a Sky full of Stars

di Hanaya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** » Incipit ***
Capitolo 2: *** * I ***
Capitolo 3: *** * II ***
Capitolo 4: *** * III ***



Capitolo 1
*** » Incipit ***


2091 il mondo come lo conosciamo oggi è istinto. La terra sta attraversando la fase terribile che gli scienziati e studiosi avevano predetto già da tempo. Le risorse scarseggiano, l'aria è altamente inquinata e il clima impazzito. Ormai irrecuperabilmente impazzito. Come sarebbe la nostra società se i piani alti decidessero per noi? Togliendoci la libertà di scelta, la libertà di sognare e la libertà di decidere cos’è meglio per noi? L’essere umano se l’è andata a cercare... con l’obiettivo di vivere al meglio sulla terra ha finito per distruggerla  e ormai è troppo tardi. Non è più in grado di decidere per sé stesso, è un lusso che non si può più permettere. E ciò che è ancora più macabro... è che la nuova generazione non ha la minima idea di come fosse prima, tutti vivono nella spensieratezza.
La formazione di ogni individuo avviene presso l’Accademia dove al termine degli studi, dopo aver superato faticose prove fisiche e mentali, si deciderà quale sarà il proprio ruolo nella società. Medico?  Trainer presso l’Accademia? Oppure membro dei Vertici?  E com’è possibile recuperare quel poco che resta del Pianeta Terra? È ovvio: eliminando gli esseri deboli; coloro che non hanno raggiunto un risultato sufficiente da poter ottenere un ruolo nella società.
Sarà Sarah St.James insieme al gemello e ai suoi novi amici all’Accademia a porsi le prime domande e a far luce sul perché molti allievi, dopo ogni test, spariscano senza lasciare traccia.
Amori, sogni, speranze si intrecciano alla ricerca di un mondo migliore. O di un modo migliore di vivere nel mondo.
 


      »  Il cielo era azzurro. La brezza marina le sussurrava all’orecchio. Sarah era in piedi sul ciglio di uno strapiombo, sotto di lei l’oceano. Il sole le scaldava la pelle del viso, i suoi raggi erano talmente caldi che tutto intorno a lei sembrava essere avvolto da una luce bianca. I suoi capelli erano mossi dal vento, l’odore di salsedine le penetrava nelle narici; trattenne il respiro e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, sentì la voce di una donna che chiamava il suo nome. La ragazza si girò lentamente e la vide con la coda dell’occhio. La donna si avvicinò a lei con passo lento. Quando si fece abbastanza vicina, ella tese  una mano e Sarah allungò il suo braccio pronta ad afferrargliela. La mano dell’estranea le passò attraverso, tutto il suo corpo le passò attraverso. Non la riuscì più a vedere, si girava e rigirava su se stessa: dove sei? Non riesco a più a vederti, dove sei? Continuò a ripetere come un mantra.  La donna non smetteva di chiamare il suo nome, questa volta sentì la sua voce provenire innanzi a lei. Sarah si avvicinò al bordo del precipizio e guardò giù, la vede; il  corpo della donna trafitto da uno spuntone, i suoi occhi vitrei la fissavano privi di vita.

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Capitolo 2
*** * I ***


Sono le ore sette e trenta. La temperatura è di dodici gradi centigradi. La temperatura percepita è di quattordici gradi centigradi. Si prevedono nubi sparse su tutta la regione, attenzione: le probabilità di pioggia sono del quaranta per cento. Buona giornata.



Mi sveglio di soprassalto. Mi passo il palmo della mano sulla fronte come per controllare la mia  temperatura. Sono sudata come se avessi corso una maratona. Mi strofino gli occhi e mi metto a sedere poggiando la schiena contro la testata del letto. Le pareti della mia stanza si illuminano e  mi avvisano sulle previsioni meteo della giornata. Le videate mostrano un cielo plumbeo che si schiarisce e si riannuvolava, al centro mostrano l’ora esatta. Le informazioni si ripetono ancora e ancora una volta, finché non mi decido ad afferrare il telecomando e spegnere tutto;  i muri della camera ritornano bianchi come per magia. Mi alzo lentamente dal letto, mi sento tutta addolorata, come se stessi portando un macigno sul petto. Infilo le pantofole e mi avvolgo la vestaglia attorno al corpo. È  la prima volta che mi capita di arrivare in ritardo per colazione, mio padre e mio fratello avevano già finito da un pezzo e a giudicare dall’orario, avevano ormai già munto tutte le mucche del paese.
Mi precipito giù per le scale ignorando il battito accelerato del mio cuore; probabilmente era stata tutta colpa di quell’incubo.
Imbocco il corridoio che porta in cucina e mi scontro con mio fratello Sam, che si rovescia addosso il latte appena munto. «ahi, per la miseria» sbotto coprendomi con la mano l’occhio destro. «fai più attenzione!»
«Sarah!» esclama lui. Appoggia i contenitori del latte e mi prende a braccetto. «ti sei fatta male?» mi domanda scostandomi  la mano che premo sulla fronte. Mi aiuta ad accomodarmi sulla poltrona in salotto e controlla il mio occhio, mi fa un male tremendo. «Non è niente. Vado in cucina a prenderti un po’ di ghiaccio, resta seduta qui.»
«Mi dispiace.» dico osservandolo mentre prende i cubetti dal freezer.
«Per cosa?»
«Per averti urtato. E per averti fatto rovesciare tutto il latte.» dico appoggiando il ghiaccio sull’occhio. Mio fratello si inginocchia davanti a me appoggia la sua mano sul mio ginocchio, mi scosta il braccio con il quale sorreggo i cubetti di ghiaccio e mi da un’ultima occhiata. «l’importante è che tu non ti sia fatta male. Per fortuna non sembra essersi gonfiato, è soltanto un po’ arrossato. Faresti meglio a fare colazione, ti sentirai meglio.» mi consiglia Sam alzandosi in piedi. Io faccio lo stesso e mi dirigo in cucina, il ghiaccio mi si sta sciogliendo in mano. Sam mi raggiunge e incomincia a travasare quel poco di latte rimasto  in dei contenitori di metallo. Lo osservo per un attimo e sento un nodo stringermi la gola.
«Mi mancherà tutto questo.» gli confesso con un sospiro. Devo sedermi perché mi sento girare la testa. Lui appoggia i pesanti recipienti di ferro e si accomoda accanto a me.
«Sarah.» mi prende la mano e mi guarda intensamente. «andrà tutto bene, ne sono sicuro. Old town attenderà il nostro ritorno. Quando torneremo, saremo persone migliori. Saremo persone che finalmente avranno capito qual è il loro posto nel mondo. Sarà tutto più semplice, ne sono certo. » La sua ventata di positivismo mi ha quasi rassicurata. Mi sorride e si rimette a travasare il latte. Io rimango per un attimo imbambolata con le braccia stese sul tavolo. Guardo fuori dalla finestra, il sole fa capolino dietro qualche nuvola.
«Per curiosità: come mai ti sei precipitata giù dalle scale in quel modo questa mattina? » mi domanda Sam sghignazzando. Mi alzo in piedi e mi avvicino nuovamente al frigorifero. Prendo due uova e un pentolino e comincio a cucinare, ignorando la domanda di mio fratello. Io e Sam abbiamo un ottimo rapporto, gli racconto praticamente tutto ciò che mi accade, ma quell’incubo mi ha un po’ destabilizzata. Quindi preferisco tacere.
«Non ho sentito la sveglia.» mi limito a rispondere sbattendo le uova violentemente con un mestolo di legno. «Dov’è papà? Non è ancora tornato dal fienile?» cambiare discorso è il mio cavallo di battaglia.  Quando si tratta di fuggire da una conversazione incresciosa non mi batte nessuno. Lo sguardo di mio fratello mi dice che sa benissimo che gli sto nascondendo qualcosa, tuttavia non fa ulteriori domande a riguardo e si limita a rispondere alla mia domanda.
«Papà è andato dagli Smith. Sembra che una delle loro mucche stia per partorire, hanno chiesto il suo aiuto. Mi ha detto che sarebbe tornato per l’ora di pranzo.»
Mi siedo e finisco la mia colazione in un sol boccone. Mi verso un po’ di latte fresco nel bicchiere e lo bevo tutto d’un fiato, mi alzo e porto le stoviglie al lavello. Sento ancora quel senso di pesantezza sul petto, cerco di ignorarlo ma non ci riesco; faccio un respiro profondo e mi costringo a non pensarci continuando la conversazione con Sam.
«Presumo che debba essere io a preparare il pranzo, o mi sbaglio?»
«Si ma non sarai sola. Ho invitato Jane a pranzo con noi. Ti aiuterà lei a cucinare.» Jane è la ragazza di mio fratello e una delle mie migliori amiche. Sono fidanzati da praticamente tutta la vita; io e papà abbiamo scommesso che sarà lei a chiedergli di sposarla quando sarà il momento, per quanto Sam possa amarla, non le chiederà mai la mano.
«Bene!» esclamo mettendo a scolare le stoviglie nello scolapiatti. «quando arriverà? Faccio in tempo a fare una doccia?»
«Direi di sì. Sono appena le otto e trenta, fai in tempo a fare qualsiasi cosa.» mi risponde ridendo. Effettivamente mi accorgo di aver perso la cognizione del tempo, è un po’ presto per preparare il pranzo. Fare un bagno caldo non può che farmi bene. Mi stringo per bene la vestaglia intorno alla vita e mi dirigo al piano di sopra. Quando raggiungo il salotto le pareti si illuminano di nuovo, le grandi videate si accendono e compare una schermata bianca con l’immagine di una busta da lettere; affianco appare l’immagine di una torre stilizzata: il simbolo della città di Old town.  L’immagine della busta si dissolve, mentre quella della torre slitta nella parte destra della videata; al centro appare questa dicitura: “nuovo messaggio in arrivo tra 10, 9, 8,...” È partito il countdown che annuncia fra quanti secondi apparirà il video-messaggio. Chiamo mio fratello con tutto il fiato che ho nei polmoni prima che il conto alla rovescia si esaurisca.
«Sam, corri qui immediatamente!» esclamo posizionandomi al centro del salotto. Quando mi giro per assicurarmi che mio fratello mi abbia sentito, noto che anche le pareti delle altre stanze si sono attivate.  Sam mi raggiunge e aggrotta le sopracciglia, se non lo conoscessi bene direi che è alquanto spiazzato. Lo sento respirare affannosamente per via della corsa, mi guarda per un istante ed entrambi ci voltiamo verso la schermata al centro della stanza. Quando scade il conto alla rovescia, l’emblema di Old town lascia spazio a quella di due grattacieli: il simbolo di New town, la nostra capitale. Un nuovo messaggio appare su uno sfondo completamente bianco.
New town è con voi.”  Il motto di New town mi mette a disagio, neanche dovessimo andare in guerra. Il messaggio scompare e appare l’immagine del nostro prefetto, Gregor McCoy. È un uomo di mezz’età alquanto bizzarro; è abbastanza in carne, pelato e porta degli occhiali da vista con la montatura rosso acceso. Indossa una camicia a quadri bianchi e neri e intorno al collo ha un papillon con i colori della nostra bandiera: rosso, verde e blu. Si sistema il papillon e comincia a parlare.
«Cari abitanti di Old town. È il vostro prefetto che vi parla.» si sistema gli occhiali con il dito indice e riprende. «Vi annuncio che il reclutamento per l’addestramento presso l’Accademia si terrà il giorno tredici marzo. Tutti i cittadini che quest’anno hanno compiuto, o compiranno, diciotto anni – come stabilito dalla nostra Costituzione – prederanno parte all’addestramento che si terrà presso la nostra prestigiosissima Accademia di New town. Qui verrete educati, disciplinati; scoprirete  l’arte del combattimento, assisterete allo sviluppo di nuove scienze e tecnologie. Scoprirete quale sarà la vostra vocazione, quale sarà il vostro ruolo nel  mondo; poiché voi siete il futuro. La nostra speranza per una società migliore e una garanzia per il nostro progresso. Mi aspetto grandi cose da voi. Mi auguro che i migliori studenti di Old town possano raggiungere i livelli più alti della gerarchia sociale; mi auguro che diventiate professori, scienziati, fisici e membri dei Vertici. Dovrete impegnarvi al massimo per raggiungere tali risultati. Detto questo, vi faccio i migliori auguri. Ci vediamo il tredici marzo a New town, buona giornata.» si sistema il papillon per l’ultima volta ed esce di scena. La videata ritorna bianca e riappare il motto della capitale: “New town è con voi.”   
Io e Sam ci fissiamo e riportiamo lo sguardo ancora una volta sulla schermata che nel frattempo  si è spenta. La parete bianca davanti a me riflette il mio malessere. Fisso la mia immagine su di essa: i miei capelli rossi indomabili sono scompigliati all’inverosimile, la mia vestaglia è completamente sgualcita, l’espressione sul mio viso ricorda quella di chi ha appena visto un fantasma. Accanto a me, mio fratello gemello non è in condizioni migliori; anche lui sembra alquanto turbato e i suoi vestiti sono ancora mezzi inzuppati di latte.

«Io non credo di essere all’altezza.» sussurro tenendo fisso il mio sguardo.
«Hey. Te lo ripeto per l’ultima volta: andrà tutto bene. Sei una delle persone più in gamba che conosca, e finché saremo insieme tutto andrà per il verso giusto. E poi la cosa peggiore che possa capitare è scoprire di essere portati per un lavoro insulso come lo può essere il mungitore di mucche, perlomeno  quello lo so già fare piuttosto bene. » scoppia a ridere come un bambino. Lo fisso a bocca aperta e mi domando come possa essere tanto ilare dopo che ci hanno appena comunicato la data del ‘giorno del giudizio’. Avremmo lasciato la nostra casa e nostro padre per un anno intero. Da un lato, sono eccitata all’idea di scoprire finalmente quale sarà  il mio ruolo nella società; fare parte dell’esercito o diventare insegnante? O forse, membro dei Vertici? I governatori del nostro paese; al momento nessun cittadino di Old town ne ha mai fatto parte. Dall’altro, l’idea di stare a lungo fuori casa senza avere notizie da parte di mio padre e di nessun altro a Old town, mi devasta.
«Vado a farmi il bagno, sempre che non arrivino altri messaggi sconvolgenti. » dico avviandomi verso le scale.
«Direi che per oggi possa bastare con i messaggi sconvolgenti. Finisco di sistemare la cucina e  andrò anche io a farmi un bagno, puzzo di latte e di mucca.» Alzo gli occhi al cielo rassegnata. Mio fratello si dirige verso la cucina e io raggiungo il bagno. Mi tolgo la vestaglia e la camicia da notte sottostante, li lascio cadere a terra ed entro nella vasca. Appena il mio piede si appoggia sulla superficie fredda di essa, i sensori rivelano la mia presenza e l’acqua incomincia a fuoriuscire, tiepida, regalandomi una profonda sensazione di benessere; avverto ogni fibra del mio corpo distendersi.
 Quando è abbastanza piena, mi immergo e mi abbandono all’acqua appoggiando la testa  sul cuscinetto dietro le mie spalle, chiudo gli occhi e cerco di non pensare al fatto che starò lontano da casa per tanto tempo. Sam e Jane verranno con me, e pochi altri amici di Old town. Mio padre non possiede molti ricordi del suo tempo trascorso all’Accademia. Poco prima di affrontare i test finali, subì un forte trauma che gli causò un’amnesia parziale cancellando così i suoi ricordi relativi agli undici mesi passati a New town. Quando tornò a casa, sposò mia madre e i Vertici gli raccontarono ciò che era successo; cioè la causa per cui non fu in grado di sostenere gli esami finali. Fu un duro colpo per lui, ma i Vertici furono alquanto clementi; gli assegnarono un lavoro non affatto male per qualcuno che non aveva completato l’addestramento: agricoltore ed allevatore di bestiame, ecco la ragione per cui abitiamo in mezzo al nulla. In realtà il suo incarico consiste in qualcosa di più: fornisce materie prime che poi vengono inviate a New town per la lavorazione. Frutta, verdura, latte e tanto altro. Ben presto scoprì di amare la natura e tutto ciò che essa offriva, così divenne anche il primo veterinario della nostra piccola città. Dopo tutto non gli è andata così male. Decido di staccare la mente, di non pensare più a nulla, l’unica cosa che voglio sentire è il gorgoglio dell’idromassaggio.
     
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Capitolo 3
*** * II ***


Narrato dal punto di vista di Cecile Lewis, membro del Consiglio della C.P.U. (Comitato per la Protezione dell’Umanità) e Presidentessa dell’Accademia.

» Il temporale non dà alcuna tregua quella notte nella capitale. La grandine continua a scendere e a colpire con violenza qualsiasi cosa si trovi per le strade deserte di New Town. Il vento soffia impetuoso, il suo soffio freddo entra rumorosamente dai condotti dell’aria posti sulle pareti dell’ufficio E48, dove alcuni fra i più facoltosi membri dei Vertici sono in procinto di terminare il programma Accademico dell’anno.
«Cecile, spero di non disturbarti.»
«Fuston.» Mi giro lentamente, mantenendo le braccia conserte. Sono affacciata alla finestra dove ammiro la forza della tempesta che quella notte mi costringe a rimanere in ufficio fino a tardi. «Qual buon vento ti porta qui?» domando all’uomo appena entrato nel mio ufficio. Fuston Mayer è il Segretario della C.P.U., il Comitato per la Protezione dell’Umanità, nonché uno degli uomini più potenti in circolazione, forse soltanto io mi ero aggiudicata un gradino più alto sul podio.
«Sarebbe opportuno consegnare tutta la documentazione al Consiglio, non trovi?»
«Non credo che siano rimasti in molti al Consiglio a quest’ora della notte» Fisso la parete illuminata dai led alla mia destra, l’orologio virtuale segna le 2.45. «temo che saremo costretti a passare la notte in ufficio con questo tempo terribile, non mi arrischierei ad uscire.»
«Segno inequivocabile di un peggioramento delle condizioni ambientali del nostro pianeta.» asserisce Fuston sedendosi al di là della scrivania di fronte a me. Feci un mezzo sorriso e mi sedetti. L’ufficio sembra pervaso dall’oscurità; il solo barlume che illumina debolmente  la stanza proviene dai fari del  grattacielo di fronte.
«Uno dei motivi per cui la soglia quest’anno sarà discretamente più alta.» puntualizzo.
«Cosa intendi con ‘discretamente’?»
fa eco Fuston.
«Non vorrei allarmarti troppo, ma temo che avremo calamità molto più gravi da affrontare se non interveniamo immediatamente. Suppongo che porre la soglia all’ottantacinque per cento possa migliorare di gran lunga la situazione.» Fuston aggrotta le sopracciglia manifestando il suo stupore.
«Ottantacinque. » ripete l’uomo. «Cecile, porre la soglia all’ottantacinque per cento implica una rivalutazione di tutti i corsi, dovremmo rivedere l’intero sistema, dovremmo riorganizzare... » Lo interrompo facendogli segno di tacere con la mano.
«Ho già pensato a tutto. Ecco perché sono ancora in ufficio alle tre del mattino, tempesta a parte.» Lui continua a fissarmi scuro in volto. Non può credere alle sue orecchie, porre una soglia così alta vuol  dire perdere, forse, il sessanta percento degli studenti.
«Non temere. Consegnerò la mia proposta al Consiglio domani mattina.»
«Se non sbaglio, l’anno scorso la perdita si è aggirata all’incirca al  quaranta per cento...» Fuston si blocca, lasciando fluttuare le sue parole per la stanza. L’uomo sospira continuando a mantenere lo sguardo fisso su di me che nel frattempo verso del whisky in due bicchieri di cristallo.
«Caro Fuston. Non è una cosa di cui devi preoccuparti. Quest’anno l’organizzazione è stata affidata a me, mi sono basata su dati statistici precisi per stilare il programma, mi sono rivolta agli studiosi più facoltosi dell’intero Comitato scientifico dell’organizzazione; non ho di certo lasciato tutto al caso.» Allungo il bicchiere a Fuston che osserva le mie  lunghe unghie rosse. «Non ho dubbi in merito.» Fuston sorseggia il whisky assaporandolo con gusto.
«Sembra quasi che tu non ti fidi di me. Peccato che la C.P.U. riponga grandi speranze nel mio lavoro, non ho alcuna intenzione di deluderla.» Mi avvicino il bicchiere alla labbra e sorseggio lo scotch. Sono consapevole che porre una soglia tanto alta avrebbe implicato lo sviluppo di una delle selezioni naturali più crudeli al quale il pianete avesse mai assistito, tuttavia non vi è altro tempo, bisogna agire in fretta; l’essere umano si sarebbe istinto alla velocità della luce se non fossi intervenuta al più presto.
«E sono certo che non lo farai. Ma Cecile» M alzo di scattò battendo i pugni sulla scrivania davanti a me, i bicchieri di whisky oscillano.
«Adesso basta!» sbraito. Fuston ha un sussulto, si irrigidisce sulla poltrona spalancando gli occhi. Non ero stata mai tanto furiosa, probabilmente questa era la prima volta che qualcuno mi vedeva reagire a quel modo. «Non devi più permetterti di giudicare il mio lavoro, è chiaro? Ora comprendi perché sei stato surclassato dalla sottoscritta? Perché sei un debole, e quest’anno ti mostrerò che fine fanno i deboli come te.» Fuston si alza digrignando i denti. Un debole? con chi  crede di avere a che fare? Era visibilmente turbato. Quasi potevo leggere i suoi pensieri.
«Domattina indirò una riunione con il Consiglio al completo. Spero vivamente che tu sia presente, puntuale. O potrai dire addio al tuo ruolo da vice-segretario.»
«Vice-segretario? Cecile, io sono a tutti gli effetti un Segretario della C.P.U. Non prendo ordini da te!» Questa volta ha toccato il fondo.
«Mi dispiace, vecchio mio.» Mi giro con una smorfia divertita. Poi mi allontano dalla finestra raggiungendo l’uomo che è sul punto di aprire la porta dell’ufficio, e andarsene. Lo guardo intensamente negli occhi e mi feci più vicina, tanto vicina che le sue labbra sfiorano le mie. «Sono io il Segretario della C.P.U. ora. Puoi dire addio al tuo amato ufficio, alla tua amata poltrona e al tuo amato stipendio. Ora prendi ordini da me, ma sono certa che insieme riusciremo a salvare questo pianeta.» Il silenzio riempie la stanza buia, l’unica cosa che fossi in grado di percepire è il suo respiro nervoso. Ci guardiamo avvolti dalle tenebre finché Fuston, spinto da un impulso involontario, mi bacia. Lo lasciai fare, consapevole del fatto che se volevo raggiungere i miei scopi, Fuston mi serviva e necessito il suo più completo appoggio, in tutto per tutto.
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Capitolo 4
*** * III ***


Sarah.

Sono le undici e quaranta. Sono vestita, pettinata e pronta per accogliere Jane. Scendo al piano terra e mi dirigo in cucina. Apro la finestra per arieggiare un po’ la casa, il vento fresco fa oscillare le tende bianche della stanza. È quasi primavera e fra due settimane dovrò lasciare la mia amata città.
Qualcuno sta bussando all’ingresso, socchiudo la finestra e mi affretto ad andare ad aprire: è Jane. Mi sorride e mi abbraccia talmente forte da togliermi il fiato. È sorprendentemente carina: indossa un abito color pesca che le scende fino al ginocchio. I suoi capelli neri sono mossi dal vento, a parte la frangetta che ha fermato con un fermaglio a forma di fiore. Questa mattina i suoi occhi blu appaiono più chiari del solito, forse per via della luce.
«Jane, entra.» la invito a entrare e chiudo la porta alle nostre spalle. Si guarda un po’ in giro con aria pensierosa e si dirige in cucina lasciando la sua borsetta bianca in salotto. È sempre così ordinata, non ha mai nulla fuori posto, è estremamente attenta a qualsiasi particolare; forse è questa sua caratteristica che ha fatto innamorare mio fratello.
« Avete visto il messaggio del prefetto? Inquietante eh?» mi domanda mentre si lava le mani. Prendo uno strofinaccio dalla madia accanto al lavello e glielo porgo, Jane lo afferra e mi ringrazia dolcemente.
«Sì. Sembra aspettarsi grandi cose da noi. Fino a questa mattina ero abbastanza tranquilla, ora incomincio ad avvertire  la tensione.» le rivelo abbassando lo sguardo. Jane si dirige verso il frigorifero e incomincia a tirare fuori gli ingredienti che serviranno per preparare il pranzo.
«A chi lo dici. Cerco di non pensarci. Ma dov’è Sam?» mi chiede mentre affetta le carote. Incomincio a tagliare il formaggio a cubetti e lo sistemo in un piattino. Prendo le zucchine e le melanzane e le taglio a rondelle. Jane prende una teglia di ceramica abbastanza capiente e vi posiziona le verdure al suo interno.
«Credo stia facendo il bagno.» replico mentre spargo i cubetti di formaggio sulle verdure.
«Bene, sono pronte per andare in forno.» Jane solleva la teglia e la mette in forno.
La osservo ai fornelli e penso che sarebbe proprio una brava moglie e chissà, un giorno anche una brava madre. Non ho idea di come siano le madri, io non ne ho una. Tuttavia, Jane è molto affettuosa e penso che mio fratello sia davvero un ragazzo fortunato ad averla al suo fianco, sono certa che un giorno avranno una splendida famiglia.
Sentiamo dei passi provenire dall’ingresso, deve essere mio padre che fa ritorno dalla fattoria degli Smith.
«Che buon profumino.» dice papà entrando in cucina.
«Ciao papà.» gli corro incontro e lo aiuto ad appoggiare una grossa damigiana sul tavolo.
«Salve signor St.James.» aggiunge Jane con un grande sorriso stampato sulle labbra.
«Cosa cucinate di buono?» papà è amante della buna cucina, tuttavia è sempre stato negato ai fornelli. Io e Sam abbiamo imparato ad arrangiarci da soli con il cibo, anche se la zia Matilde c’è stata di grande aiuto. È solo grazie a lei se mio fratello sa  cuocere un ottimo uovo al tegamino.
«Qualcosa di molto semplice. Verdure e formaggio al forno, sai Sarah dovremmo dare un nome a questa ricetta. » suggerisce Jane.
«Uhm, ricetta dell’ultimo secondo?» propongo alzando le spalle.
«Ottima scelta.» Il timer scatta e Jane si affretta a raggiungere il forno. Nel frattempo papà si è lavato le mani e si è cambiato con indumenti più comodi. Sam ci ha raggiunto in salotto e sta apparecchiando la tavola. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che abbiamo pranzato tutti e quattro assieme. Per la prima volta, mi sembra di avere una vera famiglia.
«Sai papà, mentre eri impegnato con il tuo lavoro dagli Smith, è arrivato un video messaggio da parte del prefetto. Il tredici marzo partiamo per New Town.» dice Sam con la bocca piena. Jane afferra la caraffa dell’acqua  e me ne versa un po’ nel bicchiere, fa la stessa cosa con Sam seduto accanto a lei.
«Quindi è giunto il momento» papà si pulisce la bocca con il tovagliolo e  lo adagia sul piatto. Poi ci guarda sorridendo, non è un sorriso colmo di felicità, piuttosto un sorriso affettuoso.
«Com’è stata la sua esperienza in Accademia signor St.James?» gli domanda Jane. Lei non sa dell’amnesia, ma papà non sembra essere a disagio dopo la sua domanda e cerca di raccontarle quel poco che si ricorda, o meglio, quello che gli dissero una volta tornato a Old town.
«Purtroppo non ricordo molto. Pare sia stato vittima di un terribile incidente che mi ha procurato un’amnesia parziale poco prima di affrontare i test finali. Una volta tornato a casa, i Vertici mi dissero che per non sottopormi ad ulteriori stress, sia fisici che psichici, era saggio affidarmi un lavoro che non mi avrebbe allontanato da Old town. Ed ecco che mi ritrovo a fare il lavoro che faccio ora. L’ultima cosa che ricordo, è il giorno della mia partenza per la capitale.»
«Deve essere stata proprio dura. È strano che non si ricorda più nulla dal giorno della partenza. » replica Jane con aria triste. Papà risponde facendo trapelare un velo di emozione nella sua voce, non l’aveva mai raccontato a nessuno fino ad ora, a parte a me e a mio fratello.
«Bé, sì. Non ho mai indagato a lungo sulla faccenda. I Vertici supponevano che, visto il mio percorso all’Accademia fino a quel momento, i risultati degli esami finali avrebbero comunque affermato il mio attuale incarico. Ero felice di essere sano e salvo, e anche il lavoro che mi avevano affidato mi andava a genio. Sarei rimasto a Old town, nella casa dove ero cresciuto, non potevo desiderare di meglio.» mi guarda accennando un sorriso, mi sfiora il dorso della mano, poi rivolge lo sguardo verso Sam. «poi sono nati i miei gemelli, e non avrei potuto desiderare di meglio nella vita..»
«Per fortuna tutto è andato per il meglio. E i suoi amici? Sono riusciti ad ottenere l’incarico che desideravano?» gli chiede Jane. Moriamo dalla voglia di sapere tutto ciò che riguarda la vita  all’Accademia, ma purtroppo papà non è  il soggetto migliore a cui chiedere in proposito. Tuttavia, ammiro il suo impegno nel cercare di soddisfare Jane e la sua sete di curiosità.
«Alcuni lavorano con me. Altri sono medici, lavorano al Saint Peter’s Hospital. Altri purtroppo non li ho più visti. Mentre qualche allievo con cui feci amicizia in accademia è riuscito a raggiungere la meta più ambita.» fa una breve pausa e continua. Nel frattempo rivolgo lo sguardo a Jane che fissa mio padre a bocca spalancata. «la sede della C.P.U.  E ovviamente con loro non ho più avuto alcun tipo di contatto.» la C.P.U. è il comitato per la protezione dell’umanità ovvero; la sede del governo, dove i Vertici esercitano il loro lavoro.
«Quindi qualcuno del tuo anno è riuscito a farsi ingaggiare?» domanda Sam.
«Bé si. Sono sicuro che succederà anche a voi di fare conoscenza con qualcuno che diventerà membro di quella stretta cerchia dei Vertici.» pronuncia l’ultima parole con tono di disprezzo. «Oppure chi può dirlo? Magari uno di voi tre potrà diventarlo.» alza gli occhi al cielo e congiunge le mani come se stesse pregando a qualche dio improbabile che questo non possa mai accadere. Non capisco perché mio padre nutra tanto disprezzo verso i Vertici dopo l’atto di clemenza che ricevette da loro. «Comunque ragazzi, se volete un consiglio per affrontare al meglio la vostra partenza per New Town; vi consiglio di organizzare un’uscita con i vostri futuri compagni qui di Old Town. Che ne pensate? Potete invitarli a cena qui da noi.»  suggerisce papà alzandosi da tavola. Non mi pare una cattiva idea, anche se io e Sam non abbiamo tanti amici da invitare. Jane ha molte più conoscenze; lavorando come baby-sitter ha fatto amicizia con molti fratelli e sorelle dei bimbi a cui faceva da tata. Ci scambiamo qualche sguardo, e quando incrocio quello di mio fratello, comprendo che la cosa è fattibile.
«Per te Jane va bene? » le domando.
«Ci pensi tu a contattare qualcuno, vero?» aggiunge Sam massaggiandole una spalla. Lei gli afferra la mano e gli sorride facendo l’occhiolino.
«D’accordo. Ci penso io. Ma invece di farlo a casa St.James potremmo organizzare una sorta di pic-nic al chiaro di luna a Greatfalls. Come vi sembra? »
«Gran bel posto.» Sam sembra soddisfatto della scelta. Greatfalls è un parco al confine con la contea di Eastside, è famoso per i suoi numerosi torrenti e le sue numerose cascate. Ricordo con piacere le domenica passate lì con papà e Sam; mi è sembrato di cogliere una luce speciale provenire dagli occhi di mio padre nel momento in cui Jane ha proposto Greatfalls come luogo di ritrovo.
«Bene allora. È deciso.» papà e Sam si alzano per primi da tavola e si dirigono verso la stalla degli Smith per controllare che vada tutto bene con il vitellino appena nato. Io e Jane ci affrettiamo a sparecchiare la tavola e mentre lei lava i piatti, io l’aiuto ad asciugarli.
»»»»
Una volta completato tutto il lavoro, Jane si appresta a tornare a casa e mi saluta dandomi un fragoroso bacio sulla guancia. Aspetto  qualche secondo prima di chiudere la porta dell’ingresso; il vento soffia impetuoso, il cielo scuro è il preludio della tempesta. Socchiudo gli occhi e prendo ad inspirare e ad espirare. Non so il perché, ma sento dentro di me una bella sensazione, assaporo quel momento di tranquillità come se fosse l’ultima cosa che avrei fatto nella vita. Mancano ancora dodici giorni alla partenza, ma in quell’istante non sembra un dettaglio importante. Chiudo  la porta alle sue spalle e mi dirigo al piano di sopra. Entro nella mia stanza, e appena varco la porta, alzo gli occhi e faccio un giro completo su me stessa. Cerco di imprimere nella memoria le fattezze della mia stanza. E se una volta arrivata all’Accademia mi dimenticassi com’è fatta la mia  camera da letto a Old Town?  No, impossibile. Troppe volte mi sono chiusa qui dentro, sbattendo la porta, tagliando ogni contatto con il mondo esterno. Accarezzo le pareti bianche e le schermate si attivano; sullo sfondo appare l’immagine mia e diSam a cinque anni nel giardino della casa di zia Matilde. Ecco cosa dobbiamo fare prima di partire, salutare zia Matilde.
E devo anche controllare di avere abbastanza vestiti decenti da poter indossare nell’arco di un anno.
Non mi potrò mica mettere sempre i soliti.
O forse non abbiamo bisogno di vestiti, insomma, potrebbero darci loro delle divise. Ecco cosa mi sono dimenticata di chiedere a papà: se all’Accademia forniscono delle divise.
Che sbadata, papà non se lo ricorda.
E se invece non ci dividessero per sesso? Insomma non posso condividere la  stessa stanza con un ragazzo.
E se non ci fosse permesso frequentare ragazzi?
Non se ne parla. Non posso separarmi da Sam. Mai e poi mai.

Il mio cervello è in preda ad una crisi di nervi. Troppe domanda alle quali, per il momento, non sono in grado di rispondere. Per fortuna qualcuno bussa alla porta, e il mio cervello ritrova il normale equilibrio.
«Avanti.» dico alzando un po’ la voce.
Sam apre la porta esitante, come se prima volesse accertarsi che sia vestita.
«Posso?»
«Certo.»  Spengo le schermate e mi siedo sul letto. Mio fratello socchiude la porta e mi raggiunge. Prendo  il cuscino appoggiato alla testata dal letto e me lo metto sull’addome, abbasso gli occhi e comincio a giocare con gli angoli del guanciale. Sam sembra scrutarmi con aria pensierosa, aveva qualcosa da chiedermi; ha la tipica espressione che assume quando vuole sapere qualcosa che mi riguarda nel profondo.
«Dai, spara. Lo so che vuoi chiedermi qualcosa.» gli dico francamente.
«So che c’è qualcosa che non va. Deve esserti successo qualcosa stamattina.»
«Che cosa te lo farebbe pensare?» gli chiedo continuando a stringere il cuscino. Sam si sistema dritto e incrocia le gambe.
«Ti sei precipitata giù per le scale tanto in fretta che mi sei venuta a sbattere senza nemmeno accorgertene. Quindi, presumo che tu ti sia svegliata bruscamente... e non darei la colpa alla info-sveglia» fa una breve pausa e allunga il busto per farsi più vicino a me che nel frattempo mantengo basso lo sguardo. «hai avuto un’altra di quelle allucinazioni durante il sonno, vero? Com’è che si chiamano? Ah sì, sogni.» temo di incrociare il suo sguardo, continuo a giocherella con il cuscino tenendo il broncio. A dire la verità, non sono nemmeno tanto sorpresa che Sam abbia indovinato quale sia esattamente la situazione. Sapere di essere l’ultimo essere umano rimasto sulla terra in grado di sognare mi angosciava.
«Che cosa hai visto questa volta?» mi chiede Sam facendosi più serio.
sospiro e sollevo la testa che prima reggevo con una mano. Descrivo il sogno a Sam per filo e per segno; gli racconto della donna che chiamava il mio nome sulla cima di una scogliera, e di come il corpo di questa mi passò attraverso quando tentai di afferrare la sua mano.
«E una volta sparita, sento chiamare il mio nome da lontano. Mi faccio più vicina al dirupo, e la vedo. Il suo cadavere che penzola nel vuoto. »
«Sei riuscita a riconoscere la donna?» mi chiede  Sam strizzando leggermente gli occhi come per aumentare la sua capacità di concentrazione.
«No. Lì per lì mi sembrava tutto reale. Come se stesse succedendo per davvero. Ma una volta sveglia, le immagini hanno cominciato a sfumare e i ricordi a svanire. Sam, che cosa mi sta succedendo?» mi alzo dal letto e getto il mio sguardo al cielo. Sam si fa più vicino e mi gira davanti a sé afferrandomi per le spalle.
«Non so perché tu sia l’unico essere umano sulla terra a cui è rimasta questa facoltà di sognare. Ma dobbiamo avere delle risposte in merito.»
«E chi vorresti interpellare? » non sono affatto d’accordo che quella possa essere una buona idea. Se i Vertici fossero venuti a conoscenza di un tale prodigio, mi avrebbero posta a chissà quanti esperimenti e test.
«A papà per cominciare.» sbotta Sam.
«Non se ne parla. Papà ha già troppi problemi, non posso dargli altri pensieri.»
«E se la tua compagnia,o le tue compagnie di stanza, si accorgessero che sei in grado di fare questa cosa
«E come pensi che possa aiutarmi dicendolo a qualcuno?» ribatto evidentemente in collera. Sono  cosciente del fatto che Sam vuole solo aiutarmi, ma quando si tratta delle mia allucinazioni notturne, nessuno è in grado di tranquillizzarla.
«Non so come aiutarti da solo, Sarah.» Sam si alza e si avvicina alla porta. «voglio solo capirci qualcosa.»
«A chi lo dici.» aggiungo gettandomi di nuovo sul letto. Mi accomodo supina fissando il soffitto con sguardo assente. Sam apre lentamente la porta tenendo la testa bassa, poi si gira verso di me e mi rivolge un sorriso.
«Non temere sorellina, prima o poi ne verremo a capo.»
Sam se ne va lasciandomi sola, immersa nei miei pensieri. Rimango immobile sul letto, fissando il vuoto. Di tanto in tanto sbatto le palpebre, l’unico segno di vita che trapela dal mio volto. Mi chiedo se quei sogni siano ricordi insiti nelle zone più remote del mio cervello, o se siano semplicemente privi di significato. Eppure c’è qualcosa in quella donna; la sua voce; i suoi capelli; hanno qualcosa di vagamente familiare. Qualcosa dentro di me mi spinge a credere che quei frammenti di vita che vedo durante il sonno, rivelino molto di più che una semplice illusione. Mi convinco che è  inutile arrovellarsi il cervello a quel modo, non avrei mai trovato delle risposte interpellando solo la mia coscienza. Congiungo le mani sul ventre, chiudo gli occhi e mi addormento.



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