rimise in marcia, pregando di riuscire ad orientarsi bene nel buio della notte, ma sapendo che non aveva tanto tempo a disposizione, poiché a breve avrebbe albeggiato. E il solo pensiero che il suo Giovanni, suo padre e tutte le brave persone che aveva incontrato lungo il suo cammino erano morte, la fece davvero stare male.

Poi, con un pizzico di ritrovata speranza, si sfiorò il ventre, accarezzando la nuova vita che stava crescendo dentro di lei, e sapendo che Giovanni non sarebbe mai morto all’interno del suo cuore e che le aveva lasciato il più bel regalo del mondo. Quindi, si fece forza, sapendo che avrebbe dovuto lottare anche per la vita di suo figlio. I soldi non mancavano, mentre l’imbarcazione che l’avrebbe salvata e portata lontano era a pochi passi da lei, e ciò le avrebbe garantito una nuova vita, che avrebbe poi ricostruito in una lontana e sconosciuta Barcellona.

Con decisione, la contessina iniziò a districarsi tra i vari vicoli e a cercare di orientarsi al meglio, in modo da giungere prima al porto, anche se questo le costò un grande sforzo, visto che dovette riportare alla mente un sacco di informazioni che suo padre le aveva passato tempo addietro, poiché lei non conosceva bene quella città, o almeno non come il genitore.

E, dopo all’incirca un’ora di sfiancante camminata, Teresa si ritrovò sulla grande strada che l’avrebbe condotta direttamente alla meta, una strada centrale che attraversava buona parte della città e di cui non ricordava il nome per via dell’ansia che ormai le aveva oscurato ogni pensiero, mentre un lontano rossore iniziava ad imporporare l’orizzonte.

Eppure, lungo quello stradone che a quell’ora era praticamente deserto, notò una donna che arrancava poco distante da lei. Pareva ferita, o forse troppo stanca.

La curiosità prese il sopravvento, e visto che lì l’illuminazione era presente e soffusa, le si avvicinò, affiancandola e preparandosi a superarla e a lasciarsela alle spalle.

Eppure, rimase impietrita di fronte a quella figura, riconoscendola.

Teresa emise un gridolino stupito, prima di riabbracciare una Lina tutta ricoperta di lividi e con i vestiti stracciati e sporchi, stanca ma ancora piena di vita.

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per continuare a seguire questo racconto.

Questo è uno dei capitoli più importanti di questa parte finale, e ve ne sarete senz’altro accorti. Alfonso e la sua perfida governante sono stati uccisi dalla povera Teresa, ancora molto scossa da ciò che ha dovuto subire.

Nel prossimo capitolo continueremo a restare in compagnia della contessina, che tra pochissimo dovrà compiere delle scelte e delle azioni molto importanti… vedremo J

Grazie ai miei soliti recensori, sempre gentilissimi, puntuali e cortesi.

Grazie a tutti, e buon inizio settimana J a lunedì prossimo J

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Capitolo 56
*** Capitolo 55 ***


Capitolo 55

CAPITOLO 55

 

 

 

 

 

 

‘’Lina!’’, mormorò Teresa, riabbracciando l’amica ritrovata.

Lina si lasciò andare tra le braccia della contessina, mentre singhiozzava sonoramente.

‘’Teresa… ho temuto per la tua vita’’, le sussurrò l’amica all’orecchio, affondando il volto tra i suoi lunghi capelli.

‘’Ero più in pena io per la tua. Se anche tu fossi morta, non me lo sarei mai perdonato. Troppe persone sono morte a causa mia’’, rispose Teresa, consolando l’amica e stringendola ancora saldamente in un abbraccio duraturo.

Non aveva mai sentito Lina singhiozzare così, e i suoi abiti sporchi e i lividi che sfoggiava sulle braccia facevano chiaramente capire che gli ultimi giorni che aveva trascorso non dovevano essere stati per nulla tranquilli. E la contessina non riuscì neppure ad immaginare ciò che doveva esserle accaduto, e non riuscì neppure a chiederle nulla, limitandosi a stringerla forte a sé nel bel mezzo di quello stradone deserto.

‘’Ti ho intravisto sai, quando eri sanguinante e legata dentro alla carrozza di quel pazzo. Ho pensato che ti avrebbe ucciso non appena fosse riuscito ad allontanarsi da Neuer e a trovarsi da solo con te’’, tornò a dire Lina, tutta tremolante.

A quel punto, Teresa sciolse l’abbraccio e le mostrò la rivoltella.

‘’Mio marito voleva uccidermi con questa arma. La stessa che poi gli ha tolto la vita’’, disse all’amica, tornando poi a riabbracciarla. Ma Lina si scostò lievemente, incredula.

‘’Tu… tu…’’.

‘’L’ho ucciso, amica mia. Ho ucciso lui e la sua governante. Sono un’assassina e una ladra, ora’’, mormorò di risposta la contessina, mostrando anche la saccoccia piena di soldi. Lina rimase ancora più incredula.

‘’Sei una contessina, una nobile beneducata. Non puoi…’’, cercò di dire l’amica, subito interrotta da Teresa.

‘’Ero una nobile. Ma ora non più; Alfonso mi ha ucciso. Teresa Scalindi non esiste più, è morta tra i briganti, poco dopo essere stata rapita per la seconda volta in pochi mesi. Quella che hai di fronte è semplicemente Teresa la ladra, o Teresa l’assassina, puoi chiamarmi come preferisci’’, sottolineò Teresa, lasciando cadere definitivamente il suo cognome. Infatti, se suo padre era davvero morto, e se Alfonso aveva dichiarato al comandante austriaco che nessuno l’aveva trovata in vita, sarebbe passata subito anch’essa per morta.

La casata e il cognome di suo padre erano irrimediabilmente estinti, e se lei fosse riuscita a sopravvivere a tutto ciò e a cercare poi di riavere gli ultimi scarsi possedimenti paterni e a rivendicare il cognome, sarebbe di apparsa subito come l’indagata principale per la tragica fine del nipote del pontefice, e dopo essere stata riconosciuta anche dal comandante Neuer come persona presente sui fatti, non avrebbe saputo immaginare la sua fine. Nessuno stava mai dalla parte delle donne, soprattutto delle mogli diventate vedove in modi così tragici e sospetti.

Quindi, non aveva altra scelta che dimenticare il suo cognome e la condizione sociale che aveva ereditato dalla sua famiglia. Lei ora era solo una ricercata, un’assassina. Non le restava altro che sperare che Alfonso le avesse mentito, e che suo padre fosse ancora vivo da qualche parte, ma ormai lei era pronta ad andarsene e a lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita. Quelle terre non avevano più nulla da offrirle, visto che aveva perso anche il suo amato.

Lina non replicò udendo quelle lugubri parole, e si limitò a scrollare la testa con fare avvinto.

‘’Non dovevi compiere quei delitti, ma ti capisco. Non hai idea di quel che ho dovuto subire in questi ultimi tre giorni. Anch’io avrei fatto una strage, se solo fossi riuscita ad impugnare un’arma’’, concluse la donna, mostrando i lividi sulle braccia e sulle gambe.

‘’E questo è nulla. Mi hanno reso loro sotto tutti gli aspetti, mi hanno picchiata e trattata come una sgualdrina senza valore, umiliandomi fino all’ultimo’’, continuò a dire Lina, notando che Teresa la stava fissando con fare sconvolto. La ragazza, infatti, non aveva mai visto simili ematomi, grandi come mele.

‘’Però, non mi hanno uccisa, per fare poi sparire il mio cadavere in un qualche modo. La soldataglia poi mi ha lasciato libera, sperando che morissi lungo la strada tra mille stenti, d’altronde a chi potrebbe interessare la salute di una contadina sconosciuta appena arrivata dalle montagne e brutalmente seviziata? A nessuno, te lo dico io. Magari speravano anche di avermi messo dentro qualche figlio, in modo da umiliarmi fino all’ultimo giorno della mia vita… ma non è andata così. Dentro di me ho il figlio di Mario, del mio amore, e lui nonostante tutto continua a vivere, dandomi la forza per andare avanti. E ora sono qui… viva, ma senza possibilità di ritrovare Mario’’, concluse l’amica, sedendosi poi sul ciglio di un muretto che sporgeva sul viale, distrutta sia fisicamente che mentalmente.

Teresa si sedette a suo fianco, prendendole una mano e stringendogliela con calore, mentre condivideva il suo profondo dolore.

‘’Purtroppo, i nostri due amati saranno già morti da giorni’’, constatò amaramente la contessina, con profonda tristezza.

In quel momento si sarebbe anche potuta mettere a piangere, visto il grado di disperazione che si sentiva addosso, ma non ci riuscì. Non ne aveva più le forze, poiché doveva trattenerle per giungere al porto ed imbarcarsi verso un futuro incerto.

‘’No, no… Mario e Giovanni sono ancora vivi. Sono rinchiusi all’interno della piccola cella di prigionia del palazzo dell’Arcivescovo, e all’alba di oggi saranno fucilati. Questo è quello che ho sentito dire qualche ora fa dalla soldataglia cittadina… a quanto pare, la loro esecuzione è stata rimandata in seguito ad alcuni piccoli tumulti popolari’’, affermò Lina, con un tono di voce rassegnato. La contessina, invece, sobbalzò.

‘’Se sono ancora vivi, andiamo da loro’’, disse Teresa, alzandosi in piedi e strattonando l’amica.

‘’Ehi! Mi fai male così! E poi, non so neppure dove si trova questo palazzo… non so nulla di questa maledetta città’’, affermò Lina, sottraendosi alla stretta di Teresa, che invece proseguì imperterrita.

‘’Lo so io dov’è! Ci sono stata negli ultimi mesi, e so come fare per raggiungerlo. Non dista molto da qui, ma se dobbiamo essere lì prima dell’alba, dobbiamo darci da fare. Avanti, dobbiamo salvarli!’’, continuò a dire la contessina, riprendendo a strattonare l’amica e facendola rialzare. Ora che sapeva che il suo Giovanni era ancora vivo, doveva fare qualcosa ed agire subito.

‘’E come, sentiamo? Ci sono due gendarmi che li vigilano costantemente, e ormai l’alba è già qui…’’.

‘’Non preoccuparti, abbiamo tempo a sufficienza per giungere fin da loro. E, riguardo ai gendarmi, ci inventeremo qualcosa’’, ribatté Teresa, mostrando la rivoltella carica all’amica.

‘’No, no, io non posso. Non vengo, non ci riesco’’, concluse Lina, tornando a sedersi e avvilendosi ancora di più.

Teresa guardò il cielo, e vedendo che ben presto le prime luci del nuovo giorno avrebbero illuminato Ravenna, prese la drastica decisione di andare da Giovanni. Sapeva che era una mossa molto azzardata, poiché avrebbe perso l’imbarcazione che l’avrebbe dovuta portare lontana dal pericolo, e che avrebbe dovuto affrontare una situazione rischiosa e dei gendarmi perfettamente armati, ma aveva preso una decisione inequivocabile. Senza il suo brigante lei non poteva vivere, e se quei soldati armati l’avessero uccisa mentre tentava di salvarlo, la sua non sarebbe stata una morte vana.

Guardando l’amica mentre se ne stava seduta a disperarsi, riconobbe di non averla mai vista così scoraggiata e confusa. Ma lei decise di agire ugualmente.

‘’Fa ciò che vuoi, resta qui se ti va. Io vado a salvare il mio amore, il futuro padre di mio figlio’’, concluse la contessina quasi con disprezzo, sfiorandosi il ventre e allontanandosi velocemente da Lina.

‘’Sei pazza, Teresa! Hai perso la ragione! Vattene, fuggi lontano, poiché qui tutto puzza solo di morte. Morirai anche tu, non lo capisci? Giovanni e Mario sono spacciati… sta a noi due portarli nei nostri ricordi, e crescere i loro figli con amore. Il nostro sacrificio sarà vano e dannoso’’, replicò la donna, ormai totalmente demoralizzata, senza far eccessivo caso alla rivelazione dell’amica.

‘’Non importa. Ho fatto mille e più pazzie per stare a fianco di Giovanni, e questa sarà l’ennesima. Se sarà la mia fine, lui mi seguirà a breve, e noi formeremo una nostra famiglia nell’alto dei Cieli, sperando che esista una giustizia divina. Perché quella umana non esiste’’, aggiunse la contessina, soffermandosi solo un secondo a rispondere all’amica, per poi tornare a darle le spalle e a dirigersi verso la sua meta, fortunatamente non troppo lontana da dove si trovava.

Le dispiacque lasciare indietro Lina, ma ora tutto ciò era di secondaria importanza, poiché a breve il suo amore sarebbe stato fucilato e non poteva perdere tempo a soffermarsi con una donna delusa e ormai mortalmente ferita. Ferita dentro, come se quella bruta soldataglia le avesse strappato via anche l’anima, dopo averla seviziata per ore.

Teresa abbandonò subito quel grande viale, imbucando una delle viuzze laterali, una delle tante che aveva avuto modo di percorrere in carrozza con suo padre. Riconobbe, e non senza incredulità, che la sua mente era molto vigile e incredibilmente rapida a ricordare tutto il percorso necessario, nonostante il fatto che avesse affrontato quel tragitto a malapena due volte, ma effettivamente la paura e l’ansia la stavano spingendo a proseguire con rinnovata forza.

Per lei Giovanni era tutto, e senza di lui la sua intera esistenza avrebbe perso ogni significato, senza contare che era l’unico uomo rimasto nella sua vita, ora che anche suo padre era morto, stando a ciò che le aveva detto Alfonso solo un paio d’ore prima. Si chiese per l’ennesima volta se ciò fosse vero, oppure se quel mostro gliel’avesse detto solo per farla soffrire ancora di più, ma non seppe rispondere da sola a quell’interrogativo.

E loro figlio, senza un padre che potesse crescerlo, proteggerlo ed insegnargli a vivere, non avrebbe avuto alcuna minima garanzia da quel mondo. Tutti l’avrebbero insultato, l’avrebbero deriso.

Mentre rifletteva e proseguiva spedita, sentì dei passi molto veloci dietro di sé, e riconobbe che si trattava di qualcuno che la stava seguendo. Allungò il passo, ma la persona che le veniva dietro continuò a pedinarla, seguendola ed avvicinandosi sempre di più.

Non appena si trovò a dover compiere l’ennesima svolta, Teresa si voltò indietro, e con un pizzico di sollievo notò che colei che la stava seguendo era Lina, che alla fine la raggiunse velocemente.

‘’Non potevo restare con le mani in grembo e lasciarti andare da sola’’, disse l’amica, parlando con fatica e col fiatone. La ragazza si limitò ad annuire con la testa.

‘’Ma sappi che non ti lascerò agire. È troppo pericoloso… siamo due donne debolissime, non possiamo affrontare dei gendarmi così su due piedi’’, continuò a dire Lina, mentre Teresa riprendeva a camminare spedita.

Eppure, la ragazza si fermò per un istante, non appena udì quelle parole, e si voltò nuovamente indietro, fulminando l’amica con lo sguardo e riprendendo poi subito a camminare, senza dire nulla. Attorno a loro era praticamente tutto buio, poiché le stradine secondarie e più ristrette erano scarsamente illuminate, ma quello sguardo dovette essere andato ugualmente a segno, visto che la donna non si azzardò a replicare più nulla per tutto il breve tragitto che avevano rimasto da percorrere. Lina doveva aver capito che ormai non poteva più farla ragionare, e che lei avrebbe fatto di tutto pur di liberare e salvare il suo amato.

Ben presto, le due donne giunsero alla loro meta, e Teresa iniziò a studiare la situazione. Il palazzo di proprietà della Chiesa dove doveva essere imprigionato Giovanni era circondato da un’alta recinzione, ed aveva un bel giardino, soprattutto più ampio che curato.

In ogni caso, la ragazza iniziò a percorrerne il perimetro, sempre seguita dall’amica, nella ricerca di un punto dove fosse possibile entrare in modo più agevole.

Il punto lo trovò all’incirca una decina di metri di fronte a loro, dove la possente recinzione diventava più bassa e facilmente scavalcabile. Teresa entrò nel cortile molto rapidamente, scavalcando la recinzione con facilità, mentre Lina la seguì, ma con qualche difficoltà in più.

Dopo essersi soffermata a dare una mano all’amica, la ragazza iniziò subito a cercare di orientarsi nel grande spazio buio e pieno di alberi che la circondava da ogni lato. Le piante e gli arbusti dell’ampio cortile erano bassi e rigogliosi, mentre le loro grosse gemme si erano già aperte, lasciando fuoriuscire le prime foglioline verdognole, che però al buio della notte sembravano tutte quante nere come la pece. In ogni caso, quelle piante aiutarono le due intruse a muoversi in quell’ambiente ostile senza essere avvistate da nessuno.

Ben presto, sfruttando per l’ennesima volta i suoi ricordi, la contessina riuscì ad orientarsi e a raggiungere il luogo che stava cercando. Infatti, riuscì agevolmente a raggiungere il retro del palazzo e ad individuare la piccola cella in cui doveva essere imprigionato il suo amato e Mario, e che effettivamente era vigilata all’esterno da due uomini armati, senza dubbio due gendarmi, anche se non parevano troppo concentrati a fare la guardia ai prigionieri, ma più intenzionati a chiacchierare animatamente tra loro.

Teresa, sempre cautamente seguita da una silenziosissima Lina, si acquattò lievemente e sfrecciò dietro il grande tronco di un albero circondato da un basso cespuglio, ultimo rifugio che la natura le offriva. Se avesse fatto un altro passo in avanti, i due gendarmi l’avrebbero senz’altro vista e fatta subito secca con due pallottole di piombo.

Col cuore che batteva all’impazzata, e cercando di escogitare qualcosa, notò che era quasi l’alba, e che ben presto sarebbero giunti lì altri uomini armati e sarebbe stato troppo tardi per agire. E lei non sapeva ancora che fare e come agire.

Teresa si morse un labbro, continuando a pensare, mentre Lina le sfiorava una spalla. La ignorò, e continuò ad osservare i due gendarmi, che continuavano a chiacchierare, distratti e tranquilli.

Poi, da dietro di lei, poté chiaramente vedere un guizzo dell’amica, che si sporse leggermente fuori dall’arbusto e dal grosso tronco che le stavano proteggendo, lanciando qualcosa. Teresa si voltò, in preda al panico, ma non fece in tempo a dire nulla o a fare altro, poiché sussultò udendo un grosso tonfo, proveniente dal selciato di fronte allo stretto percorso che conduceva alla cella di prigionia.

I due gendarmi sussultarono anch’essi, guardandosi attorno e separandosi. Teresa vide che uno dei due iniziò a dirigersi verso il loro nascondiglio.

‘’Sono stati questi bastardi! Ora vado a dar loro una lezione, mi hanno davvero stancato. Torna sull’ingresso a sorvegliare il giardino’’, urlò di rimando il gendarme rimasto sul posto, mentre si voltava e si dirigeva verso la cella.

Fortunatamente, il secondo gendarme obbedì prontamente, e tornò indietro subito, senza cercare oltre. E a quel punto, Lina uscì allo scoperto.

Teresa avrebbe voluto gridare e fermare quella follia, ma non riuscì a far nulla, e rimase immobile anche quando l’amica raggiunse l’uomo armato alle spalle e gli sfiorò la divisa, facendolo voltare bruscamente indietro.

‘’Ancora tu. Pensavo ne avessi avuto abbastanza…’’, disse il gendarme a Lina, mentre Teresa continuava a restare nascosta e ad origliare ciò che i due si dicevano, sfruttando la poca distanza che la separava dalla pericolosa scenetta.

‘’Sono rimasta colpita da te. E ti ho seguita’’, disse Lina, lasciandosi sfuggire una risatina amichevole ma tesa. La contessina rabbrividì, non comprendendo ciò che stava accadendo.

‘’Ho portato anche un’amica… voleva divertirsi. Ma solo con te, questa volta. Guarda, è qui, dietro a quel tronco’’. E Lina indicò il suo rifugio alla guardia, che prontamente si diresse verso il nascondiglio di Teresa.

Il cuore della ragazza batté ancora più forte, pensando di essere stata tradita. Quell’uomo armato doveva essere stato uno di quelli che aveva seviziato l’amica nei giorni scorsi, e probabilmente la conosceva proprio per quello, ma la contessina proprio non riusciva a capire il perché di quell’azione sconsiderata della donna, e pensò seriamente di essere in pericolo.

Forse Lina aveva perso momentaneamente il senno, o era irrimediabilmente impazzita. Quindi, si preparò ad una fuga precipitosa.

‘’Vieni fuori, Teresa. Ti faccio conoscere l’uomo di cui ti ho tanto parlato nelle scorse ore’’, disse poi Lina, avvicinandosi ulteriormente al nascondiglio della ragazza e facendole un cenno impercettibile, che nella semioscurità parve senza senso.

‘’No… ora no, devo tornare a sorvegliare la cella e questo giardino. Se il mio compagno di turno si accorge che non sono appostato, poi lo dirà di certo ai superiori. E via, donne, andatevene o saremo costretti a far fuoco’’, iniziò a brontolare il gendarme, iniziando ad insospettirsi.

Teresa a quel punto capì ciò che voleva l’amica da lei, e improvvisamente sgusciò fuori dal suo piccolo e momentaneo nascondiglio, con la rivoltella carica ben stretta nella mano sinistra, nascosta dietro la schiena.

‘’No, aspetta. Voglio vederti, prima. Ci tengo davvero tanto a farlo’’, mormorò la contessina, mentre l’uomo armato sussultava nel vederla sbucare da dietro il tronco indicatogli prima da Lina.

‘’No, vi ho detto di andarvene! Questo non è un posto per donne, e neppure per prostitute! Se mi beccano intanto che mi intrattengo con voi in questo giardino, che dovrei strettamente sorvegliare, son certo che mi sbatteranno in una cella buia e fredda per mesi e mesi, forse anni. Quindi vi chiedo un’incontro un po’ più intimo e privato, i soldi non mi mancano per pagarvi e non sarò per nulla violento…’’.

Lo sproloquio irritante del gendarme ebbe fine quando la contessina gli si fu avvicinata abbastanza per potergli sparare al petto senza mancare il bersaglio.

Non appena vide la rivoltella, la guardia cercò di gridare, o almeno di afferrare il suo fucile, che portava sulle spalle, ma fu tutto inutile. Era troppo tardi per rimediare, e Teresa premette per l’ennesima volta il grilletto, facendo fuoco.

La pallottola colpì in pieno la vittima, che cadde a terra portandosi le mani all’altezza dei polmoni. Lina guardò l’amica, sbalordita dalla rapidità con la quale aveva agito.

‘’Non ti sbagliavi, sei davvero un’assassina. Non sono più in grado di riconoscere la mia timidissima ed impacciata amica Teresa’’, bofonchiò la donna, ancora stupita.

‘’Te l’avevo detto, poco fa. Durante questa notte, ho premuto questo grilletto per troppe volte’’, rispose la ragazza, afferrando un’altra pallottola e ricaricando l’arma. Il frastuono dello sparo doveva aver di certo richiamato l’attenzione di buona parte dei gendarmi nelle vicinanze del palazzo, e sicuramente anche di quello che si era recato dentro la cella dei condannati a morte.

Lina infatti non si perse in altre chiacchiere e fece un altro cenno alla contessina, iniziando subito a dirigersi velocemente verso l’inizio del ristretto percorso in muratura che conduceva verso la cella e verso il punto in cui sarebbe dovuto sbucare fuori il gendarme superstite. Ed infatti, dopo un istante, l’uomo armato uscì di nuovo nel giardino, guardandosi attorno.

Sfruttando la semioscurità, le due donne proseguirono il loro cammino stando ben attaccate al muro di quella parte periferica del palazzo, e si avvicinarono da dietro alla guardia, che nel frattempo aveva visto il corpo del compagno morto. L’uomo andò verso il corpo esanime con un andatura circospetta e piuttosto sorpresa, e si chinò a fianco del corpo ormai senza vita, quasi come per voler constatare se il compagno si fosse tolto la vita da solo o se fosse stato vittima di una qualche aggressione, mentre continuava a guardarsi attorno con attenzione. Non doveva essersi atteso alcun pericolo, durante quella notte tranquilla.

Passato l’attimo di stordimento e di stupore, l’uomo si allontanò dal cadavere, imbracciò il suo fucile e iniziò a muoversi verso il palazzo, forse nel tentativo di andare ad avvisare qualche altra guardia e di chiedere aiuto, ma Teresa gli si avvicinò rapidamente da dietro.

La ragazza tremava come una foglia quando l’uomo si voltò e la guardò, puntandole contro la sua micidiale arma, ma lei era già praticamente pronta a premere nuovamente il grilletto. Deglutì quando compì nuovamente quell’azione, ma sapeva che in ballo c’era la sua vita, quella di suo figlio e quella di Giovanni e dei due amici superstiti, e fece fuoco.

Pure quella volta la pallottola andò a segno, anche grazie alla distanza ravvicinata, che rendeva praticamente impossibile ogni sorta di errore.

Al gendarme partì un colpo, che però andò per aria, senza colpire la contessina, che guardò la sua ennesima vittima mentre si accasciava a terra e moriva. Sapeva di aver compiuto una strage ormai, e di aver demolito definitivamente la sua coscienza, ma sapeva che se si era giunti fino a quel punto era stato solo a causa sua, poiché aveva lasciato a quel folle di suo marito delle tracce che l’avevano ricondotto direttamente a riprenderla con sé, provocando poi tutto quello che era accaduto nell’ultimo periodo.

E visto che tante persone erano morte a causa sua, e altre che le stavano a cuore e che avevano fatto tanto per lei stavano per perdere anch’esse la vita, non poteva far altro che combattere e sporcarsi le mani di sangue. Non c’erano alternative, se voleva almeno mettere una piccola pezza a tutto il disastro che aveva combinato e salvare il suo unico amore.

‘’Avanti, dammi una mano a cercare le chiavi della cella’’, disse Lina, che nel frattempo l’aveva raggiunta alle spalle.

Teresa riabbassò la rivoltella e raggiunse l’amica, già china a frugare nelle tasche della divisa dell’uomo morto.

‘’L’altro non le aveva le chiavi, ho già controllato’’, specificò la donna, continuando a frugare.

La contessina non fece in tempo a darle una mano, poiché Lina si rialzò un istante dopo, raggiante in volto e stringendo un mazzo con due grosse chiavi.

‘’Dobbiamo sbrigarci. L’alba è arrivata, e i tre spari attireranno presto una marea di soldati e di guardie varie, quindi dobbiamo salvare i nostri uomini’’, continuò a dire Lina, sempre più sicura di sé. Sembrava che fosse tornata in vita, e prese in mano la situazione, dirigendosi verso lo stretto corridoio senza porta che le avrebbe condotte alla loro meta. La contessina fu certa che anche l’amica fosse desiderosissima di riabbracciare il suo amato, e che fosse riuscita a lasciarsi alle spalle quel brutto periodo di scoraggiamento di poco prima.

‘’Ma… come fai ad esserne…’’, tentò di dire Teresa, cercando di esternare i suoi ultimi dubbi, subito bloccata da un gesto categorico dell’amica.

‘’Ho sentito la voce di Giovanni, poco fa. Sono certa che lui è lì dentro, quindi ci dovrebbe essere anche Mario. Avendo sentito gli spari, si staranno agitando’’.

Teresa non poté far altro che annuire e restare in silenzio, mentre il primo raggio di sole di quel giorno di primavera creava un’alba spettacolare, rossa come non mai. Rossa come il sangue che lei aveva versato durante tutta quella lunga e catastrofica nottata.

Quei pensieri inquietarono parecchio la ragazza, che si limitò a seguire l’amica all’interno dello stretto corridoio, afferrando una fiaccola che era appesa al muro e illuminando meglio l’ambiente circostante. E, subito, Teresa riconobbe il suo Giovanni, che se ne stava con le mani sugli occhi, abbagliato dalla forte e improvvisa luce della fiaccola in avvicinamento, mentre era sdraiato su quello che pareva un tavolone spoglio, ma che in realtà era l’unico punto della cella su cui si potesse riposare.

A terra, sempre dentro la cella dalle sbarre robuste, Mario pareva svenuto, mentre un altro uomo a lei sconosciuto la stava fissando con curiosità. Era alto e coi capelli e la barba ormai grigi, ma pareva un tipo tosto e ancora pieno di energie.

‘’E’ già l’alba?’’, chiese Giovanni, la voce titubante e leggermente impaurita.

‘’Sì’’, rispose Teresa, avvicinandosi a Lina, che nel frattempo stava armeggiando con le chiavi, alla ricerca di quella giusta.

‘’Te… Te… Teresa?’’, balbettò il brigante, stupefatto e incredulo. L’uomo infatti spalancò subito gli occhi, guardandola.

‘’Lina! Teresa! Che ci fate qui?’’, chiese nuovamente il brigante, mentre si alzava e si avvicinava alle sbarre.

‘’Siamo qui per salvarvi la vita, sciocchi briganti’’, rispose Lina, aprendo finalmente la porta della cella. Giovanni le piombò letteralmente addosso e la abbracciò, per poi avvicinarsi alla contessina e baciarla.

‘’Siete pazze. Voi due siete pazze. Scommetto che siete state voi a sparare… e che avete fatto fuori quelle due guardie. Siete le migliori pazze di questo mondo’’, continuò a dire il brigante, ancora incredulo.

‘’E’ tutto merito di Teresa. Se non fosse stato per lei, non avrei avuto neppure il coraggio di muovere un dito’’, disse Lina, attendendo una qualche reazione da Mario, che però non si mosse. In pochi istanti, la donna fu a suo fianco, e lo sfiorò sotto il mento, facendolo sussultare.

‘’Lina?’’, chiese il maturo brigante, fissandola in volto.

‘’Non so cos’abbia, questa è la prima volta che parla da quando siamo finiti qua dentro’’, sussurrò Giovanni a Teresa, scrollando le spalle e continuando a seguire la scena.

‘’Sono io. Sono qui, andiamo. Dobbiamo fare in fretta, o ci ammazzeranno tutti e i nostri sforzi saranno stati vani. Andiamo’’, disse Lina, afferrando il suo innamorato per un braccio e invitandolo ad alzarsi. Il maturo brigante reagì prontamente, si rialzò e iniziò a seguire la sua amata.

Teresa sorrise di fronte alla scena, e guardando il suo brigante vide che anche lui stava facendo altrettanto. Si avvicinò al suo volto e lo baciò di nuovo.

‘’Bene, ora che le coppiette si sono rincontrate, vorrei andarmene. Sapete, ho un po’ di impegni in sospeso…’’, disse lo sconosciuto, scansando Lina e Mario ed avvicinandosi all’uscita della cella.

‘’No’’, disse prontamente Giovanni, allontanando da sé la contessina.

‘’Come no? Addio, Zvàn. E grazie per il servigio, gentili signore’’, continuò a dire lo sconosciuto, deciso a volersene andare e anche alla svelta.

‘’Non te ne andrai tanto facilmente, Aldo. Il tuo impegno in sospeso è qui, ora e con me’’, ribatté Giovanni, afferrando con brutalità la mano destra della contessina e strappandole la rivoltella.

Teresa rimase allibita da quella repentina violenza e si allontanò dal brigante, ma solo per un attimo.

‘’Ti prego, smettila di fare scenate ed andiamocene. Tra pochi istanti qui sarà pieno di gendarmi’’, disse poi ad alta voce la contessina, afferrando il suo amato per un braccio, senza riuscire a capire il perché di quella reazione inaspettata.

Lina e Mario li superarono, uscendo dalla cella e dirigendosi verso il cortile.

‘’Avanti, Zvàn, non fare lo stupido. Abbassa quell’arma e vieni con noi, prima che arrivino i rinforzi armati’’, disse ad alta voce Lina, mentre sfrecciava verso la libertà, tenendo Mario per mano.

Ma Giovanni non si mosse, così come quell’uomo di nome Aldo.

‘’Ascolta la donna, amico. Andiamocene! Siamo diventati un po’ amici, ora, giusto? Ci siamo fatti la prigionia insieme, abbiamo visto i nostri uomini morire… oh, insomma, abbiamo vissuto una tragedia. Se non mi sparerai, potremo mettere su una banda assieme, che ne pensi? Poi ho ancora un bel tesoretto nascosto da qualche parte…’’, tornò a dire Aldo, strizzando gli occhi e parlando con un tono da lecchino quasi disgustoso.

Teresa non era a conoscenza di ciò che fosse accaduto tra lui e il suo amato, ma doveva di certo trattarsi di qualcosa di grave. Infatti, notò chiaramente che il suo brigante fremeva dalla testa ai piedi, ed era bordò in volto dalla rabbia.

‘’Fottiti Aldo, non pensare di fregarmi di nuovo dopo tutto quello che mi hai fatto. Mi hai ingannato, mi hai tradito e ed hai teso ben due attentati alla mia vita, che per fortuna non sono riusciti nel loro intento. Non mi fregherai più, te lo garantisco. Ma ora… muori e sparisci, come tutti i vili della tua banda!’’, ruggì Giovanni, bordò in volto e premendo il grilletto all’improvviso.

Il colpo centrò le tempie di Aldo, che capitombolò a terra senza batter ciglio, mentre sangue e materiale vario schizzavano ovunque sulle pareti circostanti.

Di fronte a quell’ennesima macabra scena, Teresa si mise le mani sul volto, coprendosi gli occhi e gridando.

Poi non ricordò più nulla con chiarezza, solo che perse improvvisamente tutte le forze, e il suo amato la prese in braccio, portandola fuori da quel luogo lugubre ed orribile, sussurrandole parole dolci alle orecchie.

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguire il racconto.

Incredibilmente, grazie al coraggio delle loro due donne, Mario e Giovanni sono di nuovo liberi. Ma ora che accadrà? Lo scopriremo nel prossimo capitolo J

Grazie di cuore a tutti voi, e buon inizio settimana J a lunedì prossimo J

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Capitolo 57
*** Capitolo 56 ***


Capitolo 56

CAPITOLO 56

 

 

 

 

 

Giovanni proseguì la sua fuga tenendo Teresa in braccio e ben stretta a sé.

Non poteva permettere in alcun modo che la giovane contessina restasse indietro a causa di un lieve malanno che lui le aveva provocato col suo brusco eccesso di rabbia, che l’aveva portato ad uccidere Aldo in un modo molto più brutale del previsto. Ma d’altronde non aveva avuto altro modo per vendicarsi di tutti i torti che il vecchio bandito gli aveva fatto, e per alcuni momenti la sua mente era stata totalmente annebbiata dalla rabbia, e ciò l’aveva portato anche a perdere tempo prezioso per la fuga.

Nonostante tutto, però, era riuscito a correre dietro a Lina e Mario, e a raggiungerli poco dopo, lasciando che i due amici gli dessero una mano a far passare Teresa al di là della cancellata, per poi gettarsi in una rapida e precipitosa fuga per le stradine di Ravenna.

Una fuga che non era durata molto, purtroppo; infatti, ben presto le strade avevano iniziato a riempirsi di gente e di occhi indiscreti, mentre parecchi manipoli di gendarmi si aggiravano ovunque, e ciò era sinonimo del fatto che la loro fuga non era passata inosservata per molto, e che tutti i difensori dello Stato presenti in città ben presto sarebbero stati sguinzagliati al gran completo per dar loro la caccia.

Giovanni, giunto in una piccola viuzza stritolata tra le case, si abbandonò a terra, appoggiando Teresa al muro di un’abitazione molto antica e alta. Col fiatone, rialzò la testa e notò che anche gli altri due amici si erano fermati, poco distante da lui, e si erano seduti anche loro ai margini della stradina.

‘’Fine della fuga’’, disse Lina, mentre Mario pareva essere ritornato in quel mutismo che lo aveva caratterizzato durante tutto il periodo della prigionia.

‘’Non possiamo fare altro che restare qui, per ora. Almeno, cerchiamo di riprendere fiato’’, disse di rimando Giovanni, sfinito dai lunghi giorni passati senza mangiare e dal peso della contessina.

Non che la ragazza fosse molto pesante, ma in quel momento tutto poteva metterlo in grave difficoltà, visto che il periodo trascorso in mano ai gendarmi l’aveva fisicamente devastato. Gli avevano dato da mangiare solo il giusto per sopravvivere qualche ora in più, dato che era solo un uomo in attesa di essere fucilato e il cibo non gli sarebbe servito a nulla.

Fortunatamente era riuscito a fuggire, grazie al coraggio della sua amata e di Lina, ma si trovava per davvero con le spalle al muro, poiché se avesse scelto di proseguire, di certo sarebbe stato individuato subito dai gendarmi. In giro, di uomini barbuti e vestiti come lui non ce n’erano molti, e rischiava seriamente di essere segnalato da qualcuno ed essere scoperto.

Preferì quindi continuare a soffermarsi lì, appoggiandosi anche lui contro quell’alto muro che puzzava di urina, senza avere il coraggio di sorreggere la contessina e di ripartire, cercando di fuggire da quel labirinto di città e di salvarsi.

Dal canto loro, né Lina né Mario parevano intenzionati a tornare a muoversi, anche perché le altre strade erano già tutte parecchio trafficate e nessuno di loro conosceva bene Ravenna.

Il brigante sussultò, quando Teresa gli sfiorò una mano.

‘’Scusa. Tutto quel sangue e quel… oddio, non me la sento di ripensare a quella scena orrenda. Ma ora… ora sento di potercela fare a proseguire anche da sola’’, mormorò la ragazza, ancora pallidissima in viso.

‘’Non hai nulla di cui scusarti. È stato disgustoso e Aldo ha fatto davvero una fine infame… a causa mia. Ma non importa, tanto anche noi a breve finiremo così, visto che ci sono gendarmi ovunque e non abbiamo la benché minima idea di come fare ad abbandonare la città’’, affermò il brigante con sicurezza.

D’altronde, Ravenna non la conosceva affatto, così come gli altri due amici. E se non fossero riusciti ad uscire dal dedalo di strade di quella dannata città, sarebbero ben presto stati rintracciati e catturati dai gendarmi.

La situazione pareva senz’altro disperata, e Giovanni non aveva neppure un’idea di come fare per continuare la fuga, o per lo meno per orientarsi. Quindi si accasciò ancora meglio contro il muro, osservando la sua contessina mentre stava ricambiando il suo sguardo.

 

 

Teresa si era sentita meglio, una volta a terra.

Fintanto che era stata portata in braccio dal brigante, si era sentita male, e dalla sua mente non riusciva proprio a sparire quella triste situazione di poco prima. Vedere saltare per aria pezzi di cranio e materiale vario l’aveva impressionata tantissimo, inoltre la lunga serie di macabri omicidi l’aveva sfiancata, ma in quel momento capiva che c’era bisogno di lei.

Mario e Lina si stavano abbracciando poco distante, impauriti come due bambini, mentre Giovanni le aveva esposto le sue tristi consapevolezze, e dopo essersi accasciato meglio contro il muro dietro le sue spalle, la stava fissando con attenzione.

La ragazza non poteva far molto, in realtà; neppure lei conosceva bene Ravenna, e al massimo poteva solo cercare di capire in che zona della città si trovavano e cercare una qualche via di fuga. Una volta giunti nelle campagne limitrofe, avrebbero potuto tranquillamente far perdere le loro tracce, almeno per un po’.

Guardò la stretta viuzza che si apriva di fronte a lei, per poi sfociare in due strade molto più larghe e trafficate, e capì che comunque non dovevano essersi allontanati troppo dal palazzo dell’Arcivescovo. La campagna e la momentanea salvezza quindi non dovevano essere distanti, ma sarebbe stato praticamente impossibile cercare di raggiungerle a piedi senza essere in costante pericolo.

‘’Non siamo molto distanti da dove abbiamo iniziato la nostra fuga. È pericoloso sostare qui’’, disse la contessina, esprimendo ad alta voce i suoi pensieri.

‘’Non l’avevo mica capito!’’, bofonchiò Giovanni, tra l’ironico e l’irritato.

‘’Non fare lo sciocco proprio ora. Siamo vicini alla campagna più di quanto tu possa credere, ma non possiamo arrivarci a piedi’’, ribatté Teresa, rispondendo per le rime al brigante, che da canto suo scrollò le spalle.

‘’Non abbiamo a disposizione alcun mezzo che ci possa portare rapidamente fuori città. Cavalli non ne abbiamo, e neppure…’’.

La frase che stava pronunciando il brigante fu interrotta da Teresa, che gli afferrò bruscamente un braccio, per poi costringerlo a girarsi e a guardare ciò che gli stava segnalando.

Infatti, la contessina aveva notato un carretto alquanto sgangherato, che aveva appena imbucato la loro stessa viuzza. Sospinto da due possenti muli, il carretto era pieno di fieno, ed era guidato da un maturo contadino, che gridava costantemente delle imprecazioni contro i due animali, in modo da spaventarli e da spingerli a proseguire con una buona lena.

‘’Che c’è?! È un carretto pieno di fieno. Non ne hai mai visto uno prima d’ora?’’, chiese nuovamente il brigante, stupito ed ironico. Teresa lo fulminò con lo sguardo.

‘’Ma allora la prigionia ti ha proprio fatto perdere un bel po’ d’acume. Guardalo! Quello è il miglior mezzo per fuggire da questa città; ora fermiamo il buon uomo e gli chiediamo dov’è diretto. Se tornerà in campagna, ci faremo dare un passaggio nascondendoci nel suo soffice e caldo carico, stando al sicuro’’, disse Teresa, sicurissima di sé. Infatti, quella era l’unica idea che le era passata per la mente.

‘’E chi ti assicura che quel tizio ci darà un passaggio? I contadini sono molto gelosi della loro merce, e quello sconosciuto penserà che abbiamo idee malvagie…’’. La voce preoccupata del brigante divenne solo un rumore fastidioso di sottofondo non appena la ragazza si mise a camminare verso il carretto, che nel frattempo continuava a dirigersi implacabilmente verso di lei.

‘’Ehi, brav’uomo!’’, gridò poco dopo Teresa, sorda alle imprecazioni del brigante, che dietro di lei continuava a ripetere che avrebbe messo tutti nei guai con quell’azione folle e a maledire la sua testardaggine. La contessina, ovviamente, non ci badò e non si voltò neppure indietro per replicare. Sapeva di avere poco tempo a disposizione, e non aveva intenzione di sciuparlo.

‘’Non commercio con le donne. Stammi lontano’’, replicò il conducente del carro, innervosito, mentre allo stesso tempo spingeva i due muli a proseguire spediti.

‘’No, per favore, concedetemi un attimo! Posso pagarvi anche solo per un istante di disturbo’’, tentò di dire la contessina, perdendo le speranze di ottenere un passaggio su quel carretto, ben nascosta tra il fieno. Il mezzo non era molto ampio, anzi, però era sufficiente per nascondere quattro persone nel bel mezzo del suo carico e per trasportarle verso la salvezza.

Eppure, quando tutto pareva senza speranze, l’uomo tirò le redini e fece fermare i due animali, permettendole a sorpresa di avvicinarlo.

‘’Dimmi quello che hai da dire e in fretta. Poi, ovviamente, mi darai qualcosa per il disturbo’’, tornò a dire l’uomo, guardandola senza alcun interesse se non per i soldi.

A Teresa stette fin da subito antipatico, non solo per le sue maniere da prepotente e arrogante, ma anche per il modo odioso con cui le fissava la saccoccia che portava al fianco, cercando di capire se contenesse quella paga promessa poco prima.

In ogni caso, si avvicinò ugualmente a quell’uomo maturo, grigio di capelli e butterato, cercando di trovare le parole giuste per esporgli la situazione.

‘’Certamente. Ho dei soldi che attendono solo voi. Però, prima dovete farmi il favore di rispondere ad una sola domanda, in maniera sincera. Dove siete diretto?’’, chiese la contessina, titubante. L’uomo sorrise blandamente, ripiegando la testa da un lato e soppesando la domanda che gli era stata posta.

‘’Sei davvero una ragazzina stupida. Dimmi un po’, non ce l’hai un marito o un padre che ti tengano in casa a preparare i pasti, invece di lasciarti gironzolare ad importunare i passanti? Bah, in ogni caso, ti risponderò, dicendoti che sono diretto nuovamente nelle campagne fuori città a svuotare il carico, visto che il nobile compratore di questo fieno non me l’ha poi acquistato con la scusa che i suoi cavalli non mangiano paglie rinsecchite, ma solo foraggio in buono stato. Ma quel tipo non capiva proprio nulla, perché questo fieno di fosso è ottimo e non causa malattie e gonfiori agli animali’’, disse l’uomo dopo un po’, facendo l’occhiolino a Teresa, che annuì, parzialmente soddisfatta.

‘’E ora fuori i soldi che mi hai promesso e lasciami in pace, che per oggi di tempo ne ho già perso abbastanza’’, biascicò nuovamente il conducente del carro, tornando ad essere innervosito come poco prima.

‘’Se acconsentite a me e ai miei tre amici di salire sul vostro carretto e di nasconderci nel fieno, aiutandoci ad uscire da questa città, vi riempirò di soldi’’, disse prontamente la ragazza, ignorando la mano che si stava tendendo verso di lei, alla ricerca del denaro promesso.

‘’Oh… avete problemi con la legge, immagino. No, io non ne voglio sapere nulla di questa storia, arrangiatevi’’, rispose l’uomo, riconoscendo la stranezza della richiesta della ragazza, che immaginava già una risposta simile. Quindi, portò la mano alla saccoccia ed estrasse un bel pugno di denaro luccicante, mettendolo sotto il naso del conducente del carretto, che a quel punto assunse un’espressione sorpresa e afferrò una moneta, addentandola.

‘’Sono piena di conio. Guardatelo bene, perché parte di questo denaro potrà essere vostro se ci trasporterete fino alla campagna, dove potremmo allontanarci in totale sicurezza’’, tornò a dire Teresa, notando di avere quasi vinto ogni reticenza.

Di certo, l’uomo stava pensando che loro avessero appena commesso un furto, e non che fossero fuggiti da una cella dopo aver assassinato un conte, un bandito, una domestica e ben due gendarmi. Ma d’altronde, sia lei che i suoi compagni erano vestiti con abiti vecchi e logori, e di certo non di fattura signorile e neppure sporchi di sangue, quindi agli occhi di chi non conosceva la vicenda potevano sembrare semplici ladruncoli da nulla.

‘’E’… è una fortuna. I tuoi amici sono quei tre pezzenti?’’, chiese l’uomo, ancora sbalordito ed indicando Giovanni, Mario e Lina, che se ne stavano in attesa poco distante. Teresa annuì.

‘’Bene, allora falli salire, poi nascondetevi tutti e quattro. Farò un giro attorno al carro in modo da controllare che di voi non si veda nulla, e poi ripartirò’’, disse con risolutezza il conducente, convinto dal denaro.

La contessina fece cenno al brigante e ai due amici, e senza stare a spiegare troppe cose li fece salire sul carretto, invitandoli silenziosamente a nascondersi nel fieno. Poi, anche lei si infilò sotto una massa di erba secca, distendendosi e facendo l’amara scoperta che l’aria era pressoché impossibile da respirare a causa della polvere del fieno, che una volta inalata spronava a tossire e a starnutire.

La giovane dovette deglutire sonoramente, mentre una mano sbucò vicino alla sua e le sfiorò delicatamente un braccio, facendo frusciare il fieno. Era quella di Giovanni, che molto probabilmente doveva essersi disteso e nascosto poco più in là di lei.

‘’Grazie per averci offerto questa grande occasione per fuggire. Non credevo che saresti riuscita pure a convincere quel tizio’’, sussurrò il brigante, mentre l’uomo del carro camminava poco distante, facendo rumore e spianando bene il carico, in modo da non attirare possibili attenzioni di troppo una volta giunti nelle strade più trafficate.

‘’Non devi ringraziare me. E’ il denaro che ha un potere incredibile’’, mormorò Teresa di risposta.

‘’A proposito, da dove vengono tutti quei soldi? Dove li hai presi?’’, chiese ingenuamente Giovanni.

Teresa gli afferrò la mano e la strinse tra le sue, intrecciate sotto il mento. Emise una risatina sommessa e si accinse a replicare, ma la voce dell’uomo del carro interruppe bruscamente la loro conversazione.

‘’Ora basta ridacchiare e muoversi. Vi giuro che se vi sento parlare o ridacchiare durante il tragitto, o anche solo se vi azzardate a fiatare o a starnutire, fermo il carro e vi faccio scendere. Magari vi consegno pure ai gendarmi. Quindi, fate bene i vostri conti e cercate di restare immobili e in assoluto silenzio, perché al primo rumore che emettete e che potrebbe mettere in pericolo anche me, vi scarico. Vi ho avvisati, eh! Niente sorprese, poi’’, concluse colui che sarebbe dovuto essere il loro momentaneo salvatore.

Nessuno sul carro replicò, e ben presto i muli ripresero il loro cammino.

Teresa se ne rimase lì, distesa ed immobile, soffocando ma senza fiatare o muoversi, accontentandosi di stringere la mano del suo amato brigante tra le sue e pregando che anche gli altri tre suoi compagni riuscissero a restare in assoluto silenzio e a non starnutire o tossire. In quel momento, non poteva far altro che quello.

 

 

Il viaggio sembrò durare un’eternità.

Il carro sobbalzava spesso e volentieri, e mentre mille polveri entravano nella gola della contessina, lei non poteva far altro che pregare e continuare a lottare contro le necessità del suo corpo, che chiedeva aria pura e un sorso d’acqua.

La giovane non abbandonò mai la mano del suo amato, e la strinse tra le sue per tutto il lungo percorso, che fortunatamente fu ricoperto senza alcun intoppo pericoloso. Solo ad un certo punto qualcuno aveva fatto fermare il carro per dei controlli, ma il conducente si era comportato in modo molto rozzo e tranquillo, riuscendo magistralmente a deviare ogni sospetto o controllo aggiuntivo al carico.

E a Teresa quasi non parve vero quando, dopo un’eternità, l’uomo del carro gridò loro che potevano uscire allo scoperto. La contessina non se lo fece ripetere due volte e lasciò la mano del suo amato, essendo certa di trovarsi fuori città, dato che già da un bel po’ aveva smesso di udire il classico rumore mattutino di Ravenna.

Ed infatti, non appena riuscì a venire fuori dal fieno, riconobbe di trovarsi nel bel mezzo della campagna, in una stradina sterrata e contornata da alti arbusti spinosi, ormai ricoperti di foglioline verdi.

La ragazza inspirò più volte, riuscendo a placare il suo immenso bisogno d’ossigeno, e guardandosi attorno notò che anche gli altri tre compagni stavano riprendendo fiato. Mario poi era bordò in volto, e quel viaggio sicuro in realtà si era rivelato una tortura immane. Ma fortunatamente era tutto finito nel migliore dei modi, per il momento.

‘’Signorina’’. L’uomo del carro le allungava la mano destra, aiutandola a scendere, mentre aveva già preparato quella sinistra per richiedere il pagamento.

La contessina, una volta a terra, sorrise amabilmente e indicò all’uomo gli altri tre amici, invitandolo con un semplice gesto ad aiutarli a scendere mentre lei avrebbe preparato la paga.

Lo sconosciuto la guardò di traverso ma non replicò, e andò ad aiutare Lina e Mario, visto che Giovanni era già balzato giù con un salto e si stava dirigendo verso di lei.

Teresa estrasse un po’ di monete assieme a qualche banconota e le contò con cura, stimando che il prezzo del carico doveva corrispondere con la sommetta da lei racimolata e che tuttavia non era una fortuna e le avrebbe permesso di tenere con sé ancora tantissimo denaro.

‘’Ha fatto un buon lavoro, quell’uomo. Ma ora ci chiederà una valanga di soldi’’, le disse Giovanni, raggiungendola e facendo cenno verso il tizio, che nel frattempo aveva concluso con Lina e tornava alla carica.

‘’Lascia fare a me anche questa volta’’, mormorò la ragazza, mettendo in silenzio il suo amato e tornando a sorridere con ostentata gentilezza al padrone del carro, allungandogli la sua paga senza dargli tempo di dire o fare altro.

L’uomo soppesò la somma che gli era stata messa tra le mani e la contò con avarizia, controllando moneta per moneta, in modo da esserne certo di non essere stato ingannato.

‘’Non è quanto mi devi. Mi avevi promesso molto di più, giovane canaglia’’, disse poi il loro salvatore, irritato ed insoddisfatto. Teresa continuò a sorridere.

‘’E’ quanto ti devo. Con questa sommetta eguagli il valore della merce sul carro e ti ho anche ricompensato del tempo perduto. Hai ricevuto una buona paga ed una buona mancia, quindi non lamentarti e non cercare di approfittarne’’, replicò la contessina, mettendo a freno l’irrefrenabile voglia di denaro del commerciante. L’uomo la guardò sottecchi.

‘’Va bene, mi accontento. Ma sappi che se ti rincontrerò, un altro passaggio non lo darò né a te né ai tuoi amichetti. Quindi, vedete di non mettervi più nei guai e di non importunarmi mai più! Non rischierò di nuovo la vita per due soldi. Addio’’, disse poi il padrone del carro, tornando verso la sua mercanzia e accennando un saluto con una mano.

Dal suo ciondolare calibrato, la contessina comprese che l’uomo non doveva essere poi così insoddisfatto della paga ricevuta, e non prestò ascolto alle sue vuote parole. Poi, tornò a voltarsi verso i suoi compagni, lasciando che il carro ripartisse e andasse per la sua strada.

Solo che non trovò nulla da dire, e per un attimo si limitò a fissare gli altri tre, fintanto che Lina non trovò il coraggio per esprimere i dubbi del gruppo.

‘’E ora?’’, chiese la donna con la voce bassa e roca di chi ha trattenuto il fiato per ore.

‘’Ora… immagino che ognuno di noi dovrà prendere la sua strada’’, mormorò Giovanni, stuzzicandosi la barba scura.

‘’Io non ho alcuna strada da percorrere. O, almeno, per ora non ne ho nessuna in particolare’’, ammise la contessina, sentendosi sola e impaurita più che mai.

Era vero che aveva dei soldi con sé, ma era pur sempre una ragazza nobile ed incinta, abbandonata nel mezzo di campagne ostili e poco conosciute, mentre tutta la gendarmeria di Ravenna doveva essere alla ricerca di Giovanni e Mario, i due briganti evasi dalla loro cella ed assassini di alcuni soldati.

Fortunatamente, il suo amato era a suo fianco, ma ora che le cose avevano preso una certa piega, si chiese se lui avesse scelto di stare ancora a suo fianco. Perché in realtà lei aveva già un’idea ben precisa su dove recarsi, anche se non l’aveva ancora detta ad alta voce. Sarebbe andata alla ricerca di suo padre, nonostante il fatto che ciò sarebbe stato rischiosissimo.

‘’Noi… beh, noi due andremo a Forlì. Ci nasconderemo in periferia, cercheremo protezione… Mario ha molti conoscenti e qualche parente lì, e con un po’ di fortuna ci ospiteranno e ci nasconderanno per un po’. Sarà facile per noi giungere fin lì’’, tornò a dire Lina, interrompendosi di tanto in tanto e soppesando le sue parole. Mario annuì, esprimendo il suo tacito consenso ai pensieri della donna.

Giovanni guardò Teresa.

‘’Noi due che facciamo?’’, le chiese con dolcezza.

‘’Io… beh, Zvàn, non so se tu mi vuoi ancora a tuo fianco dopo tutto quello che ho causato’’, mormorò la ragazza, con grande amarezza. Il brigante le sorrise e l’abbracciò.

‘’Ti amerò per sempre, mia cara. Non ti lascerò mai e poi mai, e ti seguirò fintanto che tu lo vorrai’’, le sussurrò all’orecchio con dolcezza.

Teresa gli diede un rapido bacio sulle labbra. Gli voleva dire che era incinta e che aspettava un figlio suo, ma non glielo disse, non trovando il coraggio.

Temeva di perdere anche quel figlio, o che in realtà non fosse per davvero incinta ma che quelle sensazioni strane fossero dovute ad una sua suggestione. Quindi non disse nulla, per quel momento, pensando che non fosse ancora giunto il momento giusto. Non voleva assolutamente deluderlo.

‘’Ti ringrazio e mi scuso ancora per tutto quello che è successo…’’.

‘’No, non devi scusarti di nulla. Non è stata colpa di nessuno, e tanto i gendarmi ci avrebbero trovato comunque, in un modo o nell’altro, visto che Fabio era così intenzionato ad andare a tradirci’’, le disse Giovanni in modo molto sincero, interrompendo la frase che la ragazza stava dicendo.

Teresa ammutolì e sorrise. Il fatto che il brigante l’avesse sollevata da ogni responsabilità non la faceva stare molto meglio, poiché Alfonso aveva commesso azioni orribili solo per vendicarsi di lei e far soffrire tutti coloro che la circondavano. Quindi, la colpa dell’accaduto rimaneva sempre e solo sua, ma non replicò col suo amato e si limitò a continuare a sorridere, reclinando la testa ed evitando i suoi occhi, cercando di nascondergli quel velo di tristezza che comunque continuava a tormentarla.

‘’Amici, non possiamo continuare a stare fermi qui. Ben presto potrebbero piombarci addosso dei gendarmi, e non credo che la situazione sia favorevole a noi’’, disse Lina, interrompendo l’amoreggiamento dei due innamorati. Teresa vide Giovanni che annuiva, prima di parlare.

‘’Va bene Lina, hai ragione. Allora le nostre strade si dividono qui, da quel che ho capito’’, disse il brigante, guardando prima l’amica e poi la contessina, che annuì grevemente.

‘’Noi ci incammineremo subito verso le periferie di Forlì, così entro metà giornata dovremmo già essere giunti a destinazione. Mario cercherà di nasconderci lì presso qualche parente, in attesa che le acque si calmino… poi, magari potremo anche tornare nei nostri amati monti… e se volete venire anche voi, beh…’’, iniziò a dire la donna, guardando la coppia, ma Teresa scosse vigorosamente la testa.

‘’Non se ne parla di nasconderci tutti nello stesso luogo e di camminare assieme, daremo di certo nell’occhio. E poi, io devo scoprire che fine ha fatto mio padre, e se è davvero morto come ha detto Alfonso’’, disse la contessina, risoluta.

Sia Mario che Lina le dettero ragione. Giovanni, ovviamente, espresse la sua opinione e scelse fermamente di seguire la ragazza ovunque essa fosse andata, facendola incredibilmente compiacere.

Ne nacque una breve discussione rapida e veloce, che sfociò nel momento che tutti temevano, ovvero quello dei saluti e degli addii.

‘’Teresa, Zvàn… non ci resta altro che salutarci. La vita ci ha dato poco e ci ha tolto tanto, e non credo che ci darà altro, ma dobbiamo comunque cercare di tirare avanti’’, azzardò Lina con le lacrime agli occhi.

Teresa non poté far altro che abbracciarla, mentre Giovanni e Mario si scambiavano amichevoli pacche. Il maturo brigante non si era ancora ripreso del tutto dalla batosta della prigionia e dalla morte dei compagni, e continuava ad essere sempre più taciturno del previsto, nonostante il fatto che ormai sembrasse stare meglio, e che avesse ripreso a parlare quando veniva interpellato. Pareva che una parte di lui fosse morta assieme al gruppo dei suoi compagni, e i suoi occhi a volte si socchiudevano, mandando bagliori rabbiosi.

Una rabbia cieca pareva aver preso possesso della sua mente, una rabbia che lo costringeva a star immerso in uno strano mutismo, in netto contrato con la giovialità e la calma che avevano da sempre regnato indiscussi nelle parole e negli atteggiamenti del maturo brigante fintanto che la banda di fuorilegge non era stata distrutta con immonda violenza. La ragazza non poté non chiedersi se quell’uomo non fosse irrimediabilmente cambiato, e se fosse diventato un qualcuno di realmente pericoloso, ma poi si vergognò dei suoi stessi pensieri e si affrettò a dimenticare tutto ciò.

‘’Conoscerti è stata una benedizione del Cielo, mia carissima amica. Ti ringrazio di tutto’’, mormorò Lina, continuando ad abbracciare Teresa.

‘’Grazie a te, davvero. Io non ho fatto altro che crearvi problemi…’’.

‘’Non lo dire neppure per scherzo. Quello che ho fatto l’ho fatto per puro piacere, e perché ti ho sempre considerato una valida amica. Mi dispiace di non poterti sostenere oltre…’’, continuò a dire l’amica, interrompendola e iniziando a piangere.

‘’Non temere, Lina. Forse questo è solo un nuovo inizio’’, replicò Teresa, cercando anch’essa di tenere a freno il pianto. Lina scosse la testa con fare affermativo.

‘’Speriamo. Ma non credo che sarà così… la vita dei fuggitivi e dei ricercati è dura’’.

‘’Le acque si calmeranno in fretta, vedrai. E le nostre vite ricominceranno a tornare progressivamente alla normalità’’, disse Teresa, nel tentativo di tranquillizzarla.

‘’Lo spero, lo spero davvero’’, ripeté Lina, quasi come per volersi convincere da sola.

Stando attenta a non farsi scoprire dall’amica, la contessina fece scivolare un piccolo plico di banconote nella tasca del misero abito da contadina dell’amica, per poi strofinarle nuovamente la schiena con calore amichevole. Non voleva che la donna restasse senza soldi dopo tutto quello che aveva fatto per lei, e d’altronde sapeva che se glielo avesse offerto non avrebbe mai accettato il suo denaro.

Ma la ragazza era certa che quei soldi le avrebbero solo fatto bene, e che quella sera, una volta giunta alla sua meta, la donna li avrebbe senz’altro trovati e le sarebbero serviti a breve.

A quel punto, il loro abbraccio si sciolse. Giovanni salutò Lina, mentre la contessina diede il suo addio anche al taciturno Mario, che le sorrise con lo stesso calore di un padre. Per un attimo, parve essere ritornato il Mario di qualche settimana prima.

‘’Addio, miei cari amici. Noi tenteremo di nasconderci per un po’ nelle campagne attorno a Forlì, e poi, se tutto si calmerà, molto probabilmente torneremo di nuovo sui nostri monti, dove tenteremo di trovare una nostra stabilità familiare e di sistemarci per il resto delle nostre vite, e contiamo di farlo prima della nascita di nostro figlio. Mancano sei mesi ancora, c’è tempo. E se tra sei mesi avrete bisogno di un qualsiasi sostegno, potrete trovarci presso il vecchio covo dei briganti, dove risistemeremo la mia abitazione’’, concluse Lina, mentre altre due lacrime solcavano il suo viso. La donna cercava di dimostrare certezza in ciò che diceva, essendo anche molto scaramantica.

Teresa era dispiaciuta di dover salutare l’amica, certa che non l’avrebbe mai più rivista, e dovette riconoscere che forse ciò che aveva appena detto a lei e a Giovanni erano solo fandonie che si stava raccontando a sé stessa per autoconvincersi che sarebbe andato tutto per il meglio, poiché sarebbe stato davvero difficile per tutti salvarsi dalle grinfie dei gendarmi e del passato, e riprendere un’esistenza normale.

‘’Grazie ancora di tutto, Lina. Sei la donna migliore che io abbia mai conosciuto’’, riuscì a dire la contessina, cercando di continuare a trattenere le lacrime.

E fu così che la giovane diede l’addio all’unica migliore amica che lei avesse mai avuto. Infatti, dopo qualche altro saluto, Lina prese sotto braccio Mario e si mise in marcia verso un futuro ignoto.

Teresa rimase immobile, come incantata, a guardare i due amici che pian piano si allontanavano, e continuò ad osservarli fintanto che non scomparvero dalla sua vista. Solo allora Giovanni la riscosse.

‘’E noi, che facciamo?’’. La voce del brigante esprimeva una forte commozione.

La contessina si voltò a guardarlo, e riconobbe che aveva gli occhi arrossati e un’espressione strana e dispiaciuta.

‘’Andiamo anche noi. Più o meno so dove siamo. Ma prima abbiamo delle commissioni da svolgere’’, sussurrò la ragazza, tornando poi a cercare con lo sguardo le lontane sagome degli amici, ma non fu più in grado di vederle. Quindi, si voltò e prese anch’essa il suo uomo a braccetto, spingendolo a camminare.

‘’Che… commissioni?!’’, chiese il brigante, lasciandola fare.

‘’Dobbiamo cambiarci d’abito, sistemarci... oh, insomma, non possiamo andare in giro così. Tu hai troppo l’aria da brigante fuggitivo, io sono troppo… non so’’, sbottò la ragazza, lasciandosi sfuggire una lacrima.

‘’Non ti capisco, a volte’’, si lasciò sfuggire il brigante, scrollando le spalle. Teresa sorrise amaramente.

‘’Lascia fare a me e non pensare a nulla. Poi, per il resto vedremo e ci penseremo su’’, disse la contessina, lasciando cadere l’argomento. Giovanni non replicò più, e lei finalmente si sentì libera di piangere.

Quando il suo amato si fermò, in modo da lasciarla sfogare, lei glielo impedì fermamente, poiché l’unica cosa che potevano fare in quel momento era andare avanti e non fermarsi, e cercare così di fuggire il più lontano possibile da quella dannata Ravenna, e forse anche dal loro stesso Stato.

Ma prima, avrebbe dovuto svolgere le sue ultime ricerche, che quasi di certo si sarebbero rivelate dolorose, ma questo non le importava in fondo. Ora, a Teresa importava solo di continuare a vivere la sua vita a fianco del brigante e di sapere la verità su suo padre, a qualunque costo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.

I nostri quattro amici sono riusciti a fuggire da Ravenna. Ed ora chissà…

Ne approfitto anche per farvi i miei migliori auguri di buon anno.

Grazie di cuore per continuare a seguire il racconto J a lunedì prossimo J

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Capitolo 58
*** Capitolo 57 ***


Capitolo 57

CAPITOLO 57

 

 

 

 

 

Nonostante tutte le più svariate difficoltà, Teresa riuscì a trovare qualche abito decente a poco prezzo da una contadina che viveva nel bel mezzo delle campagne che circondavano la parte sud della città di Ravenna, campagne vastissime e poco abitate. La contessina era così riuscita a cambiare d’abito sia lei che il suo amato brigante, poiché non avrebbero potuto viaggiare a piedi con addosso dei vestiti talmente tanto logori e sporchi che avrebbero di certo attirato l’attenzione di chiunque.

La ragazza aveva poi anche tagliato la barba di Giovanni, lasciandogliela lunga solo qualche centimetro, anche se aveva cercato di radergliela del tutto ma si era trovata in difficoltà non disponendo degli strumenti necessari.

Non badando alle lamentele del brigante, Teresa si sentiva soddisfatta di come era riuscita a camuffarlo. Infatti, il suo amato pareva un semplice contadino in tenuta domenicale, con la barba di qualche giorno e la camminata stanca di chi ha vissuto una lunga e faticosa settimana.

Anche lei era vestita da contadina, e per ripararsi dal freddo e dagli sguardi indiscreti, si era sistemata un fazzoletto sulla testa, assicurandoselo con cura sotto il collo, in modo da nascondere anche buona parte dei suoi capelli e del volto.

In ogni caso, se in quel momento qualcuno li stava ricercando, cosa praticamente certa, era davvero poco probabile che riuscisse a riconoscere Zvàn il brigante fuggitivo.

‘’Ammetto che inizio già ad essere piuttosto stanco’’, biascicò Giovanni a suo fianco, continuando a camminare e a lamentarsi come faceva ormai da parecchie ore.

‘’E’ solo il primo pomeriggio, dovremo continuare a camminare fino a sera, sempre se riusciremo a trovare un posto dove nasconderci e soffermarci a passare la notte in sicurezza’’, disse la contessina, riafferrando il suo amato a braccetto e spingendolo a proseguire e a smettere di lamentarsi inutilmente.

Effettivamente, era un paio d’ore che camminavano, e i piedi iniziavano a dolere anche a Teresa, ma non poteva pensarci troppo. Dovevano allontanarsi il più possibile da quelle pericolose campagne limitrofe alla città dove Giovanni era ricercato, e lei aveva anche un luogo in cui recarsi prima di sera.

‘’Stai commettendo l’ennesima follia, comunque. Non lascerò che tu vada a cercare informazioni su tuo padre tutta sola’’, disse il brigante dopo pochi istanti di silenzio, innervosendo la sua amata.

‘’Ti ho detto che questo è affar mio, lasciami andare da sola. La sua abitazione di campagna, l’unica tra l’altro di sua proprietà al nord, è qui vicino. Lì potrò ricevere le informazioni che cerco, e nel caso che mio padre sia ancora vivo, potrà di certo aiutarci a nasconderci o a fuggire’’, rispose la contessina, sbuffando sonoramente. Capiva i dubbi del suo amato, ma non poteva non recarsi alla ricerca del padre, l’unico familiare che le era rimasto.

Il conte aveva un’unica dimora di sua proprietà nel ravennate, ed era in piena campagna. Proprio per quello quand’era stato inviato dal Papa come suo rappresentante parecchi mesi addietro era stato ospitato in una residenza di proprietà ecclesiastica vicina al palazzo dell’Arcivescovo, in modo da poter facilitare l’incontro con le istituzioni cittadine e da non porre troppi disguidi all’operazione, disguidi che di certo si sarebbero verificati se il conte Luigi si fosse recato a soggiornare nella sua abitazione in campagna, molto isolata dalla città.

Ad ogni modo, se suo padre fosse stato ancora vivo, avrebbe potuto di certo aiutarli considerevolmente in ogni loro piano, e la contessina si rifiutava con decisione di accettare ciò che Alfonso le aveva detto, anche se già si stava mentalmente preparando anche a ricevere brutte notizie.

‘’Vedi tu. L’importante è che, se tuo padre non potrà aiutarci, tu poi decida di seguire i miei piani. Vedrai, nelle campagne attorno a Bagnacavallo saremo al sicuro e verremo accolti e protetti’’, ribatté Giovanni, soppesando le sue parole.

Il brigante aveva spiegato a Teresa che aveva un fratello a cui era molto legato in gioventù, e che fortunatamente viveva proprio solo ad una decina di chilometri più a nord di Ravenna, vicino ad un piccolissimo paesino e ad un guado del fiume Lamone. Una volta giunti lì, secondo lui, sarebbero stati entrambi al sicuro ed avrebbero avuto un tetto sulla testa, poiché l’amatissimo fratello Girolamo non avrebbe negato a loro nessun aiuto.

Teresa dubitava fortemente che ciò fosse vero, anche considerando il fatto che i due non si erano visti da lungo tempo, e quindi aveva deciso comunque di tentare prima di tutto di ricevere l’appoggio paterno.

‘’Te l’ho già detto che per me va bene. Però, comprendimi e lasciami cercare mio padre, per prima cosa’’, disse Teresa chiudendo il discorso, sperando che il suo amato non ribattesse, e fortunatamente fu così.

Con la gola in fiamme, la ragazza cercò di deglutire, e ci riuscì solo a fatica. Capì che quindi avrebbe dovuto spicciarsi a trovare un punto in cui soffermarsi e cercare viveri, ma sapeva ormai di essere giunta a destinazione.

Infatti, dopo pochi altri passi, comparve alla vista una magnifica abitazione, circondata da un vasto giardino ed isolata dal resto del mondo. Il conte Luigi affermava sempre che era nato in quel luogo sperduto, e lì avrebbe voluto continuare a vivere una volta aver lasciato la corte papale e Roma, poiché aveva sempre amato la tranquillità e la vita silenziosa della natura, anche se in quel luogo parecchio fuori mano c’erano solo zanzare e odore di salsedine.

Sua figlia non criticava quel posto isolato, anche perche aveva sempre vissuto in città e ne conosceva il rumore e il caos che caratterizzava quel genere di ambiente urbano, quindi sapeva quanto fosse bello e prezioso il silenzio, anche se interrotto a volte dal ronzio e dalle punture delle fastidiosissime zanzare. Effettivamente, quegli insopportabili insetti erano il giusto prezzo da pagare per riuscire a prendersi una pausa dalla frenesia del mondo.

‘’Manca poco. Lì dovrebbe esserci mio padre… e se non ci fosse lui, troverò qualche servitore che mi darà le informazioni necessarie per rintracciarlo’’, disse la ragazza al brigante, ostentando una sicurezza che in realtà non provava. Provava una strana sensazione che non aveva nulla di positivo, ma forse erano state le parole di Alfonso ad averla turbata e a continuare ad influenzarla.

‘’Sii prudente’’, le disse Giovanni, fissandola con insistenza, quasi come se stesse cercando di capire quanta sicurezza provasse la giovane, che per rassicurarlo sorrise.

‘’Qui la servitù non mi conosce. Avrei dovuto soggiornare in questa abitazione mentre mio padre restava a Ravenna per la sua missione diplomatica dello scorso anno, però poi tu mi hai rapita e quando mi hai riportata indietro lui era troppo preso con la questione del matrimonio, quindi alla fine il mio soggiorno in questo posto è stato rimandato. Il conte mio padre mi ha parlato tante volte di questa casa, e anni addietro, quand’ero più piccola, mi portò a vederla, ma non mi consentì di fermarmi…’’.

La contessina si bloccò prima di ritornare a ricordare quei tempi passati e la sua infanzia dolce ma allo stesso tempo amara. Si fece pensierosa per un istante, prima che il brigante le stringesse una mano tra le sue.

‘’Capisco’’, le disse, sorridendole e infondendole calore. Teresa si allungò e lo baciò sulle labbra.

‘’Vado, ora. Tu resta qui, e nasconditi tra le sterpaglie che circondano la strada, se vedi che arriva qualcuno. Ma non sporcarti troppo i vestiti, fai attenzione’’, tornò a dire la contessina, seria in volto.

‘’Come desideri, mia signora’’, rispose il brigante, con un tono lievemente divertito ma rigido.

‘’Aspettami qui, farò in fretta’’, concluse la ragazza, lanciando un sorrisetto sornione al suo amato prima di allontanarsi da lui e proseguire da sola il suo cammino.

La strada era di terra battuta ed era pure piena di buche create dalle ruote dei carretti e delle carrozze che durante quel lungo inverno erano transitate di lì. Non molte in realtà, ma sufficienti a scavare numerose buche di svariate dimensioni, che in quel periodo dell’anno erano piene d’acqua e di fango.

La ragazza fu costretta ad avanzare con lentezza, sempre attenta a non inzaccherarsi col fango e a non finire in una buca melmosa, riconoscendo con amarezza che quella strada era come la sua vita, ovvero un lungo percorso pieno di insidie e di difficoltà.

Quando riuscì a giungere di fronte al cancello del palazzo di campagna, si sentì per un attimo impaurita e si voltò indietro in preda all’indecisione, ma quando vide la figura del suo amato brigante ergersi ancora nel bel mezzo della strada e fissarla da lontano, ritrovò la forza necessaria per procedere e seguire i suoi piani.

Mordendosi il labbro inferiore, la ragazza afferrò la corta catenella che era collegata ad una piccola campana, e iniziò a tirarla e a farla smuovere, suonando e cercando di richiamare l’attenzione della servitù.

Infatti, dopo pochi istanti apparve una donna matura, che con lentezza procedette verso di lei e la fissò con fare incuriosito.

‘’Salve, starei cercando il conte Luigi Scalindi. È in casa, per caso?’’, chiese Teresa, sistemandosi meglio il fazzoletto in testa e nascondendo una ciocca ribelle di capelli, che cercava sempre di scenderle davanti agli occhi. Non sapeva davvero che dire, quindi si era gettata a mormorare le frasi più banali che le passavano per la testa.

La donna che le veniva incontro era vestita da in modo molto semplice e non certo in modo aristocratico, continuò a fissarla con insistenza e crescente curiosità.

‘’Scusatemi, non ho idea di chi siate voi e del perché stiate cercando il nostro defunto ed amato conte. Vorreste per favore presentarvi e spiegare il motivo del vostro trafelato arrivo?’’, chiese la sconosciuta, stando al di là del cancello e appoggiando una mano alla recinzione con fare sfacciato.

Teresa si sentì mancare udendo quelle parole, e in un attimo perse interesse per quella tizia che aveva di fronte e abbassò lo sguardo. Nella sua mente presero a vorticare mille ricordi, lasciandola per qualche momento in uno stato confusionale.

‘’Il conte Scalindi è morto, quindi?’’, tornò a chiedere la contessina, la voce vibrante e disturbata dalla tensione crescente. Le fece male pronunciare quella domanda, ma la sua mente si rifiutava di accettare la constatazione che le aveva riferito poco prima la sconosciuta.

‘’Sì, purtroppo sì. Chiunque voi siate, mi meraviglia scoprire che non avete udito questa triste notizia. È morto all’incirca due settimane fa, in condizioni non proprio chiare… insomma, non stava bene da lungo tempo, ma a quanto pare è stato trovato morto impiccato con una corda al collo, non è ben chiaro se sia stato un suicidio dovuto alla sua malattia che non gli dava più alcuna speranza di vivere serenamente o se sia stato un brutale omicidio, ma non dico altro, d’altronde si sta indagando sull’accaduto. Ed io personalmente non ho avuto modo di vederlo nei giorni precedenti a questo macabro avvenimento, poiché era rimasto in un palazzo a Ravenna, in cui pagava l’affitto con gli ultimi soldi che gli erano rimasti’’, disse la donna, continuando a fissare Teresa in un modo costante ed insopportabile, quasi a volerla additare per ciò che era accaduto.

E infatti la contessina si sentì impallidire di fronte a quelle parole, immaginando che dietro a quella brutale morte ci fosse lo zampino di Alfonso.

‘’Mio… il conte Scalindi era una persona nobile e per bene, non si sarebbe tolto la vita solo per un malanno fisico ed avrebbe atteso la morte naturale lottando come un leone’’, mormorò la contessina, sul punto di piangere e quasi tradendosi. Alfonso, alla fine, era riuscito in un qualche modo a vendicarsi anche con suo padre.

Notando la confusione che doveva avere in testa la giovane, la donna sconosciuta che aveva di fronte si fece ancora più guardinga.

‘’Sì, avete senz’altro ragione. Tutti noi lo stimavamo, e effettivamente questa morte non l’ha intesa nessuno come suicidio, visto che è stato concesso il permesso di tumulare la salma in terreno consacrato, in un cimitero poco distante dove all’incirca cinque giorni fa è stata seppellita anche la bara tristemente vuota della figlia. Forse, ad averlo ucciso così brutalmente sarà stato un ladro in cerca di oggetti preziosi… Ravenna pullula di ladri pericolosi e assassini’’, tornò comunque a dire la sconosciuta curiosa, facendo ipotesi scontate con finto interessamento.

A quelle parole, la ragazza fu in procinto di voltarsi ed andarsene lontano da quella dimora, poiché tutte le sue domande avevano trovato una triste risposta. Tutte, tranne un’ultima che le balenò per la mente e che volle esprimere per avere una maggiore chiarezza del tutto.

‘’Anche sua figlia Teresa è… è morta?’’, tornò a biascicare la contessina, iniziando a sudare freddo. Le faceva impressione chiedere con qualcuno se lei era morta o meno, ma a quel punto non poteva evitare di farlo.

‘’Eh, purtroppo sì. Suo marito, il conte Alfonso Cappellari per intenderci, ha affermato a suo tempo che sua moglie era morta dopo aver subìto abomini di vario genere da parte dei briganti che l’avevano recentemente rapita per la seconda volta. È triste la vita!

‘’E sapete la parte più truce? Stando a ciò che mi han riferito poco fa, questa mattina il conte Alfonso è stato ritrovato morto nel suo palazzo, ma ancora non si sa tutto con certezza. Da quel che è giunto fin qui, si sa solo che si stanno cercando i criminali che hanno compiuto quel tale disdicevole orrore, anche se non è giunto nessun altro particolare a riguardo’’, concluse la sconosciuta, con fare civettuolo.

Teresa incassò l’ennesimo colpo senza fiatare, e soprattutto cercando di mantenere i nervi saldi. Quella donna era di certo una buona comare, ma non una persona di cui potersi fidare talmente tanto da poterle offrire frasi compromettenti. Quindi, quando la ragazza si accorse di essere sul punto di non riuscire più a trattenere le lacrime, decise che era ora di togliere il disturbo.

‘’Grazie per le informazioni, siete stata gentilissima… arrivederci’’, mormorò la giovane, congedandosi bruscamente e dando le spalle alla sconosciuta.

Non aveva la benché minima idea di chi fosse quella tizia, ma dal sentirla parlare non le era parsa una bigotta o una comune domestica. Comunque, non avrebbe mai avuto modo di chiederle altro. Si voltò e iniziò ad allontanarsi.

‘’Un attimo, signorina!’’, urlò la donna, tornando prepotentemente a richiamare l’attenzione della contessina, già praticamente in fuga.

Teresa ebbe l’impulso di girarsi indietro, e quando lo fece si trovò a pochi passi dalla sconosciuta, che le afferrò prontamente una spalla.

‘’Non so chi siete e cosa cerchiate dal nostro defunto e tanto amato conte, ma se non vi siete presentata e non vi va di rivelare chi siete non sarò certo io a costringervi a farlo, ed avrete sicuramente i vostri buoni motivi per celare la vostra identità. Però, ho notato una grande somiglianza tra voi e il signor conte, e se mi è permesso, vorrei chiedervi se siete una sua parente. Solo questo’’, riprese a dire la donna, mentre la ragazza deglutiva nuovamente.

‘’Sono… sono una lontana nipote di Firenze. Avevo bisogno di un prestito, e visto che…’’.

‘’No, no, non dovete spiegare nulla a me, mi bastava solo essere a conoscenza del fatto che siete una sua parente. Mi aspettate un attimo qui? Torno tra un istante’’, concluse la sconosciuta, rientrando nel giardino dell’abitazione e dirigendosi frettolosamente verso l’ingresso.

Teresa si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, estremamente contenta del fatto che quella donna le avesse impedito di continuare a mentire spudoratamente, ma allo stesso tempo si sentì lievemente in pericolo, non conoscendo le reali intenzioni della sconosciuta, che era effettivamente rientrata in casa.

Incrociando le braccia, la contessina attese per un altro paio di minuti prima che la sua interlocutrice uscisse nuovamente di casa e si affrettasse a raggiungerla, stringendo un qualcosa di bianco tra le mani. Quando afferrò quella che sembrava una lettera imbustata e sigillata, la ragazza aveva le mani che tremavano dall’inquietudine.

‘’Il conte ha scritto questa lettera, qualche giorno prima di morire. Me l’ha fatta consegnare da un servitore subito dopo averla sigillata, visto che si fidava molto di me, e con essa è giunta la sua esplicita richiesta scritta di averne cura nel caso che sua figlia fosse tornata a cercarlo e lui fosse già morto. Purtroppo, si è saputo che la figlia è morta anche lei, solo qualche giorno dopo la morte del padre, e io non so più cosa fare con questo scritto, e non so neppure se il contenuto della lettera sarà comprensibile, visto che nell’ultimo periodo di vita il padrone era gravemente ammalato e debilitato. Comunque, visto che voi siete una parente, forse l’unica rimasta a questo mondo, poiché da quel che so non ne aveva nessuno di parenti vicini, vi prego di tenerla e conservarla, nel caso…’’.

‘’La terrò io, non preoccupatevi’’, mormorò la contessina, sorpresa, mentre riusciva così ad interrompere la valanga di parole che le stava riversando addosso quella signora.

La donna sorrise dopo aver ricevuto quella risposta affermativa.

‘’Mi sollevate di un grande peso. Vi ringrazio per essere passata a far visita all’ahimè defunto conte e di esservi preoccupata per la sua salute, anche se lievemente in ritardo, ma comunque ultimamente nessuno pensava più a lui’’, riprese a dire  con amarezza la sconosciuta.

Teresa alzò lo sguardo dalla busta bianca e la guardò con sufficienza, sapendo che quelle parole non erano veritiere, perché lei aveva amato suo padre fino all’ultimo dei suoi giorni, e se avesse potuto sarebbe stata a suo fianco per dargli l’ultimo addio e proteggerlo dalle brutali e disgustose mire di Alfonso. Eppure, il destino aveva scelto un percorso diverso anche per quella vicenda.

‘’Capisco’’, disse infine la giovane, cercando di nascondere i suoi pensieri.

‘’Comunque, se volete fargli un ultimo saluto, la sua salma è stata tumulata presso il cimitero poco distante, facilmente raggiungibile. Basta che percorriate all’incirca duecento metri lungo questa strada e lo troverete. È subito sulla destra’’, concluse sbrigativamente la signora. La contessina annuì.

‘’E ora chiedo scusa, ma devo proprio tornare in casa. Ho numerosi lavoretti da concludere, prima che i nuovi proprietari giungano a supervisionare il tutto’’, aggiunse infine la sconosciuta con aria scocciata, e riprendendo a muoversi verso l’interno del giardino.

Teresa non rimase sorpresa dall’aver udito che l’abitazione aveva già un nuovo proprietario, d’altronde quando una famiglia nobile si estingueva, i propri beni in genere venivano direttamente passati di proprietà alla curia romana, e da Roma poi si decideva se rivenderli o utilizzarli per il clero. In quel caso, quell’abitazione situata in un posto piuttosto sperduto e remoto doveva essere stata ceduta a qualche nobile minore.

Questo le dispiacque parecchio, ma purtroppo sapeva che ormai lei non poteva più avere alcun diritto su quegli scarsi beni che erano rimasti nelle mani di suo padre. Se si fosse recata presso le autorità a proclamarsi viva, le avrebbero di certo fatto delle domande scomode e l’avrebbero trattenuta, ed inoltre anche se poi le fosse andato tutto bene, una donna non poteva possedere nulla da sola. Si sarebbe ritrovata costretta a sposarsi in fretta con un altro nobiluomo per non perdere quell’ultimo bene del padre, e avrebbe dovuto dire addio al suo amato Giovanni. E lei non avrebbe mai detto addio al suo amato.

A quel punto però, poco prima di congedarsi, le sorse una domanda improvvisa e curiosa, che non s’attardò ad esprimere a parole.

‘’Signora, perdonate la mia domanda indiscreta, ma voi chi siete? Siete vestita da serva e parlate come una marchesa’’, chiese la ragazza, mentre la sconosciuta si accingeva a tornare nel giardino. Sapeva che lei non si era presentata e che la donna non era tenuta a risponderle, però la curiosità era eccessiva per essere trattenuta.

La signora, da canto suo, si fermò ancora per un istante e la guardò sorridendo amabilmente.

‘’Mi chiamo Maria Angelini, e a suo tempo ero una contessina, prima che mio padre perdesse tutti i suoi possedimenti a causa dei debiti. Da quel momento in poi la mia famiglia è caduta in rovina, e mi sono dovuta accontentare di diventare un’umile lavandaia pur di continuare a tirare avanti, ma il conte Luigi, un uomo di buon cuore, mi diede una mano e mi offrì un lavoro da governante in questa dimora, ormai più di vent’anni fa.

‘’Gli ero talmente fedele e devota che avrei voluto seguirlo a Roma, sapete? Ma me lo impedì quando partì con la moglie e la figlioletta di pochi mesi. Diceva che Roma era una città piena di male e di serpi, e penso che ciò sia realmente vero, visto che ha portato solo del male a lui e a tutta la sua famiglia’’, concluse gentilmente Maria, sempre sorridente.

Teresa annuì ed abbassò lo sguardo, riconoscendo che quella donna l’aveva vista da infante, e che quindi doveva aver avuto modo anche di conoscere al meglio i primi tempi di vita coniugale di sua madre e suo padre, avendo lavorato per un buon periodo alle loro dipendenze. Ma purtroppo non poteva porle altre domande, e con cortesia si accinse a congedarsi definitivamente da quella governante gentile e beneducata.

‘’Signorina, a questo punto però mi permetto di importunarla e di porle un’ultimissima domanda, prima di salutarci, visto che anche voi me ne avete posta una. Ecco, beh, se siete una signorina nobile, come mai siete giunta fin qui a piedi, e non avete neppure una carrozza?’’, chiese nuovamente Maria, tornando loquace mentre richiudeva il cancello. La comare non aveva perso la sua curiosità, e con quella domanda che poteva sembrare stupida stava cercando ancora di tastare il terreno e cercare in modo indiretto delle informazioni sulla sconosciuta che si era presentata in un modo così strano a quell’abitazione.

‘’La mia carrozza mi aspetta in fondo alla strada, poiché il cocchiere temeva di impantanarsi’’, mentì nuovamente Teresa, quella volta con incredibile sicurezza. Non poteva permettersi di commettere alcun passo falso, neppure il più piccolo.

Non seppe se Maria le aveva creduto o no, ma si limitò a darle in fretta le spalle e a farle un breve cenno di saluto, in modo da evitare altre possibili domande, stringendo a sé quella lettera che le era stata consegnata poco prima.

La contessina continuò a camminare per un po’, poi iniziò a correre fintanto che non si trovò tra le braccia di Giovanni, che la stava aspettando seduto sul ciglio della strada.

Lui la abbracciò con forza.

‘’Allora?’’, le chiese, speranzoso.

‘’Andiamo da tuo fratello, ma prima mi fermo un attimo a porgere un ultimo saluto a mio padre, tanto il cimitero in cui è sepolto è lungo il nostro cammino. È un luogo sicuro ed isolato’’, disse la giovane, trattenendo le lacrime ed evitando inutili spiegazioni. Giovanni capì subito tutto e la baciò senza aggiungere altro.

‘’Andiamo, allora. Se vogliamo giungere a destinazione prima che si faccia notte, dobbiamo camminare di buona lena’’, disse il brigante, sciogliendo l’abbraccio e senza minimamente interessarsi a quella lettera che la sua amata stringeva tra le mani.

Teresa annuì e riprese a camminare, mentre i piedi le dolevano e la sua anima era devastata dal dolore.

 

Maria le aveva dato le indicazioni giuste, e la contessina in un attimo si trovò sulla tomba del padre.

Aveva lasciato Giovanni fuori dalla bassa recinzione di pietre del piccolissimo cimitero, un luogo isolato e silenzioso. Si inginocchiò di fronte alla scarna lapide del conte, dove sopra c’era inciso solo il nome e la data di nascita e di morte. Sotto al suo nome, c’era quello della defunta figlia, che doveva averlo seguito all’interno di una bara vuota, visto che il corpo non era più stato ritrovato. Ora lei era solo uno spettro senza nome né diritti, che girovagava per quelle campagne senza una meta né un futuro davanti a sé.

Stringendo al petto la lettera, e non avendo il coraggio di aprirla, iniziò a piangere sommessamente.

A quel punto, allungò una mano verso quelle scritte scalfite con rudezza sulla dura pietra, sfiorandole e sentendone la loro effettiva freddezza, che era in netto contrasto con le lacrime calde che le stavano solcando il viso, per poi finire il loro viaggio cadendo sul suolo già pregno d’acqua. Lei e suo padre erano stati sepolti come i più umili contadini, ma purtroppo senza soldi non si poteva richiedere di più.

Teresa si era promessa di fare solo una breve visita, ma in realtà perse il controllo del tempo, e continuò a restare lì inginocchiata, piangendo. Quasi non si accorse quando una mano calda le si posò sulla spalla. Era quella di Giovanni.

La contessina attese che lui le dicesse di riprendere la fuga, ma invece non le disse nulla, e contrariamente ad ogni aspettativa si inginocchiò a suo fianco, prendendole una mano e stringendogliela con calore.

‘’Ci ha uccisi entrambi’’, mormorò la ragazza, mentre il suo amato le asciugava una lacrima dal viso. Lui la guardò, stupito.

‘’Smettila di dire queste cose, tu sei viva e vegeta’’, le disse il brigante, con una lieve nota di fastidio nella voce.

La ragazza allora gli indicò il suo nome, scritto sotto quello del padre, ma lui continuò a fissarla con fare interrogativo. Solo allora ricordò che il suo amato non sapeva leggere.

‘’Questa è anche la mia fossa, dove il mondo mi ha sepolto. Di me, di Teresa Scalindi figlia del conte Luigi, non è rimasto più nulla. Alfonso mi ha cancellato dalla storia, mi ha ucciso e sepolto’’, disse infine la contessina, mentre il brigante comprendeva e annuiva.

‘’Quel nobiluomo era davvero un maledetto’’, sputò Giovanni con rancore crescente, ma Teresa gli mise una mano sulla bocca, invitandolo a tacere.

‘’Non qui. Questo è un luogo di pace e di riposo eterno, e non c’è posto per l’odio’’.

Detto questo, la ragazza lasciò la mano del brigante e la congiunse con l’altra sul grembo dove il suo piccolo bambino se ne stava tranquillo, iniziando a pregare. Pregò per l’anima di suo padre e per la salute di suo nipote, ancora inerme e minuscolo nel suo ventre.

Con un sospiro, represse il desiderio di rivelare la gravidanza al suo amato, ma in quel momento si promise di non farlo mai prima di essere riusciti a mettersi al sicuro, altrimenti lui si sarebbe fatto mille scrupoli e le avrebbe impedito di stancarsi troppo, rischiando di metterli in pericolo entrambi.

Il brigante nel frattempo se ne stette in silenzio, rispettandola con incredibile pazienza e gentilezza ed ignaro del segreto della sua amata.

‘’Mi sarebbe piaciuto conoscerlo’’, disse dopo un po’ a bassa voce, notando che la contessina aveva smesso di mormorare preghiere.

‘’Non era un uomo cattivo. Certo, voleva imporsi a volte, ma non mi avrebbe mai fatto del male. Però, non ti avrebbe mai accettato’’, affermò Teresa con grande sincerità.

‘’Non importa. L’avrei solo voluto vedere un attimo per potergli stringere la mano e fargli i miei complimenti per aver cresciuto una figlia forte e in gamba come te’’.

A quelle parole del brigante, la contessina sorrise con lentezza, poi scrollò la testa, sempre calibrando bene i suoi gesti e cercando di restare in armonia con la quiete che regnava attorno a lei.

‘’Teresa, vorrei davvero non interrompere questo tuo momento di raccoglimento e di preghiera, ma non posso far altro che ricordarti che non possiamo fare notte per la strada, poiché sarebbe davvero molto pericoloso’’, le ricordò il brigante, esprimendo comunque un interessamento sincero e una gentilezza non comune. In fondo, quell’uomo rude e testardo aveva un cuore molto tenero e cortese.

‘’Sì, è meglio riprendere il cammino. Ma prima, concedimi un attimo per aprire questa busta’’, disse la contessina, pensando che quello fosse il momento giusto e il luogo adatto per farlo.

Sentiva su di sé lo sguardo del suo amato, e reprimendo un brivido di freddo, aprì la busta con facilità e afferrò il foglietto che era stato ripiegato con cura al suo interno. Lo aprì con cura, trovandosi di fronte ad una scrittura stentata e difficile da comprendere.

Con estrema difficoltà, la ragazza proseguì la lettura lentamente, scoprendo infine che molto probabilmente suo padre si aspettava di rivederla e di non dover farle consegnare quel misero scritto, che in realtà non conteneva alcun giro di parole ed andava direttamente al punto, ovvero che nel caso che lei fosse stata in difficoltà e che nessuno l’avesse più potuta aiutare, le consigliava di recarsi il prima possibile da un amico di famiglia di nome Isacco Montignoni, residente a Ferrara. Sotto al nome, c’era un indirizzo scritto con chiarezza. Non c’era nessuna parola in più, nessun congedo o altro. Lui l’aveva attesa fintanto che aveva potuto, e nel momento in cui aveva scritto la lettera, pura e mera precauzione, sperava ancora di poterle parlare di persona.

Teresa annuì tra sé e sé, e ripiegò la lettera, mettendola di nuovo dentro la sua busta e sistemandosela poi nella saccoccia dove teneva anche il denaro rubato ad Alfonso.

Effettivamente, suo padre le aveva parlato più volte di questo Isacco, un ebreo di Ferrara che era stato un ottimo conoscente per lui in gioventù, e col quale aveva fatto affari d’oro e l’aveva aiutato a mettere da parte un po’ di soldi, ma i loro contatti si erano bruscamente interrotti da quando il conte aveva preso moglie e ed aveva accettato i primi incarichi alla corte pontificia.

Di più la ragazza non sapeva, poiché quell’uomo non l’aveva mai conosciuto ma ora almeno aveva un soggetto al quale potersi rivolgere in caso di bisogno.

‘’Cosa c’era scritto?’’, chiese Giovanni, interrompendo i pensieri della giovane.

‘’Nulla, solo un indirizzo di un uomo, dove ci recheremo in caso di altri problemi’’, si limitò a rispondere Teresa, scrollando le spalle e rialzandosi in piedi. Si asciugò anche le lacrime. Il tempo per piangere era finito.

‘’Mio fratello ci fornirà tutto il necessario per vivere e ci terrà al sicuro, non temere’’, rispose il brigante, sicuro di sé.

Teresa annuì, non tanto convinta, per poi riprendere a camminare e ad allontanarsi dalla sua tomba e da quella del padre. Però, prima di uscire dal cimitero si voltò a dare un ultimo sguardo alla sua lapide, prima di ritornare a percorrere la strada che li avrebbe portati alla loro prossima meta.

‘’Non mi hai ancora voluto spiegare da dove hai preso tutti quei soldi che ti porti dietro’’, tornò a dire Giovanni, raggiungendola ed affiancandola.

La contessina guardò il suo amato e sorrise mestamente. Era dalla mattina che l’assillava con quella domanda, e lei di certo non gli avrebbe detto che erano soldi di Alfonso, altrimenti il brigante glieli avrebbe strappati di dosso e li avrebbe gettati via in preda all’odio, gridando che erano maledetti come il loro defunto proprietario. In più, il suo onore non gli avrebbe mai permesso di andare avanti con i soldi di un suo nemico e rivale, cosa che invece voleva fare lei.

Teresa pensava che quei soldi fossero il risarcimento minimo che quell’essere disgustoso di suo marito le doveva dopo tutta la sofferenza che le aveva inflitto, e sapere che stava spendendo il denaro di quel mostro per sfamare e vestire lei e il suo amato le dava un perverso, anche se piccolo, senso di soddisfazione e piacere.

‘’Li ho trovati sotto un cavolo’’, rispose infine la ragazza, ridacchiando per la battuta che le era venuta fuori spontanea. Giovanni tuttavia non rise e la guardò di sbieco.

‘’Va bene, non me lo vuoi dire, ho capito. Non insisterò oltre’’, concluse infine il brigante, evitando quindi di prolungare la nascente discussione.

Teresa gliene fu grata, e per ricompensarlo gli scoccò un lieve bacio sulle labbra, per poi riprendere a camminare. Il percorso era ancora lungo e stava per farsi sera, e non c’era tempo per continuare a parlare o per riposarsi.

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Purtroppo, Alfonso ha privato Teresa di ogni appoggio, e anche di suo padre… chissà se il fratello di Giovanni potrà aiutare concretamente i nostri protagonisti in fuga.

Vi ringrazio per continuare a seguire il racconto J

Grazie di cuore per tutto J a lunedì prossimo J

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Capitolo 59
*** Capitolo 58 ***


Capitolo 58

CAPITOLO 58

 

 

 

 

 

Era già notte fonda quando la coppia di fuggitivi giunse finalmente nelle vicinanze della casa di Girolamo.

Giovanni sapeva che la sua amata era allo stremo, ed inoltre pareva soffrire di un qualche malessere a lui sconosciuto, poiché più volte durante il loro lungo cammino si era soffermata ai margini della strada sfiorandosi il ventre, come se avesse un disturbo di stomaco. Teresa non si era mai lamentata e si stava comportando davvero come una ragazza forte, ma lui sospettava che non stesse molto bene.

Fortunatamente, lungo tutto il loro cammino non avevano incontrato gendarmi o individui sospetti, e tutto era andato piuttosto bene.

‘’Siamo arrivati’’, disse il brigante alla sua amata, che lo affiancava seguendolo con un passo ormai stanco.

‘’Non ne posso più’’, si limitò a rispondere Teresa, boccheggiando.

Giovanni non poté non preoccuparsi, e afferrandole le mani la invitò a sedersi su un pezzo di legno abbandonato ai margini della strada, mentre attorno a loro tutto era illuminato da un tenue chiarore di una fredda luna primaverile.

‘’Lo so. Aspettami qui, la casa è nelle vicinanze. Stai ferma e immobile, e nel caso che tu noti qualche soggetto sospetto o qualcosa che ti faccia sentire in pericolo, chiamami ad alta voce e sarò qui in un attimo. Io vado ad avvisare del nostro arrivo e a parlare con mio fratello, intanto tu approfittane per riprendere fiato’’, le sussurrò il brigante, accarezzandole poi i capelli con fare amorevole. La contessina gli diede un rapido bacio sulle labbra  e lo lasciò andare senza aggiungere altro. Doveva essere davvero sfinita.

Giovanni si allontanò da lei a malincuore, ma sapeva che doveva cercare di attirare la fiducia del fratello, e non poteva presentarsi alla sua porta dopo tanti anni che non si erano visti assieme ad una sconosciuta ansante come se fossero appena fuggiti da chissà cosa, altrimenti avrebbe fatto di certo agitare il padrone di casa, e questo non poteva permetterselo. Aveva bisogno del sostegno di qualcuno, e non poteva giocare male le sue carte.

Aveva lievemente mentito alla sua amata, per farla sentire più la sicuro, dicendole che suo fratello avrebbe di certo dato loro una mano, ma ciò non era affatto così scontato. Il brigante sapeva che doveva stare attento a tutto.

Quindi, iniziò a darsi una risistemata agli abiti che indossava, e dopo aver ripreso fiato per un attimo, si diresse verso la vecchia dimora in cui abitava il fratello.

Girolamo in gioventù era stato garzone di un fabbro, ma il mestiere non gli era mai andato a genio ed era stato cacciato in malo modo da colui che sarebbe dovuto diventare il suo datore di lavoro, anche perché spesso era sgarbato ed aveva una personalità difficile da mantenere sotto controllo.

Per questo era riuscito a farsi prestare del denaro da un amico ed aveva iniziato a sognare, riuscendo ad impossessarsi di una discreta casetta in riva al fiume Lamone ed iniziando a traghettare persone attraverso il corso d’acqua, praticando l’attività di passatore.

E, come ogni passatore, aveva una barca a remi e traghettava merci e persone ad ogni ora del giorno, riuscendo a mettere da parte un bel po’ di denaro, anche se quel lavoro faticoso gli era costato parecchio, e già tempo addietro soffriva di frequenti mal di schiena.

Effettivamente, Giovanni dovette riconoscere che era l’unico dei suoi fratelli superstiti ad essere riuscito a mettere la testa a posto e ad avere un lavoro stabile e poco rischioso.

Camminando per lo stretto viottolo che portava all’abitazione, il brigante si chiese se Girolamo si fosse sposato e se avesse figli. L’ultima volta che l’aveva visto era stato quattordici anni prima, ed allora era solo un ragazzone forzuto e pieno di voglia di fare, ma già fidanzato con una ragazza della zona. Quindi, molto probabilmente oltre ad essere sposato doveva già avere figli, e ciò avrebbe potuto complicare lievemente la questione, se il fratello aveva già altri da proteggere e tutelare.

Ben presto giunse in vista dell’abitazione, un’umile casa di mattoni scuri immersa nel verde, situata a pochi minuti dal piccolo centro abitato chiamato Boncellino, una piccola frazione della più grande e conosciuta Bagnacavallo. Poco distante, il fiume Lamone gorgogliava con violenza ed impeto, sempre ben racchiuso nei suoi argini ben curati e custoditi dagli abitanti della zona, che volevano evitare ogni genere di allagamento.

Quando fu davanti a quella porta di legno chiusa col catenaccio da dentro, Giovanni tremò. Non ebbe il coraggio di bussare subito, impaurito dalla reazione che avrebbe avuto colui che sarebbe andato ad aprire quella porta nel trovarselo di fronte. Forse, Girolamo non l’avrebbe neppure riconosciuto, d’altronde era tantissimo tempo che non si erano visti.

Alla fine, dopo aver inspirato una bella boccata d’aria gelida notturna, il brigante bussò con forza.

Alcuni istanti dopo, sentì il rumore dei passi di qualcuno che si stava dirigendo verso la porta dall’interno.

‘’Non traghetto nessuno durante la notte, quindi vattene e torna domattina’’, disse dopo poco una voce scontrosa al di là della porta, e Giovanni riconobbe quella tonalità ruvida e burbera del fratello, nonostante ormai con l’età fosse diventata anche un po’ roca.

‘’Sono io, Girolamo! Sono Zvàn, tuo fratello minore!’’, si affrettò a dire il brigante, restando poi in trepidante attesa.

Per qualche istante, al di là della porta non si udì neppure un minimo rumore, poi l’uscio si aprì, gettandogli in faccia la luce prepotente di una candela.

‘’Zvàn! Quasi non ci credo. Non mi sarei mai aspettato una tua visita, credevo che… oh, dai, non parliamone. Sono felicissimo di vederti sano e salvo. Come va fratello, e come mai sei qui a quest’ora?’’, chiese il passatore, osservandolo con attenzione e senza eccessiva euforia.

Giovanni deglutì. Dal modo con cui aveva parlato, immaginava che il fratello maggiore sapesse qualcosa di tutto ciò che era accaduto a lui e alla sua banda. La voce ormai doveva essersi sparsa ovunque.

‘’Ho bisogno di aiuto… ecco, che qualcuno mi ospiti per qualche tempo e che possa tenermi al sicuro e nascondermi’’, disse il brigante dopo aver riflettuto un attimo. Girolamo ghignò.

‘’Sei nei guai, capisco. Beh, facciamo così; per questa notte potete soggiornare nella stalla, dove potrai prepararti un soffice giaciglio di paglia pulita, e domani mattina ne riparliamo con calma, va bene?’’. Giovanni annuì con poca convinzione.

‘’Perfetto, allora. Comunque, ti dico già che questo non è un posto dove tu ti possa nascondere, poiché c’è sempre un gran via vai di gente’’, continuò a dire Girolamo, notando il cenno d’assenso. Poi, con poca grazia, diede uno strattone alla porticina di legno accanto a quella principale da cui stava parlando, aprendola, per poi tornare a rintanarsi in casa sua.

‘’Aspetta. Ho anche una ragazza con me…’’.

‘’Può stare anche lei nella stalla. E ora ti saluto, a domattina’’, rispose Girolamo con stanchezza, chiudendo la porta in faccia al fratello minore.

Giovanni si passò una mano sulla barbetta corta che gli contornava il viso, capendo che quel trattamento ricevuto non preannunciava nulla di buono, e che quasi sicuramente non avrebbe ricevuto alcun aiuto dal fratello.

Approfittando del fatto che gli era stato offerto un posto per dormire, andò a recuperare Teresa in fretta, trovandola ferma e immobile dove l’aveva lasciata. La giovane lo guardò subito con fare speranzoso.

‘’Allora? Com’è andata?’’, chiese subito la contessina, alzandosi e dirigendosi verso di lui.

‘’Se ne riparla domattina. Per ora, dobbiamo accontentarci di passare la notte nella stalla’’.

Teresa spalancò la bocca, e la smorfia che fece sembrò qualcosa di raccapricciante, vista nella semioscurità.

‘’Dai su, non sarà così male. Le stalle sono sempre calde e ben pulite, e ci sarà paglia a sufficienza per farci un bel giaciglio’’, tentò di dire Giovanni, sperando che le sue parole si fossero rivelate vere. Comunque, decise di non dire alla sua amata che il fratello non pareva ben disposto ad ospitarli, pensando di non metterle pulci nell’orecchio e di non farla preoccupare eccessivamente prima dell’indomani mattina, ormai vicina.

Rapidamente, i due raggiunsero la porta della stalla, e Giovanni entrò per primo, tenendo aperta la porticina per facilitare l’ingresso della sua amata, che prontamente storse in naso.

Effettivamente, la stalla era piccola e ristretta, con un soffitto bassissimo. Al suo interno, due macilenti muli se ne stavano sdraiati nella paglia lercia, mentre un vitello ruminava rumorosamente, disteso in un angolo appartato. Il tutto era illuminato dalla flebile luce lunare che entrava dalle due finestrelle posizionate proprio sopra alle greppie degli animali.

Il brigante deglutì, e chiudendo la porta iniziò a muoversi quasi a tentoni, cercando un po’ di paglia o almeno un posto pulito dove potersi distendere, ma non trovò nulla. La sua amata, intanto, se ne restava immobile accanto alla porta, senza muoversi.

Giovanni continuò la sua ricerca, che ben presto si rivelò vana, e più di una volta rischiò di pestare degli escrementi, mentre la pavimentazione della stalla pareva sudicia di urina in quasi tutta la sua totalità.

‘’Non… non c’è la paglia pulita’’, mormorò il brigante, mentre tornava da Teresa. La ragazza non rispose, e si lasciò scivolare lungo la porta, sfinita.

Giovanni, preoccupatissimo per lei, la raggiunse e gli si inginocchiò a fianco, constatando che quello era l’unico punto di quel lurido ambiente ad essere pulito e asciutto. Con un sospiro, si sedette a fianco della sua amata e l’abbracciò.

‘’Non voglio restare qui, immersa in questa sporcizia. Ti prego, andiamocene’’, disse la contessina sentendo il suo contatto e lasciandosi andare tra le sue braccia.

Solo allora il brigante si accorse che stava piangendo sommessamente. E questo gli fece male, poiché sapeva che la giovane era sfinita, e lui avendo promesso di proteggerla e di amarla non era stato neppure in grado di offrirle un posto sicuro in cui riposare.

‘’Non piangere. Ti prego, non piangere, amore mio’’, le sussurrò all’orecchio, iniziando a cullarla e stringendola ancora più forte a sé, cercando di scaldarla col suo calore corporeo.

‘’Come potrei non farlo? Sembra che tu non veda come siamo ridotti! E saremo anche costretti a passare una notte tra le feci e l’urina di questi animali’’, disse poco dopo la ragazza, stringendosi ancora di più al brigante, che da parte sua decise di non rispondere. Per la prima volta in quegli ultimi giorni, la sicurezza tenace della contessina pareva vacillare quasi irreparabilmente.

Giovanni non aveva nulla da dire, mentre la rabbia aveva iniziato a roderlo da dentro. Non che si aspettasse un immenso aiuto da Girolamo, ma sperava che almeno lui gli permettesse di passare una nottata dignitosa.

Pensò che tra qualche ora, non appena fosse giunta l’alba, avrebbe dovuto parlargli e chiedergli di scusarsi per la mancanza di rispetto nei suoi confronti, visto che comunque restava pur sempre suo fratello, anche se per anni non si erano visti.

‘’Vedrai, la troveremo una soluzione’’, disse il brigante, cercando comunque di tranquillizzare la sua amata e continuando a stringerla tra le sue braccia.

Le accarezzò dolcemente i capelli fintanto che la contessina non smise di piangere e si addormentò, cadendo in un sonno pesante e tranquillo, frutto della stanchezza accumulata durante gli ultimi e lunghissimi giorni turbolenti che avevano vissuto.

Ancora arrabbiato, a quel punto Giovanni cercò di rilassarsi, chiudendo anch’esso gli occhi, ma non riuscendo a dormire fino a mattina.

 

 

Quando Teresa si risvegliò, le prime luci dell’alba stavano entrando dalle due finestrelle di quella stalla disgustosa e la stavano abbagliando. Si mise una mano sul volto, constatando che Giovanni era ancora sveglio e continuava a stringerla a sé.

‘’Buongiorno, mia cara’’, le sussurrò all’orecchio il brigante, con un tono gentile ma molto stanco.

‘’Magari fosse un buon giorno, sono tutta indolenzita dopo aver dormito su queste dure pietre. E questo ambiente è disgustoso’’, borbottò la ragazza, ancora indispettita.

Togliendosi dalla traiettoria del sole, si guardò attorno, notando che quei brutti animali erano ancora lì immobili attorno a lei, ruminando rumorosamente, mentre l’odore che emanavano i loro escrementi era insopportabile.

‘’Voglio uscire da qui, non riesco a respirare’’, mormorò Teresa, incrociando le braccia e cercando di trovare un po’ d’aria che non puzzasse in quel modo insopportabile.

Giovanni si limitò ad annuire, e si alzò, aprendo la porta sulla quale aveva appoggiato la schiena per tutta la notte, uscendo poi all’aperto. La contessina lo seguì, inspirando subito una bella boccata d’aria fresca mattutina. Il sole era già caldo e tiepido, mentre alcune galline razzolavano liberamente per il verde cortile della casa del passatore.

‘’Ben svegliati. Venite dentro, dobbiamo parlare’’.

La voce irsuta e scorbutica interruppe i pensieri della ragazza, che voltandosi indietro poté trovarsi faccia a faccia con Girolamo, il fratello maggiore del suo brigante. Lo riconobbe subito poiché l’uomo era praticamente identico a Giovanni, tranne per il fatto che qualche capello bianco iniziava già a mostrarsi sulla testa parzialmente incanutita, mentre alcune rughe più profonde continuavano sfacciatamente a confermare che quell’uomo era decisamente più maturo del suo amato.

Giovanni la afferrò dolcemente per un braccio e la invitò ad entrare con lui, mentre l’uomo continuava a guardarli con una certa noia impressa sul volto.

Girolamo richiuse la porta e li fece accomodare in quella che doveva essere una cucina, molto spoglia di arredi, ed infatti solo i due uomini poterono sedersi, mentre lei rimase in piedi, appoggiando le mani sulle spalle del suo amato, cercando di fargli sentire il suo velato sostegno e di fargli capire che, comunque fosse andata a finire, lei sarebbe sempre stata dalla sua parte.

‘’Non vi voglio mentire, non lo farei mai, e quindi sarò molto diretto e sincero. Non voglio e non posso aiutarvi, quindi andatevene subito; non voglio guai con la legge’’, esordì subito il padrone di casa, senza giri di parole e scandendo tutto con molta attenzione. Giovanni se la prese fin da subito, e un brivido di rabbia attraversò tutto il suo corpo.

‘’Non puoi cacciarmi così. Mi hai trattato peggio di un cane, gettandomi a dormire nella merda e nel piscio! Sei mio fratello, l’unico che io non ho mai dimenticato’’, biascicò il brigante, irritato e innervosito.

‘’Questa è casa mia, e se ti dico che devi andartene, devi andartene, punto. Altrimenti, vado a denunciarti al primo gendarme che incontro per la strada, e non sto scherzando.

‘’Ho faticato anni per riuscire ad avere questa misera casa, degli animali e un lavoro stabile che mi garantisse di sfamare la mia numerosa famiglia, e non intendo mettermi nei guai per aver nascosto un fuorilegge ricercato, un fratello che non rivedevo da una quindicina d’anni e che mi piomba in casa solo per cercare riparo. Vattene, tu e quella poco di buono che ti stai portando dietro’’, rispose Girolamo, risoluto e schiumante di rabbia.

Il fratello minore digrignò i denti con una tale forza che Teresa poté quasi sentirli stridere.

‘’Teresa non è una poco di buono, bastardo!’’, gridò poi il brigante, alzando un pugno verso il fratello.

La contessina a quel punto si affrettò ad allungare una mano e a bloccare quel gesto iroso prima che potesse creare altri disordini.

‘’Ora basta. Tuo fratello non ci vuole in casa sua, e noi ce ne andiamo. Grazie per l’ospitalità’’, disse la giovane rivolgendosi a Girolamo con pacata ironia e cercando di far ragionare il suo amato, che nel frattempo fissava con odio il fratello ed era bordò in volto.

Infatti, Giovanni iniziò a mugugnare qualcosa, ma un ragazzino piombò nella stanza con la stessa agilità di un gatto selvatico.

‘’Se mio padre ha detto di andartene, devi andartene per forza! Vai via!’’, gridò il giovane, con una voce ancora molto infantile.

Girolamo si alzò dalla sedia su cui si era seduto, e afferrò la scopa che era appoggiata al muro vicino a lui.

‘’Questo è tuo zio e non ti devi permettere di gridargli in faccia, ragazzino! E non ti devi immischiare negli affari di tuo padre. Vai a pulire la stalla, buono a nulla, visto che mi hanno riferito che è tutta sporca. E spicciati, se non vuoi sentire questo manico sulla schiena’’, disse il passatore ad alta voce, continuando ad impugnare a due mani la scopa dal manico di legno.

Il giovane sbiancò e sparì in un attimo.

‘’Chiedo scusa. Quello era Stefano, mio figlio maggiore. Un ragazzo tredicenne irruento e maleducato, ma credo proprio che riuscirò a raddrizzarlo prima o poi, con un bel manico di scopa e una cinghia’’, riprese a dire Girolamo, rivolgendosi al fratello minore, sempre più rabbioso.

Giovanni a quel punto prese a braccetto Teresa e iniziò a camminare verso l’uscio.

‘’Bene, ora che ho conosciuto anche il mio beneducato nipote, posso togliere il disturbo. Andiamocene di qui’’, disse il brigante, mentre la contessina si limitava ad annuire, essendo pienamente d’accordo col suo amato. Entrambi diedero le spalle al padrone di casa e si avviarono direttamente verso la porta dalla quale erano entrati poco prima.

‘’Fermatevi un attimo. Per favore’’.

La voce raddolcita di Girolamo spinse la contessina a rallentare, nonostante che il suo amato volesse continuare a procedere spedito verso l’uscita, ma notando quella sua reticenza, rallentò anch’esso.

‘’Non volevo mancarvi di rispetto. Pensavo che la stalla fosse in ordine e ben pulita, con tanta paglia pulita a disposizione per un buon giaciglio, ma a quanto pare mio figlio maggiore è un vero fannullone. E ci tengo a precisarvi che vorrei aiutarvi, ma davvero non posso; spero che entrambi capirete le mie motivazioni, prima o poi’’, riprese a dire il passatore, avvicinandosi al fratello minore.

‘’Non posso capire, mi spiace. L’ospite è sacro, ma tu hai trattato male chi ti chiedeva solo una notte di riposo e un po’ d’aiuto, senza offrire loro neanche uno spuntino. Hai maledetto la tua famiglia, Girolamo Pelloni’’, disse Giovanni, dopo un attimo di silenzio.

Poi, senza voltarsi indietro, aprì la porta e uscì nel cortile, seguito da Teresa, ancora scossa dalle parole del suo amato. Effettivamente, il brigante aveva maledetto il fratello, e ciò non era una cosa positiva, soprattutto per i più superstiziosi. In ogni caso, lei non ci pensò troppo su, anche perché il suo stomaco brontolava rumorosamente e non aveva alcunché da mettere sotto i denti. In quel momento, le importava solo di mangiare qualcosa.

Mentre il sole della mattina illuminava tutti i terreni circostanti, i due si allontanarono in fretta dall’abitazione del passatore.

‘’Non prendertela così tanto. Lo sapevi in fondo che non ci avrebbe offerto ospitalità e non ci avrebbe accolto. Comprendilo; sarebbe rischiosissimo per lui e per la sua famiglia’’, disse Teresa, trovando il coraggio di rompere il silenzio teso in cui si era avvolto il brigante da quando aveva abbandonato la casa del fratello.

‘’Lo capisco, invece. È solo che… sono deluso ed avvilito. Pensavo che sarei riuscito in qualche modo a riprendere in mano la situazione, ed invece non è stato così. Praticamente, se non ci fossi stata tu, ora io sarei già morto e sepolto. Non sarei mai riuscito a fuggire dai gendarmi, ad andarmene da Ravenna, ad orientarmi… hai fatto tutto tu.

‘’Io mi ero ripromesso di proteggerti e di avere cura di te. Ed ora ti ho portato fin qui per nulla, perché anche l’ultimo mio tentativo si è dimostrato vano, e ci troviamo senza cibo né meta’’, mormorò Giovanni, il volto livido e imbronciato. Il suo sguardo sfuggevole esprimeva tutta la rabbia e la frustrazione che lo stavano attanagliando.

‘’Non preoccuparti, sistemeremo tutto’’, lo rassicurò la ragazza con gentilezza, sfiorandogli la guancia destra con un dito. Il brigante si lasciò sfuggire un lieve grugnito di assenso.

‘’Quindi, hai di nuovo delle idee su come procedere?’’, le chiese poco dopo, lasciandosi sfuggire un sorrisetto teso.

‘’Certo. Andiamo a Ferrara’’, disse la contessina con grande sicurezza. Giovanni rise.

‘’Sei pazza. Come credi di arrivarci in quella città lontanissima? Non abbiamo neppure viveri’’.

‘’Ho molto denaro con me. Un qualche modo per arrivarci lo troveremo’’.

‘’Io sono ricercato, ricordatelo. E pure tu avresti delle preoccupazioni, se si venisse a sapere che sei ancora in vita. Non possiamo esporci troppo!’’, continuò a dire il brigante, sempre insicuro.

‘’Troveremo un modo per raggiungere quella città senza problemi, te lo garantisco. Lì sono certa che troveremo anche qualcuno disposto ad aiutarci’’, rispose Teresa con grande convinzione. Suo padre le voleva bene, e non si sarebbe mai permesso di darle un indirizzo senza senso.

Quell’ebreo di nome Isacco li avrebbe senz’altro aiutati, anche se la ragazza a quel punto continuava a nutrire molti dubbi. Ma in quel momento non poteva far altro che sperare per il meglio e mostrarsi sicura, cercando di tenere sotto controllo una situazione ormai critica e disperata. E quando gli balzò davanti una figura incappucciata, la ragazza quasi svenne.

L’incappucciato sbucò all’improvviso dalle siepi di piante basse e spinose che contornavano la strada, allungando una mano e facendo bruscamente fermare la coppia di fuggitivi. Era piuttosto basso, ma molto agile.

Teresa si aggrappò disperatamente al suo amato, lanciando un gridolino terrorizzato, mentre Giovanni si preparò subito a reagire e caricò un pugno, ma si fermò quando lo sconosciuto si tolse il cappuccio e si scoprì il volto. Infatti, si trovarono davanti a Stefano, il figlio tredicenne di Girolamo il passatore.

‘’Lasciaci in pace, bamboccio. Vattene, torna da tuo padre’’, mugugnò Giovanni, innervosito dal trovarsi di fronte al nipote ma allo stesso tempo lievemente sollevato dal fatto che non si trattasse di un agguato teso da un qualche criminale.

‘’E’ lui che mi ha mandato a raggiungervi di corsa’’, disse il ragazzo, mentre riprendeva fiato. Era sudato, e molto probabilmente doveva aver corso come un forsennato per raggiungerli, e per risparmiare tempo doveva aver attraversato i vari campi che si espandevano ovunque ai lati della strada e al di là della siepe.

Giovanni sbuffò e si preparò ad un qualche contrattacco, ma Teresa gli fece una leggera pressione sul braccio e prese la parola.

‘’Come mai tuo padre si è scomodato così tanto da mandarti a cercarci?’’, chiese infatti la contessina, cercando di contrastare la rabbia inutile del brigante e di gestire la situazione in modo razionale. A suo fianco, Giovanni non disse nulla e accettò tacitamente la sua intromissione, continuando però a fremere di rabbia.

‘’Mio padre si è raccomandato di portarvi qualche cosa da mangiare, e vi augura buon viaggio. Inoltre, continua a scusarsi per essersi comportato in modo così brusco con voi, ma spera che comprendiate le motivazioni che l’hanno spinto a non potervi aiutare. Ed anch’io mi scuso per avervi mancato di rispetto’’, disse il ragazzo, che subito estrasse un cospicuo fagotto da sotto il suo pesante e largo giaccone che indossava, senza far troppo caso alla rabbia dello zio e porgendolo a Teresa, che prontamente l’accettò con un sorriso.

‘’Ma che fai? Dagli indietro quel fagotto, che lo riporti a suo padre. Non abbiamo intenzione di accettare qualcosa da lui’’, scoppiò Giovanni, che con un gesto brusco afferrò dalle mani della contessina quel cibo infagottato in un panno pulito, cercando di ridarlo a Stefano.

Teresa, per nulla intenzionata a perdere quell’importantissimo e vitale fagotto, non lasciò che il suo amato glielo strappasse di mano ed oppose una flebile resistenza, tanto bastava per farlo ritornare in sé.

‘’Zvàn, questo cibo ci serve se vogliamo sopravvivere. Quindi, ringrazia tuo nipote e tuo fratello per averci lasciato questo ben di Dio, sapendo quanti sforzi sarà loro costato’’, disse la ragazza, mentre il brigante mollava la presa e si calmava, tornando a ragionare.

‘’Hai ragione, Teresa. Come sempre, hai ragione. Stefano, accettiamo il cibo che ci hai portato e ringraziamo tutta la tua famiglia’’, bofonchiò Giovanni, tenendo gli occhi bassi, mentre sul volto aleggiava ancora il rossore dell’ultimo momento di rabbia cieca.

Teresa sorrise e il ragazzo pure, allungando poi una mano verso lo zio.

‘’Che intendi fare? Vuoi che te lo paghiamo?’’, disse ad alta voce il brigante, tornando sulla difensiva.

Teresa lo guardò storto, sperando che non tornasse ad arrabbiarsi, mentre il ragazzo sbiancò in volto, e per la prima volta parve in imbarazzo ad esprimersi.

‘’No, assolutamente no… volevo solo stringerti la mano. Mio padre mi ha detto che sei stato uno dei più grandi briganti degli ultimi tempi, e io ti stimo. Ci tenevo che tu me la stringessi, ma se non vuoi fa lo stesso’’, mugugnò il ragazzo, lievemente scostante dopo aver notato il modo repentino in cui gli aveva risposto lo zio.

La contessina appoggiò una mano sulla spalla del brigante, spronandolo ad accettare quella stretta che gli veniva proposta. Giovanni a quel punto annuì, e afferrò la mano del ragazzo e la strinse forte, lasciandosi poi sfuggire un sorriso.

Anche Stefano tornò a sorridere.

‘’Grazie, zio, e ti prometto che ti vendicherò. Tu eri ad un passo dal diventare il più forte e qualcuno ti ha spinto giù a tradimento, ma io ti giuro che scriverò la storia e lascerò che il nostro cognome diventi un monito in grado di terrorizzare chiunque per secoli’’, disse il ragazzo con un tono di voce estasiato e da adulto, sillabando con una sicurezza che per un attimo a Teresa parve pura follia.

La contessina notò che anche Giovanni doveva aver percepito quella vena di squilibrio nel ragazzo, interpretandola più come un senso di ribellione.

‘’Togliti certe idee dalla testa, ragazzino. Tu hai un futuro con tuo padre, ed insieme aiuterete la gente ad attraversare il fiume’’.

‘’No! Quel misero lavoro lo lascio ai miei fratelli più piccoli. Io voglio diventare un brigante! Voglio impugnare un’arma e far fuoco sui gendarmi, mentre i nobili fuggono via gridando ed implorando pietà’’, replicò subito il ragazzino, mimando tutto con dei gesti chiari e precisi.

‘’Diventare un brigante significa morire, Stefano. Praticamente tutti i miei compagni sono morti, ed io sono ricercato, e se non ci fosse stata Teresa li avrei già raggiunti nella fossa. Togliti dalla testa queste stupidaggini e inizia ad allenarti coi remi’’, disse Giovanni, con un tono più pacato e interessato.

Teresa rimase in silenzio ad origliare quel curioso dibattito tra lo zio e il nipote, stando attenta a non intervenire e a non influenzare nessuno dei due, mentre Stefano si lasciava sfuggire un sorriso da bischero che non preannunciava nulla di buono, ma comunque non replicò altro.

‘’Andiamo, Teresa’’, disse Giovanni, attirando l’attenzione della contessina, che fino a quel momento aveva continuato a guardare il giovane con fare stupito, poiché solo pochi istanti prima aveva notato la somiglianza tra i due parenti, ma comunque annuì e non disse nulla, prendendo per mano il suo amato.

Effettivamente, Stefano assomigliava a suo padre ma anche allo zio, soprattutto nell’aspetto fisico e nella decisione che esprimeva ad ogni parola che pronunciava. Di certo, sarebbe potuto diventare un buon capo per una banda di briganti, in un futuro non troppo lontano.

‘’Un attimo, zio’’.

Quelle parole fecero nuovamente fermare Giovanni, pronto a riprendere il cammino. L’uomo rivolse un’occhiata interrogativa al nipote.

‘’Dove avete intenzione di andare a nascondervi?’’, chiese il ragazzino col solito tono duro e sicuro.

‘’A Ferrara’’, rispose Teresa, notando che il suo amato non aveva molte intenzioni di rispondere.

Udendo la sua risposta, lui le strinse più forte la mano, ma la contessina gli sorrise facendogli capire che era tutto a posto. Sapeva che si sarebbe potuta fidare di quel giovane, e che non avrebbe mai fatto la spia con nessuno riguardo a suo zio, visto che in poco tempo sembrava che gli si fosse affezionato.

‘’E’ molto distante, ma non impossibile da raggiungere. Vi consiglio di andare a Bagnacavallo, che dista pochissimo da qui e che potete raggiungere proseguendo sempre dritto lungo questa strada.

‘’Non ci sono gendarmi attivi, in genere, ma vi basterà soffermarvi al mercato permanente che è appena fuori dal centro, dove ci sono un sacco di ferraresi che si soffermano per far sosta prima di raggiungere Ravenna, dove portano le merci. Lì c’è caso che troviate qualcuno che stia per compiere il percorso contrario e che vi possa dare un passaggio nascondendovi sul carro’’, disse Stefano tutto d’un fiato, dimostrando di essere intelligente, sveglio e perspicace.

Teresa sorrise al giovane, lieta di aver ricevuto quelle importanti informazioni.

‘’Ti ringrazio per l’aiuto, Stefano. Addio ragazzo, ora noi dobbiamo proprio andare, e ringrazia tuo padre da parte nostra. Digli anche che abbiamo compreso le sue motivazioni’’, concluse Giovanni, riprendendo la parola e sorridendo. Poi, con fare paterno, fece una carezza sulla testa del giovane, che prontamente si ritrasse.

‘’Testardo e sfuggevole come tutti i Pelloni. Non far storie e smettila di pensare al brigantaggio! Vivi al meglio la tua vita, remando e formando una tua famiglia’’, tornò a dire il brigante come congedo, sogghignando e riprendendo a camminare.

Teresa rivolse un ultimo sorriso a Stefano, poi raggiunse il suo amato e lo riprese per mano. Per un po’, non si voltò indietro e continuò a fissare il volto di Giovanni, che pareva pieno di soddisfazione. Aver conosciuto il nipote pareva averlo addolcito immensamente.

Quando la contessina si voltò indietro, dopo un po’, vide che il ragazzo li stava ancora osservando da lontano, ma non appena si accorse di essere a sua volta osservato, si voltò, sollevandosi nuovamente il cappuccio ed iniziando a correre lungo la strada, veloce come una lepre. In un attimo sarebbe stato di nuovo a casa, al cospetto di suo padre.

La ragazza sorrise, e incrociando gli occhi di Giovanni riuscì solo a leggere al loro interno tanto compiacimento. Quello strano incontro era stato piacevole per entrambi, in più in quel momento sapevano esattamente cosa fare e dove dirigersi.

Teresa sapeva che con il denaro che custodiva avrebbe potuto cercare un passaggio su un altro mezzo di trasporto, e con un po’ di buonumore aprì il fagotto, che fino a quel momento aveva stretto al petto con il braccio sinistro. Dentro, c’era qualche pagnotta fresca e scura, con ben sei fette di formaggio ben stagionato.

Afferrò una pagnotta e la divise col brigante, mangiando avidamente e stando attenta a non sprecare neppure una briciola, poiché quella piccola riserva di cibo sarebbe dovuta bastare fino al loro ipotetico arrivo a Ferrara.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo e per continuare a seguire il racconto J

Ci tengo a sottolineare che i personaggi apparsi in questo capitolo sono realmente esistiti. Girolamo, il padre di Stefano, svolgeva realmente l’attività sopra descritta e nello stesso posto da me descritto.

Stefano, il ragazzo tredicenne ma già molto sveglio e irruento, non è altro che il futuro Passatore, il più noto e famoso brigante romagnolo, che attorno alla metà dell’Ottocento, ancora giovanissimo e poco più che ventenne, riuscì a compiere imprese incredibili, dopo aver formato un grande gruppo di fuorilegge. Fu tra l’altro l’unico brigante romagnolo ad essere riuscito ad occupare militarmente interi paesi, seminando il panico nelle Legazioni Pontificie per più di tre anni e tenendo in scacco la Gendarmeria grazie ad una fitta rete di informatori, spie e addirittura uomini delle forze dell’ordine, spaventati dalle possibili ritorsioni di questo giovane.

Spero di essere riuscito a mostrare al meglio una personalità già molto disturbata fin dai primi anni dell’adolescenza, e che col tempo peggiorerà fino a diventare qualcosa di abominevole per l’epoca. Stefano Pelloni sarà tra l’altro l’unico brigante ad aver sezionato alcuni dei corpi delle vittime della sua violenza molto spesso esagerata e gratuita.

Inoltre, le sue gesta eroiche e folli col tempo diverranno una sorta di racconto epico ed entreranno a far parte delle leggende romagnole, che in ambito contadino verranno tramandate oralmente per oltre un secolo.

Le fonti storiche scritte sono scarse e non citano se Girolamo avesse fratelli o meno, ed io ne ho approfittato per inserire il mio Giovanni, rendendolo zio del futuro Passatore.

Grazie per l’attenzione, e chiedo scusa per aver scritto una nota d’autore così lunga, ma ci tenevo a far chiarezza su tutto.

Grazie di cuore per continuare a seguire questo racconto, e buona giornata a tutti J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 60
*** Capitolo 59 ***


Capitolo 59

CAPITOLO 59

 

 

 

 

 

 

Teresa cercò di evitare di starnutire, mentre il carro che per l’ennesima volta nascondeva lei e il suo amato nel bel mezzo del suo carico procedeva spedito lungo la strada che portava verso nord.

Non era stato difficile per la contessina riuscire ad intrufolarsi nel più totale anonimato nel mercato paesano e trovare un commerciante che già quella stessa mattina si sarebbe mosso in direzione di Ferrara, naturalmente pagando abbondantemente il passaggio.

Mauro, il carrettiere che commerciava foraggio e che un giorno su due faceva la spola tra Ravenna e Ferrara, era un uomo oltre la quarantina onesto e sincero, naturalmente molto interessato al denaro, e non aveva fatto domande a riguardo della loro precipitosa fuga verso nord, accontentandosi solo di un lauto pagamento anticipato e promettendo che entro la sera di quella stessa giornata sarebbero già arrivati a Ferrara.

Così, sia lei che il brigante avevano atteso che il commerciante abbandonasse il mercato e che si dirigesse nelle periferie di Bagnacavallo prima di poter salire a bordo e nascondersi nel mezzo del carico, stando attenti a non essere visti da nessuno mentre compievano quel gesto insolito.

Il carro in quel momento stava procedendo spedito lungo la strada diritta e ben custodita che portava verso il confine nord dello Stato pontificio senza alcun urto di troppo e senza fermarsi mai, trainato da due muli grossi e in forze, e la ragazza credeva fermamente in ciò che le era stato promesso da Mauro. Si fidava di quell’uomo.

Il fieno che l’avvolgeva era morbido ma polveroso, e, come durante la prima parte della loro fuga, la contessina stringeva forte a sé la mano del brigante, più che altro per farsi forza.

In realtà, non era più di tanto spaventata per via dei gendarmi che stavano cercando il suo amato, poiché a dire di Mauro in circolazione ce n’erano davvero pochissimi, e più si andava verso nord meno ce n’erano, ma era costantemente preoccupata per il loro futuro.

Lei non aveva più alcun diritto in quello Stato e non aveva nessuno che potesse aiutarla, mentre Giovanni era un fuorilegge ricercato, e questo la faceva stare continuamente in ansia. In fondo, chiunque avrebbe potuto riconoscerlo e causargli problemi. Pregò con tutta sé stessa che quell’uomo di nome Isacco potesse davvero fornire loro un aiuto concreto, o almeno un consiglio utile su come muoversi per continuare a vivere e cercare di riprendere una vita normale.

Teresa sapeva che quel conoscente paterno era l’ultima spiaggia per entrambi, e che se anche Isacco si fosse rifiutato di aiutarli per loro sarebbe stata la fine. Era vero che lei disponeva ancora di una grossa somma di denaro, ma se fossero rimasti di nuovo in strada e nel bel mezzo di una città a lei sconosciuta, il conio non avrebbe di certo allietato ulteriormente le loro giornate.

Con rassegnazione, la ragazza sospirò lievemente, cercando di lottare per l’ennesima volta contro la sua voglia di starnutire.

Tra i tanti disagi, l’unico sollievo che provava proveniva dal suo stomaco, pieno del cibo che era stato loro regalato da Stefano, il nipote del suo amato brigante. La contessina era riuscita a mangiare un bel po’ di pane fresco senza provare alcuna nausea, ed in quel momento stava benissimo ed anche i suoi piedi sembravano aver smesso di tormentarla con costante insistenza.

Se non fosse stata sommersa da tutto quel fieno quello sarebbe di certo stato un viaggio comodissimo, ma d’altronde era quella massa di pagliuzze polverose ed irritanti che proteggevano lei e il suo amato da occhi indiscreti e dalla vista di un qualche gendarme, quindi non poteva lamentarsi eccessivamente di tutto ciò.

Strofinando con forza il suo naso contro il dorso della mano sinistra, la ragazza riuscì ad alleviare quel continuo bisogno di starnutire, e con sollievo crescente si ritrovò ad essere stanca ed affaticata.

Dopo aver passato la precedente notte quasi del tutto insonne, così come anche quella prima, Teresa riuscì a trovare una posizione molto comoda, cercando di muoversi sempre e comunque con grande delicatezza, e si trovò a chiudere gli occhi.

Quando il sonno arrivò e la catapultò in una realtà piena di sogni, la giovane quasi non se ne accorse, dal tanto che era lieta di riposare.

 

 

‘’Teresa!’’.

La contessina udì il suo nome, ma non trovò le forze per aprire gli occhi e svegliarsi.

Stava sognando di essere a casa sua, in quella calda abitazione romana dove suo padre amava tanto trascorrere ore ed ore ad insegnarle a leggere e scrivere, e a cercare di passarle un’istruzione. Infatti, nel sogno il genitore era a suo fianco e le sorrideva amabilmente, mentre il suo viso da ragazzina si rifletteva nelle sue iridi color castano scuro.

Nel momento in cui udì il suo nome e comprese che qualcuno la stava chiamando, la contessina cercò di non svegliarsi e di non farci caso, cercando disperatamente di continuare ad attaccarsi all’immagine del padre, che il sogno le stava offrendo in una forma splendida e smagliante.

Eppure, in un attimo tutto si dissolse, e Teresa fu costretta ad aprire gli occhi e ad abbandonare per sempre il mondo dei sogni.

‘’Teresa!’’. Per l’ennesima volta, Giovanni la chiamò con dolcezza, scrollandola lievemente.

La ragazza aprì gli occhi, guardandolo in un modo rabbioso.

‘’Che c’è?’’, sibilò con le labbra semiunite ed impastate dal sonno recente.

Il brigante, che nel frattempo si era scoperto dal fieno ed aveva tirato fuori anche lei, la fissò con uno sguardo interrogativo, non riuscendo a capire cosa avesse fatto di male per subirsi quella frase gettatagli addosso con tanto nervosismo.

‘’Siamo a Ferrara, il viaggio è finito’’, disse poi Giovanni, abbassando lo sguardo ed allontanandosi di qualche passo da lei.

Teresa, accorgendosi solo allora di aver esagerato poco prima, si ritrovò a cercare qualche parola per scusarsi ma non riuscì a dire nulla.

Mentre si alzava e con attenzione scendeva dal carro, avvicinandosi a Mauro per salutarlo ed allungargli qualche altra moneta per ringraziarlo per il trasposto rapido e sicuro, si guardò per un attimo i vestiti e comprese improvvisamente il motivo per cui se l’era tanto presa per essere stata svegliata.

In quel sogno, lei era ancora la contessina giovane, riccamente vestita ed immacolata, una giovincella senza peccati che viveva placidamente a fianco dell’unico genitore sopravvissuto, che l’amava e l’accudiva costantemente e non le faceva mancare nulla, e il mondo le appariva perfetto. In quel momento invece non le era rimasto nulla di tutto ciò e di quel complesso di idee.

Ora era solo una donna senza nome, deflorata da un marito con cui era stata costretta a sposarsi e che non aveva mai amato, e che era lo stesso uomo disgustoso che aveva messo fine a tutti i suoi sogni, facendole morire il padre tra atroci sofferenze, distruggendo la vita al suo amato brigante e uccidendola, gettando la sua essenza in una bara vuota e dichiarandola scomparsa e morta.

Alfonso aveva ucciso i suoi sogni e seppellito la sua anima, ma lei poi gli aveva strappato la vita assieme alla sua perfida governante, ed era stata costretta ad uccidere dei gendarmi pur di salvare il suo amato. Ora lei era solo un’assassina ricercata, la poco di buono in fuga con un brigante anch’esso ricercato, vestita da poveraccia e senza cibo, senza contare che nessuno poteva dar loro una mano. Quello non era un mondo bello e giusto, e lei era stata catapultata direttamente nell’inferno.

Un brivido freddo attraversò la contessina mentre nella sua mente tutti quei pensieri continuavano ad accavallarsi e a creare un groviglio di sensazioni spiacevoli. Inoltre, la ragazza sapeva che Ferrara era la sua ultima spiaggia, e quello sconosciuto di nome Isacco era il suo ultimissimo asso nella manica. Se neppure lui avesse accettato di dar loro una mano, lei non avrebbe più saputo come procedere.

Mentre allungava qualche altro pezzo di poco valore al carrettiere in modo da ringraziarlo per il viaggio rapido e tranquillo, Teresa guardò Giovanni.

L’uomo che amava si era allontanato di poco da lei, e guardava oltre, verso il sole calante e il tramonto rosso fuoco che incendiava il cielo sopra la città poco distante. Sul suo volto era impressa un’espressione che esprimeva solo fallimento e dolore.

Del brigante sicuro di sé e forte che dominava incontrastato sulla legge e sui nobili non restava più nulla, solo uno spettro debole che poteva affidarsi solo a lei. E Teresa sapeva che non poteva fallire, che non poteva dimostrarsi fragile, e che doveva proseguire anche per lui e per il loro bambino, per tutto quello che aveva fatto per lei e per tutto l’amore che le aveva rivolto nel momento in cui si sentiva sola, spaesata e in balìa di un marito che si era rivelato un mostro.

Con un sorriso amaro sulle labbra, concluse il pagamento e si diresse verso il suo amato, passandogli un braccio attorno ai fianchi.

‘’Scusa per prima. È solo che mi hai svegliato mentre stavo facendo un sogno bellissimo’’, mormorò la contessina, veramente dispiaciuta per poco prima.

Il brigante non la guardò, continuando a lasciar volare i suoi occhi nel cielo in fiamme.

‘’Ti capisco. Mi dispiace, ma dovevo assolutamente svegliarti’’.

‘’Lo so’’, rispose la contessina, allungandogli un bacio sulle labbra. Lui la lasciò fare, ma non ricambiò.

‘’Non sai niente, invece’’, si lasciò sfuggire, continuando a non guardarla. Teresa deglutì.

‘’So più di quanto tu possa credere’’.

‘’Tu menti. Non sai come si sente un uomo quando ha perso tutto e non ha più alcuna prospettiva, e per sopravvivere deve affidarsi ad altri. Solo due settimane fa ero l’uomo più libero e più forte presente nella mia terra natale. Ora non sono più neanche un verme… sono un fallito, perché a suo tempo non sono riuscito a prendere le decisioni più appropriate per salvare tutto, dimostrando di non avere alcuna capacità e facendo morire tante persone che avevano affidato a me le loro vite’’, concluse Giovanni, pronunciando quelle dolorose parole e continuando a guardare lontano.

Teresa si accorse che stava piangendo solo quando notò un insolito luccichio sulla sua guancia. Prontamente, gli asciugò la lacrima, ma lui la allontanò bruscamente.

‘’Lasciami solo’’, le disse, mentre un’altra lacrima solcava le sue ruvide e pelose guancie. Teresa obbedì ed annuì, tornando a muoversi verso Mauro, che nel frattempo si accingeva a ripartire.

‘’Mauro, noi dovremmo recarci al ghetto. Non conosciamo la città, ma disponiamo di un indirizzo ben preciso, ed è situato in via Sabbioni. Tu sapresti darci qualche indicazione utile per giungerci senza incontrare difficoltà di alcun genere?’’, chiese cortesemente la contessina, mentre l’uomo sorrideva, comprendendo al volo ciò che poteva significare la parola difficoltà.

‘’Non c’è problema. Basta che seguiate la strada lastricata principale, che vi porterà davanti alla cattedrale; non avrete problemi a riconoscerla, poiché è l’edificio ecclesiastico più impressionante di tutta la città. Proprio a suo fianco, poco distante, potrete facilmente trovare la via che cercate, che è la strada principale del ghetto.

‘’Non potete sbagliarvi, poiché i grossi cancelli posti all’imboccatura ve la faranno di certo notare, ed è una delle vie più antiche e ricche. Insomma, è molto facile giungervi, ma può essere difficile entrarvi’’, continuò a spiegare pazientemente il carrettiere, gesticolando con vigore e cercando di farsi capire dalla ragazza, anche cercando di segnare in aria con un dito e facendo del suo meglio.

‘’Ho capito’’, mormorò Teresa, cercando di ricordarsi tutto ciò che le era appena stato detto e spiegato. L’uomo le sorrise nuovamente, vedendola perplessa.

‘’Stai tranquilla. Io sono diretto a casa e per giungere alla mia meta dovrò attraversare la città, e potrete venirmi dietro entrambi. Non potrò trasportarvi, ma vi segnalerò comunque la via che state cercando. E non avrete nulla da temere in città; Ferrara è praticamente abbandonata a sé stessa.

‘’Di gendarmi a piede libero non se ne vedono da tempo, e i chierici presenti se ne stanno rintanati nei loro ridicoli alloggi, quindi vedrete che non incontrerete nessun intoppo lungo il percorso’’, riprese a dire il carrettiere, continuando a sorridere con sincerità.

‘’Te ne sarei immensamente grata se tu facessi tutto ciò. Ma… ecco, sei così sicuro che non ci siano pericoli per noi due?’’, tornò a dire Teresa, felice di poter contare ancora su Mauro ma cercando comunque di esplicare il suo dubbio più importante. Di certo, la ragazza non aveva alcuna intenzione di mettersi in pericolo e farsi catturare a pochi metri da quel qualcuno che avrebbe potuto dar loro una mano.

‘’Ne sono sicurissimo. Appena entreremo in città, avrete modo anche voi di constatare lo stato di degrado e di abbandono in cui versa Ferrara. Ma ora mi rimetto in marcia, e se volete venirmi dietro vi consiglio di spicciarvi’’, concluse il carrettiere, senza smettere di sorridere e prendendo nuovamente posizione sul suo mezzo.

Teresa annuì, e tornò dal brigante, che non si era ancora mosso e restava a guardare il tramonto.

‘’Dobbiamo andare. Mauro ci indicherà la via che cerchiamo, seguiamolo dai’’, disse la contessina, afferrando il suo amato per un braccio.

‘’E dovremmo entrare in città? Non se ne parla’’, disse il brigante, riscuotendosi e guardandola con gli occhi sgranati. Teresa riconobbe che doveva avere paura.

‘’Non abbiamo nulla da temere, stando a ciò che ha detto il carrettiere. Ma in ogni caso, dovremo entrare comunque in città per raggiungere il nostro obiettivo, con o senza l’aiuto di Mauro. E sono certa che senza di lui ci perderemo’’.

‘’E’ una follia. Moriremo senz’altro! Ci cattureranno e…’’.

‘’Basta così. Zvàn, dov’è finito il brigante coraggioso che io ho tanto amato? Sembri il suo fantasma. Temi forse la morte? Ti sbagli, perché non la troveremo in questa città, altrimenti mio padre non si sarebbe mai azzardato a mandarci qui per cercare un ipotetico aiuto’’, disse la contessina ad alta voce, interrompendo le parole del brigante, che impallidì.

‘’Lui non avrebbe mai immaginato…’’.

‘’Mio padre immaginava già da tempo come sarebbe andata a finire la vicenda, e doveva essersi premunito con cura. Non devi temere nulla, amore mio; e se troveremo la morte, giuro che moriremo insieme. Nulla potrà più dividerci, d’ora in poi’’, tornò a dire Teresa, cercando di dimostrare il suo grande amore e la sua immensa voglia di continuare quella fuga.

Giovanni scosse la testa, e facendole un breve cenno le fece capire che anche lui aveva deciso, alla fine. Quindi, entrambi si misero in marcia dietro al carro, ad una decina di passi di distanza, dirigendosi verso il primo agglomerato di case tozze e basse che circondavano il fulcro di quella città di confine.

 

 

Giovanni decise infine di riprendere il cammino e di seguire la sua amata.

Era lei il suo faro, l’ultimo appiglio che lo spingeva a vivere e a proseguire. Perché la contessina non sapeva che lui si era tenuto stretto quella rivoltella con cui lei l’aveva salvato dalla morte alcuni giorni prima, e che più volte aveva pensato di utilizzare contro di sé. Era costantemente tormentato dai ricordi, giorno e notte.

Il brigante si sentiva un uomo finito, e mentre Teresa sapeva già a chi rivolgersi e come muoversi, lui non aveva la benché minima idea di come avesse potuto ricominciare a vivere. E mentre entrava in quella dannata Ferrara, non poté non lasciarsi sfuggire un rumoroso sospiro.

Mentre Mauro procedeva spedito per le lunghe e spaziose strade periferiche di Ferrara, Teresa si voltò verso di lui e gli rivolse un’occhiataccia.

‘’Smettila di sbuffare e muoviti. Siamo ad un passo da chi ci può aiutare, me la sento! Però, dobbiamo ancora camminare parecchio’’, disse la ragazza, continuando a fissarlo.

Giovanni invidiò quel suo piglio sicuro, quella certezza che sarebbe andato tutto bene quella volta, mentre lui aveva ancora in mente quando neppure suo fratello gli aveva fornito aiuto. Si sentiva davvero un derelitto solo ed abbandonato, ma per fortuna con sé aveva un prezioso e introvabile diamante. Un diamante unico, in grado di ridargli tutta la forza necessaria per sopravvivere e continuare quella estenuate fuga; era la sua amata.

Teresa era davvero una ragazza divenuta donna troppo in fretta, ma dotata di una forza e di un’intelligenza fuori dal comune. E lui l’amava alla follia. Quindi, si limitò ad annuire e ad allungare il passo, senza azzardarsi a contraddirla.

Ben presto, furono circondati da case in stato pietoso e da una puzza indescrivibile, rendendosi conto che in realtà quella città sembrava una fogna a cielo aperto. Attorno a loro, si udiva un chiacchiericcio continuo, mentre la gente per strada era davvero poca, poiché quasi tutti a quell’ora stavano consumando il pasto serale.

A quel punto critico, Teresa perse momentaneamente la sua sicurezza e si avvicinò al bordo della strada, mentre si chinava per far fronte a quello che sembrava un conato di vomito, facendo preoccupare tantissimo il brigante, che le si avvicinò e l’abbracciò.

‘’Che hai, amore?’’, le chiese con prontezza, offrendosi di sostenerla e cercando di tenere d’occhio il carro di Mauro, che nonostante tutto continuava a procedere spedito davanti a loro, sempre più distante.

‘’Nulla, tutto bene… colpa dei miasmi di questa città’’, mormorò la ragazza, poco convinta.

Giovanni aveva come la vaga sensazione che lei gli stesse nascondendo qualcosa da tempo, ed infatti quei malesseri erano sempre più frequenti nell’ultimo periodo. Sperò che non gli stesse nascondendo un qualche malanno grave, poiché se quei disturbi avessero riguardato altro, lei glielo avrebbe già di certo detto. Come le altre precedenti volte, non trovò opportuno chiederle altro a riguardo, anche perché la sua attenzione era tutta incentrata su ciò che lo circondava.

‘’E tu questa la definisci ancora una città? Per me è un ammasso di case povere e sporche. Ravenna rispetto a questo grande tugurio è una capitale’’, disse Giovanni, abbandonando le sue preoccupazioni di poco prima, mentre si guardava attorno e vedeva solo povertà.

Di tanto in tanto, mendicanti e perdigiorno se ne stavano appostati ad importunare chiunque capitasse loro a tiro, chiedendo insistentemente l’elemosina, mentre cani magri e gatti malandati infestavano ogni vicolo.

La situazione pareva critica, anche perché le case sembravano tutte povere e spoglie, mentre gli abitanti erano miseramente vestiti e tutto nel complesso puzzava come più di una grande carogna in putrefazione. Puzza di urina e di marciume, visto che gli abitanti riversavano in strada buona parte dell’immondizia organica prodotta nelle varie abitazioni.

‘’E’ una città di confine. Mauro l’aveva detto che la situazione non era affatto rosea, qui’’, disse la ragazza, riprendendo a camminare normalmente, mentre sembrava stare vistosamente meglio di pochi istanti prima.

‘’Alla faccia della situazione rosea! Questa è la città più povera che io abbia mai visto’’, mormorò il brigante, mentre si guardava attorno, sempre guardingo. Non credeva che in quel disordine ci fosse qualche gendarme in giro, ma non poteva finire a sbatterci contro, quindi doveva stare attento.

‘’Pensa che mio padre una volta mi ha parlato molto bene di questa città. Mi disse che Ferrara un tempo era grande e ricca, e governata da potenti signori. Ma questo è accaduto secoli fa, quando la città non faceva ancora parte dello Stato pontificio. Ora tutto è in rovina e la povertà dilaga ovunque, a quanto vedo’’, tornò a dire la ragazza a suo fianco, mentre il brigante non poteva far altro che annuire mentre tentava di trattenere il fiato e di proseguire il più velocemente possibile, cercando di non perdere di vista il carro di Mauro.

 

 

Dovettero camminare un’altra mezzora abbondante prima di giungere in una grande piazza, quella della cattedrale.

Immensi edifici si ergevano ovunque, edifici molto antichi che la ragazza avrebbe voluto visitare e vedere con più attenzione, ma fu a quel punto che Mauro lanciò il segnale, indicando per tre volte un punto ben preciso.

Teresa, sfinita da quella lunga camminata, afferrò per un braccio il suo amato, che nel frattempo si era distratto, e iniziò a proseguire nella direzione indicatale. Attorno a loro, la vita cittadina si svolgeva con regolarità, anche se la gente era quasi tutta in casa a quell’ora.

La ragazza camminò rapidamente, mentre il brigante le veniva dietro come un cagnolino, mugugnando qualcosa di cui lei neppure si interessò. Ora era ad un passo da colui che avrebbe potuto offrir loro un aiuto e non voleva perdere tempo prezioso.

Ma, alla fine, si bloccò di fronte al grande e possente cancello che chiudeva la larga via che le si apriva di fronte; era via Sabbioni, ed era la via principale del ghetto ebraico.

La ragazza inspirò, mente il brigante a suo fianco continuava a rumoreggiare.

‘’Che c’è? Perché questo cancello?’’, le chiese con insistenza, strattonandola con dolcezza.

‘’Questo è il ghetto ebraico di Ferrara. Non sempre la sua gente è stata ben voluta dal popolo, che con molta prontezza si è limitato a rinchiuderla all’interno di questo cancello’’, mormorò la contessina, troppo assorta per aggiungere altro.

Il cancello che separava il ghetto dal resto della città era lievemente scostato in quel momento, e lei e il brigante avrebbero dovuto sgattaiolarci dentro prima che venisse definitivamente chiuso con l’arrivo della notte. Inspirò nuovamente, e fece un cenno con la testa al suo amato.

‘’Ora entriamo. Vienimi dietro e non fiatare fintanto che non avremo trovato l’indirizzo che cerchiamo’’, disse a Giovanni, lievemente irritata. Poi, con grande ansia, entrò all’interno del ghetto.

Via Sabbioni era una delle strade principali del quartiere ebraico, e la ragazza dovette riconoscere che era stupenda, essendo contornata da decine di piccoli negozi incastonati in edifici dall’apparenza antichissima. Anche Giovanni si stava guardando attorno con uno sguardo piacevolmente sorpreso, poiché dopo aver visto lo stato di disordine e di povertà allarmante che regnava nella città, quella pareva davvero una zona tranquilla, pulita e benestante.

Attorno a loro, qualche uomo li fissava dalla sua bottega con curiosità, riconoscendo che molto probabilmente erano estranei al ghetto, quindi la giovane fu costretta ad ammettere a sé stessa che dovevano proseguire la loro ricerca nel modo più frenetico possibile, prima che la loro intrusione diventasse troppo evidente. Lì non c’erano persone vestite grezzamente come loro, e stavano attirando l’attenzione di tutti.

Cercando l’indirizzo preciso che le aveva lasciato suo padre, la ragazza iniziò a demoralizzarsi, poiché era circondata da negozietti e botteghe varie da tutti e due i lati della strada, ma alla fine con immenso sollievo riuscì a trovare ciò che cercava.

Incastonata tra i vari negozi, una casa antica si affacciava sulla strada ed aveva inciso lo stesso indirizzo che lei stava cercando.

Teresa inspirò per l’ennesima volta, poi afferrò la cordicella della piccola campanella posta davanti al portone principale e diede due piccoli strattoni, facendola suonare rumorosamente e restando in attesa, mentre deglutiva nervosamente e Giovanni la fissava con fare incuriosito, per poi avvicinarsi e abbracciarla per un istante.

Quel breve contatto fornì nuova forza alla contessina, che si preparò ad affrontare la sconosciuta che le aprì la porta e la guardò fin da subito con sospetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.

Ora i nostri due protagonisti sono giunti finalmente a Ferrara, fino a casa di colui che dovrebbe dar loro un aiuto. Ma sarà davvero così? Oppure riceveranno un altro rifiuto? Lo scopriremo prestissimo J

Grazie per continuare a seguire questo lungo racconto. Un immenso grazie ai gentilissimi recensori J

Grazie di tutto J a lunedì prossimo J

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Capitolo 61
*** Capitolo 60 ***


Capitolo 60

CAPITOLO 60

 

 

 

 

 

Giovanni non capiva nulla di quel quartiere. Era pulito e dalla parvenza benestante, e si differenziava dal resto della città poiché era pieno di botteghe e di gente vestita bene, anche se a volte in modi inusuali. La curiosità che più lo colpì sul momento fu che alcuni degli uomini che aveva scorto portavano sulla testa una sorta di cappellino rotondo, che lui non aveva mai visto indossare da nessuno prima di quel giorno.

Non aveva intravisto neppure un gendarme o un nobile per le strade di Ferrara che aveva appena percorso, e questo dava un senso di incredibile stranezza al tutto. Però, in quella specie di quartiere racchiuso all’interno di grandi cancelli c’era gente ben vestita. Gente pulita e dalla parvenza benestante, e non gente cenciosa come nel resto della città.

Fino a poco prima non aveva ricevuto alcuno sguardo, mentre da quando aveva varcato quel cancello tutti gli occhi parevano puntati su di lui e sulla sua amata. Sguardi pieni di curiosità. Di certo, il loro arrivo era stato notato dagli abitanti di quel quartiere, che Teresa aveva chiamato ghetto.

Lui non aveva la benché minima idea di ciò che fosse un ghetto e del perché fosse racchiuso all’interno di possenti cancelli, ma in quel momento si vide costretto a smettere di riflettere e a cercare di dare forza alla sua amata, che pareva titubante dopo essersi soffermata di fronte a quello che doveva essere l’indirizzo che stavano disperatamente cercando.

La contessina suonò la campanella, mordendosi un labbro con indecisione crescente, e solo allora il brigante tornò la forza per avvicinarsi a lei e abbracciarla per un istante. Quel breve contatto parve avere gli effetti desiderati, poiché la ragazza sembrò riacquistare sicurezza fin da subito, lanciandogli un breve sorrisetto.

Poi, la porta dell’abitazione si spalancò di fronte a loro due, ed una vecchia serva li fissò con fare incuriosito.

‘’Chi siete?’’, si affrettò a dire la donna, mentre si sfregava le mani sul grembiule bianco candido tipico delle cuoche.

‘’Avremmo bisogno di parlare con signor Isacco Montignoni. È in casa?’’, chiese Teresa, evidentemente in imbarazzo.

Giovanni si limitò a tacere e a lasciar parlare la sua amata, visto che gli aveva espresso chiaramente il fatto che doveva lasciare fare a lei, quindi si limitò ad avvicinarsi e a prenderla a braccetto, in modo da farle sentire nuovamente la sua vicinanza.

‘’Non so chi siete. In questa casa, i forestieri sconosciuti non sono i benvenuti’’, disse frettolosamente la serva, preparando a ritirarsi e a chiudere la porta in faccia ai due.

La contessina, sbalordita dalla pronta e maleducata reazione dell’interlocutrice, non pareva aver voglia di demordere. Pure il brigante non voleva essere sbattuto fuori da quella casa da una misera domestica, poiché lì dentro c’era il loro unico appiglio rimasto e l’ultima possibilità di ricevere un aiuto concreto da qualcuno.

‘’Allora se non volete farci entrare, per favore date questo scritto al signor Montignoni’’, disse Teresa, porgendo alla serva quella lettera che era stata scritta da suo padre e che la ragazza aveva conservato avidamente per tutto il periodo della loro fuga.

‘’Va bene. Ma non datemi del voi, sono solo un’umile cuoca’’, disse la donna con fare sospettoso, afferrando il foglio scritto che le veniva allungato e chiudendo nuovamente la porta.

‘’Bene’’, mormorò Giovanni, avvilito e irritato. Per l’ennesima volta, una porta era stata loro chiusa sotto il naso, e questo era davvero umiliante.

La contessina lo gelò con uno sguardo truce.

‘’Non provarci neppure a fare dell’ironia. Se tutto va bene, tra poco questa porta tornerà ad aprirsi’’, disse poco dopo Teresa, con la sua solita maschera piena di sicurezza ben posta sul volto. Il brigante dovette reprimere l’impulso di lasciarsi andare ad una risata amara.

‘’Piantala, Teresa. Andiamocene di qui! Come credi di poter conquistare la fiducia di quel tizio che se ne sta barricato in questa casa, sentiamo? Con un pezzo di carta scritto, forse?’’, tornò a dire Giovanni, lasciandosi andare e allargando le braccia, compiendo un gesto veemente.

Le sue parole andarono a segno, ma la contessina parve uscirne più ferita del previsto da quel dibattito.

‘’Hai un’idea migliore? Ora quell’uomo leggerà la lettera, e riconoscendo la scrittura e la firma di mio padre, ci farà poi entrare in casa. E se non sarà così, almeno ho provato a fare qualcosa, e non sono rimasto smorto con le mani in mano per tutto il tempo!’’, disse la ragazza, alzando lievemente la voce.

‘’Non ti permettere! Sei stata tu a dire che dovevo tacere, ed è quello che stavo facendo. Mi ritieni forse inferiore solo perché non so leggere e non so scrivere? Non me ne importa di quelle cose lì, e non credo che abbiano tanto potere sulla gente. Resteremo in strada anche questa volta’’, sbottò Giovanni, mentre la contessina scuoteva il capo e si appoggiava al muro dell’abitazione, mettendosi poi le mani sul volto.

Accorgendosi di aver esagerato e di aver ferito la sua amata, il brigante si affrettò ad abbracciarla e ad allungarle un bacio su una guancia.

‘’Mi dispiace. Non volevo discutere con te. Ho davvero esagerato, questa volta… perdonami, ti prego’’, le sussurrò all’orecchio, davvero dispiaciuto. La stanchezza che aveva accumulato lo stava rendendo sempre più intrattabile, ed invece di lodare la sua compagna di fuga per il coraggio e la fermezza che stava dimostrando, era finito per offenderla. E questo gli faceva molto male.

‘’Tranquillo. Siamo entrambi sfiniti…’’, disse Teresa dopo un attimo, accettando il suo bacio.

‘’Qui ci guardano tutti. E’ meglio andarcene, o attireremo di certo ogni inopportuna attenzione su di noi’’, tornò a dire Giovanni, notando che il tempo stava inesorabilmente scorrendo e che gli occhi puntati su di loro erano aumentati dopo la breve discussione ad alta voce in strada.

La contessina gettò un ultimo sguardo disperato alla porta chiusa alle sue spalle, e tirando su col naso si discostò dal muro, allontanandosi. Il brigante comprese che a quel punto anche lei si era arresa.

Eppure, proprio mentre iniziavano ad allontanarsi insieme, mano nella mano, la porta che racchiudeva le loro ultime speranze si spalancò.

‘’Signori, il padrone di casa vi attende’’, disse la matura serva di poco prima, invitandoli in casa e tenendo ben aperto l’uscio.

Teresa lanciò uno sguardo pieno di speranze al brigante, che in cuor suo non sapeva che pensare. Eppure, seguì la sua amata ed entrò dentro a quella casa, senza farsi altri problemi ed affidandosi totalmente a lei, che ormai era diventata il suo faro e l’unico motivo per cui continuava a vivere senza farla miseramente finita.

 

Teresa entrò in quella casa con grande sollievo, e la gioia dentro di lei era talmente tanta che neppure si guardò intorno, e rischiò di finire a sbattere contro un attaccapanni di legno posizionato poco distante.

Cercando di riprendere il controllo delle sue emozioni, che in quel momento era in subbuglio dentro di lei poiché le speranze parevano essersi avverate, la ragazza attese cortesemente che anche Giovanni entrasse e che la serva chiudesse la porta.

‘’Seguitemi’’, disse la donna, incamminandosi verso una porta laterale al grande corridoio iniziale, già socchiusa.

Teresa ebbe modo di notare che l’abitazione era davvero sfarzosa al suo interno, e che il signor Isacco doveva essere davvero molto benestante, ma non fece in tempo a far caso a molto altro, poiché Giovanni la prese per mano, ed insieme seguirono la serva, ritrovandosi però in un freddo ambiente laterale spoglio e privo di arredi.

La contessina guardò dietro di sé, gettando un’ultima occhiata all’ingresso ospitale e caldo della casa, mentre la serva chiudeva la porta dietro di lei, dando pure un giro di chiave e facendo scattare la serratura.

‘’Ma… dove ci stai portando?’’,chiese la ragazza, allibita.

Trovandosi chiusa in quell’ambiente spoglio e freddo a lei sconosciuto, Teresa iniziò a porsi domande scomode e le sue speranze parvero indebolirsi a tal punto da lasciarla sola in compagnia delle sue paure.

Dal canto suo, il brigante le strinse la mano con ancora più forza; anche lui pareva aver percepito che qualcosa non stava andando per il verso giusto.

‘’Seguitemi, prego’’, ripeté la serva, senza sorridere e riprendendo a muoversi verso un punto indeterminato.

‘’Non vi seguiamo oltre’’, disse la ragazza riprendendo a dare del voi alla serva sconosciuta, facendo poi due passi indietro e sbattendo contro la porta chiusa alle sue spalle. Le sembrò di essere in trappola.

Per un attimo, pensò al peggio.

‘’Quella maledetta ci ha chiuso qui dentro! Cosa vuole da noi? Cosa c’era scritto in quella lettera che hai consegnato al padrone di casa?’’, chiese Giovanni a bassa voce, lasciandosi andare ad una crescente agitazione.

‘’Nulla che potesse farlo arrabbiare o insospettire così tanto da chiuderci a chiave in un luogo come questo…’’, mormorò la ragazza, riflettendo sul da farsi.

‘’Seguitemi, vi ho detto. E non agitatevi inutilmente, non c’è nulla di cui sospettare! Se non la si chiude a chiave, quella porta si apre continuamente, visto che ha un problema con la serratura. Venite con me e tra poco sarete al sicuro’’, disse ad alta voce la serva, notando il momento concitato.

‘’Taci e apri…’’.

‘’Ti seguiamo’’, disse Teresa, afferrando saldamente il braccio di Giovanni ed impedendogli di concludere quella frase che stava per gridare.

Erano in casa di ebrei benestanti, e la serva appariva perplessa di fronte al loro comportamento, quindi molto probabilmente non avevano nulla da temere. Inoltre, la donna aveva utilizzato una scusa plausibile, e forse li stava portando dal proprietario di casa.

Fino a quel momento non c’era motivo per spaventarsi così tanto e cadere nel terrore.

Il brigante le lanciò un’occhiata perplessa, e lei si limitò a fargli cenno di fidarsi e di seguirla, incamminandosi nuovamente dietro la loro accompagnatrice, che sorrise compiaciuta.

Continuarono a camminare tutti e tre per qualche minuto, percorrendo un corridoio basso, grigio e spoglio, fintanto che non sbucarono in un grande capannone vuoto. Lì dentro almeno era più caldo, ed un grande camino era acceso poco distante, abbastanza vicino ad un tavolo scuro e ad alcune sedie. Si doveva trattare di un ambiente laterale al retro dell’abitazione.

‘’Accomodatevi lì, e abbiate la pazienza di attendere un attimo, per cortesia’’, disse la serva indicando le sedie, per poi allontanarsi rapidamente e chiudere l’ennesima porta dietro di sé, una porta che Teresa non aveva notato quando era entrata in quel capannone, che in realtà pareva essere un magazzino vuoto.

‘’Ecco, bene. Hai impedito che mi ribellassi, ed adesso ci troviamo chiusi dentro ad un capannone vuoto’’.

La voce forte e roca di Giovanni riscosse la ragazza, che nel frattempo stava continuando a riflettere.

‘’Una tua reazione così aggressiva era a dir poco immotivata. Non c’è motivo di agitarsi così tanto, d’altronde ci hanno fatto entrare nella loro dimora e nulla è poi così insensato o inquietante, per ora’’, disse la contessina, andando a sedersi su una sedia vicina al tavolo e al camino acceso.

‘’Anche tu prima mi parevi spaventata’’, tornò a dire il brigante, irritato.

‘’E’ stato solo un attimo di paura. E comunque, sono giorni che siamo in fuga, e devo essere sospettosa riguardo a tutto. Ma qui non mi sento in pericolo, in questo momento’’, disse la ragazza, sospirando ed incrociando le braccia sul tavolo.

Giovanni la raggiunse ma non si sedette.

‘’Come fai a dirlo? Questo sembra un posto sospetto, così spoglio e vuoto. E poi, per raggiungere questa casa siamo dovuti entrare da un cancello che lo separa dal resto della città. Tutto è in ordine, tutto è così strano. E questo fantomatico padrone di casa che ci ha chiusi in questo capannone non deve essere da meno’’, continuò a dire il brigante, stando in piedi e incrociando le braccia sul suo ampio petto.

‘’Questo non è un quartiere come gli altri, è un ghetto. I cancelli che hai visto servono per emarginare questa zona dal resto della città, e di notte vengono chiusi in modo che chi ci abita non possa uscire’’, disse la giovane, cercando di far chiarezza. Ma il brigante la guardò con perplessità crescente.

‘’Addirittura! Quindi ci troviamo in una sorta di carcere? Guarda un po’ te dove siamo finiti…’’, disse Giovanni, dando un pugno sul tavolo.

Teresa scosse la testa, comprendendo che il brigante non aveva la benché minima idea di cosa fosse un ghetto, e di certo non doveva essere neppure a conoscenza che esistessero. Notando la sua agitazione crescente, decise di fare un passo indietro e cercare di spiegargli meglio la vicenda, almeno per ammansirlo un po’.

‘’Un ghetto non è un carcere, anche se è pur sempre un luogo di contenimento. Qui dentro, ci vivono solo ebrei, e possono praticare il loro culto. Non sono persone cattive, ma molto spesso la gente non li vede di buon occhio, e molti pontefici in passato li hanno perseguitati senza mezzi termini. Per questo ora vivono reclusi in questo spazio riservato solo a loro’’, aggiunse la contessina, cercando di ricordare ciò che le aveva raccontato il padre a riguardo.

Lei stessa non aveva mai visitato un ghetto prima di allora, e da quel che le avevano detto non erano neppure visitabili. Era un luogo riservato solo agli ebrei, e loro due avevano violato la legge entrandoci. Ma d’altronde, per loro ormai la legge non contava più nulla.

Suo padre diceva sempre che aveva avuto modo di conoscere molti mercanti ebrei, dai quali aveva acquistato piccole mercanzie da giovane e con i quali era riuscito ad avere ottimi rapporti, a discapito di tutto quello che gli avevano detto su di loro.

‘’Non so… spero davvero che qualcuno ci faccia uscire di qui…’’, biascicò il brigante, lasciando da parte le sue perplessità, per poi raccogliere un pezzo di legno dall’apposito mucchio per gettarlo nel camino, che riprese piacevolmente a scoppiettare. E in quel momento la porta che avevano di fronte si aprì, ed entrò un uomo ormai anziano.

Notando che stringeva la lettera di suo padre tra le mani, Teresa comprese che doveva trattarsi del padrone di casa, e si alzò subito dalla sedia.

L’uomo si bloccò a poca distanza da lei, fissandola con attenzione.

‘’Siete identica a lui. Voi siete senz’altro sua figlia!’’, disse poi, avvicinandosi ulteriormente.

‘’Sì, sono la figlia del conte Luigi Scalindi’’, disse la contessina, imbarazzata da quello sguardo profondo ed attento. Poco distante, poté udire il sommesso grugnito emesso dal suo amato, sicuramente indispettito per qualcosa a lei ignoto.

‘’Bene, è un piacere per me fare la vostra conoscenza. Io sono colui che cercate, il signor Isacco citato in questo piccolo scritto. Piacere di conoscervi’’, disse poi l’uomo, sorridendo affabilmente.

Teresa rispose al suo sorriso, e in quell’attimo ogni dubbio sul padrone di casa svanì. Isacco era un uomo sulla sessantina, o forse l’aveva già lievemente passata, con una lunga barba grigio-bianca e i capelli corti e ingrigiti.

Non aveva nulla che potesse incutere un timore reverenziale, poiché era davvero molto basso ed esile, ed era inoltre dotato di un sorriso caldo e sincero, in grado di trasmettere tranquillità. Senza avere un motivo specifico, Teresa lo aveva già preso in simpatia e le venne da fidarsi in modo naturale e spontaneo.

I suoi abiti erano in ordine e tutto in lui aveva una parvenza tranquilla e curata.

Subito dopo i brevi convenevoli scambiati con la contessina, Isacco fissò Giovanni.

‘’Perdonatemi, ma costui chi è?’’, chiese l’uomo, perplesso.

‘’E’ una lunga storia…’’, disse Teresa, mentre il suo amato pareva di nuovo in procinto di agitarsi. Gli fece un piccolo cenno per tranquillizzarlo e per evitare che dicesse qualcosa o offendesse in qualche modo il padrone di casa.

‘’Beh, avremo tempo per parlare. Nel frattempo, mi scuso per l’accoglienza; la mia fedele cuoca non si fida mai di nessuno, ed ora che siamo praticamente senza servitù tutti i compiti di casa ricadono su di lei, per questo può apparire scortese a tratti. E vi chiedo scusa anche per non avervi accolto nella mia umile dimora, ma non lo ritenevo opportuno né per voi né per me.

‘’Di certo, gli altri abitanti del ghetto vi avranno notato mentre entravate e stazionavate sotto il mio portone, e qui gli sconosciuti che provengono dall’esterno portano solo guai. Cercherò di dire con i vicini e i negozianti che siete miei parenti, comunque, anche se non ci crederà nessuno. Ma qui ci supportiamo tutti a vicenda, comunque vada, e giustificheranno senz’altro la mia riservatezza’’, concluse Isacco, strizzando lievemente gli occhi.

La contessina capì solo in quel momento i dubbi dell’uomo, e non si sentì di dargli torto.

‘’Non è stato un problema’’, affermò la ragazza con cortesia, mentre Giovanni si lasciò sfuggire due colpi di tosse per segnalare la sua irritazione sull’accoglienza. Teresa si affrettò a lanciargli un’occhiataccia.

‘’E’ una grande vergogna per me lasciarvi in questo piccolo magazzino, ma vedete, qui siete al caldo, al coperto e al sicuro. Non posso ospitarvi nella mia abitazione, poiché mi pare di capire dalla lettera che se siete giunti fin qui è perché siete in gravi difficoltà, e noi non possiamo correre pericoli… insomma, comprendetemi; noi siamo mal visti in città, ed inoltre questo non è un posto per persone come voi, e se qualcuno vi scovasse nel mio soggiorno sarebbero guai per tutti quanti’’, aggiunse Isacco, lievemente imbarazzato, mentre cercava di spiegare la delicata situazione.

‘’Certo, avete senz’altro ragione’’, annuì Teresa, comprendendo ciò che intendeva il suo interlocutore.

In passato, suo padre le aveva raccontato che gli ebrei erano stati duramente perseguitati, soprattutto sotto certi pontefici, che giunsero addirittura a far supervisionare i loro momenti di culto, dopo averli chiusi nei ghetti.

Ultimamente, Gregorio XVI pareva più impegnato a combattere i vari moti e ogni idea di libertà del suo popolo, e fortunatamente sembrava non far troppo caso alla presenza ebraica sul suo territorio.

Ma se qualcuno avesse scoperto che nel ghetto di Ferrara venivano nascosti dei fuorilegge fuggitivi, sarebbero sorti problemi per l’intera comunità, e non solo per quella ferrarese. La ragazza si trovò quindi a comprendere i rischi che stava comunque correndo il padrone di casa, già solo per averli lasciati entrare. D’altronde, lui si era fidato solo di una lettera scritta da un vecchio conoscente, e non aveva idea di chi fossero loro.

‘’Ma voi… perché cercate così disperatamente un mio aiuto? Che vi è successo di preciso?’’, tornò a chiedere Isacco, sempre fissando Teresa. Pareva veramente colpito da lei, e la contessina si sentì arrossire lievemente quando iniziò a spiegare la loro vicenda. Sembrava che la stesse studiando con attenzione.

La ragazza si fidò ciecamente dell’uomo e raccontò tutto ciò che era accaduto a lei, al suo brigante e a suo padre, partendo dall’inizio della vicenda e senza omettere nulla. Sapeva che doveva essere assolutamente sincera, a quel punto.

Isacco annuì grevemente di tanto in tanto, lasciandola parlare senza mai interromperla, ascoltandola con attenzione mentre Giovanni pareva lasciarsi andare al sonno, stando seduto in modo scomposto ed appoggiando la testa sul tavolo. Il padrone di casa non parve particolarmente scosso neppure quando gli raccontò i particolari più macabri della vicenda.

L’unica presente in quel magazzino oltre a loro tre fu la serva che li aveva accompagnati fin lì, che rattizzò il fuoco del grande camino e fece avanti e indietro parecchie volte, indaffarata come non mai.

Non appena ebbe finito di raccontare tutta la storia, la ragazza diede una sonora scossa al suo amato, che sobbalzò.

‘’No, no! Vi prego Teresa, lasciatelo riposare. Immagino che sarete stanchi dopo un’avventura così lunga e spiacevole! Ebbene, la mia fedele ed unica serva vi avrà già preparato una stanzetta tutta per voi, con comodi giacigli per la notte. Deve essere chiaro che siete miei ospiti, chiedendovi però scusa se non potrò ospitarvi tra le mura domestiche’’, si affrettò a dire Isacco, mentre Giovanni grugniva e si rialzava dalla sua sedia.

‘’Vi ringraziamo per l’aiuto’’, disse gentilmente Teresa, osservando il suo amato.

Giovanni pareva non rendersi conto di nulla, e non aveva una benché minima idea di cosa fosse l’educazione. Si comportava ancora come quando era tra i suoi monti, senza badare agli atteggiamenti più scomodi o irritanti, e senza osservare alcuna buona maniera. Era semplicemente Zvàn, il brigante ricercato e senza più una banda.

Pensando a tutto ciò, la contessina non riuscì a rimproverare il brigante per il suo comportamento brusco, ma provò una grande tenerezza per quell’uomo sradicato dalle sue origini, e che per salvarsi era stato costretto a gettarsi in un mondo a lui totalmente sconosciuto.

Sperò che anche Isacco comprendesse il motivo di quella mancanza assoluta del rispetto delle norme basilari di un comportamento educato, e fu così, poiché il loro saggio interlocutore doveva già aver compreso tutto dal racconto che aveva appena udito e non fece caso a nulla.

‘’Ci scusiamo anche per il comportamento non proprio eccezionalmente educato’’, mormorò comunque la ragazza, mentre Isacco faceva un piccolo cenno con la mano.

‘’E’ tutto a posto, neppure io sono stato particolarmente educato nei vostri confronti’’, rispose l’uomo, tranquillamente.

‘’E’ ormai notte’’, fece notare il brigante, guardando in alto attraverso i vetri piccoli di quell’ampio spazio. Teresa evitò di guardarlo male mentre Isacco annuiva grevemente.

‘’Esatto, e sarebbe meglio per tutti noi se andassimo a dormire. Domani cercherò di pensare qualcosa per aiutarvi in modo concreto. Dopo aver udito ciò che vi è accaduto, credo comunque che siate brave persone, e voglio fidarmi di voi e darvi una mano, in un qualche modo’’, disse poi il padrone di casa, alzandosi dalla sua sedia. Era molto rilassato e la ragazza comprese di essere riuscita a conquistare la sua fiducia.

‘’Vi ringraziamo…’’.

‘’Basta ringraziarmi. Non ho ancora fatto nulla per voi, ma vi prometto che vi aiuterò ad uscire da questa brutta situazione e a salvarvi la pelle’’, aggiunse Isacco, interrompendo i ringraziamenti della contessina, che sorrise nuovamente, mentre le speranze tornavano a riprendere possesso del suo cuore e della sua mente. Per fortuna, qualcuno pareva disposto ad aiutarli.

‘’Mi scuso se vi ho fissato con così grande insistenza, Teresa. È solo che… mi ricordate lui. Vostro padre, intendo’’, tornò a dire il padrone di casa proprio quando pareva in procinto di congedarsi.

‘’Capisco’’, si limitò a dire la contessina, sorridendo. Molti le dicevano che si assomigliava tantissimo al padre, sia nei tratti del volto sia nel modo di comportarsi.  

‘’Avete il suo stesso volto. Quando lo conobbi, avrà avuto più o meno la vostra età, ed eravamo entrambi poco più che ragazzi. Certo, ragazzi con vite ed idee estremamente differenti, ma entrambi avevamo un punto fisso; guadagnare denaro con il commercio’’, disse Isacco, sorridendo anch’esso.

Teresa rimase allibita di fronte a quell’affermazione, e per un attimo si chiese se quell’uomo avesse per davvero conosciuto suo padre. Il conte Luigi era un nobile, e di certo non aveva alcun interesse nel commercio.

Il padrone di casa dovette riconoscere lo stupore sul suo volto, e ridacchiò.

‘’Non lo sapevate, eh? Ebbene sì, il conte Luigi Scalindi aveva grandi doti da mercante. Una follia! Quando suo padre scoprì i suoi intenti, gli combinò subito un matrimonio e lo costrinse a sposarsi con vostra madre, in modo da fargli mettere la testa a posto ed impedirgli di investire su qualcosa che secondo lui non aveva senso’’.

‘’Mio padre… mercante?’’, disse la contessina, dopo un attimo di esitazione. Le pareva una cosa impossibile. Suo padre si era sempre dedicato al controllo delle sue terre e dei suoi beni, e da quel che lei sapeva, non aveva mai commerciato con nulla che non fosse il grano o il foraggio prodotti nei suoi campi.

‘’Sì, certo. Fu così che ci conoscemmo. Aveva intenzione di investire su un carico di lana grezza proveniente dall’est dell’impero austroungarico, diceva che una volta lavorata sarebbe valsa una fortuna e che gli avrebbe reso molto di più del raccolto delle sue misere terre, tirate avanti da una masnada di scheletrici contadini senza forza né futuro.

‘’Per questo venne da me; ero ancora giovane ma i miei viaggi parevano senza limiti e i miei commerci senza confini. Io gli promisi la lana, ma suo padre, ovvero tuo nonno, lo scoprì mentre sottraeva del denaro dal tesoro di famiglia. E lì, tra i due fu la fine, e finirono anche i suoi sogni da mercante. Ma forse questo non ve lo dovevo raccontare, perdonatemi’’, disse infine Isacco, che accorgendosi di essersi spinto un po’ troppo oltre smise di parlare e si scusò.

Teresa assimilò il tutto con stupore. Sapeva che suo padre e suo nonno avevano litigato pesantemente qualche anno prima che lei nascesse, ma nessuno le aveva mai spiegato il motivo di quella discussione.

Per lei non era mai contata nulla, poiché poi non aveva avuto modo di conoscere bene il nonno, un uomo molto rigido che era venuto a mancare quando lei aveva appena due anni di vita. Però, il conte Luigi non parlava mai volentieri del padre, e spesso si era lasciato sfuggire frasi piene d’astio nei suoi confronti, che lei aveva prontamente ignorato, credendo che fosse giusto non doversi impicciare troppo nel passato del genitore.

Effettivamente, il conte suo padre era pur stato un uomo dalla mente aperta ed ingegnosa, sempre lievemente in contrasto con la totale inattività della nobiltà più radicale e antica, ma mai si sarebbe aspettata che anni addietro fosse giunto ad inseguire un sogno ed entrare in disaccordo con la sua famiglia e, molto probabilmente, anche con il resto della società aristocratica e perbene.

A quel punto, la contessina si accorse che sia lei che suo padre avevano inseguito un sogno, ma quello paterno era finito male. La giovane deglutì.

‘’No… non avete parlato troppo. È solo che non ero a conoscenza di tutte queste cose… in ogni caso, comunque sia andata a finire la vicenda, mio padre non vi ha mai dimenticato; spesso mi ha parlato di voi, e prima di morire mi ha scritto questa lettera, dove mi consigliava di raggiungervi in caso di necessità’’, disse Teresa, tornando a parlare dopo aver riflettuto per un attimo. Non voleva sapere altro su quella vicenda passata, d’altronde non le riguardava. Suo padre era sempre stato un pilastro per lei, e qualunque cosa avesse fatto da giovane non le importava.

‘’Questo mi fa piacere. Inoltre, neppure io mi sono mai dimenticato di lui, e gli devo tanto, tantissimo… mi dispiace che sia venuto a mancare così presto’’, disse il padrone di casa, sinceramente dispiaciuto e tornando a sedersi a fianco della ragazza.

Con piacere, Teresa notò che anche Giovanni stava ascoltando la loro discussione, questa volta con educazione, mentre di tanto in tanto lanciava qualche occhiata al fuoco che ardeva nel camino e che gettava grandi e oscure ombre tutt’attorno a loro.

‘’Anche a me dispiace tanto’’, disse la giovane rivolgendosi al suo interlocutore, sperando di cambiare discorso. Ripensare alla fine di suo padre la faceva stare malissimo.

‘’Sapete, io ho un debito con lui. Quando i miei affari iniziarono ad andare a rotoli, non sapevo a chi rivolgermi; per il resto della mia comunità ero un’irresponsabile, e forse era vero, e decisero di punirmi.

‘’Sta di fatto che nessuno mi diede un aiuto concreto, ma quando scrissi a vostro padre e spiegai i miei problemi, mi prestò una buona somma, che mi permise di riprendermi e di mettere su parte di ciò che ho ora. Era davvero un uomo di buon cuore, il migliore di tutti’’, riprese a dire Isacco, ormai incurante del fatto che fosse notte già da un po’.

‘’Lo so, aveva davvero un cuore grande. E, per favore, d’ora in poi datemi del tu’’, disse la contessina, mentre annuiva.

Sentiva che si poteva fidare di quell’uomo, e non voleva che lui la trattasse con troppo riguardo. Un riguardo che non meritava, perché lei sulla carta non era più una contessina ma solo un’ombra assassina, una ragazza che aveva ucciso e rubato.

‘’Come preferisci. Sappi che però ho intenzione di ripagare il mio grosso debito, che ora è nei tuoi confronti, Teresa, visto che il tuo buon padre è venuto a mancare. Non ho mai avuto modo di risarcirlo, negli ultimi quindici anni, poiché i miei affari non sono mai andati troppo bene, come puoi notare dal magazzino praticamente vuoto. Però, quell’aiuto mi ha permesso di restare a galla e di non rischiare di perdere nulla per tutto questo tempo. Ed io non esiterò ad aiutarti; questa notte rifletterò, cercando di provare ad offrirti un aiuto concreto’’, disse Isacco, con grande sincerità.

‘’Voi non avete alcun debito nei miei confronti, davvero. Comunque, da parte ho un po’ di denaro’’, disse la contessina, approfittandone per mostrare la saccoccia piena di soldi, i risparmi di Alfonso che aveva rubato alcuni giorni fa.

L’uomo la afferrò, la aprì e rimase sorpreso.

‘’E’ una fortuna. Con questi soldi e con qualche dritta, son certo che potrete rifarvi una vita. Ho già qualche blanda idea su come impiegare questo denaro, ma preferirei riparlarne domani, dopo averci riflettuto sopra durante questa nottata. Quindi, ne approfitto per augurare ad entrambi una buona notte e rassicurarvi; qui dentro siete al sicuro, e il mio magazzino vuoto è un nascondiglio perfetto. Non preoccupatevi di nulla e riposate, domattina vi spiegherò i piani che ho appena cominciato ad ideare per voi’’, concluse Isacco, alzandosi dalla sedia e preparandosi a congedarsi. Continuava ad apparire sorpreso da quando aveva visto tutto quel denaro.

‘’Sì, certo. Ormai è buio già da tempo…’’, disse Teresa, alzandosi anch’essa, mentre anche il brigante abbandonava la sua sedia. La ragazza lasciò che il padrone di casa tenesse i soldi di Alfonso, visto che lei non li aveva mai neppure contati, sapendo ormai di potersi fidare dell’uomo che aveva di fronte, che le pareva davvero molto sincero e perbene. Inoltre, rifiutò il cibo che le fu portato dalla serva, così come anche il suo Giovanni; erano entrambi troppo stanchi e scossi per potei ingurgitare qualcosa.

‘’Vedete? Quella è la vostra stanzetta. Chiudevi al suo interno, e lì sarete entrambi al caldo e al sicuro. A domani, e serena nottata’’, concluse il padrone di casa, indicando una piccola porticina laterale e salutando cortesemente.

‘’Serena nottata anche a voi, e grazie di tutto’’, mormorò Teresa, mentre l’uomo già se ne andava.

Seguita a ruota dal brigante, si diresse verso la porticina che le era stata indicata e la aprì, trovandosi di fronte ad un piccolo ambiente che conteneva due bei giacigli dall’apparenza molto comoda, il tutto illuminato dalla tenue luce di una candela.

Senza indugiare oltre, si gettò a capofitto su uno dei due, sdraiandosi e chiudendo gli occhi, mentre il suo amato richiudeva la porta dietro di sé.

‘’E’ stata la serata più noiosa di tutta la mia vita’’, disse Giovanni, sdraiandosi anch’esso a suo fianco.

‘’Non lamentarti’’, mormorò Teresa, sfinita e stanca. Capiva il brigante, che era stato tenuto ai margini della discussione per tutta la serata, ma in quel momento non aveva voglia di ascoltare le sue inutili lamentele e desiderava solo dormire.

‘’Non mi lamento, infatti. Finalmente qualcuno ci ha promesso un aiuto! Inoltre siamo al caldo, abbiamo un tetto sopra la testa ed è tutto comodo e pulito’’, disse  il suo amato, con un tono di voce abbastanza sollevato, mentre analizzava tutto ciò che lo circondava.

Con lentezza, la contessina aprì gli occhi e gettò uno sguardo verso Giovanni, guardandolo mentre si distendeva meglio sul suo giaciglio. Era molto provato dagli scorsi giorni, e i suoi movimenti lenti e impacciati confermavano la sua stanchezza.

Teresa sorrise, mentre si chiedeva se conosceva davvero a fondo il suo amato. Alla fine, aveva scoperto di non conoscere bene neppure suo padre.

Scrollò la testa, capendo che ogni uomo doveva avere un qualche suo segreto, altrimenti avrebbe perso il suo fascino.

Suo padre alla fine era riuscito ad indirizzarla con scaltrezza verso il punto giusto, e verso l’abitazione giusta. Isacco era vincolato a lui da qualche vecchio debito a lei ignoto e da un’amichevole fiducia, e ciò prometteva già qualcosa di per sé. In quel modo il genitore era stato disposto anche a farle conoscere indirettamente una parte scomoda della sua vita, di cui non le aveva mai parlato.

In fin dei conti, si trovò davvero a sentire la mancanza di suo padre e a riconoscerne il suo grande ingegno e il suo spirito di sacrificio. Avrebbe dato di tutto pur di poterlo abbracciare, in quel momento.

A quel punto, mentre rifletteva, Teresa scoprì di essersi quasi addormentata, e si allungò per spegnere la candela. Ma una fitta alla pancia la travolse.

La contessina si sfiorò il ventre lievemente arcuato con delicatezza, sperando che il dolore si calmasse, mentre in realtà aumentava. Era un dolore strano, non una lievissima sensazione come al solito, che fino a quel momento si era limitata a provocarle solo alcuni attacchi di nausea improvvisi.

Comunque, riuscì a spegnere la candela e a non fare notare il suo dolore a Giovanni, che ormai pareva già nel mondo dei sogni. Lui ancora non sapeva nulla della sua gravidanza, ancora agli stadi iniziali e ben nascosta sotto ai vestiti, e lei non aveva idea di quando gli avrebbe rivelato tutto, ma capiva che era meglio attendere di essere al sicuro, in modo che non si montasse la testa e che non si facesse troppi scrupoli che avrebbero solo rischiato di rallentare i loro scopi, sperando che il bambino stesse bene.

Sapeva che si stava eccessivamente trascurando, ma non poteva fare altrimenti, purtroppo.

Con una certa incertezza, la ragazza si sdraiò e riuscì ad addormentarsi subito, complice la stanchezza accumulata in quei lunghissimi giorni di fuga incessante.

 

 

Teresa stava sognando di essere al sicuro, in quella grande casa disabitata dove aveva soggiornato durante il periodo del suo rapimento e dove era nato il suo unico e grande amore.

Giovanni la stava abbracciando, cingendole il ventre con delicatezza, mentre pronunciava parole d’amore.

Era un bellissimo sogno. Ma, tutto ad un tratto, la stretta del suo amato divenne una morsa dolorosa.

Lei avrebbe voluto dirgli di smetterla, poiché attendeva un figlio da lui, e quel bimbo era proprio all’interno del suo ventre appena accennato, ma non ci riuscì.

Ben presto, il dolore divenne lancinante.

La contessina si risvegliò nel cuore della notte, sudata e singhiozzante, mentre si cingeva il ventre con le mani e il dolore diventava reale ed infernale.

‘’Giovanni!’’, gridò, mentre due lacrime calde le scorrevano lungo il viso. Non capiva cosa le stava succedendo, e la sua mente era ancora annebbiata dal sonno recente, mentre si accorse che il brigante era già a suo fianco e le stava chiedendo qualcosa, avvolto nel buio.

Quando comprese ciò che stava accadendo, la ragazza tornò a rivivere quei momenti orrendi di qualche mese prima, in cui aveva perso il suo primo figlio durante la fuga da suo marito, e gridò ancora più forte, lasciandosi andare al panico.

La tenue luce prodotta dalla candela appena accesa dal brigante rischiarò per un attimo la stanzetta offerta loro da Isacco, ma lei ben presto tornò ad essere avvolta dal buio, perdendo i sensi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.

Siamo giunti ad un punto chiave del racconto; vedremo se Isacco offrirà per davvero un aiuto concreto ai nostri due protagonisti.

Spero di essere riuscito a fare un buon lavoro anche in questo capitolo, e che tutto vi sia risultato gradevole e curioso da leggere.

Nel prossimo capitolo scopriremo cosa sta accadendo a Teresa, e se ciò avrà nuove ripercussioni sulla sua vita.

Grazie infinite a tutti coloro che mi sostengono ogni volta con i loro graditissimi e gentilissimi pareri J

Grazie di cuore, e buon inizio settimana J a lunedì prossimo J

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Capitolo 62
*** Capitolo 61 ***


Capitolo 61

CAPITOLO 61

 

 

 

 

 

Giovanni teneva stretta la mano destra della contessina tra le sue, mentre dentro di sé provava sentimenti molteplici.

Provava rabbia nei confronti della sua amata, che non gli aveva rivelato nulla sulla sua gravidanza e aveva cercato di tenergliela nascosta, impedendogli quindi di prendere opportuni accorgimenti e di aiutarla, e magari di impedirle di stancarsi troppo. Ma provava anche un senso di vergogna molto forte, che lo costringeva quasi a piangere.

Per molte volte durante gli ultimi giorni la sua amata aveva presentato segnali di intenso malessere, ma lui invece di cercare di andare più a fondo e di tentare di comprendere la causa di quei fastidiosi momenti, si era limitato a pensare alla sua vita andata in rovina.

Si vergognava per essere stato così egocentrico, per aver pensato solo a sé stesso e a quella sua misera vita che non valeva più neppure uno sputo in terra. Lui doveva pensare prima alla sua donna, poiché tutelando lei avrebbe tutelato anche la minuscola vita che portava in grembo.

Ed invece, aveva lasciato che fosse la contessina a combattere come una leonessa, a portare avanti quella triste fuga senza più speranze, addirittura senza accorgersi del suo stato interessante.

Il brigante ancora non ci credeva che sarebbe diventato padre, tra non molto tempo.

Dopo che la sua amata aveva gridato dal dolore ed era svenuta, cingendosi il ventre con le braccia, lui era andato a bussare alla porta del capannone, riuscendo a richiamare l’attenzione dei padroni di casa, che prontamente erano accorsi a dargli aiuto. Fortunatamente, il figlio di Isacco, di nome Giorgio, aveva studiato presso il miglior medico ebreo del ghetto, stando a quanto gli era stato detto, e il padre si era affrettato a chiamarlo e a svegliarlo.

In ogni caso, il giovane Giorgio aveva preso in mano la situazione fin da subito, e con estrema attenzione aveva visitato Teresa. La ragazza pareva passare da momenti d’incoscienza e di svenimento a brevi momenti di panico, e il giovane era stato costretto a darle da bere una qualche polvere dissolta in acqua per poi poterla curare con tutti gli scrupoli del caso, nonostante lui stesso stesse per crollare dal sonno, visto che era notte fonda.

Giovanni si era indispettito vedendo che quel ragazzetto imberbe stava accanto alla sua amata e la visitava toccandole con delicatezza il ventre, ed aveva provato più volte una forte gelosia, ma alla fine continuava a cercare di calmarsi, poiché sapeva che tutto ciò che le stava facendo era per il suo bene.

E lui si vergognava da morire, perché era a causa sua se Teresa stava male. Se solo fosse stato più attento e l’avesse costretta a fare delle brevi pause e a riprendere il respiro, invece di lasciarla continuare a marciare senza meta, forse ora sarebbe stata meglio.

‘’E’ tutto a posto, la vostra amata per ora sta bene. Però, dovrà stare attenta a non fare troppi sforzi; questa volta le è andata bene e la gravidanza prosegue senza problemi, ma ai prossimi sforzi ripetuti, questa situazione potrebbe verificarsi nuovamente ed essere più grave del previsto. Inoltre, la tensione e la stanchezza fisica l’hanno quasi portata ad un collasso emotivo, provocandole tutti questi svenimenti, che a quanto mi avete detto si sono già presentati alcune volte nelle scorse settimane, quindi non fatela agitare troppo e non rendetela ansiosa’’, disse il figlio di Isacco, avvicinandosi al brigante dopo aver finito di visitare Teresa, che continuava a dormire profondamente.

‘’Grazie per averla aiutata’’, mormorò Giovanni, grato comunque al giovane per essersi preso cura della sua amata. Se quell’episodio si fosse verificato mentre si trovavano ancora in viaggio verso nord, molto probabilmente lui non avrebbe saputo che fare.

Giorgio si allontanò a capo chino, accennando solo un breve assenso prima di tornare a dormire.

Isacco, che era rimasto in disparte seduto sulle sedie del suo magazzino, posò una mano sulla spalla del brigante.

‘’Mio figlio è molto bravo con le diagnosi e le medicine, sa praticamente tutto. Se non fosse così cocciuto, sarebbe potuto diventare tranquillamente un grande medico… ed invece, ha abbandonato tutto proprio sul più bello, chinando la testa sui libri sacri e decidendo di diventare rabbino’’, disse pacatamente il padrone di casa, mentre Giovanni lo lasciava parlarle e sgusciava via dalla sua blanda stretta, tornando ad avvicinarsi alla sua amata.

Notando che sul suo viso c’erano ancora le tracce del recente pianto, afferrò dalla tasca il suo piccolo fazzoletto di stoffa, e con attenzione asciugò le ultime e solitarie lacrime, rimaste ancora saldamente attaccate alla pelle delle guance, quasi a voler ricordare che solo fino a pochi minuti prima il dolore aveva regnato sovrano su quel volto.

‘’Perché non me l’hai detto? Dovevi dirmelo. Non ti avrei permesso di compiere questa fuga… alla malora, io potevo anche morire. Ma tu e nostro figlio no, dovete vivere’’, le sussurrò all’orecchio, sperando che lei nel sonno potesse udirlo.

‘’Le donne sono fatte così. Quando mia moglie era in dolce attesa di Giorgio, non me lo rivelò. Lo scoprii solo quando tutto divenne evidente. Penso che a volte non ci dicano nulla per farci stare tranquilli e per non farci preoccupare per loro’’, replicò Isacco, ancora in piedi poco distante, cercando in un qualche modo di dire qualcosa e di far sì che il brigante non perdesse la testa e non se la prendesse più del dovuto con la sua amata.

‘’Lo so. Ma io… io me la sono portata dietro in questa fuga pazzesca. Lei mi ha salvato, ha curato le ferite del mio cuore e ha lottato come nessun uomo può fare. Io… io sono uno stupido. Un’idiota’’, disse Giovanni a quel punto, continuando a fissare la contessina ed inchinandosi al suo capezzale.

‘’Non dovete prendervela così tanto. La ragazza è fuori pericolo, e se avrà altri problemi farò in modo che tutto si sistemi; lei è una grande donna, figlia di un grande uomo con cui ho ancora un immenso debito da ripagare. Sotto al mio tetto, non le accadrà nulla di male, né a lei né a vostro figlio. E neppure a voi’’, affermò con sicurezza il padrone di casa.

‘’Vi ringrazio di tutto. Ma forse non capite… io le avevo promesso di proteggerla. E invece che ho fatto? Ho lasciato che suo marito se la riprendesse, che le facesse del male. L’ho fatta camminare e sporcare, le ho fatto dimenticare le sue origini. Io l’ho strappata dalla sua vita di agi, e forse avrei dovuto rifiutarla fin dall’inizio, anche se questa scelta mi avrebbe fatto morire per davvero dal dolore…’’, continuò a dire Giovanni, come un fiume in piena.

Si sentiva un verme, un fallito, che aveva fatto di tutto per complicare la vita della persona che amava di più, dopo aver distrutto completamente la sua. Si sentiva l’uomo più disgustoso e stupido del mondo.

‘’Non dite così; lei vi ama. Lo vedo da come vi guarda, da come parla di voi. Lei è vostra ed ha deciso di seguivi, il suo cuore vi appartiene, e tutto ciò che ha fatto è stato per puro amore, nient’altro. Lei è felice di seguirvi e di cercare di proteggervi’’, tornò a dire Isacco, con un tono di voce caldo e paterno, avvicinandosi anche lui al capezzale della ragazza.

‘’Teresa è un’eroina. Oltre a prendersi me a carico e di proteggermi mentre me ne stavo in disparte a darmi del fallito, lei combatteva per salvare la mia vita, la sua e quella di nostro figlio’’, replicò Giovanni, afferrando dolcemente la mano della sua donna, per poi portarsela alle labbra per darle un lieve bacio sul dorso.

La contessina addormentata esprimeva una dignità che in quel momento era percettibile ovunque nella stanzetta, e il brigante ne era inebriato. Ed invece di odiarla per avergli mentito, si ritrovò ad amarla ancora di più. Lei era la persona più importante della sua vita, anzi, ormai era diventata la sua stessa vita, ciò che gli dava la forza per vivere.

E in quel momento così emozionante, Giovanni udì un rumore di passi frettolosi dietro di lui. Voltandosi indietro, notò due donne, che lo stavano fissando.

Dall’estrema somiglianza che avevano, poté facilmente capire che erano madre e figlia, la moglie di Isacco e la loro unica figlia femmina.

‘’Signore, andate nel magazzino a riposarvi, resteremo noi a vegliare il sonno della vostra amata, in modo da poter essere qui al momento del suo risveglio e controllare che stia bene’’, disse la donna più matura, facendosi avanti. Aveva un accento duro, di certo straniero, ed era alta ed affusolata come uno spillo.

Giovanni non poté far a meno di notare che aveva i capelli ingrigiti e tagliati molto corti, contrariamente alla ragazza, che doveva avere l’età di Teresa ed aveva una chioma di capelli chiari e ribelli.

‘’Queste sono mia moglie e mia figlia. Ho parlato con loro della vostra situazione, e vorrebbero rendersi utili, facilitando anche il vostro riposo, visto che sarete senz’altro stanco. Potete fidarvi ciecamente di loro’’, affermò Isacco, facendosi spazio tra le due. In confronto alla moglie e alla figlia, il padrone di casa pareva un nanerottolo esile e scuro.

‘’Va bene…’’, mormorò il brigante, dopo averci riflettuto su per un istante e decidendo che forse era meglio se avesse lasciato la sua amata alle cure di due donne, visto che lui sapeva solo causarle problemi.

Si rialzò in piedi, ed uscì dalla stanzetta, seguito a ruota dall’altro uomo.

‘’Lisa, la mia fedele serva, vi sta già preparando un nuovo giaciglio, non temete. Potrete dormire e riposare un po’, e state tranquillo, la vostra amata è in buone mani e starà senz’altro meglio quando si sveglierà’’, concluse il padrone di casa, congedandosi e dirigendosi verso l’imboccatura dello spoglio e ristretto corridoio che l’avrebbe riportato in casa sua.

Appena fu scomparso, Giovanni non ebbe tempo di pensare a nulla, poiché la serva trasportò a forza nel capannone un piccolo giaciglio come quello presente nella stanzetta, forse addirittura era lo stesso, ma lui proprio non riusciva più a stare dietro agli eventi. Il brigante si sentiva deluso, rancoroso nei suoi stessi confronti, ed amareggiato dalla sua insulsa vita.

Senza ringraziare si gettò scompostamente sul suo giaciglio improvvisato ma soffice, e si promise di chiudere gli occhi ma solo per riflettere un attimo.

Dalla stanzetta dove la sua amata stava dormendo un sonno indotto, non proveniva alcun rumore. Era tutto silenzioso attorno a lui, ma la sua coscienza e la stanchezza non gli davano tregua.

E alla fine vinse la stanchezza, che lasciò che il brigante scivolasse senza neppure accorgersene in un sonno disturbato ma profondo.

 

Quando Teresa riaprì gli occhi, tornarono subito i ricordi dolorosi di qualche ora prima. Ed ebbe paura.

Le sue mani corsero velocemente a sfiorarsi il ventre, come se solo con una lieve carezza avesse potuto comprendere se al suo interno c’era ancora una piccola vita.

‘’Non dovete temere nulla, è tutto a posto. Mio figlio Giorgio vi ha visitato e curato a dovere’’, disse una voce femminile, facendola sobbalzare.

La contessina, che fino a quel momento non aveva spostato il suo sguardo dal basso soffitto di quella stretta stanzetta, si trovò due donne sedute accanto a lei, a vegliare il suo sonno e ad attendere il suo risveglio.

‘’Voi…’’.

Teresa non riuscì a dire altro, mentre continuava a fissare le donne con curiosità. Una era già matura, l’altra doveva avere all’incirca la sua età, e nonostante il fatto che le due si assomigliassero molto, la più giovane aveva qualche tratto paterno facilmente riconoscibile sul volto rischiarato dalla tenue luce di una candela. Fuori, doveva essere ancora buio.

‘’Io sono Antonietta, la moglie del signor Isacco. Lei è nostra figlia Giulia’’, si presentò la donna matura, bionda ma con i capelli tagliati molto corti, pronunciando quelle semplici parole con un accento straniero e roco.

‘’Piacere di conoscervi…’’, mormorò la contessina, sorpresa di essersi trovata di fronte quelle donne che fino a quel momento non aveva avuto il modo di conoscere di persona, ma chiedendosi il perché della loro presenza al suo capezzale. Forse avevano brutte notizie da darle.

La ragazza si agitò, mentre Giulia le sorrideva e le porgeva un bicchiere d’acqua.

‘’Non dovete preoccuparvi, Teresa. È tutto a posto, la vostra gravidanza prosegue alla perfezione’’, disse la giovane, dopo averle lasciato il bicchiere tra le mani.

‘’E’ vero. Come vi sentite?’’, chiese prontamente Antonietta, osservandola con attenzione.

‘’Bene. Ora bene’’, rispose Teresa sorseggiando un po’ d’acqua. La sua gola era in fiamme, forse perché si era raffreddata nei giorni precedenti.

Comunque, a parte la gola infiammata, il suo corpo stava davvero bene e non provava più alcun dolore o fastidio.

‘’Perfetto, allora. Visto che non c’è più bisogno nell’immediato di chiamare Giorgio e di assisterlo, io me ne tornerei a letto’’, disse la donna matura, facendo un cenno rassicurante alla contessina e sfiorando una spalla a Giulia, che sorrise nuovamente.

‘’Madre, io resterei qui per un po’ con Teresa, se non vi dispiace. Così, se necessita di qualcosa non dovrò affidarla a Lisa, che già fa tanto per noi durante la giornata’’, ribatté la giovane, poco vogliosa di lasciare la stanza e tornare a dormire.

‘’A me non dispiace, ma dovresti prima chiedere il parere di Teresa’’, disse Antonietta, con una vena piuttosto autoritaria nella voce. La contessina immaginò che dovesse essere una madre inflessibile con la figlia.

‘’Per me va bene. Vi ringrazio entrambe per quello che avete fatto per me’’, si affrettò comunque a replicare Teresa, sistemandosi meglio con la schiena sul suo giaciglio stranamente morbido.

Antonietta mostrò un sorriso improvvisato e distante sul suo viso, prima di abbandonare la stanzetta, richiudendo con attenzione la porta dietro di sé.

‘’Giulia, sapete per caso dov’è Giovanni?’’, chiese subito dopo la contessina, cercando con gli occhi il suo amato, che invece non era presente sul suo giaciglio.

‘’Giovanni è nel magazzino a fianco, e sta dormendo. Era davvero sfinito! Era molto preoccupato, ma alla fine si è addormentato, è letteralmente crollato. Ma non darmi del voi, dammi pure del tu! Posso darti del tu anch’io, vero?’’, chiese prudentemente Giulia, sorridendo e passando già direttamente ad un linguaggio più confidenziale.

Anche alla contessina sfuggì un sorriso rilassato, ora che si era tranquillizzata e che tutto pareva andare bene ed essere tornato a posto. Quella ragazza le stava simpatica, e doveva essere una gran chiacchierona, da come si era gettata subito a darle confidenza.

‘’Ma certo che puoi’’, si limitò a rispondere la contessina, senza smettere di sorridere.

‘’Che bello vedere il tuo sorriso così rilassato! Mio fratello mi ha detto che ti ha trovato in uno stato pietoso, e che eri svenuta dalla paura e dal dolore. Ma ora noto che sta molto meglio, e ne sono davvero felice’’, disse nuovamente Giulia, con un tono di voce davvero soddisfatto e sollevato.

Alla contessina fece piacere ascoltare quelle semplici parole.

‘’Sì, in effetti me la sono vista brutta. Ma ora sto già meglio’’, affermò Teresa, confortando la figlia del padrone di casa, che si alzò dalla sua sedia e prese a gironzolare per la stanzetta.

La contessina non poté non notare la sua statura alta ed atletica, simile a quella della madre e del tutto distante da quella del padre. Aveva ereditato anche gli stessi capelli dalla madre, di una tonalità molto chiara, ma il volto mostrava chiaramente i lineamenti del padre.

‘’L’ho notato. Per fortuna mio fratello è quasi un medico, altrimenti non avremmo saputo come agire’’.

‘’Ringrazia tuo fratello da parte mia’’, disse la contessina, davvero riconoscente. Giulia, però, sospirò.

‘’Lo farò senz’altro, credo che gli farà piacere. Ultimamente, è sempre così giù di morale… aveva praticamente portato a termine gli studi ma poi ha lasciato tutto. Nostro padre ha rischiato di indebitarsi nuovamente per farlo studiare al fianco dei migliori medici, ma lui si è improvvisamente fissato con i libri sacri ed ha iniziato a trascorrere tutto il giorno immerso nella lettura, per poi ammettere al nostro amato genitore che vuole diventare un rabbino, abbandonando improvvisamente tutti i suoi studi di medicina.

‘’Ha affermato che non gliene importa più nulla dei suoi studi da medico! Così, da un giorno all’altro. Immaginati la reazione di nostro padre! E adesso i due sono in crisi, e Giorgio è sempre più sfuggevole’’, raccontò Giulia, senza il minimo imbarazzo e tornando a sedersi a fianco della contessina, che stava scoprendo che quella ragazza sua coetanea era davvero loquace.

‘’Posso capire’’, si limitò a dire Teresa, anche se in realtà non sapeva nello specifico cosa significasse davvero diventare un rabbino.

Suo padre le aveva raccontato che erano i capi spirituali delle varie comunità ebraiche, se non ricordava male. Ma lei non aveva prestato molta attenzione ai suoi discorsi, a suo tempo, quando lui con grande amore cercava di insegnarle qualcosa. E di quello se ne sarebbe pentita per tutta la vita, molto probabilmente.

La figlia del padrone di casa si limitò a dare una scrollata di spalle.

‘’Capirà. Non può costringere Giorgio a fare ciò che pare a lui’’.

‘’Vostro padre è un brav’uomo, molto serio e gentile. Sono certa che lo supporterà in ogni sua scelta futura’’.

‘’Ne sei così certa? Non lo conosci bene come lo conosco io’’, disse Giulia, sogghignando amaramente.

‘’No, effettivamente l’ho conosciuto solo poche ore fa, ma al primo impatto mi è sembrato un uomo tranquillo. Non mi è parso il classico uomo bigotto che incute il terrore sui figli’’, ribatté Teresa, sempre più rilassata. In quel momento stava davvero bene, sia fisicamente che mentalmente, e quel banale dibattito tra donne la stava facendo rilassare parecchio.

Giulia scosse nuovamente la testa e emise una risata bassa e roca, una risata fredda e sofferta. Poi, con lentezza, alzò lievemente la manica del suo vestito, mostrando il braccio nudo ed avvicinandolo alla luce della candela.

E Teresa rimase stupita nel vedere due lividi bluastri sulla pelle bianca come la neve. Segni evidenti di due bacchettate.

‘’No. Non credo che lui sia arrivato a tanto’’, mormorò la contessina, stupita, mentre sgranava gli occhi.

‘’Invece sì. Se a volte non mi comporto a dovere, i miei genitori non si fanno scrupoli a punirmi. Sono molto rigidi, sai? Mio fratello in genere si becca dei forti scappellotti, quando non asseconda i voleri paterni. Fintanto che viviamo sotto lo stesso tetto dei nostri genitori, sta a loro educarci al meglio’’, bisbigliò Giulia, risistemandosi rapidamente la veste.

‘’No… non ci posso credere’’, si lasciò sfuggire la contessina, rattrappendosi sul suo giaciglio, allibita come non mai. Suo padre non si era mai permesso di farle del male, e l’unico uomo che ci aveva provato l’aveva ucciso.

Ma purtroppo sapeva che la maggior parte dei genitori, i padri in modo particolare, avevano un metodo educativo molto pratico, non di certo basato sulle parole o sulle occhiatacce. Anche molti mariti facevano del male alle loro donne, e a quel punto le tornò alla mente Maria, quella sua amica d’infanzia che di certo non avrebbe rivisto mai più. Sperò solo che stesse bene, vista la violenza di suo marito.

‘’Teresa, gli uomini sono tutti così. Hanno una parvenza accomodante, ma dentro di loro farebbero di tutto per piegare le loro donne e i loro figli. Un padre poi, con una figlia femmina, deve usare maggiore fermezza’’.

Quelle frasi mormorate da Giulia con un tono spento che lasciava intendere una netta perdita di speranza in un qualche miglioramento della sua situazione fecero innervosire nuovamente Teresa, decisa più che mai a non stare zitta.

‘’Mio padre non mi ha mai sfiorato con un dito. E neppure Giovanni. Inoltre, sappi che prima o poi anche noi donne riusciremo ad emanciparci, e nessuno potrà più compiere simili atti nei nostri confronti!’’, sibilò la contessina, sempre più arrabbiata. Giulia sorrise con grande lentezza, fissandola.

‘’Stai parlando come i francesi. I loro ideali, i vostri ideali, non saranno mai nostri. Noi siamo una comunità a parte; siamo esclusi e rifiutati dalla vostra società, che ci mette ai margini e ci discrimina. Se un giorno le tue amiche e conoscenti potranno essere libere, noi saremo per sempre discriminate, e le nostre famiglie saranno costrette ad una fuga continua, per sfuggire alle persecuzioni. Come credi che la libertà possa vivere all’interno della nostra comunità?’’.

Giulia stava dando voce al suo popolo, in quel momento. E Teresa la capiva.

Rinchiusi dentro a dei ghetti, perseguitati dalla società in cui erano essi stessi inglobati, di certo per le comunità ebraiche il sogno di una libertà e di una discreta emancipazione in quel momento era molto distante, addirittura inimmaginabile. E se non c’era libertà né di culto né per i maschi, di certo nessuno si sarebbe mai preoccupato per le donne.

La Rivoluzione francese pareva aver portato una ventata di libertà e di miglioramento sociale su tutta la parte più occidentale del continente, e non solo, ma alla fine si era rivelato tutto un inganno. Tutto era tornato come prima, dopo la restaurazione dei vecchi regimi, anche se la contessina continuava a volte a rimuginare sugli ideali che la Rivoluzione stessa era riuscita a lasciare, e che a distanza di tempo continuavano a vivere soprattutto nelle menti dei più giovani e di tutti coloro che ancora speravano in un cambiamento di larga scala.

‘’Dev’essere molto dura’’, ammise alla fine la contessina, non trovando altre risposte.

‘’La gente ha molti pregiudizi. Mio nonno, tempo addietro, mi ha raccontato che sono state perpetrate molte violenze contro di noi. Ma non mi serve ora la sua testimonianza per poter affermare che non siamo ben accetti. Mia madre proviene dall’Impero Austroungarico, e lì nonostante il fatto che gli ebrei lavorino e arricchiscano i mercati imperiali, in molte città non possono camminare sui marciapiedi a fianco dei cristiani e su di noi aleggiano accuse tremende. Addirittura si dice che compiamo dei sacrifici umani, e per questo rapiamo dei bambini. E ciò è stato più volte riconosciuto anche dai pontefici del recente passato’’, replicò la bionda con grande sdegno.

‘’L’ignoranza, a volte, non ha limite. E neppure la cattiveria’’, disse Teresa, notando che la sua interlocutrice aveva smesso per un attimo di parlare.

‘’Purtroppo hai ragione. Ma smettiamo di parlare di queste cose, non vorrei farti agitare. E questo non è il momento migliore per agitarsi’’, concluse Giulia, scrollando le spalle.

‘’Penso che tu abbia ragione’’, mormorò la contessina, riconoscendo che l’agitazione non poteva farle tanto bene in quel momento.

‘’Sai, vorrei essere come te’’, disse la bionda poco dopo, con un tono di voce basso e repentino, quasi si fosse pentita subito dopo di quello che aveva appena detto.

Teresa quasi si lasciò sfuggire una risata.

‘’Non scherzare. Vorresti essere una persona che per il suo Stato d’appartenenza è morta? Una che ha la coscienza sporca perché ha ucciso tre uomini, tra cui suo marito? Una ragazza senza un tetto, che viaggia in compagnia di un brigante ricercato?’’.

Quella raffica di domande uscì spontaneamente dalla bocca della contessina, che a quel punto si lasciò sfuggire un sorriso e tacque, attendendo la reazione dell’altra ragazza, che abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i capelli.

‘’Almeno sei libera. Sai, questa sera mio padre ha parlato di voi, dopo che vi ha accolto. Ha detto anche che aveva un piano in mente, in modo da salvarvi la vita e da donarvi una nuova possibilità in una nuova terra, piena di ricchezze e di prosperità. E se lo ha detto di fronte alla sua famiglia, lo farà senz’altro! Io, invece, sarò costretta a sposarmi il prossimo mese, con un mio cugino di dieci anni più vecchio di me, adulto e irascibile. Non potrò mai più uscire dai cancelli di questo ghetto, lo so. E d’altronde, mio padre ha detto che ormai sto già diventando vecchia, e dopo non mi sposerà più nessuno’’.

La rassegnazione della ragazza era tale che Teresa non poté che smettere di sorridere, allungandosi ad afferrare le mani di Giulia, che fremette ma lasciò comunque che il loro contatto fisico continuasse.

‘’Se potessi, farei qualcosa per te. Ti capisco. Sai, anch’io sono finita tra le grinfie di un uomo come quello, ma un’amica mi ha salvato. Tu cerca di essere sempre te stessa, non affrontarlo di petto e fai ciò che lui comanda, ma non lasciare che sottometta il tuo animo; dentro di te, resta ribelle. E prega. Vedrai, in un qualche modo pure tu ti salverai da questa lugubre prospettiva’’, suggerì Teresa, a bassa voce e con grande passionalità.

Quello era un tema che le stava molto a cuore, e tremava quando udiva certe cose. Perché alcune le aveva provate sulla sua stessa pelle, e sapeva quanto potesse azzardarsi a spingersi oltre un marito folle e sadico.

‘’Lo farò senz’altro’’, rispose la sua interlocutrice, ricambiando la stretta alle sue mani e deglutendo. Si vedeva chiaramente che era in ansia.

Teresa avrebbe voluto abbracciarla, darle forza; non credeva che lei potesse rifiutarla. Nonostante il fatto che appartenevano a due realtà diverse, sapeva che Giulia, avrebbe accettato il suo contatto fraterno.

Ma a quel punto, qualcuno bussò forte alla porticina della stanza, interrompendo quel momento magico che si era creato tra le due ragazze.

Giulia si affrettò a lasciare le mani della contessina e a rialzarsi, affrettandosi a raggiungere la porta in modo da aprirla prontamente, ma questa si spalancò prima, e il brigante fece il suo classico ingresso brutale, quasi un’irruzione. Ma almeno aveva bussato alla porta, riconobbe la contessina. Quindi, pian piano qualcosa stava imparando.

Giulia si bloccò sul posto, quasi raggelata di fronte all’ingresso barbaro di Giovanni, mentre Teresa fu percossa da un brivido. Il suo amato la stava guardando con un certo nervosismo impresso nel volto.

Poi, il brigante passò a fianco della bionda senza neppure degnarla di uno sguardo, per avvicinarsi di più al suo giaciglio.

‘’Lo sapevi, vero?’’, disse l’uomo, rancoroso.

Teresa capì al volo a ciò che si riferiva, e decise di prendersi le responsabilità delle sue scelte e di non mentire.

‘’Sì, lo sapevo’’.

Nella stanzetta calò un silenzio cupo, mentre Giulia si affrettava a lasciarli soli. Teresa, comunque, le fece cenno di rimanere. Loro due ormai non avevano più nulla da nascondere.

‘’Perché non me l’hai detto subito? Perché hai lasciato che corressimo questo rischio? Sapevi quanto ci tenevo a questo bambino. Tempo addietro te l’avevo detto’’.

La voce del brigante risuonava sicura, ma lievemente distorta. Doveva aver dormito, ma i suoi occhi erano vivi e parevano sprigionare lampi e fulmini.

Giulia si volatilizzò lo stesso a quel punto, non volendosi rendere partecipe della loro discussione privata. 

‘’Non te l’ho detto perché non volevo che ti facessi scrupoli a causa mia. Se tu avessi saputo la verità, avresti insistito per prolungare le soste e proseguire più lentamente, e questo non potevamo permettercelo, con l’intera gendarmeria di Ravenna alle spalle. E la nostra famiglia ben presto sarà composta da tre elementi, noi tre, ed ho cercato di tentare il tutto possibile pur di giungere in un luogo sicuro ancora in tre, senza perdere o lasciare indietro nessuno’’, sussurrò la contessina, con fare colpevole.

Sapeva che aveva sbagliato a non dire tutto al suo amato, e dopo essersi lievemente imbronciata abbassò lo sguardo, non riuscendo più a sostenere le sue occhiate furiose.

Giovanni era arrabbiato, giustamente, e forse con quel silenzio lui si sarebbe sentito ulteriormente allontanato da lei. Si sentiva davvero in colpa.

Ed invece, a sorpresa, il brigante si avvicinò lentamente al suo giaciglio e si inginocchiò, afferrandole le mani e stringendogliele forti tra le sue.

‘’Grazie per tutto quello che hai fatto per noi. Tu… tu sei per davvero la mia famiglia, ora. Ti amo’’, disse Giovanni, gli occhi ancora dilatati, ma questa volta non dalla rabbia ma per una sorta di gratitudine. E la baciò.

Teresa si lasciò baciare e abbracciare, sentendo il calore del corpo del suo amato e pensando che nonostante tutto, loro due erano ancora in vita e continuavano a lottare e ad amarsi, e quello era davvero importante.

La contessina sapeva che fintanto che l’amore avrebbe regnato nei loro cuori, tutto sarebbe potuto accadere, e che forse prima o poi sarebbero riusciti a trovare un po’ di pace.

Si rassicurò, capendo che loro due sarebbero riusciti per davvero a sistemarsi. L’avrebbero fatto per il loro bambino in arrivo.

Per il piccolo, al quale il suo amato teneva già molto, loro due sarebbero stati disposti a compiere qualsiasi viaggio e a lottare contro ogni male, perché ormai l’amore intenso che li univa li aveva resi per davvero una famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Teresa ora sta meglio e la sua gravidanza prosegue senza problemi, come avrete notato. E Giovanni ora sa tutto, finalmente…

Bene, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento J

Un grande grazie a tutti voi, miei cari lettori, e in modo particolare a tutti coloro che mi sostengono ogni volta con i loro graditissimi e gentilissimi pareri J

Grazie di cuore, e buona giornata J a lunedì prossimo J

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Capitolo 63
*** Capitolo 62 ***


Capitolo 62

CAPITOLO 62

 

 

 

 

 

Giovanni rimase a fianco di Teresa per molto tempo, senza riuscire a sciogliere quel caloroso abbraccio.

Nella stanzetta non era poi più di tanto caldo, e il brigante ne aveva approfittato per infilarsi sotto le coperte del piccolo giaciglio della sua amata e per distendersi a suo fianco.

Continuava a tenerla stretta a sé, poiché sapeva che lei aveva bisogno del suo contatto. Lui l’aveva perdonata, e l’aveva capita. D’altronde, sapeva perfettamente che se fosse stato a conoscenza del fatto che era incinta non le avrebbe mai permesso di affaticarsi così tanto. E allora sarebbero stati nei guai entrambi.

Sperò che il piccolo potesse stare bene, che potesse nascere sano e che i suoi genitori avessero avuto modo di poter formare una famiglia un po’ più normale, anche se questo pareva davvero impossibile.

Con un sospiro, il brigante chiuse gli occhi e restò appiccicato al corpo della sua amata, anch’essa molto stanca e semiaddormentata. Ormai doveva essere di nuovo mattino, e anche quella notte era stata piena di sofferenze e di rischi, ma ormai lui ci si stava abituando.

Per tutta la sua vita aveva vissuto in un luogo remoto, lontano dalla società e inospitale, che però aveva un ritmo regolare in tutto, mentre ora doveva ancora adattarsi a vivere allo sbaraglio. Perché nessuno l’avrebbe più protetto, all’infuori di quello che considerava il suo rifugio, se non la sua amata e le sue spiccate capacità.

Con un ultimo, lento e calibrato sospiro, Giovanni si lasciò scivolare in un tormentato dormiveglia, cullato dal respiro lento e regolare della sua amata e dal suo calore corporeo.

 

Teresa si limitò a lasciare che il suo amato la coccolasse e la tenesse tra le sue braccia, senza stringerla ma sfiorandola come solo chi ama può fare. Il brigante non se l’era presa e l’aveva perdonata per avergli taciuto il fatto che sarebbe diventato padre, e molto probabilmente aveva anche compreso le motivazioni che l’avevano spinta a non rivelarglielo.

Comunque, Giovanni le stava facendo chiaramente capire che la amava con tutto sé stesso, e questo era l’importante alla fine.

Quando lui era a suo fianco, si sentiva forte come una leonessa ed impavida come il più valoroso guerriero mai esistito nella storia dell’umanità, poiché non si sarebbe lasciata mai sfuggire dalle mani quell’uomo che amava quasi più di sé stessa. Non in quel momento così precario, non in quel momento in cui sapeva che aspettava un figlio suo e che lui la amava davvero ed era disposto a perdonarle tutto.

E così, riflettendo ad occhi chiusi, le ore passarono in fretta, mentre la contessina si trovava immersa in una sorta di sonno delirante, ricco di fervidi sogni e di momenti di dura realtà. A tratti si svegliava ed aveva paura, ma il suo corpo stava bene e il brigante dormiva a suo fianco, quindi tornava a tranquillizzarsi. Ed infatti la notte passò lenta, e le parve quasi infinita.

Ma, quando ormai l’alba doveva essere giunta da non troppo tempo, qualcuno le sfiorò leggermente il volto, facendola trasalire.

Aprendo gli occhi, si trovò di fronte al suo amato, che la fissava sorridendole con dolcezza.

‘’Andiamo, il signor Isacco vuole parlare con noi con urgenza’’, le disse sottovoce, continuando a sfiorarle una guancia.

‘’No…’’, si lasciò sfuggire la ragazza, lievemente impaurita.

Poche ore prima, Giulia le aveva assicurato che il padre aveva già in mente un piano per loro due, ma dopo tutto ciò che era accaduto pensò che volesse cacciarli da quella casa. D’altronde, lei e il suo amato erano solo dei fuggitivi, degli estranei che stava dando solo dei problemi.

‘’Non temere, mia cara. Non ci caccerà nessuno, e penso che il padrone di casa abbia già un piano. E, se anche ci caccerà, non mi importerà. Non ci importerà, perché ora siamo praticamente una famiglia, ci amiamo e nessuna tempesta potrà mai più separarci. In un modo o nell’altro, ci arrangeremo’’, le disse Giovanni con grande calma, continuando a sorriderle e comprendendo ciò a cui stava pensando la contessina, che annui, incerta.

Il suo amato aveva ragione; non c’era nulla da temere. Un misero no non l’avrebbe mai più spaventata, e loro due non avevano più nulla da perdere. Si amavano, e questo era l’importante.

La ragazza si rialzò dal suo giaciglio e si risistemò i vestiti, e poi, tenendo a braccetto il suo amato, si lasciò trasportare fuori da quella piccola stanzetta.

Nel mezzo del magazzino, Isacco li stava aspettando in piedi, con un cordiale sorriso impresso sul viso. Teresa si chiese come potesse quell’uomo così gentile, accogliente e minuto far del male ai suoi figli, ma d’altronde ciascun genitore sceglieva un proprio metodo educativo senza badare troppo a quanto fosse giusto nella realtà.

‘’Teresa! Sono felice di rivederti così rilassata. Come stai?’’, chiese subito il padrone di casa, sorridendo ancor più amabilmente di prima.

‘’Ora molto meglio, grazie. Vi prego di ringraziare vostro figlio da parte mia’’, si limitò a dire la contessina, sedendosi sulla prima sedia che le capitò a tiro, ma non per un qualche dolore o mancamento ma solo perché era ancora sfinita e l’ennesima notte praticamente insonne l’aveva sfiancata.

Anche Giovanni prese posizione a suo fianco, lasciando il suo braccio.

‘’Uhm, mio figlio… certo, Giulia l’ha già ringraziato da parte tua’’, disse Isacco, tornando serio ed alzando gli occhi verso al cielo. La ragazza comprese che l’attrito tra i due non doveva essersi dissolto, per il momento.

‘’Comunque, non ha fatto nulla di che. Ti consiglia solo di stare un po’ riguardata in tutto, e ne avrai l’occasione.

‘’Mi sono recato a parlare con voi perché ho già ideato tutto; ho un piano. Un piano molto valido, che vi permetterà di vivere un’esistenza tranquilla e parecchio distante dagli spettri del passato, che qui saranno sempre pronti a piombarvi addosso’’, riprese a dire il mercante ebreo, tornando in sé e riprendendo a parlare col suo tono di voce molto lento e calibrato, quasi melodico.

Teresa udì Giovanni mentre tossicchiava, e lei stessa alzò un sopracciglio, perplessa. Si chiese come fosse possibile che quell’uomo potesse davvero offrire a loro una possibilità così ghiotta in un tempo così ristretto, poiché si erano presentati alla sua porta solo nel tardo pomeriggio del giorno precedente.

‘’Ehi, non agitatevi, vi prego. So che potrà sembrarvi strano e incredibile, ma so come farvi ricominciare a vivere una vita molto più che modesta, in un Paese distante e lontano. E non è una favola, tutto ciò!

‘’Senti, Teresa cara, ho già contato e preparato il denaro che ti sei portata dietro fin qui. È una somma cospicua, basterà a pagarvi un viaggio dignitoso, ma non una vita completamente regolare. Ci aggiungerò qualcosina di mia tasca, così avrò modo di completare questo piano perfetto’’, continuò l’uomo, sicuro di sé, rivolgendosi sia a lei che al brigante.

La contessina provò a ribattere, ma lui alzò la mano destra, invitandola a tacere, mentre anche Giovanni le sfiorava un braccio, chiedendole tacitamente di restare in silenzio ed ascoltare.

Lei allora rimase zitta, ma sempre perplessa su tutto. E, soprattutto, non voleva soldi da nessuno e neppure piccoli prestiti che molto probabilmente non sarebbe mai riuscita a ripagare, sempre se tutto fosse andato a buon fine.

‘’Ho pensato che per voi due ci vuole una vita nuova, ed aria nuova. In questo Stato, e molto probabilmente in tutta la penisola, non avrete più alcuna possibilità di riprendere ad avere una vita normale. È per questo che ho pensato di offrirvi una nuova vita, una nuova possibilità, in un Paese nascente; il Brasile.

‘’L’Impero del Brasile è ricco e florido; ultimamente, tanti europei stanno emigrando, pronti a sfruttarne le immense possibilità che offre. È vero che è lontanissimo, e che ha ancora molti problemi interni, ma l’Impero è vastissimo e pieno di foreste da disboscare e bisognoso di una forza lavoro che mantenga in piedi l’economia, spingendo tutto verso un nuovo progresso.

‘’Tutto questo lo so per certo; molti ebrei della comunità hanno deciso di lasciare queste povere lande per dirigersi verso il sud del Nuovo Mondo, dove comunque si riesce a trovare tante possibilità e dove nessuno porrà mai domande sul vostro passato. Nessuno vi conoscerà lì, e potrete iniziare a vivere una vera e propria nuova vita’’, concluse platealmente il padrone di casa, mentre un mesto sorriso tornava a solcare il suo viso.

Teresa era sbigottita, e non disse nulla per un attimo, nonostante il fatto che Isacco la stesse guardando con fare interrogativo, forse sperando che lei potesse fargli i complimenti per ciò che aveva ideato per loro, ma invece lei si voltò verso Giovanni, in cerca di un suo parere, però il brigante era serio ed aveva stampata in faccia quella solita espressione lievemente perplessa che gli compariva in volto quando non aveva capito qualcosa.

Capendo che dal suo amato non avrebbe ricevuto alcun aiuto neppure quella volta, ma almeno non per causa sua ma semplicemente per il fatto che non aveva neppure idea di dove si trovasse il Brasile, la ragazza tornò a fissare il suo interlocutore ammutolito e lasciò andare le sue perplessità.

‘’Signor Isacco, vi prego, non prendeteci in giro. Per raggiungere il Brasile bisogna attraversare metà del Mediterraneo e un intero oceano. Noi siamo due poveri ricercati, ed entrambi non siamo mai usciti da questo Stato; come potete credere che abbiamo la possibilità di raggiungere una meta così lontana e distante?’’, disse Teresa, esprimendosi il più chiaramente possibile.

Sapeva che l’Impero del Brasile si trovava al di là dell’immenso oceano Atlantico, ed era una vasta distesa verde e primitiva sempre in cerca di nuova forza lavoro per uscire dal suo stadio primitivo. Un Impero dai confini non ancora ben definiti dove tutto era basato sulla schiavitù, e sul commercio del caffè e dello zucchero. Un luogo non certo adatto a loro, con gli Stati interni immersi in una guerriglia costante e pieni di uomini che vivevano ancora come centinaia d’anni prima.

Tuttavia, il suo maturo interlocutore non si fece spaventare dalle sue parole, e socchiuse gli occhi.

‘’Non è così difficile come sembra. Ho già pensato a tutto; vi imbarcherete al più presto a Genova, su un qualche mercantile diretto a Napoli, il porto più sicuro per questo genere di partenze, dove farete scalo e riprenderete il percorso su una nave piena di passeggeri come voi, diretta più o meno legalmente in Brasile.

‘’Una volta sbarcati lì, vi offrirò un ulteriore aiuto. La comunità ebraica è in crescita ed ho molti conoscenti a Santos, tra cui anche un banchiere, un uomo che mi conosce bene e di mia fiducia; vi darò una lettera contrassegnata dalla mia firma e con indicato il denaro che vi deve dare, e che io mi prenderò cura di fargli pervenire in parte in anticipo, in modo da poterlo scambiare con la valuta locale.

‘’Inoltre, grazie alle mie conoscenze, vi farò fornire tutti i documenti legali che potranno esservi utili, in questo modo chiuderete definitivamente con il passato e niente e nessuno potrà più incriminarvi di nulla o additarvi per qualcosa accaduto in questa penisola. Se a voi va bene questo progetto, già tra pochi minuti scriverò le prime lettere, in modo da spianarvi la strada fin da subito’’, continuò a dire Isacco, arrivando al punto.

‘’A me va bene ogni cosa, basta che poi ci troviamo al sicuro in questo Brasile… la distanza e i viaggi per mare non mi spaventano come l’incubo che ho vissuto negli ultimi giorni’’, disse Giovanni, approfittando dell’attimo di silenzio per inserirsi ed esprimere un suo parere.

Poi, sfiorò la mano destra della contessina, forse alla ricerca di un sostegno, ma lei non riuscì comunque ad accettare prontamente quell’offerta senz’altro invitante. Loro non avrebbero praticamente dovuto far nulla, se non affidarsi totalmente a quell’uomo ormai anziano che si trovavano di fronte, e questo un po’ la insospettiva. Fino a quel momento, aveva fatto leva solo sulle sue forze.

In fondo, aveva anche paura di compiere quell’immenso viaggio. Era anche vero però che la prospettiva era allettante, se tutto sarebbe andato bene.

‘’Ci sono ancora tanti ostacoli da superare, voi state rendendo tutto troppo facile. Inoltre dobbiamo uscire da questo Stato e dal ghetto…’’.

‘’Per uscire dal ghetto non ci saranno troppi problemi, vi farò uscire di notte, i nostri amatissimi vicini sanno come fare e di certo ci daranno una mano.

‘’Una volta usciti da qui, troverete una carrozza ad aspettarvi alla piazza della cattedrale; il conducente vi farà viaggiare con tutte le comodità, e vi farà entrare in modo più o meno lecito nei vari piccoli Stati che incontrerete sul vostro cammino; e, credetemi, nessuno si prenderà la briga di fermarvi lungo i flebili confini per far delle domande. In questo momento l’intero nord della penisola è molto lungimirante, e nessuno ha tempo per fare simili controlli, e vi assicuro che con un cocchiere abile vi troverete già al porto di Genova nell’arco di meno di una giornata di viaggio e senza aver incontrato alcun tipo di problema.

‘’Una volta a Genova, vi farò indicare il nome del mercantile che vi scorterà fino a Napoli mantenendovi nel più totale anonimato, e giunti a Napoli, basterà che chiediate al capitano di bordo e lui saprà indicarvi l’unica, grande ed immensa nave che partirà a breve per il Brasile, dove farò in modo di farvi trovare una cabina solo per voi. Di navi dirette nell’Impero ne salpano più o meno una alla settimana, cercherò di fare del mio meglio per farvi trovare tutto pronto, e per mia fortuna un nostro vicino è informatissimo a riguardo.

‘’Entro circa due settimane di viaggio sbarcherete nell’Impero, precisamente a Santos, una delle città portuali più grandi e sviluppate, e lì basterà che vi rechiate dal mio conoscente, che vi darà ciò di cui avrete bisogno per ricominciare una nuova vita. Potrete poi raggiungere San Paolo e i fertili territori che la circondano, dove non faticherete a trovare un’abitazione dignitosa e un po’ di terra. Prendere o lasciare; questo è il piano che ho ideato per voi. Non avrete assolutamente nulla da fare e nulla di cui preoccuparvi, vi spianerò io la strada’’, concluse con molta tranquillità il padrone di casa, dondolandosi leggermente sulla sua sedia, quasi con fare annoiato.

Teresa a quel punto si sentiva un po’ più convinta; il suo interlocutore non sembrava volerla prendere in giro e detta così pareva davvero tutto possibile.

‘’Non credo che ce la faremo. Tutto è troppo complesso, e comunque non abbiamo molte possibilità…’’.

‘’Basta, Teresa. Non abbiamo altra scelta che affidarci a ciò che ci ha detto questo cortese signore e tentare questa impresa impossibile. In fondo, potrebbe rivelarsi una grande possibilità per noi’’, disse improvvisamente Giovanni, interrompendo i dubbi espressi dalla contessina.

La ragazza lo guardò, incredula, poiché fino a qualche ora prima era stato proprio lui a non crederci e a lasciare intendere che non si fidava di quell’uomo. Eppure, in quel momento era deciso e risoluto a mettersi nelle mani di Isacco, che sulla sua sedia annuì con vigore e convinzione.

‘’Giovanni ha pronunciato delle parole molto sagge, cara Teresa. Sapete, qui in città le voci corrono in fretta, e se ci saranno controlli qualcuno giungerà a sospettare di noi ebrei… e in questo caso, sarete spacciati, sia noi che voi.

‘’I miei cari vicini mi sostengono, certo, ma se la gendarmeria dovesse giungere fin qui mi tradirebbero subito, per paura di perdere i loro pochi averi e le magre certezze alle quali cercano ancora di aggrapparsi. Ed io accetterò la loro scelta, poiché sto mettendo a rischio l’intera comunità, e questo non avrei mai dovuto permetterlo, ma tu sei mia amica, così come lo era tuo padre prima di te.

‘’Però, non posso ospitarvi oltre; entro domani dovrete andarvene, seguendo o no il mio piano. Altrimenti qui saremo tutti in pericolo, ben presto’’, riprese a dire Isacco, con un tono piuttosto drammatico.

Teresa annuì, comprendendo le motivazioni dell’uomo. D’altronde, lei non apparteneva a quella comunità ed era entrata illegalmente nel ghetto, intrufolandosi in quella casa. E Isacco aveva una famiglia a cui pensare, e la loro presenza poteva essere un grande pericolo. Nessuno aveva pietà degli ebrei e dei ricercati.

‘’Avete ragione. Ce ne andremo e tenteremo di seguire il piano che avete ideato per noi’’, disse infine Teresa, convinta. Non aveva altra possibilità che tentare la fortuna.

‘’Bene, non avrete di che pentirvene, ve l’assicuro. Ora vado subito a scrivere delle lettere, che spedirò subito dopo. Avendo avuto ottimi rapporti commerciali con parecchi uomini, posso già avere in testa un nome per il mercantile adatto a voi… che in questi giorni dovrebbe stazionare al porto di Genova.

‘’Ah, ecco, si chiama Vento del Tirreno. Lì ci entreranno anche le mie ultime mercanzie, che faranno rotta verso il compratore napoletano che le ha richieste. Con una mancia in più, nessuno si farà problemi a portarvi al sud e non vi faranno domande… molto, molto bene. Entro domani sera avrò trovato anche un buon cocchiere, abile e possibilmente molto riservato… molto bene’’, iniziò subito a dire Isacco, consultando un foglietto che aveva estratto dal taschino del suo abito scuro.

Mentre il padrone di casa rifletteva ad alta voce, Teresa guardò Giovanni, fissandolo con intensità. Lui la ricambiò sorridendo debolmente. Pareva sicuro di sé.

Per la prima volta da quando la loro realtà era stata spazzata via dal subdolo attacco di Alfonso e dei gendarmi, il brigante pareva essere riuscito a trovare una buona padronanza di sé stesso, e non appariva più spaurito come fino a poco prima.

La ragazza constatò che doveva aver riposto molte speranze nell’allettante piano del loro ipotetico salvatore, e questo doveva avergli tirato su il morale quanto bastava per fargli riacquistare un pizzico di coraggio e di sicurezza.

‘’Bene, allora. Visto che avete accettato di seguire la mia idea, vado ad organizzare tutto alle perfezione e con grande rapidità. E vi assicuro che domani sera sarete già in viaggio verso la vostra nuova vita’’, tornò a dire Isacco, distogliendo finalmente la sua attenzione da quel foglio scritto che si era messo sotto gli occhi ed alzandosi dalla sedia.

Teresa si limitò a far trapelare un sorriso molto formale.

‘’Ehi, stai tranquilla. Ti assicuro che andrà tutto alla perfezione, e che sto facendo tutto questo per il vostro bene. Non farti problemi, penserò io a tutto, e stai pur certa che non permetterò che qualcosa vada storto o che vi venga fatto del male. Avevo un grande debito con tuo padre e non sono mai riuscito a ripagarlo, ma lo farò ora con sua figlia’’, concluse il padrone di casa con grande sicurezza, congedandosi con un lieve cenno del capo.

La contessina non fece neppure in tempo a ringraziarlo per tutto quello che stava facendo per lei e per il suo amato, poiché l’uomo si allontanò in un attimo, lasciandola in compagnia di una qualche e nuova flebile speranza.

Subito dopo, Lisa entrò nel capannone ed offrì loro qualcosa da mangiare. Teresa, prontamente, rifiutò; non aveva fame e l’ansia la stava corrodendo da troppo tempo, ormai.

Giovanni le afferrò subito un braccio.

‘’No, tu mangerai e anche abbondantemente. E’ quasi da più di un giorno che non tocchi cibo, e non voglio che soffriate la fame, voi due’’, le disse, lievemente ironico ma con un’espressione serissima sul volto.

La contessina fu sul punto di imbronciarsi e di ribattere, ma capì le migliori intenzioni del suo amato e cercò di trangugiare qualcosa, tenendo gli occhi chiusi e sperando che la nausea non si ripresentasse proprio in quel momento critico.

‘’Com’è il Brasile?’’.

Giovanni aveva interrotto quel momento di delicato silenzio, e Teresa si limitò a spalancare gli occhi. Quasi le sfuggì una risatina nervosa.

‘’Non ne ho idea. Ne so quanto te, o poco più. Sarà molto difficile da raggiungere…’’, si limitò rispondere la ragazza, ancora indecisa tra l’alimentare le sue flebili speranze o cercare di estrapolare ogni minimo dubbio che le passava per la mente.

‘’Devi smetterla di cercare l’ago nel pagliaio, amore mio. Rilassati e lascia fare ad Isacco; mi sembra una persona affidabile’’, mormorò il brigante, prendendole una mano e stringendola tra le sue.

Teresa sorrise blandamente, rassicurata dalla sua ritrovata e costante presenza.

‘’Sarà dura, lo sai?’’, gli chiese, titubante. Non voleva farlo ricadere in un baratro colmo di depressione, ma solo aprirgli gli occhi.

‘’Lo so, lo immagino. Ma cos’altro possiamo fare? Teresa cara, non abbiamo più speranze qui! In più, avremo un figlio a breve. E per lui voglio solo il meglio, e non una vita da fuggitivo a causa mia. Questo lunghissimo viaggio sembra difficile ma anche carico di speranze, e non mi perdonerei mai se non lo affrontassi assieme a te’’, rispose il brigante, risoluto e sorridente.

Anche Teresa sorrise, capendo cosa avesse ridato forza a quell’uomo che solo il giorno prima sembrava completamente finito, crollato sotto il peso della sua innocente coscienza, visto che si era addossato tante colpe che in realtà non erano sue. Era stata la consapevolezza che ben presto sarebbe diventato padre a farlo cambiare, a farlo tornare a vivere e a dargli nuova forza.

‘’Mi fa piacere constatare che ora sei uscito da quel brutto momento buio. Vedere di nuovo il tuo caldo sorriso mentre sboccia sulle labbra mi dà molta sicurezza e fiducia nel futuro’’, disse la contessina, senza smettere di sorridere ed esprimendo i suoi pensieri.

Giovanni la guardò e le diede un lieve bacio sulla guancia destra.

‘’E a me fa piacere vedere che tu e nostro figlio state bene’’, le disse all’orecchio, tornando poi ad allontanarsi dal suo viso.

‘’Ti amo’’.

‘’Ti amo anch’io’’, le fece eco Giovanni, per poi scoppiare a ridere assieme a lei. Le loro mani tornarono a riallacciarsi sul piccolo tavolo che avevano davanti a loro.

Però, Giulia comparve improvvisamente, quasi dal nulla, interrompendo il loro breve momento di intimità.

‘’Oh… ehm… mi dispiace, vi lascio subito soli’’, disse la giovane, vedendo le loro mani intrecciate e i loro sguardi pieni d’amore, mentre arrossiva lievemente in volto.

Teresa si lasciò sfuggire una piccola ma cortese risata.

‘’No, assolutamente, puoi restare’’, si limitò a dire la contessina, ancora divertita, mentre si allontanava dal suo amato.

Giulia li guardò con curiosità, mentre si avvicinava a loro. Teresa notò solo in quel momento la sua grande bellezza; quella sua coetanea era davvero stupenda, e quella notte il buio aveva nascosto molto di lei.

Alta e incredibilmente slanciata, aveva dei capelli di un biondo ramato estremamente raro e che la contessina non aveva mai visto in vita sua, con una sfumatura del genere. Gli occhi, davvero di ghiaccio, erano fluidi e parevano molto acquosi, dando loro un senso di fragilità e di severità allo stesso tempo, quasi una contraddizione. Aveva un fascino travolgente ed era davvero molto bella.

Mentre avanzava ancora verso di loro, la contessina guardò il suo amato e notò che anche lui stava fissando la giovane ebrea, ma con uno sguardo esterrefatto. Anche lui doveva aver notato la sua grande bellezza. Teresa gli diede un vigoroso pizzicotto in una gamba, facendolo sobbalzare.

Il brigante la guardò e poi mugugnò qualcosa, ma non replicò nulla.

‘’Teresa, volevo chiederti se avete accettato il piano di mio padre’’, si limitò a dire la figlia del padrone di casa, stando attenta a non rivolgersi a Giovanni, che nel frattempo stava ancora lanciando occhiate infuocate alla contessina, per nulla dispiaciuta di riceverle.

‘’Sì, certo’’, rispose la ragazza, con un tono di voce che esprimeva la sua più totale soddisfazione per essere riuscita ad interrompere l’attenzione eccessiva che il suo amato aveva rivolto alla nuova arrivata.

‘’Bene, lo speravo con tutta me stessa. Ti rassicuro; è tutto a posto. Vi organizzerà un viaggio coi fiocchi e vi donerà una nuova vita, potete fidarvi di lui. A presto, ora torno dai miei’’, concluse la bionda, facendo un occhiolino alla coppia e tornando a volatilizzarsi in un attimo.

‘’Strana, eh? Strana e bella’’, sibilò la contessina, una volta sola col suo amato, sottolineando bene la parola bella.

‘’A volte proprio non ti capisco, Teresa. Cosa credevi, che io stessi guardando troppo intensamente quella ragazza?!’’, rispose il brigante, ancora visibilmente irritato. Teresa sorrise.

‘’A me è parso proprio di sì’’, si limitò a rispondergli, aspettandosi un altro suo sfogo rabbioso. Ed invece, lui la sorprese ancora.

Le si avvicinò repentinamente, facendola sobbalzare, per poi iniziare a baciarla avidamente sulle labbra, passandole le mani sul corpo senza alcun pudore.

‘’Piantala! Non qui! Ma che ti prende?!’’, disse la ragazza non appena riuscì a liberarsi dalle sue labbra avide. Non si sarebbe mai creduta di ricevere una reazione così spropositata dal suo amato, tantomeno in quel momento così critico e precario.

Lui smise di accarezzarla e si allontanò di nuovo, ridacchiando.

‘’Volevo solo farti capire che io ho occhi solo per te, amore mio. Non devi mai ingelosirti di qualche altra donna, perché tu per me sarai sempre la più bella di questo mondo. Desidero solo e soltanto te’’, disse Giovanni, con grande sincerità.

Teresa scosse la testa, lasciandosi sfuggire un sorriso colmo di soddisfazione.

‘’Dici davvero?’’.

‘’Assolutamente sì’’.

‘’Non stai scherzando? Davvero?’’, continuò a provocarlo la contessina, continuando a sorridere.

‘’Ne vuoi un’altra dimostrazione? Questa volta mi spingerò oltre, se vuoi’’, rispose Giovanni, ridendo.

‘’Un’altra volta, magari. Anch’io ti amo e non mi stancherò mai di dirtelo’’.

‘’E fintanto che saremo così uniti, nessuna avversità potrà separarci’’, aggiunse il brigante con sicurezza. Teresa annuì e tornò a sfiorargli le mani.

‘’Hai ragione. Teniamoci pronti ad affrontare questa grande avventura’’, concluse la contessina, lasciando il suo posto e sedendosi in grembo al suo amato, che la strinse con delicatezza tra le sue braccia e la cullò, donandole qualche ora di riposo e di attenzioni, e togliendole per un po’ dalla mente tutti quei dubbi che l’avevano tormentata fino a quel momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Abbiamo scoperto il piano di Isacco. Ma i nostri due protagonisti riusciranno ad affrontare una simile avventura? Lo scopriremo molto presto J

Grazie per continuare a seguire il racconto J

Grazie di cuore e buona giornata J a lunedì prossimo J

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Capitolo 64
*** Capitolo 63 ***


Capitolo 63

CAPITOLO 63

 

 

 

 

Teresa restò raggomitolata tra le braccia del suo amato brigante, come faceva ormai da lungo tempo.

Giovanni si era addormentato, e nonostante il fatto che pareva soffrisse leggermente il mal di mare, stava piuttosto bene ed era più che mai deciso a proseguire il loro folle viaggio. Anche perché, a quel punto, non si sarebbero potuti più tirare indietro.

Si erano imbarcati tre giorni prima sulla Vento del Tirreno, una grande nave mercantile che comunque offriva qualche cabina per chi ci lavorava a bordo e per qualche passeggero che fosse stato disposto a sborsare una buona cifra per quel lungo viaggio verso Napoli.

Teresa, che non riusciva a prendere sonno, si trovò improvvisamente a rievocare il momento in cui erano riusciti ad abbandonare il ghetto di Ferrara; entrambi avevano paura, ma quando tutta la famiglia Montignoni si era riunita ed aveva fatto loro i migliori auguri, sia lei che il brigante si erano trovati ad avere la forza necessaria per sgattaiolare fuori da quella sorta di quartiere.

La contessina aveva salutato rapidamente Giulia e i suoi genitori, e anche se le sarebbe piaciuto ringraziarli più approfonditamente, sapeva che non era mai stata brava con gli addii e alla fine era stata lei stessa ad avviare la loro fuga.

Nella piazza antistante ai cancelli del ghetto, una carrozza li aveva attesi pazientemente, avvolta dal buio della notte, e loro dopo essere riusciti a fuggire con rapidità dal cancello lievemente forzato, avevano potuto individuarla agevolmente per il semplice fatto che il cocchiere aveva acceso un piccolo lume al suo interno.

In seguito, viaggio da Ferrara a Genova si era rivelato più breve del previsto e davvero semplice. Il cocchiere, riservatissimo, non si era mai azzardato a rivolgere a loro neppure una domanda, e il tragitto che li separava dalla loro meta era stato ricoperto in meno di una giornata, percorso a una velocità elevata e con grande scrupolosità.

Si vedeva che colui che governava le redini del mezzo era un uomo di grande esperienza e con un’immensa professionalità, e la contessina non aveva idea di come avesse fatto Isacco a contattarlo e a tirarlo dalla sua parte in tempi tanto ristretti.

Ad ogni modo, l’uomo, che si era presentato con un semplice diminutivo del suo nome, che purtroppo la ragazza aveva rapidamente dimenticato, aveva percorso le migliori strade meno trafficate e meno conosciute, ed era stato sempre attento a tutto, riuscendo a muoversi senza alcun tipo di problema o di sosta.

Quel viaggio, per lei era stato talmente tanto noioso che ad un certo punto era riuscita anche ad addormentarsi, ed aveva continuato a dormire per buona parte del tragitto, risvegliata solo alla fine quando il brigante le aveva detto che erano arrivati a Genova, per cui non custodiva particolari ricordi di quella lunga corsa. Nessun controllo li aveva rallentati.

Subito dopo al loro arrivo nella grande città, si erano imbarcati in fretta e furia sul mercantile che aveva loro indicato quel misterioso cocchiere, che prontamente si era subito dileguato con la sua carrozza dopo averli lasciati proprio di fronte all’immenso porto di quella stupenda città incastonata tra alte e verdi colline e il blu intenso del Tirreno.

Teresa avrebbe voluto soffermarsi di più a Genova, non avendola mai visitata e sapendo che molto probabilmente non avrebbe mai più avuto l’occasione per rivederla, se il loro piano fosse andato a buon fine, ma purtroppo il mercantile era salpato solo mezz’ora dopo il loro arrivo.

Anche il comandante dell’imbarcazione si era limitato a leggere le righe scritte da Isacco, che la contessina teneva sempre con sé e a portata di mano, e si era limitato ad annuire e a far vedere la cabina che era stata preparata ed adibita per loro. Per il resto, l’ufficiale non fece alcuna domanda, così come l’intero equipaggio, che in quei giorni di bel tempo si era limitato a svolgere il proprio ruolo senza degnare neppure un’occhiata a lei e al brigante.

C’erano anche altri tre passeggeri a bordo della nave, ma Teresa non si era mai azzardata a rivolger loro la parola. Sia lei che il brigante avevano passato la maggior parte di quei tre giorni chiusi in cabina, quasi sempre al buio, riposando e senza parlare, pregando che quel viaggio andasse a buon fine.

Il tempo era stato clemente con loro, e la buona stagione aveva donato un clima stabile e un mare calmo al mercantile, che aveva ricoperto il suo tragitto senza incontrare alcun problema.

La contessina aveva avuto modo di scoprire che il suo amato pareva terrorizzato dal mare, e nonostante che avesse inizialmente cercato di dissimulare quella sua paura, una volta sulla nave aveva dovuto ammetterla, facendola ridacchiare.

Giovanni non aveva mai visto il mare prima di quel momento, e nonostante il fatto che avesse compiuto qualche incursione fino alle porte di Ravenna e nelle sue paludi limitrofe, non si era mai addentrato fin sulla costa, e non aveva mai visto una spiaggia.

A quel pensiero, Teresa sorrise da sola, facendo una carezza sulla testa del suo amato addormentato, che a volte pareva davvero un bambino.

Scese con le dita lungo il suo volto, con delicatezza, e ancora una volta ci rimase male quando non trovò la sua barba ispida che ormai le era diventata tanto familiare. Il brigante si era rasato il giorno stesso in cui Isacco aveva spiegato a loro il suo piano, e da allora aveva cercato di radersi ogni volta che aveva un secondo libero. Non gli importava del fatto che erano sempre di corsa, ma la barba doveva sempre raderla.

Quel comportamento ripetuto con una costanza sbalorditiva l’aveva lasciata scossa per alcuni giorni, fintanto che non aveva compreso che per il suo amato quei peli sul volto gli ricordavano la sua vita precedente, quella definitivamente conclusa in tragedia su quei monti che ormai erano diventati la sua casa. Radersi era diventato per lui un modo per non ricordare, per lasciarsi alle spalle ciò che era stato in passato.

La barba folta e marrone faceva parte di Zvàn il brigante, ed invece lui ora era solo Giovanni, un uomo ricercato che stava per diventare padre, e per questo stava cercando di tentare la fortuna al di là dell’oceano assieme alla sua compagna.

La contessina sperò che, una volta giunti a Santos, le persone indicatale da Isacco avessero potuto fornirle nuovi documenti, validi anche per poter contrarre matrimonio. Così, avrebbero potuto legalizzare al meglio la loro relazione.

Ma in quel momento capì che stava fantasticando e che stava lentamente scivolando nel sonno, e si sbrigò ad aprire gli occhi; sapeva che ben presto la nave sarebbe giunta in vista di Napoli, glielo aveva detto qualche ora fa il capitano, quando si era affacciato frettolosamente sulla porta della loro ristretta cabina per avvisarli dell’imminente sbarco.

Una volta giunti a Napoli, si sarebbero dovuti rimbarcare di nuovo in fretta e furia, poiché nave che li avrebbe condotti direttamente a destinazione era già in procinto di partire stando a quello che le aveva detto l’ufficiale, e non ne sarebbero salpate altre per un paio di settimane in direzione del Brasile. Quindi, si sarebbero dovuti imbarcare di gran fretta e il prima possibile.

La nave aveva fatto sosta solo una volta, a Piombino, per poi continuare la sua rapida discesa verso la sua meta. In quel momento, doveva essere quasi giorno, e l’arrivo nella grande città del sud doveva essere imminente, eppure la ragazza non si sentì desiderosa di svegliare il suo amato e si limitò ad accoccolarsi ancora di più tra le sue braccia, per poi iniziare ad accarezzarlo dolcemente, senza che lui si svegliasse.

Come sempre, nonostante il buio che in quel momento le impediva di vedere quel volto che tanto amava, sapeva che lui era bellissimo.

Eppure, quel breve istante di calma mentale fu interrotto bruscamente da un’esplosione di rumori e di grida, mentre la grande nave emetteva un suono forte ed assordante; era il segnale che a breve sarebbero dovuti sbarcare.

Come un felino, la contessina balzò sul suo amato, scuotendolo con vigore crescente, visto che lui si limitava a mugugnare e a continuare a dormire.

‘’Basta, Teresa!’’, brontolò Giovanni dopo un po’, con un tono autoritario ed insonnolito, per poi tornare a voltarsi su un lato.

‘’Vuoi forse restare qui?! Tra poco dobbiamo abbandonare la nave, svegliati o altrimenti gli ufficiali di bordo ti risveglieranno a pedate… ed immagino che non sia una cosa tanto divertente’’, disse la ragazza, iniziando a vestirsi frettolosamente.

Giovanni mugugnò nuovamente qualcosa, capendo ciò che stava per accadere, e si affrettò ad alzarsi e ad iniziare anch’egli a vestirsi.

Teresa non parlò, si limitò solo a sistemarsi il vestito che aveva appena indossato e ad affrettarsi a raggiungere la porta della cabina. Fortunatamente, di bagagli non ne aveva con sé, a parte la sua piccola valigetta da viaggio che teneva sempre stretta tra le sue mani e che conteneva solo due miseri cambi d’abito e qualche piccolo oggetto per mantenere un minimo d’igiene personale, oltre a qualche scritto firmato dal loro salvatore, sempre a portata di mano in caso di necessità.

Con sé non aveva né cibo né denaro, poiché Isacco, grazie alla sua rete di amicizie e ad una richiesta d’aiuto alla sua comunità sparsa su tutta la penisola, era riuscito a far giungere con un buon anticipo i vari pagamenti, in modo che per loro due fosse già tutto a posto. Fino a quel momento, era filato tutto liscio.

Riguardo al cibo, anche quello doveva essere compreso nell’alloggio a bordo, poiché sulla Vento del Tirreno ogni giorno un mozzo si era recato a portare a loro un pranzo ed una cena. Si trattava di pasti un po’ miseri e frugali, ma pur sempre commestibili ed accettabili.

Quando anche il brigante ebbe finito di vestirsi, si affrettarono ad uscire dalla cabina, mano nella mano, e furono travolti dal caldo sole di giugno, lasciandoli avvolti in una magnifica e calda alba estiva. Nel napoletano il clima era già molto più mite rispetto al nord, e l’aria era gradevole e portava con sé tutti gli odori della vicina città, che mischiati al profumo di salsedine rendeva tutto davvero incredibile.

Teresa fissò la grande città di Napoli, ormai poco distante. Una sorprendente ed immensa distesa di case che si dispiegavano a vista d’occhio, mentre un paesaggio stupendo le incastonava in un quadro generale magnifico.

Sembrava un panorama descritto in una qualche bellissima favola per bambini, e la ragazza distolse il suo sguardo da quella magnifica visione solo per dare una rapida occhiata al volto del brigante. Giovanni pareva ipnotizzato da ciò che stava vedendo, e quando lei gli si avvicinò e gli diede un bacio sulle labbra, lui quasi non se ne accorse.

La ragazza sorrise e tornò a fissare l’immensa città in avvicinamento, mentre la rossastra alba di quel giorno quasi estivo pareva volesse baciarla e cullarla nel suo tiepido abbraccio.

‘’Il Vesuvio’’, mormorò poi Teresa, guardando il grande vulcano che si stagliava sulla città e che in quel momento pareva calmo, anche se una piccola colonna fumosa fuoriusciva dal suo apice. Suo padre gliene aveva parlato tante volte, e altrettante volte aveva letto il suo nome sui libri; però, dovette ammettere a sé stessa che vederlo in prima persona era davvero molto meglio.

‘’Cosa?’’, chiese il brigante, stringendole la mano con più forza.

‘’Niente’’, rispose la contessina, senza esitare.

Il suo amato di certo non aveva idea di cosa fosse il Vesuvio e un vulcano, e ai suoi occhi doveva apparire una semplice montagna, ma visto che lei in quel momento non aveva voglia di mettersi a spiegargli tutto come avrebbe fatto una brava maestrina, decise di lasciar perdere e di continuare a godersi lo spettacolo che le offriva la città partenopea.

Uno spettacolo che purtroppo non durò molto, visto che già dopo poco la nave era pronta ad attraccare. Le manovre furono svolte con molta rapidità e maestria, e ben presto il loro viaggio su quell’imbarcazione ebbe fine.

Teresa abbandonò il mercantile a braccetto col suo amato, dopo aver cortesemente salutato il capitano dell’imbarcazione, che si era limitato ad ammiccare e ad indicare una nave di molto più grande di quella che stavano per lasciare.

‘’Bella, questa città. Sai, non avrei mai immaginato che avrei viaggiato lungo quasi tutta la penisola’’, disse il brigante, mentre attorno a loro l’atmosfera era rilassata e distesa. Lungo il porto, c’era una calca incredibile nonostante fosse solo l’alba, e il baccano era quasi insostenibile.

Napoli era indubbiamente splendida ed aveva un suo fascino, Teresa doveva riconoscerlo. E in quella città lei si trovava davvero bene; le era riaffiorato il sorriso, sapendo che nessuno lì avrebbe potuto riconoscere il suo amato, consapevole di essere lontanissima da Ravenna e dal nord.

‘’E cosa ti aspettavi dalla tua vita?’’, chiese poi ingenuamente la contessina, sovrappensiero, mentre osservava i venditori ambulanti che si aggiravano tra la folla e ascoltava il chiasso della grande città che si stava rapidamente risvegliando immersa nella luce dell’alba.

‘’Mi aspettavo di morire’’, concluse il suo amato, pronunciando tutto rapidamente, quasi avesse sputato fuori quella frase dopo mesi che l’aveva internamente tormentato.

Teresa a quel punto si voltò verso di lui e distolse l’attenzione da ciò che la circondava, troppo colpita dalla frase che aveva appena pronunciato il brigante, e l’abbracciò lentamente.

‘’Anch’io mi aspettavo di morire, ad un certo punto. Ammetto che ho creduto seriamente che non avessimo più avuto alcuna possibilità di sopravvivere, e quando Alfonso ha cercato di farmi del male, dopo avermi rinchiuso nel suo palazzo di Ravenna, ero davvero disperata…’’.

‘’Basta così. Ora siamo giunti fin qui per voltare pagina, e per percorrere il lungo tragitto che ci separa dalla nostra nuova vita. Ripensare al doloroso passato non è di buon auspicio’’, disse bruscamente Giovanni, interrompendo la contessina, che l’abbracciò con maggior vigore.

Per nulla imbarazzata dal fatto che era fissata da decine di persone, che in quel momento le stavano passando accanto, si alzò in punta di piedi e diede un rapido bacio alla guancia del suo amato, e senza contraddirlo o aggiungere altro, gli prese la mano e si soffermò ancora per un istante a guardarsi attorno.

‘’Abbiamo una nave da raggiungere; non possiamo restare qui impalati tutto il giorno’’, sbuffò il brigante, impaziente di raggiungere la loro imbarcazione. Per lui, salire su quella nave doveva significare che il viaggio era già ad un buon punto. Ma Teresa sapeva che il peggio doveva ancora venire.

‘’Dai, smettila di essere frettoloso. È appena l’alba, e la nave non partirà di certo prima di mattina inoltrata. Quindi, rilassati un attimo’’, gli disse la contessina, alzando gli occhi e contemplando il cielo azzurro scuro che la sovrastava, notando frotte di chiassosi gabbiani che stavano solcando quelle misteriose correnti d’alta quota che permettevano loro di planare in cerchio e poi di gettarsi verso il mare. Era tutto così magnifico.

‘’Quelle bestiacce che fanno rumore proprio non mi piacciono. Non le sopporto’’, disse il brigante, cauto, interrompendo il suo breve silenzio.

Teresa sorrise, sapendo che il suo amato non si era ancora completamente abituato al mare e alle sue creature.

‘’Invece sono dei bellissimi volatili’’, disse la contessina, continuando a sorridere e guardando il suo amato, mentre anche lui era con lo sguardo puntato verso il cielo limpido.

‘’Devono essere così grossi… se solo fossero venuti anche sui miei monti! I miei ragazzi ne avrebbero abbattuto a bizzeffe e ne avremmo mangiati per giorni. A proposito, sono commestibili?’’, chiese il brigante, dopo aver finito di parlare con un tono greve.

‘’Non dire sciocchezze. I gabbiani non si mangiano’’, rispose la contessina, tirandogli una lieve gomitata, ‘’almeno, non mi ha mai detto nessuno di averli mangiati’’. La ragazza concluse il tutto con un altro sorriso.

Giovanni scrollò le spalle.

‘’Peccato, questi uomini di mare non sanno cosa si perdono, vivendo solo di pesce. Sembrano molto grassi, ed hanno dei petti così robusti e carnosi…’’, continuò il brigante, sempre più ironico.

Teresa rise e gli diede un’altra gomitata, un po’ più forte della precedente.

‘’Piantala, smettila di dire sciocchezze’’.

‘’Vogliamo restare qui impalati tutta la mattina a continuare a parlare di argomenti inutili o possiamo muoverci? Questo trambusto e tutta questa gente che ci guarda mi fanno agitare’’, si affrettò ad aggiungere Giovanni, evidentemente stanco di guardare il cielo e di parlare di gabbiani.

‘’Hai ragione, muoviamoci. Comunque, puoi stare rilassato; qui siamo lontanissimi dal nostro punto di partenza e nessuno ci conosce. Non hanno neppure idea di chi siamo noi, e non possono neppure comprendere ciò che diciamo…’’, disse la contessina, per poi riprendere a dirigersi verso la grande nave dove dovevano imbarcarsi. Non c’era neppure l’ombra di gendarmi o di militari in divisa nei paraggi, e questo la rassicurava ancora di più.

‘’Non mi sento al sicuro’’, ribatté Giovanni, non ancora soddisfatto.

‘’Amore mio, calmati’’, sussurrò Teresa, baciandolo sulle labbra. Il brigante si ritrasse bruscamente.

‘’Sei impazzita!? Smettila di baciarmi davanti a tutta questa gente’’, disse Giovanni, cercando di respingerla. E Teresa tornò a ridere, notando il tenue rossore che stava comparendo sulle gote del suo amato.

‘’Posso baciarti quanto voglio. Qui nessuno fa caso a noi, tutti sono presi dalle loro commissioni. Ti prego davvero di rilassarti.’’.

‘’Non ci riesco. Baciarsi davanti a tutti questi sconosciuti… è anche maleducazione’’.

‘’Ma smettila. Nessuna maleducazione. E ora sbrighiamoci, se vogliamo imbarcarci’’, concluse la contessina, strizzando l’occhio al suo amato e spronandolo a camminare nuovamente.

Giovanni non aggiunse altro, e con serietà riprese a trotterellare inizialmente dietro di lei, per poi afferrarle una mano ed affiancarla. Si scambiarono un sorriso complice, e in quel momento la contessina riconobbe che anche lui si stava rilassando nuovamente.

La nave che le era stata indicata dal capitano della Vento dei Tirreno era ormeggiata un po’ lontano da loro, e più ci si avvicinavano più essa appariva imponente; era davvero mastodontica, e la ragazza si chiese quante persone fosse in grado di trasportare al di là dell’oceano.

‘’Quella è la nostra imbarcazione?’’.

Teresa annuì solamente, senza aggiungere altre parole, mentre anche il suo amato sembrava lievemente sorpreso dalla grandezza della nave.

Nessuno dei due si azzardò più a dire nulla, e con circospezione la ragazza si avvicinò ad un ragazzetto, forse un mozzo, che stava lavorando sul molo, a fianco degli ormeggi della grande nave. Era seminudo, e la schiena e il torso erano scuri, quasi ad indicare che doveva essere già da parecchie settimane che non indossava nessun vestito.

‘’Scusa, tu fai parte dell’equipaggio della nave?’’, gli chiese, avvicinandosi. Il ragazzetto la fissò e abbassò gli occhi, con evidente scarsa voglia di parlare. Forse, faticava anche a capire le sue parole.

‘’Sì…’’, mormorò dopo un poco, senza aggiungere altro.

‘’Bene, allora potresti condurci a bordo? Dovremmo parlare col comandante del tutto, o almeno con un qualche ufficiale, poiché dobbiamo imbarcarci…’’, continuò Teresa, imperterrita. Il giovane scrollò le spalle e le fece cenno di seguirla.

La contessina tornò a riafferrare la mano del suo amato, ed insieme si fiondarono verso il ponte calato dall’alta nave, dove i due quasi incespicarono.

Una volta saliti a bordo, il mozzo seminudo fece loro cenno di attendere e si diresse verso un uomo ben vestito, che se ne stava in piedi ad osservare dall’alto il porto di Napoli. Parlottò un attimo con lui, poi glieli indicò.

L’uomo ben vestito annuì e si avvicinò subito a Teresa e al suo amato, mentre il giovane mozzo si dileguava senza dire nient’altro.

‘’Buongiorno, e ben arrivati. Il giovane Patrizio mi ha detto che parlate una lingua del nord… ed ho capito che siete quelli di cui parlava la lettera che mi è stata recapitata ieri, con all’interno le quote del viaggio… o sbaglio?’’, disse subito l’uomo, con sguardo indagatore. Era alto e con una lieve pancetta, ma oltre a quel particolare sembrava ancora in forma e i suoi occhi scuri e magnetici imprimevano una grande sicurezza.

‘’Siamo noi. Veniamo dalle Legazioni Pontificie della Romagna’’, si affrettò a dire genericamente Teresa, tirando un sospiro di sollievo e capendo che il loro salvatore era stato puntuale anche quella volta. Se Isacco avesse sbagliato qualcosa, rallentando anche solo un pagamento, non immaginava come sarebbe potuta finire la questione, ma per fortuna quell’uomo pareva bravissimo nel tenere sotto controllo ogni situazione, anche a grande distanza.

‘’Sì, l’ho capito dal vostro modo di parlare. Sapete, qui siamo abituati ad imbarcare gente del sud, gente napoletana. Voi siete i primi del nord ad essersi imbarcati sulla mia nave’’, continuò l’uomo, sorridendo blandamente.

‘’Che sciocco, non mi sono ancora presentato, scusate la mia scortesia. Sono Paolo Grandi, il capitano di tutto questo pasticcio di nave’’.

Teresa gli sorrise.

‘’Noi siamo Teresa e Giovanni’’, disse poi, mentre il suo amato stringeva la mano dell’ufficiale.

‘’Parlate in modo comprensibile…’’, disse poi la contessina, cercando di non risultare invadente o scortese. Nei brevi minuti trascorsi sul molo, non era riuscita a comprendere nulla di ciò che veniva detto attorno a lei.

‘’Oh, sì. Sono originario di Grosseto, e padroneggio senza problemi alcune lingue del centro-nord. Questa è stata una fortuna, poiché da quando ho iniziato a lavorare per mare per mantenermi, alla fine sono riuscito anche a farmi talmente tanto spazio da giungere fino a questi livelli grazie alla conoscenza delle varie parlate diffuse nella penisola’’, disse prontamente Paolo, parlando con grande lentezza.

‘’Ho capito. Scusate la mia intromissione’’, si limitò a dire la contessina, mentre il brigante pareva già perso ad osservare l’imbarcazione. Come sempre, Giovanni si stupiva di tutto, e a volte le sembrava davvero un bambino.

‘’Ma non dovete scusarvi di nulla. Non mi resta che augurarvi buon viaggio! Avete pagato in anticipo e anche una cospicua somma, perciò vi ho affidato la cabina migliore, a fianco della mia’’, disse Paolo, indicandogliela con un dito, ‘’però ora sarete voi a dovermi scusare, perché devo andare a controllare come prosegue l’imbarco dei passeggeri. Partiremo nel primo pomeriggio, ed entro poco tempo ci sarà la calca per salire a bordo’’, concluse poi l’uomo, sempre con grande cortesia, per poi dileguarsi anche lui.

‘’Avanti, andiamo nella nostra cabina’’, disse subito dopo la contessina, notando che altre persone stavano iniziando ad accalcarsi per salire a bordo.

Giovanni parve riscuotersi da quel momento di estrema rilassatezza, e distolse l’attenzione dalla mole della nave, affiancandola senza altre esitazioni.

‘’Visto? Abbiamo fatto bene a fidarci di Isacco. Quell’uomo è riuscito per davvero a farci compiere…’’.

‘’Non dire altro. Il viaggio è ancora lungo e il peggio deve ancora venire’’, disse Teresa a bassa voce, interrompendo il suo amato ed invitandolo indirettamente a non continuare il discorso che stava affrontando. Più per scaramanzia che per altro, poiché ormai anche lei si sentiva un po’ più a suo agio, mischiata tra perfetti sconosciuti che non conoscevano la sua storia o quella del suo amato brigante.

Proprio in quel momento, numerose persone avevano iniziato ad imbarcarsi, mentre Paolo ed altri due ufficiali minori controllavano che ciascuno versasse la quota richiesta per quel viaggio.

Teresa si avvicinò alla porta della cabina che le aveva indicato il comandante, e con sicurezza la aprì. Ma prima di entrare al suo interno, si voltò verso Giovanni, con l’unico pensiero di baciarlo e di stringerlo nuovamente a sé.

Aveva voglia di lui, e sperò che in quell’angusto ambiente potessero ritrovare un po’ di intimità, che avevano perso purtroppo nell’ultimo periodo a causa della loro vita ormai troppo precaria. Ma quel viaggio sarebbe durato a lungo, e avrebbero di certo avuto modo di avere un po’ di pace e di tempo da dedicarsi a vicenda in tutta tranquillità.

La ragazza avvicinò il suo viso alle labbra del brigante, già pronto a ricambiare quel lieto ed atteso bacio, ma qualcosa andò storto.

Teresa sentì del chiacchiericcio, ma non se ne importò ed appoggiò le sue labbra su quelle del suo amato, giusto in tempo per notare una ragazza con la coda dell’occhio. Una ragazza che si stava avvicinando a loro, in maniera casuale e disinvolta, mentre avanzava a braccetto con un giovane, che da come la guardava pareva totalmente innamorato di lei.

Teresa si bloccò, non riuscì a baciare il suo amato e si ritrasse bruscamente da lui, focalizzando quella giovane e capendo il motivo del fatto che i suoi occhi avessero indugiato su di lei. Quella ragazza non era una sconosciuta.

La contessina afferrò bruscamente Giovanni per un braccio, strattonandolo per farlo entrare nella loro cabina, ma lui, ancora sorpreso dalla repentina reazione di poco prima, non si mosse e la cinse tra le sue braccia.

‘’Lasciami ed entra!’’, disse Teresa, cercando di liberarsi dal brigante e di convincerlo ad entrare nella cabina.

‘’No! Non capisco cosa ti turba. Che hai? Sembri una pazza…’’.

Le parole del suo amato divennero un ronzio lontano nelle orecchie della contessina, mentre il suo sguardo tornava a fissare quella ragazza che aveva intravisto poco prima. E scoprì che quella ragazza la stava guardando, stupita anche lei.

Se ne stava a bocca aperta, immobile, mentre anche il suo accompagnatore si preoccupava per lei, proprio allo stesso modo in cui lo stava facendo il brigante. L’aveva riconosciuta.

‘’Entra!’’, disse risoluta la contessina, riuscendo a sciogliere l’abbraccio caldo del suo amato e catapultandosi dentro alla cabina.

Giovanni la seguì e lei sbarrò la porta non appena lui fu entrato.

‘’Non capisco che ti prende’’, aggiunse il suo amato, guardandola con fare sbalordito.

Lei non si preoccupò di quello che stava pensando il brigante, mentre un forte attacco di nausea stava per costringerla a farla rimettere. Si appoggiò con la schiena alla porta e scivolò verso terra.

‘’Dimmi che cos’hai. Sai che io mi preoccupo…’’, mormorò il suo amato, inginocchiandosi a suo fianco e prendendole le mani tra le sue. Ma lei non aveva occhi per lui, in quel momento.

E il suo incubo si realizzò quando qualcuno bussò alla porta con vigore.

‘’Signora! Signora contessa! Padrona, siete proprio voi?’’, disse quella voce giovane, che la contessina aveva udito molte volte nel palazzo romano del suo odiato e defunto marito.

‘’Signora contessa? Padrona?’’, sussurrò il brigante, sgranando gli occhi.

Teresa gli mise una mano sulla bocca, facendolo tacere. Ora era certa di essere stata riconosciuta, ed aveva un piccolo problema da affrontare, anche se non sapeva come.

Colei che stava bussando alla porta e che si era imbarcata sulla loro stessa nave era Sara, una delle fedeli domestiche di Alfonso e che l’aveva servita molte volte a tavola quando Anna era impegnata in cucina. E quella Sara si sarebbe potuta rivelare una vera e propria spina nel fianco per i loro progetti futuri, se si fosse messa a fare domande scomode o se si fosse decisa di sparlare o di causare guai.

Sembrava che quello spettro che Alfonso si era lasciato dietro si sé volesse tormentarla, e questo proprio non poteva permetterlo in quel momento così tanto delicato, proprio quando sembrava che tutto stesse prendendo una giusta piega e che il passato ormai fosse rimasto alle loro spalle, a distanza di sicurezza.

E se Sara avesse avuto l’intenzione di crearle grane, di certo le avrebbe fatto del male e avrebbe messo a repentaglio il loro piano di fuga dalla penisola, proprio quando tutto pareva andare nel migliore dei modi.

La contessina rimase in silenzio, sperando che la giovane domestica si stancasse e se ne andasse, magari credendo di aver avuto una semplice svista.

‘’Signora!’’, tornò a dire Sara, continuando a bussare alla porta con grande insistenza.

E Teresa si mise a piangere, sotto lo sguardo stupito ed ammutolito del suo amato, che a quanto pareva non aveva più neppure la forza per muovere un muscolo.

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Il viaggio è iniziato, e la nostra avventura si avvicina sempre più alla conclusione.

Spero vi ricordiate di Sara. Si tratta di quella ragazza che vi avevo descritto nel capitolo dopo la fuga di Teresa dal palazzo del marito, la domestica che era stata maltrattata da Carla, che le aveva poi ordinato di andare a cercare Alfonso di notte per farlo rincasare ed avvisarlo della fuga della moglie. Ordine che Sara prontamente non aveva eseguito, recandosi da Roberto, il suo fidanzato segreto.

Spero che sia tutto chiaro. Far quadrare ogni cosa fino a questo punto è stata per davvero una grande impresa…

Grazie infinite per continuare a seguire questo voluminosissimo racconto, e spero davvero che la vicenda continui ad essere di vostro gradimento J

Grazie di cuore per tutto J a lunedì prossimo J

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Capitolo 65
*** Capitolo 64 ***


Capitolo 64

CAPITOLO 64

 

 

 

 

 

‘’Signora!’’.

La servetta non smise un istante di bussare e chiamare, con un’insistenza incredibile.

Teresa si asciugò le lacrime e si alzò in piedi.

‘’Cos’hai intenzione di fare?’’, le chiese il brigante, ancora inginocchiato a terra.

‘’E’ riuscita a riconoscermi e non ha voglia di demordere. Prima che attiri su di noi l’attenzione di tutti i passeggeri e dell’intero equipaggio, è meglio chiarire la questione’’, rispose la contessina, sicura di sé. Ebbe un attimo di titubanza quando si accinse a spalancare la porta, ma deglutì e non tentennò oltre.

Aprì la porta con forza, per trovarsi di fronte a Sara, quella giovane domestica che fino a poco tempo addietro dava una mano ad Anna in cucina, nel grande palazzo laziale di Alfonso.

Teresa osservò l’altra giovane con durezza, mentre la ragazza faceva due passi indietro e si ammutoliva.

‘’Dai Sara, allontaniamoci di qui. Non capisco cosa vuoi da questa ragazza’’, disse il giovane che l’accompagnava, afferrando poi la serva a braccetto e sospingendola ad abbandonare quella sorta di assedio. Ma la ragazza si divincolò abilmente e si avvicinò alla contessina.

‘’Signora! Credevo foste morta’’, si affrettò a dire Sara, avvicinandosi ulteriormente e afferrando una mano della contessina.

‘’No!’’, disse bruscamente Giovanni, entrando anche lui in scena e allontanando la mano della serva prima che potesse afferrare la mano di Teresa con più determinazione.

La contessina, a quel punto, esplose. Non ci capiva più niente, e l’intervento di Giovanni l’aveva fatta spazientire.

‘’Dimmi cosa vuoi Sara, e poi lasciami in pace’’, sibilò poi la ragazza, lanciando un’occhiataccia prima alla serva e poi al suo amato, che prontamente si ritrasse e la lasciò da sola ad affrontare gli spettri del suo passato. Sapeva che Giovanni voleva solo proteggerla e stare al suo fianco, ma quello non era proprio il momento giusto, poiché lei voleva affrontare da sola le proprie paure, in modo da poterle poi allontanare definitivamente.

‘’Io… io non voglio niente da voi. È solo che vi ho intravisto poco fa, mentre stavate entrando in questa cabina, e non ho potuto fare a meno di verificare se eravate davvero voi. Sapete, vostro marito aveva fatto sapere a tutti che eravate stata rapita nuovamente da un gruppo di briganti, e che quei fuorilegge vi avevano poi ucciso prima che lui avesse potuto salvarvi…’’.

‘’Basta così. Io sono viva e vegeta, come hai potuto constatare, e ti prego di non interferire mai più con la mia vita. Nessun orecchio indiscreto di questa penisola deve origliare che io sono ancora viva, e soprattutto che sono accompagnata da un uomo. Quindi, dimentica ciò che hai visto e allontanati. Abbandona anche questa imbarcazione, vattene’’, tornò a ringhiare Teresa in modo parecchio irrazionale, scura in volto.

Mai in vita sua si era arrabbiata come in quel momento, poiché era andata vicinissimo ad essere libera dal pesante fardello dei ricordi, ma dal nulla era riapparsa quella dannata domestica che le aveva riportato tutto alla mente. E, in più, poteva anche nascondere qualche pericolo per lei, per il suo amato e per il loro figlio in arrivo.

Nel frattempo, l’accompagnatore della servetta ne aveva approfittato per allontanarsi un po’ dallo scontro verbale in corso, capendo anch’esso che non era un discorso per uomini.

‘’Non posso… non posso andarmene… anch’io mi sono imbarcata su questa nave per fuggire dalla miseria… e per raggiungere le Americhe…’’, iniziò a biascicare Sara, imbarazzata.

Teresa si appoggiò una mano sulla fronte e barcollò, ma comprese troppo tardi che stava svenendo. Tutta quell’agitazione che le aveva gettato addosso quella domestica l’aveva praticamente costretta al collasso.

La contessina cercò disperatamente di aggrapparsi alla piccola maniglia della porta ma ogni tentativo risultò vano, poiché crollò al suolo, mentre Sara diventava solo un’immagine sfocata che muoveva le labbra ad un ritmo molto lento.

Poco prima di perdere definitivamente i sensi, sentì che qualcuno l’aveva afferrata frettolosamente da dietro, impedendole di sbattere a terra e salvandola da un doloroso urto.

 

 

Giovanni, che aveva assistito alla scena da dentro alla cabina, si era affrettato subito a soccorrere e ad afferrare la sua amata poco prima che stramazzasse al suolo, svenuta. Lentamente, l’aveva appoggiata a terra e ed aveva cominciato a sfiorarle il volto.

‘’Amore… amore, risvegliati’’, le sussurrò.

Gli pareva impossibile che lei fosse svenuta di nuovo, e sperò che ciò non avrebbe avuto ripercussioni gravi sulla sua gravidanza e sul loro bambino. Quasi scoppiò in lacrime vedendola così, priva di sensi e totalmente abbandonata tra le sue braccia.

L’uomo sapeva che quello era l’ennesimo svenimento dovuto alla tensione e alle emozioni forti che la sua amata era stata costretta a provare a causa di quella donna sbucata dal nulla, e la consapevolezza di ciò lo rese davvero molto nervoso e preoccupato. Giorgio stesso gli aveva dato quel responso, ed aveva sconsigliato di farla agitare inutilmente.

‘’Oddio’’, iniziò a ripetere la sconosciuta che aveva importunato la sua Teresa, mentre il ragazzo che l’accompagnava le era tornato accanto e guardava la scena con fare più incuriosito che preoccupato.

Giovanni alzò gli occhi dalla sua amata, innervosito ed arrabbiato come non mai, e prima di prenderla in braccio e di portarla nella cabina per distenderla sull’angusto giaciglio a loro riservato, gettò un’occhiataccia ai due sconosciuti.

Non sapeva chi erano, ma aveva compreso da ciò che aveva detto Teresa che quella ragazza doveva aver avuto un suo ruolo, anche secondario, nel passato col marito. In ogni caso, era riuscita a far stare male la sua amata, e ciò gli bastava ampliamente per invitarla senza troppa cortesia ad allontanarsi e a sparire.

‘’Avete guardato anche troppo. Andatevene e lasciateci in pace’’, mormorò il brigante, lasciando trasparire più cattiveria del previsto. Voleva che quel rigurgito del doloroso passato se ne andasse, che sparisse per sempre, in modo che non potesse più causare ansia e pressione sulla sua amata. Ma il fatto che quei due sconosciuti si fossero imbarcati sulla loro stessa nave non preannunciava nulla di buono.

La ragazza, che Teresa aveva chiamato Sara, si allontanò di qualche passo col suo accompagnatore, e Giovanni raccolse la sua amata da terra e la portò dentro alla cabina, chiudendo la porta dietro di sé.

La appoggiò delicatamente sul ristretto e scomodo materasso, e iniziò nuovamente a sfiorarle il volto, visto che era l’unica cosa che poteva fare in quel momento. Lui non era un medico, ma comunque la sua amata aveva un respiro molto regolare e pareva che quella perdita di sensi fosse stata causata solo ed esclusivamente dal nervosismo eccessivo provato nel rivedere quella nemica. Quindi, non si allarmò eccessivamente e continuò ad accarezzarla con dolcezza.

Eppure, poco dopo qualcuno bussò alla porta con insistenza. Giovanni si alzò in piedi e si diresse a grandi falcate verso l’ingresso, pronto a urlare in faccia a quella ragazza se si fosse ancora azzardata a disturbare e a violare la loro piccola intimità.

Il brigante aprì la porta, e si trovò di nuovo di fronte a Sara, che lo stava osservando con colpevolezza a qualche passo di distanza. Questa volta era sola, e doveva aver allontanato il suo accompagnatore.

‘’Vattene, ti ho detto! Lasciaci in pace!’’, le ruggì in faccia Giovanni, cercando di trattenere la sua rabbia.

‘’No, io devo…’’.

‘’Tu non devi nulla! Vattene!’’, urlò di nuovo il brigante, sempre più rabbioso ed interrompendo la ragazza. Poi, si accinse a chiudere nuovamente la porta.

‘’No! La signora contessa mi ha riconosciuto, voi non…’’, tentò di dire la ragazza, gettandosi nel mezzo della piccola porta ed impedendo all’uomo di richiuderla.

Giovanni a quel punto esplose, e con rabbia crescente afferrò Sara per un braccio e la gettò dentro all’angusta cabina, per poi sbarrare la porta dietro di sé. In un attimo, fu addosso alla sconosciuta e la spinse brutalmente contro il muro di lamiera che divideva la cabina dalle altre, afferrandole poi le braccia e immobilizzandola.

‘’Non mi importa chi sei. Mi hai fatto proprio perdere la pazienza! Ti abbiamo ripetuto mille volte di lasciarci in pace, ma tu non smetti di insistere, e guarda i risultati. La mia Teresa è incinta, ed ora ha anche perso i sensi, oltre ad aver rischiato di fare una brutta caduta. Ma tu non sei ancora contenta, vero? Continui a perseguitarci. Hai cattive intenzioni? Cosa vuoi?’’, iniziò a chiedere ad alta voce Giovanni, travolgendo Sara come un fiume in piena.

Non riusciva a capire cosa potesse volere da loro quella sconosciuta, ma in ogni caso lui l’avrebbe messa a tacere e le avrebbe impedito di continuare a tormentare sia lui che la sua amata. E non si sarebbe fatto problemi ad utilizzare le maniere forti, come d’altro canto stava già facendo.

‘’No, mi dispiace per quello che è accaduto… volevo solo scusarmi’’, disse Sara, gemendo di dolore e cercando di divincolarsi dalla stretta ferrea dell’uomo, che continuò a tenerla ben stretta contro la parete di lamiera.

‘’Non mi importano le tue scuse, non mi importa nulla di te, quante volte te lo devo dire? Lasciaci in pace. Sparisci’’, sibilò Giovanni, per poi lasciarle i polsi.

Sara si strofinò con le mani i punti in cui la stretta del brigante era stata più pressante, e scoppiò in lacrime scivolando fino a terra, in ginocchio.

‘’Avete entrambi frainteso le mie intenzioni… io non ho più nulla a che fare col passato, poiché sono fuggita assieme col mio fidanzato per cercare una vita migliore da offrire a noi e a nostro figlio, che nascerà tra cinque mesi… non volevo farvi del male o riconoscere la mia padrona. È tutto casuale…’’, iniziò a dire la giovane, per poi raggomitolarsi su sé stessa e singhiozzare sonoramente.

Vedendo quelle lacrime scorrerle lungo il viso ed ascoltando ciò che Sara aveva da dire, Giovanni si calmò lentamente, comprendendo che lasciando andare la sua rabbia aveva inconsapevolmente fatto del male ad una donna incinta. La ragazza non mostrava ancora un vistoso pancione, ma in ogni caso il suo pianto isterico e pieno di dolore riuscì a commuoverlo talmente tanto che si inginocchiò a suo fianco.

‘’Ti chiedo scusa se sono stato così brusco e aggressivo, ti giuro che non volevo farti del male, ma solo spaventarti un po’. Non sapevo che eri incinta, e pensavo che tu rappresentassi una minaccia per noi, d’altronde la reazione della mia amata lo confermava. In ogni caso, continuo a scusarmi, anche se ormai in ritardo’’, le disse, realmente affranto. La sua furia cieca l’aveva gettato a compiere un’azione vile e stupida, ed ora non sapeva come reagire.

Mordendosi un labbro, si rialzò e gettò una rapida occhiata alla contessina, che giaceva ancora priva di sensi, ed afferrò un bicchiere d’acqua, per poi porgerlo alla terrorizzata Sara. L’acqua, purtroppo, era l’unica cosa che poteva offrirle per farsi perdonare di quegli orribili gesti che aveva compiuto poco prima.

‘’Grazie’’, sussurrò la ragazza, afferrando il bicchiere e portandoselo alle labbra, tremando dalla testa fino ai piedi.

‘’Mi dispiace. Non volevo, lo giuro…’’.

‘’Non importa. Capisco la tua reazione spropositata; sono stata molto pressante e fastidiosa, dovevo farmi gli affari miei. Ma quando ho visto la padrona, che credevo morta, non ho potuto non correrle dietro’’.

‘’Non puoi capire nulla, invece. Io ho alzato le mani contro di te in un modo vile, e mi dispiace. Dimmi che stai bene, te ne prego’’.

‘’Sto bene, stai tranquillo. E’ solo… è solo un po’ di spavento, nient’altro’’, disse Sara, sorridendo blandamente e appoggiando una mano sul braccio di Giovanni, che l’aiutò poi a rialzarsi.

‘’Tutti noi immaginavamo che la nostra gentile contessa avesse un’amante. Sei tu l’uomo per il quale lei ha gettato al vento tutti i suoi beni e il suo matrimonio?’’, chiese poi la ragazza, avvicinandosi al capezzale di Teresa.

Giovanni si irrigidì immediatamente a quelle parole. Non aveva alcuna intenzione di rivangare nel passato, ma in ogni caso avrebbe risposto a quelle domande senza alcuna vergogna. Entro poco, quella grande nave sarebbe salpata e il passato sarebbe rimasto definitivamente indietro, pronto ad essere dimenticato. O, almeno, questa era una delle sue più segrete speranze.

‘’Sì, sono io’’, si limitò a dire, non aggiungendo altro. Non sapeva ancora se poteva fidarsi di quella sconosciuta.

‘’Il conte Alfonso era un pazzo, e la sua governante lo era ancora di più. Erano irragionevoli, avari e spregiudicati. Quando ho visto la nuova padroncina, il suo sorriso e il suo modo di fare timido e pacato, avevo subito compreso che le cose non si sarebbero messe bene… e alla fine lei è scappata, dopo appena un paio di mesi di convivenza coniugale piuttosto forzata. Come darle torto… con un marito del genere, sarei fuggita anch’io’’, sbottò poi Sara, continuando a parlare sommessamente a fianco di Teresa.

‘’So com’era fatto Alfonso. Ho avuto modo di averci a che fare’’, mugugnò Giovanni tra i denti, lottando contro il desiderio di sputare a terra per esprimere tutto il suo disgusto verso quel maledetto conte. Ma a quel punto Sara si volse a guardarlo con attenzione.

‘’L’hai ucciso tu, vero? Come hai fatto ad intrufolarti nella sua sontuosa abitazione di Ravenna?’’.

‘’Non azzardarti a muovere accuse contro di me. Io non l’ho ucciso. Ma ti giuro che se ne avessi avuto la possibilità, l’avrei fatto’’, rispose Giovanni, con risolutezza e dicendo la verità.

‘’Sai, Alfonso è sempre stato il padrone della mia famiglia. Ci ha sempre tenuti nella fame e nell’ignoranza, sfruttandoci senza pietà. Era perfido, un mostro. Ed ha fatto la fine che si meritava’’, proseguì la ragazza, annuendo leggermente.

Giovanni si sedette su una delle due sedie presenti in quell’ambiente ristretto e si prese il volto tra le mani.

‘’Immagino…’’, si limitò a mormorare, avendo imparato a conoscere quel maledetto conte, che per fortuna ormai non era più a quel mondo per tormentare chiunque fosse capitato lungo il suo cammino.

‘’Ho lavorato alle sue dipendenze solo perché sapevo che se avessi tentato di fuggire o se mi fossi recata da un altro proprietario terriero alla ricerca di un qualche lavoro meglio retribuito lui avrebbe punito la mia famiglia; era solito a fare ritorsioni o ad abbassare le paghe, che tra l’altro erano sempre bassissime e scarne.

‘’Quando è giunta la notizia della sua morte, i miei genitori sono passati alle dipendenze di un altro nobile grassone ed io ne ho approfittato per fuggire con Roberto, il mio grande amore. Non intendevamo restare in queste terre povere, e passare alle dipendenze di nuovi spregiudicati padroni, così siamo fuggiti di casa assieme.

‘’Abbiamo investito ogni nostro guadagno per pagarci questo viaggio e speriamo davvero che nelle Americhe ci sia una possibilità per noi’’, concluse poi Sara, proseguendo a parlare come un fiume in piena.

Il brigante sospirò, sempre in ansia per la sua amata, e riconobbe che c’erano numerose similitudini tra la loro storia e quella di Sara e Roberto. Solo che loro avrebbero potuto accontentarsi di una vita un po’ più restrittiva, ma che comunque non avrebbe impedito il loro amore, mentre per lui e la sua contessina non c’era stata altra alternativa che la fuga.

‘’Capisco’’, aggiunse brevemente Giovanni, continuando a rannicchiarsi sulla sua sedia.

‘’Non vogliamo farvi alcun male, è solo un caso che ci siamo incontrati su questa nave, lo giuro. Ma voi due come avete fatto a giungere fin qui? Cos’è accaduto alla contessina Teresa durante tutti ultimi mesi?’’, chiese Sara, con un piglio molto incuriosito ma sincero.

Il brigante chiuse gli occhi e raccontò tutta la loro storia per filo e per segno, e tutte le avventure e i viaggi che avevano affrontato nell’ultimo mese. La ragazza fino a quel momento gli era parsa sincera e con sicurezza si era prontamente fidato di lei, rivelandole ogni particolare in un modo che alla fine del racconto lo fece sentire anche un po’ in colpa, ma quel lungo periodo drammatico l’aveva talmente tanto sfiancato che aveva avuto la necessità e il bisogno di vuotare il sacco e di raccontare tutto a qualcuno.

In fondo si sentiva anche in colpa, poiché a quel punto aveva lasciato perdere le parole e l’atteggiamento della sua amata, che svenendo in quel modo gli aveva praticamente lasciato intendere che non doveva fidarsi di quella sconosciuta, ma non aveva saputo opporre la giusta resistenza ed era finito per ripercorrere interamente la loro storia sentimentale e il loro cammino da sempre lastricato di ostacoli, forse anche per cercare di non pensare al peggio.

Quand’ebbe finito di raccontare, doveva essere trascorsa un’altra oretta, e Giovanni si risistemò sulla sua sedia, riprendendo fiato, mentre Sara lo fissava con gli occhi pieni di stupore e Teresa non accennava ancora a riprendere i sensi.

‘’E voi siete sopravvissuti a tutto questo?! Siete davvero degli eroi’’, disse poi la serva, finita la narrazione degli eventi. Pareva davvero molto stupita dal racconto che aveva appena udito.

‘’Non esageriamo. Noi due ci amiamo, sapevamo che il nostro amore non avrebbe avuto una vita facile, e ci siamo salvati a vicenda… e poi, dei due è lei l’eroina. Ha combattuto come nessun uomo avrebbe potuto fare, nonostante fosse anche incinta e si trovasse in una situazione d’indigenza totale’’, rispose il brigante, osservando attentamente la sua amata. Infatti, gli era parso di aver notato un piccolo movimento sul suo volto, uno zigomo che si era lievemente mosso, però dovette riconoscere che forse si era trattata di un’allucinazione. E quel lungo periodo in cui la sua amata giaceva senza sensi lo stava struggendo fin dentro all’anima. Era davvero molto preoccupato per lei.

Nel frattempo, Sara era ancora a fianco di Teresa, ma non la stava guardando in volto e pareva non essersi accorta di nulla.

‘’La contessa è sempre stata una ragazza forte. In quel dannato palazzo si è sempre comportata con risolutezza, anche quando ha scoperto che suo marito la tradiva… ecco, noi serve immaginavamo quello che faceva, il cocchiere che lo accompagnava in città era molto riservato, ma si confidava con sua moglie e a volte era lei stessa ad aprirci gli occhi, anche se comunque si poteva chiaramente intendere che il conte Alfonso fosse immerso fino al collo in qualche giro carnale e spiacevole…’’.

‘’Ora basta parlare di Alfonso. Non ne posso più… non posso sopportare di parlarne oltre’’, sibilò Giovanni, già duramente in ansia per la sua amata e distrutto dalla paura del futuro. Non si preoccupò per aver interrotto bruscamente la domestica, che dal canto suo accennò una bozza di sorriso e parve comprendere appieno le motivazioni di quell’atteggiamento sgarbato.

Per un attimo, il silenzio avvolse la cabina, fin quando Sara non si allontanò di qualche passo dal capezzale di Teresa.

‘’Beh, io dovrei andare ora. Passerò più tardi per accertarmi che la mia amatissima padrona si sia ripresa, e mi scuso per aver causato così tanto scompiglio. Il mio amato Roberto si starà chiedendo di certo che fine io abbia fatto, visto che gli ho detto che sarei tornata a raggiungerlo dopo qualche minuto…’’, iniziò a dire la ragazza, con tono di congedo.

Era imbarazzata e non sapeva come togliersi da quella situazione, e Giovanni lo poteva constatare chiaramente dal suo volto lievemente arrossato e dal suo sguardo costantemente in viaggio verso gli angoli più oscuri della cabina, e decise comunque di perdonarla anche se non si stava comportando con il massimo dell’educazione. D’altronde, se si era giunti a quel punto era solo a causa sua e delle sue insistenze, ed era comprensibile che in quel momento volesse svignarsela.

‘’Certo…’’, si limitò a dire poi il brigante, cercando comunque di togliersi dai piedi quella figura a tratti scomoda.

Non che fosse fonte di fastidio per lui, visto che le aveva raccontato anche tutto ciò che lo riguardava e ciò che era accaduto a lui stesso e a Teresa fino a quel momento, ma temeva solamente che la sua amata contessina potesse riprendere i sensi intanto che quella domestica era ancora dentro alla cabina, facendola innervosire nuovamente. E poi, voleva stare un po’ da solo con la sua amata, quasi a voler cullare e raccogliere la sua preoccupazione.

Sara annuì, e si diresse verso la piccola porta, mentre Giovanni si alzò dalla sedia sulla quale era stato posizionato per un paio d’ore e si avvicinò a grandi passi a Teresa. E lei quasi parve sentire la sua vicinanza, poiché sussultò e con qualche movimento lento del volto tornò a riaprire gli occhi.

‘’Giovanni…’’, sussurrò la contessina, sorridendo blandamente.

‘’Oh, Teresa! Come stai, amore mio?’’, disse prontamente il brigante, inchinandosi a suo fianco e prendendole le mani, ormai in visibilio.

‘’Sto bene, non è successo nulla di grave, amore… mi sono solo venute a meno le forze per un istante… e… oh!’’. La contessina non disse altro e si limitò a strabuzzare gli occhi non appena vide che Sara era lì, presente nella loro cabina. Giovanni deglutì.

‘’Signora, vi chiedo perdono per avervi spaventato, ma vi giuro che ho tutte le migliori intenzioni nei vostri confronti…’’.

‘’Taci! Stai zitta e vattene, non interferire più nella mia vita! Tu non sai quello che ho dovuto soffrire e ciò che vorrei dimenticare…’’.

‘’Vi sbagliate; ora lo so’’.

‘’Lo sa, le ho raccontato tutto io’’, mormorò il brigante, di supporto alla domestica.

Teresa pareva sul punto di svenire nuovamente e questo lo fece spaventare per un istante, ma poi la sua espressione arrabbiata si tramutò in un qualcosa di indecifrabile.

‘’Perché? Perché le hai raccontato di noi? Non capisci che ci farà solo del male? Sembra che Aldo, Fabio, Guglielmo e compagnia bella non ti abbiano mai fatto aprire gli occhi’’, si limitò a dire la contessina a voce bassissima, tornando a distendersi al meglio sul letto ed apparendo più tranquilla di poco prima. Sembrava lievemente delusa da lui e dal suo comportamento.

‘’Ecco, stai calma. È tutto a posto; anche lei sta fuggendo come noi, assieme al suo fidanzato’’, disse Giovanni, cauto, cercando di spiegare tutto meglio. Voleva capire come avrebbe continuato a reagire Teresa, e non voleva farla innervosire o svenire nuovamente.

‘’E’ vero, vi ho incontrati solo per puro caso, e dalla mia bocca non uscirà mai nulla su di voi. Potete davvero fidarvi di me, e vi do la mia parola, la mia e quella del mio fidanzato, che non riveleremo mai a nessuno le vostre vere identità e vi assicuro che non parlerò mai del vostro passato’’, giurò Sara con una sincerità e una sicurezza disarmanti.

Teresa annuì, mentre Giovanni le stringeva più forte le mani tra le sue, quasi cercando di trasmetterle un po’ di forza, che in quel momento pareva che le stesse mancando.

‘’Va bene. Voglio crederti’’, mormorò alla fine la contessina, arrendendosi.

Giovane le sorrise e le accarezzò i capelli, avvicinandosi al suo volto per darle un rapido bacio sulla guancia, ma un rumore molto forte li disturbò. Poi, lo scalpiccio al di fuori della cabina si fece assordante.

‘’La nave sta salpando’’, disse Sara, ascoltando i rumori che li stavano circondando. Giovanni riconobbe che la domestica aveva ragione.

‘’Ora però devo proprio andare dal mio Roberto. Ormai, mi avrà dato per dispersa! Tornerò a farvi visita, se vi farà piacere’’, aggiunse la serva, preparandosi a congedarsi.

‘’Vai pure’’, si limitò a dire Giovanni, per poi tornare a fissare il volto della sua amata, che pareva contratto, in preda alla morsa del dubbio. Capì quindi che lei ancora non si fidava molto della domestica.

Ma, dopo un altro istante, mentre Sara stava per uscire dalla cabina, Teresa le sorrise con lentezza.

‘’A presto, allora. Torna quando vuoi’’, disse a sorpresa la contessina, mentre la domestica quasi sobbalzava, per poi annuire con gentilezza e andarsene, chiudendo la porta della cabina dietro di sé.

Giovanni, rimasto solo con la sua amata, la fissò ancora con la bocca aperta dallo stupore.

‘’Credevo che tu non ti fidassi di lei, e che la odiassi! Non ti capisco, a volte’’, sbottò poi, continuando a fissarla. Lei si lasciò sfuggire una breve e cupa risatina.

‘’Ti sei fidato di lei, no? Ora sa tutto di noi, e la nave sta lasciando Napoli e questa penisola. Non credo che ci potrà recare danni, quando saremo in mare aperto… inoltre, per controllare una possibile nemica, bisogna tenersela amica’’, rispose poi la contessina, tranquilla. Giovanni non poté far altro che annuire, per darle ragione.

‘’E poi… sono stanca di soffrire, lo devo ammettere soprattutto notando gli effetti che produce sul mio organismo. Ormai Alfonso è morto, Ravenna e Roma sono lontane e alle nostre spalle, e noi due ci amiamo come mai prima d’ora. Niente e nessuno potrà più separarci, figuriamoci la paura che può incutermi quella insulsa domestica. Non mi importa più nulla del passato, voglio solo voltare pagina, sperare in un futuro migliore e amarti’’, continuò Teresa, lasciandosi andare ad un ampio sorriso rilassato.

Giovanni la abbracciò con le lacrime agli occhi, capendo quanto fosse saggia e matura la sua amata. Lei non era più un’ingenua ragazzina ma era una donna a tutti gli effetti ormai, e ben presto, se il destino sarebbe stato clemente, sarebbe diventata anche una madre coi fiocchi.

‘’Così mi piaci, amore mio’’, le sussurrò, baciandola piano sulla fronte. La contessina sorrise.

‘’Come stai?’’, tornò a chiederle, allontanandosi un attimo e riprendendole una mano tra le sue.

‘’Bene, non preoccuparti. Tutto quel nervosismo mi ha fatto perdere i sensi, ma davvero, sto benissimo ora…’’.

Giovanni, ormai rincuorato e rassicurato, non resistette oltre a quelle magnifiche labbra e baciò la sua amata con passione, quasi smorzandole il fiato con un’irruenza primitiva.

Lei lo lasciò fare e, dopo un istante di esitazione, iniziò a ricambiarlo con vigore crescente. E gli fu chiaro che in quel momento, su quella nave che si stava avventurando verso il mare aperto, le loro vite avevano completamente chiuso con il passato. Niente più spettri o antiche paure, a quel punto a loro restava solo il presente e la fiducia nel futuro.

Mentre continuava a baciare la sua amata, Giovanni sperò solo che quel lungo viaggio che avevano appena iniziato ad affrontare li stesse portando verso una terra ospitale, una terra che non potesse deluderli nuovamente e che avesse potuto sfamare il loro figlio in arrivo. Tutto il resto era ormai di secondaria importanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per continuare a seguire il racconto.

Beh, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.

Continuo a ringraziare incessantemente tutti i gentilissimi recensori, che ogni settimana mi lasciano un loro graditissimo e cortese parere J ringrazio anche tutti gli altri lettori, ovviamente.

Grazie di cuore a tutti J a lunedì prossimo J

 

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Capitolo 66
*** Capitolo 65 ***


Capitolo 65

CAPITOLO 65

 

 

 

 

 

Il viaggio in mare era ormai iniziato, e da quando la nave aveva lasciato per sempre il porto di Napoli per Teresa c’era stato solo tanto tempo per rilassarsi completamente.

Quel primo giorno in mare aperto era stato per lei sinonimo di un prospetto di tranquillità, visto che ormai la penisola in cui aveva sempre vissuto era rimasta alle sue spalle e niente e nessuno avrebbe più potuto impedire all’imbarcazione di continuare l’attraversata e di tornare indietro. Eppure, non aveva avuto il coraggio di uscire dalla cabina, dove le veniva recapitato il pasto ed aveva a disposizione tutto ciò che le serviva per condurre una vita abbastanza agevole.

Sapeva che il viaggio sarebbe stato molto lungo, e che purtroppo non l’avrebbe potuto trascorrere sempre rinchiusa in quella sorta di piccola stanzetta malamente illuminata, ma per il momento non aveva avuto il coraggio di abbandonare quella discreta sicurezza che aveva acquisito tra quelle lamiere che fungevano da muri e che la difendevano da ogni occhiata indiscreta.

La ragazza pensò che forse ciò dipendesse dal fatto che fosse preoccupata di incontrare altri spettri del passato a bordo di quella nave, d’altronde si era già trovata di fronte a Sara, una delle domestiche del palazzo di Alfonso, dove lei aveva trascorso i due mesi più orrendi e tristi della sua vita. Ma ormai non era più turbata da quella presenza; infatti, la sera precedente la servetta era tornata a farle visita, accompagnata dal suo fidanzato Roberto, e si era intrattenuta per parlare del più e del meno.

Nonostante la sua reticenza e il suo velato astio, la contessina si era prestata volentieri a quella che pareva una farsa, ma che in realtà alla fine l’aveva convinta come la più fondata delle verità. Sara era apparsa molto sincera, e aveva fatto di tutto per toglierle dalla mente l’idea che lei si trovasse lì per recarle danno o che l’avesse seguita appositamente per qualche losco scopo.

Effettivamente, la domestica era stata convincente e sicura di sé, ed aveva spiegato chiaramente che lei si trovava su quella nave per il loro stesso motivo, ovvero che era alla ricerca di una nuova terra su cui piantare le basi della sua nascente famiglia.

Il fatto di sapere che anche lei era incinta aveva confortato molto Teresa, sempre preoccupata per suo figlio, ed era lievemente rassicurata dal fatto che avrebbe potuto confrontarsi con un’altra donna nel suo stesso stato.

Alla fine della loro lunga visita, la contessina si era sentita maggiormente in affinità con Sara, forse per il fatto che a quel punto era abbastanza certa della sua buona fede, e nonostante tutto quella ragazza condivideva parecchi ricordi con lei.

Mentre continuava a riflettere in solitudine, Giovanni spalancò la porticina e si affrettò a rientrare nella cabina, quasi trafelato.

Teresa lo guardò con intensità crescente, visto che il suo amato era uscito da pochissimo ma si era affrettato a ritornare dentro al più presto.

‘’Ehi! Che hai fatto?’’, si affrettò a chiedere la ragazza, abbandonando definitivamente i suoi pensieri di poco prima e concentrandosi sul brigante.

‘’Uhm, niente. Niente’’, si limitò a dire Giovanni, guardandola solo per un attimo e scrollando le spalle, fingendo rilassatezza. Teresa inarcò un sopracciglio.

‘’Non mi pare. Sei rientrato in casa dopo solo pochi minuti e sembri un po’ agitato’’.

‘’No, no, tranquilla. È solo che qui fuori c’è tanta, tantissima gente, stipata come animali… sai, non credevo che questa nave potesse trasportare così tante persone. È stracarica, e il caos regna ovunque. Noi siamo davvero molto fortunati ad avere uno spazio tutto nostro’’, riprese a dire il brigante, assicurandosi che la porta della cabina fosse ben chiusa.

La contessina non seppe cosa rispondere, per un attimo. Udiva distintamente un forte chiasso proveniente dagli spazi circostanti, ma non aveva ancora una minima idea di quale fosse la reale situazione a bordo, poiché dopo essersi imbarcata ed essere svenuta in malo modo, non aveva più messo naso fuori da quella stanzetta.

‘’Voglio andare anch’io a dare un’occhiata’’, si ritrovò poi a dire, ormai nella stretta ferrea provocatale dalla curiosità. Voleva proprio vedere con i suoi occhi se la situazione era così tragica come stava affermando il suo amato. Inoltre, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare il mondo esterno, e in quel momento aveva la forza necessaria per provarci.

‘’Non se ne parla neanche. Sei svenuta anche l’altra mattina, caspita! Hai bisogno di tranquillità. Resta qui dentro con me, per favore’’.

Il no categorico di Giovanni s’infranse contro la vena di curiosità che stava spingendo la contessina ad uscire, che non ebbe problemi a notare anche lo sguardo preoccupato del suo amato, che continuava a fissarla con gli occhi socchiusi. Nel volto aveva impressa un’espressione cupa, ma sapeva che non le avrebbe impedito di uscire, se lei lo avesse voluto, anche se comunque restava in pensiero per qualcosa che non le aveva ancora detto.

La ragazza decise quindi di non dare dispiaceri al suo amato e di non uscire per quel giorno. Sapeva che il viaggio sarebbe durato a lungo, e se quindi la sua curiosità si fosse ripresentata in seguito, avrebbe di certo avuto modo di analizzare meglio la situazione in prima persona.

‘’In fondo, devo ammettere che hai ragione. Non vorrei sottopormi ad altri momenti d’ansia. Non mi fanno affatto bene’’, cedette Teresa, esternando i suoi pensieri. Lui le sorrise, tornando raggiante.

‘’Sei molto ragionevole, mia cara’’.

‘’Colpa tua. Le tue ansie le hai trasmesse tutte a me, ed ora come vedi mi faccio sempre mille scrupoli per tutto’’, lo accusò la contessina, più ironica che seria. Però, si ritrovò a pensare che ciò che aveva appena detto aveva indubbiamente un fondo di verità. Il suo amato era costantemente preoccupato per la sua salute, e a volte tendeva a diventare iperprotettivo ed asfissiante.

‘’Non posso farne a meno, mi dispiace. Ti amo troppo, ed amo molto anche nostro figlio, anche se non è ancora nato; non posso permetterti di commettere sciocchezze o scelte azzardate. Su questa nave sono pronto scommetterci che non c’è neppure un medico attrezzato e disposto a visitarti se qualcosa va storto’’, continuò Giovanni, dapprima sorridendo dolcemente, per poi diventare improvvisamente serio.

‘’Ogni imbarcazione ha un medico a bordo’’, disse la contessina, scrollando le spalle.

‘’Certo, e anche su questa se ne sarà imbarcato uno. Ma sarà disposto a darti anche solo un’occhiata? Non credo proprio. Lui è qui solo per gli ufficiali di bordo…’’.

‘’Basta così, è inutile questa discussione. Non m’importa niente del medico, e spero solo che vada tutto bene. E tu non devi preoccuparti di nulla; ormai lo sai che sono di tempra abbastanza robusta! E sai anche quante ne ho passate finora’’, lo interruppe Teresa, risoluta a non voler parlare più di qualche brutta eventualità. Voleva vivere solo il presente, e nient’altro.

‘’Lo so, ma mi preoccupo ugualmente. Comprendimi, hai già affrontato un aborto in passato, e svieni molto facilmente’’.

Teresa si rattristò nell’udire quelle parole, e il suo amato lo comprese subito. Le si avvicinò compiendo due rapide falcate e la strinse forte a sé.

‘’Scusa, non volevo riportarti alla mente dei brutti ricordi, ma volevo solo farti capire perché mi preoccupo. E ora, voltiamo pagina e torniamo a pensare al presente, va bene?’’, le sussurrò Giovanni all’orecchio, mentre lei ricambiava la sua stretta. Si sentiva una bambina tra le sue braccia, una creatura esile e flebile che quell’uomo forte e muscoloso avrebbe potuto spegnere con un solo pugno.

Lui le aveva raccontato durante la notte precedente della brusca accoglienza che aveva offerto a Sara prima di capire quali fossero le sue intenzioni, e si chiese se il brigante avesse reagito in quella maniera folle se lei si fosse permessa di disobbedirgli e di andare contro ad ogni sua indicazione.

Poi, però, udendo il suo cuore mentre batteva e l’attenzione con cui le accarezzava la testa e i capelli, comprese che il suo amato non le avrebbe mai messo le mani addosso, e che non le avrebbe mai fatto del male. Di questo ne era certa, e se era diventato violento durante i giorni precedenti era stato solo per proteggerla.

Mai nessuno fino a quel momento l’aveva protetta con la forza, eppure Giovanni l’aveva fatto, e non dubitava che non avrebbe esitato ad uccidere se si fosse trovato davanti ad una persona con cattive intenzioni nei loro confronti.

‘’Va bene’’, mormorò alla fine Teresa, vinta, gongolandosi tra le braccia di colui che amava più di ogni altra cosa al mondo.

Si lasciò cullare nella sua stretta, godendo del contatto ravvicinato e della stupenda sensazione che le provocava il sentire il suo calore fisico così vicino al suo stesso corpo. Dopo un istante, lei lo baciò con lentezza e con dolcezza, lasciando che anche lui incominciasse a ricambiarla con maggior vigore.

Trasportati da una crescente passione, si trascinarono fin verso il loro giaciglio, per poi lasciarsi andare.

Giovanni lasciò che lei si distendesse, per poi sistemarsi a suo fianco, riprendendo a baciarla e coprendola dolcemente con la sottile copertina con la quale si coprivano durante la fresca notte. Le sue mani scivolarono lungo il corpo della contessina, quasi ad un ritmo frenetico ed indubbiamente eccitato, eppure il brigante non si azzardò ad andare oltre.

Teresa riconobbe che era da quando aveva scoperto di essere incinta che loro due non avevano più fatto l’amore, e questo non la sorprese più di tanto. Non avevano avuto molto tempo da dedicare a loro stessi da quel momento in poi, e le loro vite erano state costrette ad affrontare una lunga e quasi impossibile fuga, tra mille pericoli e tante avventure rischiose.

Ad ogni modo, era anche vero che in lei la passione era diminuita nell’ultimo periodo. Non che non amasse più Giovanni, ma perché il suo amore pareva essersi evoluto in qualcosa che richiedesse minore carnalità, e l’impulso e il forte desiderio che l’avevano fatta imbarazzare tempo addietro non si accendevano più con tale vigore all’interno della sua mente.

Riflettendo un attimo in più, comprese che il fatto di avere un figlio all’interno del suo grembo la rendeva molto più pudica, e questa consapevolezza le impediva di rilassarsi completamente e di lasciarsi andare ad un rapporto di coppia.

Il suo amato non aveva mai insistito né richiesto nulla, ma se l’avesse fatto lei l’avrebbe respinto, ne era quasi certa. Fintanto che non fosse nato il loro primo figlio, difficilmente sarebbe riuscita di nuovo ad accettare un rapporto completo.

La contessina smise di pensare solo quando Giovanni si distaccò un attimo da lei, per poi posarle con dolcezza una mano sul ventre, che ormai si stava arcuando lievemente. Guardandolo, la ragazza notò che sorrideva, e che i suoi occhi erano proprio puntati sul ridotto ma crescente pancione.

‘’Ti piace proprio, eh?’’, gli disse, riferendosi al suo ventre.

‘’E’ qualcosa di straordinario. Non vedo l’ora che il nostro figliolo nasca’’, le rispose, continuando a sfiorarle dolcemente il ventre. Teresa sorrise e socchiuse gli occhi, piacevolmente rilassata da quel tocco caldo e gentile.

‘’Lo so’’, gli rispose, distendendosi meglio per facilitare maggiormente le sue carezze.

‘’A volte temo… per tutto, non so se mi spiego. Temo che non sarò un buon genitore, che non riuscirò a dar risposte alle domande che mi farà, che non riuscirò a guadagnarmi da vivere e a fargli vivere una vita normale…’’.

‘’Smettila. Ti accetterà così come sei, basterà che tu gli dimostri quanto gli vuoi bene’’, lo interruppe Teresa, prima che si addentrasse di nuovo nei dubbi che attanagliavano la mente di entrambi.

In realtà, non sapevano neppure se sarebbero mai giunti a destinazione, e se una volta giunti nel Nuovo Mondo avrebbero avuto occasioni per rimettere in piedi le loro vite, ma parlare di tutto ciò a quel punto era come volersi portare sfortuna da soli. Quindi entrambi, scrupolosamente scaramantici, non avevano alcuna intenzione di affrontare approfonditamente quelle domande, alle quali solo il tempo avrebbe potuto offrire un’adeguata risposta.

‘’Ma quando lui vorrà sapere le nostre origini, e sarà curioso a riguardo delle nostre vite, noi che gli diremo? Io cosa potrò dirgli? Che sono un fuggitivo, uno fuggito da un esecuzione pubblica? Non potrò mai rispondere a ciò che mi verrà chiesto, magari dovrò anche sgridarlo ed essere duro con lui a causa della sua curiosità, e ciò non mi fa sentire sereno’’.

‘’Basterà che tu faccia del tuo meglio per non fargli mancare nulla. E che gli vorrai bene. Comunque, dai già per scontato che sia un maschio, il bambino. E se sarà una femmina?’’, chiese Teresa, curiosa.

Sapeva che il suo amato aveva tanti dubbi a riguardo delle sue future capacità genitoriali, ma le importava di più sapere come avesse accettato una primogenita femmina. Molti uomini desideravano solo figli maschi, e ogni volta che nasceva una bimba era una delusione, e lei ci teneva a scoprire se colui che amava era uno di quelli.

‘’Non ha importanza, sarebbe una grande gioia in ogni caso. Ammetto che mi piacerebbe avere un figlio maschio, ma se non è il primo sarà il secondo, no? Voglio avere tanti, tantissimi figli, se tu sei d’accordo’’, le disse dolcemente Giovanni, sempre sorridendo e fissandola con quei suoi occhi grandi e in grado di trasmettere tanta tranquillità.

‘’Anch’io vorrei avere tanti figli. Basta che siano tutti come il padre’’, gli rispose la contessina, lasciandosi sfuggire anch’essa un tenue sorriso.

‘’E perché mai? Sei tu la più sicura e motivata dei due. Spero che nostro figlio erediti tutta la tua tenacia’’.

‘’Così mi lusinghi troppo, amore’’, disse Teresa, ridacchiando divertita.

Lui smise di accarezzarle il ventre e tornò ad abbracciarla. Poi, ripresero a baciarsi con lentezza.

Entrambi, avevano bisogno l’uno dell’altra per sopravvivere, e fantasticare sulla loro vita futura e sulla nascita del loro primo figlio li aiutava parecchio a non pensare alle insidie del presente, al dolore del passato e alla paura del futuro. Quei discorsi li estraniavano per un po’ dalla realtà e dalla sua frenesia. In fondo, Teresa riconobbe che ad averli salvati entrambi era stato proprio loro figlio, che nonostante fosse ancora nel suo grembo era riuscito a passare una forza e una tenacia incredibile ai suoi genitori, spingendoli a tentarle tutte pur di salvare le loro misere vite.

‘’E’ un maschio’’, sussurrò poi la contessina, distaccandosi un attimo dal suo amato e guardandolo negli occhi.

‘’Come fai a dirlo con certezza?’’, chiese Giovanni con ironia, ridacchiando e ricordando il discorso conclusosi pochi attimi prima.

‘’Le donne le sanno certe cose… me lo sento. È un maschio’’, tornò a dire la contessina con sicurezza. Era piuttosto certa del fatto che il bimbo che aveva in grembo fosse un maschietto solo perché la sua mente si era convinta da sola di ciò, anche se ovviamente quel discorso superficiale lasciava priva di fondamento quella supposizione.

‘’Noi future madri non parliamo mai a vanvera’’, aggiunse poi la ragazza, scoppiando poi a ridere dopo quell’affermazione. Anche il suo amato rise, poi tornò a baciarla.

In quel momento, Teresa si sentiva davvero felice e realizzata, ed era quasi desiderosa che quel momento tranquillo non avesse mai avuto fine.

Amava il suo uomo e in quel momento le importava solo di lui e della vita che le stava crescendo lentamente in grembo, e nient’altro rientrava nei suoi pensieri. Quella per lei era ormai la sua famiglia a tutti gli effetti, e avrebbe fatto di tutto per difenderla anche con le unghie e con i denti da ogni possibile insidia.

Sperò che tutto proseguisse al meglio, senza problemi.

 

 

La contessina non poté far altro che scoprire che i problemi più concreti erano apparsi già dopo solo qualche giorno di navigazione, e dopo ben quasi dieci giorni di lungo viaggio sulla nave la situazione era critica.

Ormai, il Mediterraneo era stato lasciato alle spalle da tempo, e l’immenso oceano Atlantico si espandeva ovunque all’orizzonte, senza mostrare alcuna traccia della terraferma. Già dopo una settimana dall’inizio del lungo viaggio, sull’immensa imbarcazione si erano diffuse numerose malattie, che si erano poi propagate senza alcun limite.

Teresa era uscita per la prima volta dalla sua cabina solo dopo cinque giorni di navigazione ininterrotta, ed aveva avuto modo di pensare che il suo amato aveva avuto ragione quando le aveva spiegato che la situazione a bordo era critica, poiché la nave era carica all’inverosimile di persone. I passeggeri dovevano essere centinaia, stipati ovunque, e la ragazza non era riuscita neppure a farsi un’idea di quanti potessero essere all’incirca.

Molti dei suoi stessi compagni di viaggio dormivano a terra, senza un giaciglio e senza alcun servizio igienico, se non l’oceano. Lei e il suo amato avevano un secchio, un letto e uno spazio tutto loro e relativamente pulito, e questo la fece sentire fortunatissima di fronte a quella masnada di gente che non aveva assolutamente nulla se non i loro pochi averi rinchiusi avidamente in grandi valigie, molto spesso utilizzate anche come cuscini.

E anche in quel momento, dopo all’incirca undici giorni dalla partenza da Napoli, numerose persone si sporgevano verso l’oceano per fare i propri bisogni, immersi nella sporcizia di un’imbarcazione che ormai non sembrava neanche più un porcile. La sporcizia regnava sovrana, e la scarsa pulizia aveva generato una pestilenza che si era sparsa ovunque in fretta.

C’erano molti malati distesi un po’ dappertutto, mentre ovunque regnava il caos e il rumore prodotto da centinaia di bocche sempre pronte a parlare e a gridare.

Lei si limitava ad affacciarsi sulla porta della cabina, ben sapendo quell’azione di solito era molto sgradita a Giovanni, che però in quel momento era andato a vuotare il secchio nell’oceano e non la stava controllando. Ogni mattina dava una sbirciatina fuori, magari anche uscendo dalla porta, ma senza mai mischiarsi agli altri passeggeri. Ed ogni mattina la situazione pareva peggiore rispetto a quella del giorno prima.

Il brigante temeva molto il fatto che lei stessa potesse ammalarsi, venendo a contatto con la sporcizia presente ovunque sullo scafo, e non voleva che si allontanasse dalla loro cabina. E non aveva tutti i torti, poiché anche a lei stava iniziando a preoccuparsi per via di quella situazione.

‘’Signora! Signora!’’.

Un’allarmata Sara le piombò davanti senza preavviso, costringendo la contessina a fare due passi indietro, spaventata.

‘’Oh, Sara… non apparirmi mai più davanti in un modo così brusco. E non chiamarmi più signora’’, disse poi Teresa, riprendendosi subito dallo spavento.

Era sorpresa, poiché la domestica non si era recata più a far loro visita negli ultimi giorni. E questo le era dispiaciuto un po’, perché pian piano aveva imparato ad apprezzare quella ragazza, che non le stava più antipatica come qualche tempo prima.

Nonostante avesse insistito per farla smettere di chiamarla signora, Sara faticava comunque a perdere quel vizio.

‘’Oh, sign… Teresa, sapessi! Il mio Roberto si è ammalato, e non so come fare. Se continuiamo a restare all’addiaccio durante la notte, morirà di sicuro! Avevamo un posto per dormire al coperto, ma alcuni bruti ce lo hanno soffiato e poi ci hanno allontanati… non so cosa fare. Vi… ti prego, aiutaci!’’, iniziò a dire la serva, sgranando gli occhi durante la narrazione e mostrando tutta la sua agitazione.

‘’Dov’è ora Roberto?’’, chiese la contessina, ancora sorpresa da quella rapida richiesta d’aiuto.

‘’Sono qui’’, mormorò il diretto interessato, sbucando anche lui da fianco alla porta semiaperta della contessina.

Roberto era traballante, il suo volto era pallido e smunto, e molto probabilmente doveva avere la febbre alta. Teresa lo fissò con intensità, notando la sua sofferenza, sopportata in silenzio e con gli occhi socchiusi.

‘’Per favore, potreste ospitarci all’interno della vostra cabina per qualche notte? Così potremo restare in un luogo protetto. Se restiamo fuori dalle stive anche questa notte, Roberto morirà senz’altro’’, disse Sara ad alta voce e mettendosi a piangere, senza badare al fatto che il suo amato stesse ascoltando le sue fatali ed impressionanti parole.

Entrambi dovevano essere molto disperati, e Teresa non seppe dir loro di no, sconcertata dal loro atteggiamento così abbattuto.

‘’Va bene, venite dentro. Cercherò di prepararvi un giaciglio con i miei vestiti… anzi, sistematevi sul letto. Dormiremo noi per terra, questa notte’’, disse infine la contessina, invitando i due ad entrare e scostandosi dalla porta semiaperta.

‘’Non scherzare. Ti siamo già immensamente grati per averci lasciato entrare nella tua cabina, figurati se ci permettiamo anche di portarti via il letto!’’, si affrettò a dire Sara, a metà tra l’ironico e il serio. Poi, una volta aver posato a terra la sua valigia da viaggio, la domestica abbracciò la contessina con calore, mentre Roberto continuava a stare in piedi, impettito e in uno stato quasi d’incoscienza.

‘’Grazie per averci aperto la tua porta, non lo dimenticheremo mai! Se mai giungeremo nelle Americhe, dovrò sdebitarmi per tutto ciò’’, disse poi la serva, discostandosi da colei che l’aveva aiutata e sorridendole.

Teresa sorrise anch’essa, imbarazzata di fronte a quella forte dimostrazione di affetto, e decise di tornare sulla porta, in attesa del suo amato, in modo da preannunciargli il fatto che avrebbero dovuto condividere quel ristretto spazio con i loro conoscenti bisognosi. Ma mentre si stava incamminando verso la sua meta, l’ingresso si spalancò di colpo e Giovanni entrò.

Teresa rimase di stucco mentre lui si guardava attorno, e notando ciò che stava accadendo per un attimo inarcò un sopracciglio, sorpreso. Poi, divenne scuro in volto.

Sara lo salutò cortesemente ma lui non ci fece caso, limitandosi ad afferrare con delicatezza la contessina per un braccio, invitandola tacitamente ad uscire un attimo dalla cabina. Teresa capì che voleva parlare da solo con lei, e che non doveva aver preso tanto bene quell’intrusione.

Una volta fuori dalla porta, Giovanni la richiuse dietro di sé, sbattendola forte e tornando a dimostrare il suo lato più villano, eppure la contessina non riuscì a dire neppure una parola, e fu lui stesso a rompere il silenzio che era momentaneamente calato tra di loro. Le impedì anche di avvicinarsi alla sporcizia o ad altre persone, tenendola appiccicata al piccolo uscio.

‘’Cosa credi di fare?! Sei impazzita?’’.

Le sue parole brutali e rabbiose la ferirono. Fu come se le avesse lanciato contro una manciata di sassi.

‘’Hanno bisogno di aiuto! Roberto non resterà in vita se trascorrerà un’altra notte come le precedenti. Hanno bisogno di un luogo più caldo e protetto’’, si scagliò prontamente Teresa, cercando di difendere il suo punto di vista.

‘’Roberto è malato! Da quel che so, può avere anche una qualche infezione mortale. Sai che questa mattina sono morti alcuni degli altri passeggeri? Avevano la febbre e il viso smunto proprio come lui. Poco fa hanno avvolto i loro corpi in alcuni lenzuoli e li hanno gettati nell’oceano. Le malattie mortali si diffondono, e noi non possiamo permetterci di rischiare così tanto! Soprattutto ora, che siamo ad un passo…’’.

‘’Non siamo ad un passo dalla nostra meta, il viaggio è ancora lungo. E noi daremo una mano a loro due’’, proseguì la contessina, testarda. Sara e il suo fidanzato avevano smosso dentro di lei una tale compassione che le sarebbe dispiaciuto se il suo amato li avesse sbattuti fuori dal loro fortunato rifugio, che avevano ottenuto solo grazie alla solerzia e all’intelligenza del signor Isacco. Giovanni però sbuffò sonoramente.

‘’Non capisci, allora! Mi dispiace se quel ragazzo si è ammalato, ma non possiamo tenerlo nella nostra stessa cabina. Le malattie si propagano molto rapidamente su questa maledetta imbarcazione, e io non voglio che tu ne resti vittima’’, le sputò addosso il brigante, sicuro e tremendamente sincero.

L’aveva affrontata a testa alta, prepotente e con una smorfia aggressiva impressa sul volto, ma la contessina sapeva che stava affrontando quel discorso solo ed esclusivamente per proteggere lei e la sua gravidanza. Giovanni stava diventando egoista a causa sua.

Teresa si morse un labbro, ormai in preda ai dubbi, poiché sapeva che il suo amato aveva completamente ragione su tutto, quella volta.

‘’Non possiamo non ospitarli. Se poi Roberto… no, non lo voglio neppure pensare. In ogni caso, starei troppo male e sarei in continua pena per loro. Lascia che restino, te ne prego’’, decise di dire la contessina, congiungendo le mani davanti al viso e guardando intensamente gli occhi del suo amato, che a quella vista si addolcì, anche se per poco.

‘’Che restino allora, ma sappi che con questa scelta mettiamo ulteriormente in pericolo le nostre vite. Giuro che se ti ammali, o se ti succede qualcosa a causa loro, io… io impazzirò. Perderò la ragione’’, sbottò alla fine il suo amato, allontanandosi da lei e tornando dentro alla cabina, iniziando poi a parlottare sommessamente con coloro che sarebbero stati loro ospiti.

Teresa si appoggiò alla porta nuovamente chiusa, ascoltando la voce del brigante mentre si informava sullo stato di salute di Roberto, e pensò che se fosse accaduto qualcosa a loro due a causa di quella sua scelta azzardata, non se la sarebbe mai perdonata. Quindi, prima di rientrare dentro per cercare di prendere in mano la delicata situazione, pregò e sperò che nessuna malattia potesse di nuovo scalfire le loro vite già fin troppo travagliate.

 

 

La situazione peggiorò, e tutto sprofondò in un lugubre baratro che pareva senza fine.

Le ore passavano inesorabilmente, e Teresa ne aveva perso ormai il conto e non aveva la benché minima idea di quanti giorni avessero trascorso in pieno oceano, senza mai intravedere neppure un lembo di terra emersa.

A bordo ormai pareva che una qualche peste sconosciuta mietesse vittime in continuazione; ogni giorno, parecchi cadaveri avvolti in lenzuoli bianchi venivano gettati nelle acque dell’oceano dai loro famigliari o dai pochi membri dell’equipaggio, senza ricevere alcuna sepoltura né alcun rito funebre.

Roberto aveva ancora la febbre alta, così come anche Sara, e pure Giovanni alla fine si era ammalato. Tutti e quattro vivevano ancora assieme, condividendo la ristretta cabina.

La contessina aveva trascorso i suoi ultimi giorni a stringere la mano del suo amato, pregando affinché potesse guarire.

I giorni e le notti si susseguivano con un ritmo lento e cadenzato, e le tempeste furiose dell’Atlantico per più volte avevano flagellato l’immensa imbarcazione, creando non pochi disagi.

Il cibo veniva loro consegnato nella cabina, già pronto per essere consumato, ma ormai era scarso e scadente, e Teresa non immaginava cosa mangiassero gli altri passeggeri, che avevano pagato molto meno il viaggio e non potevano godere neppure di un piccolo riparo per la notte.

Lei stava ancora fisicamente molto bene, anche se era mentalmente debilitata e stremata. Non era riuscita a parlare in modo diretto con nessun membro dello scarso equipaggio, e non aveva idea di quanto potesse concludersi quell’attraversata estrema e lunghissima, e l’unica cosa che poteva fare in quel momento era solo sperare. Sperare che andasse tutto bene, alla fine.

 

 

Il tanto atteso giorno arrivò all’improvviso, e quando l’avvisarono che entro un paio d’ore avrebbe avuto inizio lo sbarco a Santos, Teresa era stata una delle tante donne ad aver osservato per ore l’avvicinarsi della terraferma, euforica e ormai totalmente disinteressata del fatto di potersi ammalare pure lei.

Quel giorno, fortunatamente, la febbre di Giovanni si era notevolmente abbassata, e anche Sara e Roberto parevano stare meglio.

La contessina sapeva che non appena avessero avuto modo di sbarcare e di tornare a nutrirsi adeguatamente ogni loro male sarebbe finalmente scomparso, e non vedeva l’ora di tornare a camminare sulla vera e soffice terra.

Non aveva più paura del futuro, ma desiderava solo che quel viaggio da incubo terminasse al più presto. Ed era davvero felice che finalmente sarebbe potuta sbarcare in quell’Impero lontano, la terra dove sia lei che il suo amato avrebbero dovuto imparare a vivere, in modo da poter ricostruire le loro esistenze.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per continuare a seguire il racconto.

Ho cercato di ricreare abbastanza verosimilmente il viaggio, che comunque all’epoca era davvero lungo e pieno di insidie. Ormai, non resta altro che scoprire come andrà lo sbarco e il primo impatto col nascente Brasile.

Spero che la storia continui ad essere di vostro gradimento.

Buona giornata a tutti, e ancora grazie J a lunedì prossimo J

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Capitolo 67
*** Capitolo 66 ***


Capitolo 66

CAPITOLO 66

 

 

 

 

Quasi in stato confusionale per via dell’euforia provata, Teresa si precipitò all’interno della loro cabina, spaventando Giovanni, ancora convalescente.

Lui si limitò a guardare la sua amata con un’espressione stupita, non riuscendo a dire altro. Sul piccolo letto a pochi passi dal brigante, Sara e Roberto stavano ancora dormendo, vicinissimi ed abbracciati.

‘’Andiamo. Dai, aiutami a preparare la valigia!’’, quasi gli urlò in faccia la sua amata, che nel frattempo si era gettata sui due addormentati con uno scatto ferino, scuotendoli con vigore per farli svegliare.

Giovanni si limitò a restarsene immobile e ad inarcare un sopracciglio. La febbre l’aveva dilaniato e lasciato quasi senza forze, e solo ultimamente si stava riprendendo un poco, anche se con grande lentezza. Il cibo che mangiava era scarso e scadente, e ciò contribuiva a farlo sentire sempre più affamato e svogliato.

Più volte aveva cercato di impedire alla sua amata di uscire dalla cabina, ma lei lo aveva sempre guardato quasi con compassione, per poi uscire ugualmente. La verità era che entrambi sapevano benissimo che qualcuno doveva svolgere le solite piccole mansioni quotidiane, e se lui non riusciva a compierle, tutto toccava a lei.

‘’Dove andiamo?’’, trovò il coraggio di chiederle, ma il respiro quasi gli si smorzò quando ricevette lo sguardo sbalordito della sua amata.

‘’Siamo arrivati a Santos, finalmente! Tra poco sbarchiamo’’, rispose la contessina, facendogli cenno di darsi una smossa.

Il brigante sospirò e si mise ad aiutare la sua amata con la loro valigetta da viaggio, mentre Sara e Roberto si erano svegliati ma continuavano a rivoltarsi nel letto e a mugugnare. Non avevano alcuna voglia di alzarsi, e stavano approfittando di quel momento di relativa calma, poiché gli ultimi giorni di navigazione erano stati un tormento e un inferno per tutti a causa dei continui disturbi di salute.  

Inoltre, il solo pensiero di dover rivedere il blu intenso dell’oceano era anch’esso una sorta di sofferenza.

Nonostante il fatto che in quel momento lui sarebbe dovuto essere contento, visto che quel maledetto e quasi infinito viaggio stava per concludersi, il brigante non riusciva a gioirne e ad essere di buon umore. Tutte le sue energie gli erano state strappate dalla febbre, che per fortuna ormai sembrava essersi abbassata e dileguata.

‘’Avanti, dai! Si sbarca, tra poco’’, gridò Teresa ai due ancora a letto, che subito si affrettarono ad alzarsi e ad iniziare anch’essi ad affannarsi sui loro pochissimi averi. Sulla nave, il disordine stava regnando ovunque e si poteva chiaramente udire parecchio frastuono dall’interno della loro cabina.

‘’Hai visto la terraferma?’’, chiese Giovanni alla sua amata, sempre in dubbio. Ormai, parlare di sbarco gli pareva una cosa incredibile.

‘’Certo che sì. In lontananza, ma ti assicuro che l’ho vista’’, gli rispose lei, sbrigativa. Il brigante notò la sua voglia incredibile di rimettere i piedi sulla terra e di allontanarsi da quel dannato oceano il più in fretta possibile.

Notò che la sua Teresa era stata forte e resistente anche quella volta; non aveva sofferto durante il viaggio, aveva resistito alle malattie e si era fatta in quattro per giorni interi per prendersi cura di lui e degli altri due malati. In più, la gravidanza ormai si stava rendendo abbastanza vistosa.

Con poca voglia, anche lui si mise a darle una mano con la massima velocità che il suo corpo gli consentiva, mentre Sara e Roberto parevano già pronti. In pochi attimi, e senza dire una parola, la coppietta di servitori aveva già raccolto i loro pochi averi.

Per fortuna, un attimo dopo anche Teresa finì, e chiuse la valigia, lanciandogli un’occhiata fulminante.

‘’Andiamo, dai. Voglio abbandonare per prima questa dannata nave, non ne posso più…’’, sbottò poi la contessina, gettandosi verso la porta della cabina, seguita a ruota dall’affiatata e debole coppia di amici.

Giovanni fu l’ultimo ad abbandonare quella cabina, scrollando la testa e sperando che quella nuova terra potesse tornare a dare nuovo vigore al suo corpo ormai molto provato da quell’estenuante viaggio.

 

 

Non appena abbandonò la cabina, Teresa notò che la nave già si accingeva ad attraccare. Il suo desiderio di avere nuovamente la terra sotto i piedi si fece incontenibile, e notando che gli ufficiali di bordo e l’equipaggio avevano già iniziato ad applicare le giuste manovre per l’attracco, la ragazza si spinse a passo sicuro verso il punto dove più probabilmente si sarebbero calati gli ormeggi e il ponticello che avrebbe permesso ai passeggeri di lasciare l’imbarcazione.

Anche altri dovevano aver avuto la sua stessa intuizione, e una gran moltitudine di persone si stava azzuffando per accaparrarsi la postazione migliore, in modo da poter sbarcare per primi.

La contessina, sempre seguita a ruota da Sara e Roberto, cercò di intrufolarsi tra due uomini, ma questi la respinsero bruscamente indietro, facendola barcollare e rischiando di farle perdere l’equilibrio. A quel punto, una mano ferma e incredibilmente sicura le offrì un appoggio e tornò a darle stabilità.

‘’Non c’è bisogno di essere i primi ad abbandonare questa maledetta imbarcazione! Non tormentarti, prima o poi ce la faremo anche noi’’, le disse il suo Giovanni, austero e col volto pallido, mentre continuava ad offrirle il braccio come appoggio.

Lei si limitò ad annuire, capendo che in fondo il suo amato aveva ragione, quindi distolse la sua mente da quell’insulsa voglia estrema provata fino ad un attimo prima e si mise a guardarsi attorno. Tant’era presa dallo sbarco, la giovane non si era minimamente soffermata ad osservare lo spettacolo che si dispiegava davanti a sé; il grande e ricco porto di Santos, maestoso e stracolmo di imbarcazioni ormeggiate, pareva immenso.

Ancora estasiata da quella vista, la giovane socchiuse gli occhi e si lasciò trasportare dai sensi, che stavano venendo brutalmente stimolati dagli odori che provenivano dalla terraferma, e restò ad annusare l’aria per un bel po’, quasi volesse assaporare e gustare quelle dolci fragranze terresti che le erano mancate per quelle lunghe settimane di viaggio in mare, accompagnate solo dal pungente odore di salsedine.

Tornò in sé solo quando lo sbarco iniziò, e con brutalità fu quasi travolta dagli altri passeggeri che la circondavano, tutta gente appartenente come lei alla penisola italiana ma con la quale non aveva mai legato durante il viaggio, visto che la maggior parte di loro parlava dialetti a lei sconosciuti.

Afferrò Giovanni per una mano, e si mise anche lei in movimento, evitando ogni calca e aspettando pazientemente il loro turno per abbandonare l’imbarcazione, mentre Sara e Roberto li seguivano ovunque, stando sempre alle loro spalle. Pareva che li avessero presi come punti di riferimento.

La contessina pensò un attimo di andare a salutare cortesemente il capitano Grandi per averli trattati come passeggeri di grande riguardo, ma capì che era una sciocchezza. In fondo, li aveva trattati meglio degli altri solo perché avevano pagato un prezzo più elevato, ed inoltre aveva troppa voglia di sbarcare per perdere tempo in convenevoli.

Il suo amato non pronunciò parola neppure quando si avviarono lungo il piccolo e traballante ponte di assi che avrebbe permesso loro di raggiungere quel Paese sconosciuto, e Teresa comprese che, esattamente come lei, doveva essere molto emozionato. Le stringeva la mano con forza, il suo braccio tremava e fremeva, pieno di eccitazione per ciò che stava accadendo.

Non appena mise piede sulla banchina del porto, la contessina sapeva che da quel momento in poi avrebbe dovuto dimenticare tutto ciò che riguardava l’Italia, perché quel Paese in cui era appena sbarcata era diversissimo da quella penisola che aveva lasciato qualche settimana prima.

Il porto era affollatissimo, e centinaia di persone si muovevano freneticamente, spintonando chiunque stesse loro attorno, e lei continuò a tenere stretta la mano del suo amato, nel timore di perderlo in quel disordine caotico. Nessuno degnava loro di uno sguardo.

Con difficoltà, Teresa iniziò a muoversi verso le prime lontane case, cercando un punto in cui fosse possibile fare un attimo di raccoglimento, e sperando che quel disordine si dissolvesse, una volta lontani da quelle navi.

Si voltò solo una volta per assicurarsi che Sara e Roberto stessero continuando a seguirli, e dovette riconoscere che si era affezionata molto a quella coppietta di poveri servitori, e che voleva tenerseli vicini, in modo da sperare di poterli poi aiutare. Ma, in realtà, non sapeva neppure come fare a muoversi per quella città a lei ignota.

Mentre continuava a camminare in direzione delle prime abitazioni, allontanandosi dagli ormeggi, gettò un’occhiata anche al suo amato, ma notò con dispiacere che pareva assente, e il suo volto reso piuttosto impallidito dalla recente febbre era impassibile. Doveva sentirsi sperduto. Teresa comprese che anche quella volta era rimasta sola, e da sola avrebbe dovuto togliere le mani da quell’immenso problema.

Attorno a lei, risuonavano solo parole di una lingua strana, che doveva trattarsi del portoghese, la lingua ufficiale di quel lontano Paese. La ragazza sospirò, non sapendo davvero più che fare; quel contatto brutale con le Americhe l’aveva quasi traumatizzata.

A passo deciso, si affannò a lasciarsi alle spalle la zona di sbarco del porto, assieme al suo amato e ai due amici, per poi immergersi nell’immensa città. Con grande stupore, notò in lontananza che la nave dalla quale erano sbarcati stava venendo assediata da uomini in divisa, e capì che doveva trattarsi delle autorità di quel lontano Paese che controllavano l’imbarcazione. Vide anche tanti altri passeggeri, parecchi dei quali scesi prima di lei, mentre venivano accerchiati e raccolti in un determinato punto, per essere controllati e poi portati via.

Sapeva che la fortuna quella volta era stata dalla loro parte, poiché erano riusciti a sfruttare quei pochi attimi per allontanarsi in fretta dall’imbarcazione e non finire in mano a quella sorta di gendarmi sconosciuti, che molto probabilmente trattenevano la maggior parte di coloro che giungevano clandestinamente nelle loro terre. Capì quindi che doveva allontanarsi il più in fretta possibile dal porto, e spinse i suoi compagni a proseguire più velocemente.

Dopo poco, davanti a loro si aprì un largo viale, fiancheggiato da radi alberi strani, alti e dalle foglioline verdissime, che Teresa non aveva mai visto prima di quel momento, mentre l’aria era piena di profumi nuovi e il caldo era afoso ed umido. Sicuramente, faceva molto più caldo lì che nella pianura padana durante quello stesso periodo dell’anno.

Alte case, tutte recintate e con ricchi e curati giardini, costeggiavano gli ampi marciapiedi, utilizzati dai pedoni, mentre nel largo vialone numerose carrozze si muovevano in entrambi i sensi di marcia. Santos era davvero una città molto diversa da quelle che la giovane aveva visto fino a quel momento, addirittura in quel momento le pareva di certo più caotica e complessa della grandissima Roma, la città dove aveva trascorso l’infanzia.

‘’Teresa…’’.

Il brigante le stringeva la mano con più forza, passandole tutta la sua irrequietezza.

‘’Dimmi’’, si limitò a rispondergli, mentre guardava il suo volto giusto in tempo per coglierne l’espressione spaesata che pareva essersi stampata sulle sue fattezze maschili.

‘’Non mi aspettavo di trovarmi di fronte a tutto ciò… questo è davvero un altro mondo! È tutto così diverso… ma… che facciamo, ora?’’, chiese Giovanni, dopo aver pronunciato un corto soliloquio carico di stupore.

‘’Devo dirti la verità? Non so che fare. In realtà ho l’indirizzo della banca e qualche indicazione del signor Isacco, che ha sottolineato la vicinanza dell’edificio alla zona portuale. Quindi, cercheremo di orientarci e vedremo quel che riusciremo ad ottenere…’’, rispose la contessina, lasciando poi cadere la questione e rimettendosi in marcia.

Giovanni riprese a seguirla, sempre a suo fianco e senza lasciarle la mano, quasi come se fosse un bambino spaesato, e non si azzardò a dire più nulla dal tanto che era intimorito da quella nuova città. Si stavano comportando allo stesso modo anche Sara e Roberto, che li seguivano pochi passi più indietro, rivolgendo occhiate inquiete a tutto ciò che li circondava.

Teresa si limitò a lasciarsi sfuggire un sorriso fugace, comprendendo che il suo amato e i suoi amici non avevano mai visto altro all’infuori della campagna e dei colli italici, e che non avendo neppure ricevuto un minimo di istruzione, la loro mente non aveva neppure mai immaginato che al mondo potessero esistere simili città.

Le grandi case signorili di Santos dominavano lo scenario generale con la loro immensità, e i loro giardini curatissimi erano pieni di fiori colorati e talmente tanto profumati che riuscivano ad inebriare chiunque con la loro moltitudine di piacevoli odori.

Lungo il marciapiede che stavano percorrendo, più volte furono affiancati e superati da uomini ben vestiti, perfettamente pettinati e puliti, e da dame sorridenti e coi cappelli più di moda in quel momento, che lanciavano loro occhiatacce piene di disgusto, notando gli abiti sporchi e logori che indossavano.

Decise quindi di avviare in fretta la sua ricerca della banca, magari cercando di chiedere in giro, scoprendo però, anche senza eccessivo stupore, che nessuno la capiva e che molti la deviavano, evitando quindi di darle confidenza. In quel Paese, lei era solo una straniera.

La contessina, per nulla disposta a darsi per vinta, afferrò la lettera che le aveva dato il signor Isacco, piegandola in più parti e mettendo in risalto l’indirizzo che stava cercando, sperando che qualcuno a cui avrebbe chiesto informazioni avesse la buona grazia di soffermarsi un attimo, e leggendo il nome della banca che lei gli avrebbe indicato, le potesse cortesemente offrire qualche informazione. Ma forse era sperare troppo, poiché il portoghese lei non lo capiva per nulla, ma non aveva alcuna intenzione di lasciarsi fermare ad un solo passo dalla meta.

Mentre la ragazza si accingeva a fare il primo tentativo, il suo amato la attirò a sé, con gli occhi sbarrati dallo stupore e dall’incredulità.

Teresa sussultò, credendo che quella reazione fosse dovuta a qualche pericolo immediato, e questo spaventò anche lei, notando poi che anche i loro due amici parevano stupefatti e sbigottiti.

Non comprendendo il motivo di una tale reazione, si lasciò guidare dal dito del suo amato, puntato verso il giardino di un’abitazione signorile.

‘’E’ nero!’’, mormorò a quel punto il brigante, continuando a puntare il giardino con un dito.

La contessina per un altro attimo non fu in grado di capire quell’ondata di stupore travolgente, ma poi mise a fuoco un uomo, che stava lavorando nel giardino. Era un nero alto, forte e robusto, dall’espressione seria ma gentile.

Teresa tornò a guardare il suo amato e gli sorrise.

‘’Ma come?! Non sei stupita anche tu?’’, le chiese, senza lasciarle spazio per aggiungere qualcosa.

‘’Per cosa dovrei essere stupita? Per quell’africano?’’, disse la ragazza, questa volta seria. Neppure lei aveva mai visto un uomo nero dal vivo, ma più volte suo padre le aveva assicurato, mostrandole anche immagini a colori stampate sui suoi libri, che gli uomini che provenivano dall’Africa avevano la pelle nera, e non bianca come gli abitanti del Vecchio Continente.

Le aveva spiegato inoltre che quegli uomini venivano barbaramente sfruttati dai colonizzatori europei, e di come francesi e inglesi si arricchissero strappando le ricchezze dai suoli di quelle terre così lontane dalle loro patrie.

Lui stesso aveva avuto modo di vedere dal vivo un uomo nero, giunto con i contingenti francesi durante il periodo napoleonico, ed aveva avuto modo di vedere anche alcuni mulatti, frutto dell’unione tra uomini europei e donne africane, molto probabilmente giunte dalle colonie per servire i loro ricchi signori bianchi.

In più, la ragazza sapeva con certezza che l’impero del Brasile era basato sulla schiavitù e sullo sfruttamento indiscriminato degli schiavi africani, strappati tempo addietro dalla loro terra nativa per essere costretti, dopo un lunghissimo ed estenuante viaggio attraverso l’oceano, a lavorare nelle immense piantagioni di caffè e ad essere venduti come se fossero solo oggetti.

Da decenni ormai l’intero Vecchio Continente muoveva accuse contro la schiavitù, cercando in ogni modo di impedire ogni possibile altra tratta di schiavi e puntando il dito contro gli schiavisti, ma la realtà era che il Brasile era un impero nascente con un’economia molto vasta e senza molta manodopera, e nessuno se ne importava di tutto ciò, poiché i ricchi non avevano alcuna intenzione di finire a sgobbare e a lavorare la terra delle loro immense piantagioni. E i neri continuavano ad essere maltrattati e tenuti schiavi da spregiudicati proprietari terrieri, costretti a riprodursi e ad essere venduti alla stregua degli animali da soma.

Ciò nonostante, vederne uno dal vivo non l’aveva stupita così tanto come invece era accaduto al suo amato e ai suoi due amici, ma in ogni caso l’aveva indubbiamente incuriosita.

‘’Tu… tu sapevi che esisteva un uomo così?’’, tornò a chiedere il brigante, continuando a fissare quello che quasi di certo era uno schiavo.

‘’Non esiste solo quell’uomo… ce ne sono migliaia, se non milioni, così neri. Penso che avremo modo di vederne tanti altri, in questo Paese’’, rispose la contessina, scrollando le spalle e tornando a cercare di concentrarsi sui suoi propositi di poco prima. Infatti, aveva notato che gli altri passanti non prestavano alcun caso a quell’uomo, e che quindi dovevano essere abituati a vederne in giro.

Però, gettò comunque un’altra occhiata allo schiavo, che con grande attenzione continuava a controllare le piante del giardino, muovendosi agilmente ma con attenzione, come se ogni suo movimento fosse calibrato e controllato costantemente. La ragazza dovette riconoscere che senz’altro doveva trattarsi di uno schiavo preparato ed educato a svolgere le mansioni in casa e nei cortili delle grandi abitazioni signorili.

Teresa si concentrò a quel punto ed afferrò il suo foglietto, mettendo ben in mostra l’indirizzo che stava cercando, e distanziò di qualche passo quel suo trio ancora stupito, per poi avvicinarsi cautamente ad una signora ben vestita, ma non eccessivamente sfarzosa. Questa volta decise di tentare la fortuna e di non provare a parlare, limitandosi a sorridere e a porgerle delicatamente la lettera piegata, in modo che potesse leggere il nome della banca e l’indirizzo, indicandoglielo con un dito e con cortesia.

La signora lesse, annuì e iniziò a parlare in portoghese, però gesticolando ampliamente, e permettendo quindi alla contessina di comprendere più di un paio d’indicazioni.

Era tutto un po’ vago e non era certa di essere riuscita ad interpretare tutto quanto per bene, ma era pur sempre meglio di nulla, e la ragazza ringraziò la signora con un cenno della testa e tornò dal suo amato, rimettendo lo scritto del signor Isacco nella sua piccola valigia da viaggio.

‘’Andiamo, su’’, disse poi, richiamando la sua attenzione e iniziando subito a dirigersi nella direzione che si era appena prefissata.

Giovanni la raggiunse subito, sempre seguito dalla coppia di amici, che parlavano tra loro con toni bassi e stupiti, osservando e commentando con stupore tutto ciò che li circondava.

‘’Sai dove stiamo andando, vero?’’, chiese il brigante, prendendole di nuovo la mano per poi stringergliela con vigore.

Quella domanda e quel gesto di affetto fecero sorridere la contessina, che in quel momento quasi si sentì una madre, presa per mano dal suo bimbo stupito e perplesso, mentre compie i primi passi all’aperto ed osserva il mondo.

‘’Lo so. O, almeno, spero di sì’’, mormorò di risposta Teresa, senza fissare il suo amato ma continuando a tenere lo sguardo fisso di fronte a sé, cercando di non disorientarsi. La disturbava ammettere a sé stessa che aveva timore e che non era affatto sicura che quella fosse la strada giusta da percorrere, però non poteva porsi certe domande proprio in quel momento e voleva affidarsi al suo intuito e alle scarse informazioni che era riuscita a carpire dalle indicazioni della passante alla quale aveva richiesto un tacito aiuto poco prima.

Cercando di dimostrarsi sicura, continuò a camminare, seguendo la sua cartina mentale e tentando di non dimenticare i gesti della signora, mentre a suo fianco il brigante se ne stava in silenzio, affidandosi totalmente a lei.

E, per fortuna, dopo un paio di svolte, finalmente si trovarono di fronte ad un grande edificio, alto e maestoso, con il nome della banca ben impresso a caratteri cubitali proprio sopra la grande porta d’ingresso.

Tante persone, tutte ben vestite, uscivano ed entravano freneticamente dall’interno dell’edificio, sempre molto pensierose.

‘’Non ho mai visto una banca, prima d’ora’’, fece notare Giovanni, raccogliendo anche l’assenso degli altri due amici. Teresa sorrise.

‘’Sui monti e nelle campagne non servono a molto le banche, mi sa’’, rispose pacatamente la contessina, per poi gettarsi con coraggio verso l’ingresso dell’edificio. Tant’era presa dall’emozione e dalla gioia di essere riuscita a giungere alla sua meta, non invitò neppure i suoi tre compagni di viaggio a seguirla, ma lasciò che fossero loro a starle dietro.

Entrò dentro la banca con passo baldanzoso e sicuro, eppure la strada le fu subito sbarrata da un uomo alto e ben vestito, che le si parò davanti con poca cortesia. Iniziò a parlare con veemenza, indicandole l’uscita senza tanti indugi.

Teresa fu scossa da un brivido di paura, per nulla preparata ad una simile e brutale accoglienza, e fece l’unica cosa che poteva fare per evitare di essere cacciata via e di mandare in frantumi tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento.

Estrasse nuovamente la lettera di Isacco e la consegnò allo sconosciuto.

‘’Consegni questa al suo superiore, il signor Edmondo Cavezzani’’, disse la contessina, dopo aver posto la lettera a quell’armadio d’uomo, che udendo il nome del superiore si fece incuriosito, diede una breve occhiatina alla lettera e le fece cenno con la mano destra di attendere lì, dirigendosi prontamente verso le scale che portavano al secondo piano e iniziando la sua salita.

La ragazza si voltò indietro, incontrando lo sguardo smarrito del suo amato, che l’aveva seguita fin dentro all’edificio. I suoi occhi si direzionavano ovunque, soprattutto verso i punti più affollati del grande stanzone centrale del complesso, dove uomini ben vestiti se ne stavano seduti alle loro scrivanie, confabulando con altrettanti uomini ben vestiti.

‘’Quel tizio non mi ha messo a mio agio… pareva volesse cacciarci via’’, disse Giovanni, quando si accorse che lei lo stava fissando con insistenza.

‘’Certo che voleva davvero farlo. Vedremo ora che succederà… la lettera gliel’ho consegnata. Vediamo se questo Edmondo ci concede una breve udienza’’, aggiunse Teresa, incrociando le braccia.

‘’Non credo che lo farà’’, sbottò il brigante, inquieto.

‘’Devi essere più ottimista, mio caro. Ma… dove sono finiti Sara e Roberto?’’, chiese la contessina, abbandonando il discorso di poco prima e chiedendo informazioni sui due amici, che le pareva che fossero entrati nella banca assieme a loro, ed invece in quel momento non riusciva a scorgerli da nessuna parte.

‘’Ci attendono qui fuori. Vedendo come siamo stati accolti, hanno preferito attendere in strada’’, rispose Giovanni, scrollando le spalle.

La contessina non fece in tempo a pensare ad altro, poiché l’uomo che poco prima voleva cacciarla fuori dall’edificio si ripresentò sulle scale, e fece loro cenno di seguirlo al piano superiore.

Teresa strizzò l’occhio a Giovanni, e a passo sicuro raggiunse la scala e iniziò ad affrontare i gradini, ad uno ad uno, tenendo lo sguardo fisso verso il basso e sperando davvero che quell’uomo ignoto che li stava attendendo da qualche parte potesse dar loro una mano in quel Paese.

Giovanni proseguì a suo fianco, tornando a stringerle la mano con delicatezza.

All’improvviso, dopo una brevissima scarpinata su per quell’ampia scala, i due si ritrovarono in un ristretto corridoio, e l’uomo che li aveva invitati a salire era lì presente, questa volta sorridendo e facendo cenno con la mano verso la prima ed unica porta aperta a pochi passi da loro, incoraggiandoli silenziosamente ad entrare.

Teresa fece un cenno di ringraziamento, l’ennesimo durante quell’intensa mattinata, e si affrettò ad entrare nella stanza indicatale, sempre tenendo per mano il brigante, che non aveva alcuna intenzione di perdere la sua guida. Giovanni era davvero intimorito di fronte a quel nuovo Paese, e Teresa lo comprendeva fino in fondo.

Entrando nella stanza, la ragazza si trovò di fronte ad un magnifico studio, tappezzato di opere d’arte e con una pavimentazione in legno pregiato.

Seduto ad una scrivania gigantesca, un sessantenne calvo e con una leggera barbetta bianca si alzò agilmente dalla sua sedia intarsiata e con lo schienale imbottito, per dirigersi subito verso di lei, tenendo in mano la lettera di Isacco e sorridendo con cortesia.

‘’Signora Teresa, vi chiedo immensamente scusa per l’accoglienza che vi ha riservato il mio modestissimo maggiordomo, ma quando ha notato che nella mia umile banca sono entrate persone non autorizzate, non ha potuto non scattare sulla difensiva. Sapete, anche qui è pieno di furfanti… e vi chiedo scusa per il malinteso! Prego, prego signori, sedetevi pure!’’, continuò a dire l’uomo, notando anche Giovanni e indicando loro due sedie, posizionate proprio di fronte alla colossale scrivania.

‘’Vi chiedo ancora scusa e vi prego di perdonarci. Io sono Edmondo Cavezzani, colui che state cercando e colui al quale il mio amatissimo amico Isacco vi ha affidati. Oh, sapete, anche se non appartenete alla comunità ebraica è sempre un piacere aiutare qualcuno che provenga dalla nostra penisola! In più, voi venite da Ferrara, vero? Proprio come me’’, continuò a dire Edmondo, come un fiume in piena, però sempre con grande cortesia. Parlava discretamente e in modo comprensibile, e questo fece sentire la contessina più a suo agio. Non ne poteva già più della lingua locale.

‘’In realtà non siamo originari di Ferrara, ma proveniamo dallo stesso Stato di cui essa fa parte. Non mi presento ulteriormente, noto che avete già letto tutta la lettera e che siete informato a grandi linee sulla nostra vicenda e sulle nostre generalità’’, riuscì ad inserirsi la contessina, sfruttando un momento di silenzio del suo ricco interlocutore, per poi sedersi a fianco del suo amato, che aveva già preso posto. Edmondo sorrise.

‘’Sì. Devo dire che, da quel che ho capito, ne avete passate di tutti i colori... ma non vi chiederò nulla in più di quel che già so. Il mio vecchio amico Isacco vi ha posti sotto la mia tutela, e cercherò di fare del mio meglio. In realtà, devo ammettere che sarà tutto piuttosto facile’’, riprese a dire il banchiere, sedendosi anch’esso al di là della scrivania.

Teresa lo guardò con curiosità, mentre lui si passava frettolosamente una mano sul volto e si lasciava sfuggire una risatina.

‘’Questo Impero nascente… nasconde molti segreti. Credete forse di essere i primi ad essere giunti fin qui per nascondere un passato scomodo ed iniziare una nuova vita? Beh, non lo siete. I vostri soldi saranno scambiati in valuta corrente da me, in attesa che il resto arrivi dalla nostra ormai lontana penisola, e qui siete totalmente al sicuro. Avete una buona somma, e con essa posso riuscire a sistemarvi bene, a darvi una buona casa e un bell’appezzamento di terra.

‘’E volete sapere il particolare più entusiasmante? Non dovrete neppure cambiare nome. Qui nessuno vi cercherà mai, in questo subbuglio di popoli… sapete, a volte neppure io li capisco questi mezzi portoghesi, sempre in guerra tra loro. E vivo qui da parecchi anni, ormai! Comunque, vi assicuro che il vostro passato l’avete lasciato alle spalle’’, proseguì l’uomo, sfruttando l’impeto causatogli dal fatto di aver notato la curiosità sul volto di Teresa.

‘’A dirla tutta, siamo in quattro… anche due amici si sono aggiunti a noi, durante l’attraversata…’’, aggiunse timidamente la ragazza, temendo di approfittarne, ma in ogni caso non voleva lasciare per strada Sara e Roberto, che erano per davvero senza meta.

‘’Non c’è problema, qui di terra e di spazio ce n’è per tutti. E se voi siete sotto la protezione del buon Isacco, siete senz’altro persone degne di fiducia e so per certo che posso aiutarvi e darvi credito, ha garantito lui per voi… bene, ripeto che non c’è problema. Ora faccio un rapido conteggio del vostro denaro, partendo dalle cifre qui scritte… cercherò di sistemare la questione in fretta e vedrò quel che riuscirò a fare per voi. Posso mettermi in azione fin da subito, se non vi dispiace’’, tornò a dire Edmondo, sollevando un attimo gli occhi dai fogli che stava iniziando a leggere.

‘’Certo che no’’, rispose la contessina, mentre il brigante tornava a stringerle la mano con forza.

‘’Perfetto, allora. Ho due consigli da darvi; per questa notte, trattenetevi presso la pensione di Flavia, una delle prime emigranti giunte fin qui dalla nostra penisola, e che è proprio posizionata di fronte alla banca. La conosco molto bene e vi darà ospitalità, ditele che vi ho mandato io. Domattina vi farò cercare e vi darò notizie, poiché credo che farò presto a rendere regolare il vostro soggiorno nell’Impero e a trovarvi un qualche alloggio.

‘’Il secondo consiglio è quello di imparare in fretta il portoghese; senza ciò, avrete molte difficoltà e molte vie precluse. Vi consiglio di iniziare fin da subito’’, aggiunse il saggio Edmondo, iniziando a scrivere qualcosa su un altro foglio.

Teresa comprese che l’uomo li stava già praticamente congedando, e felice e rassicurata si rialzò dalla sedia per porgergli cordialmente un saluto e congedarsi per prima. Il banchiere doveva avere molto da fare, poiché il suo lussuosissimo studio era stracolmo di fogli pieni di numeri e dati vari, e pensò di non disturbarlo ulteriormente, visto che anche lui si stava rimettendo al lavoro. L’uomo strinse la mano al brigante e li lasciò andare subito, già sovrappensiero.

Teresa e Giovanni ripercorsero il tragitto che avevano affrontato pochi minuti prima col cuore più leggero e colmo di speranze, mentre accennavano un saluto anche all’uomo possente che aveva cercato di cacciarli via poco prima, che nel frattempo aveva ripreso le sue pulizie proprio di fronte alla porta d’ingresso, mantenendo costantemente lustro il pavimento.

Una volta fuori dall’edificio, ritrovarono i due curiosissimi amici frementi.

‘’Temevo che quel tizio vi cacciasse subito fuori’’, disse prontamente Roberto, ancora provato dalla febbre e alquanto fiacco.

‘’Allora? Allora, con chi avete parlato? Che vi hanno detto?’’, iniziò subito a chiedere anche Sara, curiosissima.

Teresa sorrise e spiegò tutto anche a loro, mentre raggiungevano la locanda che era stata loro consigliata da Edmondo e che si trovava per davvero di fronte alla banca.

La ragazza notò che il suo amato continuava a restare taciturno, sempre molto pallido in viso, e capì che doveva essere sfinito. Si affrettò quindi anche a cercare la locandiera, che come previsto non parlava solo portoghese, garantendole il pagamento da parte del banchiere Edmondo, che peraltro Flavia, una donna ormai cinquantenne ma ancora piena di forze, conosceva molto bene, e quindi si fidò di loro e con grande cortesia le consegnò le chiavi di due stanze, una anche per la coppia di amici.

Dopo i rapidi ringraziamenti, la contessina si congedò rapidamente, senza avere alcuna intenzione di intrattenersi con la matura locandiera, come invece fecero i due amici, e si diresse sempre in camera, in modo da permettere al suo amato di riposare un po’.

Giovanni, sfiancato e sfinito, non aprì mai la bocca, e non appena si distese sul letto, si addormentò profondamente.

Certa di non aver alcuna intenzione di consumare qualche pasto dal tanto che era stanca, Teresa gli si accoccolò a suo fianco e si addormentò anch’essa, cullata dal dolce respiro della persona che amava di più a quel mondo, maggiormente rassicurata rispetto ai giorni precedenti e concedendosi al sonno senza pensare ad altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo J

Volevo avvisarvi; siamo quasi giunti alla fine. Nel prossimo capitolo, nelle mie solite note d’autore, vi spiegherò come gestirò l’epilogo della storia.

Nel frattempo, spero che la vicenda fino a questo momento non vi abbia annoiato e che sia ancora di vostro gradimento.

Continuo a ringraziare senza sosta tutti i gentilissimi recensori, e chiunque sia giunto fin qui J

Grazie di cuore J a lunedì prossimo J

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Capitolo 68
*** Capitolo 67 ***


Capitolo 67

CAPITOLO 67

 

 

 

 

 

Teresa, ancora insonnolita, stava guardando quella che sarebbe dovuta diventare la loro casa. La loro nuova casa.

Il signor Edmondo li aveva mandati a chiamare dal suo maggiordomo, che prontamente aveva pagato il conto alla locandiera ed aveva fatto loro cenno di seguirlo.

Svegliare Giovanni non era stato semplice per la contessina, che peraltro era già in piedi quando il maggiordomo era giunto alla pensione, ma comunque il suo amato quella mattina aveva una bella cera e il suo viso sembrava avesse ripreso colore.

Anche Anna e Roberto li avevano seguiti; ormai, pareva che la coppia di servi fosse irrimediabilmente vincolata allo stesso destino di lei e del suo amato brigante, che dal canto suo non aveva più accennato a volerli allontanare.

Entrambi si erano ormai affezionati a quei due ragazzi che, come loro, cercavano di ricrearsi una nuova vita in quel Paese lontano e sconosciuto, ma che non avevano avuto la fortuna di avere soldi da parte. Erano totalmente allo sbando, e per Teresa aiutarli e tirarseli dietro era diventato un principio fondamentale, totalmente inviolabile.

Non le costava molto comunque ammettere che anche lei si era affezionata alle loro presenze per nulla invadenti e scortesi, e se le veniva in mente come li aveva trattati la prima volta che li aveva visti su quell’immensa nave che li aveva condotti fin lì, le veniva quasi da sorridere. Ma solo per non piangere dalla vergogna.

Effettivamente, i due giovani avevano tutte le migliori intenzioni e non avevano mai voluto farle del male, cosa di cui purtroppo lei li aveva incolpati ingiustamente, ma ora voleva anche sdebitarsi e scusarsi per quel triste primo impatto.

In ogni caso, dopo essersi accertata che i due nuovi amici li avessero seguiti, lei e Giovanni si erano lasciati accompagnare dal silenzioso maggiordomo portoghese fino alla banca, dove davanti ad essa c’era posteggiata una magnifica ed ampia carrozza trainata da quattro stupendi cavalli bianchi.

A quel punto, il loro accompagnatore si era dileguato con un largo sorriso ben stampato sul volto, e li aveva lasciati in compagnia del prolisso e chiacchierone Edmondo, che li aveva invitati a salire sulla carrozza da lui stesso noleggiata, in modo da poter andare a vedere ciò che era riuscito a trovare per loro quattro. Ormai, aveva aggiunto anche Sara e Roberto alla lista.

La contessina si era annoiata un po’ durante il viaggio in carrozza, poiché le sarebbe piaciuto sbirciare il paesaggio dai vetri del mezzo, ma Edmondo aveva continuato a chiacchierare per tutto il tempo, tenendola costantemente impegnata in una conversazione da lei non molto voluta.

Il ricco banchiere ebreo pareva felice di aver trovato qualcuno che l’ascoltasse con attenzione, e Teresa non aveva avuto il coraggio di deluderlo in alcun modo. Aveva dovuto riconoscere che Edmondo era di certo una persona strana, forse troppo logorroica e liberale per appartenere al suo silenzioso popolo, abituato a subire soprusi d’ogni genere nel Vecchio Continente e a tacere quasi sempre. Doveva essere stato l’impatto con le Americhe ad averlo reso così estremamente chiacchierone e gioviale.

Dopo un viaggio non troppo lungo, durato un paio d’ore, e dopo aver attraversato tutta Santos e alcuni villaggi vicini, la carrozza si era fermata proprio nel punto in cui iniziava una grande ed immensa foresta, e dove alcune abitazioni quasi totalmente in legno erano state appena messe in piedi dal nulla.

Scendendo dalla carrozza, la ragazza aveva notato che il verde regnava sovrano ovunque, e che quella foresta che aveva di fronte non era neppure minimamente simile ai boschi che aveva visto nella penisola italiana, ma era qualcosa di più selvaggio ed indomito. Gli alberi erano molto alti, simili a lunghi pali eretti verso il cielo, mentre forti strida animalesche risuonavano ovunque, di tanto in tanto.

In quel momento, continuava a fissare ciò che il banchiere le indicava.

‘’Dunque, mi hanno detto che ci sono un po’ di scimmie nei paraggi, ma non rappresentano un problema. Sono scimmiette molto piccole, basta cacciarle con qualche schiamazzo, e sono totalmente innocue.

‘’Comunque, se vi piacerà, questa bella dimora sarà vostra; in realtà, è divisa in due ampie parti, in modo che possa essere abitata da due famiglie. Queste sono le terre di proprietà della mia banca, dove investo parte del patrimonio per costruire e rivedere case costruite sui territori strappati alla foresta vergine. Ma venite, vi mostro meglio l’abitazione’’, riprese a dire Edmondo, tutto sorridente e cordiale, puntando un dito verso l’ultima abitazione in fondo ad un sentiero di terra battuta.

Teresa si mise subito a seguire l’uomo attempato, essa stessa seguita dalla coppia di amici e dal suo amato, che pareva stare sempre meglio. Aveva ancora un’espressione un po’ abbattuta dipinta sul volto, ma almeno stava riprendendo le forze. Sara e Roberto, invece, ormai sembravano guariti definitivamente, e il pasto sostanzioso della sera precedente pareva averli rimessi miracolosamente in sesto.

Dopo aver percorso un piccolo tratto di sentiero, si trovarono di fronte alla porta dell’abitazione, e la contessina fu costretta a riconoscere che, vista da vicino, pareva molto più grande. La parete frontale era di mattoni rossi, e la porta era stata intagliata molto probabilmente da un unico e ampio tronco d’albero, poiché non mostrava alcun segno di lavorazione. Era grezza, una tavola di legno scuro con una maniglia e una serratura blanda.

Edmondo aprì la porta e mostrò l’abitazione in tutto il suo splendore, lasciando gli acquirenti molto stupiti.

Teresa, non appena varcata la soglia molto modesta e che lasciava a dir poco desiderare, ebbe modo di ritrovarsi direttamente in un’ampia camera, quasi una sala comune, con un grande tavolo nel mezzo e un dedalo di porte aperte che portavano in altre stanze, sicuramente di minore ampiezza.

‘’Ho pensato a questa casa, tanto per iniziare. Ieri mi avevate detto che eravate quattro invece che i due citati nella lettera del mio caro amico, ed ho cercato di fare del mio meglio per trovare qualcosa di adatto alle vostre esigenze.

‘’Purtroppo, la somma di denaro in vostro possesso, e che mi arriverà indubbiamente a breve, può permettervi quest’ampia abitazione, ma non due case. Quindi, immaginando che voi quattro formiate due famiglie distinte, potrete comunque dividere e condividere l’abitazione, sempre e comunque riuscendo a mantenere i vostri spazi. Questa è stata la mia idea, e mi pare buona; se poi volete…’’.

‘’Va benissimo così’’, lo interruppe Teresa, evitando che l’uomo pensasse ad altre soluzioni. Quella le pareva ottimale, anche se avrebbe comportato la divisione degli spazi con la coppia di servitori.

‘’Non va bene così, invece’’, ribadì Sara, parlando con voce squillante.

La contessina la fissò, interdetta. Era vero che non aveva mai chiesto un’opinione dei due amici, ma dava per scontato che loro li avrebbero seguiti ovunque e in ogni scelta.

‘’I soldi sono i vostri, non sono nostri; la casa è giusto che sia tutta vostra. Non vogliamo essere un peso o un fastidio per voi’’, concluse la giovane, guardando verso terra. Si vergognava per ciò che aveva detto, e indubbiamente quella casa doveva piacerle parecchio.

‘’Sara ha ragione. Non possiamo prendere possesso di ciò che è vostro. La casa è vostra e…’’, tentò di dire Roberto, subito bloccato da un gesto perentorio di Giovanni.

‘’La casa sarà nostra, certo, ma saremo ben felici di condividerla con voi. Capisco il fatto che non vogliate essere di disturbo, ma per noi ospitarvi ed offrirvi qualche stanza fintanto che non sarete economicamente indipendenti non sarà un disturbo. In questo Paese sarete allo sbando, senza soldi né un tetto sulla testa… quindi, per favore, accettate la nostra ospitalità. La casa per fortuna è abbastanza grande, e c’è spazio anche per voi’’, disse poi il brigante, sicuro di sé.

Teresa lo guardò con ammirazione, riuscendo a vedere in lui quella risolutezza e quella capacità retorica che l’aveva reso unico fintanto che era stato a capo della sua banda di fuorilegge.

‘’Allora accettiamo… e vi ringraziamo. Per tutto. Un giorno ci sdebiteremo, ve lo giuro’’, mormorò Roberto, commosso da tanta generosità ed accettando di fatto l’ospitalità in quell’abitazione. Anche Sara annuì, dimostrandosi infine d’accordo.

‘’Ehm, bene, se avete finito di discutere tra voi, potrei mostrarvi…’’.

‘’Non dovete mostrarci nient’altro. Questa casa ci ha già convinto’’, concluse Teresa, risoluta, interrompendo nuovamente il signor Edmondo, che la guardò con soddisfazione.

‘’Molto bene, allora! Molto, molto bene. Vi assicuro che sarete soddisfatti dell’acquisto. Ed ora… beh… dovrei tornare nella mia banca, sapete, gli affari mi attendono… non esitate a chiedermi aiuto, se ne avrete bisogno. Il villaggio più vicino non dista molto, ed è fornito di numerosi cocchieri, che per pochi spiccioli vi porteranno ovunque voi desideriate. Vi farò arrivare la liquidità rimastavi entro i prossimi giorni, ovviamente cambiata in valuta locale.

‘’In ogni caso, ho pensato che voi aveste potuto trovarvi più a vostro agio nelle campagne, visto che le città molto spesso sono incredibilmente turbolente, e i conflitti armati in questo impero non mancano mai, purtroppo’’, tornò a dire il vecchio banchiere, quasi volendosi scusare della mercanzia che aveva appena offerto e venduto.

L’uomo era come un fiume in piena quando parlava, e come un fiume travolgeva e stordiva chi lo ascoltava, passando continuamente da un argomento a un altro ad esso collegato, e spesso la contessina si deconcentrava dai suoi discorsi. Per fortuna, quella volta il suo amato era attento ed aveva la risposta pronta.

‘’Questa abitazione va benissimo per noi, non preoccupatevi. Avete fatto la scelta giusta’’, lo rassicurò Giovanni, mentre Teresa era già persa con lo sguardo in quella casa. Quasi tutto era fatto in legno, e solo alcune parti erano costruite con mattoni rossi, più per rinforzare la flebile struttura che altro.

‘’Ma durante l’inverno, non rischiamo di patire del freddo qui dentro?’’, riuscì a dire la ragazza, esternando il suo dubbio. Il tetto le pareva davvero ridicolo, di certo incapace di sostenere il peso della neve e del ghiaccio.

Edmondo scoppiò a ridere, mentre tutti nella stanza lo guardavano, esterrefatti. Effettivamente Teresa riconosceva che la sua domanda era fondata, così come gli altri presenti, e nessuno di loro quattro riusciva a comprendere l’improvvisa ilarità del banchiere.

‘’Scusate, è solo che non sono riuscito a trattenere una risata, spero che non ve la siate presa.

‘’Mia cara Teresa, in questo magnifico impero non esiste l’inverno e non esistono le stagioni; qui, a poca distanza dalla stupenda San Paolo e dal meraviglioso porto di Santos, le temperature sono stabili tutto l’anno. Ci sono giorni in cui diluvia, certo, ma mai giorni in cui le temperature scendano come nella vostra penisola d’origine. Qui non esistono ghiaccio e neve, ma solo tiepido calore.

‘’E ora, perdonatemi, ma devo proprio lasciarvi. E scusatemi ancora’’, rispose Edmondo, per poi congedarsi in tutta fretta, tra strette di mano e calorosi sorrisi.

Poi, proprio quando stava per uscire di casa, si voltò di nuovo indietro, richiamando l’attenzione dei presenti.

‘’A momenti dimenticavo di dirvi una cosa. Potete tranquillamente lavorare la terra che circonda la vostra abitazione fino a trenta metri da essa. Fidatevi, se avete esperienza nel settore agricolo, fatelo; la terra è fertile, ed inoltre vi offrirà cibi e verdure sempre fresche, e così non ci sarà bisogno di recarvi in paese con molta frequenza’’, aggiunse Edmondo, suscitando subito la curiosità di Giovanni e Roberto, entrambi capaci di custodire un campo e di dissodare a dovere il terreno, ma l’uomo, che non poteva più intrattenersi, li abbandonò in fretta, promettendo di far giungere loro anche qualche semente, assieme ai contanti.

Teresa, ancora presa dalla casa, si mise a girovagare per la grande abitazione, seguita a pochi passi più indietro da una silenziosissima Sara, che some un fantasma si aggirava alle sue spalle.

‘’Ti piace?’’, chiese dopo un po’ la contessina, cercando di nascondere la sua euforia, mentre guardava le varie stanzette, alcune delle quali erano abbastanza ridotte ma non per questo meno accoglienti. Non le pareva quasi vero di essere giunta a destinazione, e di avere trovato un posto e una casa in cui fermarsi e vivere, lasciandosi alle spalle una lunga fuga, e anche se all’orizzonte si prospettavano migliaia di difficoltà, dovute alla lingua e al denaro, la giovane sapeva già che sotto quel tetto lei si sarebbe sempre sentita al sicuro e protetta.

‘’Certo che mi piace. Ma sappi che per quello che hai fatto per noi, io e il mio Roberto ti saremo per sempre debitori. Grazie per averci accettato e per averci reso partecipi del tuo sogno, ormai realizzato, direi’’, rispose Sara con un tono pieno di gratitudine, sorridendo con imbarazzo.

Teresa si limitò a lanciarle una rapida occhiata, per poi tornare a guardare e ad ispezionare quella nuova abitazione, che per davvero era quasi un sogno.

‘’Spartire qualcosa con qualcuno, soprattutto se si tratta di un sogno realizzato, è bellissimo’’, concluse la contessina, più parlando tra sé e sé che con l’amica, tornando a sognare. Se tutto fosse andato bene, da quel momento in poi sarebbe iniziata la sua nuova vita.

Si sfiorò il ventre, sorridendo, mentre una lacrima calda e commossa le scendeva lungo la guancia.

 

 

Alcuni giorni dopo, Teresa si ritrovò a piangere, da sola quella volta. Era il ventitré luglio del 1838, ed era il suo compleanno.

Non aveva rivelato a nessuno, neppure al suo Giovanni, che quel giorno compiva ventun anni.

Era mattina presto, ma il suo amato era già uscito a lavorare nella foresta assieme a Roberto, mentre la sua cara amica Sara era ancora a letto, alquanto provata dalla gravidanza.

Dallo stesso giorno in cui avevano preso possesso di quella nuova dimora, la domestica aveva iniziato ad avere problemi, e la sera di quel giorno le sue caviglie si erano lievemente gonfiate ed erano iniziate le lamentele. Effettivamente, pareva davvero che quella gravidanza avrebbe continuato a causarle qualche problemino, e molto spesso la ragazza non si alzava dal letto e la mattina del giorno precedente aveva sofferto anche di un forte attacco di nausea.

Mettendo da parte il suo pensiero rivolto all’amica, la contessina si ritrovò a notare quant’era cambiata la sua vita nel corso di un anno.

Solo un anno prima, lei era con suo padre nel loro grande palazzo romano, dove lui si era assicurato che la cuoca preparasse un pasto più raffinato del solito per festeggiare quel giorno speciale. Era solo una ragazzina, spaventata da tutto e da tutti, insicura e incerta, un uccelletto debole che non sapeva volare e che restava rinchiuso nella sua gabbia dalle sbarre dorate.

Solo un anno prima, non avrebbe mai creduto di dover abbandonare la penisola italiana per giungere in un altro lontanissimo continente. Anche le sue mani ora erano cambiate, diventando più rosate e forti, le mani di una contadina, e non di certo di una giovane nobile.

Le pareva davvero incredibile che a volte in un solo anno di vita potessero accadere tutti quegli sconvolgimenti; era come se il suo destino, tramutatosi in un fiume impetuoso, avesse rotto gli argini e l’avesse travolta e trasportata lontano, verso un oceano, verso un nuovo continente dove la sua vita avrebbe potuto riprendere un corso più libero, e non di certo limitato da un marito odioso e che lei non amava.

Ancora ricordava il sorriso colmo di gratitudine che aveva mostrato lo scorso anno a suo padre, che non era ancora il vecchio decrepito e devastato dalla malattia degli ultimi mesi di vita, ma era a quel tempo un uomo maturo, piacente e ben piazzato, sorridente e sicuro di sé.

Pensò per la prima volta che, se non avesse mai scelto di seguire suo padre più a nord, fino a Ravenna, lei non avrebbe mai conosciuto Giovanni, e in quel preciso istante sarebbe stata ancora tra le grinfie di Alfonso, il disgustoso conte alla quale suo padre l’aveva erroneamente promessa come sposa e da cui non avrebbe mai trovato le forze per ribellarsi e fuggire dalla sua dimora, se non avesse saputo che c’era qualcuno disposto ad aiutarla.

Pensò anche a Lina, e le lacrime iniziarono a solcarle il viso con maggiore rapidità, chiedendosi come stesse la sua più grande amica in quello Stato ormai lontanissimo, oltre l’immensità dell’oceano.

Travolta dai ricordi degli ultimi mesi, ripensò a suo figlio, il primo che aveva concepito e che aveva perso durante la folle fuga da suo marito.

Tornò a pensare alla carneficina che aveva commesso per liberare Giovanni e salvarlo.

E poi, riaffiorarono alla mente anche i ricordi recenti della nave, l’epilogo conclusivo di quel’infinito viaggio della speranza, una speranza riposta in un Brasile selvaggio, dove forse la vita sarebbe potuta riprendere al meglio.

La contessina afferrò il suo fazzoletto dalla tasca del bianco grembiule che indossava, tra l’altro acquistato da un paio di giorni e ancora nuovo, e si asciugò le lacrime. E in quel momento le fu tutto chiarissimo, comprendendo che il suo amato Giovanni era stato la sua fortuna, lui e il bimbo che ancora doveva nascere ma che aveva iniziato a farsi sentire nel suo grembo.

E le lacrime che stava piangendo in quel momento erano anche colme di felicità, una felicità scaturita dalla constatazione del fatto che il loro amore non era mai venuto a mancare, nonostante le tante difficoltà che avevano lastricato il loro duro cammino di coppia.

Con il fazzoletto, Teresa si asciugò le lacrime, poi si lavò il volto in un bacile d’acqua fresca, in modo da ricacciare indietro quel rossore colmo di emozione che stava conquistando molto rapidamente le sue guance.

Appena ebbe finito, si asciugò in fretta e si mise al lavoro, cercando di non pensare a nient’altro. Si sistemò nella sua piccola cucina, proprio a fianco della vasta sala centrale della casa, sistemando bene tutti i suoi strumenti sul tavolo e iniziando a preparare la farina per la pasta.

In quei giorni, stava applicando tutto ciò che tempo addietro le aveva insegnato Lina in cucina, e nonostante tutto aveva scoperto che se la cavava con la pasta, il pane e la piadina, e questo era già un buon traguardo, che inorgogliva anche il suo amato, sempre pronto a gustare ogni piatto che lei gli preparava.

Teresa era anche molto soddisfatta dell’abitazione che aveva offerto loro Edmondo, e già dal giorno successivo all’acquisto aveva iniziato ad adorarla e a renderla più abitabile. La casa era molto semplice e non troppo vasta in realtà, ma era molto ben arieggiata e piuttosto ben arredata, e ciò era una cosa buona. Fortunatamente, non aveva notato nessun animale strano o pericoloso vicino alla dimora, e neppure una scimmia, anche se di tanto in tanto ne udiva le loro strida in lontananza.

In più, qualche ora dopo l’acquisto, il banchiere aveva fatto pervenire loro anche gli ultimi soldi rimasti, già cambiati in valuta locale e in contanti, pronti per essere spesi. Così, lei e il brigante avevano lasciato a casa Roberto e Sara, ed avevano affittato una carrozza dal vicino paesetto e si erano fatto portare fino alle periferie dell’immensa San Paolo, dove si vendeva praticamente di tutto.

Lì, facendosi aiutare dal cocchiere, ne avevano approfittato per acquistare tutto ciò che occorreva loro, utilizzando solo i gesti delle loro mani per indicare ciò che volevano acquistare e pagando con attenzione, trovandosi ben presto con una carrozza piena di roba e con pochissimi spiccioli rimasti tra le loro dita, ma almeno a quel punto avevano un tetto sulla testa, una casa ben attrezzata e fornita, e una dispensa piuttosto piena. Nell’immediato non avrebbero avuto problemi, ma ci sarebbe stato molto da fare per guadagnarsi da vivere.

Giovanni e Roberto si erano dati da fare fin da subito, gettandosi a dissodare e preparare il terreno circostante alla casa, già pronti per seminare le sementi che erano giunte assieme al denaro, gentile omaggio del signor Edmondo.

I due uomini negli scorsi giorni avevano lavorato incessantemente, e si erano ripromessi che, una volta concluso quel duro lavoro con la terra, si sarebbero impegnati ad imparare la lingua e per cercare un lavoro che permettesse loro di guadagnare qualcosa di concreto. Poi, avrebbero potuto comprare anche qualche gallina e qualche animale da cortile, e pian piano si sarebbero resi indipendenti.

‘’Teresa’’.

La voce di Giovanni fece sussultare la contessina, che mentre si accingeva a prepararsi ad impastare. Il brigante la stava osservando sulla porta, appoggiato allo stipite di legno bianco e candido, con un sorriso soddisfatto ben stampato sul volto.

‘’Che c’è? Mi hai quasi spaventata’’, disse la giovane, sorridendo anch’essa. Le faceva piacere quando vedeva che il suo amato era di buon umore, ora che si era ripreso totalmente dalla febbre che l’aveva perseguitato per l’ultima parte del viaggio in nave.

‘’Ho molte buone notizie per te. Per noi. Vieni, prima voglio farti vedere una cosa e sentire il tuo parere’’, disse Giovanni, facendo cenno verso la porta d’ingresso.

Teresa abbandonò tutto quello che stava facendo, e asciugandosi le mani nel grembiule, seguì il suo futuro marito, l’uomo con cui si sarebbe sposata non appena il signor Edmondo avesse fatto preparare i loro nuovi documenti. Anche Sara e Roberto avrebbero fatto la stessa cosa, sempre a breve.

Attraversò di tutta fretta la sala centrale, per poi uscire in cortile e notare un grosso tronco di legno, già ripulito dalla corteccia e pronto per essere lavorato e intagliato. Giovanni gli poggiò sopra una mano, sorridendo.

‘’Ho pensato che per il nascituro ci vorrà una culla bella e spaziosa. Quindi, ho deciso che la intaglierò da questo tronco, con pazienza e attenzione. Ti piace il colore di questo legno?’’, le chiese il brigante, sempre a fianco del tronco marrone pallido.

‘’Certamente! Mi piace molto anche la tua idea’’, rispose la contessina, felice di notare che il suo amato stava davvero pensando a tutto.

‘’Perfetto, allora. Mi metterò al lavoro appena potrò. Ma tu… non ti sembra di lavorare un po’ troppo in casa? Insomma, i lavori dovreste dividerveli… capisco che Sara abbia qualche fastidio, ma ciò non le rende la vita impossibile e non la costringe a stare a letto tutto il giorno. Non voglio che tu diventi la sua domestica’’, la rimproverò prontamente il suo amato, diventando improvvisamente serio. Teresa sorrise a quell’ammonimento.

‘’Svolgo con grande piacere le mansioni domestiche, non temere. Non mi affatico troppo, e sapere che tu apprezzi ciò che ti preparo mi riempie di gioia, quindi non devi preoccuparti di nulla. Sara, non appena starà meglio, mi aiuterà senz’altro’’, disse la contessina, dicendo la verità. L’amica non era mai stata una scansafatiche, e se in quel momento era davvero indisposta, doveva stare tranquilla e riposare per portare avanti al meglio la gravidanza, già in stato più avanzato della sua.

Giovanni sospirò ed annuì, lasciando cadere l’argomento.

‘’Da domani inizierò a lavorare da un falegname del paesetto qui vicino. Ho provato a parlargli, e da quel che ho capito gli serve un po’ di manodopera, anche se comunque né io né lui siamo riusciti a metterci d’accordo per via della lingua differente con cui ci esprimiamo, ma questo non sarà un problema. A lui servono delle braccia forti, non una voce’’, disse dopo un attimo il brigante, tornando a sorridere.

‘’Ma questa è una notizia stupenda!’’, mormorò Teresa, felice per il suo amato. Gli corse incontro e l’abbracciò, baciandolo sulle labbra.

‘’L’orto continuerà a dissodarlo Roberto, mentre io lavorerò. Alla sera, mi dedicherò a preparare qualche altro mobile per la casa e a intagliare la culla. Me la cavo con il legno, sai?’’, le disse lui, contento della gioia dimostrata dalla ragazza.

‘’Lo so, tu sei per davvero bravo in tutto. Sei l’uomo più perfetto di questo mondo!’’, le rispose Teresa, dandogli un altro bacio.

Giovanni scrollò la testa, sempre compiaciuto dalle belle parole della contessina, e riafferrò la sua zappa e riprese a dirigersi verso il terreno da dissodare, dove Roberto lo stava attendendo, curvo sui suoi strumenti da contadino, costruiti nei giorni precedenti da Giovanni stesso, utilizzando materiali scadenti che aveva trovato in giro, ma pur sempre validi.

‘’Non affaticarti troppo!’’, le gridò, già un po’ distante da lei.

Teresa si limitò ad annuire con lentezza, per poi affrettarsi a tornare in casa. Aveva troppa voglia di rimettersi a preparare il pranzo.

La ragazza era estremamente lusingata e commossa dall’atteggiamento del suo amato, che pareva essere tornato propositivo ed interessato a tutto, e sicuramente se fosse riuscito a mantenere un posto stabile di lavoro e se si fosse riuscito ad integrare in quel nuovo Paese, ciò sarebbe stato un grande bene per tutti loro.

Anche lei ben presto avrebbe cercato di imparare il portoghese, almeno le basi, in modo da poter iniziare a districarsi da sola in quella nuova realtà, senza avere più il bisogno dell’aiuto di altri. Non era una lingua difficile, e già aveva avuto modo di riuscita ad apprendere qualche piccola parola in solo pochi giorni.

Mentre tornava ad affaccendarsi nella piccola cucina, Sara entrò nella stanza mugugnando.

‘’Come va questa mattina?’’, le chiese cortesemente Teresa, sperando che andasse tutto bene. Lì nelle vicinanze non c’erano medici, e comunque non disponevano neppure di una somma di denaro sufficiente per pagare una visita, quindi non restava altro che sperare nel fatto che tutto andasse bene.

‘’Male, malissimo. Mi sento appesantita, gonfia… ah, Teresa…’’, mormorò la ragazza, sfoggiando due vaste occhiaie e un volto strapazzato.

‘’Torna a letto, poi ti porto qualcosa’’, disse la contessina, leggermente preoccupata. Giovanni pensava che la domestica facesse solo una sceneggiata, approfittandone per non far nulla e poter riposare pigramente, ma lei invece le credeva. Per gli uomini, una gravidanza appariva sempre una cosa da nulla, e tendevano sempre a sminuirne gli effetti.

‘’Grazie, Teresa… se non ci fossi tu... non saprei. Pure il mio Roberto mi guarda un po’ male. Possibile che non capisca che diventare madre richiede un grande sforzo, a volte?’’.

‘’Roberto è un uomo, e gli uomini pensano sempre che i nostri compiti femminili siano facili e semplici da sopportare’’, si limitò a rispondere la contessina, esternando i suoi pensieri di poco prima.

Sara, nel frattempo, non disse altro e si limitò a trascinarsi nuovamente verso stanza da letto, pronta a distendersi nuovamente e a cercare un po’ di sollievo.

Teresa sapeva che d’ora in poi sarebbe stato tutto molto più difficile per tutti, e che ci sarebbe stato tanto da fare in ogni senso, ma lei non era spaventata dal futuro. Aveva tanta voglia di mettersi in gioco e di ricostruire daccapo la sua esistenza, e nessuno sforzo le incuteva timore. Non temeva più nulla.

Sperò che la sua gravidanza continuasse al meglio, senza crearle eccessivi problemi, come invece stava accadendo all’amica. In fondo, capì che se era sopravvissuta alla follia di Alfonso e a tutta la brutalità che le era piovuta addosso gratuitamente, avrebbe potuto tranquillamente far fronte ad ogni altro inconveniente o problema. E poi, al suo fianco aveva l’uomo dei suoi sogni, colui che amava immensamente e senza limiti, l’uomo che lei aveva adorato fin dall’inizio della sequenza di tristi vicende che l’avevano sconvolta, quasi fatta impazzire.

Con lei c’era ancora il suo Giovanni, il futuro padre di suo figlio, nonché colui che amava ancora follemente, e sapeva che fintanto che fosse riuscita ad averlo a suo fianco tutto sarebbe andato per il verso giusto.

Giovanni era tutto ciò che le era rimasto a quel mondo. Tutto ciò di più bello che Dio e quella realtà le avessero potuto offrire.

Pregò che il loro amore potesse non avere mai fine, perché non riusciva ormai neppure ad immaginare una vita senza di lui, senza sapere che la sua presenza era sempre a suo fianco. In quel momento, capì che il suo amato era per lei il più grande e ricco tesoro che avesse mai potuto trovare ed adorare in quel misero mondo basato solo sull’infelicità generale. E così, ebbe anche la certezza che lei non avrebbe mai smesso di amarlo, sempre e in ogni eventualità.

L’avrebbe amato per sempre. Il loro amore sarebbe stato eterno, e lei avrebbe lottato con tutta sé stessa per non renderlo caduco come tutte le cose materiali, poiché ciò risiedeva all’interno del loro cuore, ed era l’essenza più pura dei loro pensieri e dei loro desideri.

Giovanni sarebbe stato la sua vita, d’ora in poi, e Teresa si sentiva pronta a prendersi cura di lui sotto tutti gli aspetti. Perché lei lo amava più di ogni altra cosa. Lui era tutta la sua vita, assieme al loro bambino in arrivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche quest’ultimo capitolo!

Esatto, siamo giunti alla fine del racconto. Lunedì prossimo aggiornerò un’ultima volta, poiché manca l’epilogo.

Potrete facilmente capire dalla mole del racconto che l’epilogo sarà un po’ complesso. Sarà piuttosto lungo, e per questo ho scelto di dividerlo in due parti, che pubblicherò assieme e nello stesso giorno. Quindi, lunedì prossimo troverete ben due aggiornamenti(epilogo, parte prima; epilogo, parte seconda).

Il mio consiglio è quello di non leggerli tutti e due assieme, ma di leggere inizialmente la prima parte, poi la seconda. Altrimenti, a mio avviso chi legge rischia di non riuscire a seguire e a gustarsi degnamente le battute conclusive, essendo l’intero epilogo molto lungo. Poi, naturalmente, vedete voi e suddividetevi la lettura come vi pare, oppure leggete tutto assieme… questo è solo un mio consiglio.

Mi pare impossibile di essere quasi giunto alla fine di questo lunghissimo viaggio. A questo punto, ci tengo a ringraziare calorosamente i miei quattro santi, che hanno letto tutta la storia lasciandomi sempre un loro parere, capitolo per capitolo, con un’attenzione incredibile. Ringrazio quindi S1mo94, Clairy93, Rossella0806 e GreenWind! Senza voi quattro e senza il vostro magnifico, infinito e costante sostegno, molto probabilmente non sarei mai giunto fin qui.

Ringrazio chiunque abbia letto e seguito il racconto fin qui, sperando che esso abbia meritato la vostra attenzione e che alla fine vi sia piaciuto. Ma per ora basta ringraziamenti, poiché li riprenderò lunedì prossimo, quando la nostra avventura sarà definitivamente conclusa.

Mi auguro solo che il racconto vi sia piaciuto e che sia stato di vostro gradimento.

Grazie di cuore a tutti! A lunedì prossimo J

 

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Capitolo 69
*** Epilogo, prima parte ***


Epilogo, prima parte

EPILOGO

 

 

 

 

 

26 gennaio 1851, periferie di San Paolo, Impero del Brasile

 

 

 

 

 

 

Era ormai mezzogiorno, e Teresa si stava dando da fare per preparare il pasto per suo marito Giovanni e i loro cinque figli.

Colei che poco più di un decennio addietro era stata una contessina, ormai si sentiva solo ed esclusivamente una contadina qualsiasi, una lavoratrice abituata da anni ad ogni sforzo e ai dolori delle gravidanze.

Le sue mani erano forti e arrossate, e sempre pronte ad impastare qualcosa di buono o a lavare con forza i panni nel ruscello che scorreva poco distante dall’abitazione quasi totalmente in legno, che in tredici anni era diventata una casa ancora più ampia. Giovanni aveva provveduto, assieme a Roberto, a costruire nuovi ambienti in legno, tra cui alcuni ripari per gli animali da cortile, ma anche due stanze laterali per i figli, che stavano cominciando a crescere e che faticavano a condividere la stessa stanzetta che era stata appositamente preparata per loro tempo addietro.

Dopo due mesi dal loro sbarco a Santos, e dal loro arrivo in quel Paese pieno di foreste e di animali selvatici e strani, il signor Edmondo era riuscito a far avere a lei e al suo amato tutti i documenti necessari per poter contrarre matrimonio e per potersi finalmente sentire a casa, regolarizzando di fatto e sotto ogni aspetto la loro permanenza nell’Impero.

Assieme ai loro documenti, ne erano stati redatti altri due anche per Sara e Roberto, che però erano stati abilmente falsificati per via del fatto che il banchiere, sbadato, non aveva richiesto i cognomi e le varie generalità ai due giovani. Da quel momento, Roberto Dolmenici era diventato Roberto Sanchez, un giovane italo-ispanico giunto nelle Americhe per mettere su famiglia con la giovane Sara Iniguez, di lontane origini italiane anche lei.

Tutto ciò suscitava ancora l’ilarità di Roberto, ma in fondo gli aveva permesso di poter prendere moglie, di sposarsi e di potersi accasare assieme alla sua donna in quel Paese lontano, ma pieno di possibilità.

Teresa e Giovanni si erano sposati assieme ai due amici, in una sola e rapida cerimonia di fronte ad un pimpante sacerdote d’origine portoghese, lievemente sdegnato dal fatto di dover sposare ben due coppie di stranieri, perlopiù italici e ispanici, ma non aveva replicato nulla a parte storcere il naso ed aveva svolto la cerimonia senza batter ciglio.

Dopo il matrimonio, il destino delle due coppie coniugate non si era separato, ed entrambe avevano continuato a condividere lo stesso tetto e lo stesso cibo, e da allora non c’erano stati sostanziali cambiamenti. Teresa era molto felice che Sara e Roberto avessero scelto di continuare a vivere con loro e a condividere lo stesso tetto, anche perché ormai quei due erano gli unici depositari di quello che pareva essere solo un lontano e remoto passato.

La contessina aveva imparato in fretta il portoghese, così come il suo amato marito, che aveva continuato a lavorare per un falegname del vicino villaggio, portando a casa una buona paga, che poteva garantire loro una vita piuttosto tranquilla e comoda. Ed in quel momento si potevano ritenere tutti quanti ben integrati in quel Paese sempre sull’orlo della guerra, precario sotto ogni suo aspetto, un grande gigante d’argilla sempre pronto a traballare.

La contessina, ormai donna adulta e più che trentenne, in tutti quegli anni ormai si era abituata ad udire notizie tremende provenienti dalle maggiori città dell’Impero e dal sud, dove di tanto in tanto scoppiavano rivolte, represse nel sangue.

Molto spesso erano gli stessi schiavi neri a ribellarsi, creando disordini incredibili, per poi essere brutalmente massacrati dai loro stessi padroni. I neri, infatti, da secoli schiavi dei grandi piantatori, avevano iniziato a ribellarsi al giogo degli schiavisti, cercando la libertà tanto agognata.

Da tempo ormai non giungevano navi cariche di nuovi schiavi in Brasile, mentre il Portogallo si stava ferocemente impegnando ad impedire ogni possibile nuova tratta in Africa, mettendo in pratica i consigli e le regole dettate dagli altri Stati della lontana Europa, forse solo per ripicca nei confronti delle colonie del Sud America, che si erano rese indipendenti ormai da decenni dalla corona portoghese.

Inoltre, di tanto in tanto dalle foreste vergini sbucavano fuori indigeni seminudi, uomini scuri e bassi, armati di armi rudimentali e sempre pronti a creare disagi visto che non parevano conoscere la società moderna, mentre nel sud del vasto Impero numerose popolazioni cercavano un’effettiva indipendenza.

Il Brasile era sempre nel caos, ma Teresa era felice di vivere in una zona piuttosto tranquilla, dove la guerra e i disordini sociali parevano lontanissimi, e molto spesso ciò che giungeva fin lì erano solo voci.

La vicina San Paolo fioriva e prosperava come non mai, mentre ogni anno si espandeva ai danni delle foreste e migliaia di grandi appezzamenti terrieri gestiti dai ricchi proprietari bianchi si stavano espandendo a dismisura, deforestando nuovi spazi e piantando tantissime piante di caffè, la cui produzione negli ultimi anni stava soppiantando quella dello zucchero e di altri vegetali. L’Impero del Brasile era di certo una nazione nascente, piena di problemi ma con moltissime potenzialità.

Teresa era fiera del fatto che i suoi figli avrebbero fatto parte di quel grande progetto nazionale, essendo a tutti gli effetti dei brasiliani e parlando perfettamente il portoghese. Era stata un’immensa sorpresa per lei quando erano venuti al mondo i suoi primi due figli, due gemelli, che assieme col suo amato Giovanni avevano deciso di chiamare Mario e Giuseppe, in onore del migliore amico del brigante e dell’abile cocchiere che l’aveva riportata in Romagna dopo una fuga ritenuta pressoché impossibile dal palazzo laziale di Alfonso.

Effettivamente, la nascita di due gemelli era un evento piuttosto raro, ma Teresa aveva capito fin da subito che quei due stupendi bimbi erano stati di certo una ricompensa divina per tutto ciò che aveva dovuto subire nell’ormai lontana penisola italiana.

In quel momento, Giuseppe e Mario avevano tredici anni ed erano dei ragazzetti vispi e intelligenti, che lei stessa si era presa cura di acculturare, insegnando loro a leggere e a scrivere, nonostante il fatto che Giovanni fosse riuscito ad iscriverli in una piccola scuola del vicino paese, dove stavano portando avanti un percorso di studi mediocre.

Avevano ottimi risultati ed erano sempre vivaci e in buona salute, ed erano l’orgoglio dei due genitori, che sapevano come quelle due creature avessero passato tutto ciò che era caduto loro addosso nello Stato della Chiesa mentre erano ancora nel grembo materno, vulnerabili come non mai. E Teresa a volte, quando li vedeva, sentiva che le lacrime le salivano agli occhi, ricordando quanto si fosse trascurata durante la fuga dalla penisola e capendo quanto avesse rischiato di perdere quei due splendidi figli così com’era capitato al primo, il figlio di Alfonso, che purtroppo non era mai venuto al mondo a causa delle sue scelleratezze.

Dopo ai primi due gemelli, accolti con tanto affetto anche dal padre, erano nate anche Lina e Anna, due splendide bambine di undici e nove anni, e, per ultimo, era nato Luigi, il piccolino di casa, di soli cinque anni.

Le due bambine erano vivaci e forti come i due fratellini maggiori, ma Luigi purtroppo non era così. Era un bambino debole, malaticcio, che a volte aveva crisi isteriche di pianto e che non era in gradi di relazionarsi con gli altri suoi coetanei e con i fratelli e le sorelle, restando sempre l’unica e principale preoccupazione di Teresa, che come madre vigilava costantemente su di lui e sperava che con la crescita tutti quei problemi potessero definitivamente svanire.

Il piccolo Luigi in quel momento riposava nel suo lettino, preparato amorevolmente dal padre e su misura per lui, per far fronte alla sua gracilità e al suo disagio fisico. Teresa aveva insistito per attribuirgli il nome di suo padre, in modo da sperare di potergli passare qualcosa della forza e della risolutezza del nonno conte, ma il piccolo per ora era solo un bambino sempre malaticcio e piangente.

Lei ora era nuovamente incinta, per la sesta volta nella sua vita, e nonostante il fatto che la gravidanza fosse ancora ai primi stadi, sperò che il prossimo nascituro potesse essere più sano e forte del piccolo Luigi, e che magari fosse un maschio.

O, meglio ancora, altri due gemelli, anche se a quel punto Giovanni avrebbe brontolato un po’, visto che mantenere una famiglia sempre più numerosa richiedeva una spesa costante di denaro, e per guadagnarlo avrebbe dovuto lavorare ancora di più, ma questo in fin dei conti non era un problema, perché il brigante amava tutti i sui figli senza alcuna distinzione e voleva solo il meglio per loro, e per sfamarli al meglio e farli andare a scuola era disposto anche a saltare qualche pasto.

Giovanni era un ottimo padre e un gran lavoratore, un vero uomo tutto lavoro e famiglia, amorevole nei confronti dei figli quanto in quelli delle figlie, sempre attento ad ogni loro necessità, e Teresa continuava ad amarlo come la prima volta in cui aveva scoperto di essersi presa una bella cotta per quell’uomo così burbero e socialmente distante da lei, ma pur sempre così affascinante e dolce, quando voleva.

Mentre pensava al suo amato e alla sua famiglia, un sorriso le comparve sul volto e continuò a preparare la pasta, stando ben attenta anche a tutto ciò che la circondava, in modo da non deconcentrarsi troppo dalla realtà e da non rischiare di combinare qualche disastro, come qualche volta le era capitato all’inizio.

Roberto era nei campi attorno alla casa, sempre indaffarato tutto l’anno nella produzione di verdure e ortaggi commestibili, che poi vendeva nei mercati dei paesi e delle città vicine, portando a casa qualche soldo. Inoltre, l’orticello da lui custodito produceva del buon cibo anche per le due famiglie, che si spartivano i vari ortaggi, lasciando che l’uomo vendesse quelli in più.

Sara, invece, era sempre indaffarata a seguire Giorgio, l’unico figlio che era riuscita a dare alla luce. Dopo la prima tormentata gravidanza, la domestica aveva scelto di non avere più figli, e il rapporto col marito pian piano si era sgretolato. I due spesso litigavano, e il bambino, anch’esso tredicenne, era debole e malaticcio, forse anche più del piccolo Luigi.

I pochi medici che si erano presi la briga di dargli un’occhiata per pochi soldi, avevano sancito che il bambino aveva una qualche mancanza e che molto probabilmente non avrebbe raggiunto l’età adulta, così come la maggior parte dei bambini brasiliani, ma Sara non lo abbandonava mai e gli stava sempre accanto, dedicandogli la sua vita così come una suora di clausura la dedicava al Signore.

Roberto voleva altri figli, ma lei non aveva mai acconsentito e più volte l’aveva rifiutato a letto, indignandolo e facendo scoppiare litigi furibondi, che durante la notte squarciavano la quiete della casa di campagna, tenendo svegli i bambini e i padroni di casa, fintanto che Giovanni non andava a chiedere di abbassare la voce. Ma Sara non si era mai piegata, e con dedizione seguiva il suo unico figlio, rifiutando di averne altri, forse nel timore di non poterli amare come il primo.

Teresa provava tanto dispiacere per l’amica, con la quale aveva legato moltissimo durante quei tredici anni di convivenza sotto lo stesso tetto, ma non riusciva proprio a capirne il ragionamento.

Mentre si preparava ad usare il mattarello, sempre di legno bianco e intagliato dal suo amato marito, la contessina sentì dei passi veloci che si dirigevano verso la casa, e udì che qualcuno stava rientrando.

‘’Teresa! Teresa, vieni un attimo qui’’, disse Giovanni, entrando dalla porta di casa e chiamandola fuori dalla cucina.

Sorpresa da un tale atteggiamento, e soprattutto dal fatto che il suo amato fosse rincasato così presto dal lavoro, la contessina si precipitò all’ingresso, trovando il brigante in attesa, con un’espressione accigliata sul volto e stringendo un qualcosa di bianco tra le mani. Una lettera.

Ancora più sorpresa, la donna si avvicinò al suo amato, che gliela allungò sorridendo.

Giovanni era rimasto tale e quale in quei tredici anni di matrimonio; sempre solare, cortese e pieno di attenzioni da rivolgerle, anche se tra i capelli era comparso qualche filo bianco. Quell’ombra di depressione che l’aveva reso debole e schivo dopo la fine della sua banda di briganti era sparita ormai da tempo.

Lei si limitò a rispondere al suo sorriso, anche in realtà fu davvero fugace, poiché moriva dalla curiosità di aprire la lettera, visto che in quel lontano Paese non ne aveva mai ricevuta neppure una. Non lesse chi gliela aveva indirizzata, e si trovò ad aprire frettolosamente la busta, per poi immergersi nella lettura.

Le bastò aver letto solo cinque righe per farle alzare il volto dal foglio, raggiante, per rivolgere un altro sorriso al suo amato, questa volta pieno di stupore.

‘’Che c’è scritto? Sai, la lettera me l’ha consegnata Vazquez, il falegname… ha detto che un uomo ben vestito l’ha pagato per farla giungere tra le mie mani. Quindi, non ho potuto attendete e sono tornato di corsa a casa…’’, sbottò Giovanni, lasciandosi sfuggire una smorfia piena di curiosità.

‘’Certo, altrimenti non sarebbe mai arrivata a destinazione, sai che qui il sistema postale neppure esiste… comunque, buone notizie. Sai chi sta per giungere in Brasile, in queste benedette terre?’’, mormorò la contessina, totalmente disinteressata al modo in cui era giunta la lettera tra le mani del suo amato. Molto probabilmente, un qualcuno proveniente dalla penisola italiana doveva averla consegnata a Edmondo, il banchiere ormai piuttosto anziano ma ancora in buona salute, che poi si era preoccupato di trovare un modo per farla giungere tra le loro mani.

‘’Non lo so’’, rispose Giovanni, alzando un sopracciglio con perplessità.

‘’Ebbene, la lettera è stata scritta da Giulia, la figlia del signor Isacco. Ci informa che sarà felice di avere nostre notizie e di riabbracciarci presto, se vorremo, poiché sta per sbarcare assieme ai suoi genitori e al fratello a Santos. Ha anche scritto che lo sbarco è previsto per il ventotto gennaio… quindi tra due giorni! Oh, dobbiamo andare a Santos, il ventotto. Voglio rivederli e ringraziarli nuovamente per tutto quello che han fatto per noi! E poi, assieme a loro ci sono anche Anna e Giuseppe, assieme ai loro figli’’, disse Teresa, come un fiume in piena. Le pareva incredibile di essere riuscita ad avere notizie di tutte quelle persone che avevano fatto tanto per loro due, e che credeva di non rivedere mai più.

Disinteressandosi per un attimo del suo amato, proseguì spedita nella lettura, leggendo ciò che le narrava Giulia. La ragazza, ormai donna anche lei, si scusava immensamente per non averle mai spedito altre lettere, ma i contatti tra i due continenti erano talmente blandi che si era rivelato difficile far circolare la corrispondenza, poiché essa doveva poi affrontare un lungo viaggio attraverso l’oceano, girando tra le mani indiscrete di perfetti sconosciuti, che molto spesso la perdevano.

In ogni caso, la avvertiva che lei stessa si era sposata con suo cugino già dodici anni prima, ma lui era venuto a mancare a causa di una polmonite mal curata dopo solo un anno di matrimonio, lasciandola sola con un figlio. Isacco, economicamente provato, si era trovato costretto ad abbandonare il ghetto di Ferrara assieme alla famiglia, approfittando dell’instabilità che regnava su tutto il territorio e dirigendosi all’estremo nord, a Milano, dove avevano conosciuto per caso Giuseppe e Anna, una giovane coppia con tre figli, che versava anch’essa in una situazione d’indigenza pressoché totale.

Teresa a quel punto aveva compreso che Isacco doveva essere stato lasciato a parte dalla comunità ebraica ferrarese, per via delle sue avventure passate, e che anch’esso doveva essersi trovato allo sbaraglio assieme alla sua famiglia.

Giorgio, fortunatamente, aveva trovato un impiego come medico a Milano, costretto dalle vicissitudini ad abbandonare il sogno di diventare rabbino, ed era riuscito a lavorare per undici anni, riuscendo anche a mantenere senza problemi la famiglia e a trovare un’abitazione dignitosa, dove Giuseppe e Anna erano stati assunti rispettivamente come cocchiere e domestica.

Così, per caso, un giorno avevano scoperto che i due servitori l’avevano conosciuta di persona, e che l’avevano aiutata a fuggire dal palazzo di Alfonso, poiché Anna parlava molto spesso della sua fuga dal suo impiego nelle campagne romane e di come avesse avuto modo di conoscere e di dare una mano ad una giovane contessina maltrattata dal marito ed innamorata di un brigante.

Tutto era filato liscio fino a qualche anno prima, quando la guerra e i disordini avevano mandato tutto all’aria, e Giorgio era stato poi allontanato dal suo lavoro, e la famiglia Montignoni si era nuovamente trovata nei guai.

Per fortuna, vendendo tutto quello che erano riusciti a racimolare durante gli ultimi anni, alla fine l’ormai settantenne Isacco era riuscito a raggranellare il denaro necessario per pagarsi un viaggio della speranza, un viaggio verso il Brasile, meta ormai ambitissima dagli ebrei e dal popolo della penisola italiana, oppresso in Stati ormai sul punto di decadere e dalle guerre in corso al nord. E così, alla fine, Giorgio aveva aiutato i genitori e la sorella, assieme al nipotino, a giungere fino a Genova, località in cui era stata scritta la lettera, consegnata poi ad un contadino che imprimeva fiducia e che sarebbe partito alla volta di Santos nell’imbarcazione già stracarica di passeggeri che sarebbe salpata per prima dal porto.

Teresa, distogliendo lo sguardo dalla lettera, si chiese che cosa stesse succedendo di tanto grave nella sua amata penisola e a cosa fossero dovute quelle battaglie recenti che le erano state blandamente descritte nella lettera, e, felice di aver la possibilità di rivedere quelle persone che avevano lasciato una traccia indelebile dentro di sé, non poté non chiedersi che fine avessero fatto Lina e Mario.

Li pensava spesso, ma purtroppo sapeva che non avrebbe mai avuto modo di avere loro notizie. Sperò solo che stessero bene, e che la loro vita avesse ripreso una giusta piega.

 ‘’… e non credo che l’arrivo di tutta questa gente possa influenzare positivamente la nostra famiglia’’, concluse il brigante, mentre Teresa tornava a indirizzargli la sua attenzione, dopo aver ripiegato bene la lettera ed averla reinserita nella sua busta.

‘’E perché mai?’’, replicò, lievemente stizzita.

Giovanni era da sempre molto gentile e permissivo con lei, ma mai quando si trattava di allacciare dei rapporti con altri loro compatrioti. Era convinto che essi rappresentassero un pericolo, forse perché gli facevano tornare alla mente il funesto passato.

‘’Quando costoro arriveranno, e tu andrai loro incontro, i nostri figli faranno miriadi di domande. Vorranno sapere che il perché, e poi non è detto che i nuovi arrivati non si lascino sfuggire qualche particolare di troppo’’.

Teresa annuì, lievemente perplessa. Ai loro figli non avevano rivelato tutta la verità sul loro passato, ma avevano semplicemente detto loro che erano stati semplici contadini, emigrati per avere un futuro migliore. Effettivamente, sottoporli all’arrivo di questi sconosciuti provenienti da terre lontane li avrebbe comunque obbligati a farsi domande, forse anche di troppo.

‘’Andremo noi due, da soli. Lasceremo i ragazzi e le bambine a Sara, e noi ci recheremo un pomeriggio a Santos. Poi, in futuro, se continueremo ad avere rapporti d’amicizia con i nostri amici e salvatori, potremo anche farglieli conoscere, dopo aver spianato lievemente il percorso’’, riconobbe Teresa, saggiamente.

Mario e Giuseppe ormai erano già ragazzi, molto perspicaci per la loro età, e scoprire in quel momento il vero passato dei genitori avrebbe potuto mettere loro in testa delle strane idee. Già che entrambi affermavano di voler diventare soldati, e Giuseppe esprimeva continuamente il desiderio di voler tornare in futuro nella penisola natale dei suoi genitori, dove a quanto pareva c’era parecchio subbuglio e si respirava un clima militarmente teso.

Quindi, pensò fosse logico non voler sottoporre i ragazzi ad un simile evento, colmo indubbiamente di troppe novità per loro, abituati alla vita nel bel mezzo di quella foresta, ai confini della civiltà, che si ricopriva di grande sfarzo nelle vicine San Paolo e Santos. Fortunatamente, in quel momento i ragazzi e le bambine erano a scuola e non potevano origliare quelle novità, tranne il piccolo Luigi, che quella mattina non si era ancora svegliato e riposava ancora nel suo lettino.

‘’Sara ha occhi solo per suo figlio. I ragazzi rischieranno di farsi male o di combinare qualche disastro’’, affermò Giovanni, protettivo.

Teresa sorrise, riconoscendo che il suo amato era eccezionalmente attento ai suoi figli, e che non voleva lasciarli mai in altre mani.

‘’Non esageriamo, ora. Sara ha da fare con suo figlio, ma darà un’occhiata anche ai nostri. Non accadrà loro nulla di male, stai tranquillo’’, replicò la contessina, risoluta. Il brigante, dopo un attimo di riflessione, annuì.

‘’Va bene, faremo così’’, acconsentì infine.

Teresa tornò a stringere la lettera tra le mani, mentre una lacrima iniziò a scorrerle lungo la guancia. Stava piangendo, ma non per la sofferenza, ma per la felicità.

Da quando avevano iniziato a vivere in quel Paese lontano, primitivo ma stupendo, lei non aveva mai più versato lacrime di dolore, ed aveva vissuto una vita colma di grandi gioie. Il destino pareva averle risarcito tutto ciò che aveva dovuto subire tempo addietro, rimarginando ogni ferita ancora aperta, ed ormai guarita da tempo.

‘’Perché piangi? C’è qualcosa che non va?’’, chiese prontamente il brigante, che pareva intenzionato ad allontanarsi, e invece si affrettò a riavvicinarsi alla sua amata non appena vide quelle lacrime. Con un dito, gliene asciugò una, per poi affrettarsi ad afferrare il suo fazzoletto, estraendolo dalla tasca.

La donna amava i momenti in cui lui era così premuroso con lei, facendola sempre sentire al centro della sua attenzione, ma in quel momento non aveva bisogno di parole dolci o di essere consolata.

‘’E’ tutto a posto. È solo gioia, questa’’, si affrettò a rispondere Teresa, asciugandosi da sola le lacrime. Non vedeva l’ora di rivedere tutte quelle persone che l’avevano aiutata tantissimo a salvarsi da una sorte orribile, immaginandosi quanto dovessero essere fisicamente cambiate in tutti quegli anni. Ma alla fine lasciò perdere, sorridendo.

‘’Sono passati tanti anni da quando mi sono innamorato di te, eppure riesci ancora a sorprendermi. A volte non ti capisco…’’, si limitò a dire Giovanni, ritirando la mano ma sorridendo con calore e con affetto. Era ancora un bell’uomo, forte ed energico, nonostante i quarantatré anni ormai alle porte. Un uomo ancora in grado di essere dolce come non mai.

‘’Li rivedrò tutti… ricordo ancora Anna e Giuseppe, i miei salvatori da Alfonso! Se non ci fossero stati loro, non so che cosa avrei combinato… ricordo anche la nostra cara famiglia Montignoni, che tanto ha fatto per noi… oh, speriamo che il viaggio sia andato bene e che arrivino tutti sani e salvi!’’, disse Teresa, a mo di supplica e di preghiera. Giovanni continuò a sorridere.

‘’Arriveranno di certo sani e salvi, non temere’’, le disse, appoggiandole una mano sulla spalla. A quel punto, la donna non poté resistere oltre, baciò il suo brigante, che la ricambiò prontamente.

Si baciarono proprio come ai primi tempi, quando il loro amore consisteva solo nel condividere qualche ora insieme, recandosi nel luogo segreto di Giovanni, dove lei, poco più che una ragazzina, osservava il panorama stupendo con i suoi occhi da fanciulla innocente.

Ora era una donna felice, ed ogni dolore era stato lasciato alle spalle.

In quell’istante colmo di gioia, il suo pensiero tornò per l’ennesima volta a volare verso Lina e Mario, i due cari amici che purtroppo non aveva mai più rivisto dopo la fuga da Ravenna, e che molto probabilmente non avrebbe rivisto mai più. Pregò anche che loro stessero bene, e che fossero felici quanto lei in quel momento.

Perché in quel momento, finalmente, Teresa si sentiva felice come non mai, amata dal suo uomo e dai suoi figli, e coccolata dalla sua grande e splendida famiglia. Dopo aver rivisto i suoi salvatori, non avrebbe avuto molto altro da chiedere al destino.

Tutto sommato, dovette riconoscere che a suo tempo la vita le aveva tolto molto, per poi ridarle tantissimo.

Ed in quel momento, mentre smetteva di piangere dalla gioia e continuava a baciare l’unico, grande e vero amore della sua vita, seppe per certo di aver vissuto un’esistenza straordinaria, dove gli ostacoli alla fine si erano rivelati grandi opportunità per ripartire daccapo e nel migliore dei modi.

In quell’istante però, esistevano solo l’immenso amore incondizionato e invariato negli anni che provava per Giovanni, e la voglia di vivere altri mille giorni così, assieme al suo amato e pieni di felicità inaspettate.

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ringrazio chiunque sia giunto fin qui. Spero che questa prima parte dell’epilogo sia stata di vostro gradimento!

La seconda parte è più lunga, e anche se si svolge contemporaneamente a questa, vi consiglio di riposare la vostra vista per qualche attimo, in modo da non affaticarvi troppo.

Alla fine della successiva parte dell’epilogo, troverete tutti i ringraziamenti e alcune note più approfondite. A tra poco, quindi J

Grazie di cuore per tutto J e buona lettura J

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Capitolo 70
*** Epilogo, seconda parte ***


Epilogo, seconda parte

EPILOGO, seconda parte.

 

 

 

 

 

Nello stesso momento, a Ravenna…

 

 

 

 

 

Anche per quel giorno stava per calare la notte, una notte candida e vivida, a causa della neve che era caduta copiosa negli ultimi giorni, e che continuava a cadere dal cielo con irregolarità anche in quel momento. Erano quasi le sei di sera del ventisei gennaio del 1851 a Ravenna, e nonostante il fatto che il nuovo anno fosse iniziato da poco, era già carico di oscuri presagi.

Neuer guardava dalla finestra di quello che ormai era diventato il suo studio permanente, in quella squallida stanza del palazzo dell’Arcivescovo dove si era insediato la prima volta che gli era stata affidata una missione al nord, ormai più di tredici anni prima. Ormai si era abituato a quella stanza, che peraltro non era assolutamente di suo gusto, e si era dovuto sforzare nel corso degli anni per cercare di farsela sentire più familiare, ma la verità era che non ci era mai riuscito.

Nelle terre pontificie continuava a sentirsi un pesce fuor d’acqua, e nonostante avesse più volte richiesto il rimpatrio, il permesso non gli era mai stato accordato. I problemi continuavano a cadere dal cielo allo stesso modo di quei fiocchi di neve che stavano continuando ad innalzare il manto nevoso che ricopriva la città da giorni ormai, irregolari ma cospicui.

Poche ore prima, un gendarme era giunto fin nel suo studio tutto trafelato, violaceo in faccia per il freddo sofferto e tutto sporco e bagnato, ancora traumatizzato per quello che era accaduto durante la notte precedente a Forlimpopoli, un piccolo e pacifico paese poco più a sud della grande Forlì.

A quanto pareva, l’immenso gruppo di briganti che stava rapidamente devastando e saccheggiando numerosi paesi della Romagna aveva brutalmente occupato l’intero paesino, seviziando e torturando per ore i nobili del luogo, dopo averli colti di sorpresa e radunati all’interno del Teatro Comunale, che quella sera non aveva inscenato alcuno spettacolo, se non quello dei briganti armati che facevano violenza su alcune ragazze.

Neuer si morse un labbro con rabbia, fino a farsi male. Continuava ad ignorare i suoi due uomini, che attendevano i suoi comandi e che se ne stavano seduti poco più indietro, mentre lui non riusciva a smettere di guardare fuori dalla finestra e di rodersi l’anima senza pace.

Nell’ultimo anno e mezzo, si era creato un immenso gruppo di fuorilegge armati fino ai denti, che con una violenza inaudita avevano iniziato a far la voce grossa, fintanto che avevano definitivamente preso il vizio di mettere a ferro e fuoco interi paesi e piccole città, dopo averle militarmente occupate per intere nottate ed aver massacrato tutti gli scarsi gendarmi presenti sul posto. La banda stava rapidamente terrorizzando l’intero popolo, e le voci si rincorrevano ovunque.

Neuer sapeva per certo che molti nobili venivano uccisi, le loro donne venivano brutalmente stuprate e seviziate, mentre i briganti facevano tutto ciò che più gli aggradava, e nessuno poteva far qualcosa per fermare quell’atroce follia. Si trattava di almeno un centinaio di uomini, tutti perfettamente addestrati ed armati, capitanati da un soggetto strano; molti affermavano che si trattasse di un fantasma.

Stefano Pelloni, colui che capitanava l’immenso gruppo armato, era un individuo ben conosciuto alla legge, ma era stato molto bravo ad utilizzare le credenze del popolo. Approfittando della sua parentela con Giovanni Pelloni, il mitico Zvàn sparito chissà dove dopo essere riuscito ad evadere misteriosamente dalla cella di prigionia di quello stesso palazzo, era riuscito ad apparire di fronte al popolino come una reincarnazione dello zio, gridando vendetta contro i nobili e commettendo ogni atroce azione. Addirittura, si diceva che si divertisse perfino a squartare i corpi delle vittime della propria furia omicida per sezionarne minuziosamente le interiora.

Terrorizzato, il popolo acclamava ormai il Passatore in tutte le cittadine romagnole, senza neppure tentare di ostacolare la furia di quel pazzo e dei suoi scagnozzi ed indicando loro le case dei più ricchi, in modo da farli sfogare sui nobili. E la catastrofe incombeva sull’intero territorio, mentre il numero dei paesi barbaramente occupati e devastati saliva di giorno in giorno.

A Neuer era stato richiesto espressamente, solo poche ore prima, di mettere fine a tutto ciò. Il lontano pontefice non poteva tollerare tutto quello che stava accadendo, e voleva che le sue terre fossero subito riappacificate.

A quel punto, l’ufficiale straniero si lasciò sfuggire un sorriso carico di amarezza. Per tanto tempo aveva desiderato che gli fosse tolto ogni potere; non era più riuscito ad apprezzare il suo operato dopo il primo, grandioso fallimento, quando il nipote dell’ormai defunto Gregorio XVI l’aveva ingannato.

Il conte Alfonso Cappellari aveva fatto di tutto per farlo cadere nella sua trappola, e lui c’era caduto dentro senza batter ciglio, rischiando di far esplodere un’ennesima ondata di violenza in tutto il nord dello Stato. Eppure, alla fine tutto ciò non era accaduto, e nessuno si era scomodato da Roma per fargli giungere delle dimissioni o un allontanamento, per via dell’incapacità dimostrata nel saper gestire una questione spinosa come quella del brigantaggio. Il vecchio pontefice si era limitato solo a richiedere le ricerche degli assassini del suo amato nipote, che peraltro non furono mai trovati, e non aveva inviato più rinforzi al nord, concentrandosi in un consolidamento del suo flebile potere a sud degli Appennini.

Neuer disponeva di una quarantina di austriaci ben addestrati, ma decisamente troppo pochi per controllare e presidiare da soli la città di Ravenna, centro nevralgico del potere pontificio nel nord della penisola, e non aveva mai ricevuto rinforzi da sud, e neppure da nord, dove fortunatamente nell’ultimo periodo i suoi compatrioti si stavano imponendo nelle maggiori città pontificie.

Ormai l’impotenza papale era palpabile, e dopo le varie insurrezioni e la prima guerra per l’indipendenza dell’Italia condotta dai piemontesi, alcuni manipoli di soldati austriaci si erano asserragliati all’interno di Ferrara e di Bologna, con la scusa di volerne mantenere al meglio il controllo, quando in realtà amministravano già loro il tutto. Eppure, neppure un soldato era stato mandato in suo soccorso, ed era rimasto ormai solo a difendere quella grande porzione di territorio che si estendeva tra Bologna e la costa. Un territorio immenso, pieno di gente ostile e di briganti pazzi e pericolosi, che lui avrebbe dovuto controllare con una scarsa ottantina di uomini.

Aveva a disposizione anche una quarantina di soldati del luogo, su cui però non poteva far troppo leva per la difesa armata della città, essendo continuamente indisciplinati. Doveva quindi fidarsi solo dei suoi pochi austriaci.

E in quel momento se ne sarebbe privato di ben due.

‘’Signore’’, mormorò uno dei suoi due sottoposti, in attesa di ordini.

Neuer si voltò a guardarlo con rabbia, non sopportando chi interrompeva i suoi pensieri. Era vero che doveva essere trascorsa almeno una mezzoretta da quando aveva iniziato a riflettere, ma ultimamente si prendeva sempre più tempo per sé, e i suoi sottoposti dovevano limitarsi ad attendere pazientemente i suoi comodi.

‘’Dimmi’’, gli ringhiò contro, facendo agitare i due ragazzi sulle loro sedie.

‘’Non andiamo. Rifiutiamo l’incarico’’, mormorò lo sfacciato, abbassando però lo sguardo.

‘’Voi andrete ovunque io vi ordinerò. E che questo sia chiaro. Siete stati affidati sotto il mio comando, e farete tutto ciò che vi ordino. Intesi?’’, replicò Neuer ad alta voce. Ormai si era irrimediabilmente inacidito nei confronti di quei due. Pareva che non si rendessero conto che la piccola, debole e ristretta posizione di comando da ufficiale subalterno che lui occupava non gli andava a genio e non l’aveva mai richiesta, e che l’aver accettato a suo tempo di essere dislocato nella penisola italiana era stato il più grosso sbaglio della sua vita.

Se fosse rimasto nell’immenso Impero Austroungarico, molto probabilmente in quel momento sarebbe stato ancora un fante semplice e non avrebbe avuto tutte quelle responsabilità, che per altro a volte continuava ad affibbiarsi da solo come fosse affetto da una qualche malattia psichica.

Purtroppo, ormai sapeva solo che non voleva più vivere in quella dannata Ravenna, e che voleva tornare a casa, nella sua terra d'origine. Non avrebbe potuto tollerare neppure per un mese in più quella situazione drammatica che lo circondava da tutte le parti.

‘’No… cioè, non andremo. Non lasceremo la città in una simile giornata, in più con gli spettri che colpiscono qua e là’’, tornò alla carica il giovane gendarme che aveva espresso i dubbi comuni. Era più insicuro questa volta, mentre l’altro neppure si azzardava ad alzare lo sguardo da terra o a muovere le labbra, teso come la corda di un arco.

Neuer strabuzzò gli occhi, suo malgrado, e rischiò per un attimo di andare su tutte le furie e perdere definitivamente la ragione. Eppure, pur di non dar di matto di fronte a quei due insubordinati che non valevano un soldo, decise di inspirare due o tre volte, prima di riprendere la parola.

In un'altra situazione, li avrebbe fatti incarcerare o fucilare pubblicamente, ma in quel momento non poteva permettersi di perdere nessun uomo, neppure il più fifone. E i due lo sapevano, e per questo stavano cercando di tentare un rifiuto.

‘’Razza di somari che non siete altro, quante volte devo ripetervi che non esiste alcuno spettro, e che quella banda di pecoroni montanari sono solo fuorilegge fetenti, che voi due da soli potreste cancellare dalla faccia della terra con appena qualche tiro mirato di schioppo? Voi rappresentate l’élite dei gendarmi, siete uomini addestrati fin dalla più tenera età all’utilizzo delle armi. Siete stati forgiati per combattere, conquistare, sopprimere e reprimere. Ma fintanto che continuerete a fuggire e a farvi mettere i piedi in testa da un ragazzino dal volto sfregiato, non potrete mai farvi valere’’, sibilò poi l’ufficiale, accomodandosi meglio sulla sua sedia. In quel momento desiderava ardentemente che in città ci fosse stato qualche suo superiore, in modo da prendersi lui stesso la responsabilità di quei buoni a nulla, ma purtroppo non era così.

Da quando il Passatore aveva iniziato le sue terribili e sanguinarie incursioni, qualcuno che tramava nell’ombra non aveva fatto altro che sfruttare le flebili credenze popolari, per far credere ai civili che Stefano in realtà fosse quello stesso Zvàn che una decina d’anni prima era riuscito ad evadere e a fuggire in un modo misterioso, diventando effettivamente un essere leggendario che non era neppure invecchiato durante tutti quegli anni. Uno spettro sotto tutti i punti di vista.

Chiunque avesse visto Zvàn tempo addietro, mentre veniva trascinato in giro per la Romagna in attesa di giungere a Ravenna dove l’attendeva l’esecuzione pubblica, dopo aver visto in faccia quel demonio del Passatore giurava con sicurezza che i due avevano lo stesso volto, nonostante che il secondo avesse una guancia brutalmente sfregiata e non portasse la barba lunga.

Le varie dicerie, che si erano sparse facilmente anche tra i pochi gendarmi presenti nelle città, e ovviamente anche a Ravenna, avevano reso i soldati molto più fragili e impauriti del previsto, sconcertati anche dai racconti di violenza estrema che provenivano dai paesi militarmente occupati dai fuorilegge armati.

Neuer sapeva per certezza che quel Passatore assomigliava a Zvàn solo per un fatto di parentela, essendo un suo giovane nipote, ma non era facile spiegarlo ai suoi uomini e rendersi credibile, poiché essi tendevano sempre a pensare che lui volesse sdrammatizzare la questione sono per spingerli a continuare a mantenere ben saldo il controllo delle Legazioni Pontificie, lasciandoli quindi in balìa di un qualcosa di sovrannaturale e spietato.

Aveva effettuato più volte delle ricerche di informazioni su Stefano Pelloni, e aveva scoperto che si trattava di un giovane non ancora trentenne e già piuttosto disturbato, fuggito durante un trasferimento ad Ancona, dove avrebbe dovuto scontare ben quattro anni di lavori forzati alla Darsena per aver rubato dei fucili da caccia.

Eppure, quel giovane fuorilegge fuggitivo era riuscito a creare una sua banda di briganti, ed aveva sfruttato ogni particolare a suo favore, ricreandosi un’avvincente storia alle spalle e spargendo il terrore ovunque, sotto molteplici forme, tramutandosi a tutti gli effetti in una creatura soprannaturale agli occhi di chiunque. Ma non agli occhi di un maturo ufficiale austriaco, scaltro ed istruito.

Ad aver dato una mano cospicua al ragazzo in quel folle progetto era stato un certo Mario, quello stesso uomo che, tredici anni prima, era riuscito ad evadere dalla cella di prigionia assieme al suo capobanda dopo aver assassinato brutalmente Aldo, il vecchio bandito delle paludi. A quanto pareva, il fuorilegge era riuscito a tornare dopo qualche mese sui monti, nella stessa zona sperduta dove la banda del suo capo, ormai volatilizzato e introvabile, era stata distrutta, per poi viverci assieme ad una donna e a qualche figliolo fintato che non aveva iniziato ad istruire il pazzo assetato di sangue.

Ora, il vecchio Mario era diventato una buona guida per il Passatore, e si diceva che entrambi si presentassero teatralmente, prima di iniziare a compiere le varie nefandezze.  Stefano il Passatore era solo uno squilibrato che era riuscito a trovare un uomo adulto in grado di istruire e di far convogliare tutta la sua pazzia verso un traguardo inimmaginabile, in quel momento.

‘’Siamo pronti a farci valere, ma non contro delle mostruosità demoniache. Per quanto mi riguarda, mi rifiuto fermamente di abbandonare la città durante questa nottata’’, replicò l’insubordinato, ormai sprezzante. Rifletteva ancora un attimo prima di parlare, ma pareva aver preso maggior sicurezza di sé.

L’altro compagno non disse nulla e annuì, mentre il primo si alzava in piedi.

‘’Mi ricorderò di questo affronto. Pregate affinché alla fine di questa parentesi triste ci sia un altro ufficiale al mio posto, altrimenti le vostre vite avranno fine di fronte ad un plotone d’esecuzione. Potete scordarvi anche ogni avanzamento di grado, per sempre’’, mormorò il maturo ufficiale, lasciando fluire fuori dalle sue labbra quelle parole grevi ma tranquille. Era sfiancato da quella giornata, e non gli andava più di discutere con quegli asini fifoni dei suoi sottoposti, che da parte loro si congedarono, abbandonando la stanza con sfacciataggine.

Solo a quel punto Neuer tornò a mordersi il labbro inferiore, alzandosi poi dalla sua sedia ed iniziando a passeggiare. Quei suoi due gendarmi si sarebbero dovuti recare a Forlì prima dell’indomani mattina per capire come si stava evolvendo la drammatica situazione nei paesi circostanti a quella grande città, ma a quanto pareva nessuno voleva svolgere quel compito pericoloso, con incluso un viaggetto notturno per le buie e selvagge campagne romagnole.

Anche quella missione era andata all’aria, in quel momento. Si vergognava di sé e di non riuscire neppure ad avere il controllo sui suoi uomini.

Con una forte spinta, Neuer chiuse la porta della stanza, lasciata aperta ancora da quei due giovani, gli unici che potevano apparire in grado di compiere un viaggio delicato e che invece si erano ribellati agli ordini di un superiore, firmando di fatto la loro futura fine. Avrebbe voluto sbatterli un po’ in gattabuia, ma in quel momento purtroppo c’era bisogno di ogni soldato, anche il peggiore, poiché non si sapeva in che punto preciso stessero soggiornando i fuorilegge o verso quale paese o città stessero puntando, e non era escluso che si stessero muovendo anche verso Ravenna.

Neuer sorrise a quel pensiero, capendo che ciò era impossibile e che dei briganti non si sarebbero mai azzardati ad attaccare un boccone così grosso, troppo grosso per loro. Certo che dovette anche riconoscere il fatto che un centinaio e forse più di gaglioffi armati avrebbe potuto compiere un cospicuo sacco della città e numerosi danni, se solo quei cafoni l’avessero voluto.

L’ufficiale sapeva che non poteva contare eccessivamente sui suoi uomini, sempre pronti a darsela a gambe, e che quindi il pericolo era davvero da valutare, ma purtroppo non poteva far altro che sperare che quei pazzi e sporchi banditi se ne stessero lontani dalla grande città, limitandosi a colpire in maniera repentina e travolgente i paesi minori e circostanti, dove persino i sacerdoti ormai pareva aprissero le loro porte, assecondando i folli voleri del Passatore ed indicandogli pure le abitazioni signorili o i luoghi in cui si nascondevano i nobili.

Non c’era più limite al peggio, se si voleva sopravvivere.

Ed intanto, l’inverno implacabile continuava a dominare il territorio come una tenaglia, stritolando tutto sotto una morsa di gelo e neve, impedendo ogni possibile riorganizzazione armata dei gendarmi, che purtroppo scarseggiavano ovunque nelle città e preferivano darsi alla fuga che imbracciare il fucile e combattere per lo Stato a cui prestavano servizio.

Non era valsa a nulla neppure la chiamata alle armi per i giovani civili, che invece di ingrossare le fila dell’esercito pontificio preferivano attraversare i deboli confini e correre tra le braccia del re piemontese, il folle che con i suoi progetti suicidi stava richiamando l’attenzione dell’intera penisola, mantenendola in un fermento costante.

Neuer scrollò lievemente la testa, riconoscendo che solo un pazzo avrebbe potuto azzardarsi ad affrontare l’Impero Austroungarico nel suo stesso modo, quando in realtà i suoi possedimenti erano circoscritti ad un lembo dell’Italia del nord e ad un isola.

Più volte si era ritrovato a pensare che l’impero sarebbe stato di certo molto più florido se gli imperatori in passato avessero rivolto i loro sguardi sull’intera penisola italiana, non accontentandosi di tenerla sotto scacco e cercando invece di sottometterla. Ciò avrebbe offerto opportunità indescrivibili, donando all’Austria città piene d’arte, tanti porti e un buon sbocco commerciale al centro del Mediterraneo.

Invece, gli imperatori per secoli avevano da sempre proseguito la marcia verso est, alla conquista di ciò che lasciava indietro l’Impero Ottomano, ormai sull’orlo dello sfacelo, accontentandosi si miseri villaggi montani e di pastori inselvatichiti, molto spesso con culture molto differenti da quelle dei nuovi conquistatori. Così l’Impero Austroungarico si era rivelato un vero gigante d’argilla, e sui Balcani le insurrezioni a volte erano dure e violente, e ciò richiedeva che l’intero esercito fosse sempre pronto ad intervenire per sedarle.

L’ufficiale sbuffò, stanco di pensare e di fantasticare, e decise di uscire un po’ da quella stanza e di andare a supervisionare i suoi uomini, per controllare che fossero tutti fuori a sorvegliare i punti principali della città e che non stessero bighellonando dentro il palazzo o nel circondario, come facevano spesso. Si stavano impigrendo parecchio, anche a causa del freddo gelido che li tormentava ovunque, ma non potevano permettersi di non svolgere il loro servizio e di stare a riposo tutto il giorno.

Proprio quando stava per abbandonare la stanza, appena dopo aver aperto la porta che s’immetteva nell’ampio corridoio che conduceva all’esterno dell’edificio, un ragazzetto quasi gli piombò addosso, tutto rosso in faccia. Era il ragazzo che portava la corrispondenza, e faceva la spola tra Ferrara e Ravenna, consegnando lettere e dispacci importanti.

Il giovane cercò di dire qualcosa, ma i denti gli battevano con forza e pareva sul punto di svenire. Doveva essere giunto da poco al palazzo.

Conoscendolo di vista, lasciò perdere le parole e consegnò una lettera a Neuer, continuando a tremare come una foglia.

‘’Vai a cambiarti d’abito e a richiedere un pasto caldo dalla cuoca, e dille che ti ho mandato io. Ah! Se tutti i miei giovani sottoposti fossero valorosi e temerari come te, sempre pronti a sfidare le intemperie e il clima ostile, da quest’ora li avrei già resi tutti generali. Prima o poi, ragazzo, dovrei farti addestrare. Saresti un bravo gendarme, ne son certo. La stoffa ce l’hai’’, disse il maturo ufficiale, facendo poi l’occhiolino al giovane.

Il ragazzo annuì, colmo di gratitudine, e si diresse subito verso le cucine, strofinandosi costantemente le mani rossastre l’una contro l’altra e lasciando Neuer tutto solo, a fissare la lettera che gli era appena stata consegnata. Scoprì che portava impresso il sigillo della cancelleria imperiale, e che quindi doveva essere giunta direttamente da Vienna.

Colmo di agitazione, l’ufficiale tornò rapidamente a rintanarsi nel suo studio, lasciando però aperta la porta e fiondandosi direttamente verso la sua scrivania, dove non trovò il coraggio di sedersi sulla sedia.

Era da tanto, tantissimo tempo che aspettava quella lettera, dopo tutte quelle che lui stesso aveva scritto e inviato alla volta della capitale dell’impero, per richiedere il suo rimpatrio. Non poteva più sopportare di continuare il suo operato in quell’odiosa e pericolosa penisola, e voleva ritornare assolutamente a casa, e per questo era pure disposto ad essere declassato a fante semplice, pur di non restare un attimo in più a Ravenna, e di perdere quel flebile ed inutile comando che aveva portato sulle sue spalle per un decennio abbondante, ormai.

Quella permanenza in Italia, al servizio papale, sarebbe dovuta cessare dopo soli pochi mesi, ma a suo tempo i piani di Gregorio XVI per lui si erano rivelati più elevati, e per questo, dopo aver preso in mano le redini di un cospicuo manipolo di gendarmi, era giunto nella Romagna, per combattere e riportare l’ordine.

A volte evitava di guardarsi allo specchio; ogni volta che vedeva il suo volto riflesso gli sembrava di star osservando un vecchio. I suoi capelli biondi ormai erano già diventati grigi, e il suo volto era un insieme irregolare di fossette e rughe, segni tangibili di tutte le preoccupazioni che l’avevano tormentato e tenuto sveglio durante gli ultimi anni, rendendolo quasi uno spettro. C’erano giorni in cui non riusciva a mangiare nulla, e notti in cui non riusciva proprio a dormire.

Ultimamente aveva perso molto peso, e l’appetito gli mancava sempre, mentre violente emicranie e un malessere fisico generale lo tenevano spesso sulle spine.

Si era fatto visitare da alcuni tra i più eminenti medici della città, che gli avevano fornito tutti la stessa sentenza, ovvero che soffriva di problemi di cuore e che non doveva affannarsi o agitarsi troppo, per non far aumentare pericolosamente i suoi disturbi.

Ma in quel momento, l’ufficiale sprizzava di gioia e di speranza, mentre apriva la lettera proveniente dalla sua Patria. Il suo sogno più grande era quello di poter rivedere Salisburgo, la sua magnifica città natale, dove tuttora i suoi fratelli vivevano, per poi far rotta verso Vienna e verso i nuovi, piccoli incarichi che gli avrebbero affidato, incarichi di poco conto che non gli avrebbero creato ulteriori preoccupazioni e che non avrebbero dato il colpo di grazia al suo debole cuore, distrutto dalla lunga permanenza nella penisola italiana. Aveva tanta voglia di ricominciare daccapo.

Però, un istante prima di tirar fuori il foglio scritto dalla busta, s’intristì e divenne pensieroso, poiché gli tornò alla mente il volto di una vecchia megera che aveva fatto arrestare tempo addietro dai suoi gendarmi.

Quella vecchia arpia, che turbava spesso i suoi ormai rari periodi di sonno, si voleva spacciare per cartomante e veggente, vendendo a caro prezzo le sue orrende e futili stregonerie ai passanti delle strade di Ravenna, dove costei era giunta in cerca di qualcosa da mangiare durante il rigido inverno dell’ormai lontano 1838.

Neuer ricordava tutto come se ciò fosse accaduto solo un istante prima. I suoi uomini erano corsi ad avvisarlo della presenza di questa pazza sobillatrice, una vera strega, a quel che si diceva, che lanciava maledizioni e spergiuri contro chiunque si opponesse alla sua presenza. Lui era voluto intervenire subito e di persona, poiché quando si trattava di superstizione e di veggenti, il popolo era molto credulone e certe situazioni andavano trattate con i guanti.

La strega, una vecchia di nome Vanna, che a quanto pareva proveniva dai monti interni della Romagna, era già pronta ad attenderlo con sfacciataggine, seduta ai margini della strada che conduceva al porto, sicura di sé e sorridente, dicendogli che sapeva che sarebbe venuto.

Quando Neuer le aveva detto che era in arresto, lei aveva sorriso e l’aveva maledetto, dapprima lanciandogli contro alcune parole irripetibili, per poi sputargli in faccia che l’avrebbe pagata per tutto il male che aveva fatto ad una sua coppia di amici, e che la sua sarebbe stata una punizione amara. Infatti, gli aveva predetto che quando sarebbe tornata a brillare la speranza, sorgendo all’improvviso dopo un lungo ed abbondante decennio di buio assoluto, la sua vita avrebbe avuto fine nel peggiore dei modi.

L’ufficiale, che non aveva idea di cosa e di chi si stesse riferendo la donna, a quel punto aveva sorriso anch’esso, mettendo a tacere la vecchia con un pugno e affidandola ai suoi gendarmi.

Quando Vanna aveva ripreso a gridare insulti e maledizioni, e i suoi uomini avevano iniziato a spaventarsi, Neuer aveva imbracciato il fucile ed aveva ucciso esso stesso la donna, ancora prima di giungere nelle prigioni, trivellandola di colpi senza provare alcuna pietà per quella vecchia, facendone poi nascondere il corpo per tutto il pomeriggio di quel giorno per poi farlo sparire in un canale di scolo durante la notte.

Però, restava il fatto che dopo quel gesto orrendo ed efferato, e dopo il massacro dei briganti montanari e dei banditi delle paludi, la sua vita aveva cambiato corso, diventando sempre più cupa.

Di notte, la sua mente era popolata dai volti della gente povera alla quale aveva tolto la vita, dopo aver ordinato la loro esecuzione, e a volte gli appariva di fronte lo sguardo folle del conte Alfonso e di quella vecchia pazza, Vanna, che lo malediceva e gli ripeteva quella truce previsione della sua vita. E di giorno era tormentato dai fastidi fisici, e una sorta di depressione costante lo lasciava immerso in una cupezza amara e senza appetito per la vita.

L’ufficiale scosse la testa, quasi come a cercare di togliersi dalla mente quei pensieri infingardi che lo stavano rallentando, ed estrasse la lettera dalla busta, aprendola.

Con mani tremanti, aprì bene il foglio scritto, dispiegandolo sotto gli occhi, e iniziò a leggere con voracità quelle frasi scritte in tedesco, saltando rapidamente le frasi di rito e gettandosi a leggere le righe centrali, dove veniva confermato il fatto che le sue richieste continue erano state prese in considerazione, ed in virtù della lunga sosta nello Stato della Chiesa e del lavoro svolto, poteva rientrare in patria, dove avrebbe prestato servizio come ufficiale nell’esercito austroungarico. La carica non era specificata, o forse sì, ma la mente di Neuer si era già messa in viaggio verso la sua Austria.

L’uomo appoggiò la lettera sul tavolo, smettendo di leggere ma ripromettendosi di completare la lettura quando le emozioni avrebbero smesso di offuscargli la mente, e la commozione salì fin sul suo viso, arrossandolo, mentre addirittura alcune lacrime di felicità volevano sgorgare dai suoi occhi.

Appoggiandosi al davanzale della finestra, Neuer si lasciò sfuggire una risatina felice e compiaciuta, di quelle che non gli erano sfuggite mai nell’ultimo mogio decennio, fatto solo di problemi e sotterfugi loschi. Ma ora tutto ciò era già alle sue spalle, e ben presto, già tra poche ore, si sarebbe dimesso da quella carica ed avrebbe preparato le valigie, per poi partire alla volta della sua patria già all’indomani mattina.

Non gli importava il fatto di lasciare incustodito il presidio in città, e non avrebbe atteso l’arrivo del suo sostituto; sarebbe partito subito, fregandosene del freddo, della neve e dei briganti.

Un sorriso apparve sulle sue labbra striminzite dai lunghi anni in cui erano rimaste chiuse, a formare un ghigno dispiaciuto che ormai si era tramutato in un’espressione felice. Gli tornò in mente ciò che gli aveva predetto la vecchia Vanna, prima che lui la uccidesse brutalmente, e rise ancora più forte, facendosi beffe di quell’arcigna stupida che si credeva una veggente. Ora lui era felice, e lo sarebbe stato per sempre, a quanto pareva.

‘’Signore? Tutto a posto?’’, chiese una servetta, affacciandosi sulla porta con un’espressione sorpresa ben impressa sul volto.

Neuer riconobbe che doveva essere stata richiamata dalle sue risate, che da tempo non risuonavano tra quelle mura spoglie e dannate, e quindi represse per un istante la sua felicità per riprendere un po’ di contegno. Non voleva diventare lo zimbello della servitù, e soprattutto non voleva che credessero che fosse diventato definitivamente pazzo.

‘’Livia cara, prepara una buona tisana e portami qualche biscotto. Si deve festeggiare, quando giungono delle rare buone notizie’’, rispose l’ufficiale alla servetta, che subito si affrettò a dirigersi verso le cucine, senza aggiungere altro, obbediente come al solito.

Neuer tornò a riprendere in mano la lettera, ed iniziò a rileggerla dall’inizio e con attenzione, passeggiando per la stanza e cercando di far passare l’euforia iniziale, che invece continuava a tormentarlo. Decise quindi di riporre nuovamente lo scritto e di rileggerlo mentre sorseggiava un qualcosa di caldo e mangiucchiava qualche biscotto secco, visto che in quel momento la gioia era eccessiva e non gli permetteva di concentrarsi nella lettura.

Appoggiò la lettera e riprese a passeggiare per la stanza, con un ampio sorriso ben impresso sul volto. E fu in quel momento di felicità estrema e tanto attesa che tutto si tramutò in un incubo.

Neuer si accorse tutto ad un tratto che qualcosa non andava, e le sue mani corsero prontamente al petto, dove si strinsero in una morsa letale sul cuore.

Un mugugno di dolore fuoriuscì involontariamente dalle sue labbra, mentre cercava di calmarsi e di riprendersi. Altre volte aveva sofferto di palpitazioni intense, e le sensazioni forti provate poco prima dovevano avergli causato qualche problema, però mai aveva sopportato un dolore simile, lancinante, che gli squarciava tutto il petto.

A quel punto, si mosse a stenti verso la scrivania e gli si appoggiò, cercando sollievo, ma il dolore aumentò.

L’ufficiale cercò di gridare e di invocare aiuto, mortalmente spaventato, ma scoprì che non ci riusciva. Gli mancava l’aria e la forza.

Sentiva che il suo volto era ridotto ad una smorfia di dolore, e un rivoletto di bava sanguigna gli fuoriuscì involontariamente dalle labbra, che si dischiusero senza emettere alcun suono. E a quel punto si accorse che il suo cuore batteva solo a tratti, fin a giungere a momenti in cui non batteva più.

Le forze gli vennero a mancare improvvisamente, e in un attimo scivolò al suolo, accartocciandosi sul pavimento come un fantoccio, mentre su di lui cadevano alcuni fogli di carta, tra cui la stessa lettera che gli era stata consegnata poco prima e che aveva un’importanza vitale.

Tutto era accaduto in così poco tempo che l’uomo non era riuscito a capacitarsi prontamente di ciò che gli stava succedendo, e nonostante tutto continuava la sua lotta per riprendere padronanza del suo corpo, e per un attimo riuscì a stringere tra le sue mani la lettera, quello scritto che gli assicurava che la sua permanenza in quel luogo sgradito era finalmente conclusa e che poteva tornare a casa.

La lettera gli rimase come per magia tra le dita, mentre l’ufficiale batteva la testa contro il gelido pavimento.

Tutto divenne rosso per un istante, e i caratteri scritti della lettera stessa finirono macchiati dal sangue che fuoriusciva dal naso di Neuer, rottosi con la botta ricevuta nella caduta verso il pavimento, e l’uomo fu sconvolto da una fitta lancinante, mentre le sue mani lasciavano scivolar via il foglio ormai irrimediabilmente macchiato e rovinato.

Solo in quel momento l’ufficiale comprese che per lui non c’era più via di scampo e che sarebbe morto.

Un rantolo, l’ultimo della sua vita, fuoriuscì dalle sue labbra dischiuse, mentre con un ultimo movimento involontario il suo corpo si adagiava in una posizione supina e non voluta.

In quel momento, con la coda dell’occhio l’uomo vide che Livia era appena rientrata nella stanza, e che lo stava osservando. Non lo guardava più con paura e timore, come aveva fatto fino a qualche minuto prima, ma lo stava fissando con indicibile disgusto. Poi, la donna lanciò un grido orrendo e lasciò cadere a terra la tazzina e i biscotti che aveva appena portato, uscendo nel corridoio ed iniziando ad invocare aiuto.

Neuer a quel punto sapeva che era troppo tardi, e che il suo cuore già non batteva ormai più. Non aveva più sensibilità sul suo corpo, e il suo volto violaceo si era rilassato un poco dallo spasimo finale.

La sua vista si adombrò in un attimo, e non fu più in grado di vedere o di udire nulla, mentre davanti ai suoi occhi, nel buio eterno dell’ultimo rimasuglio della sua coscienza, appariva il volto squallido di Vanna, quella maledetta vecchia, che lo sbeffeggiava. Alla fine, aveva vinto lei, quell’odiosa strega.

Con l’ultimo barlume di lucidità, Neuer comprese che non avrebbe mai più rivisto la sua casa natale, la sua Patria, ma che era praticamente già morto. Eppure, non se la prese; non poteva più provare emozioni, e la calma e la pace regnavano ovunque nel buio del vuoto eterno in cui stava rapidamente scivolando.

E, dopo un solo istante ancora, tutto si spense e divenne ancora più oscuro, non lasciando più spazio alla vita e al rimorso.

 

 

 

Nello stesso istante, nelle campagne attorno a Ravenna…

 

 

 

Il vecchio Mario stava fissando il suo caro Stefano, il ragazzo a cui aveva affidato la sua vita.

Il Passatore, che tutti definivano un pazzo sanguinario, in realtà sapeva anche essere gentile e leale, e i suoi occhi, quando non ardevano in preda ad una follia sconosciuta a tutti, sapevano esprimere anche dolcezza e preoccupazione per i suoi uomini.

Nonostante il fatto che il suo volto fosse lievemente sfigurato, restava la più completa reincarnazione del suo amatissimo Zvàn, quel grande amico e capobanda di cui aveva perso le tracce all’incirca tredici anni prima, quando i loro destini si erano divisi nelle periferie ravennati, poco distante dal punto in cui stavano sostando in quel preciso istante. Da quel lontano momento in poi, non aveva avuto più notizie del suo amico e capo, e neppure della contessina Teresa, tanto ben voluta da tutti.

Il vecchio pensava continuamente all’amico, e sperava davvero che fosse riuscito a ritrovare un po’ di pace assieme alla sua amata, ma il fatto che non si era più rivisto l’aveva insospettito. Sperò solo che i due stessero bene, e che magari si fossero allontananti dalla Romagna, ormai in subbuglio.

Stefano Pelloni, il Passatore, si mise a fissarlo anch’esso con i suoi occhi scuri e pieni di vita.

‘’Mario, che hai da guardare? Seguimi’’, sospirò il ragazzo, ormai diventato un uomo completo sotto tutti gli aspetti. Il ventisettenne era alto e slanciato, forte il giusto per compiere tutte quelle nefandezze che amava tanto.

‘’A volte mi ricordi davvero tanto tuo zio. E lui mi manca. Ma sappi che non avrebbe mai accettato tutto ciò che stai facendo’’, rispose il vecchio, tornando in sella al suo cavallo.

Nonostante i cinquantasei anni compiuti da pochi giorni, Mario godeva ancora di buona salute ed era ancora piuttosto atletico e muscoloso. Sperava ardentemente che la sua salute restasse stabile, poiché aveva una moglie e tre figli da mantenere, e in più non poteva lasciare da solo il Passatore, che senza il suo aiuto si sarebbe senz’altro rovinato.

Per fortuna, l’uomo aveva mandato la moglie Lina e i tre ragazzi a Forlì, dov’erano stati accolti dai parenti e dagli amici paterni, che li avevano avviati prontamente già da qualche mese a dei lavori onesti. Non poteva permettere che la sua famiglia restasse invischiata nuovamente nella caduta dei briganti.

‘’Immagino, vecchio. Ma ora, dimentica il mio amato zio e seguimi, non te lo voglio ripetere un’altra volta’’, mormorò Stefano, oscurandosi in volto.

Il giovane lo chiamava vecchio solo quando era innervosito, e quella volta a quanto pareva si stava spazientendo, sbattendogli in faccia la sua anzianità quasi come se fosse un impedimento per la banda. Il gruppo dei briganti era poco più avanti, in direzione di Ravenna, e il vecchio brigante continuava a sconsigliare quella mossa azzardata.

Mario scrollò la testa, negando nuovamente il suo appoggio.

‘’Non attacchiamo le periferie di Ravenna, te l’ho già detto. Non temere, gli uomini sono ancora sazi da ieri sera’’, disse Stefano sorridendo, avvicinando la sua cavalcatura a quella di Mario.

‘’Bene, basta commettere follie. Dove stai dirigendo i briganti, allora?’’, chiese Mario, cercando ancora di dimostrare la forza di un tempo.

Stefano non era il capobanda, ma solo perché esso rifiutava formalmente il titolo. Stava di fatto però che l’immenso gruppo di briganti faceva solo quello che diceva lui, visto che tutti erano terrorizzati a morte dal suo atteggiamento a tratti folle. Tutti tranne il vecchio Mario, che voleva cercare ancora, dopo tanti anni, di rimarginare lo squilibrio mentale di quell’uomo ancora giovane, in modo da poterlo preservare da disgrazie future.

Nonostante il fatto che il Passatore fosse un soggetto perfido e a tratti molto scortese nei suoi confronti, restava pur sempre tutto ciò che gli era rimasto del suo vecchio amico Zvàn. E, sempre nel nome di Zvàn, avrebbe vigilato su suo nipote, cercando di fargli evitare il disastro assoluto.

‘’A Russi. Andiamo a Russi’’, rispose Stefano, dopo un attimo. Il giovane, ben piazzato sul suo cavallo, in quel momento sorrideva, fregandosene della neve che cadeva dal cielo e dal freddo che tormentava tutti gli altri esseri umani.

‘’A Russi?! No, no! Dobbiamo tornare nell’entroterra, non possiamo…’’.

‘’Taci. E ora seguimi, vecchio, e smettila di lamentarti. La decisione è già stata presa’’, disse bruscamente il Passatore, interrompendo una volta per tutte l’anziano amico.

Mario non si azzardò a dire altro, e deglutendo, vinto e sconfitto allo stesso tempo, spronò il suo cavallo a seguire quello del suo capobanda, mentre costui stava ancora sorridendo, guardando il mondo a testa ben ritta, quasi come se fosse stato una sorta di condottiero imbattibile.

Il vecchio sapeva che soffermarsi a Russi, un piccolo paesetto poco distante dalla grande Ravenna e dal fulcro della Gendarmeria era per davvero una follia, soprattutto con quel brutto tempo, ma ormai ci aveva preso l’abitudine a quelle pazzie e molto spesso era stato costretto ad ammettere che Stefano aveva la fortuna dalla sua parte.

Quel giovane stava facendo tanta, tantissima strada assieme alla sua banda, molta di più di quella che erano riusciti a percorrere i suoi predecessori, più interessati a nascondersi che a combattere una sorta di guerra per la ricchezza. Il Passatore era insaziabile e sbruffone, e pareva che provasse un perverso godimento nel saccheggiare e compiere violenze di vario genere. Inoltre aveva sempre adorato Russi, dove aveva numerosi amici e protettori.

‘’Hai fame?’’.

Stefano interruppe i pensieri di Mario, porgendogli un pezzo di pane.

Mario rifiutò con un cortese cenno della testa, comunque lusingato dal fatto che il ragazzo, dopo essersi imposto, continuasse comunque a non volersi distaccare da lui.

A fianco di Stefano, Mario si sentiva ancora utile e vivo, e non solo un uomo ormai attempato e inutile. Era vero che a volte gli mancavano Lina e i suoi figli, a causa di quella vita spericolata, ma non poteva farci nulla. Il brigantaggio ormai era la sua vita.

‘’Non temere, mio vecchio amico. Un giorno ci vendicheremo’’, tornò a dire il Passatore, masticando rumorosamente e puntando il dito verso Ravenna.

Mario tossicchiò, prima di replicare.

‘’Ci stiamo già vendicando. Non dovresti commettere simili abomini, Stefano’’.

‘’I nobili ci hanno soppresso per secoli, i gendarmi stranieri pure. Ora siamo noi, i fuorilegge figli dei più umili uomini di questa terra a sopprimere loro, a versare il loro sangue e a violentare le loro figlie. Questa è solo giustizia, ma ancora sogno il giorno in cui avrò tra le mani il maledetto Neuer, il bastardo che ha osato far del male a mio zio. Quando Neuer sarà morto per mano mia, allora forse avrò pace… e la violenza terminerà’’, ringhiò il Passatore, per poi dare di sprone al cavallo, mentre gli zoccoli dell’animale arrancavano a fatica nella neve.

Mario non replicò e guardò il cielo cupo sopra la sua testa, mentre la neve continuava a cadere, soffice ed immacolata, con implacabile insistenza. Sapeva che la vita era sempre precaria, e che poteva accadere di tutto. Si trovò a sperare che quell’avventura pazza non avesse mai fine, anche se provava comunque un certo dispiacere per tutte le vittime innocenti della furia dei briganti. Però, non poteva immaginare la sua vita all’infuori di una banda di fuorilegge.

Purtroppo, sapeva per esperienza che tutto ha un suo preciso culmine, e che oltre ad esso non si può andare; oltre a quel culmine imposto su ogni uomo e su ogni azione umana, c’è solo il buio di un baratro senza fine.

E se il baratro era vicino, Mario non poteva saperlo. Quindi, non gli restava altro da fare che continuare a stare a fianco di Stefano, comunque fosse andata a finire quell’avventura spregiudicata.

Accanto a quel ragazzo temerario avrebbe sempre sentito Zvàn vicino a sé, e perché no, avrebbe potuto immaginarlo lontano da quella terra stremata e insanguinata, assieme alla sua amata e gentile Teresa e alla loro masnada di figlioletti, mentre soggiornavano in un Paese da favola dove l’inverno e la neve non esistevano e la terra era sempre fertile, tutto l’anno…

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Fine del racconto.

E’ con grande dispiacere che scrivo quest’ultima nota, quando la prima l’ho scritta nell’ormai lontano 2014.

Questo è stato il primo racconto ‘’serio’’ che ho scritto. Sono stato felicissimo di averlo offerto a voi e spero che non vi abbia annoiato e che vi sia piaciuto un poco.

Sono soddisfatto, devo ammetterlo; sono riuscito ad essere sempre puntuale con gli aggiornamenti, e non ho mai saltato un lunedì in un anno e mezzo di aggiornamenti frequenti. In più, sono riuscito a scrivere il racconto così come l’avevo ideato nel lontano agosto del 2014, quando(forse a causa dell’eccessivo caldo) ho immaginato questa lunga vicenda, che poi ha preso vita nel tempo come per magia.

In realtà ci ho messo tanto impegno per scriverla e prepararla. Avevo in testa un progetto ben preciso, che sono riuscito a realizzare.

Un progetto che è relativamente corretto; come avrete notato, nel testo ho intrecciato le vite di personaggi realmente esistiti con molti altri di mia immaginazione. Il Passatore è realmente esistito e tutto ciò che vi ho narrato su di lui è vero(sono veri anche i fatti di Forlimpopoli, che vi ho descritto nel testo). Tranne, naturalmente, il fatto che fosse parente con il nostro Giovanni, frutto della mia immaginazione.

A quel tempo, pochi scrivevano, e ci sono giunte davvero scarse informazioni sui briganti romagnoli. Solo un po’ sul Passatore, ma solo perché esso entrò nella Storia e nel folclore romagnolo. Quindi, a volte mi piace pensare che il nostro Giovanni sia realmente esistito, ma che i pochi cronisti dell’epoca non ne abbiano mai parlato. La Romagna a quel tempo pullulava di briganti e fuorilegge, tutti quanti finiti in fretta nel dimenticatoio, e non sappiamo neppure se Girolamo(il padre di Stefano) avesse dei fratelli, e se magari uno di essi si chiamasse proprio Giovanni, e che fosse un brigante. Ok, ok, freno la mia immaginazione J

Ho ‘’giocato’’ a tratti con il fuoco della Storia, quella vera, senza però modificarne gli eventi. L’ho sfidato, con la mia Teresa, spirito forse troppo libero per l’epoca. Spero di non essermi scottato…

Come ultima cosa, ci tenevo a precisare che in realtà la fine del Passatore è vicina. Già un paio di mesi dopo a ciò che vi ho narrato, verrà scovato grazie ad una segnalazione proprio nelle vicinanze di Russi da Apollinare Fantini, un sussidiario della Gendarmeria che riuscì, con un po’ di fortuna, a ucciderlo durante un breve scontro a fuoco. Il suo cadavere fu portato in giro per le varie città romagnole come monito, spaventando parecchio il popolo. Da quel momento in poi, entra in crisi il brigantaggio in Romagna, che aveva raggiunto il suo culmine proprio con il Passatore, e si quieta, fino a scomparire definitivamente dopo l’Unità.

Vi ringrazio per aver letto questo lungo racconto e queste lunghe note, ma ci tenevo ad essere chiaro su tutto. Spero che questo lungo viaggio sia stato gradito dai lettori. Chiedo scusa per aver diviso in due parti l’epilogo, ma pubblicarlo tutto assieme e in un'unica pagina mi sembrava folle, vista la lunghezza. Inoltre, non volevo lasciare nulla al caso… e come avrete notato, ho curato tutti i personaggi che vi avevo presentato nel corso del racconto, senza lasciarne indietro neppure uno e cercando di mostrare le situazioni politiche e sociali di ben due continenti, anche attraverso il punto di vista(per altro leggermente distorto e di parte), di Neuer.

Qualche tempo fa, mi aveva sfiorato l’idea folle(subito archiviata… forse), di scrivere un seguito del racconto, dove i protagonisti sarebbero stati i figli della nostra contessina e del nostro brigante, e che si sarebbe svolto su due continenti. Ma non sono mai stato capace di gestire bene un seguito, quindi ho messo da parte quella che forse sarebbe stata una pazzia.

Ringrazio nuovamente ed infinitamente S1mo94, GreenWind, Rossella0806 e Clairy93 per tutto il supporto che mi hanno offerto. Per me sono stati come compagni d’avventura, quasi santi protettori del racconto. Grazie per avermi sostenuto con grande impegno ed attenzione, lasciando puntualmente recensioni e pareri e dimostrandovi realmente interessati alla storia. Il vostro interessamento alla vicenda mi ha reso davvero molto fiero di questo racconto, che senza di voi molto probabilmente non sarebbe stato così completo.

Ringrazio anche Letylove31 e Grace Kelly, che oltre ad avere lasciato qualche recensione mi sono sempre state vicine, e mi han sempre fatto sapere in privato quel che pensavano della storia.

Ringrazio Steph808, e altri gentili recensori che di tanto in tanto mi han lasciato anche solo un parere. Grazie!

Ringrazio tutti i lettori ‘’silenziosi’’, se ce ne sono stati. Beh, se vorrete lasciare un vostro parere conclusivo al tutto, sarò felicissimo di ringraziarvi di persona.

Questo è solo un racconto, e come tale va preso. Di certo, non è perfetto. Ogni consiglio e parere è sempre ben accetto!

Grazie infinite a tutti! Presto spero di poter iniziare a pubblicare un altro nuovo racconto, sempre in questa sezione del sito.

Grazie di cuore a tutti J a presto J

 

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