L'Infanzia di Maria

di Afaneia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - All'ora sesta ***
Capitolo 2: *** Dicono fosse un angelo ***
Capitolo 3: *** Sciogli i capelli e guarda ***
Capitolo 4: *** Nascondere i sentimenti ***



Capitolo 1
*** Prologo - All'ora sesta ***


L

L’Infanzia di Maria

Prologo- All’ora sesta

Forse fu all’ora sesta forse alla nona

Cucito qualche giglio sul vestitino alla buona

Forse fu per bisogno o peggio per buon esempio

Presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio

Presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio


 

Di quel giorno ricordi poco e nulla, fragile sposa.

Ricordi forse i volti dei sacerdoti?

Ricordi forse le loro parole, calme, rassicuranti, mentre ti portavano via dalla casa dove tua madre ti diede alla luce, appena qualche anno prima?

Ricordi qualcosa del giorno che morì, la tua bella madre senza marito, lasciandoti, quasi come unica eredità e lascito, al tempio?

No.

Non ricordi molto di quei giorni, bambina.

Perché è questo che sei, sposa.

Una bambina. Una bambina, o forse una ragazza.

Ma una ragazza, una ragazza, non una moglie e non una madre. Non sei nulla di tutto questo, Genkay. Ammettilo.

E mentre il tuo futuro marito ti conduce via, non sai fare altro che nascondere il volto, d’una straordinaria, terribile bellezza, tra le pieghe dell’abito.

Guardi un' ultima volta il tempio dove sei cresciuta.

Ma non c’è rimpianto nei tuoi occhi, non c’è tristezza nel tuo cuore.

Tu non ami quel posto e loro lo sanno.

E forse è per questo che ti hanno data in sposa.

Tu non ami quest’uomo. Lo sai, e lui lo sa e lo sanno i sacerdoti:ma non per questo non lo sposerai e non per questo non gli darai un figlio.

Rabbrividisci, stringi le gambe, sposa?

Rabbrividisci, stringi le gambe, sposa, sposa bambina, gemendo e piangendo in cuor tuo al pensiero.

Ma lui non lo saprà.

Non lo saprà, Genkay: non dovrà mai saperlo perché ora lui è il tuo legittimo sposo, perché avrà diritto di vita e di morte su di te. Su di te, sposa che non vuoi essere e che di certo sarai, perché è per questo che ora ti conduce via, per portarti al suo paese e prenderti in moglie.

Devi arrenderti.

Arrenderti a questa maledetta, stramaledettissima vita. Non sarai mai libera e lo sai. L’hai sempre saputo in verità: i sacerdoti non t’avrebbero lasciato e lo sapevi.

Adesso sei la moglie di quest’uomo, futura madre dei suoi figli. Ha accettato di prenderti in sposa nonostante tu, nel tuo intimo, chiedessi solo una cosa:di ottenere la libertà.

Quella libertà che sognavi quand’eri piccola e servivi i sacerdoti nei piccoli servizi, seguivi le ancelle del tempio a prendere acqua alla fonte: tu sognavi di correre libera lontana da quella prigione, fatta di inni e di preghiera. Bagnavi le candide mani nell’acqua corrente e vedevi il tuo bel viso, l’incantevole volto dagli occhi d’ebano scuro.

Molta gente, al villaggio, voleva la tua mano.

Ma nessuno ti amerà. Nessuno ti amerà mai per quello che sei, per quello che sai fare, per la forza che le tue braccia bianche tengono nascosta, forse nessuno ti amerà e basta.

Ti ameranno per i primi tempi, ameranno l’immagine pura e casta che si sono fatti di te, ma presto capiranno che non hanno sposato Genkay: loro hanno sposato l’idea di Genkay, hanno sposato la fanciulla dolce e innocente che si aspettavano.

Non ti amerà quest’uomo per quello che sei, e allora ti odierà, ti picchierà e ti farà del male, e tu non potrai fare altro che subire, subire e stare zitta, che è ciò che sei stata abituata a fare: eseguire gli ordini, chinare il capo, e tacere.

Tacere e accettare, in silenzio.

Questa è la vita che ti aspetta, Genkay, e tu lo sai.

Sai che vivrai infelice per il resto della tua vita, sai che non sarai altro che una serva.

Sai che sarai una schiava finchè vivrai, e morirai infelice e sola, e forse allora sarai libera.


 

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Capitolo 2
*** Dicono fosse un angelo ***


Capitolo secondo

Capitolo secondo- Dicono fosse un angelo


 

Non fu più il seno di Anna fra le mura discrete
a consolare il pianto a calmarti la sete
dicono fosse un angelo a raccontarti le ore
a misurarti il tempo fra cibo e Signore
a misurarti il tempo fra cibo e Signore.

 

Genkay viveva al tempio dei sacerdoti fin da quando aveva tre anni.

Era stata portata lì quando sua madre era morta, e lei era stata presa dal Tempio.

Lei non era che una serva. Nelle rigide regole del Tempio era cresciuta, aveva imparato a pregare, a obbedire ai sacerdoti, a tacere.

Genkay non era nulla, ma era bella.

Nessuno al villaggio ignorava la sua bellezza: il piccolo volto ovale, i grandi occhi nocciola, le labbra come petali di rosa, il corpo minuto e bianco.

La sua vita scorreva tra le mura che echeggiavano di preghiere, e lei viveva lì e ne era infelice.

Non era triste della sua vita in sé: ma lei desiderava essere libera, desiderava poter fuggire da quel posto dove non le era permesso alzare il capo.

Ma i sacerdoti non l’avrebbero lasciata andare.

Lei apparteneva a loro; Genkay era un oggetto sacro, era proprietà del Tempio, e a loro doveva la vita perché l’avevano cresciuta e l’avevano protetta.

Già da tempo lo sapeva.

Aspettava solo il giorno in cui i sacerdoti si sarebbero accorti che lei era troppo grande per vivere lì, e che l’avrebbero portata via.


 

- Genkay sbrigati!- sbottò la vecchia Keiko, l’ancella del Tempio che l’accompagnava a prendere l’acqua.

- Arrivo.- Genkay si affrettò a seguirla, reggendo tra le mani le due pesanti anfore che doveva riempire.

- Ringrazia il cielo che tra poco te ne andrai…si vede che non sei adatta per questa vita.

- Ma io non me ne andrò, Keiko.

La vecchia ancella le sorrise dolcemente mentre si chinava sulla fonte e riempiva d’acqua il vaso di terracotta.

- Tra un poco diventerai signorina, Genkay, e allora ti daranno un marito.

- Un marito?- Genkay scoppiò a ridere, gettando indietro la testa a fissare il sole che splendeva sullo zenit –Io non credo Keiko, io non mi voglio sposare.

- Ma come non ti vuoi sposare?- Keiko la guardò stupita, sorridendo magnanimamente. – Lo dici adesso ma poi cambierai idea, bambina. Ti sposerai con un bel giovane che ti proteggerà, e avrai dei figli di cui ti prenderai cura, Genkay…

- Ma io non voglio avere figli!- Genkay scosse la testa disgustata dall’idea. – Sono troppo giovane…

- E’ l’età giusta bambina.

- Ma io non mi voglio sposare…

- Ci sono tanti bei giovani che chiedono la tua mano giù al villaggio, e se non vuoi scegliere tu lo faranno i sacerdoti…

- Sì, lo so.- Genkay abbassò lo sguardo sulla fontana che sgorgava nella piazza del paese, osservando il suo riflesso trasparente nell’acqua azzurra.

Dallo specchio trasparente le risposero gli occhi castani e un volto bianchissimo che il sole non aveva dorato.

Era un volto molto bello e ancora infantile.

- Fa male avere figli, Keiko?

- Li hanno tutte le donne e non ha mai ucciso nessuno, Genkay.

- Ma fa male?

- Te lo spiegherò un’altra volta.

- Ma come si fa?

Keiko si fermò, strofinandosi la fronte che il sole estivo aveva ricoperto di sudore.

- Non te l’ho mai spiegato?

- No, mai.- Genkay attese pazientemente la risposta senza distogliere gli occhi dal volto della vecchia che si tinse leggermente di rosso.

- Te lo spiegherò poi. Adesso portiamo l’acqua al Tempio.

Genkay non ribatté. Sollevò la pesante brocca che fece per un attimo tremare le braccia fragili e non allenate ma straordinariamente forti, e s’incamminò al seguito della vecchia lungo la salita assolata che dal paese portava al Tempio.

Una volta “diventata signorina” Genkay sapeva che le avrebbero trovato uno sposo.

Peccato che non avesse la minima idea di che volesse dire.

- Che significa diventare signorina, Keiko?

- Genkay, sei troppo curiosa.- Keiko arrancava faticosamente lungo il pendio, sotto il pese degli anni e dell’acqua che dalla brocca straripava e le bagnava le braccia. – Quando lo diventerai lo saprai.

- Fa male?

- Ad alcune sì ma tu non mi sembri il tipo. Al massimo avrai un po’ di dolore alla pancia.

- E’ come avere bambini?

- Non è la stessa cosa ma hanno a che fare tra loro. – rispose Keiko. Avanzava a fatica sotto il sole cocente e Genkay l’aveva superata già di qualche passo. -Beata te che sei giovane,bambina…-gemette Keiko ansimando.

Genkay non rispose, ascoltando lo sciabordare dell’acqua nella brocca che portava, gli occhi fissi sulla sua ombra scura.


 

Scioglie la neve al sole ritorna l'acqua al mare
il vento e la stagione ritornano a giocare
ma non per te bambina che nel tempio resti china
ma non per te bambina che nel tempio resti china.

 

 

Un grazie di cuore a Smolly_sev, che ha commentato. La storia è già conclusa e lei l'ha letta tutta, ma la posto a poco a poco. In effetti, lei ha praticamente letto tutte le mie opere...

Il Tempio qui citato non appartiene a nessuna religione realmente esistente. E' una pura invenzione, come tutto il resto della trama, e pertanto non deve essere inteso come offensivo nei riguardi della religione: questo non è nelle intenzioni dell'autrice.

I personaggi non mi appartengono (l'ancella Keiko si chiama così per mancanza di fantasia, non per collegamenti con il personaggio di quest'anime), sono proprietà di Togashi. Io li sfrutto senza scopo di lucro, non ci guadagno, anzi al massimo ci perdo un po'.

Commenti sempre graditi!!

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Capitolo 3
*** Sciogli i capelli e guarda ***


Capitolo terzo Vorrei ringraziare Smolly_sev, che commenta praticamente ogni capitolo (grazie sofy!!) e anche Ladymarie (spero d'aver scritto giusto, sennò sai che figura?)della mail che mi ha mandato. Mille grazie a entrambe. E ora vi lascio al capitolo.

Capitolo terzo- Sciogli i capelli e guarda

E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio
avevi dodici anni e nessuna colpa addosso
ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio
la tua verginità che si tingeva di rosso

la tua verginità che si tingeva di rosso.

E si vuol dar marito a chi non lo voleva
si batte la campagna si fruga la via
popolo senza moglie uomini d'ogni leva
del corpo d'una vergine si fa lotteria
del corpo d'una vergine si fa lotteria.

Il sole era già alto quando Toguro arrivo al villaggio.

Lì per lì gli parve che il paese fosse disabitato: camminò a lungo per arrivare alla strada principale, tra strade disconnesse e case di pietra, e durante il viaggio non incontrò nessuno.

chissà che villaggio è…”.

Finalmente raggiunse quella che doveva essere la piazza del mercato.

Girò tra le bancarelle, guardandosi attorno.

Contrariamente al normale, non c’era molta gente. C’erano solo donne, per lo più vecchie, a contrattare i prezzi coi bambini al seguito, e uomini già avanti con gli anni.

- Tu non sei al Tempio, ragazzo?

Toguro si voltò sentendo una voce.

A parlare era stato un vecchio mercante dal suo banchetto di pesce.

- Sta parlando con me?- chiese esitante.

- Sì. Vieni più vicino. Perché non sei al Tempio?

Riluttante, Toguro si avvicinò alla bancarella maleodorante.

- Al Tempio?- ripetè.

- Sì, al Tempio.- L’uomo lo scrutò con attenzione. – Sei forestiero?

- Sì. Cosa c’è al Tempio?

- Cosa c’è!- Il mercante scoppiò a ridere. – Davvero credevo che la notizia si fosse già estesa. Ah, parteciperei anch’io se non fossi già sposato!

- Ma che cosa c’è? Una cerimonia?

- No. C’è una ragazza che si dovrà sposare.

- Un matrimonio?

- No.- il mercante ridacchiò. – Genkay è stata adottata dal Tempio quando era piccola e le morì la madre. È cresciuta lì ma adesso è diventata una bella ragazza- e ammiccò – e i sacerdoti vogliono darla in sposa.

- E chi sarà il fortunato?- chiese Toguro.

- Non si sa: dovrà essere lei a scegliersi il marito. I sacerdoti hanno mandato messi anche nei villaggi vicini a informare. Tutti i giovani di qui adesso sono al Tempio.

- Capisco. Come hai detto che si chiama la ragazza?

- Si chiama Genkay. E per Dio, se è bella! Non si è mai vista una donna più bella da che ci si ricordi, almeno qui. Perché non vai a dare un’occhiata?

- Dubito che avrei possibilità.- Toguro sorrise.

- Pazienza. È vero che c’è tanta gente, ma sei un bel ragazzo robusto. E comunque non capita spesso di vedere una ragazza tanto bella: male che vada avrai visto i due occhi più incantevoli del Giappone!

- Beh, forse andrò.- Toguro decise di prendere in considerazione la possibilità, benché non gli interessasse.

- Fai bene. Il Tempio è lassù, su quella collina.- Il mercante accennò col capo a un edificio in classico stile orientale, arroccato su una collina.

- Grazie. Arrivederci signore.-

Toguro si allontanò dalla bancarella e si avviò lentamente verso la collina. Non gli interessava prendere moglie e sapeva di non avere possibilità contro decine di altri pretendenti, ma dopotutto, si disse, il mercante aveva ragione: era curiosa di vedere come fosse fatta questa ragazza tanto bella.

Ormai era estate inoltrata e faceva caldo lungo la salita ripida che dal villaggio portava al Tempio.

Quando raggiunse il piazzale che si trovava davanti all’edificio vide un centinaio di persone: tutti ragazzi, per lo più molto giovani, persino più di lui: si chiese quanti anni avesse quella ragazza…Genkay?

Sentì due pretendenti ridere, sotto un albero, accennando a lui.

Si avvicinò di un paio di passi per sentire queste parole

- …come pensa di far colpo vestito così…

- forse è forestiero…

- Però guarda com’è muscoloso!

- Già…

Toguro ridacchiò, allontanandosi di qualche passo.

Si appoggiò al tronco di un albero, ascoltando le frasi sconnesse dei bei damerini ben vestiti che lo circondavano.

Dopo una decina di minuti le porte del Tempio si spalancarono.

Ne uscì un sacerdote: scrutò con attenzione i ragazzi, poi fece un cenno all’interno del Tempio.

Sciogli i capelli e guarda già vengono...
Guardala guardala scioglie i capelli
sono più lunghi dei nostri mantelli
guarda la pelle viene la nebbia
risplende il sole come la neve
guarda le mani guardale il viso
sembra venuta dal paradiso
guarda le forme la proporzione
sembra venuta per tentazione.
Guardala guardala scioglie i capelli
sono più lunghi dei nostri mantelli
guarda le mani guardale il viso
sembra venuta dal paradiso
guardale gli occhi guarda i capelli
guarda le mani guardale il collo
guarda la carne guarda il suo viso
guarda i capelli del paradiso
guarda la carne guardale il collo
sembra venuta dal suo sorriso
guardale gli occhi guarda la neve guarda la carne del paradiso.

Dio, se era bella!

Era piccola, bassa e sottile ma già formosa nonostante la giovane età; gli occhi grandi, d’un bel castano scuro, la pelle bianchissima, i capelli lunghi, lasciati sciolti, intrecciati di fiori.

Ma quello che lo colpì fu lo sguardo, triste, timido, recalcitrante.

Si lasciò condurre fuori senza opporre resistenza; ma osò appena sollevare lo sguardo sulla folla che l’attendeva e il suo bel viso si tinse di rosso.

Il sacerdote la guidò nel mezzo della folla.

Con grande timidezza, la ragazza scrutò gli uomini senza tradire alcun interesse.

Quando gli passò davanti la fissò negli occhi.

Genkay si soffermò un attimo su di lui; ma Toguro non abbassò lo sguardo dai dolci occhi di cerbiatto, e ottenne in cambio il pallido fantasma d’un sorriso.

La ragazza gli sorrise, poi si affrettò a seguire il sacerdote che la precedeva, e che non la perdeva di vista un minuto.

Terminato il giro, l’uomo la riportò sulla scalinata del Tempio.

- Allora, Genkay: hai scelto il tuo sposo?

Così in fretta?!” Toguro sgranò gli occhi. “Non possono pretendere che scelga l’uomo con cui passerà tutta la vita semplicemente guardandolo!”

Istintivamente si tirò indietro.

Fissò di nuovo la ragazza: e si rese conto che era una bambina, una ragazzina, che non aveva neppure la sua età: no, non aveva intenzione, non avrebbe mai accettato di prendere quel fiore come moglie, non quella bambina, non le avrebbe mai fatto del male.

Poi si rilassò. Ma no,non avrebbe scelto lui.

Troppo alto, quasi il doppio di lei, troppo robusto: avrebbe scelto un ragazzo più giovane, più dolce…

- No, signore.

- Vuoi che scelga per te?

- Io…

Senza attendere risposta il sacerdote si voltò. Scrutò la folla, poi sollevò un braccio indicando un ragazzo tra le prime file.

- Vieni tu.

Lentamente, un uomo si fece strada tra la folla e risalì la scalinata.

Era persino più vecchio di lui, di qualche anno. E brutto, anche, di evidente estrazione contadina, muscoloso, abbronzato sulle spalle dove era esposto al sole durante il lavoro nei campi.

- No!- Genkay si lasciò quasi sfuggire un grido; si tappò la bocca con le mani e prese il respiro.

- Signore, io credo di avere scelto, adesso.

- E chi?

- Ecco…- Genkay si voltò verso la folla e osservò i ragazzi lì schierati, in attesa che un suo cenno segnasse il loro diritto a lei e al suo corpo.

- Lui!- Il braccio bianchissimo si sollevò a indicarlo.

Lui. Non c’erano dubbi.

Si ritrasse d’un passo, sperando che l’indice teso non indicasse proprio lui.

Il sacerdote sorrise. Scese la scalinata. Si avvicinò all’albero dove si era appoggiato. Gli appoggiò una mano sulla spalla, sorridendo.

- Vieni pure, avvicinati.- disse, conducendolo -quasi trascinandolo- verso la gradinata e verso la ragazza che attendeva.

La vide più da vicino, adesso. E per quanto la osservasse, non c’erano difetti nel suo volto bianco.

- Vuoi prenderla in sposa?

La domanda del sacerdote lo riscosse dalla vista di Genkay, troppo bella per essere reale, troppo dolce per essere una donna ed un’umana peccatrice.

- Io…- fissò negli occhi la ragazza, e al suo sguardo ne rispose uno quasi disperato,implorante.

- Non possa farlo, signore.- disse Toguro. Genkay si morse le labbra, senza dir nulla.

- Perché?

- Ecco…questa ragazza è troppo giovane.-

Sì, la creatura divina ce gli stava di fronte gli pareva troppo giovane; ma non solo.

Gli pareva una ragazza troppo bella perché potesse appartenere a lui, troppo fragile perché potesse proteggerla come meritava, troppo innocente perché lui potesse solo sperare di toccarla senza macchiare quella pelle bianchissima e pura.

Il sacerdote aprì la bocca; poi la richiuse.

- Non vuoi sposare questa ragazza?

- Io…- Guardò il sacerdote, ottenendo uno sguardo severo in risposta.

Incrociò gli occhi di Genkay; vide sé stesso riflesso nello sguardo dolcissimo dell’angelo.

- Sì,voglio sposarla.

E fosti tu Giuseppe un reduce del passato
falegname per forza padre per professione
a vederti assegnata da un destino sgarbato
una figlia di più senza alcuna ragione
una bimba su cui non avevi intenzione.

Genkay non aveva detto una parola da che erano partiti.

Non si era mai lamentata di essere stanca, non gli aveva chiesto quando l’avrebbe sposata, neppure quale fosse il suo nome.

L’aveva seguito, avvolta nel suo mantello, senza dir nulla.

Era riuscito ad ottenere un passaggio sul carro di un mercante per un villaggio non distante, che però conosceva e dove conosceva una buona locanda.

Lui era abituato a dormire ovunque, ma adesso aveva una fidanzata, oltretutto così bella, e doveva pensare a proteggerla. E a non farle mancare nulla.

Non sapeva, francamente, perché avesse detto di sì al sacerdote.

Gli era parso che fosse la cosa più giusta da fare, semplicemente.

Perché se lui avesse rifiutato, l’avrebbero data a qualcun altro; e non era sicuro che chiunque altro avrebbe avuto buone intenzioni su di lei.

Toguro non sapeva neppure cosa fare di quella ragazza, in verità.

Ma non voleva farle del male.

Non l’avrebbe mai toccata; mai, per nessun motivo, quella bambina che avrà avuto tredici anni. Si sarebbe preso cura di lei, aveva preso questo impegno, e l’avrebbe mantenuto.

E mentre te ne vai stanco d'essere stanco
la bambina per mano la tristezza di fianco
pensi "Quei sacerdoti la diedero in sposa
a dita troppo secche per chiudersi su una rosa
a un cuore troppo vecchio che ormai si riposa".

 

Entrati nella locanda, Toguro contrattò con l’oste per la cena ed una camera.

Genkay l’aspettava seduta ad un tavolo, ancora coperta fino al capo dal mantello.

Notò qualcuno lanciarle occhiate distratte ma non vi prestò attenzione.

Dopo diversi minuti si sedette di fronte a lei.

- Puoi toglierti il mantello. Sei al sicuro se sono accanto a te.- disse.

- Sì.- Lentamente la ragazza si scoprì il viso.

Per quanto l’avesse ben guardata in faccia non riusciva ad abituarsi alla vista di quella straordinaria bellezza, così potente e al contempo così mite.

- Erano davvero molti i tuoi pretendenti, Genkay,

- Sì, lo so.

Genkay non sollevò il viso dal legno scabroso del tavolo rozzo.

Aveva paura, paura di lui, di quello che sarebbe dovuto diventare il suo sposo.

- Genkay, domani o dopo domani arriveremo al mio paese.

La ragazza annuì, senza alzar gli occhi dal tavolo.

Dopo pochi secondi gli occhi le si riempirono di lacrime, tremando violentemente.

- Genkay!-. La ragazza si coprì il volto con ambo le mani, singhiozzando ma tentando di calmarsi.

- Mi dispiace tanto…-mormorò – Io…non volevo…

- Genkay, io non voglio farti del male!- Senza riuscire a trattenersi, Toguro si alzò e le afferrò un polso, per costringerla a scoprirsi il viso e a guardarlo. – Genkay, per amor del cielo! Io non ho alcuna intenzione di farti del male!

Ma Genkay non riusciva a calmarsi; tremava violentemente e pronunciava parole sconnesse.

Toguro ascoltò le frasi spezzate che pronunciava per capire cosa la facesse soffrire tanto.

- Non voglio…non sono pronta…

Improvvisamente capì; gli venne quasi da ridere all’idea, troppo grottesca, che lei credeva che lui volesse davvero…

- Genkay, io non voglio avere figli da te!

Genkay sollevò il viso su di lui, fissandolo con gli occhi pieni di lacrime.

- Tu…

- Genkay, non voglio nulla da te. Io voglio proteggerti nel migliore dei modi, ma non voglio…-

- Allora perché hai scelto di sposarmi?

- Ho pensato che sarebbe stato meglio così; ma io non voglio nulla.

- E che cosa vuoi fare di me?

- Te lo spiegherò mentre mangiamo.

L’oste portò al tavolo due ciotole colme di zuppa, del pane e una brocca di vino; augurò una buona cena e si allontanò.

Toguro osservò la ragazza sollevare il cucchiaio e portare lentamente alla bocca la zuppa di carne.

- Sono allievo di una scuola di arti marziali, Genkay.- iniziò.- In questo momento, viaggio con i miei compagni per il Giappone per allenarmi con loro; ci siamo separati per qualche mese per poter far visita ai nostri conoscenti e contavamo di rincontrarci il mese prossimo per continuare il viaggio. Io non ho parenti né amici: sono stato cresciuto dal mio maestro e ho deciso di impiegare questi mesi per visitare il Giappone. Così sono arrivato al tuo villaggio…

- Che cosa conti di fare, allora?

- Ti porterò al mio paese, dove credo che tu possa essere al sicuro. Ti affiderò alle cure del mio maestro: ci penserà lui prendersi cura di te. Ti posso assicurare che è un brav’uomo, mi fido completamente di lui. Ci sposeremo, prima che io riparta, ma solo ed unicamente se è questo che vorrai: non ti costringerò, ma credo che il matrimonio sia il modo migliore per giustificare la tua presenza; ad ogni modo, hai tutto il tempo per pensarci. Io ripartirò per il mio viaggio, ma anche se non sarò con te, sappi che sarai al sicuro lì.

- Credo che sia la cosa più giusta da fare.- disse Genkay, ma non lo guardò negli occhi.

Quella notte Toguro rimase sveglio molto tempo, a guardarla dormire.

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Capitolo 4
*** Nascondere i sentimenti ***


Nuova pagina 1

--Finita!! Ho finito di postare anche questa.

Onestamente questo non è il mio capitolo preferito, non mi ha mai convinta più di tanto. Comunque, per me le cose una volta scritte restano così. perciò è così che lo posto.

Ringrazio del commento Ladymarie, un'altra volta, e come al solito, anche se sto diventando parecchio noiosa, Smolly_sev, oltre che del commento anche del sostegno che mi dà sempre (in quest'ultima frase non mi convince più di tanto la costruzione del periodo...mah). Comunque, grazie a entrambe dei preziosi commenti.

Buona lettura.--

Capitolo quarto- Nascondere i sentimenti

Due colpi.

Il bel corpo, esile e flessuoso, si muove rapidamente, mentre la ragazza schiva i pugni dati in rapida successione dal suo avversario; uno scarto secco, la combattente si muove e risponde ai colpi; e per finire attacca usando la sua energia astrale,e l’avversario è al tappeto.

- Sei migliorata tantissimo, Genkay.

- Grazie maestro.- Genkay china appena il capo, mentre il petto affannato si muove su e giù molto rapidamente.

L’anziano maestro si rialza rivolgendole un sorriso.

- Mi sembra ieri che sei arrivata qui, e sei più brava di Toguro ormai.

- Grazie maestro; ma non credo di poterlo mai superare.

- Questo non è vero.

È vero invece; Genkay ne è sicura, l’ha visto combattere qualche volta prima che partisse, ed era bravo.

- Vieni.- Senza aggiungere altro il maestro si volta e Genkay lo segue.

Camminano in silenzio per il parco della scuola di arti marziali.

Si fermano sulle rive del laghetto. Genkay osserva il suo riflesso nell’acqua limpidissima. A risponderle è lo stesso sguardo castano scuro che le rispose tre anni prima dalla fonte da cui attingeva acqua.

- Toguro tornerà questo pomeriggio.

- Oh!- Genkay sussulta sgranando gli occhi; ma non aggiunge altro.

Il suo maestro l’osserva discretamente, cercando d’interpretare lo sguardo malinconico della ragazza fisso sullo stagno.

- Ti spaventa l’idea di rivederlo, bambina?

- No, signore.

- Non mentire a me, Genkay.

La ragazza trae un gran respiro; osserva l’acqua, poi solleva lo sguardo sull’uomo che più d’ogni altra persona le è stato accanto nella sua vita maturata troppo in fretta.

- Signore, non è paura quella che provo: so di non aver paura di lui, è qualcos’altro. È il fatto che stavamo per sposarci, forse, è il fatto che ha scelto deliberatamente di portarmi via dal tempio ma non di avere figli da me…è che nessuno oltre a voi, maestro, ha mai dimostrato verso di me tutto questo rispetto, questo interesse che non è legato al desiderio di me…-

- Genkay, Toguro ti rispetta. Sai che non ha voluto sposarti per concederti la libertà, per darti l’opportunità di scegliere liberamente, quando te ne sentirai in grado, l’uomo che amerai.

- Avrebbe avuto diritto a sposarmi, maestro, per disporre di me e del mio corpo, ma non l’ha fatto!- Genkay sollevò la voce- E io non avevo mai conosciuto nessuno prima d’allora che mi trattasse così gentilmente, senza pretendere nulla in cambio…tutti gli uomini che mi trattavano così volevano…- Genkay tacque e arrossì. – Avete capito.- disse infine.

- Genkay, provi paura al pensiero di rivederlo perché ti senti in debito nei suoi confronti, perché ti ha reso la libertà. È solamente questo.

- Non è paura maestro!- insistè lei – E’ qualcos’altro e non sono capace di dargli un nome; è legato a Toguro, ma non so perché.- Genkay si voltò e scese dalla collinetta, incamminandosi di buon passo.

- Dove vai, bambina?

- Vado ad allenarmi, maestro.

Il sibilare dell’aria.

Colpisco ancora il nulla, unico modo che ho per dare sfogo ai mei sentimenti.

È un allenamento per tutti, per allenare i riflessi, la velocità, la tecnica.

Non per me.

Non per me, che sono sempre stata abituata a cavarmela da sola quando provo qualche sentimento che non riesco a capire.

Non posso parlarne col maestro.

Lo conosco da tre anni, lui, è quanto di più simile a un padre io abbia mai avuto.

Ma non posso parlare con lui di quello che provo.

Colpisco ancora, sperando che il rumore dei miei colpi copra il rumore delle mie emozioni.

Non è così.

Maledetti, maledetti occhi del mio promesso sposo…

Perché non abbandonano la mia mente?

Perché non riesco a scordare la sua voce, quando tentava di tranquillizzarmi, maledizione, perché ho paura di rivederlo?

Ma io non ho paura.

È semplicemente che…

Ecco, ho paura di qualcosa, ma non so di che cosa!

È terribile per me, io che sono una guerriera, io che ho imparato a badare a me stessa!

Colpisco ancora, ancora, ancora, cercando di sconfiggere i miei sentimenti, di combattere le mie emozioni.

Ma non ne sono capace e lo so troppo bene.

- Buongiorno.

Genkay si volta con un sussulto; e deve sollevare molto lo sguardo per vedere il volto dell’uomo alto e abbronzato che le è di fronte.

- Toguro!- Istintivamente fa un passo indietro. Osserva quello che avrebbe dovuto essere il suo sposo, appena tornato dal suo viaggio con i compagni, la sacca sulle spalle.

- Non sei cambiata affatto, Genkay.- Toguro sorride. – Ma sei ancora più bella dell’ultima volta.

- Dove sono i tuoi compagni?

- Sono rimasti indietro. Li ho preceduti.

- Vuoi che ti porti dal maestro?

- Ti spiacerebbe sederci un poco?

Genkay annuisce, senza distogliere gli occhi dal suo volto.

Si siedono sotto un albero.

- Non sapevo che saresti tornato oggi.

- Avevo mandato una lettera al maestro.

- Me l’ha detto solo oggi.

- Ti infastidisco?

- No!- Genkay scuote con vigore il capo. – No, questo no, al contrario!

E si stupisce, di pensarlo davvero!

Si stupisce, di essere davvero, in qualche modo, felice del suo ritorno!

Si stupisce del fatto che sarebbe capace di stare lì seduta sul prato, anche ore ad ascoltarlo parlare!

Si stupisce del fatto che non prova più paura ma che sta bene, che è felice, lì.

Felice…

Come posso dire di esserlo?

Come posso dirlo?

Ma è così, io sono felice qui, sono felice di potere stare qui, seduta al suo fianco,ad osservarlo, semplicemente.

L’ho sempre saputo e mi rifiutavo d’ammetterlo anche a me stessa, che lo amavo.

Che lo amo, che quest’uomo, forse, potrebbe riamarmi.

E poi Genkay sgrana gli occhi, consapevole, adesso.

Ma lui non può riamarmi…

Mi ha portato con sé perché sentiva di doverlo fare, ma lui non mi ama…

Non può amarmi…

Lo saprei.

Vorrei solamente avere il coraggio di dirglielo;

ma non posso farlo perchè se lui mi amasse me l’avrebbe già detto; m’avrebbe presa in sposa, tre anni fa.

E invece saremo buoni amici, null’altro che questo.

E non è triste che io, una ragazza –credo di poterlo ammettere senza vanità- persino graziosa, debba rimanere non amata, per sempre?

Non è triste che l’uomo che amo debba accontentarmi di guardarlo, di fingermi sua amica, per struggermi in silenzio nel fondo dell’anima?

Ma bene o male è questo il mio destino.

M’arrendo a lui, al fato che mi vuole distruggere, e spero di non avere a soffrire del mio silenzio.

 

 

Lei.

Lei che è così bella che i miei compagni neppure crederebbero ch’io possa aver rischiato di sposarla;

lei che è così bella che non pare possibile che un normale essere umano possa permettersi di stare al suo fianco.

Lei che da quando sono partito ossessiona la mia mente col suo ricordo.

Lei che io amo con tutta l’anima, per la quale non esiterei a dare la mia vita se ciò servisse a farla felice.

Lei che non saprà mai quel che io provo per lei, lei che non dovrà mai saperlo perché lei non può amare un uomo come me.

Genkay merita qualcosa che non sono io, merita tutto ciò che desidera, merita la felicità ch’io non riuscirei a darle.

Ride con le sue labbra come petali di rosa, più simile a una dea che a una donna umana;

e vorrei dirglielo,vorrei vivere per sempre al suo fianco, per proteggerla e farla felice,e non lasciarla mai.

Ma io non posso averla e devo arrendermi.

Cercherò di tacere finchè potrò, e quando non potrò più morirò per morire col mio segreto.

 

E l’amore che non può essere ricambiato tace, anche per sempre.

Per non ferire il suo amore,

e soprattutto per non esserne ferito.

E due giovani, troppo giovani per sapere amare,troppo innocenti per sapere cosa dire, tacciono,

e uccidono il loro amore.

Lo soffocano, tra le mani, per non averne a soffrire, per portarlo con sé nella tomba quando morranno.

Ma l’amore non muore mai.

L’amore torna, nelle notti insonni, a tormentare l’amante sotto forma degli occhi dell’amato.

E tace per mezzo secolo, per tutta la vita, finchè non muore con chi lo nutre.

E non si capisce mai bene se è il proprietario a uccidere il suo amore che lo tiene in vita, o l’amore, che uccide il proprietario che tiene in vita e da cui è tenuto in vita.

Ma l’amore tace, e non è detto che si spenga.

E non lo puoi lasciar morire, perché sai che morirai con lui…

Owari.

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