Pioggia

di Happy_Pumpkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sulla guerra, la morte e la fuga... ***
Capitolo 2: *** Sull'arrivo, sugli amici, sui nemici... ***
Capitolo 3: *** Sulle capacità, sulle esitazioni e sul trasmettere... ***
Capitolo 4: *** Sul sangue, sull'uccidere e sull'amare... ***
Capitolo 5: *** Sull'indifferenza, sulla delusione, sulle minacce... ***
Capitolo 6: *** Sullo svoltare, sul contemplare, sull'essere Dio... ***
Capitolo 7: *** Sull'ingannare, sulla crescita, sullo sfiorare... ***



Capitolo 1
*** Sulla guerra, la morte e la fuga... ***


Pioggia1

PIOGGIA


I
Sulla guerra, la morte e la fuga...



Oggi


Pain correva fissando la strada davanti a sé mentre le gocce d'acqua per colpa della velocità non facevano in tempo a posarsi sulla sua pelle, venendo così spinte via dalla forza dell'aria.
Aveva un unico pensiero fisso in mente, il resto ormai non contava; c'erano più soltanto lui e la pioggia, come sempre d'altra parte: ogni volta che accadeva qualcosa di brutto la chiamava.


Anni prima...

Yahiko aveva la faccia inconsapevolmente imbronciata e guardava Jiraiya con la speciale attenzione che si riservava a quelle persone da cui si spera di carpire i segreti della vita.
Tenendo gli occhi spalancati per non perdersi nemmeno un movimento delle mani fissava il suo maestro eseguire un jutsu; stavano tutti e due con le gambe incrociate, seduti sul terreno brullo della piccola distesa di terra davanti alla casetta nella quale da un po' di tempo convivevano insieme.
Il giovane allievo ammirava Jiraiya, perché sapeva tantissime cose sui ninja e poi perché aveva aiutato tutti loro: lui, Nagato e Konan, tre orfani senza possibilità di sopravvivere.
Ogni tanto la sera, quando gli altri dormivano nei rispettivi futon, Yahiko tirava fuori le proprie mani dalla coltre di coperte per fissarle con intensità; quelle mani un tempo tenute strette dai propri genitori, un tempo coccolate, baciate, ora diventate nient'altro che un mezzo per cercare di proteggere quel poco rimastogli.
Una stella in confronto alla galassia che aveva prima ma pur sempre una stella che, in un modo o nell'altro, lo avrebbe guidato.
Quel giorno Jiraiya evocò un vortice che, partendo dal terreno, scompigliò allegramente i capelli a Yahiko il quale sollevò lo sguardo al cielo spalancando la bocca per poi scoppiare a ridere, andando incontro al vento che trascinava con sé le foglie secche degli alberi facendole roteare.
Sorridendo a sua volta, appoggiandosi con le mani sull'erba, Jiraiya guardò il suo allievo correre verso l'enorme prato ingiallito, inseguendo e venendo inseguito dalle foglie, mentre Konan in lontananza si limitava ad ammirare lo spettacolo per poi venire improvvisamente trascinata dall'amico, così che i lunghi capelli neri furono scossi dalla forza dell'aria.
Si divertivano con quella spontaneità che da adulti inevitabilmente si perdeva; era un percorso come tanti altri quello della crescita che però, più di ogni altra cosa, Jiraiya rimpiangeva perché troppe volte le guerre, le morti, la paura lo acceleravano facendo perdere tutto il fascino dello scoprire, giorno per giorno, di essere maturati.
Quei bambini infatti si erano svegliati in un colpo solo già uomini.
“Maestro... se ne andrà anche lei?”
Jiraiya si voltò guardando sorpreso Nagato, un ragazzino pallido, più timido ed insicuro rispetto a Yahiko, ma dai modi sempre gentili.
Il ninja della foglia scoppiò a ridere:
“Avanti, adesso non pensare a queste cose! Ti preoccupi troppo!”
“Mi risponda.” insistette quasi come se fosse una supplica.
Jiraiya sospirò: “Un giorno dovrò pur fare ritorno a casa.”
Nagato non disse nulla, limitandosi silenzioso a sederglisi accanto accovacciato, nascondendo il mento tra le gambe accoccolate contro il petto.
“Capisco.” rispose infine.
Tra i due cadde il silenzio così si limitarono per qualche istante a restare immobili, accompagnati dal frusciare del vento e dall'eco delle risate di Yahiko che correva spensierato.
“Non sei solo, Nagato.”
Furono le sue parole ad averlo fatto andare avanti in quei mesi, spingendolo a scappare di fronte agli orrori della guerra e dei massacri che, con spietata indifferenza, gli avevano reso difficile addormentarsi la sera.
Guardava i suoi amici scherzare pensando però, 
una volta che Jiraiya li avesse lasciati, a cosa ne sarebbe stato di loro e del fragile equilibrio che faticosamente avevano cercato di ricomporre; in fondo erano solo dei bambini, gettati brutalmente in un mondo che li aveva già privati di quel poco che avevano.
Nagato sospirò, gli occhi tristi coperti dai capelli neri, finché con una risata Jiraiya non gli spettinò la testa commentando allegro:
“Credo che dovremmo tornare a casa. Quest'oggi abbiamo fatto anche troppo!”
Il ragazzino accennò ad un sorriso debole per poi alzarsi lentamente in piedi, osservando, con la schiena un po' incurvata, Jiraiya sbracciarsi per chiamare Yahiko che corse loro incontro, mentre Konan camminava pensosa con un fiore in mano, sfiorandone i petali di un bel bianco candido.
Tutti insieme camminarono per la strada sterrata, spintonandosi a vicenda oppure ridendo, anche se Nagato dentro di sé si sentiva male chiedendosi come facesse Yahiko, nonostante sapesse che ben presto sarebbero stati abbandonati ancora, a ridere e trovare comunque il modo di essere felice.
Perché lui non era in grado di fare lo stesso?

La sera i quattro erano riuniti attorno al basso tavolino quadrato e Jiraiya, con le gambe incrociate, si toglieva poco finemente i residui di riso rimasti incastrati tra i denti, contraendo la bocca in un ghigno che faceva ogni volta scoppiare a ridere Yahiko.
Konan invece era elegantemente seduta con la schiena appoggiata al muro, il fiore da lei raccolto custodito in una tazza, ma che malgrado le sue attenzioni già perdeva i primi petali, nel frattempo Nagato raccoglieva pacato le ciotole, tirandosi su di tanto in tanto le larghe maniche che gli coprivano le mani magre; a volte inspirava profondamente come per cercare di catturare quell'odore di cibo e di famiglia prima che, aprendo la porta, scomparisse per sempre.
Improvissamente Yahiko, intento ad affilare un kunai rimediato per strada in uno dei tanti conflitti presso il villaggio, alzò la testa guardandosi un istante attorno per poi notare:
“Non abbiamo preso l'acqua... maestro, che facciamo? Io la recupererei ora.”
Jiriaya si passò la lingua tra i denti per poi scrutare fuori dalla piccola finestra:
“Mmm... si sta facendo buio. È meglio che vada domani mattina, uscire adesso è troppo pericoloso.”
Ma Yahiko si era già alzato in piedi: “Non preoccuparti! Andremo io e Nagato insieme alla fonte! Vedrai, faremo in un attimo...”
Aprì la porta e trascinò per un lembo della maglia anche Nagato che, suo malgrado, accantonò le scodelle così da seguire l'amico fuori casa mentre Jiraiya, sospirando, non aveva fatto in tempo a seguirli che già erano scomparsi.
I due corsero insieme lungo la strada sterrata facendo ciondolare le braccia con in mano i secchi in legno per contenere l'acqua, affianco a loro immensi prati si estendevano a perdita d'occhio venendo a malapena illuminati dai raggi lunari.
Finché, dopo qualche metro di corsa, non arrivarono presso la fontana dalla quale sgorgava un fiotto d'acqua proveniente da una spaccatura in pendenza del terreno, così da bagnare parte del suolo roccioso.
Yahiko fischiettando prese il suo secchio portandolo sotto il getto, scrutato dagli occhi attenti di Nagato che inquieto si guardava attorno, comportamento che però venne notato dall'amico il quale per contro improvvisamente scoppiò a ridere replicando:
“Avanti, non c'è nessuno qui.”
Ma Nagato si rabbuiò chinando la testa, così che il lisci capelli scuri andarono a coprirgli parte del volto mentre le sue labbra si mossero appena per osservare:
“Come fai a dirlo? Come fai a credere che a causa della guerra stasera non moriremo?”
Quel sussurro carico di dolore si perse attraverso il paesaggio notturno ma fu così forte nella sua debolezza da colpire in pieno Yahiko che appoggiò a terra il suo recipiente ormai pieno per poi rispondere, sedendosi su una pietra con le mani incrociate:
“Non lo dico. Lo spero semplicemente, purtroppo non posso fare molto altro.”
Nagato sollevò lo sguardo fissando un po' stupito il compagno di avventure, accennando ad un debole sorriso, infine si scostò un ciuffo di capelli da davanti gli occhi dicendo:
“Hai ragione, scusami.”
Senza aggiungere altro si mise all'opera in modo da riempire il proprio secchio, così che lo scrosciare dell'acqua sul solido legno venne accompagnato dai fruscii degli alberi.
Improvvisamente Yahiko, anziché rispondere, si alzò in piedi di scatto e afferrò il manico del catino esclamando allegro:
“Avanti, sbrigati a riempire quel coso! Facciamo a chi arriva prima ma è vietato perdere acqua oppure... penitenza!”
Senza aspettare oltre il ragazzino prese a correre ridendo e quando Nagato borbottò qualcosa, affannandosi a riempire fino all'orlo il secchio, per tutta risposta ricevette una bella linguaccia.
Dopo qualche secondo, non trattenendo un sorriso, il ragazzo dai capelli neri corse a passo un po' incerto cercando di non far rovesciare il contenuto del suo prezioso trasporto, finché non intravide lungo la strada l'ombra di Yahiko.
Lo chiamò ma si stupì notando che l'amico aveva iniziato ad indietreggiare dopo aver lasciato cadere il secchio, la cui acqua si sparse rovinosamente sul terreno, per poi voltarsi così che Nagato se lo vide venire incontro gridando:
“Corri! Due ninja...”
Non disse nient'altro affiancandosi al compagno, lo prese per il polso trascinandolo con sé nella loro fuga disperata in direzione opposta rispetto alla casa dove li attendevano Jiraiya e Konan.
Nagato si voltò un istante, giusto in tempo per vedere due uomini inseguirli senza esitazione, allora guardò l'amico il quale si limitò a dire:
“Siamo sprovvisti di armi, dovremo provare a difenderci con qualche sasso se...”
Se venivano raggiunti?
Nagato non disse nulla, limitandosi ad annuire: si sentiva stranamente fiducioso solo perché avvertiva sulla propria pelle la presa salda di Yahiko, consapevole quindi che non sarebbe mai stato abbandonato avendo il proprio migliore amico al suo fianco.
Avrebbe accettato anche la morte in quel caso, la quale non gli faceva più così paura come ai primi tempi visto che era diventata una sorta di silenziosa presenza che, di tanto in tanto, si limitava a fare la sua comparsa.
Improvvisamente però, dopo qualche passo, Yahiko venne colpito da uno shuriken lanciato da uno degli inseguitori; l'arma lo ferì al braccio costringendolo a portarsi una mano al punto ferito per cercare malamente di tamponare l'uscita del sangue.
“Maledizione!” esclamò stringendo i denti.
Nagato sbarrò gli occhi impallidendo ma, avvertendo il sibilo provocato dallo spostamento d'aria, riuscì a sentire arrivare la successiva arma così da schivarla spingendo di lato anche Yahiko.
I due ninja si arrestarono trovandosi di fronte a quei ragazzini all'apparenza indifesi e, senza alcun rimorso, estrassero i kunai mentre uno di loro esclamò:
“Finitela di fuggire! Siete solo degli sporchi nemici, meritate di marcire come tutti gli altri.”
Nagato non ebbe il lusso di pensare, si limitò semplicemente ad agire per proteggere sé stesso e soprattutto il suo migliore amico da quell'insana cattiveria, da quella smania di far soffrire gli altri solo perché si trattava di una possibilità così a portata di mano.
Si parò davanti a Yahiko gridando quasi con disperata rabbia:
“Morite!”
Lo disse in un modo talmente intenso e carico d'odio che la sua voce riecheggiò per la valle, disperdendosi nel cielo scuro che quella notte li scrutava.
Per qualche istante nessuno si mosse finché i due ninja, sbarrando gli occhi terrorizzati, non si portarono una mano alla gola; cercarono di respirare ma fu tutto inutile perché pochi secondi dopo entrambi gli uomini, morti, caddero a terra in un tonfo cupo.
Con il cuore che pulsava a mille, la respirazione accelerata e il corpo sudato i due ragazzini guardarono spaventati quei corpi privi di vita, come temendo che all'improvviso potessero rialzarsi e colpirli.
Yahiko si voltò a fissare Nagato che ancora non si era mosso, per poi accennare faticando a far uscire la voce:
“Li... hai uccisi.”
Nagato si girò di scatto verso di lui e avvicinò istintivamente le dita agli occhi così da sfiorare le ciglia scure, mentre un labbro gli tremava a causa dell'insieme di sentimenti che si rimestavano nello stomaco.
Aveva appena tolto la vita a qualcuno: era stato come strapparsi via un pezzo di sé per poi lanciarlo in un baratro la cui fine era sconosciuta; si sentiva ancora sconvolto, vittima di un jutsu troppo potente per potersene liberare.
Deglutì e si portò lentamente le mani lungo i fianchi, infine osservò appoggiandosi alla nuda razionalità: “O noi, o loro.”
Yahiko fissò quegli occhi con intensità e fu quella sera, in quel preciso momento, che si accorse del potere insito in cornee così diverse dal normale, dipinte da tanti cerchi concentrici che sembravano voler essere nient'altro che un inspiegabile gioco di prestigio chiamato morte.
“Cos'è successo?”
I due si voltarono all'improvviso e videro davanti a loro la figura di Jiraiya, accompagnato da Konan che silenziosa guardò immediatamente Nagato il quale fissava senza parlare il suo maestro.
Yahiko avanzò di qualche passo spiegando, con un vano tentativo di non far tremare la voce:
“Ci hanno attaccati e noi abbiamo agito di conseguenza.”
Jiraiya però sembrò non ascoltare le sue parole e, dopo aver tastato il collo di entrambi i ninja stesi a terra, si avvicinò a Nagato scrutandolo un istante per poi notare preoccupato:
“Hai usato il rinnegan.”
Il ragazzino sbatté appena le palpebre rispondendo infine: “Sì ma io non volevo... - si arrestò ripensandoci – no, io in realtà volevo davvero ucciderli. Se uomini del genere non esistessero e morissero tutti il mondo sarebbe migliore.”
Un pesante silenzio seguì quell'affermazione così dura.
Il maestro si limitò a sospirare, raccogliendo i secchi ormai vuoti, in seguito avanzò verso la via del ritorno commentando:
“Andiamo a casa. Credo che dovrò riguardare molti miei progetti e curare quella brutta ferita al braccio di Yahiko.”
In fretta Nagato si passò un dito sugli occhi come per scongiurare la presenza di un'eventuale lacrima che, per l'emozione, minasse quella freddezza apatica che era riuscito a mostrare, infine seguì il maestro con al suo fianco Yahiko da un lato e Konan dall'altro.
Quest'ultima disse semplicemente, scuotendo appena la testa:
“Siete stati due stupidi.”
Nessuno dei due stupidi in questione ebbe nulla da obiettare a quella veritiera affermazione così, silenziosi, giunsero di fronte a casa dove Jiraiya si era arrestato, precludendo l'accesso alla porta chiusa.
Il ninja della foglia li guardò con le braccia incrociate e una leggera smorfia sulla bocca, poco dopo roteò gli occhi commentando stanco:
“Non dovete più fare una cosa simile.”
Il mondo era pericoloso e si sarebbe divorato senza troppi problemi quei tre ragazzini inesperti, anche se probabilmente il vero pericolo era la sconcertante abilità posseduta da Nagato: un'arma a doppio taglio che doveva venire maneggiata con cura.
Ma chi, si era chiesto Jiraiya, avrebbe potuto insegnarlo a quel ragazzo?
Si grattò il mento socchiudendo un istante le palpebre per poi inspirare profondamente e annunciare:
“Avrei una proposta da farvi.”
I tre si scambiarono un'occhiata perplessa finché Yahiko non chiese spalancando gli occhi:
“Quale?”
Quella sera vedere sul ciglio di una strada due ninja all'apparenza forti uccisi da un bambino inesperto aveva portato l'eremita dei rospi a prendere una decisione drastica.
Jiraiya si tirò su il lembo dei pantaloni sedendosi sul gradino di casa per poi proporre, scrutando attentamente le espressioni di ognuno:
“Verreste con me a Konoha?”
Contro ogni sua previsione quella semplice domanda avrebbe cambiato per sempre la vita a Jiraiya il quale, seppur indirettamente, si sarebbe preso cura di quei ragazzini orfani cogliendo allo stesso tempo l'occasione di tener d'occhio il rinnegan, controllando che con l'età Nagato non perdesse il controllo di quel micidiale strumento di morte i cui effetti però, per quanto sicuramente potenti, erano ancora sconosciuti.
Portare dei marmocchi al villaggio avrebbe sicuramente significato ulteriori guai, per non parlare delle proteste velenose di Orochimaru che gli avrebbero fatto rimpiangere a vita la sua scelta; non importava, in fondo il suo compagno di squadra volente o nolente si sarebbe dovuto ben presto abituare alla presenza dei tre ragazzini.
Alla fine vedere le espressioni stupite e al limite della felicità dei suoi allievi tolse all'abitante di Konoha ogni
sorta di dubbio, portandolo a convincersi di star facendo la scelta giusta: d'altronde se un ninja non serviva a proteggere gli altri avrebbe smesso di essere uomo, riducendosi al mero ruolo di macchina da guerra.
Fu così che quella notte Jiraiya aveva salvato qualcuno.



Sproloqui di una zucca

Eccomi ritornare, dopo un po' di muta assenza su questo fandom, con una nuova fiction.
Questa volta non yaoi come le precedenti, bensì molto a più ampio respiro nonché ricca di tanti personaggi da trattare.
Ebbene sì, i veri protagonisti saranno proprio Nagato, Yahiko e Konan che interagiranno con le vicende degli altri, tutti a
modo loro importanti.
Ho sistemato la cronologia degli eventi per adattarla alla storia, dunque potrebbero esserci eventuali incongruenze, quali ad esempio l'età di Minato e Kushina che li ho resi grossomodo contemporanei dei tre ninja della pioggia.
Preparatevi a tanti bei capitoli, il racconto si prospetta essere più lungo di quelli che ho scritto fino ad adesso... per quanto riguarda Naruto, Sasuke e compagnia bella non riuscirete a vederli per un bel po' ^^


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Capitolo 2
*** Sull'arrivo, sugli amici, sui nemici... ***




II
Sull'arrivo, sugli amici, sui nemici...




I preparativi per la partenza furono piuttosto agitati; Yahiko non riusciva ad appallottolare nel suo sacco di tela i pochi vestiti che possedeva mentre Nagato controllava le stanze della minuscola casa in cerca di eventuali oggetti dimenticati.

Divertito Jiraiya li guardava dalla soglia della porta, facendo ondeggiare nella bocca ghignante una spiga di grano, infine si voltò scrutando il cielo nuvolo della prima mattinata.
“Avanti ragazzi, diamoci una mossa! Non voglio arrivare di notte al Villaggio!”
“Arriviamo!” esclamò Yahiko correndogli incontro con sottobraccio una serie indefinita di cose che non era ancora riuscito a incastrare nel compatto bagaglio.
Nagato uscì da quelle pareti dando un'ultima occhiata alla casa che per anni era stata il loro rifugio, sentendo però di non riuscire a rimpiangere nulla del passato: loro tre, ancora una volta insieme, stavano dirigendosi verso un futuro migliore.
Così l'uno affianco all'altro intrapresero il cammino che li avrebbe portati fino a Konoha, fermandosi di tanto in tanto lungo le locande per riposare ed informarsi sulla guerra che ormai sembrava giunta prossima alla fine. La gente che aveva sofferto era tanta ma stancamente, nonostante le perdite, proseguiva nel difficile percorso della vita, o almeno quello che ne rimaneva; Nagato stesso, guardando Jiriaya camminare davanti a sé con quel passo scanzonato, sperò a sua volta di potersi dimenticare di tutto ciò che era successo, oppure anche solo accantonarlo in un angolo dove non potesse più fargli male.
Yahiko ben presto si portò di fianco a Jiraiya per chiedergli allegro:
“Maestro, com'è Konoha?”
Silenziosi oltre che curiosi si avvicinarono anche Nagato e Konan, dopo essersi lanciati un'occhiata complice. Jiraiya per qualche istante ci pensò, mentre attorno a loro la campagna si movimentava di allodole che spiccavano il volo dai campi aridi nonostante il blando tentativo di essere curati dai pochi contadini superstiti, chini sulle zolle riarse con la schiena spezzata.
“Beh, tanto per cominciare è verde.”
Si guardò attorno scoppiando a ridere, imitato da Yahiko che commentò:
“Allora ci saranno tanti prati su cui rotolarsi ed esercitarsi!”
Konan si portò un dito alla bocca, accennando:
“Però, maestro ci devono essere altri aggettivi con cui descrivere il paese...”
Jiraiya fece una smorfia arricciando il naso per poi lasciarsi andare ad un sorriso sincero, pieno di grande affetto nei confronti del Villaggio a cui era così legato.
“Credetemi è un bel luogo nel quale stare. Certo, ha i suoi problemi e a causa della guerra parecchi di noi hanno perso qualcosa o qualcuno, però nel complesso direi che ci troviamo tutti bene. E non vedo l'ora di farvi conoscere dei ragazzini che hanno all'incirca la vostra età!”
“Davvero ci sono altri bambini?!” esclamò sorpreso Yahiko che guardò i suoi amici come per ricevere conferma di aver capito bene.
Il ninja della foglia sospirò, scrutando un istante quegli occhi sorpresi per un motivo all'apparenza assurdo ma quanto mai reale: la guerra portava via chiunque, bambini compresi.
“Certo. Sono sicuro che conoscerete tante persone nuove.”
Camminarono per un po' in silenzio finché Nagato non chiese, guardando il terreno sotto ai suoi piedi:
“E se non gli piacessimo? Se tutti ci odiassero?”
Konan gli rivolse un'occhiata sofferente, come se l'amico avesse appena toccato una ferita che tentava lentamente di rimarginarsi. Yahiko si morse un labbro ma Jiraiya si affrettò a dire, scuotendo la testa e dando una pacca amichevole al ragazzino dai capelli scuri:
“Quanti dilemmi! Avanti, vedrete che andrà tutto bene. ”
Sì, adesso andrà tutto bene.

Dopo ore di cammino, attraversando immense vallate e passaggi montani, arrivarono alle porte di Konoha verso il tardo pomeriggio così che il cielo aveva assunto tenue sfumature rosate, accompagnate da qualche nuvola passeggera intenzionata a fuggire oltre le colline lontane.
Quando si arrestarono davanti all'enorme portone spalancato Jiriaya incrociò le braccia dicendo con soddisfazione:
“Siamo arrivati a Konoha.”
Facendo finta di nulla sbirciò le reazioni dei suoi allievi, sorrise nel constatare che tutti e tre erano rimasti senza parole a guardare con gli occhi sgranati le immense porte aperte davanti a loro, come un genitore che accoglie il proprio figlio al ritorno da un lungo viaggio.
“E' bellissimo...” commentò Yahiko senza avere altre parole da aggiungere.
“Aspetta di vedere la parete degli Hokage allora!”
Jiraiya li invitò con un cenno della mano ad oltrepassare la soglia, dopo aver salutato le guardie poste sulle torrette affianco all'entrata, e afferrò Yahiko per un braccio, così da bloccarlo mentre era intento a girarsi su sé stesso per non perdere nulla di ciò che stava vedendo, indicandogli una serie di volti scolpiti nella pietra.
“Queste – disse quasi solenne – sono le persone che si occupano di tutti gli abitanti del villaggio, quindi si prenderanno cura anche di voi.”
Konan sorrise e guardò con una certa dolcezza i suoi amici: si sentiva finalmente tranquilla nel vederli sereni, come se all'improvviso fossero riusciti a togliersi il peso che si trascinavano dietro da quando erano rimasti orfani. Non era una cosa da sottovalutare poter riuscire a dire la parola casa senza rievocare solo brutti ricordi ma con la consapevolezza che, finalmente, non sarebbero più stati abbandonati.
Improvvisamente un ragazzino percorse a grandi falcate l'ampio spiazzo su cui sostavano, andando incontro a Jiraiya con il fiatone. Si fermò un istante davanti a lui, appoggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato, infine esclamò:
“Allora sei tornato!”
Jiraiya scrutò perplesso i capelli biondi e gli occhi azzurri del bambino, massaggiandosi il mento e chiese:
“Ma tu chi sei?”
Per un istante il sorriso entusiasta del ragazzino si spense, lasciando il posto ad un'aperta delusione, almeno finché non inarcò un sopracciglio commentando:
“Viaggiare ti fa male, maestro, l'ho sempre detto!”
I due scoppiarono improvvisamente a ridere, non riuscendo più a portare avanti la mirabile farsa, di conseguenza vennero guardati con una certa perplessità da parte degli altri presenti.
Il ninja appoggiò una mano sulla spalla del suo giovane interlocutore spiegando:
“Facciamo le presentazioni: lui è Minato, ha appena terminato gli esami dell'accademia ed è stato assegnato a me affinché ben presto inizi a fargli da maestro. Solo che, tra una missione e l'altra, l'addestramento è stato rimandato di qualche tempo.”
Si grattò la testa ridacchiando come per giustificarsi. Minato tese una mano davanti ai tre del gruppetto che silenziosi erano rimasti a guardare quel gesto d'amicizia spontaneo, ma Yahiko rassicurò gli altri con un'occhiata per poi afferrare a sua volta la mano dicendo:
“Piacere, mi chiamo Yahiko, loro sono Konan e Nagato.”
Entrarono a contatto con le rispettive pelli, lo sporco del viaggio, il sudore della tensione, i calli dovuti ai duri allenamenti.
“Piacere mio. Che ne direste di fare un giro al villaggio? - propose Minato con fare coinvolgente – Vero che non ci sono problemi, maestro?”
“Basta che questa sera si ritrovino puntuali davanti all'ufficio dell'Hokage. Dobbiamo parlare di diverse cose.”
“Non preoccuparti, li porto io! – si rivolse ai tre esclamando – Andiamo!”
Per qualche istante non si mossero, finché Yahiko non alzò gli occhi e incontrò quelli di Jiraiya che gli dette una spintarella, spronandolo a muoversi prima di rimanere troppo indietro. Così anche gli altri imitarono Yahiko, correndo dietro a Minato che si sbracciava per indicare loro a quale via svoltare in modo da esplorare, nel poco tempo che avevano, alcuni tra gli angoli più nascosti e suggestivi del villaggio.
Jiraya sospirò fregandosi le mani, pensando già al saké che avrebbe potuto bere presso una locanda che magari, tra un piatto di cibo e l'altro, offrisse anche un intrattenimento adatto alle sue esigenze.
“Alla fine ti sei portato dietro i marmocchi.”
Sentendo quella voce capì che le sue belle speranze si sarebbero brutalmente infrante per lasciar spazio invece alla pazienza, mirabile dote caratteriale che avrebbe dovuto sfruttare in tutte le sue molteplici sfaccettature per poter resistere ad un dialogo civile con Orochimaru.
Si voltò e vide che il compagno di squadra usciva a passo lento dall'ombra, incrociando le braccia così da guardarlo con la solita aria di superiorità  che tanto gli si adattava bene.
“Non potevo lasciarli soli, lo sai anche tu che non l'avrei mai fatto.”
“Mi chiedo perché tu non abbia fatto il babysitter anziché il ninja.” sibilò lui con velenosa ironia.
Jiraiya fece una smorfia ma si affrettò a cambiare argomento chiedendo:
“Ci sono notizie di Dan e Tsunade?”
Orochimaru lo fissò un istante con occhi scrutatori, infine alzò le spalle avanzando di qualche passo:
“No – rispose lapidario aggiungendo – anche se ciò che riguarda Tsunade e le sue missioni non è affar mio.”
Jiraiya gli si affiancò, portandosi le mani dietro la testa per dare un'occhiata al cielo che si stava dipingendo delle prime stelle, e commentò arricciando appena il naso:
“Chissà perché ma non ne dubitavo...”
I due percorsero silenziosi diversi metri mentre attorno a loro il villaggio si riempiva delle chiacchiere di fine giornata, dell'odore del cibo che iniziava ad essere preparato accompagnato da rumori di oggetti spostati e porte che si chiudevano.
Jiraiya ad un certo punto perplesso chiese:
“Ehm... dove staresti andando esattamente?”
“Dall'Hokage a fare rapporto.” Rispose con voce quasi suadente Orochimaru che fissò inespressivo Jiraiya. Quest'ultimo per diversi istanti si mostrò piuttosto seccato della solita puntigliosa efficienza del collega ma alla fine alzò le spalle, borbottando rassegnato:
“Ah beh, vorrà dire che faremo la strada insieme, anch'io devo presentare il resoconto della missione...”
Orochimaru non disse nulla, limitandosi a palesare un'espressione seccata. Però lungo la strada non trattenne un accenno di sorriso, stupendosi di quanto Jiriaya riuscisse nonostante tutto ad essere allegro: evidentemente portare con sé i mocciosi per aiutarli doveva aver riempito il suo personale metro di buone azioni, cosa che portava ogni volta Orochimaru a chiedersi perché mai fosse stato affiancato da anni ad un tizio così stupido e attaccato a valori insignificanti quali l'amore per il prossimo. Non che alla fine dei conti gli dispiacesse, sapeva che nel mondo potevano esserci elementi ben peggiori di quell'uomo dall'arruffata massa di capelli bianchi, elementi coi quali Orochimaru non avrebbe voluto avere a che fare nemmeno sotto tortura.
Dopo un istante il ninja socchiuse gli occhi e dilatò appena le narici, probabilmente fare la strada assieme a Jiraiya doveva avere qualcosa di inquietante e i pensieri tutto sommato pacifici che andava formulando ne erano la prova concreta.

Durante il giro panoramico Konan si era fermata a contemplare una serie di fiori contenuti in tanti vasi ordinatamente disposti su una serie di scaffali. Guardò con attenzione i petali di variegati colori, toccandoli appena con la punta delle dita come per paura che potessero crollare sotto ai suoi occhi, infine Nagato le si avvicinò osservandola silenzioso.
“Sono davvero belli.” commentò lei.
Nagato non disse nulla anche se dentro di sé pensava che i fiori erano di una bellezza troppo effimera affinché potesse essere davvero apprezzata senza provare il dolore della perdita; inevitabilmente quelle opere della natura erano destinate ad appassire come se un soffio di morte le avesse private del calore della terra per poter pulsare la linfa vitale.
Lo sapeva anche Konan ma forse era proprio per la loro debolezza che lei adorava i fiori, amando prendersene cura con quella distanza timida fino a che l'ultimo petalo non fosse caduto.
Nel frattempo Yahiko e Minato erano avanzati insieme, parlando spensierati delle loro rispettive vite, molte volte sorvolando su ciò che la guerra aveva comportato nelle loro esistenze. Così, inaspettatamente, Yahiko scoprì di riuscire a parlare del villaggio che avevano abbandonato, delle sue esperienze con le prime tecniche ninja, della sua vita quotidiana senza quell'angoscia che credeva sicuramente di provare. Forse sia perché si sentiva finalmente al sicuro, con la speranza di un futuro migliore per lui e i suoi amici, sia perché Minato era carismatico e coinvolgente.
Sapeva mettere a proprio agio le persone, grazie al suo modo di fare aperto ma mai invadente e al sorriso luminoso le portava infatti a parlare spontaneamente.
“Jiraiya è un bravo maestro, vero?” chiese all'improvviso Minato prendendo a calci un sassolino.
Yahiko annuì: “Sì, anche se siamo stati per poco con lui abbiamo imparato già molte delle tecniche che insegnano all'accademia. Purtroppo non siamo andati a scuola.”
Abbassò lo sguardo, corrugando la fronte contrariato.
“Beh, l'importante è recuperare! Tanto più se lo avete fatto in fretta, almeno non vi siete dovuti subire le noiose lezioni su come combinare le varie erbe mediche di base...”
Gli fece l'occhiolino divertito e insieme raggiunsero una delle poche piazze presenti a Konoha che concedeva un più ampio respiro oltre le numerose vie colme di negozi, chioschi e insegne artigianali.
Yahiko si guardò attorno a bocca aperta e contemplò gli alti edifici simili a terracotta che circondavano lo spiazzo in un intersecarsi di fili passanti da un tetto all'altro, mentre le persiane chiuse coloravano le pareti dando un tocco artistico ad ogni metro di superficie, come tracce di pennello su un disegno abbozzato.
Camminò all'indietro di qualche passo finché non si scontrò contro qualcuno, facendolo rovinosamente cadere a terra.
“Stai attento!” Esclamò una voce.
Si girò di scatto, raggiunto da Minato che nel vedere la vittima dell'incidente alzò gli occhi al cielo sospirando. Yahiko invece si affrettò a far alzare in piedi una ragazzina all'incirca della loro età, almeno a giudicare dal volto ancora infantile coronato da uno splendido insieme di capelli ramati.
Lei si spolverò il pratico vestito per poi scrollare le spalle e rispondere:
“Tutto a posto, non preoccuparti.”
“Scusa.” si limitò a rispondere Yahiko guardando distrattamente il pavimento, uno dei suoi tanti modi per non mostrare l'imbarazzo. Poi sollevò gli occhi e diede una sbirciata alla ragazzina, la cui attenzione era ora rivolta verso Minato che cercava di ostentare una certa superiorità.
“Ti senti ancora così invincibile dopo che ieri ti ho battuto?” chiese lei.
Minato arrossì e sgranò gli occhi, affrettandosi quindi a giustificarsi:
“Non è affatto vero! Hai solo avuto fortuna, Kushina, avevo appena finito gli allenamenti quindi...”
La ragazzina alzò gli occhi al cielo facendogli deliziosamente il verso, così che le guance morbide assunsero un aspetto quantomeno buffo; la sua avvenente posa logicamente ebbe solo l'effetto di provocare Minato che sbottò ancora, lasciando contorcere il viso giovane in una serie di smorfie.
Yahiko per qualche istante rimase a guardarli, tenendosi inconsapevolmente le mani al ventre per non scoppiare a ridere, finché non venne raggiunto da Nagato e Konan la quale chiese perplessa:
“Che stanno facendo?”
“Gli scemi.” rispose lui sorridendo.

Danzo attese fuori dall'ufficio dell'Hokage, tenendo una mano fermamente appoggiata alla grande balaustra in legno che si affacciava sul resto del villaggio. Quando sentì la porta aprirsi si voltò con  studiata lentezza, preparandosi ad affrontare direttamente Jiraiya: infatti gli bloccò la strada e rimase a fissarlo con il chiaro tentativo di farlo sentire in soggezione.
Il ninja leggendario lo squadrò un istante, palesando una smorfia annoiata, infine chiese con fare spensierato:
“Come va?”
Stupida frase di circostanza, lo ammetteva, ma pur essendo un prolifico ed abile scrittore con un uomo come Danzo proprio non riusciva ad articolare un discorso coinvolgente.
“Chi sono quei tre ragazzini?” chiese asciutto.
“Tre ragazzini.” rispose grattandosi il naso.
“Non fare giochini stupidi con me, Jiraiya. Hai portato con te delle persone provenienti dal Villaggio della Piogga, dei nemici. Pericolosi per la sicurezza.” mentre pronunciava le ultime parole assottigliò gli occhi in un moto di stizza.
L'Eremita dei Rospi aggrottò le sopracciglia e alzò le spalle, mostrando la sua evidente rassegnazione, infine si limitò a spiegare:
“Sono orfani vittime della guerra, i veri pericoli siamo noi. Il minimo che possiamo fare è aiutarli così da evitare che un giorno diventino nemici a loro volta.”
Danzo assottigliò le labbra ma non disse nulla, si limitò a guardare Jiraiya allontanarsi prima di entrare a sua volta dall'Hokage e tentare, per quanto probabilmente inutile, di convincerlo a scacciare quegli intrusi prima che fosse troppo tardi.
Ma nonostante il ninja dai capelli bianchi avesse dato prova di vincere sulla linea teorica Danzo rimaneva comunque un uomo da non sottovalutare che, dietro il fare severo ed impassibile, nascondeva risorse spesso inaspettate. Fischiettando per alleggerire la tensione Jiraya si ripromise di tenerlo d'occhio.


Sproloqui di una zucca

Ecco che finalmente iniziano a intravedersi le varie relazioni con i personaggi e il ruolo che potranno avere in tutta la vicenda. Potevo non mettere Danzo? Quell'uomo è un grande stronzetto, secondo mio modesto parere, ma anche lui ha un suo perché di esistere. Non ho ancora inserito Sarutobi ma rimedierò ^^
Ultimo appunto: il rinnegan, andando avanti con la narrazione, avrà un uso e delle modalità un po' diverse rispetto a quelle viste nel manga, questo per esigenze di trama e anche di inventiva personale.
Per il resto grazie di aver commentato gli scorsi capitoli!

stuck93: Sono contenta che ti abbia incuriosito, spero che sia così anche per i capitoli a seguire!

Tone: Grazie davvero per gli appunti su quelle tre sbavature, anzi, non farti problemi a segnalare altre imperfezioni: i commenti devono essere costruttivi oltre che un incentivo a migliorare. Sono sollevata che i personaggi risultino IC, anche se tutti e tre risultano parecchio difficili da caratterizzare. Vorrei davvero portarli ad interagire con gli altri ninja di Konoha in modo da costruire una storia quanto più possibile ricca di avvenimenti.

Erre: Oh beh i nostri tre avranno parecchio da relazionarsi con gli altri, in un modo spesso sorprendente. Con questo capitolo si intuiscono alcuni possibili rapporti XD

Grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi ha letto * *

EDIT SUCCESSIVO Perdono, mi sono dimenticata di dare spiegazioni riguardo la presenza di Kushina, il fatto è che avendo scritto già da un po' questa parte avevo dato tutto per scontato. Non volevo dare anticipazioni sul capitolo successivo ma sarà nel prossimo che verrà spiegato il motivo della sua comparsa. Trattandosi di una what if mi sono permessa di fare diverse variazioni nella trama per diversificare un po' dalla storia attuale.

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Capitolo 3
*** Sulle capacità, sulle esitazioni e sul trasmettere... ***


ciaow


III
Sulla capacità, sulle esitazioni e sul trasmettere...





Diversi mesi dopo.


Ben presto per Minato fu tempo di prendere lezioni sotto la guida esperta di Jiraiya, il che comportava anche andare a raccattare in giro per il Villaggio un uomo spesso perso dietro donne dalle belle curve che popolavano le sue fantasie non propriamente caste.

Minato però ogni volta si faceva una bella risata sopra, trovando esilarante quell'insolita inversione di ruoli; sapeva infatti di essere una testa calda ma aveva sempre posseduto un forte senso di responsabilità, ben maggiore rispetto a quello dei suoi coetanei, quindi responsabilizzare il proprio maestro non gli pesava più di tanto.
Yahiko e gli altri nel frattempo avevano dovuto frequentare dei corsi supplementari per potersi diplomare in tempo all'Accademia e così non restare troppo indietro nel loro percorso di apprendimento; i tre comunque si erano dimostrati parecchio abili e, grazie anche alle conoscenze ereditate da Jiraiya, non avevano avuto problemi a recuperare il programma.
Il ninja dei rospi era orgoglioso di quello straordinario avanzamento di progressi e allo stesso tempo sollevato che il rinnegan non avesse mostrato degli effetti collaterali, sebbene non ci fosse ancora stata alcuna occasione per Nagato di usarlo; indipendentemente da questo era bene cercare di capire al più presto come funzionasse quell'abilità fino ad allora poco conosciuta, per tale motivo suo malgrado aveva dovuto confrontarsi con i capoclan detentori di altrettante facoltà oculari.
Fugaku Uchiha e Hiashi Hyuga erano seduti distanziati presso un tavolino basso davanti a Jiraiya che li aveva convocati, aspettando silenziosi che venisse chiarito il motivo della loro presenza.
“Saké?” chiese il ninja mostrandosi conviviale.
Ma entrambi seppur cortesemente rifiutarono, dunque con un sospiro Jiraiya pensò di arrivare direttamente al nocciolo della questione:
“Conoscete il rinnegan?”
Fugaku spalancò gli occhi: “E' un'abilità rarissima.”
“Qualcuno la possiede?” chiese sospettoso Hiashi, tenendo le mani rigidamente conserte lungo le cosce.
Ma l'eremita schivò abilmente la domanda proseguendo nel suo discorso:
“Credo che abbia notevoli capacità d'attacco – trattenne il respiro, ricordandosi del giorno in cui Nagato aveva ucciso quei ninja – ma non so quando e come si manifesti. Magari voi potreste darmi delle delucidazioni.”
Uchiha si massaggiò il mento mormorando pensoso:
“Lo sharingan si manifesta in età giovanile, generalmente attorno ai nove o dieci anni, ma non è escluso che possa comparire prima. Non si tratta comunque un'abilità mortale.”
“Così come non lo è il Byakugan. Credo però che qui stiamo parlando di un dono ben più esclusivo del nostro, per quanto mi sa difficile ammetterlo; una capacità davvero pericolosa se non controllata.”
Jiraiya fece una smorfia, abilmente mascherata da un cenno d'assenso; era ovvio che bisognasse controllare un potere simile ma come poteva essere in grado di farlo se nemmeno conosceva il modo attivarlo?
Improvvisamente Fugaku spiegò con fare ponderato:
“Bisognerebbe seguire il soggetto negli allenamenti e provare a farlo interagire con prove diverse, è indispensabile rendersi conto fin da subito se l'uso del rinnegan comporti anche fattori emotivi.”
Jiraiya si mostrò sorpreso e allo stesso tempo stupido per non aver concretamente contemplato una simile possibilità; forse aveva più semplicemente preferito evitarla, perché i sentimenti erano una delle cose più difficili da controllare in un combattimento.
Se davvero il rinnegan fosse stato soggetto agli sbalzi d'umore di Nagato allora avrebbe potuto manifestarsi nella maniera più devastante qualora il ragazzo fosse stato messo con le spalle al muro; cosa che effettivamente era già avvenuta, con conseguenze tragiche per giunta.
Poco dopo, concludendo in ulteriori ma infondati ragionamenti, i ninja della foglia si congedarono tornando alle rispettive casate.
Sulla soglia Fugaku disse:
“Jiraiya-san, confido perfettamente nella vostra capacità di giudizio ma devo avvisarvi che, in qualità di membro della Polizia di Konoha, se ci fossero pericoli per il Villaggio non esiterei ad eliminarli.”
“Oh, lo so. È per questo che sei così bravo nel tuo lavoro.” ammise onestamente Jiraiya.
I due uomini si guardarono un attimo infine, dopo un saluto mediamente formale, il capoclan Uchiha con passo marziale si allontanò.
L'Eremita rientrò nella stanza e si versò del saké in una tazza di ceramica, così che l'odore dell'alcol di riso aleggiò tra quelle pareti rese troppo soffocanti da un incontro che lo aveva lasciato senza molte alternative: Nagato aveva bisogno al più presto di un insegnante capace che gli si affiancasse, a lui come agli altri suoi compagni.
Mandando giù in una volta sola la bevanda Jiraiya si sentì bruciare piacevolmente la gola ma nemmeno ci fece caso.
Tempo fa probabilmente avrebbe scelto Tsunade per condurre l'eroica impresa di tenere d'occhio il rinnegan e addestrare tre studenti capaci; ma ora molte cose erano cambiate e lei, l'energica donna che aveva imparato a conoscere, aveva perso tanti frammenti di sé stessa.

*°*°*°*


“Dan è morto.” aveva appena soffiato quelle parole, come se volessero rimanere intrappolate tra le labbra color carminio.
Jiraiya non era riuscito a dire nulla in quel momento.
L'aveva guardata, tentando di cogliere il suo sguardo sofferente per confrontarlo con il proprio; niente, ogni tentativo di portarla a capire che aveva ancora lui al suo fianco sembrava miseramente destinato a fallire. Tsunade si stava chiudendo nel suo bozzolo di dolore, forse addirittura detestava il concetto di ninja fino a voler distruggere quella figura di combattente nata per proteggere quando invece uccideva, venendo ucciso a sua volta.
“Se solo ci fosse stato un ninja medico capace. Io non sono riuscita a fare nulla, eppure le mie mani erano contro il suo torace... e respirava... e il chakra... dove ho sbagliato?”
Si guardò i palmi graffiati, induriti dai combattimenti, ma non trovò il sangue a macchiarli... erano fastidiosamente puliti.
Jiraiya la abbracciò, appoggiando una mano sui capelli biondi arruffati:
“Tu hai fatto quello che potevi, è la guerra ad essere sbagliata.”
Eppure, giorno dopo giorno, continuava ad esistere e gli uomini instancabili la portavano avanti, aspettando che tutti ne uscissero logorati prima di poter essere veramente soddisfatti.

*°*°*°*

Guardò il fondo della tazzina, facendolo ondeggiare, infine posò il contenitore alzandosi risoluto in piedi; era un uomo e come tale doveva comportarsi, evitando inutili ripensamenti dannosi a tutti.
A quel punto, nonostante gli dolesse ammetterlo, una sola persona poteva concretamente seguire Nagato e gli altri nell'addestramento per diventare chunin; il fatto che fosse disposta o meno a spartire le sue conoscenze e il proprio tempo con dei ragazzini era un altro discorso.

Konan, terminati gli esercizi scritti sulle varie deviazioni di traiettoria dei kunai, aveva trovato una serie di fogli bianchi completamente liberi e così, per passare il tempo durante la giornata assolata, si era decisa a sfruttarli creando origami; un passatempo legittimo il suo dato che Yahiko sembrava sempre preso a stare con Minato così come Nagato che, nella sua insicurezza, seguiva l'amico.
Distrattamente, terminato un gabbiano dalle forme sinuose, lo lanciò in aria guardandolo volteggiare oltre la finestra della biblioteca fino a che non si disperse tra i tetti del Villaggio.
Poi si accorse della presenza di qualcuno accanto a sé e sussultò nel vedere che le si era affiancata Kushina la quale, schermendosi gli occhi dal sole grazie ad una mano, aveva assistito al volo impensabile di un pezzo di carta.
“Sei brava, complimenti!” esclamò guardando con una certa invidia il mucchio di carte che invece, per lei, restavano nient'altro che banali fogli bianchi.
“Grazie.” si limitò a rispondere Konan, senza trovare altre parole da aggiungere.
Kushina scrutò un istante quella ragazzina silenziosa che con i propri amici rideva tanto spontaneamente ma che ora, in evidente difficoltà, sembrava faticare anche solo a respirare.
“Vuoi? - chiese porgendole un recipiente contenente diversi onigiri – Li avevo preparati per quando Minato tornasse dall'allenamento con Jiraiya ma quello stupido nemmeno si è degnato di passare, è subito corso via con Yahiko e Nagato.”
Sbuffò, alzando le spalle fingendo un'aria di rimprovero.
Seppure con un certo dolore Konan inaspettatamente sorrise, riconoscendo in quella frustrazione anche la sua; infine prese uno degli onigiri tenendolo tra le mani, adoperando la stessa cura usata nei confronti dei fragili fiori che tanto amava.
“Grazie.” ripeté infine.
Così le due ragazzine si sedettero a gambe ciondolanti presso il grande davanzale della biblioteca, sbocconcellando una merenda che sarebbe dovuta toccare a qualcun altro; un qualcun altro piuttosto stupido probabilmente e quindi poco meritevole di quel dono fatto con tanta dedizione ed infantili pretese.
Scrutando i passanti camminare sotto di loro per le vie polverose, Kushina improvvisamente chiese:
“Secondo te i ragazzi sono tardi di comprendonio?”
Konan ci pensò un istante, non risparmiandosi comunque un'espressione interrogativa; rifletté sui momenti passati assieme a Yahiko e Nagato ma le risultò difficile collegare il significato di quella domanda, almeno in un primo istante.
“Cosa intendi dire?” chiese lei.
La ragazzina si rigirò i capelli rossi con un dito, tormentandosi le ciocche mentre era intenta a dare una spiegazione che agli occhi degli altri apparisse perlomeno logica:
“Intendo dire che... insomma, Minato pensa di essere bravo, e lo è, ma anch'io mi reputo una buona ninja solo che lui sembra faticare ad ammetterlo. È un testardo ostinato e stupido.”
Ammise chiudendo gli occhi e alzando il volto, atteggiandosi a superiore.
“Credi che non ti noti come vorresti?” chiese improvvisamente Konan, osservando gli ultimi chicchi di riso che ornavano il piatto ormai vuoto.
Kushina, colta sul vivo, arrossì fino alla punta delle orecchie; era divertente vedere come quell'insieme di colori bordeaux riuscisse a renderla molto vicina alla pigmentazione di un peperone.
“Già.” ammise infine, appoggiando una spalla allo stipite in legno della finestra, per poi concedersi il lusso di gonfiare infantilmente le guance mentre le bocca si corrucciava in modo quasi tenero.
“Sì, allora posso dirti che i ragazzi sono davvero tardi di comprendonio.”
Le due si guardarono negli occhi e infine sorrisero con la complicità che le donne possiedono, entrambe fogli di carta in attesa di qualcuno che sapesse plasmarle per farle volare.
Dopo qualche istante Kushina confessò: “Sai, io vi capisco. So cosa si prova a far parte di un Villaggio che non è il proprio.”
“Non sei della Foglia?” chiese Konan un po' interdetta.
“Provengo dal Paese del Vortice. Con la guerra molti degli abitanti sono morti e un piccolo gruppetto di sopravvissuti è fuggito nell'intenzione di chiedere l'ospitalità a Konoha. Non è mai stata alleata del mio Paese ma l'Hokage non ha avuto alcun dubbio nell'accoglierci; io avevo pochi anni all'epoca ma, credimi, non è stato facile per me integrarmi con gli altri senza sentirmi un'estranea o una nemica.”
“Noi verremo considerati dei nemici ancora per molto penso.” accennò Konan.
Kushina le strinse una mano, facendosi più vicino alla ragazza e bisbigliandole con la complicità di una compagna di giochi: “Ti confido una cosa: l'unico problema sono quei vecchiacci degli anziani. Ma cosa ci vuoi fare... più passa l'età più rallentano, è logico che abbiano bisogno di taaanto tempo per pensare.”
Entrambe rimasero serie ma fu questione di pochi istanti perché scoppiarono tutte e due a ridere, Kushina portandosi una mano alla bocca nella speranza – giunta un po' tardiva forse – che nessuno l'avesse sentita. Ma d'altronde se
anche fosse accaduto non le importava granché: era comunque felice di dov'era e di con chi stava; il suo Villaggio rappresentava il passato, Konoha il proprio presente nonché il futuro, solo questo contava nel momento in cui non si aveva più nient'altro.

Orochimaru era intento ad analizzare diversi campioni pervenuti dalle sue missioni nei paesi confinanti con quello della nebbia, luoghi dove aveva scoperto una varietà di tecniche davvero impressionante; l'unico problema era riuscire a comprendere, attraverso lembi di tessuto conservati in alcol etilico, qualcosa sulle controindicazioni dell'uso dei jutsu da apprendere.
Quando bussarono alla porta in legno alzò lentamente gli occhi dal proprio lavoro, assottigliando irritato le labbra, infine lasciò le pinze per dire con un certo fare seducente:
“Jiraiya, vattene.”
Già, avrebbe riconosciuto quel modo di bussare tra mille, fastidioso ed insistente quanto lo era l'artefice di quell'odiosa cacofonia; dopo qualche istante le sue teorie vennero prontamente confermate dal materializzarsi della figura di Jiraiya che, come ogni sacrosanta volta, non si esimeva dal lanciare occhiate di biasimo per i materiali di studio esposti con ordine sulle mensole.
“Arrivo in un brutto momento?” chiese l'eremita, appoggiando una spalla allo stipite della porta.
Orochimaru nemmeno rispose, lanciando un'occhiata che poteva essere interpretata come maliziosa e infastidita allo stesso tempo.
A quel punto fu il ninja dai capelli bianchi ad umettarsi le labbra per trovare il modo di parlare; pensò un istante al discorso che aveva formulato strada facendo ma le parole, in quel covo buio e soffocante, all'improvviso gli sembrarono prive di senso.
Così diede retta, per una volta in piena consapevolezza, al suo istinto sbrigativo e disse a bruciapelo:
“Dovresti diventare tu insegnate di Yahiko, Nagato e Konan.”

L'ho detto. Potrei scrivere un romanzo d'avventura su questo mio gesto impavido.

I due si fissarono in silenzio, intervallato solo dal crepitare della fiammella utilizzata per gli esperimenti.
“ Jiraiya... tu sai sempre come sorprendermi – fece una pausa sfoggiando un accenno di sorriso crudele e aggiunse – vieni a supplicarmi a causa del rinnegan, vero?” chiese poi improvvisamente Orochimaru; domanda che effettivamente andava contro ogni più pallida aspettativa di Jiraiya.
Quest'ultimo rispose brevemente:
“Sì, è una delle motivazioni.”
Inaspettatamente Orochimaru sorrise, in quel modo crudele e trionfante che il suo compagno di squadra aveva imparato a detestare: voleva dire che il pallido ninja possedeva un qualche recondito motivo di considerarsi vincente, cosa che non avrebbe mai mancato di mostrare.
“E' sempre la stessa storia: ti fai il carico di un problema ma quando diventa troppo grande per te lo affibbi a qualcun altro. Non ci si comporta così, dovresti saperlo.”
Lo rimproverò con ironia piuttosto provocante nel tono di voce.
Quel sussurro freddo, quasi tagliente, ebbe l'effetto di far riconoscere al ninja eremita parte delle sue colpe che in quegli anni non si limitavano a quel passaggio di ruoli da maestro a maestro: erano colpe che includevano tanti altri rimorsi, primo fra tutti Tsunade e la sua attuale incapacità di andare oltre il mero rimbeccarsi con lei.
Davvero non era in grado di mantenere fino in fondo le sue responsabilità?
“Non mi piace l'idea ma credo che nessun altro possa essere all'altezza; ho già preso un impegno con Minato e la sua squadra, non voglio ritirarmi.”
Il sennin oscuro lo scrutò e non si sorprese di vedere un compagno combattivo che portava avanti fino in fondo le sue idee ma, allo stesso tempo, anche consapevole di aver commesso degli sbagli; non era un debole, era semplicemente troppo umano, legato a sentimenti che non avrebbero fatto che sfibrarlo con il tempo, fino a non ridurlo ad un'ombra del suo passato.
Eppure agli occhi degli altri sembrava sempre così allegro e fastidiosamente superficiale, aveva quell'atteggiamento sciocco per il quale Orochimaru molte volte si chiedeva se il ninja chiassoso ed ubriaco e l'eroe che combatteva per salvare il villaggio fossero davvero la stessa persona.
“Suppongo che se accettassi di addestrarli tu mi staresti sempre in mezzo ai piedi... perché a te piace importunarmi.” osservò infine con un accenno di malizia.
“Ovviamente – rispose Jiraiya concedendosi un sorriso poi, accorgendosi dell'involontario doppio senso della sua risposta, aggiunse frettoloso – Nel senso che non abbandonerei completamente nelle tue mani i miei allievi, mica altro...”
A quel punto Orochimaru sospirò, tornando a dargli le spalle per rivolgersi nuovamente agli esperimenti in sospeso. Dopo qualche istante concesse:
“Peccato – gli lanciò un'occhiata piuttosto divertita da quel gioco di parole, infine concesse – Vorrà dire che li valuterò in questi giorni: devono corrispondere alle mie aspettative se vogliono avere il privilegio che io li segua.”
“Non ti deluderanno.” confermò orgoglioso Jiraiya, soprattutto perché un minimo di merito, sommato al talento naturale dei tre ragazzini della Pioggia, lo aveva avuto anche lui.
Si trattava di una piccola rivincita nei confronti del suo compagno ed avversario ma di per certo sempre ben accetta; in ultimo, e non meno importante, come previsto la malsana ossessione di Orochimaru nei confronti di chi avesse delle doti inaspettate aveva giocato la sua parte nel fargli accettare il ruolo di maestro.
Ovviamente il binomio rinnegan – Orochimaru era potenzialmente pericoloso e Jiraiya, in virtù del legame che aveva con i suoi tre giovani allievi, doveva costantemente tenere d'occhio la situazione; non solo per il bene di Nagato ma probabilmente anche per la sicurezza stessa del Villaggio che tanto ossessionava lo stesso Danzo.
Un uomo disposto a tutto per realizzare i suoi obiettivi, persino uccidere se questo avesse comportato la sopravvivenza di Konoha.



Sproloqui di una zucca.


Mi concedo il lusso di una bella risata liberatoria; ebbene sì, signore e signori, tutti lo aspettavate, tutti lo volevate (?) e ora finalmente ecco a voi uno degli arcani segreti di questa fiction: Orochimaru sarà l'insegnante di Nagato, Yahiko e Konan! Yuppi! Almeno, yuppi per me u_u

E Yahiko... beh, il poveretto ci rivelerà nel prossimo capitolo una bella sorpresa *_*
Quanto a Danzo agirà da vero stron... strong man, uno che non deve chiedere mai insomma, anche se finirà per rovinare tutto al solo scopo di portare avanti i suoi obiettivi. Basta, sto spoilerando troppo.
Avviso già in anticipo: in tutti i prossimi capitoli vedrete come ho ipotizzato io il legarsi degli eventi sulla cui cronologia Kishimoto ci lascia un po' incerti. E' tutto a mia sommaria interpretazione, quindi lasciamo spazio alla fantasia e alle ipotesi ed evitamo troppe pippe mentali nel capire se uno è nato prima di un altro o se è stato allenato in contemporanea con qualcun altro ancora.

Iperione: Grazie per i complimenti! ^^ Quanto alla domanda su Kushina presumo tu abbia trovato risposta nel capitolo, grazie per avermelo fatto notare: mi ero completamente dimenticata di avvisare del mio cambiamento!

stuck93: Felice che Orochimaru sia stato di tuo gradimento e felice anche che Danzo ti stia sull'anima, visto l'uomo che è non potrebbe essere diversamente - credimi, ti appoggio in pieno.

Hiko_Chan: Tesoro mio! Come già sai sono davvero contenta di vedere il tuo commento, è molto importante sapere quello che pensi di questa fiction che spero cresca nel migliore dei modi. In quanto alla caratterizzazione dei personaggi vorrei continuare su questa linea, anzi, con i capitoli che seguiranno sarà molto più approfondita, anche per via degli eventi che in parte rispecchieranno la trama originale e in parte differiranno un po'. Lo stesso vale per te, mia cara: che tu consideri Danzo un uomo viscido è un bene - fidati, forse lo odierai ancora di più. Quanto a Nagato niente capigliature strane: moro l'ho visto durante l'infanzia e quando è secco attaccato ad un macchinario, quindi moro rimane anche nella fiction. Capelli neri, occhi psichedelici, animo contorto: questo sarà Nagato. Oh yes! XD
Ti ringrazio per la fiducia, mi sento molto responsabile di ogni singola parola che scriverò. Un grande bacione!

Tone: Muahahah! Indefesso avvocato di Nagato e del suo colore di capelli: nessun problema, la causa è vinta perché non è nelle mie intenzioni appioppargli alcun colore orrendo; Nagato sta bene come sta, figo ed emo al punto giusto, io di certo non trarrei alcuna soddisfazione nel cambiare le cose =ç=
Già, Orociock è risultato un po' più insofferente di quanto non volessi ma tutto sommato non mi dispiace come è uscito fuori nel capitolo; l'ambiguità verrà dosata coi personaggi, deve essere presa con cautela XD Vabbé, lasciamo perdere questa mia risposta priva di coerenza, credo sia meglio. In ogni caso, amando anche il personaggio di Orochimaru, cercherò quanto più possibile di ritrarlo in modo completo perché ha un carattere che meriterebbe pagine e pagine di fanfiction *_*
Quanto a ship... sì, te lo posso dire con certezza, Konan e Nagato saranno molto, molto legati anche se le cose per loro si svilupperanno piuttosto lentamente per una serie di concause che logicamente non posso spiegarti. Quanto a Yahiko... *ç*
Ha appena termineranno... ho riso come una scema per diversi minuti, proprio vero, rileggere non basta mai. Grazie mille!^^ Grazie anche per seguire la storia!
PS: quanto riguarda all'OroSasu... ti ripeto onde evitare delusioni: non penso sia nulla di speciale, anzi, se arriverà ultima sarà un gran bel risultato. E' una fiction ben scritta e IC come personaggi ma quanto al resto mi rendo conto che non ha i requisiti per partecipare ad un concorso. Viva l'ottimismo!

Grazie ai gentili lettori e a chi ha messo la fiction tra i preferiti e i seguiti (sembra una coppia spastica di gemelli... =_=')
<3




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Capitolo 4
*** Sul sangue, sull'uccidere e sull'amare... ***


pioggia1

IV
Sul sangue, sull'uccidere e sull'amare...




La pianura era sconfinata; qualche ciuffo ingiallito dipingeva tratti di luce quell'immensa distesa erbosa, donandole l'essenza vitale del primo mattino.

Nagato, Yahiko e Konan erano arrivati piuttosto in anticipo, quindi tutti insieme attendevano silenziosi presso una grande roccia. Nessuno di loro aveva particolari argomenti di cui parlare perché sapevano cosa sarebbe accaduto quel giorno: avrebbero finalmente conosciuto Orochimaru, il maestro incaricato di seguirli nel percorso di ninja.
Nagato si guardava le mani intrecciate, trattenendo il labbro inferiore sotto i denti come per evitare di parlare, mentre Konan di tanto in tanto sospirava. Solo Yahiko, impaziente, si muoveva avanti e indietro lungo un quadrato di terra brulla: avrebbe tanto voluto dire moltissime cose ma non sapeva da che parte cominciare, oltretutto i suoi amici non sembravano così propensi al dialogo.
Improvvisamente sospirò e si chiese, sedendosi sul terreno all'improvviso:
“Ma secondo voi come sarà Orochimaru? Voglio dire, l'avete visto no?”
Ridacchiò, evidentemente divertito da tutta la situazione... anzi, a guardarlo bene sembrava proprio entusiasta. Nagato lo fissò intensamente ma non disse nulla, fu Konan invece a parlare:
“Mi sembra... particolare.” no, lei non si sarebbe mai sbilanciata troppo. Viveva nel suo mondo di cristallo, dove si muoveva con delicatezza per paura che un giorno tutto avrebbe potuto rompersi in mille pezzi.
“Ci insegnerà un sacco di tecniche! – esclamò in un primo momento Yahiko, poi si interruppe e fissò i suoi compagni di squadra – Ma voglio che facciate attenzione: non dobbiamo permettere che ci consideri inferiori solo perché siamo arrivati dopo, intesi?”
Gli altri due annuirono, notevolmente risollevati dallo spirito intraprendente di Yahiko che come al solito, grazie al suo naturale carisma, sapeva sempre trovare le parole giuste. Almeno, quasi sempre.
Ad un certo punto il ragazzo dai capelli ramati sbuffò e, volendo continuare a chiacchierare per passare il tempo, commentò:
“Certo che potrebbe anche degnarsi di arrivare... mi sto annoiando.”
“Ah, ti stai annoiando dunque...” sussurrò una voce alle sue spalle.
Yahiko in un primo momento rimase paralizzato, convinto che l'ombra sopra di lui altro non fosse che una nuvola un po' troppo consistente. Istintivamente guardò negli occhi Nagato e Konan, i quali invece erano intenti a fissare qualcuno oltre le sue spalle; allora si girò di scatto e vide che il suo futuro maestro lo stava scrutando dall'alto, con le braccia incrociate e i lunghi capelli sciolti, mentre sul volto pallido comparve un accenno di sorriso che – stranamente – non aveva nulla di divertente. Al contrario, Yahiko sentì i brividi lungo la schiena.
A quel punto decise di alzarsi in piedi e accennare, evitando di mostrarsi troppo intimorito:
“Ehm... sì, diciamo che era da un po' che ti aspettavamo.”
Il sennin portò un dito sotto il mento del ragazzo e gli sussurrò con una nota malevola:
“Sai come mi chiamo?”
Yahiko spalancò gli occhi e si affrettò a rispondere: “Orochimaru.”
Improvvisamente il ninja dei serpenti schioccò la lingua e lo corresse: “Non per voi. Per voi a partire da questo giorno sarò Orochimaru-sensei.”
Senza parlare Yahiko annuì, ipnotizzato dal tono quasi musicale di quella voce: non secco o tantomeno irritato, suonava bensì stranamente seducente. L'uomo allora tolse la mano e spostò lo sguardo indagatore verso gli altri compagni di squadra che si alzarono quasi istintivamente in piedi, come se da un momento all'altro dovessero scattare in una corsa disperata ad un ordine del maestro.
Quest'ultimo notò:
“Un vero peccato. Mi aspettavo che prima del mio arrivo iniziaste a preparavi per gli allenamenti – li guardò e la bocca accennò ad un sorriso dalle venature ironiche – a quanto pare mi sbagliavo.”
Yahiko però ribatté, spalancando le braccia: “Ma noi siamo pronti, sensei!”
Konan e Nagato si scambiarono uno sguardo preoccupato. Se il loro amico avesse continuato a quel modo nel giro di pochi giorni probabilmente si sarebbero ritrovati tutti e tre a pulire le strade di Konoha, sempre che il fato fosse clemente con loro.
Gli occhi di Orochimaru tornarono a dardeggiare sul ragazzino che aveva parlato, non si esimette dal considerarlo un elemento fastidioso e dotato dell'indisponente necessità di avere comunque ragione; il collegamento istintivo con Jiraiya gli fece pensare che l'influenza di quel ninja dei rospi poteva essere peggiore di quanto non credesse, almeno per quanto riguardava i giovani elementi che lo prendevano ad esempio.
“Davvero?” chiese infine assottigliando gli occhi.
Yahiko in un primo momento non parlò, si voltò verso Nagato e Konan che nel frattempo gli si erano affiancati, infine rispose semplicemente:
“Ti dimostreremo che potrai essere orgoglioso di noi, Orochimaru-sensei. Ci impegneremo con tutte le nostre forze: vedrai, non saremo più impreparati al tuo arrivo!”
Gli altri annuirono energicamente; Konan appoggiò una mano sulla spalla del giovane, stringendola con convinzione. Decisamente, quei ragazzini sfrontati e determinati sarebbero stati interessanti soggetti di studio e chissà che averli come allievi non gli garantisse un giorno dei seguaci fedeli.
A quel punto Orochimaru mormorò:
“Con me non ci saranno pause o pietismi, voglio che vi sia chiaro.”
Yahiko annuì senza esitazioni e confermò: “Assolutamente.”
Il sennin accennò ad un sorriso compiaciuto: quel giovane dall'aria sicura di sé gli piaceva tutto sommato, sarebbe stato divertente poterlo gestire e scoprire fino a che punto poteva spingersi. Spostò lo sguardo prima su Konan e infine su Nagato... ah, quegli occhi.
Così tristi e allo stesso tempo inspiegabilmente spietati.
Orochimaru sentiva il loro potere ancora inespresso ma allo stesso modo sentiva anche che difficilmente sarebbero stati suoi, potevano divenire un mezzo indiretto forse ma mai la sua arma; tutto stava nel saper plasmare quel giovane dai capelli scuri secondo i propri desideri e farne un giorno il suo feroce cucciolo.
“Mi aspetto molto da te.” scandì quelle parole usando una voce appena melliflua, una sorta di incantesimo dal profumo dolceamaro che – dopo essere stato inghiottito una volta – sembrava meno difficile da ingerire.
Nagato spalancò appena le palpebre e come paralizzato si limitò a dire: “Sì.”
Ancora non sapeva che quell'aspettativa, dovuta forse all'abilità custodita tra le cornee concentriche, lo avrebbe fatto crescere con un peso non indifferente. Il costante paragonarsi a Yahiko, suo esempio e guida nonostante l'età, la pressione di Orochimaru, l'astio di chi lo temeva gli resero difficile quello che avrebbe dovuto essere l'armonico percorso della crescita.
Il possessore del rinnegan sospirò e si mise in posizione, preparandosi ad affrontare quell'ulteriore prova della vita; fissò il proprio insegnate e lui lo fissò di rimando, come avrebbero fatto ogni volta a partire dal primo giorno di allenamenti.

Tenendo le mani dietro la schiena, Sarutobi contemplò il Villaggio dalla grande terrazza che si affacciava sul proprio ufficio. Konoha brulicava di vita e sembrava così entusiasta di risorgere dalle ceneri della guerra, al punto che l'Hokage fu orgoglioso di essere cresciuto in quel luogo; sperò di poterci vivere ancora a lungo, semplicemente per avere l'onore e la soddisfazione di proteggerlo fintanto che ne avesse avute le forze.
Improvvisamente qualcuno bussò all'anta della porta rimasta aperta.
“Disturbo?” chiese Jiraiya allegro.
Sarutobi sorrise e lo invitò ad affiancarsi alla balconata: “Non è meraviglioso come la vita continui ad esistere, anche dopo la guerra?”
Il ninja dei rospi non disse nulla, ammirò a sua volta Konoha, pur provando dentro di sé un forte dispiacere: la perdita delle persone care non era da considerarsi alla stregua di una casa incendiata, la quale una volta abbattuta si poteva sempre ricostruire come se nulla fosse successo.
Incrociò le braccia, appoggiandole al mancorrente, e ammise storcendo perplesso il naso:
“Mi chiedo se Orochimaru sia davvero la persona giusta per addestrare Yahiko e gli altri.”
Sarutobi alzò le spalle e replicò benevolo: “Nutro la massima fiducia in Orochimaru: è stato mio allievo come tu stesso d'altra parte, quindi credo di conoscerlo quel giusto per dire che andrà tutto bene. ”
Jiriaya sbuffò, alzando gli occhi al cielo. L'Hokage non avrebbe mai smesso di preferire Orochimaru; lo considerava l'allievo perfetto che tutti vorrebbero: diligente, capace, astuto, il ninja perfetto insomma. Allora perché solo lui provava simili dubbi?
Segretamente era convinto di conoscere Orochimaru ancora meglio del maestro che li aveva allentati, cosa della quale non sapeva fino a che punto rallegrarsi ad ogni modo.
Jiraiya borbottò qualcosa di indefinibile poi si premunì di aggiungere, questa volta in modo decisamente più comprensibile: “... e c'è anche la questione di Danzo.”
Fece per continuare ma venne interrotto da Sarutobi che comprensivo intervenne:
“Danzo è pur sempre un uomo, con i suoi difetti e le sue manie. Finché ne avrò il potere non rappresenterà mai una minaccia, né per i miei ideali di pace, né per Nagato.”
Sorrise, portandosi le mani dietro la schiena mentre le prime rughe iniziarono ad increspare la fronte spaziosa. Jiraiya annuì, rassicurato come sempre da quel maestro che era stato per lui, e lo era tutt'ora, un modello di ciò che egli avrebbe voluto essere.
Su Konoha nel frattempo scendeva il tramonto il quale, simile ad una coperta sfumata da un pittore, si distendeva sopra le case che respiravano vita. Finalmente.

*°*°*°*

“Sei lento, Nagato! Concentrati!”
Le parole di Orochimaru quel giorno suonavano più velenose del solito e la vittima dell'incitamento sempre meno paziente non poté che sentirsi inferiore rispetto agli altri; i suoi compagni di squadra, infatti, sembravano essere perennemente ad un livello superiore al suo.
Nagato annaspò asciugandosi la fronte sudata, mentre teneva le gambe piegate per poter cercare di anticipare i movimenti del suo maestro e colpirlo; ogni volta, però, non era in grado di dare la giusta spinta e la velocità scemava, di conseguenza veniva inevitabilmente battuto.
Orochimaru, indefesso, lo attaccava senza mostrare un minimo di pietà, sorridendo con cattiveria quando vedeva il ragazzino gracile rialzarsi, pulirsi appena il sangue e tentare di lottare ancora. Quegli occhi che nascondevano il potere del rinnegan lo guardavano privi di emozione, non chiedevano pietà né tantomeno un incoraggiamento, erano solo avvolti da un'ombra di dolore sommata alla frustrazione della sconfitta; il ninja della Foglia, però, sapeva che il giorno nel quale l'abilità innata avesse realmente mostrato i suoi poteri la situazione sarebbe stata ben diversa.
Yahiko e Konan si erano rivelati invece degli ottimi elementi, entrambi con delle capacità da non sottovalutare, quindi portare avanti le missioni con loro non era stato così problematico come aveva creduto, per quanto i mocciosi fossero sempre un peso inutile del quale Orochimaru avrebbe volentieri fatto a meno.
Nagato respirava a fatica, sentiva le gambe tremargli per la stanchezza; dentro di sé avrebbe voluto cancellare in un colpo solo il male e tutto ciò che glielo causava. Si concesse un respiro più profondo per poi tentare il tutto per tutto, un ultimo attacco decisivo così da dimostrare a se stesso e agli altri di non essere debole come credevano; preparò dunque le mani in modo da eseguire un jutsu con l'effetto di distrarre, anche se solo per poco, il proprio maestro ed avere finalmente l'occasione di compiere un attacco diretto.
Eseguì correttamente la tecnica, richiamandosi all'arte illusoria; Orochimaru difficilmente ci sarebbe cascato ma almeno avrebbe avuto tempo per attaccare, fintantoché il sennin fosse stato impegnato a neutralizzare l'effetto dell'incantesimo.
Pochi istanti dopo gli corse incontro estraendo un kunai ma, proprio quando gli era vicino, Orochimaru si voltò pronto a contrattaccare; aveva previsto le sue intenzioni e come ogni altra volta lo avrebbe scaraventato a terra, facendolo rotolare nella polvere.
Nagato si sentì morire, avvertì un'angoscia oppressante nel momento in cui Orochimaru scattò a sua volta per anticiparlo: non era giusto che dovesse soccombere, nonostante gli allenamenti estenuanti e il costante sacrificio che metteva nel migliorare.
Bloccandosi, esasperato fissò intensamente il proprio maestro, fissò quei movimenti rapidi e veloci che tanto invidiava al suo insegnante e provò la sgradevole sensazione di volerlo uccidere, fargli del male per impedirgli di avanzare ancora; quando formulò quei pensieri gli occhi gli bruciarono e per un istante, un solo folle attimo, gli sembrò di vedere ogni cosa attorno a sé rallentare.
Persino Orochimaru fu costretto ad arrestarsi e congiungere le mani per effettuare un jutsu, azione che in un primo momento gli parve priva di senso. Nagato infatti sbatté le palpebre e quando le riaprì vide che il ninja dai lunghi capelli neri era indietreggiato, portandosi una mano al petto mentre con l'altra cercava malamente di reggersi ad uno dei tronchi d'albero usati per l'addestramento.
Il ragazzino lo guardò spaventato.
Orochimaru si alzò in piedi, fissando quel ninja inesperto che era riuscito con un solo sguardo a provocargli seri danni agli organi interni: dovette riconosce che se non si fosse difeso usando le tecniche apprese nel corso degli anni probabilmente sarebbe morto.
Il rinnegan.
Allora era quella la sua potenza micidiale?
“Che tecnica hai usato?” chiese Orochimaru avvicinandoglisi.
“Nessuna.” si affrettò a dire il giovane allievo preoccupato.
Il sennin lo scrutò e assottigliò gli occhi: tra tutte le conseguenze possibili di quell'attacco non si sarebbe certo aspettato che le cavità oculari del ragazzo potessero cominciare a sanguinare copiosamente; allungò il dito, passandolo con lentezza sulla guancia pallida dell'allievo così da togliergli parte del sangue che poi annusò.
Nagato non si era accorto di perdere sangue e quando, aprendo appena la bocca, avvicinò le dita alle guance per poco non rimase senza fiato nel sentire il liquido sgocciolare fino a non imbrattargli i vestiti; era strano, perché non avvertiva alcun dolore.
“Hai un'abilità innata sorprendente e molto pericolosa; non c'è alcun dubbio, la controlli attraverso i tuoi sentimenti e questo è un male.” osservò Orochimaru dopo essersi leccato con un gesto rapido il polpastrello per ripulirlo.
“Io... non era mia intenzione.” si giustificò Nagato pallido.
“Oh, lo era eccome. Sei perfido, ragazzino.” commentò il maestro con fare mellifluo, notando che il flusso di sangue proveniente dagli occhi stava diminuendo.
“Cosa devo fare?” chiese con una serietà che voleva mascherare la profonda agitazione provata.
“Ci alleneremo ancora – concluse Orochimaru, non preoccupandosi di consolarlo, per poi aggiungere tagliente – ora vattene.”
Nagato non disse nulla, fece un inchino e corse attraverso il campo di addestramento per poter rientrare a Konoha che, sera dopo sera, lo accoglieva da un anno a quella parte. Un lungo anno durante il quale non molto era cambiato, eccetto la situazione politica dell'intero Paese del Fuoco che aveva comportato la momentanea cessazione dei conflitti; certo, i ninja venivano ancora mandati in missione, ma si trattava per lo più di lavori ordinari o addirittura d'ambasceria.
Minato aveva fatto dei progressi incredibili e sotto la guida esperta di Jiraiya era riuscito a superare ampiamente i suoi compagni di squadra; sembrava addirittura intento ad imparare una strabiliante tecnica chiamata rasengan i cui effetti, stando a quanto dicevano le voci, dovevano essere devastanti.
Oltretutto, tra le tante piacevoli nascite che avevano contribuito a ripopolare il villaggio, c'era stata quella di Itachi Uchiha, un neonato di pochi mesi sul quale però già gravavano parecchie aspettative, continuamente alimentate dall'opinione che tutti si erano fatti sul clan, dotato di una straordinaria abilità innata.
Nagato ogni tanto, all'ombra di una pianta, fantasticava sulla possibilità di avere un clan tutto suo, temuto e rispettato, la cui abilità posseduta avrebbe causato negli altri la soggezione che meritava; ma si trattava solo di sogni irrealizzabili, per quanto belli potessero essere, dal momento che non sapeva nemmeno lui come gestire quell'immenso potere.

Yahiko aspettava impaziente davanti alle porte della biblioteca; contò le formiche che rigorosamente in fila trasportavano le briciole, provenienti da qualche scarto di cibo, fino alla loro tana immersa nel terreno polveroso.
Finché improvvisamente la ragazza non uscì, tenendo in mano un'ampia gamma di rotoli e fogli di carta che minacciavano di cascarle da un momento all'altro.
“Kushina!” esclamò lui allegro, sentendosi improvvisamente più leggero, come se tutto il tempo trascorso ad aspettare fosse passato in un attimo.
Lei si concesse un sorriso, perdendo momentaneamente la concentrazione, ma si affrettò a dire:
“Aiutami, prendi qualcuno di questi affari...”
Il giovane ninja arrivò in suo soccorso, afferrando alcune pergamene prima che rotolassero a terra, e scese le scale in compagnia della studiosa per ritrovarsi in strada.
“Sei davvero sicura che ti serva tutto per studiare? Secondo me esageri.”
Effettivamente l'esagerazione quando si trattava di dare il meglio era una delle prerogative di Kushina, la quale nonostante tutto smentì:
“Magari, dovrei prendere ancora altro materiale. Portiamo tutto a casa, poi non ti sfrutterò più, promesso.”
“Tranquilla, mi fa piacere poterti aiutare.” ammise lui, mentre i capelli di quel castano così simile al rosso aranciato della sua compagna rilucevano al sole.
Kushina inaspettatamente arrossì perché, mese dopo mese, aveva scoperto che avere affianco Yahiko, nei momenti durante i quali entrambi erano liberi, non era solo piacevole ma anche una sorta di necessità; le mancava quando non passava a prenderla in biblioteca, le mancava persino quando studiava con simulata attenzione le tecniche per poterle apprendere.
Invece Minato era diventato una sorta di fantasma che di tanto in tanto riappariva nella sua vita facendo finta che fossero amici come prima, quando invece nessuno dei due sapeva cosa fosse diventato l'altro nel periodo di tempo che tanto li aveva cambiati.
Quel giorno, come ogni volta, Kushina e Yahiko dopo aver depositato l'ampio materiale cartaceo erano andati a sedersi su di un prato alle porte del villaggio, beandosi della possibilità di non dover temere eventuali incursioni nemiche come durante i tempi di guerra; in quel luogo chiacchieravano passando dagli scherzi più infantili dei primi tempi, alle confessioni a portata di mano nelle quali esprimevano i reciproci dubbi.
Però nessuno dei due ebbe mai il coraggio di andare oltre esse o anche solo affrontare la questione sentimentale; erano troppo inesperti del mondo a soli quattordici anni e tutto ciò che era fonte di imbarazzo veniva abilmente evitato da entrambi, per quanto si sentissero reciprocamente attratti.
Quel tardo pomeriggio però Kushina si era seduta più vicino a Yahiko, il quale avvertì un contatto più stretto ma, imbarazzato, non provò minimamente a scostarsi, cessando persino di parlare allegro come era solito fare; tutto attorno a loro taceva, neanche un filo di vento accarezzava l'erba verde della primavera.
Yahiko fino ad allora si era sempre considerato un ragazzino esuberante ma in grado di affrontare le questioni senza troppi giri di parole, era addirittura il primo a farsi avanti nelle missioni quando si trattava di affrontare dei rischi. Ma, a partire da quel momento, aveva capito che il coraggio era una dote parecchio relativa e non sempre bastava per superare determinate questioni all'apparenza superficiali o poco impegnative.
Umettandosi le labbra accennò:
“Kushina, io...”
Come doveva continuare? Non se lo ricordava nemmeno più, forse perché Kushina era talmente bella, nella sua giovane età, da vanificare ogni suo sforzo di compattare le parole in modo sensato.
Lei voltò la testa, fissandolo negli occhi ampi, provando il sciocco desiderio di accarezzare quei capelli corti perennemente spettinati e vedere ogni volta il sorriso così sincero che tanto la faceva stare bene; deglutì un istante, avvertendo per istinto la serietà del discorso che il ragazzo si preparava ad intavolare, e lo incoraggiò:
“Avanti.”
“Ecco – fece una pausa molto meditata – si tratta di una cosa importante e, credimi, ci ho pensato a lungo.”
“Che cosa devi dirmi?” chiese lei con un sorriso, sentendo l'emozione crescere.
Yahiko prese fiato e disse a velocità tripla rispetto al normale:
“Dovresti tenerti sempre i capelli lunghi perché ti stanno bene!”
Abbassò la testa, consapevole di essere un codardo, e lo stesso fece Kushina visibilmente delusa da quella che, evidentemente, non rappresentava la risposta desiderata.
“Grazie.” si limitò a dire.
Si guardarono, sollevando gli occhi, ma per qualche istante nessuno dei due riuscì a formulare qualcosa di sensato.
Finché Kushina non spostò la mano, passandola tra le ciocche dei capelli di Yahiko che, sorprendentemente, la lasciò fare socchiudendo appena gli occhi e per una volta non parlando; erano entrambi confusi da quel contatto da sembrare che non avessero aspettato altro.
La ragazza gli si avvicinò così da dargli un protettivo bacio sulla fronte, solleticandogli la pelle con le lunghe ciocche che ondeggiarono ai suoi movimenti delicati, e sussurrò:
“Ci vediamo stasera alla festa del clan Uchiha, Yahiko.”
Poi si rialzò in piedi, allontanandosi dopo che lui ebbe biascicato un saluto confuso.
Yahiko, a quattordici anni d'età, sperimentava per la prima volta cosa volesse dire amare qualcuno, magari in quel modo un po' impacciato che avevano i ragazzini ma indubbiamente sincero, e logicamente non sapeva minimamente come affrontare la situazione; era fuori ogni questione parlarne con Nagato, tormentato dai suoi problemi con Orochimaru, e tantomeno con Konan perché era una femmina e sembrava saperne poco o niente di cosa comportasse provare quella stupenda sensazione.
Così, troppo orgoglioso per ammettere di provare un sentimento da lui considerato prerogativa delle ragazzine, si teneva tutto dentro facendo il possibile per non cascare nella fossa che lui stesso si era costruito.
Ma quel pomeriggio, mentre teneva il volto affondato nell'erba così da soffocare il borbottare rabbioso, Yahiko capì con tanto dispiacere di essere stato davvero uno stupido.


Sproloqui di una zucca

Perdonate l'aggiornamento lungo ma questa è stata una settimana intensa. Il capitolo era già pronto da un bel po' ma dovevo trovare il tempo per ricorreggerlo, a meno che non volessi presentarvi un bell'esempio di itagliano sbagliatato.
Molto bene e ora anche il buon Orochimaru ha degli allievi da seguire; a proposito di allievi, ho deciso di basarmi su quel poco che si legge dal manga: Anko non compare ancora, l'ho collocata più avanti e sarà un po' più grande di Kakashi.
Comunque, sì, ci sarà anche lei, non potevo certo perdermi l'occasione di inserirla con tutte le conseguenze del caso =ç=
Di Yahiko, ahimé, si sa poco o nulla al momento ma la mia mente malefica rielabora in continuazione il possibile mutare psicologico di questo patato ^^
Inoltre il legame tra di lui, Nagato e Konan sarà particolare, molto, quindi aspettatevi un bel po' di sviluppi già con il prossimo capitolo *___*
Consideriamo anche la presenza di Kushina e Minato, comunque XD

Stuck93: Muahahah, felice che la comparsa di Orochimaru ti abbia lasciata così O__O Ovviamente è un personaggio che può piacere o meno, ma mi è davvero indispensabile. Quanto a Itachi, sì, comparirà già neonato dal prossimo capitolo e anche a lui spetteranno un bel po' di cambiamenti in quanto a relazioni. Anche io per il resto ho molto amato la scena tra Kushina e Konan, sono diverse come modo di comportarsi ma entrambe molto forti, per questo potrebbero essere in un futuro probabili amiche. Quanto ad Anko, non mi sono dimenticata di lei, solo che ho deciso di farla comparire più avanti; Danzo... nel prossimo capitolo entrerà in scena, purtroppo. Grazie della recensione, non potrebbe mai straziarmi, anzi, mi fa sempre piacerissimo *___* Quindi scrivi tutto quello che ti passa per la mente, io sono sempre contenta di leggere ^^

Bravesoul: Collega di contest! Che piacere vedere una tua recensione qui ^^ Spero che i prossimi capitoli possano continuare a piacerti! ^^

Erre: Grazie mille! Il caro Orociock avrà delle mire ben precise per quanto riguarda il trio della Pioggia, anche se elaborerà tutto con cura... quanto all'ambiguità... beh, infatti, non sarebbe lui se non fosse così calcolatore e ambiguo *____*
Konan... diciamo che in futuro sarà parecchio incerta, chissà però Nagato... - non preoccuparti, sono domande da brava fangirl queste, più che legittime... dovresti sentire le domande che mi faccio io XD Grazie ancora per seguire la storia, al prossimo capitolo allora! ^^

Hiko_Chan: Tesoro mio! *____* Vedere una tua recensione riempie sempre il mio cuoricino di gioia! La battutona me la ricordo eccome... mica si parla di Special K per caso XD (sì, a questo punto direi che siamo due pazzioidi complete, ma andiamone fiere *___*) E' vera ogni singola cosa che dici: Yahiko e Minato a modo loro sono spontanei e Nagato, molto più silenzioso e riflessivo, in un certo senso pecca di questa spontaneità che forse vorrebbe avere. Sono contenta che il pezzo tra Kushina e Konan ti sia piaciuto, trovo che la loro potrebbe essere realmente una bella amicizia, anche se molto particolare e forse all'apparenza più distaccata, ma semplicemente perché sono entrambe orgogliose e poco propense a mostrare il loro affetto. Quanto al rapporto tra Orochimaru e Jiraiya... XD fai bene, la tua mente da yaoista ha sempre ragione: vedici pure tutti i doppiosensi e controsensi del caso, li ho messi di proposito... fangirlo molto sulla loro relazione a dire il vero *____* Tsunade... ç____ç povera... nel prossimo capitolo si vedrà qualcosa in più, anche se Jiraiya non riuscirà a fare molto, purtroppo.
Grazie mille per la tua presenza, per la passione con cui recensisci e per essere sempre così disponibile in ogni cosa: ne sono davvero felicissima *____* Ora faccio un saluto anche ai tuoi criceti, perché, credimi, stanno lavorando egregiamente: bravissimi cari ^^
A presto Hiko!! <3

Iperione: Ma di nulla. Ogni recensione per me è fondamentale per capire l'andamento della storia, i particolari che possono piacere o meno, quindi te lo dico in tutta sincerità: non farti problemi ad esporre sia critiche positive che negative, dubbi, perplessità o apprezzamenti. Vorrei che si instaurasse un bel dialogo tra scrittore e recensore ^^
Infatti, Orochimaru è stato per me una scelta quasi istintiva, proprio per le sue particolarità e i fatti del manga, oltretutto mi ispira un sacco come idea. Spero di continuare su questa linea e che anche i futuri capitoli possano interessare. Grazie davvero del commento! ^^

Grazie a chiunque legga la storia e l'abbia inserita tra i preferiti/seguiti *___*

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Capitolo 5
*** Sull'indifferenza, sulla delusione, sulle minacce... ***




V

Sull'indifferenza, sulla delusione, sulle minacce...




Le vie dove viveva il clan Uchiha erano piuttosto affollate e cariche di odori diversi, accompagnati dallo sfrigolio della carne sulle braci e dal chiacchiericcio degli abitanti di Konoha; questi ultimi erano radunati tra quelle strade proprio per celebrare la nascita del primogenito di Fugaku e Mikoto, evento che segnava una successione assicurata dello sharingan. Oltretutto, dopo mesi di tregua, era l'occasione per svagarsi e non pensare più alle conseguenze della guerra, approfittando finalmente del momentaneo periodo di pace.
Nagato si guardò attorno silenzioso mentre avanzava, scansando a malapena la folla. Corrugò la fronte perplesso, intento a cercare di individuare Yahiko e allo stesso tempo ignorare quell'inutile caos festaiolo che gli assordava i timpani.
Finché in un angolo, dopo qualche metro di bancarelle e tavoli colmi di cibarie, non vide l'obiettivo delle sue ricerche guardarsi attorno irrequieto, tipica posa di chi attendeva impazientemente qualcuno.
“Ehi! E' da un po' che ti cercavo.” ammise Nagato raggiungendolo.
Yahiko dopo qualche istante voltò improvvisamente lo sguardo verso l'amico e, superata l'iniziale distrazione, spiegò piuttosto teso:
“Sto aspettando una persona, solo che non si decide ancora ad arrivare.”
Il ragazzo dai capelli scuri lo fissò e non mancò di notare che il piede tamburellava sul terreno, mentre le dita continuavano a muoversi frenetiche. Sorrise: Yahiko era da sempre stato un tipo piuttosto impulsivo e allo stesso tempo estremamente protettivo nei confronti delle persone a cui teneva; fingeva di sorridere per mascherare la preoccupazione, in grado di alzare le spalle proseguendo come se nulla fosse.
“Quella persona non siamo noi, immagino.” osservò Nagato severo, pur senza volerlo.
“E' un problema?” chiese Yahiko piccato.
“No – rispose l'altro apparentemente tranquillo – il problema è che tu fai sempre finta che le cose non esistano.”
I due si guardarono un istante, senza aggiungere o replicare altro. Per Yahiko in realtà fu un duro colpo: era la prima volta che il suo compagno di avventure, di viaggio e di sofferenze gli parlava con quei toni. La realtà era che mentre lui cercava di volare lontano ed adattarsi, Nagato si ancorava al peso del passato – incapace di concepire gli sforzi dell'amico per integrarsi.
Nonostante le apparenze infatti, il possessore del rinnegan era molto attaccato a tutto ciò che per lui era importante e vedere Yahiko allontanarsi ogni giorno di più gli faceva male; la cosa peggiore però era che non c'era alcun rimedio: uno dei due, infatti, sarebbe stato destinato a soffrire per la felicità dell'altro.
Improvvisamente, dopo qualche istante, Yahiko appoggiò una mano sulla spalla di Nagato e gli chiese cercando una certa complicità:
“Non hai invitato Konan? Lo sai che in fondo, anche se non lo da a vedere, le piacerebbe se tu lo facessi...”
Konan... sarebbe rimasta in silenzio diversi istanti, ottima opportunità per valutare la situazione, fino a che non avesse finalmente accettato con il solito fare dignitoso e compunto. Difficile, se non impossibile, che invece si verificasse la situazione inversa: nella sua riservatezza e riflessività non avrebbe mai mosso lei il primo passo, a meno che, secondo i suoi calcoli, non fosse stato necessario.
Nagato scosse la testa, rispondendo serio e scostandosi dalla mano di Yahiko dopo averla guardata sofferente: “Tu non capisci. Come puoi di punto in...”
Ma il suo interlocutore aveva già gli occhi persi altrove; ad un certo punto infatti esclamò:
“Kushina!”
Si sbracciò per farsi vedere, così anche Nagato si voltò e, dalla direzione, comprese che la suddetta Kushina doveva essere una ragazzina dai capelli rossicci, la quale si faceva largo tra la folla spintonando senza troppa remore. Era per quella kunoichi che lui si stava distanziando da loro tre, da quello che erano?
Fissò Yahiko e gli sussurrò, sforzandosi di non far tremare la voce:
“Vorrei che tu non mi abbandonassi. Noi... siamo amici.”
L'ultima parola fu pronunciata in un soffio ma così carico di frustrazione da essere più forte di un urlo. Il compagno confermò, guardandolo di sfuggita:
“Certo che lo siamo – aspettò qualche istante poi disse – scusami ma ora...”
La sua voce improvvisamente si perse tra le altre, mischiandosi come acqua aggiunta ad altra acqua, o forse era Nagato a non volerla più ascoltare. Chiuse gli occhi mentre l'amico si allontanava di corsa, portandosi le dita alle tempie e sigillandosi le labbra per non gridare dalla rabbia: era davvero così facile andarsene via? Bastava correre, ovunque i propri piedi si dirigessero, e lasciare tutto alle spalle, amici compresi.
Non poteva desiderare di fare del male a Yahiko: lui non era l'insegnante crudele, il nemico spietato o l'esame da stracciare. Era il suo migliore amico, era la sua parte complementare che equilibrava la mancata capacità di imporsi sugli altri trasformando le incertezze in sicurezze.
Se avesse continuato a sentirlo lì, così vicino ma innamorato di una ragazza, sarebbe impazzito e – lo sapeva – avrebbe finito per ucciderlo. Se non poteva essere di fianco a Yahiko era ingiusto che qualcun'altro potesse prendere il suo posto: nessuno lo conosceva e lo ammirava tanto quanto lui.
Eppure, nella sua mente, sapeva che tutto ciò era completamente sbagliato oltre che malato... strano come quel piccolo dettaglio riuscisse ad apparirgli quasi del tutto insignificante. Alla fine allora non gli restava altro che andarsene, correre a sua volta lontano per mettere a tacere quella voce vendicativa dentro di sé che avrebbe fatto solo del male allo scopo di alleviare il proprio dolore.

Yahiko guardò Kushina ed ammise:
“Scusa, non ho i fiori con me... il fatto è che non sapevo quali ti piacessero così...”
Lei lo squadrò un istante per poi rimbeccarlo allegramente: “Avanti, finiscila. Lo so che te ne sei completamente dimenticato...”
Il ragazzo abbassò gli occhi, infilando le mani in tasca, infine alzò le spalle ed ammise candidamente:
“Ehm, in effetti è vero.”
Kushina scosse la testa divertita, poi lo prese per un braccio portandolo a camminare di fianco a sé.
“Il soffione.” disse dopo qualche istante.
“Come?” chiese Yahiko perplesso, spostandosi appena in tempo per evitare un uomo piuttosto corpulento.
“E' il mio fiore preferito. Nel paese del Vortice è raro trovarne uno intero perché il vento soffia molto spesso e disperde i semi: però è bellissimo vedere a primavera il cielo riempirsi di ciuffi bianchi che danzano nell'aria.”
Si portò una ciocca dietro i capelli, lunghi fino a metà schiena, e con quel gesto Yahiko notò che per la prima volta la ragazza indossava una gonna – semplice e nera – anziché i soliti pantaloni. Sorrise, stupendosi di quanto riuscisse Kushina ad apparire femminile nonostante si atteggiasse ogni volta a maschiaccio; scoprì che gli piaceva anche quel lato del suo carattere di solito piuttosto irruento.
“Me lo ricorderò.” confermò lui, gongolando perché sentiva quella mano così vicina al proprio braccio.
Camminarono ancora, chiacchierando spensierati come amavano fare; ridacchiavano nel ripensare alle facce involontariamente buffe di Jiraiya ogni volta che si ritrovava a discutere con Orochimaru – pretendendo di imporgli il proprio metodo di insegnamento – peccato che, puntualmente, il compagno si limitasse ad ignorarlo proseguendo a modo suo.
Dopo diverso tempo si erano allontanati dalle vie più affollate così che finirono per ritrovare la solita pace tipica delle strade di Konoha, di tanto in tanto percorse da qualche coppia che rientrava a casa oppure da ritardatari speranzosi di non essersi persi il meglio della festa.
Improvvisamente però, lungo il cammino si intravide la figura di Minato che avanzava a passo spedito, almeno fino a che non si accorse di Kushina. Si arrestò; in seguito, dopo qualche istante, riprese a camminare portandosi di fronte ai due.
“Allora c'eri!” esclamò esasperato.
Kushina incrociò le braccia replicando ironica: “Comunque ciao, tra l'altro.”
Yahiko sulle prime non disse niente, anche se avvertì una certa minaccia nella presenza di Yondaime che dopo un saluto frettoloso ad entrambi spiegò:
“Sono rientrato da poco con Jiraiya al villaggio, ha insistito perché ci prendessimo una breve pausa dall'allenamento intensivo. Sai, sto iniziando a concentrarmi per acculare il chakra e condensarlo: non è facile ma i progressi ci sono.”
Sorprendentemente il ragazzo non si stava vantando: parlava con semplicità dei suoi traguardi e delle sue speranze perché, al di là della bravura personale, nel pieno dei quattordici anni condurre allenamenti sfiancanti non era facile per nessuno. Minato infatti, semplice ma allo stesso tempo ambizioso, proseguiva indefesso e con passione perché amava essere un ninja e dentro di sé, ne era irremovibilmente convinto, credeva che migliorare potesse servire per riuscire un giorno a proteggere gli altri.
Kushina, nonostante si sforzasse per orgoglio di non darlo a vedere, in realtà ammirava Minato così come lo stimava in quanto persona. Lui per certi aspetti era più razionale e maturo di lei che, impulsiva oltre che testarda, detestava ammettere di essere superata da qualcun altro, soprattutto se si trattava del giovane Yondaime.
“Beh, sei venuto qui per dirmi tutto questo? – dopo un istante, rendendosi conto di essere stata troppo dura, aggiunse con fare più gentile – So già che sei bravo.”
Minato spalancò gli occhi replicando:
“Non sono qui certo per quello. Devo parlarti di un paio di cose – si voltò verso Yahiko chiedendo disponibile – ti dispiace se...”
Pochi secondi di pausa, secondi durante i quali la mente febbrile di Yahiko elaborò una serie di schemi con causa ed effetto considerando eventuali azioni da compiere. Di solito non era tipo da fermarsi più di tanto a pensare eppure quando c'era in ballo non solo Kushina ma, motivo forse ancora più importante, anche il proprio orgoglio era il caso di spremere le meningi per evitare di commettere stupidaggini.
Peccato non sempre simile sistema servisse ad un tale nobile scopo.
“Certo che mi dispiace.” obiettò il ragazzo troppo tardi per pentirsene.
Sia Minato che Kushina, sorpresi da quel rifiuto, spalancarono gli occhi. La kunoichi però, dopo qualche istante, non poté che sorridere e silenziosa aspettò un'eventuale risposta di Minato.
Quest'ultimo inclinò appena la testa e disse con il suo solito fare conciliante:
“Senti, lo so che sei suo amico come anche mio, ma io e lei dobbiamo parlare di cose importanti.”
“Oh, pure io devo parlarle di cose importanti.” ribatté; tanto ormai la situazione era compromessa, quindi era inutile tentennare: non aveva mai esitato in vita sua, di certo non avrebbe cominciato proprio quella sera di fronte al suo rivale.
Entrambi, ragazzini, rimasero per qualche istante muti a fissarsi. Entrambi erano allo stesso modo inconsapevoli di provare la prima cotta adolescenziale della propria vita, quella cotta che sembra eterna e allo stesso tempo ricorda l'aria, così indispensabile per la propria esistenza da chiedersi come si riuscisse a vivere prima. Quella sera però, di fronte ad una sorta di sfida non dichiarata, Kushina era diventata solo un pretesto infantile per far sentire le proprie posizioni e non arretrare di fronte al proprio avversario, con l'intima soddisfazione di non lasciargli il merito di prevalere.
“Yahiko – disse paziente Minato – non ho alcuna intenzione di arrivare a litigare con te.”
Lo fissò con fare ammonitore ma il ragazzo invece si rimboccò le maniche nere e replicò:
“Ah sì? Beh, io invece direi che è indispensabile. Avanti, fatti sotto, non ho problemi a batterti qui ed ora.”
Non c'era alcuna aria tronfia o gradassa nel modo di fare di Yahiko, anche perché non era nel suo carattere. Per lui dire una cosa equivaleva a farla, qualunque sacrificio comportasse.
Minato sospirò e schioccò la lingua abbozzando un sorriso:
“Mi costringi a farti del male.”
“Non andare a piangere da Jiraiya quando ti troverai con un braccio rotto.” rispose tranquillo Yahiko piegando le gambe.
Kushina sbottò, appoggiando le mani sui fianchi:
“Piantatela ora, siete semplicemente ridicoli. Non sapreste fare male a una mosca.”
Ma i due, ormai compromessi nella difesa delle rispettive posizioni, si voltarono contemporaneamente verso di lei ed esclamarono quasi in coro:
“Non intrometterti!”
Evidentemente sembravano aver dimenticato che era anche in virtù della sua presenza se si erano trovati a sfidarsi.
“Pazzesco!” esclamò lei apertamente incredula.
Ma, prima che potesse poco finemente prenderli per le orecchie e riportarli alla ragione, i due ragazzi erano già scattati in avanti pronti a colpirsi. Così Kushina assistette suo malgrado allo scontro tra Minato e Yahiko che, saltando di parete in parete delle case affacciate sulla via, con una destrezza sbalorditiva attaccavano e schivavano usando un semplice kunai ciascuno.
Ad un certo punto, nel balzo da un balcone all'altro, Minato lanciò diversi shuriken ad una velocità sorprendente ma mentre Yahiko con una capriola riuscì facilmente ad evitarli, Kushina in strada non aveva abbastanza spazio e, colta alla sprovvista perché intenta a seguire i movimenti dei due, all'ultimo fu costretta a sfoderare le sue armi per far deviare le lame che andarono a piantarsi nel terreno.
“Non sai fare niente di meglio dopo tutti questi allenamenti speciali?” Yahiko calcò volutamente sulla parola, facendo appoggio alla fastidiosa ironia, e si preparò a saltare sul tetto vicino per prendere vantaggio così da avere il tempo di eseguire un jutsu.
Minato non perse le staffe, abituato a ragionare da anni, e seguì lo sfidante intento a posizionare le mani. Lo guardò un istante, accorgendosi immediatamente che stava per compiere qualche tecnica, ma la sequenza era troppo rapida affinché riuscisse ad interpretarla.
Il ragazzo allora nel dubbio, e anche per una questione d'orgoglio, decise di far sfruttare quanto aveva imparato a costo di duri sacrifici, così da impartire una dura lezione a Yahiko. Si posizionò e dopo un istante concentrò nei palmi delle mani una sfera di chakra che si agitava furiosa, come se tentasse di sfuggire dal suo controllo con tutta la forza possibile.
Il rasengan era una tecnica difficile e, Minato lo sapeva benissimo, lui era appena agli inizi dell'apprendimento ma credeva che se sottoposto ad una giusta carica emotiva sarebbe riuscito a sfoderare quell'arma dagli effetti devastanti. Nel suo caso certo, essendo comunque ancora molto giovane, su Yahiko avrebbe avuto appena gli effetti di una lieve bruciatura ma la soddisfazione di essere riuscito ad eseguirla sarebbe stata ugualmente forte.
Così, sentendo lo sfrigolio del chakra, fece per rilasciarlo quasi in contemporanea con Yahiko, il quale a sua volta si era preparato a lungo per poter eseguire una tecnica simile: non c'era occasione migliore di testarla se non con il suo coetaneo che – molto spontaneamente – si era offerto su di un piatto d'argento.
Ma improvvisamente entrambi vennero sfiorati da due shuriken e, se non fossero stati abbastanza abili da schivarli, probabilmente avrebbero rimesso qualcosa in più di un semplice ciuffo di capelli. Minato, vistosi passare di fianco l'arma, perse il controllo sul chakra che ribelle gli esplose tra le mani mentre Yahiko confuse gli ultimi gesti, col risultato di riuscire a malapena a produrre una ridicola nuvoletta di fumo. Furenti si voltarono verso il bordo del tetto e videro Kushina che, con altri shuriken tra le dita, li fissava ostentando aperta superiorità.
“Che stai facendo?” chiese Minato deluso per aver visto la propria occasione sfumare.
“Sto riportandovi all'uso della ragione, stupidi. Dici tanto a me di essere precipitosa ma stasera tu e Yahiko vi siete dimostrati dei bambini.”
Si mantenne ancora un istante seria poi, non resistendo oltre, scoppiò a ridere:
“Dovevate vedervi: tutti concentrati e poi... avete fatto una faccia quando vi hanno sfiorato gli shuriken!”
Minato sbuffò e Yahiko, lasciando perdere ogni contegno, la imitò seccato – gesto per il quale ricevette un'occhiata furente da Kushina che smise all'istante di ridere.
I tre, sul tetto di un proprietario sconosciuto fino a che non fosse venuto a protestare, rimasero un istante in silenzio perché nessuno di loro si decideva ancora a scendere. Minato sospirò e disse, ritrovando tutto sommato una certa serietà – al di là  della cocente delusione per essersi fatto cogliere stupidamente di sorpresa:
“Con te è tutto terribilmente difficile Kushina.”
Lei arricciò le labbra e propose:
“Beh, allora avanti, dimmi quello per cui volevi parlarmi, visto che sono tanto difficile.”
Yahiko contrasse i pugni e, nonostante una parte di lui avrebbe voluto intervenire per allontanare Minato, decise di non muoversi perché capiva che non sarebbe stato giusto per nessuno ostacolare gli altri. Yondaime in un primo momento si trovò in forte difficoltà, sorpreso dalla proposta di Kushina, e dette un'occhiata al suo compagno che per contro lo fissava rabbuiato; in fondo erano tutti e tre troppo giovani per avere esperienza su cosa fosse realmente l'amore e ciò che comportasse quel sentimento bello ma pericoloso.
“La verità è che mi spiace non poter stare a Konoha come prima e mi dispiace non passare altro tempo con te Kushina; perché mi divertivo e perché... tutto sommato mi piaci.”
Lui incrociò le braccia con aria di sfida, fissando la ragazza. Quest'ultima fece per aprire la bocca ma, prima che potesse dire qualcosa, ignorando l'agitazione crescente Yahiko la anticipò, esclamando sconfortato:
“Merda!”

Jiraiya era seduto presso il tronco di un albero piegato fino a toccare terra e, con in mano un bicchiere di saké, contemplava la festa che si animava per le strade di Konoha – non mancando nemmeno di osservare con fare esperto le belle donne in kimono che passeggiavano, ridendo frivole com'era giusto che fosse.
Improvvisamente la visuale gli fu coperta da tutt'altro tipo di persona: Orochimaru, le braccia incrociate e i soliti capelli neri che gli ricadevano davanti al volto, stava in piedi a fissarlo con un accenno di sorriso laconico. Jiraiya si piegò di lato per vedere una bella ragazza passare ma poi, con un sospiro, rinunciò a quell'attività così nobile e chiese allegro:
“Da quando in qua ti dedichi alle feste? Diventare insegnante ti ha reso meno insofferente agli altri?”
Il ninja della foglia gli lanciò un'occhiata indifferente e, anziché stare dietro alle sciocchezze del collega, rispose asciutto:
“Devo parlarti del ragazzo con l'abilità oculare.”
“Intendi Nagato?” chiese Jiraiya, il quale non comprendeva perché Orochimaru trovasse tanto ostile chiamare le persone con il proprio nome.
“Lui.” confermò con tono piatto ma gli occhi scrutatori.
“Beh, fatica un po' a socializzare... è come te, siete due... – ammutolì nel vedere la poco socievole espressione dell'amico, quindi si fece serio e aggiunse – dimmi, ti ascolto.”
Orochimaru si spostò leggermente più in ombra dalle luci della strada, appoggiandosi al tronco del grande albero presso il quale Jiraiya era seduto, quindi disse:
“Non riesce ancora a controllare il rinnegan e se stimolato lo attiva con effetti imprevedibili: hai raccolto una creatura strana ma interessante, al patto che si sappia come usarla.”
“Non stai parlando di un oggetto.” notò Jiraiya con una smorfia.
“Forse – rispose ambiguo, aggiungendo – forse qualcuno ha già notato quanto possa essere pericolosa la presenza del rinnegan nel villaggio.” sussurrò mentre i suoi avvertimenti volavano via assieme al vento che gli scuoteva i capelli neri.
Jiraiya rimase in silenzio, seduto a gambe incrociate, e aspettava guardandosi le mani. Sapeva che più i giorni passavano più le persone addette alla sicurezza di Konoha giudicavano Nagato come una presenza inopportuna; quante volte aveva provato a spiegare che non si trattava di un mostro senza controllo... era pur sempre un ragazzino, accidenti!
Ma le persone, nelle loro paure, nelle loro diffidenze, sapevano essere crudelmente ostinate: se non fosse stato per Sarutobi – il quale difendeva con convinzione i ragazzini della Pioggia – probabilmente non ci sarebbe stato più nessun rinnegan.
“Dovresti insegnargli nuove tecniche e trattarlo con più fiducia.” propose infine.
L'amante dei serpenti si riservò un sorriso crudele nell'ironico compatimento per poi obiettare lucidamente, senza risentimento:
“Come fai tu con il tuo allievo? Dovrei fargli conoscere tecniche più micidiali del rasengan per illuderlo di essere migliore?”
“Nagato è migliore di molti altri. Solo che non se ne rende conto.” replicò Jiraiya con fredda razionalità, contemplando con sguardo distante il bicchiere vuoto di saké appoggiato a terra.
Anche Tsunade era migliore degli altri. Eppure questo non le aveva impedito di soffrire quando il suo fratellino era morto: un altro colpo che l'aveva fatta affondare; lei, per non soffocare definitivamente, aveva cercato di risollevarsi, fuggendo dal baratro che l'aveva trascinata in una spirale di dolore infinita.
Fuggiva così da non rivivere negli angoli di Konoha l'immagine delle persone che l'avevano abbandonata.
Nagato era chiuso, timido, appigliato a Yahiko che invece con il suo carattere estroverso guidava i suoi amici. Ma questo era solo un tratto del suo carattere, o almeno così pensava Jiraiya; in fondo, infatti, il giovane ragazzo della Pioggia sembrava star maturando sfruttando la fredda razionalità: anche quando agiva impulsivamente per difendersi dagli altri aveva sempre uno scopo preciso da attuare. Era la capacità di riflettere che rendeva una persona in grado di essere un ninja potente, poco soggetto alla volubilità delle sensazioni, e non quella di eseguire migliaia di tecniche diverse.
Certo, se si accomunavano questi fattori inevitabilmente il ninja in questione passava da essere potente a pericoloso, cosa di cui Orochimaru sembrava avere piena consapevolezza.
Improvvisamente i pensieri di Jiriaya vennero interrotti da un battito di mani proveniente da una piccola crocchia di gente, radunatasi presso l'entrata della grande dimora di Fugaku e Mikoto Uchiha.
Allora l'evocatore di rospi si sfregò le mani dicendo:
“Ecco che presentano il futuro erede dello sharingan. Non ti incuriosisce nemmeno un po'?”
“Direi di no. Per colpa tua ho già parecchi problemi a gestire un'abilità oculare senza doverne desiderare un'altra.” rispose con voce melliflua, forse perfino seducente in modo ambiguo.
Jiriaya si alzò in piedi fischiettando, fingendosi indifferente, infine lanciò uno sguardo in direzione della folla di persone: scorse per un breve istante un neonato dai folti capelli neri che muoveva le braccia incerto. Si ritrovò a pensare che, forse, quel nuovo nato non sarebbe mai stato niente di speciale, uno come tanti su cui però gravava il peso della famiglia – per la quale l'orgoglio e la dedizione erano il marchio di fabbrica.
Oppure il giovane Uchiha era destinato a ben altre prospettive: avrebbe potuto essere un guerriero formidabile oppure ritirarsi in privato ed aprire un chiosco di ramen. Ogni prospettiva in un modo o nell'altro diventava possibile, anche se per riuscire a compiere determinati obiettivi spesso era necessario sacrificare qualcosa; tutto stava nel saper scegliere cosa lasciare indietro.

Nagato camminava lungo una delle tante strette vie di Konoha senza guardare dove stesse realmente andando: avanzava e basta, troppo furente perché potesse ragionare a mente fredda come era solito fare.
Yahiko, lo aveva capito da un pezzo ormai, non era più lo stesso di quando erano loro tre insieme al Villaggio. Era come un uccellino riuscito a sfuggire dalla gabbia che lo aveva imprigionato: volava libero, piroettando impazzito, ancora stordito da tutto ciò che lo circondava, ubriaco per aver bevuto all'improvviso in un colpo solo quel superalcolico che era la libertà; doveva abituarsi prima di berne ancora o sarebbe rimasto schiacciato dal peso di quella seducente sbronza.
Improvvisamente, però, qualcuno lo prese per le spalle e lo trascinò nell'oscurità, sbattendolo contro un muro, senza che lui fosse abbastanza preparato per potersi ribellare. Nagato sbarrò gli occhi; non parlò né emise un sussulto, cercò invece di intravedere chi lo avesse aggredito.
La sua bocca venne serrata da una mano callosa, segnata da duri allenamenti, e un volto si avvicinò al suo per sussurragli:
“Taci, parassita.”
Nagato rimase paralizzato a guardare l'uomo che gli impediva di muoversi e comprese con chi avesse a che fare: Danzo. Jiraiya li aveva avvertiti di stare in guardia da uno come quello, disposto a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi. Ma ora che era nella sua morsa quegli avvertimenti, se ne rese conto, non gli sarebbero serviti a niente.
Perché nulla poteva ripararlo da quell'odio innato che l'uomo mostrava attraverso gli occhi folli e le labbra corrugate in una smorfia di sadico senso di superiorità.
Nagato però non pianse, non tentò di urlare, nemmeno si mosse: non gli interessava, così come non desiderava farlo. Sapeva che il suo avversario voleva vederlo morto ma questo la cosa gli era indifferente: aveva già letto nello sguardo degli altri lo stesso struggente desiderio.
“Non guardarmi con quell'aria di sfida: io ti distruggerò.”
E sarebbe stato così, secondo i calcolati interessi di Danzo. Nessuno, tra tutti quegli sciocchi pacifisti del villaggio, era abbastanza lucido da capire che il possessore di un simile potere oculare doveva essere non solo allontanato al più presto possibile ma addirittura eliminato. I problemi, già più volte i fatti gli avevano dato ragione, dovevano essere risolti a partire dalla radice; nell'eventualità in cui tutto ciò non fosse sufficiente, bisognava eliminare le mele marce prima che contagiassero le altre.
Quel ragazzino, ne era certo, avrebbe rappresentato un pericolo per Konoha e se un giorno non l'avesse attaccata lui direttamente ci avrebbero pensato altri ninja nemici, con il solo scopo di impossessarsi di quell'abilità sorprendente. E ora il possessore del rinnegan lo guardava con gli occhi sgranati, forse anche i suoi velati di follia, ma non tentava di ribellarsi: era come se accettasse la situazione o, più probabilmente, aspettasse l'occasione di schiacciarlo a sua volta.
Danzo premette una mano contro il collo magro del ragazzino, il quale improvvisamente tentò di costringerlo a sua volta a togliere la presa. Ma l'uomo non si arrestò, né si fece impietosire: doveva andare avanti fino in fondo, a qualsiasi costo; fece fluire il chakra che bruciò lentamente ma nel modo più doloroso possibile la pelle toccata, senza che però – doveva riconoscerlo – la vittima emettesse un solo lamento.
“Devi morire, mostro.”
Nagato lo guardò ma non pensò minimamente a lui o a quello che gli stava succedendo: non c'erano tecniche illusorie sufficientemente potenti da coprire la realtà delle cose.
Lui sarebbe morto solo, perché Yahiko non era più accanto ad aiutarlo.



Sproloqui di una zucca

Ok, aggiornamento tardo, chiedo perdono. Ma Kishimoto mi sta dando dei seri problemi quanto a caratterizzazione di Yahiko *O*
Dovrò farlo sempre più determinato e renderlo un fiero guerriero ^^
Quanto sono tattici i tre ragazzi della Pioggia, adulti, tutti insieme a combattare l'uno affianco all'altro? Anche se, povero Yahiko... ç____ç
Ma lasciamo perdere il manga e parliamo del capitolo in sé: non so da dove sia venuta fuori la scena di combattimento infantile tra Yahiko e Minato, probabilmente ero sotto effetto di litri d'alcol... senza nemmeno aver bevuto, curiosa come cosa. Quanto a Danzo... finalmente eccolo farsi vedere, ed è solo l'inizio è____é
Perdonate se, in futuro, tra Yahiko e Nagato ci saranno accenni apparentemente shonen-ai: ma l'intento è quello di mostrare un'amiciza forte, un legame praticamente indissolubile.

Hiko_Chan:  Già, Yahiko è un tipetto determinato *O* Mi rendo conto che caratterizzarlo non è facile, un po' perché Kishi dice e non dice (dannato str... ehm...), un po' perché effettivamente devo cercare di plasmarlo per renderlo reale. Quindi si vedrà in futuro cosa Orochimaru progetta e quello che accadrà. Guarda, sono davvero felice che lo scontro tra Oro e Nagato ti abbia fatto quell'effetto, così come il loro dialogo: non sono personaggi facili da trattare.
La scena del sangue dagli occhi è un po' psicopatica in effetti, ma non comporterà nulla per Nagato, almeno agli inizi: perde sangue per lo sforzo, povero patato ç___ç
Yahiko e Kushina mi piacciono molto insieme, anche se è la prima volta che uso la giovane ragazza del vortice in modo approfondito (sì, insomma, lei XD). Voglio puntare molto sul loro rapporto che, indipendentemente da come andranno le cose, sarà comunque molto profondo^^
Konan la sto sviluppando in un'ottica ancora più ampia, forse un po' morbosa °O°
Per la serie: mi faccio paura da sola; forse a causa delle mie inquietanti pare mentali. Grazie come al solito del tuo puntualissimo e stupendo commento, Ile: sei, come sempre, la mia lettrice d'oro ^^
Quindi ti saluto con un bacione, nonché con un grande applauso anche per i mitici Adalberto e Sempronio *O*

Iperione: Grazie mille per le considerazioni ^^ Spero che la storia continui a rivelarsi interessante e che le future scelte in quanto ai personaggi e le loro relazioni possano apparire non solo logiche ma anche essere apprezzate. Non preoccuparti assolutamente di eventuali ritardi: oltre al fatto che anch'io ho ritmi abbastanza dilatati, prenditi assolutamente la libertà di recensire come e quando vuoi *___*

Alla prossima, miei gentili lettori! ^^

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Capitolo 6
*** Sullo svoltare, sul contemplare, sull'essere Dio... ***




VI
Sullo svoltare, sul contemplare, sull'essere Dio...




Nagato dentro di sé sapeva che era in grado di uccidere quell'uomo; bastava semplicemente lasciarsi trascinare dalle proprie sensazioni e l'istinto di sopravvivenza avrebbe avuto la meglio sulla ragione. Ma non ci riusciva. Tutti i suoi pensieri erano concentrati sull'abbandono subito che, al pari del chakra bruciante sulla pelle, ad ogni secondo faceva più male.

“Avanti – disse Danzo con tono impassibile, duro e severo come se non stesse accadendo niente – uccidimi usando il rinnegan. Tu lo hai già fatto e lo farai ancora.”
Perché quelle parole suonavano più come una profezia che una minaccia?
Per un istante i due si fissarono: il ragazzino senza espressività, l'uomo digrignando i denti con una rabbia non furibonda bensì straordinariamente controllata.
Danzo era stato addestrato nel corso di lunghi anni a non perdere mai la testa né ad abbandonarsi all'istintività; persino mentre toglieva la vita ad un potenziale nemico non si sarebbe lasciato andare alla cecità della rabbia. Ogni cosa era stata squisitamente calcolata: il primo passo da compiere per aprire gli occhi all'Hokage era dimostrargli che il possessore dell'abilità innata rappresentava un pericolo; se lui – valido e fedelissimo ninja del villaggio – fosse stato attaccato da Nagato allora, indipendentemente dalle motivazioni, il ragazzino sarebbe stato visto per quello che era. Un estraneo ostile.
Danzo, lo aveva provato più volte, considerava il sospetto il primo passo per togliere di mezzo un nemico scomodo: una volta che gli umani guardavano l'altro con occhi diversi era difficile far cambiare loro idea; quanto al resto... ci avrebbe pensato il tempo.
Improvvisamente, però, qualcosa di pungente lo colpì alla schiena: Danzo ebbe la sgradevole sensazione di sentirsi trapassato da migliaia di aghi contemporaneamente. Sussultò ma non lasciò la presa, portandosi invece la mano libera dietro le spalle.
Scoprì, con sua sorpresa malgrado gli anni di esperienza in combattimento, che a fargli del male non erano stati aghi bensì speciali lance fatte completamente di carta. Una di queste, finita tra le sue dita, venne stritolata e gettata a terra mentre era intento a voltarsi verso chi lo aveva attaccato a tradimento.
Vide che si trattava di una ragazzina dai capelli scuri vicini al blu – la stessa che proveniva dal Villaggio della Pioggia. Lo fissava seria, le labbra contratte in una smorfia altezzosa, e tra le dita ulteriori armi simili a quelle utilizzate precedentemente.
Senza parlare lanciò altre lance che, veloci e precise come se fossero state mosse da un vento invisibile, raggiunsero in un sibilo il loro obiettivo. Danzo capì che bloccarle non sarebbe stato sufficiente, così dovette per forza di cose allontanarsi da Nagato e lasciarlo libero.
Strusciò sul terreno, sollevando una nuvola di polvere, ma non mancò di vedere le punte di carta che – insensibili nel loro cammino – proseguivano dritte in direzione del giovane dai capelli scuri.
Questi non si scompose e nemmeno cercò di deviare le armi dirette contro di lui: semplicemente all'ultimo, senza battere ciglio, reclinò la testa di lato in modo tale che una di esse si piantò sul muro a pochi centimetri dalla sua guancia. Le altre potenziali lame lo circondarono, in uno strano disegno, ma nessuna di esse riuscì a sfiorarlo: era come se fosse stata eretta una barriera impalpabile attorno a lui.
Konan si rivelò impassibile nel voltarsi verso Danzo che, inalterato, si era alzato in piedi:
“Muori. Tu non potrai più far del male a nessuno di noi.”
Nagato guardò l'uomo ma quest'ultimo, anziché tentare di fuggire o di contrattaccare a sua volta, replicò con voce roca, senza tradire alcuna paura:
“Provate ad uccidermi. Anzi, fatelo. Fatelo e voi assieme all'altro vostro amico sarete spacciati.”
Konan suo malgrado spalancò gli occhi, mostrandosi più sorpresa di quanto non avesse voluto. In realtà dietro lo sguardo fiero che ostentava gelida sicurezza lei era spaventata: spaventata che Nagato fosse in fin di vita e, sì, anche che Danzo potesse ucciderli. Lui lo avrebbe fatto, ne era sicura, ma non gli conveniva perché le potenziali vittime erano nelle sue mani: un passo falso e sarebbero stati sbattuti fuori da Konoha senza troppi complimenti, nuovamente senza una casa.
Nagato, prima che lei potesse dire o fare qualcosa, sussurrò rivolgendosi minaccioso al ninja della Foglia: “Ciò non toglie la certezza che tu saresti morto comunque.”
Danzo non disse nulla; lo scrutò quasi con una sorta di aspettativa, come se desse per scontato che prima o poi quelle parole sarebbero state messe in atto. Konan invece, seppur trascinata dagli eventi, si rese razionalmente conto della situazione nella quale loro malgrado erano stati coinvolti: non avrebbe permesso che per colpa di quell'essere infido le speranze di una vita migliore fossero mandate in frantumi.
Così prese con delicatezza Nagato per un polso e iniziò ad incamminarsi a testa alta, non dimenticandosi di dire rivolta a Danzo:
“Prima o poi verrai ricambiato per il male che hai fatto. Se Dio esiste, lui ti punirà.”
Nagato silenzioso camminò per diversi metri trasportato rigidamente da Konan: si lasciava trascinare semplicemente perché lo voleva e perché era lei a farlo, sempre così inscindibilmente presente nella sua vita.
Dopo quello che era successo capì che non avrebbe mai potuto essere come Yahiko: fidarsi degli altri era impossibile, perché a loro volta gli altri non si fidavano e lo dimostravano nella meschinità delle piccole cose. Lui sarebbe rimasto semplicemente Nagato dal Villaggio della Pioggia, non Nagato dal Villaggio di Konoha: illudersi che tutto ciò potesse venire cambiato era da stupidi.
Quanto a Dio, egli dubitava che ci fosse; in quel caso bastava inventarselo o, alternativa migliore, esserlo.

Ci sono delle volte nelle quali, quando albeggia, si ha come la sensazione che la giornata seguente stia per arrivare ma, allo stesso tempo, che la notte precedente ancora non finisca. Si vive sospesi aspettando che il tempo cambi, consapevoli che non saremo noi a mutarlo ma lui che invece cambierà noi. E a quel punto non potremo farci niente... assolutamente niente.
Yahiko era sdraiato su un prato, fuori dalle recinzioni del Villaggio, e con le braccia incrociate dietro la schiena osservava il sole sorgere. Non perché fosse un tipo da pazientare o avesse mai amato perdere tempo stravaccato sul letto, anziché alzato a fare qualcosa di utile; la verità era che quella notte aveva subito una sconfitta schiacciante: non in un duello ninja, in un gioco stupido o simili... semplicemente aveva capito che illudersi non l'avrebbe portato da nessuna parte.
A quel punto, anziché andare avanti facendosi del male, aveva preferito fermarsi un istante e riflettere, come probabilmente avrebbe fatto Nagato al posto suo.
Kushina aveva ostentato impassibilità di fronte ai discorsi piuttosto espliciti di entrambi, soprattutto dopo l'uscita di Yahiko: era arrossita mentre cercava di fuggire lontano con lo sguardo, fingendo che le confessioni impacciate dei due ragazzi non la riguardassero minimamente. Minato era stato il primo ad andarsene, anche lui messo in una situazione difficile, ma invece di imbarazzarsi ulteriormente aveva optato per ostentare superiorità e allontanarsi con assoluta indifferenza... peggio, con il suo solito sorriso carismatico.
Era stato in quell'occasione che Yahiko tutto sommato aveva capito: Kushina si era girata a guardare, a contemplare, Minato – lui, che evidentemente doveva essere simile all'ultimo cumulo di neve prima della stagione primaverile: si vorrebbe tenerlo con sé in qualsiasi modo prima che si sciolga per sempre.
Come poteva Yahiko pretendere di ricevere le stesse occhiate – per quanto negate fino allo sfinimento –  sapendo di essere nient'altro che un semplice amico?
Alzò le spalle, ridacchiando da solo tra i ciuffi d'erba: Minato e Kushina erano troppo ostinati, troppo orgogliosi per poter ammettere anche solo lontanamente di piacersi; sarebbe quindi passato parecchio tempo prima che si sforzassero di dichiarare i rispettivi sentimenti. Infantili, certo, ma di quell'ingenuità che raramente si trova anche solo in una comune amicizia fra quelli che si definiscono adulti: proprio in virtù di quella semplicità di legami – anche se spesso poteva dare origine a fraintendimenti – era così bello il rapporto che si instaurava da giovani.
E lui? Sarebbe rimasto ad aspettare che il sole sorgesse dopo aver vissuto iperattivo la notte? No. Avrebbe lottato senza cedere, anche se si trattava di intraprendere un cammino difficile.
Improvvisamente sentì dei passi leggeri che accarezzavano il manto erboso; allora scattò a sedere agitato ma, nel voltarsi, ogni traccia di sorriso scomparve per lasciare posto ad aperta delusione.
“Ah, Konan... sei tu.” ammise più triste di quanto non volesse sembrare.
Emanò un sospiro e si rituffò sul prato, osservando con un ciuffo d'erba in bocca il cielo dorato della primissima mattinata.
“Devo parlarti.” spiegò lei priva di esitazioni.
“Nagato?” chiese scrutandola dal basso.
Konan fece un accenno di sorriso. Quei due, ovunque fossero, qualunque cosa accadesse, non avrebbero mai smesso di cercarsi: perché nelle loro differenze si equilibravano, mentre lei contribuiva a mantenere la bilancia centrata, senza che pendesse ingiustamente troppo da una parte piuttosto che dall'altra. Si sedette accanto all'amico e disse, contemplando l'orizzonte dipinto come sfondo meraviglioso di una pianura sconfinata.
“Devo dirti una cosa, una cosa che Nagato vorrebbe mettere a tacere.”
Preoccupato Yahiko si alzò a sedere, costringendo Konan a guardarlo negli occhi; la ragazza lo fissò con un certo rimprovero e dopo un istante continuò:
“Danzo l'ha minacciato.”
Il giovane ninja sgranò gli occhi replicando incredulo e furioso allo stesso tempo:
“Stai scherzando? Quando è successo, io...”
Agitato, confuso, colto totalmente alla sprovvista, volle alzarsi in piedi ma la kunoichi gli posò una mano sulla spalla e usando una certa eleganza lo costrinse a non muoversi, sussurrandogli:
“Ieri sera, mentre tu eri impegnato a divertirti con gli altri.”
Sottolineò la parola altri con particolare disprezzo, reso ancora più evidente dalla bocca che – seppur involontariamente – si era corrucciata in una smorfia non particolarmente amabile. Yahiko si morse un labbro, visibilmente dispiaciuto ma non per questo intenzionato ad abbassare la testa alla stregua di un perdente qualsiasi.
“E ora come sta?”
“Tradito – sibilò Konan, fece una pausa e aggiunse più dura – Dal suo migliore amico.”
Yahiko furibondo scattò in piedi, puntandole un dito contro, e urlò alterato:
“Non dare la colpa a me! Tu lo difendi sempre, qualsiasi cosa accada! Solo perché io non sono uguale a lui, calmo, riflessivo e tutte quelle cose lì mi accolli ogni responsabilità; ebbene, notizia dell'ultima ora: non è più un bambino che ha bisogno del paparino premuroso, lui non ha bisogno di me.”
Konan si alzò in piedi a sua volta e, senza tradire la minima emozione, dette un poderoso schiaffo a Yahiko in pieno volto, uno schiaffo che lo fece rimanere basito, costringendolo a portarsi una mano nel punto colpito mentre fissava la ragazza ad occhi sgranati.
Quest'ultima rispose calma:
“Lui ha bisogno di te come tu hai bisogno di lui: non rinnegare quello che sei, saresti solo un codardo. – si portò con uno scatto un ciuffo di capelli dietro l'orecchia e aggiunse – Ora... ora vado.”
Si allontanò a piccoli ma rapidi passi, simile ad un'elegante signorina in kimono. Yahiko boccheggiò un istante cercando inutilmente di trovare aria e parole: non sapeva da quando la ragazzina timida si fosse trasformata in una giovane donna ferma e decisa, eppure così stranamente femminile.
Il ninja si sentì bruciare il viso, non per lo schiaffo ricevuto bensì perché aveva capito di aver clamorosamente sbagliato: lui era espansivo, desideroso di farsi nuovi amici e dimenticare il passato; ma non sarebbe stato cancellando ciò che aveva sin dal principio che ci sarebbe riuscito.

“Oggi sei migliorato, Nagato – notò Orochimaru scandendo lentamente le parole – mi chiedo cosa ti abbia spinto.” aggiunse con un velo di perfidia.
“Nulla.” soggiunse lui abbassando la testa, mentre il collo era fasciato per via della bruciatura provocata dal chakra di Danzo.
Il sennin lentamente gli sollevò il mento e notò il bendaggio; accennò ad un sorriso poi, passandosi un istante la lingua sulla bocca, si avvicinò all'allievo e gli chiese in un sussurro roco:
“Qualcuno più che qualcosa, direi.”
Il giovane girò di scatto il volto, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Orochimaru divertito dalla reazione scostò la mano e replicò mellifluo: “Sei libero di fare quello che vuoi, a me non interessa. Ma se viene a danneggiarmi, capisci che non potrò essere molto gentile con te.”
“Non siete mai stato gentile con me.” replicò freddo Nagato, finalmente guardando negli occhi il maestro. Quest'ultimo fece un accenno di risata priva di emozioni e commentò:
“Hai ragione. Sappi però che potrei essere ancora peggio.”
“Ne sono consapevole.” disse il ragazzo inespressivo.
“Immagino.”
I due si scrutarono un istante poi il ninja dai lunghi capelli neri lasciò che il possessore del rinnegan se ne andasse, camminando con le spalle leggermente incurvate e il volto cupo. Assottigliò le labbra irritato e allo stesso tempo piacevolmente divertito: quando Jiraiya avesse visto la ferita sul collo di uno dei suoi allievi ceduti in prestito lo avrebbe tormentato per ore nel tentativo di capire se lui – il maestro cattivo e insensibile – avesse combinato qualcosa ad una delle preziose pecorelle smarrite.

Danzo contemplò qualche istante la luce fioca della candela, che ondeggiava inquieta rischiarando di poco le ombre della stanzetta soffocante. Quando vide l'uomo entrare strinse rigidamente le dita delle mani e assottigliò le labbra, studiandolo nelle movenze.
“Siediti.” ordinò freddamente.
Il ninja obbedì e si portò di fronte al suo comandante, accoccolandosi prudente sulla sedia, inghiottito dell'oscurità. Solo il volto dagli occhi penetranti e i denti aguzzi era reso parzialmente visibile dalla fiamma situata frontalmente.
“Qual'è il mio compito?”
Danzo tese di poco in avanti il torace, impossibilitato a muoversi ulteriormente per via delle ferite riportate alla schiena, e spiegò con voce roca:
“Sarà una missione che probabilmente richiederà anni prima di essere portata a termine.”
L'uomo si concesse il lusso sbagliato di sussultare e replicare:
“Io ho una famiglia nel Villaggio della Nebbia. Sono infiltrato per voi anche a rischio di mettere a repentaglio le loro vite: non potete chiedermi di abbandonarli così a lungo.”
Lo spietato ninja non si lasciò ammorbidire dalle richieste del subordinato; al contrario, dimostrando una lucida freddezza replicò:
“Ti conviene ascoltare le direttive se vuoi continuare ad avere quella famiglia a cui tieni così tanto.”
L'interlocutore tacque, poi rassegnato chiese: “Cosa devo fare?”
Danzo si alzò in piedi, portando le mani dietro di sé, mentre fissava impassibile la porta chiusa davanti al tavolino; infine spiegò:
“Mi sono giunte diverse voci sul fatto che uno dei più potenti ninja della Foglia, con mia sorpresa, sia ancora in vita.”
“Voi... vi riferite a...” tacque, sbarrando incredulo gli occhi, consapevole che di ninja invincibili ne era esistito uno soltanto a Konoha.
“Dovrai scoprire se queste voci sono fondate o meno. Una volta appurata la verità sarà indispensabile capire se possiamo garantirci il suo appoggio nel piano che ho in mente di mandare avanti.”
Non c'erano alternative: era indispensabile eseguire un colpo di mano definitivo se voleva assicurare la potenza e la supremazia militare di Konoha. Se avesse continuato ad essere guidata da quello stupido pacifista dell'Hokage, si sarebbe ben presto ridotta ad un mero centro senza spina dorsale, vittima di Paesi più forti che l'avrebbero schiacciata.
Perché permettere che accadesse un fatto simile quando con la giusta imposizione militare il Villaggio della Foglia avrebbe potuto trionfare sugli altri?
E poi, contemporaneamente, avrebbe avuto la soddisfazione di togliersi per sempre di mezzo quei fastidiosi e arroganti ragazzini della Pioggia.
Con lo sguardo reso acceso dalla consapevolezza delle proprie capacità, Danzo concluse:
“Parti e tieni in mente una cosa: voglio entrare a conoscenza di tutta la verità riguardo Madara Uchiha. Trovalo.”

Yahiko, rimasto a torso nudo presso il ruscello ai margini del Villaggio, si sciacquò il sudore dell'allenamento; quando vide Nagato arrivare rimase imbambolato, indeciso se andarsene o restare per chiarire le cose. Konan però gli lanciò un'occhiataccia che lo fece propendere verso la seconda opzione.
Nagato stette immobile a fissarlo, senza tradire alcun imbarazzo o tentennamento. L'amico gli si avvicinò e rompendo ogni esitazione ammise:
“Konan mi ha detto quello che ti è successo.”
“Davvero?” chiese il ragazzo più freddo di quanto non volesse.
“Mi dispiace.”
Calò il silenzio. Entrambi in quel momento erano come l'acqua del fiumiciattolo accanto: continuavano a scorrere, cambiando in continuazione, ma nessuno eccetto loro sembrava rendersene conto; nell'impeto della corsa verso un mare più grande e ben più ampio del letto di un fiume si trascinavano tanti residui che – fino a quando non avessero raggiunto l'obiettivo prefissato – avrebbero continuato a portarsi dietro.
Ad un certo punto Nagato chiese serio ma allo stesso tempo disperato – una disperazione struggente che si rifletteva attraverso gli occhi dai disegni concentrici, sublimi ed ingannatori allo stesso tempo:
“Secondo te io sono un mostro?”
Yahiko scosse la testa, incapace nella sua inesperienza di quattordicenne a trovare parole adatte:
“No, certo che no. Anzi, possiamo picchiare quell'idiota che...”
Improvvisamente Nagato gli poggiò una mano sulla spalla, arrestandolo:
“Questa volta non sarai tu ad agire. Mi occuperò io di Danzo, anche se questo richiederà parecchi anni.”
Yahiko sorrise, dimostrandosi piuttosto scettico di fronte alle inaspettate parole da parte dell'amico, così chiese ironico: “E come penseresti di riuscirci?”
“Uccidendolo.” rispose in un soffio.
Il giovane compagno ammutolì, fissando quegli occhi talmente freddi e razionali da oscurare completamente l'incertezza che precedentemente li accompagnava. Quell'attacco così diretto, quel colpo sulla testa dopo aver creduto di riuscire finalmente a rialzarsi era stato fatale per Nagato; lui non perdonava, mai. Rimaneva ad incancrenirsi di muta rabbia fino a non scoppiare o fino a che qualcuno non gli avesse permesso di sfogarsi; mai decideva spontaneamente di compiere il primo passo.
Dopo qualche istante Nagato chiese: “Tu mi sei accanto Yahiko? Mi staresti accanto fino alla morte?
Quelle parole, Yahiko se ne sarebbe reso conto solo anni dopo, erano un contratto irregressibile, una garanzia che avrebbe pagato con la vita. Mettere la propria firma significava l'impossibilità di tornare indietro, qualunque cosa fosse accaduta.
O forse, con la razionalità di poi, Yahiko era pienamente consapevole di ciò che volesse dire accettare ancora una volta di rimanere al fianco di Nagato; se l'aveva fatto non era per mancata di riflessione ma semplicemente perché erano migliori amici. Non migliori amici qualsiasi, bensì compagni di vita e più innamorati di qualsiasi Kushina e Minato generici: complementari nelle loro differenze, nonché nelle loro paure e insicurezze.
“Lo sarò. Non ti abbandonerò più, fino alla morte.”
Istintivamente andò ad abbracciare Nagato. Usò tutta la sua forza, come se temesse di poterlo vedere andar via, troppo lontano ed irraggiungibile, oppure – ipotizzò mostrando un certo cinismo – sarebbe stato lui ad essere costretto ad andarsene prima o poi.
Rimasero abbracciati e dopo qualche istante Yahiko gli sussurrò alle orecchie:
“Chi pensi di essere per poter uccidere uno alla stregua di Danzo?”
Inaspettatamente, stringendo le braccia attorno al torace dell'amico, quasi artigliandolo con la passione di un amante, Nagato sussurrò a sua volta:
Dio.




Sproloqui di una zucca

Concedetemi la risata diabolica: muahahahah!
Non vedevo l'ora di scrivere alcuni capitoli per poter finalmente postare questo, che attendeva da un po' nel mio piccì. Spero che siate rimasti soddisfatti dal prodotto del mio povero neurone *O*
Ora un paio di precisazioni: attenti all'uomo che lavora per Danzo; tornerà, addirittura molto in futuro, e anche se non lui direttamente sarà fondamentale per l'evolversi della vicenda.  Oltretutto a partire dal prossimo capitolo la narrazione avanzerà di qualche anno, dato che ormai i nostri protagonisti saranno dei giovani uomini/donne con tutte le conseguenze del caso.
Una precisazione: è Nagato a definirsi Dio e non Yahiko a ispirargli l'idea come accade nel manga, questo oltre perché mi sembra più giusto secondo fini di trama, anche perché quando scrissi la parte ancora non era uscito il capitolo nel quale si faceva tale accenno.
Infine merito un paio di frustacchiate sulla schiena: ho appellato Minato come Yondaime anziché Namikaze. Mea culpa, pur sapendo la distinzione mi ero talmente tanto abituata a chiamarlo con il primo nome da non farci più caso: lo cambierò, yes *_____*

Iperione:  Grazie mille, spero che la coerenza delle mie scelte continui ad essere tale anche in futuro. Gli aggiornamenti saranno un po' lenti, causa periodo esami piuttosto intenso, ma cercherò di garantire una qualità della storia sempre elevata ^^

Bravesoul: Sono felicissima che ti stia piacendo la storia, mia cara! *O* La rivalità tra Yahiko e Nagato, nonostante questo capitolo passi un po' in sordina, prossimamente verrà ripresa, più viva e accesa che mai, anche se sussisterà sempre l'amicizia e l'ammirazione reciproca.

Hiko_Chan: Eccoti, mia Grande Officiante della Carica *_____* No, suvvia, non odio il mio patato... (ormai mi sono impossessata dei tre ragazzi della Pioggia XD) è solo che gli voglio talmente tanto bene da strapazzarlo tant... giusto un pochetto ^^
Anch'io mi trovo molto vicina a Nagato, per quello che prova e il modo in cui reagisce, anche se razionalmente potrebbe apparire esagerato: ci si sente talmente affezionati alle persona da apparire quasi protettivi nei loro confronti e desiderare che non si allontanino mai - anche se questo alla lunga è sbagliato. Quanto al colpo di scena... sob, la conclusione si rivela forse banale ma secondo me significativa: rappresenta un vero e proprio punto di svolta. Da quel momento sia Danzo che Nagato cercheranno di vendicarsi l'uno sull'altro, cosa che comporterà sconvolgimenti non indifferenti.
Vorrei invece attendere più tempo per far maturare la relazione tra Yahiko, Kushina e Minato, in modo che quanto avverrà tra loro non appaia così scontato e a volte assurdo. Sarà con la distanza degli anni che inizieranno a chiarire le rispettive posizioni e ciò che vogliono realmente, acquisendo una maturità maggiore.
Per il resto come al solito ti ringrazio per le tue bellissime parole e per trovare la storia così intrigante, spero che continui a piacere *____* Grazie per avermi segnalato la svista su Yondaime, non ci avevo più fatto caso XD Un grande bacione, mia cara, e al prossimo capitolo!

Stuck93: Certo che fai bene a odiare Danzo, hai la mia totale approvazione *O* Anche perché come già si intuisce da questo capitolo le cose andranno sempre peggio. Felice che la scena di combattimento tra Yahiko e Minato sia piaciuta: che bella cosa l'ardore giovanile dei ninja e Gai non potrebbe essere più d'accordo XD Ringrazio anche te per l'avvertimento su Yondaime, perdona la mia malsana abitudine nell'usare da tempo entrambi gli appellativi, pur conoscendone il significato. Correggo e vado a fare flessioni sulle sole braccia, tenendo compagnia a Rock Lee.... ehm, bugia, non lo farò mai *O* Chissà come mai ma nessuno se ne stupiva XD
Grazie per il commento, alla prossima! ^^

Un ringraziamento ai preferiti/seguit/lettori: voglio un immenso bene a tutti voi... sembro il Padrino coi suoi picciotti X°D

<3

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Capitolo 7
*** Sull'ingannare, sulla crescita, sullo sfiorare... ***



VII
Sull'ingannare, sulla crescita, sullo sfiorare...



Orochimaru studiò la radura davanti a sé, in seguito fece un cenno con il capo e gli altri avanzarono altrettanto silenziosamente. Il ninja li scrutò un istante negli occhi, infine mormorò loro, accompagnato dal frusciare delle foglie:
“Ora ascoltatemi attentamente.”
Yahiko ormai aveva diciott'anni; dal canto suo, Orochimaru non li aveva mai trattati da ragazzini, anzi, al sensei l'età era davvero indifferente quando si trattava di farli massacrare con allenamenti estenuanti. Il ragazzo si limitò silenziosamente ad annuire, mentre Nagato e Konan non batterono ciglio, finendo per guardare seri il proprio maestro.
Tutti e tre avevano ricevuto l'avanzamento a jonin con grande facilità perché avevano mostrato di essere veramente capaci, oltre che dotati di una grande abilità nel combattimento; forse siccome, più di tanti altri, avevano vissuto sulla loro pelle sin da piccoli cosa volesse dire sopravvivere.
Orochimaru teneva le braccia incrociate e il volto leggermente inclinato di lato:
“Seguite le mie direttive e non avremo problemi. Io e Nagato avanzeremo fino all'appostamento, voi due limitatevi a rimanere di guardia qui; non voglio che ci siano eventuali superstiti.”
Yahiko istintivamente volse il capo verso Nagato, il quale gli riservò un'occhiata di sfuggita, infine accennò: “Però...”
Il ninja della foglia assottigliò un istante gli occhi, poi accennò ad un sorriso che gli fece quasi scomparire le labbra sottili: “Stavi dicendo qualcosa, Yahiko?”
Quest'ultimo fece per parlare ancora, ma Konan gli dette una leggera gomitata che fu sufficientemente complice da passare – almeno all'apparenza – inosservata. Il giovane abbassò un istante lo sguardo, colpito come sempre dalla freddezza di quello di Orochimaru, e rispose con tono neutro: “No, nulla, Orochimaru-sensei.”
Il loro maestro non era un ninja che si faceva cogliere tanto facilmente impreparato; non era semplice accettare di rimanere in disparte mentre lui svolgeva la missione assieme a Nagato, facendoli ad attendere come semplici fantocci.
“Perfetto – sibilò Orochimaru, lasciando che parte dell'occhio gli venisse coperta dai lisci capelli neri – non sono ammesse distrazioni. Questo sarà il punto di ritrovo per la nostra squadra, quella di Jiraiya e gli elementi di supporto: controllate l'area e fate che al mio ritorno non ci siano sorprese spiacevoli.”
Yahiko annuì severamente, stringendo con forza i pugni, mentre sentiva accanto a sé la presenza confortante di Konan. Nagato li fissò qualche istante; sembrava quasi voler assorbire i suoi amici in quella spirale concentrica che erano i suoi occhi, così ingannatori e allo stesso tempo incredibilmente tristi.
Si avvicinò un istante ai due e disse quasi in un bisbiglio:
“Ci vedremo una volta conclusa la missione.”
Yahiko accennò ad un sorriso tirato: “Sicuro – prima che il compagno si voltasse aggiunse – Ehi... guarda che puoi sempre rifiutare. Troveremo una soluzione.”
Il ragazzo scosse la testa: “No, è giusto così. Sono rivoltosi pericolosi per la pace del Paese del Fuoco: in quanto tali vanno eliminati. Il rinnegan è indispensabile.”
Per una volta poteva essere lui e lui soltanto d'aiuto. Inoltre, ma questo nessuno doveva saperlo, aveva i suoi buoni motivi per seguire da solo Orochimaru; motivi dei quali sia Yahiko che Konan dovevano rimanere assolutamente all'oscuro.
“Stai attento.” si raccomandò Konan, inspirando lentamente.
“Anche voi.” rispose l'altro serio.
Quando Orochimaru lo richiamò freddamente, non rimase altro che congedarsi: così, nel giro di un battito di ciglia, Nagato della Pioggia scomparve assieme al suo maestro in una nuvola di fumo, al pari di un fuoco estintosi troppo presto.
Ai due ninja rimanenti non restò altro che guardarsi negli occhi, rispecchiandosi vicendevolmente nella comune solitudine che sia era venuta a creare.

*°*°*°*°*

I ribelli avevano stanziato diverse basi, divenute nel corso di pochi mesi il fulcro di ogni loro azione di sabotaggio. Attaccavano, rapidi e letali, i Villaggi più provinciali scatenando una serie di rivolte interne che, inevitabilmente, portavano al confronto con quelle cittadine più grandi e potenti economicamente, erroneamente ritenute responsabili.
Quei soldati ben addestrati disponevano di risorse finanziarie non indifferenti, in quanto durante la guerra avevano vissuto come mercenari: la pace portava loro via non solo il lavoro ma soprattutto gli introiti dati da vendite illegali di armi e tecniche, nonché dei sostanziosi bottini ricavati dalle spedizioni. La decisione di aggregarsi e provocare instabilità tra i Paesi era sorta quasi spontanea e li aveva visti formare un'organizzazione compatta, dotata oltre che di certezze economiche anche di obiettivi comuni.
Era indispensabile che diverse squadre di ninja venissero dislocate nei centri maggiori dove si nascondevano i ribelli, in modo da poter mozzare contemporaneamente le teste di quell'idra pericolosa che minava le basi di pace create tanto a fatica. Se si trattava di ucciderli era un prezzo più che accettabile per ritrovare l'equilibrio perduto.
Nagato e Orochimaru rimasero nell'ombra senza scambiarsi una parola: osservavano silenziosi l'accampamento apparentemente disorganizzato, quando in realtà dopo giorni di studi si era dimostrato una perfetta macchina efficiente. Il vero punto debole era la scarsa conoscenza delle tecniche illusorie, punto che inevitabilmente sarebbe stato sfruttato nella sua interezza da Orochimaru.
Quest'ultimo aveva calcolato sin nei più minimi dettagli ogni mossa da compiere, con la perfezione che gli era propria e quel morboso desiderio di portare a termine i desideri che lo ossessionavano. Accennò ad un sorriso compiaciuto, infine fece un cenno secco a Nagato che – comprendendo al volo – annuì e con un'abile uso delle conoscenze imparate in quegli anni si trasformò nella copia perfetta dei uno dei ribelli che, fortuna premettendo, soggiornavano nel campo; una faccia anonima e senza troppa importanza, di quelle che difficilmente rimanevano impresse nella mente. Ringraziò oltretutto di essere bravo a passare inosservato, visto che riusciva ad essere trasparente come aria se solo voleva.
A quel punto l'allievo si zittì un istante, umettandosi le labbra, infine fissò negli occhi il proprio maestro e con voce incolore iniziò:
“Mi concede il permesso di chiederle...”
Si zittì ma non distolse lo sguardo, limitandosi a trattenere il respiro: quanto voleva domandare gli avrebbe cambiato per sempre la vita. Orochimaru per un istante lo studiò, assottigliando gli occhi come un predatore intento a braccare la propria preda; una preda incomprensibile a tratti, dai movimenti sfuggenti quanto imprevedibili.
“Sto aspettando, Nagato.” disse improvvisamente in modo gelido.
Questi deglutì e infine trovò il coraggio di dire: “Ho bisogno del suo aiuto, Orochimaru-sensei.”
Egli ribatté in quel modo ipnotico e seducente, contornato da parole taglienti ma incredibilmente dotate di fascino attrattivo: “Lo sai che tutto ha un prezzo, vero?”
Nagato annuì, quella volta senza alcuna ombra di dubbio: “E io sarei disposto a pagarlo.”
Passarono diversi secondi prima che Orochimaru rispondesse, perché era intento a scrutare con occhi acuti quanto quelli di un felino i movimenti dell'accampamento, dimostrando quel lucido distacco indispensabile in ogni missione. Senza preavviso disse, evidentemente esaltato da quanto gli stava venendo offerto su un piatto d'argento:
“Che cosa vuoi ottenere, mio subdolo allievo?”
Nagato aveva l'oscura sensazione che il sannin, immerso nella sua ombra, in qualche modo ignoto in realtà lo stesse studiando – non solo, gli scavava fin dentro l'anima. Non sapeva come ma era certo che, qualunque cosa stesse per dire, Orochimaru già fosse a conoscenza delle sue intenzioni.
Così in un sussurro che soffocava rabbia repressa confessò: “Voglio avere il potere di uccidere Danzo.”
Il ninja contrasse le labbra sottili in un sorriso tagliente; il rinnegan e la morte di Danzo: due frutti deliziosi da cogliere dal suo albero, premurosamente innaffiato grazie all'inossidabile fedeltà che avrebbe trovato in Nagato.
Nagato; cupo e rancoroso nella sua fragilità: avrebbe dovuto assicurarsi di incatenarlo alle radici della pianta che stava crescendo, così che non potesse un giorno estirparla con le sue mani.

*°*°*°*

Konan si era seduta compostamente su di una roccia; di tanto in tanto socchiudeva gli occhi, alla ricerca di un controllo dei sensi che, sfruttando la semplice vista, sembrava aver perso. Ascoltava, captando i movimenti attorno a lei, mentre le labbra morbide rimanevano leggermente dischiuse, come il petalo di un fiore intento a sbocciare.
Yahiko per i primi tempi era rimasto irrequieto e un po' irritato in piedi, a tormentarsi nervosamente un braccio; in seguito, un po' per stanchezza, un po' per insoddisfazione, aveva abbandonato il rancore, soffocando la preoccupazione al solo scopo di cercare una via di fuga con lo sguardo.
Sguardo che andò inevitabilmente a spostarsi su Konan.
Era così bella, seduta con le gambe mollemente poggiate sull'erba ancora umida di pioggia, i capelli di quel colore ipnotico ordinatamente disposti e il volto... pallido ma allo stesso tempo dotato di una morbidezza nei lineamenti, abilmente mascherata dall'espressione austera, in grado di tratteggiarli più severi e spigolosi di quanto non fossero. Eppure, nonostante la conoscesse da anni, con il tempo quella ragazzina disponibile dell'infanzia si era trasformata senza che se ne accorgesse.
Solo in quel momento di solitudine aveva visto, baciata dai raggi del sole pomeridiano, non una bambina dalle acide forme della pubertà, ma una donna. Bella, sebbene incredibilmente distante; si chiese, istintivamente, dove fosse rimasto lui nel frattempo, che ancora si credeva un ragazzino, anche quando dopo gli allenamenti intensivi si tastava dolorante gli addominali che, ormai, di ragazzino non avevano più nulla.
Erano cresciuti.
Una semplice ma sconvolgente rivelazione che gli fece più male di un pugno nello stomaco.
Sospirò e lentamente si sedette accanto a Konan, perché in quel momento lei era l'unica – in quel momento... non solo, forse lo era sempre stata. Non disse niente e semplicemente si posizionò pacatamente al suo fianco, come un gatto che si sistemava abusivamente sul letto del padrone.
Lei socchiuse gli occhi, facendo finta di nulla, lasciando che la presenza di Yahiko ancora una volta  la rasserenasse, per quanto si sentisse costretta a soffocare quell'agitazione interiore che, con lui, non poteva permettersi di mostrare.
Quando, improvvisamente, la sua mano venne sfiorata da quella di Yahiko, sulle prime l'istinto fatale fu quello di cercarla a sua volta, per stringerla gelosamente a sé. Invece il suo lato più razionale preferì negare quel contatto.
Con uno scatto un po' troppo brusco Konan allontanò la mano, andandola ad appoggiare sulla propria gamba; contemporaneamente lanciò un'occhiata a Yahiko, mostrando un'espressione che poteva voler dire tutto e niente.
“Scusa, non volevo infastidirti.” si giustificò lui, aggiungendo un sorriso finale.
“Non mi infastidisci.” sussurrò, distogliendo gli occhi per fissare quel cielo luminoso che forse un giorno l'avrebbe resa cieca.
Sapeva che Yahiko era l'attrazione sbagliata, l'amico carismatico, il lato spensierato che non poteva sempre concedersi. Tutto si accumulava in un grande colossale errore: perché ancora non capiva come facesse a desiderarlo, volendo allo stesso tempo anche Nagato al suo fianco, la controparte perfetta.
Da quando loro tre erano diventati un'unità inscindibile? Forse da sempre, si rispondeva intimamente ogni sera, solo che non se ne erano mai accorti prima.
Così come lei non si era mai accorta di quanto Yahiko fosse bello, nel suo sorriso solare, nei capelli ramati resi lucidi e vivi da quel sole che sembrava non volerlo mai abbandonare.
Prima che avesse la possibilità di pensare, di frenare i propri pensieri che scorrevano troppo veloci, Konan tese il busto verso Yahiko. Lentamente ma in modo inesorabile, senza sapere cosa aspettarsi da quel movimento prevedibile eppure paradossalmente inaspettato.
Il suo compagno, il suo amico, il proprio peso in grado di bilanciarla, per qualche istante rimase interdetto, incapace di indietreggiare, così come di avanzare. Semplicemente attese, lui che in ogni cosa prendeva l'iniziativa.
Si guardarono per un eterno secondo negli occhi e vi lessero il libro di una vita, quella vita che, nelle tragedie e nelle piccole soddisfazioni, senza nemmeno capirlo avevano costruito insieme, sposati da quell'amicizia inossidabile che non li aveva mai divisi. Cosa attendevano le rispettive labbra? Un bacio, nella più dolce delle ipotesi, o forse una spalla su cui trovare appoggio.
Quel dubbio così seducente d'attesa aveva un accenno d'amore, pericoloso quanto morbosamente attraente. Bastava poco: un millimetro di abissale distanza e l'incertezza sarebbe divenuta bacio.
Finché non arrivò lei.
Fu Konan a sentirne la presenza, l'istante prima che comparisse in quel campo d'attesa. Allora senza scomporsi si allontanò, girandosi di spalle per incrociare sofferente gli occhi con quelli di Kushina;
una Kushina trafelata, con un taglio leggero lungo la spalla, un kunai in mano e il volto sconvolto. Yahiko... il preoccupato e ancora innamorato Yahiko scattò in piedi e, correndogli incontro, chiese:
“Che... che ti è successo?”
“Nulla di particolare – tagliò corto – qualche ribelle che tentava di fuggire. Fra poco ci raggiungeranno anche gli altri, la missione è andata nel migliore dei modi.”
Sorrise, soddisfatta. Ora non restava altro che attendere e sperare che tutto proseguisse per il verso giusto; in fondo le certezze non erano altro che dubbi effimeri, mascherati da senso di convinzione. Quel giorno, per la prima volta, Yahiko se ne rese lucidamente conto.

*°*°*°*

L'accampamento era piccolo ma sufficientemente ben sorvegliato. Dal momento in cui Nagato si era infiltrato con una certa facilità tra i ribelli, aveva avuto la possibilità – senza dare troppo nell'occhio – di controllarne con rapidità i punti deboli e quelli meglio controllati, in modo da avere un'idea più chiara della situazione.
Il suo compito era creare un diversivo che permettesse a lui e a Orochimaru di poter attaccare i mercenari presenti, senza dover correre il rischio di intraprendere un'azione diretta nonché suicida – indipendentemente dal fatto che quel distaccamento fosse poco numeroso e quindi una preda facile.  Il clima di rilassamento generale, dovuto anche ai recenti successi sul fronte est,  aveva comportato un dispiegamento di uomini e un allentamento della vigilanza in quella zona; Nagato dunque ne approfittò per piazzare diverse bombe carta.
Un suo esplicito comando e l' esplosione si sarebbe attivata, divenendo un brillante diversivo per permettere a Orochimaru di infiltrarsi e portare a termine con facilità la missione. Di fronte all'importanza del suo compito il ragazzo, pur dando prova di estrema freddezza nell'eseguire gli ordini, avvertiva una certa tensione addosso; si asciugò la fronte con il dorso dell'avambraccio, assicurandosi che nessuno lo stesse osservando.
Scrutò verso l'orizzonte, nel punto dove sapeva che Orochimaru restava appostato; lì il suo maestro doveva star eseguendo un justsu illusorio, per garantire quel minimo di confusione che avrebbe permesso a Nagato di agire indisturbato.
Terminato il posizionamento delle bombe, l'infiltrato avvertì con un messaggio in codice il proprio sensei; dovevano solo più agire. Il giovane ninja della Pioggia si acquattò dietro una tenda e posizionò le mani, in modo da far azionare le bombe cara disposte: nel giro di qualche secondo gli ordigni esplosero e altrettanto velocemente nel campo si creò un certo scompiglio scompiglio.
Secondi di confusione inevitabili, in quanto l'attacco a sorpresa non era stato minimamente contemplato dai ribelli, ma che ben presto si sarebbero trasformati in minuti di controffensiva.
In quegli istanti d'attesa Nagato segretamente sperò; pregò che Orochimaru non lo abbandonasse in mano al nemico: aveva accettato una missione rischiosa perché era suo compito di ninja farlo, ma non rientrava nelle sue volontà morire accerchiato da una ventina di nemici.
I suoi obiettivi erano ben altri.
Quando, improvvisamente, vide un mercenario corrergli incontro per un lasso interminabile di tempo Nagato credette con assoluta certezza che ben presto sarebbe stato circondato. Si alzò lentamente in piedi, pronto a smascherarsi e a combattere, sebbene da solo, ma sussultò nel momento in cui l'aggressore cadde senza preavviso a terra.
Era morto.
Il ragazzo sollevò gli occhi dal cadavere e vide Orochimaru dietro di lui, con gli occhi resi folli dall'ebbrezza della battaglia. Eppure, dietro quel velo di brama di conquista, vi era la solita spietata e fredda razionalità che non lo abbandonava mai: era una presenza inquietante eppure travolgente, mentre il chakra scorreva nel suo corpo, mostrando al mondo quanto il suo potere fosse invincibile.
“Pensi di iniziare a combattere, Nagato?” chiese freddamente Orochimaru.
L'allievo annuì, risvegliandosi dalla momentanea esitazione, e si mosse in avanti, svelando la sua vera identità in modo da poter azionare il rinnegan; la sua arma, la sua dannazione e allo stesso tempo ragione di vita. Perché senza di esso, si rese conto, non sarebbe andato da nessuna parte.
Era con quegli occhi che poteva uccidere e allo stesso tempo proteggere il suo piccolo ma prezioso mondo: il prezzo del suo uso, le brame che scatenava negli altri, il timore che provocava, erano tanti piccoli prezzi che lui avrebbe volentieri pagato.
Non gli era più difficile controllarne l'uso ormai: aveva imparato a razionalizzare le energie e lo spreco del chakra, anche se dopo ripetuti attacchi le pupille sanguinavano ugualmente. Ma lui, insensibile, si asciugava quelle lacrime rosse e andava avanti, persino quando la vista gli si offuscava e vedeva solo il nero attorno a sé.
Dopo aver ucciso i suoi principali nemici, si arrestò a prendere fiato; però senza che riuscisse a prevederlo, un uomo dal passo zoppicante gli venne incontro con le braccia tese in avanti, come se volesse ingannevolmente abbracciarlo piuttosto che colpirlo. Prudente, Nagato indietreggiò di un passo e fece per attaccarlo, quando improvvisamente il suo presunto nemico non esclamò:
“Ti prego, risparmiami! Sono un vostro alleato!”
Nagato rimase spiazzato da quelle parole. Lo osservò un istante e si accorse che quell'uomo era cieco: non aveva più occhi con cui guardare e le mani erano coperte di graffi, malamente mascherati dalle maniche lunghe del vestito sbrindellato.
“Chi sei? Parla.” disse Nagato sulla difensiva, con i sensi in allerta qualora si trattasse di una trappola ben orchestrata.
“Sono l'informatore di Orochimaru!Sono al suo servizio... io, io gli ho passato le direttive su dove e quando attaccare... non mi uccidere, bravo ragazzo, non lo fare.”
Biascicò avanzando a tentoni, indovinando la direzione in cui rivolgersi solo grazie al chakra emanato dal possessore del rinnegan, il quale impassibile indagò:
“Perché sei cieco?”
Quelle parole sembrarono colpire in pieno petto l'uomo che barcollò un istante, gemendo con le mani tra i capelli sporchi: “Lui! E' stato lui a chiedere la mia abilità in cambio della mia promessa di fedeltà... non avevo altra scelta... non potevo o sarei morto!”
Nagato sgranò gli occhi. Non poteva essere vero.
Sorrise; era stato un illuso a credere che le cose potessero essere diverse.
“Con lui intendi...” non parlò e attese, lasciando che le braccia cascassero mollemente sui fianchi.
L'uomo tese una mano ancora più avanti e accennò: “O...”
Non finì la frase.
Cadde a terra con ancora il braccio portato davanti a sé; non appena il suo corpo cadde sul terreno scuro e polveroso, si sollevò una nuvola di terra. L'informatore aveva una spada piantata nella schiena, la spada che Orochimaru era in grado di materializzare dal proprio corpo.
E lui, il proprio spietato e calcolatore maestro, era ai piedi del cadavere, con la divisa da ninja imbrattata di sangue e i capelli che avevano preso l'odore della morte; la sua figura, stagliata oltre cadaveri e i fuochi della battaglia, sembrava un fantasma sfolgorante di luce o un dio caduto, privo di un cielo da governare. L'allievo sulle prime non disse niente; sentiva soltanto di essere stato impulsivamente stupido: per quanto razionale, si era lasciato trasportare dalla spirale di odio vendicativo che lo tormentava.
Orochimaru estrasse con studiata lentezza la spada dal corpo dell'uomo il quale, agonizzante, sussultò senza più forze per urlare. Con l'arma in pugno, il sennin freddamente scandì il seguente ordine:
“Uccidilo, Nagato.”
Quest'ultimo istintivamente scosse la testa, sbarrando gli occhi. Perché? Perché uccidere un uomo indifeso che poteva essere curato da un ninja medico? Strinse con forza i pugni, sentendo le unghie piantarsi nella carne.
“Non posso.”
Orochimaru accennò ad un sorriso sardonico. Lasciò strusciare la punta della lama sulla terra quando, a passo scandito, si avvicinò inesorabilmente a Nagato che non arretrò di un passo.
I due si trovarono faccia a faccia, con i corpi a pochi centimetri l'uno dall'altro; Orochimaru reclinò appena la testa, lasciando che parte del ciuffo nero nascondesse un occhio reso lucido dalla follia:
“Non puoi? Tu, mio prezioso Nagato, non sei nella posizione di decidere. Hai perso questa prerogativa.”
Il giovane ninja trasse un profondo respiro e fissò l'uomo che, alle spalle del sennin oscuro, supplicava disperato di risparmiargli la vita. Esitò.
Allora il maestro con un movimento leggero si portò accanto al ragazzo, sussurrandogli seducente all'orecchio:
“Uccidilo e sarai ad un passo dal far morire anche Danzo.”
Danzo. Quel nome risuonò ipnotico nella testa di Nagato che socchiuse un solo istante gli occhi; il luogo in cui si trovava anziché odorare di sangue sapeva di vendetta, quella vendetta che ben presto non sarebbe più stata irrealizzabile.
Aveva già ucciso in passato, l'aveva fatto anche pochi minuti fa. Era il proprio pegno da pagare se voleva portare l'ordine nel suo mondo e proteggerlo: solo così avrebbe finalmente conosciuto la pace. Chiunque la minacciasse doveva morire; il veleno che faceva perire il proprio albero doveva essere estirpato definitivamente.
A quel punto, il possessore del rinnegan lasciò da parte le emozioni; si allontanò da Orochimaru il quale, soddisfatto e assetato dal dominio che poteva imporre sul proprio allievo, lo fissò compiaciuto portarsi di fronte alla potenziale minaccia che non meritava la vita.
Nagato della Pioggia uccise, divenendo quella perfetta macchina da guerra che il ninja dei serpenti stava iniziando a plasmare da quando era divenuto suo allievo. Morto quell'informatore inopportuno, al quale aveva strappato un'abilità che ben presto avrebbe acquisito, Orochimaru sapeva di avere un ostacolo in meno a sbarrargli il proprio cammino verso l'immortalità e la conoscenza assoluta.
Il possessore del rinnegan a sua volta sapeva che quello era l'unico cammino che poteva intraprendere: Danzo e i suoi sostenitori erano intoccabili, protetti dall'ombra del Consiglio. Ma lui, a costo di versare sangue su chiunque lo ostacolasse, avrebbe fatto in modo di portarlo alla luce una volta per tutte, consapevole che si sarebbe sciolto come una candela divorata dal fuoco.

*°*°*°*

Aveva impiegato tempo per trovarlo; si era eclissato per giorni dal Villaggio solo per seguire le sue labili tracce. Non aveva fallito: il ninja a lungo cercato era stato per pochi attimi a portata di mano e lui non si era fatto sfuggire l'occasione.
Forse si era esposto troppo, senza pensare alle conseguenze di quello che stava facendo; era entrato in contatto con lui, spiegandogli brevemente l'intera situazione. Quello che successe dopo, ancora faticava a ricordarselo; ciò che contava quella notte di luna piena era solo fuggire, il più lontano possibile da lì.
Si tenne il braccio sanguinante con la mano sinistra, ignorando le fitte che gli smorzavano il respiro affannato; dannazione, come avrebbe fatto ad impugnare nuovamente la spada così conciato?
Era un uomo a metà: incompleto, incapace di attaccare e difendersi al pieno delle sue possibilità. Però, da qualche parte, c'era la sua famiglia, la sua gente e solo per loro sarebbe tornato; non soltanto a causa dell'amore che nutriva nei confronti delle persone più care, ma anche perché sapeva che lo avrebbero vendicato.
Improvvisamente, un fruscio tra le foglie. Arrestò un istante la sua corsa, rimanendo acquattato sul ramo di un albero: non sentì la presenza di nessun ninja, in particolar modo niente che ricordasse il suo chakra. Dentro di sé, sentiva che quel folle lo avrebbe seguito sino in capo al mondo per puro il piacere di ucciderlo.
Socchiuse gli occhi, prima di ripartire.
Riemersero gli incubi che lo sharingan di quel mostro gli aveva fatto subire; ancora, ancora e ancora. Avrebbe voluto vomitare il dolore, l'angoscia che provava, eppure non ci riusciva: rimanevano lì, alla bocca dello stomaco, e per quanto tentasse di inghiottirli tornavano sempre a tormentarlo.

“Il Villaggio della Nebbia avrà vita breve.”

La sua minaccia, sussurrata nel cuore della notte. Un brivido, di rabbia e di intima paura.
“No, questo non accadrà. Tu e gli Uchiha sarete destinati a sparire.”
Mormorò con voce roca. Le parole si persero nel vento e lui proseguì la sua fuga, umiliato per la sconfitta e scosso per la consapevolezza di essere stato ad un passo dalla morte.

*°*°*°*

Quando tornarono a casa dalla missione, Nagato, Konan e Yahiko assaggiarono il primo gelato dell'estate. La stagione più calda dell'anno era ormai alle porte, anche se a Konoha fortunatamente c'era un bel clima tutti i mesi.
Yahiko aveva comprato al chiosco dell'angolo tre ghiaccioli alla menta e li aveva distribuiti ai suoi amici, accompagnando il gesto con uno dei suoi soliti sorrisi radiosi; si sedettero presso un grande albero dal tronco sporgente, dove spesso amava sedersi Jiraiya per contemplare le fanciulle che passavano per la via.
Con le gambe ciondolanti, gustarono il ghiacciolo senza parlare, mentre il sole iniziava a scomparire oltre la collina e l'odore della cena sul fuoco danzava nell'aria. Un brivido di freddo percorse il corpo di Yahiko e questi ridacchiò compiaciuto; quando si voltò verso gli altri, si sgocciolò sui pantaloni.
Konan, notando le macchie verde prato sui pantaloni bianchi dell'amico, non si trattenne e scoppiò a ridere, imitata da Nagato che scrollò le spalle. Viste le reazioni degli amici, sulle prime il malcapitato oggetto di risate si offese e mise il broncio, staccando a morsi il ghiacciolo; dopo qualche istante però mostrò la lingua verde e rise a sua volta, passando le mani impiastricciate sulla maglia di Nagato, le cui proteste non valsero a nulla.
Non parlarono delle missioni, degli innamoramenti o dei timori per il futuro; dimenticarono anzi di avere diciott'anni, solo per potersi rivedere ancora bambini. Senza guerre né problemi, semplicemente con i vestiti sporchi di gelato, la lingua colorata e le persone amate al fianco.
In fondo, era anche quella la felicità.






Sproloqui di una zucca


Incredibile ma vero, questa storia è stata inserita tra le scelte di EFP. Devo ringraziare sentitamente Hiko_Chan per averla proposta, perché l'ha fatto con il cuore e soprattutto perché questo vuol dire che in qualche modo le è piaciuta.

Spero di meritare questo onore che è stato dato a Pioggia, visto che la fiction fa un pochino da portavoce a quei tre patati dimenticati che rispondono al nome di Yahiko, Nagato e Konan *_____*
Gli aggiornamenti saranno un po' lenti, molto meno di quest'estate è ovvio, ma saranno comunque abbastanza cadenzati; non vogliatemente e continuate a seguire questa vicenda, visto che ci sono tanti personaggi da ritrovare.

Stuck93: Ieee, in questo capitolo Konan inizia a darsi una svegliata e anche Yahiko-tonto pare subire un notevole risveglio dei sensi. Certo, l'indecisione fa da padrona, ma lasciamo che passo-passo le cose migliorino, anche se a discapito di chi a nessuno è dato saperlo XD
Non parliamo di Danzo; ho anticipato senza volerlo le sue intenzioni non proprio benefiche nei confronti di Konoha e dei suoi ideali di pace, per questo continuerò a far sì che tutti lo riempiano d'odio anche nella fiction. Al prossimo capitolo *°*

Iperione: Grazie davvero, spero che i capitoli continuino a risultare piacevoli e non subiscano un calo, né stilistico né tantomeno a livello di contenuti. Certo, non mi fido molto del mio neurone solitario, ma passato il caldo estivo non dovrebbe tradirmi ed evaporare dalla scatola cranica XD Alla prossima ^O^

Hiko_Chan: Il nostro Nagato... credo anch'io di rispecchiarmi in alcuni aspetti del suo carattere e, credimi, vedere che possa essere talmente vicino a quello che provi in determinate situazioni mi emoziona ma soprattutto mi rende consapevole di star creando un personaggio umano, eppure vicino al manga.
Sono stra-felice che ti sia piaciuta la scena tra Nagato e Yahiko: insieme li trovo davvero stupendi, penso che abbiano un legame davvero forte a tenerli uniti. E Konan... è Konan: nemmeno io sento di capirla tanto bene, in fin dei conti, perché la ritengo un personaggio un po' chiuso, con tanto bisogno di dare e ricevere affetto ma comunque orsetta e forse amante del suo piccolo mondo.
Orochimaru come al solito è di una dolcezza infinita, peggio di un involtino di fiele andato a male!
Vero? XD E' un pasticcino ripieno d'amore, il caro Orociccio! Ma se così non fosse, d'altronde, dove sarebbe il suo fascino? *O* Felice che ti piacciano gli accenni con Jiraiya, lui è l'unico d'altronde a tormentarlo con un certo esito!
Quanto al resto... si scoprirà la natura di quest'essere ignoto e le conseguenze che si verranno a creare, sperando di non ricevere maledizioni random XD
Un bacione, carissima Ile, grazie come sempre di tutto *____*

Un grazie anche ai preferiti/seguiti e a voi, lettori *O*

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