Milk Puzzle

di Ilarya Kiki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sunshine. ***
Capitolo 2: *** Toasted. ***
Capitolo 3: *** One. ***
Capitolo 4: *** Stronger Than You. ***
Capitolo 5: *** Sex. ***
Capitolo 6: *** Core. ***



Capitolo 1
*** Sunshine. ***


*Primo tassello.


Sanshine.

 

Eh.
Certo che il sole è proprio una bella invenzione. Non che l’abbia inventato qualcuno, credo. O forse sì; chissà. In ogni caso mi piace, è sempre bello goderselo finché dura: non penso di aver mai trovato un posto migliore dove schiacciare un pisolino in orario lavorativo che non fosse la spiaggia, sopra una bella sdraio. O anche sulla sabbia, magari, che restituisce il calore assorbito durante il giorno contro la schiena riscaldando queste vecchie ossa. L’unico problema della sabbia è che poi si appiccica in posti poco raggiungibili e resta lì incollata a dar fastidio per tutto il giorno, e dato che nessuno ha mai voglia di pagare un ombrellone a uno stabilimento, e di conseguenza non posso nemmeno farmi una doccia, mi tocca aspettare la sera per scrostarmela di dosso, a casa mia.
Di fare un bagno in mare non se ne parla. Si sa, gli scheletri non galleggiano.
Mi piace starmene qui, sdraiato senza fare niente, con gli occhi chiusi contro la luce feroce e accecante a prendere fuoco immerso nei raggi del mezzogiorno.
Vorrei che questa sensazione mi restasse dentro, vorrei poterla averla ben presente sempre, così come sto facendo ora.
 
Sento dei passi lievi sulla sabbia.
Forse pensa che sto dormendo. Nah, lo sa benissimo che la sto aspettando; dovrebbe aver imparato a conoscermi molto bene, ormai.
…quanto tempo sarà passato…? Uno, due mesi…? Ho smesso di fare la conta dei giorni, mea culpa. So solo che è estate, e il clima del mondo esterno non ha fatto altro che diventare sempre più secco e bollente, cosa che è sembrata andare molto a genio a Undyne, la quale ha iniziato a pretendere sempre più insistentemente che io la seguissi nelle sue scampagnate insieme a mio fratello. Ma no, io preferisco starmene qui a prendere il sole. Giorno dopo giorno, torno sempre qui a chiudere gli occhi.
Insomma, la aspetto.
Che senso avrebbe fare qualsiasi altra cosa? Dopotutto, io lo so già. È successo così tante volte che nemmeno vale la pena di ricordarsele tutte – come se fosse impresa facile, tra l’altro. E, sinceramente, sono stanco. Non ho proprio le energie di esplorare il nostro nuovo mondo con le vere stelle al posto del soffitto insieme agli altri, anzi, probabilmente seguirli mi metterebbe solo più tristezza.
In ogni caso, eccola qui.
La stavo aspettando e finalmente è arrivata.
Decido di aprire gli occhi.
 
“Ciao ragazzina.”
Strofina i piedi contro le dunette della spiaggia, dimostrando forse un po’ di ritrosia. La sua pelle esposta è cotta dall’abbronzatura, mentre i suoi capelli castani sono sbiaditi già da un po’ in quelle sfumature di miele chiaro, stoppose, che procurano gli eccessi di sole e sale.
“Ciao Sans.”
Tiene le manine incrociate dietro la schiena. Nonostante tutto, è davvero un esemplare di umano adorabile, non ci posso fare niente: con quei suoi modi posati dà sempre l’impressione di voler esporre solo il lato migliore di sé, per non deludere mai nessuno e farsi amare. Sarà che mi ricorda mio fratello quando aveva la sua età, chissà. In qualche modo mi fa sempre nascere l’istinto di proteggerla, e quando sua maestà mi chiede di risparmiarle la vita, ammetto di accettare molto volentieri di stringere la promessa, mi sento quasi liberare da un peso: dopotutto io non sono cattivo.
Creature bizzarre, gli umani.
“Dimmi, hai qualche buon motivo di interrompere la mia attività scientifica?”
“…attività? Ma se non hai fatto niente per tutto il giorno!”
“…non direi, qualcuno deve pur fare ricerca. Alphys mi ha chiesto di partecipare ad un esperimento per scoprire quanto tempo ci mettono le ossa a evaporare al sole, e come vedi ci sto lavorando con impegno. Mica mi posso muovere da qui, eh, salterebbe tutto!”
Sul suo visino si stiracchia un sorriso. Non è scoppiata a ridere come fa di solito, e questa per me è la conferma di un fatto che davo per scontato già da prima. Peccato.
Per una volta, mi era quasi tornata la speranza.
“…Frisk?”
 
“A volte mi chiedo proprio come fai, le tue battute idiote sopravvivono a tutto.”
“Eh, sai com’è. In qualche modo devo tirare avanti pure io. La risata è una buona arma di difesa contro certi mostri.”
“…non mi pare. Al massimo li fa innervosire ancora di più.”
“…cosa che potrebbe rivelarsi divertente per me.”
“Sei strano, di solito a questo punto hai già perso la voglia di ridere. Non mi chiedi più dov’è finito tuo fratello, e perché fa tardi a tornare dal giro sugli scogli con Undyne? No? Immagino che ormai lo sai già. Le situazioni cambiano ma il succo è lo stesso. Sai, questa è la quattordicesima volta, qui in superficie, eppure sei ancora capace di sorprendermi, Sans.”
“Te le ricordi bene tutte, tu, eh? Infame bastarda.”
“…oh, così mi piaci. Perché, tu no? Ah, già, forse me l’avevi pure detto, una volta… incubi, no? Deja-vù. Ricordi gli eventi a pezzi e confondi le partite l’una con l’altra. Che vita patetica. Ti ho ucciso un sacco di volte e non ho nemmeno la soddisfazione di sapere che le hai tutte a mente come si deve.”
“…preferisco ricordarmi le volte in cui io ho ucciso te, Frisk. Che se non mi sbaglio sono molte di più.”
“Molte e inutili, amico mio. E comunque, non sono Frisk.”
Solo ora, con gli occhi abituati finalmente alla luce, mi rendo conto della polvere bianca che di fatto le è rimasta attaccata fin sulle braccia, macchiandole il corpicino nudo coperto solo da un costumino blu.
Tra le sue mani vedo qualcosa brillare.
 

 
Uno strappo al respiro mi trascina giù in caduta libera e mi sveglio di soprassalto nel momento in cui mi schianto al suolo, ricoperto di sudore.
Camera mia.
Il mio soffitto. Il mio materasso. Le mie calze sparse in giro.
Cerco di calmarmi mentre catalogo tutto il mio piccolo mondo con lo sguardo, oggetto dopo oggetto, illuminato dalla debole luce del sottosuolo che filtra dall’imposta sbarrata alla finestra.
Rumori in cucina mi comunicano che mio fratello è già in piedi da un bel po’ e si sta dando da fare per nutrire la nostra piccola famiglia di due per almeno altri tre mesi. Mi raggiunge un aroma non ben definito di pomodori bolliti. Bene.
Si ricomincia.
Le immagini vivide di poco fa già si stanno dissolvendo, come fumo al vento: come sono morto stavolta? Mi sono difeso…?
Sono stanco. Stanco.
Vorrei che Frisk non si fosse mai lasciata sedurre dal Demone, nemmeno quella volta. Ci ha condannati tutti, perché se il tempo cancella tutto, non può cancellare il Demone.
Faccio nota mentale di passare a controllare le rilevazioni alla macchina per avere le idee più chiare, più tardi, ma ora proprio non ce la faccio. Ogni volta è sempre più difficile… meglio non pensarci, o questa è la volta buona che impazzisco sul serio, e sarebbe un disastro.
Richiudo gli occhi e tento di calmare il respiro. Papyrus non se la prenderà se mi prendo ancora una mezzora.
 
L’oscurità mi avvolge di nuovo, presentandosi consolante come sempre: per ora, nessun incubo mi attende, ma riposo e forse qualche sogno.
Finalmente sono nel nulla: solo un calore resta, intenso e bruciante, che mi è rimasto ancora qui dentro, come un antico abbraccio o il ricordo di una stella,
infuso nelle ossa…

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*Sì, il titolo è scritto così apposta.
*Spero che la lettura vi sia piaciuta, ne arriveranno sicuramente altre. La storia non finisce. Mai.
*A presto.

*Kiki

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Toasted. ***


*secondo tassello

Toasted.

 

IN UNALTRA TIMELINE, CHE ADESSO NON ESISTE PIù.
In un’altra timeline, che adesso non esiste più.

 

“… mi pare evidente che c’è stato un malfunzionamento di tipo termico-meccanico. Non era previsto, maledizione, me ne sarei dovuto accorgere prima… ma sì, ma sì, guarda qua: e questo cos’è? Il cavo è quasi fuso. È ovvio, c’è stato un sovraccarico di energia, devo ricalibrare il rilascio o questo problema si espanderà a macchia d’olio dappertutto e rovinerà altri macchinari. Intanto, qua c’è stato un surriscaldamento, non solo la temperatura si è alzata sopra il limite di progettazione, ma i circuiti sono stati spediti al loro limite e per poco non si sono…”
“Gas, ehi. Hai solo bruciato un toast. Capita.”
Lo scheletro si bloccò all’istante con la bocca ancora aperta, reggendo tra le mani quello che sembrava il cadavere di un panino carbonizzato, e il suo fratellino pensò che la sua espressione smarrita fosse estremamente esilarante mentre cercava di trovare delle parole comprensibili con cui ribattere. Era così facile mandarlo in confusione che probabilmente si sarebbe stancato molto in fretta di prenderlo in giro, se non fosse stato così stramaledettamente divertente.
“…insomma. È inutile mettersi a piangere sul bruciato.”
Okay, questa era davvero pessima.
Il più grande finalmente vinse la sua paresi facciale – probabilmente la battuta lo aveva scottato (okay, anche questa pessima) – e stiracchiò le guance d’osso in un sorriso bonario, ridacchiando e scuotendo lentamente la testa.

“Sì, sì, hai ragione. Ma devo comunque ricalibrare il generatore, non possiamo certo friggere i circuiti di tutti i tostapane dell’Underground, quando inaugureremo il Core!”

 

Sans suo fratello proprio non riusciva a capirlo.
Probabilmente nemmeno Gaster capiva lui, dopotutto. Il suo senso dell’umorismo era pari alla sua capacità di gestire un nucleo familiare e un ambiente di crescita sano e costruttivo, ossia zero assoluto. Inoltre, mancava completamente di fashion-sense: come diavolo faceva ad andare in giro con la giacca da lavoro ben stirata, il camice, e le scarpe da tennis, dai?
Okay, questo effettivamente era un problema che poteva risultare insopportabile solo per un quindicenne irrequieto come Sans, ma non poteva negare il fatto che Papyrus lo stava crescendo praticamente da solo. Gaster stava tutto il giorno in laboratorio a lavorare, da quando era stato scelto come scienziato reale, e si dava davvero un grandissimo daffare: come facesse a mantenere quei ritmi, senza quasi dormire la notte, solo lui lo sapeva, e Sans si sentiva male solo al pensiero di tutte quelle notti in bianco. Lui aveva aspirazioni completamente diverse, e nonostante Gaster lo avesse coinvolto parecchie volte con i suoi esperimenti, avendolo persino nominato suo “Assistente Personale” con tanto di badge – in realtà quando era più piccolo questa cosa l’aveva esaltato parecchio – aveva scoperto che la scienza applicata non faceva proprio per lui. Insomma, lui era un tipo più da astronomia e viaggi intergalattici, peccato che tutte queste cose fossero molto limitate al campo dei sogni che non della tecnologia – essendo le loro uniche stelle dei noiosi sassi incastrati nel soffitto di una caverna. E poi la scienza richiedeva troppo tempo rubato alla vita reale, e qualcuno doveva pur preparargli da magiare a Papyrus, no? Insomma, Gaster probabilmente avrebbe voluto che il suo fratellino seguisse i suoi passi, ma le sue speranze non potevano essere più malposte di così.

 

Gaster sbocconcellava il suo toast con aria assorta ed estasiata.
Sembrava rapito da un pensiero vagante, e si era completamente dimenticato che il pane carbonizzato non è commestibile, nemmeno per dei mostri sforniti di apparato digerente.
“Ehi! Terra chiama Gas!”
“Oh! Scusami. Stavo pensando che devo dirti una cosa.”
Sans pensò che dopotutto anche lui era un grande sognatore, a modo suo. Probabilmente fin troppo.
Negli occhi dello scienziato si era accesa una luce di infantile entusiasmo che di solito non prometteva nulla di buono.
“Ieri notte ho avuto un’idea. Ricordi quando ti parlai delle mie ricerche sulle particelle infinitesimali? – (Wow, che palle… no?) – …e sul discorso del loro movimento a velocità luce? E se ti dicessi che… forse sarei in grado di costruire una macchina che riesca ad imitare i tuoi poteri, ma più in grande? Molto più in grande?”
“A che stai pensando? A un robot cabarettista dalle batterie infinite?”
“Ma no sciocchino, parlo di quelli che siamo riusciti a sviluppare l’anno scorso, la manipolazione dello spazio-tempo. – (Ah già, il potere menevadodallaclasseinanticiposenzacheilprofseneaccorga ) – …se potessi costruire una macchina che ci portasse indietro nel tempo, prima ancora della costruzione della Barriera? Capisci di che parlo? Di un progetto che ci darebbe la libertà senza ulteriori spargimenti di sangue! Penso di parlarne domani al re. Tu che ne pen…”
“…una macchina del tempo?”
Gaster si interruppe di nuovo, e annuì con quel suo sorriso ingenuo da bambino pieno di entusiasmo.
Okay, ora le cose erano cambiate.
Quella sì che era davvero una figata.

 

 “…speriamo che sia un fiammeggiante successo!” scherzò Sans, occhieggiando al pezzo di carbone che suo fratello si ostinava a tentar di mangiare. Questo finalmente si ricordò con un sussulto che il suo toast era bruciato, e per una volta ridacchiò di gusto anche lui, posando delicatamente sul tavolo quel disgustoso pezzo di carbone.
“…e di non trovarci in mano un pugno di cenere.”
Concluse, con un sorriso speranzoso.

 

IL FRAMMENTO SI DISSOLVE QUI
Il frammento si dissolve qui…



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*Grazie per essere passati,
*ci vediamo alla prossima storia.

*Kiki

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Capitolo 3
*** One. ***


*terzo tassello

 

One.                                                                                                                                   

 

 

La prima volta in cui si era effettivamente accorto di quella faccenda era stato un paio di mesi prima.
Aveva avuto anche in altri momenti, in realtà, la percezione che ci fosse qualcosa di strano, ma non ci aveva mai fatto troppo caso: erano cose piccole, frasi mezze taciute, sguardi un po’ spenti, ma solo dopo quella volta iniziarono a collegarsi tutte insieme a prendere la forma di un qualcosa di vagamente inquietante.
Era stato una mattina, piuttosto sul tardi in realtà, e Sans se ne stava spalmato sul tavolo in soggiorno come uno dei tanti mucchi di biancheria sporca che giacevano in agonia in giro per la sua camera, tanto che Papyrus uscendo dalla cucina ebbe per un orribile istante il terrore che uno di quei cosi maledetti avesse finalmente preso vita e stesse cercando di conquistare la loro casa e rivendicarla come suo nuovo regno. In realtà era solo uno scheletro in pigiama molto assonnato, ma Papyrus ne rimase ugualmente urtato. Appoggiò il vassoio con la teiera e le tazze per la colazione con un po’ troppa stizza e suo fratello si prese un colpo – non aveva preparato spaghetti semplicemente perché allora aveva ricevuto solo la prima lezione di cucina da Undyne, ed avevano appena imparato a distinguere tra pomodori per il sugo e palle da tennis dipinte di rosso.
“Per la miseria Sans! – aveva esclamato il grande Papyrus – Sono le dieci di mattina e già ti riaddormenti!? Abbi almeno la decenza di raggiungere la tua stazione prima di fare pausa!”
Sans aveva mugugnato qualcosa di abbastanza sarcastico e impastato in risposta, e poi aveva allungato la mano per prendere la sua tazza di tè, con la stessa energia di un ghiro svegliatosi di soprassalto nel bel mezzo dell’inverno.
Papyrus non capì bene il perché, forse fu lo spavento appena preso, forse il sonno o forse addirittura lo fece apposta per ripicca mentre lui era distratto, ma di fatto la tazza traballò tra le mani di Sans e in qualche modo quel pasticcione fu capace di rovesciare tutto quello che stava in equilibrio sul vassoio, comprese scatola di biscotti, tazze e teiera, la quale non contenta si infranse pure in mille pezzi inondando con suo bollente contenuto tutta la tovaglia e il suo povero fratellone.
Papyrus scattò in avanti e tentò di porre rimedio a quel disastro ancora prima che avesse finito di compiersi, salvando al pelo la sua tazza personale da una fine simile a quella tragica della teiera, e poi si volse verso il colpevole per constatare i danni che aveva riportato lui: di fatto, le maniche della maglia del pigiama erano completamente zuppe.
“Eh. – sorrise Sans, in mezzo ad un ampio sbadiglio – Guarda, mi sono inzuppato nel tè. Chissà se ora sono più gustosso.”
“Dio dei fratelli minori, SALVAMI!” Declamò Papyrus infastidito dalla battuta, e prese una mano di suo fratello per asciugargliela almeno un po’ con lo straccio.
E fu lì che se ne accorse per la prima volta.
La mano di suo fratello era gelida.
Forse esitò per mezzo secondo, forse dagli occhi gli scappò un lampo di confusione, di fatto guardò Sans e lui gli rispose con un’occhiata stranissima. Durò meno di un attimo, ma gli restò impressa nella memoria.
Un istante dopo Sans parve riprendere all’improvviso tutta la vitalità mattiniera che aveva tenuta nascosta fino a quel momento, ritirò velocissimo la mano e si alzò in piedi.
“Meglio che vada a cambiarmi. Non importa per la colazione, se vuoi ti offro qualcosa dopo Paps. Non vorrei mai arrivare in ritardo e perdermi la mia meritata pausa.”

 

Era una sciocchezza, ma Papyrus ne rimase comunque sconvolto.
Insomma. È vero che gli scheletri sono composti da un 20% di fantastico midollo e tessuto osseo, ma il resto 80% è fatto di magia, vitale, forte, calda energia che viene dalla loro anima di mostri. I mostri-scheletri non dovrebbero essere gelidi, sono gli scheletri-scheletri ad essere gelidi. Quelli morti.
Inoltre, mentre stava finendo di ripulire il tavolo, con crescente disagio a Papyrus venne in mente che era davvero molto strano anche che Sans si fosse fatto sfuggire di mano una tazza. Certo, era Papyrus quello più attivo e intraprendente fra i due, ma era anche vero che in quanto a lavori manuali era sicuramente il meno dotato. Se c’era una cosa che invidiava a Sans, e che lo faceva sempre arrabbiare dato che non la sfruttava mai a dovere, era la sua eccezionale mano ferma: tutte le cose che Papyrus faticava a costruire (puzzle, vestiti, quiche, biscotti, giocattoli, lampade, letti, tetti, action figures…) lui era capace di farle benissimo in un terzo del tempo. Poi appunto, con tutta la sua potenziale abilità alla fine non ci combinava mai nulla perché era troppo pigro, ma questo era un altro discorso.
Suo fratello non avrebbe mai rovesciato una tazza così, a caso.
Ecco qual’era il discorso.

 

Fu da quella volta che Papyrus si fece più intuitivo su certe cose che prima gli passavano inosservate.
Si rese conto, per esempio, che Sans aveva preso l’abitudine di scendere dalla sua camera da letto molto più tardi del solito, anche dopo parecchio tempo che lui l’aveva chiamato. Certo, anche prima faceva tardi, ma ora dalla sua faccia pesta sembrava quasi che si svegliasse molto più stanco di quando era andato a letto, e lui evitava accuratamente di fare qualsivoglia attività che comportasse fatica durante tutta la giornata. Papyrus si ritrovò con l’assurdo pensiero che di notte non dormisse più, ma se ne stesse semplicemente steso a occhi chiusi senza fare nulla.
Aveva poi iniziato ad andare in giro in pantofole. Cioè, in pantofole. Papyrus capiva che la prima volta era stato parecchio divertente, quando tutti i mostri di Snowdin che aveva incrociato lo avevano tempestato di domande sulla sua inusuale scelta stilistica e lui si era sbizzarrito a fare battutacce sul fatto che aveva caldo ai piedi e che era già pronto per tornarsene a dormire, ma poi la cosa era diventata un’abitudine. Papyrus aveva avuto la sottile impressione che semplicemente suo fratello non avesse più voglia di infilarsi le scarpe.
Stranissimo.
Aveva anche smesso di dare da mangiare al suo sasso da compagnia, cosa che una volta lo divertiva un mondo.
Ora nulla sembrava più divertirlo per davvero, anche se continuava a infastidire suo fratello minore con le sue battute stupidissime e con quel suo sorrisetto idiota che nemmeno una doccia di candeggina gli avrebbe mai lavato via dalla faccia.
Capitò a volte, quando tutto questo strano complesso di piccoli dettagli gli veniva in mente, che Papyrus facesse apposta ad avvicinarsi a lui per toccagli le ossa con una scusa, e il risultato era sempre il solito: gelo.
Papyrus allora si toccava un braccio e capiva che c’era davvero qualcosa di molto sbagliato: lui era in grado di rimanere piacevolmente tiepido anche dopo ore in piedi sotto una nevicata.

 

Anche Undyne si era accorta che qualcosa non andava. La sua reazione però era stata parecchio più pratica e subitanea di quella di Papyrus.
“È evidente che tuo fratello è uno SCANSAFATICHE della PEGGIOR SPECIE, Papyrus! – aveva esclamato convinta mentre prendevano a padellate gli spaghetti crudi per farli entrare completamente nella pentola – Mi sembra normale che sia un po’ FUORI FORMA! Capita se passi tutto il giorno a fare finta di lavorare come fa lui. Credo che il suo problema sia principalmente di INERZIA.”
“Inerzia?” aveva chiesto Papyrus confuso, schivando al centimetro un passaggio di padella che gli avrebbe portato via mezza mascella.
“Massì, inerzia! Sai, quando sei fiacco riprendere ad allenarsi è molto più difficile rispetto a quando sei abituato a farlo tutti i giorni. Inoltre, più tempo lasci passare prima di ricominciare a muoverti, più diventa faticoso farlo! Insomma, tuo fratello è TALMENTE INERTE che per lui riprendere gli allenamenti è diventato QUASI IMPOSSIBILE!”
“…e cosa proponi di fare Undyne!?” aveva chiesto lo scheletro sinceramente preoccupato.
“Gli daremo un piccolo incentivo!!! IAAAAAA AH!!!”
La Comandante delle Guardie Reali affondò un ultimo colpo ai poveri spaghetti, e fu così violento e rabbioso che quei pochi stiletti di pasta che non erano completamente in frantumi volarono direttamente via dalla pentola. Ora finalmente i superstiti potevano cuocere in pace.
Il mattino dopo Sans si era ritrovato un tapis roulant di fronte alla porta della sua camera, con suo fratello e il suo capo lì in piedi che aspettavano la sua reazione. Lui guardò prima Papyrus, poi Undyne, poi di nuovo Papyrus. Poi sollevò le spalle.
“Eh. – sospirò, sghignazzando – Non corriamo troppo ragazzi. Mi lasciate senza fiato.”
“Sans di tutte le battute che hai detto negli ultimi tre giorni questa è sicuramente quella che fa meno ridere.”
“Oh dai. – si intromise Undyne, appoggiandosi alla ringhiera del soppalco e facendo l’occhiolino – Se non mi dimostri che almeno ci provi, va a finire che ti licenzio.”
“Oh non potresti mai licenziarmi.” Rispose il piccolo scheletro appoggiando una mano sul suo attrezzo ginnico nuovo di zecca, e lanciando a Papyrus un’occhiata estremamente divertita: “…senza di me, i cani e mio fratello morirebbero di noia!”
Dopodiché sparì, probabilmente dietro la porta della sua camera chiusa a chiave.
Uscendo per andare alle sua postazione, Papyrus tirò un profondo sospiro che si teneva dentro da un po’:
“Dici che l’ha apprezzato? Servirà a qualcosa?” chiese, facendo trasparire tutta la sua preoccupazione.
“Ma sì. – rispose dolcemente Undyne, tirandogli una pacca sulle spalle ossute – Anche se non se ne farà nulla, saprà che ci stiamo preoccupando per lui. Questo non può fargli che bene, no?”

 

“Sans.”
Sans chiuse il libro. La luce bassa e calda della bajour lo illuminava da un lato, lasciando la sua figura piccola e rassicurante avvolta dalla penombra: i suoi vispi occhi luminosi brillavano nel cavo delle sue orbite buie, ma le ombre che li circondavano sembravano ancora più pesanti di quello che in realtà erano alla luce del giorno magnificata dalla neve candida. Papyrus pensò che suo fratello gli sembrava stanco. Stanchissimo.
“…vai a dormire per favore. Lasciamo perdere per stasera.”
“Oh. – Sans sembrò sorpreso e dispiaciuto – Niente Coniglietto Batuffolo stasera?”
“No.”
Papyrus allungò una mano e gli afferrò il polso, appoggiandosi alle lenzuola che già lo ricoprivano morbide e pulite. Non ce la faceva più a fare finta di niente.
Le ossa di suo fratello erano fredde, gelide, e con un vago senso d’angoscia Papyrus ebbe quasi l’impressione che fossero scosse da un lieve tremito, ma preferì autoconvincersi che fosse tutta una sensazione nata dalla sua testa sconvolta dall’apprensione.
“Ehi. – gli chiese Sans, con un sospiro, e gli sorrise – Mi vuoi dire cosa c’è?”
“Sei freddo.” Rispose Papyrus, a disagio. Non gli era mai piaciuto parlare di certe cose. Strinse le dita attorno a quel polso inerte.
“Beh, ovvio. Come potrebbe non esserlo un asso nelle freddure?”
“Dico sul serio Sans. Sei strano ultimamente, e il tuo responsabile fratello è preoccupato per te.”
Sans chiuse gli occhi, e sospirò di nuovo. Papyrus ebbe l’impressione che dietro quelle palpebre eburnee stesse elaborando qualcosa da dire per spiegarsi, giustificarsi, tranquillizzare il suo fratellino magari, ma quando poi decise di rispondere non fece altro che peggiorare drasticamente la situazione, stirandosi un sorriso più ampio del solito sulla faccia rotonda: “Non è niente, Papy. Davvero. Sono solo molto preso dal lavoro.”
Papyrus era stanco di quelle idiozie. Agì d’impulso. Non stette a pensare se fosse una buona idea oppure no, ma in quel momento era talmente in ansia che sarebbe andata bene qualsiasi cosa.
Tirò con energia il polso di suo fratello trascinandolo ancora di più vicino al suo capezzale, gli appoggiò una mano contro le costole e attivò i suoi poteri magici, come se volesse sfidarlo a duello proprio lì, sul suo letto-automobile: si concentrò e ispezionò la sua anima, racchiusa nella sua cassa toracica.
Inorridì.
“Certo che Undyne ti sta addestrando proprio bene, eh.”
SANS.
“Che c’è?”
SANS.
“Cosa?”
SANS, HAI UN SOLO HP.
“Sì?”
SANS, UN SOLO…”
“E quindi…?”
SANS!
“Eh!”
Papyrus gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte, spaventato come poche volte lo era stato nella sua vita, e sentire quel mucchio di ossa fredde premere contro di lui sotto al pigiama gli ferì il cuore.
NEMMENO I NEONATI HANNO UN HP! NEMMENO I VECCHI HANNO UN HP! SONO QUELLI CHE STANNO PER MORIRE CHE HANNO UN HP, SANS! QUELLI CHE MUOIONO! COSA TI È SUCCESSO FRATELLO!? TI SEI FERITO? CHI TI HA…
“Non è successo nulla Papy. Stai tranquillo.”
Sans si era fatto prendere e sballottare senza opporre nessuna resistenza, e anche in quel momento si stava facendo abbracciare abbandonandosi inerte. Anche quello non era normale, Sans era sempre stato un abbracciatore coi fiocchi.
“…ma perché sei così debole, fratello?” chiese Papyrus, finalmente, cercando di non piangere come quando aveva dieci anni e affondando la testa fra le clavicole dell’altro.
“Purtroppo è così e basta, Papy. Ma io sto bene, sul serio. Basta che sto attento a non inciampare sulle sca…”
“…ma io non voglio perderti. Sei l’unico fratello che ho, Sans.
Erano soli al mondo, loro due.
Allora accadde un mezzo miracolo: Sans per un attimo tornò quello di sempre. Allargò le braccia e circondò il suo fratellino in una stretta forte e salda, premendo il viso contro la testa di Papyrus, come facevano sempre quando erano più piccoli e Papyrus correva da lui in lacrime in cerca di consolazione e affetto dopo aver assistito a qualcosa di triste o essersi graffiato una rotula. Non disse nulla per molto tempo, stingendolo forte, ma andava benissimo così.
“Ti voglio bene Papy. Ti prometto che non mi succederà nulla, okay? Lo sai che il tuo fratellone è il mostro più imbattibile di tutta la galassia.”
“Okay.”
“Okay.”
Non furono tanto quelle parole a consolare Papyrus, quanto l’ondata di calore che aveva iniziato a propagarsi dal centro del petto di suo fratello, pulsando lievemente, e aveva infuso calore nella loro stretta. Finalmente quell’abbraccio tornò a trasmettere quella sensazione meravigliosa, di sicurezza e calma forza, che il più giovane aveva impressa così bene nella memoria. Quello sì che era Sans, il vero Sans, quello capace di farlo addormentare anche nei momenti più bui.
Si separarono e Papyrus si asciugò in fretta gli occhi per non fargli capire che aveva pianto, per fortuna l’altro parve non accorgersene perché anche lui si strofinò la faccia con le maniche del pigiama, probabilmente stropicciandosi per il sonno.
“Credo che tu abbia ragione Paps, sono un po’ stanco, meglio che ne vada a dormire.”
Sans gli lanciò un’occhiata piena di affetto, e gli dette una lieve pacca sulla testa.
“Buonanotte. Domani se vuoi facciamo i pupazzi di neve.”
“Va bene. Buonanotte Sans.”
E se ne tornò in camera sua.
Papyrus spense la luce e pensò di essere davvero grandioso, perché era evidente che con un solo abbraccio era stato capace di far stare meglio il suo fratellone, qualsiasi accidenti di malanno lo stesse affliggendo. Si ripromise di abbracciarlo molto più spesso, per elargire di più la sua fantastica aura curativa.
Non si era accorto, in realtà, della profonda tristezza che covava tra le ombre del sorriso pieno d’amore di suo fratello. Si sorprese però di aver macchiato il cuscino con dell’umidità che aveva sulla testa, della quale non si era minimamente accorto prima: era ricoperto di una sostanza calda e bagnata, apparsa dal nulla come per magia.

 

La mattina dopo Papyrus era di ottimo umore.
Stava spadellando in cucina per preparare la scorta mensile di spaghetti da congelare nel frigo, quando Sans scese da camera sua – con solo mezzora di ritardo – per fare colazione dargli il buongiorno.
“Heya! – salutò, infilandosi la felpa blu – Che profumino!”
“Il fratello migliore del mondo ti augura il buongiorno, Sans!”
“Eh eh, grazie!”
“Senti, stavo pensando… - Papyurs scolò la pasta nel lavello, finendo sommerso da una nube di vapore –…per la questione che hai un solo Health Point. Magari in pausa pranzo potremmo provare ad andare a Hotland, e incontrare la brillante dottoressa Alphys. Ho capito che per te non è un problema, ma preferirei chiarire la questione. Non è proprio il massimo rischiare di restarci secchi per una palla di neve in faccia!”
Papyrus ci aveva rimuginato su molto, ed era giunto alla conclusione di aver avuto decisamente troppa paura per una faccenda che in realtà non ne meritava una tale quantità. Insomma, sarebbe bastato che Sans gliene avesse parlato subito e avessero chiarito la situazione in modo razionale e tranquillo, ma quel testone ovviamente non diceva mai nulla e nessuno e quindi il povero Papyrus era morto di preoccupazione arrivando a prendere ogni sciocchezza come il segno di qualcosa di orribile.
Sans non fece attendere molto la sua reazione alla proposta di suo fratello e scoppiò in una risatina strana, che lasciò il grande Papyrus sorpreso e parecchio perplesso con lo scolapasta in mano, che sembrava una sorta di mostro marino molliccio a causa degli spaghetti che erano rimasti incollati tutti uno sull’altro come un grumo di tentacoli appiccicosi.
“Che c’è, ho detto qualcosa di buffo? Non è che ho detto una battutaccia senza nemmeno rendermene conto, vero!?
“Eh eh eh eh no, no! È che oggi temo proprio che non avremmo tempo per farlo.”
“Perché!? Che abbiamo da fare di speciale, oggi?”
“Oh, chi lo sa.”
Sans si infilò le mani in tasca e gli fece un occhiolino, sorridendo in quel modo tutto suo ammiccante e vagamente misterioso.
“…magari oggi è la volta buona che incontreremo un umano.”
“Oh, un umano! Wowie Sans, magari!

 

Ovvio che, se fosse saltato fuori un umano, il problemino dell’unico punto vitalità di Sans sarebbe passato sicuramente in secondo piano. O almeno, doveva essere così visto che era proprio l’interessato a pensarlo.
O no?

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*Ehi, grazie per aver letto fino a qui.
*Spero che la lettura vi sia piaciuta.
*Anche perché, ehi,
*è un problema avere un male all'anima, quando si è fatti quasi completamente di anima.
*Al prossimo tassello.
*Un abbraccio a tutti.

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Capitolo 4
*** Stronger Than You. ***


*Quarto tassello

 

Stronger Than You.

 

Finalmente azzeccò il tempismo giusto.
Tre ossa appuntite saettarono e si infilarono perpendicolarmente nella testa della ragazzina, uno trafiggendo direttamente il bulbo oculare, mentre lei saltava verso sinistra per schivare un altro assalto dei medesimi proiettili: sangue e liquido cerebrale schizzarono come un rosso ventaglio sulle piastrelle dorate, con il sottofondo di un appagante scrocchio di ossa rotte.
La ragazzina atterrò come una marionetta rotta sulle ginocchia, si accasciò al suolo senza un gemito e cadde picchiando la fronte, lasciando ulteriori macchie scarlatte sul pavimento.
Sans, ansimando come un mantice per la fatica, vide l’anima della sua avversaria fremere per un secondo, pulsare un’ultima volta e poi infrangersi in pezzi, scomparendo nell’aria.
Ecco, ce l’aveva fatta anche quella volta.

 

 

Eccola di nuovo avanzare verso di lui, appena entrata nell’ultimo corridoio prima della sala del trono, con una lunga lama lucente in mano.
Eccolo di nuovo ad attenderla al varco, in piedi con le mani in tasca.
“È inutile che ti dica ormai quante ne ho contate, vero? Pazza malata.”
Lei si fermò, come faceva sempre, di fronte a lui, fronteggiandolo con il coltello stretto nella mano abbandonata lungo il fianco. La luce obliqua del tramonto, che in quella particolare parte del palazzo prorompeva come una cascata d’oro da una frattura delle pareti della grotta e accendeva di luce tutto l’antico corridoio – le vetrate erano state un grosso vanto dell’architetto reale, parecchi secoli prima, dato che riuscivano a incanalarne perfettamente lo splendore – la colpiva in pieno sul lato del viso, scavando di ombre il suo sorriso isterico.
Sans si chiese di nuovo cosa diavolo fosse.
Di certo non la sua piccola Frisk, quella che gli pareva di ricordare nelle memorie dei suoi sogni più nascosti.
“…è una bellissima giornata per bruciare all’inferno.”
Attaccò subito, con tutta la forza che aveva, e lei schivò ogni singolo colpo con agilità come se – ormai – avesse imparato a memoria l’esatto punto in cui ogni cannone avrebbe sparato e ogni osso colpito. Lui sapeva cosa stava accadendo, cosa continuava ad accadere: era tutto inutile, ogni volta che quella bestia assassina racchiusa nel corpo di un essere umano finiva per morire, il tempo tornava indietro, e lei tornava ad affrontarlo, ancora, e ancora, e ancora, e ancora… di solito Sans aveva percezioni molto confuse del tempo che si riavvolgeva, ma non in quel momento. Era tutto troppo ravvicinato, troppo frequente perché lui potesse dimenticarsene o fare finta di niente. Lui non poteva più permettersi il lusso di dimenticare.
“Lo so sai? Il tempo continua a tornare indietro. È inutile quanto lottiamo… non mi importa più nemmeno di raggiungere la superficie, tanto un giorno ci sveglieremo tutti di nuovo qui in questa fogna, e non sarà mai successo nulla. Quante volte abbiamo già raggiunto la superficie, eh? E c’eri anche tu, e pensa che idiota, ho pure l’impressione che fossimo amici. Pensi che non abbia provato a sistemare questa cosa, ad aggiustare il tempo? Eppure è stato tutto inutile. Mi ero arreso, sai? Ma non questa volta. Non questa volta. Non posso permetterti di avanzare di un passo di più, anche se combatto contro l’impossibile.”
Sans aveva l’impressione chiarissima di aver ripetuto quelle cose milioni di volte, ma non poteva evitare di aprire le dighe e lasciar sgorgare fuori tutta quell’amarezza, di fronte ad un avversario che tanto nemmeno lo ascoltava. L’umana infatti continuava a schivare con abilità tutti i suoi attacchi magici senza degnarlo di uno sguardo, se non quando riusciva a trovare una via di fuga tra le colonne di energia bruciante dei suoi laser e tentava un affondo con il suo coltello, che però Sans riusciva sempre ad evitare senza difficoltà. Certo, erano anni che non muoveva un muscolo (…o un osso, per meglio dire), ma non se la stava cavando per niente male in combattimento, era ancora forte e agile come quando si allenava insieme a suo fratello.

E dire che Papyrus era così preoccupato per il suo unico Health Point…

Continuarono a combattere per minuti interminabili, il mostro e l’umano, tempestandosi di colpi a vicenda ed evitandoli tutti con passi veloci, girandosi attorno come se stessero danzando una danza di morte, decisi ad uccidersi a vicenda con uguale determinazione in quel meraviglioso corridoio sommerso d’oro.
L’umana sembrava non perdere un colpo; Sans invece iniziò a sentirsi un po’ stanco. Alla fine, tutti quegli anni di inattività iniziavano a diventare un po’ pesanti… ma non poteva permettersi di perdere. L’umana sembrava pronta a tutto e anche lui non doveva essere da meno: attinse alle sue ultime energie e iniziò a distorcere lo spazio-tempo, scagliando la sua avversaria avanti e indietro durante il loro combattimento e riuscendo a colpirla un paio di volte con i suoi laser. Lei scoppiò a ridere, sfiorata dal potere bruciante della sua magia ma uscendone comunque viva.
Sans sapeva benissimo che anche l’umana era in grado di manipolare il tempo, ma era sicuro che non possedesse la precisione e raggio d’azione che aveva lui: pareva che lei potesse farlo solo in determinati momenti, e non era abbastanza capace da poter stare dietro a lui. In ogni caso, presto lo scheletro raggiunse il suo limite.
Se Sans non l’avesse uccisa e in quel momento, avrebbe fallito.
Lui non poteva fallire, l’avrebbe tenuta intrappolata in quel combattimento per tutta l’eternità, uccidendola ogni volta e ricominciando ogni volta, ancora e ancora, se fosse stato necessario. Non gli era permesso arrendersi o la morte di tutti i suoi cari sarebbe rimasta invendicata, e quell’inferno sarebbe ripartito da capo.
Ma, ovviamente, era sempre stato uno scemo.
È inutile tenere duro per ottenere l’impossibile, e in fondo al suo cuore lo sapeva benissimo, anche se a volte tornava a far finta che non fosse così.
L’umana si approfittò di un suo momento di stanchezza e puntò con energia verso di lui, col coltello sollevato e una folle sete di sangue nelle pupille dilatate e opache. Lui chiuse gli occhi, sorridendo, talmente stanco da non riuscire nemmeno a inspirare l’aria per il suo ultimo respiro.
La sentì cadergli addosso e percepì la lama tagliente e dolorosa del coltello contro il costato.

 

- 0,5 HP.

 

Stupito, riaprì gli occhi.
Si ritrovò bloccato al suolo dal corpo di lei, che gli si era seduta sopra puntandogli la lama del coltello contro lo sterno, tanto da rendergli difficoltoso il respiro e pressoché impossibile il movimento.
Sarebbe stata un’ottima occasione di contrattacco, se non fosse stato che era così stanco e indebolito che a fatica riusciva a tenere gli occhi aperti, e comunque ad ogni suo tentativo di evocare una magia la lama gli avrebbe molto probabilmente strappato l’anima prima di ottenere qualsiasi risultato.
Anche l’umana ansimava di fatica, ma sembrava soddisfatta. Sorrideva in tono sornione, stringendo il suo coltello, con i capelli tutti scompigliati e un paio di fili di fumo che si sollevavano da alcune delle ciocche che avevano incontrato il fuoco blu dei laser. Sans decise di non provare a muoversi, perché forse avrebbe potuto trovare ancora una possibilità di fermarla, essendo ancora vivo.
“Beh? – mormorò lo scheletro, e sentì un rigagnolo di sangue sgorgare fra i suoi denti mentre parlava – Che c’è? Vuoi farmi vedere quando sei diventata brava con quell’affare?”
Lei, finalmente, aprì la bocca e parlò.
“Sai. – disse, col tono casuale che userebbero due amici al bar per parlare del tempo atmosferico – Mi sto annoiando. Alla fine è sempre la stessa solfa.”
Sans tossì. La ferita al petto gli faceva male.
“…e allora perché non te ne vai? E ci lasci in pace?”
Lei rise, leggera.
“Ma no, ma no… non in quel senso. Quaggiù succedono sempre le stesse cose. Sono tutti terribilmente prevedibili, tanto che mi sto stancando anche di ucciderli. Tranne te, Sans. Tu sei l’unico interessante qua sotto.”
Lo scheletro strinse i denti, e sentì la lama premere ancora di più contro la sua cassa toracica.
“…a quanto pare tu sai un sacco di cose, ma non dici mai niente a nessuno. Solo quando ti spingo al limite ti decidi a dirmi qualcosa… parli di rilevamenti delle linee temporali, di qualcuno da salvare… e poi tiri fuori quei cannoni pazzeschi e devo sempre fare una fatica bestiale per superarti. Ammetto che sei rimasto l’unica sfida divertente, quaggiù. Ma, piano piano, mi sto stancando anche di te, e poi c’è una cosa che mi sto chiedendo da un sacco di tempo…”
Sul suo viso di bambina brillò un lampo di interesse. Si chinò in avanti con un sorriso curioso.
“…ma tu chi diavolo sei, Sans? Si può sapere che ci fa quaggiù uno come te?”

 

Sans ridacchiò, e questo gli costò una fitta terribile al petto e altro sangue a scivolargli lungo il mento.
“…che domanda del cavolo. Sono una sentinella, e sono anche piuttosto pigro. Ho un sistema piuttosto rigido di valori, anche se non sembra, e detesto la gente che va in giro ad ammazzare i fratelli altrui. Ma tutte queste cose le sai già.”
“Puoi anche evitartele le tue cazzate, non mi sembri nelle condizioni di continuare a raccontarmi balle.”
Il coltello affondò un poco.

 

- 0,1 HP

 

“Ehi ragazzina, continua così e mi farai fuori. E poi non potrò dirti più nulla.”
“…vedo che iniziamo a capirci. Sappi che non ci metto niente a ucciderti, se continui a prendermi in giro. Ma sinceramente non ne ho voglia, mi sono stancata di spezzarti il cuore sempre nello stesso modo, e poi mi piaci troppo. Fossi in te ne approfitterei.”
Sei una…”
“Allora? Mi vuoi rispondere!?”
Sans rimase in silenzio per un paio di secondi, poi lasciò cadere la testa all’indietro e ridacchiò di nuovo, con quel filo di fiato che gli restava nel corpo. Dopotutto l’umana aveva ragione, era già un miracolo che lei avesse deciso di mantenerlo in vita così a lungo, doveva cercare di approfittarne.
“Allora… - iniziò, e tossì - … facciamo un gioco, io e te. Io risponderò alle tue domande, più sinceramente che posso. Ma anche tu risponderai alle mie, ne faremo una a testa. Che dici, ti va?”
L’umana ci pensò un po’ su, ma alla fine l’idea sembrò divertirla. Sorrise soddisfatta.
“Ci sto.”
Chi diavolo sei è una domanda un po’ generica. Non è che potresti essere più specifica?” chiese allora lo scheletro, sollevando un’arcata sopraccigliare.
“Va bene. Dove hai imparato a teletrasportarti e a manipolare il tempo?”
“Da quanto mi ricordo, so farlo da sempre. Credo di aver imparato quando ero poco più grande di te, forse.”
“… e come fai ad avere questi poteri?”
“Ehi, abbiamo detto una domanda a testa.”
“Ah, già giusto. Chiedi pure.”
Sans ci pensò un po’ su. Probabilmente di lì a pochissimo sarebbe morto, ma magari avrebbe ottenuto qualche informazione importante per la futura linea temporale. Sapeva che tutto sarebbe ripartito e si rendeva conto fin troppo bene che probabilmente si sarebbe dimenticato ogni singola parola che si sarebbero scambiati, ma valeva la pena provare.
“Tu… non sei una bambina di otto anni. Non sei nemmeno un essere umano. Cosa sei?”
L’umana sorrise, strizzando gli occhi.
“Sono un brutto ricordo, di una brutta vita. Sono il desiderio di violenza rimasto nelle fibre della realtà, lasciato da qualcuno morto da tempo.”
Lo scheletro assorbì l’informazione ma evitò di chiederle precisazioni: adesso era il turno dell’umana di fargli la sua domanda. Il suo peso sulle sue ossa quasi spezzate era al limite del sopportabile.
“Dimmi, Sans – iniziò, giocherellando con il coltello contro la sua maglia - … una volta mi hai fatto avere le chiavi per la stanza dove nascondi la tua macchina rotta, sul retro di casa tua. È una macchina del tempo?”
“Sì.”
L’umana sembrò piccata dall’estremo uso di sintesi e soprattutto dal tono secco e conciso, ma accettò la risposta. Era il turno dello scheletro.
“Dì, ragazzina… perché hai ucciso mio fratello?
“Noia. E tu dimmi, eri per caso l’assistente di W. D. Gaster, lo scienziato reale prima di Alphys? Ho trovato un badge in quella stanza sul retro.”
“Sì. Come fai a tornare indietro ogni volta che ti uccido?”
“Determinazione. Gaster era per caso tuo parente? C’è un disegnino con te, lui e Papyrus nel tuo retro.”
“Era mio fratello. – Sans annaspò in cerca di aria. Quel gioco iniziava a non piacergli più – E tu, umana, come usi la determinazione per tornare indietro nel tempo?”
“Non lo so, succede e basta. E tu dimmi, è stato Gaster a progettare la tua macchina del tempo? È stato lui ha insegnarti a manipolarlo? È stato lui a costruire per te i tuoi cannoni?”
“Queste sono… troppe domande.”
La ragazzina parve rendersi conto di aver esagerato. Corrucciò l’adorabile visino e si chinò verso lo scheletro, toccando il sangue che gli colava dalla bocca come se volesse ripulirlo, ma lasciando di fatto una striscia scarlatta sulla sua mascella d’osso con il pollice della sua manina.
“Hai ragione, poverino. Cambio domanda. Dimmi un po’, ma tu chi diavolo sei?
Dalla sua espressione sadica Sans capì che non aveva più voglia di stare a dar retta alle sue richieste di evitare domande scottanti, e così chiuse gli occhi e prese un po’ di fiato. Eh già, era proprio fregato, sicuramente lei si stava stancando e non gli rimaneva troppo tempo da perdere in quella linea temporale maledetta.
“Eh. – lo scheletro ridacchiò – Questa sì che è la domanda da un milione di golds. Diciamo così, ragazzina.”
Sarebbe stato più sincero possibile, ma sicuramente la risposta non l’avrebbe fatta felice. Anzi, probabilmente si stava condannando da solo, pensò divertito.
“…io sono come un puzzle, a cui mancano diversi tasselli. Non ho idea di dove siano finiti, e non ho idea di quale sia l’immagine finale. Forse non esiste nemmeno una immagine, ma in realtà non mi importa neanche più di tanto. Tanto ormai non ha più senso preoccuparsene, dato che l’unica ragione per continuare ad esistere che mi è rimasta in questo momento è cercare di fermarti e impedirti di raggiungere la superficie e portare distruzione anche lì. Per non parlare del fatto che ti farei a pezzi un milione di volte solo per quello che hai fatto al mio fratellino.”
Sans aveva detto tutto con una calma serenità che sembrò eccessiva persino per lui. Forse davvero si aspettava davvero che il coltello affondasse a strappargli via l’anima dopo ogni sillaba, o forse ormai aveva accettato il fatto che per quella volta non sarebbe riuscito, di nuovo, ad arrestare quel demone orrendo. Strano, eppure si era ripromesso di non arrendersi: o forse, c’era qualcos’altro. Forse aveva solo sentito il bisogno di dire quelle cose a qualcuno, per una volta. Di buttarle in faccia al suo avversario.
L’umana non lo uccise.
Rimase a guardarlo con un’espressione corrucciata per qualche secondo, sempre illuminata dall’oro del sole che filtrava dalle vetrate. Gli schizzi di sangue sulla sua pelle e capelli carbonizzati attorno al viso stridevano con l’indifferenza infantile che continuava ad animarle i lineamenti. Lo facevano imbestialire.
“Devi averne passate, tu, eh? Anche prima che arrivassi io.” Commentò, grattandosi il mento.
“Già.”
“…magari sai anche perché il tempo continua a riavvolgersi. Ti ho detto che io posso farlo tornare indietro, ma non so perché ne ho la possibilità. Tu e Gaster sembrate aver combinato un gran casino con gli esperimenti sullo spazio-tempo.”
Oh fantastico, quell’argomento non gli piaceva, non gli piaceva per niente…
“Eppure. – la vocina di bimba dell’umana interruppe i suoi pensieri –… eppure, dopo tutto quello che hai passato e che continuo a farti passare, continui sempre a fronteggiarmi, in questo corridoio. Una cosa mi chiedo: quanto ci metterai?”
Lo sguardo della bambina si fece maligno, e Sans sentì il suo peso contro le sue ossa farsi più pesante e doloroso, quasi fino ad offuscargli la vista. Anche se lei lo aveva lasciato in vita, stava iniziando la sua caduta…
“…ci metterò a fare cosa…?” chiese, tossendo altro sangue tra i denti.
“A diventare come me. A diventare come Flowey. Ci siamo passati tutti. Quanto resisterai ancora, prima di arrenderti davvero?”

 

Sans rise.
“…come te?”
“Già. Come me. Quando getterai la spugna? Quando capirai anche tu che questo mondo è del tutto inutile, che tanto vale distruggerlo ogni volta? Quando smetterai anche tu di lottare per nulla?”
Sans rise di nuovo. Il dolore si intorbidì, e sentì la sua anima vibrare e pulsare per l’ultima volta. La ferita se lo stava portando via, che all’umana piacesse oppure no.
“…mai. Io sono più forte di te.

 

L’ultima cosa che vide, prima di disfarsi in polvere, fu lo sguardo indispettito e furente dell’umana, che lo fulminò con cieca rabbia mentre lui se ne andava serenamente incontro a suo fratello, che lo aspettava dall’altra parte con un sorriso.

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*Dedico la prima scena, col cervello di Chara che esplode allegramente fra le ossa, a Holy Hippolyta, che mi è parsa apprezzarla.
*La scrittura di questa shot è stata ispirata a diverse canzoni che non c'entrano nulla con Undertale, come Same Old Love di Selena Gomez o Hope of Morning degli Icon for Hire. Ovviamente c'è anche lo zampino della versione riscritta di Stronger Than You, la canzone della favolosa Garnet di Steven Universe che è stata modificata per Sans e Frisk da qualche fan geniale.
*...in ogni caso, Sans, i tasselli stiamo cercando di raccoglierli tutti.
*Sempre che tu non li abbia gettati via apposta.
*Chissà che tipo di immagine scopriremo.
*Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Sex. ***


*quinto tassello

 

Sex.

 

La neve ondeggiava lievemente nell’aria in pigri fioccherelli di gelo, ovattando l’atmosfera boschiva profumata di resina. Nessun suono interrompeva quel silenzio irreale vicino alle porte sigillate per le Rovine – nessuno andava mai laggiù – tranne le risate sommesse di uno scheletro che chiacchierava con una voce melodiosa oltre quella soglia impenetrabile. Stava accovacciato nella neve con la schiena appoggiata alla pietra finemente intarsiata dei massicci battenti, lasciandosi ricoprire lentamente, insieme al sentiero e agli alberi, dal mantello bianco che innaturalmente volteggiava giù dalle altissime volte – quasi invisibili alla vista – della caverna, generato da tutti i mostri di ghiaccio che vi abitavano dentro.
Non aveva la minima idea di chi fosse la donna gentile con cui stava parlando, ma non era tipo da farsi problemi per una ragione così sciocca. Sapeva solo che gli aveva chiesto di chiamarla “Tori”, che sembrava essere avanti con gli anni e che aveva un senso dell’umorismo molto affine al suo, e questo bastava e avanzava.
Stavano ancora ridendo per l’ultima battutina di Tori (“Qual è il nome più comune fra le lumache? Va-lentina!”) quando all’improvviso la sua risata composta si spense un po’ troppo bruscamente, e parve esitare a farsi sentire a tutto volume come colta da un pensiero perturbate.
Sans, che aveva imparato a conoscerla solo attraverso le modulazioni della sua parlantina, ovviamente se ne accorse subito.
“Ehi è tutto a posto, quella battuta era ad alta valenza comica!”
“Ohohohoh… Ma no, ma no, che dici?”
“…e allora cosa c’è?”
“Oh, non è… non è nulla…” il tono si era abbassato progressivamente fino a diventare pressappoco inudibile, attraverso le possenti barriere di pietra. Tori sembrava parecchio a disagio, forse in imbarazzo.
“Dai sputa il rospo.”
“Nulla di importante, è che mi è venuta in mente una cosa. – ora la voce era tornata udibile, ma non sembrava sul punto di continuare la gara di battute, anche se suonava parecchio divertita – Dì un po’, Sans… se un cucciolo di otto anni ti chiedesse come nascono i bambini, tu che gli risponderesti?”
Lo scheletro restò imbambolato con la bocca aperta per un paio di secondi, colto completamente alla sprovvista, ma poi scoppiò a ridere di gran gusto.
Anche Tori si mise a ridacchiare, ma sembrava che il problema la preoccupasse sul serio.
“Beh dipende da che tipo di cucciolo stiamo parlando – rispose Sans asciugandosi una lacrima dall’orbita vuota – Sai, finché sono rettili o anfibi è facile, fanno le uova… ma la questione diventa un po’ più complicata quando si parla di fantasmi.”
“Mammifero, parliamo di un mammifero.”
“Il discorso non cambia, secondo me. Se si tratta di cose come la nascita, bisogna dire la verità ai bambini, magari mettendola giù in modo da non traumatizzarli troppo. Dopotutto, se sono loro a chiedere, evidentemente sono pronti a saperlo, e raccontare balle gli potrebbe far venire strane idee.”
“Uh.” Rispose Tori, evidentemente poco convinta.
“…a volte mi chiedo che accidenti ci combini là dietro, Tori. Ma questi sono discorsi futili, dove eravamo rimasti…?”
La questione cadde nel vuoto, e non ne parlarono più.

 

L’arrivo di Frisk a Snowdin, qualche giorno dopo, aveva causato un vero e proprio finimondo nel Sottosuolo, ma era riuscita a diventare amica di tutti i mostri sorprendentemente in fretta. Il Grande Papyrus soprattutto pensava che fosse una personcina davvero in gamba – considerato il suo amore per i puzzles e gli spaghetti riscaldati – anche se talvolta diceva cose parecchio bizzarre: era anche per questo che preferiva che nessuno sapesse che le aveva concesso un appuntamento romantico, chissà che sarebbe stata capace di raccontare alla gente quella trottolina imprevedibile. Il giovane scheletro stava facendo la sua solita ronda di turno (di fronte a casa sua, dalla porta alla cassetta delle lettere) quando Frisk gli piombò di fronte con la sua felpa blu penzolante troppo grande di tre taglie e il suo sguardo vispo, e confermò i pensieri che stavano correndo per la scatola cranica della guardia uscendosene con una domanda parecchio inopportuna:
“Ehy Grande Papyrus! – chiamò – Mi dici come nascono i bambini?”
“Questa è una domanda parecchio inopportuna, umana!” rispose lo scheletro, appunto.
“Dai! La mamma non ha voluto dirmelo quando glielo avevo chiesto. Al posto di rispondermi si è messa a fare un discorso sui nomi propri più comuni tre le lumache!”
“Insomma umana, mi metti in imbarazzo! Mica sono cose da chiedere a uno mentre sta lavorando, nye!”
“…ma perché? Sono anni che me lo sto chiedendo.”
“Perché… perché… perché non lo so nemmeno io, oh! – Il grande Papyrus sospirò drammaticamente, ferito nell’orgoglio per essersi fatto cogliere in fallo come un mucchio di ossicini in una classe di asilo nido – Non ho mai avuto il coraggio di chiederlo a nessuno. Sai che vergogna per un adulto come me? E poi a chi dovrei chiederlo, a Sans? Insomma, è il mio fratellone ma sai com’è fatto, mi prenderebbe in giro per settimane!”
La piccola umana si stava grattando il mento, ponderando sul problema, e subito dopo chiese:
“…quindi dici che possiamo chiederlo a qualcun altro? Tipo ad Undyne?”
“Potrebbe andare bene, Undyne di solito è sempre molto disponibile quando si tratta di insegnare qualcosa! Chiediglielo tu però, sei tu la bambina qui!”

 

Quando Undyne andò ad aprire la porta di casa sua, che stava venendo letteralmente buttata giù a furia di colpi a pugno chiuso da chi stava bussando, si trovò davanti il suo migliore amico insieme alla piccola umana che era caduta dalla superficie, e che ormai la guerriera non aveva più cuore di consegnare in sacrificio a re Asgore. Avevano entrambi uno sguardo pieno di aspettativa e, prima che lei potesse invitarli dentro, Frisk aprì la bocca sdentata e chiese:
“Undyne ci dici come nascono i bambini?”
La comandante delle Guardie Reali restò impalata sulla porta a occhi spalancati e a bocca aperta, lasciando scoperte le sue zanne da piranha per qualche secondo prima di capacitarsi di quello che era appena successo. Poi si trattenne dallo scoppiare a ridere platealmente in faccia al povero Papyrus (che sembrava estremamente interessato a saperne di più sull’argomento a giudicare dalla sua espressione estasiata) e fece un gesto con la mano, invitandoli nell’interno piacevolmente riscaldato di casa sua.
“Non sono sicurissima di essere la persona migliore per risponderti, eh teppista! Ma se vuoi te lo spiego – anzi ve lo spiego.”
Al tavolo, sul quale erano posate una teiera fumante, delle tazze e una ciotola piena di una strana poltiglia rosata, stava seduta anche Alphys, la scienziata reale. Evidentemente le due stavano trascorrendo il pomeriggio in compagnia, e la piccola draghetta salutò i due nuovi arrivati passando dalla sua solita sfumatura color limone a una molto più intensa tonalità di melanzana, per essersi fatta cogliere in un luogo compromettente.
Undyne fece accomodare Frisk e Papyrus e poi prese posto anche lei, appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita unghiute di fronte alla faccia, cercando di atteggiarsi nel modo più didattico possibile:
“Dunque – iniziò, schiarendosi la voce – In realtà è piuttosto semplice: servono un maschio e una femmina. Una volta all’anno capita che la femmina produca una certa quantità di uova gelatinose – una vera seccatura Frisk, capirai quando sarai più grande, meno male che capita solo una volta all’anno… Queste uova dopo un po’ marciscono se non le butti via subito, ma se sei interessata a metter su famiglia allora le devi dare ad un maschio, che come dire… da il suo contributo. Quando le uova sono fecondate basta aspettare un paio di mesi, si schiuderanno e… puff! Avrai tutti i bambini che vuoi! Potresti farci un piccolo esercito personale se lo desideri! Ngaaaahahahahah!
Undyne sbatté forte le mani sul tavolo e fece tremare tutta la stoviglieria, mentre si gongolava nell’ebbrezza dell’insegnamento. Papyrus sembrava altrettanto entusiasta ma Frisk pareva non aver capito qualche passaggio, dato che aveva ripreso a grattarsi il mento per dirimere tutti i dubbi che ancora la assillavano.
“Ma non capisco! – asserì contrariata – Davvero è tutto qui? Perché la mamma non ha voluto dirmelo se è una cosa così semplice?”
Alphys, che era rimasta in silenzio durante tutta la spiegazione con una strana espressione stampata in volto, come di chi sa qualcosa ma ha troppo imbarazzo/dispiacere/disagio sociale per dirla, finalmente prese coraggio e stiracchiò un sorrisetto poco convinto sulle labbra squamose, e si apprestò a contraddire la sua adorata ninfa delle acque paludose.
“Undyne, – sillabò arrossendo – tu gli hai spiegato come si riproducono i pesci! Ma gli umani sono dei mammiferi… è un po’ diverso in realtà.”
“Oh. – Undyne smise subito di ridere, ma il commento non sembrò urtarla – Hai ragione Alph, io gli ho spiegato solo ciò che riguarda la mia stretta esperienza! Ma è OVVIO che sei TU la scienziata, qui! Perdonatemi ragazzi, nella mia ristrettezza mentale vi ho sviato. Alphys! Tu sai così tante cose, spiegacelo tu!”
EEEEEEEEEEERRRrrrrrrrrrrmmmmmmmmmhhhhhhhhhhhhh…”
La testa della piccola rettile parve sprofondare tra le sue spalle e tutto il suo stesso corpo parve iniziare un processo di implosione verso il pavimento, mentre tre paia di occhi curiosi le prendevano di mira la faccia con la stessa intensità di puntatori laser accecanti. Se Alphys avesse mai avuto una classifica dei suoi incubi più orribili, quella situazione avrebbe superato sicuramente il primo posto con uno stacco triplo di punteggio rispetto a tutte le altre posizioni.
“B-b-beh… iniziamo col dire che è u-u-una materia molto spe-spe-specifica… ci sono due cellule, che si chiamano gameti e… e… e… durante il processo di fe-fe-fecondazione lo spermatozoo entra dentro l’ovulo, perde la coda e…e…e… beh l’ovulo deve essere maturo e nella tuba, se no non se ne fa niente. Qui-qui-quindi…lo zigote rotola fino all’utero e inizia a dividersi, fino a crescere sempre di più e…”
ALPHYS MI SONO RESO CONTO DI ESSERE UN GRANDE IDIOTA. PERCHÉ NON RIESCO PIÚ A COMPRENDERE I MESSAGGI VERBALI? MI SI È DISATTIVATA LA FUZIONE 'TRADUTTORE-DA-SUONO-A-SENSO' DEL CERVELLO?!
“Oooow ma Paps, tu non hai un cervello. – scherzò Undyne, dando una energica pacca sulle spalle al suo amico scheletro – Però davvero Alph, non ho capito nulla nemmeno io.”
Alphys si strinse nelle spalle, imbarazzatissima, mentre Frisk sembrava bloccata in uno stato catalettico di corto circuito mentale, con la bocca aperta e le palpebre che sbattevano velocemente nel tentativo di riportarla alla realtà.
“Mi spiace ragazzi… - si scusò la scienziata – Evidentemente nemmeno io sono la persona adatta…sono un disastro in queste cose.”
Papyrus sospirò, massaggiandosi le tempie per sfiammare i pensieri e infilandosi un paio di dita anche nei cavi oculari per ottenere un effetto più rilassante:
“Sei una grandissima scienziata Alphys, troppo grande perfino per noi, sei talmente grande che nemmeno riusciamo a capire le cose che dici dalla tua vetta di scienza. Dovremo trovare qualcuno più vicino al nostro livello. Vero, Frisk? Tu a chi stai pensan…”
Frisk non fece nemmeno finire la frase al suo amico scheletro: si ridestò dal suo stato confusionale post-delirio, saltò giù dalla sedia, lo afferrò per un polso e lo tirò in direzione della porta, evidentemente già ben decisa sull’identità della persona da mettere all’angolo e interrogare. Sembrava parecchio seccata per tutta la fatica che stava facendo a farsi dare quella risposta per cui sarebbero bastati due minuti di basico dialogo, insomma, non riusciva proprio a capire tutta questa difficoltà.
Papyrus ondeggiò una mano in direzione delle sue due amiche mentre veniva trascinato fuori dalla porta della casa, con un pessimo presentimento che gli faceva scuotere le ossa: se Frisk era così decisa a chiedere ad una persona, adulta, responsabile, seria e saggia, molto probabilmente – con suo grande disappunto – questa persona era…

 

“Sans!”
Sans lo scheletro, come suo solito, se ne stava a pisolare nella sua stazione di guardia, testa appoggiata sulle braccia stese lungo il bancone e pantofola tattica per far proseguire l’illusione di essere in camera da letto anche in mezzo ai nevai. Frisk gli si avvicinò e con dolcezza iniziò a punzecchiarlo col ditino su una guancia per farlo svegliare, avendo constatato che si trovava tra le braccia di Morfeo dopo che lui aveva ignorato la sua prima chiamata.
“Sans mi dici come nascono i bambini?”
Lo scheletro socchiuse le palpebre assonnate e ridacchiò, probabilmente divertito dal bizzarro risveglio che gli aveva riservato la sua amica umana, e prendendosi tutto il suo tempo si stiracchiò verso l’alto facendo scricchiolare le scapole. Frisk, accompagnata a due passi da Papyrus, lo fissava intensamente cercando di mantenere salda la speranza che almeno lui potesse accontentare la sua sete di conoscenza, saltellando di impazienza.
“Eh. – Disse finalmente Sans, coprendosi la bocca in uno sbadiglio – Non so perché, ma avevo l’impressione che prima o poi saresti venuta a chiedermelo, ragazzina. Stai proprio diventando grande, eh?”
Frisk aumentò l’intensità del suo saltellamento mentre Sans si alzava dal suo bancone e faceva il giro del casotto, piazzandosi davanti alla bimba e a suo fratello.
“Credo che sia ora di raccontarlo anche a te Paps. Ma non è il caso di fare qui questo genere di discorso, andiamo da Grillby’z e mettiamo i piedi sotto a un bel tavolo al caldo.”
“Sans, – intervenne Papyrus, seccato – ne stai approfittando per fare pausa, vero osso-pigro?”
“Naaaah questa mica è pausa, è una lezione di vita!” Il piccolo scheletro fece un occhiolino e prese per mano Frisk, prima che tutti e tre si dissolvessero in una velocissima frattura spazio-temporale.

 

“Dunque ragazzi, dovete sapere che, a una certa età, ad una persona può venire il desiderio di diventare genitore. Non importa se è maschio o femmina, da solo o in compagnia: a volte succede e basta, è il desiderio di avere qualcuno da lasciarsi dietro che continui la nostra famiglia, e di crescerlo con le nostre forze.”
Frisk pensò di aver finalmente azzeccato la persona giusta: Sans sembrava essere entrato in uno dei rarissimi momenti in cui era serio per davvero – evidentemente gli piaceva raccontare le storie come si deve, anche se continuava ad avere quel sorriso compiaciuto stampato in faccia. Anche Papyrus sembrava stupito di questo fatto, dato che evidentemente si era aspettato di essere bersagliato di battute irritanti per tutto il tempo.
“…di solito capita quando si è già vissuti un bel po’, ma talvolta qualcuno lo fa anche da giovane. È una faccenda molto delicata. C’è un unico modo per creare una nuova vita, e questo modo comporta grandi sacrifici e una forte volontà.”
Sans distolse lo sguardo e puntò gli occhi luminosi da qualche parte verso la sua destra, probabilmente perdendosi in un ricordo lontano, e il suo sorriso perenne sembrò farsi malinconico.
“I figli sono una parte di noi, sapete? Letteralmente. Se vogliamo avere un figlio, dobbiamo rinunciare ad una parte delle nostre ossa e ad una fetta della nostra anima, per darla a lui. Più bambini vogliamo avere, più dobbiamo rinunciare a noi stessi. È un atto che solo una persona molto coraggiosa e con un immenso amore da dare può pensare di compiere.”
Sans fece spallucce, allargando il suo sorriso.
“Essere nati è un regalo immenso, dovremmo ricordarci sempre che siamo molto fortunati e che qualcuno ci ha amato moltissimo. Si possono avere un paio di figli… o tre. In ogni caso, quello che succede è che, indipendentemente da quanti fratelli si hanno, maturando prendiamo sempre più energia dal nostro genitore fino a che questo, quando siamo diventati abbastanza grandi o lui non ha più ossa e anima per sé, muore.”
Ci fu un momento di silenzio intensissimo, che nessuno dei tre ebbe il coraggio di interrompere. Sans sospirò sonoramente, evidentemente soffrendo anche lui della gravità che aveva dovuto assumere per fare quel discorso.
“…quindi, i bambini noi li facciamo così, staccandoci le ossa, in solitaria. Questo, ovviamente, non toglie che anche a noi ogni tanto piaccia fare un po’ di s…”
MA È TERRIBILEEEEEEEEEEEE!!!
Papyrus era in lacrime, si teneva la testa tra le mani e sembrava aver appena incassato il trauma più doloroso della sua vita.
“È PER QUESTO CHE NON ABBIAMO LA MAMMA SANS!? È MORTA COSÌ!?”
“È successo quando sei nato tu Papy, vent’anni fa. Ma è tutto a posto, è così che funzioniamo noi scheletri, io ero piccolissimo e non ricordo bene, ma era sicuramente felicissima.”
Sans si alzò in piedi sulla panca del tavolo della taverna e si protrasse sul tavolo per dare una pacca sulla spalla del suo fratellino disperato, consolandolo come meglio poteva e trattenendosi dal fare giochi di parole – dato che sicuramente gliene stavano passando per la testa di grandiosi, anzi, di grandiossi.
Frisk sembrava parecchio pallida anche lei, e Sans si voltò con espressione sorniona e le chiese, ammiccante:
“…e questo per quanto riguarda noialtri scheletri, ragazzina. Voi mammiferi, invece, se volete figliare dovete per forza fare s…”
“No!”
Frisk impose drammaticamente la sua manina in avanti, facendo un segno di “alt”. La sua espressione plumbea tradiva una certa malcelata ansia.

 

“…se è così per voi, non voglio sapere com’è per noi umani. È spaventoso. Credo che aspetterò di crescere ancora un po’.”
Sans strizzò gli occhi, ridacchiando soddisfatto.

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 *Solo dopo aver steso la trama di questa storia, mi sono effettivamente resa conto che gli scheletri si riproducono esattamente come gli dei della Morte in Soul Eater.
*Bene. Benissimo.
*Eh... a volte si affrontano anche certi argomenti con la bimba, c'è poco da fare.
*Ma è sempre uno spasso.
*Ciao a tutti e al prossimo tassello!

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Core. ***


*Sesto tassello.

 

 

Core.

 

...e all’improvviso sei di nuovo qui.
I tuoi pensieri tornano tutti insieme riempiendo il vuoto, veloci come un risucchio e rumorosi come una fanfara, così disordinati e sovrapposti tra loro da frastornarti la testa.
Chiudi gli occhi in preda al dolore. Ti stringi le tempie tra le dita.
Colori, visi, voci, luoghi, cose… ma cosa…?
Respiri. L’aria prima entra, poi esce. Entra. Esce. Nella tua testa i rumori si abbassano, smettono di martellare contro la scatola cranica. Fanno meno male rispetto a prima, rilassi la mente.
Apri gli occhi, e vedi fuoco. Fuoco ovunque. Le ginocchia fanno male, sei a terra, accasciato sulle rotule, appena visibili oltre i pantaloncini anneriti di cenere e braci.
Ma cos’è questo posto… dove sei?
Chi sei…?
Ah, che domanda stupida: certo che lo sai chi sei. Tu sei… sei… sei il grande Papyrus. Ma certo. Hai dieci anni e adori collegare con la matita i puntini della settimana enigmistica. Ma certo.
Appoggi le mani al suolo e le senti ardere: il pavimento metallico è ustionante e annerito. Confuso, ti guardi attorno: sollevi gli occhi verso l’alto e ti accorgi che la sala in fiamme è talmente alta che non riesci a scorgerne il soffitto.
Non riesci a raccapezzarti di cosa sia quel posto, non lo hai mai visto prima. Ceneri volatili si sollevano dal pavimento insieme al vento rosso delle fiamme, rendendo poco riconoscibile l’ambiente: tutto brucia.
All’improvviso non ti importa più nulla di sapere dove ti trovi, quando i tuoi occhi incontrano una figuretta distante, di spalle, confusa dalle onde dell’aria surriscaldata. Non ti poni nemmeno il problema di chi sia, perché lo riconosci subito.
“SANS!”
Urli il suo nome, spaventato, e il crepitio dell’incendio copre quasi del tutto la tua voce. Sta bene? Perché è immobile? Cosa sta guardando?
Sollevandoti su gambe tremanti corri verso tuo fratello, di fronte a te, ignorando il fatto che alcuni pezzi di parete metallica stiano iniziando a crollare, cadendo dall’alto.
È seduto in ginocchio: la sua felpa grigia è completamente annerita, sembra quasi non respirare mentre con espressione atona fissa di fronte a sé, apparentemente ignaro dell’inferno che lo circonda, con i suoi occhi azzurri e luminosissimi accesi come fiaccole. Ah, no, in realtà solo un occhio è acceso, il sinistro, mentre l’altro è nero come la cenere che ricopre quella parte del volto. Non sai se è normale, se sia sempre stato così oppure no, ma ora non importa.
Cerchi di capire che cosa sta fissando, puntando gli occhi nella direzione in cui sta guardando lui, e di fronte a te trovi un precipizio; per un secondo le vertigini ti scuotono, poi ti rendi conto che vi trovate su una specie di enorme piattaforma di metallo sospesa, e sotto di vuoi c’è un mare di lava ribollente.
“SANS! – lo chiami, e lo scuoti – SANS!”
La sua espressione non cambia, non sembra nemmeno accorgersi della tua presenza.
“COSA È SUCCESSO? DOVE SIAMO?”
All’improvviso sembra avere un sussulto, si volta verso di te, mentre i suoi occhi grandi si riempiono di preoccupazione.
“Paps! Stai bene? Sei ferito?”
Ti afferra per le spalle e senti le sue mani stringerti le clavicole, mentre fa correre la sua unica pupilla azzurra su tutto il tuo corpo per accertarsi che tu stia bene. Ma tu stai bene?
“Non… non lo so, non mi fa male niente.”
“Oh meno male…”
Le sue braccia ti circondano e ti stringe forte, senti le sue ossa scuotersi, ti rendi conto che trema dalla testa ai piedi: dalla sua faccia capisci che è appena successo qualcosa di terribile, ma non sai che cosa.
In realtà, pensandoci, non hai nessuna idea nemmeno di come tu sia arrivato in quel posto, o tantomeno di cosa tu abbia mangiato per colazione stamattina – dov’eri stamattina…?
Senti un nodo stringerti la gola sempre più forte mentre questi pensieri ti riempiono la testa, e l’idea di una misteriosa catastrofe incombente ti riempie gli occhi di umida paura. Tuo fratello è forte, è grande, lui non si fa spaventare se non per qualcosa di gravissimo, tu non l’hai mai visto tremare così, esitare così…
Ti lascia andare e ti guarda ancora negli occhi con quella sua faccia disperata, sembra star male, digrignando i denti si prende la testa fra le mani.
“…sta svanendo…”
Farfuglia.
“…sta scomparendo tutto… io non… sta scomparendo!”
Tu non sai che fare, vorresti aiutarlo e vorresti capire di che accidenti sta parlando, gli afferri i polsi e lo costringi a guardarti, intercettando i suoi occhi che ora sembrano tentare di aggrapparsi a fantasmi nel vuoto.
“Ma Sans… cosa sta scomparendo?”
Lui sembra fare uno sforzo immenso di concentrazione prima di poterti rispondere, aggrottando le cavità oculari e stringendosi una tempia con le dita.
“Gas… Gaster. Lo sto dimenticando Papy, mi sta scivolando via…”
Chi?”
“Gaster, nostro fratello!”
“Ma Sans io ho un solo fratello, e sei tu!”
Sans spalanca gli occhi e tu hai l’orribile impressione di avergli tirato una coltellata al cuore, con le tue parole. Ma non ci puoi fare nulla… non hai idea di cosa tuo fratello stia farfugliando e vederlo così ti fa solo stare male. Con tuo sommo sconcerto due sottili rigagnoli di lacrime iniziano a scorrergli sulle guance.
“Cosa c’è Sans? Perché piangi?”
Non ricordi di aver mai visto tuo fratello piangere.
“Sans!”
Balbetta qualcosa, ma non riesce a finire le parole perché i singhiozzi lo soffocano. Si guarda in giro, si copre gli occhi con le mani, digrigna i denti e ti stringe ancora più forte sulla clavicola, piegandosi in due. Tu non sai che fare, non ci capisci più niente, il posto dove vi trovate sta cadendo in pezzi in preda alle fiamme e il tuo fratellone sta crollando ancora più rovinosamente delle mura di metallo.
Ti protendi in avanti, d’istinto, ti appendi al suo collo e lo stringi forte, mettendoci tutta la tua anima. Non puoi vederlo piangere così, perché se continua a soffrire in questo modo senti che il cuore si spezzerà anche a te e inizierai a piangere anche tu, e lui è l’unica persona della tua famiglia e non esiste che nella famiglia del grande Papyrus ci sia qualcuno che stia così male.
Lo senti appoggiarsi sulle tue spalle con tutto il suo peso e cerchi di consolarlo come meglio puoi, nonostante i suoi singhiozzi sembrino solo aumentare di ritmo.
“Sta scomparendo… - continua a farfugliare - …non me lo ricordo più, non me lo ricordo più… è troppo tardi…”
“Dobbiamo uscire di qui Sans, o scompariremo anche noi!”
Puntellandoti sulle ginocchia cerchi di rialzarti in piedi, trascinando su con te anche Sans, che sembra aver perso la volontà di spostarsi di lì e magari di evitare di finire carbonizzato. Con qualche sforzo riesci a sollevarti tenendo il braccio di tuo fratello sopra tue le spalle, facendogli da stampella, e facendo lo slalom tra i pezzi di soffitto che cadono sempre più numerosi dal soffitto immerso nel fumo, inizi a zoppicare alla ricerca di una possibile uscita.
“AIUTO! AIUTATECI, QUI CROLLA TUTTO!”
Qualcuno deve pur essere rimasto, in quell’inferno in rovina, per aiutare due ragazzini senza memoria, apparsi da nulla.

 
Apri la porta e riconosci l’appartamento dove vivi, ma c’è qualcosa di strano nell’aria.
Ti senti come se stessi tornando da un viaggio durato anni, e quella che ti accoglie è sì casa tua, ma con qualcosa di irrimediabilmente diverso che vibra tra le mura: come se fosse stata abitata da persone completamente altre da te fino a cinque minuti prima che tu tornassi, ed entrando la riempissi di nuovo con la tua memoria, ma, ormai, è irrimediabilmente diversa da quando ci avevi vissuto tu.
Con un brivido lungo la spina dorsale chiudi la porta alle tue spalle e tuo fratello, arrancando dalla stanchezza, si va a buttare sul divano a faccia in giù, per poi rimanere immobile in quella posizione tranne che per il lento alzarsi e abbassarsi del suo respiro addormentato.
Avete avuto tutti e due una giornata terribile. Strana, e terribile.
Arrancando con Sans sulle spalle sei stato capace di individuare una porta, in quella sala infernale, e straordinariamente l’hai trovata aperta: fuori, l’immenso corridoio dello strano palazzo metallico in cui vi trovavate era deserto, ma c’erano delle luci rosse che lampeggiavano e una sirena straziante annunciava a tutti i mostri del circondario che qualcosa di molto pericoloso e distruttivo si era appena abbattuto nella stanza con il lago di lava.
Distrutto dalla stanchezza sei crollato di nuovo sulle ginocchia, ma presto qualcuno è arrivato davvero a salvarvi: un gruppo di mostri in tuta da lavoro e con dei caschetti di sicurezza ben saldi sulla testa.
“C’è stata un’esplosione, siamo in stato di emergenza! E voi due da dove sbucate?” aveva chiesto un piccolo roditore dai denti a punta e la voce stridula.
“… non lo sappiamo nemmeno noi…” avevi farfugliato tu in risposta, e l’operaio facendo spallucce vi aveva accompagnato in un bar lì vicino per offrirvi qualcosa di corroborante prima di indagare sulla vostra famiglia e rispedirvi a casa sani e salvi.
La cosa più preoccupante, però, è stata che quando ti ha chiesto chi erano i tuoi genitori, la tua memoria ha iniziato a non collaborare più.
“Chi è vostra madre?” aveva chiesto la talpa gentile, una volta che eravate tutti e tre seduti al tavolo in quel piccolo locale illuminato di luce elettrica.
“È morta. – Avevi risposto tu con sicurezza – Quando ero piccolo.”
“Oh… e vostro padre?”
“Noi non abbiamo un padre.” Avevi farfugliato, confuso. Già, confuso, perché anche se sapevi benissimo di non aver mai avuto un padre, c’era qualcosa di molto strano in tutta quella situazione.
“… ma allora con chi vivete, con uno zio, una nonna?”
Ecco, quella era stata la domanda che ti aveva mandato in crisi. Non ricordavi assolutamente nessuno tranne te e Sans. Tu andavi a scuola, e anche tuo fratello ci andava – eri andato a scuola quella mattina…? Proprio non riuscivi a ricordare – ed era impossibile che voi due foste cresciuti da soli. Almeno, eri assolutamente convinto che non fosse così, dato che era piuttosto strano che due ragazzini vivessero per conto loro e sicuramente una cosa del genere te la saresti ricordata.
Eppure…
“…viviamo da soli… credo.”
Speravi che in qualche modo Sans venisse in tuo soccorso, dicesse qualcosa che ti aiutasse a capire un po’ che diavolo era successo, ma era chiuso in uno stranissimo mutismo, così insolito per un tipo ciarliero come lui: se ne stava con la testa appoggiata sulle braccia, scoraggiato, e sembrava volersi trovare in qualsiasi altro luogo che non fosse lì.
“Se mi dite dove vivete, posso accompagnarvi a casa. Così potete farvi una bella dormita. Il Core a partire da questo momento sarà chiuso per riparazioni, quindi non andate più a curiosarci dentro! Anche quando è completamente operativo, comunque, non è posto per ragazzini.”
E così, eccovi a casa, nel complesso residenziale delle Hotland, in un piccolo appartamento vicino ai fiumi di magma.
Prendi una coperta, abbandonata disordinatamente sul tappeto, e la usi per coprire tuo fratello sul divano, prima di deciderti a farti una doccia per levarti di dosso tutta quella fuliggine nera.
La casa è silenziosa, così a luci spente, riscaldata da una fioca luce che penetra orizzontale dalle imposte semi abbassate.
Ti sembra terribilmente vuota.
Al frigorifero sono appesi dei disegni, ma non li riconosci: eppure li hai fatti tu.
Il piccolo bagno è tutto in disordine, e ti pare strano pensare che sia una cosa normale, perché anche se tuo fratello è un disordinato cronico, sei convinto che una casetta così carina debba per forza avere qualcuno che la riordini qualche volta. Sono sempre i misteriosi ospiti immaginari di prima, quelli che hanno vissuto lì dentro mentre tu non c’eri, che l’hanno lasciato così.
O forse, loro erano i veri abitanti della casa, e l’estraneo sei tu.
Sei piombato in questo mondo come un fulmine a ciel sereno e hai spazzato via loro, occupando la loro vita e cancellando tutto il resto.
Questa sensazione orribile non viene lavata via dall’acqua incessante della doccia, ma anzi inizia a scivolarti sulle guance con essa, bollente e dolorosa.

 

La maestra, a scuola, ti chiede se ti sei appena trasferito nei quartiere.
Tutti i tuoi compagni ti guardano incuriositi, e tu senti tutti i loro occhi magnetizzati su di te come se fossi uno strambo magnete da frigorifero. Tu riconosci tutti, riconosci anche la maestra, ma nessuno sembrerebbe aver mai visto te. Avevi sperato che quella brutta sensazione che avevi avuto fin da ieri, dall’incidente nel Core, fosse stata appunto solo una tua impressione, e invece nel mondo c’è davvero qualcosa di sbagliato: ora ti rendi conto che, in effetti, è come se non fossi mai esistito.
Come se tutto ciò che tu sei stato prima dell’incidente fosse stato spazzato via.
“Ma io sono il grande Papyrus, vivo a Hotland da quando sono nato, avevo tanti amici ed ero pure bravo a scuola… come avete fatto a scordarvi di me!?”
È andata a finire che sei scoppiato in lacrime sul tuo banco – che vergogna – e la maestra ciclope ha passato mezz’ora a consolarti, pensando probabilmente che tu fossi solo un po’ strano e avessi in testa una grossa confusione. Tu ti sei asciugato le guance, ma la paura e il dolore non se ne erano andati via insieme ad esse.
Finalmente a ora di pranzo sei scappato via da lì – scappato, perché non sopportavi più di stare in mezzo a quelle persone – correndo più veloce che potevi verso casa, verso tuo fratello, che era l’unica persona che ancora ti sembrava normale in quelle ore impazzite.
Ora apri la porta di casa e ti affacci all’uscio, cercando una figura familiare e rassicurante nell’interno, e trovi Sans in piedi in mezzo a un gruppo di scatoloni pieni di oggetti, con una delle sue mille felpe avvolta intorno ai fianchi, parecchio indaffarato in qualcosa che in un primo momento non ti è molto chiaro.
“Sans! – lo chiami, sentendo il pianto nascerti ancora nel petto quando alza gli occhi su di te – Sans! Tu almeno ti ricordi di me, vero!? Non sei impazzito pure tu, vero!?”
Vedendoti sull’orlo delle lacrime scavalca con un balzo un paio di scatole, ti si piazza davanti, piega le ginocchia per raggiungere il tuo livello e ti afferra per le spalle, guardandoti negli occhi con un gran sorriso.
“Ma certo che mi ricordo del mio fighissimo fratellino! Come potrei mai dimenticarti?”
E poi ti stringe forte in un abbraccio rassicurante, che ti fa passare all’istante qualsiasi residuo di tristezza che ti era rimasta da quella mattina. Cavolo, tuo fratello è il migliore. A volte ti chiedi se diventerai mai alto e forte come lui.
“Cos’è successo Paps? Ti va di raccontarmelo?”
Gli racconti quello che ti hanno detto i tuoi compagni e la maestra quella mattina a scuola, e Sans pare raccogliere quelle informazioni con una certa flemma, come se già si aspettasse di sentire una storia del genere. Pare pensarci un po’ su.
“Oh, cerca di non farci caso. Tanto adesso non ci dovremo preoccupare più di queste cose.”
Entrate in soggiorno e tu, facendo lo slalom tra gli scatoloni, ti rendi conto che normalmente Sans non avrebbe avuto il tempo di prepararli poiché di solito tornava a casa solo trenta minuti prima di te, dato che frequentava le scuole superiori.
“Che stai facendo fratello? Non c’eri quando mi sono svegliato. Non sei andato a scuola stamattina?”
“No.”
“Come mai?”
“Perché appena sono arrivato in classe mi è successa la stessa cosa che è capitata a te. Così sono tornato a casa subito.”
Sei andato a frugare in credenza per vedere di trovare qualcosa di buono da sgranocchiare per pranzo, ma aprendola la trovi desolatamente vuota. Ti accorgi che anche tutti gli altri scaffali sono vuoti, e che ci sono due panini già pronti sul tavolo.
“Perché hai svuotato tutto, Sans?”
 “Perché sto facendo le valige.”
“…e perché?”
“Perché domani ci trasferiamo, Paps.
“Cosa!?”
Ti giri verso tuo fratello e lo trovi in piedi a piegare magliette sul divano, ti guarda, fa spallucce e torna al suo lavoro.
“Certo, cambiamo casa.”
“Ma perché!?”
“Beh, l’hai visto anche tu. Qui sono impazziti tutti quanti, la lava fa bollire il cervello alle persone, e diventano tutte delle teste calde, eheheh. Meglio che andiamo a raffreddare un po’ i pensieri da qualche altra parte.”
Non sopporti quando fa le sue battutacce nel bel mezzo di un discorso serio.
“Ma scusa, come farò con la scuola?”
“Ce ne sono altre anche nelle altre città, stai tranquillo.”
“…e tu?”
“…io… mi sono davvero rotto le scatole della scuola. Magari mi troverò qualcos’altro da fare.”
“Sans!”
“Oh dai sai come sono fatto. Sono già più avanti di tutti i miei compagni in realtà, e in classe mi annoio e basta. Potrei mettermi ad aggiustare frigoriferi.”
“Ma Sans…”
“Papy, sai meglio me che non possiamo stare più qui.”
Ti si teletrasporta davanti, appoggiandosi al tavolo. In effetti ha ragione. Anche tu non desideri altro che andartene da quel posto più in fretta possibile, lontano da quella gente che dovrebbe sapere chi sei e da quella casa vuota, dagli echi di malinconia che rimbombano tra le sue pareti come il costante ricordo di qualcosa di perduto per sempre e che hanno già cominciato ad infestare i tuoi incubi.
Tuo fratello prende un panino dal tavolo e te lo porge, sorridendo confortante.
“Non so bene cosa sia successo ieri, sto cercando di capirlo, ma qualsiasi cosa sia ha sfasato il nostro mondo. Noi non stiamo bene qui, dobbiamo ricominciare da capo in un posto dove non ci conosce nessuno, lontano il più possibile da Hotland, ed essere felici di nuovo. Va bene?”
“…e dove andremo?”
“Stavo pensando a Snowdin, vicino alle Rovine. Ti andrebbe?”
Un pensiero felice ti si gonfia nella testa come un palloncino colorato cancellando tutto il resto.
“Sì! Che bello! Non ho mai visto la neve!”
Tuo fratello sorride ancora di più in risposta.
“Oh, lì ce ne sarà quanta ne vorrai. E faremo un sacco di pupazzi!”
“Evvai!”
Finalmente una bella notizia! Dopo questo discorso vi sedete a mangiare tutti e due, parlando di quando sarà bella la vostra nuova casa e di quanto sarà lontano tutto quel caldo e quel vapore fastidioso di Hotland. Ma come avete fatto a vivere lì fino a quel momento e a non scappare a gambe levate anche prima, a solo un ascensore di distanza da quel mostro di metallo e fuoco che è il Core? Questi discorsi felici aiutano ad attenuare lo spavento che vi siete presi un giorno fa, e anche quel crescente senso di disagio che vi attanaglia le ossa ogni secondo di più che passate tra queste mura.
Piccolo Papyrus, Sans non ha avuto il cuore di dirti che, con i soldi che avete in casa, non potreste permettervi di vivere in questo complesso residenziale carissimo per più di due mesi prima di finire per strada. E non ti ha detto nemmeno che forse qualcosa l’ha capito, di quello che è successo ieri in quella camera divorata dalle fiamme, ma sarebbe troppo orribile da ascoltare e un ragazzino vispo e felice come te di certo non ha bisogno di sentire certe cose brutte. Non ti ha detto dei progetti che ha trovato tra le carte dello studio, delle domande che ha fatto a metà degli abitanti di Hotland e persino al re questa mattina, chiedendogli di me.
Non ti ha più parlato di me.
Forse non l’ha fatto, più che per proteggerti, per salvare se stesso dalla disperazione. Ma probabilmente è meglio così, almeno non sarai costretto a sentire la mia mancanza.

 

L’indomani mattina sei in partenza insieme a tuo fratello, con un carrellino di legno pieno di tutte le cose che potete portare con voi fino alla vostra nuova città ed il cuore pieno di speranza. Nessuno vi saluta mentre ve ne andate, nessuno ricorda il vostro viso: questo posto non vi appartiene più.
Trotterellando per la via ti accorgi che qualcosa sfugge dalla tasca di Sans e svolazza via, senza che lui se ne accorga: con uno scatto corri a recuperarlo.
Anche lui sorride; forse non l’hai notato, ma una strana luce gli brilla negli occhi: non ha nessuna intenzione di abbandonarmi e sta già pensando a dove recuperare il materiale per costruire la macchina che gli servirà venirmi a salvare. È davvero brillante, anche se si vergogna così tanto ad ammetterlo. Ce la farà?  ...
Guardi l’oggetto che hai raccolto dal suolo umidiccio, è uno dei disegni che hai fatto tu, e che prima stava appeso al frigo della vecchia casa: siamo noi tre, anche se per te adesso non ha più nessun significato.
Lo restituisci a Sans, e lui lo fa sparire in un secondo nella larga tasca della felpa, ringraziandoti.
So che non sarà facile, ma potete farcela, siete forti.

 

Fratellini miei.

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*Ciao a tutti, scusate se sono stata via così tanto, ma ho avuto da fare.
*In ogni caso, eccomi qui con il sesto tassello.
*Spero che vi sia piaciuto, anche se è un po' malinconico.

*Ci si rivede presto!

 

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