Digimon Adventure Ships

di ellacowgirl in Madame_Butterfly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Other Girl ~ Takari ***
Capitolo 2: *** Sorry ~ Koumi ***



Capitolo 1
*** The Other Girl ~ Takari ***


The Other Girl
(Takeri)

Non avrebbe dovuto stupirsi poi molto per quell’invito, dopotutto erano amici da anni ormai e non era per niente raro che passassero del tempo insieme.
Già, amici. Quella parola le suonava così strana, affianco al nome di Takeru ed ai suoi vispi occhi azzurri.
Sorrise tra sé e sé, scuotendo appena il capo con fare sconsolato, mentre scendeva le scale per raggiungere il pian terreno dell’abitazione. Aveva indossato una semplice gonna ed una camicetta chiara, con una giacchetta abbinata alle scarpe. Non che fosse abituata a riflettere troppo sul proprio abbigliamento, ma si era detta che in certe occasioni fosse il caso di rifletterci più del solito.
Non dovette aspettare, una volta giunta oltre la porta di casa: Takeru era già lì davanti, in sella alla sua bicicletta, con il cellulare tra le
mani. Sospirò appena, ma senza perdere quel sorriso sereno in volto, mentre si premurava di slegare la propria, di bicicletta. «Sempre molto richiesto, eh Takeru-kun?» lo chiamò così, prendendolo un po’ in giro e richiamando la sua attenzione.
Il biondino chiuse immediatamente il telefono, palesando un’espressione perplessa, ma comunque ben lontana dall’imbarazzo che lei avrebbe voluto procurare. «Cosa? No, cioè, rispondevo solo ad un m
essaggio» rispose tranquillamente. La ragazza si limitò ad un sorriso divertito, allungando le mani sul manubrio della bicicletta, per condurla oltre il cancelletto del giardino. «La tua amica non è gelosa che non hai invitato lei?» aveva sottolineato senza alcun intento preciso, giusto per stuzzicarlo un pochetto: oh no, non gliela raccontava giusta, nemmeno un po’! Ma scherzava, in fondo, il tono era sinceramente quello di un’amica che si diverte a punzecchiare, senza chissà quali altri scopi.
Solo a quel punto, Takeru scrollò appena le spalle. «Non sarai tu, quella gelosa, Hikari-chan?» ribatté con lo stesso tono scherzoso, senza distogliere lo sguardo da lei. «Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda» gli fece notare.
A conti fatti, però, nessuno dei due aveva propriamente risposto.
Accennò a muovere la bicicletta nella sua direzione quando, scostandola, si accorse che la gomma anteriore era bucata. Palesò un’espressione sconsolata. «Questa non ci voleva…» commentò, alzando lo sguardo verso il ragazzo. «Andando a piedi arriveremo sicuramente a concerto iniziato, mi dispiace Takeru-kun» ammise, non senza trattenere un sincero dispiacere: sapeva quanto Yamato tenesse che tutti fossero presenti al concerto della sua band, arrivare in ritardo non era certamente il gesto più rispettoso che avesse potuto fare, non al migliore amico di suo fratello almeno!
Takeru, al contrario, non sembrò per nulla preoccupato dalla situazione, anzi, mantenne quell’espressione rilassata in volto, togliendo una mano dal manubrio della bicicletta per toccare il cannone. «Posso prenderti su, non ci sono problemi. Arriveremo puntuali, così» le spiegò, proponendole quell’alternativa in tutta naturalezza.
Hikari non poté non osservarlo con espressione appena perplessa, senza prendere una posizione immediata. «Ma, sei sicuro che…»
«Tranquilla» immediato e sicuro, non si tirò indietro dal ribadire la proposta, tutt’altro. La ragazza sorrise in segno di gratitudine, lasciando la propria bicicletta ed avvicinandosi a quella dell’amico per poi andare a sedersi con cautela sul cannone.
Non avrebbe dovuto stupirsi: dopotutto, Takeru era sempre stato molto gentile e disponibile, a prescindere dalle situazioni.
Una volta salita sulla bicicletta si avviarono lungo la strada, diretti ad una delle piazzette della città dove la band di Yamato si sarebbe esibita. Ci sarebbero voluti non più di dieci minuti, che i due ragazzi utilizzarono per chiacchierare tranquillamente, proprio come due compagni di scuola, alternando sorrisi divertiti a qualche riso.
Una volta giunti, Takeru legò la bicicletta a poca distanza dal palco, mentre Hikari si guardava attorno alla ricerca degli altri: erano arrivati in anticipo, alla fin fine, e probabilmente per primi. «Sembra che non ci sia ancora nessuno… dove ci converrà aspettarli?» domandò, rivolgendosi solo ora al biondino che, nel mentre, aveva puntato un chioschetto a poca distanza. «Io proporrei davanti a quel chioschetto… si sente un profumino!» ammise con un sorriso quasi languido, come a cercare di convincerla ad assecondarlo. Come se avesse dovuto faticare, per farlo… ma non palesò altro che un sorriso appena accennato, scuotendo il capo come farebbe una madre con un bambino troppo goloso. Acconsentì e, così facendo, si avviarono entrambi alla ricerca di una crêpes al cioccolato rigorosamente coperta di zucchero a velo. Naturalmente, Takeru pagò per entrambi e nemmeno di questo avrebbe dovuto stupirsi: con l’educazione ricevuta, entrambi i fratelli – Ishida o Takaishi che si volesse chiamarli – erano molto attenti a questi particolari, tanto che gli veniva naturale, ed Hikari non poteva che apprezzarlo.
Fecero giusto in tempo a dare un morsetto che una voce squillante richiamò l’attenzione di entrambi, o meglio, del biondino: a poca distanza, una ragazza dai capelli rossi sventolava energicamente la mano e si avvicinava a loro senza colpo ferire. «Takeru-chan!» lo aveva chiamato, facendo sbattere le palpebre alla morettina: considerata la confidenza che gli stava dando, doveva trattarsi della fantomatica “amica”. Ma non disse nulla, né reagì in modo differente dalla semplice espressione amichevole che riservava a chiunque.
Al contrario, Takeru ne era rimasto perplesso, ma non aveva mancato, poi, di mantenere il sorriso cordiale di poco prima, sebbene la naturalezza che dimostrava con Hikari si fosse affievolita. «Alla fine ho deciso di venire lo stesso, spero non ti dispiaccia!» aveva asserito con un sorrisone smagliante, senza ancora considerare la ragazza accanto a lui ed avvicinandosi ulteriormente.
«Nessun problema» rispose lui con tranquillità. Era incredibile come, pur essendo il più giovane del gruppo, Takeru fosse anche il più spigliato nei confronti delle ragazze, come se non lo mettessero in soggezione. «Sono con amici» concluse.
Solo a questo punto lo sguardo della nuova arrivata andò a posarsi sull’unica altra figura accanto al ragazzo e che, inevitabilmente, identificò come “amica”… ma quanto poteva essere credibile quell’affermazione, considerando che fosse solo in sua compagnia? Lo sguardo si assottigliò, il sorriso sparì di colpo ed Hikari si trovò decisamente in imbarazzo: era abituata all’idea che l’amico fosse particolarmente gettonato dalle ragazze, ma non si era mai trovata in quella situazione.
«Ah sì?» aveva chiesto con tono decisamente più acido, senza distogliere le iridi scure da quelle di Hikari che, oggettivamente, si era limitata a rimanere perplessa da quel cambio d’umore improvviso.
«Sì» aveva semplicemente risposto Takeru, senza cambiare atteggiamento, ma indurendo appena la voce. Ella parve studiare la possibile rivale in qualche attimo, per poi mostrarsi alquanto stizzita. «Beh, allora divertiti con la tua amichetta!» e detto questo voltò loro le spalle, allontanandosi con passo deciso e palesemente irritato.
Takeru ed Hikari rimasero a fissarla per qualche attimo, per poi incrociare i loro sguardi e lasciarsi sfuggire una risata, anche se contenuta: no, non avevano potuto non trovare quella scenetta alquanto buffa! «Bene, suppongo mi troverò la gomma bucata ancora per qualche giorno…» scherzò lei, mantenendo una mano davanti alle labbra per non sembrare troppo eccessiva nella risata. Si era sentita a disagio, in effetti, ma la tranquillità con cui Takeru aveva affrontato la piccola situazione sembrava essere riuscita a tranquillizzare anche lei.
«Ti stupisce tanto che io abbia preferito invitare te?» le domandò volgendole le iridi azzurre. Una domanda che, sul momento, la spiazzò un attimo, tanto che gli rivolse uno sguardo sinceramente disorientato. Lui, invece, manteneva quel sorriso del tutto naturale.
«Così mi fa arrossire, mister babe-magnet» lo prese nuovamente in giro, riacquistando il solito fare più naturale nei suoi confronti.
«Ehi, ci stai prendendo un po’ troppo la mano con questo soprannome!» si lamentò scherzosamente. Già, scherzavano sempre con naturalezza, quand’erano insieme, era qualcosa di inevitabile.
«Attento a non sporcarti, piuttosto» cambiò discorso, in riferimento alla crêpes che stava mantenendo in modo un po’ troppo obliquo. Takeru rimediò subito, raddrizzandola e dandole un morso, mentre Hikari aveva mantenuto lo sguardo su di lui, con un leggero sorriso: no, forse non avrebbe dovuto stupirsi, che dietro a quella naturalezza da latin lover ci fosse pur sempre un ragazzino del primo anno con la necessità di qualcuno che gli stesse dietro.
Forse non avrebbe dovuto stupirsi che avesse preferito invitare lei.

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Capitolo 2
*** Sorry ~ Koumi ***


Sorry
(Koumi)

Lo aveva accolto come se nulla fosse accaduto. Gli aveva sorriso con entusiasmo, si era complimentata per il suo abbigliamento e si era immediatamente proposta per accompagnarlo ad un tavolo. Non era stata una recita, né una forzatura: qualsiasi cosa che Mimi facesse, nel bene o nel male, era spontanea, sincera, vera. E forse era proprio questo a disorientarlo, che lo portava a mostrarsi quasi imbarazzato in sua presenza, mentre lei – sorridente, perennemente sorridente – si muoveva con assoluta sicurezza tra i tavoli, con indosso quel completino arancione che sì, era da capogiro.
Come riusciva a non serbargli nemmeno un mezzo sguardo torvo, dopo quello che le aveva detto? Dopo averle dato apertamente dell’egocentrica quando, pur essendo stata oggettivamente impulsiva, era semplicemente intervenuta per proteggere chi le stava intorno?
Ogni volta che ripensava alla freddezza con cui le aveva parlato il cuore si stringeva appena, ed una strana angoscia gli saliva in petto. Non avrebbe voluto parlarle in quel modo, non avrebbe dovuto sminuire quella che, in realtà, più di tutti aveva coraggio e grinta, quella necessaria per non arrendersi, per non lasciarsi spaventare.
Si era trovato a fissare il vuoto davanti a sé, quando Hikari e Takeru avevano lasciato il tavolino per andare ad assistere alla partita di Taichi, lasciandolo quindi solo. Onde evitare di sembrare troppo impudente, si era messo a fare qualcosa al computer che si era portato dietro mentre, lentamente, il piccolo ambiente aveva cominciato a svuotarsi, sia dei “clienti” che delle ragazze che se ne occupavano. Lanciava qualche sguardo oltre il monitor, di tanto in tanto, quanto bastava per assicurarsi che ad andarsene non fosse lei. Era un’attesa lunga, per nulla semplice da gestire, non per un ragazzo come lui che, generalmente, si nascondeva dietro ad un computer. Non era nemmeno capace di reggere il confronto emotivo con una dipendente di un negozio di abbigliamento, come poteva sperare di riuscire a parlarle?
A chiederle scusa?
L’istinto di andarsene – nascondersi – era forte, ma ormai si era imposto di resistere.
«Ti piace proprio un sacco qui, eh Koushiro-kun?» la sua voce squillante lo colse alla sprovvista, tanto che fece un mezzo balzo sulla sedia e quasi rischiò d’arrossire.
«S-Sì, lo avete allestito molto bene!» ammise senza riuscire ad evitare quel tono quasi balbettante quando le si rivolgeva. Dal canto proprio, la ragazza sfoggiò un sorrisone, entusiasta e soddisfatta, per poi tornare a servire gli ultimi studenti. Si concesse di osservarla ancora, per un altro lungo attimo, e deglutì appena: hackerare il sistema della scuola, a confronto, era stata una passeggiata.
Dopo all’incirca un’oretta, quando si era completamente immerso in un qualche codice informatico, si rese conto – alzando appena il capo – che Mimi e le altre due ragazze rimaste stavano accompagnando all’uscita gli ultimi studenti. Mancava solo lui, in pratica. La vide salutare anche le compagne – non aveva dubbi sul fatto che fosse stata lei il capo, lì dentro… - e dirigersi nella sua direzione, ancora grintosa, ancora sorridente.
Koushiro cominciò a sudare freddo d’improvviso: il momento era arrivato.
«Vuoi davvero montare le tende!» esordì scherzosamente – ma nemmeno troppo! – slegandosi i capelli mentre si fermava dinnanzi a lui, segno che avesse ormai finito il proprio lavoro. «Sono venuta a salutarti, Koushiro-kun. Penso che andrò a casa a farmi una doccia, ci vediamo poi alla partita di Taichi!» esclamò, salutandolo ed accennando a voltargli le spalle, volendo mettere in pratica quanto detto.
Una presa piuttosto salda le cinse il polso, costringendola a fermarla.
«Aspetta»
Rivolse un’espressione perplessa al ragazzo, il quale si decise ad alzarsi completamente dalla sedia, inspirando profondamente e sforzandosi di rivolgerle uno sguardo serio, per una volta determinato. E no, questa volta non lo avrebbe fatto per ferirla.
«Scusa» cominciò. Dovette inspirare una seconda volta – e soprattutto sbrigarsi a parlare, o Mimi lo avrebbe preceduto senza nemmeno faticare! «Io… non avrei dovuto parlarti così. Cioè, penso che tu avessi esagerato ma… ma non che tu sia egocentrica, non nel senso dispregiativo del termine e-»
«Avevi ragione» lo interruppe, anche lei seria, per una volta. Lo fissava con la stessa intensità, con la stessa determinazione, con quel tono perennemente schietto e sincero, segno che vi avesse riflettuto parecchio anche lei, al di là dell’apparenza.
«Mimi, io…» tentò, lasciandole solo ora il polso e trovandosi un poco spiazzato: si era preparato un discorsone coi fiocchi, aspettandosi una rispostaccia o quantomeno uno sguardo torvo… ma non un sorriso.
Non l’ennesimo, splendido, sorriso.
«Hai detto quello che andava detto, sei stato onesto, con me. Tu più di tutti gli altri» gli disse, e considerato il suo carattere così esageratamente espansivo era chiaro quanto apprezzasse la sincerità, di qualsiasi tipo.
Koushiro sbatté le palpebre più volte, sentendosi uno stupido: aveva pensato – anche se solo per un attimo – ch’ella fosse ancora quella ragazza immatura e semplicemente testarda di sempre, che non fosse cambiata, al di là dell’essere diventata ancora più bella. Ma si era sbagliato, e di molto anche: la persona che aveva davanti, al di là di tutti i difetti e di quell’egocentrismo lampante, era cresciuta, maturata e, oltre le aspettative, quei difetti aveva imparato a riconoscerli.
E ad apprezzare chi fosse sufficientemente onesto e sincero da non temere di ricordarglieli.
«Ma avrei potuto dirtelo in un altro modo. Non così. Non-» ancora una volta interrotto, questa volta da un tocco, quello delle labbra di Mimi sulla sua guancia. Sgranò gli occhi, divenne rosso paonazzo, colto completamente alla sprovvista. La fissò esterrefatto, mentre lei manteneva quella sua solita naturalezza, in tutto, senza discostarsi poi molto da lui.
«Ti ringrazio» gli disse semplicemente, rimanendo a specchiarsi nei suoi occhi scuri ancora per qualche attimo. E lui era lì, imbambolato, con il suo bel discorso mandato a quel paese.
Già, perché con Mimi non si sapeva mai cosa aspettarsi, farsi dei piani era inutile, avrebbe dovuto saperlo.
Avrebbe dovuto saperlo, che averla di nuovo attorno gli avrebbe cambiato la vita.

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