Harry Potter ed il Segreto dei Prince

di Lily1013
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Outsiders ***
Capitolo 2: *** Zombie ***
Capitolo 3: *** To the Moon and Back ***
Capitolo 4: *** Such a Shame ***
Capitolo 5: *** Sultans of Swing ***
Capitolo 6: *** She is Electric ***
Capitolo 7: *** Crystal Ball ***
Capitolo 8: *** She Drives me Crazy ***
Capitolo 9: *** Vertigo ***
Capitolo 10: *** Back At Your Door ***
Capitolo 11: *** Keeps Gettin' Better ***
Capitolo 12: *** Everything You Want ***
Capitolo 13: *** Is It Any Wonder? ***
Capitolo 14: *** Heaven is a Place on Earth ***
Capitolo 15: *** Here is Gone ***
Capitolo 16: *** Whatever I Fear ***
Capitolo 17: *** We Are ***
Capitolo 18: *** Eternity ***
Capitolo 19: *** Some Might Say ***
Capitolo 20: *** Jai Ho! (You're My Destiny) ***
Capitolo 21: *** Everybody Knows ***
Capitolo 22: *** Love is Noise ***
Capitolo 23: *** Better That We Break ***
Capitolo 24: *** Broken String ***
Capitolo 25: *** Time is Running Out ***
Capitolo 26: *** Black Hole Sun ***
Capitolo 27: *** Save Tonight ***
Capitolo 28: *** Sober ***
Capitolo 29: *** In the Air Tonight ***
Capitolo 30: *** I’m Walking on Sunshine ***
Capitolo 31: *** Hold the Line ***
Capitolo 32: *** Strong ***
Capitolo 33: *** Here I Am ***
Capitolo 34: *** Strangers Like Me ***
Capitolo 35: *** Natural Woman ***
Capitolo 36: *** Better Man ***
Capitolo 37: *** I Just Wanna Live ***
Capitolo 38: *** Shiny Happy People ***
Capitolo 39: *** Are You Happy Now? ***
Capitolo 40: *** Are You Happy Now? #2 ***
Capitolo 41: *** Shimmer #1 ***
Capitolo 42: *** Shimmer #2 ***
Capitolo 43: *** The Blower's Daughter #1 ***
Capitolo 44: *** The Blower's Daughter #2 ***
Capitolo 45: *** Wonderful ***
Capitolo 46: *** Wonderful #2 ***
Capitolo 47: *** Truly Madly Deeply ***
Capitolo 48: *** The Sidewinder Sleeps Tonite ***
Capitolo 49: *** I Say a Little Prayer ***
Capitolo 50: *** Goodbye Philadelphia ***



Capitolo 1
*** The Outsiders ***


CAPITOLO UNO

The Outsiders

 

How many yesterdays - they each weigh heavy

Who says what changes may come?

Who says what we call home?

(REM)

 

 

Teneva nascosto il pacchetto dietro la schiena, mentre cercava di dribblare i tanti piccoli esseri che saltellavano per la casa. Non che le piacessero i compleanni in maniera particolare, ma quello, beh, quello era un compleanno particolare. Fuori c’era il sole, i bambini giocavano e di fronte a lei si stava spalancando un fantastico weekend di assoluto relax. Non poteva andare meglio.

“Finalmente, sei in ritardo”.

“Ho trovato traffico, Thomas”.

Victoria diede un bacio leggero sulla guancia al fratello, slacciandosi l’impermeabile.

“Bell’organizzazione. Come hai fatto?”.

“Ho avuto degli spazi di tempo. E ho chiamato un ottimo catering” le sorrise. “Grazie per le attrezzature fuori” indicò il retro, dove si erigevano altalene colorate, scivoli e perfino un piccolo castello di gommapiuma dove alcune bambine stavano saltellando.

“Ho avuto una perquisizione, ultimamente” fece la ragazza, guardandosi intorno.

“Prima il regalo o...?” Thomas agitò le braccia in aria, lasciando appesa la frase.

“Prima il festeggiato. Dov’è?”.

Thomas scortò Victoria in giardino, verso il grande scivolo blu, dove suo figlio troneggiava, pronto a scendere. Victoria gli fece un cenno con la mano, ed il bambino scivolò in fretta, correndo poi tra le sue braccia.

“Zia! Sei venuta!”.

“Non sarei mancata per nulla al mondo”.

Victoria si chinò per essere alla stessa altezza del bambino, scompigliandogli i capelli.

“Quanti anni compie oggi il nostro Edward?”. Il bambino si guardò le mani, corrucciò la fronte e poi iniziò a contare sulle dita della mano, concentrato. Victoria lanciò uno sguardo complice a Thomas, nascondendo un sorrisetto.

“Cinque!” disse trionfalmente Edward, mostrando la mano aperta alla zia.

“Ottimo! Stai diventando grande”. Fece una pausa. Il bambino scalpitava. Soppesò quanto sarebbe stato divertente farlo stare sulle spine ancora un po’, ma sarebbe stato troppo cattivo. Persino per lei.

“Questo è per te, tesoro. Con i migliori auguri di un buonissimo quinto compleanno”.

Edward prese avidamente il regalo dalle mani di Victoria, le diede un grosso ed umido bacio sulla guancia e corse a mostrarlo ai suoi amichetti, fiero.

Victoria si rialzò, guardando il nipote scappare via attraverso il giardino. La sua innocenza la colpiva ogni volta, come se fosse qualcosa che lei non aveva mai conosciuto. Guardò Thomas, suo fratello, il suo gemello, e sapeva che, mentre osservava suo figlio ridere, pensava alla stessa cosa.

“Me lo offri un caffè?” gli disse, posandogli una mano sul braccio. Thomas le regalò quei sorrisi speciali, quelli rari, da quando Faith era morta.

“E da quando in qua qualcosa te la si deve offrire, e non te la vai a prendere da sola?” ghignò. Thomas le poggiò una mano dietro la schiena e la portò nella solitaria cucina, lontano dal caos della festicciola, dove Victoria gli avrebbe spiegato, senza troppi mezzi termini, come aveva fatto a portare in vita sette persone a più di mille miglia da loro.

 

 

“Che vuol dire Io non vengo?” squittì Victoria, sedendosi sulla valigia che stava preparando.

“Vuol dire che ho da lavorare” alzò le spalle Thomas, osservandola appoggiato alla porta, fuori dalla sua portata.

“Thomas” fece piano Victoria, ribollendo dalla rabbia. “Tu mi hai convinto a farlo. Tu mi hai convinto ad andare. Tu, tu e solo tu. Che vuol dire che adesso non vieni? Che vuol dire che devi lavorare?”.

“Mi mandano in Nuova Zelanda. Edward sta crescendo. Voglio mandarlo nelle migliori scuole, e le rette costano...” iniziò, nella speranza di placare la rabbia di Victoria.

“Non mettere in mezzo Edward quando ti fa comodo!” sbottò la ragazza, dando un’ultima spinta alla valigia, che si chiuse.

“Non potevi farlo con la bacchetta?” chiese Thomas, di punto in bianco.

“Ringrazia che non l’avessi in mano, la bacchetta, oppure ti avrei Schiantato via!”.

“Sei arrabbiata?”.

“Sì. Perché mi mandi laggiù da sola” incrociò le braccia al petto.

“Non ci andrai da sola. Edward verrà con te”.

“Ma sei impazzito”. Victoria non poteva crederci.

“Voglio che lo conosca, Tory”.

A questo, Victoria boccheggiò. Era assurdo che lo stesse dicendo. Che lo stesse dicendo davvero.

“Sai che non è Edward il problema. Sai che lo porterei in capo al mondo. Ma non lì. Thomas, ma ti rendi conto?”.

“Sì, mi rendo conto perfettamente. Voglio che lo conosca lo stesso. Non ho detto che voglio che sappia, ma ci sono davvero troppi orfani nella nostra famiglia”. La guardò serio.

“Famiglia...” sospirò Victoria, passandosi una mano sugli occhi. In quel, Edward entrò correndo, come se stesse cavalcando un Thestral.

“Edward è entusiasta di andare in vacanza con te” sorrise Thomas.

“Sono entusiasmico” annuì Edward. Victoria sorrise. “Sei arrabbiata, zia?” il bambino le si avvicinò con aria preoccupata.

“No, non lo sono” mentì. “Ma mi sarebbe piaciuto andare in vacanza tutti e tre insieme”.

“Papà lavora” spiegò Edward.

“Nuova Zelanda, addirittura?” Victoria prese in braccio Edward. Non perché il bambino glielo stesse chiedendo, ma perché, ogni tanto, un po’ di contatto fisico rendeva Victoria più docile, e meno incline agli scatti d’ira.

“La dura vita di uno Spezzaincantesimi” sospirò falsamente Thomas. “Ci andrai?”.

“Ci andremo” sospirò alla fine Victoria.

“Vi raggiungerò” promise Thomas. Victoria gli pizzicò il naso con la mano libera.

“Vedi di muoverti. So dove abiti, fratello”.

 

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Capitolo 2
*** Zombie ***


CAPITOLO DUE

Zombie

 

But you see, it's not me, it's not my family.

In your head, in your head they are fighting,

With their tanks and their bombs,

And their bombs and their guns.

(The Cranberries)

 

“Signorina, ma... non c’è niente, qui”.

 

Victoria scese dal taxi, ed Edward la seguì a ruota, senza parlare. Il tassista, corrucciato, scese a sua volta, per dare una mano a scaricare le valigie. Guardava la ragazza ed il bambino, senza capire. Che stessero scappando?

 

Se il tassista avesse saputo, chissà se li avrebbe aiutati.

 

Victoria sapeva del Nottetempo, ma l’idea di venir sballottata di qua e di là senza una ragione valida non faceva altro che aumentare la sua rabbia. Era rimasta relativamente calma alla partenza, ma più i chilometri di distanza si assottigliavano, più il suo umore peggiorava. Era tutta colpa sua. Tutta colpa del vecchio.

 

La gente comune considerava Silente un eroe. Victoria lo considerava un pazzo manipolatore. Aveva detto loro cosa avrebbero dovuto fare che avevano sì e no un paio d’anni più di Edward, ma lei aveva anche giurato a se stessa che mai, mai sarebbe tornata in Inghilterra. E così era stato. Fino a quel giorno.

 

Il tassista prese la sua ricompensa per il viaggio e sgommò via. Victoria attese che scomparisse all’orizzonte, strinse rassicurante la mano al bambino, incantò le valigie ed iniziò a salire il sentiero che li avrebbe portati nel castello di Hogwarts. Edward, percependo il suo disappunto, scelse la tattica del silenzio, aspettando che la zia, qualsiasi cosa avesse, sbollisse.

 

“Edward, io non sono arrabbiata con te” iniziò Victoria, quando le Torri del castello iniziarono a farsi più grandi di fronte a loro. “Solo che non mi va di stare qui. Quindi faremo quello che dobbiamo fare e ce ne andremo. Potremmo anche raggiungere tuo padre in Nuova Zelanda, se ci va. Che ne pensi?”.

 

Edward la guardò per un attimo. Poi puntò i piedi a terra e si fermò, dando un lieve strattone alla ragazza. Victoria si

voltò di scatto. Le valigie sbatterono rumorosamente l’una sull’altra.

 

“Va tutto benissimo, zia, ma cos’è che esattamente dobbiamo fare?”.

 

Victoria aprì la bocca, poi la richiuse. Arricciò le labbra e si costrinse a trovare in fretta qualcosa da dire. Decise che la verità sarebbe stata la cosa migliore.

 

“Ecco, in realtà non lo so precisamente. Ma so che tuo padre vuole che tu conosca il nonno, e quindi...”.

 

“Che cosa?” il bambino trattenne più aria di quello che i suoi piccoli polmoni potevano trattenere. “Il nonno? Il papà di papà? Il tuo papà?” chiese a raffica. Victoria sospirò. Quella dannata maestra stava facendo un buon lavoro con lui.

 

“Sì, Edward” rispose soltanto. “Andiamo adesso”. A Victoria parve che Edward camminasse con una certa baldanza in più, ma non volle indagare.

 

Quando il portone si aprì davanti a loro, Victoria ebbe la spiacevole sensazione che li stessero aspettando. Si chiese quanto perversa potesse essere la mente del vecchio. Fece un gran respiro profondo, strinse la mano di Edward – per rassicurare se stessa, più che il bambino – e salì gli scalini.

 

Victoria era stata a Hogwarts, con Thomas, una vita prima. Guardando gli occhi di Edward spalancarsi di fronte a tanta antica eleganza, immaginò che loro avessero avuto la stessa espressione di incredulità sul volto. Era sempre estate, faceva sempre caldo e lei, forse, era sempre così nervosa.

 

Qualcosa le morse lo stomaco, mentre Edward le si faceva più vicino. Nostalgia, forse. Avvertì il nodo alla gola, quella sensazione spiacevole che, purtroppo, l’accompagnava ancora quando entrava in un’aula di Tribunale, prima dell’Arringa finale. La paura prima di ogni esame. Il vuoto.

 

Entrambe le manine di Edward si andarono ad unire nella sua. Poteva capire quello che stava provando. Gliele strinse e gli sorrise.

 

“Forza, Edward. Spalle dritte e sguardo fiero, si va in scena”.

 

Sala Grande. E dove se no?

 

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Capitolo 3
*** To the Moon and Back ***


CAPITOLO TRE

To the Moon and Back

 

She’s taking her time making up the reasons

To justify all the hurt inside

Guess she knows from the smile

And the look in their eyes

Everyone got a theory about the bitter one

(Savage Garden)

 

Victoria era una ragazza che comprava i quotidiani Babbani e Magici nella stessa edicola sotto casa. Il proprietario era un Magonò tedesco che aveva preferito emigrare negli Stati Uniti, piuttosto che restare in patria a subire il supplizio di un padre troppo purosangue per tollerare un figlio senza poteri magici. Questi era riuscito a procurarsi un numero discreto di copie di giornali magici provenienti da tutto il mondo, cosa che aveva permesso a Victoria di abbonarsi alla Gazzetta del Profeta, e di leggerla, tutti i giorni, con fare a dir poco morboso. Tra le varie conclusioni a cui era giunta negli anni, era che Harry Potter, più di ogni altra cosa, doveva essere, nonostante tutto, un ragazzo forte abbastanza da tollerare – a scuola, a casa, per strada, ovunque – gli sguardi curiosi ed indagatori degli altri.

 

Victoria era stata, a scuola ed in Accademia, una ragazza dal carattere non troppo accomodante, decisamente arrogante e poco incline a trarre amicizia con le ragazze, a meno che queste non fossero in qualche modo collegate ad un suo obiettivo. Per queste, e per molte ragioni, capitava che qualcuno, qualche ragazzo più piccolo solitamente, si fermasse a fissarla. E Victoria odiava essere fissata. Così, mentre prendevano tutti insieme il the, Victoria stava facendo appello a tutto il suo autocontrollo per evitare che i suoi istinti venissero fuori troppo crudelmente davanti ad un bambino di soli cinque anni, che la cosa più cruenta a cui aveva assistito era stato l’omicidio di un topolino di campagna l’estate prima.

 

“Allora, mia cara, di cosa hai detto che ti occupi, adesso?”.

 

I patetici tentativi di Albus di fare conversazione stavano attraversando il ridicolo.

 

Giurimagia” sospirò, giocherellando col cucchiaino.

 

Edward addentò con troppa foga una ciambella, e lo zucchero a velo gli si sparse ovunque sul viso. Con uno sguardo falsamente contrariato, Victoria prese il tovagliolo e gli ripulì il naso ed il mento. Ancora con mezza ciambella in bocca, Edward le sorrise, a mo’ di scuse.

 

“Edward è davvero un bambino carino” disse Lily.

 

Victoria non si diede pena di risponderle. Tra le altre cose, Victoria aveva sviluppato un certo senso di antipatia verso le persone con i capelli rossi, e questo, più che tutto il resto, era stato causato da una ragazzina che soleva rubarle le caramelle all’asilo. Il fatto che in quella stanza ce ne fossero almeno tre aumentava solo la sua irritabilità.

 

“Mentre invece Thomas...” continuò Silente.

 

Spezzaincantesimi. Adesso è fuori sede per un lavoro” aggiunse, per evitare che il vecchio facesse altre domande.

 

“Anche mio fratello” disse, ovviamente senza pensarci, un ragazzo – ancora capelli rossi, dannazione – più in là. Victoria alzò lo sguardo per fissarlo: capelli rossi, lentiggini, seduto alla destra di Potter.

 

“Ronald Weasley” disse poi a voce alta. Il ragazzo annuì. Albus era stato restio con le presentazioni. “Sarei vissuta anche senza saperlo” concluse. Il ragazzo arrossì, ma lei non gli diede troppo peso. Cosa volevano tutte quelle persone da lei? Da loro?

 

“Edward, lo sai che fuori c’è un prato grandissimo e un lago?”. Victoria diede fondo a quelle poche memorie di Hogwarts che aveva.

 

“Davvero?” fece Edward, inghiottendo l’ultimo morso di ciambella.

 

“Se la zia te lo permette, Edward, in fondo al vialetto c’è anche la capanna del nostro Guardiacaccia. Ha un cane che avrebbe davvero bisogno di fare due salti con un bambino intelligente come te”.

 

Nessuno avrebbe mai potuto dire che Albus non fosse un tipo ricettivo.

 

Edward guardò la zia con gli occhioni teneri, di quando voleva qualcosa, di quando l’aveva convinta a prendere delle giostre per il suo compleanno. In fondo, poteva fidarsi di Hogwarts.

 

“Vai. Ma resta dove posso controllarti, okay?”. Edward scese in fretta dalla sedia dov’era seduto e corse verso la porta, poi si voltò e disse:

“Grazie, Professor Silente” e corse via.

 

“Educato” annuì Albus.

 

“Sa come prenderci in giro tutti, qui dentro” fece spallucce.

 

Guardò la sua tazza vuota. Lei odiava il the. Odiava i prati in fiore, l’aria uggiosa, la cappa di umido che aleggiava su quella dannatissima isola. Victoria aveva semplicemente iniziato ad odiare qualsiasi cosa potesse vagamente ricordare la Gran Bretagna da quando aveva iniziato a capire.

 

Victoria era più di un tipo da caffè e cornetto la mattina, di fretta prima di andare in ufficio, o rubato tra una lezione e l’altra, quando andava in Accademia. Amava l’autunno di Boston, con quell’aria leggera e fresca che faceva cadere le foglie. Anche le foglie morte erano più morte lì che a casa sua.

 

Thomas non era come lei. Thomas era stato la parte tollerante, il fratello che cercava di capire, il figlio che aveva perdonato. Il padre che mandava il figlio a conoscere il nonno. Che strana sensazione dire “nonno” quando non si è mai detto “papà”. Quando non si sa cosa vuole dire avere una mamma.

 

“Perché sono qui, Albus?” chiese d’improvviso, mentre tutti gli altri restavano in silenzio.

 

“Volevamo dirti grazie” rispose prontamente il vecchio. Victoria nascose un ghigno, senza guardarlo.

 

“Potevate spedirmi un gufo”.

 

“Victoria...”.

 

“No. No Albus” si alzò, raggiungendo la finestra. Edward sembrava terribilmente minuscolo accanto a Hagrid.

 

Victoria non era la persona adatta con cui fare giri di parole. Se Albus li aveva mandati a chiamare, un motivo c’era. E qualsiasi cosa fosse, Victoria voleva saperlo subito, quando le valigie erano ancora pronte ed Edward non si era ancora ambientato.

 

“Gliel’hai detto, non è vero?” chiese, senza voltarsi. Edward si voltò a salutarla con la mano, e lei fece lo stesso.

 

“Certo, Victoria” rispose Silente, senza titubare. Silente non titubava mai.

 

Victoria sentì salirle la nausea.

 

“Grazie mille per avermi risparmiato i convenevoli, allora” fece, con voce calma. “Se il tuo obiettivo è riunirci tutti in un’unica grande famiglia, non contare sul mio aiuto”.

 

Albus le sorrise. Lei lo vide attraverso il vetro. Strinse i pugni.

 

“Non sarebbe male come idea, ma no, in realtà non vi ho invitati qui per questo. O per lo meno, non solo per questo”.

 

Loro sapevano. La fissavano. Si ponevano domande. Ciò da cui era fuggita per tutta la vita.

 

Chissà cosa pensavano di Edward. Il sangue le ribollì nelle vene. Respirò a fondo.

 

“Abbiamo aspettato, come ci hai detto. Abbiamo fatto quello che dovevamo, come ci hai detto. Abbiamo usato quello che dovevamo usare, come ci hai detto. Sono qui. I tuoi pupilli, i tuoi rimpianti, sono qui. Non voglio nessun grazie”.

 

Albus le si avvicinò. Nessun altro nella stana muoveva un muscolo. Forse si aspettavano che iniziasse a ridacchiare con fare pazzoide.

 

“Se pensavi che ti avessimo chiamato per dirti grazie, perché sei venuta?”.

 

“Per Edward. Thomas voleva che conoscesse le sue radici. Che conoscesse suo nonno”.

 

Severus Piton, dietro di loro, fece cadere una tazza.

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Capitolo 4
*** Such a Shame ***


CAPITOLO QUATTRO

Such a Shame

The dice decide my fate

that's a shame

In these trembling hands my faith

tells me to react

"I don't care"

(Talk Talk)

 

 

 

Thomas e Victoria Prince erano nati in circostanze strane.

 

Anzi, no.

Illegali.

 

Sono nati perché un uomo con manie di grandezza piuttosto marcate aveva deciso di assicurarsi una discendenza, ma senza coinvolgere le donne, esseri notoriamente volubili.

 

Aveva così chiamato il più fedele dei suoi servitori a preparare una pozione illegale, di quelle che si trovano solo nei peggiori Libri Oscuri, dalla quale sarebbe nato il suo figlio perfetto.

 

Le basi di questa pozione senza nome erano piuttosto complesse.

Dovevano esserci due codici genetici. Dovevano essere indirizzati i geni, le qualità, le giuste dosi. Si dovevano aspettare più di sei mesi, tre in meno di una gestazione naturale.

 

Il Signore Oscuro fece questo all’insaputa di tutti, persino dei suoi seguaci.

 

Di tutti, tranne che di uno.

Di chi avrebbe dovuto portare a termine la missione.

Di chi avrebbe dovuto metterci l’altro codice genetico.

Di tutti, tranne che di Severus Piton.

 

Qualcosa andò storto.

 

Nacquero due bambini.

Due gemelli.

Eterozigoti.

 

Severus aveva fallito. E venne punito a lungo.

 

Il Signore Oscuro gli diede l’ordine di sbarazzarsi di quei due obbrobri.

 

Perché Severus non lo fece?

 

Forse perché un po’ di umanità gli era rimasta in fondo a quel cuore deturpato, chissà.

 

Gli affidò ad un orfanotrofio babbano.

 

Per due lunghi anni.

 

Tanto ci mise, dopo che i Potter morirono e Silente lo prese sotto la sua ala, a raccontare al Preside che, in un certo qual senso, lui aveva dei figli.

 

Harry Potter non era l’unico bambino sopravvissuto.

 

Severus si afflisse l’anima, quando li rivide.

 

Bambini di due anni, sempre insieme, inseparabili, che non esistevano l’uno senza l’altra.

Senza malformazioni. Senza handicap.

Normali.

 

No, di più.

 

Silente li spedì in un collegio Svizzero prima, e in una scuola oltreoceano poi.

 

A sei anni, Silente li andò a prendere, e li presentò al loro padre.

 

Quell’estate, Silente li prese da parte, e spiegò loro che, un giorno, uno di loro avrebbe avuto un bambino.

Che questo bambino sarebbe stato speciale.

Che questo bambino avrebbe avuto il potere di ridare la vita a persone morte per mano di un uomo malvagio.

 

A diciassette anni, Thomas e Victoria ricevettero una lunga lettera che spiegava loro la verità.

 

Tutta la verità.

 

Thomas vomitò lì, sul tappeto buono.

Victoria si limitò a bruciare con un tocco di bacchetta quel plico infinito.

 

A vent’anni, Faith Broomsbury, apprendista Guaritrice, annunciò al fidanzato che era incinta. Dopo soli due anni di matrimonio, Faith venne contaminata da un malato terminale di spruzzolosi che aveva in cura l’ospedale presso cui lavorava, e morì in pochi giorni. E Thomas Prince rimase vedovo e con un bambino di due anni che chiedeva della madre.

 

Fu così che Victoria imparò a fare la madre sostituta, perché Thomas non aveva la minima intenzione di rimpiazzare la donna di cui era innamorato da che aveva dodici anni.

 

Lei, Victoria, che una madre non l’aveva mai avuta.

Lui, Thomas, che era stato abbandonato da entrambi i suoi padri.

 

Poi era stato tutto molto veloce.

 

Era arrivato questo gufo, stanco, con una lettera firmata da una certa Minerva McGranitt, la quale informava loro che era stata trovata una nota, da parte di Silente, che a quell’indirizzo, in quel giorno, doveva ricordare loro di fare qualcosa.

 

Erano passati già cinque anni dalla fine della guerra, laggiù.

 

Presero un fazzoletto con cui Thomas aveva asciugato una sbucciatura ad Edward, qualche giorno prima.

Un capello di Thomas.

Una goccia di sangue fresco di Victoria.

Il tocco di una bacchetta che doveva essere persa per sempre, ma che era arrivata, in qualche modo, in una scatola chiusa, senza mittente.

 

Un raggio di luce bianca.

Poi, più niente.

 

Poi, la solita lettera.

 

Poi, Victoria che tratteneva lacrime e rabbia al fianco di Albus Silente, a Hogwarts, in Scozia.
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[Malfoina89] Come puoi leggere da questo capitolo, la tua intuizione è stata giusta. Che ci vuoi fare, toglietemi tutto ma non i miei Prince ^-^ Grazie per aver letto, un bacio.
[Piccola Vero] Grazie per i complimenti, spero continuerai a leggere.
[Draco 92] Detto, fatto! Grazie!
[Aloysia Piton] ;) Un bacio
[JDS] Spero di essere stata all'altezza delle tue aspettative.
[Chiaramalfoypotter] Soddisfatta, almeno in parte, la curiosità?
[Alexandraleon] Eccolo, almeno un po', il nostro Sev. Tranquilla, verrà fuori anche lui in tutto il suo splendore dark ^-^



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Capitolo 5
*** Sultans of Swing ***


CAPITOLO CINQUE

Sultans of Swing

 

Way on downsouth way on

downsouth London town

You check out Guitar George

he knows all the chords

(Dire Straits)

 

 

La porta si spalancò di colpo. Qualcosa di vagamente arancione piombò su di lei, stritolandola.

A Victoria sembrò di non respirare.

 

“Non non potremmo mai ringraziarti abbastanza”.

“Non ci importa chi sei...”.

“... o cosa sei...”.

“... ma ci hai ridato...”.

“... la nostra parte migliore”.

 

Finalmente, si staccarono da lei.

 

“Ma siamo molto dispiaciuti per te”.

“Non si può certo dire che i tuoi siano stati un esempio”.

 

Altri capelli rossi. Due persone.

Anzi, una.

No, proprio due.

 

Victoria, stranamente, sorrise.

Empatia gemellare?

 

“Chi è quello morto?” chiese.

 

“Quello con entrambe le orecchie”.

 

“Quindi tu sei Fred Weasley” lo indicò. Il ragazzo annuì.

 

“Adesso distinguerci è più facile per tutti”.

 

“Immagino di sì. Io non ho mai avuto di questi problemi. La mia altra metà è un ragazzo”.

 

“Che peccato” fece spallucce Fred.

 

“Avremmo potuto fare una a testa se foste state due” spiegò George.

 

Victoria sorrise ancora. Sembravano le uniche due persone ragionevoli di tutta la stanza.

I gemelli guardarono verso la finestra.

 

“Tuo figlio?”.

 

“Mio nipote”.

 

“Allora sei libera?”.

 

“Non posso uscire con tutti e due” inarcò un sopracciglio.

 

“Sono i pregiudizi verso chi ha un orecchio solo” scosse la testa George, fintamente abbattuto.

 

“In ogni caso, siamo tue fedeli servitori, adesso” disse Fred.

 

“Ah sì?” Victoria incrociò le braccia.

 

“Ovviamente sì” rimarcò George. “Soprattutto io”.

 

“No, io!” si oppose Fred.

“No, io!” rimbeccò George.

 

“Entrambi, ho capito”. Victoria soppesò la situazione. “Non potete essere servitori di una che è per metà figlia di Lord Voldemort, è pericoloso” li sfidò.

 

I due ragazzi si guardarono.

 

“Se non ci fai un tatuaggio va bene” dissero in coro. Victoria rise.

 

“Oh, scusate, buongiorno a tutti” fece Fred, quando si accorse che non erano soli.

 

“Cos’hai da fissare, Ronnino?” disse George.

 

“Ben trovati, signori Weasley” li salutò calmo Silente. “Vedo che siete subito entrati nelle grazie della nostra Victoria”.

 

“Perché ci fissano tutti?” continuò George.

 

“Fissano me. Io sono il male” spiegò loro. “I pregiudizi di chi è figlia di Voldemort”. I gemelli annuirono come se avessero capito. “Io devo parlare con Silente. Se mi tenete lontani questa folla, non avrete nessun altro debito da saldare con me”.

 

I ragazzi si guardarono.

“Va bene”.

“Li portiamo a prendere un gelato” Fred fece l’occhiolino.

 

“Avanti gente, da questa parte” George iniziò a spingere Harry e Ron verso l’uscita.

“Grifondoro, dietro di me” rise Fred. “E anche Serpeverde solitari” aggiunse poi, riferendosi a Piton.

 

Victoria li guardò sfilare accanto a sé, chi irritato, chi sorpreso.

 

“Victoria”.

 

Lui.

 

Lui si era fermato accanto a lei.

 

Lei non rispose, tenne lo sguardo fisso sui gemelli, che, ridacchiando, si assicuravano che tutti lasciassero la stanza.

 

“Ci sarà tempo, Severus” disse calmo Silente.

 

La guardò ancora un altro secondo,  poi anche lui seguì gli altri.

 

E Victoria e Silente restarono soli.

 

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Capitolo 6
*** She is Electric ***


CAPITOLO SEI

She Is Electric

 

She's electric

She's in a family full of eccentrics

She done things I never expected

And I need more time

(Oasis)

 

 

“Per le più assurde mutande di Merlino!” sbottò Ron, appena le porte della Sala Grande si chiusero dietro di loro.

 

“Non avrei saputo trovare parole migliori” borbottò a sua volta James, passandosi una mano fra i capelli.

 

“Io non ce lo vedo Mocciosus a fare il padre” dichiarò Sirius, fissando ancora la porta.

 

“Sirius, non voglio più sentirti chiamarlo in quel modo” squittì Lily, tirandolo per la maglietta.

 

“Lei è terribilmente fredda” continuò Ron.

 

“A noi non sembra proprio” scosse la testa George.

 

“Dobbiamo essere comprensivi” fece Hermione, saggiamente.

 

“Andiamo, Herm, non c’è niente da comprendere...” Ron lasciò la frase a mezz’aria.

 

Gli altri continuarono a scambiarsi opinioni sottovoce.

Harry Potter, dal canto suo, non diceva niente.

Non sapeva cosa pensare.

 

In un certo senso, lui gli aveva ucciso entrambi i genitori.

Non era diverso da Voldemort, in fin dei conti.

 

Si girò a guardare un’ultima volta le porte chiuse della Sala Grande, poi, a passo svelto, raggiunse sua madre.

 

“Tutto bene?” gli chiese, sorridendogli.

 

Harry amava quel sorriso.

Amava quel modo che aveva di chiedergli sempre se stesse bene, se voleva ancora un po’ di pancetta a colazione, se il lavoro lo stancava.

 

Era familiare.

 

Fu difficile per Harry dirle che Petunia non era stata esattamente la zia perfetta che Lily si aspettava fosse stata.

Era ancora più difficile tenere dentro di lui il segreto di Piton.

Soprattutto in quel momento.

 

Harry le sorrise di rimando annuendo.

 

Era strano vedere Hogwarts vuota, senza il vocio di ragazzi ed insegnanti.

Era come senza vita, morta.

 

Invece, era piena di vita.

Di vita.

 

Il latrato di Thor lo riportò alla realtà.

 

Il bambino giocava a rincorrerlo, ed il cane saltellava davanti a lui.

Era una scena molto bella.

 

“Ehi” salutò il bambino quando si accorse di tutti quegli adulti che lo stavano guardando.

 

“Ciao” gli sorrise Lily. “Ti stai divertendo?”.

 

“Oh, sì, è un giardino grandissimo” rispose Edward, allargando le braccia come se volesse racchiudere così la vastità della tenuta.

 

“Quanti anni hai, giovanotto?” chiese James.

 

“Cinque” rispose prontamente Edward. “Sono un bambino grande”.

 

“Lo sei” annuì James.

 

A Harry sembrò che i suoi genitori cercassero di rivedere lui al posto di Edward.

 

“Da dove venite?” chiese Sirius.

 

“Boston. È lontanissimo da qui” il bambino si guardò intorno, come a cercare un punto di riferimento per far capire loro da dove veniva. “Chissà se papà mi farà tenere un cane così grande” borbottò, parlottando più a se stesso che agli altri.

 

“Dove sono il tuo papà e la tua mamma?” chiese Hermione, avvicinandosi al bambino.

 

“Il mio papà è ancora più lontanissimo di qui”.

“Non si dice più lontanissimo” lo riprese Hermione. Edward si voltò a fissarla, inclinando leggermente la testa da un lato.

“Tu non mi piaci” asserì alla fine, tornando a guardare Thor che scodinzolava accanto a lui. Sirius soffocò una risata con un finto attacco di tosse improvviso. “La mia mamma è lassù” continuò comunque Edward, puntando un ditino verso l’alto.

Restarono tutti in silenzio.

“Va bene. Ho la zia” fece ancora Edward, sorridendo.

 

“Tu ci piaci un sacco” disse George, accucciandosi accanto a lui.

“Ma tu non hai un orecchio!” Edward cercò di guardare attraverso il buco nella testa di George.

“È per distinguermi da mio fratello”.

“Noi siamo gemelli” spiegò Fred.

“Anche la zia e papà sono gemelli, ma papà non si tagliato mica un orecchio”, e scoppiò a ridere, come se fosse divertente che qualcuno si dovesse tagliare via un pezzo per distinguersi dal proprio fratello.

 

Anche Fred e George risero.

 

“Voi però forse lo sapete” Edward tornò serio. “Voi sapete chi è?”.

 

“Chi è chi?”.

“Mio nonno. Papà dice che conoscerò il nonno, ma la zia ancora non mi ha detto chi è. Forse non lo conosce neanche lei, lei e papà non vedono mai il loro papà, mentre io vedo spesso il papà e la mamma della mia mamma”.

 

Fred e George guardarono verso Sirius, che guardò James, che guardò Lily, che cercò con lo sguardo Severus, rimasto un po’ più in disparte.

 

Sì, loro sapevano.

Silente aveva voluto raccontare loro tutto la notte che tornarono in vita.

Harry aveva ascoltato tutto seduto tra sua madre e suo padre, ancora commosso, ancora sbalordito.

 

Credeva che ci fosse un limite alla pazzia di Voldemort, ma si sbagliava.

Pensava ci fosse un limite alla disperazione di Piton, ma si sbagliava anche in quello.

 

Quella sera volarono pianti di gioia, di dolore, e urla, anche di recriminazione.

Ma ci fu anche la riconciliazione tra Severus e Lily, ed il perdono.

 

“Forse è il vecchietto” azzardò Edward, indicando la finestra da dove aveva visto Victoria prima. “Dov’è la zia?” chiese, la voce un po’ tremula, dato che nessuno gli rispondeva.

 

“Beh” propose Lily “in un certo senso, il professor Silente è il nonno di tutti noi”.

 

“Oh” annuì Edward. “È vecchio” aggiunse, come se fosse una prova a favore della tesi di Lily. “Tu chi sei?”.

 

Lily sorrise ancora.

 

“Io sono Lily. Sono la mamma di Harry” ed indicò il figlio accanto a lei. “E quello lì, quello lì è James, il padre di Harry”.

 

“Oh” fece ancora Edward.

 

“Quello laggiù coi capelli lunghi è Sirius, il padrino di Harry”.

“Cos’è un padrino?”.

“Un padrino si prende cura di un bambino quando la mamma e il papà non ci sono”.

“Come la zia”.

“Come la zia”.

“Ho capito”.

 

“Questo qui è Ron, è il migliore amico di Harry”.

“La zia dice che le persone con i capelli rossi sono cattive”.

 

Lily alzò entrambe le sopracciglia, e, per istinto, si voltò a guardare Severus, appoggiato ad un albero.

 

“Rubano le caramelle” bisbigliò Edward, come se fosse un segreto.

“Noi le caramelle le facciamo, lo sai?” gli fece Fred.

“Davvero?” Edward era esterrefatto.

“Parola di Fred e George” presentò George.

 

“La ragazza vicino a Ron si chiama Hermione. L’hai già conosciuta”.

“Già. Non mi piace” ribadì Edward. Sirius non sapeva dove guardare, così si voltò a guardare James, ma anche lui aveva delle difficoltà a trattenere le risate.

 

A quel punto, all’appello mancavano solo Remus e Ninfadora, ma erano rimasti a casa con Teddy.

 

“Non è una splendida giornata?” Silente comparve alle loro spalle. Edward corse verso di lui.

 

“Lily mi ha detto che tu sei il nonno di tutti” gli puntò un dito contro, come se fosse un’accusa bella e buona. Poi si rivolse alla zia, bisbigliando: “Lo so che dici che le persone coi capelli rossi sono cattive, ma quelli fanno caramelle!”.

 

Victoria guardò Fred e George e scosse la testa, sorridendo piano.

 

“Davvero una cosa molto carina da dire” concesse Silente. “Ma tu hai un nonno tutto tuo, sai?”.

“Nonno Reginald” fece Edward, contento di avere la risposta pronta.

“Non solo” Silente guardò verso Severus.

 

Edward corrucciò la fronte, poi guardò Victoria. Lei annuì. Edward guardò verso Severus, e, lentamente, mentre tutti trattenevano il fiato, si avvicinò al nonno.

 

Victoria incrociò le braccia e sfidò con lo sguardo Severus, che, dritto come un fuso, osservava avanzare Edward come se fosse la copia in miniatura di Nagini.

 

Arrivato abbastanza vicino, Edward strinse gli occhi ed incrociò le braccia. Si voltò verso Victoria, ed ancora verso Severus.

 

“Questo qui è mio nonno?” squittì alla fine, incredulo.

 

Incapace di contenersi oltre, Sirius Black sbottò in una risata.

 

Victoria alzò le braccia in segno di resa.

 

“Non guardarmi in quel modo. Io non c’entro niente”.

 

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Capitolo 7
*** Crystal Ball ***


CAPITOLO SETTE

Crystal Ball

 

Who is the man I see

where I'm supposed to be?

I lost my heart, I buried it too deep

under the iron sea

(Keane)

 

Cosa avesse Silente detto a Victoria rimase un segreto.

 

Qualunque cosa fosse, comunque, aiutò Victoria a non esplodere quando, con un sorrisetto sulla labbra, Silente annunciò a lei ed al piccolo Edward che, esattamente come Piton, avrebbero dormito in due delle decine di stanze per gli ospiti che era Grimmauld Place.

 

Harry capì che, fosse dipeso da lei, Victoria avrebbe probabilmente preso i bagagli e il nipote e sarebbe andata nel più malfamato dei motel Babbani piuttosto che condividere lo stesso tetto con loro, ma bastò uno dei soliti sguardi attenti di Silente per farla tacere.

 

Più di Victoria ed Edward, Harry era incuriosito dalla reazione di Piton.

Non che brillasse per conversazione, e nei giorni in cui era stato da solo lì con loro aveva sì e no grugnito qualcosa a sua madre quando James e Sirius erano distratti, ma il suo mutismo era quasi trascendentale.

 

Sempre un passo indietro, a guardare figlia e nipote come se fossero due Mangiamorte travestiti da agnelli.

 

Strano.

 

Da quando i suoi genitori e gli altri erano tornati in vita, Harry non aveva fatto altro che parlare con loro, era importante, quasi vitale. Sentire la loro presenza. Sfiorarli distrattamente. Merlino, aveva avuto la più grande battaglia di solletico a ventitré anni.

 

Conoscendo il passato di Piton ed i geni di Victoria, era più che ovvio, alla fin fine, che non ci fossero stati abbracci e pianti quando padre e figlia si erano incontrati dopo chissà quanti anni.

 

Era triste.

 

Edward aveva passato il resto della sera a bofonchiare qualcosa riguardo al fatto che suo nonno non aveva i capelli bianchi come i nonni degli altri bambini, ed era crollato prima che Kreacher servisse la cena. Victoria sgattaiolò col bambino al quarto piano, dove Sirius aveva fatto preparare le due stanze, e non ridiscese. 

 

Il mattino seguente, una splendida mattina priva di nuvole, Harry si svegliò dimentico degli ospiti che avevano in casa, e, ancora in boxer e maglietta, si trascinò in cucina, nella speranza che sua madre avesse ordinato a Kreacher di preparare uova per colazione.

 

C’erano sì uova per colazione, con bacon e pane tostato.

 

Ma non solo.

 

Da bambino, zia Petunia gli proibiva di guardare ciò che non era suo.

 

Tornando indietro di vent’anni quasi, Harry si ritrovò a guardare di sottecchi qualcosa che sicuramente non gli apparteneva, ma che mostrava con una certa sobrietà una certa dose di carne rosea ed umida, residuo di una corsa al parco da cui era appena tornata.

 

Imbambolato, Harry guardava la schiena di Victoria piegarsi in avanti nella credenza bassa, alla ricerca, probabilmente, di qualcosa che Kreacher non aveva messo a tavola per la colazione.

 

“Smettila di guardarmi il sedere, Potter, e dimmi piuttosto se in questa casa ci sono mai stati cereali al cioccolato”.

 

Non che desiderasse veramente avere una conferma sulla parentela di Victoria con Piton, ma, comunque, era arrivata.

 

Diventando dello stesso colore dei capelli di Ron, Harry bofonchiò qualcosa di incomprensibile, prendendo posto tra Sirius e James, entrambi con le sopracciglia scattate pericolosamente verso l’alto.

 

Sperò di non dover dare spiegazioni, più tardi.

In ogni caso, non volle alzare lo sguardo verso Piton.

 

“Mi spiace, cara, ma non ne abbiamo” rispose al suo posto Lily, seduta vicino a James e di fronte a Severus. “Possiamo mandare Kreacher a comprarli, se Edward ne è ghiotto”.

 

“Sono i preferiti di zia quelli al cioccolato” ridacchiò Edward, rimescolando nella sua ciotola.

 

“Taci, spia” Victoria gli pizzicò il naso, versandosi poi una tazza di caffè. “Comunque non importa, il caffè va più che bene” tagliò corto poi, sedendosi.

 

Per qualche minuto calò il gelo, interrotto solo dai rumori della colazione. Poi, il familiare rumore di una zampetta che picchiettava su una finestra fece distrarre Harry dal duro compito di tenere incollato lo sguardo al suo piatto.

 

“Per me” fece in fretta Victoria. “Gufi” mormorò, scuotendo divertita la testa. “Una strillettera?”.

L’aprì.

 

Come hai potuto! Lasciarmi così, senza un biglietto, me l’ha dovuto dire il Capo che te n’eri andata in ferie! Basta, ti odio! Portami un souvenir, piccola carogna. Un bacio fortissimo, Sergei.

 

“Come, prego?”.

 

Erano le prime parole di Piton da ore.

 

Sergei. Un amico, mio collega” scrollò le spalle, cercando di nascondere il mezzo sorriso che le si era dipinto sul volto.  “Edward, questa è di papà. Ma c’è la mania delle strillettere?” aggiunse, senza pensarci.

 

Edward prese con le manine avide la lettera che Victoria le porgeva e l’aprì senza troppe cerimonie.

 

Cari Edward e Victoria, come state? Qui fa freddino, ma il lavoro sta andando bene. Spero che vi troviate bene a Londra, e che vi stiate comportando bene tutt’e due. Edward, fai il bravo e stai sempre a sentire ciò che dice la zia, mi raccomando. Victoria, fa’ la brava anche tu, e non farlo impazzire troppo. Vi voglio bene, un abbraccio, Thomas.

 

Nessun accenno a Piton, a meno che con quel “non farlo impazzire” non si riferisse a lui.

 

“Thomas? Hai chiamato tuo figlio Thomas?” James non riuscì a trattenersi.

“L’hai chiamato come Voldemort?” gli fece eco Sirius.

“Ragazzi!” cercò di richiamarli all’ordine Lily.

 

“Chi è Voldemort?”.

 

Era il primo bambino che Harry conosceva che pronunciava quel nome senza provare paura.

Non importa quanti anni fossero passati.

 

Severus lanciò a Sirius uno sguardo non proprio amichevole.

 

“Un uomo non esattamente raccomandabile, con cui ho commesso l’errore di stringere, diciamo, una specie di amicizia”.

 

Victoria, così come Harry, restò a bocca aperta: non si aspettava di certo che fosse lo stesso Piton a parlare.

 

“Oh” fece Edward. “E perché l’hai chiamato così allora?”.

 

“Perché volevo che i miei figli avessero un nome forte, che avrebbe portato loro fortuna nella vita. E poi Thomas significa gemello, e tuo padre è, effettivamente, un gemello”.

 

Edward fissò gli occhi neri di Piton per tutto il tempo in cui questi parlò. Per qualche ragione che Harry non sapeva spiegarsi, quello sguardo che per anni l’aveva impaurito, e che aveva impaurito migliaia di studenti prima di lui, era fonte di sapere per Edward.

 

“Tu sai un sacchissimo di cose, nonno” disse Edward.

Severus incrociò lo sguardo di Victoria.

 

Lei si morse un labbro velocemente.

 

“Finisci di mangiare la colazione, adesso” continuò Piton.

 

Edward sorrise ed obbedì.

 

E Victoria capì perché Thomas aveva così tanto insistito per mandare Edward a conoscere il nonno.

 

 

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Capitolo 8
*** She Drives me Crazy ***


CAPITOLO OTTO

She Drives me Crazy

Everything that’s serious lasts

But to me there’s no surprise

What I have, I knew was true

Things go wrong, they always do

(Fine Young Cannibals)

 

Evento più unico che raro, Shackelbolt aveva concesso loro il pomeriggio libero.

Per ragioni che Harry non riusciva a comprendere, si lavorava più d’estate che d’inverno, e quando fuori ci sono più di venticinque gradi ed in un ufficio non si respira, vedere arrivare la comunicazione che, per quel giorno, potevano anche tornarsene a casa, era come assistere ad un miracolo.

 

Beh, quasi.

 

James non approvava che Harry volesse lavorare. Aveva più volte cercato di convincere Harry che, tutto sommato, poteva sempre attingere dalla Gringott se aveva bisogno di qualcosa, ma col patrimonio dei Potter unito a quello dei Black, effettivamente Harry poteva anche scegliere di vivere di sola rendita. Nonostante questo, e dopo vari rimproveri di Lily per averci anche solo pensato, Harry aveva comunque scelto di continuare a fare l’Auror: gli piaceva, l’aveva scelto lui, e lo faceva sentire come tutti quanto gli altri.

 

James ancora non poteva capire quanto fosse stata difficile la vita per lui.

Essere quello diverso.

Quello col destino già scritto.

 

Harry si materializzò direttamente in cucina, desideroso solo di bere un’intera cassa di burrobirra  e starsene disfatto sul divano fin quando non fosse arrivata la fresca, ariosa sera.

 

Dopo una settimana di convivenza in sette, a Harry mancava un po’ di quella solitaria privacy a cui era abituato da tutta la vita durante i mesi estivi.

Certo, non che non gradisse la presenza dei suoi genitori e di Sirius, ma c’era effettivamente troppo baccano.

 

Edward era un bambino vitale, troppo vitale. Correva su e giù per la casa chiedendo di qualsiasi cosa strana ci fosse, seguito solitamente da Victoria, o da Sirius e Severus quando la ragazza non c’era ed il vecchio quadro della signora Black iniziava ad inveire contro questo o quell’altro mezzosangue ci fosse in casa. Un po’ di pace l’aveva avuta il primo pomeriggio che andarono a trovare Tonks e Lupin, ma quando Edward e Teddy capirono di avere molto in comune, spesso e volentieri erano in due a rovesciare qualsiasi cosa ci fosse da rovesciare, ridacchiare e giocare in ogni stanza a cui potessero accedere.

 

Senza contare, inoltre, che da quando Piton aveva iniziato a parlare un po’ di più, erano iniziati battibecchi e screzi tra lui e James e Sirius, con la povera Lily che doveva destreggiarsi tra il marito ed il ritrovato migliore amico. Forse era per questo motivo che Lily, esasperata, aveva deciso di andare tutti a pranzo da Remus: i Lupin avevano un giardino più grande dove lasciar giocare bambini di ogni età.

 

Quando la Burrobirra iniziò a scendere lungo la gola di Harry, questi pensò che effettivamente, come diceva Lily, ognuno dovrebbe godere dei piccoli miracoli che accadono tutti i giorni.

 

Una bevanda dissetante.  

 

La casa vuota.

 

Victoria intenta a leggere sul divano, con una sigaretta tra le dita.

 

“Victoria?!” squittì Harry, spruzzando della burro birra dal naso dalla sorpresa.

 

La ragazza alzò un sopracciglio, senza distogliere lo sguardo dal tomo consunto che aveva sulle gambe, allungate sul divano.

 

“Non si lavora, Potter?”.

 

“Non dovevate andare a pranzo da Remus?”.

 

“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda”.

 

Harry si asciugò la bocca con il dorso della mano, indispettito sull’uscio del salotto.

 

I suoi progetti di intimità col divano erano definitivamente crollati.

 

“Ho avuto il pomeriggio libero. Tocca a te” aggiunse.

 

“Gli altri sono andati dai Lupin, io sono rimasta a godermi la quiete e fumarmi una sacrosanta sigaretta: non fumo davanti a Edward” spiegò lentamente Victoria, aggiustandosi sul divano.

 

“Non li raggiungi?” chiese Victoria. Harry ci lesse una nota di speranza.

 

“Affatto” rispose brusco, cadendo su una poltrona accanto al divano.

 

Per un po’ non ci furono altri rumori che lo sfoglio delle pagine di Victoria e quelli provenienti da fuori, dalle finestre che Victoria aveva lasciato aperte per far arieggiare via l’odore di tabacco.

 

Harry chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l’aria fresca e gli stralci di tabacco lasciati da Victoria.

 

“Cosa leggi?” chiese pigramente, allungando le gambe e stiracchiandosi.

 

Storia di Hogwarts” rispose Victoria, facendo evanascere il mozzicone.

 

“Lettura interessante” fece Harry, ironico.

 

“Non che ci sia di meglio” sospirò Victoria, irritata.

 

Harry si prese un mito per osservarla.

 

No, decisamente non aveva preso da Piton.

 

Niente naso lungo, niente capelli unti.

 

Ma erano lunghi e neri. Come i suoi occhi.

 

Oh, sì. Gli occhi erano taglienti e cupi come quelli di suo padre, indubbiamente.

 

La sua pelle era chiara, ma non pallida. Di alabastro.

 

Come Riddle.

 

Quanto di lui ci fosse in lei, questo Harry non sapeva dirlo. Ma suppose che per piacere ad un bambino, allora aveva davvero poco di Voldemort.

 

Anche se, effettivamente, ad Edward piaceva persino uno come Piton.

 

“Mi pare di avere ribadito più volte che detesto essere fissata, Potter”.

 

Non aveva neanche mosso un muscolo.

 

“Ti aspetti che inizi ad imprecare in serpentese, per caso?”. Alzò gli occhi verso di lui, guardandolo nella stessa maniera cattiva con cui lo guardava Piton quando non sapeva rispondere ad una domanda.

 

“In quel caso, saprei di certo quante maledizioni mi stai mandando”.

 

“Già, Silente mi ha raccontato di questa tua... come dire... dote. È raccapricciante che tu usi una dote di Lord Voldemort per pavoneggiarti” strinse le labbra con disgusto.

 

A Harry sembrò di vedere una scena già vissuta.

 

“Io non mi pavoneggio affatto, sei tu che sputi veleno ad ogni sillaba” controbatté, stringendo i pugni sui braccioli della poltrona.

 

“Il fatto che tu sia il Grande Harry Potter non significa che devi piacermi per forza”.

 

“A te non piace nessuno” bofonchiò Harry.

 

“Remus Lupin mi piace. Anche Sirius Black mi piace. In verità, Black mi piace anche di più”.  

 

Harry si mise a sedere dritto, facendo scattare le sopracciglia verso l’alto. Sirius? Le piaceva Sirius? Non poteva piacerle Sirius! Lui e Piton non facevano altro che litigare, scambiarsi frecciate, farsi i dispetti... .

 

“La tua amica Granger non mi piace. E neanche la moglie di Lupin, con quei capelli fuxia” continuò Victoria, guardando di fronte a lei, come se leggesse un elenco mentale. “Ah, ed i gemelli mi piacciono un sacco”.

 

“Quindi ti piacciono quasi tutti tranne che me?” Harry si rise conto di aver parlato dopo che vide l’ennesimo sopracciglio alzato di Victoria fissarlo.

 

“Devi per forza puntarmi quel dannato sopracciglio contro?” sbottò Harry, chiudendo gli occhi ed affondando nella poltrona, imbarazzato oltre ogni limite. Anzi, oltre ogni previsione.

 

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Capitolo 9
*** Vertigo ***


CAPITOLO NOVE

Vertigo

Hello, Hello (¡Hola!)

I'm at a place called Vertigo (¿Dónde está?)

It's everything I wish I didn't know

Except you give me something I can feel

(U2)

 

Tornavano di nuovo, trotterellando.

 

“Questo qui?” chiese il bambino con gli occhi nocciola, speranzoso.

 

L’uomo guardò quello che il bambino gli porgeva.

 

Vorrebbe mentirgli.

 

Per la prima volta, pensava che mentire sarebbe una cosa buona da fare.

 

Se gliel’avessero detto dieci anni prima, si sarebbe offeso di fronte a quell’eventualità.

 

“No, non è questo” scosse la testa invece, mettendo il trifoglio insieme agli altri dieci che aveva già collezionato.

 

Il bambino con gli occhi nocciola guardò l’altro bambino, quello che al momento aveva i capelli blu scuro per la rabbia, e scosse la testa anche lui, sospirando affranto.

 

“Torniamo a cercare?” chiese il bambino con i capelli blu.

 

“Certo!” il bambino con gli occhi nocciola annuì vigorosamente. Niente l’avrebbe più fermato nella sua ricerca del Quadrifoglio della fortuna.

 

“Non ti allontanare, Edward”.

 

“No, nonno” Edward lo salutò con la mano, correndo verso il punto più estremo del giardino, insieme a Teddy Lupin.

 

Severus lo guardò correre lontano ridacchiando, e lo osservò fino a che non scomparse tra l’erba alta.

 

Poi, poté bere la sua tazza di tè, gentile omaggio di Andromeda Black.

 

“Passeranno tutto il pomeriggio a cercare quadrifogli?” chiese James.

 

“Una cosa che ho imparato, è che quando due bambini si mettono qualcosa in testa, è dura fargliela togliere” disse saggiamente Remus, stringendo gli occhi, cercando di vedere ancora suo figlio e l’amichetto.

 

“E voi questa cosa la sapete molto bene, vero Sirius?” fece Lily, seminascosta dalla sua tazza.

Sia lei che Severus inghiottirono un sorrisetto.

 

“Tua moglie insinua, Ramoso” disse Sirius. James si limitò a scrollare le spalle e sorridere.

 

“Se tu fossi sposato, Felpato, sapresti quant’è pericoloso per una sana vita di coppia contraddire la propria metà” gli spiegò Remus.

 

“Cosa vorresti dire?” sbottò Ninfadora, dandogli un pugno leggero sul braccio.

 

“Ma io sono uno scapolo indomabile. Come il nostro Severus” aggiunse, dando una gomitata a James.

Ridacchiarono.

 

Severus stava per rispondergli per le rime, quando le due piccole pesti tornarono di corsa, con un’altra manciata di erbetta verde.

 

Purtroppo per loro, non c’era nemmeno un quadrifoglio.

 

“Oh” le labbra di Edward disegnarono un arco perfetto.

 

Senza sapere né come né perché, Severus gli accarezzò la testolina sudata.

 

“I bambini coraggiosi non si abbattono al primo ostacolo”.

 

Edward lo fissò intensamente, poi annuì, appoggiandosi stancamente alle gambe di Severus.

 

“Avete fame, ragazzi?” chiese Ninfadora, sorridendo.

 

“No, papà” piagnucolò Teddy, correndole in braccio incontro.

 

“Io sì” mormorò Edward.

 

“Vieni, allora: zio Remus ti porta a prendere qualcosa dentro”.

 

Edward guardò il nonno, poi camminò versò Remus.

 

“Zio Remus?” tossicchiò Severus.

 

“Se mio figlio e tuo nipote continueranno ad essere amici, sarà come una grande famiglia, non trovi?” Remus lasciò appesa la domanda, spingendo dolcemente Edward per le spalle.

 

“Ma quanto è dolce il nostro nonnino” lo prese in giro Sirius dopo qualche attimo di silenzio.

 

“Taci, Black” strinse le labbra Severus.

 

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Capitolo 10
*** Back At Your Door ***


CAPITOLO DIECI

Back At Your Door

 

No need to cry about it

I cannot live without it

Every time I wind up back at your door

Why do you do this to me?

You penetrate right through me

(Maroon 5)

 

 

Si girò per l’ennesima volta.

 

Quand’era ragazzo, aveva passato notti come quella.

 

Più o meno.

 

Notti in cui non era a Hogwarts, il cuore viaggiava troppo velocemente ed il respiro era troppo corto.

Notti in cui aspettava con ansia il non ritorno di suo padre dal solito pub, barricato in camera, la bacchetta pronta sotto il cuscino, il baule mai completamente svuotato.

Notti in cui il rumore della chiave che girava nella serratura accelerava i battiti.

 

Adesso, non era Hogwarts.

Adesso, guardava freneticamente l’orologio che aveva sul comodino, dove i minuti scorrevano troppo lentamente, o velocemente.

Adesso, erano le due del mattino, la casa era nel silenzio più totale e di Victoria non c’era traccia.

 

Potter, quello giovane, aveva raccontato che era comparso dal nulla Silente, e se l’era portata via nel pomeriggio, perché avevano delle cose da fare.

 

Cose che Silente non aveva voluto condividere con Potter.

 

Cose che non aveva voluto condividere neanche con lui, comunque.

 

Sbuffò nel vuoto, girandosi ancora, osservando l’oscurità intorno a lui.

 

Continuava a ripetersi che se era con Silente, allora non c’era di che preoccuparsi.

 

Continuava a ripetersi che era inutile preoccuparsi.

 

Continuava a non riuscire a dormire.

 

Tornati dal pomeriggio dai Lupin, aveva messo a letto Edward con non poca fatica, seppur aiutato da Lily in tutti i modi. Il bambino insisteva comunque a voler aspettare il ritorno della zia, ma alla fine era crollato sulla poltrona un’ora dopo cena.

 

 Non era la prima volta che metteva a letto un bambino.

 

Aveva nascosto, conservato e rintanato nell’angolo più basso del suo Pensatoio quella memoria.

 

Un Thomas più giovane colto da una febbre improvvisa per aver preso troppe correnti d’arie nel suo primo ed ultimo soggiorno a Hogwarts.

 

Un Edward con gli occhi più scuri ed il naso più lungo.

 

Le orecchie tese, allenate, carpirono movimenti provenire dal piano di sotto.

 

Sospirò.

 

Cercò di seguire i ticchettii che Victoria lasciava dietro di sé, ma le mura erano spesse ed il sonno stava calando pericolosamente sui suoi occhi stanchi.

 

Aspettò ancora qualche minuto, nella speranza di sentirla camminare – o quanto meno materializzarsi – un piano più su.

 

Ma neanche questo avvenne.

 

Il punto era che Severus Piton non era fatto per fare il genitore.

 

Lily aveva obbiettato, quando lui aveva pateticamente mugugnato qualcosa in proposito mentre gli altri maschi della casa erano lontani dal loro raggio di conversazione, che se Edward vedeva qualcosa in lui, allora doveva significare qualcosa.

 

“Che Edward è un bambino intelligente” aveva risposto, senza pensarci. Lily aveva sorriso, quei sorrisi che significavano che lei aveva ragione e lui torto e che non voleva ammetterlo.

 

“Avresti dovuto vedere con quanto orgoglio l’hai detto, Sev”.

 

Sciocchezze.

 

Certo: Edward era più pronto, veloce, e meno svenevole del coetaneo Lupin, forse persino più carino, ma queste erano doti oggettive, non soggettive.

 

Si era dato alla ricerca di quegli stupidi quadrifogli con entusiasmo, e si era arreso solo perché aveva bisogno di zuccheri per rigenerare le sue forze. Furbo, il bambino.

E mentre Teddy Lupin aveva dimenticato immediatamente la ricerca, barattando una nuova scoperta con un pezzo di torta all’amarena, il suo Edward era rimasto a contemplare il prato, gli occhietti socchiusi, come se tracciasse una mappa delle zone che aveva perlustrato, per ricordare quelle in cui avrebbe cercato la prossima volta.

 

Il suo Edward.

 

Santo Merlino.

 

E mentre lui si era perso in fantasticherie sul nipote con la spilla da Prefetto di Serpeverde, Victoria non accennava a voler muoversi dal piano terra.

 

E Severus sentì che aveva la assoluta ed impellente ed improrogabile necessità di bere qualcosa.

 

Scese lentamente le scale in punta di piedi: la Materializzazione avrebbe potuto far svegliare qualcuno, o avrebbe potuto cogliere di sorpresa Victoria, e di certo lui non voleva mandare in collera la ragazza più di quanto non lo fosse di solito, sarebbe stato poco conveniente per tutti.

 

Infilò la testa in cucina, ma era vuota e buia. Solo, un panino sbocconcellato lasciato sul ripiano in solitudine.

 

Victoria mangiava decisamente poco. Avrebbe dovuto affrontare questo argomento con lei, eventualmente.

 

Scivolò in salotto. E la trovò.

 

Probabilmente, voleva solo sedersi un attimo, prima di salire in camera a dormire, ed il sonno l’aveva vinta.

 

Ragazzina.

 

Sentì il bisogno di scambiare due chiacchiere con Silente, ma non gli sembrò il momento opportuno per andarlo a trovare, ovunque lui fosse.

 

Scuotendo la testa, prese la ragazza tra le braccia, deciso a portarla nel posto più consono per un essere umano che desidera dormire: un letto comodo.

 

Stava per prendere la via delle scale, quando qualcosa di accecante quasi non gli fece perdere l’equilibrio.

 

“Merlino, Piton!”.

 

“Zitto, Potter” sibilò Severus, arricciando le labbra.

 

James abbassò la bacchetta, constatando l’entità del carico dell’ex nemico di sempre.

 

“Avevo sentito dei rumori. È pieno di sociopatici in giro” si giustificò bisbigliando.

 

“Adesso che hai messo a cuccia la paranoia, potresti anche farmi luce per le scale ed andartene a dormire” soffiò Piton, indicando la rampa di scale con la punta del naso adunco.

 

Miracolo dei miracoli, James annuì e, senza una parola, lo accompagnò fino al quarto piano, nonostante i mugugni di protesta di Severus.

 

James gli aprì la porta della camera di Victoria con la mano libera, restando sulla porta.

Severus restò lì, a guardarlo, cercando di convincerlo con lo sguardo ad andarsene.

 

Tutto quello lo imbarazzava.

 

Victoria abbandonata tra le sue braccia, distrutta abbastanza da non sentire i movimenti intorno a lei.

James Potter che gli faceva da luminaria umana.

E lui in pigiama con la figlia in braccio e l’uomo che ha più odiato al mondo dopo Voldemort davanti a lui.

 

Quando si rese conto che Potter non sarebbe stato contento se non avesse visto Victoria al sicuro nel suo letto, Severus emise un silenzioso rivolo d’aria e camminò piano in camera.

 

Adagiò Victoria sul letto, cercando di coprirla almeno con una coperta leggera.

 

Victoria si mosse nel sonno.

 

Severus restò immobile. Avvertì perfino Potter dietro di lui trattenere il fiato.

 

Victoria tuttavia non si svegliò, ma si raggomitolò su se stessa, abbracciando il cuscino.

 

Sì, era decisamente stanca.

 

Le spostò una ciocca di capelli dal viso, osservando per qualche secondo il ritmico respiro di chi è in un sonno davvero profondo, poi, senza degnare Potter di uno sguardo, lasciò la stanza, assicurandosi che chiudesse piano la porta.

 

In una improvvisata mini fila indiana, i due raggiunsero il piano inferiore, in silenzio.

 

“Buonanotte, Severus”  gli mormorò James, dandogli una pacca sulla spalla.

 

Si guardarono.

 

Potter sorrise leggermente, togliendo il Lumos dalla sua bacchetta.

 

Ancora con un sopracciglio inarcato, Severus si chiuse la porta dietro le spalle, si infilò sotto le coperte e, rassicurato che sua figlia e suo nipote fossero al sicuro nelle loro stanze, poté finalmente addormentarsi.

 

[Precisazioni:

Punto Primo: quando si svolge tutto questo? Come avrete capito dagli ultimi capitoli, circa cinque anni dopo la fine di Voldemort. Mese più, mese meno. Anzi, diciamo che è la seconda settimana del Luglio ’99, e non se ne parli più.

Punto Secondo: Perché se la ff si intitola “Harry Potter e...”, di Harry quasi non c’è traccia? Perché lo Sfregiato lo detesto cordialmente a seconda del tempo, quindi scrivo di lui quando c’è il sole e mi sento buona, e quando no... amen.

Punto Terzo: ancora non me l’ha chiesto nessuno, ma che fine ha fatto Ginny Weasley? Purtroppo, quella sciocca cheerleader mancata è ancora in giro per il mondo a piede libero. Arriverà fin troppo presto.

Punto Quarto: e sempre sulla stessa scia, dove sono Pel di Carota e Hermy? Assieme alla piccola Weasley, presumo. Si aspetta una loro “trionfale” entrata in scena quanto prima. Doh.

Punto Quinto: e Malfoy? Ma non sono mica la loro balia!! Non credo sia con Ron e Ginny, anche se mi piacerebbe intrattenesse la cara Hermione, sarebbe meno antipatica la ragazza. Non vi preoccupate, pulzelle: il biondino più carino del mondo è in procinto di arrivare!!

Acidamente Vostra,

Astor]

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Capitolo 11
*** Keeps Gettin' Better ***


CAPITOLO UNDICI

Keeps Gettin’ Better

So baby yes I know what I am

And no I don’t give a damn

And you’ll be loving it

(C. Aguilera)

 

Bellissima.

 

Vissuta.

 

Affascinante.

 

La guardava come se non avesse visto niente del genere in vita sua.

 

“Vuoi provare a salirci?”.

 

Si mordicchiò il labbro inferiore.

 

Non poteva considerarsi una babbanofila, sicuramente.

Né tantomeno era come quello schizzato del padre dei gemelli, che nascondeva una moto babbana nel capanno delle galline.

Ma... wow, quell’uomo aveva salvato quel piccolo gioiello da una fine atroce.

 

Che Merlino abbia in gloria la curiosità del piccolo essere!

 

Era successo che quella mattina era arrivato un gufo a Lily, da parte della signora Weasley, che invitava tutta la combriccola a fare colazione da loro. E Lily, ovviamente, aveva accettato.

 

Victoria e Lily potevano tollerarsi poco.

O meglio, Victoria aveva delle sane remore nei confronti della rossa padrona di casa, qualcosa di atavico che non sapeva spiegarsi.

 

Forse erano i suoi modi.

 

Le era difficile, tuttavia, decidere chi tra la Donna Perfetta e la So-Tutto-Io detestasse di più.

 

Erano successe parecchie cose.

 

Per prima cosa, Severus le stava appiccicato dietro la schiena come un pipistrello malefico. Dapprima, s’era convinta che voleva studiarla come se fosse un animale raro, poi si era semplicemente resa conto che, anche lui, come lei, avrebbe preferito essere gettato in un calderone pieno d’olio bollente piuttosto che sorbirsi i sorrisi a trentadue denti e l’odore dolciastro di Molly Weasley.

 

Seconda cosa, i gemelli avevano regalato una Puffola Pigmea ad Edward (Thomas se la sarebbe presa con lei quando l’animaletto peloso sarebbe morto ed Edward avrebbe pianto calde lacrime di disperazione). La cosa in sé non era drammatica quanto il fatto che il bambino aveva voluto chiamarla Tory perché l’animaletto “ha lo stesso sguardo dolce di zia”. Scoccargli un’occhiata cattivissima non aveva fatto in modo che Edward ritrattasse quella dichiarazione che avrebbe sconvolto Thomas, Sergei e perfino i suoi amici di Scuola, Bradley e Caesar.

 

Terza cosa, aveva fatto la “piacevole” conoscenza con la ragazza del giovane Potter, tale Ginevra.

 

Ginevra?

La regina che cornificò Artù con il fedele Lancillotto?

Quella Ginevra?

 

Così, dapprima, Victoria aveva riso, facendo quell’associazione di idee. Quando la ragazza le aveva chiesto cosa ci fosse di tanto divertente, Victoria prese a spiegarle che l’aveva collegato immediatamente alla Regina di Camelot, e quando Ginevra, noncurante, aveva risposto che sì, Harry era il suo Artù, gli occhi di Victoria si riempirono di lacrime.

Nella sua  testa, infatti, le apparve molto più chiaro perché il Patronus di Potter fosse un cervo.

 

Probabilmente Ginevra non aveva preso bene quel suo atteggiamento, e l’aveva lasciata lì, in piedi, a mordersi le guance perché non era il caso di provocare una sommossa nell’ingresso della casa dei Weasley dopo meno di trenta secondi dal suo arrivo.

 

Ah sì, poi c’era la casa.

 

Loro la chiamavano Tana.

 

Perché, buon Merlino?

 

Quale essere umano sano di mente può far chiamare la sua casa Tana?

 

Cos’erano, conigli?

 

Ovunque si girasse, qualsiasi cosa pensasse, quella giornata Victoria sembrava averla dedicata alle associazioni di idee sconclusionate, e sentì la mancanza di Sergei.

 

Fu probabilmente per quello che si sedette accanto a Sirius, neanche lui troppo contento di essere lì, esponendogli, ad uno ad uno, a bassissima voce, i suoi dubbi a proposito di quel posto strano e di quella strana famiglia.

 

“Sette figli. Pensavo esistessero metodi contraccettivi. Eh sì che io ho un fratello che ha messo incinta la fidanzata prima di sposarsi, ma sette figli...”.

 

Sirius tossicchiò, guardandosi la punta delle scarpe.

 

“Poi tutto questo dannato rosso. Sono tutti rossi in famiglia?”

 

Sirius aveva annuito.

 

“Si accoppiano tra loro? È impossibile. Geneticamente impossibile. E nessuno qui può parlare di genetica tranne me”.

 

Sirius aveva preso a grattarsi il naso nervosamente.

 

“Sai, comincio avere della compassione per il tuo figlioccio, Sirius”.

 

L’uomo l’aveva guardata aggrottando la sopracciglia.

 

“Cresciuto da quegli animali babbani parenti di Lily. Poi preso sotto l’ala protettiva dei Weasley. Non ha certo passato una bella vita, povero ragazzo...”.

 

L’ironia era palpabile. Sirius non voleva, non poteva ridere né dei parenti di Lily né dei Weasley. Però....

 

“Davvero. Secondo me, fino ai gemelli sono ancora andati bene. Ma poi, andiamo! Ron non è esattamente un tipo sveglio... e vogliamo parlare di Ginevra?”.

 

“Ginny è carina”.

 

“Certo che lo è. Se ti piace il tipo Reginetta del Ballo e cose del genere. Non hai idea di quanto mi ricordi Annabelle Flintch”.

 

“Chi sarebbe?”.

 

“La bambina che mi rubava le caramelle. Io odio Annabelle Flintch”.

 

Sirius aveva preso a ridacchiare.

 

James era scivolato verso di loro.

 

“Qualcosa di divertente, Felpato?”

 

Sirius aveva guardato Victoria, adesso innocentemente occupata ad allacciare le scarpe al trotterellante Edward, ed aveva scosso la testa, mentendo spudoratamente.

Poi la signora Weasley aveva annunciato l’arrivo del primogenito, Bill, della moglie, Fleur, e della piccola Victoire, la loro bambina.

 

Già solo perché aveva il suo nome, e fortunatamente non un solo capello rosso, la bambina, in quanto tale, non provocò altri spasmi al povero senso del gusto di Victoria.

 

Veela?” bisbigliò a Sirius, riferendosi a Fleur. L’uomo annuì. “Sbaglio, o i Weasley stanno cercando di contrarre solo matrimoni di convenienza?”.

 

Sirius fece un leggero passo indietro.

 

Godric santissimo, quella ragazza era perfida.

Si limitò a scrollare le spalle.

 

Severus si avvicinò a loro con fare non certo amichevole.

 

“Ti diverti, Severus?” aveva chiesto Sirius, bloccato tra due Piton.

O Prince.

O quello che erano.

 

“Giubilo” rispose laconico. “Voi due, piuttosto?”.

 

Rimarcò quel voi due con implicita intenzione.

 

“Si disquisiva sui Weasley” fece spallucce Victoria, prendendo un bicchiere di punch dal buffet alle loro spalle.

 

“Conversazione interessante” fece Severus.

 

“Non sai quanto” lasciò cadere Sirius. Cane e serpente si guardarono accigliati per un po’, e Victoria decise che era meglio andare a vedere cosa stessero combinando Edward e la sua dannata Puffola.

 

Così l’aveva trovato nel capanno delle galline che frugava in giro, come suo solito.

 

E l’aveva vista.

 

“Arthur, non avevi detto che te n’eri sbarazzato?” squittì la signora Weasley, quando la vide in bella mostra al centro del suo giardino addobbato a festa.

 

Victoria non si diede pena di ascoltare il chiacchiericcio di quei due. Era troppo occupata e rimirare il gioiellino.

 

“Vuoi provare a salirci?” la voce di Sirius le arrivò suadente ed invitante come un frutto proibito.

 

Si voltò a guardarlo, gli occhi che scintillavano.

 

A Boston, aveva avuto un ragazzo che aveva la stessa passione per i motori che, a quanto pareva, aveva anche Sirius.

 

Intercettò, non seppe dire come, lo sguardo di Severus.

 

La fissava con quegli occhi neri, così dannatamente simili ai suoi.

 

“Sì, mi piacerebbe molto” rispose, leggera.

 

“Ehi, Arthur, funziona?” urlò Sirius, senza voltarsi a guardare il diretto interessato, cercando così di sovrastare gli strilli di Molly.

 

“È perfetta, Sirius” disse trionfale il signor Weasley, desideroso di vedere il suo tesoro nascosto messo all’opera.

 

Sirius spinse la moto fuori al giardino della Tana, con Victoria al fianco, in silenzio.

 

“Torneremo per pranzo” annunciò, aiutando la ragazza montare dietro di lui.

 

Victoria gli strinse la vita, schioccò un’occhiata eloquente a suo padre, e partì insieme a Sirius.

 

 

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Capitolo 12
*** Everything You Want ***


CAPITOLO DODICI

Everything You Want

 

 

I’m everything you want, I’m everything you need

I’m everything inside you that you useful to be

I say all the right things at exactly the right times

But I means nothing to you and I don’t know why

(Vertical Horizon)

 

 

Sguardo crudo, labbra arricciate, braccia incrociate.

Così si presentavano Severus Piton e Victoria Prince, nel giardino del lato ovest di Grimmauld Place, in piedi l’uno di fronte all’altra.

 

“Non capisco quale sia il tuo problema”.

 

“Sirius Black è il mio problema”.

 

“Sirius Black è un tuo problema da anni”.

 

Severus prese un grande, silenzioso respiro.

Che Silente le stesse facendo vedere quel suo stupido Pensatoio?

 

“È stata una figura pessima rientrare a pranzo già iniziato”.

 

“Cos’è, mi stai facendo la paternale? Oppure ti preme davvero fare una bella figura con quelle persone? Perché se è così, non ci credo affatto!”.

 

“Modera il tono, signorina!”.

 

“Altrimenti che fai, mi metti in punizione?”.

 

Victoria diede un’ultima, volontaria inspirata alla sigaretta che aveva tra le dita lunghe, la fece evanescere e gli diede le spalle, rientrando in casa.

 

“Tutto bene?” le chiede Lily.

 

“Assolutamente” rispose freddamente, senza neanche guardarla.

 

 

Sopracciglia alzate, bocca aperta, mani che stringevano il bordo del tavolo di legno vecchio giù, in cucina.

Così si presentava James Potter, mentre osservava, sbattendo le palpebre, Sirius Black.

 

“È vero, Ramoso”.

 

“Non puoi star dicendo sul serio!”.

 

“Probabilmente è perché non è cresciuta con lui. Con loro. Se fosse stato così, sarebbe diversa”.

 

“Sirius!”.

 

“James, non sto dicendo niente che tu stesso non possa vedere con i tuoi occhi”.

 

James si lasciò cadere all’indietro, scuotendo la testa.

 

“Non puoi neanche pensare a quello che stai pensando, Sirius. È la figlia di Piton”.

 

“E questo non rende la cosa ancora più stuzzicante, secondo te?”.

 

James sospirò, guardando Sirius in tralice.

E, purtroppo, James lo capiva.

 

Lo capiva benissimo.

 

 

Naso arricciato, occhi socchiusi, labbra piegate in un sorrisino.

Così si presentava Edward Prince, mentre aspettava che anche Ron Weasley riemergesse, a sua volta, dalla fetta di torta, in camera di Harry Potter.

 

“Perché è qui?”.

 

“Perché credo che Victoria e Piton stiano... diciamo... discutendo”.

 

Ron si pulì il naso sporco con la manica. Hermione lo guardò in tralice ed Edward, per tutta risposta, ridacchiò.

 

“Ho vinto”.

 

“Ti ho lasciato vincere perché sei piccolo”.

 

Edward sembrò seccato. Gli voltò le spalle e si arrampicò sul letto, accanto a Harry.

 

“Harry” iniziò Hermione.

 

E Harry sapeva dove stava andando a parare.

 

Ron si ritrovò a fissare il soffitto. Edward lo imitò, pensando ci fosse qualcosa di realmente interessante.

 

“Ginny è davvero arrabbiata”.

 

“Non ho fatto niente di male, Herm. È Ginny che è paranoica ultimamente”.

 

“Da quando ha perso il lavoro, è intrattabile”.

 

Hermione sospirò. Ginny aveva perso il posto come Cercatrice di una squadra di Birmingham, e questo aveva minato non poco il suo amor proprio.

 

Neanche Ron era stato capace di farsi cacciare dagli Auror.

 

“Ron, per favore. Harry, l’ho notato anche io”.

 

“Hermione, io amo la cucina della signora Weasley, ma il paté che aveva preparato davvero non mi andava”.

 

“Ed è un caso che tu abbia iniziato a mangiare proprio quando Sirius e la figlia di Piton sono tornati?”.

 

Harry sospirò. Ron abbassò lo sguardo verso di lui.

 

Edward gli tirò una manica.

 

“Anche io voglio fare un giro sulla moto di zio Sirius”.

 

Per qualche ragione, Harry sentì che Sirius non era proprio la persona più adatta ad Edward.

 

Assolutamente.

 

 

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Capitolo 13
*** Is It Any Wonder? ***


CAPITOLO TREDICI

Is It Any Wonder?

Is it any wonder I'm tired?

Is it any wonder that I feel uptight?

Is it any wonder I don't know what's right?

Oh, these days, after all the misery you made,

Is it any wonder that I feel afraid?

Is it any wonder that I feel betrayed?

(Keane)

 

Riemerse tossendo, prendendo ampi respiri per costringere i suoi polmoni a funzionare.

 

“Sei durata molto più del solito quest’oggi, mia cara”.

 

Silente voltò una pagina della sua Trasfigurazione Oggi, senza guardarla.

 

Victoria si sedette tirandosi le ginocchia al petto, spostando indietro i capelli bagnati dalla fronte.

Quella non era acqua.

Sulla sua fronte, era sudore.

 

“E questo è un bene o un male?”.

 

Silente mosse pigramente la bacchetta, e dal nulla apparve il solito telo di lino bianco, che si distese davanti alla vasca in cui Victoria era immersa quasi totalmente, coprendola mentre si alzava.

 

“Lo vedremo” promise il vecchio mago, riponendo la sua rivista sul tavolino accanto a lui.

 

Victoria si avvolse il telo intorno al corpo, uscendo da quel liquido bluastro con un certo disgusto.

 

“C’è una certa dose di assurda sobrietà in tutto questo, sai Albus?”.

 

“Tu trovi?”.

 

“Trovo. Tu. Io. I sotterranei vuoti. Io che esco ed entro da una vasca piena di liquido perlaceo”. Poggiò una mano umida sulla spalla di Silente, inclinando la testa da un lato. “Se non sapessi del tuo vizietto, Albus, avrei paura per la mia virtù”.

 

Silente le regalò un mezzo sorriso, sporgendosi per guardare il liquido nella vasca.

 

“Per esperienza personale, Victoria, se ci fosse stata anche solo la più remota possibilità che io potessi attentare alla tua virtù, avrei mandato Minerva ad assistere”.

 

“Per l’amor del cielo, Albus! Questo sì che sarebbe stato perverso”.

 

Silente non diede segno di aver ascoltato, intento com’era a prelevare, con una fiala apparsa da, presumibilmente, una delle sue maniche, un po’ del liquido che c’era nella vasca.

 

Victoria raggiunse un piccolo paravento posto in un angolo, dove iniziò a rivestirsi. Con un paio di tocchi di bacchetta, i suoi capelli tornarono asciutti e mossi come al solito.

 

Odiava avere i capelli fuori posto.

 

Quando ebbe finito, trovò Silente seduto ad una scrivania, ad osservare il volteggiare verde scuro e nero nell’ampolla.

 

“Hai avuto qualche problema, ultimamente?” le chiese, senza voltarsi.

 

“Definisci problema” rispose lei, con leggerezza.

 

“Hai provato qualche sentimento contrastante? Rabbia, per esempio?”.

 

Victoria si morse un labbro, stringendo i pugni.

 

“Perché me lo chiedi se lo sai già?”.

 

Silente sospirò, voltandosi.

 

Victoria era in piedi, dritta come un fuso, in paziente attesa.

 

“Assomigli molto a tuo padre” disse Silente, quasi sorridendo.

 

“Quale?” chiese Victoria, seccamente.

 

Silente scosse la testa.

 

“Entrambi. In una maniera diversa, sottile, ma assomigli ad entrambi”. Victoria scosse la testa, ironicamente. “I tratti del viso. Quando sogghigni, quando guardi le persone sapendo che tu sai qualcosa che loro non sanno. Lì sei Riddle”.

 

“Il mio lato migliore” borbottò, lei, spostando il peso su un ginocchio ad un altro.

 

“La profondità dei tuoi occhi. I sorrisi che fai ad Edward. Il modo che hai di osservare il mondo intorno a te. Il colore della tua pelle. La testardaggine. In questo, sei assolutamente Severus”.

 

Victoria sbuffò leggermente.

Non era un argomento che voleva affrontare.

 

“Tutti abbiamo delle radici, Victoria. Tu e Thomas avete le vostre. Strane, ingarbugliate, ingiuste, ma sono sempre ciò che vi rende quelli che siete. Voi siete gli eredi di Salazar Serpeverde”. 

 

“Perché mi stai dicendo questo? Non mi interessa. Non ci interessa”.

 

Silente la guardò, quello sguardo senza scampo che avrebbe atterrato chiunque.

Victoria compresa.

 

La ragazza voltò lo sguardo, contrariata.

 

“C’è qualcosa di loro in te. Ci sarà sempre”.

 

“Ed è per questo che siamo qui” concluse Victoria, a voce bassa.

 

Silente prese l’ampolla, rigirandosela fra le mani.

 

“La prova che non mi sbagliavo”.

 

Victoria lo raggiunse, prendendogli la boccetta dalle mani. Guardò il verde addensarsi sul fondo, ed il nero scivolare lento sulla superficie.

 

“Che non ti sbagliavi su di me” corresse lei, corrugando la fronte.

 

“Cos’è successo?” le chiese Albus.

 

“Niente” fece spallucce, arricciando il naso. “Cose a cui non sono abituata”.

 

“Come qualcuno che ti dice no, suppongo”.

 

Victoria lo guardò, socchiudendo gli occhi.

 

“Le tue supposizioni sono sempre esatte, non è così?”.

 

La ragazza si allontanò, lasciandogli cadere la fiala tra le mani.

 

“Cosa hai intenzione di fare, adesso?”.

 

Silente posò la boccetta sulla scrivania. Dopodiché, la fece evanascere.

 

“Studierò qualcosa entro le prossime ventiquattro ore. Nel frattempo, mi aspetto da te della collaborazione”.

 

Silente la guardò da sopra gli occhiali a forma di mezzaluna. Victoria sospirò.

 

“Me ne starò buona in giardino a godermi il temperato clima londinese” assicurò.

 

“Ho delle copie di Trasfigurazione Oggi, se vuoi”.

 

Victoria inarcò un sopracciglio.

 

“Ho un nipote attivo” concluse Victoria, raggiungendo la porta.

 

“Prendi la Stanza delle Necessità per andare: Aberforth ha dell’Idromele per te” le disse Silente, prima di vederla sparire nel buio dei sotterranei.

 

 

[JDS] Grazie per commentare sempre e comunque, sei fantastica. Ed anche io penso che Sirius sia intrigato da Victoria soprattutto perché è la figlia di Severus. Staremo a vedere come si evolveranno le cose tra quei due ^-^

[Ernil] Grazie XD Soprattutto per non aver fatto una strage ahahaha!

[Chiara Malfoy Potter] Curiosità soddisfatta? No, eh? Baci!

[Elfosnape] Non è che Victoria ce l’ha con i Potter o con i Weasley per qualche motivo particolare. Solo, non riesce a legare con Lily (neanche io potrei <.<) e pensa che i Weasley siano gente strana XD Il rapporto che ha con Severus è un mistero anche per i diretti interessati, fidati! E sì, Prince è il suo cognome. Grazie per aver letto!

[Dogma] Ahauauhuahauha sì è vero. I Prince, chi prima chi dopo, sono mitici!

 

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Capitolo 14
*** Heaven is a Place on Earth ***


CAPITOLO QUATTORDICI

Heaven is a Place on Earth

When I feel alone

I reach for you

And you bring me home

When I'm lost at sea

I hear your voice

And it carries me

(B. Carlisle)

 

Meno tre giorni al compleanno di Harry.

 

Lily aveva costretto James e Sirius ad andare a Diagon Alley il pomeriggio precedente a comprare un regalo adeguato, ed a niente erano servite le lamentele di Sirius basate sul fatto che “io gli ho dato la casa”. A quelle parole, Lily si era realmente risentita, e si era chiusa in un assoluto silenzio, rotto solo da qualche sonoro sbuffo fino all’arrivo al Paiolo Magico.

 

La sera, Lily aveva cercato ogni modo possibile per restare solo con Severus, per cercare di tastare il terreno su se e cosa lui avesse intenzione di regalare a Harry.

 

“Spero tu stia scherzando” aveva ribattuto glaciale, spalancando gli occhi come se avesse detto un’eresia.

 

“Compie ventiquattro anni. È un uomo. dopo tutto quello che abbiamo passato... che avete passato...” provò Lily, sbattendo gli occhi.

 

“Sei sposata, Lily. Non puoi farmi gli occhi dolci”.

 

“Sono solo una madre che cerca di organizzare un compleanno come si deve al proprio bambino” ribatté la donna, incrociando le braccia.

 

Severus arricciò le labbra.

 

“Ma non avevi appena detto che è un uomo?”.

 

Lily gonfiò le guance, pronta a sbottare.

 

“Non sono capace a fare regali”.

 

“Non è quello che mi ricordo io”.

 

Punto sul solito nervo scoperto, Severus le diede le spalle, fingendo di cercare qualcosa nella libreria dei Black.

 

“Sarebbe imbarazzante” borbottò. Stava già pensando alla faccia che avrebbero fatto Potter e Black.

 

“Prendi qualcosa con Victoria” propose Lily, saltellandogli al fianco. “Passerebbe come un regalo da parte degli ospiti, e sarebbe un momento di aggregazione tra padre e figlia. E nipotino, ovviamente”.

 

Severus guardò  Lily con orrore.

 

“Sirius gli ha preso una scopa nuova...”.

 

“... ma che fantasia...”.

 

“... ed io ho portato ad incorniciare una nostra foto, quella che ci ha fatto Remus il giorno dopo il nostro... ritorno”.

 

Severus sospirò.

 

“So che Remus e Dora gli hanno regalato i biglietti per la prossima stagione di Quidditch” continuò Lily, contando i regali sulle mani. “Con il Quidditch penso che abbiamo finito. Non ho idea di cosa gli prenderanno Ron, Hermione e Ginny, in realtà. Se andrai con Victoria, dubito che ci saranno problemi di immaginazione”.

 

Lily l’aveva guardato con quei suoi enormi occhi verdi, e Severus aveva promesso che avrebbe provato a chiedere a Victoria.

 

La mattina seguente. Sempre meno tre giorni al compleanno di Harry.

 

“Victoria”.

 

“Severus”.

 

Bene. Adesso che avevano preso coscienza della rispettiva presenza in salotto, Severus poteva tentare l’approccio.

 

“Victoria, non so se ti hanno messo al corrente del genetliaco che si festeggerà tra settantadue ore”. 

 

“Sì, Lily è una settimana che lo va canticchiando per casa. È il compleanno di Harry Potter”.

 

“Probabilmente la cosa interesserà a te ancora meno di quanto possa vagamente interessare me, però Lily mi ha chiesto, per un questione di pura formalità ospitale...”.

 

“... dobbiamo comprare qualcosa al Salvatore della Patria?” Victoria tagliò sul nascere ulteriori divagazioni da parte di Severus.

 

L’uomo annuì, visibilmente a disagio.

 

“Bene. Dovevo comunque comprare qualcosa per Sergei” chiuse il tomo che stava leggendo e si alzò dalla poltrona, scuotendo i capelli. “Il tempo di preparare me ed Edward. Sempre che siamo entrambi compresi nel pacchetto, oppure che tu non voglia sobbarcare a me un incarico che spetta a te di diritto”.

 

Si guardarono fissi negli occhi. Entrambi desiderosi di scrutare la mente dell’altro, senza averne il coraggio.

 

“Vi aspetto all’ingresso tra trenta minuti” sibilò Severus.

 

“Non vedo l’ora” soffiò la ragazza, arricciando le labbra.

 

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Capitolo 15
*** Here is Gone ***


CAPITOLO QUINDICI

Here is Gone

 

I'm not the one who broke you

I'm not the one you should fear

We got to move you darling

I thought I lost you somewhere

But you were never really ever there at all

(Goo Goo Dolls)

 

 

Era scapato a molte cose nella sua vita.

 

Ad un matrimonio, per esempio.

 

A ragazzini stupidi.

 

Alla morte.

 

Ed ora, nell’arsenale di ciò che era riuscito a compiere pur essendo ciò che era, Severus Piton poteva annoverare anche l’aver acquistato un regalo per Harry Potter, accompagnato da figlia e nipote.

 

Il pacchetto se ne stava appoggiato comodamente sulla quarta sedia bianca libera al tavolino a cui erano seduti tutti a tre.

 

Davanti a Severus, un the freddo.

 

Davanti a Victoria, una coppa zuppa inglese e caffè.

 

Davanti ad Edward, un cono immenso con crema, cioccolata e panna.

 

“A Tory piacciono molto i semini che abbiamo comprato da Fred e George” stava dicendo Edward, tra una leccata ed un’altra.

 

“Vuoi farla diventare una piccola puffola obesa?” gli chiese Victoria.

 

“Cosa vuol dire obesa?”.

 

“Grassa”.

 

“Come la mamma di Ron?”.

 

A Severus andò di traverso il the.

 

“Esatto” annuì Victoria, divertita.

 

“Non è carino dire che la signora Weasley è grassa, Edward” lo rimbeccò Severus.

 

“Ma lo è” si oppose Edward. Victoria passò lo sguardo dall’uno all’altro, non sapendo per chi tifare.

 

“Allora diciamo che, semmai ce ne fosse l’occasione, sarebbe meglio evitare che tu dicessi in pubblico che la signora Weasley è grassa, o obesa” rettificò Severus.

 

In fondo, il bambino aveva ragione.

 

Non aveva senso insegnargli a non dire bugie, altrimenti.

 

“Perché?” chiese ancora Edward.

 

“Perché potrebbe offendersi”.

 

“Ma se è grassa, è grassa. Come io ho gli occhi marroni e tu il naso grosso”.

 

Victoria si nascose dietro la sua coppa, indifferente.

 

“Vedi, Edward, alle persone non spesso piace sentirsi dire la verità”.

 

“E su questo, tesoro, il nonno potrebbe tenere una conferenza” aggiunse Victoria, alzandosi per andare a pagare.

 

Severus la seguì con lo sguardo.

 

Non avrebbe ottenuto né la sua fiducia, né il suo perdono.

 

C’era qualcosa che stringeva dentro di lui, a quel pensiero.

 

“Zia Tory non è cattiva, nonno” fece serio Edward, non curandosi della cioccolata che gli stava colando sulle manine.

 

Severus lo guardò incuriosito.

 

Quando lo fissava a quel modo, chissà come mai, gli ricordava sua madre.

 

“Lo so” assicurò, non troppo convinto.

 

“È solo triste” fece spallucce il bambino.

 

Severus prese un tovagliolino e gli pulì le mani ed il mento sporchi di cioccolata e panna.

 

“Perché dici che è triste?” chiese sospettoso.

 

“Forse anche alla zia manca la sua mamma come manca a me”.

 

Severus alzò gli occhi di scatto, la gola improvvisamente secca.

 

Allungò lo sguardo, cercandola al bancone della Nuova Gelateria Fortebraccio.

 

Una ragazza come tante.

 

Qualcuno che ricordava qualcun altro, che odiava.

 

E gli occhi di qualcuno che aveva amato.

 

Che l’aveva amato.

 

“Sei un bravo bambino, Edward”.

 

“E tu sei un bravo nonno, nonno” sorrise il piccolo.

 

Avrebbe imparato ad essere anche un bravo padre?

 

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Capitolo 16
*** Whatever I Fear ***


CAPITOLO SEDICI

Whatever I Fear

 

Whatever I fear the most is whatever I see before me

Whenever I let my guard down, whatever I was ignoring

Whatever I fear the most is whatever I see before me

Whatever I have been given, whatever I have been

(Toad the Wet Sprocket)

 

Trentuno luglio. Ore venti e sedici.

 

Puntuale come al solito – a memoria di James, Remus non ha mai consegnato un compito in ritardo – i coniugi Lupin ed il piccolo Teddy si materializzano nell’ingresso di Grimmauld Place.

 

Lunastorta!”.

 

“Ramoso!”.

 

“Anche io  voglio un soprannome!”.

 

“Le donne sono fuori dal giro, Dora”.

 

“Non chiamarmi Dora”.

 

Il piccolo Teddy sorrideva a tutti ed a niente, fin quando altri due piccoli piedi comparirono dietro le gambe di James, ed il bambino, che fino a quel momento se n’era stato buono in braccio al padre, iniziò ad agitarsi.

 

“Ciao, Edward”. Remus sorrise alla cima di capelli biondicci apparire quasi dal nulla.

 

“Edward!” si agitò ancora di più Teddy.

 

“Teddy!”.

 

“Sembra che non si vedano da anni” sorrise James, guardando i due bambini correre fuori e scortando a sua volta gli ospiti.

 

“Non ha fatto altro che chiedere quando saremmo usciti da questa mattina” scosse la testa Tonks, divertita.

 

I bambini si fermarono vicino le scale, sussurrandosi importantissimi segreti in bilico sul primo scalino. James accarezzò distrattamente la testa a Teddy passando ed andò a scostare le tende di seta avorio per permettere a Remus e Tonks di ammirare il banchetto che Lily aveva messo in piedi in tre giorni.

 

“Harry sa della festa?” bisbigliò Remus.

 

“Penso proprio che se l’aspetti. Ma non dirlo a Lily, per lei deve essere una sorpresa” spiegò James, fingendo di grattarsi il naso per nascondere il borbottio.

 

Dopo molto convenevoli più tardi, in attesa che gli altri numerosi invitati raggiungessero la sede della festa, Lily e Tonks si andarono a sedere ad uno dei tavolini preparati da Kreacher mentre gli uomini si radunavano in un angolo.

 

“Spero che qualcuno imbuchi dell’alcool” fece Sirius.

 

“Anche io” annuì James.


“Lily ha vietato gli alcolici” spiegò questi, davanti alla solita espressione corrucciata di Remus.

 

“Però siamo riusciti a piazzare almeno due bottiglie di Whiskey Incendiario” disse Sirius tutto contento, gli occhi tondi per la conquista.

 

“Voi due, crescerete mai?” chiese Remus, senza speranza.

 

“Affatto” dissero in coro James e Sirius, dandosi il cinque.

 

“A proposito di adulti...” iniziò Remus, lasciando la frase a mezz’aria.

 

“Il pipistrello è da qualche parte giù in cantina. Sapevi che questa casa aveva un laboratorio pozionistico?” disse Sirius, rivolgendosi a Remus.

 

“Sirius, è casa tua, dovresti saperlo”.

 

“Sì, ma tu sei stato vivo per più tempo di me” gli ricordò Sirius, ghignando.

 

“Dovremmo fare un brindisi alla tua longevità, Lunastorta” sghignazzò James, dandogli un colpetto sulla spalla.

 

“In realtà è Piton il più longevo” meditò Remus, portandosi distrattamente un dito alle labbra, ragionando.

 

“Piton non è uno di noi” precisò Sirius, con ribrezzo.

 

“Sirius...” cantilenò Remus, istintivamente sottovoce.

 

“Il fatto che abiti qui e che ce lo portiamo dappertutto, non significa per forza che adesso siamo amici” continuò Sirius, sventolando l’indice davanti al naso di Remus.

 

“Ma tu vuoi portarti a letto sua figlia” attaccò Remus. Sirius indietreggiò. James guardò l’amico con la coda dell’occhio, assicurandosi che le ragazze non avessero sentito.

 

“Chiamarla figlia è esagerato” borbottò Sirius, nervosamente.

 

“È quello che è!”.

 

“Andiamo, Remus, tu non ci sei, non puoi capirlo. Si odiano. Si diranno tre, al massimo quattro frasi nel corso dell’intera giornata, quando lei non è con Silente...”.

 

“... Victoria con Silente?” l’interruppe Remus.

 

“Ma che brutta visione, Lunastorta” ridacchiò James. Poi, cogliendo lo sguardo seccato di Remus, aggiunse. “Sarà successo almeno dieci volte in quasi due settimane. Arriva, se ne vanno, e lei torna molte ore dopo, senza dare spiegazioni”.

 

“Strano” mormorò Remus. “Perché Silente dovrebbe essere interessato a Victoria? E non rispondere per ovvi motivi, Sirius” aggiunse, guardando Sirius in tralice, il quale decise di richiudere la bocca.

 

“Probabilmente la starà aggiornando su quello che è successo in questi anni” tentò James, facendo spallucce.

 

“Silente mi pare avesse detto che i due ragazzi avevano ricevuto un plico, una specie di lettera, che spiegava loro tutto” scosse la testa Remus. “Severus non ha chiesto spiegazioni?”.

 

“Non in nostra presenza” scosse la testa James.

 

“E neanche qui in casa. Credo che le loro urla si sarebbero sentite, altrimenti” continuò Sirius, all’apparenza serio.

 

“Probabilmente non è interessato a Victoria, ma al piccolo Edward” azzardò ancora James.

 

“Probabile. Pare che sia stato lui la chiave per riportarci tutti in vita” annuì Remus.

 

“Assurdo” fece Sirius “che un bambino così piccolo sia stato capace, a sua insaputa, di fare una cosa tanto grande”.

 

“Forse di questo che stanno parlando, Victoria e Silente. Forse stanno trovando un modo per contenere il potere di Edward” disse James.

 

“Per non farne un altro Voldemort” concluse Remus, cercando i due bambini con lo sguardo.

 

 

 

Trentuno luglio. Ore ventuno e trentanove.

 

Non aveva proprio avuto bisogno di un GUFO in Divinazione per immaginare cosa la madre stesse nascondendo quando l’aveva notata aggirarsi per casa con fare molto malandrinesco.

 

Così, seppur dovendo fingere un’onesta sorpresa, Harry era contento che ci fosse stata la festa.

 

I suoi genitori.

 

Sirius e Remus e Tonks.

 

Fred, George e tutti i Weasley.

 

I suoi amici di Hogwarts.

 

Ron e Hermione. E Ginny.

 

Perfino Piton aveva fatto la sua silenziosa comparsa.

 

Non si era mai sentito un ragazzo fortunato.

 

Non fino a quel momento.

 

“Ehi” Ginny scivolò verso di lui, passandogli una mano intorno alla vita. “Non sei grande per commuoverti per una festa di compleanno, Harry?” lo stuzzicò, baciandogli la punta del naso.

 

Harry le sorrise, stringendosi nelle spalle.

 

“Tua madre ha organizzato le cose in grande” continuò la ragazza, guardandosi intorno.

 

Palloncini rossi e oro (questi li aveva presi James), boccini volanti, buffet salato, buffet dolce, musica ritmata di sottofondo, bottiglie autoriempienti, eccetera.

 

“Ci teneva molto” disse Harry, cercandola con lo sguardo. Stava ridendo, toccando il braccio di James, che probabilmente stava raccontando una qualche storiella divertente.

 

“Ron e Hermione?” chiese, non vedendoli più in giro.

 

“Hermione ha decretato che il colore delle tovaglie sarebbe splendido per i fiori”.

 

“Quali fiori?”.

 

“Quelli del matrimonio. È ancora top-secret, ma pare che Ron voglia chiederle di sposarlo, a settembre”.

 

“Fantastico” sorrise genuinamente Harry.

 

“L’ho sentito che ne parlava con Bill, e diciamo che mi è scappato, parlando con Hermione. Soltanto che lei adesso ha intenzione di sentirselo dire il prima possibile, ed il povero Ron non sa che pesci prendere, perché deve ancora decidere che anello comprarle”.

 

Harry ridacchiò, dispiacendosi un po’ per l’amico: se Hermione si metteva in testa qualcosa, sarebbe stata difficile farla desistere.

 

Sentì lo sguardo di Ginny spingere contro di lui.

 

“Cosa, Ginny?”.

 

La ragazza guardò lontano, sospirando.

 

“Mi chiedo solo quando verrà il mio turno” bisbigliò, arrossendo lievemente. “Perfino Luna si sposa l’anno prossimo”.

 

Era vero, la notizia era arrivata anche a lui, laggiù al Ministero: Luna Lovegood presto sarebbe diventata Luna Baston.

 

C’era stato un momento in cui Harry aveva pensato al matrimonio.

 

Al suo matrimonio. Con Ginny.

 

Un tempo in cui la sua vita era scandita dai possibili secondi che Voldemort pareva concedergli.

 

Poi la Guerra era finita, e lui l’aveva vinta.

 

Passati i primi momenti, lo smarrimento, la gioia, il Diploma, Harry aveva visto la strada della sua vita allungarsi, scomparendo oltre l’orizzonte, un magnifico, gigantesco punto interrogativo.

 

Come per tutti quanti gli altri.

 

La conquista della normalità valeva moltissimo per Harry, e stava cercando di recuperare, soprattutto adesso che i suoi genitori potevano condividerla con lui.

 

Così, l’idea del matrimonio l’aveva messa da parte, per godersi se stesso, in tutta la sua libertà.

 

Ed adesso, Ginny reclamava qualcosa che non si erano mai promessi davvero, ma che era scritto, così com’era scritta l’unione di Ron e Hermione.

 

Guardò la sua ragazza sospirare, torturando la catenina d’argento che portava al collo, quella che la madre le aveva regalato per i suoi diciassette anni.

 

E non seppe cosa risponderle.

 

Né Fred né George avevano mai parlato di matrimonio. Così come Charlie.

 

Ron era ossessionato dall’idea di sposare Hermione, per paura di perderla, per paura che Hermione si rendesse conto “di quale imbecille sono”, come diceva sempre.

 

Percy era tornato dalla sua Penelope.

 

Bill aveva già provveduto con Fleur.

 

Luna con Oliver Baston.

 

Ginny aveva Harry.

 

Aprì la bocca per parlare, quando tre bambini ridanciani separarono Harry da Ginny senza troppi complimenti.

 

“Nascondici, zia Ginny” ridacchiò la bambina.

 

“Che dici, Victoire? Ci vedrà” la tirò via Teddy.

 

“Mi fai male, scemo” lo spinse via Victoire.

 

“Che succede?” chiese Harry, dividendo Teddy e Victoire.

 

“Stiamo giocando a nascondino con zia Tory” spiegò Edward, guardandosi in giro. “Ehi! Il mantello del nonno! Dietro il mantello del nonno!” tirò Teddy per il colletto della maglietta, indicando Piton nell’angolo. Teddy emise un suono di allegria e corse dietro Edward.

 

“Ehi!” si lagnò Victoire, rincorrendoli.

 

Harry li seguì con lo sguardo, e, per qualche motivo, li invidiò.

 

 

Trentuno luglio. Ore ventidue e cinquantasette.

 

“Voi cosa gli avete preso?”.

 

“Un porta bacchetta in radica di frassino ed intarsi d’argento”.

 

“Mi complimento”.

 

“Ehi, è il nostro Bambino Sopravvissuto”.

 

Victoria fece oscillare il suo calice di vino bianco con grazia, scuotendo leggermente la testa.

 

Sì, i gemelli erano riusciti ad imbucare degli alcolici degni di questo nome, come aveva sperato Sirius.

 

E sì, c’era stato un suo mezzo accenno in merito, quando era andata ai Tiri Vispi per prendere il souvenir che aveva promesso a Sergei – un filtro d’amore, per Agnes.

 

La tattica di Victoria, che aveva trovato nei gemelli due alleati fidati, era non stare ferma per più di cinque minuti nello stesso punto, cosicché da scongiurare possibili chiacchiere inutili con perfetti sconosciuto incuriositi dalla sua presenza.

 

Diciamo che Lily non era esattamente una donna poco socievole.

 

“Il Bambino, come lo chiami tu, oggi compie ventiquattro anni” Victoria rimbeccò George. “Solo uno meno di noi”.

 

“Anche questo è vero” ammise, alzando le mani.

 

Ci furono dei minuti di silenzio, quando atterrarono al tavolo del buffet dolce. Aveva visto quelle ciambelle al formaggio da lontano, e non vedeva l’ora di addentarne una.

 

“Fred” sentì alle loro spalle.

 

I tre si voltarono.

 

A Fred si stampò un ridicolo sorriso sul volto.

 

“Angelina” rispose George, ottemperando alla momentanea mancanza di lucidità del fratello.

 

“Ciao, George, come stai?” chiese la ragazza, sorridendo genuinamente.

 

“Ottimamente, grazie. E tu?”.

 

“Anche io” disse lentamente, guardando Fred.

 

“Ciao” disse questi, in un tono di voce che non era suo.

 

“Noi andiamo” dichiarò improvvisamente Victoria, tirando via George per una manica con la mano che non stringeva la ciambella. “Chi diavolo è?” chiese poi, quando furono abbastanza lontani, incuriosita.

 

“Angelina Johnson. Il grande amore di mio fratello” spiegò George, teatralmente.

 

“Carina” osservò Victoria, annuendo. “Così finalmente spezziamo questa catena di capelli rossi” borbottò.

 

“Dopo un po’ ci fai l’abitudine” ghignò George. “Dannazione, Angelina sta mangiando l’ultimo bignè al cocco” si lamentò, guardando la ragazza ridacchiare.

 

“E tu, George, non ce l’hai il grande amore?”.

 

George la guardò per un secondo, come soppesando un’idea, poi scosse velocemente la testa, guardando a terra.

 

Victoria inarcò un sopracciglio, incuriosita.

 

“Non ce l’hai o non vuoi dirmelo?” insistette.

 

“Non... è imbarazzante, Victoria” ammise piano George, adesso guardando il cielo stellato sopra di loro.

 

“Andiamo, George. Non conosco nessuno. Chiunque sia, non sarò pregiudizievole” assicurò.

 

“Sai, io ero un Grifondoro”.

 

“Nessuno è perfetto. Continua”.

 

“Io non...  cioè, non è come Angelina”.

 

“Essere caucasici non è un difetto” scherzò Victoria, rosicchiando la sua ciambella.

 

“Nel senso, Angelina è forte, è determinata, gioca a Quidditch, anche lei era una Grifondoro”.

 

“Penso che lo siano quasi tutti qui in mezzo”.

 

“Lei è Millicent Bulstrode” bisbigliò George, paonazzo.

 

Victoria inclinò la testa da un lato.

 

“Perché pensi che questo nome debba dirmi qualcosa, o scandalizzarmi?”.

 

“Perché era una Serpeverde. Lo stesso anno di Harry e Ron. Molto carina”.

 

“E...” incalzò Victoria.

 

“... e niente. Ci siamo visti di nascosto qualche volta, l’anno che ci io e Fred ci ritirammo da Hogwarts...”.

 

“... voi vi siete ritirati?”.

 

“Qualcosa del genere”.

 

“Fantastico” Victoria lo disse con aria sognante. “Ebbene?”.

 

“E poi c’è stato quello che c’è stato. La sua famiglia non era esattamente una famiglia raccomandabile, non erano Mangiamorte, ma erano comunque invischiati, ed abbiamo deciso che era meglio non vedersi più”.

 

Victoria diede una pacca empatica sulla spalla di George.

 

“E quando mi sono fatto coraggio e ho deciso di scriverle, dopo che tutto era finito, mi ha fatto gentilmente sapere che adesso è la signora Nott”.

 

“Oh” fece Victoria, in un modo che assomigliava molto a Edward.

 

Stronzette, queste Serpi” concluse Victoria, cercando di alleggerire la tensione.

 

“Puoi dirlo” mugugnò George. “Niente di irreparabile” scrollò le spalle, sorridendo.

 

Victoria e George camminarono per un po’, con George che indicava a Victoria gli amici di Harry, e dandole una piccola nota biografica in merito ad ognuno di loro.

 

Tornando indietro verso il tavolo del buffet dolce, nella speranza che fossero comparsi altri bignè al cocco, Victoria fu attratta da alcune voci provenienti da dietro un albero.

 

“... che vuol dire illegale?”.

 

“Vuol dire che in linea teorica non esistono. Nessun registro dovrebbe recare il loro nome, a meno che non siano stati registrati sotto altro nome. Prince, appunto”.

 

Qualcosa raggelò nel petto di Victoria.

 

“Orribile” squittì una terza voce.

 

“Ma i genitori di Harry lo sanno?”. Quarta voce.

 

“Ovviamente”.

 

“E non dicono niente?” quinta voce.

 

“Probabilmente Silente li tiene sotto controllo”. Granger.

 

“Ma forse non c’è niente da tener sotto controllo. Harry non mi ha mai raccontato di fatti spiacevoli in merito a lei o al bambino”. Ron.

 

“Cielo, sembra così una persona normale” fece la terza voce. “Invece, in pratica è...”.

 

“... un mostro” fece tetra la quinta voce.

 

Qualcosa si ruppe in Victoria.

 

Mostro. Mostro. Mostro.

 

La parola le rimbombava nella mente come un martello.

 

Lo era. Lo era. Lo era.

 

Un mostro.

 

Si rivide bambina di sei anni piangere calde lacrime, sotto il piumone bianco panna, nel sentirsi diversa, strana, anormale.

Nel sapere che non avrebbe mai avuto due genitori.

Che lei e Thomas sarebbero stati soli per sempre.

Che non sarebbero dovuti nascere.

Che erano un esperimento.

Un esperimento venuto male.

 

Victoria sentì le mani tremare.

 

Correndo via, lontano, sentì i bicchieri ed i piatti dietro di lei frantumarsi ad uno ad uno.

 

Cercò la bacchetta negli anfratti creati appositamente nel suo vestito, il respiro corto, le tempie pulsanti.

 

“Victoria!” si sentì chiamare, ma era già in strada, anonima nel nulla.

 

Si guardò intorno, spaesata.

 

Mostro. Mostro. Mostro.

 

Cadde sulle ginocchia, soffocando i singhiozzi.

 

Cosa ne sanno loro?

Come possono capire?

Piccoli bastardi.

Vi odio.

Vi odio.

 

Si portò una mano alla bocca, ansimando.

 

“Victoria” chiamò ancora Severus, planando su di lei.  “Victoria” ripeté, piano.

 

Victoria si guardò la mano.

 

No, quello non era sangue.

Quel liquido nero non era sangue.

 

Alzò impaurita gli occhi verso suo padre, cercando di articolare la parola “aiuto”, senza riuscirci.

 

Sentì un dolore lancinante al braccio sinistro, e per istinto si voltò a guardare.

Severus impallidì, scattando all’indietro.

 

Il Marchio Nero.

 

Devi distruggerli, Victoria.

Devi farlo.

Lasciami uscire, Victoria.

Io sono parte di te.

Io sono come te.

Io sono te.

 

Victoria strinse forte la bacchetta al petto, stringendo gli occhi, allontanando con la mano libera Severus.

 

Le vennero in mente le raccomandazioni di Silente.

Di starsene buona e tranquilla.

Che avrebbe fatto presto.

Ma le ventiquattro ore erano passate, e Silente non era tornato.

Anche Silente si era dimenticato di lei.

 

Loro non ti meritano.

Loro non meritano di vivere.

Tutti loro.

Devono morire.

Devono.

Victoria.

Ascoltami.

 

“Ed... Edward” tossì, continuando a sputare quella sostanza nera e viscida. “Proteggi... Edward....”.

 

“Ma cosa...?”.

 

Vieni Victoria.

Lascia che ti faccia vedere la via.

Fallo per me, Victoria.

Fallo per noi.

Fallo per la tua famiglia.

Fallo per tuo padre.

Fallo per il tuo vero padre.

 

Con le lacrime che si mescolavano a quel liquido che spurgava adesso da ogni suo poro, Victoria si smaterializzò.

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Capitolo 17
*** We Are ***


CAPITOLO DICIASSETTE

We Are

See the devil on the doorstep now (my oh my)

Telling everybody oh just how to live their lives

Sliding down the information highway

Buying in just like a bunch of fools

Time is ticking and we can't go back (my oh my)

Ana Johnsonn

 

Arrivò dopo un’ora, con ancora indosso il maglione azzurro che aveva al lavoro.

 

“Edward!” chiamò, guardandosi intorno, freneticamente.

 

Silente gli indicò una porta dietro di loro, e Thomas sorpassò tutti, gli occhi sgranati dalla paura.

 

Poi li vide.

 

Emise un udibile respiro di sollievo, quando vide il bambino addormentato sul divano, avvolto in una coperta leggera.

 

E poi, vide anche lui.

 

Seduto al tavolino basso, i gomiti sulle ginocchia, una mano fra i capelli e l’altra che accarezzava delicatamente Edward, un gesto meccanico, fatto quasi senza pensarci.

 

“Papà”.

 

Non si voltò subito – non era abituato a sentirsi chiamare così. Fu la pressione dei suoi occhi, probabilmente.

 

“Dorme” rispose solo.

 

Thomas li raggiunse a grandi passi, pallido.

 

Severus alzò lo sguardo, e gli parve di vedersi allo specchio, parecchi anni prima.

 

Il ragazzo si inginocchiò, scrutando per bene il figlio, accarezzandogli i capelli scompigliati. Quasi sorrise, quando si accorse che russava un po’.

 

“Severus, Thomas” chiamò piano Silente.

 

I due si alzarono e raggiunsero a passi veloce la cucina, socchiudendo la porta.

 

“Che dannazione è successo?” ringhiò Thomas, senza aspettare.

 

“Siediti, ragazzo mio. Grazie per essere venuto così in fretta. Sei da solo?”.

 

Sergei arriverà a breve”.

 

“Bene”.

 

Silente si sfregò le mani.

 

“Quando mi venne raccontata della profezia, i gemelli erano già nati, ma io non ne ero ancora a conoscenza” L’attacco di Voldemort era alle porte. Lily era già incinta e la mia priorità era salvare il Mondo Magico. Fui superficiale”.

 

Severus strinse i pugni, in piedi dietro Thomas.

 

“Poi successe quello che successe. Voldemort. I Potter. Harry.  Niente aveva lasciato presagire che la profezia potesse avere luogo, fino a che Severus non mi parlò dei suoi bambini. Misi in ordine i pezzi, e pensai che l’evento narrato dalla profezia fosse postumo a ciò che già esisteva. Ebbene, fui superficiale”.

 

“Cosa dice la profezia, Professore?” chiese James.

 

Dopo la pioggia vien sempre il sereno, ma le nuvole alle orizzonti non mancheranno. Ed ecco che il cucciolo non voluto da ciò che era male verrà creato, ed evocherà ciò che dalla sopravvivenza è stato sconfitto, e che la stessa forza potrà combattere, e sconfiggere. Ma anche la morte questo potrà sconfiggere, e ciò che ingiustamente è andato far ritornare”.

 

Ci fu silenzio. Thomas abbassò lo sguardo.

 

“Noi eravamo male. Edward non è stata certo una gravidanza programmata. Cosa è successo?” fece ancora Edward.

 

“Questo è ciò che anche io credevo, Thomas. Che voi eravate il male, perché male erano le condizioni in cui siete venuti al mondo. Ebbene, mi sbagliavo. In parte, ma mi sbagliavo”.

 

Thomas fece scattare la testa in alto, boccheggiando.

 

Ciò che dalla sopravvivenza è stato sconfitto si riferisce alla sconfitta di Voldemort da parte di Harry. Ciò che ingiustamente è andato far ritornare è riferito al ritorno mio, di James, di Lily, di Severus, di tutti gli altri. Il cucciolo non voluto, tuttavia, non è Edward. È Victoria”.

 

“Victoria?!” dissero in coro Thomas e Severus.

 

“Esatto. Riflettete: il non voluto. Pur non essendo Edward nato in un contesto pianificato, è nato dall’amore di due persone. Tutti amano Edward. Tu lo ami, Thomas. Tua moglie lo amava. Victoria lo ama. Severus lo ama. Edward è tutto, fuorché un bambino non voluto”.

 

Thomas annuì.

 

“Severus, non fosti tu a dirmi che il Signore Oscuro ti aveva ordinato di disfarti dei bambini, perché non erano il risultato che si aspettava?”.

 

“Sì, Albus. Ma erano tutti e due. Mi ha chiesto di liberarmi di tutti e due”.

 

Silente gli si avvicinò.

 

“Perché voleva che ti liberassi di loro?”.

 

“Perché erano due. Perché lui voleva un erede, non una coppia di gemelli. Lui voleva un essere che avesse il suo stesso potere”.

 

“Esatto, Severus, esatto!” Silente disse concitato. “Uno solo. Un erede. Un maschio”.

 

Qualcosa scattò nella mente di Piton.

 

“Victoria” borbottò Thomas, la voce tremante. “Victoria è il cucciolo non voluto. Se fossi stato solo, a lui sarebbe bastato”.

 

Severus gli pressò una mano sulla spalla.

 

“Quando siamo tornati, ho ripensato alla profezia. Ho avuto dei dubbi. Ho sottoposto Victoria a degli esperimenti. Victoria ha qualcosa di Voldemort dentro di lei che Thomas non ha. Perché la tua pozione, Severus, ha prodotto due gemelli diversi, in cui il bilancio tra bene e male non è equo. Victoria ha insito dentro di lei qualcosa di malvagio, che per anni ha tenuto sopito dentro di lei, ma che, a contatto con lei, involontariamente, coinvolgendosi nella nostra rinascita, ha lasciato che venisse lentamente a galla”.

 

Ci fu altro silenzio.

 

“Dannazione, Albus! Perché non mi hai avvertito! Perché lei non mi ha detto niente?” urlò Severus.

 

“A chi doveva dirlo, Severus? A degli estranei? Ad un padre che non riesce a perdonare? Ad un fratello con un bambino a carico che poteva mettere in pericolo?”.

 

“Rivoglio mia sorella” mormorò Thomas. “Dov’è? Cosa le sta succedendo?”.

 

“Dove sia mi è impossibile dirlo adesso, Thomas, ma ovunque lei sia, sappi che Victoria non è più lei. Adesso è quasi completamente una Riddle, una Voldemort. Dico quasi, perché dentro di lei, comunque, c’è anche una parte di Severus”.

 

“Che cosa vuoi dire?”.

 

“Vuol dire che potrebbe essere recuperabile. Voglio dire che esiste una possibilità che Victoria torni ad essere ciò che era, liberandosi di questa tossina che Voldemort rappresenta per lei”.

 

“Come?”.

 

“Esorcizzare Victoria è sicuramente l’unica strada che conosco, e l’unica percorribile. E per farlo, dobbiamo ricorrere ancora al nostro Harry”.

 

“Cosa?” fece James.

 

“Harry ha sconfitto Voldemort. Se i suoi punti deboli sono gli stessi, Harry è il nostro asso nella manica”.

 

“E se non dovesse riuscirci? Se dovesse fallire?” chiese piano Thomas.

 

“Allora non ci sarebbe altra scelta che eliminarla” disse seccamente Silente.

 

“No!” urlò Thomas, scattando in piedi. “Non esiste! No!”.

 

“Thomas, non sarebbe più Victoria. Victoria sarebbe già...”.

 

“Non lo dica!” urlò ancora il ragazzo.

 

“Victoria sarebbe già morta, ragazzo. Se il pericolo fosse avanzato, per Harry e per tutti gli altri, allora dovremmo ucciderla”.

 

Era stato James a parlare.

 

Fu una questione di secondi.

 

Senza che se ne rendesse conto, la bacchetta di Severus era già sotto il mento di James.

 

“Nessuno alzerà la bacchetta contro i miei figli, Potter” sibilò, in preda alla rabbia.

 

Sirius fece scattare in avanti la sua, puntandola contro Severus.

 

“Abbassa la tua allora, Mocciosus” ringhiò.

 

“Due contro uno, eh? Come i vecchi tempi”.

 

Con un fluido movimento di bacchetta, Silente allontanò le bacchette dai loro proprietari.

 

“Non abbiamo bisogno di questo, adesso” sentenziò Silente. “Ciò che conta è trovare Victoria, e capire a che livello è arrivata”. Si voltò a guardare Thomas. “Sono certo che dentro Victoria c’è la forza per combattere il male che alberga in lei”.

 

“Victoria non è cattiva” fece Thomas, prossimo alle lacrime.

 

Severus ebbe un nodo in gola. Aveva detto esattamente le parole di Edward.

 

“Non lo è” gli assicurò Silente.

 

Si sentì il rumore della materializzazione.

 

“Scusate il ritardo”. Un bell’uomo dai capelli chiari e gli occhi azzurri si sciolse il mantello.

 

“Benvenuto, signor Romanov” lo salutò Silente.

 

“Da questo momento” disse Romanov con voce impostata “l’Agente Scelto Victoria Eileen Prince ed il suo caso, il signor Thomas Wulfric Prince e suo figlio Edward Thomas Prince sono sotto la tutela del Witchcraft International Agency”.

 

“Cos’è?” chiese ingenuamente Lily.

 

“I Servizi Segreti Magici” spiegò Thomas, abbracciando Sergei Romanov.

 

“Ci riprenderemo la nostra Tory” promise Sergei.

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Capitolo 18
*** Eternity ***


CAPITOLO DICIOTTO

Eternity

Sing this summer serenade

The past is done, we've been betrayed

It's true

Some might say the truth will out

But I believe without a doubt

In you

(Robbie Williams)

 

Victoria lavora per noi. È il vice del dipartimento di Giurimagia della sede della WIA di Boston, ed è un Agente Scelto a tutti gli effetti. In base al fatto, quindi, che un nostro Agente è coinvolto in una operazione di alta gravità, tocca a noi metterci in prima linea. In questo caso, a me. Abbiamo parlato con Silente in questi giorni, sulla possibilità che la situazione potesse sfuggire di mano, come purtroppo è stato. Ci ha scritto delle righe a proposito della profezia e della sua implicazione in merito, signor Potter. Il mio compito è assicurarmi che la sua operazione vada a buon fine, e che il nostro Agente torni a casa sano e salvo”.

 

La voce di Sergei Romanov era calma ed armoniosa, a dispetto della situazione. I grandi fari azzurri che erano i suoi occhi fissavano un Harry Potter ancora piuttosto frastornato dalla sua ultima festa di compleanno, e dalla sua amara conclusione.

 

Fuori, faceva lentamente giorno.

 

La casa era stranamente silenziosa.

 

Piton e Thomas si erano eclissati di sopra con il piccolo ancora, fortunatamente, addormentato.

 

Lily aveva spintonato James e Sirius da qualche parte, molto, molto in basso.

 

Silente era sparito, a fare ricerche, a cercare qualcuno.

 

Qualcuno che non era Victoria.

 

E Harry, inspiegabilmente, non voleva stare solo.

 

Tutto quel silenzio lo stava uccidendo.

 

Hermione e Ron erano corsi al Ministero, per cercare di recuperare quante più informazioni possibili su eventuali avvenimenti fuori dalla norma.

 

E Ginny... no, Harry non sapeva dove fosse finita Ginny.

 

Lui era ancora lì, sulla porta, a guardare Piton fissare il vuoto, mentre Victoria svaniva nell’aria.

 

E ricordava le urla, infuriate, le sue, contro Lavanda, Calì, Dean, e Hermione e Ron.

 

“Conosco Victoria da cinque anni. Quando la vidi arrivare pensai che sarebbe stata una spina nel fianco. E beh, lo è. Ma è una spina a cui mi sono affezionato”.

 

Sì, Harry capiva.

 

“Cosa ha intenzione di fare se io dovessi fallire?”.

 

Harry sapeva che fare quella domanda era un rischio.

 

Un rischio che doveva correre.

 

“Se non ce la fa, Signor Potter, proverò a salvare Victoria Prince, ne andasse della mia stessa vita. Le consiglio di fare del suo meglio, in ogni caso”.

 

Non c’era astio nella voce di Romanov, ma Harry sentì lo stesso un certo brivido freddo percorrergli la schiena.

 

 

Sirius se ne stava a braccia incrociate, la mente lontana dal chiacchiericcio stupido di Lily.

 

Era abituato alle sue ramanzine.

 

Prima che si mettessero insieme, Sirius le ignorava e la derideva.

 

Dopo, aveva imparato ad ignorarla e basta, ed a tenere le sue considerazioni su Lily per sé.

 

O le diceva a Remus.

 

O a Peter.

 

Grave errore, questo.

 

In ogni caso, Sirius pensava a se stesso.

 

A quel senso di vuoto, e di sbagliato, e di – poteva ammetterlo a se stesso – paura, quando aveva sentito la storia, la vera storia, di Victoria.

 

Lui odiava Piton. Qualcosa in lui non riusciva a tollerarlo.

 

Di atavico, forse.

 

E lui era un bastardo.

 

Voleva Victoria.

 

Non amava Victoria.

 

La voleva e basta.

 

Avrebbe voluto che lui la volesse nella stessa maniera.

 

Ma lei non l’avrebbe mai voluto.

 

“Mi hai portato qui, nel bel mezzo della più ridente campagna inglese, in un assolato pomeriggio d’estate. Dimmi, Sirius Black, quante giovani ragazzine babbane hai fatto cadere con questo metodo?”.

 

Sirius la guardò, a metà tra lo stupito e la nonchalance.

 

“Tu sei voluta venire. Io non ti ho obbligato”.

 

“La tua argomentazione buona, ma i tuoi occhi non sono più abituati a mentire come una volta. Da quanto tempo è che non vedi una donna?”.

 

Gli aveva riso in faccia, una risata debole e seccante. Una risata che Sirius conosceva bene.

 

E così Sirius aveva capito che, per la prima volta nella sua vita, lui era stato usato.

 

Questo lo aveva colpito, ma non steso.

 

Ed adesso Victoria era lì fuori, pronta a colpire.

 

Victoria non era più Victoria.

 

Forse, in realtà, Victoria non era mai stata Victoria.

 

“... hai ragione, Lily”.

 

Lily placò improvvisamente il suo parlare.

 

“Siamo stati degli stronzi con Piton. Mi dispiace”.

 

 

“Dormi, Edward, è ancora presto”.

 

“Papà... la zia...” Edward sbadigliò, combattendo contro il sonno.

 

“La zia starà bene. Torna presto. Dormi adesso”.

 

Thomas gli rimboccò le coperte ancora una volta, con l’infinita pazienza che usava sempre quando Edward non voleva andare a dormire.

 

“Dormi, piccolo mio” sussurrò ancora Thomas.

 

Edward si sistemò tra le coperte, e si addormentò di nuovo.

 

Thomas gli diede un bacio leggero sui capelli sudati, si alzò dal letto del figlio e raggiunse il padre, fermo sulla porta, le braccia incrociate e lo sguardo scuro.

 

Severus gli fece cenno di seguirlo, e si fermarono sul pianerottolo, un paio di porte più in là.

 

Kreacher avrà sicuramente preparato una stanza per te, al piano di sopra” iniziò Severus.

 

Thomas non rispose.

 

“Il viaggio sarà stato lungo, immagino” continuò, dandogli le spalle, indicando le scale davanti a loro. “Vorrai darti una rinfrescata...”.

 

“Papà” lo fermò Thomas.

 

Fu una prima coltellata, per Severus.

 

“Papà” ripeté Thomas.

 

Severus si voltò, lentamente.

 

Affranto.

 

“Perché?” chiese solo il ragazzo, lo sguardo supplichevole.

 

Severus conosceva quello sguardo.

 

Era lo sguardo che riservava alla madre, quando Tobias li picchiava e poi se ne andava, lasciandoli in una pozza di sangue e paura.

 

Era quello il tipo di persona che era diventato?

 

Era quello il tipo di padre che voleva essere?

 

“Perché ero un ragazzo inebriato dal potere. Perché sentivo di non avere altra scelta. Perché... perché non ho idea di come funzioni una famiglia”.

 

Thomas sospirò, passandosi una mano davanti agli occhi.

 

No, i Prince non piangevano.

 

Fece qualche passo, raggiungendo il padre davanti al primo scalino.

 

Gli posò una mano sul braccio.

 

Il braccio del Marchio Nero.

 

“Mi piacciono i the verdi forti, senza zucchero. Pensi che questo elfo domestico ce ne preparerebbe una buona tazza?”.

 

Severus guardò Thomas.

 

Il ragazzo strinse la presa, gli occhi grandi, quelli di Edward.

 

E Severus annuì.  

 

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Capitolo 19
*** Some Might Say ***


CAPITOLO DICIANNOVE

Some Might Say

Some might say they don't believe in heaven

Go and tell it to the man who lives in hell

Some might say you get what you've been given

If you don't get yours I won't get mine as well

Some might say we will find a brighter day

(Oasis)

 

Si morse le nocche, nervosamente.

 

Poteva?

 

Non poteva?

 

Doveva?

 

Lì, davanti a lui.

 

L’aveva visto.

 

Sovrapposizione di passato e presente.

 

Qualcosa che aveva origliato, che non avrebbe dovuto sapere.

 

Il segreto.

 

Il grande segreto del padrone.

 

Nessuno avrebbe dovuto saperlo.

 

Ma lui era sempre stato un ragazzino curioso, e l’aveva odiato, perché aveva ridotto la sua vita a brandelli.

 

Li aveva odiati tutti, dal primo all’ultimo.

 

Vittime di un delirio collettivo, di qualcosa che non avrebbe avuto fondamenta, mai.

 

Che sarebbe comunque caduto, anche se la storia avesse preso una piega diversa.

 

Aveva avuto tutto dalla vita, e tutto gli era stato tolto.

 

Poco era rimasto della sua dignità.

 

Forse solo un pallore riflesso in uno degli specchi sfuggito ad una di quelle notti di implacabile ira solitaria.

 

 Verso chiunque. Verso di lui. Verso di sé.

 

Quando gli era stata concessa la possibilità di tornare indietro, quando anche gli era permesso di scegliere di vivere, lui aveva rifiutato.

 

Adesso, Draco Malfoy era solo, puro, accecato istinto di sopravvivenza.

 

 

 

“Non è del tutto vero”.

 

Harry sbatté le palpebre un paio di volte.

 

“Intendo dire che è vero che Annabelle le ha rubato delle caramelle, ma è anche vero che la poverina era stata provocata”.

 

“Che vuoi dire?”.

 

“Avevamo cinque anni. Annabelle era una bambina carina, con i capelli rossi come il tramonto e gli occhi chiari, tutto quello che Victoria non era: capelli neri, occhi neri, pelle bianca. Tuttavia, Annabelle era la minoranza, e Victoria aveva iniziato a prenderla in giro perché aveva i capelli colorati male”.

 

Severus inarcò un sopracciglio.

 

Annabelle era carina. Molto. E quindi era popolare, per quanto in una classe di bambini di cinque anni si possa essere popolari. E c’era quest’altro bambino, Kyle, che a Victoria piaceva molto, ma oggi non l’ammetterebbe nemmeno sotto tortura, ma a cui piaceva Annabelle. Ed anche a me piaceva Annabelle”.

 

“Ho già sentito questa storia...” borbottò Sirius, a nessuno in particolare.

 

“Così Annabelle rubò le caramelle che Victoria aveva avuto in premio dalla maestra per aver letto la sua prima parola lunga – mi pare fosse cerbiatto – e le divise con Kyle, davanti a tutti, sotto il suo naso. Allora Victoria si arrabbiò parecchio. E per qualche strana ragione, una candela accesa per le feste di Natale andò a cadere proprio sui capelli di Annabelle.  Questa è la storia del perché Victoria odia le persone con i capelli rossi perché rubano le caramelle”.

 

Harry rise.

 

“Victoria dice che Ginny le ricorda questa ragazza” disse Sirius, a beneficio del piccolo gruppo di persone, riunite a tavola nella speranza di riuscire a mangiare qualcosa.

 

“Era la ragazza che andata via prima leggermente arrabbiata?” chiese Thomas, tagliando del pollo ad Edward. Sirius annuì. “Un po’ le assomiglia, effettivamente” concordò Thomas.

 

Harry smise di ridacchiare ed abbassò la testa nel suo piatto.

 

No, non era il momento per annunciare alla famiglia che Ginny l’aveva mollato.

 

Il Patrono di Hermione apparve improvvisamente in cucina.

 

Come faceva dalle cinque di quella mattina, ogni ora.

 

Nessuna novità dal Ministero.

 

Come ogni singola ora.

 

Severus sospirò.

 

Edward sbatté le gambotte contro la sedia, nervosamente.

 

“Papà, quando torna la zia?”.

 

“Presto, Edward” cercò di essere convincente Thomas.

 

“Presto quando?”.

 

“Presto”.

 

Edward guardò prima il padre, poi il nonno, seduto accanto a lui, entrambi con le facce scure.

 

“Lo sai che io ho una scopa che va velocissima, Edward?” Harry si sporse lungo il tavolo, cercando di catturare l’attenzione di Edward.

 

“Davvero?”.

 

“Certo”.

 

“Oh” fece Edward, senza smettere di guardarlo.

 

“Se mangi tutto e vai a fare il riposino senza fare storie, ti prometto che dopo ti porto a fare un giro. Ma devi chiedere prima il permesso a papà”.

 

Edward si spalancò in un sorriso smagliante, poi si voltò verso suo padre, sbattendo gli occhioni.

 

“Papà?”.

 

“Sì, Edward?” Thomas conosceva quell’espressione.

 

“Se mangio tutto e vado a dormire, dopo posso andare sulla scopa di Harry? Per favore!”.

 

Thomas temporeggiò, masticando lentamente l’insalata, facendo finta di pensarci.

 

Edward sembrava stesse per scoppiare.

 

“Va bene” espirò alla fine, come se fosse una concessione sofferta.

 

Edward si tuffò nella sua insalata.

 

Thomas sorrise a Harry, grato.

 

 

Non che non le piacesse la vita attiva.

 

Solo, pensava che certe cose fossero finite.

 

Saltellò su un muro, avanzando elegantemente.

 

Nella vita si incontrano persone di vario tipo.

 

Albus non rientrava in nessuna categoria conosciuta.

 

Beh, quasi nessuna.

 

C’era qualcosa, in quella sua voce, in quel suo sguardo, in quella sua dannata barba bianca, che avrebbe convinto chiunque a fare qualsiasi cosa.

 

Specialmente da quando era tornato.

 

Era diventato difficile dirgli di no.

 

Si infilò in un condotto secondario, abbassando la testa e gran parte del suo corpo.

 

Odiava lo sporco.

 

Ogni anno, almeno due persone venivano addestrate per fare ciò che lei stava facendo in quel momento.

 

C’era addirittura una organizzazione segreta che faceva quello che lei stava facendo in quel momento.

 

E c’erano almeno altre persone che erano capaci di fare quello che lei aveva fatto per fare ciò che lei stava facendo in quel momento.

 

Ma no.

 

Albus aveva scelto lei.

 

Come quella lunghissima notte di tanti anni prima.

 

Scivolò sotto uno steccato piegato, e saltellò nel giardino, non più curato come un tempo.

 

Sentì un profumo di pino silvestre, e pesco.

 

Porte e finestre sprangate.

 

Una parte di tetto caduto.

 

Polvere.

 

Strisciò lungo il muro esterno, seguendo l’istinto.

 

Qualcosa, all’interno, cadde.

 

Un’altra cosa.

 

Albus Silente non aveva mai detto qualcosa che, in una maniera o in un’altra, non si era avverata.

 

Se avesse giocato a qualche lotteria, probabilmente avrebbe vinto.

 

Allo stesso modo, anche in quel momento, mentre correva veloce per non essere vista, Minerva McGranitt dovette ammettere che sì, Albus faceva sempre centro.

 

Malfoy Manor non era più disabitata.

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Capitolo 20
*** Jai Ho! (You're My Destiny) ***


CAPITOLO VENTI

Jai Ho! (You’re My Destiny)

I can feel you,

Rushing through my veins

There’s a notion in my heart

I will never be the same

Just keep it burnin’, yeah baby, just keep it comin

You’re gonna find out baby, I’m one in a million

(The Pussycat Dolls)

 

Chiuse la porta, evitando di incontrarsi con lo stanco riflesso nello specchio sulla parete all’ingresso.

 

Si era liberato di tutti i suoi elfi domestici, aveva voluto restare completamente da solo, alla fine di tutto.

 

Così, adesso era costretto a fare tutto da solo, cose che prima non aveva mai fatto, piccole azioni, gesti che aveva creduto fossero vere e proprie magie sconosciute a quelli del suo rango.

 

Per poi scoprire che no, preparare la colazione non avrebbe nemmeno richiesto la bacchetta, in via teorica.

 

Si era fatto forza dicendosi che se potevano farlo i babbani, allora avrebbe potuto farlo anche lui.

 

Non sempre gli dava quella soddisfazione, in realtà.

 

Salì lentamente le scale.

 

Ricontrollò il pacchetto che aveva sotto il braccio, sentendo lo stomaco vuoto, mentre con le nocche dell’altra mano dava due colpi alla porta di legno di pino bianco davanti a lui.

 

“È casa tua, Malfoy, non c’è bisogno che bussi”.

 

Sapeva che l’avrebbe detto.

 

Non che gliel’avesse sentito dire prima, ma, in un certo senso, Draco Malfoy stava vivendo un deja-vù.

 

Girò la maniglia, mantenendo la testa bassa.

 

Sì, Draco Malfoy conosceva la paura.

 

“Hai preso quello che ti ho chiesto, Draco?”.

 

Il ragazzo biondo annuì, appoggiandosi contro il marmo rosa pallido del caminetto spento per aprire il sacchetto di carta marrone ed estraendone un paio di flaconi nuovi.

 

“Pozione Corroborante e Pozione Sonno Senza Sogni” alzò prima una e poi l’altra bottiglietta.

 

Il Farmacista di Diagon Alley l’aveva guardato abbastanza interrogativamente, ma non aveva fatto domande. C’era stato un momento in cui Draco aveva utilizzato parecchie Pozioni di Sonno Senza Sogni, ma a quei tempi, c’era anche un Farmacista diverso.

 

Era dura andare a dormire, e ricordare che i tuoi genitori erano stati Baciati dai Dissennatori.

 

Ogni singola notte.

 

“Sei un bravo ragazzo, Draco”.

 

La voce di lei era suadente e calma.

 

Se non guardava, se non avesse saputo, Draco avrebbe potuto pensare di lei parecchie cose, molte delle quali sconvenienti da dire in pubblico.

 

Ma Draco aveva guardato, ed aveva visto le sue iridi diventare rosse tra gli spasmi, mentre vomitava la sua anima nera su letto che era stato di sua madre.

 

Chiunque fosse stata prima, adesso non era più.

 

Draco Malfoy aveva visto la sua morte, e la sua nascita.

 

Per un attimo, quando lei era china, riversa tra le sue braccia, quando ancora era abbastanza lucida da capire, Draco aveva avuto pietà per lei.

 

Avrebbe potuto salvarla?

 

No.

 

Avrebbe tentato?

 

No.

 

Draco era un orsacchiotto dalle cuciture strappate, e l’unica cosa che gli era rimasta, era un coltello dalla lama affilata.

 

Che lo stava guardando, in quel preciso istante, mentre si aggirava lento per la stanza.

 

“No, non lo sono” scosse la testa.

 

Lei era in penombra, seduta al pianoforte, senza suonarlo.

 

Nessuno aveva mai suonato quel piano.

 

Draco versò della Pozione Corroborante in un calice, e glielo porse, guardando altrove, fuori, dalla finestra alle sue spalle, dove il sole si spegneva lentamente.

 

Lei bevve.

 

Lei, a cui non sapeva dare un nome.

 

“Bene. Molto bene”.

 

Lui le porse il braccio, e lei lo prese, mostrandogli quel sorriso obliquo e cattivo che aveva su da quando riusciva a tenersi in piedi da sola.

 

Draco l’aiutò a camminare verso le sue stanze, dove avrebbe riposato ancora un’altra notte.

 

“È stata tua madre a scegliere l’arredamento?” chiese lei, senza un motivo.

 

“Credo di sì”.

 

“Aveva molto buongusto”.

 

La lasciò un secondo a sedere sul letto a baldacchino, dove il contrasto con la sua pelle diafana ed il drappo bordeaux che ricopriva il letto era accecante, anche al buio.

 

Tornò nella stanza attigua, dove prese la Pozione Sonno Senza Sogni, ed un calice pulito.

 

Di nuovo in camera da letto, la trovò dove l’aveva lasciata, apparentemente inerme.

 

Apparentemente.

 

Riempì il calice con l’altra pozione, l’appoggiò momentaneamente sul comodino e si chinò a toglierle le scarpe, come un servo.

 

O un principe.

 

Draco non era né l’uno, né l’altro.

 

“Il momento è vicino” sospirò lei.

Draco annuì.

 

“Sai perché lo facciamo, non è vero, Draco?”.

 

Sì, Draco sapeva.

 

Per vendetta.

 

Per rivalsa.

 

Per castigo.

 

“Ci prenderemo ciò che è nostro, Draco, ciò che ci appartiene di diritto”.

 

Lui si permise il lusso di alzare lo sguardo.

 

Lei aveva la testa leggermente inclinata di lato, ed un’espressione così neutra da sembrare quasi buona.

 

La verità, era che Draco Malfoy aveva dimenticato cosa fosse il bene o cosa fosse il male.

 

Sapeva solo che non gli era rimasto più niente per cui combattere, per cui vivere.

 

Poi era arrivata lei, e lui l’aveva chiamata Destino.

 

Era l’ultimo dei Malfoy.

 

E Draco sapeva che sarebbe stato anche l’ultimo per sempre.

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Capitolo 21
*** Everybody Knows ***


CAPITOLO VENTUNO

Everybody Knows

Everybody knows and everybody feels

Everybody hurts and everybody heals

In the end we're all the same

(Lunatiks)

 

Sapeva che tra qualche minuto vi avrebbe trovato i segni.

 

Quando stringeva i pugni così forti, poi, quella fastidiosa cicatrice chiara si faceva più visibile.

 

Le tenne fermi sulle ginocchia, sotto il tavolo, cercando di focalizzare la sua attenzione sull’uomo biondo.

 

“... Corroborante e Sonno Senza Sogni. Nient’altro. Barba di almeno tre giorni. In ogni caso, si è mantenuto abbastanza tranquillo durante i dieci minuti in cui si è attardato in Farmacia” concluse Romanov, parlando a Silente e Thomas, più che altro.

 

“Davvero un’ottima intuizione quella della Farmacia, signor Romanov” annuì Silente.

 

“Vuol dire che non è in forma e che non riesce a dormire bene” sottolineò Piton, camminando dietro di loro.

 

“Probabilmente nei sogni ha qualche ricordo della sua vita che disturba ciò che sta cercando di diventare” tentò Romanov.

 

Un lampo squarciò il cielo scuro.

 

Temporali estivi.

 

Non aveva fatto altro che piovere, da che era successo.

 

Harry voleva davvero seguire la strategia che Romanov, Silente e Piton stavano mettendo insieme per salvare Victoria, ma non riusciva proprio.

 

La sua mente, il suo cervello, la sua inspiegabile rabbia, si erano fermati tempo prima, a quando Sergei, rientrato con indosso il camice da Farmacista, aveva informato un particolarmente agitato Thomas che:

 

“Draco Malfoy nasconde Victoria, sono sicuro”.

 

Tutto quello che ne era conseguito – Silente, Piton, i suoi genitori e Sirius che tenevano impegnato Edward, nervoso da quando non gli veniva detto che fine avesse fatto la zia – per Harry era un mormorio di sottofondo.

 

Draco Malfoy.

 

Draco Malfoy.

 

Draco. Malfoy.

 

Cominciava a pensare che se ci fosse una costante nella sua vita, quella fosse il platinato nemico di sempre, che lui aveva, per ben tre volte, salvato la vita.

 

Tutto gli sembrava una scena già vista, qualcosa che aveva già fatto.

 

Lui, Piton, Silente, Malfoy.

 

Voldemort.

 

No. Quella era Victoria, non era Voldemort.

 

La pioggia batteva incessante.

 

Altro fulmine.

 

Altro tuono.

 

“Aspetta, Edward!” si sentì Lily rincorrere Edward giù per le scale.

Il bambino irruppe in sala spalancando la porta, andandosi a nascondere sotto il mantello di Piton.

 

Harry si aprì in un mezzo sorriso.

 

Non avrebbe potuto immaginare Piton senza il suo mantello.

 

Thomas, seduto accanto a lui, fece per alzarsi a recuperare il figlio, ma Piton, con un movimento fluido, prese il piccolo per spalle e se lo tirò in braccio.

 

Thomas restò seduto a metà, sbattendo le palpebre.

 

“Sono solo tuoni e fulmini. È una cosa naturale” tentò di spiegargli.

 

Edward mugugnò qualcosa di incomprensibile, nascondendo la testa sulla sua spalla.

 

Piton gli accarezzò la testa, lo sistemò meglio tra le braccia e guardò Silente, come se non fossero mai stati interrotti.

 

“Irrompiamo a Malfoy Manor e basta”.

 

“Sarebbe pericoloso. Non sappiamo se Malfoy sta radunando un esercito” scosse la testa Romanov.

 

“Convochiamo l’Ordine, allora” proruppe Harry, trovandosi, inspiegabilmente, d’accordo con Piton.

 

“È responsabilità della WIA, signor Potter, gliel’ho già spiegato”.

 

Harry aveva una certa predisposizione positiva verso Romanov.

 

Fin quando non lo trattava come un bambino stupido.

 

“E la WIA non può mettere a disposizione qualcuno?” chiese Thomas, cadendo a sedere di nuovo.

 

“Thomas, il Capo ed io stiamo cercando di mantenere la cosa il più coperta possibile. Se si sapesse che Victoria è pericolosa per sé e per gli altri, verrebbe cacciata fuori in meno di uno battito di ciglia”.

 

Thomas si passò una mano sugli occhi.

 

“È di Tory che stiamo parlando, Sergei, te lo ricordi?”.

 

“E pensi che rischierei la vita se non fosse lei?”.

 

“Nonno...” mormorò Edward, da sopra la spalla di Piton.

 

Harry alzò gli occhi verso il bambino.

 

Il suo tono.

 

Era stato il tono di Edward.

 

Stava per piangere, ma tratteneva le lacrime contro la sua volontà.

 

Perché i Prince non piangono mai.

 

Nonostante tutti gli avessero detto che Victoria stava bene, che sarebbe tornata presto, Edward aveva capito.

 

Edward sentiva che Victoria era in pericolo.

 

“Andrà tutto bene, Edward, tutto bene”.

 

E per la prima volta da che lo conosceva, Harry poteva giurare sulla sua stessa vita che Piton non stava affatto mentendo.   

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Capitolo 22
*** Love is Noise ***


CAPITOLO VENTIDUE

Love is Noise

I was blind - didn't see

What was here in me

I was lost - insecure

I felt like the road was way too long

(The Verve)

 

“Ehi”.

 

Si voltò, accennando un sorriso.

 

“Ehi” rispose, spostandosi leggermente.

 

Harry si sedette fuori, sul portico, accanto a Thomas.

 

“Fumi?” chiese.

 

Thomas scosse la testa, rigirando il pacchetto bianco ed oro tra le mani.

 

“L’ho trovato al piano di sopra, sul davanzale”.

 

Non ce la faceva.

 

Non riusciva a dire il nome della sorella.

 

Non riusciva nemmeno a pensarlo.

 

Lui era sempre stato l’uomo di casa.

 

Eppure, era lei quella forte.

 

Quella che lo difendeva dagli amichetti che lo prendevano in giro perché non aveva la mamma.

 

Quella che l’aveva sopportato quando fantastica su Faith.

 

Quella che l’aveva tenuto stretto, per notti e notti intere, quando Faith era morta.

 

Ed adesso, da qualche parte, da qualche parte che lui non sapeva dove, ma che tutti lì dentro sapevano, sua sorella era lì, che aveva bisogno di lui.

 

E lui era bloccato da uno stupido incantesimo di blocco, lanciatogli da Silente non sapeva bene quando, che gli impediva di oltrepassare quella dannata porta, in quella dannata piazza, in quella dannata Inghilterra.

 

Potter alzò gli occhi al cielo.

 

Due gocce rimbalzarono sui suoi occhiali tondi.

 

“Piove” disse, ovviamente.

 

E Thomas, altrettanto ovviamente, annuì.

 

“Edward ha paura della pioggia, dei temporali. Non so perché. Ha superato tante cose, ma questa dei temporali proprio non gli passa”.

 

Thomas non sapeva perché stesse raccontando quelle cose.

 

Forse per distogliere il pensiero di Victoria.

 

Forse perché gli pareva assurdo, nonostante lo avesse desiderato un mese prima, che in quel momento, in cucina, suo figlio stava mangiando un dolcetto seduto sulle ginocchia del nonno, di suo padre.

 

“Pioveva quando ho detto a mio figlio che sua madre non sarebbe più tornata a casa dall’ospedale. E piove adesso”.

 

Harry Potter si voltò a guardarlo.

 

“No, forse lo so perché non riesce a superarlo” scosse la testa, sentendosi ridicolo.

 

Ridicolo di fronte a Harry Potter.

 

Il tutto aveva del surreale.

 

“Non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei trovato a parlare con Harry Potter”.

 

“Ed io non avrei mai immaginato che avrei parlato con i figli di Severus Piton” ammise lo stesso Harry, candidamente.

 

Thomas gli fu grato solo perché aveva parlato al plurale.

 

“Deve essere stato difficile, per voi” aggiunse.

 

Thomas scosse le spalle, guardando il pacchetto di sigarette tra le sue mani.

 

“Più o meno come per te”.

 

Thomas e Harry si guardarono.

 

“Salverò Victoria”.

 

Thomas socchiuse gli occhi, inclinando la testa da un lato.

 

“È priorità dei membri della mia famiglia essere dei bravi Occlumanti, Potter”.

 

Harry ridacchiò, sostenendo lo sguardo.

 

“È priorità della mia gettarsi in situazioni pressoché impossibili, ed uscirne vincitori”.

 

“Voglio sperare che sia così” sospirò Thomas.

 

“Ho già ricevuto una minaccia a regola d’arte da Romanov”, ricordò Harry, guardando la pioggia battere sui sanpietrini davanti a loro.

 

Thomas ridacchiò.

 

“Victoria è acida, cattiva, sarcastica... ma c’è qualcosa in lei che impedisce di odiarla fino in fondo. Non so, come se ci fosse qualcosa che freni l’astio che puoi provare per lei. Come un incantesimo”.

 

“Lo so” rispose Harry.

 

In fretta.

 

Troppo in fretta.

 

“C’è qualcosa che devi dirmi, Potter?”.

 

Harry si voltò di scatto, le orecchie in fiamme.

 

Era troppo, troppo... Piton.

 

“Ho avuto modo di venire a conoscenza della simpatia che intercorreva tra la mia Victoria e Black, ma se ci fosse dell’altro, mi coglierebbe impreparato”.

 

Sì, Thomas lo stava facendo apposta.

 

Sì, Thomas aveva passato una lunga notte ad ascoltare suo padre inveire contro i Potter e tutta la loro razza, ed aveva visto l’odio saltare da suo padre a quello di Potter.

 

E sì, Thomas aveva capito che suo padre non era stato esattamente un angelo protettore, per il giovane Potter.

 

“Se tuttavia ci dovesse essere qualche altra cosa, Potter, ebbene, potrei anche far finta di non sapere. Potrei fingere di non vedere in questo momento. Potrei perfino evitarti una buona dose di incantesimi di dubbia legalità. Ma non sono sicuro che potrei renderti la vita facile... dopo”.

 

Thomas si prese il suo tempo per guardare le espressioni di incredulità, panico e sorpresa rincorrersi sul giovane di uno più che stoico Potter.

 

Era troppo facile metterlo in imbarazzo.

 

Era abituato a fare il discorso a ragazzi più grossi di lui, fisicamente ed anagraficamente.

 

C’era qualcosa di puritano, in quel manipolo di inglesi.

 

Qualcosa di quasi puro.

 

Qualcosa che gli fece desiderare di mandare Edward a Hogwarts.

 

Harry non rispose.

 

Guardava Thomas boccheggiando, cercando uno stupido appiglio.

 

Per tutta risposta, Thomas gli sorrise.

 

“Non parlerò se tu non parlerai. Per me, questa conversazione non è mai avvenuta”.

 

Si alzò e tornò dentro, infilandosi il pacchetto in tasca.

 

Thomas era un bravo ragazzo, che diceva buongiorno e buonasera, che chiedeva scusa, diceva grazie e sapeva essere riconoscente.

 

tuttavia, Thomas era anche un fratello.

 

Avrebbe ucciso Harry Potter con le sue stesse mani, se non gli avesse riportato Victoria.

 

Ma si sarebbe divertito, e magari se ne sarebbe anche pentito, quando Victoria sarebbe tornata.

 

 

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Capitolo 23
*** Better That We Break ***


CAPITOLO VENTITRÈ

Better That We Break

 

Saw you sitting all alone

You’re fragile and you’re cold, but that’s all right

Life these days is getting rough

They’ve knocked you down and beat you up

But it’s just a rollercoaster anyway

(Maroon 5)

 

Stava diventando discretamente bravo.

 

Se fosse riuscito a sopravvivere, ipotesi in cui non riponeva molta fiducia, sarebbe scappato in un posto caldo, ed avrebbe aperto un bar.

 

Magari ai Caraibi.

 

“Dimmi che è uno scherzo”.

 

Fece cadere due piccoli cubetti di ghiaccio, poi l’oliva, e guardò soddisfatto il suo risultato.

 

Era vero, in quel che dicevano quelle sciocche nate babbane Tassorosso: se una cosa la sai fare con le mani, ti darà ancora più soddisfazione di quando la fai con la bacchetta.

 

Anche se aveva sentito quella frase a proposito di altro.

 

“Non sono bravo?” chiese, infantilmente, mostrandole compiaciuto il suo Martini Dry.

 

Daphne gli fece un cenno con la mano, scostando il bicchiere da sotto il suo naso.

 

“Smettila di fare il ragazzino” soffiò, irritata. “I miei elfi lo sanno fare più velocemente di te”.

 

Draco fece spallucce, bevendo il suo drink tutto d’un fiato.

 

Una volta, aveva una cosa chiamata fegato.

 

Adesso, chissà dov’era finita?

 

“Come mai non ti sei sposata, Daphne? Sapevo che tuo padre aveva grandi progetti per te”.

 

Si spostò dal mobile bar di casa Greengrass e si accomodò su una poltrona.

 

“I grandi progetti, come li chiami tu, o sono morti, o sono stati Baciati, o hanno sposato Millicent Bulstrod”.

 

Draco ridacchiò. Apprezzava l’ironia.

 

“Mi piacerebbe rivedere Pansy Parkinson” disse, annuendo a niente in particolare.

 

“Prova a cercarla da qualche in Messico” sbuffò Daphne, indignata.

 

Draco conosceva Daphne da molti anni.

 

Gli aveva offerto protezione, cibo e qualche chiacchierata nei freddi inverni dopo la morte dei suoi genitori.

 

Poi lui era sparito dalla circolazione, e non aveva più avuto notizie della sua vecchia amica.

 

Amica. Che parola buffa.

 

“Dimmi che è uno scherzo, Draco” ripeté, parandosi di fronte al ragazzo, le mani incrociate al petto.

 

Draco si chinò verso di lei, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

 

“Cosa dovrebbe essere uno scherzo, Daphne?”.

 

La ragazza sbuffò, dandogli le spalle.

 

“Non posso trattenermi a lungo, mia cara, anche se ho sempre amato la tua compagnia” le sorrise, quei sorrisi tristi e freddi che lo accompagnavano da molti anni. “Quindi, qualsiasi cosa tu debba dirmi, fallo in fretta: ho degli ospiti a casa”.

 

Daphne si voltò, inginocchiandosi per poterlo guardare dritto negli occhi.

 

“Cos’è questa storia, Draco? Me l’ha detto Millie”.

 

Caro, vecchio, linguacciuto Theodore.

 

“Esattamente quello che ti ha raccontato la signora Nott, Daphne”.

 

Gli occhi verdi della ragazza si dilatarono.

 

Paura?

 

Per chi?

 

Per cosa?

 

“Quale incantesimo, quale assurdo, illegale, pazzo incantesimo...” iniziò, la voce fioca.

 

“Non conosco la storia completamente, so solo quello che ho sentito, e che vedo tutti i giorni da almeno una settimana”.

 

Daphne volse lo sguardo lontano, annaspando l’aria.

 

“Cola cattiveria da ogni poro, letteralmente”.

 

La ragazza chiuse gli occhi, tremando leggermente.

 

“Cosa... cosa speri di ottenere?” riuscì a chiedere, conficcandogli, senza volerlo, le unghie nelle ginocchia.

 

“Non lo so. Vendetta. Forse voglio solo una fine, Daphne”.

 

Le voltò il viso con un dito.

 

Aveva degli occhi bellissimi.

 

Anche se gonfi di lacrime.

 

“Perché piangi, Greengrass?”.

 

“Perché sta succedendo ancora. Tu non sei stanco di tutto questo, Draco? Non volevi anche tu che tutto finisse?”.

 

Draco le accarezzò una guancia con il pollice.

 

“È esattamente quello che voglio, Daphne. Una fine. Perché sono stanco, sono molto, molto stanco”.

 

Abbassò il capo.

 

Draco Malfoy era stato sconfitto da Draco Malfoy.

 

Daphne gli prese la testa tra le mani e gli baciò i capelli, tirando su col naso.

 

“Hai ancora una possibilità” mormorò nella chioma bionda.

 

Draco le passò le braccia intorno alla vita, stringendola a sé.

 

“Non posso, Daphne”.

 

“Perché?” implorò la ragazza.

 

“Perché è già deciso tutto. Sa cosa vuole ed io – noi – ci batteremo finché la ottenga. Non posso più tornare indietro”.

 

Cercava di trovare quel tono di voce spietato che lo aveva aiutato a convincere vecchie conoscenze a seguirlo in quella folle corse.

 

Ma gli occhi, le braccia, i respiri di Daphne erano lì, e dannazione, lei era stata così una pessima Serpeverde.

 

“Perché non ne ho il coraggio”.

 

Daphne gli allontanò delle ciocche ribelli dalla fronte.

 

“Posso farlo io. Dimmi tutto ciò che devo sapere, andrò io, parlerò io con Silente...”.

 

Draco sorrise, allontanandola da sé quel tanto che bastava a guardarla negli occhi.

 

“Smetti di amarmi, Greengrass. Per favore”.

 

E la fermezza con la quale Daphne aveva tenuto a freno ogni sua lacrime venne spazzata via, e le lasciò cadere, nascondendosi nel collo dell’uomo che amava da sempre, e che non aveva avuto mai.

---------------------------------------- Grazie a Earnil, Chiara Malfoy Potter e JDS che leggono e commentano sempre. Non so come ringraziarvi. :)

 

 

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Capitolo 24
*** Broken String ***


CAPITOLO VENTIQUATTRO

Broken Strings

Oh the truth hurts

A lie is worse

I can’t like it anymore

And I love you a little less than before

(James Morrison  feat. Nelly Furtado)

 

 

Aveva già preparato uno zaino del genere, anni prima.

 

Anzi, in realtà era una rumorosa borsa di perline, intuito di Hermione.

 

Adesso, Harry Potter parlava con Hermione Granger, la sua migliore amica, solo se lei era insieme a Ron, il suo migliore amico.

 

Da soli, lui non riusciva a dirle niente.

 

In qualche modo oscuro, Harry la riteneva responsabile.

 

Avevano parlato. Avevano urlato.

 

Di lui, di lei, di Ginny, di Ron, di Dean, di Lavanda, di Calì, di Victoria e di nuovo di Ginny.

 

Poi lei era scoppiata a piangere, lui era uscito sbattendo la porta, prima di ricordarsi che, tecnicamente, lui era a casa propria.

 

Allora era arrivato Ron, aveva cercato di consolare entrambi, ed alla fine Harry e Hermione si erano chiesti scusa, ma Harry era ancora arrabbiato con Hermione per aver parlato con personaggi come Dean, Lavanda e Calì e Hermione era ancora arrabbiata con Harry per via di Ginny, che diceva a tutta Diagon Alley che la sua storia con Harry era finita perché lui non aveva intenzione di sposarla perché era un farfallone.

 

Almeno, Ginny aveva avuto la decenza di tenersi per sé la storia di Victoria.

 

 In realtà, Ginny era piombata a Grimmauld Place mentre erano tutti in attesa di notizie da Silente, ancora troppo scossi da quello che successo, pretendendo spiegazioni su tutto.

 

Harry aveva cercato di farle capire che non era il momento, ma lei aveva continuato, tirando in ballo il passato, il futuro che lei aveva in mente, e suo padre.

 

Alla fine, Ginny aveva detto a Harry che voleva una data, certa, sicura, perché lei voleva sposarsi.

 

Sposarsi. Non sposarlo.

 

Allora Harry aveva risposto mai, per sadismo puro più che per altro, e Ginny aveva girato i tacchi e se n’era andata.

 

Senza piangere, perché Ginny odiava piangere.

 

“Sei pronto, tesoro?”.

 

“Quasi, mamma”.

 

Harry infilò le ultime cose alla rinfusa, strinse la cinghia e si buttò lo zaino dietro le spalle.

 

“Stai pensando a Ginny?”.

 

Harry scrollò le spalle, lasciando che sua madre gli scompigliasse i capelli.

 

“Magari quando quest’altra avventura sarà finita, le cose si rimetteranno a posto”.

 

Harry guardò sua madre di sbieco.

 

“Avventura, mamma?”.

 

Lily gli sorrise, prendendolo a braccetto.

 

“Tuo padre ha una pessima influenza su di me” si giustificò.

“A te piace Ginny?”.

 

“Certo” annuì Lily.

 

“Sicura?”.

 

“Sì, sono sicura. Una brava ragazza, decisa, forte. Mi piace”.

 

Harry la guardò, guardando i suoi stessi occhi.

 

“Ed a papà? A lui piace?”.

 

“Sì, a lui sì. A Sirius non piace, e questa è una confidenza”.

 

Harry non si stupì di quest’ultima frase.

 

Rientrarono in salotto, dove Silente se ne stava fermo davanti al camino, Metropolvere in mano.

 

“Non possiamo andare con le scope?” stava chiedendo James, per l’ennesima volta, data la faccia di Piton.

 

“No, James” rispose educatamente Silente. “Harry, sei pronto?”.

 

E Harry sapeva che non si stava riferendo allo zaino.

 

Annuì.

 

“Allora noi andiamo” disse Remus.

 

“Non capisco perché proprio io debba starmene a casa” sbottò Tonks.

 

“Tu resti a casa con Teddy ed Edward, Tonks, hai una grande responsabilità”.

 

“Mi stai trattando come una bambina, quando sono l’unica qui che si ricorda come funziona un Auror”.

 

Remus le prese il viso tra le mani, sorridendole.

 

“Abbi cura di nostro figlio e del suo migliore amico, Dora. Tornerò presto”.

 

Tonks lo fissò per un lungo momento, sciogliendosi in un sorriso.

 

“Dormirai sul divano, quando tornerai”.

 

“Tanto lo so che non ci dormirò da solo”.

 

Harry scostò lo sguardo, quando si baciarono.

 

“Allora, Ramoso, te lo ricordi come funziona la Metropolvere?” abbaiò Sirius, sorridendo.

 

“Scostati, cagnaccio insolente” lo spinse lontano James, prendendo una manciata di polvere dal sacchetto che porgeva Silente tra le mani sottili e rugose.

 

“Hogwarts!” disse ad alta voce, sparendo tre sbuffi di fumo e polvere.

 

 

 

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Capitolo 25
*** Time is Running Out ***


CAPITOLO VENTICINQUE

Time Is Running Out

Bury it, I won't let you bury it,

I won't let you smother it,

I won't let you murder it.

(The Muse)

 

La pazienza non era un tratto tipico dei Grifondoro.

 

Così, mentre James e Sirius tentavano di sciogliere la tensione fingendo di duellare con la bacchetta, Remus controllava il cielo stellato, e Lily sorseggiava del the battendo ritmicamente il piede sul pavimento, Harry gironzolava per la Sala Grande, toccando armature, guardando la Sala dalla prospettiva dei professori, sospirando di tanto in tanto.

 

“Siediti, Potter” soffiò Piton, seduto a sua volta davanti a Lily, con Thomas e Sergei al fianco.

 

“Non dare ordini a Harry” cantilenò James, poco distante.

 

Harry, comunque, si sedette lo stesso.

 

La McGranitt sulla Torre di Grifondoro.

 

Vitious su quella di Corvonero.

 

La Sprite fuori, sui tetti di una delle serre.

 

Lumacorno, dopo lunghi e profusi saluti, controllava il passaggio dalla Stanza delle Necessità dall’interno del castello, Aberforth Silente dall’interno della Testa di Porco.

 

Silente comparve dal portone d’ingresso, ancora brandendo la sua bacchetta. Era andato fuori a dettare gli ultimi incantesimi alle porte di Hogwarts.

 

No, non di protezione.

 

Mundungus, scampato alla Guerra, agli Auror ed ai creditori, si era rivelato il solito, fidato, spione.

 

Si era ritrovato, infatti, a mercanteggiare con un giovane uomo alto, bruno e con gli occhi chiari della Polvere Buio Pesto Peruviana, illegale nella maggior parte dell’Inghilterra, a meno che non ci sia una previa richiesta dal Ministero, e che, prima della sua chiusura, era un prodotto che poteva vendere solo il Tiri Vispi Weasley.

 

Silente aveva allora tirato fuori il ricordo da Mundungus, ed aveva riconosciuto nell’acquirente del ladruncolo uno dei più validi elementi della Casa dei Serpeverde: Blaise Zabini.

 

E non era un mistero per nessuno che Zabini stava a Malfoy come Ron stava a Harry.

 

Il piano dell’ex Preside era, quindi, di mettere incantesimi di allarme, ma non di protezione, in tutto il castello. Era infatti convinto che sarebbe stato meglio giocare con loro come il gatto col topo, piuttosto che infastidirli, facendo loro notare quanto fossero inetti, e, soprattutto, tenendo a freno il più possibile i poteri d Victoria.

 

Silente non aveva usato la parola inetti.

 

Harry non era agitato per la questione in sé – fronteggiare un essere malvagio ed una schiera di suoi possibili seguaci.

 

Harry temeva per Victoria.

 

Non temeva Victoria.

 

Non aveva paura di lei, o dei suoi poteri magici, o di quanto potesse far del male.

 

Harry aveva paura di non riuscire a toglierle quel... quel mostro da dentro.

 

“Tutto pronto. Adesso dobbiamo solo aspettare”.

 

“Aspettiamo” disse Sirius, cercando di far saltare via la bacchetta dalle mani di James.

 

Thomas sospirò, scattando in avanti, come se volesse afferrare qualcosa.

 

“Posso mandare un Patrono a casa dei Lupin, signore?” chiese, intercettando lo sguardo di Silente. “Sono in pensiero per Edward, non è mai stato solo così a lungo”.

 

Lily si protese per afferrargli una mano, sorridendogli.

 

“Può farlo Remus, Thomas” annuì Silente. Remus Lupin annuì a sua volta, lanciando un incantesimo attraverso i vetri della finestra a cui era appoggiato, senza distruggerli.

 

Calò il silenzio, in Sala Grande.

 

Silente prese posto al tavolo degli insegnanti, più per abitudine che per altro. Come mossi da un istinto, James e Sirius riposero le loro bacchette, e si sedettero accanto a Lily. Dopo qualche minuto, li raggiunse anche Remus.

 

Sedevano tutti al tavolo centrale, quello che sarebbe appartenuto ai Corvonero, tra qualche tempo.

 

Un tavolo neutrale, aveva commentato la McGranitt, guardandoli fluire ad uno ad uno nel suo caminetto, dirigendoli in Sala Grande.

 

Ci fu silenzio.

 

Silenzio.

 

Ancora silenzio.

 

Attesa snervante.

 

“Merlino, mi ci vuole una vacanza” sbottò Thomas, poggiando la testa sui palmi delle mani aperte, entrambe le braccia appoggiate sui gomiti sul tavolo. “Non mi ricordo nemmeno com’è fatta casa mia”.

 

“Allora la tua vacanza la farai disteso sul divano?” ridacchiò Sergei.

 

“Fuori. In giardino. Metterò una piscina, due amache, una scorta di bibite fresche e mi ci piazzerò con mia sorella e mio figlio almeno fino al Giorno del Ringraziamento”.  

 

Sergei gli passò una mano sulle spalle.

 

Harry non ci aveva ancora pensato.

 

Un giorno, vicino, loro sarebbero tutti andati via.

 

E probabilmente neanche Piton ci aveva pensato, perché aveva alzato lo sguardo verso suo figlio, arricciando le labbra.

 

Mia sorella. Mio figlio.

 

Thomas aveva un grande senso della famiglia.

 

Suonava strano, se pensava al contesto in cui era venuti al mondo.

 

Questa era la forza di Thomas: un Piton, senza la presenza di Voldemort.

 

Harry sentì la necessità di sorridergli, grato del fatto che non lo stava guardando.

 

Non sentirono arrivare l’incantesimo.

 

Videro solo le pareti della stanza tingersi di verde, mentre il Patrono della professoressa Sprite irrompeva in Sala Grande, svolazzando intorno alla testa del Preside.

 

Sono a Hogsmeade.

 

 

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Capitolo 26
*** Black Hole Sun ***


CAPITOLO VENTISEI

Black Hole Sun

Stuttering, cold and damp

Steal the warm wind tired friend

Times are gone for honest men

And sometimes far too long for snakes

(Savage Garden)

 

Era strano.

 

Un suicidio a capo scoperto.

 

Che coraggiosi che erano diventati.

 

Dei dannati Grifondoro venuti male.

 

“Capo... capo...”.

 

Il pigolare continuo di Nott alle sue spalle era fastidioso, come il ronzio di una zanzara in un’afosa notte estiva.

 

Ebbene, quella era una notte estiva decisamente poco afosa, e Nott era decisamente fuori misura per essere una zanzara.

 

“Cosa succede, Draco?”.

 

Draco si arrestò, alzando lo sguardo dalla ghiaia che calpestava.

 

“Assolutamente niente” mentì, sentendo il pungolare di un dito di Nott.

 

Theodore, così come Millicent, così come anche Zabini, soltanto che Blaise non l’avrebbe mai detto ad alta voce, non erano del tutto d’accordo del piano.

 

Entrare a Hogwarts dalla porta principale, e distruggere qualsiasi cosa si fosse parato loro di fronte.

Poi, distruggere quel dannato castello.

Niente di più semplice.

 

Camminavano a viso aperto per una Hogsmeade straordinariamente silenziosa, segno evidente che il vecchio stava facendo altrettanto apertamente il suo lavoro di contrattacco.

 

Contrattacco era una parola grossa.

 

Fino a quel momento, nessuno si era parato loro innanzi, reclamando qualcosa.

 

Tutto era strano, quindi.

 

Lei voltò leggermente il capo.

 

Il profilo del volto perfetto e cattivo illuminato dalla luce delle stelle, in quella notte senza luna.

 

“Possiamo farlo anche da soli, Draco. Se qualche tuo amico vuole abbandonarci, che lo faccia pure, tornando esattamente da dove è venuto”.

 

Draco non seppe cosa rispondere, sentendo la paura serpeggiare tra loro come una dannata nebbia fredda.

 

Nott fece qualche passo indietro. Draco avrebbe voluto urlargli di starsene fermo dov’era, ma Theodore era un dannato fifone buono solo a farsi bello con gli amici.

 

Non arrivò neanche a contare fino a tre.

 

Theodore ruzzolò a terra, tenendosi la testa e urlando nella notte sul ciglio del viale.

Millecent emise un gridolino e corse al capezzale del marito, cercando di capire cosa avesse.

 

Draco guardò l’amico sbarrare gli occhi nel buio, contorcendosi.

Inorridito, la gola secca, si voltò a guardarla riporre lentamente la bacchetta.

 

“Non tratteniamo nessuno, vero, Draco? Ma è meglio evitare che qualcuno vada a dire in giro quello che ha visto”.

 

Un suicidio a capo scoperto, ecco quello che era.

 

Ripresero a camminare lentamente, ondeggiando come un gruppo di pecore cieche e sorde.

 

Draco sapeva perché lo stava facendo.

 

Ma gli altri?

Tutte quelle persone che lui aveva radunato, perché non l’avevano picchiato, bastonato di fronte alle loro porte, quando lui si era parato loro innanzi?

Quanto ciechi e sordi potevano essere stati?

 

In cosa credevano, loro?

 

“La tua volontà sta vacillando?”.

 

Non si era fermata.

 

“No” rispose sicuro, ascoltando le urla di Theodore ed il pianto di Millicent perdersi in lontananza.

 

Blaise non aveva portato nessuno.

 

Blaise, come lui, era rimasto solo, scapolo.

 

Perché troppe ne aveva viste, troppe ne aveva sentite, e non voleva, non poteva condividere il suo dolore ed il suo schifo con qualcun altro.

 

Blaise aveva conosciuto il mondo Babbano e ci si era lanciato, vivendo di quello che i suoi genitori gli avevano lasciato, e scopando con ignare commesse e studentesse di Londra e dintorni.

 

Draco poteva giurare che Blaise non voleva morire.

 

A differenza sua, Blaise aveva perso la speranza, ma non la voglia di sentirsi vivo.

 

E dopo quello che era successo, dopo aver assistito a tutti i processi, dopo aver visto amici e parenti venire Baciati, o scappare, o spediti ad Azkaban, Blaise aveva maledetto il giorno in cui era nato mago.

 

Per questo Blaise si era trasferito a Soho, per questo dormiva di giorno e viveva di notte, come quel tale, Sanguini, il vampiro amico di Lumacorno, per questo, quando era sveglio, tendeva ad essere il meno lucido possibile.

 

Perché non c’è niente di peggio del dolore dei sopravvissuti.

 

Il motivo per cui Gregory si era suicidato.

 

Malfoy reietto, Goyle suicida, Zabini alcolista.

 

Brutta fine, quella dei Serpeverde.

 

Potter aveva tolto loro anche quello, l’onore di essere membri della casa più esclusiva di Hogwarts.

 

Ma forse non era stato Harry Potter, forse era stato Voldemort.

Forse erano stati i suoi genitori, e quelli di Goyle, di Tiger, di Zabini.

Forse erano stati loro.

 

Non importava più.

 

Importava solo che qualcuno pagasse.

 

E che fosse Draco, Potter, i morti, o lei, non importava.

 

Bisognava chiudere il cerchio, prima di finire come i Paciock.

 

Lei voleva Hogwarts.

L’avrebbe avuta.

 

Draco voleva vendetta.

L’avrebbe avuta.

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Capitolo 27
*** Save Tonight ***


CAPITOLO VENTISETTE

Save Tonight

 

Well we know I’m going away

And I, I wish, I wish it wouldn’t so

So take this wine and drink with me

Let’s delay our misery

(Eagle Eye Cherry)

 

 

Lumacorno aprì la porta con un gran fragore, tenendosi il petto come se gli stesse per venire un attacco di cuore per aver fatto qualche rampa di scale correndo.

 

“A... Aberforth dice che non si sono fermati alla Testa di Porco. Camminano dritti. Non si fermano al villaggio. Stanno venendo qui”.

 

“Quanti sono?”.

 

“Dieci. Quindici al massimo”.

 

“Sarà una passeggiata allora!” disse trionfante Ron, sguainando la bacchetta.

 

“Non voglio altre morti a Hogwarts. Nessuno morirà stasera” fece Silente greve, alzandosi dalla sua poltrona al centro del tavolo degli insegnanti.

 

Camminò fino al centro della Sala Grande, davanti al tavolo dei Corvonero, dove anche gli altri si alzarono, compresi gli appena arrivati Ron, Hermione, Fred e George.

 

Horace, richiama Minerva e gli altri insegnanti. Inutile che stiano di vedetta, sappiamo dove stanno andando”.

 

Lumacorno annuì e lasciò la stanza.

 

“Inoltre, devo chiedere ai signori Weasley di lasciare la stanza e tornare a casa”.

 

Fred e George si guardarono interrogativamente, poi puntarono il dito verso Ron.

 

“Lui è compreso?” chiesero in coro.

 

“È un Auror, la sua preparazione potrebbe esserci utile”.

 

Sfacciati, i due gemelli risero.

 

“E lei pensa davvero, signore, che noi ce ne andiamo così?”.

 

“Senza fare niente per lei?”.

 

Piton li osservò, senza parlare.

 

“Signore, Victoria mi ha ridato Fred. Io non posso stare senza far niente, devo esserci” spiegò George, pacatamente.

 

Silente li guardò a sua volta da sopra gli occhiali a mezzaluna.

 

“Qualsiasi cosa io dica o faccia non vi impedirà di restare, o di tornare in qualche modo, suppongo”.

 

“Le sue supposizioni sono sempre esatte, signore” gli sorrise Fred. “E poi, due bacchette in più fanno sempre comodo”.

 

“Grazie” mormorò Thomas. I gemelli gli regalarono due sorrisi a sessantaquattro denti.

 

“Cosa crede che sta per accadere, signore?” chiese Hermione.

 

“Penso che siano venuti a reclamare Hogwarts. Victoria, Thomas ed Edward sono i diretti eredi di Salazar Serpeverde. Legalmente, parte della scuola appartiene a loro. Dubito che stia arrivando per pretendere un posto in Consiglio d’Amministrazione, comunque”.

 

Sirius si voltò nervosamente a guardare fuori dalla finestra alle sue spalle.

 

“Il nostro scopo è salvare Victoria” prese la parola Sergei. “Penso sia opportuno dividerci in squadre”.

 

Silente annuì, lisciandosi la lunga barba.


“Giusto. Signor Romanov, lei e Potter sarete la squadra da proteggere, allora. Signori Weasley e signorina Granger, suggerisco di prendere posto verso il quinto piano. Signori Potter, signor Black e signor Lupin: voi vi apposterete al secondo piano, nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, dove potrete prendere in agguato i seguaci del signor Malfoy. Harry, tu salirai sulla Torre di Astronomia insieme al Signor Romanov, sarete l’ultimo baluardo. Mi raccomando, non uccidete nessuno”.

 

“Noi, Albus?” scattò Piton.


“Esiste, Severus, la possibilità che Harry fallisca. Per questo motivo, preferirei che tu e tuo figlio foste con me, accuratamente nascosti sotto la Torre, nel caso in cui ci fossero degli incidenti di percorso. Se Harry, come nemesi vivente di Voldemort, non riuscisse ad estirpare il male dal corpo di Victoria, l’ultima nostra estrema possibilità è che si faccia muovere a compassione dal ricordo di Thomas ed Edward”.

 

“Perché non subito, allora?” chiese concitato Thomas. “Io posso salvare mia sorella. Io devo farlo”.

 

Piton gli mise una mano sul braccio, trattenendolo.

 

“Andiamo con Silente, Thomas”.

 

Thomas guardò il padre come se lo stesse invitando a gettarsi nel Lago Nero. Dopodiché annuì, chinando il capo, sconfitto.

 

“Li stiamo facendo praticamente entrare stendendogli un bel tappeto rosso a terra, signore!” si oppose James.

 

“Sì, signor Potter” confermò Silente.

 

“Perché?”.

 

“Victoria è con Malfoy. Le possibilità sono due: o lui l’ha trovata per caso, cosa che non credo possibile, oppure si è Materializzata direttamente a Malfoy Manor”.


“Dove si nascondeva Voldemort” ricordò Harry.

 

“Esattamente, caro ragazzo. Esiste un legame tra Voldemort e Victoria, che ha portato quest’ultima ad apparire nell’ultimo posto che Tom Riddle ha potuto chiamare casa”.

 

Cadde un attimo di silenzio, le mente di tutti impegnati a collegare gli eventi.

 

“Probabilmente Malfoy sta cercando di vendicare i suoi genitori. Si vuole vendicare di Harry” azzardò Ron.

 

“E lo fa adesso perché ha un’arma potente come Victoria in mano” concluse Hermione.

 

“Codardo” sibilò Sirius.

 

Harry guardò Romanov stringere la bacchetta tra le dita.


“Quando l’avrò di fronte, signore, cosa dovrò fare?”.

 

Silente gli sorrise.

 

“Potrai offrirle delle caramelle”.

 

Harry, Thomas, Piton e tutti gli altri boccheggiarono.

 

I professori Vitious, Sprite, McGranitt e Lumacorno tornarono in Sala Grande.

 

“Bene. Minerva, per favore, chiedi a Gazza di aprire i cancelli del parco, e tu, Pomona, per favore, apri i portoni d’ingresso”.

 

“Albus?” fece la McGranitt.

 

“Stai tranquilla, Minerva. Andrà tutto bene. Anzi, resta nei sotterranei con Horace e gli altri, nel caso in cui qualcuno dei ragazzi voglia perlustrare la loro beneamata Sala Comune”.

 

“Albus?” chiese ancora la McGranitt.

 

“Vai, Minerva. Bene, signori, ognuno ai propri posti, e buona fortuna a tutti”.

 

 

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Capitolo 28
*** Sober ***


CAPITOLO VENTOTTO

Sober

The night is calling

And it whispers to me softly “Come and play”

And I’m falling

And if I let myself go, I’m the only one to blame

(Pink)

 

Cadevano.

 

Lentamente.

 

Uno ad uno.

 

Dei dodici, due erano stati lasciati ad Hogsmeade.

 

Quattro mandati nei sotterranei.

 

Cinque erano caduti lungo il tragitto, tre  al secondo piano e due al quarto.

 

Ed alla fine, ne restava soltanto uno.

 

Lei non aveva fatto niente.

 

Lei l’aveva sempre saputo.

 

Lasciava che gli altri si immolassero, che creassero un diversivo, che lasciassero libero il passaggio.

 

Perché nessun altro si sarebbe intromesso tra lei e la sua vendetta.

 

Aveva sentito il lupo urlare il suo nome tra gli schianti degli incantesimi, ma lui aveva stretto i pugni ed era corso avanti, sorreggendosi alle gonne di lei, come un bambino impaurito.

 

E lei avanzava, lentamente, inesorabilmente.

 

Aveva visto i Weasley scostarsi, per dedicarsi esclusivamente a Blaise e Tracey.

 

Uno Schiantesimo di Ron Weasley gli schioccò nel fianco, ma la ferita era superficiale e non sanguinava abbastanza da impedirgli di stare al passo di lei.

 

O di rovinare a terra e lasciare che la Granger lo finisse.

 

Nei suoi sogni più terribili, Hermione Granger gli calpestava il volto col piede ingioiellato, mentre al suo fianco un sempre pavido Ronald l’aiutava a sorreggersi, guardando la scena con quel suo stupido ghigno.

 

In un’altra vita, forse Draco Malfoy avrebbe voluto essere un Ron Weasley qualsiasi.

 

Sua madre soleva dirgli quanto fosse stata atroce la scelta di Marion Weasley di fare così tanti figli, ma quando hai sei anni e gli unici esseri con cui giochi sono elfi domestici e stiletti d’argento, la compagnia di un fratello è l’unica cosa che desidereresti affinchè la tua vita sia felice.

 

Sua madre lo amava teneramente, le piaceva viziarlo come credeva fosse giusto viziare un figlio: vestiti, ninnoli, compagnie giuste, feste esclusive.

 

Suo padre lo amava con fierezza: il primogenito, il maschio, l’unico. Bello, alto, biondo, ambito dalle giovani sue uguali, cercava di copiare lo stile del padre quanto più poteva, perché niente faceva felice Draco come sentirsi dire Bravo da suo padre.

 

Con il matrimonio fallito di Bellatrix e quello rovinoso di Andromeda, Narcissa era il fiore all’occhiello della Casata dei Black, e lui il pezzo da novanta della Stirpe dei Malfoy. La gente li guardava con rispetto, invidia ed ammirazione, e suo padre gli aveva fatto capire quanto fortunato fosse ad essere nato da quel lato del mondo magico.

 

Poi i loro voli pindarici si erano infranti al suolo, ed avevano vissuto gli ultimi anni come un incubo, guardando quel figlio che non conosceva perché e che aveva scoperto quanto fosse amara la vita fuori dai cancelli dorati di casa.

 

 Arrivati, soli, al sesto piano, lei si fermò.

 

Draco si appoggiò alla balaustra, cercando di guardare oltre le spalle di lei.

 

Si voltò.

 

Le iridi rosse scintillarono.

 

“Non ci segue nessuno, Draco?”.

 

Draco aveva imparato dal tono che quella era una domanda retorica, ma per istinto si voltò a sua volta, a rassicurarsene.

 

“Nessuno”.

 

Lei si voltò completamente, dondolando la bacchetta su due dita.

 

“Bene, molto bene”.

 

“Bene?”.

 

“Vogliono farmi fare la fine di Silente. Vorranno gettarmi impudentemente dalla Torre più alta? Cos’è quella Torre dove stiamo andando?”.

 

“La Torre di Astronomia”.

 

“Astronomia. Bene”.

 

Lei inclinò la testa da un lato, passandosi la punta della bacchetta sulle labbra secche.

 

 “Draco, distruggi le scale”.

 

Draco la guardò per un secondo, ad accertarsi dell’ordine. Lei annuì lentamente.

 

Allora salì accanto a lei sul pianerottolo, e puntò deciso la bacchetta contro la scalinata davanti a sé.

 

Con un movimento brusco, le scale tremarono, e caddero violentemente l’una sull’altra, diventando poco più che briciole.

 

Sentirono delle grida.

 

Uno dei due gemelli Weasley, che teneva Blaise svenuto per un braccio, mise fuori la testa dall’aula in cui si erano nascosti, giusto in tempo per ammirare le coreografie di polvere e detriti che si stavano alzando.

 

“Ci sarà un solo modo per scendere da quella Torre, Draco”.

 

E la consapevolezza colpì Draco, atterrandolo col suo peso.

 

Draco stava andando a morire.

 

Perché come aveva sacrificato gli altri, morti o meno che fossero, lei avrebbe sacrificato anche lui.

 

E se a mente fredda il giovane Malfoy aveva accettato quell’invito, adesso ne era terrorizzato, perché la parola Fine gli stava apparendo davanti agli occhi, lampeggiando.

 

La Fine dei giochi.

 

La fine di qualsiasi cosa.

 

La fine di ciò che era stato, che era e che sarebbe potuto essere.

 

Tra pochi minuti, Draco Malfoy non sarebbe più stato, interrompendo una famiglia millenaria, una Casata che aveva conosciuto lustri e dolori, una vita inutile.

 

Perché nessuno avrebbe salvato Draco, nemmeno da se stesso.

 

Lei gli tese la mano.

 

Lui la prese, delicatamente, come aveva visto fare a suo padre centinaia, e centinaia di volte.

 

Inghiottendo gli ultimi scampoli di libertà, Draco Malfoy, ventiquattro anni, Erede dei Malfoy, membro della Casata dei Black, Caposcuola della Casa dei Serpeverde, salì con il Male l’ultima rampa di scale che avrebbe mai percorso nella sua vita.

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Capitolo 29
*** In the Air Tonight ***


CAPITOLO VENTINOVE

In The Air Tonight

I can feel it coming in the air tonight, oh Lord

I’ve been waiting for this moment for all my life, oh Lord

(P. Collins)

 

Si morse l’interno delle guance.

 

No, non doveva avere paura.

 

Lei l’avrebbe sentito, ed allora avrebbe avuto un’arma.

 

Un’arma in più.

 

“Harry Potter”.

 

La sua voce.

 

Non più calma e trillante, ma fredda e metallica.

 

Non si mosse.

 

In fondo, conosceva il proprio nome.

 

“Un piacere rivederti” boccheggiò, chinando leggermente il capo, a mo’ di saluto.

 

“Vorrei poter dire lo stesso”.

 

Estrasse lentamente la bacchetta dalla manica.

 

Sergei gli si parò davanti, imitando le azioni di Draco Malfoy.

 

“Quanta tensione” fece lei, scuotendo il capo. “C’è tanto biondo, su questa torre” notò, senza un motivo apparente.

 

Harry inghiottì a vuoto, cercando lo sguardo di Malfoy.

 

Avrebbe voluto lanciargli una maledizione telepaticamente, se avesse potuto.

 

Non lo vedeva da un pigro pomeriggio di novembre di anni prima, quando assistette, svogliatamente, al processo dei suoi genitori, assieme a Ron.

 

Hermione non volle andare, neanche Ginny.

 

Ma Ron, sì.

 

E lui, anche.

 

Poi, nessuno aveva saputo più niente, tanto da pensare che fosse scappato con Pansy Parkinson in Messico.

 

Ed invece, si sbagliavano.

 

Romanov intercettò il principio di un incantesimo da parte di Malfoy, e riuscì a bloccarlo e rilanciarlo a sua volta in meno di un secondo, facendo sobbalzare Harry.

 

Victoria, invece, non si mosse neppure, continuandolo a fissare.

 

Si chiese a quale livello fosse la sua Occlumanzia.

 

“Non è roba per te, ragazzino” stridé Romanov, roteando la bacchetta davanti al viso.

 

“Fatti avanti, russo” lo stuzzicò Malfoy, facendo un passo verso di lui.

 

Harry era pericolosamente immobile davanti ad una delle ricamature della Torre di Astronomia, la bacchetta stretta nel pugno abbandonato al fianco, leggermente nascosto dietro il fondoschiena freddo.

 

No, non doveva avere paura.

 

Uno Schiantesimo lanciato da Malfoy quasi non lo colpì, facendo svolazzare il bordo della veste che Victoria aveva indosso.

 

Romanov ricorse invece ad un incantesimo non verbale, che oltrepassò la chioma di Victoria e colpì Malfoy al braccio che teneva la bacchetta.

 

Victoria si toccò i capelli, sentendoli caldi al tatto dove l’incantesimo era passato.

 

“Mi avete stufato” decretò.

 

Mosse fluidamente la bacchetta prima davanti a Sergei e poi verso Malfoy, ed entrambi vennero lanciati, con un tonfo, verso le mura della Torre.

 

Nessuno dei due fu più in grado di muoversi.

 

Victoria sorrise obliqua, tornando a focalizzare la sua attenzione su Harry.

 

“Siamo rimasti finalmente soli, Potter” allargò svogliatamente le braccia lontano da lei, indicando trasversalmente le sue due vittime.

 

Harry, la gola secca, strinse ancora di più le dita intorno alla bacchetta.

 

“Non capisco perché avete sentito la necessità di rendermi la cosa più fastidiosa” sospirò, immobile. “Sono solo quattro mura ed un paio di torri”.

 

Harry non capiva.

 

“Non mi interessa la vostra inutile, sciatta vita. Non mi interessa se vivete, morite, soffrite, gioite. Siete insulsi, tutti voi. Gli amanti della giustizia. C’è una sola legge nel mondo: quella del più forte”.

 

“Non è così” si oppose Harry debolmente.

 

“Che ne sai tu, eh Potter? Tu conosci solo la legge che ti ha imposto quel burattinaio di Silente. Sono così dispiaciuta per te”.

 

E Harry conosceva l’ironia dei Piton, che sopiva dentro di lei.

 

“Devo distruggere questo dannato castello, Potter. Ne assisterai la devastazione in prima fila, il posto dei vincenti”.

 

Si preparò, alzando la bacchetta.

Harry scosse la testa come se si ridestasse da un sogno.

 

“Tu non vuoi me?”.

 

Victoria abbassò gli occhi rossi su di lui, visibilmente irritato.

 

“Credi di essere il centro del mondo?”.

 

Harry respirò affannosamente, stordito.

 

“Ah, ho capito: tu hai ucciso mio padre, e quindi siete giunti alla conclusione che io volessi vendicarmi di te”. Scosse la testa. “Il vecchio perde colpi”.

 

Fece un paio di passi in avanti.

 

“Non  mi interessa niente di te, Potter, né di tutte quelle patetiche persone che si sono appostate lungo il castello. Uccidervi vi renderebbe martiri, e non avete certo bisogno di altre medaglie da appuntarvi al petto. Povero, piccolo Potter, che crede da tutta la vita che debba portare il peso del mondo magico sulle sue striminzite spalle. Voglio aiutarti: distruggerò il castello, il grande simbolo del potere, e ti risparmierò, così che tutti sappiano che non sei la panacea di tutti i mali. La cosa ti rende felice?”.

 

 “Perché Hogwarts? È l’unica casa che tuo padre abbia mai conosciuto” e non si stava riferendo a Piton.

 

“Casa. Casa è dove lasci che le tue ossa riposino ed il tuo cuore smetta di battere. Casa è solo una parola”.

 

“Perché adesso?” incalzò ancora Harry. “Potevi aspettare. Tra meno di un mese riapre la scuola, avresti potuto mietere più vittime”.

 

“Quanto sei sciocco, Potter. Non mi interessano le persone, quante volte devo ripeterlo? Lo distruggerò ora, così non avranno alcun posto dove andare a settembre. Adesso, così che nessuno possa più sentirsi al sicuro”.

 

“Panico. Vuoi creare del panico”.

 

Victoria strinse gli occhi.

 

“Non panico. Paura. Instabilità. Fragilità. Com’è successo a me”.

 

Bingo.

 

“Noi Serpeverde siamo destinati ad essere soli. A non amare e non essere amati. Che sia il destino di tutti”.

 

Rialzò di nuovo la bacchetta, caricandosi di potere oscuro.

 

“Non è vero!” tentò ancora Harry, quasi urlando.

 

“Smettila, Potter, sei spiacevole come una mosca” e lo colpì, facendolo accasciare a terra. “Ti ho già detto che ti risparmio. Adesso lasciami fare”.

 

Harry si tenne il petto dolorante, gli occhiali di traverso sul naso.

 

Offrile delle caramelle, Harry.

 

“Non è vero che non sei amata, Victoria”.

 

“Non chiamarmi in quel modo” sibilò.

 

“Tante persone ti amano! Tuo fratello Thomas è qui, e lui ti ama. Tuo nipote, il piccolo Edward, ti ama, stravede per te, ha bisogno di te”.

 

Quando sentì il nome del bambino, Victoria voltò di scatto la testa verso di lui, spalancando gli occhi.

 

“Zitto. zitto!” sibilò ancora, la voce meno ferma di qualche secondo prima.

 

“Tuo padre. Severus Piton, tuo padre. Lui ti ama profondamente”.

 

Tra il bagliore che Victoria emanava, a Harry parve di riuscire a scorgere le iride rosse tornare intensamente nere per un attimo.

 

“Tu hai una famiglia, Victoria. E la tua famiglia ti ama tanto da organizzare tutto questo per te”.

 

Harry riuscì a sentire solo come il rumore di un vaso che si infrange rumorosamente al suolo, poi il bagliore che en seguì lo costrinse a coprirsi gli occhi per qualche minuto.

 

Quando riuscì ad abituarsi di nuovo, sbattè un paio di volte le palpebre, quel tanto da scorgere Victoria piegata in due, come quella sera di due settimane prima.

 

Ma adesso, quello che usciva da lei era un liquido perlaceo.

 

Si fiondò su di lei, tenendola per la vita.

 

“Vattene, Potter!” riuscì ad intimare lei, la voce che pareva quasi essere tornata normale.

 

Offrile delle caramelle, Harry.

 

La strinse più forte, incurante che quel liquido stesse bagnando anche lui.

 

“Ed io, Victoria, io ti amo” riuscì a bisbigliarle all’orecchio.

 

Fu solo un urlo tanto forte da spaccare i timpani e sbriciolare vetri.

 

Poi sentì la presenza di Silente dietro di lui tirarlo via, il mantello di Piton coprirgli la visuale, e, per qualche motivo, svenne.

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Capitolo 30
*** I’m Walking on Sunshine ***


CAPITOLO TRENTA

I’m Walking on Sunshine

I used to think maybe you loved me

Now I know that it's true

But I just can’t spend my whole life

Just a waiting for you

I don't want you back for the weekend

No back for a day

’Cause baby I just want you back

And I want you to stay

(Katrina and the Waves)

 

La guardava felice, colorata e fresca, senza  avere idea di dove iniziare.

 

Impugnò il cucchiaino, guardò la coppa di gelato enorme che aveva davanti e, senza il minimo rimorso, ci affondò la posata giusto al centro, dove cioccolato, crema, fragola e panna si univano, assaporandone il piacere ancora prima di avere i quattro gusti appena vicini alle labbra.

 

Quel trattamento veniva riservato ad Edward quand’era stato particolarmente buono.

 

Come quando aveva aiutato papà tutta la settimana con le pulizie, oppure quando aveva chiesto scusa all’amichetto a cui aveva intenzionalmente pestato il piede all’asilo di fronte agli altri.

 

Che momento umiliante che era stato! Ma il papà era stato buono, e lo aveva portato in un fast food babbano a rimpinzarsi come meglio aveva potuto.

 

Così, in quel momento, mentre si gustava il gelato, Edward non capiva cosa avesse fatto di tanto buono da meritarsela.

 

Forse, era perché lui era l’unico ad andare a trovare la zia tutti i giorni nell’infermeria di Hogwarts.

 

Questo, tuttavia, non spiegava perché se ne stessero tutti lì a fissarlo.

 

Cominciò a pensare che Harry volesse attentare alla sua coppa, così, stringendola saldamente per la base, corrucciò la fronte e lo guardò minaccioso.

 

“Ecco, adesso sì che sei uguale al nonno, Edward” sorrise Lily.

 

“Cosa vorresti dire con questo?” le chiese il nonno, non staccandogli gli occhi di dosso.

 

“Papà?” chiamò il bambino, ma anche suo padre aveva assunto un’aria strana.

 

“Allora, Edward” iniziò Thomas, accarezzandogli la testa. “Il gelato è buono?”.

 

“Oh, sì” rispose Edward, trascinando l’ultima “i”come segno della sua piena soddisfazione.


“E sai chi altri è buono?” attaccò il nonno. Edward scosse la testa, leccando il retro del cucchiaino. “Tu”.

 

Edward ridacchiò, imbarazzato, focalizzando la sua attenzione in quel rivolo di crema che si stava sciogliendo sul bordo.

 

“E puoi essere ancora più buono se ci dici cosa ti dice la zia quando la vai a trovare”.

 

Thomas non aveva mai smesso di accarezzargli la testa, ed era una cosa che faceva impazzire Edward.

 

Tuttavia, Edward era un bravo bambino. Un bambino intelligente.

 

Un bambino, avrebbe pensato James, senza dirlo, che sarebbe diventato come suo nonno.

 

“Perché non l’andate a trovare anche voi?” chiese innocentemente Edward, incrociando gli occhi sulla ciliegina che Lily aveva messo per lui in cima a tutto quel gelato, e che lui stava guardando con ingorda premeditazione.

 

“Meglio che la zia non abbia tanta gente intorno” rispose prontamente Thomas.

 

“La zia non sta tanto bene” disse Lily con fare teatrale.

 

Edward guardò suo padre, poi di nuovo il gelato, sbattendo le gambe contro la sedia.

 

“Che volete sapere?” chiese.

 

“Come sta, per esempio” fece Harry.

 

“Cosa ti dice” continuò Thomas.

 

 Edward alzò lo sguardo verso suo padre.

 

C’è che Edward sapeva un mucchio di cose, solo che se le teneva per sé.

 

Sapeva, per esempio, non sempre quando diceva che andava a fare un giro era così.

 

Sapeva, per esempio, qual era il cassetto dove nascondeva delle pozioni che lui non poteva toccare.

 

Sapeva, anche, che papà e Harry avevano litigato, e che forse avevano fatto pace, e che il nonno voleva sapere perché ma loro non glielo dicevano.

 

Sapeva che il nonno aveva pianto insieme alla zia Lily (sì, adesso poteva chiamarla zia), ma che non doveva dirlo davanti allo zio James o allo zio Sirius.

 

Edward era un bambino, perciò poteva conoscere cose che gli adulti tra loro non potevano conoscere, ma che non poteva dire a nessuno, nemmeno a Teddy, anche se Teddy gli aveva detto che aveva visto i suoi genitori fare cose strane, e che la nonna aveva detto che un giorno avrebbe capito, ed Edward gli aveva promesso che avrebbe chiesto alla zia.

 

“Dice che il tortino di zucca è buono” alzò le spalle.

 

Thomas lo guardò aggrottando le sopracciglia, ed in altri tempi, Edward avrebbe avuto un po’ paura.

 

Ma adesso sapeva che stava facendo qualcosa per la zia, e se papà gli avesse fatto qualcosa, allora la zia avrebbe fatto qualcosa a lui, e non sarebbe stato bello.

 

Soprattutto perché la zia era sempre stanca, ed aveva sempre gli occhi rossi, ma lo abbracciava un sacco, stesa sul letto bianco, mentre arrivavano da chissà dove Liquirizie, ciocco rane, pallini acidi... .

 

“Edward” lo chiamò suo padre.

 

“Sì, papà?”.

 

Una volta, suo nonno aveva definito “irritante” quel suo tono di voce. Quindi, in quel momento, Edward era molto irritante. Non osò voltarsi verso il nonno.

 

“Papà, zia sta bene. Riposa”.

 

“Puoi dirle che la salutiamo tanto?” disse Harry.

 

“E che appena esce da lì, perché prima o poi dovrà uscire da lì, io sarò lì fuori ad aspettarla?” disse suo padre.

 

“E che le vogliamo bene?” disse suo nonno.

 

Zia Lily gli sorrise promettente.

 

“E va bene” concesse Edward, tuffandosi di nuovo in quella meraviglia che era il gelato.

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Capitolo 31
*** Hold the Line ***


CAPITOLO TRENTUNO

Hold the Line

It's not in the way that you hold me

It's not in the way you say you care

It's not in the way you've been treating my friends

It's not in the way that you'll stay till the end

It's not in the way you look or the things that you say that you do

(Toto)

 

Si arrampicò, tirò, guardò, afferrò e cadde col sedere a terra.

 

“Questo?”.

 

Edward si voltò, inginocchiato nell’armadio.

Teddy sventolava una canotta bianca dal comò dov’era atterrato.

 

“Quella! Bravo Teddy!”.

 

Edward corse verso l’amico, afferrando un paio di pantaloncini di cotone blu appoggiati sul letto.

 

“A che servono a tua zia dei vestiti? Non sta male?”.

 

Teddy aiutò l’amichetto ad infilare tutto in un sacchetto di stoffa che aveva contenuto delle costose scarpe sportive babbane prima.

 

“Non lo so. Ha detto che devo portarglieli e glieli porto” fece spallucce, arrotolando alla bell’è meglio il cordino nero in cima al sacchetto.

 

“Ma posso venire anche io?” chiese ancora Teddy, fermandosi in cima alle scale.

Edward sbuffò.

 

“Va bene. Sbrigati. E chiedi prima alla tua mamma!”.

 

 

“Cari ragazzi!”.

 

Se c’era una cosa che Severus odiava nella maniera più assoluta, era quel modo di arrivare di Silente e salutare tutti in sala come se niente fosse successo.

 

E come se non stesse aiutando Victoria a nascondersi nel castello di Hogwarts.

 

“Ho disturbato la colazione?”.

 

Severus alzò lo sguardo verso di lui.

Thomas, al suo fianco, gli strinse il polso con nonchalance, come se temesse che suo padre potesse tirare una fetta biscottata imburrata tra la folta barba del vecchio.

Non che non ci avesse pensato, comunque.

 

“Buongiorno, professore. Vuole unirsi a noi?”.

 

Affettato, ruffiano Grifondoro.

 

“No, grazie mille, James, noi abbiamo già avuto la nostra colazione al castello”.

 

Severus decise di contare da mille a zero, prima di parlare.

 

Meglio diecimila.

 

“Come sta mia sorella, professore?”.

 

Ecco, come non detto.

 

Forse, più tardi, avrebbe potuto sgridare Thomas per la sua impossibile irruenza.

 

Avevano accettato quando, dopo due notti a vegliare su di lei, Minerva li aveva praticamente cacciati fuori dall’infermeria, perché avevano, effettivamente, bisogno di mangiare, dormire e di una doccia.

 

Avevano accettato quando lei, aperti gli occhi, aveva ordinato a Madama Chips di non fare entrare anima viva che fosse alta più di un metro e dieci.

 

Avevano accettato anche di non vedere arrivare nessun gufo da Hogwarts, seppur mandandone in una quantità che poteva definirsi imbarazzante.

 

Ma essere presi in giro da due ragazzini ed un vecchio, questo proprio no.

 

“Bene. È una ragazza forte. Anzi, a proposito, sono qui in veste di guida turistica, se così mi posso definire...”.

 

Lasciò cadere la frase, ascoltando piccoli passi correre scapestrati per il corridoio e lungo le scale.

 

“Ecco i due signori che devo accompagnare a Hogwarts”.

 

Edward e Teddy sorrisero, mettendosi dritti sull’attento.

 

“Fermi voi due” esclamò Thomas, saltando in piedi. “Cos’è questa storia?”.

 

Edward si voltò verso suo padre, stupito.

 

“Ma papà, la zia ha detto...”.

 

“No, basta” scosse la testa Severus. “Edward, non andrai da nessuna parte”.

 

Thomas annuì.

Edward spalancò gli occhi, chiuse la bocca e strinse i pugni, il labbro inferiore che tremava.

 

“Non c’è bisogno di piangere, Edward” gli assicurò Silente, scivolando dietro i bambini. “Ho detto che devo accompagnare loro, non che non possiate venire anche voi”.

 

Guardò i presenti da sopra i suoi occhiali a mezzaluna, sorridendo, mentre stringeva le spalle dei ragazzini in piedi e scalpitanti davanti a lui.

 

Thomas e Severus si guardarono, al limite dell’indignato.

 

“Ho proprio voglia di farmi un giro a Hogwarts” abbaiò Sirius, pulendosi velocemente i lati della bocca con un tovagliolo.  

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Capitolo 32
*** Strong ***


CAPITOLO TRENTADUE

Strong

And you know and you know

'Cos my life's a mess

And I'm trying to grow so before

I'm old I'll confess

You think that I'm strong you're wrong

You're wrong

(R. Williams)

 

Alle dieci, puntuale come poche volte prima, Victoria salì le scale che portavano alla Torre di Astronomia.

 

Era il Gran Giorno, e non importava quanto Silente le passasse sottobanco delle caramelle: era nervosa.

 

Beh, sottobanco perché Madama Chips non avrebbe tollerato che una sua paziente, che continuava a fare strane terapie col vecchio Preside, si rimpinzasse di caramelle e cioccolata anziché di brodini e the caldi.

 

Due rampe di scale al giorno.

Oggi, avrebbero potuto vedere il panorama della Torre con la luce del sole.

 

“Finalmente”.

 

Victoria arricciò le labbra, passandogli accanto.

 

Vide, con la coda dell’occhio, il braccialetto d’argento brillargli sul polso chiaro, e si sentì in colpa.

 

“Cominciamo?”.

 

“Tocca a te, oggi. Ieri hai solo mangiato le mie Api Frizzole”.

 

“Tecnicamente, erano le Api Frizzole di Silente”.

 

Victoria si sedette sul corrimano, come faceva di solito, solo che stavolta, finalmente!, aveva dei vestiti decenti, non quelle cose fluttuanti e colorate che Minerva le aveva procurato.

 

Lui mosse la bacchetta ritmicamente e precisamente, e ciò che era rimasto dell’ultima rampa di scale prima della sua distruzione si andava lentamente ricomponendo.

 

“Ho visto qualcuno”.

 

“Teddy. È il figlio dei Lupin”.

 

“Non mi riferivo a lui”.

 

Victoria inarcò il sopracciglio, smettendo di dondolare le caviglie.

 

Aveva parlato chiaro, con Silente.

 

Nessuno, nessuno fin quando non l’avesse deciso lei.

 

Nessuno, tranne Edward.

E Draco.

Perché lei, su Draco, aveva una certa responsabilità.

 

Gli Auror erano piombati su di lui e sugli altri come dei falchi, un secondo dopo che lei... .

Aveva smesso di essere quello che era.

 

Quello che era veramente.

 

Sospirò, guardando lontano.

 

Era la sua paura più grande.

 

Non aveva paura di morire.

Non aveva paura di restare sola.

Non aveva mai avuto paura per sé.

 

Da bambini, lei e Thomas vivevano in funzione l’uno dell’altra, sfidando la vita e chi non avrebbe mai potuto capire cosa volesse dire essere soli in un mondo che non avrebbe avuto pietà di te.

 

Da grandi, Victoria aveva assistito alla morte dell’unico grande amore di suo fratello, e l’aveva visto piegarsi letteralmente in due dal dolore, rifiutare qualsiasi contatto umano, allontanare il bambino e lei lo sentiva spezzarsi, lentamente, fino a quando non l’aveva schiantato fuori da quella stanza in cui s’era chiuso, costringendolo a fare i conti con la realtà.

 

Poi c’era Edward.

Niente al mondo l’aveva mai riempita di gioia e di fierezza come quel piccolo essere.

 

Lo guardava crescere e pensava che no, quel bambino dallo sguardo dolce e l’intelligenza viva non sarebbe diventato quel mostro di distruzione che Silente aveva pronosticato tanti anni prima.

 

Quella profezia era falsa.

Non c’era nient’altro da dire.

 

Eppure, era successo: i morti erano tornati, ma Edward era rimasto lo stesso.

 

Thomas si era preso un’intera settimana di ferie, dopo il loro esperimento, per poter monitorare costantemente Edward, ma niente era cambiato in lui.

 

Forse, se Thomas avesse notato che la bacchetta che Victoria aveva preso ad usare era la bacchetta che era stata mandata loro per compiere quell’Incantesimo che avrebbe riportato in vita il loro padre e tutti gli altri, forse Thomas allora avrebbe capito, ed avrebbe fatto qualcosa.

 

Ma Thomas non aveva visto niente, e lei ed Edward erano partiti per l’Inghilterra.

 

Sì: Victoria usava la bacchetta di Voldemort.

 

Adesso, lei non sapeva dove fosse, e Silente non ne aveva fatto parola con lei.

Andava bene così.

 

“Non sei curiosa”.

 

“Penso di saperlo, in realtà” sbuffò, tendendo l’orecchio.

 

“Un po’ per uno non fa male a nessuno. Io vedo Weasley tutti i giorni”.

 

Povero.

Dover dormire nelle celle provvisorie del Ministero, aspettando Sergei mandasse dagli Stati Uniti quella lettera che avrebbe permesso a Silente di toglierlo da quell’impiccio e riportarlo a casa.

Qualsiasi cosa fosse per lui, una casa.

 

“Se vuoi facciamo a cambio. Meglio reggere uno stupido, che un esercito di occhi inquisitori”.

 

Lui sogghignò, posizionando l’ultimo scalino in linea con gli altri.

 

“Un altro dei tiri di Silente, quindi” osservò, mirando il suo lavoro. “Ho finito”.

 

“Scendi con me?”.

 

“Non vedi?” le mostrò il braccialetto: lampeggiava. “Il mio caro amico Ronald sta già venendo a prendermi”.

 

“Che uomo fortunato che sei, Draco”.

 

“Lo sai che ti preferivo cattiva?”.

 

Victoria strinse gli occhi.

 

“Ma io sono cattiva” rispose, cercando di ghignargli contro, ma tutto quello che ne uscì fu un sorriso bieco.

 

Lei era davvero cattiva.

Lei era Voldemort.

 

“No, tu sei acida e maligna. Ma essere cattivi è tutta un’altra storia”.

 

“Parli da esperto?”.

 

“Sono stato un pessimo malvagio, ma un discreto bullo”.

 

Le sorrise.

 

C’era qualcosa che la inteneriva, nel sorriso triste di Draco Malfoy.

 

“Si va in scena, allora” spezzò il silenzio Victoria.

 

“Buona fortuna, mia cara” le baciò una guancia, lasciandola andare.

 

Lei gli regalò un sorriso sincero, sospirò e si avviò verso la Sala Grande.

 

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Capitolo 33
*** Here I Am ***


CAPITOLO TRENTATRÈ

Here I Am

And after all this time

Our time has come

Yeah here we are

Still goin' strong

Right here in the place where we belong

(B. Adams)

 

La prima regola è: non fare mai troppo.

 

La seconda regola è: non farti mai vedere per quello che sei.

 

La terza regola è: sorridi sempre, perché così non sapranno mai dov’è la tua debolezza.

 

Questo le avevano insegnato, e questo avrebbe fatto.

Nessuno avrebbe mai potuto dire che era stata una cattiva studentessa, all’Accademia.

 

Salutando con la mano Draco che scompariva all’orizzonte, con quel simpaticone di Ron Weasley alle calcagna, Victoria si preparava ed entrare in Sala Grande. Da sola.

 

Si riavviò i capelli dietro le orecchie, incredibilmente più lunghi di quel che ricordava, sbatté un paio di volte le palpebre e, spingendo la porta con nonchalance, perdendo un paio di battiti, entrò.

 

Poteva ammetterlo: rivedere il suo Thomas la faceva cadere in uno stato di pace, di ordinaria normalità, quel mondo lontano in cui tutta andava bene e lei non nascondeva un mostro sopito dentro di lei.

 

E poteva anche ammetterlo, ma forse questo avrebbe fatto meglio a tenerselo per sé, che lui e Severus erano praticamente identici, se non fosse per un colorito leggermente meno giallastro da parte di Thomas, ed i capelli più lunghi di Severus.

 

In fondo, il naso di famiglia era lì a salutarla in duplice copia.

Fu contenta di non averlo ereditato.

 

Entrambi scattarono in piedi, vedendola.

 

Alzò un sopracciglio, ironicamente.

 

Guardandosi intorno, fu contenta di non vedere Harry.

Potter.

Harry Potter, insomma.

 

Giusto, lavorava.

 

“Non c’è bisogno di alzarsi, non è mica entrata Sua Maestà la Regina”.

 

Sirius, ridacchiò.

Che Merlino lo abbia in gloria.

 

Thomas fece il giro del tavolo e corse ad abbracciarla.

Stritolarla era la parola giusta, in realtà.

 

Victoria lasciò che suo fratello facesse delle sue costole ciò che voleva, sospirando piano nell’abbraccio.

 

“Tu mi farai impazzire”.

 

“Sì, ho già sentito questa frase”.

 

“Ho perso dieci anni di vita. Anzi, venti. Vorrei vedere mio figlio avere dei figli, sai?”.

 

Victoria rise, nascondendo il sorriso nella spalla di Thomas.

 

Bella sensazione, quella di casa, dopotutto.

 

Thomas si staccò da lei, per guardarla negli occhi.

 

“Noi dobbiamo parlare”.

 

“Del fatto che sono un mostro assetato di sangue?”.

 

Thomas emise il verso che Victoria ed Edward, a casa, identificavano come “il Sacro Verso del Dissenso”.

 

“Smettila”.

 

Victoria aprì la bocca per replicare, ma conosceva quello sguardo, e preferì tacere.

 

“Il piccolo essere si è tenuto il vostro piccolo complotto per sé, uhm?”, disse, guardando Silente. “Devi smettere di corrompere la gente con le caramelle, Albus, farai venire il diabete a tutti”.

 

Thomas le baciò la cima della testa (ebbene sì, Thomas era incredibilmente alto, quasi quanto il Weasley stupido) e l’allontanò leggermente da sé.

 

E fu così che Victoria, godendosi imprudentemente le reazioni di James e Sirius alla sua battuta, incrociò lo sguardo di Severus.

 

E conobbe lo sguardo di un padre che aveva conosciuto l’inferno per via della figlia ribelle.

 

Qualcosa le strinse lo stomaco.

 

Per un attimo, ebbe la sensazione che si sarebbe avvicinato per schiaffeggiarla.

Per un attimo, quasi rise, pensando che sarebbe stato quasi divertente sentire suo padre urlare “Sei in punizione!”.

 

Ma niente di tutto ciò avvenne.

 

Si guardarono per lunghi secondi, secoli, forse millenni.

 

“Ehi” riuscì a dire, la gola secca.

 

Aveva fatto qualcosa di male?

 

“La prossima volta che vuoi distruggere qualcosa, non commettere gli errori di tuo padre, e scegliti qualcuno capace di farlo per davvero”.

 

Silenzio in aula.

 

Lily spalancò gli occhi, atterrita.

 

Sirius e James si guardarono, stupefatti.

 

Remus scosse la testa.

 

Thomas si piazzò le mani sui fianchi, sospirando.

 

“Dovresti dirle di non farlo e basta”.

 

“Conto sul suo giudizio”.

 

“Grazie per la fiducia”.

 

“Non essere sarcastica”.

 

“Il sarcasmo è nel mio genoma”.

 

“Stavi per distruggere Hogwarts”.

 

“Non è carino farmelo notare, sai?”.

 

“In fondo, un po’ di lavoretti di ristrutturazione ci volevano” osservò Silente, interrompendo il botta e risposta tra i fratelli Prince, i quali si guardarono interrogativamente.

 

“Normale amministrazione” scosse la testa Severus, ed i due ragazzi risero.

 

Victoria guardò Severus, e sorrise di più.

 

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Capitolo 34
*** Strangers Like Me ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRO

Strangers Like Me

Come with me now to see my world

Where there's beauty beyond your dreams

Can you feel the things I feel

Right now, with you

Take my hand

There's a world I need to know

(P. Collins)

 

Aveva pianificato la sua vita tanti anni prima e, in base a questo, aveva fatto due conti.

 

Quando aveva capito che non sarebbe mai stato il Cavaliere (quelli erano i Grifondoro) Senza Macchia (aveva un tatuaggio che gli ricordava ogni giorno quante persone aveva ucciso durante la sua vita) e Senza Paura (stare al cospetto dell’Oscuro Signore poteva essere tutto tranne che piacevole), ne aveva dedotto che no, effettivamente la sua vita non sarebbe stata lunga e felice.

 

Non avrebbe mai avuto una famiglia, non avrebbe mai visto i suoi figli, e quindi, nemmeno i figli dei suoi figli, e via discorrendo.

 

Soprattutto, non avrebbe mai avuto una famiglia con Lily Evans.

 

Una volta, aveva un piano: fare in modo che il Signore Oscuro uccidesse padre e figlio, così che la povera Lily sarebbe corsa da lui a piangere, ed allora Severus, che si sarebbe già votato alla causa di Silente, avrebbe mandato anche Lily a Boston, dove sarebbe stata la madre che i gemelli non avevano mai avuto, e, quando tutto sarebbe finito (perché tutto sarebbe finito, in una maniera o nell’altra, Silente non avrebbe mai permesso il contrario) si sarebbero tutti e quattro riuniti.

 

Ma che bella immagine bucolica.

 

Ma Lily era morta, il moccioso era vivo, e la sua esistenza misera e meschina si era completamente votata intorno al Bambino Sopravvissuto.

 

E molte delle sue elucubrazioni, in una maniera o nell’altra, si erano rivelate esatte.

 

Era morto relativamente giovane, dopo una vita relativamente di merda, senza aver mai più rivisto i suoi figli, senza assistere alle loro cadute ed alle loro ascese, senza nemmeno sapere che aveva un nipote in arrivo.

 

Tuttavia, Severus Piton era morto sapendo di lasciare i gemelli in un mondo giusto e lontano, soprattutto dove non conoscevano Lord Voldemort, Mangiamorte e compagnia bella.

 

Poi, suo nipote, o per meglio dire, i poteri che sua figlia nascondeva dentro di sé, aveva fatto in modo che tutti – e con tutti intendeva anche persone di cui non sentiva per niente la mancanza – tornassero alla vita.

 

Evviva.

 

Senza un lavoro, bloccato in casa del cane pulcioso che non faceva altro che guardare la sua bambina e leccarsi il muso, con l’allegra famiglia Potter che ridacchiava ogni trenta secondi.

 

Ribadiva: evviva.

 

Poi erano arrivati loro – sua figlia e suo nipote.

Un bambino eccessivamente intelligente, biondiccio e dolce per essere un Piton – od un Riddle, a dirla tutta – ed una ragazza saccente e cattiva che era in tutto e per tutto degna della famiglia.

 

E c’era Thomas.

Buon Merlino.

 

Lui. Thomas era lui ai tempi della scuola, con i lineamenti meno marcati, i capelli più corti – e meno untuosi – e leggermente più in carne.

 

Guardare Thomas era guardarsi nello Specchio delle Brame, e faceva male, per certi versi.

Per altri, lo inorgogliva.

 

Vide Victoria e Thomas parlare sottovoce appoggiati ad un albero poco lontano, fittamente. Lei inarcò il solito sopracciglio e Thomas ridacchiò, e Victoria gli tirò il naso  - il loro naso.

 

“Edward” chiamò, non eccessivamente forte.

 

Il bambino deviò dalla sua corsa e sgambettò verso di lui.

 

Severus si chinò ad allacciargli le scarpe.

 

“Quando torniamo a casa, ti insegnerò a farlo da solo” bofonchiò, senza guardarlo.

 

“Va bene” annuì il ragazzino, sorridendo ai suoi capelli. “Sei contento che la zia sta bene, nonno?”.

 

Severus si rialzò, aggiustandogli la camicia a sottili scacchi azzurri.

 

“Ovviamente” sentenziò, risposta ovvia per una domanda infantile.

 

“Anche io” sorrise disarmante Edward.

 

“Vai a giocare” ordinò Severus, perché quel sorriso lo destabilizzava peggio di un terremoto.

 

Severus lo guardò allontanarsi, come faceva sempre. Si assicurava che arrivasse ovunque dovesse arrivare, in questo caso a ruzzolare tra i piedi di Thomas, che lo prese in braccio.

 

Edward disse qualcosa e lo indicò.

Severus sentì un certo brivido e si guardò incontro, in cerca di fuga.

 

Sirius era a parlare con Remus, Lily stringeva la mano di Potter.

Oh, dannazione.

 

Non che sarebbe andato da uno di loro. Forse da Lily, forse.

E Silente, ovviamente, quando serviva, non c’era mai.

A mangiare caramelle con Minerva, sicuramente.

 

E Victoria si stava avvicinando.

Un passo alla volta, lentamente.

 

Severus, appoggiato alla balaustra davanti al Portone d’Ingresso, incrociò le braccia al petto.

 

“Ehi”.

 

La fissò.

 

“Hai intenzione di insegnare ad Edward ad allacciarsi le scarpe”.

 

E dopo il Bambino Sopravvissuto, il Nipote Spione.

 

“È grande abbastanza da poterlo fare. Mi stupisco come non gliel’abbiate insegnato voi”.

 

“Mi sembra un’ottima argomentazione”.

 

Si appoggiò accanto a lui, stando attenta a non sfiorarlo.

 

“E così adesso mi tocca ringraziare Harry Potter” sospirò Victoria.

 

“Non necessariamente” borbottò Severus, guardando lontano.

 

“Non che abbia fatto granché effettivamente. Sono stata io che mi sono lasciata abbindolare dalle solite fesserie sull’affetto, una vita migliore, lasciare la via vecchia per la nuova, l’amore...”.

 

Stavolta, fu Severus ad inarcare il sopracciglio.

 

“L’importante è che sia finito” disse solo, non volendo indagare oltre.

 

Victoria non rispose.

 

Sospirarono all’unisono.

 

“Ti manca?” chiese lei ad un certo punto.

 

Lui seguì il suo sguardo.

 

Lily.

 

Severus si prese un momento per soppesare la domanda.

 

La guardò, bella come al solito, come lo sarebbe stata sempre.

Tra le mani di un uomo che non l’avrebbe mai fatta brillare come avrebbe dovuto, perché la personalità di James era troppo appariscente, facendo scivolare Lily un passo indietro.

Lui l’avrebbe trattata come una regina.

 

Lily sarebbe stata davvero una regina.

 

Sentì un urletto, che fece cambiare la direzione dello sguardo di Severus.

 

Thomas stava tenendo Edward a testa in giù, ed il bambino rideva ed urlava contemporaneamente, gioiosamente rosso in viso.

 

Le sue labbra si arricciarono spontaneamente.

 

“No. Non più come prima”.

 

Era stato sincero ed a voce alta.

 

Forse fu per premiare tutto questo che Victoria gli prese la mano.

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Capitolo 35
*** Natural Woman ***


CAPITOLO TRENTACINQUE

Natural Woman

When my soul was in the lost-and-found

You came along to claim it

I didn't know just what was wrong with me

Till your kiss helped me name it

(E. Cassidy)

 

Com’era logico da aspettarsi da una come lei, Victoria non era certo una ragazza attaccata alla casa.

 

Ciò nonostante, quando vide la camera scura e fredda di Grimmauld Place, si sentì nettamente sollevata.

 

Via scarpe, calzoncini, maglietta ed intimo, prima e meritata tappa in doccia, a sentire l’acqua calda scivolarle addosso.

 

Non che ci fosse qualcosa di strano nelle docce di Hogwarts, ma quella era la sola casa inglese che aveva conosciuto da che era arrivata, e si sentiva quasi al sicuro.

 

Quasi.

 

Era pomeriggio inoltrato, fuori il sole stava andando lentamente a riposare e le persone, tutte le persone del mondo, babbani o maghi o streghe che fossero, tornavano a casa dopo una lunga e meritata giornata di lavoro.

 

Anche lei, di solito, aveva di quelle giornate in cui contava i minuti per poter staccare ed andare a casa e gettarsi sull’unico pezzo d’arredamento degno di nota di tutto il suo bilocale – il divano.

 

Ma come in tutte le cose, quelle che la riguardavano erano buone e giuste, quelle che riguardavano gli altri non erano affatto buone, e meno che mai giuste.

 

L’aria diroccata e un po’ trascendentale di Grimmauld Place l’affascinava.

Erano le persone che ci vivevano all’interno che la disturbavano.

 

No, neanche disturbare era la parola giusta.

 

Lily soltanto la disturbava.

Non sempre, ma abbastanza spesso da potersi giustificare quando la evitava.

 

Ed ogni tanto la disturbava James.

Pensava di sapere un sacco di cose, ma se davvero le avesse sapute, Victoria dubitava che avrebbe fatto restare Lily e Severus così tanto tempo da soli.

 

Sirius non la disturbava.

Ma tendeva a fissarla troppo. E Victoria odiava essere fissata.

In tutti i sensi.

 

Quella volta, in moto, non era stata carina con Sirius, ma godersi suo padre digrignare i denti per la rabbia le aveva dato un cero non sapeva cosa di soddisfazione.

 

Ebbene sì: Victoria Prince era una ragazza perfida, con o senza l’influenza di Lord Voldemort.

 

Chiuse il rubinetto ed uscì dalla doccia, raggomitolandosi un telo abbastanza grande intorno alla vita.

 

I capelli grondavano acqua sul pavimento di mattonelle azzurro chiaro, e Victoria li tamponò per qualche minuto davanti allo specchio, senza pensarci.

 

Pelle bianca, capelli neri, occhi scuri, ossa piccole e sporgenti.

 

Perché se tutto nello specchio diceva che quella lì era lei, Victoria sentiva che non era così?

 

Lasciò cadere a terra l’asciugamani che aveva in testa, cercando di scrutarsi meglio.

 

Fece un paio di passi verso lo specchio, lasciando delle impronte durante il cammino.

 

Si alzò sulle punte, avvicinandosi allo specchio che era appeso sul lavandino fino all’inverosimile, incollandoci quasi il naso contro.

 

Quello che Victoria non ricordava di avere, erano quegli occhi.

 

Sempre scuri, sempre neri, sempre penetranti.

 

Ma erano... nuovi.

 

C’era qualcosa, in loro, che prima Victoria non ricordava di avere.

 

Come una... consapevolezza.

 

Appoggiò un dito sulla superficie liscia, per tenersi in equilibrio.

 

Gli occhi di Victoria non scintillavano, non erano, come diceva quel vecchio detto babbano, lo specchio della sua anima.

 

Fin da piccola, aveva imparato a tenersi ben nascosti i sentimenti, ed era stata quella, probabilmente, l’arma che aveva fatto capitolare tanti imputati durante gli interrogatori, e che l’aveva fatta divenire un candidato idoneo per la wia.

 

Gli occhi di Victoria erano la sua arma segreta, il suo sesto senso.  

 

Eppure, adesso, quegli stessi occhi la stavano tradendo, così, impudentemente.

 

Lei lo vedeva quel luccichio, quel barlume di novità che rendeva il nero penetrante della sua iride meno opaco.

 

Sospirò, cercando di sfidare il suo stesso riflesso, inutilmente.

 

Si chinò a raccogliere l’asciugamani, lo lasciò sul lavandino, ed uscì dal bagno, evitando qualsiasi contatto con quel riflesso meschino.

 

“Hai finito?”.

 

C’era qualcosa di terribilmente familiare in quella frase.

 

“Quasi” rispose, mentendo.

 

“Sbrigati, che Lily dice che tra un quarto d’ora si cena”.

 

Odiava le abitudini inglesi.

Lei prima delle otto di sera non era nemmeno in grado di decidere quale pizzeria chiamare.

 

“Dì a Lily che scendo subito” disse, volutamente cinguettante.


“Torie...” l’ammonì Thomas dal piano di sotto.

 

Victoria rise, divertita.

 

Si voltò, continuando la sua lenta sfilata verso camera sua, chiedendosi quanto Lily avesse fatto breccia nel cuore di Thomas, così come per suo padre.

 

Stava giusto riflettendo sul fatto che aveva appena pensato a Severus come a suo padre per davvero, quando si ritrovò a sbattere contro qualcosa di morbido ed eccessivamente caldo per i suoi gusti.

 

Alzò gli occhi, facendo un passo indietro.

 

Brutta cosa, la Materializzazione.

 

Poteva fingere di non ricordare, come aveva fatto con Thomas.

Poteva fare delle accurate omissioni, come aveva fatto con Albus.

Poteva persino far finta che avesse solo fatto una vacanza, come aveva fatto con Malfoy.

 

Ma lui ormai era lì – beh, era casa sua, dopotutto – e lei aveva tutta l’intenzione di essere Victoria Eileen Prince, metà Piton e metà Voldemort, e solo per la parte migliore.

 

Ma lei, dannazione, lei ricordava.

Ricordava tutto.

 

Ricordava anche troppo.

 

“Bentornata, Victoria”.

 

 

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Capitolo 36
*** Better Man ***


CAPITOLO TRENTASEI

Better Man

Send someone to love me

I need to rest in arms

Keep me safe from harm

In pouring rain

(R. Williams)

 

Non aveva mai adorato l’effetto sorpresa come in quel momento.

 

Pur rallegrandosi per l’inaspettata fortuna, si ritrovò a dover inghiottire un paio di volte, giusto per tenere sotto controllo il suo flusso sanguigno.

 

La camicia bianca da lavoro si era leggermente inumidita.

 

Non si era reso conto di quanto fosse più bassa di lui.

Avrebbe potuto poggiare il mento su quei capelli bagnati di fresco, che profumavano di forte.

 

Ebbe l’impulso di farlo.

 

“Grazie” si sentì solo rispondere, con forzata cortesia.

 

Gli fece un cenno di circostanza che, in tutta sincerità, non riuscì ad afferrare.

 

Lei strinse le labbra, in quello che, probabilmente, dovevano essere un sorriso di commiato.

 

E lui era lì, immobile come una statua di cera, inspirando l’odore di balsamo che veniva da lei.

 

Come un incantesimo.

 

Le parole di Thomas gli riaffiorarono alla mente dal nulla, nel silenzio carico di movimento che c’era al quarto piano.

 

Dabbasso, Edward e Teddy ne stavano combinando qualcuna, a sentire i richiami di Remus.

 

Tre piani più giù, sua madre istruiva Kreacher per la cena, James e Sirius fingevano di dare una mano, mentre Piton, le labbra arricciate, si godeva il ruolo di ospite, come diceva per far scattare di rabbia suo padre ed il suo padrino.

 

E magari c’era Tonks che cercava di dare una mano a Lily per davvero, ma la voglia di entrare a far parte dei Malandrini sarebbe stata troppo forte, e soprattutto, sarebbe stata sempre la solita sbadata.

 

A Grimmauld Place, niente poteva turbare la quiete domestica.

 

E Harry Potter era lì, fermo, a sentire il profumo di buono di Victoria Prince, inebetito come poche volte prima.

 

Si chiedeva se davvero quel Grazie fosse per lui.

 

Per il bentornata.

Per essere viva.

 

Probabilmente, era soltanto la prima parola che le era venuta in mente.

 

Lui l’aveva salvata, nonostante tutto.

 

Victoria l’oltrepassò, puntando nella stanza dietro di loro, quella che da un mese era la sua.

 

Per un attimo, si chiese di sfuggita come sarebbe stata la sua vita se i fratelli Prince fossero andati a Hogwarts.

 

Quanto sarebbe stata diversa.

 

Quanto sarebbe stata uguale.

 

Dove sarebbero stati smistati.

 

Sorrise tra sé.

 

Non aveva dubbi: Victoria sarebbe stata la venerata Regina delle Serpi, altro che Draco Malfoy.

 

Nutriva invece dei dubbi su Thomas.

 

Sarebbe stato davvero uno shock per suo padre se fosse finito a Grifondoro.

 

Vide l’orgoglio di Victoria nel non arrossire nemmeno camminando con solo un telo addosso davanti a lui.

 

Era troppo, troppo orgogliosa.

 

Possibile che quella sua scorza dura non era stata penetrata nemmeno dall’ultima esperienza che aveva fatto?

 

Possibile che non ricordasse ciò che le aveva detto?

 

Credeva che non fosse vero?

 

Fu uno scatto.

 

La fermò per un braccio, facendola voltare verso di lui.

 

Victoria spalancò gli occhi, guardando la mano di lui tenerle fermo il polso come se fosse un tentacolo di piovra.

 

Victoria alzò poi lo sguardo verso di lui.

E fece ciò che non avrebbe mai dovuto fare.

 

Alzò il suo sopracciglio.

 

Harry era vissuto nel terrore di quel sopracciglio alzato per anni.

 

Lo odiava.

Lo detestava.

Era il simbolo dei suoi insuccessi e dell’insofferenza di Piton nei suoi riguardi.

 

Ma quella stessa espressione sul viso di Victoria faceva ribollire il sangue nelle vene del ragazzo.

 

Non c’era tempo per pensare.

 

Sentiva arrivare il suo commento sprezzante, la sua battuta caustica, qualsiasi cosa per poter spezzare il momento.

 

E la baciò.

 

Labbra sulla labbra, frizione leggera.

 

Iniziò a contare da dieci a zero, scommettendo almeno sul sei, prima di ricevere un pugno, un calcio, un morso, ma fortunatamente non una fattura, a meno che non nascondesse la bacchetta da qualche parte dietro quel telo.

 

Fu così che Harry si rese conto che aveva tra le braccia una Victoria seminuda.

 

E si rese conto che le stava sbattendo contro il ventre una sempre più crescente erezione.

 

Probabilmente la stava iniziando a percepire anche lei, che schiuse le labbra per la sorpresa.

 

Harry non era un Grifondoro solo per sentito dire, e rese il bacio più intenso.

 

Cinque... quattro...

 

La reazione non arrivava.

Ed il bacio proseguiva.

 

Harry si tenne Victoria più vicino, facendo scivolare la mano che teneva stretto il polso in quella di lei.

La strinse.

 

Due... uno...

 

Zero.

 

La lasciò andare lentamente.

 

“Sei un pazzo, Harry Potter” bisbigliò lei, come se qualcuno li potesse davvero sentire.

 

Scomparve in fretta dietro la porta.

 

Harry rimase un paio di minuti a fissare la porta chiusa.

Prese un paio di respiri.

 

Si cambiò velocemente d’abito e corse giù per le scale.

 

Prese posto accanto a Sirius, come al solito.

 

Non fu in grado di alzare gli occhi verso Piton neanche una volta.

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Capitolo 37
*** I Just Wanna Live ***


CAPITOLO TRENTASETTE

I Just Wanna Live

Look out, you better play it safe

You never know what hard times will come your way

We say, where we're comin' from

We've already seen the worst that this life can bring

(Good Charlotte)

 

“Non hai asciugato i capelli”.

 

Lo disse tra un boccone ed un altro, quasi come se fosse un borbottio, qualcosa che stesse dicendo a se stesso, più che a qualcuno altro.

 

Victoria posò la sua forchetta, lo stomaco stretto.

 

Guardò suo fratello in tralice, cercando di mantenere una solida espressione neutrale.

 

Quella era una cena di bentornata, non importa quanto Lily negasse la sua passione malcelata per feste e festicciole varie.

Probabilmente, non era abbastanza arrabbiata con lei per avere interrotto il party del figlio adorato.

 

Dannato Potter.

 

Adesso era il suo nuovo mantra.

Dopo “Non ti curar di loro ma guarda e passa” – colpa del suo professore di Babbanologia, alto, brizzolato, occhiali sexy e sguardo pieno – era passata a “Dannato Potter”, sentendosi del tutto e per tutto figlia di Severus Piton.

 

Dannato Potter.

 

“Mi sono distratta” cercò laconicamente di spiegare.

 

“Non mangi?” incalzò suo padre dopo qualche minuto di silenzio.

 

Non ce ne bastava uno che giocava a fare l’investigatore dei poveri?

 

Sbuffò, contrariata.

 

“Non ho fame” soffiò, apparendo più arrabbiata del dovuto.

 

Cercò di fissare il suo pensiero su cose belle e piacevoli.

 

Cieli azzurri?

Prati verdi?

 

No.

 

Rivoleva la sua scrivania, il suo divano, la sua automobile incantata ed il suo lavoro.

 

Quella cosa piena e prepotente che faceva di lei una trottola umana.

 

“Chi vuole dell’altro vitello?” squillò Lily, felice come una Pasqua.

 

Beata ignoranza.

 

Adesso, Victoria custodiva un segreto.

 

Un altro segreto, come se non ne avesse sentiti abbastanza.

 

Il fatto che questo segreto riguardasse Harry Potter non la lasciava abbastanza fredda come avrebbe dovuto.

 

Come si sarebbe aspettata.

 

Quel piccolo mondo antico che viveva intorno a lei, probabilmente, sarebbe esploso come un fuoco d’artificio dei gemelli Weasley se avesse saputo.

 

E suo padre sarebbe morto, senza ombra di dubbio.

 

No, prima avrebbe ucciso lei.

No, prima avrebbe ucciso lui.

 

Insomma, una carneficina, od inizio di tale, ci sarebbe stata sicuramente.

 

Santo Merlino, stava vaneggiando.

 

Sentirono un ticchettio familiare alla finestra.

 

James si alzò ed andò ad aprire a due gufi.

 

“Victoria, per te” le sorrise.

 

Si chiese quanto lunga avesse la lingua il giovane, dannato Potter.

E non in senso fisico.

 

Si alzò, ringraziando Salazar Serpeverde che ci fosse qualcosa per distrarla.

 

Sorrise debolmente a James, che tornò a tavola, lanciandosi nella sua terza porzione di vitello in salsa tonnata.

 

Lei si appoggiò al davanzale, lasciandolo aperto, per far entrare un po’ d’aria fresca.

 

Controllò i mittenti delle lettere: una era intestata alla WIA, l’altra era in una carta verde chiaro.

Sorrise.

 

“Buone notizie?” chiese Thomas.

“Vediamo...”.

 

Agente Scelto di Primo Livello V.E.Prince,

la informiamo che siamo già venuti a conoscenza della missione che l’ha tenuta impegnata nelle precedenti due settimane in Scozia, Regno Unito. Abbiamo avuto un primo rapporto dall’Agente Scelto di Terzo Livello S. A. Romanov, ed attendiamo il suo alla fine di questo mese di ferie che le era stato precedentemente accordato. Seppur soddisfatti del lavoro da lei compiuto nonostante fosse in permesso accordato, la invitiamo comunque a presentarsi presso la Centrale Operativa il prossimo lunedì alle quindici, ora di Boston, per un colloquio su ciò che è avvenuto.

Inoltre, la informiamo che la sua richiesta, giuntaci tramite l’Agente Scelto di Terzo Livello S.A.Romanov, di reintegrare il Civile Mago Draco A. Malfoy è stata approvata, e da questo momento è sotto il suo pieno controllo, ed i Sottoscritti hanno già provveduto ad informare l’Ufficio Auror locale del cambiamento.

Distinti Saluti.

Agnes Witchcraft,

Wizardly Institute Agency

 

Tory,

Nel rapporto che ho steso per Agnes ho scritto che abbiamo aiutato Harry Potter a sconfiggere una forza non meglio identificata che minacciava di distruggere il castello della scuola di Hogwarts. Cito testualmente “la forza è stata poi supposta fosse una reminiscenza aurea di Lord Voldemort, la quale è poi definitivamente evaporata grazie al nostro tempestivo aiuto”. Non ti chiederà di dire niente più di questo in commissione lunedì, quindi stai tranquilla, anche perché il Capo Commissione sarà Ernest Guggenheim, un tipo piuttosto pacifico, a quanto Agnes mi ha detto. Non vedo l’ora che torni!

Baci,

Serg

 

“E allora?” chiese Thomas.

 

“Beh, se lunedì non mi licenziano, torno a lavorare” si strinse nelle spalle, pensando a Malfoy.

 

Ci furono brusii di approvazione per la bella notizia.

Apparentemente.

 

“Quindi lunedì andate via?”.

 

Dannato Potter.

 

“Esattamente” sibilò.

 

E si voltò verso suo padre, che, stoicamente, cercava di rimestare nella sua coppa di gelato.

 

Poi si sentì un crac.

 

“Mi hanno detto che dovevo portarlo qui” abbaiò Ron, senza entusiasmo.

 

“Draco”.

 

“Victoria”.

 

Victoria alzò le sopracciglia.

 

“Grazie, Victoria” cantilenò il biondo, ciondolando verso di lei, le mani affondate nelle tasche, in evidente imbarazzo.

 

“Bravo ragazzo” Victoria gli scompigliò i capelli. “Thomas, questo è Draco Malfoy. Per il resto, penso che non abbiate bisogno di presentazioni”.

 

Thomas, sempre dolce, gli sorrise, accennando alla sedia vuota accanto a lui.

 

Altri due crac.

 

Hermione Granger e, un passo indietro, Ginevra Weasley.

 

Victoria prese Draco sottobraccio e lo condusse a tavola.

 

“Possiamo avere un altro piatto, Lily?” chiese, mai così gentile.

 

La donna annuì, muovendo la bacchetta, non importa quanti gesti di diniego facesse il biondo.

 

“Che ne farai di me, adesso?” chiese Draco, rigirando la forchetta nel suo piatto.

 

“Oh, tranquillo, ho tutto sotto controllo”. Severus si voltò a guardarla. “Il vecchio Albus ha una certa predisposizione per le anime dannate, non è vero, papà?”.

 

Severus arricciò il naso, senza rispondere.

 

“Adoro il tuo senso dell’umorismo” ghignò James.

 

Victoria non gli diede soddisfazione.

 

Troppo occupata per sbirciare Ginevra tirare Potter – quello dannato – nel giardino sul retro.

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Capitolo 38
*** Shiny Happy People ***


CAPITOLO TRENTOTTO

Shiny Happy People

Put it in your heart

Where tomorrow shines

Gold and silver shine

(R.E.M.)

 

“Non ho capito”.

 

“Cosa esattamente non hai capito?”.

 

Si divertiva.

Da matti.

 

Dopo anni e anni di prese in giro, finalmente anche lui aveva la sua parte di divertimento.

 

Giustizia divina.

 

“Il senso, credo”.

 

Roteò gli occhi.

 

Lui ridacchiò, senza guardarla.

 

Non avrebbe retto, dopo tutto.

 

“Non vedo quale senso ci sia da capire. Anzi, il punto è proprio per questo: non ha senso!”.

 

“Se non ti calmi ti farai venire un attacco, Torie”.

 

Victoria si fermò a fissarlo, gli occhi ridotti a due fessure.

 

“Sono straordinariamente sorpresa che tu la prenda con così tanta calma. Cos’è, ti è simpatico?” ribattè acida, mani sui fianchi.

 

“Beh, se proprio vuoi saperlo, sì. Siamo in debito con lui: ti ha salvato la vita, in un certo senso”.

 

“E questo gli dà il diritto di ficcarmi due metri di lingua in bocca?” squittì, irritata.

 

Thomas stava per soffocare: se le avesse riso in faccia, non sarebbe sopravvissuto abbastanza per poterlo raccontare.

 

“La stai facendo troppo drammatica”.

 

“Drammatica?”.

 

“In fondo è stato solo un bacio”.

 

“Thomas!” quasi urlò lei, ad un centimetro dal suo naso. “Ma davvero non hai capito quello che ti ho raccontato?”.

 

“Sono minuti che provo a dirtelo”.

 

Thomas si vantava di avere un certo sangue freddo.

Questi erano i casi in cui dimostrava a se stesso di non mentire, quando lo diceva.

 

“Thomas, la tua sorellina è stata baciata da Harry Potter!”.

 

“Parla più forte, papà non ti ha sentito bene”.

 

Victoria spalancò gli occhi, sbattè le palpebre e fece due passi indietro, come se avesse nominato il Demonio in persona.

 

“Che poi quale sorellina... sei grande e grossa, e non ti sei difesa”.

 

Victoria smise di respirare.

 

Thomas, seduto sul letto in camera sua, la porta chiusa a chiave, ma senza alcuna protezione magica – per sbadataggine di sua sorella, lui non aveva idea di cosa gli dovesse raccontare – era sempre stato bravo nella parte del fratello maggiore.

 

O di coscienza personificata.

 

“Avrei dovuto ucciderlo?”.

 

“Non essere drastica, Victoria. Solo, dubito che tu non sappia come allontanare un uomo da te, o devo forse ricordarti la ginocchiata che hai dato ai tesori di famiglia di Jonathan Myers quando eravamo ancora a scuola? E ti aveva appena sfiorato una spalla”.

 

Victoria guardò Thomas malissimo, seppur vagamente cianotica.

 

“Inutile che mi guardi così, sai che ho ragione”.

 

“Ebbene, caro fratellino, tu non hai ragione proprio su niente. Le tue sono solo illazioni belle e buone”.

 

Thomas questa volta ridacchiò spudoratamente.

 

“E poi, quel dannato moccioso ha la ragazza. Io non sono una sfascia famiglie. E poi a me Potter nemmeno interessa!” sbottò alla fine Victoria, camminando lungo la stanza.

 

“Veramente, a quel che so, lei l’ha lasciato il giorno dopo il suo compleanno” borbottò Thomas, giocherellando col cuscino.

 

Victoria si bloccò di colpo, alzandogli contro il sopracciglio dei Piton.

 

“Io faccio illazioni?” chiese il ragazzo, chinandosi verso la sorella.

 

Non si stupì quando il cuscino che aveva in grembo perse a dargli delle sberle.  

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Capitolo 39
*** Are You Happy Now? ***


CAPITOLO TRENTANOVE #1

Are You Happy Now?

Do you really have everything you want?

You can't ever give somethin' you ain't got

You can’t run away from yourself

(M. Branch)

 

“Non ho capito”.

 

“Cosa, esattamente, non hai capito?”.

 

“Il senso, credo”.

 

Con le braccia incrociate, appoggiato ad una betulla nel giardino sul retro, ascoltava senza capire.

 

Conosceva qualcuno che avrebbe potuto dare scontata questa cosa, ma davvero non riusciva a capire.

 

“Non c’è senso in quello che ti sto dicendo, Harry. Beh, ce l’ha, ma non è così difficile da capire. Ti ho chiesto scusa. Mi manchi. Ho passato le ultime due settimane a pensare a te, ad avere paura per te. Mi dispiace, Harry”.

 

Abbozzò un sorriso, imbarazzato, abbassando gli occhi, come una vergine.

 

Era così bella.

 

Sembrava eterea, eterna, perfetta.

 

I capelli rossi le ricadevano morbidi intorno alle spalla scoperta da un maglione leggero di una taglia più grande, ed una ciocca le copriva gli occhi umidi.

 

Gli morì un sorriso.

 

Pensò al futuro.

 

Pensò al passato.

 

Ricordò quando, emozionato, aveva presentato ufficialmente Ginny ai suoi genitori.

 

Non pensava sarebbe mai successo, eppure, sul divano, aveva visto sua madre e suo padre perdersi negli occhi blu di Ginny, mentre le chiedevano di lei, di Harry, della sua famiglia.

 

Lui le aveva stretto forte la mano, non sapendo più per cosa essere più felice.

 

“Assomiglia molto a tua madre, figliolo. Ottima scelta” gli aveva fatto l’occhiolino James, e Harry si era sentito fiero.

 

Orgoglioso.

 

Aveva fatto la scelta giusta.

 

Lei era la sua scelta.

 

Perché lui, Harry, aveva scelto lei, lei fra mille, lei fra chiunque altra avrebbe potuto avere.

 

Lei, Ginny Weasley, la sorella del suo migliore amico, la ragazza che aveva sempre avuto vicino, ma che non aveva visto se non dopo sei anni, e l’aveva avuta dopo quasi otto.

 

Tante cose erano successe.

 

Troppe cose, per un uomo solo.

 

La vita, la morte, tutto per Harry aveva un senso diverso, lui stesso era diverso in rapporto a queste esperienze di vita.

 

La vita per lui era davvero un dono.

 

La morte, un’ultima sentenza.

 

Harry non aveva mai conosciuto le sfumature del grigio.

 

Bianca era la luce che l’aveva accompagnato fino a Voldemort, nera la scia che aveva seguito per arrivarci.

 

Pensò a Piton, a Thomas, a Victoria.

 

A quel bacio.

 

Non si sentiva dispiaciuto di averlo fatto, ma probabilmente non l’avrebbe rifatto una seconda volta.

 

Il destino di uomo è scritto tra le stelle.

 

Guardò Ginny, che si tormentava le mani nervosamente, in attesa della sua sentenza.

 

Silente gliel’aveva detto tante volte: l’amore era l’arma segreta di Harry.

 

Le sorrise a sua volta.

 

Si staccò dalla betulla.

 

Spalancò le braccia.

 

E Ginny tornò a casa.

---------------------------------------------------------- Ed a questo punto, mie care, la FF si sdoppia. Il prossimo sarà un altro capitolo Trentanove, con un finale diverso. Insomma, benvenuti nella versione Sliding Doors di "Harry Potter e il Segreto dei Prince". Grazie a Ernil, Chiara Malfoy Potter, Alida, JDS e tutti coloro che leggono e recensiscono (se mi sono dimenticata qualcuno perdono!), o soltanto a coloro che leggono e passano dieci minuti della loro vita a sorridere con me.

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Capitolo 40
*** Are You Happy Now? #2 ***


CAPITOLO TRENTANOVE #2

Are You Happy Now?

You took all there was to take,

And left me with an empty plate

And you don’t care about it, yeah.

And I am givin' up this game

I’m leaving you with all the blame cause I don’t care

(M. Branch)

 

“Non ho capito”.

 

“Cosa, esattamente, non hai capito?”.

 

“Il senso, credo”.

 

Con le braccia incrociate, appoggiato ad una betulla nel giardino sul retro, ascoltava senza capire.

 

Conosceva qualcuno che avrebbe potuto dare scontata questa cosa, ma davvero non riusciva a capire.

 

“Non c’è senso in quello che ti sto dicendo, Harry. Beh, ce l’ha, ma non è così difficile da capire. Ti ho chiesto scusa. Mi manchi. Ho passato le ultime due settimane a pensare a te, ad avere paura per te. Mi dispiace, Harry”.

 

Abbozzò un sorriso, imbarazzato, abbassando gli occhi, come una vergine.

 

Era così bella.

 

Sembrava eterea, eterna, perfetta.

 

I capelli rossi le ricadevano morbidi intorno alle spalla scoperta da un maglione leggero di una taglia più grande, ed una ciocca le copriva gli occhi umidi.

 

Gli morì un sorriso.

 

Pensò al futuro.

 

Pensò al passato.

 

Ricordò quando, emozionato, aveva presentato ufficialmente Ginny ai suoi genitori.

 

Non pensava sarebbe mai successo, eppure, sul divano, aveva visto sua madre e suo padre perdersi negli occhi blu di Ginny, mentre le chiedevano di lei, di Harry, della sua famiglia.

 

Lui le aveva stretto forte la mano, non sapendo più per cosa essere più felice.

 

“Assomiglia molto a tua madre, figliolo. Ottima scelta” gli aveva fatto l’occhiolino James, e Harry si era sentito fiero.

 

Orgoglioso.

 

Aveva fatto la scelta giusta.

 

Aveva fatto la scelta giusta?

 

Tra tutte, tra tutte coloro che Harry avrebbe potuto avere, lui aveva scelto Ginny, la sorella di Ron.

 

Forza e speranza, questo era stato per lei, nel suo momento più buio.

 

E poi?

 

Cos’era successo, dopo?

 

Quando ormai il mazzo era stato mischiato e messo da parte, quando gli incubi di Harry, ed i suoi sogni, si erano avverati, cosa era rimasto di Harry e Ginny?

 

Piton soleva ripetergli quanto fosse la copia di suo padre, quanto tendesse, nelle sue avventate scelte, ad assomigliare a lui.

 

Era vero.

 

Nelle piccole e grandi cose della vita, Harry metteva davanti cuore e coraggio, perché era un Grifondoro.

Perché non avrebbe potuto fare altrimenti.

 

Ma Harry era ancora un ragazzino ossessionato dalla mancanza della madre?

 

No.

 

Ginny era forte, determinata, rossa.

Ginny era la proiezione dei sogni di Harry, quelli infantili, quelli in cui sua madre era l’assoluta protagonista.

 

Adesso, a Harry bastava solo allungare la mano, e sua madre era lì con lui.

Ed era forte, determinata, rossa ed un sacco di altre cose.

 

Le piacevano le persone.

Amava suo marito e suo figlio più di qualsiasi altra cosa.

Lei e lei sola poteva considerare Piton un amico fidato.

Sorrideva spesso, e si lasciava cullare da James quando le prendeva la malinconia.

 

Harry sorrise a Ginny.

 

“Mi dispiace, Ginny”.

 

E tornò dentro.

Tornò a casa.

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Capitolo 41
*** Shimmer #1 ***


CAPITOLO QUARANTA #1

Shimmer

We're born to shimmer, we're born to shine

We're born to radiate

We're born to live, we're born to love

We're born to never hate

(S. Mullins)

 

“Finalmente! Pensavo vi foste persi!”.

 

Thomas sorrise, porgendole un mazzo di rosa tea.

 

“Anche se non è ufficialmente la padrona di casa, signora Potter, ho sentito di doverla omaggiare per essersi presa cura di mio figlio e di mia sorella per un intero mese. Immagino sia stata difficile”.

 

Lily si allargò in un sorriso luminoso, prendendo i fiori e guardando Severus in tralice.

 

“Ti ringrazio, Thomas, ma non dovevi, è stato un piacere per me” guardò ancora i fiori, rigirandoseli fra le mani. “E puoi chiamarmi Lily” gli fece un occhiolino, scortandoli in casa.

 

Thomas resse senza problemi uno sguardo abbastanza truce di suo padre e scodinzolò allegramente dietro Lily.

 

Severus superò entrambi, facendo atterrare da un mobile alto un vaso per i fiori. Thomas ridacchiò e si andò a sedere accanto a Sirius, intento a farsi battere a scacchi da James.

 

“Dov’è Edward?” chiese ancora Lily, sistemando i fiori.

 

“Abbiamo incontrato Lupin e Teddy per strada, e non ha voluto sentire storie, così oggi pranza a casa loro” spiegò Severus.

 

“Davvero un peccato che dovete andare via, Thomas...” lasciò cadere Lily, guardando di sbieco Severus.

 

“Hanno richiamato dai rispettivi lavori sia me che Torie, dobbiamo andare. E poi Edward tra un paio di settimane inizia la scuola” disse orgoglioso. “Io avrei mosso il cavallo in B-7” aggiunse sottovoce a Sirius, guardando distrattamente la scacchiera.

 

 D’un tratto si aprì la porta.

 

“Mamma, è rimasto del succo di zucca, per caso?”.

 

“Sì, tesoro, puoi prenderlo da te?”.

 

Harry, saltellando, aprì il frigorifero e ne trasse una bottiglia in vetro smerigliato, e richiamò un paio di bicchieri.

 

“Harry, Ginny si ferma a pranzo?”.

 

Thomas fece scoccare il collo verso l’alto.

 

“Penso di sì, mamma”.

 

Gli occhi di Thomas si chiusero in due fessure piccole e cattive.

 

“Tutto bene, Thomas?” chiese Sirius.

 

“Sì....”.

 

Dannato Potter.

 

 

“Ridicolo”.

 

Non rispose, continuando a salire la scala.


“Tu lo capisci che è ridicolo, vero?”.

 

Ancora in silenzio.

 

“Victoria...”.

 

“Sì, Draco, è ridicolo, orripilante, e irrispettoso. I tuoi antenati si rivolterebbero nella tomba e tuo padre, se fosse vivo, ti ucciderebbe. Ma adesso, mio caro, non hai altra scelta, quindi smettila di infastidirmi e abbi la compiacenza di fingere di essere grato”.

 

Voltando leggermente la testa, Victoria si assicurò che Draco non facesse altre repliche.

 

Draco, dal canto suo, sospirò amaramente, chinando il capo.

 

Victoria vide aprirsi le porte della Presidenza senza neanche bussare.

 

“Cari ragazzi!” vennero salutati.

 

“Devi assolutamente cambiare repertorio di battute, Albus”.

 

Silente le sorrise, e li fece accomodare.

 

“Ho letto la tua lettere, Victoria”.

 

“Sono contenta che tu sia arrivato subito al dunque” annuì Victoria, accavallando le gambe. “Smettila di fissarmi, Draco” sibilò poi.

 

Draco distolse lo sguardo, sottilmente imbarazzato.

 

“Ebbene, Draco, la richiesta che mi ha sottoposto Victoria non è del tutto escludibile, almeno per quanto mi riguarda”.

 

“E quale sarebbe questa proposta, signore?”.

 

Silente guardò Victoria da sopra i suoi occhiali famosi.

 

“Non hai un posto dove andare, Draco, e so per certo che i tuoi risparmi stanno finendo” spiegò Victoria. “Ergo, le soluzioni sono tre: o vai a stare dai Lupin, o vai a lavorare presso i Tiri Vispi Weasley oppure ti metti a fare l’insegnante a Hogwarts”.

 

Draco boccheggiò, tenendosi per i braccioli della poltrona, come se qualcosa, sotto il suo regale fondoschiena, stesse bruciando.

 

“Avevi detto...”.

 

“Avevo detto che Silente avrebbe saputo cosa fare. Ed infatti è così, dato che la storia dell’insegnamento è stata, per gran parte, una sua idea”.

 

“C’è un piccolo problema” Silente catalizzò di nuovo l’attenzione su di sé. “Io non sarò di nuovo Preside di Hogwarts”.

 

Victoria spalancò gli occhi.

 

“Ho deciso di prendermi una vacanza. Credo, in tutta onestà, che le mie vecchie ossa abbiano bisogno di riposarsi”.

 

Si levarono dei mormorii di assenzio dai quadri alle sue spalle.

Nessuno dei due ragazzi ebbe da obbiettare.

 

“Quindi adesso è tutto nelle mani di Minerva. So che cercava un sostituto per Trasfigurazione, e so che Draco andava molto bene nella materia della Professoressa McGranitt e mia, ai miei tempi”.

 

Silente si soffermò a guardare Draco.

 

“Tornerà questo pomeriggio. Te la senti di aspettare per un colloquio?”.

 

“Oggi?”.

 

“Oggi stesso”.

 

Draco boccheggiò ancora, guardando prima Victoria, poi di nuovo Silente.

 

Sospirando, Victoria si alzò in piedi.

 

“Cosa ci sarà per pranzo, Albus? Sto letteralmente morendo di fame”.

 

Albus le sorrise e, guardandolo intensamente, fece l’occhiolino a Draco.

 

 

Scivolò lentamente nello studio del secondo piano, quello con solo una finestra, quello dove ci aveva trovato un paio di volte suo padre, da solo, al buio, quando Victoria era stata male.

 

“Grazie per avermi concesso un minuto del tuo tempo, Harry”.

 

Il ragazzo gli sorrise.

 

“Dimmi tutto” lo incoraggiò.

 

“Ebbene, per prima cosa, sento che devo ringraziarti. Il nostro soggiorno sta per finire, e da fratello, devo assolutamente ringraziarti per quello che hai fatto per mia sorella, te ne sarò eternamente grato”.

 

Harry Potter gli sorrise, genuinamente imbarazzato.

 

“Non dirlo. L’ho fatto perché sentivo di farlo, per tutto quello che, comunque, ha fatto tuo padre nei miei confronti durante i miei anni di scuola. Adesso posso dire che non sarei qui in questo momento se non fosse stato per lui”.

 

Thomas gli sorrise a sua volta, consapevole.

 

“Sai, ho avuto modo di conoscere i gemelli Weasley, questa mattina. Simpatici ragazzi. È sempre confortante per un gemello conoscere altri gemelli, è come se fossimo una specie a parte, non so se riesco a spiegarmi”.

 

Harry annuì, senza convinzioni.

 

“Fred e George sono l’estensione l’uno dell’altro, come me e Victoria, ma in maniera molto diversa. Loro sono praticamente identici, mentre mia sorella ed io siamo molto diversi, e non solo per caratteristiche puramente fisiche. Lei è quella forte, quella stronza, quella carina. Io sono l’ingenuo, il buono, quello bruttino”. Thomas sorrise, pensando ai suoi di anni di scuola. “Eppure, come tutti i gemelli, Victoria ed io, così come Fred e George, non esisteremmo l’uno senza l’altra”.

 

Harry annuì di nuovo, questa volta capendo ciò che Thomas voleva dirgli: ancora ricordava il periodo buio di George, quello in cui non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio.

 

“Potrà sembrarti stupido, ma la sera in cui mi arrivò la comunicazione di Silente che mi informava su quello che stava succedendo a Victoria, io avevo già chiesto qualche giorno di permesso per venire qui a Londra. Non è empatia, tutto ciò?”.

 

Thomas fece un paio di passi verso Harry, appoggiato al caminetto spento e polveroso.

 

“Non capisco dove vuoi arrivare”.

 

“Sei figlio unico, Potter, non potrai mai capire”. Si avvicinò ancora, quasi bisbigliando. “Pensi davvero che Victoria non mi abbia detto niente? Pensi davvero che quello che è successo quella notte, sulla Torre, sia rimasto tra te e lei? Pensi che quello che è successo ieri sera, tra te e mia sorella, io non  lo sappia?”.

 

Fu con una certa soddisfazione che Thomas vide una sola, sottile goccia di sudore colare dalla tempia di Potter.

 

“Io ti avevo avvertito, Potter. Ti avrei difeso, se ce ne fosse mai stato bisogno. Ma avrei anche potuto renderti la vita impossibile. La scelta spettava solo a te”.

 

E senza aspettare, senza attendere una risposta od un diniego, od una qualsivoglia spiegazione, Thomas lo colpì in pieno viso, facendogli saltare via gli occhiali.

 

Harry barcollò all’indietro, sentendo del sangue colargli dal naso.

 

Si fissarono con cattiveria, ma Harry non si mosse per contrattaccare.

 

“Non ho mai picchiato nessuno. Tu sei stato il mio primo. Dà una certa soddisfazione, in verità”.

 

Si allontanò da lui, scuotendo la mano che aveva colpito Harry Potter.

 

“Ricordati che sono pur sempre un Piton, Potter”.

 

Non ci fu bisogno di voltarsi per sentire la rabbia evaporare da ogni poro del piccolo Potter.

 

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Capitolo 42
*** Shimmer #2 ***


CAPITOLO QUARANTA #2

Shimmer

This world to him is new

To touch a face

To kiss a smile

New eyes see no race

The essence of a child

(S. Mullins)

 

 

“Finalmente! Pensavo vi foste persi!”.

 

Thomas sorrise, porgendole un mazzo di rosa tea.

 

“Anche se non è ufficialmente la padrona di casa, signora Potter, ho sentito di doverla omaggiare per essersi presa cura di mio figlio e di mia sorella per un intero mese. Immagino sia stata difficile”.

 

Lily si allargò in un sorriso luminoso, prendendo i fiori e guardando Severus in tralice.

 

“Ti ringrazio, Thomas, ma non dovevi, è stato un piacere per me” guardò ancora i fiori, rigirandoseli fra le mani. “E puoi chiamarmi Lily” gli fece un occhiolino, scortandoli in casa.

 

Thomas resse senza problemi uno sguardo abbastanza truce di suo padre e scodinzolò allegramente dietro Lily.

 

Severus superò entrambi, facendo atterrare da un mobile alto un vaso per i fiori. Thomas ridacchiò e si andò a sedere accanto a Sirius, intento a farsi battere a scacchi da James.

 

“Dov’è Edward?” chiese ancora Lily, sistemando i fiori.

 

“Abbiamo incontrato Lupin e Teddy per strada, e non ha voluto sentire storie, così oggi pranza a casa loro” spiegò Severus.

 

“Davvero un peccato che dovete andare via, Thomas...” lasciò cadere Lily, guardando di sbieco Severus.

 

“Hanno richiamato dai rispettivi lavori sia me che Torie, dobbiamo andare. E poi Edward tra un paio di settimane inizia la scuola” disse orgoglioso. “Io avrei mosso il cavallo in B-7” aggiunse sottovoce a Sirius, guardando distrattamente la scacchiera.

 

 D’un tratto si aprì la porta.

 

“Mamma, è rimasto del succo di zucca, per caso?”.

 

“Sì, tesoro, puoi prenderlo da te?”.

 

Harry aprì il frigo, ci guardò dentro per qualche secondo, poi lo richiuse, come se avesse dimenticato cosa ci stesse cercando.

 

“Tutto bene?” chiese James, alzando lo sguardo verso suo figlio.

 

“Sì...” scrollò le spalle Harry, lasciando di nuovo la cucina.

 

“Che gli prende?” chiese Sirius, a nessuno in particolare.

 

James guardò Lily, che si strinse nelle spalle.

 

“Probabilmente è solo stanco” cercò di abbozzare la donna, guardando la porta chiusa.

 

Thomas nascose un sorrisetto, grattandosi la punta del naso.

 

Poi, fu solo un istinto.

 

Mosse il cavallo di Sirius.

 

“Scacco matto” disse calmo, ghignando verso James.

 

 

“Ridicolo”.

 

Non rispose, continuando a salire la scala.


“Tu lo capisci che è ridicolo, vero?”.

 

Ancora in silenzio.

 

“Victoria...”.

 

“Sì, Draco, è ridicolo, orripilante, e irrispettoso. I tuoi antenati si rivolterebbero nella tomba e tuo padre, se fosse vivo, ti ucciderebbe. Ma adesso, mio caro, non hai altra scelta, quindi smettila di infastidirmi e abbi la compiacenza di fingere di essere grato”.

 

Voltando leggermente la testa, Victoria si assicurò che Draco non facesse altre repliche.

 

Draco, dal canto suo, sospirò amaramente, chinando il capo.

 

Victoria vide aprirsi le porte della Presidenza senza neanche bussare.

 

“Cari ragazzi!” vennero salutati.

 

“Devi assolutamente cambiare repertorio di battute, Albus”.

 

Silente le sorrise, e li fece accomodare.

 

“Ho letto la tua lettera, Victoria”.

 

“Sono contenta che tu sia arrivato subito al dunque” annuì Victoria, accavallando le gambe. “Smettila di fissarmi, Draco” sibilò poi.

 

Draco distolse lo sguardo, sottilmente imbarazzato.

 

“Ebbene, Draco, la richiesta che mi ha sottoposto Victoria non è del tutto escludibile, almeno per quanto mi riguarda”.

 

“E quale sarebbe questa proposta, signore?”.

 

Silente guardò Victoria da sopra i suoi occhiali famosi.

 

“Non hai un posto dove andare, Draco, e so per certo che i tuoi risparmi stanno finendo” spiegò Victoria. “Ergo, le soluzioni sono tre: o vai a stare dai Lupin, o vai a lavorare presso i Tiri Vispi Weasley oppure ti metti a fare l’insegnante a Hogwarts”.

 

Draco boccheggiò, tenendosi per i braccioli della poltrona, come se qualcosa, sotto il suo regale fondoschiena, stesse bruciando.

 

“Avevi detto...”.

 

“Avevo detto che Silente avrebbe saputo cosa fare. Ed infatti è così, dato che la storia dell’insegnamento è stata, per gran parte, una sua idea”.

 

“C’è un piccolo problema” Silente catalizzò di nuovo l’attenzione su di sé. “Io non sarò di nuovo Preside di Hogwarts”.

 

Victoria spalancò gli occhi.

 

“Ho deciso di prendermi una vacanza. Credo, in tutta onestà, che le mie vecchie ossa abbiano bisogno di riposarsi”.

 

Si levarono dei mormorii di assenzio dai quadri alle sue spalle.

Nessuno dei due ragazzi ebbe da obbiettare.

 

“Quindi adesso è tutto nelle mani di Minerva. So che cercava un sostituto per Trasfigurazione, e so che Draco andava molto bene nella materia della Professoressa McGranitt e mia, ai miei tempi”.

 

Silente si soffermò a guardare Draco.

 

“Tornerà questo pomeriggio. Te la senti di aspettare per un colloquio?”.

 

“Oggi?”.

 

“Oggi stesso”.

 

Draco boccheggiò ancora, guardando prima Victoria, poi di nuovo Silente.

 

Sospirando, Victoria si alzò in piedi.

 

“Bene, buona fortuna Draco”.

 

“Ehi, ehi!” Draco si alzò a sua volta, prendendola per una manica.

 

Victoria rabbrividì, ricordando una cera cosa.

 

“Cosa c’è, Draco?”.

 

“Non resti?”.

 

Victoria sospirò.

 

Le sue intenzioni erano quelle di andare a far ingoiare a Potter un po’ di veleno di amarantula, giusto per lasciare un significativo ricordo di lei a Grimmauld Place, non certo  di assistere ad un colloquio di lavoro.

 

Guardò Silente, e si morse un labbro.

 

“E va bene. Cosa ci sarà per pranzo, Albus? Sto letteralmente morendo di fame”.

 

Albus le sorrise e, guardandolo intensamente, fece l’occhiolino a Draco.

 

 

 

Scivolò lentamente nello studio del secondo piano, quello con solo una finestra, quello dove ci aveva trovato un paio di volte suo padre, da solo, al buio, quando Victoria era stata male.

 

“Grazie per avermi concesso un minuto del tuo tempo, Harry”.

 

Il ragazzo gli sorrise.

 

“Dimmi tutto” lo incoraggiò.

 

“Ebbene, per prima cosa, sento che devo ringraziarti. Il nostro soggiorno sta per finire, e da fratello, devo assolutamente ringraziarti per quello che hai fatto per mia sorella, te ne sarò eternamente grato”.

 

Harry Potter gli sorrise, genuinamente imbarazzato.

 

“Non dirlo. L’ho fatto perché sentivo di farlo, per tutto quello che, comunque, ha fatto tuo padre nei miei confronti durante i miei anni di scuola. Adesso posso dire che non sarei qui in questo momento se non fosse stato per lui”.

 

Thomas gli sorrise a sua volta, consapevole.

 

“Sai, ho avuto modo di conoscere i gemelli Weasley, questa mattina. Simpatici ragazzi. È sempre confortante per un gemello conoscere altri gemelli, è come se fossimo una specie a parte, non so se riesco a spiegarmi”.

 

Harry annuì, senza convinzioni.

 

“Fred e George sono l’estensione l’uno dell’altro, come me e Victoria, ma in maniera molto diversa. Loro sono praticamente identici, mentre mia sorella ed io siamo molto diversi, e non solo per caratteristiche puramente fisiche. Lei è quella forte, quella stronza, quella carina. Io sono l’ingenuo, il buono, quello bruttino”. Thomas sorrise, pensando ai suoi di anni di scuola. “Eppure, come tutti i gemelli, Victoria ed io, così come Fred e George, non esisteremmo l’uno senza l’altra”.

 

Harry annuì di nuovo, questa volta capendo ciò che Thomas voleva dirgli: ancora ricordava il periodo buio di George, quello in cui non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio.

 

“Potrà sembrarti stupido, ma la sera in cui mi arrivò la comunicazione di Silente che mi informava su quello che stava succedendo a Victoria, io avevo già chiesto qualche giorno di permesso per venire qui a Londra. Non è empatia, tutto ciò?”.

 

Thomas fece un paio di passi verso Harry, appoggiato al caminetto spento e polveroso.

 

“Non capisco dove vuoi arrivare”.

 

“Sei figlio unico, Potter, non potrai mai capire”. Si avvicinò ancora, quasi bisbigliando. “Pensi davvero che Victoria non mi abbia detto niente? Pensi davvero che quello che è successo quella notte, sulla Torre, sia rimasto tra te e lei? Pensi che quello che è successo ieri sera, tra te e mia sorella, io non  lo sappia?”.

 

Fu con una certa soddisfazione che Thomas vide una sola, sottile goccia di sudore colare dalla tempia di Potter.

 

“Non ho mai picchiato nessuno nella mia vita, Harry Potter, e non ho intenzione di iniziare con te. Quindi, cerca di trovare una soluzione per ciò che hai fatto, e sappi che Victoria non avrà pietà di te, se proverai anche solo a pensare di farle del male”.

 

“No – non è mia... intenzione”.

 

Fu il turno di Thomas di annuire.

 

“Lo spero per te. E sappi che il ritorno all’ovile della piccola Weasley non mi è affatto piaciuto”.

 

“Non è stato un ritorno. È stato un addio” si affrettò a spiegare Harry.

 

“Non sono affari miei” Thomas fece due passi indietro, portando le mani dietro la schiena. “Bene, credo che il pranzo sia pronto”.

 

Fece per uscire.

 

“Non aspettiamo Victoria?”.

 

Senza guardarlo, Thomas sorrise.

 

“No. Resterà a Hogwarts con Draco Malfoy”.

 

Non ci fu bisogno di voltarsi per sentire la rabbia evaporare da ogni poro del piccolo Potter.

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Capitolo 43
*** The Blower's Daughter #1 ***


CAPITOLO QUARANTUNO #1

The Blower’s Daughter

The shorter story

No love, no glory

No hero in her sky

(D. Rice)

 

 

“Ciao”.

 

Stava scuotendo i capelli, sorpresa da un temporale di fine estate tornando da Hogwarts.

 

“Ma voi non uscite mai di casa?”.

 

“Non di sabato” rispose laconico, appoggiandosi contro lo stipite della porta.

 

Victoria si sfilò l’impermeabile e lo appese, sentendo gli occhi di Sirius perforarle la schiena.

 

“Mi pare di aver più volte ribadito la mia avversione verso gli occhi puntati contro di me” mormorò, infastidita.

 

L’occhio le cadde su una borsa di stoffa rosa pallido appoggiata all’ingresso.

 

Storse la bocca, irritata.

 

Dannato Potter.

 

“Ciò che è bello va ammirato”.

 

Non era dell’umore giusto per giocare con Sirius.

 

“Dovresti darti per vinto, ogni tanto”.

 

Possibile che non capiva?

 

Possibile che avesse davvero creduto nella sua pantomima di qualche settimana prima?

 

Victoria non era la ragazza con lo stuolo di ammiratori al seguito, non lo era e non avrebbe voluto esserlo, del resto.

 

Si era lasciata convincere a fare quel famoso giretto in moto perché voleva far saltare la mosca al naso di suo padre, e ci era riuscita.

 

Ma se non aveva voluto far succedere niente quel pomeriggio, Sirius non avrebbe avuto chance a ventiquattro ore dalla sua partenza.

 

 Sirius le si parò innanzi, con un sorriso sornione stampato sul volto.

 

“No, Sirius” disse solo Victoria, senza guardarlo.

 

“Mi dispiace che vai via” sussurrò, torcendo una ciocca di capelli di lei intorno al proprio dito.

 

“No, Sirius” ripeté, duramente.

 

“Pensavo di piacerti”.

 

Victoria gli regalò il suo sorriso più ironico.

 

“Fatti una vita, Black” soffiò, scansandolo di malo modo.

 

Sirius tentò ancora una volta di bloccarle la strada.

 

Victoria si chiese cosa ne avrebbe pensato sul fatto che il figlioccio l’avesse baciata non più di ventiquattro ore prima.

E che qualche settimana prima le aveva addirittura detto che l’amava.

 

Scosse la testa, arrabbiata con se stessa.

 

Era stato per salvarla.

 

E l’aveva baciata perché era Harry Potter, e pensava di poter ottenere tutto.

 

Eppure, l’amaro in bocca c’era.

 

Si sentiva come se avesse perso ad un gioco a cui non sapeva neppure di star partecipando.

 

Avrebbe dovuto rifilargli un calcio nell’inguine.

 

“Victoria”.

 

Sirius si ritrovò Thomas a due centimetri dal naso.

 

“Non è giornata, Sirius” gli disse solo, tirando via sua sorella. “Smettila di metterti nei guai” le bisbigliò poi.

 

“Io non volevo nemmeno venirci” sibilò lei, indignata. “E di quali guai parli?”.

 

Thomas continuò a tirarla in giro per la casa, in silenzio.

 

“Abbiamo una sorpresa per te” cantilenò Thomas con fare fintamente misterioso ad un certo punto, svoltando in un corridoio del terzo piano.

 

Victoria inarcò un sopracciglio. Quell’abbiamo non faceva presagire nulla di buono.

 

E quando dietro una porta vide suo padre, la sensazione si acuì.

 

“Va bene, cosa succede?” sbottò, quando Thomas la costrinse a sedersi sul divano. “Ehi, dov’è Edward?”.


“Dai Lupin. Adesso zitta”.

 

In silenzio, suo padre andò a sedersi accanto a lei, che adesso era tra lui e Thomas.

 

“Mi sento circondata” mugugnò, appoggiandosi mollemente al divano.

 

“Nella mia vita ho fatto cose e visto cose di cui mi pento, ma che non starò qui a giustificare” iniziò Severus, serio. “Errori e commissioni che ormai appartengono ad un passato che non vale nemmeno la pena di ricordare in questo momento. Tentare di riparare adducendo scusanti sarebbe vile e di cattivo gusto. Gli anni hanno sbiadito ciò che è accaduto più di vent’anni fa, ed io non ho la forza né la voglia di correggere le varie leggende che vi si saranno create intorno. Non sarò mai l’eroe, e non voglio esserlo. Non mi piacerebbe essere ricordato per quel che ho fatto o per quello che avrei potuto fare. Solo una cosa, oggi, mi importa che sia chiara al mondo”.

 

Fece comparire davanti a loro una serie di pergamene pulite che profumavano di nuovo, due piume ed un calamaio.

 

“Stamani, con tuo fratello, siamo andati al Ministero della Magia. Questi che vedi sono dei documenti di nascita e di appartenenza al Mondo Magico”.

 

Victoria allungò una mano e prese le pergamene, sfogliandole velocemente.

 

“Thomas non ha voluto firmare niente senza il tuo consenso. Ho reputato fosse giusto”.

 

Victoria guardò per un secondo il fratello, che le sorrideva.

 

Il sorriso di quando le annunciò che sarebbe diventato padre.

 

 “Come dicevo poc’anzi, di una sola cosa mi importa che il mondo sappia. L’unica cosa di cui posso vantarmi, l’unica per cui non debba dare spiegazioni. L’unica cosa che, se vorrete, potrò dire che mi appartenga. I miei figli, la mia famiglia”.

 

Victoria trasalì.

 

Thomas le strinse preventivamente la mano, e lei potè giurare che avesse gli occhi umidi.

 

“Sono le varie scartoffie per il cambio di cognome” spiegò Thomas con voce tremante.

 

“Sono compiaciuto del fatto che portiate avanti il cognome di mia madre, senza dubbio più altolocato del mio, tuttavia...”.

 

Victoria non gli diede il tempo di finire la frase.

 

Si avvicinò al calamaio, vi intinse la bacchetta ed iniziò a leggere i fogli attentamente.

 

“Okay, dove devo firmare?”.

 

Non c’era niente da aggiungere.

Thomas ci aveva sempre tenuto.

Ed anche lei, anche se era un sentimento che aveva tenuto represso dentro di sé per tanti anni.

 

Mise un numero imprecisato di firme e passò le pergamene a Thomas.

 

Si mise a fissare suo padre, socchiudendo gli occhi.

 

“Sì?” fece questi, celando una certa gioia.

 

“Hai idea di quanti compleanni, Natali e via discorrendo devi recuperare?”.

 

Severus abbozzò un sorriso.

 

Victoria gli scivolò lentamente tra le braccia.

 

“Grazie”.

 

Victoria dovette mordersi il labbro inferiore, perché piangere sarebbe stato tremendamente infantile da parte sua.

 

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Capitolo 44
*** The Blower's Daughter #2 ***


CAPITOLO QUARANTUNO #2

The Blower’s Daughter

Did I say that I loathe you?

Did I say that I want to

Leave it all behind?

(D. Rice)

 

 

 “Ciao”.

 

Stava scuotendo i capelli, sorpresa da un temporale di fine estate tornando da Hogwarts.

 

“Ma voi non uscite mai di casa?”.

 

“Non di sabato” rispose laconico, appoggiandosi contro lo stipite della porta.

 

Victoria si sfilò l’impermeabile e lo appese, sentendo gli occhi di Sirius perforarle la schiena.

 

“Mi pare di aver più volte ribadito la mia avversione verso gli occhi puntati contro di me” mormorò, infastidita.

“Ciò che è bello va ammirato”.

 

Non era dell’umore giusto per giocare con Sirius.

 

“Dovresti darti per vinto, ogni tanto”.

 

Possibile che non capiva?

 

Possibile che avesse davvero creduto nella sua pantomima di qualche settimana prima?

 

Victoria non era la ragazza con lo stuolo di ammiratori al seguito, non lo era e non avrebbe voluto esserlo, del resto.

 

Si era lasciata convincere a fare quel famoso giretto in moto perché voleva far saltare la mosca al naso di suo padre, e ci era riuscita.

 

Ma se non aveva voluto far succedere niente quel pomeriggio, Sirius non avrebbe avuto chance a ventiquattro ore dalla sua partenza.

 

 Sirius le si parò innanzi, con un sorriso sornione stampato sul volto.

 

“No, Sirius” disse solo Victoria, senza guardarlo.

 

“Mi dispiace che vai via” sussurrò, torcendo una ciocca di capelli di lei intorno al proprio dito.

 

“No, Sirius” ripeté, duramente.

 

“Pensavo di piacerti”.

 

Victoria gli regalò il suo sorriso più ironico.

 

“Fatti una vita, Black” soffiò, scansandolo di malo modo.

 

Sirius tentò ancora una volta di bloccarle la strada.

 

Victoria si chiese cosa ne avrebbe pensato sul fatto che il figlioccio l’avesse baciata non più di ventiquattro ore prima.

E che qualche settimana prima le aveva addirittura detto che l’amava.

 

Scosse la testa, arrabbiata con se stessa.

 

Era stato per salvarla.

 

E l’aveva baciata perché era Harry Potter, e pensava di poter ottenere tutto.

 

Doveva essere così.

 

Non importava il fatto che non fossero tornati insieme.

 

“Victoria”.

 

Sirius si ritrovò Harry a due centimetri dal naso.

 

“Victoria, so che Thomas ti sta cercando. Mi ha chiesto di venirti a cercare”.

 

Sirius aggrottò le sopracciglia.

 

“Stavamo parlando, Harry” sottolineò, piuttosto inacidito.


“Ma mio fratello mi cerca, quindi mi dispiace, Sirius, ma il fato vuole che questa conversazione muoia” e fu per istinto e allungò un braccio oltre le spalle di Sirius, afferrando la mano tesa di Harry.

 

Si lasciò condurre abbastanza docilmente fino al terzo piano, senza parlare.

 

“Devo ringraziarti ancora, Potter?” chiese ad un certo punto.

 

Lui si voltò per risponderle, quando Thomas si materializzò sul pianerottolo davanti a loro.

 

“Vedo che l’hai trovata prima tu” disse questi, compiaciuto.

 

Victoria, come se avesse preso la scossa, lasciò andare la mano di Harry.

 

“Che succede?” fece Victoria, ponendosi tra suo fratello e Harry, che stava diventando di una poco simpatica sfumatura bordeaux.

 

Thomas lanciò ad entrambi un’occhiata divertita, prima di spingere Victoria lungo il corridoio.

 

“Abbiamo una sorpresa per te” cantilenò Thomas con fare fintamente misterioso ad un certo punto, svoltando in un corridoio del terzo piano.

 

Victoria inarcò un sopracciglio. Quell’abbiamo non faceva presagire nulla di buono.

 

E quando dietro una porta vide suo padre, la sensazione si acuì.

 

“Va bene, cosa succede?” sbottò, quando Thomas la costrinse a sedersi sul divano. “Ehi, dov’è Edward?”.


“Dai Lupin. Adesso zitta”.

 

In silenzio, suo padre andò a sedersi accanto a lei, che adesso era tra lui e Thomas.

 

“Mi sento circondata” mugugnò, appoggiandosi mollemente al divano.

 

“Nella mia vita ho fatto cose e visto cose di cui mi pento, ma che non starò qui a giustificare” iniziò Severus, serio. “Errori e commissioni che ormai appartengono ad un passato che non vale nemmeno la pena di ricordare in questo momento. Tentare di riparare adducendo scusanti sarebbe vile e di cattivo gusto. Gli anni hanno sbiadito ciò che è accaduto più di vent’anni fa, ed io non ho la forza né la voglia di correggere le varie leggende che vi si saranno create intorno. Non sarò mai l’eroe, e non voglio esserlo. Non mi piacerebbe essere ricordato per quel che ho fatto o per quello che avrei potuto fare. Solo una cosa, oggi, mi importa che sia chiara al mondo”.

 

Fece comparire davanti a loro una serie di pergamene pulite che profumavano di nuovo, due piume ed un calamaio.

 

“Stamani, con tuo fratello, siamo andati al Ministero della Magia. Questi che vedi sono dei documenti di nascita e di appartenenza al Mondo Magico”.

 

Victoria allungò una mano e prese le pergamene, sfogliandole velocemente.

 

“Thomas non ha voluto firmare niente senza il tuo consenso. Ho reputato fosse giusto”.

 

Victoria guardò per un secondo il fratello, che le sorrideva.

 

Il sorriso di quando le annunciò che sarebbe diventato padre.

 

 “Come dicevo poc’anzi, di una sola cosa mi importa che il mondo sappia. L’unica cosa di cui posso vantarmi, l’unica per cui non debba dare spiegazioni. L’unica cosa che, se vorrete, potrò dire che mi appartenga. I miei figli, la mia famiglia”.

 

Victoria trasalì.

 

Thomas le strinse preventivamente la mano, e lei potè giurare che avesse gli occhi umidi.

 

“Sono le varie scartoffie per il cambio di cognome” spiegò Thomas con voce tremante.

 

“Sono compiaciuto del fatto che portiate avanti il cognome di mia madre, senza dubbio più altolocato del mio, tuttavia...”.

 

Victoria non gli diede il tempo di finire la frase.

 

Si avvicinò al calamaio, vi intinse la bacchetta ed iniziò a leggere i fogli attentamente.

 

“Okay, dove devo firmare?”.

 

Non c’era niente da aggiungere.

Thomas ci aveva sempre tenuto.

Ed anche lei, anche se era un sentimento che aveva tenuto represso dentro di sé per tanti anni.

 

Mise un numero imprecisato di firme e passò le pergamene a Thomas.

 

Si mise a fissare suo padre, socchiudendo gli occhi.

 

“Sì?” fece questi, celando una certa gioia.

 

“Hai idea di quanti compleanni, Natali e via discorrendo devi recuperare?”.

 

Severus abbozzò un sorriso.

 

Victoria gli scivolò lentamente tra le braccia.

 

“Grazie”.

 

Victoria dovette mordersi il labbro inferiore, perché piangere sarebbe stato tremendamente infantile da parte sua.

 

 

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Capitolo 45
*** Wonderful ***


CAPITOLO QUARANTAQUATTRO #1

Wonderful

Cause we are all miracles

Wrapped up in chemicals

We are incredible

Don’t take it for granted, no

We are all miracles

Oh, we are

(Gary Go – Wonderful)

 

Strinse forte le palpebre, prima di aprirle.

 

Prima un occhio, poi l’altro.

 

Poi li richiuse entrambi, di scatto, arrabbiata.

 

“Ti abbiamo visto” la canzonò Thomas, inginocchiato verso il letto.

 

“Via” brontolò Victoria.

 

Thomas guardò Severus, come a dire “te l’avevo detto”.

 

“In piedi, folletto dispettoso. Ci aspetta una giornata dura”.

 

 Per tutta risposta, Victoria sbuffò, rannicchiandosi sotto le lenzuola.

 

“Fa’ sempre così?” chiese Severus, come se stessero disquisendo del tempo.

 

“Solo quando si sveglia capricciosa” scrollò le spalle Thomas.

 

“E quante volte capita, se è lecito saperlo?”.

 

“Meno delle volte che capita ad Edward” assicurò Thomas, gettando un’occhiata fugace a Victoria che, come da copione, mise fuori fronte, naso e sguardo truce.

 

“Mi stai paragonando ad un bambino di cinque anni, per caso?” chiese, con fare minaccioso.

 

“No. Meno di cinque anni” corresse, tirandole il naso. Victoria si lamentò ed iniziò a scalciare, cercando di allontanare il fratello molesto.

 

Non ci volle molto, ed entrambi rotolarono giù dal letto, in un tripudio di coperte, lenzuola e cuscini.

 

“Guarda cos’hai fatto” accusò Victoria, venendo fuori alla meno peggio del groviglio.

 

“Hai iniziato tu!” obiettò Thomas. “Ha iniziato lei, vero papà?”.

 

Severus, dal canto suo, era abbastanza esterrefatto.

 

“Cinque anni, ma in due” scosse la testa, tirando via le coperte dalla testa di Thomas. “Basta giocare” sentenziò, e con un colpo di bacchetta rimise lenzuola, coperte e cuscini al loro posto.

 

“Ehi!” salutò Edward dalla porta, ridacchiando. “Anche io voglio giocare!”.

 

Thomas sorrise, prendendo suo figlio al volo e gettandoselo sulle spalle come un sacco di patate.

 

“Giocherete dopo. Adesso c’è da fare colazione” lo istruì Severus, aiutando Victoria a mettersi in piedi.

 

“Va bene, nonno” rispose Edward, dalla spalla di Thomas.

 

“Qualcuno che ragiona in questa famiglia” annuì Severus, tenendo la porta aperta mentre figli e nipote gli sfilavano davanti.

 

 

“E poi?”.

 

“E poi niente”.

 

James gettò un paio di occhiate verso la finestra, dove i Piton al completo irrompevano in cucina.

 

“Niente come?” bisbigliò.

 

“Se n’è andata. Mi ha perfino preso in giro, la piccola Mocciosus”.

 

“Non era quello che volevi, Sirius?”.

 

Sirius si passò una mano fra i capelli, nervosamente.

 

“Certo. Cioè, andiamo, è una ragazzina. E poi, è la figlia di Piton” si strinse nelle spalle. “Non volevo nient’altro” assicurò.

 

“Però non ti è andata giù che ti non si sia gettata ai tuoi piedi” concluse James.

 

Sirius schioccò un paio di volte la lingua, senza rispondere.

 

“Arrivederci e grazie era una delle mie frasi più famose” borbottò, evitando accuratamente di guardare dove stava guardando James.

 

“Pensi che Piton andrà con loro?” chiese James.

 

“Ti interessa?” rispose Sirius, ironico.

 

James vide Lily pizzicare un fianco di Severus, ridacchiando.

 

“Neanche un po’” mentì, marciando verso la sala da pranzo.

 

 

Thomas scese anche il trolley di Victoria, e lo ammucchiò insieme ai bagagli suoi e di Edward ed alla gabbia di Torie la Puffola Pigmea, accanto alla porta che dava sul giardino sul retro, dove da lì a poco sarebbe arrivato il Tunnel Intercontinentale.

 

Controllò mentalmente che non mancasse niente, preparò il soprabito ed il maglioncino che Edward avrebbe dovuto indossare, e guardò la pendola.

 

Le tredici e quarantacinque.

Perfetto orario.

 

Avevano finito di pranzare da poco, e fu abbastanza lieto di non vedere il volto sfregiato, dannato Potter a tavola, così da evitarsi una buona dose di bile in più.

 

Ovviamente, Victoria era ancora su in camera a vestirsi, perché Victoria non era Victoria se non gli avesse fatto venire un attacco di cuore.

 

Thomas odiava i ritardi, specialmente quando c’era un mezzo da prendere.

 

Per distrarsi, decise di andare alla ricerca di suo figlio, misteriosamente sparito insieme al nonno da un buon quarto d’ora.

 

Svoltò verso il piccolo ufficio dove Severus si era nascosto in solitudine durante le due lunghissime settimane in cui Victoria non era stata lei, e trovò Lily nascosta dietro un angolo.

 

“Lily!” chiamò Thomas, ma prima ancora che potesse pensare qualcosa di coerente, la donna lo prese per una manica e lo richiamò nell’angolo insieme a lei.

 

“Lily?” sbatté le palpebre Thomas, senza capire. Lily gli fece cenno di tacere, ed indicò l’ufficio.

 

“E ci verrai a trovare?” stava chiedendo Edward.

 

“Certo, se potrò” rispose Severus.

 

Si sentì lo strusciare tipico di fogli consumati, e dei passettini camminare per la stanza.

 

“Ho fatto preparare da Kreacher dei toast e qualche sandwich, avrete fame quando arriverete” spiegò Lily, sottovoce “ed ero venuta per dirlo a Severus, quando li ho sentiti parlare, e...”.

 

“... e ti sei messa ad origliare” concluse Thomas.

 

Lily arrossì.

 

“E ti posso chiedere una cosa, nonno?” riprese Edward.

 

Thomas lo poté vedere, le manine dietro la schiena, che si stava dondolando sui talloni.

 

“Prego” acconsentì Severus, con aria magnanima.

 

“Mi vorrai ancora bene quando sarò tornato a casa?”.

 

Lily tirò su col naso.

 

Thomas fece appello a tutta la sua virilità per non fare lo stesso.

 

Ci furono dei secondi carichi di aspettativa.

 

“Ma certo, Edward. Il nonno ti amerà sempre, sempre”.

 

Struscio di vestiti, un ginocchio che toccava terra per raggiungere le braccine tese di un bambino dolce.

 

 

“Come sto?”.

 

Severus era sulle scale, ad aspettare Victoria che, finalmente!, pareva essere pronta, per il rotto della cuffia.

 

“È molto castigata, lo so, ma è la divisa da lavoro”.

 

Tailleur grigio, camicia bianca, spilla appuntata al petto con la doppia vu che brillava.

Capelli raccolti, trucco appena accennato.

 

Victoria Eileen Piton.

Sua figlia, una donna.

 

“Il Tunnel è già arrivato” disse Severus sbrigativo, dandole il braccio, accompagnandola fuori, dove Thomas aveva già terminato il giro dei saluti.

 

“Siamo in ritardo” le annunciò.

 

“Victoria Piton?” le chiese un uomo grasso, con un berretto grigio e rosso in testa.

 

“Eccomi” Victoria prese il biglietto che aveva in tasca, e lo diede al Controllore del Tunnel. “Beh, siamo arrivati alla fine” ruppe il silenzio, continuando a fissare il Controllore.

 

“Due minuti e si parte” comunicò il Controllore, scomparendo nel Tunnel dietro Thomas.

 

“Fate buon viaggio” salutò James.

 

“Tornate a trovarci” singhiozzò Lily. Gli addii avevano un brutto effetto su di lei.

 

Sirius rimase in silenzio, facendo solo un cenno di saluto.

 

“Grazie di tutto” fece Thomas, abbracciando Severus. “Ciao, papà”.

 

“Mi raccomando”.

 

“Nonno ha promesso che ci verrà a trovare” proclamò Edward, saltando in braccio a Victoria.

 

“Il nonno la manterrà questa promessa, vero?”.

 

Victoria guardò suo padre negli occhi, e ci vide i suoi.

 

Severus si allungò per abbracciarla.

 

“Fa’ la brava” le bisbigliò.

Victoria sentì le guance arrossarsi un po’.

 

“Io sono sempre brava” mentì, restituendo l’abbraccio.

 

“Tienila d’occhio” si assicurò Severus, guardando Thomas.

 

“Sempre. Addio!” salutò ancora Thomas, spingendo Victoria ed Edward nel Tunnel, che già iniziava a scomparire.

 

Uno sbuffo, un piccolo lampo di luce, ed erano andati.

 

Severus rimase lì in piedi, in silenzio, come se non avesse afferrato cosa era appena accaduto.

 

Erano andati via.

 

Veloci com’erano arrivati.

 

Sospirò.

 

Sentì qualcuno dargli una pacca sulla spalla.

 

“Noi non abbiamo niente da fare il prossimo fine settimana” gli disse James Potter, accanto a lui.

 

Severus lo guardò come se gli fosse spuntata una seconda testa.

 

“Silente è andato in vacanza e non sappiamo dov’è andato. Possiamo provare a cercarlo, e fermarci a Boston un paio di giorni...”.

 

“... anche una settimana...” borbottò Sirius.

 

“... e potrebbero venire anche Remus, Dora e Teddy! Teddy sarebbe così contento di rivedere Edward!” sbattè le mani Lily.

 

Severus li guardò, inarcando un sopracciglio.

 

“Cercare Silente?” chiese.

 

Lily annuì vigorosamente, prendendogli il braccio sinistro.

 

“Sarà divertente” assicurò.

 

Severus la guardò, poi voltò la testa, per esaminare James e Sirius guardarlo bramosi.

 

“No” scosse la testa, entrando in casa.

 

“Andiamo! Non fare il guastafeste!” si oppose James.

 

“È vero, Sev!” brontolò Lily, cercando di trattenerlo.

 

“È vero, Sevviee” Sirius fece il verso a Lily.

 

“Ho detto di no” ripeté Severus.

 

Anche perché, non c’era bisogno di andarlo a cercare.

Lui sapeva benissimo dove fosse quel vecchio imbroglione.

 

Altrimenti, che uomo di Silente sarebbe mai stato?

 

 

Alle quindici, si alzò dalla poltrona in pelle nera in cui era sprofondato.

 

“Esco un attimo”.

 

Ron lo guardò di traverso, emergendo da un mucchio di scartoffie da compilare.

 

“Dove vai?”.

 

“Niente di importante. Torno presto. Puoi coprirmi?”.

 

“Va bene. E portami un hot dog tornando!” gli urlò dietro, prima che potesse scomparire dietro la porta.

 

Ron non sapeva cosa stesse succedendo a Harry.

 

Era dai tempi di Lord Voldemort  - pensare a quel nome gli faceva ancora un certo effetto – che non lo vedeva così lunatico.

 

Probabilmente, Harry doveva ancora superare tutta la storia dei suoi genitori, e Sirius, e Lupin, e Tonks, e Piton, tornati in vita.

 

Anche lui, in realtà, doveva ancora superarlo.

 

Ron non si sarebbe preoccupato tanto se Harry gli avesse detto che era uscito a comprare un solitario a Ginny.

 

Perché se non l’avesse fatto in quel momento, probabilmente Harry non l’avrebbe fatto mai.

 

James e Lily sarebbero stati fieri di lui.

 

Così Harry era uscito di nascosto dall’Ufficio degli Auror, in quel giorno di fine agosto, assolato e caldo per essere già ad un passo dall’autunno,  per comprare un anello.

 

L’Anello.

 

E mentre percorreva le strade di Diagon Alley alla ricerca di quella gioielleria che gli aveva indicato Andromeda il giorno prima, lo stomaco di Harry si chiudeva.

 

Sono emozionato, si diceva.

 

Ma Harry non era mai stato bravo a mentire, neanche a se stesso.

 

FINE

------------------------------------ Ebbene sì, care amiche/i del Pitone: la prima versione termina qui. Un po' poco? Un po' troppo poco? Cerco di restare fedele al principio di zia Row che vuole Harry e Ginny sposini felici, ma ci metto abbastanza del mio. Il prossimo Capitolo Quarantaquattro (ove la Mary Sueaggine si sprecherà) tuttavia non sarà il finale della seconda versione, per quella c'è tempo. Grazie!

 

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Capitolo 46
*** Wonderful #2 ***


CAPITOLO QUARANTAQUATTRO #2

Wonderful

Cause we are all miracles

Wrapped up in chemicals

We are incredible

Don’t take it for granted, no

We are all miracles

Oh, we are

(Gary Go – Wonderful)

 

Strinse forte le palpebre, prima di aprirle.

 

Prima un occhio, poi l’altro.

 

“Sei carino con la cravatta” sbadigliò.

 

“Grazie” Harry le baciò la punta del naso freddo. “Dormito bene?”.

 

“Poco, ma bene” rispose lei, maliziosamente, stiracchiandosi.

 

Harry si allontanò di nuovo dal letto, aggiustandosi i polsini della camicia sotto la giacca.

 

“Che ore sono?” chiese Victoria, mettendosi a sedere.

 

“Le sette e mezza, credo”.

 

“Non è un po’ presto?”.

 

Si mosse leggermente di lato, per permettere a Harry di sedersi accanto a lei.

 

“Devo fare delle commissioni” le rispose vago, baciandola. “E così, siamo arrivati al gran giorno”.

 

“Già” fece Victoria.

 

“Contenta di tornare a casa?”.

 

Victoria inclinò la testa di lato, socchiudendo gli occhi.

 

“Sì, in realtà. Mi manca il mio appartamento, devo risolvere questa faccenda dello Spauracchio Voldemort alla WIA ed avrò l’Amministratore appostato dietro la porta per l’affitto”.

 

“Avrai una buona accoglienza, allora”.

 

“Ah, sì. Impazzisco per il grasso che cola dalla pancia del mio amministratore”.

 

Harry le spostò una ciocca di capelli dal viso.

 

“Beh, allora addio, Harry Potter”.

 

Harry la guardò negli occhi.

 

“No. Arrivederci”.

 

La baciò ancora, poi, si smaterializzò.

 

Victoria scosse la testa, si rituffò sotto le coperte e dormì almeno un’altra ora.

 

 

“Dov’è tua sorella?”.

 

Aveva vissuto una scena del genere.

 

A casa di Bradley Brandon, una sera che s’era fermato a dormire da lui perché sbronzo com’era, non sarebbe stato capace di Materializzarsi a casa neanche volendo.

 

Erano a tavola, appena svegli, e l’ultimo ricordo che Brad aveva di Clarissa riguardava un certo giocatore di Quidditch e una delle centinaia di stanze di casa McDowey.

 

Ora, Thomas era sobrio, non beveva da almeno sei anni ed era sicuro che Victoria fosse sotto il suo stesso tetto, ma anche lui aveva notato la sua assenza, e soprattutto, il letto non disfatto che c’era in camera sua.

 

Dettaglio non trascurabile, a casa di Bradley Brandon era il padre di Brad che metteva sotto tortura il figlio con quello sguardo da tiranno, non certo il suo, ed a casa di Sirius Black.

 

“Sarà a farsi una doccia” gettò lì, prendendo la sua parte di uova strapazzate.

 

“Harry è uscito molto presto questa mattina” disse Lily, a sua volta. “Tu sai come mai?” chiese, rivolta a James.

 

“No, non mi pare mi abbia detto niente in merito” rispose James.

 

Thomas guardò James, cercando di capire se stesse mentendo o meno.

 

 

Thomas scese anche il trolley di Victoria, e lo ammucchiò insieme ai bagagli suoi e di Edward ed alla gabbia di Torie la Puffola Pigmea, accanto alla porta che dava sul giardino sul retro, dove da lì a poco sarebbe arrivato il Tunnel Intercontinentale.

 

Controllò mentalmente che non mancasse niente, preparò il soprabito ed il maglioncino che Edward avrebbe dovuto indossare, e guardò la pendola.

 

Le tredici e quarantacinque.

Perfetto orario.

 

Avevano finito di pranzare da poco, e fu abbastanza lieto di non vedere il volto sfregiato, dannato Potter a tavola, così da evitarsi una buona dose di bile in più.

 

Ovviamente, Victoria era ancora su in camera a vestirsi, perché Victoria non era Victoria se non gli avesse fatto venire un attacco di cuore.

 

Thomas odiava i ritardi, specialmente quando c’era un mezzo da prendere.

 

Per distrarsi, decise di andare alla ricerca di suo figlio, misteriosamente sparito insieme al nonno da un buon quarto d’ora.

 

Svoltò verso il piccolo ufficio dove Severus si era nascosto in solitudine durante le due lunghissime settimane in cui Victoria non era stata lei, e trovò Lily nascosta dietro un angolo.

 

“Lily!” chiamò Thomas, ma prima ancora che potesse pensare qualcosa di coerente, la donna lo prese per una manica e lo richiamò nell’angolo insieme a lei.

 

“Lily?” sbatté le palpebre Thomas, senza capire. Lily gli fece cenno di tacere, ed indicò l’ufficio.

 

“E ci verrai a trovare?” stava chiedendo Edward.

 

“Certo, se potrò” rispose Severus.

 

Si sentì lo strusciare tipico di fogli consumati, e dei passettini camminare per la stanza.

 

“Ho fatto preparare da Kreacher dei toast e qualche sandwich, avrete fame quando arriverete” spiegò Lily, sottovoce “ed ero venuta per dirlo a Severus, quando li ho sentiti parlare, e...”.

 

“... e ti sei messa ad origliare” concluse Thomas.

 

Lily arrossì.

 

“E ti posso chiedere una cosa, nonno?” riprese Edward.

 

Thomas lo poté vedere, le manine dietro la schiena, che si stava dondolando sui talloni.

 

“Prego” acconsentì Severus, con aria magnanima.

 

“Mi vorrai ancora bene quando sarò tornato a casa?”.

 

Lily tirò su col naso.

 

Thomas fece appello a tutta la sua virilità per non fare lo stesso.

 

Ci furono dei secondi carichi di aspettativa.

 

“Ma certo, Edward. Il nonno ti amerà sempre, sempre”.

 

Struscio di vestiti, un ginocchio che toccava terra per raggiungere le braccine tese di un bambino dolce.

 

 

“Come sto?”.

 

Severus era sulle scale, ad aspettare Victoria che, finalmente!, pareva essere pronta, per il rotto della cuffia.

 

“È molto castigata, lo so, ma è la divisa da lavoro”.

 

Tailleur grigio, camicia bianca, spilla appuntata al petto con la doppia vu che brillava.

Capelli raccolti, trucco appena accennato.

 

Victoria Eileen Piton.

Sua figlia, una donna.

 

“Il Tunnel è già arrivato” disse Severus sbrigativo, dandole il braccio, accompagnandola fuori, dove Thomas aveva già terminato il giro dei saluti.

 

“Siamo in ritardo” le annunciò.

 

“Victoria Piton?” le chiese un uomo grasso, con un berretto grigio e rosso in testa.

 

“Eccomi” Victoria prese il biglietto che aveva in tasca, e lo diede al Controllore del Tunnel. “Beh, siamo arrivati alla fine” ruppe il silenzio, continuando a fissare il Controllore.

 

“Due minuti e si parte” comunicò il Controllore, scomparendo nel Tunnel dietro Thomas.

 

Victoria si era preparata un discorso rapido d’addio, e sarebbe riuscita a finirlo, se Harry non si fosse Materializzato proprio in quel momento.

 

“Harry!” squittì Lily. “Non dovresti essere...”.

 

“Quanto tempo abbiamo?” chiese Harry.

 

“Due minuti” fece Thomas.

 

“Per cosa?” cercò di intromettersi James, senza successo.

 

“Ho una soluzione” iniziò Harry. “Ho una soluzione per tutto”.

 

“Il tuo ego è davvero spropositato, Potter” sibilò Severus, irritato dal fatto che Harry stesse disturbando questo momento delicato dei saluti.

 

“Arriva al dunque” incalzò Victoria.

 

“Ci ho pensato tutta la notte, cioè, mentre dormivi”.

 

Le sopracciglia di tutti scattarono verso l’alto, meno che quelle di Thomas.

 

“Ed è una cosa così semplice, e banale, che mi stupisco come non mi sia venuta in mente prima”.

 

“Stringi” fece fretta Victoria, imbarazzata.

 

“Non ci avevo pensato, perché prima non lo volevo. Pensavo di non volerlo. Invece erano le circostanze che mi impedivano di volerlo...”.

 

“Sei definitivamente impazzito, Harry” scosse la testa Victoria, divertita dallo smodato uso del verbo volere che Harry stava tenendo.

 

“Harry?!” striderono Seveurs, James e Sirius contemporaneamente.

 

“Esatto! Io sono pazzo, no, Victoria?”.

 

Scatolina di velluto rosso sangue.

 

Diamante e oro bianco.

 

Lily espirò tanto profondamente che James dovette voltarsi per assicurarsi che stesse ancora respirando.

 

“Mi sono informato. C’è un dipartimento WIA anche presso i nostri Uffici al Ministero. Ci crederesti? Fanno capo all’Ufficio Misteri. Adesso che avete cambiato cognome, Edward riceverà la lettera di Hogwarts – la McGranitt mi ha assicurato che la riceverà. E ho parlato con Bill” continuò, riferendosi a Thomas. “Anche se metà della sua famiglia mi odia, Ron dice che potrebbe trovarti lavoro alla Gringott”.

 

Aveva parlato così velocemente, che Victoria e gli altri ci misero un po’ a registrare le sue parole.

 

“Era questo che dovevi fare, stamattina?” gli chiese, incerta.

 

“Ricevere e mandare gufi, sostanzialmente. E comprare questo” le sventolò la scatolina sotto il naso.

 

“Non me lo stai chiedendo davvero” la voce si stava assottigliando, mentre cercava di resistere alla tentazione di afferrare quel dannato diamante.

 

“Sì. Te lo sto chiedendo. Vuoi sposarmi, Victoria Eileen Piton?”.

 

E si inginocchiò.

 

Preventivamente, Lily tese le mani per afferrare l’orlo dei vestiti di James e Severus.

 

“E cosa ci aspetterebbe? Un fidanzamento lungo e faticoso a distanza?” fece ancora Victoria, scettica.

 

“Affatto. L’ho già avuto e non mi è piaciuto” scosse la testa vigorosamente. “Vai a Boston, fai quello che devi fare, chiedi il trasferimento, torna e sposami”.  

 

“Mi ci vorrebbe meno di un mese” tentò di intimidirlo.

 

“Perfetto. Lo sai che mia madre adora le feste”.

 

“Stiamo partendo, signori!” il grasso Controllore fece sbucare la sola testa dal Tunnel.

 

Victoria afferrò l’anello, se lo mise al dito e baciò Harry.

 

“Tu sei pazzo”.

 

“E tu di più”.

 

“Vedi di arrivarci vivo al matrimonio, Harry. Arrivederci!” fece Thomas, spingendo Victoria ed Edward nel Tunnel, che già iniziava a scomparire.

 

“Ti amo!” urlò Harry, arrossendo.

 

Uno sbuffo, un piccolo lampo di luce, ed erano andati.

 

Si voltò, lentamente.

 

Suo padre e Piton: una sola, uguale maschera pallida dipinta sul volto.

 

“Sono così contenta!” Lily gli gettò le braccia al collo, commossa.

 

“Grazie, mamma” Harry la strinse.

 

Lily lo trascinò in cucina, già programmando con lui fiori, torta e luogo del matrimonio.

 

Severus, così come James, non riuscivano a muoversi.

 

Sirius, riacquistando l’uso della parola e del movimento, riuscì a dare una pacca sulla spalla ad entrambi.

 

“Come direbbe Remus, adesso sì che siamo un’unica, grande famiglia” e rise sonoramente.

 

James e Severus lo guardarono, a dispetto di tutto, in cagnesco.


“Chiudi il becco, Sirius” dissero in coro.

 

Poi si guardarono in faccia, ancora più spaventati di prima.

 

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Capitolo 47
*** Truly Madly Deeply ***


CAPITOLO QUARANTASEI

Truly Madly Deeply

I will be strong I will be faithful

'Cos I'm counting on a new beginning.

A reason for living.

A deeper meaning

(Savage Garden)

 

Sapeva cosa avrebbe trovato, quando sarebbe tornato a casa.

 

Kreacher con la cena.

 

Un silenzio innaturale.

 

Ed uno dei due ad aspettarlo.

 

Incrociando le dita, salutò Ron e si Smaterializzò.

 

No, decisamente non era la sua giornata.

 

“Sei in ritardo, Potter”.

 

Tolse l’impermeabile.

 

“Mi dispiace” e stava per continuare con una serie di, reali!, giustificazioni, ma una mano sottile e bianca si levò, fastidiosa, dal libro su cui era appoggiata.

 

“Inutile che cerchi scusanti. Sei in ritardo e basta”.

 

“Non credevo fosse di così tanto disturbo...”.

 

“... per me? Disturbo per me?”.

 

Ripescando dalla memoria antiche paure, Harry vide vibrare la sua mascella in maniera pericolosa.

 

“Per me non è affatto un disturbo, Potter, ma ti sarei grato, dato che è di mia figlia che stiamo parlando, di usare un minimo di accortezza. Ti sei preso un impegno, o sbaglio?”.

 

Severus Piton: da Mangiamorte, a spia, a padre e nonno esemplare.

 

“Mi dispiace, davvero” cercò di essere convincente, ben sapendo che non ci sarebbe riuscito. “Tutto tranquillo?” chiese comunque, sedendosi per qualche minuto.

 

“Ovviamente. Hanno mangiato ed adesso sono di sopra. Dormienti, se siamo fortunati”.

 

Harry sorrise.

 

“Bene, adesso posso anche andare”. Si alzò, richiudendo il suo tomo, e lasciandolo dov’era sempre, sul tavolino accanto al camino. “Ah, tua madre ti manda la crostata alla frutta, è in cucina” e si Smaterializzò, per tornare a Grimmauld Place.

 

Harry si stiracchiò, congedò Kreacher e prese solo una fetta di crostata e la mangiò per le scale.

 

Aprì piano la porta della camera da letto, e vi mise dentro solo la testa.

 

“Sei in ritardo” venne accolto.

 

Harry scosse la testa, divertito.

 

“Sì, mi è stato appena ricordato”.

 

Si andò a sedere accanto a Victoria, facendo attenzione a non svegliare Ariana, raggomitolata accanto a lei, la manina protesa verso il pancione.

 

“Com’è andata la giornata?” chiese Harry, accarezzando la testa della bambina.

 

“Come al solito. Abbiamo mangiato, abbiamo fatto il riposino, mio padre ha dato il cambio al tuo e ha iniziato una discussione con Ariana sul perché la favola dello stregone dal cuore peloso non è esattamente una favola divertente”.

 

“Wow. Avrei voluto esserci”.

 

“Non ne posso più” si lamentò alla fine Victoria.

 

Harry le baciò la fronte, empatico.

 

“Solo un altro mese e mezzo. Ce la puoi fare”.

 

“Sto impazzendo. Voglio uscire. Voglio andare al lavoro. Non voglio vedere nessuno dei nostri parenti per almeno due anni”.

 

Harry ridacchiò.

 

“I gemelli sono irruenti” cercò di alleggerire la tensione, ma ricevette solo un’occhiataccia.

 

“Guardami bene, Harry Potter: non mi avrai mai più, dopo che queste due piccole pesti saranno nate”.

 

In cuor suo, Harry sperava di non dover dar peso a questo genere di giuramenti.

La volta prima, dopo aver furiosamente litigato con Lily su che nome dare ai bambini, Victoria gli aveva giurato che non avrebbe mai più condiviso il suo stesso tetto.

 

Ormoni, continuava a dirle.

Ma Victoria sembrava una scheggia impazzita, una tigre chiusa in gabbia.

 

La gravidanza di Ariana era andata liscia come l’olio, nove mesi tranquilli e felici, e la bambina era anche nata per la data stabilita.

 

Ma i gemelli non ne volevano sapere di starsene un po’ calmi.

Continuavano ad agitarsi, come se stessero cercando di farsi il solletico a vicenda, o come se attentassero ai nervi della loro povera madre, e già una volta Victoria aveva rischiato il distacco della placenta.

 

Al secondo allarme, il giorno in cui Edward aveva preso per la prima volta l’Espresso di Hogwarts, la sua Guaritrice, la stessa che aveva seguito la nascita di Ariana, aveva costretto Victoria ad una clausura forzata e sorvegliata.

 

E questa era la storia sul perché Victoria era chiusa in quelle quattro mura da tre settimane, sul perché era impossibile avere una conversazione con lei senza rischiare che lanciasse maledizioni e sul perché Sirius aveva deciso che avrebbe rivisto Victoria solo a parto avvenuto.

 

Ariana riusciva a distrarla e tenerla tranquilla, sedendosi accanto a lei e fingendo di leggere favole ai gemelli.

Aveva cinque anni, e Harry l’amava in maniera smisurata.

 

E se la stessa cosa era valida, ovviamente, per James e Lily, ma il tenero affetto che legava Ariana e Severus era impossibile da credere  e da descrivere.

 

La bambina era curiosa e sveglia, ed il nonno, quando Victoria era stata male, le aveva presentato tutti i componenti di un laboratorio di Pozioni, facendole rimestare un paio di volte qualche Pozione semplice.

 

Ed era nato l’amore sviscerale tra nonno e nipotina.

 

“Porto Ariana a letto” bisbigliò, prendendo la figlia in braccio e portandola in camera sua.

 

Quanto tornò, Victoria fissava accigliata il pancione enorme, come faceva spesso.

 

“Sono svegli” bisbigliò, cospiratoria.

 

Harry poggiò la mano, ed il gemello maschio, quello in alto, gli sferrò un calcio.

 

“Sento” fece, massaggiando la zona.

 

“Lo fanno apposta”.

 

Victoria non aveva paura di niente.

Tranne che di essere madre.

 

Durante la prima gravidanza, l’unico suo momento di sconforto venne quando vide Hermione giocare con la piccola Rose, di un anno più grande di Ariana.

 

Continuava a ripetere che lei non sarebbe mai stata capace, perché non sapeva, lei non aveva i geni per farlo.

 

C’era voluta un’intera notte, ed una buona dose di gelato alla stracciatella, per convincere Victoria che sarebbe stata una madre perfetta.

 

“Sono un orso, mi dispiace. A te com’è andata oggi?” chiese Victoria, mentre Harry si cambiava e scivolava a letto accanto a lei.

 

“Ho dovuto riempire un sacco di scartoffie, hanno girato a noi un caso del reparto Rapporti Babbani”.

 

Victoria lo guardò.

 

“Facciamo cambio. Io vado a lavoro e tu finisci la gestazione”.

 

Harry rise, tirandosela vicino.

 

“Non ti priverei mai di questa gioia, Torie”.

 

“Sei solo uno sporco egoista, Potter” brontolò lei, sbadigliando.

 

 

Vedeva solo bianco e rosso.

Nessun altro colore.

E pochi suoni, spezzati.

 

Com’era successo?

 

Com’era stato possibile?

 

Avevano pianificato tutti i giorni, fino al primo dicembre, il Giorno dei Gemelli.

 

Avevano anche deciso che il trentuno ottobre, per Halloween, Harry avrebbe portato Ariana al suo primo “dolcetto o scherzetto”, insieme a Hermione con Rose.

 

Severus aveva promesso che avrebbe accompagnato Thomas a scegliere la divisa estiva per Edward.

James accompagnava a sua volta Lily in un centro commerciale babbano a comprare delle tutine ai gemelli.

 

Con Remus e Tonks al Ministero, avevano pattuito che, per quella sera, sarebbe rimasto Sirius.

 

Ma Sirius aveva fatto tardi.

E quando era arrivato a casa Potter, non aveva trovato nessuno.

Solo una pozza si sangue a terra, in cucina, ed un gufo che continuava a picchiare violentemente alla finestra, con una pergamena che annunciava al signor Potter che i suoi bambini sarebbero nati di prematuri e che avrebbe fatto meglio a correre al San Mungo.

 

 Lui era arrivato al San Mungo poco dopo, con in braccio una spaventata Ariana vestita da principessa.

Aveva sentito Severus urlare contro Sirius cose che Ariana non avrebbe dovuto ascoltare, mentre James e Thomas cercavano di tenere i due a debita distanza.

 

“Signor Harry Potter!” si sentì chiamare dal corridoio, e Harry, lasciando Ariana a sua madre, si sbracciò per farsi vedere dalla Guaritrice.

 

“Potter! Non le avevo forse detto che Victoria doveva essere controllata ventiquattro ore su ventiquattro?” sbottò la Guaritrice, puntandogli contro un dito insanguinato. Harry era solo troppo impaurito per rispondere. “I gemelli sono nati: due chili e ottocento grammi per ciascuno, forti ed in salute. Li tratteremo per un paio d’ora con della Corroborante, ma, nonostante prematuri, erano pronti per nascere”.

 

Lily emise un sospiro di sollievo.

 

“Come sta Victoria?” chiese Harry, la voce che tremava.

 

La Guaritrice lo guardò negli occhi.

 

“I bambini hanno spinto violentemente per nascere, signor Potter. Hanno provocato un’emorragia ed adesso sua moglie sta venendo operata da...”.

 

Ma Harry non sentiva più.

 

“Papà! Dove la mamma? Papà!” lo stava chiamando Ariana, tendendo le mani tra le braccia di Lily.

 

“... e se passerà la notte, signor Potter, allora starà bene. Adesso vada a vedere i suoi figli, sono già al nido”.

 

Harry si voltò.

 

I primi occhi che vide, furono quelli di Thomas.

 

Grandi, scuri, pieni di paura.

 

Poi, incrociò lo sguardo di Sirius.

Lo odiò violentemente come mai prima l’aveva odiato.

 

“Hai sentito, tesoro? I tue fratellini sono nati!” stava dicendo Lily ad Ariana.

 

Harry si voltò verso di loro, e prese la bambina dalle braccia della madre, perché ebbe l’irrazionale paura che potesse scomparire anche lei.

 

“Papà...” chiamò flebilmente Ariana, toccandogli la faccia.

 

“Allora, tesoro” cercò di iniziare Harry, provando a tenere la voce quanto più ferma possibile. “I tue fratelli sono nati e stanno bene. La mamma, adesso... la mamma riposa, Ariana, capito? È tanto stanca...e... riposa...”.

 

No, non ce la faceva.

Non stava succedendo a lui.

Victoria non stava morendo.

 

Thomas corse in suo soccorso, prendendo Ariana a sua volta.

 

“Adesso andiamo tutti a vederli! Non sei curiosa di vedere i tuoi fratellini, Ariana?”.

 

Thomas guardò ad uno ad uno i presenti, e fece un cenno impercettibile di seguirlo.

 

“Vediamo se sono più belli di te” cercò di ridere James, tirandole i capelli.

 

“Io sono la più bella” si oppose Ariana.

 

Harry non sentiva più niente.

 

Guardava a terra, le sue mani tremavano.

 

Alzò gli occhi.

 

Piton era ancora lì.

 

Sentiva che doveva chiedergli scusa, ma non usciva niente da quella sua gola secca.

Aprì la bocca.

La richiuse.

 

Si coprì il volto con le mani, la disperazione e l’irrazionalità stava prendendo il sopravvento.

 

Sentì scendere le lacrime.

Si sentì stupido, inutile, impotente.

 

Severus gli allontanò le mano dal viso con un gesto perentorio.

 

Harry lo guardò, senza capire.

 

“Smettila di fare la ragazzina, Potter, la tua famiglia ha bisogno di te”.

 

Vide la sua stessa rabbia, paura e disperazione brillare negli occhi di Severus.

Seppe che aveva ragione.

 

Si asciugò gli occhi con il dorso della mano ed annuì, scuotendo la testa.

Lui doveva essere forte.

 

Per Ariana.

Per i gemelli.

Per Victoria.

 

Non se la sentiva di vedere i gemellini, però, non ancora.

 

Severus gli dette le spalle e si accomodò su una delle serie accanto la Sala Operatoria.

 

“Ed adesso aspettiamo, Harry”.

 

Harry gli si sedette accanto, appoggiando la testa sul freddo muro azzurro dietro di loro.

 

“Aspettiamo”.

 

 

 

 

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Capitolo 48
*** The Sidewinder Sleeps Tonite ***


CAPITOLO QUARANTASETTE

The Sidewinder Sleeps Tonite

But their world has flat backgrounds

And little need to sleep but to dream

The sidewinder sleeps on his back

(R.E.M.)

 

Una volta riuscita a convincere Ariana che sarebbe stato davvero divertente continuare la festa di Halloween con Rose ed il piccolo Hugo, e promettendole che appena la mamma si fosse svegliata lei sarebbe stata la prima ad essere chiamata, Thomas portò Ariana a casa di Ron e Hermione, Harry potè, finalmente, riuscire a catalizzare tutta la sua rabbia su un più che mortificato Sirius, che se ne stava silenzioso ed in disparte, nascosto dietro James.

 

Per dirla tutta, Harry avrebbe tanto voluto restare solo.

Dopo anni ed anni in cui niente lo avrebbe reso più felice che essere coccolato dai suoi genitori durante gli innumerevoli momenti bui della sua vita, ora Harry desiderava soltanto essere lasciato in pace, ad aspettare che la notte più lunga della sua vita terminasse, e terminasse in bene.

 

“Sapete cosa ho appena riflettuto?” saltò su James.

 

“Un miracolo” borbottò Piton, immobile su quella sedia, accanto a Harry.

 

“Che i bambini sono nati il trentuno d’ottobre”.

 

“Un giorno prima del compleanno di Torie e Thomas” continuò Lily.

 

“Ed il giorno in cui, perdonami la crudeltà tesoro, il giorno in cui Lily ed io siamo morti”.

 

Harry guardò suo padre.

Era vero, non ci aveva pensato.

 

“E quindi...” stava continuando questi.

 

“Non dirlo nemmeno” proruppe Piton, gli occhi chiusi.

 

“... quindi sarebbe carino che i gemelli si chiamassero come noi, no, Harry?”.

 

Silente, come Victoria aveva annunciato, era andato in vacanza quasi sei anni prima.

Dove fosse, pareva che lo sapesse soltanto Severus, che, tuttavia, non aveva intenzione di dirlo a nessuno, e neanche Victoria diceva di sapere qualcosa in merito.

Il vecchio mago si era rifatto vivo durante il Battesimo di Ariana. Harry l’aveva proposto come nome alla bambina quasi per scherzo, ma a Victoria era piaciuto, ed Edward era stato decisivo nella votazione.

 

Quando Victoria aveva scoperto di essere incinta per la seconda volta, e per di più di due gemelli, per rendere partecipe la primogenita di casa Potter al lieto evento, le era stato proposto di scegliere lei i nomi ai fratellini.

 

Ed Ariana proponeva coppie di nomi ogni venti minuti.

 

Quando aveva iniziato a contare, aveva proposto Due e Tre.

Poi c’era stata la volta di Rosso e Oro – sotto suggerimento di James, sicuro che tutti i suoi nipoti sarebbero stati dei Grifondoro -, Argento e Verde – quando nonno Severus le aveva spiegato che la Casa di Famiglia era invece quella sei Serpeverde – fino a dei poco originali Victoria e Harry junior, cosa che le aveva fatto guadagnare un’occhiataccia da parte di gran parte dei presenti.

 

Harry non riuscì a trattenere un sorriso, pensando alla sua piccola Ariana.

 

“Al posto di dire queste sciocchezze, tesoro, mi aspetto che tu ti sia ricordato di prendere i regali per Victoria e Thomas” lo stava rimbeccando Lily.

L’argomento “trentuno ottobre millenovecento ottantuno” non era molto gradito a Lily.

 

“Certamente sì” annuì James.

 

Calò del silenzio per un po’.

 

“Mamma, papà, perché non andate a casa? Si sta facendo tardi” borbottò Harry.

 

James e Lily si guardarono esterrefatti.

Harry non riuscì neanche a fare il nome di Sirius.

 

“Non se ne parla nemmeno, Harry” fece Lily, decisa. “Vogliamo restare con te”.

 

Harry sospirò.

 

“Ti prego, mamma” implorò.

 

Possibile che non capivano?

 

“Ma Harry...”.

 

“Sono io il problema, vero Harry?” chiese Sirius acidamente.

 

Severus aprì gli occhi.

 

“Sirius, non mi sembra il caso...” Harry cercò di rimanere calmo, stringendo i pugni.

 

“Sempre colpa di Sirius se le cose vanno male. È colpa mia che i tuoi figli abbiano deciso di venire al mondo cinque secondi prima che io arrivassi, vero?”.

 

“Non ho detto questo” la voce di Harry strideva in maniera pericolosa.

 

“Ma se forse tu avessi aspettato quei famosi cinque secondi, allora magari non sarebbe successo, vero? Sarebbe stato diverso, non è vero?”.

 

Harry scattò in piedi, le unghie conficcate nei pugni chiusi.

 

James schizzò in avanti, e tutti sobbalzarono quando un crac smorzò l’atmosfera tesa che si era creata in sala d’aspetto.

 

“Congratulazioni per i bambini, amico!”.

 

Harry ricadde pesantemente all’indietro, il cuore schizzato in gola.

 

“Grazie, Ron” bofonchiò, stringendosi le ginocchia.

 

“Che succede?” chiese Ronald, facendo scattare lo sguardo da Sirius a Harry, passando per James.

 

Non gli venne data risposta.

 

“Come sta Victoria?” provò ancora.

 

“Stiamo aspettando” scosse la testa Lily. “Ma forse è meglio che andiamo via tutti”.

 

Harry si alzò ad abbracciarla, teso come una corda di violino.

 

James, Lily e un ancora fumante Sirius si Smaterializzarono dopo aver salutato.

 

“Vuoi che resti? Posso fare qualcosa? Ti prendo un panino, un caffè...?” le premure di Ron erano gentili, ma lo stomaco di Harry era troppo chiuso per poter pensare di mangiare qualcosa.

 

“Grazie per Ariana, Ron. Davvero” gli rispose invece.

 

“Un piacere. Hermione sta cercando di far buttar giù qualcosa a Thomas, dubito che lo farà andare via prima di essersi assicurata che abbia mangiato a sufficienza” aggiunse, cercando di attirare, inutilmente, l’attenzione di Piton.

 

“Vi mando un Patrono appena so qualcosa” lo salutò.

 

Ron gli strinse una spalla.

 

“Posso fare qualcosa per lei, professor Piton?” azzardò ancora Ron.

Severus scosse quasi impercettibilmente la testa.

“Va bene. Allora vado”.

 

E si smaterializzò.

 

Harry sospirò.

 

“Signor Potter?”.

 

Harry balzò su dalla sedia.

 

“Mi dispiace, ma vorrei chiederle se potesse dire ai suoi amici e parenti di smetterla di materializzarsi e smaterializzarsi, siamo in un ospedale, non al parco”.

 

Harry si accasciò di nuovo.

 

“Mi scusi, Guaritrice Lyoness”.

 

La Guaritrice scomparve di nuovo dietro una porta laccata d’alluminio.

 

 

 

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Capitolo 49
*** I Say a Little Prayer ***


CAPITOLO QUARANTANTOTTO

I Say a Little Prayer

Together, forever, that's how it must be

To live without you

Would only meen heartbreak for me.

(A. Franklin)

 

Li aveva fatti entrare per pietà.

 

Ovviamente, Lyoness conosceva bene il giovane uomo con la saetta sulla fronte, chi non lo avrebbe riconosciuto tra mille?

Le sue colleghe dicevano che doveva ritenersi fortunata ad essere la Guaritrice della signora Potter, ma per lei Victoria era solo una ragazza poco incline a sentirsi dire cosa fare o cosa non fare, ma si sarebbe piegata alle peggiori torture per il bene dei suoi figli.

 

Per ciò che le poteva riguardare, Harry Potter era un tipo eccessivamente ansioso – Victoria spingeva per far nascere la piccola Ariana, e lui sudava come se stesse facendo il grosso del lavoro, ansimando come un cucciolo di Thestral.

 

Altrettanto ovviamente, Lyoness conosceva il professor Piton, anche se, a quanto poteva ricordare, non le risultava che avesse dei figli, ma tant’era. Non se la prese molto quando il suo ex Capo Casa non fece il benché minimo segno di averla riconosciuta, eh sì che si era davvero impegnata per prendere E al suo GUFO in Pozioni.

 

“Mi raccomando, non toccate niente. Lasciatela riposare” la Guaritrice chiuse la cartella di Victoria con un gesto secco e perentorio. “Ha già visto i bambini, signor Potter?”.

 

Il ragazzo si era già seduto accanto alla moglie, inghiottendo a vuoto.

 

Victoria era pallida, più del solito, e tutte quelle fiale attaccate al suo braccio non erano un bel vedere.

 

“Signor Potter?” chiamò ancora Lyoness.

 

“No. Non ancora” sussurrò, distrattamente.

 

“Dovrebbe andare a vederli”.

 

Potter scosse la testa, accarezzando i capelli di Victoria.

 

“Se avete bisogno di me” Lyoness si rivolse più che altro a Piton, sperando che almeno lui la stesse ascoltando “sono nell’altra stanza”.

 

Piton annuì, lentamente.

 

Lete Lyoness si voltò di scatto, improvvisamente imbarazzata.

Si morse il labbro, sentendosi di nuovo una Serpeverde troppo timida, e lasciò la camera.

 

****

 

Quattro del mattino.

 

“Dovresti andare a vedere i tuoi figli” proruppe Piton, seduto su una poltrona accanto alla finestra.

 

“Quando si sveglierà” gli rispose Harry, stringendo la mani di Victoria.

 

“Loro sono importanti quanto lei”.

 

“I bambini stanno bene. Victoria no”.

 

Poche volte Piton ricordava di aver sentito quella voce farsi fredda e lontana.

 

Guardò sua figlia per la prima volta inerme, avvolta in lenzuola bianche e sterili, immobile.

 

Sospirando, dovette distogliere lo sguardo.

 

“Avete deciso i nomi?” chiese ancora Severus.

 

“No. Li sceglierà Ariana”.

 

“Qualche idea?”.

 

Harry si voltò a guardarlo.

 

“Perché non lo va a chiedere a sua nipote?” soffiò Harry.

 

“Non c’è bisogno di usare quel tono, Potter” ringhiò Severus.

 

“Solo... dormire...”.

 

Severus scattò in piedi, quasi spaventato.

 

Harry boccheggiò.

 

“Victoria!” chiamò Harry, chinandosi verso di lei.

 

Victoria sbatté un paio di volte le palpebre, prima di aprire gli occhi.

 

“Ehi” cercò di sorridere.

 

“Ehi” cinguettò Harry, sorridendo radioso. “Come ti senti?”.

 

“Come se Hagrid mi avesse calpestato un paio di volte” disse lentamente, cercando di mettersi a sedere.

 

“Stai giù” le ordinò suo padre, torreggiando su di lei.

 

Victoria ne cercò lo sguardo, e tentò di sorridergli.

In un gesto diventato abituale, si portò una mano dove c’era il pancione, e si sentì spaventosamente piatta.

 

“I bambini!” squittì, impaurita, alzando la testa per vedere. “Harry!” urlò, quando questi la spinse di nuovo sui cuscini.

 

“Due chili e mezzo a testa. Stanno bene. Sono stati un po’ irruenti” le sorrise, accarrezzandole una guancia.

 

Victoria tirò un sospiro di sollievo, portandosi quella stessa mano sulla fronte imperlata di sudore.

 

“Tutti il loro padre...” borbottò, facendo tornare normale il battito del suo cuore.

Severus arricciò le labbra.

 

“Vai a chiamare la Guaritrice, Potter, e fai portare i bambini” dispose Severus, fermamente.

Harry annuì, diede un bacio veloce a Victoria e scomparve, quasi saltellando.

 

Severus strinse a sua volta la mano di Victoria.


“Fai sempre scherzi così orribili alle persone?” chiese, con noncuranza.

Victoria ridacchiò.

 

“È Halloween”.

 

“Non più. Buon compleanno”.

 

Victoria gli sorrise.

 

“Hai visto i bambini?”.

 

Severus scosse la testa.

 

“Non ancora”.

 

“Che carini, siete rimasti tutti e due qui ad assistermi come padre e figlio”.

 

Severus ridusse gli occhi a due fessure.

 

“Ti ho detto che Halloween è finito” sbottò, lasciandole andare la mano quando Harry lasciò entrare la Guaritrice e le culle con i bambini.

 

“Ci hai fatto prendere un bello spavento, Victoria” la rimbeccò la Guaritrice, tastandole il polso. “Eccoli qui. Femminuccia, Maschietto, la mamma, il papà ed il nonno”.

 

“Femminuccia e Maschietto?” sibilò Severus, mentre Harry passava il maschietto a Victoria e prendeva la bambina.

 

“Non mi è venuto in mente niente di meglio” arrossì Lyoness, staccando a colpi di bacchetta gran parte delle fiale.

 

***

 

Dieci dita delle manine, dieci dei piedini, un nasino, un paio di occhi neri per ciascuno.

 

Perfetti. Assolutamente perfetti.

 

“Allora, hai pensato a due nomi?”.

 

Erano le sette e trenta del mattino, ed un arruffato Thomas aveva portato un’Ariana ancora in camicina da notte a conoscere i suoi fratelli.

 

Ariana guardava sua sorella e suo fratello, ognuno tra le braccia di uno dei suoi genitori.

Erano piccoli e rosa, e sembravano schiacciati.

 

Certo, erano più carini di Hugo.

 

Rosie aveva passato gran parte della serata a spiegarle quanto era importante essere una sorella maggiore.

Si era data un sacco di arie, solo perché Hugo ormai aveva due anni e lei era più esperta.

 

Diceva che Hugo era un nome importante.

Che era il cognome di uno scrittore famoso Babbano che scriveva di cose importanti.

Le aveva anche detto che Edward era il nome di molti re inglesi, e che lei, come nonna Lily, aveva il nome di un fiore.

 

Queste cose avevano fatto arrabbiare Ariana.

Per prima cosa, perché lei non aveva idea di cosa volesse dire essere una sorella maggiore.

Per secondo, lei non aveva il nome di uno scrittore famoso né di un fiore.

 

Corrucciando la fronte, pensando alla mamma in ospedale, Ariana aveva cercato di passare in rassegna tutti i nomi bellissimi che le venivano in mente, anche se Argento e Verde restavano i suoi preferiti.

Poi si era addormentata, e lo zio Thomas l’aveva svegliata in fretta, e lei non aveva più potuto pensare.

 

“Sono bellissimi, Victoria” disse soave Lily, sfiorando la femmina tra le braccia di Harry con la punta di un dito.

 

Victoria sorrise fieramente, poi riportò di nuovo l’attenzione alla maggiore dei suoi figli.

 

“Non fa niente se non hai idee, tesoro” le stava dicendo Harry.

“Vuoi sentire la mia idea sui nomi, Victoria?” salto su James.

 

Victoria inarcò un sopracciglio verso James, diffidente.

 

Qualcosa scattò in Ariana.

Lei non avrebbe scelto per i suoi fratelli i nomi di scrittori o di fiori.

Lei aveva un nome speciale.

Anche i suoi fratelli l’avrebbero avuto.

 

Fece un mezzo sorriso.

 

“Ce li ho” dichiarò.

L’attenzione di tutti si catalizzò su di lei.

 

Ariana scrollò i capelli lontano dal viso e si arrampicò sul letto della madre.

 

“Alexander” toccò il piedino del maschietto. “Willow” indicò la femminuccia.

 

Victoria guardò la bambina, in trepidante attesa.

Guardò Harry, che pareva avesse rimesso a lei la scelta definitiva.

 

“Alexander e Willow?” chiese Severus.

 

Ariana annuì vigorosamente.

 

“Forte” sbucò fuori Sirius, rimasto in disparte tutto quel tempo.

 

Victoria allungò il collo per guardarlo.

Più tardi, avrebbe chiesto a Thomas cosa suo padre o suo marito avessero tentato di fargli, per renderlo così mansueto.

 

 

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Capitolo 50
*** Goodbye Philadelphia ***


Goodbye Philadelphia

I hit my hold top hat to you

I hope you finde somebody who

Will love you like I do

and rearrange

my kind

(Malika Ayane)

 

Primo settembre. King’s Cross. Ore 10:55

 

“Hai preso tutto? Sei a posto?”.

 

“Sì, Harry. È a posto”.

 

Harry si passò una mano tra i capelli, imbarazzato.

 

Willow, Alexander: salutate Ariana, è tardi”.

 

I due bambini si gettarono tra le braccia della sorella maggiore.

 

“Non mi sgualcite la divisa nuova” disse Ariana, fintamente arrabbiata.

 

“Buon ultimo anno, Edward” Victoria si allungò per abbracciare il nipote, ormai adulto.

 

“Grazie zia. Adesso dobbiamo andare, è tardi”. Edward voltò il capo a guardare la cuginetta, fiera ed impettita accanto a lui.

 

“Mi raccomando, Edward”.

 

“Sì, zio Harry, stai tranquillo” ripeté Edward per la duecentesima volta da quando era arrivata la lettera ad Ariana.

 

“Ciao mamma”.

 

Victoria si chinò ad abbracciare la figlia, lasciandole un bacio veloce sul capo.

 

“Fa’ la brava” l’ammonì.

 

“Io sono sempre brava” ridacchiò Ariana, lasciandola andare.

 

Dopodiché, la ragazzina si girò a guardare il padre.

 

Probabilmente, lui era più emozionato di lei.

 

“Allora è arrivato il momento”.

 

Ariana gli gettò le braccia al collo.

 

“Ci vedremo a Natale” bisbigliò. Harry annuì, stringendola un’ultima volta, prima di vederla camminare lontano, sull’Espresso per Hogwarts.

 

Willow ed Alexander corsero per un po’ dietro al treno, ridacchiando.

 

“Starà bene. È Hogwarts” mormorò Victoria all’orecchio di Harry, lasciandoci un bacio leggero. “E poi, te ne restano altri due” continuò, indicando i gemelli con la punta del naso.

 

Harry la guardò, sospirando. Era stupido.

 

La baciò giusto prima di venire investito da un paio di manine tese.

 

Prese il piccolo Alexander in braccio.

 

“Andiamo a casa” annuì alla fine.

 

 

Ventuno settembre. Hogwarts. Ore 18:00

 

Cari mamma, papà, Willow, Alexander, nonni, nonna, zio Thomas e zio Sirius,

come state?

 

“E con l’appello, stiamo a posto”.

 

Qui va tutto bene. Il castello mi piace, anche se lo conoscevo già, e penso di essere simpatica ad un po’ di persone. Edward mi gira troppo intorno, e non so se è un bene o un male: da una parte mi sento trattata come una bambina, dall’altra alcune ragazze mi chiedono il nome di questo o quest’altro amico di Edward e Teddy. Io sorrido e non dico niente, perché ancora non le conosco bene e non so se mi posso fidare di loro.

 

“L’ho sempre detto che mia nipote è una ragazzina intelligente”.

 

Mi dispiace non aver scritto prima, ma ho avuto un sacco di cose da fare. Ci hanno già riempito di compiti ed è difficile stare al passo con tutti, specialmente da quando ho deciso di iscrivermi a qualche club.  Edward ha detto che quest’anno terranno dei corsi di giornalismo, e mi piacerebbe parteciparvi, ma se continuano così con i compiti, sarà davvero difficile tenere il ritmo. Edward dice che è normale, ma io penso che siamo solo al primo anno, non ho intenzione di starmene chiusa in Sala Comune tutti i pomeriggi.

 

“Giustissimo”.

 

Ci sono ben sette piani qui, ed è stancante salire e scendere ogni volta. Non potrebbero trovare un metodo meno faticoso? Ho provato ad esporre questo problema alla professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure, ma lei per tutta risposta mi ha tolto cinque punti perché dice che si aspettava da una come me che mi piacessero le cose facili. La detesto.

 

“Conosco questa storia”.

“Chi la nuova insegnante di Difesa quest’anno?”.

 

Un sacco di gente mi chiede di papà. Ah, ed il professore Paciock, di Erbologia lo saluta calorosamente. Ha letto il mio nome e si è avvicinato per farmi un sacco di domande. Dei ragazzi hanno iniziato a parlottare tra di loro ed uno mi ha chiesto se era vero che ero la figlia di Harry Potter. Allora io ho risposto sì, e lui mi ha detto solo “wow”. È stato fantastico, perché da allora quasi tutti mi guardano diversamente. Altri, invece, non sono molto contenti.

 

“Brutta cosa, l’invidia”.

 

Come la professoressa di Difesa. Ho già scritto che la odio? Bene, la odio. Il primo giorno ha provato a farmi un sacco di domande per mettermi in difficoltà, ed io ad alcune ho risposto, perché le conoscevo, ed altre no, e lei per ogni risposta che non conoscevo mi levava dei punti. È stato orribile. Molti dei miei amici odiano la Weasley.

 

“Weasley?”.

“...”.

Ginevra Weasley, Harry?”.

, Tory”.

 

 Invece adoro il mio Capo Casa, anche se non impazzisco per Pozioni (scusa, nonno). Ti lascia i capelli troppo untuosi, non va bene, ma di certo preferisco passare due ore chiusa con un calderone che in aula con la Weasley. È severo ma è giusto, ed il suo sguardo è fantastico. E sono molto brava in Incantesimi, anche se ho difficoltà a seguire le lezioni con il professor Vitious. Il mio Capo Casa e la Weasley non fanno altro che lanciarsi frecciatine, e per ogni punto che ci toglie, lui ce li rimedia in qualche modo. So che non è giusto, ma neanche lei è giusta quando leva punti a me.

 

“Comincio ad avere un sospetto”.

“Anche io”.

 

Bene, adesso purtroppo devo chiudere questa lettera, perché è ora di cena e ho appuntamento con Theo, Nova e gli altri in Sala Grande, e non sarebbe carino fare troppo tardi. Un bacione grande a tutti, soprattutto ai miei fratelli, che, comunque, mi mancano un po’. Spero di avere il tempo di scrivere ancora,

 

con affetto

Ariana.

 

“Ehi! Ma non ha detto dove l’hanno smistata!”.

“Aspettate, c’è un post scriptum...”.

 

PS: Papà e Mamma mi hanno detto fino allo sfinimento che non sarebbe stato importante, ma invece lo è eccome qui. Mi dispiace di non essere risultata intelligente come Edward, che è finito a Corvonero. Mi dispiace poco e niente di non essere finita a Tassorosso (ma diciamocelo, non è una gran perdita). E...

Mi dispiace, papà. Sono una Serpeverde. Un sacco di gente si è stupita, persino la Preside. Ma il professor Malfoy dice che non mi sarebbe potuta capitare Casa migliore, e lo penso anche io. Anche perché, sinceramente, il giallo ed il rosso fanno a pugni con i miei capelli, mentre il verde sta d’incanto con i miei occhi.

Adesso scappo davvero.

Vi voglio bene.

 

“Ah” disse solo Severus, arricciando le labbra.

 

“Non ci credo” scosse la testa James.

 

“Che vuoi che ti dica, Potter? Un po’ si vince, un po’ si perde”.

 

“Tanto ci restano ancora due possibilità” fece Sirius, dando un paio di colpi alla spalla del vecchio amico.

 

“Serpeverde” mormorò Harry, appoggiandosi allo schienale della poltrona.

 

Lily ripiegò la lettera, mettendola da parte.

 

“Starà benissimo a Serpeverde” disse incoraggiante. “Non è importante in che Casa vieni smistato, ma che persona diventerai”.

 

“Molto giusto, Lily” annuì Severus.

 

“Serpeverde” disse ancora Harry, guardando Victoria.

 

“A me sta più che bene” fece spallucce lei, sorridendo.

 

Willow ed Alexander corsero intorno al divano, rincorrendosi.

 

Sì, aveva ragione Sirius, aveva ancora due possibilità.

 

Forse.

 

 

 

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