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Teneva nascosto il pacchetto
dietro la schiena, mentre cercava di dribblare i tanti piccoli esseri che
saltellavano per la casa. Non che le piacessero i compleanni in maniera
particolare, ma quello, beh, quello era un compleanno particolare. Fuori c’era
il sole, i bambini giocavano e di fronte a lei si stava spalancando un
fantastico weekend di assoluto relax. Non poteva andare meglio.
“Finalmente, sei in ritardo”.
“Ho trovato traffico,
Thomas”.
Victoria diede un bacio
leggero sulla guancia al fratello, slacciandosi l’impermeabile.
“Bell’organizzazione. Come
hai fatto?”.
“Ho avuto degli spazi di
tempo. E ho chiamato un ottimo catering” le sorrise. “Grazie per le
attrezzature fuori” indicò il retro, dove si erigevano altalene colorate,
scivoli e perfino un piccolo castello di gommapiuma dove alcune bambine stavano
saltellando.
“Ho avuto una perquisizione,
ultimamente” fece la ragazza, guardandosi intorno.
“Prima il regalo o...?”
Thomas agitò le braccia in aria, lasciando appesa la frase.
“Prima il festeggiato.
Dov’è?”.
Thomas scortò Victoria in
giardino, verso il grande scivolo blu, dove suo figlio troneggiava, pronto a
scendere. Victoria gli fece un cenno con la mano, ed il bambino scivolò in
fretta, correndo poi tra le sue braccia.
“Zia! Sei venuta!”.
“Non sarei mancata per nulla
al mondo”.
Victoria si chinò per essere
alla stessa altezza del bambino, scompigliandogli i capelli.
“Quanti anni compie oggi il
nostro Edward?”. Il bambino si guardò le mani, corrucciò la fronte e poi iniziò
a contare sulle dita della mano, concentrato. Victoria lanciò uno sguardo
complice a Thomas, nascondendo un sorrisetto.
“Cinque!” disse trionfalmente
Edward, mostrando la mano aperta alla zia.
“Ottimo! Stai diventando
grande”. Fece una pausa. Il bambino scalpitava. Soppesò quanto sarebbe stato
divertente farlo stare sulle spine ancora un po’, ma sarebbe stato troppo
cattivo. Persino per lei.
“Questo è per te, tesoro. Con
i migliori auguri di un buonissimo quinto compleanno”.
Edward prese avidamente il
regalo dalle mani di Victoria, le diede un grosso ed umido bacio sulla guancia
e corse a mostrarlo ai suoi amichetti, fiero.
Victoria si rialzò, guardando
il nipote scappare via attraverso il giardino. La sua innocenza la colpiva ogni
volta, come se fosse qualcosa che lei non aveva mai conosciuto. Guardò Thomas,
suo fratello, il suo gemello, e sapeva che, mentre osservava suo figlio ridere,
pensava alla stessa cosa.
“Me lo offri un caffè?” gli
disse, posandogli una mano sul braccio. Thomas le regalò quei sorrisi speciali,
quelli rari, da quando Faith era morta.
“E da quando in qua qualcosa
te la si deve offrire, e non te la vai a prendere da sola?” ghignò. Thomas le
poggiò una mano dietro la schiena e la portò nella solitaria cucina, lontano
dal caos della festicciola, dove Victoria gli avrebbe spiegato, senza troppi
mezzi termini, come aveva fatto a portare in vita sette persone a più di mille
miglia da loro.
“Che vuol dire Io non vengo?”
squittì Victoria, sedendosi sulla valigia che stava preparando.
“Vuol dire che ho da
lavorare” alzò le spalle Thomas, osservandola appoggiato alla porta, fuori
dalla sua portata.
“Thomas” fece piano Victoria,
ribollendo dalla rabbia. “Tu mi hai convinto a farlo. Tu mi hai convinto ad
andare. Tu, tu e solo tu. Che vuol dire che adesso non vieni? Che vuol dire che
devi lavorare?”.
“Mi mandano in Nuova Zelanda.
Edward sta crescendo. Voglio mandarlo nelle migliori scuole, e le rette
costano...” iniziò, nella speranza di placare la rabbia di Victoria.
“Non mettere in mezzo Edward
quando ti fa comodo!” sbottò la ragazza, dando un’ultima spinta alla valigia,
che si chiuse.
“Non potevi farlo con la
bacchetta?” chiese Thomas, di punto in bianco.
“Ringrazia che non l’avessi
in mano, la bacchetta, oppure ti avrei Schiantato via!”.
“Sei arrabbiata?”.
“Sì. Perché mi mandi laggiù
da sola” incrociò le braccia al petto.
“Non ci andrai da sola.
Edward verrà con te”.
“Ma sei impazzito”. Victoria
non poteva crederci.
“Voglio che lo conosca, Tory”.
A questo, Victoria
boccheggiò. Era assurdo che lo stesse dicendo. Che lo stesse dicendo davvero.
“Sai che non è Edward il
problema. Sai che lo porterei in capo al mondo. Ma non lì. Thomas, ma ti rendi
conto?”.
“Sì, mi rendo conto
perfettamente. Voglio che lo conosca lo stesso. Non ho detto che voglio che
sappia, ma ci sono davvero troppi orfani nella nostra famiglia”. La guardò
serio.
“Famiglia...” sospirò
Victoria, passandosi una mano sugli occhi. In quel, Edward entrò correndo, come
se stesse cavalcando un Thestral.
“Edward è entusiasta di
andare in vacanza con te” sorrise Thomas.
“Sono entusiasmico”
annuì Edward. Victoria sorrise. “Sei arrabbiata, zia?” il bambino le si
avvicinò con aria preoccupata.
“No, non lo sono” mentì. “Ma
mi sarebbe piaciuto andare in vacanza tutti e tre insieme”.
“Papà lavora” spiegò Edward.
“Nuova Zelanda, addirittura?”
Victoria prese in braccio Edward. Non perché il bambino glielo stesse
chiedendo, ma perché, ogni tanto, un po’ di contatto fisico rendeva Victoria
più docile, e meno incline agli scatti d’ira.
“La dura vita di uno Spezzaincantesimi” sospirò falsamente Thomas. “Ci andrai?”.
“Ci andremo” sospirò alla
fine Victoria.
“Vi raggiungerò” promise
Thomas. Victoria gli pizzicò il naso con la mano libera.
Victoria scese dal taxi, ed
Edward la seguì a ruota, senza parlare. Il tassista, corrucciato, scese a sua
volta, per dare una mano a scaricare le valigie. Guardava la ragazza ed il
bambino, senza capire. Che stessero scappando?
Se il tassista avesse saputo,
chissà se li avrebbe aiutati.
Victoria sapeva del
Nottetempo, ma l’idea di venir sballottata di qua e di là senza una ragione
valida non faceva altro che aumentare la sua rabbia. Era rimasta relativamente
calma alla partenza, ma più i chilometri di distanza si assottigliavano, più il
suo umore peggiorava. Era tutta colpa sua. Tutta colpa del vecchio.
La gente comune considerava
Silente un eroe. Victoria lo considerava un pazzo manipolatore. Aveva detto
loro cosa avrebbero dovuto fare che avevano sì e no un paio d’anni più di
Edward, ma lei aveva anche giurato a se stessa che mai, mai sarebbe tornata in
Inghilterra. E così era stato. Fino a quel giorno.
Il tassista prese la sua
ricompensa per il viaggio e sgommò via. Victoria attese che scomparisse
all’orizzonte, strinse rassicurante la mano al bambino, incantò le valigie ed
iniziò a salire il sentiero che li avrebbe portati nel castello di Hogwarts.
Edward, percependo il suo disappunto, scelse la tattica del silenzio,
aspettando che la zia, qualsiasi cosa avesse, sbollisse.
“Edward, io non sono
arrabbiata con te” iniziò Victoria, quando le Torri del castello iniziarono a
farsi più grandi di fronte a loro. “Solo che non mi va di stare qui. Quindi
faremo quello che dobbiamo fare e ce ne andremo. Potremmo anche raggiungere tuo
padre in Nuova Zelanda, se ci va. Che ne pensi?”.
Edward la guardò per un
attimo. Poi puntò i piedi a terra e si fermò, dando un lieve strattone alla
ragazza. Victoria si
voltò di scatto. Le valigie
sbatterono rumorosamente l’una sull’altra.
“Va tutto benissimo, zia, ma
cos’è che esattamente dobbiamo fare?”.
Victoria aprì la bocca, poi
la richiuse. Arricciò le labbra e si costrinse a trovare in fretta qualcosa da
dire. Decise che la verità sarebbe stata la cosa migliore.
“Ecco, in realtà non lo so
precisamente. Ma so che tuo padre vuole che tu conosca il nonno, e quindi...”.
“Che cosa?” il bambino
trattenne più aria di quello che i suoi piccoli polmoni potevano trattenere.
“Il nonno? Il papà di papà? Il tuo papà?” chiese a raffica. Victoria sospirò.
Quella dannata maestra stava facendo un buon lavoro con lui.
“Sì, Edward” rispose
soltanto. “Andiamo adesso”. A Victoria parve che Edward camminasse con una
certa baldanza in più, ma non volle indagare.
Quando il portone si aprì
davanti a loro, Victoria ebbe la spiacevole sensazione che li stessero
aspettando. Si chiese quanto perversa potesse essere la mente del vecchio. Fece
un gran respiro profondo, strinse la mano di Edward – per rassicurare se
stessa, più che il bambino – e salì gli scalini.
Victoria era stata a
Hogwarts, con Thomas, una vita prima. Guardando gli occhi di Edward spalancarsi
di fronte a tanta antica eleganza, immaginò che loro avessero avuto la stessa
espressione di incredulità sul volto. Era sempre estate, faceva sempre caldo e
lei, forse, era sempre così nervosa.
Qualcosa le morse lo stomaco,
mentre Edward le si faceva più vicino. Nostalgia, forse. Avvertì il nodo alla
gola, quella sensazione spiacevole che, purtroppo, l’accompagnava ancora quando
entrava in un’aula di Tribunale, prima dell’Arringa finale. La paura prima di
ogni esame. Il vuoto.
Entrambe le manine di Edward
si andarono ad unire nella sua. Poteva capire quello che stava provando. Gliele
strinse e gli sorrise.
“Forza, Edward. Spalle dritte
e sguardo fiero, si va in scena”.
Victoria era una ragazza che
comprava i quotidiani Babbani e Magici nella stessa edicola sotto casa. Il
proprietario era un Magonò tedesco che aveva
preferito emigrare negli Stati Uniti, piuttosto che restare in patria a subire
il supplizio di un padre troppo purosangue per tollerare un figlio senza poteri
magici. Questi era riuscito a procurarsi un numero discreto di copie di
giornali magici provenienti da tutto il mondo, cosa che aveva permesso a
Victoria di abbonarsi alla Gazzetta del Profeta, e di leggerla, tutti i giorni,
con fare a dir poco morboso. Tra le varie conclusioni a cui era giunta negli
anni, era che Harry Potter, più di ogni altra cosa, doveva essere, nonostante
tutto, un ragazzo forte abbastanza da tollerare – a scuola, a casa, per strada,
ovunque – gli sguardi curiosi ed indagatori degli altri.
Victoria era stata, a scuola
ed in Accademia, una ragazza dal carattere non troppo accomodante, decisamente
arrogante e poco incline a trarre amicizia con le ragazze, a meno che queste
non fossero in qualche modo collegate ad un suo obiettivo. Per queste, e per
molte ragioni, capitava che qualcuno, qualche ragazzo più piccolo solitamente,
si fermasse a fissarla. E Victoria odiava essere fissata. Così, mentre
prendevano tutti insieme il the, Victoria stava facendo appello a tutto il suo
autocontrollo per evitare che i suoi istinti venissero fuori troppo crudelmente
davanti ad un bambino di soli cinque anni, che la cosa più cruenta a cui aveva
assistito era stato l’omicidio di un topolino di campagna l’estate prima.
“Allora, mia cara, di cosa
hai detto che ti occupi, adesso?”.
I patetici tentativi di Albus
di fare conversazione stavano attraversando il ridicolo.
“Giurimagia”
sospirò, giocherellando col cucchiaino.
Edward addentò con troppa
foga una ciambella, e lo zucchero a velo gli si sparse ovunque sul viso. Con
uno sguardo falsamente contrariato, Victoria prese il tovagliolo e gli ripulì
il naso ed il mento. Ancora con mezza ciambella in bocca, Edward le sorrise, a
mo’ di scuse.
“Edward è davvero un bambino
carino” disse Lily.
Victoria non si diede pena di
risponderle. Tra le altre cose, Victoria aveva sviluppato un certo senso di
antipatia verso le persone con i capelli rossi, e questo, più che tutto il
resto, era stato causato da una ragazzina che soleva rubarle le caramelle
all’asilo. Il fatto che in quella stanza ce ne fossero almeno tre aumentava
solo la sua irritabilità.
“Mentre invece Thomas...”
continuò Silente.
“Spezzaincantesimi.
Adesso è fuori sede per un lavoro” aggiunse, per evitare che il vecchio facesse
altre domande.
“Anche mio fratello” disse,
ovviamente senza pensarci, un ragazzo – ancora capelli rossi, dannazione – più
in là. Victoria alzò lo sguardo per fissarlo: capelli rossi, lentiggini, seduto
alla destra di Potter.
“Ronald Weasley” disse poi a
voce alta. Il ragazzo annuì. Albus era stato restio con le presentazioni.
“Sarei vissuta anche senza saperlo” concluse. Il ragazzo arrossì, ma lei non
gli diede troppo peso. Cosa volevano tutte quelle persone da lei? Da loro?
“Edward, lo sai che fuori c’è
un prato grandissimo e un lago?”. Victoria diede fondo a quelle poche memorie
di Hogwarts che aveva.
“Davvero?” fece Edward,
inghiottendo l’ultimo morso di ciambella.
“Se la zia te lo permette,
Edward, in fondo al vialetto c’è anche la capanna del nostro Guardiacaccia. Ha
un cane che avrebbe davvero bisogno di fare due salti con un bambino
intelligente come te”.
Nessuno avrebbe mai potuto
dire che Albus non fosse un tipo ricettivo.
Edward guardò la zia con gli
occhioni teneri, di quando voleva qualcosa, di quando l’aveva convinta a
prendere delle giostre per il suo compleanno. In fondo, poteva fidarsi di
Hogwarts.
“Vai. Ma resta dove posso
controllarti, okay?”. Edward scese in fretta dalla sedia dov’era seduto e corse
verso la porta, poi si voltò e disse:
“Grazie, Professor Silente” e
corse via.
“Educato” annuì Albus.
“Sa come prenderci in giro
tutti, qui dentro” fece spallucce.
Guardò la sua tazza vuota.
Lei odiava il the. Odiava i prati in fiore, l’aria uggiosa, la cappa di umido
che aleggiava su quella dannatissima isola. Victoria aveva semplicemente
iniziato ad odiare qualsiasi cosa potesse vagamente ricordare la Gran Bretagna
da quando aveva iniziato a capire.
Victoria era più di un tipo
da caffè e cornetto la mattina, di fretta prima di andare in ufficio, o rubato
tra una lezione e l’altra, quando andava in Accademia. Amava l’autunno di
Boston, con quell’aria leggera e fresca che faceva cadere le foglie. Anche le
foglie morte erano più morte lì che a casa sua.
Thomas non era come lei.
Thomas era stato la parte tollerante, il fratello che cercava di capire, il
figlio che aveva perdonato. Il padre che mandava il figlio a conoscere il
nonno. Che strana sensazione dire “nonno” quando non si è mai detto “papà”.
Quando non si sa cosa vuole dire avere una mamma.
“Perché sono qui, Albus?”
chiese d’improvviso, mentre tutti gli altri restavano in silenzio.
“Volevamo dirti grazie”
rispose prontamente il vecchio. Victoria nascose un ghigno, senza guardarlo.
“Potevate spedirmi un gufo”.
“Victoria...”.
“No. No Albus” si alzò,
raggiungendo la finestra. Edward sembrava terribilmente minuscolo accanto a Hagrid.
Victoria non era la persona
adatta con cui fare giri di parole. Se Albus li aveva mandati a chiamare, un
motivo c’era. E qualsiasi cosa fosse, Victoria voleva saperlo subito, quando le
valigie erano ancora pronte ed Edward non si era ancora ambientato.
“Gliel’hai detto, non è
vero?” chiese, senza voltarsi. Edward si voltò a salutarla con la mano, e lei
fece lo stesso.
“Certo, Victoria” rispose
Silente, senza titubare. Silente non titubava mai.
Victoria sentì salirle la
nausea.
“Grazie mille per avermi
risparmiato i convenevoli, allora” fece, con voce calma. “Se il tuo obiettivo è
riunirci tutti in un’unica grande famiglia, non contare sul mio aiuto”.
Albus le sorrise. Lei lo vide
attraverso il vetro. Strinse i pugni.
“Non sarebbe male come idea,
ma no, in realtà non vi ho invitati qui per questo. O per lo meno, non solo per
questo”.
Loro sapevano. La fissavano.
Si ponevano domande. Ciò da cui era fuggita per tutta la vita.
Chissà cosa pensavano di
Edward. Il sangue le ribollì nelle vene. Respirò a fondo.
“Abbiamo aspettato, come ci
hai detto. Abbiamo fatto quello che dovevamo, come ci hai detto. Abbiamo usato
quello che dovevamo usare, come ci hai detto. Sono qui. I tuoi pupilli, i tuoi
rimpianti, sono qui. Non voglio nessun grazie”.
Albus le si avvicinò. Nessun
altro nella stana muoveva un muscolo. Forse si aspettavano che iniziasse a
ridacchiare con fare pazzoide.
“Se pensavi che ti avessimo
chiamato per dirti grazie, perché sei venuta?”.
“Per Edward. Thomas voleva
che conoscesse le sue radici. Che conoscesse suo nonno”.
Severus Piton, dietro di
loro, fece cadere una tazza.
Thomas e Victoria Prince erano nati in circostanze strane.
Anzi, no.
Illegali.
Sono nati perché un uomo con manie di grandezza piuttosto
marcate aveva deciso di assicurarsi una discendenza, ma senza coinvolgere le
donne, esseri notoriamente volubili.
Aveva così chiamato il più fedele dei suoi servitori a
preparare una pozione illegale, di quelle che si trovano solo nei peggiori
Libri Oscuri, dalla quale sarebbe nato il suo figlio perfetto.
Le basi di questa pozione senza nome erano piuttosto
complesse.
Dovevano esserci due codici genetici. Dovevano essere
indirizzati i geni, le qualità, le giuste dosi. Si dovevano aspettare più di
sei mesi, tre in meno di una gestazione naturale.
Il Signore Oscuro fece questo all’insaputa di tutti, persino
dei suoi seguaci.
Di tutti, tranne che di uno.
Di chi avrebbe dovuto portare a termine la missione.
Di chi avrebbe dovuto metterci l’altro codice genetico.
Di tutti, tranne che di Severus Piton.
Qualcosa andò storto.
Nacquero due bambini.
Due gemelli.
Eterozigoti.
Severus aveva fallito. E venne punito a lungo.
Il Signore Oscuro gli diede l’ordine di sbarazzarsi di quei
due obbrobri.
Perché Severus non lo fece?
Forse perché un po’ di umanità gli era rimasta in fondo a
quel cuore deturpato, chissà.
Gli affidò ad un orfanotrofio babbano.
Per due lunghi anni.
Tanto ci mise, dopo che i Potter morirono e Silente lo prese
sotto la sua ala, a raccontare al Preside che, in un certo qual senso, lui
aveva dei figli.
Harry Potter non era l’unico bambino sopravvissuto.
Severus si afflisse l’anima, quando li rivide.
Bambini di due anni, sempre insieme, inseparabili, che non
esistevano l’uno senza l’altra.
Senza malformazioni. Senza handicap.
Normali.
No, di più.
Silente li spedì in un collegio Svizzero prima, e in una
scuola oltreoceano poi.
A sei anni, Silente li andò a prendere, e li presentò al
loro padre.
Quell’estate, Silente li prese da parte, e spiegò loro che,
un giorno, uno di loro avrebbe avuto un bambino.
Che questo bambino sarebbe stato speciale.
Che questo bambino avrebbe avuto il potere di ridare la vita
a persone morte per mano di un uomo malvagio.
A diciassette anni, Thomas e Victoria ricevettero una lunga
lettera che spiegava loro la verità.
Tutta la verità.
Thomas vomitò lì, sul tappeto buono.
Victoria si limitò a bruciare con un tocco di bacchetta quel
plico infinito.
A vent’anni, FaithBroomsbury, apprendista Guaritrice, annunciò al fidanzato
che era incinta. Dopo soli due anni di matrimonio, Faith
venne contaminata da un malato terminale di spruzzolosi
che aveva in cura l’ospedale presso cui lavorava, e morì in pochi giorni. E
Thomas Prince rimase vedovo e con un bambino di due anni che chiedeva della
madre.
Fu così che Victoria imparò a fare la madre sostituta,
perché Thomas non aveva la minima intenzione di rimpiazzare la donna di cui era
innamorato da che aveva dodici anni.
Lei, Victoria, che una madre non l’aveva mai avuta.
Lui, Thomas, che era stato abbandonato da entrambi i suoi
padri.
Poi era stato tutto molto veloce.
Era arrivato questo gufo, stanco, con una lettera firmata da
una certa Minerva McGranitt, la quale informava loro che era stata trovata una
nota, da parte di Silente, che a quell’indirizzo, in quel giorno, doveva
ricordare loro di fare qualcosa.
Erano passati già cinque anni dalla fine della guerra,
laggiù.
Presero un fazzoletto con cui Thomas aveva asciugato una
sbucciatura ad Edward, qualche giorno prima.
Un capello di Thomas.
Una goccia di sangue fresco di Victoria.
Il tocco di una bacchetta che doveva essere persa per
sempre, ma che era arrivata, in qualche modo, in una scatola chiusa, senza
mittente.
Un raggio di luce bianca.
Poi, più niente.
Poi, la solita lettera.
Poi, Victoria che tratteneva lacrime e rabbia al fianco di
Albus Silente, a Hogwarts, in Scozia.
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[Malfoina89] Come puoi leggere da questo capitolo, la tua intuizione è stata giusta. Che ci vuoi fare, toglietemi tutto ma non i miei Prince ^-^ Grazie per aver letto, un bacio.
[Piccola Vero] Grazie per i complimenti, spero continuerai a leggere.
[Draco 92] Detto, fatto! Grazie!
[Aloysia Piton] ;) Un bacio
[JDS] Spero di essere stata all'altezza delle tue aspettative.
[Chiaramalfoypotter] Soddisfatta, almeno in parte, la curiosità?
[Alexandraleon] Eccolo, almeno un po', il nostro Sev. Tranquilla, verrà fuori anche lui in tutto il suo splendore dark ^-^
La porta si spalancò di
colpo. Qualcosa di vagamente arancione piombò su di lei, stritolandola.
A Victoria sembrò di non
respirare.
“Non non potremmo mai
ringraziarti abbastanza”.
“Non ci importa chi sei...”.
“... o cosa sei...”.
“... ma ci hai ridato...”.
“... la nostra parte
migliore”.
Finalmente, si staccarono da
lei.
“Ma siamo molto dispiaciuti
per te”.
“Non si può certo dire che i
tuoi siano stati un esempio”.
Altri capelli rossi. Due persone.
Anzi, una.
No, proprio due.
Victoria, stranamente,
sorrise.
Empatia gemellare?
“Chi è quello morto?” chiese.
“Quello con entrambe le
orecchie”.
“Quindi tu sei Fred Weasley”
lo indicò. Il ragazzo annuì.
“Adesso distinguerci è più
facile per tutti”.
“Immagino di sì. Io non ho
mai avuto di questi problemi. La mia altra metà è un ragazzo”.
“Che peccato” fece spallucce
Fred.
“Avremmo potuto fare una a
testa se foste state due” spiegò George.
Victoria sorrise ancora.
Sembravano le uniche due persone ragionevoli di tutta la stanza.
I gemelli guardarono verso la
finestra.
“Tuo figlio?”.
“Mio nipote”.
“Allora sei libera?”.
“Non posso uscire con tutti e
due” inarcò un sopracciglio.
“Sono i pregiudizi verso chi
ha un orecchio solo” scosse la testa George, fintamente abbattuto.
“In ogni caso, siamo tue
fedeli servitori, adesso” disse Fred.
“Ah sì?” Victoria incrociò le
braccia.
“Ovviamente sì” rimarcò
George. “Soprattutto io”.
“No, io!” si oppose Fred.
“No, io!” rimbeccò George.
“Entrambi, ho capito”.
Victoria soppesò la situazione. “Non potete essere servitori di una che è per
metà figlia di Lord Voldemort, è pericoloso” li sfidò.
I due ragazzi si guardarono.
“Se non ci fai un tatuaggio
va bene” dissero in coro. Victoria rise.
“Oh, scusate, buongiorno a
tutti” fece Fred, quando si accorse che non erano soli.
“Cos’hai da fissare, Ronnino?” disse George.
“Ben trovati, signori
Weasley” li salutò calmo Silente. “Vedo che siete subito entrati nelle grazie
della nostra Victoria”.
“Perché ci fissano tutti?”
continuò George.
“Fissano me. Io sono il male”
spiegò loro. “I pregiudizi di chi è figlia di Voldemort”. I gemelli annuirono
come se avessero capito. “Io devo parlare con Silente. Se mi tenete lontani
questa folla, non avrete nessun altro debito da saldare con me”.
I ragazzi si guardarono.
“Va bene”.
“Li portiamo a prendere un
gelato” Fred fece l’occhiolino.
“Avanti gente, da questa
parte” George iniziò a spingere Harry e Ron verso l’uscita.
“Grifondoro, dietro di me”
rise Fred. “E anche Serpeverde solitari” aggiunse poi, riferendosi a Piton.
Victoria li guardò sfilare
accanto a sé, chi irritato, chi sorpreso.
“Victoria”.
Lui.
Lui si era fermato accanto a
lei.
Lei non rispose, tenne lo
sguardo fisso sui gemelli, che, ridacchiando, si assicuravano che tutti
lasciassero la stanza.
“Ci sarà tempo, Severus”
disse calmo Silente.
La guardò ancora un altro
secondo,poi anche lui seguì gli altri.
“Per le più assurde mutande
di Merlino!” sbottò Ron, appena le porte della Sala Grande si chiusero dietro
di loro.
“Non avrei saputo trovare
parole migliori” borbottò a sua volta James, passandosi una mano fra i capelli.
“Io non ce lo vedo Mocciosus a fare il padre” dichiarò Sirius, fissando ancora
la porta.
“Sirius, non voglio più
sentirti chiamarlo in quel modo” squittì Lily, tirandolo per la maglietta.
“Lei è terribilmente fredda” continuò
Ron.
“A noi non sembra proprio”
scosse la testa George.
“Dobbiamo essere comprensivi”
fece Hermione, saggiamente.
“Andiamo, Herm,
non c’è niente da comprendere...” Ron lasciò la frase a mezz’aria.
Gli altri continuarono a
scambiarsi opinioni sottovoce.
Harry Potter, dal canto suo,
non diceva niente.
Non sapeva cosa pensare.
In un certo senso, lui gli
aveva ucciso entrambi i genitori.
Non era diverso da Voldemort,
in fin dei conti.
Si girò a guardare un’ultima
volta le porte chiuse della Sala Grande, poi, a passo svelto, raggiunse sua
madre.
“Tutto bene?” gli chiese,
sorridendogli.
Harry amava quel sorriso.
Amava quel modo che aveva di
chiedergli sempre se stesse bene, se voleva ancora un po’ di pancetta a
colazione, se il lavoro lo stancava.
Era familiare.
Fu difficile per Harry dirle
che Petunia non era stata esattamente la zia perfetta che Lily si aspettava
fosse stata.
Era ancora più difficile
tenere dentro di lui il segreto di Piton.
Soprattutto in quel momento.
Harry le sorrise di rimando
annuendo.
Era strano vedere Hogwarts
vuota, senza il vocio di ragazzi ed insegnanti.
Era come senza vita, morta.
Invece, era piena di vita.
Di vita.
Il latrato di Thor lo riportò
alla realtà.
Il bambino giocava a
rincorrerlo, ed il cane saltellava davanti a lui.
Era una scena molto bella.
“Ehi” salutò il bambino
quando si accorse di tutti quegli adulti che lo stavano guardando.
“Ciao” gli sorrise Lily. “Ti
stai divertendo?”.
“Oh, sì, è un giardino
grandissimo” rispose Edward, allargando le braccia come se volesse racchiudere
così la vastità della tenuta.
“Quanti anni hai,
giovanotto?” chiese James.
“Cinque” rispose prontamente
Edward. “Sono un bambino grande”.
“Lo sei” annuì James.
A Harry sembrò che i suoi
genitori cercassero di rivedere lui al posto di Edward.
“Da dove venite?” chiese
Sirius.
“Boston. È lontanissimo da
qui” il bambino si guardò intorno, come a cercare un punto di riferimento per
far capire loro da dove veniva. “Chissà se papà mi farà tenere un cane così
grande” borbottò, parlottando più a se stesso che agli altri.
“Dove sono il tuo papà e la
tua mamma?” chiese Hermione, avvicinandosi al bambino.
“Il mio papà è ancora più
lontanissimo di qui”.
“Non si dice più
lontanissimo” lo riprese Hermione. Edward si voltò a fissarla, inclinando
leggermente la testa da un lato.
“Tu non mi piaci” asserì alla
fine, tornando a guardare Thor che scodinzolava accanto a lui. Sirius soffocò
una risata con un finto attacco di tosse improvviso. “La mia mamma è lassù”
continuò comunque Edward, puntando un ditino verso l’alto.
Restarono tutti in silenzio.
“Va bene. Ho la zia” fece
ancora Edward, sorridendo.
“Tu ci piaci un sacco” disse
George, accucciandosi accanto a lui.
“Ma tu non hai un orecchio!”
Edward cercò di guardare attraverso il buco nella testa di George.
“È per distinguermi da mio
fratello”.
“Noi siamo gemelli” spiegò
Fred.
“Anche la zia e papà sono
gemelli, ma papà non si tagliato mica un orecchio”, e scoppiò a ridere, come se
fosse divertente che qualcuno si dovesse tagliare via un pezzo per distinguersi
dal proprio fratello.
Anche Fred e George risero.
“Voi però forse lo sapete”
Edward tornò serio. “Voi sapete chi è?”.
“Chi è chi?”.
“Mio nonno. Papà dice che
conoscerò il nonno, ma la zia ancora non mi ha detto chi è. Forse non lo
conosce neanche lei, lei e papà non vedono mai il loro papà, mentre io vedo
spesso il papà e la mamma della mia mamma”.
Fred e George guardarono
verso Sirius, che guardò James, che guardò Lily, che cercò con lo sguardo
Severus, rimasto un po’ più in disparte.
Sì, loro sapevano.
Silente aveva voluto
raccontare loro tutto la notte che tornarono in vita.
Harry aveva ascoltato tutto
seduto tra sua madre e suo padre, ancora commosso, ancora sbalordito.
Credeva che ci fosse un
limite alla pazzia di Voldemort, ma si sbagliava.
Pensava ci fosse un limite
alla disperazione di Piton, ma si sbagliava anche in quello.
Quella sera volarono pianti
di gioia, di dolore, e urla, anche di recriminazione.
Ma ci fu anche la riconciliazione
tra Severus e Lily, ed il perdono.
“Forse è il vecchietto”
azzardò Edward, indicando la finestra da dove aveva visto Victoria prima.
“Dov’è la zia?” chiese, la voce un po’ tremula, dato che nessuno gli
rispondeva.
“Beh” propose Lily “in un
certo senso, il professor Silente è il nonno di tutti noi”.
“Oh” annuì Edward. “È
vecchio” aggiunse, come se fosse una prova a favore della tesi di Lily. “Tu chi
sei?”.
Lily sorrise ancora.
“Io sono Lily. Sono la mamma
di Harry” ed indicò il figlio accanto a lei. “E quello lì, quello lì è James,
il padre di Harry”.
“Oh” fece ancora Edward.
“Quello laggiù coi capelli
lunghi è Sirius, il padrino di Harry”.
“Cos’è un padrino?”.
“Un padrino si prende cura di
un bambino quando la mamma e il papà non ci sono”.
“Come la zia”.
“Come la zia”.
“Ho capito”.
“Questo qui è Ron, è il
migliore amico di Harry”.
“La zia dice che le persone
con i capelli rossi sono cattive”.
Lily alzò entrambe le
sopracciglia, e, per istinto, si voltò a guardare Severus, appoggiato ad un
albero.
“Rubano le caramelle”
bisbigliò Edward, come se fosse un segreto.
“Noi le caramelle le
facciamo, lo sai?” gli fece Fred.
“Davvero?” Edward era
esterrefatto.
“Parola di Fred e George”
presentò George.
“La ragazza vicino a Ron si
chiama Hermione. L’hai già conosciuta”.
“Già. Non mi piace” ribadì
Edward. Sirius non sapeva dove guardare, così si voltò a guardare James, ma
anche lui aveva delle difficoltà a trattenere le risate.
A quel punto, all’appello
mancavano solo Remus e Ninfadora, ma erano rimasti a
casa con Teddy.
“Non è una splendida
giornata?” Silente comparve alle loro spalle. Edward corse verso di lui.
“Lily mi ha detto che tu sei
il nonno di tutti” gli puntò un dito contro, come se fosse un’accusa bella e
buona. Poi si rivolse alla zia, bisbigliando: “Lo so che dici che le persone
coi capelli rossi sono cattive, ma quelli fanno caramelle!”.
Victoria guardò Fred e George
e scosse la testa, sorridendo piano.
“Davvero una cosa molto
carina da dire” concesse Silente. “Ma tu hai un nonno tutto tuo, sai?”.
“Nonno Reginald”
fece Edward, contento di avere la risposta pronta.
“Non solo” Silente guardò
verso Severus.
Edward corrucciò la fronte,
poi guardò Victoria. Lei annuì. Edward guardò verso Severus, e, lentamente,
mentre tutti trattenevano il fiato, si avvicinò al nonno.
Victoria incrociò le braccia
e sfidò con lo sguardo Severus, che, dritto come un fuso, osservava avanzare
Edward come se fosse la copia in miniatura di Nagini.
Arrivato abbastanza vicino,
Edward strinse gli occhi ed incrociò le braccia. Si voltò verso Victoria, ed
ancora verso Severus.
“Questo qui è mio nonno?”
squittì alla fine, incredulo.
Incapace di contenersi oltre,
Sirius Black sbottò in una risata.
Victoria alzò le braccia in
segno di resa.
“Non guardarmi in quel modo.
Io non c’entro niente”.
Cosa avesse Silente detto a
Victoria rimase un segreto.
Qualunque cosa fosse,
comunque, aiutò Victoria a non esplodere quando, con un sorrisetto sulla
labbra, Silente annunciò a lei ed al piccolo Edward che, esattamente come
Piton, avrebbero dormito in due delle decine di stanze per gli ospiti che era
Grimmauld Place.
Harry capì che, fosse dipeso
da lei, Victoria avrebbe probabilmente preso i bagagli e il nipote e sarebbe
andata nel più malfamato dei motel Babbani piuttosto che condividere lo stesso
tetto con loro, ma bastò uno dei soliti sguardi attenti di Silente per farla
tacere.
Più di Victoria ed Edward,
Harry era incuriosito dalla reazione di Piton.
Non che brillasse per
conversazione, e nei giorni in cui era stato da solo lì con loro aveva sì e no
grugnito qualcosa a sua madre quando James e Sirius erano distratti, ma il suo
mutismo era quasi trascendentale.
Sempre un passo indietro, a
guardare figlia e nipote come se fossero due Mangiamorte travestiti da agnelli.
Strano.
Da quando i suoi genitori e
gli altri erano tornati in vita, Harry non aveva fatto altro che parlare con loro, era importante, quasi
vitale. Sentire la loro presenza. Sfiorarli distrattamente. Merlino, aveva
avuto la più grande battaglia di solletico a ventitré anni.
Conoscendo il passato di
Piton ed i geni di Victoria, era più che ovvio, alla fin fine, che non ci
fossero stati abbracci e pianti quando padre e figlia si erano incontrati dopo
chissà quanti anni.
Era triste.
Edward aveva passato il resto
della sera a bofonchiare qualcosa riguardo al fatto che suo nonno non aveva i
capelli bianchi come i nonni degli altri bambini, ed era crollato prima che Kreacher servisse la cena. Victoria sgattaiolò col bambino
al quarto piano, dove Sirius aveva fatto preparare le due stanze, e non
ridiscese.
Il mattino seguente, una
splendida mattina priva di nuvole, Harry si svegliò dimentico degli ospiti che
avevano in casa, e, ancora in boxer e maglietta, si trascinò in cucina, nella
speranza che sua madre avesse ordinato a Kreacher di preparare
uova per colazione.
C’erano sì uova per
colazione, con bacon e pane tostato.
Ma non solo.
Da bambino, zia Petunia gli
proibiva di guardare ciò che non era suo.
Tornando indietro di
vent’anni quasi, Harry si ritrovò a guardare di sottecchi qualcosa che
sicuramente non gli apparteneva, ma che mostrava con una certa sobrietà una
certa dose di carne rosea ed umida, residuo di una corsa al parco da cui era
appena tornata.
Imbambolato, Harry guardava
la schiena di Victoria piegarsi in avanti nella credenza bassa, alla ricerca,
probabilmente, di qualcosa che Kreacher non aveva
messo a tavola per la colazione.
“Smettila di guardarmi il
sedere, Potter, e dimmi piuttosto se in questa casa ci sono mai stati cereali
al cioccolato”.
Non che desiderasse veramente
avere una conferma sulla parentela di Victoria con Piton, ma, comunque, era
arrivata.
Diventando dello stesso
colore dei capelli di Ron, Harry bofonchiò qualcosa di incomprensibile,
prendendo posto tra Sirius e James, entrambi con le sopracciglia scattate
pericolosamente verso l’alto.
Sperò di non dover dare
spiegazioni, più tardi.
In ogni caso, non volle
alzare lo sguardo verso Piton.
“Mi spiace, cara, ma non ne
abbiamo” rispose al suo posto Lily, seduta vicino a James e di fronte a
Severus. “Possiamo mandare Kreacher a comprarli, se
Edward ne è ghiotto”.
“Sono i preferiti di zia
quelli al cioccolato” ridacchiò Edward, rimescolando nella sua ciotola.
“Taci, spia” Victoria gli pizzicò
il naso, versandosi poi una tazza di caffè. “Comunque non importa, il caffè va
più che bene” tagliò corto poi, sedendosi.
Per qualche minuto calò il
gelo, interrotto solo dai rumori della colazione. Poi, il familiare rumore di
una zampetta che picchiettava su una finestra fece distrarre Harry dal duro
compito di tenere incollato lo sguardo al suo piatto.
“Per me” fece in fretta
Victoria. “Gufi” mormorò, scuotendo divertita la testa. “Una strillettera?”.
L’aprì.
Come hai potuto! Lasciarmi così, senza un biglietto,
me l’ha dovuto dire il Capo che te n’eri andata in ferie! Basta, ti odio!
Portami un souvenir, piccola carogna. Un bacio fortissimo, Sergei.
“Come, prego?”.
Erano le prime parole di
Piton da ore.
“Sergei.
Un amico, mio collega” scrollò le spalle, cercando di nascondere il mezzo
sorriso che le si era dipinto sul volto.“Edward, questa è di papà. Ma c’è la mania delle strillettere?”
aggiunse, senza pensarci.
Edward prese con le manine
avide la lettera che Victoria le porgeva e l’aprì senza troppe cerimonie.
Cari Edward e Victoria, come state? Qui fa freddino,
ma il lavoro sta andando bene. Spero che vi troviate bene a Londra, e che vi
stiate comportando bene tutt’e due. Edward, fai il bravo e stai sempre a
sentire ciò che dice la zia, mi raccomando. Victoria, fa’ la brava anche tu, e
non farlo impazzire troppo. Vi voglio bene, un abbraccio, Thomas.
Nessun accenno a Piton, a
meno che con quel “non farlo impazzire” non si riferisse a lui.
“Thomas? Hai chiamato tuo
figlio Thomas?” James non riuscì a trattenersi.
“L’hai chiamato come
Voldemort?” gli fece eco Sirius.
“Ragazzi!” cercò di
richiamarli all’ordine Lily.
“Chi è Voldemort?”.
Era il primo bambino che
Harry conosceva che pronunciava quel nome senza provare paura.
Non importa quanti anni
fossero passati.
Severus lanciò a Sirius uno
sguardo non proprio amichevole.
“Un uomo non esattamente
raccomandabile, con cui ho commesso l’errore di stringere, diciamo, una specie
di amicizia”.
Victoria, così come Harry,
restò a bocca aperta: non si aspettava di certo che fosse lo stesso Piton a
parlare.
“Oh” fece Edward. “E perché
l’hai chiamato così allora?”.
“Perché volevo che i miei
figli avessero un nome forte, che avrebbe portato loro fortuna nella vita. E
poi Thomas significa gemello, e tuo padre è, effettivamente, un gemello”.
Edward fissò gli occhi neri
di Piton per tutto il tempo in cui questi parlò. Per qualche ragione che Harry
non sapeva spiegarsi, quello sguardo che per anni l’aveva impaurito, e che
aveva impaurito migliaia di studenti prima di lui, era fonte di sapere per
Edward.
“Tu sai un sacchissimo di cose, nonno” disse Edward.
Severus incrociò lo sguardo
di Victoria.
Lei si morse un labbro
velocemente.
“Finisci di mangiare la
colazione, adesso” continuò Piton.
Edward sorrise ed obbedì.
E Victoria capì perché Thomas
aveva così tanto insistito per mandare Edward a conoscere il nonno.
Evento più unico che raro, Shackelbolt aveva concesso loro il pomeriggio libero.
Per ragioni che Harry non
riusciva a comprendere, si lavorava più d’estate che d’inverno, e quando fuori
ci sono più di venticinque gradi ed in un ufficio non si respira, vedere
arrivare la comunicazione che, per quel giorno, potevano anche tornarsene a
casa, era come assistere ad un miracolo.
Beh, quasi.
James non approvava che Harry
volesse lavorare. Aveva più volte cercato di convincere Harry che, tutto
sommato, poteva sempre attingere dalla Gringott se
aveva bisogno di qualcosa, ma col patrimonio dei Potter unito a quello dei Black, effettivamente Harry poteva anche scegliere di
vivere di sola rendita. Nonostante questo, e dopo vari rimproveri di Lily per
averci anche solo pensato, Harry aveva comunque scelto di continuare a fare l’Auror:
gli piaceva, l’aveva scelto lui, e lo faceva sentire come tutti quanto gli
altri.
James ancora non poteva
capire quanto fosse stata difficile la vita per lui.
Essere quello diverso.
Quello col destino già
scritto.
Harry si materializzò
direttamente in cucina, desideroso solo di bere un’intera cassa di burrobirrae
starsene disfatto sul divano fin quando non fosse arrivata la fresca, ariosa
sera.
Dopo una settimana di
convivenza in sette, a Harry mancava un po’ di quella solitaria privacy a cui
era abituato da tutta la vita durante i mesi estivi.
Certo, non che non gradisse
la presenza dei suoi genitori e di Sirius, ma c’era effettivamente troppo
baccano.
Edward era un bambino vitale,
troppo vitale. Correva su e giù per la casa chiedendo di qualsiasi cosa strana
ci fosse, seguito solitamente da Victoria, o da Sirius e Severus quando la
ragazza non c’era ed il vecchio quadro della signora Black
iniziava ad inveire contro questo o quell’altro mezzosangue ci fosse in casa. Un
po’ di pace l’aveva avuta il primo pomeriggio che andarono a trovare Tonks e
Lupin, ma quando Edward e Teddy capirono di avere molto in comune, spesso e
volentieri erano in due a rovesciare qualsiasi cosa ci fosse da rovesciare,
ridacchiare e giocare in ogni stanza a cui potessero accedere.
Senza contare, inoltre, che
da quando Piton aveva iniziato a parlare un po’ di più, erano iniziati
battibecchi e screzi tra lui e James e Sirius, con la povera Lily che doveva
destreggiarsi tra il marito ed il ritrovato migliore amico. Forse era per
questo motivo che Lily, esasperata, aveva deciso di andare tutti a pranzo da
Remus: i Lupin avevano un giardino più grande dove lasciar giocare bambini di
ogni età.
Quando la Burrobirra
iniziò a scendere lungo la gola di Harry, questi pensò che effettivamente, come
diceva Lily, ognuno dovrebbe godere dei piccoli miracoli che accadono tutti i
giorni.
Una bevanda dissetante.
La casa vuota.
Victoria intenta a leggere
sul divano, con una sigaretta tra le dita.
“Victoria?!” squittì Harry,
spruzzando della burro birra dal naso dalla sorpresa.
La ragazza alzò un
sopracciglio, senza distogliere lo sguardo dal tomo consunto che aveva sulle
gambe, allungate sul divano.
“Non si lavora, Potter?”.
“Non dovevate andare a pranzo
da Remus?”.
“Non si risponde ad una
domanda con un’altra domanda”.
Harry si asciugò la bocca con
il dorso della mano, indispettito sull’uscio del salotto.
I suoi progetti di intimità
col divano erano definitivamente crollati.
“Ho avuto il pomeriggio
libero. Tocca a te” aggiunse.
“Gli altri sono andati dai
Lupin, io sono rimasta a godermi la quiete e fumarmi una sacrosanta sigaretta:
non fumo davanti a Edward” spiegò lentamente Victoria, aggiustandosi sul
divano.
“Non li raggiungi?” chiese
Victoria. Harry ci lesse una nota di speranza.
“Affatto” rispose brusco,
cadendo su una poltrona accanto al divano.
Per un po’ non ci furono
altri rumori che lo sfoglio delle pagine di Victoria e quelli provenienti da
fuori, dalle finestre che Victoria aveva lasciato aperte per far arieggiare via
l’odore di tabacco.
Harry chiuse gli occhi,
respirando a pieni polmoni l’aria fresca e gli stralci di tabacco lasciati da
Victoria.
“Cosa leggi?” chiese pigramente,
allungando le gambe e stiracchiandosi.
“Storia di Hogwarts” rispose Victoria, facendo evanascere
il mozzicone.
“Lettura interessante” fece Harry,
ironico.
“Non che ci sia di meglio”
sospirò Victoria, irritata.
Harry si prese un mito per
osservarla.
No, decisamente non aveva
preso da Piton.
Niente naso lungo, niente
capelli unti.
Ma erano lunghi e neri. Come i
suoi occhi.
Oh, sì. Gli occhi erano
taglienti e cupi come quelli di suo padre, indubbiamente.
La sua pelle era chiara, ma
non pallida. Di alabastro.
Come Riddle.
Quanto di lui ci fosse in
lei, questo Harry non sapeva dirlo. Ma suppose che per piacere ad un bambino,
allora aveva davvero poco di Voldemort.
Anche se, effettivamente, ad
Edward piaceva persino uno come Piton.
“Mi pare di avere ribadito
più volte che detesto essere fissata, Potter”.
Non aveva neanche mosso un
muscolo.
“Ti aspetti che inizi ad
imprecare in serpentese, per caso?”. Alzò gli occhi
verso di lui, guardandolo nella stessa maniera cattiva con cui lo guardava
Piton quando non sapeva rispondere ad una domanda.
“In quel caso, saprei di
certo quante maledizioni mi stai mandando”.
“Già, Silente mi ha
raccontato di questa tua... come dire... dote. È raccapricciante che tu usi una
dote di Lord Voldemort per pavoneggiarti” strinse le labbra con disgusto.
A Harry sembrò di vedere una
scena già vissuta.
“Io non mi pavoneggio affatto,
sei tu che sputi veleno ad ogni sillaba” controbatté, stringendo i pugni sui
braccioli della poltrona.
“Il fatto che tu sia il
Grande Harry Potter non significa che devi piacermi per forza”.
“A te non piace nessuno”
bofonchiò Harry.
“Remus Lupin mi piace. Anche Sirius
Black mi piace. In verità, Black
mi piace anche di più”.
Harry si mise a sedere
dritto, facendo scattare le sopracciglia verso l’alto. Sirius? Le piaceva Sirius? Non poteva piacerle Sirius! Lui e
Piton non facevano altro che litigare, scambiarsi frecciate, farsi i
dispetti... .
“La tua amica Granger non mi
piace. E neanche la moglie di Lupin, con quei capelli fuxia” continuò Victoria,
guardando di fronte a lei, come se leggesse un elenco mentale. “Ah, ed i
gemelli mi piacciono un sacco”.
“Quindi ti piacciono quasi
tutti tranne che me?” Harry si rise conto di aver parlato dopo che vide l’ennesimo
sopracciglio alzato di Victoria fissarlo.
“Devi per forza puntarmi quel
dannato sopracciglio contro?” sbottò Harry, chiudendo gli occhi ed affondando
nella poltrona, imbarazzato oltre ogni limite. Anzi, oltre ogni previsione.
“Questo qui?” chiese il
bambino con gli occhi nocciola, speranzoso.
L’uomo guardò quello che il
bambino gli porgeva.
Vorrebbe mentirgli.
Per la prima volta, pensava
che mentire sarebbe una cosa buona da fare.
Se gliel’avessero detto dieci
anni prima, si sarebbe offeso di fronte a quell’eventualità.
“No, non è questo” scosse la
testa invece, mettendo il trifoglio insieme agli altri dieci che aveva già
collezionato.
Il bambino con gli occhi
nocciola guardò l’altro bambino, quello che al momento aveva i capelli blu
scuro per la rabbia, e scosse la testa anche lui, sospirando affranto.
“Torniamo a cercare?” chiese
il bambino con i capelli blu.
“Certo!” il bambino con gli
occhi nocciola annuì vigorosamente. Niente l’avrebbe più fermato nella sua
ricerca del Quadrifoglio della fortuna.
“Non ti allontanare, Edward”.
“No, nonno” Edward lo salutò
con la mano, correndo verso il punto più estremo del giardino, insieme a Teddy
Lupin.
Severus lo guardò correre
lontano ridacchiando, e lo osservò fino a che non scomparse tra l’erba alta.
Poi, poté bere la sua tazza
di tè, gentile omaggio di Andromeda Black.
“Passeranno tutto il
pomeriggio a cercare quadrifogli?” chiese James.
“Una cosa che ho imparato, è
che quando due bambini si mettono qualcosa in testa, è dura fargliela togliere”
disse saggiamente Remus, stringendo gli occhi, cercando di vedere ancora suo
figlio e l’amichetto.
“E voi questa cosa la sapete
molto bene, vero Sirius?” fece Lily, seminascosta dalla sua tazza.
Sia lei che Severus inghiottirono
un sorrisetto.
“Tua moglie insinua, Ramoso”
disse Sirius. James si limitò a scrollare le spalle e sorridere.
“Se tu fossi sposato,
Felpato, sapresti quant’è pericoloso per una sana vita di coppia contraddire la
propria metà” gli spiegò Remus.
“Cosa vorresti dire?” sbottò Ninfadora, dandogli un pugno leggero sul braccio.
“Ma io sono uno scapolo
indomabile. Come il nostro Severus” aggiunse, dando una gomitata a James.
Ridacchiarono.
Severus stava per
rispondergli per le rime, quando le due piccole pesti tornarono di corsa, con
un’altra manciata di erbetta verde.
Purtroppo per loro, non c’era
nemmeno un quadrifoglio.
“Oh” le labbra di Edward
disegnarono un arco perfetto.
Senza sapere né come né perché,
Severus gli accarezzò la testolina sudata.
“I bambini coraggiosi non si
abbattono al primo ostacolo”.
Edward lo fissò intensamente,
poi annuì, appoggiandosi stancamente alle gambe di Severus.
“No, papà” piagnucolò Teddy,
correndole in braccio incontro.
“Io sì” mormorò Edward.
“Vieni, allora: zio Remus ti
porta a prendere qualcosa dentro”.
Edward guardò il nonno, poi
camminò versò Remus.
“Zio Remus?” tossicchiò
Severus.
“Se mio figlio e tuo nipote
continueranno ad essere amici, sarà come una grande famiglia, non trovi?” Remus
lasciò appesa la domanda, spingendo dolcemente Edward per le spalle.
“Ma quanto è dolce il nostro
nonnino” lo prese in giro Sirius dopo qualche attimo di silenzio.
Quand’era ragazzo, aveva
passato notti come quella.
Più o meno.
Notti in cui non era a
Hogwarts, il cuore viaggiava troppo velocemente ed il respiro era troppo corto.
Notti in cui aspettava con
ansia il non ritorno di suo padre dal solito pub, barricato in camera, la
bacchetta pronta sotto il cuscino, il baule mai completamente svuotato.
Notti in cui il rumore della
chiave che girava nella serratura accelerava i battiti.
Adesso, non era Hogwarts.
Adesso, guardava
freneticamente l’orologio che aveva sul comodino, dove i minuti scorrevano
troppo lentamente, o velocemente.
Adesso, erano le due del
mattino, la casa era nel silenzio più totale e di Victoria non c’era traccia.
Potter, quello giovane, aveva
raccontato che era comparso dal nulla Silente, e se l’era portata via nel
pomeriggio, perché avevano delle cose da fare.
Cose che Silente non aveva voluto
condividere con Potter.
Cose che non aveva voluto
condividere neanche con lui, comunque.
Sbuffò nel vuoto, girandosi
ancora, osservando l’oscurità intorno a lui.
Continuava a ripetersi che se
era con Silente, allora non c’era di che preoccuparsi.
Continuava a ripetersi che
era inutile preoccuparsi.
Continuava a non riuscire a
dormire.
Tornati dal pomeriggio dai
Lupin, aveva messo a letto Edward con non poca fatica, seppur aiutato da Lily
in tutti i modi. Il bambino insisteva comunque a voler aspettare il ritorno
della zia, ma alla fine era crollato sulla poltrona un’ora dopo cena.
Non era la prima volta che metteva a letto un
bambino.
Aveva nascosto, conservato e
rintanato nell’angolo più basso del suo Pensatoio quella memoria.
Un Thomas più giovane colto
da una febbre improvvisa per aver preso troppe correnti d’arie nel suo primo ed
ultimo soggiorno a Hogwarts.
Un Edward con gli occhi più
scuri ed il naso più lungo.
Le orecchie tese, allenate,
carpirono movimenti provenire dal piano di sotto.
Sospirò.
Cercò di seguire i ticchettii
che Victoria lasciava dietro di sé, ma le mura erano spesse ed il sonno stava
calando pericolosamente sui suoi occhi stanchi.
Aspettò ancora qualche
minuto, nella speranza di sentirla camminare – o quanto meno materializzarsi –
un piano più su.
Ma neanche questo avvenne.
Il punto era che Severus
Piton non era fatto per fare il genitore.
Lily aveva obbiettato, quando
lui aveva pateticamente mugugnato qualcosa in proposito mentre gli altri maschi
della casa erano lontani dal loro raggio di conversazione, che se Edward vedeva
qualcosa in lui, allora doveva significare qualcosa.
“Che Edward è un bambino
intelligente” aveva risposto, senza pensarci. Lily aveva sorriso, quei sorrisi
che significavano che lei aveva ragione e lui torto e che non voleva
ammetterlo.
“Avresti dovuto vedere con
quanto orgoglio l’hai detto, Sev”.
Sciocchezze.
Certo: Edward era più pronto,
veloce, e meno svenevole del coetaneo Lupin, forse persino più carino, ma queste erano doti oggettive,
non soggettive.
Si era dato alla ricerca di
quegli stupidi quadrifogli con entusiasmo, e si era arreso solo perché aveva
bisogno di zuccheri per rigenerare le sue forze. Furbo, il bambino.
E mentre Teddy Lupin aveva
dimenticato immediatamente la ricerca, barattando una nuova scoperta con un
pezzo di torta all’amarena, il suo Edward era rimasto a contemplare il prato,
gli occhietti socchiusi, come se tracciasse una mappa delle zone che aveva
perlustrato, per ricordare quelle in cui avrebbe cercato la prossima volta.
Il suo Edward.
Santo Merlino.
E mentre lui si era perso in
fantasticherie sul nipote con la spilla da Prefetto di Serpeverde, Victoria non
accennava a voler muoversi dal piano terra.
E Severus sentì che aveva la
assoluta ed impellente ed improrogabile necessità di bere qualcosa.
Scese lentamente le scale in
punta di piedi: la Materializzazione avrebbe potuto far svegliare qualcuno, o
avrebbe potuto cogliere di sorpresa Victoria, e di certo lui non voleva mandare
in collera la ragazza più di quanto non lo fosse di solito, sarebbe stato poco
conveniente per tutti.
Infilò la testa in cucina, ma
era vuota e buia. Solo, un panino sbocconcellato lasciato sul ripiano in
solitudine.
Victoria mangiava decisamente
poco. Avrebbe dovuto affrontare questo argomento con lei, eventualmente.
Scivolò in salotto. E la
trovò.
Probabilmente, voleva solo
sedersi un attimo, prima di salire in camera a dormire, ed il sonno l’aveva
vinta.
Ragazzina.
Sentì il bisogno di scambiare
due chiacchiere con Silente, ma non gli sembrò il momento opportuno per andarlo
a trovare, ovunque lui fosse.
Scuotendo la testa, prese la
ragazza tra le braccia, deciso a portarla nel posto più consono per un essere
umano che desidera dormire: un letto comodo.
Stava per prendere la via
delle scale, quando qualcosa di accecante quasi non gli fece perdere
l’equilibrio.
“Merlino, Piton!”.
“Zitto, Potter” sibilò
Severus, arricciando le labbra.
James abbassò la bacchetta,
constatando l’entità del carico dell’ex nemico di sempre.
“Avevo sentito dei rumori. È
pieno di sociopatici in giro” si giustificò bisbigliando.
“Adesso che hai messo a
cuccia la paranoia, potresti anche farmi luce per le scale ed andartene a
dormire” soffiò Piton, indicando la rampa di scale con la punta del naso
adunco.
Miracolo dei miracoli, James
annuì e, senza una parola, lo accompagnò fino al quarto piano, nonostante i
mugugni di protesta di Severus.
James gli aprì la porta della
camera di Victoria con la mano libera, restando sulla porta.
Severus restò lì, a
guardarlo, cercando di convincerlo con lo sguardo ad andarsene.
Tutto quello lo imbarazzava.
Victoria abbandonata tra le
sue braccia, distrutta abbastanza da non sentire i movimenti intorno a lei.
James Potter che gli faceva
da luminaria umana.
E lui in pigiama con la
figlia in braccio e l’uomo che ha più odiato al mondo dopo Voldemort davanti a
lui.
Quando si rese conto che
Potter non sarebbe stato contento se non avesse visto Victoria al sicuro nel
suo letto, Severus emise un silenzioso rivolo d’aria e camminò piano in camera.
Adagiò Victoria sul letto,
cercando di coprirla almeno con una coperta leggera.
Victoria si mosse nel sonno.
Severus restò immobile. Avvertì
perfino Potter dietro di lui trattenere il fiato.
Victoria tuttavia non si
svegliò, ma si raggomitolò su se stessa, abbracciando il cuscino.
Sì, era decisamente stanca.
Le spostò una ciocca di
capelli dal viso, osservando per qualche secondo il ritmico respiro di chi è in
un sonno davvero profondo, poi, senza degnare Potter di uno sguardo, lasciò la
stanza, assicurandosi che chiudesse piano la porta.
In una improvvisata mini fila
indiana, i due raggiunsero il piano inferiore, in silenzio.
“Buonanotte, Severus” gli mormorò James, dandogli una pacca sulla
spalla.
Si guardarono.
Potter sorrise leggermente,
togliendo il Lumos dalla sua bacchetta.
Ancora con un sopracciglio
inarcato, Severus si chiuse la porta dietro le spalle, si infilò sotto le
coperte e, rassicurato che sua figlia e suo nipote fossero al sicuro nelle loro
stanze, poté finalmente addormentarsi.
[Precisazioni:
Punto Primo: quando si svolge
tutto questo? Come avrete capito dagli ultimi capitoli, circa cinque anni dopo
la fine di Voldemort. Mese più, mese meno. Anzi, diciamo che è la seconda
settimana del Luglio ’99, e non se ne parli più.
Punto Secondo: Perché se la ff
si intitola “Harry Potter e...”, di Harry quasi non c’è traccia? Perché lo
Sfregiato lo detesto cordialmente a seconda del tempo, quindi scrivo di lui
quando c’è il sole e mi sento buona, e quando no... amen.
Punto Terzo: ancora non me
l’ha chiesto nessuno, ma che fine ha fatto Ginny Weasley? Purtroppo, quella
sciocca cheerleader mancata è ancora in giro per il mondo a piede libero.
Arriverà fin troppo presto.
Punto Quarto: e sempre sulla
stessa scia, dove sono Pel di Carota e Hermy? Assieme alla piccola Weasley,
presumo. Si aspetta una loro “trionfale” entrata in scena quanto prima. Doh.
Punto Quinto: e Malfoy? Ma non
sono mica la loro balia!! Non credo sia con Ron e Ginny, anche se mi piacerebbe
intrattenesse la cara Hermione, sarebbe meno antipatica la ragazza. Non vi
preoccupate, pulzelle: il biondino più carino del mondo è in procinto di
arrivare!!
La guardava come se non
avesse visto niente del genere in vita sua.
“Vuoi provare a salirci?”.
Si mordicchiò il labbro
inferiore.
Non poteva considerarsi una babbanofila, sicuramente.
Né tantomeno era come quello
schizzato del padre dei gemelli, che nascondeva una moto babbana nel capanno
delle galline.
Ma... wow, quell’uomo aveva
salvato quel piccolo gioiello da una fine atroce.
Che Merlino abbia in gloria
la curiosità del piccolo essere!
Era successo che quella
mattina era arrivato un gufo a Lily, da parte della signora Weasley, che
invitava tutta la combriccola a fare colazione da loro. E Lily, ovviamente,
aveva accettato.
Victoria e Lily potevano
tollerarsi poco.
O meglio, Victoria aveva
delle sane remore nei confronti della rossa padrona di casa, qualcosa di
atavico che non sapeva spiegarsi.
Forse erano i suoi modi.
Le era difficile, tuttavia,
decidere chi tra la Donna Perfetta e la So-Tutto-Io detestasse
di più.
Erano successe parecchie
cose.
Per prima cosa, Severus le
stava appiccicato dietro la schiena come un pipistrello malefico. Dapprima, s’era
convinta che voleva studiarla come se fosse un animale raro, poi si era
semplicemente resa conto che, anche lui, come lei, avrebbe preferito essere
gettato in un calderone pieno d’olio bollente piuttosto che sorbirsi i sorrisi a
trentadue denti e l’odore dolciastro di Molly Weasley.
Seconda cosa, i gemelli
avevano regalato una Puffola Pigmea ad Edward (Thomas
se la sarebbe presa con lei quando l’animaletto peloso sarebbe morto ed Edward
avrebbe pianto calde lacrime di disperazione). La cosa in sé non era drammatica
quanto il fatto che il bambino aveva voluto chiamarla Tory
perché l’animaletto “ha lo stesso sguardo dolce di zia”. Scoccargli un’occhiata
cattivissima non aveva fatto in modo che Edward ritrattasse quella
dichiarazione che avrebbe sconvolto Thomas, Sergei e
perfino i suoi amici di Scuola, Bradley e Caesar.
Terza cosa, aveva fatto la “piacevole”
conoscenza con la ragazza del giovane Potter, tale Ginevra.
Ginevra?
La regina che cornificò Artù con
il fedele Lancillotto?
Quella Ginevra?
Così, dapprima, Victoria
aveva riso, facendo quell’associazione di idee. Quando la ragazza le aveva
chiesto cosa ci fosse di tanto divertente, Victoria prese a spiegarle che l’aveva
collegato immediatamente alla Regina di Camelot, e
quando Ginevra, noncurante, aveva risposto che sì, Harry era il suo Artù, gli
occhi di Victoria si riempirono di lacrime.
Nella suatesta, infatti, le apparve molto più chiaro perché
il Patronus di Potter fosse un cervo.
Probabilmente Ginevra non
aveva preso bene quel suo atteggiamento, e l’aveva lasciata lì, in piedi, a
mordersi le guance perché non era il caso di provocare una sommossa nell’ingresso
della casa dei Weasley dopo meno di trenta secondi dal suo arrivo.
Ah sì, poi c’era la casa.
Loro la chiamavano Tana.
Perché, buon Merlino?
Quale essere umano sano di
mente può far chiamare la sua casa Tana?
Cos’erano, conigli?
Ovunque si girasse, qualsiasi
cosa pensasse, quella giornata Victoria sembrava averla dedicata alle
associazioni di idee sconclusionate, e sentì la mancanza di Sergei.
Fu probabilmente per quello
che si sedette accanto a Sirius, neanche lui troppo contento di essere lì,
esponendogli, ad uno ad uno, a bassissima voce, i suoi dubbi a proposito di
quel posto strano e di quella strana famiglia.
“Sette figli. Pensavo esistessero
metodi contraccettivi. Eh sì che io ho un fratello che ha messo incinta la
fidanzata prima di sposarsi, ma sette figli...”.
Sirius tossicchiò, guardandosi
la punta delle scarpe.
“Poi tutto questo dannato
rosso. Sono tutti rossi in famiglia?”
Sirius aveva annuito.
“Si accoppiano tra loro? È impossibile.
Geneticamente impossibile. E nessuno qui può parlare di genetica tranne me”.
Sirius aveva preso a
grattarsi il naso nervosamente.
“Sai, comincio avere della
compassione per il tuo figlioccio, Sirius”.
L’uomo l’aveva guardata
aggrottando la sopracciglia.
“Cresciuto da quegli animali
babbani parenti di Lily. Poi preso sotto l’ala protettiva dei Weasley. Non ha
certo passato una bella vita, povero ragazzo...”.
L’ironia era palpabile. Sirius
non voleva, non poteva ridere né dei
parenti di Lily né dei Weasley. Però....
“Davvero. Secondo me, fino ai
gemelli sono ancora andati bene. Ma poi, andiamo! Ron non è esattamente un tipo
sveglio... e vogliamo parlare di Ginevra?”.
“Ginny è carina”.
“Certo che lo è. Se ti piace
il tipo Reginetta del Ballo e cose del genere. Non hai idea di quanto mi
ricordi AnnabelleFlintch”.
“Chi sarebbe?”.
“La bambina che mi rubava le
caramelle. Io odio AnnabelleFlintch”.
Sirius aveva preso a
ridacchiare.
James era scivolato verso di
loro.
“Qualcosa di divertente, Felpato?”
Sirius aveva guardato
Victoria, adesso innocentemente occupata ad allacciare le scarpe al
trotterellante Edward, ed aveva scosso la testa, mentendo spudoratamente.
Poi la signora Weasley aveva
annunciato l’arrivo del primogenito, Bill, della moglie, Fleur,
e della piccola Victoire, la loro bambina.
Già solo perché aveva il suo
nome, e fortunatamente non un solo capello rosso, la bambina, in quanto tale,
non provocò altri spasmi al povero senso del gusto di Victoria.
“Veela?”
bisbigliò a Sirius, riferendosi a Fleur. L’uomo
annuì. “Sbaglio, o i Weasley stanno cercando di contrarre solo matrimoni di
convenienza?”.
Sirius fece un leggero passo
indietro.
Godric santissimo, quella ragazza era perfida.
Si limitò a scrollare le
spalle.
Severus si avvicinò a loro
con fare non certo amichevole.
“Ti diverti, Severus?” aveva
chiesto Sirius, bloccato tra due Piton.
“Si disquisiva sui Weasley”
fece spallucce Victoria, prendendo un bicchiere di punch dal buffet alle loro
spalle.
“Conversazione interessante”
fece Severus.
“Non sai quanto” lasciò
cadere Sirius. Cane e serpente si guardarono accigliati per un po’, e Victoria
decise che era meglio andare a vedere cosa stessero combinando Edward e la sua
dannata Puffola.
Così l’aveva trovato nel
capanno delle galline che frugava in giro, come suo solito.
E l’aveva vista.
“Arthur, non avevi detto che
te n’eri sbarazzato?” squittì la signora Weasley, quando la vide in bella
mostra al centro del suo giardino addobbato a festa.
Victoria non si diede pena di
ascoltare il chiacchiericcio di quei due. Era troppo occupata e rimirare il
gioiellino.
“Vuoi provare a salirci?” la
voce di Sirius le arrivò suadente ed invitante come un frutto proibito.
Si voltò a guardarlo, gli
occhi che scintillavano.
A Boston, aveva avuto un
ragazzo che aveva la stessa passione per i motori che, a quanto pareva, aveva
anche Sirius.
Intercettò, non seppe dire
come, lo sguardo di Severus.
La fissava con quegli occhi
neri, così dannatamente simili ai suoi.
“Sì, mi piacerebbe molto”
rispose, leggera.
“Ehi, Arthur, funziona?” urlò
Sirius, senza voltarsi a guardare il diretto interessato, cercando così di
sovrastare gli strilli di Molly.
“È perfetta, Sirius” disse
trionfale il signor Weasley, desideroso di vedere il suo tesoro nascosto messo
all’opera.
Sirius spinse la moto fuori al
giardino della Tana, con Victoria al fianco, in silenzio.
“Torneremo per pranzo”
annunciò, aiutando la ragazza montare dietro di lui.
Victoria gli strinse la vita,
schioccò un’occhiata eloquente a suo padre, e partì insieme a Sirius.
Così si presentavano Severus Piton e Victoria Prince, nel
giardino del lato ovest di Grimmauld Place, in piedi l’uno di fronte all’altra.
“Non capisco quale sia il tuo problema”.
“Sirius Black è il mio problema”.
“Sirius Black è un tuo problema da anni”.
Severus prese un grande, silenzioso respiro.
Che Silente le stesse facendo vedere quel suo stupido
Pensatoio?
“È stata una figura pessima rientrare a pranzo già
iniziato”.
“Cos’è, mi stai facendo la paternale? Oppure ti preme
davvero fare una bella figura con quelle persone? Perché se è così, non ci
credo affatto!”.
“Modera il tono, signorina!”.
“Altrimenti che fai, mi metti in punizione?”.
Victoria diede un’ultima, volontaria inspirata alla
sigaretta che aveva tra le dita lunghe, la fece evanescere e gli diede le
spalle, rientrando in casa.
“Tutto bene?” le chiede Lily.
“Assolutamente” rispose freddamente, senza neanche
guardarla.
Sopracciglia alzate, bocca aperta, mani che stringevano il
bordo del tavolo di legno vecchio giù, in cucina.
Così si presentava James Potter, mentre osservava, sbattendo
le palpebre, Sirius Black.
“È vero, Ramoso”.
“Non puoi star dicendo sul serio!”.
“Probabilmente è perché non è cresciuta con lui. Con loro. Se fosse stato così, sarebbe
diversa”.
“Sirius!”.
“James, non sto dicendo niente che tu stesso non possa
vedere con i tuoi occhi”.
James si lasciò cadere all’indietro, scuotendo la testa.
“Non puoi neanche pensare a quello che stai pensando, Sirius.
È la figlia di Piton”.
“E questo non rende la cosa ancora più stuzzicante, secondo
te?”.
James sospirò, guardando Sirius in tralice.
E, purtroppo, James lo capiva.
Lo capiva benissimo.
Naso arricciato, occhi socchiusi, labbra piegate in un sorrisino.
Così si presentava Edward Prince, mentre aspettava che anche
Ron Weasley riemergesse, a sua volta, dalla fetta di torta, in camera di Harry
Potter.
“Perché è qui?”.
“Perché credo che Victoria e Piton stiano... diciamo...
discutendo”.
Ron si pulì il naso sporco con la manica. Hermione lo guardò
in tralice ed Edward, per tutta risposta, ridacchiò.
“Ho vinto”.
“Ti ho lasciato vincere perché sei piccolo”.
Edward sembrò seccato. Gli voltò le spalle e si arrampicò
sul letto, accanto a Harry.
“Harry” iniziò Hermione.
E Harry sapeva dove stava andando a parare.
Ron si ritrovò a fissare il soffitto. Edward lo imitò,
pensando ci fosse qualcosa di realmente interessante.
“Ginny è davvero arrabbiata”.
“Non ho fatto niente di male, Herm. È Ginny che è paranoica
ultimamente”.
“Da quando ha perso il lavoro, è intrattabile”.
Hermione sospirò. Ginny aveva perso il posto come Cercatrice
di una squadra di Birmingham, e questo aveva minato non poco il suo amor
proprio.
Neanche Ron era stato capace di farsi cacciare dagli Auror.
“Ron, per favore. Harry, l’ho notato anche io”.
“Hermione, io amo la cucina della signora Weasley, ma il
paté che aveva preparato davvero non mi andava”.
“Ed è un caso che tu abbia iniziato a mangiare proprio
quando Sirius e la figlia di Piton sono tornati?”.
Harry sospirò. Ron abbassò lo sguardo verso di lui.
Edward gli tirò una manica.
“Anche io voglio fare un giro sulla moto di zio Sirius”.
Per qualche ragione, Harry sentì che Sirius non era proprio
la persona più adatta ad Edward.
Riemerse tossendo, prendendo
ampi respiri per costringere i suoi polmoni a funzionare.
“Sei durata molto più del
solito quest’oggi, mia cara”.
Silente voltò una pagina
della sua Trasfigurazione Oggi, senza
guardarla.
Victoria si sedette tirandosi
le ginocchia al petto, spostando indietro i capelli bagnati dalla fronte.
Quella non era acqua.
Sulla sua fronte, era sudore.
“E questo è un bene o un
male?”.
Silente mosse pigramente la
bacchetta, e dal nulla apparve il solito telo di lino bianco, che si distese
davanti alla vasca in cui Victoria era immersa quasi totalmente, coprendola
mentre si alzava.
“Lo vedremo” promise il
vecchio mago, riponendo la sua rivista sul tavolino accanto a lui.
Victoria si avvolse il telo
intorno al corpo, uscendo da quel liquido bluastro con un certo disgusto.
“C’è una certa dose di
assurda sobrietà in tutto questo, sai Albus?”.
“Tu trovi?”.
“Trovo. Tu. Io. I sotterranei
vuoti. Io che esco ed entro da una vasca piena di liquido perlaceo”. Poggiò una
mano umida sulla spalla di Silente, inclinando la testa da un lato. “Se non
sapessi del tuo vizietto, Albus, avrei paura per la mia virtù”.
Silente le regalò un mezzo
sorriso, sporgendosi per guardare il liquido nella vasca.
“Per esperienza personale,
Victoria, se ci fosse stata anche solo la più remota possibilità che io potessi
attentare alla tua virtù, avrei mandato Minerva ad assistere”.
“Per l’amor del cielo, Albus!
Questo sì che sarebbe stato perverso”.
Silente non diede segno di
aver ascoltato, intento com’era a prelevare, con una fiala apparsa da,
presumibilmente, una delle sue maniche, un po’ del liquido che c’era nella
vasca.
Victoria raggiunse un piccolo
paravento posto in un angolo, dove iniziò a rivestirsi. Con un paio di tocchi
di bacchetta, i suoi capelli tornarono asciutti e mossi come al solito.
Odiava avere i capelli fuori
posto.
Quando ebbe finito, trovò
Silente seduto ad una scrivania, ad osservare il volteggiare verde scuro e nero
nell’ampolla.
“Hai avuto qualche problema,
ultimamente?” le chiese, senza voltarsi.
“Definisci problema” rispose
lei, con leggerezza.
“Hai provato qualche
sentimento contrastante? Rabbia, per esempio?”.
Victoria si morse un labbro,
stringendo i pugni.
“Perché me lo chiedi se lo
sai già?”.
Silente sospirò, voltandosi.
Victoria era in piedi, dritta
come un fuso, in paziente attesa.
“Assomigli molto a tuo padre”
disse Silente, quasi sorridendo.
“Quale?” chiese Victoria,
seccamente.
Silente scosse la testa.
“Entrambi. In una maniera
diversa, sottile, ma assomigli ad entrambi”. Victoria scosse la testa,
ironicamente. “I tratti del viso. Quando sogghigni, quando guardi le persone
sapendo che tu sai qualcosa che loro non sanno. Lì sei Riddle”.
“Il mio lato migliore”
borbottò, lei, spostando il peso su un ginocchio ad un altro.
“La profondità dei tuoi
occhi. I sorrisi che fai ad Edward. Il modo che hai di osservare il mondo
intorno a te. Il colore della tua pelle. La testardaggine. In questo, sei
assolutamente Severus”.
Victoria sbuffò leggermente.
Non era un argomento che
voleva affrontare.
“Tutti abbiamo delle radici,
Victoria. Tu e Thomas avete le vostre. Strane, ingarbugliate, ingiuste, ma sono
sempre ciò che vi rende quelli che siete. Voi siete gli eredi di Salazar
Serpeverde”.
“Perché mi stai dicendo
questo? Non mi interessa. Non ci
interessa”.
Silente la guardò, quello
sguardo senza scampo che avrebbe atterrato chiunque.
Victoria compresa.
La ragazza voltò lo sguardo,
contrariata.
“C’è qualcosa di loro in te.
Ci sarà sempre”.
“Ed è per questo che siamo
qui” concluse Victoria, a voce bassa.
Silente prese l’ampolla,
rigirandosela fra le mani.
“La prova che non mi
sbagliavo”.
Victoria lo raggiunse,
prendendogli la boccetta dalle mani. Guardò il verde addensarsi sul fondo, ed
il nero scivolare lento sulla superficie.
“Che non ti sbagliavi su di me” corresse lei, corrugando la fronte.
“Cos’è successo?” le chiese
Albus.
“Niente” fece spallucce,
arricciando il naso. “Cose a cui non sono abituata”.
“Come qualcuno che ti dice
no, suppongo”.
Victoria lo guardò,
socchiudendo gli occhi.
“Le tue supposizioni sono
sempre esatte, non è così?”.
La ragazza si allontanò,
lasciandogli cadere la fiala tra le mani.
“Cosa hai intenzione di fare,
adesso?”.
Silente posò la boccetta
sulla scrivania. Dopodiché, la fece evanascere.
“Studierò qualcosa entro le
prossime ventiquattro ore. Nel frattempo, mi aspetto da te della collaborazione”.
Silente la guardò da sopra
gli occhiali a forma di mezzaluna. Victoria sospirò.
“Me ne starò buona in
giardino a godermi il temperato clima londinese” assicurò.
“Ho delle copie di Trasfigurazione Oggi, se vuoi”.
Victoria inarcò un
sopracciglio.
“Ho un nipote attivo”
concluse Victoria, raggiungendo la porta.
“Prendi la Stanza delle
Necessità per andare: Aberforth ha dell’Idromele per te” le disse Silente,
prima di vederla sparire nel buio dei sotterranei.
[JDS] Grazie per commentare
sempre e comunque, sei fantastica. Ed anche io penso che Sirius sia intrigato
da Victoria soprattutto perché è la figlia di Severus. Staremo a vedere come si
evolveranno le cose tra quei due ^-^
[Ernil]
Grazie XD Soprattutto per non aver fatto una strage ahahaha!
[Chiara Malfoy Potter]
Curiosità soddisfatta? No, eh? Baci!
[Elfosnape]
Non è che Victoria ce l’ha con i Potter o con i Weasley per qualche motivo
particolare. Solo, non riesce a legare con Lily (neanche io potrei <.<) e
pensa che i Weasley siano gente strana XD Il rapporto che ha con Severus è un
mistero anche per i diretti interessati, fidati! E sì, Prince è il suo cognome.
Grazie per aver letto!
[Dogma] Ahauauhuahauha
sì è vero. I Prince, chi prima chi dopo, sono mitici!
Lily aveva costretto James e
Sirius ad andare a DiagonAlley
il pomeriggio precedente a comprare un regalo adeguato, ed a niente erano
servite le lamentele di Sirius basate sul fatto che “io gli ho dato la casa”. A
quelle parole, Lily si era realmente risentita, e si era chiusa in un assoluto
silenzio, rotto solo da qualche sonoro sbuffo fino all’arrivo al Paiolo Magico.
La sera, Lily aveva cercato
ogni modo possibile per restare solo con Severus, per cercare di tastare il
terreno su se e cosa lui avesse intenzione di regalare a Harry.
“Spero tu stia scherzando”
aveva ribattuto glaciale, spalancando gli occhi come se avesse detto un’eresia.
“Compie ventiquattro anni. È
un uomo. dopo tutto quello che abbiamo passato... che avete passato...” provò
Lily, sbattendo gli occhi.
“Sei sposata, Lily. Non puoi
farmi gli occhi dolci”.
“Sono solo una madre che
cerca di organizzare un compleanno come si deve al proprio bambino” ribatté la
donna, incrociando le braccia.
Severus arricciò le labbra.
“Ma non avevi appena detto
che è un uomo?”.
Lily gonfiò le guance, pronta
a sbottare.
“Non sono capace a fare
regali”.
“Non è quello che mi ricordo
io”.
Punto sul solito nervo
scoperto, Severus le diede le spalle, fingendo di cercare qualcosa nella
libreria dei Black.
“Sarebbe imbarazzante”
borbottò. Stava già pensando alla faccia che avrebbero fatto Potter e Black.
“Prendi qualcosa con
Victoria” propose Lily, saltellandogli al fianco. “Passerebbe come un regalo da
parte degli ospiti, e sarebbe un momento di aggregazione tra padre e figlia. E
nipotino, ovviamente”.
Severus guardòLily con orrore.
“Sirius gli ha preso una
scopa nuova...”.
“... ma che fantasia...”.
“... ed io ho portato ad
incorniciare una nostra foto, quella che ci ha fatto Remus il giorno dopo il
nostro... ritorno”.
Severus sospirò.
“So che Remus e Dora gli
hanno regalato i biglietti per la prossima stagione di Quidditch” continuò
Lily, contando i regali sulle mani. “Con il Quidditch penso che abbiamo finito.
Non ho idea di cosa gli prenderanno Ron, Hermione e Ginny, in realtà. Se andrai
con Victoria, dubito che ci saranno problemi di immaginazione”.
Lily l’aveva guardato con
quei suoi enormi occhi verdi, e Severus aveva promesso che avrebbe provato a
chiedere a Victoria.
La mattina seguente. Sempre
meno tre giorni al compleanno di Harry.
“Victoria”.
“Severus”.
Bene. Adesso che avevano
preso coscienza della rispettiva presenza in salotto, Severus poteva tentare
l’approccio.
“Victoria, non so se ti hanno
messo al corrente del genetliaco che si festeggerà tra settantadue ore”.
“Sì, Lily è una settimana che
lo va canticchiando per casa. È il compleanno di Harry Potter”.
“Probabilmente la cosa
interesserà a te ancora meno di quanto possa vagamente interessare me, però
Lily mi ha chiesto, per un questione di pura formalità ospitale...”.
“... dobbiamo comprare
qualcosa al Salvatore della Patria?” Victoria tagliò sul nascere ulteriori
divagazioni da parte di Severus.
L’uomo annuì, visibilmente a
disagio.
“Bene. Dovevo comunque
comprare qualcosa per Sergei” chiuse il tomo che
stava leggendo e si alzò dalla poltrona, scuotendo i capelli. “Il tempo di
preparare me ed Edward. Sempre che siamo entrambi compresi nel pacchetto,
oppure che tu non voglia sobbarcare a me un incarico che spetta a te di
diritto”.
Si guardarono fissi negli
occhi. Entrambi desiderosi di scrutare la mente dell’altro, senza averne il
coraggio.
“Vi aspetto all’ingresso tra
trenta minuti” sibilò Severus.
“Non vedo l’ora” soffiò la
ragazza, arricciando le labbra.
Ed ora, nell’arsenale di ciò
che era riuscito a compiere pur essendo ciò che era, Severus Piton poteva
annoverare anche l’aver acquistato un regalo per Harry Potter, accompagnato da
figlia e nipote.
Il pacchetto se ne stava appoggiato
comodamente sulla quarta sedia bianca libera al tavolino a cui erano seduti
tutti a tre.
Davanti a Severus, un the
freddo.
Davanti a Victoria, una coppa
zuppa inglese e caffè.
Davanti ad Edward, un cono
immenso con crema, cioccolata e panna.
“A Tory
piacciono molto i semini che abbiamo comprato da Fred e George” stava dicendo
Edward, tra una leccata ed un’altra.
“Vuoi farla diventare una
piccola puffola obesa?” gli chiese Victoria.
“Cosa vuol dire obesa?”.
“Grassa”.
“Come la mamma di Ron?”.
A Severus andò di traverso il
the.
“Esatto” annuì Victoria,
divertita.
“Non è carino dire che la
signora Weasley è grassa, Edward” lo rimbeccò Severus.
“Ma lo è” si oppose Edward.
Victoria passò lo sguardo dall’uno all’altro, non sapendo per chi tifare.
“Allora diciamo che, semmai
ce ne fosse l’occasione, sarebbe meglio evitare che tu dicessi in pubblico che
la signora Weasley è grassa, o obesa” rettificò Severus.
In fondo, il bambino aveva
ragione.
Non aveva senso insegnargli a
non dire bugie, altrimenti.
“Perché?” chiese ancora
Edward.
“Perché potrebbe offendersi”.
“Ma se è grassa, è grassa.
Come io ho gli occhi marroni e tu il naso grosso”.
Victoria si nascose dietro la
sua coppa, indifferente.
“Vedi, Edward, alle persone
non spesso piace sentirsi dire la verità”.
“E su questo, tesoro, il
nonno potrebbe tenere una conferenza” aggiunse Victoria, alzandosi per andare a
pagare.
Severus la seguì con lo
sguardo.
Non avrebbe ottenuto né la
sua fiducia, né il suo perdono.
C’era qualcosa che stringeva
dentro di lui, a quel pensiero.
“Zia Tory
non è cattiva, nonno” fece serio Edward, non curandosi della cioccolata che gli
stava colando sulle manine.
Severus lo guardò
incuriosito.
Quando lo fissava a quel
modo, chissà come mai, gli ricordava sua madre.
“Lo so” assicurò, non troppo
convinto.
“È solo triste” fece
spallucce il bambino.
Severus prese un tovagliolino
e gli pulì le mani ed il mento sporchi di cioccolata e panna.
“Perché dici che è triste?”
chiese sospettoso.
“Forse anche alla zia manca
la sua mamma come manca a me”.
Severus alzò gli occhi di
scatto, la gola improvvisamente secca.
Allungò lo sguardo,
cercandola al bancone della Nuova Gelateria Fortebraccio.
Una ragazza come tante.
Qualcuno che ricordava
qualcun altro, che odiava.
E gli occhi di qualcuno che
aveva amato.
Che l’aveva amato.
“Sei un bravo bambino,
Edward”.
“E tu sei un bravo nonno,
nonno” sorrise il piccolo.
Whatever I fear the most is
whatever I see before me
Whenever I let my guard
down, whatever I was ignoring
Whatever I fear the most is
whatever I see before me
Whatever I have been given,
whatever I have been
(Toad the Wet Sprocket)
Trentuno luglio. Ore venti e sedici.
Puntuale come al solito – a
memoria di James, Remus non ha mai consegnato un compito in ritardo – i coniugi
Lupin ed il piccolo Teddy si materializzano nell’ingresso di Grimmauld Place.
“Lunastorta!”.
“Ramoso!”.
“Anche iovoglio un soprannome!”.
“Le donne sono fuori dal
giro, Dora”.
“Non chiamarmi Dora”.
Il piccolo Teddy sorrideva a
tutti ed a niente, fin quando altri due piccoli piedi comparirono dietro le
gambe di James, ed il bambino, che fino a quel momento se n’era stato buono in
braccio al padre, iniziò ad agitarsi.
“Ciao, Edward”. Remus sorrise
alla cima di capelli biondicci apparire quasi dal nulla.
“Edward!” si agitò ancora di
più Teddy.
“Teddy!”.
“Sembra che non si vedano da
anni” sorrise James, guardando i due bambini correre fuori e scortando a sua
volta gli ospiti.
“Non ha fatto altro che
chiedere quando saremmo usciti da questa mattina” scosse la testa Tonks,
divertita.
I bambini si fermarono vicino
le scale, sussurrandosi importantissimi segreti in bilico sul primo scalino.
James accarezzò distrattamente la testa a Teddy passando ed andò a scostare le
tende di seta avorio per permettere a Remus e Tonks di ammirare il banchetto
che Lily aveva messo in piedi in tre giorni.
“Harry sa della festa?”
bisbigliò Remus.
“Penso proprio che se
l’aspetti. Ma non dirlo a Lily, per lei deve essere una sorpresa” spiegò James,
fingendo di grattarsi il naso per nascondere il borbottio.
Dopo molto convenevoli più
tardi, in attesa che gli altri numerosi invitati raggiungessero la sede della
festa, Lily e Tonks si andarono a sedere ad uno dei tavolini preparati da Kreacher mentre gli uomini si radunavano in un angolo.
“Spero che qualcuno imbuchi
dell’alcool” fece Sirius.
“Anche io” annuì James.
“Lily ha vietato gli alcolici” spiegò questi, davanti alla solita espressione
corrucciata di Remus.
“Però siamo riusciti a
piazzare almeno due bottiglie di Whiskey Incendiario” disse Sirius tutto
contento, gli occhi tondi per la conquista.
“Voi due, crescerete mai?”
chiese Remus, senza speranza.
“Affatto” dissero in coro
James e Sirius, dandosi il cinque.
“A proposito di adulti...”
iniziò Remus, lasciando la frase a mezz’aria.
“Il pipistrello è da qualche
parte giù in cantina. Sapevi che questa casa aveva un laboratorio pozionistico?” disse Sirius, rivolgendosi a Remus.
“Sirius, è casa tua, dovresti
saperlo”.
“Sì, ma tu sei stato vivo per
più tempo di me” gli ricordò Sirius, ghignando.
“Dovremmo fare un brindisi
alla tua longevità, Lunastorta” sghignazzò James,
dandogli un colpetto sulla spalla.
“In realtà è Piton il più
longevo” meditò Remus, portandosi distrattamente un dito alle labbra,
ragionando.
“Piton non è uno di noi”
precisò Sirius, con ribrezzo.
“Il fatto che abiti qui e che
ce lo portiamo dappertutto, non significa per forza che adesso siamo amici”
continuò Sirius, sventolando l’indice davanti al naso di Remus.
“Ma tu vuoi portarti a letto
sua figlia” attaccò Remus. Sirius indietreggiò. James guardò l’amico con la
coda dell’occhio, assicurandosi che le ragazze non avessero sentito.
“Chiamarla figlia è
esagerato” borbottò Sirius, nervosamente.
“È quello che è!”.
“Andiamo, Remus, tu non ci
sei, non puoi capirlo. Si odiano. Si diranno tre, al massimo quattro frasi nel
corso dell’intera giornata, quando lei non è con Silente...”.
“... Victoria con Silente?”
l’interruppe Remus.
“Ma che brutta visione, Lunastorta” ridacchiò James. Poi, cogliendo lo sguardo
seccato di Remus, aggiunse. “Sarà successo almeno dieci volte in quasi due
settimane. Arriva, se ne vanno, e lei torna molte ore dopo, senza dare
spiegazioni”.
“Strano” mormorò Remus.
“Perché Silente dovrebbe essere interessato a Victoria? E non rispondere per
ovvi motivi, Sirius” aggiunse, guardando Sirius in tralice, il quale decise di
richiudere la bocca.
“Probabilmente la starà
aggiornando su quello che è successo in questi anni” tentò James, facendo
spallucce.
“Silente mi pare avesse detto
che i due ragazzi avevano ricevuto un plico, una specie di lettera, che
spiegava loro tutto” scosse la testa Remus. “Severus non ha chiesto
spiegazioni?”.
“Non in nostra presenza”
scosse la testa James.
“E neanche qui in casa. Credo
che le loro urla si sarebbero sentite, altrimenti” continuò Sirius,
all’apparenza serio.
“Probabilmente non è
interessato a Victoria, ma al piccolo Edward” azzardò ancora James.
“Probabile. Pare che sia
stato lui la chiave per riportarci tutti in vita” annuì Remus.
“Assurdo” fece Sirius “che un
bambino così piccolo sia stato capace, a sua insaputa, di fare una cosa tanto
grande”.
“Forse di questo che stanno
parlando, Victoria e Silente. Forse stanno trovando un modo per contenere il
potere di Edward” disse James.
“Per non farne un altro
Voldemort” concluse Remus, cercando i due bambini con lo sguardo.
Trentuno luglio. Ore ventuno e trentanove.
Non aveva proprio avuto
bisogno di un GUFO in Divinazione per immaginare cosa la madre stesse
nascondendo quando l’aveva notata aggirarsi per casa con fare molto
malandrinesco.
Così, seppur dovendo fingere
un’onesta sorpresa, Harry era contento che ci fosse stata la festa.
I suoi genitori.
Sirius e Remus e Tonks.
Fred, George e tutti i
Weasley.
I suoi amici di Hogwarts.
Ron e Hermione. E Ginny.
Perfino Piton aveva fatto la
sua silenziosa comparsa.
Non si era mai sentito un
ragazzo fortunato.
Non fino a quel momento.
“Ehi” Ginny scivolò verso di
lui, passandogli una mano intorno alla vita. “Non sei grande per commuoverti
per una festa di compleanno, Harry?” lo stuzzicò, baciandogli la punta del
naso.
Harry le sorrise,
stringendosi nelle spalle.
“Tua madre ha organizzato le
cose in grande” continuò la ragazza, guardandosi intorno.
Palloncini rossi e oro
(questi li aveva presi James), boccini volanti, buffet salato, buffet dolce,
musica ritmata di sottofondo, bottiglie autoriempienti,
eccetera.
“Ci teneva molto” disse
Harry, cercandola con lo sguardo. Stava ridendo, toccando il braccio di James,
che probabilmente stava raccontando una qualche storiella divertente.
“Ron e Hermione?” chiese, non
vedendoli più in giro.
“Hermione ha decretato che il
colore delle tovaglie sarebbe splendido per i fiori”.
“Quali fiori?”.
“Quelli del matrimonio. È
ancora top-secret, ma pare che Ron voglia chiederle di sposarlo, a settembre”.
“Fantastico” sorrise
genuinamente Harry.
“L’ho sentito che ne parlava
con Bill, e diciamo che mi è scappato, parlando con Hermione. Soltanto che lei
adesso ha intenzione di sentirselo dire il prima possibile, ed il povero Ron
non sa che pesci prendere, perché deve ancora decidere che anello comprarle”.
Harry ridacchiò,
dispiacendosi un po’ per l’amico: se Hermione si metteva in testa qualcosa,
sarebbe stata difficile farla desistere.
Sentì lo sguardo di Ginny
spingere contro di lui.
“Cosa, Ginny?”.
La ragazza guardò lontano,
sospirando.
“Mi chiedo solo quando verrà
il mio turno” bisbigliò, arrossendo lievemente. “Perfino Luna si sposa l’anno
prossimo”.
Era vero, la notizia era
arrivata anche a lui, laggiù al Ministero: Luna Lovegood presto sarebbe
diventata Luna Baston.
C’era stato un momento in cui
Harry aveva pensato al matrimonio.
Al suo matrimonio. Con Ginny.
Un tempo in cui la sua vita
era scandita dai possibili secondi che Voldemort pareva concedergli.
Poi la Guerra era finita, e
lui l’aveva vinta.
Passati i primi momenti, lo
smarrimento, la gioia, il Diploma, Harry aveva visto la strada della sua vita
allungarsi, scomparendo oltre l’orizzonte, un magnifico, gigantesco punto
interrogativo.
Come per tutti quanti gli
altri.
La conquista della normalità valeva
moltissimo per Harry, e stava cercando di recuperare, soprattutto adesso che i
suoi genitori potevano condividerla con lui.
Così, l’idea del matrimonio
l’aveva messa da parte, per godersi se stesso, in tutta la sua libertà.
Ed adesso, Ginny reclamava
qualcosa che non si erano mai promessi davvero, ma che era scritto, così
com’era scritta l’unione di Ron e Hermione.
Guardò la sua ragazza
sospirare, torturando la catenina d’argento che portava al collo, quella che la
madre le aveva regalato per i suoi diciassette anni.
E non seppe cosa risponderle.
Né Fred né George avevano mai
parlato di matrimonio. Così come Charlie.
Ron era ossessionato
dall’idea di sposare Hermione, per paura di perderla, per paura che Hermione si
rendesse conto “di quale imbecille sono”, come diceva sempre.
Percy era tornato dalla sua Penelope.
Bill aveva già provveduto con
Fleur.
Luna con Oliver Baston.
Ginny aveva Harry.
Aprì la bocca per parlare,
quando tre bambini ridanciani separarono Harry da Ginny senza troppi
complimenti.
“Nascondici, zia Ginny”
ridacchiò la bambina.
“Che dici, Victoire? Ci vedrà”
la tirò via Teddy.
“Mi fai male, scemo” lo
spinse via Victoire.
“Che succede?” chiese Harry,
dividendo Teddy e Victoire.
“Stiamo giocando a nascondino
con zia Tory” spiegò Edward, guardandosi in giro.
“Ehi! Il mantello del nonno! Dietro il mantello del nonno!” tirò Teddy per il
colletto della maglietta, indicando Piton nell’angolo. Teddy emise un suono di
allegria e corse dietro Edward.
“Ehi!” si lagnò Victoire,
rincorrendoli.
Harry li seguì con lo
sguardo, e, per qualche motivo, li invidiò.
Trentuno luglio. Ore ventidue e cinquantasette.
“Voi cosa gli avete preso?”.
“Un porta bacchetta in radica
di frassino ed intarsi d’argento”.
“Mi complimento”.
“Ehi, è il nostro Bambino
Sopravvissuto”.
Victoria fece oscillare il
suo calice di vino bianco con grazia, scuotendo leggermente la testa.
Sì, i gemelli erano riusciti
ad imbucare degli alcolici degni di questo nome, come aveva sperato Sirius.
E sì, c’era stato un suo
mezzo accenno in merito, quando era andata ai Tiri Vispi per prendere il souvenir
che aveva promesso a Sergei – un filtro d’amore, per
Agnes.
La tattica di Victoria, che
aveva trovato nei gemelli due alleati fidati, era non stare ferma per più di
cinque minuti nello stesso punto, cosicché da scongiurare possibili chiacchiere
inutili con perfetti sconosciuto incuriositi dalla sua presenza.
Diciamo che Lily non era esattamente
una donna poco socievole.
“Il Bambino, come lo chiami
tu, oggi compie ventiquattro anni” Victoria rimbeccò George. “Solo uno meno di
noi”.
“Anche questo è vero” ammise,
alzando le mani.
Ci furono dei minuti di
silenzio, quando atterrarono al tavolo del buffet dolce. Aveva visto quelle
ciambelle al formaggio da lontano, e non vedeva l’ora di addentarne una.
“Fred” sentì alle loro
spalle.
I tre si voltarono.
A Fred si stampò un ridicolo
sorriso sul volto.
“Angelina” rispose George, ottemperando
alla momentanea mancanza di lucidità del fratello.
“Ciao, George, come stai?” chiese
la ragazza, sorridendo genuinamente.
“Ottimamente, grazie. E tu?”.
“Anche io” disse lentamente,
guardando Fred.
“Ciao” disse questi, in un
tono di voce che non era suo.
“Noi andiamo” dichiarò
improvvisamente Victoria, tirando via George per una manica con la mano che non
stringeva la ciambella. “Chi diavolo è?” chiese poi, quando furono abbastanza
lontani, incuriosita.
“Angelina Johnson.
Il grande amore di mio fratello” spiegò George, teatralmente.
“Carina” osservò Victoria,
annuendo. “Così finalmente spezziamo questa catena di capelli rossi” borbottò.
“Dopo un po’ ci fai l’abitudine”
ghignò George. “Dannazione, Angelina sta mangiando l’ultimo bignè al cocco” si
lamentò, guardando la ragazza ridacchiare.
“E tu, George, non ce l’hai
il grande amore?”.
George la guardò per un secondo,
come soppesando un’idea, poi scosse velocemente la testa, guardando a terra.
Victoria inarcò un
sopracciglio, incuriosita.
“Non ce l’hai o non vuoi
dirmelo?” insistette.
“Non... è imbarazzante, Victoria”
ammise piano George, adesso guardando il cielo stellato sopra di loro.
“Andiamo, George. Non conosco
nessuno. Chiunque sia, non sarò pregiudizievole” assicurò.
“Sai, io ero un Grifondoro”.
“Nessuno è perfetto. Continua”.
“Io non...cioè, non è come Angelina”.
“Essere caucasici non è un
difetto” scherzò Victoria, rosicchiando la sua ciambella.
“Nel senso, Angelina è forte,
è determinata, gioca a Quidditch, anche lei era una Grifondoro”.
“Penso che lo siano quasi
tutti qui in mezzo”.
“Lei è MillicentBulstrode” bisbigliò George, paonazzo.
Victoria inclinò la testa da
un lato.
“Perché pensi che questo nome
debba dirmi qualcosa, o scandalizzarmi?”.
“Perché era una Serpeverde. Lo
stesso anno di Harry e Ron. Molto carina”.
“E...” incalzò Victoria.
“... e niente. Ci siamo visti
di nascosto qualche volta, l’anno che ci io e Fred ci ritirammo da Hogwarts...”.
“... voi vi siete ritirati?”.
“Qualcosa del genere”.
“Fantastico” Victoria lo
disse con aria sognante. “Ebbene?”.
“E poi c’è stato quello che c’è
stato. La sua famiglia non era esattamente una famiglia raccomandabile, non
erano Mangiamorte, ma erano comunque invischiati, ed abbiamo deciso che era
meglio non vedersi più”.
Victoria diede una pacca empatica
sulla spalla di George.
“E quando mi sono fatto
coraggio e ho deciso di scriverle, dopo che tutto era finito, mi ha fatto
gentilmente sapere che adesso è la signora Nott”.
“Oh” fece Victoria, in un
modo che assomigliava molto a Edward.
“Stronzette,
queste Serpi” concluse Victoria, cercando di alleggerire la tensione.
“Puoi dirlo” mugugnò George. “Niente
di irreparabile” scrollò le spalle, sorridendo.
Victoria e George camminarono
per un po’, con George che indicava a Victoria gli amici di Harry, e dandole una
piccola nota biografica in merito ad ognuno di loro.
Tornando indietro verso il
tavolo del buffet dolce, nella speranza che fossero comparsi altri bignè al
cocco, Victoria fu attratta da alcune voci provenienti da dietro un albero.
“... che vuol dire illegale?”.
“Vuol dire che in linea
teorica non esistono. Nessun registro dovrebbe recare il loro nome, a meno che
non siano stati registrati sotto altro nome. Prince, appunto”.
Qualcosa raggelò nel petto di
Victoria.
“Orribile” squittì una terza
voce.
“Ma i genitori di Harry lo
sanno?”. Quarta voce.
“Ovviamente”.
“E non dicono niente?” quinta
voce.
“Probabilmente Silente li tiene
sotto controllo”. Granger.
“Ma forse non c’è niente da
tener sotto controllo. Harry non mi ha mai raccontato di fatti spiacevoli in
merito a lei o al bambino”. Ron.
“Cielo, sembra così una
persona normale” fece la terza voce. “Invece,
in pratica è...”.
“... un mostro” fece tetra la
quinta voce.
Qualcosa si ruppe in
Victoria.
Mostro. Mostro. Mostro.
La parola le rimbombava nella
mente come un martello.
Lo era. Lo era. Lo era.
Un mostro.
Si rivide bambina di sei anni
piangere calde lacrime, sotto il piumone bianco panna, nel sentirsi diversa,
strana, anormale.
Nel sapere che non avrebbe
mai avuto due genitori.
Che lei e Thomas sarebbero
stati soli per sempre.
Che non sarebbero dovuti
nascere.
Che erano un esperimento.
Un esperimento venuto male.
Victoria sentì le mani
tremare.
Correndo via, lontano, sentì
i bicchieri ed i piatti dietro di lei frantumarsi ad uno ad uno.
Cercò la bacchetta negli anfratti
creati appositamente nel suo vestito, il respiro corto, le tempie pulsanti.
“Victoria!” si sentì chiamare,
ma era già in strada, anonima nel nulla.
Si guardò intorno, spaesata.
Mostro. Mostro. Mostro.
Cadde sulle ginocchia,
soffocando i singhiozzi.
Cosa ne sanno loro?
Come possono capire?
Piccoli bastardi.
Vi odio.
Vi odio.
Si portò una mano alla bocca,
ansimando.
“Victoria” chiamò ancora
Severus, planando su di lei. “Victoria” ripeté,
piano.
Victoria si guardò la mano.
No, quello non era sangue.
Quel liquido nero non era
sangue.
Alzò impaurita gli occhi
verso suo padre, cercando di articolare la parola “aiuto”, senza riuscirci.
Sentì un dolore lancinante al
braccio sinistro, e per istinto si voltò a guardare.
Severus impallidì, scattando
all’indietro.
Il Marchio Nero.
Devi distruggerli, Victoria.
Devi farlo.
Lasciami uscire, Victoria.
Io sono parte di te.
Io sono come te.
Io sono te.
Victoria strinse forte la
bacchetta al petto, stringendo gli occhi, allontanando con la mano libera
Severus.
Le vennero in mente le
raccomandazioni di Silente.
Di starsene buona e
tranquilla.
Che avrebbe fatto presto.
Ma le ventiquattro ore erano
passate, e Silente non era tornato.
Anche Silente si era
dimenticato di lei.
Loro non ti meritano.
Loro non meritano di vivere.
Tutti loro.
Devono morire.
Devono.
Victoria.
Ascoltami.
“Ed... Edward” tossì,
continuando a sputare quella sostanza nera e viscida. “Proteggi... Edward....”.
“Ma cosa...?”.
Vieni Victoria.
Lascia che ti faccia vedere la via.
Fallo per me, Victoria.
Fallo per noi.
Fallo per la tua famiglia.
Fallo per tuo padre.
Fallo per il tuo vero padre.
Con le lacrime che si
mescolavano a quel liquido che spurgava adesso da ogni suo poro, Victoria si
smaterializzò.
Silente gli indicò una porta
dietro di loro, e Thomas sorpassò tutti, gli occhi sgranati dalla paura.
Poi li vide.
Emise un udibile respiro di
sollievo, quando vide il bambino addormentato sul divano, avvolto in una
coperta leggera.
E poi, vide anche lui.
Seduto al tavolino basso, i
gomiti sulle ginocchia, una mano fra i capelli e l’altra che accarezzava
delicatamente Edward, un gesto meccanico, fatto quasi senza pensarci.
“Papà”.
Non si voltò subito – non era
abituato a sentirsi chiamare così. Fu la pressione dei suoi occhi,
probabilmente.
“Dorme” rispose solo.
Thomas li raggiunse a grandi
passi, pallido.
Severus alzò lo sguardo, e
gli parve di vedersi allo specchio, parecchi anni prima.
Il ragazzo si inginocchiò,
scrutando per bene il figlio, accarezzandogli i capelli scompigliati. Quasi
sorrise, quando si accorse che russava un po’.
“Severus, Thomas” chiamò
piano Silente.
I due si alzarono e
raggiunsero a passi veloce la cucina, socchiudendo la porta.
“Che dannazione è successo?”
ringhiò Thomas, senza aspettare.
“Siediti, ragazzo mio. Grazie
per essere venuto così in fretta. Sei da solo?”.
“Sergei
arriverà a breve”.
“Bene”.
Silente si sfregò le mani.
“Quando mi venne raccontata
della profezia, i gemelli erano già nati, ma io non ne ero ancora a conoscenza”
L’attacco di Voldemort era alle porte. Lily era già incinta e la mia priorità
era salvare il Mondo Magico. Fui superficiale”.
Severus strinse i pugni, in
piedi dietro Thomas.
“Poi successe quello che
successe. Voldemort. I Potter. Harry. Niente aveva lasciato presagire che la profezia
potesse avere luogo, fino a che Severus non mi parlò dei suoi bambini. Misi in
ordine i pezzi, e pensai che l’evento narrato dalla profezia fosse postumo a
ciò che già esisteva. Ebbene, fui superficiale”.
“Cosa dice la profezia,
Professore?” chiese James.
“Dopo la pioggia vien sempre il sereno, ma le nuvole alle orizzonti non
mancheranno. Ed ecco che il cucciolo non voluto da ciò che era male verrà
creato, ed evocherà ciò che dalla sopravvivenza è stato sconfitto, e che la
stessa forza potrà combattere, e sconfiggere. Ma anche la morte questo potrà
sconfiggere, e ciò che ingiustamente è andato far ritornare”.
Ci fu silenzio. Thomas
abbassò lo sguardo.
“Noi eravamo male. Edward non
è stata certo una gravidanza programmata. Cosa è successo?” fece ancora Edward.
“Questo è ciò che anche io
credevo, Thomas. Che voi eravate il male, perché male erano le condizioni in
cui siete venuti al mondo. Ebbene, mi sbagliavo. In parte, ma mi sbagliavo”.
Thomas fece scattare la testa
in alto, boccheggiando.
“Ciò che dalla sopravvivenza è stato sconfitto si riferisce alla
sconfitta di Voldemort da parte di Harry. Ciò
che ingiustamente è andato far ritornare è riferito al ritorno mio, di
James, di Lily, di Severus, di tutti gli altri. Il cucciolo non voluto, tuttavia, non è Edward. È Victoria”.
“Victoria?!” dissero in coro
Thomas e Severus.
“Esatto. Riflettete: il non
voluto. Pur non essendo Edward nato in un contesto pianificato, è nato
dall’amore di due persone. Tutti amano Edward. Tu lo ami, Thomas. Tua moglie lo
amava. Victoria lo ama. Severus lo ama. Edward è tutto, fuorché un bambino non
voluto”.
Thomas annuì.
“Severus, non fosti tu a
dirmi che il Signore Oscuro ti aveva ordinato di disfarti dei bambini, perché
non erano il risultato che si aspettava?”.
“Sì, Albus. Ma erano tutti e
due. Mi ha chiesto di liberarmi di tutti e due”.
Silente gli si avvicinò.
“Perché voleva che ti
liberassi di loro?”.
“Perché erano due. Perché lui
voleva un erede, non una coppia di gemelli. Lui voleva un essere che avesse il
suo stesso potere”.
“Esatto, Severus, esatto!”
Silente disse concitato. “Uno solo. Un erede. Un maschio”.
Qualcosa scattò nella mente
di Piton.
“Victoria” borbottò Thomas,
la voce tremante. “Victoria è il cucciolo non voluto. Se fossi stato solo, a
lui sarebbe bastato”.
Severus gli pressò una mano
sulla spalla.
“Quando siamo tornati, ho
ripensato alla profezia. Ho avuto dei dubbi. Ho sottoposto Victoria a degli
esperimenti. Victoria ha qualcosa di Voldemort dentro di lei che Thomas non ha.
Perché la tua pozione, Severus, ha prodotto due gemelli diversi, in cui il
bilancio tra bene e male non è equo. Victoria ha insito dentro di lei qualcosa
di malvagio, che per anni ha tenuto sopito dentro di lei, ma che, a contatto
con lei, involontariamente, coinvolgendosi nella nostra rinascita, ha lasciato
che venisse lentamente a galla”.
Ci fu altro silenzio.
“Dannazione, Albus! Perché
non mi hai avvertito! Perché lei non mi ha detto niente?” urlò Severus.
“A chi doveva dirlo, Severus?
A degli estranei? Ad un padre che non riesce a perdonare? Ad un fratello con un
bambino a carico che poteva mettere in pericolo?”.
“Rivoglio mia sorella”
mormorò Thomas. “Dov’è? Cosa le sta succedendo?”.
“Dove sia mi è impossibile
dirlo adesso, Thomas, ma ovunque lei sia, sappi che Victoria non è più lei.
Adesso è quasi completamente una Riddle, una
Voldemort. Dico quasi, perché dentro di lei, comunque, c’è anche una parte di
Severus”.
“Che cosa vuoi dire?”.
“Vuol dire che potrebbe
essere recuperabile. Voglio dire che esiste una possibilità che Victoria torni
ad essere ciò che era, liberandosi di questa tossina che Voldemort rappresenta
per lei”.
“Come?”.
“Esorcizzare Victoria è
sicuramente l’unica strada che conosco, e l’unica percorribile. E per farlo,
dobbiamo ricorrere ancora al nostro Harry”.
“Cosa?” fece James.
“Harry ha sconfitto
Voldemort. Se i suoi punti deboli sono gli stessi, Harry è il nostro asso nella
manica”.
“E se non dovesse riuscirci?
Se dovesse fallire?” chiese piano Thomas.
“Allora non ci sarebbe altra
scelta che eliminarla” disse seccamente Silente.
“No!” urlò Thomas, scattando
in piedi. “Non esiste! No!”.
“Thomas, non sarebbe più
Victoria. Victoria sarebbe già...”.
“Non lo dica!” urlò ancora il
ragazzo.
“Victoria sarebbe già morta,
ragazzo. Se il pericolo fosse avanzato, per Harry e per tutti gli altri, allora
dovremmo ucciderla”.
Era stato James a parlare.
Fu una questione di secondi.
Senza che se ne rendesse
conto, la bacchetta di Severus era già sotto il mento di James.
“Nessuno alzerà la bacchetta
contro i miei figli, Potter” sibilò, in preda alla rabbia.
Sirius fece scattare in
avanti la sua, puntandola contro Severus.
“Abbassa la tua allora, Mocciosus” ringhiò.
“Due contro uno, eh? Come i
vecchi tempi”.
Con un fluido movimento di
bacchetta, Silente allontanò le bacchette dai loro proprietari.
“Non abbiamo bisogno di
questo, adesso” sentenziò Silente. “Ciò che conta è trovare Victoria, e capire
a che livello è arrivata”. Si voltò a guardare Thomas. “Sono certo che dentro
Victoria c’è la forza per combattere il male che alberga in lei”.
“Victoria non è cattiva” fece
Thomas, prossimo alle lacrime.
Severus ebbe un nodo in gola.
Aveva detto esattamente le parole di Edward.
“Non lo è” gli assicurò
Silente.
Si sentì il rumore della
materializzazione.
“Scusate il ritardo”. Un
bell’uomo dai capelli chiari e gli occhi azzurri si sciolse il mantello.
“Benvenuto, signor Romanov”
lo salutò Silente.
“Da questo momento” disse
Romanov con voce impostata “l’Agente Scelto Victoria Eileen Prince ed il suo
caso, il signor Thomas Wulfric Prince e suo figlio
Edward Thomas Prince sono sotto la tutela del Witchcraft
International Agency”.
“Cos’è?” chiese ingenuamente
Lily.
“I Servizi Segreti Magici”
spiegò Thomas, abbracciando Sergei Romanov.
“Victoria lavora per noi. È il vice del dipartimento di Giurimagia della sede della WIA di Boston, ed è un Agente
Scelto a tutti gli effetti. In base al fatto, quindi, che un nostro Agente è
coinvolto in una operazione di alta gravità, tocca a noi metterci in prima
linea. In questo caso, a me. Abbiamo parlato con Silente in questi giorni, sulla
possibilità che la situazione potesse sfuggire di mano, come purtroppo è stato.
Ci ha scritto delle righe a proposito della profezia e della sua implicazione
in merito, signor Potter. Il mio compito è assicurarmi che la sua operazione
vada a buon fine, e che il nostro Agente torni a casa sano e salvo”.
La voce di Sergei Romanov era calma ed armoniosa, a dispetto della
situazione. I grandi fari azzurri che erano i suoi occhi fissavano un Harry
Potter ancora piuttosto frastornato dalla sua ultima festa di compleanno, e
dalla sua amara conclusione.
Fuori, faceva lentamente
giorno.
La casa era stranamente
silenziosa.
Piton e Thomas si erano eclissati
di sopra con il piccolo ancora, fortunatamente, addormentato.
Lily aveva spintonato James e
Sirius da qualche parte, molto, molto in basso.
Silente era sparito, a fare
ricerche, a cercare qualcuno.
Qualcuno che non era
Victoria.
E Harry, inspiegabilmente,
non voleva stare solo.
Tutto quel silenzio lo stava
uccidendo.
Hermione e Ron erano corsi al
Ministero, per cercare di recuperare quante più informazioni possibili su eventuali
avvenimenti fuori dalla norma.
E Ginny... no, Harry non
sapeva dove fosse finita Ginny.
Lui era ancora lì, sulla
porta, a guardare Piton fissare il vuoto, mentre Victoria svaniva nell’aria.
E ricordava le urla,
infuriate, le sue, contro Lavanda, Calì, Dean, e
Hermione e Ron.
“Conosco Victoria da cinque
anni. Quando la vidi arrivare pensai che sarebbe stata una spina nel fianco. E beh,
lo è. Ma è una spina a cui mi sono affezionato”.
Sì, Harry capiva.
“Cosa ha intenzione di fare
se io dovessi fallire?”.
Harry sapeva che fare quella
domanda era un rischio.
Un rischio che doveva
correre.
“Se non ce la fa, Signor
Potter, proverò a salvare Victoria Prince, ne andasse della mia stessa vita. Le
consiglio di fare del suo meglio, in ogni caso”.
Non c’era astio nella voce di
Romanov, ma Harry sentì lo stesso un certo brivido freddo percorrergli la
schiena.
Sirius se ne stava a braccia
incrociate, la mente lontana dal chiacchiericcio stupido di Lily.
Era abituato alle sue
ramanzine.
Prima che si mettessero insieme,
Sirius le ignorava e la derideva.
Dopo, aveva imparato ad
ignorarla e basta, ed a tenere le sue considerazioni su Lily per sé.
O le diceva a Remus.
O a Peter.
Grave errore, questo.
In ogni caso, Sirius pensava
a se stesso.
A quel senso di vuoto, e di
sbagliato, e di – poteva ammetterlo a se stesso – paura, quando aveva sentito la storia, la vera storia, di Victoria.
Lui odiava Piton. Qualcosa in
lui non riusciva a tollerarlo.
Di atavico, forse.
E lui era un bastardo.
Voleva Victoria.
Non amava Victoria.
La voleva e basta.
Avrebbe voluto che lui la
volesse nella stessa maniera.
Ma lei non l’avrebbe mai
voluto.
“Mi hai portato qui, nel bel mezzo della più ridente
campagna inglese, in un assolato pomeriggio d’estate. Dimmi, Sirius Black, quante giovani ragazzine babbane
hai fatto cadere con questo metodo?”.
Sirius la guardò, a metà tra lo stupito e la nonchalance.
“Tu sei voluta venire. Io non ti ho obbligato”.
“La tua argomentazione buona, ma i tuoi occhi non sono
più abituati a mentire come una volta. Da quanto tempo è che non vedi una
donna?”.
Gli aveva riso in faccia, una risata debole e seccante.
Una risata che Sirius conosceva bene.
E così Sirius aveva capito
che, per la prima volta nella sua vita, lui era stato usato.
Questo lo aveva colpito, ma
non steso.
Ed adesso Victoria era lì
fuori, pronta a colpire.
Victoria non era più Victoria.
Forse, in realtà, Victoria
non era mai stata Victoria.
“... hai ragione, Lily”.
Lily placò improvvisamente il
suo parlare.
“Siamo stati degli stronzi
con Piton. Mi dispiace”.
“Dormi, Edward, è ancora
presto”.
“Papà... la zia...” Edward
sbadigliò, combattendo contro il sonno.
“La zia starà bene. Torna presto.
Dormi adesso”.
Thomas gli rimboccò le
coperte ancora una volta, con l’infinita pazienza che usava sempre quando
Edward non voleva andare a dormire.
“Dormi, piccolo mio” sussurrò
ancora Thomas.
Edward si sistemò tra le
coperte, e si addormentò di nuovo.
Thomas gli diede un bacio
leggero sui capelli sudati, si alzò dal letto del figlio e raggiunse il padre,
fermo sulla porta, le braccia incrociate e lo sguardo scuro.
Severus gli fece cenno di
seguirlo, e si fermarono sul pianerottolo, un paio di porte più in là.
“Kreacher
avrà sicuramente preparato una stanza per te, al piano di sopra” iniziò
Severus.
Thomas non rispose.
“Il viaggio sarà stato lungo,
immagino” continuò, dandogli le spalle, indicando le scale davanti a loro. “Vorrai
darti una rinfrescata...”.
“Papà” lo fermò Thomas.
Fu una prima coltellata, per
Severus.
“Papà” ripeté Thomas.
Severus si voltò, lentamente.
Affranto.
“Perché?” chiese solo il
ragazzo, lo sguardo supplichevole.
Severus conosceva quello
sguardo.
Era lo sguardo che riservava
alla madre, quando Tobias li picchiava e poi se ne
andava, lasciandoli in una pozza di sangue e paura.
Era quello il tipo di persona
che era diventato?
Era quello il tipo di padre
che voleva essere?
“Perché ero un ragazzo
inebriato dal potere. Perché sentivo di non avere altra scelta. Perché... perché
non ho idea di come funzioni una famiglia”.
Thomas sospirò, passandosi
una mano davanti agli occhi.
No, i Prince non piangevano.
Fece qualche passo,
raggiungendo il padre davanti al primo scalino.
Gli posò una mano sul
braccio.
Il braccio del Marchio Nero.
“Mi piacciono i the verdi
forti, senza zucchero. Pensi che questo elfo domestico ce ne preparerebbe una
buona tazza?”.
Severus guardò Thomas.
Il ragazzo strinse la presa,
gli occhi grandi, quelli di Edward.
Qualcosa
che aveva origliato, che non avrebbe dovuto sapere.
Il
segreto.
Il
grande segreto del padrone.
Nessuno
avrebbe dovuto saperlo.
Ma
lui era sempre stato un ragazzino curioso, e l’aveva odiato, perché aveva ridotto
la sua vita a brandelli.
Li
aveva odiati tutti, dal primo all’ultimo.
Vittime
di un delirio collettivo, di qualcosa che non avrebbe avuto fondamenta, mai.
Che
sarebbe comunque caduto, anche se la storia avesse preso una piega diversa.
Aveva
avuto tutto dalla vita, e tutto gli era stato tolto.
Poco
era rimasto della sua dignità.
Forse
solo un pallore riflesso in uno degli specchi sfuggito ad una di quelle notti
di implacabile ira solitaria.
Verso chiunque. Verso di lui. Verso di sé.
Quando
gli era stata concessa la possibilità di tornare indietro, quando anche gli era
permesso di scegliere di vivere, lui aveva rifiutato.
Adesso,
Draco Malfoy era solo, puro, accecato istinto di sopravvivenza.
“Non è del tutto vero”.
Harry sbatté le palpebre un
paio di volte.
“Intendo dire che è vero che Annabelle le ha rubato delle caramelle, ma è anche vero che
la poverina era stata provocata”.
“Che vuoi dire?”.
“Avevamo cinque anni. Annabelle era una bambina carina, con i capelli rossi come
il tramonto e gli occhi chiari, tutto quello che Victoria non era: capelli
neri, occhi neri, pelle bianca. Tuttavia, Annabelle
era la minoranza, e Victoria aveva iniziato a prenderla in giro perché aveva i
capelli colorati male”.
Severus inarcò un
sopracciglio.
“Annabelle
era carina. Molto. E quindi era popolare, per quanto in una classe di bambini
di cinque anni si possa essere popolari. E c’era quest’altro bambino, Kyle, che a Victoria piaceva molto, ma oggi non l’ammetterebbe
nemmeno sotto tortura, ma a cui piaceva Annabelle. Ed
anche a me piaceva Annabelle”.
“Ho già sentito questa
storia...” borbottò Sirius, a nessuno in particolare.
“Così Annabelle
rubò le caramelle che Victoria aveva avuto in premio dalla maestra per aver
letto la sua prima parola lunga – mi pare fosse cerbiatto – e le divise con Kyle, davanti
a tutti, sotto il suo naso. Allora Victoria si arrabbiò parecchio. E per
qualche strana ragione, una candela accesa per le feste di Natale andò a cadere
proprio sui capelli di Annabelle. Questa è la storia del perché Victoria odia le
persone con i capelli rossi perché rubano le caramelle”.
Harry rise.
“Victoria dice che Ginny le
ricorda questa ragazza” disse Sirius, a beneficio del piccolo gruppo di
persone, riunite a tavola nella speranza di riuscire a mangiare qualcosa.
“Era la ragazza che andata
via prima leggermente arrabbiata?” chiese Thomas, tagliando del pollo ad Edward.
Sirius annuì. “Un po’ le assomiglia, effettivamente” concordò Thomas.
Harry smise di ridacchiare ed
abbassò la testa nel suo piatto.
No, non era il momento per
annunciare alla famiglia che Ginny l’aveva mollato.
Il Patrono di Hermione
apparve improvvisamente in cucina.
Come faceva dalle cinque di
quella mattina, ogni ora.
Nessuna novità dal Ministero.
Come ogni singola ora.
Severus sospirò.
Edward sbatté le gambotte contro la sedia, nervosamente.
“Papà, quando torna la zia?”.
“Presto, Edward” cercò di
essere convincente Thomas.
“Presto quando?”.
“Presto”.
Edward guardò prima il padre,
poi il nonno, seduto accanto a lui, entrambi con le facce scure.
“Lo sai che io ho una scopa
che va velocissima, Edward?” Harry si sporse lungo il tavolo, cercando di
catturare l’attenzione di Edward.
“Davvero?”.
“Certo”.
“Oh” fece Edward, senza
smettere di guardarlo.
“Se mangi tutto e vai a fare
il riposino senza fare storie, ti prometto che dopo ti porto a fare un giro. Ma
devi chiedere prima il permesso a papà”.
Edward si spalancò in un
sorriso smagliante, poi si voltò verso suo padre, sbattendo gli occhioni.
“Papà?”.
“Sì, Edward?” Thomas conosceva
quell’espressione.
“Se mangio tutto e vado a
dormire, dopo posso andare sulla scopa di Harry? Per favore!”.
Thomas temporeggiò,
masticando lentamente l’insalata, facendo finta di pensarci.
Edward sembrava stesse per
scoppiare.
“Va bene” espirò alla fine,
come se fosse una concessione sofferta.
Edward si tuffò nella sua insalata.
Thomas sorrise a Harry, grato.
Non che non le piacesse la
vita attiva.
Solo, pensava che certe cose
fossero finite.
Saltellò su un muro,
avanzando elegantemente.
Nella vita si incontrano
persone di vario tipo.
Albus non rientrava in
nessuna categoria conosciuta.
Beh, quasi nessuna.
C’era qualcosa, in quella sua
voce, in quel suo sguardo, in quella sua dannata barba bianca, che avrebbe
convinto chiunque a fare qualsiasi cosa.
Specialmente da quando era
tornato.
Era diventato difficile
dirgli di no.
Si infilò in un condotto
secondario, abbassando la testa e gran parte del suo corpo.
Odiava lo sporco.
Ogni anno, almeno due persone
venivano addestrate per fare ciò che lei stava facendo in quel momento.
C’era addirittura una
organizzazione segreta che faceva quello che lei stava facendo in quel momento.
E c’erano almeno altre persone
che erano capaci di fare quello che lei aveva fatto per fare ciò che lei stava
facendo in quel momento.
Ma no.
Albus aveva scelto lei.
Come quella lunghissima notte
di tanti anni prima.
Scivolò sotto uno steccato
piegato, e saltellò nel giardino, non più curato come un tempo.
Sentì un profumo di pino
silvestre, e pesco.
Porte e finestre sprangate.
Una parte di tetto caduto.
Polvere.
Strisciò lungo il muro
esterno, seguendo l’istinto.
Qualcosa, all’interno, cadde.
Un’altra cosa.
Albus Silente non aveva mai
detto qualcosa che, in una maniera o in un’altra, non si era avverata.
Se avesse giocato a qualche
lotteria, probabilmente avrebbe vinto.
Allo stesso modo, anche in
quel momento, mentre correva veloce per non essere vista, Minerva McGranitt dovette
ammettere che sì, Albus faceva sempre centro.
Just keep it burnin’, yeah baby, just keep it comin’
You’re gonna find out baby, I’m one in a
million
(The Pussycat Dolls)
Chiuse la porta, evitando di
incontrarsi con lo stanco riflesso nello specchio sulla parete all’ingresso.
Si era liberato di tutti i
suoi elfi domestici, aveva voluto restare completamente da solo, alla fine di
tutto.
Così, adesso era costretto a fare
tutto da solo, cose che prima non aveva mai fatto, piccole azioni, gesti che
aveva creduto fossero vere e proprie magie sconosciute a quelli del suo rango.
Per poi scoprire che no,
preparare la colazione non avrebbe nemmeno richiesto la bacchetta, in via
teorica.
Si era fatto forza dicendosi
che se potevano farlo i babbani, allora avrebbe potuto farlo anche lui.
Non sempre gli dava quella
soddisfazione, in realtà.
Salì lentamente le scale.
Ricontrollò il pacchetto che
aveva sotto il braccio, sentendo lo stomaco vuoto, mentre con le nocche
dell’altra mano dava due colpi alla porta di legno di pino bianco davanti a
lui.
“È casa tua, Malfoy, non c’è
bisogno che bussi”.
Sapeva che l’avrebbe detto.
Non che gliel’avesse sentito
dire prima, ma, in un certo senso, Draco Malfoy stava vivendo un deja-vù.
Girò la maniglia, mantenendo
la testa bassa.
Sì, Draco Malfoy conosceva la
paura.
“Hai preso quello che ti ho
chiesto, Draco?”.
Il ragazzo biondo annuì,
appoggiandosi contro il marmo rosa pallido del caminetto spento per aprire il
sacchetto di carta marrone ed estraendone un paio di flaconi nuovi.
“Pozione Corroborante e
Pozione Sonno Senza Sogni” alzò prima una e poi l’altra bottiglietta.
Il Farmacista di DiagonAlley l’aveva guardato
abbastanza interrogativamente, ma non aveva fatto domande. C’era stato un
momento in cui Draco aveva utilizzato parecchie Pozioni di Sonno Senza Sogni,
ma a quei tempi, c’era anche un Farmacista diverso.
Era dura andare a dormire, e
ricordare che i tuoi genitori erano stati Baciati dai Dissennatori.
Ogni singola notte.
“Sei un bravo ragazzo,
Draco”.
La voce di lei era suadente e
calma.
Se non guardava, se non
avesse saputo, Draco avrebbe potuto pensare di lei parecchie cose, molte delle
quali sconvenienti da dire in pubblico.
Ma Draco aveva guardato, ed
aveva visto le sue iridi diventare rosse tra gli spasmi, mentre vomitava la sua
anima nera su letto che era stato di sua madre.
Chiunque fosse stata prima,
adesso non era più.
Draco Malfoy aveva visto la
sua morte, e la sua nascita.
Per un attimo, quando lei era
china, riversa tra le sue braccia, quando ancora era abbastanza lucida da
capire, Draco aveva avuto pietà per lei.
Avrebbe potuto salvarla?
No.
Avrebbe tentato?
No.
Draco era un orsacchiotto dalle
cuciture strappate, e l’unica cosa che gli era rimasta, era un coltello dalla
lama affilata.
Che lo stava guardando, in
quel preciso istante, mentre si aggirava lento per la stanza.
“No, non lo sono” scosse la
testa.
Lei era in penombra, seduta
al pianoforte, senza suonarlo.
Nessuno aveva mai suonato
quel piano.
Draco versò della Pozione
Corroborante in un calice, e glielo porse, guardando altrove, fuori, dalla
finestra alle sue spalle, dove il sole si spegneva lentamente.
Lei bevve.
Lei, a cui non sapeva dare un
nome.
“Bene. Molto bene”.
Lui le porse il braccio, e
lei lo prese, mostrandogli quel sorriso obliquo e cattivo che aveva su da
quando riusciva a tenersi in piedi da sola.
Draco l’aiutò a camminare
verso le sue stanze, dove avrebbe riposato ancora un’altra notte.
“È stata tua madre a
scegliere l’arredamento?” chiese lei, senza un motivo.
“Credo di sì”.
“Aveva molto buongusto”.
La lasciò un secondo a sedere
sul letto a baldacchino, dove il contrasto con la sua pelle diafana ed il drappo
bordeaux che ricopriva il letto era accecante, anche al buio.
Tornò nella stanza attigua,
dove prese la Pozione Sonno Senza Sogni, ed un calice pulito.
Di nuovo in camera da letto,
la trovò dove l’aveva lasciata, apparentemente inerme.
Apparentemente.
Riempì il calice con l’altra
pozione, l’appoggiò momentaneamente sul comodino e si chinò a toglierle le
scarpe, come un servo.
O un principe.
Draco non era né l’uno, né
l’altro.
“Il momento è vicino” sospirò
lei.
Draco annuì.
“Sai perché lo facciamo, non
è vero, Draco?”.
Sì, Draco sapeva.
Per vendetta.
Per rivalsa.
Per castigo.
“Ci prenderemo ciò che è
nostro, Draco, ciò che ci appartiene di diritto”.
Lui si permise il lusso di
alzare lo sguardo.
Lei aveva la testa
leggermente inclinata di lato, ed un’espressione così neutra da sembrare quasi
buona.
La verità, era che Draco
Malfoy aveva dimenticato cosa fosse il bene o cosa fosse il male.
Sapeva solo che non gli era
rimasto più niente per cui combattere, per cui vivere.
Poi era arrivata lei, e lui
l’aveva chiamata Destino.
Era l’ultimo dei Malfoy.
E Draco sapeva che sarebbe
stato anche l’ultimo per sempre.
Sapeva che tra qualche minuto
vi avrebbe trovato i segni.
Quando stringeva i pugni così
forti, poi, quella fastidiosa cicatrice chiara si faceva più visibile.
Le tenne fermi sulle
ginocchia, sotto il tavolo, cercando di focalizzare la sua attenzione sull’uomo
biondo.
“... Corroborante e Sonno
Senza Sogni. Nient’altro. Barba di almeno tre giorni. In ogni caso, si è
mantenuto abbastanza tranquillo durante i dieci minuti in cui si è attardato in
Farmacia” concluse Romanov, parlando a Silente e Thomas, più che altro.
“Davvero un’ottima intuizione
quella della Farmacia, signor Romanov” annuì Silente.
“Vuol dire che non è in forma
e che non riesce a dormire bene” sottolineò Piton, camminando dietro di loro.
“Probabilmente nei sogni ha
qualche ricordo della sua vita che disturba ciò che sta cercando di diventare”
tentò Romanov.
Un lampo squarciò il cielo
scuro.
Temporali estivi.
Non aveva fatto altro che
piovere, da che era successo.
Harry voleva davvero seguire la
strategia che Romanov, Silente e Piton stavano mettendo insieme per salvare
Victoria, ma non riusciva proprio.
La sua mente, il suo
cervello, la sua inspiegabile rabbia, si erano fermati tempo prima, a quando Sergei, rientrato con indosso il camice da Farmacista,
aveva informato un particolarmente agitato Thomas che:
“Draco Malfoy nasconde
Victoria, sono sicuro”.
Tutto quello che ne era
conseguito – Silente, Piton, i suoi genitori e Sirius che tenevano impegnato
Edward, nervoso da quando non gli veniva detto che fine avesse fatto la zia –
per Harry era un mormorio di sottofondo.
Draco Malfoy.
Draco Malfoy.
Draco. Malfoy.
Cominciava a pensare che se
ci fosse una costante nella sua vita, quella fosse il platinato nemico di
sempre, che lui aveva, per ben tre volte, salvato la vita.
Tutto gli sembrava una scena
già vista, qualcosa che aveva già fatto.
Lui, Piton, Silente, Malfoy.
Voldemort.
No. Quella era Victoria, non
era Voldemort.
La pioggia batteva
incessante.
Altro fulmine.
Altro tuono.
“Aspetta, Edward!” si sentì
Lily rincorrere Edward giù per le scale.
Il bambino irruppe in sala
spalancando la porta, andandosi a nascondere sotto il mantello di Piton.
Harry si aprì in un mezzo
sorriso.
Non avrebbe potuto immaginare
Piton senza il suo mantello.
Thomas, seduto accanto a lui,
fece per alzarsi a recuperare il figlio, ma Piton, con un movimento fluido,
prese il piccolo per spalle e se lo tirò in braccio.
Thomas restò seduto a metà,
sbattendo le palpebre.
“Sono solo tuoni e fulmini. È
una cosa naturale” tentò di spiegargli.
Edward mugugnò qualcosa di
incomprensibile, nascondendo la testa sulla sua spalla.
Piton gli accarezzò la testa,
lo sistemò meglio tra le braccia e guardò Silente, come se non fossero mai
stati interrotti.
“Irrompiamo a Malfoy Manor e basta”.
“Sarebbe pericoloso. Non sappiamo
se Malfoy sta radunando un esercito” scosse la testa Romanov.
“Convochiamo l’Ordine, allora”
proruppe Harry, trovandosi, inspiegabilmente, d’accordo con Piton.
“È responsabilità della WIA,
signor Potter, gliel’ho già spiegato”.
Harry aveva una certa
predisposizione positiva verso Romanov.
Fin quando non lo trattava
come un bambino stupido.
“E la WIA non può mettere a
disposizione qualcuno?” chiese Thomas, cadendo a sedere di nuovo.
“Thomas, il Capo ed io stiamo
cercando di mantenere la cosa il più coperta possibile. Se si sapesse che
Victoria è pericolosa per sé e per gli altri, verrebbe cacciata fuori in meno
di uno battito di ciglia”.
Thomas si passò una mano
sugli occhi.
“È di Tory
che stiamo parlando, Sergei, te lo ricordi?”.
“E pensi che rischierei la
vita se non fosse lei?”.
“Nonno...” mormorò Edward, da
sopra la spalla di Piton.
Harry alzò gli occhi verso il
bambino.
Il suo tono.
Era stato il tono di Edward.
Stava per piangere, ma tratteneva
le lacrime contro la sua volontà.
Perché i Prince non piangono
mai.
Nonostante tutti gli avessero
detto che Victoria stava bene, che sarebbe tornata presto, Edward aveva capito.
Edward sentiva che Victoria
era in pericolo.
“Andrà tutto bene, Edward,
tutto bene”.
E per la prima volta da che
lo conosceva, Harry poteva giurare sulla sua stessa vita che Piton non stava
affatto mentendo.
Harry si sedette fuori, sul
portico, accanto a Thomas.
“Fumi?” chiese.
Thomas scosse la testa,
rigirando il pacchetto bianco ed oro tra le mani.
“L’ho trovato al piano di
sopra, sul davanzale”.
Non ce la faceva.
Non riusciva a dire il nome
della sorella.
Non riusciva nemmeno a
pensarlo.
Lui era sempre stato l’uomo
di casa.
Eppure, era lei quella forte.
Quella che lo difendeva dagli
amichetti che lo prendevano in giro perché non aveva la mamma.
Quella che l’aveva sopportato
quando fantastica su Faith.
Quella che l’aveva tenuto
stretto, per notti e notti intere, quando Faith era morta.
Ed adesso, da qualche parte,
da qualche parte che lui non sapeva dove, ma che tutti lì dentro sapevano, sua
sorella era lì, che aveva bisogno di lui.
E lui era bloccato da uno
stupido incantesimo di blocco, lanciatogli da Silente non sapeva bene quando,
che gli impediva di oltrepassare quella dannata porta, in quella dannata
piazza, in quella dannata Inghilterra.
Potter alzò gli occhi al
cielo.
Due gocce rimbalzarono sui
suoi occhiali tondi.
“Piove” disse, ovviamente.
E Thomas, altrettanto
ovviamente, annuì.
“Edward ha paura della pioggia,
dei temporali. Non so perché. Ha superato tante cose, ma questa dei temporali
proprio non gli passa”.
Thomas non sapeva perché stesse
raccontando quelle cose.
Forse per distogliere il
pensiero di Victoria.
Forse perché gli pareva
assurdo, nonostante lo avesse desiderato un mese prima, che in quel momento, in
cucina, suo figlio stava mangiando un dolcetto seduto sulle ginocchia del
nonno, di suo padre.
“Pioveva quando ho detto a
mio figlio che sua madre non sarebbe più tornata a casa dall’ospedale. E piove
adesso”.
Harry Potter si voltò a
guardarlo.
“No, forse lo so perché non
riesce a superarlo” scosse la testa, sentendosi ridicolo.
Ridicolo di fronte a Harry
Potter.
Il tutto aveva del surreale.
“Non avrei mai immaginato che
un giorno mi sarei trovato a parlare con Harry Potter”.
“Ed io non avrei mai
immaginato che avrei parlato con i figli di Severus Piton” ammise lo stesso
Harry, candidamente.
Thomas gli fu grato solo perché
aveva parlato al plurale.
“Deve essere stato difficile,
per voi” aggiunse.
Thomas scosse le spalle,
guardando il pacchetto di sigarette tra le sue mani.
“Più o meno come per te”.
Thomas e Harry si guardarono.
“Salverò Victoria”.
Thomas socchiuse gli occhi,
inclinando la testa da un lato.
“È priorità dei membri della
mia famiglia essere dei bravi Occlumanti, Potter”.
Harry ridacchiò, sostenendo
lo sguardo.
“È priorità della mia
gettarsi in situazioni pressoché impossibili, ed uscirne vincitori”.
“Voglio sperare che sia così”
sospirò Thomas.
“Ho già ricevuto una minaccia
a regola d’arte da Romanov”, ricordò Harry, guardando la pioggia battere sui
sanpietrini davanti a loro.
Thomas ridacchiò.
“Victoria è acida, cattiva,
sarcastica... ma c’è qualcosa in lei che impedisce di odiarla fino in fondo. Non
so, come se ci fosse qualcosa che freni l’astio che puoi provare per lei. Come un
incantesimo”.
“Lo so” rispose Harry.
In fretta.
Troppo in fretta.
“C’è qualcosa che devi dirmi,
Potter?”.
Harry si voltò di scatto, le
orecchie in fiamme.
Era troppo, troppo... Piton.
“Ho avuto modo di venire a
conoscenza della simpatia che intercorreva tra la mia Victoria e Black, ma se ci fosse dell’altro, mi coglierebbe
impreparato”.
Sì, Thomas lo stava facendo
apposta.
Sì, Thomas aveva passato una
lunga notte ad ascoltare suo padre inveire contro i Potter e tutta la loro
razza, ed aveva visto l’odio saltare da suo padre a quello di Potter.
E sì, Thomas aveva capito che
suo padre non era stato esattamente un angelo protettore, per il giovane
Potter.
“Se tuttavia ci dovesse
essere qualche altra cosa, Potter, ebbene, potrei anche far finta di non
sapere. Potrei fingere di non vedere in questo momento. Potrei perfino evitarti
una buona dose di incantesimi di dubbia legalità. Ma non sono sicuro che potrei
renderti la vita facile... dopo”.
Thomas si prese il suo tempo
per guardare le espressioni di incredulità, panico e sorpresa rincorrersi sul
giovane di uno più che stoico Potter.
Era troppo facile metterlo in
imbarazzo.
Era abituato a fare il
discorso a ragazzi più grossi di lui, fisicamente ed anagraficamente.
C’era qualcosa di puritano,
in quel manipolo di inglesi.
Qualcosa di quasi puro.
Qualcosa che gli fece
desiderare di mandare Edward a Hogwarts.
Harry non rispose.
Guardava Thomas
boccheggiando, cercando uno stupido appiglio.
Per tutta risposta, Thomas
gli sorrise.
“Non parlerò se tu non
parlerai. Per me, questa conversazione non è mai avvenuta”.
Si alzò e tornò dentro,
infilandosi il pacchetto in tasca.
Thomas era un bravo ragazzo,
che diceva buongiorno e buonasera, che chiedeva scusa, diceva grazie e sapeva
essere riconoscente.
tuttavia, Thomas era anche un
fratello.
Avrebbe ucciso Harry Potter
con le sue stesse mani, se non gli avesse riportato Victoria.
Ma si sarebbe divertito, e magari
se ne sarebbe anche pentito, quando Victoria sarebbe tornata.
You’re fragile and you’re
cold, but that’s all right
Life these days is getting
rough
They’ve knocked you down
and beat you up
But it’s just a
rollercoaster anyway
(Maroon 5)
Stava diventando
discretamente bravo.
Se fosse riuscito a
sopravvivere, ipotesi in cui non riponeva molta fiducia, sarebbe scappato in un
posto caldo, ed avrebbe aperto un bar.
Magari ai Caraibi.
“Dimmi che è uno scherzo”.
Fece cadere due piccoli
cubetti di ghiaccio, poi l’oliva, e guardò soddisfatto il suo risultato.
Era vero, in quel che
dicevano quelle sciocche nate babbane Tassorosso: se
una cosa la sai fare con le mani, ti darà ancora più soddisfazione di quando la
fai con la bacchetta.
Anche se aveva sentito quella
frase a proposito di altro.
“Non sono bravo?” chiese,
infantilmente, mostrandole compiaciuto il suo Martini Dry.
Daphne gli fece un cenno con
la mano, scostando il bicchiere da sotto il suo naso.
“Smettila di fare il
ragazzino” soffiò, irritata. “I miei elfi lo sanno fare più velocemente di te”.
Draco fece spallucce, bevendo
il suo drink tutto d’un fiato.
Una volta, aveva una cosa
chiamata fegato.
Adesso, chissà dov’era finita?
“Come mai non ti sei sposata,
Daphne? Sapevo che tuo padre aveva grandi progetti per te”.
Si spostò dal mobile bar di
casa Greengrass e si accomodò su una poltrona.
“I grandi progetti, come li
chiami tu, o sono morti, o sono stati Baciati, o hanno sposato MillicentBulstrod”.
Draco ridacchiò. Apprezzava l’ironia.
“Mi piacerebbe rivedere Pansy
Parkinson” disse, annuendo a niente in particolare.
“Prova a cercarla da qualche
in Messico” sbuffò Daphne, indignata.
Draco conosceva Daphne da
molti anni.
Gli aveva offerto protezione,
cibo e qualche chiacchierata nei freddi inverni dopo la morte dei suoi
genitori.
Poi lui era sparito dalla
circolazione, e non aveva più avuto notizie della sua vecchia amica.
Amica. Che parola buffa.
“Dimmi che è uno scherzo,
Draco” ripeté, parandosi di fronte al ragazzo, le mani incrociate al petto.
Draco si chinò verso di lei,
poggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Cosa dovrebbe essere uno
scherzo, Daphne?”.
La ragazza sbuffò, dandogli
le spalle.
“Non posso trattenermi a
lungo, mia cara, anche se ho sempre amato la tua compagnia” le sorrise, quei
sorrisi tristi e freddi che lo accompagnavano da molti anni. “Quindi, qualsiasi
cosa tu debba dirmi, fallo in fretta: ho degli ospiti a casa”.
Daphne si voltò, inginocchiandosi
per poterlo guardare dritto negli occhi.
“Cos’è questa storia, Draco? Me
l’ha detto Millie”.
Caro, vecchio, linguacciuto Theodore.
“Esattamente quello che ti ha
raccontato la signora Nott, Daphne”.
Gli occhi verdi della ragazza
si dilatarono.
Paura?
Per chi?
Per cosa?
“Quale incantesimo, quale
assurdo, illegale, pazzo incantesimo...” iniziò, la voce fioca.
“Non conosco la storia
completamente, so solo quello che ho sentito, e che vedo tutti i giorni da
almeno una settimana”.
Daphne volse lo sguardo
lontano, annaspando l’aria.
“Cola cattiveria da ogni
poro, letteralmente”.
La ragazza chiuse gli occhi,
tremando leggermente.
“Cosa... cosa speri di
ottenere?” riuscì a chiedere, conficcandogli, senza volerlo, le unghie nelle
ginocchia.
“Non lo so. Vendetta. Forse voglio
solo una fine, Daphne”.
Le voltò il viso con un dito.
Aveva degli occhi bellissimi.
Anche se gonfi di lacrime.
“Perché piangi, Greengrass?”.
“Perché sta succedendo
ancora. Tu non sei stanco di tutto questo, Draco? Non volevi anche tu che tutto
finisse?”.
Draco le accarezzò una
guancia con il pollice.
“È esattamente quello che
voglio, Daphne. Una fine. Perché sono stanco, sono molto, molto stanco”.
Abbassò il capo.
Draco Malfoy era stato
sconfitto da Draco Malfoy.
Daphne gli prese la testa tra
le mani e gli baciò i capelli, tirando su col naso.
“Hai ancora una possibilità”
mormorò nella chioma bionda.
Draco le passò le braccia
intorno alla vita, stringendola a sé.
“Non posso, Daphne”.
“Perché?” implorò la ragazza.
“Perché è già deciso tutto. Sa
cosa vuole ed io – noi – ci batteremo
finché la ottenga. Non posso più tornare indietro”.
Cercava di trovare quel tono di
voce spietato che lo aveva aiutato a convincere vecchie conoscenze a seguirlo
in quella folle corse.
Ma gli occhi, le braccia, i
respiri di Daphne erano lì, e dannazione, lei era stata così una pessima
Serpeverde.
“Perché non ne ho il coraggio”.
Daphne gli allontanò delle
ciocche ribelli dalla fronte.
“Posso farlo io. Dimmi tutto
ciò che devo sapere, andrò io, parlerò io con Silente...”.
Draco sorrise, allontanandola
da sé quel tanto che bastava a guardarla negli occhi.
“Smetti di amarmi,
Greengrass. Per favore”.
E la fermezza con la quale
Daphne aveva tenuto a freno ogni sua lacrime venne spazzata via, e le lasciò
cadere, nascondendosi nel collo dell’uomo che amava da sempre, e che non aveva
avuto mai.
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Grazie a Earnil, Chiara Malfoy Potter e JDS che leggono e commentano sempre. Non so come ringraziarvi. :)
Aveva già preparato uno zaino
del genere, anni prima.
Anzi, in realtà era una
rumorosa borsa di perline, intuito di Hermione.
Adesso, Harry Potter parlava
con Hermione Granger, la sua migliore amica, solo se lei era insieme a Ron, il
suo migliore amico.
Da soli, lui non riusciva a
dirle niente.
In qualche modo oscuro, Harry
la riteneva responsabile.
Avevano parlato. Avevano urlato.
Di lui, di lei, di Ginny, di
Ron, di Dean, di Lavanda, di Calì, di Victoria e di
nuovo di Ginny.
Poi lei era scoppiata a piangere,
lui era uscito sbattendo la porta, prima di ricordarsi che, tecnicamente, lui
era a casa propria.
Allora era arrivato Ron,
aveva cercato di consolare entrambi, ed alla fine Harry e Hermione si erano
chiesti scusa, ma Harry era ancora arrabbiato con Hermione per aver parlato con
personaggi come Dean, Lavanda e Calì e Hermione era
ancora arrabbiata con Harry per via di Ginny, che diceva a tutta DiagonAlley che la sua storia
con Harry era finita perché lui non aveva intenzione di sposarla perché era un
farfallone.
Almeno, Ginny aveva avuto la
decenza di tenersi per sé la storia di Victoria.
In realtà, Ginny era piombata a Grimmauld
Place mentre erano tutti in attesa di notizie da Silente, ancora troppo scossi
da quello che successo, pretendendo spiegazioni su tutto.
Harry aveva cercato di farle
capire che non era il momento, ma lei aveva continuato, tirando in ballo il
passato, il futuro che lei aveva in mente, e suo padre.
Alla fine, Ginny aveva detto
a Harry che voleva una data, certa, sicura, perché lei voleva sposarsi.
Sposarsi. Non sposarlo.
Allora Harry aveva risposto
mai, per sadismo puro più che per altro, e Ginny aveva girato i tacchi e se n’era
andata.
Senza piangere, perché Ginny
odiava piangere.
“Sei pronto, tesoro?”.
“Quasi, mamma”.
Harry infilò le ultime cose
alla rinfusa, strinse la cinghia e si buttò lo zaino dietro le spalle.
“Stai pensando a Ginny?”.
Harry scrollò le spalle,
lasciando che sua madre gli scompigliasse i capelli.
“Magari quando quest’altra
avventura sarà finita, le cose si rimetteranno a posto”.
Harry guardò sua madre di
sbieco.
“Avventura, mamma?”.
Lily gli sorrise, prendendolo
a braccetto.
“Tuo padre ha una pessima
influenza su di me” si giustificò.
“A te piace Ginny?”.
“Certo” annuì Lily.
“Sicura?”.
“Sì, sono sicura. Una brava
ragazza, decisa, forte. Mi piace”.
Harry la guardò, guardando i
suoi stessi occhi.
“Ed a papà? A lui piace?”.
“Sì, a lui sì. A Sirius non
piace, e questa è una confidenza”.
Harry non si stupì di quest’ultima
frase.
Rientrarono in salotto, dove
Silente se ne stava fermo davanti al camino, Metropolvere
in mano.
“Non possiamo andare con le
scope?” stava chiedendo James, per l’ennesima volta, data la faccia di Piton.
“No, James” rispose
educatamente Silente. “Harry, sei pronto?”.
E Harry sapeva che non si
stava riferendo allo zaino.
Annuì.
“Allora noi andiamo” disse
Remus.
“Non capisco perché proprio
io debba starmene a casa” sbottò Tonks.
“Tu resti a casa con Teddy ed
Edward, Tonks, hai una grande responsabilità”.
“Mi stai trattando come una
bambina, quando sono l’unica qui che si ricorda come funziona un Auror”.
Remus le prese il viso tra le
mani, sorridendole.
“Abbi cura di nostro figlio e
del suo migliore amico, Dora. Tornerò presto”.
Tonks lo fissò per un lungo
momento, sciogliendosi in un sorriso.
“Dormirai sul divano, quando
tornerai”.
“Tanto lo so che non ci
dormirò da solo”.
Harry scostò lo sguardo,
quando si baciarono.
“Allora, Ramoso, te lo
ricordi come funziona la Metropolvere?” abbaiò
Sirius, sorridendo.
“Scostati, cagnaccio
insolente” lo spinse lontano James, prendendo una manciata di polvere dal
sacchetto che porgeva Silente tra le mani sottili e rugose.
“Hogwarts!” disse ad alta
voce, sparendo tre sbuffi di fumo e polvere.
La pazienza non era un tratto
tipico dei Grifondoro.
Così, mentre James e Sirius
tentavano di sciogliere la tensione fingendo di duellare con la bacchetta,
Remus controllava il cielo stellato, e Lily sorseggiava del the battendo
ritmicamente il piede sul pavimento, Harry gironzolava per la Sala Grande,
toccando armature, guardando la Sala dalla prospettiva dei professori, sospirando
di tanto in tanto.
“Siediti, Potter” soffiò
Piton, seduto a sua volta davanti a Lily, con Thomas e Sergei
al fianco.
“Non dare ordini a Harry”
cantilenò James, poco distante.
Harry, comunque, si sedette
lo stesso.
La McGranitt sulla Torre di
Grifondoro.
Vitious su quella di Corvonero.
La Sprite fuori, sui tetti di
una delle serre.
Lumacorno, dopo lunghi e
profusi saluti, controllava il passaggio dalla Stanza delle Necessità dall’interno
del castello, Aberforth Silente dall’interno della Testa di Porco.
Silente comparve dal portone
d’ingresso, ancora brandendo la sua bacchetta. Era andato fuori a dettare gli
ultimi incantesimi alle porte di Hogwarts.
No, non di protezione.
Mundungus, scampato alla Guerra, agli Auror ed ai creditori, si
era rivelato il solito, fidato, spione.
Si era ritrovato, infatti, a
mercanteggiare con un giovane uomo alto, bruno e con gli occhi chiari della
Polvere Buio Pesto Peruviana, illegale nella maggior parte dell’Inghilterra, a
meno che non ci sia una previa richiesta dal Ministero, e che, prima della sua
chiusura, era un prodotto che poteva vendere solo il Tiri Vispi Weasley.
Silente aveva allora tirato
fuori il ricordo da Mundungus, ed aveva riconosciuto nell’acquirente
del ladruncolo uno dei più validi elementi della Casa dei Serpeverde: Blaise Zabini.
E non era un mistero per
nessuno che Zabini stava a Malfoy come Ron stava a Harry.
Il piano dell’ex Preside era,
quindi, di mettere incantesimi di allarme, ma non di protezione, in tutto il
castello. Era infatti convinto che sarebbe stato meglio giocare con loro come
il gatto col topo, piuttosto che infastidirli, facendo loro notare quanto
fossero inetti, e, soprattutto, tenendo a freno il più possibile i poteri d
Victoria.
Silente non aveva usato la
parola inetti.
Harry non era agitato per la
questione in sé – fronteggiare un essere malvagio ed una schiera di suoi
possibili seguaci.
Harry temeva per Victoria.
Non temeva Victoria.
Non aveva paura di lei, o dei
suoi poteri magici, o di quanto potesse far del male.
Harry aveva paura di non
riuscire a toglierle quel... quel mostro
da dentro.
“Tutto pronto. Adesso dobbiamo
solo aspettare”.
“Aspettiamo” disse Sirius,
cercando di far saltare via la bacchetta dalle mani di James.
Thomas sospirò, scattando in
avanti, come se volesse afferrare qualcosa.
“Posso mandare un Patrono a
casa dei Lupin, signore?” chiese, intercettando lo sguardo di Silente. “Sono in
pensiero per Edward, non è mai stato solo così a lungo”.
Lily si protese per
afferrargli una mano, sorridendogli.
“Può farlo Remus, Thomas”
annuì Silente. Remus Lupin annuì a sua volta, lanciando un incantesimo
attraverso i vetri della finestra a cui era appoggiato, senza distruggerli.
Calò il silenzio, in Sala
Grande.
Silente prese posto al tavolo
degli insegnanti, più per abitudine che per altro. Come mossi da un istinto,
James e Sirius riposero le loro bacchette, e si sedettero accanto a Lily. Dopo qualche
minuto, li raggiunse anche Remus.
Sedevano tutti al tavolo
centrale, quello che sarebbe appartenuto ai Corvonero, tra qualche tempo.
Un tavolo neutrale, aveva
commentato la McGranitt, guardandoli fluire ad uno ad uno nel suo caminetto, dirigendoli
in Sala Grande.
Ci fu silenzio.
Silenzio.
Ancora silenzio.
Attesa snervante.
“Merlino, mi ci vuole una
vacanza” sbottò Thomas, poggiando la testa sui palmi delle mani aperte,
entrambe le braccia appoggiate sui gomiti sul tavolo. “Non mi ricordo nemmeno
com’è fatta casa mia”.
“Allora la tua vacanza la
farai disteso sul divano?” ridacchiò Sergei.
“Fuori. In giardino. Metterò una
piscina, due amache, una scorta di bibite fresche e mi ci piazzerò con mia
sorella e mio figlio almeno fino al Giorno del Ringraziamento”.
Sergei gli passò una mano sulle spalle.
Harry non ci aveva ancora
pensato.
Un giorno, vicino, loro
sarebbero tutti andati via.
E probabilmente neanche Piton
ci aveva pensato, perché aveva alzato lo sguardo verso suo figlio, arricciando
le labbra.
Mia sorella. Mio figlio.
Thomas aveva un grande senso
della famiglia.
Suonava strano, se pensava al
contesto in cui era venuti al mondo.
Questa era la forza di
Thomas: un Piton, senza la presenza di Voldemort.
Harry sentì la necessità di
sorridergli, grato del fatto che non lo stava guardando.
Non sentirono arrivare l’incantesimo.
Videro solo le pareti della
stanza tingersi di verde, mentre il Patrono della professoressa Sprite
irrompeva in Sala Grande, svolazzando intorno alla testa del Preside.
Il pigolare continuo di Nott alle sue spalle era fastidioso, come il ronzio di una
zanzara in un’afosa notte estiva.
Ebbene, quella era una notte
estiva decisamente poco afosa, e Nott era decisamente
fuori misura per essere una zanzara.
“Cosa succede, Draco?”.
Draco si arrestò, alzando lo
sguardo dalla ghiaia che calpestava.
“Assolutamente niente” mentì,
sentendo il pungolare di un dito di Nott.
Theodore, così come Millicent, così
come anche Zabini, soltanto che Blaise non l’avrebbe
mai detto ad alta voce, non erano del tutto d’accordo del piano.
Entrare a Hogwarts dalla
porta principale, e distruggere qualsiasi cosa si fosse parato loro di fronte.
Poi, distruggere quel dannato
castello.
Niente di più semplice.
Camminavano a viso aperto per
una Hogsmeade straordinariamente silenziosa, segno evidente che il vecchio
stava facendo altrettanto apertamente il suo lavoro di contrattacco.
Contrattacco era una parola
grossa.
Fino a quel momento, nessuno
si era parato loro innanzi, reclamando qualcosa.
Tutto era strano, quindi.
Lei voltò leggermente il
capo.
Il profilo del volto perfetto
e cattivo illuminato dalla luce delle stelle, in quella notte senza luna.
“Possiamo farlo anche da
soli, Draco. Se qualche tuo amico vuole abbandonarci, che lo faccia pure,
tornando esattamente da dove è venuto”.
Draco non seppe cosa
rispondere, sentendo la paura serpeggiare tra loro come una dannata nebbia
fredda.
Nott fece qualche passo indietro. Draco avrebbe voluto
urlargli di starsene fermo dov’era, ma Theodore era
un dannato fifone buono solo a farsi bello con gli amici.
Non arrivò neanche a contare
fino a tre.
Theodore ruzzolò a terra, tenendosi la testa e urlando nella
notte sul ciglio del viale.
Millecent emise un gridolino e corse al capezzale del marito,
cercando di capire cosa avesse.
Draco guardò l’amico sbarrare
gli occhi nel buio, contorcendosi.
Inorridito, la gola secca, si
voltò a guardarla riporre lentamente la bacchetta.
“Non tratteniamo nessuno,
vero, Draco? Ma è meglio evitare che qualcuno vada a dire in giro quello che ha
visto”.
Un suicidio a capo scoperto,
ecco quello che era.
Ripresero a camminare
lentamente, ondeggiando come un gruppo di pecore cieche e sorde.
Draco sapeva perché lo stava
facendo.
Ma gli altri?
Tutte quelle persone che lui
aveva radunato, perché non l’avevano picchiato, bastonato di fronte alle loro
porte, quando lui si era parato loro innanzi?
Quanto ciechi e sordi
potevano essere stati?
In cosa credevano, loro?
“La tua volontà sta
vacillando?”.
Non si era fermata.
“No” rispose sicuro,
ascoltando le urla di Theodore ed il pianto di Millicent perdersi in lontananza.
Blaise non aveva portato
nessuno.
Blaise, come lui, era rimasto
solo, scapolo.
Perché troppe ne aveva viste,
troppe ne aveva sentite, e non voleva, non poteva condividere il suo dolore ed
il suo schifo con qualcun altro.
Blaise aveva conosciuto il
mondo Babbano e ci si era lanciato, vivendo di quello che i suoi genitori gli
avevano lasciato, e scopando con ignare commesse e studentesse di Londra e
dintorni.
Draco poteva giurare che
Blaise non voleva morire.
A differenza sua, Blaise
aveva perso la speranza, ma non la voglia di sentirsi vivo.
E dopo quello che era
successo, dopo aver assistito a tutti i processi, dopo aver visto amici e
parenti venire Baciati, o scappare, o spediti ad Azkaban,
Blaise aveva maledetto il giorno in cui era nato mago.
Per questo Blaise si era
trasferito a Soho, per questo dormiva di giorno e viveva di notte, come quel
tale, Sanguini, il vampiro amico di Lumacorno, per questo, quando era sveglio,
tendeva ad essere il meno lucido possibile.
Perché non c’è niente di
peggio del dolore dei sopravvissuti.
Il motivo per cui Gregory si
era suicidato.
Malfoy reietto, Goyle suicida, Zabini alcolista.
Brutta fine, quella dei
Serpeverde.
Potter aveva tolto loro anche
quello, l’onore di essere membri della casa più esclusiva di Hogwarts.
Ma forse non era stato Harry
Potter, forse era stato Voldemort.
Forse erano stati i suoi
genitori, e quelli di Goyle, di Tiger, di Zabini.
Forse erano stati loro.
Non importava più.
Importava solo che qualcuno
pagasse.
E che fosse Draco, Potter, i
morti, o lei, non importava.
Bisognava chiudere il
cerchio, prima di finire come i Paciock.
Lumacorno aprì la porta con
un gran fragore, tenendosi il petto come se gli stesse per venire un attacco di
cuore per aver fatto qualche rampa di scale correndo.
“A... Aberforth dice che non
si sono fermati alla Testa di Porco. Camminano dritti. Non si fermano al
villaggio. Stanno venendo qui”.
“Quanti sono?”.
“Dieci. Quindici al massimo”.
“Sarà una passeggiata allora!”
disse trionfante Ron, sguainando la bacchetta.
“Non voglio altre morti a
Hogwarts. Nessuno morirà stasera” fece Silente greve, alzandosi dalla sua
poltrona al centro del tavolo degli insegnanti.
Camminò fino al centro della
Sala Grande, davanti al tavolo dei Corvonero, dove anche gli altri si alzarono,
compresi gli appena arrivati Ron, Hermione, Fred e George.
“Horace,
richiama Minerva e gli altri insegnanti. Inutile che stiano di vedetta,
sappiamo dove stanno andando”.
Lumacorno annuì e lasciò la
stanza.
“Inoltre, devo chiedere ai
signori Weasley di lasciare la stanza e tornare a casa”.
Fred e George si guardarono
interrogativamente, poi puntarono il dito verso Ron.
“Lui è compreso?” chiesero in
coro.
“È un Auror, la sua
preparazione potrebbe esserci utile”.
Sfacciati, i due gemelli
risero.
“E lei pensa davvero,
signore, che noi ce ne andiamo così?”.
“Senza fare niente per lei?”.
Piton li osservò, senza
parlare.
“Signore, Victoria mi ha
ridato Fred. Io non posso stare senza far niente, devo esserci” spiegò George,
pacatamente.
Silente li guardò a sua volta
da sopra gli occhiali a mezzaluna.
“Qualsiasi cosa io dica o
faccia non vi impedirà di restare, o di tornare in qualche modo, suppongo”.
“Le sue supposizioni sono
sempre esatte, signore” gli sorrise Fred. “E poi, due bacchette in più fanno
sempre comodo”.
“Grazie” mormorò Thomas. I gemelli
gli regalarono due sorrisi a sessantaquattro denti.
“Cosa crede che sta per
accadere, signore?” chiese Hermione.
“Penso che siano venuti a
reclamare Hogwarts. Victoria, Thomas ed Edward sono i diretti eredi di Salazar
Serpeverde. Legalmente, parte della scuola appartiene a loro. Dubito che stia
arrivando per pretendere un posto in Consiglio d’Amministrazione, comunque”.
Sirius si voltò nervosamente
a guardare fuori dalla finestra alle sue spalle.
“Il nostro scopo è salvare
Victoria” prese la parola Sergei. “Penso sia
opportuno dividerci in squadre”.
Silente annuì, lisciandosi la
lunga barba.
“Giusto. Signor Romanov, lei e Potter sarete la squadra da proteggere, allora. Signori
Weasley e signorina Granger, suggerisco di prendere posto verso il quinto piano.
Signori Potter, signor Black e signor Lupin: voi vi
apposterete al secondo piano, nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, dove
potrete prendere in agguato i seguaci del signor Malfoy. Harry, tu salirai
sulla Torre di Astronomia insieme al Signor Romanov, sarete l’ultimo baluardo. Mi
raccomando, non uccidete nessuno”.
“Noi, Albus?” scattò Piton.
“Esiste, Severus, la possibilità che Harry fallisca. Per questo motivo,
preferirei che tu e tuo figlio foste con me, accuratamente nascosti sotto la
Torre, nel caso in cui ci fossero degli incidenti di percorso. Se Harry, come
nemesi vivente di Voldemort, non riuscisse ad estirpare il male dal corpo di
Victoria, l’ultima nostra estrema possibilità è che si faccia muovere a
compassione dal ricordo di Thomas ed Edward”.
“Perché non subito, allora?”
chiese concitato Thomas. “Io posso salvare mia sorella. Io devo farlo”.
Piton gli mise una mano sul
braccio, trattenendolo.
“Andiamo con Silente, Thomas”.
Thomas guardò il padre come
se lo stesse invitando a gettarsi nel Lago Nero. Dopodiché annuì, chinando il
capo, sconfitto.
“Li stiamo facendo
praticamente entrare stendendogli un bel tappeto rosso a terra, signore!” si
oppose James.
“Sì, signor Potter” confermò
Silente.
“Perché?”.
“Victoria è con Malfoy. Le possibilità
sono due: o lui l’ha trovata per caso, cosa che non credo possibile, oppure si
è Materializzata direttamente a Malfoy Manor”.
“Dove si nascondeva Voldemort” ricordò Harry.
“Esattamente, caro ragazzo. Esiste
un legame tra Voldemort e Victoria, che ha portato quest’ultima ad apparire
nell’ultimo posto che Tom Riddle ha potuto chiamare
casa”.
Cadde un attimo di silenzio,
le mente di tutti impegnati a collegare gli eventi.
“Probabilmente Malfoy sta
cercando di vendicare i suoi genitori. Si vuole vendicare di Harry” azzardò
Ron.
“E lo fa adesso perché ha un’arma
potente come Victoria in mano” concluse Hermione.
“Codardo” sibilò Sirius.
Harry guardò Romanov
stringere la bacchetta tra le dita.
“Quando l’avrò di fronte, signore, cosa dovrò fare?”.
Silente gli sorrise.
“Potrai offrirle delle
caramelle”.
Harry, Thomas, Piton e tutti
gli altri boccheggiarono.
I professori Vitious, Sprite, McGranitt e Lumacorno tornarono in Sala
Grande.
“Bene. Minerva, per favore,
chiedi a Gazza di aprire i cancelli del parco, e tu, Pomona,
per favore, apri i portoni d’ingresso”.
“Albus?” fece la McGranitt.
“Stai tranquilla, Minerva. Andrà
tutto bene. Anzi, resta nei sotterranei con Horace e
gli altri, nel caso in cui qualcuno dei ragazzi voglia perlustrare la loro
beneamata Sala Comune”.
“Albus?” chiese ancora la
McGranitt.
“Vai, Minerva. Bene, signori,
ognuno ai propri posti, e buona fortuna a tutti”.
Dei dodici, due erano stati
lasciati ad Hogsmeade.
Quattro mandati nei
sotterranei.
Cinque erano caduti lungo il
tragitto, tre al secondo piano e due al
quarto.
Ed alla fine, ne restava
soltanto uno.
Lei non aveva fatto niente.
Lei l’aveva sempre saputo.
Lasciava che gli altri si
immolassero, che creassero un diversivo, che lasciassero libero il passaggio.
Perché nessun altro si
sarebbe intromesso tra lei e la sua vendetta.
Aveva sentito il lupo urlare
il suo nome tra gli schianti degli incantesimi, ma lui aveva stretto i pugni ed
era corso avanti, sorreggendosi alle gonne di lei, come un bambino impaurito.
E lei avanzava, lentamente,
inesorabilmente.
Aveva visto i Weasley
scostarsi, per dedicarsi esclusivamente a Blaise e Tracey.
Uno Schiantesimo
di Ron Weasley gli schioccò nel fianco, ma la ferita era superficiale e non
sanguinava abbastanza da impedirgli di stare al passo di lei.
O di rovinare a terra e
lasciare che la Granger lo finisse.
Nei suoi sogni più terribili,
Hermione Granger gli calpestava il volto col piede ingioiellato, mentre al suo
fianco un sempre pavido Ronald l’aiutava a sorreggersi, guardando la scena con
quel suo stupido ghigno.
In un’altra vita, forse Draco
Malfoy avrebbe voluto essere un Ron Weasley qualsiasi.
Sua madre soleva dirgli
quanto fosse stata atroce la scelta di Marion Weasley di fare così tanti figli,
ma quando hai sei anni e gli unici esseri con cui giochi sono elfi domestici e
stiletti d’argento, la compagnia di un fratello è l’unica cosa che
desidereresti affinchè la tua vita sia felice.
Sua madre lo amava
teneramente, le piaceva viziarlo come credeva fosse giusto viziare un figlio:
vestiti, ninnoli, compagnie giuste, feste esclusive.
Suo padre lo amava con
fierezza: il primogenito, il maschio, l’unico. Bello, alto, biondo, ambito
dalle giovani sue uguali, cercava di copiare lo stile del padre quanto più
poteva, perché niente faceva felice Draco come sentirsi dire Bravo da suo
padre.
Con il matrimonio fallito di
Bellatrix e quello rovinoso di Andromeda, Narcissa
era il fiore all’occhiello della Casata dei Black, e
lui il pezzo da novanta della Stirpe dei Malfoy. La gente li guardava con
rispetto, invidia ed ammirazione, e suo padre gli aveva fatto capire quanto
fortunato fosse ad essere nato da quel lato del mondo magico.
Poi i loro voli pindarici si
erano infranti al suolo, ed avevano vissuto gli ultimi anni come un incubo,
guardando quel figlio che non conosceva perché e che aveva scoperto quanto
fosse amara la vita fuori dai cancelli dorati di casa.
Arrivati, soli, al sesto piano, lei si fermò.
Draco si appoggiò alla
balaustra, cercando di guardare oltre le spalle di lei.
Si voltò.
Le iridi rosse scintillarono.
“Non ci segue nessuno, Draco?”.
Draco aveva imparato dal tono
che quella era una domanda retorica, ma per istinto si voltò a sua volta, a
rassicurarsene.
“Nessuno”.
Lei si voltò completamente,
dondolando la bacchetta su due dita.
“Bene, molto bene”.
“Bene?”.
“Vogliono farmi fare la fine
di Silente. Vorranno gettarmi impudentemente dalla Torre più alta? Cos’è quella
Torre dove stiamo andando?”.
“La Torre di Astronomia”.
“Astronomia. Bene”.
Lei inclinò la testa da un
lato, passandosi la punta della bacchetta sulle labbra secche.
“Draco, distruggi le scale”.
Draco la guardò per un
secondo, ad accertarsi dell’ordine. Lei annuì lentamente.
Allora salì accanto a lei sul
pianerottolo, e puntò deciso la bacchetta contro la scalinata davanti a sé.
Con un movimento brusco, le
scale tremarono, e caddero violentemente l’una sull’altra, diventando poco più
che briciole.
Sentirono delle grida.
Uno dei due gemelli Weasley,
che teneva Blaise svenuto per un braccio, mise fuori la testa dall’aula in cui
si erano nascosti, giusto in tempo per ammirare le coreografie di polvere e
detriti che si stavano alzando.
“Ci sarà un solo modo per scendere
da quella Torre, Draco”.
E la consapevolezza colpì
Draco, atterrandolo col suo peso.
Draco stava andando a morire.
Perché come aveva sacrificato
gli altri, morti o meno che fossero, lei avrebbe sacrificato anche lui.
E se a mente fredda il
giovane Malfoy aveva accettato quell’invito, adesso ne era terrorizzato, perché
la parola Fine gli stava apparendo davanti agli occhi, lampeggiando.
La Fine dei giochi.
La fine di qualsiasi cosa.
La fine di ciò che era stato,
che era e che sarebbe potuto essere.
Tra pochi minuti, Draco
Malfoy non sarebbe più stato, interrompendo una famiglia millenaria, una Casata
che aveva conosciuto lustri e dolori, una vita inutile.
Perché nessuno avrebbe
salvato Draco, nemmeno da se stesso.
Lei gli tese la mano.
Lui la prese, delicatamente,
come aveva visto fare a suo padre centinaia, e centinaia di volte.
Inghiottendo gli ultimi
scampoli di libertà, Draco Malfoy, ventiquattro anni, Erede dei Malfoy, membro
della Casata dei Black, Caposcuola della Casa dei
Serpeverde, salì con il Male l’ultima rampa di scale che avrebbe mai percorso
nella sua vita.
I’ve been waiting for this
moment for all my life, oh Lord
(P. Collins)
Si morse l’interno delle
guance.
No, non doveva avere paura.
Lei l’avrebbe sentito, ed
allora avrebbe avuto un’arma.
Un’arma in più.
“Harry Potter”.
La sua voce.
Non più calma e trillante, ma
fredda e metallica.
Non si mosse.
In fondo, conosceva il proprio
nome.
“Un piacere rivederti”
boccheggiò, chinando leggermente il capo, a mo’ di saluto.
“Vorrei poter dire lo stesso”.
Estrasse lentamente la
bacchetta dalla manica.
Sergei gli si parò davanti, imitando le azioni di Draco
Malfoy.
“Quanta tensione” fece lei,
scuotendo il capo. “C’è tanto biondo, su questa torre” notò, senza un motivo
apparente.
Harry inghiottì a vuoto,
cercando lo sguardo di Malfoy.
Avrebbe voluto lanciargli una
maledizione telepaticamente, se avesse potuto.
Non lo vedeva da un pigro
pomeriggio di novembre di anni prima, quando assistette, svogliatamente, al
processo dei suoi genitori, assieme a Ron.
Hermione non volle andare,
neanche Ginny.
Ma Ron, sì.
E lui, anche.
Poi, nessuno aveva saputo più
niente, tanto da pensare che fosse scappato con Pansy Parkinson in Messico.
Ed invece, si sbagliavano.
Romanov intercettò il
principio di un incantesimo da parte di Malfoy, e riuscì a bloccarlo e
rilanciarlo a sua volta in meno di un secondo, facendo sobbalzare Harry.
Victoria, invece, non si
mosse neppure, continuandolo a fissare.
Si chiese a quale livello
fosse la sua Occlumanzia.
“Non è roba per te, ragazzino”
stridé Romanov, roteando la bacchetta davanti al viso.
“Fatti avanti, russo” lo
stuzzicò Malfoy, facendo un passo verso di lui.
Harry era pericolosamente
immobile davanti ad una delle ricamature della Torre di Astronomia, la
bacchetta stretta nel pugno abbandonato al fianco, leggermente nascosto dietro
il fondoschiena freddo.
No, non doveva avere paura.
Uno Schiantesimo
lanciato da Malfoy quasi non lo colpì, facendo svolazzare il bordo della veste
che Victoria aveva indosso.
Romanov ricorse invece ad un
incantesimo non verbale, che oltrepassò la chioma di Victoria e colpì Malfoy al
braccio che teneva la bacchetta.
Victoria si toccò i capelli,
sentendoli caldi al tatto dove l’incantesimo era passato.
“Mi avete stufato” decretò.
Mosse fluidamente la
bacchetta prima davanti a Sergei e poi verso Malfoy,
ed entrambi vennero lanciati, con un tonfo, verso le mura della Torre.
Nessuno dei due fu più in
grado di muoversi.
Victoria sorrise obliqua,
tornando a focalizzare la sua attenzione su Harry.
“Siamo rimasti finalmente
soli, Potter” allargò svogliatamente le braccia lontano da lei, indicando
trasversalmente le sue due vittime.
Harry, la gola secca, strinse
ancora di più le dita intorno alla bacchetta.
“Non capisco perché avete
sentito la necessità di rendermi la cosa più fastidiosa” sospirò, immobile. “Sono
solo quattro mura ed un paio di torri”.
Harry non capiva.
“Non mi interessa la vostra
inutile, sciatta vita. Non mi interessa se vivete, morite, soffrite, gioite. Siete
insulsi, tutti voi. Gli amanti della giustizia. C’è una sola legge nel mondo:
quella del più forte”.
“Non è così” si oppose Harry
debolmente.
“Che ne sai tu, eh Potter? Tu
conosci solo la legge che ti ha imposto quel burattinaio di Silente. Sono così
dispiaciuta per te”.
E Harry conosceva l’ironia
dei Piton, che sopiva dentro di lei.
“Devo distruggere questo
dannato castello, Potter. Ne assisterai la devastazione in prima fila, il posto
dei vincenti”.
Si preparò, alzando la
bacchetta.
Harry scosse la testa come se
si ridestasse da un sogno.
“Tu non vuoi me?”.
Victoria abbassò gli occhi
rossi su di lui, visibilmente irritato.
“Credi di essere il centro
del mondo?”.
Harry respirò affannosamente,
stordito.
“Ah, ho capito: tu hai ucciso
mio padre, e quindi siete giunti alla conclusione che io volessi vendicarmi di
te”. Scosse la testa. “Il vecchio perde colpi”.
Fece un paio di passi in
avanti.
“Nonmi interessa niente di te, Potter, né di
tutte quelle patetiche persone che si sono appostate lungo il castello. Uccidervi
vi renderebbe martiri, e non avete certo bisogno di altre medaglie da appuntarvi
al petto. Povero, piccolo Potter, che crede da tutta la vita che debba portare
il peso del mondo magico sulle sue striminzite spalle. Voglio aiutarti:
distruggerò il castello, il grande simbolo del potere, e ti risparmierò, così
che tutti sappiano che non sei la panacea di tutti i mali. La cosa ti rende
felice?”.
“Perché Hogwarts? È l’unica casa che tuo padre
abbia mai conosciuto” e non si stava riferendo a Piton.
“Casa. Casa è dove lasci che
le tue ossa riposino ed il tuo cuore smetta di battere. Casa è solo una parola”.
“Perché adesso?” incalzò
ancora Harry. “Potevi aspettare. Tra meno di un mese riapre la scuola, avresti
potuto mietere più vittime”.
“Quanto sei sciocco, Potter. Non
mi interessano le persone, quante volte devo ripeterlo? Lo distruggerò ora,
così non avranno alcun posto dove andare a settembre. Adesso, così che nessuno
possa più sentirsi al sicuro”.
“Panico. Vuoi creare del
panico”.
Victoria strinse gli occhi.
“Non panico. Paura. Instabilità.
Fragilità. Com’è successo a me”.
Bingo.
“Noi Serpeverde siamo
destinati ad essere soli. A non amare e non essere amati. Che sia il destino di
tutti”.
Rialzò di nuovo la bacchetta,
caricandosi di potere oscuro.
“Non è vero!” tentò ancora
Harry, quasi urlando.
“Smettila, Potter, sei spiacevole
come una mosca” e lo colpì, facendolo accasciare a terra. “Ti ho già detto che
ti risparmio. Adesso lasciami fare”.
Harry si tenne il petto
dolorante, gli occhiali di traverso sul naso.
Offrile delle caramelle, Harry.
“Non è vero che non sei
amata, Victoria”.
“Non chiamarmi in quel modo”
sibilò.
“Tante persone ti amano! Tuo fratello
Thomas è qui, e lui ti ama. Tuo nipote, il piccolo Edward, ti ama, stravede per
te, ha bisogno di te”.
Quando sentì il nome del
bambino, Victoria voltò di scatto la testa verso di lui, spalancando gli occhi.
“Zitto. zitto!” sibilò ancora, la voce meno
ferma di qualche secondo prima.
“Tuo padre. Severus Piton, tuo padre. Lui ti ama profondamente”.
Tra il bagliore che Victoria
emanava, a Harry parve di riuscire a scorgere le iride rosse tornare
intensamente nere per un attimo.
“Tu hai una famiglia,
Victoria. E la tua famiglia ti ama tanto da organizzare tutto questo per te”.
Harry riuscì a sentire solo come
il rumore di un vaso che si infrange rumorosamente al suolo, poi il bagliore
che en seguì lo costrinse a coprirsi gli occhi per qualche minuto.
Quando riuscì ad abituarsi di
nuovo, sbattè un paio di volte le palpebre, quel
tanto da scorgere Victoria piegata in due, come quella sera di due settimane
prima.
Ma adesso, quello che usciva
da lei era un liquido perlaceo.
Si fiondò su di lei, tenendola
per la vita.
“Vattene, Potter!” riuscì ad
intimare lei, la voce che pareva quasi essere tornata normale.
Offrile delle caramelle, Harry.
La strinse più forte,
incurante che quel liquido stesse bagnando anche lui.
“Ed io, Victoria, io ti amo”
riuscì a bisbigliarle all’orecchio.
Fu solo un urlo tanto forte
da spaccare i timpani e sbriciolare vetri.
Poi sentì la presenza di Silente
dietro di lui tirarlo via, il mantello di Piton coprirgli la visuale, e, per
qualche motivo, svenne.
La guardava felice, colorata
e fresca, senzaavere idea di dove
iniziare.
Impugnò il cucchiaino, guardò
la coppa di gelato enorme che aveva davanti e, senza il minimo rimorso, ci
affondò la posata giusto al centro, dove cioccolato, crema, fragola e panna si
univano, assaporandone il piacere ancora prima di avere i quattro gusti appena
vicini alle labbra.
Quel trattamento veniva
riservato ad Edward quand’era stato particolarmente buono.
Come quando aveva aiutato
papà tutta la settimana con le pulizie, oppure quando aveva chiesto scusa
all’amichetto a cui aveva intenzionalmente pestato il piede all’asilo di fronte
agli altri.
Che momento umiliante che era
stato! Ma il papà era stato buono, e lo aveva portato in un fast food babbano a rimpinzarsi come meglio aveva potuto.
Così, in quel momento, mentre
si gustava il gelato, Edward non capiva cosa avesse fatto di tanto buono da
meritarsela.
Forse, era perché lui era
l’unico ad andare a trovare la zia tutti i giorni nell’infermeria di Hogwarts.
Questo, tuttavia, non
spiegava perché se ne stessero tutti lì a fissarlo.
Cominciò a pensare che Harry
volesse attentare alla sua coppa, così, stringendola saldamente per la base,
corrucciò la fronte e lo guardò minaccioso.
“Ecco, adesso sì che sei
uguale al nonno, Edward” sorrise Lily.
“Cosa vorresti dire con
questo?” le chiese il nonno, non staccandogli gli occhi di dosso.
“Papà?” chiamò il bambino, ma
anche suo padre aveva assunto un’aria strana.
“Allora, Edward” iniziò
Thomas, accarezzandogli la testa. “Il gelato è buono?”.
“Oh, sì” rispose Edward,
trascinando l’ultima “i”come segno della sua piena soddisfazione.
“E sai chi altri è buono?” attaccò il nonno. Edward scosse la testa, leccando
il retro del cucchiaino. “Tu”.
Edward ridacchiò,
imbarazzato, focalizzando la sua attenzione in quel rivolo di crema che si
stava sciogliendo sul bordo.
“E puoi essere ancora più
buono se ci dici cosa ti dice la zia quando la vai a trovare”.
Thomas non aveva mai smesso
di accarezzargli la testa, ed era una cosa che faceva impazzire Edward.
Tuttavia, Edward era un bravo
bambino. Un bambino intelligente.
Un bambino, avrebbe pensato
James, senza dirlo, che sarebbe diventato come suo nonno.
“Perché non l’andate a
trovare anche voi?” chiese innocentemente Edward, incrociando gli occhi sulla
ciliegina che Lily aveva messo per lui in cima a tutto quel gelato, e che lui
stava guardando con ingorda premeditazione.
“Meglio che la zia non abbia
tanta gente intorno” rispose prontamente Thomas.
“La zia non sta tanto bene”
disse Lily con fare teatrale.
Edward guardò suo padre, poi
di nuovo il gelato, sbattendo le gambe contro la sedia.
“Che volete sapere?” chiese.
“Come sta, per esempio” fece
Harry.
“Cosa ti dice” continuò
Thomas.
Edward alzò lo sguardo verso suo padre.
C’è che Edward sapeva un mucchio
di cose, solo che se le teneva per sé.
Sapeva, per esempio, non sempre
quando diceva che andava a fare un giro era così.
Sapeva, per esempio, qual era
il cassetto dove nascondeva delle pozioni che lui non poteva toccare.
Sapeva, anche, che papà e
Harry avevano litigato, e che forse avevano fatto pace, e che il nonno voleva
sapere perché ma loro non glielo dicevano.
Sapeva che il nonno aveva
pianto insieme alla zia Lily (sì, adesso poteva chiamarla zia), ma che non
doveva dirlo davanti allo zio James o allo zio Sirius.
Edward era un bambino, perciò
poteva conoscere cose che gli adulti tra loro non potevano conoscere, ma che
non poteva dire a nessuno, nemmeno a Teddy, anche se Teddy gli aveva detto che
aveva visto i suoi genitori fare cose strane, e che la nonna aveva detto che un
giorno avrebbe capito, ed Edward gli aveva promesso che avrebbe chiesto alla
zia.
“Dice che il tortino di zucca
è buono” alzò le spalle.
Thomas lo guardò aggrottando
le sopracciglia, ed in altri tempi, Edward avrebbe avuto un po’ paura.
Ma adesso sapeva che stava
facendo qualcosa per la zia, e se papà gli avesse fatto qualcosa, allora la zia
avrebbe fatto qualcosa a lui, e non sarebbe stato bello.
Soprattutto perché la zia era
sempre stanca, ed aveva sempre gli occhi rossi, ma lo abbracciava un sacco,
stesa sul letto bianco, mentre arrivavano da chissà dove Liquirizie, ciocco
rane, pallini acidi... .
“Edward” lo chiamò suo padre.
“Sì, papà?”.
Una volta, suo nonno aveva
definito “irritante” quel suo tono di voce. Quindi, in quel momento, Edward era
molto irritante. Non osò voltarsi verso il nonno.
“Papà, zia sta bene. Riposa”.
“Puoi dirle che la salutiamo
tanto?” disse Harry.
“E che appena esce da lì, perché
prima o poi dovrà uscire da lì, io sarò lì fuori ad aspettarla?” disse suo
padre.
“E che le vogliamo bene?” disse
suo nonno.
Zia Lily gli sorrise promettente.
“E va bene” concesse Edward,
tuffandosi di nuovo in quella meraviglia che era il gelato.
It's not in the way you've
been treating my friends
It's not in the way that
you'll stay till the end
It's not in the way you
look or the things that you say that you do
(Toto)
Si arrampicò, tirò, guardò,
afferrò e cadde col sedere a terra.
“Questo?”.
Edward si voltò,
inginocchiato nell’armadio.
Teddy sventolava una canotta
bianca dal comò dov’era atterrato.
“Quella! Bravo Teddy!”.
Edward corse verso l’amico,
afferrando un paio di pantaloncini di cotone blu appoggiati sul letto.
“A che servono a tua zia dei
vestiti? Non sta male?”.
Teddy aiutò l’amichetto ad
infilare tutto in un sacchetto di stoffa che aveva contenuto delle costose
scarpe sportive babbane prima.
“Non lo so. Ha detto che devo
portarglieli e glieli porto” fece spallucce, arrotolando alla bell’è meglio il
cordino nero in cima al sacchetto.
“Ma posso venire anche io?”
chiese ancora Teddy, fermandosi in cima alle scale.
Edward sbuffò.
“Va bene. Sbrigati. E chiedi
prima alla tua mamma!”.
“Cari ragazzi!”.
Se c’era una cosa che Severus
odiava nella maniera più assoluta, era quel modo di arrivare di Silente e
salutare tutti in sala come se niente fosse successo.
E come se non stesse aiutando
Victoria a nascondersi nel castello di Hogwarts.
“Ho disturbato la colazione?”.
Severus alzò lo sguardo verso
di lui.
Thomas, al suo fianco, gli
strinse il polso con nonchalance, come se temesse che suo padre potesse tirare
una fetta biscottata imburrata tra la folta barba del vecchio.
Non che non ci avesse
pensato, comunque.
“Buongiorno, professore. Vuole
unirsi a noi?”.
Affettato, ruffiano
Grifondoro.
“No, grazie mille, James, noi abbiamo già avuto la nostra
colazione al castello”.
Severus decise di contare da
mille a zero, prima di parlare.
Meglio diecimila.
“Come sta mia sorella,
professore?”.
Ecco, come non detto.
Forse, più tardi, avrebbe
potuto sgridare Thomas per la sua impossibile irruenza.
Avevano accettato quando,
dopo due notti a vegliare su di lei, Minerva li aveva praticamente cacciati
fuori dall’infermeria, perché avevano, effettivamente, bisogno di mangiare,
dormire e di una doccia.
Avevano accettato quando lei,
aperti gli occhi, aveva ordinato a Madama Chips di
non fare entrare anima viva che fosse alta più di un metro e dieci.
Avevano accettato anche di
non vedere arrivare nessun gufo da Hogwarts, seppur mandandone in una quantità
che poteva definirsi imbarazzante.
Ma essere presi in giro da
due ragazzini ed un vecchio, questo proprio no.
“Bene. È una ragazza forte.
Anzi, a proposito, sono qui in veste di guida turistica, se così mi posso
definire...”.
Lasciò cadere la frase,
ascoltando piccoli passi correre scapestrati per il corridoio e lungo le scale.
“Ecco i due signori che devo
accompagnare a Hogwarts”.
Edward e Teddy sorrisero,
mettendosi dritti sull’attento.
“Fermi voi due” esclamò
Thomas, saltando in piedi. “Cos’è questa storia?”.
Edward si voltò verso suo
padre, stupito.
“Ma papà, la zia ha detto...”.
“No, basta” scosse la testa
Severus. “Edward, non andrai da nessuna parte”.
Thomas annuì.
Edward spalancò gli occhi,
chiuse la bocca e strinse i pugni, il labbro inferiore che tremava.
“Non c’è bisogno di piangere,
Edward” gli assicurò Silente, scivolando dietro i bambini. “Ho detto che devo
accompagnare loro, non che non possiate venire anche voi”.
Guardò i presenti da sopra i
suoi occhiali a mezzaluna, sorridendo, mentre stringeva le spalle dei ragazzini
in piedi e scalpitanti davanti a lui.
Thomas e Severus si
guardarono, al limite dell’indignato.
“Ho proprio voglia di farmi
un giro a Hogwarts” abbaiò Sirius, pulendosi velocemente i lati della bocca con
un tovagliolo.
Alle dieci, puntuale come
poche volte prima, Victoria salì le scale che portavano alla Torre di
Astronomia.
Era il Gran Giorno, e non
importava quanto Silente le passasse sottobanco delle caramelle: era nervosa.
Beh, sottobanco perché Madama
Chips non avrebbe tollerato che una sua paziente, che
continuava a fare strane terapie col vecchio Preside, si rimpinzasse di
caramelle e cioccolata anziché di brodini e the caldi.
Due rampe di scale al giorno.
Oggi, avrebbero potuto vedere
il panorama della Torre con la luce del sole.
“Finalmente”.
Victoria arricciò le labbra,
passandogli accanto.
Vide, con la coda dell’occhio,
il braccialetto d’argento brillargli sul polso chiaro, e si sentì in colpa.
“Cominciamo?”.
“Tocca a te, oggi. Ieri hai
solo mangiato le mie Api Frizzole”.
“Tecnicamente, erano le Api Frizzole di Silente”.
Victoria si sedette sul
corrimano, come faceva di solito, solo che stavolta, finalmente!, aveva dei
vestiti decenti, non quelle cose fluttuanti e colorate che Minerva le aveva
procurato.
Lui mosse la bacchetta ritmicamente
e precisamente, e ciò che era rimasto dell’ultima rampa di scale prima della sua
distruzione si andava lentamente ricomponendo.
“Ho visto qualcuno”.
“Teddy. È il figlio dei Lupin”.
“Non mi riferivo a lui”.
Victoria inarcò il
sopracciglio, smettendo di dondolare le caviglie.
Aveva parlato chiaro, con Silente.
Nessuno, nessuno fin quando
non l’avesse deciso lei.
Nessuno, tranne Edward.
E Draco.
Perché lei, su Draco, aveva
una certa responsabilità.
Gli Auror erano piombati su
di lui e sugli altri come dei falchi, un secondo dopo che lei... .
Aveva smesso di essere quello
che era.
Quello che era veramente.
Sospirò, guardando lontano.
Era la sua paura più grande.
Non aveva paura di morire.
Non aveva paura di restare
sola.
Non aveva mai avuto paura per
sé.
Da bambini, lei e Thomas
vivevano in funzione l’uno dell’altra, sfidando la vita e chi non avrebbe mai
potuto capire cosa volesse dire essere soli in un mondo che non avrebbe avuto
pietà di te.
Da grandi, Victoria aveva
assistito alla morte dell’unico grande amore di suo fratello, e l’aveva visto
piegarsi letteralmente in due dal dolore, rifiutare qualsiasi contatto umano, allontanare
il bambino e lei lo sentiva spezzarsi, lentamente, fino a quando non l’aveva schiantato
fuori da quella stanza in cui s’era chiuso, costringendolo a fare i conti con
la realtà.
Poi c’era Edward.
Niente al mondo l’aveva mai
riempita di gioia e di fierezza come quel piccolo essere.
Lo guardava crescere e
pensava che no, quel bambino dallo sguardo dolce e l’intelligenza viva non
sarebbe diventato quel mostro di distruzione che Silente aveva pronosticato
tanti anni prima.
Quella profezia era falsa.
Non c’era nient’altro da
dire.
Eppure, era successo: i morti
erano tornati, ma Edward era rimasto lo stesso.
Thomas si era preso un’intera
settimana di ferie, dopo il loro esperimento, per poter monitorare
costantemente Edward, ma niente era cambiato in lui.
Forse, se Thomas avesse
notato che la bacchetta che Victoria aveva preso ad usare era la bacchetta che
era stata mandata loro per compiere quell’Incantesimo che avrebbe riportato in
vita il loro padre e tutti gli altri, forse Thomas allora avrebbe capito, ed
avrebbe fatto qualcosa.
Ma Thomas non aveva visto
niente, e lei ed Edward erano partiti per l’Inghilterra.
Sì: Victoria usava la bacchetta
di Voldemort.
Adesso, lei non sapeva dove
fosse, e Silente non ne aveva fatto parola con lei.
Andava bene così.
“Non sei curiosa”.
“Penso di saperlo, in realtà”
sbuffò, tendendo l’orecchio.
“Un po’ per uno non fa male a
nessuno. Io vedo Weasley tutti i giorni”.
Povero.
Dover dormire nelle celle
provvisorie del Ministero, aspettando Sergei mandasse
dagli Stati Uniti quella lettera che avrebbe permesso a Silente di toglierlo da
quell’impiccio e riportarlo a casa.
Qualsiasi cosa fosse per lui,
una casa.
“Se vuoi facciamo a cambio. Meglio
reggere uno stupido, che un esercito di occhi inquisitori”.
Lui sogghignò, posizionando l’ultimo
scalino in linea con gli altri.
“Un altro dei tiri di
Silente, quindi” osservò, mirando il suo lavoro. “Ho finito”.
“Scendi con me?”.
“Non vedi?” le mostrò il
braccialetto: lampeggiava. “Il mio caro amico Ronald sta già venendo a
prendermi”.
“Che uomo fortunato che sei,
Draco”.
“Lo sai che ti preferivo
cattiva?”.
Victoria strinse gli occhi.
“Ma io sono cattiva” rispose, cercando di ghignargli contro, ma tutto
quello che ne uscì fu un sorriso bieco.
Lei era davvero cattiva.
Lei era Voldemort.
“No, tu sei acida e maligna. Ma
essere cattivi è tutta un’altra storia”.
“Parli da esperto?”.
“Sono stato un pessimo
malvagio, ma un discreto bullo”.
Le sorrise.
C’era qualcosa che la
inteneriva, nel sorriso triste di Draco Malfoy.
“Si va in scena, allora”
spezzò il silenzio Victoria.
“Buona fortuna, mia cara” le
baciò una guancia, lasciandola andare.
Lei gli regalò un sorriso
sincero, sospirò e si avviò verso la Sala Grande.
La seconda regola è: non
farti mai vedere per quello che sei.
La terza regola è: sorridi
sempre, perché così non sapranno mai dov’è la tua debolezza.
Questo le avevano insegnato,
e questo avrebbe fatto.
Nessuno avrebbe mai potuto
dire che era stata una cattiva studentessa, all’Accademia.
Salutando con la mano Draco
che scompariva all’orizzonte, con quel simpaticone di Ron Weasley alle
calcagna, Victoria si preparava ed entrare in Sala Grande. Da sola.
Si riavviò i capelli dietro
le orecchie, incredibilmente più lunghi di quel che ricordava, sbatté un paio
di volte le palpebre e, spingendo la porta con nonchalance, perdendo un paio di
battiti, entrò.
Poteva ammetterlo: rivedere
il suo Thomas la faceva cadere in uno stato di pace, di ordinaria normalità,
quel mondo lontano in cui tutta andava bene e lei non nascondeva un mostro
sopito dentro di lei.
E poteva anche ammetterlo, ma
forse questo avrebbe fatto meglio a tenerselo per sé, che lui e Severus erano
praticamente identici, se non fosse per un colorito leggermente meno giallastro
da parte di Thomas, ed i capelli più lunghi di Severus.
In fondo, il naso di famiglia
era lì a salutarla in duplice copia.
Fu contenta di non averlo
ereditato.
Entrambi scattarono in piedi,
vedendola.
Alzò un sopracciglio,
ironicamente.
Guardandosi intorno, fu
contenta di non vedere Harry.
Potter.
Harry Potter, insomma.
Giusto, lavorava.
“Non c’è bisogno di alzarsi,
non è mica entrata Sua Maestà la Regina”.
Sirius, ridacchiò.
Che Merlino lo abbia in
gloria.
Thomas fece il giro del
tavolo e corse ad abbracciarla.
Stritolarla era la parola giusta, in realtà.
Victoria lasciò che suo
fratello facesse delle sue costole ciò che voleva, sospirando piano nell’abbraccio.
“Tu mi farai impazzire”.
“Sì, ho già sentito questa
frase”.
“Ho perso dieci anni di vita.
Anzi, venti. Vorrei vedere mio figlio avere dei figli, sai?”.
Victoria rise, nascondendo il
sorriso nella spalla di Thomas.
Bella sensazione, quella di
casa, dopotutto.
Thomas si staccò da lei, per
guardarla negli occhi.
“Noi dobbiamo parlare”.
“Del fatto che sono un mostro
assetato di sangue?”.
Thomas emise il verso che
Victoria ed Edward, a casa, identificavano come “il Sacro Verso del Dissenso”.
“Smettila”.
Victoria aprì la bocca per
replicare, ma conosceva quello sguardo, e preferì tacere.
“Il piccolo essere si è
tenuto il vostro piccolo complotto per sé, uhm?”, disse, guardando Silente. “Devi
smettere di corrompere la gente con le caramelle, Albus, farai venire il
diabete a tutti”.
Thomas le baciò la cima della
testa (ebbene sì, Thomas era incredibilmente alto, quasi quanto il Weasley
stupido) e l’allontanò leggermente da sé.
E fu così che Victoria, godendosi
imprudentemente le reazioni di James e Sirius alla sua battuta, incrociò lo
sguardo di Severus.
E conobbe lo sguardo di un
padre che aveva conosciuto l’inferno per via della figlia ribelle.
Qualcosa le strinse lo
stomaco.
Per un attimo, ebbe la
sensazione che si sarebbe avvicinato per schiaffeggiarla.
Per un attimo, quasi rise,
pensando che sarebbe stato quasi divertente sentire suo padre urlare “Sei in
punizione!”.
Ma niente di tutto ciò
avvenne.
Si guardarono per lunghi secondi,
secoli, forse millenni.
“Ehi” riuscì a dire, la gola
secca.
Aveva fatto qualcosa di male?
“La prossima volta che vuoi
distruggere qualcosa, non commettere gli errori di tuo padre, e scegliti
qualcuno capace di farlo per davvero”.
Silenzio in aula.
Lily spalancò gli occhi, atterrita.
Sirius e James si guardarono,
stupefatti.
Remus scosse la testa.
Thomas si piazzò le mani sui
fianchi, sospirando.
“Dovresti dirle di non farlo
e basta”.
“Conto sul suo giudizio”.
“Grazie per la fiducia”.
“Non essere sarcastica”.
“Il sarcasmo è nel mio genoma”.
“Stavi per distruggere
Hogwarts”.
“Non è carino farmelo notare,
sai?”.
“In fondo, un po’ di
lavoretti di ristrutturazione ci volevano” osservò Silente, interrompendo il
botta e risposta tra i fratelli Prince, i quali si guardarono
interrogativamente.
“Normale amministrazione”
scosse la testa Severus, ed i due ragazzi risero.
Aveva pianificato la sua vita
tanti anni prima e, in base a questo, aveva fatto due conti.
Quando aveva capito che non
sarebbe mai stato il Cavaliere (quelli erano i Grifondoro) Senza Macchia (aveva
un tatuaggio che gli ricordava ogni giorno quante persone aveva ucciso durante
la sua vita) e Senza Paura (stare al cospetto dell’Oscuro Signore poteva essere
tutto tranne che piacevole), ne aveva dedotto che no, effettivamente la sua
vita non sarebbe stata lunga e felice.
Non avrebbe mai avuto una
famiglia, non avrebbe mai visto i suoi figli, e quindi, nemmeno i figli dei
suoi figli, e via discorrendo.
Soprattutto, non avrebbe mai
avuto una famiglia con Lily Evans.
Una volta, aveva un piano:
fare in modo che il Signore Oscuro uccidesse padre e figlio, così che la povera
Lily sarebbe corsa da lui a piangere, ed allora Severus, che si sarebbe già
votato alla causa di Silente, avrebbe mandato anche Lily a Boston, dove sarebbe
stata la madre che i gemelli non avevano mai avuto, e, quando tutto sarebbe
finito (perché tutto sarebbe finito, in una maniera o nell’altra, Silente non
avrebbe mai permesso il contrario) si sarebbero tutti e quattro riuniti.
Ma che bella immagine
bucolica.
Ma Lily era morta, il
moccioso era vivo, e la sua esistenza misera e meschina si era completamente
votata intorno al Bambino Sopravvissuto.
E molte delle sue elucubrazioni,
in una maniera o nell’altra, si erano rivelate esatte.
Era morto relativamente
giovane, dopo una vita relativamente di merda, senza aver mai più rivisto i
suoi figli, senza assistere alle loro cadute ed alle loro ascese, senza nemmeno
sapere che aveva un nipote in arrivo.
Tuttavia, Severus Piton era
morto sapendo di lasciare i gemelli in un mondo giusto e lontano, soprattutto
dove non conoscevano Lord Voldemort, Mangiamorte e compagnia bella.
Poi, suo nipote, o per meglio
dire, i poteri che sua figlia nascondeva dentro di sé, aveva fatto in modo che
tutti – e con tutti intendeva anche persone di cui non sentiva per niente la mancanza
– tornassero alla vita.
Evviva.
Senza un lavoro, bloccato in
casa del cane pulcioso che non faceva altro che guardare la sua bambina e
leccarsi il muso, con l’allegra famiglia Potter che ridacchiava ogni trenta
secondi.
Ribadiva: evviva.
Poi erano arrivati loro – sua
figlia e suo nipote.
Un bambino eccessivamente
intelligente, biondiccio e dolce per essere un Piton – od un Riddle, a dirla
tutta – ed una ragazza saccente e cattiva che era in tutto e per tutto degna
della famiglia.
E c’era Thomas.
Buon Merlino.
Lui. Thomas era lui ai tempi
della scuola, con i lineamenti meno marcati, i capelli più corti – e meno
untuosi – e leggermente più in carne.
Guardare Thomas era guardarsi
nello Specchio delle Brame, e faceva male, per certi versi.
Per altri, lo inorgogliva.
Vide Victoria e Thomas
parlare sottovoce appoggiati ad un albero poco lontano, fittamente. Lei inarcò
il solito sopracciglio e Thomas ridacchiò, e Victoria gli tirò il naso - il
loro naso.
“Edward” chiamò, non
eccessivamente forte.
Il bambino deviò dalla sua
corsa e sgambettò verso di lui.
Severus si chinò ad
allacciargli le scarpe.
“Quando torniamo a casa, ti
insegnerò a farlo da solo” bofonchiò, senza guardarlo.
“Va bene” annuì il ragazzino,
sorridendo ai suoi capelli. “Sei contento che la zia sta bene, nonno?”.
Severus si rialzò,
aggiustandogli la camicia a sottili scacchi azzurri.
“Ovviamente” sentenziò, risposta
ovvia per una domanda infantile.
“Anche io” sorrise disarmante
Edward.
“Vai a giocare” ordinò
Severus, perché quel sorriso lo destabilizzava peggio di un terremoto.
Severus lo guardò
allontanarsi, come faceva sempre. Si assicurava che arrivasse ovunque dovesse
arrivare, in questo caso a ruzzolare tra i piedi di Thomas, che lo prese in
braccio.
Edward disse qualcosa e lo
indicò.
Severus sentì un certo
brivido e si guardò incontro, in cerca di fuga.
Sirius era a parlare con
Remus, Lily stringeva la mano di Potter.
Oh, dannazione.
Non che sarebbe andato da uno
di loro. Forse da Lily, forse.
E Silente, ovviamente, quando
serviva, non c’era mai.
A mangiare caramelle con
Minerva, sicuramente.
E Victoria si stava
avvicinando.
Un passo alla volta,
lentamente.
Severus, appoggiato alla
balaustra davanti al Portone d’Ingresso, incrociò le braccia al petto.
“Ehi”.
La fissò.
“Hai intenzione di insegnare
ad Edward ad allacciarsi le scarpe”.
E dopo il Bambino
Sopravvissuto, il Nipote Spione.
“È grande abbastanza da
poterlo fare. Mi stupisco come non gliel’abbiate insegnato voi”.
“Mi sembra un’ottima
argomentazione”.
Si appoggiò accanto a lui,
stando attenta a non sfiorarlo.
“E così adesso mi tocca
ringraziare Harry Potter” sospirò Victoria.
“Non che abbia fatto granché effettivamente.
Sono stata io che mi sono lasciata abbindolare dalle solite fesserie sull’affetto,
una vita migliore, lasciare la via vecchia per la nuova, l’amore...”.
Stavolta, fu Severus ad
inarcare il sopracciglio.
“L’importante è che sia
finito” disse solo, non volendo indagare oltre.
Victoria non rispose.
Sospirarono all’unisono.
“Ti manca?” chiese lei ad un
certo punto.
Lui seguì il suo sguardo.
Lily.
Severus si prese un momento
per soppesare la domanda.
La guardò, bella come al
solito, come lo sarebbe stata sempre.
Tra le mani di un uomo che
non l’avrebbe mai fatta brillare come avrebbe dovuto, perché la personalità di
James era troppo appariscente, facendo scivolare Lily un passo indietro.
Lui l’avrebbe trattata come
una regina.
Lily sarebbe stata davvero
una regina.
Sentì un urletto, che fece
cambiare la direzione dello sguardo di Severus.
Thomas stava tenendo Edward a
testa in giù, ed il bambino rideva ed urlava contemporaneamente, gioiosamente
rosso in viso.
Le sue labbra si arricciarono
spontaneamente.
“No. Non più come prima”.
Era stato sincero ed a voce
alta.
Forse fu per premiare tutto
questo che Victoria gli prese la mano.
Com’era logico da aspettarsi
da una come lei, Victoria non era certo una ragazza attaccata alla casa.
Ciò nonostante, quando vide
la camera scura e fredda di Grimmauld Place, si sentì nettamente sollevata.
Via scarpe, calzoncini,
maglietta ed intimo, prima e meritata tappa in doccia, a sentire l’acqua calda
scivolarle addosso.
Non che ci fosse qualcosa di
strano nelle docce di Hogwarts, ma quella era la sola casa inglese che aveva
conosciuto da che era arrivata, e si sentiva quasi al sicuro.
Quasi.
Era pomeriggio inoltrato,
fuori il sole stava andando lentamente a riposare e le persone, tutte le
persone del mondo, babbani o maghi o streghe che fossero, tornavano a casa dopo
una lunga e meritata giornata di lavoro.
Anche lei, di solito, aveva
di quelle giornate in cui contava i minuti per poter staccare ed andare a casa
e gettarsi sull’unico pezzo d’arredamento degno di nota di tutto il suo
bilocale – il divano.
Ma come in tutte le cose,
quelle che la riguardavano erano buone e giuste, quelle che riguardavano gli
altri non erano affatto buone, e meno che mai giuste.
L’aria diroccata e un po’
trascendentale di Grimmauld Place l’affascinava.
Erano le persone che ci
vivevano all’interno che la disturbavano.
No, neanche disturbare era la
parola giusta.
Lily soltanto la disturbava.
Non sempre, ma abbastanza
spesso da potersi giustificare quando la evitava.
Ed ogni tanto la disturbava
James.
Pensava di sapere un sacco di
cose, ma se davvero le avesse sapute, Victoria dubitava che avrebbe fatto
restare Lily e Severus così tanto tempo da soli.
Sirius non la disturbava.
Ma tendeva a fissarla troppo.
E Victoria odiava essere fissata.
In tutti i sensi.
Quella volta, in moto, non
era stata carina con Sirius, ma godersi suo padre digrignare i denti per la
rabbia le aveva dato un cero non sapeva cosa di soddisfazione.
Ebbene sì: Victoria Prince
era una ragazza perfida, con o senza l’influenza di Lord Voldemort.
Chiuse il rubinetto ed uscì
dalla doccia, raggomitolandosi un telo abbastanza grande intorno alla vita.
I capelli grondavano acqua
sul pavimento di mattonelle azzurro chiaro, e Victoria li tamponò per qualche
minuto davanti allo specchio, senza pensarci.
Pelle bianca, capelli neri,
occhi scuri, ossa piccole e sporgenti.
Perché se tutto nello
specchio diceva che quella lì era lei, Victoria sentiva che non era così?
Lasciò cadere a terra l’asciugamani
che aveva in testa, cercando di scrutarsi meglio.
Fece un paio di passi verso
lo specchio, lasciando delle impronte durante il cammino.
Si alzò sulle punte,
avvicinandosi allo specchio che era appeso sul lavandino fino all’inverosimile,
incollandoci quasi il naso contro.
Quello che Victoria non
ricordava di avere, erano quegli occhi.
Sempre scuri, sempre neri,
sempre penetranti.
Ma erano... nuovi.
C’era qualcosa, in loro, che
prima Victoria non ricordava di avere.
Come una... consapevolezza.
Appoggiò un dito sulla
superficie liscia, per tenersi in equilibrio.
Gli occhi di Victoria non
scintillavano, non erano, come diceva quel vecchio detto babbano, lo specchio
della sua anima.
Fin da piccola, aveva
imparato a tenersi ben nascosti i sentimenti, ed era stata quella,
probabilmente, l’arma che aveva fatto capitolare tanti imputati durante gli
interrogatori, e che l’aveva fatta divenire un candidato idoneo per la wia.
Gli occhi di Victoria erano
la sua arma segreta, il suo sesto senso.
Eppure, adesso, quegli stessi
occhi la stavano tradendo, così, impudentemente.
Lei lo vedeva quel luccichio,
quel barlume di novità che rendeva il nero penetrante della sua iride meno
opaco.
Sospirò, cercando di sfidare
il suo stesso riflesso, inutilmente.
Si chinò a raccogliere l’asciugamani,
lo lasciò sul lavandino, ed uscì dal bagno, evitando qualsiasi contatto con
quel riflesso meschino.
“Hai finito?”.
C’era qualcosa di
terribilmente familiare in quella frase.
“Quasi” rispose, mentendo.
“Sbrigati, che Lily dice che
tra un quarto d’ora si cena”.
Odiava le abitudini inglesi.
Lei prima delle otto di sera
non era nemmeno in grado di decidere quale pizzeria chiamare.
“Dì a Lily che scendo subito”
disse, volutamente cinguettante.
“Torie...” l’ammonì Thomas dal piano di sotto.
Victoria rise, divertita.
Si voltò, continuando la sua
lenta sfilata verso camera sua, chiedendosi quanto Lily avesse fatto breccia
nel cuore di Thomas, così come per suo padre.
Stava giusto riflettendo sul
fatto che aveva appena pensato a Severus come a suo padre per davvero, quando
si ritrovò a sbattere contro qualcosa di morbido ed eccessivamente caldo per i
suoi gusti.
Alzò gli occhi, facendo un
passo indietro.
Brutta cosa, la
Materializzazione.
Poteva fingere di non
ricordare, come aveva fatto con Thomas.
Poteva fare delle accurate
omissioni, come aveva fatto con Albus.
Poteva persino far finta che
avesse solo fatto una vacanza, come aveva fatto con Malfoy.
Ma lui ormai era lì – beh,
era casa sua, dopotutto – e lei aveva tutta l’intenzione di essere Victoria
Eileen Prince, metà Piton e metà Voldemort, e solo per la parte migliore.
Non aveva mai adorato l’effetto
sorpresa come in quel momento.
Pur rallegrandosi per l’inaspettata
fortuna, si ritrovò a dover inghiottire un paio di volte, giusto per tenere
sotto controllo il suo flusso sanguigno.
La camicia bianca da lavoro
si era leggermente inumidita.
Non si era reso conto di
quanto fosse più bassa di lui.
Avrebbe potuto poggiare il
mento su quei capelli bagnati di fresco, che profumavano di forte.
Ebbe l’impulso di farlo.
“Grazie” si sentì solo
rispondere, con forzata cortesia.
Gli fece un cenno di
circostanza che, in tutta sincerità, non riuscì ad afferrare.
Lei strinse le labbra, in
quello che, probabilmente, dovevano essere un sorriso di commiato.
E lui era lì, immobile come
una statua di cera, inspirando l’odore di balsamo che veniva da lei.
Come un incantesimo.
Le parole di Thomas gli riaffiorarono
alla mente dal nulla, nel silenzio carico di movimento che c’era al quarto
piano.
Dabbasso, Edward e Teddy ne
stavano combinando qualcuna, a sentire i richiami di Remus.
Tre piani più giù, sua madre
istruiva Kreacher per la cena, James e Sirius fingevano di dare una mano,
mentre Piton, le labbra arricciate, si godeva il ruolo di ospite, come diceva
per far scattare di rabbia suo padre ed il suo padrino.
E magari c’era Tonks che
cercava di dare una mano a Lily per davvero, ma la voglia di entrare a far
parte dei Malandrini sarebbe stata troppo forte, e soprattutto, sarebbe stata
sempre la solita sbadata.
A Grimmauld Place, niente
poteva turbare la quiete domestica.
E Harry Potter era lì, fermo,
a sentire il profumo di buono di Victoria Prince, inebetito come poche volte
prima.
Si chiedeva se davvero quel
Grazie fosse per lui.
Per il bentornata.
Per essere viva.
Probabilmente, era soltanto
la prima parola che le era venuta in mente.
Lui l’aveva salvata,
nonostante tutto.
Victoria l’oltrepassò,
puntando nella stanza dietro di loro, quella che da un mese era la sua.
Per un attimo, si chiese di
sfuggita come sarebbe stata la sua vita se i fratelli Prince fossero andati a
Hogwarts.
Quanto sarebbe stata diversa.
Quanto sarebbe stata uguale.
Dove sarebbero stati
smistati.
Sorrise tra sé.
Non aveva dubbi: Victoria
sarebbe stata la venerata Regina delle Serpi, altro che Draco Malfoy.
Nutriva invece dei dubbi su
Thomas.
Sarebbe stato davvero uno shock
per suo padre se fosse finito a Grifondoro.
Vide l’orgoglio di Victoria
nel non arrossire nemmeno camminando con solo un telo addosso davanti a lui.
Era troppo, troppo
orgogliosa.
Possibile che quella sua
scorza dura non era stata penetrata nemmeno dall’ultima esperienza che aveva
fatto?
Possibile che non ricordasse
ciò che le aveva detto?
Credeva che non fosse vero?
Fu uno scatto.
La fermò per un braccio, facendola
voltare verso di lui.
Victoria spalancò gli occhi,
guardando la mano di lui tenerle fermo il polso come se fosse un tentacolo di
piovra.
Victoria alzò poi lo sguardo
verso di lui.
E fece ciò che non avrebbe
mai dovuto fare.
Alzò il suo sopracciglio.
Harry era vissuto nel terrore
di quel sopracciglio alzato per anni.
Lo odiava.
Lo detestava.
Era il simbolo dei suoi
insuccessi e dell’insofferenza di Piton nei suoi riguardi.
Ma quella stessa espressione
sul viso di Victoria faceva ribollire il sangue nelle vene del ragazzo.
Non c’era tempo per pensare.
Sentiva arrivare il suo
commento sprezzante, la sua battuta caustica, qualsiasi cosa per poter spezzare
il momento.
E la baciò.
Labbra sulla labbra, frizione
leggera.
Iniziò a contare da dieci a
zero, scommettendo almeno sul sei, prima di ricevere un pugno, un calcio, un
morso, ma fortunatamente non una fattura, a meno che non nascondesse la
bacchetta da qualche parte dietro quel telo.
Fu così che Harry si rese
conto che aveva tra le braccia una Victoria seminuda.
E si rese conto che le stava
sbattendo contro il ventre una sempre più crescente erezione.
Probabilmente la stava iniziando
a percepire anche lei, che schiuse le labbra per la sorpresa.
Harry non era un Grifondoro
solo per sentito dire, e rese il bacio più intenso.
Cinque... quattro...
La reazione non arrivava.
Ed il bacio proseguiva.
Harry si tenne Victoria più
vicino, facendo scivolare la mano che teneva stretto il polso in quella di lei.
La strinse.
Due... uno...
Zero.
La lasciò andare lentamente.
“Sei un pazzo, Harry Potter”
bisbigliò lei, come se qualcuno li potesse davvero sentire.
Scomparve in fretta dietro la
porta.
Harry rimase un paio di
minuti a fissare la porta chiusa.
Prese un paio di respiri.
Si cambiò velocemente d’abito
e corse giù per le scale.
Prese posto accanto a Sirius,
come al solito.
Non fu in grado di alzare gli
occhi verso Piton neanche una volta.
We've already seen the worst that this
life can bring
(Good Charlotte)
“Non hai asciugato i capelli”.
Lo disse tra un boccone ed un
altro, quasi come se fosse un borbottio, qualcosa che stesse dicendo a se
stesso, più che a qualcuno altro.
Victoria posò la sua
forchetta, lo stomaco stretto.
Guardò suo fratello in
tralice, cercando di mantenere una solida espressione neutrale.
Quella era una cena di
bentornata, non importa quanto Lily negasse la sua passione malcelata per feste
e festicciole varie.
Probabilmente, non era
abbastanza arrabbiata con lei per avere interrotto il party del figlio adorato.
Dannato Potter.
Adesso era il suo nuovo
mantra.
Dopo “Non ti curar di loro ma
guarda e passa” – colpa del suo professore di Babbanologia, alto, brizzolato,
occhiali sexy e sguardo pieno – era passata a “Dannato Potter”, sentendosi del
tutto e per tutto figlia di Severus Piton.
Dannato Potter.
“Mi sono distratta” cercò
laconicamente di spiegare.
“Non mangi?” incalzò suo
padre dopo qualche minuto di silenzio.
Non ce ne bastava uno che
giocava a fare l’investigatore dei poveri?
Sbuffò, contrariata.
“Non ho fame” soffiò,
apparendo più arrabbiata del dovuto.
Cercò di fissare il suo
pensiero su cose belle e piacevoli.
Cieli azzurri?
Prati verdi?
No.
Rivoleva la sua scrivania, il
suo divano, la sua automobile incantata ed il suo lavoro.
Quella cosa piena e prepotente
che faceva di lei una trottola umana.
“Chi vuole dell’altro
vitello?” squillò Lily, felice come una Pasqua.
Beata ignoranza.
Adesso, Victoria custodiva un
segreto.
Un altro segreto, come
se non ne avesse sentiti abbastanza.
Il fatto che questo segreto
riguardasse Harry Potter non la lasciava abbastanza fredda come avrebbe dovuto.
Come si sarebbe aspettata.
Quel piccolo mondo antico che
viveva intorno a lei, probabilmente, sarebbe esploso come un fuoco d’artificio
dei gemelli Weasley se avesse saputo.
E suo padre sarebbe morto,
senza ombra di dubbio.
No, prima avrebbe ucciso lei.
No, prima avrebbe ucciso lui.
Insomma, una carneficina, od
inizio di tale, ci sarebbe stata sicuramente.
Santo Merlino, stava vaneggiando.
Sentirono un ticchettio
familiare alla finestra.
James si alzò ed andò ad
aprire a due gufi.
“Victoria, per te” le sorrise.
Si chiese quanto lunga avesse
la lingua il giovane, dannato Potter.
E non in senso fisico.
Si alzò, ringraziando Salazar
Serpeverde che ci fosse qualcosa per distrarla.
Sorrise debolmente a James,
che tornò a tavola, lanciandosi nella sua terza porzione di vitello in salsa
tonnata.
Lei si appoggiò al davanzale,
lasciandolo aperto, per far entrare un po’ d’aria fresca.
Controllò i mittenti delle
lettere: una era intestata alla WIA, l’altra era in una carta verde chiaro.
Sorrise.
“Buone notizie?” chiese
Thomas.
“Vediamo...”.
Agente Scelto di Primo
Livello V.E.Prince,
la informiamo che siamo
già venuti a conoscenza della missione che l’ha tenuta impegnata nelle precedenti
due settimane in Scozia, Regno Unito. Abbiamo avuto un primo rapporto dall’Agente
Scelto di Terzo Livello S. A. Romanov, ed attendiamo il suo alla fine di questo
mese di ferie che le era stato precedentemente accordato. Seppur soddisfatti
del lavoro da lei compiuto nonostante fosse in permesso accordato, la invitiamo
comunque a presentarsi presso la Centrale Operativa il prossimo lunedì alle
quindici, ora di Boston, per un colloquio su ciò che è avvenuto.
Inoltre, la informiamo che
la sua richiesta, giuntaci tramite l’Agente Scelto di Terzo Livello
S.A.Romanov, di reintegrare il Civile Mago Draco A. Malfoy è stata approvata, e
da questo momento è sotto il suo pieno controllo, ed i Sottoscritti hanno già
provveduto ad informare l’Ufficio Auror locale del cambiamento.
Distinti
Saluti.
Agnes
Witchcraft,
Wizardly
Institute Agency
Tory,
Nel rapporto che ho steso
per Agnes ho scritto che abbiamo aiutato Harry Potter a sconfiggere una forza
non meglio identificata che minacciava di distruggere il castello della scuola
di Hogwarts. Cito testualmente “la forza è stata poi supposta fosse una
reminiscenza aurea di Lord Voldemort, la quale è poi definitivamente evaporata
grazie al nostro tempestivo aiuto”. Non ti chiederà di dire niente più di
questo in commissione lunedì, quindi stai tranquilla, anche perché il Capo
Commissione sarà Ernest Guggenheim, un tipo piuttosto pacifico, a quanto Agnes
mi ha detto. Non vedo l’ora che torni!
Baci,
Serg
“E allora?” chiese Thomas.
“Beh, se lunedì non mi
licenziano, torno a lavorare” si strinse nelle spalle, pensando a Malfoy.
Ci furono brusii di
approvazione per la bella notizia.
Apparentemente.
“Quindi lunedì andate via?”.
Dannato Potter.
“Esattamente” sibilò.
E si voltò verso suo padre,
che, stoicamente, cercava di rimestare nella sua coppa di gelato.
Poi si sentì un crac.
“Mi hanno detto che dovevo
portarlo qui” abbaiò Ron, senza entusiasmo.
“Draco”.
“Victoria”.
Victoria alzò le
sopracciglia.
“Grazie, Victoria” cantilenò
il biondo, ciondolando verso di lei, le mani affondate nelle tasche, in
evidente imbarazzo.
“Bravo ragazzo” Victoria gli
scompigliò i capelli. “Thomas, questo è Draco Malfoy. Per il resto, penso che
non abbiate bisogno di presentazioni”.
Thomas, sempre dolce, gli
sorrise, accennando alla sedia vuota accanto a lui.
Altri due crac.
Hermione Granger e, un passo
indietro, Ginevra Weasley.
Victoria prese Draco
sottobraccio e lo condusse a tavola.
“Possiamo avere un altro
piatto, Lily?” chiese, mai così gentile.
La donna annuì, muovendo la
bacchetta, non importa quanti gesti di diniego facesse il biondo.
“Che ne farai di me, adesso?”
chiese Draco, rigirando la forchetta nel suo piatto.
“Oh, tranquillo, ho tutto
sotto controllo”. Severus si voltò a guardarla. “Il vecchio Albus ha una certa
predisposizione per le anime dannate, non è vero, papà?”.
Severus arricciò il naso,
senza rispondere.
“Adoro il tuo senso dell’umorismo”
ghignò James.
Victoria non gli diede
soddisfazione.
Troppo occupata per sbirciare
Ginevra tirare Potter – quello dannato – nel giardino sul retro.
Dopo anni e anni di prese in
giro, finalmente anche lui aveva la sua parte di divertimento.
Giustizia divina.
“Il senso, credo”.
Roteò gli occhi.
Lui ridacchiò, senza
guardarla.
Non avrebbe retto, dopo
tutto.
“Non vedo quale senso ci sia
da capire. Anzi, il punto è proprio per questo: non ha senso!”.
“Se non ti calmi ti farai
venire un attacco, Torie”.
Victoria si fermò a fissarlo,
gli occhi ridotti a due fessure.
“Sono straordinariamente sorpresa
che tu la prenda con così tanta calma. Cos’è, ti è simpatico?” ribattè acida,
mani sui fianchi.
“Beh, se proprio vuoi
saperlo, sì. Siamo in debito con lui: ti ha salvato la vita, in un certo senso”.
“E questo gli dà il diritto
di ficcarmi due metri di lingua in bocca?” squittì, irritata.
Thomas stava per soffocare:
se le avesse riso in faccia, non sarebbe sopravvissuto abbastanza per poterlo
raccontare.
“La stai facendo troppo
drammatica”.
“Drammatica?”.
“In fondo è stato solo un
bacio”.
“Thomas!” quasi urlò lei, ad
un centimetro dal suo naso. “Ma davvero non hai capito quello che ti ho
raccontato?”.
“Sono minuti che provo a
dirtelo”.
Thomas si vantava di avere un
certo sangue freddo.
Questi erano i casi in cui
dimostrava a se stesso di non mentire, quando lo diceva.
“Thomas, la tua sorellina è
stata baciata da Harry Potter!”.
“Parla più forte, papà non ti
ha sentito bene”.
Victoria spalancò gli occhi,
sbattè le palpebre e fece due passi indietro, come se avesse nominato il
Demonio in persona.
“Che poi quale sorellina...
sei grande e grossa, e non ti sei difesa”.
Victoria smise di respirare.
Thomas, seduto sul letto in
camera sua, la porta chiusa a chiave, ma senza alcuna protezione magica – per sbadataggine
di sua sorella, lui non aveva idea di cosa gli dovesse raccontare – era sempre
stato bravo nella parte del fratello maggiore.
O di coscienza personificata.
“Avrei dovuto ucciderlo?”.
“Non essere drastica,
Victoria. Solo, dubito che tu non sappia come allontanare un uomo da te, o devo
forse ricordarti la ginocchiata che hai dato ai tesori di famiglia di Jonathan
Myers quando eravamo ancora a scuola? E ti aveva appena sfiorato una spalla”.
Victoria guardò Thomas
malissimo, seppur vagamente cianotica.
“Inutile che mi guardi così,
sai che ho ragione”.
“Ebbene, caro fratellino, tu
non hai ragione proprio su niente. Le tue sono solo illazioni belle e buone”.
Thomas questa volta ridacchiò
spudoratamente.
“E poi, quel dannato moccioso
ha la ragazza. Io non sono una sfascia famiglie. E poi a me Potter nemmeno
interessa!” sbottò alla fine Victoria, camminando lungo la stanza.
“Veramente, a quel che so,
lei l’ha lasciato il giorno dopo il suo compleanno” borbottò Thomas,
giocherellando col cuscino.
Victoria si bloccò di colpo,
alzandogli contro il sopracciglio dei Piton.
“Io faccio illazioni?” chiese
il ragazzo, chinandosi verso la sorella.
Non si stupì quando il
cuscino che aveva in grembo perse a dargli delle sberle.
Con le braccia incrociate,
appoggiato ad una betulla nel giardino sul retro, ascoltava senza capire.
Conosceva qualcuno che
avrebbe potuto dare scontata questa cosa, ma davvero non riusciva a capire.
“Non c’è senso in quello che
ti sto dicendo, Harry. Beh, ce l’ha, ma non è così difficile da capire. Ti ho
chiesto scusa. Mi manchi. Ho passato le ultime due settimane a pensare a te, ad
avere paura per te. Mi dispiace, Harry”.
Abbozzò un sorriso,
imbarazzato, abbassando gli occhi, come una vergine.
Era così bella.
Sembrava eterea, eterna,
perfetta.
I capelli rossi le ricadevano
morbidi intorno alle spalla scoperta da un maglione leggero di una taglia più
grande, ed una ciocca le copriva gli occhi umidi.
Gli morì un sorriso.
Pensò al futuro.
Pensò al passato.
Ricordò quando, emozionato,
aveva presentato ufficialmente Ginny ai suoi genitori.
Non pensava sarebbe mai
successo, eppure, sul divano, aveva visto sua madre e suo padre perdersi negli
occhi blu di Ginny, mentre le chiedevano di lei, di Harry, della sua famiglia.
Lui le aveva stretto forte la
mano, non sapendo più per cosa essere più felice.
“Assomiglia molto a tua
madre, figliolo. Ottima scelta” gli
aveva fatto l’occhiolino James, e Harry si era sentito fiero.
Orgoglioso.
Aveva fatto la scelta giusta.
Lei era la sua scelta.
Perché lui, Harry, aveva
scelto lei, lei fra mille, lei fra chiunque altra avrebbe potuto avere.
Lei, Ginny Weasley, la
sorella del suo migliore amico, la ragazza che aveva sempre avuto vicino, ma
che non aveva visto se non dopo sei anni, e l’aveva avuta dopo quasi otto.
Tante cose erano successe.
Troppe cose, per un uomo
solo.
La vita, la morte, tutto per
Harry aveva un senso diverso, lui stesso era diverso in rapporto a queste
esperienze di vita.
La vita per lui era davvero
un dono.
La morte, un’ultima sentenza.
Harry non aveva mai
conosciuto le sfumature del grigio.
Bianca era la luce che l’aveva
accompagnato fino a Voldemort, nera la scia che aveva seguito per arrivarci.
Pensò a Piton, a
Thomas, a Victoria.
A quel bacio.
Non si sentiva dispiaciuto di
averlo fatto, ma probabilmente non l’avrebbe rifatto una seconda volta.
Il destino di uomo è scritto
tra le stelle.
Guardò Ginny, che si
tormentava le mani nervosamente, in attesa della sua sentenza.
Silente gliel’aveva detto
tante volte: l’amore era l’arma segreta di Harry.
Le sorrise a sua volta.
Si staccò dalla betulla.
Spalancò le braccia.
E Ginny tornò a casa.
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Ed a questo punto, mie care, la FF si sdoppia.
Il prossimo sarà un altro capitolo Trentanove, con un finale diverso. Insomma, benvenuti nella versione Sliding Doors di "Harry Potter e il Segreto dei Prince".
Grazie a Ernil, Chiara Malfoy Potter, Alida, JDS e tutti coloro che leggono e recensiscono (se mi sono dimenticata qualcuno perdono!), o soltanto a coloro che leggono e passano dieci minuti della loro vita a sorridere con me.
I’m leaving you with all the blame cause
I don’t care
(M. Branch)
“Non ho capito”.
“Cosa, esattamente, non hai
capito?”.
“Il senso, credo”.
Con le braccia incrociate,
appoggiato ad una betulla nel giardino sul retro, ascoltava senza capire.
Conosceva qualcuno che
avrebbe potuto dare scontata questa cosa, ma davvero non riusciva a capire.
“Non c’è senso in quello che
ti sto dicendo, Harry. Beh, ce l’ha, ma non è così difficile da capire. Ti ho
chiesto scusa. Mi manchi. Ho passato le ultime due settimane a pensare a te, ad
avere paura per te. Mi dispiace, Harry”.
Abbozzò un sorriso,
imbarazzato, abbassando gli occhi, come una vergine.
Era così bella.
Sembrava eterea, eterna,
perfetta.
I capelli rossi le ricadevano
morbidi intorno alle spalla scoperta da un maglione leggero di una taglia più
grande, ed una ciocca le copriva gli occhi umidi.
Gli morì un sorriso.
Pensò al futuro.
Pensò al passato.
Ricordò quando, emozionato,
aveva presentato ufficialmente Ginny ai suoi genitori.
Non pensava sarebbe mai
successo, eppure, sul divano, aveva visto sua madre e suo padre perdersi negli
occhi blu di Ginny, mentre le chiedevano di lei, di Harry, della sua famiglia.
Lui le aveva stretto forte la
mano, non sapendo più per cosa essere più felice.
“Assomiglia molto a tua
madre, figliolo. Ottima scelta” gli
aveva fatto l’occhiolino James, e Harry si era sentito fiero.
Orgoglioso.
Aveva fatto la scelta giusta.
Aveva fatto la scelta giusta?
Tra tutte, tra tutte coloro
che Harry avrebbe potuto avere, lui aveva scelto Ginny, la sorella di Ron.
Forza e speranza, questo era
stato per lei, nel suo momento più buio.
E poi?
Cos’era successo, dopo?
Quando ormai il mazzo era
stato mischiato e messo da parte, quando gli incubi di Harry, ed i suoi sogni,
si erano avverati, cosa era rimasto di Harry e Ginny?
Piton soleva ripetergli
quanto fosse la copia di suo padre, quanto tendesse, nelle sue avventate
scelte, ad assomigliare a lui.
Era vero.
Nelle piccole e grandi cose
della vita, Harry metteva davanti cuore e coraggio, perché era un Grifondoro.
Perché non avrebbe potuto
fare altrimenti.
Ma Harry era ancora un
ragazzino ossessionato dalla mancanza della madre?
No.
Ginny era forte, determinata,
rossa.
Ginny era la proiezione dei
sogni di Harry, quelli infantili, quelli in cui sua madre era l’assoluta
protagonista.
Adesso, a Harry bastava solo
allungare la mano, e sua madre era lì con lui.
Ed era forte, determinata,
rossa ed un sacco di altre cose.
Le piacevano le persone.
Amava suo marito e suo figlio
più di qualsiasi altra cosa.
Lei e lei sola poteva
considerare Piton un amico fidato.
Sorrideva spesso, e si
lasciava cullare da James quando le prendeva la malinconia.
“Anche se non è ufficialmente
la padrona di casa, signora Potter, ho sentito di doverla omaggiare per essersi
presa cura di mio figlio e di mia sorella per un intero mese. Immagino sia
stata difficile”.
Lily si allargò in un sorriso
luminoso, prendendo i fiori e guardando Severus in tralice.
“Ti ringrazio, Thomas, ma non
dovevi, è stato un piacere per me” guardò ancora i fiori, rigirandoseli fra le
mani. “E puoi chiamarmi Lily” gli fece un occhiolino, scortandoli in casa.
Thomas resse senza problemi
uno sguardo abbastanza truce di suo padre e scodinzolò allegramente dietro
Lily.
Severus superò entrambi, facendo
atterrare da un mobile alto un vaso per i fiori. Thomas ridacchiò e si andò a
sedere accanto a Sirius, intento a farsi battere a scacchi da James.
“Dov’è Edward?” chiese ancora
Lily, sistemando i fiori.
“Abbiamo incontrato Lupin e
Teddy per strada, e non ha voluto sentire storie, così oggi pranza a casa loro”
spiegò Severus.
“Davvero un peccato che
dovete andare via, Thomas...” lasciò cadere Lily, guardando di sbieco Severus.
“Hanno richiamato dai
rispettivi lavori sia me che Torie, dobbiamo andare. E poi Edward tra un paio
di settimane inizia la scuola” disse orgoglioso. “Io avrei mosso il cavallo in
B-7” aggiunse sottovoce a Sirius, guardando distrattamente la scacchiera.
D’un tratto si aprì la
porta.
“Mamma, è rimasto del succo
di zucca, per caso?”.
“Sì, tesoro, puoi prenderlo
da te?”.
Harry, saltellando, aprì il
frigorifero e ne trasse una bottiglia in vetro smerigliato, e richiamò un paio
di bicchieri.
“Harry, Ginny si ferma a
pranzo?”.
Thomas fece scoccare il collo
verso l’alto.
“Penso di sì, mamma”.
Gli occhi di Thomas si
chiusero in due fessure piccole e cattive.
“Tutto bene, Thomas?” chiese
Sirius.
“Sì....”.
Dannato Potter.
“Ridicolo”.
Non rispose, continuando a
salire la scala.
“Tu lo capisci che è ridicolo, vero?”.
Ancora in silenzio.
“Victoria...”.
“Sì, Draco, è ridicolo,
orripilante, e irrispettoso. I tuoi antenati si rivolterebbero nella tomba e
tuo padre, se fosse vivo, ti ucciderebbe. Ma adesso, mio caro, non hai altra
scelta, quindi smettila di infastidirmi e abbi la compiacenza di fingere di
essere grato”.
Voltando leggermente la
testa, Victoria si assicurò che Draco non facesse altre repliche.
Draco, dal canto suo, sospirò
amaramente, chinando il capo.
Victoria vide aprirsi le
porte della Presidenza senza neanche bussare.
“Cari ragazzi!” vennero
salutati.
“Devi assolutamente cambiare
repertorio di battute, Albus”.
Silente le sorrise, e li fece
accomodare.
“Ho letto la tua lettere,
Victoria”.
“Sono contenta che tu sia
arrivato subito al dunque” annuì Victoria, accavallando le gambe. “Smettila di
fissarmi, Draco” sibilò poi.
Draco distolse lo sguardo,
sottilmente imbarazzato.
“Ebbene, Draco, la richiesta
che mi ha sottoposto Victoria non è del tutto escludibile, almeno per quanto mi
riguarda”.
“E quale sarebbe questa
proposta, signore?”.
Silente guardò Victoria da
sopra i suoi occhiali famosi.
“Non hai un posto dove
andare, Draco, e so per certo che i tuoi risparmi stanno finendo” spiegò
Victoria. “Ergo, le soluzioni sono tre: o vai a stare dai Lupin, o vai a
lavorare presso i Tiri Vispi Weasley oppure ti metti a fare l’insegnante a
Hogwarts”.
Draco boccheggiò, tenendosi
per i braccioli della poltrona, come se qualcosa, sotto il suo regale
fondoschiena, stesse bruciando.
“Avevi detto...”.
“Avevo detto che Silente
avrebbe saputo cosa fare. Ed infatti è così, dato che la storia dell’insegnamento
è stata, per gran parte, una sua idea”.
“C’è un piccolo problema”
Silente catalizzò di nuovo l’attenzione su di sé. “Io non sarò di nuovo Preside
di Hogwarts”.
Victoria spalancò gli occhi.
“Ho deciso di prendermi una
vacanza. Credo, in tutta onestà, che le mie vecchie ossa abbiano bisogno di
riposarsi”.
Si levarono dei mormorii di
assenzio dai quadri alle sue spalle.
Nessuno dei due ragazzi ebbe
da obbiettare.
“Quindi adesso è tutto nelle
mani di Minerva. So che cercava un sostituto per Trasfigurazione, e so che
Draco andava molto bene nella materia della Professoressa McGranitt e mia, ai
miei tempi”.
Silente si soffermò a
guardare Draco.
“Tornerà questo pomeriggio. Te
la senti di aspettare per un colloquio?”.
“Oggi?”.
“Oggi stesso”.
Draco boccheggiò ancora,
guardando prima Victoria, poi di nuovo Silente.
Sospirando, Victoria si alzò
in piedi.
“Cosa ci sarà per pranzo,
Albus? Sto letteralmente morendo di fame”.
Albus le sorrise e,
guardandolo intensamente, fece l’occhiolino a Draco.
Scivolò lentamente nello
studio del secondo piano, quello con solo una finestra, quello dove ci aveva
trovato un paio di volte suo padre, da solo, al buio, quando Victoria era stata
male.
“Grazie per avermi concesso
un minuto del tuo tempo, Harry”.
Il ragazzo gli sorrise.
“Dimmi tutto” lo incoraggiò.
“Ebbene, per prima cosa,
sento che devo ringraziarti. Il nostro soggiorno sta per finire, e da fratello,
devo assolutamente ringraziarti per quello che hai fatto per mia sorella, te ne
sarò eternamente grato”.
Harry Potter gli sorrise, genuinamente
imbarazzato.
“Non dirlo. L’ho fatto perché
sentivo di farlo, per tutto quello che, comunque, ha fatto tuo padre nei miei
confronti durante i miei anni di scuola. Adesso posso dire che non sarei qui in
questo momento se non fosse stato per lui”.
Thomas gli sorrise a sua
volta, consapevole.
“Sai, ho avuto modo di
conoscere i gemelli Weasley, questa mattina. Simpatici ragazzi. È sempre
confortante per un gemello conoscere altri gemelli, è come se fossimo una
specie a parte, non so se riesco a spiegarmi”.
Harry annuì, senza
convinzioni.
“Fred e George sono l’estensione
l’uno dell’altro, come me e Victoria, ma in maniera molto diversa. Loro sono
praticamente identici, mentre mia sorella ed io siamo molto diversi, e non solo
per caratteristiche puramente fisiche. Lei è quella forte, quella stronza,
quella carina. Io sono l’ingenuo, il buono, quello bruttino”. Thomas sorrise,
pensando ai suoi di anni di scuola. “Eppure, come tutti i gemelli, Victoria ed
io, così come Fred e George, non esisteremmo l’uno senza l’altra”.
Harry annuì di nuovo, questa
volta capendo ciò che Thomas voleva dirgli: ancora ricordava il periodo buio di
George, quello in cui non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio.
“Potrà sembrarti stupido, ma la
sera in cui mi arrivò la comunicazione di Silente che mi informava su quello
che stava succedendo a Victoria, io avevo già chiesto qualche giorno di
permesso per venire qui a Londra. Non è empatia, tutto ciò?”.
Thomas fece un paio di passi
verso Harry, appoggiato al caminetto spento e polveroso.
“Non capisco dove vuoi
arrivare”.
“Sei figlio unico, Potter,
non potrai mai capire”. Si avvicinò ancora, quasi bisbigliando. “Pensi davvero
che Victoria non mi abbia detto niente? Pensi davvero che quello che è successo
quella notte, sulla Torre, sia rimasto tra te e lei? Pensi che quello che è
successo ieri sera, tra te e mia sorella, io non lo sappia?”.
Fu con una certa
soddisfazione che Thomas vide una sola, sottile goccia di sudore colare dalla
tempia di Potter.
“Io ti avevo avvertito,
Potter. Ti avrei difeso, se ce ne fosse mai stato bisogno. Ma avrei anche
potuto renderti la vita impossibile. La scelta spettava solo a te”.
E senza aspettare, senza
attendere una risposta od un diniego, od una qualsivoglia spiegazione, Thomas
lo colpì in pieno viso, facendogli saltare via gli occhiali.
Harry barcollò all’indietro,
sentendo del sangue colargli dal naso.
Si fissarono con cattiveria,
ma Harry non si mosse per contrattaccare.
“Non ho mai picchiato
nessuno. Tu sei stato il mio primo. Dà una certa soddisfazione, in verità”.
Si allontanò da lui,
scuotendo la mano che aveva colpito Harry Potter.
“Ricordati che sono pur
sempre un Piton, Potter”.
Non ci fu bisogno di voltarsi
per sentire la rabbia evaporare da ogni poro del piccolo Potter.
“Anche se non è ufficialmente
la padrona di casa, signora Potter, ho sentito di doverla omaggiare per essersi
presa cura di mio figlio e di mia sorella per un intero mese. Immagino sia
stata difficile”.
Lily si allargò in un sorriso
luminoso, prendendo i fiori e guardando Severus in tralice.
“Ti ringrazio, Thomas, ma non
dovevi, è stato un piacere per me” guardò ancora i fiori, rigirandoseli fra le
mani. “E puoi chiamarmi Lily” gli fece un occhiolino, scortandoli in casa.
Thomas resse senza problemi
uno sguardo abbastanza truce di suo padre e scodinzolò allegramente dietro
Lily.
Severus superò entrambi, facendo
atterrare da un mobile alto un vaso per i fiori. Thomas ridacchiò e si andò a
sedere accanto a Sirius, intento a farsi battere a scacchi da James.
“Dov’è Edward?” chiese ancora
Lily, sistemando i fiori.
“Abbiamo incontrato Lupin e
Teddy per strada, e non ha voluto sentire storie, così oggi pranza a casa loro”
spiegò Severus.
“Davvero un peccato che
dovete andare via, Thomas...” lasciò cadere Lily, guardando di sbieco Severus.
“Hanno richiamato dai
rispettivi lavori sia me che Torie, dobbiamo andare. E poi Edward tra un paio
di settimane inizia la scuola” disse orgoglioso. “Io avrei mosso il cavallo in
B-7” aggiunse sottovoce a Sirius, guardando distrattamente la scacchiera.
D’un tratto si aprì la
porta.
“Mamma, è rimasto del succo
di zucca, per caso?”.
“Sì, tesoro, puoi prenderlo da te?”.
Harry aprì il frigo, ci guardò dentro per qualche secondo, poi lo
richiuse, come se avesse dimenticato cosa ci stesse cercando.
“Tutto bene?” chiese James, alzando lo sguardo verso suo figlio.
“Sì...” scrollò le spalle Harry, lasciando di nuovo la cucina.
“Che gli prende?” chiese Sirius, a nessuno in particolare.
James guardò Lily, che si strinse nelle spalle.
“Probabilmente è solo stanco” cercò di abbozzare la donna, guardando la
porta chiusa.
Thomas nascose un sorrisetto, grattandosi la punta del naso.
Poi, fu solo un istinto.
Mosse il cavallo di Sirius.
“Scacco matto” disse calmo, ghignando verso James.
“Ridicolo”.
Non rispose, continuando a
salire la scala.
“Tu lo capisci che è ridicolo, vero?”.
Ancora in silenzio.
“Victoria...”.
“Sì, Draco, è ridicolo,
orripilante, e irrispettoso. I tuoi antenati si rivolterebbero nella tomba e
tuo padre, se fosse vivo, ti ucciderebbe. Ma adesso, mio caro, non hai altra
scelta, quindi smettila di infastidirmi e abbi la compiacenza di fingere di
essere grato”.
Voltando leggermente la
testa, Victoria si assicurò che Draco non facesse altre repliche.
Draco, dal canto suo, sospirò
amaramente, chinando il capo.
Victoria vide aprirsi le
porte della Presidenza senza neanche bussare.
“Cari ragazzi!” vennero
salutati.
“Devi assolutamente cambiare
repertorio di battute, Albus”.
Silente le sorrise, e li fece
accomodare.
“Ho letto la tua lettera,
Victoria”.
“Sono contenta che tu sia
arrivato subito al dunque” annuì Victoria, accavallando le gambe. “Smettila di
fissarmi, Draco” sibilò poi.
Draco distolse lo sguardo,
sottilmente imbarazzato.
“Ebbene, Draco, la richiesta
che mi ha sottoposto Victoria non è del tutto escludibile, almeno per quanto mi
riguarda”.
“E quale sarebbe questa
proposta, signore?”.
Silente guardò Victoria da
sopra i suoi occhiali famosi.
“Non hai un posto dove
andare, Draco, e so per certo che i tuoi risparmi stanno finendo” spiegò
Victoria. “Ergo, le soluzioni sono tre: o vai a stare dai Lupin, o vai a
lavorare presso i Tiri Vispi Weasley oppure ti metti a fare l’insegnante a
Hogwarts”.
Draco boccheggiò, tenendosi
per i braccioli della poltrona, come se qualcosa, sotto il suo regale
fondoschiena, stesse bruciando.
“Avevi detto...”.
“Avevo detto che Silente
avrebbe saputo cosa fare. Ed infatti è così, dato che la storia dell’insegnamento
è stata, per gran parte, una sua idea”.
“C’è un piccolo problema”
Silente catalizzò di nuovo l’attenzione su di sé. “Io non sarò di nuovo Preside
di Hogwarts”.
Victoria spalancò gli occhi.
“Ho deciso di prendermi una
vacanza. Credo, in tutta onestà, che le mie vecchie ossa abbiano bisogno di
riposarsi”.
Si levarono dei mormorii di
assenzio dai quadri alle sue spalle.
Nessuno dei due ragazzi ebbe
da obbiettare.
“Quindi adesso è tutto nelle
mani di Minerva. So che cercava un sostituto per Trasfigurazione, e so che
Draco andava molto bene nella materia della Professoressa McGranitt e mia, ai
miei tempi”.
Silente si soffermò a
guardare Draco.
“Tornerà questo pomeriggio. Te
la senti di aspettare per un colloquio?”.
“Oggi?”.
“Oggi stesso”.
Draco boccheggiò ancora,
guardando prima Victoria, poi di nuovo Silente.
Sospirando, Victoria si alzò
in piedi.
“Bene, buona fortuna Draco”.
“Ehi, ehi!” Draco si alzò a sua volta, prendendola per una manica.
Victoria rabbrividì, ricordando una cera cosa.
“Cosa c’è, Draco?”.
“Non resti?”.
Victoria sospirò.
Le sue intenzioni erano quelle di andare a far ingoiare a Potter un po’
di veleno di amarantula, giusto per lasciare un significativo ricordo di lei a
Grimmauld Place, non certo di assistere ad un colloquio di lavoro.
Guardò Silente, e si morse un labbro.
“E va bene. Cosa ci sarà per
pranzo, Albus? Sto letteralmente morendo di fame”.
Albus
le sorrise e, guardandolo intensamente, fece l’occhiolino a Draco.
Scivolò lentamente nello
studio del secondo piano, quello con solo una finestra, quello dove ci aveva
trovato un paio di volte suo padre, da solo, al buio, quando Victoria era stata
male.
“Grazie per avermi concesso
un minuto del tuo tempo, Harry”.
Il ragazzo gli sorrise.
“Dimmi tutto” lo incoraggiò.
“Ebbene, per prima cosa,
sento che devo ringraziarti. Il nostro soggiorno sta per finire, e da fratello,
devo assolutamente ringraziarti per quello che hai fatto per mia sorella, te ne
sarò eternamente grato”.
Harry Potter gli sorrise, genuinamente
imbarazzato.
“Non dirlo. L’ho fatto perché
sentivo di farlo, per tutto quello che, comunque, ha fatto tuo padre nei miei
confronti durante i miei anni di scuola. Adesso posso dire che non sarei qui in
questo momento se non fosse stato per lui”.
Thomas gli sorrise a sua
volta, consapevole.
“Sai, ho avuto modo di
conoscere i gemelli Weasley, questa mattina. Simpatici ragazzi. È sempre
confortante per un gemello conoscere altri gemelli, è come se fossimo una
specie a parte, non so se riesco a spiegarmi”.
Harry annuì, senza
convinzioni.
“Fred e George sono l’estensione
l’uno dell’altro, come me e Victoria, ma in maniera molto diversa. Loro sono
praticamente identici, mentre mia sorella ed io siamo molto diversi, e non solo
per caratteristiche puramente fisiche. Lei è quella forte, quella stronza,
quella carina. Io sono l’ingenuo, il buono, quello bruttino”. Thomas sorrise,
pensando ai suoi di anni di scuola. “Eppure, come tutti i gemelli, Victoria ed
io, così come Fred e George, non esisteremmo l’uno senza l’altra”.
Harry annuì di nuovo, questa
volta capendo ciò che Thomas voleva dirgli: ancora ricordava il periodo buio di
George, quello in cui non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio.
“Potrà sembrarti stupido, ma la
sera in cui mi arrivò la comunicazione di Silente che mi informava su quello
che stava succedendo a Victoria, io avevo già chiesto qualche giorno di
permesso per venire qui a Londra. Non è empatia, tutto ciò?”.
Thomas fece un paio di passi
verso Harry, appoggiato al caminetto spento e polveroso.
“Non capisco dove vuoi
arrivare”.
“Sei figlio unico, Potter,
non potrai mai capire”. Si avvicinò ancora, quasi bisbigliando. “Pensi davvero
che Victoria non mi abbia detto niente? Pensi davvero che quello che è successo
quella notte, sulla Torre, sia rimasto tra te e lei? Pensi che quello che è
successo ieri sera, tra te e mia sorella, io non lo sappia?”.
Fu con una certa
soddisfazione che Thomas vide una sola, sottile goccia di sudore colare dalla
tempia di Potter.
“Non ho mai picchiato nessuno
nella mia vita, Harry Potter, e non ho intenzione di iniziare con te. Quindi,
cerca di trovare una soluzione per ciò che hai fatto, e sappi che Victoria non
avrà pietà di te, se proverai anche solo a pensare di farle del male”.
“No – non è mia... intenzione”.
Fu il turno di Thomas di
annuire.
“Lo spero per te. E sappi che
il ritorno all’ovile della piccola Weasley non mi è affatto piaciuto”.
“Non è stato un ritorno. È stato
un addio” si affrettò a spiegare Harry.
“Non sono affari miei” Thomas
fece due passi indietro, portando le mani dietro la schiena. “Bene, credo che
il pranzo sia pronto”.
Fece per uscire.
“Non aspettiamo Victoria?”.
Senza guardarlo, Thomas
sorrise.
“No. Resterà a Hogwarts con
Draco Malfoy”.
Non ci fu bisogno di voltarsi
per sentire la rabbia evaporare da ogni poro del piccolo Potter.
Stava scuotendo i capelli,
sorpresa da un temporale di fine estate tornando da Hogwarts.
“Ma voi non uscite mai di
casa?”.
“Non di sabato” rispose
laconico, appoggiandosi contro lo stipite della porta.
Victoria si sfilò l’impermeabile
e lo appese, sentendo gli occhi di Sirius perforarle la schiena.
“Mi pare di aver più volte
ribadito la mia avversione verso gli occhi puntati contro di me” mormorò,
infastidita.
L’occhio le cadde su una
borsa di stoffa rosa pallido appoggiata all’ingresso.
Storse la bocca, irritata.
Dannato Potter.
“Ciò che è bello va ammirato”.
Non era dell’umore giusto per
giocare con Sirius.
“Dovresti darti per vinto,
ogni tanto”.
Possibile che non capiva?
Possibile che avesse davvero
creduto nella sua pantomima di qualche settimana prima?
Victoria non era la ragazza
con lo stuolo di ammiratori al seguito, non lo era e non avrebbe voluto
esserlo, del resto.
Si era lasciata convincere a
fare quel famoso giretto in moto perché voleva far saltare la mosca al naso di
suo padre, e ci era riuscita.
Ma se non aveva voluto far
succedere niente quel pomeriggio, Sirius non avrebbe avuto chance a ventiquattro
ore dalla sua partenza.
Sirius le si parò innanzi,
con un sorriso sornione stampato sul volto.
“No, Sirius” disse solo
Victoria, senza guardarlo.
“Mi dispiace che vai via” sussurrò,
torcendo una ciocca di capelli di lei intorno al proprio dito.
“No, Sirius” ripeté, duramente.
“Pensavo di piacerti”.
Victoria gli regalò il suo
sorriso più ironico.
“Fatti una vita, Black”
soffiò, scansandolo di malo modo.
Sirius tentò ancora una volta
di bloccarle la strada.
Victoria si chiese cosa ne
avrebbe pensato sul fatto che il figlioccio l’avesse baciata non più di
ventiquattro ore prima.
E che qualche settimana prima
le aveva addirittura detto che l’amava.
Scosse la testa, arrabbiata
con se stessa.
Era stato per salvarla.
E l’aveva baciata perché era
Harry Potter, e pensava di poter ottenere tutto.
Eppure, l’amaro in bocca c’era.
Si sentiva come se avesse
perso ad un gioco a cui non sapeva neppure di star partecipando.
Avrebbe dovuto rifilargli un
calcio nell’inguine.
“Victoria”.
Sirius si ritrovò Thomas a
due centimetri dal naso.
“Non è giornata, Sirius” gli
disse solo, tirando via sua sorella. “Smettila di metterti nei guai” le
bisbigliò poi.
“Io non volevo nemmeno
venirci” sibilò lei, indignata. “E di quali guai parli?”.
Thomas continuò a tirarla in
giro per la casa, in silenzio.
“Abbiamo una sorpresa per te”
cantilenò Thomas con fare fintamente misterioso ad un certo punto, svoltando in
un corridoio del terzo piano.
Victoria inarcò un
sopracciglio. Quell’abbiamo non faceva presagire nulla di buono.
E quando dietro una porta
vide suo padre, la sensazione si acuì.
“Va bene, cosa succede?”
sbottò, quando Thomas la costrinse a sedersi sul divano. “Ehi, dov’è Edward?”.
“Dai Lupin. Adesso zitta”.
In silenzio, suo padre andò a
sedersi accanto a lei, che adesso era tra lui e Thomas.
“Mi sento circondata”
mugugnò, appoggiandosi mollemente al divano.
“Nella mia vita ho fatto cose
e visto cose di cui mi pento, ma che non starò qui a giustificare” iniziò
Severus, serio. “Errori e commissioni che ormai appartengono ad un passato che non
vale nemmeno la pena di ricordare in questo momento. Tentare di riparare
adducendo scusanti sarebbe vile e di cattivo gusto. Gli anni hanno sbiadito ciò
che è accaduto più di vent’anni fa, ed io non ho la forza né la voglia di
correggere le varie leggende che vi si saranno create intorno. Non sarò mai l’eroe,
e non voglio esserlo. Non mi piacerebbe essere ricordato per quel che ho fatto
o per quello che avrei potuto fare. Solo una cosa, oggi, mi importa che sia
chiara al mondo”.
Fece comparire davanti a loro
una serie di pergamene pulite che profumavano di nuovo, due piume ed un
calamaio.
“Stamani, con tuo fratello,
siamo andati al Ministero della Magia. Questi che vedi sono dei documenti di
nascita e di appartenenza al Mondo Magico”.
Victoria allungò una mano e
prese le pergamene, sfogliandole velocemente.
“Thomas non ha voluto firmare
niente senza il tuo consenso. Ho reputato fosse giusto”.
Victoria guardò per un
secondo il fratello, che le sorrideva.
Il sorriso di quando le
annunciò che sarebbe diventato padre.
“Come dicevo poc’anzi, di
una sola cosa mi importa che il mondo sappia. L’unica cosa di cui posso vantarmi,
l’unica per cui non debba dare spiegazioni. L’unica cosa che, se vorrete, potrò
dire che mi appartenga. I miei figli, la mia famiglia”.
Victoria trasalì.
Thomas le strinse
preventivamente la mano, e lei potè giurare che avesse gli occhi umidi.
“Sono le varie scartoffie per
il cambio di cognome” spiegò Thomas con voce tremante.
“Sono compiaciuto del fatto
che portiate avanti il cognome di mia madre, senza dubbio più altolocato del
mio, tuttavia...”.
Victoria non gli diede il
tempo di finire la frase.
Si avvicinò al calamaio, vi
intinse la bacchetta ed iniziò a leggere i fogli attentamente.
“Okay, dove devo firmare?”.
Non c’era niente da
aggiungere.
Thomas ci aveva sempre
tenuto.
Ed anche lei, anche se era un
sentimento che aveva tenuto represso dentro di sé per tanti anni.
Mise un numero imprecisato di
firme e passò le pergamene a Thomas.
Si mise a fissare suo padre,
socchiudendo gli occhi.
“Sì?” fece questi, celando
una certa gioia.
“Hai idea di quanti
compleanni, Natali e via discorrendo devi recuperare?”.
Severus abbozzò un sorriso.
Victoria gli scivolò lentamente
tra le braccia.
“Grazie”.
Victoria dovette mordersi il
labbro inferiore, perché piangere sarebbe stato tremendamente infantile da
parte sua.
Stava scuotendo i capelli,
sorpresa da un temporale di fine estate tornando da Hogwarts.
“Ma voi non uscite mai di
casa?”.
“Non di sabato” rispose
laconico, appoggiandosi contro lo stipite della porta.
Victoria si sfilò l’impermeabile
e lo appese, sentendo gli occhi di Sirius perforarle la schiena.
“Mi pare di aver più volte
ribadito la mia avversione verso gli occhi puntati contro di me” mormorò,
infastidita.
“Ciò che è bello va ammirato”.
Non era dell’umore giusto per
giocare con Sirius.
“Dovresti darti per vinto,
ogni tanto”.
Possibile che non capiva?
Possibile che avesse davvero
creduto nella sua pantomima di qualche settimana prima?
Victoria non era la ragazza
con lo stuolo di ammiratori al seguito, non lo era e non avrebbe voluto
esserlo, del resto.
Si era lasciata convincere a
fare quel famoso giretto in moto perché voleva far saltare la mosca al naso di
suo padre, e ci era riuscita.
Ma se non aveva voluto far
succedere niente quel pomeriggio, Sirius non avrebbe avuto chance a ventiquattro
ore dalla sua partenza.
Sirius le si parò innanzi,
con un sorriso sornione stampato sul volto.
“No, Sirius” disse solo
Victoria, senza guardarlo.
“Mi dispiace che vai via” sussurrò,
torcendo una ciocca di capelli di lei intorno al proprio dito.
“No, Sirius” ripeté, duramente.
“Pensavo di piacerti”.
Victoria gli regalò il suo
sorriso più ironico.
“Fatti una vita, Black”
soffiò, scansandolo di malo modo.
Sirius tentò ancora una volta
di bloccarle la strada.
Victoria si chiese cosa ne
avrebbe pensato sul fatto che il figlioccio l’avesse baciata non più di
ventiquattro ore prima.
E che qualche settimana prima
le aveva addirittura detto che l’amava.
Scosse la testa, arrabbiata
con se stessa.
Era stato per salvarla.
E l’aveva baciata perché era
Harry Potter, e pensava di poter ottenere tutto.
Doveva essere così.
Non importava il fatto che non
fossero tornati insieme.
“Victoria”.
Sirius si ritrovò Harry a due
centimetri dal naso.
“Victoria, so che Thomas ti
sta cercando. Mi ha chiesto di venirti a cercare”.
Sirius aggrottò le
sopracciglia.
“Stavamo parlando, Harry”
sottolineò, piuttosto inacidito.
“Ma mio fratello mi cerca, quindi mi dispiace, Sirius, ma il fato vuole che
questa conversazione muoia” e fu per istinto e allungò un braccio oltre le
spalle di Sirius, afferrando la mano tesa di Harry.
Si lasciò condurre abbastanza
docilmente fino al terzo piano, senza parlare.
“Devo ringraziarti ancora,
Potter?” chiese ad un certo punto.
Lui si voltò per risponderle,
quando Thomas si materializzò sul pianerottolo davanti a loro.
“Vedo che l’hai trovata prima
tu” disse questi, compiaciuto.
Victoria, come se avesse
preso la scossa, lasciò andare la mano di Harry.
“Che succede?” fece Victoria,
ponendosi tra suo fratello e Harry, che stava diventando di una poco simpatica
sfumatura bordeaux.
Thomas lanciò ad entrambi un’occhiata
divertita, prima di spingere Victoria lungo il corridoio.
“Abbiamo una sorpresa per te”
cantilenò Thomas con fare fintamente misterioso ad un certo punto, svoltando in
un corridoio del terzo piano.
Victoria inarcò un
sopracciglio. Quell’abbiamo non faceva presagire nulla di buono.
E quando dietro una porta
vide suo padre, la sensazione si acuì.
“Va bene, cosa succede?”
sbottò, quando Thomas la costrinse a sedersi sul divano. “Ehi, dov’è Edward?”.
“Dai Lupin. Adesso zitta”.
In silenzio, suo padre andò a
sedersi accanto a lei, che adesso era tra lui e Thomas.
“Mi sento circondata”
mugugnò, appoggiandosi mollemente al divano.
“Nella mia vita ho fatto cose
e visto cose di cui mi pento, ma che non starò qui a giustificare” iniziò
Severus, serio. “Errori e commissioni che ormai appartengono ad un passato che non
vale nemmeno la pena di ricordare in questo momento. Tentare di riparare
adducendo scusanti sarebbe vile e di cattivo gusto. Gli anni hanno sbiadito ciò
che è accaduto più di vent’anni fa, ed io non ho la forza né la voglia di
correggere le varie leggende che vi si saranno create intorno. Non sarò mai l’eroe,
e non voglio esserlo. Non mi piacerebbe essere ricordato per quel che ho fatto
o per quello che avrei potuto fare. Solo una cosa, oggi, mi importa che sia
chiara al mondo”.
Fece comparire davanti a loro
una serie di pergamene pulite che profumavano di nuovo, due piume ed un
calamaio.
“Stamani, con tuo fratello,
siamo andati al Ministero della Magia. Questi che vedi sono dei documenti di
nascita e di appartenenza al Mondo Magico”.
Victoria allungò una mano e
prese le pergamene, sfogliandole velocemente.
“Thomas non ha voluto firmare
niente senza il tuo consenso. Ho reputato fosse giusto”.
Victoria guardò per un
secondo il fratello, che le sorrideva.
Il sorriso di quando le
annunciò che sarebbe diventato padre.
“Come dicevo poc’anzi, di
una sola cosa mi importa che il mondo sappia. L’unica cosa di cui posso vantarmi,
l’unica per cui non debba dare spiegazioni. L’unica cosa che, se vorrete, potrò
dire che mi appartenga. I miei figli, la mia famiglia”.
Victoria trasalì.
Thomas le strinse
preventivamente la mano, e lei potè giurare che avesse gli occhi umidi.
“Sono le varie scartoffie per
il cambio di cognome” spiegò Thomas con voce tremante.
“Sono compiaciuto del fatto
che portiate avanti il cognome di mia madre, senza dubbio più altolocato del
mio, tuttavia...”.
Victoria non gli diede il
tempo di finire la frase.
Si avvicinò al calamaio, vi
intinse la bacchetta ed iniziò a leggere i fogli attentamente.
“Okay, dove devo firmare?”.
Non c’era niente da
aggiungere.
Thomas ci aveva sempre
tenuto.
Ed anche lei, anche se era un
sentimento che aveva tenuto represso dentro di sé per tanti anni.
Mise un numero imprecisato di
firme e passò le pergamene a Thomas.
Si mise a fissare suo padre,
socchiudendo gli occhi.
“Sì?” fece questi, celando
una certa gioia.
“Hai idea di quanti
compleanni, Natali e via discorrendo devi recuperare?”.
Severus abbozzò un sorriso.
Victoria gli scivolò lentamente
tra le braccia.
“Grazie”.
Victoria dovette mordersi il
labbro inferiore, perché piangere sarebbe stato tremendamente infantile da
parte sua.
“Ti abbiamo visto” la canzonò
Thomas, inginocchiato verso il letto.
“Via” brontolò Victoria.
Thomas guardò Severus, come a
dire “te l’avevo detto”.
“In piedi, folletto
dispettoso. Ci aspetta una giornata dura”.
Per tutta risposta, Victoria
sbuffò, rannicchiandosi sotto le lenzuola.
“Fa’ sempre così?” chiese
Severus, come se stessero disquisendo del tempo.
“Solo quando si sveglia
capricciosa” scrollò le spalle Thomas.
“E quante volte capita, se è
lecito saperlo?”.
“Meno delle volte che capita
ad Edward” assicurò Thomas, gettando un’occhiata fugace a Victoria che, come da
copione, mise fuori fronte, naso e sguardo truce.
“Mi stai paragonando ad un
bambino di cinque anni, per caso?” chiese, con fare minaccioso.
“No. Meno di cinque anni”
corresse, tirandole il naso. Victoria si lamentò ed iniziò a scalciare,
cercando di allontanare il fratello molesto.
Non ci volle molto, ed
entrambi rotolarono giù dal letto, in un tripudio di coperte, lenzuola e
cuscini.
“Guarda cos’hai fatto” accusò
Victoria, venendo fuori alla meno peggio del groviglio.
“Hai iniziato tu!” obiettò
Thomas. “Ha iniziato lei, vero papà?”.
Severus, dal canto suo, era
abbastanza esterrefatto.
“Cinque anni, ma in due”
scosse la testa, tirando via le coperte dalla testa di Thomas. “Basta giocare”
sentenziò, e con un colpo di bacchetta rimise lenzuola, coperte e cuscini al
loro posto.
“Ehi!” salutò Edward dalla
porta, ridacchiando. “Anche io voglio giocare!”.
Thomas sorrise, prendendo suo
figlio al volo e gettandoselo sulle spalle come un sacco di patate.
“Giocherete dopo. Adesso c’è
da fare colazione” lo istruì Severus, aiutando Victoria a mettersi in piedi.
“Va bene, nonno” rispose
Edward, dalla spalla di Thomas.
“Qualcuno che ragiona in
questa famiglia” annuì Severus, tenendo la porta aperta mentre figli e nipote
gli sfilavano davanti.
“E poi?”.
“E poi niente”.
James gettò un paio di
occhiate verso la finestra, dove i Piton al completo irrompevano in cucina.
“Niente come?” bisbigliò.
“Se n’è andata. Mi ha perfino
preso in giro, la piccola Mocciosus”.
“Non era quello che volevi,
Sirius?”.
Sirius si passò una mano fra
i capelli, nervosamente.
“Certo. Cioè, andiamo, è una
ragazzina. E poi, è la figlia di Piton” si strinse nelle spalle. “Non volevo
nient’altro” assicurò.
“Però non ti è andata giù che
ti non si sia gettata ai tuoi piedi” concluse James.
Sirius schioccò un paio di
volte la lingua, senza rispondere.
“Arrivederci e grazie era una
delle mie frasi più famose” borbottò, evitando accuratamente di guardare dove
stava guardando James.
“Pensi che Piton andrà con
loro?” chiese James.
“Ti interessa?” rispose
Sirius, ironico.
James vide Lily pizzicare un
fianco di Severus, ridacchiando.
“Neanche un po’” mentì,
marciando verso la sala da pranzo.
Thomas scese anche il trolley
di Victoria, e lo ammucchiò insieme ai bagagli suoi e di Edward ed alla gabbia
di Torie la Puffola Pigmea, accanto alla porta che dava sul giardino sul retro,
dove da lì a poco sarebbe arrivato il Tunnel Intercontinentale.
Controllò mentalmente che non
mancasse niente, preparò il soprabito ed il maglioncino che Edward avrebbe
dovuto indossare, e guardò la pendola.
Le tredici e quarantacinque.
Perfetto orario.
Avevano finito di pranzare da
poco, e fu abbastanza lieto di non vedere il volto sfregiato, dannato Potter a
tavola, così da evitarsi una buona dose di bile in più.
Ovviamente, Victoria era
ancora su in camera a vestirsi, perché Victoria non era Victoria se non gli
avesse fatto venire un attacco di cuore.
Thomas odiava i ritardi, specialmente
quando c’era un mezzo da prendere.
Per distrarsi, decise di
andare alla ricerca di suo figlio, misteriosamente sparito insieme al nonno da
un buon quarto d’ora.
Svoltò verso il piccolo
ufficio dove Severus si era nascosto in solitudine durante le due lunghissime
settimane in cui Victoria non era stata lei, e trovò Lily nascosta dietro un
angolo.
“Lily!” chiamò Thomas, ma
prima ancora che potesse pensare qualcosa di coerente, la donna lo prese per
una manica e lo richiamò nell’angolo insieme a lei.
“Lily?” sbatté le palpebre
Thomas, senza capire. Lily gli fece cenno di tacere, ed indicò l’ufficio.
“E ci verrai a trovare?”
stava chiedendo Edward.
“Certo, se potrò” rispose
Severus.
Si sentì lo strusciare tipico
di fogli consumati, e dei passettini camminare per la stanza.
“Ho fatto preparare da
Kreacher dei toast e qualche sandwich, avrete fame quando arriverete” spiegò
Lily, sottovoce “ed ero venuta per dirlo a Severus, quando li ho sentiti
parlare, e...”.
“... e ti sei messa ad
origliare” concluse Thomas.
Lily arrossì.
“E ti posso chiedere una
cosa, nonno?” riprese Edward.
Thomas lo poté vedere, le
manine dietro la schiena, che si stava dondolando sui talloni.
“Prego” acconsentì Severus,
con aria magnanima.
“Mi vorrai ancora bene quando
sarò tornato a casa?”.
Lily tirò su col naso.
Thomas fece appello a tutta
la sua virilità per non fare lo stesso.
Ci furono dei secondi carichi
di aspettativa.
“Ma certo, Edward. Il nonno
ti amerà sempre, sempre”.
Struscio di vestiti, un
ginocchio che toccava terra per raggiungere le braccine tese di un bambino
dolce.
“Come sto?”.
Severus era sulle scale, ad
aspettare Victoria che, finalmente!, pareva essere pronta, per il rotto della
cuffia.
“È molto castigata, lo so, ma
è la divisa da lavoro”.
Tailleur grigio, camicia
bianca, spilla appuntata al petto con la doppia vu che brillava.
Capelli raccolti, trucco
appena accennato.
Victoria Eileen Piton.
Sua figlia, una donna.
“Il Tunnel è già arrivato”
disse Severus sbrigativo, dandole il braccio, accompagnandola fuori, dove
Thomas aveva già terminato il giro dei saluti.
“Siamo in ritardo” le
annunciò.
“Victoria Piton?” le chiese
un uomo grasso, con un berretto grigio e rosso in testa.
“Eccomi” Victoria prese il
biglietto che aveva in tasca, e lo diede al Controllore del Tunnel. “Beh, siamo
arrivati alla fine” ruppe il silenzio, continuando a fissare il Controllore.
“Due minuti e si parte” comunicò
il Controllore, scomparendo nel Tunnel dietro Thomas.
“Fate buon viaggio” salutò James.
“Tornate a trovarci”
singhiozzò Lily. Gli addii avevano un brutto effetto su di lei.
Sirius rimase in silenzio,
facendo solo un cenno di saluto.
“Grazie di tutto” fece
Thomas, abbracciando Severus. “Ciao, papà”.
“Mi raccomando”.
“Nonno ha promesso che ci
verrà a trovare” proclamò Edward, saltando in braccio a Victoria.
“Il nonno la manterrà questa
promessa, vero?”.
Victoria guardò suo padre
negli occhi, e ci vide i suoi.
Severus si allungò per
abbracciarla.
“Fa’ la brava” le bisbigliò.
Victoria sentì le guance
arrossarsi un po’.
“Io sono sempre brava” mentì,
restituendo l’abbraccio.
“Tienila d’occhio” si
assicurò Severus, guardando Thomas.
“Sempre. Addio!” salutò
ancora Thomas, spingendo Victoria ed Edward nel Tunnel, che già iniziava a
scomparire.
Uno sbuffo, un piccolo lampo
di luce, ed erano andati.
Severus rimase lì in piedi,
in silenzio, come se non avesse afferrato cosa era appena accaduto.
Erano andati via.
Veloci com’erano arrivati.
Sospirò.
Sentì qualcuno dargli una
pacca sulla spalla.
“Noi non abbiamo niente da fare
il prossimo fine settimana” gli disse James Potter, accanto a lui.
Severus lo guardò come se gli
fosse spuntata una seconda testa.
“Silente è andato in vacanza
e non sappiamo dov’è andato. Possiamo provare a cercarlo, e fermarci a Boston
un paio di giorni...”.
“... anche una settimana...”
borbottò Sirius.
“... e potrebbero venire
anche Remus, Dora e Teddy! Teddy sarebbe così contento di rivedere Edward!”
sbattè le mani Lily.
Severus li guardò, inarcando
un sopracciglio.
“Cercare Silente?” chiese.
Lily annuì vigorosamente, prendendogli
il braccio sinistro.
“Sarà divertente” assicurò.
Severus la guardò, poi voltò
la testa, per esaminare James e Sirius guardarlo bramosi.
“No” scosse la testa, entrando
in casa.
“Andiamo! Non fare il
guastafeste!” si oppose James.
“È vero, Sev!” brontolò Lily,
cercando di trattenerlo.
“È vero, Sevviee” Sirius fece
il verso a Lily.
“Ho detto di no” ripeté
Severus.
Anche perché, non c’era
bisogno di andarlo a cercare.
Lui sapeva benissimo dove
fosse quel vecchio imbroglione.
Altrimenti, che uomo di Silente
sarebbe mai stato?
Alle quindici, si alzò dalla
poltrona in pelle nera in cui era sprofondato.
“Esco un attimo”.
Ron lo guardò di traverso,
emergendo da un mucchio di scartoffie da compilare.
“Dove vai?”.
“Niente di importante. Torno presto.
Puoi coprirmi?”.
“Va bene. E portami un hot
dog tornando!” gli urlò dietro, prima che potesse scomparire dietro la porta.
Ron non sapeva cosa stesse
succedendo a Harry.
Era dai tempi di Lord
Voldemort - pensare a quel nome gli faceva ancora un certo effetto – che non
lo vedeva così lunatico.
Probabilmente, Harry doveva
ancora superare tutta la storia dei suoi genitori, e Sirius, e Lupin, e Tonks,
e Piton, tornati in vita.
Anche lui, in realtà, doveva
ancora superarlo.
Ron non si sarebbe
preoccupato tanto se Harry gli avesse detto che era uscito a comprare un solitario
a Ginny.
Perché se non l’avesse fatto
in quel momento, probabilmente Harry non l’avrebbe fatto mai.
James e Lily sarebbero stati
fieri di lui.
Così Harry era uscito di
nascosto dall’Ufficio degli Auror, in quel giorno di fine agosto, assolato e
caldo per essere già ad un passo dall’autunno, per comprare un anello.
L’Anello.
E mentre percorreva le strade
di Diagon Alley alla ricerca di quella gioielleria che gli aveva indicato
Andromeda il giorno prima, lo stomaco di Harry si chiudeva.
Sono emozionato, si diceva.
Ma Harry non era mai stato
bravo a mentire, neanche a se stesso.
FINE
------------------------------------
Ebbene sì, care amiche/i del Pitone: la prima versione termina qui. Un po' poco? Un po' troppo poco? Cerco di restare fedele al principio di zia Row che vuole Harry e Ginny sposini felici, ma ci metto abbastanza del mio. Il prossimo Capitolo Quarantaquattro (ove la Mary Sueaggine si sprecherà) tuttavia non sarà il finale della seconda versione, per quella c'è tempo.
Grazie!
“Grazie” Harry le baciò la
punta del naso freddo. “Dormito bene?”.
“Poco, ma bene” rispose lei,
maliziosamente, stiracchiandosi.
Harry si allontanò di nuovo dal
letto, aggiustandosi i polsini della camicia sotto la giacca.
“Che ore sono?” chiese Victoria,
mettendosi a sedere.
“Le sette e mezza, credo”.
“Non è un po’ presto?”.
Si mosse leggermente di lato,
per permettere a Harry di sedersi accanto a lei.
“Devo fare delle commissioni”
le rispose vago, baciandola. “E così, siamo arrivati al gran giorno”.
“Già” fece Victoria.
“Contenta di tornare a casa?”.
Victoria inclinò la testa di
lato, socchiudendo gli occhi.
“Sì, in realtà. Mi manca il
mio appartamento, devo risolvere questa faccenda dello Spauracchio Voldemort
alla WIA ed avrò l’Amministratore appostato dietro la porta per l’affitto”.
“Avrai una buona accoglienza,
allora”.
“Ah, sì. Impazzisco per il
grasso che cola dalla pancia del mio amministratore”.
Harry le spostò una ciocca di
capelli dal viso.
“Beh, allora
addio, Harry Potter”.
Harry la guardò negli occhi.
“No. Arrivederci”.
La baciò ancora, poi, si
smaterializzò.
Victoria scosse la testa, si
rituffò sotto le coperte e dormì almeno un’altra ora.
“Dov’è tua sorella?”.
Aveva vissuto una scena del
genere.
A casa di Bradley Brandon,
una sera che s’era fermato a dormire da lui perché sbronzo com’era, non sarebbe
stato capace di Materializzarsi a casa neanche volendo.
Erano a tavola, appena
svegli, e l’ultimo ricordo che Brad aveva di Clarissa riguardava un certo
giocatore di Quidditch e una delle centinaia di stanze di casa McDowey.
Ora, Thomas era sobrio, non
beveva da almeno sei anni ed era sicuro che Victoria fosse sotto il suo stesso
tetto, ma anche lui aveva notato la sua assenza, e soprattutto, il letto non
disfatto che c’era in camera sua.
Dettaglio non trascurabile, a
casa di Bradley Brandon era il padre di Brad che metteva sotto tortura il
figlio con quello sguardo da tiranno, non certo il suo, ed a casa di Sirius
Black.
“Sarà a farsi una doccia”
gettò lì, prendendo la sua parte di uova strapazzate.
“Harry è uscito molto presto
questa mattina” disse Lily, a sua volta. “Tu sai come mai?” chiese, rivolta a
James.
“No, non mi pare mi abbia
detto niente in merito” rispose James.
Thomas guardò James, cercando
di capire se stesse mentendo o meno.
Thomas scese anche il trolley
di Victoria, e lo ammucchiò insieme ai bagagli suoi e di Edward ed alla gabbia
di Torie la Puffola Pigmea, accanto alla porta che dava sul giardino sul retro,
dove da lì a poco sarebbe arrivato il Tunnel Intercontinentale.
Controllò mentalmente che non
mancasse niente, preparò il soprabito ed il maglioncino che Edward avrebbe
dovuto indossare, e guardò la pendola.
Le tredici e quarantacinque.
Perfetto orario.
Avevano finito di pranzare da
poco, e fu abbastanza lieto di non vedere il volto sfregiato, dannato Potter a
tavola, così da evitarsi una buona dose di bile in più.
Ovviamente, Victoria era
ancora su in camera a vestirsi, perché Victoria non era Victoria se non gli
avesse fatto venire un attacco di cuore.
Thomas odiava i ritardi, specialmente
quando c’era un mezzo da prendere.
Per distrarsi, decise di
andare alla ricerca di suo figlio, misteriosamente sparito insieme al nonno da
un buon quarto d’ora.
Svoltò verso il piccolo
ufficio dove Severus si era nascosto in solitudine durante le due lunghissime
settimane in cui Victoria non era stata lei, e trovò Lily nascosta dietro un
angolo.
“Lily!” chiamò Thomas, ma
prima ancora che potesse pensare qualcosa di coerente, la donna lo prese per
una manica e lo richiamò nell’angolo insieme a lei.
“Lily?” sbatté le palpebre
Thomas, senza capire. Lily gli fece cenno di tacere, ed indicò l’ufficio.
“E ci verrai a trovare?”
stava chiedendo Edward.
“Certo, se potrò” rispose
Severus.
Si sentì lo strusciare tipico
di fogli consumati, e dei passettini camminare per la stanza.
“Ho fatto preparare da
Kreacher dei toast e qualche sandwich, avrete fame quando arriverete” spiegò
Lily, sottovoce “ed ero venuta per dirlo a Severus, quando li ho sentiti
parlare, e...”.
“... e ti sei messa ad
origliare” concluse Thomas.
Lily arrossì.
“E ti posso chiedere una
cosa, nonno?” riprese Edward.
Thomas lo poté vedere, le
manine dietro la schiena, che si stava dondolando sui talloni.
“Prego” acconsentì Severus,
con aria magnanima.
“Mi vorrai ancora bene quando
sarò tornato a casa?”.
Lily tirò su col naso.
Thomas fece appello a tutta
la sua virilità per non fare lo stesso.
Ci furono dei secondi carichi
di aspettativa.
“Ma certo, Edward. Il nonno
ti amerà sempre, sempre”.
Struscio di vestiti, un
ginocchio che toccava terra per raggiungere le braccine tese di un bambino
dolce.
“Come sto?”.
Severus era sulle scale, ad
aspettare Victoria che, finalmente!, pareva essere pronta, per il rotto della
cuffia.
“È molto castigata, lo so, ma
è la divisa da lavoro”.
Tailleur grigio, camicia
bianca, spilla appuntata al petto con la doppia vu che brillava.
Capelli raccolti, trucco
appena accennato.
Victoria Eileen Piton.
Sua figlia, una donna.
“Il Tunnel è già arrivato”
disse Severus sbrigativo, dandole il braccio, accompagnandola fuori, dove
Thomas aveva già terminato il giro dei saluti.
“Siamo in ritardo” le
annunciò.
“Victoria Piton?” le chiese
un uomo grasso, con un berretto grigio e rosso in testa.
“Eccomi” Victoria prese il
biglietto che aveva in tasca, e lo diede al Controllore del Tunnel. “Beh, siamo
arrivati alla fine” ruppe il silenzio, continuando a fissare il Controllore.
“Due minuti e si parte” comunicò
il Controllore, scomparendo nel Tunnel dietro Thomas.
Victoria si era preparata un
discorso rapido d’addio, e sarebbe riuscita a finirlo, se Harry non si fosse
Materializzato proprio in quel momento.
“Harry!” squittì Lily. “Non
dovresti essere...”.
“Quanto tempo abbiamo?”
chiese Harry.
“Due minuti” fece Thomas.
“Per cosa?” cercò di
intromettersi James, senza successo.
“Ho una soluzione” iniziò Harry.
“Ho una soluzione per tutto”.
“Il tuo ego è davvero
spropositato, Potter” sibilò Severus, irritato dal fatto che Harry stesse
disturbando questo momento delicato dei saluti.
“Arriva al dunque” incalzò
Victoria.
“Ci ho pensato tutta la notte,
cioè, mentre dormivi”.
Le sopracciglia di tutti
scattarono verso l’alto, meno che quelle di Thomas.
“Ed è una cosa così semplice,
e banale, che mi stupisco come non mi sia venuta in mente prima”.
“Stringi” fece fretta
Victoria, imbarazzata.
“Non ci avevo pensato, perché
prima non lo volevo. Pensavo di non volerlo. Invece erano le circostanze che mi
impedivano di volerlo...”.
“Sei definitivamente
impazzito, Harry” scosse la testa Victoria, divertita dallo smodato uso del
verbo volere che Harry stava tenendo.
“Harry?!” striderono Seveurs,
James e Sirius contemporaneamente.
“Esatto! Io sono pazzo, no,
Victoria?”.
Scatolina di velluto rosso
sangue.
Diamante e oro bianco.
Lily espirò tanto
profondamente che James dovette voltarsi per assicurarsi che stesse ancora
respirando.
“Mi sono informato. C’è un
dipartimento WIA anche presso i nostri Uffici al Ministero. Ci crederesti? Fanno
capo all’Ufficio Misteri. Adesso che avete cambiato cognome, Edward riceverà la
lettera di Hogwarts – la McGranitt mi ha assicurato che la riceverà. E ho
parlato con Bill” continuò, riferendosi a Thomas. “Anche se metà della sua
famiglia mi odia, Ron dice che potrebbe trovarti lavoro alla Gringott”.
Aveva parlato così
velocemente, che Victoria e gli altri ci misero un po’ a registrare le sue
parole.
“Era questo che dovevi fare,
stamattina?” gli chiese, incerta.
“Ricevere e mandare gufi,
sostanzialmente. E comprare questo” le sventolò la scatolina sotto il naso.
“Non me lo stai chiedendo
davvero” la voce si stava assottigliando, mentre cercava di resistere alla
tentazione di afferrare quel dannato diamante.
“Sì. Te lo sto chiedendo. Vuoi
sposarmi, Victoria Eileen Piton?”.
E si inginocchiò.
Preventivamente, Lily tese le
mani per afferrare l’orlo dei vestiti di James e Severus.
“E cosa ci aspetterebbe? Un fidanzamento
lungo e faticoso a distanza?” fece ancora Victoria, scettica.
“Affatto. L’ho già avuto e
non mi è piaciuto” scosse la testa vigorosamente. “Vai a Boston, fai quello che
devi fare, chiedi il trasferimento, torna e sposami”.
“Mi ci vorrebbe meno di un
mese” tentò di intimidirlo.
“Perfetto. Lo sai che mia
madre adora le feste”.
“Stiamo partendo, signori!”
il grasso Controllore fece sbucare la sola testa dal Tunnel.
Victoria afferrò l’anello, se
lo mise al dito e baciò Harry.
“Tu sei pazzo”.
“E tu di più”.
“Vedi di arrivarci vivo al
matrimonio, Harry. Arrivederci!” fece Thomas, spingendo Victoria ed Edward nel
Tunnel, che già iniziava a scomparire.
“Ti amo!” urlò Harry,
arrossendo.
Uno sbuffo, un piccolo lampo
di luce, ed erano andati.
Si voltò, lentamente.
Suo padre e Piton: una sola,
uguale maschera pallida dipinta sul volto.
“Sono così contenta!” Lily
gli gettò le braccia al collo, commossa.
“Grazie, mamma” Harry la
strinse.
Lily lo trascinò in cucina,
già programmando con lui fiori, torta e luogo del matrimonio.
Severus, così come James, non
riuscivano a muoversi.
Sirius, riacquistando l’uso
della parola e del movimento, riuscì a dare una pacca sulla spalla ad entrambi.
“Come direbbe Remus, adesso
sì che siamo un’unica, grande famiglia” e rise sonoramente.
James e Severus lo
guardarono, a dispetto di tutto, in cagnesco.
“Chiudi il becco, Sirius” dissero in coro.
Poi si guardarono in faccia,
ancora più spaventati di prima.
Sapeva cosa avrebbe trovato,
quando sarebbe tornato a casa.
Kreacher con la cena.
Un silenzio innaturale.
Ed uno dei due ad aspettarlo.
Incrociando le dita, salutò
Ron e si Smaterializzò.
No, decisamente non era la
sua giornata.
“Sei in ritardo, Potter”.
Tolse l’impermeabile.
“Mi dispiace” e stava per
continuare con una serie di, reali!, giustificazioni, ma una mano sottile e
bianca si levò, fastidiosa, dal libro su cui era appoggiata.
“Inutile che cerchi scusanti.
Sei in ritardo e basta”.
“Non credevo fosse di così
tanto disturbo...”.
“... per me? Disturbo per me?”.
Ripescando dalla memoria
antiche paure, Harry vide vibrare la sua mascella in maniera pericolosa.
“Per me non è affatto un
disturbo, Potter, ma ti sarei grato, dato che è di mia figlia che stiamo
parlando, di usare un minimo di accortezza. Ti sei preso un impegno, o sbaglio?”.
Severus Piton: da
Mangiamorte, a spia, a padre e nonno esemplare.
“Mi dispiace, davvero” cercò
di essere convincente, ben sapendo che non ci sarebbe riuscito. “Tutto
tranquillo?” chiese comunque, sedendosi per qualche minuto.
“Ovviamente. Hanno mangiato
ed adesso sono di sopra. Dormienti, se siamo fortunati”.
Harry sorrise.
“Bene, adesso posso anche andare”.
Si alzò, richiudendo il suo tomo, e lasciandolo dov’era sempre, sul tavolino
accanto al camino. “Ah, tua madre ti manda la crostata alla frutta, è in cucina”
e si Smaterializzò, per tornare a Grimmauld Place.
Harry si stiracchiò, congedò
Kreacher e prese solo una fetta di crostata e la mangiò per le scale.
Aprì piano la porta della
camera da letto, e vi mise dentro solo la testa.
“Sei in ritardo” venne
accolto.
Harry scosse la testa,
divertito.
“Sì, mi è stato appena
ricordato”.
Si andò a sedere accanto a
Victoria, facendo attenzione a non svegliare Ariana, raggomitolata accanto a
lei, la manina protesa verso il pancione.
“Com’è andata la giornata?”
chiese Harry, accarezzando la testa della bambina.
“Come al solito. Abbiamo mangiato,
abbiamo fatto il riposino, mio padre ha dato il cambio al tuo e ha iniziato una
discussione con Ariana sul perché la favola dello stregone dal cuore peloso non
è esattamente una favola divertente”.
“Wow. Avrei voluto esserci”.
“Non ne posso più” si lamentò
alla fine Victoria.
Harry le baciò la fronte,
empatico.
“Solo un altro mese e mezzo. Ce
la puoi fare”.
“Sto impazzendo. Voglio uscire.
Voglio andare al lavoro. Non voglio vedere nessuno dei nostri parenti per
almeno due anni”.
Harry ridacchiò.
“I gemelli sono irruenti”
cercò di alleggerire la tensione, ma ricevette solo un’occhiataccia.
“Guardami bene, Harry Potter:
non mi avrai mai più, dopo che queste due piccole pesti saranno nate”.
In cuor suo, Harry sperava di
non dover dar peso a questo genere di giuramenti.
La volta prima, dopo aver
furiosamente litigato con Lily su che nome dare ai bambini, Victoria gli aveva
giurato che non avrebbe mai più condiviso il suo stesso tetto.
Ormoni, continuava a dirle.
Ma Victoria sembrava una
scheggia impazzita, una tigre chiusa in gabbia.
La gravidanza di Ariana era
andata liscia come l’olio, nove mesi tranquilli e felici, e la bambina era
anche nata per la data stabilita.
Ma i gemelli non ne volevano
sapere di starsene un po’ calmi.
Continuavano ad agitarsi,
come se stessero cercando di farsi il solletico a vicenda, o come se attentassero
ai nervi della loro povera madre, e già una volta Victoria aveva rischiato il distacco
della placenta.
Al secondo allarme, il giorno
in cui Edward aveva preso per la prima volta l’Espresso di Hogwarts, la sua
Guaritrice, la stessa che aveva seguito la nascita di Ariana, aveva costretto
Victoria ad una clausura forzata e sorvegliata.
E questa era la storia sul perché
Victoria era chiusa in quelle quattro mura da tre settimane, sul perché era
impossibile avere una conversazione con lei senza rischiare che lanciasse
maledizioni e sul perché Sirius aveva deciso che avrebbe rivisto Victoria solo
a parto avvenuto.
Ariana riusciva a distrarla e
tenerla tranquilla, sedendosi accanto a lei e fingendo di leggere favole ai
gemelli.
Aveva cinque anni, e Harry l’amava
in maniera smisurata.
E se la stessa cosa era
valida, ovviamente, per James e Lily, ma il tenero affetto che legava Ariana e
Severus era impossibile da credere e da descrivere.
La bambina era curiosa e
sveglia, ed il nonno, quando Victoria era stata male, le aveva presentato tutti
i componenti di un laboratorio di Pozioni, facendole rimestare un paio di volte
qualche Pozione semplice.
Ed era nato l’amore
sviscerale tra nonno e nipotina.
“Porto Ariana a letto”
bisbigliò, prendendo la figlia in braccio e portandola in camera sua.
Quanto tornò, Victoria
fissava accigliata il pancione enorme, come faceva spesso.
“Sono svegli” bisbigliò,
cospiratoria.
Harry poggiò la mano, ed il
gemello maschio, quello in alto, gli sferrò un calcio.
“Sento” fece, massaggiando la
zona.
“Lo fanno apposta”.
Victoria non aveva paura di
niente.
Tranne che di essere madre.
Durante la prima gravidanza,
l’unico suo momento di sconforto venne quando vide Hermione giocare con la
piccola Rose, di un anno più grande di Ariana.
Continuava a ripetere che lei
non sarebbe mai stata capace, perché non sapeva, lei non aveva i geni per
farlo.
C’era voluta un’intera notte,
ed una buona dose di gelato alla stracciatella, per convincere Victoria che
sarebbe stata una madre perfetta.
“Sono un orso, mi dispiace. A
te com’è andata oggi?” chiese Victoria, mentre Harry si cambiava e scivolava a
letto accanto a lei.
“Ho dovuto riempire un sacco
di scartoffie, hanno girato a noi un caso del reparto Rapporti Babbani”.
Victoria lo guardò.
“Facciamo cambio. Io vado a
lavoro e tu finisci la gestazione”.
Harry rise, tirandosela
vicino.
“Non ti priverei mai di questa
gioia, Torie”.
“Sei solo uno sporco egoista,
Potter” brontolò lei, sbadigliando.
Vedeva solo bianco e rosso.
Nessun altro colore.
E pochi suoni, spezzati.
Com’era successo?
Com’era stato possibile?
Avevano pianificato tutti i
giorni, fino al primo dicembre, il Giorno dei Gemelli.
Avevano anche deciso che il
trentuno ottobre, per Halloween, Harry avrebbe portato Ariana al suo primo “dolcetto
o scherzetto”, insieme a Hermione con Rose.
Severus aveva promesso che
avrebbe accompagnato Thomas a scegliere la divisa estiva per Edward.
James accompagnava a sua
volta Lily in un centro commerciale babbano a comprare delle tutine ai gemelli.
Con Remus e Tonks al
Ministero, avevano pattuito che, per quella sera, sarebbe rimasto Sirius.
Ma Sirius aveva fatto tardi.
E quando era arrivato a casa
Potter, non aveva trovato nessuno.
Solo una pozza si sangue a
terra, in cucina, ed un gufo che continuava a picchiare violentemente alla
finestra, con una pergamena che annunciava al signor Potter che i suoi bambini
sarebbero nati di prematuri e che avrebbe fatto meglio a correre al San Mungo.
Lui era arrivato al San
Mungo poco dopo, con in braccio una spaventata Ariana vestita da principessa.
Aveva sentito Severus urlare
contro Sirius cose che Ariana non avrebbe dovuto ascoltare, mentre James e
Thomas cercavano di tenere i due a debita distanza.
“Signor Harry Potter!” si
sentì chiamare dal corridoio, e Harry, lasciando Ariana a sua madre, si
sbracciò per farsi vedere dalla Guaritrice.
“Potter! Non le avevo forse
detto che Victoria doveva essere controllata ventiquattro ore su ventiquattro?”
sbottò la Guaritrice, puntandogli contro un dito insanguinato. Harry era solo
troppo impaurito per rispondere. “I gemelli sono nati: due chili e ottocento
grammi per ciascuno, forti ed in salute. Li tratteremo per un paio d’ora con
della Corroborante, ma, nonostante prematuri, erano pronti per nascere”.
Lily emise un sospiro di
sollievo.
“Come sta Victoria?” chiese
Harry, la voce che tremava.
La Guaritrice lo guardò negli
occhi.
“I bambini hanno spinto
violentemente per nascere, signor Potter. Hanno provocato un’emorragia ed
adesso sua moglie sta venendo operata da...”.
Ma Harry non sentiva più.
“Papà! Dove la mamma? Papà!”
lo stava chiamando Ariana, tendendo le mani tra le braccia di Lily.
“... e se passerà la notte, signor
Potter, allora starà bene. Adesso vada a vedere i suoi figli, sono già al nido”.
Harry si voltò.
I primi occhi che vide,
furono quelli di Thomas.
Grandi, scuri, pieni di
paura.
Poi, incrociò lo sguardo di
Sirius.
Lo odiò violentemente come
mai prima l’aveva odiato.
“Hai sentito, tesoro? I tue
fratellini sono nati!” stava dicendo Lily ad Ariana.
Harry si voltò verso di loro,
e prese la bambina dalle braccia della madre, perché ebbe l’irrazionale paura
che potesse scomparire anche lei.
“Papà...” chiamò flebilmente
Ariana, toccandogli la faccia.
“Allora, tesoro” cercò di
iniziare Harry, provando a tenere la voce quanto più ferma possibile. “I tue
fratelli sono nati e stanno bene. La mamma, adesso... la mamma riposa, Ariana,
capito? È tanto stanca...e... riposa...”.
No, non ce la faceva.
Non stava succedendo a lui.
Victoria non stava morendo.
Thomas corse in suo soccorso,
prendendo Ariana a sua volta.
“Adesso andiamo tutti a
vederli! Non sei curiosa di vedere i tuoi fratellini, Ariana?”.
Thomas guardò ad uno ad uno i
presenti, e fece un cenno impercettibile di seguirlo.
“Vediamo se sono più belli di
te” cercò di ridere James, tirandole i capelli.
“Io sono la più bella” si
oppose Ariana.
Harry non sentiva più niente.
Guardava a terra, le sue mani
tremavano.
Alzò gli occhi.
Piton era ancora lì.
Sentiva che doveva chiedergli
scusa, ma non usciva niente da quella sua gola secca.
Aprì la bocca.
La richiuse.
Si coprì il volto con le
mani, la disperazione e l’irrazionalità stava prendendo il sopravvento.
Sentì scendere le lacrime.
Si sentì stupido, inutile,
impotente.
Severus gli allontanò le mano
dal viso con un gesto perentorio.
Harry lo guardò, senza
capire.
“Smettila di fare la
ragazzina, Potter, la tua famiglia ha bisogno di te”.
Vide la sua stessa rabbia,
paura e disperazione brillare negli occhi di Severus.
Seppe che aveva ragione.
Si asciugò gli occhi con il
dorso della mano ed annuì, scuotendo la testa.
Lui doveva essere forte.
Per Ariana.
Per i gemelli.
Per Victoria.
Non se la sentiva di vedere i
gemellini, però, non ancora.
Severus gli dette le spalle e
si accomodò su una delle serie accanto la Sala Operatoria.
“Ed adesso aspettiamo, Harry”.
Harry gli si sedette accanto,
appoggiando la testa sul freddo muro azzurro dietro di loro.
Una volta riuscita a
convincere Ariana che sarebbe stato davvero divertente continuare la festa di
Halloween con Rose ed il piccolo Hugo, e promettendole che appena la mamma si
fosse svegliata lei sarebbe stata la prima ad essere chiamata, Thomas portò Ariana
a casa di Ron e Hermione, Harry potè, finalmente, riuscire a catalizzare tutta
la sua rabbia su un più che mortificato Sirius, che se ne stava silenzioso ed
in disparte, nascosto dietro James.
Per dirla tutta, Harry
avrebbe tanto voluto restare solo.
Dopo anni ed anni in cui
niente lo avrebbe reso più felice che essere coccolato dai suoi genitori
durante gli innumerevoli momenti bui della sua vita, ora Harry desiderava
soltanto essere lasciato in pace, ad aspettare che la notte più lunga della sua
vita terminasse, e terminasse in bene.
“Sapete cosa ho appena
riflettuto?” saltò su James.
“Un miracolo” borbottò Piton,
immobile su quella sedia, accanto a Harry.
“Che i bambini sono nati il
trentuno d’ottobre”.
“Un giorno prima del
compleanno di Torie e Thomas” continuò Lily.
“Ed il giorno in cui,
perdonami la crudeltà tesoro, il giorno in cui Lily ed io siamo morti”.
Harry guardò suo padre.
Era vero, non ci aveva
pensato.
“E quindi...” stava
continuando questi.
“Non dirlo nemmeno” proruppe
Piton, gli occhi chiusi.
“... quindi sarebbe carino
che i gemelli si chiamassero come noi, no, Harry?”.
Silente, come Victoria aveva
annunciato, era andato in vacanza quasi sei anni prima.
Dove fosse, pareva che lo
sapesse soltanto Severus, che, tuttavia, non aveva intenzione di dirlo a
nessuno, e neanche Victoria diceva di sapere qualcosa in merito.
Il vecchio mago si era
rifatto vivo durante il Battesimo di Ariana. Harry l’aveva proposto come nome
alla bambina quasi per scherzo, ma a Victoria era piaciuto, ed Edward era stato
decisivo nella votazione.
Quando Victoria aveva
scoperto di essere incinta per la seconda volta, e per di più di due gemelli,
per rendere partecipe la primogenita di casa Potter al lieto evento, le era
stato proposto di scegliere lei i nomi ai fratellini.
Ed Ariana proponeva coppie di
nomi ogni venti minuti.
Quando aveva iniziato a
contare, aveva proposto Due e Tre.
Poi c’era stata la volta di
Rosso e Oro – sotto suggerimento di James, sicuro che tutti i suoi nipoti
sarebbero stati dei Grifondoro -, Argento e Verde – quando nonno Severus le
aveva spiegato che la Casa di Famiglia era invece quella sei Serpeverde – fino a
dei poco originali Victoria e Harry junior, cosa che le aveva fatto guadagnare un’occhiataccia
da parte di gran parte dei presenti.
Harry non riuscì a trattenere
un sorriso, pensando alla sua piccola Ariana.
“Al posto di dire queste
sciocchezze, tesoro, mi aspetto che tu ti sia ricordato di prendere i
regali per Victoria e Thomas” lo stava rimbeccando Lily.
L’argomento “trentuno ottobre
millenovecento ottantuno” non era molto gradito a Lily.
“Certamente sì” annuì James.
Calò del silenzio per un po’.
“Mamma, papà, perché non
andate a casa? Si sta facendo tardi” borbottò Harry.
James e Lily si guardarono esterrefatti.
Harry non riuscì neanche a
fare il nome di Sirius.
“Non se ne parla nemmeno,
Harry” fece Lily, decisa. “Vogliamo restare con te”.
Harry sospirò.
“Ti prego, mamma” implorò.
Possibile che non capivano?
“Ma Harry...”.
“Sono io il problema, vero
Harry?” chiese Sirius acidamente.
Severus aprì gli occhi.
“Sirius, non mi sembra il
caso...” Harry cercò di rimanere calmo, stringendo i pugni.
“Sempre colpa di Sirius se le
cose vanno male. È colpa mia che i tuoi figli abbiano deciso di venire al mondo
cinque secondi prima che io arrivassi, vero?”.
“Non ho detto questo” la voce
di Harry strideva in maniera pericolosa.
“Ma se forse tu avessi
aspettato quei famosi cinque secondi, allora magari non sarebbe successo, vero?
Sarebbe stato diverso, non è vero?”.
Harry scattò in piedi, le
unghie conficcate nei pugni chiusi.
James schizzò in avanti, e
tutti sobbalzarono quando un crac smorzò l’atmosfera tesa che si era creata in
sala d’aspetto.
“Congratulazioni per i
bambini, amico!”.
Harry ricadde pesantemente
all’indietro, il cuore schizzato in gola.
“Grazie, Ron” bofonchiò,
stringendosi le ginocchia.
“Che succede?” chiese Ronald,
facendo scattare lo sguardo da Sirius a Harry, passando per James.
Non gli venne data risposta.
“Come sta Victoria?” provò
ancora.
“Stiamo aspettando” scosse la
testa Lily. “Ma forse è meglio che andiamo via tutti”.
Harry si alzò ad abbracciarla,
teso come una corda di violino.
James, Lily e un ancora
fumante Sirius si Smaterializzarono dopo aver salutato.
“Vuoi che resti? Posso fare
qualcosa? Ti prendo un panino, un caffè...?” le premure di Ron erano gentili,
ma lo stomaco di Harry era troppo chiuso per poter pensare di mangiare
qualcosa.
“Grazie per Ariana, Ron. Davvero”
gli rispose invece.
“Un piacere. Hermione sta
cercando di far buttar giù qualcosa a Thomas, dubito che lo farà andare via
prima di essersi assicurata che abbia mangiato a sufficienza” aggiunse,
cercando di attirare, inutilmente, l’attenzione di Piton.
“Vi mando un Patrono appena
so qualcosa” lo salutò.
Ron gli strinse una spalla.
“Posso fare qualcosa per lei,
professor Piton?” azzardò ancora Ron.
Severus scosse quasi
impercettibilmente la testa.
“Va bene. Allora vado”.
E si smaterializzò.
Harry sospirò.
“Signor Potter?”.
Harry balzò su dalla sedia.
“Mi dispiace, ma vorrei
chiederle se potesse dire ai suoi amici e parenti di smetterla di
materializzarsi e smaterializzarsi, siamo in un ospedale, non al parco”.
Harry si accasciò di nuovo.
“Mi scusi, Guaritrice Lyoness”.
La Guaritrice scomparve di
nuovo dietro una porta laccata d’alluminio.
Ovviamente, Lyoness conosceva
bene il giovane uomo con la saetta sulla fronte, chi non lo avrebbe
riconosciuto tra mille?
Le sue colleghe dicevano che
doveva ritenersi fortunata ad essere la Guaritrice della signora Potter, ma per
lei Victoria era solo una ragazza poco incline a sentirsi dire cosa fare o cosa
non fare, ma si sarebbe piegata alle peggiori torture per il bene dei suoi
figli.
Per ciò che le poteva
riguardare, Harry Potter era un tipo eccessivamente ansioso – Victoria spingeva
per far nascere la piccola Ariana, e lui sudava come se stesse facendo il
grosso del lavoro, ansimando come un cucciolo di Thestral.
Altrettanto ovviamente,
Lyoness conosceva il professor Piton, anche se, a quanto poteva ricordare, non
le risultava che avesse dei figli, ma tant’era. Non se la prese molto quando il
suo ex Capo Casa non fece il benché minimo segno di averla riconosciuta, eh sì
che si era davvero impegnata per prendere E al suo GUFO in Pozioni.
“Mi raccomando, non toccate niente.
Lasciatela riposare” la Guaritrice chiuse la cartella di Victoria con un gesto
secco e perentorio. “Ha già visto i bambini, signor Potter?”.
Il ragazzo si era già seduto
accanto alla moglie, inghiottendo a vuoto.
Victoria era pallida, più del
solito, e tutte quelle fiale attaccate al suo braccio non erano un bel vedere.
“Signor Potter?” chiamò
ancora Lyoness.
“No. Non ancora” sussurrò,
distrattamente.
“Dovrebbe andare a vederli”.
Potter scosse la testa,
accarezzando i capelli di Victoria.
“Se avete bisogno di me”
Lyoness si rivolse più che altro a Piton, sperando che almeno lui la stesse
ascoltando “sono nell’altra stanza”.
Piton annuì, lentamente.
Lete Lyoness si voltò di scatto,
improvvisamente imbarazzata.
Si morse il labbro,
sentendosi di nuovo una Serpeverde troppo timida, e lasciò la camera.
****
Quattro del mattino.
“Dovresti andare a vedere i
tuoi figli” proruppe Piton, seduto su una poltrona accanto alla finestra.
“Quando si sveglierà” gli
rispose Harry, stringendo la mani di Victoria.
“Loro sono importanti quanto
lei”.
“I bambini stanno bene. Victoria
no”.
Poche volte Piton ricordava di
aver sentito quella voce farsi fredda e lontana.
Guardò sua figlia per la
prima volta inerme, avvolta in lenzuola bianche e sterili, immobile.
Sospirando, dovette
distogliere lo sguardo.
“Avete deciso i nomi?” chiese
ancora Severus.
“No. Li sceglierà Ariana”.
“Qualche idea?”.
Harry si voltò a guardarlo.
“Perché non lo va a chiedere
a sua nipote?” soffiò Harry.
“Non c’è bisogno di usare
quel tono, Potter” ringhiò Severus.
“Solo... dormire...”.
Severus scattò in piedi,
quasi spaventato.
Harry boccheggiò.
“Victoria!” chiamò Harry,
chinandosi verso di lei.
Victoria sbatté un paio di
volte le palpebre, prima di aprire gli occhi.
“Ehi” cercò di sorridere.
“Ehi” cinguettò Harry,
sorridendo radioso. “Come ti senti?”.
“Come se Hagrid mi avesse
calpestato un paio di volte” disse lentamente, cercando di mettersi a sedere.
“Stai giù” le ordinò suo
padre, torreggiando su di lei.
Victoria ne cercò lo sguardo,
e tentò di sorridergli.
In un gesto diventato
abituale, si portò una mano dove c’era il pancione, e si sentì spaventosamente
piatta.
“I bambini!” squittì, impaurita,
alzando la testa per vedere. “Harry!” urlò, quando questi la spinse di nuovo
sui cuscini.
“Due chili e mezzo a testa. Stanno
bene. Sono stati un po’ irruenti” le sorrise, accarrezzandole una guancia.
Victoria tirò un sospiro di
sollievo, portandosi quella stessa mano sulla fronte imperlata di sudore.
“Tutti il loro padre...”
borbottò, facendo tornare normale il battito del suo cuore.
Severus arricciò le labbra.
“Vai a chiamare la
Guaritrice, Potter, e fai portare i bambini” dispose Severus, fermamente.
Harry annuì, diede un bacio
veloce a Victoria e scomparve, quasi saltellando.
Severus strinse a sua volta
la mano di Victoria.
“Fai sempre scherzi così orribili alle persone?” chiese, con noncuranza.
Victoria ridacchiò.
“È Halloween”.
“Non più. Buon compleanno”.
Victoria gli sorrise.
“Hai visto i bambini?”.
Severus scosse la testa.
“Non ancora”.
“Che carini, siete rimasti
tutti e due qui ad assistermi come padre e figlio”.
Severus ridusse gli occhi a
due fessure.
“Ti ho detto che Halloween è
finito” sbottò, lasciandole andare la mano quando Harry lasciò entrare la
Guaritrice e le culle con i bambini.
“Ci hai fatto prendere un
bello spavento, Victoria” la rimbeccò la Guaritrice, tastandole il polso. “Eccoli
qui. Femminuccia, Maschietto, la mamma, il papà ed il nonno”.
“Femminuccia e Maschietto?”
sibilò Severus, mentre Harry passava il maschietto a Victoria e prendeva la bambina.
“Non mi è venuto in mente
niente di meglio” arrossì Lyoness, staccando a colpi di bacchetta gran parte
delle fiale.
***
Dieci dita delle manine,
dieci dei piedini, un nasino, un paio di occhi neri per ciascuno.
Perfetti. Assolutamente perfetti.
“Allora, hai pensato a due
nomi?”.
Erano le sette e trenta del
mattino, ed un arruffato Thomas aveva portato un’Ariana ancora in camicina da
notte a conoscere i suoi fratelli.
Ariana guardava sua sorella e
suo fratello, ognuno tra le braccia di uno dei suoi genitori.
Erano piccoli e rosa, e
sembravano schiacciati.
Certo, erano più carini di
Hugo.
Rosie aveva passato gran
parte della serata a spiegarle quanto era importante essere una sorella
maggiore.
Si era data un sacco di arie,
solo perché Hugo ormai aveva due anni e lei era più esperta.
Diceva che Hugo era un nome
importante.
Che era il cognome di uno
scrittore famoso Babbano che scriveva di cose importanti.
Le aveva anche detto che
Edward era il nome di molti re inglesi, e che lei, come nonna Lily, aveva il
nome di un fiore.
Queste cose avevano fatto
arrabbiare Ariana.
Per prima cosa, perché lei
non aveva idea di cosa volesse dire essere una sorella maggiore.
Per secondo, lei non aveva il
nome di uno scrittore famoso né di un fiore.
Corrucciando la fronte,
pensando alla mamma in ospedale, Ariana aveva cercato di passare in rassegna
tutti i nomi bellissimi che le venivano in mente, anche se Argento e Verde
restavano i suoi preferiti.
Poi si era addormentata, e lo
zio Thomas l’aveva svegliata in fretta, e lei non aveva più potuto pensare.
“Sono bellissimi, Victoria”
disse soave Lily, sfiorando la femmina tra le braccia di Harry con la punta di
un dito.
Victoria sorrise fieramente,
poi riportò di nuovo l’attenzione alla maggiore dei suoi figli.
“Non fa niente se non hai
idee, tesoro” le stava dicendo Harry.
“Vuoi sentire la mia idea sui
nomi, Victoria?” salto su James.
Victoria inarcò un
sopracciglio verso James, diffidente.
Qualcosa scattò in Ariana.
Lei non avrebbe scelto per i
suoi fratelli i nomi di scrittori o di fiori.
Lei aveva un nome speciale.
Anche i suoi fratelli l’avrebbero
avuto.
Fece un mezzo sorriso.
“Ce li ho” dichiarò.
L’attenzione di tutti si
catalizzò su di lei.
Ariana scrollò i capelli
lontano dal viso e si arrampicò sul letto della madre.
“Alexander” toccò il piedino
del maschietto. “Willow” indicò la femminuccia.
Victoria guardò la bambina,
in trepidante attesa.
Guardò Harry, che pareva
avesse rimesso a lei la scelta definitiva.
“Alexander e Willow?” chiese
Severus.
Ariana annuì vigorosamente.
“Forte” sbucò fuori Sirius,
rimasto in disparte tutto quel tempo.
Victoria allungò il collo per
guardarlo.
Più tardi, avrebbe chiesto a
Thomas cosa suo padre o suo marito avessero tentato di fargli, per renderlo
così mansueto.
Harry si passò una mano tra i
capelli, imbarazzato.
“Willow,
Alexander: salutate Ariana, è tardi”.
I due bambini si gettarono
tra le braccia della sorella maggiore.
“Non mi sgualcite la divisa
nuova” disse Ariana, fintamente arrabbiata.
“Buon ultimo anno, Edward”
Victoria si allungò per abbracciare il nipote, ormai adulto.
“Grazie zia. Adesso dobbiamo
andare, è tardi”. Edward voltò il capo a guardare la cuginetta, fiera ed
impettita accanto a lui.
“Mi raccomando, Edward”.
“Sì, zio Harry, stai
tranquillo” ripeté Edward per la duecentesima volta da quando era arrivata la
lettera ad Ariana.
“Ciao mamma”.
Victoria si chinò ad
abbracciare la figlia, lasciandole un bacio veloce sul capo.
“Fa’ la brava” l’ammonì.
“Io sono sempre brava”
ridacchiò Ariana, lasciandola andare.
Dopodiché, la ragazzina si girò
a guardare il padre.
Probabilmente, lui era più
emozionato di lei.
“Allora è arrivato il
momento”.
Ariana gli gettò le braccia
al collo.
“Ci vedremo a Natale”
bisbigliò. Harry annuì, stringendola un’ultima volta, prima di vederla
camminare lontano, sull’Espresso per Hogwarts.
Willow ed Alexander corsero per un po’ dietro al treno,
ridacchiando.
“Starà bene. È Hogwarts”
mormorò Victoria all’orecchio di Harry, lasciandoci un bacio leggero. “E poi,
te ne restano altri due” continuò, indicando i gemelli con la punta del naso.
Harry la guardò, sospirando.
Era stupido.
La baciò giusto prima di
venire investito da un paio di manine tese.
Prese il piccolo Alexander in
braccio.
“Andiamo a casa” annuì alla
fine.
Ventuno settembre. Hogwarts. Ore 18:00
Cari mamma, papà, Willow,
Alexander, nonni, nonna, zio Thomas e zio Sirius,
come state?
“E con l’appello, stiamo a
posto”.
Qui va tutto bene. Il castello mi piace, anche se lo
conoscevo già, e penso di essere simpatica ad un po’ di persone. Edward mi gira
troppo intorno, e non so se è un bene o un male: da una parte mi sento trattata
come una bambina, dall’altra alcune ragazze mi chiedono il nome di questo o
quest’altro amico di Edward e Teddy. Io sorrido e non dico niente, perché
ancora non le conosco bene e non so se mi posso fidare di loro.
“L’ho sempre detto che mia
nipote è una ragazzina intelligente”.
Mi dispiace non aver scritto prima, ma ho avuto un
sacco di cose da fare. Ci hanno già riempito di compiti ed è difficile stare al
passo con tutti, specialmente da quando ho deciso di iscrivermi a qualche
club.Edward ha detto che quest’anno
terranno dei corsi di giornalismo, e mi piacerebbe parteciparvi, ma se
continuano così con i compiti, sarà davvero difficile tenere il ritmo. Edward
dice che è normale, ma io penso che siamo solo al primo anno, non ho intenzione
di starmene chiusa in Sala Comune tutti i pomeriggi.
“Giustissimo”.
Ci sono ben sette piani qui, ed è stancante salire e
scendere ogni volta. Non potrebbero trovare un metodo meno faticoso? Ho provato
ad esporre questo problema alla professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure,
ma lei per tutta risposta mi ha tolto cinque punti perché dice che si aspettava
da una come me che mi piacessero le cose facili. La detesto.
“Conosco questa storia”.
“Chi la nuova insegnante di
Difesa quest’anno?”.
Un sacco di gente mi chiede di papà. Ah, ed il
professore Paciock, di Erbologia lo saluta
calorosamente. Ha letto il mio nome e si è avvicinato per farmi un sacco di
domande. Dei ragazzi hanno iniziato a parlottare tra di loro ed uno mi ha
chiesto se era vero che ero la figlia di Harry Potter. Allora io ho risposto
sì, e lui mi ha detto solo “wow”. È stato fantastico, perché da allora quasi
tutti mi guardano diversamente. Altri, invece, non sono molto contenti.
“Brutta cosa, l’invidia”.
Come la professoressa di Difesa. Ho già scritto che la
odio? Bene, la odio. Il primo giorno ha provato a farmi un sacco di domande per
mettermi in difficoltà, ed io ad alcune ho risposto, perché le conoscevo, ed
altre no, e lei per ogni risposta che non conoscevo mi levava dei punti. È
stato orribile. Molti dei miei amici odiano la Weasley.
“Weasley?”.
“...”.
“Ginevra Weasley, Harry?”.
“Sì, Tory”.
Invece adoro il mio Capo Casa, anche se
non impazzisco per Pozioni (scusa, nonno). Ti lascia i capelli troppo untuosi,
non va bene, ma di certo preferisco passare due ore chiusa con un calderone che
in aula con la Weasley. È severo ma è giusto, ed il suo sguardo è fantastico. E
sono molto brava in Incantesimi, anche se ho difficoltà a seguire le lezioni
con il professor Vitious. Il mio Capo Casa e la
Weasley non fanno altro che lanciarsi frecciatine, e per ogni punto che ci
toglie, lui ce li rimedia in qualche modo. So che non è giusto, ma neanche lei
è giusta quando leva punti a me.
“Comincio ad avere un
sospetto”.
“Anche io”.
Bene, adesso purtroppo devo chiudere questa lettera,
perché è ora di cena e ho appuntamento con Theo, Nova e gli altri in Sala
Grande, e non sarebbe carino fare troppo tardi. Un bacione grande a tutti,
soprattutto ai miei fratelli, che, comunque, mi mancano un po’. Spero di avere
il tempo di scrivere ancora,
con affetto
Ariana.
“Ehi! Ma non ha detto dove
l’hanno smistata!”.
“Aspettate, c’è un post
scriptum...”.
PS: Papà e Mamma mi hanno detto fino allo sfinimento
che non sarebbe stato importante, ma invece lo è eccome qui. Mi dispiace di non
essere risultata intelligente come Edward, che è finito a Corvonero. Mi
dispiace poco e niente di non essere finita a Tassorosso (ma diciamocelo, non è
una gran perdita). E...
Mi dispiace, papà. Sono una Serpeverde. Un sacco di
gente si è stupita, persino la Preside. Ma il professor Malfoy dice che non mi
sarebbe potuta capitare Casa migliore, e lo penso anche io. Anche perché,
sinceramente, il giallo ed il rosso fanno a pugni con i miei capelli, mentre il
verde sta d’incanto con i miei occhi.
Adesso scappo davvero.
Vi voglio bene.
“Ah” disse solo Severus,
arricciando le labbra.
“Non ci credo” scosse la testa
James.
“Che vuoi che ti dica,
Potter? Un po’ si vince, un po’ si perde”.
“Tanto ci restano ancora due
possibilità” fece Sirius, dando un paio di colpi alla spalla del vecchio amico.
“Serpeverde” mormorò Harry,
appoggiandosi allo schienale della poltrona.
Lily ripiegò la lettera,
mettendola da parte.
“Starà benissimo a
Serpeverde” disse incoraggiante. “Non è importante in che Casa vieni smistato,
ma che persona diventerai”.
“Molto giusto, Lily” annuì
Severus.
“Serpeverde” disse ancora
Harry, guardando Victoria.
“A me sta più che bene” fece
spallucce lei, sorridendo.
Willow ed Alexander corsero intorno al divano,
rincorrendosi.
Sì, aveva ragione Sirius,
aveva ancora due possibilità.