L' eroe e le sette Dee

di destiel87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Dea del mare ***
Capitolo 2: *** La Dea della terra ***
Capitolo 3: *** La Dea del ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Sigfried e Pegaso ***
Capitolo 5: *** La Dea degli incantesimi ***
Capitolo 6: *** La musa dal cuore infranto ***
Capitolo 7: *** I sogni di Cassandra ***
Capitolo 8: *** Il Re di Tebe ***
Capitolo 9: *** Il Dio della guerra ***
Capitolo 10: *** La Dea della saggezza ***
Capitolo 11: *** L' arco di Artemide ***
Capitolo 12: *** Un cuore innocente ***
Capitolo 13: *** Il dio dei morti ***
Capitolo 14: *** La regina delle ombre ***
Capitolo 15: *** Amore e morte son legati dallo stesso rosso filo ***



Capitolo 1
*** La Dea del mare ***


- L' EROE E LE SETTE DEE -


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"Cantami oh musa, le prodi gesta dell' eroe Sigfried.
Cantami mia amata, della dolce Afrodite.
Canta mia adorata, della passionale Ixchel.
Oh armoniosa creatura, cantami della malinconica Hel e dell' astuta Ecate...
Canta per me, mia sposa,
Raccontami la storia della valorosa Cassandra e dell' ira di Ares.
Canta e libera la tua soave voce, affinchè io possa narrare le loro storie..."

 

CAPITOLO 1: LA DEA DEL MARE


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C' era una volta su una spiaggia tropicale, un villaggio di capanne dove vivevano molte persone. C' erano donne, uomini, bambini, guerrieri e fanciulle, e poi c' era lei...
Colei che la leggenda chiamava la Dea del mare.
Il suo nome era Afrodite.
Essa era la fanciulla più bella di tutte le isole dell grecia, di tutte le spiagge e di tutti i campi, era venerata da ogni essere vivente in cielo e in terra.
Aveva la pelle bianca abbronzata dal sole, lunghi capelli dorati che gli arrivavano fino alle gambe, azzurri occhi suadenti, labbra rosee a forma di cuore, lineamenti delicati e un corpo sinuoso e snello.
Il suo abito bianco brillava per tutte le perle e conchiglie regalatele dai pescatori del suo villaggio, aveva una corona di fiori rosa e viola che le cingeva la testa, tra le mani reggeva uno scettro dipinto con i colori del mare, con in cima un cuore rosa che pareva pulsare di vita propria.
Era così bella che sotto i suoi piedi nascevano i fiori, gli animali le camminavano intorno mansueti e felici, il sole per non bruciare la sua pelle limitava il calore dei suoi raggi, il vento per non arrecarle fastidio non le soffiava contro, i bambini venivano allattati al suo seno per rendergli più forti e belli, le donne non osavano camminarle accanto per non arrossire di vergogna, e gli uomini quando incrociavano il suo sguardo perdevano i sensi per qualche secondo, estasiati dalla sua grazia.
La sua bellezza era tale da fermare l' odio degli uomini, la spada dei malvagi, la cattiveria e le guerre, infatti nelle sue terre regnava la pace e l' armonia, e le venivano offerti doni ogni giorno della sua vita per ringraziarla.
Il suo amore era come una magia che guariva ogni dolore, gli ammalati tornavano in salute, il pianto si trasformava in riso, la tristezza in gioia.
Tutti gli uomini bramavano il suo cuore, vennero infatti pretendenti da tutti i regni per chiederla in sposa, ma lei a nessuno cedeva, ne ai re ne ai ricchi, ne ai guerrieri ne agli stregoni...
Innocente e pura, conservava il suo amore per le persone che le stavano vicino.
Un giorno sulla spiaggia approdò un eroe, che stanco di viaggiare per il mondo e salvare i buoni e gli innocenti, cercava un luogo dove riposare le sue stanche membra e bearsi della natura.
Il suo nome era noto a tutti per il suo coraggio e la sua forza d' animo, e le sue gesta venivano cantate in tutti i regni; Le avventure del prode Sigfried erano ormai divenute una leggenda.
Si diceva che avesse sconfitto un drago e un' esercito di pirati, che avesse liberato dozzine di fanciulle in pericolo, combattuto guerre e restituito tesori rubati, senza mai tenere nulla per se.
Tuttavia accettava i doni che gli venivano offerti, ed era per questo molto ricco, non gli mancava nulla: Ne denaro ne donne, eppure, dentro di se non si sentiva mai completamente soddisfatto.
Sentiva in cuor suo che gli mancava qualcosa, anche se non riusciva a capire cosa.
Era come se avesse un vuoto dentro che niente poteva colmare.
L' unico in grado di lenire le sue pene era Pegaso, il leggendario cavallo alato che gli era stato accanto in mille battaglie e aveva leccato via il sangue dalle sue ferite.
Fin da quando i loro destini si erano incrociati, era come se il cuore del cavallo e quello del cavaliere battessero allo stesso ritmo, erano come un' anima sola in due corpi distinti.
Pegaso gli era stato donato dal Re Enrich, dopo la lunga e sanguinosa battaglia in cui Sigfried era riuscito a sconfiggere il drago che teneva prigioniera la regina e le principesse.
Pegaso non era un cavallo qualunque, esso era infatti nato dall' unione di due cavalli alati, gli ultimi della loro specie, ed aveva quindi un valore smisurato.
In molti avevano offerto a Sigfried terre, titoli e tesori in cambio del cavallo, ma Sigfried aveva rifiutato ogni offerta, poichè come aveva risposto ad ognuno di loro:
"Non esiste prezzo per il valore di un amico."
La gente lo prendeva per pazzo nel sentire quelle parole, non erano abituati a considerare gli animali loro amici, non comprendevano l' affetto che Sigfried nutriva per lui, nè capivano quello che l' animale nutriva per il suo padrone.
A Sigfried tuttavia non importava, perchè quando guardava negli occhi Pegaso, lui sapeva che le loro anime erano legate, e niente lo avrebbe dissuaso dal suo pensiero.
Era un giorno d' estate quando cavallo e cavaliere giunsero nel villaggio di Afrodite.
Quando l' eroe arrivò al villaggio in sella al suo bianco destriero, fu accolto da tutti gli abitanti con feste e doni, gli offrirono le perle dell' oceano, piume degli uccelli più belli e animali grassi per saziare il suo palato.
Sigfried bevve e mangiò, danzò e cantò in loro compagnia per tre giorni e tre notti, finchè cascò in un sonno molto profondo.
Il mattino del quarto giorno, mentre dormiva sul ventre del suo cavallo, fu svegliato da un canto armonioso e aggraziato, così l' eroe uscì per vedere a chi appartenesse quella splendida voce.
Seguito da Pegaso, Sigfried vagò sulla spiaggia e nel bosco, incantato da quella voce.
"Oh, non è la melodia più bella che tu abbia mai udito?" Sussurrava a Pegaso, accarezzando la sua bianca criniera.
Poi improvvisamente la vide: Afrodite camminava su di un prato fiorito, per mano teneva un fanciullo e alcuni animali del bosco la seguivano e giocavano con lei.
Sigfried la seguì estasiato senza dire una parola, restando tutto il giorno nascosto tra gli alberi, ammirando la splendida giovane. Lei rideva e cantava, e per lui era come essere in un magnifico sogno.
Il suo cuore sembrava esplodere, non si era mai sentito così felice. Aveva davanti a se la creatura più bella che avesse mai visto, e improvvisamente capì di cosa aveva bisogno per sentirsi completo.
L' amore dolce e sincero di quella giovane l' avrebbe di certo reso felice, curando le ferite della sua anima affranta e del suo corpo martoriato... Se la sua vita non era stata altro che guerre e battaglie, lei gli avrebbe dato la pace e la tenerezza che tanto aveva desiderato.
Avrebbe ucciso mille draghi per poter avere un bacio da quella fanciulla, pur di poter dormire al suo fianco e bearsi del suo canto ogni giorno della sua vita...
Così quando si fece sera prese coraggio e si avvicinò a lei, che nel frattempo era intenta a specchiarsi in un laghetto nella radura.
I lunghi capelli le ricadevano sui seni e sulle gambe, mentre muoveva delicatamente l' acqua con la mano e cantava una melodia.
"Mia signora..." Disse Sigfried inchinandosi a lei.
Afrodite sobbalzò e lo guardò meravigliata inginocchiarsi a lei.
"Siete la creatura più meravigliosa che io abbia mai visto, Io sono il prode Sigfried, so' che non mi conoscete, ma ho combattuto molte battaglie e salvato centinaia persone, e sono qui per chiedervi di concedermi la vostra mano, mia Dea. Sposatemi e rendetemi l' uomo più felice di questa terra, vi prometto che il mio cuore e il mio animo vi apparterranno finchè avrò vita, vi darò ogni cosa che desideriate... Dovete solo chiedere mia amata!"
Afrodite sorrise e accarezzò la sua guancia, spostandogli una ciocca di capelli dal viso.
Aveva davanti a sè un giovane bello nei cui occhi brillava la vita, aveva indosso la sua armatura di metallo, al fianco pendeva una lunga spada, al collo una catena dorata con raffigurato un drago.
Il giovane aveva delicati lineamenti e biondi capelli mossi che gli arrivavano alle spalle, occhi castani penetranti e labbra carnose.
Al suo fianco Pegaso appoggiava la testa contro quella della fanciulla, che sorridendo gli baciò la fronte.
Afrodite guardò a lungo il giovane: Era consapevole della sua bellezza e del suo valore, ed era certamente l' uomo che avrebbe desiderato al suo fianco, per il quale avrebbe cantato soavi canzoni facendolo addormentare, scambiando dolci baci al chiaro di luna e gioiose risate immersi nella natura...
Tuttavia in cuor suo sapeva di non potersi concedere a lui.
"Mi dispiace valoroso cavaliere - Disse Afrodite - Ma il mio cuore non può appartenere a nessuno. Esso è il mio dono a tutte le creature viventi di questo mondo, per questo motivo non posso sposarvi, ma vi auguro una vita lunga e felice... Sono sicura che un giorno troverete una donna che possa concedervi il suo amore..."
"L' unica donna che desidero siete voi mia dea! Vi prego, vi supplico mia signora, farò qualunque cosa per voi, chiedetemi ogni mio avere e lo avrete, chiedetemi il sangue che mi scorre nelle vene e sarà vostro!"
Sigfried si gettò ai suoi piedi, baciando le sue mani e stringendosi al suo ventre.
Afrodite gli passò una mano tra i capelli, commossa da tanta disperazione.
"Il mio cuore si spezza nel sentirvi parlare in questo modo, come potrei chiedere il vostro sangue mio signore? Il sangue che così tante vite ha salvato, merita di certo una sorte migliore..."
"Nessuna sorte è migliore che essere vostro... Vi prego, chiedetemi qualunque cosa, prometto che esaudirò ogni vostro desiderio..."
Sigfried piangeva come mai aveva fatto in vita sua, non si era mai sentito così fragile come in quel momento, gli pareva che ogni armatura, ogni difesa che aveva costruito negli anni fosse crollata per sempre.
Afrodite asciugò le sue lacrime con le proprie vesti, poi gli diede un bacio sulla fronte e sorrise.
"Se davvero mi desiderate prode cavaliere, portatemi il fiore più bello e puro del creato..."
Afrodite sapeva che l' amore che gli uomini nutrivano per lei era caldo come il sole quando le stavano vicino, ma diveniva come la luna quando essi si allontanavano da lei.
La sua bellezza era il suo dono e la sua maledizione, ella poteva infatti essere amata da tutti, ma solo finchè i loro cuori erano vicini, questo le aveva detto suo padre mandandola nel regno degli umani.
Sigfried si alzò in piedi con lei e la abbracciò con tutta la forza che aveva, baciando le sue rosee guance.
"Lo farò mia Dea, non temete, prestò tornerò con il fiore più bello che esista!"
Lei sorrise malinconica, poi con una conchiglia staccò una ciocca dei suoi capelli e la diede al cavaliere.
"Tenete questi, così ovunque sarete vi ricorderete di me..."
Sigfried annodò i capelli alla catena che portava il collo, baciò la sua mano e salì in groppa a Pegaso, determinato a conquistare il suo cuore per sempre.
Mentre si allontanava nel bosco, un lacrima scendeva sulle guance di Afrodite, che per l' ultima salutava il suo cavaliere.

Nota: Sigfried nella mitologia germanica è un eroe epico le cui gesta sono raccontate nel Canto dei Nibelunghi. Durante le sue imprese sconfigge un drago, si impossessa del tesoro dei Nibelunghi, diventa invulnerabile ed è dotato di poteri magici.

Nota: Pegaso è una figura della mitologia greca. Animale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all'Olimpo. Grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene successivamente addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve come cavalcatura per uccidere la Chimera.

Nota: Afrodite nella mitologia greca è la Dea dell'amore, della bellezza, del desiderio, della fertilità e del piacere carnale.



 

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Capitolo 2
*** La Dea della terra ***


CAPITOLO 2: LA DEA DELLA TERRA

 
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Erano passati molti giorni da quando Sigfried era partito dal villaggio, aveva esplorato tutte le spiagge e i campi, era risalito fino alle terre del sud, cercando in ogni valle, bosco, collina o prateria.
Vide i tramonti più belli inoltrarsi nei laghi azzurri, cavalli selvaggi e maestosi correre liberi, rari uccelli di ogni colore, e ogni volta che vedeva qualcosa di bello accarezzava i capelli della sua amata e pensava a lei.
Galoppò a lungo in cerca del fiore perfetto, il problema è che a lui tutti i fiori sembravano bellissimi, e non riusciva a sceglierne uno...
Aveva paura di prendere quello sbagliato, inoltre erano così colorati e profumati che avrebbe voluto raccoglierli tutti per fargliene dono.
Fu così che ne prese uno di ogni specie e lo mise nel suo sacco, ed ognuno di essi era più bello di quelli precedenti.
Dopo tanti mesi di viaggio portava nel sacco fiori di ogni tipo: Fiori preziosi e delicati, fiori azzurri, rossi, gialli e rosa, fiori di cristallo e fiori di farfalle, fiori di lacrime e fiori di arcobaleno...
Il viaggio però era stato lungo e faticoso, Sigfried iniziava a sentirsi stanco, così decise di trovare un posto dove riposarsi.
Perfino il suo cavallo, che con lui aveva attraversato tutti i regni, era affaticato come il suo padrone.
Bagnava le lunghe ali nel lago per rinfrescarle e mangiava le foglie degli alberi e i fili d' erba della prateria, resistendo il più a lungo possibile per il bene del suo cavaliere.
Fu una calda sera che arrivarono nel cuore della giungla, nelle terre centrali del regno, dove c' era un villaggio in cui vivevano persone del colore del legno.
C' erano in quel villaggio padri e madri, giovani e anziani, buoni e malvagi, e poi c' era lei, l ' unica e la sola Dea della terra.
Il suo nome era Ixchel.
Era così bella che dove camminava la terra diveniva fertile, l' inverno primavera, l' acqua dove si bagnava per arrecarle piacere si riscaldava, il sole rimaneva acceso tutto il giorno, pur di non separarsi da lei, il vento le massaggiava il corpo, gli animali si uccidevano da soli per saziarla, ogni donna la onorava e la serviva, ogni uomo diveniva migliore per essere degno della sua compagnia.
Si diceva che un suo bacio riportasse in vita i morti e che dal suo alito nascesse la vita, che quando ballava ogni uomo ne veniva stregato, posando la spada e la lancia, che ogni cuore diventava puro se batteva vicino al suo, che nessuno osava peccare per timore di deluderla.
Il suo corpo era formoso e minuto, i suoi piedi e le sue mani piccoli e gentili, i suoi occhi erano selvaggi come quelli di una tigre e le sue labbra erano scure e grandi.
Lunghi capelli neri coprivano i suoi seni e le sue nudità, il suo corpo era vestito con i colori della terra, accesi e vivaci, aveva una corona di pietre preziose e uno scettro di legno lunghissimo, e in cima ad esso una tigre lavorata nell' avorio.
Quando Sigfried arrivò al villaggio lei stava danzando per i suoi abitanti, muovendosi sinuosa accanto al fuoco, che esaltava la sua figura. Attorno al suo corpo un serpente le stringeva la vita e i seni, posando la testa sul suo collo.
Quando l' eroe incrociò i suoi occhi con quelli di lei, sentì come se un fuoco si impossessasse di lui e lo divorasse, facendolo bruciare di desiderio.
Gli occhi di lei erano neri e penetranti, sembrava che potessero vedere fin dentro la sua anima...
Sigfried scese da cavallo e si inginocchio ai suoi piedi, restando streganto dal suo modo di muoversi e di danzare, muoveva il ventre, la testa e le mani in un modo che lui non aveva mai visto... Sembrava che non avesse ossa, proprio come il serpente che si contorceva su di lei.
Per tutta la notte Ixchel ballò per lui, mentre il fuoco dietro di loro si consumava e i loro animi si accendevano...
Quando arrivò il mattino, l' eroe era completamente soggiogato dalla sua bellezza, si gettò ai suoi piedi e baciò i suoi fianchi e il suo ventre in preda al desiderio.
"Oh mia Regina... Voi siete senza dubbio la creatura più selvaggia e bella che io abbia mai visto, irrequeta come la tempesta, ardente come il fuoco, oh potessi essere l' aria che respirate o l' acqua che bagna il vostro corpo..."
Sigfried baciava la sua pelle nuda e calda, sentendosi vivo come non si era mai sentito.
Per la prima volta nella sua vità desiderò spogliarsi delle sue vesti e danzare attorno al fuoco con lei, mordere ogni parte del suo corpo e possederla con passione.
Per un attimo si vergognò dei suoi pensieri, nella sua memoria tornò l' innocenza e la grazia di Afrodite, ma quando Ixchel piegò il suo corpo all' indietro muovendo il bacino e facendo ondulare i capelli sopra i seni, Sigfried perse ogni controllo del suo corpo.
"Oh meravigliosa creatura, siete bella e selvaggia come le tigri di questa giungla, vi prego lasciatevi domare da me, donatemi il vostro cuore e il vostro corpo, e in cambio vi donerò ogni cosa che mi appartiene, qualsiasi cosa possiate desiderare sarà vostra!"
Ixchel lo guardò attentamente, sapeva bene quello che il suo corpo provocava nel corpo degli uomini, un desiderio che bruciava come le fiamme del fuoco.
Un po' invidiava quel cavaliere, perchè lei non aveva mai provato nulla di simile.
Era questo infatti il suo dono e la sua condanna, avrebbe potuto far tremare di desiderio il corpo di ogni uomo, ma il suo sarebbe sempre rimasto tiepido come le ceneri del focolare.
Si inchinò anch' essa, restando all' altezza del cavaliere e fissandolo negli occhi.
Lo guardò a lungo, scrutando nel suo cuore, vide sangue e gloria, desideri e rimpianti.
"Mi dispiace cavaliere... - Disse affranta - Ma il mio cuore è come il fuoco, lo si può osservare e bearsi del suo calore, tuttavia non lo si può domare nè possedere..."
Sigfried non si arrese, aveva combattuto battaglie molto più dure, vincendo su nemici molto più forti di lui, e anche quando era rimasto ferito, non si era mai tirato indietro, di certo non lo avrebbe fatto ora, di fronte ai capricci di una donna!
"Ho combattuto contro un drago, contro uomini forti e spietati, contro la tempesta, il dolore e la fame, e ho sempre vinto! Io sono un guerriero, e se dovrò lottare per avere il vostro cuore, siate certa che lo farò!"
Ixchel sorrise, le erano sempre piaciuti gli uomini valorosi e intrepidi, gli uomini dentro i cui corpi scalpitavano gli spiriti delle tigri e delle pantere, che ruggivano e graffiavano, che lottavano fino al loro ultimo respiro.
"Vorrei tanto vedervi battervi per il mio cuore, ma temo che non ci sia nessuno contro cui battersi, se non il destino..." Disse lei sfiorando le sue labbra con le dita.
"Batterò anche quello se sarà necessario! Ditemi solo cosa devo fare e lo farò! Sono pronto a tutto pur di avervi! Volete che uccida? Ebbene lo farò! Volete che rubi? Le mie mani sono al vostro servizio! Caccerò per voi, vi porterò ogni frutto degli alberi e ogni pietra preziosa delle caverne..."
Ixchel sapeva, come sua sorella Afrodite, che ogni uomo che l' avrebbe vista avrebbe chiesto il suo cuore e che si sarebbe battuto per esso, ma solo finchè la sua presenza fosse stata vicina.
Una volta che l' uomo avesse attraversato la giungla, arrivando alle montagne, si sarebbe dimenticato di lei, avrebbe dimenticato i suoi fianchi e i suoi occhi, i suoi balli e i suoi capelli.
Del resto, suo padre l' aveva mandata nel regno degli uomini per essere come il sole che accende la vita, non per generarla dai suoi lombi, nè per accogliere in essi la brama degli uomini.
Accarezzò di nuovo le labbra del giovane, poi gli diede un bacio, caldo e passionale.
"Se davvero vuoi il mio cuore ed il  mio corpo, impavido guerriero, portami le gemme più preziose e belle che esistano... E porta con te questo bacio, affinchè ti ricordi del fuoco che arde in me, e che ti aspetta al tuo ritorno."
Ixchel gli diede un altro bacio, poi si alzò e lascio che lui la stringesse forte al suo corpo.
"Oh mia Dea! Mia tigre, mio tesoro... Partirò oggi stesso, e quando tornerò avrai ai tuoi piedi ogni gemma del creato, il mio cuore e la mia anima..."
Sigfried si sentiva così carico di desiderio e di amore, che ogni secondo che passava con Ixchel lo consumava.
Quando si staccò da lei, sentì come se tutto il calore del suo corpo lo stesso lasciando, così corse da Pegaso e partì di corsa per la sua missione, con addosso il profumo del desiderio e sulla labbra il gusto della passione.

Nota: Ixchel nella mitologia maya è la Dea della terra e della luna, della fertilità e del parto. Viene considerata la madre di tutti gli dei.

 

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Capitolo 3
*** La Dea del ghiaccio ***


CAPITOLO 3: LA DEA DEL GHIACCIO
 

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Il giovane Sigfried tenne fede alla sua promessa, dopo essere partito dal villaggio e aver lasciato la sua amata, risalì il centro del regno, esplorò ogni giungla, deserto e caverna, scalò le montagne fino ad arrivare al gelido regno del inverno, raccogliendo diamanti di ogni forma e dimensione.
Di ogni colore aveva un brillante, aveva preziosi color dell' oceano e del fuoco, dell' oro e dell' erba.
Con il suo sacco pieno di meraviglie affrontò il freddo e la fame, le tormente di neve e la solitudine, fino ad arrivare nella città del ghiaccio, dove alte mure innevate proteggevano la città, nel cui centro si ergeva il grande castello.
Nella città di cristallo vivevano molte persone, pescatori e cacciatori, donne formose e donne minute, bimbi in fasce e anziani, tutti governati dal diamante più splendente  e freddo del creato.
La chiamavano la Dea del ghiaccio, e il suo nome era Hel.
La luna stessa invidiando la sua pelle bianca e brillante restava in cielo tutto il giorno, i fiocchi di neve le cedevano il passo e le volteggiavano intorno, ad ogni suo passo la neve diveniva ghiaccio e le piante intorno a lei gelavano e si scioglievano di fronte alla sua bellezza.
La terra nella quale viveva, orgogliosa della sua algida bellezza, restava calma per non rischiare di ferirla, infatti in quelle terre non c' erano terremoti o tempeste troppo forti.
Nessun abitante del regno osava disobbedirle e tutti vivevano per servirla e accontentarla, non si combattevano tra di loro per non vedere le gelide lacrime sulle sue guancie bianche, non morivano per non vederla soffrire, anche i bambini non piangevano per riuscire a strapparle un sorriso.
Si diceva che l' unico uomo che aveva osato toccarla era diventato una statua di ghiaccio, e ora arredava la sua sala del trono, in modo che potesse guardarla e soffrire in eterno.
La Dea del ghiaccio aveva la pelle come la luna, capelli color del fuoco lisci e lunghi, gli occhi erano due rubini scintillanti, le sue labbra rosse erano come petali di rosa, sottili e delicate.
Aveva un vestito rosso lungo e spesso, una corona di diamanti e uno scettro di ghiaccio con un enorme zaffiro sulla punta, così luminoso da illuminare una stanza intera.
Gli abitanti dicevano che stava spesso nella torre più alta del castello, a guardare le stelle e a parlare con loro.
Sigfried, stanco per il viaggio chiese ristoro in una delle case di pietra della città, e i suoi abitanti, gioiosi per la visita di un eroe come lui, gli offrirono il letto più comodo che avevano, la stanza più calda e i vestiti più pesanti.
Gli donarono diamanti e gemme, pellicce d' orso polare e una lancia fatta con le corna d' alce, poi organizzarono una grande festa in suo onore quella stessa notte.
Sigfried era felice di tanta generosità e godette di ogni piacere che gli venne offerto, ballando e festeggiando insieme agli abitanti, l' unico a non esserne contento era il povero Pegaso, che pativa i geli dell' inverno e restava nella stalla accanto al fuoco.
Durante i festeggiamenti, mentre stava bevendo, Sigfried alzò gli occhi verso il castello, fu allora che la luce dello zaffiro attirò la sua attenzione.
Illuminata dalla sua luce la Dea stava osservando la festa, camminado per le mura del castello.
Quando l' eroe la vide, il suo cuore diventò di ghiaccio, ogni cellula del suo corpo rabbrividì e gelò di fronte a tanta bellezza, i suoi stessi occhi si chiusero un istante, accecanti dalla sua purezza.
Sigfried lasciò immediatamente la festa e si diresse al castello, superò le spesse mura e osservò i giganti di ghiaccio che vegliavano sulle porte, imponenti e maestosi.
Risalì le lunghe scale ghiacchiate che conducevano alla sala del trono, dove la Dea lo stava aspettando, seduta sul suo gelido trono.
Ai piedi di esso c' era Garmr, il cane infernale che sorvegliava e proteggeva il regno della notte e del ghiaccio.
Sigfried sapeva che il mastino era feroce e crudele, ma sapeva anche che si poteva oltrepassarlo, donandogli del pane intriso nel proprio sangue.
Così l' eroe estrasse il suo coltello e il pane che aveva tenuto da parte, poi si fece un taglio profondo sul braccio, facendo gocciolare il sangue sulla pagnotta.
Una volta che divenne rossa, si avvicinò con prudenza all' animale, poi gli offrì il pane e lasciò che lui lo mangiasse, lordando ancora di più il suo nero manto di rosso.
La Dea nel frattempo lo osservava, con i suoi occhi rubino, glaciali e penetranti.
Alla sua destra si ergeva la statua di ghiaccio di cui Sigfried aveva sentito parlare, così la osservò minuziosamente: L' uomo era immobile e freddo, tranne per i suoi occhi, che pareva lo stessero guardando spaventati.
Agitato da quella visione, decise di non toccare la Dea, così si inginocchiò ai suoi piedi e pronunciò le seguenti parole:
"Dea del ghiaccio e della notte, diamante splendente e puro, regina della neve e del mio cuore... Il mio nome è Sigfried, ho viaggiato a lungo e ho visto cose incredibili e meravigliose durante il mio cammino, ma mai i miei occhi hanno posato lo sguardo su una creatura tanto maestosa e bella come voi..."
Hel non sorrise nè parlò, lo osservò solamente.
Nella sua lunga vita aveva visto ogni genere di uomo: Guerrieri e fabbri, contadini e re, uomini vecchi e giovani, belli e brutti, ma il suo cuore era sempre rimasto freddo come il suo regno.
Era questa la sua maledizione, avrebbe potuto far sciogliere il cuore di ogni uomo che avesse voluto, ma il suo sarebbe sempre rimasto puro e freddo come il ghiaccio che governava.
Sigfried la scrutò a lungo, stregato dalla sua regalità.
Afrodite era dolce e innocente come la primavera, profumata  e delicata come un fiore...
Ixchel era calda e passionale come l' estate, ricca di vita e di desiderio come il fuoco che ardeva dentro di lei...
Oh quanto le aveva sognate e desiderate!
Tuttavia l' eroe ora non desiderava che Hel, avrebbe potuto passare le ore della sua esistenza a guardarla, beandosi della sua presenza.
Sarebbe rimasto in silenzio, dopo tutte le urla e le parole che aveva detto durante la sua travagliata esistenza, avrebbe vissuto nel gelo e nella pace, dopo tutte le battaglie ed il fuoco che aveva affrontato.
Avrebbe potuto guardare la luna insieme a lei, giocare con i fiocchi di neve, inventarsi ogni cosa pur di strapparle un sorriso.
Si, Il cuore di Sigfried ora non desiderava che lei, ne era certo.
Si alzò in piedi e prese coraggio, si avvicinò e baciò i suoi rossi capelli, mentre una punta di colore riscaldava le guancie della regina.
"Mia Dea... Mio amore, mia vita, mio tutto... Tu che sei preziosa e pura come il più bello dei diamanti, lascia che io sciolga il ghiaccio del tuo cuore, che riscaldi il tuo freddo corpo con il mio, lascia che ti canti dolci melodie per allietare le tue lunghe notti...
Donami il tuo cuore te ne prego..."
Hel accarezzò con la punta dell' indice la mano che reggeva i suoi capelli, e subito divenne di ghiaccio.
"Io sono il ghiaccio eterno cavaliere, nessuno può scaldarmi o possedermi, io appartengo alla notte e la notte appartiene a me."
"Oh se solo tu sapessi quanto può essere bella una notte in mia compagnia mia Dea..."
Per un attimo, a Sigfried parve di vedere un piccolo sorriso sulle sua labbra.
"Oh, se solo tu sapessi quanto può essere fredda e crudele una notte in mia compagnia..." Rispose Hel.
"Non posso credere che una creatura così bella possa essere così fredda... Tu non hai mai conosciuto l' amore mia amata, per questo parli così, ma se solo tu mi concedessi di provare, ti prometto che potrei renderti la donna più felice del mondo!"
"La felicità è passeggera, così come la tua breve esistenza. Se anche il tuo amore fosse sincero, se anche tu potessi scaldare il mio cuore, un giorno gli Dei ti chiameranno a loro, ed io resterò sola. Allora il mio cuore sarebbe più freddo di mille inverni..."
Negli occhi della Dea, l' eroe lesse tristezza e malinconia, allora capì che essa si sentiva sola come lo era stato lui, e desiderò confortarla e farla sentire amata.
"Un solo giorno di sole può scaldare il cuore anche per mille anni mia Dea... Lascia che io ti mostri il mio mondo, che ti apra il mio animo, che ti racconti le mie avventure... Così quando me ne sarò andato, tu potrai ricordare i momenti passati insieme mentre guardi la luna..."
Hel sentì una fitta nel suo cuore di ghiaccio, come se qualcosa si fosse incrinato.
Oh quanto avrebbe desiderato che potesse essere vero, quanto avrebbe voluto un amante che riscaldasse il suo freddo corpo nelle lunghe notti solitarie...
Quanto avrebbe voluto sentire le sue storie e vederlo sorridere...
Avvicinò la mano ai suoi capelli dorati, e per un attimo ricordò come fosse la primavera, i campi di grano sotto il sole caldo del mattino e la fresca brezza della sera sulla sua pelle nuda.
Ma appena toccò i suoi capelli essi divennero di ghiaccio, e lei spostò subito la mano.
E' inutile pensò, questa è la mia condanna, finchè camminerò su questa terra, non apparterrò a nessuno se non alla luna.
Come le sue sorelle Afrodite e Ixchel, lei era di tutti e non era di nessuno.
Così prese la sua decisione, chiedendo un prezzo che sapeva che il cavaliere non avrebbe mai pagato.
"Se davvero mi vuoi cavaliere, c'è solo una cosa che puoi fare per avermi."
Sigfried si alzò in piedi e si battè una mano sul petto.
"Chiedetemi qualunque cosa mia Dea, ogni vostro desiderio è un ordine per me!"
"Se vuoi il mio cuore, allora dovrai portarmi altri due cuori in cambio. I cuori delle due Dee che hai incontrato nel tuo cammino."
Sigfried indietreggiò inorridito, colpito dalle sue parole.
"I loro cuori mia Dea? Ma perchè? Perchè la mia regina dovrebbe volere questo?"
"Perchè il mio cuore è la cosa più preziosa che possiedo, e se lo vuoi, dovrai darmi ciò che hai di più prezioso."
"Ti darò ogni cosa mia Dea, ogni palazzo, tutto il denaro che vorrete, ogni diamante, ogni fiore, ogni animale che desideri mia regina, ma vi prego, non chiedetemi una prova del genere!"
"Se davvero vuoi il mio cuore cavaliere, devi saper fare qualsiasi sacrificio, altrimenti il tuo amore non è sincero..."
"Non dite così mia regina, vi giuro che il mio amore è sincero, ma non posso, non posso darvi ciò che volete. Il mio cuore piange al solo pensiero!"
Molte lacrime solcarono dagli occhi tristi di Sigfried, che ripensava alla candida Afrodite
e alla bella Ixchel.
"Vi prego regina della notte, regina del mio cuore e del mio destino, chiedetemi qualsiasi altra cosa e vi sarà data! Conquisterò ogni regno che vogliate, ma vi prego, non fatemi uccidere le due Dee... Esse sono creature innocenti, sono l' amore che dà equilibrio a questo mondo, la pace del regno... Perse loro, tutto il mondo è perduto!"
Hel sapeva che era la verità, amava le sue sorelle e non desiderava far loro alcun male, ma sapeva anche che il cuore dell' eroe era troppo buono e giusto per commettere un atto tanto crudele. Non desiderava altro che allontanarlo da lei, per smettere di soffrire.
"Se davvero mi ami e credi che io sia la più bella del creato, non puoi permettere che esista nessuna più bella di me! Ogni cosa ha il suo prezzo cavaliere, questo è il prezzo del mio amore! Ora và, e non tornare senza i due cuori!"
Dicendo questa la Dea creò un muro di ghiaccio tra lei e il cavaliere, poi si ritirò nella sua torre.
Una volta in cima, Hel guardò la luna ancora una volta, mentre un lacrima le bagnava il viso e subito diveniva ghiaccio.
"Perchè padre? Perchè mi avete riservato questo crudele destino?" Chiese disperata al cielo.

Nota: Hel nella mitologia normanna è la dea degli Inferi, figlia dell'inganno, portatrice di caos, e di inarrestabile furia distruttrice.
Nota: Garmr è un cane infernale che compare nella mitologia norrena.
Garmr, sorveglia l'entrata del regno dei morti, viene descritto come un feroce mastino il cui pelo è lordato di sangue. Benché molto feroce, si dice che un'anima possa oltrepassarlo offrendogli un pezzo di pane dolce intriso nel proprio sangue.

 

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Capitolo 4
*** Sigfried e Pegaso ***


CAPITOLO 4: SIGFRIED E PEGASO
 

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Sconvolto e confuso, Sigfried lasciò le terre della notte e vagò per tutto il regno in cerca di una risposta.
Accarezzò i biondi capelli di Afrodite e pensò alla sua dolce voce, poi si toccò le labbra e ripensò al caldo bacio di Ixchel.
No, non poteva ucciderle, e non poteva far cadere il regno nella guerra e nel caos...
"Ahh Pegaso, amico mio... Cosa posso fare? Perchè il mio cuore mi causa tutti questi problemi? Dovrei forse vivere da solo, per evitare questi dispiaceri?" Disse sconfortato il giovane.
Pegaso sembrò capire le sue parole e avvicinò la sua testa alla sua, sfregandola contro la sua fronte e riuscendo a strappare all' eroe un sorriso sincero.
Dopo molto pensare Sigfried decide che l' unica cosa che poteva fare era chiedere un consiglio alla Dea degli incantesimi.
Si diceva che fosse una creatura antica e misteriosa, in grado di dare sia la vita che la morte, capace di vivere nel regno degli uomini e di attraversare quello degli Dei e dei morti.
Tutti coloro che non aveano risposte o erano prostrati di fronte ai loro problemi, si rivolgevano a lei.
Nessuno sapeva quale fosse il suo vero aspetto, poichè poteva cambiarlo a suo piacimento.
Il nome della Dea era Ecate, e viveva in una grotta, dentro la montagna più alta del regno.
Molti erano morti cercando di raggiungerla, altri per averla infastidita...
Era risaputo che aveva un carattere forte e deciso, che non si lasciava ingannare o addolcire da parole gentili.
Solo con la verità si arrivava al suo cuore.
Così, in sella al suo fidato destriero Pegaso, ancora carico dei doni per Afrodite e Ixchel, iniziò il lungo cammino verso la montagna.
Percorse molte miglia, galoppò per giorni e giorni, finchè arrivò ai piedi del monte Yggdrasill.
La leggenda narrava che da quel monte fosse iniziata la vita, che in cima ad esso vivessero gli Dei, mentre rinchiusi nelle sue viscere ci fossero gli inferi.
Tutto intorno al monte la vita era ricca e prospera, la natura abbondante e gli animali numerosi, tuttavia,  nessuno si avvicinava ad esso, per timore delle orride bestie che lo proteggevano: I Valravn, creature maligne per metà corvi e per metà lupi.
Sigfried non aveva paura, era stato forgiato dal sangue e dalla spada, e niente gli avrebbe impedito di raggingere Ecate e realizzare il suo sogno.
Sforderò la sua spada e iniziò a risalere le pendici del monte, mentre Pegaso estraeva le sue grandi ali, pronto a volare se i pericoli fossero stati troppo numerosi.
Il monte Yggdrasill era ripido, alto e ricco di vegetazione, c' era un sentiero che lo circondava e che nonostante fosse stretto, si poteva percorrere.
Sigfried stava attento ad ogni passo che faceva, rassicurando Pegaso, che sentendo l ' odore delle bestie era molto spaventato.
Tuttavia non c' era altra strada per arrivare alla grotta, e anche se avessero preso il volo le creature avrebbero potuto seguirli.
Così Sigfried procedette lentamente, finchè arrivò a metà del monte e decise di far riposare Pegaso qualche minuto, prima di percorrere la parte più ardua del cammino.
Bevve un sorso d' acqua, poi chiuse gli occhi e ripensò al profumo dei capelli di Hel, alla sua bianca pelle e ai suoi occhi rubino.
Vale la pena sopportare tutto questo, pensò, se poi potrò tenere lei tra le mie braccia.
Mentre pensava a questo si udirono degli strani lamenti, in un primo momento parevano appartenere a degli uccelli, ma più si intensificavano più divenivano simili agli uluti dei lupi.
Pegaso si impennò agitato, consapevole di quello che stava arrivando.
"Oh Dei, proteggetemi in quest' ora di difficoltà come avete sempre fatto, e io vi renderò gloria e onore finchè avrò vita." Implorò il giovane, risalendo a cavallo e impugnando la spada.
Il rumore forte del battito delle loro ali preannunciava il loro arrivo, come il tuono prima della tempesta.
"Calmati Pegaso, mio fidato compagno! Abbiamo affrontato cose peggiori e siamo ancora qui, possiamo batterli se resteremo uniti!" Disse accarezzando la sua criniera.
Ed ecco che in cielo apparsero tre orride bestie: Avevano la testa e le zampe posteriori come quelle di un corvo, mentre la parte anteriore dell' animale era quella di un lupo, ad eccezione fatta per le ali nere che spuntavano minacciose dalla loro schiena.
"Forza, è ora di volare amico mio! Vediamo chi di voi è più veloce!" Esclamò Sigfried incitandolo.
Pegaso si impennò e dispiegò le ali, poi si alzò in volo e iniziò la sua rapida salita, cercando di schivare le bestie.
Il vento freddo colpiva in faccia l' eroe, mentre il sole acceva i suoi occhi.
Una delle bestie gli raggiunse in volo e si avvicinò a Pegaso, graffiandolo con uno dei suo artigli, prima che Sigfried glielo mozzasse di netto con la spada.
Il Valravn emise un terribile lamento, mentre i suoi fratelli si scagliavano sull' eroe.
Pegaso cercava di scacciarli con le zampe, colpendoli alla testa e al torace, ma loro non demordevano e continuavano ad attarlo, graffiandolo e mordendolo.
Sigfried lo difendeva meglio che poteva, conficcando la spada nelle zampe e nel ventre dei Valravn, finchè riuscì a centrarne uno alla testa, che cadde rovinosamente ululando disperato.
Uno dei fratelli, furente per la rabbia, colpì Sigfried al volto, artigliandoli la parte sinistra del viso e spargendo il suo sangue nell' aria.
In preda al dolore Sigfried continuò a colpire la bestia fino a sventrarlo completamente, mentre Pegaso volava rapidamente verso l' entrata della caverna.
Una volta dentro corse verso il fondo, mentre il Valravn, al quale era proibito l' ingresso nella caverna della Dea, rimase fuori furente, in attesa del loro ritorno.
Sigfried si pulì le ferite con dell' acqua e le bendò, mettendo una benda sulla fronte per evitare che il sangue gli colasse negli occhi.
Pegaso nitriva e si dimenava in preda dal dolore, così andò da lui e gli accarezzò la testa, come faceva sempre quando era agitato.
"Shhh - Gli sussurrava - Calmati amico mio, è tutto finito, siamo arrivati adesso..."
Così dicendo pulì le sue ferite e le fascio con la sua coperta.
"Ahh mi piacerebbe proprio sapere che aspetto ha questa Dea! Se è bella come le sue sorelle siamo perduti Pegaso, non usciremo mai più da questa grotta infernale!" Aggiunse mentre si guardava intorno.
Pegaso nitrì e lo guardò in modo che Sigfried conosceva fin troppo bene.
"Si lo so, è colpa mia che mi caccio sempre nei guai! Non c'è bisogno che tu me lo ripeta sempre!" Disse con un mezzo sorriso, dando un pacca sul muso del cavallo.
Sapeva che non sarebbe mai riuscito ad arrivare da Ecate, se non fosse stato per lui, così ringraziò ancora una volta gli Dei per averlo messo sul suo cammino.
Poi fece un profondo respiro, prese Pegaso per le briglie e insieme si inoltrarono nelle tenebre.


Nota: Yggdrasill nella mitologia normanna è l'albero che sorregge con i suoi rami i nove mondi, nati dal sacrificio di Ymir. Sprofonda sin nel regno infero, mentre i suoi rami sostengono l'intera volta celeste.
Nota: Nel folklore danese, un Valravn ("corvo dei morti" ) è un uccello mitologico. Sono descritti come corvi che consumano i corpi dei morti sul campo di battaglia, oppure in grado di trasformarsi in cavaliere dopo aver consumato il cuore di un bambino, in altri casi ancora viene descritta una creatura per metà lupo e metà corvo.

 

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Capitolo 5
*** La Dea degli incantesimi ***


CAPITOLO 5: LA DEA DEGLI INCANTESIMI






La grotta di Ecate era fredda e buia, silenziosa e profonda come gli inferi.
Sigfried camminò a lungo nella totale oscurità, senza sapere quale fosse la via giusta.
Dopo tanto camminare si sentiva perso e confuso, dove doveva andare?
"Dei, datemi un segno ve ne prego!" Urlò esasperato.
Poco dopo tra le tenebre vide muoversi qualcosa, così sfoderò di nuovo la sua spada e si preparò alla lotta.
Più l' ombra si avvicinava tuttavia, più sembrava avere sembianze umane.
Il suo viso era illuminato da una candela, e quando fu vicino a Sigried, potè notare che si trattava di una donna anziana, avvolta in dei vecchi stracci sporchi e rotti.
La vecchia era piccola e gobba, i lunghi capelli grigi le ricadevano sul volto rugoso, i suoi occhi erano quasi chiusi e le sue labbra inaridite.
Emetteva uno strano rantolio, e l' eroe ebbe l' impressione che stesse per cadere da un momento all' altro.
Quando la vecchia perse l' equilibrio lui la prese subito tra le braccia, facendola sedere.
"Mia signora? Mia signora mi udite? Vi sentite male?"
Lei aprì un poco gli occhi e con fatica iniziò a parlare.
"Oh Dei, finalmente incontro qualcuno... Sono venuta qui molto tempo fà per aiutare mia figlia che è molto malata, ma non sono riuscita a trovare la strega... Mi sono cibata di ratti e pipistrelli pregando gli Dei di mandare qualcuno a salvarmi... E finalmente siete arrivato!"
Il cuore di Sigfried si intristì per la storia di quella povera donna, persa in quell' orribile caverna per chissà quanti anni, sola e spaventata.
"Non vi preoccupate mia signora, vi condurrò fuori di qui! Ho dei diamanti nel mio sacco, quando sarete al sicuro ve li donerò, in modo che possiate aiutare vostra figlia e stare tranquilla per il resto dei vostri giorni!"
Gli occhi della vecchia si riempirono di lacrime, poi pianse di gioia.
"Che cuore grande avete mio caro ragazzo! Siano ringraziati gli Dei! Temevo che avrei finito i miei giorni in questo inferno!" Rispose la donna accarezzando il suo volto, finendo per toccare la sua cicatrice.
"Oh cielo, che è successo al vostro bel viso ragazzo?"
"Una bestia mi ha ferito, ma non abbiate paura, è morta ora!"
La vecchia saltò di paura, così Sigfried la strinse a sè sussurrandole dolci parole.
"Non piangete mia signora, usciremo di qua e voi potrete tornare a casa dalla vostra famiglia..." Dicendo così la prese in braccio e la fece sedere sul cavallo.
"Forza Pegaso, dobbiamo trovare un uscita al più presto!" Esclamò. "Penseremo dopo alla Dea..." Aggiunse a bassa voce, rattristato di non averla ancora trovata.
Si passò le dita sulla mano che Hel aveva toccato, congelandola, e ripensò a lei cercando il coraggio di andare avanti.
Camminò a lungo, ma quella caverna si era rivelata un labirinto infinito.
"Sapete, non mi stupisco che vi siate persa, io stesso non riesco ad orientarmi qui dentro!" Disse alla vecchia.
Non udendo alcuna risposta si voltò verso di lei, bloccandosi quando non la vide.
"Pegaso! Ma dov'è finita la signora? Non capisco, l' avrei sentita se fosse caduta..."
Confuso e preoccupato, Sigfried tornò indietro per cercarla, maledicendosi per la sua poca attenzione.
Dopo molte ore, ancora non era riuscito a trovarla, e iniziava a perdere le speranze, così si sedette a riposare un momento.
Poco dopo sentì in lontananza un pianto, pareva provenire da una bambina, così si ricompose e corse a cercarla.
"Piccola! Piccola non temere non voglio farti del male! Vieni fuori così posso aiutarti!" Urlava mentre il pianto diventava sempre più forte.
Finalmente riuscì ad intravedere una piccola luce alla sua destra, corse verso la luce fino a trovare rannichiata a terra una bambina di circa sette anni; I suoi capelli erano neri e i suoi occhi verdi erano ricoperti di lacrime.
Aveva un corpo minuto e gli abiti erano stracciati e luridi, anche se si vedeva che dovevano essere stati molto belli ed eleganti. Tra le mani reggeva una piccola candela e una bambola di pezza.
Sigfried pensò che dovesse trattarsi di una piccola lady; Forse i genitori erano morti ed era rimasta tutta sola, pensò.
"Piccola non avere paura, ci sono io adesso! Sono un eroe, ti porterò fuori da qui..."
"Davvero? Non mi piace questo posto, è brutto e pauroso, voglio la mia mamma!"
Disse piangendo la bambina mentre stringeva la bambola.
"Certo, fidati di me! Ma cosa ci fai qui tutta sola? Dove sono i tuoi genitori?" Chiese prendendola in braccio.
"Non lo so... Ero venuta qui con il mio papà, volevamo trovare la mamma che è scomparsa nella foresta, ma poi lui ha lasciato la mia mano e io mi sono persa nel buio!"
Sigfried asciugò le sue lacrime con la sua camicia e la strinse a se.
"Non preoccuparti, se è qui lo troverò!"
Decise di tenerla in braccio per non rischiare di perderla come era successo con la vecchia, così le disse di tenere in mano la candela e di fargli luce, mentre lui reggeva lei e conduceva Pegaso.
Camminarono a lungo in silenzio, finchè la piccola iniziò a canticchiare una melodia.
Sigfried si fermò un attimo, cercando di ricordare dove aveva sentito quella canzone...
Improvvisamente ricordò la dolce voce di Afrodite che cantava nel bosco.
"Com'è possibile? Come conosci questa canzone?" Chiese confuso.
"La cantava sempre la mia mamma..." Rispose la piccola.
"Come si chiama la tua mamma?" Esclamò Sigfried, sempre più confuso.
La piccola lo guardò profondamente negli occhi, poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò: "Gea..."
Al sentire quel nome Sigfried sbiancò... Possibile che fosse proprio lei?
Gea era la Dea primordiare, la madre di tutti gli Dei e creatrice della terra... Ma se era sua madre, dunque la bimba non poteva essere che...
"Vedo che finalmente l' hai capito straniero." Disse la piccola.
Poi, avvolta dalla luce si separò dalle sue braccia, rivelando la sua reale figura.
Una giovane donna, con lunghi capelli neri e occhi verdi, labbra rosse e un fisico alto e longilineo.
Portava un lungo ed elegante abito nero, una corona d' argento tra i capelli e uno scettro fatto di pietra nera, circondato da un serpente argentato.
"Ecate..." Sussurò esterrefatto Sigfried, inginocchiandosi di fronte a lei e bagnato dalla sua luce.
"Ma allora la vecchia..."
"Si straniero, ero io."
"Perdonatemi mia signora se non vi ho riconosciuto..."
"Non hai nessuna colpa, è una mia abilità non essere riconosciuta se non lo desidero!"
Ecate osservò per bene il giovane, poi sollevò il suo viso con le mani e scrutò nei suoi occhi.
"So perchè siete qui straniero..."
"Lo sapete?"
"Dubitate forse delle mie capacità?!" Esclamò irritata.
La luce intorno a lei si fece più forte, tanto che Sigfried dovette coprirsi gli occhi.
"Perdonatemi mia Dea... Sono solo un uomo, nulla posso contro la vostra saggezza e il vostro potere..."
Ecate rise divertita e poi aggiunse "Non è con le lusinghe che otterrete ciò che volete!"
"Perdonatemi mia Dea... cosa posso offrirvi dunque?"
"Non avete nulla che io possa desiderare..."
Sigfried riflettè un attimo e poi si ricordò delle due sacche che portava appese al suo cavallo, così si alzò in piedi ed esclamò:
"Posso darvi i fiori più belli del regno!"
Ecate rise di nuovo. "Oh come siete romantico, volete donarmi dei fiori che abbelliscano la mia umile dimora?"
Sigfried si vergognò di quanto aveva detto, tuttavia non possedeva altro che i fiori e i preziosi, così decise di provare con quelli, sperando nella sua buona sorte.
"Vi offrirò allora i più bei diamanti che esistano... Sono tutti vostri se li desiderate!"
Per la terza volta Ecate rise. "Certo, li indosserò nelle mie serate a corte, li sfoggerò davanti ai re e ai conti!"
Sigfried disperato non sapeva più cosa fare... Non aveva altro con sè da poter offrire.
Poi gli venne un idea, un idea folle, che forse l' avrebbe portato alla morte, ma ormai era li, doveva combattere fino al suo ultimo respiro, come in tutte le sue battaglie.
"Allora vi offrirò una cosa ben più rara e bella, che potrete tenere sempre con voi, e che vi riscalderà nelle notti di solitudine..."
Ecate lo guardò dubbiosa, cercando di capire a cosa si riferisse.
"E cosa sarebbe straniero?"
Sigfried si avvicinò a lei, accarezzando tra le dita i suoi capelli neri.
"Qualcosa che ogni donna desidera, anche se poche la ottengono, qualcosa che non ha prezzo... Un sogno ad occhi aperti..."
"Sogni? E che me ne faccio dei sogni io?" Rispose lei con disprezzo.
"Oh vedrete, non tutti i sogni sono uguali..."
Così dicendo Sigfried si avvicinò a lei e baciò le sue labbra, tenendo tra le mani il suo viso.
In quel bacio ci mise tutta la dolcezza che provava per Afrodite, tutta la passione che nutriva per Ixchel, tutto il desiderio che lo faceva sciogliere quando pensava a Hel...
Tutto l' amore che aveva provato in quei lunghi mesi, tutta la disperazione, l' aspettativa, la tenerezza, le mise in quel bacio, che sembrò durare una vita intera.

 
Nota: Ecate nella mitologia romana è Dea degli incantesimi e degli spettri,  in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei ed il regno dei morti.
Nota: Gea è nella religione e nella mitologia greca, la dea primordiale, quindi la potenza divina della Terra, Progenitrice dei titani e degli dei dell’Olimpo
.


 

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Capitolo 6
*** La musa dal cuore infranto ***


CAPITOLO 6: LA MUSA DAL CUORE INFRANTO






Durante i lunghi anni in cui Ecate aveva vissuto nel monte Yggdrasill, nessuno l' aveva mai amata, nessuno l' aveva mai baciata, nessuno l' aveva mai stretta a se togliendole il respiro come il giovane Sigfried stava facendo.
In tanti erano venuti da lei, disperati per la loro amata, lei aveva aiutato alcuni e respinto altri, in base a ciò che celava il loro cuore, ma mai, aveva provato qualcosa che potesse essere definito amore.
Non capiva quindi i loro tormenti e le loro pene, le loro gioie e le loro parole romantiche.
Ora, per la prima volta, ebbe un assaggio di quel sentimento così puro e devastante di cui tanto aveva sentito parlare, e finalmente capì perchè gli esseri umani si dannassero per averlo.
Oh com' erano calde le mani di Sigfried! E come erano delicate le due dita sulla sua pelle... Com' erano morbidi e profumati i suoi capelli, che ad ogni movimento le sfioravano il viso...
E il suo corpo, così fragile rispetto a quello degli Dei immortali, come sembrava forte...
Come si sentiva protetta tra le sue braccia...
Era questo l' amore? Si domandava Ecate ricambiando il suo bacio.
Questo caos primordiale, è questo che tutti agognano?
Per un attimo, desiderò che il giovane eroe potesse rimanere con lei, allietando le notti solitarie in quella caverna, donandole colore in un' esistenza altrimenti oscura.
Per la prima volta in vita sua si lasciò andare, godendosi ogni istante di quella passione.
Poi però, ricordo a se stessa che tutto ciò che stava provando altro non era che una mera illusione, un sogno meraviglioso, da cui però si sarebbe dovuta presto svegliare.
Non era questo il suo destino, non era lei che lui amava.
Si stacco da Sigfried e lo guardò a lungo, respirando la sua stessa aria e aggrappandosi ancora un momento a quelle dolci labbra.
Poi si allontanò, respingendo quel giovane che con le gote arrossate e quel tenero sorriso, le avrebbe fatto compagnia per l' eternità.
"Ti ringrazio straniero, il tuo è il dono più bello che mi sia mai stato offerto..."
Sigfried sorrise, accarezzò ancora una volta i suoi capelli e si perse nei suoi occhi.
"E' stato un piacere farti questo dono, mia Dea."
Ecate fece un profondo respiro, ricordando di nuovo quale fosse il suo compito nel regno degli uomini: Lenire le ferite dei cuori più puri.
Non le era però concesso provare ciò che loro provavano, amare quelli che loro amavano, vivere le loro tormentate vite.
Ciò che le era concesso era di osservarle, e quando lo riteneva necessario, indirizzarle verso il loro destino.
"Ebbene - Disse infine - Ora ti darò ciò per cui sei venuto, in modo che tu possa tornare dalla tua amata e fare tuo il suo cuore."
Ecate unì le mani, tra le quali si formò un' intensa luce azzurra, poi soffiò dentro di esse e la luce divenne rossa e accecante.
Trattenne in una mano la luce, e con l' altra estrasse dalla manica del vestito una piccola ampolla di vetro, con un serpente argentato che si attorcigliava ad essa. Verso al suo interno la luce rossa, che divenne liquida e scura come il sangue.
Sigfried osservava tutto stupefatto ed incantato, domandandosi di che cosa si trattasse.
"Fate bere questo alla vostra amata, ed essa vi amerà incondizionatamente, finchè avrà un alito di vita dentro di sè. " Gli disse porgendogli l' ampolla.
Sigfried la strinse al suo petto, grato per quella benedizione.
Prese la mano di Ecate e la baciò delicatamente.
"Vi ringrazio mia Dea..."
Ecate annuì e sorrise, guardando per l' ultima volta il bel cavaliere.
"Seguite la luce dorata, vi condurrà fuori dal labirinto..." Così dicendo soffiò in una mano, e da essa una piccola luce si levò in aria, brillando e allontanandosi.
"Addio cavaliere..." Sussurrò infine Ecate con malinconia.
Sigfried seguì con lo sguardo la luce, e quando si voltò per ringraziare ancora una volta La Dea, essa era già scomparsa.
"Addio, mia Dea." Disse montando in cima a Pegaso, seguendo la luce nell' oscurità.
Quando finalmente si ritrovò fuori dalla caverna, il Valravn era scomparso, così l'eroe e il suo destriero potettero volare liberamente giù dal monte, diretti verso il regno del ghiaccio.
Quando furuno vicini, la tempesta costrinse Pegaso a scendere a terra, e il cavaliere dovette riparsi dal vento gelido con quel che restava del suo mantello.
Camminarono a lungo nella tormenta, persi in una bianca distesa, finchè al cavaliere sembrò di vedere una figura riversa nella neve.
Scese da cavallo e corse verso la donna che giaceva immobile sul terreno.
Una volta vicino a lei potè notare che la giovane fanciulla tremava e piangeva, stringendo al petto un pugnale.
"Perchè piangi dolce fanciulla? Che ti è accaduto? Non temere io posso aiutarti!" Disse ricoprendola con il suo mantello.
Lei alzò il viso ricoperto di neve, così Sigfried potè osservarla meglio.
Aveva gli occhi verdi acqua, divenuti rossi dal pianto, una pelle rosea ricoperta di lentiggini, capelli castani dorati e labbra chiare e rotonde.
Uno spesso mantello con un cappuccio le copriva la veste verde ricamata.
"Vi prego parlatemi, dev' esserci qualcosa che posso fare per voi!"
"Uccidetemi!" Disse la ragazza porgendogli il suo pugnale.
Sigfried fu scioccato da quella affermazione, non capendo cosa potesse spingere una così bella fanciulla al suicidio.
"Mia dolce signora, mia anima in pena, voi non mi conoscete, ma io ho vagato per tutti i regni salvando molte vite, non desidero uccidere nessuno, sopratutto una creatura fragile e triste come voi... Vi prego ditemi, cosa turba il vostro animo al punto da desiderare la fredda morte?"
Sigfried accarezzò le sue mani e cercò di riscaldarle un poco, preoccupato per la fanciulla.
"L' uomo che amo tra poco sposerà un altra... Il loro matrimonio è stato organizzato dal padre, che vuole per il figlio una moglie ricca che possa portagli importanti alleanze... Mentre io... Io non ho che il dono della mia voce... Oh che sciocca sono stata ad innamorarmi di lui... Che sciocca!"
Sigfried commosso da tanta disperazione la abbracciò forte, capendo bene il suo stato d' animo.
"Qual'è il vostro nome dolce fanciulla?"
"Che importa il mio nome se tra poco danzerò con i morti?"
"A me importa, ditemelo... Fatemi questo ultimo piacere, voglio ricordarmi di voi."
La fanciulla trattenne per un attimo il pianto, poi tra i singhiozzi gli disse il suo nome.
"Melpòmene, mio signore. E ora vi prego, uccidetemi! Alleviate le mie sofferenze!"
"Oh mia cara fanciulla, non dite queste cose! Sono sicuro che la vostra famiglia è in pena per voi e vi aspetta a casa, e che altri uomini potranno amarvi, se solo aspetterete..."
"Vi sbagliate cavaliere! Sono sola al mondo, la mia famiglia è morta anni fà...
Omero è stato è stato l'unico amico che abbia mai avuto, l' unico che mi abbia confortato nei momenti bui, che mi abbia fatto sorridere e sognare... Io cantavo per lui ogni notte, e lui scriveva storie di avventure e di amori perduti ascoltandomi... Diceva che ero la sua musa... Ma ora tutto perduto, se lui non c'è, cosa mi resta?"
Melpòmene si battè il petto, strappandosi la veste dal dolore.
"Vi resta la speranza mia signora... Vi resta la vita!" Sigfried strinse la fanciulla a sè, cercando il modo di confortala.
"Non c'è vita senza amore, e non c'è amore senza di lui... Ho donato a lui il mio cuore, e ora lui lo porterà lontano, in un altra terra... Oh Dei, perchè mi odiate tanto? Perchè mi togliete tutto ciò che amo?"
Melpòmene afferrò il pugnale e lo puntò al suo petto, decisa a porre fine alle sue sofferenze.
Sigfried la bloccò con forza, togliendole l' arma, poi disperato per le sue sofferenze, prese l' unica decisione che riteneva giusta.
Poteva pure soffrire, passare l' esistenza lontano dalla donna che amava, ma non poteva sopportare che una giovane vita finisse davanti ai suoi occhi.
Non poteva vedere ancora le lacrime bagnarle le guancie, sentire il suo pianto disperato, udire le urla del suo cuore distrutto.
Estrasse dall' armatura l' ampolla che Ecate gli aveva dato, poi gliela mise tra le mani.
"Prendete questa mia signora, fatela bere al vostro amato, e il suo cuore sarà vostro per sempre..."
Lei guardò confusa l' ampolla e il cavaliere, senza capire cosa stesse succedendo.
"Che cos' è questa? E perchè volete aiutarmi?"
"E' una pozione magica, mi è stata donata dalla Dea degli incantesimi, Ecate.
Volevo conquistare il cuore della mia amata, ma preferisco che l' abbiate voi...
So cosa vuole dire soffrire per amore, e non voglio che una così dolce e sfortunata fanciulla debba farlo davanti ai miei occhi..."
Melpòmene guardò meglio l' ampolla, conosceva la leggenda della Dea Ecate e credeva nel suo potere, solo non credeva nel cavaliere.
La sua esistenza le aveva insegnato che tutto ha un prezzo, che niente ti viene regalato... Per questo non capiva la generosità del giovane.
"Ma voi chi siete?" Domandò studiando il suo viso.
"Il mio nome è Sigfried mia signora, e sono al vostro servizio."
Al sentire quel nome Melpòmene spalancò gli occhi, ricordava bene le storie che si raccontavano sul leggendario eroe, sulla sua bontà e sul coraggio.
Lacrime di gioia scesero sulle sue fredde guancie, poi abbracciò con forza Sigfried, grata di tanto altruismo.
"Grazie mio signore, vi devo la vita..." Esclamò, poi baciò la sua fronte e sorrise.
Sigfried rise di gioia, perchè era quella la ricompensa per la quale combatteva, non il denaro o i titoli, ma il sorriso delle persone che aveva aiutato.
"Forza ora, salite sul mio cavallo, dobbiamo andare ad un matrimonio!"
Melpòmene si fece aiutare dal cavaliere per montare Pegaso, reggendosi forte alla sua criniera, poi salì Sigfried, che tenendola stretta impungò le redini e si preparò alla corsa contro il tempo.
"Forza amico mio, - Sussurrò, appogiando il viso contro quello di Pegaso - Ancora una volta ho bisogno delle tue ali, perciò vola, vola più veloce che puoi, la vita di questa fanciulla dipende da te!"

Nota: Melpòmene nella mitologia greca era una delle nove muse. Colei che canta, era la musa della tragedia, portava una maschera tragica, la clava di Ercole e una spada.
Le Muse, erano divinità minori che appartenevano al dio Apollo. Erano nove sorelle, giovani e bellissime, figlie di Zeus e di Mnemosine.
Nota: Omero è il nome con cui è storicamente identificato il poeta greco autore dell'Iliade e dell'Odissea.

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Capitolo 7
*** I sogni di Cassandra ***


CAPITOLO 7: I SOGNI DI CASSANDRA




Fu una corsa contro il tempo, quella che intrapresero Sigfried e Pegaso, sfidando le intemperie ed il gelo.
Tuttavia, Sigfried sapeva che la vita della fanciulla che stringeva tra le braccia, dipendeva dalla loro rapidità.
Melpòmene tremava, sia dalla paura che dalla gioia, chiedendo silenziosamente agli Dei di esaudire la sua preghiera.
Vedendo nel giovane cavaliere la fatica e la disperazione che gli segnavano il volto, decise di allietare la sua anima in pena, ringraziandolo anche per il sacrifico che stava per compiere, cantando per lui una canzone.
Così, nel cielo della grecia, accompagnata dalla melodia del vento, Melpòmene cantò, riempiendo il cuore dell' eroe di una struggente e soave grazia.
Il loro arrivo nella città di Isie, fu annunciato dal suo canto, che mano a mano si avvicinavano al castello, diveniva sempre più incalzante.
Una volta scorto il grande giardino del palazzo, Pegaso scese attraverso la cotre di nubi,
posandosi tra i verdi prati e gli alberi in fiore.
Dinnanzi a loro, si estendeva il lungo corteo di invitati, accorsi da tutti i regni per assistere al matrimonio della figlia del governatore Priamo, Cassandra.
Sigfried scese da cavallo, reggendo tra le braccia Melpòmene, che una volta scorto il suo amore, gli corse incontro disperata.
Il giovane Omero, vedendo la sua musa ed amica correre verso di lui con le lacrime che rigavano il bel volto, le andò incontro con la tristezza nel cuore.
Sapeva bene che l' amore che la giovane nutriva per lui era puro e sincero, ma la volontà del padre era stata più forte dell' affetto che da sempre aveva coltivato per la fanciulla.
Prima che potesse parlare tuttavia, Melpòmene aveva già intonato il suo canto, ed il giovane, come accadeva ogni volta, ne era rimasto incantato.
Quando lei gli aveva preso la mano, rinchiudendo in essa la magica pozione, lui non aveva opposto resistenza, rapito com' era dalla sua voce e dalla sua bellezza.
Non l' aveva mai amata, non di quell' amore incondizionato e folle che lei nutriva per lui, tuttavia aveva per la fanciulla un affetto profondo e colmo di dolcezza.
Quando lei cantando, gli chiese di bere le magiche acque rosse nell' ampolla, lui senza pensarci portò il vetro argentato alle labbra, bevendone tutto il sacro potere.
In quel momento, ogni affetto, ogni volontà, ogni paura, ogni dubbio, che potevano separlo da lei, svanì per sempre.
Il giovane Omero sentì il dolce canto della fanciulla incatenare il suo cuore per sempre. Nei suoi occhi ormai, non esistevano che quelli di lei.
Il suo animo, accecato ormai da quell' amore violento e irrazionale, lo guidò verso le sue labbra incantate.
Mentre la folla li osservava incredula, lui la prese tra le braccia, incamminandosi verso la sua nuova vita.
A nulla servirono le minacce del padre ed i pianti della madre, nulla, nemmeno le spade avrebbero potuto separarlo dalla fonte dell' suo amore.
"Canta per me, mio dolce giglio, mia sposa, mio amore, mia musa... Canta per me, affinchè io narri storie immortali tra le dolci braccia." Le diceva, baciando le sue guance rosee e fredde.
Passando davanti al giovane Sigfried, Melpòmene sorrise, finalmente felice insieme al suo amante.
"Ti ringrazio, mio eroe. Ti devo la vita. - Gli disse cantando - Ogni mia preghiera sarà a te rivolta, affinchè tu possa avere ogni cosa che desideri... Onore e gloria, ricchezze e terre, donne ed amore... Tutto tu meriti e tutto ti darò, mio eroe dal cuore gentile."
Sigfried sorrise a sua volta, ringraziandola con un leggero inchino del capo.
La osservò con lo sguardo, beandosi della sua gioia, finchè ella scomparve tra gli archi di pietra del grande palazzo.
Conscio di avere aiutato un cuore puro e disperato, mise pace al suo, rinunciando per sempre alla gelida e lunare Hel.
Non vi era più modo ormai di farsi amare da lei, se non portarle i due cuori che aveva chiesto.
Sigfried avrebbe preferito mille volte le torture dell' Ade, piuttosto che lordare le sue mani con il sangue delle Dee, così, affranto e rassegnato alla solitudine, si incamminò verso il suo destriero.
Solo allora udì le pene di una madre, che implorava agli Dei vendetta ed aiuto.
Ella era Ecuba, madre della sventurata Cassandra, derubata dello sposo il giorno delle sue nozze.
"Oh mia dolce creatura! - Disse piangendo Ecuba - Mia anima innocente, figlia della malasorte, il tuo sposo ti ha abbandonata ancor prima di averti! Che ne sarà di te? Come potrò dare al tuo giovane cuore quest' orribile notizia? Oh, quale pena, quale dolore, affligge una madre la cui figlia è maledetta dagli Dei!" La donna si strappò le vesti, cadendo al suolo.
Priamo cercò di sorreggerla, urlando la sua rabbia ed il suo odio verso il giovane Omero, colpevole di aver distrutto la vita della figlia, condannandola alla solitudine perenne.
Solo allora, Sigfried realizzò che per donare amore ad una fanciulla, l' aveva rubato ad un' altra.
La felicità di una, aveva condannato l' altra.
"Oh Dei, quale peccato ho commesso?" Si chiese Sigfried disperato.
"Per salvare una vita, ne ho forse distrutto un' altra? Cosa posso fare per porre rimedio ai miei torti?"
Sigfried inziò a camminare per i giardini, tormentando la sua anima e maldicendo la sua sorte.
Pegaso lo seguì, condividendo il suo dolore.
"Oh mio caro amico, non mi sei rimasto che tu al quale affidare i miei dolori..." Gli disse, accarezzandolo con dolcezza e sconforto.
Pegaso strofinò il muso contro il viso del giovane, strappandogli un malinconico sorriso.
Mentre continuava a camminare, fu attratto dal rumore di un ruscello, che calmo e costante, calmava il suo spirito.
Contiuò a camminare, seguendo il ruscello che attraversa i grandi giardini del palazzo, osservando i fiori e gli alberi che lo circondavano, chiedendo al cielo azzurro, se un giorno anche lui avrebbe trovato un po' di pace da questo avverso destino.
Poi, in lontananza, intravide la figura di una giovane fanciulla, intenta ad accarezzare l' acqua del fiume.
Aveva un espressione malinconica in viso, ma i suoi occhi brillavano di una forza sconfinata e paziente, come l' acqua in cui si specchiava.
Lunghi capelli neri le ricadevano sulle vesti e sul viso, reso ancor più bello dal sole che la illuminava.
Gli occhi, verdi e dorati, guardavano ora verso il cielo, mentre le labbra sottili si schiudevano in un respiro.
Una lunga treccia si adagiava morbida sul vestito verde e dorato, mentre seduta sull' erba chiudeva gli occhi e silenziosa si rifugiava nel suo mondo.
ll giovane eroe si avvicinò a lei, attratto dalla sua anima, che emanava la stessa tristezza che rabbuiava la sua, eppure anche una grande forza.
Lei lo sentì arrivare, ma non si scostò, ne disse nulla, lo osservò solamente, con calma e sicurezza, come se in qualche modo, sapesse già del suo arrivo.
"Vi disturbo, mia signora?" Chiese Sigfried, inchinandosi a lei.
Lei sorrise e scosse la testa, facendo cenno con le mani di sedersi al suo fianco.
Sigfried accettò l' invito, sedendosi accanto alla misteriosa ragazza.
"Il mio nome è Sigfried, mia signora, e questo è Pegaso, il mio destriero... Non abbiate paura, non voglio farvi alcun male..."
"So chi siete cavaliere..." Disse lei guardandolo intensamente negli occhi.
"Molte volte ho veduto questo viso..." Aggiunse, accarezzando timidamente la sua guancia.
Sigfried era confuso, non ricordava di aver mai visto la fanciulla, eppure, qualcosa nel suo sguardo lo rassicurò.
"Ci siamo già incontrati, mia signora?"
"Solo nei miei sogni cavaliere..." Rispose lei con un timido sorriso.
"E cosa avete sognato, se posso osare chiedervelo?"
"Ogni cosa cavaliere... Vi ho visto approdare sulle coste, fino ad arrivare al cuore della giungla e alle montagne innevate. Vi ho visto combattere sul monte Ygdrasill, ed infine giungere fino a me attraverso la neve ed il cielo..."
Sigfried non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito, come poteva sapere così tanto su di lui, se non l' aveva mai incontrata? Chi era dunque la misteriosa fanciulla?
"Come fate a sapere tutte queste cose? Siete forse una Dea, mia signora?"
"No cavaliere... Solo una fanciulla, i cui sogni rivelano la verità delle cose, anche quelle che non sono ancora accadute... Sapevo che sareste giunto da me, molto prima che lo sapeste voi..."
"Gli Dei vi hanno fatto un grande dono mia signora... Potessi io sapere gli avvenimenti del futuro, avrei potuto vincere con facilità molte battaglie, salvare innumerevoli vite... Perfino risparmiare al mio cuore tanto dolore... Siete molto fortunata..."
"A volte gli Dei ti benedicono con un dono e ti maledicono con un' altro cavaliere... Pur sapendo cose che ancora non sono accudute, nessuno ascolta la mia voce, perciò non posso evitare che accadano... Ho visto morire molte persone, senza mai poter salvarne una... Cosa può esserci di fortunato in questo? E' solo una tortura per me..."
"Mia povera, dolce creatura... Non immaginavo che questo dono vi recasse tanto dolore... Il mio cuore piange con il vostro... Forse certe anime sono destinate all' eterna sofferenza... La vostra e la mia, sembrano essere legate da un destino di sangue e lacrime."
"Le nostre vite sono destinate ad intrecciarsi cavaliere, anche se ancora non mi è stato concesso di sapere come..."
"Se davvero il destino ci ha uniti, dev' esserci un motivo importante... Anche se ancora non sappiamo quale. Posso dunque dunque di sapere il vostro nome, mia signora?"
Dopo qualche minuto di silenzio, la fanciulla parlò. "Cassandra... E' questo il mio nome cavaliere."
Nel sentire quel nome, Sigfried sbiancò in volto e si coprì il viso con le mani per la vergogna.
"Oh mia signora... Perdonatemi... Vi prego di perdonarmi, se il vostro cuore ne è capace. Credo di avervi recato un danno enorme, sebbene io lo abbia fatto per aiutare un' anima in pena..."
"Non dovete addolorarvi per me... Avevo già sognato questo giorno. Il cuore di Omero non mi apparteneva, così come il mio non apparteneva a lui... Non soffro per la sua perdita, anzi gioisco per la mia rinnovata libertà!"
"Ma mia signora... Ne siete certa? Quanta forza il vostro animo dimostra in questo strano giorno voluto dal destino... Credevo che vi avrei trovata il lacrime, ero pronto ad offrirvi ogni mio avere pur di farmi perdonare!"
"C'è solo una cosa, che io desiderei veramente..."
"Ditemela allora, e io farò qualunque cosa in mio potere per offrirvela! E' un giuramento che vi faccio dal profondo del mio cuore, valorosa fanciulla!"
Così dicendo Sigfried si battè la mano sul petto, incitando la ragazza ad esprimere il suo volere.
"La libertà... E' l' unica cosa che ho mai veramente voluto. Essere libera di decidere il mio destino, senza essere schiava del volere di mio padre o di un marito, o di un regno."
"Il vostro è senza dubbio un nobile desiderio mia signora. Il mio cuore si scalda di fronte ai vostri sentimenti... Ma come posso aiutarvi io? Cosa posso fare per rendervi libera?"
Cassandra sfiorò di nuovo la sua guancia, portandogli un ciuffo di capelli biondi dietro l' orecchio.
Rimasero così per alcuni istanti, persi l' uno negli occhi dell' altra, senza parole.
"Portatemi con voi... Portatemi con voi nelle vostre avventure, fatemi conoscere il mondo. Lasciatemi libera di essere ciò che sono, e io ve ne sarò grata per tutta la vita!"
"Vorreste davvero venire con me? Ma mia signora è pericoloso! La vita di un cavaliere è dura e piena di sacrifici e battaglie..."
"Non temo nè il dolore nè la morte cavaliere. Vi prego, portatemi con voi. Lasciatemi libera di scegliere il mio destino!"
Sigfried accarezzò le sue mani, stringendole forte tra le sue.
"Mia signora, mai in tanti anni ho conosciuto una fanciulla come voi. Cosi forte e libera, senza paura... Niente mi recherebbe più gioia di condividere con voi le miei avventure, rendervi mia compagna nelle battaglie, farvi scoprire il mondo... Se è questo ciò che desiderate, vi accontenterò!"
Cassandra, in uno slancio di gioia, si gettò tra le braccia del cavaliere, abbracciandolo con forza.
Sigfried, che non era abituato a tali gesta d' affetto, si sentì un po' a disagio all' inizio, ma poi, preso coraggio nel trovarsi accanto ad un anima così simile alla sua, ricambiò la sua stretta con decisione.
"E ditemi, Cassandra, dove desiderate andare? Dove volete che vi porti?"
Lei, facendosi improvvisamente seria, gli prese il volto tra le mani e disse: "Tebe."
"Portatemi a Tebe cavaliere... Ho visto la sua fine molte notti or sono, ma nessuno ha creduto alle mie parole. Molti innocenti moriranno, la città cadrà... Solo noi abbiamo il potere di fermare questa tragedia."
"Tebe? quale pericolo incombe sulla città? Vi prego, ditemi ogni cosa!"
"Mi credete se ve lo dirò?" Chiese lei ansiosa.
"Avete la mia parola."
"Allora andiamo, vi racconterò il mio sogno sulla strada per la città. Non abbiamo più molto tempo!"
Sigfried annuì e si alzò, preparando Pegaso per la nuova battaglia che gli attendeva.
"Andiamo dunque, mia signora Cassandra. Il destino di Tebe, ed il nostro, ci attendono!"


Nota: Cassandra nella mitologia greca era la figlia di Ecuba e di Priamo re di Troia, fu sacerdotessa nel tempio di Apollo da cui ebbe la facoltà della preveggenza, prevedeva terribili sventure ed era pertanto invisa a molti.
Secondo la leggenda, Apollo, per guadagnare il suo amore, le donò la dote profetica ma, una volta ricevuto il dono, Cassandra rifiutò di concedersi a lui: Adirato, il Dio le sputò sulle labbra e con questo gesto la condannò a restare sempre inascoltata.
Nota: Isie, era una città della Beozia, ai piedi del versante settentrionale del monte Citerone sulla strada da Tebe ad Atene.
Nota: Tebe, svolse un ruolo importante nella mitologia greca, luogo delle storie di Cadmo, Edipo, Dioniso e altri personaggi mitici. Sotto il comando di Epaminonda, divenne la città egemone greca, riuscendo a sconfiggere Sparta e la Lega Peloponnesiaca.



Nota dell' autore:

Ciao a tutti ^-^
Volevo scusarmi con voi per l' enorme ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, purtroppo ho avuto dei problemi personali che mi hanno impedito di scrivere, ho potuto riprendere la scrittura solo in questi giorni.
Spero che continuerete a seguire questa storia e che vi piacciano le nuove avventure del nostro eroe Sigfried.
Alla prossima, dee e cavalieri :-)




 

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Capitolo 8
*** Il Re di Tebe ***


CAPITOLO 8: IL RE DI TEBE



 


Nella vastità del limpido cielo della grecia, Cassandra, reggendosi al prode Sigfried, raccontò con orrore il terribile sogno che perseguitava le sue notti da molte lune, mentre lui, angosciato, ascoltava il suo racconto.
"Ho visto la città bruciare tra fiamme altissime e implacabili, le persone cercare di fuggire con i propri cari in braccio, palazzi crollare e strade inghiottire li innocenti.
Ho visto la morte divorare li infanti e le donne disperate lasciarsi consumare dal fuoco. Guerrieri che giacevano a terra con le loro spade strette in pungo e re invocare inultimente gli Dei.
E poi ho visto lui... Lui che con un sadico sorriso osservava il suo operato."
"Lui chi, mia signora?" Chiese Sigfried, sempre più preoccupato per gli orrendi avvenimenti descritti dalla giovane Cassandra.
"Colui che è macchiato di sangue... Colui che assalta le mura, Il distruttore ed assassino di uomini..." Rispose Cassandra, con gli occhi colmi di terrore.
"Ares... E' dunque il Dio della guerra il responsabile di un tale massacro?"
"Si mio signore... E' lui che ho veduto nel mio sogno."
"Oh Dei... Che terribile sventura ci è capitata... Non sarà facile sconfiggere Ares mia signora... Ma di certo non mi arrenderò ai suoi capricci di morte!"
"Dobbiamo parlare con il re di Tebe, Epaminonda, deve preparare il suo esercito alla battaglia!"
"Speriamo che ci dia ascolto, o Tebe è perduta... Forse il battaglione sacro sarà in grado di sconfiggere un nemico così potente. Andrò con loro, se me lo permetteranno."
"Ed io verrò con voi!" Disse la fanciulla, abbracciando più stretto Sigfried.
"Mia signora, mi rammarica, ma non posso permettervelo! La guerra non è posto per una donna..."
"Credevo foste diverso... Invece parlate come mio padre!" Rispose lei adirata e delusa.
"Mia valorosa Cassandra... Non fraintendete le mie parole, è per l' affetto che nutro per voi che oso parlare. Vi porterò con gioia con me nelle mie avventure, vi farò conoscere ogni regno del creato e ogni creatura vivente... Ma non posso permettere che combattiate al mio fianco, non siete stata addestrata alla battaglia. Dovrei proteggervi ogni singolo istante, perdendo di vista il mio nemico, e se voi veniste uccisa, non avrei più la forza di compiere il mio dovere..."
"Addestratemi allora! Voglio imparare a combattere anche io, voglio essere in grado di difendere me stessa ed i miei cari... Ve ne prego!"
Sigfried, colpito da tanto coraggio, rimase a lungo in silenzio, riflettendo sulla situazione.
"Se il vostro desiderio è davvero combattere al mio fianco, allora vi aiuterò mia signora. Ho riflettuto a lungo, e trovo che l' istinto di proteggere se stessi e la propria famiglia sia nobile e valoroso. Dimostrate un coraggio di cui sono sempre più stupido..."
"Allora mi aiuterete, mio signore?"
"Si... Tuttavia, se la battaglia di Tebe è imminente come dite, non avrò il tempo di addestrarvi debitamente all' arte della guerra. Ma vi prometto, che se sopravviveremo a tutto questo, vi insegnerò tutto quello che so, affinchè siate una vera guerriera."
"Oh Sigfried..." Disse lei, posando la testa sulla sua spalla con dolcezza.
"Le vostre parole mi riempono di gioia e di orgoglio! Vi ringrazio... Spero comunque di poter essere utile nella battaglia che verrà..."
"Se non fosse per voi, nessuno lotterebbe per Tebe mia signora. Avete fatto molto, e l' istinto mi dice, che farete ancora molto, prima che questa storia abbia fine."
Cassandra annuì speranzosa, cercando nel suo cuore il coraggio di essere all' altezza del suo valoroso compagno.
Passarono molte ore, prima che Pegaso giungesse alle porte della grande città di Tebe.
Dopo la battaglia di Leuttra, in cui il sacro battaglione aveva riportato un' imponente vittoria su Sparta, uccidendo perfino il loro re, Tebe era diventata così potente da essere in grado di dominare l'intera grecia.
Il loro re e generale, era un uomo di grande valore e coraggio, in grado di sconfiggere molti nemici e creare innovative tecniche militari.
Si diceva che fosse anche molto saggio, perciò Sigfried, sperò che ascoltasse le loro parole e si preparasse alla battaglia.
Quando furono presentati al suo cospetto, Sigfried si inginocchiò, inziando a raccontare la natura del loro viaggio.
"Mio re, sono giunto fin qui dalle lontane terre normanne, dove ho combattuto per molti anni salvando innumerevoli vite. Il mio nome è Sigfried, e sono qui per aiutarvi.
Una terribile tragedia incombe sulla vostra città, dovete prepare l' esercito alla battaglia più ardua che abbia mai affrontato. La guerra e la morte sono quasi alle vostre porte."
Il Re lo scrutò a lungo, prima di parlare.
"Straniero, tu vieni qui da terre lontane minacciando la mia terra di guerra e morte. Come posso fidarmi di voi? Come posso sapere che non siete voi stesso un emissario di questo nemico che ha deciso di sfidare la grande Tebe?"
"Se fossi un alleato del vostro nemico, perchè dovrei avvisarvi mio signore?"
"Per ingannarmi è chiaro. Per indurmi a preparare l' esercito e condurlo in un posto, quando voi intendete colpire in un' altro. Avete di fronte a voi un generale, straniero, conosco le strategie militari e l' arte dell' inganno."
"Posso assicurarvi mio Re che il mio unico desiderio è proteggere questa città ed i suoi abitanti..."
Re Epaminonda, nonostante avesse già udito il nome del guerriero, non riusciva a fidarsi delle sue parole.
Secondo la sua esperienza, l' uomo cura sempre i propri interessi, non rischia la vita per una causa non sua.
"E perchè mai vi sta a cuore questa città ed i suoi abitanti? Siete in terra straniera, non è la vostra patria che dovete proteggere..."
"Ogni terra è la mia terra, e ogni uomo è mio fratello, mio signore. Vi prego, non dubitate del mio cuore.."
Il re rimase silenzioso, riflettendo a lungo sulle sue parole.
"Potrei anche credere al vostro valore e alla bontà del vostro cuore, se mi proverete che le vostre parole sono vere. Chi desidera attaccare Tebe, straniero?"
"Ares, mio signore. il Dio è adirato con Tebe, anche se non ne conosco il motivo. La sua ira sarà terribile, devasterà ogni cosa ed ogni persona..."
Al sentire quel nome, il Re ed i suoi consiglieri impallidirono.
Se le parole del giovane si fossero rivelate veritiere, il destino di Tebe sarebbe stato nelle loro mani, che poco potevano contro il furente Dio della guerra.
"Ares? Perchè mai il Dio della guerra dovrebbe volere la nostra distruzione? E' stato lui, ad aiutare il prode Cadmo a fondare la città..."
"Questo non mi è dato saperlo mio signore, so solo che ci sarà lui dietro la vostra distruzione."
I consiglieri più vicini al Re sussurrarono al suo orecchio, mentre altri discutevano animatamente tra di loro.
"Dimmi, giovane eroe, come puoi tu sapere il volere degli Dei? Ti ha forse parlato? Hai udito i suoi piani dai suoi servitori?"
Sigfried pensò attentamente alle parole che stava per dire, conscio del fatto che sarebbe stato arduo per loro credergli, tuttavia, non aveva altra scelta se non dire la verità.
"I tragici eventi del destino di Tebe, mi sono stati rivelati da un sogno, mio signore. So che solo un folle crederebbe ad un sogno, ma la fanciulla che me lo ha rivelato, sapeva già del mio arrivo ancor prima che io arrivassi alla sua città. Sapeva ogni cosa che io avessi fatto, ogni mio viaggio, ogni mia avventura."
"Ti riferisci forse all' oracolo?" Chiese il Re, sempre più confuso e dubbioso.
"No mio singnore. La fanciulla che ha veduto le sorti di Tebe in sogno, è qui al mio fianco. Il suo nome è Cassandra, figlia di Priamo."
A quel punto, tutto gli occhi furuno puntati sulla giovane, che si inchinò timidamente a loro.
Improvvisamente, il Re assunse un espressione adirata.
"Straniero, sei venuto di fronte al Re di Tebe, promettendo guerra e morte.
Hai accusato il Dio Ares di una strage.
E hai fatto tutto questo, affidandoti al sogno di una fanciulla?"
"So che mi credete pazzo, mio signore, ma vi assicuro, che quanto dico è la verità."
"Dovrei farvi arrestare per un simile affronto! Se non fosse che la fanciulla è figlia di un amico di Tebe, sareste già nell' oscurità delle mie prigioni!"
"Mio Re - Intervenne disperata Cassandra - So che vi chiedo molto, ma vi imploro di credere alle mie parole! Ogni mio sogno, si è sempre avverato.
Ho sognato molte persone morire, senza mai riucire a salvarle, perchè mai nessuno mi ha creduta. Vi prego, dovete fidarvi di me! La città di Tebe cadrà, brucerà tra le fiamme, insieme a tutti i suoi abitanti! Voi siete l' unico in grado di impedirlo! Dovete preparate l' esercito alla battaglia! Forse il sacro battaglione sarà in grado di battere il potente Dio!"
"Fanciulla... Per il rispetto che porto a vostro padre, non ordinerò alle mie guardie di uccidervi; ma non intendo schierare un esercito per i sogni di una donna! Mi è stato detto che il vostro sposo vi ha abbandonato ancor prima delle nozze, ora mi è chiaro il motivo. Siete divenuta pazza, mia signora. Ho pena per voi e per la vostra famiglia.
Ora lasciate questa corte, e non fate più ritorno."
"Ma mio signore, voi dovete..."
"Non permetto che una donna mi dica quello che devo o non devo fare! La guerra è una cosa seria, non un gioco per un fanciulle!"
Cassandra stava per parlare di nuovo, ma Sigfried la fermò.
"Andate ora, e non fate più ritorno. Non sarò così clemente la seconda volta!"
Cassandra si dimenò tra le braccia di Sigfried, piangendo disperata.
"Non piangete mia signora... Questi uomini non meritano le vostre lacrime... - Disse stringendola al suo petto - Andiamo ora, troveremo un altro modo per salvare Tebe, non temete, io non mi arrenderò!"
Così dicendo, Sigfried portò via la fanciulla in lacrime tra le sue braccia, mentre i consiglieri inveivano contro di loro, adirati e beffardi.
Il re tuttavia, continuò a seguirli con lo sguardo, pensieroso e confuso.
Una volta usciti dal palazzo, Cassandra si riversò sulle scalinate bianche, piangendo in ginocchio.
Sigfried corse verso di lei, abbracciandola con forza.
Non aveva mai provato tanto affetto per una donna, come in quel momento.
Vedere quella creatura, così fragile e forte al tempo stesso, riempiva il suo cuore di un sentimento sconosciuto, ma vigoroso e profondo.
"Non disperate Cassandra, ci sono io con voi..." Le sussurrò con dolcezza.
"Oh Sigfried! E' inutile, è tutto inutile! Nessuno mi crederà mai..." Disse lei tra i singhiozzi.
"Eppure, io vi ho creduto..." Ripose lui, alzando il suo mento con le dita e guardandola teneramente.
Lei fece un timido sorriso, che riempì il cuore di lui di gioia.
"Fatevi coraggio, non dovete perdere la speranza..."
"Ma come faremo? Nessuno ci crederà, e non possiamo certo sconfiggere Ares con le nostre sole forze!"
"Essere un guerriero vuol dire anche questo, Cassandra. Lottare, anche quando non vi è più alcuna speranza. Restare, anche quando tutti ormai sono fuggiti. Sacrificarsi, per un bene superiore. Se vi arrendete adesso, non potrete mai essere la guerriera forte e valorosa che io ho visto in voi..."
"Davvero credete in me, cavaliere? Davvero credete che potrò essere una guerriera?"
Chiese con lei con apprensione, stringendo le sue vesti, con gli occhi ancora umidi dal pianto, ma con una rinnovata energia.
"Lo siete già, mia signora."
Lei lo guardò con una luce negli occhi, che fece tremare Sigfried dall' emozione.
Poi, asciugò le sue lacrime con le dita, accarezzandole con dolcezza.
"Forza ora, asciugate queste lacrime e rimettetevi in piedi. Un vero guerriero non si arrende mai, anche quando tutto sembra perduto!"
Lei annuì, fece un profondo respiro, ed aiutata da Sigfried si alzà in piedi.
Guardò all' orizzonte, pregando gli Dei e se stessa di trovare la forza necessaria.
Mentre osservava l' azzurro del cielo, intravide Pegaso volare con grazia verso di loro.
Quando l' animale li raggiunse, Sigfried fece salire Cassandra, salendo poi a sua volta e stringendola con forza, mentre prendevano nuovamente il volo.
"Forza amico mio, portaci ad Atene." Gli disse, accarezzando il suo bianco manto.
"Atene? Cosa ci attende li?" Chiese Cassandra, confusa.
"Il tempo di Ares... Se nessuno vuole ascoltarci, allora non ci rimane che farci ascoltare direttamente dal Dio."
Cassandra impallidì, spaventandosi al solo ricordo degli occhi ardenti e pieni d' odio del guerriero.
Tuttavia, pensò alle parole che Sigfried le aveva detto poco prima, e si impose di essere forte e valorosa, perchè la prova che l' attendeva era ardua e pericolosa, ma anche, perchè non voleva deludere l' eroe al quale si stava affezionando sempre di più.
"Andiamo dunque - Disse al cavaliere - La sorte di Tebe, dipenderà dalle nostre gesta!"


Nota: Il battaglione sacro era un corpo scelto dell'esercito tebano dell'antica Grecia, istituito dal comandante tebano Gorgida e formato interamente da circa 150 coppie di amanti dello stesso sesso. Rimase imbattuto per più di trent'anni, fino alla battaglia di Cheronea, nella quale l'esercito tebano fu sconfitto dal re di Macedonia Filippo II.
Nota: Nella battaglia di Leuttra, 371 a.C.,  il battaglione sacro annientò i corpi scelti dell'esercito spartano e uccise lo stesso re Cleombroto I, dando inizio alla fase storica della cosiddetta egemonia Tebana, nome dato al periodo in cui la città di Tebe dominò la Grecia.
Nota: Secondo la leggenda sulla fondazione di Tebe, L'eroe Cadmo aveva ricevuto dall'Oracolo di Delfi l'ordine di seguire una vacca e fondare una città nel luogo dove si fosse fermata. L'animale si fermò presso una fonte custodita da un drago acquatico sacro ad Ares. Cadmo uccise il mostro e, su consiglio di Atena, ne seminò al suolo i denti: da questi nacquero istantaneamente dei guerrieri, gli Spartiati che aiutarono Cadmo a fondare quella che sarebbe appunto diventata Tebe. Cadmo, prima di diventarne il re dovette però servire Ares per otto anni per espiare l'affronto fattogli uccidendo il drago.


 

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Capitolo 9
*** Il Dio della guerra ***


CAPITOLO 9: IL DIO DELLA GUERRA




 


L' Aeropago, sorgeva su una delle colline di Atene.
Veniva chiamata la collina di Ares, in quanto il suo imponente tempio si ergeva al centro di essa.
Quando Sigfried e Cassandra giunsero alle sue porte, notarono alcuni guerrieri Atenesi entrare al tempio, portando con se cani e capretti.
Era un usanza comune, offrire sacrifici al Dio per entrare nelle sue grazie, per chiedere la sua forza ed il suo coraggio prima della battaglia, ed onorarlo dopo.
"Forse avremmo dovuto portare anche noi un offerta per Ares... Magari sarebbe stato più benevolo con la nostra causa..." Disse Cassandra timorosa.
"Credi forse che un paio di capretti lo indurranno a non attaccare Tebe? No mia signora... Possiamo affidarci solo alla forza delle nostre parole, e a quella del nostro cuore."
Lei annuì trattenendo il respiro, mentre a seguito del cavaliere varcava la soglia del tempio.
Era un tempio vasto ma spartano, due fila di colonne sostenevano il tetto, alla base delle quali si ergevano grandi statue di guerrieri, fedeli ad Ares e al valore della battaglia.
Al centro del palazzo, vi era un grande focolare per i sacrifici.
A vegliare su di esso, sorgeva un' imponente statua di Ares.
Raffigurato con l' elmo in testa, lo scudo ben saldo nella mano sinistra e la spada nella destra.
Ai suoi piedi teschi ed ossa umane, a raffigurare i molti nemici uccisi.
Sigfried osservò la statua, chiedendosi se il Dio fosse davvero così, o se avesse ancora un po' di umanità nel suo cuore immortale.
Cassandra nel frattempo pregava silenziosamente la Dea Atena, affinchè le desse la saggezza necessaria a far valere le sue parole.
Sigfried decise di affidarsi a se stesso, invece che agli Dei.
Decise di aspettare che i soldati avessero finito con le loro offerte e le loro richieste, prima di invocare il Dio della guerra.
Pensò che in presenza di altri soldati, non avrebbe mai mostrato clemenza per alcuno, ma che forse, in solitudine, avrebbe potuto essere più ragionevole.
Aspettò quindi il calar della sera, per prostrarsi ai suoi piedi e far udire la sua voce.
Quando solo le ombre e il fischio del vento tra le colonne, regnavano nel tempio, Sigfried pronunciò queste parole:
"Ti invochiamo Ares, Dio della guerra. Dio del coraggio, del valore, della morte e del dolore. Ascolta la nostra umile voce, siamo giunti a te da molto lontano, ti chiediamo udienza, oh Ares.
Parliamo in nome della grande Tebe, che tu stesso hai creato e che ora sei in procinto di distruggere.
Imploriamo clemenza, Ares. Parlaci dunque, dicci cosa possiamo fare noi umili servi per riparare alle offese commesse da Tebe."
Solo il silenzio rispose alle sue preghiere.
Tuttavia, il fuoco si mosse con eccessiva veemenza, per essere sospinto dal vento.
Sigfried lo interpretò come un segno, forse il Dio aveva udito la sua voce, ma non aveva desiderio di rispondere.
"Ares! Mostrati a me, così come ti ho veduto nel mio sogno! - Intervenne spavalda Cassadra, alzando le mani verso la sua figura di marmo - Ben ho veduto il tuo viso, il tuo ghigno crudele alle sorti della tua città devastata dal fuoco... Ascolta la mia voce Ares... Non condannare la città per i peccati del singolo... Chiedici un sacrificio in cambio dell' onta subita, e noi lo faremo..."
Appena ebbe pronunciate queste parole, il fuoco s' alzò di nuovo, come mosso da vita propria.
Poi, un forte tremito scosse tutto il tempio.
Cassandra cadde a terra, ma Sigfried non si fece piegare, restò in piedi, di fronte al Dio.
Il tremito si fece più potente, ma ancora, lui non crollò.
Fu allora, che udirono una voce profonda e minacciosa provenire dal grande focolare.
"Mortali, se è la mia voce che volete sentire, offrite il vostro sangue in sacrifio, affinchè io sia certo della forza che vi è in esso."
Sigfried e Cassandra si guardarono un momento, prima che lui estraesse la sua spada.
Tagliò con forza il suo avambraccio, facendo scorrere il sangue sopra il focolare, che aumentava di vigore più il suo sangue fuiva a dargli energia.
Quando fu la volta di Cassandra, Sigfried appoggiò con timore la spada sul suo braccio, incerto se ferire o no la fanciulla.
"Fatelo! Sono pronta!" Lo incitò lei, stringendo il pugno.
Lui si fece coraggio, poi passò la spada sul braccio di lei, rapida e letale.
"Perdonatemi, mia signora." Le disse, mentre il suo sangue accresceva il focolare.
Passò qualche istante, prima che il fuoco si levasse sopra di loro, raggiungendo la cima del tempio.
Sigfried strinse la fanciulla a se, proteggendola dalle fiamme che illuminavano l' oscurità.
Quando le fiamme rosse ed arancioni scesero, intravidero una figura uscire da esse.
Un uomo alto, muscoloso, biondo come il sole, con occhi rossi penetranti e accesi come quelli di una belva selvaggia.
La sua armatura dorata, lo rendeva ancora più luminoso e imponente.
"IL coraggio del guerriero scorre nelle vostre vene mortali. Ho veduto le vostre imprese, impresse nel vostro sangue scarlatto." Disse scendendo dinnanzi a loro.
Poi, guardando Sigfried, fece un leggero sorriso.
"Straniero, molti nemici hai lasciato dormienti sul tuo cammino.
Il regno di Ade è più ricco grazie a te, le terre mortali più sicure. Sarei lieto di incrociare la mia spada con la tua, in un combattimento tra veri guerrieri."
"Tu mi rendi onore Ares. - Rispose Sigfried, chinando leggermente il capo - Sarei lieto di offrirti il mio sangue e la mia spada, ma ora, ti esorto ad ascoltare le nostre suppliche."
L' espressione di Ares cambiò, mostrando la sua ira.
"Le sorti di Tebe sono segnate. La città verrà distrutta, e sono proprio i suoi comandanti, ad averla condannata all' oblio."
"Qual' è il motivo di tanta ira? Che terribile errore hanno commesso, da meritare morte e distruzione?"
"Essi hanno innalzato il loro orgoglio al di sopra del mio. Per questo motivo, cadranno."
"Gli uomini non sono che comuni mortali Ares. - Intervenne Cassandra - Come tali, commettono errori, sospinti dalle umane emozioni. Ma se pochi uomini hanno scatenato la tua furia, perchè punire anche gli innocenti che nella città risiedono?"
"Io ho creato Tebe. Io ho permesso che essa esistesse! - Urlò Il Dio - Io ho donato ai suoi guerrieri la forza ed il coraggio per combattere. Grazie a me, hanno sconfitto ogni nemico che calpestasse le loro terre. Ed ora, che hanno avuto la vittoria piu grande, non mi rendono onore? "
Cassandra capì che si riferiva alla grande battaglia di Leuttra, così guardò Sigfried in cerca di consiglio, ma egli, era intento ad osservare Ares ed i suoi occhi di fuoco, come incantato.
Onore. Ogni uomo della grecia morirebbe per l' onore, ucciderebbe per l' onore. Scatenerebbe guerre per esso, pensò Cassandra.
Per gli Dei, assumeva un ruolo ancora più importante.
Se davvero Gorgida ed il suo esercito, avevano disonorato il Dio, c' era poco che ella potesse fare.
"Ti è stato fatto un grande torto, Ares. Un affronto al tuo onore è stato compiuto. Punisci dunque i responsabili di tale affronto, che siano d' esempio per gli altri. Ma concedi agli innocenti di vivere..." Disse Sigfried, cercando compassione in quegli occhi selvaggi e crudeli.
"I miei stessi figli, hanno anteposto la loro gloria alla mia! Un' affronto simile non puo essere tollerato, ne dimenticato. No guerriero, essi hanno osato sfidare il Dio della guerra, ed egli risponderà. Gorgida deve cadere. Il battaglione sacro deve cadere! Tutta Tebe deve cadere!"
Dicendo questo, l' intero tempio fu scosso da violenti tremiti, mentre il fuoco, s' innalzava al di sopra delle colonne bianche, creando una gigantesca ombra, che sembrava dovesse divorarli da un momento all' altro.
Un luce accecante illuminò la grande sala, costringendo Sigfried e Cassandra a chiudere gli occhi.
L' eroe avvolse la fanciulla tra le sue braccia, pronto a difenderla da qualsiasi pericolo.
Quando la luce svanì e loro poterono vedere nuovamente, Ares era sparito, e nel tempio regnava la calma.
Cassandra, ancora tremante per l' emozione, restò qualche istante ad osservare le fiamme danzare, mentre rifletteva su quanto era appena accaduto.
L' ira di Ares non avrebbe risparmiato nessuno, avrebbe bruciato l' intera Tebe, la Grecia stessa, se fosse stato necessario.
Afflitta, s' inginocchiò ai piedi del focolare, pregando Atena di darle la forza e la saggezza per affrontare il suo destino.
Mentre sottili lacrime d' argento rigavano le sue guance rosate, incrociado le mani supplicò la Dea di aiutarla in quell' ora di dolore e paura.
Fu allora, che Cassandra udì il vento sussurrare il suo nome.
"Vieni da me Cassandra..." Disse il vento.
Una figura di donna apparve nella sua mente... Aveva grazia e bellezza, ma anche forza e fierezza. Lunghi capelli biondi le ricadevano sul mantello celeste, mentre camminava sicura verso le porte di Tebe.
Per un momento, la figura si voltò verso di lei, rivelandole i suoi occhi azzurri lampeggianti.
Fu allora, che Cassandra capì.
"Atena..." Sussurrò estasiata.

Nota: Ares nella mitologia greca è il il tumultuoso dio della Guerra, era il dio che fomentava gli odi, per poter così provocare le guerre, stragi e distruzioni. Dotato di una grande forza e di un temerario coraggio, si buttava nella mischia allo sbaraglio.
I romani lo chiamano Marte, che era un po' diverso da Ares, meno brutale e non così avido di strage e sangue. Era un dio benevolo, che difendeva gli uomini da ogni danno.
Nota: L'Areopago, ossia la "Collina di Ares" è una delle colline di Atene.
Secondo la leggenda, su questa collina il dio sarebbe stato accusato di omicidio da Poseidone, dio del mare greco, e Ares sarebbe stato giudicato da dodici giurati proprio su quella collina.
Inoltre, storicamente sulla collina sorgeva un tempio dedicato ad Ares.

 

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Capitolo 10
*** La Dea della saggezza ***


CAPITOLO 10: LA DEA DELLA SAGGEZZA





Una volta che Cassandra raccontò la sua visione a Sigfried, fu chiara ad entrambi quale sarebbe stata la loro prossima destinazione: Il tempio di Atena.
"Se Ares è il Dio della guerra e della battaglia, dedito al sangue e al combattimento, Atena è invece una dea astuta, un abile stratega militare. Se c'è qualcuno in grado di battere Ares, è lei." Così dicendo, Sigfried richiamò il suo fidato destriero, partendo insieme a Cassandra verso il cielo di Atene.
Proprio sull' Acropoli della città, sorgeva il Partenone, il tempio dedicato alla dea, sacra protettrice di Atene.
Il Partenone era senza dubbio il tempio più maestoso, elegante e riccamente decorato dell' intera Grecia; al centro di esso, si ergeva una statua raffigurante Atena, in oro e avorio.
La Dea, indossava un armatura e la sua testa era cinta da un elmo, portava uno scudo sul quale veniva raffigurata la testa della gorgone Medusa, e la mano destra reggeva una lancia. Una civetta era appoggiata sulla sua spalla, simbolo di saggezza.
Più si avvicinavano al tempio, più la voce della dea riecheggiava nella mente di Cassandra.
"Dobbiamo fare presto!" Diceva lei, incitando Pegaso.
Non sapeva come spiegarlo al suo cavaliere, ma qualcosa dentro di lei, le diceva che rimaneva poco tempo, prima che la guerra incombesse su Tebe.
Un istinto radicato nel più profondo della sua anima mortale.
Una volta arrivati al tempio, Cassandra percorse i grandi scalini di pietra correndo, inseguendo la voce impaziente della dea.
Quando vide la sua imponente statua, il suo spirito ritrovò un po' di pace.
Si inginocchiò dinnanzi a lei, riponendo le sue speranze nella sua saggezza.
Sigfried la seguì silenzioso, preoccupato per le parole di Ares, ma confortato dall' aiuto che ella poteva offrire loro.
Arrivato ai piedi della statua, si inginocchiò anche lui, accanto a Cassadra.
Entrambi si guardarono qualche istante, cercando il coraggio l' uno negli occhi dell' altro.
Poi La fanciulla fece un profondo respiro, chiuse gli occhi e sussurrò il nome della dea.
"Atena... Protettrice e saggia guerriera... Siamo giunti a te, in cerca di consiglio. Ti prego, mostrati a noi, guidaci nelle nostre imprese e aiutaci a sconfiggere i nostri nemici."
Un vento caldo sfiorò il viso di Cassadra, quasi come una carezza.
Quando riaprì gli occhi, il vento si tramutò nella mano della Dea.
Alzando lo sguardo, potè ammirarla in tutto il suo splendore.
Aveva un viso gentile ma forte, occhi profondi e azzurri come il mare in tempesta, biondi capelli che ricadevano liberi sulle sue spalle e l' espressione calma ma determinata.
"Non temere, vergine guerriera, so cosa turba il tuo cuore. - Disse la Dea ritraendo la mano e sorridendole pacatamente - Le sorti del regno sono ricadute sulle tue giovani spalle, ma esse, sono più forti e resistenti di quanto tu creda."
Sigfried, rimase incantato da come le due donne si guardavano, come se un destino più grande di loro, avesse incrociato le loro vite.
Come se l' immortale, rivedesse lei stessa negli occhi della fanciulla, ed ella, vedesse in lei la forza che tanto disperatamente cercava.
Si era creato un legame magico, che anche nel corso degli anni avvenire, non si sarebbe mai spezzato.
"Vorrei avere il tuo coraggio mia Dea... " Disse Cassandra, ammirata dalla grande forza che ella emanava.
"Ma tu già lo possiedi, anche se ancora non te ne rendi conto..."
"Eppure ho anche molta paura..." Rispose lei, chinando il viso.
Atena le accarezzò la guancia, alzando poi il suo viso verso di lei.
"Le due cose sono legate, Cassandra. Non possono esistere se non insieme. Se ti lascerai guidare da entrambe, non potrai compiere scelte sbagliate."
"E quale scelta devo compiere ora? Che posso fare, per salvare il regno? Non sono che una fanciulla, nessuno da peso alle mie parole, neppure Ares. Non ho forza sufficente per sconfiggere il mio nemico, e per quanto il mio cavaliere sia forte e valoroso, temo che neppure la sua spada possa uccidere un Dio... Eppure, se non troviamo un modo, molte persone innocenti moriranno."
"Non è con le parole che placherete l' animo di un dio. E non è con tua spada, prode Sigfried, che potrai sconfiggerlo."
"Cosa ci rimane allora? Quale scudo potremmo mai usare, per difendere la città?" Chiese Sigfried preoccupato.
"Nè con lo scudo nè con la spada, vincerete questa guerra."
"Siamo perduti allora... E' la fine..." Disse Cassandra affranta.
Nello sconforto, strinse la mano di Sigfried, che prendendola tra le proprie, la strinse saldamente.
"Non arrenderti! - La spronò lui - Nulla è perduto, fintanto che abbiamo la forza per combattere ancora!"
Atena annuì, felice nell' udire tanto coraggio nelle sue parole.
"Non temete... La fine non è ancora giunta. Avete ancora la possibilità di vincere questa battaglia, sebbene non è nelle mie mani, che troverete l' arma che vi porterà alla vittoria."
"Dove allora, mia Dea? Ovunque essa sia, giuro che la troverò!" Esclamò Sigfried, con rinnovata speranza.
Se c' era un arma, mortale o divina, in grado di salvare il regno, avrebbe fatto qualsiasi sacrifico, pur di averla.
"Solo l' arco di luce divina, è in grado di penetrare fino al cuore dei mortali e degli immortali. Ma esso è dotato di un' anima propria, e non colpirà mai un cuore innocente. Se scaglierete le sue frecce verso un anima pura, esse si trasformeranno in raggi di luce.
Ma se al contrario, saranno dirette ad un cuore malvagio, lo trafigeranno senza pietà."
"Non desideriamo la morte degli innocenti, solo la loro salvezza. Ti prego, dicci dove si trova, il tempo della pace, è quasi giunto al suo termine. La guerra e la morte ci attendono alle porte di Tebe." Disse Sigfried, stringendo più forte la mano di Cassandra.
"Non vi sarà nè morte nè guerra, se Ares cadrà, nessuno oserà attaccare la città. Cercate la Dea Artemide, ella è la creatrice e protettrice dell' arco. La vergine cacciatrice, è propensa ad aiutare le fanciulle valorose; Ritengo quindi che per una causa giusta come questa, sarà onorata di donarlo a Cassandra, che come lei, sarà in grando di usarlo per il bene degli uomini, e non per le sue brame personali."
"Voi mi onorate, riponendo in me così tanta fiducia, mia Dea. Spero di non deludervi mai, e di riuscire ad entrare nel cuore della Dea Artemide, come sono entrata nel vostro."
"Sono certa che ce la farai, non avere timore. Ora andate, non avete più molto tempo, prima che l' esercito di Ares giunga alle porte della città. Il giorno della luna crescente, cercate Artemide nei boschi. Sarà lei a trovare voi, se ne avrà desiderio."
Cassandra annuì, poi baciò la mano di Atena, ringraziandola ancora per l' aiuto datole.
"Spero di rivedervi, mia dea."
"Mi rivedrete di sicuro, in queste spoglie di carne o nei vostri sogni, io ci sarò." Rispose lei, accarezzando i suoi capelli.
Poi, un vento forte e caldo, aprì le porte del tempio, incoraggiandoli a varcarle.
Quando i due giovani si voltarono di nuovo, la dea era scomparsa, ma la sua forza era ancora tra loro, come un grande fuoco che scaldava le loro anime.
Senza smettere di stringere la mano di Cassandra, Sigfried si alzò in piedi, inziando a percorrere la strada che li separava dalle grandi porte del Partenone.
"Domani notte, ci sarà la luna crescente..." Disse Cassandra guardando verso il cielo.
"Domani notte dunque, andremo alla ricerca di Artemide, nei boschi sacri."  
Mentre il cielo diveniva notte e le stelle iniziavano ad illuminare il suo nero manto, Sigfried e Cassadra volavano sopra i cieli di Atene, con le mani ancora giunte e i cuori sempre più vicini.
"Spero che qualsiasi cosa accada, non lascerete mai la mia mano..." Disse Cassandra, sentendosi sempre più invasa da un sentimento fino ad ora a lei sconosciuto, ma che le pareva talmente famigliare, da poterlo paragonare alla sua casa.
"La mia mano sarà solo vostra e della mia spada, mia signora... Fintanto che la vita scorrerà nel mio sangue. E' una promessa." Rispose lui, che da tempo ormai aveva capito, che il suo legame con la giovane era molto più profondo e importante di qualsiasi cosa avesse mai avuto.
Sperava solo che non fosse la morte, a separare per sempre le loro mani, e le loro vite.

Nota: Nella mitologia greca Atena, figlia di Zeus e della sua prima moglie Meti, è la dea della sapienza e della strategia militare. In tempo di pace gli uomini la veneravano poiché a lei erano dovute tutte le invenzioni tecnologiche, mentre in tempo di guerra, fra coloro che la invocavano, aiutava solo chi combatteva con l'astuzia, propria di personaggi come Odisseo. L'astuzia e la furbizia erano delle doti che Atena poteva donare ai suoi protetti.



 

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Capitolo 11
*** L' arco di Artemide ***


CAPITOLO 11: L' ARCO DI ARTEMIDE






La luna splendeva alta nel cielo senza stelle, illuminando timidamente i boschi sacri, dove i nostri eroi vagavano da ore, in cerca della dea.
Stanchi e preoccupati, camminavano in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
Sigfried si domandava se avrebbe avuto la forza di sconfiggere Ares, qualora la dea non fosse stata propensa a concedergli il suo aiuto.
Cassandra si domandava se avrebbe avuto il coraggio per scagliare la freccia mortale, ed uccidere così un dio… Ma più in profondità, una parte di se stessa si chiedeva se avrebbe avuto il coraggio di confessare a Sigfried i suoi sentimenti.
Tante domande affollavano le loro menti, ma nessuna risposta arrivava a placare i loro animi.
Il bosco era silenzioso quella sera, c’ era una lieve brezza che gli accompagnava da quando erano entrati nel bosco, e senza che loro se ne accorgessero, gli stava spingendo nella direzione voluta dalla dea, che osservava i mortali nascosta tra i grandi alberi.
Ad un certo punto, i due ebbero l’ impressione che qualcuno gli stesse seguendo, sentivano dei rumori provenire alla loro destra e poco dopo dalla loro sinistra, ma più cercavano di raggiungerli, più essi svanivano.
A volte gli sembrava di vedere il viso di una donna, nascondersi tra gli alberi. Altre volte gli sembrò di veder fluttuare una veste azzurra tra i cespugli, altre volte ancora scorgevano solo i capelli neri e riccioluti, ma sempre, essi svanivano nel buio.
Un momento qualcosa di muoveva tra gli alberi di fronte a loro, e un momento dopo non c’ era più nulla, quasi fossero degli spettri a seguirgli.
Continuarono a camminare, con la costante sensazione di non essere soli.
“Ci stà cacciando…” Esclamò Sigfried, guardandosi intorno sospettoso.
Molte volte aveva seguito e cacciato le sue prede, ma mai, era stato lui stesso una di loro.
Il tempo di fare pochi passi, ed una freccia si conficcò sul terreno, proprio accanto al suo piede.
Sigfried indietreggiò un poco, estraendo la spada.
Guardando di fronte a loro, i due poterono scorgere con chiarezza la dea, in tutto il suo ancestrale splendore.
Era una donna alta e vigorosa, con braccia forti e mani ben salde sul suo grande arco dorato.
Aveva lo sguardo fiero e determinato, capelli neri e riccioli che si muovevano fluidi nel vento, la veste azzurra che ondeggiava ad ogni suo passo, mostrando i piedi nudi.
Cassandra sorrise e fece un passo verso di lei, colma di speranza.
Artemide scagliò subito una freccia che le arrivò ai piedi, fermando il suo cammino.
“Cassandra stai attenta! Non muoverti!” Disse Sigfried, correndo verso di lei.
La fanciulla aveva il respiro pesante ed era pallida in volto, tuttavia, continuò a guardare la dea, forte della sua determinazione.
Mosse un piede, scavalcando la freccia, poi mosse anche l’ altro, continuando a camminare senza distogliere lo sguardo da quello di Artemide, ricambiando la sua sfida.
La dea si preparò per incoccare la freccia, tendendo la corda argentata del suo grande arco.
“Cassandra! Fermati ti prego!” Urlò disperato il cavaliere, tendendo il braccio per afferrarla.
A nulla servirono le sue parole, poiché lei continuò a camminare, finchè non si udì il sibilo della freccia.
Cassandra non si fermò, ma chiuse per un’ istante gli occhi, rivolgendo una preghiera ad Atena.
Quando gli riaprì, la freccia si era tramutata in un raggio di luce che la avvolgeva completamente.
Brillò intorno a lei per qualche momento, prima di posarsi sulla sua pelle, tramutandosi in polvere dorata.
Solo allora la dea abbassò l’ arco, poi la studiò attentamente, prima di avvicinarsi a lei.
Quando fu al suo cospetto, Cassandra si inginocchiò ai suoi piedi, chinando il capo.
“Qual’ è il tuo nome mortale?” Le chiese Artemide, alzandole il viso con le dita.
“Cassandra, mia dea.” Rispose la fanciulla, guardando dritto nei suoi occhi castani e profondi.
“Hai dimostrato coraggio, Cassandra. Molti sono i mortali che si sono avventurati in questi boschi, pochi coloro che non sono arretrati di fronte al mio arco. Ancor meno, quelli che sono sopravvissuti per poterlo raccontare. Questa notte mi hai mostrato il tuo valore, non indietreggiando di fronte al pericolo. Uomini più forti e saggi, non hanno avuto la tua forza.”
“Mi onori con le tue parole, Artemide. Intrepida dea della caccia, protettrice della natura e delle vergini, indomabile e audace guerriera. Vengo a te, con la speranza che tu possa perorare la nostra nobile causa.” Ripose Cassandra, giungendo le mani in preghiera.
“Dimmi dunque, quale dolore affligge la tua anima mortale?”
“Salva Tebe, mia dea. Essa è in grave pericolo, e verrà distrutta senza il tuo aiuto.”
“Tebe? Perché dovrebbe interessarmi la sua sorte? Gli esseri umani vivono e muoiono, è stato così fin dall’ alba dei tempi, che sia per la malattia o la spada, non è mio compito impedire che questo accada.
Nei lunghi anni che ho passato su queste terre, ho assistito a molte guerre, ho visto il sangue scorrere e bagnare la terra, ma da questa, sono poi nate delle piante, che si sono tramutati in alberi con il passare del tempo. Le città possono essere ricostruite, i figli possono brandire le spade dei padri, e il corso degli eventi riprenderà il suo eterno cammino.”
“Ciò che dici è vero Artemide – Esclamò Sigfried – Ma colui che distruggerà Tebe e ucciderà i suoi abitanti, altri non è che tuo fratello Ares. Il dio della guerra è cieco nella sua furia, massacrerà chiunque al suo passaggio, donne e infanti, vecchi e malati, brucerà i boschi e le case, finchè di Tebe non rimarrà che la cenere! Questa non è una guerra, come non lo sarebbe tra uomini e formiche… Questo è uno sterminio! ”
La dea sembrò inorridire al pensiero di tanta crudeltà, e una sottile lacrima bagnò la sua pallida guancia.
“Oh che infausta sorte, che terribile tragedia, incombe sulla città e sui suoi sventurati abitanti. Se sarà Ares a scatenare questa guerra, di loro non rimarrà che il ricordo. Il mio animo soffre, al pensiero di quelle povere creature abbandonate al proprio destino. Tuttavia, egli è il dio della guerra, non sarebbe saggio da parte mia, sfidare mio fratello.”
“Avete forse paura?!” La incitò Sigfried.
Non era con la compassione ed il dolore che sarebbero arrivati al cuore della dea, ma con l’ orgoglio del guerriero, pensò il cavaliere.
Come aveva previsto, Artemide si infuriò, e un vento forte e gelido s’ innalzò dai suoi piedi, colpendogli così forte da costringergli ad arretrare di qualche passo.
“Paura? Gli dei non conoscono la paura! Come osi insultarmi, tu che non sei altro che ossa e carne?!”
“Perdonami Artemide. Non è mio volere offenderti, ma se tu che sei una guerriera immortale, arretri di fronte ad un essere più potente di te, non dimostri forse di avere paura?” Replicò Sigfried.
“E cosa direbbero gli uomini, nel vederti scappare di fronte al pericolo, mentre due mortali sfidano il dio? Ti rispetterebbero ancora? Ti offrirebbero ricchi sacrifici? Verrebbero da te in cerca di aiuto e protezione, se ora gli abbandoni? Io non credo…”
“Taci! Non mi interessa quello che credi… - Rispose lei, sempre più adirata. - Ci sono cose che vanno al di là della tua comprensione! Perché dovrei morire, per salvare un popolo che non mi appartiene? Con il passare del tempo si dimenticheranno di questa tragedia, e torneranno da me a implorare forza e coraggio. Devo solo attendere, e loro si prostreranno di nuovo ai miei piedi.”
“Ma se fossi tu a liberare Tebe da questa avversa sorte, verresti ricordata in eterno come la loro salvatrice. Onore e gloria ti accompagnerebbero per l’ eternità, e ti verrebbero offerti sacrifici ogni giorno della tua esistenza. Se fossi tu a sconfiggere Ares, al solo udire il tuo nome, i guerrieri tremeranno di paura e gli infanti si stringeranno al petto della madre. Saresti considerata dai mortali e dagli immortali, la guerriera più forte e valorosa, la sola ad aver sconfitto il dio della guerra.”
Le parole di Sigfried arrivarono fino al cuore di Artemide, che ammaliata da simili promesse, non seppe resistergli.
“Ebbene cavaliere, le tue parole hanno sciolto i miei dubbi. Non esiste preda più forte e maestosa di Ares, e dunque, non ci sarebbe cacciatrice più forte di me, se dovessi sconfiggerlo. Vi aiuterò… Quando sarete al cospetto di mio fratello, invocate il mio nome, ed io apparirò. Ma ricordate che l’ arco ha una volontà sua, e non si può prevedere ciò che sceglierà.
Una sola freccia è causa di morte, se il cuore del nemico è nero come la notte e freddo come la pietra, ma se esso è innocente, nessun male potrà essergli fatto. Se le vostre parole sono vere, allora Ares morirà. Altrimenti, ci rincontreremo sulle sponde del fiume Stige.”
Così dicendo, la dea scomparve dalla loro vista, tramutandosi in un fascio di luce che andò a raggiungere la luna.
Cassandra si gettò tra le braccia di Sigfried, ancora tremante per l’ emozione.
Restarono così avvinghiati qualche momento, beandosi della reciproca compagnia.
“Prima che questa battaglia abbia inizio, devo confessarvi una cosa, Cassandra. Non voglio combattere, con questo peso che mi affligge l’ animo. E se gli dei decideranno che è giunta la mia ora, allora voglio varcare il regno dei morti con il cuore in pace. Nel corso dei miei lunghi viaggi, ho conosciuto molte donne: Donne dolci come il miele, altre selvagge come tigri, altre ancora erano ricche e bellissime... Ma solo in voi ho conosciuto il vero coraggio. Sento che i nostri animi sono affini, legati da un destino molto più grande di noi. Sono certo che il vostro cuore desidera ciò che è già nel mio… Libertà, avventura, e amore. E se voi vorrete concedermi il vostro, io potrò morire da uomo felice.”
Cassandra aveva il volto rigato da molte lacrime, ma sorrideva, stringendo più forte il cavaliere.
“Non dite queste parole… Ora che finalmente ho conosciuto l’ amore, non voglio separarmene così in fretta. Qualunque sorte vi riservino gli dei, io sarò al vostro fianco. Dovessimo anche attraversare il fiume Stige, lo faremo insieme.” Si avvicinò un poco alle sue labbra, fino a baciarle timidamente.
Lui ricambiò il bacio, accarezzando le sue guance calde e rosse.
Nonostante avesse baciato molte belle donne, non aveva mai provato un sentimento simile… Come se in qualche modo, non fossero solo i loro corpi ad unirsi, ma anche le loro anime immortali.
 
Nota: Artemide, per i romani Diana, era la sorella gemella di Apollo. Fu una tra le più venerate divinità dell'Olimpo e la sua origine risale ai tempi più antichi. Era la dea della caccia, degli animali, dei boschi, del tiro con l'arco, della verginità e anche una divinità lunare personificazione della "Luna crescente".

 Nota: Nella mitologia lo Stige era uno dei fiumi degli inferi: esso si estendeva in nove grandi meandri che formavano una palude, detta palude Stigia, che ostacolava la strada per arrivare al vestibolo dell'oltretomba. Le sue acque avevano anche il potere di dare l'invulnerabilità: secondo il mito, infatti, è qui che Teti immerse il figlio neonato Achille per renderlo pari agli dei, tenendolo però per il tallone che non fu quindi toccato dall'acqua, rendendolo vulnerabile.
 

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Capitolo 12
*** Un cuore innocente ***


CAPITOLO 12 - UN CUORE INNOCENTE






La notte seguente, Sigfried e Cassandra ritornarono nei boschi sacri, accompagnati da pegaso e dalla luna crescente che vegliava su di loro.
Trovarono un colle su cui si estendevano verdi prati ricoperti da fiori, circondati da un piccolo ruscello.
Cassandra ebbe l’ impressione di essersi già trovata in quel luogo, durante uno dei suoi sogni… Solo non ricordava cose fosse accaduto.
Arrivati li, il cavaliere accese un focolare, e posizionò ai quattro lati statue in oro del dio Ares, invocando il suo nome. Dopo sacrificò due capretti e versò il loro sangue al centro del fuoco, che s’ innalzò al di sopra del suo ventre.
Estrasse il pugnale e si fece un taglio al braccio sinistro, versando il suo sangue nel fuoco.
Ancora una volta invocò Ares, e ancora una volta il fuoco crebbe fino ad arrivargli al torace.
Cassandra offrì il suo avambraccio a Sigfried, che a malincuore ferì la fanciulla, versando l’ ultimo sangue. In quel momento il focolare s’ innalzò davanti a loro, crescendo fino a raggiungere gli alberi.
Dal fuoco uscì il dio Ares, con l’ imponente armatura dorata e l’ elmo da guerra, su cui era raffigurato un drago. Con una mano reggeva il massiccio scudo, mentre con l’ altra impugnava saldamente la lucente spada.
“Guerriero, sembra che io e te avremo il nostro duello, alla fine.” Disse, mentre i suoi occhi rossi scintillavano come rubini. “Non avresti dovuto sfidarmi una seconda volta. Ora, preparati ad incontrare Caronte. Digli Che Ares gli porge i suoi saluti.”
“Glielo dirai tu stesso!” Esclamò Sigfried, estraendo la spada.
Pegaso nitrì e gli corse incontro, dispiegando le sue lunghe ali.
Il cavaliere lo fermò, accarezzandogli il dorso e posando la testa contro la sua.
“Non questa volta, amico mio.” Gli disse tristemente, mentre il dio avanzava sorridendo verso di lui.
“Sigried! Aspetta non farlo!” Urlò Cassandra, andandogli incontro.
“Non preoccuparti per me!” Esclamò lui stringendola a sé, le diede un bacio sulla guancia e le sussurrò: “Quando la battaglia sarà iniziata ed Ares sarà concentrato su di me, evoca la dea Artemide! E’ la nostra unica speranza!” Poi le baciò la fronte, mentre lei si aggrappava al suo petto.
“L’ ora degli addii è terminata, Sigfried delle terre del nord.” Disse Ares, correndo verso di lui.
“E’ giunto il momento di combattere!” Urlò scagliandosi come una furia.
Il cavaliere spinse via Cassandra, e si preparò a difendersi.
Ares combatteva come una belva infernale, si muoveva velocemente attorno a lui, colpendolo con furia e schivando con agilità i suoi colpi. Con la forza di cento uomini si abbatteva sul cavaliere, che nulla poteva contro di lui, per quanta volontà d’ animo avesse.
In pochi momenti le ferite gli ricoprirono il corpo, vestendolo di rosso.
Sigfried tuttavia non si arrese, continuando a combattere con tutta la forza che gli era rimasta, parando i colpi quando poteva, e attaccando a sua volta, anche se per quanto lo ferisse, il dio non pareva mostrare alcun dolore.
Nel frattempo, Cassandra era inginocchiata sul prato, pregando Artemide di salvarlo.
“Ascoltami oh dea immortale, Artemide, imploro il tuo aiuto! Ascolta la mia voce…”
Disse piangendo con le mani giunte in preghiera, china sul focolare.
“Dea della caccia, la tua preda è qui, vieni a prendertela!” Esclamò con vigore, rivolta alla luna.
In quel momento un raggio di luce scese dal cielo, e quando arrivò sulla terra, da essa scaturì l’ abbagliante figura di Artemide.
“Oh mia dea, grazie per avermi ascoltata! Ti prego, non rimane più molto tempo, lo ucciderà!”
Invocò Cassandra, prendendole la mano.
“Non temere mortale, nessuna preda è mai sfuggita al mio arco, non accadrà proprio oggi!”
Così dicendo, si voltò verso Ares, incoccando la sua freccia dorata e tendendo l’ arco.
Esitò solo un momento, traendo un profondo respiro, poi si udì un sibilo nel vento, e per un attimo chiuse gli occhi. Accadde qualcosa però, qualcosa che nessuno di loro aveva previsto.
Prima che la freccia potesse conficcarsi nel petto di Ares, una figura fatta di luce, aria e acqua apparse in sua difesa.
Essa era la dea Afrodite, che assunse sembianze umane nell’ attimo in cui la freccia le sfiorò il petto, tramutandosi all’ istante in un fascio di luce.
Tutti rimasero immobili, senza proferire parola, in quei pochi momenti di confusione.
“Afrodite? Cosa ci fai tu qui?” Esclamò Ares, voltandosi verso di lei, e stringendola a sé.
“Sono qui per salvarti, amore mio.”
“Ma come facevi a sapere…?”
“Atena... Mi ha raccontato ciò che volevi fare, dei tuoi terribili propositi per Tebe, e di ciò che stava per accadere in questi boschi…” Disse lei, piangendo tra le sue braccia.
“Non saresti dovuta venire! Poteva essere pericoloso… Questa è la guerra, è una questione d’ onore! Qualcosa che tu non sei in grado di comprendere… E’ una battaglia che devo combattere! Tebe deve pagare per il suo affronto, e così questi mortali.”
Rispose lui, scostandole una ciocca di capelli biondi e baciando le sue lacrime. “Ora và, torna a casa amore mio… Lascia a me questo fardello, tornerò da te vittorioso!”
“Tornerai da me sporco di sangue, lordo delle vite innocenti che hai spezzato. Ti prego, mio amato, ascoltami. Basta morte, basta guerra, basta dolore…” Sussurrò lei al suo orecchio, accarezzandogli dolcemente il viso. “Deponi la spada, ferma la tua ira, non versare altro sangue... vieni con me, ti porterò in un luogo dove regnano la pace e l' armonia. Potremmo essere felici, insieme.”
“I tuoi sono sogni amore mio, dolci sogni in cui vorrei addormentarmi tra le braccia e guardare l’ alba al tuo fianco… Ma sono solo questo, sogni. Questo mondo… E’ spietato e crudele, e inghiotte i sogni uno ad uno, ridendo di gusto delle nostre disgrazie. Se abbandono la spada, abbandono ciò che sono. Il dio della guerra.”
“Non ti chiedo di dimenticare chi sei… Si tu sei il dio della guerra, ma mi chiedo, se anche per te possa esistere il tempo della pace, il tempo dell’ amore.” Così dicendo lo baciò con dolcezza, mentre lui la stringeva al suo petto.
“Per te, amore mio, posso anche dimenticare chi sono… Almeno per un po’ di tempo. Infondo, siamo immortali, il tempo non è importante… Solo tu lo sei.” Ares la baciò con passione, finchè entrambi, non sparirono nella notte.
Quando Cassandra si voltò, anche Artemide era scomparsa, eppure dentro di lei, poteva sentire ancora la sua forza. Corse incontro a Sigfried, che giaceva riverso sul prato, contemplando le stelle.
“Stai bene?” Gli chiese, sollevandolo tra le sue braccia.
“Si… Non credevo che ti avrei rivisto… Sei ancora più bella di come ti ricordavo!” Rispose lui baciandola, mentre con una mano le accarezzava la guancia.
Proprio in quel momento, il terreno sotto di loro tremò, separando i due amanti.
La terra si aprì in due, e da essa spuntò Hades con il suo carro nero.
Rapì Cassandra, afferrandola con forza e trascinandola con sè negli inferi.
Mentre il carro spariva nell’ oscurità e lei urlava disperata, Hades guardò dritto negli occhi di Sigfried e disse: “Vieni a prenderla se hai coraggio!”

 
Nota: Afrodite e Ares secondo la mitologia greca erano amanti. Nell’ Odissea, Omero racconta che Efesto scopre la sua sposa, Afrodite, mentre giace insieme ad Ares;  per  vendicarsi  del  tradimento,  li  stringe  in una  rete  resistentissima,  tanto  sottile  da  essere  invisibile,  e  li  espone  al  ludibrio  degli  altri  dei.
Da Ares Afrodite ebbe due figli, Eros (amore) e Anteros. I poeti greci raccontano che quando Afrodite ebbe Eros, si lamentò con la dea Temi perchè il figlio non crescesse; Temi le rispose che il bambino non sarebbe cresciuto finchè non avesse avuto un fratello. Allora Afrodite diede vita ad Anteros che significa "colui che ricambia l'amore"; così i poeti con questa graziosa leggenda hanno voluto dire che l'amore, per poter crescere, deve essere ricambiato.
 

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Capitolo 13
*** Il dio dei morti ***


CAPITOLO 13 - IL DIO DEI MORTI






Sigfried e Pegaso volarono dentro il vortice oscuro, oltrepassando lo spesso mantello di nuvole,  nere come la notte e calde come la pece, fino ad arrivare nel regno dei morti.
Pegaso nitriva spaventato, agitando le lunghe ali, mentre Sigfried tentava di rassicurarlo, di mostrarsi forte, nonostante il suo animo vacillasse.
Aveva paura, forse per la prima volta in vita sua… Non perché si trovasse nell’ oltretomba, ma perché la fanciulla che amava era in perciolo, e lui non sapeva se avrebbe avuto la forza per salvarla.
Era solo, solo nell’ oscurità, in una landa desolata e fredda, dove anche l’ aria che respirava era tossica, e dove la speranza lasciava il posto all’ eterno tormento.
Si udivano lugubri lamenti provenire dalle tenebre, incessanti e disperati.
Ombre vagavano senza meta, vaghi echi delle persone che erano state.
“Oh dei, non abbandonatemi proprio adesso… Siate la mia luce nell’ oscurità. Vi imploro, datemi la forza, datemi il coraggio, poiché ogni speranza è perduta in questo luogo. Ed io non posso arrendermi. Non posso…”
Sigfried sorvolava i cieli oscuri, pregando che gli dei avessero pietà di lui.
Non c’ era strada, o colle, o casa in quelle terre, niente che potesse indicargli la giusta via, niente se non le tenebre e la paura.
Poi, in lontananza apparse un raggio di luce.
Una civetta uscì da esso, dispiegando le ali e allontanandosi, invitandolo a seguirla con il suo canto.
“Atena…” Esclamò Sigfried, con rinnovata energia.
Seguirono il suo volo per lunghi momenti, nei quali il cavaliere cercava disperatamente la sua amata con lo sguardo.
All’ improvviso sentì un urlo, e riconobbe subito la sua voce.
Incitò Pegaso ad andare vero ovest, anche se la civetta era diretta verso nord. Non appena la creatura se ne accorse, volò versò di lui, stridendo per dissuaderlo, ma ormai era troppo tardi.
Di fronte alle grida della donna amata, non c’ era altro suono che lui potesse ascoltare.
Hades stringeva Cassandra tra le braccia, mentre lei si dimenava e scalciava, in lacrime.
Dietro di loro, vi era l’ imponente Cerbero, il cane infernale a tre teste.
Quando Sigfried si avvicinò, Hades gli sorrise e disse: “Troppo facile, sciocco mortale!”
Poi scomparve, lasciandolo solo con la bestia.
Il manto di Cerbero era ricoperto di serpenti, mentre le sue enormi teste avevano denti affilati come spade e occhi rossi come il fuoco.
Era veloce la bestia, che si scagliò sul cavaliere con ferocia, ferendo sia lui che Pegaso con gli artigli. Cercarono di scappare, ma la bestia lo rigettava a terra ogni volta, e ogni volta con più brutalità.
Sigfried cercò di colpirlo alla schiena, dove era più vulnerabile, riuscendo a ferirlo.
Incitò Pegaso a volare tutto intorno alla belva, senza però mai avvicinarsi troppo, continuando così una danza di dolore e sangue.
Improvvisamente si udì il grido della civetta, che con i suoi artigli afferrò l’ occhio di Cerbero, strappandoglielo via.
Poi si udì la voce di Atena, riecheggiare nell’ oscurità.
“Sigfried, ascoltami! Questa non è la tua battaglia, ma solo un trucco di Hades. Fuggi, ora! Cassandra è in pericolo, e se tu morirai adesso, nessun’ altro potrà salvarla. Seguimi, dobbiamo arrivare al fiume Acheronte!”
La civetta prese il volo, e Sigfried incitò Pegaso a seguirla, approfittando della distrazione di Cerbero.
Proseguirono a lungo, e sebbene cavallo e cavaliere fossero esausti e sofferenti, non si fermarono.
Dopo molto tempo, iniziarono ad intravedere il fiume, rosso come il sangue.
Di nuovo, si udì la voce di Atena.
“Una volta arrivato, dovrai pagare una moneta a Caronte, e quando l’ avrai attraversato, raggiungi i giudici. Essi sono coloro che giudicano i morti, se c’ è qualcuno che può offrirti aiuto e consiglio in questo regno, sono loro. Ora và, e non voltarti indietro!”
Quando giunsero alle sponde del fiume, videro Caronte sulla sua tetra barca, venire verso di loro.
Una volta accostato, Caronte allungò la sua mano ossuta, senza proferire parola.
Era una creature lugubre e vacua, quasi fosse fatto d’ ombra e ossa. Un lungo mantello ricopriva il suo corpo, mentre il cappuccio celava il suo viso agli stranieri che giungevano a lui.
Sigfried gli diede due monete, una per lui e una per il suo destriero.
“Perché vuoi attraversare questo fiume maledetto, mortale? La tua ora non è ancora giunta.”
Esclamò Caronte, con uno strano ghigno.
“Poiché la mia amata l’ ha già varcato…”
“Dovresti dunque lasciarla al suo destino, e proseguire con il tuo. Non vi è amore in questo regno, solo morte.”
“Il mio destino è incrociato con il suo, traghettatore dei morti, non vi è uno senza l’ altro. Il cuore batte ancora, e finchè batterà il mio, non l’ abbandonerò.”
“Ebbene, se è questo il tuo volere, Sali. Ma una volta che l’ avrai oltrepassato, non potrai più tornare indietro.”
“Se sarò con lei, accetterò quest’ avversa sorte.”
A Sigfried parse che Caronte stesse ridendo, ma subito si voltò verso l’ oscuro orizzonte, e la barca iniziò a muoversi, sospinta dalle onde rosso sangue.
Una volta arrivati sulla sponda opposta, Caronte scomparse nella nebbia dalla quale era arrivato, lasciandoli soli ad affrontare il viaggio.
La civetta mostrò loro la giusta via, ma mentre camminavano, Sigfried udì di nuovo le urla di Cassandra.
Corse disperato, sguainando la spada e urlando il suo nome.
Tuttavia, ad aspettarlo non c’ era lei, ma Hades.
Il dio era tenebroso, con il volto pallido e serio, alto e di esile corporatura.
Tuttavia, la sua vista incuteva un gran terrore in chi lo osservava.
Ai suoi piedi strisciava un serpente lunghissimo, che andava ad attorcigliarsi sullo scettro del dio.
Sigfried udì la voce di Atena nella sua testa, che lo avvertiva di non guardarlo mai negli occhi, o sarebbe morto all’ istante.
Così fece, e chinando il viso, si avvicinò di qualche passo.
“Hades, dio dei morti e delle ombre, dimmi che offesa ti ho arrecato, per torturarmi fino a questo punto?”
“Ho appena iniziato, mortale! Tu, tu mi hai derubato delle migliaia di anime di Tebe! Io ti ho derubato di una sola anima al contrario… Non sono forse un dio clemente?” Esclamò con un sorriso malevolo.
“L’ unica che io desidero, l’ unica che io amo!” Urlò Sigfried.
“Ah l’ amore… Non è mai giusto, non è così? E’ spietato, e crudele. Dovresti essermi grato, per averti liberato da questo fardello.”
“Non lo è per me!” Sigfried s’ inginocchiò ai piedi del dio, supplicandolo: “Prendi me. Sono io che ti ho fatto torto, punisci me te ne prego, ma lascia andare lei…”
“Non l’ hai ancora capito? E’ così che ti punisco... Ma non temere. Non sono un dio crudele. Potrai portare via la tua amata, se riuscirai a trovarla.”
“Davvero ci lascerete andare?” Chiese Stupito Sigfried.
“Si. Devi solo trovarla… Dopotutto sei un eroe, non dovrebbe essere difficile per te! Ora và e salva la tua innamorata, coraggio! Io non ti fermerò. Ma ti avverto, è un’ impresa che dovrai compiere da solo,
se chiederai aiuto ai giudici, o ad Atena – Disse con lo sguardo rivolto alla civetta – Ucciderò la fanciulla io stesso, e puoi credermi se ti dico, che lo farò con estremo piacere. ”
Così dicendo Hades scomparve, lasciando il cavaliere solo con i suoi dubbi e i suoi tormenti.
 
 
Nota: Hades era il dio delle ombre e dei morti. Appena nato, fu brutalmente ingoiato dal padre insieme ai fratelli, ma grazie a uno stratagemma della madre Rea e di Zeus, il padre rigurgitò i figli.
Veniva solitamente rappresentato come un uomo tenebroso, barbuto, freddo e serio, spesso seduto su un trono e dotato di uno scettro, con il cane a tre teste protettore degli Inferi, Cerbero. A volte si trovava anche un serpente ai suoi piedi. Indossa molto spesso un elmo, oppure un velo che gli copre il volto e gli occhi. Suo attributo era la cappa che rende invisibili.
Per Ade si sacrificavano, principalmente nelle ore notturne, pecore o tori neri, e coloro che offrivano il sacrificio voltavano il viso, poiché guardare negli occhi Ade senza l'ordine o il permesso del dio avrebbe portato immediatamente alla morte.
 
Nota: Ade, originariamente chiamato Herebo, è il regno dei morti greco/latino.
Era un vero e proprio luogo fisico, al quale si poteva persino accedere in terra da alcuni luoghi impervi. Omero (nell' Odissea) lo descrive come una sfera fisica oscura e misteriosa, dove soggiornano in eterno le ombre (e non le anime) degli uomini senza apparente distinzione tra ombre buone e ombre malvagie.
Per accedervi bisognava superare prima Cerbero, poi attraversare l' Acheronte versando un obolo al terribile Caronte e raggiungere i tre giudici Minosse, Eaco e Radamanto, i quali emettevano il loro verdetto. Nell'Ade vi erano cinque fiumi: Stige, Cocito, Acheronte, Flegetonte e Lete, l'acqua di quest'ultimo aveva la caratteristica di far perdere la memoria a chi la beveva. Narra Platone, ne "La Repubblica", che le anime dei morti, ormai purificate dai peccati, vengono trasportate da vortici di fuoco e poggiate al suolo. Qui scelgono la loro prossima vita, e successivamente bevono l'acqua del fiume Lete. 

Nota: Caronte, “ferocia illuminata” era il traghettatore dell’ ade. Trasportava le anime dei morti da una riva all'altra del fiume Acheronte, ma solo se i loro cadaveri disponevano di un obolo per pagare il viaggio. Chi non aveva l'obolo era costretto a errare in eterno senza pace tra le nebbie del fiume.

Nota: Cerbero era uno dei mostri a guardia dell'ingresso degli inferi su cui regnava il dio Ade. È un mostruoso cane a tre teste, Tutto il suo corpo è ricoperto, anziché di peli, di velenosissimi serpenti, che ad ogni suo latrato si rizzano, facendo sibilare le proprie orrende lingue. Il suo compito è impedire ai vivi di entrare ed ai morti di uscire.

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Capitolo 14
*** La regina delle ombre ***


CAPITOLO 14: LA REGINA DELLE OMBRE
 


 


 

Attraverso le lugubri terre della morte, Sigfried vagò, per giorni e giorni, finchè i giorni non si tramutarono in mesi.
Non avevano la concezione del tempo, poiché non vi era sole o luna in quel regno, ma il crescere della sua barba e il continuo smagrire del suo corpo, lo inducevano a pensare di essere nell’ oltretomba da molto tempo.
Non poteva nutrirsi dei frutti di quel regno, o non sarebbe più potuto tornare sulla terra dei mortali, così come era accaduto alla sventurata Persefone. Tuttavia, nei rari momenti in cui Hades era distratto, Atena provvedeva a mandargli dei viveri, facendoli portare dalla sua fidata civetta.
Nonostante questo, Sigfried e Pegaso pativano la fame, i loro scarni corpi erano sempre più deboli e stanchi, e più i giorni passavano, più le condizioni peggioravano.
Sigfried faceva fatica a trascinare Pegaso, che era oramai allo strenuo delle forze, e provato dalle ferite e dalla fame, zoppicava lentamente, spinto solo dall’ amore per il suo padrone.
Ogni giorno il cavaliere si malediva per aver trascinato l’ amico in quella folle impresa, ma ormai era tardi per cambiare il corso degli eventi… Poteva solo proteggerlo, e tenerlo in vita.
Spesso rinunciava al poco cibo che aveva, per darne una parte al cavallo, ma era un piccolo prezzo da pagare, per non perdere il compagno di tante avventure.
“Supereremo anche questa vedrai…” Gli disse accarezzandogli dolcemente il muso. “E quando sarà finita, io e te voleremo nei cieli azzurri, con il sole caldo sulla faccia e distese immense di prati e boschi sotto di noi. L’ aria sarà profumata come i capelli di una donna, e l’ acqua fresca e dissetante… Quando saremo stanchi, dormiremo sereni sotto la luna, accanto ad un focolare… Ci sarà Cassandra, che ci preparerà tante cose buone da mangiare, e poi stetti l’ un l’ altro ci addormenteremo sereni e con la pancia piena.”
Così dicendo, Sigfried si addormentò sulla pancia di Pegaso, facendo dolci sogni.
Non ce ne furono molti così, nei lunghi giorni infiniti che trascorsero in quelle valli oscure.
Quella volta tuttavia, ebbe la sensazione che qualcuno vegliasse su di lui mentre dormiva, che accarezzasse i suoi capelli e baciasse la sua fronte.
Quando si svegliò dal suo lungo sonno, una bellissima donna era accanto a lui, seduta al suo capezzale, e accarezzava il suo viso, cantando tristi melodie.
Aveva lunghi capelli rossi come il fuoco, e così anche le sue labbra sottili, il viso era bianco come il latte, ricoperto da piccole lentiggini. Era bella e malinconica, ed i suoi occhi erano profondi come le acque dell’ oceano.
“Sigfried… Cavaliere delle terre del nord, lungo è il cammino che hai percorso, per giungere fino qui. C’ è dolore nei tuoi occhi, eppure, la fiamma brilla ancora dentro di essi. Il tuo cuore è puro, e nonostante la tua tragica sorte, seguiti nella tua impresa… Devi amare molto, quella fanciulla.”
“Si, mia signora. Ma vi prego, ditemi chi siete…”
“Io sono Persefone, regina dei morti e delle ombre. Se il tuo cuore è davvero puro, e il tuo amore davvero incrollabile, allora mi affido a te, mortale. Aiutami, e io ti porterò la sua amata Cassandra.”
Al sentire il suo nome, il cavaliere trasalì, alzandosi un poco verso di lei.
“Voi… Voi l’ avete vista? Stà bene?”
“Si. Ma non so’ per quanto tempo ancora potrà resistere. E non so’ quanto ancora possiate farlo voi. Se continuate così, vagherete in eterno in questo regno, e così Hades avrà ottenuto la sua vendetta, e riderà di gusto della vostra sofferenza.”
“Perché mi state dicendo questo? Perché tradire il vostro sposo?” Chiese Sigfried confuso.
“Sposo? Voi chiamereste sposo colui che vi ha strappato dalla braccia di vostra madre, dalla vostra vita, per essere la sua schiava nell’ oltretomba?” Rispose lei, guardandolo con tristezza.
“Mi dispiace, per la vostra terribile sorte, Persefone… Se c’è qualcosa che posso fare per aiutarvi, ditelo, e sul mio onore, farò quel che potrò per accontentarvi. Ma vi prego, ditemi dov’ è Cassandra?”
“E’ tenuta prigioniera, nascosta sotto il mantello invisibile di Hades. Ve l’ ho detto cavaliere, non vi è modo che voi possiate trovarla. Mio marito è astuto, quando ne ha desiderio. Così ha fatto con me, così farà con voi. Siamo entrambi sottomessi al suo volere, e non possiamo far altro che disperarci, in quest’ eterna dannazione. Ma voi potete cambiare il destino di entrambi!”
“Come? Come posso impedire che tutto questo accada?” Chiese Sigfried disperato, aggrappandosi al suo nero mantello.
“Invocate Artemide! A voi darà ascolto… Io ho già implorato il suo aiuto molte volte, ma ormai mi ha abbandonata anche lei, come tutti gli altri. Ma per te, forse lo farà. Per Cassandra, che è sua pupilla, potrebbe decidere di rischiare una seconda volta… Atena è tua alleata, protettrice di Cassandra, so’ che la sua sorte le stà a cuore, o la sua civetta non sarebbe qui. Attraverso lei, fai arrivare il messaggio ad Artemide, dille che abbiamo bisogno del suo arco, e avremo una possibilità di essere liberi…”
Persefone strinse le sue mani, con il viso rigato dalle lacrime e gli occhi che brillavano come stelle di fuoco.
“Lo farò, mia signora, avete la mia parola. Ma vi prego, datemi la vostra, che liberete Cassandra, comunque vadano le cose.”
“L’ avete, Sigfried. Non ho più molto tempo, presto mio marito si accorgerà della mia assenza. Quando avrete l’ arco, raggiungetemi sulle sponde del fiume Acheronte, ed io porterò Hades. Ma vi avverto, quando sarà il momento di scagliare la freccia, sarà mio compito farlo. Devo essere io a…”
Un tremito nella sua voce l’ interruppe, mentre le lacrime le bagnavano le guance.
Sigfried non disse nulla, ma strinse a sé la fanciulla, e appoggiò la testa alla sua.
D’ improvviso, si ritrovò solo, con le braccia allungate verso un ombra che si stava via via dissolvendo.
Rimase lì qualche momento, a pensare a quanto era successo, poi rivolse il suo sguardo al cielo.
“Atena… Mia dea, ascolta la mia supplica. Ascolta la mia voce. Ancora una volta, invoco il tuo aiuto, non abbandonarmi proprio adesso. Cassandra ha bisogno di te, Perfesone ha bisogno di te. Io, ho bisogno di te. L’ unico modo per liberare entrambe è uccidere Hades, ma solo l’ arco di luce divina è in grado di farlo. Ti chiedo di portare questo messaggio ad Artemide, e reclamare il suo aiuto. So’ che chiedo molto ad entrambe, e so’ che molto avete già fatto per noi, ma non ci sarà salvezza per nessuno, senza il vostro intervento divino. Affido a te la mia preghiera, oh Atena.”
Ci fu un lungo silenzio, dopo di chè si udì il grido della civetta, che sbattendo le sue grandi ali volava verso l’ orizzonte di luce.
 
 
 
 
Nota: Persefone venne rapita mentre stava raccogliendo dei fiori in compagnia delle ninfe. Improvvisamente la terra si aprì sotto i suoi piedi, e dal baratro uscì un carro tirato da quattro cavalli neri come la pece. Era il carro di Hades, che afferrò la fanciulla spaventata, trascinandola con sé nell’ abisso.   
Sua madre Demetra, dea del grano e dell'agricoltura, disperata per la scomparsa della figlia, la cercò per nove giorni, finchè il decimo giorno, con l'aiuto di Ecate ed Helios, seppe che il rapitore era il Dio degli Inferi. Adirata, Demetra abbandonò l'Olimpo e scatenò una tremenda carestia in tutta la Terra, affinché questa non offrisse più i suoi frutti ai mortali e agli Dèi. Zeus tentò allora di riconciliare Ade e Demetra, per evitare la fine del genere umano: ordinò ad Ade di restituire Persefone, a patto che ella non si fosse cibata del cibo dei Morti. Ade non si oppose all'ordine ma, poiché Persefone era effettivamente digiuna dal ratto, la invitò a mangiare prima di tornare dalla madre: le offrì così un melograno, frutto proveniente dagli Inferi, in dono.
in questo modo si compì dunque il tranello ordito da Ade, affinché Persefone restasse con lui negli Inferi. Si scatenò nuovamente l'ira di Demetra, e Zeus propose un nuovo accordo, per cui, dato che Persefone non aveva mangiato un frutto intero sarebbe rimasta nell'oltretomba solamente per il numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno;  avrebbe trascorso così sei mesi con il marito negli Inferi, e sei mesi con la madre sulla Terra. Da quel momento si associano la primavera e l' estate ai mesi che Persefone trascorre in terra dando gioia alla madre, e l' autunno e l' inverno ai mesi che passava negli Inferi, durante i quali la madre si strugge per la figlia.
 
 
 

 

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Capitolo 15
*** Amore e morte son legati dallo stesso rosso filo ***


CAPITOLO 15: AMORE E MORTE SON LEGATI DALLO STESSO ROSSO FILO







 
Sigfried riposava inquieto accanto al suo cavallo, avvolto nel corpo e nell’ anima da una profonda oscurità. Si chiedeva se avrebbe mai rivisto il sole sorgere, se avrebbe mai potuto riabbracciare la sua amata, e questi pensieri lo tenevano sveglio, anche quando i suoi occhi si chiudevano per la stanchezza.
D’ improvviso sentì una lieve brezza accarezzargli il viso, e quando riaprì gli occhi, una visione celestiale gli apparve: Era la dea Artemide, che apparse a lui in un fascio di luce e aria, sbiadita come in un sogno.
Sulla sua spalla, la civetta di Atena, nelle mani, l’ arco di luce divina.
Non disse nulla, ma il suo sguardo non aveva bisogno di parole, era forte e determinato, infuocato come mille soli. Gli porse l’ arco, e nel momento in cui lui lo prese tra le mani, la dea svanì nel vento.
Sigfried restò qualche momento immobile, ringraziando le dee per il loro aiuto, poi si alzò faticosamente da terra, e lentamente lui e Pegaso s’ incamminarono verso il fiume Acheronte.
“Forza mio fedele compagno, questa è la nostra ultima fatica. In un modo o nell’ altro, oggi le nostre sofferenze avranno fine.” Gli disse, spronandolo a seguirlo.
Via via che si avvicinavano, il cuore del cavaliere batteva sempre con più ardore, mentre le sue mani tremavano e le gambe cedevano.
“Forza piedi, forza gambe, non possiamo arrenderci adesso!” Si diceva, trascinandosi un passo dopo l’ altro.
Arrivati sulle sponde del fiume, il cavaliere vide la bella Persefone camminare lungo le rive, mentre cantava tristi melodie con lo guardo rivolto al cielo nero.
Le andò incontro, e quando lei lo vide, un timido sorriso le illuminò il viso. 
“Dunque è questo…” Disse sfiorando l’ arco con le dita. “Puntatelo verso di me, presto!”
Per un momento il cavaliere non capì, ritraendosi un poco.
“Non voglio farvi del male, mia signora!”
“Non lo farete! Fidatevi di me e fate quel che vi dico, è la nostra unica possibilità!” Esclamò lei, con gli occhi carichi di furia, e il cuore carico di paura.
Sigfried obbedì a malincuore, tese l’ arco e incoccò la freccia, puntandola dritta al suo petto.
Lei annuì e trasse un profondo respiro, prima di invocare suo marito:
“Hades, dio dei morti, mio eterno sposo! Ti imploro, vieni in mio aiuto, salva la mia vita, che proprio ora è minacciata e rischia di spezzarsi. Ti prego, salvami Hades!”
In quel momento, ombre oscure si addensarono di fronte a loro, e da esse uscì Hades.
Le corse incontro, urlando il suo nome e tendendogli la mano, e per la prima volta, la fanciulla scorse la paura nei suoi occhi senza vita.
Quando le fu vicino, strappò l’ arco dalle mani del cavaliere e si voltò, puntandolo contro il dio.
“Mia sposa, mio amore… Cos’è questa follia? Perché minacci il tuo salvatore?” Chiese lui confuso, fermando la sua corsa.
“Salvatore?!” Esclamò lei con sdegno. “Tu sei colui che mi ha strappato alla vita, colui che mi imprigionato in quest’ oscura dimora, schiava dei suoi capricci!”   
“Schiava? E’ questo che credi di essere? Tu sei colei che io ho scelto, tra migliaia di altre donne, per dividere con te la mia stessa esistenza…”
“Tuttavia non hai chiesto il mio consenso! Non ti sei preoccupato di ciò che desideravo io, né della mia felicità. Mi hai presa un giorno nel bosco, così come un cacciatore che prende l’ animale per cibarsi.”
“Io ti ho presa come moglie! Ti ho donato il mio cuore, il mio regno, ogni cosa in mio possesso… Credevo così di renderti felice, e di rendere felice me stesso al contempo.”
“Tu hai riempito i miei giorni di buio e sofferenza, relegandomi nel regno della morte e della disperazione… Nemmeno il pianto di mia madre, ti ha indotto a restituirmi a lei! Sei senza cuore, Hades!”
“Hai ragione, non ho un cuore… Perché l’ ho donato a te, mia sposa. Quando ti ho vista per la prima volta non eri che una bambina, che correva e giocava spensierata nella foresta. Eri così bella e innocente, come un fiore in primavera. La tua risata riecheggiava tra gli alberi, riempiendo il mio cuore di una gioia mai provata prima… Ho creduto che portandoti qui, il suono della tua risata avrebbe riempito anche questo regno di felicità, e che il mio cuore avrebbe trovato un po’ di pace… Ma ora mi accorgo che ho sbagliato, sono stato un folle.”
Dagli occhi di Hades sbocciarono delle lacrime, mentre si avvicinava alla punta della freccia.
“Se vuoi uccidermi allora fallo, non indugiare. Preferisco morire adesso, che passare l' eternità senza di te...”
Le mani di Persefone tremavano, e i suoi occhi brillavano come neve al sole.
“Io voglio solo essere libera…”
“Ti offro la mia vita dunque.” Disse lui, accarezzando i suoi rossi capelli. “Prendila e vai, sii libera, sii felice, indomabile e fiera come una forza della natura!” Poi chiuse gli occhi, aspettando la sua fine.
Per la prima volta Persefone lo vide con occhi diversi, non come il padrone crudele che l’ aveva incatenata a quella sorte, ma come un’ uomo innamorato, nudo e inerme di fronte a lei. Avrebbe potuto ucciderlo, ed essere finalmente libera. Voleva farlo, ma c’ era una voce dentro di lei, che urlava disperata per farsi udire.
Una voce che per lungo tempo era rimasta muta e nascosta nel più profondo del suo essere.
Ma ora, era così incalzante da non poter essere ignorata, e scalpitava forte nel suo cuore.
Persefone abbassò l’ arco, e lentamente, avvicinò le sue labbra a quelle del dio.
La paura lasciò il posto al sentimento, che divampava come un fuoco ad ogni bacio che gli dava.
Hades la strinse forte a sé, baciando il suo viso freddo e pallido, con rinnovata passione.
Rimasero a lungo intrecciati l’ uno nelle braccia dell’ altro, in silenzio, beandosi di quel calore sconosciuto ad entrambi.
“Ti prego, mio sposo, in questo giorno di rinnovata speranza, mostra pietà per i mortali che hai fatto prigionieri. Liberali, offri loro la possibilità di essere felici… Se non per loro, almeno fallo per me…”
Hades esitò qualche istante, guardò prima il cavaliere poi Persefone, e dopo annuì.
“Per te, mia regina.” Le disse con un bacio.
Con un cenno delle dita, Cassandra apparse alla loro vista.
Subito Sigfried le corse incontro, stringendola con forza tra le sue braccia.
“Oh mio amore, mia vita, mio tutto… Non voi è uomo, mortale o dio, che sia più fortunato di me!”
Così dicendo baciò le sue labbra, e in un’ istante, tutte le passate tribolazioni smisero di esistere.
Persefone sorrise tra le braccia di Hades, e con un dolce bacio lo ringraziò.
Poi Hades allungò la mano al cielo, e in quel momento, l’ oscurità si fece da parte, lasciando spazio ai cieli limpidi.
Sigfried prese Cassandra tra le sue braccia, e salito in groppa a Pegaso, lo incitò ad andare.
Si voltò un’ ultima volta, raggiungendo con lo sguardo Persefone, e sorrise nel vederla felice.
Con un cenno del capo la ringraziò, lei ricambiò e lo salutò con la mano, prima di svanire nelle ombre insieme al suo sposo.
Azzurro era il cielo, caldo il sole, verdi come smeraldi i prati sotto di loro, mentre sorvolando la grecia, attraversavano i campi e le colline, le case e i boschi, abbracciati come un solo corpo e una sola anima, nella spendente luce del mattino.
 
 

 

"Canta mia musa, mia sposa, mio ciglio in fiore.
Canta per me, suadente armonia, le storie di dei e cavalieri,
cantami del re di Tebe, accecato dall’ orgoglio.
Cantami della saggia guerriera Atena,
dell' astuta cacciatrice Artemide, il cui arco di luce divina cambiò le sorti di un regno.
Cantami mia luna, mio sole, mia stella,
Dell' amor proibito tra Ares e Afrodite,
che mutò in cielo come in terra, la concezion d’ umano amore.
Canta per me, di Hades dio dei morti, portatore di sventura.
di Persefone, bella e crudele come il destino.
L' amore che gli ha uniti, sebbene tragico e folle,
ha tramutato i loro cuori di ghiaccio in rossi fiori.
Ringraziarti devo mia luce ispiratrice, mia divina,
che con la tua voce incantata, hai narrato le gesta del prode Sigfried,
affinchè io possa narrarle a dei e mortali.
Possano esse riecheggiare nell' eternità."

 
 
 
 
Nota: Hades e Persefone ebbero tre figlie, le Erinni.
Aletto, Megera e Tisifone, sono nella religione e nella mitologia greca, le personificazioni femminili della vendetta (Furie nella mitologia romana) soprattutto nei confronti di chi colpisce la propria famiglia e i parenti.
Venivano rappresentate come geni alati, con la bocca spalancata nell'atto di cacciare urla terribili, con serpenti invece di capelli, recanti in mano torce o fruste o carboni e tizzoni ardenti.
 
 

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