Odi et amo

di Veni Vidi Jackie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LA FINE (0) ***
Capitolo 2: *** (1) ***
Capitolo 3: *** (2) ***
Capitolo 4: *** (3) ***
Capitolo 5: *** (4) ***
Capitolo 6: *** (5) ***
Capitolo 7: *** (6) ***
Capitolo 8: *** (7) ***
Capitolo 9: *** (8) ***
Capitolo 10: *** (9) ***
Capitolo 11: *** (10) ***
Capitolo 12: *** (11) ***
Capitolo 13: *** (12) ***
Capitolo 14: *** (13) ***
Capitolo 15: *** (14) ***
Capitolo 16: *** (15) ***
Capitolo 17: *** (16) ***
Capitolo 18: *** (17) ***
Capitolo 19: *** (18) ***
Capitolo 20: *** (19) ***
Capitolo 21: *** (20) ***
Capitolo 22: *** (21) ***
Capitolo 23: *** (22) ***
Capitolo 24: *** (23) ***
Capitolo 25: *** (24) ***
Capitolo 26: *** (25) ***
Capitolo 27: *** (26) ***
Capitolo 28: *** (27) ***
Capitolo 29: *** (28) ***
Capitolo 30: *** (29) ***
Capitolo 31: *** (30) ***
Capitolo 32: *** (31) ***
Capitolo 33: *** (32) ***
Capitolo 34: *** (33) ***
Capitolo 35: *** (34) ***
Capitolo 36: *** (35) ***
Capitolo 37: *** (36) ***
Capitolo 38: *** (37) ***
Capitolo 39: *** (38) ***
Capitolo 40: *** (39) ***
Capitolo 41: *** (40) ***
Capitolo 42: *** (41) ***
Capitolo 43: *** (42) ***
Capitolo 44: *** (43) ***
Capitolo 45: *** (44) ***
Capitolo 46: *** (45) ***
Capitolo 47: *** (46) ***
Capitolo 48: *** (47) ***
Capitolo 49: *** (48) ***
Capitolo 50: *** (49) ***
Capitolo 51: *** (50) ***
Capitolo 52: *** (51) ***
Capitolo 53: *** (52) ***
Capitolo 54: *** L'INIZIO (0) ***



Capitolo 1
*** LA FINE (0) ***


LA FINE

Matilde si volge verso di me, con quel suo solito sorrisetto che ha sempre in queste occasioni. Molto tempo fa avevo amato quella sua espressione del volto, ma ora ne sono solo terrorizzato. Cosa sta per fare? Sapevo di non dover dire quella cosa, accidenti! Anche Tom si gira ad ossevarmi divertirto, probabilmente starà pensando “ora gliene dà un altro! Ora gliene dà un altro!”. Andy è invece impassibile, ormai la reazione di Matilde è diventata la normalità.

- Cosa hai appena detto? - mi chiede la ragazza sempre sorridendo, ma è un sorriso particolare. In realtà, tutto il suo volto in queste situazioni assume un'espressione un po' strana. Non è il sorriso che si fa, per esempio, quando si incontra un amico per strada. E' diverso. Matilde strabuzza leggermente gli occhi, mi guarda attentamente ed il suo sorriso pare un po' forzato. Esagerato, ecco. Devo dire che però è sempre molto bella vederla così.

- Eh?...Cosa? - balbetto io. Cavolo! Perchè ho risposto in quel modo se so che non le va bene?

- Ripeti quello che hai detto - mi intima avvicinandosi con fare minaccioso, mentre io indietreggio vigliaccamente. Tom nel frattempo non riesce più a contenersi e scoppia a ridere, scuotendo per le spalle Andy, che invece non vede l'ora di proseguire la nostra passeggiata.

- Ho solo detto che Maria Sharapova è molto bella...non capisco perchè...-

Sbam!

Matilde mi tira una manata sulla guancia, che mi fa girare la testa di 360 gradi e mi fa vedere Gesù e tutta la sua famiglia (compresi il bue e l'asinello, ormai miei amici). Io cado esanime, di nuovo, a terra, in preda ancora alle mie visioni. - Ciao, Giuseppe...come stai? - comincio a surrurare con voce debole, rivolgendomi al padre di Cristo.

Andy, come di consueto, prende un sasso da terra e mi colpisce alla testa, facendomi perdere i sensi. Dopo qualche secondo mi riprendo e vedo Tom riporre nella sua valigia un defibrillatore. Ah già, faccio sempre così. Mi ero scordato che le aggressioni di Matilde sono costanti ed abbiamo ormai intrapreso una procedura per farmi riprendere: prima il pugno (o calcio, qualunque cosa che mi arrechi dolore) di Matilde, poi il colpo decisivo di Andy (in modo da stendermi definitivamente), per ultimo, appunto, l'uso del defibrillatore, che mi riporta “in vita”.

Ringrazio Andy, mio salvatore in queste situazioni da ormai un anno.

- Sai che non voglio che tu dica che lei sia bella, così come non voglio che tu lo dica per la Martina, Caterina o qualunque altro essere umano di genere femminile! Perchè non lo capisci? - mi chiede irata e frustrata, marcando la parola “lei” con disprezzo. Ha tutti i capelli scomposti ed il viso rosso perchè sta quasi urlando, come sempre in questi casi.

- Giusto, scusami Matilde. - Tom mi dà una pacca sulla schiena e continuamo a passeggiare sul lungomare. Sono le 16 del pomeriggio ed il sole splende, sarebbe una giornata stupenda se non fosse per la Matilde...ah! Matilde! Odi et amo!

- Fa sempre male, Jack? - mi chiede preoccupato Andy.

- No no, tutto okay - mento io.

Arriviamo fino sul molo, dove un leggero venticello ci scompiglia i capelli. Noto che Andy, pesando solo otto chili e mezzo, ha difficoltà a resistere al vento. Anzi, devo dire che sta per cadere in acqua. Lo sorreggo, un po' come il mio omonimo Jack fa in “Titanic” con Rose. Quando mi accorgo con orrore di questa imbarazzante situazione, lo lascio andare all'improvviso, quasi schifato, e lui precipita nel mare.

- Wow, Andy! Che salto! - esclama Tom divertito. La gente intorno, preoccupata, cerca di andare in soccorso al ragazzo.

- Tutto sotto controllo, signori! Il ragazzo è campione mondiale di nuoto, sa cavarsela perfettamente! - tranquillizzo io, mentre tutti emanano un “ahh” di sollievo. Poi proseguiamo, giungendo in spiaggia.

Guardo Matilde: se ci si limita a guardarla dall'esterno sembra una ragazza stupenda, molto carina e simpatica; ma quando la si osserva dall'interno, per quello che è veramente, le cose cambiano assai! Ricordo ancora quando, nei primi mesi che l'ho conosciuta, era così gentile nei miei confronti, tanto premurosa...era stato facile innamorarsi di lei. Ma poi...le cose erano cambiate. Dietro quell'apparenza di ragazza per bene si celava un volto nascosto, un alter ego che io non mi aspettavo e non ho saputo affrontare. Ah, che peccato! Tanto gentile e tanto onesta pare! Peccato Matilde, forse all'inizio saremmo stati davvero bene insieme! Ah...Matilde! Odi et amo!

“Hey, Jack? Che stai facendo? Ci stai ricascando! Guai a te!”. La mia vocina interna sta ricominciando a parlarmi, tentando di distogliermi da quei pensieri dolorosi.

- Hai ragione, scusami. Ora penso ad altro - dico a voce a volta, quasi inconsciamente. Matilde e Tom si girano verso di me, perplessi su quanto ho detto. Devo proprio sembrare un pazzo! Sto forse cominciando a parlare da solo? Faccio un sorriso e li invito a continuare a camminare. Ogni tanto sento delle urla dall'acqua, forse non è stato un bene gettare Andy nel mare.

- Chi ha voglia di un gelato? - chiede Matilde, passandosi la lingua sulle labbra. Tom alza subito la mano, cominciando ad ululare come fa sempre quando sta per mangiare il gelato. Certe volte, ne sono stato testimone, gli spunta pure la coda e comincia a scodinzolare.

- Gelato? Cibo? Certo - rispondo io, che non disprezzo mai un buon gelato. Fragola e limone, il mio preferito. Ci dirigiamo verso la nostra gelateria di fiducia, a pochi metri da dove ci trovavamo poco prima.

Matilde scruta con attenzione i gusti, con la stessa accuratezza con cui Hercule Poirot esamina un cadavere. Cioccolata, fior di latte, fragola...quale sceglierà stavolta? Tom invece sceglie un bel gelato al gelato, il suo preferito.

- Vorrei una coppetta con cioccolato e stracciatella, per favore - chiede gentilemente Matilde alla commessa, che l'accontenta subito. Tocca a me: mi avvicino ai diversi gusti, passandomi la lingua sulle labbra. E se stavolta cambiassi gusti? Perchè no? Scelgo fragola e cioccolato. Pago ed usciamo.

Non faccio in tempo a sedermi su un muretto per gustarmelo, che mi sento arrivare un colpo sulla nuca, che mi scaraventa nuovamente a terra, colpendo il terreno col volto. La coppetta che tengo in mano fa intanto un volo abnorme, raggiungendo la città di New York in poco meno di 10 secondi. In quel momento non realizzo cosa sia successo, fino a quando non sento ridere Tom e Matilde.

Matilde, ovviamente. Ma cosa ho fatto ora? Ripasso a mente la “Costituzione Matilda”, la raccolta di 234 articoli che lei ha scritto per me, sui miei obblighi e divieti nei suoi confronti. Non mi viene in mente nulla, quale legge ho violato? All'improvviso, colto dalle mie solite visioni, vedo una strana luce bianca ed una voce soave che mi invita: “Vieni, Jack...e non avrai più sofferenze”. Poi sento Tom prendere un sasso da terra e con la coda dell'occhio lo vedo mentre si accinge a tirarmelo, come da procedura. Non ora!Cerco di sottrarmi a quella luce che mi attira sempre più.

Riesco in tempo ad alzare un braccio, facendo bloccare Tom.

-Non ora, per favore - sussurro a fatica, rialzandomi in piedi. Matilde mi guarda divertita mentre cerco di tamponare una ferita alla gamba, dalla quale mi esce copiosamente del sangue.

-Parte seconda, titolo secondo, articolo ventisei, comma due: 'è obbligo di Jack comperare lo stesso gelato di Matilde, qualora se ne presenti l'occasione' - recita a memoria la ragazza, compiaciuta e fiera di se. Giusto, avevo dimenticato quel comma! Che ingenuo! Mi scuso gentilemente per il mio errore, mentre lei e Tom finiscono di mangiare il loro gelato. Intanto io mi avvicino di nuovo alla spiaggia, dove mi fermo ad osservare il sole che lentamente scende all'orizzonte. Esiste forse un caso umano simile al mio? Un asservimento totale ad una ragazza? Un regime totalitario come questo? E' possibile liberarsene? E se forse io provassi ancora qualcosa per Matilde? Qualcosa che sia velato dalla sofferenza per le sue recenti aggressioni verso di me, certo, ma se ci fosse ancora? Io credo di sì.

Ad un certo punto vedo emergere dall'acqua una figura spaventosa, che mi pare un mostro. Si trascina a fatica sulla spiaggia, gocciolante. Io indietreggio istintivamente, ma poi mi rendo conto che è Andy, coperto di alghe e sporcizia marina.

- Bella nuotata? - gli chiedo ironico. Lui mi manda un sorrisetto altrettanto ironico, sedendosi con pesantezza sulla sabbia. Anche io mi metto a sedere, con la mente che mi turbina in mezzo a mille pensieri.

- Non puoi andare avanti così, Jack - mi dice. Io lo guardo: è davvero così evidente? Sta parlando di quello che penso? Sì, temo. La mia sofferenza nei confronti di Matilde è così facile da scorgere? Non ci avevo fatto caso.

- Ma non posso ribellarmi ad una dittatura - controbatto a malincuore

- Anche i tiranni possono essere rovesciati. - Sì, ma come? Io accetto la sua violenza senza fiatare, senza ribattere. Lei mi fa del male ed io, un uomo, non riesco a fermarla. Anzi, non faccio nulla per fermarla. Accetto in modo passivo. Perchè? Perchè non reagisco? Perchè le voglio troppo bene, non ci riesco.

- E' difficile, Andy. Il mio rapporto con Matilde è molto particolare. Immaginati una casa: le fondamenta sono ciò che insieme abbiamo costruito nei primi mesi, quando lei era ancora tranquilla e dolcissima. Quindi è la parte più importante, è ciò che regge il tutto. L'edificio vero e proprio, invece, è tutto quello che è venuto dopo: litigi, i suoi pugni e calci, le altre passeggiate insieme, le risate...tutto il resto. Se voglio provare a dimenticarla, perchè è questo che prima o poi dovrò fare, dovrò dimenticare tutto. Immagina ora un uragano che spazza via la casa: l'edificio crolla, ma le fondamenta no. Quelle rimangono. Per dimenticarla del tutto dovrò cercare di distruggere anche le fondamenta, il mio voler bene verso di lei. - Mi volto verso Andy, che si è addormentato. Sono così noioso? In effetti non faccio che parlare di lei...

All'orizzonte intanto vedo profilarsi delle nuvole nere: che siano un cattivo presagio? Mi auguro con tutto il cuore di no.

 

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Capitolo 2
*** (1) ***


 

Il tennis è sempre stato il mio sport, il mio vero amore. “Se il tennis fosse una ragazza, sarebbe la mia sposa”, ripeto sempre, oppure: “il giorno in cui smetterò di giocare a tennis sarà il giorno in cui morirò”. Con Matilde mi sembra di aver raggiunto l'apice, ho conosciuto l'amore. Posso quindi unire il tennis con l'amore per una ragazza. “Ancora lì? Cambia argomento! Pensa ad altro!”. Ah, già...la mia solita voce interiore. Bene, oggi è facile pensare ad altro: è venerdì, questo vuol dire tennis. Vado in bagno, mi vesto e prendo le chiavi dell'auto. Devo stare attento a guidare: l'ultima volta ho fatto “strike” di pedoni sia all'andata che al ritorno, avendo preso la patente da pochi mesi. Per fortuna il circolo è vicino, d'estate ci vado in bici.

Mi siedo al volante e prendo il microfono che ho da poco installato in auto:

- Buon pomeriggio a tutti, qui è il comandante che vi parla. Atterremo tra dieci minuti, godetevi il volo -. Mi volto a guardare i due sedili dietro, immaginando di vedere l'equipaggio del mio aereo. Metto la prima marcia e parto. - Splende il sole in Versilia, oggi! Vi consiglio di guardare fuori e godervi questa stupenda giornata d'autunno – annuncio divertito. I passanti sono notevolmente sorpresi, giustamente, di vedere una persona in macchina con un microfono in mano. In più, certe volte, la mia voce è udibile anche all'esterno. - Turbolenza! Arreggersi bene ai sedili! Ripeto: turbolenza! - esclamo non appena vedo una serie di buche.

Dopo dieci minuti alla guida sento il mio cellulare in tasca vibrare: qualcuno mi sta chiamando. So già chi è, non devo neppure controllare. Non appena smette di vibrare, dopo pochissimo ricomincia. E ancora, ancora...squilla e squilla...conto 10 chiamate. Non ho dubbi su chi sia.

Ad un certo punto noto una volante della polizia sul lato detro della strada ed un agente sulla sinistra, che ha il braccio alzato verso di me. No, non ora! Non ho voglia di fermarmi! E' con terrore che mi accorgo che il poliziotto è Angelus, il padre di Andy. Angelus è infatti un poliziotto della stradale. Proprio io devo incontrarlo? No, oggi non ho voglia. Decelero, abbasso il finestrino e, quando gli sono davanti, colpisco la sua mano con la mia dandogli il cinque, poi riparto veloce. Vedo nello specchietto retrovisore che Angelus si volta perplesso verso di me.Mi dispiace, ma oggi non avevo voglia di fermarmi.

Raggiungo il circolo, per fortuna la guida è andata meglio: ho investito solo una persona oggi, che è rimasta agonizzante sulla strada.

- Grazie di aver volato con noi! Buona giornata a tutti – annuncio felice. Poi scendo dall'auto e fingo di stringere la mano a tutti i passeggeri del mio volo, mentre un gruppo di persone a piedi mi guarda perplessa, vedendomi porgere la mano e sorridere a persone inesistenti.

Entro nel bar e controllo il mio cellulare: dieci chiamate perse da Matilde. Ovvio. Matilde, come sempre, Matilde. Non so perchè, ma la richiamo.

- Pronto? Mi hai chiamato? -

Silenzio dall'altra parte.

- Matilde, ci sei? Pronto? Non sento nulla... - Ah sì, eh! - irrompe la sua voce, carica di rabbia anche questa volta. - Perchè non rispondevi, eh? Cosa facevi? Io non sono nulla per te? Non merito una risposta? Perchè, eh? Non mi rispondi neppure, adesso? Cosa ho fatto? Dove sei? Con chi sei? Che fai? Perchè non ti vedo sul mio GPS? Quali sono le tue coordinate? Cosa vedi? -

- Matilde, calma...stavo guidando, sono a tennis -

- Ah-ah! Lo sapevo! Sei di nuovo dalla Martina, eh? Ti ho beccato! Bene, sai cosa ti dico? Non mi cercare più! Se preferisci lei a me allora non ha senso che ci parliamo più, da domani torneremo ad essere degli sconosciuti! Addio! -. Ovviamente non faccio in tempo a controbbattere che ha chiuso la comunicazione. Accidenti, di nuovo! Come fa a vincerla sempre lei? Niente da preoccuparsi comunque: ha già reagito così un mucchio di volte, non cambieranno le cose neppure stavolta.

Solo adesso vedo il mio maestro Gabriele, seduto ad un tavolo, che mi saluta. Ricambio con un sorriso. Almeno qui mi sento come a casa: ho un mucchio di amici, a cominciare da Tom, che gioca con me. Ci sono, poi, anche Nicola, Arianna, Manuel, Martina, il piccolo Nick (sono sicuro che si dopa), Luca, Veronica, Caterina e Riccardo. Tutti come una grande famiglia.

Scendo quindi in campo, deciso a dimenticare tutti i litigi di questa settimana con Matilde. La prima palla, però, la liscio. La seconda la stecco e vola in alto (verrò a sapere molto tempo dopo che era atterrata su Marte), la terza la stecco nuovamente e colpisco a morte un piccione, che ricade sul campo. Non una delle mie migliori partenze.

Continuo a giocare, cercando di non pensare a ciò che inevitabilemente sono condotto a pensare. Le cose, però, non cambiano: dopo dieci minuti mi scivola la racchetta durante l'esecuzione di un diritto e colpisce alla testa un anziano che ci sta guardando, facendolo collassare a terra. No, non posso andare avanti così. Mi fermo, andandomi a sedere ad una panchina e mettendo la testa fra le mani.

Che mi succede? Il tennis mi ha sempre dato la forza anche quando non ne avevo. Il tennis è vita, se gioco a tennis sto vivendo. Ultimamente sto anche giocando molto bene, ho raggiunto traguardi che non avrei mai ottenuto se non avessi conosciuto Matilde. Lei mi ha mostrato la strada: la strada della fiducia nei propri mezzi e io l'ho seguita. Ho ottenuto buonissimi voti a scuola e ho giocato benissimo a tennis...eppure perchè oggi mi sento impotente? Non è tristezza, è una strana sensazione: come se percepissi di essere in quel luogo senza uno scopo. Perchè sono qui? Cosa sto facendo a tennis? Questa sensazione mi pervade già da tempo, mi sento inutile. Ci sono giorni in cui non trovo stimoli per alzarmi la mattina, perchè negarlo? Tanto è vero, allontano questo pensiero sempre ma è la verità.

- Stai bene, Jack? -. Alzo lo sguardo: il piccolo Nick mi sta guardando preoccupato. Nick ha solo undici anni ma gioca veramente bene. Il suo unico difetto è di essere troppo arrogante in campo e di arrabbiarsi troppo facilmente. Deve migliorare il suo atteggiamento, per il resto gioca davvero molto bene per la sua età.

- Tutto bene, grazie. Mi gira solo un po' la testa -

- Vuoi un po' delle mie sostanze dopanti? -. Lo guardo attonito: lo ha appena detto? Lo sapevo! Non poteva giocare così bene!

- No..grazie comunque -

- Figurati -. Lo osservo mentre rovista nella sua borsa ed estrae una confezione di plastica, poi la apre e rovescia il suo contenuto in bocca.

- Tu non hai visto nulla -, mi dice serio.

-Certo che no -. Mi sorride e torna felice a giocare, come se fosse successo niente.

Le cose, comunque, si fanno gravi: il malumore di cui sono preda quando Matilde mi tratta male mi sta affliggendo anche a tennis, ovvero anche in paradiso. E' un bel problema. Torno comunque in campo, cercando di convincermi che non sia successo nulla. Le cose, però, non cambiano: non colpisco neppure una palla, sembro quasi ubriaco.

Durante uno scambio particolarmente lungo vado in apnea e mi appare il viso di Maria Sharapova. Ciao, Maria. Sei molto bella. “Grazie”, mi risponde lei con un sorriso imbarazzato, “ma tu non devi”. Cosa? Maria, non devo cosa? Lei mi continua a guardare sorridendo. “Non devi, Jack. Non devi”. Ma cosa? Non devo cosa? Maria, ma che dici? Improvvisamente il viso splendido di Maria si trasforma in quello di Matilde, che mi sgrida forte: “Non devi! Lo capisci o no? Sono IO la più bella, capito? MAI parlare di altre ragazze con me, okay? Non devi farlo!”. Mi sveglio di soprassalto, mezzo sudato, e mi ritrovo disteso sul mio letto a casa. L'ultima cosa che ricordo è di aver visto Maria Sharapova nel bel mezzo di uno scambio di tennis, per poi tramutarsi in Matilde Vinelli. Qualcuno mi deve aver portato a casa. Bene, perchè sto raggiungendo l'esaurimento mentale.

Dopo aver fatto una bella doccia mi squilla il cellulare: Matilde.

- Ciao -, mi fa con voce triste.

-Ciao...tutto okay? -

- No -. Deglutisco preoccupato: sarà una conversazione lunga se dice così. Mi sdraio sul letto, prendo il mio Vangelo tra le mani e prego che lei non urli e non cominci a deprimersi come fa sempre in questi casi.

- Secondo te io sono simpatica? -, mi chiede. Che domanda è? Accidenti, ci risiamo. E' nel momento depressione, quando si lamenta come un gatto con il mal di pancia.

- Sì, lo sei -. Ma è vero? Sì e no. Come sempre: Odi et amo. E' simpatica? Sì, finchè non ti picchia. In realtà è è una brava persona, è solo con me che diventa Terminator.

- Sai, non sembra -

- Da cosa? -

- Dal modo in cui mi tratti- . Metto per qualche secondo il “muto” al cellulare e scoppio in un'immensa e fragorosa risata, che mi fa cadere dal letto. Rotolo per tutta la stanza, senza preoccuparmi dei peli del mio cane sul pavimento. Con che coraggio mi dice così? Si lamenta di come la tratto? Io?! Deve essere una battuta! Ho le lacrime agli occhi per quanto rido, poi mi ricompongo e tolgo il muto.

- Ci sei? Jack! Ci sei? -

- Eccomi, scusa - rispondo soffocando un ultimo attacco di risata. - Dicevi? -

- Nessuno mi vuole...tu mi tratti male...resterò per sempre sola...-. E' molto vicina a piangere, lo sento. La conosco troppo bene e so benissimo che sta per cominciare a piangere. Questo è un male, perchè quando piange io perdo il senno, mi fa troppa tenerezza. Già non mi faccio rispettare da lei a cose normali, quando piange è ancora peggio. Faccio tutto quello che dice in questi casi, è più forte di me.

- Ma non è vero! Io ti voglio bene, lo sai. Io non ti lascerò mai -

- Non sto parlando di questo...-. Adesso comincio ad aver paura: sta per dirlo...di nuovo. So già che io ci ricascherò un'altra volta, devo stare molto attento. So dove mi vuole portare, ma devo mantenere la lucidità e capire la trappola che mi sta tendendo. Attento, Jack, lo sta per dire.

- Allora di cosa? -

- Non parlo di amicizia...io...non so...forse per me sei di più di un semplice amico...capisci? -. Ecco fatto! Per l'ennesima volta! Lo ha detto con una frase diversa, ma il succo è sempre quello. Non ci cadere, Jack. Non ci cadere di nuovo. Ricordi cosa è successo l'altra volta? “Volevo dirti che ci ho ripensato, sei un semplice amico per me. Niente di più”, quindi non ricascarci!

- Sì, forse - mugolo indeciso io, pensando a come comportarmi adesso.

- Io cosa sono per te? Un'amica o...qualcosa di più? -. E ora cosa rispondere? Qual è la domanda che mi evita di ricevere un'altra offesa? Ripasso ancora a mente la Costituzione Matilda, cercando qualche soluzione, ma non ne trovo. Comincio a sudare dalla fronte, mentre mi tremano le mani. Faccio fatica a tenere il cellulare in mano, perchè mi scivola.

- Io...non so...se tu non fossi...come dire...quando, insomma...nei momenti in cui...quando....beh....sai...due volte....che poi...insomma non era molto...ricordo molto bene...beh quello fu difficile...ecco, questo è ciò che penso...-. Ma che sto dicendo? Che lingua è? Aramaico?

- Bene, ho capito Ti faccio schifo. Potevi dirlo, comunque. Tanto con te non si può parlare di questo - conclude lei

- No, no! Non ho detto questo! -. Ecco fatto, mi sono di nuovo bruciato questa occasione. Chi è Matilde per me? Le voglio bene come ad una sorella e l'ho amata tantissimo, è il mio punto di riferimento. E' senza dubbio la mia migliore amica, ma può essere qualcosa di più? Sicuramente qualche mese fa la amavo, nel vero senso della parola. Da quando ha cominciato ad avere comportamenti dittatoriali, però, ho cominciato ad avere dei dubbi. Quindi? Cosa ne penso di lei?

“Jack, è inutile starci a pensare tanto. Tu la ami ancora e la odi allo stesso tempo. Non riesci a stare senza di lei. Ti fa del male ma tu senza di lei non puoi andare avanti, diglielo”. La mia voce interiore ha ragione, come sempre d'altronde. Decido quindi per una via di mezzo, la cosa peggiore:

- Senti, Matilde. Sono parecchio confuso...io non lo so. Posso dirtelo tra un po'? -.

Pessima richiesta, me ne rendo subito conto. Non ha senso questa frase, ma quella ragazza mi ha creato così tanta confusione che non so più che cosa penso. Non ho più certezze, eccetto una: io senza Matilde non riesco a vivere.

Ricordo quei mesi iniziali in cui era la ragazza perfetta e penso a come ero felice, poi mi vengono in mente tutti i litigi e mi chiedo se potremmo stare insieme. No, o almeno non più credo. Eppure perchè le sono ancora legato, dopo tutto quello che mi ha fatto?

- Okay...dimmelo domani -, mi risponde lei, un po' stizzita. Ci salutiamo e mi accorgo che la nostra conversazione è durata quaranta minuti: pochissimo. Il nostro record è di due ore e quarantacinque minuti, alla fine di quella chiamata avevo l'orecchio a fuoco.

Poso il telefono sul comodino e mi accomodo meglio sul letto, cercando di fare un sonnellino pomeridiano. Dopo pochi secondi, però, Matilde mi chiama di nuovo:

- Ciao, scusa se ti richiamo. Devo leggere “Madame Bovary” per la scuola...posso leggerlo insieme a te? -. Sorrido: sono felice in questo momento. Probabilmente dovrò stare al cellulare per molto tempo ad ascoltare un audio libro in pratica, ma che importa? Al limite mi concilierà il sonno. Matilde comincia a leggere e io mi rendo conto di essere proprio felice: solo a me legge quel libro, solo a me chiede di aiutarla nei compiti, solo con me esce da sola. Quanto sarebbe bello se lei fosse sempre così dolce! Passerei ore a sentirla leggere. No, non posso proprio fare a meno di lei. Diventerei sicuramente pazzo.

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Capitolo 3
*** (2) ***


Sono all'ultimo anno del liceo classico e da più di dodici mesi non trovo più stressante alzarmi la mattina con il pensiero dei compiti e delle interrogazioni, perché a scuola mi aspetta sempre Matilde. Lei non fa il classico, ma il linguistico. I due diversi indirizzi, però, si trovano nello stesso edificio. Ogni mattina, quindi, mi do appuntamento con Matilde e le sue amiche. Io sono sempre accompagnato dal mio amico Andy, che è anche mio compagno di classe.

Questa mattina trovo Martina nel luogo del nostro usuale ritrovo. Martina è in classe di Matilde, così come Valeria, che presto ci raggiunge. Io mi appoggio al termosifone dell'ingresso come sempre, mentre le due ragazze se ne stanno in piedi davanti a me chiacchierando.

- Allora, Martina, l'interrogazione? Sei preparata? - le chiedo, sapendo che deve essere interrogata a scienze.

- Certo, caro- mi risponde ridacchiando, con la sua solita aria da sfacciata. In realtà è simpatica , per quanto cerchi di sembrare antipatica. - Ma non mi interrogherà- continua.

- Pensavo fosse oggi il giorno in cui ti avrebbe...-

- E lo è, infatti - mi interrompe con aria da saputella. - Ma io fingerò un malore, cadrò a terra simulando degli spasmi e mi porteranno via. Così niente interrogazione, caro Jack .-

Il ragionamento non fa una piega, ma riuscirà ad attuare il suo piano? Mi ricordo l'ultima volta che ha tentato una cosa simile: non so come, ma alla fine della giornata si era ritrovata a Pechino. Martina, che ragazza divertente! Con lei non ti annoi mai.

Tutto d'un tratto Valeria comincia a gesticolare verso Martina, indicandole l'arrivo della professoressa Daroni. Questa insegnante ha un debole per Martina, che è indubbiamente la sua preferita.

Martina, vedendola arrivare, si sistema frettolosamente i capelli e prepara un grande sorriso. La professoressa saluta distrattamente Valeria e poi, vedendo la sua amata Martina, le va incontro abbracciandola. La ragazza si inginocchia al suo cospetto e poi la abbraccia affettuosamente, come una figlia fa con la madre. Valeria, schifata, storce la bocca ed io la imito.

- Signora professoressa, vorrei porgerle i miei più sentiti complimenti per la sua bellezza. Non c'è donna più bella ed affascinante di lei in tutto il mondo, sono ben felice di essere la sua cortigiana. Ho preparato un carme giusto per lei - dichiara Martina, baciando la mano della donna. Poi la ragazza estrae un pezzo di carta e legge il suo componimento per la donna. La prof, visibilmente commossa, tenta invano di non piangere e corre via, probabilmente nell'aula degli insegnanti. Martina la segue con lo sguardo finché non scompare dalla sua vista, poi emana un sospiro di sollievo e si gira verso di noi:

- Con questa mia performance di stamani forse riuscirò ad avere nove in pagella con lei. - Io e Valeria ci guardiamo in faccia, increduli che tutto ciò possa essere possibile. Poi, dall'entrata vedo giungere Matilde, con il suo zainetto azzurro sulle spalle ed il suo passo sicuro e deciso. Si fa strada tranquillamente tra i diversi alunni, per poi raggiungere noi.

- Ciao, Matil...-

Bam!

Matilde mi assesta un pugno nello stomaco, togliendomi il fiato. E' veloce ed efficace come Mohamed Alì. Alzo lo sguardo: sta ridacchiando con Valeria e Martina. Per l'ennesima volta sono il suo oggetto di scherno, il suo fenomeno da baraccone. E quelle due? Ridacchiano con lei! Da che parte stanno? Non dico che mi debbano difendere, poiché io stesso non mi difendo da lei, ma devono proprio ridere di me?

Matilde getta la sua cartella per terra, poi me la indica.

- Prendimi l'astuccio -

- Subito, Matilde - rispondo io, ancora con il petto dolorante. Eseguo il suo ordine, mentre lei afferra con violenza l'astuccio. Poi mi guarda sorridendo, come fa sempre: comincio a odiare quel sorriso falso e ipocrita. Perché mi guarda così? A cosa sta pensando? Prende qualcosa dalla tasca del giacchetto e me la porge: sono delle monete.

- Oggi a ricreazione mi serve un panino, me lo compri? - mi chiede. Valeria e Martina ridono fra di loro, osservando la mia situazione imbarazzante. Sicuramente stanno pensando qualcosa come: “Ha diciannove anni e viene umiliato da una ragazzina di quindici anni! Bellissimo! Ben gli sta se non sa difendersi!”. Subito dopo anche le due ragazze mi danno delle monete: anche a loro dovrò comprare la merenda.

- Ve l'ho già comprato altre volte il panino, stavolta potreste fare anche da sole...- rispondo. Il sorriso di Matilde scompare all'improvviso, mentre le due amiche la guardano preoccupata, perché si aspettano una sua reazione furibonda. La mia è infatti un'infrazione molto grave della Costituzione Matilda: lesa maestà divina, punibile con la morte.

Il mio amico Andy, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad osservare le belle ragazze che passano, si mette in testa l'elmo che porta sempre nello zaino. E' un elmo molto bello: lui si vanta sempre che sia quello del famoso generale ateniese Milziade. Io lo guardo: è proprio ridicolo con quella cosa in testa! Poi estrae anche un altro oggetto...cos'è? Uno scudo?! Ma quanta roba si porta dietro? E' davvero uno scudo: sopra ci sono raffigurati due grossi occhi. Ma non è ancora finita: adesso prende anche una lunga lancia, dalla punta affilatissima. Ora Andy sembra davvero un soldato greco.

- Dove hai preso quella roba? - gli chiedo esterrefatto

- Non chiedere, fidati. Meglio tu non lo sappia...Comunque, nel dubbio: non fare il mio nome se mai andrai al museo archeologico di Atene... – mi risponde sottovoce, come se non volesse farsi sentire. Torno a guardare Matilde: i suoi grandi occhi marroni mi stanno scansionando i pensieri, sta letteralmente rovistando nel mio cervello. E' in grado di capire quando ho paura di lei e in quei momenti ne approfitta per attaccarmi. E' come un cane, in effetti: percepisce la paura e non appena fai un movimento azzardato ti morde. Matilde è anche in grado di lacerare la pelle con i suoi artigli. Sì, devo ammettere che è molto simile ad un cane.

- Forse non hai capito - spiega Matilde, girandosi verso le sue due amiche con un'espressione del tipo: “ora gli faccio capire io chi comanda”, - oggi ci prenderai la merenda, chiaro? E' un ordine, non una richiesta. -

Guardo Andy: è sul “chi va là”, con il corpo proteso in avanti e la lancia distesa davanti al corpo, nel caso Matilde si scagli anche su di lui. Muove gli occhi velocemente a destra e sinistra, per notare eventuali movimenti sospetti o un agguato.

- D'accordo...- rispondo. Suona la campanella: inizia la lunga mattinata di scuola. Valeria e Martina gettano fiori davanti a Matilde durante il suo cammino, come a rendere sacro il suo passaggio. Adesso la Martina è anche la cortigiana di lei? Sembrerebbe di sì. Mi giro verso Andy: è ancora vestito da soldato greco e non sembra farci molto caso.

- Bene, non ti ha attaccato. Meglio così – dice. Poi alza la lancia ed urla:

- Alla classe! - Andy prende una rincorsa e trafigge tutti coloro che si trovano davanti a lui o li colpisce violentemente con lo scudo. In pochi secondi raggiunge il primo pianerottolo delle scale ed esulta:

- Studenti, è il momento! Occupiamo la scuola! - urla, poi corre su per le scale sguainando anche una spada. Nessuno lo segue ed un silenzio imbarazzante scende tra di noi, mentre sentiamo Andy correre al piano di sopra.

Poveretto, la cosa gli sta sfuggendo di mano! Comincio a pensare che siano tutti pazzi.

 

 

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Capitolo 4
*** (3) ***


La professoressa di greco, Daphne Lippers, alza lo sguardo sulla classe, cercando una vittima per la prima interrogazione del mese. Congiunge le mani, passandosi intanto la lingua sulle labbra. Chi sceglierà? I suoi occhi si fermano su più alunni: passano su di me, per poi spostarsi sul mio compagno accanto. Sudo dalla fronte, così come dalle mani: non sono un bello spettacolo. Noto che Andy, seduto accanto a me, ha appena posto sul banco i suoi santini e adesso sta pregando.

- Platone, prega per noi. Zenone, prega per noi...- ripete costantemente, piegando il capo sul banco ad ogni personaggio che nomina.

All'improvviso bussano alla porta: è un bidello, che sta facendo circolare un avviso. In realtà non è un bidello, ma il bidello per antonomasia: Paolo. Tutti gli studenti lo amano, perchè appare sempre durante un compito o un'interrogazione e dà quei pochi secondi necessari per copiare o ricevere il suggerimento di qualcuno.

- Ah, sta per interrogare? - chiede lui, accorgendosi solo dopo un po' di quella situazione. La prof annuisce in silenzio, cercando ancora la sua vittima sacrificale.

- Ottimo, allora mi preparo -. Il bidello prende un papillon da una tasca dei pantaloni e lo indossa, poi prende anche un taccuino e si avvicina alla Lippers. No, non è possibile! Ditemi che non lo sta per fare! Non di nuovo! Paolo, non oggi!

- Chi vuole oggi? Abbiamo un Johnny molto saporito e ben preparato sulla Guerra del Peloponneso, oppure Jack condito con contorno di Temistocle, ma anche Sarah al forno con ripieno di Pisistrato non è male- domanda con grande charme l'uomo.

- Quello, voglio quello – risponde sicura l'insegnante, indicando con la penna il nostro amico Gilbert, il quale si fa il segno della croce e si avvia verso la cattedra. Il bidello annuisce, annota qualcosa sul taccuino e chiede ancora:

- Bene. E come secondo? -.

L'insegnante sceglie altre due “portate” e, sazia, comincia il suo “pasto”.

Andy reprime a fatica un urlo di gioia e si libera frettolosamente dei santini, mentre io comincio a prendere appunti. Quest'anno ho preso solo un voto negativo, a fisica. Il mio bilancio è di sessantacinque voti positivi ed uno negativo, cosa di cui vado molto fiero. Questa è una delle ultime interrogazioni dell'anno e non ho alcuna intenzione di prendere un altro voto negativo. Quest' anno sono davvero forte, mi sembra che ogni compito o interrogazione sia possibile e riesco sempre a ottenere un buon risultato. Gran parte di questa mia grande fiducia deriva da Matilde, che mi ha reso più sicuro nei miei mezzi e rilassato a scuola. Per questo, devo dire, non la ringrazierò mai abbastanza.

Guardo i miei vecchi compagni: tra pochi mesi saranno i miei ex compagni di classe, poiché l'esame ci dividerà. Molti mi mancheranno, altri di meno. Sorrido mentre vedo Flavio che fa i mondiali di carte con Johnny, Gabriele che tenta di fare un'acrobazia con una penna e Greta che imita il modo di parlare della professoressa.

- Jack! Jack! Hey...- sento sussurrare. Gilbert, interrogato con altre due ragazze, mi sta chiamando.

- Dove era nato Tucidide? - mi chiede, sempre sottovoce.

- Ad Atene! -

- Come? Non ho capito -. Glielo ripeto più volte, ma lui non riesce a sentire perché deve anche fare in modo di non farsi vedere dall'insegnante, che ora sta parlando con una delle due ragazze interrogate con lui. Dai, Gilbert! E' facile!

- Ad Atene! - continuo a mormorare, mentre lui va sempre più nel panico.

- Allora, Gilbert – chiede la prof girandosi verso di lui - sai dirmi invece tu dove sia nato Tucidide?-

Ecco fatto...

Gilbert diventa rosso per l'ansia, comincia a sfregarsi le mani e borbotta frasi incomprensibili.

- Allora? - insiste la prof, desiderosa di una risposta. Gilbert, che fino a quel momento non ha fatto che tremare, si rilassa istantaneamente, sorride e dà una veloce occhiata alla cartina sul muro sopra di lui.

- Tucidide? Tucidide è nato in Algeria. -

Oh, Santo Cielo! Lo ha detto sul serio? Ho appena sentito questo? Chiudo gli occhi, imbarazzato al posto suo. Quando li riapro vedo l'insegnante che osserva attentamente Gilbert, meditando sicuramente sul suo omicidio. Muove lentamente la bocca, come per dire qualcosa, ma poi ci ripensa. Gilbert, dal canto suo, la guarda con tranquillità, sostenendo il suo sguardo glaciale.

- Ma c'è dell'altro – continua Gilbert. Come? Gilbert, zitto! Che combini? Hai appena detto una sciocchezza, non te ne rendi conto?

- C'è...dell'altro? - domanda la prof, adesso profondamente terrorizzata anche lei.

- Sì...Tucidide aveva studiato nelle migliori scuole di Copenaghen, per poi completare i suoi studi filosofici a Mosca. - Mi tappo le orecchie, che per poco non sanguinano per ciò che ho appena udito. Poi però mi rendo conto: Gilbert lo sta facendo apposta! Sta improvvisando, dice delle sciocchezze volontariamente. Osserva infatti la professoressa con aria di sfida, lui che è disposto a dire un'assurdità pur di far ridere i suoi compagni. E' uno showman, vive di questo. Un pochino ciò mi consola: non è ignorante come ho temuto. Quel pazzo di Gilbert! Adesso tutta la classe ride, mentre pochi secondi prima era rimasta traumatizzata dalla sua risposta.

La Lippers lo continua a guardare con istinto omicida e poi, colta da un improvviso raptus di follia, lo trafigge con la sua penna, facendolo rovesciare dalla sedia. Poi si alza ed infierisce ancora su di lui, finché non rimane esanime a terra.

- Vedete cosa succede agli esibizionisti ed ai rivoluzionari? - chiede, ponendo con forza un piede sul petto del nostro compagno, come a ribadire la sua superiorità su di lui. – Vengono eliminati! Che questo sia un monito per tutti! -

La Lippers si scosta quindi i capelli neri, che nell'impeto di quell'attacco le erano ricaduti sulla fronte, poi sputa su Gilbert e gli assesta un colpo finale. Tutti noi restiamo ammutoliti e non possiamo che osservare con compassione il nostro compagno a terra, come ipnotizzati.

E' la campanella della ricreazione a farci riprendere da quello stato di catalessi. Io mi alzo e, facendo attenzione a non calpestare Gilbert, esco dall'aula e mi dirigo a comprare le merende per le mie amiche. Quando torno trovo già Matilde, Valeria e Martina appoggiate al muro del corridoio.

Matilde batte ripetutamente l'indice sul suo orologio:

- Sei in ritardo -

- C'era la fila – mi giustifico. Matilde scrolla le spalle e divora il suo panino, presto imitata dalle due ragazze.

- Allora, come sono andate queste prime ore di...-

- Torniamo in classe, ciao – mi interrompe subito Matilde, avviandosi al piano superiore con le due amiche.

- Ciao...- faccio io, triste. Se questo non è approfittarsi di una persona, allora cos'è? La guardo salire le scale, mangiando il suo panino. Non si gira neppure a sorridermi, a salutarmi in modo appropriato. Il suo “ciao” è stato gelido e velocissimo, non c'era affetto in quella parola. E' un “ciao” ipocrita, non sincero. Forse preferisco non averlo neppure ricevuto...

- Lo so, Jack. E' dura, ma tu supererai pure questa. - Mi giro: Flavio mi guarda con aria triste e comprensiva, ponendo una mano sulla mia spalla.

- Grazie, Flavio. Certe volte mi sento inutile per lei -.

Flavio mi guarda con aria interrogativa.

- Eh? Ma di cosa parli? Io dicevo di inglese, non hai sentito la prof? -

- No...-

- Dopo ti interroga! -

Impreco sottovoce e torno velocemente in classe, prendendo dallo zaino di Andy la sua collezione di santini.

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Capitolo 5
*** (4) ***


C'è un grande sole quando scendo dal pullman che mi ha portato a C******e, dove abita Andy. Il mio amico, infatti, mi ha invitato a studiare da lui. Come ogni volta che vengo qui, mi rendo conto di essere a soli quindici minuti dall'abitazione di Matilde.

Con tristezza mista a felicità, guardo la strada che conduce da lei; per poi prendere la direzione opposta. Bastano pochissimi minuti per raggiungere la casa di Andy: ad aprirmi la porta è il suo gatto, Freddy.

Freddy ha ben poco di un gatto: apre le porte, lava i piatti, usa il bagno...gli manca solo la parola.

- Ciao, Freddy – lo saluto. Lui mi risponde scodinzolando e mi porta dalla madre di Andy, che non appena mi vede mi abbraccia.

- Jack, quanto tempo! Come stai? -

- Tutto bene, grazie. Tu? -

- Alla grande! Vuoi un cioccolatino? - mi chiede, avvicinandomi un vassoio con tanti dolci. Rifiuto gentilmente.

- Allora una caramella? -

- No, ti ringrazio -

- Hai sete? Un bicchiere d'acqua? - La guardo: è uno scherzo? Sto benissimo, non ho bisogno di nulla. Ho solo voglia di studiare e scambiare due chiacchiere con Andy. Perché continua?

- Mhm...forse... hai fame? Vuoi un panino? - insiste

- No! - esclamo io. Quando è troppo è troppo! La madre di Andy, chiaramente offesa, getta il vassoio dei cioccolatini per terra e torna in cucina. Io roteo gli occhi, ad evidenziare la mia irritazione. Mi dirigo verso la camera, dove sono sicuro di trovare Andy. Trovando la porta chiusa, busso ed una voce risponde: “avanti!”.

Trovo Andy al computer della sua scrivania e le sue due sorelle, gemelle, sedute sul letto a parlare tra di loro.

- Oh, ciao Jack – mi saluta Andy. Io ricambio il saluto e lo rivolgo anche alle due sorelle.

- Ciao, Jacky! - strillano in coro. Hanno sedici anni ma mentalmente ne dimostrano di meno, soprattutto Flora, la più pazza delle sue. Angy, invece, non ha ancora raggiunto la pazzia totale. Le due ragazze escono dalla stanza per farci studiare con calma: strano! Di solito non fanno che pormi domande di ogni genere, facendomi perdere tempo prezioso. Ricordo la prima volta che le avevo conosciute: dopo essermi presentato, cominciarono a fare domande a dir poco imbarazzanti. “Fumi?” mi aveva chiesto Angy. “Ti droghi?”, aveva invece domandato Flora. E poi ancora: “che taglia di scarpe porti?”, oppure: “ogni quanto vai in bagno?”, ma anche “che tempo faceva il giorno in cui sei nato?”. Sono proprio pazze...

Andy tira fuori i suoi libri ed io faccio lo stesso. Dopo una ventina di minuti il mio cellulare comincia a squillare, facendo sussultare dalla paura il mio amico.

- Spegni quell'affare! Vuoi che prenda un bel voto o mi vuoi uccidere? - mi urla arrabbiato. Io rido e guardo il nome sul cellulare: Matilde. C'erano forse dei dubbi?

- Pronto? Matilde? -

- Eh, no...sono la fata turchina...chi vuoi che sia? -

Mhm, si comincia! Mi giro verso Andy, gli sussurro che è Matilde e lui sbuffa, come a dire: “di nuovo?”. Caro Andy, essere il suo miglior amico significa essere la persona più felice del mondo e quella più depressa allo stesso momento. Non c'è una via di mezzo, è un' unione inscindibile di sentimenti buoni e cattivi, di stare bene e male.

- Ti volevo chiedere una cosa. Domani sei libero? - mi domanda Matilde. Penso velocemente ai miei piani per il giorno successivo: scuola, tennis, rimanere un po' con Tom al circolo, studio, partita di tennis in televisione, accompagnare mia sorella ad un compleanno, portare il cane a spasso...sono leggermente pieno. Matilde, sentendomi titubare, continua:

- Volevo chiedere se avessi avuto voglia di venire a casa mia -

- Sono libero – rispondo senza neppure pensarci. - Alle tre ti va bene? - aggiungo, per di più. Andy mi guarda sconfortato. Sì, lo so che non dovevo dirlo. Eppure le parole mi sono uscite dalla bocca senza neppure rendermene conto, come se fosse stata un'altra persona a dirle. Non mi trattengo, sono “Matilde-dipendente”. E' come una droga: è nociva, ma non ne puoi fare a meno. Anche io mi drogo: Matilde è la mia droga. E' la sostanza più nociva e buona allo stesso tempo che ci sia.

- Perfetto. A domani! - Io la saluto e riattacco felice. Andy mi sta ancora guardando: sa che non posso andare avanti così, lo sa che Matilde mi sta ingannando e che non fa che usarmi. Anche io, nel fondo del mio cuore, so che tutto questo è vero. Ogni giorno me ne rendo conto sempre di più. Però ho ancora la profonda speranza di sbagliarmi, di credere che lei mi voglia bene davvero e che non mi abbandonerà mai.

Riabbasso lo sguardo sul mio libro: il volto di Pericle mi sta guardando serio. Che sappia tutto pure lui? Lo fisso, come lui sta fissando me. I suoi occhi raggiungono le viscere del mio animo, così come Matilde fa con me tante volte. Sento che anche Pericle, osservandomi, riesce a capire cosa stia succedendo tra me e quella ragazza. Riesce a capire anche lui cosa non stia andando bene tra di noi. Lo continuo a guardare: cosa vuoi, Pericle? Perché mi guardi così? Cosa vuoi da me? Cosa volete, tu ed Andy, da me? Ma Pericle non risponde, si limita a scrutarmi. Scuoto con decisione la testa, cercando di liberarmi da quella stretta mortale che è il suo sguardo. Non ci riesco: i miei occhi ricadono sempre sui suoi. Cosa vuoi? Smettila!

Scuoto ancora la testa, mentre il battito cardiaco aumenta. Basta, Pericle! Per favore! Adesso mi manca anche il fiato, comincio ad allargarmi il colletto della maglia per respirare meglio, mentre sento le prime gocce di sudore scendere dalla fronte. Smettila di osservarmi! Poi, finalmente, riesco ad alzarmi e, liberandomi dalla ragnatela del suo sguardo, urlo contro il libro:

- Finiscila di guardarmi! Basta così! - e lo scaravento per terra. Torno a sedermi con violenza sulla sedia, respirando rumorosamente. Mi sembra di aver corso una maratona, invece ho solo guardato un'immagine su un libro.

Andy è attaccato alla parete, nel punto più lontano da me. Cavolo! Sarò sembrato sicuramente un pazzo! Andy prende velocemente il crocifisso dal muro sopra di lui e me lo avvicina in modo intimidatorio.

- Esci da questo corpo! Chiunque tu sia, ti ordino di uscire! - esclama. Io lo tranquillizzo, assicurandolo che sono tornato in me e che tutto è okay. Dopo solo alcuni minuti decide che il pericolo è passato e ripone il crocifisso al suo posto.

- Cosa ti è preso? - mi chiede, ancora leggermente traumatizzato. Io scuoto di nuovo la testa, come ad allontanare la domanda. Non ho voglia di parlarne: non so neppure io cosa mi sia preso. Forse sto diventando matto, chi sa? Matilde provoca questo effetto, dopo tutto.

- Vado a bere – annuncio alzandomi.

In cucina trovo la madre di Andy che sta preparando da cucinare, mentre Freddy è intanto a lavarsi nell'acquaio. Lo trovo alquanto strano, ma poi ricordo: Freddy è strano, quindi non c'è da stupirsi se si lava in cucina. Le sorelle del mio amico sono invece sdraiate sul divano a guardare la televisione: sono ormai due anni che trascorrono le giornate così, non so come facciano a non dare di matto.

Chiedo alla mamma di Andy un bicchiere d' acqua e lei me lo porge subito. Poi ne chiedo un altro...e un altro ancora: mi sono disidratato quando mi sono agitato poco prima.

Torno in camera: Andy sta facendo una pausa e ora guarda una ricetta culinaria al computer.

- Andy! Da quando sei un appassionato di cucina? - gli chiedo sorpreso.

Lui, che non mi aveva visto entrare, chiude velocemente il sito web e balbetta qualcosa di incomprensibile, diventando tutto rosso.

- Io...ecco, guardavo solo...-

- Tranquillo, tranquillo – gli dico io, sorridendo. Gli do una pacca sulla spalla, poi ricominciamo a studiare. Decido che di greco ne ho avuto abbastanza oggi, quindi apro il libro di italiano. Chiedo ad Andy la pagina da studiare: la cento dodici, giusto. Non appena arrivo alla pagina giusta trovo il volto di Manzoni che mi guarda.

- Mhm, Manzoni, eh! - esclamo ad alta voce, mentre Andy annuisce triste.

- Prima o poi dovevamo ripassarlo – dice.

Comincio a leggere il paragrafo, ma subito percepisco qualcosa che non va. Non sono a mio agio, lo sento in modo distinto. Mi porto le mani alla fronte: forse mi sta venendo un mal di testa. Mi vengono spesso, ormai ci sono abituato. Nel 2012 ho stabilito il record mondiale di maggior numero di mal di testa in una giornata: ottantaquattro. Riprovo a leggere, ma mi comincia a salire un senso di nausea, come se stessi per vomitare. Poi alzo lo sguardo e capisco: sta succedendo di nuovo. Manzoni mi scruta con attenzione, come poco prima aveva fatto Pericle. Oh, no! Ci risiamo! Che mi prende? Manzoni mi guarda ma non dice nulla, eppure mi sta facendo del male! Cosa mi vuoi dire, Alessandro, cosa? Perché non parli? L'unica cosa che so è che riguarda Matilde, ma cosa?

Non ha senso se mi guardi e non parli! Dì qualcosa!

Ma lui non si muove, si limita ad ipnotizzarmi con lo sguardo. Di nuovo provo quella sensazione di impotenza di poco prima, mentre vedo con la coda dell'occhio Andy riprendere il crocifisso e allontanarsi da me.

- Mamma! - urla - corri, presto! Manzoni sta possedendo Jack! Chiama don Andrea! -

Io provo a liberarmi dalla morsa in cui mi stringe Alessandro, ma non ci riesco. So che vuole parlarmi di Matilde, ma non mi dice nulla. Eppure perché mi sta soffocando? Come può farlo? Mi allargo di nuovo la maglietta e poi mi getto a terra: la morsa è finita.

Faccio ampi e lunghi respiri, mentre la vista mi si appanna. L'ultima cosa che vedo è Freddy con un camicie da medico che prepara un defibrillatore, poi più nulla.

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Capitolo 6
*** (5) ***


La casa di Matilde è piuttosto vasta: è composta da una cantina, il piano terreno e il primo piano. Il piano terreno è occupato da una grossa sala, con annessa una cucina. E' lo spazio più luminoso di tutta la casa, per via di due grandi finestre. Poi ci sono le scale che portano giù in cantina e su al primo piano, dove ci sono le camere ed i bagni.

Quando entro nella sala vedo subito Sophie, la sorellina di undici anni di Matilde. E' simpaticissima e io la adoro: spesso Matilde me la passa al telefono e io le chiedo tutto quello che mi passa per la testa. Lei ha sempre piacere a parlare con me e capisce benissimo quanto sia difficile avere come migliore amica la sua sorella. Quasi sempre, durante i miei litigi con Matilde, Sophie difende me. “Lasciala perdere, lei è matta” o “non farci caso, è solo arrogante” sono le frasi che di solito mi dice in questi casi.

Sophie scende dal divano, dove era seduta, e corre ad abbracciarmi. Io ricambio con grande affetto il suo abbraccio, scompigliandole i capelli per scherzo. Lei fa una smorfia e poi, dopo avermi preso la mano, mi conduce svelta al tavolo da cucina.

- Ora disegniamo – dichiara con decisione, prendendo pennarelli e matite dallo scaffale accanto. Io sorrido felice: anche questo è un momento che vorrei avere più spesso. Vorrei passare più tempo con lei. Le voglio troppo bene, è come la mia sorellina.

Sento dei passi: Matilde sta arrivando, salendo dalle scale della cantina. Mi rivolge un saluto frettoloso e poi mette una mano sull'astuccio di Sophie, che subito fa una faccia triste.

- Non si disegna ora, Sophie -

- No! Uffa! -. Sophie corre via triste, portandosi dietro tutto il materiale che aveva preparato sul tavolo. Matilde prende invece il suo zaino e tira fuori libri e quaderni.

- Mi devi aiutare a fare un tema – afferma con voce sicura. Che noia, un altro tema! Quanti ne avrò già fatti per lei? E' proprio un continuo sfruttamento.

Matilde mi allunga una matita e mi mette un foglio bianco davanti, sorridendo.

- E' un tema che ha come oggetto la pazzia, penso che tu sia la persona più adatta a scriverlo – mi dice ridendo

- Sempre molto gentile, grazie. - Non ho voglia di fare questo tema, non ho voglia di scrivere. Non ho voglia di fare nulla, cosa sto facendo qui? Guardo la casa di Matilde: mi ci sento appartenere, amo questa abitazione. La amo perché sento Matilde e Sophie come due sorelle, ma non amo più il comportamento di Matilde nei miei confronti. Ho sempre considerato questa casa, anche inconsciamente, come la mia seconda dimora. Adesso, però, non è più così. Perché dovrei continuare a venire qui? Questa non è la mia vita. Questa non è più la mia vita.

Mi faccio coraggio e scrivo qualche riga, ma senza impegnarmi. Non mi interessa: il tema è suo e se lo vuole fatto bene se lo dovrà scrivere da sola. Scrivo le prime cose che mi vengono in mente, giusto per non lasciare in bianco il foglio. Matilde mi guarda dubbiosa, poi afferra il foglio con violenza e lo legge. Poi mi guarda con orrore:

- Ma cosa hai scritto? “La pazzia è la malattia di chi è pazzo e matto”? -

Io mi metto a ridere: così impara a farmi scrivere al posto suo. Matilde alza la mano minacciosa e io smetto subito di ridere.

- Impegnati! - mi intima, scagliandomi il foglio addosso.

- Okay, vuoi che scriva bene? Allora stai a vedere! -

Sono quindi costretto ad impegnarmi: scrivo un'opera degna di Dante Alighieri. Inserisco allitterazioni, antitesi, grecismi, arcaismi, perifrasi, metafore, similitudini, neologismi e un'altra figura retorica che mi invento sul momento. Ci impiego un'ora e mezza, ma ne vale la pena. Alla fine dell'opera osservo compiaciuto il mio lavoro: Carducci sarebbe fiero di me. Lo faccio vedere quindi a Matilde, che fa una smorfia.

- Non è un granché...ma penso che vada bene. - Sorrido: col cavolo! Ho passato novanta minuti a farlo ed ho scritto un'opera letteraria, solo per lei. Neppure nei miei compiti mi impegno così tanto. Sta solo fingendo che non le piaccia. E poi: ho fatto il tema al posto suo, cosa si lamenta a fare?

Giunge quindi l'ora di merenda. Matilde va a chiamare Sophie e tutti ci sediamo al tavolo in cucina. La bambina mi chiede cosa voglio da mangiare, ma io non ho fame. Sophie insiste: devo mangiare qualcosa anche io. Io rifiuto gentilmente di nuovo, ma lei non demorde.

- Dai, per favore! Facci compagnia! - mi implora

- Ti ringrazio, ma sto bene così – le rispondo, facendole un bel sorriso.

Sophie si gira, si alza dal tavolo e borbotta qualcosa tra sé e sé. Va davanti al frigorifero, lo apre e prende qualcosa. Non riesco a capire cosa sia perché lo nasconde dietro alla schiena. Intanto mi guarda e sorride, poi si siede accanto a me.

Non appena mi giro verso Matilde mi sento arrivare un colpo violento in faccia e dopo pochi secondi mi rendo conto che Sophie mi ha appena messo un panino in bocca. Non contenta, lo spinge dentro finché non è più visibile dall'esterno. Io, colto di sorpresa, non riesco neppure a respirare. Divento tutto paonazzo e gesticolo cercando di convincerle a levarmelo, altrimenti soffoco. Loro, però, stanno piangendo dalle risate. Mi rendo conto che la situazione deve essere molto divertente, ma io in quel momento voglio solo togliermi quel panino di bocca.

Matilde non fa che ridere. Sophie, quando decide che ne ha avuto abbastanza, mi toglie il cibo dalla bocca e io faccio una serie di respiri profondi. Fulmino con lo sguardo la bambina, che si pente subito di ciò che ha fatto.

- Scusami, Jack. Volevo solo che facessi merenda...-

Ah, che dolce! Non posso resistere a quella faccina imbronciata, la perdono subito.

- Fa niente, dai. Non ti...- Non faccio in tempo a concludere la frase che Sophie mi infila rapidamente in bocca anche una mela. Io cerco di sputarla, mentre lei e sua sorella cercano di spingerla sempre più dentro. Le guance mi stanno per esplodere, la mela è troppo grande. Per chi mi guarda devo sembrare una grossa rana.

Sophie si getta a terra ridendo, presto seguita da Matilde. E' dopo alcuni minuti che riesco a liberarmi del frutto, sputandolo come un proiettile davanti a me. La mela colpisce uno sportello della cucina, rimbalza su questo e mi colpisce alla fronte. Il contraccolpo mi fa sbattere la testa sul muro dietro: adesso la scena deve essere proprio esilarante. Matilde e Sophie sono scosse da un altro grande attacco di risata: adesso sono loro a sembrare sul punto di soffocare. Prendo la mela e la infilzo rabbiosamente con un coltello, colpendola più volte. Dalla male esce un liquido viscoso: mi piace pensare che sia il suo sangue.

- Per tutto quello che mi hai fatto, muori! Prendi questo! Muori! Muori! - urlo contro la mela. In realtà, non ne vado fiero, mi immagino che quella mela sia Matilde. Non appena mi rendo conto di pensarlo me ne pento, posando il coltello sul tavolo. Mai e poi mai farei del male a Matilde, sebbene quello che lei fa a me. Prendo quindi la mela e le do un grande morso.

- Forza, ho fame! - esclamo, rivolto a Sophie. La bambina, che finalmente vede raggiunto il suo scopo, saltella fino a me.

E' con grande gioia che faccio merenda con Sophie, sebbene per poco non sia diventata la mia assassina. Matilde sta invece usando il cellulare, probabilmente parlando con la sua amica Chiara.

- Dopo guardiamo “Violetta”?- mi chiede la bambina

- Vuoi vederlo? D'accordo - Sophie esulta lanciando in aria un panino, per poi colpirlo al volo e rompere la finestra, mentre il gustoso panino al salame si alza nel cielo.

Quando sono seduto sul divano con Sophie sento un rumore strano dalla cucina: è un “mhm” prolungato, poi sento anche un “uhm” lunghissimo, poi di nuovo “mhm”...c'è forse una mucca? Mi alzo e controllo: Matilde è tutta rossa in faccia e la mano che tiene il cellulare sta tremando. Poi anche tutto il suo corpo trema...e se stesse per esplodere? Mi allontano per precauzione, facendo da scudo a Sophie.

Matilde, però, non scoppia: anzi, viene verso di me e mi abbraccia fortissimo. Nel mentre che mi sta abbracciando continua a fare quei versi strani ed è sempre più rossa. Comincia a saltellare.

- Matilde, tutto okay? – chiedo preoccupato.

Lei annuisce e mi fa vedere il suo telefono. Scopro che le è arrivato un messaggio, un “ciao” per la precisione, da un certo Frank. Il mio cuore comincia a battere forte e un campanello d'allarme mi inizia a suonare in testa...

- Frank?- chiedo, confuso

- Frank! Sì, Frank! - risponde lei. Matilde è ancora agitata: sta sudando come non mai e ha i capelli tutti disordinati. Poi continua:

- Frank, sì! Finalmente! Forse ora potrò dimenticare Olivier! Frank, sì! Non posso credere che Frank mi scriva! -

In quel momento mi crolla addosso il mondo: Olivier è il ragazzo che da due anni piaceva a Matilde, ma a lui non piaceva lei. Matilde ci era rimasta malissimo. Una volta, nei primi mesi che ci conoscevamo, mi aveva detto: “Non ci posso credere, sei riuscito a farmi dimenticare Olivier”. Quella frase mi aveva riempito di gioia, non ero mai stato così felice. Sapevo quanto fosse stata male per lui e sentirmi dire quella cosa mi rendeva euforico. Ora, invece, quella frase è rivolta ad un'altra persona. Mi sento tradito, pur non essendo fidanzato con Matilde. Sta succedendo ciò che avevo sempre temuto e scacciato dalla mente. E' arrivato il momento...no! Non può essere! Deve essere solo un brutto sogno! Il momento da me sempre temuto...ora è arrivato.

Mi sento svenire, non so più a cosa pensare. Matilde è tutta presa da questo Frank e non fa che scrivergli.

- Frank...eh? Ti piace...per caso? - balbetto con molta fatica, fingendo che non mi interessi più di tanto. Una parte di me non vuole sentire la risposta, ma l'altra sì.

Matilde non risponde, ma io capisco subito dal suo sguardo che le piace. Non lo vuole ammettere, ma le piace. Comincio a sentirmi male, mi gira la testa. Sophie mi picchietta sui pantaloni per riportare la mia attenzione alla TV, ma io è come se non la sentissi. Matilde, felicissima, si va ad accomodare sul tavolo per chattare meglio con Frank. Sto impazzendo: da una parte sono immerso nei pensieri, dall'altra Sophie non fa che punzecchiarmi per tornare a guardare “Violetta”. La cosa mi manda su di giri, non riesco a contenermi. Aiuto! Aiuto!

Mi siedo molto lentamente sul divano, senza capire cosa stia succedendo attorno a me. Rispondo a monosillabi a Sophie, senza ascoltarla. Mi sento come in una bolla: riesco a udire solo i miei pensieri, nient'altro. Mi sembra di essere nella pubblicità di “Amplifon”. Ed è così, in effetti: sono sordo, sento solo ciò che penso. Non posso credere che stia succedendo davvero.

I miei pensieri non fanno che turbinare nella mia mente, il cuore batte più forte, una strana pressione mi opprime il petto.

Poi, nell'ultimo istante di lucidità che mi rimane, guardo Sophie: mi sta parlando, ma non so cosa dice. Vedo solo le sue labbra che si muovono, ma non sento nulla. Mi servirebbero i sottotitoli. Ti voglio bene, Sophie. Vorrei dirglielo, ma non riesco a proferire parola. Ti voglio bene, Sophie! Mi senti? No, non può sentirmi. So che questa sarà l'ultima volta che sono in questa casa, perché è finita. Per questo vorrei dirle per l'ultima volta che le voglio bene, ma non ci riesco. Finita. E' finita, Jack. Fine della corsa.

Mi sento mancare, come più volte negli ultimi giorni. Non sto affatto bene, mi sembra quasi di morire. E' finita...stavolta è finita sul serio. Mi manca il respiro...aiuto! Qualcuno mi aiuti! Matilde! Santo Cielo, qualcuno mi aiuti! Non riesco a respirare!

Per l'ennesima volta, cado esanime sul pavimento.

 

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Capitolo 7
*** (6) ***


Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas, / alma Venus caeli subter labentia signa...le parole di Lucrezio scorrono veloci sul libro davanti ai miei occhi, ma io non sono abbastanza pronto ad afferrarle. La mia mente non è in classe con me adesso, sta vagando libera per altri pensieri. La chiamo a me, ma non risponde.

Il mio amico Andy mi guarda con aria preoccupata. Per favore, Andy, non chiedermi nulla. Non ho voglia di parlare. Sono troppo triste oggi.

- Jack, stai bene? - Lo guardo: alzare la testa dal libro e muoverla verso di lui mi procura una fatica immensa, mi sembra di avere ottanta anni. Non ho voglia, Andy. Non oggi.

- Dai, non fa nulla! Vincerà la prossima! - Ma di che sta parlando? Andy, come puoi essere così ingenuo?

- Andy, ma cosa dici? - gli chiedo, perplesso.

- Ah...non pensavi a Federer? Di solito sei così quando perde...- Rido: in effetti non ha tutti i torti. Le sconfitte di Roger Federer sono per me come dei lutti e oggi mi sembra una di quelle occasioni, ma mille volte più triste. Stavolta la sconfitta è mia, non di Roger. Scuoto la testa, assumendo quell'aria stanca che avevo prima.

- Nam simul ac species patefactast verna diei/ et reserata viget genitabilis aura favoni...- il professore continua a leggere, ma neppure lo sento.

E' con grande gioia che accolgo il suono della campanella: adesso tutti in palestra, è ora di ginnastica. Almeno qui mi sfogo, ho voglia di correre. L'insegnante ci porta sempre allo stadio vicino, dove facciamo atletica. Ho voglia di correre una maratona. Vado negli spogliatoi e mi cambio velocemente, mentre i miei compagni competono nei “Mondiali di rutti”, lo sport più in voga in classe nostra.

I miei amici si dispongono quindi uno di fianco all'altro contro il muro, mentre coloro che non partecipano alla gara li osservano e decidono su chi puntare. E' un momento molto importante della competizione, perché ciascuno punta del denaro su chi ritiene più in forma al momento.

Do una veloce occhiata a Nicola, il vincitore degli ultimi due anni: ha un'aria assonnata e i capelli poco pettinati. In più negli ultimi giorni l'ho visto un pochino zoppicare, forse è caduto in una partita di calcetto. Mhm, meglio non rischiare.

Johnny mi sembra invece molto in forma: la sua pancia sta crescendo sempre più e potrebbe essere la prova dei suoi miglioramenti in questa disciplina. “Guardatemi, ragazzi” dice spesso ultimamente, “sembra che io sia incinta! Quest'anno sentirete delle belle melodie baritonali uscire dalla mia bocca!”. Molti non gli hanno dato troppo peso, considerandolo solo uno sbruffone. Forse Johnny è sulla via del tramonto? Mi auguro di no, perché decido di dargli una possibilità.

- Johnny, amico mio, dammi un motivo per cui dovrei puntare su di te quest'anno – gli dico. Johnny, cogliendo al balzo la grande opportunità che gli si presenta, mi mostra i muscoli (pochi) delle braccia e si accarezza la sua pancia.

- Punta su di me e non te ne pentirai, ma una grande fortuna ne ricaverai – mi risponde con quello che forse è il suo nuovo slogan. Ci penso ancora un po' su, poi scrollo le spalle e vado da Flavio, che è l'addetto alla raccolta delle scommesse. Prendo una banconota da cinque euro e gliela infilo in una tasca dei pantaloni:

- Mettimele su Johnny -

- Johnny?! Jack, ma vuoi buttare al vento cinque euro? Ormai Johnny è finito – mi risponde Flavio, che poi mi indica un altro ragazzo.

- Lui vincerà quest'anno, punta su di lui. -

Seguo la direzione della sua mano: sta puntando verso...Andy?! Lo sto davvero vedendo? Andy, magrissimo, se ne sta impalato a torso nudo a imitare le posizioni delle statue greche antiche. Non aveva mai partecipato a questa competizione! - Andy, ma pure tu partecipi? - gli chiedo, sorpreso. Lui interrompe per un secondo la sua performance e mi risponde:

- Eh, già. I soldi scarseggiano e purtroppo tocca anche a me! D'altra parte, non vorrai mica dire che non sia sexy, no? - Andy assume una posizione a dir poco imbarazzante e io torno subito da Flavio. - Scherzi, vero? Andy non ha possibilità! Sembra di vedere uno scheletro vivente! Non potrà mai fare un rutto come Johnny - esclamo.

Ma Flavio non scherza: scuote la testa e alza la mano verso di me.

- Uomo di poca fede, quest'anno vincerà Andy. Me lo sento. -

Sono indeciso: puntare i soldi sul mio fedele amico, ma che non potrà mai vincere, oppure puntarli su Johnny, che negli ultimi periodi è in declino ma che ha un passato glorioso? Stavolta opto per Johnny.

Quando ognuno ha ha scommesso sul proprio “cavallo”, Flavio prende un microfono ed annuncia:

- Signore e signori...o meglio: signori e basta, inauguro aperto il campionato mondiale di rutto duemilaquattordici! - Tutti noi esplodiamo in un grosso applauso, mentre i partecipanti salutano e ringraziano il pubblico.

- Grazie, grazie – continua Flavio, facendo cessare l'applauso - cominciamo ora con le esibizioni dei candidati! - E così uno ad uno i nostri amici si avvicinano a noi e cantano le loro “melodie”, come le chiama Johnny. Ognuna di queste è da noi accompagnata da una grande ovazione, a cui fa seguito l'inchino del candidato.

Tocca ad Andy: lo vedo mentre si avvicina a noi, molto intimorito e insicuro. Nessuno è magro come lui, per questo molti di noi cominciano a parlottare tra di loro, sorridendo maliziosamente. Andy si prepara, beve un grande sorso di Coca Cola, apre la bocca e...cos'era quello? Credo di aver sentito un “ah” molto debole, davvero molto debole. La maggior parte di noi del pubblico non capisce cosa sia successo: Andy ha detto qualcosa? Era quella la sua esibizione? Temo di sì. Il mio amico se ne ritorna triste in fila con gli altri. Arriva poi il turno di Johnny: emana un suono terrificante e fortissimo. Se non avessi saputo di questa competizione avrei detto che ci fosse un T-Rex negli spogliatoi. Il pavimento trema, così come le pareti. Noi che osserviamo abbiamo già capito chi è il vincitore: esplodiamo in un grosso applauso e portiamo Johnny in trionfo, mentre lui ingoia un grande sorso di birra per festeggiare. Porgo i miei complimenti a lui e poi guardo l'orologio: ora di andare. Mi allaccio le stringhe ed esco in palestra.

Il professore di educazione fisica sta facendo delle flessioni nel centro del campo di pallavolo, aspettando che tutti si preparino per poi andare allo stadio. Le mie amiche lo guardano con ammirazione e confabulano tra di loro, ridacchiando come oche. Dopo dieci minuti sento un “chioc!” provenire dal punto in cui si trova l'insegnante, che si blocca all'istante.

La situazione è davvero comica: l'uomo è come colto in una fotografia, nel bel mezzo di una flessione. Il suo volto si fa tutto rosso e lo sento respirare affannosamente.

- Ragazzi...aiutatemi...la schiena...credo di averla rotta – sussurra. Guardo i miei compagni: se la ridono allegramente, quindi anche io rido. E cos'altro posso fare, in queste giornate così tristi? -Ragazzi, lo giuro...vi annullo la gita a Barcellona se non mi aiutate -

- Oh mio Dio, prof! Resti fermo, resti fermo! Presto, un'ambulanza! No no, meglio una barella! Ma che dico? Chiamate l'esercito! Anzi, le pompe funebri! No, meglio un carro funebre! - grida un mio amico, in preda al panico.

Quanto sono patetici! Osservo la folla dei miei compagni accerchiare il prof ed aiutarlo ad alzarsi, mentre lui continua a mandare strani scricchiolii. Quanto sono adulatori i miei colleghi! Io decido di non aiutare il prof, perché voglio farmi ancora due risate. Vedo poi arrivare Johnny, visibilmente ubriaco. Non fa che inneggiare alla vittoria e ad urlare: “Veni, vidi, vici! Veni, vidi, vici!”. In mano ha una bottiglia di vino. I miei amici lo prendono sulle spalle e gli fanno fare il giro del campo.

E' solo dopo mezz'ora che siamo tutti pronti: quindi usciamo dalla scuola e ci incamminiamo verso lo stadio. Per fortuna anche oggi è una bella giornata: solo poche nuvole in cielo.

Dopo dieci minuti entro nello stadio ed alzo gli occhi alle tribune: una cosa mi trafigge come una pugnalata.

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Capitolo 8
*** (7) ***


E' con terrore che leggo l'insegna pubblicitaria posta in cima alle tribune: “Vinelli costruzioni”. Mi sento trafiggere il corpo da una lama invisibile, dritta al cuore. Dovrò fare ginnastica per due ore in un luogo in cui c'è scritto “Vinelli” a lettere cubitali? Bene, che così sia! Facciamole vedere di che pasta sono fatto! Faccio stretching, un paio di giri del campo e poi il prof dichiara:

- Ancora cinque minuti e poi inizieremo la corsa dei 300 metri! Faremo tre batterie da cinque persone.- Giusto, oggi ci sono i 300 metri. Voglio vincere, per dimostrare a Matilde che sono più forte di lei. Mi immagino che lei sia quel cartello pubblicitario, quindi gli rivolgo numerose occhiate omicide. Voglio vincere, vincere! Non c'è nessuno che lo voglia più di me stamani.

L'insegnante mi mette nella batteria insieme a Nicola, Gilbert, Alexandra e Andy.

Osservo con molta attenzione i miei avversari: Alexandra ha le stesse possibilità di vittoria di un bradipo in una maratona, Andy è più forte ma di certo non può vincere. Nicola e Gilbert, invece, sono molto veloci. Sarà dura sconfiggerli. Nicola, inoltre, probabilmente sarà irritato per non aver vinto i Mondiali di rutto e vorrà avere la sua rivincita. Sarà davvero dura.

Mi posiziono alla riga di partenza e aspetto il segnale del prof. I miei sfidanti si allineano dietro e di fronte a me, rivolgendosi tra loro occhiate di sfida. Anche io li guardo in tono minaccioso, ma sono piuttosto preoccupato di Nicola e Gilbert. Quest'ultimo si è addirittura dipinto il volto alla maniera di “Braveheart”, devo ammettere che ne sono spaventato.

Il professore fa un piccolo saltello sul posto, si porta l'indice della mano destra in un orecchio ed emette un gridolino femminile: è il segnale. Scatto, per poi diminuire un poco la velocità: sono trecento metri, non riuscirei mai a farli alla massima potenza. Con la coda dell'occhio vedo Gilbert che sta per portarsi avanti a me, quindi cerco di impedirglielo. Adesso anche Nicola sta per superarmi. Accidenti! Jack, muovi quelle gambe!

Quando mancano circa cento cinquanta metri al traguardo vedo una grossa luce nel cielo ed un volto indistinto che si materializza. Cosa sta succedendo? A poco a poco il volto si fa sempre più delineato, fino ad assumere la forma di Maria Sharapova. Maria! Cosa ci fai qui? Lei sorride, come fa sempre. Io intanto fermo la mia corsa, ma non mi rendo conto dove mi trovo, perché tutto intorno a me è occupato da una forte luce. Sono ancora allo stadio? Non lo so.

“Ciao, Jack. Bella giornata?” mi chiede, spostandosi un ciuffo di capelli che le ricade sul viso. Insomma, Maria! E' una giornata un po' così e così...non sono molto felice ultimamente. “Capisco. Senti, dovrei dirti una cosa”. Maria Sharapova che deve dire una cosa a me? Spara pure, Maria! “So che hai paura di perderla. Accadrà, Jack. Abbi coraggio, te ne servirà in futuro” e poi, esattamente come è apparsa, scompare. Un tuono rimbomba nello stadio e il volto di Maria si smaterializza. Perché sei sempre così misteriosa, Maria? Perché non parli mai in modo esplicito e chiaro?

Le nuvole la avvolgono e dopo pochi secondi, quando sono di nuovo in grado di vedere cosa succede intorno a me, mi accorgo di essere sulle ginocchia e con le braccia rivolte in alto, come in preghiera. Sulla linea del traguardo vedo tutti i miei avversari...non ci posso credere! Mi sono fatto battere pure da Alexandra e Andy! Che vergogna! Mi rialzo in piedi, ancora stordito da quella visione. Maria, dovevi farmi visita proprio ora?

Raggiungo l'insegnante e i miei compagni. Il prof sta segnando su un foglio il tempo con cui abbiamo finito la corsa. Non oso immaginare il mio. Se non avessi visto la Sharapova, accidenti! Vedo che tutti mi guardano, sicuramente perplessi su quanto mi sia accaduto. Il prof, con un cronometro in mano, mi chiede:

- Allora, Jack, ti abbandonerà? -

Cosa?! Lo guardo terrorizzato: ma che ne sa lui di Matilde? Non so cosa rispondergli, ho la bocca asciutta, non riesco quasi a parlare.

- Come ha detto, scusi? - balbetto

- Ti ho chiesto cosa ti è successo, ad un certo punto sei caduto -

- Ah...- Che io mi sia sbagliato? Ero chiaramente sicuro di averlo sentito dire: “Allora, Jack, ti abbandonerà?”! No, non può essere. Devo sicuramente essermi sbagliato. Lui non sa nulla di me, non sa nulla di Matilde. Non sa nulla di Frank...no, non può sapere. Errore mio, sicuro.

Io lo rassicuro e vado a sedermi ad una panchina, aspettando di vedere la seconda batteria. Sono arrivato ultimo: la cosa mi brucia, ma sinceramente pensavo mi facesse più male. Sono deluso, ma anche curioso: cosa avrà voluto dirmi Maria? Possibile che sia ciò che penso? Può darsi. Anzi: probabile.

Mi si avvicina Andy, che si siede accanto a me. E' tutto rosso e sembra sul punto di svenire. Ha la mano sul cuore e sta ansimando molto forte. Possibile che mi sia fatto battere da uno che pesa otto chili? Non riesco ad accettare una cosa del genere.

- Jack, dunque resterai da solo. - Eh? Mi alzo in piedi di scatto e lo guardo: cosa sta succedendo? Perché tutti lo sanno? No, non accadrà! Lo capite o no? Non succederà! Matilde non lo farà, non è così meschina! Smettetela di dire cose simili!

Punto un dito contro il volto di Andy e gli dico, con tono minaccioso:

- Senti, non so come tu faccia a saperlo ma non succederà. Okay? Fatti gli affari tuoi! Siete solo dei ficcanaso -

- Ma sei di fuori? Ti ho chiesto se vuoi rimanere a pranzo con me oggi! Resto qui, siccome. -

Andy sembra sincero, ma allora perché? L'ho udito chiaramente dire che rimarrò da solo! Mi porto le mani al viso e me lo sgraffio con le unghie, dalla fronte al mento. Maria, deve essere sicuramente Maria! E' la Sharapova che mi sta facendo questo tiro mancino, non ci sono altre spiegazioni. Poi mi sento toccare sulla spalla: è il prof, che mi mostra una foto.

- Guarda, Jack. Sono Frank e Matilde che si baciano. Non sono carini? - Guardo la foto, sperando che sia tutto un gigantesco scherzo. Invece no. La foto ritrae Matilde che bacia con grande amore Frank. Poi...cosa succede? La foto si anima: i due si baciano contorcendosi fra di loro, mentre Frank allunga le mani su di lei e lei su di lui...basta! Distolgo lo sguardo con violenza e strappo la foto. Poi la calpesto, ci salto sopra e ci sputo. La dilanio con i piedi e mi assicuro di disintegrarla.

Il prof mi guarda in modo strano: sembra spaventato. E allora? E' stato lui a provocarmi, io non c'entro nulla! Non so da chi abbia avuto quella foto, ma mi ha provocato! Chi è lui per farmi una cosa del genere? Perché tutti sanno tutto?

- Jack, ma cosa hai fatto? - mi chiede esterrefatto. Abbasso lo sguardo: non ci sono più i resti di una fotografia, ma i brandelli di un foglio. Riesco ancora a leggerci, seppur con difficoltà: vedo i nomi dei miei compagni e alcuni numeri accanto. Solo ora capisco: è il foglio in cui l'insegnante si è segnato il tempo da noi effettuato nella gara.

- Ti ho detto il tempo che hai fatto. Capisco la tua rabbia per esserti fatto battere da una donna, ma non esagerare! -

Cosa mi sta succedendo? Il cuore mi batte fortissimo e sente una vena pulsarmi sul collo. C'è qualcosa che non va, c'è decisamente qualcosa che non va.

Me ne ritorno in panchina, più confuso che mai. Non so cosa mi stia prendendo ma ho paura. Non sto bene fisicamente e soprattutto mentalmente.

Comincio a credere di essere diventato pazzo.

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Capitolo 9
*** (8) ***


Ho una strana sensazione nel corpo. Ho la forte di paura di essere abbandonato da Matilde. Mille volte mi sono ripetuto in mente “presto arriverà un giorno in cui un vostro litigio sarà l'ultimo, perchè non potrete andare avanti così”, ma non pensavo che tra noi sarebbe finita per via di un altro ragazzo. Invece sembra proprio così.

Lei e Frank sono sempre più uniti, mentre io vengo relegato in secondo piano. Per la prima volta da mesi, in ventiquattro ore Matilde non mi chiama una sola volta. Per me è un grandissimo segnale d'allarme: tutto sta crollando. L'edificio costruito da me e lei insieme sta venendo giù. Siamo ancora molto uniti, ma percepisco che le cose stanno cambiando.

Mi sono iscritto ad un torneo di tennis a Pisa: Tom è venuto a vedermi. “Sei in gran forma, questo è il tuo momento” non fa che ripetermi. In effetti è vero: se si eccettuano le ultime giornate sto giocando davvero bene.

Quando oggi scendo in campo, però, sto pensando a tutto meno che al tennis. Il mio avversario, un signore di circa 45 anni, mi si presenta. Io gli stringo la mano e gli rivolgo un sorriso triste. Quando stiamo palleggiando vedo che è venuta pure Sarah a vedermi, la fidanzata di Tom. Questo non fa che peggiorare la situazione. Sembra che tutti si stiano adoperando per farmi sentire peggio. In più Sarah ha una folta chioma bionda che mi impedisce di concentrarmi al meglio sul mio match.

Inizio la partita e dopo pochi minuti sto già perdendo 4-1. Tom mi guarda sconvolto, ma io non ci faccio caso. Io non devo essere qui, non ce la faccio più. Non posso andare avanti così, devo trovare una soluzione.

Al cambio di campo, mentre passo accanto al mio avversario, il prodigio avviene di nuovo: il viso del mio avversario è diventato quello di Matilde. Mi blocco e la guardo.

- Perchè mi hai tradito? Dimmi che non mi abbandonerai, ti prego. Dimmi che mi sto sbagliando – le dico.

- E' stato bello conoscerti, Jack. Adesso non ho più bisogno di te – mi risponde fredda. Io esplodo. Quella frase la ritengo la più offensiva che mi abbia mai detto. Non ha bisogno di me? Quindi è sempre stata una questione di bisogno, non di piacere! Mi ha sempre tenuto con sé solo perchè le facevo comodo, non perchè veramente mi voleva bene! Vado con arroganza verso di lei e, senza preoccuparmi che sia una ragazza, le sferro un pugno al viso.

Non mi basta: prendo la racchetta e la colpisco più volte, facendola cadere a terra. Infierisco ancora su di lei e intanto piango, perchè non avrei mai voluto farlo. Tom corre in campo a soccorrerla, mentre io cerco ancora di colpirlo. Io vedo Matilde, non il mio avversario.

- Fermati! Stop! - mi urla Tom. Adesso anche il giudice arbitro accorre in campo, squalificandomi. Ci vogliono quattro persone per fermarmi: mi tolgono la racchetta di mano e mi legano con una corda ad un palo. Però ho fortuna: il palo si trova proprio davanti ad un campo, quindi mi posso godere una partita. Muovo la testa a destra e sinistra seguendo la palla, per di più stanno giocando due giovani ragazze, quindi mi sto anche rifacendo gli occhi. Intanto sento Tom, Sarah e alcuni membri del circolo che chiacchierano dietro di me sottovoce: so di essere l'argomento della loro discussione.

E' adesso che mi succede una cosa strana: non ricordo più perchè mi trovo legato ad un palo. Cosa ci faccio qui? Io dovrei giocare la mia partita!

- Tom! Tom! - chiamo, mentre lui accorre veloce. -Tom, slegami! Qualcuno mi ha legato! Che succede? - Lui corruga la faccia.

- Jack, hai quasi ucciso il tuo avversario...-

Cosa ho fatto? Ma cosa si inventa? Forse Tom sta dando i numeri. No, no. E' uno scherzo, ovvio. Però non capisco perchè si metta a scherzare proprio ora.

- Senti, non ho voglia di scherzare. Liberarmi, ho una partita da giocare – gli dico. Lui scuote la testa: temo che dovrò rimanere fermo qui per un po'. Perchè hanno voglia di scherzare? Questa volta Tom me la paga! Inizio a ridere: è senza dubbio uno scherzo! Ah, il buon vecchio Tom! Che burlone!

- Questa me la paghi, Tom! Fidati che me la paghi! - gli urlo ridendo. Non lo riesco a vedere, ma lo sento ancora chiacchierare con altri uomini. Continuo a seguire la partita davanti a me: sembra che la ragazzina bionda stia dando una lezione di tennis a quella mora, perchè la sta distruggendo. Vorrei battere le mani per esultare ad ogni suo punto, ma non posso perchè le ho legate.

Poi mi passa davanti una barella con un uomo sanguinante sopra: accidenti, ma cosa ha fatto? Noto che è vestito da tennis...ma come può farsi così male a giocare? Quando cadi ti sbucci al massimo un ginocchio, ti storgi una caviglia, ma non ti puoi procurare così tanto male. Poverino, mi dispiace per lui.

- Amico, cosa ti è successo? - gli chiedo. Lui alza con fatica la testa, mi guarda e scoppia a insultarmi in ogni modo possibile. Si agita tantissimo, al punto che i due uomini che sostengono la barella fanno fatica a non lasciarlo cadere. L'uomo mi sputa, mi offende e fa per scendere, ma i due uomini lo bloccano e lo sedano. Ma cosa potrà mai avere contro di me? Ah, forse ora capisco. Deve essersi fatto talmente male che ce l'ha a morte con tutti. Mi dispiace veramente per lui.

- Hey, mi dispiace! Spero tu ti rimetta! – gli grido, mentre i due uomini lo conducono via. Non ne sono sicuro, ma mi sembra che dalla barella l'uomo sanguinante mi stia mostrando il dito medio. Poverino, deve proprio stare male. Fa molta rabbia doversi ritirare da una partita perchè ti infortuni: immagino che gli sia appena successo proprio questo.

Riporto la mia attenzione sulla partita davanti a me, mentre Tom e Sarah sbucano da un punto imprecisato da dietro.

- Ora ti riportiamo a casa. Okay, Jack? A c-a-s-a, d'accordo? Ti riportiamo a c-a-s-a – dice Sara. Ma cosa fa? Mi prende in giro? Perchè scandisce così le parole? Mi pensa stupido? Tom mi libera e mi accompagna in un auto, dove trovo suo padre. Ci salutiamo. In macchina nessuno parla e c'è un'aria strana: riesco a vedere che tutti e tre mi stanno guardando, scrutando nello specchietto retrovisore o in quelli laterali.

- Ragazzi, state bene? Mi sembrate strani – chiedo, tentando di rompere quell'atmosfera di tensione. Tutti si guardano negli occhi ma nessuno mi risponde. Insomma, ma cosa ho fatto? Mi hanno portato via dal circolo senza farmi giocare la mia partita, mi hanno legato ad un palo e ora si rifiutano di dare spiegazioni? Dopo qualche secondo è Tom a farsi coraggio, si schiarisce la voce ed inizia a parlare:

- Non ricordi proprio nulla di oggi? Della tua partita? Di ciò...che hai fatto? -

- Ricordo che stavo perdendo e poi mi avete legato a quel palo! Ma cosa vi salta in mente? -

Tom guarda preoccupato negli occhi di Sarah, che ricambia il suo sguardo.

- Jack, al cambio di campo hai aggredito il tuo avversario...non facevi che ripetere il nome di Matilde e lanciare offese...lo hai quasi mandato all'altro mondo – spiega Tom. Non so se mettermi a ridere o arrabbiarmi per questo stupido scherzo. Decido di prenderla col ridere. Di nuovo tutti si guardano in faccia, insicuri sul da farsi. Che sia tutto vero? No...perchè lo avrei fatto? Assolutamente impossibile.

- Ragazzi, spiegatemi a modo cosa è successo – dico. Loro mi raccontano di nuovo tutto e dalla loro espressione mi rendo conto che sono sinceri, non stanno mentendo. Sul serio ho aggredito il mio avversario credendo che fosse Matilde? Io non toccherei mai Matilde, perchè allora l'ho fatto? E poi: perchè non mi ricordo più nulla?

- Sicuro di stare bene, Jack? Vuoi che ti aiutiamo...che ti stiamo accanto? - mi chiede Sarah, in un modo che mi sembra si stia rivolgendo ad una persona in fin di vita.

- Ti ringrazio ma sto benissimo – gli rispondo. Sono irritato: ora mi credono pazzo. Non lo sono, sono solo stanco. Deve essere così: questione di stanchezza, nient'altro. Matilde frequenta un altro? Okay, nessun problema. Posso convivere con questa cosa, l'episodio di oggi non ha nulla a che fare con questo. E' così per forza. Tranquillo, Jack. Tu non sei pazzo, sei solo stanco. Andrà tutto bene, tutto si risolverà. Tu non ti preoccupare. Pensano che tu stia diventando matto, che roba! Non li stare a sentire, si sbagliano. E' tutto a posto, rilassati.

Ci fermiamo ad un semaforo rosso ed un anziano signore si avvicina alla nostra auto con una bottiglia d'acqua in mano ed una spazzola. Ci chiede in modo gentile se può pulirci il parabrezza, il padre di Tom scuote la testa. Io guardo con attenzione l'anziano signore, poi gli sorrido e lo saluto con la mano. Incredibile, quasi non la riconoscevo!

- Ciao, Matilde! -

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Capitolo 10
*** (9) ***


Le persone che mi stanno accanto continuano a ricordarmi episodi di cui io non ho ricordo: momenti in cui parlo con una persona invisibile o in cui mi rivolgo a Matilde, mentre invece sto parlando da solo. Da una parte non riesco a capire come tutto questo sia possibile e penso che mi stiano prendendo in giro; dall'altra mi rendo conto che me lo dicono sempre più persone, quindi forse c'è un fondo di verità.

Oggi, in ogni caso, non ho motivo di pensare a queste cose: sono a Roma, ad assistere agli Internazionali di tennis. Tutti i migliori tennisti del mondo sono qui e io sono pronto a vederli. E' la quinta volta che assisto agli Internazionali, ma mi emoziono sempre come se fosse la prima. Il mio circolo ha organizzato un pullman: con me ci sono anche Tom e il mio amico Roy. Non appena arriviamo nell'area sportiva ci dirigiamo all'entrata dei giocatori nel Campo Centrale: qui alcune transenne tracciano il percorso dei tennisti verso lo stadio, che inizia nel parcheggio a loro riservato e li conduce nel Centrale.

Sono emozionatissimo: mi tremano le gambe ed ogni due minuti piango di gioia. Attorno a me ci sono decine e decine di persone che sperano di poter vedere passare qualche importante tennista e ricevere un autografo.

- Avvicinati! Avvicinati! - mi dice Roy, spingendomi contro la transenna. - Non ti fare rubare il posto! -

Io mi avvicino e aspetto pazientemente che un giocatore passi.

Ad un certo punto, vedo giungere alcuni uomini dal parcheggio. Sono vestiti di nero e portano gli occhiali da sole: probabilmente accompagnano un personaggio importante. Le persone cominciano a sporgersi sulle transenne, agitando alcune foto e dei fogli per farseli autografare.

- Che succede? Chi arriva? - grida Tom, che saltella per poter scorgere il motivo di tutta quella agitazione. Sia lui che Roy, infatti, sono dietro di me e non riescono a vedere bene ciò che succede. - Non lo so, ma penso che sia qualcuno famoso – rispondo. E in quel momento la vedo: dietro a quelli uomini in nero compare una figura alta e bionda, in completo da tennis. Si abbassa per poter firmare gli autografi. La riconosco subito: Maria Sharapova. L'ho sempre vista alla televisione o nelle foto, adesso la vedo dal vivo. Forse è ancora più bella dalla realtà. Tom e Roy non fanno che spingermi contro la transenna, in modo da ottenere un autografo.

Io mi sporgo così tanto che rischio di cadere dalla parte opposta. Cavolo! Uno di quei uomini in nero mi si è fermato davanti e io non riesco a vedere Maria! Poi si sposta di un poco e la Sharapova arriva: io allungo il mio foglietto, mentre lei lo prende e lo autografa. Il mio cuore sussulta: non ha ancora capito cosa sia successo, probabilmente lo capirà solo tra diversi giorni. Maria, poi, alza lo sguardo su di me e dice a bassa voce:

- Ciao, Jack. Abbi coraggio, sarà dura da adesso in poi -

Io sbianco in volto.

- Eh? - riesco solo a pronunciare. Mi volto verso i miei due amici.

- Allora? Te l'ha fatto? Facci vedere! - mi dicono, prendendomi l'autografo dalle mani. Lo toccano, lo ispezionano, lo controllano: neppure loro riescono a capire che sia davvero successo. Io, però, adesso sono più sconcertato per ciò che Maria mi ha detto. Mi ha chiamato per nome! E a cosa si riferiva? Come può conoscere il mio nome?

- Ragazzi, ditemi che l'avete visto! Maria mi ha parlato! Mi ha chiamato per nome! Lo avete visto, vero? -

Loro scoppiano a ridere, come avevo immaginato. In effetti anche io avrei reagito così, credo. Non ha senso quello che mi ha detto, non è possibile che sia accaduto.

- Jack, va bene che adori la Sharapova, ma ti pare che ora ti parli? Falla finita! - dice Tom, ancora ridendo. Io scuoto la testa e guardo Maria allontanarsi, ripensando a quell'episodio. Almeno Tom l'ha presa col ridere e non mi ha preso per matto...Ce ne andiamo sul Campo Centrale, dove tra poco scenderà in campo Roger Federer. Non penso che la mia giornata possa andare meglio: vedere il mio idolo giocare mi renderà la persona più felice del mondo e mi farà dimenticare tutto lo stress di quei giorni.

Mi siedo in mezzo a Tom e Roy. Siamo nella fila più in alto dello stadio: un forte vento spira tra di noi. E' bellissimo: da qua riusciamo a vedere tutto l'impianto sportivo. Anche la giornata è stupenda: il sole splende sopra le nostre teste, senza essere minacciato da alcuna nuvola. E' la giornata ideale per vedere un po' di tennis.

La voce dello speaker annuncia l'ingresso dei giocatori in campo e io accolgo con una grande ovazione l'entrata di Federer. Oggi nessuno mi può disturbare, oggi sono nel mio regno: il tennis.

Durante una pausa del cambio di campo la telecamera inquadra me e Tom: noi due appaiamo sull'enorme maxi schermo posto sulle tribune e compare la scritta: “Kiss camera”. Oh, no! Non ci posso credere! La “kiss camera” inquadra due persone sedute accanto che si devono baciare, possibile che sia capitata a me che sono accanto a Tom? Che sfortuna! Io mi allontano quanto possibile da lui, presto imitato da Tom. Il pubblico scoppia a ridere: perfetto, ora sono anche lo zimbello di migliaia di persone. Immagino di essere in diretta anche alla televisione...no, non ci posso credere! Perché tutto a me?

- Stai lontano da me! - mi minaccia Tom, sdraiandosi su una ragazza accanto a lui. Poi la ragazza, accorgendosi che Tom ci prende gusto e si accomoda sempre più su di lei, gli dà uno schiaffo e lui ritorna vicino a me, massaggiandosi la guancia dolorante.

- No, tu stai lontano da me! - esclamo, piegandomi su Roy. Le persone continuano a ridere, adesso sono tutto rosso per l'imbarazzo. Migliaia e migliaia di occhi puntati su di noi, senza contare quelli davanti alla televisione che ci guardano. Mi sento andare a fuoco, ho le orecchie in fiamme.

- Sono sicuro che stareste bene insieme! - dice Roy, poi avvicina con forza il mio viso con quello di Tom e ci baciamo. Mai e poi mai mi è capitata una cosa così imbarazzante. Roy piange dalle risate, mentre le persone esultano e gridano più di prima. Il giudice di sedia deve fare molta fatica per riportare il silenzio sullo stadio per riprendere il gioco.

Sputo per terra: voglio assolutamente togliermi quel disgustoso gusto dalla bocca. Tom beve dalla sua bottiglietta d'acqua e poi sputa tutto attorno, provocando la rabbia delle altre persone.

Sto ancora sputando quando sento il cellulare vibrare.

- Sì? Pron...pronto? - chiedo, soffocando un conato di vomito.

- Ciao -

Accidenti! Mi ero dimenticato di chiamare Matilde! Guardo l'orologio: l'una e dieci, è appena uscita da scuola. Mi stavo divertendo così tanto che ho del tutto scordato di chiamarla, sono proprio uno stupido. Non oso immaginare la sua punizione per la mia infrazione.

- Ti avevo detto di chiamarmi, non l'hai fatto – continua. Il suo tono è duro, assomiglia a quello di un professore quando sgrida l'alunno.

- Hai ragione, scusami. Comunque sono qui a Roma, mi diverto un mucchio. Prima ho visto...-

- Fa nulla, non ti preoccupare – mi interrompe. Cosa? “Non ti preoccupare”? Che sta accadendo? Perché non si arrabbia?

- Non posso obbligarti – continua. No, no. La cosa si fa seria. Perché improvvisamente si pente di questo? Non è nel suo stile, c'è qualcosa che non torna. Faccio finta di nulla e continuo a parlare.

- Dunque...come va? Come stai? -

- Oh, va alla grande! Oggi esco con Frank! -

Un colpo mi giunge violento al cuore. Mi porto istintivamente la mano sul petto. E' finita davvero. Matilde, non mi abbandonare. Ti prego, sto male senza di te.

“Siamo al capolinea, Jack” dice la mia voce interiore. Stai zitta! Non è vero, non è per nulla vero! Chiudete tutti il becco! Mi sembra di sentire qualcuno dentro di me che ride della mia sfortuna. “Fine della corsa, Jack”.

- Zitta! Resta zitta! Non ti voglio sentire! - esclamo, facendo girare verso di me Tom e Roy.

- Eh? Cosa ho fatto? - mi chiede Matilde.

- Mi dovete lasciare stare! Io ci riuscirò! Non succederà, non succederà! Tutto si sistemerà, tutto andrà bene! - grido.

Respiro sempre più velocemente e mi sembra di perdere l'equilibrio. Faccio fatica a mantenermi in piedi. Intanto continuo a urlare e gridare, interrompendo il gioco sul Centrale e facendo girare di nuovo tutti verso di me. In questo momento, però, non penso a loro. Penso solo a rispondere a quelle falsità che qualcuno dentro di me mi sta rivolgendo. Perderò Matilde? Mai! Non potrà mai accadere.

Tre uomini mi scortano fuori dallo stadio: è la seconda volta in una settimana che vengo espulso. Non so cosa mi stia succedendo, ho la testa in totale confusione. Non sono più padrone delle mie azioni.

- Jack, cos'hai? Sono giorni che sei strano! - mi chiede Tom, facendomi sedere su una panchina. Roy si siede accanto a me. Li guardo in faccia: i miei amici sembrano sinceramente preoccupati per me. Anche io so di non stare molto bene, ma non credo che la cosa sia molto grave.

- Ragazzi, mi dovete credere! Sono solo un po' stanco in questi giorni, tra poco ho la maturità e mi sento...- mi blocco: è passata davanti a me una signora con un bassotto al guinzaglio.

Il cane mi è venuto ad annusare i pantaloni e poi mi guarda, sbavando da tutte le parti. Il fatto strano, però, è che il cane apre la bocca ed inizia a parlarmi.

- Hey, Jack! Per caso ti piacciono gli ABBA? - mi chiede. Io guardo il bassotto con aria terrorizzata: sogno o son desto? Santo Cielo, quel cane mi sta parlando! Lo indico freneticamente ai miei due amici.

- Il cane! Il cane! Lo vedete? Il cane mi sta parlando! Guardatelo! - gli dico. Non voglio assolutamente passare per pazzo: voglio che vedano ciò che vedo io. E in questo momento io vedo un cane che parla. Tom e Roy, però, osservano il bassotto e non sembrano per nulla sorpresi.

- Jack, ma che stai dicendo? Il cane ti ha solo fatto la pipì sui piedi. -

Grandioso! Neppure me ne ero accorto. Ma che importa? Io sto vedendo un cane che mi parla, non mi interessa se mi ha appena bagnato i pantaloni. Continuo ad indicarglielo, mentre loro si guardano confusi. Ormai è chiaro: tutti mi ritengono matto.

- Allora, ti piacciono o no? Gli ABBA! - continua il bassotto.

- Sì...credo...- rispondo insicuro. Non oso immaginare cosa stiano pensando Tom e Roy. Il cane scodinzola felice e continua a sbavare a terra: sembra contentissimo.

- Bene! Allora ti canto una loro canzone che rispecchia perfettamente il tuo stato d'animo, che ne dici? -

Guardo i miei amici: mi osservano come se fossi un alieno. Non ha importanza: non ho più nulla da perdere. Ormai sono in ballo, devo continuare a ballare.

- D'accordo – rispondo. Il cane si mette seduto, si schiarisce la gola e comincia a cantare:

- Where are those happy days, they seem so hard to find? -

“Dove sono quei giorni felici, che sembrano così lontani da trovare?” traduco mentalmente. Il tono con cui canta è triste e nostalgico, proprio come sto in questi giorni.

- I try to reach for you but you have closed your mind. What ever happened to our love? I wish I understood. It used to be so nice, it used to be so good”.

“Provo a raggiungerti ma tu hai chiuso la tua mente. Cosa è successo al nostro amore? Vorrei capirlo. Ero così bello, era così buono”. Adesso è troppo: il riferimento a Matilde è esplicito!

- Tu non hai il diritto di dire queste cose! Tu non sai nulla! - esplodo, prendendo il bassotto per il collare. Poi lo faccio roteare in aria e lascio la presa all'improvviso, facendolo volare via. La padrona urla per il terrore e poi scappa a riprenderlo, mentre io rido. Così impara ad avere un cane impiccione! Mi giro verso Tom e Roy: sono a bocca aperta, increduli.

- Lo so, lo so. Ho un futuro nel tiro del giavellotto, ma è uno sport che proprio non... –

- Ora basta, Jack! - mi interrompe all'improvviso Roy. - Tu stai male! Fatti vedere da qualcuno! Non ho più intenzione di passare del tempo con te a meno che tu non ti faccia vedere da qualcuno molto bravo! -

Guardo Tom, che annuisce. Adesso anche i miei amici mi abbandonano? In cosa sto sbagliando in questi mesi? Cosa non funziona? Ha a che fare con un bassotto parlante?

Dovrò fare a meno di loro, quindi. So già di non riuscirci: i miei amici sono la mia forza, così come Matilde è il mio motore. Non ho bisogno di uno psicoterapeuta: io sto benissimo. E' tutta stanchezza, è tutto stress.

Me ne ritorno sul pullman, per me la giornata finisce qui. Mi sdraio occupando tre posti ed inizio a sognare: non so dove mi trovo, sento solo una canzone in sottofondo. Tutto intorno a me è indistinto: mi sembra di essere all'interno di una casa ma è come vedere da un vetro appannato. C' è una strana nebbiolina che mi impedisce di vedere in modo chiaro. Non distinguo i particolari. La canzoncina sta ancora andando avanti: you seem so far away though you are standing near...oh, no. Oh, no! E' con terrore che capisco che è la stessa canzone che cantava il bassotto! Poi la casa si fa del tutto nitida: è quella di Matilde. Mi guardo attorno...ci sono pure io! Sono forse morto? Sto rivivendo un momento passato? Non lo so. Vedo me stesso seduto al tavolo della cucina mentre guardo Matilde che usa il telefono, dal lato opposto del tavolo.

Mi avvicino a lei, mentre il mio “alter ego” se ne resta seduto: Matilde sta mandando dei messaggi a Frank.

Frank, come sempre, Frank.

E' solo adesso che mi rendo conto che è proprio la mia copia... o sosia... o qualunque cosa sia che, seduta al tavolo con un' espressione triste in volto, sta cantando quella canzone.

- So when you're near me, darling, can't you hear me? S.O.S.! The love you gave me, nothing else can save me. S.O.S.! When you're gone, how can I even try to go on? When you're gone, though I try, how can I carry on?...-

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Capitolo 11
*** (10) ***


Guardo la sveglia: sono le 4:15 del mattino. Sto sudando e sono agitato, non riesco a dormire. Non è difficile capirne il motivo: domani ho il mio esame orale per la maturità. Continuo a sognare i membri della commissione che mi interrogano ed io che non so cosa rispondere. Ho invitato tutti i miei amici a vedermi, compresa Matilde. Ho come la sensazione che domani sarà l'ultima volta che usciremo tutti insieme: Matilde si sta allontanando sempre più dal nostro gruppo.

 

 

Mi tocco il pigiama: è tutto bagnato. Scendo dal letto, scivolo e casco sul duro pavimento. Non ci avevo fatto caso: per terra c'è un lago di sudore, riesco anche a vedere un merluzzo. Se continuo così domani sarò talmente agitato da non ricordare neppure il mio nome. La cosa più difficile, però, sarà essere interrogato con il pensiero in testa di Matilde. No, meglio non pensarci. Torno a sdraiarmi e chiudo gli occhi.

 

Andy, Matilde, Tom e Sarah si siedono sulle sedie poste all'interno dell'aula in cui io sarò tra poco interrogato. Dentro la stanza c'è un lungo tavolo con numerose sedie da un lato, mentre dall'altro ce n'è solo una: quella dove mi andrò a sedere io. Matilde, ovviamente, è sempre al telefono con Frank. Non appena dirigo lo sguardo su di lei mi fa male il petto, non so perché.

- Jack, sei in forma? -

La mia insegnante di scienze è appena entrata nella stanza, seguita dagli altri membri della commissione. Mi sta simpatica, ha sempre preteso molto dai suoi studenti ma è un'ottima professoressa.

- Se dovessi usare un linguaggio scientifico direi che sto per fare un'esplosione effusiva – rispondo. Lei ride e poi prende posto al tavolo, insieme con gli altri insegnanti. Io guardo i miei amici per l'ultima volta, poi mi faccio il segno della croce e mi dirigo verso la mia sedia, come un condannato sale sul patibolo.

- Abbi fede, Jack! - sento sussurrare Andy. Annuisco, poi alzo lo sguardo sui professori: si comincia.

Osservo i membri esterni, quelli cioè provenienti da altre scuole. Il prof di filosofia sembra piuttosto simpatico, l'insegnante di fisica è invece molto bella e non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Lentamente mi si crea un filamento di saliva dalle labbra.

Dopo aver esposto la mia tesina inizia l'interrogazione (o interrogatorio?) vera e propria. - Allora, da dove vuoi iniziare? - mi chiede la prof Lippers, di greco.

- Da lei – rispondo rivolgendomi a quella di fisica, che sorride.

- Ottimo. -

Mi alzo dalla sedia e mi siedo di fronte a lei. Mi fa elaborare alcuni calcoli piuttosto semplici e dimostrare un teorema. Fin qui nessun problema. Passo quindi ad inglese: commetto degli errori banali, perché sto cominciando ad innervosirmi. Sento Tom ridacchiare in fondo alla stanza con Matilde, di cosa staranno parlando? Dei miei recenti momenti di pazzia?

In trenta minuti, comunque, termino l'interrogazione: saluto i professori ed esco da scuola con i miei amici. Sul portone d'ingresso ci facciamo una foto ricordo: mentre la stiamo facendo io so, in cuor mio, che quella sarà l'ultima immagine che ritrae me e Matilde nella stessa foto. Il sorriso che mostro è in parte falso, perché non mi sento più molto bene. Con oggi ho terminato la mia permanenza al liceo classico: non metterò più piede nel luogo in cui ho incontrato l'unica persona che ho veramente amato. Le risate, le discussioni, gli scherzi...tutto ciò che ho fatto lì con Matilde non ci sarà più. Già ci stiamo allontanando: uscire da quel liceo non farà che allontanarci ancora di più.

- Jack, sorridi! Sembra tu sia a un funerale! - mi grida Tom, che dall'altro lato della strada sta scattando la foto. Sorrido, ma solamente per fingere di essere felice.

Andiamo a sederci su una panchina nella piazza lì vicina, dove per anni sono arrivato con il mio pullman per poi recarmi a scuola. Matilde si siede accanto a me e poggia la testa sulla mia spalla: ora sarà Frank a godersi anche questo. Cosa ho fatto di male? Perché Matilde, dopo avermi trattato male ed essersi comportata in generale male con me, adesso viene ricompensata? Per mesi si è lamentata con me perché non trovava nessuno, spero che adesso non mi abbandoni per lo meno.

- Ti voglio bene – le sussurro

- Anche io. - Speriamo, perché non ne sono più convinto. Tom si alza di scatto e batte le mani:

- Allora, gente, chi ha voglia di farsi un bel tutto per festeggiare? - chiede.

E così ce ne andiamo in spiaggia: che giornata splendida. Tutti fanno il bagno eccetto me, perché sono terrorizzato dall'acqua. Mi sento totalmente vulnerabile in acqua, non so perché Mi siedo sulla sabbia e osservo i miei amici che non fanno altro che tuffarsi e rituffarsi. Mi sembra di assistere ad un'esibizione di delfini.

Dunque è questa la fine del mio liceo classico. Gli ultimi due anni (e in particolare l'ultimo) sono stati meravigliosi, per via di Matilde. Ripercorro con la memoria tutti i momenti più importanti e mi rendo conto che sono stati veramente cinque bellissimi anni.

Poi sento muovere la sabbia accanto a me: mi giro e vedo una giovane ragazza stendere un asciugamano e sedersi accanto...ma è...è davvero lei? No, non può essere. E' solo una straordinaria somiglianza ma non può veramente essere...

- Maria Sharapova, sì. Jack, sono io – mi dice. Io ho la bocca spalancata e non riesco a dire nulla. Ovvio, qualcuno mi sta prendendo in giro. Qualcuno ha chiamato questa ragazza incredibilmente simile alla Sharapova per farmi uno scherzo, lo so. Forse è un modo per farmi festeggiare la fine del liceo, ma non importava farmi conoscere una sosia della mia tennista preferita. Mi schiarisco la gola e mi riprendo dallo stupore iniziale.

- Sì, io invece sono il papa. -

Lei ride, come sempre fa nei miei sogni. Effettivamente è davvero uguale a quella vera.

- Sai, per poco i miei amici ce l'avevano fatta. Sei davvero molto simile alla Sharapova – continuo.

- So che ti è difficile crederlo, ma io sono veramente Maria Sharapova -

- Sì, ovviamente. -

Dunque? Tutto qui lo scherzo? Forse ero un po' sorpreso all'inizio ma ora no, bell'idea ma non ne capisco il senso. La “pseudo” Maria posa con delicatezza una mano sul mio braccio e io tremo per il piacere che quel gesto mi sta procurando. Mi sento come toccato da una dea.

- Jack, ancora un po' di tempo e ti farò aiutare dai miei amici – spiega.

Ah, ora ho capito! E' tutto orchestrato da Matilde, naturalmente! “Ti farò aiutare dai miei amici”? Ma cosa crede? Che mi serva aiuto? Se lo sogna! Non ho bisogno di essere aiutato, io sto benissimo così. La gente negli ultimi periodi non fa che preoccuparsi inutilmente per me, ma io non ho chiesto l'aiuto di nessuno.

- Senti, chiunque tu sia, non ho intenzione di essere aiutato. Grazie lo stesso – le dico, alzandomi in piedi, irritato. Voglio andare a chiedere spiegazioni ai miei amici, anche se so già chi è la responsabile di questo stupido scherzo. Trovo umiliante che Matilde mandi una sua amica somigliante alla Sharapova per offrirmi il suo aiuto. Cosa ne sa Matilde di come sto? Lei non vuole sentire le mie ragioni, eccetto quando portano un beneficio a lei. Tutto ciò che dice o fa nei miei confronti ha sempre un secondo fine, quindi non ho più bisogno di lei. Non voglio la pietà (tra l'altro ipocrita) di qualche sua amica.

- Hai tutto il diritto di essere arrabbiato, ma presto non lo sarai più. Sii forte, la strada che stai per intraprendere è fatta di ostacoli ed impedimenti. -

Adesso mi sto arrabbiando sul serio: ora si mette anche a parlare con metafore? “La strada che stai per intraprendere è fatta di ostacoli e impedimenti”? Ma chi si crede di essere? Mi giro per risponderle ma lei è sparita. Mi guardo attorno: non c'è. Da dove se n'è andata? Forse è proprio questo l'obiettivo di Matilde: portarmi alla pazzia. Ma certo! Che sciocco a non averci pensato prima!

Mi giro e raggiungo i miei amici, che stanno giocando a pallavolo sulla riva. Comincio ad applaudire:

- Bellissima idea, ragazzi. Davvero. Potevate evitare il linguaggio metaforico ma per il resto nulla da dire, bravi. Le assomiglia davvero molto, per un attimo ci ho creduto. -

Loro smettono di giocare e mi guardano con stupore: bene, ci avevo indovinato. In fondo ho appena terminato il liceo classico, uno scherzo del genere ci può anche stare. E' il riferimento alla mia sofferenza per Matilde che proprio non sopporto.

- Scusa? - mi chiede Sarah

- Tranquilli, ragazzi! Se volete fingo di non aver capito che fosse uno scherzo, preferite così? -

Niente, ancora non cedono. Forse erano convinti che io ci sarei cascato, è possibile. Solo che non capisco come facciano a credere che io sia così stupido.

- Con chi parlavi, Jack? - mi chiede invece Andy. Io rido: dunque me lo vogliono fare dire! Vogliono che io dica: “stavo parlando con...con...con Maria Sharapova! Non ci credereste mai!”. Non avranno questa soddisfazione, mai.

- Dai, giù la maschera! Bello scherzo, ma non ho abboccato -

- Sul serio, Jack. Ti vedevamo chiacchierare ma non eri con nessuno. Hai steso un asciugamano e poi hai iniziato a parlare come se ci fosse seduto qualcuno sopra. -

Mi prendono in giro? Ammetto che negli ultimi giorni ho avuto dei momenti di pazzia, ma questo proprio no. A questo non credo. Allontano quella discussione con un gesto della mano e me ne ritorno dove ero seduto prima, godendomi il sole di questa giovane estate.

 

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Capitolo 12
*** (11) ***


Decido di agire: ho finito il liceo ed ho un mucchio di tempo libero. Voglio riconquistare la ragazza che mi ha abbandonato, anche se so che sarà dura. Non so cosa sia che mi faccia tentare di riconquistarla, forse la disperazione.

Chiamo Andy al cellulare e gli chiedo se mi può prestare la sua armatura da soldato greco: accetta, a patto che gliela riporti tutta integra. Ne ho bisogno, perché quella che sto per intraprendere è una guerra.

Indosso la corazza, l'elmo, gli schinieri, infilo una spada ad una cintura alla vita ed impugno la lancia: sono pronto. Esco di casa e mi preparo ad una lunga camminata, dal momento che Matilde abita a circa venti chilometri da me. Non m'importa, ho una missione da compiere. Tutto è reso ancora più difficile dal caldo: è luglio e l'armatura è pesantissima.

A circa metà del mio percorso, quando sto camminando sul marciapiede di una strada, mi affianca un cavaliere su di un bellissimo cavallo. Ha il viso coperto dall'elmo, quindi non so chi sia. Inizialmente faccio finta di nulla, ma poi mi accorgo che mi sta guardando e mi sta seguendo.

- Allora? Cosa vuoi? - gli chiedo. A quel punto il misterioso cavaliere si abbassa l'elmo: è Roy, che mi rivolge un sorriso.

- Roy! Cosa ci fai qui? E perché sei vestito così? - - Potrei farti la stessa domanda – mi risponde. Io gli spiego e lui fa una smorfia:

- Non so se sia una buona idea – dice. Lo so, lo so. Anche Roy allora sa tutto, d'accordo. Insisto a chiedergli cosa ci faccia vestito così.

- Mi vedi vestito in questo modo perché anche io sto cercando di conquistare una donzella: Martina. Sai, in fondo un amante non è molto diverso da un soldato – mi risponde, facendomi l'occhiolino. Allora è per Martina! Martina è una ragazza molto simpatica e bella, Roy ha da sempre avuto un debole per lei. Tra l'altro questa ragazza frequenta il nostro stesso stabilimento balneare: Roy, d'estate, non fa altro che ammirarla in costume. Lui definisce “visioni mistiche” i momenti in cui rimane rapito dalla bellezza della ragazza. In queste occasioni si pietrifica, spalanca la bocca ed inizia a sbavare copiosamente. E' un orrendo spettacolo a cui ho assistito già un paio di volte quest'anno.

- Pensavo avessi rinunciato con lei – gli dico

- Io che mi arrendo? Mai! - risponde con orgoglio. - Piuttosto – continua – vuoi un passaggio? -

Guardo le colline a circa dieci chilometri da me: ho ancora molta strada da percorrere. Troppa, forse. Le mie riserve d'acqua stanno finendo e i miei piedi cominciano ad implorare pietà.

- Sì, grazie – accetto. Salgo sul suo cavallo, di nome Balio, e ci dirigiamo verso la casa di Matilde. Ogni tanto Roy incita Balio ad aumentare la velocità, poi lo ferma e lo fa dissetare da una ciotola. Roy mi spiega che il suo cavallo è addestrato a non perderlo mai di vista: dove va Roy, va anche Balio. Sono portato a sognare come sarebbe bello se anche Matilde fosse attratta da una strana forza che la conduce a me.

- Sì, ma non ci sono solo lati positivi – precisa Roy. - Immagina quando sono con lui e devo andare in bagno: non riesco a farla se mi osserva in continuazione.-

Non mi interessa, vorrei che questo fosse possibile anche per Matilde.

Nelle due ore successive andiamo di qua, di là, di giù e di su per le colline, fino a quando Roy fa arrestare Balio e si volta verso di me, che sono seduto dietro:

- Posso portarti fino a qui, adesso devo portare a termine la mia missione. Scusami -

- Figurati, grazie mille per il passaggio. - Saluto il mio amico e Balio, che mi risponde con un nitrito.

Il sole continua a battere sopra il mio capo, mentre mi detergo con il braccio il sudore dalla fronte. Dopo altri quaranta minuti di cammino vedo da lontano la casa di Matilde: non mi posso sbagliare, è proprio quella. Finalmente l'incubo sta per terminare, la ragazza tornerà a frequentare me. Ci sei riuscito, Jack. Adesso occorre solo porre fine alla tua tortura.

Batto la spada nello scudo, innalzo un grido di guerra e comincio a correre in direzione dell'abitazione. L'adrenalina scorre dentro di me, il mio istinto di guerriero prende il sopravvento: sono invincibile, niente può fermarmi. Matilde tornerà da me, perché solo io la merito. Forza, Jack! Sangue freddo e porta a compimento la tua missione! Adesso! Aumento la corsa, urlo ancora più forte, sguaino la spada e...

- Buona sera, mi scusi...c'è per caso Matilde? Sono Jack, potrei gentilmente entrare? Se non reco alcun disturbo, è ovvio – chiedo al citofono posto all'entrata.

Una voce femminile (che interpreto come quella della madre della ragazza) mi invita a entrare. Ho difficoltà a muovermi con le armi pesanti e l'armatura, ma non ci faccio caso.

Aspetto che mi aprano la porta e poi entro. Matilde è sulle ginocchia di Frank, seduto sul divano. Un improvviso dolore al cuore mi colpisce di nuovo: questa sarà l'ultima volta, però. Getto per terra la lancia e sguaino la spada, prendendo la rincorsa e gettandomi su di lui. Nel mentre che corro, però, mi accorgo che al tavolo sulla sinistra è seduta la piccola Sophie: sta per assistere all'aggressione. Decido che non voglio che lei mi veda uccidere il fidanzatino della sua sorella, quindi devio la mia corsa e vado a sbattere contro il muro, cadendo sul pavimento. Il forte impatto mi ha fatto colpire la testa contro il duro elmo, senza però farmi perdere coscienza. Cosa stavo per fare? Mi stavo per trasformare in un assassino? Cosa avrebbe pensato Sophie di me?

La bambina mi viene a soccorrere, presto seguita da Matilde e Frank.

- Jack, vieni con me – mi dice Matilde, prendendomi per mano e portandomi giù in cantina. Brutto segno: mi vuole dire qualcosa di importante, qualcosa di terribile. Spero che non sia ciò che temo. Mi fa sedere su una sedia, mentre lei ne prende un'altra e si siede di fronte a me.

- Devi sapere una cosa – continua. Sono contento di avere l'elmo, così non si può accorgere delle timide lacrime che hanno iniziato a solcare il mio viso. - Io e Frank ci siamo fidanzati. -

Un altro enorme, gigantesco, fortissimo colpo al cuore mi colpisce. Chino la testa, mentre mi si annebbia la vista e mi sento svenire. Matilde mi sorregge: probabilmente sapeva come avrei reagito. Dunque ora è ufficiale: Matilde ha trovato il suo vero amore. Dopo essere stata malissimo per Olivier, dopo aver ricevuto un aiuto da parte mia e dopo esserci frequentati per più di un anno (pur non essendoci mai fidanzati), finisce così. Finisce con Jack vestito da oplita greco e lei che si bacia con Frank, che tristezza! Solo una cosa adesso posso sperare che non accada: che Matilde mi abbandoni del tutto.

Mi getto ai suoi piedi e le cingo le gambe con le braccia, in atto di supplice.

- Per favore – la imploro – Non abbandonarmi! Ci continueremo a vedere, giusto? -

- Ma certo! Resti il mio unico e migliore amico, perché non dovrei più vederti? -

- Perché non è vero! Ultimamente mi hai scritto sempre meno, mi hai chiamato sempre meno...stai lentamente uscendo dalla mia vita! Io lo sento! -

Adesso non riesco più a trattenermi: piango. Piango, piango e piango. Non riesco a fermarmi: sono una fiume di lacrime. Ancora non riesco a credere che si sia fidanzata, il mio peggior incubo si è avverato. Mi chiedo come io abbia potuto non pensare a questo, come abbia ignorato che prima o poi sarebbe accaduto. Siamo stati migliori amici e per poco quasi fidanzati, se lei non mi avesse ingannato e sfruttato. Non so cosa sia che mi impedisca di odiarla, forse il ricordo della Matilde dei primi mesi. Quella ragazza perfetta, giocosa, divertente, simpatica...ma perché ci sto pensando? Tanto ormai è finita.

- Ma non ti ho chiamato perché ero occupata! Ho avuto molto da fare in questi giorni: compiti...aiutare mia mamma...-

Non l'ascolto nemmeno. Mi alzo in piedi e mi trascino goffamente all'uscita. Prima di aprire la porta volto lo sguardo verso la grande sala per l'ultima volta. Saluto con un gesto del capo Sophie, poi me ne vado.

 

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Capitolo 13
*** (12) ***


Non riesco a credere di essere all'università: un nuovo mondo, nuove persone...forse anche nuovi amici. Ho scelto di essere uno studente di Scienze dei beni culturali, con indirizzo archeologico. Non so bene perché, ma mi attira e credo mi piacerebbe diventare un archeologo.

I primi giorni che frequento l'università, però, sono i peggiori. Non ho più un cuore: la notizia che mi ha dato Matilde mi ha svuotato di tutto. Non ho più sentimenti, non provo più emozioni: sono un robot, una macchina. Non sono più un essere umano. Quando mi muovo tra le diverse aule mi sento come un fantasma: invisibile, nessuno si accorge della mia presenza. E a chi importa? Tanto non ho più un cuore.

Vedo il mondo attraverso un velo grigio, ogni cosa che faccio è intrisa di profonda tristezza. E' il triste filtro di Matilde...

Non ho stimoli, non ho scopi. Cosa ci faccio qui? Questa non è la mia vita, è la vita di qualcun' altro. Mi sento del tutto inutile. Sono invisibile, nessuno si accorge di me. Non mi faccio amici, non conosco nessuno di nuovo. Che senso ha vivere senza uno scopo, senza l'attesa per un “qualcosa”?

Capisco di aver toccato il fondo quando salto le lezioni di tennis, il mio amato tennis. Lo sport che pratico da dodici anni all'improvviso non mi dà più soddisfazioni.

Non so perché, ma ho il forte impulso di raccontare della mia relazione con Matilde a chiunque vedo. Voglio raccontare a tutti ciò che mi ha fatto, come mi ha trattato, la sua ipocrisia. Per questo ogni persona che vedo la fermo e le dico: “Sai cosa mi è successo? Sai chi è Matilde Vinelli? Ora te lo spiego”. Di solito a questo punto il mio interlocutore mi offende, quindi io lo lego con una corda e gli racconto tutta la storia.

In più, ogni ragazza che vedo mi sembra Matilde. Mi sembra quasi di avere le visioni: mi ripeto in testa che è impossibile, eppure tutte mi sembrano lei. Come è successo oggi: ho seguito una ragazza, fino a che lei non ha potuto più ignorarmi.

- Stai bene? Perché mi segui? - mi ha domandato. Anche lei porta gli occhiali come Matilde, è più o meno alta come lei ed è mora. L'ho vista e mi sono convinto che fosse Matilde. E' lei per forza, mi sta seguendo. Ora mi vuole pedinare?

- Ah, sarei io che ti seguo? Matilde, cerca almeno di comportarti da persona adulta – le ho risposto, ridendo.

Ha anche avuto il coraggio di dire che fossi io a seguirla! Che fegato! Devo dire che non si arrende mai, deve sempre dire una sciocchezza quando apre la bocca. Così, in preda alla furia, le ho tirato un pugno in faccia. Mi sono sentito subito meglio: aveva avuto cosa si meritava. Sono anche dovuto andare dalla polizia, ma questo non conta.

Nessuno, però, mi nota: questo perché sono un fantasma. I fantasmi, se è vero che esistono, si vedono solo raramente. L'unica cosa positiva è che presto scopro che mi piace davvero molto il mio corso di studi: avevo intenzione di provare logopedia, ma adesso decido di rinunciarci. Non ho voglia di studiare per gli esami e per il test d'ingresso alle professioni sanitarie allo stesso tempo, non ce la farei mai. Ormai ho scelto beni culturali e resterà così.

Stamani, lunedì mattina, ho lezione di latino. Il professore entra in classe ed espone l'argomento di oggi: la guerra tra Giulio Cesare e Pompeo. Mi accomodo sulla sedia: mi piace questa materia, perché i Romani mi hanno sempre affascinato. L'insegnante inizia a spiegare, mentre la mia immaginazione parte e vedo la Roma di duemila anni fa: la confusione della città, la folla nelle strette strade, i soldati in armi...

- Scusami... - Mi giro: una ragazza mi sta parlando, svegliandomi dal mio stato di torpore. Che strano prodigio! Allora non sono del tutto invisibile, anche i fantasmi possono essere visti.

- Sì? - le chiedo

- Mi stai coprendo il professore, potresti spostarti di un pochino? -

La guardo con rabbia: mi ha rivolto la parola per questo? Normalmente sarei stato tranquillo, ma in questo periodo non me ne va bene una e questa cosa mi irrita molto. Invece di spostarmi, faccio in modo di coprirle ancora di più la visuale. Incredibile, vengo visto per la prima volta e perché? Perché copro il professore! Era troppo bello per essere vero, non farò mai amicizia qui. Riesco a sentire la ragazza di prima che borbotta con le sue amiche e mi offende, ma a me non interessa. Sono di pessimo umore, basta ben poco per farmi arrabbiare.

Sono colto da continue allucinazioni, svenimenti e perdita della memoria: non sto più bene. Inoltre, la notte non faccio che sognare Matilde e la maggior parte delle volte mi addormento solo verso le tre del mattino, così arrivo all'università stanchissimo. Nelle lezioni più noiose, infatti, mi viene da addormentarmi. Avevo da sempre sognato il primo giorno d'università: appena tornato a casa avrei telefonato a Matilde. Purtroppo, però, l'unico individuo che ho chiamato è stato il mio cane per dargli la ciotola.

- E ora parliamo della fine di Catone l'Uticense - annuncia il professore. E' un insegnante che mi piace molto: è molto giovane e sa come cogliere l'attenzione degli studenti. Mette anche molta passione nel suo lavoro e spiega benissimo, mi sembra di essere a lezione da Alberto Angela.

- Nel 46 a. C. Catone raggiunse Utica, in Tunisia, con un gruppo di uomini ostili a Cesare, come lo era lui. Giulio Cesare si stava infatti creando un vasto potere personale ed era molto vicino alla dittatura: cosa che Catone temeva e non voleva accadesse. Il nostro Catone non voleva sottostare ad un regime totalitario, ma voleva ricondurre Roma verso gli antichi valori di libertà della res publica. I suoi compagni si arresero a Cesare, ma lui no. Sapete cosa preferì fare piuttosto che ricevere la grazia dal suo nemico? – chiese il prof.

“Libertà”: questa parola mi rimbomba in mente: adesso che Matilde non mi cerca più ho ritrovato la libertà, ma come può essere libertà se invece mi sento solo? Come posso essere libero se invece stavo meglio quando non ero libero? Perché stavo meglio quando stavo peggio?

E poi: anche io sono stato soggetto ad un regime totalitario, quello di Matilde ovviamente. Rimango affascinato dal parallelismo tra la storia di Catone e la mia, mi sembra che l'insegnante si stia rivolgendo proprio a me. Lo guardo mentre ricerca lo sguardo dei suoi alunni, cercando di creare suspance per la risposta alla propria domanda. Molti studenti sussurrano qualcosa, forse alcuni conoscono la risposta ma non la dicono per paura di sbagliare. Io sono sempre più curioso: qual è la soluzione? Come posso anche io ritrovare i miei vecchi valori? Come posso tornare a stare bene? Anche io non voglio avere la grazia di Matilde, voglio un'altra soluzione. Non voglio abbassarmi a chiedere un perdono di cui non ho bisogno, piuttosto è lei a doverlo fare.

Forza, forza! Rispondi! Qual è la situazione?

- Vedo che siete piuttosto insicuri, quindi vi do io la risposta – continua il prof.

Non mi tengo più nella pelle. Parla! Dimmi la soluzione, per favore! Non ce la faccio più, aiutami! Parla!

- Catone si suicidò – conclude.

Mi fermo a fare ragionare il mio cervello, facendogli assimilare quella affermazione. Quando giungo ad una conclusione sorrido.

Una folle idea mi balza in testa.

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Capitolo 14
*** (13) ***


Per giorni osservo il mio cellulare: gli urlo “suona!”e “squilla!”, ma non lo fa. Già due volte mia mamma mi ha sorpreso a parlare con il telefono, anche lei mi crede pazzo.

Non ricordo più quando ho ricevuto l'ultima chiamata da Matilde. Non chatto più con lei. Le sue affermazioni erano solo bugie: mi ha abbandonato davvero. Certe volte le scrivo, ma lei taglia subito il discorso e tutto finisce lì.

Ci sono stati giorni in cui mi chiamava diciotto volte e mandava trecento quattordici messaggi, ma adesso non ne ricevo più neppure uno. Non mi manda più cuoricini, non mi manda più messaggi, neppure un “come stai?”. Mi mancano molto i cuoricini che mi inviava. Potevamo sembrare due sciocchi adolescenti, ma per me valevano un mucchio. Continuo a sentire le sue parole: “noi non ci perderemo mai di vista” o “continuerò sempre a scriverti”...tutte falsità. Non so se sono più arrabbiato o deluso.

Tutto questo non fa che convincermi che mi sia rimasta un'unica soluzione. Questa idea mi è venuta in mente alla lezione su Catone l'Uticense ed è frutto della disperazione.

Sono le nove di sera: esco di casa e mi dirigo verso la stazione, che è vicinissima a dove abito. Anche in questa situazione tragica mi sento un fantasma: nessuno mi vede, quindi posso fare ciò che ho in mente. E se anche qualcuno mi vedesse, che problema ci sarebbe? Tanto sono abbandonato, non ho più scopi. Nessuno si preoccuperebbe per me.

Mi siedo su un binario e aspetto. Intanto guardo attorno a me: è tutto deserto, come avevo previsto. La stazione è molto piccola e nessuno sta aspettando un treno. Meglio così, anche se le cose non sarebbero cambiate neppure con un migliaio di persone presenti. So che un treno passerà tra pochi minuti: non mi resta che aspettarlo.

Nel mentre che attendo, comincio a pensare a tutto ciò che ho fatto nella mia giovane vita e mi chiedo se sia rimasto qualche desiderio incompiuto. Innanzitutto rimpiango di non essere mai andato a Wimbledon: mi sarebbe piaciuto entrare nel Tempio del tennis. Inoltre, non ho mai baciato una ragazza. No, meglio non pensare a queste cose. Ce ne sono un mucchio che non sono mai riuscito a fare.

Sento i binari tremare: presto la mia sofferenza finirà. Due occhi gialli compaiono in lontananza, mentre io chiudo i miei. E' il momento. Forse non mi accorgerò di nulla, o comunque a me piace pensare così. Tra pochi istanti sarà tutto finito, non esisterò più. I binari tremano sempre più e io riapro gli occhi: strano, ero sicuro che avrei avuto troppa paura per farlo. Perché li ho aperti? Forse voglio vedermi arrivare la morte in faccia. Il treno è ormai a poche decine di metri di distanza e corre verso di me. Mi faccio il segno della croce e spero che tutto finisca rapidamente. Sento il treno avvicinarsi, lo sento fischiare...ci siamo quasi.

Metto le mani sui freddi binari: vibrano come se ci fosse un forte terremoto. Il rumore è assordante ed una profonda paura mi attanaglia il cuore: e se non fosse una buona idea? E se volessi tornare indietro? Se volessi avere un'altra possibilità? Aspetta! Ci ho ripensato! Voglio pensarci ancora un po' su! Fermo!

Troppo tardi.

 

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Capitolo 15
*** (14) ***


Inizialmente non mi rendo conto di cosa sia successo: ho di nuovo chiuso gli occhi, adesso li sto stringendo forte per il terrore. Piano piano capisco di essere ancora sui binari: forse ora sono davvero un fantasma? Mi giro indietro: il treno mi ha superato e sta correndo nella direzione opposta. Dunque è questa la morte? Sei solamente invisibile?

Per fortuna non ho sentito dolore, non mi sono neppure accorto cosa sia successo. Mi guardo intorno: tutto è come pochi secondi fa, non è cambiato nulla. Quindi il mondo va avanti, anche se Jack non c'è più. Ovviamente non mi aspettavo che il mondo finisse solo perché io sono morto, ma mi fa impressione vedere ciò che io non potrei più vedere.

Quindi Dio esiste? Sono sempre stato cattolico, ma io non lo vedo. Forse non me lo sono meritato? E poi perché mi trovo nello stesso punto in cui mi sono ucciso? Posso andare in altri luoghi? Sono confinato qui o no? Non resta che scoprirlo.

Mi alzo e torno verso casa. Intanto mi immagino i giornali di domani: porteranno sicuramente la notizia, anche se sono un fantasma. Matilde sarà forse dispiaciuta all'inizio, ma poi Frank le farà dimenticare tutto. Frank. Come sempre, Frank. Forse Tom e Roy saranno più dispiaciuti? Chissà? Lo scoprirò domani. Per strada incontro un vecchio signore con una busta della spesa in mano, forse sta tornando a casa per cenare. E' il momento per capire se sono davvero morto: mi fermo davanti a lui e gli dico:

- Hey! - Lui si ferma e mi guarda con una faccia strana. Accidenti! Allora mi riesce a vedere!

- Mi vedi? - gli chiedo per avere conferma

- Sì, e fra poco vedi arrivarti un pugno in faccia. -

Ma come? Non è possibile! Lascio passare il signore, che mi guarda come se fossi pazzo. Ero sicuro di essere morto! Chi non lo sarebbe se si lancia sotto un treno? Mi guardo i vestiti: nessuna ferita. Non posso essere sopravvissuto senza procurarmi ferite, è del tutto impossibile. Allora perché sono ancora vivo? Decido di tornare alla stazione: voglio vedere se ci sono i segni del mio suicidio. Niente, sui binari non c'è sangue. Cosa mi è successo? Ero sicuro di aver visto passare il treno attraverso di me! L'ho pure visto continuare il suo viaggio dopo avermi superato! Forse è un'altra delle mie allucinazioni? Forse sto sognando! Sì, sto sognando.

Mi avvicino ad un palo e gli tiro un cazzotto: fa malissimo. No, non sto neppure sognando. Nei sogni non sento così tanto dolore, è evidente che sono sveglio. Ho sempre più domande. Me ne torno a casa, assicurandomi di non fare rumore, e mi infilo a letto. Forse la notte mi porterà consiglio, mi darà una spiegazione su ciò che è successo. Non mi addormento subito: sono ancora scosso da quello che mi è capitato. Dopo un'ora e mezza, però, la stanchezza ha la meglio su di me. Chiudo i pesanti occhi ed inizio a sognare. Mi appare, come sempre più spesso, Maria Sharapova. Stavolta, però, non sta sorridendo. E' arrabbiata e la sua voce è forte ed accusatoria. Vedo solo il suo volto, mentre il resto del suo corpo non è visibile.

- Cosa hai cercato di fare? - mi chiede con ira

- Cosa? Che ho fatto di male? - le chiedo. Sono totalmente confuso, non so a cosa si riferisca.

- Ieri sera eri alla stazione...-

Ah, allora parla di ieri sera. In effetti avrei dovuto immaginarlo, non c'erano molte altre possibilità.

- Sì, ero laggiù -

- Non lo devi fare! Perché ti arrendi? Sei o no un tennista? Come dici sempre? “Un tennista è come un gladiatore: lotta fino alla fine”! Adesso questo non conta più? -

Maria non capisce, non può capire. Lei non è in un brutto momento come lo sono io, ho perso la testa e non so più cosa sto facendo. Non capisco neppure più se ciò che sto vivendo fa parte di un sogno o è la realtà. Come può rimproverarmi? Ho perso la fiducia, ho perso la speranza. La mattina mi sveglio e non sento nessuno scopo per alzarmi, mi chiedo in continuazione quale sia il mio ruolo in questa vita. Non ho interessi, tante vale morire. - Maria, fidati: non puoi comprendere la situazione – le dico, affranto

- La capisco e anche molto bene! - la sua voce è ancora piena di rabbia – Non è un buon motivo per arrendersi. Tu devi sempre lottare. Non devi mai perdere la speranza. -

“Speranza”? Cos'è la speranza? Non conosco più questa parola, è uscita dal mio vocabolario personale. Io non ho più speranza, per me non esiste più nulla. Sono un fantasma.

- Comunque – continua lei – tra poco riceverai il mio aiuto. Abbi fede, Jack. Buona fortuna. -

Mi sveglio: sono caduto dal letto. Sono le sei e mezza del mattino. Non ricordo molto bene, ma credo di aver sognato la Sharapova. Mi fa sempre questo effetto: rimango talmente abbagliato dalla sua bellezza che poi cado dal letto.

Che giorno è oggi? Cosa devo fare oggi? Ah, oggi è domenica. Giusto. Ieri cosa ho fatto? Ah! Ieri sarebbe dovuto essere il mio ultimo giorno di vita, già. Ancora non riesco a spiegare cosa sia successo, ma credo sia stato tutto frutto della mia immaginazione. La mia mente non è più lucida e devo riconoscere di essere davvero molto vicino alla pazzia: probabilmente ieri non sono neppure andato alla stazione. Mi sono immaginato tutto, deve essere per forza così. Quale altre spiegazioni ci sono? Nessuna. Non mi resta che tentare di nuovo. Esco di nuovo di casa e mi dirigo verso il campanile della chiesa. Il campanile è l'edificio più alto del mio paese ed è vicinissimo a dove abito: è tutto perfetto. Percorro tutte le scale al suo interno e raggiungo la sua sommità: sono a circa ventotto metri di altezza. Da qui riesco a vedere tutta T**** d** L***, quasi fino al mare. Le strade sono deserte e non si sente alcun rumore eccetto un cane che ulula in lontananza. Mi rendo conto che quell'ululato sarà la “colonna sonora” della mia morte.

Alzo la testa: sopra di me penzolano due grosse campane. Le guardo per qualche secondo e poi mi sporgo un po' dalla ringhiera: è davvero molto alto. Sarà un grande salto, ma per fortuna dopo non sentirò più dolore. Non avrò più il pensiero ricorrente di Matilde e quel senso di abbandono che mi accompagna da settimane. Salgo sulla ringhiera e con le mani mi trattengo ad una trave sopra di me. Guardo per l'ultima volta il panorama del mio paese: è buffo, non lo avevo mai visto da qua su. L'ultima cosa che vedrò sarà il mio amato paese: mi sembra piuttosto giusto. Faccio un respiro profondo e lascio andare le mani: adesso sono quasi sospeso nel vuoto. Dietro di me la vita, davanti a me la morte.

Poi chiudo gli occhi e mi butto.

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Capitolo 16
*** (15) ***


Cado velocissimo. Davanti ai miei occhi scorre veloce la parete del campanile, mentre vedo il suolo stradale avvicinarsi sempre di più. Poi più nulla.

Quando mi sveglio un cane mi sta leccando la faccia. Sono ancora un po' confuso, non capisco cosa mi sia successo. Sono sdraiato a terra in una posizione innaturale e ho la testa rivolta verso l'alto. Dai colori del cielo riesco a capire che è mattino presto, forse è passato poco da quando mi sono buttato.

Mi alzo: sono ancora sotto il campanile. No, no! Non può essere accaduto di nuovo! Abbasso lo sguardo: non ho nessuna ferita. Mi tasto la schiena, le gambe, il petto: tutto è a posto, non ho alcun dolore. Però ho bisogno di una certezza: prendo la rincorsa e colpisco con la testa un palo. Fa malissimo, ricado a terra e mi contorco dal dolore. Sì, sono decisamente ancora vivo. Ma come è possibile? Come è possibile...di nuovo? Questa volta sono sicuro: è tutto vero, non me lo sto immaginando. Questo non è un sogno, è la realtà. Il cane alza la gamba e mi fa la pipì sui pantaloni. Perfetto, di bene in meglio.

Decido di farmi un giretto per i campi, che si trovano qui vicino. E' dove di solito porto a passeggiare il mio cane. C'è un grande silenzio interrotto solo dai nitriti dei cavalli o dai canti dei galli. Camminare per questi luoghi mi aiuterà a schiarirmi le idee. Sono le sette del mattino e l'aria è fresca, molto piacevole. Incontro solo un ragazzo che fa footing e io gli faccio lo sgambetto, facendolo cadere a terra. Ho voglia di scherzare, di giocare: anche questo mi può aiutare a capire cosa mi sia accaduto. Il ragazzo, dopo essersi rialzato, comincia a rincorrermi ma io riesco a seminarlo. Raggiungo una serra abbandonata: qui entro dentro e mi siedo su una vecchia sedia mal ridotta.

L'unico suono che sento è il “ti troverò, razza di imbecille!” del ragazzo a cui ho fatto lo sgambetto. Sorrido, ma poi comincio a pensare. Dunque, come diamine è possibile sopravvivere per due volte ad un suicidio? Mi sono fatto schiacciare da un treno e sono vivo, mi sono gettato da un campanile e sono vivo...sono forse immortale?

- No, non lo sei. - Sussulto: una voce dietro di me ha parlato. Ho paura a voltarmi, non so chi mi troverò davanti. Come ho già detto: non so più capire se vivo in un sogno o meno. Potrei girarmi e trovarmi davanti Matilde, Tom. Forse anche Topolino. Quando mi volto, però, non trovo Tom. Non vedo neppure Matilde o Topolino, davanti a me c'è Maria Sharapova.

Ancora lei! Lo dovevo immaginare, da quando ho chiuso con Matilde mi appare più spesso. Stamani, però, non è vestita da tennis. In testa ha una corona di fiori e porta un mantello bianco anch'esso ornato di fiori. Ai piedi ha invece dei sandali.

- Maria, perché sei vestita così? Non ti sarai ritirata, vero? - le chiedo preoccupato. Se lei si ritira dal tennis, che senso avrebbe continuare a guardare il tennis femminile alla televisione?

- No, non mi sto ritirando – mi rassicura, sorridendo. Poi si avvicina e si siede accanto a me. Emana un buonissimo profumo, mi sto contenendo a fatica dal saltarle addosso.

- Sono venuta qui solo per aiutarti –

- Aiutarmi? Ieri sera mi sei apparsa in sogno ed eri furibonda! - esclamo, ricordandomi della notte precedente

- Avevo un motivo più che valido, dal momento che volevi suicidarti. - Ancora con questa storia? Proprio non comprende che non può capire? Chi non si trova nei miei panni non può quasi permettersi di giudicare.

- Maria, tu sei una donna molto saggia, ma non credo che tu possa...-

- Shh! – mi interrompe, ponendo delicatamente un dito sulle mia labbra. Che emozione! Non ce la faccio più, è troppo bella. In più ha questo profumo spettacolare e ora mi ha messo l'indice sulle labbra! Voglio un altro autografo, anzi voglio un abbraccio...ma che dico? Un bacio, anzi voglio una cena con lei..no, no. Voglio sposarmi con lei... anzi meglio ancora,voglio...

- Frena i tuoi pensieri – mi dice

- I miei pensieri? -

- Sì, hai appena desiderato di uscire con me ed un'altra cosa che non posso ripetere...-

Sobbalzo.

- Tu leggi i miei pensieri?! -

- Certamente. -

Santo Cielo! Quante cose allora sa di me? In che posto sono finito? D'accordo, riconosco di essere diventato del tutto matto. Nel mio cervello la Sharapova legge la mia mente, va bene. Almeno ho fantasia. Una domanda, però, mi preme porgere.

- Maria, sei frutto della mia fantasia o cosa? - Lei mi sorride e io me ne innamoro sempre più. E' troppo affascinante quando fa quel sorriso. Poi mi dà un bacio sulla guancia, mentre io sono attraversato in tutto il corpo da un fremito. Credo di essere diventato rosso come un peperone.

- Chi lo sa? Forse sì, forse no. - “Forse sì, forse no”, che bello! Quanto è saggia! Una risposta che può essere letta in migliaia di sfumature. Non mi interessa più sapere se lei è un parto della mia immaginazione o no, adesso ce l'ho accanto e me la voglio godere.

Il mio sguardo si perde su di lei, non mi era mai apparsa in una visione così realistica. Inoltre, mai si era avvicinata a me. Vedevo sempre e solo il suo volto, mentre lei era forse in un'altra dimensione. Forse era nella dimensione dei sogni, mentre adesso è in quella della realtà.

- Quel che è veramente importante, Jack – prosegue Maria, accarezzandomi la spalla con una mano – è che è giunto il momento del mio aiuto. Da ora in avanti la tua strada sarà sempre più in salita, ma avrai il mio soccorso. Quando uscirai da questa serra, delle stelle di sapienza si affiancheranno al tuo cammino: non allontanarle. -

Sono rimasto al momento in cui ha posato la mano sulla mia spalla: ciò che ha detto dopo non l'ho quasi sentito. Mi sto guardando la spalla, desiderando non lavarla mai più. Poi Maria si alza, mi rivolge un ultimo sorriso e si allontana.

No, no! Non adesso! Cosa ha detto dopo?

- Maria! Cosa hai detto? Ripeti, ti prego! - le grido, disperato. Lei, però, continua ad allontanarsi senza neppure girarsi. Io continuo a chiederle di spiegarsi meglio e di tornare indietro, ma è tutto vano.

Vedo il suo corpo farsi sempre più fioco fino a scomparire: così come è apparsa è svanita.

Poi, una cascata di fiori si riversa su di me e su tutto l'interno della serra.

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Capitolo 17
*** (16) ***


Quando mi alzo e mi avvio verso la mia casa sono più confuso di prima. Maria mi ha ammaliato con la sua bellezza, ma io non ho capito il senso delle sue parole. Perchè deve sempre essere così misteriosa con me? Però sono contento: un pochino è riuscita a risollevarmi il morale. Poco, ma lo ha fatto.

Ad un certo punto, mentre mi sto avviando verso casa, vedo diverse stelle cadenti. Il cielo non è più buio, ma sono riuscito comunque a vederle. Mi chiedo quante siano le possbilità di vedere tre o quattro stelle cadenti tutte insieme. Non molte, credo.

Poseguendo per la strada, vedo quattro uomini ad un incrocio che guardano confusi attorno a loro. Probabilmente sono dei turisti che si sono persi. Nel mentre che mi avvicino, però, noto un particolare: sono vestiti in modo strano. Portano delle tuniche bianche e rosse, simili a quelle che aveva la Sharapova poco fa. Sembrano provenire dall'antica Roma. Ah, forse ho capito. Qui vicino c'è il teatro, forse sono degli attori.

Li supero e continuo il mio percorso, pensando a cosa fare nel resto della giornata. Sono del tutto libero, posso fare quello che voglio. Sono ancora un po' stordito dal mio lancio dal campanile, ma credo mi passerà presto.

Ad un certo punto sento toccarmi il braccio e mi volto di scatto.

- Scusa, sei tu Jack? -

E' uno di quei uomini che ho appena superato. E' vestito proprio in modo strano! Ma soprattutto: come sa il mio nome?

- Sì...chi è lei? - L'uomo che mi sta parlando ha circa sessant'anni, hai i capelli quasi grigi ed un'aria simpatica. Forse è un amico di infanzia di mio padre? Di solito loro conoscono me, ma io non conosco loro. Soltanto non capisco cosa ci faccia a quest'ora del mattino, anche se lui potrebbe fare la stessa domanda a me...

- “Lei”? - l'uomo si volta indietro, come a cercare qualcuno. - “Lei” chi? -

Non si può certo dire che non sia strano.

- Intendo “lei” lei – gli rispondo, indicandolo. Lui continua a sorridere e guardarsi indietro. E' forse scemo? Oppure mi sta prendendo in giro? Si porta una mano alla fronte e scoppia a ridere:

- Ah! Ora ho compreso! Ci metto un po' ma poi ci arrivo pure io! - esclama, come se si fosse appena ricordato una cosa ovvia. Intanto vedo i suoi compagni che parlano sotto voce tra di loro, osservando il nostro incontro. Mi sembrano tutti dei tipi molto strani. Forse sono stranieri?

L'uomo mi tende la mano destra:

- Salve, Jack. Il mio nome è Marco Tullio Cicerone. -

La sua stretta di mano è energica e forte, ma... cosa ha appena detto? Basta, non ce la faccio più. Non appena torno a casa fisso un appuntamento con un buon psichiatra. Ora non sopporto davvero più le mie allucinazioni.

- D'accordo – gli dico tranquillo, mentre estraggo il cellulare e mi scrivo un promemoria. Digito: “ricorda di andare dallo psichiatra”, poi lo rimetto in tasca. Osservo il mio interlocutore: sembra reale, il mio cervello ha fatto davvero un ottimo lavoro. Mi sembra di avere davanti un uomo in carne ed ossa, mentre invece lo sto solo immaginando. Mi giro e riprendo il mio cammino, ma presto sento un rumore di passi veloci ed una mano che mi ferma il braccio. Adesso mi vogliono aggredire? Sto per essere aggredito da persone che neppure esistono? Fantastico.

-Jack, io sono davvero la persona che ti ho detto di essere. -

Ancora lui? Perchè non se ne va? Intanto i suoi amici ci guardano con attenzione, sembra quasi che mi stiano studiando.

- Certo, certo. - Continuo la mia strada e presto raggiungo la mia casa. Per tutto il tragitto sento il rumore dei passi di quegli uomini e il loro borbottio. Cosa vogliono da me? Perchè mi seguono?

Mi giro verso di loro e in quel momento passa accanto a me un' anziana signora che conosco. Mi saluta e poi mi domanda:

- Jack, chi sono tutti questi tuoi amici? -

Mi pietrifico all'istante: lei riesce a vederli? Se sono frutto della mia immaginazione come può vederli? Tom mi dice sempre che spesso parlo con me stesso o con persone insesistenti, ma adesso la situazione è diversa. Questa donna mi ha chiesto chi siano, quindi esistono.

- Signora, mi sta dicendo che lei...li vede? - le chiedo, mentre inizio a sudare

- Sì...perchè non dovrei? -

“Perchè non sono reali!”, mi viene da dire.

- Uno è anche molto sexy – continua la donna, facendo l'occhiolino a quello che mi si è presentato come Cicerone, che ricambia. Sono sempre più confuso e sconvolto: non capisco più nulla.

- Entrate – faccio ai quegli uomini, lasciandoli entrare in casa mia. Per fortuna i miei genitori sono a lavoro, perchè non saprei giustificare quello che sta succedendo. Li guardo mentre osservano ogni particolare della mia abitazione, come se vedessero una casa per la prima volta. Quando trovano la mia televisione in sala vi si fermano davanti e si chinano per studiarla meglio. Uno di loro sfiora lo schermo molto lentamente con un dito, poi lo ritrae all'improvviso e gli altri emanano un “ohh” di sorpresa.

Io sono ancora all'entrata, perchè loro sono subito corsi a scrutare ogni particolare. Batto un colpo con le mani, catturando la loro attenzione.

- Signori – inizio – non so chi siate ma è evidente che siete...ehm...reali. Ora ditemi il vostro vero nome. Siete degli attori? E' una messa in scena? Vi ha chiamati Tom? -

Loro si guardano in faccia impauriti, indecisi su chi debba prendere la parola. Alla fine è “Cicerone” a farsi avanti. Si avvicina verso di me e sorride:

- Noi non siamo nè attori nè truffatori, caro Jack. Il mio nome è Marco Tullio Cicerone, come già ti ho detto. -

Non credo mi diranno mai la verità, ma penso che sotto tutto questo ci sia lo zampino di Tom. Andy non mi farebbe mai uno scherzo del genere. Forse Tom ha convinto degli attori dietro una ricompensa in denaro, in modo da farmi credere definitivamente di essere arrivato alla pazzia. Sì, è proprio una cosa che farebbe Tom. Che stupido, gli farò vedere io come si fa.

Per il momento, comunque, non resta che terminare di fare conoscenza.

- Bene. Invece voi altri chi siete? - chiedo in tono dispregiativo. Un uomo si avvicina con circospezione e mi stringe la mano.

- Publio Cornelio Tacito -

- Perfetto. - Dopo aver preso coraggio, anche gli altri si avvicinano. Uno si presenta come Lucio Aneo Seneca, un altro ancora come Gaio Valerio Catullo. Ne resta solo un altro: è vestito in modo differente dagli altri. Porta un'armatura simile a quella di Andy, ma senza l'elmo. Inizialmente è timoroso, ma poi sbuffa e con passo altezzoso si avvicina a me.

Quando mi porge la mano lo fa senza guardarmi negli occhi, a differenza di tutti gli altri. Non sta neppure sorridendo e mi sta già antipatico.

- Sono Alessandro III di Macedonia, anche detto “Il grande”. -

Rido: bello scherzo, Tom! Devo dire che i costumi sono veramente perfetti e anche la fisionomia degli attori rispetta molto quella dei personaggi reali. Stavolta Tom si è superato, devo riconoscerlo.

Cerco di essere il più naturale possibile, perchè non voglio dare a Tom l'impressione di esserci cascato. Non ammetterò mai di aver toccato la pazzia. Inoltre, la mia vita sarebbe già dovuta essere finita quella mattina: cosa ho da perdere? Ogni cosa che faccio è qualcosa in più, che non avrei neppure più essere stato in grado di fare.

- Accomodatevi pure sul divano, non fate complimenti – li invito cordialmente. Voglio essere gentile con loro. In fondo non sanno nulla di me, non sanno che periodo sto vivendo. E' con Tom che sono arrabbiato, perchè ha davvero superato il limite.

- “Divano”? “Di- va- no”? - Gli strani signori ripetono quella parola con tono interrogativo tra di loro, come se cercassero di farsi tornare in mente cosa sia un divano. Mi trattengo dall'esplodere dalla rabbia: se continuano a prendermi in giro credo che gli farò molto male. E' con i miei sentimenti che stanno giocando e non ho voglia di essere ritenuto un matto. Tutto è iniziato con Matilde, accidenti! Ah, Matilde! Se non l'avessi conosciuta non avrei neppure perso il senno! Matilde. Come sempre, Matilde. La odio, la amo...la amo, la odio? Chi lo sa?

Ah, Matilde! Odi et amo!

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Capitolo 18
*** (17) ***


Sono in cucina. Bevo un grande bicchiere di caffè, cercando di schiarirmi le idee. Ho delle persone in sala che fingono di essere Tacito, Cicerone e qualcun altro che non ricordo. Prima o poi dovrò risolvere questo problema. Bevo un altro bicchiere, perché il primo non mi basta. Poi ritorno in sala, ma non li vedo più. Li avevo lasciati sul divano, ma non ci sono più. Giro lo sguardo verso destra ed eccoli lì: stanno premendo dei tasti a caso sul telecomando della TV.

- Che state facendo? - gli chiedo.

“Seneca” alza lo sguardo.

- Stiamo sperimentando questo strano attrezzo, a cosa serve? - Tom ha decisamente esagerato. La cosa sta diventando imbarazzante e non ci sono più possibilità che io ci caschi. Sarò forse diventato pazzo, ma non fino a questo punto. Comunque, faccio finta di nulla. Prendo il telecomando dalle loro mani e accendo il televisore. Loro si ritraggono subito non appena lo accendo, andandosi a nascondere dietro il divano. Divertentissimi! Mi sembra tutto uno scherzo infantile, ma è divertente. Mi siedo sul divano e aspetto pazientemente che se ne escano dal loro nascondiglio. Scorro i canali finché non trovo una puntata di Alberto Angela. Ironicamente sta parlando dell'antica Roma.

- C'è qualcuno che parla...no, non è Jack. La voce esce da quella strana scatola nera che ha acceso – sento sussurrare dietro di me.

- Penso stia parlando di noi! Ho sentito dire: “l'impero romano”! -.

Mi alzo e vado da loro, che mi guardano impauriti.

- La fate finita o no? Uscite subito di lì. -

Loro ubbidiscono frettolosamente, solo “Alessandro Magno” si prende tutto il suo tempo. Si alza lentamente dal punto in cui era rannicchiato, mi guarda con disprezzo e raggiunge gli altri. Lo odio ancor più di prima.

- Per Giove! Non riesco a crederci! - sento esclamare. Giro la testa: quello che si fa chiamare “Cicerone” sta rovistando nella mia libreria ed ha appena preso in mano un mio libro dell'università. Adesso comincia a saltellare per l'emozione, mentre emette degli strani mugolii di gioia.

- Sono ancora vivo! Sono ancora vivo! - urla come impazzito. Mi ricorda molto una teenager al concerto della propria rock star preferita.

- Che c'è? Rimetti subito quel libro dov'era! E' mio, non tuo – lo rimprovero

- Tuo? Non credo proprio – si avvicina e mi mostra con orgoglio la copertina del libro: sono le “Catilinarie” di Cicerone.

- Qui c'è scritto il mio nome, lo vedi? Marco Tullio Cicerone! -

- Sì, come no...-

E' ora che questa pagliacciata finisca, non ho più voglia. Lo scherzo è bello quando dura poco. Prendo il cellulare e faccio per chiamare Tom, è lui il responsabile di tutto.

- Non ci credi, non è vero? - mi chiede “Catullo”

- Non credo a cosa? Fatela finita, vi prego. Non ho voglia di... -

- Mettici alla prova – mi interrompe “Cicerone”. - Ti diremo tutte le trame delle nostre opere, tutti i personaggi, tutte le tecniche da noi usate...qualunque cosa tu voglia sapere da noi. -

Accetto molto volentieri: come già detto, non ho nulla da perdere. Non dovevo neppure essere più in vita, quindi è tutto di guadagnato. Prendo dalla mia libreria le opere scritte da quei famosi autori latini e faccio leggere ad ognuno di loro la propria opera. Leggono, commentano, spiegano...tutto è giusto. Se sono degli attori hanno sicuramente studiato molto bene. Questa operazione, però, non la posso fare con il tizio che si è presentato come “Alessandro Magno”, poiché il personaggio reale non ha scritto libri. Poi mi viene un'idea:

- Traducimi questo passo. E' in greco, non dovresti avere problemi. -

Lui mi guarda con superbia dall'alto al basso, poi mi strappa il libro dalle mani e comincia a tradurre. Io leggo una traduzione in italiano sul cellulare, sebbene non sia priva di alcuni errori. La sua, invece, è perfetta e nel tradurre non ha esitazioni, è indubbiamente molto bravo. Quando ha finito passa alla versione successiva, senza mai fermarsi.

- Okay, okay. Ora basta, sei bravo – gli dico

Lui continua imperterrito.

- Okay, basta! Vi credo! - A questo punto loro esultano, mentre io scuoto la testa. Non so se li credo veramente, solo che non ho voglia di stare a discutere. Gli concedo questa vittoria, ma non mi hanno convinto del tutto. E poi: questa cosa sfugge ad ogni legge logica! Non voglio credere di avere in casa gente come Seneca o Tacito. Cosa penserebbero le persone se lo andassi a dire in giro? Forse mi rinchiuderebbero in una clinica psichiatrica senza farmi mai uscire. No, non posso permettermelo.

Guardo il mio libro di latino. Dovrei mettermi a tradurre un passo dell' “Eneide”, ma non ho voglia. Sono settimane che non studio per la mia depressione, non so neppure più cosa significhi “studiare”. Non ho lo stimolo di studiare per prendere un bel voto, non ho più stimoli nella mia vita. Poi mi viene in mente un'idea:...no, non posso essere così meschino. Però sarebbe una bella idea...no, non posso farlo. Ripensandoci, però...

- Ragazzi – comincio con insicurezza – mi serve la prova definitiva che siete veramente chi dite di essere...-

- Benissimo! Dicci tutto! - esclama con sicurezza “Tacito”, che sta osservando con perplessità il mio acquario. Io prendo il mio libro di latino e comincio a sfogliarlo, cercando di nascondere il mio reale proposito.

- Sarei veramente certo della vostra onestà se mi traducete in italiano un passo a mia scelta dell'”Eneide”...ecco, magari questo...-

Non faccio in tempo a finire la frase che Seneca mi ha preso il libro ed inizia a tradurre il passo da me indicato, mentre io prendo carta e penna ed inizio a scrivere.

Il mio piano ha funzionato! A latino prenderò sicuramente trenta e lode! Tom, mi hai fatto il miglior regalo che potessi mai ricevere!

 

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Capitolo 19
*** (18) ***


Catullo mi guarda intensamente, aspettando una risposta alla sua domanda. “In che epoca siamo?”, mi ha chiesto. Ci troviamo tutti seduti al tavolo della sala, dal momento che loro mi hanno chiesto delle informazioni. Si sono ritrovati catapultati in un'altra epoca e sono visibilmente scossi. Ora mi spiego tutte le loro banali paure.

So che sarà molto imbarazzante provare a rispondere a tutte le loro domande. Innanzitutto: cosa rispondo ora a Catullo?

- Beh...diciamo che sono passati circa duemila anni dalla vostra nascita...-

- Duemila anni?! - esclamano tutti in coro. Tacito prende un fazzoletto e se lo passa sulla fronte, detergendosi il sudore. Sono tutti molto agitati, cosa comprensibile. Anche io lo sarei se mi svegliassi e mi dicessero che sono passato due millenni.

- D'accordo, d'accordo. Cerchiamo di mantenere la calma – afferma Cicerone, facendoli tranquillizzare.

- Per lo meno esiste ancora l'Impero Romano? -

- Direi proprio di no -

- Per tutti gli dei dell'Olimpo! - Scoppia il caos: si alzano dalle sedie ed urlano, strappandosi i capelli e le vesti. Si dimenano, si scuotono tra di loro, come per svegliarsi da quello stato di incoscienza in cui erano precipitati. Solo Alessandro Magno, che per motivi anagrafici non aveva mai potuto conoscere la grandezza di Roma, se ne resta seduto. Poi mi fa cenno di avvicinarmi a lui sul tavolo e mi chiede:

- E l'impero di Macedonia? Quello esiste ancora? -

- Temo di no. - A questo punto anche lui si alza violentemente dalla sedia, facendola cadere all'indietro. Poi prende la sua spada e, urlando qualcosa di incomprensibile, la scaglia sul divano. Dalla fenditura creata dal suo taglio escono delle piume, mentre lui continua ad inveire sui cuscini del divano. In pochi secondi le piume ricoprono tutto il pavimento intorno a lui.

Io sono ancora seduto al tavolo e li osservo con perplessità: Cicerone sta tentando di soffocarsi ingoiando una copia delle “Catilinarie”, Catullo prova ad annegare infilando la testa nel mio acquario, Seneca sta guardando il suo braccio per trovarsi la vena e poterla recidere con il coltello che ha preso dalla cucina, Tacito si sta strangolando con le proprie mani e Alessandro Magno sta guardando in modo strano la punta della sua spada. Stanno facendo una confusione enorme tra urla e gemiti, cosa che mi sta facendo venire il mal di testa.

Non posso andare avanti così, devo mettere fine a tutto ciò.

- Ora basta!- urlo più forte che posso, mentre loro si bloccano all'istante. - Tornate a sedervi!-

Loro, sebbene a malincuore, obbediscono.

- Avrete tempo per capire come funziona il mondo di oggi, ma adesso sono io che voglio risposte – affermo. - Innanzitutto, chi vi ha mandato qui? -

- Una nobile e bella giovane, ornata di fiori – risponde Cicerone, sognando ad occhi aperti. Lo credo bene: sono abbastanza sicuro che si stia riferendo a Maria Sharapova. Chi non si innamorerebbe di lei? Cicerone comincia a perdere saliva dalla bocca, forse sta la sta sognando proprio ora. Gli batto le mani davanti al viso, facendolo tornare in sè.

- Okay, ma perchè? - domando

- A questo posso rispondere io – dice Catullo, passandosi una mano tra i capelli ancora bagnati. - Siamo stati inviati a soccorrerti per il tuo conflitto d'amore. Il tuo servitium amoris ti logora, non è vero? Oh, che bella cosa! Oh, che bello! Il servitium amoris, oh sì! Fammi del male, sì! Così! Colpiscimi! -

A questo punto Catullo comincia a percuotersi il petto sempre più forte, lanciando grida di piacere. Sto per buttarlo fuori di casa quando Seneca me lo impedisce:

- Lascialo stare, è sempre stato così. Tu non farci caso. - Riesco a contenermi, ma giusto per questa volta. Non ho voglia che si metta a comportarsi come un idiota a casa mia.

- Piuttosto...- continua Seneca – stavamo dicendo: siamo qui per aiutarti, per risollevarti dallo stato di sofferenza in cui sei precipitato -

- Ah. - E' tutto quello che riesco a dire: “ah”. Non so chi siano, non so se credere a quello che dicono, non so se sono reali...quindi dico “ah”. Sono solo molto confuso e infelice in questi giorni. Pensavo che finire sotto un treno mi risolvesse tutti i problemi, ma qualcuno non me lo ha permesso... - Io e i miei amici ti aiuteremo facendoti ripartire da zero, come se stessimo creando un essere umano partendo dal nulla. Ti ricostrueremo, partendo dalla distruzione in cui ti trovi. Non c'è ricostruzione senza distruzione, ricordatelo. Adesso tu sei fatto di rovine: noi le prenderemo e ti ricostrueremo – aggiunge Seneca.

Bene, almeno adesso so cosa vogliono da me. In realtà non vogliono nulla, sembrerebbe. La cosa più stressante è il non sapere se sono definitivamente uscito di cervello o no, quindi è meglio se non ci penso. Non ha importanza adesso. - Ah, la schiavitù d'amore! - Interrompo i miei pensieri per guardare Catullo riverso a terra, mentre si graffia le braccia e il petto e continua a gridare. Sta strizzando gli occhi e sembra preso dalla follia.

- Il servitium amoris! Sì, sono il tuo schiavo d'amore! Voglio soffrire! Ah, la sofferenza d'amore! -

Distolgo lo sguardo da lui e i miei occhi si fermano su una foto di Matilde sul tavolo. Gliela avevo fatta quando eravamo andati sul lago insieme, una delle ultime volte. Mi piaceva quella foto e così l'avevo fatta stampare: da quel momento l'avevo messa sul tavolo, così mi vedeva sempre quando studiavo. Anche adesso torno a fissarla e sento risorgere il dolore di questi giorni.

Ah, la sofferenza d'amore!

 

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Capitolo 20
*** (19) ***


Sono già due giorni che trascorro lasciando fare i miei compiti ai miei nuovi amici, finalmente si rivelano utili a qualcosa. Non abbiamo più parlato dell'argomento della volta scorsa e per ora è passato in secondo piano.

Ho imparato che di notte escono di casa e ritornano la mattina successiva, come se sapessero gli orari in cui resto da solo. Non so dove vadano a dormire e non credo mi interessi più di tanto. So che è brutto da dire, ma mi sono molto utili perché mi distolgono dal pensiero di Matilde. Anche perché, in fondo, non penso siano in grado aiutarmi sul serio. Il mio dolore è troppo forte per poterlo cancellare.

Oggi decido che ho voglia di tornare a giocare a tennis: non ci gioco da quando Matilde mi ha abbandonato come un cane sull'autostrada. Io non abbandonerei mai un cane, il miglior amico dell'uomo. Quindi, perché Matilde dovrebbe abbandonare me, che sono il suo migliore amico? Prendo le mie racchette e la mia borsa, sistemandovi dentro una bottiglia d'acqua, un polsino e un asciugamano. Quanto mi era mancato prepararmi la borsa! E' un rituale che ho sempre amato, perché mi prepara mentalmente alla partita. Ho però un problema: mi manca uno sfidante. Tom e Roy hanno esplicitamente detto che non vogliono giocare finché non sarò tornato “normale”, quindi non ha senso neanche chiamarli. Quindi, a chi chiedere?

- Veniamo noi! - esclama Tacito, prendendo in mano una mia racchetta ed impugnandola al contrario.

- Non se ne parla – affermo con decisione, afferrandola. Alessandro Magno, che fino a quel momento era rimasto in disparte, avanza verso di me ed estrae la sua spada:

- Sfidami e ti sconfiggerò come ho fatto con Dario di Persia -

- Ragazzi, non siete ancora pronti per giocare a tennis. Fidatevi, non fa per voi -

- Neppure tu sei pronto per superare Matilde, eppure lo dici continuamente a te stesso – dice Seneca, cogliendomi alla sprovvista. All'improvviso mi sento “nudo”, perché mi rendo conto che sanno molto di più di quanto immaginassi. Inoltre, non ha tutti i torti. So bene di stare male per Matilde, ma non faccio che ripetermi il contrario. D'accordo. Li accontenterò, ma si rivelerà un grande errore.

- Come volete – mi arrendo – ma non potete venire vestiti...così. - Gli indico le loro le toghe e i sandali. Corro in camera, prendo dei completini e delle scarpe e poi torno da loro.

- Sono questi i vestiti che dovrete indossare. - Getto le magliette e i pantaloncini sul divano, in modo che possano vederli. Cominciano subito a toccarli, ad esaminarli. Le loro espressioni non promettono bene, come immaginavo. Li lascio andare in bagno dove possono cambiarsi. Quando tornano da me camminano a gambe divaricate, come bambini che si sono fatti la pipì addosso.

- Noi dovremmo giocare con questi “cosi”? - chiede aspramente Cicerone. Io annuisco felice: finalmente è l'ora di divertirsi. Dopo qualche minuto sembrano abituarsi ai nuovi indumenti, anche se con molta fatica. Prendo il mio borsone e scendo le scale, seguito da tutti gli altri. Sento Tacito gridare felice: “Evviva! Un po' di spazio per l'otium!” e Catullo “Lo sport non può che fare del bene!”. Prendo le chiavi della mia auto e la apro, sistemandovi dentro tutta la mia roba. Salgo, mentre gli altri osservano il veicolo perplessi.

- Dunque, cosa vi prende? - chiedo, già intuendo cosa sta succedendo.

- Cos'è...quella? - domanda Cicerone, indicando l'auto con timore

- Oh, questa? Niente, ci farà solo arrivare prima. -

Per qualche secondo nessuno di loro si muove, poi Alessandro borbotta qualcosa e apre lo sportello posteriore. Con grande meraviglia di tutti gli altri, si siede dentro e richiude lo sportello.

- Noi Macedoni non abbiamo paura di nulla. Di nulla! Capito? - mi grida da dietro

- Okay, capo. Voi Macedoni non avete paura di nulla – gli rispondo ironico. A quel punto anche gli altri uomini, forse rassicurati dal gesto del loro compagno, si avvicinano con timidi passi all'auto. Alessandro gli apre lo sportello e li fa sedere, mentre Cicerone si accomoda accanto a me. Li guardo nello specchietto retrovisore: sono terrorizzati a morte, lo leggo nei loro occhi.

Quando accendo il motore sento un “ohh” provenire da dietro, mentre loro guardano in basso per capire l'origine di quel rumore. Rido sotto i baffi, immaginando le risate che mi farò in questa giornata. Inserisco la prima e finalmente partiamo.

- Ci muoviamo! Oh, Santo Cielo! Ci muoviamo! - esclama Tacito guardando fuori dal finestrino.

- Vai più piano! Più piano! Sei un disgraziato! - urla Catullo, reggendosi al sedile ed alla portiera.

- Ma se sono fermo ad un semaforo...- controbatto. Spero che questa volta Angelus non mi fermi, o prenderò un paio di multe. I miei passeggeri non fanno che urlare in modo femminile ed aggrapparsi ai sedili posteriori, mi sembra di essere con un branco di bambini indisciplinati. I momenti peggiori sono le curve, in questi casi gridano: “Moriremo tutti! Moriremo tutti!”.

E' dunque con molta fatica che raggiungo il circolo. Scendiamo dalla macchina e ce ne andiamo al campo che ho prenotato. Seneca è smanioso di provare per primo e io lo accontento. Vado verso la mia metà di campo, ma quando mi giro mi sorprendo nel non trovarlo dall'altra parte della rete.

Mi sento toccare una spalla.

- Jack, sono qui. - Mi giro: è proprio dietro di me.

- Che ci fai qui? Devi andare dalla parte opposta! -

- Ah...questo ha senso! - Seneca corre felice nella sua metà di campo, fischiettando allegro. Intanto gli altri sono seduti sulla panchina a bordo campo e Cicerone sta impartendo una lezione di filosofia. Lo vedo mentre gesticola e cerca di attirare l'attenzione dei suoi ascoltatori. Alcuni membri del circolo si sono radunati alle estremità del campo per vedere quella che loro pensano sia una partita di tennis. Purtroppo temo che di tennis ne vedranno poco.

- Forza, Jack! Tira una pallina! - mi grida Seneca, che non si tiene più nella pelle. Mi sembra di dover tirare una palla ad un cane. Gliela lancio e lui la liscia, ma il suo movimento a vuoto con la racchetta è troppo veloce e lui finisce a terra. Io e gli altri scoppiamo a ridere, mentre Seneca si rimette in piedi con fatica.

- Era solo una prova...- si giustifica. Gli lancio una seconda palla: lui la manca di nuovo e stavolta gli sfugge anche la racchetta dalle mani. Alzo lo sguardo mentre la seguo volare per alcuni metri e cadere in un parcheggio, poi sento un rumore di vetri rotti e l'allarme di una macchina. Seneca comincia a saltellare felice e a correre qua e là per il campo.

- Home run! Home run! Ho vinto! - esclama. Santo Cielo, ma devo spiegargli proprio tutto? Il poco pubblico presente ride, non credo abbia mai visto uno “spettacolo” del genere. Gli auguro anche di non vederlo mai più.

- Lucio, l'home run è nel baseball. Tu non devi tirare la palla fuori dal campo se giochi a tennis – gli spiego

- Ah, devo essermi informato male, allora. - Con tutta la pazienza del mondo continuiamo a “giocare”, anche se di palle non ne colpisce neppure una. Il pubblico, paradossalmente, continua ad affluire. E come biasimarli? Stanno assistendo ad uno spettacolo comico. Seneca non fa che lisciare le palle e sembra che stia scacciando le mosche piuttosto che giocare a tennis.

- Non si fa così! – grida una bambina da bordo campo – guarda, ti faccio vedere io. -

La bambina, che ha circa sei o sette anni, raggiunge Seneca con la sua piccola racchetta. Lucio non sembra molto soddisfatto di quella sua improvvisa intrusione. La bambina raccoglie una pallina da terra, se la lancia e la colpisce perfettamente, spedendola ai miei piedi.

- Vedi, devi piegare bene le gambe ed allungare il braccio dietro le spalle – spiega, mimando un diritto come una maestra. Seneca annuisce innervosito e poi si abbassa sulle gambe, portando il suo viso davanti a quello della bambina.

- Ho chiesto il tuo aiuto, per caso? A me non pare. - La bambina, che non voleva fare altro che aiutarlo, scoppia a piangere e gli tira un calcio nei paesi bassi, centrando in pieno “Amsterdam”. Lucio si alza in piedi e grida di dolore, tenendo le mani sulla parte del suo corpo colpita. La bimba intanto scappa via e io mi getto a terra ridendo. Dopo qualche secondo vedo sul campo l'ombra di Seneca, che è venuto da me. Si sta ancora toccando la parte dolorante ed ha il respiro affannato. Quando poi mi inizia a parlare mi rendo conto che la sua voce adesso è cambiata, è stridula come quella dei Bee Gees.

- Jack, sai una cosa? Quella ragazzina ha una buona ricerca di palla! -

 

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Capitolo 21
*** (20) ***


Alla fine tutti i miei nuovi amici latini hanno tentato di giocare a tennis, anche se con risultati molto scarsi. In compenso, il mio maestro mi ha chiesto di farli venire più spesso perchè fanno davvero molto ridere e la cosa attrae molto pubblico. Ora, però, Cicerone ha qualcosa da dirmi. E' già passata una settimana da quando sono piombati nella mia vita e io sto leggermente meglio. Non sto ancora bene, perchè soffro molto, ma sto meglio.

- Jack, dobbiamo chiarire una volta per tutte perchè noi siamo qui – afferma Cicerone. Ci siamo seduti, come l'altra volta, al grande tavolo nella mia sala. I loro volti sono impassibili, come mai li ho visti in questi giorni. Li ho visti spaventati, insicuri, timorosi...ma mai così seri. Cosa vorranno dirmi?

- Innanzitutto, parlaci di Matilde Vinelli – esordisce Tacito. Il solo sentire nominare quel nome mi provoca i brividi. In questi giorni il suo pensiero si era un po' allontanato e adesso ritorna così all'improvviso.

- Cosa volete sapere di lei? - domando, cercando di prendere un po' di tempo per ordinare le idee

- Tutto – risponde conciso Catullo. Dunque, ci siamo: in questi mesi ho sempre nutrito il desiderio di raccontare questa storia a chiunque incontrassi, sperando di ricevere conforto ed aiuto. Adesso loro me lo stanno addirittura chiedendo, meglio di così cosa posso avere? Forse vogliono aiutarmi davvero. Faccio un grande respiro, poi inizio.

- Bene, allora è meglio cominciare dal principio. Circa due anni fa, più precisamente il 13 agosto 2013, ho conosciuto questa ragazza di nome Matilde. Pensai subito che era molto carina e simpatica, ma quella sera di agosto non feci nulla per fare colpo su di lei. Ero con un mio piccolo gruppo di amici e di amiche, le quali avevano invitato pure lei. Io mi comportavo normalmente e lei non faceva che ridere alle mie battute. Rideva, rideva...quanto amai il suono della sua risata! Qualche giorno dopo mi contattò su Facebook e...-

- Faisbok? Cos' è feisbok? - chiede confuso Tacito

- Dopo ve lo spiego. Insomma, mi contattò al computer...-

- Conputer? - chiede ora Seneca

- Santo Cielo! Qualche giorno dopo mi contattò, punto. -

Guardo i miei interlocutori che annuiscono e mi fanno cenno di andare avanti. Bene, finalmente hanno capito.

- Cominciammo a conoscerci meglio ed era evidente che lei era interessata a me, che voleva conoscermi meglio. Dunque le chiesi di uscire e da quel momento in poi ci incontrammo un mucchio di volte...-

Noto che Catullo mi sta guardando con ammirazione e si protende sul tavolo, per ascoltarmi meglio. Forse gli interessa questo argomento? Faccio finta di niente e continuo.

- Uscivamo quasi ogni settimana e io sapevo bene che dovevo farmi avanti e dichiarare il mio amore verso di lei, ma per insicurezza non lo feci. Fu un errore, lo so. Ero troppo spaventato: non ero mai uscito con una ragazza e all'improvviso me ne ritrovo una con cui esco assiduamente...non ci potevo neppure credere. I miei voti a scuola salirono, a tennis migliorai in modo incredibile: fu una vera e propria rivoluzione. -

Faccio una pausa, perchè mi si sta seccando la lingua e raccontare mi diventa sempre più difficile. Combatto contro l'impulso di mettermi a piangere, mentre i miei amici mi osservano con attenzione. Sento il loro sguardo su di me, cosa che mi rende ancora più nervoso.

- Un giorno, poi, mi mandò un messaggio in cui diceva che tra noi non c'era nulla e si scusava per avermi illuso. Dentro di me ero furibondo, ma poi capii: ero io ad aver perso il treno, non era colpa sua...-

- Treno? Cos'è un treno? -

Mi metto le mani nei capelli. E' come parlare con degli stranieri! Poi però mi rendo conto che, forse, duemila anni renderebbero straniero chiunque...

- Oh, insomma! Avevo capito di aver aspettato troppo, non era lei ad avere colpa. Da quel giorno, comunque, le cose cambiarono. Lei divenne sempre più aggressiva con me, cominciò a tirarmi calci e pugni, facendomi piuttosto male. -

Sentendo queste parole, Catullo mostra un grande sorriso e si avvicina ancora di più a me. E' davvero molto interessato adesso. Gli faccio gesto con la mano di allontanarsi un poco, in modo da non baciarlo. Lui si ritrae e poi sussurra piano:

- Il servitium amoris...- Come già in altre occasioni, non capisco cosa voglia dire e fingo di non aver sentito.

- Io – proseguo - malgrado la delusione d'amore, continuai a starle accanto e divenne la mia migliore amica. Ma che dico? Lei per me era mia sorella, il mio unico punto di riferimento. Ci parlavamo sempre, ogni giorno ci telefonavamo...eravamo inseparabili. Il suo comportamento, però, non faceva che peggiorare. Diventò ancora più aggressiva e gelosa: non pretendeva neppure che io parlassi con un'altra ragazza. I suoi atti violenti contro di me aumentarono sempre di più ed iniziò ad illudermi: mi convinse che c'era una possibilità per me di diventare il suo fidanzato, ma poi lo negava subito il giorno dopo. Ultimamente esce con un certo Frank, ma non credo sia nulla di serio. Fatto sta che mi scrive sempre di meno. Mi ha trattato male, eppure mi manca. Sono diventato il suo schiavo d' amore e ...- mi blocco all'istante.

Cosa ho appena detto? Come colpito da un fulmine, ho finalmente compreso la verità. Era sempre stata allo scoperto e io l'avevo da sempre vista, ma non avevo il coraggio di ammetterlo. Adesso, del tutto inconsciamente, l'ho rivelata. Guardo i miei interlocutori: anche loro hanno compreso che ho capito. Annuiscono all'unisono, con un volto impassibile.

- Il servitium amoris...- mormoro.

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Capitolo 22
*** (21) ***


Sono scioccato. La frase che ho pronunciato ha su di me l'effetto di una sentenza: sono da sempre stato lo schiavo di Matilde. Tutto ciò che lei faceva per me lo faceva per convenienza, non per affetto. Esattamente tutto il contrario di me, che sono sempre stato sincero con lei. In realtà l' ho sempre saputo, ma non ero mai riuscito a dirlo.

Guardo fuori dalla finestra, triste. Chissà dove sei, Matilde. Probabilmente oggi uscirai con Frank, lo bacerai, ti divertirai con lui...mentre io a poco a poco muoio. Lentamente non ricorderai più nemmeno chi sono e chi sono stato per te. Io, invece, non faccio che pensarti ogni giorno. Mi manchi, Matilde. Ti odio, ma ti voglio anche bene. Solo tu mi hai fatto sentire così bene, in pace col mondo.

Sento una mano posarsi sulla mia spalla.

- Jack, noi siamo qui per alleviare il tuo dolore. Ce la faremo – mi rassicura Seneca

- E come? Sto troppo male, ho pure cercato di uccidermi! - gli urlo, girandomi verso di lui. Intanto vedo Catullo che sta cercando di prendere con le mani un pesce dal mio acquario. Seneca gli fa cenno con una mano che non è il momento e lo fa venire da me.

- Abbiamo un piano, Jack – dice Catullo – Seneca si occuperà della tua felicità mentale, io del tuo rapporto con l'altro sesso, Alessandro ti fortificherà moralmente e fisicamente, Cicerone...beh, lui ti farà un po' di tutto -

- E Tacito? -

- Ah, no. Lui credo sia qui solo per divertirsi...-

Cerco con lo sguardo Tacito, ma non lo vedo. Poi sento il rumore di un rubinetto acceso e vado in cucina. Lo vedo mentre lo apre e fa scorrere l'acqua, mettendosi a ridere, poi lo chiude e fa una faccia triste. Lo apre e lo richiude, lo apre e lo richiude...alternando la risata ad un triste lamento. Comincio a dubitare anche della sua sanità mentale. Me ne ritorno in sala, valutando cosa dire e cosa fare.

- D'accordo, capisco. Lasciamo stare il vostro amico Tacito che è meglio. Mi volete aiutare, va bene. Ma come? In che modo farete tutte queste cose? - chiedo

- Siamo in quattro, dal momento che Tacito farà ben poco – mi risponde Cicerone. - Dunque passerai quattro giorni della settimana con uno di noi singolarmente, al quinto giorno si inizia di nuovo da capo. -

Comincio a pensare che non sia una pessima idea, ma sono molto critico su una mia eventuale guarigione.

- Ti guariremo da Matilde, amico mio – mi dice Alessandro, toccando con ammirazione la sua spada. Poi si avvicina e mi tocca sull'altra spalla. - Hai bisogno di una purificazione, di una liberazione dal suo demone. Ti apriremo la mente, faremo conoscere alla tua mente degli spazi che fino ad ora le erano preclusi -

- Sarai ogni giorno seguito da noi, Jack. - Stavolta è Cicerone a parlare ed avvicinare il suo viso al mio. Riesco a sentire il suo alito, che è molto buono.

- Ricomincerai da zero. Per noi sarà come creare un essere umano, ti libereremo dal giogo Matildeo -

– “Matildeo”? Che vuol dire? -

- “Di Matilde”, ignorante. E' un neologismo – mi risponde Cicerone, scuro in volto.

Immagino di non avere altre possibilità, quindi mi auguro con tutto me stesso che il loro piano funzioni e io dimentichi Matilde. Accidenti, se non l'avessi mai conosciuta non starei neppure così male! Perché mi ero vestito così bene quella sera, accidenti? Il mio fascino mi si ritorce contro, certe volte.

Guardo Cicerone: non so perché ma ho l'impressione che abbia come sentito quello che ho appena pensato.

- D'accordo, non sono affascinante – mi arrendo

- Questo è poco ma sicuro. -

Non so se sia una cosa temporanea, ma in questo momento riacquisto fiducia. Forse perché ho molta gente attorno, forse perché i miei nuovi amici vogliono veramente aiutarmi o forse perché con loro potrò sfogarmi a mio piacimento...so solo che adesso voglio godermi la mia utopia. “Ce la farai, Jack”. La mia vocina interiore! Dov'eri finita? E' da mesi che non ti sento. “Io ci sono sempre stata, sei tu che non mi hai voluto ascoltare.” Rabbrividisco: chissà se la mia coscienza mi abbia parlato quando ero sul punto di gettarmi sotto un treno? O quando mi sono gettato dal campanile? Io non ricordo che mi abbia parlato in quei momenti, forse non lo ha fatto o forse ero troppo preso dall'impeto e dalla disperazione del mio folle gesto che non l'ho sentita. Qualcosa mi dice che sia questa seconda opzione.

- Dunque, quando si comincia? - domando, cercando di allontanare quei brutti pensieri

- Subito, naturalmente – risponde Seneca, prendendomi a braccetto e conducendomi un po' più lontano dagli altri. Quante volte Matilde mi ha preso a braccetto...no, non devo pensarci.

 

- Da oggi comincerai una nuova vita, Jack. Oggi cominci il tuo percorso di guarigione. Poniamoci un termine, d'accordo? Quale vuoi sia il termine del tuo percorso? -

Ci penso su. Credo sarebbe perfetta la data del mio compleanno, a fine giugno. Vorrei che quel giorno i miei amici mi vedano felice.

Seneca annuisce.

- Ottimo, domani si comincia. Ora bevo un po' da quello strano “acquario”, come lo chiami tu, se permetti... -

- Esistono ancora i bicchieri, ignorante! - gli rispondo in tono scherzoso. Poi allontano Catullo dall'acquario (stava di nuovo cercando di catturare un pesce) e riempio un bicchiere d'acqua a Lucio. Glielo porto e mi avvicino di nuovo alla finestra.

“Nuova vita” ha detto Seneca. Giusto, Jack?

Nuova vita...nuova vita...

 

 

 

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Capitolo 23
*** (22) ***


Oggi è lunedì e come ogni lunedì arrivo a casa alle 13 dall'università. Quando apro la porta, però, non trovo mia madre a cucinare. Vedo, invece, Lucio Anneo Seneca seduto sulla mia poltrona con il telecomando in mano e la televisione accesa.

- E' incredibilmente bello questo strumento – commenta, senza staccare gli occhi dalla TV. Io mi guardo attorno, cercando di vedere mia madre.

- Mia mamma dov'è? - chiedo, avvicinandomi a lui. In questo momento mi accorgo che lo schermo della televisione è tutto blu e vi lampeggia la scritta: “Segnale perduto. Controllare la parabola”. Scuoto la testa e insisto ancora:

- Allora? L'hai vista? - domando, gettando lo zaino sul divano. Lui mi risponde che l'ha vista partire per andare a lavoro, per questo è entrato. Ciò che mi sorprende, però, è il fatto di non vedere tutti gli altri suoi amici.

- E come mai ci sei solo tu in casa? Gli altri dove sono? -

- Perché oggi sei a lezione da me. - Seneca preme un tasto a caso, convinto di aver spento la TV, per poi alzarsi dalla poltrona. Sullo schermo, invece, appare la pagina iniziale di Internet. Prendo il telecomando e la spengo, poi mi rivolgo a lui.

- Quindi? Cosa faremo? -

Seneca comincia a girare lentamente intorno a me, toccandosi il mento con le dita, nell'atto di pensare. Poi si sofferma davanti al mio acquario e si passa la lingua sulle labbra.

- Non ci pensare neanche, lascia stare i miei pesci – lo anticipo. Lui scrolla le spalle e mi ricomincia a gironzolare intorno, cosa che mi fa diventare nervoso.

- Dunque – dice fermandosi – oggi usciremo: è più facile schiarirsi le idee durante una bella passeggiata. La mia prima lezione te la esporrò all'aria aperta.-

Annuisco: c'è il sole, perché non fare due passi? E' la giornata ideale. Seneca prende alcuni libri e poi usciamo.

- C'è forse un ambiente bucolico e rustico da queste parti? - mi domanda. Non occorre che io ci pensi: ci sono i campi, dove ho avuto l'ultima visione della Sharapova. Lo conduco qui, passando nello stesso punto in cui l'ho visto assieme a Tacito e gli altri per la prima volta. Lui non sembra farci caso e prosegue a camminare, assorto nei suoi pensieri. Chi sa cosa mi insegnerà oggi? E in che modo mi istruirà?

Ci fermiamo al centro di un campo pieno di erbacce, molto vicino ad un ruscello. Non ci sono alberi: tutto intorno si vedono solo serre abbandonate e alberi solitari. In lontananza, invece, si vede il mio piccolo paese. Riesco anche a vedere il campanile...Ci sediamo per terra e l'erba alta ci impedisce quasi di vederci, pur essendo a un metro di distanza l'uno da l'altro.

- Pensi che questo sia il luogo giusto? - gli chiedo, dubbioso. Lui accarezza con una mano un lungo stelo d'erba e sorride.

– E' quello giusto, sì -

- Ti sei seduto su degli escrementi – gli faccio notare. Lui abbassa subito lo sguardo ed impreca.

- Per Giove! Mi ricorda molto quando ero piccolo e correvo per i prati: ero sempre io che pestavo le cose più schifose. -

Si pulisce con irritazione i sandali, poi torna ad assumere un'aria di riflessione. Infila una mano nella tasca e ne tira fuori una foto, che mi porge. Ho un sussulto: è la foto di Matilde che tengo sempre sul tavolo di casa. Quando l'ha presa? Non mi ero neanche accorto che mancava.

- Quando l'hai...-

- Non è importante – mi interrompe – voglio solo che tu ci parli, come se lei fosse qui davanti a te in questo momento. Cosa le diresti? -

Guardo Seneca negli occhi: mi sta mettendo alla prova? Cosa vuole sentirsi dire? Presto mi rendo conto, però, che non m'importa cosa vuole sentire da me. Questa storia va avanti da troppo tempo e io farò tutto ciò che è necessario per dimenticare Matilde, fosse anche parlare con una foto.

- Okay – sussurro. Decido di liberarmi di tutto per un'altra volta. Abbasso lo sguardo sul viso sorridente di Matilde ed inizio a parlare. Prima, però, mi assicuro di strusciare la foto sugli escrementi.

- Ciao, Matilde – inizio - ti sto salutando...ma tu non te lo meriteresti neppure. Ti odio, non voglio più vederti nella mia vita. Mi hai fatto troppo male, mi hai lasciato da solo. Non avresti mai dovuto abbandonarmi. Mi hai riempito di bugie, mi hai assicurato che non ci saremmo mai divisi, ma non hai rispettato la promessa. -

Guardo Seneca, che mi fa cenno di continuare.

- Mi hai illuso – proseguo – mi hai ingannato. Sei un'attrice, Matilde. Goditi il tuo Frank e mettitelo su per il...ehm...goditelo, punto. Basta che non entri più nella mia vita, perché mi hai ucciso. Passa il tuo tempo con Frank da ora in poi. Eri innamorata di Olivier e lui ti ha abbandonata, ti ho trovata depressa e ti ho fatta sentire subito meglio...io ci sono stato per te. Adesso che tu frequenti un altro ragazzo sono invece io ad essere in depressione, ma tu non ci sei stata per me. Io ti ho aiutata, tu no...-

Non mi tengo più: le lacrime scendono lungo il mio viso. Seneca mi accarezza la spalla, facendomi capire di fermarmi. Strappa una foglia e me la porge:

- Asciugati quelle lacrime, adesso. - Guardo la foglia: sopra c'è una grossa cavalletta ed io indietreggio per la paura. Ho un'insensata paura per quegli animali, non so perché. Getto la foglia lontana da me e la cavalletta si alza in volo, allontanandosi da noi. Seneca sorride sotto i baffi e poi, vedendo il mio sguardo glaciale, torna ad avere un'espressione comprensiva.

- Sai chi è uno “stoico”, Jack? - mi domanda. Ho già studiato lo stoicismo a scuola, ma non me lo ricordo bene. So che era una corrente filosofica, ma non ricordo i suoi principi fondamentali.

- Forse faresti meglio a rinfrescarmi la memoria – gli consiglio. Seneca annuisce si distende a terra, senza curarsi di tutti gli insetti che gli girano attorno. Ogni tanto apre la bocca e ne mangia uno, come se nulla fosse. Poi mi faccio coraggio e mi sdraio pure io. Da questa posizione si vede solo l'azzurro del cielo, è una vista bellissima.

- Gli stoici – inizia Lucio – sono un gruppo di filosofi seguaci di Zenone, un filosofo greco nato attorno...al...beh, credo siano ormai passati duemila trecento anni. Comunque, lo scopo dello stoicismo è raggiungere il distacco dalle passioni, in modo da giungere alla saggezza. In questo modo, potrai vedere il male e il dolore come positivi, in quanto parti integranti della vita. - Poi Seneca si volta verso di me.

- Non voglio farti diventare uno stoico, voglio solo offrirti un punto di vista diverso da quello che hai tu, fondato sul pessimismo. Io, invece, te ne presento uno più “positivo”, se così si può dire. -

Le parole di Seneca, in effetti, mi permettono di vedere Matilde in una luce del tutto diversa. So bene, però, che quelle poche parole non basteranno a farmi riprendere dalla depressione. Improvvisamente non sono più certo di volere il suo aiuto, mi arrendo.

- Non arrenderti – dice Seneca, leggendo di nuovo nei miei pensieri

- Ma come fai a leggermi nel...-

- Non ha importanza – mi interrompe – ciò che sto cercando di dirti è che devi vedere la tua storia con Matilde come qualcosa che non poteva essere cambiato, capisci? E' finita, mettitelo in testa. Come diciamo sempre noi: “sopporta ed astieniti”, quindi accetta serenamente ciò che la vita ti offre. “Astieniti” indica un allontanamento dalle passioni, ma d'altra parte questo è impossibile. Chi non vive di passione, forse, non ha mai vissuto. -

Osservo Seneca con speranza: è forse questa una soluzione per stare meglio? Me lo auguro con tutto il cuore. Ad un certo punto sento un forte rumore provenire dalle nostre spalle, come se una grossa macchina ci stesse venendo incontro. Lucio, però, non sembra farci caso e continua ad istruirmi:

- Il destino guida chi lo accetta, e trascina chi è riluttante...-

Alzo lo sguardo sopra l'erba alta: un grosso trattore si sta velocemente avvicinando a noi. Forse il conducente non può neppure vederci, data l'altezza dell'erba. Dovevamo venire proprio qui? -

Scappa! Andiamo! - gli urlo, mentre lui continua tranquillamente ad esporre la sua filosofia con un filo d'erba in bocca.

- Come, scusa? -

Senza aspettare oltre, lo trascino via e corriamo lontani.

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Capitolo 24
*** (23) ***


La sera, dopo essere tornato dalla mia lezione con Lucio Anneo Seneca, sono più confuso di prima. Da una parte le sue parole mi hanno confortato: bisogna accettare tutto ciò che ci capita, altrimenti non potremmo andare avanti; dall'altra, però, mi hanno creato dei dubbi: come posso accettare il mio turbamento se è proprio la causa del mio malumore? Mi appunto i miei dubbi su un foglio e poi vado a letto. Mi addormento in breve tempo ed inizio subito a sognare.

Sogno un campo da tennis, come se ne fossi uno spettatore. Mi guardo intorno: sono seduto in prima fila e dietro di me lo stadio si innalza in alto, con tutte le sue gradinate. E' gremito di migliaia di persone, forse è una finale. Ma chi sta giocando? Rivolgo uno sguardo ai giocatori: sono due ragazze ed una di esse, non posso sbagliare, è Maria Sharapova.

- Maria! - la chiamo, sebbene sia nel bel mezzo di un punto. - Maria! -

- Palla disturbata, il punto va ripetuto. Prego i signori spettatori di rimanere in silenzio durante lo scambio – annuncia il giudice arbitro, facendo fermare le due giocatrici. Il pubblico comincia a fischiare, furioso con me. A quel punto la Sharapova si gira a guardarmi, sbuffa e mi si avvicina velocemente

- Proprio ora ti dovevi presentare? Non vedi che sono impegnata? -

Colto di sorpresa da quella sua reazione, mi scuso. L' ho sempre vista come un angelo beato e felice, non pensavo si potesse arrabbiare pure con me. Ormai mi consideravo il suo pupillo.

- No, non ti preoccupare – mi tranquillizza poi, tornando quella di sempre. - Dimmi pure -

- Ho delle persone a casa...dicono di essere Tacito, Cicerone e...-

- Ah, sì! Sono arrivate, dunque! - esclama, sedendosi accanto a me. Il suo profumo mi ipnotizza, mentre mi rendo conto che da sudata è ancora più bella. Anche i capelli biondi leggermente scompigliati non fanno che renderla più affascinante. Devo di nuovo trattenermi dal saltarle in collo.

- E...c'entri in qualche modo tu? - le chiedo, emozionato sempre più di ritrovarmela di nuovo accanto.

- Che domande fai? Non ricordi quel giorno nella serra? Ti dissi che avresti incontrato delle stelle di sapienza. -

Sapevo mi avrebbe risposto così, ma la prima volta che vidi queste “stelle di sapienza” mi sembrava avessero ben poca saggezza.

- Fidati di loro – continua – tutto ciò che fanno è per aiutarti. Ascolta i loro precetti e guarirai da Matilde. -

Adesso, però, voglio farle una domanda che da tempo mi tengo dentro e so che lei è l'unica persona che mi può rispondere.

- Maria, tu mi assicuri che loro sono veramente chi dicono di essere? Sono davvero...- faccio una pausa, perché ho delle difficoltà nel dirlo – sono davvero..Tacito, Cicerone...e così via? -

Maria mi sorride e si alza, andando a rispondere al servizio dell'avversaria. Quando ormai perdo la speranza di ricevere una risposta, si gira e mi risponde:

- Sì, sono loro veramente. - Poi l'avversaria effettua il servizio e Maria, colta alla sprovvista, non riesce nemmeno a toccare la palla. E' un ace.

- Gioco, partita e incontro Vinelli – annuncia il giudice arbitro. Sussulto: mi giro di scatto verso l'avversaria di Maria... è Matilde! Non l'avevo riconosciuta! No, non può accadere!

La Sharapova mi lancia un grido di rabbia per averla distratta, mentre Matilde ride con un tono malvagio. No, lasciami stare! Non entrare anche nei miei sogni! Lascia stare Maria!

Mi sveglio di soprassalto, gridando con tutto il fiato che ho in corpo.

 

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Capitolo 25
*** (24) ***


Il mio esame di cultura latina si avvicina e io sono del tutto tranquillo.

Il professore, infatti, ci ha assegnato da studiare gli “Annales” di Tacito: che problema potrò mai avere, dal momento che a casa ho Tacito in persona? Per la prima volta assaporo il sapore di un trenta e lode, che non ho ancora mai raggiunto in questi primi mesi di università.

Quando arrivo a casa prendo subito la mia copia degli “Annales” e cerco Tacito, ma in casa trovo solo Alessandro. E' in bagno, intento a studiare il funzionamento dello sciacquone e sembra molto preso dalla cosa. Osserva da vicino le tubature e il movimento dell'acqua all'interno del water.

- Hai per caso visto Publio? - gli chiedo, distogliendolo dal suo studio

- Oggi niente Tacito, caro Jack -

- Che intendi? -

Alessandro infila una mano nella tazza con mio grande disgusto, poi la estrae, si guarda per un attimo l'indice destro e poi se lo lecca. Sorride soddisfatto, per poi riportare la sua attenzione su di me.

- Che oggi sei a lezione con me. -

Si alza in piedi e mi dà una pacca sulla spalla con la mano mezza bagnata. Io mi asciugo subito all'asciugamano, inorridito da quel gesto. Lo seguo in sala, dove prende la sua spada e fa per uscire di casa.

- Aspetta, aspetta – lo fermo, ancora con lo zaino sulle spalle – dove mi porti? Che dobbiamo fare? -

- Te l'ho detto: oggi sei con me. -

Getto la cartella a terra e mi arrendo: ho capito in queste settimane che fargli cambiare idea è impossibile. Quando decide una cosa è quella, non ammette discussioni.

- Almeno vestiti in modo decente! Non puoi uscire così! -

Alessandro abbassa lo sguardo sulla sua splendente armatura, facendo un'espressione confusa.

- Cos'ha che non va? -

- Più o meno tutto. Se mi dici cosa dovremo fare, allora ti consiglierò anche un abbigliamento adatto – rispondo. Lui sorride e poi mi mostra, fiero, i muscoli delle sue braccia.

- Esercizio fisico! Oggi faremo dell'esercizio fisico -

- Perfetto, almeno so come comportarmi. -

Vado in camera e prendo magliette e pantaloncini da tennis, li indosso e poi ne porto un paio ad Alessandro. Dopo un attimo di indecisione, a malincuore è costretto a metterli anche lui. Non appena usciamo in strada il vento ghiaccio di gennaio ci colpisce in viso, tanto che io sono più volte sul punto di tornarmene indietro.

- Spiegami il motivo per cui devo fare esercizio fisico – gli dico, mentre lui si mette una fascia tra i capelli biondi. Poi prende un piccolo specchio da una tasca (non so dove l'abbia preso) e guarda con ammirazione il proprio riflesso, passandosi la mano tra i capelli.

- Ma cosa fai tu a le donne, eh? Cosa gli fai? Le conquisti tutte, eh? - Lo osservo mentre parla con se stesso, poi gli tolgo di mano lo specchio e lo getto lontano. Lui mi guarda con sorpresa, poi si schiarisce la gola e torna ad assumere la sua aria di austerità.

- L'esercizio fisico – spiega – è un ottimo mezzo per riacquistare la fiducia in sè. So che voi uomini del terzo millennio amate tenervi in forma, giusto? Bene, anche io ho sempre amato farlo. Allenarsi, rafforzarsi...tutto per fortificare il corpo, ma anche l'anima. Nel mio breve periodo di permanenza qui, ho potuto vedere acconciature molto bizzarre, patetiche direi. Ho anche notato che vi vestite in modo particolare, seguendo le mode: tutto questo per crearvi uno stile, una personalità. Tu hai bisogno di tutto questo: di crearti uno stile, di cambiare. Tu non hai nulla di tutto ciò, devi curarti di più. Innanzitutto iniziamo con un po' di esercizio fisico. -

Alessandro comincia una corsa lenta e io lo seguo, per quanto sia dubbioso su quanto mi stia dicendo. Ci dirigiamo verso il viale che porta al lago, in quanto è una strada diritta e mai affollata.

- Spiegami meglio – gli dico

- Come ti abbiamo già detto molte volte: hai bisogno di essere ricostruito, di ripartire da zero. Prendere fiducia nel proprio corpo è una soluzione, ma non l'unica. Adesso limitiamoci all'esercizio fisico, poi vedrai. -

Dal momento che non mi vuole dire di più, lo assecondo e continuamo a correre. Più volte sono costretto a fermarlo con la forza, perchè tenta di passare con il semaforo rosso agli attraversamenti. In questi momenti lo scruta attento, certe volte vi si arrampica anche sopra, aspettando il cambio del colore. Quando finalmente arriva il verde, esulta di gioia ed inizia a danzare sulle strisce pedonali.

- Se- ma – fo – ro! Semaforo! Questo è un semaforo! - ripete, come fa un bambino quando impara una nuova parola. - Jack, siamo appena passati dal semaforo! -

- Fantastico – commento io. Arriviamo fino alla piazza che si affaccia sul lago e qui ci riposiamo. Alessandro usa una panchina per fare stretching, mentre io ne approfitto per sedermici sopra. Mi ci getto sopra e alzo gli occhi al cielo. Sono sicuro che, se li chiudessi, riuscirei anche a dormire.

- Che stai facendo? Credi di poter dormire? Esercizio, esercizio! - esclama Alessandro, prendendomi per un braccio fino a farmi alzare.

- Forza! Stretching! Fammi vedere i tuoi muscoli! Come pensi di fare a tennis? Perderesti da chiunque, ormai. -

Molto a malincuore sono costretto ad obbedire ai suoi ordini, facendo esercizi per altri quaranta minuti. Alla fine, Alessandro si passa il dorso della mano sulla fronte sudata e sospira:

- Bene, la prima lezione è andata. Le prossime saranno più dure, ti avverto. Adesso torniamo a casa. Si fa chi arriva prima? -

Alessandro scatta all'improvviso, lasciandomi fermo dove mi trovo. Non ho la forza di mettermi a rincorrerlo: credo che gliela darò per vinta. Me ne torno a sedere sulla panchina, grondante di sudore. Penso al mio fisico: mi curo poco, troppo poco. Non posso essere attraente così, è già tanto che una ragazza sia uscita con me. Ovviamente questo è anche un lato positivo: Matilde usciva con me perchè all'inizio le piacevo com'ero veramente.

Mi accarezzo con la mano la base del collo...accidenti, da quando non mi faccio la barba? Da quando Matilde mi ha abbandonato me la sono tagliata solo poche volte. Comincio a capire cosa intendeva prima Alessandro: io ho perso fiducia anche nel mio corpo. Non mi curo, non mi piaccio. In più, da quando ho smesso di andare a tennis mi si è accorciato il fiato e la resistenza fisica. Non pensavo che la sofferenza per Matilde potesse incidere anche sul mio corpo. Probabilmente mi sbagliavo.

Mi avvio verso casa ripensando a le parole che Seneca mi ha detto qualche giorno fa.

Nuova vita...nuova vita...

 

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Capitolo 26
*** (25) ***


Marco Tullio Cicerone mi guarda sorridendo, con la sua solita positività che emana. Sto cercando di fare i compiti, ma sento sempre il suo sguardo su di me. E' seduto sulla poltrona che mi sta di fronte. Quando alzo gli occhi, lui mi sorride e non dice nulla. Per dieci minuti non faccio che alzare e abbassare lo sguardo, mentre lui mi osserva.

- Vuoi qualcosa? - gli chiedo alla fine

- Oh, no no – risponde.

Io scrollo le spalle e continuo a studiare, ma percepisco sempre il suo sguardo su di me. Per un altro paio di minuti faccio finta di niente, poi butto la penna sul tavolo e mi rivolgo a lui.

- Marco, c'è qualcosa che devi dirmi? -

- Oh, sì sì -

- Ma se prima...-

Ci rinuncio: certe volte lui e i suoi “amici” sono incomprensibili. Dicono una cosa e ne fanno un'altra, sono pieni di contraddizioni. Non resta che armarsi di pazienza.

- Dunque, cosa vuoi? -

Lui scende veloce dalla sua poltrona e mi stringe da dietro le spalle, con tono affettuoso.

- C'è il processo, Jack. -

Ancora: frase incomprensibile. “Processo”? Che vuol dire? Che processo? - Marco, di cosa parli? -

Lui prende una sedia dal tavolo e vi ci siede accanto a me.

- La tua lezione con me sarà un processo -

- Continuo a non capire -

- Cercherò di convincerti che tu non hai colpa nell'aver perso Matilde. -

Rabbrividisco: Cicerone ha appena detto ciò che da tempo tento di rimuovere. Ho la convinzione che, se nei primi mesi in cui Matilde era buona con me io le avessi dichiarato il mio amore, lei adesso sarebbe stata la mia fidanzata. Non faccio che pensarci: ho perso il treno, è giusto che io ne soffra.

- Non fartene un rammarico, Jack. - Cicerone prende la sua sedia e la sposta nel centro della sala, poi mi fa alzare e prende anche la mia. La posiziona a circa quattro metri di distanza dall'altra, poi mi fa segno di prendere posto ad una delle due. Sempre più confuso, faccio come mi dice.

- Il mio amico Pomponio impersonerà Matilde – dice, poi fa un fischio come per chiamare qualcuno e dalla cucina sbuca un uomo. Chi è? Non l'ho mai visto! Come è entrato? Anche lui è vestito con una toga bianca e sta mangiando un pacchetto di patatine. Quando mi vede fa un grande sorriso e mi stringe la mano.

- Tu devi essere Jack! Che piacere conoscerti! Sono Tito Pomponio Attico, Marco mi ha parlato bene di te. Ah, questo strano cibo è ottimo! -

Lo guardo perplesso, perché sto ancora pensando da dove sia venuto e come sia potuto entrare nella mia casa. Lui nota il mio dubbio e mi dice:

- Non spaventarti, non sono un ladro! Marco mi ha chiamato per la sua lezione ed eccomi qua. Ho semplicemente infranto una finestra e sono entrato, niente di cui preoccuparsi -

Lo guardo allibito mentre si siede dall'altra parte. Quest'uomo ha fatto un'effrazione! E' penetrato in casa mia come farebbe un ladro! Cerco lo sguardo di Cicerone, sperando che mi spieghi meglio le cose, ma lui non fa che sorridere. Forse è fiero di come sta conducendo la sua lezione.

- Dunque – annuncia con fare cerimonioso – il mio grande amico Pomponio interpreterà Matilde; mentre tu, Jack...beh, sarai tu stesso. Adesso manca solo un giudice che presieda alla causa -

Marco batte una volta le mani e, dopo pochi secondi, sento bussare alla porta. Guardo Cicerone con aria dubbiosa, mentre lui mi invita ad andare a vedere. Aprendo la porta lentamente, ho paura. Non ho idea di chi mi ritroverò davanti. Mi faccio coraggio e la apro di qualche centimetro, poi sempre di più. Mi ritrovo davanti un uomo sulla cinquantina, che mi sorride. Poi mi tende la mano e io ricambio il suo gesto.

- Piacere di conoscerti. Mi chiamo Publio Virgilio Marone. -

L'uomo entra in sala, dove stringe la mano dei presenti. Marco si assicura di mettere dei libri sotto la sedia che poi indica a Virgilio, in modo che questa sia più alta delle altre due. Me ne torno al mio posto, quando lo stesso Cicerone riprende a parlare

- Jack, io farò il tuo avvocato. Il tema del nostro dibattito? Il qui presente Jack accusa Matilde di averlo abbandonato: è stata una cosa legittima? Matilde ha fatto ciò che andava fatto? Oppure ha sbagliato? Ha commesso un errore? Che sia deciso dai giurati! -

Cicerone schiocca le dita ed improvvisamente, come se emergessero da una nebbia fitta, compare un gruppo di persone sedute di fronte a noi. Sono tutte vestite di bianco e rosso, come Cicerone. Credo di trovarmi un un'aula di tribunale. Marco, vedendo il mio stato di perplessità, mi fa l'occhiolino, come se così potesse confortarmi. Mi ritrovo in mezzo a decine di persone vissute due millenni fa e lui crede che facendomi l'occhiolino mi tranquillizzi? Del resto non ha neppure senso farsi indietro: ormai sono in ballo e devo ballare. E' quindi con grande curiosità che chiedo:

- E chi sarebbe il difensore di Matilde?. -

Attico si gira verso di me e scuote la testa con un'espressione seria in volto, come a dire: “meglio se non lo conosci”.

Cicerone fischia di nuovo e dalla cucina esce un altro personaggio. La mia cucina è forse diventata una fabbrica di uomini? La giuria comincia a borbottare e io osservo il nuovo arrivato: procede a testa alta con fare altezzoso, come se considerasse tutti gli altri dei suoi inferiori. Ogni volta che incrocia lo sguardo con uno di noi fa una smorfia di disgusto. E' moro e piuttosto alto. Resta in piedi accanto a Cicerone, che non lo degna neppure di uno sguardo. Ma chi sarà mai? C'è un'atmosfera di tensione da quando è entrata quella misteriosa figura.

- Matilde, vuoi spiegare cosa provi per Jack? Vuoi dirci cosa sia Jack per te? - chiede Cicerone. Attico annuisce.

- Jack per me è importantissimo, è il mio migliore amico. Sono molto legata a lui... -

Rido, cercando di non farmi vedere, non so se sia perché un uomo sta imitando la voce di Matilde o per le sciocchezze che ha detto. Attico, infatti, sta imitando con successo il modo di parlare di Matilde. E' identico. Devo anche dire che la sua risposta rispecchia in pieno quella che avrebbe dato Matilde.

- Non credo – continua – di aver mai conosciuto una persona come lui. Mi è sempre stato vicino in tutti i momenti, sia felici che tristi. -

Rido più forte: forse sarà divertente, dopo tutto. Ho già sentito un paio di bugie e non ho intenzione di subire in modo passivo. Cicerone intuisce i miei pensieri e si rivolge a me.

- Jack, hai qualcosa da dire su quanto ha detto Matilde? -

Mi giro verso Pomponio Attico: devo fare un grande sforzo di immaginazione per vedere Matilde e non lui. Ciò che mi aiuta, tuttavia, è ciò che dice: ha dato una risposta del tutto coerente con quella che avrebbe dato la ragazza. In questo modo mi è più semplice fingere di avere a che fare con Matilde. Evidentemente ha studiato bene il suo personaggio. Ho l'impressione, non a caso, che tutto questo sia finto, che sia una messa in scena. Mi sembra di essere su un palco e che la giuria sia il mio pubblico.

- Se tu mi avessi voluto davvero del bene – inizio – non mi avresti abbandonato. Il vero affetto dura per sempre -

Pomponio fa la stessa espressione che ho visto tante volte assumere da Matilde: i suoi occhi si socchiudono mentre mi gela con lo sguardo, poi risponde alla mia provocazione in tono ancor più freddo.

- Io non ti ho abbandonato, sono solo stata impegnata in questo periodo. Ho avuto molto da fare. -

Scuoto la testa: non è vero, non ha avuto da fare. Non ha fatto che passare il tempo con Frank, senza più considerarmi. Non le permetterò che mi inganni di nuovo.

- Mi chiamavi sempre, ad ogni ora. Poi ti fidanzi con Frank e non ti fai più sentire, pensi che io...-

- Signor giudice, l'accusatore sta offendendo verbalmente l'imputata. Che venga fatto smettere! – esclama l'uomo misterioso, prendendo la parola per la prima volta. Virgilio alza una mano, poi mi chiede di continuare.

- Ricordi quando stavi male per Olivier, eh? Lo ricordi? Chi c'era accanto a te, eh? Chi era l'unico ad aiutarti? Io! -

Con grande sorpresa noto che i giurati si stanno asciugando gli occhi con dei fazzoletti...gli ho fatti emozionare? No, meglio se non li guardo o comincerò pure io. Vedo addirittura passare dei venditori di fazzoletti tra gli stessi giurati, che li comprano tra una lacrima e l'altra.

- Piangevi tutti i giorni e non avevi la forza neppure di uscire di casa! Poi un giorno piombo nella tua vita e tu mi dici che sono riuscito a farti dimenticare Olivier! Non immagini la mia felicità in...-

Mi fermo: cosa mi sta succedendo? Uno strano liquido esce dai miei occhi e io abbasso lo sguardo, per non darlo a vedere. Sto davvero piangendo? No, non in pubblico! Non ora!

Cicerone mi guarda, non capendo cosa mi stia prendendo. Mi passo una mano sugli occhi, mi schiarisco la voce e ricomincio.

- Non puoi nemmeno immaginare la mia felicità in quel momento. E tu cosa fai per ringraziarmi? Mi...mi abban...-

Niente da fare. Stavolta le lacrime scorrono veloci sul mio viso, cerco di nasconderle ma tutti hanno ormai capito cosa sta accadendo. Sento un borbottio e il difensore di Attico (o Matilde, non so come meglio dire) commentare: “è solo una femminuccia”. Alzo la testa per rispondergli, ma sono colpito da un altro attacco di pianto e la riabbasso.

Sento una mano sulla spalla: Cicerone mi chiede se voglio interrompere il processo per riprendermi. Io annuisco, senza neppure riuscire a proferire parola. .

- L'udienza è sospesa. Ci aggiorneremo tra quindici minuti – annuncia Virgilio – Ah...quanto costa un fazzoletto? - chiede, rivolgendosi ad un venditore.

Io e Cicerone usciamo dalla sala e ci dirigiamo in camera mia. Io non faccio che piangere, piango così tanto che non vedo neppure dove sono. Tutto è velato dalle lacrime e per due volte sbatto nello stipite della porta. Dietro di me lascio un fiume di lacrime in cui cominciano a saltare salmoni e carpe. Un giurato prende addirittura una canna da pesca e inizia a pescarci. Non ricordo un momento in cui sono stato peggio, eccetto quando mi sono gettato sotto un treno.

Stavolta ho toccato davvero il fondo.

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Capitolo 27
*** (26) ***


- Non ce la faccio. Non ce la faccio. -

E' questa la frase che non posso fare a meno di ripetermi davanti allo specchio. Non ce la faccio. Sono in bagno, a schiarirmi le idee. Tra pochi minuti devo tornare in “aula”, che in realtà è il mio soggiorno, per riprendere la causa.

Il ragazzo che vedo allo specchio non sono io, ma è ciò che resta di me. Ho la barba, gli occhi spenti, i capelli spettinati...Oggi non è una casualità: ormai è diventata la normalità. Sono solo la brutta copia di ciò che ero un tempo. Non che fossi particolarmente bello, ma di certo mi curavo di più.

- Veloce, Jack . -

Urlo di paura: Cicerone è appena apparso dietro di me, facendomi quasi prendere un infarto. Avevo chiuso a chiave, non capisco come possa essere entrato. In realtà, però, non c'è da stupirsi. Negli ultimi mesi niente è andato come logicamente sarebbe dovuto andare.

- Fra poco dobbiamo tornare – continua, mentre io ancora ansimo per lo spavento. Poi si accorge della presenza del water ed esclama un “ohh!” di meraviglia. Ma perché sono tutti affascinati da un oggetto come quello? Avevo già sorpreso Alessandro nella stessa situazione. - Non ci riesco, Marco – dico. Lui prende il mio spazzolino da denti, lo guarda e poi lo getta nel water.

- Credo fosse quello il suo posto...che dicevi, scusa? -

Normalmente gli avrei tirato un pugno in faccia, ma adesso lascio cadere la cosa. Mi sembra che ogni parola da dire mi porti via energia, così da esserne esausto. Decido di lasciar parlare il mio volto, che molto spesso è assai eloquente. Marco mi guarda, comprende il mio stato d'animo e assume un'espressione consolatoria. Devo riconoscere che è una brava persona, ho avuto questa sensazione dall'inizio e continuo ad averla ora. Non so perché.

- Andiamo, Jack! Che cosa ti turba? -

Il mio sguardo triste dice chiaramente “tutto”.

- Tutto? Tu devi dire solo cosa provi, ovvero la verità. Non succede nulla se perdiamo questa causa, capito? Devi solo capire che quanto è successo con Matilde non poteva andare diversamente. Tu hai fatto tutto quanto hai potuto per mantenerla vicino a te, è stata una sua scelta abbandonarti. Posso chiederti una cosa? -

Annuisco.

- Che cos'è un “reggiseno”? -

Sgrano gli occhi, di fronte all'ennesima cosa insensata che mi dice.

- Ti spiego: ieri ho sentito parlare delle donne per strada di questo “reggiseno”, sembravano felici. Dicevano “più grosso è più bello”, ma non capivo a cosa si riferivano. Alloro ho chiesto a loro informazioni e mi hanno detto di andarmene a comprare uno – continua.

- Poi te lo dico – gli rispondo. Mi asciugo le lacrime ed esco dal bagno, seguito da lui.

- Chi è il difensore di Matilde? - chiedo.

Cicerone si fa scuro in viso, come se avessi appena bestemmiato. Ho detto qualcosa di sbagliato?

- Annibale - mi risponde veloce.

Marco si gira e torna veloce in aula, senza neppure aspettarmi. Torno al mio posto, poi Virgilio riapre la causa appena sospesa. Annibale prende subito la parola, rivolgendosi a me.

- Caro Jack, non hai pensato di aver aspettato un po' troppo per dichiarare i tuoi sentimenti a Matilde? Che colpa ha avuto lei di rifiutarti? Tu hai temporeggiato, perdendo così la tua occasione. E' un crimine rifiutare una persona che non si fa avanti? Io non credo, signori della giuria. Quest'uomo, colpito da un'infantile paura, non si è fatto avanti. Ha lasciato che Cupido colpisse col suo dardo Frank, il quale ha, invece, subito colto la sua chance. Ora ditemi: cosa può pretendere costui da Matilde? Niente, signori giudici. -

I componenti della giuria si guardano tra loro: alcuni bisbigliano, altri annuiscono, altri restano impassibili. Ancora non capisco quali possano essere le conseguenze di una sentenza a mio favore o peggio, a mio sfavore. Cicerone dice di tranquillizzarmi, ma io non ci riesco. Ho un mucchio di occhi puntati su di me proprio ora, mi impediscono di concentrarmi.

- Tu, infame venditore di fumo! Tu, ingannatore! - esclama con violenza Marco, rivolto ad Annibale. Quest'ultimo finge di spaventarsi e rivolge un'occhiata a Virgilio, il quale riporta la calma:

- Ordine, ordine! Avvocato Cicerone, moderi il linguaggio o la farò espellere da questo tribunale. -

Cicerone biascica qualcosa come: “D'accordo, ciccione” e poi si ricompone. Si passa le mani sui capelli, pensando a cosa dire, e rimane in questa posizione per alcuni secondi. Poi si avvicina ad Attico.

- Per l'amor del cielo, dì la verità! - esclama – Fino a quando dunque, Matilde, abuserai della nostra pazienza? Non vedi che tutti sono a conoscenza della tua congiura, che la tengono sotto controllo? Signori giurati, ora vi spiegherò bene cosa ha fatto Matilde nei confronti del mio cliente. -

Guardo Cicerone: ho già sentito quelle frasi, ma non ricordo in che contesto. A scuola, sicuramente, ma non ricordo in quale testo letterario. Adesso cosa ha in mente Marco? Cosa vuole dire? Mi metterà nei guai? Sono sempre più teso.

- Ella lo ha traviato! - esclama Cicerone, accompagnando il suo discorso con gesti delle mani. Poi si avvicina ai giurati e prosegue il suo sermone, ispirato da chissà chi o che cosa.

- Lo ha usato! Lo ha usato in quanto era sola e triste, poiché la sua mente era rivolta ad Olivier! Jack si è quindi affezionato a lei, sono diventati una cosa unica. Tra di loro si sono scambiati messaggi affettuosi, in cui si promettevano di rimanere sempre insieme. Non da fidanzati, ma da migliori amici. Forse Jack ha creduto di poter essere qualcosa di più, ma poi vi ha rinunciato pur di rimanere sempre con lei? E cosa fa Matilde? Dopo essersi assicurata la sua fedeltà, lo travia! E come, signori giudici? Come? Ella mette in scena una congiura: fa credere a Jack cose che non sono vere, solo per divertirsi con lui. Gli fa credere di averci ripensato, di poter credere che insieme sarebbero stati insieme. Jack, accecato dall'amore, ci è cascato. E' forse una colpa? Come colui che, per diletto e compagnia, accompagna il cane a fare una passeggiata, tale era questa ragazza con Jack. Forse è stato ingenuo, è vero, ma come può essere una colpa? Chi di voi, signori giurati, ha mai avuto la mente lucida quando è stato innamorato?

E poi, quando Matilde ha avuto l'occasione di conoscere il suo vero amore, non si è fatta scrupoli ad abbandonarlo. Ora immaginate il percorso di dolore che inizia per questo ragazzo, provate a farlo! -

Marco fa una pausa per riprendere fiato, mentre io resto in silenzio. Ha completamente catturato la mia attenzione, così come quella del pubblico e dei giudici. Annibale lo guarda in cagnesco, mentre Virgilio osserva la scena con distacco.

- Immaginate un ragazzo – continua Cicerone – che ha passato mesi a frequentare la sua migliore amica. Migliore amica? Non rende l'idea. Spesso Jack dice “era il mio punto di riferimento”, avete idea dell'importanza di questa frase? Siete mai stati il punto di riferimento di una persona? Oppure ne avete avuto uno? Non voglio assolutamente innalzarlo come vittima sacrificale, ma mi sento in dovere di difenderlo. Ha fatto degli errori con Matilde, ma sempre a fin di bene.

Ebbene, essere il punto di riferimento di qualcuno significa avere conquistato del tutto la sua fiducia, essere diventato come parte della sua famiglia. Non a caso Jack, inoltre, mi dice anche: “la consideravo come una sorella”. Ora ditemi: che colpa può avere una persona che vede crollare il suo punto di riferimento? Dite che ha perso l'occasione? E quale occasione? Non è mai stato fidanzato con Matilde, ma ha continuato ad esserle vicino. Non importava quanto lei lo avesse oppresso o insultato: lui c'è sempre stato. Lui è crollato nel momento stesso in cui Matilde lo ha abbandonato, da quel giorno non si è più ripreso. Il tempo si è per lui congelato: non esiste più il futuro, non esiste più il presente. Il suo sguardo è sempre rivolto al passato. Ora, io ritengo anche un'altra cosa... -

Cicerone tossisce e interrompe il suo discorso, in quanto ha appena ingoiato una mosca. Ne sono contento, perché anche io ho bisogno di un paio di secondi di pausa. Marco mi sta mettendo a nudo, sta raccontando a tutti ciò che ho vissuto. Non so giudicare se questo mi faccia sentire meglio o no, perché in questo momento sto solo cercando di non piangere di nuovo. Tra la giuria vedo già spuntare i venditori di fazzoletti, che si alzano sulle punte dei piedi per vedere se qualcuno è sul punto di versare qualche lacrima.

- Come stavo dicendo – ricomincia Marco – ho un'altra cosa da dire. Jack ha tutto il diritto di incolpare Matilde, ma la cosa migliore è che non lo faccia. Questa, però, è un'altra storia. Che venga deciso per il meglio. -

Detto questo, Marco Tullio Cicerone esce dalla sala con un passo sicuro e deciso. Annibale esita, così come Virgilio, mentre la giuria mormora a bassa voce.

Mi alzo e seguo Cicerone.

- Cosa intendevi quando...-

Volevo avere chiarimenti sulla sua ultima affermazione, ma mi interrompo subito.

Cicerone è sparito.

 

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Capitolo 28
*** (27) ***


Tom e Andy si gustano il loro panino all'ombra dell'albero che si protende verso il campo numero uno del nostro circolo di tennis. Mi sono preso un giorno libero da Cicerone ed i suoi “compagni”, ne avevo bisogno. Ovviamente ai miei amici non ho parlato di loro: è già tanto se sono riuscito a convincerli a passare del tempo con me, dal momento che ormai mi credono pazzo.

Siamo venuti qui per vedere qualche partita di un torneo a cui noi non possiamo partecipare, poiché permette di giocare solo a tennisti con una classifica superiore alla nostra.

Il giocatore nel campo di fronte non fa che bestemmiare ad ogni proprio errore, tanto che il suo avversario lo rimprovera assiduamente:

- Allora? La vuoi smettere o no? -

Il “bestemmiatore” risponde con un'ennesima imprecazione, scatenando l'ira dell'altro uomo, che scavalca la rete e si avventa su di lui. Noi tre assistiamo impassibili, continuando il nostro pranzo. I due non fanno che picchiarsi e darsele di santa ragione, colpendosi con i pugni e con le racchette. Solo Andy ad un certo punto si mostra preoccupato.

- Non dovremo fermarli? - chiede

- Lascia stare – risponde Tom – in questi momenti è bene solo assistere. -

Andy scrolla le spalle e continua a mangiare. Tom prende un sacchetto di patatine e, con aria divertita, continua ad assistere con entusiasmo alla lotta davanti a noi. Dopo alcuni minuti il campo si tinge di diverse macchie rossa: il “bestemmiatore” sta perdendo sangue.

- Forza Alex! - esclama Tom, alzandosi in piedi di scatto. Evidentemente il bestemmiatore ha un nome: Alex. Lo osservo: non è molto alto, ha circa cinquanta anni ed è anche troppo grasso, mentre il suo avversario ha forse trenta anni e molti chili in meno. Ad un certo punto il “bestemmiatore” cade a terra, sfinito, mentre il suo avversario si avvicina a lui e lo guarda con aria truce. Dopo alcuni secondi gli dice qualcosa che non riesco a capire ed alza la racchetta sopra la testa: sta per dargli il colpo di grazia. Non appena abbassa l'attrezzo sulla testa di Alex mi giro dalla parte opposta, per evitare di vedere. Sento solo Tom che impreca sotto voce e Andy che commenta: “bel colpo!”. Mi alzo, dirigendomi verso il bar. Incrocio il piccolo Nick, che sta nascondendo in una tasca qualche sostanza dopante. Mi dà il cinque e io lo imito. Entro negli spogliatoi e mi siedo ad una panca.

Cerco di non pensare al cattivo odore che emanano dei vestiti attaccati ad un appendi abito e prendo dalla tasca il mio cellulare, componendo il numero di Matilde. E' da tanto che non la sento, sono in astinenza. Forse non vuole neppure più sentirmi, ma io ne ho bisogno. Come un viandante nel deserto in cerca di acqua, allo stesso modo io vago per la solitudine in cerca di Matilde.

- Pronto? - risponde

- Ciao! Come stai? - le chiedo, tentando di non far notare il mio stato di agitazione.

- Bene...tu? -

- Alla grande – mento.

Seguono alcuni secondi di silenzio, in cui siamo troppo imbarazzati per parlare. Pessimo segno: non sappiamo cosa dirci, ormai non ci conosciamo più.

- E insomma...- continuo

- Eh, già...- dice lei, che sicuramente sta perdendo la pazienza.

Pensa, Jack! Pensa! Perché hai questo blocco? Parla! Come hai fatto in tutti questi mesi? Vi siete sempre parlati, perché ora non riesci a dire nulla? Forza, parla!

“Paura, eh?”. Sussulto: la mia voce interiore mi ha colto di sorpresa, non me l'aspettavo. Cosa vuoi? Paura di cosa? “Frank...”, risponde la mia coscienza. Oh, adesso basta! Fatevi gli affari vostri, una volta per tutte. Ora, Jack, parla e basta. Come ai vecchi tempi. Dì qualcosa di interessante!

- Bella giornata, eh? - chiedo. Non così, scemo!

Sento la mia vocina ridere. “Ottima domanda! Così la annoi di sicuro”. Oh, falla finita! Non percepisci la difficoltà che ho nel rivolgerle la parola? Perché non mi lasci stare? Vattene!

- Molto bella, sì – risponde Matilde.

No, non si può andare avanti in questo modo. Il ritmo langue, in un modo o nell'altro va fatto cambiare.

- E' da tanto che non ci si sente...- osservo

- Eh, sì. -

Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. “Eh, sì”?! Mi risponde a monosillabi? Dopo avermi chiamato dieci volte al giorno, decide di sparire e poi se ne esce con un “eh, sì”? No, questo non lo tollero.

Afferro un calzino tutto sporco e me lo infilo in bocca, cercando di non fare uscire quelle parole che le voglio assolutamente dire. Lo stringo forte tra i denti, emanando uno strano sibilo. Dopo una decina di secondi esplodo, senza più alcun freno che mi fermi.

- Senti, piccola bimbetta del c***o – inizio – mi scassi le palle (Wilson, s' intende), poi te ne scompari per mesi con Frank del c**** e non mi consideri più? Chi ti credi di essere? -

Lancio il cellulare contro la parete, con la massima potenza possibile.

Osservo l'oggetto a terra, disseminato in frammenti più grandi e piccoli.

Non c'è molta differenza con il mio cuore.

 

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Capitolo 29
*** (28) ***


Gaio Valerio Catullo studia con estrema perizia il mio nuovo cellulare, esaminandolo con la stessa attenzione di chi ha in mano un ordigno. Lo tiene sul palmo della mano e lo guarda, poi lo capovolge e lo guarda di nuovo. Sembra quasi che abbia paura che di lì a poco possa esplodere.
- Hai finito? - gli chiedo irritato. Lui me lo lancia, facendomi prendere un infarto. L'ho appena comprato, non voglio dover pagare altre centinaia di euro per ricomprarlo.
- Ho lezione con te oggi, giusto? - chiedo.

Lui annuisce, poi si avvia verso la porta e la apre.
- Usciamo – dice.

Perché tutte le lezioni devono essere all'aperto? Hanno così voglia di uscire? Me ne sto tanto bene in casa...

Prendo un giacchetto e lo seguo all'esterno, poi ci incamminiamo verso il centro del paese. Passiamo sotto il campanile e io non posso fare a meno di ricordare quel mattino...scaccio subito quel pensiero. Catullo non fa che guardare ogni ragazza che passa, per poi voltarsi ad osservare il loro “posteriore”. Certe volte fa anche un debole fischio e un'espressione del tipo “non male”. Non ho ancora capito dove mi stia portando, ma forse non lo sa neppure lui. Quando arriviamo ad un semaforo rosso lui si ferma e lo guarda, sussurrando: “Semaforo...se- ma – fo- ro”.
- Che funzione hanno questi semafori? - mi domanda, alla fine
- Per dirigere le macchine e il traffico. -

Catullo annuisce pensieroso, dando un'occhiata alle veloci auto che passano davanti a noi.
- Semaforo...se- ma- fo- ro...- continua a ripetere.

Un'anziana, che sta aspettando il verde come noi, osserva confusa il mio amico, per poi mandare uno sguardo interrogativo verso di me. Io scrollo le spalle, poi attraversiamo.
- Sai, Jack, voglio prendere la patente per la macchina – dichiara deciso Catullo.

Io scoppio dal ridere, immaginandolo alla guida: non sa neppure cosa sia un semaforo, figuriamoci se possa guidare. Lui mi guarda offeso, poi fa un sorrisino.

- Ci riuscirò, vedrai - promette
- Sì, certo...Insomma, cosa mi devi...-
- Aspetta, aspetta – mi interrompe, alzandosi sulla punta dei piedi e lanciando uno sguardo in lontananza.
- Che stai guardando? -

Catullo non mi risponde, ma sorride e poi un filo di saliva comincia a scendergli dal labbro. Probabilmente sta guardando una ragazza, ma non sapevo gli facesse questo effetto. Poi si riprende e ricomincia a camminare.
- Scusami – dice – adoro le belle fanciulle, mi affascinano. Cosa stavi dicendo? -
- Voglio sapere in cosa consista la mia lezione di oggi. -

I passanti non fanno che guardare Catullo: solo ora mi sono ricordato che è vestito con la tunica. Come ho fatto a scordarlo? Ho completamente dimenticato di farlo vestire in modo adeguato.
- Non ti preoccupare di loro – mi rassicura – i vestiti rappresentano solo l'apparenza, non la vera essenza di un uomo. -

Non sapendo a cosa si riferisca, fingo di non aver sentito. Raggiungiamo una piazza e ci sediamo su una panchina, mentre intorno a noi dei ragazzini di circa quattordici anni giocano con una palla.
- Dammi il tuo apparecchio – ordina Catullo, avvicinandomi una mano.
- Cosa dovrei darti? -
- L'apparecchio – risponde, indicandomi il cellulare
- E' un telefono, non un apparecchio -
- Poco importa. -

Valerio (è più conveniente chiamarlo così), prende di nuovo il mio cellulare in mano e torna a guardarlo. Io sbuffo, sperando che non passi tutto il tempo a giocherellarci. Quando faccio per prenderglielo, però, lui me lo allontana e scuote la testa.
- Questo apparecchio vi rende ciechi e sordi -
- Che vuoi dire? -

Mi sistemo meglio sulla sedia: la sua lezione sta per iniziare. Sono curioso di sapere quali siano i suoi preziosi precetti, sono pronto a fare qualunque cosa per dimenticare Matilde. Catullo si schiarisce la gola, poi ricomincia a parlare:
- In queste settimane ho potuto osservare voi uomini del terzo millennio, ho constatato che questo oggetto vi rende estranei alla vita. Quando lo usate non siete più umani, ma macchine. E' come se entraste in un mondo tutto vostro, fatto di solitudine -
- Può essere, ma il cellulare mi consente anche di essere sempre in contatto con i miei amici -
- A proposito di questo – Catullo accende la schermata del telefono e, come se lo avesse da sempre utilizzato, preme diversi tasti. Non so cosa stia facendo, ma la cosa non mi piace per nulla.

- Ecco, ora ho fatto - afferma.

Glielo prendo dalle mani e con terrore mi accorgo che ha cancellato il numero di Matilde, di Tom e Andy, in più mi ha cancellato dal gruppo di Whatsapp con loro. Sono esterrefatto e del tutto spiazzato, perché non mi immaginavo che fosse in grado una cosa del genere. Gli mando uno sguardo gelido, ma lui non si dimostra per nulla pentito.
- Mi ringrazierai per quello che ho fatto, Jack. Te ne dovevi liberare! Non senti l'odore della libertà? Libero! Libero come un uccello, Jack! -

Immagino che debba essere così, ma in questo momento non mi sento libero. Mi sento fuori dal mondo. Come potrò tenermi in contatto con i miei amici adesso? Come potrò contattare Matilde?
- E ora? Se io volessi chiamare Matilde? - gli chiedo, arrabbiato
- Matilde? Non pensare a lei! Sei libero, lo vuoi capire o no? Per un po' di tempo è meglio che te la togli dalla testa. Dobbiamo ricostruirti, non ricordi? Bene, non potremo farlo se tu non ti liberi di lei. Lasciala perdere, tanto non ti avrebbe chiamato comunque. Ha altro a cui pensare ora, non ti chiamerà più per un bel pezzo. Da ora in poi concentrati solo su te stesso. -

Lo ascolto, ma le sue parole non mi convincono. Adesso che non ho più il numero di Matilde mi sento definitivamente abbandonato da lei, mi sento come quando non la conoscevo ancora. Da quando c'è lei mi sono reso conto che prima non avevo mai vissuto, la mia vita è iniziata solo il giorno in cui ho conosciuto Matilde. E ora? Non ho assolutamente intenzione di tornare a prima.
- Valerio, non mi puoi fare questo. Innanzitutto, cosa dico ai miei amici? Vedranno che sono uscito dal loro gruppo di Whatsapp, mi chiederanno spiegazioni. In più hai cancellato il numero di lei...non posso vivere senza di lei...-

Catullo mi fa cenno con una mano di fermarmi, poi si alza e si avvia verso una ragazza. Si ferma davanti a lei, che nota il suo abbigliamento particolare e sorride, le dice qualcosa che non riesco a sentire e poi la bacia con passione. La ragazza inizialmente appare sorpresa, poi si tranquillizza e lo bacia pure lei.

Sono allibito. Cosa le ha detto?
- Scusami, ne avevo bisogno – mi dice, dopo essere tornato
- Cosa le hai detto per baciarla subito, scusa? -
- Ah, non ha importanza. Adesso posso dire di aver baciato una ragazza del terzo millennio, Cicerone mi deve una birra! - esclama felice.
- Dicevamo...- riprende – non sai cosa dire ai tuoi amici? Inventati una scusa, digli che il tuo cellulare funzionava male e ti sei cancellato dal gruppo. Punto. Matilde? Non ci pensare! Prenditi un po' di tempo solo per te stesso! Questo è il primo passo per guarire. Ricordi il termine temporale che ci siamo prefissati? -
- Il ventisei giugno, il mio compleanno – rispondo, annuendo
- Esatto. Entro quella data tu devi essere riuscito ad uscire dal tunnel della depressione, non devi più soffrire per lei. Sarà difficile, ma ce la puoi fare. La sera del ventisei giugno festeggerai il tuo ventesimo compleanno e inviterai pure lei -
- Cosa?! Mi dici di scordarla e poi la dovrei invitare? -

Proprio non capisco: come faccio a dimenticare una persona se poi la invito al mio compleanno? Mi sembra una contraddizione. Catullo mi guarda con la stessa espressione che una madre rivolge al proprio figlio, quando questo dice una sciocchezza.
- Io non ho mai detto che devi scordarla – risponde – ma solo che non devi pensarci per un po' di tempo. Comunque, avremo tempo per questo. Ogni cosa alla fine ti apparirà chiara ed ogni pezzo del puzzle andrà a combaciare. Adesso accompagnami da quella bella fanciulla, ho voglia di un altro bacio. -

Ci alziamo dalla panchina e andiamo verso la ragazza bionda che Catullo ha avvistato. Dopo poche parole, lui la bacia come in precedenza. I due si abbracciano e si avvinghiano tra di loro, continuando a baciarsi.

Mi giro dalla parte opposta, perché in testa non fa che tornarmi Matilde.

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Capitolo 30
*** (29) ***


- Viviamo, mia Lesbia, e amiamo! -

Osservo con perplessità e timore Catullo, che sta sbraitando dal terrazzo della mia sala. Stasera ho la casa libera (i miei genitori sono andati a cenare fuori con mia sorella), quindi ho invitato Cicerone e tutti i suoi amici. Valerio ha bevuto un po' troppo di vino, per questo ora non fa che urlare sul terrazzo e ridere senza motivo. Ha un bicchiere vuoto in mano e si sporge pericolosamente dal balcone. I vicini non fanno che lamentarsi, dicendo di farlo smettere.
- Dammi mille baci, poi altri cento, poi altri mille, poi per la seconda volta cento, poi altri mille ancora, poi cento! - grida Catullo, per poi accasciarsi esausto a terra.

Sono le ventidue e un quarto di una fredda sera di febbraio, ma Catullo è talmente ubriaco da non sentire il gelo.

Non faccio in tempo a trascinarlo in casa che Cicerone, anche lui molto ubriaco, schizza veloce sul balcone e inizia a cantare.
- Sì! - grida – Con ventiquattro mila baci! E con ventiquattro mila baci! Forza! -

Marco inizia a ballare in modo scomposto, quindi decido di riprendere la scena con il mio telefonino. Sto ridendo come un matto e il freddo mi sta passando. I vicini continuano ad urlare, ma io non li ascolto. Quando, però, Cicerone sta per cadere dal terrazzo, sono costretto a a riportarlo dentro insieme agli altri. Sistemo i più ubriachi sul divano, solo Tacito e Alessandro Magno sono ancora sobri. Alessandro si sta massaggiando i muscoli delle braccia e ogni tanto lo sento sussurrare: “come stanno i miei muscoli, eh? Stanno bene? Ma certo! I miei bellissimi muscoli!”, invece Tacito sta leggendo una copia dei suoi “Annales”.

Giusto! Il mio esame! Quasi lo dimenticavo. Mi siedo sul bracciolo della poltrona dove si trova Tacito, che non appena mi vede mi sorride e ripone sul tavolo il libro.
- Non ti volevo disturbare, continua pure – gli dico
-Tranquillo, è troppo noioso da leggere -
- Ma lo hai scritto tu! -

Lui inclina la testa di lato e fa una smorfia. - Non ho detto di aver fatto un capolavoro. -

Sorrido e mi siedo sul tavolino di fronte a lui, in modo da poterlo vedere negli occhi. Voglio assolutamente fare un buon esame e con lui andrei sul sicuro. Nelle ultime settimane non ho più studiato, ero troppo triste per farlo. Ovviamente questa non è una valida giustificazione, ma ogni volta che spostavo gli occhi sul libro le parole scorrevano veloci, troppo veloci perché io le potessi afferrare. Avevo sempre in mente Lei...mi sto rendendo conto di non trovare nemmeno più la forza di nominare il suo nome. Per me ormai si chiama “Lei”.
- Mi devi aiutare – gli dico – ho un esame di latino, devi aiutarmi. E' sugli “Annales”. -

Publio Tacito annuisce, poi alza l'indice destro e si alza in piedi.
- Voi tutti pensate che io sia qui a non fare niente, giusto? -

Lo guardo: probabilmente ha sentito la mia conversazione con Seneca qualche giorno fa, nella quale abbiamo detto che è qui solo per divertirsi. Accidenti! Perché mi metto sempre nei guai?
- Vi sbagliate di grosso – continua – innanzitutto: se io sono qui solo per “divertirmi”, come dite voi, allora non venirmi a chiedere aiuto in latino. Secondo: anche io ho delle lezioni da darti, se è per questo. -

Abbasso la testa, facendogli capire che ho capito il mio errore e ne sono pentito. Sento la sua mano posarsi sulla mia spalla, poi mi dà una pacca affettuosa.
- Scusami, non volevo offenderti. Apprezzo quello che fate per me, davvero – mi scuso
- Fa nulla, ora lasciami aiutarti. -

Tacito mi prende a braccetto e mi porta in giardino. Quando fa per uscire dal cancello mi blocco.
- Toglietemi una curiosità: perché quando volete insegnarmi qualcosa dobbiamo per forza uscire? Comincio a non sopportarlo più -
- Su, andiamo. -

Publio mi prende con forza e mi trascina in strada, poi iniziamo a camminare verso una destinazione imprecisata. Attraverso per l'ennesima volta il centro del paese, finché la mia “guida” non si ferma ad una fermata dell'autobus.
- Pul- man...pul- man – ripete – dobbiamo prendere un pul- man...-

Comincio ad avere paura di quando iniziano a sillabare le parole, hanno un qualcosa di terrificante. Io annuisco, fingendo di capire. Siamo alla fermata dell' autobus che conduce sul lungomare. Non ho neppure un biglietto, un controllore potrebbe farmi una multa.

Osservo il piccolo pullman avvicinarsi a noi e poi fermarsi, mentre le porte si aprono. Chi avrebbe mai detto che il bus fosse così pieno in una sera di febbraio? Io e il mio amico entriamo, mentre gli altri passeggeri lo osservano scioccati. Accidenti, dimentico sempre di vestire i miei nuovi amici in modo appropriato: non fanno che uscire con la toga.

Una bambina di circa sei anni lo scruta con curiosità, mentre lui ricambia lo sguardo. E' terrorizzato dall'autobus e non fa che reggersi ad un palo. Siamo infatti in piedi, poiché il mezzo è del tutto pieno.
- Hai paura? - chiede la bambina

Tacito la guarda con sdegno, ma non riesce a mascherare il suo terrore.
- Paura? Che paura dovrei avere? Bisogna temere solo le cose che possono fare paura, non le altre. E un pul- man non fa certo paura...- risponde, abbassando lo sguardo per non lasciare trapelare la sua agitazione.

Nel frattempo un gruppo di ragazzi seduti sul fondo ridono dello strano abbigliamento di Tacito, mentre io sono sempre più perplesso: se ha così paura di un autobus, perché mi ha chiesto di prenderlo? Non ho risposta, ma d'altronde negli ultimi tempi non ne ho mai avute. Chiudo gli occhi e prego che tutto questo finisca presto.
- E' straniero...- dico poi, cercando di dare una giustificazione ai vestiti del mio amico – è venuto qui da poco e deve ancora ambientarsi. -

I ragazzi annuiscono e sembrano comprendere, ma dopo pochi secondi riprendono a schiamazzare.

Smetto di osservarli e sposto lo sguardo su Tacito: credo sia sul punto di vomitare per la nausea. Prenoto dunque la fermata e dopo pochi minuti scendiamo: sono costretto a sostenerlo sulle spalle perché non si regge in piedi, non fa che tossire e vomitare. Mi guardo intorno: siamo sul viale che conduce al mare, a qualche centinaia di metri dalla spiaggia. Decido di andare verso quella direzione.
- Se il pullman ti fa questo effetto, perché salirci? - gli chiedo.
Lui reprime l'ennesimo conato di vomito e si pulisce la bocca con la manica della tunica.
- Volevo essere all'altezza di un cittadino moderno, ma mi pare impossibile. Ah, una cosa: voglio prendere la patente -
- Cosa?! Sei già il secondo che me lo dice, non capite che non ci riuscirete mai? Che vi è preso? Non dite sciocchezze. -

Lui sorride e ci avviamo verso la spiaggia, dove un forte vento freddo mi fa più volte venire la tentazione di tornare indietro. Ci inoltriamo per le dune, dove Tacito si ferma e si mette a sedere. Lo imito, rischiando di calpestare una cavalletta. Come già accaduto con Cicerone, indietreggio istintivamente per la paura, mentre l'animale salta su di me. Mentre io mi dimeno in modo alquanto imbarazzante, non posso fare a meno di sentire la risata di Tacito, che si sta godendo lo spettacolo. La cavalletta non fa che saltarmi sulla maglia, mentre io do l'impressione di ballare una strana danza tribale. Quando l'animale si allontana finalmente da me, mi getto con fatica a terra. Tacito mi guarda divertito.
- Mi ricordo quando una cavalletta saltò addosso a Traiano, fu esilarante -
- Mi fa piacere. -

Tacito smette all'improvviso di sorridere ed assume un'espressione seria.
- Ora basta divertirsi – esclama – è tempo di istruirti. Jack, ti manca Matilde? -

Traggo un respiro molto profondo, perché questo argomento mi fa male solo a parlarne. Oggi sarà un'altra serata dura, il ricordo non fa che aumentare il dolore. Mi manca Matilde? Suppongo di sì, altrimenti non ne soffrirei.
- Sì, mi manca molto – rispondo
- So che ti manca. Jack, la ami ancora? -

Deglutisco: è da tanto che non sento dire quella parola, “amare”. Forse l'ultima volta che l'ho sentita è anche stata l'ultima volta che ho provato amore: con chi ero quella volta? Con Matilde, ovviamente. La amo ancora? Guardo dentro di me, cercando una risposta alla mia domanda. Nel frattempo un cane corre fra me e Publio, ma io sono concentrato a pensare. Sento solo Tacito imprecare in latino e poi rispondo alla sua difficile domanda.
- Non saprei – dico, dopo essermi svegliato dal mio stato di trance – quello che è certo è che adesso la odio, ma allo stesso tempo...non lo so...non voglio le succeda nulla di brutto nella sua vita. La odio...ma le voglio bene...non lo so! Io non lo so! -

Publio fa un sorriso triste, come se comprendesse la mia situazione. Ma la comprende sul serio? Continuo a dire che chi non passa attraverso qualcosa del genere non può capire.
- Jack, Matilde si è comportata male e non ha scuse per quello che ti ha fatto. Ricordi come ti trattava? Certe volte, come dici tu, il suo “buon giorno” era un pugno nel tuo stomaco. Ti sembra una cosa accettabile? No, non lo è. E' ovvio che rispetto a molti altri problemi della vita questo sia una sciocchezza, ma allora perché tu ne stai così male? Vuol dire che per te, Jack, è stata una catastrofe. E poi nessuno si dovrebbe permettere di fare del male ad un altro essere umano...eccetto forse a quei Cartaginesi, loro sì che erano dei "bastardini"...Comunque, io so benissimo che quello che noi tutti stiamo cercando di insegnarti ti sembrerà contraddittorio.

Al di là del fatto che tu adesso la ami o no, l'hai amata in passato? -

Annuisco.
- Bene, allora non odiarla. Lei ti ha abbandonato, ma tu puoi continuare ad amarla. -

Questa frase risuona dentro la mia testa priva di senso. Come faccio ad odiare una persona che ormai odio?

“Jack!”, mi sussurra la coscienza. “Jack, mi senti?”. Certo che ti sento! Che ci fai ora qui? Cosa vuoi? E' strano che la mia vocina interna si presenti proprio adesso. “Sei sicuro di odiarla? Pensaci bene, perché io non credo che sia così”. Prima ancora di rispondere, la mia coscienza se n'è andata. Cosa avrà voluto dirmi? Pensa che io la ami ancora? Non ha tutti i torti...
- E come faccio? Dimmi come faccio! - domando disperato
- La cosa migliore che adesso puoi fare è non pensare assiduamente a lei, ma farle sapere che per lei ci sarai sempre. L'ultima volta che le hai parlato avete litigato: vuoi che il vostro rapporto finisca così? -
- Se lo meritava – rispondo, senza fare molto caso al fatto che sappia l'ultima volta ci ho litigato
- No, tu non sei così. Tu le vuoi bene. Senti, quello che ti sto chiedendo di fare non è semplice, ma è l'unica cosa che ti può aiutare. Amala ancora, anche se lei per te non c'è più. Tu puoi sempre esserci per lei, perché tu le hai voluto bene veramente. L'amore, Jack, dura per sempre. Sii felice per lei: lei il suo vero amore l' ha trovato. Ripeto: è una cosa difficilissima, ma tu provaci. -

Penso alle sue parole: in fondo so che ha ragione: se ami una persona la ami per sempre. Tuttavia, questo vale anche nel caso in cui la persona di cui sei innamorato prima ti tratta male e poi sparisce? Devo ancora trovare una risposta. Non sono ancora pronto per perdonare Matilde, sono troppo arrabbiato. Ho accumulato mesi e mesi di tristezza e depressione, non sarà facile liberarsene in fretta.

Mi alzo in piedi, accorgendomi di avere le estremità dei pantaloni bagnati. Che mi è successo? Tocco con una mano la parte bagnata e la annuso: sa di urina! Tacito ride, indicandomi un punto dietro di me. Mi giro e vedo un cocker che corre allegramente sulla spiaggia. Capisco immediatamente: il cane mi ha fatto la pipì qualche minuto fa, mentre ragionavo su quanto mi diceva il mio “maestro”.

Ad un certo punto il cane si volta verso di me e, lo potrei giurare, mi fa l'occhiolino.

 

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Capitolo 31
*** (30) ***


- Ora accelera piano. -

Andy gira lo sguardo dubbioso verso di me, poi lo riporta sulla strada. Siamo nella piccola via che circonda lo stadio di calcio del mio paese: è qui che ho deciso di farlo provare a guidare, perché la zona è molto spesso deserta. Sono seduto accanto a Andy, mentre Tom è seduto dietro. Lui ha già provato ed è andato piuttosto bene. Incredibilmente sono l'unico di noi tre ad avere la patente, nonostante il mio terrore iniziale.

Andy preme con paura l'acceleratore e la mia piccola auto inizia a ruggire dolcemente.
- Bravo, ancora un pochino...vai – mormoro, osservando la macchina camminare lentamente

– continua ancora...-

All'improvviso la macchina fa un balzo in avanti e poi si spegne, facendoci balzare in avanti.
- Ecco, non così però...-

Andy batte le mani sul volante con rabbia, mentre Tom scoppia a ridere.
- Cosa non ha funzionato ora, eh? Cosa? - chiede Andy, diventando tutto rosso per la furia.
- Hai lasciato troppo presto la frizione – rispondo – e tu, Tom, non ridere. E' successo pure a te. -

Il mio amico torna serio e consola Andy, che scende dal posto di guida e si va a sedere dietro con lui. Perfetto, questo significa che abbiamo già finito. Scendo e vado al posto di Andy: dovrò riportarli a casa.

Nel mentre che sto per fare retromarcia, però, mi blocco all'improvviso, facendo sussultare i miei amici. Nello specchietto retrovisore, infatti, ho visto apparire Catullo, che per poco non veniva investito. Tom e Andy si voltano indietro per vedere cosa sia successo, mentre io scendo dall'auto, del tutto perplesso.

Catullo sta osservando il veicolo e ripete: “Mac- chi – na...mac – chi – na...”.
- Cosa ci fai tu qui? - chiedo.

Lui mi guarda con fare confuso . - Voglio esercitarmi per la patente, voglio guidare la tua macchina – risponde.

I miei amici scendono e osservano Catullo, che gli rivolge un sorriso in segno di saluto. E adesso? Come spiego loro che sono amico di un uomo vissuto duemila anni fa?
- Bel vestito...- commenta ironico Tom, osservando la tunica
- Grazie – risponde Catullo.
Sono veramente nei guai, non ho il coraggio di dire la verità. Tom e Andy mi credono già pazzo, questo non farebbe che confermare la loro ipotesi. Innanzitutto, però, devo giustificare gli strani vestiti di Catullo.
- Ragazzi – esordisco – vi presento il mio amico..ehm...vi presento Valerio, viene da un Paese molto lontano. -

Catullo fa un inchino e porge con grazia la mano destra ad entrambi, che ricambiano con indecisione.
- Vi chiedo di non ironizzare sul suo abbigliamento – proseguo – fa parte della sua cultura, che è molto differente dalla nostra. -

Tom e Andy si scusano, mentre Catullo sale velocemente in auto. Ora cosa vuole fare? Lo vedo specchiarsi nello specchietto, analizzare ogni dettaglio della macchina, tastare i sedili e girare a proprio piacimento il cambio.

Decido di intervenire, aprendogli lo sportello dal lato di guida
- Scendi – gli ordino

- Non se ne parla – detto questo, richiude lo sportello e finge di manovrare il volante, come se stesse guidando.

Sospiro: sarà difficile fargli cambiare idea. I miei amici tornano di nuovo in macchina e io non posso che fare lo stesso. Mi siedo accanto a Catullo, sapendo già che andrà male: non sa neppure cosa siano i freni, come posso fargli guidare una macchina?
- Allora, Valerio, anche tu sei alle prime armi? - domanda da dietro Tom
- Armi? No no, a sedici anni ho già impugnato la mia prima spada – risponde Catullo.

Tom fa una faccia confusa, così come Andy. Mi porto le mani alla testa e la scuoto lentamente. Non posso farcela, non ci riesco. Non ho la forza di sopportare tutto questo.
- Intendevo: hai mai guidato? - insiste Tom - Sì, una volta ho condotto una biga. -

Sbatto la testa violentemente sul cruscotto, sperando di perdere i sensi. Stavolta i miei amici si guardano di nuovo in faccia, per poi esplodere a ridere.
- Sei strano, ma mi piaci! - esclama Andy, mentre Catullo lo ringrazia.

Mi giro verso di lui e gli do le prime informazioni sull'acceleratore, i freni, la frizione e tutto ciò che serve per guidare. Lui, ovviamente, non capisce niente. Prego mentalmente che tutto vada bene, poi Valerio inizia la sua prima guida.

Non appena la mia auto inizia a muoversi, Catullo comincia a ripetere: “Uh! Uh! Uh! Mi sto muovendo! Uh! Mi muovo!”, mentre i miei amici gli fanno un applauso di incoraggiamento.
- Forza, Valerio! Forza! - gridano.

Catullo ha la bocca aperta e tiene gli occhi fissi sulla strada, ogni tanto gira lo sterzo per evitare dei rami a terra. Onestamente devo dire che pensavo peggio. Stiamo andando a quindici chilometri orari, ma per ora tutto va benissimo. Giriamo tutto intorno lo stadio, mentre al suo interno i riflettori si accendono: probabilmente sta iniziando una partita.
- Cosa sta succedendo lì dentro? - chiede Catullo, notando le luci sul campo
- Non ti preoccupare, sta per iniziare un match. Tu concentrati sulla strada – lo rassicuro.
Lui annuisce e continua a guidare, accelerando di un poco. Sembra davvero felice e io un po' lo invidio: non ricordo più l'ultima volta che sono stato veramente felice. O meglio: la ricordo, ma in quell'occasione ero con Matilde, quindi ormai appartiene al passato.
- Jack, voglio fermarmi. Come devo fare? - mi domanda Valerio.
Guardo davanti: in effetti fa bene a fermarsi, dal momento che ci stiamo avvicinando ad un fosso.
- Schiaccia la frizione e inizia a frenare. -

Catullo si passa la lingua sulle labbra per concentrarsi, poi lo vedo contrarsi per mettere in atto quello che gli ho detto. Vedo i suoi piedi cercare i pedali giusti, poi lentamente la macchina inizia a decelerare.
- Piano, piano..così...- sussurro, vedendo avvicinarsi pericolosamente il fosso – forza, ancora un po'...-

L'auto si ferma proprio sul ciglio del fossato, dopo averci lasciati tutti col fiato sospeso. Tom e Andy applaudiscono di nuovo, mentre Catullo lascia le mani dal volante e si gira verso di loro.
- Grazie mille per il vostro supporto! Siete stati veramente...-

Come già avvenuto con Andy, Valerio lascia istintivamente la frizione e la macchina sobbalza in avanti, trascinandoci nel fosso buio.

 

 

 

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Capitolo 32
*** (31) ***


Osservo una grossa nube temporalesca avvicinarsi e mi chiedo quanto manchi prima che inizi a piovere.

Mi trovo nei soliti campi che circondano il mio paese, in compagnia di Seneca. Gli ho detto di avere molti dubbi e di non riuscire a vedere nessuna via di uscita dallo stato in cui mi trovo. E' una condizione estenuante, perché in ogni momento della giornata non faccio che pensare a Matilde. Ci penso così tanto che la notte la sogno e quando mi sveglio non riesco a capire se sia stato davvero un sogno o se fosse tutto reale. Non c'è medicina per un dolore del genere, eccetto (spero) l'azione del tempo.
- C'è una via di uscita, invece – afferma Seneca, con in bocca un filo d'erba.

Come l'altra volta è sdraiato sul prato, con le braccia dietro la nuca e lo sguardo puntato sul cielo. Una cosa che mi preoccupa è il fatto che senta odore di urina: sicuramente i cani usano questo luogo come un bagno e non ho intenzione di commettere lo stesso errore dell'altra volta. Decido quindi di rimanere in piedi.
- E quale? Io non ne vedo nessuna - chiedo
- E' una via dolorosa, ma esiste. Continua ad amare Matilde -
- Ma come faccio? Come potete sperare che io continui a volerle del bene? -

E' una cosa su cui loro insistono molto, ma io non riesco a comprendere: come posso non odiare Matilde? Come posso non odiarla dopo tutto ciò che ha fatto? Mi ha abbandonato, mi ha usato. Mi ha trattato come il suo cagnolino per mesi, per poi scaricarmi non appena ha trovato un fidanzato. Come posso volere ancora del bene ad una persona del genere? Non ci riesco, va contro di me.
- Se l'hai amata veramente la ami pure adesso, Jack. Cosa ti impedisce di farlo? Frank, forse? Devi essere felice per lei, ora che ha un ragazzo. Le hai sempre voluto bene, no? E allora qual è il problema? Sei solo (giustamente) geloso. Fregatene se ha un fidanzato, che importa? Fregatene anche se lei non ti ha mai voluto bene, ma tu puoi continuare a farlo. Quale credi sia il motivo per cui pensi sempre a lei? Perché sei geloso ed arrabbiato. La soluzione? Vedere tutto questo in positivo: Matilde è felice, punto. Devi essere felice perché lei lo è, non malgrado lei lo sia. -

Sento un dolore al petto: fare come dice Seneca non è per nulla facile, lo sento quasi innaturale. Adesso sono solo arrabbiato con Matilde, non vedo come posso perdonarla.
- E in cosa consiste continuare a volerle del bene? Cosa dovrei fare? - chiedo.

Seneca mi fa cenno di aspettare un attimo, poi si alza di scatto, come se avesse sentito qualcosa. Ad un certo punto si getta per terra, cercando di catturare qualcosa. Comincia a picchiare sul terreno, finché non si ferma e si volta verso di me. Sto per vomitare: Seneca mi mostra orgoglioso una lucertola, poi se la mangia.
- Come dicevi? - chiede, dopo essersi passato la lingua sulle labbra.
- Ti stavo chiedendo in cosa consiste continuare ad amarla...- rispondo, cercando di non vomitare

- Ah, giusto – riprende – per prima cosa devi sistemare le cose fra te e lei: so che l'ultima volta avete litigato. Non va bene, non può finire così. La conosci da due anni e le vuoi troppo bene per finirla in questo modo. Sono convinto che parte del tuo malessere derivi proprio da questo, contattala un' ultima volta e sistema le cose con lei. So che Tacito ti ha detto l'opposto e ha ragione. Tu chiamala quindi un'ultima volta. Poi basta, ricordati: la nostra data fondamentale è il tuo compleanno, entro questo termine tu sarai un uomo nuovo. Tornerai ad essere sicuro nei tuoi mezzi e quando la rivedrai proverai una gioia immensa. -

Perché dovrei invitarla? Che senso ha? Decido di non chiederlo, per evitare altre discussioni. Seneca, però, sembra intuire i miei pensieri.
- So a cosa pensi – dice – in questo istante ti stai chiedendo: “perché invitarla se la devo dimenticare?”. Jack, fidati: fai come ti diciamo, starai meglio. -

Detto questo, il filosofo si alza e comincia a danzare per tutto il campo. E' un ballo che non ho mai visto e mi sembra molto ridicolo. Senza farmi notare, prendo il cellulare e lo riprendo con la telecamera: questo filmato va di sicuro su Facebook.
- Cos'era quella cosa? - gli chiedo dopo che ha finito
- Hai visto? Era la danza per i miei antenati, e poi ho pregato affinché piovesse – mi risponde, indicando il cielo con una mano
- Perché speri che piova? -

Seneca si avvicina a me e mi rivolge un sorriso caloroso.
- La pioggia purifica e tu hai bisogno di una purificazione. Fidati, delle belle cose stanno per accadere -
- Non capisco perché sei così...-
- Delle belle cose stanno per accadere – ripete, allontanandosi.

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Capitolo 33
*** (32) ***


Sto sudando.

Il professore spiega la sua lezione nella classe, mentre tutti i miei colleghi se ne stanno attenti ad ascoltarlo. Alcuni prendono appunti, alcuni si limitano ad ascoltare, altri dormono. Io sto tentando di rimanere attento, ma sto sudando in modo eccessivo. Mi sento la schiena bagnata e le prime gocce di sudore che mi scendono dalla fronte. Non so come si possa sudare a metà febbraio, ma io lo sto facendo. Non credo neppure di emanare un buon odore, per questo mi allontano un pochino dalla ragazza seduta accanto a me.

Manca un quarto d'ora a mezzogiorno, quindi alla fine della lezione. Fortunatamente oggi ho lezioni solamente la mattina, perché non ho voglia di sudare anche nel pomeriggio. Perché queste aule sono così calde? Le finestre sono tutte chiuse, nessuno si preoccupa di aprirle.

Quando scrivo mi accorgo che bagno il foglio: anche le mie mani hanno caldo. La cosa non mi permette di concentrarmi, quindi lascio la penna e mi abbandono sullo schienale, boccheggiando per la calura. Me ne sto così per qualche minuto, osservando le diapositive che l'insegnante ci mostra.

Ad un certo punto afferro la penna di scatto e inizio a scrivere sul quaderno. Inizialmente non mi rendo conto di quello che sto facendo, sento solo un impulso che mi spinge a farlo. I miei occhi vedono solo la mano danzare sul foglio, ma non riescono a visualizzare ciò che scrive. Il sudore nel frattempo aumenta, dandomi l'impressione di essere nel deserto.

Senza smettere di scrivere, con l'altra mano prendo la mia bottiglietta d'acqua dallo zaino e comincio a bere. In pochi secondi trangugio tutto l'acqua, poi getto il contenitore vuoto alle mie spalle, mandando su tutte le furie quelli seduti dietro di me. Non li ascolto, ma continuo a scrivere.

Quando non sento più quello strano impulso, lascio la penna ed ansimo appoggiandomi allo schienale. Mi sembra di aver corso dei chilometri, sono in debito di ossigeno. Solo in questo momento mi accorgo che la ragazza seduta accanto a me mi guarda con terrore, forse perché ho scritto in modo così concitato. Incuriosito, abbasso lo sguardo sul mio quaderno.

Rimango a bocca aperta.

Davanti a me leggo una conversazione tra due persone, con domande e risposte. La calligrafia è la mia, sono stato io a scriverle. E chi altro potrebbe essere? Leggo la prima riga: dice “aiuto...”. Abbasso gli occhi: leggo “dimmi, qualche problema?”.

Proseguo ancora:

“Sì, non riesco a dimenticarmi di lei...non ce la faccio più”

“Capisco. Amala, è la miglior medicina. Non dimenticarla, continua a nutrire affetto per lei”

“Amarla o avere affetto per lei? Quale delle due? Non sono la stessa cosa!”

“Amala, ma in modo diverso. Non essere più dipendente da lei! E poi, ricorda: il ventisei giugno! Jack, ricordalo...il giorno della tua nuova vita. Entro quella data sarai guarito, vivi per quella data. Ricostruisciti, Jack”

“Senti, io sto molto male. Sai cosa significa alzarsi al mattino e averla in testa? Sai cosa vuol dire averla come ultimo pensiero la notte? La devo dimenticare, non ricordare”

“Lo so cosa provi, ma se tu dimostri di averla amata sul serio allora le cose cambieranno, di che hai paura? Cosa hai da perdere? Fidati, non hai nulla da perdere”

“Ci proverò, ma non credo possa funzionare”.

Chiudo il quaderno. Non so se ho scritto altre cose, ma non mi importa. Questo è già abbastanza per me: adesso ho la certezza di essere del tutto impazzito. Mi porto una mano alla schiena, che adesso è più sudata di prima. Poi mi giro verso la ragazza accanto a me e le chiedo:

- Secondo te, se una persona si scrive delle domande su un foglio e si risponde da solo è pazza? -

La ragazza mi guarda un attimo perplessa, poi si decide a rispondere.
- Sì, decisamente. -

In realtà lo sapevo, ma avevo bisogno di una conferma. Mentre mi sto alzando per uscire dall'aula, scivolo su qualcosa e cado per terra. Ho la testa sul pavimento, quindi riesco a vedere quello che mi ha fatto cadere: una grande pozza di sudore. La mia pozza di sudore.

Disgustato, esco dalla stanza.

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Capitolo 34
*** (33) ***


Indosso il mio amato cappellino bianco ed esco dagli spogliatoi.

Mi trovo al mio circolo di tennis, subito prima di fare una partita di allenamento con Tom. Negli ultimi mesi ho giocato poco e male, quindi non nutro molte speranze per oggi. D'altra parte, è anche vero che Tom non mi ha mai battuto.
- Accidenti, ora sì che mi sono svuotato – dice Tom, sbucando dal bagno – mi sembra quasi di aver partorito. -
Il mio amico finisce di sistemarsi i pantaloni e poi usciamo. Sul Campo Centrale (quello più importante) vedo il mio maestro Gabriele giocare la finale di un torneo. E' un torneo a cui io e Tom non possiamo giocare, ma tra un mese il circolo ne organizza un altro in cui invece possiamo competere. Tom non fa che ricordarmelo: il suo obiettivo è vincerlo. Io voglio fare un buon torneo, ma vincerlo mi sembra molto difficile. Nella mia “carriera” tennistica ho perso tre finali su tre: il mio rimpianto più grande è quello di non essermi mai aggiudicato una competizione, ormai il mio treno è passato. Non è che io non ci creda: quando scendo in campo lo faccio per vincere, ma la possibilità di vincere un torneo mi sembra molto remota.

Tom si sofferma ad osservare Gabriele incitare il pubblico: ancora quattro punti e il titolo è suo. Gli spettatori applaudono e gridano il suo nome, percependo il momento importante.
- Quanto vorrei essere al suo posto...- dice Tom con una punta di tristezza – ma devo stare tranquillo, tra un mese il torneo lo giochiamo noi e io voglio affrontarti in finale, Jack! -

Mi giro verso di lui: una finale tra me e lui? Sarebbe bellissimo, ma solo un'utopia. Non siamo così forti da poter giungere in finale, anche se sarebbe stupendo. Vedo Gabriele correre verso le tribune dopo un punto fantastico, mostrare il pugno e spingere il bacino in avanti, tutto questo mentre urla un forte “come on!”, reso quasi inudibile dalle grida del pubblico.

Matchpoint, questo significa che manca un solo punto al mio maestro per vincere il torneo. Osservo il suo avversario alla battuta: è tesissimo, gli tremano le gambe e c'è un lago di sudore ai suoi piedi. Batte il primo servizio, che muore in rete. Guardo Tom, che non fa che sussurrare: “fai un doppio fallo, fai un doppio fallo”, poi riporto gli occhi sul giocatore.

Gabriele è prontissimo a ricevere, mentre il suo avversario batte la seconda palla. Non fa doppio fallo, ma poco importa: Gabriele si avventa sulla spalla e spara un diritto sulla linea, imprendibile. L'avversario non può che guardare la palla, mentre Gabriele si getta a terra e viene circondato dal pubblico del suo circolo. Tom getta le sue racchette in aria e corre ad abbracciare il maestro, che per festeggiare lancia la sua maglietta sudata sul pubblico. Una bambina la raccoglie da terra, la annusa e sviene immediatamente.

Mi chiedo se potrò mai vivere una sensazione del genere...Non intendo quella di svenire dopo aver annusato una maglietta sudata, ma di vincere un torneo. Per tre volte sono arrivato all'ultimo atto, in finale...e per tre volte me ne sono tornato a casa con il trofeo del finalista. No, non ne vincerò mai uno. Sono passati sei anni dalla mia ultima finale e non ricordo neppure il mio ultimo quarto di finale.

Tom torna da me e insieme ci dirigiamo sul campo numero quattro, quello meno importante di tutto il circolo perché siamo i meno importanti di tutto il circolo. Il sole batte forte sulle nostre teste, quindi mi metto il mio amato cappellino ed iniziamo a giocare. Nessuno ci fa da spettatore: tutti sono impegnati a congratularsi con Gabriele, che probabilmente in questo momento starà ricevendo il suo trofeo. Mi chiedo che cosa provi, quali sensazioni susciti vincere un torneo. Per di più, vincere un torneo in casa, nel tuo circolo. Sei anni fa ho giocato la mia penultima finale, a livello under, proprio qui. Ero partito molto bene, ma poi mi feci sopraffare dall'emozione e persi malamente. Nell'ultimo anno sono migliorato molto, ma da quando Matilde mi ha abbandonato il mio livello di gioco è calato drasticamente.

Non a caso il tennis è il mio termometro: se sto bene con me stesso gioco bene, se sto male il mio gioco ne risente.

Tom, dopo diversi minuti che giochiamo, mi chiede di fare una partita. Accetto, perché ho voglia di rimettermi in gioco. Durante il match ho molte occasioni per metterlo in difficoltà, ma per motivi che non conosco oggi non riesco a capitalizzare le mie chances. Tom, invece, fa esattamente quello che deve fare: attacca quando ne ha possibilità, difende quando si trova in difficoltà.

Dopo sessantotto minuti è tutto finito: Tom mi sconfigge per la prima volta, il mio morale scende ancora di più. Non appena il mio ultimo diritto finisce fuori, il mio amico si getta per terra, come se abbia appena vinto Wimbledon. Poi corre per tutto il campo, sventolando la sua maglietta.
- L'ho battuto! L'ho battuto! - urla – tra un mese vincerò il torneo! -

Accidenti, non pensavo che perdere con lui mi bruciasse così tanto. Come ho fatto a perdere oggi? Semplicemente non ha funzionato nulla, i miei colpi non rispondevano alla mia volontà. Tom invece ha giocato bene, ha fatto il suo gioco e giustamente ha vinto. Per fortuna che era solo una partita di allenamento, perché perdere con lui in un torneo ufficiale sarebbe stato un colpo ancor più duro.

Vado alla panchina e ripongo tutta la mia roba nel mio borsone. Voglio pagare l'ora di gioco e andarmene subito via, come se non fosse successo nulla. Voglio dimenticare la brutta prestazione di oggi, me ne voglio tornare a casa a fare una bella doccia. Tom, ovviamente, non fa che parlare della sua vittoria.
- Finalmente ce l'ho fatta, Jack! Hai visto? Te lo avevo detto che prima o poi ti avrei battuto! -
- Sì...complimenti, Tom. -

Non voglio essere insensibile, sono sinceramente contento per lui. Siamo ottimi amici, mi fa piacere che sia così felice. E' che semplicemente non voglio starci a pensare troppo. E' da codardi, lo so, ma è ciò che provo in questo momento. Tom ha giocato bene e devo riconoscerlo.

Andiamo al bar, dove trovo Gabriele con la sua coppa. E' seduto ad un tavolino, la sta baciando e intanto si sta facendo delle foto.
- Gabriele, vorremmo pagare l'ora di gioco – gli dico.

Lui, che non ci aveva visto, sobbalza sulla sedia e fa cascare il trofeo, che per poco non va in mille pezzi.
- Ah, certo...sono otto euro a testa. Chi ha vinto? -
- Io! Dovevi vedere che partita, Gabriele! La mia prima vittoria contro Jack! Che emozione! - risponde prontamente Tom
- Bravo, Tom, ma ti assicuro che non accadrà più. E poi questa non era una competizione...- obietto, con una punta di arroganza che non sapevo di avere
- Ma certo che lo è! - esclama Gabriele, andando a prendere qualcosa in una stanza. Quando torna ha una grossa coppa sfavillante tra le mani. - Tieni, Tom. Questa è per te! -

Gabriele consegna il trofeo al mio amico, che se lo culla tra le braccia. I suoi occhi brillano di lacrime di gioia, mentre si allontana da noi con il suo prezioso riconoscimento.

Ma come? Questa era solo una partita di allenamento! Esco dal bar, andando incontro a Tom.
- Ma cosa pensi...-

Degli scoppi mi interrompono, mentre vedo in cielo dei fuochi d'artificio.
- Facciamo i complimenti a Tom! - irrompe da non so dove una voce altisonante e misteriosa – che oggi ha sconfitto Jack in un match favoloso! -

Tom piange per la gioia, poi alza il trofeo in alto, mentre i fuochi d'artificio si fanno più forti e rumorosi. Ad un certo punto scendono anche dei coriandoli, mentre Tom è sempre più emozionato e non fa che baciare il suo trofeo.

Questo è davvero il colmo, sto morendo di invidia. Era solo una partita di allenamento, non di torneo.

Prendo le chiavi della mia auto e mi avvio al parcheggio. Mi sono sbagliato in tutti questi mesi, c'è ancora qualcosa che devo fare. Forse la mia vita è davvero inutile, ma io devo ancora fare delle cose. Innanzitutto, devo vendicarmi con Tom: la prossima volta vincerò, me lo prometto mentalmente.

Secondo: devo vincere un torneo.

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Capitolo 35
*** (34) ***


Mostro le mie annotazioni a Seneca, che le osserva attentamente.

Avevo assolutamente il bisogno di far leggere a qualcuno ciò che ho scritto pochi giorni fa all'università, quella serie di riflessioni con me stesso. Ho bisogno di sentirmi dire che non sono pazzo. Seneca le legge, studiando ogni singola parola.

Ci troviamo ad un tavolo del mio circolo di tennis: stavolta Seneca ha lasciato a me la scelta del luogo in cui tenere la sua lezione. Non c'è posto migliore di questo, che considero come la mia seconda residenza.
- Dunque? Che ne pensi? - chiedo, impaziente di sentire il suo giudizio.

Seneca resta per qualche secondo impassibile, continuando a leggere. Dopo un paio di minuti ripone il quaderno sul tavolo e mi sorride.
- Delle belle cose stanno per accadere -
- Lo hai già detto qualche giorno fa...-
- Perché è così. -

Si porta avanti sulla sedia e si avvicina a me, mostrandomi le mie annotazioni.
- Non vedi? - mi domanda, battendo l'indice sul quaderno – la tua mente sta mettendo in pratica quello che noi ti abbiamo detto di fare fino ad ora: amare. Tu devi continuare a voler bene a Matilde, non devi odiarla. Hai scritto proprio questo. -

Riflettendo su quello che mi dice, mi rendo conto che forse non ha tutti i torti. Fino a ieri neppure sapevo come continuare ad amare una persona che ti fa del male, adesso comincio a capire. Non ho avuto un'illuminazione, ma credo di essermi incamminato sulla via giusta.
- Tu dici che sono sulla via della guarigione? Davvero credi che questo sia un segnale positivo? -
Ho bisogno di un incoraggiamento, di uno stimolo. Per mesi non ho più vissuto, non ho più avuto una vita. Anche il solo sentirmi dire che sono sulla giusta strada mi farebbe sentire meglio. E' quello che mi serve.
- Sì, Jack. Il percorso che ti sta davanti è lungo, ma tu non devi preoccuparti di questo. Devi solo percorrerlo tutto, non importa quanto tempo sia necessario. Fino ad adesso non hai fatto che brancolare nel buio, incapace di comprendere i nostri consigli. Adesso sei arrivato ad un punto di svolta, quello che hai scritto lo hai fatto in un momento di trance, un momento in cui hai parlato con te stesso. E cosa ti sei detto? Di non arrenderti, di continuare ad amare. Combatti, non abbatterti. Sei sulla via della guarigione. -

Annuisco deciso: sì, le cose devono cambiare. Per settimane sono stato un vegetale, privo di una vita e soprattutto di sentimenti. Non ho avuto stimoli, non ho avuto desideri. Improvvisamente torno a sentire un fuoco ardere dentro di me, una sensazione che non provavo da molto tempo. Per la prima volta ieri, inoltre, sono tornato anche ad avere un obiettivo nel tennis: vendicarmi su Tom. L'ho sempre battuto, le cose devono tornare come prima. Anche con Matilde le cose devono cambiare.

Quindi, prima di tutto devo sistemare le cose con lei. Non voglio che la nostra ultima discussione sia stato un litigio. La prossima volta che la vedrò sarà al mio compleanno e non voglio che ci sia della tensione tra noi due. Desidero che le cose si siano sistemate.

Alzo lo sguardo su Seneca: sembra che abbia compreso i miei pensieri, perché sta sorridendo.
- Mi serve un telefono – dico - devo parlare con Matilde. -

Lui mi rivolge uno sguardo fiero, poi si alza e si avvia al bar.
- Te lo porto io – mi assicura.

Mi appoggio allo schienale della sedia: da ora in poi le cose cambieranno. Me lo prometto mentalmente. Non dovrò più avere costantemente in testa il pensiero di Matilde. Lei ha fatto la sua scelta, no? Ha deciso di non rispettare la nostra promessa, ha deciso di non essere più parte della mia vita. Chi impedisce a me, invece, di continuare a farlo? Frank? No. Lui potrà anche avere Matilde, ma non mi impedirà di continuare a volerle del bene.

Basta piangersi addosso, Jack. E' ora di cambiare.
- Datemelo o vi uccido! -

Un urlo proveniente dal bar interrompe i miei pensieri. Mi giro e vedo Seneca, di spalle, puntare una lancia (da dove l'ha presa?) contro alcuni signori seduti a giocare a carte. Uno di loro estrae una racchetta da una fodera per difendersi, ma viene prontamente disarmato da un fendente di Seneca. Un altro, invece, prende qualcosa da una tasca. Noto che la sua mano sta tremando, poi consegna l'oggetto a Seneca, che torna felice da me. Posa l'oggetto sul tavolo: è un cellulare.
- Preso! Ora fa' quello che devi fare – mi dice con fierezza.

Torno ad osservare gli uomini che giocavano a carte: uno di loro sta chiamando la polizia, l'altro si sta nascondendo sotto il tavolino.
- Lucio, ma cosa hai combinato? - chiedo, alzandomi di scatto.

Lui mi guarda con sorpresa.
- Mi hai chiesto un cellulare e te l'ho trovato...non vedo cosa...-
- In che modo lo hai chiesto? -

Lui scoppia a ridere, ride così tanto che è costretto a portarsi una mano al petto per il dolore. Poi si accascia sul tavolino, sempre ridendo. Poco dopo si getta a terra, contorcendosi dalle risate. Le persone al bar guardano curiose, mentre io sento alcune sirene in lontananza.
- In che modo l'ho chiesto? Io sono Lucio Anneo Seneca, non ho bisogno di chiedere! Io ordino! - esclama il mio amico, ricominciando a ridere. Prendo velocemente il cellulare e trascino Seneca all'uscita del circolo, aspettando l'arrivo delle volanti della polizia.

Lucio non si regge in piedi, sembra ubriaco. Non fa che ridere ed è tutto rosso, in più perde copiosamente saliva. Non so neppure se stia bene o no.

Una macchina della polizia si ferma davanti a noi, poi una portiera si apre e ne esce un poliziotto con gli occhiali da sole, con un portamento fiero ed orgoglioso. Non posso fare a meno di riconoscerlo ...
- Angelus! - grido, riconoscendo il padre di Andy. Lui mi fa un occhiolino e mi mostra i pollici della mano, sorridendo. Mi ricorda molto Fonzie.
- Ci hanno chiamato dicendo che un pazzo ha minacciato di infilzare con una lancia delle persone...sarebbe lui? - chiede, indicando con un'occhiata veloce Seneca.

Annuisco, tentando di fare stare in piedi Lucio.
- Esatto, ha avuto un momento di crisi. Sai, non è di qui...viene da molto lontano e deve ancora abituarsi agli standard di questo luogo...-

Angelus osserva Seneca, che ancora non ha smesso di ridere. Mi chiedo che cosa possa pensare...che è matto, sicuramente. Non gli do torto, è ciò che penso pure io.
- Come si chiama, signore? - domanda Angelus con voce autoritaria.

Lucio smette per un secondo di ridere e osserva il suo interlocutore.
- Come mi chiamo, figliolo? Non te l'hanno insegnata la storia a scuola? Mi chiamo Lucio Anneo Se...-
- Lucio Anneo! - lo interrompo – Si chiama Lucio Anneo, è un nome spagnolo. -

Angelus sposta lo sguardo su di me, probabilmente chiedendosi il motivo della mia intromissione. Poi scrolla le spalle e ammanetta Seneca, che tenta di ribellarsi.
- Spagnolo, eh? Ora ti porto in caserma, chico. Dovrai spiegare un po' di cose. -

Seneca urla, tirando calci a vuoto. Angelus li evita tutti e lo conduce senza difficoltà nella volante, poi richiude con forza lo sportello.
- Non ti preoccupare – mi dice prima di risalire – questo vecchio spagnolo ubriacone se la caverà con molto poco. Hasta pronto! -

Angelus mi mostra nuovamente il gesto “alla Fonzie” e torna in macchina, poi l'auto parte e si allontana veloce da me.

 

 

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Capitolo 36
*** (35) ***


Mentre mi dirigo all'autoscuola, rifletto su ciò che mi ha detto Seneca. Possibile che io stia guarendo? Sì, forse stavolta sì. Non so perché, ma all'improvviso ho la sensazione di potercela fare. Adesso posso sconfiggere il ricordo di Matilde. No, non si parla di “sconfiggere”. Cosa ho imparato? Che non devo dimenticarla, ma mantenerla nel mio cuore. Lei adesso è solo per Frank, ma io posso ancora esserci per lei. Sì, ce la posso fare. E' come una partita di tennis, non devo mollare.
- Dunque in questo luogo ti insegnano a guidare? -

Ah, già. Mi ero dimenticato che con me ci sono Tacito e Catullo. Hanno insistito con questa storia della patente e io non ho potuto che accontentarli, ma questa volta non sarò io a farli provare a guidare. Oggi andiamo all'autoscuola, così non faranno danni...spero.
- Sì, Valerio – rispondo a Catullo.

Lui si gira entusiasmato verso Tacito, che ricambia con la stessa espressione.

Entriamo nella motorizzazione, mentre i miei amici non fanno che guardarsi intorno. Alla scrivania trovo la signora Giulia, che ha insegnato a me a guidare. Ci salutiamo con calore, mentre le presento gli altri.
- Ti presento...ehm...Gaio Valerio e...Publio Cornelio...- le dico, facendo avvicinare i due uomini a lei.
Catullo e Tacito, infatti, si mostrano molto timidi ed insicuri. Spero solo che non mi facciano fare delle figuracce.
- Che bei nomi! - esclama la donna – da dove venite? -

Tacito si schiarisce la gola e gonfia il petto, come se stesse per dire una cosa molto importante.
- Da dove veniamo, chiede? Come può dubitarne? Non vede la nostra magnificenza, non riconosce la nostra virtù? Noi proveniamo da quell'orgoglioso impero di...-
- Di Spagna! - intervengo – sì...dall'impero di Spagna...-

Tacito e Catullo mi guardano, poi annuiscono con decisione. Forse hanno intuito che ciò che stavano per dire non era molto conveniente.
- Pensavo che in Spagna ci fosse la monarchia...- dice la donna, dubbiosa – ma probabilmente mi sbaglio! Bene, firmate qui e possiamo iniziare. -

Sospiro di sollievo, poi mi sposto per lasciare che i due uomini firmino alcuni fogli. Non stanno più nella pelle per la gioia, sembrano due bambini ad un Luna Park.
- Chi vuole iniziare per primo? - domanda la donna.

I miei amici si indicano a vicenda, ma alla fine l'insistenza della signora costringe Tacito a cedere.
- D'accordo...andrò io...-

Saliamo sulla macchina della motorizzazione, Tacito al posto di guida affiancato dalla donna, io e Catullo nei sedili posteriori. Giulia chiede a Tacito (che si guarda attorno come un pesce fuor d'acqua) se ha mai guidato prima, lui fa cenno di no con la testa.
- Bene, allora sarà ancora più bello! - esclama la signora Giulia – Adesso schiaccia fino in fondo la frizione, accendi la macchina e poi dai una leggera accelerata. -

Tacito rivolge una veloce occhiata verso di me dallo specchietto retrovisore, dalla quale percepisco che è spaventato a morte. Gli annuisco, cercando di incoraggiarlo. Tacito sorride debolmente e poi fa come gli è stato detto. L'auto fa un balzo in avanti, poi si ferma.
- Va bene, prova di nuovo – suggerisce con delicatezza Giulia.

Tacito obbedisce e stavolta la macchina percorre una decina di metri, per poi fermarsi.

Catullo esulta alle mia spalle, orgoglioso del suo amico.
- Non ci posso credere! Ho guidato! Jack, io stavo guidando! - grida di felicità Tacito, dandomi una pacca sulle ginocchia da davanti. - Molto bene, adesso prova a immetterti nel traffico e andiamo a fare un giro – dice Giulia.

Tacito dà un'occhiata allo specchietto laterale, mette la freccia e parte. Non va molto veloce, ma almeno stavolta la macchina non si ferma. Percorriamo l'ampio viale che conduce fino al mare, dove Giulia fa scendere Tacito e fa invece salire al posto di guida Catullo.
- Hai visto? Non hai visto quando ho lasciato attraversare quell'anziano? E quando ho fatto la rotonda? E quando mi sono fermato perché il semaforo era rosso? - mi chiede con entusiasmo Publio, sedendosi accanto a me - fantastico...-

Catullo si siede tremante al posto di guida, poi guarda con terrore Giulia, che gli sorride per incoraggiarlo.
- Forza, fai come ha fatto il tuo amico. Frizione e acceleratore. -

Valerio osserva i pedali, poi mormora qualcosa tra sé e sé e scuote la testa. Ad un certo punto chiude gli occhi, batte le mani ed esclama:
- Portami fino a casa! -

Catullo si guarda attorno, rimanendo deluso perché l'auto non si è mossa di un centimetro. Tutti noi lo guardiamo perplessi, indecisi su cosa dire.
- Ah, io ho capito! - dichiara Giulia – Era uno scherzo, giusto? Sei troppo divertente! -

La donna inizia a ridere, mentre io e Tacito la imitiamo, sebbene sappiamo con certezza che Valerio non stesse scherzando. Come ho già fatto con Tacito, guardo Catullo nello specchietto retrovisore e cerco di infondergli un po' di fiducia.

Valerio schiaccia con incertezza l'acceleratore, facendo muovere la macchina in avanti. Incoraggiato, spinge ancora di più e rapidamente acquistiamo velocità. Giulia annuisce compiaciuta.
- Bene, te lo avevo detto che non era difficile. -

Catullo, però, accelera ancora di più e improvvisamente ci ritroviamo a sessanta cinque chilometri orari in una strada urbana, con noi tre urliamo di andare più piano.
- Non posso! - grida Valerio – prima voglio fare uno strike di pedoni, credo valga mille punti! -

Con terrore ci rendiamo conto che il nostro pazzo guidatore sta effettivamente puntando una coppia di persone che stanno attraversando la strada. Urliamo ancora più forte, mentre Tacito si rannicchia contro di me per la paura.

L'auto si avvicina sempre di più ai due pedoni, che guardano impotenti il mezzo venirgli incontro. - Valerio! - grido, in un ultimo disperato tentativo.

Catullo non mi risponde, ispirato da chi sa quale demone.

Quando ormai siamo ad una quindicina di metri dalle due persone, chiudo gli occhi per non guardare.

E' adesso che sento un paio di spari e la nostra auto deviare all'improvviso, andando a a sbattere contro un albero.

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Capitolo 37
*** (36) ***


La prima persona che vedo dopo l'incidente è Angelus, ma riesco a mettere a fuoco solo il suo viso. Tutto il resto del suo corpo è come avvolto in una nebbiolina bianca, che mi impedisce di vedere chiaramente. Intravedo che Angelus mi sta parlando, ma le sue parole rimbombano nella mia testa e non le riesco a sentire. Che sta dicendo?
- Jack! -

Improvvisamente la sua voce si fa comprensibile, forse anche troppo. Mi sembra di provare dolore al solo udire una parola. Le orecchie mi vibrano ad ogni sillaba che sento.
- Jack! - insiste
- Parla più piano! - esclamo, tappandomi le orecchie.

Mi guardo intorno, cercando di allontanare quella nebbiolina fastidiosa. Mano a mano che questa svanisce capisco di essere disteso su un letto di ospedale, circondato da strani macchinari e fili che si avvolgono intorno alle mie braccia.
- Cosa...come...- balbetto, non ricordando cosa sia successo
- Scusami, Jack. Sono felice che tu ti sia svegliato, ma non ti agitare. E' tutto a posto adesso. -

Sono ancora piuttosto scosso, perché proprio non riesco a ricordare cosa mi sia successo. E' una sensazione orrenda, di impotenza.

- Hai avuto un incidente – spiega Angelus con calma – eri con due tuoi amici e una signora della motorizzazione. Tranquillo, se la caveranno tutti quanti. -

Improvvisamente ricordo tutto: Tacito, Catullo, Giulia...eravamo andati a fare la prima prova di guida. Giusto! Catullo voleva investire due persone...

Faccio per alzarmi, ma Angelus mi blocca.
- Non ci pensare neanche, tu resti qui -
- Sto benissimo, non ho bisogno di essere qua. -

Mi alzo, ma non appena tocco il pavimento mi vengono le vertigini e vomito per terra. Angelus fa una faccia disgustata e va a chiamare qualcuno, mentre io me ne ritorno sul letto. Forse aveva ragione, meglio restarmene ancora qui per un pochino.

Ne approfitto per guardare di nuovo l'ambiente che mi circonda: solo adesso scopro che accanto a me c'è un altro letto, sul quale è sdraiata una bambina. Sta dormendo e non sembra essersi accorta che ho vomitato. Meno male, non è un bello spettacolo. Accanto al mio letto ci sono due sedie: in una era seduto Angelus, l'altra è vuota.

Una donna entra nella stanza e getta lo sguardo sul pavimento, poi lo sposta su di me.
- Non ti preoccupare, caro. Adesso pulisco tutto io, tu riposati e basta. -

Mi scuso e la ringrazio, poi mi giro di fianco per schiacciare un pisolino. E' in questo momento che mi sembra di sentire la donna mormorare: “Pulisco sempre io, perché tanto io sono la schiava dell'ospedale...”
- Prego? - chiedo – Ha detto qualcosa? -

La donna, intenta a pulire con una scopa, alza gli occhi su di me.
- Oh, no, caro. Tu riposati, tranquillo. –

Scrollo le spalle e torno a riposare, facendo attenzione ad appoggiare la testa dolorante sul cuscino.
- Riposati pure, tanto la tua schiavetta mi tocca esserla sempre io...- sento di nuovo sussurrare
- Qualche problema? - domando, leggermente frustrato
- No, tesoro! Tranquillo, non è successo nulla. Capita di vomitare in queste situazioni, riposati e basta. -

La donna mi passa la mano con dolcezza sul mento, poi riprende a pulire. Convinto di essermi di nuovo sbagliato, mi giro nuovamente nell'altro verso. Ci vuole un po' prima che mi addormenti, ma poi finalmente mi lascio trasportare nelle braccia di Morfeo.

 

E' una leggera pressione sulla testa che mi fa svegliare. Sbattendo velocemente gli occhi, ancora mezzo addormentato, trovo il viso della bambina che avevo visto prima scrutarmi con i suoi bei occhi marroni. La bambina, forse sorpresa che io mi sia svegliato, si allontana da me e e torna nel suo letto.
- Ciao- la saluto
- Che hai fatto in testa? - mi domanda subito.

Mi tocco sul capo: solo ora scopro una ferita, proprio dietro la testa. Forse la bambina me la stava toccando.
- Ah...un mio amico (che è parecchio stupido) stava guidando e ha preso in pieno un albero. -

La bambina ride nel sentirmi dire che il mio amico è uno stupido, quindi ritorna vicino a me e si siede sul mio letto. Non fa che guardarmi, come per accertarsi che stia bene.
- E tu? Come mai sei qui? - le chiedo
- Ho visto un auto che stava per investire due persone sulle strisce pedonali, io mi trovavo sull'altro lato della strada ma sono stata colpita da alcune schegge...-

Con profondo terrore realizzo che si sta riferendo proprio all'incidente causato da Catullo. Quell'idiota! Ha quasi rischiato di uccidere una bambina! Non so se dirle la verità oppure no, fingendo di non saperne nulla. La bambina, nel frattempo, mi mostra una ferita sul braccio.
- Mi fa male...- dice a voce bassa – ma non voglio tornarmene a letto -
- Come mai? -
- Perché io gioco a pallavolo e tra due giorni ho un torneo importante, voglio che le mia compagne di squadra vedano che sto bene. -

Accidenti, anche io ho un torneo! E per di più nel circolo di casa! Mancano ormai cinque settimane, devo riprendermi subito. Non voglio saltarlo, è la prima occasione che ho di dimostrare a tutti che mi sto riscattando da Matilde. Voglio far vedere che io reagisco, che sono ancora vivo. Posso ancora riprendermi, lo so. La piccola iniezione di fiducia che ho avuto negli ultimi giorni non deve esaurirsi proprio adesso.
- Pensi che potrò giocare? -

Riporto l'attenzione sulla bambina, che ha un'aria abbattuta e triste. Forse teme di non poter più giocare. Mi fa tantissima dolcezza...mi ricorda la piccola Sophie.
- Oh, ma certo che ce la farai! -

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Capitolo 38
*** (37) ***


Quello che mi sveglia è una serie di risate.

Credo di essermi addormentato per qualche ora dopo aver parlato con la bambina, ma adesso quelle risate mi hanno fatto svegliare.

Guardandomi intorno mi rendo conto che la bimba sta dormendo e nessun altro si trova nella stanza: gli schiamazzi provengono quindi dal corridoio. All' improvviso il suono delle risate si fa più vicino ed un uomo si affaccia alla mia stanza.

Ha circa 55 anni, anche se gli vedo solo il viso.
- Sei tu Jack? - mi chiede
- Sì. -

L'uomo entra e subito capisco il motivo per cui le persone ridevano: è vestito con una lunga toga bianca. Oh, no...ora chi sarà questo? Roteo gli occhi, incapace di sopportare un altro individuo di duemila anni fa.
- Molto piacere, io sono Quinto Orazio Flacco. –

Senza neppure pensare a cosa mi ha detto gli porgo la mia mano, mentre mi risistemo il cuscino per continuare a dormire. Con la coda dell'occhio, però, riesco a vedere che l'uomo non se ne va. Anzi, adesso mi fissa. Richiudo gli occhi, per cercare di fargli capire che non ho voglia di discussioni.

E' ovviamente tutto inutile.
- Ho capito...- mi arrendo, sedendomi sul materasso – cosa vuole da me? -

Orazio (mi pare si sia presentato così), si volta indietro.
- “Lei” chi? - domanda
- Per “lei” intendo proprio lei – rispondo, indicandolo.

Orazio continua a girarsi intorno, sembra una girandola impazzita. Non ci vuole un genio per capire che anche lui si è trovato catapultato in un' altra epoca.

Ricordo il mio incontro con Cicerone: ebbe la stessa reazione. Gli faccio quindi segno di accomodarsi sulla sedia accanto al letto e lui obbedisce subito.
- Sono contento che tu abbia capito chi sono, Jack. Mi ha detto Catullo...-
- Shh! - lo interrompo, portandomi l'indice sulla bocca. Quindi gli mostro la bambina che dorme beatamente. - Non svegliarla.-

Orazio mostra di aver capito e abbassa la voce.
- Dicevo...- riprende – mi ha chiamato Catullo, dicendo ciò che è successo. Sono felice che stiate tutti bene, ma devo dirti che sulle nostre bighe non c'erano di questi problemi -
- Ah...grazie del pensiero. Ma come facevate sulle bighe? -

Orazio si alza di scatto ed una luce comincia a brillargli negli occhi, come se aspettasse da tempo una domanda del genere. Inizia a girare per la stanza, osservandomi con uno sguardo orgoglioso.
- Ah, le bighe! Per quelle non c'era bisogno di una patente! Ci si saliva e via! Ricordo una volta in cui...-
- Sì, sì...ora basta. -

Torno a sdraiarmi, obbligandolo a interrompere il suo racconto.

Sento che lui torna a sedersi sulla sedia e prendere qualche foglio. Quando mi giro vedo che in mano non ha dei semplici fogli, ma dei papiri ingialliti. Li prende da una qualche tasca sotto la tunica, sembrano non finire mai.
- E quelli che cosa sono? - chiedo, abbandonando definitivamente l'idea di dormire.

Orazio mi sorride, poi riprende a estrarre papiri dalla toga.
- Oh, queste? - domanda, mostrando un papiro – Queste sono le mie “Cantica”, ma credo voi le conosciate col nome di “Odi” -
- Ah...fantastico – dico, ben poco emozionato.

Orazio, dal canto suo, continua a prendere papiri su papiri e li colloca sul pavimento uno sull'altro, creando una pila piuttosto alta. Osservo la colonna di fogli alzarsi sempre di più, fino a quando Orazio si alza in piedi e la guarda, felice.
- Proprio un ottimo lavoro – mormora
- Sì...dimmi una cosa: come mai sei qui? Chi ti ha mandato? -

L'uomo sposta la sua attenzione dai papiri su di me, mentre io comincio ad essere molto confuso.
- Hai avuto un incidente – spiega – Catullo ha perso il controllo dell'auto e stavate per colpire due pedoni, se non fosse stato per Angelus che si trovava lì in quel momento e ha sparato alle ruote del vostro mezzo, facendovi prendere un albero. -

Solo adesso ricordo di aver sentito due spari, ma in quel momento ovviamente non ci avevo fatto caso. Dunque si può dire che il padre di Andy ha salvato la vita a quelle due persone e alla bambina...che uomo!. Il mio rispetto per Angelus sta crescendo.
- Catullo e Tacito come stanno? - domando
- Ce la faranno, ma per qualche giorno resteranno qui -
- Capisco. Invece io? Ho le vertigini e la nausea, ma non mi pare di avere nulla di grave. -

Orazio guarda velocemente intorno a se e poi si avvicina, assicurandosi che nessuno lo possa sentire. - Infatti adesso ti porterò fuori da qui, anche se i medici vogliono che tu faccia degli accertamenti. -

Da una parte sono contento, perché voglio prepararmi per il torneo di tennis; dall'altra un po' dubbioso, perché non voglio svenire durante la mia fuga. Inoltre, elemento più importante: come diamine posso scappare?
- So a cosa stai pensando – dichiara Orazio – tranquillo, ho già in mente come uscirai da qui. -

Lo guardo con paura, perché non ho idea di cosa stia pensando.

 

 

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Capitolo 39
*** (38) ***


Guardo la mia immagine riflessa nello specchio di fronte a me.

Wow, sembro davvero un dottore. Orazio mi ha portato di nascosto in un magazzino, dove ho potuto vestirmi usando i vestiti di un medico. In poche parole ho rubato e non ne vado fiero.

- Mi ricordi molto il pontifex maximus, sei favoloso – mormora Orazio, guardandomi

- Grazie...credo-

Cercando di attirare meno attenzione possibile (cosa molto difficile, visto l'abbigliamento del mio accompagnatore), cerchiamo un'uscita. Camminando tra i vari corridoi, mi godo i miei pochi minuti in cui sono un dottore. Il camice bianco mi dona, anche se io non ho mai pensato di fare medicina. La vista del sangue, infatti, non la potrei sopportare.

- Buon giorno, dottore! - mi saluta un' infermiera

- Buon giorno anche a lei! - rispondo

- Ave! - saluta anche Orazio.

Dopo dieci minuti che percorriamo i corridoi dell' ospedale comincio a pensare che Orazio abbia perso la via per l'uscita.

- Ehm...ci siamo forse persi? - domando

- No, no – mi risponde, avvicinandosi ad una parete per far passare una barella. - So benissimo dove siamo. -

Sempre più dubbioso, continuo a seguirlo. Intanto mi chiedo come stiano Catullo e Tacito, ma penso anche a Seneca, che è ancora in caserma. Avrò molte cose da sistemare al mio ritorno...

All'improvviso un'altra infermiera corre verso di me, sembra molto agitata.

- Dottore, presto! Un'emergenza! -

Colto dal terrore, faccio per scappare ma la donna mi blocca.

- Ma dove sta andando? La sala chirurgica è da questa parte. -

La donna mi trascina indietro, allontanandomi sempre di più dall'uscita. Orazio mi guarda impotente, poi corre verso di noi.

- Signorina, un altro dottore è già stato chiamato e non credo che...-

- Impossibile! Solo il dottor Rossi può operare in questi casi. -

Con mia grande frustrazione, sono costretto a seguire l'infermiera. Ogni tanto mi volto per guardare dove sia Orazio, ma alla terza volta che mi giro lui è sparito. Dove sarà andato? Non mi avrà lasciato qui, spero. Comincio anche a sudare per la tensione, perché la donna mi sta portando in una sala chirurgica. Non sopporto la vista del sangue...In più, sento ancora un po' di nausea.

- Venga, dottore. -

L'infermiera mi fa entrare in una stanza in fretta in furia, dove trovo altri tre uomini con una mascherina e il camice.

- Dottor Rossi, è un piacere conoscerla. Purtroppo, però, non abbiamo tempo per le formalità...-

Uno di loro mi si presenta, mostrandomi la scena raccapricciante che gli si presenta davanti. Un uomo, di circa quaranta anni, è sdraiato su un letto ed è completamente coperto di sangue sul petto. Rimango pietrificato sulla soglia, incapace di muovermi. Gli altri tre uomini non fanno che prendere oggetti metallici da una scatola e porli velocemente ai lati del letto. L'infermiera di prima, invece, mi mostra un fascicolo di fogli.

- Colpo di arma da fuoco all'addome – spiega, lasciandomi i fogli in mano. - Il proiettile è ancora dentro, dobbiamo estrarlo subito. -

Quelle parole mi entrano in un orecchio e mi escono dall'altro, incredulo di quello che sta avvenendo. Il cuore aumenta i battiti, il respiro mi diventa più affannato e sudo.

- Eh? - riesco solo a dire.

- Dottore, si avvicini! - esclama un altro uomo da sotto la mascherina.

Io obbedisco e l'infermiera ne porge una anche a me, la guardo con titubanza e poi la indosso. Non vorrei vedermi allo specchio in questo momento, credo di essere decisamente rosso. Torno a guardare l'uomo sul letto: è messo malino. Un altro tizio mi porge un bisturi.

- A lei, dottore. -

Annuisco e prendo l'oggetto in mano, poi resto a guardare il povero uomo sofferente. Accidenti, meno male che non è cosciente...Immobile, non mi muovo da questa posizione. Mi sembra di essere in un film: sto solo aspettando che i medici lo curino.

- Dottore...qualche problema? -

Alzo lo sguardo sull'uomo accanto a me, che ha uno strano oggetto in mano. Non so cosa voglia farci, ma non credo sia piacevole.

- Dottore, presto! - mi esorta un altro.

Li guardo tutti e tre, ancora shoccato. La mia bocca è impastata e mi pare di svenire da un momento all'altro. Mi sembra di essere pesantissimo...mi sento crollare. Ad un certo punto comincio a vedere degli strani bagliori attorno a me e, capendo di essere sul punto di svenire davvero, decido di togliermi da quella situazione difficile.

- Signori, io devo andare al bagno. -

Detto questo, mi giro di scatto e scappo. Corro, corro il più velocemente possibile. Non mi importa se di tanto in tanto sbatto con qualcuno con un camice bianco o contro le pareti altrettanto bianche, corro finché non trovo un'uscita. Mi sento un animale braccato, ho l'impressione che gli uomini di prima mi vogliano prendere, che me la vogliano fare pagare. Ho ancora la vista del sangue in testa, che non riesco a dimenticare.

Quando vedo un cartello con scritto USCITA che pende dal soffitto, sono l'uomo più felice del mondo. Mi precipito verso la direzione della freccia e, raggiunta la porta girevole, esco finalmente dall' edificio.

Sto ancora cercando di riprendere fiato quando una voce dietro di me commenta:

- Bella corsa, Jack. -

 

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Capitolo 40
*** (39) ***


Orazio mi guarda con un grande sorriso.
Vorrei rimproverarlo per avermi lasciato da solo, ma sono piegato in due per recuperare il fiato.
- Grazie dell'aiuto – gli dico in modo sarcastico, dopo essermi ripreso.
Lui scrolla le spalle e mi conduce ad una piazzola davanti all'ospedale. Sono stato già spesso qui, ma Orazio sembra conoscere il luogo meglio di me. Uno dei tanti misteri, suppongo.
- Prenderemo un taxi – annuncia, sporgendo il pollice della mano destra sulla strada. Mi chiedo come possa sapere cosa sia un taxi, ma decido di non domandarlo. Voglio solo tornarmene a casa. Prima, però, devo fare una cosa. Mi ero ripromesso di chiamare Matilde, ma con tutte le cose che sono capitate non ho fatto in tempo. Compongo quindi il numero ed aspetto.
- Matilde? - chiedo, sentendo rispondere
- Ciao...-  
Percepisco subito la tensione nella sua voce, una tensione che dura dall'ultima volta che ci siamo sentiti. L'ho offesa, quindi non mi aspettavo niente di diverso. Vorrei dirle “sono ancora convinto che tu abbia torto” o “penso ancora di avere ragione io”, ma non lo faccio. Non ha senso alimentare ancora questo fuoco della discordia soffiandoci ossigeno, va solo spento. Solo la fiamma dell'amore deve restare. O almeno, la fiamma del mio amore.
- Come stai? Mi volevo scusare per l'altra volta – le dico, cercando di essere il più dolce possibile. Mi è mancata la sua voce, mi è mancata davvero molto. Nel frattempo un taxi bianco si accosta: Orazio ed io saliamo.
- Ero molto arrabbiato e...insomma, non volevo parlarti in quel modo...-
- Tranquillo – mi dice Matilde, anche lei con voce soave. - E' tutto sistemato, sul serio -
- Sicura? -
- Sì -
- Sicura sicura? -
Orazio si gira verso di me, guardandomi con aria perplessa.
- Sicurissima – risponde la ragazza, ridendo
- Ma sicura sicura o...-
- Ne sono certa! - esclama.
Allontano l'apparecchio dal volto, perchè mi ha appena urlato in faccia. Orazio intanto ridacchia, gustandosi la scena.
- Bene – ricomincio – volevo solo che tu lo sapessi. Buon pomeriggio, Matilde -
- Grazie, anche a te. -
Orazio continua a fissarmi, facendo una smorfia di disgusto. Non posso biasimarlo, mi sono comportato come un adolescente. “Sicura sicura?”. Jack, quanto avresti voluto insistere? Ha detto di sì, significa di sì. Per la prima volta mi sento più a disagio di un uomo di duemila anni fa, forse anche Cicerone non si sarebbe comportato come me.
- Sai, siamo molto affezionati...- mi giustifico
- Ma certo...-   
Guardo fuori dal finestrino. Le case si susseguono veloci, mentre là fuori la vita prosegue. Adesso, però, anche io proseguo la mia vita. Non ho più voglia di sentirmi abbattutto, non ho più voglia di ripetermi “Hey, che bella giornata! Chi sa cosa farà adesso Matilde! Probabilmente sarà con Frank!”. Da qui poi mi deprimerei, pensando a Frank e a quanto sia fortunato ad averla. No, ora non più.
- Dove siamo diretti? - chiedo a Orazio
- A casa tua, ovviamente. -
Sorrido: finalmente un po' di relax. Voglio solo rilassarmi, nient'altro. Niente Seneca, niente Cicerone...solo relax. L'auto si ferma davanti a casa mia dopo venti minuti di viaggio. Il tassista si gira verso noi due, attendendo la sua ricompensa.
Guardo Orazio, dando per scontato che paghi lui. E' stata sua l'idea del taxi, non vedo perchè dovrei pagare io. Lui, però, ricambia lo sguardo dell'uomo al volante, insicuro sul da farsi.
- Signori, mi dovreste pagare...-
- Pagare?! - esplode Orazio, sbuffando. - Per cosa? Per aver guidato una manciata di minuti? Venga a combattere contro i Germani, poi ne riparliamo. -
L'uomo rimane in silenzio, non comprendendo le parole del mio amico. Come lo capisco...
- D'accordo...- dice Orazio, arrendendosi.
Quindi si allunga sul sedile e prende con violenza la mano del tassista. Gliela apre e ci pone due monete argentee.
- Non penso che questo viaggio sia costato più di due sesterzi! Ad maiora! -
Seguo il mio amico giù dalla macchina, mentre l'autista continua a osservare con circospezione le strane monete. Non ne ha mai viste di quel tipo, ovviamente. Dopo un attimo di esitazione, riesco a vedere che fa un'espressione di sopresa e poi sfreccia via con la macchina. Beato lui, adesso i soldi non gli mancheranno...
Mi giro verso l'entrata di casa mia. Proprio sulla porta, Tom mi guarda con uno strano ghigno.
 

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Capitolo 41
*** (40) ***


- Sei pronto per il torneo? -

Tom non fa che ripetermi la stessa domanda, come se il torneo iniziasse domani. In queste situazioni lui si esalta, soprattutto se la competizione è organizzata dal nostro circolo.

- Tom, sono appena tornato dall'ospedale. Cosa pensi mi importi in questo momento del torneo? - gli chiedo, salendo sulle scale che portano al primo piano.

Tom scrolla le spalle e mi segue, dietro di lui Orazio. Nel salotto di casa mia trovo Alessandro Magno (mi era mancato!) e un uomo che non conosco seduto sulla mia poltrona. Lo squadro per qualche istante, poi rinuncio a fargli domande e mi dirigo in camera. Ho sonno, voglio solo dormire.

Chiudo la porta a chiave e mi getto sul letto. Mi addormento in due minuti.

 

Quando mi sveglio sento un forte dolore alla testa, probabilmente ho dormito con il collo in una posizione scomoda. Porto la mano sulla nuca e in quel momento mi arriva una fitta alla testa. Era meglio se rimanevo ancora un po' in ospedale...

Vado in bagno e mi sciacquo la faccia, poi vado ancora mezzo sonnambulo in sala. Trovo Tom, Orazio e il tizio sconosciuto intenti a giocare a carte al tavolo al centro della stanza.

- Hey, Jack. Vuoi giocare? - mi domanda Tom

- Mhm...no, grazie. -

Prendo una sedia e mi sistemo accanto a loro, mentre lo sconosciuto mi guarda con un sorriso. Ha circa sessanta anni e, cosa ovvia, è vestito con una lunga toga bianca. Un altro di loro...

- Jack, forse tu non mi conosci – mi dice, gettando una carta sul tavolo.

Tom osserva il quattro di denari appena lanciato e fa una smorfia.

- In ogni caso io sono Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, ma tutti mi chiamano Ottaviano. -

Ci stringiamo la mano e lui mi guarda come se si aspettasse una qualche reazione da parte mia. Si sbaglia se lo crede, ormai ne ho passate così tante che niente mi può ancora stupire.

- Beh? Non mi dici nulla? - mi chiede, offeso

- Cosa dovrei dirti? -

Lui getta le sue carte sul tavolo e poi si alza, mentre Tom si allunga sul tavolo per spiargliele. Ottaviano mi rivolge uno sguardo autoritario e fiero, sporgendo il petto in avanti come un soldato. Che fa? Cerca di intimidirmi? Intanto Tom ridacchia e risistema le carte del suo avversario.

- Sono il grande Ottaviano Augusto, il primus inter pares, il più forte ed orgoglioso...-

- Non me ne può fregare di meno – sibilo con cattiveria.

Grosso errore.

Tom e Orazio si girano di scatto verso di me, come se avessi bestemmiato. Poi iniziano ad allontanarsi con cautela dal tavolo, spingendosi indietro sulle sedie. Li vedo farsi sempre più indietro, fino a quando non vanno a nascondersi dietro al divano. Ottaviano mi guarda con estremo disprezzo, poi socchiude gli occhi ed alza una mano.

- Signori, potete tornare. Non intendo esplodere la mia rabbia adesso, dal momento che Jack è stato all'ospedale e sta chiaramente delirando. Non sa quello che dice, mi pare certo. Torniamo a giocare. Jack, insisto che ti unisci a noi. -

Tom e Orazio si squadrano negli occhi, come a chiedersi se fidarsi di lui o no. Poi, molto lentamente, si riportano al tavolo. Io mi avvicino con la mia sedia e, sebbene a malincuore, decido di assecondarlo per farlo restare zitto.

- Che gioco state facendo? - chiedo, mentre gli altri mescolano le carte

- Scopa! – risponde Orazio

- Orazio...- gli sussurra Tom – non mi pare il caso...-

Scuoto la testa, poi prendo le carte che Ottaviano mi porge. Delle pessime carte, con la mia solita sfortuna.

- Allora, Ottaviano – dico – cosa ci fai qui? Perché non mi spiegate le ultime novità? -

Lui annuisce, poi mi fa cenno di aspettare qualche secondo. Quando ha mostrato le sue carte si rivolge a me, sorridendo.

- Come ben sai, Catullo e Tacito sono fuori gioco. Seneca ha bisogno di essere recuperato dalla caserma dei carabinieri e per questo Maria Sharapova ha inviato qui me e Orazio. Oltre a noi due, sono rimasti solo Cicerone e Alessandro Magno. -

Di bene in peggio...ho bisogno subito di parlare con Cicerone, voglio parlargli della mia ritrovata fiducia e del mio compleanno, che si sta avvicinando.

- E dove sono loro? - chiedo

Ottaviano Augusto sorride.

- Stanno correndo nudi tra i boschi. -

Senza neppure fare una domanda, mi alzo veloce.

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Capitolo 42
*** (41) ***


- Marco! Marco! -

Sono ormai venti minuti che vago nel bosco, ma dei miei amici nessuna traccia. Sono certo che si trovino qui perché Cicerone spesso mi ha menzionato questo luogo, in quanto dice che stimola la riflessione. Non pensavo, però, che per “riflessione” intendesse correre nudo.

Il primo caldo di maggio mi rende più faticoso superare cespugli e altri ostacoli, ma l'ombra degli alberi mi dà un po' di sollievo.

- Marco! Dove sei? Alessandro! -

Ogni tanto mi fermo per sentire eventuali rumori o le risposte dei miei amici, ma niente. Sembra che tutto il bosco sia addormentato, se si eccettuano degli uccellini che cantano in lontananza. All'improvviso, quando ormai ho perso le speranze di ritrovarli, vedo uno strano movimento dentro un grosso cespuglio. Non comprendendo di cosa si tratti, quindi indietreggio di un poco. Il cespuglio si muove ancora di più, come se fosse vivo.

- Marco, se sei tu ti avverto che non è un bello scherzo...-

La pianta animata ha un altro grosso scossone, poi cessa di muoversi. Aspetto ancora qualche secondo, ma rimane immobile. Sospiro di sollievo, poi mi rimetto in cammino. Sono proprio uno scemo a pensare che Marco potesse...

- Oh, santo cielo! - grido.

Dal cespuglio è emerso un grosso cinghiale, che adesso mi fissa con attenzione. Posso benissimo vedere le sue zanne, pericolose armi che puntano su di me. Una goccia di sudore mi scende sulla fronte, mentre io allungo le mani in avanti, come se lo potessero fermare.

- Buono, stai calmo...-

L'animale emette un grugnito e si avvicina di qualche centimetro.

- Buono, buono...ti lascio stare...-

Si avvicina ancora di più, emettendo altri suoni spaventosi. Mi chiedo se avessi mai pensato di morire per via di un cinghiale... Il bosco nasconderà il mio corpo per sempre, diventando pasto per gli animali.

Indietreggio ancora e sento il mio tallone toccare la base di un albero. Sono in trappola. Il cinghiale, come se avesse capito la mia situazione, grugnisce di nuovo e carica su di me. Del tutto impotente e spaventato, cerco istintivamente di salire sull'albero.

Forza, forza...

Il cinghiale è ormai a pochi metri da me, ma io non riesco proprio ad arrampicarmi. Quando ormai è troppo vicino, mi giro per non guardare e aspetto il colpo mortale. Spero non sia abbastanza doloroso, anche se ne dubito.

Il colpo, però, non arriva. Sento invece il nitrito di un cavallo e una grande confusione di zoccoli alle mie spalle. Dopo alcuni minuti, non sentendo più alcuno rumore, decido di voltarmi.

Ciò che vedo mi lascia senza fiato.

Un cavaliere dall'armatura lucente e con il volto coperto da un elmo se ne sta tranquillo sul suo cavallo. In una mano ha una spada, che adesso ripone in una cintura alla vita. Non riesco a vedere chi sia, ma non ho dubbi.

- Roy! -

Il mio amico si abbassa l'elmo e mi mostra il suo sorriso, poi si avvicina con il suo cavallo Balio.

- Meglio tenersi lontani da quelle bestiacce – mi dice

- Lo credo bene, ma tu mi hai salvato la vita...non so come ringraziarti. -

Roy sorride nuovamente e, imbarazzato, cambia subito discorso.

- Perché ti trovi qui, Jack? -

- Sto cercando due miei...ehm...amici, per così dire. Tu li hai visti? -

Roy si gratta il mento e comincia a pensare, poi scuote la testa.

- Io e Balio abbiamo solo incontrato due pazzi che ballavano nudi tra gli alberi. -

Nel sentire quelle parole sobbalzo e capisco subito che si tratta di Cicerone e Alessandro. Roy nota il mio stupore e mi chiede cosa mia sia venuto in mente.

- Temo che quelli siano i miei amici, purtroppo – rispondo. - Ti dispiace portarmi da loro? -

Roy, dopo un attimo di esitazione, mi fa l'occhiolino e mi invita a salire su Balio. Ricordo l'ultima volta che sono andato a cavallo con lui...una giornata dolorosissima. Mi precipitai in casa di Matilde e...i miei ricordi sono confusi. Ricordo solo lei seduta sulle ginocchia di Frank e l'espressione di paura di Sophie, vedendomi correre con una spada contro il fidanzato della sua sorella. Un giorno da scordare.

- Cosa racconti invece tu, Roy? – domando, mentre faccio una smorfia di dolore quando Balio corre veloce su una buca

- Caro Jack, non racconto nulla di buono – mi risponde, sospirando. - Martina non ha voluto saperne di me, ed io ora vago tra i boschi. Sono gli unici luoghi in cui riesco a rilassarmi. Perfino Balio ha trovato una compagna! Si chiama Balia -

- Capisco...-

- Già...mentre Balia fa da balia a Balio io vado errando, tutto solo soletto. -

Per la prima volta vedo Roy molto triste, mentre lui è solitamente un tipo molto positivo ed allegro. Non posso fare a meno di vedere in lui il Jack di poche settimane fa, quando non avevo stimoli per andare avanti. Brutta sensazione l'essere soli. Ogni giorno combatto contro il pensiero di Matilde, che probabilmente passerà tutte le giornate con Frank. Forse Roy prova la stessa cosa per Martina.

- Roy, voglio presentarti i miei amici. Ti potranno sembrare strani, ma in queste situazioni aiutano molto. Ti faranno sentire meglio. -

Roy si gira verso di me. - Intendi quelli che ballano nudi? -

- Te l'ho detto che possono sembrare strani, ma fidati di me. -

Roy ci pensa su, poi torna a guardare davanti a sé. Non so se sia un “sì” o un “no”, ma almeno non ha rifiutato. E si sa: chi tace acconsente...

Dopo un po' di tempo arriviamo ad una radura, al cui centro troviamo abiti antichi sparsi in modo disordinato.

Bingo. Siamo certamente nel luogo giusto.

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Capitolo 43
*** (42) ***


Le zanzare e le mosche mi ronzano tutte intorno, mentre io e Roy avanziamo cauti nel bosco. Abbiamo legato Balio ad un albero e adesso camminiamo tra la radura. Roy è ancora vestito della sua armatura e onestamente non so come faccia a resistere a questo caldo. Ho il terrore di incontrare un altro cinghiale, per questo ad ogni movimento sospetto mi fermo.

- Non è niente – mi tranquillizza il mio amico, dopo un ennesimo falso allarme. - E' solo il vento che muove le piante. -

Ci addentriamo ancora di più nella selva oscura, quando cominciamo a sentire delle strane voci in lontananza. Stanno cantando? Mi sembra di sì. Anche Roy le ha sentite e adesso mi fa segno di ascoltare.

- Sono loro, Jack? -

- Temo di sì. -

Andiamo nella direzione dalla quale provengono i suoni, stando bene attenti a dove mettiamo i piedi. Il suolo, infatti, è molto sconnesso e le radici che emergono ci potrebbero far cadere da un momento all'altro.

Non credo di essere in grado di sopportare la vista di Cicerone e Alessandro Magno nudi...

- Di qua, Jack! -

Seguo Roy, che taglia con un fendente un grosso ramo e lo scavalca agilmente. Dopo un tempo che non so quantificare, riusciamo a vedere i miei amici...nudi.

- Jack, che sorpresa! - esclama Alessandro.

I due, che come già detto sono nudi, hanno appena smesso di ballare una danza molto strana. Cicerone ha le mani alzate verso il cielo e la testa ugualmente rivolta verso l'alto, mentre manda indietro e avanti il bacino. Alessandro, invece, sta saltellando a destra e a sinistra come un coniglio ubriaco. Non appena ci vedono, cessano di ballare.

- Ragazzi, sapete spiegarmi cosa diamine state facendo? E perchè siete nudi? - domando, ancora molto sconvolto.

- Scusami un secondo – dice Marco, andando dietro ad un albero. Dopo pochi secondi riappare, con un'espressione molto allegra. - Dovevo fare pipì. Cosa mi hai chiesto, scusa? -

Roy emette uno strano gemito, mentre io sono sempre più confuso. - Cosa ci fate qui? -

- Facevamo una danza per propiziare le piogge, mi sembra ovvio – risponde Alessandro. - Fa talmente caldo che è impossibile vivere, quindi danzavamo per provocare le piogge. -

Se ballano come cantano allora la pioggia arriverà di sicuro...

Bene, ma io non sono qui per questo. Voglio dire a Cicerone che, forse, stavolta sono davvero pronto a superare Matilde. Dico “forse”, perchè già in passato avevo pensato di esserci riuscito, quando invece mi sbagliavo di brutto. Oggi, però, quanto meno mi sento fiducioso.

- Allora, voi invece che fate qui? - domanda Alessandro

- Marco – mi rivolgo a Cicerone – credo di essere pronto -

- Jack, ma a me piacciono le donne...-

- Ma cosa hai nella testa? Intendo a passare sopra Matilde! -

La sua espressione si fa ancora più sorpresa e cupa. - Vuoi passare sopra Matilde...con l'auto? -

Roy assiste alla scena divertito, poi un nitrito lo distoglie.

- Signori – dice – non vorrei rovinarvi la festa ma devo tornare dal mio cavallo -

- Veniamo anche noi, Roy – affermo.

 

 

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Capitolo 44
*** (43) ***


- Ne sei sicuro, Jack? Ne sei sicuro? -

Marco Tullio Cicerone mi guarda serio, come se avessi appena detto di essere il testimone di un omicidio. In effetti una vittima in tutti questi mesi c'è stata: la mia felicità. E' stata uccisa da Matilde, ma adesso è pronta per risorgere.

- Non sono sicuro di nulla, Marco, ma stavolta credo di potercela fare -

- Riusciresti a guardare una foto di lei? -

Ci penso su. Negli ultimi mesi era diventata impossibile anche questo, perché mi arrivava puntuale una fitta al cuore. E ora? Riuscirei a farlo? Penso di no. Mi rattristo all'improvviso, mentre tutte le mie certezze cadono. Se non sono neppure in grado di guardare una foto di Matilde, come posso dire di essere guarito? Forse non guarirò mai.

- Non ti preoccupare, amico mio – mi consola Alessandro. - Te lo avevamo detto che la strada sarebbe stata difficile. Matilde rappresenta una cicatrice nella tua mente, noi non potremo fartela dimenticare. Adesso non pensare a lei, il 26 giugno avrai modo di parlarle. Mi raccomando una cosa: dille la verità! Tutta la verità! Se ti chiedono come stai, tu quel giorno devi essere sincero. Non dovrai essere capace di mentire quella sera. Se dirai tutta la verità ti sentirai meglio, forse Matilde capirà come stai. Non pensare, comunque, di tornare a frequentarla. Quel giorno dovrai fare come meglio ti senti, ma nel segno della verità. -

Annuisco, ma senza convinzione. Cicerone batte le mani.

- Dunque, chi è questo tuo amico? -

Assorto nei miei pensieri, mi ero del tutto scordato di Roy. Glielo presento, raccontando della sua sofferenza per Martina.

- Ah, le donne! - prosegue Marco – Fanno soffrire un mucchio, non è vero? Vieni qui, Roy, ti aiuteremo come abbiamo fatto con Jack. -

Cicerone si avvicina a lui e lo abbraccia, mentre Roy cerca disperatamente di staccarsi dal suo corpo nudo. Ridacchio tra me e me, pensando a quanto debba essere disgustosa una cosa del genere. Anche Alessandro imita Marco e si avvinghia sul povero Roy. Quando si sono finalmente allontanati da lui, riprendiamo il nostro cammino. Torniamo alla radura in cui eravamo arrivati prima, dove troviamo i vestiti abbandonati.

- Bellissimo animale – commenta Alessandro, accarezzando il fianco di Balio. - Anche io ne avevo uno, il mio amato Bucefalo -

- Grazie – risponde Roy.

Con mia grande gioia, Cicerone e il Macedone si rivestono, quindi io salgo con Roy su Balio, che si impenna alzando le zampe anteriori.

- Buono, buono! - lo tranquillizza il mio amico

- Fermi! Dove andate senza di noi? - esclama Cicerone, vedendoci allontanare a passo svelto

- Devo ancora fare un paio di cose – rispondo, girandomi indietro

- Dove siamo diretti? - mi chiede Roy

- Amico mio, portami in caserma. -

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Capitolo 45
*** (44) ***


Seneca è irriconoscibile.
Con i (pochi) capelli sudati riversi sulla fronte, si dimena cercando di staccare con le mani le sbarre di ferro che lo imprigionano nella cella. Osservandolo, devo dire che mi fa proprio pena. Non avrei mai immaginato di vederlo ridotto così. Per di più urla in latino e sputa, cercando di colpire i poliziotti seduti ad una scrivania a qualche metro di fronte alla sua cella.
- Jack! - grida Angelus non appena mi vede. Sono appena arrivato nell'edificio e il padre di Andy è seduto alla scrivania con un suo collega, che mi guarda con gli occhi stretti.
- Angelus, come stai? -
- Io bene, ma la domanda la dovrei fare io a te. Ti ricordo che sei scappato da un ospedale. -
Le immagini della mia fuga rocambolesca mi tornano in mente, mentre io tento di scacciarle.
- Sì, in effetti non è stata un'idea molto intelligente...il mio amico? -
Angelus si alza in piedi e me lo indica. Lucio, che mi si accorge di me solo ora, gesticola nella mia direzione e mi fa cenno di avvicinarsi.
- Che non succeda mai più – mi ammonisce il padre di Andy. In realtà non so se si stia riferendo a Seneca o alla mia fuga dall'ospedale. Poi si avvia verso la cella, estrae un mazzo di chiavi e apre la porta di ferro.
Seneca corre fuori e mi salta in braccio. Rischio quasi di cadere, se Angelus non mi sorreggesse. Lo ringrazio ed esco dalla stazione di polizia, mentre Seneca si sistema le vesti malconce e si annusa le ascelle.
- Brutto posto questa “prigione” - commenta con disgusto
- Non ti dovevi mettere nei guai – gli rinfaccio. Lui fa spallucce e, non appena vede Roy nella sua armatura su Balio, resta a bocca aperta.
- E...e lui chi é? - domanda, sconcerato
- Lui è il mio amico Roy. Roy, questo è Lucio. -
Roy si abbassa dal cavallo a stringere la mano di Seneca, che ricambia con titubanza. Non appena lo informo che dobbiamo tornare a casa proprio su Balio, Lucio diventa tutto paonazzo.
- Torniamo a casa...con lui? - chiede, indicando con disprezzo il mio amico
- Qualche problema? - domanda Roy con aria di sfida
- No, assolutamente...-
Aiuto Seneca a salire sul cavallo, poi salgo pure io. Roy si mantiene sul lato destro della strada, attento ad evitare biciclette e pedoni. Io sono seduto dietro Lucio, che a sua volta si trova alle spalle di Roy. Ogni tanto vedo Seneca che guarda con curiosità l'armatura del nostro cavaliere, ci si specchia e poi la tocca. Questi Romani...
- Fermo! - grido
Roy tira di scatto le redini e Balio si ferma, nitrendo di irritazione.
- Che c'è? - chiede Roy.
Mi giro indietro: credo di aver visto una persona...ah, sì! Eccola là! Vedo salire su un'auto la stessa bambina che era sdraiata sul letto di fianco al mio all'ospedale. Sembra in gran forma, ha una stampella in mano ma sembra in grado di camminare piuttosto bene. La saluto con la mano e lei, vedendomi, corre da me. Balio comincia a infastidirsi per quella sosta e inizia a fare strani suoni con il naso.
- Calmo, vecchio mio! Calmo! - lo tranquillizza Roy. La bambina si tiene a debita distanza dal cavallo e si avvicina a me. Il suo viso arriva a malapena all'altezza del mio piede, che ciondola sul fianco di Balio.
- Ciao! - la saluto
- Ciao, come stai? -
- Mi sono del tutto ripreso e sto benissimo, grazie. Tu? -
La bambina mi indica la sua macchina, dove una donna la sta aspettando al posto di guida.
- Sto andando ad una partita di pallavolo con mia mamma. - Ricordandomi quanto ci tenesse a quello sport, le sorrido. Sono felice che sia in grado di riprendere l'attività sportiva già da ora.
- Bravissima! Sapevo ci saresti riuscita! -
Lei mi sorride e, sentendo la sua mamma suonare il clacson, mi saluta di nuovo e corre da lei. Le auguro tutto il bene.
Do una pacca sulla spalla di Roy e proseguiamo il nostro percorso.

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Capitolo 46
*** (45) ***


Giulia, la donna dell'autoscuola, ripone il rosario nel cassetto della scrivania e si inginocchia per terra, con le mani congiunte.

Il giorno successivo in cui ho incontrato la bambina, Catullo e Tacito sono stati dimessi dall'ospedale,e oggi, a un mese da quell'evento, sono entrambi pronti per sostenere l'esame di guida. O almeno così spero...

Ci troviamo proprio all'autoscuola, pochi minuti prima di iniziare l'esame. Giulia mi ha concesso di assistere all'esame dei due candidati, ma ha tenuto a precisarmi che sarebbe stato a mio rischio e pericolo. Ho accettato comunque: almeno sarà divertente!

Tacito e Catullo osservano incuriositi la donna in atto di preghiera.

- Pater noster qui es in caelis...-

- Ma è latino! - bisbiglia Valerio a Publio. - Non lo senti? -

Tacito alza una mano e gli fa segno di non parlare, come se volesse sentire meglio.

- Sì, è decisamente latino! - conclude alla fine

- ...adveniat regnuum tuum...-

Aspettiamo un altro paio di minuti, poi Giulia si alza e guarda negli occhi gli esaminati. Scuote la testa triste, poi rivolge gli occhi in alto. Non sono certo, ma mi pare che abbia sussurrato “aiutami, Signore”.

Usciamo dall'autoscuola e saliamo sull'auto adibita all'esame. Un' auto nuova, naturalmente. Quella dell'altra volta è rimasta distrutta nell'incidente. Se ancora penso a quel giorno...

Catullo ci aspetta sul marciapiede: preferisce non assistere all'esame del suo amico, perché dice che lo renderebbe ancora più nervoso.

Anche Tacito, seduto al posto di guida, si sta dimostrando molto teso. Lo tranquillizzo, mentre da lontano vedo l'esaminatore che si avvicina alla macchina.

- Eccolo...- sussurra anche Giulia.

E' un uomo sulla cinquantina circa, alto e molto magro. Saluta Giulia, seduta accanto a me, e si siede accanto a Publio.

- Siamo pronti? - chiede con un sorriso l'uomo, dopo aver calorosamente salutato la donna (non escludo che siano amanti). Tacito annuisce e parte.

L'esaminatore inizia a dare delle indicazioni, mentre Publio obbedisce. Giriamo a destra, a sinistra, percorriamo sottopassi, effettuiamo un parcheggio...Il mio amico alla guida sembra rilassarsi, mentre si rende conto che la sua prova sta andando piuttosto bene. Anche Giulia sembra contenta, sebbene ancora traumatizzata dalla guida di Catullo di un mese fa.

- Vai a dritto. -

Tacito aspetta il verde del semaforo e obbedisce, mentre passiamo davanti al mio circolo di tennis. Guardando dal finestrino, riesco a vedere il mio amico Tom in un campo. Probabilmente si starà preparando per il torneo, fra poco lo farò pure io...

Dopo venti minuti l'esaminatore dichiara concluso l'esame e invita Tacito a tornare al punto di partenza.

- Esame superato, complimenti – annuncia. Publio osserva l'uomo che gli porge la patente, poi rivolge gli occhi su di me come a dire “la devo prendere?”. Gli fanno cenno di sì con il capo e lui si getta sull'esaminatore, baciandolo ripetutamente.

- Grazie! Grazie! Grazie! - esclama, mentre l'uomo cerca di liberarsi della sua presa. Tacito mi sventola la patente sul viso e poi corre fuori dall'auto, allontanandosi da noi. Lo vedo attraversare all'improvviso la strada, mentre un guidatore gli strombazza con il clacson. Almeno è contento...

Catullo si avvicina all'auto e Giulia lo guarda con terrore.

- E' lui...- mormora all'esaminatore. - E' lui l'assassino...-

L'uomo annuisce con espressione impassibile, la abbraccia e poi le sussurra:

- Ce la farai, ce la farai stavolta. Andrà tutto bene. -

Giulia comincia a piangere, ma poi riesce a contenersi. Prende un fazzoletto dalla borsa e fa segno a Valerio di entrare.

Intanto, io prendo il casco che mi sono portato da casa e me lo metto: questa volta sarò pronto ad ogni evenienza. Come se non bastasse, decido riprendere con il cellulare tutto l'esame, in modo che, in caso di incidente, la polizia sappia come sono andate le cose.

- Forse questi sono i miei ultimi istanti di vita – dico nella registrazione – quindi voglio dire a mamma e papà che gli voglio tanto bene...-

Catullo si sistema sul sedile e si allaccia la cintura. Beh, è già qualcosa. Quando accende la macchina e fa per partire, l'esaminatore guarda verso Giulia.

- L'hai portato? - chiede

- Certo – risponde la donna, prendendo il rosario. I due cominciano a girarselo fra le mani, mentre Valerio ingrana la prima e parte. Prego con tutto il cuore di di sopravvivere anche oggi. Catullo gira tra le strade del paese, obbedendo alle direttive dell'esaminatore. Ad un certo punto, vedendo un paio di pedoni nell'atto di attraversare la strada, si gira verso di noi con un sorriso malizioso.

- Mille punti...- mormora

- Valerio, no! - urliamo tutti e tre, mentre lui inizia a ridere

- Stavo scherzando. -

Con mio sollievo Catullo si ferma per far passare i pedoni, che lo ringraziano con un segno della mano. Dopo altri dieci minuti torniamo al punto di partenza: esame finito. L'esaminatore (sebbene con molta indecisione) consegna la patente anche a Valerio. Quest'ultimo, dopo averla presa, salta fuori dall'auto e scappa via. E' proprio una cosa che farebbe Catullo...

- Siamo ancora vivi – sussurra Giulia all'uomo. - Riesci a crederci? -

- No, e devo dire che mi eccita molto questa situazione. -

Giulia lo guarda con sorpresa e poi si getta su di lui, mentre si baciano a vicenda.

Esco dall'auto proprio in tempo, mentre la vettura comincia a dondolare a destra e sinistra.

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Capitolo 47
*** (46) ***


Faccio rimbalzare la palla più volte prima di servire, perché mi devo concentrare.

Con mio enorme stupore, sono arrivato in semifinale nel torneo del circolo di casa. Se faccio questo punto, sono in finale. L'ultima finale che ho giocato è stato sei anni fa, non so neppure cosa significhi ormai. Il mio avversario attuale è la testa di serie numero uno del torneo. Tom, che aveva aspettato questo torneo con impazienza, ha perso al primo turno.

Io ho vinto abbastanza agevolmente le prime partite, eccetto la seconda: in quell'occasione mi sono trovato a soli quattro punti dalla sconfitta, ma alla fine l'ho spuntata io.

Riporto l'attenzione sul mio avversario di fronte alla rete. Siamo al terzo e decisivo set, 5-2 per me e 40-15. Matchpoint.

Fai questo punto, Jack, e sarai in finale. Sii freddo, senza pensare.

Rivolgo una veloce occhiata al pubblico: tutti i membri del circolo tifano per me, che sono il giocatore di casa. Non posso deluderli, se sono arrivato in semifinale posso anche vincere il torneo. Sono venuti a vedermi addirittura Cicerone e tutta la compagnia bella. Li vedo sulle tribune, mentre si ingozzano di patatine e panini.

Effettuo la battuta e il mio avversario risponde, io colpisco un rovescio e lui tenta una palla corta di diritto, ma la palla finisce in rete.

- Gioco, partita e incontro Jack: 6-2, 3-6, 6-2 – annuncia il giudice arbitro.

E' finita. Sono in finale per la quarta volta, la prima dopo sei anni. Uscendo dal campo con lacrime di gioia agli occhi, mi dico che stavolta non perderò la finale. Tom e Andy mi abbracciano, presto seguiti da Roy.

- Lo dicevo che potevi vincere il torneo! - esclama Tom, dandomi una pacca sul petto

- Sono in finale...- mormoro, senza riuscire a credere a quello che ho appena fatto. - Tom...sono in finale! -

Prima di iniziare il torneo il mio obiettivo era quello di giocare bene, forse sapevo di poter raggiungere i quarti di finale...ma non avrei mai detto di poter arrivare fino alla fine! Non so, durante questa settimana ho trovato uno stato di forma eccezionale, ho alzato l'asticella del mio gioco. Ho cominciato a credere di poter vincere il titolo solo dopo i quarti...ma per vincere il torneo mi manca ancora una partita. In finale devo battere il mio grande amico Leo, un ragazzo poco più piccolo di me che conosco da un paio di anni. E' in gran forma, ha appena vinto il suo primo titolo e ora è di nuovo in finale, contro di me. In poche parole, quest'anno è imbattuto. Ma a questo penserò domani, domenica.

- Complimenti vivissimi. -

Mi giro, sentendomi toccare la spalla. E' Seneca, accompagnato da Cicerone e Tacito.

- Ragazzi! - esclamo. - Grazie di essermi venuti a vedere. -

Loro sorridono e si allontanano. Torno a pensare a domani: devo assolutamente vincere, non riuscirei a vivere col pensiero di quattro finali perse su quattro.

Inoltre, sarebbe una grandissima iniezione di fiducia.

 

Gabriele mi consegna il tubo di palline: è tempo.

Gli spettatori stanno già prendendo posto sulle tribune, pronti ad assistere alla finale del circolo tennis “Lake- Sea”. Io sono negli spogliatoi e sto cercando in ogni modo di concentrarmi. Forza, Jack. Sangue freddo, è solo una partita. Hai giocato con Leo tante altre volte e lo hai già battuto, fai finta che oggi non sia una partita ufficiale. Forza! Dodici games, vinci dodici games e sarà tutto finito. Due sets, dodici games: è tutto quello che devi fare.

Mi batto la mano sulla coscia per esortarmi ed esco dagli spogliatoi. Sulla porta per poco non sbatto contro Tom, che sta entrando.

- Jack, ti stanno tutti aspettando. -

Prendo il mio borsone e mi avvio verso il campo, mentre tutti i membri del circolo mi incoraggiano. Giocherò sul Campo Centrale, cosa che mi mette ancora di più a disagio. Sul Campo numero 1, invece, è appena iniziata la finale femminile. Il mio amico Leo è già in campo e sta facendo stretching. Non appena mi vede mi saluta e io ricambio il suo gesto. Al di là di come andrà il match, non saremo mai nemici. Avversari sì, ma non nemici.

- Buona partita, Leo – gli auguro

- Altrettanto. -

Poso il borsone sulla panchina e iniziamo a palleggiare. Sulle tribune riesco a vedere Cicerone seduto accanto a...Andy! E' venuto pure lui! E Roy! Non posso deluderli, non oggi. Tutto il circolo, il mio circolo, è qui a tifarmi. Voglio vincere il mio primo torneo, non voglio lasciare che Leo vinca in casa mia.

Il mio avversario, a differenza mia, appare molto più rilassato. D' altronde ha già giocato una finale pochi mesi fa, vincendola, quindi è in fiducia. In realtà dovrei essere io il più tranquillo, perché sulla carta è lui ad avere la classifica più alta. Ho molto meno da perdere di quanto non ne abbia lui. E' la seconda testa di serie del torneo, io non sono testa di serie. Al limite posso essere una testa di c***o. Tutti, però, sanno che le partite si giocano sul campo e non sulla carta, ma soprattutto che io ho già battuto Leo. Questo è un fatto che deve incoraggiarmi.

- Tempo. -

Il giudice arbitro annuncia che è tempo di iniziare la finale. Io inizierò a battere: per i tennisti professionisti questo è un grande vantaggio, ma al nostro livello non influisce più di tanto. Tom mi mostra il pollice dalle tribune, mentre io mi fermo alla panchina per concentrarmi prima di cominciare.

D'accordo, dunque: Leo è molto solido da fondo campo, prende tutto e di certo non mollerà la partita, quindi dovrò essere concentrato al cento per cento. Un problema per me potrà essere la sua seconda di servizio, perché è molto lavorata e io ho sempre difficoltà a rispondervi. Non devo quindi accelerare gli scambi, mi dovrò costruire il punto senza cercare subito il vincente. Ci vorrà calma e pazienza.

Vado sulla linea di fondo campo, pronto a servire il primo servizio. Leo si sistema, preparandosi a rispondere.

Gli mostro la palla: si comincia.

 

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Capitolo 48
*** (47) ***


Adesso, Jack, ADESSO!

Seduto al cambio di campo, non faccio che ripetermi di portare a casa il match in questo momento, perché è ora che devo spingere al massimo. Dopo aver vinto 7-5 il primo set, mi ritrovo in vantaggio 5-4 nel secondo, con Leo alla battuta. Se riesco a fare quattro punti la partita è finita.

Fino ad adesso la partita è filata piuttosto liscio per me, forse anche troppo. Il primo set è stato lottato, ma alla fine l'ho portato a casa. Devo assolutamente chiudere 6-4, perché su un eventuale 5-5 può succedere di tutto. Con la coda dell'occhio vedo che sul campo numero 1 le donne hanno finito di giocare: mi auguro che anche la mia finale termini adesso.

Mi alzo dalla panchina e vado a rispondere, tra le urla del pubblico. Quattro punti, Jack, quattro punti. Quattro punti come le quattro stagioni. Chiudi ora!

Leo serve, io rispondo e lui sbaglia subito un diritto: 0-15. Meno tre...meno tre! Forza, Jack!

Il mio sfidante serve di nuovo e stavolta faccio un vincente di diritto, portandomi sullo 0-30. Non mollare ora, Jack!

Il pubblico, percependo il momento importante, grida e si agita sulle tribune. Sento la linea del traguardo farsi sempre più vicina...chiudi adesso! Sii freddo!

Leo, però, fa un servizio vincente, sul quale io riesco a rispondere ma la palla finisce in rete. 15-30, ma sono ancora a due punti dalla vittoria. Mi sposto quindi a rispondere a sinistra: sbaglio una facilissima risposta. Il pubblico esplode in un “ohh” di dispiacere, vedendo la palla morire in rete.

30-30...ancora due punti...ancora due punti! Forza!

- Forza, vecchio mio. -

Mi giro verso destra: dietro la rete che mi separa dal pubblico c'è il mio maestro Gabriele, che mi sorride. Oh, Gabriele! Quanto vorrei sentire un tuo consiglio ora!

Torno di nuovo alla risposta, ma stavolta non devo fare nulla: Leo sbaglia entrambi i servizi, commettendo un doppio fallo. Matchpoint, se faccio questo punto è tutto finito. Tutto, Jack! Tut-to! Non dovrai più pensare alle tre finali perse, mai più! Avrai un titolo in bacheca! Chiudi adesso!

Osservo Leo, che adesso mi pare teso. Serve, ma sbaglia la prima. Prego che arrivi un altro doppio fallo, ma non è così. Rispondo alla sua seconda ed iniziamo lo scambio, che termina con un diritto di Leo in rete.

Mi piego sulle ginocchia, poi mi sdraio a terra. E' finita, ho vinto. Dopo dodici anni di tennis, nove anni di agonismo, due milioni di palline colpite e tre finali perse , alla quarta occasione ho finalmente vinto. Me ne resto sdraiato a terra, con la pancia rivolta in alto e le mani che mi coprono il volto. Non so perché, ma sto piangendo. Anzi, so benissimo perché: per la prima volta sto piangendo di gioia, non di tristezza.

I minuti successivi sono tutti confusi nella mia testa: sento l'ovazione costante del pubblico, poi qualcuno che mi solleva e mi abbraccia: Tom. Il mio amico mi carica sulla schiena e mi fa fare il giro del campo, mentre io saluto la folla. Non posso ancora credere a quello che ho appena fatto. Fino a due anni fa non riuscivo a superare le qualificazioni, adesso mi ritrovo a battere le teste di serie uno e due e a vincere il torneo...non ci posso credere.

Finalmente sul mio trofeo ci sarà il numero uno, non più quel maledetto due.

Tom mi riporta in terra e io corro ad abbracciare tutti i miei amici: Andy, Roy, Sarah, Seneca, Alessandro...tutti. Manca solo Matilde, ma non fa nulla. Questo è il mio momento, non il suo.

Mi vado a sedere sulla mia panchina, mentre le lacrime continuano a scendere dai miei occhi. Come mi sento bene! Vincere non dovrebbe essere così bello, non dovrebbe fare stare così bene.

- Signore e signori, iniziamo la premiazione. -

Non mi sono accorto che al centro del campo è stato portato un tavolino, su cui luccicano diversi trofei. Gabriele sta parlando, circondato da Tacito, Catullo e i rimanenti Romani. Non so perché siano lì con lui, ma la cosa non mi piace.

- Abbiamo avuto anche fortuna che la finale maschile sia praticamente finita in contemporanea con quella femminile, dunque premieremo i giocatori insieme – continua Gabriele.

Sul Campo Centrale, dove io sto ancora seduto sulla panchina, entrano anche la vincitrice e la finalista del torneo femminile. La vincitrice, tra l'altro, immagino che abbia qualche anno meno di me ed è molto carina.

Il pubblico applaude, mentre tutti i giocatori attendono di essere premiati. Gabriele riprende la parola.

- La premiazione femminile sarà fatta dal mio nuovo amico Valerio – annuncia il maestro, facendo avanzare e salutare Catullo. Rido: non è un caso che Valerio abbia voluto premiare le ragazze, solo non capisco come abbia fatto a convincere il mio maestro.

- Buona sera a tutti – inizia. - Innanzitutto premiamo la finalista, ovvero quella scarsa. -

In quel momento Alessandro Magno, Cicerone e così via (che sono tutti intorno il tavolino della premiazione) intonano un “a morte! A morte!”. Il pubblico ride, intuendo lo scherzo. Io, però, non sono così sicuro che sia uno scherzo.

La finalista avanza sul campo divertita, riceve il suo trofeo da Catullo e si concede ai fotografi. Tocca quindi alla vincitrice, accompagnata da un'ovazione degli spettatori ed un timido applauso da parte mia.

- E ora passiamo alla premiazione maschile – annuncia Valerio. - Verrà fatta dal qui presente Marco.-

Cicerone saluta i presenti e si fa avanti.

- Buona sera, che splendida finale! Mancava solo un po' di sangue ed un leone che sbucava da una botola nascosta, ma che finale! -

Gabriele appare dubbioso, sicuramente starà pensando quanto possano essere strani i suoi nuovi amici. Alcuni spettatori si guardano tra di loro, per capire se stia scherzando o no.

- Comunque – prosegue Marco – accogliamo con un grosso applauso quello sciagurato di Leo, che ha perso proprio nell'atto conclusivo del torneo. Che schiappa! -

Il pubblico rumoreggia e Leo avanza irritato a prendere il suo trofeo. Ancora alcune foto di rito, poi è il mio turno.

Cicerone invita tutti al silenzio, poi con fare solenne annuncia:

- E adesso, cari signore e signori, il vincitore del torneo maschile. Umiliato, maltrattato, illuso da una ragazza che gli aveva tolto ogni scintilla di vita, ha saputo ritrovare se stesso e, dopo tre finali perse su tre (sì, pure lui era una schiappa), oggi ha finalmente vinto. Un grosso applauso a Jack! -

Strano, non pensavo di piangere. Non piango a dirotto, ma alcune timide lacrime compaiono comunque sul mio volto. Mi alzo dalla panchina e mi avvicino al tavolo al centro del campo, mentre tutti gli spettatori gridano. Vedo Tom con una bottiglia di vino in mano e gli occhi rossi, Andy con la sua splendida armatura luccicante, Roy che mi rivolge un sorriso sopra di Balio e il piccolo Nick intento a iniettarsi una sostanza dopante nel braccio.

Marco Tullio Cicerone mi consegna il trofeo: è enorme ed è bellissimo. La prima cosa che faccio è controllare la targhetta: voglio assicurarmi che ci sia davvero scritto “vincitore”. Sì, non si sono sbagliati.

- Bravo, Jack – mi dice Marco – sono proprio fiero di te, sappilo. -

Lo ringrazio e lo abbraccio, poi passo a stringere la mano a Gabriele e Catullo. Quindi mi giro verso i fotografi e mi concedo a loro, gustandomi questo momento delizioso. Che soddisfazione! Chi l'avrebbe mai detto? Un tennista scarso come me, che due anni prima ha vinto due partite su sette in dodici mesi, si ritrova a vincerne sei di fila e conquistare un torneo.

Sempre con le lacrime agli occhi, aspetto che le fotografie siano cessate e torno subito negli spogliatoi. Qui trovo Leo, nell'atto di prepararsi per la doccia.

- Bravo lo stesso, eh – gli dico

- Grazie, ma bravissimo tu. -

Non posso fare a meno di notare una traccia di amarezza nella sua voce. Lo capisco: era favorito, era in fiducia, ma ha perso lo stesso. Non ho mai creduto nel destino, ma oggi forse sì. Lui ha vinto il suo primo (e fin'ora unico) torneo nel suo circolo di casa, io ho vinto nel mio. E giusto così. Onestamente, è destino che sia così. Non è bellissimo? Entrambi abbiamo vinto nel nostro circolo di appartenenza. Lo trovo spettacolare.

Mentre Leo si fa la doccia, io non faccio che osservare il mio trofeo. Gli chiedo che cosa sia, da dove venga e che cosa ci faccia nelle mie mani.

E intanto, prego che questo momento non finisca più.

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Capitolo 49
*** (48) ***


Il giorno dopo la finale, mi ritrovo a casa con tutti i miei amici vecchi di duemila anni. Ci sediamo tutti al grosso tavolo della sala, festeggiando il mio successo. Abbiamo patatine, tramezzini, bevande di ogni genere e un mucchio di antipasti. Ho collocato anche il trofeo sul tavolo: non me ne voglio più liberare.

C' è una nuova sensazione nell'aria, qualcosa che non riesco bene a definire. E' come se tutti fossero più felici, più sollevati. Una cosa è certa: io sono più felice. Il ricordo di Matilde si sta lentamente affievolendo e la vittoria nel torneo di casa mi ha fatto capire che nella vita posso riuscire anche senza il suo aiuto.

Se io abbia trasmesso questa felicità anche a loro, questo non lo so.

- Hey, Jack – mi chiama Cicerone, con una bottiglia di vino in mano – sai, penso che tu debba fare una cosa -

- Che cosa? -

- Scrivere. -

Lo guardo con gli occhi sgranati. - Che hai detto? -

- Hai capito bene – mi risponde. - Scrivi -

- Marco, hai bevuto? -

Lui sorride e poi versa il vino dentro la mia coppa. - Questo è poco ma sicuro -

Cicerone trangugia tutto quanto il vino, mentre gli altri battono le mani sul tavolo e urlano: “tutto!Tutto! Tutto!”. Marco ripone quindi il mio trofeo e si pulisce la bocca con la manica.

- Dicevo – riprende – dovresti scrivere di tutto ciò che hai provato durante questi mesi -

- Ma...perché? -

Lui alza le spalle. - Potresti sentirti ancora meglio di adesso, sai -

- Sì...ma...cioè, non capisco -

- Jack – si intromette Orazio, mangiando una patatina – penso che abbia ragione. Metti su carta la tua esperienza con Matilde, provaci. E' una sorta di valvola di sfogo -

- Capisco...ma quindi...prendo un foglio e scrivo? -

- Sì – risponde Alessandro Magno da una poltrona, con in mano una rivista al contrario – oppure al conputter, come credi meglio -

- Mhm...-

Immagino che per conputter intenda “computer”, ma non è questo il punto. Effettivamente, l'idea mi piace. Non ci avevo mai pensato:questo mi potrebbe dare l'occasione di esternare una volta per tutte i miei sentimenti. Sì, non è una cattiva idea.

- Sapete, voglio iniziare fin da ora! - annuncio

- Oh! Bene, molto bene! - esclama Cicerone

Mi alzo e vado a prendere il mio PC portatile, lo accendo ed apro subito il programma di scrittura. Mi sgranchisco le dita delle mani e mi preparo a scrivere, ma subito un dubbio si insinua nella mia mente.

- Da dove dovrei iniziare? - chiedo

- Dall'inizio! - grida Alessandro Magno

- Sì, questo lo so. Intendo: da che parte dell'inizio? -

Seneca, rimasto in silenzio fino a quel momento, si alza e si siede accanto a me. - Comincia da dove senti di dover iniziare, amico mio -

- Mhm...-

E' una decisione difficile: voglio fare un bel lavoro, mi ci voglio impegnare moltissimo. Sono sorpreso che non mi sia mai venuta in mente l'idea di scrivere tutto ciò che ho provato, malgrado sia sempre stato attratto dalla scrittura. Voglio che questo racconto mi faccia definitivamente uscire dal tunnel di tristezza in cui sono caduto diversi mesi fa.

Mi viene un'idea.

- Voglio partire da quando tutto ha cominciato ad andare a rotoli -

- Mhm...bella idea, bella idea – commenta Alessandro grattandosi il mento

- Cosa intendi di preciso? - chiede Cicerone

- Dagli ultimi tempi in cui uscivo con Matilde -

- Quando ha iniziato a essere aggressiva? -

- Non proprio: da quando lo era già, non da quando ha cominciato -

- Capisco, capisco. -

Dal momento che tutti non mi chiedono più nulla e non fanno che ubriacarsi dicendo cose senza senso, comincio a scrivere. Decido di partire da un giorno in particolare: quello in cui passeggiavo per il lungomare della mia città con Tom, Andy e ovviamente Matilde. Ricordo che feci un apprezzamento su Maria Sharapova e Matilde mi colpì rapidissima.

Sì, è l'inizio giusto per il mio racconto.

- “Matilde si volge verso di me...”-

Mi giro di scatto: alle mie spalle Catullo sta sbirciando sullo schermo, leggendo quel poco che ho già scritto. Lo copro col braccio e lui inizia a ridere.

- Non mi dirai che ti vergogni! -

- Un pochino...-

- Forza, fammi leggere! -

Senza troppi complimenti mi prende il PC dalle mani e lo posa lontano da me sul tavolo. Anche Seneca e Ottaviano Augusto (quest'ultimo con una lattina di Coca Cola in mano) si avvicinano al computer.

- “...con quel suo solito sorrisetto che ha sempre in queste occasioni.” - continuano a leggere all'unisono.

Mi alzo e corro veloce da loro, riprendendomi l'oggetto.

- Lasciatemi scrivere e fatevi i fatti vostri! -

Me ne torno veloce dove prima, irritato dalla loro curiosità morbosa.

- Jack – mi chiama Ottaviano

- Che c'è? -

- Sai, scrivi bene -

Alzo lo sguardo verso di lui. - Sul serio? -

E' in questo momento che tutti scoppiano a ridere.

- Assolutamente no! -

Sbuffo spazientito e ricomincio a picchiettare sui tasti del mio portatile, sentendo una sensazione nuova. Non è solo il piacere di esternare tutte le mie vicende (questo lo facevo già nel raccontarle a tutti), è qualcosa di più.

E' una sorta di rivincita personale, di vittoria...di vittoria contro Matilde. Dentro di me so che non devo vivere tutto questo come una sfida (questo credo di averlo imparato!), ma un minimo di piacere lo devo pur provare nello sfogarmi.

- Jack! -

Alzo improvvisamente le mani dalla tastiera e mi volto verso Seneca, che adesso si sta asciugando la bocca con una pagina del “De tranquillitate animi”.

- Dimmi -

- Sai, dovresti pure pubblicarlo -

- Lucio, non credo che la gente lo apprezzerebbe -

- Perché no? Ottaviano, diglielo pure tu. -

Ci giriamo verso Augusto, che ha un bicchiere di vino in mano e gli occhi rossi.

- Ad Azio! Azio! Ad Azio! Azio! A-zi-o! Azio! - esclama, sollevando e riabbassando il bicchiere, sgocciolandosi tutto addosso.

- No, non guardare lui – mi dice Seneca – comunque, sul serio: lo pubblicherai -

- Ma dove? Come posso farlo? -

- Quello stupido di Marco Antonio...ah! Azio...Azio...un, due, tre...cavallo, carrozza e re! Azio! Ah! Marco Antonio...ah! - grida ancora Ottaviano, con una voce poco rassicurante

- Non lo so...da qualche parte - risponde Lucio

- Mhm...-

Mi gratto il mento, cercando di ricordare il nome di un sito di cui Matilde mi aveva parlato diversi mesi fa. Era un sito di scrittura e lei me lo aveva mostrato ricordandosi del fatto che mi è sempre piaciuto scrivere. Come si chiamava? Esf? No, non era così. Epd? Nemmeno...

- Efp! - esclamo all'improvviso, facendo sobbalzare Seneca

- Dico, ma sei impazzito? -

- No no, scusami - mi giustifico - ho appena capito dove pubblicarlo -

- E dove? -

- Su un sito chiamato "Efp" -

- Ah, bene -

- Devo trovare un nomignolo per me...-

- Uh!Uh! - grida Ottaviano dal lato opposto della stanza - scegli il mio nome! Il mio!-

- No, il mio! Il mio! - grida pure Cicerone.

- Non li stare ad ascoltare- dichiara Seneca – credo che un nome appropriato possa essere “JackThe SerialKiller95” -

- Che ne pensi di “CucciolinoAmorosoDududadada”? - propone Alessandro.

Non avendo assolutamente intenzione di soddisfarli, decido di scegliere un nome che non ha niente a che fare con loro: "Milziade".

Ovviamente nessuno dei miei amici ne è felice, ma io non ci penso nemmeno.

Continuo a battere sul computer, pieno di idee ed entusiasta per questa nuova avventura.

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Capitolo 50
*** (49) ***


Oggi è il 26 giugno 2015, giorno della mia rinascita.

Non posso credere che questo momento sia realmente arrivato. Sembrava così lontano, così irraggiungibile...e invece eccolo qua, più rapido del previsto. E' stato così veloce che lo percepisco quasi come un traditore, eppure a me il tempo ha fatto bene. Mi ha fatto capire molte cose. Mi ha fatto pensare, mi ha fatto conoscere amici straordinari (e particolari!), ma soprattutto mi ha fatto uscire dalla depressione per Matilde.

Pensandoci adesso, mentre batto queste parole sulla tastiera, non saprei dire se sono totalmente guarito. Tuttavia, è certo che sono sulla buona strada. Non penso più a lei assiduamente: qualche volta mi viene in mente, ma il suo ricordo scompare in pochi secondi.

Dunque, stasera festeggerò il mio compleanno. Adesso sono le 14:30 e tra pochi minuti me ne andrò al mare, come ogni giorno d'estate. In spiaggia mi aspetta Leo, che ha gentilmente accettato di dividere l'ombrellone assieme a me. Passare i pomeriggi in spiaggia con lui mi sta aiutando molto, perché mi diverto un sacco e certe volte anche Tom ed Andy ci vengono a fare visita.

Non resta che aspettare stasera...

 

Jack si alza dalla poltrona e spegne il computer, quindi si sposta nel bagno si cambia per la spiaggia. Dopo aver preparato lo zaino, prende le chiavi del motorino e scende in giardino. Qui lo aspetta Will, il suo scooter. Jack lo trascina fuori dal cancello e poi vi monta sopra, inserisce le chiavi e parte.

Guidando per le vie del proprio paese, proprio non può fare a meno di pensare a quella imminente serata. Sarà molto importante per lui, che non vede Matilde da un anno. Come reagirà? Si farà prendere dal panico? Rovinerà tutto? Riuscirà a sopportare la presenza di Matilde? Non sa come si sarebbe comportato, ma certo sa che quella è la resa dei conti. Tutto dovrebbe finire lì, in quella serata. Mai più Matilde, dopo quella sera. Basta. Guarigione.

Jack raggiunge il lungomare in pochi minuti e dopo aver parcheggiato Will si dirige verso la spiaggia. Qui lo aspetta il suo amico Leo, battuto da poco più di un mese in quella meravigliosa finale.

- Federici va 3.3 – annuncia Leo, vedendo arrivare il suo amico

Jack rotea gli occhi: è proprio fissato col tennis! Non può fare a meno di parlarne. In realtà, anche Jack ne è appassionato...ma non sta tutto il giorno a parlarne.

- Leo, non faccio in tempo ad arrivare e già parli di tennis? -

- Invece Luchetti retrocede a 4-1 – continua lui – Lucchesi va 4.1, Giuliani resta a 3.5...-

Jack non lo sta neppure a sentire: sta pensando a quella sera. E come non potrebbe? E' da più un anno che la sta aspettando.

- Federici retrocede a 4.2...-

Come si comporterà Matilde? Cosa diranno gli amici? Non è che Matilde porterà pure il suo fidanzato? E Seneca? Alessandro? Tutti gli altri? Lo aiuteranno?

Jack scuote la testa: no, non deve porsi queste domande. Le cose andranno come dovranno andare. Lui ha fatto tutto ciò che era in suo potere di fare, adesso deve solo rilassarsi.

Così, prende i suoi occhiali da sole dallo zaino e si adagia sullo sdraio, rivolgendo veloci occhiate alle ragazze che passano sulla passerella, proprio davanti al suo ombrellone.

-Fornaciari passa 3.2, Moschettieri va 3.4...-

Possibile che si ricordi di tutti?” pensa Jack. “Come può Leo ricordarsi tutte le classifiche dei tennisti della zona?”.

- Leo, mi dici una cosa? -

Il suo amico annuisce.

- Come diavolo fai a ricordarti di tutte le classifiche? -

- Ah!- il suo amico ride – Le studio a memoria. -

Jack inarca un sopracciglio. - Le studi? -

- Esatto -

- Perché mai? -

- Boh... comunque Romanelli retrocede a 4.3 e Fuzzari passa a 4.1 -

Jack scuote la testa e riprende ad osservare furtivo le belle ragazze, riportando la mente a quella serata. Non ne può fare a meno. Chissà come andrà a finire...speriamo trovi la forza di sostenere lo sguardo di Matilde.

All'improvviso, nel mentre che è immerso nei propri pensieri, sente una musica in lontananza. E' come se venisse da uno stereo a tutto volume, un po' più lontano da dove si trova lui in quel momento. Non riesce bene a capire che canzone sia. Forse proviene dal parcheggio dello stabilimento balneare? Dalla strada? Non saprebbe dirlo.

- Mazzanti e Barbarini promossi a 4.1...- continua Leo imperterrito.

La musica si fa sempre più vicina, mentre Jack si solleva sulla sdraio. Adesso riesce a comprendere che la canzone è “Un'estate al mare”, di Giuni Russo. Si guarda intorno, cercando di capirne l'origine.

Leo adesso s'è improvvisamente bloccato ed ha un'aria accigliata: sta fissando davanti a sé, senza muovere un muscolo.

- Tutto okay? - chiede Jack.

Nessuna risposta.

- Leo, cosa hai visto? -

Jack guarda nella direzione dell'amico, ma non c'è nulla.

- Stai bene? - insiste Jack.

L'amico ha un sussulto, quindi riprende a parlare.

- Giulietti passerà 3.4, Santini invece...-

Jack scuote la testa e riprende a guardarsi intorno: la musica adesso arriva ancora più forte di prima.

E' in quel momento che vede comparire, dall'entrata dello stabilimento, una sfilata a dir poco particolare.

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Capitolo 51
*** (50) ***


- Uuuun'estate al mareee! Voooglia di remareee! -

Jack si mette la testa tra le mani: di tutte le cose che si immaginava, questa era l'ultima. Anzi, questa non era neppure contemplata.

- Faaare il bagno al largooo! -

Davanti a lui, sulla passerella, con un paio di stereo sulle spalle accesi a tutto volume, stanno procedendo Seneca, Catullo, Cicerone, Alessandro Magno, Ottaviano Augusto, Orazio e Tacito. Hanno tutti il costume, con Seneca e Cicerone che portano anche un reggiseno.

Ovviamente tutte le persone nella zona si voltano verso di loro.

Jack si cala l'asciugamano sul volto per non farsi vedere dai suoi amici.

- Ma che succede? - chiede Leo, ridendo. Evidentemente quello che sta accadendo supera la sua voglia di parlare di tennis...

- Quest'estate ce ne andremo al mare! - canta Ottaviano

Jack si nasconde ancora di più, rannicchiandosi su se stesso. “Non può succedere...ditemi che sto sognando...”

- Con la voglia pazza di remare! - lo segue Orazio.

Lentamente, quella bizzarra carovana supera l' ombrellone, dirigendosi verso la spiaggia.

Jack alza l'asciugamano timidamente, temendo di essere ancora in pericolo di essere scoperto. Nel frattempo, un mucchio di persone seguono quegli strambi personaggi: chi balla, chi ride, chi balla ridendo e chi li segue semplicemente per scoprire il motivo di tutto ciò.

- Hai visto, Jack? Certa gente è proprio fuori di testa! - commenta Leo

- Sì...sono d'accordo -

- Comunque, che stavo dicendo? -

Jack si volge verso di lui, terrorizzato.

- Ah, sì! - esclama il suo amico – ma tu lo sapevi che Farmigoni è promosso addirittura a 3.2?-

Jack si alza di scatto e corre verso la spiaggia: non ne può più di sentir parlare Leo. Tutto è preferibile a un disco rotto che parla di tennis.

- Ma dove vai? - lo sente gridare da dietro – E come corri? Sembri un 4.2! Allunga il passo, muovi le braccia! Non correre come un 4.2! -

Jack raggiunge finalmente i suoi amici: hanno collocato gli stereo a terra e adesso ballano con chiunque passi lì vicino. Bambini, adulti ed anziani stanno tutti danzando...la battigia si è praticamente trasformata in una discoteca all'aperto.

- Oh, Jack! -

Cicerone si stacca dal gruppo e si avvicina rapidamente, con il suo reggiseno rosa shocking che non può non attirare l'attenzione.

- Proprio te cercavamo! -

- Come...cosa...non so cosa...- balbetta il ragazzo, che non riesce a staccare gli occhi dal reggiseno.

- Oh, non guardare quello! - esclama Marco, allontanando con la mano i pensieri di Jack – piuttosto, devo dirti una cosa molto importante -

Jack distoglie lo sguardo dal petto dell'uomo.

- Dimmi... -

- Aspetta, vieni. -

Cicerone lo prende sotto braccio e lo accompagna un po' in disparte, lontani da quella confusione.

- C'è un piccolo problema – dichiara, dopo un lungo sospiro

- Che problema? -

- Riguarda stasera. -

Jack si fa tutto rosso in volto. - Cosa diamine avete combinato? -

- Nulla, nulla! E' che...come dire...avrai un ospite in più...-

Il giovane inarca un sopracciglio.

- Marco, spiegati -

- In poche parole la Sharapova ha avuto un problema e... ha erroneamente mandato in questo mondo un altro personaggio...-

- Chi sarebbe? Giulio Cesare? Costantino? Parla, ormai sono pronto a tutto. -

Marco fa una smorfia. - Non proprio...anche se non ho idea di chi sia Costantino. Questa persona credo sia della tua epoca, più o meno... -

- E allora chi? Forza, parla! -

In quel momento un cellulare comincia a squillare: Jack per un attimo pensa sia il suo, ma poi diventa chiaro che è quello di Cicerone. O meglio: un cellulare che ha in tasca Cicerone.

Vedendo che non risponde, Jack si incuriosisce.

- Perché non guardi chi è? -

Marco deglutisce. - Non mi chiedi come faccio ad avere un telefono? -

- No, non mi interessa -

- Ma è una cosa strana...-

Adesso l'uomo sta indietreggiando: è chiaro che stia nascondendo qualcosa. Jack muove quindi qualche passo verso di lui.

- Dammi quel cellulare -

- Ascolta...-

- Dammelo! -

Marco deglutisce ancora, poi alza le spalle e obbedisce.

- E' lui...è quel tizio che ti dicevo – posa il telefono sulla mano del ragazzo. - Ora io me ne vado. Ciao, ciao! -

Cicerone scappa via, gettandosi in mare.

Jack scuote la testa e accosta l'orecchio al cellulare.

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Capitolo 52
*** (51) ***


- Pronto? -

Jack, avvicinando l'apparecchio telefonico all'orecchio, non ha idea di chi possa essere il suo interlocutore. Non è spaventato, ma solo curioso. Perché dovrebbe essere spaventato, dal momento che per mesi ha ospitato Seneca e Cicerone a casa?

- Jack! Finalmente ci conosciamo! -

E' una voce piena di gioia quella che gli risponde, con un forte accento inglese (o americano?).

- Chi è lei, mi scusi? -

- Ah, hai sicuramente sentito parlare di me, non ti preoccupare -

- Mi dica come si chiama, per favore. -

Jack si appoggia ad un ombrellone, osservando Alessandro Magno che sorridente tiene la testa di Orazio sott'acqua. Il Macedone inveisce ancora un po', poi molla la presa. Orazio comincia a galleggiare sull'acqua.

- Non è importante il mio nome – prosegue lo sconosciuto – senti un po', piuttosto, mi spieghi come hai conosciuto Matilde? -

Jack si stacca repentinamente dall'ombrellone, incuriosito da quella richiesta.

- Perché dovrei farlo? -

- Curiosità, tutto qui -

- Mi vuole dire chi è lei? -

Il ragazzo comincia a perdere la pazienza, mentre alza lo sguardo e vede Alessandro fare la respirazione bocca a bocca a Orazio disteso sulla spiaggia, che all' improvviso si alza e tira uno schiaffo al Macedone.

- Vi siete conosciuti di sera, non è vero? Eravate come due sconosciuti nella notte -

Perché quella domanda strana? Che intende dire?

- Senta, se lei non si identifica io riattacco -

- Jack, io sono un tuo amico! Non voglio dirti chi sono solo per mantenerti la sorpresa per stasera -

- Lei non verrà! Ho prenotato per un ben preciso numero di persone e non voglio che...-

- Suvvia! - irrompe lo sconosciuto, dopo una sonora risata – Sono morto nel 1998, so benissimo che una persona in più o una in meno non fa testo! -

Il ragazzo sbuffa, mentre Alessandro e Orazio adesso rimediano la situazione a botte.

- Ripeto: voglio sapere chi è lei -

- Vi siete incontrati come sconosciuti di notte, eh? Che carini! Poi scommetto ti sei innamorato e lei ti ha fatto volare fin sulla Luna -

- Ma che sta dicendo? -

Un'altra risata dall'altra parte. - Queste cose le ho sempre risolte alla mia maniera, sai? Sempre alla mia maniera. Di voli sulla Luna ne ho fatti tanti e...-

- Senta, mi dispiace. -

Jack non gli permette di proseguire: chiude la chiamata se ne ritorna all'ombrellone.

 

 

E' il suono di un clacson quello a convincere Jack ad affacciarsi dalla doccia, in ascolto.

Il clacson suona di nuovo, poi ancora e ancora...E' sicuramente un auto sotto casa sua, non c'è dubbio.

Il ragazzo si veste del solo accappatoio e si affaccia timidamente dal terrazzo.

Aveva ragione: una macchina è in attesa sotto la sua abitazione. E' un' auto molto grossa, di colore grigio e con il tetto scoperto. Inoltre, è un' auto d'epoca. Jack non saprebbe dire precisamente di che epoca, forse degli anni settanta.

Al volante sta un uomo, ma è impossibile identificarlo perché in testa ha un cappello del tipo Fedora.

Lo sconosciuto suona ancora una volta.

- Ehi! Cosa diavolo vuole? - grida Jack.

L'uomo si limita a suonare di nuovo, costringendo il ragazzo a vestirsi e scendere.

- Va bene, vengo! Ma la smetta di fare casino! -

Jack si asciuga e veste in fretta e furia, senza asciugarsi però i capelli. Quindi scende veloce le scale, sempre più incuriosito.

Uscito in giardino, si avvicina cautamente alla macchina. Il guidatore guarda davanti a sé, con il cappello che gli copre la parte superiore della testa, impedendo di riconoscerlo.

- Signore...-

Jack apre il cancello e si fa ancora più vicino, osservando l'uomo: riesce a vedere che sta sorridendo.

- Mi dice cosa...-

Il ragazzo si blocca all'istante: davanti a lui, a bordo di una lussuosa macchina, c'è Frank Sinatra, con un raffinatissimo smoking. Ora, Jack ha vissuto per un anno con persone come Ottaviano Augusto e Cicerone, quindi non dovrebbe sorprenderlo vedere Sinatra parcheggiato davanti a casa sua...eppure, in quel momento è certo di essere nuovamente tornato pazzo.

- Non stare lì impalato! - lo esorta Sinatra, con accento americano – Sbaglio o tra due ore hai una festa? -

Il giovane non muove un muscolo.

- Ma sei vivo? - chiede il cantante

- Eh? Sì...sì -

Jack scuote forte la testa, rendendosi conto di non stare sognando.

- Signor Sinatra...io non so proprio che dire! -

L' uomo gli fa l'occhiolino. - Potresti invitarmi a salire. -

 

Frank Sinatra guarda dubbioso Jack allo specchio.

- Senti, se vuoi essere elegante stasera devi ascoltare me -

- E cosa vorresti fare? -

- Tu stai zitto e fammi lavorare. -

Frank prende un pettine ed una spazzola da un cassetto e si sistema davanti a lui, poi gli getta le mani nei capelli. Jack non può vedersi allo specchio perché Sinatra è davanti, quindi non ha idea di cosa stia facendo.

- Ecco fatto! -

Il cantante si sposta e Jack può finalmente specchiarsi.

- Ma sembro John Kennedy! -

- Falla finita! -

- Come puoi dire di no? Mi hai fatto la riga e mi hai sistemato i capelli come...-

- Senti, questi capelli erano all'ultimo grido negli anni sessanta -

- Appunto! Siamo nel ventunesimo secolo! -

Frank sbuffa spazientito. - Ora togliti questi stupidi vestiti e mettiti il mio smoking. -

Jack lo guarda spogliarsi.

- E tu? Come vieni stasera? -

- Tranquillo, ne ho un altro in auto. -

Il ragazzo obbedisce e dopo dieci minuti scendono di nuovo.

 

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Capitolo 53
*** (52) ***


Il ristorante che Jack ha scelto per il suo compleanno è quello del Circolo Tennis Il Delfino, collocato in pineta. Questa posizione fa sì che di sera l'aria sia molto fresca, rendendola assai più piacevole.
- Mi dici una cosa? - domanda Jack a Frank, una volta scesi dalla macchina – Perchè sei così giovane? Voglio dire: tu sei morto molto vecchio, eppure perchè ti vedo come se avessi non più di 45 anni? -
Sinatra chiude l'auto. - Sai, non ne ho idea -
- Perfetto...-
Avviandosi verso il circolo, l'agitazione del ragazzo sale. Ha paura...ha paura di vedere Matilde e precipitare di nuovo nel baratro. Allo stesso tempo, però, è determinato a non fallire di nuovo. Sa come fare, sa come non ricaderci, ma non è sicuro di riuscirci.
Lentamente il circolo tennis emerge sopra gli alberi della pineta e i due si fermano davanti al cancello d'entrata.
- Bene, io ti lascio qui - annuncia il cantante, sistemandosi il cappello
- Cosa? Dove vai? -
- Entro dentro -
- E perchè non resti qui? -
Sinatra fa un sorrisino. - Sai, non sarebbe normale vedere Frank Sinatra nel 2015. -
Rendendosi conto che ha ragione, Jack annuisce. Quindi si siede su un muretto, attendendo l'arrivo dei suoi amici.
Sono diciannove gli invitati e diciannove i partecipanti: nessuno si è tirato indietro. E' un ottimo risultato, considerando il periodo da cui Jack è appena uscito. Era facile che qualcuno usasse una scusa per non venire, oppure dicesse chiaramente che non ne aveva voglia. E invece no, tutti hanno acconsentito a prendere parte alla serata.
- Jack! -
Il ragazzo alza la testa: a un centinaio di metri Tom ed Andy lo salutano con la mano, dopo essere scesi da una macchina.
Dietro a loro, da un'altra auto che ha appena parcheggiato, esce invece Roy. Jack li abbraccia tutti: sembra strano a lui, ma sono mesi che non li vede. Alcuni di loro gli porgono delle buste: il loro regali. Jack ringrazia e promette di aprirli non appena seduti al tavolo.
Poi arrivano anche tutti gli amici del tennis: Martina, Nicholas ed altri ancora. Quindi anche le sorelle gemelle di Andy e Fulvio, ex compagno di classe di Jack.
Ma Matilde? Dov'è Matilde? Forse non verrà?
Il ragazzo, che ora si è alzato, fatica a nascondere il suo nervosismo. Si gratta continuamente le dita e muove la testa a destra e sinistra per vedere Matilde. In quel momento si sente scoperto: è la prima volta che non è in compagnia nè di Seneca, nè di Cicerone, nè di alcun altro di loro da quando li ha conosciuti.
- Jack! -
Anche Leo è appena arrivato: stringe la mano a Jack e gli mostra una busta col simbolo della Nike.
- Guarda cosa ti ho comprato! Spero ti piaccia! -
- Oh, grazie Leo. Mi piacerà sicuramente. -
Leo, vedendo che il suo amico non lo apre, corruga la fronte.
- Non lo scarti? -
- Lo faccio dopo a tavola -
- Fallo ora, ti prego! -
Incuriosito da quell'atteggiamento, Jack acconsente. Apre la busta e prende in mano la scatola al suo interno. La apre e vi trova un paio di bellissime scarpe bianche e verdi col simbolo di Wimbledon.
- Accidenti, Leo! Sono stupende! -
Leo sorride imbarazzato. - Leggi il biglietto all'interno -
- Uh! -
Jack alza le scarpe e trova un pezzo di carta, piegato in quattro. Lo apre e legge la scritta al suo interno: "Tanti auguri! Ah, ma lo sapevi che Giuliani è passato 3.4?".
- Leo...-
Il ragazzo scoppia a ridere, dandogli una pacca sulla spalla.
- Auguri, seriamente! -
- Grazie mille, sul serio. -
Jack lo abbraccia e torna a sedersi, mentre gli arrivati chiacchierano tra di loro e scherzano. Mancano ancora tre persone all'appello: Valeria, Martina e ...
- Matilde! - esclama Jack, vedendo la ragazza arrivare dalla strada.
In quel momento, tutti i precedenti diciotto mesi gli tornano alla memoria: la crisi, l'arrivo di Cicerone e degli altri strambi personaggi, la prima vittoria a tennis...tutto. Tutto terminerà adesso, quel 26 giugno tanto lontano è arrivato. Quel giorno tanto invocato perchè sinonimo di rinascita è giunto. E' adesso che Jack deve dimostrare tutti i miglioramenti dell'ultimo anno.
Jack non ci ha fatto caso, ma insieme a Matilde ci sono anche Martina e Valeria: probabilmente sono venuti con un'unica macchina. Non manca più nessuno alla festa. Tutto può iniziare.
- Ciao! -
Martina e Valeria abbracciano il ragazzo, che ricambia con un grande sorriso.
- Hai qualcosa di diverso...- dice poi Valeria, scrutandolo con sospetto
- Ho qualcosa di diverso? -
- Sì! - esclama Martina - Ti sei fatto la barba! -
- Giusto! - Jack si passa la mano sul mento - Era l'ora, prima sembravo Barabba. -
Valeria continua a guardarlo con un sorrisino, poi si avvia con Martina dagli altri invitati.
Adesso Jack sposta lo sguardo su Matilde. I due si osservano e il ragazzo sorride, ma inspiegabilmente Matilde rimane seria e distoglie lo sguardo da lui. Poi, come a rendere evidente la propria irritazione, si sposta e va verso gli altri invitati.
Jack rimane immobile, fissando il punto in cui poco prima c'era Matilde.
Ma cosa diavolo ha in mente quella ragazza? Per quale stupido motivo adesso lo ignora? Perchè, dopo essersi ricongiunta con lui, adesso non lo degna neppure di uno sguardo?
- Jack, ma non ci siamo tutti? - domanda Tom, avvicinandosi a lui
- Sì... - risponde con un filo di voce lui
- E allora entriamo! -
Tom emette un urlo e conduce tutta quella mandria affamata all'interno del circolo, mentre Jack li segue a malincuore.

- Strangers in the night, exchanging glances...-
Sembrerebbe difficile da dire e altrettanto difficile da credere, ma Frank  Sinatra sta cantando nella pista da ballo del ristorante del Circolo Tennis Il Delfino, intorno alla quale sono disposti tutti i tavoli. Il ristorante è completamente pieno.
Jack osserva distratto il cantante, mentre alcune persone si alzano incuriosite per scoprire se i loro occhi hanno giocato un tiro mancino o stanno vedendo davvero Sinatra.
- Two lonely people, we were strangers in the night...-
Al tavolo di Jack, tutti gli invitati stanno parlando tra di loro, lasciando il festeggiato completamente isolato. Perchè sta andando tutto a rotoli? Cos'è che ha sbagliato? Perchè il lavoro di diciotto mesi sta andando all'aria?
Sbuffando, Jack si alza dal tavolo e si dirige verso il bagno. Alzandosì, però, urta contro un cameriere.
- Ops, mi scusi. Non volevo...-
- Oh, fa nulla. -
Jack si blocca: quel cameriere è...
- Marco! -
Il festeggiato osserva sbalordito Marco Tullio Cicerone, vestito di uno smocking ed un elegante fiocchetto bianco sul collo.
- Cosa diamine ci fai qui? -
- Non mi avevi notato? Ci sono anche Alessandro e Orazio che servono a quel tavolo laggiù. -
Jack guarda nella direzione del dito di Marco, riuscendo a vedere i suoi amici servire del vino al tavolo.
- Ma cosa ci fate qui? -
- Lavoriamo qui da circa tre mesi, giusto per guadagnare un pochino -
- E perchè non me lo avete mai detto? -
Marco scrolla le spalle. - Non ci abbiamo pensato. -
Jack non fa caso a quella risposta e lo trascina in disparte, mentre Cicerone fa attenzione a non far cadere il vassoio che ha in mano.
- Senti - esordisce il ragazzo - Matilde non mi rivolge la parola. Perchè diavolo lo fa? -
- Jack, ma io cosa ne so? -
- Ma come non lo sai? - esplode Jack - Tu sai tutto! Forza, dimmi che problemi ha. -
Cicerone alza una mano.
- Io non so tutto -
- Ho fatto tutto quello che mi avete detto di fare, perchè adesso non mi guarda neppure? -
- Jack, ma a te cosa frega? -
- Ma certo che mi importa! -
Marco sorride e pone una mano sulla sua spalla.
- Senti, io non so dirti perchè si comporti così. So solo che tu stai meglio e questa è l'unica cosa che conta. Adesso torna a sederti e divertiti. -
Jack non è per niente convinto, ma decide di accontentarlo per non lasciare soli i propri amici.
Quindi torna a sedersi e guarda Matilde, seduta davanti a lui.
- Allora, Matilde, cosa mi racconti? -
La ragazza lo guarda dubbiosa, poi sorride ed inizia a parlare.

Jack si inoltra a passi lenti sulla spiaggia deserta, fermandosi in prossimità del mare.
Sono circa le undici e quarantacinque e un vento leggero lo colpisce sulla fronte. I suoi amici sono leggermente indietro e lui è rimasto da solo coi propri pensieri. Matilde, durante la festa, si è sciolta ed ha cominciato a parlare, ma lo ha fatto sempre come contro voglia. Il motivo, lui non lo sa.
In spiaggia non c'è nessuno e regna una pace assoluta, interrotta solo dalle risate degli invitati di quella sera.
Ad un certo punto, Jack ode dei passi dietro a sè ed una voce.
- Stupenda serata. Davvero stupenda. -
Gli ci vuole un po' di tempo per capire chi ha accanto: Cicerone.
- Marco! Che ci fai qui? - esclama, abbracciandolo.
La sua conversazione con lui di poco prima lo ha leggermente risollevato...e poi è il 26 giugno: il percorso si è chiuso.
Marco ricambia l'abbraccio e rivolge lo sguardo sulla distesa del mare.
- Non potevo non salutarti prima di andarmene. -
Il ragazzo ha un sobbalzo.
- “Andarmene”? Non mi dirai che...-
- Proprio così. Il mio tempo qui è finito, così come quello di Catullo e gli altri -
- Ma come...come è possibile? Non capisco il motivo, avrò bisogno di voi...-
Cicerone si limita a sorridere: Jack non avrà risposta. Forse non c'è una risposta e le cose devono andare così, senza un motivo.
Il giovane ripensa a tutti i momenti passati insieme: il loro primo incontro, le partite al circolo, la patente...dovrò farne a meno.
Poi gli sorge una preoccupazione.
- Ma il racconto? Chi proseguirà il mio racconto? -
- Quello su EFP? - chiede Marco
- Sì -
Cicerone fa l'occhiolino.
- Tranquillo, lo farò io -
- Mi raccomando, ci tengo molto -
- Lo finirò e pubblicherò io, tranquillo. -
Jack non è affatto convinto, ma non vuole replicare.
Dopo Matilde, adesso anche Cicerone lo sta abbandonando.
- No, non ti stiamo abbandonando – lo corregge Marco, leggendogli il pensiero. - Abbiamo semplicemente terminato il nostro lavoro. -
Jack lo guarda, cercando qualcosa da dire per farlo restare. Purtroppo sa già che sarà tutto inutile, non resterà.
Cicerone gli dà una pacca sulla spalla, poi lo guarda con intensità. E' uno sguardo molto particolare, come quello che assume in certe occasioni. I suoi occhi ispirano saggezza e fiducia, con una forza a cui Jack non sa resistere.
- Hai messo in atto tutto ciò che ti abbiamo insegnato, ti sei risollevato. Hai alzato la testa, pur essendo stato schiacciato dal peso di Matilde. Hai smesso di odiarla ed hai continuato a volerle del bene, come ti avevamo detto. Forse ti chiederai se tutto questo sia stato giusto, se continuerai a soffrire ancora. Jack, non posso mentirti: proverai ancora dolore, ma sarà un dolore diverso. Potrai forse essere un poco geloso di Frank, ma non avrai più risentimenti nei confronti di Matilde. Il tuo amore era puro, la ami ancora solo per il fatto che esiste ed è felice. Lo hai imparato adesso, sei stato un bravo allievo. -
Una lacrima scende lungo la guancia del ragazzo, nel momento in cui capisce che le loro strade si divideranno. Stavolta per sempre. Il momento è arrivato e lui sa già che gli mancherà.
- Non scordarti mai ciò che ti ho detto, amico mio -  dice ancora il sapiente latino.
Si abbracciamo ancora e Jack comprende che, forse, anche lui è un po' dispiaciuto per il fatto che non lo più.
Con la vista offuscata dalle lacrime, lo guarda svanire come un'ombra davanti a sè: ben presto si ritrova ad abbracciare se stesso, perché Cicerone è scomparso.
Quindi abbassa la testa e trattiene con forza le lacrime: non è il momento di piangere.
Una forte luce in cielo lo costringe a guardare in alto, dove una stella cadente corre veloce nella volta celeste prima di svanire. Poco dopo ne vede un'altra, poi un'altra ancora, ancora un'altra...
Con voce rotta dal pianto mormora:                                                                                                      - Ciao, ragazzi. -


Il ragazzo ha ancora le guance umide per le lacrime quando sente un forte rumore in cielo.
Quando alza gli occhi in alto vede una forte luce che lo costringe ad abbassare la testa. Il bagliore è talmente intenso che non può sollevare il capo. Quando quella forte luce si è un poco attenuata, osserva cosa stia succedendo: ciò che vede lo rende esterrefatto.
Maria Sharapova, vestita solo di un variopinto manto di fiori, si erge su un'immensa conchiglia sul mare. Questa è sollevata da intensi turbini marini che ruotano in senso circolare, mentre dal cielo cominciano a piovere fiori. Presto la spiaggia è tutta colorata.
Maria lo guarda, mentre le acque agitate si avvolgono alla base della conchiglia, mandando ogni tanto degli spruzzi verso di lui. La donna è illuminata da una strana luce dall'alto, che mette in risalto la sua pelle candida e lo splendore di quella visione.
I fiori continuano a cadere dal cielo notturno, fino a creare uno spessore di qualche centimetri ai piedi di Jack.
I capelli biondi della ragazza, che sorride in modo angelico, sono spostati da un leggero vento.
- Ciao, Jack. -
Totalmente in estasi, il giovane non fa caso alla  propria bocca spalancata dalla sorpresa.
Tutto il mare e la spiaggia sono immersi nell'oscurità, eccetto il punto in cui si trova la conchiglia che trasporta la giovane ragazza.  
- Chiudi la bocca, o ti entrerà un moscerino dentro – scherza la Sharapova.
Lui deglutisce, sebbene ancora scosso.
- Tu...tu che ci fai qua? -
- E' il 26 giugno, Jack. Riesci a crederci? Per quanto hai aspettato questa serata? -
Una folata di vento scuote il mantello fiorito di Maria, lasciando intravedere le sue dolce spalle. Lei sorride di nuovo, si sistema la candida veste e ricomincia a parlare.
- Questa è la tua serata, Jack. Fino ad adesso è andata bene, nonostante il comportamento iniziale di Matilde. Non chiederti perchè non ti considerasse, erchè non è questo l'importante.
So che dubiti ancora e che hai ancora paura di vederla, ma adesso sai come affrontarla...ovvero con l'amore. Lei ti ha dato falso amore, tu amore vero. Cosa le darai? Amore vero, ancora una volta. Non aver paura di lei. Se lei è felice, anche tu sei felice. -
Maria fa una pausa.
Jack vorrebbe parlarle ma non ci riesce, sembra che tutte le sue facoltà espressive siano state cancellate. Dalle sue labbra non esce alcun suono, mentre i suoi occhi non riescono a staccarsi da quelli della donna. E' in estasi, gli sembra che lo sguardo della donna lo stia trasportando in alto...non vede le sue labbra muoversi, eppure sente che le parla.
Improvvisamente si percepisce leggerissimo, così tanto da poter salire verso il cielo. Il suo sguardo è sempre fisso su quello di Maria, che continua a parlare.
- Non hai più bisogno di me, Jack. Ora sai come comportarti con Matilde, sai tutto.  -
Dietro lo sguardo sorridente della Sharapova , Jack vede numerose stelle che scorrono veloci: sta veramente salendo in alto!
In quel momento, lui si sente benissimo. E' totalmente appagato nei suoi desideri, come se Maria avesse prosciugato ogni sua volontà.
Gli occhi della donna occhi lo guardano con dolcezza, mentre la sua bocca resta chiusa e le parole escono misteriosamente da quella.
"E' finita, Maria?" si chiede Jack. Vorrebbe domandarlo, ma proprio la sua bocca è immobile.
Maria sorride, leggendo ancora una volta i suoi pensieri.
- Hai sempre sbagliato una cosa fin dall'inizio, Jack. -
"Cosa, Maria? Cosa ho sbagliato?" si domanda il ragazzo, desideroso di saperlo.
La Sharapova sorride ancora.
- Questo non è l'inizio...-
Il giovane non comprende cosa intenda, ma prima di domandarsi il significato di quelle parole lei lo precede.
- Jack, questo è solo l'inizio. -
Velocemente com'è iniziata, la visione finisce.
Il viso angelico di Maria scompare e Jack si sente precipitare in basso, mentre davanti a lui corrono di nuovo veloci le stelle.
Nel momento in cui dovrebbe impattare col suolo, però, non sente alcun dolore.
Anzi, non sente nulla: il buio lo inghiottisce.

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Capitolo 54
*** L'INIZIO (0) ***


L'INIZIO

 

 

Jack si sveglia di soprassalto, come succede quando si sogna di cadere.

Si ritrova sul letto di casa, con la schiena tutta sudata che fa appiccicare il pigiama alla pelle. Un raggio di sole fa capolino tra le fessure della persiana abbassata, andandolo a colpire sulla fronte.

Ma che ore sono?

Il ragazzo si allunga per prendere il cellulare sul comodino. Preme il tasto centrale e la schermata si accende, indicando le 8:22 del mattino.

Jack sbadiglia e poi si stira, alzandosi dal letto. Nel mentre che infila i piedi nelle ciabatte, il cellulare che ancora ha in mano inizia a vibrare: è il suo amico Andy, che lo sta chiamando.

- Pronto? Jack! -

- Andy, non ti sembra un po' presto? - biascica Jack, entrando in bagno

- Eri a dormire? Scusami, allora -

- Fa nulla, dimmi pure -

- Ho una grande notizia! - Andy sembra felicissimo. - Stasera andremo a giro! -

Jack è piacevolmente sorpreso: sono assai rare le sue uscite serali, dal momento che il suo unico amico è Andy. Ovviamente questo non vuol dire che non escano mai da soli, ma di certo è più piacevole farlo con un gruppetto più numeroso.

- Bene! E dove andremo? - chiede il ragazzo, sciacquandosi le mani

- Che ne dici di venire qui da me, qui a Ciomarea? -

Ciomarea...è buffo: i due amici sono nella stessa classe da cinque anni, ma Jack non è mai andato a Ciomarea dal suo amico. La stessa cosa non si può dire di Andy, che ha già visitato una volta T**** d** L***.

- Sai, mi piace come idea. Devo solo vedere a che ora passano i pullman. -

Già, perché Jack non ha ancora la patente. E che si muova! A diciotto anni è il momento giusto per conseguirla, cosa che d'altronde deve fare pure Andy.

- Dai, allora fammi sapere! A presto! -

I due si salutano e Jack si prepara per la colazione.

 

Jack si trova sul bus quando il suo cellulare inizia a squillare: è di nuovo Andy.

- Hey, a che punto sei? -

- Sono quasi arrivato – risponde Jack, guardando fuori dal finestrino. - Ancora cinque minuti e sono lì -

- Bene, perché ho una novità -

- Spara. -

Andy tossisce, come per annunciare qualcosa di importante.

- Amico mio, stasera avremo degli ospiti -

- Che tipo di ospiti? -

- E' qui che arriva il bello: delle ragazze! -

Jack sorride inconsapevolmente: delle ragazze! Un tipo chiuso ed introverso come lui che stasera conoscerà delle ragazze! Non importa se non ci parlerà o se non si rivolgeranno la parola: l'importante è che saranno tutti insieme. Potranno anche dividersi e non vedersi mai più, ma per stasera saranno tutti un gruppo unico e compatto. E poi...quando mai Jack ed Andy sono mai usciti con delle ragazze? Mai, ovviamente. Sarà anche qualcosa di divertente!

- Ottimo! Sai come si chiamano? -

- Non mi ricordo bene, onestamente -

- Ma tu le conosci? -

- Per modo di dire...sai, sono amiche delle mie sorelle -

- Capisco. -

L'entusiasmo di Jack si smorza all'istante: le sorelle di Andy sono leggermente psicopatiche, questo vuol dire che lo saranno anche le loro amiche?

- Comunque – riprende Andy – ci sarà anche un ragazzo che ho conosciuto poco tempo fa. Non so quale sia il suo nome di preciso, ma tutti lo chiamano Tom. -

A Jack si accende una lampadina in mente: Tom? Lui non conosce nessuno con quel nome, eppure gli ha fatto venire in mente qualcosa.

Tom...Tom...no, nessuno di sua conoscenza ha quel nome. Forse Tommy? No, non ne conosce nessuno. Tommaso? Non conosce nessun Tommaso...e allora perché?

- Jack, ma ci sei ancora? -

- Sì, sì! - risponde il ragazzo – stavo giusto pensando -

- Guardiamo di fare bella figura con quelle donzelle, eh! Facciamo che questo 13 agosto sia una data importante! -

Adesso Jack ha un vero e proprio sussulto.

- Cosa hai detto? - esclama, facendo voltare tutti i passeggeri verso di lui

- Eh? -

- Il 13 agosto? Hai detto così? -

- Sì, oggi. -

Jack allontana veloce il cellulare dall'orecchio per vederne la schermata: segna proprio il 13 agosto. Non sa perché né come sia possibile, ma improvvisamente si rende conto di non aver idea di che giorno sia. O meglio: ha appena scoperto che è il 13 agosto, ma non sa spiegarsi il motivo per cui gli sembri così strano.

Ha come l'impressione di aver perso la nozione del tempo, senza ricordare cosa abbia fatto prima di quella mattina. Cosa ha fatto ieri? E ieri l'altro? Non lo ricorda.

- Andy – sussurra agitato – in che anno siamo? -

- Eh? - domanda il suo amico, dopo qualche secondo

- Hai capito bene -

- Hai fumato qualcosa? -

- Devi dirmi in che anno siamo -

- Senti, devo andarmi a preparare...-

- Andy! - adesso Jack ha urlato – in che anno siamo? -

- Nel 2013! -

Jack rimane basito: com'è possibile? Il 2013?! Ancora una volta non sa perché, ma ha l'impressione di non essere nel 2013. Si ricorda frammenti di anni successivi, senza però ricordare nulla di importante. E quel nome...quel “Tom”...c'entra forse qualcosa?

- Jack, ma sei ancora lì? - chiede di nuovo Andy

- Sì, scusami...stavo pensando -

-Mah, sei veramente strano! A dopo, okay? -

I due si salutano e Jack chiude la chiamata.

Tom...proprio quel nome gli ricorda qualcosa. E poi, come è possibile sia il 2013? Forse ha solo sognato di essere stato nel futuro? Forse è lì che ha conosciuto un Tom?

Il pullman arriva in Piazza Kennedy, nel centro di Ciomarea, alle ventuno in punto. Alla fermata è già presente Andy, che con le braccia incrociate in piedi lo sta aspettando. Jack è ancora confuso quando lo raggiunge.

- Ehi!- lo saluta il suo amico – ma eri ubriaco sul bus? -

- No, no – ride Jack – forse ho avuto una giornata pesante. -

Andy lo guarda per un attimo, poi sorride e gli fa l'occhiolino.

- Allora, sei pronto per conoscere le ragazze? -

Jack annuisce deciso. - Assolutamente -

- Bene, vienimi dietro. Entreremo nella piazza. -

Raggiungono un cancello nero basso, che dà accesso alla parte centrale di Piazza Kennedy. Al centro di quest' ultima c'è una grossa fontana colorata di rosso, blu, giallo e verde. L'effetto di luce, con le prime oscurità della notte, è favoloso.

Andy si avvia verso la fontana, dove un gruppetto di due ragazze ed un ragazzo sta parlando. Jack lo segue felice, percependo che quella sarà una serata molto divertente.

- Eccoci qui! Sono andato a recuperare il nostro terzo uomo di stasera – annuncia Andy, riferendosi a Jack.

I presenti gli sorridono imbarazzati.

- Beh – continua Andy – fate almeno le presentazioni! -

L'unico ragazzo del gruppetto si avvicina a Jack e si presenta come Tom.

Tom! Allora è lui! Jack lo osserva attento, ma subito si rende conto di aver sbagliato: non lo ha mai visto in tutta la sua vita. Forse aveva davvero sognato un Tom la notte passata, deve essere stato per questo che aveva l'impressione di averlo già sentito nominare. Succede spesso, non è vero?

Una ragazza bionda si presenta invece come Sara: Jack non ne è sicuro, ma gli sembra che Tom sia interessato a lei, dal momento che le manda delle rapide occhiate per poi distogliere subito lo sguardo.

Jack si sposta quindi sull'ultima ragazza.

E' in questo momento che percepisce le stesse sensazioni avute per Tom: ha l'impressione di averla già conosciuta...di sapere già chi sia. In realtà, sa bene di non averla mai vista.

E' una ragazza mora, con i capelli fin sulle spalle, forse timida perché tende ad evitare il contatto visivo.

Jack si sente attratto da lei, ma non fisicamente. Questo non vuol dire che la ritenga brutta (tutt'altro!), ma sente un'attrazione diversa...quasi spirituale, con lei. E' una sensazione fortissima, che a stento riesce a trattenere.

Il ragazzo le porge la mano, senza riuscire a staccarle gli occhi da dosso.

- Ciao, mi chiamo Jack Francesconi. -

Lei sorride timida e ricambia il gesto.

- Piacere, mi chiamo Matilde Vinelli. -

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AUTORE:

 

Ciao a tutti :)

Sono ENTUSIASTA che questa storia sia terminata, perché onestamente non ne potevo più. E' un anno e mezzo ormai l'ho preparata e non avevo più voglia di stare ogni settimana a pensare a Matilde, che ormai ho definitivamente superato.

Mi devo scusare per gli innumerevoli errori che ci sono: ne sono consapevole. Forse un giorno la correggerò e riscriverò a modo, ma dentro di me credo che questa versione sarà sempre la mia preferita perché è scritta di getto, senza tanto a pensare alla perfezione sintattica e lessicale.

E' nata come uno sfogo e non avete idea di quanto mi abbia aiutato, quanto meglio mi abbia fatto sentire. Detto questo, grazie a chiunque ha dato anche solo un'occhiata ad un capitolo. Mi avete fatto compagnia, mi sono divertito moltissimo :)

Buona Pasqua e buona giornata a tutti!

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