Il nome Eren

di Mistiy_Ronny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi è Eren? ***
Capitolo 2: *** Incontri ***
Capitolo 3: *** Anime strane ***



Capitolo 1
*** Chi è Eren? ***


La pelle pareva volersi distaccare dalle ossa, il vento le si schianta addosso con un tale potenza che il respiro s'annullava nel petto
La sensazione del cadere, del non avere il terreno sotto ai piedi era liberatoria. Quel pavimento spesso la limitava, la rendeva consapevole di quanto il cielo fosse lontano ma in quel momento il pavimento non esisteva, la volta celeste era così vicina da parere la propria casa.
La caduta non poteva essere infinita, il suolo marrone macchiato da chiazze verdi diveniva sempre più imminente e così sentì il rumore d'un meccanismo azionarsi, lo spiccò va contro una superficie rocciosa, e una corda nera si muove per attaccarsi contro un immenso tronco. Sospinta da quella stessa corda va e una specie d'energia la innalza verso l'alto così il collo s'incurva e lo sguardo s'affaccia verso una volta celeste tappezzata da sprazzi bianchi.
<< Eren >> 


<< Erna! >> spalancò gli occhi per ritrovarsi faccia a faccia con una sorella alquanto severa.
<< Muoviti, dobbiamo andare a scuola >> si dileguò dalla stanza ed Erna lasciò andare un sospiro nervoso. Quanto sarebbe stato bello tornare a volare tra gli alberi e invece no, doveva scendere dal cielo per immergersi nella quotidianità. La ragazza si trascinò verso il bagno e con la velocità di un automa si lavò evitando di gettare lo sguardo sullo specchio, onde evitare che il morale instabile sfociasse nel disgusto.
Si infilò un paio di pantaloni da ginnastica, una felpa e poi giù in cucina ove una tazza di caffè caldo l'attendeva sul tavolo. Accanto alla tazza di porcellana vi era un piatto contenente un impasto rinsecchito dai contorni marroncini, era inedentificabile. Erna storse il naso decidendo che per quella mattina si sarebbe saziata con l'amara bevanda.
<< Che fai? Non mangi? Guarda che la colazione è importante >> eccola, puntuale come un orologio sua sorella coglieva sempre la possibilità per rimproverarla.
<< Lo so, me lo dici tutte le mattine, ma non ho fame >> buttò giù il caffè per poi acchiappare le chiavi della macchina.
<< E poi guarda >> Erna indica l'orologio affisso alla parete << è tardi >>
Mikasa le mollò un'occhiataccia ma non ribatté, con l'orologio non si poteva discutere.
Uscirono di casa e l'aria gelida mattutina penetrò sotto ai capotti. Mentre proseguirono il cammino verso la macchina, due occhi smeraldi si soffermarono verso un cielo tenero, sarebbe stato bello spiccare il volo e arrivare così a scuola anziché utilizzare quel catorcio a quattro ruote.


Nervosamente la chiave rigira e gira in senso orario e antiorario. L'unica risposta che s'otteneva dal motore era un rumore greve e intoppato.
<< Fanculo >> sbottò picchiando la mano contro il volante.
<< Lamentarsi è inutile >> disse Mikasa scendendo giù dall'auto
<< Se corriamo arriveremo in tempo >>
<< Magari potremmo approfittare dell'imprevisto e tornarcene a letto >> puntualizzò trovando l'opzione decisamente più piacevole rispetto a quella proposta da Mikasa ma quet'ultima non parve disposta ad accontentarla.
<< Erna, è l'ultimo anno scolastico e data la tua pessima media scolastica, non puoi permetterti d'assentarti >> disse con un tono che non ammetteva alcuna replica.
Esasperata Erna sbuffò ma non poteva contraddirla: il numero più elevato trascritto sulla sua ultima pagella era un sette e riguardava il voto di condotta.
Fianco a fianco cominciarono a correre, andare a scuola era una bella scocciatura, ma andarci a piedi era una straordinaria rottura di scatole.
Le ginocchia si innalzavano forsennate, il vento sputava sui loro volti aria gelida.
Un dolorino alla pancia attirò l'attenzione di Erna, ma non si fermò. Quel piccolo crampo era fin troppo familiare e di certo non l'avrebbe fermata.


. *** .


Avevano spaccato il minuto, nel momento in cui varcarono la soglia della porta la campanella suonò. Sfrecciarono lungo i corridoio per poi prendere posto ai banchi con il fiato corto uscente dalle labbra.
Nemmeno il tempo di riprendersi dalla corsa smorza fiato che il professore entrò.
<< Buongirono >> movimentò la bocca grassa e senza attendere alcuna contro risposta, ordinò << aprite pagina centoottanta >>. Tutti obbedirono al comando, anche Erna svogliatamente aprì il volume. Lo studio non faceva per lei, questa era una certezza assoluta, infatti appena il professore pronunciò la parola “ rivoluzione industriale”, il cervello di Erna s'atrofizzò e lo sguardo andò verso la finestra. I raggi obliqui si facevano strada verso un cielo limpido, quella bellezza naturale era rovinata dalla presenza di tetti grigi e antenne metalliche alte e grezze. Avrebbe tanto voluto incenerirli con lo sguardo, farli scomparire per poi spiccare il volo in una vasta landa azzurra.
Una fitta dolorante e la mano scivolò verso il basso ventre.
Per le piccole donne le mestruazioni non sono mai un qualcosa d'indifferente, per alcune è quasi un vanto, per altre è una piaga, per altre ancora è una stupida scocciatura. Per Erna quel ciclo naturale che doveva subire ogni mese, era un dannato pugno in faccia. Ogni mese le si presentavano e il suo corpo gridava “ sei una donna!”.
Nascondeva le curve dietro abiti larghi e privi di forma, manteneva capelli corti, non esaltava gli occhioni con mascara e altre diavolerie, eppure quelle dannate mestruazione arrivavano sempre.
Una contrazione ventrale la fece piegare su se stessa
<< Fanculo >> imprecò a denti stretti, il suo soffio disapprovato sarebbe potuto passere inosservato, sarebbe stato coperto dalla voce greve ed autoritaria del professore, eppure le sue labbra si aprirono in uno di quei rari attimi di silenzio.

Ecco, ora ho attirato l'attenzione di tutti questi stronzi” pensò tra sé e sé guardandosi attorno. Nel campo visivo rientrarono sgurdi vispi, incuriositi dall'esclamazione

<< Signorina Jeager non ha una bella c'era. Perchè non va in bagno a sciacquarsi il volto anziché offendere la mia lezione >>

non attendevo altro vecchio grassone”

Pensò fra sé eseguendo il comando.


. *** .


La mano a coppa sotto al getto d'acqua e scaraventò tutto il contenuto sulla pelle.
Le goccioline gelide percossero il volto, un brivido le procurò un sollievo decontraendo i muscoli tesi del volto, si trattò di un sollievo effimero dato che svanì nel momento in cui si ritrovò faccia a faccia con se stessa. Lo specchio rettangolare situato sopra al lavello mostrava un volto dai lineamenti delicati coperti da una pelle olivastra. La bellezza che derivava da quei tratti era inequivocabile, ma i protagonisti del riflesso erano due grandi occhi d'un verde serpentino ornati da due lunghe ciglia scure. Era proprio una bella ragazza, questo era un dato di fatto che non poteva nascondere. Un occhio esterno poteva mettere in dubbio per qualche secondo la sua natura, ma bastava soffermarsi su di lei qualche istante in più per percepire la sua femminilità.
Questo dato di fatto avrebbe dovuto riempire il cuore d'orgoglio di una ragazza, sì peccato che Erna non era una ragazza qualunque.
Il volto si contrasse in dolorose pieghe e la mano racchiusa in un pugno tremava dalla smania di frantumare in mille pezzi quel dannato riflesso che non faceva altro che conclamare la sua natura fisica.
Riabbassò il pugno pulsante lungo il fianco per poi chiudersi all'interno d'un gabinetto. La puzza nauseante di fogna salì dalla bocchetta del gabinetto, penetrò nelle narici per poi insinuarsi e stringere la bocca dello stomaco. Poteva sopportarlo, almeno lì non vi erano specchi.
Abbassò il coperchio del water per poi sedervisi sopra. Racchiuse il volto all'interno delle mani inclinandosi in avanti e cercò di espirare ed inspirare profondamente. Era un di quei brutti momenti in cui la testa vorticava a più non posso e la sensazione d'avere un macigno sopra al petto la soffocava. Doveva calmarsi, quella frustrazione furente era causata dall'ingiustizia di vivere all'interno di un corpo che non riusciva a riconoscere come suo, quella ingiustizia però non avrebbe mai trovato una sorta di risarcimento.

<< Erna, >>
Trasalì colta di sorpresa dalla voce di sua sorella.
<< Posso entrare? >> Mikasa non attese neppure la risposta per insinuarsi all'interno, chiuse la porta dietro di sé per appoggiare la schiena dietro la lastra di legno.
<< Certo, con comodo >> disse inacidita da quella mancanza di privacy
Mikasa guardò Erna, studiò la sua pelle sudata, il respiro alterato e sapeva che doveva stare lì nell'angolo, ben sapendo quale era il problema
<< Stai meglio? >>
Erna annuì, la collera era scemata assieme al dolore ventrale.
<< Bene >> sentenziò decisa a tornare in classe e trascinare anche sua sorella ma la mano si soffermò sulla manopola.
<< Erna so che per te le mestruazioni sono un problema, so che vorresti essere un ragazzo … >>
<< Ti sbagli, io non vorrei essere un maschio >> secca disse interrompendo le parole della giovane la quale strabuzzo gli occhi colta da quella rivelazione, ma nonostante tutto non si fece trascinare dalla sorpresa,
<< Io vorrei essere Eren >>
Mikasa corrucciò la fronte confusa, reattiva scavò nella memoria alla ricerca di quel nome o perlomeno un volto associabile a quel nome. Non lo trovò.
<< Forza, andiamo >> Erna si alzò in piedi e con fare sbrigativo scansò sua sorella dalla porta per scivolare via.


Era riuscita a evitarla durante l'intervallo, sapeva che Mikasa non avrebbe sorvolato sulla conversazione avuta in quel quadrato puzzolente. Era riuscita a evitare la conversazione anche durante il tragitto verso l'autobus, grazie al cielo le persone non erano state create per parlare con il fiato smorzato dalla fatica.
Stavano sedute nel silenzio accompagnate dal chiacchericcio dei passeggeri del'autobus e dai rumori esterni della città. Erna sapeva che quella era l'occassione propizia per instaurare la tanto temuta domanda che di fatti non tardò ad arrivare
<< Chi è Eren? >> domandò Mikasa volgendo il capo verso di lei
<< Nessuno >> rispose con la fretta di qualcuno che non vuole essere scoperto
<< Devi sapere chi è dato che vorresti essere come lui >> la incalzò senza distogliere neppure per un secondo lo sguardo dalla sorella.
<< Mikasa, non è nessuno! >> deve averlo annunciato con una nota troppo alta, dedusse questo Erna dato che tutti i passeggeri avevano smesso di blaterale e avevano voltato il capo verso di loro. Avevano inscenato un bello spettacolino.
Mikasa discostò lo sguardo dalla giovane per rivolgerne uno carico d'astio all'ambiente circostante.
<< A casa ne parliamo >> disse la sorella senza lasciare trapelare alcuna emozione.

Mkasa certe volte fa paura” pensò Erna, questo dato era comprovato dal fatto che tutti i presenti avevano chinato il capo riprendendo le attività interrotte.


. *** .


Devo andare da Annie, appena torno a casa parliamo”

Mikasa intraprese un'altra strada annunciando quelle parole.
Erna sbattè la porta di casa felice del fatto che sua sorella non ci fosse, doveva assolutamente riposare lei non glielo avrebbe permesso.
Un brontolio proveniente dalla pancia gli ricordò che non si era ancora nutrita così aprì il frigo, all'occhio saltò della pasta precotta. Sbattè l'involucro all'interno del forno a microonde, girò la manopola ed attese.
Si voleva godere quella pace che presto sarebbe stata interrotta dal ritorno a casa. In quel lasso di tempo avrebbe avuto tutto il tempo necessario per elaborare una risposta plausibile.

Chi è eren?

Bella domanda al quale proprio non poteva rispondere o per meglio dire, non riusciva a fornire una risposta logica.
Eren non l'aveva mai visto, non sapeva neppure che aspetto avesse, in teoria si trattava di un nome maschile perciò doveva trattarsi di un uomo. Non sapeva assolutamente nulla a riguardo però nei sui sogni quelli in cui volava, vi era sempre quella voce rude ma capace d'accarezzare la pelle. Non era mai riuscita a vedere il proprietario di quel suono, ogni volta si risveglaiva la visione onirica svaniva assieme al movimento della palpebra.
Il timer del fornello squillò spezzando lo scorrere dei pensieri.
Buttò sul tavolo quell'ammasso di pasta fumante, sopra vi era un condimento che aveva lo stesso colore del sangue, forse si trattava di pomodoro mescolato al kechup, un autentica schifezza ma non vi badò.
La forchetta affondò e si ritrovò a masticare un maccherone che aveva la stessa consistenza d'un pezzo di gomma aromatizzato. I denti cozzavano nel tentativo di maciullare quello schifo, non era minimamente paragonabile alla pasta che preparava mamma ma lei se ne andò via troppo presto. Quando morì aveva dieci anni e non le aveva potuto insegnare a surriscaldare neppure l'acqua per bollire la pasta. Erna era troppo ingenua e trasognante per prestare attenzione alle ricette culinarie che la madre metteva costantemente in pratica sotto i suoi occhi.
La nausea l'agguanto, gli era tornato alla mente il sapore della cucina di mamma e per qualche ora gli sarebbe stato impossibile mangiare qualsiasi altra cosa . Senza neppure sprecarsi di mettere il piatto in lavastoviglie, si gettò nel letto affondando la chioma color ciccolato nel cuscino morbido.

Voglio essere Eren?

La domandà saettò per poi rimbalzare tra le pareti del carneo con una tale velocità che Erna sospirò innervosita.
<< Non lo so >> rispose flebile per portare l'avambraccio sopra agli occhi.

Angolo psichiatrico

Ciao:)

Allora … che dire? Boh … non ho mai letto una fan fiction con il tema della reincarnazione anche se non credo sia così originale il fatto che Eren si sia reincarnato nel corpo d'una ragazza.
Poi non so cosa dirvi, ho così tante fan fiction da concludere e io comincio a pubblicarne una nuova?! Come posso giustificarmi? Credo che l'ispirazione purtroppo non segue la ragione T.T

Ok, dopo queste blande scuse torniamo a questa storia, per meglio dire questo primo capitolo: vi ho presentato un unico personaggio perché non volevo appesantire l'attenzione della lettura, forse è un capitolo noioso e alquanto confuso, ma dal prossimo entrerà subito in gioco Levi( non aspetto altroXD)
La storia porta l'avvertimento di “tematiche delicate” dal punto di vista di Erna perchè si parlerà parecchio dell'identità in particolare di quella sessuale, perciò non sarà una storiella leggera. (sudo freddo, ce la farò?)
Dunque, direi di aver detto tutto quello che avevo da dire e spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Non vedo l'ora di conoscere le vostre impressioni perciò spero di sentirvi

un abbraccio

Mistiy

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Capitolo 2
*** Incontri ***


Era inciampata in un sonno privo di sogni che quando si alzò non riuscì a sentirsi riposata, tutt'altro. Si rialzò con la testa tambureggiante e l'umore di traverso, il fisico era ancora più infiacchito di quando aveva posato la nuca sul cuscino. Scese giù per lubrificare la bocca secca con un bicchiere d'acqua e lo sguardo andò alla finestra, constatò che il crepuscolo invernale era già giunto. Il sole era tramontato dietro le case e il cielo era dipinto da una miscela di colori tendenti all'arancione. Perché i tramonti invernali erano sempre così fantastici? Non potè perdersi in pensieri romantici dato l'occhio cadde sul frigo metallico, sopra all'anta risaltava un quadratino giallo.

Nell'armadio c'è uno scatolone, all'interno vi sono giocattoli. Portateli il più presto possibile all'asilo di Trost “little Titans". Sono per la donazione natalizia “ vi era scritto questo sul post-it fluorescente e una smorfia nacque sul suo viso, riconobbe la calligrafia di suo padre, se così si poteva chiamare un individuo che si faceva vedere qualche ora alla domenica per poi ripresentarsi sotto forma di post-it o richieste telefoniche.
Non era mai stata una figura molto presente nella sua vita ma da quando sua madre era morta non faceva altro che viaggiare per lavoro e così Mikasa ed Erna, crescerono praticamente da sole.
Non portava un grande rancore nei confronti di suo padre, nel momento in cui era venuto a mancare il collante di quella famiglia lui se le era data a gambe ma nonostante ciò le manteneva economicamente, non lo rispettava ma perlomeno non le aveva abbandonate completamente a loro stesse.
Prese il foglietto tra le mani rileggendo la frase, si soffermò sulle parole “donazione natalizia”, Grisha stava scaricando addosso alle figlie una sua dimenticanza, Erna non avrebbe fatto una bella figura consegnando di persona quel regalo dato che il mese Natalizio era passato da un pezzo.
Guardò la pattumiera stracolma di rifiuti di ogni sorta e la tentazione di gettare la richiesta su quella montagnola fu molto invitante, anzi era quasi irresistibile, però rifletté: Mikasa presto sarebbe tornata a casa per “parlare” ma lei sarebbe potuta uscire e quella le sembrava un occasione per fuggire via.
Mise il pezzo di carta nella tasca pronta per uscire.

. *** .


Levi Ackerman era sempre stato definito come un individuo distaccato e poco socievole, Tale deficit era compensato da un'intelligenza arguta e da un senso del dovere che avrebbe fatto invidia qualsiasi militare. Questa era l'impressione che lasciava impressa ai conoscenti e a coloro che avevano avuto la possibilità d'incontrarlo. Questa personalità riservata accompagnata da due occhi tempestosi resi ancora più profondi da quelle sfumature scure poste sotto gli occhi, aveva strappato il cuore a un considerevole numero di ragazze. Quello che le faceva impazzire era quel riflesso tenebroso impresso nei suoi occhi, era talmente affascinante che la bassezza passava in secondo piano.
Per tutti questi insieme di motivi al capezzale della sua casa si presentavano parecchie donne, ma veramente poche ebbero privilegio di entrarvi. Se fosse stato dieci centimetri in più probabilmente avrebbe derubato i cuori dell'intera città.
Questo diniego verso le avance femminili portarono parecchie male lingue a insinuare il fatto che fosse omosessuale, ma il pettegolezzo non venne mai confermato dato che Levi non fu mai visto approcciarsi in modo provocatorio assieme a un altro uomo. Mai. L'orientamento sessuale del giovane rimase un mistero per le povere ragazze con il cuore infranto, ma la verità era molto semplice: Levi non era minimamente interessato a intrattenersi in una relazione sentimentale, né con un uomo né con una donna. Certo, era un essere umano dotato di ormoni perciò aveva avuto qualche scappatella ma il numero era talmente esiguo che le si potevano contare sulle dita d'una mano. In quella apatica indifferenza che poteva essere scalfita solamente da amici stretti, trascorse gli anni del liceo e anche quelli universitari.
Terminata l'università tutti i suoi compagni s'aspettavano che si sarebbe unito a chissà quale compagnia importante, che un uomo così diligente e impeccabile fosse destinato a diventare un pezzo grosso della società. Quando Levi aprì un asilo spiazzò tutti quanti lasciandoli con le mandibole spalancante e le braccia cadenti. Un uomo dall'animo glaciale aveva deciso di trascorrere la sua vita assieme a dei marmocchi urlanti, persino il suo migliore amico Erwin, la persona che vantava il fatto di conoscere meglio di chiunque altro Levi, era rimasto basito da tale scelta. Quest'ultimo osservava il moretto movimentarsi qua e là armato di grembiule e scopa: quando anche l'ultimo bambino era stato raccattato su dalla mamma, Levi e i restanti collaboratori si mettevano sempre all'opera per far risplendere quel posto ed eliminare ogni sorta di sporcizia prodotta da quei “piccoli titani straccia palle”(così li definiva Levi).
Il gigante biondo vestito in giacca e cravatta, posò il sedere su un basso tavolino e aprì bocca
<< Senti Levi, tu non mi hai ancora spigato il motivo per cui fai l'insegnante >>
<< Perché sono cazzi miei >> disse in tutta calma senza mostrare la minima rabbia.
<< Beh, lo sai con i voti che avevi potevi fare qualsiasi mestiere, ogni esame l'hai superato con la lode >>
Il corvino disattivò l'attenzione dal pavimento impolverato per porla all'amico.
<< Tipo il dirigente di banca? >> disse sarcastico squadrando da capo a piede.
<< Non sdegnare così il mio mestiere, guadagno bene, posso viaggiare e se tu fossi il mio vice … >>
<< No, non m'interessa, perciò smettila di corteggiarmi con stipendi assurdi e viaggi gratuiti come se fossi la fighetta più ambita del paese >> disse secco ed Erwin non poté fare altro che sorridere
<< Beh, tu sei la fighetta del regno, hai ricevuto più proposte lavorative tu di tutti i laureandi del nostro corso >> sorrise ripensando alle montagne di lettere e telefonate ove i dirigenti di compagnie internazionali domandavano la sua presenza, tali volte venivano persino a supplicarlo.
<< Io sto bene dove sono >>
<< Questo non lo metto in dubbio, però non hai risposto alla domanda. >>
Lo stava per mandare al diavolo ma vendendo lo sguardo di Erwin illuminato da una genuina curiosità, decise che fra tutti era l'unico che meritava una risposta.
<< Non vado molto d'accordo con le persone, lo sai no? >> Erwin annuì, il suo fare impregnato di sarcasmo tendeva ad allontanare la gente.
<< Non amo neppure i bambini, sono stupidi però la loro stupidità è in qualche modo è giustificata dal fatto che non hanno vissuto abbastanza per poter prendere decisioni intelligenti, inoltre ho la sensazione che in una vita passata avevo a che fare con dei mocciosi >>
Erwin sbatté le palpebre alquanto confuso pensando che l'amico aveva aspirato troppo l'odore del pongo e della colla. Levi notò immediatamente la nota confusa dipinta-si nel suo volto
<< Erwin lascia stare, non sforzare quel cervello matematico >>
Erwin rise di gusto, poteva averlo anche sorpreso con quella professione ma in fondo a Levi s'addiceva quel lavoro: era un uomo dotato d'un carisma innato che lo rendeva un ottimo leader, di conseguenza un bravo maestro rispettato. Riusciva a infondere fiducia nelle persone.
<< Piantala di ridere come un cretino, non dovresti tornare a casa da tua moglie? >>
<< Sì dovrei >>
<< Allora sposta quel culone dalla sedia e vai >>
<< Va bene Levi, ci vediamo >>



. *** .


<< Che diamine c'è qua dentro? Giocatoli o mitragliatrici? >> sibilò a denti stretti trattenendo lo scatolone fra le mani. Era dannatamente pesante, se ne era accorta mentre lo caricava sull'autobus ma prese coscienza della sua effettiva pesantezza dopo aver percorso sei isolati. Doveva percorrerne altri cinque.
Non era solamente pesante, ma lo scatolone era talmente ingombrante che le intralciava la visuale frontale, perciò onde evitare di finire con il sedere a terra, doveva controllore a dovere i propri passi.
Lo sguardo andò verso la laterale strada sgombra per poi capitare al marciapiede opposto, intravide sotto la luce dei lampioni una figura, anch'essa pareva avere qualcosa d'ingombrante fra le braccia. Provò una certa empatia nei confronti di quella persona.
Gli occhi altalenarono un poco( per quanto la situazione glielo concedesse), attorno a sé e si rese conto che non vi era nessuno, passava accanto a negozi dalle saracinesche abbassate, non vi erano passanti, il silenzio era colmato dai rumori di auto vaganti in altre strade e dai suoi stessi passi. Non era così tardi, il buio era calato eppure non poteva aver passato così tanto tempo sul veicolo che l'aveva portata in quella zona. Fatto sta che le uniche anime vaganti in zona era lei e il tipo situato al di là del marciapiede. La coda dell'occhio si riposizionò dall'altro capo e la figura scura c'era ancora, continuava a camminare, gli parve che la stesse scrutando furtivamente.

Ecco, ora sto diventando paranoica come Mikasa, quella appena vede uno con la faccia losca si mette sulla difensiva” pensò fra sé.

Nonostante la rassicurazione mentale l'occhio le sfuggiva e andava sempre a finire là, ove l'uomo continuava a camminare, forse andava per la propria strada e non s'era curato neppure della sua presenza, eppure la sgradevole sensazione d'essere osservata non se ne voleva andare via.
Per smentire quei dubbi paranoici piantò i piedi per terra, girò il collo e lo vide, anche lui s'era arrestato. Lo osservò cercando di studiare l'immagine ma la notte limitava la vista e la distanza era troppo lunga per un occhio nudo. L'unica cosa che poté recepire era che vestiva scuro e tra le mani reggeva qualcosa di grande dalla forma cubica. Attendeva che si muovesse, che compisse una qualsiasi mossa invece rimaneva lì fermo con il capo volto verso la sua direzione, questo fatto la innervosì a tal punto che decise d'agire.

Ora vado a sentire che cacchio vuole questo qui “ pensò fra sé e sé mentre posava il pacco a terra.

Marciò decisa, percorse la strada, l'individuo la imitò.
Passo dopo passo la figura poco chiara cominciò a prendere forma, il viso era ancora nascosto dall'oscurità, però poté notare che era dotato d'una corporatura sottile perciò si trattava senza dubbio d'una ragazza, tra le mani stringeva il pugno, forse deteneva un arma così Erna la imitò, non possedeva un oggetto affilato, ma era un asso nel combattimento corpo a corpo. Era pronta a intrattenersi in un combattimento frontale così accelerò il passo per poter sferrare il primo colpo ma quando calpestò il marciapiede si bloccò. Alzò il pugno piano verso l'alto e la ragazza portò all'insù il braccio sinistro. Erna compì un passetto all'indietro e la sconosciuta fece lo stesso. Il fiato le morì in gola quando constatò che quello si trattava di un edifico con i vetri a specchio, il nemico non era altro che il suo riflesso, non si era riconosciuta. Tutta la pesantezza della consapevolezza le piombò addosso schiacciandola contro l'asfalto. La testa prese a girare come una trottola e le orecchie furono tappate da un fastidioso ronzio. Non era la prima volta che le capitava, era già successo parecchie volte in passato perciò sapeva come risolvere la situazione, come smaltire quella schiacciante oppressione. Veloce scoprì la l'avambraccio portando la manica fino al gomito e senza alcuna esitazione, affondò i denti. La bocca si riempì d'un gusto metallico dalla nota amara così distaccò i denti, guardò le goccioline scure calare giù dalla piccola ferita e il bruciore pulsante la fece tornare alla realtà: sentiva già i piedi leggeri, la vista non girava più e l'udito stava tornando. Con un fazzoletto di carta preso fuori dalla tasca, tamponò la ferita, non era profonda e il sanguinamento s'era già arrestato. Gettò uno sguardo veloce al riflesso di fronte a sé e due labbra macchiate da gocce cremisi brillavano. Con un altro fazzoletto le scacciò via dal volto per poi ritornare sui propri passi accompagnata da quel piccolo dolore .


. *** .


Era quasi giunta, aveva superato il cancello e si ritrovava in un giardino decorato con qualche scivolo e un paio di altalene. La meta oramai era stata raggiunta e francamente non vedeva l'ora di mollare quel coso per tornarsene a casa, anche se questo fatto comportava il dover affrontare Mikasa.
Sbuffò nel momento in cui notò dei gradini condurre verso la porta vetrata. La meta era così vicina eppure così lontana. “Un passetto alla volta” si ripeté.
Così fece e ci riuscì, il secondo problema stava nel pigiare il campanello, non poteva di certo imbrattare lo scatolone posandolo sul marmo. Con qualche strana acrobazia riuscì a spingere il piccolo bottoncino adoperando il gomito.
Nessuno si presentò al capezzale, ritentò.

Giuro che se nessuno si presenta, lascio qua tutto e me ne sbatto le palle!” ripeté mentalmente mentre il piede tambureggiava frenetico sul suolo sottostante.

Il rumore d'una porta, si sporse leggermente per dare un'occhiata a chi era dinnanzi a sé, ma prima della vista venne raggiunta da una voce
<< Eren >>
Le palpebre si immobilizzarono verso l'alto, il respirò si bloccò disperdendosi all'interno del torace. Il fiato sbatteva contro il petto e lottava contro la gola serrata. Erna era bloccata, paralizzata da un uragano d'emozioni. Il cuore scalpitava così forte che sentiva i battiti pulsare nelle tempie. Il cuore doleva, come se quella voce avesse assunto le dimensioni di una mano e quest'ultima si fosse insinuata nel suo petto stringendole forte il muscolo. Il corpo s'irrigidì assieme agli arti e fu inevitabile, lo scatolone cadde producendo un tonfo assordante.
Senza l'impaccio di quell'aggeggio si ritrovarono faccia a faccia. Nessuna parola venne pronunciata, eppure Erna si accartocciò su se stessa e scoppiò a piangere.


. *** .



Levi vedendo la ragazza piangere, fece l'unica cosa sensata che le venne in mente, afferrò il pacco caduto a terra e le ordinò di seguirla. Senza troppe cerimonie l'aveva condotta nella piccola cucina dell'asilo facendola accomodare al tavolo. Aveva messo in ebollizione l'acqua per il the e senza dire una parola, aspettò che la giovane smaltisse quel pianto isterico.
<< Scusa, io … non so cosa diamine mi sia preso. >> Erna imbarazzata sopra ogni limite, cacciò via con il pollice qualche residuo di lacrima.
<< Non importa, sono abituato ad avere a che fare con i mocciosi >> disse con calma ponendo una tazza fumante sotto al suo naso.
Le aveva appena dato della mocciosa? Rispondergli in rima sarebbe stato tipico di Erna, eppure si trattenne. Doveva ancora riprendersi dallo shock, ora si ritrovava faccia a faccia con quella voce, la voce che durante il sonno le scuoteva l'anima.
Levi appariva imperturbabile come se non fosse accaduto niente di che, eppure osservava la ragazza dinnanzi a sé e non sapeva come giustificare la parola uscita fuori dalle sue labbra. L'aveva chiamata Eren, quel nome era balzato fuori con una tale naturalezza che non sapeva neppure spiegarne il motivo. Non aveva neppure incontrato nessuno con quel nominativo, nemmeno il volto della ragazza gli pareva familiare. Era un uomo attento perciò rimembrava ogni volto che incontrava, l'opzione che l'avesse conosciuta e che si fosse scorata di lei non era da prendere in considerazione.
Probabilmente l'aveva vista da qualche parte in giro per caso, si trattava senza alcun dubbio di questo anche se la reazione della ragazza l'aveva lasciato alquanto perplesso.
Scacciò via quel pensiero alzandosi in piedi
<< Questo scatolone? >> domandò Levi chinandosi per staccare via lo scotch marrone che lo teneva ben chiuso
<< Ah, è una donazione da parte di Grisha Jaeger, mio padre >>
<< Il medico Jaeger? >>
<< Sì, lo conosci >>
<< Certo che no, però tuo padre è conosciuto a livello internazionale, non sai quanti articoli ho letto >> disse saccente scioccando la lingua sul palato.
Erna contorse la fronte pensando fra sé “che bel caratterino di merda”.
È già, il modo in cui guardava i giocattoli con quel fare quasi annoiato, come se non fosse affatto contento d'aver ricevuto quella donazione, la faceva alquanto irritare. Si era fatta tutta quella strada per non ricevere neppure un ringraziamento, anzi gli era costata una bella figuraccia. Piangere così dinnanzi a uno sconosciuto, non l'avrebbe raccontato a nessuno.

Forse è colpa degli ormoni “ si chiese ponendo la mano sul basso ventre dolorante. Era ora di tornare a casa e non vedeva l'ora di riposarsi, così afferrò la giacca

<< Vai via? >> domandò così tanto per fare, non serbava molto interessato della questione appena posta.
<< Sì, rischio di perdere l'ultimo autobus >> disse frettolosamente, doveva immediatamente andarsene da lì, magari i suoi occhi la tradivano di nuovo e quelli ricominciavano a gettare acqua.
<< E' tardi ti porto io >>
Erna sbatacchiò le palpebre, stare un quarto d'ora in macchina con l'uomo che le aveva scatenato un pianto isterico? No, grazie
<< No, non è necessario, non voglio disturbarti >>
<< Oi, se mi recasse qualche disturbo non l'avrei proposto >>
Nemmeno il tempo di controbattere che quello aveva già il cappotto addosso e le chiavi in mano.
<< Andiamo >> disse secco ed Erna lo seguì.

. *** .

sono proprio una testa di cazzo”

Si ripeté mentre osservava dal finestrino il paesaggio metropolitano correre via assieme alla macchina. Era in una scatola di latta con uno sconosciuto, se Mikasa fosse venuta a conoscenza di una tale cosa l'avrebbe rimproverata, neppure Erna si sarebbe fatta trasportare così facilmente da qualcuno, eppure non le pareva un tipo aggressivo. Dalle poche battute scambiate, aveva afferrato il fatto che fosse un tipetto dal carattere difficile ma non gli pareva violento. Aveva la sensazione che poteva fidarsi di lui. Questa fiducia da dove derivava? La risposta era talmente scema che la scacciò via dalla testa. Ovviamente derivava sempre da quel sogno che quasi ogni notte si ripeteva.

Erna sei proprio una scema” si ripeté per poi gettare lo sguardo all'indietro, giusto per distrarsi un poco da quella situazione paradossale nel quale si era immischiata.

Di sottecchi guardò i sedili posteriori, vi erano alcuni scatoloni dal quale fuoriuscivano bambole di pezza e macchinine di plastica.
Bambole e macchine.
Quando era piccola sua madre si ostinava a regalarle le prime, eppure non provava alcun interesse nei confronti di quei giocattoli, anzi le odiava. Non detestava solo le bambole ma anche i vestitini che sua madre la costringeva a indossare, odiava portare i capelli lunghi e non si trovava affatto a suo agio con le coetanee. Provava talmente tanto astio nei confronti del mondo femminile che un giorno dichiarò a sua madre: “voglio essere un maschio”, crescendo si rese conto che si trattava di un desiderio infondato. Se non si trovava a suo agio con le bambine d'altro canto non si trovava bene neppure con i maschi, infatti spesso finiva invischiata in qualche rissa e tornava a casa con la pelle macchiata da lividi. Aveva trascorso la maggior parte dell'infanzia nella solitudine, poi nella famiglia arrivò Mikasa e le cose cambiarono. Aveva una sorella con il quale riusciva a trovarsi bene, poi nella sua vita entrò anche il suo migliore amico Armin e non fu più sola.
Il quadretto relazionale instaurò un precario equilibrio che si spezzo quando giunse l'adolescenza. Un punto fondamentale in cui cominciò la sua disperata ricerca della sua identità, se non gli piaceva essere donna allora forse era gay. Su questa possibilità decise di frequentare una ragazza di nome Christal, carina e gentile, eppure non ebbe nemmeno per un attimo la tentazione di baciarla, anzi l'idea di sfiorarla la inorridiva, così tentò un approccio nei confronti dell'altro sesso. All'età di sedici anni uscì con Marco, le faceva il filo da un pezzo e così quando le chiese d'uscire, accettò senza troppi problemi. Marco era una persona deliziosa con cui poter trascorrere del tempo, godeva della sua compagnia eppure il risultato fu il medesimo: neppure una volta le sfiorò l'idea di toccarlo.
E così rimase nel mezzo, tra la macchinina e la bambola di pezza, non provava attrazione né per l'una ne per l'altra.
Il veicolo s'arrestò bruscamente, le scatole si scossero assieme al filo dei suoi pensieri, Erna si voltò in uno scatto e vide la luce rossa di un semaforo. Fermata brusca ma almeno era riuscito a non oltrepassare la linea. Approfittò di quel frangente tranquillo per osservare di sottecchi il guidatore: teneva la schiena ritta perfettamente allineato con l'asse del collo, ritto e definito.
Si soffermò sui suoi capelli talmente neri che si mimetizzavano nella notte, ciuffi sottili ricadevano frastagliati sulla fronte diafana. Aveva un taglio particolare, erano lunghi davanti e dietro la nuca invece erano praticamente rasati.
Era un uomo bello, ma la bellezza non derivava unicamente dai suoi lineamenti bensì dalla psiche: quelle labbra intrappolate in un mezzo broncio, quelle occhiaia profonde mostravano che non era un uomo sereno. Nascondeva qualcosa che si trattasse d'un segreto innocuo o losco … questo non lo sapeva.
Riconobbe casa sua e la macchina si fermò al fianco del cancello. Era il momento di congedarsi, eppure non sapeva neppure cosa dire, mentre slacciava la cintura si rese conto d non conoscere il suo nome. E così non si fece troppi scrupoli a domandarglielo
<< Come ti chiami? >>
Le pupille tempestoso si movimentarono verso di lei, rimase muto come se fosse indeciso se rivelare o meno la propria identità.
<< Levi >> soffiò veloce.
Se la sua voce era in grado di accarezzarla e stringerle il petto, quel nome non le procurava alcuna sensazione.
Lui la fissava come se fosse in attesa di qualcosa, e così le venne in mente il suo nome, quello stampato sul certificato di nascita.
<< Erna, il mio nome è Erna >>
<< Erna >> Levi ripeté piano, come se lo volesse imprimere bene a modo nel cervello e poi il silenzio ricalò. Alquanto disagiata da quel vuoto di parole, Erna decise che era momento di tagliare la corda
<< Beh, allora … ciao! >> impacciata oltre ogni limite, scese dalla macchina con una tale fretta che sembrava avere le braci sotto ai piedi.
<< Erna >> la sua voce le impedì di proseguire il cammino, si voltò e il finestrino era abbassato, lui si era esposto e la guardava dritta negli occhi.
<< Ringrazia tuo padre da parte mia per la donazione >>
<< Lo farò >> schietta cercò di tranciare quel discorso, casa sua era così vicina, pochi passi e quella strana tortura sarebbe terminata.
<< Inoltre noi due ci rivedremo >> la buttò lì così con una tale non noncuranza che Erna fece fatica a dire qualcosa.

mi sta chiedendo un appuntamento?”

Neppure il tempo di esternare il suo dubbio che la macchina sfrecciò via, era già arrivata all'incrocio e in un battito di ciglia svanì.



ANGOLO PSICHIATRICO ;)

Ciao bella gente :)
Come prima cosa mi scuso per eventuali errori ortografici, ho riletto il testo ma quelli scappano sempre alla vista >.<
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, prego qualche divinità che l'idea di un Levi che lavora con un branco di mocciosi non vi disgusti( io lo trovo troppo spassoso :D)
Spero che l'entrata di Levi nella storia non abbia suscitato noia, non è stata così epica e neppure memorabile a parer mio, però mi è sembrato giusto così, siamo in un AU ambientato ai giorni nostri e dato che i giganti non esistono, non sapevo esattamente come farlo entrare nella storiaXD
Comunque sia lascio il giudizio a voi, spero di sentirvi <3

un abbraccio grande

Mistiy

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Capitolo 3
*** Anime strane ***



Amava le arti marziali, non c'era niente di più terapeutico che prendere a botte un avversario in carne ed ossa. Inizialmente aveva affrontato un ragazzino paragonabile ad una mammoletta poco grintosa, non si era divertita affatto ma almeno aveva scaricato sul poveretto tutta l'energia repressa. Poi si era scontrata con Annie e lì la situazione si era capovolta, era divenuta Erna la mammoletta debole poiché l'avversaria era una nanerottola forzuta in grado di stendere chiunque con quei calci subdoli ma letali.
L'istruttore aveva deciso di donare agli allievi un po' di tranquillità, qualche minuto per riprendere il fiato. Erna ne approfittò sedendosi a terra e rilassò la schiena contro il muro. Dopo aver recuperato qualche respiro lo sguardo circumnavigò la stanza per depositarsi all'angolo opposto. La nanerottola forzuta e Mikasa aveva attirato la sua attenzione. Erano lì in piedi, chiacchieravano guardandosi negli occhi poi Annie portò le punte delle dita in avanti accarezzando il braccio scoperto di Mikasa, quest'ultima arretrò di qualche millimetro ed Annie sorrise, anche Erna non riuscì a trattenerlo. La sorella non amava esporre pubblicamente i suoi sentimenti,di conseguenza non amava effettuare effusioni dinnanzi a un pubblico. Erano adorabili.
Una certa invidia nacque in lei: non desiderava testare sulla pelle quell'amore genuino, ma voleva impadronirsi delle loro ferme femminilità. Non indossavano abiti scollati o gonne scosciate, però erano donne ed erano fiere di esserlo,lo mostravano con quelle timide carezze. Si piacevano così come erano

sarebbe bello essere come loro.

<< Ciao >> una voce squillante trapanò i suo timpano, si voltò ritrovandosi faccia a faccia con due occhi gentili. Sorrise ricambiando il saluto
<< Ti vedo pensierosa, va tutto bene? >> si accomodò al suo fianco
<< Sì, stavo solo pensando >>
<< E' successo qualcosa di nuovo? >>
Rifletté, sì una cosa nuova era successa, aveva conosciuto Levi il proprietario della voce dei suoi sogni anche se in verità non ne era affatto sicura al cento per cento, magari era solamente una baggianata creata dalla sua testa bacata.
<< No, solite cazzate, tu? Mi sembri allegro >> deviò il discorso e sorrise nel sentire parlare Armin di un nuovo libro acquistato. Armin e i libri, erano due concetti indissolubili, era una persona curiosa, questa inclinazione non poteva essere in alcun modo relazionata al misero pettegolezzo, poteva essere definita come una “curiosità intellettuale”: amava leggere, tali volte riprendeva tanti volumi che trattavano lo stesso argomento solo per osservare e studiare le cose attraverso il punto di vista dei diversi autori. L'amico amava anche ascoltare le persone: senza mai giudicare, anzi con una calma razionale, si cimentava nel punto di vista altrui e s'azzardava a porre un consiglio solamente se veniva richiesto.
Con lui si sentiva libera di parlare, era veramente un ottimo amico, il migliore che si potesse desiderare. Nonostante tutte queste qualità, Erna decise di tenere segreto l'incontro con Levi. La situazione in cui stava viaggiando non era delineata, si parlava di sogni, sensazioni e disagi e poi c'era Levi. Beh, lui era reale però non voleva dichiarare la sua esistenza, per il momento preferiva tenerlo chiuso nella sua testolina.
<< Riposo finito! >> la voce grossa dell'istruttore interruppe la conversazione.
<< Mi sa che questa volta ci affronteremo noi due >> disse Erna porgendo il braccio all'amico che afferrò per levarsi in piedi.
<< Ok, ma vacci piano >> sorrise ben conoscendo il temperamento della ragazza



. *** .


Levi aveva deciso di dedicare quel sabato pomeriggio alla tranquillità, così si rifugiò nel suo locale preferito, l'unica sala da the della città. Era un luogo sobrio e pulito, perennemente silenzioso poiché i clienti erano persone che si recavano lì solamente per la pace oltre che per sorseggiare un buon the. In poche parole era il luogo ideale per riflettere e lasciare correre via i pensieri, difatti il silenzio veniva spezzato unicamente dallo scorrere della pagine dei quotidiani, da qualche cucchiaino e da lievi passi. La biblioteca in confronto era paragonabile a un chiassoso concerto rock.
Levi sfogliava le pagine del quotidiano poi irritato lo ripiegò con un certo nervosismo ponendolo accanto alla tazza fumante. Non lo stava leggendo davvero, ci aveva provato ma le lettere si sovrapponevano per poi rincorrersi e alla fine in testa si disegnava una sola parola chiara e ben delineata, Eren.
Lo sapeva, quella ragazza dai lineamenti dolci e delicati si chiamava Erna, eppure qualcosa gli sfuggiva, aveva già visto quegli occhi verdi dalle sfumature serpentine, erano familiari ed era certo di averli visualizzati addosso a qualcuno, propriamente addosso a Eren. Ed ecco il dilemma: se quella ragazza era Erna, allora perchè diamine continuava ad associarla al nome Eren? Chi diamine era Eren?
Le domande si rincorrevano con la velocità di un cane che tenta di mordere la propria coda.
Nervose tamburellarono le dita sul tavolo, Levi era un uomo avezzo al pensiero logico, gli era ruisultato molto utile per risolvere i problemi e ritrovare una soluzione pratica e veloce. Ma in quel caso sembrava inutile, anzi più tentava più domande si costruivano, s'addossavano l'una sopra rendendolo sempre più confuso.
Lo sguardo scivolò verso la vetrata che mostrava passanti carichi di buste. Si movimentavano avanti e indietro nel tumulto di quella piccola città. Vedeva volti felici, altri annoiati, altri ancora contratti dalla fretta. Volti anonimi si dimenavano nelle strade tutti racchiusi nei propri stati d'animo, e poi dalla calca sbucarono due occhi che erano al centro dei suoi pensieri. Con lo sguardo seguì la piccola nuca castana.


. *** .


La mano bronzea correva lungo abiti dai colori sgargianti. Rosso, giallo, rosa, blu, stampe floreali, cagnolini e gattini. Li guardava eppure non sentiva alcuna attrazione verso quei capi, non si sarebbe provata neppure un abito. Sospirò chiedendosi il motivo per cui si costringeva a visitare quei dannati negozi spumeggianti. Pensava che magari, guardando quei tessuti sgargianti, le sarebbe venuta voglia di essere femmina, o perlomeno di comportarsi come tale. Magari avrebbe comprato un abito e poi avrebbe indossato il mascara, poi la cipria e magari sboccerà l'idea di baciare un ragazzo.
Innalzò il capo e lo sguardo vaneggiò lungo i capi ma assieme ad essi rientrarono dei volti accigliati.

Ci risiamo “ pensò tra se, quelle espressioni erano parlavano chiaro e sapeva benissimo cosa passava nella testa di quelle ragazze truccate e ben vestite: é un maschio o una femmina? Che diamine ci fa qui?
Sentiva la collera schiantarsi contro il suo petto con la potenza d'una onda marina, ma nel profondo sapeva che non poteva dargli tutti i torti: indossava perennemente felpe e tute da ginnastica troppo larghe per la sua taglia, i capelli corti destavano dubbi sulla sua appartenenza di genere e quindi sì, spesso la scambiavano per un maschietto dai lineamenti androgini. La cosa non le dispiaceva, eppure non le donava neppure gioia.
In quel negozio fosforeggiante lei non era altro che un pugno in un occhio, allora decise di uscire per immergersi nella calca di gente.
Stava già progettando di tornare a casa, magari dopo sarebbe andata a mangiare una pizza con Armin e Mikasa …
<< Eren >>
Un brivido che partì dalla punte dei capelli percorse tutta la colonna vertebrale e si bloccò, i piedi si incollarono al pavimento e pareva un blocco di cemento tutt'uno con il suolo sottostante. Granitica raggelò sotto il cappotto. Con una lentezza disarmante si voltò ben sapendo a chi appartenesse quella voce che solo lei poteva riconoscere ben distinta in mezzo a quel chiacchiericcio.
Nel momento in cui si voltò vide due pupille tempestose mal celate da qualche ciuffo nero.
<< Scusa, volevo dire Erna >>
La chiamata si limitò ad annuire, non si era offesa affatto, anzi nei suoi sogni la chiamava così e se lo faceva anche nella realtà, le andava più che bene.
Dalla bocca dell'uomo uscì uno schiocco di lingua simile a un sibilo d'un serpente
<< Non mi sembri il tipo che fa acquisti in questo negozio >> lo sguardo scivolò sulla vetrina ove un manichino vestiva un abitino corto dalla stampa floreale, poi cadde su di lei. La squadrò da capo a piede e questo la irritò eccome.
<< Hai qualche problema riguardo il mio abbigliamento? >>
Lui innalzò un sopracciglio scuro e la fulminò con lo sguardo
<< No, il tuo abbigliamento non m'interessa. Potresti girare con un sacco di iuta addosso e non me ne importerebbe un accidente >>

certo che la schiettezza di questo uomo è disarmante”
<< Andiamo a bere un the >> non lo chiese, lo pronunciò secco, alle orecchie di Erna giunse come un ordine.
<< Il the mi fa schifo >> disse con l'intento di sfasciare il piano. Non disprezzava la bevanda proposta, però non voleva assecondare i suoi comodi.
Gli occhi tempestosi rotearono verso l'alto
<< Allora berrai un caffè, magari una mocciosa come te preferisce un bicchiere di latte >>
Lei spalancò le palpebre, diavolo la stava insultando a più non posso con una facilità a dir poco allarmante.
<< Forza, offro io >> voltò le spalle e si incamminò, lei si affiancò a lui per potergli dire
<< Che ti credi che non abbia i soldi per pagarmi un caffè? >>
<< Un caffè sì, ma forse non ne hai abbastanza per un bicchiere di latte >>


Entrarono nel primo bar che incontrarono, era piccolo sobrio e poco affollato. Appena presero posto al tavolo entrambi si levarono i soprabiti Erna lo guardò e comprese il motivo per cui l'aveva squadrata con quella nota disgustata. Lo facevano tutti, eppure lui era in un certo senso giustificato dal fatto che era impeccabile.
La camicia era infruciata alla perezione all'interno del nero pantalone, neppure una piega era presente sui tessuti.
<< Dai molta importanza all'abito >> poté dichiarare senza alcun problema.
<< I vestiti non son tutto però i più stupidi si basano su questi per capire chi sei >>
<< Non sono d'accordo >> l'affermazione ruzzolò fuori dalla gola con una tale convinzione che Levi la guardò storto.
<< Se i vestiti dicono chi sono allora cosa dovrei essere io? Una fanatica sportiva?! >> la buttò lì ridendo della sua stessa battuta, eppure Levi non si unì a quella risata
<< I tuoi abiti non dicono nulla, rivelano solamente che ti stai nascondendo >>
<< Che stronzata >> sbottò tutto d'un colpo, eppure si sentiva come se fosse stata smascherata, come se fosse stata beccata nel compiere un furto.
<< No, non lo è. Gli abiti servono per coprire il proprio corpo, in un certo senso per nasconderlo però bisogna farlo con decenza >>
Erna rimase a bocca aperta, sentì le labbra cadere verso il basso: era la prima volta che qualcuno le desse in un certo senso ragione. L'aveva criticata ma l'aveva anche giustamente spalleggiata.
La cameriera arrivò, raccolse la prenotazione e Levi deviò la conversazione ponendo domande basilari: dove sei nata? Che scuola hai frequentato? Dove vivi?
Lei rispondeva secca, donava informazioni coincise.
La cameriera arrivò, pose sul tavolo un caffè e un the nero, quando si dileguò Erna decise che era il suo turno, era arrivato il momento per lei di porre domande
<< Perchè mi hai chiamata Eren? >> seria puntò lo sguardo contro il suo. Quella questione doveva essere risolta e anche in fretta.
<< Perchè tu ti sei messa a piangere come una mocciosa? >> domandò e lei si sentì punta nel vivo. Si stava riferendo al loro primo incontro ed Erna doveva ancora riprendersi dall'imbarazzo ma non lasciò che le guance si tinteggiassero di rosso, così raccolse tutta la grinta presente nel suo essere.
<< Comodo, sviare la domanda ponendone un'altra >>
Levi scrollò le spalle per poi dire con noncuranza
<< Non lo so, probabilmente in passato ho incontrato un ragazzo di nome Eren che t'assomigliava. >>
La spiegazione era logica quanto sensata, sembrava crederci dato che il suo viso non tradiva alcuna emozione se non quella d'una sicurezza imperturbabile, eppure mentiva. Erna ne era assolutamente certa: se era così certo della sua affermazione, non le avrebbe proposto quel caffè, chi si darebbe tanto affanno per una persona sconosciuta? La possibilità che fosse interessato a lei come possibile partner era da escludere a priori: se il suo abbigliamento non mentiva, sicuramente al suo fianco avrebbe voluto una ragazza elegante, di certo non un maschiaccio androgino come lei.
<< E tu perchè ti sei messa a piangere? >> le pupille tempestose si puntarono contro quelle smeralde. L'aveva posta con una certa noia, come se non gli interessasse realmente la risposta. Erna non gli avrebbe mai detto la verità, così con noncuranza innalzò le spalle verso l'alto
<< Ero stanca e avevo le mestruazione. È stata colpa degli ormoni >> fornì quella spiegazione logica quanto disonesta ma non si sentì affatto in colpa. Si era limitata a mentire come il suo interlocutore.
Si aspettava un certo disgusto da parte dell'uomo, invece lui si limitò ad osservarla con un sopracciglio innalzato
<< Capisco >> disse infine.
Il silenzio calò assieme a uno strano imbarazzo. Erna avrebbe potuto porre altre domande per capire chi gli stava di fronte, poteva chiedergli tante cose eppure l'unica curiosità che deturpava il suo cervello, non era stata sanata. Lui avrebbe continuato a mentire, di conseguenza anche lei, perciò parlare le pareva inutile. Poteva mettere su una conversazione futile di poca importanza giusto per prolungare l'incontro, ma non lo fece. Bevve il suo caffè in un sorso, gettò qualche spicciolo sul tavolo e si dileguò via con una blanda scusa. Non si salutarono nemmeno.


. *** .

Percorrendo la strada di casa la giovane si ritrovò a rimuginare su una parola che le pizzicava la pelle: nascondersi. Rifletteva su questo termine coniato alla sua tuta da ginnastica e si ripeteva che era una sciocchezza. Non si nascondeva affatto! Lei usciva, camminava sotto alla luce del sole, girava fra la gente senza timore, si difendeva e attaccava, sia verbalmente che fisicamente. Non si nascondeva in un buco buio impaurita dal mondo, certo, celava le sue curve e il suo fisico, ma questo non stava a significare che si vergognava di se stessa.
Io cammino sempre a testa alta” . Il pensiero susseguì l'azione, raddrizzò il collo, lo stropicciò talmente tanto che i nervi cominciarono a dolere sottoposti a quella tensione forzata. Era arrabbiata per l'insinuazione fatta, se prima l'aveva lasciata basita, in quel frangente si sentiva frustrata per il semplice fatto d'essere stata criticata. Quello che bruciava maggiormente al'interno del petto, non era la critica ma il fatto di non essersi difesa. Chissà, magari se non fosse arrivata la cameriera gliene avrebbe cantate a dovere.
Quando la chiamava Eren il cuore partiva a tutta velocità, andava a fuoco assieme alla sua pelle e brividi caldi la percuotevano fino al midollo. In un certo senso era come ritrovarsi in quel sogno, era come volare, ma quando si ritrovava con lui in uno spazio ristretto con i piedi ben piantati al suolo, l'unica sensazione che le lasciava era il disagio. Quello sguardo tagliente e boom! In uno scoppio riusciva a leggere i suoi pensieri e poi le parlava con quel fare impregnato di sarcasmo critico …

Che nervi!! “ pensò fra sé serrando la mascella.
Forse doveva dimenticarlo e sperare di non incrociare mai più la sua strada. Eppure lasciare andare via così quella voce, poteva farlo? Forse sarebbe stato difficile, ma la sua vita era talmente incasinata che non voleva aggiungere un tassello enigmatico come Levi. Sicuramente non era una persona facile con cui andare d'accordo dato il suo modo di fare saccente.
Sospirando entrò in casa aspettandosi un micidiale rimprovero da parte di Mikasa: dopo l'allenamento era uscita senza avvertirla, conoscendola sarebbe stata lì dinnanzi alla porta con le mani sui fianchi pronta a rimproverarla. Quando entrò fu accolta da due occhi muti. Annie era lì seduta sul divano.
La salutò con un cenno del capo per poi sedersi al suo fianco. Da quando le due erano fidanzate, veniva spesso da loro, a volte si accampava per interi fine settimana perciò Erna non si stupì di vederla. Annie non la disturbava affatto anzi, era talmente silenziosa che tali volte non s'accorgeva neppure della sua presenza. Tutti a scuola dicevano che era strana, il suo silenzio era interpretato come una sorta di superiorità nei confronti degli altri, ovviamente questo irritava i suoi coetanei. Erna invece no, il fatto che fosse una persona silenziosa non le pareva un difetto, non aveva molta confidenza con lei, ma probabilmente parlava poco perché non gli andava di movimentare la lingua tanto per fare.
Si stravaccò al suo fianco, non sentendo la voce di Mikasa e non vedendola con gli occhi chiese
<< Dov'è Mikasa? >>
<< E' andata a cercarti >>
Sbuffò. Le sorelle avevano la stessa età eppure la trattava come se fosse la sorellina minore. Sapeva che quella era una dimostrazione d'affetto, eppure tali volte la preoccupazione di Mikasa la faceva sentire intrappolata, una sensazione più che sgradevole.
<< Si preoccupa sempre per te, e mi ha parlato del tuo problema >>
<< Quale problema? >> curiosa la guardò attendendo la risposta
<< Del fatto che non provi attrazione né per gli uomini né per le donne >>
Erna scrollò le spalle, quello non lo avvertiva più come un problema, era solamente una questione di fatto.
<< Beh, sappi che non è una cosa così anormale >> la bionda pose una mano sul suo ginocchio attirando la sua attenzione.
<< Ci sono persone che si innamorano delle anime. >> Erna corrucciò la fronte vedendo Annie avvicinarsi
<< Il copro spesso viene sopravvalutato, molti si innamorano di quel involucro di carne ma solamente le persone più sensibili riescono ad andare oltre >> si avvicinò pericolosamente, Erna non fece neppure in tempo ad accorgersi dell'inequivocabile intento che le labbra vennero tappate
da quelle sottili della bionda. Sbalordita rimase impietrita, immobile con la paura di respirare lasciò che la lingua si insinuasse all'interno della sua bocca, lasciò che accarezzasse i suoi denti, ma quando il bacio s'approfondì, si discostò finendo nell'angolo più lontano del divano.
<< Cazzo, Annie! Che ti è saltato in testa? >> sbottò sconvolta sfregando energicamente la manica della maglia sulla bocca.
<< Hai sentito nulla? >>
<< Ho sentito la tua fottuta lingua >> incalzò irata non solo dalla domanda stupida ma anche dal suo atteggiamento. Era tranquillissima, come se non avesse commesso qualcosa di moralmente sbagliato.
<< Non hai sentito il calore, le scosse elettriche, il formicolio, giusto? >>
<< No >>
<< E' come immaginavo >> un sorriso tirato si dipinse sul suo volto ed Erna sbatté le palpebre sempre più incredula. Rimase zitta lasciando giustificare la faccenda alla ruba baci a tradimento
<< Tu sei quel tipo di ragazza che si innamora delle persone perciò >> picchiettò il dito sulla tempia
<< La tua zona erogena sta qua. Un giorno ti innamorerai di una splendida anima >>
<< E tu come fai a saperlo? >> chiese, seppure scocciata da quel gesto improvviso, voleva sapere da dove discendeva quella sicurezza
<< Beh, io ho trovato Mikasa >>
La ragazza s'innalzò dal divano afferrando la giacca posta sull'attacca panni.
<< Dove vai? >> domandò stordita dall'informazione.
<< Vado a cercare la mia amata anima >>
Appena la porta sbatté, Erna portò le dita alle labbra intenerita ma al contempo divertita dal gesto azzardato di Annie: in un modo poco ortodosso ma efficace le aveva spiegato il suo punto di vista. Forse le chicchere che aleggiavano intorno alla figura della nanerottola erano veritiere: Annie è strana!
L'amore per Erna era un terreno che aveva circumnavigato a passo felpato, ma poi voltò le spalle a quella regione parecchio tempo fa e non era molto propensa a girare il capo all'indietro. Nonostante ciò sarebbe stato piacevole porre un pizzico di fiducia nelle parole di Annie.

Si ripigliò dai suoi pensieri realizzando il fatto che sulla lingua aveva la saliva di Annie, nonché la ragazza di sua sorella, magari prima si era scambiata un bacio con quest'ultima. Un pensiero a dir poco disgustoso e così corse in bagno armata di spazzolino, collutorio, dentifricio e filo interdentale.

Angolo psichiatrico

Ciao carissimi/e :)
Come prima cosa ci tengo a ringraziare tutti voi che avete inserito la storia tra le seguite, preferite o ricordate( mi rendete molto felice:)) ovviamente dedico un abbraccio grande a tutti coloro che hanno commentato fino ad ora  <3
Tornando al capitolo appena pubblcato onestamente non ho molto da dire, i protagonisti sono confusi e irritati e tutto è ancora avvolto nel mistero.XD
Ora mi dileguo, spero di senture le vostre opinioni:)

un abbraccio
Mistiy


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