Urban Legends di uadjet (/viewuser.php?uid=112778)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Online stalker ***
Capitolo 2: *** Il passeggero letale ***
Capitolo 3: *** Qualcosa di strano ***
Capitolo 4: *** La foto ***
Capitolo 5: *** La stanza rossa ***
Capitolo 6: *** Una notte piovosa ***
Capitolo 7: *** Kokkuri-san, parte 1 ***
Capitolo 8: *** Kokkuri-san, parte 2 ***
Capitolo 1 *** Online stalker ***
Ore 23.43
Targaryen è online.
Targaryen:” Hey, ragazzi, come butta? Qualcuno in linea? Mi annoio un sacco stasera”
Ore 23.44
Bella è online.
Bella:” Ciao. Non hai nulla da fare? Programmi?”
Targaryen:” Macchè, la mia ragazza è con le sue amiche a cena. Serata tra donne. Ti va di chiacchierare un po’, Bella? Tu hai programmi, o sei un’altra sfigata a casa ancora sveglia?”
Targaryen:”:)”
Bella:”Aahahah, anch’io sono nella tua stessa situazione. Studio per un esame, faccio una pausa dalla mia tortura con caffè e biscotti. Più caffè. Mooooolto più caffè ”
Ore 23.48.
Enzo è online.
Enzo:” Vi va se mi unisco a questa chat?Anche la mia serata è piuttosto deprimente, e non riesco a dormire” Inviato da smartphone
Bella:”Tranquillo! Sei proprio a letto, con il telefono in mano?:-o”
Enzo:”Aahah, proprio così, non ho nemmeno voglia di accendere il computer, meglio il cellulare!” Inviato da smartphone
Targaryen:”E tu amico? Come mai tutto solo questa sera? Lavori?”
Enzo:”Eh, già, una settimana di m****a questa, il mio capo continua ad assillarmi per la promozione …. e io ho la testa da tutt’altra parte ….:(“ Inviato da smartphone
Targaryen:”E dove?”
Enzo:”Come?” Inviato da smartphone
Targaryen:”La testa, scemo!!:)”
Enzo è offline.
Bella:” Ooops, l’hai fatto arrabbiare:)”
Enzo è online.
Enzo:” Scusate, problemi con il cellulare. Eh, problemi con mia moglie …. :(:(“ Inviato da smartphone
Targaryen:”Mi dispiace amico, con noi puoi parlare. Ho letto che è meglio parlare con gli estranei, ci si apre di più”
Bella:”Sì, è vero:)”
Ore 00.05
Slaughetrifhsmv è online.
Bella:” Abbiamo un nuovo amico in chat:) ciao, sfigato”
Slaughetrifhsmv:”……”
Enzo:”Hey, amico” Inviato da smartphone
Targaryen:”Ciao”
Slaughetrifhsmv è offline.
Targaryen:”Boh, non commento”
Enzo:”Magari ha anche lui problemi con il telefono” Inviato da smartphone
Ore 00.16
Slaughetrifhsmv è online.
Targaryen:”Senti, va bene collegarsi in chat, ma potresti almeno salutare, amico”
Bella:”Non essere cattivo:)”
Slaughetrifhsmv:”I. See. You.”
Enzo:”Creepy:)” Inviato da smartphone
Targaryen:”Vuoi rompere le palle per caso?”
Bella:”Io lo trovo divertente, considerando l’ora, poi;)”
Targaryen:”Ma se ne uscisse dalla chat! Non sopporto la gente che si connette e scrive caz***e”
Slaughetrifhsmv:”I. See. You.”
Targaryen:”Ancora???!!! Guarda che contatto l’amministratore del sito se continui …”
Bella:”Sì, ora basta. Se vuoi parlare ok, sennò sconnettiti”
Enzo:”Non è divertente” Inviato da smartphone
Slaughetrifhsmv ha inviato una foto.
Bella:”Ma che c***o …?! E’ la cucina di casa mia!!!!”
Enzo:”Che c’è, Bella?” Inviato da smartphone
Enzo:”Bella?” Inviato da smartphone
Bella è offline.
Targaryen:”Enzo, mi spieghi cos’è appena successo? Spero sia un prank …”
Enzo:” Non ne ho idea … quello è ancora online” Inviato da smartphone
Targaryen:”Che si fa?”
Ore 00.19
Bella è online.
Enzo:”Bella, tutto ok?” Inviato da smartphone
Targaryen:”Bella?”
Bella:”I. See. You.”
Targaryen:”Ok, è un fake”
Bella ha inviato una foto.
Targaryen:”No, ora mi spavento …”
Bella ha inviato una foto.
Targaryen:”Cos .., è il corridoio che porta alla mia camera! Enzo?!”
Enzo:”Chiama la polizia, subito!!!” Inviato da smartphone
Bella ha inviato una foto.
Enzo:”Targaryen, muoviti!!!” Inviato da smartphone
Enzo:”Targaryen?” Inviato da smartphone
Targaryen è offline.
Enzo:”No, no, no!! Che cazzo, è un fake?! Mi prendete in giro?! Slaughetrifhsmv, chi c***o sei??!!” Inviato da smartphone
Slaughetrifhsmv è offline.
Ore 00.39
Targaryen è online.
Enzo:”Ehi, Targaryen, tutto ok? Ho appena contattato l’amministratore per trovare questo fantomatico Slaughetrifhsmv ” Inviato da smartphone
Targaryen:” I. See. You.”
Enzo Mecchi, impiegato di 51 anni di Empoli, è stato trovato ieri notte morto nel suo letto. Nessun segno di violenza, molto probabile un malore nel sonno. Lascia una moglie e una figlia.
Nella stessa notte sono stati trovati morti anche altri due ragazzi, Isabella Cecchini, di Firenze, anni 22, trovata impiccata in cucina, e Alberto Foga, di Pontedera, anni 33, trovato in bagno annegato nella vasca, vicino a lui un flacone di antidepressivi vuoto.
Ore 23.05
Elsa è online.
Elsa:”Poveri ragazzi, ho appena saputo che facevano parte della chat. Qualcuno ci parlava spesso?”
Ore 23.07
Slaughetrifhsmv è online.
Ciao a tutti, vorrei solo fare un po' di pubblicità al mio nuovo blog, la storia è tratta dalla pagina: è nuovissimo, e non so ancora che direzione prenderà, ma mi piacerebbe se ci deste un'occhiata, qualche commento può fare solo bene ( e questo vale anche per la storia) XD grazie a tutti, lascio il link
http://rimatesa.myblog.it/
Saluti a tutti
Uadjet
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Capitolo 2 *** Il passeggero letale ***
Il viaggiatore letale
"Salve, qui ProntoTaxi, in cosa posso esserle utile?"
"Ho bisogno di qualcuno che mi porti in Deadend Street"
"Certo, lei ora dove si trova?"
"All'incrocio tra Boulevard e Northwick Street"
"Va bene, signore, il taxi sarà da lei tra dieci minuti, un
quarto d'ora al massimo, se ci dovrebbero essere problemi non esiti a
chiamare, arrivederci"
Andiamo, solo questo
cliente, poi potrai andare a casa dalla tua Jeanie.
A dire il vero la giornata non era stata delle migliori: tre clienti
erano entrati nel suo taxi, questo sarebbe stato il quarto e ultimo.
Gli affari non andavano benissimo ultimamente; la gente ormai si faceva
scarrozzare solo al di fuori dell'orario giornaliero dei bus, ma
nonostante ciò doveva comunque passare da una parte
all'altra della città, nel caso in cui qualcuno avesse
deciso improvvisamente di non camminare, e di salire sulla sua vettura.
Ed era pure la Vigilia di Natale.
Aveva persino litigato con la moglie la sera precedente a causa di quel
lavoro, che non gli portava nulla se non un gran mal di testa la sera e
il nervosismo per quei pochi clienti, pure maleducati.
Ma dopo quel cliente sarebbe filato diritto a casa, anche a cento
all'ora se necessario, perchè voleva stare un po' con sua
figlia e "interpretare" come si deve Babbo Natale.
Certo, la sua ultima missione non sembrava delle migliori: si trovava
nella periferia della città, diretto verso la campagna, e
attorno a lui si stagliavano immensi prati desolati e stradine strette.
E, peggio, c'era la nebbia.
Con maggiore lentezza (perchè sì, doveva tornare
a casa, ma avrebbe preferito tornarci vivo) si avvicinò
all'incrocio dove si trovava il suo cliente, e lo trovò
sotto il lampione che lo aspettava.
Mamma mia,
già così mi mette paura. Spero non sia un serial
killer.
Impermeabile nero, cappuccio, e stivali. Questo era ciò che
riusciva a vedere del suo cliente.
Scuotendo la testa per scacciare brutti pensieri, accostò al
ciglio della strada e attese che l'uomo (?) salisse in auto.
"Buonasera, lei deve andare in Deadend Street, giusto?" gli
domandò, appena fu salito, voltandosi verso il sedile
posteriore.
"Sì" fu la risposta laconica del passeggero. Strano, non
riusciva a vedergli bene il viso nemmeno in auto. Forse non era stata
una buona idea accettare l'ultimo incarico.
Senza dire nulla, si girò per accendere il navigatore e
cercare la strada. Niente. Ancora più strano, visto che il
navigatore aveva sempre funzionato benissimo. Forse non aveva digitato
bene il nome della strada.
"Si scrive D-E-A-D-E-N-D street, giusto?"
"Sì" fu il secondo monosillabo emesso dal passeggero.
Che collaborazione.
Digitò nuovamente: niente. Provò a digitare una
strada che conosceva ed uscì il percorso corrispondente.
Questo non era un problema del navigatore.
"Senta, signore, forse questa strada è nuova? Oppure le
è stato cambiato il nome?"
"Io la conosco come Deadend Street" rispose il cliente, aggiungendo
poco dopo:" Se vuole però posso darle io le indicazioni, so
come arrivarci"
Ora, aveva avuto diverse esperienze con quel tipo di clienti, e sapeva
che non doveva fidarsi a seguire le loro indicazioni, il più
delle volte sbagliate o confusionarie: ma voleva tornare a casa al
più presto ....
"Mi dica dove devo andare"
Dopo venti minuti in taxi arrivò ad una conclusione: avrebbe
dovuto seguire il suo istinto, punto e basta. Non solo le sue
previsioni si erano avverate, non sapeva nemmeno più dov'era
finito; i campi desolati erano stati sostituiti da una stradina in
salita, e alla loro vastità era subentrato un spazio
ristrettissimo in cui potersi muovere con il taxi. C'erano anche
diverse buche e una nebbia fittissima, e doveva guidare a trenta
all'ora per evitare di bucare una ruota o di finire in qualche burrone.
In più il suo passeggero era sempre più
inquietante: gli dava indicazioni con quella voce monocorde, senza
nessuna variazione, e alle sue domande frequenti rispondeva a
monosillabi. Avrebbe voluto prenderlo a calci. In più
nè il navigatore nè il cellulare prendevano
più, quindi non poteva contattare nessuno, nemmeno la sua
famiglia. Alla fine non ce la fece proprio più.
Sebbene non avesse proprio voglia di fermarsi lì, gli
chiese:"Senta, signore, credo che ci siamo persi. Che ne direbbe se ci
fermassimo un momento e fare il punto della situazione?" e nel farlo si
girò verso il sedile posteriore.
Con sua enorme sorpresa, scoprì che sul sedile posteriore
non c'era nessuno! Come era possibile?! Dal taxi non era sceso nessuno,
e poi sarebbe stato un vero e proprio suicidio anche tentare di
buttarsi fuori dall'auto!
Ancora scosso, girò nuovamente la testa avanti a
sè di scatto, notando improvvisamente che l'auto si trovava
in pendenza. Non riuscì nemmeno a frenare. L'auto stava
già precipitando.
"Ieri sulla strada che porta a Deadend si è consumata la
tragedia: un'auto è stata vista precipitare in un burrone ad
uno dei tornanti. Le autorità, che hanno cominciato i lavori
di recupero del veicolo, sono state contattate da uno dei pochi
abitanti del paese fantasma di Deadend: l'uomo, un pensionato con
evidenti problemi di demenza senile, ha giurato agli agenti di aver
visto dietro all'auto una figura incappucciata, di spalle rispetto a
lui, che poi è svanita nella nebbia. Ha giurato anche di
averlo già visto quando Deadend è stata
protagonista dell'esplosione alla piccola scuola elementare che ha
causato il quasi totale spopolamento del paese. Si attendono
novità sull'identità della vittima."
Salve a tutti! Volevo specificare che la trama della storia non
è proprio originale originale, è tratta da una
leggenda metropolitana giapponese (e i giapponesi ne sanno eh quando si
parla di terrore!! XD) chiamata "Passeggero letale", mi sembrava giusto
mantenere il titolo XD Quando leggo storie giapponesi m'inquieto un
sacco, non so voi XD Comunque ho deciso che metterò insieme
tutte le storie che scriverò in un'unica raccolta,
così se a qualcuno andasse di leggere quelle vecchie
potrà farlo senza andare a cercarle! XD
A presto (commentate e recensite!)
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Capitolo 3 *** Qualcosa di strano ***
Passi veloci. Rumore di tacchi sulle scale. Un gradino, poi un altro,
fino all'ultimo piano.
La giornata di lavoro ti è sembrata più lunga e
più stancante del solito. Il tuo capo ti sta addosso sebbene
tu sia brava e diligente, al limite dello stackanovismo. Sei l'ultima,
come sempre, a lasciare il tuo ufficio: dopotutto ti sei trasferita da
casa apposta per accettare quel lavoro ben retribuito e che, nonostante
tutto, ti soddisfa molto, e non hai motivo per tornare a casa presto.
Nessun fidanzato, nessun animale domestico, nessun amico da sentire a
casa. Il lavoro si è succhiato la tua vita, ti direbbero i
colleghi, ma a te non importa. A te piace quello che fai, e non ti
dispiace la tua solitudine. Sì, i genitori si preoccupano
sempre (sei sempre da sola, fatti qualche amico), ma tu fremi al
pensiero che a casa potrai farti una bella doccia calda, mangiare
qualcosa di diverso (magari una pizza), infilarti il piagiamone e
continuare quel bel libro che stai leggendo con un bicchiere di vino
bianco.
E' in questo stato d'animo che arrivi al parcheggio, trovando subito la
tua auto (l'ultima rimasta, ovviamente), tiri fuori le chiavi e premi
il pulsante per sbloccare le portiere. Ti accorgi solo allora, con la
coda dell'occhio, che c'è qualcosa che non va. Guardi
meglio, e i tuoi dubbi vengono confermati. Una delle ruote anteriori
è affosciata. Si è bucata.
Come può
essere successo?
In realtà non aveva senso rimuginare sul perchè o
sul come, c'era sempre la probabilità che un evento del
genere capitasse. Ti era solo capitato nel momento sbagliato.
Il problema era cosa fare ora: chiamare qualcuno? Provare a cambiarla
da sola? Opti subito per la prima soluzione. Non hai voglia di perdere
tempo a fare qualcosa che non hai mai provato. Prendi il cellulare
quando una serie di squilli ti precede. Mittente sconosciuto.
"Pronto?"
"..."
"Pronto?"
"Beep-Beep-beep..."
E' da tutta la giornata che va avanti così. Hai ricevuto
almeno tre chiamate di quel tipo. Se almeno la smettessero,
è ovvio che sia uno scherzo di cattivo gusto.
Provi a chiamare qualcuno per l'auto ma stranamente il telefono non
funziona più. E' possibile solamente effettuare chiamate di
emergenza. La rete telefonica dopottutto in quella struttura
è sempre stata scadente. Decidi che è meglio
tornare in ufficio, e usare il telefono fisso per fare la tua
telefonata, a quanto pare il tuo libro dovrà attendere un
po'.
Rientrando noti una cosa strana: è andata via la luce, ad
illuminare le scale sono solamente le luci di emergenza. Funzionano ad
intermittenza, come luci psichedeliche, come in un film dell'orrore. E'
meglio non fare certi pensieri, è buio, e tu sei da sola,
non hai bisogno anche di metterti paura.
Sali gli scalini lentamente, per evitare di inciampare, rampa per
rampa. Appoggiando la mano sullo scorrimano le tue dita trovano
qualcosa di sottile e leggero. Un filo rosso legato allo scorrimano.
Appeso c'è un biglietto. Con noncuranza lo prendi.
Le rose sono rosse ....
Ti blocchi, come se una scarica ti avesse percorso la
spina dorsale. C'era già quel biglietto? Non ne sei sicura.
Ma, come se una forza invisibile ti guidasse, continui la tua salita, e
al secondo piano trovi un altro biglietto, anche questo tenuto fermo da
uno spaghetto rosso, di quelli per incartare i regali.
Le viole sono blu ....
Qualcosa nella tua testa ti ordina di fuggire, chiamare
aiuto, gridare, fare qualcosa, ma a tutto ciò le tue gambe
rispondono continuando a salire, verso la fine di quella filastrocca.
E questa notte ....
Sei arrivata al tuo piano: cosa dovresti fare? Continuare
la salita? Provare a contattare qualcuno dal tuo ufficio? Ora ne sei
sicura: la gomma a terra, il black-out .... è stato tutto
programmato per farti rimanere lì, ma di chi sia opera tutto
questo non lo sai.
Un rumore ti impedisce di continuare la tua salita. Un rumore che
proviene dal corridoio. Decidi di cambiare la tua destinazione. Cominci
ad avanzare lentamente verso la porta chiusa del tuo ampio studio,
è tra le ultime del lungo corridoio. Cammini, e ti sembra di
vedere ombre dappertutto. Le luci di emergenza e il tuo cellulare, che
ora usi come torcia, ti permettono di vedere ciò che succede
vicino a te. Tutti i tuoi sensi sono amplificati, senti una risata
sommessa, un rumore sul pavimento, e continui la tua avanzata. Non ti
premuri di vedere se la rete è tornata sul tuo cellulare,
decidi di prendere un piccolo vaso di ornamento posto sul corridoio,
per usarlo come arma. Riponi il cellulare in tasca, e strizzi gli occhi
per vedere meglio.
Alla fine tutti i tuoi sospetti si rivelano veri: c'è
qualcuno, e quel qualcuno è nel tuo ufficio. C'è
persino la luce accesa, che filtra sotto la porta. Ti posizioni di
fronte ad essa, alzi con cura il vaso sopra di te. E' il momento. Apri
di scatto la porta.
"Sorpresa!!!"
Rimani totalmente bloccata, puoi persino vedere nella tua testa
l'espressione stupida che hai sul viso: una ... sorpresa?
"Ehm ... che cosa fai con un vaso in mano?" ti chiede una delle tue
colleghe, mentre tu prontamente lo riponi per terra, e un'altra ragazza
risponde per te:"Povera, l'abbiamo spaventata, si aspettava un serial
killer!" seguita da alcune risate.
"Già" rispondi tu con voce sommessa, appena udibile, "ma a
cosa devo .. tutto questo?"
"Ma come a cosa?!" ribatte il tuo capo, mantenutosi in disparte,
"lavori troppo, ragazza! E' il tuo compleanno, sciocchina!"
La scoperta ti piomba sul capo come un macigno; ma certo, è
il tuo compleanno!
"Oh" è l'unica cosa che riesci a dire, mentre un ragazzo
porta fuori il vaso e chiude la porta e un altro ti porge un bicchiere
di champagne per fare il brindisi.
------
La gomma a terra era
l'espediente, ripensi dopo che alcuni tuoi colleghi hanno
finito di cambiarla, scusandosi ancora, ma non avevano trovato altro
espediente per tenerti lì e preparare l'ufficio con vivande,
decorazioni e regali. Mentre sali in auto e li saluti ripensi a quanto
sei stata sciocca: pensare che qualcuno volesse ucciderti! Guardavi
troppi film di paura, certamente. Peccato che tu non abbia avuto il
tempo di finire la filastrocca, avresti voluto sapere la fine.
Esci dal garage, aspetti e ti inserisci nella strada principale, e il
tuo sguardo cade sullo posto accanto al tuo. I tuoi occhi colgono
qualcosa di rosso. Uno spago.
A quanto pare i tuoi colleghi avevano pensato anche a quello.
Mentre percorri la strada dritta prendi il biglietto e lo leggi. Non
è quello che ti aspettavi.
E questa notte
..... a morire sarai tu.
"Mio dio, credo di essere proprio brilla"
Cavolo, smettila di
parlare, pensò il giovane mentre la sua
ragazza, distessa sui sedili posteriori, blaterava.
Fu un attimo. Vide un auto, luci accese, portiera aperta. Decise di
fermarsi, sebbene l'istinto gli consigliasse di tirare dritto. Forse un
altro ubriaco che era andato a liberarsi la vescica.
Accostò dietro la vettura, scese, e si avvicinò
all'auto.
Un braccio penzolante dal finestrino del conducente. Dallo specchietto
tutto quello che vide furono due orbite vuote e la gola tagliata.
"Oh mio dio" rispose il giovane, arretrando. Sbattè contro
qualcosa, qualcuno.
"E questa notte, a morire sarai anche tu"
Sì, non è leggenda metropolitana, ma mi
è venuta questa isporazione! RIngrazio HoshiOujo per le
recensioni e chiunque legga, o metta nelle varie categorie la raccolta.
Ciao, a presto!
Uadjet
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Capitolo 4 *** La foto ***
Niii-hooo-niii-hooo-niii-hoooo
.....
Velocemente accostò l'auto per permettere
all'ambulanza di passare. Non che fosse semplice, d'altronde c'era un
traffico impossibile, e, sebbene fosse l'orario di stop per moltissimi
lavoratori, sentiva che sotto c'era qualcos'altro, che l'ambulanza
c'entrava qualcosa. Presto i suoi dubbi vennero confermati: l'ambulanza
si era fermata una decina di auto più in là. Era
successo qualcosa. Notando alcuni guidatori scendere dalle auto e
avvicinarsi al luogo dell'incidente, fece lo stesso anche lui, ma non
perchè fosse curioso, bensì pensava che un
paramedico potesse sempre essere utile, nonostante dovesse essere il
suo giorno libero.
Ai miei
spiegherò perchè sono arrivato in ritardo alla
cena del sabato sera e capiranno, pensò mentre
bloccava l'auto e si incamminava velocemente, seguendo la sirena
dell'ambulanza.
Appena giunto sul luogo dello scontro, pensò che anche
avendone viste di tutti i colori la vista di quelle auto accartocciate
e di quei corpi incoscienti e forse già privi di vita ogni
volta gli faceva chiudere lo stomaco e seccare la gola. Ed era anche
peggio vederli morire durante il tragitto all'ospedale. Ma subito
questa sensazione lasciava spazio all'iperattività, alla
voglia, alla necessità di aiutare quelle persone, di farle
rimanere vive, perchè sì, era suo dovere
aiutarle, era la sua ragione di vita.
"Ehi, Scott, ma che fai qui? Non dovresti essere a casa a goderti il
tuo giorno di riposo?!" lo salutò uno dei suoi colleghi,
appena sceso dall'ambulanza, mentre altri quattro ragazzi davanti a lui
tiravano fuori le barelle per prestare i primi soccorsi ai feriti.
"Storia lunga" rispose lui brevemente, "che è successo?
Com'è la situazione?" chiese poco dopo, mentre osservava una
donna già posta su una delle barelle entrare nell'ambulanza
sorretta dai giovani.
"Signore, un uomo e una donna sono morti" comunicò intanto
uno dei novellini al suo collega, non riconoscendo il suo interlocutore.
"Merda" sospirò lui, "per fortuna che la polizia sta
arrivando". Detto questo Scott si fece avanti e lo aiutò a
soccorrere un'altra persona coinvolta nello scontro, una ragazza che
aveva una grossa ferita alla fronte e numerosi tagli sulle braccia, ma
che sembrava essere ancora viva. I due la appoggiarono con cura sulla
barella, per evitare ulteriori danni alla testa, e dopo che Scott si
fosse assicurato che la giovane era ancora cosciente, trasportarono
anche lei sull'ambulanza.
Certo, era viva, ma doveva aver subito un trauma cranico. Continuava a
pronunciare parole sconnesse, e quando Scott la assicurò che
era tutto a posto, lei cominciò a divincolarsi
così tanto che dovettero legarla alla barella.
"No, era lei ... come può essere ... era pace .... io
.....i-il mio ..... Joshua ...."
"Tranquilla, signorina, andrà tutto bene" le disse Scott
accarezzandole i capelli, "aspetta, Fred, vengo con te" concluse,
mentre il suo collega raccoglieva garze e disinfettante per il pronto
soccorso.
"Come?" rispose Fred, con tono sorpreso, "assolutamente no, tu ora vai
a casa e ti diverti!"
"Non ci penso nemmeno!" continuò risoluto il giovane,
venendo bloccato subito dal suo collega, che, una mano davanti a
sè, gli impedì di salire sulla vettura,
concludendo: "E invece sì!" e chiudendogli la portiera in
faccia.
Benissimo, grazie, Fred,
davvero.
E lui rimaneva lì, in mezzo a lamiere fumanti, corpi,
polvere e curiosi, avvertendo presto nell'aria il suono delle sirene
della polizia. Era di troppo, non poteva farci nulla. Se ne sarebbe
dovuto andare a casa, magari usando la deviazione messa per l'occasione
(di certo la strada principale sarebbe rimasta chiusa per un bel
pezzo), e fare finta che non fosse successo niente di fronte ai suoi,
fare finta di poter superare il rifiuto da parte del suo collega.
Ma il problema non era nemmeno questo, era che Fred l'aveva fatto a fin
di bene, e aveva ragione. La responsabilità di avere sulle
spalle così tante vite non doveva presentarsi anche quando
avrebbe dovuto avere un momento di riposo, ma lui si sentiva sempre in
necessità di fare qualcosa, e sempre impotente quando le
cose non andavano per il meglio.
Decise, dopo quel lungo momento di riflessione, di farsi da parte e
tornare indietro, e fu allora che vide la foto. Era un po' bruciata e
accartocciata agli angoli, ma lo colpì comunque: c'era una
ragazzina giovane, che sorrideva verso l'obiettivo, e che faceva il
segno della vittoria con le dita. Non sapeva come, ma quella foto ebbe
il potere di farlo sentire meglio: forse in quel momento era solo molto
provato e depresso, ma gli sembrava che tutto in quella foto gli
dicesse: "Ce la posso fare, c'è ancora speranza". Quella
bambina, il sorriso così sincero, il segno con le dita.
Scott non credeva alle coincidenze, e così decise che quello
era un segno del destino: ripose con cura la fotografia nella tasca e,
già rinfrancato, si diresse verso la sua auto, mandando un
messaggio ai suoi genitori per avvertirli che fra poco sarebbe arrivato.
----------
Quando arrivò la telefonata del secondo incidente, Sarah
pensò che dovesse trattarsi di uno scherzo. Fred era appena
tornato dallo stesso tratto di autostrada in cui due auto si erano
scontrate poco prima! Era anche riuscita a vedere una delle due
sopravvissute, una povera ragazza. Niente trauma cranico,
però doveva aver subito un tremendo shock. Diceva cose senza
senso.
Ma la smentirono subito. Non era qullo l'incidente, se ne era
verificato un altro sulla strada che era stata usata come deviazione.
Molto probabilmente qualcuno per la fretta aveva fatto un casino.
Era quindi salita sull'ultima ambulanza disponibile e si era
precipitata sul luogo.
Era rimasta sconvolta quando aveva visto l'auto. Era scoppiata in
lacrime quando aveva avuto conferma dei suoi timori.
Il suo amico e collega Scott era morto.
----------
Avevano appena portato nella vettura dell'ambulanza l'ultimo
sopravvissuto. Che incidente, peggio di quello di Fred, sicuramente.
Si sperava sempre che fosse l'ultimo, ma non era mai così.
Ma era ancora peggio era quando a rimanere coinvolto era un collega.
All'inizio non l'aveva nemmeno notata sull'asfalto caldo e nero. Era
accartocciata e brucitata in più punti, ma la raccolse
comunque: era la fotografia di una bambina felice, molto felice, che
faceva un segno con le dita. Era così bella, metteva
speranza, in tutta quella desolazione.
Non ci pensò due volte: la prese.
Era strano il segno, però. Forse doveva essere straniera,
oppure quel segno era parte di un linguaggio giovanile, o di qualche
gruppo.
Lui tre dita le alzava solo per contare.
Ciao! Muahahahah! E ritorno (seh, uffa...XD XD) ahahah, spero che vi
piaccia, questa l'ho trovata su un sito, è una leggenda
coreana (sempre lì siamo comunque, eh). Niente, ringrazio
sempre HoshiOujo e TheAuthor99 (risponderò alle recensioni,
eh, giuro!) e chi legge senza commentare, o mette in qualche categoria
la raccolta XD a presto
Uadjet
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Capitolo 5 *** La stanza rossa ***
La stanza rossa
Ti è mai capitato di arrivare a casa e sentirvi sfiniti? Non
ti sei mai sentito come se le ore di quella giornata fossero passate
lentamente, troppo lentamente? E non hai nemmeno fatto nulla di
importante, giusto lasciare il tuo curriculum qua e là
(perchè bisogna muoversi, contattare le aziende, non hai di
certo preso una laurea per nulla, alla fine, hai un titolo di studio di
tutto rispetto, e meriti un lavoro dignitoso), e andare a raccattare
qualche soldo facendo il cameriere al bar dietro l'angolo, quello con
cui ti sei mantenuto gli studi durante l'università, facendo
anche i turni più impensabili, e che avresti sperato di
mollare subito dopo la tua proclamazione.
Purtroppo le cose non vanno sempre come speri.
Ed eccoti qui, all'entrata del tuo misero appartamento, vuoto degli
altri inquilini (perchè sebbene siano le tre di notte
è comunque Sabato sera, anche se sarebbe Domenica ad essere
rigorosi, e loro si godono la vita, a differenza tua), con le mani in
tasca e un bisogno disperato di birra e di qualcosa da fare. Qualcosa
che mantenga spento il tuo cervello, qualcosa che ti faccia venire
sonno.
E il tuo pensiero va al computer.
Quel computer vecchio modello in camera tua che non tocchi dalla sera
prima; ma sì, potresti controllare le mail, i social
network, chattare un po', perderti su Youtube.
Tanto non hai nient'altro di interessante da fare.
Deciso, lo accendi e mentre aspetti che compaia il desktop vai in
cucina, afferi dal frigo una lattina di birra e te la porti in camera,
mentre la apri. Il rumore delle bollicine è come ecstasi per
te.
Ti colleghi ad Internet e decidi di connetterti prima di tutto a
Facebook; hai proprio voglia di vedere se la tua ex-fidanzata hai
postato qualche nuova foto sul suo profilo. Trovi subito quello che
cerchi: la vedi avvinghiata al suo nuovo boyfriend e questo
ti fa salire subito il sangue alla testa. Decidi improvvisamente che
per il momento è meglio lasciare perdere Facebook mentre
mandi giù un lungo sorso di birra.
Provi con Twitter quando all'improvviso esce un pop-up: li odi quegli
affari, si perde il doppio del tempo a ritrovare la pagina cercata, e
per cosa? Per essere dirottati su siti di trailer, o su pagine in cui
ti spiegano come fare soldi facili. Al solo pensiero sorridi: di certo
i ragazzi sotto al tuo appartamento, i pusher che si appostavano al
ciglio della strada aspettando poveri malcapitati in crisi d'astinenza,
dovevano guadagnare un sacco di soldi.
Il sorriso se ne va subito com'era arrivato: ti senti solamente
disgustoso ora.
Ma quel pop-up è diverso: lo schermo del computer si oscuro
improvvisamente, e dal nulla comparve una porta rossa.
Era forse un hacker? Un virus del computer? Provi a digitare qualunque
pulsante, Esc, Invio, qualunque, anche il pulsante di accensione.
Niente.
Il tuo computer è in pappa.
Molto lentamente, sulla porta cominciano a comparire una dopo l'altra
delle lettere nere.
"Ti piace la stanza rossa?"
Che domanda è?
Ti inquieti pensando che magari in questo momento qualcuno ti sta
rubando dati personali, o chissà che altro. Ti viene in
mente solo una cosa.
Immediatamente le tue mani vanno al cellulare vicino a te, lo prendi.
Non è difficile trovare il numero del tuo migliore amico.
Sicuramente anche lui è a casa come te, ma il suo computer
è al sicuro.
Il messaggio è semplice, diretto.
"Ehi, ciao: problema con il computer, pop-up con porta rossa. Che fare?"
Aspetti un po', incerto se cliccare sulla porta, e dopo dieci minuti
che il tuo telefono rimane silenzioso decidi di farlo.
Alla porta rossa si sostituisce una serie di nomi che non conosci.
L'ultimo è il tuo. Allora era vero, un hacker ti ha preso i
dati.
Ti preoccupi subito.
All'improvviso però, come una forza superiore ti
muovesse, decidi che hai altro a cui pensare al momento.
Non ti accorgi nemmeno del ding del tuo cellulare.
"Non so, amico, provo a guardare. Ci sentiamo dopo"
Ho fatto proprio
bisboccia stasera.
Un ragazzo entra nel minuscolo appartamento silenzioso. Con sua
sorpresa le luci sono accese. Forse i suoi coinquilini sono appena
tornati. Non il laureato, lui ha detto che doveva lavorare. Gli
sfuggono i nomi. Gli sfuggono molte cose in quel momento.
Barcolla. Barcolla vistosamente.
Entra in cucina. Rimane congelato. Corpo. Corda. Appeso. Bianco.
Indietreggia, e voltandosi, scosso da un conato di vomito, nota
qualcosa di strano.
Una luce proveniente da una camera.
Un passo. Un altro. Lentamente arriva alla camera del suo
ex-coinquilino.
Rosso. Tutto rosso.
Sangue.
Di una persona di cui al momento non ricorda il nome.
Il soffitto diventa il pavimento. Tutto diventa oscurità.
"Ehi, trovato. Ho provato a fare qualunque cosa, niente. Provo a
cliccarci sopra, poi ti dico"
Una lista di nomi.
Perchè c'è quello del suo migliore amico prima
del suo?
Ciao a tutti! Sì, anche questa è tratta da una
leggenda metropolitana giapponese (che originalità, eh XD),
mi ha fatto venire i brividi. Ho cercato di farla un po' mia, non so se
ci sono riuscita. Come sempre grazie a HoshiOujo e TheAuthor99 per le
recensioni e chiunque legga o metta nelle categorie la storia XD
A presto
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Capitolo 6 *** Una notte piovosa ***
Così
mi prenderò un bel raffreddore.
Sebbene
avesse appena cominciato a piovere, aveva deciso di uscire. La scusa
era quella di buttare la spazzatura: in realtà non vedeva
l’ora di
sentire le prime gocce di pioggia sul suo viso dopo il difficile
periodo di secca durato quasi un mese.
Il
caldo afoso non stava risparmiando nessuno, e quel ticchettio sul
selciato e sulle finestre del condominio erano come una manna dal
cielo.
Prese
così in una mano i due sacchetti dei rifiuti tenendo libera
l’altra
per poter chiudere la porta; scendendo i gradini si scontrò
più
volte con il suo viso riflesso ai vetri delle finestre. Capelli neri
lisci, occhi chiari (verde acqua precisamente), pelle bianca
spruzzata di lentiggini, grande sorriso sul viso: le era mancata la
pioggia.
Perchè,
oltre a non sopportare granchè la caluria estiva,
ciò di cui
sentiva di più la mancanza era il profumo della pioggia.
Simile
all’odore di umidità, ma comunque diverso e
particolare.
Unico.
Con
questo spirito di attesa febbrile, scendendo velocemente per le
scale, si apprestò ad uscire dall’edificio
squadrato che conteneva
la sua casa.
Era
da poco che era tornata a Matsuyama, sua città natale: la
voglia di
emergere durante l’adolescenza l’aveva ben presto
sopraffatta,
spingendola a portare avanti la sua carriera universitaria e
lavorativa a Tokyo, la metropoli per eccellenza (era molto
patriottica, del resto). Erano stati proprio gli affari a riportarla
indietro nella città che l’aveva vista nascere e
crescere: non ne
era stata molto felice, comunque.
Aveva
avuto un’infanzia difficile: veniva da una famiglia molto
tradizionalista, in cui era già stato deciso il su futuro
come
possibile moglie di un uomo benestante del posto.
Ma
lei era diversa: ribelle, intelligente, indipendente. Non si sarebbe
fatta mettere i piedi in testa dai suoi genitori. Questi motivi
l’avevano obbligata, una volta diventata maggiorenne e dopo
aver
preso il diploma, a trasferirsi senza nemmeno un soldo in tasca nella
capitale; all’inizio era stata dura, molto dura.
Ma
si era rialzata, lentamente.
Ogni
qualvolta fosse stata depressa pensava ai sacrifici che aveva fatto
per essere nella sua attuale posizione, e questi le facevano passare
immediatamente il malumore, rincuorandola e facendo riemergere la
stima in sé stessa.
L’unico
personaggio che fosse stato veramente importante nella sua vita era
stato quello della nonna materna: avevano avuto un buonissimo
rapporto durante la sua infanzia, che però con il tempo si
era
andato sgretolando.
Se
avesse mai potuto avere un rimpianto, era quello di non tentato di
far capire alla sua famiglia il suo punto di vista, non solo sulle
sue ambizioni, ma anche sulle sue credenze.
Aveva
una mente scientifica e razionale, di conseguenza non aveva mai
creduto a cose come il culto degli Antenati, e alle leggende
tradizionali: erano solo storie che servivano alla gente per avere
qualcosa a cui aggrapparsi, per credere di non essere da soli nel
mondo.
Alla
fine, si rese conto, le sue elucubrazioni l’avevano distolta
dal
suo obiettivo principale. Morale della favola: si trovava davanti ai
cassonetti della spazzatura, con i sacchetti ancora in mano, lo
sguardo perso nel vuoto e zuppa di pioggia. Era quello che voleva,
no?
Dopo
aver buttato i sacchetti, si attardò un momento ad
assaporare
quell’odore che le era mancato tanto: sorprendentemente
però non
fu come si aspettava. Era come se ad esso si accompagnasse
qualcos’altro, un sentore di …. presagio maligno,
di minaccia.
Ecco, ora stava sragionando. Se ne avesse parlato con sua nonna, poi,
le avrebbe dato sicuramente ragione.
A
ciò si unì la sensazione di avere qualcuno dietro
le spalle che la
stesse osservando: si girò di scatto, non trovando nessuno.
Ma
brividi di freddo continuavano a farsi sentire sulle braccia e la
schiena.
Forse
era meglio tornare dentro.
All’improvviso
avvertì una risata dietro di lei.
Voltandosi
nuovamente vide che al cancello d’entrata del condominio si
trovava
una donna in vestaglia, coperta come lei di acqua. Stava ridendo.
Forse
si stava prendendo gioco di lei.
Le
sembrava però una risata genuina, e decise quindi di stare
al gioco:
si avvicinò lentamente, chiedendo: “Sta ridendo di
me? Dovrei fare
lo stesso anch’io, allora, ci prenderemo entrambe la
febbre!”
Appena
fu a circa cinque passi dalla donna però la risata le
morì in gola.
Quella
che aveva preso per una risata gioviale era in realtà un
ghigno
diabolico, il viso una maschera di malvagità. La
verità la assalì
come un macigno.
Sua
nonna le aveva parlato di quelle creature quando era piccola, le
usava come minaccia per farle lavare i denti, o per farla andare a
letto presto: creature orribili, con diverse connotazioni a seconda
della zona.
In
alcuni casi creature acquatiche per metà umane e per
metà serpenti,
in altri donne o bambine completamente bagnate che comparivano in
notti piovose ai poveri malcapitati.
Inutile
dire che nessuno sopravviveva alla loro visione, e ciò che
si sapeva
derivava dalle confessioni dei morenti ai passanti del momento.
Tutto
ciò che lei ora poteva poteva fare era indietreggiare e
chiudersi in
casa al più presto.
Certo,
chi voleva prendere in giro? L’avrebbero presa anche
lì.
Per
lei non c’era più scampo.
In
un attimo gli artigli delle mani la presero con forza: la presa
ferrea degli arti dell’essere non le permetteva alcun
movimento.
Vide i denti aguzzi avvicinarsi al suo viso lentamente,
inesorabilmente. Non c’era alcuna morte veloce dopo un
incontro con
loro: c’era solo il dolore.
Si
risvegliò all’improvviso, in un bagno di sudore.
Un
incubo. Era solo un incubo, come ogni notte da quando era tornata.
Ma
quella notte era stato così reale.
Ormai
sicura che il sonno non sarebbe tornato, decise di alzarsi e andare
in cucina a prendersi qualcosa da bere: il contatto dei suoi piedi
con il pavimento era … strano.
Appena
ebbe acceso la luce si rese conto con orrore che la camera era
totalmente allagata.
Una
perdita? Il rubinetto del bagno aperto?
Lei
sapeva qual’era la verità.
E
ne aveva paura.
Osservò,
incapace di rialzare lo sguardo, il riflesso offuscato sulla
pozzanghera mossa.
Due
figure ricambiarono il suo sguardo.
Salve
a tutti! Questa storia è presa dalla leggenda mitologica
giapponese
(ehh XD) delle Nure-onna, che prendono diversi nomi e forme a seconda
della zona di interesse (io ho scelto la versione di Tsushima della
prefettura di Nagasaki, quella delle nure-onago, lascio sotto il
link) XD L’ho un po’ rivista, spero vi piaccia XD
ringrazio
ancora HoshiOujo e TheAuthor99 per le recensioni e chi legge senza
commentare o mette nelle categorie le storie XD
A
presto
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Link:
https://hyakumonogatari.com/2012/02/15/nure-onna-the-soaked-woman/
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Capitolo 7 *** Kokkuri-san, parte 1 ***
Kokkuri-san,
parte 1
Un
anno, trecentosessantaquattro giorni, ventitrè ore e un
minuto.
“Aki,
tutto bene?”
Certo,
tutto a posto. Sto benone, veramente benone. Tra cinquantanove minuti
sarà solo l’anniversario della morte di Katsumi.
La MIA Katsumi.
“Sì, bene” risposi, cercando di essere
piuttosto convincente.
Senza riuscirci, a quanto pare.
Odiavo quel momento, odiavo mia sorella per avermi chiesto come
stavo, odiavo me stesso per come le avevo risposto, odiavo
l’aver
allontanato da me a poco a poco tutte le persone a me più
care,
odiavo quella solitudine e quel mutismo in cui mi ero rifugiato dalla
morte della mia amata, odiavo l’ubriaco che l’aveva
uccisa,
odiavo tutto e tutti.
Odiavo me stesso più di tutti. Ancora e ancora e ancora.
Perchè nonostante tutto il mio amore per lei, il mio
“giglio”,
come la chiamavo sempre, la mia ragione di vita, non mi ero ancora
deciso a farla finita.
Codardo.
Avevo perso tutto, TUTTO, quella notte, eppure ero ancora qui, a
dormire, mangiare, lavorare. Per modo di dire.
Perchè rimanevo in vita? Perchè sospettavo che
non l’avrei
rivista dopo la mia dipartita, e allora usavo ogni momento della
giornata per vederla. Mi bastava chiudere gli occhi, ed ecco che
compariva la sua chioma corvina e lucente, che amavo accarezzare in
ogni momento della giornata, i suoi occhi scuri e dolci, che mi
sapevano guardare dentro come nessun’altro, le sue labbra
rosse,
che avrei voluto (oh, quanto avrei voluto) baciare una volta, una
volta soltanto.
In camera mia avevo ancora le sue foto, le foto di noi due al parco,
oppure al museo, noi due idioti che ci mettevamo in posta davanti
alla macchina fotografica e ci facevamo fotografare dal passante di
turno con le espressioni più assurde, perché ci
divertivamo.
E lo facevamo solamente seguendo le nostre passioni e perdendoci
nella natura.
Katsumi era una ragazza semplice e spontanea, e per questo ancora
più
speciale.
Rimettiti
la maschera prima che Reiko si accorga di qualcosa!
Ma era troppo tardi.
“Lo so a cosa pensi” mi disse mia sorella,
cresciuta così in
fretta, divenuta una giovane donna intelligente, giudiziosa e bella
sotto i miei occhi, senza che nemmeno me ne accorgessi.
Vuoi
veramente morire lentamente? Vuoi perdere anche lei?
“Non dire niente” risposi con voce strozzata. Non
dovevo perdere
il controllo, non ora.
“Va bene” rispose sommessamente lei, abbassando la
testa e
alzandosi lentamente.
“Aspetta, non volevo ...” cominciai a scusarmi, ma
lei mi bloccò
subito.
“Resta qui”
La attesi per cinque minuti. Poco tempo per quello che mi stava
portando. Doveva averci già pensato prima.
Non appena rientrò nella stanza la guardai con espressione
interrogativa. Cosa aveva in mano?
Lei mi fece cenno di avvicinarmi, e senza dire una parola,
appoggiò
sul tavolo della sala una moneta ed un foglio. Capii improvvisamente
quali erano le sue intenzioni e la guardai basito.
“Reiko, cos’è questa roba?” le
chiesi con voce leggermente
alterata, mentre lei si sedeva, ricambiando il mio sguardo.
“Lo sai cos’è” mi rispose
risolutamente, “e sai anche perché
l’ho portata”
Ero allibito. Che intenzioni aveva?
“Dove l’hai presa? Vuoi farmi arrabbiare?
Perchè ci stai
riuscendo!” esclamai alzando la voce, pronto per una
discussione in
piena regola. Almeno avrei sfogato in qualche modo il mio dolore.
Ma Reiko mi stupì. Ancora una volta.
Con calma si alzò dalla sedia, e avvicinatasi a me, mi
sussurrò:
“Non posso sopportare di vederti in questo stato,
fratellone”,
abbracciandomi successivamente.
All’inizio non ricambiai, ma il fatto di sapere che
nonostante
tutto il male che stavo facendo a me stesso, a lei e ai nostri
genitori, loro mi volevano bene, nonostante tutto.
La strinsi a me e liberai il mio dolore in calde lacrime, mentre
anche lei cominciava a piangere.
Lei lo sapeva: non c’era altro modo per andare avanti se non
provare l’impossibile. E lo sapevo.
Altrimenti non mi sarei costruito tempo addietro una Kokkuri, un
metodo per poter parlare con gli spiriti. Prima di tutto servavano
almeno due persone. Secondo, non avevo mai avuto il coraggio di
tentare. E se le mie speranze fossero andate in fumo? Se non avessi
saputo nulla? O, ancora peggio, se avessi saputo che la mia Katsumi
era in un brutto posto? Non avrei potuto sopportarlo, il cuore mi si
sarebbe spezzato in quel momento stesso, e sarei morto dalla
disperazione.
Ma ora ero pronto, perché avevo Reiko con me. Eravamo noi
due, e
questo bastava.
Mi sedetti, facendo un respiro profondo, di fronte a lei,
contemplando il suo viso calmo e tranquillo.
“Sei pronto?”
Non riuscivo a parlare, per cui feci solo un cenno affermativo con la
testa.
Dopo aver preso la moneta, Reiko la appoggiò sul torij
rosso, e mi
fece cenno di toccarla con il dito, come stava facendo lei.
Dopo un momento di esitazione, feci come lei mi aveva indicato, e
aspettai, voltando per un momento lo sguardo alla finestra aperta: il
mezzo d’entrata per lo spirito. Dopo un altro suo cenno,
presi un
bel respiro, preparandomi per quello che sarebbe successo dopo.
“Kokkuri-san, Kokkuri-san, se ci sei sposta la
moneta” mormorammo
insieme all’unisono, continuando “Kokkuri-san,
Kokkuri-san, se ci
sei sposta la moneta, Kokkuri-san, Kokk ….”
Stavamo andando avanti quando la moneta si mosse improvvisamente,
come mossa da una forza sconosciuta, verso la parola
“sì”.
Guardai mia sorella, che ricambiò il mio sguardo, pallida
come un
cencio. Non era uno scherzo, allora.
“Kokkuri-san, Kokkuri-san, dove si trova Katsumi?”
mormorammoo di
nuovo.
La moneta dopo un momento si spostò velocemente: prima una
q, poi
una u, ed infine una i.
QUI.
“Qui?” dissi con voce strozzata. Il mio giglio era
qui con me?
Dopo un cenno di Reiko, continuammo: “Possiamo parlare con
lei?”
Nuovi movimenti, c-e-r-t-o.
CERTO.
Ero un fascio di nervi: stavo impazzendo? Avrei potuto parlare di
nuovo con la mia amata? Cominciai a singhiozzare silenziosamente, gli
occhi appannati, il sorriso sulle labbra.
Reiko abbassò la testa: anche lei era molto emozionata.
Quando la
rialzò però smisi di frignare
all’istante.
Il volto pallido come la morte, le labbra blu, gli occhi bianchi.
Quella non era Reiko.
“Reiko? Reiko?” cominciai a sussurrare, mi alzai in
piedi, e
stavo per lasciare la moneta quando Reiko (o ciò che
c’era dentro
Reiko) ribattè subito: “Non farlo!”
Mi bloccai. Riconoscevo quella voce, l’avrei riconosciuta
ovunque.
Lei era Katsumi.
“Katsumi? Sei tu?!” domandai incredulo, con il
cuore che
rischiava di uscire fuori dal petto per l’emozione.
Lei annuì, con un debole sorriso: “Sì,
amore, sono io, ma non
posso stare per molto” concluse, “potrei fare del
male a Reiko”
Ma io già non pensavo più a mia sorella: il mio
giglio era con me,
di nuovo, anche se per poco tempo. Dovevo fare alla svelta.
“Mi dispiace, giglio mio” le dissi con voce rotta,
mentre lei con
espressione triste scuoteva la testa, e replicava: “Non devi
scusarti di nulla, amore, quello che mi è successo
è stato un
incidente, non ho provato dolore, e non provo rancore per
quell’uomo”
Io non riuscivo a crederci: anche da morta la mia amata non provava
rancore, aveva perdonato quel bastardo, quando io avrei voluto solo
farlo a fette! Come se mi avesse letto nel pensiero, lei disse:
“Non
devi pensare queste cose, amore, tu devi pensare a vivere: io sono
felice qui, e voglio che lo sia anche tu … Oh, devo andare,
Reiko
non ce la farà ancora per molto” disse
improvvisamente strizzando
gli occhi.
“Aspetta, dammi almeno un ultimo bacio” la
supplicai, mentre lei,
con lo sguardo più dolce del mondo annuiva, pregandomi
però di non
togliere il dito dalla moneta per non interrompere il contatto
bruscamente.
Ci alzammo contemporaneamente, ci avvicinammo per quello che poteva
permettere il tavolo, le nostre bocche erano sempre più
vicine,
sussurrando contemporaneamente “Ti amo”
….
…. e all’improvviso mi trovai con lei in un altro
tempo, in un
altro spazio, dappertutto, e in nessun luogo, e lei era come quando
le proposi di sposarmi, le sue labbra morbide come le ricordavo, e
lei tangibile come prima.
Ma durò solo qualche secondo.
Riaprii gli occhi solo per trovarmi di fronte a mia sorella, senza
averla nemmeno sfiorata. E lei pareva essere tornata in sé.
“Stai bene?” le chiesi preoccupato.
Lei annuì con la testa, spiegandomi che ora dovevamo
chiedere allo
spirito di andare dove era venuto. Ci sedemmo nuovamente, pronti per
concludere quell’esperienza, e facemmo la nostra ultima
domanda.
“Kokkuri-san, Kokkuri-san, puoi tornare da dove sei
venuta?”
La moneta non si muoveva. Era un buon segno? Reiko non sembrava
convinta.
“Dovrebbe rispondere sì, e poi spostare la moneta
sul torij”
replicò confusa, quando la moneta si mosse.
La risposta non era quella che aspettavamo.
NO.
Ciao a tutti! Questa è la prima parte di un raconto in due
parti
sulla Kokkuri, una specie di tavola ouija giapponese, composta da un
foglio con caratteri hiragana e un torij disegnato in rosso (che
indica la porta dell’aldilà) e una moneta per
comunicare con lo
spirito XD ringrazio sempre HoshiOujo e TheAuthor99 e anche
MarinaAgnes per le recensioni e tutti coloro che leggono senza
commentare XD
A presto
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Capitolo 8 *** Kokkuri-san, parte 2 ***
Kokkuri-san parte 2
“NO.”
Io e Reiko aspettammo per diversi minuti. Un segno, qualcosa. Nulla.
Era come se tutto si fosse bloccato improvvisamente. Come se il tempo
fosse sospeso.
“Ma … che dovremmo
fare adesso?” mi chiese lei, sul viso
ancora un’espressione angosciata.
“Non ne ho idea” risposi sinceramente. Avevo ancora
in testa
l’incontro con Katsumi, e non riuscivo a prendere
completamente sul
serio quello che era appena capitato. Gli spiriti sono strani.
I nostri pensieri furono improvvisamente interrotti da un rumore
fragoroso, che, in quel silenzio assordante, ci fece balzare dalle
nostre sedie.
“Proviene dalla cucina” osservai io, e
poiché mia sorella stava
osservando la porta come se da un momento all’altro potesse
entrare
un alieno, le dissi: “Vado a controllare io, tu strappa il
foglio
in piccoli pezzettini e poi bruciali nel cesto
dell’immondizia”
“Va bene” rispose lei, alzandosi subito dopo,
“forse è meglio
che veng...”
Non era riuscita nemmeno a concludere la frase che improvvisamente il
tavolo si spostò da solo davanti a noi, lasciando uno
striscio
visibile sul pavimento.
Il tavolo si era appena spostato.
Da solo.
Rimanemmo immobili.
Come a seguire quell’avvenimento, tutte le sedie balzarono
indietro, come mosse da una forza invisibile.
“Ahhh!” riuscì solamente a dire Reiko,
mentre entrambi ci
coprivamo il volto con le braccia. Rimanemmo così per un
po’, io
fui il primo ad allargare le dita delle mani per poter vedere davanti
a me.
Ora c’era solo silenzio, e così mi voltai verso
mia sorella.
Reiko però si era riscossa subito e ora stava camminando
velocemente
verso la cucina. Dopo aver aperto la porta si bloccò
all’entrata.
“Reiko, che succe-de?” le scesi raggiungendola: in
cucina, nella
nostra cucina, stava volteggiando un palloncino colorato, come se
fosse la cosa più normale del mondo. Contemporaneamente udii
un
altro rumore dalla cucina, come di vetri infranti.
Io però continuavo a fissare Reiko, che era come persa a
fissare
l’oggetto galleggiante. Come in trance recuperò un
coltello dal
primo cassetto. Improvvisamente avevo paura.
Ma lei inaspettatamente non rivolse l’arma verso di me,
bensì, con
un colpo fulmineo, squarciò il palloncino, facendo uscire da
esso un
fiotto di sangue, che, contro ogni logica, investì tutta la
cucina e
ci fece cadere a terra.
Sapore metallico.
Poi, l’oblio.
(Reiko POV)
“Aki? Aki?!”
Buio. Tutto nero. Una ragazza prova ad alzarsi, sente in bocca un
sapore metallico. Improvvisamente ricorda. Il sangue.
Lo sente, viscoso sul suo viso, mentre si alza a fatica. E’
tutto
così assurdo!
Avrebbe dovuto essere tutto facilissimo! Invocare Katsumi, riportare
Kakkuri-san nel suo regno, e poi infine strappare e bruciare il
foglio e spendere la moneta il giorno dopo per non essere
perseguitati dalla sfortuna.
Ma a quanto pare con i demoni non c’era da scherzare.
E cosa aveva ottenuto con la sua cocciutaggine? Si trovava in un
luogo freddo e buio, e aveva perso suo fratello.
Si guardò intorno, sperando di riuscire ad abituarsi al
buio. Era in
una piccola stanza spoglia, adornata solo da qualche mobile consunto.
Davanti a lei si trovava una porta. Non aveva molta scelta,
così,
armandosi di tutto il coraggio di cui era capace, si
avventurò
fuori.
Si ritrovò in uno stretto corridoio, ai suoi piedi una
torcia che
emanava una strana luce fioca e azzurrognola. Decise che sarebbe
stato comunque meglio di nulla e la raccolse.
Il corridoio permetteva solamente di avanzare: dietro di lei, solo un
muro di mattoni.
Lentamente e barcollando cominciò a camminare.
Un passo. Un altro passo.
Cominciò a notare diverse porte ai lati del corridoio, una
dietro
l’altra, tutte della stessa fattura. Provò ad
aprire la prima alla
sua destra, e poi anche la prima alla sua sinistra.
Chiuse.
Fece lo stesso con tutte le altre porte, ma nessuna si apriva.
Il silenzio venne rotto da un cigolio sommesso da qualche parte
davanti a lei.
Alzò davanti a sé la torcia.
Una porta si era appena aperta.
La stanza era spoglia come quella in cui si era svegliata, ma
poiché
la porta era aperta Reiko decise comunque di entrare.
Ciò che la colpì prima di ogni altra cosa fu una
strana sensazione:
sembrava che l’aria fosse densa, tanto che le era difficile
respirare. Avrebbe potuto persino tagliarla con il coltello,
pensò.
Avventurandosi nel piccolo locale notò una sagoma in un
angolo.
Si avvicinò cautamente, i piedi leggeri e il cuore a mille:
con la
luce della torcia poté riconoscere un bambino seduto ad una
scrivania.
Il fatto che ci fosse un altro essere umano lì dentro (o
qualcosa
che avesse le fattezze di un essere umano) da un lato la confortava,
ma dall’altro la inquietava, forse proprio per la
possibilità che
la creatura potesse non essere umana.
Si avvicinò al ragazzino, che non si accorse minimamente
della sua
presenza, tanto era concentrato sulla scrivania, o meglio, su
qualcosa che si trovava sulla scrivania: i suoi occhi infatti stavano
fissando un foglio bianco …. no, non bianco, con dei
caratteri.
Quando Reiko capì di cosa si trattava inorridì.
Il bambino aveva una Kukkuri.
Cosa fare allora?
Aveva bisogno dell’attenzione del ragazzino,
l’unica sua speranza
per uscire da lì.
L’unico modo era catturare la sua attenzione.
“Bambino?”
“Ehi?”
“Mi senti?”
Il diretto interessato non si muoveva, tanto era concentrato sulla
tavola spiritica.
Reiko sospirò.
Appoggiò la torcia sul pavimento vicino a sé, e
si avvicinò ancora
al tavolo, in modo da trovarsi esattamente di fronte al bambino.
Alzò le mani, e prese la tavola Kukkuri per i lembi.
Cominciò
delicatamente a tirare.
Bum. Bum. Bum.
Il cuore le stava battendo così forte che Reiko non si
sarebbe
sorpresa se fosse balzato fuori dal petto, come nei cartoni animati.
Quello che non sopportava era che fosse l’unico rumore nella
stanza, oltre al suo respiro.
Solo il suo respiro.
Non doveva pensare, doveva agire e basta.
A malapena trattenne un respiro di sollievo quando riuscì a
prendere
la tavola.
Senza esitazione la strappò a metà. Poi
strappò la metà in due
parti, e continuò fino a che non ebbe tra le mani un
mucchietto di
carta finemente strappata.
Questo la sorprese molto, visto che aveva le dita che tremavano
così
tanto da far cadere inavvertitamente tutto il loro contenuto.
Fatto questo, il suo sguardo si posò sulla moneta.
Lentamente, la prese con il dito, e cominciò a tirare anche
quella
verso di sé.
Ce l’aveva quasi fatta.
Un sorriso le affiorò sulle labbra.
Non si accorse che lo sguardo del bambino non era più sulla
moneta.
Reiko ora aveva la sua attenzione.
Accortasi di essere osservata, la ragazza alzò lo sguardo.
Avrebbe voluto non averlo fatto.
Gli occhi che la stavano guardando erano rossi come il sangue
appiccicato sulla sua faccia e cattivi.
Soprattutto cattivi.
Provò a lasciare la moneta, ma una stretta
d’acciaio le bloccò il
polso.
Non riusciva più a muoversi, tutto ciò che vedeva
era il rosso.
E poi il buio.
Ora, caro lettore, ti starai chiedendo: che fine hanno fatto fatto
Reiko e Aki?
Lo sai, nemmeno io ho la risposta.
Quando i genitori tornarono a casa preoccupati per i figli non
trovarono nessuno, solo un salotto distrutto.
E della Kukkuri? Beh, la madre trovò per terra un foglio
intatto
rappresentante una tavola spiritica e poco lontano una moneta.
Ora sarai arrabbiato, deluso forse, per questo finale.
Purtroppo non posso darti torto.
Quando si finisce al confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti
e difficile uscire, e puoi solo immaginare, caro lettore, quali
potrebbero essere le conseguenze di un ritorno da quel luogo.
Non posso dirti se i protagonisti di questa storia sono vivi o morti.
I genitori non perdono la speranza nemmeno dopo tutto questo tempo.
Posso darti solo un consiglio: mai giocare con i morti.
Ti potresti scottare.
Un bel po’.
Hello! Scusate il ritardo! (grandissimo ritardo!) Bando alle ciance,
ringrazio come sempre HoshiOujo, Marina Agnes e TheAuthor99 per le
loro recensioni, e lascio il link per le prime tre tavole della
storia “Am I beautiful?” su Webcomics.it.
E’ solo l’inizio,
ma ad ogni aggiornamento lascerò il link con le nuove tavole
XD a
presto
Uadjet
http://www.webcomics.it/rimatesa/2016/04/27/am-i-beautiful-tavole-1-3/
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