Kimi Ga Suki Da To Sakebitai

di Grey Wind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Watashi Wa Harukaze Dormi Desu ***
Capitolo 2: *** Watashi Wa Fujiwara Hazuki Desu ***
Capitolo 3: *** Watashi Wa Senoo Aiko Desu ***
Capitolo 4: *** Watashi Wa Segawa Onpu Desu ***
Capitolo 5: *** Watashi Wa Asuka Momoko Desu ***



Capitolo 1
*** Watashi Wa Harukaze Dormi Desu ***


Capitolo 1
Watashi Wa Harukaze Doremi Desu



La sveglia stava suonando da cinque minuti senza che nessuno la calcolasse, piccoli grugniti venivano fuori da un cumulo di lenzuola e coperte aggrovigliate al centro del letto.

E la sveglia continuava a suonare.

Una bella donna dai capelli rossi scuri stava preparando da mangiare con l’abilità che il tempo e un certo talento le aveva donato, giostrandosi tra fornelli accesi e verdure tagliate. Un leggero suono proveniva dalle camere al piano superiore, le pareva la sveglia della figlia maggiore, l’unica che si sarebbe dovuta alzare a quell’ora.

La sveglia aveva anche irritato una bella ragazzina di dieci anni, capelli legati a regola d’arte e vestita di tutto punto per una cerimonia.
Una cerimonia che non avrebbe visto se la sveglia non avesse fatto il suo dovere con quella pasticciona di sua sorella.

L’unico uomo della casa stava russando tranquillamente nel letto matrimoniale, incurante del suono petulante della sveglia nella stanza adiacente; le coperte tirate sopra la testa, gli occhiali dimenticati sul naso e la bocca aperta in maniera un po’ rozza, ma nel complesso divertente.

Questa è la famiglia Harukaze.

La decenne, sempre più innervosita da quel rumore soffuso ma ripetitivo, si alzò dalla sedia della sua scrivania e si recò, sbattendo la porta, in camera della sorella.
-Doremi!- la chiamò spegnendo la sveglia.
In risposta la sorella si chiuse di più nelle coperte.
-Doremi!- ripeté scuotendo quell’ammasso informe.
Mugolii sconnessi si levarono, alla bambina era sembrato un “vattene”, ma non ne era sicura.
-Doremi...- gli scossoni si fecero più forti, la ragazza gracchiò, con un secco monito, di smetterla.
-L’hai voluto tu... DOREMI!- la rosa saltò sull’ammasso di coperte e con un ginocchio andò a colpire lo stomaco della sorella maggiore, provocandole una fitta dolorosissima.
L’urlo lancinante della ragazza fece rizzare a sedere il padre che aveva il cuore in gola e accigliare la madre, che per poco non perse la tazza dalla mano.
-Poppu! Ma sei impazzita?- domandò la povera Doremi, uscendo dal groviglio e tenendosi con le mani la parte lesa.
-Io sarei impazzita? IO? Tra poco ci sarà la tua cerimonia!- le ricordò puntandole un dito contro.
Doremi rimase a bocca aperta, interdetta per un attimo dalle parole della ragazzina.
Poi, come una bomba, esplose all’improvviso, scostando la sorella da davanti, si tuffò dentro all’armadio per prendere la divisa blu con la camicia bianca, linda e profumata per quell’occasione.
L’ultima volta che l’avrebbe indossata.
La fissò per un attimo, pensando a quanto le sarebbe mancata la vita in quell’istituto, a quell’ultima volta che l’avrebbe indossata per prendere il suo diploma delle scuole medie.
Si riscosse e guardò la sorella facendole chiaro segno di uscire perché voleva cambiarsi; la rosa obbedì fissando gli occhi vermigli che brillavano intensamente.

Doremi si sedette sulla sedia davanti allo specchio, i capelli erano sciolti e liberi di incorniciarle il viso e di accarezzarle tutta la schiena, lunghi com’erano. Gli occhi rossi indugiavano sulla frangetta appena spazzolata, per poi cercare le fasce per ricreare i due codini, simboli della sua aria dolce e buffa.
Con un movimento veloce si acconciò e si spogliò del pigiama per poi vestirsi con la divisa, allacciandola velocemente, lisciò la gonna e si diede un’ultima occhiata prima di scendere.
-Buongiorno!- esclamò entrando, guardò la madre seduta di fianco al padre, un boccone di riso a mezz’aria, suo padre invece sorseggiava il caffè col giornale tra le mani, mentre sua sorella mangiucchiava un onigiri con delicata lentezza.
-Oggi è il gran giorno, eh?!- borbottò il padre, alzando gli occhi.
-Hum...- sussurrò la maggiore, sedendosi al suo posto, davanti al padre.
Mangiò i suoi onigiri velocemente, un po’ perché troppo nervosa, un po’ perché aveva fame.
-Se mangi così ti ritroverai col mal di pancia!- la riprese la madre, alzando un sopracciglio.
-Hai ragione... oddio, è tardissimo! Ci vediamo a scuola...- borbottò la rossa, ingoiando l’ultimo boccone e alzandosi dalla sedia, rischiando di cadere inciampando nel tappeto.
-E dovresti andare alle superiori tra poco?- domandò ironicamente Poppu, prima che il portone si chiudesse.

La rossa stava camminando velocemente, le braccia ciondolanti e lo sguardo dritto davanti a sé, concentrata sul suo futuro.
Liceo Shirosaki.
Nonostante fosse una scuola molto impegnativa, era riuscita ad entrarci... era la scuola migliore per accedere all’università e lei doveva inseguire il suo sogno di diventare assistente sociale, a tutti i costi. Le notti insonni china sui libri erano state fruttuose, ma sapeva perfettamente che sarebbe stato solo l’inizio: in quel liceo non c’era nemmeno il tempo di rilassarsi perché le materie erano troppe e troppo impegnative.
Con passo spedito si avvicinò ad un gruppo di ragazzi e sorrise vedendo chi fossero: suoi compagni di classe.
-Buongiorno!- pigolò accarezzando la spalla di Tamaki Reika.
-Oh, Doremi-san! Sei solo tu...- borbottò questa, voltandosi delusa.
-Solo io?!- ripeté accigliata.
-Sì, purtroppo! Solo tu...- gracchiò un ragazzo dai capelli a spazzola.
-Ko-ta-ke!!!- lo ammonì, digrignando i denti con forza.
-Anche oggi dovete litigare?!- domandò perplessa Tatsuki Kaori, una dolce ragazza dai capelli bruni e gli occhi verdi.
-Ma ha cominciato lui!- si lagnò la rossa, puntando il dito contro il ragazzo dai capelli blu.
-Doremi-chan!- la ammonì la bruna, inclinando la testa di lato, dubbiosa.
-Ok, ok...- borbottò calciando un sassolino.
Il gruppetto scoppiò a ridere vedendo le guance della ragazza gonfiarsi e farsi rosse dalla rabbia; quel gesto così abitudinario e infantile li riportava tutti indietro nel tempo, al primo giorno delle medie quando la ragazzina maldestra aveva urlato in mezzo alla lezione il nome del ragazzino dai capelli a spazzola, provocando loro una brutta strigliata.
-Ultimo giorno...- sussurrò Reika, storcendo appena la bocca.
-Uhm...- deglutì Tetsuya mettendosi le mani in tasca.
Doremi si bloccò per un attimo, poi si lisciò inconsciamente la gonna, prima di compiere l’ennesimo passo verso la fine di quell’avventura.

-*-*-*-*-*-

I ragazzi si mossero velocemente salutando il professore che li controllava uno ad uno con occhio iper-critico:
-Harukaze-san, abbottonati la giacca! Kotake-san, potevi evitare di mettere il gel per questa occasione!- gracchiò agitando le mani ovunque.
Doremi di malavoglia eseguì l’ordine, mentre il ragazzo alzò il mento e impettito si diresse al suo armadietto per cambiarsi le scarpe.

In classe c’era il caos più assoluto: tra ragazze piagnucolanti che si abbracciavano e si giuravano amicizia eterna, e tra ragazzi che gridavano e si lanciavano la cimosa addosso, incuranti dell’ultimo giorno di scuola.
-Hey!- sbottò Doremi entrando, e per poco non colpita dal cancellino.
-Scusa Harukaze-san!- sentì dire da qualcuno, mentre l’arma veniva scagliata dall’altra parte della classe.
-Doremi-chaaaan!- singhiozzò Namura Riina, buttandosi al collo della rossa.
-Rii-chan... calma...- sussurrò dando lievi colpi sulla spalla alla ragazza dai capelli e gli occhi nerissimi.
-Scu...scusaaaa!- farfugliò in risposta, gli occhi rossi e le lacrime che le solcavano le guance; lei sarebbe andata a studiare ad Okinawa, dove suo padre dirigeva una catena di alberghi piuttosto importanti, così quello sarebbe stato un probabile addio.
Doremi, vedendo la ragazza in quelle condizioni, non poté fare a meno di abbracciarla nuovamente impiegando tutta l’energia che poteva e cominciando a piangere sulla spalla dell’amica.
-Mi...mi... mancherai tanto!- balbettò tirando su col naso, la ragazza dai capelli nerissimi.
-Anche tu...- rispose la rossa, lasciandola libera dalla stretta e asciugandosi gli occhi con la manica della camicia.
Dopo altri gridolini e altre lacrime, il professore richiamò al silenzio e fece accomodare tutti ai loro banchi, attendendo con pazienza che la confusione scemasse. Una volta che tutti furono composti e in silenzio, la voce del professore risuonò altezzosa come al solito, ma con un filo di commozione:
-Bene ragazzi... siamo giunti all’ultimo giorno di scuola, tra un’ora circa comincerà la cerimonia e spero proprio che riusciate a comportarvi bene...- gli occhi semi-nascosti dagli occhiali vagarono infondo all’aula, dritti a colpire Kotake, tranquillamente seduto a fissare fuori dalla finestra.
-Dopo tre anni insieme ho visto sbocciare ognuno di voi, chi nello studio, chi nell’arte e chi nello sport... tutti voi mi avete fatto passare giornate intense, certe volte sono tornato a casa con il mal di gola... ma tutto sommato sono stati tre bellissimi anni. Vi ringrazio e vi auguro un futuro felice.-
Concluso il suo discorso, la maggior parte della classe aveva gli occhi lucidi, qualche ragazza non riusciva a trattenersi, soffiando più volte nel fazzoletto.
Doremi stava applaudendo con energia mentre dolci lacrime solcavano le guance arrossate, il naso le divenne rosso e involontariamente si mordicchiò il labbro inferiore. Il professor Hiroga era stato un degno insegnante, severo ma gentile, preparato e attento a tutto ciò di cui gli allievi avevano bisogno; la rossa sorrise tra le lacrime, un bel sorriso dolce che brillava di gratitudine e felicità.

-*-*-*-

-Harukaze Doremi!- la voce orgogliosa e forte del professore risuonò nella palestra in cui era in atto la cerimonia della consegna dei diplomi.
La ragazza dai capelli rossi alzò gli occhi al cielo prima di fare i tre gradini che l’avrebbero portata a prendere il diploma.
Con mani tremanti e l’emozione ben visibile negli occhi, prese l’attestato che il professore le aveva passato, si inchinò verso l’uomo, poi si voltò verso il preside e si inchinò nuovamente, come segno di rispetto.
Infine si voltò velocemente e mostrò alla sala il suo attestato, sorridendo verso sua madre che sedeva in seconda fila tra Poppu e suo padre. Scese dal palchetto e si mise seduta, incapace di contenere tanta emozione. Le gambe le tremavano forte, gli occhi pizzicavano e la gola era secca, sapeva che probabilmente alcuni di loro non li avrebbe più rivisti.
Ma era felice.
Nonostante tutto, era felice.

-*-*-*-

I giorni si fecero lenti e, nonostante Doremi avesse auspicato presto l’arrivo delle vacanze, stare in casa per lei era diventato impossibile. Non che nessuno le dicesse qualcosa, però i muri le stavano stretti, il tetto la opprimeva e sua sorella era troppo odiosa per poterla sopportare più del dovuto; la rossa aveva preso l’abitudine di andare a leggere in un parco di un quartiere residenziale poco distante da dove abitava lei. Si accovacciava su una panchina e cominciava a sfogliare il libro di storia o quello di letteratura, cercando di assimilare informazioni su informazioni, giusto per non rimanere indietro o partire svantaggiata rispetto agli altri.

E fu lì che la sua vita prese una strana piega.

Le pareva un giorno simile a tanti altri, il sole primaverile la baciava delicatamente, il vento le scompigliava la frangetta e i petali rosa dei ciliegi in fiore turbinavano e danzavano beatamente.
La ragazza si sentiva in pace con se stessa e col mondo, il libro che aveva in grembo era quello di letteratura, aperto su una poesia piuttosto complessa che parlava dell’amore nato sotto ai grandi ciliegi in fiore in una giornata di sole.
Dopo aver letto un paio di volte ciò che c’era scritto decise di lasciar perdere amori improbabili e si stiracchiò allungando braccia e gambe, tendendo la schiena e chiudendo gli occhi con forza; sentì il sollievo che quel gesto le aveva provocato e rimase ad occhi chiusi, immaginandosi un ragazzo che, come quello nella poesia, le avrebbe sorriso a pochi centimetri di distanza irradiandola con tutta la tua bellezza.
Sentiva dei latrati lontani, una voce che gridava “Shoichi”, ma non se ne curò molto.
Rimase ancora un po’ con gli occhi chiusi, prima che l’ennesimo richiamo non la fece impensierire.
Gli occhi vermigli rimasero accecati dalla luce del sole, facendo vedere a Doremi solo ombre per qualche secondo; sbatté gli occhi e riuscì solo ad aprire la bocca, prima che un grande cane dal pelo chiaro e gli occhi castani le saltasse addosso, cominciando a leccarle la faccia con foga.
-Eh... ehm... buono...- gracchiò la ragazza, muovendo la faccia e facendosi scudo con le mani, cercando di evitare che la bava le impiastricciasse tutto il viso.
-Shoichi! Smettila subito...- una voce calma e secca fece drizzare le orecchie del cane, il quale scese da sopra Doremi e trotterellò ai piedi di colui che sarebbe dovuto essere il padrone.
-Mi dispiace un sacco...- esclamò poi, avvicinandosi alla povera Doremi.
La rossa si voltò verso il ragazzo e rimase abbagliata da quella fulgida bellezza.
-F-figurati...- riuscì a biascicare, con gli occhi sbarrati.
-Tieni...- le porse un fazzoletto candido, sorridendo in maniera gentile e genuina. Inutile dire che il cuore di Doremi stava galoppando a mille, martellandole perfino nelle orecchie e facendola diventare rossa quasi quanto i suoi capelli.
-Grazie...- sussurrò prendendo il pezzo di stoffa e asciugandosi la faccia, mentre di sottecchi fissava quel bellissimo ragazzo dai capelli color rosso scuro, gli occhi del medesimo colore e la pelle abbronzata. Si soffermò a guardare molto quei ciuffi rossi, lunghi fino al collo, lisci e brillanti sotto il sole di metà marzo.
-Mi dispiace molto per Shoichi... scusami...- si inchinò profondamente, dando un paio di pacche sulla testa dell’animale, in segno di monito. Almeno, era il suo intento. Il cane invece uggiolava allegro delle carezze del padrone.
-Non è un problema, davvero... è così carino...- rispose candidamente Doremi, allungando una mano per accarezzare la punta del naso del cane. Questi non si fece attendere e annusò la mano rosea, prima di leccarla con gioiosità.
-Sicura?- domandò preoccupato, osservando l’espressione carina della ragazza.
-Certo! Si chiama Shoichi, no?- domandò muovendo velocemente gli occhi sul ragazzo.
-Sì...-
-Ciao Shoichi... io sono Doremi...- esclamò accarezzando il muso sempre più allegro dell’animale.
-Ti chiami Doremi? Che bel nome...- sussurrò il ragazzo sorridendo.
Ma prima che la ragazza potesse rispondere, il cellulare del padrone di Shoichi squillò brevemente.
-Dobbiamo andare... è stato bello conoscerti Doremi-san! Andiamo Shoichi...- il ragazzo prese per il collare il cane e lo trascinò verso la direzione in cui dovevano andare, lasciando la ragazza di stucco.
“Chissà chi era... certo che è proprio bello... e non so nemmeno il suo nome! Accidenti!” si maledì un paio di volte poi raccolse il libro dalla panchina e si infilò in tasca il fazzoletto usato.
“Sarà meglio che torni a casa...” prese anche la bottiglia d’acqua che aveva consumato e se ne tornò a casa, con la testa un po’ fra le nuvole.

-Sono a casa...- gracchiò aprendo il portone.
-Bentornata!- sentì dire dal padre, in salotto.
Senza aggiungere altro si trascinò in camera sua, ancora persa a meditare su ogni minimo dettaglio di quel volto perfetto, dai lineamenti nobili. Era sicura che la pelle abbronzata profumasse.
“Ma cosa vado a pensare!” si disse, portandosi le mani sulle guance e rotolando nel letto, un po’ in imbarazzo.
-Secondo me non ci sei tutta...- le fece notare Poppu, da qualche secondo entrata nella stanza.
-Ma non si bussa?- urlò scandalizzata.
-Veramente ho bussato tre volte...- rispose la decenne, incrociando le braccia al petto, leggermente indispettita dal comportamento stupido della sorella.
-Io non ho sentito...- replicò la rossa, portandosi le braccia sui fianchi.
-La vecchiaia che avanza, eh?!- la prese in giro Pop, sorridendo. La sorella maggiore chiuse gli occhi e cercò di calmare la rabbia che saliva, affondando le unghie nei fianchi.
-Comunque ti volevo avvertire che stasera papà e mamma usciranno e io andrò da Miko-chan, perciò tu rimarrai sola... ok?-
La rossa alzò gli occhi al cielo e valutò l’idea di potersi ingozzare con tutte le schifezze presenti in casa.
-Perfetto!- esclamò sorridendo a trentadue denti.
-Mi convinci poco...- sussurrò la rosa, scuotendo la testa.
-Ricordati che sono io la sorella maggiore!- le fece presente, notando la strana piega che i ruoli in quella casa avevano preso.
-Sì, sì...- rispose richiudendosi la porta alle spalle.
-Insolente!- esclamò a voce alta, sbattendo un piede a terra e gonfiando le guance come era solita fare. Ecco perché non riusciva mai a stare con Poppu per più di un minuto.

-*-*-*-

Finalmente il tempo parve scorrere in maniera normale, non troppo lentamente come era successo nei giorni precedenti; Doremi continuava ad andare nel parco, un po’ perché il posto le piaceva da matti, e un po’ perché sperava di rivedere Shoichi e il padrone.
Ma dopo cinque giorni di vane attese, si rassegnò al fatto che quel ragazzo potesse trattarsi solo di un miraggio regalatole dalla sua mente contorta che amava creare persone e animali in realtà non esistenti.
“In effetti era troppo perfetto per essere vero!” si disse dopo che un latrato l’ebbe ridestata dalla lettura di un brano particolarmente noioso.
Richiuse arrabbiata il libro e lo gettò di fianco, parandosi gli occhi con le mani per l’accecante luce che inondava quella giornata.
-Ciao Doremi-san!- sentì dire da quella voce che aveva tanto sperato di poter sentire.
Si tolse la mano e aprì con vigore gli occhi rossi, rimanendo incredula di fronte al ragazzo.
-Ciao...- sussurrò.
-Posso sedermi?- domandò indicando il punto in cui giaceva il libro.
-C-certo!- velocemente cacciò il testo nella borsa e sorrise imbarazzata.
-Non mi sono ancora presentato...- esclamò una volta che si fu messo seduto.
-Mi chiamo Shidoosha Akatsuki...- tese la mano in direzione della ragazza, sorridendo educatamente.
-Piacere, sono Harukaze Doremi!- rispose meccanicamente, abbagliata dalla bellezza che il ragazzo irradiava.
Si strinsero la mano, quella di Akatsuki era incredibilmente calda, e Doremi tirò fuori il fazzoletto lavato per restituirglielo.
-Tienilo pure...- esclamò lui, prendendo tra le sue, la mano con il fazzoletto e chiudendola gentilmente.
-O-ok... grazie!- rispose, stringendo il pezzo di stoffa con forza.

Forse era il sole che picchiava forte nonostante fosse solo marzo, più probabilmente fu il tocco delicato e deciso di Akatsuki, ma quella sera Doremi sembrava avesse preso un colpo di sole tanto era rossa.

Fine Primo Capitolo

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Capitolo 2
*** Watashi Wa Fujiwara Hazuki Desu ***


Capitolo Due
Watashi Wa Fujiwara Hazuki Desu


-È quella?- domandò una ragazza, mettendosi la mano davanti alla bocca e avvicinandosi furtiva alla sua amica.
-Sì, sì!- borbottò quella in risposta, fissando con sfacciataggine colei che stava placidamente camminando nel corridoio con gli occhi bassi e le mani dietro alla schiena.
-Certo che le fortune le ha avute tutte: figlia del regista, carina, intelligente, ricca e scommetto che conosce un sacco di attori famosi! Che invidia!-
-Già...- sussurrò l’altra ragazza, stringendosi all’amica.
Il soggetto delle loro frasi e delle loro invidie aveva sentito ogni minimo sibilo ed era indecisa se irritarsi o imbarazzarsi. Optò per la prima sensazione, pensando a quanto odiasse certe invidie insensate; era ricca, è vero, però non le piaceva sperperare. Non si sentiva particolarmente intelligente: un conto è andare bene a scuola e un altro è essere intelligente. Aveva conosciuto attori, però pochi erano stati davvero interesanti.
Si accigliò leggermente e pensò “ È l’ultimo giorno... forza!”
Accelerò il passo e tornò in classe senza che nessuno la notasse, ormai era abituata: tutte parlavano con lei, ma nessuna era sua amica.
Si sedette e posò le mani sul banco, guardandosi le unghie perfettamente curate e le dita chiare e affusolate.
“Se almeno ci fosse lui...” si ritrovò a pensare, stringendo appena appena le mani.
Senza volerlo il suo pensiero volò lontano verso il suo unico vero amico: Yada Masaru. Era l’unico che non la guardasse in maniera distaccata, era l’unico che le parlava perché era semplicemente Hazuki e non...
-... Fujiwara-san?- gli occhi castani della ragazza si alzarono verso chi l’aveva chiamata; sorrise educatamente e si scusò di non aver ascoltato.
-Non preoccuparti... dicevo, puoi darmi la tua e-mail, così potremo continuare a sentirci!- trillò una sua compagna di classe, porgendole un quaderno.
-Certo... grazie!- borbottò prendendo il quaderno e passandole il suo. Scribacchiò velocemente il suo nome e il suo indirizzo, prima di porgerlo nuovamente alla sua proprietaria.
-Sai, mi mancherai!- gracchiò la compagna di classe, intristendosi.
-Da...- si interruppe prima di dire in maniera sarcastica: “Davvero?”
-Anche tu...- sussurrò dopo un sospiro. Non voleva essere ipocrita, però le dispiaceva anche trattarla male.

L’ora finì presto ed arrivò il momento della cerimonia per prendere i diplomi; i ragazzi non facevano altro che parlottare, mentre le ragazze si davano gli ultimi tenui abbracci.
-Un po’ di silenzio!- gridò la professoressa, zittendo tutti in pochi secondi. La fila si fece ordinata e lunga, tanti quanti erano i ragazzi di terza.
Hazuki camminava ordinatamente come al solito, sguardo dritto mentre si storceva le mani dal nervosismo: era pur sempre il raggiungimento di un traguardo. Poi ci sarebbero stati suo padre, sua madre e la sua balia... e forse anche Masaru-kun.
Al pensiero del ragazzo lo stomaco si contrasse in maniera innaturale, provocandole un dolore improvviso e forte; visto che lei frequentava una scuola privata la cerimonia di diploma si sarebbe svolto un giorno prima rispetto a quella delle scuole pubbliche.
-Fujiwara-san, sei nervosa? Non è da te...- sentì dire da un suo compagno di classe, proprio davanti a lui.
-Io... un pochino...- concesse sorridendo nervosamente. Non era sicura fosse un vero e proprio sorriso, visto lo stomaco che le bruciava sempre di più.
-Stai tranquilla! Saranno tutti fieri di te...- aggiunse un altro ragazzo, davanti a quello che aveva parlato prima.
Hazuki scoccò uno sguardo interrogativo ai due, ma prima di poter dire qualcosa l’ennesimo monito della professoressa zittì tutti.
La castana fissò la schiena del ragazzo che aveva davanti e sorrise dolcemente, capendo solo allora che forse si era chiusa troppo in se stessa per guardare chi gli stava attorno e notare che non rimaneva così indifferente come aveva sempre pensato.

Giunti in palestra attraversarono il corridoio che si era creato tra le sedie quasi tutte occupate; ogni ragazzo o ragazza salutava con cenni i propri genitori o amici col sorriso in bocca; Hazuki riconobbe i suoi nella seconda fila, suo padre sorrideva e sua madre si premeva la faccia su un fazzoletto, nemmeno si stesse sposando! Baaya aveva quel bel sorriso radioso sulle labbra e la squadrava in maniera minuziosa, contenta di vederla in maniera impeccabile. Alzò appena la mano, quel tanto che bastava per farsi vedere. Sua madre si soffiò il naso con forza, suo padre e Baaya sorrisero maggiormente.
Poi gli occhi della ragazza si spostarono a qualche sedia più distante e vide Masaru, seduto compostamente con lo sguardo serio e pieno di significato che assumeva sempre in presenza di Hazuki. Uno strano calore le imporporò le guance, ma riuscì a sorridere e a fare un altro cenno in direzione dell’amico, che ricambiò con un’alzata di testa, mentre gli occhi verdi la seguivano nella breve camminata.

La cerimonia volò, in breve arrivarono alla lettera F e dopo un paio di nomi, Hazuki fu chiamata a ricevere il suo attestato, venendo elogiata come una delle migliori studentesse che la scuola avesse mai avuto. Con il solito calore sulle guance, si inchinò davanti alla professoressa e davanti al preside, che ricambiò con un sorriso di circostanza.
Si sedette attendendo che tutti i compagni avessero finito, ogni tanto si voltava verso sua madre che soffiava nel fazzoletto, ogni tanto invece si fissava su Masaru, intento a guardare i diplomandi con lo sguardo fisso e serio.

-*-*-*-

-Amore, è stato bellissimo! Eri decisamente la più carina!- si complimentò leziosamente la madre, stringendo la figlia in un abbraccio stritolante.
-Mamma... non ... ho fatto nulla!- sussurrò col fiato corto.
-Cara, lascia stare la piccola Hadzuki.- le disse il marito, appoggiando una mano sulla spalla della donna.
Questa ubbidì delicatamente, poi tornò ad immergere la faccia nel fazzoletto ricamato.
-Complimenti piccola...- sussurrò poi il padre, abbracciando delicatamente la figlia.
-Grazie papà!- rispose lei, ricambiando la stretta.
-Signore, ha un appuntamento... anche lei signora!- esclamò Baaya, con tono gioviale. Fece l’occhiolino ad Hazuki e trascinò via i due genitori con forza.
La castana sorrise al terzetto e si voltò velocemente per tornare dai suoi compagni classe. L’ultimo probabile saluto.
-Fujiwara-san!- si trovò Masaru davanti, le mani in tasca e la testa inclinata leggermente.
-Masaru-kun, grazie... grazie per essere venuto!- esclamò celermente la ragazza, allungando una mano verso la direzione dell’amico.
Il ragazzo non rispose, si limitò a stringere la mano tesa e si guardò le punte delle scarpe leggermente impolverate.
-Sarà meglio andare... devi tornare dai tuoi compagni di classe...- sussurrò lasciando la presa e sorpassandola con due passi.
-A...aspetta!- gracchiò la castana, voltandosi per guardarlo.
-Sì?- chiese stupito.
-Rimani? Per favore... saluto tutti e andiamo!- aveva la voce leggera, incrinata.
Gli occhi verdi si spalancarono per qualche secondo, prima di brillare per colpa di un sorriso.
-Ok...- si ricompose subito, tornò indietro e si appoggiò ad un albero, socchiudendo gli occhi.
-Grazie! Torno tra poco!- la castana si sentì nuovamente piena di vitalità e corse dentro per il saluto.

Ritornò in palestra e cominciò a salutare, strinse le mani a tutti col sorriso brillante che la risposta di Masaru le aveva lasciato nella mente e nel cuore.
-Fujiwara-san, ti ho vista parlare con un bel ragazzo! È il tuo fidanzato?- chiese pettegola una sua ormai ex-compagna.
-M-ma cosa vai a pensare?!- domandò diventando bordeaux.
-Oh, non devi diventare rossa... c’è sotto qualcosa?- continuò a chiedere, battendo un gomito contro il braccio della castana.
-Nulla! Nulla di nulla!- gracchiò in risposta, ridendo per quella situazione.
-Hadzuki-san... è stato un peccato non aver stretto amicizia...- borbottò la ragazza, prima di sparire nella folla di ragazzi che la attendevano.
La bocca di Hazuki formò una perfetta ‘o’ dallo stupore generato da quella semplice frase. Non seppe il motivo, ma gli occhi le divennero lucidi e le figure sfocarono lentamente, fino a diventare macchie indistinte. Prima che qualcuno la potesse vedere, scappò fuori con gli occhi coperti dalla mano. L’unica cosa che voleva fare era andare via.

Masaru non appena la vide uscire con gli occhi coperti e leggermente tremante si mosse rapido per raggiungerla. Non che Hazuki corresse velocissima, però quando la raggiunse erano già lontani dalla scuola media.
-Fujiwara-san!- le disse, prendendola per il braccio e bloccandola.
Notò le guance rigate, gli occhi cerchiati di rosso e gli occhiali premuti troppo sul viso.
-Cosa è successo?- domandò serrando la mascella.
-Oh...- sbuffò tremando per colpa delle lacrime.
Il ragazzo fece un gesto che non era solito fare: la abbracciò. Strinse le braccia intorno alla schiena minuta e morbida, fino a far toccare la fronte della ragazza sulla sua spalla.
Hazuki per lo stupore smise di piangere e tremare.
-Masaru-kun...-
-Sfogati...- le ordinò quasi, stringendola un po’ di più. Aveva un bel profumo.
Hazuki strinse i pugni sul petto del verde e si sciolse in mille altre lacrime.

-*-*-*-

-Va meglio?- domandò Masaru, osservando lo sguardo atterrito della ragazza, mentre dondolava delicatamente sull’altalena.
Si erano spostati in un parco, un posto più privato per parlare... o piangere!
La castana annuì alzando il viso in un bel sorriso radioso.
-Grazie...- aggiunse poi, dandosi una dolce spinta. La brezza fu appena accennata, ma parve rinvigorirla quel tanto che bastava per farla rialzare.
-Figurati...- rispose lui, guardando altrove.
-Che ne dici di mangiare un boccone?- domandò lei, massaggiandosi lo stomaco.
-I tuoi non saranno preoccupati?- chiese accigliandosi, ma speranzoso di non dover lasciare di già l’amica.
-Non credo... sanno che sono con te!- esclamò gioiosa. Masaru... il suo unico vero grande amico!
-Hai fame?- chiese fissando l’orologio del parco che batteva le 12.
-Un po’...- sussurrò massaggiandosi lo stomaco.
-Andiamo, ti porto in un posto...- sussurrò tendendole la mano, che venne immediatamente stretta e non lasciata.

Camminavano fianco a fianco, le mani strette l’una all’altra e lo sguardo perso in mille pensieri.
Il calore che Masaru sentiva alla mano era quasi insostenibile, il suo cuore batteva più velocemente del solito e non riusciva a guardarla in faccia.
Hazuki d’altra parte si sentiva protetta da quella stretta, sentiva di poter superare tutto con la forza che Masaru le diffondeva. Si sentì una sciocca, pensava di dare solo fastidio al suo caro amico e una strana angoscia la fece tremare per la paura di perderlo. L’ultimo suo appiglio.

-Entriamo!- si lasciarono le mani ed entrarono in un piccolo ristorantino che faceva ramen e ordinarono un paio di scodelle.
-Non è proprio il massimo, però i ramen sono eccezionali!- esclamò il verde, mettendosi meglio seduto sullo sgabello.
-Mi piace molto invece... è così familiare!- rispose guardandosi attorno con fare leggero e tranquillo.
Come suo solito non rispose e si portò le mani dietro alla nuca, guardando in alto con insistenza.

-*-*-*-

I giorni stavano passando velocemente, Hazuki trascorreva la maggior parte del suo tempo a suonare il violino e ad esercitarsi nel ballo, senza però lasciare indietro lo studio. Amava soprattutto suonare, oltre al tempo che passava con l’insegnante, si esercitava in camera con la porta e le finestre chiuse, al buio quasi totale e chiudendo gli occhi. Si sentiva quasi parte integrante del suo strumento e si perse in mille sogni che il suono le faceva fare, annullandosi in quel mare di note che stava ricreando con movimenti fluidi e veloci, ma impeccabili.
In quel modo riusciva a stare tranquilla, a non pensare alle paure che aveva: aveva paura di non riuscire a fare amicizia e di essere abbandonata anche da Masaru.
Mentre una melodia corposa, piena e dolce risuonava nella camera da letto, Baaya bussò velocemente alla porta.
-Sì?- domandò Hazuki togliendo il violino dal mento.
-La sta cercando il signorino Yada.- gracchiò la donna, senza aprire la porta.
A quelle parole Hazuki aprì le imposte della finestra e appoggiò delicatamente il violino nella custodia per correre fuori dalla camera. In poco tempo raggiunse l’entrata e si fiondò nel giardino in cui l’aspettava il ragazzo.
-Ciao Masaru-kun!- esclamò con gli occhiali storti sul naso.
-Ciao...- sbottò mettendole dritti gli occhiali.
-Vuoi del thé?- domandò girandosi verso la grande casa.
-No, grazie... ero venuto a parlarti.- sussurrò delicatamente.
-Di cosa?- la bocca della ragazza si storse e la paura la immobilizzò.
-Riguardo noi.- borbottò incapace di proseguire.
Hazuki sbiancò e cominciò a tremare, impaurita da ciò che avrebbe potuto dire.
-C...cioè?- balbettò stringendosi nelle spalle morbide.
-Io...- si bloccò di fronte agli occhi imperlati di lacrime della ragazza.
-Tu?- domandò sempre più preoccupata.
-Non è nulla di preoccupante! Tranquilla...- le assicurò, accarezzandole la guancia quasi involontariamente.
-Mi vuoi allontanare, vero?- chiese mordendosi il labbro per non piangere ulteriormente.
-Ma... ma cosa dici?!- chiese lui, preoccupato.
-Allora non vuoi abbandonarmi?- domandò spalancando le iridi castane.
-Certo che no!- rispose pronto lui.
-Davvero? La tua amicizia è la cosa più importante per me! Sei l’amico più prezioso che possa desiderare!- respirò affondo e prese una mano di Masaru tra le sue, sentendo quanto fredda fosse.
Il cervello del ragazzo stava assimilando quelle parole, indeciso se dire ciò per cui era venuto o lasciare il discorso in sospeso.
Dopo un minuto di silenzio Hazuki strinse la presa sulla mano dell’amico e con gli occhi lo invitò a parlare.
-Lascia stare...- sussurrò scrollando la testa.
-Sicuro?- chiese asciugandosi le guance con la mano libera.
-Non era poi così importante...-
-Vorrei una promessa...- sussurrò lei, sorridendo. Il ragazzo annuì e lo guardò enigmatico.
-Promettiamoci che non ci tradiremo mai! Che saremo amici per sempre... tu sarai per sempre il mio preferito! L’unico che c’è sempre stato per me... e sappi che io ci sarò sempre per te...-
-Certo!- rispose lui, dopo un momento di riflessione.
-Cosa c’è?- chiese lei, allegra.
-Nulla...-
-Promessa?-
-Promessa!- si sorrisero, Hazuki con sentimento sincero, mentre Masaru aveva voglia di gridare che a lui non bastava la sua amicizia, però sapeva anche che la ragazza era troppo debole per poter sopportare certe cose.

-*-*-*-

Dopo la promessa con Masaru, il ragazzo era più taciturno del solito e non si faceva vedere spesso. Non che di solito fosse espansivo, però Hazuki diede la colpa ad un vicinissimo rientro a scuola, così si occupò di studiare e di esercitarsi con più leggerezza nel cuore.

Stava riflettendo sul rapporto col suo amico la notte prima dell’inizio della scuola, le coperte tirate fin sopra il naso e non poté fare a meno di augurargli buona fortuna nella nuova scuola in cui sarebbe andato. Lei si sentiva baciata dalla fortuna, così si addormentò col sorriso sulle labbra e la mente sgombra.

-Signorina Hazuki, si alzi! La colazione è pronta!- Baaya aprì le tende vellutate per far entrare dei dolci raggi di sole che andarono a colpire il bel volto candido di Hazuki, facendola svegliare.
-Bu...buongiorno Baaya!- sussurrò mettendosi seduta sul comodissimo letto.
-Pronta per un nuovo anno?- chiese la donna, prendendo dall’armadio la cartella della violinista per metterla sulla scrivania.
-Sì...- rispose lei, stirandosi e scendendo dal letto con la solita eleganza.
-Bene, la colazione è già pronta.- con delicata velocità l’anziana uscì dalla stanza per lasciare la sua signorina da sola.

-Bene, io vado!- esclamò dopo la sostanziosa colazione che Baaya le aveva preparato con tanta passione.
-Buona fortuna...-
-Grazie!- rispose scendendo la scalinata e attraversando il giardino.
Davanti al suo cancello c’era la capigliatura verde di Masaru che brillava al sole; sarebbero andati nella stazione insieme, per prendere poi due treni diversi poiché il ragazzo aveva scelto un’altra scuola.
-Sono un po’ emozionata! Ci saranno dei veri geni all’interno della mia classe.- sussurrò lei, abbassando gli occhi.
-Tsk...- sbuffò lui, sentendo il tono sommesso della ragazza.
-E poi non capisco come sia riuscita ad entrare nella classe speciale dell’istituto Shirosaki... dicono che i programmi siano impossibili!- esclamò eccitata e per nulla impaurita da ciò.
Sentendo quel tono il verde non poté non sorridere, finalmente il broncio dei giorni precedenti era scemato.
-Finalmente...- sussurrò pianissimo, sorridendo a sua volta.
-Come?- chiese il ragazzo, non capendo.
-Nulla, nulla... piuttosto, sbrighiamoci o faremo tardi.-
Si sorrisero ancora.
Erano amici.
Hazuki ne era felice.
Masaru no.

Fine Secondo Capitolo

Ringrazio chi la legge sempre in anteprima mondiale e le due persone che hanno commentato! ^^ Per ora sono pronti solo i primi cinque capitoli, cercherò di postarli presto... ^^
Ale03: Ah, di storie belle sulle Ojamajo ce ne sono, peccato davvero che questo cartone non sia stato preso sul serio... altrimenti ci sarebbero state orde su orde di fanfic! Ti ringrazio per i complimenti e continua a seguirmi! ^^ Bacioni...
Hatori
: Grazie mille anche a te per il commento. Ho cercato di non andare troppo OOC, anche perché le ragazze sono perfette così come sono (ho messo OOC perché ho paura di finirci!)... grazie mille... visto, non ti ho fatto aspettare troppo! ^____^ Spero di leggerti anche tra i commenti per questo. Un bacione.
Grazie anche a I love sasunaru per aver inserito la storia tra i preferiti! ^O^

E un grazie a tutti i lettori! Alla prossima... ^^

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Capitolo 3
*** Watashi Wa Senoo Aiko Desu ***


Capitolo 3
Watashi Wa Senoo Aiko Desu

-Kurosawa! Kurosawa! KUROSAWA!- dolci grida si levarono da un modesto appartamentino abitato da due sole persone, una madre e una figlia.
-Aiko, smettila di urlare! I vicini si sono già lamentati abbastanza...- esclamò una bella donna dai capelli e gli occhi violacei.
-Sì, hai ragione! Però mi hanno presa...- rispose una ragazza dai capelli blu scuri e gli occhi de colore del mare lontano, profondi e espressivi.
-Ora che lo sanno tutti sei più contenta?- domandò la donna, sedendosi vicino alla figlia.
-Quanto sei noiosa!- sbuffò la figlia, accigliata.
La madre non rispose, si scostò delicatamente un ciuffo dagli occhi e sorrise. Sua figlia aveva ricevuto una borsa di studio per un liceo che formava sportivi e aveva ottimi sbocchi nel campo professionistico, perciò non poteva non essere contenta.
-Dobbiamo festeggiare!- esclamò Aiko, stiracchiandosi sul divano.
-Perché no? Prima di tutto chiama tuo padre per fargli sapere la bella notizia, poi possiamo andare a mangiare fuori!-
-Mamma, ma è costoso, prepariamo qualcosa noi...- controbatté la brunetta.
-Non importa, risparmiamo sempre.-
-Ok...- gracchiò strusciando i piedi a terra.

Di prepararsi non ne aveva proprio voglia. Aiko infatti non era il classico tipo che amava uscire o agghindarsi per farlo. Aveva dei vestiti femminili sepolti nel fondo del cassettone dell’armadio, ma per il resto il suo vestiario era composto da jeans, tute, canottiere e t-shirt. Cenare con sua madre la metteva particolarmente in crisi; per un attimo le venne in mente la prima volta che conobbe Ryosuke, il fidanzato di sua madre e un brivido freddo le scese lungo la schiena. Si era dovuta mettere una gonna elegante, una camicetta, i sandali e si era dovuta acconciare i capelli.
Lei! Lei che non si pettina nemmeno la mattina!
Aprì un’anta dell’armadio e curiosò tra tutti i jeans, sperando di trovare qualcosa di almeno-un-po’-femminile; la fortuna parve assisterla e tirò fuori l’unico paio di jeans attillati che avesse, così senza pensarci troppo se li infilò e cercò un maglioncino carino, sperando di trovare qualcosa.

-Insomma, sei pronta?- Aiko stava bussando alla porta del bagno perché sembrava che la madre fosse stata risucchiata, tanto era il tempo che stava chiusa.
-Eccomi!- pigolò quella, apparendo di fronte alla figlia con un bel sorriso raggiante.
“Qui c’è qualcosa che non va...” si disse la ragazza, squadrando lo sguardo della madre.
-Dove andiamo?- chiese Aiko, sorvolando momentaneamente sull’espressione del genitore.
-Ryosuke mi ha portata...-
-Ah, no! Io in un locale dove ti ha portata Ryosuke-san non ci voglio mettere piede!- rispose immediatamente, facendo segno di no con il dito indice.
-Ma è tranquillo... non è elegante per niente!- protestò Atsuko, portandosi le mani sui fianchi.
-Sicura?- domandò scettica la ragazza.
-Certo! Sarà ora di andare...- guardò l’orologio al polso e diede una spinta alla figlia per trascinarla via da casa.

-*-*-*-

-Tu mi nascondi qualcosa!- dopo un paio di portate di sashimi, Aiko esclamò quella frase. Fissava gli occhi della madre farsi sempre più sospetti e le guance imporporarsi.
-Ma cosa...?-
-Avanti, parla! Non mi piacciono certi segreti...- borbottò appoggiando le bacchette sul tavolo e fissando indagatoria il volto materno.
-Sì, hai ragione... riguarda Ryosuke.- si fermò per guardare il volto della figlia, inespressivo.
-Sei incinta?- domandò dopo attimi di silenzio.
-No! Non è questo...-
-Ti ha lasciata?-
-No, no...-
-Andate a fare un viaggio insieme?-
-No...-
-Vi sposate?- grugnì dopo una breve riflessione.
-N-no...- rispose la madre, grattandosi il mento.
-Hum?!-
-Mi ha chiesto di andare a vivere con lui!- sbottò alzando la voce di un’ottava.
-C’ero andata vicina... COSA?- gridò la moretta, battendo le mani sul tavolo.
-Sai com’è... stiamo insieme da un anno ormai e non è comodo per lui venire a prendermi per uscire.-
-E tu incontralo a metà strada!-
-Oh, dai...-
-Non voglio andare a vivere ad Osaka da papà...- sussurrò la sportiva, rimettendosi seduta per bene e abbassando lo sguardo verso il suo piatto vuoto.
-Non occorrerà! Amore, tu verrai a vivere con noi... anche Ryosuke ha un figlio, te ne sei dimenticata?- domandò la donna, allungandosi verso la figlia e accarezzandole il volto.
-Oh, già...- sussurrò lasciandosi alzare il viso e fissando gli occhi viola della madre, ridenti e brillanti come il sorriso che aveva in bocca.
-Poco prima che ricominci la scuola saremo già là... non dovevamo festeggiare per una certa ammissione?- Atsuko prese tra le mani il bicchiere della figlia e glielo porse, sempre più sorridente.
Aiko storse appena la bocca, questa storia non la convinceva per nulla... le piaceva Ryosuke, ma vivere con lui sarebbe stato strano, per giunta aveva un marmocchio! Perciò sarebbe stato un vero inferno.

-*-*-*-

Il giorno dopo Aiko si svegliò di buon ora, occhiaie violacee sotto gli occhi, e la testa lontana dal presente chiassoso che la stava circondando.
Era seduta sopra una panchina di un parco in mezzo alle sue migliori amiche Fuko-chan e Hanako-chan.
-Cos’è quell’aria abbattuta?- domandò preoccupata Hanako, accarezzando la testa di Aiko.
-Già, l’ho notato anche io! Ieri eri così felice!- replicò Fuko, la sorella di Hanako.
-Già, ieri però era un altro giorno...- sussurrò la moretta, calciando i sassolini a terra.
-Insomma, non sei andata a festeggiare?-
-Hai litigato con Atsuko-sama?- domandarono velocemente, sempre più preoccupate.
La ragazza si morse il labbro inferiore cercando le parole giuste per annunciare la catastrofe che si stava per abbattere sulla sua vita.
-Io...- gracchiò appena, sentendo un nodo alla gola.
Le due ragazze fissarono lo sguardo dritto della loro amica e attesero con una certa ansia che cresceva.
-Vi ricordate Ryosuke? Il fidanzato di mia madre...- continuò storcendosi le mani.
-Sì... l’ha lasciata?- domandò Fuko, stringendo i pugni.
-No, figurarsi...- biascicò lentamente.
-Allora?-
-Allora... beh... vogliono andare a convivere...- sussurrò pianissimo.
-Come? Stai scherzando?- chiese Hanako, strabuzzando gli occhi.
-No, ci trasferiremo presto nel quartiere in cui abita con suo figlio...- gli occhi blu guardarono prima Fuko poi Hanako, per poi tornare a fissare la terra e soprattutto le punte delle sue scarpe, leggermente impolverate.
Le due gemelle assimilarono le informazioni lentamente e in silenzio, incapaci di dire qualunque cosa. Fuko si accarezzò i capelli nerissimi e cominciò a torturarsi le punte con leggera isteria, mentre Hanako rimase immobile con gli occhi neri strabuzzati fino all’inverosimile.
La prima a sbloccarsi fu Fuko che di slancio abbracciò Aiko con energia, quasi spasmodica.
-Questo non implica che perderemo la nostra amicizia!- esclamò appoggiata alla spalla della sua amica.
Anche Hanako la abbracciò, tremando leggermente per tentare di non piangere, un po’ inutilmente.
-Fuko ha ragione!- riuscì a sussurrare, stringendosi addosso ad Aiko.
-Lo so... però quanto riusciremo a vederci ora?- domandò avvolta da quelle strette forti.
-Finché non ti trasferirai... poi ci incontreremo a metà strada! Verremo a vederti giocare a basket, agli allenamenti... verremo nella casa di quel riccone e poi tu verrai da noi, nella nostra scuola... chi se ne frega se tu farai il Kurosawa e noi lo Shirosaki. Non credo che la nostra amicizia sia così forte solo perché viviamo a pochi passi di distanza.- Hanako si asciugò gli occhi e sorrise dolcemente alla sua amica.
Aiko annuì e ricambiò il sorriso prima di stringere ancora di più Fuko per strapazzarla con energia; la ragazza di Osaka non era ancora convinta, aveva perso un sacco di amici dalle medie alle elementari, erano rimaste solo loro due, perciò si sentì atterrita, ma tentò di non darlo a vedere.
-Invece di abbatterci che ne dite se andiamo a prenderci un gelato?- domandò alzandosi e indicando una gelateria al lato della strada che si intersecava con il parco.
Fuko le fece notare che erano solo le 10 di mattina e che il gelato a quell’ora non era proprio l’ideale, in più non era caldissimo.
-Fuko è troppo noiosa! Prendiamo delle Okonomiyaki allora!- propose Hanako, prendendo le due ragazze per le braccia e trascinandole verso un chioschetto.
-Naturalmente offre Ai-chan!- esclamò poi.
-Cosa? Ma perché?- si lamentò imbronciandosi fintamente.
-Perché noi non abbiamo ancora riscosso la paghetta, mentre tu scommetto che hai ricevuto qualche incentivo!- rispose Fuko, sorridendo.
-E va bene! Approfittatrici!- esclamò storcendo la bocca, sempre per gioco.

Il resto della mattinata fu tranquillo, un leggero velo di tristezza aleggiava tra le tre ragazze che non mancavano di rimanere in silenzio o di rabbuiarsi lievemente.
-Quando cominciate il trasloco? Vorremmo aiutarvi...- sussurrò Fuko.
-Domani inscatoliamo le prime cose... non dovete disturbarvi!- esclamò poi.
-Certo che ci “disturbiamo”!- rispose prontamente la sorella di Fuko, sottolineando il ‘disturbiamo’ con le dita.
-Grazie...- rispose solo, infilandosi le mani in tasca e sospirando dolcemente.

-*-*-*-

-Buongiorno ragazze! Aiko mi ha detto che sareste passate ad aiutarci... si trova in camera! Grazie per il disturbo...- Atsuko accolse le gemelle Ayuhara con un inchino ordinato, i capelli corti tirati indietro da una fascia e con una tuta da ginnastica indosso.
Le due si accigliarono nel vedere la madre di Aiko in quelle vesti, visto che solitamente la signora Senoo portava vestiti eleganti o comunque non di quel tipo.
-Grazie...- esclamarono entrambe, voltandosi per andare dalla loro amica.
Fuko si affacciò dentro la camera del’amica e per un attimo apparve interdetta. Aiko, nonostante non sembrasse una persona attenta a certe cose, era molto precisa e ordinata e vedere la sua stanza a soqquadro fu strano per la moretta.
-Ai-chan?- chiese poi, mettendo un piede nella stanza.
-Buongiorno Fu-chan, buongiorno Hana-chan...-sussurrò spuntando dall’armadio, la bandana in testa e la tuta da ginnastica delle medie addosso.
-Accidenti! Camera tua in disordine? Ci vuole una foto!- Hanako estrasse il cellulare e scattò velocemente un paio di foto, soddisfatta di se stessa.
-Divertente!- esclamò portandosi al centro della stanza con un covone di vestiti sulle braccia; non troppo delicatamente li appoggiò sul letto già pieno di tutto e di più, per poi tornare ad occuparsi dei cassettoni.
-Da dove dobbiamo cominciare?- chiese Fuko, tirandosi su le maniche della camicia che portava.
-Prendi i miei libri e mettili in quelle scatole! Tu Hana-chan piega quei vestiti e riponili là!- indicò un baule dall’aria piuttosto vecchia, ma di pregiata fattura; quello era il baule che usò la sua bisnonna per sfuggire da Iroshima pochi giorni prima della caduta della bomba nella seconda Guerra Mondiale.
-Perché usi questo?- domandò spontaneamente Hanako, sedendosi davanti al letto e cominciando a ripiegare t-shirt.
-Perché è tradizione che la più giovane di casa Senoo usi quel baule per trasferirsi!- portò una vagonata di jeans e pantaloncini corti, appoggiandoli accanto all’amica inginocchiata a terra.
-Ai-chan, non sapevo tu avessi un album di fotografie!- si intromise Fuko, sfogliando un apparente libro con un semplice disegno rappresentato sulla copertina.
-Certo! È piena di nostre fotografie e di fotografie del mio soggiorno ad Osaka l’estate scorsa.- rispose con una certa ovvietà, alzando le spalle.
-In realtà volevi tenere un album su Anrima, eh?! Il vostro amore a distanza...- domandò maliziosa Fuko facendole l’occhiolino. Brividi di orrore misto a rabbia fecero tremare la ragazza che cercò di contenere le grida che le volevano uscire con forza; con un autocontrollo che avrebbe fatto invidia a chiunque rispose con un’occhiataccia e tornò a piegare vestiti con più foga.
Ma Fuko non mollò e fece un altro paio di frecciatine, ridendosela con la sua gemella per il colorito livido che la brunetta stava prendendo in faccia.
-Uh, guarda un po’! Qui ci sono i due piccioncini!- a quel punto Aiko scattò come una molla e sfilò dalle mani l’album con foga, buttandolo dentro al baule e buttandoci sopra tutti i panni che aveva piegato con cura prima.
-Smettetela! Cattive... quello è solo una disgrazia, non dovreste dire certe cose...- si sedette nuovamente incrociando le gambe e prendendo altri vestiti.
Hanako le lanciò una maglietta arrotolata in pieno volto, facendola cadere all’indietro.
Fuko rise, aveva visto la scena e pensava di morire dal ridere... Aiko non perdeva mai l’equilibrio, quindi vi era qualcosa di incredibile!
La sportiva in risposta appallottolò con forza la t-shirt e la lanciò addosso a Fuko, colpendola in pieno; poi prese il cuscino del letto e lo scaraventò addosso ad Hanako, con tutta la forza che aveva.
-Hey!- gracchiarono entrambe, la prima togliendosi il capo sgualcito mentre la seconda si massaggiava la testa.
E fu così che ebbe inizio una battaglia sanguinosa, tra cuscini e magliette le ragazze si ritrovarono esauste a terra dopo circa un’ora, il respiro irregolare e il sorriso sulle labbra.
-Rimaniamo amiche per sempre!- sussurrò tra una boccata d’aria e l’altra, la sportiva.
-Contaci...-
-Ci puoi giurare!-

-*-*-*-

-Dai, non fare storie!- esclamò Atsuko, sistemando i capelli indomabili della figlia.
-Ma mamma...- sussurrò lei.
-Niente “ma mamma”! Stasera ci sarà la presentazione alla famiglia di Ryosuke, perciò non lamentarti per un po’ di forcine!- la donna prese l’ennesima ciocca di capelli della figlia e la sistemò nel miglior modo possibile.
-Ma chi ci sarà?- chiese la ragazza, incrociando le braccia al petto.
-Il figlio... la madre e la sorella! Credo anche il nipotino...- rispose dubbiosa la madre, finendo di lavorare sulla testa di Aiko.
-Ci vorrebbe anche un filo di trucco...-
-NO!- urlò la figlia alzandosi e allontanandosi dal beauty-case per scampare ad un possibile attacco.
-Ok, ok... sai che sei carina!- le disse osservandola nell’abitino azzurrino, lungo fino al ginocchio.
-Ma figurati!- ringhiò voltandosi per uscire dalla camera.
-Ti aspetto in macchina!- esclamò sbattendo la porta con veemenza. Atsuko sorrise dolcemente e prese le ultime cose prima di partire alla volta del suo futuro insieme ad un uomo fantastico quale il suo Ryosuke.

-Quanto è grande casa sua?- domandò la sportiva, torturando l’orlo del vestito.
-Una bella villa...- rispose la donna, svoltando ad un incrocio.
-Ha i soldi... c’era da aspettarselo da un primario come lui!- sbuffò la quindicenne.
-Beh, non ho mai visto il suo conto in banca... e nemmeno mi interessa...- rispose col sorriso ancora sulle labbra la donna.
-E suo figlio? Com’è?-
-Carino, converrai con me che lo è! Alto per la sua età, un faccino molto carino e simpaticissimo! È davvero un amore... ho passato bei pomeriggi insieme a lui! Buffo oserei dire...-
-Dici? Adoro i bambini! Spero di rimanergli simpatica!- l’entusiasmo di Aiko tornò a farla ridere.
-Bambino? Ehm... io ti considero ancora una bambina, però credo di non averti mai detto che siete... beh... coetanei!- l’ultima parola uscì fuori talmente piano che la figlia chiese nuovamente quale fosse l’ultima parola.
-Coetaneo...- sussurrò ancora, leggermente impaurita.
Stavolta Aiko aveva afferrato il termine, però le parole non riuscirono a venirle fuori fino a quando il conducente di una macchina davanti a loro non suonò con forza il clacson.
-Tu... tu... TUUUUU!!! PERCHÈ NON L’HAI DETTO PRIMA?- l’urlo lancinante fece voltare anche i pedoni sul marciapiede, impauriti da tutto quel rumore.
-Calma..-
“Calma? Calma un accidente...”
E così Aiko se ne stava seduta con le braccia incrociate al petto, il volto livido e il labbro inferiore sporto fino all’inverosimile.
“Mamalade Boy non le ha insegnato nulla! Non voglio diventare come Miki!” riusciva solo a pensare, augurandosi che il ‘carino’ per un genitore non fosse il carino che intendesse lei.
Non voleva pensare ad altro, altrimenti avrebbe continuato ad urlare ad oltranza.
E non voleva...
... perdere la voce!

Fine Terzo Capitolo


Un grazie enorme a chi legge (storia letta 113 volte! *___*)... ^^ Poi ringrazio koharuchan che ha aggiunto la storia tra i preferiti e Ale03 che ha commentato: grazie per gli auguri, anche se in ritardissimo ne faccio tanti anche a te! Tanto non reggerà come coppia (vedi introduzione)... XD Il secondo capitolo è stato molto introspettivo, anche questo lo è, ma molto meno... perché la storia parta dovrai a spettare il sesto! Grazie ancora e continua a seguirmi! Un bacione enorme!
Alla prossimaaaaa... ^^

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Capitolo 4
*** Watashi Wa Segawa Onpu Desu ***


Capitolo 4
Watashi Wa Segawa Onpu Desu


Splendente. Nessun altro aggettivo riusciva a descrivere meglio Segawa Onpu-chan.
Di lei colpiva tutto: il fisico minuto, le gambe lunghe, la pelle candida, gli occhi intensi, i capelli sempre perfetti... ma soprattutto la sua voce.
Quando parlava nessuno riusciva a non rimanere ammaliato da quel velluto che ricopriva ogni parola, dalla gestualità appena pronunciata quando era imbarazzata o in difficoltà, dalla accuratezza del suo parlato nonostante i suoi appena quattordici anni.
La critica la adorava, i ragazzi speravano di poter diventare il suo principe azzurro, le ragazze cercavano di emularla, i più grandi la amavano per la sua semplicità e per la sua solarità.

Apparenza.
Odiosa apparenza.
Non amava la gente, non amava andare ai talk-show, non le piaceva dover essere su tutti i cartelloni e tabelloni. Lei voleva cantare e recitare. Basta.
Ma sua madre non pareva capirlo, le scritturava ingaggi su ingaggi, ogni giorno aveva interviste e servizi fotografici ammassati l’uno sull’altro, incastrati alla perfezione.
Ma dopo 10 anni di luci dello spettacolo ad illuminarla come lei non voleva, la voglia di farsi vedere diventava troppo opprimente e spesso la voglia di scappare diventava più forte ogni giorno di più.

Era arrivato il giorno del suo diploma alle scuole medie in un prestigioso istituto di Tokyo, poi avrebbe avuto un po’ di vacanze.
-Onpu-chan, eri sicuramente la più bella a ricevere il diploma!- si complimentò un giornalista mettendole il microfono sotto al naso, all’uscita della palestra.
La cerimonia era stata registrata da una troupe televisiva che aveva pagato fior fiori di quattrini per aggiudicarsi l’onore di filmare la cerimonia di molti futuri idol.
-Non credo, anzi... c’erano molte ragazze più belle di me!- rispose Onpu, col solito sorriso dall’apparenza spontaneo.
Poi non ascoltò più nulla dato che sua madre e due bodyguards la trascinarono in macchina, nascondendola dai flash e dai rumori che i giornalisti producevano.
-Tra poco avrai un’intervista radiofonica... poi la serata sarà libera.-
Quando sua madre, la manager, diceva “serata libera” non intendeva veramente un po’ di ore dedicate all’ozio, ma anzi allo studio di copioni o a provare canzoni.
Questo rendeva felice la ragazza.
-Finalmente!- sussurrò stirandosi braccia e gambe, chiudendo gli occhi e rilassandosi completamente.
-Poi il regista Fujiawara ha chiamato per sentire come stavi...-
-Davvero?! Spero che abbia in mente un nuovo film, mi piacerebbe lavorare ancora con lui.- sussurrò riaprendo gli occhi velocemente. Le piaceva quell’uomo dall’aria buona ma decisa, un vero regista di polso e fermezza; aveva lavorato molte volte con lui e ogni film che avevano prodotto era risultato un vero successo, infatti poteva vantare nel suo curriculum colossal del cinema giapponese per ragazzi.
-Sì, credo proprio che andremo a trovarlo tra pochi giorni...- esclamò la donna, scorrendo varie scritte da un palmare grigio metallizzato, l’agenda degli impegni della figlia.
-Come?- la ragazza fissò la madre, non capendo dove potesse trovare del tempo per andare a trovare il regista visto che non abitava a Tokyo.
-Sì, andremo nella cittadina di Misora... siamo già stati nella villa Fujiwara!- le ricordò sorridendo.
-Sì, sì... mi ricordo della figlia, quella ragazzina tanto carina...- sussurrò più a se stessa che alla madre.
-Credo che per un po’ andremo via da Tokyo... mi sembri troppo stressata... il signor Fujiwara ha avuto un ingaggio per un nuovo film e mi ha comunicato che vorrebbe collaborare con te anche quest’anno...-
La violetta si sistemò meglio sul seggiolino in pelle della macchina e pensò al possibile lavoro con il regista.
-Però a quel che so non sarà un lavoro “semplice” come gli altri... è un film impegnativo, anche perché molti attori sono locali e sai come sono fatti gli attori di provincia...- la voce della donna sfumò in maniera ironica, ricordandosi tutta la boria che i meno famosi tiravano fuori.
-Ci sono tanti attori di città che si comportano con la stessa identica arroganza.- la riprese la figlia, storcendo la bocca. Infondo nemmeno loro erano di Tokyo, venivano da una cittadina nel nord del Giappone e visto che aveva passato gli anni più belli lì non riusciva a parlar male dei provinciali.
Il resto del viaggio procedette in silenzio. Onpu leggeva i copioni con attenzione, preparandosi per il talk-show del giorno dopo, mascherando malamente il disgusto.
La signora Segawa invece leggeva una rivista in cui compariva la figlia in copertina, splendente come sempre.
-Come al solito i quelli travisano...- sbuffava indignata perché i giornalisti avevano messo in bocca alla figlia parole mai pronunciate.
-Però il servizio fotografico è molto interessante.- aggiunse compiaciuta.
Quando la macchina rallentò il suo corso fino a fermarsi, le due scesero e si diressero in casa per cenare; il padre di Onpu nemmeno per quella sera sarebbe tornato, poiché i turni si facevano sempre più lunghi con l’avanzare delle qualifiche ricevute.
Anche quella sera sarebbe stata la solita noia senza di lui.
“Kami-sama!” pensò la ragazza, notando un paparazzo malamente nascosto dietro un cespuglio. Non riusciva a sopportare gli avvoltoi assetati di scoop o di storie da storpiare.
Entrò in casa e si posizionò sul divano con un cuscino nel grembo, accendendo la TV su un programma a caso, giusto per tenerle compagnia mentre la madre si affaccendava in cucina alla meglio.
-E ora parliamo del nuovo album di Onpu-chan!- un giovane presentatore dalla faccia carina e i capelli pieni di gel cominciò ad elogiare l’ultimo lavoro della ragazza, dicendo un sacco di cose vuote.
“Non l’avrà nemmeno ascoltato!” si disse ripensando al tempo perso per studiare i testi e il canto, al sudore che aveva versato nello studio di registrazione. Una strana fitta di rabbia le infuocò lo stomaco e spense la TV ispirando forte.
-Che c’è?- domandò la donna, vedendo l’aria arrabbiata.
-Niente...- gracchiò Onpu, mettendosi a tavola; la mamma/manager aveva messo del pollo fritto riscaldato al microonde in una ciotola e aspettava solo che la figlia si servisse. Ma la violetta non fece altro che fissarsi le mani con le labbra arricciate.
-Mangia, su...-
La idol obbedì delicatamente portandosi un pezzo di pollo nel piatto, prima di spolparlo delicatamente con le mani.
La signora Segawa sospirò nel vedere tanta apatia in quei gesti... da piccola andava pazza per il pollo fritto. “Per fortuna staccherà la spina nei prossimi giorni!” pensò sollevata masticando delicatamente.

-*-*-*-

I giorni prima dell’imminente partenza per Misora, Onpu non riusciva più a contenere un certo sollievo nell’allontanarsi da quella città così caotica per poter respirare l’odore dell’acqua salmastra e per poter nuovamente far visita alla grande villa di casa Fujiwara odorosa di vecchio e nuovo allo stesso momento.
La voce della “vacanza” nella bella cittadina fece velocemente il giro di tutti i giornali costringendo la ragazza a ripararsi dai flash continui e insistenti, dalle mille domande inopportune e dai fans che la imploravano di non andare.
Tutto ciò fece aumentare il rigetto per il mondo giornalistico e non appena arrivò il giorno della partenza si sentì sempre più sollevata; aveva preparato i bagagli all’ultimo minuto per riuscire ad occupare tempo senza che la madre si accorgesse dell’impazienza che l’imminente “vacanza” le aveva procurato. Era conscia che i paparazzi e i giornalisti ci sarebbero stati comunque, ma ciò non la spaventava perché la prospettiva di una cittadina tranquilla le faceva vedere tutto rosa.
-Onpu porta giù la valigia!- la incitò sua madre, bussando rapidamente alla porta della stanza della ragazza.
La figlia non se lo fece ripetere due volte e trascinò il trolley fino alle scale, per poi prenderlo in mano e correre giù per la rampa attenta a non cadere.
-Ti vedo felice del viaggio!- notò suo padre, prendendole la valigia e dandole un lieve bacio sulla fronte.
-Oh, sì... mi fa piacere rivedere il regista Fujiwara-sama! È una grande opportunità lavorare con lui.- esclamò sorridendo.
Rapidamente si infilò le scarpe e si incamminò sul vialetto in cui era parcheggiata la grande macchina dai vetri oscurati.
-Onpu-chan! Onpu-chan!- si sentì chiamare dai soliti curiosi, ma la ragazza non degnò loro nemmeno di uno sguardo e si sedette sui sedili posteriori in pelle.

-*-*-*-

Il viaggio era durato qualche ora che per la ragazza erano sembrati giorni... aveva passato il tempo giocherellando con il cellulare, scambiandosi messaggi con delle sue “amiche” e a guardare il paesaggio che mutava forma ad ogni chilometro.
Quando arrivarono vicino a Misora, la idol riuscì ad intravedere uno squarcio brillante di mare e i palazzi più alti costruiti nelle vicinanze; il cuore le accelerò vertiginosamente, ma cercò di mascherare quell’euforia apparentemente senza senso.
-Tra poco meno di mezz’ora saremo a casa di Fujiwara-sama, mi raccomando cerca di parlare con la figlia... non come l’ultima volta...- la ammonì la madre.
Onpu ne rise, ma non riuscì a fare a meno di rivangare l’episodio in cui conobbe la figlia del regista: l’allora bambina le aveva parlato intensamente per dieci minuti buoni con l’intento di metterla a suo agio e lei cosa era stata in grado di dirle?! “Ho mal di testa, potresti lasciarmi sola?!”. Quella povera bambina se ne andò dalla stanza con le lacrime agli occhi... subito la violetta se ne pentì perché infondo quella Hazuki era piacevole... però il mal di testa era davvero insopportabile.
-Sì, sì...- esclamò rafforzando l’espressione con un assenso fatto con la testa.
-Sai già che progetto ha in mente?- domandò il signor Segawa, accarezzando la mano della moglie.
-Ho sentito dire che si tratterà di una storia di amore tra adolescenti che purtroppo finirà in maniera tragica, ma non ne sono convinta del tutto...- la donna si grattò il mento con la mano libera e si mise a pensare a dettagli più esaustivi riguardanti il film.
-E sai se ci saranno attori famosi?- chiese l’uomo, sempre più curioso.
-A parte la nostra Onpu?! Sì, Inagawa Yuuijiro e Tegawa Irina (nomi assolutamente a caso! XD ndS)... in più ci dovrebbe essere anche l’idol nascente Kounna Tooru-kun, ma sono solo voci.-
“Speriamo di no! Quel tipo è troppo... troppo!” pensò scocciata la violetta rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.
-So che non ti sta simpatico però nella recitazione non se la cava male...-
Onpu sbuffò forte prima di lasciarsi sfuggire un sorrisetto mesto che indicava la sua resa.

Il cancello della villa Fujiwara si aprì lentamente e cigolando un paio di volte prima che fosse possibile il passaggio con la macchina. Alla soglia della casa c’era la famiglia del regista al completo, tutti sorridenti e tutti con la mano alzata in un cenno cordiale di saluto.
C’era anche la figlia, che sembrava rilassata.
-Non mi odia...- commentò sollevata la violetta.
-Oh, è successo così tanto tempo fa!- le rispose la madre.
Non appena l’autista della macchina si fu fermato per permettere alla famiglia Segawa di scendere, una donna anziana dall’aria pimpante aprì la portiera per far scendere la star.
-Oh, arigatou...- sussurrò perplessa Onpu, vedendo la signora in kimono guardarla in maniera strana.
-Si figuri Onpu-san... mi segua!- senza attendere i genitori della ragazza, la vecchia trascinò la idol davanti ai tre.
-Konnichiwa!- prese fiato mentre faceva un inchino profondo e continuò a parlare. –Grazie per avermi invitata a casa vostra! Grazie per la vostra generosità, mi comporterò bene e se avete bisogno di me in qualunque modo vi prego di farmelo sapere senza esitazioni.-
Hazuki fissò gli occhi ardenti di determinazione della star e per poco non le venne da sorridere, ma si trattenne perché sarebbe stato maleducato.
-Onpu-chan, come sei carina! Ma per noi è un onore averti in casa nostra e poi è solo per il nuovo film di mio marito che ci sarà bisogno di te...- aveva esclamato la moglie del regista, mettendole una mano sulla spalla.
-Esatto! Mia moglie non avrebbe potuto dire niente di più preciso... adesso entra che Hazuki e Baaya ti faranno vedere la tua stanza!- disse il regista sorridendo bonariamente.
Gli occhi di Onpu non si fecero lucidi per poco, e fu sorpresa nel sentire la mano calda di Hazuki stingersi intorno alla sua.
-Vieni pure...- con delicatezza la spinse ad entrare e le sorrise dolcemente.
-Non ce l’hai con me!- esclamò sospirando di sollievo.
-Perché?! Ah, per quella frase di qualche anno fa! Figurati... è stata colpa mia, della mia lingua lunga!- senza pensarci molto, Onpu fu condotta al piano superiore e le fu mostrata una stanza verso metà di un lungo corridoio.
La porta era socchiusa e non appena la aprì per poco non si mise a ridere.
-Lo so, mia madre ha un gusto un po’ “particolare”!- gracchiò Hazuki, notando la bocca storta di Onpu.
-Non... preoccuparti... è... originale!- la voglia di ridere davanti al trionfo del rosa e dei merletti fu tanta, ma riuscì a trattenersi non appena sentì la dolce voce della donna.
-Allora Onpu-chan, che ne dici?- chiese notando le ragazze davanti alla porta.
-Graziosa! Davvero molto... graziosa!- rispose sfoderando fuori le sue arti di attrice.
-Lo sapevo che ti sarebbe piaciuta! Hadzuki mi h fatto notare che è troppo rosa! Ma non credo! Ho evitato di far fare delle stampe sui muri, perciò non mi sembra di aver esagerato... no?-
-No, no...- rispose più seria che poté.
“Stampe?” si domandò notando il letto a baldacchino, le tende e i tappeti tutti dello stesso colore rosa acceso che la faceva quasi ridere.
La donna, accompagnata dalla madre di Onpu, si mosse velocemente trafficando con un’altra porta.
-Scusala... domani Baaya farà qualche cambiamento!- le sussurrò Hazuki, sorridendo delicatamente come al solito.
-Questa qui...- con il pollice le indicò la porta alle loro spalle -è la mia stanza, se hai bisogno di me basta che bussi!-
-Arigatou...- la ragazza dai capelli viola sorrise ad Hazuki e si voltò per entrare in quel mondo rosastro, quasi accecante.
Il padre le appoggiò la valigia a terra e sorrise divertito del rosa, per poi portare il resto delle valige in camera della moglie. Lui non sarebbe rimasto, il giorno dopo sarebbe ripartito per Osaka ed aveva potuto prendere un solo giorno di ferie.
Ben presto sistemò i vestiti che si era portata e cominciò a chiedersi quanto sarebbe rimasta in quel luogo; di certo se volevano girare un film impegnativo non sarebbe bastata una settimana.
Non riusciva a capire a che gioco stesse giocando sua madre rimanendo così vaga, visto che solitamente le diceva anche le virgole di ogni singolo progetto.
-Onpu-san, scusa il disturbo...- la voce di Hazuki si diffuse nella stanza facendo sussultare appena la violetta, immersa in pensieri tutti suoi.
-Sì?- chiese voltandosi.
-Tra un’ora sarà pronta la cena, se vuoi fare un bagno stavo giusto andando...-
-Certo! Prendo le mie cose e arrivo...- “Onpu-san...” pensò poi, incuriosita e contenta di quella formalità inaspettata.

-*-*-*-

I giorni trascorsi a Misora erano già tre.
Tutti gli studenti andavano a scuola già da una settimana e tre giorni, mentre Onpu rimaneva chiusa nella grande villa Fujiwara con le mani in mano a non fare assolutamente nulla. Sua madre se ne stava tutto il giorno al cellulare o a parlare con la madre di Hazuki, mentre quest’ultima andava a scuola sempre più entusiasta.
“Perché? Che sta succedendo?” si domandava spesso, risistemando più volte la disposizione degli abiti nell’armadio senza mai trovare l’equilibrio.
Quel giorno Baaya non c’era, aveva preso un giorno di ferie per andare a trovare un nipote e la villa sembrava così vuota senza le sue urla e la sua camminata pesante. C’erano altre domestiche, ma non erano rumorose come l’anziana, e si sentiva veramente sola; dalla “sua” stanza si poteva vedere il giardino enorme e il cancello nero, stranamente aperto.
“Ci sarà qualcuno?!” guardò velocemente nella strada ma non vide nessuna macchina e nessuno a piedi.
Lasciò perdere mettendosi a sedere sul letto soffice, incrociando le belle gambe e guardando un quadro di arte astratta attaccato alla parete.
Il dolce bussare la ridestò dall’osservazione attenta ed esclamò: -Avanti!-
Una donna di circa trent’anni entrò sorridendo: -Signorina Onpu-san, è desiderata in salotto.- fece un breve inchino e attese che la ragazza si avvicinasse.
La violetta seguì incuriosita la cameriera, chiedendosi chi fosse a desiderarla di mattina. La risposta arrivò subito, non appena giunsero nella stanza più grande della casa, arredata in maniera sfarzosa ed elegante, con tre divani al centro e un tavolo di legno tra questi: appoggiata vi era una teiera con dei bicchierini e dei biscotti al cioccolato. Il suo sguardo vagò fino al divanetto centrale, in cui era seduto un ragazzo.
“Oh no...” pensò scrutando la chioma blu e gli occhi verdi-acqua di Kounna Tooru.
-Onpu-san!- esclamò agitando una mano e alzandosi gioviale, col sorriso dolce che piaceva a tutte le ragazzine.
-Ciao!- rispose lei, sorridendo forzatamente. Si avvicinò e gli strinse la mano mostrando la maturità di sempre.
-Hai saputo?! Faremo il film insieme!-
-Avevo sentito dell’idea...- rispose lei alzando le spalle.
-Sono così contento di poter lavorare con te! Non sai quanto ti ammiro! E non solo per la tua voce, ma anche per la tua professionalità e per...- il ragazzo continuava a parlare, ma Onpu non ascoltava.
Sarebbe stata dura.

Tremendamente dura.

Fine Quarto Capitolo

Grazie a tutti coloro che leggono... ^^ Ale03, tranquilla! Momoko stavolta ci sarà! E sarà anche in dolce compagnia! XD Continua a seguirmi... ^^ Bacioni!

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Capitolo 5
*** Watashi Wa Asuka Momoko Desu ***


Capitolo 5
Watashi Wa Asuka Momoko Desu

(Quello scritto tra gli ** è inglese, i flashback sono scritti con l’allineamento a destra)

Asuka Momoko: questo è il nome della ragazza seduta all’ombra di un ciliegio in fiore, con le gambe raccolte al petto e il mento appoggiato sulle ginocchia.
Gli occhi verdi erano fissi al cielo, apparentemente concentrati su una nuvola bianchissima che sguazzava felice nel cielo... in realtà non la guardava veramente, stava pensando al suo passato, a pochi mesi prima.
-Onee-sama!- d’improvviso si sentì tirare uno dei codini biondi e si voltò verso colui che l’aveva chiamata.
-Hi!- esclamò notando il bambino che la guardava insistentemente.
-Yo!- rispose lui, alzando la mano a mo’ di saluto.
-Hem... onee-sama, mi aiuteresti a prendere il pallone?- il piccolo dito del bambino indicò in alto, in un ramo basso del ciliegio.
-Oh, certo!- esclamò lei, allungando le gambe prima di alzarsi. Con slancio si tirò su e si allungò per prendere il pallone... con le lunghe dita affusolate lo smosse finché non rotolò verso i boccioli in fiore e cadde giù, portandosi dietro una cascata di petali rosa, i quali finirono tutti addosso a Momoko.
-Una pioggia di petali!- esclamò ammaliato il bambino, prendendo tra le braccia la palla.
-Accidenti!- esclamò scrollandosi i petali.
-Arigatou! Arigatou gozaimasu!- il piccolo corse via, facendo ampi gesti con il braccio per salutare la sua nuova onee-sama, facendola ridere per la spensieratezza che dimostrava facendo in quel modo.
Senza pensarci due volte si rimise seduta sul manto erboso morbido e si lasciò andare indietro con la schiena fino ad appoggiarla sul tronco dell’albero...
-Gommenasai...- sussurrò pensando a tutti i fiori che erano stati rovinati dal pallone.
Si portò le mani dietro la nuca, allungò le belle gambe e le incrociò, prima di chiudere i due occhi scintillanti. A cullarla in quella sua pace interiore fu il vento leggero che le accarezzava il viso.
E fu proprio il vento a farle tornare in mente quel giorno di dicembre, solo qualche mese prima.


*Momoko! Vieni qui per favore!* aveva esclamato sua madre, seduta vicino al caminetto.
*Arrivo!* aveva risposto, mettendo al centro della tavola un vassoio di biscottini al cioccolato, molto profumati.
*Momoko, io e papà dovremmo darti una notizia...* la donna si voltò verso il marito e sorrise amaramente, prima di tornare ad incrociare gli occhi della quindicenne.
-Senti Momoko... noi...-
*Perché parli in giapponese?!* domandò perplessa. Quando suo padre parlava la sua lingua d’origine non era mai un buon segno, lo aveva sperimentato suo malgrado molte volte!
-Perché è questa la lingua che sentirai parlare da qui in avanti...- rispose la madre.
*Non capisco...* esclamò stringendo i pugni.
*Dicevo, è questa la lingua...*
*No, quello l’ho capito... ma non capisco dove vogliate arrivare...* gracchiò alzando la voce.
-Vedi amore... papà ha avuto una qualifica al lavoro e deve trasferirsi a Misora, in uno degli uffici principali.- la ragazza aprì la bocca per dire qualcosa, ma le parole non le uscirono. In compenso furono le lacrime che sgorgarono senza riuscire a fermarla.
-Momo-chan...- il signor Asuka si alzò per abbracciarla, ma la figlia si voltò e scappò fuori, gli occhi pieni di lacrime e incapace di poterle fermare.
“Perché? Perché?” si domandò correndo verso casa della sua migliore amica Beth. Con solo un paio di case a dividerla dall’amica, non fu lunga la corsa, ma sentiva i muscoli doloranti e il fiato corto.
*Momo?* domandò Beth, in giardino con il suo cane.
*Beth! Beth!* urlò buttandosi tra le braccia dell’amica, senza riuscire a dire altro.
*Che succede?* domandò allarmata, sentendo le lacrime calde della bionda.
*Beth... mi devo... trasferire!* riuscì a dire, stringendosi di più. Il vento soffiò così forte da farle tremare entrambe.
*Entriamo a casa... parliamone!* con forza Beth la trascinò dentro casa, portandosi dietro il cane; la fece sedere sul divano rosso e le accarezzò la testa, guardandola preoccupata.
*Momoko? Beth? Perché è così sconvolta?* domandò la madre della ragazza americana, sentendo i singhiozzi rumorosi.
*Non ho ben capito! Potresti preparare del thé? Momo perché sei uscita senza giacca? Non è caldo!* la rimbeccò Beth, accarezzando il volto bagnato della bionda.
Per un po’ ci fu il silenzio più assoluto, finché, come una bomba, la ragazza dai capelli del colore del grano non scoppiò a piangere rumorosamente, proprio come una bambina piccola.
*Calmati!* esclamò la bruna, incapace di fare qualunque cosa.
*Beth... mi trasferisco... in Giappone!* esclamò tra le lacrime e la disperazione.



Il ricordo si fece scottante, gli occhi le pizzicarono nonostante fossero chiusi, ma cercò di non cedere e sospirò forte. Il vento cessò di soffiare o, più probabilmente, la ragazza non si era accorta che avesse smesso. Aprì gli occhi e fu accecata dai colori così vivi e belli, con un magone all’altezza della gola e la tristezza ad avvolgerla come una coperta di ghiaccio.
Il cellulare fece un leggero sibilo, ad indicarle l’arrivo di una e-mail (in Giappone usano mandarsi le e-mail, non gli sms! ndS); lo prese dalla tasca e lesse la riga scritta in inglese, senza poter fare a meno di sorridere.
“Ancora un’ora di pace!” pensò rimettendosi il telefonino in tasca, e tornando ai suoi pensieri, i quali corsero alla vigilia di Natale.

*Muoviti Momo! Sei troppo lenta!*
*Anche tu saresti lenta, se avessi una benda negli occhi! Non capisco perché non voglia farmi vedere dove abita tua cugina!* sbuffò la bionda, tenendosi stretta al braccio della sua amica.
Senza aggiungere altro, Beth aprì la porta in vetro e spinse senza troppa delicatezza Momoko, la quale per poco non cadde.
*HEY!* urlò togliendosi la benda con vigore; ma non vide nulla, era tutto buio.
*Beth?!* chiese allungando le braccia.
Silenzio.
*Dai...*
Niente.
*Beeeeth!!!*
E proprio quando ebbe finito di esclamare il nome, un paio di scoppi la fecero sobbalzare e la luce si riaccese, mostrando la sala di un locale tutto addobbato, i tavoli stracolmi di cibo e tutti i suoi amici con le stelle filanti in mano.
*ARIGATOU MOMO!!!* urlarono tutti, improvvisando un giapponese dall’accento strano. La bionda non poté fare a meno di ridere... ridere e piangere allo stesso tempo.
-Douitashimashite!- rispose asciugandosi gli occhi con la manica del giacchetto. Beth la abbracciò di slancio e scoppiò a piangere come tutte le altre ragazze.
*Basta piangere! Divertiamoci, ok?!* si intromise Dave, uno degli amici di Momoko, sorridendo brillantemente.
*Ha... ha ragione... Dave! Balliamo!* sussurrò Momoko, prendendo le mani di Beth tra le sue e cominciando a muoversi a tempo di musica, ancheggiando velocemente e quasi comicamente.
*Vai così Momo!* le urlò qualcuno, vedendola scatenata. Dopo poco partì un assolo della chitarra e la ragazza si inginocchiò a terra per fare l’air-guitarist con tanto di smorfia per la concentrazione. Tutti risero allegramente, sia perché la bionda era una spasso, ma soprattutto perché non volevano più vederla piangere.



Dopo questo ricordo tornò al presente, si lasciò scivolare una lacrima, prima di prendere il controllo.
“Che sete!” si toccò la gola e decise di alzarsi per prendere da bere ad un distributore automatico vicino ai bagni e alle panchine.
-Onee-sama! Vuoi giocare con noi?- il bambino di prima la notò dirigersi della sua parte.
-Ok, prendo da bere e arrivo!- le piaceva il calcio, se la cavava bene e adorava i bambini, perciò accettò di buon grado.
Comprò una lattina e la bevve velocemente, ingozzandosi della bibita con foga per dissetare la sua gola secca e si unì ai tre bambini felici.

Si divertì molto in quella ventina di minuti urlando, calciando e ridendo, quei bambini non facevano altro che fare fallo e azzuffarsi per un nonnulla perciò un paio di volte dovette usare il pugno sulla testa per farli calmare. Purtroppo per loro era arrivato il momento di andare, così la bionda si accasciò su una panchina all’ombra e sorseggiò la seconda lattina che aveva preso, notando solo allora che la marca della bibita era uguale a quella che le avevano dato in aereo quando era partita alla volta del Giappone.

L’aeroporto era gremito di gente quel 2 gennaio, soprattutto spiccava un gruppo di ragazzi rumorosi che non facevano altro che singhiozzare e gridare saluti in direzione di una ragazza dai capelli dorati che non la smetteva di voltarsi e salutare con la mano, prima di doversi imbarcare.
“Sayonara...” pensò, correndo quasi.

L’aereo era quasi del tutto pieno, Momoko si trovava proprio infondo, vicina al finestrino.
*Ciao!* sentì dire da qualcuno, probabilmente il suo vicino di sedile.
*Ciao!* rispose fissando la pista di partenza/atterraggio.
*Senti... hem... questa è la prima volta che voli?* domandò preoccupato.
*No, perché?* la ragazza si voltò e vide che a parlare era un ragazzo della sua stessa età più o meno, con dei tratti tipicamente giapponesi e con altri che ricordavano quelli occidentali.
*Ah, per fortuna! L’altra volta che sono tornato a casa di mia nonna avevo una signora che è stata in tensione per tutto il viaggio... sapessi che ansia!*
*Posso immaginare! Anche io una volta ho avuto un’esperienza simile! Che angoscia...* al ricordo della vecchietta che non faceva altro che gufare la caduta dell’aereo, si mise a ridere.
*Sono così buffo?* chiese il ragazzo.
*No, no... ripensavo ad una signora anziana un po’ troppo ansiogena!* rispose senza riuscire a smettere di ridacchiare.
*Oh, beh... peccato non ci fossi stato per divertirmi come ti sei divertita tu!*
*Adesso rido, ma allora mi veniva da piangere!* rispose lei, sorridendo.
*Preghiamo i signori passeggeri di allacciarsi le cinture di sicurezza* l’imminente partenza stava per arrivare e i due ragazzi eseguirono la richiesta velocemente.
*Non mi sono ancora presentato! Mi chiamo Sakuragi Takumi!*
*Io sono Asuka Momoko! Piacere di conoscerti...* si strinsero la mano e dopo poco sentirono l’aereo che cominciava il suo decollo.
*Come mai vai a casa? È tardi per le vacanze invernali!!*
*No, mi trasferisco per colpa del lavoro di mio padre...* rispose lei a mezza voce, storcendo la bocca.
*Come ti capisco! Anche io mi devo trasferire, per giunta in una cittadina sconosciuta! Misora... ma chi l’ha mai sentita nominare?!*
*Io! Anche io mi trasferisco lì!* esclamò lei, voltandosi di scatto verso di lui, presa in contropiede da tutte queste somiglianze.
*Davvero?*
*WOW!!!* gridò lei, saltellando sul seggiolino.
*Ho anche trovato un’amica! Per giunta molto carina, che fortuna!* esclamò Takumi contento.
*C-c-carina?!* sussurrò appena la bionda, imbarazzandosi.
*Come?*
*N-nulla! Piuttosto, dove andrai alle medie?*
Cominciarono a parlare di tutto e di più mentre sorvolavano mezzo mondo, ridendo, scherzando e spesso facendosi rimproverare per l’eccessiva confusione... ma ciò che sicuramente li prese di più fu la musica!
*Suoni la chitarra?! Accidenti, che bello! Io suono il basso!!!* esclamò Takumi, felicissimo.
*Sì, non ci posso credere! Io sono una grande fan dell’indie rock (nel rock indipendente soprattutto si usa la chitarra acustica. ndS), sono andata a vedere un sacco di gruppi nella mia zona!*
*Adoro l’indie rock! Perché non facciamo una band una volta arrivati a Misora?! Come minimo lì nemmeno sanno cosa sia l’indie!* scherzò il ragazzo, sorridendo sempre di più.
*Ok, perché no?! Porteremo un po’ di America in quella città!* rispose lei, ricambiando il sorriso.



-Momo-chan!! Hey, Momo-chan... svegliati! Solo tu puoi addormentarti su una panchina in un parco!-
Momoko si stropicciò gli occhi e sbadigliò sonoramente, prima di fissare Takumi come se lo vedesse per la prima volta.
*Ti sei abituato a parlare giapponese?* domandò sorridendo.
*Un po’! Comunque dobbiamo muoverci! Ti devo presentare la batterista e il cantante che ho trovato!* senza pensarci due volte la prese per un polso e la fece alzare, cominciando a correre.
*Aspetta! Aspetta!* esclamò lei, sentendosi tutti i muscoli indolenziti.
*Hum?!* si voltò e la vide stiracchiarsi.
Lentamente si avvicinò alla ragazza e le tolse qualcosa dai capelli.
*Che c’è?* chiese lei, fissando gli occhi grigi del ragazzo.
-Un petalo di ciliegio...- sussurrò tenendolo tra le dita.
*Sakuragi... Sakura... che coincidenza strana!* esclamò lei, sorridendo.
*Su, andiamo!* la prese di nuovo per il polso e la trascinò via.
Momoko non riuscì a non pensare a quel petalo.
Che assurde coincidenze aveva con quel ragazzo un po' troppo strambo.

Fine Quinto Capitolo

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