Milk Puzzle di Ilarya Kiki (/viewuser.php?uid=164698)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sunshine. ***
Capitolo 2: *** Toasted. ***
Capitolo 3: *** One. ***
Capitolo 4: *** Stronger Than You. ***
Capitolo 5: *** Sex. ***
Capitolo 6: *** Core. ***
Capitolo 1 *** Sunshine. ***
*Primo tassello.
Sanshine.
Eh.
Certo che il sole è proprio una bella invenzione. Non che
l’abbia
inventato qualcuno, credo. O forse sì; chissà. In
ogni caso mi piace, è sempre
bello goderselo finché dura: non penso di aver mai trovato
un posto migliore
dove schiacciare un pisolino in orario lavorativo che non fosse la
spiaggia,
sopra una bella sdraio. O anche sulla sabbia, magari, che restituisce
il calore
assorbito durante il giorno contro la schiena riscaldando queste
vecchie ossa.
L’unico problema della sabbia è che poi si
appiccica in posti poco
raggiungibili e resta lì incollata a dar fastidio per tutto
il giorno, e dato
che nessuno ha mai voglia di pagare un ombrellone a uno stabilimento, e
di
conseguenza non posso nemmeno farmi una doccia, mi tocca aspettare la
sera per
scrostarmela di dosso, a casa mia.
Di fare un bagno in mare non se ne parla. Si sa, gli
scheletri non galleggiano.
Mi piace starmene qui, sdraiato senza fare niente, con gli
occhi chiusi contro la luce feroce e accecante a prendere fuoco immerso
nei raggi
del mezzogiorno.
Vorrei che questa sensazione mi restasse dentro, vorrei
poterla averla ben presente sempre, così come sto facendo
ora.
Sento
dei passi lievi sulla sabbia.
Forse pensa che sto dormendo. Nah, lo sa benissimo che la
sto aspettando; dovrebbe aver imparato a conoscermi molto bene, ormai.
…quanto tempo sarà passato…? Uno, due
mesi…? Ho smesso di
fare la conta dei giorni, mea culpa.
So solo che è estate, e il clima del mondo esterno non ha
fatto altro che
diventare sempre più secco e bollente, cosa che è
sembrata andare molto a genio
a Undyne, la quale ha iniziato a pretendere sempre più
insistentemente che io
la seguissi nelle sue scampagnate insieme a mio fratello. Ma no, io
preferisco
starmene qui a prendere il sole. Giorno dopo giorno, torno sempre qui a
chiudere gli occhi.
Insomma, la aspetto.
Che senso avrebbe fare qualsiasi altra cosa? Dopotutto, io
lo so già. È successo così tante volte
che nemmeno vale la pena di ricordarsele
tutte – come se fosse impresa facile, tra l’altro.
E, sinceramente, sono
stanco. Non ho proprio le energie di esplorare il nostro nuovo mondo
con le
vere stelle al posto del soffitto insieme agli altri, anzi,
probabilmente
seguirli mi metterebbe solo più tristezza.
In ogni caso, eccola qui.
La stavo aspettando e finalmente è arrivata.
Decido di aprire gli occhi.
“Ciao
ragazzina.”
Strofina i piedi contro le dunette della spiaggia,
dimostrando forse un po’ di ritrosia. La sua pelle esposta
è cotta
dall’abbronzatura, mentre i suoi capelli castani sono
sbiaditi già da un po’ in
quelle sfumature di miele chiaro, stoppose, che procurano gli eccessi
di sole e
sale.
“Ciao Sans.”
Tiene le manine incrociate dietro la schiena. Nonostante
tutto, è davvero un esemplare di umano adorabile, non ci
posso fare niente: con
quei suoi modi posati dà sempre l’impressione di
voler esporre solo il lato
migliore di sé, per non deludere mai nessuno e farsi amare.
Sarà che mi ricorda
mio fratello quando aveva la sua età, chissà. In
qualche modo mi fa sempre
nascere l’istinto di proteggerla, e quando sua
maestà mi chiede di risparmiarle
la vita, ammetto di accettare molto volentieri di stringere la
promessa, mi
sento quasi liberare da un peso: dopotutto io non sono cattivo.
Creature bizzarre, gli umani.
“Dimmi, hai qualche buon motivo di interrompere la mia
attività scientifica?”
“…attività? Ma se non hai fatto niente
per tutto il giorno!”
“…non direi, qualcuno deve pur fare ricerca.
Alphys mi ha
chiesto di partecipare ad un esperimento per scoprire quanto tempo ci
mettono
le ossa a evaporare al sole, e come vedi ci sto lavorando con impegno.
Mica mi
posso muovere da qui, eh, salterebbe tutto!”
Sul suo visino si stiracchia un sorriso. Non è scoppiata a
ridere come fa di solito, e questa per me è la conferma di
un fatto che davo
per scontato già da prima. Peccato.
Per una volta, mi era quasi tornata la speranza.
“…Frisk?”
“A
volte mi chiedo proprio come fai, le tue battute idiote
sopravvivono a tutto.”
“Eh, sai com’è. In qualche modo devo
tirare avanti pure io.
La risata è una buona arma di difesa contro certi
mostri.”
“…non mi pare. Al massimo li fa innervosire ancora
di più.”
“…cosa che potrebbe rivelarsi divertente per
me.”
“Sei strano, di solito a questo punto hai già
perso la
voglia di ridere. Non mi chiedi più
dov’è finito tuo fratello, e perché fa
tardi a tornare dal giro sugli scogli con Undyne? No? Immagino che
ormai lo sai
già. Le situazioni cambiano ma il succo è lo
stesso. Sai, questa è la
quattordicesima volta, qui in superficie, eppure sei ancora capace di
sorprendermi, Sans.”
“Te le ricordi bene tutte, tu, eh? Infame bastarda.”
“…oh, così mi piaci. Perché,
tu no? Ah, già, forse me
l’avevi pure detto, una volta… incubi, no?
Deja-vù. Ricordi gli eventi a pezzi
e confondi le partite
l’una con
l’altra. Che vita patetica. Ti ho ucciso un sacco di volte e
non ho nemmeno la
soddisfazione di sapere che le hai tutte a mente come si
deve.”
“…preferisco ricordarmi le volte in cui io ho ucciso te, Frisk. Che se non mi
sbaglio sono molte di più.”
“Molte e inutili, amico
mio. E comunque, non sono
Frisk.”
Solo ora, con gli occhi abituati finalmente alla luce, mi
rendo conto della polvere bianca che di fatto le è rimasta
attaccata fin sulle
braccia, macchiandole il corpicino nudo coperto solo da un costumino
blu.
Tra le sue mani vedo qualcosa brillare.
…
Uno
strappo al respiro mi trascina giù in caduta libera e mi
sveglio di soprassalto nel momento in cui mi schianto al suolo,
ricoperto di
sudore.
Camera mia.
Il mio soffitto. Il mio materasso. Le mie calze sparse in
giro.
Cerco di calmarmi mentre catalogo tutto il mio piccolo mondo
con lo sguardo, oggetto dopo oggetto, illuminato dalla debole luce del
sottosuolo che filtra dall’imposta sbarrata alla finestra.
Rumori in cucina mi comunicano che mio fratello è
già in
piedi da un bel po’ e si sta dando da fare per nutrire la
nostra piccola famiglia
di due per almeno altri tre mesi. Mi raggiunge un aroma non ben
definito di
pomodori bolliti. Bene.
Si ricomincia.
Le immagini vivide di poco fa già si stanno dissolvendo,
come fumo al vento: come sono morto stavolta? Mi sono
difeso…?
Sono stanco. Stanco.
Vorrei che Frisk non si fosse mai lasciata sedurre dal
Demone, nemmeno quella volta. Ci ha condannati tutti, perché
se il tempo
cancella tutto, non può cancellare il Demone.
Faccio nota mentale di passare a controllare le rilevazioni
alla macchina per avere le idee più chiare, più
tardi, ma ora proprio non ce la
faccio. Ogni volta è sempre più
difficile… meglio non pensarci, o questa è la
volta buona che impazzisco sul serio, e sarebbe un disastro.
Richiudo gli occhi e tento di calmare il respiro. Papyrus
non se la prenderà se mi prendo ancora una mezzora.
L’oscurità
mi avvolge di nuovo, presentandosi consolante
come sempre: per ora, nessun incubo mi attende, ma riposo e forse
qualche
sogno.
Finalmente sono nel nulla: solo un calore resta, intenso e
bruciante, che mi è rimasto ancora qui dentro, come un
antico abbraccio o il
ricordo di una stella,
infuso nelle ossa…
*Sì, il titolo è
scritto così apposta.
*Spero che la lettura vi sia piaciuta, ne arriveranno sicuramente
altre. La storia non finisce. Mai.
*A presto.
*Kiki
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Toasted. ***
*secondo tassello
Toasted.
IN UN’ALTRA
TIMELINE, CHE
ADESSO NON ESISTE PIù.
In
un’altra timeline, che adesso non esiste più.
“…
mi pare evidente che c’è stato un malfunzionamento
di
tipo termico-meccanico. Non era previsto, maledizione, me ne sarei
dovuto
accorgere prima… ma sì, ma sì, guarda
qua: e questo cos’è? Il cavo è quasi
fuso. È ovvio, c’è stato un
sovraccarico di energia, devo ricalibrare il
rilascio o questo problema si espanderà a macchia
d’olio dappertutto e rovinerà
altri macchinari. Intanto, qua c’è stato un
surriscaldamento, non solo la
temperatura si è alzata sopra il limite di progettazione, ma
i circuiti sono
stati spediti al loro limite e per poco non si
sono…”
“Gas, ehi. Hai solo bruciato un toast. Capita.”
Lo scheletro si bloccò all’istante con la bocca
ancora aperta,
reggendo tra le mani quello che sembrava il cadavere di un panino
carbonizzato,
e il suo fratellino pensò che la sua espressione smarrita
fosse estremamente
esilarante mentre cercava di trovare delle parole comprensibili con cui
ribattere. Era così facile mandarlo in confusione che
probabilmente si sarebbe
stancato molto in fretta di prenderlo in giro, se non fosse stato
così
stramaledettamente divertente.
“…insomma. È inutile mettersi a
piangere sul bruciato.”
Okay, questa era davvero pessima.
Il più grande finalmente vinse la sua paresi facciale
–
probabilmente la battuta lo aveva scottato
(okay, anche questa pessima) – e stiracchiò le
guance d’osso in un sorriso
bonario, ridacchiando e scuotendo lentamente la testa.
“Sì,
sì, hai ragione. Ma devo comunque ricalibrare il
generatore, non possiamo certo friggere i circuiti di tutti i tostapane
dell’Underground, quando inaugureremo il Core!”
Sans
suo fratello proprio non riusciva a capirlo.
Probabilmente nemmeno Gaster capiva lui, dopotutto. Il suo
senso dell’umorismo era pari alla sua capacità di
gestire un nucleo familiare e
un ambiente di crescita sano e costruttivo, ossia zero assoluto.
Inoltre, mancava
completamente di fashion-sense: come diavolo faceva ad andare in giro
con la
giacca da lavoro ben stirata, il camice, e le scarpe
da tennis, dai?
Okay, questo effettivamente era un problema che poteva
risultare insopportabile solo per un quindicenne irrequieto come Sans,
ma non
poteva negare il fatto che Papyrus lo stava crescendo praticamente da
solo.
Gaster stava tutto il giorno in laboratorio a lavorare, da quando era
stato
scelto come scienziato reale, e si dava davvero un grandissimo daffare:
come
facesse a mantenere quei ritmi, senza quasi dormire la notte, solo lui
lo
sapeva, e Sans si sentiva male solo al pensiero di tutte quelle notti in bianco.
Lui
aveva aspirazioni completamente diverse, e nonostante Gaster lo avesse
coinvolto parecchie volte con i suoi esperimenti, avendolo persino
nominato suo
“Assistente Personale” con tanto di badge
– in realtà quando era più piccolo
questa cosa l’aveva esaltato parecchio – aveva
scoperto che la scienza
applicata non faceva proprio per lui. Insomma, lui era un tipo
più da
astronomia e viaggi intergalattici, peccato che tutte queste cose
fossero molto
limitate al campo dei sogni che non della tecnologia –
essendo le loro uniche
stelle dei noiosi sassi incastrati nel soffitto di una caverna. E poi
la
scienza richiedeva troppo tempo rubato alla vita reale,
e qualcuno doveva pur preparargli da magiare a Papyrus, no?
Insomma, Gaster probabilmente
avrebbe voluto che il suo fratellino seguisse i suoi passi, ma le sue
speranze
non potevano essere più malposte di così.
Gaster
sbocconcellava il suo toast con aria assorta ed
estasiata.
Sembrava rapito da un pensiero vagante, e si era
completamente dimenticato che il pane carbonizzato non è
commestibile, nemmeno
per dei mostri sforniti di apparato digerente.
“Ehi! Terra chiama Gas!”
“Oh! Scusami. Stavo pensando che devo dirti una
cosa.”
Sans pensò che dopotutto anche lui era un grande sognatore,
a modo suo. Probabilmente fin troppo.
Negli occhi dello scienziato si era accesa una luce di
infantile entusiasmo che di solito non prometteva nulla di buono.
“Ieri notte ho avuto un’idea. Ricordi quando ti
parlai delle
mie ricerche sulle particelle infinitesimali? – (Wow, che
palle… no?) – …e sul discorso
del loro movimento a velocità luce? E se ti dicessi
che… forse sarei in grado
di costruire una macchina che riesca ad imitare i tuoi poteri, ma
più in
grande? Molto più in grande?”
“A che stai pensando? A un robot cabarettista dalle batterie
infinite?”
“Ma no sciocchino, parlo di quelli che siamo riusciti a
sviluppare l’anno scorso, la manipolazione dello
spazio-tempo. – (Ah già, il
potere menevadodallaclasseinanticiposenzacheilprofseneaccorga
) – …se potessi costruire una macchina che ci
portasse indietro nel tempo,
prima ancora della costruzione della Barriera? Capisci di che parlo? Di
un
progetto che ci darebbe la libertà senza ulteriori
spargimenti di sangue! Penso
di parlarne domani al re. Tu che ne pen…”
“…una macchina del
tempo?”
Gaster si interruppe di nuovo, e annuì con quel suo sorriso
ingenuo da bambino pieno di entusiasmo.
Okay, ora le cose erano cambiate.
Quella sì che era davvero una figata.
“…speriamo
che sia un
fiammeggiante successo!”
scherzò
Sans, occhieggiando al pezzo di carbone che suo fratello si ostinava a
tentar
di mangiare. Questo finalmente si ricordò con un sussulto
che il suo toast era
bruciato, e per una volta ridacchiò di gusto anche lui,
posando delicatamente
sul tavolo quel disgustoso pezzo di carbone.
“…e di non trovarci in mano un pugno
di cenere.”
Concluse, con un sorriso speranzoso.
IL
FRAMMENTO SI DISSOLVE QUI…
Il
frammento si dissolve qui…
*Grazie
per essere passati,
*ci vediamo alla
prossima storia.
*Kiki
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** One. ***
*terzo tassello
One.
La
prima volta in cui si era effettivamente accorto di
quella faccenda era stato un paio di mesi prima.
Aveva avuto anche in altri momenti, in realtà, la percezione
che ci fosse qualcosa di strano, ma non ci aveva mai fatto troppo caso:
erano
cose piccole, frasi mezze taciute, sguardi un po’ spenti, ma
solo dopo quella
volta iniziarono a collegarsi tutte insieme a prendere la forma di un
qualcosa
di vagamente inquietante.
Era stato una mattina, piuttosto sul tardi in realtà, e Sans
se ne stava spalmato sul tavolo in soggiorno come uno dei tanti mucchi
di
biancheria sporca che giacevano in agonia in giro per la sua camera,
tanto che
Papyrus uscendo dalla cucina ebbe per un orribile istante il terrore
che uno di
quei cosi maledetti avesse finalmente preso vita e stesse cercando di
conquistare la loro casa e rivendicarla come suo nuovo regno. In
realtà era
solo uno scheletro in pigiama molto assonnato, ma Papyrus ne rimase
ugualmente
urtato. Appoggiò il vassoio con la teiera e le tazze per la
colazione con un
po’ troppa stizza e suo fratello si prese un colpo
– non aveva preparato
spaghetti semplicemente perché allora aveva ricevuto solo la
prima lezione di
cucina da Undyne, ed avevano appena imparato a distinguere tra pomodori
per il
sugo e palle da tennis dipinte di rosso.
“Per la miseria Sans! – aveva esclamato il grande
Papyrus –
Sono le dieci di mattina e già ti riaddormenti!? Abbi almeno
la decenza di
raggiungere la tua stazione prima di fare pausa!”
Sans aveva mugugnato qualcosa di abbastanza sarcastico e
impastato in risposta, e poi aveva allungato la mano per prendere la
sua tazza
di tè, con la stessa energia di un ghiro svegliatosi di
soprassalto nel bel
mezzo dell’inverno.
Papyrus non capì bene il perché, forse fu lo
spavento appena
preso, forse il sonno o forse addirittura lo fece apposta per ripicca
mentre
lui era distratto, ma di fatto la tazza traballò tra le mani
di Sans e in
qualche modo quel pasticcione fu capace di rovesciare tutto quello che
stava in
equilibrio sul vassoio, comprese scatola di biscotti, tazze e teiera,
la quale
non contenta si infranse pure in mille pezzi inondando con suo bollente
contenuto tutta la tovaglia e il suo povero fratellone.
Papyrus scattò in avanti e tentò di porre rimedio
a quel
disastro ancora prima che avesse finito di compiersi, salvando al pelo
la sua
tazza personale da una fine simile a quella tragica della teiera, e poi
si
volse verso il colpevole per constatare i danni che aveva riportato
lui: di
fatto, le maniche della maglia del pigiama erano completamente zuppe.
“Eh. – sorrise Sans, in mezzo ad un ampio sbadiglio
–
Guarda, mi sono inzuppato nel tè. Chissà se ora
sono più gustosso.”
“Dio dei fratelli minori, SALVAMI!”
Declamò Papyrus infastidito
dalla battuta, e prese una mano di suo fratello per asciugargliela
almeno un
po’ con lo straccio.
E fu lì che se ne accorse per la prima volta.
La mano di suo fratello era gelida.
Forse esitò per mezzo secondo, forse dagli occhi gli
scappò
un lampo di confusione, di fatto guardò Sans e lui gli
rispose con un’occhiata
stranissima. Durò meno di un attimo, ma gli restò
impressa nella memoria.
Un istante dopo Sans parve riprendere all’improvviso tutta
la vitalità mattiniera che aveva tenuta nascosta fino a quel
momento, ritirò
velocissimo la mano e si alzò in piedi.
“Meglio che vada a cambiarmi. Non importa per la colazione,
se vuoi ti offro qualcosa dopo Paps. Non vorrei mai arrivare in ritardo
e perdermi
la mia meritata pausa.”
Era
una sciocchezza, ma Papyrus ne rimase comunque
sconvolto.
Insomma. È vero che gli scheletri sono composti da un 20% di
fantastico midollo e tessuto osseo, ma il resto 80% è fatto
di magia, vitale,
forte, calda energia che viene dalla loro anima di mostri. I
mostri-scheletri
non dovrebbero essere gelidi, sono gli scheletri-scheletri ad essere
gelidi.
Quelli morti.
Inoltre, mentre stava finendo di ripulire il tavolo, con
crescente disagio a Papyrus venne in mente che era davvero molto strano
anche
che Sans si fosse fatto sfuggire di mano una tazza. Certo, era Papyrus
quello
più attivo e intraprendente fra i due, ma era anche vero che
in quanto a lavori
manuali era sicuramente il meno dotato. Se c’era una cosa che
invidiava a Sans,
e che lo faceva sempre arrabbiare dato che non la sfruttava mai a
dovere, era
la sua eccezionale mano ferma: tutte le cose che Papyrus faticava a
costruire
(puzzle, vestiti, quiche, biscotti, giocattoli, lampade, letti, tetti,
action
figures…) lui era capace di farle benissimo in un terzo del
tempo. Poi appunto,
con tutta la sua potenziale abilità alla fine non ci
combinava mai nulla perché
era troppo pigro, ma questo era un altro discorso.
Suo fratello non avrebbe mai rovesciato una tazza così, a
caso.
Ecco qual’era il discorso.
Fu
da quella volta che Papyrus si fece più intuitivo su
certe cose che prima gli passavano inosservate.
Si rese conto, per esempio, che Sans aveva preso l’abitudine
di scendere dalla sua camera da letto molto più tardi del
solito, anche dopo
parecchio tempo che lui l’aveva chiamato. Certo, anche prima
faceva tardi, ma
ora dalla sua faccia pesta sembrava quasi che si svegliasse molto
più stanco di
quando era andato a letto, e lui evitava accuratamente di fare
qualsivoglia
attività che comportasse fatica durante tutta la giornata.
Papyrus si ritrovò
con l’assurdo pensiero che di notte non dormisse
più, ma se ne stesse
semplicemente steso a occhi chiusi senza fare nulla.
Aveva poi iniziato ad andare in giro in pantofole. Cioè, in
pantofole. Papyrus capiva che la prima volta era stato parecchio
divertente,
quando tutti i mostri di Snowdin che aveva incrociato lo avevano
tempestato di
domande sulla sua inusuale scelta stilistica e lui si era sbizzarrito a
fare
battutacce sul fatto che aveva caldo ai piedi e che era già
pronto per
tornarsene a dormire, ma poi la cosa era diventata
un’abitudine. Papyrus aveva
avuto la sottile impressione che semplicemente suo fratello non avesse
più
voglia di infilarsi le scarpe.
Stranissimo.
Aveva anche smesso di dare da mangiare al suo sasso da
compagnia, cosa che una volta lo divertiva un mondo.
Ora nulla sembrava più divertirlo per davvero, anche se
continuava a infastidire suo fratello minore con le sue battute
stupidissime e con
quel suo sorrisetto idiota che nemmeno una doccia di candeggina gli
avrebbe mai
lavato via dalla faccia.
Capitò a volte, quando tutto questo strano complesso di
piccoli dettagli gli veniva in mente, che Papyrus facesse apposta ad
avvicinarsi a lui per toccagli le ossa con una scusa, e il risultato
era sempre
il solito: gelo.
Papyrus allora si toccava un braccio e capiva che c’era
davvero qualcosa di molto sbagliato: lui era in grado di rimanere
piacevolmente
tiepido anche dopo ore in piedi sotto una nevicata.
Anche
Undyne si era accorta che qualcosa non andava. La sua
reazione però era stata parecchio più pratica e
subitanea di quella di Papyrus.
“È evidente che tuo fratello è uno
SCANSAFATICHE della
PEGGIOR SPECIE, Papyrus! – aveva esclamato convinta mentre
prendevano a
padellate gli spaghetti crudi per farli entrare completamente nella
pentola –
Mi sembra normale che sia un po’ FUORI FORMA! Capita se passi
tutto il giorno a
fare finta di lavorare come fa lui. Credo che il suo problema sia
principalmente di INERZIA.”
“Inerzia?” aveva chiesto Papyrus confuso, schivando
al
centimetro un passaggio di padella che gli avrebbe portato via mezza
mascella.
“Massì, inerzia! Sai, quando sei fiacco riprendere
ad
allenarsi è molto più difficile rispetto a quando
sei abituato a farlo tutti i
giorni. Inoltre, più tempo lasci passare prima di
ricominciare a muoverti, più
diventa faticoso farlo! Insomma, tuo fratello è TALMENTE
INERTE che per lui
riprendere gli allenamenti è diventato QUASI
IMPOSSIBILE!”
“…e cosa proponi di fare Undyne!?” aveva
chiesto lo
scheletro sinceramente preoccupato.
“Gli daremo un piccolo incentivo!!! IAAAAAA AH!!!”
La Comandante delle Guardie Reali affondò un ultimo colpo ai
poveri spaghetti, e fu così violento e rabbioso che quei
pochi stiletti di
pasta che non erano completamente in frantumi volarono direttamente via
dalla
pentola. Ora finalmente i superstiti potevano cuocere in pace.
Il mattino dopo Sans si era ritrovato un tapis
roulant di fronte alla porta della
sua camera, con suo fratello e
il suo capo lì in piedi che aspettavano la sua reazione. Lui
guardò prima
Papyrus, poi Undyne, poi di nuovo Papyrus. Poi sollevò le
spalle.
“Eh. – sospirò, sghignazzando
– Non corriamo troppo
ragazzi. Mi lasciate senza fiato.”
“Sans di tutte le battute che hai detto negli ultimi tre
giorni questa è sicuramente quella che fa meno
ridere.”
“Oh dai. – si intromise Undyne, appoggiandosi alla
ringhiera
del soppalco e facendo l’occhiolino – Se non mi
dimostri che almeno ci provi,
va a finire che ti licenzio.”
“Oh non potresti mai licenziarmi.” Rispose il
piccolo
scheletro appoggiando una mano sul suo attrezzo ginnico nuovo di zecca,
e
lanciando a Papyrus un’occhiata estremamente divertita:
“…senza di me, i cani e
mio fratello morirebbero di noia!”
Dopodiché sparì, probabilmente dietro la porta
della sua
camera chiusa a chiave.
Uscendo per andare alle sua postazione, Papyrus tirò un
profondo sospiro che si teneva dentro da un po’:
“Dici che l’ha apprezzato? Servirà a
qualcosa?” chiese,
facendo trasparire tutta la sua preoccupazione.
“Ma sì. – rispose dolcemente Undyne,
tirandogli una pacca
sulle spalle ossute – Anche se non se ne farà
nulla, saprà che ci stiamo
preoccupando per lui. Questo non può fargli che bene,
no?”
“Sans.”
Sans chiuse il libro. La luce bassa e calda della bajour lo
illuminava da un lato, lasciando la sua figura piccola e rassicurante
avvolta
dalla penombra: i suoi vispi occhi luminosi brillavano nel cavo delle
sue
orbite buie, ma le ombre che li circondavano sembravano ancora
più pesanti di
quello che in realtà erano alla luce del giorno magnificata
dalla neve candida.
Papyrus pensò che suo fratello gli sembrava stanco.
Stanchissimo.
“…vai a dormire per favore. Lasciamo perdere per
stasera.”
“Oh. – Sans sembrò sorpreso e
dispiaciuto – Niente Coniglietto
Batuffolo stasera?”
“No.”
Papyrus allungò una mano e gli afferrò il polso,
appoggiandosi alle lenzuola che già lo ricoprivano morbide e
pulite. Non ce la
faceva più a fare finta di niente.
Le ossa di suo fratello erano fredde, gelide, e con un vago
senso d’angoscia Papyrus ebbe quasi l’impressione
che fossero scosse da un lieve
tremito, ma preferì autoconvincersi che fosse tutta una
sensazione nata dalla sua
testa sconvolta dall’apprensione.
“Ehi. – gli chiese Sans, con un sospiro, e gli
sorrise – Mi
vuoi dire cosa c’è?”
“Sei freddo.” Rispose Papyrus, a disagio. Non gli
era mai
piaciuto parlare di certe cose. Strinse le dita attorno a quel polso
inerte.
“Beh, ovvio. Come potrebbe non esserlo un asso nelle freddure?”
“Dico sul serio Sans. Sei strano ultimamente, e il tuo
responsabile fratello è preoccupato per te.”
Sans chiuse gli occhi, e sospirò di nuovo. Papyrus ebbe
l’impressione
che dietro quelle palpebre eburnee stesse elaborando qualcosa da dire
per
spiegarsi, giustificarsi, tranquillizzare il suo fratellino magari, ma
quando
poi decise di rispondere non fece altro che peggiorare drasticamente la
situazione, stirandosi un sorriso più ampio del solito sulla
faccia rotonda:
“Non è niente, Papy. Davvero. Sono solo molto
preso dal lavoro.”
Papyrus era stanco di quelle idiozie. Agì
d’impulso. Non
stette a pensare se fosse una buona idea oppure no, ma in quel momento
era
talmente in ansia che sarebbe andata bene qualsiasi cosa.
Tirò con energia il polso di suo fratello trascinandolo
ancora di più vicino al suo capezzale, gli
appoggiò una mano contro le costole
e attivò i suoi poteri magici, come se volesse sfidarlo a
duello proprio lì,
sul suo letto-automobile: si concentrò e
ispezionò la sua anima, racchiusa
nella sua cassa toracica.
Inorridì.
“Certo che Undyne ti sta addestrando proprio bene,
eh.”
“SANS.”
“Che c’è?”
“SANS.”
“Cosa?”
“SANS, HAI UN SOLO HP.”
“Sì?”
“SANS, UN SOLO…”
“E quindi…?”
“SANS!”
“Eh!”
Papyrus gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte,
spaventato come poche volte lo era stato nella sua vita, e sentire quel
mucchio
di ossa fredde premere contro di lui sotto al pigiama gli
ferì il cuore.
“NEMMENO I NEONATI
HANNO UN HP! NEMMENO I VECCHI HANNO UN HP! SONO QUELLI CHE STANNO PER
MORIRE
CHE HANNO UN HP, SANS! QUELLI CHE MUOIONO! COSA TI È
SUCCESSO FRATELLO!? TI SEI
FERITO? CHI TI HA…”
“Non è successo nulla Papy. Stai
tranquillo.”
Sans si era fatto prendere e sballottare senza opporre
nessuna resistenza, e anche in quel momento si stava facendo
abbracciare
abbandonandosi inerte. Anche quello non era normale, Sans era sempre
stato un
abbracciatore coi fiocchi.
“…ma perché
sei così
debole, fratello?” chiese Papyrus, finalmente,
cercando di non piangere
come quando aveva dieci anni e affondando la testa fra le clavicole
dell’altro.
“Purtroppo è così e basta, Papy. Ma io
sto bene, sul serio.
Basta che sto attento a non inciampare sulle sca…”
“…ma io non voglio
perderti. Sei l’unico fratello che ho, Sans.”
Erano soli al mondo, loro due.
Allora accadde un mezzo miracolo: Sans per un attimo tornò
quello di sempre. Allargò le braccia e circondò
il suo fratellino in una
stretta forte e salda, premendo il viso contro la testa di Papyrus,
come
facevano sempre quando erano più piccoli e Papyrus correva
da lui in lacrime in
cerca di consolazione e affetto dopo aver assistito a qualcosa di
triste o
essersi graffiato una rotula. Non disse nulla per molto tempo,
stingendolo
forte, ma andava benissimo così.
“Ti voglio bene Papy. Ti prometto che non mi
succederà
nulla, okay? Lo sai che il tuo fratellone è il mostro
più imbattibile di tutta
la galassia.”
“Okay.”
“Okay.”
Non furono tanto quelle parole a consolare Papyrus, quanto
l’ondata di calore che aveva iniziato a propagarsi dal centro
del petto di suo
fratello, pulsando lievemente, e aveva infuso calore nella loro
stretta.
Finalmente quell’abbraccio tornò a trasmettere
quella sensazione meravigliosa,
di sicurezza e calma forza, che il più giovane aveva
impressa così bene nella
memoria. Quello sì che era Sans, il vero Sans, quello capace
di farlo
addormentare anche nei momenti più bui.
Si separarono e Papyrus si asciugò in fretta gli occhi per
non fargli capire che aveva pianto, per fortuna l’altro parve
non accorgersene
perché anche lui si strofinò la faccia con le
maniche del pigiama,
probabilmente stropicciandosi per il sonno.
“Credo che tu abbia ragione Paps, sono un po’
stanco, meglio
che ne vada a dormire.”
Sans gli lanciò un’occhiata piena di affetto, e
gli dette
una lieve pacca sulla testa.
“Buonanotte. Domani se vuoi facciamo i pupazzi di
neve.”
“Va bene. Buonanotte Sans.”
E se ne tornò in camera sua.
Papyrus spense la luce e pensò di essere davvero grandioso,
perché era evidente che con un solo abbraccio era stato
capace di far stare
meglio il suo fratellone, qualsiasi accidenti di malanno lo stesse
affliggendo.
Si ripromise di abbracciarlo molto più spesso, per elargire
di più la sua
fantastica aura curativa.
Non si era accorto, in realtà, della profonda tristezza che
covava tra le ombre del sorriso pieno d’amore di suo
fratello. Si sorprese però
di aver macchiato il cuscino con dell’umidità che
aveva sulla testa, della
quale non si era minimamente accorto prima: era ricoperto di una
sostanza calda
e bagnata, apparsa dal nulla come per magia.
La
mattina dopo Papyrus era di ottimo umore.
Stava spadellando in cucina per preparare la scorta mensile
di spaghetti da congelare nel frigo, quando Sans scese da camera sua
– con solo
mezzora di ritardo – per fare colazione dargli il buongiorno.
“Heya! – salutò, infilandosi la felpa
blu – Che profumino!”
“Il fratello migliore del mondo ti augura il buongiorno,
Sans!”
“Eh eh, grazie!”
“Senti, stavo pensando… - Papyurs scolò
la pasta nel
lavello, finendo sommerso da una nube di vapore
–…per la questione che hai un
solo Health Point. Magari in pausa pranzo potremmo provare ad andare a
Hotland,
e incontrare la brillante dottoressa Alphys. Ho capito che per te non
è un
problema, ma preferirei chiarire la questione. Non è proprio
il massimo
rischiare di restarci secchi per una palla di neve in faccia!”
Papyrus ci aveva rimuginato su molto, ed era giunto alla
conclusione di aver avuto decisamente troppa paura per una faccenda che
in
realtà non ne meritava una tale quantità.
Insomma, sarebbe bastato che Sans
gliene avesse parlato subito e avessero chiarito la situazione in modo
razionale e tranquillo, ma quel testone ovviamente non diceva mai nulla
e
nessuno e quindi il povero Papyrus era morto di preoccupazione
arrivando a
prendere ogni sciocchezza come il segno di qualcosa di orribile.
Sans non fece attendere molto la sua reazione alla proposta
di suo fratello e scoppiò in una risatina strana, che
lasciò il grande Papyrus
sorpreso e parecchio perplesso con lo scolapasta in mano, che sembrava
una
sorta di mostro marino molliccio a causa degli spaghetti che erano
rimasti
incollati tutti uno sull’altro come un grumo di tentacoli
appiccicosi.
“Che c’è, ho detto qualcosa di buffo? Non è che ho detto una battutaccia
senza nemmeno rendermene conto,
vero!?”
“Eh eh eh eh no, no! È che oggi temo proprio che
non avremmo
tempo per farlo.”
“Perché!? Che abbiamo da fare di speciale,
oggi?”
“Oh, chi lo sa.”
Sans si infilò le mani in tasca e gli fece un occhiolino,
sorridendo
in quel modo tutto suo ammiccante e vagamente misterioso.
“…magari oggi è la volta buona che
incontreremo un umano.”
“Oh, un umano!
Wowie Sans, magari!”
Ovvio
che, se fosse saltato fuori un umano, il problemino
dell’unico punto vitalità di Sans sarebbe passato
sicuramente in secondo piano.
O almeno, doveva essere così visto che era proprio
l’interessato a pensarlo.
O no?
*Ehi, grazie per aver letto fino a qui.
*Spero che la lettura vi sia piaciuta.
*Anche perché, ehi,
*è un problema avere un male all'anima, quando si
è fatti quasi completamente di anima.
*Al prossimo tassello.
*Un abbraccio a tutti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Stronger Than You. ***
*Quarto tassello
Stronger Than You.
Finalmente
azzeccò il tempismo giusto.
Tre ossa appuntite saettarono e si infilarono
perpendicolarmente nella testa della ragazzina, uno trafiggendo
direttamente il
bulbo oculare, mentre lei saltava verso sinistra per schivare un altro
assalto
dei medesimi proiettili: sangue e liquido cerebrale schizzarono come un
rosso
ventaglio sulle piastrelle dorate, con il sottofondo di un appagante
scrocchio
di ossa rotte.
La ragazzina atterrò come una marionetta rotta sulle
ginocchia, si accasciò al suolo senza un gemito e cadde
picchiando la fronte,
lasciando ulteriori macchie scarlatte sul pavimento.
Sans, ansimando come un mantice per la fatica, vide l’anima
della sua avversaria fremere per un secondo, pulsare
un’ultima volta e poi
infrangersi in pezzi, scomparendo nell’aria.
Ecco, ce l’aveva fatta anche quella volta.
…
Eccola
di nuovo avanzare verso di lui, appena entrata nell’ultimo
corridoio prima della sala del trono, con una lunga lama lucente in
mano.
Eccolo di nuovo ad attenderla al varco, in piedi con le mani
in tasca.
“È inutile che ti dica ormai quante ne ho contate,
vero?
Pazza malata.”
Lei si fermò, come faceva sempre, di fronte a lui,
fronteggiandolo con il coltello stretto nella mano abbandonata lungo il
fianco.
La luce obliqua del tramonto, che in quella particolare parte del
palazzo
prorompeva come una cascata d’oro da una frattura delle
pareti della grotta e
accendeva di luce tutto l’antico corridoio – le
vetrate erano state un grosso
vanto dell’architetto reale, parecchi secoli prima, dato che
riuscivano a
incanalarne perfettamente lo splendore – la colpiva in pieno
sul lato del viso,
scavando di ombre il suo sorriso isterico.
Sans si chiese di nuovo cosa diavolo fosse.
Di certo non la sua piccola Frisk, quella che gli pareva di
ricordare nelle memorie dei suoi sogni più nascosti.
“…è una bellissima giornata per
bruciare all’inferno.”
Attaccò subito, con tutta la forza che aveva, e lei
schivò
ogni singolo colpo con agilità come se – ormai
– avesse imparato a memoria
l’esatto punto in cui ogni cannone avrebbe sparato e ogni
osso colpito. Lui
sapeva cosa stava accadendo, cosa continuava
ad accadere: era tutto inutile, ogni volta che quella bestia assassina
racchiusa nel corpo di un essere umano finiva per morire, il tempo
tornava
indietro, e lei tornava ad affrontarlo, ancora, e ancora, e ancora, e
ancora…
di solito Sans aveva percezioni molto confuse del tempo che si
riavvolgeva, ma
non in quel momento. Era tutto troppo ravvicinato, troppo frequente
perché lui
potesse dimenticarsene o fare finta di niente. Lui non
poteva più
permettersi il lusso di dimenticare.
“Lo so sai? Il tempo continua a tornare indietro.
È inutile
quanto lottiamo… non mi importa più nemmeno di
raggiungere la superficie, tanto
un giorno ci sveglieremo tutti di nuovo qui in questa fogna, e non
sarà mai
successo nulla. Quante volte abbiamo già raggiunto la
superficie, eh? E c’eri
anche tu, e pensa che idiota, ho pure l’impressione che
fossimo amici. Pensi
che non abbia provato a sistemare questa cosa, ad aggiustare il tempo?
Eppure è
stato tutto inutile. Mi ero arreso, sai? Ma non questa volta. Non
questa volta.
Non posso permetterti di avanzare di un passo di più, anche
se combatto contro
l’impossibile.”
Sans aveva l’impressione chiarissima di aver ripetuto quelle
cose milioni di volte, ma non poteva evitare di aprire le dighe e
lasciar
sgorgare fuori tutta quell’amarezza, di fronte ad un
avversario che tanto
nemmeno lo ascoltava. L’umana infatti continuava a schivare
con abilità tutti i
suoi attacchi magici senza degnarlo di uno sguardo, se non quando
riusciva a
trovare una via di fuga tra le colonne di energia bruciante dei suoi
laser e
tentava un affondo con il suo coltello, che però Sans
riusciva sempre ad
evitare senza difficoltà. Certo, erano anni che non muoveva
un muscolo (…o un
osso, per meglio dire), ma non se la stava cavando per niente male in
combattimento, era ancora forte e agile come quando si allenava insieme
a suo
fratello.
E dire che Papyrus era
così preoccupato per il suo unico Health Point…
Continuarono
a combattere per minuti interminabili, il
mostro e l’umano, tempestandosi di colpi a vicenda ed
evitandoli tutti con
passi veloci, girandosi attorno come se stessero danzando una danza di
morte,
decisi ad uccidersi a vicenda con uguale determinazione in quel
meraviglioso
corridoio sommerso d’oro.
L’umana sembrava non perdere un colpo; Sans invece
iniziò a
sentirsi un po’ stanco. Alla fine, tutti quegli anni di
inattività iniziavano a
diventare un po’ pesanti… ma non poteva
permettersi di perdere. L’umana
sembrava pronta a tutto e anche lui non doveva essere da meno: attinse
alle sue
ultime energie e iniziò a distorcere lo spazio-tempo,
scagliando la sua
avversaria avanti e indietro durante il loro combattimento e riuscendo
a
colpirla un paio di volte con i suoi laser. Lei scoppiò a
ridere, sfiorata dal
potere bruciante della sua magia ma uscendone comunque viva.
Sans sapeva benissimo che anche l’umana era in grado di
manipolare il tempo, ma era sicuro che non possedesse la precisione e
raggio
d’azione che aveva lui: pareva che lei potesse farlo solo in
determinati
momenti, e non era abbastanza capace da poter stare dietro a lui. In
ogni caso,
presto lo scheletro raggiunse il suo limite.
Se Sans non l’avesse uccisa lì
e in
quel momento,
avrebbe fallito.
Lui non poteva fallire, l’avrebbe tenuta intrappolata in
quel combattimento per tutta l’eternità,
uccidendola ogni volta e ricominciando
ogni volta, ancora e ancora, se fosse stato necessario. Non gli era
permesso
arrendersi o la morte di tutti i suoi cari sarebbe rimasta invendicata,
e
quell’inferno sarebbe ripartito da capo.
Ma, ovviamente, era sempre stato uno scemo.
È inutile tenere duro per ottenere l’impossibile,
e in fondo
al suo cuore lo sapeva benissimo, anche se a volte tornava a far finta
che non
fosse così.
L’umana si approfittò di un suo momento di
stanchezza e
puntò con energia verso di lui, col coltello sollevato e una
folle sete di
sangue nelle pupille dilatate e opache. Lui chiuse gli occhi,
sorridendo,
talmente stanco da non riuscire nemmeno a inspirare l’aria
per il suo ultimo
respiro.
La sentì cadergli addosso e percepì la lama
tagliente e
dolorosa del coltello contro il costato.
- 0,5 HP.
Stupito,
riaprì gli occhi.
Si ritrovò bloccato al suolo dal corpo di lei, che gli si
era seduta sopra puntandogli la lama del coltello contro lo sterno,
tanto da
rendergli difficoltoso il respiro e pressoché impossibile il
movimento.
Sarebbe stata un’ottima occasione di contrattacco, se non
fosse stato che era così stanco e indebolito che a fatica
riusciva a tenere gli
occhi aperti, e comunque ad ogni suo tentativo di evocare una magia la
lama gli
avrebbe molto probabilmente strappato l’anima prima di
ottenere qualsiasi
risultato.
Anche l’umana ansimava di fatica, ma sembrava soddisfatta.
Sorrideva in tono sornione, stringendo il suo coltello, con i capelli
tutti
scompigliati e un paio di fili di fumo che si sollevavano da alcune
delle ciocche
che avevano incontrato il fuoco blu dei laser. Sans decise di non
provare a muoversi,
perché forse avrebbe potuto trovare ancora una
possibilità di fermarla, essendo
ancora vivo.
“Beh? – mormorò lo scheletro, e
sentì un rigagnolo di sangue
sgorgare fra i suoi denti mentre parlava – Che
c’è? Vuoi farmi vedere quando
sei diventata brava con quell’affare?”
Lei, finalmente, aprì la bocca e parlò.
“Sai. – disse, col tono casuale che userebbero due
amici al
bar per parlare del tempo atmosferico – Mi sto annoiando.
Alla fine è sempre la
stessa solfa.”
Sans tossì. La ferita al petto gli faceva male.
“…e allora perché non te ne vai? E ci
lasci in pace?”
Lei rise, leggera.
“Ma no, ma no… non in quel senso.
Quaggiù succedono sempre
le stesse cose. Sono tutti terribilmente prevedibili, tanto che mi sto
stancando anche di ucciderli. Tranne te, Sans. Tu sei l’unico
interessante qua
sotto.”
Lo scheletro strinse i denti, e sentì la lama premere ancora
di più contro la sua cassa toracica.
“…a quanto pare tu sai un sacco di cose, ma non
dici mai
niente a nessuno. Solo quando ti spingo al limite ti decidi a dirmi
qualcosa…
parli di rilevamenti delle linee temporali, di qualcuno da
salvare… e poi tiri
fuori quei cannoni pazzeschi e devo sempre fare una fatica bestiale per
superarti. Ammetto che sei rimasto l’unica sfida divertente,
quaggiù. Ma, piano
piano, mi sto stancando anche di te, e poi c’è una
cosa che mi sto chiedendo da
un sacco di tempo…”
Sul suo viso di bambina brillò un lampo di interesse. Si
chinò in avanti con un sorriso curioso.
“…ma tu chi diavolo sei, Sans? Si può
sapere che ci fa
quaggiù uno come te?”
Sans
ridacchiò, e questo gli costò una fitta terribile
al
petto e altro sangue a scivolargli lungo il mento.
“…che domanda del cavolo. Sono una sentinella, e
sono anche
piuttosto pigro. Ho un sistema piuttosto rigido di valori, anche se non
sembra,
e detesto la gente che va in giro ad ammazzare i fratelli altrui. Ma
tutte
queste cose le sai già.”
“Puoi anche evitartele le tue cazzate, non mi sembri nelle
condizioni
di continuare a raccontarmi balle.”
Il coltello affondò un poco.
-
0,1 HP
“Ehi
ragazzina, continua così e mi farai fuori. E poi non
potrò dirti più nulla.”
“…vedo che iniziamo a capirci. Sappi che non ci
metto niente
a ucciderti, se continui a prendermi in giro. Ma sinceramente non ne ho
voglia,
mi sono stancata di spezzarti il cuore sempre nello stesso modo, e poi
mi piaci
troppo. Fossi in te ne approfitterei.”
“Sei una…”
“Allora? Mi vuoi rispondere!?”
Sans rimase in silenzio per un paio di secondi, poi lasciò
cadere la testa all’indietro e ridacchiò di nuovo,
con quel filo di fiato che
gli restava nel corpo. Dopotutto l’umana aveva ragione, era
già un miracolo che
lei avesse deciso di mantenerlo in vita così a lungo, doveva
cercare di
approfittarne.
“Allora… - iniziò, e tossì -
… facciamo un gioco, io e te.
Io risponderò alle tue domande, più sinceramente
che posso. Ma anche tu
risponderai alle mie, ne faremo una a testa. Che dici, ti va?”
L’umana ci pensò un po’ su, ma alla fine
l’idea sembrò divertirla.
Sorrise soddisfatta.
“Ci sto.”
“Chi diavolo
sei è una domanda un
po’ generica. Non è che potresti essere
più
specifica?” chiese allora lo scheletro, sollevando
un’arcata sopraccigliare.
“Va bene. Dove hai imparato a teletrasportarti e a manipolare
il tempo?”
“Da quanto mi ricordo, so farlo da sempre. Credo di aver
imparato quando ero poco più grande di te, forse.”
“… e come fai ad avere questi poteri?”
“Ehi, abbiamo detto una domanda a testa.”
“Ah, già giusto. Chiedi pure.”
Sans ci pensò un po’ su. Probabilmente di
lì a pochissimo
sarebbe morto, ma magari avrebbe ottenuto qualche informazione
importante per
la futura linea temporale. Sapeva che tutto sarebbe ripartito e si
rendeva
conto fin troppo bene che probabilmente si sarebbe dimenticato ogni
singola
parola che si sarebbero scambiati, ma valeva la pena provare.
“Tu… non sei una bambina di otto anni. Non sei
nemmeno un
essere umano. Cosa sei?”
L’umana sorrise, strizzando gli occhi.
“Sono un brutto ricordo, di una brutta vita. Sono il
desiderio di violenza rimasto nelle fibre della realtà,
lasciato da qualcuno
morto da tempo.”
Lo scheletro assorbì l’informazione ma
evitò di chiederle
precisazioni: adesso era il turno dell’umana di fargli la sua
domanda. Il suo
peso sulle sue ossa quasi spezzate era al limite del sopportabile.
“Dimmi, Sans – iniziò, giocherellando
con il coltello contro
la sua maglia - … una volta mi hai fatto avere le chiavi per
la stanza dove
nascondi la tua macchina rotta, sul retro di casa tua. È una
macchina del
tempo?”
“Sì.”
L’umana sembrò piccata dall’estremo uso
di sintesi e
soprattutto dal tono secco e conciso, ma accettò la
risposta. Era il turno dello scheletro.
“Dì, ragazzina… perché
hai ucciso
mio fratello?”
“Noia. E tu dimmi, eri per caso l’assistente di W.
D.
Gaster, lo scienziato reale prima di Alphys? Ho trovato un badge in
quella
stanza sul retro.”
“Sì. Come fai a tornare indietro ogni volta che ti
uccido?”
“Determinazione. Gaster era per caso tuo parente?
C’è un
disegnino con te, lui e Papyrus nel tuo retro.”
“Era mio fratello. – Sans annaspò in
cerca di aria. Quel
gioco iniziava a non piacergli più – E tu, umana,
come usi la determinazione
per tornare indietro nel tempo?”
“Non lo so, succede e basta. E tu dimmi, è stato
Gaster a
progettare la tua macchina del tempo? È stato lui ha
insegnarti a manipolarlo?
È stato lui a costruire per te i tuoi cannoni?”
“Queste sono… troppe domande.”
La ragazzina parve rendersi conto di aver esagerato.
Corrucciò l’adorabile visino e si chinò
verso lo scheletro, toccando il sangue
che gli colava dalla bocca come se volesse ripulirlo, ma lasciando di
fatto una
striscia scarlatta sulla sua mascella d’osso con il pollice
della sua manina.
“Hai ragione, poverino. Cambio domanda. Dimmi un
po’, ma tu
chi diavolo
sei?”
Dalla sua espressione sadica Sans capì che non aveva
più voglia
di stare a dar retta alle sue richieste di evitare domande scottanti, e
così
chiuse gli occhi e prese un po’ di fiato. Eh già,
era proprio fregato,
sicuramente lei si stava stancando e non gli rimaneva troppo tempo da
perdere
in quella linea temporale maledetta.
“Eh. – lo scheletro ridacchiò
– Questa sì che è la domanda
da un milione di golds. Diciamo
così,
ragazzina.”
Sarebbe stato più sincero possibile, ma sicuramente la
risposta non l’avrebbe fatta felice. Anzi, probabilmente si
stava condannando
da solo, pensò divertito.
“…io sono come un
puzzle, a cui mancano diversi tasselli. Non ho idea di dove siano
finiti, e non
ho idea di quale sia l’immagine finale. Forse non esiste
nemmeno una immagine,
ma in realtà non mi importa neanche più di tanto.
Tanto ormai non ha più senso
preoccuparsene, dato che l’unica ragione per continuare ad
esistere che mi è
rimasta in questo momento è cercare di fermarti e impedirti
di raggiungere la
superficie e portare distruzione anche lì. Per non parlare
del fatto che ti farei
a pezzi un milione di volte solo per quello che hai fatto al mio
fratellino.”
Sans aveva detto tutto con una calma serenità che
sembrò
eccessiva persino per lui. Forse davvero si aspettava davvero che il
coltello
affondasse a strappargli via l’anima dopo ogni sillaba, o
forse ormai aveva
accettato il fatto che per quella volta non sarebbe riuscito, di nuovo,
ad
arrestare quel demone orrendo. Strano, eppure si era ripromesso di non
arrendersi: o forse, c’era qualcos’altro. Forse
aveva solo sentito il bisogno
di dire quelle cose a qualcuno, per una volta. Di buttarle in faccia al
suo
avversario.
L’umana non lo uccise.
Rimase a guardarlo con un’espressione corrucciata per
qualche secondo, sempre illuminata dall’oro del sole che
filtrava dalle
vetrate. Gli schizzi di sangue sulla sua pelle e capelli carbonizzati
attorno
al viso stridevano con l’indifferenza infantile che
continuava ad animarle i
lineamenti. Lo facevano imbestialire.
“Devi averne passate, tu, eh? Anche prima che arrivassi
io.”
Commentò, grattandosi il mento.
“Già.”
“…magari sai anche perché il tempo
continua a riavvolgersi.
Ti ho detto che io posso farlo tornare indietro, ma non so
perché ne ho la
possibilità. Tu e Gaster sembrate aver combinato un gran
casino con gli
esperimenti sullo spazio-tempo.”
Oh fantastico, quell’argomento non gli piaceva, non gli
piaceva per
niente…
“Eppure. – la vocina di bimba dell’umana
interruppe i suoi
pensieri –… eppure, dopo tutto quello che hai
passato e che continuo a farti
passare, continui sempre a fronteggiarmi, in questo corridoio. Una cosa
mi
chiedo: quanto ci metterai?”
Lo sguardo della bambina si fece maligno, e Sans sentì il
suo peso contro le sue ossa farsi più pesante e doloroso,
quasi fino ad
offuscargli la vista. Anche se lei lo aveva lasciato in vita, stava
iniziando la
sua caduta…
“…ci metterò a fare
cosa…?” chiese, tossendo altro sangue
tra i denti.
“A diventare come me. A diventare come Flowey. Ci siamo
passati tutti. Quanto resisterai ancora, prima di arrenderti davvero?”
Sans
rise.
“…come te?”
“Già. Come me. Quando getterai la spugna? Quando
capirai
anche tu che questo mondo è del tutto inutile, che tanto
vale distruggerlo ogni
volta? Quando smetterai anche tu di lottare per nulla?”
Sans rise di nuovo. Il dolore si intorbidì, e
sentì la sua
anima vibrare e pulsare per l’ultima volta. La ferita se lo
stava portando via,
che all’umana piacesse oppure no.
“…mai. Io sono
più
forte di te.”
L’ultima
cosa che vide, prima di disfarsi in polvere, fu lo
sguardo indispettito e furente dell’umana, che lo
fulminò con cieca rabbia
mentre lui se ne andava serenamente incontro a suo fratello, che lo
aspettava
dall’altra parte con un sorriso.
*Dedico la prima scena, col cervello di
Chara che esplode allegramente fra le ossa, a Holy Hippolyta, che mi
è parsa apprezzarla.
*La scrittura di questa shot è stata ispirata a diverse
canzoni che non c'entrano nulla con Undertale, come Same Old Love di
Selena Gomez o Hope of
Morning degli Icon for Hire. Ovviamente c'è
anche lo zampino della versione riscritta di Stronger Than You,
la canzone della favolosa Garnet di Steven Universe che è
stata modificata per Sans e Frisk da qualche fan geniale.
*...in ogni caso, Sans, i tasselli stiamo cercando di raccoglierli
tutti.
*Sempre che tu non li abbia gettati via apposta.
*Chissà che tipo di immagine scopriremo.
*Alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Sex. ***
*quinto
tassello
Sex.
La
neve ondeggiava lievemente nell’aria in pigri
fioccherelli di gelo, ovattando l’atmosfera boschiva
profumata di resina.
Nessun suono interrompeva quel silenzio irreale vicino alle porte
sigillate per
le Rovine – nessuno andava mai laggiù –
tranne le risate sommesse di uno
scheletro che chiacchierava con una voce melodiosa oltre quella soglia
impenetrabile. Stava accovacciato nella neve con la schiena appoggiata
alla
pietra finemente intarsiata dei massicci battenti, lasciandosi
ricoprire
lentamente, insieme al sentiero e agli alberi, dal mantello bianco che
innaturalmente volteggiava giù dalle altissime volte
– quasi invisibili alla
vista – della caverna, generato da tutti i mostri di ghiaccio
che vi abitavano
dentro.
Non aveva la minima idea di chi fosse la donna gentile con
cui stava parlando, ma non era tipo da farsi problemi per una ragione
così
sciocca. Sapeva solo che gli aveva chiesto di chiamarla
“Tori”, che sembrava
essere avanti con gli anni e che aveva un senso dell’umorismo
molto affine al
suo, e questo bastava e avanzava.
Stavano ancora ridendo per l’ultima battutina di Tori
(“Qual
è il nome più comune fra le lumache? Va-lentina!”)
quando all’improvviso la sua risata composta si spense un
po’ troppo
bruscamente, e parve esitare a farsi sentire a tutto volume come colta
da un
pensiero perturbate.
Sans, che aveva imparato a conoscerla solo attraverso le modulazioni
della sua parlantina, ovviamente se ne accorse subito.
“Ehi è tutto a posto, quella battuta era ad alta valenza comica!”
“Ohohohoh… Ma no, ma no, che dici?”
“…e allora cosa
c’è?”
“Oh, non è… non è
nulla…” il tono si era abbassato
progressivamente fino a diventare pressappoco inudibile, attraverso le
possenti
barriere di pietra. Tori sembrava parecchio a disagio, forse in
imbarazzo.
“Dai sputa il rospo.”
“Nulla di importante, è che mi è venuta
in mente una cosa. –
ora la voce era tornata udibile, ma non sembrava sul punto di
continuare la
gara di battute, anche se suonava parecchio divertita –
Dì un po’, Sans… se un
cucciolo di otto anni ti chiedesse come nascono i bambini, tu che gli
risponderesti?”
Lo scheletro restò imbambolato con la bocca aperta per un
paio di secondi, colto completamente alla sprovvista, ma poi
scoppiò a ridere
di gran gusto.
Anche Tori si mise a ridacchiare, ma sembrava che il
problema la preoccupasse sul serio.
“Beh dipende da che tipo di cucciolo stiamo parlando
–
rispose Sans asciugandosi una lacrima dall’orbita vuota
– Sai, finché sono
rettili o anfibi è facile, fanno le uova… ma la
questione diventa un po’ più
complicata quando si parla di fantasmi.”
“Mammifero, parliamo di un mammifero.”
“Il discorso non cambia, secondo me. Se si tratta di cose
come la nascita, bisogna dire la verità ai bambini, magari
mettendola giù in
modo da non traumatizzarli troppo. Dopotutto, se sono loro a chiedere,
evidentemente sono pronti a saperlo, e raccontare balle gli potrebbe
far venire
strane idee.”
“Uh.” Rispose Tori, evidentemente poco convinta.
“…a volte mi chiedo che accidenti ci combini
là dietro,
Tori. Ma questi sono discorsi futili, dove eravamo
rimasti…?”
La questione cadde nel vuoto, e non ne parlarono più.
L’arrivo
di Frisk a Snowdin, qualche giorno dopo, aveva
causato un vero e proprio finimondo nel Sottosuolo, ma era riuscita a
diventare
amica di tutti i mostri sorprendentemente in fretta. Il Grande Papyrus
soprattutto
pensava che fosse una personcina davvero in gamba –
considerato il suo amore
per i puzzles e gli spaghetti riscaldati – anche se talvolta
diceva cose
parecchio bizzarre: era anche per questo che preferiva che nessuno
sapesse che
le aveva concesso un appuntamento romantico, chissà che
sarebbe stata capace di
raccontare alla gente quella trottolina imprevedibile. Il giovane
scheletro
stava facendo la sua solita ronda di turno (di fronte a casa sua, dalla
porta
alla cassetta delle lettere) quando Frisk gli piombò di
fronte con la sua felpa
blu penzolante troppo grande di tre taglie e il suo sguardo vispo, e
confermò i
pensieri che stavano correndo per la scatola cranica della guardia
uscendosene
con una domanda parecchio inopportuna:
“Ehy Grande Papyrus! – chiamò
– Mi dici come nascono i
bambini?”
“Questa è una domanda parecchio inopportuna,
umana!” rispose
lo scheletro, appunto.
“Dai! La mamma non ha voluto dirmelo quando glielo avevo
chiesto. Al posto di rispondermi si è messa a fare un
discorso sui nomi propri
più comuni tre le lumache!”
“Insomma umana, mi metti in imbarazzo! Mica sono cose da
chiedere a uno mentre sta lavorando, nye!”
“…ma perché? Sono anni che me lo sto
chiedendo.”
“Perché… perché…
perché non lo so nemmeno io, oh! – Il
grande Papyrus sospirò drammaticamente, ferito
nell’orgoglio per essersi fatto
cogliere in fallo come un mucchio di ossicini in una classe di asilo
nido – Non
ho mai avuto il coraggio di chiederlo a nessuno. Sai che vergogna per
un adulto
come me? E poi a chi dovrei chiederlo, a Sans? Insomma, è il
mio fratellone ma
sai com’è fatto, mi prenderebbe in giro per
settimane!”
La piccola umana si stava grattando il mento, ponderando sul
problema, e subito dopo chiese:
“…quindi dici che possiamo chiederlo a qualcun
altro? Tipo
ad Undyne?”
“Potrebbe andare bene, Undyne di solito è sempre
molto disponibile
quando si tratta di insegnare qualcosa! Chiediglielo tu
però, sei tu la bambina
qui!”
Quando
Undyne andò ad aprire la porta di casa sua, che stava
venendo letteralmente buttata giù a furia di colpi a pugno
chiuso da chi stava
bussando, si trovò davanti il suo migliore amico insieme
alla piccola umana che
era caduta dalla superficie, e che ormai la guerriera non aveva
più cuore di
consegnare in sacrificio a re Asgore. Avevano entrambi uno sguardo
pieno di
aspettativa e, prima che lei potesse invitarli dentro, Frisk
aprì la bocca
sdentata e chiese:
“Undyne ci dici come nascono i bambini?”
La comandante delle Guardie Reali restò impalata sulla porta
a occhi spalancati e a bocca aperta, lasciando scoperte le sue zanne da
piranha
per qualche secondo prima di capacitarsi di quello che era appena
successo. Poi
si trattenne dallo scoppiare a ridere platealmente in faccia al povero
Papyrus
(che sembrava estremamente interessato a saperne di più
sull’argomento a
giudicare dalla sua espressione estasiata) e fece un gesto con la mano,
invitandoli nell’interno piacevolmente riscaldato di casa sua.
“Non sono sicurissima di essere la persona migliore per
risponderti, eh teppista! Ma se vuoi te lo spiego – anzi ve lo spiego.”
Al tavolo, sul quale erano posate una teiera fumante, delle
tazze e una ciotola piena di una strana poltiglia rosata, stava seduta
anche
Alphys, la scienziata reale. Evidentemente le due stavano trascorrendo
il
pomeriggio in compagnia, e la piccola draghetta salutò i due
nuovi arrivati
passando dalla sua solita sfumatura color limone a una molto
più intensa
tonalità di melanzana, per essersi fatta cogliere in un
luogo compromettente.
Undyne fece accomodare Frisk e Papyrus e poi prese posto
anche lei, appoggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita
unghiute di
fronte alla faccia, cercando di atteggiarsi nel modo più
didattico possibile:
“Dunque – iniziò, schiarendosi la voce
– In realtà è
piuttosto semplice: servono un maschio e una femmina. Una volta
all’anno capita
che la femmina produca una certa quantità di uova gelatinose
– una vera
seccatura Frisk, capirai quando sarai più grande, meno male
che capita solo una
volta all’anno… Queste uova dopo un po’
marciscono se non le butti via subito,
ma se sei interessata a metter su famiglia allora le devi dare ad un
maschio,
che come dire… da il suo contributo. Quando le uova sono
fecondate basta
aspettare un paio di mesi, si schiuderanno e… puff! Avrai
tutti i bambini che
vuoi! Potresti farci un piccolo esercito personale se lo desideri! Ngaaaahahahahah!”
Undyne sbatté forte le mani sul tavolo e fece tremare tutta
la stoviglieria, mentre si gongolava nell’ebbrezza
dell’insegnamento. Papyrus
sembrava altrettanto entusiasta ma Frisk pareva non aver capito qualche
passaggio, dato che aveva ripreso a grattarsi il mento per dirimere
tutti i
dubbi che ancora la assillavano.
“Ma non capisco! – asserì contrariata
– Davvero è tutto qui?
Perché la mamma non ha voluto dirmelo se è una
cosa così semplice?”
Alphys, che era rimasta in silenzio durante tutta la spiegazione
con una strana espressione stampata in volto, come di chi sa qualcosa
ma ha
troppo imbarazzo/dispiacere/disagio sociale per dirla, finalmente prese
coraggio e stiracchiò un sorrisetto poco convinto sulle
labbra squamose, e si
apprestò a contraddire la sua adorata ninfa delle acque
paludose.
“Undyne, – sillabò arrossendo
– tu gli hai spiegato come si
riproducono i pesci! Ma gli umani sono dei mammiferi…
è un po’ diverso in
realtà.”
“Oh. – Undyne smise subito di ridere, ma il
commento non
sembrò urtarla – Hai ragione Alph, io gli ho
spiegato solo ciò che riguarda la
mia stretta esperienza! Ma è OVVIO
che sei TU la scienziata, qui!
Perdonatemi ragazzi, nella mia ristrettezza mentale vi ho sviato.
Alphys! Tu
sai così tante cose, spiegacelo tu!”
“EEEEEEEEEEERRRrrrrrrrrrrmmmmmmmmmhhhhhhhhhhhhh…”
La testa della piccola rettile parve sprofondare tra le sue
spalle e tutto il suo stesso corpo parve iniziare un processo di
implosione
verso il pavimento, mentre tre paia di occhi curiosi le prendevano di
mira la
faccia con la stessa intensità di puntatori laser accecanti.
Se Alphys avesse
mai avuto una classifica dei suoi incubi più orribili,
quella situazione
avrebbe superato sicuramente il primo posto con uno stacco triplo di
punteggio
rispetto a tutte le altre posizioni.
“B-b-beh… iniziamo col dire che è
u-u-una materia molto
spe-spe-specifica… ci sono due cellule, che si chiamano
gameti e… e… e… durante
il processo di fe-fe-fecondazione lo spermatozoo entra dentro
l’ovulo, perde la
coda e…e…e… beh l’ovulo deve
essere maturo e nella tuba, se no non se ne fa
niente. Qui-qui-quindi…lo zigote rotola fino
all’utero e inizia a dividersi,
fino a crescere sempre di più e…”
“ALPHYS MI SONO RESO
CONTO DI ESSERE UN GRANDE IDIOTA. PERCHÉ NON RIESCO
PIÚ A COMPRENDERE I MESSAGGI
VERBALI? MI SI È DISATTIVATA LA FUZIONE
'TRADUTTORE-DA-SUONO-A-SENSO' DEL
CERVELLO?!”
“Oooow ma Paps, tu non hai un cervello. –
scherzò Undyne,
dando una energica pacca sulle spalle al suo amico scheletro
– Però davvero
Alph, non ho capito nulla nemmeno io.”
Alphys si strinse nelle spalle, imbarazzatissima, mentre
Frisk sembrava bloccata in uno stato catalettico di corto circuito
mentale, con
la bocca aperta e le palpebre che sbattevano velocemente nel tentativo
di
riportarla alla realtà.
“Mi spiace ragazzi… - si scusò la
scienziata – Evidentemente
nemmeno io sono la persona adatta…sono un disastro in queste
cose.”
Papyrus sospirò, massaggiandosi le tempie per sfiammare i
pensieri e infilandosi un paio di dita anche nei cavi oculari per
ottenere un
effetto più rilassante:
“Sei una grandissima scienziata Alphys, troppo grande
perfino per noi, sei talmente grande che nemmeno riusciamo a capire le
cose che
dici dalla tua vetta di scienza. Dovremo trovare qualcuno
più vicino al nostro
livello. Vero, Frisk? Tu a chi stai pensan…”
Frisk non fece nemmeno finire la frase al suo amico
scheletro: si ridestò dal suo stato confusionale
post-delirio, saltò giù dalla
sedia, lo afferrò per un polso e lo tirò in
direzione della porta,
evidentemente già ben decisa
sull’identità della persona da mettere
all’angolo
e interrogare. Sembrava parecchio seccata per tutta la fatica che stava
facendo
a farsi dare quella risposta per cui sarebbero bastati due minuti di
basico
dialogo, insomma, non riusciva proprio a capire tutta questa
difficoltà.
Papyrus ondeggiò una mano in direzione delle sue due amiche
mentre veniva trascinato fuori dalla porta della casa, con un pessimo
presentimento che gli faceva scuotere le ossa: se Frisk era
così decisa a
chiedere ad una persona, adulta, responsabile, seria e saggia, molto
probabilmente – con suo grande disappunto – questa
persona era…
“Sans!”
Sans lo scheletro, come suo solito, se ne stava a pisolare
nella sua stazione di guardia, testa appoggiata sulle braccia stese
lungo il
bancone e pantofola tattica per far proseguire l’illusione di
essere in camera
da letto anche in mezzo ai nevai. Frisk gli si avvicinò e
con dolcezza iniziò a
punzecchiarlo col ditino su una guancia per farlo svegliare, avendo
constatato
che si trovava tra le braccia di Morfeo dopo che lui aveva ignorato la
sua
prima chiamata.
“Sans mi dici come nascono i bambini?”
Lo scheletro socchiuse le palpebre assonnate e ridacchiò,
probabilmente divertito dal bizzarro risveglio che gli aveva riservato
la sua
amica umana, e prendendosi tutto il suo tempo si stiracchiò
verso l’alto
facendo scricchiolare le scapole. Frisk, accompagnata a due passi da
Papyrus,
lo fissava intensamente cercando di mantenere salda la speranza che
almeno lui
potesse accontentare la sua sete di conoscenza, saltellando di
impazienza.
“Eh. – Disse finalmente Sans, coprendosi la bocca
in uno
sbadiglio – Non so perché, ma avevo
l’impressione che prima o poi saresti
venuta a chiedermelo, ragazzina. Stai proprio diventando grande,
eh?”
Frisk aumentò l’intensità del suo
saltellamento mentre Sans
si alzava dal suo bancone e faceva il giro del casotto, piazzandosi
davanti
alla bimba e a suo fratello.
“Credo che sia ora di raccontarlo anche a te Paps. Ma non
è
il caso di fare qui questo genere di discorso, andiamo da
Grillby’z e mettiamo
i piedi sotto a un bel tavolo al caldo.”
“Sans, – intervenne Papyrus, seccato – ne
stai approfittando
per fare pausa, vero osso-pigro?”
“Naaaah questa mica è pausa, è una
lezione di vita!” Il
piccolo scheletro fece un occhiolino e prese per mano Frisk, prima che
tutti e
tre si dissolvessero in una velocissima frattura spazio-temporale.
“Dunque
ragazzi, dovete sapere che, a una certa età, ad una
persona può venire il desiderio di diventare genitore. Non
importa se è maschio
o femmina, da solo o in compagnia: a volte succede e basta,
è il desiderio di
avere qualcuno da lasciarsi dietro che continui la nostra famiglia, e
di
crescerlo con le nostre forze.”
Frisk pensò di aver finalmente azzeccato la persona giusta:
Sans sembrava essere entrato in uno dei rarissimi momenti in cui era
serio per davvero
–
evidentemente gli piaceva raccontare le storie come si deve, anche se
continuava ad avere quel sorriso compiaciuto stampato in faccia. Anche
Papyrus
sembrava stupito di questo fatto, dato che evidentemente si era
aspettato di essere
bersagliato
di battute irritanti per tutto il tempo.
“…di solito capita quando si è
già
vissuti un bel po’, ma
talvolta qualcuno lo fa anche da giovane. È una faccenda
molto delicata. C’è un
unico modo per creare una nuova vita, e questo modo comporta grandi
sacrifici e
una forte volontà.”
Sans distolse lo sguardo e puntò gli occhi luminosi da
qualche parte verso la sua destra, probabilmente perdendosi in un
ricordo
lontano, e il suo sorriso perenne sembrò farsi malinconico.
“I figli sono una parte di noi, sapete? Letteralmente. Se
vogliamo avere un figlio, dobbiamo rinunciare ad una parte delle nostre
ossa e
ad una fetta della nostra anima, per darla a lui. Più
bambini vogliamo avere,
più dobbiamo rinunciare a noi stessi. È un atto
che solo una persona molto
coraggiosa e con un immenso amore da dare può pensare di
compiere.”
Sans fece spallucce, allargando il suo sorriso.
“Essere nati è un regalo immenso, dovremmo
ricordarci sempre
che siamo molto fortunati e che qualcuno ci ha amato moltissimo. Si
possono
avere un paio di figli… o tre. In ogni caso, quello che
succede è che,
indipendentemente da quanti fratelli si hanno, maturando prendiamo
sempre più
energia dal nostro genitore fino a che questo, quando siamo diventati
abbastanza grandi o lui non ha più ossa e anima per
sé, muore.”
Ci fu un momento di silenzio intensissimo, che nessuno dei
tre ebbe il coraggio di interrompere. Sans sospirò
sonoramente, evidentemente
soffrendo anche lui della gravità che aveva dovuto assumere
per fare quel
discorso.
“…quindi, i bambini noi li facciamo
così, staccandoci le
ossa, in solitaria. Questo, ovviamente, non toglie che anche a noi ogni
tanto piaccia
fare un po’ di s…”
“MA È
TERRIBILEEEEEEEEEEEE!!!”
Papyrus era in lacrime, si teneva la testa tra le mani e
sembrava aver appena incassato il trauma più doloroso della
sua vita.
“È PER QUESTO CHE NON
ABBIAMO LA MAMMA SANS!? È MORTA COSÌ!?”
“È successo quando sei nato tu Papy,
vent’anni fa. Ma è
tutto a posto, è così che funzioniamo noi
scheletri, io ero piccolissimo e non
ricordo bene, ma era sicuramente felicissima.”
Sans si alzò in piedi sulla panca del tavolo della taverna e
si protrasse sul tavolo per dare una pacca sulla spalla del suo
fratellino
disperato, consolandolo come meglio poteva e trattenendosi dal fare
giochi di
parole – dato che sicuramente gliene stavano passando per la
testa di
grandiosi, anzi, di grandiossi.
Frisk sembrava parecchio pallida anche lei, e Sans si voltò
con espressione sorniona e le chiese, ammiccante:
“…e questo per quanto riguarda noialtri scheletri,
ragazzina. Voi mammiferi, invece, se volete figliare dovete per forza
fare
s…”
“No!”
Frisk impose drammaticamente la sua manina in avanti,
facendo un segno di “alt”. La sua espressione
plumbea tradiva una certa
malcelata ansia.
“…se
è così per voi, non voglio sapere
com’è per noi umani.
È spaventoso. Credo che aspetterò di crescere
ancora un po’.”
Sans strizzò gli occhi, ridacchiando soddisfatto.
*Solo dopo aver steso
la trama di questa storia, mi sono effettivamente resa conto che gli
scheletri si riproducono esattamente come gli dei della Morte in Soul
Eater.
*Bene. Benissimo.
*Eh... a volte si affrontano anche certi argomenti con la bimba,
c'è poco da fare.
*Ma è sempre uno spasso.
*Ciao a tutti e al prossimo tassello!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Core. ***
*Sesto tassello.
Core.
...e
all’improvviso sei di
nuovo qui.
I tuoi pensieri tornano tutti insieme riempiendo il vuoto,
veloci come un risucchio e rumorosi come una fanfara, così
disordinati e
sovrapposti tra loro da frastornarti la testa.
Chiudi gli occhi in preda al dolore. Ti stringi le tempie
tra le dita.
Colori, visi, voci, luoghi, cose… ma cosa…?
Respiri. L’aria prima entra, poi esce. Entra. Esce. Nella
tua testa i rumori si abbassano, smettono di martellare contro la
scatola
cranica. Fanno meno male rispetto a prima, rilassi la mente.
Apri gli occhi, e vedi fuoco. Fuoco ovunque. Le ginocchia
fanno male, sei a terra, accasciato sulle rotule, appena visibili oltre
i
pantaloncini anneriti di cenere e braci.
Ma cos’è questo posto… dove sei?
Chi sei…?
Ah, che domanda stupida: certo che lo sai chi sei. Tu sei…
sei… sei il grande Papyrus. Ma certo. Hai dieci anni e adori
collegare con la
matita i puntini della settimana enigmistica. Ma certo.
Appoggi le mani al suolo e le senti ardere: il pavimento
metallico è ustionante e annerito. Confuso, ti guardi
attorno: sollevi gli
occhi verso l’alto e ti accorgi che la sala in fiamme
è talmente alta che non riesci
a scorgerne il soffitto.
Non riesci a raccapezzarti di cosa sia quel posto, non lo
hai mai visto prima. Ceneri volatili si sollevano dal pavimento insieme
al
vento rosso delle fiamme, rendendo poco riconoscibile
l’ambiente: tutto brucia.
All’improvviso non ti importa più nulla di sapere
dove ti
trovi, quando i tuoi occhi incontrano una figuretta distante, di
spalle,
confusa dalle onde dell’aria surriscaldata. Non ti poni
nemmeno il problema di
chi sia, perché lo riconosci subito.
“SANS!”
Urli il suo nome, spaventato, e il crepitio dell’incendio
copre quasi del tutto la tua voce. Sta bene? Perché
è immobile? Cosa sta
guardando?
Sollevandoti su gambe tremanti corri verso tuo fratello, di
fronte a te, ignorando il fatto che alcuni pezzi di parete metallica
stiano
iniziando a crollare, cadendo dall’alto.
È seduto in ginocchio: la sua felpa grigia è
completamente
annerita, sembra quasi non respirare mentre con espressione atona fissa
di
fronte a sé, apparentemente ignaro dell’inferno
che lo circonda, con i suoi
occhi azzurri e luminosissimi accesi come fiaccole. Ah, no, in
realtà solo un
occhio è acceso, il sinistro, mentre l’altro
è nero come la cenere che ricopre
quella parte del volto. Non sai se è normale, se sia sempre
stato così oppure
no, ma ora non importa.
Cerchi di capire che cosa sta fissando, puntando gli occhi
nella direzione in cui sta guardando lui, e di fronte a te trovi un
precipizio;
per un secondo le vertigini ti scuotono, poi ti rendi conto che vi
trovate su
una specie di enorme piattaforma di metallo sospesa, e sotto di vuoi
c’è un
mare di lava ribollente.
“SANS! – lo chiami, e lo scuoti –
SANS!”
La sua espressione non cambia, non sembra nemmeno accorgersi
della tua presenza.
“COSA È SUCCESSO? DOVE SIAMO?”
All’improvviso sembra avere un sussulto, si volta verso di
te, mentre i suoi occhi grandi si riempiono di preoccupazione.
“Paps! Stai bene? Sei ferito?”
Ti afferra per le spalle e senti le sue mani stringerti le
clavicole, mentre fa correre la sua unica pupilla azzurra su tutto il
tuo corpo
per accertarsi che tu stia bene. Ma tu stai bene?
“Non… non lo so, non mi fa male niente.”
“Oh meno male…”
Le sue braccia ti circondano e ti stringe forte, senti le
sue ossa scuotersi, ti rendi conto che trema dalla testa ai piedi:
dalla sua
faccia capisci che è appena successo qualcosa di terribile,
ma non sai che cosa.
In realtà, pensandoci, non hai nessuna idea nemmeno di come
tu sia arrivato in quel posto, o tantomeno di cosa tu abbia mangiato
per
colazione stamattina – dov’eri
stamattina…?
Senti un nodo stringerti la gola sempre più forte mentre
questi pensieri ti riempiono la testa, e l’idea di una
misteriosa catastrofe
incombente ti riempie gli occhi di umida paura. Tuo fratello
è forte, è grande,
lui non si fa spaventare se non per qualcosa di gravissimo, tu non
l’hai mai
visto tremare così, esitare così…
Ti lascia andare e ti guarda ancora negli occhi con quella
sua faccia disperata, sembra star male, digrignando i denti si prende
la testa
fra le mani.
“…sta svanendo…”
Farfuglia.
“…sta scomparendo tutto… io
non… sta scomparendo!”
Tu non sai che fare, vorresti aiutarlo e vorresti capire di che accidenti sta parlando, gli afferri
i polsi e lo costringi a guardarti, intercettando i suoi occhi che ora
sembrano
tentare di aggrapparsi a fantasmi nel vuoto.
“Ma Sans… cosa
sta
scomparendo?”
Lui sembra fare uno sforzo immenso di concentrazione prima
di poterti rispondere, aggrottando le cavità oculari e
stringendosi una tempia
con le dita.
“Gas… Gaster. Lo sto dimenticando Papy, mi sta
scivolando
via…”
“Chi?”
“Gaster, nostro fratello!”
“Ma Sans io ho un solo fratello, e sei tu!”
Sans spalanca gli occhi e tu hai l’orribile impressione di
avergli tirato una coltellata al cuore, con le tue parole. Ma non ci
puoi fare
nulla… non hai idea di cosa tuo fratello stia farfugliando e
vederlo così ti fa
solo stare male. Con tuo sommo sconcerto due sottili rigagnoli di
lacrime
iniziano a scorrergli sulle guance.
“Cosa c’è Sans? Perché
piangi?”
Non ricordi di aver mai visto tuo fratello piangere.
“Sans!”
Balbetta qualcosa, ma non riesce a finire le parole perché i
singhiozzi lo soffocano. Si guarda in giro, si copre gli occhi con le
mani,
digrigna i denti e ti stringe ancora più forte sulla
clavicola, piegandosi in
due. Tu non sai che fare, non ci capisci più niente, il
posto dove vi trovate
sta cadendo in pezzi in preda alle fiamme e il tuo fratellone sta
crollando
ancora più rovinosamente delle mura di metallo.
Ti protendi in avanti, d’istinto, ti appendi al suo collo e
lo stringi forte, mettendoci tutta la tua anima. Non puoi vederlo
piangere
così, perché se continua a soffrire in questo
modo senti che il cuore si
spezzerà anche a te e inizierai a piangere anche tu, e lui
è l’unica persona
della tua famiglia e non esiste che nella famiglia del grande Papyrus
ci sia
qualcuno che stia così male.
Lo senti appoggiarsi sulle tue spalle con tutto il suo peso
e cerchi di consolarlo come meglio puoi, nonostante i suoi singhiozzi
sembrino
solo aumentare di ritmo.
“Sta scomparendo… - continua a farfugliare -
…non me lo
ricordo più, non me lo ricordo più…
è troppo tardi…”
“Dobbiamo uscire di qui Sans, o scompariremo anche
noi!”
Puntellandoti sulle ginocchia cerchi di rialzarti in piedi,
trascinando su con te anche Sans, che sembra aver perso la
volontà di spostarsi
di lì e magari di evitare di finire carbonizzato. Con
qualche sforzo riesci a
sollevarti tenendo il braccio di tuo fratello sopra tue le spalle,
facendogli
da stampella, e facendo lo slalom tra i pezzi di soffitto che cadono
sempre più
numerosi dal soffitto immerso nel fumo, inizi a zoppicare alla ricerca
di una
possibile uscita.
“AIUTO! AIUTATECI, QUI CROLLA TUTTO!”
Qualcuno deve pur essere rimasto, in quell’inferno in
rovina, per aiutare due ragazzini senza memoria, apparsi da nulla.
Apri la porta e riconosci l’appartamento dove vivi, ma
c’è
qualcosa di strano nell’aria.
Ti senti come se stessi tornando da un viaggio durato anni,
e quella che ti accoglie è sì casa tua, ma con
qualcosa di irrimediabilmente
diverso che vibra tra le mura: come se fosse stata abitata da persone
completamente altre da te fino a cinque minuti prima che tu tornassi,
ed entrando
la riempissi di nuovo con la tua memoria, ma, ormai, è
irrimediabilmente
diversa da quando ci avevi vissuto tu.
Con un brivido lungo la spina dorsale chiudi la porta alle
tue spalle e tuo fratello, arrancando dalla stanchezza, si va a buttare
sul
divano a faccia in giù, per poi rimanere immobile in quella
posizione tranne
che per il lento alzarsi e abbassarsi del suo respiro addormentato.
Avete avuto tutti e due una giornata terribile. Strana, e
terribile.
Arrancando con Sans sulle spalle sei stato capace di individuare
una porta, in quella sala infernale, e straordinariamente
l’hai trovata aperta:
fuori, l’immenso corridoio dello strano palazzo metallico in
cui vi trovavate
era deserto, ma c’erano delle luci rosse che lampeggiavano e
una sirena
straziante annunciava a tutti i mostri del circondario che qualcosa di
molto
pericoloso e distruttivo si era appena abbattuto nella stanza con il
lago di
lava.
Distrutto dalla stanchezza sei crollato di nuovo sulle
ginocchia, ma presto qualcuno è arrivato davvero a salvarvi:
un gruppo di
mostri in tuta da lavoro e con dei caschetti di sicurezza ben saldi
sulla
testa.
“C’è stata un’esplosione,
siamo in stato di emergenza! E voi
due da dove sbucate?” aveva chiesto un piccolo roditore dai
denti a punta e la
voce stridula.
“… non lo sappiamo nemmeno
noi…” avevi farfugliato tu in
risposta, e l’operaio facendo spallucce vi aveva accompagnato
in un bar lì
vicino per offrirvi qualcosa di corroborante prima di indagare sulla
vostra
famiglia e rispedirvi a casa sani e salvi.
La cosa più preoccupante, però, è
stata che quando ti ha
chiesto chi erano i tuoi genitori, la tua memoria ha iniziato a non
collaborare
più.
“Chi è vostra madre?” aveva chiesto la
talpa gentile, una
volta che eravate tutti e tre seduti al tavolo in quel piccolo locale
illuminato di luce elettrica.
“È morta. – Avevi risposto tu con
sicurezza – Quando ero
piccolo.”
“Oh… e vostro padre?”
“Noi non abbiamo un padre.” Avevi farfugliato,
confuso. Già,
confuso, perché anche se sapevi benissimo di non aver mai
avuto un padre, c’era
qualcosa di molto strano in tutta quella situazione.
“… ma allora con chi vivete, con uno zio, una
nonna?”
Ecco, quella era stata la domanda che ti aveva mandato in
crisi. Non ricordavi assolutamente nessuno tranne te e Sans. Tu andavi
a
scuola, e anche tuo fratello ci andava – eri andato a scuola
quella mattina…?
Proprio non riuscivi a ricordare – ed era impossibile che voi
due foste
cresciuti da soli. Almeno, eri assolutamente convinto che non fosse
così, dato
che era piuttosto strano che due ragazzini vivessero per conto loro e
sicuramente una cosa del genere te la saresti ricordata.
Eppure…
“…viviamo da soli… credo.”
Speravi che in qualche modo Sans venisse in tuo soccorso,
dicesse qualcosa che ti aiutasse a capire un po’ che diavolo
era successo, ma era
chiuso in uno stranissimo mutismo, così insolito per un tipo
ciarliero come lui:
se ne stava con la testa appoggiata sulle braccia, scoraggiato, e
sembrava
volersi trovare in qualsiasi altro luogo che non fosse lì.
“Se mi dite dove vivete, posso accompagnarvi a casa.
Così
potete farvi una bella dormita. Il Core a partire da questo momento
sarà chiuso
per riparazioni, quindi non andate più a curiosarci dentro!
Anche quando è
completamente operativo, comunque, non è posto per
ragazzini.”
E così, eccovi a casa, nel complesso residenziale delle
Hotland, in un piccolo appartamento vicino ai fiumi di magma.
Prendi una coperta, abbandonata disordinatamente sul
tappeto, e la usi per coprire tuo fratello sul divano, prima di
deciderti a
farti una doccia per levarti di dosso tutta quella fuliggine nera.
La casa è silenziosa, così a luci spente,
riscaldata da una
fioca luce che penetra orizzontale dalle imposte semi abbassate.
Ti sembra terribilmente vuota.
Al frigorifero sono appesi dei disegni, ma non li riconosci:
eppure li hai fatti tu.
Il piccolo bagno è tutto in disordine, e ti pare strano
pensare che sia una cosa normale, perché anche se tuo
fratello è un disordinato
cronico, sei convinto che una casetta così carina debba per
forza avere
qualcuno che la riordini qualche volta. Sono sempre i misteriosi ospiti
immaginari di prima, quelli che hanno vissuto lì dentro
mentre tu non c’eri,
che l’hanno lasciato così.
O forse, loro erano i veri abitanti della casa, e l’estraneo
sei tu.
Sei piombato in questo mondo come un fulmine a ciel sereno e
hai spazzato via loro, occupando la loro vita e cancellando tutto il
resto.
Questa sensazione orribile non viene lavata via dall’acqua
incessante della doccia, ma anzi inizia a scivolarti sulle guance con
essa,
bollente e dolorosa.
La
maestra, a scuola, ti chiede se ti
sei appena trasferito
nei quartiere.
Tutti i tuoi compagni ti guardano incuriositi, e tu senti
tutti i loro occhi magnetizzati su di te come se fossi uno strambo
magnete da
frigorifero. Tu riconosci tutti, riconosci anche la maestra, ma nessuno
sembrerebbe aver mai visto te. Avevi sperato che quella brutta
sensazione che
avevi avuto fin da ieri, dall’incidente nel Core, fosse stata
appunto solo una
tua impressione, e invece nel mondo c’è davvero
qualcosa di sbagliato: ora ti
rendi conto che, in effetti, è come se non fossi mai
esistito.
Come se tutto ciò che
tu sei stato prima dell’incidente fosse stato spazzato via.
“Ma io sono il grande Papyrus, vivo a Hotland da quando sono
nato, avevo tanti amici ed ero pure bravo a scuola… come
avete fatto a
scordarvi di me!?”
È andata a finire che sei scoppiato in lacrime sul tuo banco
– che vergogna – e la maestra ciclope ha passato
mezz’ora a consolarti,
pensando probabilmente che tu fossi solo un po’ strano e
avessi in testa una
grossa confusione. Tu ti sei asciugato le guance, ma la paura e il
dolore non
se ne erano andati via insieme ad esse.
Finalmente a ora di pranzo sei scappato via da lì
–
scappato, perché non sopportavi più di stare in
mezzo a quelle persone –
correndo più veloce che potevi verso casa, verso tuo
fratello, che era l’unica
persona che ancora ti sembrava normale in quelle ore impazzite.
Ora apri la porta di casa e ti affacci all’uscio, cercando
una
figura familiare e rassicurante nell’interno, e trovi Sans in
piedi in mezzo a
un gruppo di scatoloni pieni di oggetti, con una delle sue mille felpe
avvolta
intorno ai fianchi, parecchio indaffarato in qualcosa che in un primo
momento
non ti è molto chiaro.
“Sans! – lo chiami, sentendo il pianto nascerti
ancora nel
petto quando alza gli occhi su di te – Sans! Tu almeno ti
ricordi di me, vero!?
Non sei impazzito pure tu, vero!?”
Vedendoti sull’orlo delle lacrime scavalca con un balzo un
paio di scatole, ti si piazza davanti, piega le ginocchia per
raggiungere il
tuo livello e ti afferra per le spalle, guardandoti negli occhi con un
gran
sorriso.
“Ma certo che mi ricordo del mio fighissimo fratellino! Come
potrei mai dimenticarti?”
E poi ti stringe forte in un abbraccio rassicurante, che ti
fa passare all’istante qualsiasi residuo di tristezza che ti
era rimasta da
quella mattina. Cavolo, tuo fratello è il migliore. A volte
ti chiedi se
diventerai mai alto e forte come lui.
“Cos’è successo Paps? Ti va di
raccontarmelo?”
Gli racconti quello che ti hanno detto i tuoi compagni e la
maestra quella mattina a scuola, e Sans pare raccogliere quelle
informazioni
con una certa flemma, come se già si aspettasse di sentire
una storia del
genere. Pare pensarci un po’ su.
“Oh, cerca di non farci caso. Tanto adesso non ci dovremo
preoccupare più di queste cose.”
Entrate in soggiorno e tu, facendo lo slalom tra gli
scatoloni, ti rendi conto che normalmente Sans non avrebbe avuto il
tempo di
prepararli poiché di solito tornava a casa solo trenta
minuti prima di te, dato
che frequentava le scuole superiori.
“Che stai facendo fratello? Non c’eri quando mi
sono
svegliato. Non sei andato a scuola stamattina?”
“No.”
“Come mai?”
“Perché appena sono arrivato in classe mi
è successa la
stessa cosa che è capitata a te. Così sono
tornato a casa subito.”
Sei andato a frugare in credenza per vedere di trovare
qualcosa di buono da sgranocchiare per pranzo, ma aprendola la trovi
desolatamente vuota. Ti accorgi che anche tutti gli altri scaffali sono
vuoti,
e che ci sono due panini già pronti sul tavolo.
“Perché hai svuotato tutto, Sans?”
“Perché
sto facendo
le valige.”
“…e perché?”
“Perché domani ci trasferiamo, Paps.
“Cosa!?”
Ti giri verso tuo fratello e lo trovi in piedi a piegare
magliette sul divano, ti guarda, fa spallucce e torna al suo lavoro.
“Certo, cambiamo casa.”
“Ma perché!?”
“Beh, l’hai visto anche tu. Qui sono impazziti
tutti quanti,
la lava fa bollire il cervello alle persone, e diventano tutte delle teste calde, eheheh. Meglio che andiamo
a raffreddare un po’ i
pensieri da
qualche altra parte.”
Non sopporti quando fa le sue battutacce nel bel mezzo di un
discorso serio.
“Ma scusa, come farò con la scuola?”
“Ce ne sono altre anche nelle altre città, stai
tranquillo.”
“…e tu?”
“…io… mi sono davvero rotto le scatole
della scuola. Magari
mi troverò qualcos’altro da fare.”
“Sans!”
“Oh dai sai come sono fatto. Sono già
più avanti di tutti i
miei compagni in realtà, e in classe mi annoio e basta.
Potrei mettermi ad
aggiustare frigoriferi.”
“Ma Sans…”
“Papy, sai meglio me che non possiamo stare più
qui.”
Ti si teletrasporta davanti, appoggiandosi al tavolo. In
effetti ha ragione. Anche tu non desideri altro che andartene da quel
posto più
in fretta possibile, lontano da quella gente che dovrebbe sapere chi
sei e da
quella casa vuota, dagli echi di malinconia che rimbombano tra le sue
pareti
come il costante ricordo di qualcosa di perduto per sempre e che hanno
già
cominciato ad infestare i tuoi incubi.
Tuo fratello prende un panino dal tavolo e te lo porge,
sorridendo confortante.
“Non so bene cosa sia successo ieri, sto cercando di
capirlo, ma qualsiasi cosa sia ha sfasato il nostro mondo. Noi non
stiamo bene
qui, dobbiamo ricominciare da capo in un posto dove non ci conosce
nessuno,
lontano il più possibile da Hotland, ed essere felici di
nuovo. Va bene?”
“…e dove andremo?”
“Stavo pensando a Snowdin, vicino alle Rovine. Ti
andrebbe?”
Un pensiero felice ti si gonfia nella testa come un
palloncino colorato cancellando tutto il resto.
“Sì! Che bello! Non ho mai visto la
neve!”
Tuo fratello sorride ancora di più in risposta.
“Oh, lì ce ne sarà quanta ne vorrai. E
faremo un sacco di
pupazzi!”
“Evvai!”
Finalmente una bella notizia! Dopo questo discorso vi sedete
a mangiare tutti e due, parlando di quando sarà bella la
vostra nuova casa e di
quanto sarà lontano tutto quel caldo e quel vapore
fastidioso di Hotland. Ma
come avete fatto a vivere lì fino a quel momento e a non
scappare a gambe
levate anche prima, a solo un ascensore di distanza da quel mostro di
metallo e
fuoco che è il Core? Questi discorsi felici aiutano ad
attenuare lo spavento
che vi siete presi un giorno fa, e anche quel crescente senso di
disagio che vi
attanaglia le ossa ogni secondo di più che passate tra
queste mura.
Piccolo Papyrus, Sans non ha avuto il cuore di dirti che,
con i soldi che avete in casa, non potreste permettervi di vivere in
questo
complesso residenziale carissimo per più di due mesi prima
di finire per
strada. E non ti ha detto nemmeno che forse qualcosa l’ha
capito, di quello che
è successo ieri in quella camera divorata dalle fiamme, ma
sarebbe troppo
orribile da ascoltare e un ragazzino vispo e felice come te di certo
non ha
bisogno di sentire certe cose brutte. Non ti ha detto dei progetti che
ha
trovato tra le carte dello studio, delle domande che ha fatto a
metà degli
abitanti di Hotland e persino al re questa mattina, chiedendogli di me.
Non ti ha più parlato di me.
Forse non l’ha fatto, più che per proteggerti, per
salvare
se stesso dalla disperazione. Ma probabilmente è meglio
così, almeno non sarai
costretto a sentire la mia mancanza.
L’indomani
mattina sei in
partenza insieme a tuo fratello,
con un carrellino di legno pieno di tutte le cose che potete portare
con voi
fino alla vostra nuova città ed il cuore pieno di speranza.
Nessuno vi saluta
mentre ve ne andate, nessuno ricorda il vostro viso: questo posto non
vi appartiene
più.
Trotterellando per la via ti accorgi che qualcosa sfugge
dalla tasca di Sans e svolazza via, senza che lui se ne accorga: con
uno scatto
corri a recuperarlo.
Anche lui sorride; forse non l’hai notato, ma una strana
luce gli brilla negli occhi: non ha nessuna intenzione di abbandonarmi
e sta
già pensando a dove recuperare il materiale per costruire la
macchina che gli
servirà venirmi a salvare. È davvero brillante,
anche se si vergogna così tanto
ad ammetterlo. Ce la farà? ...
Guardi l’oggetto che hai raccolto dal suolo umidiccio,
è uno
dei disegni che hai fatto tu, e che prima stava appeso al frigo della
vecchia
casa: siamo noi tre, anche se per te adesso non ha più
nessun significato.
Lo restituisci a Sans, e lui lo fa sparire in un secondo
nella larga tasca della felpa, ringraziandoti.
So che non sarà facile, ma potete farcela, siete forti.
Fratellini
miei.
*Ciao a tutti, scusate se sono
stata via così tanto, ma ho avuto da fare.
*In ogni caso, eccomi qui con il sesto tassello.
*Spero che vi sia piaciuto, anche se è un po' malinconico.
*Ci si rivede presto!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3418267
|