Il nome Eren di Mistiy_Ronny (/viewuser.php?uid=795818)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi è Eren? ***
Capitolo 2: *** Incontri ***
Capitolo 3: *** Anime strane ***
Capitolo 1 *** Chi è Eren? ***
La
pelle pareva volersi
distaccare dalle ossa, il vento le si schianta addosso con un tale
potenza che il respiro s'annullava nel petto
La sensazione del
cadere, del non avere il terreno sotto ai piedi era liberatoria. Quel
pavimento spesso la limitava, la rendeva consapevole di quanto il
cielo fosse lontano ma in quel momento il pavimento non esisteva, la
volta celeste era così vicina da parere la propria casa.
La caduta non poteva
essere infinita, il suolo marrone macchiato da chiazze verdi diveniva
sempre più imminente e così sentì il
rumore d'un meccanismo
azionarsi, lo spiccò va contro una superficie rocciosa, e
una corda
nera si muove per attaccarsi contro un immenso tronco. Sospinta da
quella stessa corda va e una specie d'energia la innalza verso l'alto
così il collo s'incurva e lo sguardo s'affaccia verso una
volta
celeste tappezzata da sprazzi bianchi.
<< Eren >>
<<
Erna! >>
spalancò gli occhi per ritrovarsi faccia a faccia con una
sorella
alquanto severa.
<< Muoviti, dobbiamo
andare a scuola >> si dileguò dalla stanza ed
Erna lasciò
andare un sospiro nervoso. Quanto sarebbe stato bello tornare a
volare tra gli alberi e invece no, doveva scendere dal cielo per
immergersi nella quotidianità. La ragazza si
trascinò verso il
bagno e con la velocità di un automa si lavò
evitando di gettare lo
sguardo sullo specchio, onde evitare che il morale instabile
sfociasse nel disgusto.
Si infilò un paio di
pantaloni da ginnastica, una felpa e poi giù in cucina ove
una tazza
di caffè caldo l'attendeva sul tavolo. Accanto alla tazza di
porcellana vi era un piatto contenente un impasto rinsecchito dai
contorni marroncini, era inedentificabile. Erna
storse il naso
decidendo che per quella mattina si sarebbe saziata con l'amara
bevanda.
<< Che fai? Non
mangi? Guarda che la colazione è importante >>
eccola,
puntuale come un orologio sua sorella coglieva sempre la
possibilità
per rimproverarla.
<< Lo so, me lo dici
tutte le mattine, ma non ho fame >> buttò
giù il caffè per
poi acchiappare le chiavi della macchina.
<< E poi guarda >>
Erna indica l'orologio affisso alla parete <<
è tardi >>
Mikasa le mollò
un'occhiataccia ma non ribatté, con l'orologio non si poteva
discutere.
Uscirono di casa e l'aria
gelida mattutina penetrò sotto ai capotti. Mentre
proseguirono il
cammino verso la macchina, due occhi smeraldi si soffermarono verso
un cielo tenero, sarebbe stato bello spiccare il volo e arrivare
così
a scuola anziché utilizzare quel catorcio a quattro ruote.
Nervosamente
la chiave
rigira e gira in senso orario e antiorario. L'unica risposta che
s'otteneva dal motore era un rumore greve e intoppato.
<< Fanculo >>
sbottò picchiando la mano contro il volante.
<< Lamentarsi è
inutile >> disse Mikasa scendendo giù dall'auto
<< Se corriamo
arriveremo in tempo >>
<< Magari potremmo
approfittare dell'imprevisto e tornarcene a letto >>
puntualizzò trovando l'opzione decisamente più
piacevole rispetto a
quella proposta da Mikasa ma quet'ultima non parve disposta ad
accontentarla.
<< Erna, è l'ultimo
anno scolastico e data la tua pessima media scolastica, non puoi
permetterti d'assentarti >> disse con un tono che non
ammetteva
alcuna replica.
Esasperata Erna sbuffò ma
non poteva contraddirla: il numero più elevato trascritto
sulla sua
ultima pagella era un sette e riguardava il voto di condotta.
Fianco a fianco
cominciarono a correre, andare a scuola era una bella scocciatura, ma
andarci a piedi era una straordinaria rottura di scatole.
Le ginocchia si
innalzavano forsennate, il vento sputava sui loro volti aria gelida.
Un dolorino alla pancia
attirò l'attenzione di Erna, ma non si fermò.
Quel piccolo crampo
era fin troppo familiare e di certo non l'avrebbe fermata.
. *** .
Avevano
spaccato il minuto, nel momento in cui varcarono la soglia della
porta la campanella suonò. Sfrecciarono lungo i corridoio
per poi
prendere posto ai banchi con il fiato corto uscente dalle labbra.
Nemmeno il
tempo di riprendersi dalla corsa smorza fiato che il professore
entrò.
<<
Buongirono >> movimentò la bocca grassa e
senza attendere
alcuna contro risposta, ordinò << aprite
pagina centoottanta
>>. Tutti obbedirono al comando, anche Erna
svogliatamente aprì
il volume. Lo studio non faceva per lei, questa era una certezza
assoluta, infatti appena il professore pronunciò la parola
“
rivoluzione industriale”, il cervello di Erna
s'atrofizzò e lo
sguardo andò verso la finestra. I raggi obliqui si facevano
strada
verso un cielo limpido, quella bellezza naturale era rovinata dalla
presenza di tetti grigi e antenne metalliche alte e grezze. Avrebbe
tanto voluto incenerirli con lo sguardo, farli scomparire per poi
spiccare il volo in una vasta landa azzurra.
Una fitta
dolorante e la mano scivolò verso il basso ventre.
Per le piccole
donne le mestruazioni non sono mai un qualcosa d'indifferente, per
alcune è quasi un vanto, per altre è una piaga,
per altre ancora è
una stupida scocciatura. Per Erna quel ciclo naturale che doveva
subire ogni mese, era un dannato pugno in faccia. Ogni mese le si
presentavano e il suo corpo gridava “ sei una
donna!”.
Nascondeva le
curve dietro abiti larghi e privi di forma, manteneva capelli corti,
non esaltava gli occhioni con mascara e altre diavolerie, eppure
quelle dannate mestruazione arrivavano sempre.
Una contrazione
ventrale la fece piegare su se stessa
<<
Fanculo >> imprecò a denti stretti, il suo
soffio disapprovato
sarebbe potuto passere inosservato, sarebbe stato coperto dalla voce
greve ed autoritaria del professore, eppure le sue labbra si aprirono
in uno di quei rari attimi di silenzio.
“
Ecco,
ora ho attirato l'attenzione di tutti questi stronzi” pensò
tra sé e sé guardandosi attorno. Nel campo visivo
rientrarono
sgurdi vispi, incuriositi dall'esclamazione
<<
Signorina Jeager non ha una bella c'era. Perchè non va in
bagno a
sciacquarsi il volto anziché offendere la mia lezione
>>
“
non
attendevo altro vecchio grassone”
Pensò
fra sé eseguendo il comando.
.
*** .
La
mano a coppa sotto al getto d'acqua e scaraventò tutto il
contenuto
sulla pelle.
Le
goccioline gelide percossero il volto, un brivido le procurò
un
sollievo decontraendo i muscoli tesi del volto, si trattò di
un
sollievo effimero dato che svanì nel momento in cui si
ritrovò
faccia a faccia con se stessa. Lo specchio rettangolare situato sopra
al lavello mostrava un volto dai lineamenti delicati coperti da una
pelle olivastra. La bellezza che derivava da quei tratti era
inequivocabile, ma i protagonisti del riflesso erano due
grandi occhi d'un verde serpentino ornati da due lunghe ciglia scure.
Era proprio una bella ragazza, questo era un dato di fatto
che
non poteva nascondere. Un occhio esterno poteva mettere in dubbio per
qualche secondo la sua natura, ma bastava soffermarsi su di lei
qualche istante in più per percepire la sua
femminilità.
Questo
dato di fatto avrebbe dovuto riempire il cuore d'orgoglio di una
ragazza, sì peccato che Erna non era una ragazza qualunque.
Il
volto si contrasse in dolorose pieghe e la mano racchiusa in un pugno
tremava dalla smania di frantumare in mille pezzi quel dannato
riflesso che non faceva altro che conclamare la sua natura fisica.
Riabbassò
il pugno pulsante lungo il fianco per poi chiudersi all'interno d'un
gabinetto. La puzza nauseante di fogna salì dalla bocchetta
del
gabinetto, penetrò nelle narici per poi insinuarsi e
stringere la
bocca dello stomaco. Poteva sopportarlo, almeno lì non vi
erano
specchi.
Abbassò il
coperchio del water per poi sedervisi sopra. Racchiuse il volto
all'interno delle mani inclinandosi in avanti e cercò di
espirare ed
inspirare profondamente.
Era un
di quei brutti momenti in cui la testa vorticava a più non
posso e
la sensazione d'avere un macigno sopra al petto la soffocava. Doveva
calmarsi, quella frustrazione furente era causata dall'ingiustizia di
vivere all'interno di un corpo che non riusciva a riconoscere come
suo, quella ingiustizia però non avrebbe mai trovato una
sorta di
risarcimento.
<< Erna,
>>
Trasalì colta
di sorpresa dalla voce di sua sorella.
<< Posso
entrare? >> Mikasa non attese neppure la risposta per
insinuarsi all'interno, chiuse la porta dietro di sé per
appoggiare
la schiena dietro la lastra di legno.
<< Certo,
con comodo >> disse inacidita da quella mancanza di
privacy
Mikasa
guardò Erna, studiò la sua pelle sudata, il
respiro alterato e
sapeva che doveva stare lì nell'angolo, ben sapendo quale
era il
problema
<< Stai
meglio? >>
Erna annuì, la
collera era scemata assieme al dolore ventrale.
<< Bene
>> sentenziò decisa a tornare in classe e
trascinare anche sua
sorella ma la mano si soffermò sulla manopola.
<< Erna
so che per te le mestruazioni sono un problema, so che vorresti
essere un ragazzo … >>
<< Ti
sbagli, io non vorrei essere un maschio >> secca disse
interrompendo le parole della giovane la quale strabuzzo gli occhi
colta da quella rivelazione, ma nonostante tutto non si fece
trascinare dalla sorpresa,
<< Io
vorrei essere Eren >>
Mikasa
corrucciò la fronte confusa, reattiva scavò nella
memoria alla
ricerca di quel nome o perlomeno un volto associabile a quel nome.
Non lo trovò.
<< Forza,
andiamo >> Erna si alzò in piedi e con fare
sbrigativo scansò
sua sorella dalla porta per scivolare via.
Era riuscita a
evitarla durante l'intervallo, sapeva che Mikasa non avrebbe
sorvolato sulla conversazione avuta in quel quadrato puzzolente. Era
riuscita a evitare la conversazione anche durante il tragitto verso
l'autobus, grazie al cielo le persone non erano state create per
parlare con il fiato smorzato dalla fatica.
Stavano sedute
nel silenzio accompagnate dal chiacchericcio dei passeggeri
del'autobus e dai rumori esterni della città. Erna sapeva
che quella
era l'occassione propizia per instaurare la tanto temuta domanda che
di fatti non tardò ad arrivare
<< Chi è
Eren? >> domandò Mikasa volgendo il capo verso
di lei
<<
Nessuno >> rispose con la fretta di qualcuno che non
vuole
essere scoperto
<< Devi
sapere chi è dato che vorresti essere come lui
>> la incalzò
senza distogliere neppure per un secondo lo sguardo dalla sorella.
<<
Mikasa, non è nessuno! >> deve averlo
annunciato con una nota
troppo alta, dedusse questo Erna dato che tutti i passeggeri avevano
smesso di blaterale e avevano voltato il capo verso di loro. Avevano
inscenato un bello spettacolino.
Mikasa discostò
lo sguardo dalla giovane per rivolgerne uno carico d'astio
all'ambiente circostante.
<< A casa
ne parliamo >> disse la sorella senza lasciare trapelare
alcuna
emozione.
Mkasa certe
volte fa paura” pensò Erna, questo dato
era comprovato dal
fatto che tutti i presenti avevano chinato il capo riprendendo le
attività interrotte.
. *** .
Devo andare
da Annie, appena torno a casa parliamo”
Mikasa
intraprese un'altra strada annunciando quelle parole.
Erna sbattè la
porta di casa felice del fatto che sua sorella non ci fosse, doveva
assolutamente riposare lei non glielo avrebbe permesso.
Un brontolio
proveniente dalla pancia gli ricordò che non si era ancora
nutrita
così aprì il frigo, all'occhio saltò
della pasta precotta. Sbattè
l'involucro all'interno del forno a microonde, girò la
manopola ed
attese.
Si voleva
godere quella pace che presto sarebbe stata interrotta dal ritorno a
casa. In quel lasso di tempo avrebbe avuto tutto il tempo necessario
per elaborare una risposta plausibile.
Chi è eren?
Bella
domanda
al quale proprio non poteva rispondere o per meglio dire, non
riusciva a fornire una risposta logica.
Eren non
l'aveva mai visto, non sapeva neppure che aspetto avesse, in teoria
si trattava di un nome maschile perciò doveva trattarsi di
un uomo.
Non sapeva assolutamente nulla a riguardo però nei sui sogni
quelli
in cui volava, vi era sempre quella voce rude ma capace d'accarezzare
la pelle. Non era mai riuscita a vedere il proprietario di quel
suono, ogni volta si risveglaiva la visione onirica svaniva assieme
al movimento della palpebra.
Il timer del
fornello squillò spezzando lo scorrere dei pensieri.
Buttò sul
tavolo quell'ammasso di pasta fumante, sopra vi era un condimento che
aveva lo stesso colore del sangue, forse si trattava di pomodoro
mescolato al kechup, un autentica schifezza ma non vi badò.
La forchetta affondò e si
ritrovò a masticare un maccherone che aveva la stessa
consistenza
d'un pezzo di gomma aromatizzato. I denti cozzavano nel tentativo di
maciullare quello schifo, non era minimamente paragonabile alla pasta
che preparava mamma ma lei se ne andò via troppo presto.
Quando morì
aveva dieci anni e non le aveva potuto insegnare a surriscaldare
neppure l'acqua per bollire la pasta. Erna era troppo ingenua e
trasognante per prestare attenzione alle ricette culinarie che la
madre metteva costantemente in pratica sotto i suoi occhi.
La nausea l'agguanto, gli
era tornato alla mente il sapore della cucina di mamma e per qualche
ora gli sarebbe stato impossibile mangiare qualsiasi altra cosa .
Senza neppure sprecarsi di mettere il piatto in lavastoviglie, si
gettò nel letto affondando la chioma color ciccolato nel
cuscino
morbido.
Voglio
essere Eren?
La domandà
saettò per poi rimbalzare tra le pareti del carneo con una
tale
velocità che Erna sospirò innervosita.
<< Non lo
so >> rispose flebile per portare l'avambraccio sopra
agli
occhi.
Angolo
psichiatrico
Ciao:)
Allora
… che dire? Boh … non ho mai letto una fan
fiction con il tema
della reincarnazione anche se non credo sia così originale
il fatto
che Eren si sia reincarnato nel corpo d'una ragazza.
Poi
non so cosa dirvi, ho così tante fan fiction da concludere e
io
comincio a pubblicarne una nuova?! Come posso giustificarmi? Credo
che l'ispirazione purtroppo non segue la ragione T.T
Ok,
dopo queste blande scuse torniamo a questa storia, per meglio dire
questo primo capitolo: vi ho presentato un unico personaggio
perché
non volevo appesantire l'attenzione della lettura, forse è
un
capitolo noioso e alquanto confuso, ma dal prossimo entrerà
subito
in gioco Levi( non aspetto altroXD)
La
storia porta l'avvertimento di “tematiche delicate”
dal punto di
vista di Erna perchè si parlerà parecchio
dell'identità in
particolare di quella sessuale, perciò non sarà
una storiella
leggera. (sudo freddo, ce la farò?)
Dunque,
direi di aver detto tutto quello che avevo da dire e spero che questo
primo capitolo vi sia piaciuto. Non vedo l'ora di conoscere le vostre
impressioni perciò spero di sentirvi
un
abbraccio
Mistiy
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Capitolo 2 *** Incontri ***
Era
inciampata in un sonno
privo di sogni che quando si alzò non riuscì a
sentirsi riposata,
tutt'altro. Si rialzò con la testa tambureggiante e l'umore
di
traverso, il fisico era ancora più infiacchito di quando
aveva
posato la nuca sul cuscino. Scese giù per lubrificare la
bocca secca
con un bicchiere d'acqua e lo sguardo andò alla finestra,
constatò
che il crepuscolo invernale era già giunto. Il sole era
tramontato
dietro le case e il cielo era dipinto da una miscela di colori tendenti
all'arancione. Perché i tramonti invernali erano sempre
così
fantastici? Non potè perdersi in pensieri romantici dato
l'occhio cadde sul frigo metallico, sopra all'anta risaltava un
quadratino giallo.
“ Nell'armadio c'è
uno scatolone, all'interno vi sono giocattoli. Portateli il
più
presto possibile all'asilo di Trost “little Titans". Sono per
la
donazione natalizia “ vi era
scritto questo sul post-it fluorescente e una smorfia
nacque
sul suo viso, riconobbe la
calligrafia di suo padre, se così si poteva chiamare un
individuo
che si faceva vedere qualche ora alla domenica per poi ripresentarsi
sotto forma di post-it o richieste telefoniche.
Non era mai stata una
figura molto presente nella sua vita ma da quando sua madre era morta
non faceva altro che viaggiare per lavoro e così Mikasa ed
Erna,
crescerono praticamente da sole.
Non portava un grande
rancore nei confronti di suo padre, nel momento in cui era venuto a
mancare il collante di quella famiglia lui se le era data a gambe ma
nonostante ciò le manteneva economicamente, non lo
rispettava ma
perlomeno non le aveva abbandonate completamente a loro stesse.
Prese il foglietto tra le
mani rileggendo la frase, si soffermò sulle parole “donazione
natalizia”, Grisha stava scaricando addosso alle
figlie
una sua dimenticanza, Erna non avrebbe fatto una bella figura
consegnando di persona quel regalo dato che il mese Natalizio era
passato da un pezzo.
Guardò la pattumiera
stracolma di rifiuti di ogni sorta e la tentazione di gettare la
richiesta su quella montagnola fu molto invitante, anzi era quasi
irresistibile, però rifletté: Mikasa presto
sarebbe tornata a casa
per “parlare” ma lei sarebbe potuta uscire e quella
le sembrava
un occasione per fuggire via.
Mise il pezzo di carta
nella tasca pronta per uscire.
. *** .
Levi Ackerman
era sempre stato definito come un individuo distaccato e poco
socievole, Tale deficit era compensato
da un'intelligenza arguta e da un senso del dovere che avrebbe fatto
invidia qualsiasi militare. Questa era l'impressione che
lasciava impressa ai conoscenti e a coloro che avevano avuto la
possibilità d'incontrarlo. Questa personalità
riservata
accompagnata da due occhi tempestosi resi ancora più
profondi da
quelle sfumature scure poste sotto gli occhi, aveva strappato il
cuore a un considerevole numero di ragazze. Quello che le faceva
impazzire era quel riflesso tenebroso impresso nei suoi occhi, era
talmente affascinante che la bassezza passava in secondo piano.
Per tutti
questi insieme di motivi al capezzale della sua casa si presentavano
parecchie donne, ma veramente poche ebbero privilegio di entrarvi. Se
fosse stato dieci centimetri in più probabilmente avrebbe
derubato i
cuori dell'intera città.
Questo diniego
verso le avance femminili portarono parecchie male lingue a insinuare
il fatto che fosse omosessuale, ma il pettegolezzo non venne mai
confermato dato che Levi non fu mai visto approcciarsi in modo
provocatorio assieme a un altro uomo. Mai. L'orientamento sessuale
del giovane rimase un mistero per le povere ragazze con il cuore
infranto, ma la verità era molto semplice: Levi non era
minimamente
interessato a intrattenersi in una relazione sentimentale,
né con un
uomo né con una donna. Certo, era un essere umano dotato di
ormoni
perciò aveva avuto qualche scappatella ma il numero era
talmente
esiguo che le si potevano contare sulle dita d'una mano. In quella
apatica indifferenza che poteva essere scalfita solamente da amici
stretti, trascorse gli anni del liceo e anche quelli universitari.
Terminata
l'università tutti i suoi compagni s'aspettavano che si
sarebbe
unito a chissà quale compagnia importante, che un uomo
così
diligente e impeccabile fosse destinato a diventare un pezzo grosso
della società. Quando Levi aprì un asilo
spiazzò tutti quanti
lasciandoli con le mandibole spalancante e le braccia cadenti. Un
uomo dall'animo glaciale aveva deciso di trascorrere la sua vita
assieme a dei marmocchi urlanti, persino il suo migliore amico Erwin,
la persona che vantava il fatto di conoscere meglio di chiunque altro
Levi, era rimasto basito da tale scelta. Quest'ultimo osservava il
moretto movimentarsi qua e là armato di grembiule e scopa:
quando
anche l'ultimo bambino era stato raccattato su dalla mamma, Levi e i
restanti collaboratori si mettevano sempre all'opera per far
risplendere quel posto ed eliminare ogni sorta di sporcizia prodotta
da quei “piccoli titani straccia
palle”(così li definiva Levi).
Il gigante
biondo vestito in giacca e cravatta, posò il sedere su un
basso
tavolino e aprì bocca
<< Senti
Levi, tu non mi hai ancora spigato il motivo per cui fai l'insegnante
>>
<< Perché
sono cazzi miei >> disse in tutta calma senza mostrare la
minima rabbia.
<< Beh,
lo sai con i voti che avevi potevi fare qualsiasi mestiere, ogni
esame l'hai superato con la lode >>
Il corvino
disattivò l'attenzione dal pavimento impolverato per porla
all'amico.
<< Tipo
il dirigente di banca? >> disse sarcastico squadrando da
capo a
piede.
<< Non
sdegnare così il mio mestiere, guadagno bene, posso
viaggiare e se
tu fossi il mio vice … >>
<< No,
non m'interessa, perciò smettila di corteggiarmi con
stipendi
assurdi e viaggi gratuiti come se fossi la fighetta più
ambita del
paese >> disse secco ed Erwin non poté fare
altro che
sorridere
<< Beh,
tu sei la fighetta del regno, hai ricevuto più proposte
lavorative
tu di tutti i laureandi del nostro corso >> sorrise
ripensando
alle montagne di lettere e telefonate ove i dirigenti di compagnie
internazionali domandavano la sua presenza, tali volte venivano
persino a supplicarlo.
<< Io sto
bene dove sono >>
<< Questo
non lo metto in dubbio, però non hai risposto alla domanda.
>>
Lo stava per
mandare al diavolo ma vendendo lo sguardo di Erwin illuminato da una
genuina curiosità, decise che fra tutti era l'unico che
meritava una
risposta.
<< Non
vado molto d'accordo con le persone, lo sai no? >> Erwin
annuì, il suo fare impregnato di sarcasmo tendeva ad
allontanare la
gente.
<< Non
amo neppure i bambini, sono stupidi però la loro
stupidità è in
qualche modo è giustificata dal fatto che non hanno vissuto
abbastanza per poter prendere decisioni intelligenti, inoltre ho la
sensazione che in una vita passata avevo a che fare con dei mocciosi
>>
Erwin sbatté
le palpebre alquanto confuso pensando che l'amico aveva aspirato
troppo l'odore del pongo e della colla. Levi notò
immediatamente la
nota confusa dipinta-si nel suo volto
<< Erwin
lascia stare, non sforzare quel cervello matematico >>
Erwin rise di
gusto, poteva averlo anche sorpreso con quella professione ma in
fondo a Levi s'addiceva quel lavoro: era un uomo dotato d'un carisma
innato che lo rendeva un ottimo leader, di conseguenza un bravo
maestro rispettato. Riusciva a infondere fiducia nelle persone.
<<
Piantala di ridere come un cretino, non dovresti tornare a casa da
tua moglie? >>
<< Sì
dovrei >>
<< Allora
sposta quel culone dalla sedia e vai >>
<< Va
bene Levi, ci vediamo >>
. *** .
<< Che
diamine c'è qua dentro? Giocatoli o mitragliatrici?
>> sibilò
a denti stretti trattenendo lo scatolone fra le mani. Era
dannatamente pesante, se ne era accorta mentre lo caricava
sull'autobus ma prese coscienza della sua effettiva pesantezza dopo
aver percorso sei isolati. Doveva percorrerne altri cinque.
Non era
solamente pesante, ma lo scatolone era talmente ingombrante che le
intralciava la visuale frontale, perciò onde evitare di
finire con
il sedere a terra, doveva controllore a dovere i propri passi.
Lo sguardo andò
verso la laterale strada sgombra per poi capitare al marciapiede
opposto, intravide sotto la luce dei lampioni una figura, anch'essa
pareva avere qualcosa d'ingombrante fra le braccia. Provò
una certa
empatia nei confronti di quella persona.
Gli occhi
altalenarono un poco( per quanto la situazione glielo concedesse),
attorno a sé e si rese conto che non vi era nessuno, passava
accanto
a negozi dalle saracinesche abbassate, non vi erano passanti, il
silenzio era colmato dai rumori di auto vaganti in altre strade e dai
suoi stessi passi. Non era così tardi, il buio era calato
eppure non
poteva aver passato così tanto tempo sul veicolo che l'aveva
portata
in quella zona. Fatto
sta che le
uniche anime vaganti in zona era lei e il tipo situato al di
là del
marciapiede. La coda
dell'occhio
si riposizionò dall'altro capo e la figura scura c'era
ancora,
continuava a camminare, gli parve che la stesse scrutando
furtivamente.
“
Ecco, ora sto diventando paranoica
come Mikasa,
quella appena vede uno con la faccia losca si mette sulla
difensiva”
pensò
fra sé.
Nonostante la rassicurazione mentale
l'occhio le
sfuggiva e andava sempre a finire là, ove l'uomo continuava
a
camminare, forse andava per la propria strada e non s'era curato
neppure della sua presenza, eppure la sgradevole sensazione d'essere
osservata non se ne voleva andare via.
Per smentire quei dubbi paranoici piantò i piedi per
terra, girò il collo e lo vide, anche lui s'era arrestato.
Lo
osservò cercando di studiare l'immagine ma la notte limitava
la
vista e la distanza era troppo lunga per un occhio nudo. L'unica cosa
che poté recepire era che vestiva scuro e tra le mani
reggeva
qualcosa di grande dalla forma cubica. Attendeva che si muovesse, che
compisse una qualsiasi mossa invece rimaneva lì fermo con il
capo
volto verso la sua direzione, questo fatto la innervosì a
tal punto
che decise d'agire.
“ Ora vado a sentire
che cacchio vuole questo qui “
pensò fra sé e sé mentre posava il
pacco a terra.
Marciò decisa, percorse la
strada, l'individuo la
imitò.
Passo dopo passo la figura poco chiara cominciò a
prendere forma, il viso era ancora nascosto dall'oscurità,
però
poté notare che era dotato d'una corporatura sottile
perciò si
trattava senza dubbio d'una ragazza, tra le mani stringeva il pugno,
forse deteneva un arma così Erna la imitò, non
possedeva un oggetto
affilato, ma era un asso nel combattimento corpo a corpo. Era pronta
a intrattenersi in un combattimento frontale così
accelerò il passo
per poter sferrare il primo colpo ma quando calpestò il
marciapiede
si bloccò. Alzò il pugno piano verso l'alto e la
ragazza portò
all'insù il braccio sinistro. Erna compì un
passetto all'indietro e
la sconosciuta fece lo stesso. Il fiato le morì in gola
quando
constatò che quello si trattava di un edifico con i vetri a
specchio, il nemico non era altro che il suo riflesso, non si era
riconosciuta. Tutta la pesantezza della consapevolezza le
piombò
addosso schiacciandola contro l'asfalto. La testa prese a girare come
una trottola e le orecchie furono tappate da un fastidioso ronzio.
Non era la prima volta che le capitava, era già successo
parecchie
volte in passato perciò sapeva come risolvere la situazione,
come
smaltire quella schiacciante oppressione. Veloce scoprì la
l'avambraccio portando la manica fino al gomito e senza alcuna
esitazione, affondò i denti. La bocca si riempì
d'un gusto
metallico dalla nota amara così distaccò i denti,
guardò le
goccioline scure calare giù dalla piccola ferita e il
bruciore
pulsante la fece tornare alla realtà: sentiva già
i piedi leggeri,
la vista non girava più e l'udito stava tornando. Con un
fazzoletto
di carta preso fuori dalla tasca, tamponò la ferita, non era
profonda e il sanguinamento s'era già arrestato.
Gettò uno sguardo
veloce al riflesso di fronte a sé e due labbra macchiate da
gocce
cremisi brillavano. Con un altro fazzoletto le scacciò via
dal volto
per poi ritornare sui propri passi accompagnata da quel piccolo
dolore .
. *** .
Era quasi
giunta, aveva superato il cancello e si ritrovava in un giardino
decorato con qualche scivolo e un paio di altalene. La meta oramai
era stata raggiunta e francamente non vedeva l'ora di mollare quel
coso per tornarsene a casa, anche se questo fatto comportava il dover
affrontare Mikasa.
Sbuffò nel
momento in cui notò dei gradini condurre verso la porta
vetrata. La
meta era così vicina eppure così lontana. “Un
passetto alla
volta” si ripeté.
Così fece e ci
riuscì, il secondo problema stava nel pigiare il campanello,
non
poteva di certo imbrattare lo scatolone posandolo sul marmo. Con
qualche strana acrobazia riuscì a spingere il piccolo
bottoncino
adoperando il gomito.
Nessuno si
presentò al capezzale, ritentò.
“
Giuro
che se nessuno si presenta, lascio qua tutto e me ne sbatto le
palle!” ripeté
mentalmente mentre il piede tambureggiava frenetico sul suolo
sottostante.
Il rumore d'una
porta, si sporse leggermente per dare un'occhiata a chi era dinnanzi
a sé, ma prima della vista venne raggiunta da una voce
<< Eren
>>
Le palpebre si immobilizzarono verso l'alto, il respirò
si bloccò disperdendosi all'interno del torace. Il fiato
sbatteva
contro il petto e lottava contro la gola serrata. Erna era bloccata,
paralizzata da un uragano d'emozioni. Il cuore scalpitava
così forte
che sentiva i battiti pulsare nelle tempie. Il cuore doleva, come se
quella voce avesse assunto le dimensioni di una mano e quest'ultima
si fosse insinuata nel suo petto stringendole forte il muscolo. Il
corpo s'irrigidì assieme agli arti e fu inevitabile, lo
scatolone
cadde producendo un tonfo assordante.
Senza
l'impaccio di quell'aggeggio si ritrovarono faccia a faccia. Nessuna
parola venne pronunciata, eppure Erna si accartocciò su se
stessa e
scoppiò a piangere.
. *** .
Levi
vedendo la ragazza
piangere, fece l'unica cosa sensata che le venne in mente,
afferrò
il pacco caduto a terra e le ordinò di seguirla. Senza
troppe
cerimonie l'aveva condotta nella piccola cucina dell'asilo facendola
accomodare al tavolo. Aveva messo in ebollizione l'acqua per il the e
senza dire una parola, aspettò che la giovane smaltisse quel
pianto
isterico.
<< Scusa, io … non
so cosa diamine mi sia preso. >> Erna imbarazzata sopra
ogni
limite, cacciò via con il pollice qualche residuo di lacrima.
<< Non importa, sono
abituato ad avere a che fare con i mocciosi >> disse con
calma
ponendo una tazza fumante sotto al suo naso.
Le aveva appena dato della
mocciosa? Rispondergli in rima sarebbe stato tipico di Erna, eppure
si trattenne. Doveva ancora riprendersi dallo shock, ora si ritrovava
faccia a faccia con quella voce, la voce che durante il sonno le
scuoteva l'anima.
Levi appariva
imperturbabile come se non fosse accaduto niente di che, eppure
osservava la ragazza dinnanzi a sé e non sapeva come
giustificare la
parola uscita fuori dalle sue labbra. L'aveva chiamata Eren, quel
nome era balzato fuori con una tale naturalezza che
non sapeva
neppure spiegarne il motivo. Non
aveva neppure incontrato nessuno con quel nominativo, nemmeno il
volto della ragazza gli pareva familiare. Era un uomo attento
perciò
rimembrava ogni volto che incontrava, l'opzione che l'avesse
conosciuta e che si fosse scorata di lei non era da prendere in
considerazione.
Probabilmente
l'aveva vista da qualche parte in giro per caso, si trattava senza
alcun dubbio di questo anche se la reazione della ragazza l'aveva
lasciato alquanto perplesso.
Scacciò
via quel pensiero alzandosi in piedi
<< Questo scatolone?
>> domandò Levi chinandosi per staccare via lo
scotch marrone
che lo teneva ben chiuso
<< Ah, è una
donazione da parte di Grisha Jaeger, mio padre >>
<< Il medico Jaeger?
>>
<< Sì, lo conosci
>>
<< Certo che no,
però tuo padre è conosciuto a livello
internazionale, non sai
quanti articoli ho letto >> disse saccente scioccando la
lingua sul palato.
Erna contorse la fronte
pensando fra sé “che bel caratterino di
merda”.
È già, il modo in cui
guardava i giocattoli con quel fare quasi annoiato, come se non fosse
affatto contento d'aver ricevuto quella donazione, la faceva alquanto
irritare. Si era fatta tutta quella strada per non ricevere neppure
un ringraziamento, anzi gli era costata una bella figuraccia.
Piangere così dinnanzi a uno sconosciuto, non l'avrebbe
raccontato a
nessuno.
“ Forse è colpa
degli ormoni “ si chiese ponendo la mano sul basso
ventre
dolorante. Era ora di tornare a casa e non vedeva l'ora di riposarsi,
così afferrò la giacca
<<
Vai via? >>
domandò così tanto per fare, non serbava molto
interessato della
questione appena posta.
<< Sì, rischio di
perdere l'ultimo autobus >> disse frettolosamente, doveva
immediatamente andarsene da lì, magari i suoi occhi la
tradivano di
nuovo e quelli ricominciavano a gettare acqua.
<< E' tardi ti porto
io >>
Erna sbatacchiò le
palpebre, stare un quarto d'ora in macchina con l'uomo che le aveva
scatenato un pianto isterico? No, grazie
<< No, non è
necessario, non voglio disturbarti >>
<< Oi, se mi recasse
qualche disturbo non l'avrei proposto >>
Nemmeno il tempo di
controbattere che quello aveva già il cappotto addosso e le
chiavi
in mano.
<< Andiamo >>
disse secco ed Erna lo seguì.
. *** .
“ sono proprio una
testa di cazzo”
Si
ripeté mentre
osservava dal finestrino il paesaggio metropolitano correre via
assieme alla macchina. Era in una scatola di latta con uno
sconosciuto, se Mikasa fosse venuta a conoscenza di una tale cosa
l'avrebbe rimproverata, neppure Erna si sarebbe fatta trasportare
così facilmente da qualcuno, eppure non le pareva un tipo
aggressivo. Dalle poche battute scambiate, aveva afferrato il fatto
che fosse un tipetto dal carattere difficile ma non gli pareva
violento. Aveva la sensazione che poteva fidarsi di lui. Questa
fiducia da dove derivava? La risposta era talmente scema che la
scacciò via dalla testa. Ovviamente derivava sempre da quel
sogno
che quasi ogni notte si ripeteva.
“Erna
sei proprio una
scema” si ripeté per poi gettare lo
sguardo all'indietro,
giusto per distrarsi un poco da quella situazione paradossale nel
quale si era immischiata.
Di
sottecchi guardò i
sedili posteriori, vi erano alcuni scatoloni dal quale fuoriuscivano
bambole di pezza e macchinine di plastica.
Bambole e macchine.
Quando era piccola sua
madre si ostinava a regalarle le prime, eppure non provava alcun
interesse nei confronti di quei giocattoli, anzi le odiava. Non
detestava solo le bambole ma anche i vestitini che sua madre la
costringeva a indossare, odiava portare i capelli lunghi e non si
trovava affatto a suo agio con le coetanee. Provava talmente tanto
astio nei confronti del mondo femminile che un giorno
dichiarò a sua
madre: “voglio essere un maschio”,
crescendo si rese conto che si trattava di un desiderio
infondato. Se non si trovava a suo agio con le bambine d'altro canto
non si trovava bene neppure con i maschi, infatti spesso finiva
invischiata in qualche rissa e tornava a casa con la pelle macchiata
da lividi. Aveva trascorso la maggior parte dell'infanzia nella
solitudine, poi nella famiglia arrivò Mikasa e le cose
cambiarono.
Aveva una sorella con il quale riusciva a trovarsi bene, poi nella
sua vita entrò anche il suo migliore amico Armin e non fu
più sola.
Il quadretto relazionale
instaurò un precario equilibrio che si spezzo quando giunse
l'adolescenza. Un punto fondamentale in cui cominciò la sua
disperata ricerca della sua identità, se non gli piaceva
essere
donna allora forse era gay. Su questa possibilità decise di
frequentare una ragazza di nome Christal, carina e gentile, eppure
non ebbe nemmeno per un attimo la tentazione di baciarla, anzi l'idea
di sfiorarla la inorridiva, così tentò un
approccio nei confronti
dell'altro sesso. All'età di sedici anni uscì con
Marco, le faceva
il filo da un pezzo e così quando le chiese d'uscire,
accettò senza
troppi problemi. Marco era una persona deliziosa con cui poter
trascorrere del tempo, godeva della sua compagnia eppure il risultato
fu il medesimo: neppure una volta le sfiorò l'idea di
toccarlo.
E così rimase nel mezzo,
tra la macchinina e la bambola di pezza, non provava attrazione
né
per l'una ne per l'altra.
Il veicolo s'arrestò
bruscamente, le scatole si scossero assieme al filo dei suoi
pensieri, Erna si voltò in uno scatto e vide la luce rossa
di un
semaforo. Fermata brusca ma almeno era riuscito a non oltrepassare la
linea. Approfittò di quel frangente tranquillo per osservare
di
sottecchi il guidatore: teneva la schiena ritta perfettamente
allineato con l'asse del collo, ritto e definito.
Si soffermò sui suoi
capelli talmente neri che si mimetizzavano nella notte, ciuffi
sottili ricadevano frastagliati sulla fronte diafana. Aveva un
taglio particolare, erano lunghi davanti e dietro la nuca invece
erano praticamente rasati.
Era un uomo bello, ma la
bellezza non derivava unicamente dai suoi lineamenti bensì
dalla
psiche: quelle labbra intrappolate in un mezzo broncio, quelle
occhiaia profonde mostravano che non era un uomo sereno. Nascondeva
qualcosa che si trattasse d'un segreto innocuo o losco …
questo non
lo sapeva.
Riconobbe casa sua e la
macchina si fermò al fianco del cancello. Era il momento di
congedarsi, eppure non sapeva neppure cosa dire, mentre slacciava la
cintura si rese conto d non conoscere il suo nome. E così
non si
fece troppi scrupoli a domandarglielo
<< Come ti chiami?
>>
Le pupille tempestoso si
movimentarono verso di lei, rimase muto come se fosse indeciso se
rivelare o meno la propria identità.
<< Levi >>
soffiò veloce.
Se la sua voce era in
grado di accarezzarla e stringerle il petto, quel nome non le
procurava alcuna sensazione.
Lui la fissava come se
fosse in attesa di qualcosa, e così le venne in mente il suo
nome,
quello stampato sul certificato di nascita.
<< Erna, il mio nome
è Erna >>
<< Erna >>
Levi ripeté piano, come se lo volesse imprimere bene a modo
nel
cervello e poi il silenzio ricalò. Alquanto disagiata da
quel vuoto
di parole, Erna decise che era momento di tagliare la corda
<< Beh, allora …
ciao! >> impacciata oltre ogni limite, scese dalla
macchina con
una tale fretta che sembrava avere le braci sotto ai piedi.
<< Erna >> la
sua voce le impedì di proseguire il cammino, si
voltò e il
finestrino era abbassato, lui si era esposto e la guardava dritta
negli occhi.
<< Ringrazia tuo
padre da parte mia per la donazione >>
<< Lo farò >>
schietta cercò di tranciare quel discorso, casa sua era
così
vicina, pochi passi e quella strana tortura sarebbe terminata.
<< Inoltre noi due
ci rivedremo >> la buttò lì
così con una tale non
noncuranza che Erna fece fatica a dire qualcosa.
“ mi sta chiedendo un
appuntamento?”
Neppure
il tempo di
esternare il suo dubbio che la macchina sfrecciò via, era
già
arrivata all'incrocio e in un battito di ciglia svanì.
ANGOLO
PSICHIATRICO ;)
Ciao
bella gente :)
Come
prima cosa mi scuso per eventuali errori ortografici, ho riletto
il testo ma quelli scappano sempre alla vista >.<
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, prego qualche divinità che
l'idea
di un Levi che lavora con un branco di mocciosi non vi disgusti( io
lo trovo troppo spassoso :D)
Spero
che l'entrata di Levi nella storia non abbia suscitato noia, non
è
stata così epica e neppure memorabile a parer mio,
però mi è
sembrato giusto così, siamo in un AU ambientato ai giorni
nostri e
dato che i giganti non esistono, non sapevo esattamente come farlo
entrare nella storiaXD
Comunque
sia lascio il giudizio a voi, spero di sentirvi <3
un
abbraccio grande
Mistiy
|
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Capitolo 3 *** Anime strane ***
Amava le arti marziali, non c'era niente di
più
terapeutico che prendere a botte un avversario in carne ed ossa.
Inizialmente aveva affrontato un ragazzino paragonabile ad una
mammoletta poco grintosa, non si era divertita affatto ma almeno
aveva scaricato sul poveretto tutta l'energia repressa. Poi si era
scontrata con Annie e lì la situazione si era capovolta, era
divenuta Erna la mammoletta debole poiché l'avversaria era
una
nanerottola forzuta in grado di stendere chiunque con quei calci
subdoli ma letali.
L'istruttore aveva deciso di donare agli allievi un po'
di tranquillità, qualche minuto per riprendere il fiato.
Erna ne
approfittò sedendosi a terra e rilassò la schiena
contro il muro.
Dopo aver recuperato qualche respiro lo sguardo circumnavigò
la
stanza per depositarsi all'angolo opposto. La nanerottola forzuta e
Mikasa aveva attirato la sua attenzione. Erano lì in piedi,
chiacchieravano guardandosi negli occhi poi Annie portò le
punte
delle dita in avanti accarezzando il braccio scoperto di Mikasa,
quest'ultima arretrò di qualche millimetro ed Annie sorrise,
anche
Erna non riuscì a trattenerlo. La sorella non amava esporre
pubblicamente i suoi sentimenti,di conseguenza non amava effettuare
effusioni dinnanzi a un pubblico. Erano adorabili.
Una certa invidia nacque in lei: non desiderava testare
sulla pelle quell'amore genuino, ma voleva impadronirsi delle loro
ferme femminilità. Non indossavano abiti scollati o gonne
scosciate,
però erano donne ed erano fiere di esserlo,lo mostravano con
quelle
timide carezze. Si piacevano così come erano
sarebbe
bello essere come loro.
<< Ciao >> una
voce squillante trapanò i
suo timpano, si voltò ritrovandosi faccia a faccia con due
occhi
gentili. Sorrise ricambiando il saluto
<< Ti vedo pensierosa, va tutto bene? >> si
accomodò al suo fianco
<< Sì, stavo solo pensando >>
<< E' successo qualcosa di nuovo? >>
Rifletté, sì una cosa nuova era successa, aveva
conosciuto Levi il proprietario della voce dei suoi sogni anche se in
verità non ne era affatto sicura al cento per cento, magari
era
solamente una baggianata creata dalla sua testa bacata.
<< No, solite cazzate, tu? Mi sembri allegro
>>
deviò il discorso e sorrise nel sentire parlare Armin di un
nuovo
libro acquistato. Armin e i libri, erano due concetti indissolubili,
era una persona curiosa, questa inclinazione non poteva essere in
alcun modo relazionata al misero pettegolezzo, poteva essere definita
come una “curiosità intellettuale”:
amava leggere, tali volte
riprendeva tanti volumi che trattavano lo stesso argomento solo per
osservare e studiare le cose attraverso il punto di vista dei diversi
autori. L'amico amava anche ascoltare le persone: senza mai
giudicare, anzi con una calma razionale, si cimentava nel punto di
vista altrui e s'azzardava a porre un consiglio solamente se veniva
richiesto.
Con lui si sentiva libera di parlare, era veramente un
ottimo amico, il migliore che si potesse desiderare. Nonostante tutte
queste qualità, Erna decise di tenere segreto l'incontro con
Levi.
La situazione in cui stava viaggiando non era delineata, si parlava
di sogni, sensazioni e disagi e poi c'era Levi. Beh, lui era reale
però non voleva dichiarare la sua esistenza, per il momento
preferiva tenerlo chiuso nella sua testolina.
<< Riposo finito! >> la voce grossa
dell'istruttore interruppe la conversazione.
<< Mi sa che questa volta ci affronteremo noi due
>> disse Erna porgendo il braccio all'amico che
afferrò per
levarsi in piedi.
<< Ok, ma vacci piano >> sorrise ben
conoscendo il temperamento della ragazza
. *** .
Levi aveva deciso di dedicare quel sabato
pomeriggio
alla tranquillità, così si rifugiò nel
suo locale preferito,
l'unica sala da the della città. Era un luogo sobrio e
pulito,
perennemente silenzioso poiché i clienti erano persone che
si
recavano lì solamente per la pace oltre che per sorseggiare
un buon
the. In poche parole era il luogo ideale per riflettere e lasciare
correre via i pensieri, difatti il silenzio veniva spezzato
unicamente dallo scorrere della pagine dei quotidiani, da qualche
cucchiaino e da lievi passi. La biblioteca in confronto era
paragonabile a un chiassoso concerto rock.
Levi sfogliava le pagine del quotidiano poi irritato lo
ripiegò con un certo nervosismo ponendolo accanto alla tazza
fumante. Non lo stava leggendo davvero, ci aveva provato ma le
lettere si sovrapponevano per poi rincorrersi e alla fine in testa si
disegnava una sola parola chiara e ben delineata, Eren.
Lo sapeva, quella ragazza dai lineamenti dolci e
delicati si chiamava Erna, eppure qualcosa gli sfuggiva, aveva
già
visto quegli occhi verdi dalle sfumature serpentine, erano familiari
ed era certo di averli visualizzati addosso a qualcuno, propriamente
addosso a Eren. Ed ecco il dilemma: se quella ragazza era Erna,
allora perchè diamine continuava ad associarla al nome Eren?
Chi
diamine era Eren?
Le domande si rincorrevano con la velocità di un cane
che tenta di mordere la propria coda.
Nervose tamburellarono le dita sul tavolo, Levi era un
uomo avezzo al pensiero logico, gli era ruisultato molto utile per
risolvere i problemi e ritrovare una soluzione pratica e veloce. Ma
in quel caso sembrava inutile, anzi più tentava
più domande si
costruivano, s'addossavano l'una sopra rendendolo sempre più
confuso.
Lo sguardo scivolò verso la vetrata che mostrava
passanti carichi di buste. Si movimentavano avanti e indietro nel
tumulto di quella piccola città. Vedeva volti felici, altri
annoiati, altri ancora contratti dalla fretta. Volti anonimi si
dimenavano nelle strade tutti racchiusi nei propri stati d'animo, e
poi dalla calca sbucarono due occhi che erano al centro dei suoi
pensieri. Con lo sguardo seguì la piccola nuca castana.
. *** .
La mano bronzea correva lungo abiti dai
colori
sgargianti. Rosso, giallo, rosa, blu, stampe floreali, cagnolini e
gattini. Li guardava eppure non sentiva alcuna attrazione verso quei
capi, non si sarebbe provata neppure un abito. Sospirò
chiedendosi
il motivo per cui si costringeva a visitare quei dannati negozi
spumeggianti. Pensava che magari, guardando quei tessuti sgargianti,
le sarebbe venuta voglia di essere femmina, o perlomeno di
comportarsi come tale. Magari avrebbe comprato un abito e poi avrebbe
indossato il mascara, poi la cipria e magari sboccerà l'idea
di
baciare un ragazzo.
Innalzò il capo e lo sguardo vaneggiò lungo i
capi ma
assieme ad essi rientrarono dei volti accigliati.
“ Ci
risiamo “ pensò
tra se,
quelle espressioni erano parlavano chiaro e sapeva benissimo cosa
passava nella testa di quelle ragazze truccate e ben vestite: é
un maschio o una femmina? Che diamine ci fa qui?
Sentiva la collera schiantarsi contro il suo petto con
la potenza d'una onda marina, ma nel profondo sapeva che non poteva
dargli tutti i torti: indossava perennemente felpe e tute da
ginnastica troppo larghe per la sua taglia, i capelli corti destavano
dubbi sulla sua appartenenza di genere e quindi sì, spesso
la
scambiavano per un maschietto dai lineamenti androgini. La cosa non
le dispiaceva, eppure non le donava neppure gioia.
In quel negozio fosforeggiante lei non era altro che un
pugno in un occhio, allora decise di uscire per immergersi nella
calca di gente.
Stava già progettando di tornare a casa, magari dopo
sarebbe andata a mangiare una pizza con Armin e Mikasa …
<< Eren >>
Un brivido che partì dalla punte dei capelli percorse
tutta la colonna vertebrale e si bloccò, i piedi si
incollarono al
pavimento e pareva un blocco di cemento tutt'uno con il suolo
sottostante. Granitica raggelò sotto il cappotto. Con una
lentezza
disarmante si voltò ben sapendo a chi appartenesse quella
voce che
solo lei poteva riconoscere ben distinta in mezzo a quel
chiacchiericcio.
Nel momento in cui si voltò vide due pupille tempestose
mal celate da qualche ciuffo nero.
<< Scusa, volevo dire Erna >>
La chiamata si limitò ad annuire, non si era offesa
affatto, anzi nei suoi sogni la chiamava così e se lo faceva
anche
nella realtà, le andava più che bene.
Dalla bocca dell'uomo uscì uno schiocco di lingua
simile a un sibilo d'un serpente
<< Non mi sembri il tipo che fa acquisti in questo
negozio >> lo sguardo scivolò sulla vetrina
ove un manichino
vestiva un abitino corto dalla stampa floreale, poi cadde su di lei.
La squadrò da capo a piede e questo la irritò
eccome.
<< Hai qualche problema riguardo il mio
abbigliamento? >>
Lui innalzò un sopracciglio scuro e la fulminò
con lo
sguardo
<< No, il tuo abbigliamento non m'interessa.
Potresti girare con un sacco di iuta addosso e non me ne importerebbe
un accidente >>
“
certo che la schiettezza di questo
uomo è
disarmante”
<< Andiamo a bere un the >> non lo chiese,
lo pronunciò secco, alle orecchie di Erna giunse come un
ordine.
<< Il the mi fa schifo >> disse con
l'intento di sfasciare il piano. Non disprezzava la bevanda proposta,
però non voleva assecondare i suoi comodi.
Gli occhi tempestosi rotearono verso l'alto
<< Allora berrai un caffè, magari una mocciosa
come te preferisce un bicchiere di latte >>
Lei spalancò le palpebre, diavolo la stava insultando a
più non posso con una facilità a dir poco
allarmante.
<< Forza, offro io >> voltò le
spalle e si
incamminò, lei si affiancò a lui per potergli dire
<< Che ti credi che non abbia i soldi per pagarmi
un caffè? >>
<< Un caffè sì, ma forse non ne hai
abbastanza
per un bicchiere di latte >>
Entrarono nel primo bar che incontrarono,
era piccolo
sobrio e poco affollato. Appena presero posto al tavolo entrambi si
levarono i soprabiti Erna lo guardò e comprese il motivo per
cui
l'aveva squadrata con quella nota disgustata. Lo facevano tutti,
eppure lui era in un certo senso giustificato dal fatto che era
impeccabile.
La camicia era
infruciata alla perezione all'interno del nero pantalone, neppure una
piega era presente sui tessuti.
<< Dai molta importanza all'abito >>
poté
dichiarare senza alcun problema.
<< I vestiti non son tutto però i
più stupidi si
basano su questi per capire chi sei >>
<< Non sono d'accordo >> l'affermazione
ruzzolò fuori dalla gola con una tale convinzione che Levi
la guardò
storto.
<< Se i vestiti dicono chi sono allora cosa dovrei
essere io? Una fanatica sportiva?! >> la buttò
lì ridendo
della sua stessa battuta, eppure Levi non si unì a quella
risata
<< I tuoi abiti non dicono nulla, rivelano
solamente che ti stai nascondendo >>
<< Che stronzata >> sbottò tutto
d'un
colpo, eppure si sentiva come se fosse stata smascherata, come se
fosse stata beccata nel compiere un furto.
<< No, non lo è. Gli abiti servono per coprire
il
proprio corpo, in un certo senso per nasconderlo però
bisogna farlo
con decenza >>
Erna rimase a bocca aperta, sentì le labbra cadere
verso il basso: era la prima volta che qualcuno le desse in un certo
senso ragione. L'aveva criticata ma l'aveva anche giustamente
spalleggiata.
La cameriera arrivò, raccolse la prenotazione e Levi
deviò la conversazione ponendo domande basilari:
dove sei nata?
Che scuola hai frequentato? Dove vivi?
Lei rispondeva secca, donava informazioni coincise.
La cameriera arrivò, pose sul tavolo un caffè e
un the
nero, quando si dileguò Erna decise che era il suo turno,
era
arrivato il momento per lei di porre domande
<< Perchè mi hai chiamata Eren?
>> seria
puntò lo sguardo contro il suo. Quella questione doveva
essere
risolta e anche in fretta.
<< Perchè tu ti sei messa a piangere come una
mocciosa? >> domandò e lei si sentì
punta nel vivo. Si stava
riferendo al loro primo incontro ed Erna doveva ancora riprendersi
dall'imbarazzo ma non lasciò che le guance si tinteggiassero
di
rosso, così raccolse tutta la grinta presente nel suo essere.
<< Comodo, sviare la domanda ponendone un'altra
>>
Levi scrollò le spalle per poi dire con noncuranza
<< Non lo so, probabilmente in passato ho
incontrato un ragazzo di nome Eren che t'assomigliava. >>
La spiegazione era logica quanto sensata, sembrava
crederci dato che il suo viso non tradiva alcuna emozione se non
quella d'una sicurezza imperturbabile, eppure mentiva. Erna ne era
assolutamente certa: se era così certo della sua
affermazione, non
le avrebbe proposto quel caffè, chi si darebbe tanto affanno
per una
persona sconosciuta? La possibilità che fosse interessato a
lei come
possibile partner era da escludere a priori: se il suo abbigliamento
non mentiva, sicuramente al suo fianco avrebbe voluto una ragazza
elegante, di certo non un maschiaccio androgino come lei.
<< E tu perchè ti sei messa a piangere?
>>
le pupille tempestose si puntarono contro quelle smeralde. L'aveva
posta con una certa noia, come se non gli interessasse realmente la
risposta. Erna non gli avrebbe mai detto la verità,
così con
noncuranza innalzò le spalle verso l'alto
<< Ero stanca e avevo le mestruazione. È stata
colpa degli ormoni >> fornì quella spiegazione
logica quanto
disonesta ma non si sentì affatto in colpa. Si era limitata
a
mentire come il suo interlocutore.
Si aspettava un certo disgusto da parte dell'uomo,
invece lui si limitò ad osservarla con un sopracciglio
innalzato
<< Capisco >> disse infine.
Il silenzio calò assieme a uno strano imbarazzo. Erna
avrebbe potuto porre altre domande per capire chi gli stava di
fronte, poteva chiedergli tante cose eppure l'unica
curiosità che
deturpava il suo cervello, non era stata sanata. Lui avrebbe
continuato a mentire, di conseguenza anche lei, perciò
parlare le
pareva inutile. Poteva mettere su una conversazione futile di poca
importanza giusto per prolungare l'incontro, ma non lo fece. Bevve il
suo caffè in un sorso, gettò qualche spicciolo
sul tavolo e si
dileguò via con una blanda scusa. Non si salutarono nemmeno.
. *** .
Percorrendo la strada di casa la giovane si
ritrovò a
rimuginare su una parola che le pizzicava la pelle: nascondersi.
Rifletteva su questo termine coniato alla sua tuta da ginnastica e si
ripeteva che era una sciocchezza. Non si nascondeva affatto! Lei
usciva, camminava sotto alla luce del sole, girava fra la gente senza
timore, si difendeva e attaccava, sia verbalmente che fisicamente.
Non si nascondeva in un buco buio impaurita dal mondo, certo, celava
le sue curve e il suo fisico, ma questo non stava a significare che
si vergognava di se stessa.
“ Io
cammino sempre a testa alta” .
Il pensiero susseguì l'azione, raddrizzò il
collo, lo stropicciò
talmente tanto che i nervi cominciarono a dolere sottoposti a quella
tensione forzata. Era arrabbiata per l'insinuazione fatta, se prima
l'aveva lasciata basita, in quel frangente si sentiva frustrata per
il semplice fatto d'essere stata criticata. Quello che bruciava
maggiormente al'interno del petto, non era la critica ma il fatto di
non essersi difesa. Chissà, magari se non fosse arrivata la
cameriera gliene avrebbe cantate a dovere.
Quando la chiamava Eren il cuore partiva a tutta
velocità, andava a fuoco assieme alla sua pelle e brividi
caldi la
percuotevano fino al midollo. In un certo senso era come ritrovarsi
in quel sogno, era come volare, ma quando si ritrovava con lui in uno
spazio ristretto con i piedi ben piantati al suolo, l'unica
sensazione che le lasciava era il disagio. Quello sguardo tagliente e
boom! In uno scoppio riusciva a leggere i suoi pensieri e poi le
parlava con quel fare impregnato di sarcasmo critico …
“ Che nervi!!
“ pensò fra sé serrando la
mascella.
Forse doveva dimenticarlo e sperare di non incrociare
mai più la sua strada. Eppure lasciare andare via
così quella voce,
poteva farlo? Forse sarebbe stato difficile, ma la sua vita era
talmente incasinata che non voleva aggiungere un tassello enigmatico
come Levi. Sicuramente non era una persona facile con cui andare
d'accordo dato il suo modo di fare saccente.
Sospirando entrò in casa aspettandosi un micidiale
rimprovero da parte di Mikasa: dopo l'allenamento era uscita senza
avvertirla, conoscendola sarebbe stata lì dinnanzi alla
porta con le
mani sui fianchi pronta a rimproverarla. Quando entrò fu
accolta da
due occhi muti. Annie era lì seduta sul divano.
La salutò con un cenno del capo per poi sedersi al suo
fianco. Da quando le due erano fidanzate, veniva spesso da loro, a
volte si accampava per interi fine settimana perciò Erna non
si
stupì di vederla. Annie non la disturbava affatto anzi, era
talmente
silenziosa che tali volte non s'accorgeva neppure della sua presenza.
Tutti a scuola dicevano che era strana, il suo silenzio era
interpretato come una sorta di superiorità nei confronti
degli
altri, ovviamente questo irritava i suoi coetanei. Erna invece no, il
fatto che fosse una persona silenziosa non le pareva un difetto, non
aveva molta confidenza con lei, ma probabilmente parlava poco
perché
non gli andava di movimentare la lingua tanto per fare.
Si stravaccò al suo fianco, non sentendo la voce di
Mikasa e non vedendola con gli occhi chiese
<< Dov'è Mikasa? >>
<< E' andata a cercarti >>
Sbuffò. Le sorelle avevano la stessa età eppure
la
trattava come se fosse la sorellina minore. Sapeva che quella era una
dimostrazione d'affetto, eppure tali volte la preoccupazione di
Mikasa la faceva sentire intrappolata, una sensazione più
che
sgradevole.
<< Si preoccupa sempre per te, e mi ha parlato del
tuo problema >>
<< Quale problema? >> curiosa la
guardò
attendendo la risposta
<< Del fatto che non provi attrazione né per
gli
uomini né per le donne >>
Erna scrollò le spalle, quello non lo avvertiva
più
come un problema, era solamente una questione di fatto.
<< Beh, sappi che non è una cosa
così anormale
>> la bionda pose una mano sul suo ginocchio attirando la
sua
attenzione.
<< Ci sono persone che si innamorano delle anime.
>> Erna corrucciò la fronte vedendo Annie
avvicinarsi
<< Il copro spesso viene sopravvalutato, molti si
innamorano di quel involucro di carne ma solamente le persone
più
sensibili riescono ad andare oltre >> si
avvicinò
pericolosamente, Erna non fece neppure in tempo ad accorgersi
dell'inequivocabile intento che le labbra vennero tappate
da quelle sottili della bionda. Sbalordita rimase
impietrita, immobile con la paura di respirare lasciò che la
lingua
si insinuasse all'interno della sua bocca, lasciò che
accarezzasse i
suoi denti, ma quando il bacio s'approfondì, si
discostò finendo
nell'angolo più lontano del divano.
<< Cazzo, Annie! Che ti è saltato in testa?
>>
sbottò sconvolta sfregando energicamente la manica della
maglia
sulla bocca.
<< Hai sentito nulla? >>
<< Ho sentito la tua fottuta lingua >>
incalzò irata non solo dalla domanda stupida ma anche dal
suo
atteggiamento. Era tranquillissima, come se non avesse commesso
qualcosa di moralmente sbagliato.
<< Non hai sentito il calore, le scosse
elettriche, il formicolio, giusto? >>
<< No >>
<< E' come immaginavo >> un sorriso tirato
si dipinse sul suo volto ed Erna sbatté le palpebre sempre
più
incredula. Rimase zitta lasciando giustificare la faccenda alla ruba
baci a tradimento
<< Tu sei quel tipo di ragazza che si innamora
delle persone perciò >> picchiettò
il dito sulla tempia
<< La tua zona erogena sta qua. Un giorno ti
innamorerai di una splendida anima >>
<< E tu come fai a saperlo? >> chiese,
seppure scocciata da quel gesto improvviso, voleva sapere da dove
discendeva quella sicurezza
<< Beh, io ho trovato Mikasa >>
La ragazza s'innalzò dal divano afferrando la giacca
posta sull'attacca panni.
<< Dove vai? >> domandò stordita
dall'informazione.
<< Vado a cercare la mia amata anima >>
Appena la porta sbatté, Erna portò le dita alle
labbra
intenerita ma al contempo divertita dal gesto azzardato di Annie: in
un modo poco ortodosso ma efficace le aveva spiegato il suo punto di
vista. Forse le chicchere che aleggiavano intorno alla figura della
nanerottola erano veritiere: Annie è strana!
L'amore per Erna era un terreno che aveva circumnavigato
a passo felpato, ma poi voltò le spalle a quella regione
parecchio
tempo fa e non era molto propensa a girare il capo all'indietro.
Nonostante ciò sarebbe stato piacevole porre un pizzico di
fiducia
nelle parole di Annie.
Si ripigliò dai suoi pensieri
realizzando il fatto che
sulla lingua aveva la saliva di Annie, nonché la ragazza di
sua
sorella, magari prima si era scambiata un bacio con quest'ultima. Un
pensiero a dir poco disgustoso e così corse in bagno armata
di
spazzolino, collutorio, dentifricio e filo interdentale.
Angolo psichiatrico
Ciao carissimi/e :)
Come prima cosa ci tengo a ringraziare tutti voi che
avete inserito la storia tra le seguite, preferite o ricordate( mi
rendete molto felice:)) ovviamente dedico un abbraccio grande a tutti
coloro che hanno commentato fino ad ora <3
Tornando al capitolo appena pubblcato onestamente non ho
molto da dire, i protagonisti sono confusi e irritati e tutto
è
ancora avvolto nel mistero.XD
Ora mi dileguo, spero di senture le vostre opinioni:)
un abbraccio
Mistiy
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