FATUM

di fedetojen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


FATUM
 

Quello che chiamiamo il nostro destino è in realtà il nostro carattere,
e il carattere si può cambiare.

 
1
 

 
Il mio nome è Cassandra, sono orfana: non ho mai conosciuto i miei genitori né i miei nonni, nessuno.
Ho vissuto in orfanotrofio per 25 lunghi anni. Ho deciso di partire e trasferirmi in California, a Palo Alto: ogni strada è costeggiata da alberi colorati, parchi e bar che rimangono aperti anche a notte fonda.
Sono una ragazza come tante altre: mi piace la musica, stare in compagnia, avere degli amici, lavorare, essere felice…cose così, insomma.
Lavoro in un bar dove al suo interno abbiamo tavoli da biliardo e la gente non è mai poca.
La paga è buona rispetto a molti altri bar, dove per avere ciò che ho come stipendio devo lavorare duramente per due settimane.
Quando lavoro mi sento soddisfatta: essere a contatto con la gente fa bene alla salute e alla mente, anche perché preferisco lavorare che essere chiusa in casa.

Oggi è il mio giorno libero, è sera inoltrata e fa molto freddo: indosso il cappuccio della mia felpa preferita, di qualche taglia più grande di me, per essere comoda e con le mani nelle tasche della stessa cammino guardandomi il panorama.
Fa freddo, ma è sempre piacevole fare due passi al chiaro di luna.
So che a una certa ora è pericoloso andare in giro per strada ma l’orfanotrofio in cui ho passato tutti questi anni era un orfanotrofio alternativo: ti insegnano le buone maniere, studi, segui corsi di approfondimento e corsi di autodifesa, perché la sicurezza non è mai abbastanza.

Osservo con innocenza la nuvola di vapore che faccio uscire dalla mia bocca, mentre qualcosa cattura la mia attenzione: in un vicolo due sagome stanno parlando ma una di esse alza la mano sferrando un colpo all’altra, lasciandola a terra inerme.
La sagoma corre via velocemente e io mi precipito a vedere come sta l’altra persona.
Mi piego lentamente e metto una mano sul suo collo ma non c’è battito.
Prendo il telefono e accendo la torcia: l’uomo aveva tre graffi sul petto e un buco con il cuore mancante.
Presi il telefono con la mano tremante, c’erano due possibilità: chiamare la polizia, essere interrogata oppure andare via come se niente fosse.

Devo dire che la seconda scelta era molto allettante: non penso non s’insospettirebbero di vedere una ragazza orfana vicino ad un cadavere in piena notte, qualche domanda se la sarebbero fatta così scelsi di andare via, lasciando la scena del crimine.
Aprii la porta di casa ritrovandomi al buio: accesi la luce togliendomi il cappuccio e andai verso il frigo per bere un sorso d’acqua.
La luce della luna entrava dalle finestre aperte, dando un senso di tranquillità e serenità all’ambiente, anche se ero ancora un po’ sotto shock per via del cadavere senza cuore in quel vicolo buio.
Mi misi a letto sperando di non passare una notte in bianco visto l’accaduto: riuscii a prendere sonno dopo qualche minuto e appena mi svegliai mi fiondai nel salone per controllare il telegiornale.

“Trovato corpo senza vita la notte scorsa ad indagare polizia e scientifica” disse la giornalista inquadrando il corpo coperto del morto.

Scossi la testa bevendo il latte per poi fare la mia corsa giornaliera.
Le mie cuffie, il cappuccio e la strada del parco sempre piena di gente e anziani, accompagnavano la mia corsa abituale del giorno.
A pranzo mangiai leggero e verso il tardo pomeriggio mi diressi al bar dove lavoravo.

“Ei Cassandra” mi disse John, il proprietario e titolare del bar sorridendomi.

“John” dissi con un cenno del capo, mentre mi avvicinai al bancone per indossare il grembiule intorno alla vita.

Presi la pezza ed iniziai a lavare il bancone, passando poi ai vari tavolini sparsi per la sala e in ultimo i biliardi.
Qualche ora dopo, ormai era buio e la gente era già ai tavoli o a giocare con amici, mentre bevevano o fumavano.
Dalla porta entrò un giovane vestito elegantemente, fu difficile non notarlo visto il modo in cui attirava l’attenzione di ogni ragazza presente nel bar.
Con un cenno del capo John mi fece segno di andare dal cliente e subito mi diressi verso di lui dietro al bancone.

“Cosa posso offrirle?” chiesi sfoggiando il mio sorriso: si sedette, posando entrambe le mani sul bancone alzò lo sguardo e mi sorrise.

“Uno doppio, bellezza” mi disse continuando a sorridermi, guardandomi con i suoi occhi verdi.

“Subito” dissi velocemente, prendendo lo scotch mettendolo nel bicchiere di vetro.
Lo scolò in due secondi, facendomi segno col dito di dargliene un altro: aveva un’aria di chi è stato appena preso sotto da un tir.

“Giornata pesante?” chiesi mentre riempivo il bicchiere tra le sue mani. Bevve il contenuto e mi guardò con aria stanca.

“Il mio lavoro è molto…impegnativo” disse portandosi due dita vicino al collo, allentandosi la cravatta.

“Immagino” dissi sorridendo, lasciandolo per servire altri clienti.
Era passato dallo scotch alla birra, cosa molto strana visto che di solito è il contrario: dalla birra si passa a qualcosa di più ‘pesante’.
Posai i gomiti sul bancone e lo osservai bene.

“Regge bene l’alcool” dissi divertita.

“Ci sono abituato” mi disse accennando un mezzo sorriso, inclinando il capo e appoggiando la schiena alla sedia.
Era rimasto l’unico a bere nel locale e si era tolto anche la giacca.

“Signore mi deve scusare ma dobbiamo chiudere” dissi avvicinandomi a lui con gentilezza.

“Non chiamarmi signore mi sa di vecchio: chiamami pure Dean” disse voltandosi e sorridendomi.

“Va bene, Dean: dovremmo chiudere. Vuoi una mano ad arrivare alla tua macchina?” chiesi poco convinta del suo stato.

“No…no, ce la faccio” disse poco convincente. Si alzò e per poco non cadde: riuscii a prenderlo al volo e a non farlo cadere. Iniziammo a camminare verso l’uscita.

“Sono…al di là del salvabile…” disse biascicando, mentre lo trascinavo fuori dal locale.

“So come finisce…la mia storia: in fondo al mio burrone…c’è una lama o la canna di una pistola” disse fermandosi poi sul cofano di una Chevrolet del 67’.

“Dean, non dire così” dissi, cercando di non farlo addormentare visto che stava divagando. Mi guardò sorridente e scosse ancora la testa: era ubriaco fradicio.

Dean?” disse una voce sorpresa alle mie spalle.

“Fratellino” disse Dean sorridendo al ragazzo dai capelli lunghi.

“Lo conosce?” chiesi sorridendo al ragazzo mentre guardava Dean perplesso.

“Sì: è mio fratello. Se ha combinato danni ripagherò tutto” disse avvicinandosi velocemente prendendo il fratello.

“No, non è successo nulla: l’ho solo accompagnato fuori, era orario di chiusura. È questa la sua macchina?” chiesi indicando la Chevrolet.

“Sì, e scusami ancora” disse dispiaciuto il ragazzo mentre metteva Dean al posto del passeggero e andava via con la macchina dal parcheggio del bar.

L’indomani, mi toccava il turno di mattina e di sera, così andai subito al locale.
Erano solo le dieci di mattina e il locale era già pieno: meglio per me, più mance.
Mentre stavo servendo al bancone, qualcuno picchietta su di esso attirando la mia attenzione: giacca elegante, fisico slanciato e occhi verdi.

“Buongiorno” disse Dean sedendosi, toccandosi più volte la fronte.

“Giorno’. Problemi post-sbornia?” chiesi divertita, mentre riponevo la bottiglia di whiskey a posto.

“Ho bevuto troppo ieri, lo ammetto. Per me solo un po’ di acqua, Cassandra” disse leggendo il cartellino sulla mia maglia.

“Certo” dissi rispondendo al suo sorriso smagliante.

“Cass, poi butta l’immondizia intesi?” mi chiese John, avvisandomi.

Annuii con la testa e appena riempii il bicchiere di Dean, andai a prendere l’immondizia per buttarla sul retro.
Quella busta pesava troppo, ma ormai non era un problema: aprii il cassonetto e buttai dentro la busta.
Notai rivolto contro il muro un uomo: mi avvicinai e allungando la mano toccai la sua spalla.

“Tutto ben--Aaaaaah” dissi urlando, cadendo a terra: l’uomo era morto, con tre graffi sul petto e il cuore mancante.
Cercai di rialzarmi ma mi ritrovai le mani sporche di sangue e urlai ancora.

“Ei, ei è tutto ok! Stai bene?” mi voltai verso la voce, vedendo Dean avvicinarsi velocemente a me, aiutandomi ad alzarmi.

“Sì, io sto bene…lui è…” dissi tremante, indicando con la mano sporca di sangue il morto.

“Shh, va tutto bene” disse stringendomi a me Dean, cercando di calmarmi. Poco dopo ero alla stazione di polizia a rendermi conto di quello che era appena successo.

“Cassandra, allora: dove sono i tuoi genitori?” un agente entrò iniziando a farmi il terzo grado.

“Sono orfana” dissi guardando altrove.

“Hai qualche relazione con l’uomo morto?” mi chiese con voce accattivante.

“No, non lo so: forse poteva essere un cliente del bar, non lo so!” dissi esplodendo, sentendomi alle strette. Di colpo la porta si aprì e Dean entrò.

“Ei calma, ok? Non è un sospettato, va bene? E ora ce la vediamo noi” disse facendo andare via l’agente, Dean, affiancato dal ragazzo alto della sera precedente.

“Cassandra, lui è mio fratello Sam. Siamo agenti dell’FBI” mi disse Dean sedendosi difronte a me.

“Non ho fatto nulla, ve lo giuro” dissi cercando di alzare le mani, ma bloccate dalle manette attaccate al tavolo. Dean fece cenno a Sam che si avvicinò e mi tolse le manette.

“Grazie” dissi sfregandomi i polsi.

“Sappiamo che non sei tu il colpevole: pensiamo sia un licantropo” disse Dean, unendo le mani sul tavolo.

“Licantropi? Ma non esistono” dissi incredula.

“Oh Cassandra, non sono l’unica cosa che esiste in questo mondo sovrannaturale” disse Sam, appoggiando la mani sul tavolo.

“Voglio uscire di qui” dissi a braccia conserte, guardando Dean negli occhi.

“Va bene” disse alzandosi e accompagnandomi fuori dalla centrale, fino alla sua macchina.

“Dove abiti?” mi chiese aprendomi lo sportello della macchina.

“Ci vado a piedi non è un problema” dissi voltandomi, iniziando a camminare, lasciandoli lì. Ero quasi a metà strada per arrivare a casa, quando qualcuno mi telefonò.

“Pronto?”

“Cass, sono John: volevo dirti che puoi prenderti dei giorni per riprenderti dato l’accaduto di oggi, va bene?” mi disse dall’altra parte del telefono.

“Grazie John” dissi chiudendo la chiamata, sorridendo.

Appena arrivai a casa, preparai un bel bagno caldo e mi ci infilai dentro.
Passò quasi una settimana e io continuavo ad avere incubi, di quello strazio fuori dal bar, ma iniziai a lavorare di nuovo e un giorno un cliente iniziò con il piede sbagliato.

“Dai ragazzina, ci vediamo fuori sul retro, mmh?” mi disse sorridendomi. Per poco non vomitai e scostai la sua mano dalla mia spalla.

“No: ora per favore si sieda e continui a bere la sua birra” dissi allontanandomi gentilmente, ma mi prese per il braccio spostandomi bruscamente.
Mi voltai e vidi una sagoma iniziare a prendere a pugni il cliente che poco prima m’importunava: lo riconobbi subito dai suoi abiti eleganti e dalla prestanza fisica.

“Dean!” urlai, vedendo con quanta violenza e forza continuava a sferrare pugni all’uomo sotto di lui.

“DEAN!” urlai più forte poggiando una mano sulla sua spalla sinistra. Si fermò e appena si voltò i suoi occhi erano tutti neri. Sgranai gli occhi
e feci un passo indietro.

“Ti ho trovata” disse con voce agghiacciante.




Writer's Space: Salve gente, ragazzi e ragazze xD Spero che quest'altra (ennesima) storia, sia di vostro gradimento. Più che altro spero vi abbia incuriosito almeno un pò dalla descrizione iniziale, fino ad adesso xD Ovviamente aspetto sempre con ansia le vostre recensioni, che sono sempre ben accette :)


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Capitolo 2
*** 2 ***


FATUM 
 

Spesso s’incontra il proprio destino nella via che s’era presa per evitarlo.


2
 
Con le mani ancora sporche di sangue, si voltò con il corpo e iniziò ad avvicinarsi a me.
Feci l’unica cosa che riuscivo a fare bene: iniziai a correre.
Correvo sempre via davanti ai problemi, davanti alle persone che cercavano di aggredirmi, davanti a situazioni che non riuscivo a gestire.
Anche se avevo paura e il fiatone, continuai a correre più forte che potevo.

“Non puoi scappare per sempre!” la voce di Dean era forte e potente, mentre risuonava nella mia testa, mentre correvo.
Sembrava essere a un passo avanti a me, fino a che non lo ritrovai di fronte a me con in mano un coltello: gambe divaricate, braccia distese, occhi verdi che mi scrutavano con una luce diversa, quasi malvagia, corpo teso e pronto ad attaccare.

“E ora vediamo se hai imparato qualcosa” disse avvicinandosi a me.

Mi misi in posizione di attacco e cercai di parare il suo pugno con il braccio: sentii le sue nocche contro le mie ossa e fece un male cane.
Era veloce, forte e furbo: vidi che stava per pugnalarmi e con una mossa veloce, colpii la sua mano con il coltello, facendolo volare lontano da noi.
Si allontanò di qualche passo e presi coraggio e cercai di colpirlo: gancio destro, poi sinistro e colpo con la gamba, ma aveva parato tutto; continuava ad osservarmi con quel sorrisetto agghiacciante fino a quando non mi ha bloccata con il suo corpo: avevo il suo braccio sotto il mio collo a tenermi stretta, mentre teneva l’altro mio braccio dietro alla mia spalla.

“Credevo durassi di più” mi disse vicino all’orecchio, con tono deluso.

DEAN!” vidi Sam correre verso di noi, in lontananza. Lo sentii sbuffare dietro di me e provai a colpirlo: pestai con tutta la forza che avevo il suo piede, mentre lasciò la presa del mio collo per il dolore e gli diedi una gomitata in faccia allontanandomi velocemente da lui.

“Sta giù Cassandra!” mi urlò Sam. Subito mi accucciai a terra terrorizzata e sentii solo il rumore di uno sparo e subito dopo Dean steso a terra, mentre mi osservava con quei suoi occhi neri, furioso.

Dean! Cosa gli hai fatto?” chiesi alzandomi velocemente e avvicinandomi a Dean, che mi guardò con gli occhi neri, ringhiandomi contro.

“L’ho sedato. Sta lontana da lui!” mi disse spostandomi, Sam.

“Vieni” disse mentre prendeva Dean e lo portava alla macchina.

“Dove stiamo andando?” chiesi velocemente, mentre entravo in macchina mettendomi affianco al posto del guidatore.

“Al bunker” mi disse partendo via sgommando. Dean, continuava a grugnire e ringhiare dietro di noi, mentre i suoi occhi continuavano ad essere neri come la pece. Non feci caso alla strada, ero troppo presa a guardare scettica Dean, diventato così strano dal solito.

“Siamo arrivati” mi avvisò Sam, prendendo Dean da dietro al sedile.

“Ma questi bunker non esistevano ai tempi di Hitler?” chiesi entrando.

“E’ un bunker degli uomini di lettere” mi disse mentre posava Dean su una sedia nell’enorme stanza, piena di libri, armi e oggetti strani.

“Uomini di che?” chiesi avvicinandomi. Sam mi fece segno con il capo e mi avvicinai a Dean, che mi guardava sorridente.

“Ti ho trovata finalmente…” mi disse prima di far diventare i suoi occhi normali.

“Sam?” chiese poi guardandosi attorno.

Dean? Sei tu?” chiese correndo Sam, vicino al fratello.

“Che diavolo è successo? Perché sono sporco di sangue e perché Cassandra è qui?!” chiese agitato.

“Il demone, Dean” disse Sam slacciando le catene che aveva intorno alle sue mani.

“Merda!” disse facendo volare la sedia con la mano.

Tu! Perché hai quei lividi sul volto?” mi chiese puntandomi il dito contro. Il suo tono di voce era ritornato quello di prima: mi hai dato un pugno, fatto volare a terra e cercato di uccidermi, sarebbe stata questa una spiegazione logica?

“Mi hai aggredito” dissi semplicemente, facilitando il tutto.

“Mi spiace” disse osservandomi preoccupato.

“Dobbiamo mettere questo tipo sotto controllo, Sam!” disse verso il fratello che annuì a braccia conserte.

“Vado a farmi una doccia” disse Dean, prima di sparire.

“Castiel, dove sei?” disse Sam guardandosi intorno.

“Con chi parli?” chiesi preoccupata avvicinandomi al tavolo di legno lucido.

“Sam” disse una voce dietro di me. Mi voltai velocemente spaventandomi vedendo una figura maschile in un impermeabile chiaro.

“Dio!” dissi posando una mano sul petto, sorpresa.

“Solo un angelo di Dio, non Dio” disse sorridendomi, mostrandomi il suo sorriso perfetto e i suoi occhi blu come l’oceano.

“A-angelo?” chiesi scettica.

“Sì” mi disse sorridendomi.

“Cas, Dean ha aggredito Cassandra, cioè non Dean ma il demone dentro Dean” spiegò Sam verso Castiel, che continuava a guardarmi, mentre si avvicinava a lui.

“Possiamo continuare con le iniezioni di sangue” propose Castiel avvicinandosi e sedendosi al tavolo.

“Scapperebbe dalla trappola demoniaca come l’altra volta e non ho ancora sistemato tutto ciò che ha rotto” disse Sam scuotendo la testa.

SAM!” sentimmo ringhiare da lontano. Subito Sam corse via, lasciandomi in compagnia di Castiel, tipetto molto strano, a dir la verità. L’odore di libri misto all’antico mi piaceva, riusciva a farmi rilassare.

“Sei più rilassata, vero?” mi chiese Castiel.

“Come…?” chiesi guardandolo sorpresa.

“Percepisco gli stati d’animo altrui” mi disse sorridendomi.

“Va bene” dissi poco convinta. Vedemmo arrivare Sam di corsa, guardandoci preoccupato.

“Cosa c’è Sam?” gli chiesi avvicinandomi.

“E’ tornato il demone” disse Castiel per lui.

“Voglio andarci a parlare” dissi con tono deciso.

“Ne sei sicura?” mi chiese Sam con le mani sui fianchi. Annuii per poi farmi accompagnare da Sam.

“Grazie” disse prima che ci lasciasse da soli.

Non so perché ma iniziai a sudare freddo: guardai a terra e vidi una grande stella con altri segni a me sconosciuti.
Alzai lo sguardo e vidi Dean sulla sedia, attaccato con delle manette che mi osservava: non era il suo solito sguardo, era…oscuro, potente, agghiacciante, mi terrorizzava.

“Sai, credevo non avessi fegato” mi disse con un sorriso sulle labbra.
C’era qualcosa di strano nell’aria che mi faceva rabbrividire, oltre al fatto di non riconoscere Dean nei suoi atteggiamenti e in quello sguardo così tenebroso.

“Dov’è Dean?” chiesi avvicinandosi al disegno che era a terra.

“Ah-ah: non ti conviene entrare nella trappola, rimarresti bloccata anche tu, bellezza” mi disse guardandomi con uno sguardo appagante.

“Sono umana, non sono un mostro come te” dissi a denti stretti.

“Io sono un mostro? Ragazzina, non sai nemmeno minimamente cosa sei tu, ma sappi che finalmente ti ho trovata e il marchio aveva ragione” disse guardandosi il braccio destro: un segno rosso, si fece più intenso appena mi sporsi quel tanto per vederlo.

“E’ questa la fonte del mio potere, la mia rabbia, la mia forza: i ringraziamenti vanno a Caino” disse divertito, sorridendomi.

“Cosa sono? Lo sai tu, vero?” chiesi alzando il tono di voce, diventando più sicura.

“Oh certo che lo so, lo so benissimo e credo che anche l’angioletto ci sia arrivato, o ci arriverà” disse guardandosi intorno.

“Vuoi dire Castiel?” chiesi: annuì senza dire una parola, continuando a guardarmi sorridente.


Writer's space: Salve a tutti! Spero che la storia vi stia piacendo. Aspetto sempre con tanta gioia le vostre recensioni :D

Dean
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Capitolo 3
*** 3 ***


FATUM
 

Il destino, quando apre una porta, ne chiude un’altra.
Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro.


3  


“Posso sapere cosa sono?” chiesi adirata verso Castiel che mi guardò scosso.

“Come?” mi chiese non capendo.

“Il demone ha detto che non sono umana” dissi agitandomi sul posto.

“I demoni mentono, Cassandra” mi disse in tono pacato.

“Cas, dobbiamo pensare al licantropo: ha colpito ancora” disse Sam, prendendo il borsone e alcuni fascicoli.

“Va bene” disse Castiel verso di lui.

“Cassandra, se dovesse succedere qualcosa chiamami: questo è il telefono di Dean” mi disse lanciandomelo, prendendolo al volo.

“Ricevuto, capo” dissi annuendo con il telefono in mano.


Il silenzio calò e iniziò ad arrivare la noia: iniziai a girare per i corridoi notando dei buchi qua e là, delle porte rotte e dei pezzi di legno mancanti. Iniziai anche ad aprire porte per vedere cosa c’era all’interno e appena trovai qualcosa mi fermai e sorridi: un sacco da boxe.
Spalancai la porta, mi tolsi la giacca che avevo rimanendo a giro e mi misi difronte al sacco.
Misi un piede avanti e uno dietro in posizione di attacco e inizia a tirare pugni: mi sentivo più libera, meno stressata e più rilassata rispetto alla mattina.
Appena vidi una figura sulla soglia mi irrigidii: Dean era a braccia conserte che mi osservava. Subito indietreggiai e iniziai a tremare.

“Calma, calma: sono io, Dean” disse alzando le mani, avvicinandosi a me.
Lo guardai per bene, notando come il suo sguardo era quello normale della sera del bar, non quello del demone psicopatico.

“Ti piace lottare?” mi chiese indicando il sacco.

“Mi rilassa” dissi passando oltre di lui, prendendo la giacca.

“Ei tutto bene?” mi chiese prendendomi il polso.

“Sì” dissi a disagio.

“Senti mi dispiace se ti ho fatto del male, ma non ero io, non lo farei mai” mi disse guardandomi, come se mi stesse studiando.

“Dovrebbero essere delle scuse?” chiesi sarcasticamente.

“Sto facendo del mio meglio” disse lasciando la presa, sorridendomi.

“Va bene” dissi annuendo, guardando ancora verso il sacco.

“Ti ho conciata male” disse guardandomi divertito.

“Ne sei sicuro?” chiesi sfidandolo.

“Dai, vieni: cercherò di non colpirti molto forte” disse togliendosi la giacca, rimanendo a mezze maniche.
Buttai a terra la mia giacca posizionandomi davanti a lui: alzammo entrambi le braccia preparandosi per ‘combattere’.

“Inizia tu” mi disse inclinando il capo.

“Che gentiluomo” dissi sferrando un pugno che lo prese in contro piede. Lo colpii e per qualche secondo rimase immobile con il volto verso il muro.

“Ti ho fatto male?” chiesi preoccupata visto il suo silenzio.

“Mi hai fatto il solletico” disse toccandosi la mascella voltandosi a guardarmi.
Iniziammo così a scambiarci dei pugni ‘amichevoli’ per poi passare a qualcosa di più veloce e complesso: calci bassi e alti da parte mia, prese e strette da parte sua. Alla fine riuscii a farlo cadere con un calcio basso e a bloccarlo con il mio peso sul suo corpo.

“Ok, credo che basti” disse arrendendosi.
Soddisfatta e contenta, mi alzai ma mi ritrovai subito a terra, con Dean sopra di me che mi bloccava con il suo peso, ora.

“Sei sleale” dissi a denti stretti, cercando di liberarmi senza nessun risultato attendibile.

“Non tutti sono corretti come te” disse alzandosi e allungando la mano per aiutarmi ad alzarmi.
La strinsi e mi alzai, buttandolo però poi a terra con un calcio dietro i polpacci.
Scoppiai a ridere appena vidi la sua faccia sorpresa, vedendolo poi sorridere e alzarsi da solo.

“Ora siamo pari” disse uscendo dalla stanza.

“Dove sono le docce?” chiesi visto che stavo sudando e avevo bisogno di una doccia.

“In fondo a destra” mi disse prima di entrare in una stanza.

“Grazie” urlai, vedendolo poi scuotere una mano in risposta.

L’acqua calda scendeva su tutto il mio corpo, facendo rilassare i muscoli tesi, mi misi l’accappatoio e mi diressi in una stanza, trovando dei vestiti sul letto: sorrisi al solo pensiero che qualcuno si sia preoccupato di prendermi dei vestiti.
Chiusi la porta alle mie spalle, stringendomi nell’accappatoio per il freddo improvviso.
Mi cambiai, notando che la temperatura stava diminuendo, vedendo che ad ogni mio respiro una nuvoletta usciva dalla mia bocca.

Cazzo, che freddo!” imprecai mentre mi sfregavo la mano sul braccio per il freddo. Mi voltai e vidi un fantasma: non ci pensai due volte ed urlai.

“DEAN!” urlai in preda al panico. La porta si spalancò e il fantasma svanì. Dean corse verso di me guardandomi con gli occhi spalancati.

“Che c’è?” mi chiese velocemente.

“Un…un fantasma” dissi velocemente.

“Sei sicura?” chiese conferma continuando a scrutarmi.

“Sembrava di essere al polo nord, Dean!” sbottai, sentendo ancora la pelle d’oca.

“Va bene, va bene. Sta calma ora, vieni di là” disse trascinandomi via.

Mi sedetti ad una sedia del tavolo, rimanendo a fissare un punto indefinito, mentre vedevo Dean iniziare a leggere libri con strani simboli sopra.
Era intento a leggere quel libro: la testa poggiata su una mano, di sbieco, le labbra corrugate, la barba folta sul volto gli dava un’aria da uomo vissuto, più anziano rispetto all’età che invece possedeva, gli occhi che velocemente andavano da una parte all’altra, senza sosta.
Appena vidi che si accorse della mia insistenza, spostai il mio sguardo altrove.

“Tutto bene?” mi chiese chiudendo il libro con forza.
Aveva lo sguardo serio, la fronte corrugata e le labbra arricciate: dio se era bello. Rimasi ancora a guardarlo.

Ei! Sto parlando con te!” disse irritato dal mio silenzio. Scossi la testa, ritornando alla realtà.

“Sì, sto bene” dissi stringendo le spalle. Annuì, ritornando alla sua lettura.
Non doveva nemmeno impegnarsi per essere così bello, affascinante, misterioso, con quel suo sguardo così pesante e potente.
Finalmente arrivarono Sam e Castiel, a sistemare la situazione.

“Ei, Cass, tutto bene?” disse Sam avvicinandosi, posando una mano sulla mia spalla sorridendomi.

“Mmh” dissi annuendo con il capo.

“E’ successo qualcosa?” disse Castiel avvicinandosi nel suo impermeabile. Lo guardai, senza fiatare.

“Un fantasma…presumibilmente” disse Dean poggiando le braccia sul libro, unendo le mani.

“Si è fatto rivedere?” chiese Sam, togliendosi la giacca.

“No” dissi scuotendo la testa.

“Dean, i demoni stanno aumentando e gli angeli iniziano a fare stragi: corpi senza occhi, bruciati” disse verso il fratello, che a braccia conserte lo fissò.

“Non posso aiutarti, Sammy” disse con sguardo basso, scuotendo la testa.

“E’ per il marchio, vero? Dean, non puoi rimanere per un’altra settimana chiuso qui dentro! Finirai per diventare pazzo!” disse Sam, alzando la voce.

“Forse lo sono già, Sam!” urlò l’altro guardandolo male.

“Dean, smettila di addossarti colpe che non hai!” disse Sam, sbattendo la mano sul tavolo.

“E invece sì, Sam: se non avessi scelto di avere il marchio, a quest’ora non avremmo tutti questi problemi!” disse Dean, infuriato.

“E’ colpa di Crowley, Dean! Lo sai” disse Sam, con tono pacato, dopo essersi passato velocemente una mano tra i capelli.

“Mi spiace, Sammy. Devi vedertela da solo” disse alzandosi e andandosene.

“Dove va?” chiesi voltandomi verso Sam.

“Probabilmente si chiuderà nella sua stanza a rileggere tutti i libri che abbiamo sul marchio e l’inferno” disse andando via, Sam.

Castiel, sparì, rimanendo così sola in quell’immenso bunker. Arrivò sera e Sam se ne andò per risolvere qualche caso, mentre io mi misi a cucinare qualcosa, andando poi alla camera di Dean: feci un respiro e aprii lentamente la porta. Lo vidi seduto a terra, mentre teneva fra le mani un grande libro.

“Panino?” dissi prendendo il piatto con entrambi le mani.

“Non ho fame” disse di poche parole, senza guardarmi.

“Okay, Dean: vuoi dirmi cosa succede?” chiesi posando il piatto sul mobile, notando poi uno specchio rotto sulla parete, sopra al mobile di legno dove avevo posato il piatto.


Writer's space: Salve a tutti, oggi è pasquetta e questo è il mio piccolo dono. Spero possiate recensire e dirmi cosa ne pensate. A questa storia ci tengo particolarmente.

Dean

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