Kizuna

di Deidara94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forza di volontà ***
Capitolo 2: *** Si torna a casa ***
Capitolo 3: *** È difficile mantenere un segreto ***
Capitolo 4: *** Io ci credo! ***
Capitolo 5: *** Voglio urlarlo al mondo intero ***
Capitolo 6: *** Una parte della mia anima è in questo posto ***
Capitolo 7: *** Quando il destino bussa alla porta ***
Capitolo 8: *** Ciò che è importante ***
Capitolo 9: *** Quanto basta per distruggere tutto ***
Capitolo 10: *** La speranza è l'ultima a morire ***
Capitolo 11: *** In amore serve fiducia ***
Capitolo 12: *** Una nuova avventura ***
Capitolo 13: *** All'improvviso bisogna sopravvivere ***
Capitolo 14: *** Non voglio esserti d'intralcio ***
Capitolo 15: *** Fuori pericolo... o no? ***
Capitolo 16: *** Tu non mi piaci ***
Capitolo 17: *** Nella tela del ragno ***
Capitolo 18: *** Bacio sotto la neve ***
Capitolo 19: *** Famiglia al gran completo ***
Capitolo 20: *** Una giornata al Luna park ***
Capitolo 21: *** Verso un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Forza di volontà ***




« Attento! »
Una macchina arrivò a tutta velocità. Ranmaru si buttò in mezzo alla strada per salvare il suo compagno. Volò e finì sull’asfalto bagnato dalla pioggia, sbattendo violentemente la nuca.
« Ranmaruuuu! » Enjoji non riusciva a credere ai suoi occhi. Corse da Ranmaru e lo chiamò con tutto il fiato che aveva in corpo.
“Ti proteggerò io, Kei.” “Io sono qui. Sarò sempre al tuo fianco.”
« Ranchan, apri gli occhi, ti prego! Ranchan! »
Vedendo il volto del ragazzo rigato dal sangue e il corpo in mezzo a una pozza rossa, le lacrime iniziarono a scorrergli sul viso, mischiandosi alle gocce d’acqua della pioggia. Lo abbracciò con forza, con la speranza che fosse un’illusione. Aveva appena perso la madre… perdere anche l’amore della sua vita gli avrebbe distrutto l’anima.
In preda alla disperazione, chiamò l’ambulanza. Arrivò dopo trenta minuti. Trenta minuti di panico, paura e tristezza. Minuti carichi di dolore e ansia.
L’ospedale, sebbene la corsa pazza sotto la pioggia e il cielo grigio, anch’egli carico di dolore, sembrava non arrivare mai. E poi… giunsero a destinazione dopo quella che era parsa un’eternità. I medici gli dissero di attendere fuori dalla sala operatoria. Seduto da solo su una panchina, le mani congiunte, la testa bassa, gli occhi chiusi. Continuava a ripetere il suo nome come se fosse una formula magica, come se questo potesse bastare a salvarlo.
Decise di telefonare a Yuki, la sorella minore di Ranmaru, per avvisarla dell’accaduto. Glielo doveva, in fondo.
Ci volle un po’ prima che riuscisse ad arrivare. Nel mentre, il tempo sembrava non passare mai. Ogni tanto dava un’occhiata all’orologio, ma la lancetta gli sembrava sempre ferma, immobile.
« Enjoji! »
« Yuki… » Lo sguardo di Enjoji era spento. Una ragazza con lunghi capelli castani e lo sguardo spaventato si presentò davanti a lui, allarmata per la notizia improvvisa e priva di spiegazioni.  « Enjoji, come sta mio fratello? Cos’è successo? »
« Yuki, io… »
Yuki si fece impaziente. Voleva sapere. Anzi…  doveva sapere.
« Mi dispiace! Ranmaru si è lanciato contro di me, mi ha salvato da una macchina che arrivava a tutta velocità e non ho potuto fare niente! » Incurante degli occhiali, si coprì il volto con le mani, disperato. « Come ho potuto permettere che accadesse?! »
Yuki sgranò gli occhi. Si portò le mani davanti al corpo e si morse distrattamente il labbro inferiore.
La luce in sala operatoria divenne verde. Un giovane medico uscì dalla porta e si rivolse ai ragazzi. Enjoji si alzò in piedi, di scatto.
« Abbiamo portato il signor Samejima nella sua stanza. È fuori pericolo, ma- »
« La prego, possiamo vederlo? » Yuki moriva dalla voglia di andare a trovare il fratello.
« È permesso di andare a trovare il paziente solo ai parenti stretti. »
« Ah… » Enjoji si sentì sprofondare sempre di più. Non poteva nemmeno stargli vicino?
« Io sono la sorella. »
« Allora prego. Salga le scale e vada sempre diritto. »
« Perdonami, Enjoji », disse Yuki, voltandosi un’ultima volta.
« Vai tranquilla… »
Si diresse verso le scale a passo svelto, come se fosse inseguita da qualcuno. Dopo qualche attimo, si sentì aprire e chiudere una porta. Poi il silenzio.
« E lei? » Il medico si rivolse a Enjoji, che guardava desideroso le scale.
« Io… »
« È un suo amico o l’ha solo soccorso? »
« … »
« Che succede? », insistette il medico.
« Ecco… » Enjoji non sapeva cosa dire. Era il caso di rivelare il posto che occupava all’interno della vita di Ranmaru a un estraneo? Non era una cosa semplice da fare…
« In ogni caso, se non è un parente stretto, dovrà attendere ancora. Mi dispiace. » Il medico sembrava piuttosto deciso a non lasciarlo passare.
« A-aspetti! Oltre alla sorella, non ha nessuno! Il nonno non può venire fin qui, e il padre è sempre in viaggio! La prego, me lo faccia incontrare! »
« Sarebbe una violazione alle regole. »
« Se ne freghi delle regole e pensi di più al paziente! » Stava iniziando a perdere la pazienza. Possibile che non volesse capire la gravità della cosa?
« Si può sapere chi è lei? »
Alla fine non riuscì più a mantenere la verità. Se rivelarglielo era l’unico modo per poterlo vedere, allora avrebbe fatto questo e altro. In fondo, cosa gliene importava? Faceva comunque parte della sua famiglia, anche se senza legami di sangue. Non sarebbero dovuti esserci problemi che tenessero… « Io sono… Io sono il suo… compagno… »
« Ah… In questo caso non… »
« Dottore! Mi dice che problema c’è se vado anch’io?! Conosco alla perfezione sia lui che sua sorella! Inoltre Ranmaru è in quello stato per causa mia! Non può allungare la mia attesa di vederlo! »
« Aah… » Sospirò. « E va bene, vada. Però questo è un caso eccezionale. »
La speranza si riaccese in Enjoji, che si fiondò subito su per le scale. Girò l’angolo e arrivò fino alla stanza di corsa, ma appena fu dinnanzi alla porta, si bloccò. Attese qualche attimo. Le sue orecchie captavano anche i rumori più impercettibili, le dita prudevano e gli occhi, anche se c’era buio, leggevano chiaramente la targhetta appesa fuori dalla porta, recitando “Ranmaru Samejima”. Si sentivano dei singhiozzi provenire dall’interno. Prese un bel respiro ed entrò. « Ran… »
Ranmaru aveva la testa e il busto fasciati, una maschera d’ossigeno che gli permetteva di respirare e una flebo. Yuki era inginocchiata davanti al letto, posizionato al fianco di una grande e luminosa finestra nonostante la pioggia incessante, con le lacrime che le rigavano il volto. Forse erano lacrime di gioia nel vedere il fratello vivo, o forse erano lacrime di tristezza nel vederlo in quello stato.
Imitando Yuki, Enjoji si avvicinò al letto. Poi gli prese la mano, sussurrando il suo nome.
“Io ti proteggerò!” Queste parole gli rimbombavano in testa. I suoi occhi si fecero più duri. Yuki lo osservava, cercando di trattenersi. Capiva il suo dolore, anche se non era al corrente della loro relazione. Il dottore entrò dalla porta lasciata socchiusa e le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Le fece un sorriso apparentemente rassicurante, ma che celava un’altra verità.
La mano che Enjoji stringeva si liberò e, piano, gli accarezzò la guancia: Ranmaru si era svegliato.
« Ranchan… »
« Fratellone! »
Ranmaru sorrise lievemente. Enjoji appoggiò la sua mano destra su quella del compagno che ancora gli sfiorava la guancia, e gliela baciò dolcemente, mentre Yuki era visibilmente sollevata e piangeva vere lacrime di gioia. « Grazie al cielo stai bene. »
« … » Ranmaru provò a parlare, ma la voce non usciva.
« Non sforzarti, Ran. Riposati. »
Il medico chiamò Yuki. « Signorina Samejima, posso parlarle? »
Yuki si voltò verso di lui. « Certo. »
Il dottore le fece cenno di seguirlo e uscirono dalla stanza. Arrivarono fino a metà andito e salirono al piano superiore. Entrarono in un ufficio: la stanza risplendeva di un bianco candido, con pochi quadri appesi al muro e una sola scrivania munita di computer e vari fogli sparsi. C’era anche un divano posto sotto la finestra che spiccava più degli altri oggetti per via della fodera rossa, e un appendiabiti a fianco a uno scaffale pieno di medicine. Yuki rimase in piedi vicino a una sedia situata davanti alla scrivania. Il medico si sedette dalla parte opposta.
« Di cosa mi deve parlare? »
« Si accomodi, prima. È una questione delicata. »
Yuki si sedette, rigida. L’aria si fece tesa. Faccia a faccia, rimasero in silenzio qualche istante.
« Suo fratello è fuori pericolo, certo, ma c’è un problema. » Yuki si mise sulla difensiva. « Il colpo violento alla nuca gli ha provocato una lesione al nervo che gli ha paralizzato tutta la parte destra del corpo e non è possibile operare con il bisturi. È difficile da accettare, lo so, mi creda, ma c’è appena il 30% di possibilità che riacquisti la mobilità. »
« Cos- » Yuki non riusciva a realizzare quello che il dottore le stava dicendo. Era troppo difficile, forse non stavano parlando la stessa lingua. Attese che continuasse a parlare, per confermare la sua tesi.
« Ho visto un articolo di giornale, tempo fa… Lui è Ranmaru Samejima, il campione di kendo delle superiori, vero? »
« Sì, è lui... »
« Mi dispiace, ma ormai… » Yuki iniziò ad agitarsi. Purtroppo capiva anche troppo bene le sue parole, e anticipò il seguito, traendo da sola le conclusioni.
« Non è possibile… Non ci credo… Non può finire così… »
« Comprendo bene cosa significhi rinunciare a qualcosa a cui si tiene molto, ma io posso fare solo una parte del lavoro. È lui che deve trovare la forza di non mollare. Si ricordi che lui non sa ancora niente. Come potrebbe reagire a questa notizia? Anche se non gliene parlassimo, presto o tardi lo scoprirà, e in quel momento sarà essenziale l’appoggio della famiglia. »
Yuki non riuscì a controbattere. I pensieri erano bloccati. Vide scorrere nella mente solo le immagini di suo fratello mentre lo guardava allenarsi nella palestra di casa con perseveranza fin da piccolo; quando fece amicizia con Enjoji grazie al kendo; quando, con un solo braccio, era riuscito a battere il ragazzo più forte del Kanto del terzo anno delle medie; quando vinse i campionati alle superiori. Scorrevano le immagini, e sul volto del ragazzo si leggevano solo felicità e orgoglio. I suoi occhi castani brillavano. Poi… l’immagine di lui nel letto d’ospedale, immobile, praticamente senza speranza. « …Grazie, dottore. Mi scusi. » Si alzò nel modo più calmo possibile, uscì dalla stanza e chiuse la porta. Appoggiò le spalle al muro e pianse lacrime di dolore, in silenzio, nel buio dell’andito.
 
Passò una settimana da quando Ranmaru fu portato in ospedale, ma Enjoji, dopo quel giorno, non andò mai a trovarlo. Con lui c’era solo Yuki.
« Enjoji non è più venuto? » La ragazza era seduta a fianco al letto. Intanto, Ranmaru guardava fuori dalla finestra, lo sguardo perso nel vuoto. Il cielo era ancora leggermente velato, e un sole timido ogni tanto cercava di uscire allo scoperto e di mostrarsi al mondo. « Posso capire come si deve sentire. Se si dimenticasse di me, sarebbe molto meglio. »
« Non dire così… Ogni giorno ti arrivano dei fiori, no? L’infermiera ha detto che a mandarteli è un ragazzo alto, con i capelli scuri e gli occhiali. »
Ranmaru non rispose. Si limitò a guardare la città dall’alto, seduto nel letto d’ospedale con svariati cuscini dietro la schiena.
Dopo qualche minuto, Yuki lasciò la stanza per andare a fare due passi. Attraversò l’andito del primo piano, scese le scale, e, una volta arrivata nell’andito principale al pianoterra, vide Enjoji che consegnava il solito mazzo di fiori giornaliero all’infermiera per portarli a Ranmaru.
« Enjoji! »
Il ragazzo, sentendosi chiamare, si voltò d’istinto. « … Yuki… »
Yuki ritenne che per poter parlare liberamente fosse necessario cambiare luogo, così si recarono entrambi sul terrazzo dell’ospedale. Era importante, e non poteva lasciarsi sfuggire una simile occasione.
« Di cosa mi dovevi parlare? »
La brezza muoveva i capelli dei ragazzi, con grazia. Il mondo non percepiva i loro problemi, e continuava il suo corso, indifferente.
Yuki andò dritta al sodo, decisa, senza inutili giri di parole. « Mio fratello non vuole più mangiare. Se è ancora in vita è solo grazie alla flebo, e nemmeno la febbre riesce a scendere. Ormai sembra senza vita, da quando ha scoperto che non potrà più muoversi come prima… »
« Che cosa?! » Enjoji sudò freddo. Nessuno si era disturbato di comunicargli una notizia così importante. Che se ne fossero dimenticati? Oppure era perché Enjoji, spinto dai sensi di colpa, aveva cercato di evitare lo sguardo di Ranmaru e, di conseguenza, non aveva potuto condividere gli aggiornamenti sul suo stato?  
« Il suo corpo è semi paralizzato, dovrà rinunciare a tutti i suoi sogni! Mi dispiace chiederti una cosa del genere, ma ormai solo tu puoi fare qualcosa. Ti prego, devi parlargli! Le sue energie vitali, di questo passo, lo abbandoneranno… » Yuki si mise le mani sul viso. Le lacrime scendevano copiose. Era chiaramente distrutta, e non riusciva a darsi pace. Lei come Enjoji.
« Stai tranquilla, Yuki, non piangere. Andrò a parlargli, si risolverà tutto. » Yuki si avvicinò a Enjoji e appoggiò la testa sul suo petto, cercando di trovare conforto. « … Grazie. »
« Ranmaru è il mio migliore amico, lo sai. Farò l’impossibile per fargli riprendere la speranza. » Avvolse, con le sue braccia, il piccolo corpo di Yuki, che ormai aveva giocato la sua ultima carta. « Sappiamo entrambi che non è il tipo di persona che si arrende senza lottare. »
 
Era passato un po’ di tempo da quando Yuki era andata via e aveva parlato con Enjoji. La porta della stanza di Ranmaru si aprì. « Yu- » Il ragazzo si bloccò alla vista di Enjoji.
« Devo parlarti di una cosa. Posso? »
Ranmaru si voltò verso la finestra. « Ti ho già detto che non hai motivo di sentirti responsabile per l’incidente. Non c’entri niente con tutto ciò. »
« L’ho saputo… Ma non devi perdere la speranza. Appena guarirai, torneremo a casa insieme, come abbiamo sempre fatto. »
Nessuna risposta. Aveva usato la parola “guarire”, l’unica cosa certa che non sarebbe mai potuta succedere. Stava forse cercando di prenderlo in giro, alimentando in lui false e inutili speranze?
« Ho bisogno di te, Ran. »
« Cos- … Non prendermi in giro, Enjoji! Come puoi dire di aver ancora bisogno di me adesso che sai anche tu la verità? Come puoi voler ancora vivere insieme a me pur sapendo che non potrò più muovermi da solo?! È inutile pensare in positivo vivendo di stupide illusioni! »
« Mi prenderò cura io di te. Ora è venuto il mio turno di proteggerti. »
Ranmaru era deciso, non voleva essere consolato. Non voleva essere un peso. Voleva solo essere lasciato in pace, in balia del destino che lo attendeva, privo di felicità e di tutti i suoi sogni. « No, grazie! Non voglio rovinare anche la tua vita e il tuo futuro! Anche tu hai i tuoi sogni! »
« Il mio sogno è quello di poter restare al fianco della persona che amo per il resto della mia vita. Non mi importa se non sei più capace di muoverti come prima. Tutto ciò che voglio sei tu, il tuo sorriso, i tuoi sguardi, la tua voce. »
Ranmaru era confuso, e Enjoji non sembrava in vena di scherzi. Non sapeva né cosa dire né cosa pensare. Era solo sul punto di piangere, uno dei pochi modi rimastogli per sfogarsi, ma si trattenne. Cercò di nascondere il volto coprendolo col braccio, nella speranza che Enjoji non riuscisse più a vederlo. Poi, disse l’unica cosa che non aveva intenzione di dire ma che venne presa alla lettera. « … Vattene… »
« … Tornerò ancora a farti visita. » Enjoji si alzò e fece per aprire la porta, quando Ranmaru lo chiamò, chiaramente pentito e desideroso di mettere alla prova le sue parole. « Enjoji… »
Si era alzato. Rimase in piedi grazie all’appoggio del letto, su cui si tenne con tutte le forze. La sua posizione tendeva a essere curva e instabile. Con voce tremante, rivelò tutti i suoi pensieri e le sue preoccupazioni, sfogandosi incurante contro Enjoji. « Osserva bene… Non riesco a muovere né il mio braccio né la mia gamba destri. Non posso camminare, non posso essere indipendente! » Prese un grande respiro e si fece coraggio. « È questo l’uomo di cui vuoi prenderti cura e con cui vuoi passare la vita?! Se ne sei veramente sicuro, se questo è quello che vuoi davvero, ripeti tutto quanto, qui, adesso! »
« ! » Ranmaru perse momentaneamente le forze, rischiando di cadere, ma Enjoji corse verso di lui e lo prese appena in tempo.
Ranmaru si aggrappò a lui e continuò a parlagli con tutta la calma possibile, sperando che Enjoji lo interrompesse e gli dicesse che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi di niente. Alla fine, ciò che desiderava erano davvero le false speranze?
« Non avrei mai voluto farti vedere le condizioni in cui mi trovo… Perché sei venuto, Kei? » Enjoji lo prese in braccio. « Hai perso peso, Ran. » Lo fece sedere sul bordo del letto, e appoggiò la sua mano sul ginocchio paralizzato. « Tu sei sempre tu, Ranmaru, a prescindere da cosa ti sia successo. Sei la stessa persona di cui mi sono innamorato. Non mi rimangio ciò che ho detto solo perché ora sei in difficoltà. Hai capito? » Sorrideva dolcemente, riscaldandolo nonostante il freddo che penetrava da fuori. Il modo in cui Enjoji pronunciò quelle parole diede una scossa al cuore di Ranmaru. Egli si portò una mano alla bocca, come conseguenza alle lacrime che stavano scendendo.
“Sei la stessa persona di cui mi sono innamorato.”
« Sei uno stupido… »
Enjoji gli sorrise nuovamente. « Ran, te lo ripeto: niente è perduto. Devi solo crederci. » Mentre glielo diceva, gli accarezzò i capelli. Le lacrime non accennavano a fermarsi. Anzi, più si comportava dolcemente, più aumentavano. Era emotivamente insicuro, ma quella visita gli regalò un sincero barlume di speranza. « Guarisci presto, va bene? »
 
Da quel giorno furono passate quasi tre settimane da quando Ranmaru era stato ricoverato, ma tra l’Università e il lavoro, Enjoji non aveva avuto molto tempo di andarlo a trovare.
“Va bene così, però”, pensò Ranmaru. “Grazie a lui, ho trovato la forza per fare la terapia di riabilitazione. Vorrei rivederlo dopo che sarò riuscito a reggermi in piedi con le mie gambe. Voglio stare con lui. Niente me lo impedirà.”
« Signor Samejima, per oggi è meglio smettere. »
« No, non va… ancora bene. Mi scusi, ma… vorrei continuare ancora un po’… da solo. » Un’infermiera stava assistendo Ranmaru nella sala apposita alla riabilitazione. Egli era passato alla fase successiva della terapia e, grazie a due sbarre posizionate perpendicolarmente e fermate in modo sicuro al pavimento, doveva riuscire a percorrere tutta la strada tenendosi ad esse. Stava provando e riprovando da ore, fino a quando si fece notte e lui rimase da solo.
Il tempo per le visite era finito, ma Enjoji, entrando di nascosto, riuscì ad arrivare al primo piano dell’edificio alla ricerca della camera di Ranmaru. Camminando per gli anditi bui e vuoti, vide della luce uscire dalla sala di riabilitazione e, incuriosito, andò a vedere.
Un Ranmaru stanco e affaticato, che stava facendo pratica cercando di camminare lungo un percorso, gli si presentò davanti agli occhi.
SBAM!
La cartella di scuola gli cadde dalla mano per la sorpresa. Non avrebbe mai immaginato un simile scenario. Ranmaru si girò velocemente verso di lui. « Ranmaru, cosa stai…? »
« Enjoji… Cosa ci fai qui a quest’ora? »
« Come sarebbe? Sono venuto a trovarti. Ma tu- »
Ranmaru lo interruppe. « Vienimi di fronte. » Era stanco, ma ancora deciso a farcela.
« Eh? » Enjoji non capiva cosa avesse in mente.
« Dai, muoviti! Voglio raggiungerti. » Nel suo sguardo c’era la sicurezza che Enjoji aveva sempre conosciuto e che aveva sempre amato.
Iniziò a fare qualche passo verso di lui, ma la stanchezza non gli permetteva di dare il meglio di sé. Enjoji era preoccupato ma decise di fidarsi, così iniziò ad incoraggiarlo.
Dopo una decina di passi, alcuni incerti, altri decisi, Ranmaru ce la fece. Il corpo gli faceva male, sì, ma ce la fece. Arrivò tra le braccia di Enjoji, che lo accolsero con gioia. Scivolarono piano e si sedettero sul pavimento. Ranmaru stava ancora fra le braccia del suo amato, stanco ma felice. Sembrava un’eternità che non provava quella sensazione. « Vedrai… vedrai che ci riuscirò! Il traguardo è vicino. Potrai aspettare? »
Enjoji era felicissimo, e lo abbracciò con forza. Ancora non gli sembrava vero. « Non devi neanche chiederlo! »

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Capitolo 2
*** Si torna a casa ***


Passò ancora del tempo e, finalmente, Ranmaru riusciva a stare in piedi da solo, anche se con ancora un po’ di fatica e titubanza. I movimenti erano rigidi e impacciati, ma almeno non era completamente immobile e riusciva a essere più autonomo. Doveva solo continuare ad applicarsi per cercare di migliorare ulteriormente la situazione. Poteva solo andare avanti. Nient’altro.
Enjoji stava davanti a lui. Ranmaru si alzò dalla sedia a rotelle e, anche se lentamente, camminò verso di lui. Allungò le braccia per afferrare quel sogno sfuggevole che credeva ormai perso; per afferrare la propria felicità e il proprio cuore che aveva consegnato all’uomo della sua vita.
Yuki era commossa nel vedere che il fratello stava bene e aveva ripreso a vivere. Li osservava mentre Enjoji lo sollevava da terra e lo abbracciava, ridendo.
« Ormai è fatta, Kei! »
« Sei stato bravissimo, Ran! Hai visto che non era impossibile? »
I due si fissarono negli occhi e, incuranti della presenza di Yuki, si avvicinarono lentamente, posando le proprie labbra su quelle dell’altro.
Yuki arrossì, portandosi una mano davanti alla bocca. Era l’ultima cosa a cui avrebbe pensato, però, poi, vedendo le loro espressioni felici, non poté che sorridere dolcemente e gioire per loro.
« Ah, Yuki… » I due si resero conto troppo tardi dell’errore commesso, ma lei non sembrava turbata da quella scena, e lo dimostrò regalandogli un altro sorriso e la sua parola. « Non preoccupatevi, non è successo nulla. Non dirò niente a nessuno, nemmeno al nonno. »
« Ti ringrazio. » Sapevano che non mentiva.
« Fratellone, non hai voglia di tornare a casa? Dai, andiamo. Il nonno e la signora Miyo saranno felicissimi di rivederti. » Yuki sprizzava allegria da tutti i pori, e, avvicinandogli la sedia a rotelle, lo invitò ad accomodarsi, almeno fin quando sarebbero rimasti all’interno dell’ospedale. In fondo, la terapia di riabilitazione non era ancora del tutto conclusa, ed era meglio non esagerare troppo.
« Yuki, scusa, ma pensavo di riportarlo a casa nostra. Ci penserò io a lui, non preoccuparti. »
« Kei, io… non voglio essere un peso. Penso che dovremmo andare a casa del nonno, almeno per un po’… »
Enjoji lo guardò senza capire. Pensava che quel discorso fosse acqua passata, che fosse riuscito a spiegargli chiaramente che non sarebbe stato in nessun modo un peso… « Ma perché? »
« Enjoji, sono d’accordo con mio fratello. »
« Almeno non sarai costretto a badare a me in ogni momento perché ci sarà anche la signora Miyo. Davvero, Kei… non ti meriti questo. »
Enjoji si avvicinò a lui e gli appoggiò le mani sulle spalle. « Cosa stai dicendo? Ti ho già spiegato come la penso. Non devi metterti tutti questi problemi. Io non ti lascio. »
Lo sguardo di Ranmaru era esitante e insicuro, e non riusciva a guardare Enjoji negli occhi. « Lo so, ma… ti prego. Solo per qualche giorno. Almeno finché non sarò più naturale e autonomo nei movimenti… Tu hai anche l’università e il lavoro. Non puoi assentarti… e anch’io devo tornare. »
Enjoji sospirò. Non aveva scelta, doveva accettare le condizioni. « Non avere fretta. Va bene, mi hai convinto. Hai ragione tu. »
« Andiamo? »
« Sì. » Enjoji si mise dietro Ranmaru e diresse la sedia. Uscirono tutti e tre dalla stanza e, in quel momento, il medico che si era occupato di lui per tutto il tempo gli venne incontro e gli tese la mano. « Finalmente si torna a casa, eh? Auguri. »
« Grazie di tutto, dottore. »
Enjoji si limitò a sorridergli e se ne andò con Ranmaru, dopo avergli fatto capire tutta la sua riconoscenza con uno sguardo.
Yuki rimase indietro.
« Suo fratello è davvero in gamba, mi ha sorpreso. Gli resti sempre vicino, mi raccomando. »
« Certamente. La ringrazio di cuore per tutto quello che ha fatto per lui. »
« Dovere. » Si strinsero la mano. La ragazza seguì i due, che la stavano aspettando vicino alle scale. Fecero passare la sedia nella discesa apposita e la riconsegnarono a un medico che passava di là, vicino all’ingresso.
« Ho parcheggiato la macchina qui vicino. Tieniti a me se non ce la fai, d’accordo? »
« Sì. » Ranmaru si avvicinò a Enjoji e camminò al suo fianco. In quel momento si sentiva completamente al sicuro. Inoltre, era meraviglioso poter respirare di nuovo l’aria fresca, camminare per strada e non sentire più l’odore nauseante e opprimente che caratterizza tutti gli ospedali. Una volta usciti, si avviarono verso l’auto di Enjoji, che aveva parcheggiato vicino a una fontana nel centro del parcheggio, circondata da un’immensa fila di altre auto di svariati colori che facevano da contorno e che brillavano fiere alla luce del sole.
A un certo punto, videro una persona che camminava verso di loro: l’ultima persona che avrebbero mai pensato di vedere; la prima persona che avrebbero voluto incontrare. « Pa- papà? Quando… » Yuki non credeva ai suoi occhi: Takashi Todo era una persona che viaggiava spesso all’estero a causa del suo lavoro e, per questo, aveva affidato i suoi figli al suocero. La moglie morì per colpa di una malattia e di lui non si seppero più notizie, fino a quando il nonno non consegnò a Ranmaru le lettere che egli inviava ai propri figli e che aveva tenuto nascoste. Aveva lo sguardo dolce e calmo che lo aveva sempre caratterizzato e che era rimasto sempre impresso nella memoria dei due fratelli, ma non assomigliava molto a loro, poiché entrambi, esteticamente, avevano preso dalla madre. 
« Sono tornato ieri sera. Ho saputo che hai avuto un brutto incidente. Mi dispiace di non esserci stato nel momento del bisogno, Ranmaru. » Era rimasto assente a lungo, ed era veramente dispiaciuto di non poter essere stato d’aiuto in un momento critico della vita di suo figlio. Sapeva di aver sbagliato, ma Ranmaru non ce l’aveva affatto con lui. « Non preoccuparti, papà. Sono felice di rivederti. » Si avvicinò e lo abbracciò calorosamente. Dopodiché, Takashi si rivolse a Enjoji, che osservava la scena dall’esterno, anch’egli contento di averlo potuto rivedere. « Enjoji, posso guidare io? »
« Sì, non c’è problema. »
« Tu resta vicino a Ranmaru. »
Enjoji gli consegnò le chiavi della macchina e si avviarono verso di essa, lontana solo pochi metri.
« Coraggio, entrate. »
Enjoji e Ranmaru si sedettero nei sedili posteriori, mentre Yuki si sedette in quello anteriore, di fianco al padre.
Takashi mise in moto e uscì dal parcheggio, percorrendo a ritroso quasi tutta la strada compiuta dall’ambulanza quando ebbe portato Ranmaru in salvo. Ma poiché a quell’ora le strade di Tokyo erano affollate, aveva come l’impressione che ci sarebbe voluto più tempo del previsto, prima di riuscire a liberarsi dal traffico e camminare senza ostacoli.
« Di questo passo ci vorrà un sacco di tempo per arrivare… »
« Papà, ma tu come sei arrivato? »
« Mi ha accompagnato un mio collega. Anche lui doveva venire qua. Il nonno ha detto che Enjoji aveva preso la macchina, così ne ho approfittato. Volevo assolutamente vedere come stavi. »
« Grazie. » Ranmaru abbassò lo sguardo e assunse un’espressione imbarazzata.
« Ran, stai bene? »
« Mi sento solo un po’ stanco, non è niente di serio. »
Enjoji gli toccò la fronte. « Riposati. Sei un po’ caldo. »
Ci fu un momento di silenzio, poi Ranmaru parlò di nuovo. « Mi dispiace avervi fatto preoccupare così tanto… » Si sentiva in colpa. Vedeva solo persone in pena per lui, ma che, anche a costo di fare sacrifici, gli stavano sempre vicino e lo incoraggiavano. Sicuramente anche i bambini della palestra di casa di cui a volte si occupava erano in pensiero e sentivano la sua mancanza.
« Ran, seriamente… Smettila di preoccuparti così tanto per gli altri. Adesso sei tu quello bisognoso di attenzioni, e se siamo qui è perché ti vogliamo bene. Non sei in alcun modo un peso. » Il tono di Enjoji era rassicurante. Ranmaru si appoggiò alla sua spalla e chiuse lentamente gli occhi.
Per tutto il viaggio Ranmaru dormì, mentre i tre si divertirono a parlare. Le occasioni per stare insieme non erano state molte, per cui Enjoji e Takashi colsero l’occasione anche per approfondire i propri legami e per spaziare con diversi argomenti.

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Capitolo 3
*** È difficile mantenere un segreto ***


Come Takashi aveva predetto, avevano impiegato molto più tempo del necessario per arrivare a casa. La macchina era stata parcheggiata con cura in giardino all’ombra di un grande albero. Il giardino era ben curato e molto grande – del resto come tutta la casa – e, proseguendo lungo il muretto di confine, a sinistra, si poteva arrivare alla palestra che aveva segnato le origini di Ranmaru.
« Ran, svegliati. Siamo arrivati. »
« Mmh… » Ranmaru faticò ad aprire gli occhi.
« Buongiorno, principessa Ranmaru. Come abbiamo dormito sulla spalla del sottoscritto? »
« C’è di meglio… »
« Ehi, così mi ferisci… » Mentre i due reggevano con poche battute il gioco, Yuki scese dalla macchina e aprì lo sportello ai ragazzi.
« Grazie, Yuki. »
« Ben arrivati, signori. » La voce di una signora di mezza età si rivolse a loro: era Miyo, la domestica di casa che lavorava per il signor Samejima da prima che Ranmaru e Yuki venissero al mondo.
« Buongiorno, signora Miyo. Come sta? »
« Ora che ho visto che il signorino Ranmaru sta bene, molto meglio. » Teneva tra le mani un fazzoletto e ogni tanto si asciugava gli occhi, commossa. Considerava i due ragazzi come suoi figli, e gli voleva davvero tanto bene.
« La ringrazio. A proposito, non c’è il nonno? »
« In questo momento il signor Samejima è in palestra con il signor Kurebayashi. Ha momentaneamente preso il posto in sua assenza. Prego, entrate. » La signora Miyo fece strada verso la porta di casa, per poi spostarsi al lato per farli passare. Ranmaru si tenne a Enjoji per salire i pochi scalini che lo separavano dall’uscio.
« C’è qualcosa che posso fare per voi? »
Ranmaru prese al volo l’occasione offertagli. « Sì, grazie. Potrebbe preparare la vasca e un cambio di vestiti, per favore? Prima di cena mi piacerebbe fare un bagno. »
« Certamente. Preparo un cambio anche per lei, signor Enjoji? »
« Va bene, grazie. »
La signora Miyo si mise quasi a correre per riuscire a preparare l’occorrente in fretta. Ranmaru, invece, allontanò Enjoji da sé.
« Va bene così, Kei. Ora voglio provare a camminare un po’ da solo. »
« Sei sicuro? »
« Ci saranno momenti in cui tu non ci sarai. »
« Però ti resto vicino, potresti rischiare di farti male. »
Il padre di Ranmaru intervenne. « Dove state andando? »
« Andiamo in camera. »
« I letti non sono ancora pronti, però », li avvisò.
« Non importa, non andiamo a dormire. »
Quando i due ragazzi si allontanarono percorrendo un lungo andito, il padre si mise a osservare quanto Enjoji prestasse attenzione alla salute del figlio, ed era contento che si fosse trovato un compagno tanto premuroso.
Egli non aveva pregiudizi di alcun tipo. Per merito di ciò, una volta Ranmaru gli aveva parlato del suo segreto quando erano andati a pranzo insieme dopo essersi ritrovati dopo tanto tempo.
Miyo, che era appena uscita dal bagno, si rivolse ai due ragazzi che, nel mentre, passavano lì davanti. « Quando volete, potete andare. Ho messo i vostri yukata sul mobile del bagno. »
« Grazie infinite. » Ranmaru le sorrise.
« Vado a preparare la cena. Più tardi verrò a sistemare i vostri futon. Dormite nella stessa stanza, giusto? »
« Sì. Grazie per la sua disponibilità. »
« Si figuri. Per me è un piacere e allo stesso tempo un dovere. »
I due voltarono l’angolo a destra ed entrarono in camera da letto. La porta del bagno si trovava poco prima di girare, nella parete di fronte.
La signora Miyo fece un cenno con la mano a Takashi e a Yuki, che la stavano ancora attendendo sulla porta, e li raggiunse. Poi si rivolse a Yuki con il tono di chi la sa lunga. « Li unisce un legame molto profondo. Penso sia qualcosa che vada oltre la semplice amicizia. Voi che dite? »
« Forse… » Yuki aveva paura che avesse capito tutto. Cercò di fare finta di niente, ma Miyo lo intuì.
« Guardi che l’ho capito da tempo. Volevo solo una conferma. » Ridacchiò divertita.
« Ah… ecco… » Yuki era in difficoltà. Non sapeva se avesse il diritto di rivelare una cosa tanto importante. Inoltre, era presente anche il padre. Lui cosa avrebbe detto per una cosa del genere?
« Oramai mi sembra evidente. »
« Papà, anche tu… »
« Stai tranquilla. La signora Miyo ha visto sia te che Ranmaru nascere e diventare grandi, e conosce Enjoji praticamente da sempre. Capisco che tu stia cercando di proteggerli, ma posso assicurarti che non tradirebbe mai la loro fiducia rivelando tutto al nonno. O mi sbaglio? » Takashi la guardò con un sorriso, che ricambiò con un occhiolino. « Non preoccupatevi di niente. »
« E tu quando… » Yuki stava iniziando a non capire più nulla. Perché tutte queste persone sapevano? Perché l’unica rimasta all’oscuro di tutto era lei? Come aveva fatto a non accorgersene? Era tutto così ovvio, ora che lo sapeva… Gli sguardi, il modo di parlare, il modo di chiamarsi, il comportamento che assumevano quando stavano vicini e il senso di protezione che avevano l’uno nei confronti dell’altro erano palesi.
« Io? A me l’ha detto Ranmaru tempo fa. » Takashi si mise a ridere non appena vide la faccia incredula di Yuki.
La signora Miyo si accorse improvvisamente dell’ora, e fece per andare verso la cucina dopo un lieve inchino. « Vado a preparare la cena. Con permesso. »
« Aspetti, la aiuto anch’io! » Yuki seguì la domestica, superando la porta d’ingresso a metà andito e proseguendo dritta verso la sua destra, per poi finire nella sala da pranzo dalla quale avrebbero raggiunto la cucina. Takashi, invece, uscì in giardino e andò in palestra per informare il nonno che Ranmaru era tornato a casa.
 
Intanto, in camera da letto, Ranmaru si godeva il suo ritorno. « Che meraviglia… Non posso credere di essere finalmente tornato a casa dopo tanto tempo! » Ranmaru era euforico e allo stesso tempo nostalgico. Un desiderio era diventato realtà: niente più dottori, niente più letti d’ospedale, niente più flebo o sale di riabilitazione. Solo casa sua.
Enjoji lo abbracciò da dietro, avvolgendolo con le sue calde braccia. « Sono felice che tu sia qui. Grazie per non esserti arreso. »
« Enjoji… » Ranmaru arrossì leggermente. « È stato solo grazie a te. » Appoggiò le sue mani su quelle del compagno che ancora lo stringevano e girò il viso verso di lui, baciandolo dolcemente. Piano piano si voltò completamente, e si tenne a Enjoji appoggiando le mani sulle sue spalle, poi si diedero qualche altro bacio. « Forse… faremmo meglio ad andare… »
« Mmmh… ok. Hai bisogno di aiuto, vero? »
Ranmaru diventò completamente rosso.
« Beh? Cos’è questa faccia? » Enjoji era divertito dall’improvviso imbarazzo di Ranmaru.
« Sì, ma... »
« Niente “ma”. Andiamo, dai! »
Uscirono dalla stanza, la stessa dove i genitori di Ranmaru stettero durante il loro periodo da sposini, ed entrarono nel bagno di fronte.
Enjoji si tolse la maglietta e la lasciò cadere per terra. Poi, vedendo che Ranmaru non si muoveva dall’imbarazzo, si avvicinò a lui e lo baciò. « Mi spieghi qual è il problema? Nemmeno fosse la prima volta che ti vedo nudo… »
Ranmaru sentì un brivido corrergli lungo la schiena al suono di quelle parole. « Smettila di dire cose imbarazzanti a voce alta, stupido! » Mentre si lamentava, gli diede un colpo in testa.
Facendo finta di essere arrabbiato – quando, invece, era solo terribilmente imbarazzato – si tolse in fretta in vestiti e fece per entrare nella vasca, ma aveva difficoltà a muovere la gamba sinistra per scavalcarla. Così si sedette sul bordo e la mosse lentamente dandosi una spinta con le braccia. Gli arti gli facevano un po’ male. Nell’ultimo periodo aveva fatto molti progressi partendo da un corpo parzialmente immobilizzato, per cui era abbastanza normale provare un po’ di dolore.
Entrò in acqua e si adagiò con le spalle appoggiate alla parte destra della vasca e sospirò, completamente rilassato dal tepore dell’acqua.
Enjoji si sedette nel bordo della vasca, contemplando l’espressione beata di Ranmaru.
« Ci voleva proprio… »
« Hai visto? Smettila di fare sempre il testardo. »
Ranmaru aprì un occhio per guardarlo in faccia, ma non disse niente.
« Dai, ti aiuto a lavarti i capelli. Raddrizzati un po’. »
Enjoji prese la pistola della doccia e gli bagnò la testa. Poi si versò un po’ di shampoo nella mano e iniziò a massaggiargli la cute. Poiché fece molta schiuma, gli consigliò di chiudere bene gli occhi. « Riesci a darmi completamente le spalle? »
« Aspetta. Ci provo. » Ranmaru si tenne sul fondo della vasca e fece pressione sul braccio sinistro per riuscire a voltarsi e piegare bene le lunghe gambe. Quindi, portò la testa all’indietro, facilitando il risciacquo. I capelli di Ranmaru, né lunghi né corti, erano di un bel castano brillante, e si adagiavano sulla sua pelle come fossero seta. Le ciglia lunghe e l’espressione serena gli davano un senso di delicatezza e rara bellezza. Enjoji lo guardava assorto, pensando che fosse la cosa più bella del mondo.
« Domani hai lezione? »
Enjoji, distratto, inizialmente non riuscì a trovare un collegamento tra i suoi pensieri e la frase del compagno. Dopo qualche secondo, tuttavia, capì che si stava riferendo all’Università, e non al suo aspetto. Ranmaru si mise in una posizione più dritta e si sciacquò gli occhi; poi si pettinò con le mani i capelli fradici e si portò indietro il ciuffo. Enjoji prese la spugna e ci mise sopra un po’ di bagnoschiuma, quindi la passò delicatamente sulla sua schiena.
« Sì, ma non tutto il giorno. Tornerò per l’ora di pranzo. »
« E non vai al club? »
« Preferisco tornare a casa presto e vederti. » Gli risciacquò la schiena dal sapone, facendolo scivolare nell’acqua ormai piena di bollicine e schiuma.
« È questo che intendevo quando ho detto che venire qui avrebbe agevolato i tuoi impegni. »
« Se mi assento una volta non succede niente. Domani è anche il mio giorno libero. Inoltre, per una settimana le scuole resteranno chiuse. È festa, ricordi? Quando ricapiterà di avere tutto questo tempo libero? » Ranmaru rimase in silenzio. « E poi, se permetti, preferisco stare col mio ragazzo che andare al club. »
« Scemo… » Sorrisero entrambi.
Enjoji bagnò la spugna nell’acqua e gliela porse. « Al resto ci pensi tu? »
« Sì. Grazie. »
Enjoji lo aiutò ad alzarsi e a farlo uscire dalla vasca, in modo da potersi sedere sullo sgabello lì a fianco. Dopodiché entrò anche lui nella vasca e si bagnò la testa, mentre Ranmaru incominciò a insaponarsi il corpo. « Vuoi che ti insaponi la schiena anche io? »
« Che proposta allettante… » Enjoji lo guardò malizioso, ma Ranmaru sembrò non apprezzare.
« Va bene, va bene, scusa! Non ti arrabbiare. » Enjoji aveva capito lo stato d’animo di Ranmaru solo da un suo silenzio, perciò decise che era meglio non continuare.
Quando Ranmaru cercò di avvicinare lo sgabello, perse momentaneamente le forze.
« Ranmaru…! » Enjoji scattò quasi in piedi.
Non rispose. « Dai, lascia stare. Non preoccuparti. »
« Scordatelo! Se non riesco a fare nemmeno una cosa del genere, come posso sperare di andare avanti?! » Ranmaru era deciso e ribolliva di orgoglio, mentre la sua voce non tradiva il suo sguardo.
« Sì, ma senza farti male… »
« Dai, girati anche tu. Non c’è bisogno che ti preoccupi sempre così tanto. Ormai posso solo andare avanti. »
« Mi fido. »
Ranmaru si risciacquò velocemente – la schiuma e l’acqua scivolavano nel filtro sul pavimento – e poi passò alla schiena di Enjoji che, intanto, si stava lavando i capelli; poi avvisò Ranmaru di stare attento agli schizzi di sapone. Tornò indietro con la testa e lo lavò via. Ranmaru, incondizionatamente, sentì il bisogno improvviso di stargli il più vicino possibile. Fece passare le sue braccia sotto quelle di Enjoji e lo strinse, appoggiando la testa sulla sua spalla. « Che hai? »
« Niente… Voglio stare così per un po’. »
Enjoji chiuse gli occhi, ma la calma di quel momento fu portata via dalla voce della signora Miyo. « Ragazzi, siete entrambi in bagno? La cena è pronta. »
I due rabbrividirono. Si guardarono terrorizzati, come per chiedersi in che guaio si furono cacciati. « Ah… Gra- grazie… »
Si sentirono i suoi passi che si allontanavano. « Oddio! Facciamo in fretta! » Entrarono nel panico più totale. Ci avevano impiegato troppo tempo? Non avevano idea che la signora Miyo sapesse. Enjoji finì di lavarsi in fretta e furia, mentre Ranmaru cercava di alzarsi e di prendere due asciugamani dal mobile vicino alla porta.
« Chissà cosa avrà pensato… », si chiese Enjoji.
« Cosa vuoi che abbia pensato?! Anche uno scemo lo intuirebbe! » Ranmaru era quello più disperato. Il ragazzo che la sua domestica aveva sempre conosciuto stava col suo migliore amico… Sarà rimasta delusa? O si sarà arrabbiata? E se invece fosse andato a chiamarli il nonno, allora cosa sarebbe successo?
« Però posso semplicemente averti aiutato, date le circostanze… E in effetti è così. »
« Diciamo che è in tutti e due i modi… »
Enjoji si fermò e si mise a riflettere un istante. « Ran, perché non usciamo allo scoperto? »
Ranmaru sgranò gli occhi. « Sei pazzo?! Se il nonno lo venisse a sapere…! »
« La mia era solo un’idea… »
« Anche se ci siamo baciati davanti a Yuki, anche se mio padre lo sa e anche se sei una persona di casa, il nonno non lo accetterà mai, lo so. »
« A questo punto anche la tua domestica lo sa… »
Ranmaru fece finta di non aver sentito, limitandosi a indossare lo yukata pulito e profumato lasciato con cura sul mobile.
« E se ci comportassimo da normale coppia almeno quando il nonno non c’è? » Enjoji era seriamente intenzionato a voler uscire allo scoperto, e cercava in tutti i modi di convincere Ranmaru.
« Non sono convinto che sia una buona idea… »
Enjoji sospirò, deluso. « Allora muoviamoci. Ci penseremo poi. »

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Capitolo 4
*** Io ci credo! ***


Dopo essersi vestiti entrambi, si asciugarono i capelli. Quindi uscirono e andarono nella sala da pranzo, facendo lo stesso tragitto percorso da Yuki e dalla signora Miyo per arrivare in cucina.
Yuki e il padre erano già seduti ai loro posti, così i due li imitarono. Rimaneva un posto libero, escluso quello della signora Miyo.
« E il nonno? Da quando siamo tornati non sono ancora riuscito a incontrarlo. »
Il padre rispose alla domanda del figlio. « Ha avuto molto da fare, però starà sicuramente arrivando. Di solito è molto pignolo per quanto riguarda la puntualità a tavola. »
Infatti, appena Takashi finì di parlare, si sentì la sua voce provenire dall’andito. « Ranmaru! Come stai? »
Ranmaru si girò nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce, e un anziano signore leggermente incurvato dall’età, con i capelli e la barba molto lunghi e canuti, si presentò nella stanza, felice di vedere che il suo caro nipote stesse bene.
« Nonno… Che bello rivederti. » Ranmaru gli sorrise dolcemente, mentre Yuki lo invitava a sedersi al suo posto.
« Mi dispiace di non essere tornato prima », si scusò il signor Samejima.
« Non preoccuparti. Non ci siamo da molto », rispose la nipote. Il signor Samejima accordò a sedersi, e si sistemò nel lato vuoto del tavolo a fianco al posto della signora Miyo, che stava ultimando i preparativi, dando le spalle alla cucina. « Ti sei ripreso completamente? »
Ranmaru scosse la testa, desolato. « Non del tutto… Ho ancora problemi a muovermi, ma… »
« Non si preoccupi, nonnino! Tempo qualche giorno e il nostro Ranmaru si muoverà meglio di prima! » Enjoji aveva parlato con una tale sicurezza che probabilmente faticava anche lui a realizzare. O almeno… questo è quello che avevano pensato tutti i presenti.
Ranmaru lo guardò a bocca aperta: non si sarebbe mai aspettato di sentigli dire quelle parole. Cioè… sapeva che Enjoji era convinto che Ranmaru un giorno avrebbe ripreso un minimo di controllo del corpo, ma non credeva che avrebbe detto quelle precise parole di fronte a tutti. « Enjoji, cosa… »
« O sbaglio? Eh, Ranchan? » Enjoji lo guardava gentile ma serio. Lui ci credeva davvero, non l’aveva detto solo per fare scena. Alla fine, Ranmaru non poté fare altro che affidare tutte le sue speranze in quelle coraggiose parole. Voleva crederci. Perché, se non lo faceva lui per primo, chi doveva farlo?
Il nonno appoggiò i gomiti sul tavolo e avvicinò il mento alle dita congiunte, serio. « Non è una frase che può essere pronunciata con così tanta semplicità. Lo sai, questo, vero? Però, se lo dici con così tanta sicurezza, non posso fare altro che crederti, Kei, ma se non dovesse essere come dici tu, preparati a pagarne le conseguenze. »
I due fecero una sorta di sfida che caricò Enjoji fino alle stelle.
I presenti, notando una certa tensione nell’aria, furono addirittura terrorizzati dal loro discorso. Enjoji non si tirava mai indietro quando sul campo la posta era alta. Non era un segreto. Inoltre, aveva piena fiducia in Ranmaru, e sapeva che se fossero rimasti uniti, sarebbe andato tutto per il meglio, sfida o non sfida.
La signora Miyo apparve dalla cucina e appoggiò sul tavolo le pietanze appena preparate, e invitò tutti a rimandare il discorso a più tardi. Dopodiché, si sedette al tavolo anche lei.
Ranmaru prese in mano le bacchette, ma faticava a muoverle e a trattenere il cibo. Enjoji gli offrì il suo aiuto ma rifiutò: era giusto che si arrangiasse da solo.
Era calato il silenzio. Si sentiva solo il rumore delle bocche che mangiavano e delle bacchette che a volte si scontravano con ciotole e piatti. Ogni tanto qualche commento o qualche bisbiglio al vicino, ma nessun discorso lungo o complicato. Tutti stavano mentalmente pianificando ciò che avrebbero fatto dopo essere andati via da quella casa: Yuki sarebbe tornata a casa sua dal marito e dal figlio, che aveva lasciato dopo la notizia improvvisa dell’incidente del fratello; Takashi, come sempre, avrebbe continuato il suo lavoro in giro per il mondo; il signor Samejima stava pensando a un modo per convincere Ranmaru a diventare un maestro di kendo a tutti gli effetti, e non solo un aiutante; Enjoji e Ranmaru, invece, stavano pensando a come superare il solito problema col massimo dei voti.
Il primo a finire la cena fu il nonno che, stanco dalle giornate di lavoro troppo eccessive per la sua età, salutò tutti e se ne andò a letto.
Quando anche gli altri ebbero finito di mangiare, Enjoji e Takashi aiutarono la signora Miyo a sparecchiare e a lavare i piatti, mentre Yuki tenne compagnia al fratello. « Che cos’hai deciso? » Yuki fece la domanda a bruciapelo.
Ranmaru la osservò dall’altro capo del tavolo, perplesso. « A che proposito? »
« Non so… All’Università, alla palestra… Il nonno cercherà in tutti i modi di convincerti a ereditarla o a prendere il suo posto di insegnante, ne sono sicura. »
« Lo so anch’io. A quello avevo già pensato quando ero in ospedale. »
Yuki attese che il fratello continuasse a parlare. Forse aveva sbagliato a chiedergli una cosa del genere. Poteva non essere ancora pronto ad affrontare la realtà.
« Per quanto allettante sia l’offerta, non penso che accetterò… »
Anche se Yuki si aspettava una risposta del genere, non poté fare a meno di mostrare la sua delusione e il suo desiderio che Ranmaru proseguisse con il kendo, anche se il suo sogno di diventare il miglior spadaccino del Giappone non poteva più essere coronato. « Ma Enjoji ha… »
« Per quanto Kei possa essere sicuro di sé, non c’è modo di farmi tornare esattamente come un tempo. Sarò sempre lento di riflessi, non c’è niente da fare. In ogni caso, sono felice della fiducia che ripone in me. » In quelle parole c’era una lieve nota di biasimo nei propri confronti. Non riusciva a capacitarsi dell’idea che il suo più grande sogno fosse andato perduto per una cosa tanto stupida e per la sua incapacità di trovare la forza di reagire, però… se non avesse fatto così, Enjoji sarebbe morto. Era arrivato a un bivio e aveva scelto la strada da percorrere. Non tutto era andato perduto, in fondo. Aveva salvato una vita e, insieme a essa, il suo amore. Aveva fatto la cosa giusta, non aveva agito in maniera egoistica. Se avesse potuto tornare indietro nel tempo e rivivere quel momento, per quanto doloroso, avrebbe fatto la stessa scelta. Inoltre, sapeva che anche Enjoji, se si fosse trovato in quella situazione, avrebbe fatto lo stesso per lui.
Yuki sapeva a cosa stava pensando il fratello. Si alzò dal suo posto, si inginocchiò davanti a lui e lo abbracciò comprensiva per incoraggiarlo. Ranmaru, che non si aspettava niente del genere, scelse di non parlare, e ricambiò il gesto con affetto.
Yuki era orgogliosa di avere un fratello come Ranmaru, e si vedeva da come lo guardava, gli parlava e, soprattutto, da come ne parlava. Non era la sola ad avere una stima profonda per lui: anche quando era entrato alle medie, tutti lo riconoscevano alla prima occhiata. Essendo stato un campione di kendo fin dalle elementari, la sua fama lo aveva reso famoso abbastanza in fretta. Inoltre, il suo volto era inconfondibile: capelli e occhi castani, un viso con lineamenti femminili ma dallo sguardo freddo, deciso e imperscrutabile, capace di non farsi sottomettere nemmeno dai ragazzi più grandi; capace di non farsi spaventare nemmeno dalla differenza numerica. Dopo averlo visto, provavano tutti una tale paura e, allo stesso tempo, ammirazione da averlo soprannominato “il demone bianco”, soprannome appartenuto precedentemente alla defunta madre e acclamatissima ex campionessa di kendo femminile.
L’unica persona che aveva avuto il coraggio di parlargli e di instaurare un rapporto con lui è stato proprio Enjoji, il primo giorno di scuola delle medie. All’inizio, a causa della schiettezza di Enjoji e della poca pazienza di Ranmaru, litigavano spesso, ma l’animo deciso e testardo di Enjoji vinse, facendolo diventare prima il suo migliore amico e infine il suo compagno.
Il carattere freddo e solitario di Ranmaru col tempo cambiò: conservò un temperamento deciso e orgoglioso, ma allo stesso tempo gentile e aperto con tutti.
Ora, tutti coloro che fanno personalmente la sua conoscenza provano solo una grande stima, e sono onorati di poter parlare con una persona tanto famosa e in gamba. Comunque, la rivalità che alcuni provano verso di lui non è affatto sparita: qualcuno che lo provoca e vorrebbe la sua più completa disfatta c’è ancora.
Enjoji apparse dalla cucina. Alla vista dell’abbraccio dei due fratelli, si fece scappare un sorriso. « Ranchan, andiamo? »
Ranmaru e Yuki si lasciarono e lui si alzò in piedi. « Sì. Buonanotte, Yuki. »
« Sogni d’oro, fratellone. »
Quando Ranmaru ed Enjoji si avviarono verso l’uscita della stanza, la signora Miyo si affacciò dalla cucina. « Ragazzi, sto arrivando per sistemarvi i futon. Datemi qualche minuto. »
Enjoji alzò una mano e la mosse leggermente. « Non si disturbi, ci pensiamo noi. »
« Va bene, allora. Li trovate nell’armadio grande. Buonanotte a tutti e due. »
« Sì, grazie. Buonanotte. » I due uscirono dalla stanza e andarono nella camera da letto.
Enjoji aprì l’armadio in fondo alla stanza e tirò fuori due futon, quindi li appoggiò per terra uno a fianco all’altro e li preparò. Ranmaru si sedette sul pavimento appoggiando le spalle al muro e si mise ad osservare Enjoji mentre era impegnato. Finì poco dopo. « Finito! Puoi venire a sederti qui, se vuoi. »
Ranmaru annuì. Si alzò aiutandosi col muro, poi si sedette sulle coperte. Enjoji fece la stessa cosa, dopodiché si rivolse nuovamente al compagno. « Vuoi fare un po’ di allenamento? »
Ranmaru lo guardò. « Adesso? »
« Sei stanco? »
« Un po’, ma non è tardi per te? »
Enjoji si stiracchiò portando le braccia in alto, unite dalle dita intrecciate e, tornando leggermente indietro con la schiena, sbadigliò. « Non preoccuparti, domani mi alzerò in orario. »
Ranmaru lo guardò scettico. « Ci credo poco… Va be’, nel caso ti sveglio io. » Cedette a uno sbadiglio contagiato da Enjoji.
« Eh eh! Mi salvi sempre! » Enjoji prese cauto il braccio destro di Ranmaru, gli arrotolò la manica fino alla spalla e iniziò a massaggiarglielo. Gli fece fare qualche esercizio, accompagnandolo inizialmente nei movimenti come riscaldamento. Poi gli mostrò quello che doveva fare muovendo il proprio arto, in modo che lo imitasse autonomamente. I movimenti erano lenti, pesanti e difficili, e ogni tanto accusava dolore, ma non voleva fare una brutta figura né deludere Enjoji. Se era questo che doveva fare, allora l’avrebbe fatto. Non era molto diverso da quello che faceva in ospedale con l’infermiera, in fondo.
Poiché era faticoso tenere il braccio sollevato e muoverlo in continuazione, passarono alla gamba: era ancora più difficile muoverla, ed era essenziale una grandissima concentrazione per sollevarla. Sentiva ogni singolo muscolo contratto dallo sforzo, fino a che si piegò in avanti e la abbracciò, nel tentativo di sentire meno dolore.
Enjoji gli accarezzò i capelli, la testa sul ginocchio della gamba dolorante. Era veramente orgoglioso di lui. Il suo ottimismo, al contrario di Ranmaru, gli diceva che era questione di giorni. Mancava poco, lo sentiva. Probabilmente Ranmaru non se ne accorgeva perché auspicava a una cosa quasi immediata, ma Enjoji vedeva chiaramente i progressi. « Basta così, Ran. Sei stato bravissimo. »
Ranmaru ormai faticava a stare sveglio e ansimava leggermente. Gli era costato tutte le energie rimastegli.
« Hai bisogno di bere? »
« No, no… Sto bene. » Poiché il dolore si era attenuato, alzò lentamente la testa e raddrizzò la schiena, liberando la gamba dalla presa troppo affettuosa.
« Allora adesso dormi. » Gli diede un bacio sulla fronte e lo aiutò a coricarsi. I capelli giacevano leggeri sul morbido cuscino.
« Hai messo la sveglia per domani? »
« Lo faccio adesso. Devo anche uscire presto per andare un attimo a casa per prendere dei cambi per entrambi e la cartella. Stai tranquillo. » aggiunse in fretta, per evitare di sentire la frase che arrivò comunque poco dopo.
« C’è poco da stare tranquilli con te, quando si tratta di svegliarsi presto. » Lo disse in tono scherzoso, ma era la pura verità. Non è che Enjoji fosse un inguaribile ritardatario, è solo che preferiva stare al calduccio sotto le coperte e in compagnia del suo ragazzo.
« Mmmh… Allora cosa vuoi fare? » Enjoji aveva voglia di provocarlo, ma fu tradito dal suo sguardo malizioso che fece capire tutte le sue intenzioni. Ranmaru fece finta di non aver sentito, così lo salutò dandogli le spalle e girandosi verso il muro.
« Sei crudele, Ran! »

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Capitolo 5
*** Voglio urlarlo al mondo intero ***


La mattina seguente arrivò troppo presto e, com’era prevedibile, Enjoji non sentì la sveglia che suonava ostinata. Ranmaru si rigirò nel letto e bofonchiò il nome del compagno. « Mmn… Kei… »
Niente da fare: Enjoji era ancora nel mondo dei sogni.
Ranmaru si sporse con fatica dal suo futon e spense infastidito la sveglia. Successivamente cercò di destare Enjoji, scotendolo con un braccio. Finalmente aprì gli occhi.
« Era ora… Hai visto che avevo ragione? » Ranmaru cercò di rimettersi sotto le coperte, ma si era complicato il lavoro quando aveva cercato di arrivare fino alla sveglia. Enjoji si sedette e lo aiutò, rimboccandogli poi le coperte.
« Scusami, ho svegliato anche te... Rimettiti a dormire, non faccio rumore. »
Si alzò ed entrò in bagno a lavarsi. Si sentì prima il debole scrosciare dell’acqua e poi il rumore del phon. Tornò il silenzio quando Enjoji tornò in camera per cambiarsi. Cercò i suoi vestiti nella semioscurità. Il giorno prima la signora Miyo si era gentilmente offerta di lavarglieli, e li trovò piegati con cura dentro un cassetto dell’armadio in basso a sinistra. Si impegnò per fare il meno rumore possibile. Non accese nemmeno la luce: quella che riusciva a penetrare dalla finestra era sufficiente.
Ranmaru, dal canto suo, non impiegò molto tempo per riaddormentarsi, quindi non badò più di tanto a quei lievi rumori. Era davvero stanco, e il letto era un vero toccasana. Anche se in ospedale faceva qualche esercizio giornaliero, non era abituato a viaggiare, camminare o anche stare solo seduto a tavola. Doveva riprendere contatto con il mondo.
Poco prima di uscire di casa, dopo aver fatto colazione con gli altri, Enjoji si avvicinò a Ranmaru e lo baciò sulla guancia, sussurrandogli all’orecchio di star uscendo.
 
Passarono le ore e, arrivata da poco l’ora di pranzo, Enjoji tornò all’abitazione. Parcheggiò la macchina in giardino e andò in sala da pranzo, convinto di trovare anche Ranmaru… ma così non fu. Stavano tutti aspettando il ritorno di Enjoji per iniziare a mangiare, ma del ragazzo neanche l’ombra. La signora Miyo gli disse che era ancora a letto e Takashi aggiunse che preferivano lasciarlo dormire, per quella volta. Enjoji disse loro di iniziare a mangiare senza di lui e si affrettò a raggiungere la camera da letto. La stanza era leggermente più illuminata rispetto a qualche ora prima, ma la luce faticava comunque ad entrare. Trovò il compagno tale e quale a come quando l’aveva lasciato: posizione fetale verso il futon di Enjoji, mani davanti al viso, espressione rilassata. In pratica, una bellissima visione per i suoi occhi.
Affascinato, si inginocchiò e si avvicinò al suo orecchio. Sottovoce, lo chiamò. « Ranchan… »
Ranmaru contrasse leggermente le sopracciglia. « Mmh… »
Enjoji si raddrizzò, alzando un poco la voce per svegliarlo. « Hai intenzione di dormire per tutto il giorno o intendi anche alzarti? »
Ranmaru stava continuando a sognare, e pronunciò parole biascicate e a stento comprensibili. « Non sei… ancora pronto…? »
Enjoji inarcò un sopracciglio. « Cosa stai dicendo? »
« … Arriverai tardi, muoviti… » Si girò dall’altra parte e si coprì meglio con le coperte. Il suono del suo respiro fu coperto dalle parole di Enjoji, deciso a svegliarlo. « Io sono uscito e anche tornato. Meno male che ero io il dormiglione… »
Ranmaru si decise ad aprire gli occhi. Si guardò intorno con aria stordita, poi notò il viso della persona vicino a lui. « Kei…? »
« Buongiorno. » Enjoji si alzò in piedi e guardò il ragazzo dall’alto.
« Che ore… sono…? »
« Quasi le due del pomeriggio. Di là stanno già mangiando. »
Qualche attimo di silenzio, poi Ranmaru si sedette di scatto, urlando incredulo. Provò anche ad alzarsi ma, esattamente come ogni mattina appena sveglio, si presentava il solito problema: faticava parecchio a muovere gli arti intorpiditi. Una gamba cedette, ma fu sorretto da Enjoji, che divenne improvvisamente serio. « Non agitarti così, ti fa male. »
« Scherzi? Si può sapere perché nessuno mi ha svegliato? Non sono malato. »
« Ieri ti sei stancato davvero tanto. Hanno deciso di concederti il meritato riposo. »
Ranmaru allontanò Enjoji con una mano; si tenne la testa con l’altra. « Ahia… »
« Lo vedi? Datti una calmata. »
« È per via dell’orario, non ci sono abituato. Piuttosto, sei tornato da molto? »
Il sorriso tornò sulle sue labbra, e anche il tono cambiò. « Affatto. Sono appena arrivato. Hai fame, Ranchan? »
Ranmaru camminò un po’ zoppicante verso la porta, tendendo un braccio per potersi tenere prima alla maniglia e poi al muro. Enjoji lo seguì con lo sguardo. « Non molta, però vengo lo stesso. Vado a lavarmi il viso. »
« Come stai? »
« Al solito. Se mi tengo al muro, bene o male ce la faccio. Tu inizia pure ad andare, ti raggiungo. »  Faticava a camminare più del giorno prima, ma voleva evitare di far pesare ciò a Enjoji più del dovuto. Doveva essere stanco anche lui, anche se non lo dava a vedere. La loro testardaggine e la loro pazienza erano ammirevoli. « No, ti aspetto qui. Torna in fretta. Almeno un po’ di esercizio lo devi fare, altrimenti va a finire che ti sarai impegnato per niente. »
Ranmaru annuì e tornò pochi minuti dopo. Enjoji lo guardò in colpa. « Mi dispiace ossessionarti così tanto. »
Ranmaru gli rispose mentre chiudeva la porta. « Lo fai per me. » Si sedette sul futon e tirò su la manica dello yukata, lasciando il braccio scoperto.
« Capisco che non sia facile… » Enjoji prese inizialmente a massaggiargli l’arto, invitandolo successivamente a seguire i suoi movimenti e a ripeterli varie volte, come avevano fatto la sera prima. Dopodiché fece la stessa cosa con la gamba: gliela massaggiò e poi gli mostrò i movimenti da fare. Continuarono a fare esercizi alternando tra braccio e gamba per una decina di minuti, ma Ranmaru si era appena svegliato, e non era in gran forma. Accusò dolore quasi subito. « Fa male… »
« Cerca di resistere. »
Ranmaru strizzò gli occhi e strinse i denti, concentrato sul dolore. Nel vedere quell’espressione, Enjoji non riuscì a controllarsi. Gli si avvicinò lentamente e lo fece stendere, quindi lo baciò. Lo baciò molte volte: sulle labbra, sul collo, sul petto…
« Kei…? È giorno, cosa stai face- »
Enjoji gli posò l’indice sulle labbra. « Sssh… Non parlare. Non riesco a resistere. Le espressioni che fai mi eccitano. »
« Sei scemo?! » Ranmaru, inizialmente arrabbiato e imbarazzato, si sciolse in poco tempo, e avvolse il collo del compagno con le sue braccia. Infine, chiuse gli occhi e ricambiò i baci.
La mano calda di Enjoji entrò dentro il suo yukata e gli accarezzò la pelle. Riempì il suo collo di piccoli e dolci baci, arrivando prima al petto e poi alla pancia. Le sue labbra gli regalavano dolci brividi pieni di piacere.
La mano scivolò in basso. Ranmaru gemette e si tenne stretto a lui. Si aggrappò alle lenzuola nel momento in cui Enjoji lo penetrò. I sospiri di Ranmaru risuonavano nella stanza. Faceva male, ma la gioia di poter stare insieme superava qualsiasi dolore, trasformandosi in piacere.
Enjoji ricoprì Ranmaru di baci e carezze. Il modo in cui si guardavano era dolce, pieno di passione e amore. Sembrava una vita che non stavano insieme in questo modo. Si erano sentiti lontani e irraggiungibili fino a quel momento: in ospedale non si vedevano quasi mai, e, ovviamente, non potevano superare qualche abbraccio o carezza, giustificati agli occhi di persone estranee solo come un gesto di conforto senza amore. Anche i baci erano rari per tanti motivi, ma adesso, finalmente, stava ricominciando a vivere, ed era felice.
Enjoji osservò il volto ora sereno di Ranmaru, e gli diede un piccolo bacio sulla fronte. « Come ti senti? »
Ranmaru, preso alla sprovvista, dall’imbarazzo si coprì il viso con un braccio e cercò di allontanare Enjoji con l’altro. « Non chiedere, stupido! »
Enjoji, dopo anni, non aveva ancora imparato a tenere la bocca chiusa su queste cose. Cercò di rimediare, ma Ranmaru era irremovibile, così congiunse le mani.  « No, dai, stavo scherzando! Ti chiedo scusa! Fatti vedere, Ranchan! »
« Scordatelo! »
A un certo punto, si sentì bussare alla porta. « Ragazzi, non venite a mangiare? »
Ranmaru ed Enjoji impallidirono, e, questa volta, persero anche qualche anno di vita dallo spavento. Ogni volta la signora Miyo li cercava nei momenti meno propizi.
I ragazzi erano pietrificati: la maniglia della porta si stava abbassando e non sapevano cosa fare. In quel momento non c’era scusa che tenesse, però…
« N-no! Non entri, non entri! Stiamo arrivando! »
Tacque un momento, poi rispose. « …Va bene. Però venite, ho cercato di tenervelo al caldo. » Sembrava stesse ridendo.
« Sì, grazie! » Sì alzarono e sistemarono tutto nel modo più veloce e perfetto possibile per far sì che non capisse o intuisse cosa avessero fatto, anche se il solo averle detto di non entrare con il panico nella voce equivaleva a una palese confessione.
« Ok, questa volta è ufficiale… Siamo stati beccati, senza scuse! Con che faccia ci presentiamo a lei, adesso? » Ranmaru era entrato in paranoia e torturava il suo cuscino. Al contrario, a Enjoji non sembrava importare più di tanto. Ormai era fatta, era inutile disperarsi. « Non vedo il problema… Se ha capito che stiamo insieme, mi sembra una cosa abbastanza normale tra due adulti. Ci presentiamo con la solita faccia, niente di più facile ». Ma Ranmaru non sembrava intenzionato a voler accettare la cosa. « Enjoji, lo capisci che non c’è niente di normale?! »
Enjoji gli scoccò uno sguardo terribilmente serio. « Secondo quali criteri, scusa? Perché, secondo i miei gusti, questa è la normalità. Gli altri possono pensare o dire quello che vogliono, ma il fatto che sia innamorato di te, Ran, non cambia. Mettiti il cuore in pace, avanti… »
« Ma… »
Enjoji gli prese dalle mani il povero cuscino e lo posizionò all’estremità del suo futon con riguardo. « Basta con i tuoi “ma”! In fondo, non stavamo già pensando di rivelare tutto? »
« Ma non in questo modo! »
« Tanto ormai è fatta. Vedrai che non sarà cambiato niente. Andiamo a tavola, su! » Enjoji gli prese il braccio e lo costrinse ad alzarsi. L’espressione di Ranmaru era triste, e gli occhi erano rivolti verso il basso. Enjoji sospirò. Gli appoggiò una mano sulla guancia per cercare di farsi guardare in faccia. Era ancora serio, e metteva a disagio Ranmaru. « E se non lo accettasse, cosa faresti? »
Ranmaru distolse nuovamente lo sguardo, incerto.
« Mi lasceresti? »
Ranmaru lo guardò offeso e gli rispose senza esitazione. « Certo che no! Cosa ti viene in mente? »
Enjoji si illuminò di allegria e si incamminò verso l’uscio con uno stupido sorriso stampato in faccia. « Allora abbiamo risolto il problema. »
« No, che non abbiamo risolto! Fermati, Enjoji! Lasciami! »
« Noo~ » Sorrideva. Ranmaru non capiva da dove arrivasse tutto questo buonumore.
Rassegnato, non fece più resistenza e camminò con lui.
Arrivarono in sala da pranzo in un paio di minuti. Ranmaru era scuro in faccia, a disagio. « Buongiorno. Scusate il ritardo… »
Lo accolsero tutti di buonumore e sorridenti. Sembrava che la domestica non avesse rivelato niente a nessuno, e si comportavano  tutti come se niente fosse successo.
« Buongiorno, ben svegliato. Sedetevi pure. »
Durante il pranzo dei due ragazzi, rimasero tutti a chiacchierare allegramente sebbene avessero già finito il pasto. Forse Ranmaru si preoccupava davvero troppo. Poi, notando come la signora Miyo si rivolgeva a loro col suo solito tono gentile, si rasserenò. Capì che lui ed Enjoji erano circondati da persone che non avevano alcun pregiudizio, che per tutti erano semplicemente “Ranmaru e Kei”, e che potevano vivere la loro vita come una normale coppia di innamorati.
Un passo importante era stato fatto. Ora non dovevano fare altro che riuscire a conservare quei momenti e quei sentimenti e… riuscire a trovare le parole e il momento giusto per dirlo al nonno. Era la parte più difficile e delicata, ma prima o poi andava fatto. Non potevano continuare a mentirgli.
Nel momento in cui finirono di mangiare, Enjoji andò a guardare la televisione al buio nel salotto, unito alla sala da pranzo solo per mezzo di un brevissimo andito lungo due o tre passi e privo di porta. Mosso da un sentimento al momento per lui inspiegabile, Ranmaru, nel momento in cui sentì le voci provenire dalla televisione, si alzò verso il compagno seduto su un cuscino per terra e lo abbracciò alle spalle… involontariamente sotto gli occhi di tutti, anche se non sembrava essersene accorto.
Enjoji si sorprese per quel gesto. « Ran? »
« Hai ragione. »
« Su cosa? »
Ranmaru lo teneva forte a sé. La sua voce era bassa e profonda, ma perfettamente udibile. Tutti smisero di parlare e ascoltarono in silenzio. Le parole che provenivano dalla televisione erano ormai solo deboli e impercettibili suoni, del tutto prive di significato e interesse.
« Non me ne importa più niente di ciò che pensano gli altri. Sono stanco di avere mille pensieri e preoccupazioni quando, in realtà, sono l’uomo più fortunato del mondo ad aver trovato un compagno come te col quale poter trascorrere la mia vita. Non voglio rovinare tutto per la paura di non essere accettati. Perdonami… »
« Finalmente l’hai detto. » Enjoji non credeva alle sue orecchie: era felice di aver udito quelle parole e aveva sperato tanto perché Ranmaru si accorgesse della grande verità che aveva appena detto. Si voltò verso di lui e posò una mano sui suoi capelli castani: si baciarono. Da quel momento, la loro storia ricominciò… più bella e solida di prima.
A Yuki brillavano gli occhi e non riuscì a trattenersi dal commentare, cosa che colse i due di sorpresa, facendoli tornare alla realtà. « Che belle parole! Siete proprio carini, voi due! »
Un brivido scese lungo la schiena di Ranmaru. Aveva davvero pronunciato quelle parole? Si era davvero baciato con Enjoji davanti a tutti? Voleva sotterrarsi dall’imbarazzo, si sentiva il volto in fiamme. Non aveva il coraggio di guardare in faccia il nonno, che vedeva solo in parte perché coperto dalla parete del salotto. Ma anche Takashi si mostrò completamente concorde a quelle parole. « È così che si parla, figliolo. »
« Ha ragione il signor Takashi. Non fatevi demoralizzare dalle parole delle persone che non capiscono quanto sia meraviglioso avere una storia tanto bella. » La signora Miyo, mentre diceva questa frase, guardò severa il signor Samejima, che non sapeva cosa dire ed era rimasto inerte dallo shock.
« No- nonno… »
Non disse niente. Si alzò dal suo posto e, dando loro le spalle, se ne andò.
« Ci penso io, non preoccupatevi. So come prenderlo in queste situazioni. »
« Grazie, papà. Scusi il disturbo. » Enjoji sorrise fiducioso.
« “Scusi il disturbo” per cosa? » Rise. « Non preoccuparti, Enjoji. Tu e Ranmaru siete al sicuro. Miyo, può prepararci una tazza di tè, per cortesia? »
« Certamente, arriva. »
Takashi andò a cercare il suocero. Lo vide seduto sullo scalino che dava nel giardino, nell’andito esterno della casa, e così fece lo stesso anche lui. Aspettò qualche minuto prima di parlargli. « Non vorrà cacciare di casa o tenere il broncio a quei due per una cosa del genere, vero, papà¹? »
« … Certo che no. Però non mi sarei mai aspettato una cosa del genere. Perché non me l’hanno mai detto? »
« Perché avevano paura che non li avrebbe accettati. Hanno fatto i difficili anche con me e Yuki, e sono ancora titubanti nei confronti della signora Miyo. »
« In effetti, non è una cosa semplice… »
« Ma spero che lei li voglia accettare per quello che sono. Ranmaru è un ragazzo molto dolce e, per certi versi, fragile, e il fatto che abbia trovato una persona che si prenda cura di lui come fa Enjoji è la cosa migliore che poteva capitargli. »
Miyo arrivò con due tazze di tè e un po’ di yokan. « Prego, signori. »
« Grazie. »
Takashi e Miyo si scambiarono un’eloquente occhiata veloce, poi lei tornò dentro casa, lasciandoli nuovamente soli.
Il signor Samejima riprese il discorso come se non fosse mai stato interrotto. « Lo so quanto quei due si vogliano bene, non devi dirmelo tu. Si capisce subito da come si guardano e prestano attenzione l’uno all’altro. Solo dovrò farci l’abitudine… e rinunciare al tanto desiderato nipotino… »
« E il piccolo Takumi non lo considera? »
« Sì, hai ragione. A proposito, di’ a Yuki di portarlo a casa, la prossima volta. »
« Volentieri. »

Nota¹: in Giappone, il cognato chiama “papà” il suocero e “mamma” la suocera.

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Capitolo 6
*** Una parte della mia anima è in questo posto ***


Mentre i due continuavano a chiacchierare, Ranmaru pensava a come comportarsi col nonno una volta trovatosi dinnanzi a lui.
« Fratellone, non crucciarti… Non hai appena detto che non te ne importa niente di come la pensano gli altri? »
« Certo, ma con il nonno è diverso! Insomma, speravo di farglielo sapere in un altro modo… »
« Io spero solo che non si crei una frattura tra lui e te. Poi, non è importante come l’abbia scoperto. Prima o poi doveva succedere. »
Yuki aveva acceso la luce del salotto e si era seduta nel divano assieme al fratello, lasciando Enjoji seduto sul suo cuscino. « Secondo me l’ha scoperto in un modo interessante. La tua era dichiarazione, in fin dei conti. È stato il momento migliore, credimi, fratellone. »
Ranmaru non sapeva cosa dire. Desiderava solo che il nonno accettasse la sua relazione. Niente di più. « … Mi fido di papà. Se ha detto di non preoccuparci, allora non lo farò. »
« Bravo, così! » Enjoji si alzò e spense l’ignorata televisione. « Cosa facciamo, in attesa? »
« Perché non vi fate una passeggiata? È un ottimo modo per restare in movimento. »
« Davanti a tutti? Non mi sento nelle condizioni… »
« Possiamo fare il giro della casa, però. Dai, è solo per passare il tempo, Ran. » Per convincerlo, il ragazzo congiunse le mani e chiuse un occhio. Alla fine, non poté fare altro che accettare e alzarsi. « E va bene, andiamo… »
Improvvisamente dalla stanza accanto arrivò l’allegra suoneria di un telefono. Yuki si precipitò a vedere chi fosse. « Scusate, ci vediamo dopo. Mi sta chiamando mio marito. » Corse in una stanza isolata e rispose al cellulare, mentre i due si recarono fuori dall’abitazione. Scesero pian piano gli scalini e passeggiarono nell’erba del giardino. La casa era grande, perciò era piacevole girarle attorno.
Non accorgendosi del padre e del nonno che bevevano il tè e chiacchieravano, si presero per mano ormai immersi nella calma atmosfera di quella bella giornata calda e soleggiata.
« Oh… Papà, guardi chi c’è. »
Il signor Samejima posò subito gli occhi severi su suo nipote, fermatosi di fronte a Enjoji sotto un albero in fiore. Parlavano, si scambiavano sguardi sereni e sorridenti. Poi si avvicinarono, sfiorandosi le labbra accompagnati da una lieve brezza.
« Non ci posso credere… Sembra che lo facciano apposta… »
« Io trovo che stiano benissimo, insieme. » Takashi era raggiante e felice per suo figlio, mentre il nonno, anche se aveva detto di non avere nulla in contrario, stava palesemente combattendo una guerra interiore. « Ma è disdicevole fare cose del genere in pubblico! »
« Non penso si siano accorti di noi, altrimenti sarebbero andati da un’altra parte. Mi sembra quasi che li stiamo spiando… »
« Però su una cosa hai ragione. »
L’interesse di Takashi si accese a quelle parole, ma nessuno dei due aggiunse altro. Rimasero in silenzio, immersi nei loro pensieri, con la tazza del tè ormai vuota ancora tra le mani.
 
Ranmaru allontanò il viso da quello di Enjoji e gli diede le spalle. « Dai, basta. Siamo usciti per camminare, non per fare queste cose. »
Enjoji aveva la caratteristica di infiammarsi quando veniva respinto, ma, allo stesso tempo, lo rendeva estenuante agli occhi del compagno. « Adoro quando fai il duro! »
« Smettila, non cominciare… » Prevedendo di rischiare di diventare di cattivo umore, decise di ignorarlo e di continuare la loro passeggiata. Questo finché, dopo aver proseguito dritti e aver superato l’abitazione, non arrivarono davanti a un grande edificio leggermente provato dal tempo ma ancora degno di essere un bel posto in cui poter passare il tempo: la palestra di kendo, il luogo in cui Ranmaru aveva trascorso tutta la sua vita per dedicarsi alla realizzazione del suo sogno perduto. Egli non poté fare a meno di fermarsi a guardarlo. Il volto gli si scurò.
« Vuoi entrare? »
« Eh? »
Enjoji gli sorrise. « Perché non vai a salutare Kurebayashi e i bambini? »
Ranmaru scosse la testa. « Io non… non me la sento. »
« È perché hai deciso di abbandonare il kendo? Ma un saluto non rovina la tua decisione. Su, su! » Enjoji lo spinse verso gli scalini di fronte alla porta aperta, e a quel punto non poté più tornare indietro: le due voci erano giunte anche all’interno, suscitando la curiosità di un uomo alto e robusto, con le spalle larghe e gli zigomi spigolosi. « Signorino Ranmaru! Quanto tempo! »
Il cuore di Ranmaru mancò un battito. Avrebbe voluto evitare di incontrarlo così presto. « Ah… Buongiorno, Kurebayashi… »
« Mh? … Ci sei anche tu, quattrocchi? »
Kurebayashi, l’assistente del maestro della palestra, non era in buoni rapporti con Enjoji, e per questo i due si beccavano in continuazione. « Certo che ci sono anch’io, se mi rivolgi la parola, idiota! »
« Cosa? Idiota a chi?! »
« Basta! Smettetela, voi due! Enjoji, non rispondere! » Ranmaru si era messo in mezzo per calmarli, riuscendo momentaneamente nell’impresa, ma sapeva che sarebbe bastata una parola di troppo perché ricominciassero.
« Comunque… ehm… Come mai è venuto qui, signorino? Vuole riprendere gli allenamenti? »
« No, io… ho abbandonato la via della spada, penso lo sappia. Mi dispiace… » Ranmaru avrebbe voluto sparire.
« Ah, ma il signor Samejima mi ha detto che lei vorrebbe prendere ufficialmente il suo posto. »
Ranmaru lo guardò sbalordito. « Sapevo che stava pensando a qualcosa del genere, ma… con lui non ne ho ancora parlato… Come fa… »
Kurebayashi scoppiò in una risata. « Ah! Ah! Ah! Come al solito decide tutto da solo. » 
« Però… »
« Coraggio, non faccia quell’espressione! In fondo, prima che le succedesse quell’incidente per colpa di qualcuno, lei era già un insegnante, anche se non ufficialmente. »
« Ehi! » Enjoji si sentì toccato. Aveva già abbastanza sensi di colpa, non aveva bisogno che quell’uomo glielo rinfacciasse, deprimendolo ulteriormente. « Ranchan, ascoltami. Il gorilla, mio malgrado, ha ragione. Insegnare è diverso da praticare, no? Non stai venendo meno a nessuna decisione, e sei sicuramente perfetto per questo ruolo! Tu sei il Demone Samejima! Sicuramente i tuoi insegnamenti gioverebbero ai bambini, al contrario di questo tipo. »
Kurebayashi lo fulminò con lo sguardo.
« Enjoji… »
Le voci che provenivano da dentro la palestra si fecero più alte, e ben presto ci fu un vero pandemonio di urla e agitazione. « Ragazzi, guardate chi c’è! »
« Aah! Non ci credo! »
« Presto, andiamo da lui! »
« Maestro Ranmaru! »
I bambini della palestra si accorsero della sua presenza e si precipitarono ad abbracciarlo, travolgendolo.
« Piano, bambini! » Kurebayashi li sgridò, anche se non riuscì a placarli.
« Maestro Ranmaru, quanto tempo! Come sta? »
« Che bello rivederla, maestro! »
« Non sa che supplizio stare con il maestro Samejima e l’assistente del maestro Kurebayashi! La prego, torni da noi! »
« Sì, torni! »
« Ehi! Anche voi, ora?! » Kurebayashi si sentì offeso, ma allo stesso tempo era contento per Ranmaru. Sentire quelle cose non avrebbe potuto fargli che bene, visto che in questo periodo era emotivamente fragile e giù di corda.
Ranmaru volse lo sguardo verso Enjoji e Kurebayashi, che gli sorridevano come per dire: “Hai visto? Te l’avevo detto!”. Il sorriso di quest’ultimo, però, si tramutò poi in una smorfia verso Enjoji, il quale gli lanciava occhiate sarcastiche con un sorrisino stampato in faccia per come i bambini avevano parlato di lui, incuranti della sua presenza.
Ranmaru voltò gli occhi in alto ma fece finta di non averli visti. Si inchinò per essere alla stessa altezza dei bambini e poterli guardare dritto negli occhi. Accarezzò la testa del bambino che aveva espresso tutta la sua infelicità e poi parlò, scegliendo con cura le parole. « Grazie di cuore, davvero. Il vostro affetto nei miei confronti mi riempie di gioia, ma prima di tornare e diventare il vostro maestro ufficiale, anche se sempre supportato dal maestro Kurebayashi, devo imparare a muovermi come desidero in modo veloce e automatico, altrimenti non sarò che un peso per i vostri allenamenti. » Poiché la faccia dei bambini si fece triste, cercò di rasserenarli. « Guardate che i maestri Kurebayashi e Samejima, anche se sono severi, sono molto più in gamba di me e non potranno fare altro che insegnarvi il modo migliore per essere dei campioni. Perciò non lamentatevi, ok? » Ranmaru gli sorrise radioso e rassicurante, e immediatamente anche loro fecero lo stesso con lui. « Grazie, maestro Ranmaru! »
« La aspetteremo! »
« No, che non dovete aspettarmi. Sbrigatevi a diventare campioni, intesi? »
« Sì! »
Enjoji aiutò Ranmaru a rialzarsi. I bambini osservarono con quanta fatica riuscisse a muoversi, poi la fatidica domanda. « Maestro Ranmaru, ma che cosa le è successo, di preciso? »
Ranmaru serrò le labbra. Enjoji si rattristò per lui. Kurebayashi, notando il disagio, li fece tornare dentro a fare pratica, minacciandoli con degli esercizi supplementari. Corsero senza esitazione e ripresero in mano la propria spada di bambù. 
« Mi dispiace, sono stati indelicati. »
« No, si figuri. Anzi, ci scusi per aver interrotto l’allenamento. »
« Cosa sta dicendo? Lei, signorino, non disturba affatto. Anzi, venga tutte le volte che vuole, e, appena se la sentirà, potrà tornare e iniziare a fare un po’ di pratica per riprendere la mano. »
Ranmaru esitò. Non riusciva a ribattere a quelle parole, e ora il suo cuore era nuovamente in preda ai dubbi. Cercò di sorridere, e sperò di essere stato il più naturale possibile. « …Grazie per tutto. »
« Allora a presto, signorino. »
Mentre i due ragazzi si allontanarono – Enjoji un po’ perplesso – si sentì Kurebayashi sbraitare contro dei bambini che, secondo lui, non stavano lavorando seriamente.
« Ho come l’impressione che nelle ultime sue frasi mi abbia completamente ignorato… »
« Eh? Ma che dici? »
« No… niente, niente. »
« Che facciamo? Torniamo indietro? »
Enjoji non lo ascoltava. Quel suo pensiero fece sì che si dimenticasse per un attimo di Ranmaru, rimanendo indietro.
« Enjoji, mi ascolti? » Si fermò. Enjoji continuava a camminare lento, le mani in tasca e le sopracciglia aggrottate, come se lo stesse ignorando apposta. Ranmaru si inchinò, raccolse un sasso e glielo lanciò dritto in testa. « Ahia! Ma sei scemo?! »
« Sarei io quello scemo?! Se sparissi di punto in bianco non te ne accorgeresti neanche! »
Nella speranza di riuscire a calmarlo, tornò indietro con un sorriso un po’ forzato e si scusò. « Scusa, scusa, Ranchan. Di cosa stavi parlando? Dai, ti ascolto. »
Ranmaru lo guardò con occhi di sfida, ma poi si rilassò. Enjoji ne approfittò subito. « Bacino? »
Ranmaru gli diede un pugno in testa, e questa volta fu lui ad andare avanti.
« Ran, come sei freddo, oggi! » Enjoji lo seguiva piagnucolando. A un certo punto gli venne un’idea brillante.
« E se per farmi perdonare ti portassi in un bel posticino? »
Ranmaru si fermò di nuovo ma non si voltò. Il cuore di Enjoji correva, sperando in una risposta affermativa. Ci teneva tanto, e sapeva che gli avrebbe fatto piacere vederlo. « Ti va? »
« …E dove vorresti andare? »
« In un posto che sicuramente ti farà sentire bene. È proprio bello! L’ho scoperto qualche tempo fa ma non ho mai avuto l’occasione di portatici. »
Ranmaru cercò di immaginare un posto tanto bello lì vicino, ma non gli venne in mente niente.
« Sono quindici minuti di macchina. Accetti? »
« … D’accordo. Vado a cambiarmi, non posso uscire con lo yukata addosso. »
« Perché no? Sei sexy anche così. »
Ranmaru stava per colpirlo un’altra volta, ma si scansò appena in tempo. « Eh, sì… Ranchan, hai proprio bisogno di svagarti un po’… »
« Non sono affari tuoi. »
Enjoji alzò le spalle e seguì il compagno che cominciava a stancarsi di stare in piedi, anche se stava facendo di tutto per non farlo notare. Facendo il giro al contrario, questa volta notarono il nonno e il padre che si stavano finalmente alzando per tornare dentro casa. « Papà! »
Takashi li accolse sorridente come sempre. « Avete finito la passeggiata? »
Enjoji annuì e Ranmaru confermò a parole. « Sì, stiamo tornando dentro. Ci siete da molto? »
« Da quando il nonno è andato via dalla sala da pranzo. »
Ranmaru rabbrividì, scosso da un brutto presentimento. Enjoji, invece, rimase impassibile, come se la cosa non lo riguardasse. « A-allora… voi… »
« Non devi preoccuparti. » Il padre sembrava particolarmente felice; il nonno, invece, un po’ meno, ma non si lamentò.
Ranmaru arrossì e guardò l’anziano signore, un po’ spaventato. « Mi dispiace, noi… non vi avevamo visti… »
« È tutto a posto, rilassati. A proposito, volevi dirmi qualcosa? »
Cercò di ricomporsi, anche se non riuscì a non rimanere turbato, e Enjoji non lo aiutava. Come faceva, in queste situazioni, a stare così tranquillo? Lo aveva notato anche poco prima, quando si erano baciati davanti a tutti…
« Ah, sì… Io e Enjoji stiamo uscendo in macchina, per cui, se vi serve o succede qualcosa, chiamateci pure al cellulare. »
« Sì, va bene. Ci vediamo dopo, allora. »
I due si dileguarono, mentre il nonno continuava a osservarli senza spiccicare parola. Quando girarono l’angolo e sparirono dalla sua vista, anche lui fece per entrare in casa. « Si sente bene? »
« Sì, sì. Sono solo stanco. Oggi sono successe troppe cose per la mia età. Per fortuna Kurebayashi ha detto che stasera non ha bisogno di aiuto. Vado a riposare. »
« D’accordo. »

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Capitolo 7
*** Quando il destino bussa alla porta ***


Enjoji entrò in bagno e indossò le lenti a contatto al posto degli occhiali, poi raggiunse Ranmaru in camera da letto.
« Come mi devo vestire? »
« In modo normale: pantaloni e maglietta. Non è un locale, tranquillo. »
Mentre cercava nell’armadio un paio di pantaloni da abbinare a una camicia, a quelle parole la mente di Ranmaru cambiò i parametri di ricerca e continuò a setacciare tutti i luoghi che conosceva che non prevedevano locali nell’arco di quindici minuti di macchina, ma sempre invano. « …Non fai prima a dirmi dove dobbiamo andare? »
« No, perché ti rovinerei la sorpresa. Approfittiamone per uscire, è una così bella giornata… » Enjoji lo guardò con occhi sognanti, e questo bastò per convincere Ranmaru. « Ok, non ti chiederò più niente. » Ridacchiò, poi si infilò un paio di jeans e una camicia giallo chiaro. « Sono pronto. Dov’è Yuki? »
« Non lo so, ma nel caso la avviserà tuo padre. Dai, andiamo, sennò diventa troppo tardi. »
Senza dargli il tempo di controbattere, fece strada a Ranmaru invitandolo a uscire dalla stanza. Girarono l’angolo e uscirono dalla stessa porta da cui erano entrati dopo aver percorso il solito lungo andito. Scesero le scale ormai odiate da Ranmaru e, dopo che Enjoji ebbe aperto manualmente il cancello ed essersi accomodati nella sua macchina nera, partirono.
Durante il viaggio non parlarono molto, però Ranmaru notò nel compagno una certo brio. Nonostante la promessa, continuava a chiedersi dove lo stesse portando.
Attraversarono l’affollata città e, in pochi minuti, uscirono fuori in campagna, superando diversi greggi che pascolavano nei prati e qualche casetta solitaria che si godeva la bella giornata soleggiata. Anche gli uccellini volavano con spigliatezza e vivacità.
Dopo una lunga curva, arrivarono nei pressi di una collina recintata il cui benvenuto era dato da un enorme cartello di legno con scritte dorate situato sopra il cancello d’entrata. All’interno c’erano immense distese di erba, vari viali alberati che accompagnavano in diverse direzioni delle stradine fatte con graziosi ciottoli di diversa forma e colore e dei laghetti attraversabili grazie a dei ponticelli in cui le anatre e altri uccellini si facevano tanti bagnetti in compagnia di diversi tipi di pesci. C’erano anche dei boschetti in cui potersi addentrare, delle panchine in cui riposarsi e dei chioschi in cui si poteva acquistare del cibo o delle bevande.
Quando parcheggiarono appena fuori dall’ingresso e uscirono dalla macchina, una calma improvvisa portata dal vento si inserì in Ranmaru. Rimase impalato di fianco allo sportello semi aperto, cercando di vedere ogni dettaglio attraverso la recinzione; ma poiché da quell’angolatura riusciva a vedere solo lunghi vialetti alberati, con in lontananza il ponticello e il laghetto e in primo piano una fontana che zampillava allegra ma che copriva parte della visuale, chiuse lo sportello senza distogliere lo sguardo e seguì Enjoji dentro il parco.
Due anatre si rincorrevano in direzione dell’acqua. Una più timida passeggiava nell’erba.
« Bello, vero? » Poiché Ranmaru non aveva ancora detto una parola, Enjoji cercava di leggere il suo sguardo sperando di cogliere i suoi pensieri, ma egli si limitava a guardarsi intorno, ammirando un paesaggio meraviglioso. Solo dopo aver registrato la domanda fattagli si decise a parlare. « … È… bellissimo… »
Enjoji era felice di aver sentito quelle parole con quel tono di voce. « Ah ah! Sapevo che ti sarebbe piaciuto! »
« Ma come hai fatto a trovarlo? » Ranmaru era diventato curioso. Un posto del genere non è semplice da trovare.
« Per caso », spiegò Enjoji. « Un giorno sono uscito in macchina con Tamura e la ragazza seguendo le sue assurde indicazioni e… ci siamo persi. » Mentre lo diceva, rise nervosamente. « Così, cercando una strada familiare per tornare indietro, l’ho trovato. Non è molto conosciuto, forse è per questo che non ne abbiamo mai sentito parlare. »
L’idea del loro amico Tamura che si dava arie da navigatore di bordo fece ridere anche Ranmaru. « Devo dire che sei stato davvero fortunato. Non me l’aspettavo. Per ora non si vedono molte persone, solo che… in giro vedo praticamente solo coppie. Penso che questo posto sia famoso solo tra di loro per lasciare un tocco di romanticismo e quiete… » 
Enjoji lo prese sottobraccio. « Beh, anche noi siamo una coppia, no? Allora approfittiamo del paesaggio romantico e quieto e andiamo a fare una passeggiata. Questo posto non sono ancora riuscito a vederlo tutto. »
« Che scemo… Nessuno te lo vietava. »
« Da solo o con quei due è noioso. Con te è diverso. »
L’ultima volta che Enjoji e Ranmaru erano usciti insieme non era andata come avevano previsto, finendola in ospedale tra bagni di lacrime e sensi di colpa, ma volevano giustamente riprovare.
Detto questo, decisero di seguire la stradina che avevano di fronte: gli alberi in fiore facevano ombra lasciando cadere, di tanto in tanto, dei petali che venivano portati via dal vento fresco; quindi, il sole, che non filtrava grazie ai rami, rendeva più piacevole la piccola salita.
A un certo punto arrivarono a un bivio. Scelsero di andare a destra. Lasciarono il percorso alberato e ne iniziarono uno fatto di aiuole con fiori di stagione dai colori chiari. Arrivarono dinnanzi a un ponticello che attraversava un laghetto: il suo perimetro era ornato da pietre sul grigio chiaro riposte lì con cura; alcuni petali portati via dal vento si erano adagiati sulla superficie dell’acqua, e ogni tanto si vedevano dei piccoli zampilli creati dai pesci che salivano in superficie e cercavano di mangiare i piccoli insetti che trovavano.
Superatolo, Ranmaru si appoggiò alla corteccia di uno dei pochi alberi solitari che si trovavano lì vicino, osservando un uccellino che planò sull’acqua per farsi un bagnetto. Enjoji si sedette sull’erba, di fianco a lui. « Che pace, eh? »
« Sì, sembra proprio un paradiso. » Ranmaru chiuse gli occhi e si fece cullare dalla brezza fresca che aveva iniziato a soffiare in quel momento. Era veramente felice e tranquillo, senza i soliti pensieri che gli ronzavano intorno e che lo rattristavano.
Piano piano, si fece scivolare in modo da sedersi anche lui sull’erba al fianco di Enjoji. Si voltò verso di lui e lo guardò dolcemente. « Grazie, Kei. Mi hai reso proprio felice. » Mentre lo diceva, mise una mano sopra la sua, per sentirsi ancora più vicino a lui. Enjoji gli sorrise e si avvicinò alle sue labbra, baciandole con quanta più dolcezza poteva. Sembrava che niente potesse rovinare quel momento, ma purtroppo non era così: un boato di voci si sentì in lontananza, e quel momento magico si dissolse con i loro volti interrogativi che chiedevano spiegazioni. « Cos’è stato? »
« Non so, sembravano voci… Aspetta, controllo. Resta seduto, sto tornando. » Enjoji si alzò e andò nella direzione da cui aveva sentito provenire le voci. Dopo aver camminato oltre la salita, in lontananza vide un capannello riunito in cerchio, ed era come se stesse facendo il tifo per qualcuno. Incuriosito, si avvicinò a dare un’occhiata. Si fece largo tra la gente e vide l’ultima cosa che avrebbe mai pensato di vedere in un posto del genere. Un brivido gli passò lungo la schiena, e con ancora un po’ di ottimismo, si precipitò da Ranmaru. Lo chiamò da lontano per avvisarlo che stava tornando indietro, di corsa. « Ranmaru! » Sentendo il suo nome, Ranmaru si affacciò da dietro l’albero. Enjoji impiegò qualche attimo per arrivare, poi si fermò davanti a lui, ansimante, mentre cercava di mettere in piedi una frase sensata. « Tu… io… in fretta…! »
Ranmaru non capiva cosa il ragazzo stesse cercando di dirgli. « Enjoji, calmati! Prendi fiato e poi parla! »
Enjoji prese un bel respiro e trattenne l’aria per qualche secondo, poi espirò. Una volta tranquillizzatosi, mise un ginocchio in terra per essere alla stessa altezza di Ranmaru e gli prese la mano. Diventò improvvisamente serio. « Ran, ascoltami bene. Lì ho visto una cosa, però non sono sicuro che a te farebbe piacere vederla, in questo momento… So che portarti lì e mostrartela sarebbe una cosa sleale, in quanto conosco i tuoi sentimenti per quanto riguarda ciò, però, ti prego… »
« Non riesco a seguirti… Si può sapere di cosa stai parlando? »
« Vieni, te lo faccio vedere direttamente. Però devi promettermi che non te ne andrai e che rimarrai lì con me per un po’. »
Ranmaru capiva sempre meno, ma si alzò e accompagnò Enjoji in quel posto misterioso. « Chissà cosa c’è di tanto strano da farti dire certe cose… È ovvio che non me ne andrei lasciandoti da solo. »
« Guarda che l’hai detto. Comunque… ti chiedo scusa in anticipo. »
Ranmaru seguì Enjoji facendosi mille domande ma, una volta fattosi largo in quel mucchio di persone e arrivato in prima fila, capì: si tenevano degli incontri di kendo tra una persona volontaria del pubblico e il campione. Chi avrebbe vinto contro di lui, avrebbe vinto un viaggio di due giorni in una località marittima per un massimo di 4 persone.
Ora lo stava sfidando una coraggiosa ragazza, ma la stazza e l’esperienza del campione erano di un altro livello, anche se non se la stava cavando affatto male.
« Che te ne pare? »
« Enjoji, tu… » Le energie di Ranmaru lo avevano abbandonato di colpo. Non sapeva come comportarsi. Perché fargli vedere una cosa del genere, se ne avevano parlato proprio poche ore prima? Voleva vedere la sua reazione? O voleva una risposta definitiva? Gli faceva male il cuore…
« Lo so che non è giusto farti vedere degli incontri di kendo, soprattutto in questi giorni, però… mi è venuta improvvisamente voglia di vincere quel premio. »
La ragazza cadde a terra dopo aver perso l’arma. Se non l’avessero aiutata in tempo, avrebbe rischiato di farsi molto male. Si sentì il fischio dell’arbitro seguito da un nuovo boato di voci che accusavano il “campione” di essere stato sleale.
A quella vista, Ranmaru si inquietò.
Non appena vide Enjoji dirigersi verso il campo, lo fermò. « Tu cosa? Ma sei impazzito? Hai visto come combatte, quello? Non mi sembra uno a cui interessino le regole! E poi perché è l’unico a indossare l’armatura?! Enjoji, te lo proibisco, potresti farti male! »
« Sei carino a preoccuparti per me, ma ti ricordo che l’unico che è riuscito a battere il “demone Samejima” è stato proprio il sottoscritto. Non importa per l’armatura, anche se tutto questo sembra una presa in giro. » Enjoji era sicuro di vincere. In effetti, i riflessi non gli mancavano, e nemmeno la forza fisica. Tutto quello che doveva fare era essere più bravo del suo avversario.
« È vero che sei riuscito a battermi, ma sono anni che non prendi in mano una spada, e non hai mai nemmeno voluto allenarti seriamente! »
Intanto che i due discutevano, l’uomo in mezzo alla folla cercava altri concorrenti.
« Allora? Ve la state facendo tutti sotto? Ah ah ah! »
Ranmaru lo guardò di bieco: sicuramente non era una signora nel parlare. Stava per portar via Enjoji da lì, ma un attimo prima di aprir bocca, Enjoji cadde nelle sue provocazioni. « Quello che se la farà sotto sarai tu, bestione! »
Tutti quanti si voltarono verso l’ennesimo pazzo che non aveva il senso del pericolo.
« ENJOJI! »
« Rilassati, Ran. È tutto a posto. » Enjoji andò davanti a lui e si inchinò per prendere una delle tante spade di bambù sparse lì per terra.
« Qual è il tuo nome, ragazzo? »
« Sono Kei Enjoji. »
Al campione scappò un sorriso divertito. « Harunobu Terashima. Chi segna due punti ha vinto, intesi? »
Queste erano le uniche regole. Non serviva altro. In ogni caso, Enjoji non sembrava particolarmente preoccupato. Aveva un solo obiettivo in testa: vincere.
« Quindi, se vinco il combattimento, il premio è mio, giusto? »
« Assolutamente corretto. Però hai fatto bene a dire “se”! » Detto questo, l’uomo si precipitò addosso a Enjoji, ancora impreparato, e cercò di colpirlo in testa. Tuttavia riuscì a scansarsi appena in tempo, piegandosi all’indietro.
« Sei scoperto! » Senza neanche lasciare il tempo a Enjoji di rimettersi in una posizione stabile, cercò di colpirlo di nuovo, questa volta alla spalla. Perse l’equilibrio e cadde a terra dolorante. Ranmaru iniziò ad allarmarsi.
« Certo che tu non conosci proprio le buone maniere… Non hai intenzione di stare alle regole, vero? Non hai neanche assunto la posizione del saluto… » disse, rialzandosi.
« E chi se ne frega! Se hai intenzione di vincere, le regole sono l’ultima cosa da seguire, ricordatelo! » Corse di nuovo verso Enjoji, ma questa volta fu pronto a ricevere l’attacco: si scansò da un colpo diretto e lo colpì alle mani, facendogli cadere la spada sull’erba e totalizzando un punto. Il campione, pensando di star rischiando di perdere, gli fece lo sgambetto facendolo cadere violentemente a terra, e riprese velocemente in mano la spada di bambù.
Enjoji non aveva difese e la spada si stava preparando a colpirlo.
Ranmaru, per paura che si facesse seriamente male, senza neanche riflettere, raccolse la spada più vicina a lui e si parò davanti a Enjoji.
« Ran… maru… » Enjoji non credeva ai suoi occhi. Non solo l’aveva salvato per la seconda volta in due mesi, ma si era mosso come se non avesse mai avuto nessun problema agli arti.
« Stai indietro, ci penso io! Se questo bastardo gioca sleale, allora bisogna dargli una lezione! » Lo sguardo di Ranmaru metteva paura. Era arrabbiato, furioso, e sembrava che niente potesse fermarlo. Alcune persone del pubblico fecero qualche passo indietro. Harunobu, invece, sembrava divertito e per nulla impaurito. « Ah ah ah! Interessante! E tu chi saresti, invece? »
Ranmaru chinò le gambe e mise la spada davanti al corpo puntandola contro l’avversario, come saluto di inizio incontro. « Ranmaru Samejima », si presentò.

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Capitolo 8
*** Ciò che è importante ***


Calò il silenzio. Anche l’uomo perse per un attimo le parole.
« Ran- … Il demone Samejima? Ma tu non ti eri ritirato dal kendo?! Ne parlano tutti i giornali, da quando ti è successo quell’incidente! »
« …È vero, mi sono ritirato, ma non posso sopportare che una persona come te infanghi il nome del kendo combattendo in modo così sleale! » Ranmaru si alzò e assunse la guardia alta: posizionando la sua spada in alto, sopra la testa, la tenne saldamente con tutte e due le braccia. Quella era la posizione che lo contraddistingueva. Non c’erano più dubbi, ormai: era davvero lui.
« Ranmaru, cosa stai facendo? Non è successo niente! È pericoloso, togliti! » Enjoji cercò di dissuaderlo dalla sua decisione ma non venne ascoltato. Allora, per evitare di intralciarlo durante la gara, si rimise in piedi e indietreggiò di qualche passo. “Ranmaru… non fare pazzie, non sei nelle condizioni…”
« Be’, che aspetti? Non mi attacchi di sorpresa come hai fatto con tutti gli altri? » Ranmaru lo provocò, facendogli fare una pessima figura davanti a tutti. Il campione si stava visibilmente arrabbiando e partì all’attacco.
« Non montarti la testa, moccioso! » Corse verso di lui a tutta velocità, cercando un’apertura che gli avrebbe regalato la vittoria, ma, non riuscendo a trovarne, lo attaccò più e più volte in vari punti, all’impazzata. Ranmaru cambiò mano per essere più svelto, e impugnò velocemente la spada con la sinistra, parando tutti i suoi colpi, anche se la cosa richiese parecchie energie che lui al momento non aveva. Era chiaramente in svantaggio, ma non per questo si fermò. Anche se doveva cercare di usare il braccio e la gamba destri il meno possibile, per attaccare impugnò la spada di nuovo con tutte e due le braccia, e per avanzare sul nemico fece pressione sulla gamba destra, mantenendo l’equilibrio con la sinistra. Sembrava avesse pianificato tutto, ma non era così. Adesso stava combattendo solo per orgoglio e per Enjoji, che lo stava guardando col cuore in gola. A volte si dimenticava anche di respirare, e come lui il pubblico, talmente era alta la tensione. Nessuno dei due spadaccini aveva intenzione di cedere, e continuavano ad attaccare e a parare senza fermarsi. Si sentiva solo il rumore delle spade che battevano violentemente l’una sull’altra. Gli occhi dell’arbitro passavano da un combattente all’altro, rapidi.
A un certo punto, il panico: la gamba destra di Ranmaru si intorpidì, bloccandogli l’azione per un punto assicurato. Harunobu non ci pensò due volte, prima di colpirlo pesantemente alla testa.   
« Ranmaru! » Enjoji era tentato di tornare sul campo e aiutarlo, ma Ranmaru glielo vietò. « Fermati, non ti muovere! Se non riesco a batterlo con le mie forze, allora chiuderò ufficialmente con il kendo! È diventata una questione personale, adesso! » Mancavano ancora due punti e a Harunobu uno solo. Se voleva vincere, doveva totalizzarne due prima del suo avversario, altrimenti sarebbe finito tutto con un’amara sconfitta… e non solo. « O la va, o la spacca… »
Cercò di dimenticarsi del formicolio e della stanchezza e si concentrò chiudendo gli occhi. Al minimo movimento dell’avversario, avrebbe contrattaccato d’istinto.     
« Pensi ancora di poter vincere? Diventerò una leggenda quando ti batterò, ti rendi conto? Mi chiameranno ovunque! » Ranmaru non ascoltò neanche una delle sue spacconerie. Continuò, invece, a rimanere fermo e in silenzio.
« Heh! Datti pure delle arie da gran campione, ma ormai la tua gloria è finita! »
Ranmaru aprì gli occhi e diede un fuggevole sguardo intorno. Intravide Enjoji, ne notò l’espressione incredula e preoccupata. Si fece forza per l’ultimo attacco: impugnò con maggiore forza la spada e lo colpì rapidamente alla coscia. Harunobu fu costretto a piegarsi. L’arbitro alzò la bandiera rossa che attribuiva un punto a Ranmaru, e questo non andò giù al campione: si riprese e, mentre attaccava il ragazzo, questi si rotolò su un fianco e si rimise in piedi poggiando il peso sulla gamba destra, dolorante. Stava per morire dalla fatica, ma riprese l’iniziativa e continuò ad attaccare senza sosta il suo avversario, il quale parò tutti i colpi, arretrando. Gli attacchi di Ranmaru erano sempre più lenti, pesanti e deboli. Ansimava per la pressione, ma teneva duro. Guardò il suo avversario: occhi spavaldi e sicuri di sé, sorriso malevolo, mani salde sull’impugnatura della spada.
Ranmaru tentò un assalto: si diede la spinta col piede e incrociò fortemente la spada con quella dell’altro. Sentì tutto l’odio da parte del suo avversario, ma la sua voglia di vincere era più forte. Colpì nuovamente. Nessuno dei presenti l’avrebbe mai detto, ma in un certo senso si stava divertendo.
La spada di Harunobu roteò in aria rumorosamente e poco dopo toccò violentemente terra dietro di lui. Ormai era completamente inerme ed esposto agli attacchi. Aveva vinto.
Ranmaru rimase immobile davanti a lui, sfinito come non mai. Gli puntò la spada al collo per far sì che non commettesse ancora qualche scorrettezza.
« È finita », ansimò. « Oramai è inutile che tu continui con questa farsa. Fai solo del male alle persone innocenti infrangendo ogni tipo di regola. Se vuoi continuare, ti conviene cambiare un paio di cose. » Ranmaru era arrabbiato, e non si sarebbe fermato se Harunobu avesse deciso di giocarsi il jolly con qualche trovata disonesta.
L’uomo, ormai impaurito, provò a scappare, ma Enjoji corse veloce e lo bloccò. « E no, caro mio. Mi sembra che tu sia stato battuto. Non ti stai dimenticando qualcosa? » Si rivolse sia a lui che all’arbitro con un sorrisino furbo sul volto.
« Enjoji… »
« Siamo venuti qui per vincere quel benedetto viaggio, e adesso lo pretendiamo! Anzi… tutte le persone che ti hanno sfidato sono venute qui con questa intenzione, o non avrai mentito? »
« N-no, non ho mentito, guarda! » Indicò l’arbitro che, frugando nella tasca, tolse fuori quattro biglietti per una vacanza di due giorni al mare. Glieli consegnò e poi si misero a correre senza sapere nemmeno loro dove andare. L’importante era andare lontano da quei due, per poi rincominciare di nuovo da qualche altra parte o sempre lì in un altro momento.
I due ragazzi rimasero in silenzio a guardarlo mentre spariva tra gli alberi.
Il tempo di realizzare ciò che è era successo, che un’esplosione di grida e applausi scoppiò tra la folla. Tutti erano rimasti affascinati dalla forza e dal coraggio che entrambi avevano dimostrato, ma ancora più grande era la sorpresa che il famoso Ranmaru Samejima era tornato dopo aver dimostrato ancora una volta la sua bravura nel kendo.
Dopo essere riusciti a liberarsi di quella folla di pazzi scatenati, i due andarono a riposarsi ai piedi dell’albero vicino al solito laghetto. « Ranmaru, ti senti bene?! » Era sudato e affaticato e la gamba gli tremava per lo sforzo eccessivo.
« Sì… sì, sto bene, non preoccuparti. Ho solo… bisogno di riposare un po’… » Chiuse gli occhi per cercare di scacciare via la stanchezza ma li riaprì subito dopo: Enjoji lo stava avvolgendo in un caldo abbraccio. « Enjoji… »
« Scusami, mi dispiace! Sono stato uno stupido e un egoista! Volevo vincere quei biglietti a ogni costo per portarti in vacanza, e alla fine non solo ti ho coinvolto salvandomi di nuovo e mettendoti in pericolo, ma li hai addirittura vinti tu per me… Sono patetico… » Enjoji si sentiva veramente in colpa, ma Ranmaru non era arrabbiato con lui. Lo strinse con il braccio sinistro, e lo fece il più dolcemente possibile, sperando che quello che provava arrivasse direttamente al suo cuore. « Invece voglio ringraziarti. »
Enjoji si allontanò leggermente per poterlo guardare in viso, non capendo il motivo per cui lo stesse ringraziando.
« Ricordi cosa ho detto, prima di iniziare lo scontro? “Se non riesco a batterlo con le mie forze, allora chiuderò ufficialmente con il kendo!” …Però ho vinto. »
« Questo vuol dire che… » Enjoji faticava a realizzare ciò che Ranmaru cercava di dirgli.
« Sì, c’è ancora una possibilità. Amo troppo il kendo per abbandonarlo così. Non sarà la stessa cosa di prima, ma voglio tornare ad allenarmi il prima possibile. Questo non vuol dire che non abbia intenzione di diventare un insegnante, ovviamente. Ormai è l’unica strada percorribile. » Si fermò qualche secondo a osservare il compagno. « …Mi aiuterai, Kei? »
Questi si illuminò. « E me lo chiedi? » Stentava davvero a crederci. Qualche ora prima non voleva vedere una palestra di kendo neanche da lontano, e adesso aveva deciso di tornare sulla via della spada di propria volontà.
 
Non appena Ranmaru si fu riposato ed ebbe recuperato abbastanza fiato, Enjoji gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi. Si avvicinarono al laghetto e Ranmaru si rinfrescò il viso e il collo con l’acqua fresca. Ormai il sole stava iniziando a tramontare e il cielo era tinto di un bel color pesca con sfumature violacee. Si presero mano nella mano e ripercorsero la strada al contrario, fino ad arrivare al bivio che li aveva condotti lì. Stavano per proseguire diritti, in modo da tornare al luogo in cui avevano parcheggiato la macchina, ma Enjoji si fermò.
« … Non vieni? » 
« No, aspetta… Guarda qua. Non avevo mai notato questo cartello. »
Ranmaru alzò lo sguardo e vide un cartello che annunciava che, poco più avanti, oltre il boschetto, si trovava un piccolo ristorante.
« Che dici, ci andiamo? »
« Eh? Ma non ci stanno aspettando a casa? »
Enjoji alzò le spalle. « Lo sanno che siamo usciti. Se torniamo un po’ più tardi, non succede niente. Non siamo ragazzini. »
« … Lo so, ma mi sono vestito per fare una passeggiata, non per andare in un ristorante. »
Enjoji pregò Ranmaru con tutte le sue forze. L’unico modo che aveva per convincerlo, era rassicurarlo. Non che stesse mentendo! « E dai, Ran, stai benissimo! Non usciamo da tanto, perché non ci dedichiamo un po’ di tempo? Dopo tutto quello che è successo, una cenetta romantica è il minimo, no? »
Ranmaru fissò un Enjoji che sorrideva in modo poco convincente, e nel mentre riordinava le idee e calcolava i pro e i contro. Infine, sentenziò: « Va bene, però chiamo a casa. Non è giusto farli preoccupare, potrebbero pensare che sia successo qualcosa. »
Enjoji aggrottò un sopracciglio. « Certe volte sei davvero testardo… »
« Sei tu che per certe cose sei superficiale. »
Tennero il broncio per qualche istante, mani conserte, poi si guardarono negli occhi e scoppiarono in una sonora risata. « “Shignor Shamejima, cerchiamo di non rovinare queshta atmoshfera con futili sciocchezze. Vediamo di fare gli adulti sheri e posati, eh!” » Enjoji stava imitando perfettamente un loro professore che, ogni volta che apriva bocca, finiva sempre per ridicolizzarsi davanti a tutti, e questo fece ridere quasi fino alle lacrime Ranmaru. « Ah ah ah! Basta, ti prego, o non riuscirò più a guardarlo in faccia seriamente per più di trenta secondi… »
« “Certo, ha ragione, chiedo umilmente shcusa.” »
Cercando di attenuare la risata, Ranmaru prese dalla tasca dei pantaloni il cellulare e compose il numero di Yuki. « Dai, dammi un minuto. Chiamo un attimo mia sorella. »
« Va bene. Intanto vado a dare un’occhiata più avanti. Ce la fai? »
« Sì, tranquillo. Sto arrivan- Ah, pronto, Yuki? Sono io. »
Enjoji si incamminò sereno verso la direzione indicata dal cartello, seguito, più lentamente, da Ranmaru. Si capiva che stava parlando con la sorella, perché il suo tono e il suo sguardo erano gentili e caldi. Appena ebbe finito, un altro cartello annunciò che erano ormai arrivati. Difatti, poco più avanti, un edificio non molto grande ma ben presentato iniziò a intravedersi tra le foglie e i rami degli alberi. « Enjoji… Non ti sembra un ristorante un po’ troppo appariscente? »
« Cosa ti aspettavi da un posto che pullula di coppiette? »
La notizia colse Ranmaru impreparato, in netto contrasto con lo stato d’animo di Enjoji. « Non vorremmo entrarci sul serio, vero? Ci guarderanno tutti male! »
« Basta non dargli peso. Se qualcuno dirà qualcosa, ci penserò io. Non fare storie, ormai hai chiamato. »
Enjoji lo baciò sulla guancia e aprì la porta: il ristorante si presentava con un’atmosfera orientale a lume di candela, in un ambiente intimo ma allo stesso tempo elegante. La musica di sottofondo e la posizione delle luci davano un tocco di calma e tranquillità. La stanza, semibuia, aveva una quindicina di tavoli coperti da tovaglie rosse e accompagnati da sedie nere. Le pareti, su cui erano appesi grandi quadri, erano bianche.
« Mica male… »
Non appena Ranmaru ed Enjoji ebbero messo piede dentro il locale, gran parte delle persone rimasero a fissarli, rendendo la stanza particolarmente silenziosa e imbarazzante.
« Be’? Che avete da guardare tutti?! » Enjoji era visibilmente infastidito e non aveva problemi a esternare ciò che non gli andava, ma, dopo queste parole, tutti tornarono a farsi gli affari propri e a chiacchierare con il proprio o con la propria fidanzata.
Ranmaru si avvicinò all’orecchio del compagno per bisbigliargli qualcosa. « Enjoji, per favore… Non cominciare… »
Ma Enjoji rispose piuttosto seccato senza preoccuparsi di abbassare la voce, attirando nuovamente l’attenzione di tutti. « Se sono maleducati non è colpa mia! »
« Abbassa la voce! Mi stai facendo vergognare! »
Un cameriere si avvicinò a loro. « Vogliono i signori accomodarsi? »
« Ah… Sì, grazie. Se possibile, ci piacerebbe sederci da quella parte. » Enjoji aveva indicato un tavolo in fondo sulla sinistra a fianco a una finestra, senza vicini o sguardi indiscreti, in modo da potersi godere la cena in piena pace.
« Certo. Prego, da questa parte. » Il cameriere, un ragazzo alto con i capelli corti e leggermente ribelli, gli fece strada fino al tavolo richiesto, consegnando loro, infine, il menù.
« Grazie. » Risposero entrambi, all’unisono.                                
Rimasero qualche minuto a sfogliare il menù – Ranmaru più per cercare di dimenticarsi di essere circondato da altre persone – quando arrivò la classica domanda: « Hai deciso cosa prendere, Enjoji? »
« Sì, prendo uno yakisoba. Tu, invece? »
« Stavo pensando a un misto di sushi, ma forse prenderò il tenpura soba… »
« Buono, ottima scelta. Comunque, il sushi puoi prenderlo, così lo mangiamo insieme. Cosa ne dici della barca? »
« Sì, va bene. Lo ordino. »
Enjoji aveva la capacità di riuscire a farsi meno problemi possibili su qualsiasi cosa e di vedere sempre tutto in modo ottimista, ma si era accorto che Ranmaru faceva un po’ più di fatica – sebbene precedentemente avesse affermato di non essere più interessato ai giudizi degli altri – soprattutto perché, ogni tanto, alcune persone si voltavano verso di loro e si avvicinavano l’un l’altra per bisbigliare qualcosa.
Dopo una decina di minuti, il cameriere tornò a prendere le ordinazioni.
« Allora… uno yakisoba per me e un tenpura soba per lui. Poi prendiamo anche la barca di sushi, maki e sashimi. »  
« Da bere? »
« … Prendiamo una birra, Ran? »
« Sì, se mi prometti che torneremo a casa. »
Enjoji rise. « Due birre, allora. »
Finito di segnare sul taccuino, il cameriere sparì dietro una porta per poi essere di ritorno per loro una quindicina di minuti più tardi con i vassoi in mano. « Yakisoba? »
­« Per me, grazie. »
Consegnò i rispettivi vassoi ai ragazzi e posizionò la barca al centro del tavolo.
« Aah, ci voleva proprio! È veramente squisito! … Che hai, Ranmaru? Non ti piace? »
Ranmaru aveva lo sguardo fisso fuori dalla finestra, come se la sua attenzione fosse stata catturata da qualcosa. La voce di Enjoji che lo chiamava lo riportò alla realtà quasi subito. « Ah, no, scusami. Mi ero incantato. Oh, è buonissimo! »
« Visto? Abbiamo fatto bene a venire qui! Ah ah ah! »

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Capitolo 9
*** Quanto basta per distruggere tutto ***


La cena sembrava proseguire bene: ormai si erano abituati a quella atmosfera e ridevano e scherzavano come se fossero soli in quella stanza semibuia, in compagnia dei tavoli deserti. Tutti si erano dimenticati di loro e loro si erano dimenticati di tutti. Le candele con la cera rossa posizionate ognuna su un piattino dorato rendevano tutto più romantico. Stavano bene, ma qualcosa turbava Ranmaru. Aveva un pensiero fisso che non riusciva a togliersi dalla mente.
Di nuovo. Aveva di nuovo visto qualcosa muoversi, là fuori. Il suo sguardo tornò serio e cercò di mettere a fuoco il paesaggio notturno, anche se con scarsi risultati. Anche la musica cambiò leggermente.
« Ranchan, cos’hai? È da prima che ti vedo un po’ strano… »
« Ho visto qualcosa muoversi, là fuori. »
« Qualcosa? Sarà il vento … »
« No, non penso… »
« Allora sarà qualche coppietta a cui piace guardare le stelle. » Le parole di Enjoji sembravano non aver convinto completamente Ranmaru. « Cosa ne dici di seguire il loro esempio, dopo? » Ranmaru lo guardò male, seccato per il fatto che non desse peso alle sue parole.
« Sei sicuro di stare bene? Vuoi tornare a casa? »
« Sto bene, non è quello il punto… È da quando siamo arrivati che mi sembra ci stiano osservando, e non mi sto riferendo alle persone qui dentro. »   
« Non mi sono accorto di niente… Non sarà la tua immaginazione? »
Ranmaru, alla fine, non vedendo più niente di strano, si rassegnò. « Speriamo… »
« Quando usciamo da qui andiamo a farci una passeggiata, ti va? »
« Sì. »
Una volta finito di mangiare, il cameriere sparecchiò e portò loro il conto. Enjoji lo prese in mano, piegando lo scontrino.
« Quant’è? »
« Non preoccuparti, ci penso io. »
Ranmaru tese la mano. « Non dire stupidaggini, Enjoji. Fammelo vedere. »
Enjoji fece finta di niente e tirò fuori il portafoglio. Poi si alzò in piedi.
« Enjoji, ascoltami quando ti parlo! »
« Ti sto ascoltando, ma non intendo farti pagare nemmeno un centesimo. »
« Perché no? »
« Questa cena voglio regalartela per festeggiare la tua quasi compiuta guarigione e il tuo ritorno nel mondo del kendo. Fammelo fare. »
Ranmaru diventò rosso e distolse lo sguardo, bofonchiando qualcosa. Enjoji sorrise e andò alla cassa a pagare.
« Fatto. Andiamo? »
« Sì. »
Ranmaru si alzò e, ancora leggermente arrossato, seguì Enjoji alla porta. Una volta fuori, si rimisero a camminare, superarono il ristorante e andarono su per una lieve salita.
Ranmaru rimase un po’ indietro rispetto a Enjoji e gli afferrò la maglietta da dietro, senza dire niente. Enjoji si fermò e voltò leggermente la testa per vedere cosa stesse succedendo al compagno. « … Ranmaru? »
Ranmaru avvolse le sue braccia attorno all’addome di Enjoji, silenzioso.
« Che cosa succed- »
« Grazie. »
Ci fu un attimo di silenzio, poi le mani di Enjoji si posarono su quelle di Ranmaru. « Nessun problema. »
A un certo punto, un urlo strozzato uscì dalla bocca di Ranmaru, che cadde in ginocchio. In quello stesso momento si udì un tonfo.
Enjoji si voltò completamente verso di lui e gli appoggiò le mani sulle spalle con forza. « Ranmaru! Ran- » Tacque senza completare il nome. I suoi occhi si posarono su un sasso particolarmente grande ai piedi di Ranmaru, che cercava di far passare il dolore passandosi una mano sulla schiena.
« Ma che cosa… Aaah! »
Un altro sasso, questa volta, colpì violentemente Enjoji sul braccio sinistro, facendolo sanguinare. Il ragazzo si girò automaticamente nella direzione da cui era stato lanciato. « Chi diavolo siete?! Fatevi vedere, vigliacchi! »
Tre persone, tutte abbastanza alte e piuttosto robuste, uscirono dall’ombra degli alberi, avanzando verso di loro. Se paragonati, a prima vista Ranmaru ed Enjoji sembravano due gattini accerchiati da un branco di cani randagi.
« Che cosa volete? » Enjoji, seppur in una situazione di svantaggio, si rivolse a loro in tono di sfida. Ranmaru, invece, nel suo silenzio riconobbe tra di loro un ragazzo della loro età che qualche tempo prima aveva frequentato la sua palestra, scortato dai suoi soliti due amici. Da allora era esteticamente cambiato, ma il suo sguardo privo di luce era rimasto immutato.
« Ci fate schifo. »
« Che cosa?! » Enjoji li guardò male, digrignando i denti.
« Ho detto che ci fate schifo. Non potete proprio essere visti. »
« Allora non guardateci! È notte, il cielo è bello e siamo in un luogo in cui possiamo fare ciò che ci pare! Non dobbiamo chiedere a voi il permesso di abbracciarci! »
« Sì, se ci siamo noi nei dintorni. Non possiamo ignorare una cosa tanto indecente tra due maschi. »
« Cerchi rogne, per caso?! » Enjoji fece per correre verso di loro, ma Ranmaru lo afferrò per un braccio.
« Fermati, Enjoji! Non lo riconosci? »
« Chi?! »
« Quello al centro. È Minoru. Era a scuola con noi alle superiori e frequentava la palestra di casa mia. »
Enjoji cercò di fare mente locale. « Ma chi, quel nanetto viziato che sconfiggevi sempre?! »
Minoru si infiammò all’istante, trattenendosi a stento dal prenderlo a pugni. « Bada a come parli, maledetto! »
« Guarda che il primo che deve dare una regolata al linguaggio sei tu! Ho capito chi sei ma non ti ricordavo così antipatico, sai? »
L’espressione di Minoru si trasformò in un ghigno rivolto a Ranmaru, ignorando Enjoji. « Samejima, sei proprio perfido, sai? »
« Eh? » Ranmaru non capiva a cosa si stesse riferendo e nemmeno Enjoji, che continuava a guardarlo con disprezzo.
« Come sta il maestro Kurebayashi? »
« Cosa c’entra…? »
« Ci prova ancora con te? Com’è a letto? »
Ranmaru lo guardò con aria stupefatta.
« Che diavolo stai dicendo, imbecille?! » Enjoji era furibondo. Minoru continuò a parlare con voce sicura e un’espressione sempre più compiaciuta. I suoi due compagni, Shiba e Yoichi, che, invece, sghignazzavano tra di loro, iniziarono ad avanzare leggermente verso Ranmaru ed Enjoji, i quali, d’istinto, arretrarono.
« Ma come, Samejima? Non gliel’hai detto? »
« Detto cosa?! Ran, di cosa sta parlando?! »
Ranmaru si strinse leggermente al braccio di Enjoji che, fino a quel momento, non aveva mai lasciato. « Non lo so, non capisco… »
« Ti sei dimenticato di quella volta che il maestro Kurebayashi ti ha abbracciato e tu l’hai baciato? Mi sembra che tu conoscessi Enjoji da parecchi anni, o no? »
Enjoji guardò Ranmaru con un’espressione indecifrabile. Ranmaru incominciò a perdere la pazienza e si staccò dal braccio di Enjoji. « Quella era stata la volta che vinsi i campionati di kendo delle superiori e che portai la notizia a Kurebayashi! Ma non gli diedi un bacio e lui mi abbracciò solo per gioia! La gioia di un maestro che vede vincere un suo allievo! Cosa vuoi ottenere inventandoti queste balle?! »
« Non sono balle, vi ho visto con i miei occhi! Eravamo insieme, il giorno! »
« Questo non prova nulla!  »
Enjoji si rivolse a Minoru. « Minoru, adesso basta! Cosa ci guadagni a dire queste idiozie?! »
« Idiozie? A me sembrava che stessi avendo qualche dubbio, quando l’ho detto. Anche perché non è una bugia, ma la pura verità. »
Ranmaru stava iniziando ad avere paura. « Enjoji, non vorrai credergli?! »
Minoru fece un veloce sorriso, poi riprese a parlare. « Allora come spieghi il fatto che Kurebayashi con te sia sempre gentile e protettivo, mentre con Enjoji litiga sempre, quando si tratta di te? Non sarà gelosia? Non sarà che nascondete qualcosa? Anche tu ti arrabbi con Enjoji quando questi gli parla in modo sgarbato, o no? Vuoi negare anche questo? »
Enjoji trasalì, ma Ranmaru non si diede per vinto e continuò a negare, arrabbiandosi sempre di più contro lui e le sue menzogne. Che il suo intento fosse quello di separare Ranmaru da Enjoji? Probabilmente sì, e dall’espressione di Enjoji, ci stava riuscendo. Ma perché? Per il semplice fatto che stavano insieme e che a lui le coppie omosessuali non piacevano? O c’era anche dell’altro?
Nel mentre, Shiba e Yoichi corsero verso i due ragazzi e bloccarono i loro movimenti. Ranmaru era svantaggiato e, anche se aveva il meno robusto dei due, Yoichi, non poté niente. Continuava a cercare di liberarsi ma senza risultati. Enjoji, invece, non ci provava neanche. Il suo sguardo era fisso a terra, come se una sfilza di immagini e di pensieri gli stessero attraversando la mente: Kurebayashi che si è sempre espresso dicendo di non essere d’accordo che lui e Ranmaru vivessero insieme; Ranmaru che lo sgrida; Kurebayashi che pensa sempre e solo a Ranmaru, ignorandolo felicemente; Ranmaru che si arrabbia per ogni cosa che fa o che dice; Kurebayashi che ogni volta che vede Ranmaru non perde occasione per parlarci; Ranmaru che gli sorride…
“Solo qualche ora fa, pensò Enjoji, molte di queste situazioni si sono presentate…”
Minoru continuò il suo discorso, come se intanto non fosse successo niente.
« E tu, Samejima, non fai finta di niente perché non vuoi che Enjoji se ne accorga e allo stesso tempo ti comporti in modo gentile perché non vuoi perdere nemmeno l’amore del tuo amato maestro? Però… sarà per l’amore, io mi chiedo? »
Enjoji non si muoveva. Sembrava senza vita. Ranmaru stava iniziando a pensare al peggio. « Enjoji!! Che diavolo stai facendo, lì impalato?! »
« Enjoji, lo vedi come ti tratta? Non è l’unica volta. Non penserai che questo sia vero amore, vero? Non è che sta con te solo per- »
« SMETTILA!! E tu, maledetto, lasciami! » Ranmaru sembrava fuori di sé. Stava cercando in tutti i modi di liberarsi, ma la stretta era ben solida e completamente al di fuori della sua portata.
« Enjoji, guarda tu stesso come sta al gioco. »
Minoru avanzò verso il ragazzo e si avvicinò al suo viso. Enjoji lo seguì con lo sguardo, gli occhi spenti. Quello che aveva raccontato, in fin dei conti, poteva essere vero. Oppure no? Enjoji non sapeva cosa pensare. Alle immagini di Ranmaru che lo sgridava, si accostavano quelle in cui gli sorrideva dolcemente. Credere alle parole di un ex compagno o… credere alle parole del proprio ragazzo? Ma era ancora il suo ragazzo? O meglio… Lo era mai stato? Improvvisamente si immaginò Ranmaru e Kurebayashi insieme, in procinto di baciarsi…
« Cosa stai face- »
Le loro labbra si incontrarono in un lungo e forzato bacio. Enjoji sgranò gli occhi. Avrebbe voluto fermarli, separarli, colpirlo, ma se Minoru avesse avuto ragione? E se a Ranmaru quel bacio stesse piacendo? Cosa avrebbe potuto fare?  
« La…scia…m…i…!!! »
Cosa avrebbe dovuto fare?
Ranmaru scosse la testa con forza, sperando che si allontanasse il più velocemente possibile da lui. Minoru controllava con la coda dell’occhio le reazioni di Enjoji, e il suo sorrisino si trasformò in una rumorosa e fastidiosa risata. Poi si pulì la bocca con la manica, fece una smorfia di disprezzo e ci riprovò, ma Ranmaru continuava a muovere la testa, cercando di evitare ogni contatto con lui.
« A te queste cose piacciono, no? Perché mi eviti? »
Cosa avrebbe voluto fare?
« Enjoji, noti anche tu quanto sia bravo a recitare, questo furbacchione? Facendo finta di dimenarsi e di non volere niente, sa che io o chiunque altro ci proveremmo ancora e ancora, finché non si rassegnerebbe. È così che ti ha preso in giro per tutti questi anni. Magari non ha solo te e il suo maestro. Chissà quanti altri uomini avrà? Non vuoi scoprirlo? »
Ma avrebbe dovuto fare qualcosa, almeno?
« Smettila di dire idiozie, mi stai stancando!! Enjoji, non credergli! Non credergli!!! »
Tutte le convinzioni di Enjoji erano state distrutte come uno specchio che cade per terra e si frantuma in mille pezzi. Tutto quello che avevano passato insieme era solo una finta per andarci a letto? Solo per quello? Solo per fare sesso con lui? No… Non con lui e basta… Lui fa solo numero. È un semplice divertimento, un passatempo, un burattino. E ci è cascato come uno stupido.
« Lo vedi? Finalmente inizi a capire. La tua faccia dice tutto. Ah ah ah ah ah! »
Minoru si avvicinò all’orecchio di Ranmaru e gli bisbigliò delle parole. « Come ci si sente a vedere la propria vita e i propri sogni crollare in pochi minuti? »
« Cosa?! »
Gli occhi di Minoru si iniettarono di un odio profondo. « Tu mi hai battuto al torneo di kendo senza nessuna pietà, senza tenere conto del fatto che fossimo amici. Non mi è mai stato permesso di allenarmi con te e tu non hai mai fatto niente a tua volta. E le poche volte in cui ci siamo potuti misurare, mi rendevi sempre ridicolo davanti a tutti! Battendomi, i miei genitori, tutti i miei parenti, i miei amici e il nostro maestro persero completamente la fiducia e la stima che riponevano in me, ritenendomi un buono a nulla! Solo perché sono stato battuto da uno come te! Avevi gli occhi di tutti puntati addosso e nessuno vedeva del talento in me!
Il “Demone Samejima”, il “Demone Bianco”… Tutte stupidaggini! È tempo di vendicarmi e di prendermi ciò che mi spetta di diritto! » 
« In pratica hai fatto tutto questo solo per invidia? Non sei cresciuto per niente in questi anni, sei rimasto un bambino! Proprio perché eri mio amico, non potevo trattarti con riguardo! Sarebbe stato un insulto! Tu questo non l’hai mai capito! »
« Oramai è tutto inutile. Non intendo rimangiarmi ciò che ho detto a quello stupido di Enjoji. »
« Sei un- »
Allontanando il viso da quello di Ranmaru, appoggiò una mano sulla sua pancia. A Ranmaru scese un brivido lungo la schiena. Se avesse fatto quello che stava per fare senza riuscire a liberarsi, cosa avrebbe pensato Enjoji, che non aveva ancora spiccicato parola? Non l’aveva mai visto in quello stato. Non aveva la forza per liberarsi dalla presa, e più si dimenava, più Yoichi lo stringeva. Questo Enjoji l’avrebbe capito o avrebbe continuato a fraintendere?  
« Divertiti. » La mano era sparita in basso: Ranmaru cercò in tutti i modi di liberarsi, anche se ormai sapeva che era inutile. Si sentiva ferito nel corpo e nell’animo, e le forze lo stavano pian piano abbandonando. Minoru si avvicinò di nuovo al viso di Ranmaru e lo baciò ancora e ancora, mentre lo toccava. Si lasciò scappare un gemito. A quel punto, l’espressione di Enjoji si indurì e i suoi occhi smisero di riflettere la luce. Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito.
Accortosi del terribile e involontario errore, Ranmaru lo pregò di allontanarsi e di lasciarlo, ma ormai Minoru voleva di più. Gli aprì il cinto e lo fece voltare, tenuto ancora più saldo dalla stretta di Yoichi e con il volto pressato sul suo petto. Riusciva a girarsi appena. Nel momento in cui provò a violentarlo, Enjoji, come se si fosse improvvisamente risvegliato da un lungo sonno e, preso da una forza incontrollabile, colpì con la testa il mento di Shiba e si liberò dalla sua stretta. Subito dopo si lanciò su Minoru, colpendolo in faccia. « Bastardo! »
Ranmaru aveva gli occhi lucidi. « Enjoji… »
«Vuoi dire che non mi credi nemmeno adesso e che tutto quello che ho detto sono solo menzogne?! »
« …! » Enjoji rivolse un brevissimo sguardo a Ranmaru e poi lo puntò nuovamente verso il basso, come se ormai non avesse più il coraggio di guardarlo negli occhi. Come se ormai avesse perso tutto quello che aveva conquistato con tanta fatica.
“Conquistato?” “Con tanta fatica?”
Minoru sorrise un’altra volta e fece cenno a Yoichi di lasciar andare Ranmaru. Eseguì l’ordine: dopo averlo fatto nuovamente voltare, il ragazzo cadde sull’erba a causa di una ginocchiata sulla ferita infertagli poco prima.
« Be’, che dire? Buonanotte! Ah ah ah ah ah! Ci si becca in giro! » I tre sparirono tra le ombre degli alberi così come erano arrivati.
Le braccia di Ranmaru erano doloranti e riusciva a malapena a muoverle. Sentiva, inoltre, un bruciore pungente sulla schiena. Anche Enjoji doveva avere dolore: aveva un braccio che sanguinava ma non lo dava minimamente a vedere. Forse il dolore che provava dentro era più forte.
Ranmaru si diede una veloce sistemata, poi provò a parlargli e ad avvicinarsi a lui, alzandosi a stento. « Enjoji, senti… »
Non appena le mani di Ranmaru lo toccarono, con una manata le allontanò da sé. I loro occhi non si incontrarono mai.
« Enjoji, ma non farai sul serio? Smettila di scherzare, non è divertente… »
Nessuna risposta. Riprovò. « Il tuo braccio sanguina… Dobbiamo- »
« Non è niente. »
« … Kei…! »
A quella parola, Enjoji scattò, alterandosi con lui come non aveva mai fatto prima. « Non dire il mio nome! Non voglio sentirlo pronunciare da te! Mai più! »
A Ranmaru cadde il mondo addosso. Sì sentì improvvisamente senza forze. Possibile che tutto quello che avevano passato insieme non fosse servito a nulla? Possibile che le parole di uno sconosciuto avessero potuto influire così tanto sulla loro vita?
Ranmaru aveva iniziato a perdere ogni speranza. Non aveva la forza per fare nulla. Nella sua mente esistevano solo pensieri tristi e privi di lieto fine.
Enjoji iniziò a camminare. « Muoviti. »
Il paesaggio della strada di ritorno non era così bello come quando erano arrivati. Era spento, i colori non c’erano più. Lo scorrere dell’acqua era fermo. Gli alberi emettevano suoni cupi. Tutto era freddo. Ma non perché era notte. Non c’entrava niente. Anche il posto più triste, in compagnia della persona amata, non è poi così brutto. Ranmaru faticava a stare al suo passo. La gamba non rispondeva bene agli ordini e gli doleva la schiena, ma Enjoji sembrava non accorgersene. Era terribilmente stanco.
Arrivati alla macchina, Ranmaru si sedette nel sedile a fianco al posto di guida ma, non appena Enjoji mise in moto, si sentì mancare l’aria, per cui dovette aprire il finestrino. Appoggiò il gomito sullo sportello e si tenne la testa con la mano, nascondendo mezzo volto. Se Enjoji fosse stato ad ascoltarlo, forse avrebbero potuto chiarire. Sì, sicuramente. Solo che Enjoji sembrava non ne avesse intenzione. La sua fiducia in lui era tanto debole?
« Dannazione… »

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Capitolo 10
*** La speranza è l'ultima a morire ***


Arrivati a casa, Ranmaru non volle vedere nessuno, per cui prese uno yukata pulito e si chiuse in bagno. Riempì la vasca e ci si immerse dentro. Non aveva neanche prestato attenzione alla temperatura dell’acqua, più fredda che calda. Si dimenticò anche del dolore alla schiena. Si mise le mani in faccia e, finalmente solo, si fece scappare qualche singhiozzo.
Enjoji, invece, era andato ad avvisare la famiglia del loro ritorno, cercando di fare finta di niente e di comportarsi normalmente. Yuki, vedendo una macchia di sangue sulla manica e lo sguardo inevitabilmente spento, intuì che fosse successo qualcosa, ma ritenne che non dire niente fosse, al momento, la cosa migliore da fare.
Dopodiché, Enjoji diede la buonanotte a tutti e andò verso la camera da letto ma, poco prima di entrare, si fermò qualche istante davanti alla porta del bagno. Sentì Ranmaru piangere. Avrebbe voluto entrare e abbracciarlo, dirgli: “Va tutto bene, ci sono io con te”, ma in quel momento anche lui aveva bisogno di sentirsi dire quelle parole.
Forse le sue lacrime erano vere, ma quello che aveva sentito poteva essere tutta una bugia come la completa verità. Doveva prima mettere le idee a posto e riflettere a mente fredda. Doveva trovare le risposte da solo; capire se i pezzi del puzzle che possedeva combaciavano tutti tra di loro, senza averne in più o in meno. Per ora, però, tornava tutto.
Passò avanti e andò in camera. I letti erano già pronti, sicuramente per opera della signora Miyo. Si coricò in quello a destra e si coprì quasi completamente con le coperte, dando le spalle al futon di Ranmaru.
Ranmaru tornò in camera da letto quando ormai Enjoji si fu addormentato. Osservò il suo braccio, che teneva sopra le coperte, e notò che aveva appoggiato sopra alla ferita un panno umido. Guardandolo con tristezza, prese dall’armadietto del bagno una boccetta e una garza e iniziò a disinfettarglielo. Se in quel momento fosse stato sveglio, probabilmente non gli avrebbe mai permesso di fare una cosa simile…
Una volta finito e rimesso ogni cosa al suo posto, si coricò dandogli anche lui le spalle.

Il giorno dopo, appena sveglio, Enjoji notò subito che qualcosa gli stringeva il braccio. Lo sguardo si posò prima sulla fasciatura e poi su Ranmaru, ancora addormentato. Si alzò e andò a fare colazione. Sentendo un rumore di passi, Ranmaru aprì gli occhi e vide i suoi piedi uscire dalla stanza. Ormai era sveglio, per cui decise di alzarsi anche lui, ma non lo rincorse né lo chiamò. Era tutto così diverso dal solito… In compenso, sembrava che gli arti stessero iniziando a non fare più troppi capricci da appena sveglio, sebbene il giorno prima li avesse strapazzati un po’ troppo.
Percorse con calma l’andito a ritroso, girò l’angolo a sinistra, superò la porta d’ingresso e andò in sala da pranzo. Enjoji stava parlando con Yuki e il padre e stava prendendo posto per fare colazione. Ranmaru entrò nella stanza e abbozzò un saluto, stando attento a non guardare Enjoji negli occhi. Poi prese posto al tavolo di fianco al ragazzo, seguito dallo sguardo preoccupato di Takashi e Yuki. La signora Miyo entrò nella stanza con i vassoi della colazione in mano e li poggiò sul tavolo. Notò subito un’atmosfera pesante.
Incominciarono a mangiare, silenziosamente. Yuki e Takashi ogni tanto si scambiavano delle occhiate e lei, alla fine, preoccupata per il fratello che non aveva una bella cera, decise di azzardare una domanda. « Fratellone… È… è successo qualcosa? » Deglutì. « Hai gli occhi rossi, gonfi… Hai pianto, stanotte? »
Ranmaru sentì il cuore saltargli in gola. Enjoji non cambiò espressione e continuò a mangiare. « No, sono ancora assonnato… »
Yuki non sembrava convinta, esattamente come Takashi e Miyo. « … Perché non andate in palestra dal nonno e da Kurebayashi e- »
Enjoji si alzò di scatto, facendo ballare un po’ il tavolo. Le bacchette con cui stava mangiando caddero a terra. « Enjoji… »
« Grazie per il pasto. »
Uscì dalla stanza senza guardare in faccia nessuno. La sua espressione apparentemente era arrabbiata, ma in realtà era solo delusa.
Ranmaru chiuse gli occhi in tono arrabbiato e voltò la testa dall’altra parte. Si sentiva abbandonato e incompreso.
« Ranmaru, ma cosa succede? »
Ranmaru improvvisamente scoppiò, dando un pugno al tavolo. « SUCCEDE CHE ENJOJI È UN IDIOTA! »
Si alzò velocemente anche lui e se ne andò nel modo più veloce consentitogli dalle sue gambe.
Si guardarono tutti esterrefatti. « Ma cosa… »

Passarono in questo modo cinque lunghi e dolorosi giorni, ma la famiglia, sempre più preoccupata, continuava a rimanere all’oscuro di tutto. Ranmaru ed Enjoji si evitavano come meglio potevano, e se erano costretti a stare nella stessa stanza, non si rivolgevano mai la parola e si comportavano freddamente con tutti.
Il venerdì di quella settimana, a pomeriggio inoltrato, Yuki avvertì Ranmaru che Enjoji aveva chiesto alla signora Miyo se poteva prestargli una borsa per mettere dentro le cose che aveva portato con sé. Ranmaru non riuscì a credere alle sue orecchie, e la guardava a bocca aperta e con gli occhi spalancati. « Cosa… hai… »
« È in camera vostra, adesso. » Si fermò qualche secondo, studiando il comportamento del fratello. « Fratellone, se è successo qualcosa, parlaci, prima che sia troppo tardi. Voi due siete fatti l’uno per l’altro… Qualsiasi cosa sia successa, non mandate tutto a monte. »
Le parole di Yuki convinsero Ranmaru, che si catapultò nella sua stanza. In quel momento arrivò Takashi, il quale intuì, dalla corsa del figlio e dalla direzione presa, quello che era successo.
« Cosa stai facendo?! »
Enjoji era inginocchiato davanti all’armadio con una borsa aperta, nella quale stava mettendo dentro i suoi vestiti. « Ora, oltre che falso, sei anche cieco? »
Ranmaru corse verso di lui e lo prese per la collottola, facendogli perdere l’equilibrio. « Enjoji, ma si può sapere da quand’è che sei diventato così stupido?! »
« Ora sono io quello stupido? »
« Sì, sei tu! Perché non vuoi stare ad ascoltarmi?! Possibile che quell’idiota sia riuscito a farti il lavaggio del cervello?! »
« E allora come mi spieghi tutto quello che ha detto?! »
Lo sguardo di Enjoji finalmente si rifletté negli occhi di Ranmaru, e tutto ciò che provò, guardandoli, fu… niente. I suoi occhi non trasmettevano nessuna emozione. Forse un’ombra di delusione. Ranmaru si fece forza. « Tutto quello che ha detto è solo una menzogn- »
« Fammi parlare, prima! »
Ranmaru tacque.
Le urla si sentivano fin nell’andito, e Yuki e il padre non poterono non ascoltare. Ormai volevano sapere cosa turbava quei due ragazzi, e magari avrebbero potuto aiutare, ma Takashi fece cenno a Yuki di non intromettersi nella discussione. Dovevano essere in grado di risolverla da soli, per ora.
« Io… non so se sia vero che tu mi abbia usato solo per andare a letto con me o se ci sia dell’altro. Questo no, non lo so! Però… è vero che Kurebayashi con te è sempre gentile e protettivo, e che tu lo sei altrettanto con lui. E anche che lui non mi sopporta e non accetta il fatto che viviamo insieme! Se quella storia del bacio da parte tua fosse vera, se il fatto per cui mi tratta sempre in quel modo fosse per gelosia, e se voi due… davvero… Be’… io qui non ci faccio poi molto! Questo mi fa pensare che tu con me abbia sempre finto, perciò… vai dal tuo amato maestro, vai dagli altri tuoi uomini, se ne hai, e facci quello che vuoi! Ma da adesso in poi smettila di- »
SCHIAFF!
Ranmaru era nero. Non avrebbe mai pensato di sentirgli dire quelle cose.
Yuki e Takashi si guardarono. Enjoji che dubitava della fedeltà di Ranmaru?!
« Io non ho mai baciato Kurebayashi, e lui non l’ha mai fatto con me! Non ci sono mai andato a letto e non ho nessun altro uomo! Tu questo lo sai benissimo! Non ti ho mai tradito e non ho assolutamente intenzione di farlo! Come fai a non avere ancora capito quanto tu sia importante per me?! Enjoji! »
« E chi mi garantisce che quello che mi stai dicendo sia vero? »
« Kurebayashi mi conosce da sempre! Tutto ciò che prova è semplice affetto!! Te la stai prendendo tanto per un abbraccio?! »
« Non me la sto prendendo per un abbraccio, ma per il fatto che potresti davvero avere una storia con lui! È innegabile che mi odi! »
« Non ti odia, è fatto così! »
« Che scusa banale! Tra l’altro lo fa solo con me, che caso! E il bacio che ti ha dato Minoru, allora?! Apparentemente era forzato, ma ti è piaciuto, in realtà, non è vero?! Quando ti stava toccando e lo stava per fare, avresti voluto che non lo interrompessi, giusto?! »
Ranmaru non riuscì più a controllarsi, e impiegò così tanta forza nel tenerlo per il colletto che riuscì a scuoterlo, rigido di rabbia, come se fosse una bambola. « No, che non mi è piaciuto, brutto idiota!! In che lingua devo dirtelo per farti capire che è tutto un malinteso?! Credi davvero che tutto il tempo passato insieme potesse essere frutto di un gioco, una finta?! » Stava iniziando a cedere, e le mani iniziarono a tremargli. « Perché… non riesci più a credermi? Perché di colpo… hai perso tutta la fiducia in me…? Si può sapere cosa ho fatto di male, dannazione?! » Una lacrima cadde sul palmo della mano. Abbassò la testa e la appoggiò sul suo petto. « Ha detto tutto per invidia e vendetta… Non ha mai raccontato la verità… Tu non puoi credergli davvero. Non puoi… » Le lacrime iniziarono a cadere una dopo l’altra. « Sei tu l’uomo che amo, non c’è nessun altro… È con te che voglio passare la mia vita… » Lasciò andare la presa e appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo, tenendo sempre la testa china. « Ti prego… Torniamo insieme, Kei… Io, senza di te, non ce la faccio… Sto male… »
Enjoji non disse nulla. Teneva lo sguardo fisso, oltre Ranmaru. Quelle non potevano essere le lacrime di qualcuno che mentiva. Erano troppo calde e sincere. Però…
« …No… » Enjoji allontanò Ranmaru e uscì quasi di corsa dalla stanza. Nel girare l’angolo, si ritrovò di fronte Yuki e Takashi, che lo guardavano afflitti. Enjoji si fermò solo per qualche attimo, per poi andarsene velocemente con un’espressione addolorata sul viso. Takashi si voltò leggermente per osservare l’immagine di Enjoji che spariva dietro l’angolo, mentre Yuki si affacciò sulla porta per vedere con i suoi occhi in che condizioni fosse il fratello: era mezzo scioccato, immobile e in ginocchio, in fondo alla stanza semibuia. Il volto era bagnato dalle lacrime. Non riusciva a pensare né a parlare. Tutto quello che fu in grado di fare fu gridare di disperazione dopo qualche singhiozzo, battendo i pugni sul pavimento con forza.
« Fratellone… » Ranmaru non si mosse. Tremava. Riuscì solo a dirle, con voce rauca, di andare via. Non aveva mai visto Ranmaru piangere, e mai avrebbe pensato di vederlo un giorno tanto disperato.
Takashi entrò nella stanza e si avvicinò al figlio. Yuki lo seguì, incerta.
« …Cosa volete? »
Takashi gli mise entrambe le mani sulle spalle. « Parlarti. Ranmaru, tu- »
Non gli diede il tempo di parlare. Aveva bisogno di sfogarsi. « Non ascolta, non dà retta… Non ho la più pallida idea di come farlo ragionare! Perché, dannazione?! » Continuò più volte a battere i pugni sul pavimento, ormai bagnato anche quello.
« … Ascolta, Ranmaru… Sai perché tu ed Enjoji state insieme da anni? Sai perché siete sempre stati così ben affiatati? Perché ognuno di voi completa l’altro. Lui dà a te ciò che non hai, e tu fai lo stesso con lui. Avete scoperto che stare insieme vi fa stare bene, e questo stare bene vi rende felici e forti. »
Ranmaru alzò la testa e fissò il padre.
Yuki proseguì il suo discorso. « Fratellone… Ti ricordi il primo giorno di scuola alle medie, quando incontrasti per la prima volta Enjoji? » Il ragazzo voltò lo sguardo da un’altra parte, ricordando il momento del fatidico incontro. « Tu stesso mi hai raccontato che all’inizio non ci andavi minimamente d’accordo e che era troppo diretto, però… quello stesso giorno sei tornato a casa con lui e l’abbiamo invitato a cena, ricordi? » Ranmaru annuì impercettibilmente, ma Yuki capì. « A quei tempi ero ancora una bambina, ma… avevo capito subito che era una persona speciale, per te. Non avevi mai portato a casa nessun tuo compagno e rimanevi tutto il tempo da solo, triste, immerso nei tuoi pensieri. »
Takashi, che non lo sapeva a causa del tempo passato fuori per lavoro, rimase un po’ sorpreso, e guardò Yuki parlare in quel modo a suo fratello, con gli occhi che le brillavano. « Ma con Enjoji è stato diverso! È proprio quel suo fare diretto e aperto che cattura le persone. È quel suo modo di comunicare con tanta semplicità e spontaneità che ha fatto sì che tu potessi raggiungerlo e camminarci a fianco. »
Gli occhi di Ranmaru ripresero a lacrimare. Speranza c’era ancora, e teneva per mano Amore. « Ma questo è il passato! È diverso, adesso! Se poco fa avete ascoltato, allora dovreste capirlo! Ormai, Enjoji mi… »
« Non dire una cosa del genere, Ranmaru. Non pensare che adesso Enjoji si stia divertendo da qualche parte. Lui sta male e soffre almeno quanto te, solo che si tiene tutto dentro e combatte contro i dubbi e il cuore. È confuso e non sa cosa fare. Secondo me vorrebbe chiederti scusa ma non sa come farlo… »
« E il suo modo di chiedermi scusa è quello di fare le valigie?! »
« Quella dev’essere stata la rabbia del momento. Non darci troppo peso, fratellone… Se avesse voluto andarsene davvero, l’avrebbe già fatto senza troppi complimenti. »
« Coraggio, Ranmaru, fatti forza. Se hai bisogno, sfogati pure quanto vuoi. Dopo andrò io a parlarci, non devi preoccuparti. »
Ranmaru non resistette a quelle parole dolci e incoraggianti del padre, e lo abbracciò con forza, esplodendo in un ultimo, grande pianto.

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Capitolo 11
*** In amore serve fiducia ***


***
Non appena Ranmaru si fu calmato, il padre uscì dalla stanza e andò a cercare Enjoji. Era seduto su uno scalino in giardino, davanti alla porta d’ingresso. Gli si avvicinò e si sedette a fianco a lui. « Come va? »
Non rispose. Continuava a fissare la sua macchina parcheggiata, incantato. Takashi non si arrese. Una delle sue qualità migliori era l’infinita pazienza che lo rendeva una persona amabile e gentile. « Ti va di parlare? »
« Non ho niente da dirle. »
« Sei sicuro di non voler credere in Ranmaru e di volerlo condannare senza provare a parlarci come si deve? »
« Il punto del litigio sono le ipotetiche bugie. Come posso credere nella persona che può avermi mentito per anni? Non servirebbe… »
« Il tuo discorso regge, ma ricordati che si è innocenti fino a prova contraria. Tu hai mai visto Ranmaru tradirti con qualcun altro, per caso? » Takashi gli sorrise. « So che il tuo lavoro è fare l’accompagnatore notturno. »
Enjoji voltò leggermente la testa senza rispondere.
« Ascolta… non mi piace dire queste cose senza previo consenso, e nemmeno a Ranmaru piace rinfacciare le cose – e infatti di questo non ha fatto parola – però… vorrei che ti rendessi conto che lui per te ha dato tutto. Ha rischiato di morire, di rimanere paralizzato a vita, di mandare in frantumi tutti i suoi sogni. Puoi credermi, Enjoji. Mio figlio non farebbe tutte queste cose solo per quel motivo. Non è uno sconsiderato e nemmeno uno stupido. Perché non provi a dargli un’altra opportunità? Non distruggete il vostro futuro per delle stupidaggini. Lo so che in fondo tu gli credi e che tieni a lui.
« … Non voglio farti la paternale, è solo che in voi, fin dalla prima volta, ho visto che avevate un futuro, sia per come vi guardavate, sia per come vi intendevate. Ora Ranmaru si è calmato un po’, ma non l’avevo mai visto piangere così disperatamente, nemmeno da piccolo. Parlaci seriamente, ti prego. »
Enjoji mise il viso tra le mani e fece un grande respiro. Takashi insistette ancora un po’. « D’accordo? »
Il ragazzo annuì, senza spostare le mani. « Mi dispiace… »
Takashi gli diede una pacca sulla spalla e si alzò per andare via.
Enjoji rimase lì immobile a riflettere a lungo, poi fece un altro respiro profondo e si mise in piedi. Decise che era ora di rimettere le cose a posto.
Provò a tornare in camera per vedere se Ranmaru fosse ancora lì ma non lo trovò. Poi sentì provenire dal bagno lo scrosciare dell’acqua: probabilmente era lui che si rinfrescava il viso. Decise di attenderlo fuori dalla porta.
Finalmente, la maniglia della porta si abbassò, e ne uscì fuori un Ranmaru con gli occhi molto arrossati e l’espressione stanca. Nel vedere Enjoji appoggiato nella parete di fronte alla porta del bagno, si pietrificò. “Cosa può volere, ancora?”, pensò.
« Mi dai qualche minuto? »
Ranmaru trovò molto strano il fatto che Enjoji volesse parlagli, ma poi pensò che c’era sicuramente lo zampino del padre. Solo che, per qualche motivo, non riusciva a essere felice per quella richiesta. Takashi poteva essere riuscito a convincerlo per farli parlare nuovamente, ma niente gli garantiva che era lì per sistemare tutto. Che volesse dirgli definitivamente addio? Il cuore iniziò ad andare a mille.
Gli fece cenno di seguirlo. Uscirono in giardino. Enjoji si fermò sul primo gradino, dando le spalle a Ranmaru. Si fermò anche lui, in attesa che dicesse qualcosa, ma non resistette a lungo. Parlarono quasi nello stesso istante.
« Che cosa- »
« Mi dispiace. »
« Eh? » Ranmaru rimase letteralmente senza fiato. Pensava di aver capito male.
« Sono stato un vero idiota… Prima… è venuto a parlarmi tuo padre. Mi ha detto che nemmeno lui ti ha mai visto così tanto disperato come oggi. »
Ranmaru arrossì, pensando che quel particolare il padre avrebbe anche potuto ometterlo.
« Sai, in realtà anche io dentro di me stavo piangendo così, nonostante fosse tutta colpa mia. »
Ranmaru osservava le sue spalle, immobile. Non riusciva a pensare a niente. Voleva solo continuare ad ascoltare tutto quello che aveva da dirgli. Continuare ad ascoltare la sua voce.
« Mi sono accorto… che quello che ho provato quando Minoru ha detto che tu avevi una storia con Kurebayashi, quando ti ha baciato e ti stava toccando… è stata solo… una grande, gigantesca gelosia… »
Ranmaru aprì leggermente la bocca, completamente preso dalle sue parole. Parole che quel giorno non credeva avrebbe mai sentito.
« Gelosia per paura di perderti, quando, invece… preso da questo sentimento, ho finito per allontanarti io stesso. » Enjoji si voltò verso il compagno. « Io di solito sono geloso di chiunque si avvicini a te, lo so bene e lo sai anche tu. Però… questa volta è stato… non so, diverso. Forse perché in quel momento Minoru è stato capace di far uscire la tua voce… » Il volto di Ranmaru assunse diverse sfumature di rosso ma non trovò il momento adatto per parlare. « Pensandoci bene, però, questa gelosia non è dovuta al fatto che io non mi fidi di te, come ti ho fatto credere e come credevo anch’io. È dovuta alla poca fiducia che ho io in me stesso nello stare al tuo fianco. Paura che un giorno tu possa stancarti di me e rimpiazzarmi con qualcun altro. Con questo pensiero, io… »
Ranmaru si avvicinò veloce e lo abbracciò, come se temesse che quelle parole svanissero, scappando lontane.
« Perdonami, io… sono uno stupido… Ho incolpato sia te che Kurebayashi per cose che non avevate fatto e ho dato retta a un altro stupido… Ran… »
Ran… Finalmente lo aveva chiamato per nome. Questa piccola parola riempì il cuore di Ranmaru con molta più felicità di quanto non avessero fatto tutte le altre messe assieme. « Va tutto bene, Kei. Ci sono io con te, e questo non cambierà mai. » Quelle parole… Ranmaru gliele aveva dette anche qualche ora prima di rimanere ferito nell’incidente, dopo essere stati dolcemente insieme, uniti nel corpo e nell’anima. Non riuscì a perdonarsi per averle dimenticate. Anzi, per aver smesso di credere in loro.
Ricambiò l’abbraccio, avvolgendolo e tenendolo stretto come se fosse un tesoro prezioso.
« Grazie. »
« Mh? » Enjoji non capì perché Ranmaru lo stesse ringraziando.
« Grazie… per avermi fatto capire quanto sia importante per te. » Ranmaru sciolse l’abbraccio per poterlo guardare negli occhi. « Però… c’è una cosa che continui a non capire, e cioè che io non mi stancherò mai di te, né vorrò mai cambiarti con qualcun altro. » Si guardò la mano sinistra e se la portò al petto. « Quando mi hai regalato questo anello, ho giurato eterno amore. Non voglio rimangiarmi quelle parole. Non voglio e non posso. Ti prego, almeno questo non dimenticartelo mai. »
Enjoji sorrise. Gli occhi avevano ritrovato luminosità. « Non lo farò. »
Mentre gli diceva queste parole, appoggiò le proprie labbra sulle sue, rendendo l’atmosfera piena di amore e magia. Sembrava un secolo che non parlavano né si baciavano. Sarebbero voluti rimanere così in eterno, ma non fu possibile. Il ritorno del nonno dalla palestra ruppe l’incantesimo, e furono rimproverati per la poca indiscretezza tale da baciarsi addirittura sulla porta di casa, anche se, in realtà, era felice di vedere che avessero fatto pace. Quella situazione stava iniziando a preoccupare persino lui, anche se aveva deciso di non mettersi in mezzo e di lasciar correre.
Non seppe cosa pensare quando i due ragazzi non si lamentarono né si arrabbiarono; tuttavia, cambiarono semplicemente posto: andarono a sedersi sotto un grande albero in giardino e continuarono a coccolarsi fino all’ora di cena, cercando di recuperare il più possibile il tempo perduto.
 
Dopo due orette, il padre, ancora all’oscuro di tutto, setacciò tutta la casa alla loro ricerca. Non trovandoli, provò a chiedere al nonno se li avesse visti. Quindi si affacciò in giardino e, con sua grande sorpresa, li vide seduti sotto un albero: Enjoji con le gambe incrociate e Ranmaru seduto su di lui con la testa appoggiata al petto e le braccia attorno alla vita. Ogni tanto si vedevano ridere. Quella era la scena che Takashi aveva sperato di vedere da quando il litigio era cominciato. Era veramente felice di vederli riappacificati e lo seccava doverli disturbare. Tuttavia, si avvicinò a loro.
« Papà… »
« Vedo con grande piacere che avete fatto pace. Bravi, è stata la scelta giusta. »
I due ragazzi si scambiarono un sguardo e sorrisero. « Grazie. Ci hai aiutati moltissimo. »
« Non ho fatto niente. Avete ritrovato il giusto equilibrio da soli. »
« Non dica così. Grazie davvero, papà. »
Takashi sorrise dolcemente. « Comunque, sono venuto a dirvi che la cena è pronta. Vi aspettiamo. »
« Va bene, arriviamo. »
Enjoji fece un’espressione pigra. « Non ho voglia di alzarmi… »
« Neanch’io, però ho fame, oggi non ho mangiato niente. Dai, li stiamo facendo aspettare. »
Ranmaru fece per alzarsi, ma Enjoji gli prese la mano e lo avvicinò a sé per strappargli un bacio, che evitò. Enjoji fece una faccia offesa. « Insensibile. »
« Sono mortificato. Ora andiamo, però. » Ranmaru si alzò divertito e iniziò ad avviarsi, per cui Enjoji fu costretto a seguirlo.
Una volta entrati nell’andito della casa, voltarono a destra e andarono nella sala da pranzo. Tutti gli occhi furono puntati su di loro nel momento in cui entrarono. A disagio, rimasero sull’uscio, senza sapere cosa dire. « Mi sembra di essermi già trovato in questa situazione », disse sottovoce Ranmaru. « Ehm… Siamo molto in ritardo? »
Quello che volevano sapere Yuki e la signora Miyo era ovvio, dal momento che né il signor Samejima né Takashi avevano detto niente.
« Dite qualcosa… »
« Voi due… ehm… » Yuki non sapeva come chiederlo, però i ragazzi intuirono. Rispose Enjoji con nonchalance. « Ah, sì. Abbiamo risolto tutto, nessun problema. »
Sentendo quelle parole, alla signora Miyo scesero delle lacrime di gioia e Yuki si precipitò verso di loro, travolgendoli con un abbraccio.
« Yuki, ma cosa… »
« Sono così felice! Bravi, bravissimi! »
Ranmaru ed Enjoji si misero a ridere, leggermente in imbarazzo. « Sei una matta… »
« È colpa vostra che avete fatto preoccupare tutti! »
Enjoji si sentì in colpa. In fondo, tutto era cominciato a causa sua. « Scusa, Yuki… »
Yuki lo osservò con uno sguardo dolce, poi gli mise una mano sul viso. « Guarda che stavo scherzando. »
La signora Miyo, ricompostasi su esortazione del padrone di casa, li invitò a sedersi e a cominciare a mangiare.
Yuki si sedette a fianco al padre, sulla sinistra; la signora Miyo era seduta nel posto che dava sulla cucina; Ranmaru ed Enjoji presero posto sulla destra e, infine, il nonno era seduto dando le spalle alla porta da cui erano entrati i ragazzi. Questi erano i posti cui si erano tutti abituati a prendere.
La signora Miyo aveva preparato, su richiesta del signor Samejima, alcuni dei piatti preferiti di Ranmaru ed Enjoji, ovviamente in modo del tutto casuale. L’atmosfera era decisamente più allegra e per niente tesa, quella sera: niente più sguardi tristi o evitati; niente falsi sorrisi o lacrime represse; niente scatti d’ira improvvisi e pasti lasciati a metà. Tra una cosa e l’altra, Yuki annunciò che la mattina seguente sarebbe tornata a casa sua.
« Così all’improvviso? »
« Ho lasciato Takumi nelle mani del padre per troppo tempo. Sapete che non c’è da fidarsi troppo quando si tratta di lui. Ha spesso la testa fra le nuvole e pensa sempre a divertirsi. Devo tornare. »
E già… Yuki era mamma. Aveva dei doveri a cui adempiere, ma questo fatto era passato di mente a tutti.
« Lo capiamo. Ti prego, però, torna presto a farci visita. »
« Sicuramente. »
Ormai stavano finendo anche le vacanze di Enjoji, e quel lunedì sarebbe dovuto tornare sia all’Università che al lavoro, dal quale aveva chiesto un permesso.
Una volta finito di mangiare, Ranmaru ed Enjoji si alzarono dalla tavola e si recarono nella loro camera. C’era ancora l’armadio aperto e la borsa quasi pronta per il trasferimento. « Che cosa hai intenzione di fare con questa roba? »
« Stavo pensando che, ormai, potremmo anche tornare a casa nostra. Cosa ne dici? »
« Sì, forse hai ragione… »
Enjoji osservò Ranmaru per qualche attimo. « … Che c’è? »
« Come vanno il braccio e la gamba? »
Ranmaru portò lo sguardo verso i suoi arti. « Non me n’ero accorto, ma… ormai non ho molti problemi nel muoverli. Sta andando decisamente bene. »
Enjoji era come se si fosse liberato da un grosso peso. Fece un sospiro di sollievo. « Meno male… »
« Sai… » Ranmaru si fermò un attimo, prima di continuare. « Pensavo che non sarei mai più riuscito a muovermi come prima… »
Enjoji fece uno sguardo eloquente. « Io sì! »
« Eh? »
« Ti ricordo che all’inizio ho scommesso con tuo nonno che ci saresti riuscito. O mi sbaglio? »
A Ranmaru scappò una risata. « È vero. Grazie, Kei. Mi hai aiutato molto. »
Enjoji fece “no” con l’indice. « No, ce l’hai fatta da solo. Ah, a proposito… » Si toccò la fasciatura sul braccio. « Grazie. »
Ranmaru si imbarazzò.
« Ranchan, anche tu ti eri fatto male alla schiena, vero? »
« Non era molto grave… È rimasto un livido, ma non mi fa tanto male. »
« Meglio così. »
Ranmaru aiutò Enjoji a preparare il futon che aveva accuratamente riposto nell’armadio prima di preparare la valigia. Una volta finito, si sedettero ognuno nel proprio e decisero di mettersi d’accordo per il giorno dopo. « Stavo pensando… Visto che abbiamo quattro biglietti, perché non ne regaliamo due a Yuki per lei e Takuma? Tanto Takumi è piccolo, non pagherebbe. »
« Sì, perché no? »
« …E noi, invece? », chiese Enjoji.
« Che cosa? »
« Quando ci andiamo? »
« Ah… Be’, oggi è venerdì, quindi… domani? O è troppo improvvisato? Ricordati che poi dobbiamo tornare all’Università e non avremo più tempo. »
Enjoji distese le braccia in alto e si stirò rumorosamente. « Ok, perfetto. Partiamo dopo aver salutato Yuki, allora. »
Ranmaru puntò la sveglia alle 8:00 e appoggiò la testa sul cuscino, con un braccio sul viso che gli copriva gli occhi.
« Hai sonno? »
« Sì… Sono notti che dormo male. »
« Colpa mia… Scusa. » Gli spostò leggermente il braccio per poterlo guardare. Dallo sguardo si vedeva che era felice. « È bello poterti riparlare. »
Enjoji gli passò una mano fra i morbidi capelli e glieli baciò. « Dormi bene. »
« Buonanotte, Kei. »

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Capitolo 12
*** Una nuova avventura ***


Il mattino dopo, Ranmaru si pentì di aver impostato la sveglia così presto. Si svegliò di malavoglia, ancora stanco e senza voglia di alzarsi. Enjoji, invece, non l’aveva proprio sentita, e continuava a dormire profondamente. Decise comunque di non disturbarlo, così andò in bagno a sciacquarsi il viso per svegliarsi. Quindi, andò in camera di Yuki, sicuro di trovarla già sveglia. Bussò alla porta aperta, per avvisarla della sua presenza. « Disturbo? »
Yuki era inginocchiata verso l’armadio, intenta a fare le valigie. « Buongiorno, fratellone. No, vieni pure. »
Ranmaru entrò nella stanza, avanzando verso la sorella.
« Enjoji? »
« Sta ancora dormendo. »
Yuki si mise a ridere. « Non dovevo neanche chiedere. »
« … Va tutto bene, Yuki? »
Yuki continuò a riempire la valigia, senza voltarsi. « Sì, perché? »
« Niente, mi sembravi un po’ giù. »
« Oh, no, non è niente. Sono contenta di poter rivedere mio marito e mio figlio. È solo che… » Ranmaru le rivolse uno sguardo interrogativo. « … mi dispiace perché non so tra quanto potrò rivedervi… »
Ranmaru si inchinò di fianco a lei. « Se il problema è solo questo, allora non devi preoccuparti. Appena arriveranno le prossime feste, torneremo tutti qui. Va bene? »
Yuki gli sorrise gentilmente. « Certo. Grazie. »
Ranmaru ricambiò il sorriso. « A che ora parti? »
« Verrà a prendermi il signor Tsurumi verso le 9:30. »
« Allora vado a svegliare Enjoji. Anche noi ci allontaniamo da casa per il fine settimana. »
« Davvero? Dove andate, di bello? »
« Abbiamo vinto dei biglietti il giorno che siamo usciti insieme. Andremo in un hotel al mare. »
« Aah, che invidia », disse, in tono ironico. « Be’, divertitevi! »
Ranmaru rise. « Ne abbiamo vinti quattro, per cui due vogliamo regalarli a te e a Takuma. »
Yuki si illuminò. « Sul serio, fratellone? »
« Certo. Te li do prima di partire, va bene? »
Diede un bacio sulla guancia a Ranmaru. « Grazie. Una vacanza in famiglia ci voleva proprio! »
Ranmaru finì di aiutare Yuki con la valigia, dopodiché tornò in camera sua e cercò di svegliare Enjoji, il quale impiegò uno sforzo decisamente maggiore rispetto a lui. Evidentemente anche lui non riusciva a dormire bene da giorni.
« Enjoji, vuoi deciderti ad alzarti o no? Rischi di non riuscire a salutare Yuki, e anche noi dovremmo prepararci! »
« Ran, abbassa la voce… » Si coprì la faccia con il lenzuolo e tornò a dormire. Ranmaru, che iniziava a perdere la pazienza, prese il proprio cuscino e lo premette sul suo viso. Enjoji, sentendosi soffocare, si sedette di scatto e lo guardò storto, visibilmente infastidito.
« Buongiorno. » Ranmaru aveva un’espressione di completa indifferenza sul volto, e questo irritò leggermente Enjoji. Deciso a non cominciare una discussione, si passò le mani sul volto ancora addormentato e sospirò. « ‘Giorno… »
Si sentì bussare alla porta. Era la signora Miyo. « Buongiorno, ragazzi. Scusate il disturbo, ma la colazione è quasi pronta. »
« Arriviamo, grazie. Cominciate pure. »
Enjoji si alzò dal letto ma, prima di andare a mangiare, i ragazzi ritennero che fosse meglio preparare una valigia veloce per i due giorni di vacanza: presero una borsa dall’armadio della camera del padre, nel quale erano conservate anche alcune valigie, e misero dentro quello che avrebbe potuto servire loro.
« Perfetto, possiamo andare. »
« Chi viene a prendere Yuki? »
« Ha detto che sarebbe venuto il signor Tsurumi alle 9:30. »
« Chi, quel vecchietto matto? »
« Non essere offensivo. È gentile a fare tutta quella strada per venire qui. »
Enjoji si voltò, facendo finta di niente. « Ho capito, andiamo… Manca appena mezz’ora. »
Ranmaru si ricordò improvvisamente di quello che aveva promesso alla sorella. « I biglietti per Yuki li hai tu, Enjoji? »
« Sono dentro la mia borsa. » Enjoji gli indicò la sua borsa scolastica e tirò fuori dalla tasca esterna quattro biglietti, due dei quali mise nel borsone appena preparato. I due rimanenti li consegnò a Ranmaru.
Fatto ciò, si recarono nella sala da pranzo, ancora vuota. Yuki e il nonno entrarono con loro. Takashi, invece, stava aiutando la signora Miyo a portare i vassoi con la colazione in tavola. Durante il pasto, Takashi annunciò che sarebbe partito anche lui, approfittando dell’arrivo del signor Tsurumi. Il nonno raccomandò a tutti di ritornare almeno per le vacanze di Natale, proprio come aveva detto precedentemente Ranmaru, e, rivolto a Yuki, questa volta in compagnia di Takuma e del piccolo Takumi, del quale aveva molta nostalgia.
Poi, si sentì un clacson: il signor Tsurumi era arrivato, come al solito, puntualissimo.
Uscirono sulla strada a salutarlo, e Ranmaru consegnò i biglietti a Yuki.
« Grazie a tutti, davvero. »
« Ci vediamo presto. Fate buon viaggio. »
Takashi aprì lo sportello della macchina color grigio scuro a Yuki, che sedette davanti. « Anche voi. Divertitevi, una volta lì. »
Ranmaru si rivolse tristemente a Takashi. « Papà… »
« Sono contento che stia riuscendo a guarire, Ranmaru. Buona fortuna per quello che hai deciso di fare. Anche a te, Enjoji. »
« La ringrazio. »
Takashi aprì anche lo sportello posteriore, pronto per entrare in macchina. « Prenditi cura di Ranmaru. »
Enjoji mise affettuosamente una mano sulla spalla del compagno. « Nessun problema. »
Il signor Samejima si avvicinò all’auto con il suo solito sguardo severo. « Dacci tue notizie, ogni tanto. »
« Ah ah ah! Certamente, papà. Abbia cura di sé, mi raccomando. »
« Per chi mi hai preso? »
Takashi sorrise amabilmente. « A presto. »
Partirono. Rimasero tutti qualche attimo fermi a osservare la macchina che si allontanava e diventava sempre più piccola fino a sparire dietro qualche palazzo, prima di ritornare alla realtà.
« Be’… ormai è ora. Andiamo anche noi. »
Il nonno e la signora Miyo rivolsero loro uno sguardo interrogativo. « Andare dove? »
I ragazzi si ricordarono di averne parlato solo con Yuki. « Ah… Abbiamo due biglietti per un fine settimana al mare e avevamo intenzione di partire dopo aver salutato Yuki. »
La signora Miyo li guardò triste. « State andando via tutti… »
« Ci dispiace, ma sono le ultime vacanze. Lunedì torneremo all’Università. Io dovrò anche recuperare le lezioni che ho perso durante tutto questo tempo, per cui… »
« Certo, lo capisco. In bocca al lupo, allora. »
Il nonno intervenne, serio. « In ogni caso, lo stesso discorso vale per voi. Tornate quando volete, ma ricordatevi che per Natale siete costretti. »
« Ovviamente. Grazie, nonno. » Ranmaru entrò dentro casa e uscì poco dopo con il borsone in spalla e lo zaino di Enjoji, in modo da lasciarlo in macchina e portarlo direttamente a casa al ritorno, mentre questi si era seduto nella sua macchina per scaldare il motore.
« Allora noi andiamo. »
« Fate buon viaggio. »
« Grazie. Tornerò per l’allenamento appena mi sarò rimesso in pari con l’Università. Salutatemi Kurebayashi e i bambini. » Ranmaru entrò in macchina e partirono anche loro, lasciando da soli la signora Miyo e il signor Samejima. Ormai quella casa, già molto grande di suo, era diventata enorme per due sole persone.
 
Il viaggio in macchina durò un paio d’ore. Appena usciti dalla città, si diressero verso la costa. Graziose spiagge ospitavano molti bagnanti, ed erano più quelli in acqua desiderosi di rinfrescarsi che quelli distesi sul proprio asciugamano a prendere il sole. Passarono oltre e continuarono a cercare la strada giusta. Stampata sui biglietti c’era in piccolo una mappa della zona, che indicava con un punto rosso la loro destinazione. Alla fine, riuscirono a localizzare l’hotel, bello in vista: un’insegna enorme raccontava il nome, e i muri splendevano di un bianco candido. Si trovava proprio di fronte alla spiaggia, molto più vuota rispetto alle altre ma tenuta in ottime condizioni. Il mare, dal canto suo, brillava con le sue mille sfumature d’azzurro.
Parcheggiarono la macchina nel parcheggio dell’hotel e si avviarono verso l’ingresso. Arrivati alla reception, mostrarono i due biglietti. Il receptionist glieli prese e in cambio gli consegnò le chiavi della stanza: la numero 18.
Attraversarono la stanza e salirono le scale che dividevano la hall con il piano camere. La loro era la penultima a destra, in fondo al corridoio del secondo piano. Era ben presentata e abbastanza grande: si apriva con un’area soggiorno ben illuminata e un grande tavolo rettangolare al centro della stanza, addobbata con alcuni vasi di piante posti di fronte alla porta a vetri che dava sul balcone per deliziarsi dell’ottima vista sul mare; il bagno, contenente una vasca, un lavabo – con tanto di specchio, asciugacapelli e saponetta – un bidet, un wc e un armadietto dove riporre asciugamani e bottiglie di shampoo e bagnoschiuma, era in ottime condizioni, sia estetiche che igieniche; la zona letto, divisa in due camere, una con due letti a una piazza e mezzo e l’altra con un letto matrimoniale, era illuminata dalla luce naturale che entrava dalla verandina, regalando un’altra splendida vista con case, spiagge e acqua. Si vedeva anche un promontorio che si perdeva in lontananza.
I ragazzi erano decisamente soddisfatti e contenti. « Mica male… Quale camera scegliamo? »
Enjoji, sentendo quella frase, prese in fretta il borsone dalle mani di Ranmaru e si precipitò nella stanza con il letto matrimoniale.
« Non avevo dubbi… »
Enjoji, esaltato, si buttò nel letto, invitando Ranmaru a fare lo stesso.
« Sei un bambino… Guarda che se lo sfondi, lo ripaghi tu. »
« E dai, Ranchan! Perché sei di cattivo umore, adesso? »
« Non sono di cattivo umore. Solo cerca di fare l’adulto, ogni tanto. Non siamo a casa nostra, non possiamo fare come vogliamo. »
Enjoji borbottò qualcosa, deluso, ma si rese conto che Ranmaru, dopo aver riposto il borsone nel guardaroba, continuava a guardare fuori dalla finestra, rapito.
« … Andiamo? »
Ranmaru spostò lo sguardo su di lui. « Dove? »
« In spiaggia, no? È da quando siamo entrati qui che continui a guardare fuori. »
« Ah, no… È solo che è un paesaggio diverso dal solito ed è molto bello, tutto qui… »
Ranmaru si sedette sul bordo del letto, mantenendo un’aria apparentemente distaccata. Enjoji, come suo solito, non perse tempo e lo travolse, costringendolo a coricarsi con sua ovvia riluttanza. « Non ti credo. » Gli rubò un bacio al contrario. « Dai, andiamoci! Muoio dalla voglia di vederti in costume! » Un sorrisino si scolpì nel volto di Enjoji, felice all’idea, ma Ranmaru roteò gli occhi, chiedendosi quando avrebbe imparato a tenersi certe cose per sé. Però capì che in realtà voleva solo rendere indimenticabile quella vacanza, e quello era sicuramente uno dei modi per provarci. Una cosa era certa: indimenticabile lo sarebbe stata di sicuro…
« …Va bene, andiamo. Approfittiamone per svagarci un po’. » Ranmaru si alzò e frugò nel borsone, dal quale prese due costumi dal colore opaco, uno rosso e uno blu ed entrambi ricamati con dei motivi più scuri dalle forme astratte, due asciugamani e una camicia chiara adatta al mare. Diede il costume blu e un asciugamano a Enjoji e si chiuse in bagno, sperando di evitare, almeno in parte, i commenti scontati del compagno.
Quando, pochi minuti dopo, uscì, Enjoji aveva appena indossato il costume, e stava cercando una camicia adatta mentre metteva tutto in disordine. Inutile dire che Ranmaru, amante dell’ordine, si arrabbiò. Quando si avvicinò, in neanche un secondo tirò fuori una camicia scura con dei motivi in contrasto, adatta allo stile di Enjoji. Questi la indossò, lasciandola sbottonata, ma, a un certo punto, lo sguardo gli cadde su Ranmaru: costume rossastro abbinato ai capelli castano chiaro, camicia chiara che risaltava senza stonare… Enjoji cercò di saltargli nuovamente addosso, ma questa volta Ranmaru fu più veloce, riuscendo a schivarlo e a farlo cadere di mento. « Piantala… Mi hai sentito? »
« S-sì… »

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Capitolo 13
*** All'improvviso bisogna sopravvivere ***


Una volta usciti, l’asciugamano sottobraccio, attraversarono la strada e si diressero in spiaggia. Poiché era quasi deserta, trovarono subito un buon posto in cui stare. Ranmaru stese l’asciugamano per terra e, toltosi la camicia, si distese beato al sole.
Enjoji, invece, si limitò a stendere l’asciugamano sulla sabbia e a riflettere a voce alta.
« Si sta bene, però non abbiamo pensato di portare un ombrellon- Ranmaru! Perché ti sei già steso? »
« Non urlare, Enjoji, attirerai l’attenzione… Stenditi anche tu, si sta benissimo… Non importa per l’ombrellone, sarebbe un peccato stare all’ombra. »
Una brezza leggera gli mosse dolcemente i capelli. Sentiva il frastagliarsi delle onde sulla riva e il sole lo riscaldava gentilmente, rendendo piacevolissimo quel momento di pace e tranquillità.
Si voltò di spalle, appoggiando la testa sulle braccia come fossero un cuscino. Enjoji si sedette nello stesso asciugamano e gli accarezzò le spalle. « Hai la pelle chiara, ti brucerai, così. Il sole è già alto. » Enjoji si tolse la camicia, aprì il tubetto di crema che aveva portato con sé e se ne versò un po’ sulla mano. Quindi iniziò a spalmargliela sulle spalle, massaggiandogliele. Ranmaru aveva un’espressione beata, ed era come se si fosse allontanato dalla realtà, in un mondo tutto suo, composto da una bella vacanza al mare, silenzio, pace, un bel massaggio e… Enjoji. Quest’ultimo avvicinò il proprio asciugamano a quello del compagno per stare vicini e si coricò al suo fianco, continuando a coccolarlo. Ormai era letteralmente K.O. Era bello vedergli sul volto un’espressione tanto serena, però, dopo due orette di relax, Enjoji iniziò ad annoiarsi e decise di svegliarlo: osservando la spiaggia, aveva notato che lì vicino noleggiavano dei piccoli motoscafi, e aveva una voglia matta di salirci. Poi, con sua grande sorpresa, riuscì a convincere Ranmaru senza molte difficoltà, a patto di andare prima a comprare qualcosa per pranzo; si infilarono nuovamente la camicia e tornarono in hotel per prendere i soldi. Poi scesero in strada e comprarono due panini in un chioschetto lì vicino; infine, si incamminarono verso il molo.
« Ma lasciamo tutto qui? »
« Che problema c’è? Non staremo via a lungo, non ci conviene riportarli dentro. Anche perché, quando torneremo dal giro, saremmo costretti fare un viaggio in più. »
« Speriamo… E poi si sta alzando il vento. »
A un certo punto, Ranmaru si fermò di scatto. « Aspetta, Enjoji! Abbiamo dimenticato la carta d’identità! »
« Tu, forse… Io l’ho presa prima. » Enjoji gli sorrise soddisfatto e proseguì in direzione del molo. Una volta arrivati, firmarono il contratto che gli permetteva di affittare il motoscafo e partirono immediatamente.
Era veramente il massimo: il motoscafo, con la sua velocità, tagliava in due l’acqua, creando una scia bianca dietro di loro. Alcune delle goccioline, brillanti al sole, gli arrivavano addosso, rinfrescandoli. Era proprio una giornata magnifica, e si divertivano come matti. Ogni tanto si fermavano e ne approfittavano per fare qualche tuffo. Il vento, però, stava iniziando ad aumentare troppo, e portava velocemente con sé dei grandi nuvoloni bianchi. L’ora di pranzo era passata da un pezzo e, dal momento che sembrava stesse iniziando a essere pericoloso stare lì, decisero di tornare indietro. L’unico problema era che non riuscivano a ritrovare la strada. Probabilmente si erano allontanati troppo, e nelle ultime ore non avevano fatto molta attenzione al panorama. Così, cominciarono a vagare, cercando di riconoscere qualche particolare che permettesse loro di tornare al molo ma, ormai, il vento era troppo forte, e le onde stavano iniziando a diventare troppo alte e indomabili, soprattutto per un motoscafo. Poi…
Una goccia… Due gocce… I bei nuvoloni candidi erano diventati scuri e pieni di elettricità. Trovarsi in mezzo al mare in quel momento non era proprio quello avevano pensato per passare una vacanza. Il motoscafo diventò presto indomabile, e un’onda particolarmente forte e pesante lo fece saltare in aria e capovolgere, facendo finire i ragazzi contro gli scogli. Enjoji, feritosi pesantemente al braccio, non riuscì a rimanere a galla abbastanza a lungo per respirare e perse i sensi, e questo rese ancora più difficile per Ranmaru rimanere aggrappato a qualche roccia: ansante per la fatica, si accorse che il compagno rischiava di annegare, così lo afferrò attorno alla vita e con il braccio libero cercò di tenersi stretto alle rocce scivolose e affilate. Intanto, la pioggia e il livello dell’acqua aumentavano a vista d’occhio, il che rese alquanto difficile anche riuscire a vedere. Alla fine, riuscì a darsi lo slancio e a salire, senza non poca fatica, su una pietra pianeggiante che dava su una grotta a rischio di inondazione: la loro unica speranza. Il resto era roccia impraticabile.
Trascinò Enjoji nell’antro della grotta e cercò di svegliarlo, invano. Sembrava senza vita. Cercò di non farsi prendere dal panico: trasse un bel respiro, gli chiuse il naso e appoggiò le proprie labbra sulle sue, pregando nel suo risveglio. Un lampo illuminò l’entrata.
Si sentiva solo. L’unica sua compagnia era il compagno svenuto e ferito, una grotta pregna di umidità in cui sperava di riuscire a ripararsi dal pericolo di venire sommersa e un temporale come sottofondo. Dopo qualche tentativo, Enjoji aprì gli occhi e si mise seduto di scatto. Tossì svariate volte, senza fiato.
« Enjoji! » Il volto di Ranmaru era tra i più preoccupati che avesse mai mostrato. Come ne sarebbero usciti? L’acqua gli aveva già sommerso i piedi.
All’improvviso, un’onda più alta entrata all’interno della caverna li sommerse, buttandoli in avanti e di nuovo all’indietro con forza, sfiancandoli. Anche se si era ritirata, il livello dell’acqua era aumentato ulteriormente, e non accennava a fermarsi.
A fatica, i due ragazzi si aiutarono reciprocamente ad alzarsi. La ferita di Enjoji bruciava a causa del sale e sanguinava copiosamente, ma cercò di resistere. Non era il momento di pensare a una cosa del genere. La loro stessa vita era in pericolo. 
« Ranmaru… dobbiamo andarcene… a ogni costo… »
« Quanto… potremo resistere? »
Enjoji si guardò intorno, e notò che la grotta proseguiva. « Di là! Veloce, prima che ne arrivi un’altra! »
Ma proprio quando si avviarono verso la gola, un’altra onda li travolse. Erano fradici e stanchi, e l’acqua gli arrivava ormai alla vita, ma non potevano fermarsi. Avanzarono il più velocemente possibile per qualche minuto, quando un tuono rimbombò nel cielo cupo e un’altra onda aumentò nuovamente il livello dell’acqua.
Ormai muoversi era difficile e avanzavano lentamente, quasi nuotando, ma era ancora più faticoso respirare. L’acqua faceva pressione sui polmoni, e non gli permetteva di riprendere fiato a nessuna condizione. A un certo punto, sentirono che il pavimento si era inclinato leggermente verso l’alto: stavano iniziando a salire! Dovevano farcela a ogni costo. L’unico problema era che l’acqua non accennava a diminuire, perché, comunque, le onde continuavano a entrare, anche se ora l’urto si sentiva di meno.
Enjoji era piuttosto affaticato e aveva più difficoltà di Ranmaru ad avanzare quanto più velocemente potevano. Il sangue non ne voleva sapere di fermarsi, e lui stava iniziando ad avere dei seri capogiri. Per paura di svenire e complicare ancora di più la situazione, si tenne improvvisamente a Ranmaru. « Scusami… »
Ranmaru iniziò ad allarmarsi. « Enjoji, ti senti bene? »
Enjoji si tirò su e gli fece cenno di non fermarsi. « Sì, sì… Non preoccuparti. È stato solo… un giramento di testa, ma è passato… »
Ranmaru non era convinto. Non camminava in modo stabile, ed era visibilmente affaticato. Certo, non che lui fosse fresco e riposato… Forse non aveva motivo di stare in pensiero per qualcosa che al momento poteva essere la normalità. Grondavano acqua da ogni parte, c’era freddo, e l’aria con un tasso di umidità così elevato non aiutava. In quel momento, avrebbero desiderato avere un paio di branchie al posto dei polmoni.
Passò altro tempo – difficile dire quanto – e l’acqua stava finalmente iniziando ad abbassarsi e ad acquietarsi. Quanto poteva essere ancora lunga la strada? Avrebbero potuto trovarsi davanti a un vicolo cieco da un momento all’altro.
Intanto, il respiro di Enjoji si faceva sempre più pesante, ed era sul punto di non reggersi più in piedi. Non avere più l’acqua che gli schiacciasse lo stomaco non sembrava fonte di sollievo, per lui. Anzi, forse era addirittura peggio. Si tenne la testa.
« Enjoji… »
« Non… fermarti… Non possiamo… »
« Ma tu hai la febbre! »
Enjoji non rispose. Ranmaru era preoccupato, ma il compagno aveva ragione: se si fermavano adesso, era la fine. Dovevano resistere. Resistere a ogni costo!
Dai rumori, sembrava che fuori il tempo stesse iniziando a migliorare, anche se si sentiva ancora il picchiettio dell’acqua sulla roccia.
Alla fine, l’acqua ormai non più alta delle caviglie, videro una luce in lontananza, e notarono che il corridoio finiva in una stanza il cui pavimento era solo leggermente bagnato. Aumentarono il passo il più possibile, come se quella stanza fosse immune a tutti i pericoli. Come se quella stanza fosse un portale per uscire subito fuori. In ogni caso, finalmente, poterono tirare un sospiro di sollievo e prendersi il meritato riposo.
Il posto era abbastanza spazioso: era caratterizzato da un laghetto al centro formatosi a causa di qualche foro nel soffitto da cui entrava la pioggia e la luce. Grossi sassi erano franati e davano un senso di disordine che si contrastava a un piacevole luccichio del sale per terra.
Una volta dentro, Ranmaru si voltò verso Enjoji nel momento in cui lo sentì tossire e respirare ancora più affannosamente di prima. Era appoggiato alla parete a fianco all’entrata, le braccia conserte per cercare di scaldarsi: tremava di freddo. Gli si avvicinò e gli mise una mano sul viso, con fare gentile. Enjoji aprì gli occhi, che aveva chiuso per la stanchezza. Era sul punto di crollare. Lo sguardo era tutto meno che sereno, e guardava Ranmaru come per chiedergli aiuto.
« Enjoji… »
Enjoji si tenne a Ranmaru e appoggiò la testa sul suo petto, tremando e ansando. Ranmaru lo strinse a sé. « È meglio riposarci, ora che possiamo. Vieni, siediti qui. »
Lo aiutò a sedersi di fianco alla roccia, dando le spalle alla parete e appoggiandolo a essa. Inginocchiato di fronte a lui, gli misurò approssimativamente la febbre con una mano sulla fronte. « Sei caldissimo… Ma che cosa è successo? Stamattina stavi bene. Non può essere successo tutto adesso. »
« Non lo so… Mi brucia la ferita… »
Ranmaru si ricordò che si era ferito negli scogli. « È a causa del sale. Non vorrei che, con tutta questa umidità e sporcizia, la ferita si fosse infettata… »
Enjoji non ebbe la forza di pensare a una risposta. Un lampo illuminò lievemente la caverna passando per i fori sul soffitto e, qualche secondo dopo, si udì il rimbombo di un tuono. La pioggia si era fermata.
Ranmaru si strappò un pezzo di stoffa dalla camicia e gliela legò attorno al braccio per tamponargli il sangue e proteggerla. « Avrei dovuto farlo prima… Mi dispiace… »
« Non c’era tempo per pensare… Sono stato io… a dirti di non fermarti. »
Lo guardò desolato, come se non avesse sentito e fosse stata solo colpa sua.
« …Ho freddo… »
Ranmaru si avvicinò di più a lui e lo abbracciò forte, baciandogli la fronte. Sentiva il suo respiro disperato muovergli leggermente i capelli. « Ran… »
« Ssh… Non dire niente. »
« Mi dispiace. »
« Non è colpa tua. »
« …Doveva essere una vacanza, e invece… si è trasformata… in una sfida di sopravvivenza… Non sappiamo nemmeno… come fare per uscire… »
Ranmaru lo strinse di più. Era vero, non avevano idea di dove si trovassero né di come avrebbero fatto a uscire, ma… « In questo momento, tu sei più importante. »
Sciolse l’abbraccio e si accoccolò a fianco a lui, il più vicino possibile per cercare di scaldarlo. « Al resto penseremo domani. Adesso riposati e dormi un po’. »
Enjoji appoggiò la testa sulla spalla di Ranmaru.

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Capitolo 14
*** Non voglio esserti d'intralcio ***


Calò il silenzio. Gli unici rumori che si sentivano era il picchiettio dell’acqua che cadeva sul lago e il respiro di Enjoji. Il tempo sembrava non passare mai, e, sebbene anche Ranmaru fosse molto stanco, non riuscì a prendere sonno. Un’ora dopo si alzò, lasciando da solo Enjoji, ormai addormentato. Sì avvicinò al lago e si accovacciò lì davanti, fissando senza guardare le gocce che formavano degli anelli e si ingrandivano sulla superficie dell’acqua, armoniosamente. Poi, lo sguardo di Ranmaru riprese vita: nella parete di fronte a lui, dall’altra parte della stanza, c’era un grande ammasso di rocce che bloccava un passaggio. Probabilmente, se fosse riuscito a spostarne la maggior parte, avrebbero potuto proseguire. Decise di avvicinarsi per osservare meglio la situazione: dietro centinaia di sassi più o meno piccoli, c’erano dei massi molto più grandi e pesanti, per cui, se avesse iniziato dai primi, ovvero da quelli che prevalevano in quantità numerica, si sarebbe semplificato sicuramente il lavoro.
Si mise all’opera, sperando che non sarebbe stata tutta fatica sprecata. Le energie erano alla base di tutto, soprattutto in quel frangente e con Enjoji in quelle condizioni.
Continuò a spostarli fino al risveglio del compagno. « Ran… maru… »
Ranmaru si girò di scatto, come se per un attimo avesse pensato di ritrovarlo completamente in forze e senza febbre, ma così non fu. Era rosso in faccia e palesemente senza forze. Faticava anche solo a tenere gli occhi aperti e una posizione corretta. Buttò il masso che aveva in mano e, aggirato il laghetto, si precipitò verso di lui, il quale stava cercando di alzarsi, tenendosi al muro.
« Enjoji! Resta seduto, hai bisogno di riposare! » Lo tenne per le spalle e cercò di farlo risedere, ma fece resistenza. « Ma cosa… Enjoji, non fare lo stupido e siediti! » Lo guardò con severità e gli mise di nuovo una mano sulla fronte. « Sei ancora caldissimo. Se non ti riposi, non si abbasserà mai! »
Enjoji provò a parlare, senza fiato e affaticato più che mai. « Voglio… »
« Cosa ti serve? »
Fece un altro sforzo, completando la frase. « …aiutarti. »
Ranmaru lo guardò sconcertato. « Non dire stupidaggini, guardati! »
Enjoji gli si avvicinò e si tenne debolmente a lui. « Non posso… non fare niente… »
« Non è che non puoi… non devi! Enjoji, non hai mai avuto la febbre così alta, non devi sottovalutare la situazione! »
« Ran… Ran… » Si strinse a lui. « Resta con me… » Tremava. Lo sguardo di Ranmaru diventò triste, come se fosse sul punto di piangere. Lo tenne forte, fortissimo. Sentiva il suo calore. « Certo… » Si sedette per terra, facendolo sedere sulle sue gambe, senza sciogliere l’abbraccio.
I vestiti non erano ancora asciutti. Ranmaru non aveva freddo solo perché si stava muovendo fino a qualche minuto prima, ma la temperatura era molto bassa.
« …Ran… » Ranmaru aspettò il continuo della frase, prima di parlare. « Riusciremo a uscire da qui? »
Avrebbe tanto voluto dirgli una bugia per rassicurarlo, ma non riuscì a dirla nemmeno a se stesso. « Non lo so… »
Nessuna risposta.
« Se non usciamo da qui, moriremo di sicuro… Forse c’è un’uscita, ma… è bloccata da dei massi. »
Enjoji diede un’occhiata alla parete di fronte. Ranmaru aveva spostato da una parte la maggior parte dei massi più piccoli ma mancava ancora la parte più difficile.
Persino Enjoji stava iniziando a perdere le speranze, e lo dimostrò facendo cadere la testa a peso morto sul petto di Ranmaru, sospirando stancamente.
« In qualche modo farò. Non ho intenzione di morire né di lasciarti morire in un posto del genere. »
« Potremmo provare a tornare indietro, ma… da quella parte c’è solo roccia impraticabile… e non possiamo tornare a nuoto… sarebbe una pazzia… Dobbiamo sperare che, se quella via ci porterà fuori… ci sia anche il modo di tornare indietro… »
Non aggiunsero nient’altro. Intanto, si accorsero che fuori il tempo era tornato sereno, e i raggi del sole che penetravano dalle fessure facevano brillare il sale per terra.
Alla fine, il silenzio si ruppe quando Enjoji cercò nuovamente di alzarsi. Era come se quello spettacolo di luci gli avesse dato una piccola carica di fiducia e ottimismo mista alla voglia di rivedere il mondo di fuori e tutte le cose belle che esso offre, prevalendo testardamente sulla febbre. Era sicuramente degno di Enjoji. Non era il tipo che si abbatteva solo perché una situazione sembrava apparentemente senza speranza.
« Dove vai? » Ranmaru si alzò di riflesso, trattenendolo per un braccio.
« Lasciami, sto bene, adesso. »
« Non è passata neanche un’ora! »
Anche Enjoji iniziò ad alzare la voce, alterandosi. « Lasciami andare, Ran! » Diede uno strattone e si liberò dalla presa. Inevitabilmente, però, gli venne una fitta alla testa. « Da solo… non finirai mai di spostare quei massi… Ti aiuto. »
Ranmaru fece per parlare, ma Enjoji lo bloccò. « Non mi importa cosa dirai… Fammi provare. »
Ranmaru lo guardò senza sapere cosa dire, indeciso. Poi rispose, suo malgrado. « Se vedi di non esserne in grado, voglio che ti fermi immediatamente! »
« …Va bene », esitò.
Aggirarono nuovamente il laghetto e si fermarono di fronte all’ammasso di rocce, in modo da continuare il lavoro già iniziato. A Enjoji sembrava di star spostando una casa, talmente era senza forze, ma non disse niente né si lamentò. Alla fine, le rocce che bloccavano i massi più grandi furono tolte tutte. Ora rimanevano le altre, decisamente più impegnative. Decisero, quindi, di unire le forze. Tutti e due avevano meno della metà della loro energia, e quelle che potevano essere spostate senza grossi problemi, sembravano pesare quattro o cinque volte di più. Usarono tutta la forza che avevano in corpo per spingere, e, dopo molti tentativi, riuscirono a spostare tutta la parte superiore, scoprendo una parte del passaggio. Ancora un ultimo sforzo e sarebbero potuti passare. Continuarono ancora, ma erano veramente stremati. Enjoji si tenne alla parete per cercare di stare in piedi, le gambe tremanti per la fatica. Tossì, e alla fine cadde in ginocchio, senza fiato.
« Enjoji, basta così! »
« Danna… zione… » Vedeva tutto sottosopra, ma si rialzò testardamente. « Muoviti… »
« Enjoji, me l’avevi promesso! »
Enjoji sospirò. « Ranmaru, non ce la faccio più… Ti prego… »
« A maggior ragion- »
« Torniamo a casa. »
Ranmaru lo guardava scioccato, immobile, ma poi si convinse. Da solo non era in grado di farcela, e l’unico modo era resistere. Continuarono ad aiutarsi vicendevolmente a sollevare e far rotolare i massi e, finalmente, riuscirono a liberare il passaggio quel tanto che bastava per passare. Più di così non potevano davvero fare. Ora potevano uscire e proseguire, ma… il loro corpo non gli permetteva altri movimenti. Avevano richiesto al loro fisico uno sforzo maggiore di quello che poteva concedergli. Ranmaru, inoltre, non era abituato ormai da tempo a faticare così tanto. Era rimasto fermo per oltre due mesi, ed era riuscito solo recentemente a riprendere la completa mobilità del suo corpo.
A un certo punto, si sentì un tonfo: Enjoji era caduto a terra. Era ancora cosciente, ma allo stesso tempo non lo era. I suoni erano lontani, le immagini sfuocate; il corpo era immobile, pesante. Vedeva Ranmaru davanti a sé ma era come se non ci fosse. Sentiva la sua voce lontana, irraggiungibile. Teneva gli occhi immobili, con aria assente. Muoveva leggermente la bocca ma era incapace di parlare o di emettere suoni. Era estremamente caldo e sudato. Doveva avere la febbre veramente alta. La situazione stava diventando pericolosa.
Ranmaru si tolse in fretta la camicia e la immerse nel lago, bagnandola e strizzandola il tanto giusto; tornò vicino a Enjoji, gli adagiò la testa in grembo e gli posò la camicia piegata sulla fronte per rinfrescarlo. Intanto, ripeteva sottovoce che sarebbe andato tutto bene, come se cercasse di convincere anche se stesso.
Passò un’eternità, quando, finalmente, Enjoji riprese conoscenza. Si girò debolmente verso Ranmaru, con aria di chi si chiede che cosa sia successo. « Ranmaru… »
Il cuore di Ranmaru perse qualche battito. Era una prova troppo grande per loro. « En… joji… »
Enjoji sorrise. « Cos’è… questa faccia da pianto? »
Ranmaru fece per trattenersi, ma alcune lacrime sgorgarono dai suoi occhi, lente. Era ancora capace di sorridere… « Ehi, ehi… Ran… »
Ranmaru cercò di fermarle, accortosi troppo tardi di averle lasciate scendere. « Scusami… Mi sono lasciato andare… »
Enjoji si sentì in colpa. « Non scusarti… Quello devo farlo io… Ti sto facendo preoccupare… come un matto. » Enjoji cercò di mettersi seduto, e gli avvolse attorno al collo un paio di braccia tremanti. Sentì un calore piacevole. Faceva molto freddo, così chiuse gli occhi e si lasciò cullare. « Siamo entrambi stanchi. Riposiamoci. Quando sarai un po’ più in forze, ce ne andremo. Va bene? » Lo baciò sulle labbra, poi si sistemò meglio.
Ranmaru si infilò la camicia nuovamente bagnata, dopodiché appoggiò la schiena al muro e fece sedere Enjoji sulle sue gambe.
« Ti disturba se resto così… ancora per un po’? »
Ranmaru lo guardò incuriosito. Come poteva dargli fastidio sentirlo così vicino a sé?
« Certo che no. Hai ancora freddo? »
« Un po’… Ma con te vicino sto bene. Scusa per la camicia… »
Detto questo, Enjoji si addormentò profondamente. A un certo punto, però, Ranmaru vide in lontananza una luce bianca, irraggiungibile, in quella stanza completamente buia. Si alzò in piedi e si mise a correre; e correva, correva, ma non la raggiungeva mai. Poi, la stanza si trasformò, e Ranmaru si ritrovò sospeso in aria sopra un oceano immenso. Quando si rese conto che poggiava sul nulla, cadde in acqua. Il respiro si bloccò e non riusciva più a risalire in superficie. Però, poco prima di perdere i sensi, vide Enjoji legato a un masso enorme, e un grosso squalo gli si stava avvicinando da dietro, pronto a divorarlo. Ranmaru sentiva che lo stava chiamando con tutte le sue forze, ma non riusciva a raggiungerlo. Gli mancava l’aria, era impossibilitato a muoversi. Si sentiva soffocare e la paura stava avendo il sopravvento. Tutto, intorno a lui, prese a girare all’impazzata, senza sosta, confondendo il paesaggio…
« …maru! Ranmaru! »
Ranmaru spalancò gli occhi, liberando innumerevoli lacrime rimaste imprigionate. Enjoji era in ginocchio davanti a lui che lo chiamava, preoccupato.
« Enjoji… cosa… »
« Stavi facendo un brutto sogno. »
Ranmaru, ancora intontito, si mise una mano sul viso. La vista della grotta gli aveva fatto ricordare immediatamente tutto, e parlava con voce strozzata, da pianto. « …Non ce la faccio più, va oltre le mie possibilità… Ho fame, ho sete, sono stanco, voglio sentirmi al sicuro e saperti al mio fianco in ogni momento… » Lasciò andare un singhiozzo. « Kei… »
Enjoji condivideva pienamente il suo stato d’animo. Si sentiva peggio che all’inferno.
Gli prese la mano e gliela spostò dal viso, asciugandogli le lacrime. Ranmaru lo guardò, gli occhi lucidi. Quello di Enjoji era uno sguardo che trasmetteva solo coraggio e determinazione. Non lasciava trasparire alcun sentimento negativo. « Lo so bene… Ed è proprio per questo che dobbiamo andarcene da qui. » Enjoji lesse lo sguardo di Ranmaru e gli rispose prima ancora di sentire la domanda. « Sto bene, adesso. Non voglio che ti preoccupi ancora. »
« Sei sicuro…? »
« Sì, e voglio andarmene. Dormire mi ha fatto bene. Finché ce la faccio, approfittiamone. »
Chiaramente stava mentendo, poiché la ferita gli bruciava ancora all’impazzata, ma Ranmaru era arrivato al limite, e non voleva farlo stare ancora in pensiero.
Si alzarono e scavalcarono le rocce che non avevano ritenuto necessario togliere. Si trovarono subito di fronte a una discesa. Evidentemente, si erano fermati nel punto più alto. Ora non dovevano fare altro che scendere e sperare di trovare una via d’uscita praticabile.
Impiegarono molto meno tempo, sia perché la discesa semplificava il passaggio, sia perché l’acqua ormai si era ritirata completamente e non li ostacolava più.
Le loro aspettative erano divise: c’era l’ottimismo di trovare la salvezza da parte di Enjoji e il dubbio e l’insicurezza da parte di Ranmaru. Potevano avere ragione entrambi, ma l’unico modo per saperlo era proseguire fino in fondo.
 
Quando, finalmente, si trovarono vicini alla fine, il suono delle onde penetrò le loro orecchie. Poi, finalmente, la luce. Rimasero qualche minuto in silenzio, abbagliati e allo stesso tempo rapiti dalla luce, dall’aria fresca e da un venticello piacevole che li accarezzava. Il mare brillava e si colorava di mille sfumature, e il cielo non era mai stato così azzurro e luminoso. Nessuno avrebbe mai immaginato che solo un giorno prima ci fosse stata una tempesta simile.
« Non ci posso credere… Finalmente siamo fuori… », disse Enjoji.
« Non è ancora finita. Adesso dobbiamo solo sperare che la via per ritornare sia praticabile. » Ranmaru si avvicinò alla costa e si sporse sull’acqua: la costa era percorribile per un lungo tratto, ma la parete della grotta da cui erano appena usciti bloccava il passaggio. L’unica strada per proseguire era camminare sugli scogli o nuotare tutto d’un fiato fino alla spiaggia, cosa alquanto improbabile da realizzare anche per chi era nel pieno delle forze. Guardò sott’acqua e notò che degli scogli più o meno accessibili e alti permettevano di proseguire senza fare lunghe distanze a nuoto. Il colore scuro risaltava anche da lontano, quindi, almeno, era sicuro per una buona parte di strada. 
Finalmente anche Ranmaru iniziò a essere più fiducioso. « Andiamo, Enjoji! Forse siamo davvero salvi! »
Il volto di Enjoji si illuminò di speranza. « Non vedevo l’ora di sentire questa frase. »
Si avviarono via terra per qualche centinaio di metri, e, una volta bloccatosi il passaggio, si sedettero sulle rocce per evitare di cadere negli scogli scivolosi, immergendo prima le gambe e poi la vita. L’acqua era molto fredda, ma li faceva sentire vivi. Era piacevole, non come il freddo e l’umidità della grotta nella quale era quasi impossibile respirare. Si tennero alla parete e avanzarono lentamente. Ogni tanto capitava di perdere l’equilibrio, ma il problema non era tanto il fatto di cadere, visto che erano circondati dall’acqua e bastava rimanere a galla, bensì di tagliarsi con le rocce affilate o sbattere la testa. Erano anche a rischio di meduse, perché la tempesta del giorno prima poteva averle trasportate verso la costa.
Ogni tanto erano costretti a nuotare e, anche se non era per tratti lunghi, questo diede loro il colpo di grazia. A contatto col sale, la ferita di Enjoji sembrava prendere vita. Era assolutamente necessario cambiare il bendaggio e fare qualcosa.
Proprio nel momento in cui stavano per mollare, notarono in lontananza la spiaggia da cui erano partiti. Nuotarono verso il molo e vi si arrampicarono per riposarsi. Si stesero a terra, noncuranti del fatto che il ragazzo che il giorno prima aveva affittato loro il motoscafo fosse lì a osservarli, senza riuscire a capire cosa stessero facendo o da dove fossero arrivati.

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Capitolo 15
*** Fuori pericolo... o no? ***


Enjoji aveva nuovamente la febbre alta, e ansimava e tossiva pesantemente, mentre Ranmaru era disteso di fianco a lui, cercando di riprendere fiato e di rialzarsi. Doveva fare qualcosa per il compagno, non poteva assolutamente lasciarlo in quello stato. Mancava poco, ormai ce l’avevano fatta. Non potevano fermarsi adesso. Non potevano… soprattutto dopo tutta quella fatica, altrimenti avrebbero fatto meglio ad arrendersi sin all’inizio senza neanche lottare.
Capendo che avevano bisogno di aiuto, il ragazzo gli rivolse la parola. Ranmaru lo guardò in preda al panico e cercò di spiegargli la situazione, anche se in modo un po’ confuso e precipitoso. « Ha la febbre altissima da ieri, da quando siamo finiti in quella grotta a causa della tempesta, e appena sembra che se ne sia andata, ritorna sempre più alta di prima! Ha bisogno di un dottore, qualcosa, oppure- »
« Mantieni la calma, non serve a niente agitarsi. Voi vivete qui vicino? »
Ranmaru si rese conto di aver parlato troppo velocemente. Cercò di mantenere il più possibile la calma, ma la sua espressione era più disperata che mai. « … Stiamo alloggiando nell’hotel qui di fronte. »
« Allora portalo nella vostra stanza e mettilo a riposo. Ci penso io a chiamare un medico. »
Ranmaru lo guardò con gratitudine, pensando che, finalmente, la fortuna stava iniziando a sorridergli un poco.
Il ragazzo gli tese la mano. « Ryunosuke Satou. »
Ranmaru fissò la sua mano per qualche attimo, poi gliela strinse e si alzò col suo aiuto, cercando di fare un’espressione che assomigliasse almeno vagamente a un sorriso. « Sono Ranmaru Samejima, e lui è Kei Enjoji. Grazie per l’aiuto. »
Ryunosuke era un ragazzo poco più grande di loro, sui venticinque anni. Era alto e snello e portava dei capelli castani di media lunghezza. Il suo sguardo e il suo sorriso trasmettevano serenità. « Di niente. A proposito… Da dove arrivate? »
Ranmaru si trattenne il più possibile, riassumendo un’espressione seria. « Ti… offendi se ti racconto tutto dopo aver portato Enjoji in camera? »
« Hai ragione, scusa. Vi accompagno. »
Ryunosuke si caricò agilmente Enjoji sulle spalle e, preceduto da Ranmaru, attraversarono il molo e superarono i loro asciugamani, ancora un po’ umidi e coperti di sabbia; attraversarono la strada e salirono le scale dell’hotel. Durante il tragitto, Ryunosuke aveva chiamato il medico e aveva tranquillizzato Ranmaru dicendogli che sarebbe arrivato a breve.
Una volta entrati dentro la loro stanza, voltarono subito a destra ed entrarono nella camera da letto: Ranmaru adagiò Enjoji nel letto e gli cambiò i vestiti, facendogliene indossare di più caldi e comodi.
Si sedettero sul bordo del letto, la mano di Enjoji in quella di Ranmaru, e quest’ultimo cercò di trovare le parole giuste e il coraggio necessari per rievocare quello che sembrava ormai solo un brutto sogno. « Ecco… Ieri siamo venuti da te per affittare un motoscafo… »
« Sì, mi ricordo. Perché non siete arrivati con quello? »
« Ieri c’è stata quella tempesta, e… l’ha capottato, facendoci sbalzare fuori. Siamo stati costretti a entrare in una grotta lì vicino che è stata quasi completamente sommersa… Lo so che sembra una storiella fantastica, però… è stato un vero incubo… ­­» Si coprì il viso con una mano e si fermò. Poi riprese in maniera impellente, ricordatosi improvvisamente che quello non era l’unico problema. « Comunque, non credo che il motoscafo si sia rovinato! Posso venire con te e andarlo a cercare… se non è un problema… »
Ryunosuke lo fissò. « Se è disperso già da ieri, non farà differenza se non lo andiamo a prendere subito. Non fare l’eroe, si capisce subito che fai fatica a rimanere sveglio. »
« Non sto facendo l’eroe! In fondo è anche colpa mia… »
« No, non è vero. E poi, alloggio anch’io in questo hotel. Sono nella stanza di fronte a questa, posso venire a prenderti quando vuoi. »
Ranmaru osservava con quanta pazienza e fiducia lo trattava, nonostante si fossero appena conosciuti.
« Quanto alloggerete? »
« In teoria, fino a oggi… Domani dovevamo riprendere le lezioni all’Università… »
« Cosa?! In questo stato non arriverete da nessuna parte! Parlerò con il direttore dell’hotel per farvi rimanere qualche altro giorno. È un mio conoscente, non preoccuparti. »
« Ma… »
« Non è colpa di nessuno se è successo questo. In questo periodo dell’anno i temporali sono improvvisi e molto pericolosi. » Ryunosuke indicò il borsone da viaggio. « Perché non vai a rilassarti con un bel bagno? Prima che il dottore arrivi, approfittane. Io rimango qui, tranquillo. »
Ranmaru seguì il suo consiglio. Andò a prendere un cambio di vestiti e si diresse in bagno. Lo scrosciare dell’acqua che riempiva la vasca era l’unico rumore che si opponeva al respiro pesante di Enjoji.
Pochi minuti dopo che Ranmaru fu uscito, decisamente rinato, si sentì bussare alla porta d’ingresso.
« Dev’essere il medico. Vado io, tu restagli vicino. »
Ranmaru lo guardò allontanarsi, senza sapere cosa dire o fare, ma… nel momento in cui entrò il dottore, i suoi pensieri furono rivolti a ben altro: era un signore di mezza età con la barba non curata e pochi capelli brizzolati sulla testa. Era alto, ma leggermente in sovrappeso.
« Buongiorno, sono il dottor Yoshitaka. »
Ranmaru si alzò velocemente in piedi e presentò se stesso ed Enjoji. Il dottor Yoshitaka lo scrutò da capo a piedi con uno sguardo freddo e distaccato, mettendolo a disagio. Si avvicinò a Enjoji. 
« Io tolgo il disturbo. »
Il dottore alzò un braccio per bloccarlo. « Non ce n’è bisogno. Puoi restare. »
Ryunosuke rimase in piedi a osservare in silenzio, mentre il dottore tirava fuori dalla valigia lo stetoscopio e una valigetta di pronto soccorso. Sembrava aver intuito quale potesse essere il problema. « Questa ferita ce l’ha da molto? »
« Da ieri… »
Gli tolse la fasciatura e osservò bene la ferita al braccio, arrossata e gonfia, che riprese a sanguinare. « Avreste dovuto disinfettargliela subito. Sta male a causa di questa. » Prese il disinfettante e glielo versò sopra la ferita, dopo avergli fatto appoggiare il braccio su un asciugamano per non sporcare il letto. Enjoji accusò un dolore acuto, aprendo improvvisamente gli occhi. Il dottore gli fece un cenno in segno di saluto, facendogli conoscere subito i suoi modi freddi. « Kei Enjoji? »
« Eh… Ah, sì… Lei… »
« Il dottor Yoshitaka. »
Enjoji si guardò intorno. Incrociò lo sguardo preoccupato di Ranmaru, e, poi, notò per la prima volta Ryunosuke, che mosse la mano in segno di saluto, sorridente.
Accusò di nuovo dolore e riportò nuovamente lo sguardo sul dottore, concentrato su ciò che stava facendo. Una volta finito di disinfettare, prese una garza e gliela avvolse stretta attorno al braccio, quindi spostò le coperte e gli alzò la maglietta, posandogli lo stetoscopio ghiacciato sul petto bollente. Enjoji fece un salto per il cambiamento di temperatura ogni qualvolta che cambiava punto sulla sua pelle. Dopo un altro paio di controlli, il dottor Yoshitaka gli tese un termometro. La temperatura era veramente molto alta.
Si rivolse a Ranmaru. « 38.9… Ha bisogno di riposo e di prendere questa. Ecco, tenga. » Si mise a frugare dentro la valigia e tirò fuori una scatoletta che somministrò subito al ragazzo. Quindi, la consegnò a Ranmaru e gli spiegò come e quando dovesse utilizzarla.
Ranmaru la accettò.
Il dottore ripose le sue cose nella valigia e salutò. Una volta uscito, Ryunosuke prese parola, un po’ imbarazzato. «  Mi dispiace… Fa sempre così quando non ha confidenza con i pazienti. »
Ranmaru scosse la testa, regalandogli un sorriso vero, senza forzature. Aveva appena rimboccato le coperte a Enjoji, che riusciva a stento a rimanere sveglio. « No, anzi… Vi sono profondamente riconoscente. Se non ci fossi stato tu, forse a quest’ora starei impazzendo dalla preoccupazione. »
« Sono contento che sia andato tutto bene. »
« In che modo posso sdebitarmi? Qualsiasi cosa. »
« Non ce n’è bisogno, te l’ho detto. »
Ranmaru rimase senza parole, talmente era buono e gentile.
Enjoji prese parola. « Perché… lo stai facendo? »
Ryunosuke tacque un secondo. Il sorriso gli si spense. « Perché so di tante persone che, a causa di tempeste come quella, non ce l’hanno fatta o sono rimaste gravemente ferite. Non siete i primi e non sarete nemmeno gli ultimi. In questo tratto di mare sono particolarmente distruttive.                                 È per questo che in questa spiaggia ci sono così poche persone, ultimamente. »
« … Capisco… » Ranmaru si sedette nel letto e accarezzò i capelli al compagno. « Enjoji, è meglio se adesso ti riposi. Non pensare a niente. »
« Ran… »
« Dimmi. »
« Grazie. »
Ranmaru lo guardò con una dolcezza velata di tristezza. « Non devi ringraziare me, ma Satou. »
Ryunosuke sorrise di nuovo, poi si avvicinò alla porta che dava in soggiorno. « Bene, allora io vado. »
« Cosa? Di già? Puoi fermarti. »
« Non fa nulla. Anche tu hai bisogno di riposo. »
« Non è importante, sto bene! »
« Samejima! »
Ranmaru si bloccò e si tenne con una mano la testa. « S- scusami, non volevo alzare la voce… Forse hai ragione tu… »
Ryunosuke lo guardò gentilmente. « Adesso riposati. Vado a vedere com’è la situazione in spiaggia e poi torno qui a controllare come stai. » 
« Sì… Ti accompagno alla porta. » Si alzò stancamente dal letto e lo accompagnò alla porta d’ingresso.
« Allora a dopo. Mi raccomando, dormi. »
« Lascio la porta aperta, così puoi entrare quando vuoi. »
« Sei sicuro? »
« Sì, certo. »
Si strinsero la mano amichevolmente e se ne andò. Ranmaru, invece, tornò in camera. Si infilò sotto le coperte e si avvicinò a Enjoji. Lo abbracciò.
« Ran… Stai piangendo? »
« No… Però potrei… Sono così felice, adesso… Ho davvero temuto che non ne saremmo usciti vivi. »
Enjoji si voltò verso di lui e gli baciò la fronte. « Adesso basta pensarci. L’hai detto tu, no? È tutto finito, ora. »
Ranmaru lo strinse più forte. « Ti amo, Kei. Non voglio separarmi da te. »
Enjoji chiuse gli occhi. « Non succederà. »
 
Passarono delle ore, e alla fine Ryunosuke tornò. Non bussò, ma entrò silenzioso nella stanza e si avviò verso la camera da letto. Rimase immobile di fronte a Ranmaru, che si era addormentato abbracciato a Enjoji. Si avvicinò lento al ragazzo e lo scosse leggermente. Questi si girò dalla sua parte, ma continuò a dormire. Sospirò stanco. Il ciuffo di capelli era spettinato e gli copriva leggermente gli occhi; respirava con la bocca e teneva le braccia davanti a sé, uno scoperto sopra le coperte e l’altro appoggiato al cuscino. Enjoji, invece, era immobile, e non sembrava intenzionato a svegliarsi.
Ryunosuke si avvicinò lentamente al viso di Ranmaru, pronto a sfiorargli le labbra. Per sua sfortuna, però, Ranmaru si accorse di una presenza nella camera e aprì gli occhi. Ryunosuke fu abbastanza pronto di riflessi e riuscì a camuffare la sua posizione. « Ben svegliato. »
« Ryunos… Cioè, Satou… » Improvvisamente gli venne in mente tutto quello che era successo qualche ora prima, e si accorse che l’ultima cosa che doveva fare era stare a letto. Si mise seduto, agitato. « Mi dispiace, non ti ho sentito entrare e- »
Ryunosuke si portò l’indice sulle labbra, indicando Enjoji, e, Ranmaru, di riflesso, si coprì la bocca, sperando di non averlo svegliato.
« Non agitarti, avevi tutto il diritto di riposare. Anzi, scusami. Non avrei dovuto svegliarti… »
« No, hai fatto bene, invece. Grazie. »
« Come ti senti? »
« Un po’ fiacco, ma sto bene. »
Ryunosuke indicò Enjoji. « E lui? »
Ranmaru si voltò a guardarlo dormire. Si alzò dal letto e frugò dentro alcuni cassetti alla ricerca di un termometro. Di solito si trovavano nelle camere come quella e, infatti, ne trovò uno nel cassetto del comodino di fianco al compagno. Si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò il suo nome. « Enjoji… »
Enjoji si girò verso Ranmaru, faticando ad aprire gli occhi.
« Mi dispiace svegliarti. »
« Niente… »
« Ti misuri la febbre? Voglio vedere se si è abbassata. »
Enjoji prese il termometro. Mentre si misurava la febbre, scoccò uno sguardo a Ryunosuke. « … Lui? »
Ryunosuke gli sorrise radioso e lo salutò con la mano.
« Lui è il ragazzo che ci ha dato una mano, prima. Non te lo ricordi? »
« Non volevo dire questo. »
« E cosa? »
« Perché è ancora qui? »
Ranmaru guardò Enjoji un po’ sorpreso. « In che senso? È gentilmente venuto qui per controllare la situazione. E poi dobbiamo andare a recuperare il motoscafo, no? »
Enjoji continuò a guardarlo di sbieco, diffidente.
« Enjoji, cosa succede? »
« Niente, niente… »
Il termometro suonò.
« Fammi vedere. » Ranmaru fissò i numeri della temperatura, pensieroso.
« … Allora? »
« 38.3… »
« Si è abbassata un pochino. »
Ryunosuke notò un comportamento strano in Ranmaru. « … Samejima, che succede? »
Ranmaru ignorò la domanda. « Enjoji, ma tu come ti senti? Non me la sento di lasciarti da solo… E se dovesse succedere qualcosa? »
Enjoji cercò di tranquillizzarlo. « Ran… cosa vuoi che succeda? Sto meglio, ma non ho un briciolo di forza… »  Era felice che si preoccupasse così per lui, ma non voleva causargli altri pensieri.
Ryunosuke si avvicinò a Ranmaru e gli mise una mano sulla spalla, rivolgendosi a lui allegramente. « Non preoccuparti, Samejima. Gli posso dare il mio numero, così, se ci dovessero essere complicazioni, basta che chiami. Sempre se non sviene, s’intende! »
Enjoji sembrò non avere apprezzato la battuta e lo guardò bieco.
« Il telefono ce l’ho anch’io… »
« Dai, Ranchan, va benissimo così! Nel caso, posso prendere la medicina che ha lasciato il medico. Serve solo dell’acqua… »
« Te la porto subito, aspetta. » Ranmaru andò in soggiorno, intento a prendere dal frigo una bottiglia d’acqua. Enjoji colse l’occasione al volo per parlare a quattrocchi con Ryunosuke. Si mise seduto. « Ricordami il tuo nome. »
Il ragazzo sorrise amabilmente. « Ryunosuke Satou. Piacere. »
« Satou… Ci tengo a dirti una cosa, che spero vorrai ricordare. »
« Certo. »
« Ti sono grato per l’aiuto datoci, ma… lui è mio. »
Il sorriso di Ryunosuke si inclinò leggermente. « Non capisco cosa vuoi dire. »
Ma proprio quando Enjoji stava per rispondere, Ranmaru tornò con una bottiglia e un bicchiere in mano, che appoggiò sul comodino. Notò una certa tensione nell’aria. « … Cosa succede? »
Ryunosuke fece per andarsene. « Niente, stavamo solo facendo amicizia. Ti aspetto nella hall, va bene? »
« Sì… »
Lasciò la stanza e si chiuse la porta alle spalle con un po’ più di forza del necessario. Rimase un silenzio imbarazzante. « Enjoji, dovresti coricarti… »
« Ranmaru… Voglio che mi prometti una cosa. » Ranmaru lo guardò incuriosito. « Stai attento a quel Satou. »
« Ma cosa…? »
« Ranmaru! »
« Perché siete diventati tutti improvvisamente seri? »
« Promettilo. »
« Va bene, va bene… »
Enjoji fissò la parete, crucciato. « Non mi piace quel tipo… »
« Non sarai geloso? »
Enjoji esitò. « No. Sono solo preoccupato. Ah, prendi i telefoni dalla valigia. »
Ranmaru si avvicinò alla valigia e prese da una tasca interna due telefonini, e consegnò a Enjoji il suo. « Mi raccomando, chiama, se hai bisogno di qualcosa. »
« Certo. »
Si salutarono con un piccolo bacio e Ranmaru se ne andò, lasciando da solo un Enjoji preoccupato. Questi cercò di non pensarci e si coricò; chiuse gli occhi e sperò di riprendere sonno in fretta.

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Capitolo 16
*** Tu non mi piaci ***


Intanto, Ranmaru raggiunse di corsa Ryunosuke, che stava attendendo vicino alla porta della hall, come promesso. « Satou! Scusa, ti ho fatto aspettare. »
« È tutto a posto, tra voi due? »
« In che senso? Sì, è tutto a posto… »
Ryunosuke aprì la porta e lo invitò a seguirlo, leggermente deluso. « Meglio così. Ah, una cosa… chiamami per nome. Sono Ryunosuke. »
Ranmaru lo guardò spaesato. « Posso? »
« Sì, certo! Anch’io posso chiamarti per nome? »
Ranmaru annuì. Un attimo dopo, Ryunosuke frugò nella sua tasca e tirò fuori la carta d’identità di Enjoji, che gli porse. Ranmaru la accettò.
Una volta attraversata la strada e arrivati in spiaggia, passarono di fianco agli ormai soliti due asciugamani, praticamente abbandonati.
« Quelli non sono i vostri? »
Ranmaru rimase sorpreso. « Come lo sai? »
« Te l’ho già detto… Non sono molte le persone che scelgono questa spiaggia. »
Attraversarono il molo e slegarono un motoscafo. Ci salirono sopra e Ryunosuke ne prese il comando. « Coraggio, andiamo a cercare il motoscafo disperso. »
Mise in moto e partirono: la sensazione di velocità e la scia d’acqua dietro di loro che alzava centinaia di gocce fresche e leggere per aria era sempre meravigliosa, però non riusciva a divertirsi come quando era salito con Enjoji. Le sue parole gli risuonavano nella testa senza tregua, ma, vedendo il viso giovane e gli occhi pieni di vita di Ryunosuke, si convinse che Enjoji si preoccupava troppo e inutilmente, come sempre.
Girarono per parecchio tempo e, alla fine, videro in lontananza qualcosa di bianco e rosso capovolto, che vagava senza padrone nel mare aperto.
« Dev’essere quello! »
Si avvicinarono e agganciarono al motore il gancio di un piccolo montacarichi per rimetterlo dritto.
« Sembra che non si sia davvero fatto niente. »
Ranmaru tirò un sospiro di sollievo.
Ryunosuke cambiò discorso, come se la salvezza del motoscafo gli fosse del tutto indifferente. « Quanto avete deciso di rimanere, quindi? »
« Non ne abbiamo ancora parlato, però… Enjoji non è in grado di guidare, per cui… penso ancora per due o tre giorni, almeno. »
Ryunosuke mutò lo sguardo. Era ancora gentile, ma leggermente più tagliente. « Voi due state insieme? »
A causa della domanda improvvisa, il viso di Ranmaru si sfumò di rosso. « Perché… »
« Semplice curiosità. Inoltre… si capisce subito da come ti fai in quattro per lui e lo nomini sempre, quando parli. »
« Ah… Mi dispiace, non volevo essere noioso… Però… il fatto che mi preoccupi non significa che stiamo insieme. Siamo… semplici amici, tutto qui. »
Il viso di Ryunosuke si fece più duro. Si avvicinò lentamente a Ranmaru, pronto a rubargli un bacio. « Bugiardo. »
« Cosa… » Forse Ranmaru stava fraintendendo quel gesto, ma lo allontanò di riflesso e saltò sull’altro motoscafo. « Perché… non proviamo a vedere se funziona ancora? Torniamo indietro, ci penso io. » Cercò di mettere in moto e, dopo qualche tentativo, finalmente ci riuscì.
Ryunosuke lo guardò insoddisfatto ma lo seguì, cercando di comportarsi come se non fosse successo nulla. In ogni caso, Ranmaru si sforzò di evitare il più possibile il suo sguardo.
Il viaggio di ritorno sembrava essere durato almeno il doppio rispetto a quello di andata, e non si parlarono nemmeno una volta, se non quando furono arrivati al molo.
« Grazie per avermi aiutato a trovarlo e a riportarlo qui. »
« È stata colpa mia, era il minimo… » Dopodiché, Ranmaru si avviò verso la spiaggia, particolarmente di fretta. Raccolse i due asciugamani e il tubetto di crema e se li mise sottobraccio. Ryunosuke gli corse dietro e gli afferrò la mano per fermarlo. « Cosa devi fare, adesso? »
« Ecco… visto che io ed Enjoji non mangiamo da ieri, stavo pensando di andare a comprare qualcosa per pranzo… »
« Posso accompagnarti? »
Ranmaru continuò a evitare il suo sguardo e si liberò la mano, imbarazzato. « Sì, certo. »
« Prima ti ho messo in difficoltà? Mi spiace. »
Ranmaru finalmente lo guardò. « No, no… Scusami tu. » Sorrise leggermente, sperando di aver assunto un’espressione naturale. « Andiamo? Ho fame. »
Camminarono fianco a fianco. Uscirono dalla spiaggia e voltarono a sinistra; si lasciarono alle spalle l’hotel e si avviarono verso un chioschetto lì vicino, dal quale Ranmaru si era servito anche il giorno prima. Vendeva panini caldi di ogni tipo, e Ranmaru ne prese due uguali, sapendo che anche a Enjoji sarebbe piaciuto. Ryunosuke, invece, non prese niente.
« Non hai fame? È ora di pranzo. Offro io. »
« No, io mangio dopo. Tu mangia pure tranquillamente. »
« Questo lo porto a Enjoji. »
Ryunosuke continuò a seguire Ranmaru come un’ombra, non lasciandolo mai da solo. Però sembrava che l’imbarazzo si fosse attenuato, e che Ranmaru e Ryunosuke stessero tornando ad avere lo stesso rapporto di prima.
Enjoji, che in quel momento stava osservando la strada dalla porta a vetri della camera da letto, li vide passeggiare insieme, e diede un pugno al muro per la rabbia. Ci aveva visto giusto, e si chiese come faceva Ranmaru a non accorgersene.
Entrarono nell’hotel. Appena sentì delle voci in lontananza, andò ad aprire la porta, anticipando Ranmaru e cercando di camuffare le proprie preoccupazioni.
« Enjoji… Come ti senti? »
« Bene… »
Ranmaru gli sorrise. « Sono contento, meno male. » Gli porse il panino. « Tieni. Hai fame, vero? »
Prese il panino e si spostò dalla porta per farlo entrare. « Grazie. »
« Però, appena hai finito di mangiare, torna a letto, va bene? »
« Sì, sì, non preoccuparti. Piuttosto… lui dov’è? »
« È tornato nella sua stanza, ha detto che aveva da fare. » Ranmaru uscì sul balcone e si mise a scuotere gli asciugamani, facendo volare via la sabbia.
« “Da fare”… Ti ha fatto qualcosa di strano? »
Ranmaru ripensò a quello che a lui era sembrato il tentativo di un bacio, ma scacciò subito dalla mente quelle immagini e rimproverò il compagno. « Basta, Enjoji! Ti stai fissando! »
« Non mi sto fissando! Ha la faccia di chi non vede l’ora di portarti a letto! Tutti quei sorrisini di circostanza… Non mi piace! »
Ranmaru si sentì offeso. Rientrò dentro la stanza e chiuse la porta a vetri. Poi andò in bagno e lavò a mano gli asciugamani. Enjoji lo seguì, aspettando una risposta… che non arrivò. Ormai era impegnato con altro.
« Ran, allora? »
Sospirò, cercando di riprendere la calma e di non farsi prendere dalla tentazione di tirargli addosso qualcosa. « Enjoji, se sono qui… non significherà, forse, che non mi ha fatto niente? »
« Non necessariamente. Potresti essere scappato, anche se… »
« … Anche se? »
Enjoji ci rifletté un momento, e si accorse che non avrebbero potuto fare niente in un tempo così ristretto, ovvero da quando li ha visti tornare all’hotel a quando ha aperto la porta a Ranmaru. In quel momento sembravano in buoni rapporti, non due estranei che, per caso, dovevano andare nello stesso posto. Quindi, per logica, non era successo niente nemmeno prima. E poi… Ranmaru gliel’avrebbe detto subito, o sarebbe stato comunque turbato, no? Di solito su queste cose è sensibile… O forse non ha detto niente per orgoglio e ora vuole farlo passare dalla parte del torto?
« … »
« Allora? »
« Niente! Ti chiedo scusa! Me ne vado a letto, contento? » Si allontanò dalla porta del bagno e si diresse a passo spedito in camera da letto. Lì si sedette sul letto, intento a decifrare il comportamento di Ranmaru. Siccome non ne veniva a capo, prima che il compagno lo vedesse ancora al freddo e fuori dalle coperte, si coricò.
“Quante complicazioni… Non potrebbe fare meno il misterioso?!”
 
Passarono tre giorni. Da allora non avevano più rivisto Ryunosuke se non dalla finestra mentre si avviava per andare in spiaggia o da lontano, per caso, mentre Ranmaru andava a fare la spesa. Enjoji, d’altro canto, stava visibilmente meglio. La mattina seguente sarebbero andati via.
Era appena passata l’ora di pranzo, quando si sentì bussare alla porta. Ranmaru andò ad aprire e, con enorme disprezzo da parte di Enjoji, vide che Ryunosuke era andato a trovarli.
Ranmaru lo invitò ad entrare e si sedettero attorno al tavolo del soggiorno, dove Enjoji non gli tolse un attimo gli occhi di dosso nel tentativo di cogliere ogni minimo segnale di interesse da parte sua.
« Ti è successo qualcosa in questi giorni? », chiese Ranmaru.
« Ho avuto da fare, scusami. Voi come state? »
« Entrambi molto meglio. »
« Bene. » Attese qualche attimo. « Ranmaru, adesso sei impegnato? »
Enjoji tese le orecchie. “Ranmaru?
La sua sola presenza lo metteva di cattivo umore, ma doveva cercare di farsi vedere il meno infastidito possibile. Solo che… si conoscevano solo da pochi giorni. Come poteva chiamarlo per nome, soprattutto in sua presenza?
« No, ma pensavo di rimanere qui con Enjoji. »
« Ma come? È una giornata così bella… Posso mostrarti tanti bei posti. »
« Non importa, davvero. »
Ryunosuke lo guardò mesto. « Sei sempre con lui… Potresti concedermi un po’ del tuo tempo, ti pare? Non ci vediamo da tre giorni e domani andrai via… »
“Ecco il suo ‘avere da fare’… Mirava a questo!”, pensò Enjoji, che perse definitivamente la pazienza. « L’hai sentito, no?! Se non vuole, non vuole! »
« Enjoji… »
« Fai silenzio, Ran! » Enjoji si rivolse di nuovo a Ryunosuke, più serio e infastidito che mai. « E tu… L’ultima cosa che devi fare è chiamare Ranmaru per nome e rivolgerti a lui con così tanta confidenza! Vi conoscete appena! »
Ranmaru guardava Enjoji senza parole, mentre Ryunosuke sosteneva il suo sguardo senza battere ciglio e dimostrarsi inferiore. « Tutto qui? Non ti facevo una persona così tanto gelosa, sai? » L’aveva detto con una nota di sarcasmo, che non fece altro che peggiorare la situazione.
« Che cosa?! » Enjoji scattò in piedi, ma Ranmaru lo trattenne. « Enjoji, calmati! Non ti sei ancora ripreso del tutto! »
Enjoji si rivolse a Ranmaru. « Ascoltami bene! Se c’è una persona che ha il diritto di arrabbiarsi, quello sono io! »
« Però gli dobbiamo molto! Se non ci fosse stato lui, non possiamo sapere cosa sarebbe successo… Alla fine una passeggiata non mi costa nient- » Ryunosuke, senza perdere tempo, prese Ranmaru per un braccio e corsero via, lontano dalla vista di Enjoji. Quest’ultimo rimase in piedi immobile, rischiando di esplodere da un momento all’altro. « Maledizione a te, Satou! Giuro che se fai qualcosa a Ranmaru, io…! » Enjoji cadde a peso morto sulla sedia, improvvisamente stanco e con un forte mal di testa.

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Capitolo 17
*** Nella tela del ragno ***


Intanto, Ryunosuke aveva portato il più velocemente possibile Ranmaru fuori dall’hotel, e ringraziava il fatto che Enjoji non fosse ancora in grado di seguirli. « Certo che… fa proprio paura quando si arrabbia… Ma come fai? »
Ranmaru guardò Ryunosuke, adirato. « Perché hai detto quella cosa?! »
Ryunosuke lo guardò sorpreso.
« Enjoji è ferito e sta male, non deve agitarsi in quel modo! Conoscendolo, adesso sarà ancora più arrabbiato perché ce ne siamo andati… Devo tornare da lui. » Ranmaru si voltò verso la porta d’ingresso e fece per entrare nella hall, ma Ryunosuke, per bloccarlo, sbatté una mano al muro. « No, tu vieni con me. »
« Che cosa? »
« Se è arrabbiato, stare da solo gli farà meglio. Se vede te, gli verrò in mente io, e non sembra avermi preso in simpatia. »
Ranmaru studiò attentamente le mattonelle del vialetto che precedevano la porta, indeciso su cosa fare. Ryunosuke gli si avvicinò. « Andrà tutto bene, vedrai. Dai, vieni. Ti porto a fare un giro. »
Ranmaru seguì titubante Ryunosuke, chiedendosi se fosse davvero la cosa giusta da fare.
Andarono a visitare i pochi negozi del paesino e il parchetto pubblico della zona, curato minuziosamente e particolarmente ricco di fiori e panchine in completa armonia.
Sebbene fosse preoccupato e si sentisse in colpa, visto tutto quello che era successo da quando era arrivato lì, non aveva ancora trovato il tempo di visitare il paese, quindi nelle ore seguenti Ranmaru riuscì a distrarsi un po’. Poi, la domanda tanto agognata da Ryunosuke: « Ti va di venire nella mia stanza, Ranmaru? »
Ranmaru ci pensò. Aveva detto che la sua stanza era quella di fronte alla propria, quindi, nel caso, poteva andare a vedere come stava Enjoji in ogni momento, visto che, ormai, doveva essersi calmato da un bel po’… forse.
Tornarono indietro, salirono le solite scale dell’hotel per raggiungere il secondo piano e si diressero verso la stanza numero 19.
« Prego, accomodati. »
La stanza era stata costruita nello stesso identico modo della sua, solo che Ryunosuke aveva dato un tocco personale all’arredamento, cambiando la disposizione dei mobili e aggiungendo qualche quadro. Probabilmente si trovava lì da molto tempo.
Ranmaru rimase sulla porta, indeciso se entrare davvero o no. Enjoji avrebbe potuto fraintendere ancora… Però, Ryunosuke, quando lo vide così rigido, si avvicinò a lui. « Stai pensando a lui o è semplice imbarazzo? »
« Eh? No, io… »
Ryunosuke lo guardò con sguardo severo e, chiudendo la porta con un piede, lo bloccò tra le sue braccia, tenendole tese contro il muro. « Cos’ha di speciale? »
Ranmaru lo guardò stranito. Non credeva che avrebbe insistito sull’argomento. « Ti ho già detto che tra noi due- »
« …non c’è niente? » Completò la frase. « Smettila, non sono stupido, e non ci cascherebbe nemmeno un cieco. »
Ranmaru non disse niente. Si appiattì contro il muro.
« Rispondimi. Cos’ha di speciale? Da quel che ho potuto vedere, non è una persona paziente, non è gentile, si arrabbia per tutto ed è terribilmente geloso. Come fai a sopportarlo? »
Ranmaru non riuscì a controllarsi. Non poteva sopportare che qualcuno parlasse in quel modo di Enjoji. « Non è vero, non è così! Tu non lo conosci, non hai il diritto di giudicarlo! »
Ryunosuke sbatté le mani al muro per farlo tacere. Ranmaru chiuse gli occhi spaventato, pensando di aver parlato troppo. Non era più il ragazzo gentile e amabile che aveva conosciuto qualche giorno prima. Era come aveva detto Enjoji: aveva messo in scena una recita solo per potersi avvicinare a lui, e ci era cascato come uno stupido.
« Non mi interessa. Forse non l’hai ancora capito, ma io ti voglio. Non mi importa se stai con quel tipo, se lo ami oppure no. Ti voglio. »
Ranmaru lo guardò con un’espressione mista a sorpresa e paura. Era bloccato e la porta era irraggiungibile. “Enjoji…
Gli afferrò bruscamente le braccia con una mano e gliele fermò sopra la testa, bloccate contro il muro. Si avvicinò e lo baciò con forza. Con l’altro braccio gli aprì la camicia, toccandogli la pancia. Ranmaru fece resistenza, ma Ryunosuke stava facendo troppa pressione sulle braccia e gli stava facendo male. « Che cosa ti prende?! Lasciami! »
« Fai silenzio. » La sua mano scese in basso e Ranmaru cercò di liberarsi con ancora più forza. Non voleva che lo toccasse, ma gli abbassò i pantaloni e lo costrinse a voltarsi verso il muro.
« Fer- fermo! Ryunosuk- » Lo penetrò con violenza e senza complimenti. Ranmaru gridò di dolore. Faceva male, troppo male, e non voleva assolutamente farlo. Continuò con forza e a lungo, ma poiché la sua voce si sentiva fin fuori dalla stanza, per evitare che arrivasse qualcuno a disturbare, gli mise due dita in bocca, facendo risuonare solo gemiti strozzati. Poi lo buttò a terra e, tenendogli le ginocchia alte, proseguì. Si riavvicinò a lui e gli diede un lungo bacio, continuando a muoversi brutalmente.
Gli occhi di Ranmaru si riempirono di lacrime. Il suo volto era disperato e piegato in una smorfia di dolore. Lo pregò di fermarsi, ma Ryunosuke sembrava non sentire le sue suppliche.
Poiché si lamentava troppo, si allontanò un momento, lasciandolo disteso a terra a riprendere fiato, mentre tornava già con una fascia che gli strinse alla testa, bloccandogli la bocca.
Ranmaru si chiese perché dovesse subire tutta quella violenza, e si rimproverò di essere stato così stupido per non aver dato retta a Enjoji. Era così vicino, ma allo stesso tempo così lontano… Il suo corpo era in fiamme, completamente invaso dal dolore. I suoi gemiti riempivano la stanza e sembrava che niente potesse salvarlo. Doveva davvero resistere finché non si sarebbe stancato? No… Provò a liberarsi e ad alzarsi, ma Ryunosuke lo colpì pesantemente sul viso, facendolo cadere a terra a peso morto. Lo afferrò per un braccio e glielo girò dietro la schiena, facendolo stare sulle ginocchia e causandogli altro dolore. Gli consigliò di non provarci una seconda volta e, mantenendo quella posizione, lo penetrò nuovamente. Ranmaru non seppe più che fare, provava così tanto dolore e paura che gli tornò in mente il litigio avuto con Enjoji poco tempo prima. Un brivido gli scorse lungo la schiena. Voleva essere salvato ma allo stesso tempo non voleva che lo vedesse così.
All’improvviso, la porta si spalancò con forza, rivelando un Enjoji fuori di sé. Ryunosuke si fermò di colpo, spaventato per il rumore. Ranmaru si voltò leggermente verso il compagno, e le lacrime presero a scendere tutte in una volta. Avrebbe voluto parlare ma non gli era possibile. Si trovava in una posizione terribilmente imbarazzante, ma ciò su cui si concentrò il ragazzo fu la guancia sinistra rossa a causa dello schiaffo, il braccio bloccato e…
Enjoji si chiuse la porta alle spalle e avanzò velocemente verso Ryunosuke, colpendolo con tutta la forza che aveva in corpo e facendolo cadere a terra, lontano da Ranmaru. Era veramente furioso, e sembrava quasi vedersi del fumo ergersi alle sue spalle. Si inchinò verso il compagno, gli slegò il nodo della fascia e gli rialzò velocemente i pantaloni. Rivolse nuovamente uno sguardo fiammeggiante su Ryunosuke, pronto a pietrificarlo qualora avesse fatto una mossa falsa.
Ranmaru si massaggiò il braccio e si tirò su a fatica, dopodiché abbracciò disperato Enjoji, le lacrime in crescente aumento. « E… Enjoji… »
Enjoji gli accarezzò i capelli, cercando di infondergli coraggio.
Non gli sembrava vero che fosse lì in suo aiuto, pronto a difenderlo e a proteggerlo. Ora si sentiva al sicuro, tra le braccia dell’unica persona da cui voleva essere toccato. « Ssh… Va tutto bene, Ran. Adesso ci sono io. »
Ryunosuke si rialzò, più arrabbiato che mai. Sembrava impossibile che la stessa persona che aveva sempre mostrato un viso amabile e gentile riuscisse ad assumere un’espressione così minacciosa. Il suo bell’aspetto era rovinato dalla sua rabbia. « Che cosa credi di fare, tu?! Restituiscimelo! »
Enjoji lo fulminò con lo sguardo, stringendo Ranmaru per reprimere la collera. « “Restituiscimelo”, hai detto?! Forse credo di non essermi spiegato bene, l’altra volta. Ranmaru è mio! » Ranmaru non riusciva a bloccare le lacrime in nessun modo. Quelle parole, per lui, erano fonte di estrema felicità, ma con la sua ingenuità aveva ferito Enjoji.
Nonostante tutto, Ryunosuke non voleva cedere. « Lo vuoi tutto per te, non è così? Lo stavo usando io, non intrometterti! »
Enjoji lasciò Ranmaru e afferrò Ryunosuke per la collottola, guidato dall’istinto. « Ranmaru non è un oggetto! È il mio ragazzo! Ti avevo detto che se lo avessi toccato te l’avrei fatta pagare, ricordi?! Ringrazia che sto cercando con tutte le mie forze di trattenermi, perché sennò potrei rovinarti! » Gli diede uno strattone. « E se provi di nuovo a fargli una cosa del genere o anche solo a pensarla, puoi seriamente ritenerti un uomo morto, parola mia! » Detto ciò, lo lasciò con una violenta spinta e prese Ranmaru per un braccio, precipitandosi nella loro stanza, sbattendo le porte e chiudendo la loro a chiave. Poi portò Ranmaru in camera e lo buttò sul letto, ancora arrabbiato. « Allora? Non devi dirmi niente, Ranmaru?! »
Ranmaru lo guardò mortificato e faticava a parlare, la voce rotta dai singhiozzi. Quando perdeva la pazienza, Enjoji gli metteva sempre un po’ di paura. « Mi… dispiace… Io… io non avrei mai pensato che… Ryunosuke… potesse fare una cosa del genere… » Le lacrime presero a scorrere di nuovo, rigandogli il viso già bagnato. Vedeva tutto sfuocato. « Avevi ragione, sono stato uno stupido a… non dare peso alle tue parole… Mi dispiace… »
Enjoji detestava vederlo piangere. Non perché fosse un segno di debolezza, ma perché gli dispiaceva e gli spezzava il cuore vederlo in quello stato. La rabbia stava pian piano sparendo. Si sedette sul letto e Ranmaru si mise su un fianco con le mani in testa, convinto che volesse colpirlo anche lui.
« Stupido, cosa stai facendo? » Gli spostò il braccio che gli copriva il viso e lo baciò sulla guancia. « Scusami, sono stato troppo duro. La colpa è mia che ho permesso a quel tipo di starti vicino… Ti senti bene? Ti fa male? »
Ranmaru si asciugò le lacrime con il polsino della camicia. « Mi fa male, ma… sono felice di essere qui con te. Se non fossi arrivato, adesso… io… »
Enjoji lo fece mettere prono e, mano nella mano, riuscì a farlo calmare e a smettere di piangere con un lungo, vero bacio, pieno di sentimenti tutti dedicati a lui. Ma non si limitò a un unico bacio in bocca: gliene diede anche sul collo, sul petto e sulla pancia, e tutti servivano per fargli dimenticare, almeno per poco, la violenza subita poco prima. Dei brividi gli attraversarono la schiena, aumentandogli l’intensità del respiro. Se a fare una cosa del genere fosse stato Ryunosuke, non sarebbe stato neanche lontanamente lo stesso. Era piacevole perché era Enjoji a farlo, l’unica persona di cui poteva fidarsi ciecamente e a cui poteva affidare la sua stessa vita senza pentimento o ripensamenti.
« Enjoji… ma tu…? »
Enjoji si fermò. « Io cosa? »
« … Stai bene? »
« Sicuramente sto meglio di te. » Enjoji sorrise scherzosamente.
« Sono felice di vederti… »
Enjoji gli accarezzò la guancia arrossata con il dorso dell’indice e del medio, con affetto. « Ultimamente stai dormendo a pezzi, per colpa mia. Fatti una bella dormita. Domani torniamo a casa nostra, va bene? » Gli abbottonò la camicia e lo coprì con le coperte.
« E tu? »
« Resto qui, di fianco a te. Stai tranquillo, non me ne vado e non faccio entrare nessuno. »
Ranmaru rise. Quando, poi, il sonno lo invase, disse solo un’ultima parola prima di addormentarsi, finalmente in pace. « Scusami… »
 
La mattina dopo, si svegliarono piuttosto tardi ma finalmente riposati.
Enjoji sembrava completamente ripresosi, senza abbassamenti improvvisi di febbre o cali di pressione, mentre Ranmaru aveva ritrovato tutte le energie. Finalmente aveva potuto riposare decentemente. Si alzò dal letto e prese in mano la cornetta del telefono, appoggiato su un mobile in soggiorno di fianco alla porta.
Si rivolse a Enjoji: « Che dici, chiamiamo per la colazione o usciamo e la facciamo fuori? »
Enjoji rifletté un attimo, ma poi, ricordandosi che Ryunosuke doveva trovarsi già in spiaggia, gli passò la voglia di uscire e una voglia matta di andare via lo conquistò. Però, un attimo dopo…
« Perché fai quella faccia? »
« Niente, stavo pensando… Usciamo, ho voglia di fare un giro. »
Ranmaru ripose la cornetta, andò a prendere un cambio dalla valigia ed entrò in bagno, pronto per fare un bel bagno rilassante.
Una volta terminato, mentre si asciugava i capelli, diede il cambio a Enjoji. Quindi uscirono.
Costeggiarono la spiaggia, godendosi il bel tempo e l’aria fresca del mattino. Ranmaru sembrava tranquillo nonostante quello che era successo il giorno prima, ma Enjoji non sembrava aver perdonato né dimenticato. Infatti, una volta arrivati in linea d’aria di fronte al molo, sperando che Ryunosuke li avesse notati e li stesse guardando, mentre continuavano a camminare sulla strada si appiccicò al compagno, mettendogli un braccio intorno al collo o prendendolo per mano, con ovvia irritazione da parte di Ranmaru. Ogni tanto lanciava occhiate verso Ryunosuke. Stava guardando. « Enjoji! Si può sapere che cos’hai?! »
« Ssh, non urlare. »
Ranmaru si voltò e notò il ragazzo in lontananza. Guardò torvo Enjoji. « Non vorrai farmi credere che lo stai facendo per ripicca, vero? »
« È il minimo! Deve capire che non può avere tutto solo perché è di bell’aspetto! Ti sta ancora guardando! »
Ranmaru si spostò da Enjoji, infastidito. « Guarda che lo stesso vale per te, stupido! E non sta guardando me, sta guardando te che fai il cretino geloso! »
Enjoji stava per dire qualcosa, ma si bloccò poco prima di aprire bocca, riflettendo bene sulle parole di Ranmaru. « …Questo vuol dire che mi trovi bello? »
Ranmaru lo colpì e proseguì verso il chioschetto, da solo. Ryunosuke distolse lo sguardo e si girò verso il mare, facendo finta di niente.
Enjoji andò dietro a Ranmaru, che stava già comprando qualcosa, e si sedettero a mangiare sul muretto che costeggiava la spiaggia.
« Sei in grado di guidare? »
« All’esame non ho fatto neanche un errore. »
« Non prendermi in giro, hai capito. »
« Certo che sì, non preoccuparti. E poi… siamo in ritardo sulla tabella di marcia. »
Ranmaru si mise una mano in testa. « Non voglio pensare a tutto quello che devo recuperare. Oddio… »
« Dai, non avrai molti problemi. »
« E il tuo lavoro, invece? »
Enjoji non rispose. Era diventato improvvisamente serio.
« Enjoji? »
« Ho deciso di lasciarlo. »
A Ranmaru andò di traverso un boccone. « Co- cosa?! Perché? Ti piaceva, no? »
« Da quando abbiamo avuto quel litigio, ci ho pensato molto. »
« …Non ti seguo. »
« È stato tuo padre a farmelo notare. Io ho dubitato di te pensando che avessi qualcun altro, però… nonostante il mio lavoro sia proprio quello di fare l’accompagnatore notturno, non hai mai avuto niente in contrario e mi hai sempre dato fiducia. Mi sento un idiota… »
« …Non devi lasciare il tuo lavoro per una cosa del genere. E poi ne abbiamo bisogno, altrimenti come facciamo? Io il mio l’ho perso, ricordi? »
« Lo so, ma ormai ho deciso. Mi metterò alla ricerca di qualcos’altro, dopodiché lo lascerò. »
« Eri molto richiesto… Credi che ti lasceranno andar via così facilmente? »
« Se mi dimetto, non potranno costringermi a restare. »
Ranmaru scosse la testa, sconsolato.
« E tu come farai a trovare il tempo per il kendo? »
« Non ne ho idea… I problemi sono arrivati tutti in una volta… »
Enjoji si alzò e buttò la carta del suo pasto nel cestino del chioschetto.
« Sono stato uno stupido a non pensarci e a non preoccuparmene. »
« Adesso non pensiamoci, Ran. Andiamo via? »
Ranmaru annuì. Però, una volta alzatosi, il suo sguardo si pose automaticamente su Ryunosuke. A Enjoji venne un colpo, quando lo vide scavalcare il muretto. « Do- dove stai andando? »
« Zitto e seguimi. » Trascinò Enjoji e attraversarono la spiaggia e il molo, arrivando di fronte a Ryunosuke. Questi gli scoccò un’occhiata, ma distolse subito lo sguardo e rimase sulle sue, come se fosse offeso per essersi fatto portare via il suo giocattolo o come se avesse capito il suo errore e si vergognasse di guardarli negli occhi. In ogni caso, era freddo. « Oggi il mare è mosso, non vi consiglio di noleggiare un motoscafo. »
« Non siamo qui per questo. »
Non rispose. Enjoji si arrabbiò di nuovo e cercò di portare via Ranmaru, ma non si mosse. La sua era un’espressione sentita, di chi ha in mente solo brutti ricordi, ma sentiva di doverlo dire. « Grazie. »
Ryunosuke e Enjoji lo guardarono sbigottito, come se quelle fossero le ultime parole che si sarebbero aspettati di sentire.
« Cos… Ranmaru, ma sei scemo a ringraziarlo?! »
Ranmaru fece completamente finta di non averlo sentito e proseguì. « Nonostante quello che è successo, sento di doverti ringraziare. Ci hai aiutati molto quando eravamo in difficoltà, e anche per questi giorni extra, tu- »
Enjoji lo interruppe nuovamente. « Senza di lui, non avremmo potuto prendere nemmeno il motoscafo. »
Questa volta non poté non ignorarlo. « Enjoji! Ma ti sembrano cose da dire?! »
Enjoji lo prese per mano e diede le spalle a Ryunosuke, portando via il compagno. Ranmaru cercò di fermarlo, urlandogli di non avere ancora finito di parlare, ma non ci riuscì. Quando ormai erano lontani, Ranmaru si girò verso di lui e lo salutò con la mano. Ryunosuke, alla fine, si mise una mano in testa e si lasciò scappare un sorriso, pensando che fossero la coppia più strana che avesse mai visto.

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Capitolo 18
*** Bacio sotto la neve ***


Per strada, Ranmaru continuò a rimproverarlo. « Sei terribilmente testardo. »
« Non rompere, in ogni caso non lo perdono. »
Ranmaru ci rinunciò.
« Cosa facciamo, quindi? »
« Torniamo a casa, mi manca. » Ranmaru gli lasciò la mano e lo baciò sulla guancia. Poi superò Enjoji, stranamente allegro.
Arrivarono all’hotel e, una volta dentro la loro stanza, rimisero a posto ciò che avevano spostato nella stanza e rifecero la valigia. Consegnarono le chiavi e uscirono per l’ultima volta. Raggiunsero il parcheggio e salirono in macchina, percorrendo la strada a ritroso. Quella che sentivano era tutta un’altra sensazione, in particolare per Ranmaru. Aveva vissuto quasi due mesi all’ospedale, poi si era fermato a casa del nonno. Inoltre, come se non bastasse, era partito per un difficile viaggio con Enjoji, senza vedere, in tutto questo tempo, nemmeno una volta il suo appartamento. Chissà in che condizioni doveva averlo lasciato quel confusionario di Enjoji…
Una volta arrivati a Tokyo, Enjoji sbagliò strada a causa della forza dell’abitudine. Accortosi di stare andando a casa del nonno di Ranmaru, girò per un’altra strada e si diresse verso la loro dolce e cara casa. Ancora non gli sembrava vero di essere lì…
Scesero dalla macchina, presero la valigia e salirono le scale per arrivare al loro piano. Dopodiché inserirono la chiave all’interno della serratura ed entrarono. Non era molto grande, soprattutto se messa a confronto con la casa del nonno, però era molto confortevole e piena di ricordi. La stanza principale era la stanza più spaziosa che faceva da collegamento per arrivare alle altre stanze – il bagno, un cucinino, un salotto e due camere da letto separate, che utilizzavano spesso nei momenti di studio o quando avevano discussioni e volevano rimanere da soli – e comprendeva numerosi mobili di varie dimensioni che occupavano la maggior parte dello spazio a disposizione. Avevano anche un piccolo balcone, dove era piacevole affacciarsi la mattina presto o nei momenti liberi quando si aveva voglia di rilassarsi per un po’.
Si sentivano finalmente a casa, ma la cosa che sorprese Ranmaru era che Enjoji, nel periodo in cui era rimasto a casa da solo, aveva fatto del suo meglio per tenerla il più pulita e ordinata possibile in attesa del ritorno del ragazzo.
« Bentornato a casa. »
Ranmaru si guardava intorno, rapito. « Non sai quante volte ho sognato questo momento… »
« Non riesco nemmeno a immaginarlo, però… eccoti qui. » Enjoji gli si avvicinò e gli avvolse un braccio attorno al collo. « Da domani tornerà la solita routine, sei preparato? »
« Per forza. » Ranmaru si inchinò e si rialzò facendo un passo in avanti, in modo da uscire dall’avvolgente presa di Enjoji. Si girò verso di lui, con lo sguardo di chi ha voglia di stuzzicarlo. « Allora? Cosa vuoi fare? »
Enjoji lo guardò ammaliato, quasi sul punto di volerlo mangiare. Lo seguì nella sua camera da letto e lo buttò sul materasso dopo essergli praticamente saltato addosso. Ranmaru lo guardò pigramente, come se l’unica cosa che volesse fare fosse restare tutto il giorno a letto con il compagno. Enjoji era pronto a baciarlo, ma lo fermò posandogli l’indice sul labbro. « Non dovremmo prepararci per domani? » Enjoji scosse la testa, desideroso di continuare. « E non dovresti chiamare per il lavoro? »
Enjoji era terribilmente sulle spine. La posizione in cui era messo Ranmaru – appoggiato su un gomito sul cuscino, quasi completamente disteso e la camicia leggermente sbottonata – stava provando il suo autocontrollo.
Ranmaru ruppe lo sguardo enigmatico con una risata divertita, e abbracciò con impeto Enjoji.
« Ran- Ran…? »
« Sono a casa… »
« Non l’abbiamo già detto? »
« Sì, ma… è difficile da realizzare. Ti rendi conto? L’incidente, l’ospedale, la riabilitazione, il litigio, la tempesta, tutto! È tutto passato e siamo di nuovo qui, ancora insieme. »
Enjoji gli accarezzò i capelli. « Avevi qualche dubbio? »
Ranmaru lo guardò; gli occhi gli brillavano. Si avvicinò piano per baciarlo. Si distesero sul letto, Enjoji sopra di lui, e continuarono a coccolarsi dolcemente, eliminando dai loro pensieri ogni situazione o avvenimento poco piacevole e sostituendoli con solo momenti felici e pieni di passione. Rimasero a parlare e a fare l’amore tutto il tempo, per poi addormentarsi l’uno a fianco all’altro, stretti in un dolce abbraccio.
 
Il giorno dopo, Ranmaru si svegliò all’improvviso, convinto che fosse stato tutto un sogno, ma… non era così. Era a casa sua, nel suo letto e con il compagno che dormiva ancora profondamente. Erano le cinque e un quarto del mattino, ma ormai aveva perso tutto il sonno. Decise di alzarsi e di fare un bel bagno per iniziare bene la giornata. Dopodiché si vestì e, una volta preparata la colazione, chiamò Enjoji, il quale faticò a svegliarsi e a trovare la forza e la voglia di alzarsi. Però, una volta che si fu seduto a tavola, trovò il buonumore. Un’altra delle cose che gli erano mancate assieme allo stesso Ranmaru era proprio la sua cucina.
Presero ognuno la propria cartella e si avviarono verso l’Università: un senso di nostalgia alla sola vista dell’edificio invase Ranmaru, che fu accolto felicemente dai suoi colleghi e dai suoi amici. Però il peso delle assenze si fece sentire perché, da quel giorno, fu sommerso dallo studio arretrato, che dovette recuperare prima delle vacanze di Natale, in modo da poter dare l’esame e riposarsi un po’, e dallo studio delle materie che avanzavano nel programma giorno dopo giorno; Enjoji, invece, ebbe delle complicazioni col suo lavoro: la sua assenza improvvisa aveva creato grossi problemi. Infatti, se il problema non fosse stata la penuria di personale e il fatto che lui, con il suo carattere e il suo aspetto, attirasse molti clienti e fosse molto richiesto, probabilmente non si sarebbe dovuto nemmeno disturbare di fare la prima mossa per chiedere le dimissioni. In ogni caso, non avrebbe avuto una seconda possibilità.
Essendo il suo sogno quello di aprire un locale con specialità di Kyoto, la sua città natale, si mise subito alla ricerca di un lavoro che si avvicinasse a questo campo, anche se invano.
Continuarono con questo ritmo fino alle vacanze di Natale, quando, una volta iniziate, ricevettero una chiamata da parte del nonno che li invitava ad andare da lui il giorno di Natale, avvisando che ci sarebbero stati anche Takashi e Yuki con la sua famiglia e che, se volevano, potevano fermarsi lì per qualche giorno.
Ranmaru, avendo superato l’esame – e come lui Enjoji qualche settimana prima – decise di concedersi una pausa più che meritata e di accettare la proposta del nonno. Anche Enjoji non ebbe nulla in contrario, però, volendo concedere del tempo anche a loro come coppia, organizzarono un appuntamento al cinema per la Vigilia e rimasero fuori per cena, ammaliati dall’atmosfera natalizia. Era sicuramente il modo migliore per festeggiare. In questi ultimi mesi, anche se vivevano sotto lo stesso tetto, non erano riusciti quasi mai a stare insieme: durante il giorno andavano all’Università e, una volta tornati a casa, Ranmaru si metteva a studiare, mentre Enjoji andava a lavorare fino a tardi. A volte, a causa dello stress, finivano anche per litigare e per complicare ulteriormente la situazione.
 
Dopo aver mangiato una cenetta coi fiocchi, uscirono dal locale e passeggiarono per le buie strade di Tokyo l’uno vicino all’altro e incuranti dei pensieri della gente, cosa che, normalmente, Ranmaru non avrebbe mai fatto. Ma in fondo… era la Vigilia di Natale, nessuno avrebbe perso tempo a giudicarli, no? I volti delle persone, sia in famiglia che con il proprio o la propria fidanzata, trasmettevano felicità e spensieratezza, scacciando via la stanchezza e facendo venir voglia solo di divertirsi, senza pensare a niente in particolare.
Ranmaru si sentì improvvisamente il naso gelato e umido. Guardò in alto: stava iniziando a nevicare. I due si avvicinarono per farsi caldo, tenendosi a braccetto. I fiocchi candidi volteggiavano nell’aria spinti dal vento e si posavano graziosamente a terra. Erano leggeri e freddi, ma la loro vista scaldava il cuore di molte persone, rendendo onore alla notte della Vigilia di Natale. Ranmaru appoggiò la testa sulla spalla di Enjoji e sorrise felice.
« È bella? » chiese Enjoji, guardando cadere i fiocchi di neve con uno sguardo felice e rilassato. 
« Sì, molto. »
« Io la trovo così bella perché ci sei tu con me. » Enjoji fece per avvicinarsi, ma venne respinto dalla mano del compagno, che gli coprì le labbra.
« Qui non lo possiamo fare, lo sai. »
« Però tu sei abbracciato a me, non è la stessa cosa? » Enjoji fece un cenno con la mano, indicando le persone che passavano vicino a loro. Ranmaru si guardò meglio intorno. Effettivamente, non stava succedendo esattamente quello che aveva pensato: alcuni dei passanti lanciavano qualche occhiata perplessa a quei due ragazzi che passeggiavano a braccetto, e spesso bisbigliavano qualcosa tra di loro. Preso dall’imbarazzo, Ranmaru si alzò la sciarpa in modo da coprire parte della faccia e lasciò velocemente il braccio di Enjoji, ma quest’ultimo lo afferrò per trattenerlo.
« Enjoji… »
« Non me ne importa niente di cosa pensa la gente, e oggi meno che mai. È la Vigilia di Natale e abbiamo diritto quanto gli altri di stare insieme e divertirci. »
Ranmaru lo guardò rapito, come se fosse stata la prima volta che lo avesse sentito parlare in quel modo. Poi distolse lo sguardo, leggermente arrossito per le sue parole o per il freddo. Aveva perso ogni voglia di scappare. Enjoji lo avvicinò a sé, gli abbassò la sciarpa e lo baciò. Erano entrambi congelati, ma i loro volti a contatto e il loro respiro li scaldava. Unirono le mani, tenendole basse e strette tra loro.
Il manto nero della notte aveva avvolto completamente la città senza che se ne fossero resi conto; gli addobbi natalizi splendevano nel buio e illuminavano le strade e i negozi, chiusi ormai da ore. Ranmaru ed Enjoji continuarono a passeggiare fino a quando non ritennero che fosse ora di tornare a casa. Quindi si avviarono sulla via del ritorno, mano nella mano.
Era stata una bellissima giornata, decisamente rilassante e piacevole, ma le loro forze si stavano esaurendo. Una volta sulla soglia di casa, impiegarono qualche secondo prima di riuscire a infilare la chiave nella serratura: le loro dita erano completamente congelate e rifiutavano di obbedire. Quando ci riuscirono, la prima cosa che fecero fu togliersi i cappotti pieni di neve, accendere il riscaldamento e mettersi addosso un bel pigiama caldo e comodo.
Enjoji si lasciò cadere a peso morto sul letto, stirandosi felicemente dalla stanchezza. Invitato, Ranmaru si infilò nello stesso letto, in modo da scaldarsi reciprocamente.
« Buon Natale, Ranchan », disse Enjoji, poco prima di chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dalle braccia del proprio compagno. Era mezzanotte e qualche minuto.

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Capitolo 19
*** Famiglia al gran completo ***


La mattina seguente vennero svegliati da una chiamata da parte del nonno. Ranmaru si mise seduto e rispose pigramente al telefono. « Pronto… »
« Buongiorno, Ranmaru. »
« Nonno, cosa è successo? Sono appena le 7.00… »
Enjoji si rigirò nel letto, coprendosi le orecchie col cuscino.
« Appunto, ascoltami! Il signor Tsurumi può accompagnare solo Yuki e la sua famiglia. Dovrete andare voi a prendere tuo padre all’aeroporto, capito? »
Ranmaru fissò sconsolato l’involucro di coperte che nascondeva un Enjoji intento a continuare a dormire. « Sì, sì, non preoccuparti, ci pensiamo noi… »
L’indice destro di Enjoji, che teneva pressato il cuscino sulla testa, ebbe un tic. Doveva aver intuito qualcosa di non proprio piacevole.
« Bene, allora », disse il signor Samejima. « Ci vediamo più tardi. »
Ranmaru lo chiamò appena prima che chiudesse la chiamata. « A- aspetta un attimo, nonno! A che ora arriva? »
« Alle 10.00 dovrebbe atterrare l’aereo. »
Ranmaru tacque. Enjoji sbirciò da sotto il cuscino per vedere il volto seccato del compagno.
« Ranmaru? »
Il ragazzo si decise a parlare, cercando di mantenere un tono calmo. « Nonno… posso farti una domanda? »
« Certo. »
Si grattò la testa, poi parlò. « Perché hai chiamato a quest’ora? »
« Per avvisarti per tempo, è ovvio. E poi non dovete dormire fino a tardi, è controproducente. »
« … Va bene, non preoccuparti. Grazie per avermi avvisato. Ci vediamo dopo. »
« Sì, a dopo. »
Chiuse la chiamata e appoggiò il telefono sul comodino, lasciandosi cadere nel letto e facendo rimbalzare Enjoji con il contraccolpo. Si girò verso il compagno, che lo fissava interrogativo  ancora da sotto il cuscino. « Ran, che dice? »
« Dobbiamo andare noi a prendere papà all’aeroporto perché il signor Tsurumi non può… »
Enjoji, sebbene dovesse guidare lui, non sembrò per nulla infastidito, se non per il fatto di essere stato svegliato così presto da un telefono e non da Ranmaru. « Non c’è problema, però… »
Ranmaru ripeté l’ultima parola, lasciata in sospeso. Enjoji sorrise in modo un po’ stupido e gli si appiccicò addosso, saltando fuori dal suo cuscino. « Oggi è Natale, no? Poltriamo a letto ancora un po’. Non alzarti, dai. »
Ranmaru stava, infatti, cercando di scappare, ma per una volta decise di farsi tentare e di stare lontano dal freddo ancora per un po’. « Solo un po’, anche perché devo preparare la colazione, fare la doccia e cambiarmi, quindi sappi che non ti permetterò di fare nulla. »
Enjoji gli fece la lingua. « Non fa nulla, me l’aspettavo. Volevo passare solo un po’ di tempo con te con calma. »
« In effetti, siamo sempre di corsa… »
Dopo mezz’oretta, Ranmaru raccolse tutto il coraggio che aveva e decise di alzarsi. Prese il telecomando del riscaldamento e lo riaccese, poiché il timer era stato impostato solo per qualche ora. La differenza di temperatura iniziò a sentirsi appena dopo pochi minuti, e ringraziò con tutto il cuore quell’invenzione gloriosa.
Intanto che Ranmaru preparava la colazione, Enjoji lo precedette e andò a fare un bel bagno caldo. Nonostante la sveglia improvvisa e inaspettata, era particolarmente di buonumore, e canticchiava allegramente a labbra chiuse.
Una volta fuori, trovò la tavola già apparecchiata e imbandita con la colazione ancora fumante. « Sbrigati o si raffredda. »
« E tu? »
« Io arrivo tra un po’. Vado a fare un bagno anch’io. »
Enjoji si sedette al proprio posto. « Ti aspetto. »
« No, mangia. Sto arrivando. »
La colazione era troppo invitante per resistere, così decise di non farselo ripetere una terza volta. Ranmaru si era impegnato più del solito nel prepararla e questo lo rese felice, però… sentiva che questo buonumore non sarebbe durato a lungo. Eppure non era il tipo che pensava a cose negative. Non sapeva perché… era solo un presentimento.
Quando Ranmaru tornò dal bagno, ancora con i capelli bagnati e un asciugamano sulle spalle, Enjoji non aveva ancora finito. Nonostante tutto non voleva farlo mangiare da solo. « Non ti fa male stare con i capelli bagnati? »
« Me li asciugo dopo, ora voglio mangiare. »
Enjoji, appoggiato al tavolo sul gomito e lo sguardo fisso, osservava Ranmaru mentre usava l’asciugamano per fermare qualche goccia coraggiosa che aveva deciso di scivolargli lungo il viso. A un certo punto si accorse di essere fissato. « Che c’è? » Chiese, incerto.
Enjoji non rispose. « Kei? »
Sentendo il suo nome, il ragazzo tornò improvvisamente alla realtà. « Ah, no, niente. Scusa. »
Ranmaru si sporse leggermente verso di lui, gocciolando sul piatto. « Stai bene? O sei solo ancora addormentato? Il bagno avrebbe dovuto svegliarti… »
Enjoji indicò svogliato la sua colazione. « La stai annacquando… »
Si spostò di scatto, guardando desolato il piatto ma continuando a mangiare. Enjoji finì l’ultimo boccone e si alzò. Ranmaru non ci fece troppo caso, perso tra pensieri momentanei. La voglia di parlare non era molta, al momento. Poi, improvvisamente, sussultò. « Mi hai fatto spaventare, scemo! Cosa stai facendo? »
Enjoji aveva preso l’asciugamano dalle spalle di Ranmaru e lo stava usando per asciugargli i morbidi capelli. « Ci metto un attimo. Non voglio che ti ammali proprio in questi giorni. »
« Enjoji, c’è il riscaldamento acceso… »
« Non c’entra, non siamo in estate. » Esitò un attimo. « È strano… »
« Che cosa? »
Enjoji si lasciò scappare un risolino. « È strano perché di solito sei tu quello che mi riprende sempre. »
Ranmaru si girò e gli sorrise con sguardo sicuro, pronto a controbattere. « Allora goditi il momento. »
Enjoji si avvicinò al viso di Ranmaru, posando la punta del suo naso su quello del compagno e una mano sul suo viso. « Come sei sicuro. Non vuoi darmi nessuna soddisfazione? »
« Ci mancherebbe altro… Finiresti per montarti la testa. »
Enjoji si ritrasse, fintamente offeso. « Come sei crudele, Ranchan! »
Ranmaru si alzò in piedi e cominciò a sparecchiare; poi prese dalle mani di Enjoji l’asciugamano bagnato e lo mise nella cesta dei panni sporchi. Quindi, senza dire una parola, andò in bagno. Enjoji rimase immobile, senza capire. Una volta accortosi che Ranmaru era andato via, corse verso la porta del bagno per parlargli, ma il rumore del phon acceso copriva le sue parole. Decise di lasciar perdere e di andare a prepararsi per evitare una possibile discussione sulla puntualità da rispettare.
Alle 9.00 in punto erano entrambi pronti – borsone in mano – per andare a prendere Takashi. Una volta presi i dolci comprati il giorno prima da portare in regalo e chiusa a chiave la porta di casa, scesero le scale dell’appartamento, sedettero in macchina e partirono verso l’aeroporto.
Le strade non erano per niente affollate, a parte qualche macchina che andava nella loro stessa direzione e, più rare, poche macchine che camminavano nella corsia opposta. Le luci di Natale splendevano già nonostante la luce del mattino, e parecchie persone passeggiavano lungo i marciapiedi, sia in famiglia che in coppia, come la sera prima.
Arrivarono a destinazione abbondantemente in anticipo, così ne approfittarono per fare un giro.
L’aeroporto, a dispetto di quello che si poteva pensare osservando le strade, pullulava di persone che andavano e tornavano da ogni luogo, e la maggioranza di loro salutava o andava incontro ad amici e famigliari. Un enorme cartello digitale annunciava le partenze e i ritorni degli aerei accompagnati dall’orario e dal luogo in cui erano diretti o dal quale tornavano. Dopodiché, alle 10.07, l’aereo che aspettavano Ranmaru ed Enjoji atterrò. Quasi venti minuti dopo, padre e figlio erano già riuniti. « Vi chiedo scusa per il disturbo di essermi venuti a prendere. » Takashi sembrava davvero dispiaciuto, ma Enjoji e Ranmaru lo rassicurarono. « Non si preoccupi, nessun disturbo. »
« Andiamo, papà? Il nonno e la signora Miyo saranno contenti di rivederti. » Ranmaru gli sorrise, felice di rivederlo.
« Anche voi, no? »
Enjoji si mise involontariamente a riflettere a voce alta sulle parole di Takashi. « In effetti non ci siamo più fatti vivi dall’ultima volta in cui eravamo tutti lì… »
Attraversarono i corridoi e tornarono al parcheggio, caricando in macchina la valigia di Takashi e mettendo nuovamente in moto. Non ci volle più di tanto per arrivare alla casa del nonno di Ranmaru. Ad aprirgli il cancello per parcheggiare e ad accoglierli fu la domestica di casa, Miyo, che sprizzava felicità da tutti i pori. Li invitò ad entrare subito dentro casa per non gelarsi, e abbracciò uno alla volta i tre ospiti. Ranmaru approfittò del momento per consegnarle il pacchetto che aveva portato con sé. « Signora Miyo, questi sono dei dolci. Li può presentare a pranzo? ­»
« Certo, ma non dovevate disturbarvi. » L’attenzione della domestica si posò su Takashi. « Prego, signore, dia a me borsone e valigia. Li porto subito nelle camere. »
« Grazie, Miyo. Sa dove possiamo trovare papà? »
Miyo indicò una porta in fondo all’andito. « È nella sala da pranzo, vi sta aspettando. » Con le mani occupate, si avviò nelle camere da letto, mentre i tre percorsero l’andito nella direzione opposta fino ad entrare in una porta che segnalava la sua fine. La stanza, pressoché vuota se non per un tavolo al centro e un mobile dove erano contenuti vari trofei vinti ai campionati di kendo – tra cui quelli della mamma di Ranmaru, che in una fotografia sorrideva felice con una coppa in mano – conduceva alla cucina e al salotto, una delle stanze preferite di Enjoji per il comodo divano e la televisione.
Il signor Samejima era seduto al tavolo con una tazza di tè fumante davanti a sé, accompagnata da altre tre tazze che rappresentavano un invito per Ranmaru, Enjoji e Takashi.
« Buongiorno a tutti », disse il signor Samejima, e fece cenno con la mano di sedersi. Risposero tutti con un sorriso e si sedettero ognuno al proprio posto, accettando l’invito. « È stato difficile incontrarvi all’aeroporto? »
« No, ci siamo trovati subito », rispose Ranmaru. « Solo che non mi hai detto con che volo sarebbe arrivato. » Guardò il padre, poi riprese. « Comunque, come va, nonno? »
« Sono un po’ stanco per via degli allenamenti in palestra da seguire, però, tutto sommato, direi bene. A proposito, Ranmaru… »
Eccola. La domanda che Ranmaru temeva stava per arrivare. Aveva deciso di riprendere il kendo e di coprire il posto che gli era stato offerto come insegnante e lavorare al fianco di Kurebayashi, l’assistente del maestro, però non ne avevano ancora parlato insieme. Infatti, quella proposta l’aveva sempre sentita per vie traverse, ma mai dalle labbra del nonno, e per questo motivo si sentiva un po’ teso. Sapeva bene cosa rispondere, eppure…
« Kurebayashi ti ha già parlato della mia proposta di diventare maestro di kendo, non è vero? »
Enjoji e Takashi fissarono Ranmaru. Questi si sentì un po’ in imbarazzo, ma si sforzò di non cambiare espressione. « Sì. Ho deciso di accettare, però… » Il nonno inarcò un sopracciglio. Enjoji, invece, senza farsi vedere, poggiò una mano sulla sua gamba, come se, con quel gesto, volesse comunicargli di poter fare completo affidamento su di lui. « …prima vorrei riprendere gli allenamenti da zero sotto la guida tua o di Kurebayashi, in modo da poter prendere la qualifica nel pieno delle forze. Inoltre, non penso di poter iniziare prima di aver preso la laurea, non ce la farei… »
Il padre si illuminò in volto. « È vero, quest’anno  siete di laurea! Come vola il tempo… »
I due ragazzi gli sorrisero, ma poi, Ranmaru, sentendo il nonno che si schiariva la voce, tornò teso e serio, in attesa della sua risposta. « Quando avresti intenzione di terminare tutti gli esami, Ranmaru? »
« Conto di farcela entro questa primavera. »
Il signor Samejima sospirò, poi guardò fiero Ranmaru. « D’accordo, hai ragione. Però, quando puoi, vieni per allenarti un po’, va bene? »
« Sì. »
Il nonno volse uno sguardo inquisitorio anche a Enjoji, il quale sentì un brivido sulla schiena. Non si capiva mai se fosse di buon umore oppure no a causa del suo modo di fare. « Invece, tu, Kei? »
« Io… cosa? » Aveva sul volto un sorrisino di circostanza per mascherare il suo disagio.
Il signor Samejima perse in un attimo la pazienza e fece spaventare tutti. « Svegliati! Stavi ascoltando o no? Quando hai intenzione di dare tutti gli esami, tu? »
« Io ne ho dato qualcuno in più rispetto a Ranmaru, quindi penso che finirò prima ma non so dirle di più. » Appena prima che il nonno potesse ribattere, la signora Miyo bussò alla porta della stanza e annunciò che Yuki e la sua famiglia erano arrivati e che stavano prendendo i bagagli dalla macchina. Dopodiché andò in cucina a preparare il pranzo, mentre Ranmaru, Enjoji, Takashi e il signor Samejima andarono ad accogliere gli ospiti.
« Yuki! »
La ragazza si girò. Teneva in braccio suo figlio, Takumi, che, alla vista dello zio Ranmaru, diventò tutto un sorriso. « Raa-chan », lo chiamò.
« Ciao, piccolo. » Si rivolse alla sorella e al marito. « Come state? »
« Bene, grazie, fratellone. Ah, buongiorno papà, nonno, Enjoji! Tutto bene? »
Passarono qualche minuto ad augurarsi buone feste e a salutarsi entusiasti dopo mesi di distanza. Salutato anche il signor Tsurumi e dopo essere ripartito, rientrarono in casa e si diressero tutti insieme nella sala da pranzo. In mezzo a tutta quella allegria, il broncio che aveva messo Enjoji risaltò particolarmente agli occhi di Ranmaru, che gli chiese con un bisbiglio cosa non andasse. Enjoji, però, gli rispose a voce alta e indicò con il dito Takuma. « È lui il problema! »
Tutti si girarono verso Enjoji, incuriositi dal suo comportamento. Il piccolo Takumi, intanto, stava muovendo avanti e indietro una macchinina giocattolo sul tavolo stando seduto sulle ginocchia della madre e imitando il rumore del motore con la bocca. Però, quel suono durò poco tempo, perché Takuma si scaldò immediatamente. « Aaah?! Si può sapere cosa vuoi, quattrocchi?! »
« Non fare finta di niente, mi stavi guardando tutta l’ora! »
Rieccoci daccapo”, pensò Ranmaru. Era esattamente come quando Enjoji incontrava Kurebayashi: poiché non si sopportavano, passavano il tempo a litigare per ogni minima cosa.
Ranmaru e Yuki intervennero, sgridando ognuno il proprio lui. Entrambi misero il broncio ed evitarono di incrociare persino lo sguardo fino all’ora di pranzo. Vergognandosi da parte di Enjoji, Ranmaru non poté che sospirare profondamente, esasperato.
Takashi e il signor Samejima avevano preferito non intervenire, fungendo da spettatori.

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Capitolo 20
*** Una giornata al Luna park ***


Arrivata l’ora di pranzo, Yuki e Ranmaru andarono in cucina ad aiutare la signora Miyo, aiutandola ad apparecchiare e a portare in tavola i piatti cucinati. Il loro aspetto delizioso fece venire l’acquolina a tutti i presenti, e durante il pasto non si risparmiò nessuno.
Fuori cominciò a nevicare. Anche se la casa aveva qualche decorazione, l’aria natalizia era data soprattutto dalla neve che aveva ripreso a cadere in quelle ore e dalle chiacchiere della famiglia completamente riunita: Yuki parlava allegramente con il padre, il nonno e la signora Miyo; Takumi cercava di attirare l’attenzione della mamma; Enjoji e Takuma erano sul punto di fare una gara di lanci di cibo, e Ranmaru era costretto a tenere a bada Enjoji dandogli dei pizzicotti per farlo calmare. Persino il figlio di Takuma sembrava più grande di loro, considerati i suoi quattro anni di età. Infatti, dopo la malriuscita gara di lanci, si cimentarono in una gara di bevute che, con grande gioia di Ranmaru, si concluse con un’alleanza a tempo determinato. In questo modo, Ranmaru poté prendere parte alla conversazione con il nonno e il padre, mentre Yuki portò il figlio appena addormentato in camera da letto.
« Potremmo guardare un film », disse il nonno, nel tentativo di farsi venire in mente qualcosa da fare più tardi tutti insieme ma, Enjoji, preso da una ridarella e un buon umore incontrollabili, ribatté dicendo che sarebbe stato molto più emozionante vivere un’avventura, più che guardarla. Ranmaru, a quel commento, non riuscì a controllarsi e gli urlò contro: « Ma quale avventura e avventura, brutto stupido! Non ne hai avuto abbastanza?! »
« Ma c’eri tu con mee… Ero felice, sai? », rispose Enjoji, con un  sorriso smagliante.
Ranmaru non riuscì a trattenersi e lo colpì. « Enjoji! Anche se sei ubriaco, non posso credere che tu abbia avuto il coraggio di dire una cosa del genere! »
Il padre intervenne, nella speranza di salvare la testa di Enjoji. « Suvvia, Ranmaru. Cerca di capirlo, adesso, non prendertela. »
« Ha ragionee, Samejima! E poi Enjoji è stupidoo! », disse Takuma, anche lui ubriaco fradicio.
Enjoji sorrise soddisfatto. « Ecco. Sentito, Ranchan? »
Ranmaru si mise una mano in faccia, senza parole. « Comunque, ehm… » Stava cercando di riprendere il filo del discorso. « Cosa ne dite di- »
« …andare al Lunapark, stasera o domani? », lo precedette Takuma. La proposta sembrò entusiasmare subito Enjoji, che cercò di buttare a terra Ranmaru e baciarlo di fronte a tutti.
« Cosa stai facendo, emerito cretino?! »
« Andiamo al Lunapark, Raaan! »
« Non sono io che decido! Lasciami, imbecille! »
Il nonno di Ranmaru, assolutamente contrario a questi comportamenti, voltò lo sguardo in un’altra direzione, mentre Takashi cercava di confortarlo dandogli pacche sulla spalla. Gli altri non sapevano cosa fare, così rimasero immobili a fissarli. L’unico che si batteva era il diretto interessato.
« Ma Lunapark vuol dire “amoree”… » Enjoji stava avvicinando il viso sempre più a quello di Ranmaru, ma, non essendo intenzionato a baciarsi in pubblico né a diventare la valvola di sfogo di un ubriaco, lo colpì di nuovo, riuscendo a liberarsi e a rimettersi seduto. Era allo stesso tempo sia rosso che nero in volto.
Yuki, appena tornata, aveva fatto in tempo a vedere l’ultima scena. « Fratellone… »
« Puzzi di birra, idiota! Prima di avvicinarti a me, fatti passare la sbronza e poi ne riparliamo! »
Il padre cercò di calmarlo, ma Ranmaru non volle sentire ragioni, soprattutto perché il nonno non aveva ancora accettato del tutto la loro relazione e Takuma non ne era proprio a conoscenza.
Enjoji, non ancora arresosi, si aggrappò alla caviglia di Ranmaru. Il signor Samejima sospirò, ma Takashi, Yuki e Miyo sorrisero con grande pazienza. Infine, Ranmaru spostò con uno strattone la gamba e si allontanò dalla stanza, lasciandosi alle spalle le bambinate del compagno, ancora disteso a terra. Dopo essersi calmato un po’ grazie alla pazienza di Miyo, Takuma, che non aveva capito niente, si avvicinò all’orecchio della moglie. « Secondo te Enjoji e Samejima sono gay? »
Abilmente, Yuki, dopo essersi ripresa dalla domanda peggiore che potesse arrivarle, riuscì a fargli cambiare discorso e, dopo qualche canzone cantata insieme a Enjoji e qualche bicchiere di troppo, a farli addormentare entrambi.
« Grazie, Yuki », disse, infine, il signor Samejima.
 
Non appena Ranmaru si fu calmato, tornò nella sala da pranzo e notò con piacere che i suoi erano riusciti a mettere fuori gioco i due. Si fece scappare una risata soffocata.
Rifiutò l’invito del padre a unirsi a loro e scelse di recuperare il compagno e di metterlo a dormire in camera loro. Però, appena si mise attorno al collo il braccio di Enjoji per sollevarlo, Takashi lo fermò. « Ranmaru, aspetta. Alla fine, abbiamo deciso di andare al Lunapark domani, visto il loro stato. » E indicò Enjoji e Takuma. « Tu sei d’accordo? »
Ranmaru lo guardò ma non rispose. Non era proprio eccitato all’idea. Cercò di convincerlo anche Yuki che, al contrario, non vedeva l’ora. « Dai, fratellone, vieni con noi! Viene persino il nonno! »
Ranmaru lo guardò sorpreso. « Davvero? »
Il signor Samejima intervenne tossicchiando. « Veramente ho detto “forse”… Ho anch’io la mia età… »
« Oh, avanti! Non fare il guastafeste, nonno! »
Alla fine, Ranmaru accettò, pensando che, se avesse rifiutato, Enjoji lo avrebbe stressato fino all’esaurimento. « Allora ci vediamo dopo. Scusate. » Chinò il capo e si caricò nuovamente Enjoji sulle spalle. Aveva sul viso la tipica espressione da pervertito felicemente sbronzo, cosa che a Ranmaru faceva irritare un po’. Scosse il capo, esasperato, e girò a destra dopo aver percorso il lungo andito della casa. La loro stanza era poco più avanti del bagno, sulla parete opposta. Appena entrato dentro la camera, notò con piacere che Miyo aveva già provveduto alla sistemazione dei futon, così si limitò a mettere Enjoji sotto le coperte. La temperatura era piuttosto bassa, sebbene il riscaldamento fosse acceso in tutta la casa.
Si sedette al suo fianco e si mise a pensare alle parole che aveva detto al nonno, a quello che avrebbe fatto dopo la laurea. Il suo sogno di diventare il miglior spadaccino del Giappone era distrutto, però… l’amore per il kendo era troppo grande per lasciarlo definitivamente. Era la sua vita, e lo aveva praticato per troppi anni per poterlo lasciare così.
Il silenzio fu rotto dal tentativo di Yuki e Takashi di portare Takuma nella stanza dove riposava anche il piccolo Takumi, ma il suo corpo, rispetto a quello di Enjoji, era molto più grosso e pesante, il che comportava qualche problema in più, anche se a trascinarlo erano due persone.
Vedendo tutti impegnati, annoiato, Ranmaru decise di alzarsi e di andare a chiacchierare un po’ con gli altri. Era Natale, dopotutto, e sarebbe stato uno spreco restare da soli.
 
Di sera, Enjoji, svegliatosi con un gran mal di testa, raggiunse il resto della famiglia, trasferitasi in salotto.
« Enjoji… Stai bene? », chiese Ranmaru, nella speranza che non provocasse altre situazioni imbarazzanti.
« Sì, ma… la testa mi sta scoppiando… e non ricordo quasi niente. »
Vedendolo in quello stato, Ranmaru si alzò e lo aiutò a sedersi. « È perché esageri sempre, stupido! »
« Non rimproverarlo, Ranmaru. » Lo difese comprensivo Takashi. « È anche colpa nostra, abbiamo esagerato anche noi. »
Ma Ranmaru cercò di tacerlo alzando la mano, e approfittò dell’occasione per metterlo un po’ in riga, anche se sapeva che non sarebbe stato ascoltato. « Te l’ho detto mille volte di regolarti quando bevi. Lo sai, poi, come va a finire! »
Enjoji si tenne la testa e strizzò gli occhi dal dolore. « Non urlare, ti prego… »
Appena incrociato il suo sguardo, la signora Miyo intuì immediatamente la muta richiesta che Ranmaru le stava facendo. « Mi dispiace, ma non abbiamo niente che possa aiutarlo… »
Ranmaru le sorrise e si alzò dal suo posto, battendo una mano sulla spalla di Enjoji. « Ci penso io, sta’ qua. » Uscì dalla stanza e tornò pochi minuti dopo con una scatoletta in mano. Gliela porse dopo aver versato dell’acqua in un bicchiere pulito. Enjoji lo guardò perplesso, e a Ranmaru non fu chiaro il perché di quell’espressione. « Che c’è? »
« Perché tu hai…? »
Non ci fu bisogno di completare la frase: Ranmaru aveva già intuito il seguito. « Perché ti conosco troppo bene e so che non riusciresti mai a resistere alla tentazione di bere, se ne avessi l’opportunità. »
Enjoji lo guardò incredulo. Quando cercò di abbracciarlo, Ranmaru prese nuovamente in mano la scatoletta e si scansò, facendolo cadere sui cuscini attorno al tavolo. I presenti sorrisero.
« Vuoi la pastiglia o il mal di testa ti è già passato? »
« No, no, no! Ce l’ho, dammi la pastiglia, Ranchan… », lo pregò. Nel momento in cui Enjoji inghiottì la pastiglia e bevve l’acqua, vedendo che i suoi parenti stavano sorridendo e si scambiavano occhiate divertite, Ranmaru si unì ai loro sorrisi e fece un breve occhiolino intenditore. Enjoji aveva una strana sensazione, come se si sentisse preso in giro, e li scrutò bieco.
A un certo punto, la signora Miyo si accorse dell’ora tarda e richiese l’attenzione di tutti. « Signori, sono sorpresa anch’io per l’ora, ma… ormai è quasi ora di cena… »
Tutti la guardarono spaventati, quasi come se avesse annunciato di aver commesso un omicidio. Dopodiché si scambiarono lamentele sui loro mali, annunciando di non avere assolutamente fame o di non essere ancora riusciti a digerire il pranzo, dal momento che, in realtà, non avevano mai smesso di mangiare. I dolci che Ranmaru aveva portato erano stati graditi, e ogni tanto qualcuno vi allungava le mani.
A un certo punto, Yuki sussultò. « Oddio, ho lasciato Takumi in camera! Stanotte non dormirà, e io con lui », disse, sconsolata. « Corro a svegliarlo. » Ma quando Yuki arrivò nella camera da letto, vide che il figlio stava giocando facendo camminare la macchinina che aveva anche all’ora di pranzo sul corpo addormentato del padre e, a quanto sembrava, non lo stava facendo nemmeno da poco.
« Takumi, cosa stai facendo? Non fare così! » Prese in braccio il bimbo e lo allontanò dal marito. Lo osservò un momento. “Probabilmente dormirà fino a domani mattina…”, pensò. A un certo punto, sentì dei passi che si avvicinavano in prossimità della sua stanza. Quando si voltò verso la porta, vide il padre. « Come va? »
Takumi tese le mani verso il nonno, speranzoso di poter stare in braccio a lui.
« L’ho trovato mentre giocava sul padre. »
Takashi alzò un sopracciglio, convinto di non aver capito bene. « Scusa, in che senso “sul padre”? » Gli venne istintivo guardare Takuma, e lì noto la macchinina parcheggiata vicino al suo braccio. Gli venne da ridere.
« Non posso lasciarlo un attimo solo… », proseguì Yuki, come se non avesse notato la reazione divertita del padre.
« Beh, in questo caso l’hai lasciato solo per ore. » Vedendo una Yuki colpita nel segno, concluse. « Non preoccuparti, posso stare io con lui. »
Yuki si riprese immediatamente, al suono di quell’offerta. « Davvero, papà? Allora io vado in cucina ad aiutare la signora Miyo. Sarà sommersa di piatti da lavare, poverina. »
« Vai pure, non preoccuparti. » Detto questo, Takashi si sedette e prese in braccio un Takumi superfelice di poter stare col tanto adorato nonno. Yuki, invece, andò in cucina come stabilito.
Con Takashi, Takuma e Takumi da una parte, Yuki e Miyo dall’altra e il signor Samejima che era stato battuto dalla stanchezza, la sala da pranzo e il salotto erano ormai vuoti, fatta eccezione per Enjoji e Ranmaru, che stavano guardando un film.
 
Il giorno dopo, si svegliarono tutti riposati e di buon umore, tranne Enjoji che, siccome aveva dormito quasi tutta la sera, non era riuscito a riprendere sonno tanto in fretta, e le battute di Takuma non aiutarono a calmarlo… fino a che non arrivò il momento di uscire. Era arrivato il pomeriggio da poche ore, ma la luce della giornata, sebbene nuvolosa, non sarebbe durata ancora a lungo.
Usciti in giardino, Enjoji si sedette al posto di guida. Subito dopo, Ranmaru aprì lo sportello della macchina e si sedette nei sedili posteriori assieme a Takuma, il padre e la sorella, mentre il nonno si sedette nel posto anteriore. Erano leggermente pressati, ma fortunatamente Yuki era piccolina. Takumi, invece, si sedette in braccio al papà, euforico per le giostre che lo aspettavano. La signora Miyo, che invece non voleva lasciare la casa incustodita, li salutò, felice di avere una serata tutta per sé.
Arrivarono in pochi minuti ma impiegarono quasi il doppio del tempo per trovare un parcheggio libero. L’unico disponibile trovato era davanti a una piccola piazzetta che divideva il parcheggio in due parti, ornata da un albero circondato da vari tipi di fiori. Dietro, c’era un enorme terreno dove erano state fissate diverse giostre, da quelle per adulti a quelle per bambini, lontane rispetto a loro. Inoltre, ai bordi della recinzione, c’erano numerose bancarelle, sia da gioco che da ristoro.
Inevitabilmente, il gruppo si divise in tre sottogruppi: Ranmaru ed Enjoji; Yuki, Takuma e Takumi; Takashi e il signor Samejima. Però, si accorsero tutti quasi subito che i due fidanzati tendevano a rimanere indietro, così decisero di disturbarli il meno possibile. Attorno a loro si era già creata un’aria romantica, incrementata dalle luci multicolori che splendevano nel crepuscolo e dall’ambiente che li circondava. Anche se le musiche delle giostre si sovrapponevano le une sulle altre, per loro era come se non ci fosse nessun suono, a parte quello delle loro voci che ridevano e chiacchieravano.
Con un pizzico di ironia, Yuki commentò a voce alta i propri pensieri, uditi dal padre che si dimostrò comprensivo verso il proprio figlio. « Meno male che non voleva venire… »
« Cerca di capirlo… Si vedeva che era ancora stressato e stanco, dopo tutto quello studio. »
« Almeno non può lamentarsi di aver passato delle vacanze noiose », intervenne il nonno.
Takuma, nel mentre, aveva preso il figlio dalle braccia della moglie e lo stava facendo divertire a modo suo, fortunatamente con buoni risultati. Probabilmente, far divertire Takumi era una delle poche cose in cui Takuma era davvero bravo.
Alla fine, vedendo che stavano girando a vuoto da un po’, Yuki decise di voltarsi verso Ranmaru ed Enjoji. « Dove volete andare, voi due? »
« Ah, noi stavamo pensando di provare quello », disse Enjoji, e indicò una giostra vicino a loro composta da più sedili, alcuni per due e altri per tre persone, sparsi in una grande pedana il cui scopo era quello di girare velocemente in tutte le direzioni. La molla che li teneva attaccati a terra era molto flessibile, e rendeva il tutto più dinamico.
Alla sola vista, il signor Samejima fece una smorfia di dissenso. Anche Yuki e Takashi sembravano del suo stesso parere. Takuma, invece, si infiammò all’istante, e guardò con occhi speranzosi la moglie, invano. Yuki riprese in braccio il figlio e diede una pacca sulla spalla al marito, decisa di tono. « Divertiti, con mio fratello ed Enjoji. Noialtri passiamo, grazie. »
Takuma stentò a crederci. « Ma come, Yuki? Pensavo ti piacesse il brivido… » Voltò lo sguardo verso i due genitori. « E voi, signor Todo e signor Samejima? »
« Io preferisco qualcosa di più tranquillo, come Yuki. », rispose Takashi.
« E io sono troppo vecchio, non sono venuto qui per salire su queste diavolerie. »
Sconsolato, Takuma indirizzò l’attenzione a Ranmaru e a Enjoji. « Va be’, mi accontenterò di voi… »
I due ragazzi si guardarono, leggermente offesi per la sua mancanza di tatto. Poi, il gruppo si separò e i tre si diressero alla biglietteria. Gli altri, invece, andarono verso le giostre per bambini perché Takumi stava iniziando ad agitarsi.
Una volta comprati i biglietti, i posti da tre furono occupati tutti subito da gruppi di amici che si erano messi a correre per prenderli, quindi Takuma era stato costretto a sedersi da solo, lasciando insieme Ranmaru ed Enjoji, che sedettero poco più indietro rispetto a lui.
La velocità a cui andava la giostra era impressionante, cosa inaspettata per chi osservava e basta. Sembrava che i sedili, quando cambiavano improvvisamente direzione, si stessero per staccare da un momento all’altro, perché giravano in tondo con violenza. La musica, sebbene fosse molto alta,  non riusciva a coprire interamente le urla. Era questo che stavano cercando: una giostra che li distraesse, facendo sperimentare loro emozioni e sensazioni che non provavano mai. Non erano emozioni di paura o di angoscia, come poteva sembrare, ma emozioni che li facevano sentire vivi, uniti… anche se un giro fu più che sufficiente. Si alzarono a fatica e camminarono verso l’uscita della pedana lentamente, poiché sembrava non toccassero un terreno solido da una vita. Tuttavia risero, notando il controsenso tra le loro percezioni e i loro sentimenti. Cercarono con lo sguardo Takuma, convinti fosse appoggiato da qualche parte per non cadere, ma lo videro correre nuovamente verso la biglietteria. Li invitò a unirsi a lui con un movimento del braccio, ma scossero la testa e andarono a sedersi su una panchina lì vicino, in attesa del suo ritorno. Osservarono la giostra ripartire. Poi Enjoji si alzò e andò a comprare due gelati nella bancarella a fianco. Finito anche il secondo giro, i due sgranarono gli occhi alla vista di Takuma che andò a comprare il terzo biglietto. Quindi si alzarono, decisi a finire il gelato lontano da quel matto, e si mossero verso la stessa direzione percorsa dal resto del gruppo.
A un certo punto, notarono due loro vecchie conoscenze: Minoru, la persona che li aveva fatti litigare, e Kai Sagano, fratello minore di Enjoji da parte di padre, che discutevano animatamente. I passanti stavano a distanza di sicurezza, intimiditi dalle loro urla.
Enjoji, già sul punto di correre verso il fratello, fu fermato da Ranmaru. Dalle apparenze, sembrava che si fossero urtati e che si fossero messi a litigare per questo. Conoscendo i loro caratteri, pensarono entrambi, poteva essere abbastanza comprensibile, ma una volta avvicinatigli, capirono che non era così. Come percependo la loro presenza, i due smisero subito di litigare: Minoru sgranò gli occhi, pietrificato, e Kai cercò di scappare, cosa che Enjoji non gli permise. Lo bloccò e gli chiese senza troppi giri di parole il perché della sua presenza a Tokyo e cosa stesse combinando.
Kai gli rispose acidamente, come era suo solito fare quando si rivolgeva al fratello. « Non sono affari tuoi, lasciami! »
« Sì, che sono affari miei, moccioso! Sei qui da solo? »
Kai volse lo sguardo verso i passanti. « Non ti riguarda. »
Ranmaru allontanò i due e cercò di parlare con tutta la calma che quella circostanza gli permetteva, ma Minoru lo interruppe ancora prima di fargli prendere fiato. « Perché voi due siete qui?! »
Enjoji lo guardò di sbieco, arrabbiato più che mai. « Secondo te cosa fa una coppia al Lunapark il giorno dopo Natale? E vedi di starci alla larga, dannato! »
Minoru replicò, alterandosi a sua volta. « Guarda che sei tu che ti sei avvicinato! »
« Ma non per parlare con te, stronzo! Dopo tutto quello che hai combinato, sei l’ultima persona con cui avrò il piacere di parlare! »
Le loro urla avevano fatto sparire gran parte delle persone, e venivano evitati come la peste. Attorno a loro non c’era più anima viva, a parte qualche temerario a cui non importava granché dei litigi altrui. Poiché stava iniziando a vergognarsi, Ranmaru coprì la bocca di Enjoji con una mano. « Smettetela di urlare, state dando spettacolo! Datevi una calmata! »
Enjoji smise di fare resistenza e cercò di abbassare il tono, anche se il tentativo non andò a buon fine. Vedendo che le acque si erano un po’ calmate, Ranmaru proseguì. « Cerchiamo di fare ordine… Sagano, cosa ci fai qui? Non dovresti essere a Kyoto? »
Kai cambiò immediatamente espressione, e sorrise solare all’adorato amico e spadaccino tanto ammirato, cosa che infastidì ulteriormente Enjoji: odiava non essere preso in considerazione. « Sono venuto qui con Masa, ma per colpa di questo stupido, l’ho perso di vista. » E indicò Minoru, che cercò di colpirlo. « Stupido a chi?! »
« Ho detto basta! », urlò Ranmaru.
Si bloccarono. Era meglio non far arrabbiare Ranmaru perché, anche se aveva abbandonato il kendo, riusciva a intimorire lo stesso le persone, e questo Kai lo sapeva bene. Si ricordò di quando, una volta, per la paura di perdere un Enjoji in fin di vita, brandì una spada vera contro alcuni membri della Yakuza. Se Masanori Araki, colui che ha cresciuto Kai, non l’avesse fermato, sarebbe stato anche capace di ucciderli. Certo, in questo caso non sarebbe arrivato a tanto, ma era sempre meglio non tentare la sorte.

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Capitolo 21
*** Verso un nuovo inizio ***


Enjoji si mise a braccia conserte, pensieroso. Aveva ritrovato la calma. « Non pensavo vi conosceste. »
Kai lo guardò male. « Ma sei scemo? Ci siamo conosciuti al torneo di kendo, no? Inoltre frequentava la palestra di Samejima e siamo nella stessa Università. Ma dove hai vissuto per tutto questo tempo? »
Enjoji si morsicò il labbro. Minoru, nel mentre, fece per andarsene.
« Dove vai? », chiese Enjoji.
« Non vi devo alcuna spiegazione. Non mi va di stare ancora in vostra compagnia. Chissà cosa penserà la gente… »
Kai lo afferrò per la spalla. « Ehi, non abbiamo ancora finito. »
« Non mi interessa più, mi sono stancato. » Poi, si rivolse a Ranmaru e a Enjoji. « Mi complimento per essere ancora insieme. Ce ne vuole di coraggio, eh. »
Enjoji sentì la rabbia crescere parola dopo parola. Anche Ranmaru sembrava stesse perdendo la pazienza, nonostante tutte le ammonizioni date.
« O forse è solo disperazione? » Con uno strattone, Minoru si liberò dalla presa di Kai e schivò il pugno a tradimento di Enjoji. Questa volta Ranmaru non lo fermò. Infine, senza aggiungere altro, se ne andò. Quando fu abbastanza lontano, Ranmaru chiese spiegazioni a Kai. Sapeva che Kai era difficile da trattare se non si entrava nelle sue grazie, ma attaccare briga anche con chi non frequentava non era da lui. « L’ho sentito parlare con quei suoi cani da guardia mentre si vantava di averci provato con te, senpai, e di essere riuscito a farvi litigare e allontanare. » Guardò il fratello tremare di rabbia. « Non che di Kei me ne importi qualcosa, sia chiaro, ma sentirlo parlare così mi ha fatto salire il sangue al cervello e non ce l’ho più fatta! Sono mesi che ne parlano, ma oggi stavano davvero esagerando, come avete potuto vedere anche voi! » Infine, Kai rivolse uno sguardo pieno d’odio nella direzione in cui Minoru si era dileguato.
« Ti ringrazio molto, Sagano, ma non voglio che passi dei guai per colpa nostra », rispose Ranmaru, ma Kai non aveva colto la gentilezza nelle sue parole. « Samejima senpai, ma ti rendi conto?! Ti ha sminuito davanti a tutti! Certo, che io sappia non ha raccontato nulla della vostra storia, però… »
« Non fa nulla, davvero. E poi all’Università non mi hanno detto niente, per cui… »
Senza aspettare che terminasse la frase, Enjoji afferrò il braccio di Ranmaru. « Kai, non cercare di fare il figo. Ci sono io con lui, e non sarà certo quell’idiota a metterci i bastoni tra le ruote. Ormai dovresti saperlo. »
Kai gli fece un gestaccio e la lingua. « Sei tu che ti stai atteggiando, idiota! Ho detto che non me ne importa niente di te, mi ascolti? Semplicemente non mi va che girino certe voci sul senpai! » Ma un attimo dopo, la sua espressione cambiò nuovamente e le sue guance divennero leggermente rosse. Ranmaru ed Enjoji guardarono nella medesima direzione, e tra la folla videro che Masanori, giovane capo yakuza del clan Sagano, si stava guardando intorno alla ricerca di Kai.
« Non ti sta cercando? »
Kai sorrise dolcemente a Ranmaru e corse verso Masanori, abbracciandolo. Questi gli rivolse alcune parole di rimprovero e poi salutò Ranmaru ed Enjoji con un cenno del viso, poiché non riuscì ad avvicinarsi a causa di Kai che cercava di trascinarlo dalla parte opposta, felice di stare di nuovo con lui.
« È un tornado », commentò Enjoji. « Arriva, fa un mucchio di danni e poi se ne va come se niente fosse. »
« A me preoccupa il fatto che si metta sempre nei guai… » Ranmaru rivolse i suoi pensieri a Minoru. « Che strano incontrarlo qui dopo quasi un anno, vero? »
« È solo uno stupido geloso. Siccome nessuno lo cerca, deve rovinare la vita degli altri. »
Improvvisamente, senza che se ne rendessero conto, il giorno era diventato notte, ma in cielo non si vedeva nemmeno una stella brillare. In compenso, le luci delle giostre illuminavano di viola, rosso e verde i passanti, quasi fosse una discoteca gigante. Anche la musica era aumentata di volume e le persone avevano ripreso a camminargli vicino, tanto da privarli di quasi tutto lo spazio vitale. Se non stavano vicini, rischiavano di venire divisi dalla massa di persone che andava avanti e indietro come un mare in burrasca. A un certo punto, sentirono chiamare a squarciagola i loro nomi e, nel cercare la fonte di quel rumore, videro un Takuma traballante andare in giro a disturbare tutti coloro che potessero assomigliargli. I due iniziarono a disperarsi.
« Ma è davvero un adulto, quello? » Si avviarono verso di lui e lo costrinsero a stare zitto. Cercarono di ritrovare la strada principale, quella vicino alle bancarelle e alle panchine. Per fortuna, bastava solo che seguissero la luce dei lampioni all’estremità della strada. Quindi, si diressero a fatica verso i parcheggi, camminando tra centinaia di persone scatenate e ormai calate nell’atmosfera della serata. Il rumore delle urla penetrava le loro orecchie e la musica altissima rimbombava nel loro petto, rendendoli in grado di percepire ogni battito del cuore. Le grida diventavano sempre più forti, le persone davano un senso di claustrofobia e sembravano non finire mai. Tutto pareva muoversi a rilento. Ormai sembrava che ogni cosa fosse lontana, di un’altra dimensione. C’era caldo…
Ranmaru venne preso appena in tempo dal compagno allarmato e cadde sulle ginocchia. Enjoji lo chiamò a voce alta, ma le sue parole erano soltanto un rumore in più che si aggiungeva agli altri. Andavano perdendosi nel vuoto. Nessuno li vedeva, tutti continuavano ad andare per la loro strada: alcuni verso i giochi, altri verso le bancarelle, altri verso il parcheggio, altri ancora camminavano senza meta.
Ranmaru non rispondeva né si muoveva. Era sudato e immobile tra le braccia di Enjoji. Takuma, persa ogni voglia di scherzare, cercò di creare un passaggio per permettere a Enjoji di raggiungere le panchine e far prendere aria al ragazzo. Anche se era pieno inverno, stare in mezzo a tutte quelle persone era l’equivalente di stare dentro un forno.
La panchina più vicina era di fronte a loro, e da lì si riusciva a vedere bene anche la ruota panoramica, imponente e ricca di luci che danzavano in tondo in contrasto con il manto notturno coperto di nuvole quasi invisibili.
Enjoji fece sdraiare Ranmaru sulla panchina e vi rimase davanti inginocchiato. Takuma tornò poco dopo con una bottiglietta d’acqua in mano e la tese a Enjoji, che usò per bagnare un fazzoletto e inumidire il volto sudato del compagno. Percependo del fresco su di sé, Ranmaru aprì gli occhi.
« Ehi », lo salutò Enjoji, accarezzandogli la guancia.
« Enjoji… che cosa è successo? », chiese Ranmaru, sollevandosi appena sulla schiena. Si guardò intorno con occhi pesanti e si toccò la fronte: era bagnata e fredda. « Ah, ecco… »
« Sei svenuto mentre stavamo cercando di venire qui. »
Ranmaru lo fissò, sorpreso. « Svenuto? »
Enjoji si alzò in piedi e gli tese la bottiglietta d’acqua. « Avrai avuto un abbassamento di pressione o un capogiro… »
Improvvisamente, si sentì la voce di Takuma parlare con nessuno in particolare. « Chiamo Yuki? »
Ranmaru poggiò i piedi a terra e si alzò, tenendosi alla spalla di Enjoji per riprendere le forze. « No, non chiamarla. Sto bene, davvero, non voglio farla preoccupare. »
Takuma ripose il telefono nella tasca del giubbotto, deluso. Però, subito dopo, un’idea gli riaccese il sorriso. « Beh, ma potremmo sempre chiamarla per sapere dove sono gli altri. »
Questa volta fu Enjoji a non essere d’accordo con la proposta. « Se vuoi chiamarla per te, va bene, ma noi continuiamo a cercarli da soli. » Ma poiché Takuma non sembrava capire la logica del suo discorso, proseguì. « È una scusa per fare una passeggiata, furbacchione. »
Ranmaru rise tra sé e sé, divertito da quanto, a volte, Takuma riuscisse a essere ingenuo.
Imbronciato, aggrottò le sopracciglia. « Guarda che l’avevo capito! »
Enjoji scoccò un’occhiata scettica a Ranmaru, che restituì.
Allora, Takuma prese di nuovo il telefono in mano e chiamò Yuki. Rispose solo al terzo tentativo, perché la musica della suoneria era stata coperta dal chiasso circostante. Mentre parlava a urla con lei per cercare di farsi sentire, i due compagni si rimisero a camminare, venendo superati quasi subito da un marito in corsa alla ricerca della propria famiglia. Sparì tra la folla dopo aver urlato delle parole incomprensibili. Sospirando e ringraziando, proseguirono lentamente, stando il più vicino possibile ai bordi della strada per evitare altri incidenti. Notarono solo in quel momento che le famiglie o le coppie camminavano vicine o prese per mano per non separarsi. Numerose luci illuminavano con ritmo i volti e i vestiti di coloro che passavano vicino alle giostre più movimentate e veloci. Rispetto a quando erano arrivati, anche il tempo era cambiato completamente: la temperatura si era abbassata improvvisamente e un freddo vento si scontrava contro i loro visi arrossati. I respiri delle persone si vedevano da lontano nella semioscurità. Enjoji, vedendo il compagno mettersi a braccia conserte, gli passò un braccio attorno alle spalle, in modo da scaldarsi reciprocamente. « Hai voglia di salire sulla ruota panoramica? Così restiamo al caldo. »
« Ma l’abbiamo già superata da un pezzo… »
Enjoji si guardò intorno e poi si mise a riflettere. « Era un modo per non tornare subito… »
Ranmaru, che si era immaginato una risposta simile, si liberò dall’abbraccio del compagno e proseguì da solo, ma non poté fare nulla per evitare una nuova stretta. Nessuno dei due disse niente, e continuarono a camminare fino a che non videro le giostre per bambini che stavano cercando. Non fu difficile trovare i loro parenti: stavano guardando Takumi girare in tondo al galoppo su una giostra a forma di zebra con la madre. Tanti altri bambini si divertivano in quella stessa giostra, ma pochi erano accompagnati dai loro genitori, i quali osservavano i loro figli seguendoli da terra o rimanendo fermi in uno stesso punto e salutando di tanto in tanto. Quando Ranmaru ed Enjoji arrivarono, Takumi si agitò tantissimo. Alla fine del giro scese dalla giostra e corse verso lo zio a cui chiese insistentemente di farne un altro insieme. Ranmaru si guardò intorno come per chiedere aiuto: era troppo imbarazzante salire su quelle giostre dalle forme strane. Yuki, allora, poiché intuì i pensieri che stavano attraversando la mente del fratello, cercò di convincere il figlio a fare un altro giro con lei o con il padre – che si tirò indietro contemplando alcuni sassolini per terra – ma Takumi desiderava solamente lo zio. Proprio quando, a malincuore, Ranmaru stava per accettare, si offrì Enjoji: la sua allegria e i suoi occhi vispi contagiarono il bimbo, che fu contento di aver trovato un compagno di giochi. Ranmaru ringraziò ardentemente tra sé e sé l’iniziativa del compagno. Dopo aver comprato il gettone ed essersi posizionati in una giostra scelta da Takumi a forma di scarpa da ginnastica, partirono. Enjoji era simpatico e divertente, e a Takumi la sua compagnia piaceva molto. Ogni volta che giravano in tondo e superavano i parenti che chiacchieravano mentre li osservavano divertiti, Takumi salutava con foga tutti quanti, ed Enjoji si agitava come un bambino al suo compleanno. A quella scena, Ranmaru non riusciva a smettere di ridere. A un certo punto, però, un’improvvisa folata di vento li fece raggelare tutti fino alle ossa, quindi il signor Samejima chiese l’ora. 
« Siamo qui già da un bel po’, sono le 19.00 passate. »
« Vedendo tutto questo buio, pensavo fosse più tardi. »
Ranmaru alzò gli occhi verso il cielo. « È così anche perché ci sono molte nuvole che coprono la luna. »
Il nonno sollevò la sciarpa fino al mento e strinse a sé il cappotto. I lunghi capelli bianchi danzavano nell’aria cullati dal vento. Takashi posò una mano sulla sua schiena. Intanto Enjoji e Takumi erano scesi dalla giostra assieme a un’altra dozzina di bambini che si misero a correre, chi dai genitori e chi verso altri giochi. « Cosa ne dice di andare in qualche giostra al chiuso? Così ci ripariamo. »
Il nonno lo guardò severo. « Takashi, eppure tu dovresti capirmi, almeno un po’! Devo ricordarti la mia età? »
« Beh, potremmo andare in una di quelle case piene di trappole, è qui vicino », intervenne Yuki.
« Oppure sulla ruota panoramica », si intromise Enjoji. « Per quella non c’è un limite d’età. »
Il signor Samejima sbuffò, cosciente di non avere speranze di tornare a casa presto. « Se solo avessi saputo come sarebbe andata, sarei rimasto a casa con Miyo… » Si fermò a riflettere. « Me l’avete fatta. Va bene, va bene… Basta che andiamo in un posto riparato. »
Dopo essersi messi tutti d’accordo, si avviarono verso la ruota panoramica. Takumi, che intanto era passato dalle braccia di Enjoji a quelle del padre, era euforico e divertito perché aveva giocato come un matto, però stava anche iniziando a sentire la stanchezza.
Ripercorrendo la strada a ritroso, tuttavia, notarono una costruzione che all’inizio era passata inosservata, poiché, da fuori, poteva sembrare una normale casa con le scale. Una grande insegna ne indicava il nome: “La casa degli specchi”. Decisero di provarla, ignorando le lamentele del nonno. Andarono nella biglietteria e comprarono un biglietto per ciascuno, fatta eccezione per Takumi, ancora troppo piccolo per pagare e, salite le scale per arrivare all’entrata della casa, li consegnarono alla donna che stava all’ingresso. Nella parte posteriore della casa, al piano terra, ogni tanto si vedevano delle persone che avevano completato il percorso e che si guardavano intorno come se fosse stata la prima volta che vedevano il mondo esterno.
Entrarono: era quasi completamente buio; la stanza era illuminata solo da alcune piccole luci sparse sul soffitto. Quelle che, invece, erano posizionate per terra, sembravano quattro volte di più a causa della moltitudine di specchi che riempivano la stanza. Di conseguenza, le luci, il cui ruolo era quello di indicare la via, traevano in inganno. Gli specchi riflettevano in diverse forme le persone che passavano lungo gli stretti corridoi, alcuni alterandone anche la forma e l’altezza, altri, più piccoli, poiché posizionati trasversalmente sul soffitto, modificavano semplicemente la prospettiva. Era un vero e proprio labirinto di specchi e luci. Era possibile udire le voci di qualche uomo o donna immersi già da tempo nel magico labirinto. Rispetto all’esterno, la casa sembrava molto più grande, e si estendeva su due piani.
Il gruppo partì alla ricerca dell’uscita: Takuma e il figlio in testa, seguivano Ranmaru ed Enjoji; poi, ancora dietro, Yuki fiancheggiava il padre e il nonno. Tutti camminavano tastando con una mano le pareti di vetro e cercando di guardarsi intorno il meno possibile. In realtà, tutti tranne Takuma che, ogni tre o quattro passi, andava a sbattere da qualche parte. Yuki, arrabbiata per la sua stupidità e sconsideratezza, gli prese dalle braccia il figlio ormai crollato dal sonno e lo tenne con sé.
Continuarono a girare e a girare, ma sembrava di essere sempre nello stesso punto. Takuma era andato molto avanti, deciso a trovare la strada da solo e per primo. Era sparito dietro innumerevoli specchi; di lui si percepiva solo la sua voce che si lamentava. Ma proprio quando lo stavano per raggiungere, si sentì un urlo e poi un rumore sordo. Il gruppo cercò di arrivare nel punto in cui la voce era scomparsa. Sbagliarono la strada tre volte, poi videro riflesse nello specchio davanti a loro un cartello e delle scale che portavano verso il basso. Si affacciarono: Takuma era caduto di schiena e si teneva la testa, mentre i presenti cercavano di aiutarlo. Yuki scese le scale che separavano i due piani dopo aver consegnato Takumi a Takashi. Si inginocchiò accanto al marito e lo aiutò ad alzarsi, preoccupata. Questi si tenne il fianco e la testa, ma riuscì a rimettersi in piedi. Anche gli altri scesero le scale e li raggiunsero, mentre le persone che lo avevano soccorso si dispersero nuovamente per il piano. Ora che la situazione si era stabilizzata ed erano tutti più tranquilli, poterono osservare con più calma la stanza nuova: notarono subito che era leggermente più illuminata, sia dalle luci posizionate in punti diversi rispetto al piano superiore, sia dalla presenza di poche finestre che lasciavano filtrare un po’ della luce che proveniva dall’esterno. Però la presenza di queste luci ritmate delle giostre infastidiva gli occhi, e l’aria iniziava a essere pesante. Gli specchi erano tanti quanto gli altri, e anche alcuni di questi deformavano le immagini riflesse.
Takuma, per cercare di mascherare la figuraccia appena fatta, si mise a ridere teatralmente e a urlare dicendo di stare bene, ma riuscì solo a far imbarazzare tutti i suoi conoscenti. Per fortuna, Yuki riuscì a farlo tacere con poche frasi.
Il gruppo di amici e parenti continuò il percorso, ma questa volta limitarono le azioni di Takuma e lo costrinsero a guardarsi bene intorno nell’eventualità di trovare altri cartelli con indicazioni importanti. Onde evitare altre sgridate, a malincuore accettò e si diede una calmata. Tornò un silenzio quasi assoluto, rotto unicamente dai passi delle persone che giravano in mezzo alla stanza e dai bisbigli emessi quasi impercettibili. Poi, finalmente, trovarono un cartello più  illuminato del normale e seguirono l’unica indicazione utile per uscire. Dopo qualche altro giro, arrivarono all’uscita, seguiti da un’altra famiglia e poco dopo da una coppia di fidanzati. Ranmaru ed Enjoji respirarono a pieni polmoni l’aria fresca; Takuma si stiracchiò, soddisfatto, mentre il signor Samejima dovette sedersi sulla panchina di fianco alla porta, e con lui anche Takashi. Yuki rimase in piedi e accarezzò la guancia del figlio in braccio a Takashi, addormentatosi da un pezzo. Poteva non sembrare, ma in quel momento era più piacevole stare fuori che dentro, nel buio quasi completo, al caldo e in un labirinto di specchi. Tutto sommato, si guardarono divertiti.
Poiché stava arrivando l’ora di cena, Enjoji si rivolse ai parenti del compagno, dichiarando di voler andare assolutamente a fare un giro con Ranmaru sulla ruota panoramica prima di andare via. In realtà era più una richiesta che un’affermazione. Ranmaru lo guardò esasperato. « Ma non hai nient’altro per la testa, oggi? »
Enjoji si compiacque per quella frase e sorrise a piè viso. « Ovviamente! È d’obbligo andare a fare un giro in quella giostra. Ran, mi deludi! »
Ranmaru inarcò un sopracciglio, ma anche Yuki era emozionata all’idea. « Takuma, andiamo anche noi? Enjoji ha ragione. »
Il marito le sorrise e la prese per mano, pronto ad andare ovunque volesse.
« Penso io al bambino », le disse Takashi.
« E voi due, invece? Non vorrete restare qui, spero. », chiese Enjoji.
Il signor Samejima assunse un aspetto spettrale, desideroso di tornare a casa, ma la prospettiva che quella sarebbe stata l’ultima giostra lo rincuorò e si aiutò con Takashi ad alzarsi. Quest’ultimo sorrise al figlio e lo rassicurò, anche se con scarsi risultati. « Stai tranquillo, Ranmaru. Sia Yuki che Takuma che noi staremo ben lontani dalla vostra cabina. »
Enjoji prese il compagno a braccetto e lo costrinse a camminare, pensando che il rossore fosse dovuto al freddo e il non fare resistenza all’emozione. Invece, Ranmaru era solo sorpreso, perché non avrebbe mai pensato che il padre potesse schierarsi dalla parte del “nemico” e che potesse dirgli una cosa del genere come se niente fosse.
Yuki e Takuma arrivarono per primi. Era la prima volta che si comportavano davvero come una coppia agli occhi dei parenti. Takuma era più legato a lei di quanto non sembrasse, e lo stesso valeva per Yuki. Dimenticavano tutti spesso che Yuki, nonostante la giovane età, fosse felicemente sposata, forse perché il modo di comportarsi, dal punto di vista sentimentale, era molto simile a quello del fratello, e quindi non si perdeva in smancerie inutili e fuori luogo.
Appena furono pronti, salirono sulla prima cabina disponibile e subito dopo fecero lo stesso anche Ranmaru ed Enjoji. I posti furono occupati velocemente da molte coppie e amici, e l’atmosfera, nel momento in cui la ruota partì, lenta, sembrò mutare completamente. Ammiravano tutti il panorama che cambiava al di là del vetro, e molti si tenevano per mano seduti l’uno a fianco all’altra. Anche Yuki e Takuma si sedettero accanto, ma dopo essere saliti di qualche metro, non erano solo i loro corpi a essere vicini.
Poco più in basso si trovavano Ranmaru ed Enjoji, seduti uno di fronte all’altro, intenti a godersi quel momento di pace e meraviglia. Mano a mano che la ruota si ergeva in tutta la sua altezza, superando persino i palazzi e le giostre intorno, si svelava completamente l’ampio cielo blu scuro. Si stava bene, non c’era né caldo né freddo. Il loro sguardo si incontrò, e dominarono l’atmosfera con le loro parole mai pronunciate ma totalmente comprese. Sembrava non esistere niente all’infuori della persona che avevano davanti. Era in momenti come questi che capivano quanto erano stati fortunati a incontrarsi, anni e anni prima, ai tempi delle medie. E ora, arrivati all’ultimo anno di studi all’Università e pronti a dare gli ultimi esami, erano innamorati più che mai; gli occhi brillavano a entrambi. Uno spiffero d’aria muoveva leggermente i capelli neri di Enjoji. Si sporse verso Ranmaru e gli prese entrambe le mani. Nella loro espressione non c’era niente che non facesse intuire il loro profondo legame. Ranmaru strinse per un attimo le mani che tenevano le proprie, poi le lasciò nuovamente inermi. Si sentiva accaldato, infuocato, mentre si specchiava negli occhi blu scuro di Enjoji. Questi si sedette sul bordo della panca per avvicinarsi al compagno. Chiusero gli occhi e incontrarono le labbra con un passionale bacio.
Superato il punto più alto della ruota, percepirono la discesa della cabina, ma, nonostante tutto, si sentivano sempre più in alto di tutti, quasi come se potessero ergersi oltre le stelle finalmente apparse in quella notte nuvolosa. Rimasero con i volti vicini, i nasi si sfioravano tra loro. Enjoji si alzò dal suo posto e si inginocchiò di fronte al compagno, baciandolo ancora e poi abbracciandolo. Il viso di Ranmaru sprofondò tra le proprie braccia e quelle del compagno, sentendosi protetto da ogni pericolo. Lo strinse con forza e respirò forte, ascoltando il profumo della sua pelle e dei suoi abiti. Di nuovo, non c’era bisogno di dire niente. Il silenzio raccontava più di mille parole. Poi, si sentì uno scatto che scosse la cabina: il giro era concluso e la ruota continuava a girare più lenta per permettere a tutte le persone di scendere. Tuttavia, i due ragazzi se ne accorsero solo quando sentirono bussare al vetro della loro cabina. Spaventato dall’improvvisa apparizione di Takashi che cercava di dire loro di scendere, nonostante le parole venissero portate via dal vento, Ranmaru allontanò improvvisamente Enjoji da sé. Non appena aprirono lo sportello, dovettero riabituarsi alla luce colorata delle giostre. Il vento disturbava Ranmaru, che dovette tenersi il ciuffo di capelli con una mano per poter vedere bene, e il cambiamento di temperatura improvviso gli arrossò nuovamente le guance.
« Com’è stato? »
Enjoji rispose alla domanda di Takashi dando un bacio sulla guancia al figlio. « Bellissimo. »
Ranmaru gli lanciò uno sguardo di rimprovero. Per quanto ci provasse, davanti agli altri non riusciva proprio a sciogliersi. « Tu e il nonno non siete saliti? »
« No, alla fine abbiamo deciso di sederci e basta. »
Enjoji si guardò intorno. « E la dolce famigliola dov’è? »
Takashi indicò una panchina dietro di sé. « Sono tutti lì. Sono venuto a chiamarvi perché non vi vedevamo uscire. »
Nessuno dei due rispose e seguirono Takashi in silenzio, sperando cambiasse discorso. Una volta riunitisi, decisero di cercare il punto in cui avevano parcheggiato la macchina e di tornare a casa. La signora Miyo, molto probabilmente, era già alle prese con la cena e stava aspettando da sola il loro ritorno.
Percorsero la strada a ritroso alla ricerca della prima giostra provata come punto di riferimento, orientandosi a fatica in mezzo alle decine di persone che camminavano in tutte le direzioni. Ovviamente, il primo a notarla fu Takuma, che rischiò di far cadere il figlio dalle braccia per l’euforia. Come premio, ricevette un colpo alla nuca da parte della moglie. « Che padre disgraziato si ritrova, Takumi! »
Takashi si offrì di prendere in braccio il nipote, in modo da non farli litigare proprio all’ultimo, anche se, ormai, il bambino si era svegliato. Comunque, ora che la giostra era stata trovata, restava solo la macchina nera di Enjoji… che col buio si mimetizzava alla perfezione in mezzo a tutte le altre.
« Ma non potrebbero essere un po’ più originali? », si lamentò Enjoji.
Riuscirono a trovarla per puro caso e solo dopo aver osservato tutte le macchine scure che si trovavano lì davanti. Enjoji tirò fuori le chiavi e tolse la sicura. Si sedettero tutti negli stessi posti di qualche ora prima.
« Magari sei tu che hai poca fantasia. In fondo, questa è una delle tante », disse Ranmaru, rispondendo alla domanda fatta in precedenza. Enjoji lo guardò offeso, ma mandò giù il boccone amaro in silenzio.
Tornarono a casa stanchi, ma la gentilezza con cui vennero accolti restituì loro un po’ di energia. Entrarono in casa al caldo, e subito il profumo della cena li ammaliò, deliziati ancora una volta dalla magica cucina della signora Miyo.
Si sedettero a tavola, ma, anche se le risate e le chiacchiere non mancavano, mangiarono in modo tranquillo. Durante il pasto, decisero tutti di restare lì fino al primo dell’anno, dopodiché ognuno sarebbe dovuto tornare alle proprie occupazioni, tra cui Ranmaru ed Enjoji, che dovevano studiare seriamente per la parte conclusiva della loro carriera scolastica.
 
Il giorno in cui dovettero tornare a casa arrivò presto. Il signor Tsurumi arrivò di prima mattina per portare a casa Yuki, Takuma e Takumi e per accompagnare Takashi all’aeroporto. Enjoji e Ranmaru, invece, partirono di pomeriggio, e il nipote promise al nonno che sarebbe tornato il più spesso possibile per riprendere l’allenamento di kendo, in modo da poter prendere la qualifica per diventare insegnante e collega di Kurebayashi, che era rimasto estremamente contento di questa scelta. Enjoji, invece, dopo aver lasciato il lavoro di accompagnatore e aver ritrovato i contatti con un suo vecchio amico, si dedicò alla realizzazione del suo sogno, ovvero quello di aprire un piccolo negozio tutto suo con le specialità di Kyoto.

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