Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

di Mephi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fritz e Jeremy ***
Capitolo 2: *** Casa (Dolce?) Casa ***
Capitolo 3: *** Il Miglior Alleato: L'Orso ***
Capitolo 4: *** Rimediare (Esiste Un Gatto Con Il Nome Di Una Volpe) ***
Capitolo 5: *** L'Arte Dell'Improvvisare ***
Capitolo 6: *** Guardie E Ladri ***



Capitolo 1
*** Fritz e Jeremy ***


Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

Fritz e Jeremy

 

 

Il Freddy Feazbear Piazza è completamente rinnovato, ormai! Venite, venite a trovarci per gustare la nostra pizza deliziosa in compagnia delle mascotte più amate da grandi e piccini! Su, su!

Accorrete! Freddy e i suoi amici sono ansiosi di fare la conoscenza di nuovi bambini per cantare loro le nuovissime cazoni. Allora? Siete pronti al divertim-

 

 

Lo spot pubblicitario non potè terminare che il televisore si oscurò, spegnendosi. Il ragazzo sul divano sospirò, ai suoi occhi quel locale non aveva più nulla di gioioso e carino. Ringraziò il fatto che, a quanto pareva, la gente tendeva a dimenticare in fretta le tragedie se mascherate dietro a qualche robot nuovo, colorato, ultramoderno e... sicuro.

Fritz ricordava bene quando, 6 anni prima, si era ritrovato davanti un Jeremy bianco come un cadavere, la pelle d'oca alle braccia, lo sguardo spaesato, come se la realtà per quel giovane 16enne stesse correndo un po' troppo velocemente per stargli dietro. Però si sforzava di sembrare tranquillo, peccato il suo corpo lo tradisse in maniera così palese.

Ricordava che si era preparato un discorso da fratello maggiore per Jeremy, riguardo al buon senso, il limite da non superare, cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Ma quando gli si presentò davanti quell'immagine, il suo stomaco si chiuse dolorosamente in una morsa, la sua mente annientò ogni discorso che si era preparato fino a quel momento, e la sua gola era diventata arida come il deserto più caldo. Jeremy non aveva bisogno di un discorso per capire cosa avesse fatto. Lo sapeva. E proprio perchè lo sapeva che era in quelle condizioni.

Lo aveva preso con sè, e i primi giorni... No, in verità i primi mesi furono difficili. Per entrambi. Jeremy provava in tutti i modi a mostrarsi forte, il suo orgoglio era ancora intatto. Quel tenersi ogni dolore, pensiero, ricordo, lo incatenava a quel giorno. Parlava poco, mangiava poco e si provava, in casa Fritz, a non nominare in alcun modo nulla che riguardasse il passato. Però, ancora una volta, era il suo corpo a tradire Jeremy. Le urla strazianti di notte in preda agli incubi, i singhiozzi che si potaveno udire se ci si accostava alla porta di camera sua, di notte, e a volte notare il suo sguardo perso, lontano, a un giorno doloroso, e vederlo pian piano sbiancare. E poi correva via, Jeremy, in bagno, a vomitare, perchè quei ricordi gli provocavano i conati. Era disgustato da sè stesso. Eppure quando lo aveva sentito al telefono, sei anni fa, quando gli raccontò ogni cosa per telefono pareva star bene. Tanto che Fritz si potè permettere di chiamarlo Imbecille. E poi? Cos'era successo? Forse stava semplicemente cominciando a rendersi davvero conto di quello che era successo e più il tempo scorreva, più la consapevolezza cresceva, e più stava male. Si ridusse a un fantasma di ciò che era un tempo. Fritz sapeva che quel ragazzo era nelle sue mani, ora, che doveva gestire lui la sua vita, perchè Jeremy non ne pareva più in grado. Gli aveva ordinato di venire da lui perchè si sentiva capace di affrontare questa situazione, ma ciò che aveva davanti era molto peggio di ogni sua pessimistica visione.

Se Freddy aveva usato i pugni per farlo riprendere - che poi non aveva funzionato molto, a quanto pareva - Fritz optò per un modo molto più umano. Lo portò fuori, innanzitutto, da molti mesi si rifiutava di uscire di casa, era dimagrito molto, così, dato che era giunta la stagione estiva, lo portò al mare. Non si oppose, Fitzgerald, non ne aveva la minima forza, era spettatore della sua stessa vita, la osservava scorrere, senza osare prenderne parte. E forse credeva anche di meritarselo.

Lo portò quindi al mare, provando a intavolare conversazioni casuali che morivano per colpa del castano e delle sue risposte monosillabiche. Quindi restavano in silenzio, a prendere il sole o in acqua, con Fritz che riusciva a stringere amicizia anche con i sassi e Jeremy che si isolava dalla vita che lo circondava: i bambini che costruivano un castello di sabbia, le mamme che li ricorrevano per mettergli la crema, i papá che leggevano sottovoce il giornale, seduti sulla sdraio.

«Dovresti metterla anche tu, sai? La crema, dico. Sei bianco come un cadavere, ti scotterai.» ma quegli occhi azzurri erano persi all'orizzonte, sempre a quel giorno. Jeremy non era lì, al mare, con Fritz; era al Feazbear, tra un orso color oro e lo sguardo di suo padre, deluso. E quello di Mike sorpreso, spaventato. E quello di tutte le persone accanto a lui.

Fraticida. No. Non lo era! Kentin stava bene! L'aveva salvato-

Fraticida, stavi per macchiarti di un crimine immenso- un giorno avrebbe rimediato! Lo giurava. Avrebbe rimediato a tutto-

Come intendi rimediare a un omicidio sventato per poco? Credi di poterlo fare? Credi davvero di meritare il famoso "Happy Ending"? Che ipocrita!

Sentì la nausea salirgli d'improvviso e d'istinto si piegò appena in avanti, mettendosi una mano davanti alla bocca, mentre davanti ai suoi occhi scorrevano scene mai avvenute: i denti dell'orso che si serravano, la testa di suo fratello che veniva schiacciata, e si sentiva un crack tremendo, che sarebbe stato capace di far tremare persino le ossa metalliche degli endoscheletri degli animatronics.

«Jeremy!» e Fritz pensò che forse non era stata una buona idea, quella.

Dopo quell'avvenimento ci riprovò con nuove uscite, al parco, al centro commerciale, facendogli visitare musei del paese. E durante queste uscite Fritz parlava. Sempre. In continuazione. Per lui non era un problema, era sempre stato un grande chiaccherone, e quelle parole, quello che era un monologo più che una conversazione, dovevano tenerlo lontano dai pensieri. A costo di farsi venire il mal di gola, doveva fermare quella ferita nell'anima del suo amico che si allargava e continuava a farlo. E funzionò. Ebbe il mal di gola tanto desiderato. Ovviamente riuscì anche a strappare Jeremy a quei ricordi. Insieme ne erano usciti.

«Guarda, mostro. A malapena riesco a parlare. Spero ti sentirai in colpa anche per questo!» gli disse Fritz, dopo un anno passato immersi nella tristezza, erano riusciti a ricreare un'aria leggera in quella casa, che mancava da molto tempo, e ricevendo un mezzo sorriso da Jeremy.

«Davvero? Va a me il merito del tuo mal di gola? Pretendo un premio, per questo.» 

«Ti preferivo abbattuto e vomitoso!»

«Io ti preferisco così, che mamma Chioccia. E vomitoso non è una parola.»

«Sai? In quest'anno credevo- ugh... La gola. Dicevo... Cosa dicevo? Me ne sono dimenticato.» Fritz prese a grattarsi la testa, provando a ricordare cosa dovesse dire a quel furfante, stringendosi meglio nella coperta rossa e certo che il castano gli avrebbe regalato una delle sue frecciatine. Invece no. Quando alzò lo sguardo lo trovò a sorridere, sinceramente, guardandolo; gli occhi ritornati di un azzurro limpido e molto, molto più maturi. Quello che aveva davanti era un ragazzo di 17 anni o uno di 30?

«Grazie, Fritz.» l'arancione sgranò gli occhi e schiuse la bocca dalla sorpresa: non credeva a quello che sentiva. Poco dopo sbuffò un sorriso e annuì.

«Per te sono Angelo Custode.»

«Non esagererare ora.»

«Ovviamente questo "grazie" significa anche che mi porterai la colazione a letto tutte le mattine per sdebitart-»

«Grazie, Fritz. È solo un grazie.»

«Who. Non ripeterlo così tante volte. Non vorrai mica far piovere, vero?» e si potè ricominciare davvero. Mettendo il proprio passato a riposare, in un angolino. Solo per il momento, come Jeremy aveva promesso a Freddy. Pausa.

Ebbene, altri cinque anni erano passati, ora, e aveva fatto l'abitudine a quel castano ormai 22enne, e si era affezionato maggiormente a lui quanto alla  sua cucina! Seriamente, aveva un talento naturale per i fornelli, al contrario suo che prima del suo arrivo viveva di pizza, fast food, sushi, tutto cibo ad asporto insomma. La sua mamma lo aveva sgridato più volte per quell'alimentazione della Morte, la chiamava lei. E non aveva tutti i torti. Lasciò cadere il telecomando accanto a sè, sul divano bianco e recuperò il telefono dalla tasca, digitando velocemente il numero di Jeremy che ormai conosceva a memoria.

«Stò lavorando, cosa c'è?» gli rispose la voce di Jeremy, che probabilmente aveva risposto di nascosto dato la sua voce ridotta a un sussurro.

«Jer, sono le nove di sera, ho fame!» si lamentò come un bambino quello che doveva essere il maggiore tra i due.

«Il mio turno finisce alle 23 se tutto va bene.» Fritz a quella notizia si lasciò andare a un mugugnio, frutrato.

«Ma ti ho lasciato del pollo in forno, devi solo scaldarlo. Capito? Scaldarlo. Non bruciarlo. Devo andare, non farmi trovare la casa in fiamme!» esclamò il giovane interrompendo subito la chiamate per tornare al suo lavoro, mentre negli occhi di Fritz cominciava a brillare quella che poteva essere definita gratitudine, gratitudine per Jeremy e qualunque Dio caritatevole glielo avesse mandato.

 

 

Alla fine era successo esattamente quello che si aspettava: era uscito da quel ristorante all'una inoltrata di notte. E di certo non era un'ora tranquilla quella, almeno lui non si sentiva tale, camminando per le strade buie illuminate pigramente da qualche lampione. Sbadigliò, Jeremy, meravigliandosi che le sue gambe riuscissero ancora a tenerlo in piedi dopo aver fatto avanti e indietro per la sala per quelle che erano ore. Il cameriere. Da ragazzo non avrebbe mai pensato di fare quel lavoro. Si fermò, quando in mezzo al marciapiede, esattamente sotto la luce di un lampione vide un peluche di un orso: Fredbear.

«Oh, andiamo...» disse alzando gli occhi, decidendo di essere troppo stanco per parlare con quell'orso. Perchè sì, ci parlava. Non sapeva cosa fosse, esattamente, era certo fosse un illusione della sua mente che si divertiva a torturarlo, dando a quell'orso la voce... della sua coscienza? Era complicato. Sapeva solo che odiava quell'orsetto.

«È reciproco.» era disturbante. L'immagine di quel pupazzo che doveva essere innocente, bhe, di innocente aveva ben poco. Due sclere nere sostituivano il bianco che di solito si trovava lì, e al posto degli occhioni gialli, due puntini bianchi lo fissavano, e seguivano i suoi movimenti. La sua conscienza se la sarebbe aspettata meno inquietante. Avrebbe preferito un simpatico Girllo Parlante come quello di Pinocchio che... Quel peluche inquietante.

«Inquietante come la cosa che hai provato a fare tu a tuo fratello, Jeremy?» la bocca dell'orso non si muoveva ma sentiva la sua voce dolce, carezzevole, nella sua testa. Peccato non facesse altro che impregnare di dolce veleno le sue parole. Odiava il fatto che gli leggesse nel pensiero.

Scosse la testa, dando la colpa di tutto alla sua coscienza e riprese a camminare, sorpassando il pupazzo che rimase in silenzio, senza degnarlo di alcuna frecciatina. Questione di pochi passi e lo ritrovò davanti a sè, nella stessa posizione di prima, sotto un'altro lampione, quegli occhi bianchi a fissarlo. Jeremy serrò i denti e continuò a camminare più velocemente, e si ripeteva la stessa scena, sapeva di star camminando, di starsi avvicinando a casa, ma ritrovarlo sotto praticamente ogni due lampioni gli faceva quasi credere di essere caduto in un loop infinito.

«D'accordo. Sei insistente.» si arrese alla fine, fermandosi nuovamente davanti al peluche.

«Cosa vuoi?» chiese, ma il peluche non gli rispose. Era da almeno una settimana che lo incontrava e ci aveva fatto l'abitudine, ma era inquietante e lo rendeva nervoso. Era davvero la sua coscienza? Se fosse stato così perchè non dire chiaro e tondo cosa fare per liberarsi di quell'orso?

Era già da un minuto che attendeva in silenzio, non voleva rispondergli?

«Cosa stò facendo...? Parlare con un peluche. Sono pazzo.»

«Oh, Jeremy, allora sarò un'ottima compagnia per te. Com'era...? I pazzi si capiscono tra loro, giusto?» Jeremy si morse il labbro. Sapeva come mandarlo via, semplicemente doveva dar voce alla sua coscienza, lui, personalmente.

«Mi sento ancora in colpa per mio fratello.» disse, sicuro, osservando il pupazzo che si sarebbe dissolto presto. Una risata melodiosa gli riempì la testa.

«Ritenta, magari funziona.» disse la voce di Fredbear, facendo sgranare gli occhi a Jeremy che per un attimo credette davvero di essere divenuto completamente pazzo.

«Diciamo che non è quello che volevo sentire, ecco. Ma mi fai pena. Sei stanco. Sarò breve, voglio solo ricordarti che hai fatto una promessa, Jeremy. Saresti tornato. Sono passati 6 anni, quanto dovrà ancora durare la tua vacanza? Ah, no, Jer, non guardarmi così, io so bene cosa pianifica il tuo cervello. Non lo ammetterai mai, ancora orgoglioso, ma tu non ci vuoi affatto tornare, lì, vero? Qui hai una vita stabile, lavoro, casa, persino amici! Perchè dovresti tornare? Non ne hai motivo!» Jeremy aprì la bocca per provare a contrastare quelle parole acide che lo stavano investendo, ma la sua bocca rimase aperta senza produrre alcun suono, facendo realizzare al castano che era vero. Era tutto vero. Richiuse la bocca, leggermente stordito da ciò che aveva appena realizzato.

«Visto? Te ne sei accorto anche tu. In realtà lo sapevi già, io non ho fatto altro che farlo emergere fino a portarlo davanti ai tuoi occhi. Jeremy Fitzgerald. Suona bene. Sotto questo nome falso però sei diventato un'altra persona, più maturo, con una vita diversa. Il tuo passato stà riposando? Non prendiamoci in giro, Jeremy, tu vuoi farlo dormire per sempre, quel passato. E sai perchè?»

«Zitto...» ordinò senza forze il giovane, indietreggiando di un passo quasi avesse voluto scappare per non sentire quelle parole che sapeva che, impietoso, Fredbear avrebbe pronunciato direttamente nella sua testa, scrivendole e marcandole nel suo cervello così che non se ne potesse dimenticare nemmeno volendo.

«Perchè hai paura.» e fu un dolce sussurro, quasi come la ninna nanna di una madre cantata al suo piccolo, peccato che a Jeremy quelle parole trasmettevano tutto, meno che tranquillità. Sentì un brivido freddo attraversargli il corpo e sapeva che in quel momento la sua pelle doveva sembrare cadaverica.

«Gli occhi di tuo padre, Jeremy. Quello sguardo rimarrà nei tuoi ricordi fino alla tomba! Sei un assassino! E ora vorresti scappare? Prova a mostrarti ancora a quella gente, ragazzo. Prova ancora, ma senza alcuna maschera: senti sulla pelle quegli sguardi, lascia che ti brucino la pelle, i muscoli, le ossa, fino ad avvelenare il tuo sangue! E i loro sussurri, lascia che entrino nelle tue orecchie, giungano alla tua anima, fa in modo che la spezzino e, forse, allora, e solo allora, potrai ricominciare una nuova vita... Sempre se riuscissi a uscirne vivo, s'intende. Ma così? Così, ragazzo mio, è troppo facile. Così è da codardi.» e dopo quella frase Fredbear scomparve, quasi come fosse fatto di nebbia, dissolvendosi nell'aria lasciando prima piccoli filamenti gialli, poi non lasciando più nemmeno quelle.

Jeremy sentiva il cuore battere furioso contro la cassa toracica, il suo respiro era affannato, come se avesse appena finito di correre, provato da quelle parole che l'avevano costretto a fare i conti con la verità.

Per quanto lo avesse fatto soffrire, Fredbear aveva ragione. Sei anni erano tanti. Se ne era dato al massimo tre, e invece... Stava scappando, ma non poteva più farlo. Il passato era attaccato a lui come la sua ombra; solo che al contrario di essa se c'era buio non scompariva, si ampliava e lo divorava, spesso trascinandolo in incubi.

Quando si riprese ricominciò a camminare verso casa, con passo svelto, e nello sguardo sicuro si affiancava anche la paura. Stava lasciando la sua vita sicura, tranquilla e serena, con un lavoro, una casa e degli amici per far ritorno alla sua vecchia vita. Quella che sarebbe dovuta essere l'unica. Quella che sarebbe stata capace di ributtarlo, con prepotenza, nel suo dolore. E questa volta non era detto che sarebbe stato capace di rialzarsi. Rivivendo con la mente quei giorni un brivido gli attraverò la schiena, ma strinse i denti, era adulto. Era cresciuto mentalmente e fisicamente. Si sarebbe ripresentato come promesso. Nella sua mente risuonò la risata di Golden Freddy versione pupazzo.

«Bravo, ragazzo.»

Quando finalmente tornò a casa decise di andare a dormire, e pensare il giorno dopo a ciò che andava fatto, informando anche Fritz. Il sonno e la stanchezza resero le sue palpebre pesanti, facendolo crollare sul suo letto e facendolo addormentare lì, vestito, con nella mente un orsetto dagli occhi bianchi che vegliava tetramente sui suoi sogni.

O incubi.

 

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Capitolo 2
*** Casa (Dolce?) Casa ***


Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

Casa (Dolce?) Casa

 

 

Fritz era sempre stato un tipo piuttosto mattutino e per questo, quella mattina, quando passando per la camera di Jeremy l'aveva trovato buttato sul letto ancora vestito dal giorno prima gli aveva fatto tenerezza - o pietà, dipende dai punti di vista - così aveva deciso di cucinare la colazione per entrambi. Ecco, almeno ci provava, perchè quello bravo in cucina era senz'altro Jeremy, però Fritz credeva fermamente nelle sue capacità ed era certo che esse, almeno fino a una colazione, ci potessero arrivare. Si mise all'opera e dopo circa un'ora di lavoro tra la preparazione di uova strapazzate, pancake e muffin, alla fine fu soddisfatto del risultato, certo però che quello fosse il massimo delle sue capacità culinarie. 

«Uh... Ho le visioni?» Fritz stava contemplando la tavola apparecchiata per la colazione con tutte le pietanze su di essa quando udì la voce da zombie di un assonnato Jeremy, che si strofinava un occhio, non credendo a quello che vedeva. Probabilmente si trovava ancora nel mondo dei sogni.

«Tutto reale e fatto dal sottoscritto! Ah, buongiorno.» gli disse mentre si slacciava il grembiule blu che aveva trovato chissà dove con scritto "The Best Chef" a caratteri cubitali sul davanti.

Sbuffando un sorriso per quella scena, Jeremy camminò fino al suo posto, sedendosi e contemplando - sia con gli occhi che con l'olfatto - la meraviglia che aveva davanti agli occhi. Bhe, quasi quasi da quel giorno in poi avrebbe lasciato il posto da cuoco-di-casa a Fritz, almeno per la colazione. Ricordava bene l'ultimo pranzo che aveva cucinato il coinquilino - difficilmente se lo ssrebbe scordato - dato che avrebbe dovuto urlare al miracolo se non ebbero - entrambi, perchè Fritz ebbe il coraggio di mangiare quello che cucinò, probabilmente per far coraggio all'amico più che altro - un intossicazione alimentare.

Fritz si sedette di fronte a lui, mentre Jeremy si liberava completamente del papillon già slacciato e infilandolo nel taschino della camicia.

«Quando hai intenzione di cambiarti?»

«Dopo la colazione. Cose come queste, insomma: tu che cucini bene, ecco, sono cose che accadono ogni mille anni se tutto va bene. Hanno la priorità.» rispose, subito dopo non perse tempo e addentò un muffin al cioccolato, notando che Fritz lo stava fissando speranzoso. Si aspettava un parere? Con tutta probabilità sì.

«Affatto male.» disse una volta mandato giù il boccone, e un largo sorriso si dipinse sul volto dell'arancione che solo allora prese a mangiare.

Durante la colazione parlarono tranquillamente: Jeremy raccontò di come fosse andata la sua giornata il giorno prima al ristorante, mentre Fritz gli spiegò il nuovo sito a cui stava lavorando, una cosa alquanto importante da quanto aveva, capito dato che riguardava un marchio importante della moda. E tra battute, apprezzamenti al cibo, racconti, aneddoti passati - questi ultimi solo da parte di Fritz - Jeremy si ricordò di ciò che era avvenuto il giorno prima: la sua scelta. Doveva avvisarlo. Fritz si accorse subito che qualcosa non andava dato che l'amico si era rabbuiato improvvisamente, ma non chiese nulla, attese che fosse lui a parlare.

«Ieri stavo pensando a una cosa...» disse Jeremy, provando a girare intorno a ciò che davvero voleva dirgli, Fritz continuò a stare in silenzio, prestandogli tutta la sua attenzione, sporgendosi appena verso di lui, appoggiandosi al tavolo.

«Sai da quanto anni sono qui?» chiese, e questa volta parve volere una risposta.

«Sei anni.» lo assecondò Fritz, comincianco ad intuire dove volesse arrivare.

«Esatto. Forse è tempo che io torni indietro.» la voce sicura con cui Jeremy disse quella frase non rispecchiava l'insicurezza, la paura, che in realtà lo tormentava. Fritz non ebbe reazioni particolari, si limitò ad accennare un sorriso, tornando composto sulla sedia.

«Questo potrebbe essere un problema. Dovrò trovarmi un'altro chef personale.» disse Smith, accennando una risatina. In realtà era preoccupato per Jeremy, per ciò a cui stava andando incontro. Era 3 anni più grande di lui, avevano vissuto insieme per 6 anni, passando momenti belli e momenti davvero, davvero difficili, aveva sviluppato una sorta di affetto fraterno verso di lui. E qualcosa gli diceva che se l'avesse lasciato solo lì in mezzo sarebbe crollato ancora.

«Che spiritos-»

«Verrò con te!»

«Cosa

«Ah, andiamo, tu, da solo, in una città che ti terrorizza? Non resisteresti nemmeno 5 minuti.» peccato solo Fritz non era esattamente il tipo di fratello maggiore che aveva ben compreso il significato della parola "tatto". Bhe, non che Jeremy fosse puro, innocente e delicato, l'unica differenza tra loro era che, quando Jeremy si dimostrava senza il minimo tatto era perchè voleva essere tale, voleva ferire, al contrario Fritz non se ne rendeva conto e parlava con una tale leggerezza che seppur diceva cose che avrebbero potuto ferire, dette con quasi quella comicità, prendeva un'altra sfumatura.

Quei due si somigliavano... Ma in maniera diversa.

«Allora, cosa dobbiamo preparare? Innanzitutto dobbiamo affittare una casa, e con i risparmi di entrambi non ci dovrebbero essere problemi. Poi: le valige, il cibo per il viaggio, i biglietti per il treno, e...» Fritz si era alzato, aveva preso una penna dal primo cassetto che aveva trovato e, non trovando fogli, aveva preso a scriversi il tutto sulla mano. A volte sembrava davvero un tipo strano.

«Quando partiamo?» chiese a bruciapelo il maggiore a Jeremy, che l'osservava confuso.

«Bhe...»

«Domani!»

«Domani!? Fritz è troppo poco tem-»

«Ah, senti! Io ti conosco fin troppo bene e se non partiamo il prima possibile tu continui a pensarci e ripensarci e sai cosa succede, poi? Che cambi idea! Per impedirlo questo è l'unico modo. Quindi: vatti a cambiare e esci per andare a comprare qualcosa per il viaggio al negozio qui sotto, qualche bibita, sandwitch, salatino, quello che vuoi! Io intanto prenoto i biglietti e mi metto a cercare casa da internet e speriamo ben- si può sapere cosa aspetti? Non abbiamo tempo: muoviti!» lo sgridò Fritz, mentre lasciava la penna e correva alla postazione PC, accendendolo e mettendosi a "lavoro" per il viaggio. Per non essere ripreso nuovamente Jeremy andò a cambiarsi, con un sorriso sulla faccia; quel pazzoide dai capelli arancioni sembrava quasi euforico all'idea di tornare a casa.

 

 

 

C'era voluta un'intera giornata per organizzare il viaggio dell'indomani, Jeremy non aveva avuto così tanta fretta di partire da... Bhe, da quando se ne andò di casa a 16 anni. Ancora ricordava lui scioccato in camera sua, con Freddy che velocemente metteva tutte le sue cose in valigia, e... Bhe, era meglio non ricordare.

Era sera ed erano stanchi, ma era tutto pronto: le valige già preparate giacevano vicino alla porta, quella blu e anonima di Jeremy accanto a quella di Fritz, che era il doppio della sua, più che una valigia sembrava un mini armadio con le ruote, color arancione e giallo, e più passava il tempo più si rendeva conto che il suo coinquilino era un vero e proprio stramboide.

Avevano i biglietti per il treno - il viaggio sarebbe durato 5 lunghe ore - e il pranzo a sacco era pronto nei loro zaini. Il punto più difficile era stata la casa, trovarne una a un buon prezzo, non troppo in centro e soprattutto che fosse utilizzabile già dall'indomani, con un preavviso praticamente inesistente... Era stata un'impresa, dove però Fritz era riuscito, e il giorno dopo si sarebbero fatti portare da un qualche taxi nella via dell'abitazione e avrebbero incontrato il proprietario - a detta di Fritz un tipo simpatico, almeno così gli era sembrato al telefono - e si sarebbero dovuti trattenere per firmare le solite cose burocratiche e consegnare i soldi per l'affitto.

«Hai avvertito il lavoro che ti licenziavi?» chiese Fritz, sfinito, steso sul divano, con tutta probabilità si sarebbe addormentato lì, dopo tutte le telefonate e le ricerche che aveva fatto, l'unica cosa che sarebbe ancora stato in grado di fare era dormire.

«Sì. E ora faremo meglio ad andare a dormire, dato che domattina abbiamo il treno alle sei.» constatò Jeremy, osservando l'orologio che indicava le 23, ma quando riportò gli occhi su Fritz, non avendo ricevuto risposta, lo trovò addormentato, con un braccio penzolante dal divano, e l'espressione rilassata. Con uno sbadiglio Fitzgerald decise che fosse giunta anche per lui l'ora di andare a dormire, così si diresse in camera sua, indossò il pigiama e lasciò che il sonno lo avvolgesse nel suo tiepido abbraccio.

 

 

 

Il treno si dirigeva, veloce, verso la sua meta, mentre Jeremy osservava il paesaggio con la testa appoggiata al finestrino, mentre accanto a lui Fritz riposava accasciato sul sedile. Ce l'avevano davvero fatta: erano le 10;30 e ormai erano vicini alla loro meta, mancava solo mezz'ora di viaggio e poi sarebbe sceso da quel treno ritrovandosi in quella stazione che aveva lasciato sei anni prima, con Freddy che gli diceva che quella era una paura. Bhe, Pausa finita.

«Ohy, Fritz! Sveglia, tra poco scendiamo.»

«Cinque minuti...» disse Fritz, voltandosi dall'altra parte e... Cosa? Quello non era il suo letto! Aprì gli occhi e si guardò attorno. Oh, giusto, erano partiti.

«Pardon, me n'ero dimenticato.» disse con la voce impastata dal sonno, ridacchiando guardando la faccia rassegnata di Jeremy, l'arancione si stiracchiò per poi alzarsi e prendendo le valige dal ripiano dei bagagli, Jeremy prese la sua valigia e attraversò il corridoio della carrozza, seguito da Fritz fino ad arrivare davanti alle porte, attendendo che il treno si fermasse.

«Nervoso?» 

«Meno di quanto mi aspettassi. E tu...? Ah, no, tu sei praticamente euforico.»

«Tu manchi da sei anni, io da nove! Ammetto che forse un po' ne sentivo la mancanza. Appena avrò tempo, poi, andrò dai miei genitori. Saranno felicissimi!» esclamò Smith, spostando il suo peso da un piede a un'altro, quasi non vedendo l'ora di riabbracciare i suoi amici e parenti.

Il treno prese a rallentare e poco dopo si fermò, spalancaneo le sue porte.

«Andiamo.» disse Fritz scendendo con la sua valigia, mentre Jeremy rimase lì dov'era, gli occhi che osservavano la stazione che, durante gli anni, aveva avuto giusto qualche modifica, dovuta alla modernizzazione, ma era ancora perfettamente riconoscibile. Gli fece uno strano effetto.

«Jeremy!» lo chiamò frettolosamente Fritz, facendolo risvegliare dai suoi pensieri, e subito Fitzgerald lo raggiunse, allontanandosi dal treno.

«Who... È cambiata, non me la ricordavo così! I seggiolini in metallo prima erano in plastica, e lo schermo degli arrivi e delle partenze non era mega, ma solo un televisore piccolo e brutto su cui a malapena riuscivi a leggere! È migliorata parecchio.» notò Fritz, facendo scattare i suoi occhi da una parte all'altra della stazione per non notare ogni cambiamento, mentre quel treno che gli aveva condotti lì, ripartiva. Jeremy guardò verso il binario opposto a dove si trovavano ora, si trovava da quella parte quando era partito, per un attimo gli sembrò di rivivere quel momento, una stazione praticamente isolata - non come in quel momento che c'era un continuo via vai - e lui e Freddy che parlavano, aspettando il treno. Solo allora si rese davvero conto che... Ne era passato di tempo. Forse anche troppo velocemente per rendersene davvero conto.

«Bhe, che aspettiamo? Andiamo, abbiamo una taxi da prendere.» disse, Fritz, e si diressero entrambi verso l'uscita della stazione, mentre la gioia di Fritz cresceva non contagiando in alcun modo il suo coinquilino, che pareva totalmente indifferente a quel ritorno.

Bhe, meglio l'indifferenza che il dolore dei ricordi. Presero il primo taxi disponibile, e partirono verso la loro casa, con Jeremy che guardava fuori dal finestrino, mentre Fritz chiamava il loro padrone di casa, scoprendo che l'uomo già li aspettava davanti essa e che non vedeva l'ora di conoscerli, e dopo essersi salutati la chiamata ebbe fine.

«Siete turisti?» chiese allora il tassista, guardando per un istante Jeremy attraverso lo specchietto retrovisore. 

«Sì, esatto.» gli rispose il castano, mentendo, smettendo di guardare fuori e prestando attenzione all'uomo.

«Allora dovete assolutamente andare al Feazbear una di queste sere, ragazzi! È il posto più frequentato da famiglie e bambini e-»

«Sì, abbiamo visto la pubblicità.» lo interruppe Jeremy, suonando forse più arrabbiato di quanto avresse voluto, mentre Fritz passava il suo sguardo preoccupato dall'uno all'altro, forse doveva intervenire.

«Ma ci andremo sicuramente, grazie del consiglio.» riprese, Jeremy, provando a riparare alla frase precendente.

«Lo perdoni, si è lasciato da poco con la fidanzata.» intervenne Fritz, dato che l'aria che cominciava a respirarsi pareva tanto disagio.

«Oh, ragazzo mio, ti capisco. Ma sei giovane e di bell'aspetto, ne troverai un'altra!» disse, nuovamente allegro, il tassista.

«Visto? Lo dice anche lui!» l'assecondò Fritz, mentre Jeremy scuoteva la testa, ormai abituato ai comportamenti del coinquilino, però dovette ammettere che gli aveva salvati da un viaggio in taxi pieno di tensione.

Poco dopo giunsero davanti casa, pagarono e scesero recuperando le loro valige, mentre il tassista incoraggiava Jeremy a restare fiducioso, che prima o poi tutto si sarebbe sistemato con la sua ragazza, Jeremy si era limitato a un grazie, poi la macchina era ripartita, lasciandoli soli.

«Potevi inventarti qualcosa di meglio!»

«Se tu imparassi a non essere indisponente con ogni essere che respira, non ci sarebbe nemmeno bisogno che io m'inventi qualcosa ogni volta per salvarci da situazioni imbarazzanti.» disse Fritz, offeso, gonfiando le guance come un bambino, e prima che Jeremy potesse rispondere, un uomo non molto alto e che pareva in sovrappeso gli si avvicinò.

«Voi dovete essere Smith e Fitzgerald, giusto?»

«Siamo noi, Signor Feazbear!» e a quel cognome Jeremy si soffocò con la sua stessa saliva, prendendo a tossire ripetutamente.  Feazbear? Aveva sentito bene? L'epressione dell'uomo parve farsi preoccupata, ma subito Fritz gli mise una mano sulla spalla, rasserenandolo.

«Sa, non gli avevo detto chi ci dava la casa e... È un grande fan della sua pizzeria, pensi che siamo qui praticamente per quella.» mentì nuovamente l'arancione mentre Jeremy si era ripreso e si avvicinava all'Imperatore delle Pizze.

«Scusate... Io-»

«Ah, ragazzo, non preoccuparti, posso capire la tua emozione nell'avere qui, davanti ai tuoi occhi l'Unico e il Solo Feazbear! Ma rilassati, va tutto bene.» lo rassicurò l'uomo con non poco orgoglio nella voce, facendo poi cenno ai due di seguirlo e li condusse alla casa poco lontana, facendogli entrare e visitare la casa, mentre nel petto di Jeremy si agitava pura ansia.

«Bhe questa è la cucina abitabile, come vedete ben attrezzata e molto grande, è come avere un salone con la cucina... Poi qui abbiamo il bagno, con doccia e vasca, e... Seguitemi, non siate timidi! Ecco qui abbiamo la camera da letto, con due letti singoli, comodini, lampade e armadio! Come vi sembra? Bhe, l'unica pecca di questa casa è sempre stata il non trovarsi in centro, i giovani vogliono sempre spostarsi facilme-»

«È perfetta, signor Feabear, la ringrazio per per averci concesso la casa nonostante il preavviso di solo un giorno.» ringraziò Fritz, facendo ridere l'uomo che battè una pacca sulla spalla del ragazzo.

«Ah, tranquilli, tranquilli, siete giovani, per me non è stato difficile mettermi nei vostri panni, ai miei tempi si chiamavano colpi di testa. E poi mi piacciono i tipi come voi, che prendono una decisione e la mettono subito in pratica! Io feci lo stesso con la mia pizzeria, quando ero l'unico a credere in quel progetto, e guardatela ora! Mai esitare ragazzi, mai!» spiegò brevemente l'uomo, conducendo poi tutti attorno al tavolo in cucina dove si diede il via alle questioni burocratiche, tra firme, contratti e soldi, un'ora volò via.

«Bene, ragazzi, abbiamo finito. Buona permanenza qui e se volete non esitate a fare una visitina alla mia pizzeria, io non ci sono quasi mai perchè ho sempre tanto da fare! Ma sarete i benvenuti in ogni caso! A presto, ragazzi.»

«A presto!» salutarono Fritz e Jeremy sulla soglia della porta, vedendo andar via l'uomo.

«Fermo. So che vuoi sgridarmi.» disse Fritz appena richiusa la porta, voltandosi verso Jeremy, portando le mani avanti in segno di difesa, notando i due occhi azzurri dell'amico ridotti a due piccole fessure rancorose.

«Quando stavi prendendo casa non hai pensato che  forse sarebbe stata un'idea orribile prendere la casa dal proprietario di quella pizzeria?» chiese, iroso, Jeremy.

«No!»

«No

«Ascolta: lui verrà qui una volta al mese, non ci vedremo mai, e poi non sa quello che hai fatto. O meglio, lo sa, ma non sa che eri tu sotto quella maschera»

«E se-»

«Come hai sentito passa pochissimo tempo al Feazbear, e non c'è nemmeno il pericolo che tuo padre lo venga a sapere tramite lui, primo: perchè il signor Feazbear è molto riservato e tiene ben diviso il lavoro dal personale, me l'ha detto lui stesso. Secondo: anche nel caso in cui pronunciasse il tuo nome a tuo padre - improbabile - tu saresti Jeremy Fitzgerald. Insomma, il cognome non è il tuo reale cognome e... Hai idea di quanti Jeremy ci siano al mondo? Quindi rilassati perchè questa tua reazione è dettata solo dalla paura.» gli spiegò, poggiandogli le mani sulle spalle e trovandole terribilmente rigide. Aver visto il signor Feazbear doveva averlo messo nel panico più totale, e probabilmente pure qualche ricordo spiacevole gli era tornato alla mente. Un leggero senso di colpa emerse allo Smith, sparendo quando vide l'amico rilassarsi.

«Va bene.» rispose il minore, sospirando sollevato dalle parole dell'amico. Effettivamente quel vecchietto non rappresentava alcuna minaccia, l'unica cosa che tale era sembrata a Jeremy era il suo nome. Freadbear.

«Ora: non perdiamo altro tempo, sistemiamo le nostre cose e poi prepariamoci per il pranzo che è quasi ora!» e forse era vero: senza quell'Uragano Arancione che gli girava attorno non sarebbe sopravvissuto un giorno in quella città.

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Capitolo 3
*** Il Miglior Alleato: L'Orso ***


Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

Il Miglior Alleato: L'Orso

 

 

Avevano passato il resto della giornata a sistemare i loro vestiti e le poche altre cose che avevano portato con loro. Poi avevano pranzato, sempre ad asporto - Jeremy si stava astenendo un po' troppo spesso, allo Smith cominciava a mancare la sua cucina - e nel mentre avevano cominciato a discutere su quello che avrebbero fatto d'ora in poi, e non era affatto facile. Solo camminare per le strade della città riportava a galla i ricordi del minore, ciò significava che, se non era pronto ad affrontare la città, figurarsi Vincent e suo fratello.

«Che ne dici di Mike?» propose l'arancione masticando un dango - avevano ordinato Giapponese dato che nessuno dei due aveva intenzione di mettersi ai fornelli - ricevendo in risposta uno sguardo prima confuso e poi un segno di diniego - dato che la bocca era impegnata a masticare -.

«Ti dico una cosa, Jer. Anzi: due. La prima è: per una volta potremmo anche prendere cibo ad asporto... Italiano, magari? Se proprio la tua psiche è così in pezzi da non permetterti di avvicinarti ai fornelli.» disse, e vide Jeremy coprirsi la bocca per nascondere il sorriso che sarebbe divenuto risata mal trattenuta. Da tempo ormai era venuto a conoscenza del profondo amore che legava Fritz al cibo.

«E secondo: Mike era preoccupato.» vide quel sorriso sparire, mandare giù il boccone e prendere un respiro.

«Ci hai parlato.» era un'affermazione. Era chiaro lo avesse fatto, lui e Mike erano amici ma non credeva così tanto da avere l'uno il numero dell'altro. Anzi, ricordava bene che Fritz chiamava lui per poter parlare con Mike, come un tramite, perchè non avevano i rispettivi contatti telefonici. Quando se li erano scambiati? Forse per internet? No, Fritz era troppo imbranato e diceva di non essere interessato ai Social Network. Come se avesse i poteri di Fredbear - se pensava a quell'orsetto anche nella vita quotidiana, era grave - Fritz parve leggergli la mente.

«Accadde poco dopo il tuo arrivo. Mi chiamò, disse che era addirittura andato a rivolgersi ai miei genitori per farsi dare il mio numero, dicendogli di essere un mio amico. E Mike allora aveva la faccia da bravo ragazzo, così mia mamma gliel'ha dato.» disse mangiando un... Qualcosa, di cui non ricordava il nome. Bhe, okay, forse con la cucina Giapponese doveva migliorare. Ma la prossima volta, decisamente Italiano. Mentre si perdeva in queste brevi elucubrazioni, Jeremy aveva interrotto il suo pranzo, per dargli la sua completa attenzione.

«Ad ogni modo mi chiamò e mi spiegò cos'era successo, feci finta di esserne sorpreso e mi chiese se io ti avessi sentito ultimamente. Gli dissi di no e allora stette zitto, poi mi disse che era preoccupato e che-» il rumore delle bacchette che si rompevano lo ammutolì, osservando come la mano di Jeremy avesse spezzato in quattro parti diverse le sue bacchette di legno.

«Preoccupato? Lui mi crede un assassino! Dico, perchè diavolo gli hai risposto!?» chiese, furioso, e in quell'ira ci vedeva perfettamente quel sedicenne iroso, arrogante, che non vuol sentire ragioni se non la sua, che era un tempo.

«Se arrivò a me pur di sapere delle tue condizioni-»

«Tu non c'eri quel giorno. Credimi, il suo sguardo non era pieno di preoccupazione. Forse spavento, ma non preoccupazione, te lo possiamo assicurare: io e Freddy!» esclamò il ragazzo lasciando lentamente le bacchette e richiamando la calma per parlare civilmente con Smith.

«Puoi biasimarlo?» chiese l'arancione, lasciando anche lui le bacchette e osservando attentamente l'amico che probabilmente trovava il tavolo più interessante dei suoi occhi, perchè aveva lo sguardo incollato a quello.

«No. Credo che avrei fatto altrettanto. Tra l'altro avevamo litigato proprio poco prima di quel giorno. Però non credo di poter affrontarli. Nè lui, nè mio padre, nè mio fratello.» e finalmente alzò gli occhi azzurri su quelli grigi del conquilino che gli sorrise comprensivo, congiungendo le mani.

«D'accordo. Allora partiamo da uno facile facile: Freddy. Insomma lui può informarci circa quello che succede da queste parti.» spiegò Smith trovandosi d'accordo con l'amico che gli svelò che anche lui ci aveva pensato.

«Quindi... Andiamo noi da lui?

«So che preferiresti non uscire per evitare che qualcuno ti veda e ti riconosca. Ma non siamo tornati qui per affrontare le tue paure? Su, allora, ti prometto che prenderemo vie isolate.» e così fecero. Ci misero quasi il doppio del tempo che avrebbero impiegato normalmente, ma alla fine raggiunsero la casa del ragazzo, una villetta affatto male di colore bianco panna e il tetto di quel colore marroncino chiaro che rendeva più confortevole quel bianco. Dovettero attraversare un piccolo sentiero che collegava la strada agli scalini della casa, circondato dall'erba.

«Ha una casa bellissima.»

«Già, la stessa cosa che pensai io quando venni qui la prima volta. Venni qui una sola volta per farmi aiutare con i compiti. Non so per quale miracolo mi sia ricordato la strada.» e mentre Jeremy spiegava, la mano di Fritz aveva cercato e premuto il campanello, facendo risuonare un "Ding Dong".

«Quante probabilità ci sono che abiti ancora qui? Insomma, ha 22 anni ora, no?» chiese Fritz suonando ancora dato che pareva che in casa non ci fosse nessuno.

«Già. Avremmo dovuto chiamarlo invece di-» e la porta si aprì mostrando un ragazzo dai capelli e gli occhi neri, questi ultimi circondati da un paio di occhiali anch'essi dalla montatura nera.

I tre si squadrarono in totale silenzio, quasi come se non si fossero mai visti prima. 

«Vecchia Volpaccia! Sei tu? Mio Dio, ti davo per morto da tempo!»

«Sì, è proprio Freddy.» constato Jeremy, sorridendo, mentre l'amico si concedeva un abbraccio dato che non vedeva quel mocciosetto da sei anni.

«Ci siamo sentiti l'ultima volta una settimana fa e ora ti trovo qui! Ad ogni modo, entrate, tranquilli non c'è nessuno.» e si fece di lato per far entrare i due.

«E tu devi essere quello che l'ha ospitato. Piacere, Freddy.»

«Fritz. Mh. Jeremy ti aveva descritto come un bulletto invece sembri un...»

«Secchione? Lo sono. Vado all'università. Non l'avresti mai detto, eh, Volpaccia?» chiese orgoglioso mentre Jeremy faceva un segno di diniego, quasi gli faceva strano vedere Freddy con gli occhiali... Però gli donavano davvero tanto.

«Quelli ti danno un'aria intelligente.»

«Ehy, piccolo delinquentello, io sono intelligente.» disse facendo strada ai due attraverso l'enorme casa fino a portarli in una grande sala e sul divano in pelle bianco, su cui si sarebbero dovuti sedere, c'era qualche matita e penna, e sul basso tavolino davanti ad esso libri di praticamente ogni materia, nell'angolo, intenti a lottare per un po' di spazio, qualche snack, per terra, nello stesso angolo accanto alla gamba del tavolino una bottiglietta d'acqua.

«Perdonatemi, ma non aspettavo visite e di certo non me le sarei mai aspettate da voi. Comunque possiamo sederci qui. Che volete che vi dica, la vita di un universitario: 0 vita sociale e 1000 libri.» disse sedendosi sul divano, sgomberandolo dal libro che stava leggendo e dagli altri oggetti scolastici, facendoci sedere i due ospiti.

«Ti dirò, Jer, cominciavo a pensare non saresti più tornato.» gli confessò il ragazzo, poggiandogli una mano sulla spalla una volta che entrambi si sedettero.

«Cominciavamo a pensarlo tutti.» aggiunse Fritz, beccandosi un'occhiataccia da Jeremy.

«Ma bentornato! Sono felice del fatto che finalmente ai trovato le palle per affrontare questa situazione.»

«Cominciavo a pensare che il vecchio Freddy fosse morto tra tutti questi libri, e invece...»

«Invece è ancora vivo, sotto tutti questi libri. E anche sotto questi occhiali. Annaspa per dire la sua e ogni tanto si fa strada persino tra le mie buone maniere!» era bello rincontrare vecchi amici dopo tanto tempo, Fritz pensò che anche lui avrebbe dovuto rivedere i suoi, di amici. Ed era felice di vedere quel mezzo sorriso tranquillo sul volto di Fitzgerald... Fitzgerald effettivamente era "nato" anche grazie a Freddy se non errava, Jeremy gli aveva detto anche che era stato lui a dargli quel documento che gli aveva permesso di continuare la sua vita da un'altra parte. Grazie a quello era riuscito a continuare a studiare, fino al diploma, poi aveva lasciato, decidendo di aiutarlo con l'affitto e le varie bollette, perciò si trovò un lavoro e non volle sentire ragioni. Credeva si sentisse in debito, in un certo senso. 

«Cosa studi?» sentì domandare da Jeremy che si allungò appena sul tavolo per sbirciare i libri.

«Psicologia. Voglio diventare Psicologo, sinceramente credo di essere seriamente portato.» svelò Freddy, indicando all'amico un tomo di psicologia aperto.

«Stavo ripetendo l'esperimento di Pavlov, una cosa interessante su una campanella, un cane e... Non credo v'interessi. Sei qui per altro immagino.» disse incrociando le gambe e aspettando che uno dei due parlasse. Dato che Jeremy si finse interessato a Pavlov, leggendo anche qualche riga del libro, fu Fritz a dare il via alla conversazione che tutti aspettavano.

«Siamo qui per essere aggiornati un po' su cos'è accaduto qui in giro negli ultimi sei anni e abbiamo pensato a te. Sei l'unco a cui possiamo rivolgerci.» spiegò brevemente Fritz mentre Jeremy riportava la sua attenzione su Freddy su cui era puntata, ora, tutta la loro attenzione.

«Immaginavo. Dunque... Subito dopo l'incidente, praticamente già dal giorno dopo il Feazbear era praticamente deserto, tutti avevano paura degli Animatronics. Quando te ne andasti, Jer, furono organizzate veri e proprie riunioni da Gente Che Voleva Lamentarsi. Si mettevano fuori al locale con cartelli e facevano cori, urlavano in nome della sicurezza e... Insomma, non se la passava bene. Ci furono controlli anche agli animatronics, probabilmente in seguito alla notizia che si era sparsa, ed effettivamente venne dichiarato che quei robot, non tanto quelli da poco aggiunti, quanto quegli che chiamano "Antichi" Fossero da rottamare. Loro e Foxy. Dicevano che quella Volpe era quello messo peggio e che se non aveva ancora causato qualche guaio, bhe, l'avrebbe fatto a breve.» disse, notando il volto serio di Jeremy, sapeva cosa gli passava per la testa, la stessa cosa che aveva pensato lui: Quella gente era ipocrita. Tutti sapevano degli animatronics, sapevano che Foxy era quello messo peggio, tutti sapevano eppure solo dopo l'Accaduto, magicamente, tutta quella storia non gli stava più a genio. Il massimo che sarebbe potuto succedere era lo spegnimento improvviso dei robot, non certo uno sterminio di massa da parte di questi come alcuni genitori, invece, avevano avuto il coraggio di raccontare.

«La gente pareva più incentrata sul "L'Orso non si è fermato", che sul fatto che eravamo stati noi a mettere Kentin là in mezzo. Non ci ha denunciati nessuno. Nemmeno chi sapeva chi si trovasse sotto le maschere.» e a saperlo erano solo in quattro: Vincent, Mike, Kentin e Phone. Ci fu un lungo silenzio, pareva farlo apposta come per dare il tempo di metabolizzare le notizie che dava, solo che ora pareva non voler andare avanti, e di certo Jeremy non l'avrebbe stimolato. Fritz capiva che, seppure in modo molto ridotto anche Freddy si doveva essere sentito in colpa. Per nessuno di quei due era facile, quindi ci pensò Fritz a sollecitarlo.

«Poi cosa successe?» chiese, e Freddy rise senza allegria, brevemente, una risatina sarcastica che non era diretta a lui, ma a se stesso.

«Fallì. Cioè in realtà no... Ma ci andò molto vicino. Nessuno ci andava più, perchè Feazbear era pericoloso, e chi lavorava in quel posto era disperato, perchè dicevano di essere affezionati agli animatronics. Così il Signor Feazbear dovette prendere una decisione, quella decisiva, a cui sarebbero andate le sorti della pizzeria e l'avrebbero condotta o alla Rinascita o al Fallimento definitivo. Decise di spegnere tutti gli animatronics e prenderne dei nuovi. E così fece. Se ora entrate la dentro ci troverete solo Toy Freddy, Toy Chica e Toy Bonnie. Di quelli di sei anni fa è rimasto solo un lontano ricordo. Io, sinceramente, questi robot gli ho visti solo in televisione. Da... "L'Incidente" non ci ho messo più piede lì dentro.» 

«E il Pirate Cove? Era una vera e propria zona del locale!» esclamò con veemenza Fritz, che era sempre stato un grande fan della pizzeria e ricordava di aver anche avuto un bellissimo rapporto con Bonnie, da piccolino fino all'adolescenza, tanto che pianse quando andò a dirgli che se ne sarebbe andato. Arrossì in imbarazzo ricordando quella faccenda, nessuno doveva sapere o sarebbe stato preso in giro fino alla fine dei tempi ma... Pensare che quel coniglio ora fosse stato in pezzi! Fu come se gli avessero detto della sua morte. 

«La zona è stata smantellata completamente. Ora il locale è più esteso, è un luogo dove mangiare anche quello. Mh? Amico, hai gli occhi lucidi?» e a quella domanda di Freddy anche Jeremy si voltò verso il conquilino ed effettivamente ci trovò quegli occhi grigi velati di lacrime.

«Scusate, ci sono praticamente cresciuto in quel posto e...» lasciò la frase in sospeso, asciugandosi frettolosamente gli occhi, e vide del dispiacere negli occhi di entrambi i ragazzi che aveva di fronte.

«Non preoccuparti, amico, non è la prima volta che assisto a queste scene che tormentano quella coscienza che non sapevo di avere. Tu puoi capirmi, Jer.»

«Già...» disse il ragazzo sentendo del dispiacere farsi strada nella sua anima, ma Freddy non gliene diede il tempo, perchè proseguì con il racconto.

«La tua stessa reazione infatti l'hanno avuta i nostalgici, con alcuni di quelli che lavoravano lì e i bambini ovviamente. Ma tutti si sono affezionati a questi nuovi arrivati, dimenticando in fretta il dispiacere. Ed è così che, come una Fenice, Freazbear è rinato dalle sue ceneri. Perdonate il momento poetico.» disse con un mezzo sorriso in volto, sistemandosi gli occhiali.

Fritz si riprese in fretta, e simulando un colpo di tosse decise di fargli una domanda ben precisa, quella domanda che Jeremy non gli avrebbe mai posto perchè forse temeva la risposta. E lui era lì per quello, per sostenere Fitzgerald.

«Ascolta, Freddy...» comincio, facendo intuire a entrambi il percorso su cui stava tentando di portare la conversazione.

«Ho capito. Vuoi sapere come se la passano la Guardia e il Piccoletto del morso, vero?» forse fu per sensibilità che Freddy non usò i loro nomi, e di questo Jeremy lo ringraziò mentalmente, rimanendo curvato su quei libri e continuando a fingere che gli interessassero.

«Dunque, la Guardia lavora ancora al Feazbear, di questo ne sono sicuro. Non so come stia psicologicamente, però, se è quello che v'interessa. Il piccoletto invece stà alla grande! Dopo la storia del morso in classe era qualcosa come un eroe. Lo so perchè alcuni marmocchietti li conosco. Credimi, Jer, stà bene, meglio di quando l'hai lasciato.» disse Freddy, certo di fargli un piacere, quando vide un sorriso incurvargli le labbra. Ma aveva qualcosa di insano, quel sorriso... Che divenne risata, una risata senza allegria, anzi, pareva isterica, come per scaricare qualcosa che lo turbava nel profondo.

«Già. Stanno bene.» disse poi, sovrapensiero, tornando ancora dritto sul divano ma con uno sguardo... Ferito.

«Stanno bene.» ripetè come per convincersene, quasi dimenticando di essere in compagnia, infatti gli occhi dei due erano puntati su di lui.

«Stanno meglio senza di me.» e ci fu un profondo silenzio. Effettivamente Jeremy non aveva mai pensato a come se la stessero passando nel presente i due familiari, perchè la sua mente era bloccata a quel giorno, fossilizzata, per lui non esisteva un ora, qui, solo un quel giorno, in quella pizzeria. Fermo. Bloccato. Per 6 lunghi anni. No, non era così. Era andato avanti. Aveva un lavoro, abitava in un'altro posto, degli amici, certo la sua mente lo conduceva lì ma... Perchè era tornato? Cosa si aspettava di fare? Davvero credeva di rimediare? Erano andati avanti anche senza di lui, trovando una vita migliore. Ritornare avrebbe distrutto quell'equilibrio. Egoista. Pensi sempre e solo a te stesso, sei qui solo perchè la tua coscienza ti aveva messo con le spalle al muro. Già, ma non era giusto che pagassero loro, per il suo egoismo. Aveva fatto bene a sparire dalle loro vite! Forse avrebbe dovuto farlo prima, almen-

«Dio, è grave.» 

«Hai visto? Lo fa spesso. A volte fa paura. È come se non fosse più in questo mondo.» quando si riscosse dai suoi pensieri si voltò trovando Freddy a un millimetro dal suo volto, e di colpo si allontanò.

«Che diavolo fai!?»

«Era come se fossi svenuto! Non ci sentivi quando ti chiamavamo e avevi lo sguardo vuoto.»

«Stò bene!» disse frettolosamente, alzandosi e sistemandosi la giacca, preparandosi ad andar via.

«Fritz andiamo, abbiamo tutto ciò che ci serve.» per tornarcene da dove siamo venuti aggiunse mentalmente, deciso a prendere il primo treno disponibile e tornare a casa. Nessuno l'aveva cercato per sei anni! Un motivo ci doveva essere, bastava farsi una domanda e darsi una risposta: nessuno lo cercava perchè nessuno lo voleva.

Fritz si alzò e Freddy li condusse ancora alla porta mentre scambiava il suo numero di telefono con Fritz.

«D'accordo, allora. Se diventerò pazzo stando dietro Jeremy, ti chiamo.» disse ridendo Fritz, mentre Jeremy lo aspettava fuori dalla porta, ansioso di andare via.

«Sempre a disposizione, Fritz!» rispose Freddy mentre il ragazzo raggiungeva Fitzgerald.

«Allora ci si vede.» disse Jeremy, limitandosi a un cenno del capo.

«Sì, ah, Fitzgerald?» chiamò Freddy, e Jeremy lo conosceva troppo, fin troppo bene, tanto da sapere cosa significasse essere chiamati per cognome. Il cognome falso, tra l'altro. Significava che Freddy stava per combinarne una.

«Stà attento quando vai in giro, non farti vedere da troppa gente.»

«Questo lo sapevo già, Freddy.»

«Quello che non sai è che Papino, sei anni fa, dopo due mesi che non ti facevi vedere ha denunciato la tua scomparsa.» e Jeremy smise di respirare. L'avevano cercato? La risata di Freddy gli giunse alle orecchie.

«Probabilmente vuole ucciderti personalmente! Buona fortuna, ragazzacci!» e chiuse la porta. 

Ancora una volta l'intuito di Freddy lo colpì, come...? Sorrise, grato al compagno.

Sarebbe rimasto anche solo per chiedere scusa a Kentin. Almeno quello, glielo doveva.

E con quel pensiero tutte le voci che, maligne, gli ripetevano ciò che era accaduto quel giorno, mescolando presente, passato, sovrapponendo i ricordi felici a quelli dolorosi, senza pietà, quelle che gli riproponevano una versione peggiorata di Quel giorno, quelle che lo chiamavano codardo, egoista... Tutte quelle voci e immagini, con quel pensiero, sfumarono.

Per poco, Sconfitte.

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Capitolo 4
*** Rimediare (Esiste Un Gatto Con Il Nome Di Una Volpe) ***


Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

Rimediare (Esiste un gatto con il nome di una Volpe)

 

 

 

 “Caro Diario, benvenuto in famiglia! Io sono Fritz, il tuo proprietario, e no, non sei un diario dei segreti ma un diario di... Uh. Bordo? Anche se non siamo su una nave. In realtà siamo a casa, è sera, e Jeremy stà guardando un film mangiando dei pop corn. Io sono sul divano con lui ma preferisco scriverti che prestare attenzione al noiosissimo film di Jeremy - sì, lo ha scelto lui, è un fanatico della fantascienza lo sapevi? Su di me hanno un effetto soporifero quei film lì quindi lo ignoro volentieri - ad ogni modo, dopo la visita a Freddy abbiamo passato una bella giornata a passeggiare per la città. Ovviamente ho costretto io Jeremy. Diario, non sai quanto quel ragazzo è paranoico! È andato tutto bene. Nessuno l'ha visto, o-”


«Io non sono paranoico.» 

“Oh Dio, Diario! Jeremy legge nel pensiero. Ha appena detto quello che ho scritto senza leggerlo!”

«Forse perchè dici ad alta voce quello che scrivi?» gli chiese divertito Jeremy, guardando l'amico ranicchiato contro il bracciolo del divano, con il diario appoggiano sulle gambe e la penna ancora attaccata al foglio.

«No che non l'ho fatto.» rispose il rosso guardando stranito Jeremy, che si limitò a un sospiro, conoscendo ormai a memoria i modi strani del coinquilino e tornando a prestare attenzione al suo film. Tuttavia, continuava a sentire su di sè gli occhi grigi dell'amico, e lo metteva a disagio, ma provò a non dargli peso.

«Jer.» lo richiamò allora Fritz, chiudendo il diario - rosa con le fragoline disegnate sopra - riponendolo piano sul divano, tra lui e Fitzgerald, subito seguita dalla penna. Il ragazzo continuò a guardare la televisione degnendo dell'amico di un "mh" che stava a significare "sì, ti ascolto, più o meno, dimmi pure". Peccato Fritz volesse completamente la sua attenzione e rubò in fretta il telecomando dal tavolino di vetro davanti a loro, spegnendo quell'aggeggio infernale. Uno sbuffo seccato provenne da Jeremy.

«È così importante?» e guardò l'amico, finalmente, nel chiederlo. E dalla sua espressione seria capì che, si, era importante. Perchè Fritz Smith non era mai serio, a volte ci provava ma finiva sempre nel ridere. E quando succedeva era qualcosa di grave, così decise di voltarsi completamente verso di lui, gambe incociate, schiena contro il braccio del divano.

«Pensavo agli animatronics.» disse, secco, dopo un'attimo di silenzio tra loro. Jeremy ricordò all'istante il suo cedimento quando Freddy quella mattina gli aveva raccontato di cosa era successo a quei robot, sinceramente ancora non capiva cosa la gente ci trovasse in loro, erano un mucchio di ferraglia che parlava, giusto? Come ci si può affezionare a qualcosa che non vive davvero? Il Jeremy sedicenne non avrebbe avuto paura di prendersi gioco di Fritz, un tempo, ma ora era diverso. Ora, anche se non capiva quell'affetto, non lo criticava, si limitava al silenzio rispettoso. Aveva imparato tardi che a volte tacere era la cosa più intelligente da fare. Quindi si limitò a annuire, per incitare l'amico a proseguire.

«E penso dovremmo fare qualcosa. Insomma la colpa è...» Fritz si fermò, si morse la lingua e guardò Jeremy, sentendosi in colpa. Stava per dire nostra ma entrambi sapevano che lo Smith non c'entrava niente, e il colpa tua avrebbe ferito Jeremy, che lo guardò per un'attimo a occhi sgranati, sorpreso. 

«Jer, non volevo dire-»

«Oh, non permetterti di trattarmi come una ragazzina sensibile!» disse il castano alzandosi dal divano come se bruciasse, arretrando. Poi allargò teatralmente le braccia.

«Avanti! Che aspetti? Dillo! Sono 6 anni che te lo tieni dentro.» eppure a volte quel sedicenne non aveva timore a mostrarsi. Fritz scosse la testa in segno di diniego.

«Non volevo offenderti, è che io ero uno di quei fan accaniti del Feazbear. E sì, Jer, è colpa tua, ma non morivo dalla voglia di dirtelo. Sai perchè? Perchè penso tu possa ancora rimediare.» dopo quelle parole Jeremy parve calmarsi, tornare in sè. Si morse una guancia odiandosi per l'immaturità appena dimostrata, che a volte prendeva il sopravvento. 

«Scusami.»

«Di nulla, sono qui a posta per farti ragionare! Ad ogni modo questa è l'idea: ci infiltriamo nel Feazbear una notte, e andiamo a vedere se ci sono ancora gli animatronics antichi! Poi li mettiamo a posto e ce ne andiamo, nessuno saprà mai che siamo stat-»

«Non se ne parla!» esclamò Fitzgerald guardando il compagno come se fosse appena impazzito. Fritz mise su un broncio offeso.

«E perchè no? Tu, in uno dei tuoi tanti lavori part-time non hai fatto anche il meccanico?»

«Non è quello il problema! Infiltrarci di notte in quel posto... C'è mio padre a farci la guardia, ci sono i Toy attivi e... Perchè ci tieni così tanto?» chiese, poggiando le mani sui fianchi, realmente confuso. Insomma, la faccenda con i vecchi animatronics era chiusa da tempo, a nessuno importava più, erano stati sostituiti. Frits sorrise, con sguardo colpevole.

«Ero amico di Bonnie.»

«Il coniglio viola?»

«Il coniglio viola.» confermò il rosso, ricevendo in risposta uno sguardo basito. Aveva detto amico? Non si può essere amici di un robot! Fritz anticipò le domande che Jer avrebbe certamente voluto porgli e si limitò a spiegare.

«Io... Adoro i miei genitori, eh. Sono sempre stati buoni, comprensivi, affettuosi. Però sempre molto impegnati, almeno nei miei primi anni di età. In breve... Al tempo, non so se esiste ancora, c'era un progetto tipo "baby sitter" al Feazbear, lasciavi lì tuo figlio insieme ai bambini e agli animatronics e ci si divertiva, si faceva amicizia e io... Divenni molto amico di Bonnie. Miglior amico.» aggiunse con orgoglio, ricordando le giornate passate con quell'animatronics. Gli aveva anche insegnato a strimpellare qualcosa alla chitarra. E ora era rottamato. I suoi occhi grigi si riempirono di lacrime, ma il sorriso persisteva sul suo volto, creando un contrasto strano, distogliendo lo sguardo.

«Hai ragione, scusa. Non dovevo proporti una cosa del genere. È stupido. ... Vado a dormire. 'Notte.» e in silenzio e frettolosamente si alzò e si rintanò nella loro camera, chiudendosi la porta alle spalle. Jeremy rimase per un lungo attimo a fissare quella porta. Poi scosse la testa, avvicinandosi al divano e lasciandosi cadere sopra. Ne aveva fatti di danni. Poteva davvero ancora rimediare a tutto quanto? Con suo padre, Kentin, Fritz, Mike... Forse. Ma non da solo. Fu quasi automaticamente che si mise a frugare nelle proprie tasche alla ricerca del telefono, quando lo trovò compose in fretta il numero di Freddy. Squillò per secondi, senza risposta. Cadde la linea. Ci riprovò. Ancora nessuna risposta. 

 

«Rispondi, avanti...!» sussurrò tra sè provando un'ultima volta.

«Oh mio Dio, dormi Jer.»

«Freddy ti devo parlare.»

«Evidentemente tu non sai che ore sono. Domani ho lezione, 'notte.» Jeremy stava per parlare ancora ma la chiamata venne chiusa dal moro. Fitzgerald si ritrovò a prendere un grosso respiro e a richiamare la sua calma, tentando una quarta volta. 

«Ti do dieci minuti quindi spiegati in fretta.»

«Voglio rimediare.»

«Questo l'avevo un filo intuito dal tuo ritorno, Jer.»

«Non vuoi aiutarmi? Hai detto che ancora ti senti in colpa.» per un'attimo ci fu un profondo silenzio, tanto che Jeremy pensò che l'amico avesse riattaccato nuovamente, quando...

«Qualche idea?»

«... Potremmo andare al Feazbear. Di notte, magari. E-»

«Un'idea che non sia stupida. Secondo te la guardia notturna la mettono lì per fare arredamento?»

«Lo so anch'io che è molto rischioso, ma abbiamo altre idee? Non mi pare.»

«Non potresti semplicemente andare a casa di tuo padre domani, e chiedere scusa a lui e tuo fratello?» chiese Freddy, aspettando una risposta. Jeremy era uno di quelle persone che si complicava la vita da solo, ignorando volutamente il modo più semplice! Insomma, non era tornato apposta per quello? Che gli importava delle sorti di una stupida pizzeria? Jeremy riflettè brevemente, immaginandosi la scena. Un brividò gli salì lungo la spina dorsale al solo pensiero di fare una cosa simile. Ancora una volta Freddy intuì la sua reazione, come se l'avesse vista con i suoi occhi, e riprese con tono molto meno canzonatorio.

«Vuoi nasconderti per sempre da loro? Sei anni non ti sono bastati?»

«Senti... Lo farò, è chiaro. Ma voglio andare per gradi. E poi stò già facendo questo rischio di incontrare mio padre, no?» e Freddy ringraziò il fatto che Jeremy non avesse la sua stessa capacità di capire le reazioni e i sentimenti altrui - quel cuore di pietra! - perchè ghignò come non faceva da... Bhe, sei anni almeno.

«Allora agiamo domani sera?»

«Domani?»

«Dio, Jer, vuoi fare le cose con calma? Liberati del tuo amico rosso e vieni a casa mia, verso mezzanotte entriamo in azione.» era un tipo troppo combattivo a volte, Freddy. Non gli diede tempo nemmeno di rispondere che chiuse il telefono in faccia all'amico, per non dargli tempo di avere ripensamenti. Poi il giovane universitario posò il telefono sul comodino e si rintanò meglio sotto le coperte, certo che ora anche Jeremy avrebbe potuto dormire sonni tranquilli.

Rimediare. Uh, suonava proprio bene come parola.

 

 

 

 

Un nuovo giorno cominciava, e la città cominciava a svegliarsi lentamente, Fritz trovava una colazione preparata da Jeremy - qualcuno ascoltava le sue preghiere lassù - mentre il castano gli chiedeva scusa per la sera prima. Freddy dormiva ancora profondamente sotto le sue coperte, ringraziando il fatto che la sua lezione di psicologia per la quale aveva studiato non avrebbe avuto inizio prima di mezzogiorno. Gli Animatronics, al Fazbear salutavano la guardia notturna che faceva a cambio con il Phone Guy, scambiandosi qualche battuta. Erano sempre divertenti, quei due. E mentre tutto questo accadeva un bambino, nella sua camera, osservava dal suo letto un gatto che sedeva sul cornicione della sua finestra pulendosi elegantemente la zampa. Non osava muoversi, conosceva bene ormai quell'improvvisato compagno di stanza, e sapeva che appena faceva un movimento attirava gli occhi di lui, che si metteva subito sull'attenti. Da giorni, Kentin provava a farci amicizia ma l'unica volta che non era scappato da lui appena l'aveva visto alzarsi l'aveva graffiato, sparendo poco dopo. Gli aveva dato anche un nome: Jeremy. Trovava gli somigliasse.

si scostò le coperte, doveva prepararsi per la scuola, e subito il gatto dal pelo marrone chiaro, un po' mal ridotto per la vita di strada, seppur regale nel suo portamento, fissò i suoi occhi su di lui, come a sfidarlo a fare un'altro passo. Kentin sorrise e decise di non importunarlo per questa volta, andando verso il bagno e assentantodosi dalla stanza. Nel mentre il gatto rimase ancora un po' ad aspettare e notando la via libera scese dal cornicione, atterrando con eleganza sul pavimento e zampettando verso il letto di Kentin, salendoci sopra e cercando un buchetto tra le coperte. Cominciò a annusare le coperte, il cuscino, quando il bambino tornò subito rizzò il pelo, saltando sul posto, ingobbendosi e tirando fuori gli artigli.

«Ho capito, ho capito, non ti do fastidio.» disse Kentin quando si accorse che il gatto che ogni mattina trovava sul cornicione per la prima volta si era intrufolato in casa. Ormai aveva 13 anni, non era più un bambino terrorizzato da tutto come un tempo. Sorrise al gatto e il suo sguardo scivolò sul pupazzo di Fredbear sul comodino. Il gatto intanto si sistemava tra le coperte, abbassando la guardia. Il piccolo scosse la testa e si avvicinò al suo armadio, aprendolo. Non doveva pensare troppo a Jeremy - suo fratello, non certo il gatto - suo padre glielo diceva sempre. Non aveva ancora ben capito se suo padre fosse arrabbiato, deluso o preoccupato per Jeremy. Forse tutti e tre insieme. E lui? Lui cosa ne pensava di Jeremy? Se lo chiese mentre si liberava del suo pigiama e indossava dei jeans con una felpa verde. Già, suo fratello. Mancava da 6 lunghi anni, non sapeva dove era andato, sapeva solo che aveva provato a ucciderlo e poi l'aveva salvato. E poi aveva chiesto scusa. Ad essere onesti non provava niente nei suoi confronti: non rabbia o odio ma nemmeno voglia di rivederlo, o amore fraterno. Era indifferente e si sentiva un tantino in colpa per quello. Però era riuscito a crearsi un'equilibrio. Andava a scuola, aveva dei buoni amici, suo padre stava bene e a prendere il posto di Jeremy quando Vincent non c'era...

Qualcuno bussò alla porta.

«Ehy, Kentin, sei pronto?» chiese una voce, poco dopo la maniglia si abbassò e la porta si aprì mostrando un ragazzo dai corti capelli castano scuro e gli occhi blu, alto, con uno zaino sulle spalle, e il solito sorriso cortese sulle labbra.

Mike Schmidt era diventato proprio un bel ragazzo, con i lineamenti meno da ragazzino e più da uomo, d'altronde aveva 22 anni, ora. 

«Solo le scarpe, Mike!» e il piccolo gli si avvicinò e Mike credette volesse abbracciarlo ma...

«Batti il pugno!» ora i giovani si salutavano così. Battè il pugno al ragazzino che si lanciò verso le scale, alla ricerca delle scarpe, urlando un frettoloso "buongiorno comunque!" che fece ridacchiare il castano, ancora sulla soglia della porta. Studiò distrattamente la camera - ovviamente disordinata - del ragazzino. Quella camera l'aveva spaventato per molto tempo, diceva che aveva anche degli incubi inerenti ad essa e invece a guardarlo ora, così sereno, tranquillo... Era come liberarsi di un peso. I vestiti ammucchiati su una sedia, ancora da piegare, qualche videogioco sul pavimento, libri aperti e non sulla scrivania da poco aggiunta alla camera, il letto ancora sfatto su cui... Un gatto? Ma era il famoso gatto-Jeremy quello che, prepotentemente, si era nascosto tra le coperte? Sorrise.

«Fai il bravo.» il gatto mosse appena le orecchie, segno che l'aveva sentito. Poi il suo sguardo scivolò piano sul comodino accanto al letto dove giaceva il pupazzo di Feazbear, con accanto il biglietto che Jeremy aveva lasciato a Kentin, appoggiato alla zampa dorata. Il fratello minore ci teneva particolarmente, tanto che anche se si vergognava a tenere dei pupazzi in camera su quello non aveva voluto sentire ragioni: doveva restare lì. Il sorriso sparì. 

«Ehy Mike, sono pronto, dai che altrimenti faccio tardi!» e lo Schmidt si riscosse prima che i suoi pensieri volassero su un certo soggetto. Scosse la testa e scese di sotto.

«Eccomi qui.» e insieme uscirono di casa, dirigendosi verso scuola. 

Era così confortevole la normalità...

Il Gatto con il nome da Volpe, intanto, si faceva le unghie su un peluche dorato.

 

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Capitolo 5
*** L'Arte Dell'Improvvisare ***


Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

L'Arte Dell'Improvvisare

 

 

 

Aveva deciso con Jeremy, ieri notte, di entrare nel Fazbear e lo avrebbero fatto, nonostante fosse stata un po' avventata come decisione. Ma Freddy era fatto così, non gli piaceva perdere tempo, anche se prendere decisioni così alla leggera gli sarebbe potuto costare parecchio: innanzitutto non avevano uno straccio di piano, o un minimo di organizzazione, in generale. Per fortuna di entrambi, Freddy aveva una mente che definire diabolica era un insulto. Era molto di più. Che la sua mente fosse particolarmente brillante si sapeva, e che da lui ci si potesse aspettare di tutto, anche, per questo sei anni prima la gente sapeva bene che era meglio girare a largo da lui, perchè se un attimo prima ti sorrideva amichevolmente, quello dopo ti guardava come un gatto che fissa il canarino in gabbia, pronto a giocarci sadicamente, riempiendolo di unghiate fino a ucciderlo. 

Bhe, quando, però, Jeremy se ne era andato, anche lui aveva sentito il bisogno di cambiare, insomma aveva 16 anni, e stava crescendo, non poteva fare l'imbecille bulletto tutta la vita, si doveva costruire qualcosa che gli altri ragazzi chiamavano Futuro. E s'impegnò affinchè ciò accadesse, tanto da ricevere una borsa di studio nell'università che ora frequentava. E poi il suo stile di vita era cambiato, ovviamente, i suoi orari incredibili erano stati riportati alla normalità, la notte invece di girovagare per le strade dormiva, e quando saltava qualche ora di sonno la colpa era da attribuire ai libri, non certo a qualche uscita con amici. Amici. Bhe, non ne aveva praticamente più, aveva preferito chiudere con i suoi vecchi "amici" e Bonnie e Chica erano spazzatura per lui da tempo. L'unico amico degno di questo nome era Jeremy, che non era lì però. Per questo lo stava aiutando? Perchè erano amici? Esatto.

E anche se non lo dimostrava troppo palesemente, era felice che Fitzgerald si fosse rifatto vivo, certo, con i suoi tempi - da considerarsi infiniti - ma era tornato. E ora si apprestava a entrare di notte in una pizzeria, per fare qualcosa, - davvero non aveva idea di cosa Jeremy avesse intenzione di fare. Anche volendo ipotizzare una rapina, cosa avrebbe rubato? I Toy? No. Voleva rivedere suo padre? Entrando di nascosto nella pizzeria dove lavorava come Guardiano Notturno? No, impossibile, anche volendo credere che Jeremy volesse fare "una sorpresa" al paparino quello... Bhe, quello sarebbe stata solo una mossa stupida. - pensandoci, in effetti, in quella chiamata avrebbe dovuto chiedere chiarimenti a tal proposito. Peccato solo che Freddy, di notte, mezzo addormentato, non è che connettesse poi così bene.

D'accordo, doveva smetterla di pensare a questa storia e creare un piano più o meno decente, il minimo necessario per non far scattare l'allarme appena messo piede all'interno della pizzeria. 

Stava tornando a casa ed erano le 14 di pomeriggio, dopo un'intensa lezione di psicologia, e nemmeno ora il suo cervello connetteva bene. Sbuffò, se avesse lasciato fare a Jeremy, però, poteva già considerarsi in arresto. Si passò una mano tra i capelli nerissimi, mentre continuava a camminare verso casa e poteva sentire i suoi muscoli contrarsi, dal nervosismo. Aveva voglia di prendere a pugni una qualsiasi superfice nei paraggi. 

Guardò il muro che lo fiancheggiava, rinunciando subito all'idea: la mano gli serviva per prendere appunti. 

Doveva rilassarsi. Sarebbe andato tutto bene. A 16 anni faceva cose del genere di continuo. Ma allora non aveva nulla da perdere. Bhe, comunque non era un vigliacco, aveva promesso a Jeremy che quella sera sarebbe stato al suo fianco e quella sera lui ci sarebbe stato. Punto.

E respirò profondamente, riportando lo sguardo davanti a sè e notando che qualche altro studente stava tornando a casa dall'università.

Mike Schmidt.

Non era la prima volta che se lo ritrovava sulla strada di casa, ma non avevano mai parlato, e andava bene a entrambi. E quella volta non avrebbe fatto eccezione.

Mike Schmidt non sostituiva qualche volta il Guardiano Notturno, quando si prendeva delle giornate per stare con il figlio?

Certo, che lo faceva. 

Oh, quindi ha anche le chiavi del retro.

Matematico. Ma certamente non le avrebbe date a te, Freddy.

Spontaneamente, no di certo.

E fu allora che nacque sul viso del moro un sorrisetto parecchio divertito, e che pareva avere qualcosa di grosso in mente. Davanti a lui, in quel preciso istante, gli stava camminando la prima parte del suo, appena creato, piano.

La sua mente aveva ragionato velocemente e tutto il nervosismo si era dissolto, e il suo sguardo analizzò velocemente il ragazzo che gli stava davanti.

Cosa sapeva di Mike? Che era un ragazzo estremamente cortese e disponibile, a volte fino all'inverosimile. Sapeva anche che era un maniaco dell'ordine, e lo si poteva capire dalla camicia perfettamente stirata, i capelli ben pettinati, la cartella mantenuta da entrambe le spalle - si erano fatte più larghe - e la camminata sicura. Gli sfuggì un sorriso, pensando che aveva un che di poliziotto, lui, cosa che di certo sei anni prima gli mancava. Sarà stato per quel fisico parecchio più sviluppato. Doveva anche essere di poco più alto di lui.

Non gli serviva la laurea in psicologia per capire che un soggetto quando fa qualcosa in un certo modo fa ogni cosa in quel modo. Un pigro farà tutto con svogliatezza, ad esempio. E uno come Mike...

Scommetto che ha un solo mazzo di chiavi, per non averne troppi e inutili. Se i miei calcoli sono giusti, la chiave del Fazbear si trova sicuramente nello stesso mazzo in cui conserva quelle di casa, del garage, eccetera...

Freddy estrasse distrattamente le proprie chiavi dalla tasca, erano quelle di casa, ne aveva una copia identica che conservava sotto il proprio zerbino, all'ingresso, nel caso le avesse perse. Poteva permettersi di separarsene per un po'. Osservò il piccolo peluche d'orso attaccato alle chiavi, un orso inferocito, in piedi su due zampe, con la bocca spalancata e i denti in bella vista. Aveva un piano e poteva funzionare. Aguzzò le orecchie e gli parve di non sentire nessun tintinnio provenire dalle tasche del castano davanti a lui. 

Si va in scena.

«Ehylà, Mike!» esordì, mentre il suo volto diveniva il più amichevole mai visto, e fece una breve corsetta per raggiungere il suo amicone. 

Mike non capì subito chi l'aveva chiamato fin quando non si voltò verso Freddy, incuriosito. E la sua espressione si incrinò subito quando lo riconobbe. Non parlava con lui da... 6 anni. La sua espressione si fece confusa, non sapendo effettivamente come comportarsi, ma fu Freddy a prendere di nuovo la parola.

«Ti disturbo giusto un'attimo, vecchio mio. È una questione da Universitari.» disse il moro, fermo accanto a lui. Mike decise di voltarsi completamente verso di lui, con un fondo di sospetto dietro quegli occhi azzurri e gentili.

«Sì... Ma io non studio psicologia.»

«Lo so bene, hai scelto lingue!» disse pimpante il ragazzo, cominciando a far volteggiare le chiavi attorno al suo indice. 

Il cervello di Mike deve aver registrato che io ho delle chiavi in mano con un orsetto. Su, inconscio, conto su di te.

«Già.» confermò semplicemente, sentendosi in imbarazzo, mentre Freddy sembrava totalmente a suo agio e quel tintinnio in sottofondo... Guardò brevemente la mano di Freddy che in quel momento smise immediatamente di far volteggiare le chiavi, e Mike vide l'orso feroce attaccato alle chiavi.

«Ti piace?» chiese Freddy riferendosi al peluche, e Mike tornò a guardarlo.

«Ti rispecchia.»

«Grazie, sai, sono un po' in fissa con gli orsi.»

«Non riportano a galla brutti ricordi?» chiese lo Schmidt, con una semplicità tale che non sembrava nemmeno lo avesse detto per ferire il moro. Che si morse per un attimo una guancia.

«Non ti ricordavo così... Uh, cattivo, ecco.»

«Io-»

«Tu, cosa? Vuoi vedermi inginocchiato, sotto il peso del senso di colpa, in lacrime, a chiedere perdono al cielo per quello che ho fatto 6 anni fa? Non sono quel tipo di persona, mi spiace, come ho provato ad ammazzarlo, quel ragazzino, l'ho anche salvato, quindi: Tu cosa Mike?» domandò, con una leggera rabbia a vibrargli in gola, mentre manteneva il sorriso amichevole, in netto contrasto con quello che provava al momento. 

Mike parve ammutolirsi, e decise di cambiare discorso, era la prima volta, dopo anni, che parlava con Freddy e non voleva finisse in una rissa per strada, se proprio dovevano parlare di quell'accaduto... Quello non era il momento nè il luogo opportuno. Però aveva capito che, in fondo, Freddy era stato ferito da quell'accusa sotto forma di domanda innocua.

«Di cosa hai bisogno?» chiese, allora, cambiando discorso, e Freddy s'impose di recuperare immediatamente tutta la calma. Si aggiustò meglio gli occhiali sul naso, stringendo le chiavi in mano e staccando l'orso dal resto del mazzo di chiavi, in un movimento veloce e senza produrre troppo rumore, tanto che Mike non se ne accorse minimamente, e rispose:

«Libro di Inglese.»

«E a cosa ti serve?»

«Voglio portarlo in dono alla Regina! Secondo te a cosa mi serve un libro d'inglese? C'è una cosa che voglio ripetere e io ho perso il mio, e domani ho lezione, non potevo chiedere a nessuno della classe- insomma è complicato: puoi prestarmelo?» ora doveva solo pregare che avesse abbastanza fortuna e che il libro di Inglese - la materia con cui doveva avere più ore lo Schmidt - lo avesse proprio lì.

«Va bene.» acconsentì Mike, liberandosi una spalla sola dal peso dello zaino e portandoselo avanti, aprendo la cerniera e cominciando a frugarci.

E no. Così non va!

«Tieni.» e pochi secondi dopo si ritrovò davanti il libro di inglese, gentilmente porto dal castano. Freddy lesse pigramente il titolo - Speak And Live In English (version) - e fu allora che dovette sfoderare tutte le sue doti recitative.

«No, Mike, a me serve la B version!» e senza alcun permesso si avvicinò, ignorando il libro che aspettava ancora di essere preso e cominciò a frugare nella cartella di Mike.

«Sei fortunato che porto sempre entrambi. Vedi, deve essere dietro quello di Francese.» lo guidò Mike decidendo di ignorare il fatto che il moro avesse messo le mani nel suo zaino senza alcun permesso. Freddy continuò a frugare, notando uno scintillio in fondo allo zaino, e casualmente la mano che ancora teneva le chiavi di Freddy, perse la presa, e le sue chiavi caddero proprio accanto a quelle dello Schmidt. Che sbadato.

«Merd- scusa, le prendo subito.» e la sua mano - che stringeva l'orso - si avvicinò alle chiavi che non gli appartenevano, a cui agganciò il peluche, tirandole fuori.

«Meglio se te le metti in tasca mentre cerchi, no?»

«Hai proprio ragione!» e velocemente si infilò le Chiavi di Mike, con il proprio orsetto in tasca. Vedendo l'orso attaccato alle chiavi Mike non deve nemmeno aver pensato che le chiavi potessero non essere quelle di Freddy.

«Ed ecco anche il libro! Fantastico, te lo restituisco appena ci rincontriamo!» e strinse felice tra le mani la versione B del libro di inglese, mentre Mike metteva a posto la versione A e richiudeva tranquillo lo zaino.

«Certo. E non rovinarlo per favore.»

«Ne avrò cura come fosse mio!» e con quelle frasi si separarono, mentre Freddy non faceva altro che giocherellare con il mazzo di chiavi sbagliate.

Era certo Mike se ne sarebbe accorto, ma non tanto presto, viveva ancora con i suoi genitori, e le chiavi le usava solo quando in casa non c'era nessuno, e anche se per caso si fosse accorto che in effetti le chiavi nel suo zaino non hanno la stessa forma delle sue, di chiavi, allora sarà comunque troppo tardi, in fin dei conti lui e Jeremy nella pizzeria ci dovevano entrare solo quella sera.

E Mike non era cambiato poi tanto.

E nemmeno Freddy era cambiato di troppo, a conti fatti.

Era rimasto il solito, geniale, Freddy.

 

 

Jeremy si trovava ranicchiato all'angolo del divano, guardando la Tv su cui al momento passava la pubblicità, dopo aver cucinato e pranzato con Fritz che aveva urlato al miracolo per quell'avvenimento. Pareva nutrisse una profonda e assoluta devozione per il cibo che cucinava e questo non poteva che farlo sorridere divertito. A chi non piaceva essere apprezzati?

E subito dopo aver formulato questo pensiero la figura dai capelli rossi con cui condivideva la casa atterrò sul divano, proprio accanto a lui. Dal giorno prima pareva aver recuperato tutta la sua vitalità.

 

«Cosa si fa oggi? Andiamo a scuola da Kentin? A cercare Mike? A controllare il Fazbear?» chiese proponendo velocemente tutte le idee che aveva in testa, si sentiva stranamente pieno di energie quel giorno, e aveva voglia di spenderle. Si aggiustò meglio accanto a Jeremy, mettendosi a gambe incrociate e attendendo una risposta. Il castano lo guardò nel mentre e dovette pensare velocemente a una scusa per "toglierselo di mezzo" come aveva detto Freddy. E non ci fu nemmeno bisogno di ragionarci troppo.

«Pensavo tu potessi andare a cenare dai tuoi genitori, oggi.» buttò lì, nel modo più casuale che potesse venirgli in mente, mentre Fritz cambiava espressione, assumendo un'aria confusa.

«Dai miei genitori?»

«Mi hai detto che volevi rivederli.»

«E tu?»

«Io... Vado da Freddy. Vogliamo parlare un po', sai...» per un lungo attimo di silenzio Jeremy temette che Fritz sospettasse qualcosa, poi il rosso si sciolse in un sorriso sincero.

«Ho capito, va bene! Chiamo subito mia mamma allora.» Era stato semplice. Vide con la coda dell'occhio Fritz comporre il numero e portarsi il telefono all'orecchio, attendendo una risposta.

«Ehylà mamma! Sono io, Fritz. Indovina dove sono? ... No, non in ospedale. Riprova. Perchè dovrei essere allo zoo? Si, ma da bambino mi piace- mamma sono a casa!» e Jeremy sentì chiaramente l'urlo di felicità che passò attraverso il telefono, tanto che Fritz staccò il suo orecchio dall'apparecchio per un attimo.

«Sì, dico davvero. Senti se vuoi questa sera mangio con voi. Sì. Okay. A stà sera allora!» e la chiamata s'interruppe, e Fritz ricevette subito un'occhiata divertita da parte di Jeremy

«Durata meno del solito.»

«Ha detto che doveva mettersi subito a cucinare.» e Jermey tornò a guardarsi la televisione, ignorando il fatto che la madre dello Smith cominciasse a cucinare dalle 15 di pomeriggio per il suo amato figliolo. 

... Lui non sarebbe stato accolto così calorosamente.

E con quel pensiero il sorriso perse d'intensità.

«E comunque guardi troppa TV. Leggere non ha mai ucciso nessuno.» ma qualcuno che si prendeva cura di lui ce l'aveva comunque.

 

 

La notte era calata, e per le strade si vedevano solo gruppetti di adolescenti che uscivano per andare a divertirsi, o coppiette che camminavano dopo una bella serata al ristorante. L'aria era solo un po' fredda, senza umidità, per questo Jeremy aveva deciso di indossare una felpa grigia, quella notte, con il cappuccio calato sulla testa e, nonostante la tranquillità che lo circondava, agitato. Sentiva un nodo allo stomaco, e brividi attraversargli la schiena e non per colpa del freddo. Anche Fritz l'aveva salutato allegramente prima di andare dai suoi genitori: divertitevi! Ah, non si sentiva affatto "divertito" per quello che stavano facendo. Quando arrivò davanti casa di Freddy percorse velocemente il viale, bussando nervosamente alla porta, infilando subito dopo le mani gelide nell'unica tasca all'altessa dello stomaco della felpa.

Freddy aprì la porta e...

«Che faccia da cadavere!» sembrava pieno di energie, pronto ad affrontare la serata. Si scostò facendogli cenno con la testa di entrare in casa, e lui obbedì, sentendo Freddy chiudere la porta poco dopo.

«Senti, rilassati, essere tesi in occasioni del genere non aiuta per niente.» e sentì le mani di Freddy posarsi sulle sue spalle e cominciare a spingerlo verso la sala dove il giorno prima lui e Fritz erano stati accolti. Ora non c'erano più libri di mezzo, era tutto perfettamente ordinato e... Sentì le mani di Freddy lasciare la presa e se lo ritrovò davanti pochi istanti dopo, a braccia conserte, ad analizzarlo. Durò qualche secondo, poi con un movimento veloce della mano gli abbassò il cappuccio, per poi tornare nella stessa posizione di poco prima.

«Ascolta. Se non te la senti, non lo facciamo. Nessuno ci costringe. A proposito, me lo chiedo da stà mattina: cos'è che dobbiamo fare?» chiese l'Orso, mentre Jeremy si imponeva di calmarsi e cominciava a rilassare i muscoli del suo corpo.

«Voglio dare un'occhiata agli animatronics.»

«E non puoi farlo di mattina?»

«Non quelli... Normali. Quelli che hanno spento.»

«Cosa? E a cosa ti serve? Saranno inutilizzabili ormai!»

«Sono solo spenti, no?»

«Secondo te perchè li tenevano accesi anche di notte? Se gli spegnevano non si riaccendevano più, e anche se fosse non-»

«Non so nemmeno io bene cosa fare. Ma... lo devo a Fritz. Dice che era amico del coniglio di allora, e... Lui mi ha accolto, mi ha tenuto con sè per 6 anni, e se uno stupido coniglio lo fa felice, io mi assicurerò che quello stupido coniglio torni a funzionare!» tutto il nervosismo si era dissolto lasciando posto a una sicurezza e una determinazione che raramente, di quei tempi, si vedeva in Jeremy. Solo che adesso era quasi certo Freddy gli avrebbe riso in faccia ma... Non lo fece. Ghignò e annuì, divertito.

«Si gioca, allora.» e senza aggiungere altro si avvicinò al tavolo, proprio dietro di lui dove c'era un borsone da palestra blu scuro con tutto quello che aveva preparato, Jeremy lo raggiunse subito osservando cosa conteneva: due piede di porco,  un mazzo di chiavi, passamontagna...

«Dove hai preso stà roba?»

«L'avevo. Sai com'è: Ricordi dei tempi andati.» e Jeremy capì subito che si riferiva a quando era un ragazzino e non faceva cose... Esattamente legali. Doveva aver conservato quella roba da qualche parte, in casa. Vide il moro togliersi gli occhiali e uscire un piccolo contenitore da una tasca del pantalone: lenti a contatto.

«Dammi un attimo.» e con quelle parole si ritirò in bagno, mentre Jeremy cominciava a frugare nella sacca, trovandoci un teaser. Lo prese lentamente in mano, osservandolo. Era vero. Quell'aggeggio l'aveva solo visto in qualche serie TV o film, mai nella realtà. Capì ben presto che probabilmente era riservato alla Guardia Notturna. Se lo rigirò tra le mani e lo nascose nella tasca della felpa, quell'aggeggio l'avrebbe fatto sentire al sicuro, almeno.

Quando Freddy tornò spiegò brevemente che era riuscito a procurarsi le chiavi del retro, amando la buona abitudine di Jeremy di Non fare troppe domande, arrivati lì avrebbero lasciato il borsone in un posto sicuro, preso i piede di porco, indossato i passamontagna e entrati dal retro, sfruttando i punti cechi delle telecamente e facendole fuori una per una. Avrebbero immediatamente attirato l'attenzione della guardia, perciò sarebbe stato come giocare a nascondino. In più c'erano gli animatronics, ma...

«Con quelli non dovrebbero esserci problemi, basterà indossare queste!» e Jeremy raggelò quando Freddy, dal fondo del borsone estrasse due maschere. Foxy e Freddy. 

«Te l'ho detto che ci tengo ai ricordi!» disse guardando con nostalgia la maschera di Freddy, che subito Jeremy gli tolse dalle mani.

«Sei stupido? Ci riconoscerà subito!»

«Quanto sei paranoico. Hai idea di quanta gente abbia queste maschere? Sei anni fa erano introvabili, ora ce le hanno tutti!» Esclamò il moro, alzando le spalle. Sembrava davvero non essere minimamente turbato da quegli oggetti, e poco dopo Jeremy sentì la maschera dell'orso venir sfilata con cautela dalle sue mani, e il suo posto lo prese quella di Foxy.

«Quella è la tua.» precisò Freddy, mentre rimetteva con cura la sua maschera nello zaino.

«I toy hanno un riconoscimento facciale, te l'ho detto, no? Ebbene, se usiamo queste maschere ci vedranno come amici. Ovviamente le indosseremo solo quando saranno nei paraggi.» e mentre spiegava e sistemava la borsa, estraendo solo le chiavi che voleva avere a portata di mano non notò lo sguardo di puro odio che Jeremy rifilava alla maschera, stringendola forte e con rabbia, molto vicino a romperla. Ma s'impose di calmarsi e con ben poca grazia gettò la maschera nel borsone, come fosse stata spazzatura.

«Allora, pronto?»

...

«Pronto!» non lo sarebbe mai stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Guardie E Ladri ***


Il Ritorno Di Una Guardia Notturna

 

 

Guardie E Ladri

 

 

La casa era silenziosa, in sottofondo si udiva solo il leggero ticchettio dell'orologio in cucina.

Tick. Tack.

Sembrava ricordargli che il tempo scorreva e doveva prendere una decisione. Gli occhi chiusi, i gomiti poggiati sul tavolo in legno del salotto, coperto dalla tovaglia dal tema marinaresco date le ancore disegnate sopra, il respiro regolare, le mani unite quasi in segno di preghiera e un leggero odore di tea che riempiva l'aria. Glielo aveva lasciato sua madre prima di andare a dormire.

Tick. Tack.

"Bevi qualcosa, caro" gli aveva detto "sembri agitato". Sorrise appena, Mike. Sua madre, l'unica donna davvero in grado di notare quando era agitato. 

Tick. Tack.

Aprì gli occhi, sciolse la presa delle sue mani e prese un profondo respiro, per scaricare la tensione, sul tavolo, proprio al centro, subito dopo la tazza di Tea ormai non più calda il motivo di quel suo malessere, dell'ansia che lo aveva assalito. 

Un mazzo di chiavi. 

Tick. Tack.

Un mazzo di chiavi che non erano le sue. Le aveva notate mentre quella sera preparava la cartella, le aveva prese, le aveva osservate e aveva appurato che non erano le sue. Lui aveva molte più chiavi, tanto per dirne una. Le teneva tutte insieme. E mai, gli era sembrata un'idiozia, tale pensata, come in quel momento. 

Tick. Tack.

Freddy aveva le sue chiavi. Tutte le sue chiavi. 

Tick. Tack.

Così si era sentito in pericolo, minacciato; Freddy aveva preso le sue chiavi raggirandolo, con l'inganno, la sua specialità! E con le sue chiavi poteva entrargli in casa in qualsiasi momento. Subito la sua mente aveva pensato di andare a denunciarlo alla polizia. Perchè Mike Schmidt era un uomo, ora, non il ragazzino di un tempo, e anche Freddy lo era e ogni sua azione comportava anche una reazione, cosa credeva? Di passarla liscia per sempre? 

Tick. Tack.

Blackout nel suo cervello. Poi fu come se tutto tornasse a funzionare. No, no. Perchè Freddy sarebbe dovuto entrare in casa sua? Non ne aveva ragione! Rubare? E cosa? Loro mica erano ricchi. No. 

Respira. Rifletti. Non lasciare che il panico ti divori. 

Che altre chiavi si trovavano nel mazzo? 

Uhm...

Le chiavi della macchina. Quelle del garage. Quelle del Fazbear-

Quelle del Fazbear.

Era l'unico luogo cui Freddy era realmente collegato. Ma perchè tornarci? Cosa voleva fare? Credeva fosse cambiato, che si fosse ripulito, invece proprio quando sembrava aver intrapreso un'altra strada, una certamente migliore, cosa faceva? Ricadeva negli stessi errori commessi in passato? Possibile che Freddy non imparasse proprio mai?

Tick. Tack.

Si riscosse, il suo sguardo cercò l'orologio in cucina, lo trovò.

23;43

Forse era ancora in tempo per fermare Vincent. Se davvero era tutto come credeva avrebbe chiesto chiarimenti a Freddy di persona. Prese le chiavi, gliele avrebbe restituite lui stesso! Poi spense la luce e uscì di casa in tutta fretta, venendo investito dall'aria freddina di quella sera. 

Prese a camminare verso il Fazbear mentre con le mani si frugava nelle tasche cercando il telefono. Lo trovò e digitò velocemente il numero del Signor Vincent. 

Pregò rispondesse.

«Risponde la segreteria Telefonica di Purple Guy, se sei Mike- ma tu non dormi mai? Cosa sei una macchina? Hai delle pile, magari nel petto che ti permettono di non stare fermo un'attimo? Stò andando a lavoro. Bisogno di qualcosa?» il Signor Vincent non aveva mai perso il suo senso dell'umorismo. Lo fece sorridere appena e scosse la testa, aumentando velocità.

«Signor Vincent non sono una macchina, sono solo giovane. Ricorda ancora il significato di questa parola?» lo sentì schioccare la lingua, offeso. 

«Si vede che hai passato troppo tempo con me, ragazzo! Ti ho contagiato, mica l'hai sempre avuta questa lingua tagliente!» Mike si sentì arrossire, in imbarazzo, si fermò, tanto fu il suo disagio. Cielo, no, non voleva essere scortese.

«Mi dispiac-»

«Ragazzo? Respira. Scherzavo. Tu e le tue buone maniere...» lo sentì ridacchiare appena, probabilmente divertito da quanto Mike fosse sempre pronto a scusarsi, di come addirittura lo imbarazzasse anche solo l'idea di essere stato poco rispettoso nei confronti di un'altra persona. Quel ragazzino gli era rimasto molto accanto, a lui e a Kentin dopo... 

L'accaduto. Lui e Phone a orari alterni si prendevano cura di loro, Vincent sentiva il peso del senso di colpa per non essersi mai accorto di cosa realmente stava succedendo tra i suoi due figli, e per un bel po' non aveva più sorriso, nè fatto battute, era sempre serio, in più si aggiunse il problema con la pizzeria, la messa in sicurezza che ne seguì e così smise anche di presentarsi a lavoro, dicendo che aveva dei risparmi da parte e poteva andare avanti con quelli.

E poi Jeremy era sparito. Credevano fosse solo da qualche parte nascosto invece era scappato. Sparito. Volatilizzato. E così Phone lo aveva accompagnato anche a sporgere denuncia, suo figlio era scomparso, dopotutto, e aveva solo 16 anni. 

Mike e Phone si trovarono davanti un Vincent soffocato dai problemi, che annaspava tra di essi e provava a vincerli. Ma da solo non poteva. 

Mike, pur di non far perdere il lavoro a Vincent aveva preso il suo posto, tirando fuori la scusa di un malanno, e che la Guardia Nottura, dall'alto del suo buon cuore, aveva mandato lui a sostiturlo per un po', e il Signor Fazbear aveva acconsentito ben conscio di cosa La Guardia Storica della pizzeria stava passando. 

Chi non aveva preso bene il suo arrivo furono proprio gli Animatronics. Vincent lo aveva avvertito dopotutto. Ragazzo, gli aveva detto, a quelli là non piace chi mi sostituisce.

E aveva ragione. Gli ultimi mesi con i vecchi animatronics gli affrontò lui e non fu facile, tutti loro si prodigavano per terrorizzarlo a morte, e accidenti se non erano bravi! Se volevo gli Animatronics amati da tutti sapevano proprio essere terrificanti. Ma lo aveva sopportato. Sapeva che non l'avrebbero ucciso - okay, si, al tempo non ne era esattamente certo al 100% però... Ci sperava fortemente, ecco - e Vincent e Kentin avevano bisogno di aiuto. 

Fino a che...

Bhe. Tira, e tira, anche la corda più resistente si spezza!

Perse la pazienza. In quel periodo anche lui era triste, stressato, terrorizzato da quegli animatronics, doveva pensare alla scuola, e poi anche a Vincent e Kentin che, per pietà, lo faceva con piacere ma-

Quei robot avevano esagerato.

Così all'ennesimo Foxy che, mettendogli un'ansia assurda che nemmeno nei peggiori film horror, correva nei corridoi, lo raggiungeva e gli urlava addosso con quel suono metallico-acuto-insopportabile, che non seppe come riuscì a non diventare sordo già dopo la 3 notte, perse ogni controllo e urlò:

“Ora basta!”

Foxy aveva richiuso piano la bocca e sbattuto le palpebre, sorpreso da quella reazione. Mike attivò l'interfono - che aveva provveduto lui stesso a riparare dato che pareva essersi rotto per colpa di Phone, o una cosa del genere, tempo addietro - e si assicurò che ogni animatronics lo sentisse, e lo sentisse bene!

“Ascoltate bene perchè non mi ripeterò! So perfettamente che non vi piaccio, d'accordo? E mi stà bene, ragazzi, lo so che fate così con ogni povero martire che sostituisce Vincent, che lo fate perchè ci tenete a lui ma- indovinate? Vincent è anche mio amico. E al momento non se la passa bene, voi dovreste saperlo quanto me, c'eravate pure voi quel giorno! Sono qui per sostituirlo perchè stà provando a superarla e se io non lo avessi fatto sarebbe stato licenziato! Quindi potete continuare a terrorizzarmi, spingermi fino al limite fino a che sarò costretto a mollare, e Vincent allora verrà licenziato! Oppure, se siete suoi amici come decantate di essere: fate i bravi, non mi date fastidio e quando Vincent si riprenderà, tornerà, e io ve lo giuro, ve lo firmo col sangue, qui non ci metto più nemmeno un piede! Ma se proprio volete, avanti, continuate! Aggiungetevi ai problemi di Vincent, forza!”

Gli aveva ammutoliti tutti. Erano tutti tornati nei loro Stage, da bravi, senza fare rumori grotteschi o spaventosi. E così la notte a seguire. E quella dopo. E quella dopo ancora. E via via ogni notte divenne tranquilla, non ebbe più problemi, avevano ben messo in chiaro la situazione. Fino a che Vincent era tornato, ma ormai i vecchi animatronics erano stati sostiuiti con i nuovi, i Toy, e Mike era stato così bravo che il signor Fazbear l'aveva assunto come Seconda Guardia Notturna.

Quella di scorta, per intendersi.

E bhe, con i Toy aveva un bel rapporto, era riuscito a riappacificarsi con quegli aggeggi e ora era in pace. La sua vita, quella di Vincent, Kentin e Phone avevano tutte ritrovato un equilibrio a lungo desiderato. Per questo doveva impedire a Freddy di combinarne una delle sue.

«Mike? Sei ancora lì?» la voce di Vincent, attraverso il telefono, lo riscosse dai suoi pensieri e annuì in risposta, riprendendo a camminare.

«Vincent oggi il turno di notte lo faccio io.»

«Ma io non sono malato. E tu domani non hai scuola?» ecco, era il momento di inventarsi una buona scusa. «Ragazzo, davvero, sono per strada non devi farti problemi, hai già fatto abbastanza.»

«Kentin mi ha detto che voleva passare un po' di tempo con lei.» lo sentì fermarsi, trattenere il respiro. Stava mentendo, e gli dispiaceva profondamente, ma qualsiasi altra scusa non avrebbe retto o lo avrebbe solo insospettito. Vincent aveva prestato molta attenzione a prendersi cura di Kentin in quegli anni, a lenire le sue ferite, ed era diventato molto protettivo nei suoi confronti. E poi sapeva che Kentin gli avrebbe retto il gioco.

«Ah sì?»

«Sì. Per me non è un problema, davvero.» lo sentì sospirare arreso.

«Stà bene. Sei un bravo ragazzo, Mike. Buon lavoro!»

«Grazie, lei si goda questo giorno di pausa!» si salutarono e riattaccarono. Era fatta. 

A noi due Freddy.

 

 

Kentin si sistemò meglio nel suo letto, respirando il buon odore delle lenzuola e federe pulite. Avrebbe certamente dormito bene se... Quel gattone marroncino non lo avesse fissato dal comodino, accovacciato sopra il pupazzo di Fredbear, che aveva usato tutto il giorno per farsi le unghie, rovinandolo. Una volta a casa aveva provato a toglierlo ma- guai! Gli aveva soffiato contro, aggressivo come al solito.

«Sai che somigli tanto a mio fratello? Anche lui mi odiava senza motivo.» il gatto pareva non ascoltare o pigramente la coda.

«Gli piaceresti. Ehehe-» a interromperlo fu il rumore della maniglia che si abbassava e la figura di Vincent che si affacciava.

«Kentin sei sveglio? ...! E quel gatto da dove arriva!?» chiese, sgranando gli occhi alla vista del suddetto gatto,prestandogli subito attenzione, aprendo del tutto la porta e entrando in camera. Il gatto appena lo vide avvicinarsi balzò per terra, corse verso la finestra, ci salì e sgattaiolò via.

«Quanta fretta.»

«Jeremy non è un tipo amichevole.» disse Kentin, in sua difesa, attirando lo sguardo curioso del padre.

«Jeremy? Lo hai chiamato così?» chiese e in risposta Kentin annuì, facendo bene attenzione alle reazioni di suo padre. Serrò i denti, annuì distrattamente, schioccò la lingua. 

«Ti manca?» chiese, sedendosi a bordo del letto mentre Ken si sistemava meglio e gli faceva spazio. Gli mancava? Bhe, no. La sua presenza significavano anche piccole torture quotidiane. Tuttavia...

«Mi chiedo solo dove sia.»

«Me lo chiedo anche io.»

«Papà, se Jeremy tornasse...?» chiese, vago, incontrando gli occhi attenti di suo padre. Si guardarono e Vincent parve rifletterci. 

«Se tornasse avremo molto di cui parlare.» la voce fredda, tono serio, mani strette a pugno sulle ginocchia. Una risposta alquanto evasiva, non rispondeva sul serio alla sua domanda lasciata a metà. Poi lo vide accennare un ghigno, lasciando cadere l'argomento:

«Ti va di vedere un film?»

«Ma domani ho scuola!»

«... Questa non è una riposta da bambino normale. Questa è una risposta da Mike Schmidt! Dio del cielo, no, t'impedirò di diventare come lui.» disse in una maniera così teatralmente preoccupata che lo fece ridere, si sentì preso in braccio - e qui protestò perchè aveva 13 anni, era praticamente un uomo, non aveva più bisogno di essere preso in braccio! - e Vincent lo portò di sotto, davanti alla Tv, pronti a vedersi un film e passare del tempo insieme.

Se Jeremy fosse qui...

Jeremy non era lì.

Solo quello importava.

 

 

Mike aveva ringraziato Phone e la sua abitudine di restare ad aspettare la guardia, perchè senza chiavi, solo grazie a lui era riuscito a entrare. 

«Puntualissimo come sempre eh? Purple Guy stà male?» chiese Phone senza dar a vedere quella preoccupazione che si agitava appena nel suo petto. 

«Stà alla grande, si è solo preso del tempo per stare con Kentin.» e Phone sospirò internamente di sollievo. Si, solo a ripensare anche solo ipoteticamente a quel Vincent triste, abbattuto e scorbutico gli veniva un nodo alla gola e gli si chiudeva lo stomaco. Era la cosa più vicina a un Migliore Amico che avesse mai avuto e vederlo in quelle condizioni aveva fatto male

Ma ehy. 

Era finita.

Doveva rilassarsi. 

«Va pure a dormire, Phone, so che non vedi l'ora.» disse Mike e il maggiore scoppiò a ridere. Ormai lo conosceva bene eh? Si bhe, la sua pigrizia era conosciuta un po' da chiunque. Diede la buonanotte a Mike, con una pacca amichevole sulla spalla e andò via. 

La porta d'ingresso a vetro che veniva chiusa a chiave da Phone gli diede l'impressione di essere in trappola. Poi si ricordo che in quel gioco a guardie e ladri - letteralmente - con Freddy, lui era la guardia.

Decise come prima cosa di andarsi a cambiare nei camerini e fece il più in fretta possibile, si spogliò, si mise la tenuta - pantaloni neri, camicia azzurra, cravatta nera e un giacchino leggero nero anch'esso, che gli dava un'aria quasi elegante - insieme alla torcia, immancabile. 

Uscì e si diresse velocemente alla sua postazione dove dal tablet avrebbe tenuto d'occhio ogni videocamera piazzata in ogni stage. 

«Mike?» sobbalzò sulla sedia quando Toy Freddy lo richiamò - quello vero, quello robotico - e lo fissò spaventato ma solo per un attimo.

«Mike noi-»

«Non ora, Freddy.» lo fermò subito «Devo lavorare, per favore.» e tornò a guardare lo schermo del tablet che si stava accendendo. Freddy rimase lì interdetto e anche un po' offeso. E rimaneva lì. Non aveva capito che no, non poteva andare a vedere una delle loro performance, o cose simili? Avrebbero dovuto rimandare, ora aveva da fare. Eppure l'orso rimaneva lì ma nom ci fece molto caso, lo ignorò e basta nonostante non fosse una cosa carina da fare, ma in quel preciso momento era ridotto a un fascio di nervi. Cielo. Se Freddy davvero-

Gelò.

Si immobilizzò sulla sedia guardando il tablet come fosse la reincarnazione del male stesso.  Tutte le telecamere, tutte erano oscurate, inutilizzabili, fuori servizio. 

«Proprio di questo volevo parlarti!» lo richiamò Freddy, mentre Mike era ancora troppo scoinvolto, e continuava a fissare lo schermo a occhi sgranati.

«Guarda qui.» e mostrò a Mike cosa teneva tra le mani, telecamere, rotte, fatte a pezzi, inutilizzabili. Il castano spostò lo sguardo dal tablet alle mani di Freddy così lentamente che pareva quasi sotto ipnosi. I suoi occhi azzurri incontrarono i resti delle telecamere e un verso strozzato gli risalì per la gola, l'agitazione che prendeva completo possesso del suo corpo. 

«È già qui...» sussurrò più a se stesso che al robot che sbatteva le palpebre meccaniche parecchio confuso. A volte gli umani erano strani.

«Chi? Chi è già qui?»

«Hai visto intrusi aggirarsi da queste parti Freddy?»

«Oh, è questo che ti preoccupa?» gli chiese gentilmente, scuotendo la testa dopo poco, quasi esasperato, posando poi una mano sulla spalla di Mike.

«Non devi preoccuparti! Io, Chica e Bonnie siamo sempre qui in giro e no, non abbiamo trovato intrusi. Sono certo che qualche teppistello poco educato lo ha fatto durante il turno diurno. E poi nessuno avrebbe motivo di intrufolarsi qui, non trovi?» e sorrise, amichevole, sperando di aver calmato l'animo agitato di Mike. Non gli piaceva vederlo così sotto pressione, pallido, con gli occhi sgranati, con l'ansia a offuscargli le idee. Parve rilassarlo. 

Mike e Toy Freddy avevano un bel rapporto - diversamente con il suo omonimo umano - e aveva notato che i corpi che avevano i Toy davano più "anima" ai corpi degli animatronics, i loro movimenti erano molto meno meccanici, e quasi non producevano rumore - come cigolii o simili - quando camminavano. 

Sospirò riuscendo a ritrovare la calma.

«Ti ringrazio Freddy. Ma penso che andrò comunque a controllare qui in giro.»

«Ma certo! Io intanto terrò i miei occhi con il riconoscimento facciale ben aperti!» e gli fece l'occhiolino, facendolo ridere appena. Poi accese la torcia, e prese a camminare per i corridoi, pronto ad affrontare Freddy - l'umano - se necessario. Era o non era una Guardia?

 

 

Jeremy non riusciva a credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo. Erano riusciti a intrufolarsi nel Fazbear prima ancora dell'arrivo della Guardia Notturna, a distruggere ogni telecamera e a eludere ogni animatronics che avevano incontrato grazie alle loro maschere, dal momento che credevano lui fosse Foxy e Freddy beh... Freddy. 

Avevano persino chiesto informazioni, ottenendole senza il minimo sforzo, insomma tutto si stava rivelando più facile del previsto. Peccato che stavano perdendo tempo, proprio in quel momento, dato che Freddy era un po' troppo entrato nella parte dell'orso canterino e stava realmente dando dritte ai colleghi - Chica e Bonnie - sulle loro canzoni. 

E mentre il moro si divertiva in quel modo lui osservava i Toy con attenzione, i loro corpi più sottili, più umani, solo la testa era rimasta un po' grande, ma ehy, erano robot. I loro movimenti erano molto meno robotici, e il loro modo di parlare era fluente, seppur con quella ben distinguibile nota robotica nella loro voce. Gli piaceva il loro nuovo look. 

... Stava davvero apprezzando il desing dei nuovi animatronics quando in verità sarebbero dovuti essere già da quelli vecchi? Guardò malissimo Freddy, che purtroppo gli dava le spalle e non se ne accorse.

«Capito ragazzi?» spiegava alla Gallina e al Coniglio «Trovo che dovremmo fare qualcosa di più rock o magari- ehy! Magari del metal

«Ma Freddy, sei certo i bambini lo apprezzerebbero?» chiese un esitante Chica convinta quello fosse per davvero il cantante della loro band. Solo che le sembrava un tantino meno gentile e un po' più... Esaltato. Però era divertente vedere il solito-composto-Freddy in quel modo. Che qualcuno avesse manomesso qualche Chip?

«Ma certo! Anzi, al massimo rischiamo che vengano da noi anche ragazzi più grandi, Bonnie credi di poter stare al passo? Ti metto alla prova: fammi un assolo!» decisamente, era troppo nella parte. Bonnie saltellò sul posto felice, annuendo e salendo sul piccolo palco prendendo la chitarra e-

«E-Em!» gli interruppe allora Jeremy, rendendosi conto che stavano perdendo un po' troppo di mano la situazione. Gli occhi dei due robot e del suo amico furono su di lui guardandolo confuso. 

«Cosa c'è Foxy? Non ti piace il genere?» chiese allora Bonnie al ragazzo che però i suoi circuiti e il suo sistema di sicurezza vedeva come il vero Foxy, sbagliandosi. 

«No, non è questo il punto. E che io e Freddy dobbiamo andare.» disse, e i due robot passarono i loro sguardi dalla volpe all'orso, dall'orso alla volpe. 

«Da quando siete amici? Cioè lo siete sempre stati ma non vi ho mai visto... Così intimi, ecco.» silenzio. Ecco e ora cosa si inventavano? Freddy calcolò velocemente ogni risposta, ogni situazione, ogni legame, ogni possibile reazione- ma a prendere in mano la situazione quella volta fu Jeremy. E sapeva che se ne sarebbe pentito per il resto della vita e che Freddy gli avrebbe ricordato questo giorno fino alla tomba. 

«Argh!» cominciò, con fare piratesco «Da quand'è invece che voi non vi fate gli affaracci vostri? Avete, voi, visto e solcato forse i sette mari? No, mai, da che so io! E dunque un male per voi animalotti di terra, che non sanno manco che odore ha la salsedine sui circuiti, se io e l'Orso Marino vogliamo parlare in privato delle mie avventure, delle isole che ho veduto, dei nemici che ho combattuto, delle donzelle che ho conquistato, e-»

«Okay, okay, Foxy, scusaci non volevamo offenderti!» lo interruppe Bonnie, portando le mani avanti e un sorriso di scuse sul muso azzurro. 

«Era solo curiosità. Se dovete andare andate pure. È bello conoscersi bene tra di noi.» lo assecondò Chica, seduta a uno dei tavoli, con un muffin finto davanti, che si era rigirata tra le mani per tutto il tempo. 

Freddy, invece, avrebbe voluto fare una statua a Jeremy per averli salvati, ovviamente se solo fosse stato capace di fermare il moto di ilarità che a stento tratteneva, a quella performance da Oscar dell'amico, che, bhe, non aspettò oltre e lo prese per la camicia rossa che portava aperto su una maglia bianca e lo trascinò verso i corridoi che l'orso robotico gli aveva indicato, quello che avevano trovato per primo sulla loro strada. Sarebbero dovuto passare per il Pirate Cove, oltrepassarlo, e poi avrebbero trovato una specie di sala macchine dismessa dove si trovavano i vecchi robot.  

Camminarono e si allontanarono da quei due, Freddy si liberava dalla presa dell'amico e si allisciava la camicia - quel barbaro di Jeremy gliel'aveva stropicciata - per poi ridacchiare. Fitzgerald intuì subito la motivazione dietro quel risolino e gli piantò una gomitata tra le costole.

«Guarda cosa mi hai costretto a fare, idiota!»

«Dai, su! Lo sai che hai un talento non da sottovalutare nella recitazione? "Argh, io sono il Capitano Foxy, e-"»

«Finiscila. E che questa storia rimanga tra te, me e queste mura.»

«Che peccato, un talento sprecato così...» lo punzecchiò ancora Freddy, poco dopo trovandosi nel Pirate Cove. 

«Ma è tutto buio qui.»

«Non avevi detto che lo avevano smantellato e che anche questa era una zona mensa?» chiese, fermandoai nel bel mezzo del Pirate Cove, davanti al tendone viola con le stelline, aspettando una risposta. Sentì Freddy schioccare le lingue.

«Te l'ho detto, mi pare. Io non ci ho più rimesso piede qui dentro, quel che so di questo posto lo devo a vaghe informazioni degli amici. Si saranno sbagliati.»

«E i Robot spenti?»

«Quello è un fatto certo. Si può sapere che aspetti? Procedi, non si vede nulla in questa-»

Srhush.

Entrambi i ragazzi si irrigidiscono. Oddio, se lo erano immaginato? Avevano le visioni uditive, vero?

«Lo hai sentito?» chiese sottovoce un tesissimo Jeremy.

«Mh-mh.» confermò debolmete Freddy, e insieme voltarono la testa verso il Pirate Cove, verso il tendone, prima completamente chiuso ora invece uno spiraglio si era aperto, provocando il fruscio di poco prima, e un muso ne era uscito, un occhio gli fissava, l'altro era coperto dalla benda pirata. 

Freddy si trovò improvvisamente a deglutire a vuoto ma la sua mente giunse in suo soccorso: non doveva temere. Avevano le maschere. Era solo l'ambiente che rendeva tutto inquietante e quella Volpe minacciosa, ma erano al sicuro. Quell'occhio che li scrutava, indagatore, certamente era solo nella sua testa. 

«Io vi-vi conosco.» la voce robotica, un cigolio. Aveva fatto un passo avanti, uscendo allo scoperto, alzandosi la benda con l'uncino e mostrando un occhio perfettamente sano, che li fissava. 

«Oh si, vi conosco-o.» confermò, e fece un'altro passo, riabbassandosi la benda, ormai certo di chi aveva davanti.

«Ma ovvio che ci conosci Foxy!» esclamò Freddy, una nota di terrore nella voce.

«Siamo i tuoi amici! Freddy e-» rise, la volpe. Rise, un suono metallico, fastidioso, ferì le loro orecchie, sprezzante. 

«No, no! Non con me, r-rara-ra-ragazzino! Voi siete gli assassini di quel giorno, non è così-sì?» e mai a Jeremy e a Freddy quell'uncino che brillava nel buio era sembrato più pericoloso. Giusto. Lui era un modello vecchio.

«Io non sono come gli alt-altri. Io vi vedo esattamente per quel che siete.» presero ad arretrare a ogni passo che Foxy compiva. Tremavano entrambi dalla paura, si sentivano tremendamente in pericolo, tutto di quella volpe era inquietante dal modo di parlare robotico e palesemente mal funzionante, alla camminata quasi zoppicante, all'uncino nella sua mano. Che puntò contro Jeremy.

«E tu! Pure se indossi quella mascher-chera non sara-arh-ai mai Me!» successe quello che temevano.

Foxy, improvvisamente agile come il migliore degli atleti corse contro Jeremy, che al momento era fermo dalla paura, e sotto quella maschera doveva avere la stessa espressione di un cervo che stà per essere investito, ma grazie al cielo Freddy riuscì a reagire e lo spinse di lato facendogli schivare la volpe inferocita. 

«CORRI!» urlò, mentre Jeremy rotolò per terra e si ritrovò in ginocchio. Mentre Foxy pareva indeciso se prendersela con Freddy o con Jeremy. Optò per quello più vicino: Freddy, provando a dargli uno schiaffo, che il giovane schivò scattando all'indietro, ma non riuscì a schivare il secondo colpo dato con la mano sana che lo colpì dritto al petto.

Fu come essere stato appena investito da una palla demolitrice dritto nella cassa toracica. Dopotutto quell'affare mica era fatto di dolcezza, buoni propositi, sogni e zucchero filato! Ma acciaio e metallo, cavi e chip, al momento anche di vendetta e rabbia. 

Si piegò su se stesso tenendosi il petto, non perdeva sangue ma era certo qualcosa all'interno del suo petto si fosse rotto, sicuro. Si sedette, l'idea di correre ben lungi dall'essere contemplata dato il dolore al petto. Si sdraiò concentrandosi sul respiro mentre sentiva Foxy allontanarsi, verso Jeremy. Lo aveva chiaramente sentito urlare il suo nome ma al momento l'Orsetto non era nelle condizioni di tranquillizzare il collega. 

Questo non era nei piani.

Decisamente non lo era. A ogni respiro il dolore gli attraversava il petto, così prese a trattenere il respiro mentre sentiva lacrime di dolore scivolargli dagli occhi. Serrò i denti. Su, non poteva essere nulla di grave. Grugnì all'ennesima fitta di dolore quando tornò a respirare. Intorno a sè sentiva solo rumori facilmente definibili.

Foxy che correva. Probabilmente inseguendo Jeremy. Jeremy che scappava e gli urlava di stare lontano. Sentì tavolo e sedie rovesciarsi. 

Si portò la mano al volto, Freddy e si tolse la maschera. Dio, aveva caldo. 

Poco dopo si ritrovò Jeremy accanto, probabilmente Foxy l'aveva strattonato e fatto cadere proprio accanto a lui. Gli diede un occhiata veloce. Aveva il volto pieno di graffi segno che più volte quella Volpe aveva provato a fargli la pelle, ma erano superficiali. Se non quello sulla fronte che sanguinava vistosamente, proprio sopra l'occhio destro e si era formato un piccolo rivolo di sangue che gli copriva l'occhio, scendeva giù per la guancia fino al mento. La volpe era su di loro. 

L'uncino alzato. Freddy sdraiato, Jeremy seduto, tremante e stanco per la lotta/corsa. Era finita. Chissà cosa ne sarebbe stato di loro. Videro la mano uncinata che incombeva su di loro, gli occhi robotici di Foxy venir attraversati dalla consapevolezza di aver vinto. Era stato divertente fingersi dei Ladri in incognito nella pizzeria del paese. Non si aspettavano sarebbe finita così-

«FOXY!» urlò Mike prendendo la torcia e puntandola sulla volpe, accendendola e spegnendola diverse volte. La volpe venne accecata, il sistema si riavviò, e Foxy indietreggiò, stordito. 

I due si voltarono verso Mike; Freddy, che non era mai stato così felice di vederlo in vita sua, Jeremy, che per un attimo, quando aveva sentito quel Foxy! urlato aveva desiderato la volpe non si fermasse, che quell'uncino gli lacerasse il petto, strappandogli il cuore.

Perchè per un attimo, Jeremy, aveva creduto fosse sopraggiunto suo padre. Invece era solo Mike. E tirò un sospiro di sollievo più per quello che per altro. 

Mike intanto puntava la luce della torcia su Freddy e...

«Jeremy?» sussurrò, sgranando gli occhi. Foxy gli aveva strappato la maschera durante la lotta, così da graffiargli meglio la faccia. 

Seppur pieno di tagli quello era il volto di Jeremy, più maturo, più uomo ma era senz'altro lui. E come lui studiava il suo miglior amico di un tempo, Jeremy faceva lo stesso con Schmidt, osservando la sua camicia azzurra perfettamente stirata senza una grinza, la giacca nera con il distintivo, che toglieva un po' dell'elegante della tenuta, i pantaloni lunghi e neri, le scarpe lucide, la cravatta ben annodata, i capello perfettamente in ordine. Era lui. Era Mike. Più alto, con le spalle più larghe, il volto meno da bambino e più da uomo, ma era lui. 

«Sei tornato.» disse solo la Guardia, fissandolo ancora incredulo.

«Sono passati sei anni.» aggiunse, come se non lo sapesse. 

Foxy si era ripreso e restava immobile, davanti a quella scena, e Freddy si limitava a passare lo sguardo dall'uno all'altro tenendosi il petto. 

«Chiamate l'amulanza.» disse e fu come se avesse rotto un'incantesimo, Mike sbattè gli occhi e riprese il controllo scuotendo appena la testa. Guardò subito con biasimo tutti loro.

«Tu!» e indicò Foxy «Cosa ti è passato per la testa eh? Stavi tentando di mandare in malora una volta per tutte queste locale? Guarda, solo l'omicidio ci mancava! Torna a cuccia, e non provarci mai più o lo dirò al signor Fazbear!» poi si rivolse ai due « E voi due... Perchè diavolo siete qui?»

«Ambulanza...» si limitò a ripetere Freddy «Ora!»

«No!» rispose Mike, risoluto. «Non rovinerete ancora il nome del Fazbear. Voi due venite con me, Foxy tu in punizione nel Pirate Cove.» e la volpe, offesa e con la coda tra le gambe si ritirò nella sua tana borbottando:

«Volevo solo spaventarli mica gli avrei ammazzati sul serio...» come un bambino offeso. E in effetti in quel momento Mike aveva tutta l'aria di un padre che sgrida i bambini. 

Jeremy aiutò Freddy ad alzarsi, offrendosi come appoggio. Mike gli fece segno di seguirlo. Li stava portando nell'infermeria della pizzeria.

«Guarda che ho bisogno dell'ospedale, io!»

«Dopo, quando mi spiegherete perchè siete qui, andrete in ospedale, dicendo che avete affrontato una rissa e vi hanno conciato per le feste.»

«E no! Mica quella volpe può passarla liscia!»

«Si invece. Perchè se anche solo penserai di esporre denuncia io denuncerò te e Jeremy per tentato omicidio, sei anni fa. Ricordate?» e dandogli le spalle, facendogli strada, non potè vedere i due impallidire appena e irrigidirsi.

«E che ti serva da lezione la prossima volta che penserai di rubarmi le chiavi. Potrei denunciarti pure per quello.» rincarò la dose, sentendo sulla pelle l'occhiataccia che Freddy gli riservò. Non sarebbe stato magnanimo se avressero distrutto con tanta facilità quello per cui lui, Phone, Kentin e Vincent avevano lavorato per sei lunghi estenuanti anni. Quanto per Jeremy... Ancora non aveva detto nulla. Così fu lui a chiedere, mentre apriva la porta dell'infermeria.

«Perchè sei tornato?» e tenne la porta aperta a quei due, che entrarono ma Jeremy si fermò proprio sulla porta, guardando il suo miglior amico di un tempo.

«Aggiustare le cose.» e sembrava sincero. E sembrava pentito. E lui non aveva mai smesso di credere nella bontà del cuore di Jeremy. Gli volle credere. Gli diede una veloce pacca sulla spalla invitandolo a entrare. 

La Guardia I Ladri che collaboravano.

Che versione bizzarra, di quel gioco!

«Sapete cosa temo non si aggiusterà? La costola che quella volpe mi ha rotto e/o incrinato! Aho! Schmidt, fa piano maledizione!» ad esempio, nella loro versione c'era uno Stupido Orso lamentoso. Decisamente, un trio bizzarro. 

 

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