I'm scared

di JennyWren
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1957 ***
Capitolo 2: *** 1959 ***
Capitolo 3: *** 1960 ***



Capitolo 1
*** 1957 ***


I'm Scared

 
Paura: emozione dominata dall'istinto(cioè dall'impulso) che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto ad una suffragata situazione di pericolo; irrompe ogni qualvolta si presenti un possibile cimento per la propria incolumità, e di solito accompagna ed è accompagnata da un'accelerazione del battito cardiaco e delle principali funzioni fisiologiche difensive.




 
1957


Il sole picchiava dannatamente forte quella mattina, il collo della camicia era completamente zuppo di sudore e la chitarra che portava in spalla sembrava essere diventata un tizzone ardente. Sbuffò avvicinandosi ad un albero al riparo dal sole, nonostante avesse detto ad Ivan che lo avrebbe aspettato all’ingresso della Chiesa, non avrebbe resistito un minuto di più sotto quel sole cocente. Rendendosi conto del suo stato disordinato, tentò di aggiustare la giacca color pastello, dalla cui tasca, faceva capolino un fiore leggermente appassito.
- Perdonami - Disse, sfiorando con la punta delle dita i petali viola.
 
Paul voleva apparire impeccabile in ogni circostanza, per questo motivo aveva tirato dalla naftalina la sua giacca migliore, quella che conservava per le occasioni più importanti. Spazzolò via dalla punta delle scarpe il leggero strato di polvere accumulatosi per via del terreno della piazzola e, con un gesto automatico, sistemò di nuovo il proprio ciuffo di capelli. Appurato esso fosse ancora perfettamente pettinato, che la giacca e la camicia fossero di nuovo in ordine, Paul, il ragazzo della periferia di Liverpool, cominciò a guardarsi intorno.
Woolton gli era sempre piaciuta; le persone si riunivano ogni anno per festeggiare e stare in compagnia, i bambini giocavano ad acchiapparella e poi crollavano sfiniti a terra con la faccia sporca di gelato. Il ragazzo sorrise al ricordo di se stesso da bambino e cercò di scorgere tra le varie bancarelle il carrettino degli hot dog, quello in cui spendeva tutti i suoi risparmi, ma quel giorno la piazzola era così piena di persone che riusciva a malapena a scorgere qualche festone colorato.
Le persone lo sorpassavano sorridenti, e molte cominciarono a raggrupparsi di fronte ad un vecchio furgone sul cui pianale era poggiata una batteria che aveva sicuramente vissuto giorni migliori. La folla cominciò pian piano a dissiparsi, attratta da quel palco improvvisato, ai cui piedi si scorgeva un cartellone scritto a mano con una calligrafia disordinata, che indicava il nome della band: The Quarrymen.
 
Lo stomaco del ragazzo si serrò in una morsa d'acciaio e sbottonò il primo bottone della camicia per cercare di facilitare la respirazione.
Dei ragazzi che avevano circa la sua età uscirono dalla sacrestia e cominciarono ad avviarsi lentamente a suon di risate, verso il camion. Uno di loro si fermò di fronte allo specchietto della vettura per aggiustarsi il ciuffo alla Elvis prima di saltare con un balzo sul pianale.
 
Doveva essere lui.
 
Una donna dai capelli rossi e un vestito bianco saltò subito in piedi ad applaudire, lanciando baci a due mani alla band.
Paul provò una fitta di dolore, come una lama gelida gli avesse trafitto petto, nel guardare quella scena e dovette distogliere lo sguardo prima che le emozioni lo sopraffacessero.
 I ragazzi avevano appena cominciato a suonare e il ragazzino voltò il capo di scatto. Erano bastate poche, pochissime note ma ne era già completamente affascinato. I ragazzi suonavano con una tale disinvoltura e con quell’espressione quasi annoiata che sembravano dei professionisti al loro centesimo spettacolo. Certo, il loro frontman stava sbagliando tutte le parole ma non fregava nulla a nessuno in realtà, il ragazzo con la camicia a quadri sembrava divertirsi da matti e lui non riusciva a staccargli gli occhi da dosso.
 
 
 
-Allora, vuoi ancora che te li presenti? Credo che potrai piacergli, anzi, ne sono sicuro. – Chiese Ivan, una volta che i ragazzi furono scesi dal retro del furgone.
Il ragazzo raggelò, nonostante la temperatura esterna. Calpestò il terreno con la punta delle scarpe di vernice, spostando il peso da una gamba all’altra. Era andato a Woolton solo per quel motivo, ma la sicurezza che aveva fino a qualche minuto prima sembrava essersi vaporizzata completamente.
-Non lo so, in realtà credo sia meglio che vada – Rispose con poca enfasi, cercando di evitare lo sguardo dell’amico.
Ivan scoppiò a ridere fragorosamente. – Hai paura, Paul? – Domandò canzonatorio, stringendo gli occhi per schernirlo.
Gli occhi di Paul si spalancarono per la vergogna - Non ho paura, per chi mi hai preso? – Borbottò cercando di essere convincente, stringendo la tracolla della chitarra, pronto per oltrepassare  con le mani ancora tremanti, la porta di legno che lo avrebbe portato alla sacrestia.





Angolo autrice.
Sono tornata! Non so a quanti di voi possa far piacere questa cosa ma, purtroppo, è così.
Quell che avete appena letto è il primo capitolo di un progetto che sto portando avanti da mesi. L'ho cominciata in Inghilterra a Marzo e in questi giorni sto portando a termine gli ultimi capitoli. 
Da come avrete letto nel titolo, I'm scared, questa raccolta di OS si sofferma su determinati episodi in cui viene riportata, appunto la frase: "Ho paura".
Spero che vi piaccia, sono consapevole dei miei limiti nel campo della scrittura ma, giuro, ci ho messo l'anima.
Potete farmi sapere cosa ne pensate in un commento, messaggio privato, lettera, segnale di fumo, quello che vi pare!
Vi ringrazio per aver letto.


Ps. Non è una cosa che faccio spesso, ma vorrei ringraziare qualcuno, la mia carissima Giulia, persona che ascolta tutte le mie paturnie e che mi ha spinto a pubblicare, la mia prima storia, anni fa. Sei l'amica più cara al mondo e non so come farei senza di te. Spero che ti piaccia questa storia.♥


JennyWren

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Capitolo 2
*** 1959 ***



I'm scared




1959


 
John aveva distrutto qualsiasi cosa avesse a tiro; per circa mezz’ora aveva fracassato mobili, urlato e scagliato ogni oggetto possibile contro le pareti della sua camera da letto. 
Mimi era disperata, aveva provato ad avvicinare più volte il nipote, ma senza ottenere alcun risultato. Aveva provato a spiegargli che Julia era anche sua sorella e che nessuno poteva capire quanto significasse quel vuoto quanto lei, ma John si rifiutava di ascoltare; urlava imprecazioni e bestemmie che Mimi non aveva mai sentito in vita sua, e si chiudeva in camera sua, escludendo se stesso da tutti, chiudendosi in un mondo in cui la disperazione più totale regnava sovrana.
Mimi amava John come un figlio, e vederlo così disperato provocava in lei un dolore che, insieme a quello per la perdita di sua sorella, sembrava farla impazzire. Nonostante la donna non avesse mai in vita sua chiesto aiuto a qualcuno per risolvere un suo problema, ella si ritrovò improvvisamente persa, disarmata, non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Aveva sempre schernito le lamentele di John riguardo l'ingiustizia della vita nei propri confronti, gli aveva sempre detto che doveva smettere di comportarsi come se fosse l'unico essere al mondo a soffrire, eppure stava cominciando a pensare che tutto quel dolore e quelle pene fossero troppi per un ragazzo di appena diciotto anni.
 
 



Paul sedeva immobile con la schiena poggiata alla porta che conduceva alla camera di John, le gambe tirate al petto.  Piangeva in silenzio, attento a tenere al minimo il rumore dei suoi respiri; non aveva lasciato nemmeno finire il discorso che suo padre aveva frettolosamente preparato per riferirgli la tragica notizia, che aveva corso da casa sua fino a Mendips, inciampando più volte durante il tragitto, scavalcato il cancelletto d'ingresso e fatto le scale a due gradini alla volta per poi ritrovarsi di fronte ad una porta chiusa a chiave.
Ma a Paul non importava se avesse dovuto aspettare un giorno oppure un mese intero, sarebbe rimasto lì a terra nonostante le ginocchia graffiate, nonostante i pantaloni macchiati di terra, nonostante il dolore che dilaniava il suo petto.
Udì un tonfo sordo e John smise di far rumore continuando a disperarsi,  al contrario di Paul, con singhiozzi rumorosi, distinti, irregolari ed affannosi.
 
-Sei sempre lì, vero? – Mormorò John con voce roca, scossa dal pianto. Era seduto anche lui di spalle alla porta, riusciva a vedere l’ombra del compagno attraverso la luce fioca che filtrava da lì sotto.
Paul si affrettò ad asciugare gli occhi con la manica della camicia – Sì John, sono sempre qui.
Paul restò in attesa, attento ad ogni rumore che John produceva all’interno della camera e solo quando udì il leggero “click” della serratura che veniva sbloccata, si accorse di aver trattenuto il respiro per il nervosismo.
John scostò la porta quel tanto per far passare Paul, solo Paul. E quando il più piccolo incrociò lo sguardo del maggiore, non riuscì a contenersi. 
Vide nello sguardo disperato di John la sua stessa sofferenza, il riflesso del suo stesso dolore. Si vide nelle sue guance rigate ed arrossate dalle lacrime, e scosse la testa mentre le lacrime cadevano copiose dal suo viso.
Se ne stavano in piedi, l'uno di fronte all'altro, l'uno lo specchio dell'altro, in un silenzio assordante.
 
- Dimmi qualcosa, Paul – La voce straziata di John fece scuotere la schiena di Paul, che aveva abbassato lo sguardo, incapace di controllarsi. 
- Dimmi che lei tornerà, dimmi che lei sta bene, dimmi che starò bene – Pregò John con il fiato corto, scuotendo l’amico per le spalle.
Paul sollevò lo sguardo e nel giro di pochi attimi John lo strinse a sé con una presa quasi soffocante, gli si aggrappava al petto come un bambino perduto, disperato.
 
- Ho paura, Paul – Sussurrò John.
- Lo so, John. - Fu tutto ciò che seppe dirgli.
 
 
E a John bastava

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Capitolo 3
*** 1960 ***


I'm scared

1960
 
La risata senza fiato di John riempiva il viottolo sporco e maleodorante di Amburgo. Il ragazzo ed il suo inseparabile compagno di mille avventure avevano corso per quasi un kilometro, cercando di seminare delle guardie decisamente incazzate, le quali urlavano minacce ed insulti che i due ragazzini a stento capivano.

- Ci ammazzano, cazzo, se ci prendono ci ammazzano, stronzo! - Imprecò senza fiato Paul, strattonando la mano tenuta stretta da John.

Per tutta risposta John scoppiò a ridere fragorosamente, aumentando la velocità dei passi e la presa sulla mano del più piccolo.

Il bel chitarrista aveva avuto questa bella idea di scappare dal bordello in cui avevano deciso di passare il pomeriggio, senza pagare.
Sembrava una bella idea, all'inizio, darsela a gambe con i pantaloni ancora slacciati e la camicia sbottonata. Avevano riso e preso in giro i tedeschim fino a quanto un gruppo di loro non aveva cominciato a rincorrerli brandendo bastoni ed armi varie.

Ed ora correvano a perdifiato, fino a quando le loro gambe avessero corso, i due non si sarebbero fermati. "Ci tengo troppo alla pelle e alle palle" aveva detto Paul nel momento in cui quei brutti ceffi avevano cominciato a rincorrerli.
John si accasciò a terra, una gamba distesa e l'altra poggiata al petto, la testa ciondolante in avanti e cercava di riprendere fiato, senza smettere di ridacchiare.
Paul preferì non far compagnia all’amico sedendosi a terra, quel vicolo era decisamente lercio e la puzza di urina gli investì le narici con la stessa forza di un cazzotto. Il sole era ormai calato e cominciò a guardarsi intorno per cercare di capire dove fossero finiti; a poco a poco, una sensazione di panico gli fece gelare il sangue.
Erano lontani dal kaisekeller, questo era sicuro, erano lontani anche, però, dalla zona di Amburgo che conoscevano. Si trovavano in una zona industriale, occupata prevalentemente da capannoni in lamiera, le strade erano completamente deserte e silenziose, quasi spettrali.
La paura si insinuò tra le membra del bassista, un brivido gelido gli percorse la schiena.
 
- Ci siamo persi – Disse ancora con il fiato corto.
John inclinò la testa verso l’amico e smise di ridere. Si sollevò da terra e raggiunse Paul che cominciava ad agitarsi. 

Paul era semplice da capire, almeno per John. Egli era in grado di capire il suo stato d'animo dai più piccoli e semplici gesti, dai suoi occhi maledettamente grandi, dal suo modo di arricciare le labbra, persino dal modo in cui stava semplicemente in piedi oppure seduto.
In quel momento camminava in tondo, maordicchiandosi l'unghia del pollice e facendo saettare gli occhi d'ovunque in cerca di un minimo particolare che potesse confortarlo.


- Beh siamo da qualche parte, non trovi Paulie? – Cercò di confortarlo sorridendo, per poi sporgere la testa dal vicolo, in modo da guardare fuori.
-Il problema è capire questo qualche parte dove sia – rimbeccò l’amico, ancora teso come una corda di violino.
 
Nonostante la situazione non fosse delle più consone, John si ritrovò incapace di poter spostare la sua attenzione da Paul. Non riusciva a capire, proprio non c'era verso di spiegare il motivo per cui John entrava in quello stato di catalessi quando si ritrovava da solo con Paul. 
Non era frocio, non provava alcuna attrazione per gli uomini eppure non riusciva ad identificare in nessun altro modo la sua totale dipendenza da Paul.
Quel maledetto ragazzino era il più dolce dei nettari e la più selvaggia tentazione, era la cura ed il danno, l'ordine ed il caos.
C'erano giorni in cui John doveva bere fino a dimenticare il suo fottutissimo nome per non sbattere quella faccia d'angelo, infilargli la lingua in gola e baciarlo fino a rubargli un pezzo d'anima; giorni in cui, invece, avrebbe voluto farlo svenire a suon di calci per riuscire ad avere dal ragazzino la risposta che, invece, avrebbe dovuto cercare in se stesso.


- Mi dici cosa ci trovi di divertente nell'esserti perso? - Domandò Paul visibilmente irritato dall'espressione ebete di John. - Stai sorridendo come un fesso.
 
John scosse la testa ritornando al presente. Cazzo questi momenti freudiani non potevano coglierlo in situazioni così importanti.
 
- Potremmo provare a fare la strada dell'andata. Che ne dici?  - Cominciò Paul.
- Se solo la ricordassimo - Concluse il maggiore distrattamente.
- Credi che abbiano smesso di cercarci? - Chiese Paul speranzoso, un timido sorriso gli increspò le labbra screpolate dal freddo e John stava quasi per alzare la mancina per accarezzargliere, quando uno scalpiccio di passi gelò entrambi al loro posto.
 
Paul divenne bianco come un cencio, sicuro di morire di infarto prima di morire a suon di sprangate. Chiuse gli occhi e si preparò al pensiero di essere pestato a sangue, sbattuto come un tappeto, tritato come un pezzo di carne, malmenato come...
- Sali sulle mie spalle. Non aver paura, fidati! - Sussurrò John.
- Cosa?! Io non... - Ribatté Paul, gli occhi ancora socchiusi, il respiro corto.
John lo afferrò per i fianchi sollevandolo senza alcuna grazia, lo guidò verso il muro del fabbricato. - Entra da quella dannata finestra, muoviti!
 
Paul non l'aveva vista, ma una delle piccole finestre del fabbricato era aperta, e in quel momento entrare in un capannone vuoto, senza avere la minima idea di come riuscire ad uscire, sembrava l'unica soluzione possibile per salvarsi la pelle.
Facendo forza sulle braccia, e a qualche spinta di John, riuscì ad entrare nella piccola apertura e, affacciandosi, tese il braccio in modo che John potesse aggrapparsi a sua volta.

- Sciogli le tue trecce, oh mia principessa! - Cantò allargando le braccia, mentre i passi e le urla si avvicinavano sempre di più.
- Lennon, ti sembra il momento?! - Cercò di rimproverarlo con uno strillo soffocato, ma regalando al chitarrista un sorriso che gli fece gonfiare il cuore.

Non aveva più dubbi.

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