Tenchu: the birth of the deceiver assassin

di WaterfallFromTheSky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Salve a tutti! Dopo tantissimo tempo che non pubblico, finalmente sono riuscita a terminare una storia su Tenchu ed eccovela qui XD Ho tutti i capitoli già pronti e ho intenzione di pubblicarne uno a settimana.
Sono un po' indecisa sul rating da dare alla storia; ho messo quello "Arancione" ma, dato che in seguito ci saranno scene violente, qualora fosse il caso di modificarlo a "Rosso" fatemelo sapere e provvederò.
Tutto qui, non vi tedio più! XD Spero che questa modesta fic vi piaccia ;)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1
 
-Brava, ottimo lavoro-
-Grazie, mia signora-
-Puoi ritirarti-. La donna le diede subito le spalle, rafforzando così quell'invito a congedarsi. Non le dispiacque affatto; produsse un breve inchino e si allontanò. Presto, si ritrovò fuori dalla fredda caverna, eppure rabbrividì ugualmente. Era quella donna. Era quello che era costretta a fare.
"Resisti" si ripetè. Fece un profondo e lento respiro, ma non si sentì meglio. Nulla riusciva mai a farla sentire meglio.
***
-Ah eccoti!-. Maledetto, la fece sobbalzare per lo spavento. Ma era solo lui, Yoshi. Il giovane le si sedette accanto, le ginocchia tra le braccia larghe; le sorrise.
-Sono contento di vederti-. La ragazza non lo era altrettanto, ma finse il contrario, così sorrise e rispose:-Bè, sono felice di averti fatto contento. Diversamente, sarei morta stecchita-. Yoshi ridacchiò della battuta, poi rivolse il viso al fiumiciattolo che scorreva dinanzi a loro.
-L' hai ucciso?-
-Certo. Era quella la mia missione. E l'ho portata a termine-
-Si, ma intendo...-
-No, non l'ho fatto. Vecchia maniera-
-Haruko! Ma quando imparerai?- esclamò Yoshi, esasperato. La ragazza prese tra le dita una delle sue numerose e fitte treccine nere e non rispose, infastidita. Avrebbe voluto mandare Yoshi a quel paese, dirgli di farsi gli affari propri, ma non era il caso, quindi si limitò al silenzio, lo sguardo basso.
-Se continui così, prima o poi andrà male. Il tuo metodo non è sicuro-
-Solo perchè non li vedo morire coi miei occhi non vuol dire che non muoiano-
-Non puoi saperlo. Qualcuno potrebbe fregarti-
-Bè, non ce la faccio-. Yoshi sospirò, allungando le gambe e poggiandosi sugli avambracci.
-Sei così testarda-. Eppure, il modo in cui lo disse non lo faceva apparire come una critica. Haruko arrossì impercettibilmente, sempre più concentrata sulla treccina.
-Posso insegnarti-
-Mi hai già detto come si fa. Non ho bisogno di altro. Solo di coraggio-
-Sforzati. Inizia con gli animali-
-Quando sarà necessario-
-Ma lo è già-
-Non finchè non avrò problemi. Finora non ne ho avuti. E ora scusami, ma devo andare a fare rifornimento di piante-. La ragazza si alzò, si spazzolò il vestito sul sedere e fece per allontanarsi, ma Yoshi aveva già artigliato il suo polso e torreggiava su di lei, allarmato.
-Non volevo ferirti. Non volevo dirti cosa devi fare-
-Lo so, Yoshi. Tranquillo. Devo davvero rifornirmi-
-Posso venire con te, allora?-
-Da sola farò prima. E poi voglio passare da mio fratello-. Si liberò il polso e si affrettò a voltarsi e mettere le distanze, prima che la fermasse ancora. Ma lui non ci provò nemmeno, altrimenti lei non sarebbe andata molto lontano. Haruko imboccò il primo sentiero che trovò e, a passo svelto, lo seguì, celandosi presto tra gli alti e fitti bambù. Quando fu certa di essere sufficientemente lontana, si fermò e tirò un nuovo sospiro. Di stanchezza.
Sarebbe mai riuscita a uscire da quella situazione?
***
Non riusciva a dormire. Si girava e rigirava nel duro e scomodo lettino, il coltello premuto contro l'addome. La coperta ruvida sotto la quale era nascosta non serviva a donarle conforto, nè in termini di calore vero e proprio e neppure come riparo emotivo. Quell'oscurità la agitava. Le gocce d'acqua che cascavano dalle stalattiti fuori dalla sua celletta la innervosivano. Da quando era entrata a far parte di quel clan micidiale, aveva perso la sua pace, in ogni momento della giornata ma soprattutto di notte. Quella non era casa sua, era attorniata da persone di cui non poteva fidarsi e che, non appena fosse diventata di intralcio, non avrebbero esitato a eliminarla. Poi c'era il loro capostipite, quella donna...
Era pazza. Era crudele. Se non fosse stato per suo fratello, Haruko avrebbe preferito morire piuttosto che servirla. Ma non poteva farlo. Lui era tutto ciò che le era rimasto...e non poteva lasciarlo nelle mani malate di quella esaltata. Lo avrebbe portato alla rovina. Doveva salvarlo...e ci sarebbe riuscita. Era l'unica cosa che le permetteva di sopportare quel posto e le missioni che la donna le affidava.
"Devi proteggere le persone che ami...noi donne esistiamo per questo. Per proteggere. Per guidare. Non scordarlo mai" le ripeteva sempre sua  madre. E lei non lo dimenticava mai. Il problema era che lei non era mai stata protetta e guidata da nessuno prima...
***
Udì dei passi e il respiro le si mozzò nel petto, le mani improvvisamente serrate attorno al manico del coltello. Finse di dormire, quindi rilassò forzatamente il respiro.
Non era suo fratello. A volte capitava che venisse a dormire accanto a lei, ma i suoi passi pesanti erano inconfondibili per lei.
Quelli che si avvicinavano non erano assolutamente i passi del suo fratellone. E se avesse saputo utilizzare a dovere quel coltello, la cosa non l'avrebbe agitata. Dannate armi.
I passi si fermarono accanto al suo letto. Haruko tentò di decidere in fretta cosa fare: attaccare chiunque fosse o continuare a fingersi addormentata?
-Ehi tu. Svegliati!- esclamò l'intruso alle sue spalle, risparmiandole l'imbarazzo di quella decisione. Haruko balzò quindi seduta, celando il coltello sotto la coperta. L'illuminazione era troppo scarsa, per cui non vide il volto di chi le parlava, non ne riconobbe nemmeno la voce -erano così tanti a servire quell'invasata-, ma capì che non c'era pericolo.
-C'è una missione per te-. La ragazza trattenne a stento un gemito di frustrazione.
In missione. Di nuovo.
***
Era arrivata a destinazione nel giro di tre ore, di cui  una a piedi, le altre due su un carretto, nascosta sotto la paglia. Incredibilmente, era riuscita a schiacciare un pisolino lì sotto.
Quando il carretto si fermò, la ragazza scostò un pò di paglia e sbirciò fuori. La prima cosa che notò fu che il sole non era ancora sorto, ma ci era vicino; l'aria frizzante del mattino presto penetrò sotto quella copertura calda, rinvigorendola all'istante.
La vegetazione non le disse nulla. Aguzzò l'udito e capì che il signore che guidava il carretto si era allontanato per espletare i suoi bisogni. Haruko ne approfittò per sporgersi un pò dal suo nascondiglio, e così notò subito sulla destra l'entrata di un villaggio. Il cartello apposto proprio lì accanto le indicò che era giunta a destinazione. Afferrò immediatamente la piccola sacca che aveva portato con sè e la sua corta asta, quindi balzò fuori dal nascondiglio e si allontanò alla svelta, attenta a non farsi scoprire dal signore e a non spaventare il suo cavallo.
Nonostante non fosse neanche l'alba, le bastò chiedere indicazioni ad un contadino per trovare il castello, e vi arrivò in men che non si dica. Avrebbe tanto voluto fermarsi a comprare qualcosa da mangiare -il profumo del pane appena sfornato e dei dolci...- ma resistette e tirò dritto. Era sempre così quando si recava in missione: era così ansiosa di terminare il lavoro che mangiava a malapena, giusto il necessario per non morire di fame.
Quando arrivò al castello, era in parte sollevata e in parte più agitata di quanto già non fosse: la missione aveva ufficialmente inizio. Passò una mano sugli stracci che aveva accuratamente scelto come vestiario e portò indietro la massa di treccine nere con un colpo del capo, quindi si preparò a improvvisare. Si avvicinò alle due guardie all'entrata con l'aria più dimessa che le riuscì, quindi parlò prima che le sbarrassero il passaggio:-Buongiorno. Mi è giunta voce che cercate una nuova cameriera-
-Vuoi lavorare qui, eh?- le chiese una delle guardie, un uomo giovane e cordiale; la ragazza annuì.
-Dovremo perquisirti- fece l'altro, palesemente più anziano e diffidente. Lei annuì di nuovo, mansueta, e il secondo le si avvicinò, tastandola ovunque pur senza esagerare. Il giovane, invece, diede un'occhiata alla sua asta e all'interno della sacca da viaggio.
-Perchè ti porti appresso questo bastone?-
-Vengo da un altro paese, ho viaggiato a lungo a piedi. Mio padre mi ha dato quella piccola asta per difendermi dai malintenzionati. E' l'unica arma che potrei usare- spiegò Haruko, innocentemente. La storia era plausibile, difatti nessuno dei due insistette; soprattutto, nessuno dei due si accorse che il corto "bastone" era allungabile. Il giovane le chiese ancora:-E cosa sono queste boccette?-. Tirò fuori dalla sacca uno degli oggetti in questione; la mora spiegò ancora:-Sono solo spezie tritate. Mia madre me le ha date per venderle, almeno i primi tempi, nel caso Lord Rhoda non mi assumesse-. La guardia annuì e continuò a frugare, ma trovò solo altri modesti stracci, pochi soldi, del pane e poco altro. Nulla di sospetto. La sacca e l'asta le furono restituite, quindi le fu concesso il passo. Lei salutò educatamente e si addentrò nel castello. Era molto ampio e alto, ma nulla di speciale: i castelli dei nobili erano tutti uguali per lei, l'unica cosa a variare era forse la disposizione delle stanze. Mentre attraversava un corridoio, si imbattè in una giovane domestica; le disse di essere lì per ricoprire il ruolo di cameriera e la ragazza la condusse subito nelle cucine. Appena vi misero piede, Haruko fu sopraffatta da mille odori, tutti invitanti, che tuttavia non ebbero il potere di aprirle lo stomaco, e dalla vista di uomini e donne affaccendati nella preparazione di chissà quali pietanze. La domestica tirò dritto e lei la seguì, quindi attraversarono la cucina e si ritrovarono in un nuovo spoglio corridoio; raggiunsero presto una stanza. La domestica bussò e aprì il fusuma1, che rivelò uno spazio ampio e luminoso. Quando le fu fatto cenno di entrare, Haruko oltrepassò la porta, trovandosi di fronte una signora anziana e pienotta dall'aria cordiale, seduta dietro un kotatsu2. La domestica si congedò e la signora fece cenno ad Haruko di accomodarsi sul 3tatami.
***
Bene, era fatta. Ora era ufficialmente una domestica del castello di Lord Rhoda. Ed era già indaffarata nelle sue mansioni: eccola a fare su e giù per il castello per pulire, consegnare ora quel messaggio, ora quell'oggetto, per chiamare una guardia, per assistere la moglie di Rhoda...
Scoprì che i nobili erano molto più viziati di quanto si pensasse. Ma il problema non era quello in realtà: doveva riuscire a raggiungere Rhoda quanto prima. E non aveva idea di come fare.
***
Se l'intera giornata le era parsa un incubo, la notte non fu migliore per lei. Non riusciva a chiudere occhio. Arrivò perfino a rimpiangere le caverne in cui era costretta a vivere per volere di quella maledetta donna...
Divideva una stanza con due ragazze. Beatamente addormentate.
"Come le invidio" pensò, sospirando. Dalla piccola finestra in altro penetrava la luce della luna, che illuminava la stanza a giorno. Ma non era quello a renderle difficoltoso il sonno, bensì la tensione del compito che gravava sulle sue spalle. Lentamente, scostò le coperte e si alzò, quindi raggiunse la sacca ai piedi del suo futon. Come per assicurarsi che tutto fosse al suo posto, tirò fuori una delle boccette di vetro e ne osservò il contenuto: una polverina marrocina dall'odore tenue e poco invitante. Era la chiave per concludere la sua missione. Se solo fosse riuscita a entrare nelle cucine...
Una spezia. Effettivamente, escludendo gli effetti del tutto differenti, una similitudine c'era. Ma non si trattava affatto di una spezia. Haruko era un ninja non convenzionale: lei non usava armi, non ne era capace. Il modo in cui lei strappava vite era molto più sottile.
***
Trascorsero tre giorni. Non era la prima volta che una missione richiedesse tanto tempo. Lei ci metteva di più...ma la sua odiata signora non aveva da ridire. Finora aveva portato a termine tutte le missioni affidate, che per Haruko erano state fin troppe. Mille volte aveva pensato di mollare tutto e fuggire proprio durante una missione...ma era troppo rischioso, dei ninja l'avrebbero trovata e uccisa. Ma non era per quello che cambiava sistematicamente idea.
Se lei fosse morta, chi avrebbe tirato fuori dai guai quello sconsiderato di suo fratello? Chi lo avrebbe protetto? Era paradossale che proprio lui, molto più grande e grosso di lei, dovesse essere salvato da sua sorella...
Haruko lo maledisse nuovamente mentre si liberava di quello scomodo kimono bianco e celeste, che era la sua divisa da domestica. Fu lieta di indossare i soliti stracci e lasciar libere le treccine. Mangiò poco e niente -un pò perchè non aveva fame e un pò per evitare di intrattenere rapporti con il resto della servitù- quindi si rifugiò nel suo futon. Anche se avrebbe passato un'altra nottata infernale. La sua pazienza fu tuttavia premiata il giorno dopo: doveva essere Haruko a portare a tavola una parte delle pietanze durante il pranzo di Rhoda e famiglia. Fu abile a restare per ultima tra le cameriere che portavano i cibi; mentre le altre due colleghe, ignare, camminavano davanti a lei, la giovane tirò fuori da una tasca la fatidica boccetta, ne sfilò il tappo coi denti e ne versò una minima parte del contenuto nelle verdure che portava. La richiuse e la fece sparire nel kimono. Annusò il piatto senza farsi vedere e, sollevata, si accertò che l'odore della polvere di fungo non si avvertisse. Era una fortuna che ne servisse così poca per avere effetto sulle sue vittime.
Il pranzo durò fin troppo per i suoi gusti: fu un'agonia osservare in disparte con le colleghe i tre membri della nobile famiglia -marito, moglie e figlioletto- che mangiucchiavano ora questo ora quello, parlando di futilità. Haruko teneva gli occhi puntati su ogni loro movimento, lieta ogni qual volta che la portata da lei contaminata veniva consumata. Eppure, al contempo, era angustiata dall'angoscia e dal senso di colpa.
Come sempre.
Erano viziati, esili, troppo ben vestiti, troppo allegri, ignari di ciò che pativa la gente comune al di fuori di quelle mura, come pure di quanto sgobbasse il personale che li serviva...eppure non meritavano di morire. Non sembravano cattivi d'animo. E non le avevano fatto nulla. Non loro.
Osservò il bambino che portava alla bocca le verdure mortali sotto insistenza di sua madre.
-Le verdure fanno bene! Devi imparare a mangiarle! Vedrai che col tempo ti piaceranno-. Il piccolo annuiva, paziente e disgustato, e mandava giù quel boccone indesiderato. Poteva avere dieci anni al massimo.
Dieci.
Così pochi.
Poco più della metà dei suoi.
Haruko si ritrovò a fissare l'ignara innocenza che avvolgeva quel piccolo corpo ben vestito come un sudario, quel viso liscio, quegli occhioni scuri, quella boccuccia infantile... Dovette frenare la sua fantasia mentre tentava di elaborare quello che sapeva sarebbe successo nel giro di ventiquattr'ore. Spostò la sua attenzione sulla madre del bimbo, che mangiava invece le verdure con molto entusiasmo. Non andò meglio. E nemmeno ignorare il signore del castello che mangiava con gusto la aiutò. Si sentiva un essere infimo. Come...come diavolo aveva fatto a ridursi in quel modo? Perchè non aveva trovato un'altra maniera per uscire da quella situazione con suo fratello? Per quale motivo gli dei l'avevano relegata in quell'inferno?
"Basta" si intimò, deglutendo e prendendo a respirare profondamente per sciogliere il nodo alla bocca dello stomaco.
-Haruko, stai bene?- le bisbigliò una delle cameriere.
-Si. Si, certo-. Stava bene. Si che stava bene. Doveva solo smettere di guardarli e di pensarli. Non li avrebbe visti morire, così come non aveva mai visto spirare nessuna delle sue altre vittime. Doveva solo sparire, smettere di pensare a loro e dimenticarli.
***
Aveva rassegnato le sue dimissioni quella sera stessa, fingendo di essere incinta. Non importava se poi l'avrebbero collegata alla morte della famiglia reale: i documenti falsi che aveva prodotto e il trucco e la tinta che aveva adoperato l'avrebbero protetta finchè non fosse tornata al suo covo. Sempre ammesso che qualcuno avrebbe trovato delle prove che la collegassero alla morte dei tre.
Fu felicissima di abbandonare il castello, sebbene fosse notte. Si allontanò quanto possibile, l'asta di metallo alla minima lunghezza ben stretta in mano; quando fu abbastanza lontana, si accampò su un albero. Ma non riuscì a dormire e si rimise in viaggio.
 
 
 
 
 
 
 
1fusuma: porte scorrevoli giapponesi
 2 kotatsu: tavolino basso giapponese
3tatami: tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati fatti con paglia di riso intrecciata e pressata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
-Ottimo lavoro, Haruko. Ora che Toda è rimasto senza il suo prezioso alleato, avremo la strada spianata-
-Ne sono lieta, mia signora-
-Continua così e, presto, diventerai uno dei miei guerrieri più validi-. Haruko, rigida nella sua postura diritta, rimase impassibile nonostante la cosa la inorridisse. Rispose semplicemente:-Sarebbe un onore-. Cos'altro poteva mai risponderle?
La donna le sorrise, in quel modo affilato e soddisfatto da gatto diabolico; Haruko restò immobile mentre la fissava in quei grandi occhi scuri e decisi, cosicchè non fu rilevabile il suo nervosismo.
-La tua famiglia sembra molto valida. Tu e tuo fratello continuate a riempirmi di soddisfazione, sebbene siate così diversi. Cosa facevano i vostri genitori?-
-Nostro padre era un contadino, mia signora. Nostra madre era solo una casalinga-. Non reputò opportuno rivelarle che era proprio da lei che aveva appreso l'arte di utilizzare a suo favore piante, fiori...e funghi.
-Mh, allora devono essersi impegnati parecchio nel concepirvi-
-Può darsi-. La guerriera suo superiore sorrise appena della sua stessa battuta, dopo di che cambiò discorso dicendo:-Si avvicina l'attacco al castello di Goda. Noi saremo al centro dell'azione, naturalmente. Se tutto va secondo i piani, potremo sbarazzarci di Toda e dare inizio alla nostra ascesa. Tieniti pronta perchè potresti essermi molto utile-
-Ma, signora...io non sono un asso nel corpo a corpo. Io...-
-Lo so bene, sciocca. Non osare mai più contraddirmi-. La voce dura della donna si fece improvvisamente tagliente; spaventata -si, quella donna la terrorizzava- Haruko chinò il capo e si affrettò a dire:-Mi dispiace, non si ripeterà più-
-Ritirati fino a nuovo ordine-
-Si, mia signora-. Haruko si prostrò in un inchino più lungo del normale e andò via, calibrando il passo per evitare di dare l'impressione di darsela a gambe.
Dannazione, la guerra tra Toda e Goda. Era davvero arrivato il momento, quindi. Non solo rischiava di perdere suo fratello, ma rischiava pure di trovarsi in mezzo a quella baraonda che non le si confaceva affatto. Ci avrebbe lasciato le penne. "Maledetta. Che sia dannata quella donna!". Doveva trovare un modo per avvelenarla, diamine. Doveva smetterla di lasciare che la terrorizzasse a tal punto. Doveva muoversi, prima che la situazione precipitasse irreparabilmente.
***
Si sentiva osservata. Probabilmente lo era. Fece comunque finta di nulla, continuando ad allenarsi in solitudine con la sua asta allungabile. Eseguiva una sequela di movimenti lenti e veloci alternativamente, tenendo lo sguardo fisso dinanzi a sè, sul verde della foresta di bambù. Quell'asta era la sua unica difesa. Finora non aveva mai avuto bisogno di utilizzarla...ma sapeva che, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato. Forse era proprio quello.
Nonostante i suoi movimenti non avessero perso fluidità, lei si muoveva con sempre minore scioltezza. Colpa del nervosismo. Diamine, lei non sapeva combattere.
D'improvviso udì un frusciare di foglie alle sue spalle; svelta, si voltò puntando l'asta verso...Yoshi. Restò immobile, sollevata che fosse solo lui e al contempo maledicendolo per non essere uscito subito allo scoperto. Cos'è, la stava spiando? Inoltre, solo in quel momento si accorse che il suo cuore stava palpitando come quello di un ratto spaventato. Dannazione.
-Scusa, non ti volevo spaventare-
-Non importa- fece lei, abbassando l'arma. Il ragazzo le sorrise e disse:-Sei brava-
-Non quanto vorrei-
-Sei severa con te stessa-
-Purtroppo devo esserlo-. Il giovane ninja le puntò addosso i suoi occhi neri, serio; a disagio, Haruko chiese:-Che ci fai qui?-
-Si avvicina la guerra. E' questione di giorni-
-Lo so-. Lo maledisse nuovamente: con quell'allenamento Haruko aveva sperato di sgombrare la mente dai mille piani folli che la affastellavano, tutti concentrati su un unico obiettivo, ossia uccidere quella pazza. Eppure era inavvicinabile: non era mai sola, non si faceva servire da nessuno perchè non era una nobile...
-Qualcosa non va?-
-No. Cioè...sono preoccupata. Per la guerra, intendo-
-Anch'io. Molto-
-Perchè? Credevo non vedessi l'ora di combattere per la nostra causa-. Usare quella parola, "nostra", le costò molto, come se tenesse qualcosa di amaro sulla lingua. Quella non era di certo la sua di causa...
-Si, certo che lo voglio. Infatti non è per me che sono preoccupato-
-E per cosa, allora?-
-Per chi- replicò lui, sorridendo leggermente. E continuava a fissarla. Haruko, ancor più a disagio, abbassò lo sguardo e gli diede le spalle, maledicendo ora se stessa: perchè durante le missioni era capace di fingersi debole, sicura, inoffensiva o indifferente a piacimento e in quei momenti invece riusciva soltanto a fuggire? Aprì la bocca per salutarlo e allontanarsi con una scusa, ma se lo ritrovò alle spalle e poi faccia a faccia, dato che le aveva preso le spalle per voltarla verso di sè. Erano dannatamente vicini e Haruko si sentì arrossire, infatti abbassò lo sguardo e fece un passo indietro per scostarsi. Yoshi le chiese, dolente:-Perchè hai paura di me?-
-Io non ho paura di te. Non essere ridicolo-
-E allora perchè sei sempre così sfuggente?-
-Io....-.
"Sei bellissima"
"Dai, scemo...".  
Haruko strinse forte le palpebre e fece un altro passo indietro, come per scacciare quel lieve ricordo; solo quando riaprì gli occhi si accorse che stringeva l'asta convulsamente con entrambe le mani.
-Ti senti bene?-. Yoshi era così gentile, nonostante fosse un assassino e avesse scelto di seguire una violenta svitata. Soprattutto, era gentile con lei. Ma lei non poteva permetterglielo. E non voleva.
-Io...io non posso. Per favore...lasciami in pace-. Yoshi sospirò, i suoi lineamenti delicati intrisi di dispiacere. Ma Haruko non poteva farci nulla: in quel clan chiunque era suo nemico. Chiunque tranne suo fratello. Non poteva legarsi a nessuno, in nessun modo. Ma soprattutto nel modo in cui voleva Yoshi...
-Almeno posso fissare delle lame alle estremità della tua asta? Ti servirà un'arma più pericolosa in previsione della guerra-
-Cosa?-
-Ero un fabbro prima. Oltre a essere un ninja. Forgiavo io stesso le armi per me e per la mia famiglia. E le forgio anche ora per il clan-. La domanda di Haruko però non si riferiva a questo. Possibile che lui fosse disposto a rendere la sua arma migliore nonostante lo avesse allontanato nuovamente?
-No, ti ringrazio. Andrà bene così- rispose lei, dolcemente. Non aveva intenzione di approfittare della gentilezza di Yoshi...ma soprattutto non era affatto propensa a dover provare gratitudine per chiunque in quel clan. Se fosse riuscita a raggiungere il suo obiettivo, lo avrebbe fatto da sola, poco importava se le sarebbe costato la vita.
Yoshi annuì e non insistette, cosa che la ninja apprezzò molto; si limitò a dire:-Bè, allora io vado. Buona serata-
-Anche a te-. Immobile, osservò il ragazzo voltarsi e allontanarsi, la coda color carbone che gli accarezzava la nuca, tra le spalle forti. Solo quando fu andato via si accorse che stava trattenendo il respiro, così lo rilasciò, tentando di recuperare la calma. Ma sobbalzò e quasi lanciò un grido quando si ritrovò le mani di qualcuno sulle spalle; si voltò di colpo, l'asta tesa contro il nemico, ma quando vide di chi si trattava sbuffò sonoramente e sbraitò:-Ooohhh, Raundomaru1!! Mi hai spaventata a morte!-
-Eheheh, eri distratta! Haruko era col suo nuovo fidanzato!-
-Non dire scemenze, non è il mio fidanzato!-. Abbandonò subito il tono rude e gli dedicò un sorriso quasi materno; era l'unico che lo meritasse in quel covo di matti.
-Però, sei diventato bravo. Non ti ho proprio sentito!-
-Lady Kagami dice che Genbu deve diventare più forte, e Genbu diventa più forte per Lady Kagami!-. Il volto della giovane si adombrò all'istante, il suo cuore si gonfiò d'odio e per poco non temette che si lacerasse. Lady Kagami. Quella maledetta, dannata pazza furiosa...
Aveva irretito suo fratello con qualche moina. Era riuscita perfino a fargli credere che avesse ucciso la loro famiglia per una buona ragione. Haruko spesso aveva dovuto sopprimere l'impulso di assestare un colpo al centro di quella zucca vuota di suo fratello...come in quel momento. Avrebbe voluto spaccargliela quella testa pelata. Lo odiava. E odiò ancor di più Lady Kagami perchè per colpa sua finiva per odiare anche suo fratello.
Haruko si ritrovò a sospirare tristemente e a dire:-Raundomaru, noi non dovremmo essere qui. E' una guerra che non ci interessa. Ti ho già spiegato che....-
-Raundomaru ora è Genbu. E Genbu segue Lady Kagami-
-Ma....!-
-Lady Kagami è buona con Genbu. Sa quanto vale Genbu-
-Sarà buona con te ma...!-
-Genbu vuole bene a Lady Kagami-
-E a me vuoi bene?-. Si pentì all'istante di aver posto quella domanda perchè temeva la risposta oltre ogni dire. Potè giurare che per un attimo il cuore le si fosse fermato mentre fissava il suo corpulento fratello, che ricambiava in silenzio con la solita espressione stolida sul faccione rotondo.
-Genbu vuole bene a Haruko, certo! Ma vuole bene anche a Lady Kagami-. Era assurdo. Quasi le caddero le braccia. E le si inumidirono gli occhi, ma trattenne le lacrime con tutta la forza che possedeva. Purtroppo non riuscì a celare uno sguardo duro e affilato, difatti il ninja lo percepì e spalancò i piccoli occhi, esclamando:-Haruko è molto arrabbiata con Genbu!-
-No, Haruko è arrabbiata con Raundomaru-. La ragazza, rigida, si voltò e si allontanò, più arrabbiata che mai, piantando il suo fratellone lì in mezzo alla foresta, perplesso.
***
Prese una boccetta di vetro e vi versò all'interno la polverina grigiastra, ottenuta poco prima sminuzzando una particolare varietà di fungo velenoso, piuttosto raro per giunta. Era molto tossico, ed era riservato ad una persona "speciale"...
Haruko tappò la piccola boccetta e la nascose sotto il duro giaciglio che la ospitava. Il problema ora era quando e come utilizzare quel veleno su Lady Kagami. Non ci era riuscita per tutti quei mesi...
-Sorellina!!-. Era Raundomaru, si avvicinava alla svelta. Prima che lui arrivasse nella sua celletta, la ragazza si affrettò a far sparire le varie boccette e gli utensili coi quali sminuzzava i funghi: suo fratello era poco sveglio, ma non si poteva mai sapere. Ancora una volta le fece male constatare che non poteva fidarsi nemmeno di lui...
-Eccoti!-
-Ciao, Raundomaru-. Haruko apprezzò molto che, una volta tanto, suo fratello non le avesse ricordato che ora era Genbu, non Raundomaru.
-Cosa stavi facendo?-
-Uhm, riposavo. Tu?-
-Lady Kagami mi ha detto di venire a chiamarti! Ha convocato tutti i ninja!-. Haruko, preoccupata, si alzò dal giaciglio e seguì suo fratello, che quasi saltellava dalla gioia, come un bambino che sta per ricevere un grandioso regalo di compleanno.
Lady Kagami aveva convocato tutti i ninja. La cosa non poteva che agitarla. Sospettò che si trattasse della famigerata guerra tra Goda e Toda. Pur sconfortata, sperò vivamente di sbagliarsi, anche perchè altrimenti avrebbe dovuto rimandare l'uccisione di Kagami.
Haruko seguì il fratello fino al punto centrale di quell'intrico di caverne: vi era un ampio spazio, talmente vasto da farci stare una nave -difatti si vociferava che la signora avesse in mente proprio di far realizzare un veliero, e proprio in quel posto- e in quel momento era gremita di ninja che parlottavano e bisbigliavano tra loro. Al centro di quella baraonda, su un rilievo di roccia, torreggiava Lady Kagami, fiera e seriosa nella sua armatura succinta; alle sue spalle vi erano tre dei suoi combattenti migliori, ossia Biakko, affiancato da quella enorme e spaventosa tigre bianca che aveva ammaestrato, Suzaku e Seiryu. Il quarto era proprio Raundomaru, che infatti salutò Haruko con la mano e un sorriso entusiasta e si addentrò nella folla per raggiungerla. La giovane inorridì e rimase ai margini della calca: non aveva dubbi sul fatto che la donna sarebbe stata in grado di farsi sentire forte e chiaro fino a lì.
Trascorsero ancora alcuni minuti, durante i quali giunsero altri ninja: Haruko fu stupita di quanti seguaci lei avesse. Sapeva che fossero in moltissimi, ma non pensava così tanti. Possibile che tutta questa gente credesse ciecamente alle parole di quella fuori di testa?
-Ehi-. Alla sua destra apparve Yoshi; lei lo salutò con un cenno del capo e lui le si affiancò. Le disse:-Pare che la guerra abbia inizio-. A conferma di quelle parole, Kagami fece un passo avanti su quel palco roccioso e tanto bastò a far tacere ogni singolo ninja presente. Si diffuse improvvisamente un silenzio carico di aspettativa.
-Compagni miei- esordì, con voce decisa e ben udibile -è giunto finalmente il momento che tanto attendevamo. Lord Toda intende attaccare il suo rivale tra tre giorni esatti. E sarà tra tre giorni esatti che nascerà ufficialmente l'Aurora di Fuoco!-. Un coro di approvazione si levò d'un tratto, ma fu breve: nessuno voleva eclissare Lady Kagami quando parlava, nemmeno se era per appoggiarla. La donna fece planare lo sguardo su tutta la folla mentre continuava, con fervore:-Si avvicina la nostra rivincita. La rivincita dei ninja. Siamo forti, potenti, letali; non dobbiamo sottostare a nessuno. Non dobbiamo vendere le nostre vite a nessun signorotto superbo che pretende di assoldarci e comandarci a bacchetta. Possiamo avere il mondo. E lo avremo!-. Altro coro di approvazione; Haruko aggrottò leggermente le sopracciglia, contrariata. Era l'unica a vedere la follia in tutto ciò?
-Toda ha i giorni contati. Quando meno se lo aspetta, spegneremo la sua inutile vita e sanciremo la nostra indipendenza. A quel punto, nulla potrà fermarci!-
-Nulla!- gridarono tutti, sollevando un pugno. Perfino la tigre di Biakko, Kiru, che era comodamente accovacciata ai piedi del suo minuscolo domatore, si sollevo sulle poderose quattro zampe, attenta.
-Ringrazio tutti voi per aver scelto di seguirmi, per aver scelto la libertà. Perchè è questo che io voglio, che conquisterò e che donerò anche a voi, col vostro aiuto. Ce la meritiamo di diritto e nessuno ce la toglierà! Vi prometto che arriveremo fino in fondo, costi quel che costi! Il mio sogno, il nostro sogno, si realizzerà e saremo liberi!-
-Siiiii!-
-Viva Lady Kagami!-. Haruko a stento trattenne una smorfia di disapprovazione, ma non riuscì proprio a unirsi a tutto quell'esaltato entusiasmo. Anzi, le toccò i nervi vedere come Raundomaru pendesse dalle labbra di Kagami, eccitato come un bambino. Ciononostante, dovette riconoscere l'abilità di quella donna di attirare l'attenzione su di sè con la sua aura forte e determinata. Era solo una giovane donna, eppure appariva invincibile, come se avesse potuto combattere quella guerra da sola, raggiungere quel suo pazzesco obiettivo senza l'aiuto di nessuno. Ma il punto era proprio questo: nonostante la forza che sprigionava con uno sguardo, con la sua voce, con la sua gestualità, con le sue parole, faceva sentire indispensabili tutti i suoi seguaci. Conquistava la loro fiducia. Era nata per essere un leader.
-Nei prossimi giorni ognuno di voi sarà convocato. Ad ognuno di voi verrà assegnato un preciso compito in questa guerra. State pur certi che ognuno farà la sua parte-. Nuovo boato entusiasta, a conferma delle riflessioni di Haruko. Accidenti, per quanto la odiasse, non potè che ammirarla, non potè che desiderare la sua forza interiore e la sua capacità di intimorire e affascinare chiunque...
-Cos'è quella faccia, Haruko?-. La ragazza si riscosse da quei pensieri cupi; solo allora si accorse che Yoshi non aveva esultato come tutti gli altri. Pochi altri avevano fatto come lui. Lo apprezzò, anche se ciò non significava affatto che non avrebbero seguito ciecamente quella psicopatica.
-Niente. Tutto a posto-. Si, tutto a posto. A gonfie vele. Aveva insomma tre giorni per uccidere Kagami. Se ci fosse riuscita, avrebbe anche evitato quella futile carneficina.
 
1Raudomaru: raundo = rotondo, maru = ragazzo

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Il giorno dopo fu convocata da Kagami; si recò da lei immediatamente. Sebbene la detestasse, aveva sempre cercato di essere impeccabile sotto ogni aspetto, per non contrariarla e per non attirare l'attenzione su di sè. Del resto, il segreto per uccidere senza farsi scoprire era proprio quello: non attirare l'attenzione.
-Partirai domani, all'alba. Devi di nuovo penetrare nel castello come cameriera-
-Devo uccidere Gohda e famiglia, signora?-
-Non è necessario. Se ci riesci tanto meglio, ma non importa. Tanto moriranno comunque quando assalteremo il castello. No, tu devi solo recapitare un messaggio a Gohda Motohide. In questi giorni è ospite al castello, quindi non dovresti trovare difficoltà ad incontrarlo-
-Sarà fatto-
-Motohide ti informerà del contenuto del messaggio, devi saperlo anche tu. Devi farglielo recapitare entro due giorni al massimo-
-Sissignora-
-Non ho finito. Se Motohide avrà qualche ordine per te, dovrai eseguirlo-. Riluttante, Haruko annuì con convinzione, il volto impassibile. Kagami le si avvicinò e le mise tra le mani un foglio arrotolato e fermato da un nastrino rosso: il messaggio che lei doveva consegnare. Lo prese, involontariamente attenta a non sfiorare la pelle nivea della sua odiata signora, e lo fece sparire sotto il vestito.
-Puoi ritirarti-
-Certo-.
Non ci sarebbe stato alcun assalto da parte loro. Lady Kagami sarebbe morta prima.
***
Li aveva scelti con cura, come se fossero davvero un regalo fatto col cuore. Fiori di campo, tra i più rigogliosi e variegati che aveva trovato. Il mazzo che aveva realizzato era di un certo gusto, i colori articolati tra viola, giallo e bianco, con prevalenza del viola. Aveva ipotizzato che Kagami amasse quel colore, dato che era sulla sua armatura. Soprattutto, i fiori erano profumati. Ma Haruko doveva tenerli lontano, se non voleva cadere vittima della sua stessa trappola. Attraversò la caverna fino a raggiungere l'antro in cui generalmente si poteva trovare la guerriera; fortunatamente non incontrò nessuno che potesse farle perdere tempo, e quei pochi in cui si imbattè non le porsero domande, nemmeno a vederla con quei fiori in mano. Soprattutto, non trovò tra i piedi nè suo fratello e nemmeno gli altri tre Signori del clan, cosa di cui fu sollevata: il primo le avrebbe fatto mille domande stupide, mentre gli altri tre la agitavano...ed erano molto più svegli degli altri, avrebbero potuto fiutare qualcosa di strano. Del resto lei li aveva tenuti d'occhio apposta, per intervenire quando era meno probabile incontrarli.
Quando raggiunse la donna, la trovò seduta su una roccia, intenta a lucidare la sua lunga e sanguinaria katana. La vista dell'arma non la scoraggiò affatto.
Non dovette nemmeno annunciarsi che la donna si voltò all'istante, probabilmente udendo i suoi passi sulla roccia.
-Cosa vuoi?-
-Lady Kagami...sono venuta a portarle un dono-. La donna lanciò un'occhiata stranita al bel mazzo di fiori che lei teneva tra le mani.
-A cosa devo...?-
-Mio fratello, Raun...Genbu. Voleva farle un pensiero ma si vergognava a portarglielo. Così lo ha chiesto a me. E' da parte sua. Non so se le piacciono i fiori, ma Genbu la ammira molto. Li accetti, per favore-. Kagami non disse nulla, ma per alcuni secondi fissò intensamente lei e i fiori. Non si fidava? Oppure non era abituata a ricevere fiori ed era incerta sul da farsi? Haruko sostenne il suo sguardo senza vacillare, innocentemente. La cosa non le fu difficile, anche se era Lady Kagami che la fissava: ormai la ninja era abituata a dover mentire spudoratamente, fissando la gente negli occhi, parlando in tono convincente, apparendo sincera e inoffensiva. Era grazie alle sue doti di attrice che riusciva, suo malgrado, a infiltrarsi e portare a termine le sue missioni. Era grazie alle sue doti di mentitrice che Lady Kagami l'aveva presa con sè, senza mai sospettare nulla su cosa lei nutrisse davvero nei suoi confronti. O su cosa lei stesse per fare.
Se per bravura di Haruko o semplicemente perchè di buon umore non si seppe mai, ma Lady Kagami si alzò, lasciando la spada, e si avvicinò alla sua subalterna, prendendo quindi i fiori. Li annusò anche. Per poco Haruko non saltellò sul posto, felice come una pasqua. Si mantenne invece calma e posata come al solito, mostrandosi lieta della decisione di Kagami di accontentare suo fratello, manifestandolo con un lieve sorriso.
-La ringrazio a nome di mio fratello-. Ciò detto, girò i tacchi e si allontanò, un ghigno di malefico trionfo a deformarle le labbra. E ciononostante il senso di colpa le pungolò l'anima. Anche Lady Kagami aveva un cuore, dunque. Ma ormai Haruko aveva imparato a ignorare quella fastidiosa sensazione. Tutti avevano un cuore, ma non tutti meritavano che battesse.
***
Era stato facile entrare a far parte della servitù del palazzo di Goda. In realtà la fortuna l'aveva aiutata: Lady Kei cercava una damigella per sua figlia, sebbene fosse troppo piccola per averne una, così bastò fingersi un'amante dei bambini per essere scelta. In realtà non era certa che fosse stata una fortuna: la bimba aveva quattro anni o poco più e lei doveva starle dietro tutto il tempo, anche se c'era sua madre, quando in realtà necessitava di allontanarsi per vedere Motohide. Doveva farlo entro due giorni, così le aveva ordinato Kagami, e quello era il suo primo giorno di servizio; doveva assolutamente tentare di incontrare l'uomo quella sera.  Certo, Lady Kagami doveva già essere passata a miglior vita ormai, ma lei doveva far finta di nulla e tener fede agli ordini che aveva ricevuto. La giornata passò in fretta, contro le sue aspettative: non potè certo dire di divertirsi con la principessina, Kiku, e sua madre, ma entrambe erano adorabili, in generale ma anche con lei in particolare. La bambina era dolce, educata, ubbidiente; non strillava, non faceva i capricci, non scorrazzava, era semplice tenerla d'occhio. Era socievole ma non seccante; parlava tanto, ma non diceva nulla di banale. Era perfino riuscita a coinvolgere Haruko mentre giocava con le bambole, e insieme avevano passato la mattina e il primo pomeriggio a inventare storie che vedevano protagoniste le sue bambole. Haruko non amava i bambini. Non li odiava, ma non le piacevano. Non si era mai persa in moine con loro, non aveva mai voluto coccolarli o cullarli tra le braccia come la maggior parte delle ragazze della sua età, nè pensava mai ad un futuro in cui ne avrebbe avuto uno tutto suo. Soprattutto da quando aveva iniziato a servire Lady Kagami. Non aveva potuto fare altro che indurirsi, dimenticare di poter avere un futuro normale come chiunque altro. Era una ninja, reduce da una tragedia, completamente sola se non per suo fratello. Le sue mani e la sua anima erano sporche di sangue. Il fatto di non aver mai ucciso con armi da taglio ma solo con veleni non rendeva la cosa meno grave. Il fatto che lei fuggisse prima che le sue vittime morissero davanti ai suoi occhi non attenuava affatto le sue colpe. Si sentiva sporca, indelebilmente nera e impura...e quasi temeva di inquinare quella bambina candida e innocente solo standole vicino.
Lady Kei era esattamente come sua figlia: bella, educata, gentile, posata, sorridente, affabile. Era la moglie perfetta, la madre che tutti vorrebbero avere e la padrona ideale per ogni servo. Sebbene quello fosse il suo primo giorno di servizio, la signora la trattava come se la conoscesse da sempre, come se fosse ormai fidata, di casa; le sorrideva di continuo e ogni ordine che le impartiva sembrava una semplice richiesta, non di più.
A pranzo ebbe modo di conoscere anche il famigerato Lord Gohda. E si domandò come si potesse pensare di uccidere un uomo tanto cordiale. Era risaputo che Gohda Matsunoshin fosse un uomo buono, un sovrano giusto poco incline alla violenza e alla guerra e che tentava di salvaguardare la sua popolazione, ma Haruko ne ebbe conferma quel giorno stesso: durante il pranzo raccontò alla moglie che aveva passato la giornata a perlustrare la zona perchè intendeva apportare migliorie al villaggio in cui era situato il castello e riportò svariati episodi di uomini umili ammalati o talmente poveri da ritrovarsi a chiedere l'elemosina per strada, ricoperti di stracci lerci... Non fece che parlare di questo. Di quanto la povera gente andasse aiutata da persone come loro, che avevano anche troppo e che avrebbero dovuto condividerlo con i più umili. E quando Lady Kei e Kiku la presentarono a lui, l'uomo le sorrise e le diede il benvenuto. Si raccomandò perfino di rivolgersi a lui se avesse avuto problemi o richieste di qualsiasi sorta. Haruko si complimentò con se stessa per aver avvelenato Kagami, togliendola di mezzo e salvando quella meravigliosa famiglia reale; se non fosse stato per suo fratello, sarebbe rimasta lì a servirli come se nulla fosse, abbandonando la vita da subdola assassina per dedicarsi a una vita più tranquilla, più normale e forse anche più gratificante. Eppure non poteva farlo. Non appena si sarebbe accertata che l'assalto al castello non avrebbe più avuto luogo, sarebbe dovuta andar via di lì, recuperare quella testa vuota di suo fratello e andare il più lontano possibile, con lui, per iniziare una nuova vita.
***
Era notte fonda ormai, ma lei era sveglia più che mai. La famiglia reale era a letto da diverse ore. Sicuramente anche Motohide era nel mondo dei sogni, ma a lei non importava. Quello era il momento ideale per raggiungerlo senza farsi scoprire. Abbandonò la sua umile stanza -fortunatamente non la divideva con nessuno- al piano più basso del castello, dedicato alla servitù, con passo felpato, lentamente. Era tutto buio, ma la luce della luna penetrava dalle finestre e rischiarava il corridoio quanto bastava per permetterle di orientarsi. Coi sensi all'erta, iniziò a percorrere il corridoio, che le parve interminabile. Giunta all'angolo, sbirciò oltre; non essendoci nessuno, proseguì. Come era giusto che fosse, il castello era sorvegliato da guardie ben addestrate, ma era quasi certa che quel piano fosse sgombero: non era necessario pattugliare anche il piano della servitù. Bè, tanto meglio per lei.
Il palazzo aveva cinque piani e la famiglia reale si trovava all'ultimo piano; più si saliva, più le guardie erano numerose. Motohide a che piano poteva essere? Mentre saliva le scale per giungere al primo piano, tentò di ricordare dove fossero situate le camere degli ospiti: non aveva avuto tempo per perlustrare il castello, cosa che sarebbe stata senz'altro più prudente, ma aveva chiesto informazioni alle cameriere con cui aveva condiviso già due pasti, per cui era riuscita a carpire qualcosa di utile da sfruttare subito, dato che non aveva tempo da perdere. Ma si, agli ospiti era riservato il quarto piano.
Arrivata al primo piano, si affrettò a celare la sua presenza nell'ombra, sfuggendo ai raggi di luna. Non avvertì alcun rumore nè vide nessuno; le guardie dovevano essere lontane per ora. Doveva trovare alla svelta le scale per il piano superiore. Abbandonò la protezione dell'ombra muovendosi silenziosa e più velocemente che poteva. Odiava quei dannati geta1, li trovava rumorosi, e il kimono che indossava era dannatamente scomodo per un momento simile, ma non poteva rinunciare a nessuno dei due: se fosse stata scoperta era meglio che la vedessero come l'innocua nutrice che fingeva di essere piuttosto che come una losca ninja. Ciononostante era capace di far aderire quelle maledette calzature al pavimento in legno senza farsi scoprire.
D'un tratto avvertì delle voci maschili in avvicinamento: erano due guardie. Chiacchieravano sottovoce mentre percorrevano il corridoio da pattugliare. Haruko li intravide in lontananza e, senza perdere la calma, si infilò in una rientranza nel muro, che i raggi della luna non raggiungevano. Perfettamente immobile e respirando lievemente, attese con pazienza che i due la raggiungessero e la superassero. Non la notarono nemmeno. Quando furono sufficientemente lontani, uscì allo scoperto e proseguì rapida, prima che potessero girarsi e scorgerla. Trovò subito una rampa di scale, ma scendeva al piano di sotto, per cui andò oltre. Non incontrò altre guardie, fortunatamente, e riuscì a salire presto. Tuttavia, dovette fermarsi a metà della rampa di scale e scendere di nuovo, nascosta dietro alla ringhiera in legno delle scale: aveva sentito dei passi. Si sporse con prudenza e scorse una guardia. Questa si fermò proprio sopra le scale e guardò giù, ma lei si era già nascosta. Haruko la udì allontanarsi a passo sostenuto. Quando la sentì abbastanza lontana, uscì dal nascondiglio e iniziò a salire, lentamente e piegata per rendersi meno visibile; quando la vide svoltare l'angolo e sparire dalla sua vista, salì del tutto e intraprese lo stesso cammino della guardia. La seguì da lontano, sperando in tal modo di non imbattersi in altre guardie. Non fu fortunata: dalla direzione opposta la ninja intravide un'altra guardia, che salutò quella che lei stava seguendo e tirò dritto, verso di lei. Haruko aveva da poco sorpassato un fusuma; indietreggiò, svelta, e aprì il pannello quel tanto che bastava a scivolare nella stanza, quindi lo richiuse. La giovane osservò la stanza in cui era finita, ma era vuota, tranne che per pochi oggetti d'arredamento. Chiuse gli occhi e acuì l'udito: non fu difficile capire quando la guardia fu passata oltre e, al momento opportuno, uscì nella stessa maniera in cui era entrata, proseguendo veloce. Giunta all'angolo, di fronte a sè trovò le scale, quindi le prese, cauta, per salire al terzo piano. Dovette fermarsi subito: due guardie erano lì a chiacchierare a bassa voce e non sembravano intenzionate a spostarsi. Prima che arrivasse qualcuno e la scorgesse, appollaiata lì sulle scale, scese e si nascose sotto di esse, nel buio, attendendo pazientemente che il passo si liberasse. Fu una buona idea: le guardie del piano in cui era già passarono da lì per ben due volte, ma non la videro, immersa com'era nel buio sotto le scale. Vi era però odore di polvere e tenne le mani davanti al naso per evitare che le venisse qualche starnuto. Doveva esserci anche qualche ragnatela, ma evitò di pensarci e anche di verificare.
Finalmente le guardie decisero di dover sorvegliare anche l'altro lato del terzo piano, quindi si spostarono, ognuna in una direzione diversa. Haruko non perse l'occasione e abbandonò il nascondiglio, giungendo finalmente al terzo piano. A quel punto, poteva andare a destra o a sinistra; scelse la sinistra.  Stranamente, non incontrò nessuno e trovò subito la prossima rampa, raggiungendo il quarto piano. "Bene, devo trovare la stanza giusta adesso". Imboccò il corridoio che aveva di fronte, tenendosi all'ombra, contro il muro che ospitava le finestre. Udì dei passi rapidi in avvicinamento; capì subito che provenivano dall'angolo alle sue spalle. Aumentò anche lei il passo, ma sapeva che sarebbe stata vista. Tanto più che una guardia arrivava anche di fronte. Così tirò fuori un sacchetto marrone contenente una polvere accecante; slegò il nastrino che lo teneva chiuso e sparse la polvere tutt'intorno, verso l'alto, di modo che sarebbe scesa sulle guardie una volta arrivate sufficientemente vicine. E così fu: a pochi metri da lei, entrambe le guardie portarono le mani agli occhi, che Haruko sapeva copiosamente lacrimanti, lamentandosi e soprattutto arrestando la loro avanzata. Rapida e silenziosa come un felino, tenendo gli occhi socchiusi per evitare la polvere, Haruko abbandonò il nascondiglio per sorpassare la guardia di fronte, ma intravide qualcun altro avvicinarsi; lanciando maledizioni mentali, aprì il fusuma che fortunatamente era alla sua sinistra e si infilò nella stanza. Udì le guardie parlare all'esterno, ma non si curò di loro poichè vide una finestra; si affacciò e fu lieta di vedere che vi era un cornicione tegolato su cui poteva camminare. L'avrebbe condotta alla stanza di Motohide? Senza pensarci due volte, uscì dalla finestra e si ritrovò sul cornicione. Evitò di guardare in basso e iniziò a percorrerlo con cautela. Sbirciò oltre tutte le finestre che incontrò, sempre più avvilita dato che non trovava l'uomo, ma non perse le speranze...e fece bene, alla fine scorse colui che cercava dalla finestra. Sebbene fosse buio e lo avesse visto solo in un ritratto che Lady Kagami le aveva mostrato, lo riconobbe: lineamenti duri anche nel sonno, barba brizzolata e incolta sulla pelle da uomo di mezza età. Haruko, lieta di averlo finalmente trovato e al contempo riluttante all'idea di doversi interfacciare con quell'individuo subdolo, si introdusse nella camera e si avvicinò a Motohide, beatamente addormentato nel suo futon. Era steso lateralmente, così lei gli arrivò alle spalle con l'idea di tappargli la bocca mentre lo svegliava, per evitare che urlasse. Tuttavia non lo fece subito. Sarebbe stato più facile per tutti se lei lo avesse ammazzato così, nel sonno, e fosse sparita esattamente com'era arrivata...
No, non era prudente. Era stato già rischioso uccidere Kagami...e se avesse ucciso anche lui, senz'altro lei sarebbe stata etichettata come responsabile, cosa che in effetti era. No, doveva portare pazienza e fare come le aveva ordinato Kagami, almeno finchè non fosse stata certa che la ninja fosse davvero deceduta e che l'assalto al castello di Goda non si sarebbe realizzato. Le dispiaceva per la famiglia reale, ma lei non sarebbe stata incauta solo perchè era giusto per tutti. Sospirò, quindi, e si preparò a interloquire con quel verme.
***
Si agitò all'istante e per poco non la scaraventò contro al muro, nonostante lei lo bloccasse con tutto il suo peso. Per questo si affrettò a dire:-Sono un ninja al servizio di Lord Toda. Sono qui a nome suo-. L'uomo si fermò all'istante, così lei gli liberò la bocca e si allontanò. Aveva uno sgradevole odore di sake.
Motohide si mise seduto, passando una mano tra i capelli brizzolati e scompigliati e lanciandole un'occhiata truce; di conseguenza lei disse:-Mi spiace averla svegliata tanto bruscamente-
-Non importa. Che sei venuta a fare?-
-Ho un messaggio dalla mia signora-. La mora prese il messaggio da una tasca del kimono e glielo passò. Motohide ruppe il nastrino che teneva il messaggio chiuso e lo srotolò, leggendo velocemente con lo sguardo; disse:-L'assalto avverrà domani, quando tutti saranno andati a dormire. Devi fare una cosa-
-Sono tutta orecchi-
-Dovrai semplicemente fare in modo che le porte del castello siano aperte ai soldati di Toda. Quando sarà fatto, dovrai lanciare un segnale-
-Un esplosivo in cielo andrà bene?-
-Si, bene. E dovrai uccidere la mia nipotina e sua madre-
-Chiedo scusa?-
-Di mio nipote mi occuperò io, ma tu dovrai eliminare il resto della famiglia reale. In questo modo, i soldati e i ninja di Toda non avranno alcun ostacolo e potranno eliminare i soldati di Matsunoshin. E anche quell'odioso e inutile Naotada-. Haruko restò senza parole. Kagami le aveva detto che avrebbe dovuto eseguire gli ordini di Motohide, ma non si aspettava di dover fare proprio una cosa del genere. Uccidere Lady Kei e sua figlia. Bè, in realtà poteva non farlo anche se l'assalto si fosse verificato, tanto se non ci avesse pensato lei lo avrebbe fatto qualche altro ninja di Kagami. Lei avrebbe dovuto semplicemente starne fuori. Oppure...oppure era meglio che le uccidesse entrambe lei, in modo da donar loro una morte dolce e serena? Haruko si affrettò a ricordare a se stessa che Kagami doveva essere ormai morta stecchita e quindi non ci sarebbe stato alcun assalto. Toda non avrebbe mai attaccato il palazzo da solo.
-Si signore- rispose tuttavia, impassibile.
-Bene. Ora levati dalla mia vista, ho bisogno di dormire-. Ciò detto, l'uomo si stese dandole le spalle, rinforzando il comando appena impartitole. Haruko fu lieta di eseguirlo.
***
Nonostante avesse fatto le ore piccole, Haruko si svegliò di buon'ora e iniziò la sua giornata lavorativa come se nulla fosse. Eppure, per qualche motivo non si sentiva tranquilla. La sensazione non era legata a ciò che avrebbe dovuto fare la notte dopo, ossia aprire le porte del castello ai nemici, eppure... Che fossero quei nuvoloni neri e cupi che si erano ammassati in cielo quel giorno? Rendevano l'aria pesante e umida, c'era poca luce...era come se presagissero qualcosa di negativo. Ma forse era lei, che odiava il maltempo e odiava le giornate senza sole.
Passò la giornata come la precedente, cioè a giocare con la principessina, pettinarle i capelli e acconciandoli in mille modi, passeggiando con lei per il castello e poi facendola dormire durante il riposino pomeridiano; e poi ancora fino a sera, stavolta allietando anche Lady Kei. Giunta l'ora di dormire, si infilò nel futon ma non riuscì a chiudere occhio.
***
L'aria era sempre più pesante e c'era anche del vento. Aveva freddo. Detestava il freddo. La deconcentrava, le metteva fretta e le toglieva la voglia di fare qualunque cosa che non fosse starsene a letto a dormire sotto le coperte calde. Ma era da diverso tempo ormai che non assecondava questi capricci: anche quando viveva ancora con la sua famiglia, sua madre le aveva insegnato presto a compiere il suo dovere in qualsiasi condizione. Era stata abituata a svolgere le faccende domestiche anche quando non ne aveva voglia o era ammalata; aveva dovuto seguire sua madre a raccogliere erbe, tritarle e quant'altro anche prima del sorgere del sole, quando lei ancora dormiva; aveva dovuto accudire il suo fratellone anche quando era indisposta, quando era di malumore e aveva voglia di tutto tranne che di portare pazienza con lui; aveva dovuto allenarsi con suo padre, aiutarlo a gestire il piccolo orto e il pollame anche quando avrebbe voluto scorrazzare con le amiche. O quando aveva fatto i conti senza l'oste e si era già data appuntamento con...
Haruko scosse il capo mentre si sistemava il kimono e raccoglieva le innumerevoli treccine nere in un morbido chignon. Infilò i geta e si preparò a uscire, ma prima di farlo lanciò uno sguardo alla sua sacca, abbandonata accanto al futon ripiegato vicino al muro. La sua sacca piena di polveri fini e grossolane, di differente pericolosità. Ce n'erano anche per Lady Kei e la sua bambina. Si, alla fine non era riuscita a ignorare quella brutta sensazione che la assillava e aveva preparato qualcosa per loro, per evitar loro meno sofferenze possibili. "E' tutto quello che potrei fare per loro". Non poteva proteggerle, non ne era in grado. L'unica cosa da cui poteva proteggerle era il dolore.
***
"E' l'ora". Era pronta, anche se non sapeva cosa aspettarsi. Le sue treccine erano sciolte sulle spalle, raccolte solo sulla parte alta del capo per non impacciarla in alcun modo; aveva abbandonato quello scomodo kimono per rimpiazzarlo con la sua tenuta da ninja, ossia il suo fidato vestito nero come la notte, e indossava i geta sulle calze, nere anch'esse, che le avrebbero protetto le gambe dal freddo. La sua asta allungabile in metallo era fermata alla vita da una cintura, alla quale erano assicurati anche alcuni sacchetti contenenti diverse polveri e alcuni fumogeni. Sospirò e uscì, pronta all'azione e maledicendo una volta di più quella maledetta donna. "Spero sia morta. Una volta per tutte".
Uscì in corridoio e poi all'aperto: era tutto buio e faceva un pò freddo. I nuvoloni coprivano la luna e le stelle, non si vedeva nulla. Stava per piovere. Silenziosa come un gatto, riuscì a eludere facilmente le guardie salendo sul tetto più basso con un rampino e giungendo quindi a destinazione dall'alto. Mise fuori gioco le due guardie poste all'entrata delle mura del palazzo -le era bastato accecarle e colpirle alla nuca, facendole svenire- e aprì l'accesso, come le era stato ordinato. Tornò quindi sul tetto e accese un fuoco d'artificio. A quel punto, ignorando l'improvviso afflusso di guardie attirate dall'esplosione, scivolò lungo il tetto come un'ombra e, con l'aiuto del rampino, si arrampicò fino a raggiungere la stanza della piccola Kiku. La bambina dormiva beatamente su un letto troppo grande per lei. Il viso delicato e chiaro era rilassato, il respiro leggero, le mani chiuse a pugno accanto alla testa, la bocca schiusa. Ah, quanto la invidiava. Si sedette sul bordo della finestra e attese. Proprio allora quei nuvoloni iniziarono a scaricare il loro freddo disappunto.
 
 
 
 
 
 
1Geta: sandali tipicamente giapponesi

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Udì dei passi in corridoio. Sicuramente delle guardie stavano correndo da Lord Goda per accertarsi che stesse bene. O per prevenire una qualsiasi azione ai suoi danni.
La bambina continuava a dormire nonostante il trambusto. Anche Haruko da piccola aveva il sonno pesante: Raundomaru si divertiva a fare rumore accanto a lei mentre dormiva per poi prenderla in giro, da sveglia, perchè non sentiva nulla. Col tempo aveva dovuto perdere questa caratteristica...
Si affacciò alla finestra per controllare la situazione. Fortunatamente, da lì era ben visibile l'entrata del castello. Sollevata, constatò la presenza delle sole guardie, tutte all'erta, alcune che restavano lì davanti e altre che si sparpagliavano per ogni dove.
Quel sollievo però non durò a lungo.
I suoi occhi scuri misero a fuoco nuove guardie che avanzavano come una mandria di animali inferociti. Le loro armature erano di colore diverso, verde scuro, mentre quelle delle guardie del palazzo erano azzurre.
L'esercito di Toda, oppure di Motohide, senza dubbio. Allora ciò significava che...?
Nemmeno fece in tempo a terminare il pensiero che in quella baraonda riconobbe chiaramente dei ninja: sebbene piovesse a dirotto e la visibilità fosse scarsa, le loro tute erano inconfondibili.
Ninja di Kagami. Quella maledetta allora....
"Com'è possibile?". Aveva fallito. Il veleno che aveva introdotto nei fiori non aveva ucciso quella donna demoniaca. Come accidenti aveva fatto a salvarsi?
Un tuono squarciò il cielo, illuminando tutto a giorno. Kiku sobbalzò con un piccolo urlo e Haruko la trovò seduta, ansimante e spaventata, gli occhi spalancati. Quando la vide, si spaventò ancora di più e fece per urlare, ma la ragazza era già su di lei, una mano a tapparle la bocca.
-Stai zitta. Sono Masami-. Aveva usato il nome di sua madre per camuffare il proprio mentre era al castello. Kiku, nell'udire il nome la prima volta, aveva detto che le piaceva. Parve tranquillizzarsi, per fortuna; Haruko le liberò la bocca.
-Che succede?-
-Succede che...-. Fantastico. Come poteva spiegare a un'adorabile bambina piccola che stavano assaltando casa sua e che presto lei e i suoi genitori sarebbero morti? Doveva...doveva davvero avvelenarla? L'idea la ripugnava. Maledizione. E avere quegli occhioni inquieti addosso non le era per niente d'aiuto. Avrebbe voluto dirle di smetterla di guardarla, ma invece ordinò:-Mettiti sotto al letto-
-Ma...!-
-Fa come ti dico, principessa, alla svelta. Sotto al letto-. La bambina obbedì subito, spaventata. Haruko non sapeva cosa fare: avrebbe voluto proteggerla, ma avrebbe senz'altro avuto la peggio in uno scontro con chiunque. E comunque poi l'avrebbero uccisa per tradimento, anche se fosse riuscita a spuntarla. Imbracciò comunque la sua asta, allungandone le due estremità, e si rivolse alla finestra -era più probabile che i ninja entrassero da lì-. Intanto, disse alla bambina:-Delle persone cattive sono venute a far del male a te e ai tuoi genitori. Non devi uscire da sotto il letto per nessun motivo, chiaro? Nessun motivo. Non devi fare rumore e non devi piangere. Resta là sotto-
-Va bene-. La risposta le era giunta come uno squittio strozzato. Povera piccola. Nessuno poteva capirla meglio di lei...
Haruko si affacciò nuovamente alla finestra e vide solo caos: guardie con armature differenti che combattevano l'un contro l'altra anche in sovrannumero; c'erano già i primi cadaveri sparsi qua e là e qualcuno aveva appiccato un incendio a piano terra. Le cameriere correvano qua e là terrorizzate e alcune cadevano vittime delle spietate guardie intruse. Urla e rumori di armi che cozzavano divenivano ogni secondo più insopportabili alle orecchie della ninja. A questo si sommò un nuovo fulmine, che le fece balzare il cuore in petto. Era tutto come il giorno che...
Scosse la testa violentemente e cercò di riflettere. Non poteva restare lì, doveva almeno fingere di collaborare con quelle maledette guardie verdi e i ninja di Kagami. Ma come poteva lasciare sola quella bambina? Maledicendosi, sbarrò la porta della stanza con delle sedie; si chinò per terra e passò alla bimba un fumogeno, dicendo:-Se qualcuno vuole farti del male, lancia questo per terra e scappa. Hai capito?-
-S-si-
-Brava bambina-. Proprio in quel momento, dal corridoio si udì la voce di Lady Kei che, angosciata, chiamava la figlia; subito dopo, dei colpi alla porta le comunicarono che qualcuno stava cercando di entrare con la forza. Dovevano essere le guardie reali.
Doveva proprio andar via.
La porta si spalancò proprio mentre lei era sul tetto. Accertatasi che si trattava proprio della madre di Kiku e delle guardie, si allontanò prima che la vedessero, tremando per quella doccia gelata che le picchiò addosso senza pietà.
***
Doveva trovare un rifugio in cui nascondersi fino alla fine di quell'inferno. Non voleva prendere parte a quella carneficina...
Urla, armi, esplosioni, fuoco, la pioggia, i tuoni...cadaveri di innocenti, sangue ovunque...
Era questo che lei vedeva da quel tetto. Devastazione. Di nuovo. Non lo tollerava.
"Lady Kagami...sei un mostro". Tentò di recuperare la calma, ragionare. L'unica cosa che poteva davvero fare era uccidere, come stavano facendo tutti i ninja di Kagami. Ma non voleva.
Suo fratello. Dov'era Raundomaru?
Decise di cercarlo. Un brivido la scosse; come se le servisse quello, cominciò a correre sul tetto, attenta a non scivolare giù. Ma le accadde molto di peggio. Di punto in bianco si ritrovò accerchiata da quattro ninja. Dalle tute rosse, dedusse fossero i suoi colleghi, al servizio di Kagami e Toda. Restò tuttavia di stucco quando questi sguainarono le katane, puntandole verso di lei.
-Che succede? Che volete da me? Io...-
-Hai tentato di assassinare Lady Kagami. Abbiamo l'ordine di ucciderti- replicò uno di loro duramente. Haruko perse un battito. Dannazione, quella maledetta si era davvero salvata...e per giunta aveva capito che l'artefice di tutto era stata lei. Come diavolo poteva essere ancora viva?
Era spacciata. Non solo era sola contro quattro ninja, ma lei non era nemmeno una gran combattente. Lei era brava a mimetizzarsi, non farsi notare... Poteva difendersi, ma non si sarebbe mai salvata. Ciononostante, impugnò la sua asta e la puntò contro il ninja che aveva di fronte. Avrebbe tentato di difendersi. I suoi genitori le avevano insegnato a non gettare mai la spugna, e lei non lo avrebbe fatto, fino all'ultimo secondo della sua esistenza.
-Quattro contro uno? E contro una donna?-. Tutti, Haruko compresa, si voltarono verso un altro ninja. Anche lui era vestito di rosso e aveva il viso coperto, come gli altri, ma lei riconobbe la sua voce. Yoshi.
-Ci penso io a lei. Voi andate e fate ciò che dovete. Dobbiamo ancora eliminare Lord Gohda e la sua famiglia-
-Come vuoi- rispose uno, anzi una donna a giudicare dalla voce, e tutti e quattro balzarono giù dal tetto, sparendo subito dalla vista di Haruko. Anche se ora non era più in svantaggio numerico, lo era in ogni caso e non si rilassò; puntò l'asta verso Yoshi, improvvisamente concentrata sul difendere la propria vita e quasi insensibile sia all'acqua e al freddo sia al caos che la circondava.
-Avanti, Yoshi. Sfodera la tua arma e facciamola finita-
-Hai tanta fretta di farti ammazzare, vedo. Infatti hai fatto la cosa peggiore possibile-
-Ti riferisci al mio tentato omicidio della nostra Lady?-
-Perchè lo hai fatto?-
-Come ha fatto a salvarsi? Ho utilizzato un potente veleno....-
-Perchè?-. Haruko non capiva perchè Yoshi stesse perdendo tanto tempo in chiacchiere. Lui aveva l'ordine di ammazzarla, come ogni ninja lì presente. Perchè non lo faceva e basta?
-Ci sono cose che non sai di me, Yoshi. Penso che quella donna debba morire-
-Quella donna si è presa l'onere di liberarci dalla nostra schiavitù-
-Schiavitù? Svegliati, Yoshi. Questa missione che si è prefissata non ha senso! Non vuoi essere schiavo di un signore? Bene, allora non fare il ninja! Fa qualcos'altro! Che ne so, l'allevatore, il contadino...-
-Tu non capisci! I nostri signori ci stanno distruggendo!-
-Non Lord Gohda!-. Anche se Haruko non vedeva il ragazzo in viso, percepiva la durezza del suo sguardo. Esasperata, indicò la sanguinaria baraonda a pochi metri da loro e disse:-Apri gli occhi, Yoshi! E' questo l'onere che Lady Kagami si è presa! Seminare dolore, distruzione e sangue, per che cosa? Nulla che porti tanta sofferenza è giustificabile!-
-Haruko, tu...-
-No, non dire di nuovo che non capisco perchè è l'esatto contrario! Sei tu, che non capisci, tu!-. Il giovane restò zittito; la ninja invece si infervorò, gli occhi lucidi:-Lady Kagami ha portato via la mia famiglia e ha irretito mio fratello! Ha ucciso i miei e distrutto la nostra casa davanti ai miei occhi! E solo perchè tentavano di difendere il villaggio da lei e i suoi ninja spietati, come tutti gli altri abitanti del villaggio! Come posso amare un mostro simile? Come posso seguire questa follia? Lady Kagami deve morire, Yoshi. Non voglio convincerti a cambiare bandiera, no, ma sappi che farò ogni cosa in mio potere per porre fine alla sua vita! Finchè il mio cuore batterà, finchè avrò fiato in corpo...!-
-E' stato un guaritore a salvarla. E' riuscito a trovare un antidoto in tempo. Ci è mancato poco...è salva per miracolo-. Haruko restò interdetta. Lei gli urlava addosso tutto l'odio che nutriva per Kagami e lui...?
-Me l'avevi chiesto. Come ha fatto a salvarsi. Ecco la risposta-. Haruko non seppe cosa replicare. Restarono a fissarsi in silenzio per alcuni secondi, finchè un fulmine non squarciò il nero del cielo; come se fosse stato questo a scuoterla, la ragazza chiese:-Perchè stiamo ancora parlando, Yoshi?-
-Se mi prometti che sparirai, ti lascerò andare. Fingerò di averti uccisa-
-Ma cosa stai...?-
-Presto arriveranno i ninja Azuma, se già non sono arrivati. I ninja di Gohda. Avrai altri nemici da cui guardarti-
-Ma...-
-Vattene. Sbrigati-
-Perchè stai facendo questo?-
-Non tentare mai più di uccidere Lady Kagami. Non ce la farai. Dimenticala e rifatti una vita lontano da qui. Puoi stare bene, Haruko-
-Yoshi, che diamine stai dicendo? Perchè mi vuoi lasciare libera?- sbottò Haruko, abbassando finalmente l'arma e avvicinandosi. Yoshi restò immobile e in silenzio, gli occhi fissi nei suoi.
-Ho...visto qualcosa in te. Da subito. E' quello che sento di fare. Và, prima che non possa coprirti-. La mora restò senza parole. Era assurdo. Come poteva un ninja che seguiva Kagami essere così misericordioso?
-Perchè la segui?-
-Haruko....-
-Dimmi solo perchè la segui. Poi andrò via. Non ti prometto che non tenterò più di ucciderla, ma mi leverò di torno per ora-
-Che testa dura. E' una delle prime cose che ho notato di te-
-Rispondimi-. Yoshi sospirò stancamente e disse:-Ho origini umili, come te. Vengo da uno dei villaggi di Toda. Io odio Lord Toda. E' egoista, opportunista. Succhia dai suoi sudditi tutto ciò che può. Mio fratello faceva parte del suo esercito ed è morto da eroe, ma lui non ha onorato il suo coraggio in alcun modo. Neanche fosse morto un cane-. Per la prima volta da quando lo conosceva, Haruko avvertì una vibrazione di rabbia nella voce solitamente pacata del ragazzo. E comprese il motivo per cui seguiva quella pazza.
-Non tutti i signori sono come lui, Yoshi. Lord Gohda non è così. E' buono, cerca di sostenere i più poveri. Il suo popolo lo appoggia. Non tutti i signori meritano di morire. E non è con la violenza che si elimina il dolore. Anzi, lo si alimenta- concluse, indicando ancora la strage e le fiamme sotto di loro. Yoshi stette in silenzio, rigido. Aveva serrato i pugni, notò lei. Era forse combattuto?
-Scappa. Ti ho risposto. Ora va via-
-Yoshi...-
-Via-. Non era servito a nulla? Avrebbe continuato a rischiare la vita per Kagami? Haruko sospirò tristemente e indietreggiò...ma le si ghiacciò il cuore nel vedere Yoshi che veniva letteralmente schiacciato dalle due pesanti clave di suo fratello. La cosa durò un secondo netto, ma lei vide tutto al rallentatore: la mole di Raundomaru dietro il ragazzo, le due clave che si abbattevano sul cranio di Yoshi, il rumore del suo cranio e della colonna vertebrale che si frantumavano e il sangue che schizzava tutt'intorno, anche sul suo viso...e poi il corpo morto e molle che crollava e scivolava dal tetto come un sacco vuoto.
-Yoshi!!!- si ritrovò a strillare, in ginocchio, in lacrime, tremando quasi convulsamente. Le era morto davanti agli occhi. Un secondo prima stavano parlando e il secondo dopo...
Non aveva neppure fatto in tempo a ringraziarlo. Per esserle stato amico fin dall'inizio, nonostante lei lo allontanasse, si tenesse sulle sue per non legarsi troppo a nessuno...per esserle stato amico anche in quel momento, quando avrebbe dovuto farla fuori senza mezzi termini...
"Yoshi". Non era la prima volta che aveva il sangue di qualcuno addosso. Non era la prima volta che aveva il sangue di un ragazzo addosso. Un ragazzo che non aveva ucciso lei...
"Haruko!!"
"Akahito, no!". Le era morto tra le braccia. Quella lunga katana che l'aveva trafitto...tutto quel sangue, i suoi occhi vitrei....
"Yoshi". Era sotto shock. Non riusciva a muoversi. L'unica cosa che riuscì a fare fu spostare lo sguardo da quello spettacolo orribile che era il cadavere devastato di Yoshi sulla figura imponente di Raundomaru. Suo fratello torreggiava su di lei con tutta la sua mole: era sempre stato infinitamente più grosso di lei, ma da quella prospettiva le sembrava un gigante. Un minaccioso gigante. Si, perchè per la prima volta Haruko aveva visto suo fratello uccidere. In modo efferato e freddo. Per la prima volta Haruko vide che bestia spietata si celava in quel viso poco sveglio, in quella personalità così ingenua. E, per la prima volta, Haruko vide uno sguardo gelido nei suoi piccoli occhi. Rivolto a lei.
-Cosa...cosa hai...-. Non riusciva a parlare. Quello non era suo fratello. Quello era uno sconosciuto. Uno sconosciuto che a breve l'avrebbe uccisa con la stessa crudezza che avrebbe dovuto invece pervadere Yoshi.
-Hai cercato di uccidere Lady Kagami. Non lo dovevi fare-
-E..e ora tu vuoi...vuoi uccidere me?-. Il gigante annuì, una sola volta, con decisione. Haruko si sentì morire. Tutto quello che aveva fatto era stato per liberare suo fratello. Non per vendetta, no...ma per salvare ciò che le restava, cioè lui. Ma Raundomaru era così cieco, così invaghito di quella miserabile...
La ragazza si infervorò di nuovo, scattando in piedi, in lacrime:-Ma cosa sei diventato? Ti rendi conto di quello che hai fatto? Di quello che vuoi fare? Quella donna...-
-Genbu deve molto a Lady Kagami-
-La tua Lady Kagami ha ucciso i nostri genitori, ha distrutto il nostro villaggio, Raundomaru!! Perchè, perchè non riesci a ricordartene?! La servi solo perchè ti gratifica? Uh? La segui solo perchè gli altri al villaggio ti deridevano e lei non lo fa? Per questo tutti meritano di morire?!-
-Tu sei sorella di Genbu e hai tradito Genbu. Genbu vuole bene a Lady Kagami e tu hai provato a ucciderla-
-Raundomaru...-
-Genbu. Mi chiamo Genbu-
-Tu sei Raundomaru! Smettila di....-
-Basta, Genbu non vuole più vederti!- esclamò lui, infuriato, alzando entrambe le clave sulla testa; stava per colpirla, ucciderla con un colpo secco. Haruko gettò a terra due fumogeni e si dileguò nel buio, il cuore a pezzi.
***
Si ritrovò nelle cucine. Era tutto buio e il frastuono della guerra e del temporale giungeva ovattato. Crollò contro il muro, tremante, distrutta. Era completamente sola. Sola e circondata da nemici. Era nel bel mezzo di un campo di battaglia in cui tutti volevano ucciderla. Era un bersaglio da eliminare, come Gohda e famiglia. Perfino suo fratello voleva ucciderla.
Non aveva più nulla. Non aveva nessuno per cui lottare, nessuno da proteggere, lo scopo che aveva avuto da sempre si era frantumato come un vaso di ceramica contro il duro pavimento della realtà. Si sentiva smarrita, spaventata. E ora? Che fare? Doveva fuggire, come le aveva raccomandato Yoshi? Pensare a lui le riportò alla mente il suo cadavere ridotto in uno stato pietoso. Suo fratello e la sua improvvisa severità. E poi i cadaveri dei suoi genitori, di Akahito, il suo villaggio...
Una sola era la causa del suo dolore. Portava il nome di Lady Kagami. D'un tratto una rabbia improvvisa le montò nel petto, tale da spazzar via tutte le sue paure e il suo smarrimento. D'un tratto seppe cosa fare, qual era il suo nuovo scopo.
Uccidere quella donna.
Uccidere quel demonio.
Doveva pagare per quello che le aveva fatto. Era stato troppo, non poteva passarla liscia. No, Haruko non poteva fuggire e lasciarla impunita. Era arrivato il momento di smettere di fuggire, di nascondersi. Non era riuscita a farla fuori con l'astuzia, quindi non restava altro che affrontarla apertamente. Tanto non aveva più nulla da perdere.
Non piangeva più, Haruko: era in piedi, eretta, il viso immobile e algido, la mente concentrata su un unico obiettivo.
Lady Kagami doveva morire.
***
Si aggirava al piano della servitù con cautela. Qualcuno aveva appiccato un incendio e non c'era nessuno in giro.
Nessuno che fosse vivo. Di tanto in tanto le capitava di scorgere qualche cadavere abbandonato qua e là, circondato da una pozza di sangue nero. Haruko evitava di soffermarsi sui corpi, fingeva che non ci fossero. Non voleva scoprire chi fosse morto tra le persone con cui aveva lavorato in quei pochi giorni. E comunque voleva restare concentrata, raggiungere quella pazza con la rabbia che le albergava nel cuore. Solo così avrebbe potuto avere il coraggio di osare, di riuscire ad ammazzarla.
Arrivò al primo piano, e anche qui fiamme e cadaveri facevano da padroni; le fiamme erano tuttavia più dense e la temperatura era parecchio più alta. Haruko si affrettò a salire al piano superiore, ma si bloccò in corrispondenza delle scale, ove vide un soldato di Gohda e uno di Motohide che si scontravano. Non fecero caso a lei, così salì le scale ignorandoli, in fretta. Raggiunse il terzo piano, accalorata: iniziava a sudare. Trovò una finestra e uscì sul tetto, lasciando che un brivido di freddo la scuotesse immediatamente: la differenza di temperatura tra quelle fiamme soffocanti e quella pioggia violenta era abissale. Restò china e si guardò intorno, sperando che nessuno la intercettasse. C'era ancora caos ovunque, urla, rumore di lame che cozzavano; doveva andar via di lì. Non aveva mai desiderato tanto ardentemente di lasciare un posto. Si chiese dove potesse trovare Lady Kagami. Cercarla lì sarebbe stato molto imprudente, avrebbero potuto ucciderla ancor prima che riuscisse a raggiungerla. In ogni caso, era improbabile che la signora di quei ninja si abbassasse a svolgere la missione come tutti gli altri. No, lei doveva essere si operativa, ma al sicuro. Magari con colui che usufruiva dei suoi servigi.
"Lord Toda". Il signore doveva comodamente essere al suo accampamento, mentre i soldati perdevano la vita per lui. E Kagami doveva essere con lui. Anche se così non fosse stato, prima o poi lo avrebbe raggiunto.
Balzò giù dal tetto, atterrando su quello più basso, e da questo al successivo; diede un'ultima occhiata a quell'inferno in terra e balzò oltre le mura del palazzo. Diretta all'accampamento di Lord Toda.
***
Era ormai fradicia e infreddolita quando giunse a destinazione, ma aveva ben altro a cui pensare. Si rifugiò su un albero che si affacciava direttamente sull'accampamento, tenendosi nascosta tra le sue fronde. Sebbene la visibilità non fosse chiara, aguzzò la vista e mise a fuoco gran parte dell'accampamento. Soldati in armatura color vino si aggiravano seriosi, incuranti del maltempo. Haruko sapeva che, da qualche parte, dovevano esserci anche dei ninja, ben nascosti come lo era lei. Verso la parte centrale dell'accampamento, vi era una piccola area delimitata da una recinzione, all'interno della quale si intravedeva un'armatura di colore diverso. Era senz'altro quella di Toda.
"Non ho intenzione di restarmene qui a far nulla". Prese un bel respiro e balzò giù dall'albero, atterrando come un felino; saettò quindi verso l'entrata dell'accampamento e, una volta penetrata dentro, si nascose dietro un albero. Tutti i suoi sensi erano all'erta, il suo corpo pervaso da un flusso costante di rabbia che le impediva di temere qualunque cosa. Sapeva che non era l'animo giusto da tenere se voleva arrivare fino in fondo a quella storia, ma non poteva farci nulla. Avrebbe ucciso Kagami, il resto non importava. Se non ci fosse riuscita e fosse invece perita, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Sbirciò oltre l'albero. Un soldato si avvicinava, ma non l'aveva scorta. Non appena si allontanò, la giovane scivolò dietro ad una roccia e, subito dopo, dietro ad un pannello di legno che celava interamente la sua figura. Avvertì rumore di passi e restò dov'era, immobile, modulando il respiro: c'erano almeno due persone in avvicinamento. Udì le voci e capì che in effetti erano in due. Non appena i passi si allontanarono, lei diede un'occhiata oltre il pannello e sfruttò un altro albero per nascondersi, e poi un altro. Avvertì una sensazione di pericolo, così si guardò intorno. Alle sue spalle vi era un dolce declivio, alla base del quale due ninja in tuta rossa se ne stavano silenziosi a sorvegliare l'area circostante. Anche se non l'avevano vista, Haruko scongiurò il pericolo accovacciandosi. Era buio e non riusciva a vedere oltre, per cui decise di rischiare. Prese due cerbottane e ne portò una alla bocca, prendendo la mira: il secondo successivo, il primo dei due si accasciò a terra senza una parola. Il suo compagno si stava già spostando mentre si guardava intorno, allarmato, ma Haruko aveva già mirato: non appena fu possibile, beccò anche l'altro, centrandolo in pieno. Attese qualche secondo, ma non accadde nulla; nessuno notò i due corpi privi di sensi. La ragazza si sollevò, quindi, e scivolò giù per il declivio con una capriola, raggiungendo in fretta il ninja più vicino. Iniziò a spogliarlo, lieta che i sensi di colpa, per la prima volta, non la assalissero, deconcentrandola. Privò alla svelta il cadavere della sua tuta rossa e la indossò lei stessa, sforzandosi di reprimere l'impressione che le faceva avere addosso a sè i vestiti di un morto e, comunque, sollevata che non si trattasse di qualcuno che aveva conosciuto precedentemente; coprì bene il viso e i capelli, ignorando quanto le stesse larga quella tuta, e si affrettò a nascondere i due cadaveri in un cumulo di cespugli. Non fu facile: lei non era particolarmente forte e i cadaveri erano due uomini adulti. A quel punto rovistò nelle loro tasche e prese le loro armi -granate, bombe fumogene, makibishi1- e tornò in cima al declivio, accovacciata. Anche quella non fu un'operazione facile, dato che il terreno era molto scivoloso per via della pioggia. Una volta giunta in cima, la tuta era quasi completamente imbrattata di terra e fango; il colore rosso era ben poco distinguibile. Poco male, sarebbe passata ancora più inosservata.
Si rifugiò dietro l'albero di prima e aspettò che due guardie passassero e si allontanassero; a quel punto, china in avanti, corse dietro ad un pannello di legno. Grazie alla tuta poteva sembrare un ninja di Kagami, tuttavia preferì continuare a celare la sua presenza: qualcuno avrebbe comunque potuto riconoscerla.
Continuò a vagare ancora per l'accampamento senza che nessuno la notasse, ma di Kagami non c'era traccia. Raggiunse una casupola in legno ai margini dell'accampamento; l'avrebbe sorpassata come se non ci fosse stata se non avesse udito dei singhiozzi.
Qualcuno piangeva, piuttosto rumorosamente.
La ragazza sbirciò oltre la finestra...e vide la principessa Kiku. Era raggomitolata per terra, di spalle, avvolta in quel suo kimono rosa pallido, le piccole spalle scosse dal pianto. Cosa ci faceva lì? Era stata rapita? E i suoi genitori che fine avevano fatto?
"Se non altro, è ancora viva".
Restò lì, incerta: desiderava entrare e portarla via di lì, prima che il suo rapitore potesse ritenere opportuno farle del male...ma dove? E poi che ne sarebbe stato di lei? Se entrambi i suoi genitori fossero morti avrebbe dovuto crescerla lei?
Come poteva crescere una bambina se doveva uccidere Lady Kagami?
Bastò quella riflessione a renderle ben chiara la soluzione: doveva prima trovare Lady Kagami e ucciderla. Dopo sarebbe tornata dalla bambina e se ne sarebbe occupata. Ma ora non era il momento.
Furtiva e veloce, si allontanò dalla casa, imponendosi di non pensare più alla bambina, e continuò le ricerche. Trovò una torre di vedetta, in cima alla quale vi era un soldato munito di arco, che perlustrava la zona con lo sguardo diligentemente. Si avvicinò alla torre senza farsi scorgere e sfruttando subito la sua ombra, quindi vi si arrampicò con cautela. Il soldato non si accorse di lei minimamente, così potè colpirlo dietro la testa e farlo svenire. Lo sorresse e lo adagiò in terra per evitare di farlo precipitare giù, quindi si guardò attorno, china. Grazie alla luce dei deboli fuochi sparsi per l'accampamento, riuscì a scorgere il recinto in cui si trovava Toda. O meglio...il cadavere di Toda. Stranita, scese dalla torre e raggiunse la recinzione in tutta fretta, senza trovare intoppi.
Una volta lì, lo spettacolo che trovò fu tutt'altro che piacevole: il cadavere di Toda privato della testa, due soldati morti, e perfino il corpo di Motohide in un lago di sangue, il volto bloccato per sempre in un'espressione di terrore. Bè, se lo meritava. E anche Toda. Solo...
Haruko sussultò: Kagami aveva già agito?
Non poteva essere diversamente. Quello era il piano della Lady fin dall'inizio: eliminare Godha tramite Toda, e poi lei stessa avrebbe eliminato quest'ultimo quando meno se lo aspettava. Eliminando quindi tutti i signori, lei avrebbe potuto dar vita all'Aurora di Fuoco, il suo clan, e iniziare a spadroneggiare indisturbata in un mondo in cui i ninja non erano più costretti a servire nessuno.
-Dannazione. Dannazione!- esclamò Haruko. Aveva sperato di arrivare prima per poterla intercettare e uccidere, ma ora non sapeva dove trovarla. Eppure non fece in tempo ad imprecare ancora in quanto udì in lontananza dei rumori di battaglia. Non sapeva di chi si potesse trattare, ma la ninja decise di scoprirlo, speranzosa di trovare quella malefica donna; si lanciò quindi in una corsa a rotta di collo, per nulla intenzionata ad arrivare di nuovo tardi. Presto iniziò a sentire caldo e la tuta bagnata e sporca le pesò addosso; mentre correva, utilizzò un kunai per strapparsela letteralmente di dosso, restando quindi solo coi suoi vestiti. Si sentì più leggera, eppure le sembrò di essere comunque troppo lenta.
***
Attraversò la piccola foresta attorno all'accampamento, l'odore della terra bagnata e del mare ad impregnarle il naso; sbucò su un promontorio roccioso che si affacciava proprio su un mare in tempesta, sovrastato da un cielo scuro, impervio, ostile. E, accanto al baratro, Lady Kagami combatteva con ardore contro un giovane ninja. Sembravano alla pari. Ciononostante, Haruko temette che quel guastafeste potesse ammazzare la donna e quindi privarla della sua vendetta.
-Maledetto- borbottò, inferocita come non lo era mai stata in tutta la sua vita. Si fece avanti, intenzionata a proteggere Lady Kagami. Avanzò verso di loro, studiando il ninja: era alto, ben piazzato, rapido e forte; entrambi faticavano mentre cercavano di non farsi sconfiggere dall'altro. Haruko non ce l'avrebbe probabilmente fatta a battere il ninja e poi anche la donna, per cui doveva eliminare il primo con astuzia. Decise di ricorrere ad una cerbottana; con pazienza e concentrazione, avrebbe scorto il momento migliore per colpirlo e farlo fuori. Prese quindi una cerbottana e la portò alla bocca, pronta a cogliere la prima occasione per lanciare il dardo avvelenato contro il giovane ninja. Tuttavia, un movimento laterale da sinistra la costrinse a balzare a destra per proteggersi; si ritrovò a guardare una ragazza armata che ricambiava il suo sguardo con ferocia. Era bassa, le arrivava forse alla base del collo: questa fu la prima cosa che notò, oltre ai suoi occhi grandi, scuri e arrabbiati. E ai due spadini ben alti, che per poco non le erano affondati nella pelle.
-Stai indietro!- le ringhiò contro. Haruko, indignata, replicò:-Levati di mezzo. Non ce l'ho con te-
-Chi sei? Vuoi uccidere Tatsumaru, non è vero?-. Doveva trattarsi del ninja che stava dando del filo da torcere a Kagami.
-Ti ho detto. Levati. Di. Mezzo- scandì bene Haruko, spazientita, mentre metteva da parte la cerbottana per impugnare la sua asta. E fece bene: la ragazzina la attaccò subito e Haruko dovette parare il colpo con l'asta. Respinse la ninja e fece un salto indietro, maledicendola mentalmente: quella perdita di tempo non ci voleva. Avrebbe potuto mandare a monte i suoi piani.
Svelta, lanciò un fumogeno per prendere tempo, ma la piccola ninja si era già spostata e non si lasciò accecare; le fu addosso in un lampo e Haruko riuscì a parare il colpo per miracolo. La maledetta era molto veloce ma non troppo forte, difatti lei riuscì nuovamente a respingerla senza troppa fatica. Ciononostante capì che se la cavava piuttosto bene nel combattimento, parecchio meglio di lei, per cui era bene fermare quello scontro. Era dalla parte di quel Tatsumaru, che Haruko voleva uccidere solo per potersi occupare lei stessa di Lady Kagami. Insomma, erano tutti dalla stessa parte. Se avesse spiegato tutto, forse avrebbe potuto evitare di eliminare quel Tatsumaru e avrebbe...
-No, no!- esclamò la ragazzina ninja, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Ma non si rivolgeva a lei. Haruko seguì il suo sguardo, puntato su Kagami e Tatsumaru...e raggelò. La punta del promontorio stava crollando nel mare sottostante...e i due altrettanto. Accadde tutto come al rallentatore: il terreno che veniva meno sotto i loro piedi mentre si guardavano attorno spaventati, e loro che sprofondavano giù, gridando, e poi scomparvero dalla loro vista, la ragazzina che si fiondava sul margine rimasto mentre urlava il nome di Tatsumaru...
Haruko restò immobilizzata dov'era, scossa da emozioni contrastanti di uguale potenza: sollievo per la morte di Kagami, rabbia per non essere stata lei ad eliminarla, rabbia verso quella ragazzina, lo shock di aver visto due persone morire sotto i suoi occhi...
Prevalse la rabbia. Kagami era...
-No- sussurrò appena, senza accorgersene. Raggiunse il margine del promontorio e guardò giù, incurante del fatto che avesse smesso di piovere e che il vento le sbattesse sul viso e sulle spalle le sue stesse treccine nere. Il mare nero si agitava sotto di loro, dei due ninja alcuna traccia. Erano ormai persi.
-Maledizione- disse, tra i denti, i pugni stretti tanto da tremare. La piccola ninja, che era accovacciata per terra, sollevò il capo verso di lei; al contempo, Haruko le ringhiò contro:-E' colpa tua. Se tu non...-
-Che cosa stai dicendo?- replicò l'altra, altrettanto aggressiva, mentre tornava in piedi all'istante.
-Hai rovinato tutto! Tu...maledetta!- esclamò Haruko, gli occhi lucidi di rabbia. La ragazza sollevò gli spadini, pronta ad attaccarla, ma si fermò quando una voce maschile la colse alle spalle:-Ayame, aspetta!-. Ayame non abbassò le armi, tuttavia non la attaccò. Haruko vide un altro giovane ninja avvicinarsi a passo svelto; le chiese:-Chi sei?- ma Haruko pensò soltanto che doveva andar via da lì. Si voltò per correre via, ma fu un errore, perchè ricevette un colpo alla nuca che la fece piombare nel buio.
 
 
 
Makibishi1 = chiodi

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Quando riprese i sensi era riversa per terra. Ci mise alcuni secondi per rendersene conto: avvertiva solo qualcosa di duro contro il corpo e contro la guancia. Si sollevò appena e mise a fuoco un lettino basso, stretto, dall'aspetto scomodo, appoggiato contro una parete di roccia. In cima, una finestrella quadrata chiusa da sottili sbarre di metallo. "Ma cosa....?".
Si voltò di scatto e vide delle sbarre. Era...in una cella?
Si alzò malamente e, debole, cadde all'indietro, sbattendo contro quel dannato letto; riuscì a mettersi in piedi e a raggiungere le sbarre. Vide un corridoio di pietra levigata, come le pareti, che ospitavano delle torce spente. Non c'era nessuno. Ma dov'era finita? Perchè era lì? Tentò di ricordare...ma l'unica cosa che le venne in mente fu Lady Kagami, Tatsumaru, loro che cadevano in mare, quella ragazza ninja con gli spadini, e poi quell'altro ninja...
L'avevano catturata loro? Chi erano? Erano contro Kagami. Quindi...erano ninja Azuma, forse? E quindi l'avevano catturata e ora era nelle prigioni di Godha?
-Ma porca miseria-. Si lasciò andare e scivolò per terra, in ginocchio, la fronte contro le sbarre. Era stanca, affamata, sporca...ma soprattutto la sua vita non aveva più uno scopo. Fino a quel momento aveva cercato di stare con suo fratello e tirarlo fuori dal guaio in cui si era cacciato, ma adesso lui voleva ucciderla. Anche ora che Kagami non c'era più Haruko dubitava seriamente che lui fosse tornato sui suoi passi. Sempre ammesso che la ninja fosse effettivamente deceduta: dopo che aveva fallito con l'espediente del veleno, Haruko non si sarebbe stupita di scoprire che era sopravvissuta alla caduta in mare e a quello spaventoso temporale. Del resto, se una donna era diventata così forte e aveva radunato così tanti seguaci, significava che fosse dura a morire, che non fosse semplice da sovrastare. Haruko si scoprì a sperare che fosse ancora viva. Perchè doveva ucciderla. Adesso era quello il suo scopo, il suo unico obiettivo. Ma possibile che fosse sopravvissuta a una caduta del genere?
Era disperata. D'un tratto non le importò più di essere lì rinchiusa, tanto non aveva un posto dove andare, qualcuno da incontrare.
Non aveva più nulla, più nessuno.
-Maledetta Kagami- borbottò, lacrimando per la disperazione e la rabbia.
Notò che non aveva con sè nemmeno un'arma. Anche se avesse voluto uccidersi, non avrebbe potuto farlo. Poteva solo attendere di morire di fame, o di malattia, in tutta quella sporcizia. Non poteva sperare nemmeno in una morte clemente...
Udì dei passi; si asciugò in fretta le lacrime e si spostò sul letto, dando le spalle all'entrata per fingersi addormentata. I passi si fermarono proprio in corrispondenza della sua piccola e logora cella; una voce maschile la chiamò:-Ehi-. Non era particolarmente severa, solo un pò autoritaria. Haruko sapeva che era inutile perdere tempo, tanto prima o poi sarebbero riusciti a parlarle. Si voltò, mettendosi a sedere.
Vide un uomo sulla cinquantina, con sottili baffetti e capelli brizzolati raccolti in una coda bassa. L'espressione del viso era seria ma non ostile. Due guardie dal viso anonimo lo accompagnavano, rigide e silenziose.
-Sei sveglia finalmente-. Haruko non aveva idea di quanto tempo fosse stata priva di sensi.
-Devo interrogarti. Sarebbe bene che collaborassi-. La ragazza si limitò a fissarlo, impassibile. Non gliene importava gran che, non c'era molto che potesse dir loro. E se Lady Kagami era davvero morta, bè, non c'era più alcuna minaccia per Godha.
-Il gatto ti ha morso la lingua?-. Forse, se avessero trovato inutile la sua testimonianza, avrebbero potuto decidere di eliminarla. Haruko accarezzò l'idea...
Sempre meglio che morire di fame o di malattia.
L'uomo sospirò e tirò fuori un mazzo di chiavi, quindi ne infilò una nella serratura e la aprì, entrando nella cella. Una delle guardie lo seguì. A quel punto, richiuse tutto e tornò a guardarla.
-Devo farti delle domande-. Prima doveva interrogarla. Ora doveva farle delle domande. Sperava di rendere la frase meno pesante e, quindi, che lei fosse più collaborativa?
-Non posso esservi utile-
-Ah, allora parli-. Davvero spiritoso.
-Decidiamo noi se puoi servirci o meno. Tu limitati a rispondere-. Haruko assunse un'aria seccata ma non replicò. L'uomo si sedette per terra, di fronte a lei, la schiena perfettamente diritta; partì con la prima domanda:-Come ti chiami?-. Voleva prenderla con le buone. A lei poco importava.
-L'educazione vuole che ci si presenti prima di chiedere a qualcuno come si chiama-
-Tu sei una criminale! Altro che educazione!- sbottò la guardia. Haruko la ignorò ma l'uomo alzò una mano per zittirla.
-Mi chiamo Seiji Akano e sono il responsabile delle prigioni. Puoi rispondere ora?-
-Che ti importa di come mi chiamo?-
-Ti conviene collaborare-. La voce acquisì una nota minacciosa, ma a lei non importava. Rendendosi inutile, l'avrebbero tolta di mezzo.
-Bene, allora ti porrò solo domande utili. Eri un ninja di Toda?-
-Ti sembra una domanda utile?-
-Che impertinente- commentò a mezza voce la guardia che era rimasta fuori. Seiji però mantenne la calma e disse:-Quindi confermi di far parte della fazione nemica-
-Non c'è più alcuna fazione nemica. Toda è morto-
-Quindi, morto Toda, voi ninja non farete nulla? Cercherete un nuovo padrone?-. Bè, tecnicamente funzionava così.
-Suppongo di si. Nessuno di noi ha interesse nell'attaccare Godha direttamente-. Aveva mentito: Kagami e i suoi ninja avevano proprio questo come obiettivo. Ma lei non voleva che si indagasse su questo, altrimenti sarebbero potuti risalire a suo fratello...
"Nonostante tutto, non riesco a fare a meno di tentare di proteggerlo" pensò amaramente.
-Bene, è una notizia rincuorante-
-Posso sapere come mai ti fidi della mia parola? E se mentissi?-. L'uomo non rispose; anzi, le domandò:-La Principessa Kiku dice di conoscerti. Ha detto che hai cercato di nasconderla durante l'attacco al castello-
-E' forse un crimine questo?-
-Lord Godha si chiedeva semplicemente come mai un ninja nemico non solo non abbia ucciso lui e la sua famiglia, ma abbia perfino tentato di proteggere sua figlia durante l'attacco-
-Io eseguo solo gli ordini. Il mio non era quello di ammazzare la famiglia reale-
-E qual era?-
-Dovevo solo consegnare un messaggio a Godha Motohide. Mi sono limitata a fare questo. I ninja solitamente non uccidono per piacere e con facilità, ma solo se costretti o se ricevono un ordine specifico-
-Ma non hai ricevuto l'ordine di proteggere la principessa-
-Non l'ho protetta, l'ho solo nascosta. Avrebbero potuto trovarla. E infatti è stata rapita-
- Le hai dato un fumogeno-
-Già. Ne avevo uno di troppo-. L'uomo la fissò, pensieroso, e la cosa la innervosì, ma fece finta di nulla. Alla fine, si alzò e disse:-Riporterò quanto mi hai detto a Lord Godha. Ti farò sapere cosa decide di fare con te-
-Come se potesse decidere qualcosa di buono- mormorò lei, incurante di essere sentita. In realtà si augurava proprio che prendesse la decisione peggiore possibile...
***
Restò avviluppata su se stessa sul lettino scomodo ad osservare i movimenti della luce del sole nella cella, e poi il sopraggiungere del buio. Non si mosse da lì tutto il tempo, tranne quando le portarono da mangiare: si alzò e rovesciò la scodella per terra, per non cadere in tentazione. Farla finita era l'unica cosa che le restava da fare e, in qualche modo, per opera sua o per ordine di Godha, ci sarebbe riuscita. E lo desiderò sempre più, ogni ora che passava. In quella solitudine, in quel silenzio, in quello spazio angusto e freddo, la sua mente non poteva far altro che vagare. E riportava a galla tutto ciò a cui lei si sforzava di non pensare.
Ricordi. Ricordi felici d'infanzia, di tempi che le mancavano e che le sembravano così remoti...ma soprattutto ricordi orribili, che le laceravano l'anima come quando li aveva vissuti e che inevitabilmente la facevano singhiozzare di dolore.
Il mattino dopo si ritrovò rannicchiata in posizione fetale, le guance che le tiravano per le lacrime rapprese sulla pelle. Le faceva male il collo per la posizione scorretta e aveva fame e sete. Ciononostante, quando poco dopo Seiji Akano le portò da mangiare, lei rovesciò di nuovo tutto per terra con un gesto furioso.
Non era riuscita a proteggere la sua famiglia, non era riuscita a proteggere suo fratello, nè a uccidere Kagami...ma almeno sarebbe riuscita a farla finita in un modo o nell'altro, poco ma sicuro. Nessuno le avrebbe fatto cambiare idea a riguardo.
***
Era seduta per terra a contare le sbarre e dividerle mentalmente in gruppi. Era un passatempo piuttosto noioso, ma non c'era altro che potesse fare per non pensare, ricordare e trascorrere le ore.
Avvertì dei passi in avvicinamento; non fu stupita di rivedere quell'Akano, di nuovo scortato da due guardie. Quando vide che stava aprendo la cella, si spostò indietro per permettergli di entrare, anche se non aveva la minima voglia di interagire con nessuno. Era ovviamente di pessimo umore.
Seiji si introdusse nella cella e dedicò una veloce e perplessa occhiata al cibo gettato per terra, in un angolo. Richiuse la cella. Stavolta era entrato da solo.
-Non hai paura che possa farti del male?-
-Potresti fare ben poco disarmata e senza aver mangiato. E, anche se fosse, le guardie entrerebbero subito e mi aiuterebbero-
-Sei venuto a comunicarmi la decisione del Lord?-
-Già. Non sa cosa fare con te-
-Uhm. E come mai?-
-Bè, sei un ninja, liberarti non sarebbe saggio. Tuttavia, non hai fatto male alla sua famiglia quando avresti potuto. Per ora sconterai tutto restando qui dentro-. Haruko sbuffò col naso. Maledetto buonismo di Godha.
-Non vuoi mangiare, vedo. Hai il palato fine?-
-Se vuoi fare conversazione, trovati qualcun altro-
-Il tuo comportamento è incomprensibile dall'inizio alla fine, ragazza. E comunque Lord Godha vorrebbe delle risposte più precise da te. Non ci hai detto nulla-
-Avevo detto fin dall'inizio che non vi sarei stata utile-
-Tu non vuoi esserci utile, è diverso-
-Non ho modo di esserlo, questo è quanto. Non ho nulla da dire o da spiegare. Riferiscilo al nostro Lord. E se non dovesse essere chiaro, digli di venire qui che glielo dico io per bene-. Ciò detto, Haruko gli diede le spalle, impertinente.
-Ti avverto che potresti costringerci a torturarti-
-Non ne vedo il motivo. Non ci sono minacce tali da giustificare una simile azione, e questo Godha lo sa. E comunque non mi sembra proprio il tipo-
-Sarà peggio per te, stupida ragazza- concluse l'uomo, irritato; uscì senza aggiungere altro e Haruko gliene fu grata.
***
Passarono due giorni. Fu ancora interrogata, ma stavolta da due coppie di guardie. Ricevette calci e schiaffi in entrambi i casi, guadagnando così un naso sanguinante, una guancia gonfia e un fianco dolorante, a pezzi.
Avevano voluto sapere chi fosse, da dove venisse, il suo ruolo nell'attacco, perchè si ostinasse a non dire nulla, se stesse proteggendo qualcuno, perchè non mangiasse. Lei non aveva pronunciato una sillaba. Aveva perfino trovato un certo piacere quando l'avevano picchiata: almeno il dolore che aveva dentro sarebbe stato sostituito per un pò da quello delle sue parti fortemente lese. E di nuovo non mangiò. Ormai iniziava a sentirsi debole e la fame le mordeva lo stomaco, la sete le seccava la lingua e la gola. Ma non le importava. Ormai non poteva più importarle di nulla.
Quella storia andò avanti anche per i due giorni seguenti; Haruko collezionò una serie di lividi sparsi per il corpo che non osò esaminare -anche sul viso, dato che l'avevano sbattuta contro al muro- e non poteva poggiare la faccia sul lettino poichè le doleva. Inoltre, un paio di treccine le erano state inavvertitamente strappate quando l'avevano afferrata per i capelli, e ora lei le guardava, abbandonate per terra quasi nel centro della cella. Si sentiva distrutta, nel fisico e nell'anima. Non riusciva a muoversi, per i dolori e per la mancanza di forze, e i suoi ricordi e la solitudine e il senso di fallimento e di perdita la tormentavano, facendola lacrimare quasi incessantemente. Era in uno stato pietoso: mai aveva pensato di poter raggiungere una simile condizione.
Abbandonata sul letto, continuava a fissare le treccine, lacrimando dall'occhio destro. D'un tratto, colse un lieve squittio. Subito dopo, un topo nero come la pece fece capolino e si introdusse nella cella. Haruko non si mosse; non aveva mai temuto nessun animale, nemmeno i serpenti. Lo osservò pigramente mentre annusava l'aria e si addentrava prudentemente in quello spazio triste. Si fermò ad un metro da lei. Per alcuni secondi si fissarono l'un l'altra, ma poi il topo comprese che la ragazza non aveva alcuna intenzione di nuocergli e la lasciò perdere. Esaminò le treccine, ma perse subito interesse per loro, concentrandosi sui pezzi di cibo che lei aveva di nuovo rifiutato malamente. Iniziò a mangiare velocemente, di gusto, le parve. Lei si sentì meglio: le era stato insegnato a non sprecare mai nulla, men che meno il cibo, ed era lieta che ciò che lei doveva rifiutare non sarebbe andato perduto.
-Mangia, piccolino. Bravo-. Non era tanto piccolo ma poco importava.
-Mangia, mangia. Ah, beato te che sei felice così-. Lo invidiava molto. La sua vita era così semplice: vagare in cerca di cibo, di un rifugio, di qualcuno con cui accoppiarsi, e poi daccapo. Fine.
Il topo ripulì quasi perfettamente la cella da tutto quel cibo buttato e Haruko lo osservò in silenzio. Arrivò perfino a trovarlo carino, ad affezionarcisi. Quando terminò, l'animaletto andò via come se nulla fosse, passando attraverso le sbarre esattamente com'era entrato e sparendo subito dalla sua vista. Sarebbe tornato? Haruko si ritrovò a sperare di si. Almeno un minimo di compagnia...
Passi. Oh no. Compagnia si, ma non quella. Non si sentiva pronta a farsi pestare di nuovo...
Ma quella volta sarebbe andata diversamente. Lo capì non appena vide Lord Godha in persona davanti alla sua cella.
***
Era venuto davvero.
Incontrò lo sguardo del signore. Ma giusto per un secondo, poichè quello successivo lui guardava la sua cella, il pavimento sporco di cibo e di gocce del sangue che aveva perso dal naso, e poi di nuovo lei, il suo vestito logoro, le sue condizioni pietose...
C'era pena nei suoi occhi. Haruko non sapeva cosa pensare: che diavolo ci faceva un signore come lui nelle prigioni? Davanti alla sua cella?
-Fatemi entrare in questa cella- ordinò Godha. Immediatamente una delle guardie aprì la cella e lui vi entrò, accompagnato da un'altra guardia. Haruko si tirò su a sedere, faticosamente, storcendo appena il viso per il dolore all'addome.
-Vi inviterei a sedervi, Lord Godha, ma in questo caso credo sia più educato il contrario-
-Ti stai lasciando morire, Masami. Perchè?-. Masami. Già, era quello il nome con cui si era presentata a palazzo.
-Stai proteggendo qualcuno? Perchè vuoi rovinare me e la mia famiglia?-
-Magari stessi proteggendo qualcuno, signore. E magari volessi rovinarvi-
-Cosa significa?-
-Lasciatemi in pace. Oppure date l'ordine di uccidermi. Sono stanca. Non ho altro da dire-. Ciò detto, gli diede le spalle e si stese di nuovo, lentamente. Lord Godha sospirò tristemente e andò via senza dire altro.
***
-Che seccatura-
-Non lamentarti. E' la nostra missione-
-Una missione seccante-. Non le rispose. Non le si poteva dare tutti i torti. Mai il Maestro Shunsai aveva affidato loro una missione del genere. Ayame si rifiutava perfino di definirla tale.
-Io non capisco, davvero. Perchè Lord Godha da così tanta importanza a quella ragazza? Proteggeva una nemica! Perchè non la fa uccidere e basta?-
-Non lo so, Ayame. Lord Godha è molto sensibile. Ciò che le ha raccontato la Principessa gli impedisce di prendere questa decisione drastica-
-Ma la Principessa è una bambina! Il suo giudizio non può essere attendibile-. Rikimaru era nuovamente d'accordo con la ninja. Shiunsai aveva detto loro che la Principessa Kiku aveva instaurato un buon rapporto con quella ninja nemica, si fidava di lei. Eppure, era stata solo un'infiltrata. E non l'aveva davvero protetta, come lei aveva sostenuto. Era imprudente fidarsi del parere di una bambina sensibile quale era la Principessa. Certo, condannare a morte qualcuno non era qualcosa da fare a cuor leggero, ma...
-Siamo arrivati. Bah, vorrei tornare indietro e allenarmi. Sarebbe più proficuo-
-Basta lamentarsi, ormai ci siamo. Vediamo di finire in fretta-
-Mh-. I due ninja Azuma furono scortati da una guardia nelle prigioni e presso la cella della ragazza ninja che avevano il compito di far parlare. Dovevano estorcerle informazioni in ogni modo e capire se mentisse o meno. In base al loro giudizio, Lord Godha avrebbe deciso definitivamente cosa farne di lei, senza indugiare oltre. Era una missione diversa dalle altre: non c'erano armi, non c'era pericolo di morte...almeno non per loro. Richiedeva una capacità di giudizio sottile, non indifferente. D'un tratto Rikimaru si sentì a disagio, poco convinto di poter portare a termine con successo quella missione apparentemente innocua e senza importanza.
Quando furono davanti alla cella, entrambi i ninja restarono malamente colpiti dalla situazione. Videro la ragazza in questione seduta per terra con la schiena contro al muro, il viso rivolto al soffitto in un'espressione assorta. Era sporca, malandata, era evidente che non stesse bene ed entrambi sapevano che, se si fossero avvicinati, avrebbero avvertito un odore non molto piacevole. La maggior parte delle treccine con cui erano acconciati i suoi capelli erano sfatte. Ed era dimagrita, pallida. All'angolo opposto della cella, entrambi notarono un topo che si affrettava a nutrirsi da una ciotola piena. I due si scambiarono un'occhiata accigliata, pensando la stessa cosa: perchè la prigioniera lasciava il suo cibo a un topo?
Haruko notò i nuovi arrivati e lanciò loro una vacua occhiata, che presto divenne seccata. Che ci facevano quei due lì? Tra l'altro, non nutriva molta simpatia per la ragazzina. Era colpa sua se aveva perso l'occasione di ammazzare Lady Kagami. Maledetta mocciosa. Il solo vederla la irritò. Probabilmente era anche per via di quel suo vestito rosso; lei odiava il rosso. L'unica cosa a consolarla era che nemmeno lei sembrava felice di essere lì. Il suo compagno, invece, era semplicemente impassibile.
Haruko osservò la guardia andar via e il topo, che lei aveva battezzato Kuro-chan1, fuggire veloce come una saetta.
-Avete spaventato Kuro-chan-
-E chi diavolo sarebbe?- replicò la ragazzina, stizzita.
-Il mio topo-
-Fantastico, è andata. Possiamo anche andarcene, questa non ci sta più col cervello-
-Ayame-. Ayame incrociò le esili braccia, irritata. Haruko fece lo stesso, squadrandoli dal basso in cui si trovava. In realtà si soffermò sul ragazzo, poichè era quello che conosceva meno tra i due. Era senza dubbio più alto di lei, serioso; i capelli corti e brizzolati erano folti, ma il colore gli conferiva una certa maturità che probabilmente non aveva. Haruko non era gran che nell'indovinare l'età di qualcuno, ma difficilmente gli avrebbe dato più della sua età. Non potè comunque evincere altro, visto che aveva metà volto coperto da una maschera nera. Poteva così vedere solo i suoi occhi, neri e impassibili.
-Cosa volete? Siete venuti a giustiziarmi?-
-Magari- replicò Ayame.
-Ci dispiace di aver spaventato Kuro-chan- disse invece il ragazzo. Ayame alzò gli occhi al cielo.
-In ogni caso, non siamo qui per giustiziarti- continuò lui -Al contrario, Lord Godha vorrebbe salvarti la vita. Ma tu non glielo rendi facile-
-Perchè mai vorrebbe fare una cosa del genere? Che interesse ha?-
-Nessuno. Lord Godha è semplicemente un buon sovrano e tu fai parte del suo popolo. Presumo che la spiegazione sia questa-
-Oltre a quella che la Principessa Kiku sostiene che tu sia buona. E' vero?- domandò invece Ayame, sbrigativa. Haruko sospirò ma non rispose, stanca.
-Come ti chiami?- chiese il ragazzo, gentile.
-Ma lo fate apposta? Tu sei quello buono e tu la cattiva?- fece Haruko.
-Io non sono cattiva. E lui è sempre così...gentile- rispose Ayame, pronunciando l'ultima parola come se fosse una qualità negativa. Il giovane la ignorò completamente e disse, come per convincerla poi a parlare a sua volta:-Io sono Rikimaru e lei è Ayame. Siamo del clan Azuma-
-Non mi piace parlare con persone che hanno il viso coperto. Mi danno l'impressione di aver qualcosa da nascondere-. Per tutta risposta, Rikimaru si scoprì il viso, abbassando la maschera.
-Allora?- la incalzò Ayame.
-Tanto lo sapete. Non credo che siate qui senza sapere quel poco che ho detto da quando sono qui-
-Ebbene si, Masami- capitolò Rikimaru, paziente.
-Senti, inizi a stancarmi- fece Ayame, brusca.
-Quella è l'uscita. Nessuno ti trattiene-. Il secondo successivo, Haruko era contro al muro con le manine piccole ma forti di Ayame serrate intorno al collo. Haruko tentò di liberarsi, ma era troppo debole; la ragazzina sibilò:-Ti conviene parlare. Non amo perdere tempo-
-Ayame, lasciala andare-
-Non otterremo nulla col tuo buonismo- lo redarguì lei, mentre Haruko chiudeva gli occhi e pregava di morire all'istante. "Ancora un pò e l'assenza di ossigeno mi sarà fatale...". Purtroppo, la ninja mollò la presa e Haruko cadde di sedere per terra, libera e boccheggiante. Vagamente udì Rikimaru rispondere:-A me sembra il contrario. E' stata evidentemente picchiata, eppure non ha rivelato nulla-
-E pensi che lo faccia con le buone, allora?-
-Non possiamo affermare il contrario finchè non lo appuriamo-
-Il solito ingenuo- mormorò lei più seccata di prima; dopo, minacciò Haruko:-Senti un pò Masami, o come cavolo ti chiami. Ti spiego bene la situazione. Lord Godha vuole che capiamo se hai qualcosa da nascondere o meno e se sia il caso di ammazzarti o lasciarti vivere. Sii collaborativa perchè basta una nostra sola parola affinchè tu muoia entro domani-
-E allora ditela questa parola e facciamola finita!- sbottò Haruko, gli occhi lucidi. La severità di Ayame parve vacillare. Haruko continuò, con veemenza:-Non vi dirò nulla, nè a voi nè a nessun altro. La mia vita, il mio passato, restano miei e basta. Sono una criminale. Sono una ninja. Ho mentito a tutti in questo palazzo per due giorni e, anche se non ho ucciso nessuno, ero comunque parte della fazione nemica. Uccidetemi. Anche adesso. Non c'è nessun interesse nel tenermi in vita-
-Hai protetto la Principessa- la interruppe Rikimaru; Haruko fece, imperterrita:-L'ho solo nascosta! E le ho dato un fumogeno, va bene, ma non l'ho protetta attivamente! C'è una bella differenza. E non basta certo questo a salvarmi!-
-Insomma, vuoi morire. Ho capito bene?- chiese Ayame, stavolta seria ma non ostile come prima. Haruko annuì una volta sola, decisa. Lei le chiese:-Perchè?-
-Sono affari miei-
-Se ti liberiamo, ti ucciderà qualcun altro, forse?-
-Sono. Affari. Miei-. Ayame non seppe cos'altro dire di fronte a tanta testardaggine. Era evidente sia a lei che a Rikimaru che, sebbene quella ragazza fosse debole e debilitata, la sua volontà di morire fosse invece molto forte.
Ayame lanciò un'occhiata a Rikimaru, incapace di prendere una decisione. Non vedeva di buon occhio quella ragazza ed era piuttosto nervosa e arrabbiata con chiunque, col mondo intero, per la morte di Tatsumaru; era arrivata lì con l'idea che avrebbero dovuto uccidere quella ragazza e che sarebbero giunti presto a quella conclusione...ma, inaspettatamente, aveva capito come mai Lord Godha fosse così restio a prendere una tale decisione. Era vero, quella era una ninja nemica...ma sembrava inoffensiva e disperata. E, almeno per quel che riguardava loro, non aveva fatto nulla per meritare di morire. Eppure, come ci si poteva fidare di qualcuno di cui non si sapeva assolutamente nulla ma che potenzialmente poteva essere un pericolo?
Contrariamente ad Ayame, invece, Rikimaru non aveva dubbi sul da farsi.
***
-Maestro, non potete....!!-. Era tutto inutile, Ayame lo sapeva. Il Maestro aveva assunto la tipica espressione di quando non c'era modo di fargli cambiare idea. Ormai aveva deliberato.
-Grazie, Maestro- disse invece Rikimaru, chinando il capo e alzandosi subito dopo.
-Aspetta a ringraziarmi. Sei tu che hai avuto quest'idea, Rikimaru. Sei tu che hai portato qui questa ragazza. Dovrai quindi essere tu a occuparti della faccenda-
-Certamente, Maestro. Ne sarò responsabile io-
-Ci puoi giurare! Non contare su di me!- esclamò Ayame. L'anziano maestro aprì la bocca per ammonirla, ma lei lo precedette, già sapendo cosa lui volesse dirle:-Maestro, non possiamo occuparci di tutti coloro che hanno bisogno. Noi siamo ninja, non è questo il nostro mestiere! E non abbiamo certo perso Tatsumaru per prenderci lei!-. Non attese la replica di nessuno e uscì di gran carriera, quasi travolgendo Rikimaru nonostante la piccola statura. Shiunsai sospirò profondamente, mentre Rikimaru gli domandò:-Ma, Maestro...è così sbagliato quello che voglio fare?-
-Non lo è. Sei un bravo ragazzo, Rikimaru, hai un cuore buono nonostante tu abbia scelto un percorso che spesso ti porterà a fare cose di cui non sarai fiero. Se vuoi aiutare quella ragazza, fallo pure, purchè non ci crei problemi. Ti ricordo che non sappiamo nulla di lei...-
-Lo so bene, Maestro, non sarò imprudente. Avete la mia parola. Sono pronto a ucciderla se dovesse essere la cosa migliore da fare-
-Bene-. Rikimaru annuì nuovamente e si voltò per andarsene, ma il vecchio lo richiamò e disse:-Sii paziente con Ayame. Non sta vivendo un periodo facile. Tra noi è senz'altro quella che soffre di più per la scomparsa di Tatsumaru-
-Me ne rendo conto-
-Cerca di non trascurarla in favore di Masami. Non è abituata a condividere i suoi spazi con un'altra ragazza-
-Certo che no, Maestro-
-Bene. Puoi andare-.
 
 
 
1Kuro-chan: Kuro = nero, Chan= vezzeggiativo

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


-Ti ho detto che non avresti potuto contare su di me!-
-Ayame, per favore...-
-Te lo scordi, caro! Hai voluto portarla qui e te la vedrai interamente tu! Io non voglio saperne nulla di quell'impiastro!-
-Potresti starmi a sentire per un secondo?-
-Il secondo è già terminato! Lasciami in pace-. Ayame gli diede le spalle e riprese ad affilare il primo dei suoi spadini. Rikimaru sospirò silenziosamente per non irritarla più di quanto già non fosse e insistette, ragionevole:-Ayame, Lord Godha ci ha dato l'ordine di prendere la giusta decisione in merito a Masami. Non lo si può fare con un solo interrogatorio. Abbiamo bisogno di conoscerla-
-E allora conoscila-
-La missione è stata affidata a entrambi. Non puoi esimerti solo perchè quella ragazza non ti piace-. Ayame si voltò, minacciosa, e ribattè:-Io mi esimo perchè mi sembra eccessivo farla vivere con noi. E poi lei vuole morire! Forse dovremmo accontentarla-
-Vorrei che ti ascoltassi mentre dici certe cose-. Ayame sbuffò e gli diede ancora le spalle.
-Ayame-
-Sei proprio uno scocciatore!- sbottò lei, mollando gli spadini e alzandosi; uscì, quindi, di nuovo come un tornado, dirigendosi verso la stanza in cui avevano mollato Masami. Che poi era quella che apparteneva a Tatsumaru. La ragazzina scacciò quel pensiero e spalancò il fusuma, Rikimaru alle calcagna.
Masami, che era seduta per terra, polsi legati e bendata, si voltò di scattò verso l'entrata. Sebbene fosse una figura piuttosto penosa, Ayame non lasciò che la sua furia scemasse; la tirò su sgarbatamente e la spinse fuori dalla stanza mentre diceva:-Andiamo a darci una ripulita. Accidenti, se ne hai bisogno!-. Rikimaru sospirò nuovamente mentre osservava la piccola ninja strattonare la povera Masami verso il retro della casa.
"Forse stava meglio in prigione".
***
Quando Haruko cadde per l'ennesima volta di faccia nell'erba, Ayame comprese che fosse meglio toglierle la benda e magari anche slegarla. Del resto che male poteva mai fare così debole e disarmata?
-Era ora- borbottò Haruko, alzandosi.
-Sbrigati, non ho tutto il giorno!-. Haruko le inviò un'occhiata omicida, ma poi si incamminò verso dove lei le indicava. Sebbene non fosse del posto e non sapesse dove andare, Haruko sapeva bene per quale motivo Ayame le restava alle spalle e la indirizzasse a parole verso la loro meta. Essendo una nemica, non era prudente voltarle le spalle e toglierle gli occhi di dosso, anche se per poco. Un piede dietro l'altro, Haruko e Ayame arrivarono sul retro della casetta; Ayame riempì una tinozza d'acqua fino all'orlo e le gettò una saponetta che Haruko afferrò al volo. Sotto ordine di Ayame, Haruko si spogliò, mollando a terra i suoi vestiti, che erano poco più che stracci malridotti, e si infilò nella tinozza, trasalendo perchè l'acqua era fredda. Bè, perchè prendersi la briga di riscaldarle l'acqua? Già, certo, non ha tutto il giorno, lei.
-Vado a prenderti uno dei miei vestiti. Tu lavati-
-E mi lasci sola?-
-Perchè, potresti essere capace di fuggire tutta nuda?-. Ayame le lanciò un'occhiataccia e si allontanò. Haruko sospirò, irritata, e cercò di fare in fretta. Iniziò a sciogliersi velocemente tutte le treccine; una volta finito, si immerse completamente nell'acqua, facendone sicuramente fuoriuscire un bel pò dalla tinozza, e restò così: quel freddo su tutta la sua pelle sporca e provata era piacevole. Quando le mancò il fiato, tornò su, prendendo una profonda boccata d'aria. Aria profumata. Sapeva di verde, di alberi, di fresco. E solo in quel momento notò un rumore assordante: quello delle cicale. Frinivano continuamente; se ci si concentrava su di esse potevano divenire insopportabili.
Si lavò in fretta, prestando attenzione a non premere troppo sulle parti doloranti. L'acqua divenne presto scura.
Quando Ayame arrivò, lei aveva già finito. Si asciugò e indossò il vestito che la ragazza le porgeva. Fortunatamente non era rosso, bensì violetto, da ninja. Le calzava bene, tranne per il fatto che era un pò troppo corto, il che era ovvio, visto che Ayame era bassa. Doveva trovare qualcos'altro da mettere al più presto. La ragazzina si sporse oltre l'angolo e chiamò:-Rikimaru! Ha finito, ora veditela tu!-. Presto, il giovane apparve tra loro, e Ayame non perse tempo per dileguarsi. Haruko tirò più giù che potè i lembi del vestito, per quanto inutile fosse, facendo comunque finta di nulla. Rikimaru, invece, notò che senza treccine sembrava molto diversa: i capelli erano più lunghi e più folti, le arrivavano a metà schiena. O forse era perchè erano bagnati?
-E adesso?- chiese Haruko, brusca. Si sentiva decisamente meglio ora che era pulita, ma non le andava per nulla a genio quella trovata di averla portata lì.
-Adesso dovresti mangiare qualcosa-
-A che serve tutto questo?-
-A che serve?-
-Perchè mi hai portata qui? Che pensi di fare? Qual è lo scopo di tutto questo?-
-Ho una missione. Per completarla ho bisogno di tempo e di conoscere qualcosa in più su di te-
-Oh, certo. Speri che prima o poi mi fidi di te e ti racconti qualcosa? Stai perdendo tempo, Rikimaru. Impegna il tempo con missioni più proficue. Mi sembri un tipo valente: dovresti combattere, non perdere tempo a fare da balia a una criminale-
-Non decido io cosa dovrei fare, ma Lord Godha, che è il signore che servo. Ora vieni-
-Non ho intenzione di mangiare nulla-
-Lo vedremo. Seguimi e basta-. Contrariamente ad Ayame, Rikimaru le camminò di fronte. Forse la considerava completamente inoffensiva.
Haruko si ritrovò al sole: si fermò, investita da quel piacevole torpore. Chiuse gli occhi, godendo del calore sul viso e sul corpo. Li riaprì e osservò il cielo: era di un azzurro limpido, senza una sola nuvola in cielo. Accidenti, le sembrava un'eternità che non se ne stava così all'aperto, invece si trattava di pochi giorni. Si ritrovò a tirare una profonda boccata d'aria, e si stupì lei stessa. Poi si accorse che Rikimaru la guardava, silenzioso. Non disse nulla, le fece solo cenno di seguirla col capo; per tutta risposta, lei si sedette su una piccola roccia lì vicino alla casa. Il giovane se ne accorse -Haruko restò impressionata dalla sensibilità dei suoi sensi- e ripetè:-Seguimi-
-Non voglio mangiare, ho detto-. Il ninja restò semplicemente a fissarla, forse cercando un modo per convincerla. Lei fece finta di nulla e si prese una ciocca, quindi iniziò a farsi una treccina. Rikimaru si sedette accanto a lei, a gambe incrociate, senza dire una parola, lo sguardo fisso sul paesino sotto di loro. Dopo un pò le lanciò una breve occhiata, ma restò stupito di vedere che aveva realizzato già quattro treccine, perfette. E continuava. Li stava acconciando come prima. Era rapida, come se avesse svolto quell'operazione milioni di volte. Probabilmente era proprio così. Attese silenziosamente che lei terminasse, il che avvenne in poco più di venti minuti. Quando ebbe quindi la testa fitta di treccine, le disse:-Be, andiamo-
-Sei duro a capire-
-Non hai scelta, Masami. Devi fare quello che ti dico-
-Ah si? Perchè se no che fai? Mi uccidi? Fallo in fretta, su-
-Ho visto prima come ti godevi il sole. Se muori, perderai tutto, anche la possibilità di goderti piccole cose come quella-
-Purtroppo non bastano piccole cose per voler vivere-
-E' un inizio-
-Lascia stare. Uccidimi e concludi la tua missione. Così Ayame sarà pure più contenta-
-Ayame non gode della morte di qualcuno. Non lasciarti confondere dal suo caratterino-
-Poco importa-. Haruko si fissò sui fili d'erba attorno ai suoi piedi. Li osservò meticolosamente, finchè non scorse un piccolo insetto camminare su uno di essi. Si sporse per vederlo meglio. Era rotondo, nero, le zampette corte ma veloci.
-Ti piacciono i piccoli animali, vedo-. Haruko non rispose, come se nessuno avesse parlato.
-Devi anche venire a conoscere il Maestro-
-Non vuoi proprio lasciarmi in pace, vero?-
-Solo quando avrò sufficienti elementi per reputare conclusa la missione-
-Sei un pò troppo zelante-. Fu lui a non rispondere stavolta, ma non aveva l'espressione offesa. Bè, non aveva alcuna espressione.
Restarono lì per un bel pò, in silenzio, Haruko ad osservare il cielo, l'erba e il paesucolo, Rikimaru a fare altrettanto, mentre attendeva che lei sentisse il bisogno di muoversi.
Giunse ora di pranzo; Rikimaru iniziò ad avvertire un certo languorino, soprattutto quando soggiunsero alle sue narici i profumi di cibo più disparati. Ayame si stava dando da fare.
Poco dopo, arrivò il Maestro. Haruko lo ignorò completamente, mentre Rikimaru salutò educatamente e chinò il caso, rispettoso.
-E' pronto il pranzo-
-Io non mangio- asserì Haruko. Rikimaru lanciò uno sguardo incerto al Maestro: la missione si rivelava decisamente più difficile del previsto. Come poteva costringere qualcuno a mangiare? Qualcuno che non temeva di essere minacciato di morte?
-Dovresti mangiare. Sei piuttosto pallida e magrolina- tentò Shiunsai. Haruko lo ignorò.
-Almeno dovresti bere qualcosa. Senza cibo si resiste, ma senz'acqua...-. La ragazza continuò ostinatamente ad ignorarlo. Rikimaru si sentiva a disagio: non gli andava giù che qualcuno mancasse di rispetto al Maestro. Non si era nemmeno presentata.
-Maestro, lei comunque è...-
-So già chi è Rikimaru, tranquillo-. Ciò detto, zoppicò col bastone fino a ritrovarsi di fronte a lei. Anche allora, la ragazza non lo degnò di uno sguardo, tenendolo invece fisso su un insetto dalla forma allungata che se ne stava sulla corolla di un fiorellino giallo. Shiunsai seguì quello sguardo...e sollevò un piede, portandolo sull'insetto e sul fiorellino, rimanendo così sospeso con l'aiuto del fido bastone.
Ottenne così l'attenzione della ragazza, che gli stava indirizzando uno sguardo a metà tra lo stupito e lo spaventato. Rikimaru era invece solo interrogativo.
-Entra in casa e bevi un pò d'acqua. Solo un pò d'acqua-
-Ma...-
-Fallo o condannerai a morte sia questo insetto innocente che questo delicato fiore. Solo per un capriccio-. Il vecchio e la ragazza si fissarono per alcuni secondi, che a Rikimaru parvero ore. La trovò sfrontata, perfino più di Ayame, che mai aveva osato fissare così a lungo il loro maestro negli occhi, e per giunta con tanta evidente indignazione sul viso. Alla fine, Haruko cedette, sebbene parecchio riluttante; sentì di odiare tutti, a partire da quel vecchio impiccione. Si alzò dicendo, contrita:-E va bene. Solo dell'acqua- e Shiunsai riportò il piede a terra, pacato. Rikimaru provò ancora più stima per il suo maestro: fino a quel momento non era riuscito a convincere Masami a far nulla. A lui invece erano bastati pochi istanti per capire cosa fare.
Ayame, sul ciglio del fusuma, osservava la scena con un sorrisetto trionfante indirizzato al maestro.
***
Aveva bevuto più acqua di quanto avesse desiderato in principio. L'idea era quella di bere giusto due sorsi per far si che la lasciassero in pace almeno per un pò ma, quando aveva bevuto il primo sorso, non era stata capace di fermarsi. In men che non si dica aveva lo stomaco pieno d'acqua. E si era ritrovata affamata. Non c'era molto sulla tavola -riso bollito, pesce e verdure- ma non mangiava da qualche giorno e avrebbe potuto divorare tutto con gusto. Per questo, andò a chiudersi nella stanza di quel Tatsumaru in tutta fretta e si raggomitolò in un angolo, per terra. Maledetti ninja Azuma.
Se ne restò così per un pò, in preda ad una fame folle. Lo stomaco le doleva tanto che era possibile che si stesse autodemolendo. Aveva pensato di fuggire approfittando che i ninja stessero pranzando, ma non riusciva a muoversi per il dolore e la debolezza. Tentò di dormire per non dover sopportare quel dolore, ma le fu impossibile.
-E' permesso?-. Rikimaru. Possibile che fosse così educato con una prigioniera?
-Permesso cosa?! Apri!-. Questa era Ayame. Dannazione, ma perchè non la lasciavano in pace?
Udì i loro passi alle sue spalle.
-Non stai bene? Ehi?- fece Rikimaru, incerto.
-Ehi, diciamo a te! Potresti anche rispondere!-. Che voce fastidiosa quella Ayame.
-Lasciatemi in pace-
-Dovresti mangiare qualcosa-
-Andatevene-. Non udendo risposta, Haruko capì che i due non sapessero cosa fare.
-Se ci fosse stato Tatsumaru...- mormorò Ayame, cupa.
-Già. Cos'avrebbe fatto Tatsumaru?- si chiese invece Rikimaru.
-Che importa? Tanto non c'è. C'è solo questo impiastro capriccioso. Alzati, impiastro, o ti prendo a calci!-
-Ayame, sta calma-
-E' snervante! Dovremmo davvero ucciderla!-
-Che succede qui?-. Il dannato vecchio.
-Non vuole mangiare, ma ne ha bisogno!-
-Lasciatela stare per ora-. Saggia decisione. Haruko fu lieta di sentire che tutti la lasciavano sola. Prese una decisione: doveva riuscire a eludere la sorveglianza dei ninja Azuma e uccidersi quanto prima. Se fosse stata meglio, ci avrebbe pensato proprio quella notte.
***
Alla fine era riuscita ad assopirsi, ma quando si svegliò non stava molto meglio. Accidenti, avrebbe potuto mangiare qualunque cosa...
Si sollevò da terra con fatica e si voltò. Per poco non lanciò un urlo, ma riconobbe Rikimaru, seduto per terra contro al muro. Gli lanciò un'occhiataccia e si alzò in piedi per sgranchirsi un pò le ossa. Doveva essere primo pomeriggio, a giudicare dalla luce del sole.
-Mi stai sorvegliando?-
-Non lasci scelta-. Haruko sbuffò. Mosse un passo, ma il secondo dopo tutto divenne improvvisamente buio.
***
-Maledetta. Sei un impiastro veramente-. Quella voce ormai fastidiosamente nota e degli schiaffi energici in volto la fecero tornare in sè.
Un momento. Che ci faceva per terra?
Aprire gli occhi le costò tantissimo. Gli schiaffi si arrestarono all'istante e Haruko mise a fuoco il faccino di Ayame. Sollevato. E subito dopo truce.
-Si è ripresa- disse la ragazza. Haruko colse dei passi e trovò nel suo campo visivo anche i volti di Rikimaru e del vecchio Shiunsai. L'ultimo asserì:-Meno male-
-Cosa...è successo?-
-E' successo che ti stai indebolendo, cretina. Sei svenuta e hai avuto...una crisi, non so come altro definirla- spiegò Ayame, laconica e irritata.
-Se mi uccideste con le vostre mani, evitereste sofferenza a me e a voi stessi-
-Presto ci penserò io, tranquilla-
-Ayame- la redarguì Shiunsai. Aggiunse, perentorio:-Lasciateci soli-. I due giovani uscirono subito mentre lei si sollevava. Il vecchio si mise a sedere di fronte a lei, lentamente e storcendo leggermente il viso per via dei dolori articolari dovuti alla vecchiaia. Poggiò il bastone per terra e fissò su di lei i suoi occhi scuri e buoni. Haruko pensò che, in altre circostanze, il vecchio maestro le sarebbe piaciuto. In effetti, a pelle, le piaceva già.
-Perchè sei tanto decisa a porre fine alla tua vita?-
-Perchè dovrei dirtelo?-
-Non essere così ostile. Non ne hai motivo. Sei tra gente che vuole aiutarti. Diversamente, non saresti più in questo mondo o ti troveresti ancora in quella cella-
-Non ho chiesto l'aiuto di nessuno-
-Per favore, Masami. C'è già sufficiente morte e dolore in questo mondo. Se non è necessario aggiungerne, è bene non farlo. E, credimi, non è mai necessario-
-Che vuoi saperne? Sarai saggio quanto vuoi, Maestro Shiunsai, ma non mi puoi capire. Ed è una fortuna per te-
-Stai soffrendo molto, questo lo capisco fin troppo bene. Chi vuole morire solitamente non ha più nulla per cui lottare...altrimenti si aggrapperebbe con tutte le forze anche alla più piccola speranza di salvezza-. Haruko non rispose. Non poteva: un nodo alla gola le impediva di parlare. Se lo avesse fatto, sarebbe scoppiata in lacrime. E il vecchio maestro se ne accorse; si sporse e pose una mano rugosa sulle sue, dicendo con gentilezza:-Giovane Masami. Non so cosa tu abbia passato...ma ti assicuro che a tutto c'è una soluzione. Una soluzione che non è la morte. Ogni cosa brutta può essere affrontata, metabolizzata e superata. Noi ne siamo la prova. Abbiamo perso pochi giorni fa un membro importante del nostro clan. E' come se tutti avessimo perso una parte del nostro cuore-
-E' diverso- sussurrò Haruko, gli occhi fissi sul pavimento e la voce rotta.
-Non lo è, Masami. Il dolore è dolore. E, indipendentemente dalla sua intensità, lo si può combattere. Soprattutto se si è giovani, come te-
-Non è vero-. Una lacrima le rigò il volto; la ragazza girò il capo e ritrasse le mani da quella di Shiunsai, asciugandosi velocemente. Restò così, mentre il vecchio sospirava e subito dopo si alzava cautamente. Le disse, bonario:-Ascolta le parole di un vecchio. Non gettare la tua vita così. Accetta l'aiuto di persone che te lo offrono. Prenditi il tempo che vuoi. Le soluzioni estreme non sono mai quelle giuste, ragazza mia-. Il maestro le poggiò una mano sulla testa; quel gesto fece venire voglia ad Haruko di lasciarsi andare al pianto tra le sue braccia. Ma si trattenne, stringendo forte la mascella tanto da farle male. Quando uscì, però, le lacrime iniziarono a fuoriuscire copiose, e lei non potè proprio farci nulla.
***
Ostinata, restò in quella stanza per il resto della giornata. Non ingerì nulla: Rikimaru le portò della frutta nel pomeriggio, ma lei non la guardò nemmeno, nonostante i morsi della fame le corrodessero lo stomaco. Invece non fu proprio capace di non bere, e maledisse di nuovo quei ninja impiccioni. Fu quando il sole tramontò che iniziò a stare nuovamente male. Il buio conciliava i suoi pensieri più tetri e lei non riusciva a distrarsi, nemmeno se si concentrava sul suo disagio fisico. Ad un certo punto si assopì...ma non fu una fortuna. Il suo sonno fu agitato da un turbine incongruo di incubi; quando si svegliò di soprassalto, sudata e ansimante, ricordava solo frammenti confusi, ma tutti accomunati da morte, sangue, la minaccia di Lady Kagami, quella sua mostruosa katana...il senso di solitudine, di perdita, il dolore...
Si sentì impazzire. Il pensiero di sognare ancora quel pandemonio di sangue...
"Non ne posso più. Devo farla finita. Subito. Tanto, nessuno sentirà la mia mancanza. Anzi". Quella conclusione la incoraggiò.
Era sola, nessuno la sorvegliava. La cosa le parve strana, tuttavia non volle soffermarcisi. Dovette radunare tutte le forze per alzarsi, ma alla fine ci riuscì e si diresse al fusuma. La frutta che le aveva portato Rikimaru era ancora lì. In fretta, lottando contro la fame, uscì e se la lasciò alle spalle. La notte era tranquilla, fresca, il cielo limpido. Non c'era luna, ma le stelle erano perfettamente visibili. Bellissime. Prima trascorreva spesso la sera a guardarle. Con lui...
"Akahito". Una fitta al cuore le riportò le lacrime agli occhi e sentì l'urgente bisogno di far cessare quel dolore. Lasciò perdere le stelle e si allontanò dalla casetta degli Azuma. Entrò nel piccolo boschetto lì vicino; non sapeva dove si stava dirigendo, ma si guardava intorno per cercare qualunque cosa con cui poter porre fine alle sue sofferenze.
-Dove vai?-. Rikimaru. Non era affatto stupita. Si voltò in sua direzione, ma solo allora ricordò che aveva il viso inondato di lacrime amare. Le asciugò in fretta, ma lui ormai le aveva viste. Non seppe cosa dirle. Non seppe cosa fare. Rikimaru non era bravo con la gente: era gentile, educato, servizievole, ma il suo carattere riservato gli aveva sempre impedito di interagire normalmente con chiunque, in special modo con le ragazze. Ayame faceva eccezione, era quasi una sorella per lui. Si stava impegnando per capire e aiutare Masami, ma solo perchè gli era stato assegnato quel compito: in realtà la cosa lo metteva seriamente a disagio. Mai come in quel momento si era sentito tanto incapace. Avrebbe preferito mille volte tornare nel castello incendiato di Godha1.
-Non voglio fare del male a nessuno, tranquillo. Tornatene pure a dormire e lasciami stare-
-Stai piangendo-
-Sei un acuto osservatore-. Rikimaru ignorò il sarcasmo e si chiese cosa fare per farla sentire meglio. Il fatto che lei fosse così ostile e ritrosa a ricevere aiuto non lo aiutava per niente.
-Dove stavi andando?-. La ragazza lo fissò in silenzio, ma aveva gli occhi gonfi di pianto, le labbra strette perchè si sforzava di contenersi. Ma ogni tanto sussultava.
Haruko era disperata: adesso lui l'avrebbe portata di nuovo in quella casa, abbandonandola ai suoi incubi e al male che aveva dentro. Non voleva. Quei maledetti non la capivano. Il problema era quello. Forse, se avesse lasciato uscire almeno una parte del suo dolore...
Si inginocchiò e pianse in silenzio, nel buio, tra gli alberi. Rikimaru si sentì più in difficoltà di prima: che diavolo poteva fare di fronte ad una ragazza disperata e in lacrime? Perchè il Maestro Shiunsai non lo aveva mai preparato a qualcosa del genere? Gli sovvennero alla mente le parole di Tatsumaru, risalenti a diversi anni prima: erano ancora bambini e Tatsumaru aveva offeso Ayame perchè non le aveva fatto un complimento, che lei invece si aspettava. Rikimaru non capiva come ci si potesse arrabbiare per qualcosa di così futile...ma il giovane gli aveva detto a mezza voce:"Ah, le donne. Sono troppo complicate. Con loro sbagli sempre!". La consapevolezza che avrebbe quasi sicuramente sbagliato lo fece sentire in colpa ancor prima di fare qualunque cosa. Accidenti.
Haruko lo distolse dal suo disagio dicendo, tra le lacrime:-Io non ce la faccio. Per favore...se hai un pò di pietà...-
-No-
-Ma...!-
-Non posso ucciderti. Non è questa la mia missione-
-Se lo ritieni opportuno puoi farlo. Tu e Ayame avreste dovuto decidere. Per lei potrei già essere morta, quindi...-
-E' vero, ma non posso farlo. Non so niente di te. Come posso decidere se è il caso che tu muoia?-
-Sai che sto male. E sai che potresti uccidermi con un sol colpo e regalarmi una morte rapida e indolore-. Aveva puntato gli occhi su di lui. Lo aveva fatto apposta. Haruko aveva imparato da tempo a convincere un uomo con lo sguardo. Ci riusciva sempre con...
"Akahito....". Non dovette fingere, si sentiva davvero distrutta. Stava solo permettendo a Rikimaru di vederlo coi suoi stessi occhi. E lui lo vide benissimo. Sospirò tristemente. Avanzò verso di lei.
Haruko sperò che si fosse impietosito. Quando lo vide tirar fuori un kunai, non potè crederci. Lo vide fermarsi di fronte a lei, un'ombra nera, alta e minacciosa che stava per salvarla. Haruko chinò il capo e chiuse gli occhi, attendendo il colpo finale, attendendo di non sentire più nulla...
Si scoprì spaventata. Spaventata all'idea di morire. Ma, stoica, restò dov'era, immobile, in attesa, tanto sarebbe stato veloce. Con sua sorpresa, però, Rikimaru gettò quel kunai ai suoi piedi. Si voltò e disse:-Io non posso fare una cosa del genere. Non posso fare qualcosa che non mi è stato ordinato. Ma tu puoi fare della tua vita quello che ritieni più giusto. Fallo pure-. Ciò detto, si allontanò e, presto, sparì tra le ombre degli alberi.
Haruko afferrò il kunai, la mente alla frenetica ricerca di un modo meno doloroso possibile per farla finita. Optò per il dissanguamento. Avvicinò la lama alla parte interna del polso, dove sapeva ci fossero i vasi. Non li vedeva, ma un taglio netto in quel punto l'avrebbe condotta a morte certa. Prese un profondo respiro. Si accorse di essere piuttosto tesa. Spaventata. Più di prima.
-Avanti- si disse. Era l'unico modo per non pensare più, per non soffrire più, per raggiungere la pace. Eppure...in quel modo non avrebbe più sentito proprio nulla. Non avrebbe più avvertito l'odore degli alberi, che a lei era sempre piaciuto. Non avrebbe più udito le cicale. Non avrebbe più sentito sulla pelle la frescura piacevole della sera e il calore del sole di primo mattino. Non avrebbe più visto quelle meravigliose stelle. Non avrebbe più sentito la terra sotto i piedi, la consistenza dell'erba...
"Devi essere sempre forte, figlia mia. Ricordatelo. Sei una donna. Avrai sulle spalle mille fardelli, anche troppo pesanti...ma riuscirai a portarli sempre. Come fa la tua mamma". La sua mamma. Già, lei. Se l'avesse vista in quel momento, si sarebbe chiesta chi fosse quella bugiarda che si fingeva sua figlia.
"Mamma". Lottare. Lei era viva. Aveva la possibilità di farlo. Sua madre...è quello che le aveva sempre insegnato. Lei lo aveva sempre fatto fino a quel momento. Perchè smettere? Solo perchè si sentiva stanca?
"Sei stanca?! Che pelandrona! Riposati e poi continua, allora!" le aveva sempre detto suo padre quando badare all'orto e agli animali diventava troppo pesante. Già, riposati...
-Mamma... Papà... Oh, mamma e papà, mi sento così sola...- e scoppiò in lacrime come una bambina, le mani sugli occhi, il naso colante di moccio. Il kunai abbandonato per terra.
Lei non voleva morire. Voleva solo smettere di soffrire. E, per farlo, doveva lasciare che il dolore uscisse, uscisse, uscisse...
***
Non era andato via. Era rimasto lì ad osservarla, silenzioso come l'ombra che aveva imparato a diventare. Un albero celava la sua presenza.
L'aveva vista portare il kunai al polso, esitare. Riflettere. E piangere. Non aveva mai visto nessuno piangere tanto, nemmeno i bambini del villaggio. Nemmeno Ayame da bambina quella volta che, dopo aver esasperato Semimaru per un intero giorno, aveva ricevuto un morso da lui.
Non sembrava più intenzionata a suicidarsi, almeno per il momento. Ne fu lieto. Ma ora? Doveva lasciare semplicemente che si sfogasse da sola? Rikimaru pensò proprio di si. E pensò anche, piuttosto soddisfatto, che Tatsumaru quella volta aveva sbagliato: non sempre si sbaglia con le donne. Non se si segue il proprio istinto e si presta un pò di attenzione.
***
Mai aveva pianto tanto in tutta la sua vita. Si chiese come fosse possibile perdere tanta acqua senza morire disidratati. Quelli furono i suoi primi pensieri al mattino. Poi aprì gli occhi, incontrando decisamente troppa luce. E quegli uccelli, per la miseria, quanto baccano.
Era nel boschetto. Il pianto e quelle forti emozioni l'avevano talmente sfinita che, appena si era appoggiata sul terreno un attimo, si era addormentata. Profondamente, senza nemmeno un sogno o un incubo a pertubare il suo sonno.
L'aria era fresca e c'era silenzio, se non fosse stato per gli uccellini. La luce era poco intensa. Haruko intuì che fosse l'alba o poco più. Notò il kunai accanto a sè; lo prese, ma con l'intenzione di restituirlo a Rikimaru.
Non voleva morire, decisamente. Almeno non per ora.
Si voltò e fu sorpresa di trovare Rikimaru lì, seduto contro un albero, addormentato. Teneva le braccia incrociate e l'espressione del viso rilassata. Sembrava non respirasse. E non sembrava indifeso, come ci si aspetta da qualcuno che dorme.
Era rimasto lì con lei tutta la notte? Perchè?
La giovane si alzò, annusando l'aria e gonfiandosi i polmoni. Sebbene si sentisse fisicamente debole, psicologicamente stava meglio. Paradossalmente, il dolore che fino a quel momento le aveva prosciugato le forze, in quel momento la faceva sentire viva. Viva e vogliosa di stare meglio. I suoi genitori...avrebbero voluto proprio quello. Non poteva tradirli, ignorando ciò che le avevano insegnato. Fino a quel momento era andata avanti per proteggere suo fratello...ma, ora, doveva andare avanti solo per se stessa. Ne era capace.
Si spazzolò il vestito con la mano libera e mosse un passo; il secondo successivo, Rikimaru era in piedi, sveglio, la katana sguainata. Haruko alzò le mani dicendo:-Sono io! Stavo solo....-
-Scusami-. Il ragazzo abbassò l'arma e Haruko le mani. "Accidenti, che riflessi". Al suo confronto, lei era una tartaruga stordita.
Gli porse il kunai. Improvvisamente si sentì in forte imbarazzo. Lui l'aveva vista piangere, l'aveva supplicato di ucciderla...ed era quasi sicura che l'avesse anche vista dopo, quando si era lasciata andare al dolore. Haruko non era una ragazza che si lasciava andare facilmente, perfino i suoi cari l'avevano vista raramente piangere. Eppure quel ragazzo, che era praticamente uno sconosciuto...
Senza una parola, il ninja prese il kunai e si incamminò verso la casa. Haruko gli fu infinitamente grata di non sollevare l'argomento, come se nulla fosse accaduto. Avrebbe forse dovuto ringraziarlo per aver vegliato su di lei? E per averle permesso di scoprire, a suo modo, che la morte era la soluzione sbagliata?
Non riuscì a dire proprio nulla.
Uscirono dal boschetto e Haruko vide il sole che scivolava fuori dall'orizzonte, salendo sempre più. Solo quando il sole era ben alto nel cielo si accorse di essersi fermata e di aver osservato lo spettacolo quasi rapita. Rikimaru la aspettava. La ragazza abbassò lo sguardo come per scusarsi e lo seguì.
-Ti va di mangiare?-
-Io...si-. "Si, accidenti, si. Tra poco svengo se non lo faccio".
-Posso preparare qualcosa io? Per tutti? Così...mi sdebito almeno in parte per l'ospitalità-
-Fa pure-.
***
Quando Ayame e il Maestro Shiunsai giunsero per la colazione, non crederono ai loro occhi: Masami stava mangiando. Anzi, stava quasi per strozzarsi per la velocità con cui si abbuffava. Rikimaru faceva finta di nulla, mangiando composto. La ragazza li notò e si bloccò; ingollò ciò che aveva in bocca e fece, a disagio:-Scusate, non vi avevo sentiti...-
-Che mangiona! Ci svuoterà la dispensa!- esclamò Ayame; il vecchio maestro invece sorrise bonariamente e rispose:-Tranquilla. E' sempre un piacere veder mangiare un ospite con tanto appetito-
-Grazie-. Alla ragazza non sfuggì lo sguardo che intercorse tra lui e Rikimaru; il vecchio sembrava dirgli "Ben fatto". Lui, però, continuò a mangiare come se nulla fosse. E Shiunsai decretò:-Rikimaru, penso sia opportuno che tu faccia visitare il villaggio a Masami. Lo farei io ma, ahimè, non ho più le forze per camminare in lungo e in largo-
-Si, Maestro-
-Ayame, puoi andare anche tu naturalmente-
-Io ho di meglio da fare- replicò lei acidamente. Ad Haruko non dispiacque per niente quel rifiuto.  
Quando uscirono, udirono un abbaio; in men che non si dica, un cane di media taglia fu ai piedi di Rikimaru, felicissimo, scodinzolante.
-Semimaru! Dove sei stato finora?-. Sebbene non sapesse praticamente nulla di Rikimaru, Haruko si ritrovò stupita di sentire un tono allegro nella sua voce solitamente bassa e pacata. Osservò il cane e si ritrovò a sorridere, contagiata dalla sua allegria. Il cane la notò e smise di fare le feste a lui per annusarla, curioso; le fece il solletico sfiorandole gli stinchi col naso e lei ridacchiò.
-Ciao, piccolo. Come sei bello- gli disse, carezzandolo. Come se avesse capito, il cane scodinzolò allegramente.
-Ehi, sei tornato! Ciao, Semi-chan!- lo chiamò Ayame, sopraggiunta in quel momento. Il cane le corse incontro, riservandole la stessa gioia. Per Haruko fu una sorpresa anche vedere il viso della ragazzina distendersi in un sorriso; sembrò improvvisamente molto più giovane e carina di com'era realmente.
-Su, andiamo, Ayame gli darà da mangiare. Oppure vuoi restare?-
-No no, possiamo andare-. I due ninja si incamminarono. Haruko si sentì in imbarazzo in tutto quel silenzio: lei non era una gran chiacchierona, ma Rikimaru era peggio di lei. Chiese:-E' il vostro cane?-
-Si. Lo hai visto solo ora perchè è solito andarsene in giro per il villaggio. Ci sono giorni che sta via, altri che passa interamente con noi-
-Oh, capito-. Haruko si fermò all'improvviso: una grossa farfalla le aveva tagliato la strada. Era marrone, delicata, leggera. La osservò mentre le passava davanti con grazia, per poi posarsi su un fiore lì vicino. La trovò molto bella, ne restò incantata. Accidenti, da quanto tempo non restava a osservare una farfalla?
Si accorse di essersi fermata e che Rikimaru la attendeva in silenzio.
-Scusami, io...-
-Non scusarti-
-Sembra...mi sembra di esser nata ieri. O di mancare da questo mondo da moltissimo tempo-
-Forse, in un certo senso, è così-. Haruko non seppe cosa replicare, a disagio. Non amava parlare di sè, soprattutto con qualcuno con cui non aveva confidenza. Pensare a ciò che aveva passato fino al giorno prima la portò a riflettere su cosa fare ora. Non aveva più nulla, solo se stessa. Doveva andare, trovare un nuovo posto nel mondo...
-Vorrei cercarmi un lavoro. Uno qualsiasi. E una casa, anche modesta-
-Puoi stare da noi finchè non trovi ciò che fa al caso tuo-
-Lo so, e vi ringrazio, ma non intendo perdere tempo ed esser di peso per voi-
-Non sei di peso. Fino a prima che arrivassi tu eravamo comunque in quattro-. La voce di Rikimaru non aveva mai particolari inflessioni, tuttavia Haruko percepì una certa amarezza in quella frase. L'aveva forse immaginato?
-Mi dispiace. Per...il vostro amico, Tatsumaru. Io non volevo ucciderlo. Cioè, all'inizio si, ma...è complicato-. Prima che Rikimaru le chiedesse qualcos'altro, cambiò discorso:-Comunque, sono abituata ad essere indipendente-
-Possiamo cercare anche adesso, allora. Intendi restare al villaggio?-
-Si, almeno per ora. Non ho praticamente nulla...poi non so, magari decido di restare, o di andar via-
-Capisco. Cosa sai fare? A parte combattere-. Erano entrati nel villaggio. Era silenzioso e poca gente era in giro, dato che era mattino presto.
-Va bene tutto, anche quello che non so fare. Posso imparare-
-Bene-
-Non...non c'è bisogno che mi accompagni. So sbrigarmela da sola-
-Non importa-. Haruko si sentì subito sciocca: Rikimaru non lo faceva per gentilezza. Quante volte le aveva ripetuto che stava eseguendo una missione? L'avrebbe tenuta d'occhio finchè non fosse stato certo che lei non fosse una minaccia. Ciò comportava che lei non fosse mai sola. Capiva la sua posizione, difatti la cosa non la stupì nè la infastidì.
In quel mentre, tre bambini sghignazzanti corsero verso di loro e li sorpassarono: Haruko invidiò la loro spensieratezza.
Rikimaru si fermò e chiamò:-Mina!-. Una bimba magrolina coi capelli neri si fermò; sorrise al ninja, mostrando la mancanza di qualche dentino.
-Ciao, Rikimaru!-
-Ciao, piccola. Per caso la mamma è in casa?-
-Si si!-
-Molto bene. Ci vediamo-
-Ciao, Riki!-. Il giovane si incamminò e lei lo seguì in silenzio. Colse subito un odore di pane che le fece tornare l'appetito. Poco dopo videro infatti un forno. Rikimaru si diresse verso la casetta accanto al forno e bussò.
***
Era stata fortunata. La mamma della piccola Mina, Shizune, era la moglie del fornaio, ma era incinta e non poteva aiutare il marito; si limitava a restare al forno per vendere il pane. Haruko avrebbe lavorato col marito della signora. Non sapeva lavorare il pane, ma si era detta disposta ad imparare. Era un buon inizio. Avrebbe iniziato a lavorare il giorno dopo. Per la casa non andò altrettanto bene: ciò implicava che dovesse restare con gli Azuma per un pò, ma la cosa non le dispiacque. Aveva intenzione di impegnare ogni minuto possibile della sua giornata, per cui probabilmente sarebbe tornata da loro solo per dormire.
-Ti ringrazio- disse lei a Rikimaru, una volta usciti dalla casa.
-Non è nulla-
-Non è vero. E' tanto. Anche se lo fai perchè la consideri una missione. Ma mi è comunque d'aiuto-
-Masami...-. Il ragazzo le puntò addosso i suoi occhi scuri e profondi. Se era stupito o altro per ciò che lei aveva detto, non lo si vedeva: i suoi lineamenti erano sempre seri e imperscrutabili.
-Haruko-
-Cosa?-
-Haruko. Non Masami. Mi chiamo Haruko-. Il giovane restò ancora in silenzio, fissandola. Lei spiegò:-Masami è il nome col quale mi sono infiltrata al castello-
-Capisco-
-C'è qualcosa che io possa fare a casa da voi? Pulire, per esempio?-
-Non so-
-Posso occuparmene io. Tanto non ho nulla da fare per oggi-
-Come preferisci-. Rikimaru si diresse verso casa e Haruko lo seguì, impaziente di riempire il suo tempo.
 
 
 
 
1Incendio al castello di Godha: durante l'attacco al castello di Godha Matsunoshin da parte di Motohide e Toda, il castello viene incendiato e Rikimaru è costretto a vagare tra le fiamme alla ricerca del suo signore.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Era riuscita a restare impegnata tutto il giorno. La cosa le fu più semplice dal giorno successivo, dato che l'intera mattina fu impegnata al panificio. Quella era un'attività nella quale non si era mai cimentata, tuttavia scoprì che le piaceva. Era faticosa e portava via molto tempo.
Si alzava prestissimo al mattino, molto prima dell'alba, e faticava tutta la mattina; ciononostante, quando tornava dagli Azuma, si occupava delle faccende domestiche più disparate. Andava poi a letto subito dopo cena e crollava all'istante. Ogni giorno era la stessa storia. E, sebbene non lo vedesse, lei sapeva che Rikimaru la sorvegliava costantemente. A lei non dava fastidio e comunque a volte dimenticava di essere sorvegliata.
Passarono due settimane, durante le quali la ragazza finì per integrarsi perfettamente nella famiglia del panettiere. L'uomo, che si chiamava Takao, era un pò burbero, ma era paziente ed era disposto ad insegnarle ciò che lei non sapeva; a volte la correggeva duramente, ma a lei non importava, anzi si impegnava per evitare che lui avesse da ridire ancora. Sua moglie, invece, era molto dolce e gentile, e nonostante la gravidanza faceva di tutto per aiutare il marito con le vendite. Appena poteva, Haruko la sostituiva, quindi alternava la preparazione del pane con la sua vendita in negozio. Poi c'era la loro bambina, Mina, che era allegra ed educata ma piuttosto timida: non parlava molto con Haruko, si limitava a salutarla e a guardarla di sottecchi. A lei non dispiaceva, del resto non era lì per socializzare ma per lavorare.
Eppure, inevitabilmente, finì per affezionarsi a quella gente. Takao iniziò a diventare meno burbero, Shizune ancor più dolce di prima e anche tanto disponibile da convincerla a pranzare da loro un giorno si e l'altro pure; Mina divenne sempre meno timida, infatti arrivò spesso a chiederle di farle le treccine -le piaceva come Haruko teneva acconciati i capelli-. Sebbene ciò fosse positivo e le donasse serenità, una parte di lei non poteva che preoccuparsene...
Nel giro di un mese si era perfettamente integrata nella famiglia, come se li conoscesse da sempre. Come se ne facesse parte, per alcuni versi. Quelle persone riempirono parte del vuoto che aveva dentro, eppure...
***
Era andata a prendere l'acqua al fiumiciattolo del paese per la famiglia del panettiere. Riempì i grossi secchi fino all'orlo e si preparò a quella faticaccia. Eppure, non era certa di potercela fare. Furbamente, fece:-Quando la smetterai di pedinarmi?-. Nessuna risposta. Nessun rumore. Pensava di farla fessa?
-Dai, Rikimaru, vieni fuori. Lo so che sei qui da qualche parte-. Silenzio. Lei sbuffò e portò le mani sui fianchi. Decise di lasciar perdere, avrebbe portato lei i secchi fino all'abitazione del panettiere...ma, quando si voltò, trasalì forte nel trovarsi Rikimaru alle spalle. Ma da dove era uscito?? Alle spalle aveva il fiume!
-Non volevo spaventarti-
-E meno male!-. Sbuffò di nuovo e chiese:-Potresti rispondere?-
-Non so-
-Cosa non sai?-
-Quando smetterò di pedinarti-
-Oh. Bene-
-Ti infastidisce? Non sembrava finora-
-E' pura curiosità la mia. Tanto non ho tempo per badare a te-. Si chinò per prendere i secchi ed emise un gemito di sforzo nel tirarli su. Esagerò un pò...e funzionò: Rikimaru le tolse di mano entrambi i secchi e si incamminò verso il villaggio. Non sembrava una grossa fatica per lui, era forte. La ragazza sogghignò, ma gli andò comunque dietro dicendo:-Che fai? Lascia fare a me!-
-Non preoccuparti-
-Bè, se proprio insisti...grazie-. Rikimaru non rispose. E lei sogghignò nuovamente, trionfante. Poi disse, cambiando discorso:-Che fine hanno fatto le mie cose?-
-Quali cose?-
-La mia asta, le mie erbe, i miei fumogeni...e tutto il resto-
-Perchè me lo chiedi?-
-Perchè li rivorrei indietro, è chiaro-
-Non ti servono-
-Non mi servono adesso. Ma potrebbero servire-
-Cosa intendi?-. Haruko divenne seria. Le sue armi le servivano. Non era molto forte nel combattimento, ma senza di quelle era poco meno che inoffensiva. Un flash del suo passato le tornò in mente: Lady Kagami che arrivava nel suo villaggio, gridava ordini a destra e a manca, sangue, panico, morti...e lei che non aveva avuto scelta...
Scosse la testa e disse:-Vorrei diventare più forte-
-Perchè?-
-Perchè non lo sono mai stata abbastanza- mormorò. Rikimaru si fermò, mollando i secchi, e le dedicò una lunga occhiata, che lei non sostenne.
-Si avvicina un pericolo?-
-Che io sappia no, tranquillo. Ma ho passato momenti difficili...e non ero abbastanza forte. E ho perso tutto. Adesso sto ricominciando da capo...e non vorrei perdere quel poco che ho-. Seguirono alcuni minuti di pesante silenzio. Anche lo sguardo di Rikimaru su di lei era pesante.
-Possedere delle armi non basta per essere più forti-
-Lo so. Infatti non mi è bastato averle, in passato. Per questo volevo...-. Era un pò che ci pensava. Era un chiodo che non voleva abbandonarla. Non trovava una soluzione diversa. Seppur a disagio, alla fine puntò gli occhi in quelli del ninja e disse:-Potresti aiutarmi a diventare più forte?-. Ancora silenzio. Le parve un'eternità. Rikimaru mantenne gli occhi neri e impassibili nei suoi, i lineamenti neutri. Haruko intanto si accorse che, involontariamente, stava ricorrendo allo sguardo tipico di quando voleva ottenere qualcosa da un individuo di genere maschile. Ma c'era troppo in ballo, non sarebbe bastato.
-Ascolta, lo so che è rischioso. Lo so che non mi conosci e che, per quel che ne sai, potrebbe anche essere che io stia portando avanti una pantomima ben congegnata. Del resto non ti nascondo che la mia specialità è proprio questa, inventare pantomime, farmi credere e fare ciò che devo. Ma...non ho più nulla. Ho solo queste...queste persone. Questa nuova vita che sto cercando di costruire. E... non mi sento sicura. Voglio poter difendere ciò a cui tengo. Ma ho bisogno di aiuto...e penso che solo tu possa darmelo-
-E' troppo rischioso. Mi stai chiedendo di fidarmi di te. Ma di te non so niente. E, anche se mi dicessi ogni cosa, non potrei mai sapere se mi dici la verità-
-Hai ragione. E io davvero non so come provarti che sono sincera-
-Allora io non ti posso aiutare-. Il ragazzo le diede le spalle, ma Haruko chiamò, disperata, il suo nome, mettendosi in ginocchio, chinandosi così tanto da toccare il terreno con la fronte. Rikimaru si fermò, si voltò, la vide.
-Ti prego, Rikimaru. Ti prego-. E non seppe cosa fare. Sospirò e disse:-Ci penserò. Ma non avrai le tue armi per il momento-. La ragazza si sollevò, conscia di non poter ottenere di più. E, pur sapendo che lui aveva ragione, lei non potè fare a meno di detestarlo. Senza una parola, sollevò i due secchi con tutte le sue forze e si avviò verso il villaggio.
-Faccio io-
-Me la vedo io, grazie. Come al solito- replicò lei, velenosa, aumentando il passo per quanto le fosse possibile. Rikimaru restò a guardarla, pensieroso, e sospirò.
***
-Tu cosa vuoi fare?-
-Io...non lo so, Maestro-. Erano seduti l'un di fronte all'altro sul pavimento, di fronte ad una tazza di the. Per la verità, solo il vecchio stava consumando la bevanda, placidamente. Era sera: sia Ayame che Haruko erano a letto. E lui ne aveva approfittato per chiedere consiglio al Maestro circa la richiesta di Haruko.
-Ho posto male la domanda. Volevo dire...tu cosa senti di fare a riguardo?-
-D'istinto? Io...non è prudente affidarsi all'istinto-
-A volte, però, è la cosa migliore da fare-. Rikimaru riflettè. Istinto. In realtà, nulla di quella ragazza lo aveva mai allarmato fin dall'inizio. Gli era sempre parsa solo una povera disperata, perfino indifesa, sebbene fosse una nemica e sebbene non fosse possibile che fosse inoffensiva. Magari non era forte fisicamente, ma sapeva combattere e sapeva infiltrarsi. E chissà cos'altro. Eppure...
Era circa un mese che la osservava ogni giorno. La vedeva lavorare con impegno, duramente, senza fermarsi un attimo, senza risparmiare nemmeno una goccia delle sue forze. La osservava mentre sorrideva alla gente, mentre riusciva a essere carina con tutti anche quando era stanca morta. E l'aveva vista tentare di uccidersi, piangere disperatamente, senza freni...
Possibile che fosse tutta una farsa? E poi, se l'avesse aiutata come lei voleva, lui avrebbe conosciuto tutti i suoi punti deboli. Se fosse stata una nemica, sarebbe stato svantaggioso per lei, a meno che non riuscisse a fingersi più debole di quel che era in realtà...
Rikimaru scosse la testa, portando una mano tra i capelli.
-Non stai facendo come ti ho suggerito. Stai ancora riflettendo, quando è evidente che non porta a nulla-. Era vero, non stava ascoltando l'istinto, stava ancora analizzando razionalmente la situazione. Del resto lui era così: razionale, pragmatico. Non era mai stato impulsivo nemmeno da bambino, mai.
-Potrei prendere la decisione sbagliata. E' una responsabilità troppo grande-
-Se decidi di aiutarla, potrai sempre tenerla d'occhio come fai ora e toglierla di mezzo se diventasse un problema-
-E se la rendessi più forte? E poi, Maestro...non mi sento all'altezza di insegnare nulla a nessuno. Non sono pronto-
-Non sai qual è il suo livello rispetto al tuo. E poi...chissà, anche lei potrebbe insegnarti qualcosa. Tra maestro e allievo c'è uno scambio reciproco che arricchisce entrambi-. Rikimaru si domandò se anche lui avesse trasmesso qualcosa al suo maestro in tutti quegli anni, e di cosa si trattasse. Accantonò la cosa, ancora in alto mare.
-Secondo voi dovrei...darle una possibilità-
-Non ho detto questo-
-Maestro...-
-Devi decidere tu, Rikimaru. La missione è la tua, non posso dirti io come svolgerla-
-Ma anche Ayame...-
-Ayame ha già concluso la sua parte di missione. Fosse per lei, Haruko sarebbe già deceduta. Sei tu che hai deciso di tenerla ancora in vita-. Il giovane non ebbe nulla da ribattere.
***
Appollaiato su un albero, la vide tornare a casa avanzando pericolosamente sotto il peso di una cesta piena di vestiti bagnati. Era andata a lavarli al fiume. Rikimaru si era offerto di aiutarla a trasportarli sia all'andata che al ritorno, ma lei aveva rifiutato in malo modo. Era arrabbiata con lui perchè non voleva allenarla nè restituirle le sue armi. Rikimaru era rammaricato di questo, ma non poteva farci nulla.
-Ma non ti annoi?-. Ayame. Era in piedi sul ramo dietro al suo.
-Sono in missione-
-Sempre la stessa solfa. La stai portando troppo per le lunghe, secondo me-
-E tu hai preso una decisione affrettata-
-Se alla fine avrò ragione, dovrai comprarmi una montagna di biscotti alle mandorle. Ci stai?-. Ayame era evidentemente convinta che di Haruko non ci si potesse fidare. Fin dal primo giorno, mentre lei era al panificio, aveva detto che non gliene importava nulla se lustrava la casa meglio di un oggetto d'argento; non si fidava di quella ragazza, a prescindere di quanto fosse brava a fare la sguattera, a sorridere e fare la carina. Non aveva ancora cambiato idea, anzi criticava lui per la sua indecisione.
-Che fai, ti tiri indietro?-. Rikimaru mantenne il silenzio, gli occhi puntati sull'ignara Haruko che, ora, stava stendendo i panni uno per uno. Si chiese se fosse davvero ignara della loro presenza lì.
-Tu pensi che ci stia comprando, insomma-
-Assolutamente si-
-Lavorando per rendersi indipendente e badando alla nostra casa per sdebitarsi dell'ospitalità che le diamo-
-Esatto. E' così difficile da capire?-
-A volte la sento piangere di notte, Ayame-
-Ma cosa sei, ossessionato?! La tieni d'occhio anche la notte?-
-Non la tengo d'occhio, la sento. La mia stanza è attigua alla sua-
-E che vorresti dire con questo?-
-Ieri l'ho vista soccorrere degli uccellini in un nido cascato dall'albero-
-Lei sa che la pedini, che le stai col fiato sul collo-
-Anche la notte?-. Ayame esitò. Rikimaru si voltò verso di lei e disse:-Ayame, non ne sono sicuro, ma io ho l'impressione che quella ragazza abbia passato qualcosa di brutto. E che adesso voglia davvero lasciarselo alle spalle-
-Guarda caso-
-Se ci pensi, tutto questo ha senso. Lavorava per Toda, ma lui ora è morto-
-Insomma, sostieni che fosse costretta a lavorare per Toda e che ora, visto che lui è morto, sia libera?-
-Qualcosa del genere-. Il ninja fece una pausa, poi disse:-Anche noi siamo ninja, Ayame. Anche noi uccidiamo, rubiamo, spiamo...ma non siamo persone cattive. Non ce la prendiamo con gli innocenti. Magari anche lei...-
-Io credo che tu ti stia facendo infinocchiare dai suoi occhioni da martire sopravvissuta e dalle sue labbra rosse-
-Non dire sciocchezze-
-Comunque...sai, in realtà mi sono sempre chiesta perchè sgobbasse dalla mattina alla sera senza sosta. Ho ipotizzato due motivi. Numero uno, potrebbe essere un modo per fingersi buona e senza avere contatti con noi, in modo che non si affezioni e non debba nemmeno fingere sentimenti che non prova. Secondo...ha passato qualcosa di talmente brutto che vuole impegnare ogni secondo della sua giornata per non pensarci. Ma, a giudicare dal fatto che la notte piange...non ci riesce proprio sempre-
-Stai prendendo in considerazione l'idea che io abbia ragione?-
-Sto solo ragionando-. Ad Ayame non piaceva avere torto, raramente ammetteva di essersi sbagliata. Rikimaru evitò di irritarla riprendendo il discorso:-L'ipotesi uno non è credibile...perchè magari non sta creando rapporti con noi, ma lo sta facendo con la famiglia del panettiere. Vanno molto d'accordo. Ha perfino comprato una bambola per la piccola Mina-. Ayame tacque. Rikimaru anche. Entrambi fissarono la ragazza, che continuava la sua mansione.
-Potresti allenarla senza consegnarle le sue armi. Per ora, almeno. Non la renderebbe inoffensiva, ma sarebbe meno pericolosa. E potresti continuare comunque a tenerla d'occhio-
-Ci stai ripensando? Non è più una ninja calcolatrice e pericolosa che vuole ammazzarci tutti?-. Ayame sbuffò sonoramente, infastidita, e scese dall'albero senza una parola.
***
Finalmente aveva finito. La sua schiena era a pezzi. Portò le mani dietro la schiena, come una vecchia, sospirando. Riprese tuttavia la tinozza ora vuota per rimetterla a posto, ma nel voltarsi quasi finì addosso a Rikimaru. Si spaventò e lasciò cadere la tinozza, ma mise su un cipiglio scontroso non appena si accorse che era lui.
-Potresti spostarti? Non sono capace di passarti attraverso-
-Ho riflettuto sulla tua richiesta-. Haruko abbandonò l'aria scorbutica e attese in silenzio, d'un tratto speranzosa. Rikimaru non perse tempo e rivelò:-Ho deciso di allenarti. Ma ad una condizione-
-Quale?-
-Non ti ridarò le tue armi, almeno per ora-
-Nemmeno la mia asta-
-Nemmeno quella-. Haruko non ci pensò su un attimo: andava bene così, era un buon compromesso. Per ora.
-Va bene. Si, va bene-. D'un tratto si sentì quasi felice. Per poco non abbracciò Rikimaru, ma non aveva ancora sufficiente confidenza con lui, quindi evitò e si limitò a dire:-Ti ringrazio. Di cuore-. Il ragazzo, per un qualche motivo incomprensibile, sentì il bisogno di recidere il contatto visivo con lei e si voltò, rispondendo laconico:-Iniziamo domani pomeriggio-
-Certo!-. Non fece in tempo a ringraziarlo di nuovo che già si stava allontanando.
***
Aveva una pessima cera quel giorno. Gli incubi l'avevano fatta dormire pochissimo. Ciononostante aveva lavorato dal panettiere come al solito. Ciò che la preoccupava era l'allenamento: aveva insistito tanto e non voleva fare una figuraccia con Rikimaru. In ogni caso, era anche elettrizzata. E intimorita. Non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva se sarebbe stata all'altezza...
Raggiunse il luogo dell'incontro, ossia il boschetto accanto alla casa degli Azuma. Non fu stupita di vedere Rikimaru che balzava giù da un albero proprio in quel momento. Ormai era abituata ad averlo alle calcagna come un'ombra.
Il ragazzo lasciò la sua katana per terra accanto al tronco di un albero: lo fece con delicatezza, come se quella katana fosse viva. Haruko raccolse le sue treccine color carbone in una coda alta.
-Voglio vedere come te la cavi a mani nude. Attaccami-
-V-va bene-. Così presto? Quel ragazzo non perdeva nemmeno un minuto, eh?
Haruko tirò un respiro profondo per rilassarsi, poi assunse la posa da combattimento. Rikimaru, invece, rimase fermo lì, rilassato, attendendo una sua mossa. Haruko pregò che non fosse troppo duro con lei e poi corse verso di lui, sferrando un calcio diretto alla testa; non si impegnò per paura di non fargli male, e in effetti lui parò il colpo con l'avambraccio, respingendola e dicendo subito:-Non trattenerti-. Non se lo fece ripetere due volte. Attaccò ancora con calci e pugni, rimpiangendo la sua asta: non era più abituata a combattere in quel modo, la sua arma le mancava molto. In ogni caso, Rikimaru era molto veloce: evitava tutti i suoi colpi, ne parava pochi. Non riuscì mai a colpirlo, e le volte in cui lo sfiorava le parve fosse solo perchè lui aveva già preso dimestichezza col suo modo di combattere, la sua velocità e quant'altro. Haruko iniziò a provare molto rispetto per lui in quell'ambito: aveva sempre sospettato che il ragazzo dovesse essere forte, ma ora ne aveva la conferma. Bè, in realtà non era difficile essere più forti di lei...
Non provò mai a colpirla, si limitò sempre solo a schivare e parare. Questo le diede più sicurezza, tuttavia dopo un pò iniziò a irritarsi: la faceva sentire così inoffensiva! Ci mise maggiore impegno, per orgoglio personale ma anche per dimostrare a lui che, si, doveva diventare più forte, ma non era un totale disastro. Poco dopo, tuttavia, il giovane afferrò il suo polso, dopo aver schivato un suo pugno, e lei si ritrovò bloccata, il braccio dietro la schiena, la mano di lui chiusa sul sottile polso con fermezza. Non le fece male. Però, caspita, l'aveva bloccata con una sola mossa. Si sentì una nullità.
-Quando combatti non devi lasciare che le tue emozioni ti guidino. Devi rimanere concentrata sull'avversario. Non so a cosa stessi pensando, ma hai iniziato a metterci più foga. Non va bene-. La lasciò andare, facendola girare su se stessa, e quindi se lo ritrovò di fronte.
-Concentrata- ripetè. Haruko annuì, cercando di non innervosirsi. Quella era sempre stata una sua pecca: ricordava ancora i primi allenamenti con suo padre, che la ammoniva sempre sul fatto di rimanere concentrata, di non lasciarsi prendere dalla fretta o dalla voglia di battere l'avversario.
"La tua fretta ti impedisce di battere il tuo nemico, sciocca" le diceva sempre. Finchè poi lei si mise in testa di non essere portata per gli scontri diretti e scelse di specializzarsi nell'uso delle sostanze più disparate, in particolare i veleni.
Quei ricordi le gonfiarono il cuore di nostalgia; alla svelta riprese ad attaccare Rikimaru nel disperato tentativo di non pensare, di lasciarsi assorbire dall'allenamento. Come faceva ogni ora di ogni giorno, tenendosi impegnata col lavoro e mille altre faccende. Ma, nonostante la sera si ritrovasse estenuata, alcune notti quei ricordi la tormentavano sottoforma di incubi...
Non poteva farci nulla. Sistematicamente, lei si svegliava senza fiato, in lacrime, col cuore in corsa. E poi continuava a piangere, immersa nell'odio verso Kagami, nel dolore delle sue perdite...
Si accorse che stava attaccando Rikimaru come una bambina arrabbiata. Fu per questo che si fermò, ansimante e accaldata. Rikimaru disse:-La tua tecnica non è male. Eseguì mosse semplici, ma lo fai nel modo corretto, e sei abbastanza veloce e precisa. Il tuo problema è un altro-
-La concentrazione-
-Esatto. Devi imparare a svuotare la mente. In questo modo manterrai la concentrazione, studierai l'avversario e registrerai i suoi punti deboli per poi colpirli nel momento più adatto-. Haruko annuì una sola volta, portando le mani sui fianchi e abbassando il capo.
-Chi ti ha insegnato a combattere?-
-Mio padre-
-Era un ninja?-
-Lui...si. Anche mia madre. Ma poi si sono innamorati e hanno deciso di cambiare vita. Si sono sposati, papà ha messo su un piccolo allevamento di galline e un orticello, mamma ha iniziato a lavorare come levatrice. Poi ha avuto...-. Raundomaru. E, dopo dodici anni, lei. Pensare a suo fratello le fece mancare l'aria. Deglutì e respirò profondamente col naso, tentando di essere discreta. Se Rikimaru se ne accorse, non lo diede a vedere; chiese:-Se avevano cambiato vita, come mai tuo padre ti ha insegnato a combattere?-
-Per difendermi, diceva, dai ragazzi o da un eventuale marito...irrispettoso. In realtà lo ha fatto sicuramente anche per altro, per situazioni più pericolose-. E aveva avuto ragione. Eppure, non era servito. Le mancò di nuovo l'aria, un nodo le ostruì la gola e le lacrime premettero dietro gli occhi, prepotenti. Finse di trovare terribilmente interessante un filo d'erba mentre lottava disperatamente contro se stessa per calmarsi. Anche stavolta, Rikimaru non notò o almeno finse di non notare il suo malessere; chiese:-Non ti ha insegnato la meditazione?-
-Le tecniche di base. E' un qualcosa in cui non sono mai stata ferrata-
-E' necessario che impari se vuoi diventare più forte. E, in ogni caso, forse sarebbe meglio che diventassi più forte anche fisicamente. I tuoi colpi saranno più efficaci-
-Va bene-.
Da allora trascorse una settimana intensa per Haruko: al mattino era impegnata al panificio ma, dopo pranzo, dedicava il tempo all'allenamento, fino all'ora di cena. Rikimaru divideva le ore a disposizione in due parti: la prima era dedicata all'allenamento fisico, affinchè lei si rafforzasse, mentre la seconda alla meditazione. In entrambe la ragazza ce la metteva tutta, per se stessa ma scoprì anche per non deludere Rikimaru. Era lo stesso quando la allenava suo padre o quando aveva dovuto imparare a impastare il pane, o quando sua madre le aveva trasmesso tutto ciò che sapeva su erbe e funghi: ad Haruko non piaceva deludere chi le insegnava qualcosa.
Rikimaru era paziente ma allo stesso tempo duro: non alzava mai la voce, non perdeva mai la pazienza, ma era intransigente su ciò che le chiedeva di fare e, durante la meditazione, era parecchio rigido, la teneva costantemente d'occhio affinchè non si distraesse. Haruko sperava ardentemente di raccogliere i frutti di tanto impegno il prima possibile.
***
-Ayame-
-Maestro-. La ragazza era seduta su una roccia fuori casa loro. Osservava da lontano i due ninja presi dall'allenamento, giù al fiume. Intravedeva Haruko sollevare due secchi pieni d'acqua e camminare a passo più veloce possibile sulla sponda del piccolo fiume.
-Qualcosa non va, ragazza mia?-. Parecchie cose non andavano, per la verità: quella sconosciuta che era ancora viva e a casa loro, Tatsumaru che non c'era...
-Maestro. Quella ragazza...fa parte degli Azuma, ora?-. Il vecchio fu stupito dalla domanda della giovane. Rispose:-Nessuno si è posto questo problema. Rikimaru la sta allenando ma non credo che lei abbia espresso questa volontà. Sarebbe un problema?-. Ayame non rispose,  imbronciata. Disse, invece:-E' un idiota-
-Chi?-
-Rikimaru-
-Per quale motivo?-
-Perchè è ingenuo. Si prodiga ad aiutare quella sconosciuta quando invece dovremmo cercare Tatsumaru. Lui non c'è e noi facciamo finta di nulla-. Shiunsai sospirò. Era addolorato dalla perdita di Tatsumaru, e ancor più lo era nel vedere la più giovane dei suoi ninja che non riusciva ad accettare la cosa.
-Ayame, Tatsumaru non c'è più... Se così non fosse, sarebbe già tornato da noi-
-Magari non può farlo...-
-Ayame. Ascoltami bene. Sia io sia Rikimaru non abbiamo dimenticato Tatsumaru. Non potremmo farlo nemmeno se ci provassimo. Per me è come un figlio, per Rikimaru come un fratello maggiore...ma dobbiamo rassegnarci. E non per questo dobbiamo chiudere la porta in faccia a quella ragazza. Vorrei che capissi che non sta sostituendo Tatsumaru nei nostri cuori-
-Nel mio no di certo-
-Nemmeno nel mio, Ayame. E nemmeno in quello di Rikimaru, anche se si sta impegnando molto per aiutarla. Cerca di essere meno contrariata da quello che fa per lei. E sii meno ostile con Haruko-
-Io non sono ostile con lei. La ignoro-. Shiunsai scosse leggermente il capo; niente, Ayame non voleva proprio farsi piacere Haruko. Il vecchio la interpretò come una semplice e ineliminabile rivalità tra donne. In quel caso, c'era poco che lui potesse fare a riguardo.
-Vado ad allenarmi un pò anch'io- asserì la ragazza, alzandosi e correndo via. Il vecchio maestro tirò un altro sospiro.
***
Le si chiudevano gli occhi per la stanchezza, era distrutta. Non vedeva l'ora di mettersi a letto e dormire, sperando che nulla turbasse il suo sonno. Tuttavia prima doveva parlare con Rikimaru.
Era nella sua stanza; bussò e, quando lui le diede il permesso, lei vi entrò. Il ragazzo era seduto per terra e stava leggendo qualcosa con l'ausilio di una candela.
-Scusa il disturbo, volevo solo chiederti una cosa-
-Non preoccuparti. Chiedi pure-
-Volevo solo sapere come vanno gli allenamenti. Non dici mai nulla, non so se sto andando bene o no-
-Bè...tu cosa ne pensi?-
-Io? Uhm...io credo bene. Almeno sul fronte della meditazione va meglio. Pochino, ma va meglio-
-Esatto-
-Ma...va bene così oppure dovrebbe andare ancora meglio?-
-I progressi sono soggettivi. Ed è passata solo una settimana. Io credo vada bene così-
-Va bene-
-Comunque, ho appena saputo che per alcuni giorni dovrai allenarti da sola. Devo andare in missione-
-Oh-. Non seppe cosa dire, sia per la sorpresa sia perchè...
Cosa era, turbata, forse? Perchè?
-Va bene-
-Se dovessi aver bisogno, il Maestro Shiunsai sarà ben lieto di aiutarti-
-Quanto...tempo mancherai?-
-Non so-
-Va bene-. Sembrava che il cervello le si fosse bloccato su quei due vocaboli.
-Allora ti lascio subito riposare. Buonanotte-
-Anche a te-. Haruko uscì immediatamente, ritirandosi nella sua stanza. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


-Haruko!-. La ragazza si voltò; sulla porta c'era la piccola Mina. Le treccine che le aveva fatto le donavano molto, la facevano sembrare una sè in miniatura.
-Cosa c'è?-
-Stai andando via?-
-Si, anche oggi ho finito. Perchè?-
-Due mie amiche volevano le treccine come ce le ho io. Ho provato a farle ma non ci riesco...-. Haruko ci pensò su un attimo, poi disse:-Facciamo stasera, dopo il tramonto-
-Siiiii! Così dico alla mamma se mangi qui!-. La ragazza ridacchiò e acconsentì, intenerita. Sarebbe stata stanca morta dopo l'allenamento, ma avrebbe fatto uno sforzo. Quella famiglia era così gentile con lei che raramente riusciva a dire di no ad uno di loro.
Bella carica nonostante avesse voglia di dormire almeno per mezz'ora, tornò a casa degli Azuma per cambiarsi e iniziare l'allenamento. Tuttavia il suo buonumore svanì presto quando fu pervasa da una strana sensazione di solitudine.
L'assenza di Rikimaru si avvertiva chiaramente. Come un cubetto di ghiaccio sulla schiena. Mentre era intenta a lavorare non se n era accorta ma, ora che si incamminava verso casa...
Cos'era quella sensazione? Vulnerabilità? Senso di solitudine? Scoprì in quel momento che, se all'inizio la presenza costante di Rikimaru celata intorno a lei fosse una minaccia, col tempo era diventata...un conforto. Un elemento della routine che le mancava. Quella libertà improvvisa la spaesava. Nessuno la controllava, poteva andare in un luogo qualunque, fare qualsiasi cosa, poteva perfino uccidere qualcuno, fuggire, uccidere se stessa...
Ma non le andava di fare altro che non fosse ciò che ci si aspettasse da lei, ossia di tornare dagli Azuma, allenarsi fino a sera, andare a dormire stremata. Non aveva voglia di essere da nessun altra parte nè di fare qualsiasi altra cosa. Era quella la sua vita adesso.
Si accorse di essersi ripresa. Pensava ancora a Lady Kagami, a ciò che aveva perso, ancora piangeva e si agitava di notte per questo...tuttavia si era rassegnata. Aveva ripreso a vivere. Ormai si era stabilita lì, aveva un lavoro che non era più solo un modo per tenersi impegnata, bensì quello di renderla indipendente, e aveva una casa, anche se contava di trasferirsi in un'altra a breve, anche se fosse stata una catapecchia. Aveva delle persone che non erano la sua famiglia ma che voleva proteggere. Gli allenamenti con Rikimaru erano mirati a questo. E, d'un tratto, si sentì libera. Libera dalla sua vecchia vita, libera da Lady Kagami. Presto sarebbe stata libera anche dal suo dolore, anche se mai completamente.
E questo era grazie a Rikimaru. Si, era merito suo: merito della sua compassione, della sua rettitudine. Non aveva voluto prendere una decisione affrettata perchè, nonostante fosse abituato a spezzare vite in un attimo, attribuiva un valore alla vita e, se non necessario, non la spezzava mai, anzi, la tutelava. Rikimaru l'aveva rispettata. Aveva atteso di poter capire qualcosa di lei prima che si decidesse della sua vita. Le aveva dato una chance. Miracolosamente, tutto questo aveva dato frutti.
"Rikimaru". Doveva così tanto a quel giovane ninja. Ricordò cosa aveva pensato la prima volta che lo aveva visto, in quella cella: il suo aspetto serioso gli conferiva una maturità che non aveva. Una maturità sia mentale che per età. Aveva avuto ragione circa l'età -Rikimaru aveva la sua età, ossia diciotto anni- ma non per il resto. Rikimaru era davvero maturo come sembrava. E Haruko non poteva che ammirarlo e ringraziarlo per questo. Decise che doveva sdebitarsi in qualche modo, anche se mai sarebbe stato abbastanza. Non aveva idea di come fare, ma si sarebbe fatta venire qualche idea.
***
Erano trascorsi tre giorni. Rikimaru non era ancora tornato. E lei iniziava a preoccuparsi. Che gli fosse capitato qualcosa? Scoprì che l'eventualità che lui fosse morto in missione la terrorizzava. Probabilmente perchè non era pronta a perdere nessuno, soprattutto se si trattava del suo salvatore e maestro.
Impaziente, prima di dedicarsi al solito allenamento pomeridiano, la ragazza si recò dal Maestro Shiunsai. Trovò il vecchio nella sua spoglia stanza, intento a leggere una pergamena; appoggiata accanto a lui vi era una tazza con una bevanda che lei non identificò.
-Maestro Shiunsai? E' permesso?-. Il vecchio sollevò la testa e le rispose:-Certamente, ragazza. Entra pure-. La giovane obbedì e prese posto dinanzi a lui, inginocchiata sul pavimento.
-Come state oggi?-
-A parte qualche dolore sparso, che ormai è da prassi, direi bene. Tu, ragazza?-
-A parte la stanchezza, bene-
-Sei venuta per chiedermi aiuto negli allenamenti?-
-No, in realtà io...volevo...si sa nulla di Rikimaru?-. Il vecchio restò stupito dalla domanda; immediatamente dopo, lo stupore divenne piacere, tuttavia non diede a vedere nulla alla giovane. Rispose:-No, non sappiamo nulla. E' anche vero che ne aveva di strada fare per raggiungere il luogo designato per la missione. Naturalmente al ritorno la strada è la stessa-
-Capisco-. Shiunsai la vide annuire una volta sola e restare impassibile, tuttavia immaginò una certa preoccupazione in lei. E aveva ragione, ma Haruko preferiva tenere per  sè qualsiasi emozione di troppo.
-Maestro?-
-Dimmi, Haruko-
-Io...la prossima volta sarebbe possibile partecipare ad una missione con Rikimaru o Ayame? Perchè vorrei testare sul campo i miei progressi-. La ragazza non aggiunse che preferiva essere affiancata a Rikimaru -Ayame non avrebbe fatto altro che schernirla e lasciarla indietro- ma Shiunsai ci arrivò lo stesso. Rispose:-Valuterò la cosa. Dipende dalla missione che Lord Godha ci assegnerà-
-Mi sembra giusto-
-Ma terrò in considerazione la tua volontà-
-Grazie infinite. So di essere inesperta e non intralcerò in alcun modo Rikimaru oppure Ayame-
-Mi sembra di capire che non rinunci alla tua vita da ninja-. Haruko restò spiazzata. In effetti non ci aveva pensato. Voleva diventare più forte per proteggere ciò che aveva, ma recarsi in missione e lavorare come ninja non era necessario allo scopo. Testare le sue capacità in uno scontro che fosse reale era giusto e doveroso, ma che diventasse sistematico...
Era ancora una ninja, lei? Cosa ne stava facendo della sua vita? Che direzione stava intraprendendo, precisamente? Era una persona semplice, una popolana, oppure una guerriera che serviva attivamente il proprio signore? Difficilmente si poteva essere entrambe le cose.
-Devo ancora...prendere una decisione in merito, in realtà-
-Capisco-
-Perchè me lo chiedete, comunque?-
-Se la tua risposta fosse stata che si, conservi la tua vita da ninja, ti avrei proposto di servire Lord Godha assieme a noi-
-Oh-. Haruko restò spiazzata. In poche parole, Shiunsai era disposto a prenderla nel suo clan? Era commossa. Non era sicura che fosse ciò che volesse fare, essere ninja, ma...sapere che quel clan le lasciava la porta aperta la fece sentire improvvisamente parte del gruppo anche se ufficialmente non lo era. No, non del gruppo...della famiglia. Quei ninja erano una famiglia. E il vecchio maestro le aveva offerto la possibilità di farne parte.
-Io...non so cosa dire...-. Ed era vero. Mille emozioni affollavano il suo cuore: gioia, gratitudine, sollievo, perfino affetto per tutti loro -anche per Ayame, sebbene non fosse mai troppo amichevole con lei-. Alla fine riuscì a dire, sincera:-Grazie. Non so cosa farò ma...intanto, grazie. Di cuore-. Il vecchio registrò la sincerità della giovane, che gli fece tenerezza; replicò, bonario:-Prendi la tua decisione con calma. Puoi accettare o declinare anche l'anno prossimo. L'offerta è sempre valida-
-Grazie- ripetè Haruko, annuendo e sorridendo dolcemente. Il vecchio ricambiò il sorriso, le rughe del viso distese in un lungo istante di bontà paterna e serenità.
***
Il fuoco. Era caldo, bruciante sulla pelle. Era circondata dal fuoco. Case in fiamme, distrutte, cadenti, circondate da cadaveri o gente agonizzante. Suo padre era riverso per terra poco lontano da lei, circondato da una pozza di sangue. Raundomaru. Dov'era, ora che aveva bisogno di lui? Non ce la faceva, doveva proteggere sua madre e Akahito ma non ce la faceva da sola. Presto quella donna sarebbe tornata...
Si svegliò con un violento sussulto, quasi fosse stata in apnea troppo a lungo. Le mancava l'aria, ansimava da matti. Ed era tutta sudata. Sudore freddo. Un brivido la scosse per un secondo. Haruko spinse di lato la leggera coperta del futon e si sollevò a sedere, in attesa che il battito cardiaco impazzito si regolarizzasse, così come il respiro. Deglutì e si guardò attorno, anche se vedeva ben poco per via del buio della notte. Si alzò e uscì, sebbene sentisse le gambe un pò malferme. L'aria fresca della sera fu un toccasana. Tirò un profondo respiro e, sollevata, capì di essersi quasi del tutto calmata. Quei maledetti sogni...
D'un tratto sentì un uggiolio sommesso. Haruko si lasciò guidare da quel suono e raggiunse il retro della piccola casa. Intravide la sagoma di Semimaru, che scodinzolava freneticamente in direzione della stanza di Ayame.
-Semimaru- lo chiamò lei in un bisbiglio; il cane si precipitò da lei e guaì appena, quasi non volesse svegliare nessuno, poi guardò la stanza. Haruko intuì cosa il cane potesse volerle comunicare e, un pò allarmata, si avvicinò alla stanza di Ayame, seguita da lui.
-Ayame?- chiamò sommessamente. Non ottenendo risposta, lo fece ancora. Il cane intanto non scondinzolava più, se ne stava accanto a lei con le orecchie dritte e un'espressione attenta. Haruko chiamò di nuovo la ragazza e udì:-Che diavolo vuoi?-. Contrariamente a loro, Ayame non prestava attenzione all'orario notturno.
-Va tutto bene? Posso entrare?-
-Che cosa vuoi?-
-Io nulla. Semimaru sembra preoccupato per te. Va tutto bene?-. Haruko la sentì borbottare qualcosa oltre il fusuma; alcuni secondi dopo se la ritrovò davanti, i capelli sciolti e scarmigliati e l'aria truce. Si addolcì quando parlò col cane:-Non ti sfugge proprio niente, eh?-. Il cane mandò un breve uggiolio e avvicinò il muso alla mano della più giovane, che si lasciò andare ad un sorriso e lo accarezzò.
-Cosa non gli sfugge?- azzardò Haruko. Ayame recuperò la sua espressione seccata e replicò:-Ma niente, è solo che è quel periodo del mese e sto patendo le pene dell'inferno. Non sai quanto mi stia pesando stare qui in piedi davanti a voi. Semimaru si accorge sempre quando non stiamo bene, non so come faccia-
-Oh, capisco. Se vuoi, posso fare qualcosa. Almeno riesci a dormire un pò-
-Non mi sembra di averti chiesto nulla-. Paziente, Haruko sospirò e disse:-Allora ti dirò cosa puoi fare e farai tutto da sola, compreso il decidere se ascoltarmi o meno-
-Guarda che solo perchè hai incantato Rikimaru e il Maestro non vuol dire che funzioni anche con me e che inizi a trattarti come un'amica. Non esiste-. Haruko, ferita, perse la pazienza. Brusca, ribattè:-Mi hai proprio stancata. Non mi aspetto che diventiamo amiche o chissà cosa, ma non credo nemmeno di meritarmi questo tuo comportamento infantile e insensato. Non ti ho fatto nulla. Prima eravamo nemiche, adesso siamo dalla stessa parte, per cui puoi anche smettere di...-. Ayame aprì la bocca per dire qualcosa, ma Haruko alzò la voce, incurante di che ore fossero, e fece:-No, cara, adesso stai zitta e parlo io. Non siamo nemiche e io non so più come dirtelo. Non dobbiamo necessariamente andare d'accordo, ma vedi di calmarti quando parli con me, è chiaro? Se non altro perchè sono più grande di te. Volevo solo essere gentile ma, se proprio non riesci a sopportarmi, allora dillo una volta per tutte e farò come se non esistessi-. Ayame la fissò coi suoi occhi scuri, il viso immobilizzato in un'espressione irata. La sua piccola mascella era tesa. Haruko capì che non ci fosse nulla da fare, quindi concluse, con astio:-Bè, tieniti i tuoi dolori. Buonanotte-. Si voltò e si allontanò a grandi passi, lasciandola lì senza dire altro. Semimaru si limitò a spostare lo sguardo dall'una all'altra, evidentemente confuso, ma nessuna delle due ragazze ci fece caso. Haruko si fermò prima di svoltare l'angolo, si voltò e aggiunse, dura:-E comunque, tanto per puntualizzare, ho detto una cosa inesatta. Noi non siamo mai state nemiche. Non lo eravamo nemmeno all'inizio. Forse lo siamo ora, e non per colpa mia-. Ciò detto, svoltò l'angolo e sparì, innervosita. Ayame chiuse il fusuma con uno scatto violento, lasciando il cane fuori, che restò spiazzato, la testa reclinata di lato. Si stese lì davanti e sospirò, chiudendo gli occhi per dormire.
***
Haruko si era addormentata e aveva iniziato la sua giornata come sempre, senza più pensare all'alterco avuto con Ayame quella notte. Aveva semplicemente deciso di ignorarla, come lei voleva. Del resto, quante volte suo padre le aveva detto che si faceva così con la gente? Comportarsi a specchio, questo era il suo motto: comportati bene con chi lo fa con te, evita chi ti intralcia o, nel peggiore dei casi, ripaga con la stessa moneta. Bè, era esattamente ciò che quella piccoletta bisbetica si meritava.
Ayame, al contrario, non aveva più chiuso occhio, sia per i dolori mestruali sia per il nervosismo scatenato dalla rispostaccia di Haruko. I dolori si erano fortunatamente placati e lei riusciva a fare tutto come se non avesse nulla, tuttavia la mancanza di sonno e quel litigio la rendevano davvero intrattabile. Nemmeno Semimaru riusciva ad addolcirla, motivo per il quale se ne stette per conto suo tutto il giorno, a tentare di rilassarsi un pò nel silenzio della vicina foresta di bambù. Il verde, il cinguettio degli uccellini e la tranquillità del posto ebbero in effetti il potere di sedare i suoi nervi. E la portarono anche a riflettere. Non ci aveva fatto caso subito, ma finì col ripensare di continuo alla puntualizzazione che Haruko aveva fatto prima di mollarla sulla porta e andarsene. Cosa significava che non erano mai state nemiche? Che lo erano solo adesso? Lei faceva parte dei ninja di Toda...
Ayame non era ancora certa che lei fosse inoffensiva e che ci si potesse fidare di lei, tuttavia era decisa a vederci chiaro una volta per tutte. Ci rimuginò su a lungo ma, nel tardo pomeriggio, non ne potè più e decise di essere più diretta. Per questo motivo, non appena la vide tornare dal fiume per dedicarsi alla meditazione, la intercettò. Erano nel boschetto vicino casa. Ayame la vide prendere posizione, seduta per terra con le gambe incrociate, la schiena diritta, il mento alto.
-Ehi tu-. Haruko si voltò in sua direzione, trovandola poggiata ad un albero con una mano sul fianco sottile.
-Sono impegnata-
-Lo sei sempre. Ma ho una domanda da farti-
-Problemi tuoi-
-E' importante-
-Ripeto: problemi tuoi-. Contrariata, Ayame pensò che quella ragazza sapeva essere veramente stronza. Bè, era consapevole di meritarselo. Si avvicinò e le si piazzò di fronte; Haruko, che aveva chiuso gli occhi per dedicarsi alla meditazione, li riaprì e li sollevò verso il cielo, seccata.
-Cercherò di fare in fretta. Non credere che mi piaccia parlare con te-
-E' reciproco. Bè, parla e sparisci-. Haruko si alzò in piedi: Ayame era piccola ma aveva un carattere forte, per cui guardarla dal basso la metteva a disagio. In piedi Haruko era più alta di diversi centimetri e ciò la faceva sentire meglio.
Ayame disse, senza troppi preamboli:-Ieri notte hai detto che non siamo mai state nemiche. Ma non è vero, tu eri nella fazione di Toda-
-La domanda qual è?-
-Cosa intendi? O è un nuovo modo per prenderci in giro?-
-Accidenti, Ayame, mi fai l'onore di prestare attenzione a ciò che dico e a pensarci anche dopo. Bè, direi che una risposta te la sei meritata-
-Spiritosa-. Haruko abbandonò il suo cipiglio ostile e capì che doveva una spiegazione ad Ayame, così come agli altri ninja Azuma, che fino a quel momento non aveva fornito. Per farlo doveva dire qualcosa in più anche su di sè. La cosa non le andava -stava meglio, ma non così tanto da parlare del suo passato senza che questo le suscitasse emozioni spiacevoli- ma non poteva tirarsi indietro. Lo doveva a tutti loro, se non altro per la loro ospitalità e per il fatto che fosse ancora viva. Non le piaceva doverlo fare con Ayame...ma forse avrebbe avuto una scusa per non scendere troppo nei dettagli.
Haruko sospirò e rispose, sintetica:-Si, ero nella fazione di Toda. Ma non servivo davvero lui. Io avevo un altro obiettivo-
-Ossia?-
-Ricordi quella donna? Quella contro cui stava combattendo il vostro compagno, Tatsumaru?-
-Certo che me la ricordo-
-Lei era il capo dei ninja al servizio di Toda. Era una donna violenta e senza cuore che io odiavo e odio ancora con tutta l'anima-. La giovane si era sforzata di mantenere un tono neutro, ma era perfettamente conscia di aver fallito. La voce le vibrava di rancore, e se ne accorse anche Ayame. Lei fece finta di nulla e la incalzò:-Perchè la odiavi?-
-Mi ha portato via tutto. Io, come avrai immaginato, sono originaria di un altro villaggio, più piccolo di questo...che ora non esiste più. Perchè quel demonio, un giorno, è venuto a razziarlo-. Ayame aggrottò appena le sopracciglia, basita e colpita dal fuoco nero che vedeva negli occhi solitamente pacifici della più grande. Haruko seguitò:-Non so quale ordine le avesse impartito Toda riguardo al mio villaggio, fatto sta che lei aveva bisogno di rimpolpare le sue fila. Distrusse tutto e uccise chiunque fosse debole o rifiutasse di seguirla. Con questo intendo ha ucciso vecchi e bambini indiscriminatamente, disabili, malati, donne, anche incinte o mamme da poco, ragazzini, chiunque non potesse o volesse esserle utile. Ha ucciso anche i miei genitori. E il mio ragazzo. Io l'ho seguita perchè quello era l'unico modo per riuscire a vendicarmi, un giorno. E, quando ci siamo incontrate, io ho tentato di uccidere Tatsumaru non per salvare lei, bensì perchè temevo che mi intralciasse, che non sarebbe riuscito a eliminarla e che non ci sarei riuscita nemmeno io, che avrebbe fatto andare storto qualcosa. E in effetti è così che è andata. Ma, quantomeno, adesso è morta. Spero stia marcendo nell'inferno più rovente-. Haruko era tutta un fuoco. Un fuoco oscuro che spaventò Ayame. Un fuoco che le avrebbe tolto anche il minimo barlume di ragione se Kagami fosse stata davanti a lei in quel momento. Le si sarebbe scagliata addosso per ucciderla indipendentemente dal fatto che lei fosse più forte e avrebbe avuto la meglio. Ayame la osservò, il volto livido di odio, la postura rigida, i pugni serrati tanto da avere le nocche nivee. E, per la prima volta, le credette. Non poteva essere una finzione quella. Tutta quella rabbia...
Haruko voltò la testa di lato con uno scatto, recidendo il contatto visivo; Ayame notò la sua mascella tesa. Pensò che, se avesse continuato a stringere i denti in quel modo, se li sarebbe fatti saltare. Disse:-Quindi, adesso non devi vendicarti-
-Temo di no-
-E ti stai facendo davvero una nuova vita qui-
-Infatti-. Haruko tornò a fissare Ayame dritto negli occhi, con una limpidezza e una sfacciataggine che Ayame riconosceva nei propri. Quella ragazza non le sarebbe mai piaciuta del tutto...ma pensava di poterla soffrire un pò di più.
-Albergherai a casa nostra fino a quando?-
-Finchè non troverò un'altra casa. Appena possibile-
-Intendi restare al villaggio, quindi-
-Per ora almeno, si-
-E, se non hai nessuno di cui vendicarti, perchè ti alleni per diventare più forte?-
-Perchè non voglio trovarmi impreparata in caso di un nuovo attacco da parte di qualche altro psicopatico come quella maledetta donna. Non posso interamente contare solo su te e Rikimaru-. Ayame annuì una volta, credendo anche a quello e pensando che, al suo posto, avrebbe fatto lo stesso. Erano molto più simili di quanto non sembrasse.
-Posso continuare ad allenarmi, ora?-
-Fa pure-. Ayame le diede le spalle e sparì su un albero. Aveva la sensazione che, sebbene la ragazza fosse stata sincera, non avesse rivelato proprio tutto; tuttavia, ciò che aveva detto poteva bastare. Tutti avevano diritto di possedere dei segreti, e ciò che ora lei sapeva era sufficiente. Si chiese se Rikimaru fosse già a conoscenza di ciò e non avesse detto nulla a nessuno solo per correttezza -non se ne sarebbe affatto stupita-.
Haruko tornò seduta, gambe incrociate, schiena diritta, occhi chiusi. Un minuto dopo, tuttavia, tornò in piedi e corse via.
***
Aveva smesso di correre perchè il suo corpo non ne poteva più: i polmoni le scoppiavano, il fiato le mancava, il cuore martellava impazzito, le gambe la reggevano appena.
Non era finita lontano dal villaggio, cosa di cui si stupì. Si trovava in un punto molto alto, dal quale vedeva il villaggio interamente, la foresta di bambù, il fiumiciattolo, le piccole montagne vicine, i campi e i prati, perfino le persone che concludevano la loro giornata di lavoro tornando alle loro case. Invidiò tutta quella gente spensierata, che forse non era felice ma non aveva nemmeno il cuore distrutto come lei.
Haruko crollò sull'erba mentre recuperava il respiro. A stento notò che stava stringendo alcuni fili d'erba in una mano; se fossero stati la mano di una persona, in quel momento sarebbe stata cianotica per quanto era forte la sua presa.
Se ne rese contò e mollò la povera erbetta, alzando la testa. Era il tramonto. Lo sguardo si perse sul cielo arancio, rosato attorno al sole morente e caldo. Ayame aveva riaperto quella brutta ferita che ancora non si era rimarginata. La odiò per un istante. Le cadde una lacrima mentre emetteva un lungo lamento gutturale.
 
Si era allontanata di corsa dal pollaio con la scusa di andare a comprare del mangime per i polli. Corse verso il piccolo fiume, in fermento: non vedeva l'ora di vederlo. Quando arrivò sulla sponda del fiume, nel punto dove erano soliti incontrarsi, non lo vide e lo cercò con lo sguardo, tuttavia affatto sorpresa: Akahito non era un tipo puntuale. Nemmeno terminò quel pensiero che si ritrovò le mani di qualcuno sugli occhi; non vedeva più nulla, ma non si allarmò.
-Smettila scemo!- esclamò lei, ridacchiando, le guance colorite di emozione. Si liberò dalla presa e si voltò, incrociando lo sguardo allegro di Akahito.
-Che razza di ninja sei se ti fai sorprendere alle spalle così?-
-Smettila! Non ero all'erta, tutto qui-
-Si si, secondo me sei solo scarsa-
-Non è vero!-. Gli fece una linguaccia e gli mise il broncio, ma lui scoppiò a ridere e la abbracciò, sciogliendola all'istante. Timidamente, lei abbassò lo sguardo, dicendo:-Non ho molto tempo...-
-Nemmeno io...quindi, approfittiamone-. Nemmeno terminò la frase che le diede un bacio tra i capelli; Haruko arrossì vistosamente, ma sollevò lo sguardo e lo fissò nei suoi occhi scuri e dolci, mentre sorrideva e le era vicinissimo. Ignorò la timidezza e si alzò sulle punte per cingergli il collo con le braccia, fissando le sue labbra sottili ma invitanti. Chiuse gli occhi; il cuore le batteva forte e sperò che il tempo si fermasse...
-Che odore-
-Cosa?-
-Non senti nulla?-
-Che dovrei sentire?-
-Puzza di bruciato-. Haruko si staccò da lui, accigliata, ma colse anche lei quell'odore acre di qualcosa che bruciava. E, subito dopo, delle urla allarmarono i due ragazzi, che si scambiarono uno sguardo spaventato...
Haruko abbassò il capo, mordendosi le labbra mentre lasciava che le lacrime le scorressero sul volto.
Le urla e il puzzo di bruciato li nausearono ancor prima di raggiungere il villaggio; quando vi arrivarono, restarono paralizzati per qualche istante. Haruko dimenticò di non essere sola, rapita da ciò che aveva davanti agli occhi: caos. I suoi compaesani fuggivano da una parte all'altra come un branco di galline terrorizzate da una volpe. Alcuni erano aggrediti da uomini e donne di una violenza spaventosa che Haruko catalogò subito come ninja, sebbene non ne avesse mai visto uno tranne che i suoi genitori. Le loro lame, di qualunque arma facessero parte, erano affilate ma affatto lucenti: la ragazza si stupì di quanto fossero luride di sangue. E di come la carne umana sembrasse burro fuso quando esse vi penetravano. La mente di Haruko registrò ciò che i suoi occhi sbarrati colsero: un uomo dall'espressione impassibile che afferrava il pastore per la nuca, lo attirava a sè e gli tagliava la gola con la spada con un colpo secco, per poi gettarlo per terra come se fosse un sacco pieno di immondizia e passare ad una bambina, che piangeva e strillava....
-Haruko, non guardare!-. Le mani di Akahito furono di nuovo sui suoi occhi, ma le orecchie della ragazza colsero comunque lo strillo strozzato della bambina e si ritrovò in lacrime, tremante, scioccata.
 
Portò le mani al petto, respirando a fatica per la nitidezza di quell'immagine.
 
-Vieni, vieni qui!-. Akahito le afferrò un polso e la trascinò via; lei, scioccata da ciò che stava accadendo, quasi non se ne accorse. Si ritrovò dietro una casetta con lui che le metteva le mani sul viso.
-Haruko! Haruko, ehi....!-
-Perchè...cosa diavolo...-
-Non lo so, io...-. Haruko colse solo vagamente lo sconvolgimento nella voce del ragazzo. La sua mente era assediata dalla visione della morte dei suoi compaesani, cruenta, senza pietà...
"Fino a poco prima che mi allontanassi dal villaggio....". D'un tratto si riscosse, gli occhi sbarrati, il cuore che batteva all'impazzata. I suoi genitori! Raudomaru!
-La mia famiglia!- quasi gridò, liberandosi delle mani di Akahito.
-Haruko, aspetta!-. Lui tentò di fermarla, ma lei lo allontanò e corse via, verso la propria abitazione. Non le fu difficile non essere notata in tutto quel trambusto, data anche la velocità con la quale si muoveva. Akahito faticava a starle dietro, tuttavia non la perse di vista, cosa che lei notò solo in parte. Riconobbe cadaveri di gran parte delle persone che conosceva: i genitori di una sua amica, il contadino, il vigilante, la sarta, il fratellino di un suo amico, il cane di un'altra amica....
Non vedere i suoi familiari non placò il galoppo del suo cuore terrorizzato.
 
Respirava a fatica, ma suo malgrado non riuscì a fermare la sequenza di quei ricordi implacabili, così nitidi, dolorosi come fuoco sulla carne viva...
 
Aveva raggiunto la sua casa e ciò che vide le strinse dolorosamente il cuore in una morsa di ghiaccio: il pollaio era distrutto, delle galline non c'era più traccia -dovevano essere tutte fuggite- e l'asino giaceva in terra morto, riverso su un lato, la bocca aperta e gli occhi chiusi, in un lago di sangue nero. La sua casa era invece vittima delle fiamme, fiamme alte e affamate che la inghiottivano e la consumavano avidamente. Erano caldissime, infernali. Restò immobile a fissarle per un tempo che non seppe definire, annichilita: dov'erano i suoi? Cosa doveva fare?
Perchè stava accadendo tutto questo?
-Haruko!-. Akahito era di nuovo al suo fianco. Le prese la mano e la voltò verso di sè, dicendo, dolente:-Dobbiamo andare via! Dobbiamo salvarci!-
-Ma...-
-Haruko...-. Stava per piangere. Akahito, che era sempre allegro, in quel momento era sull'orlo del pianto, come un bambino abbandonato che ha perso tutto. Che la sua famiglia fosse...?
-Haruko! Fuggite VIA!!-. Entrambi si voltarono di scatto, riconoscendo la voce del padre della ragazza. Quasi le cedettero le ginocchia per il sollievo. Ma fu per un secondo.
Haruko visualizzò suo padre, la pelle logora di terra e sudore, i vestiti sporchi e laceri, i capelli brizzolati scompigliati peggio di quando si alzava al mattino, la mano destra che impugnava la katana...
Davanti a lei, una donna. Non poteva essere altro che una guerriera, data l'armatura -seppur piuttosto succinta-, la lunga katana che portava e la sicurezza con cui la impugnava.
Contro suo padre.
-Chi sono quei ragazzi, vecchio? I tuoi figli?-
-Non ti riguarda, razza di demone!-. Nemica. Quella donna poteva solo essere una nemica, a giudicare da come le si rivolgeva suo padre. Con aggressività, odio. E anche una punta di panico, notò lei.
Forse la notò anche la donna, che era bella come una principessa ma minacciosa come un uragano. Forse altrettanto violenta; Haruko la vide sorridere -le si accapponò la pelle- e chiedere loro:-Sapete combattere, ragazzi?-
-Lasciali stare!- esclamò il padre di Haruko, lanciandosi contro di lei. Ma la donna evitò l'assalto con una facilità inaudita, probabilmente in quanto l'uomo era già esausto. Gli diede una ginocchiata nello stomaco, una gomitata sulla nuca; quando cadde prono per terra, gli conficcò la katana nella schiena con un colpo secco...
-PAPA'!!- strillò lei, graffiandosi la gola. Akahito trasalì forte, atterrito, e cadde in ginocchio. Lei, invece, scoppiò in lacrime, distrutta, sotto shock.
-Rispondete- fece la donna, rivolgendosi a loro. Nessuno dei due fu in grado di farlo. Haruko iniziò a tremare forte e si maledisse di non avere con sè un'arma, anche se dubitava che potesse esserle utile contro quel mostro.
Mostro. Aveva ucciso suo padre, sicuramente aveva ammazzato lei anche l'asino, distrutto casa sua e il pollaio...
 
-Maledetta- sibilò, come se l'avesse di fronte in quel momento.
 
La vide avvicinarsi a passo sicuro. Haruko provò l'impulso di fuggire, ma le gambe non rispondevano. Nemmeno Akahito si muoveva, di fianco a lei.
Si fermò di fronte a loro; era più alta di Haruko, forse anche di Akahito.
-Sapete combattere? Mi servono giovani che siano disposti a seguirmi e....-
-Vattene- mormorò Haruko. Fu l'unica cosa che riuscì a dire. Si sentì immensamente piccola, vulnerabile. Pensò che fosse la sua ora. Pensò che lei l'avrebbe trafitta con quella katana, intrisa del sangue di suo padre e chissà di chi altro...
-Allora non mi servite. Tranquilli, farò in fretta-
-Lasciala stare!-. Akahito scattò in piedi e si interpose tra lei e quel demone armato.
-Vattene!- le urlò contro, ma la voce gli tremava. Haruko riuscì solo a restarsene immobile, impaurita da qualunque cosa stesse per succedere, che senz'altro non poteva essere nulla di buono. Ed ebbe ragione.
Fu tutto piuttosto rapido. Un secondo dopo Haruko si ritrovò in ginocchio, col corpo di Akahito moribondo tra le sue braccia. Piangeva, piangeva rumorosamente come non aveva mai fatto prima, come una donnicciola indifesa, lei che si era sempre vantata con tutti di essere una ninja, di non essere debole...
-Aka...hito!-
-Haruko...vai...- sussurrò lui a malapena, per poi chiudere per sempre i suoi occhioni scuri e spirare tra le sue braccia. Un urlo squarciò la gola della giovane...
 
Le pareva di averlo tra le braccia come allora, di avvertire la sensazione di bagnato del suo sangue sui vestiti e sulle mani.
Akahito. Povero Akahito, che aveva tirato fuori il coraggio nel momento sbagliato...
 
-Tranquilla, adesso ti faccio stare meglio- le disse la ninja, sollevando di nuovo la katana per abbatterla su di lei...
-No, Lady Kagami!-. Haruko mise a fuoco Raundomaru, che corse verso di lei. Haruko era così scossa, dal pianto, dal dolore, tutto, che non riuscì a pronunciare nemmeno una lettera del suo lungo nome, e a stento lo mise a fuoco tra tutte quelle lacrime. L'unica cosa sicura era che il suo enorme fratello le era accanto e torreggiava su di lei. Ma temeva per lui.
-Conosci questa ragazza?- gli disse la donna. Come? Loro...?
-E' mia sorella, Lady Kagami. Risparmiala-
-Oh. Bè, non vuole seguirci-
-Ci seguirà! Ci penso io!-
-Come vuoi-. Haruko, accigliata, la vide correre via. Probabilmente a breve avrebbe fatto fuori qualcun altro. Ma cosa...?
-Dove...la mamma...- biascicò lei, ma Raundomaru la capì comunque poichè le rispose:-Ha aggredito Lady Kagami. Non c'è più-. Haruko riuscì solo a piangere, disperata, confusa e impotente.
-Ma perchè tu....?-. La sua vita prese una brutta piega proprio in quell'istante. Avrebbe potuto prendere una decisione diversa, invece lasciò che suo fratello la tirasse su come una bambolina e se la tirasse dietro, spiegandole animatamente -con entusiasmo- cosa stesse succedendo e chi fosse Lady Kagami. Mentre suo fratello parlava di quell'inferno come un bambino che ha ricevuto un nuovo giocattolo, Haruko riusciva solo a guardare i cadaveri di suo padre e Akahito, sempre più lontani mentre lui la trascinava via...
***
Il sole era completamente tramontato, sostituito da un cielo nero e delle limpide stelle, quando Haruko fece ritorno a casa Azuma. Camminava piano, la schiena piegata, come se avesse molti più anni rispetto alla realtà.
-Oh, eccoti-. Il Maestro Shiunsai era seduto fuori, sul gradino di casa.
-Chiedo scusa se sono sparita- mormorò lei, lo sguardo basso; fingersi noncurante non le riuscì bene. E infatti lui disse:-Non stai bene-. Già, non era una domanda.
-Io...no. No, Maestro. Non sto bene. Ma non importa-. Ci furono alcuni istanti di silenzio, durante i quali la ninja avvertì su di sè lo sguardo gentile del vecchio. Lui annuì appena...e disse:-Vieni qui, ragazza-. Lo disse con un tono così benevolo e paterno che Haruko si sciolse completamente. Credeva di non avere più lacrime, eppure scoprì di essersi sbagliata. Si ritrovò col capo sulle gambe del maestro, in lacrime come una mocciosa, mentre lui le carezzava dolcemente la testa piena di treccine. Sebbene il suo pianto non fosse rumoroso, Ayame e Seminaru, che erano insieme nella stanza di lei, lo avvertirono. E anche Rikimaru, nonostante fosse quasi del tutto perso nella nebbia del sonno.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


-A domani!-
-A domani, cara!-. Haruko lasciò la panetteria, accompagnata dal sorriso allegro seppur stanco di Shizune. Una volta uscita, accanto alla porta, trovò la piccola Mina seduta su un gradino. Aveva il volto imbronciato.
-Ehi, piccola. Che brutta faccia. Qualcosa non va?-
-Oh, Haruko. No, niente-
-Non si direbbe. Ma se non vuoi parlarne non fa niente, non mi offendo. Però prendi uno di questi biscotti. Li ho fatti io stamattina e sono avanzati-. La giovane porse un grosso biscotto alla bimba, che non ci pensò due volte a prenderlo e ad addentarlo, ringraziandola subito dopo.
-Piaciuto?-
-Si! Sei brava!-
-E' bravo tuo padre a insegnarmi! Bè, piccola...se non hai nulla da dirmi, io vado-. Haruko scese i pochi gradini, ma si fermò quando la piccola borbottò:-Ho paura-
-Di che cosa?-
-Per...la mamma-. Haruko restò interdetta; preoccupata, si sedette accanto alla bimba e le chiese:-In che senso?-
-Non sta bene...si stanca subito. Quella panciona-. Haruko sorrise e replicò:-E' normale. Va tutto bene. Presto non avrà più quella panciona e starà meglio-
-Ma...com'è avere un fratellino? O una sorellina? Vedo i miei amici che litigano coi loro fratelli...-. Haruko deglutì; ricordare suo fratello non le fece piacere. Tuttavia disse:-E' normale litigare coi propri fratelli, soprattutto quando si è piccoli. Ci saranno momenti in cui lo odierai (o la odierai) perchè dovrai dividere tutto, perchè i tuoi genitori daranno meno attenzioni a te oppure perchè ti farà dispetti...ma non dura per sempre. Crescerete e vi vorrete bene-
-Dovrò aspettare di crescere? A che età devo arrivare?-. La ninja ridacchiò, intenerita, poi disse:-Non c'è un'età fissa. Dipende da voi. Tu cerca di essere sempre buona e paziente e vedrai che non dovrai aspettare molto. Potrebbe anche piacerti da subito. Di sicuro ti piacerà dopo-
-Se lo dici tu...ma tu come fai a sapere tutte queste cose?-
-Ehm, io...-
-Tu hai fratelli o sorelle?-. Haruko divenne triste tutto d'un tratto, ma si impegnò per non mostrarlo alla bambina; rispose, guardando la strada:-Avevo un fratello maggiore. Mi faceva un sacco di dispetti, litigavamo sempre, ma ci volevamo bene. A volte ci coprivamo l'un l'altra se combinavamo qualche marachella. Oppure capitava che io lo difendessi dagli altri bambini, che lo prendevano in giro perchè era un pò lento nei ragionamenti ed era grande e grosso e goffo-
-Ah, ho capito! E ora dov'è?-
-Lui...è partito. Non lo vedo da un bel pò di tempo-
-Ti manca?-. Haruko esitò nel rispondere. A primo acchito era portata a rispondere di si, ma poi ricordava la freddezza e la crudeltà con cui aveva eliminato Yoshi, con cui aveva messo da parte lei per servire Lady Kagami, scegliendo di ucciderla...
-Scusami piccola, devo andare. Ho un pò da fare-
-Ah, va bene. Ciao ciao!-
-Ciao!-. Le fece una carezza sul capo e si allontanò a passo svelto, cercando di scrollarsi di dosso il ricordo di suo fratello. Ci riuscì quando la sensazione di essere osservata, che non avvertiva da alcuni giorni, si rifece viva. Si guardò intorno...e trovò presto chi cercava, dato che balzò giù da un tetto, atterrandole accanto.
-Rikimaru!-. Esclamò il suo nome con più gioia di quanto pensasse; in effetti, era molto felice di vederlo. Finalmente era tornato e stava bene.
-Ciao, Haruko-. Rikimaru aveva ascoltato la breve conversazione avuta tra la ragazza e la bimba poco prima, tuttavia decise di non farne parola per non importunare Haruko. I due si incamminarono verso la casa degli Azuma; Haruko porse un biscotto a Rikimaru dicendo:-Ti va?-. Il giovane non rifiutò, anche se prese il biscotto con una certa esitazione: Haruko pensò che non fosse abituato a ricevere doni di alcun tipo. Sembrò piacergli, dato che lo divorò all'istante.
-Piaciuto?-
-Si, molto buono-. La giovane pensò subito di prepararne altri appena possibile, solo per Rikimaru: gli era infinitamente grata per la possibilità che le aveva dato facendola restare lì e allenandola, era smaniosa di sdebitarsi in ogni modo. Gli disse:-Ce ne sono altri. A sufficienza per tutti. Ne farò degli altri a breve. E anche del pane-. Il giovane si limitò ad annuire. Haruko domandò scherzosamente:-Come mai mi osservavi? Hai ripreso la tua vecchia missione?-
-Certo. Non era conclusa. Ho solo dovuto interromperla temporaneamente-. Haruko scherzava ma Rikimaru no e lei se ne accorse. E ci restò male. Aveva pensato che, sotto sotto, ormai non fosse più solo una missione quella di tenerla d'occhio...invece si era sbagliata. Rikimaru, sebbene le avesse dato modo di riscattarsi, non si fidava ancora completamente di lei. Lei era ancora solo una missione per lui, null'altro. Haruko invece aveva finito per affezionarsi a lui, tanto da avvertire la sua mancanza mentre lui non c'era stato. Bè, aveva esagerato. Lui l'aveva salvata e l'aveva aiutata, ma nulla più. Doveva tenerlo a mente.
-Capisco- replicò.
***
Aveva i denti digrignati. Molto digrignati. Forse non le faceva bene stringere le mascelle a quel modo. Oppure avrebbe dovuto farle mettere qualcosa di morbido tra i denti. Bè, forse la prossima volta, non era certo il caso di interromperla, visti gli sforzi eccessivi che faceva per completare l'esercizio.
Percorreva la riva del piccolo fiume con un'asta di legno sulle spalle, alle cui estremità erano appesi due secchi pieni di pietre. Doveva camminare a passo svelto, meglio di corsa, ma per lei era troppo faticoso. Aveva il viso paonazzo e bagnato di sudore, la fronte corrugata, le mascelle contratte, gli occhi scuri puntati per terra.  Riusciva a fare una ventina di passi veloci, poi rallentava e riprendeva di nuovo, concentrata, caparbia sotto quel peso. Non era molto forte fisicamente, tuttavia non aveva una costituzione debole e Rikimaru era convinto che potesse migliorare presto. Alcuni progressi c'erano già stati. Ogni tanto lui la aiutava incoraggiandola a parole: il Maestro Shiunsai aveva fatto così in passato con lui e Ayame, e Rikimaru lo ricordava bene. Si chiese se il padre di Haruko avesse fatto altrettanto quando, in vita, aveva pensato lui agli allenamenti della figlia. Anzi, dei figli. Haruko aveva un fratello. Di cui non si sapeva nulla. Lei non lo aveva mai menzionato; anche quando gli aveva parlato in breve della sua famiglia, suo fratello non era stato nominato, come se non esistesse. Perchè? Rikimaru non sapeva se fosse giusto chiederglielo, nè se fosse importante. L'unica cosa certa era che la ragazza non aveva un buon ricordo di lui, a giudicare dal modo schivo con cui ne aveva parlato con Mina. Sicuramente gli aveva voluto bene, ma poi doveva essere successo qualcosa.
I pensieri del giovane furono interrotti proprio dalla ragazza, che inciampò e per poco non cadde sotto tutto quel peso; Rikimaru si allarmò, tuttavia lei restò in piedi e continuò come se nulla fosse. "Brava" pensò lui, soddisfatto. Quella ragazza gli ricordava un pò se stesso: Rikimaru era abituato a impegnarsi seriamente in tutto ciò che faceva, e così lei. Ricordava bene quanto aveva dovuto faticare durante gli allenamenti con il Maestro, quanto sudore e forze aveva perso, quanti lividi, graffi e ferite di ogni genere aveva riportato a casa pur di concludere gli allenamenti in modo soddisfacente. E così faceva lei. In tutto, anche nel lavoro. Ricordò il biscotto che lei gli aveva dato prima di pranzo; non sapeva quali fossero le competenze passate di Haruko, ma di certo non quelle di panettiera o cuoca, eppure era diventata indispensabile per il panettiere del villaggio ed era riuscita perfino a imparare a realizzare quei biscotti, che erano perfetti. L'impegno e la dedizione di Haruko avevano colpito Rikimaru fin dall'inizio, ogni giorno. Eppure, in quel momento, i suoi pensieri presero una piega diversa.
La seguì mentre procedeva coi secchi sulle spalle, e il suo sguardo finì su un piccolo fiorellino bianco con striature viola. Ricordò il biscotto che lei gli aveva dato. Rikimaru era sempre stato molto educato con tutti: il Maestro Shiunsai gli aveva insegnato anche quello, ancor prima degli allenamenti e delle arti marziali. Il giovane ninja sapeva che, se si riceve un regalo, bisogna ricambiare. Un biscotto non era gran che, ma Haruko era stata comunque molto cortese nei suoi riguardi e meritava altrettanto.
"Chissà se le piacciono i fiori...". Eppure, la cosa lo agitò senza che ne capisse il motivo. Forse perchè non aveva mai fatto regali a nessuno, men che meno ad una ragazza.
-Oh!-. Il filo dei pensieri di Rikimaru fu reciso da quel gemito: Haruko era in ginocchio, stremata. Ancora non aveva mollato l'asta coi secchi, però. Aprì la bocca per dirle che poteva bastare per quel giorno, ma preferì richiuderla mentre la osservava sollevare prima un ginocchio e poi l'altro...e quindi tornare in piedi e percorrere la sponda del fiume. La lasciò fare, tuttavia la seguì più da vicino per soccorrerla nel caso avesse avuto bisogno, per evitare che si facesse male.
***
Haruko era stanca morta e la notte non le donò il ristoro che sperava. La giornata che seguì fu parecchio impegnativa per lei, molto più del solito. Quando arrivò in panetteria, vide che era tutto chiuso; stranita, bussò alla porta di casa del panettiere. Venne ad aprire Mina: aveva gli occhi sbarrati ed era pallida.
-Ehi, che succede?-
-Haruko! Vieni, la mamma ha bisogno di aiuto!- quasi strillò la bimba, atterrita, prendendola per mano e tirandola dentro ancor prima che potesse replicare. La trascinò nella stanza dei suoi, ma Haruko capì di cosa si trattava ancor prima di arrivarvi per via dei gemiti che avvertiva.
-Papà! C'è Haruko!-
-Oh, grazie agli Dei!- esclamò l'uomo. E Haruko ebbe conferma di ciò che aveva immaginato. La stanza era angusta e poco illuminata; per terra, su un futon e tante coperte, era stesa Shizune, supina, ansimante, che si lamentava rumorosamente. Il futon era bagnato.
-Sta per nascere- asserì la ragazza, e l'espressione atterrita di Takao, ancor più di quella della figlia, lo confermava. La donna alzò la testa e mise a fuoco la ragazza, ma non riuscì a dire nulla, anzi la fece ricadere all'indietro. Seppur spaventata a sua volta -aveva assistito ad un parto una volta sola, e di certo non aveva dovuto pensarci interamente lei!- prese in mano le redini della situazione, sapendo che poteva farlo solo lei, e si precipitò al fianco della donna. Si rivolse al panettiere, concitata:-Dei cuscini! Almeno due!-. L'uomo obbedì e la aiutò a sistemarli dietro la testa della moglie, affinchè stesse più comoda.
-Mi servono dei canovacci puliti, o degli asciugamani. Insomma, qualcosa di pulito con cui poterla pulire-
-Subito!-. L'uomo si allontanò di nuovo. Haruko prese la donna per mano: era debole e aveva il volto sudato, i lunghi capelli neri appiccicati al viso pallido, gli occhi socchiusi.
-Signora, mi sentite? Sono Haruko-
-Si...-
-State calma, va bene? State calma e andrà tutto bene-. Lei annuì una volta, poi contrasse il viso in una smorfia di dolore.
-Mina, apri le finestre! E' bene che ci sia luce e ricambio d'aria-. La bimba, che era terrorizzata e sull'orlo del pianto, obbedì; proprio in quel mentre, suo padre tornò con quanto Haruko gli aveva chiesto. Mentre lei asciugava il viso della donna dal sudore, gli chiese:-Dov'è la levatrice?-
-Non è al villaggio! Proprio ora che la sua presenza è necessaria!-. Stava diventando isterico.
-Non importa, ci penso io! Voi intanto uscite. Portate con voi Mina. Non entrate per nessun motivo e non fate venire nessuno-
-V-va bene!-
-Solo...chiamate Rikimaru. Dev'essere qua fuori da qualche parte. Chiamatelo e arriverà-. L'uomo non si pose domande e fece come gli era stato detto, difatti subito dopo Rikimaru fece il suo ingresso nell'abitazione e nella stanza, stranito.
-Haruko-. La moglie del panettiere lanciò un piccolo grido di dolore mentre stringeva fortissimo la mano di Haruko; Rikimaru, sebbene fosse dotato di una buona dose di sangue freddo, impallidì.
-Rikimaru, lei sta per partorire. Io so cosa fare, ma ho bisogno d'aiuto, la levatrice non c'è. Puoi aiutarmi tu? Se non te la senti, va a chiamare Ayame...o qualcuno che possa farlo-. Rikimaru restò impietrito. Aiutarla lui? A far partorire una donna?
-Rikimaru, decidi in fretta!-. La donna soffriva in modo evidente e Haruko le disse di respirare profondamente mentre le asciugava il volto.
Chiamare Ayame. Ma lei ne sarebbe stata capace? Se avesse rifiutato poi avrebbe dovuto cercare qualcun altro e la situazione era urgente...
-Rikimaru!-
-Resto io. Che devo fare?-
-Portami...oh, per tutti gli Dei!- esclamò Haruko, esasperata. Rikimaru si fissava i piedi, imbarazzato. Quelle erano cose da donne e lui non poteva minimamente esserne pratico.
-Rikimaru, lascia perdere i buoni costumi. Dobbiamo far nascere questo bambino. Te la senti o no?-
-Si-
-Allora non dare importanza a ciò che stai guardando. Mi hai capita?-. Rikimaru alzò lo sguardo, che finì per allacciarsi a quello della ragazza. I suoi occhi scuri erano più determinati che mai: non vi scorse nessuna traccia di paura o esitazione, sebbene lei ne avesse parecchia di paura, anche se non poteva lasciarlo trasparire per nessun motivo. Si vergognò di se stesso e si fece coraggio, quindi si impose di dimenticare che davanti a se aveva una donna che presto sarebbe rimasta quasi nuda; fece:-Che devo fare?-.
***
Fu un parto lungo, ma nessuno dei due ragazzi se ne rese conto. Il panettiere Takao era seduto sulle scale con la figlia: entrambi avevano gli occhi lucidi e sobbalzavano ogni volta che udivano i gemiti della donna, che poi divennero grida. Attorno alla casa si riunì un capannello di gente curiosa, ma nessuno si azzardò ad entrare, dato che Haruko aveva stabilito così. Alcune donne si offrirono di entrare per dare una mano, ma il panettiere preferì fidarsi della ragazza e di Rikimaru. Intanto, nella casa, Haruko e Rikimaru si impegnavano per alleviare quanto possibile le sofferenze della donna e per mantenere tutto pulito. Haruko la rassicurava a parole e le dava istruzioni, Rikimaru eseguiva gli ordini di lei in silenzio. Col passare delle ore, entrambi avevano perso la tensione, concentrati com'erano sul loro obiettivo. Nell'ultima fase, quando il bambino era in procinto di uscire, Haruko pregò mentalmente gli dei che andasse tutto liscio. Quando iniziò a vedere la testa del piccolo, si sistemò subito tra le cosce spalancate della donna per prenderlo, incoraggiandola a controllare il respiro e a spingere.
-Forza, signora! Spingete!-. La donna, che aveva i capelli raccolti in una crocchia disordinata e aveva un pezzo di cuoio tra i denti, contrasse le mascelle e spinse forte, gemendo senza remore; Rikimaru, attento, si teneva in disparte in silenzio, osservando la scena.
-Avanti, ancora!-. Il gemito che seguì fu più forte e prolungato; Haruko vedeva il piccolo scivolare fuori man mano e incitava la donna, senza lasciarsi impressionare dal sangue e dal suo dolore.
-Dai! DAI!!-. L'ultimo gemito fu quasi un urlo. Haruko si ritrovò il bimbo tra le mani, una creaturina lercia di sangue e altri liquidi...che, un secondo dopo, lanciò il suo primo vagito, stridulo, che perforò i timpani dei due ragazzi. La donna si lasciò andare, piangendo di gioia e sollievo. Haruko rilasciò un profondo sospiro, sollevata che fosse andato tutto per il meglio, e quasi commossa. Non si lasciò intralciare da quelle emozioni, così ripulì il neonato con un panno e una bacinella piena d'acqua che Rikimaru le aveva precedentemente portato, dicendo alla signora:-E' un maschio. Complimenti. Siete stata bravissima-. La donna, che aveva sputato il pezzo di cuoio, aveva inclinato la testa quanto bastava per poter vedere il suo piccolo e pianse ridendo; Haruko lasciò andare una lacrima.
-Haruko...-. Rikimaru le fu vicino. Ora che il peggio era passato, era di nuovo titubante e fortemente imbarazzato, ma lì c'era ancora bisogno di lui e lo sapeva. Haruko avvolse il bambino in un panno pulito e glielo passò dicendo:-Tienilo un pò mentre ripulisco sua madre. Faccio in fretta-. Il bambino, che fortunatamente non piangeva, restò tranquillo tra le mani del ragazzo, anche se lo teneva goffamente; Haruko si occupò della signora il più velocemente possibile, anche perchè immaginava che lei volesse prendere il bambino. Quando ebbe finito, Rikimaru le passò il bambino, rapido,  come se fosse un cumulo di carboni ardenti, e lei lo mise tra le braccia della madre, che ancora piangeva di gioia.
-Grazie. Grazie mille, Haruko. Grazie agli Dei che ti hanno portata qui da noi-
-Ma no, cosa dite- replicò lei, imbarazzata; lanciò uno sguardo breve a Rikimaru e la donna disse:-Anche a te. Grazie mille, ragazzi. Troverò il modo per sdebitarmi-
-Non è necessario, signora. La nostra ricompensa è la salute vostra e di vostro figlio- rispose Rikimaru, gentile e pacato. Haruko sorrise, condividendo quella risposta, così come la donna, felice che fosse andato tutto bene.
***
Avevano richiamato il panettiere e sua figlia, che erano entrati in tutta fretta, dopo di che erano usciti da una finestra per non incontrare nessuno che facesse domande. Era quasi sera e, stremati, si accorsero solo in quel momento di avere fame. Seduti su un tetto, mangiarono avidamente dei panini che il panettiere aveva dato loro con piacere. Quando finirono, Haruko alzò il viso verso il cielo, beandosi del calore del sole morente.
-Hai fatto nascere altri bambini in passato?- le chiese Rikimaru.
-Si, ma non io. Mia madre. Era anche levatrice e mi ha insegnato qualcosa. Le feci da assistente una volta, come tu hai fatto con me oggi. E' stata una fortuna. Ed è stata una fortuna anche che sia andato tutto liscio, altrimenti non avrei saputo cosa fare-
-Sei stata bravissima-
-Bè...anche tu-. I due si scambiarono una breve occhiata imbarazzata. Ora che erano tranquilli, la mente di Rikimaru portò in superficie immagini di quelle ore che lui non sapeva di aver registrato: Haruko determinata, paziente, concentrata su ciò che doveva fare; Haruko con il neonato tra le braccia, mentre gli tagliava il cordone ombelicale, lo ripuliva con delicatezza e amore quasi come se fosse suo, la commozione che regnava sul suo viso mentre lo porgeva a sua madre e li guardava insieme. E la fiducia che aveva riposto in lui chiedendogli aiuto, la sicurezza nella voce mentre gli impartiva ordini, il sollievo di averlo lì che aveva letto sul suo viso quando, a parto concluso, gli aveva passato il bambino per ripulire la madre, e la gratitudine per averla aiutata...
Si sentiva strano. Era qualcosa di nuovo. Appagamento. Ma c'era anche dell'altro: non era la semplice soddisfazione che provava quando portava a termine una missione o compieva il proprio dovere...
Si sentiva una persona migliore. Era così che ci si sentiva quando si contribuiva a far sbocciare una nuova vita? Ed era...si, era felice. Era stato il più bel giorno della sua vita. Lanciò inavvertitamente uno sguardo ad Haruko, forse perchè era per merito suo che lui si sentiva così bene.
-Cosa c'è?- chiese lei.
-Nulla. Pensavo-
-A cosa?-
-Niente-. Haruko scrollò le spalle e si stiracchiò, allungandosi tutta verso l'alto, dopo di che disse, guardando distrattamente il villaggio:-E' bello far nascere qualcuno. E' pericoloso perchè può andare storto qualcosa...ma, quando finisce tutto bene, è bellissimo. Io mi sento bene. Tu come ti senti?-
-Bene anch'io. Meglio di come mi sia mai sentito finora-. Haruko si voltò verso di lui, stupita...ma poi si limitò a sorridergli, lieta di quella risposta. E, contro ogni sua aspettativa, Rikimaru ricambiò il sorriso. Appena appena, ma lo fece. Ed era un cambiamento che si notava molto sul suo viso sempre serioso e impassibile. Era un evento straordinario: Haruko lo aveva visto sorridere solo a Semimaru, e comunque di rado. E ora aveva sorriso a lei, anche se poco. Caspita.
Tornò a guardare il villaggio, temendo di essere arrossita. Tuttavia tornò a guardarlo di sottecchi. E notò che il suo sorriso era già svanito. Non solo, sembrava quasi triste.
-Che c'è?- gli domandò.
-Niente. Io...-
-Stavi pensando, certo- replicò lei, sorridendo appena.
-Già-
-Nemmeno stavolta posso sapere a che cosa?-
-Pensavo che...-. Si guardò le mani.
-Cosa?-
-Forse è una cosa sciocca. Ma non posso fare a meno di avere la sensazione di aver come logorato quel bambino-. Haruko intuì cosa volesse dire: Rikimaru era un ninja. Aveva tenuto quel bambino puro e innocente tra le mani, quelle stesse mani con cui aveva ucciso e ucciso e ucciso...
Lo stesso valeva per lei. Il fatto che lei non si sporcasse mai di sangue in quanto si serviva di veleni non la rendeva meno sporca. Eppure, sapeva cosa dirgli.
-E' una sensazione che provo anch'io. Però...non lo abbiamo logorato. Gli abbiamo dato la vita. Insieme a sua madre. Noi...non siamo di certo puri, Rikimaru. Ma...non siamo nemmeno dei demoni. Facciamo ciò che dobbiamo fare e basta. A volte può essere buono, a volte può non esserlo...ma del resto è così per tutti. Nessuno è puro. Non solo quelli che uccidono sono impuri-
-Già-. I due si scambiarono un nuovo sguardo. Imbarazzata, Haruko fece:-Bè, torniamo a casa?-
-Direi di si-
-Niente allenamento oggi, però. Non ce la faccio-
-Ci meritiamo tutti e due una bella dormita. Ci penseremo domani-
-Perfetto direi!-. Haruko, ormai in piedi, gli sorrise e balzò sul tetto vicino. Rikimaru la seguì, vagamente conscio di apprezzare tutti i sorrisi che lei gli rivolgeva.
***
Erano trascorsi due giorni: il panettiere e la sua famiglia stavano benone. Mina sembrava aver preso bene la nascita del suo nuovo fratellino, Takao era felice come mai Haruko lo aveva visto e sua moglie era tutta concentrata sul nuovo arrivato, che sembrava essere un bimbo tranquillo. Haruko era davvero felice per loro: erano una bella famiglia, persone semplici e buone, e meritavano tutto il bene possibile.
Ed erano ancora molto grati ad Haruko per quello che aveva fatto durante il parto, difatti la invitarono a cena entrambe le sere. La ragazza non seppe rifiutare, anzi le fece piacere poichè Shizune cucinava molto bene e nella famiglia regnava un clima allegro.
Haruko fu felice di constatare che Rikimaru non la seguisse più. Forse, finalmente, si fidava di lei.
***
-Un brindisi ad Haruko!-
-Caro, smettila! Stai bevendo troppo!-. La signora privò subito il marito del suo sakè mentre Haruko e Mina se la ridevano. In effetti, l'uomo era alquanto alticcio.
Proprio in quel momento bussarono alla porta; corse Mina ad aprire, ma Haruko la accompagnò perchè era sera, non si poteva mai sapere. Anche se era disarmata -ancora non aveva riavuto le sue armi- meglio che la bimba non fosse sola. Ma era solo Rikimaru.
-Ciao, Rikimaru!-
-Rikimaru! Che ci fai qui?- domandò invece la ninja, stupita. Il giovane replicò, succinto:-Il Maestro mi ha solo mandato a dirti che domani partiamo per una missione-
-Partiamo?-
-Si. Io, Ayame e te-. La notizia la colse alla sprovvista e le suscitò emozioni contrastanti: gioia, in quanto il Maestro Shiunsai aveva tenuto in considerazione la sua richiesta, ma anche timore e agitazione, tipiche di ogni volta che era in procinto di affrontare una missione. Si era anche un pò disabituata a considerarsi una ninja, vista la vita che conduceva da quasi due mesi a quella parte.
-Oh, va bene-
-Partiamo all'alba-
-Si, va bene-
-Si può sapere chi è?!- esclamò il panettiere, raggiungendo la ragazza e sua figlia. Vide Rikimaru e un sorrisone prese possesso del suo volto solitamente stanco e serio.
-Ragazzo! Ma guarda un pò! Vieni, vieni!-
-No, io...-
-Avanti, non stare sulla porta! Abbiamo ancora da mangiare e bere! Entra!-. Il giovane ninja era in evidente disagio e Haruko si voltò appena per celare un sorrisetto divertito. Avrebbe voluto aiutarlo ad andar via, ma che scusa poteva mai inventare? Rikimaru, d'altro canto, sempre fedele all'educazione impartitagli, non ebbe il cuore di rifiutare un invito, sebbene il giorno dopo sia lui che Haruko avrebbero dovuto svegliarsi molto presto; decise di accontentare l'uomo, con il proposito di andar via dopo un pò. Ma la sua educazione gli costò: non solo fu trattenuto più del dovuto, ma fu costretto a far compagnia al panettiere e ad accettare il sakè che gli veniva offerto. Rikimaru non era un grande bevitore per cui non reggeva bene l'alcol; presto la sua lucidità venne meno. Haruko se ne accorse subito: il ragazzo appariva stordito e lento nelle risposte e nei movimenti. Parecchie volte rise sotto i baffi. Iniziò tuttavia a farsi tardi, quindi salvò se stessa e il ragazzo congedandosi per via della missione che li attendeva il giorno dopo, cosa di cui Rikimaru le fu intimamente grato. In realtà non fu difficile per loro andar via, dato che Takao quasi si addormentò sul tavolo per quanto aveva bevuto. Haruko diede alla signora alcuni consigli per la sbornia del marito e andò via, augurando la buonanotte a tutti.
Rikimaru camminava lento e barcollava. Inciampò in un sasso e per poco non cadde, ma Haruko fu pronta a sorreggerlo. Le sfuggì una risatina.
-Che ridi?-
-Che non bevessi l'avevo capito, ma che fossi così deboluccio in fatto di alcol...-
-Non consumo mai di quella roba. Fa male alla salute e lede alla lucidità-
-Non hai tutti i torti-. Rikimaru si scostò da lei, ma riuscì a fare pochi passi in autonomia prima che la ragazza fosse costretta a sorreggerlo per il busto.
-Non fare l'intrepido se vuoi tornare a casa tutto intero. Tranquillo, non dirò a nessuno di come ti sei ridotto-
-Mpf-
-Come prego?-. Rikimaru guardò di fronte a sè, stoico, ma aveva un'espressione buffa, come se il cervello si fosse spento e dormisse con gli occhi aperti. Haruko ridacchiò, non potè proprio farne a meno. Il ragazzo la rimproverò con lo sguardo e le lanciò una frecciatina:-Tu lo reggi bene l'alcol, invece-
-Io ne ho bevuto un bicchiere soltanto e ho mangiato molto. Non ci tengo a rimbambire-
-Mh-
-Tranquillo, non manca molto. E prima o poi smetterò di ridere di te, non preoccuparti-. Una ulteriore occhiataccia da parte di Rikimaru le suscitò una nuova risatina.
Finalmente arrivarono a casa; Haruko guidò Rikimaru fino alla sua stanza. Quando vi entrarono, Rikimaru si lamentò:-Mi gira la testa...-
-Stai buono qui e aspetta un attimo-. Haruko lo fece sedere cautamente per terra, quindi accese una candela, aprì il suo futon e gli sistemò due cuscini anzichè uno solo. Si allontanò per prendergli dell'acqua, quindi tornò e gliela fece bere tutta, anche se non gli andava. A quel punto, lo aiutò a rialzarsi, lo condusse verso il letto e, una volta che si fu seduto, lo aiutò a togliersi parte della tuta da ninja affinchè stesse più comodo, quindi lo fece stendere. Gli disse:-Ora dormi. Domani mattina ti sveglio io e ti darò qualcosa che possa farti sentire meglio-
-Va bene-. Haruko fece per dargli la buonanotte e andar via, ma disse, sorridendo:-Sai come hanno chiamato il bambino?-
-Come?-
-Harumaru-
-Che trovata...-
-Già. Idea di Mina-. Lo disse sorridendo divertita. Rikimaru, senza rendersene conto, la guardò senza nasconderlo. Haruko era molto carina e lui lo aveva sempre saputo, anche se mai vi aveva dato importanza. Aveva un viso dai lineamenti armoniosi, ogni cosa in lei era ben proporzionata e aveva il giusto colore. Ad esempio, quelle labbra rosse e non troppo carnose stavano bene sulla sua pelle color sabbia, sotto quegli occhi grandi e scuri e quei capelli neri come il carbone, acconciati sempre in quella moltitudine di treccine. Quella sera poi, con quel kimono bianco a fiori violetti e quei sorrisi sereni che permeavano il suo volto, era ancora più carina. Chissà se era solo una impressione dovuta all'eccesso di sakè...
-Ehi? Stai dormendo ad occhi aperti? -
-Mh...-
-Mh, mi sa che è meglio che vada. Bè, buonanotte. Se dovessi star male, non esitare a chiamarmi stanotte-
-Starò bene-
-Speriamo-. La ragazza fece per alzarsi, ma si fermò quando Rikimaru biascicò qualcosa; chiese:-Cosa? Non ho capito-
-Sei...molto bella-. Haruko restò interdetta e sentì improvvisamente caldo. Era arrossita vistosamente. Era molto che non le succedeva, ma non ebbe dubbi sul motivo di tutto quel calore sul viso.
-Uhm...grazie-. Dal canto suo, Rikimaru si maledisse subito, arrossendo a sua volta e chiudendo gli occhi dalla vergogna poichè non riusciva a guardarla. Che diavolo gli era saltato in mente? Maledetto sakè, che scioglieva la lingua!
Haruko sorrise, compiaciuta del complimento e comunque intenerita dalla vulnerabilità che Rikimaru mostrava in quel momento: lei sapeva molto bene che, se fosse stato lucido, non si sarebbe lasciato sfuggire nessuna parola. Forse non ci avrebbe nemmeno pensato, chissà.
-Vado. Buonanotte, a domani-. Il ragazzo non rispose; si era già addormentato. Haruko spense la candela e uscì in silenzio, con una felicità nel cuore che non provava da un tempo che le sembrava lontanissimo. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Il mattino dopo, Haruko aveva svegliato Rikimaru, come promesso, e gli aveva somministrato una bevanda a base di limone e miele. Il giovane stava molto meglio e la bevanda, sebbene non gli andasse particolarmente, gli fece bene. Gli fece mangiare anche molta frutta -per favorire la reidratazione- e, dopo che si fu lavato la faccia, si sentì quasi bene.
Nessuno dei due fece menzione di ciò che si erano detti la sera prima, come se nulla fosse accaduto; Rikimaru le disse invece qual era esattamente la loro missione. In breve, avrebbero dovuto scortare Lord Godha, sua figlia Kiku e il Consigliere Naotada presso la casa di un uomo ricco con cui il Lord doveva stipulare un accordo di tipo commerciale. La missione sembrava semplice e Haruko si augurò che così fosse: se nessuno li avesse attaccati strada facendo, sarebbe andato tutto liscio.
-Mi raccomando, ragazzi. Siate cauti e collaborate- disse il Maestro Shiunsai prima che partissero; in particolar modo, si soffermò su Ayame, ma lei non parve notarlo.
-C'è una cosa per te, Haruko- aggiunse. La ragazza, curiosa, attese in silenzio, seduta; il Maestro si alzò lentamente, aiutandosi col bastone, e tirò fuori una scatola, che porse alla giovane. Lei la prese e la aprì, stupita, sollevata e felice insieme: erano le sue armi! C'era tutto: l'asta, le sue boccette ricolme delle polveri più disparate, i fumogeni, le cerbottane, la polvere accecante, i kunai, i makibishi. Aveva smesso di pensare a tutti quegli oggetti, abituandosi a vivere senza di essi -anche perchè non ne aveva avuto bisogno in quel frangente- ma rivederli e riaverli tra le mani la fece sentire molto più sicura. E felice: finalmente si fidavano di lei tanto da restituirglieli. C'era solo da vedere se le avrebbero permesso di tenerli anche dopo la missione.
-Bene, ora andate. Che gli Dei siano con voi-
-E con voi, Maestro- replicò Rikimaru, solenne. Fu il primo a uscire, seguito a ruota dalle due ragazze.
Il viaggio avrebbe richiesto diverse ore. I tre ninja avevano portato con sè anche alcuni viveri oltre che le loro fidate armi. Si tennero a distanza dalla piccola carrozza di Lord Godha e dalle cinque guardie che li scortavano: avrebbero dovuto celare la loro presenza e intervenire in caso di bisogno. L'effetto sorpresa su eventuali aggressori avrebbe facilitato loro le cose. I tre si divisero, in modo da tenere d'occhio i reali da più angolazioni, mantenendosi nascosti tra gli alberi circostanti mentre la carrozza e le guardie a cavallo percorrevano le strade fortunatamente ben sterrate.
Haruko si tenne concentrata, tentando di ignorare la tensione. Per un attimo si maledisse di aver voluto partecipare alla missione, ma non aveva scelta: se voleva diventare più forte o almeno tenersi in allenamento per poter proteggere i suoi cari, non poteva semplicemente comportarsi come una paesana qualunque. Doveva tenere all'erta i propri sensi, far si che i suoi riflessi fossero sempre rapidi e pronti, il suo corpo ben allenato. Quale modo migliore se non quello di affiancare delle missioni vere e proprie all'allenamento quotidiano? Non le andava a genio, ma non trovava una soluzione diversa.
Ripensò alle parole del Maestro Shiunsai e di Ayame: avevano voluto sapere se fosse ancora una ninja, se facesse parte del loro clan. Bè...non avrebbe mai potuto smettere di essere una ninja, suo malgrado. Lo capì proprio in quel momento, mentre rifletteva immersa nella calma della vegetazione e nella placidità di quel lento viaggio. Per quanto riguarda far parte del clan Azuma...
Collaborare con loro in qualche missione la rendeva un ninja Azuma? Non ne era convinta. E non intendeva far parte di alcun clan: li avrebbe aiutati se ne avessero avuto bisogno -se non altro per sdebitarsi di tutto ciò che loro avevano fatto per lei- ma non le andava a genio l'idea di legarsi ad un clan. Limitava le sue decisioni. Lei voleva sentirsi libera di fare qualunque cosa, che si trattasse di partire e cambiare aria o di mettere su famiglia o semplicemente di non essere più una ninja. O qualsiasi altra cosa.
Il viaggio procedeva lineare, senza alcun intoppo; Haruko ne approfittò anche per fare rifornimento di piante e funghi, che avrebbe poi utilizzato al suo ritorno per ricavarne polveri e quant'altro. Ogni tanto la ragazza vedeva la testolina della principessina sporgersi oltre il piccolo finestrino: era tenera come una bestiola curiosa.
Intorno a mezzogiorno -Haruko lo dedusse dalla posizione del sole in cielo- ci fu una sosta per far riposare e abbeverare i cavalli, accanto ad un ruscello. Lord Godha, il Consigliere e Kiku uscirono dalla carrozza per sgranchirsi le membra; Ayame uscì subito allo scoperto per affiancarsi alla bambina e tenerla d'occhio. Rikimaru e Haruko, invece, restarono nascosti nel verde del bosco. Haruko osservò Ayame, che seguiva la piccola come una balia premurosa. Quell'atteggiamento la colpì e la intenerì: Ayame appariva sempre dura, a volte persino sfrontata, ma evidentemente anche lei celava un lato dolce nel cuore, che la piccola Kiku portava inspiegabilmente alla luce. Come mai Ayame era tanto legata a quella bimba? Haruko certo non poteva sapere che le due si erano legate quando Ayame aveva salvato Kiku dall'accampamento di Toda: Kiku considerava Ayame come una sorella maggiore, ora che non aveva più una figura femminile di riferimento nella sua vita. Le aveva regalato una delle sue "campanelle gemelle" per suggellare quel nuovo legame che si era instaurato in un momento tanto tragico. Agli occhi di Haruko apparivano davvero come sorelle, se non ci si concentrava sul loro vestiario, ovviamente differente per qualità e tipologia. La ninja notò anche che Ayame aveva nascosto le armi: un altro segno della sensibilità e del tatto che la giovane non lasciava mai trapelare. Un vero peccato, pensò Haruko. Non le sarebbe dispiaciuto conoscere il lato migliore di Ayame e stringere amicizia con lei. Ma pazienza, non si poteva certo piacere a tutti.
-Haruko-. Un sussurro interruppe i pensieri della ragazza, che si voltò in direzione di quel bisbiglio. In cima ad un albero era appollaiato Rikimaru. La giovane si arrampicò svelta e lo raggiunse.
-Voglio perlustrare la zona. Se ci sono dei briganti, li anticiperò ed eviterò di coinvolgere Lord Godha e gli altri-
-Va bene. Ma...ci vai da solo?-
-E' meglio di si. Loro hanno bisogno di protezione-
-Ma...e se venissi con te? Tanto qui c'è Ayame. E anche le guardie-. Rikimaru parve rifletterci qualche istante, poi disse:-D'accordo, vieni con me se vuoi-. Haruko annuì e i due balzarono via.
***
Rikimaru ci aveva visto giusto: poco lontano da lì, i due giovani trovarono un gruppo di banditi che si riposavano in una radura. Erano tutti uomini, ognuno dall'aspetto più minaccioso dell'altro. Erano in sei, tutti ben piazzati, seduti in circolo a mangiare della carne che avevano appena cotto attorno al fuoco. Bè, "sbranare" forse era il termine più corretto.
-Che barbari- commentò Haruko, che poco apprezzava il loro aspetto e i loro modi brutali.
-Sono dei banditi, non c'è da stupirsi-
-Comunque, non sono sulla traiettoria che seguiamo noi. E' necessario farli fuori?-
-Sono dei banditi- ripetè il ninja. Intendeva dire che non si poteva mai sapere se in seguito li avrebbero raggiunti; in quel caso, non avrebbero avuto la minima pietà. Rikimaru era un tipo da "prevenire è meglio che curare". Solitamente lo era anche Haruko, ma se si trattava della vita di qualcuno...
-Aspetta, ho un'idea- sussurrò lei, sperando che funzionasse.
***
-Tira fuori il vino!-
-Ehi, quello l'ho rubato io ed è mio!-
-Che schifoso spilorcio!-
-Siamo una squadra! Dividilo coi tuoi fratelli, bestia!-. I briganti smisero di litigare tra loro quando udirono un rumore provenire dalla vegetazione. Come di qualcuno che fuggiva. Gli uomini si scambiarono sorrisi da predatori bramosi; uno fece:-Potrebbe essere un viaggiatore ben fornito-
-O una donnetta ben fornita-. Gli altri sghignazzarono della battuta, dopo di che cinque di loro si alzarono e corsero via in direzione del suono di poco prima, smaniosi di acchiappare la vittima e tutto ciò di cui potevano appropriarsi. L'ultimo rimasto se ne stette lì placidamente, consumando il suo pasto...ma udì un altro rumore. Incuriosito, si alzò senza mollare il cibo -ma tenendo ben stretto un coltello nell'altra mano- e andò in direzione del rumore, insinuandosi nella vegetazione. Fu allora che Haruko spuntò fuori, lesta e silenziosa come un gatto: cercò velocemente il vino menzionato poco prima e, quando lo trovò, stappò la bottiglia e vi sciolse dentro una delle sue polveri soporifere; a quel punto, rimise il vino a posto e tornò a nascondersi, proprio nel momento in cui il brigante tornava, seccato. Dopo alcuni minuti, tornarono anche gli altri, lamentandosi a gran voce di non aver trovato nessuno, che forse si trattava di un qualche animale. Ripresero posto e anche il loro pasto, mentre Rikimaru riappariva al fianco di Haruko. I due ninja osservarono silenti gli uomini che finivano di mangiare e si interessavano di nuovo al vino...
Alla fine lo divisero più o meno equamente tra loro. E si addormentarono pochi minuti dopo, seduti esattamente dove erano, le teste abbandonate sul petto. Haruko sorrise trionfante e disse:-Se ne staranno buoni per qualche ora. Difficilmente ci raggiungeranno-
-E' stata una buona idea-
-Ti ringrazio-
-Prendo le loro armi. Non si sa mai-
-Ti aiuto-.
***
Arrivarono a destinazione nel primo pomeriggio; Godha e il Consigliere furono subito ricevuti dal padrone di casa, che era indisposto -ecco il motivo per cui era stato Godha a doverlo raggiungere, pensò Haruko- e sua moglie. Le guardie reali restarono fuori dalla stanza in cui avvenivano le trattazioni, mentre Ayame si assunse il compito di portare in giro per il piccolo villaggio la Principessa Kiku. Rikimaru e Haruko ne approfittarono invece per riposarsi, la prima sonnecchiando in una delle stanze che i domestici misero loro a disposizione, il secondo visitando il villaggio. Il sonno di Haruko però fu presto interrotto da una cameriera, che la scosse dicendo agitata:-La Principessa Kiku è stata rapita! Lord Godha ti vuole vedere!-.
Quando fu nella stanza ove si trovavano i padroni di casa, Lord Godha e Naotada, vi trovò anche Ayame e Rikimaru; il giovane sembrava arrivato poco prima di Haruko.
-Cos'è successo?- chiese lui ad Ayame. Lei, strinse i piccoli pugni, irata, e spiegò:-La Principessa Kiku voleva andare nel bosco qui vicino perchè ci sono dei fiori particolari, così l'ho accompagnata. Ma siamo state attaccate da dei ninja mascherati. Erano troppi. Sono riuscita a tener loro testa ma hanno rapito la Principessa-. La ragazza chinò il capo: era evidente quanto si vergognasse e si sentisse in colpa.
In realtà, Haruko trovò che fosse stata piuttosto brava e che la situazione avesse preso quella piega non certo per colpa sua: Ayame non aveva neppure un graffio addosso, il che significava che aveva tenuto testa a tutti quei ninja da sola, alla perfezione. Intanto, notò che il signore del posto, un omino esile e pallido, aveva la bocca coperta da un fazzoletto e non faceva che tossire forte; la moglie gli era vicino e gli porgeva dell'acqua, forse nel tentativo di sedare la sua tosse, inutilmente.
-Ninja Azuma, dovete trovare mia figlia!- esclamò Godha, disperato. Era sul punto di piangere, era evidente.
-Si, mio Signore- replicò Rikimaru a nome di tutti.
-Stava andando tutto troppo bene....- borbottò Haruko.
***
-E' qui che ci hanno attaccate- asserì Ayame. Li aveva portati sul luogo dell'attacco: erano alla base di una collina fitta di vegetazione. Il cinguettio degli uccellini era quasi assordante. Haruko notò che, in effetti, c'erano vari cespugli in cui occhieggiavano fiori gialli e bianchi molto graziosi, che non aveva mai visto. Se la situazione non fosse stata grave, si sarebbe concessa di osservarli da vicino. Nel frattempo, si concesse un respiro a pieni polmoni per inalare l'aria fresca e pura di quel bosco bellissimo.
Rikimaru, invece, si concentrò sull'accaduto: immediatamente si guardò attorno per trovare qualsiasi traccia da seguire. Ayame fece altrettanto.
Haruko le domandò:-Che aspetto avevano questi ninja?-
-Le loro tute erano marroni o grigie, comunque scure. Le maschere sembravano rappresentare un qualche demone, erano tutte diverse ma colorate. Avevano molte piume e collane. Più di questo non posso dire-
-Guardate qui-. Le due ragazze si avvicinarono a Rikimaru, che era accovacciato su un ginocchio: guardava un mucchio di perline sparse. Come se una collana di perle fosse stata rotta.
-Potrebbe essere una delle loro collane!- esclamò Ayame.
-Forse la Principessa ha tirato una delle collane del suo rapitore e deve averla rotta- riflettè Rikimaru. I tre ninja non toccarono nulla e andarono oltre, cercando altre tracce. Non ne trovarono, ma non cambiarono direzione.
-Forse dovremmo dividerci. Faremo prima- propose Ayame. Gli altri due annuirono e i tre presero direzioni diverse.
***
Haruko stava proseguendo verso l'alto. La strada in salita la rallentava, ma quantomeno le era più semplice evitare di farsi scoprire. Il cinguettio degli uccelli le riempì la testa tanto da impedirle di agitarsi, nonostante fosse nel cuore di una nuova missione fuori programma. Non incontrò nessuno per forse un'ora; incrociò solo qualche animale selvatico -una volpe, due scoiattoli e qualcos'altro che non vide bene- ma tutti fuggirono non appena la udirono. Iniziò a venirle sete, ma non si fermò, anche se aveva dell'acqua con sè. Quando, non trovando nulla, pensò di cambiare strada, intravide però l'entrata di una caverna. Si avvicinò di soppiatto, tenendosi nascosta dietro un albero. Non c'era nessuno ed era completamente buia, almeno a vederla da lì. Poteva essere vuota e cieca, ma aveva il dovere di controllare. Anche se la cosa non le andava a genio.
Si spostò verso un lato dell'entrata e sbirciò dentro, ma non vide nulla poichè il buio si impadroniva presto del posto.
"Speriamo vada tutto bene" pensò, quindi prese un ramo corto ma robusto che era lì tra l'erba e penetrò nella caverna con passo cauto e felpato, per quel poco che riuscì a vedere prima di immergersi nel buio. A quel punto, seppur riluttante, prese una pietra e la sfregò energicamente contro il ramo, che prese pian piano fuoco; la fiammella non era gran che, ma le permetteva di vedere dove metteva i piedi. Sperò che non le causasse guai, dato che la rendeva visibile.
La caverna era stretta e presto divenne fredda, ma asciutta. Proseguì diritta per un pò, lentamente e coi sensi all'erta per scorgere quanto prima un eventuale pericolo. Non trovò nulla, ma non seppe se fosse una fortuna o una sfortuna. Si chiese dove fossero Ayame e Rikimaru e sperò stessero bene...
Quel corridoio roccioso divenne man mano più largo, il soffitto più alto, ma Haruko provò comunque il bisogno di uscire da lì, sentimento che si sforzò di ignorare. D'un tratto si fermò: le sembrò di non essere sola. Non si sentiva o vedeva nulla di strano, eppure...
Che fosse semplicemente l'inquietudine dovuta a quel luogo ostile? Le venne anche la pelle d'oca, non seppe se per il freddo o l'inquietudine. Tuttavia non osò muoversi. Pensò di spegnere quel fuocherello, ma come avrebbe potuto vedere un eventuale nemico? Tirò fuori un kunai e deglutì, i sensi all'erta. Notò sulla destra un passaggio difficile da vedere e si chiese se fosse il caso di intraprenderlo. Tuttavia il cuore le balzò in gola quando udì un aggressivo:-Chi c'è?!-. Era una voce da uomo. Sollevò il kunai, preparandosi allo scontro, mentre realizzava che probabilmente aveva raggiunto il posto giusto. Questo non la consolò affatto, però.
I passi che si avvicinavano, veloci -troppo-, la agitarono: uno scontro frontale era proprio quello che avrebbe voluto evitare. Anche se era lì proprio per quello, in fin dei conti. Non riuscì a terminare il pensiero  che vide un individuo di quelli descritti da Ayame: maschera colorata somigliante ad un demone, una tuta larga e scura -forse marrone- e collane con perle colorate e piume di vario genere appese al collo, alle braccia.
-Chi diavolo sei?- le chiese, quasi ringhiando; lei non rispose, rimanendo immobile e tentando di riportare alla mente gli insegnamenti di suo padre circa il combattimento corpo a corpo. Doveva sopravvivere, anche se per farlo avrebbe dovuto uccidere quell'uomo. Punto. Era una ninja, no? Doveva uccidere. Volente o nolente.
Il nemico sfoderò una katana e si avventò su di lei. Pronta, la ragazza fece un balzo all'indietro, pronta ad attaccare, ma accadde qualcosa di inaspettato: un'ombra piombò dall'alto sul nemico. Haruko visualizzò Ayame, seduta sulle spalle dell'uomo; un attimo dopo lei si era piegata all'indietro, trascinando il nemico in giù, fracassandogli il cranio sulla nuda roccia della caverna. Haruko udì chiaramente le ossa craniche rompersi, un suono che le ricordò vagamente quello delle ossa della sua mano quando, da piccola, le faceva scrocchiare...
Scoprì di avere più stomaco di quel che pensava: quella visione e quel rumore così limpido e macabro le fecero impressione, tuttavia il sollievo di essere viva e non più sola fu decisamente superiore.
-Quando si dice "capitare a fagiolo"- commentò Ayame, tornando in piedi e lanciandole un'occhiata superba.
***
La strada da cui era arrivato il nemico era illuminata da torce appese ai muri. Si divisero di nuovo: Ayame prese quella strada, Haruko proseguì diritto. Sapere che anche Ayame era lì, seppur non con lei, diede ad Haruko una lieve sicurezza.
Poco dopo, Haruko si sentì nuovamente inquieta. Stava arrivando qualcuno o era solo agitata?
Chiuse gli occhi, tentando di cogliere un rumore, qualunque cosa, ma non udì nulla. Prudente, lasciò il ramo per terra, incastrato tra alcune pietre affinchè restasse diritto, quindi si accovacciò dietro una grossa roccia. Restò così, pazientemente, per diversi minuti. Fu premiata: apparvero due individui, vestiti similarmente a quello che Ayame aveva eliminato prima. I due restarono spiazzati dalla piccola trappola che aveva teso loro la ragazza; prima che iniziassero a cercarla, lei tirò fuori due cerbottane e li uccise in un attimo. Frugò velocemente tra le loro cose -era una cosa che odiava ma che era necessaria- ma non trovò nulla di utile, così li nascose dietro la roccia che lei aveva usato come riparo, ne spogliò uno e indossò i suoi vestiti, che le stavano parecchio larghi. Riprese il ramo e proseguì, più tranquilla per via del travestimento che senz'altro le avrebbe dato un certo vantaggio. Poco dopo vide dei fori lungo le pareti. L'istinto le suggerì che qualcosa non andava; per questo percorse quel tratto di corsa. In questo modo evitò di essere trafitta da una serie di lance che sbucavano proprio da quei buchi nelle pareti.
"Trappole. Forse più avanti c'è qualcosa da proteggere" pensò la giovane, curiosa. Dovette tuttavia lasciare il ramo, divenuto troppo corto. Fu comunque fortunata: più avanti c'era della luce. Il passaggio diventava quindi illuminato anche lì.
Prima di arrivare alla luce, udì rumori di lame che cozzavano: un combattimento. Rapida ma silenziosa, si avvicinò e si appiattì contro al freddo muro. Vide così Ayame, coinvolta in uno scontro con uno dei nemici.
Haruko uscì allo scoperto e si avvicinò al nemico, che le dava le spalle. Ricordò di quando suo padre tentava di insegnarle a uccidere qualcuno rompendogli l'osso del collo. Afferrare la testa dell'altro con due mani e ruotarla con una mossa rapida e forte, senza pensarci troppo. Haruko immaginò il fantoccio che era stato sua vittima quel giorno. Quando il nemico fu abbastanza vicino, gli prese la testa e la ruotò con un colpo secco.
Fu più semplice del previsto, ma la orripilò -non lo aveva mai fatto su qualcuno-. Lasciò andare la testa del malcapitato come se scottasse e lo guardò allibita e incredula. Sudava freddo.
"Un nemico è un nemico. Ti ucciderebbe senza esitare e senza ripensarci dopo. Tienilo sempre a mente quando ammazzerai qualcuno, cara. Non starci a pensare troppo, dopo".
Questo le disse suo padre quella volta. E così fece lei. Si impose di pensare a tutto il male che aveva ricevuto, a ciò che aveva perso, a ciò che non voleva più perdere...e alla povera principessa in mani nemiche. Poteva essere già morta. Ed era solo una bambina.
Ayame la guardava con la fronte corrugata e gli spadini alzati, immobile. Haruko la canzonò:- Quando si dice "capitare a fagiolo"-
-Haruko?-. Il tono della ragazza era incredulo.
-In persona-
-Non avevo bisogno di aiuto- replicò stizzita, riponendo gli spadini nei foderi.
-Non lo sapremo mai. E comunque, un grazie non sarebbe male-
-Zitta o ti scopriranno-. Haruko non aveva voglia di mettersi a discutere, così chiese soltanto:-Proseguiamo insieme?-
-Non vedo alternativa. C'è un'altra strada che ho sorpassato per arrivare qui. Imbocchiamo quella-. Entrambe annuirono e intrapresero quella via.
***
Haruko si offrì di camminare avanti, mentre Ayame la seguiva di soppiatto; sfruttarono così il travestimento della più grande e riuscirono ad eliminare altri tre nemici. Proseguirono per alcuni minuti senza interferenze di sorta, ma Haruko si sentì nuovamente inquieta. Osservata. Non smise di camminare, sicura del suo travestimento, ma un secondo dopo si ritrovò con una mano alla gola, che la soffocava, pigiata contro al muro. La mano, maledettamente forte, apparteneva a Rikimaru: i suoi occhi scuri erano di una freddezza che lei non aveva mai sperimentato, spaventosa. A questo si aggiungeva il fatto che, nell'altra mano, c'era la sua katana, pronta ad affondare nel suo petto...
Chiamò a raccolta tutte le sue forze e urlò, per quanto possibile:-Rikimaru!-. Lo stesso aveva fatto Ayame, ma con voce chiara, quasi autoritaria. Il giovane perse parte di quella terrificante freddezza, affiancata dallo stupore. Non staccò gli occhi di dosso da lei e non allentò la presa sulla sua gola, ma chiese, incerto:-Ayame?-
-E quella è Haruko. Mollala, è travestita-. Rikimaru ritirò la mano in men che non si dica e lei potè respirare, cosa che fece a pieni polmoni, massaggiando la gola con una mano.
-Mi dispiace. Non ti avevo riconosciuta. La prossima volta presterò più attenzione-
-Non ti preoccupare- fece Haruko a mezza voce, ancora un pò scossa. Pur sapendo che Rikimaru era un ninja, lei lo aveva conosciuto come una persona sostanzialmente buona e pacata; quello sguardo assassino su quel viso solitamente tranquillo era traumatico.
-Su, proseguiamo. Kiku ha bisogno di noi- incalzò Ayame, così Haruko ritornò in testa al gruppo, mentre Rikimaru si affiancò ad Ayame, più indietro.
Incontrarono altri tre nemici, che Haruko eliminò a malincuore con un coltello, ma con facilità. Ogni secondo che passava, la giovane sperava che la missione terminasse in fretta...e più si convinceva che uccidere servendosi delle lame, spargendo sangue, recidendo la pelle, trafiggendo i tessuti, non facesse per lei. E ciononostante non poteva mollare.
Quantomeno, stava facendo un pò di pratica...
Poco dopo, davanti a loro, si stagliò un lungo corridoio in roccia, stretto e in discesa. Era illuminato, ma non si vedeva la fine, solo un tondo buio.
"Non mi ispira fiducia" pensò Haruko. Come se le avesse letto nel pensiero, Rikimaru la raggiunse alle spalle con Ayame e disse:-Il mio istinto non mi suggerisce nulla di buono-
-Nemmeno il mio- convenne la ragazza, ma Ayame asserì:-Non ci sono altre strade, però-
-Forse non le abbiamo notate- fece Rikimaru.
-Ma non c'è tempo! Kiku....!-
-Vado io per prima. Starò attenta. Copritemi le spalle- li interruppe Haruko, ansiosa di terminare quella missione e comunque riluttante a vagare per quella caverna fredda e tetra. I due ninja non si opposero, quindi lei mosse i primi passi, cauti, coi sensi all'erta. Si sentiva vulnerabile, come se da un momento all'altro qualcosa avrebbe potuto nuocerle senza che lei potesse far nulla per evitarlo. Si chiese se non fosse arrivata la sua ora. Si chiese anche se, prima di morire, il malcapitato in qualche modo lo avvertisse in anticipo, come stava accadendo a lei in quel momento. Non potè riflettere oltre in quanto, un secondo dopo, si ritrovò a caracollare vertiginosamente lungo quel sentiero scabro, che la conduceva verso il buio. Questo perchè aveva un enorme masso sferico che le rotolava dietro. Se voleva evitare che la travolgesse e la riducesse in poltiglia, poteva solo correre alla massima velocità consentitale dalle sue gambe. Non poteva nemmeno tentare di evitare il masso: il corridoio era troppo stretto, il masso lo occupava quasi tutto. Ed era maledettamente veloce: non avrebbe potuto correre per sempre! Il cuore le batteva all'impazzata, quasi stesse per trapanarle in petto e abbandonare quel corpo, il cui destino sembrava ormai segnato.
-E' la fine! Accidenti!- fece a mezza voce, ripetendolo come un mantra, senza nemmeno rendersene conto. La cosa si fece ancor più difficile: di punto in bianco, dalle pareti spuntavano delle lance al suo passaggio, di lato oppure dal pavimento; lei le evitava per un soffio, balzando o semplicemente per fortuna, grazie alla velocità con cui stava correndo. Ma prima o poi quelle trappole l'avrebbero rallentata e il masso l'avrebbe spiaccicata senza pietà. Eppure, scoprì qualcosa che la rendeva ufficialmente spacciata: il corridoio era cieco!
-Dannazione!- esclamò, senza fiato, pronta a farla finita...
-Haruko!-. Haruko riconobbe la voce di Rikimaru. Non lo vide, nè capì da dove proveniva la voce, ma quando vide un rampino che penzolava dall'alto, lei spiccò un balzo, più in alto che potè, e ci si aggrappò con tutte le forze, serrando gli occhi e aspettando comunque di morire...ma invece avvertì una forza che tirava su e, il secondo successivo, si ritrovò avvinghiata al collo di Rikimaru, proprio mentre avvertiva un fortissimo tonfo provenire dal basso -il masso doveva essersi schiantato contro la parete-.
-Haruko. Stai bene?-. La voce di Rikimaru, così bassa e così vicina al suo orecchio, le fece provare un sollievo immenso, tanto da farla quasi piangere. Non riuscì a rispondere: era troppo affannata, il cuore le batteva troppo forte. Temette di essere colta da un infarto da un momento all'altro, ma fortunatamente ciò non avvenne. Anche Rikimaru ansimava maledettamente: doveva essersi fatto un bella corsa per starle dietro e poterla salvare in tempo. Haruko avvertiva perfino il suo cuore contro di lei...come lui avvertiva quello della ragazza.
-Haruko?-
-Sto...io...sto bene- riuscì a replicare lei, in un sussurro.  Rikimaru tolse la mano dalla sua schiena, sollevato, e lei se ne accorse solo allora. Si staccò da lui, respirando finalmente in modo regolare. Mormorò, guardandolo negli occhi:-Mi hai salvato la vita. Di nuovo-
-Di nuovo?-. Certo, lui non sapeva di averle salvato la vita già una volta, dandole un'opportunità per ricominciare. Lei annuì una volta. E si accorse di provare un profondo affetto per lui. Molto profondo. Sentì il bisogno di accorciare le distanze...
-Su, andiamo. Ayame ci starà aspettando- fece lui, recidendo quel momento di intimità e mettendosi in piedi.
-Certo- fece lei, il volto in fiamme. Si sentì dannatamente idiota. Il bisogno di scrollarsi di dosso quell'imbarazzo le fece notare che erano in un altro corridoio illuminato da torce, ma più ampio di quello in cui aveva quasi incontrato la morte.
-Come hai fatto a salvarmi? E dov'è Ayame?-. Rikimaru, riavvolgendo il rampino, spiegò, laconico:-Quando è uscito il masso, ti abbiamo inseguita per qualche metro, ma poi Ayame ha notato un passaggio in alto. Lo abbiamo preso e io ho continuato a seguire te e quel masso, finchè non ho trovato questo collegamento col tuo tunnel-. Così aveva calato il rampino e l'aveva tirata su, capì Haruko. Annuì e lo seguì in silenzio, così percorsero il corridoio a ritroso per raggiungere Ayame.
***
-Cavoli, la tua stella fortunata lavora sodo- scherzò Ayame quando li vide arrivare. Haruko non ebbe lo spirito di replicare nulla, scossa com'era per ciò che aveva appena passato. Ma la ragazzina non ci badò e aggiunse subito:-Da quella parte c'è un'altra strada. Sbrighiamoci-. Indicava indietro; i due ninja annuirono e la seguirono. Haruko tornò subito in testa al gruppo, anche se dubitava che potesse essere ancora utile: quel masso e le sue urla avevano provocato senz'altro abbastanza rumore da allarmare chiunque lì dentro. Tutti i nemici dovevano essere al corrente della presenza di intrusi nella grotta, vivi o morti che fossero.
I suoi pensieri furono confermati dopo pochi attimi: si ritrovò accerchiata da cinque nemici con le armi già sguainate. Lei fece altrettanto -tirò fuori una katana, l'arma del nemico a cui aveva rubato il travestimento- ma modificò la sua voce rendendola più maschile possibile e disse:-Sono io! Non mi attaccate!-
-Non recitare, impostore! Ti ho visto cadere nelle nostre trappole! Se fossi dei nostri, non sarebbe successo!-
-Chi diavolo sei?!-. Haruko non si era aspettata di riuscire a raggirarli, eppure li maledisse comunque, nervosa. Con lei c'erano anche Ayame e Rikimaru, nascosti, ma erano comunque in inferiorità numerica. Rinfoderò la katana -non intendeva utilizzarla, ma non voleva nemmeno che potessero appropriarsene i nemici- e tirò fuori la sua asta, allungandone le estremità; si sbarazzò della maschera che portava e puntò loro l'asta in metallo, dicendo duramente:-Avete rapito una principessa. Ditemi dov'è-
-Non essere ridicola, mocciosa-
-Perchè l'avete rapita? Cosa volete da quella bambina?!-. L'unica risposta che ottenne fu un colpo di katana, che evitò con un balzo all'indietro per poi spiccare in avanti. Fu rapida, difatti diede un colpo d'asta nel costato dell'avversario, che si piegò in due; a quel punto, gli diede un altro colpo alla nuca, facendogli perdere i sensi. Quasi si ritrovò trafitta dalla lancia di uno degli altri nemici se non fosse stato per Ayame, che gli tagliò la gola alle spalle; a quel punto, si dedicò ad un altro di loro, come stava già facendo Rikimaru. Haruko notò che anche un altro uomo era a terra, morto. Mentre loro se la sbrigavano coi nemici, lei sottrasse ai cadaveri tutto ciò che potesse rivelarsi utile e legò mani e piedi del nemico che aveva battuto ma non ucciso; quando i suoi compagni la ebbero vinta, proseguirono. Rikimaru disse:-Mi è venuta in mente una cosa. Quando ho girovagato per il villaggio, ho sentito alcune donne che parlavano di persone rapite. Pare che ogni tanto, in questo villaggio, qualcuno rapisca la gente ma non si sa per quale motivo. L'unica cosa certa è che nessuno è mai tornato indietro-
-Che bastardi- commentò Ayame, astiosa. Haruko non poteva che essere d'accordo. A quel punto, sembrava abbastanza evidente che i rapitori erano anche i responsabili della sparizione della piccola Kiku.
-Pensate si tratti di una specie di setta?- disse Ayame. Rikimaru rispose:-Non è da escludere-. Avvertirono dei passi frettolosi, di corsa; tutti e tre si nascosero dietro ad una stalagmite di dimensioni non indifferenti, che fu molto opportuna. Giunsero quattro individui, mascherati come i precedenti e con le armi sguainate. Si fermarono proprio lì ma non li notarono; uno di loro disse:-Dividiamoci. Noi due andremo a cercare l'intruso, voi tornate a sorvegliare quella bambina. E' troppo preziosa per il nostro affare-
-Il Maestro Ramitsu ce la farebbe pagare cara se andasse qualcosa storto- convenne un altro. Il gruppo si divise quindi equamente. Haruko, Rikimaru e Ayame si scambiarono un'occhiata, quindi seguirono di soppiatto i due che stavano tornando da Kiku. Notarono un bivio; i due uomini in maschera ne intrapresero uno, e loro anche, a debita distanza. Quella via, in discesa, sbucava in un ampio antro, molto illuminato grazie a una moltitudine di torce a parete. Al centro dell'antro, vi era un altare di roccia, sul quale era stesa la piccola Kiku, addormentata. Era legata mani e piedi e imbavagliata, ma sembrava star bene. Non le avevano nuociuto: i vestiti erano integri e in ordine, e lo stesso valeva per i capelli. Anche la sua pelle era pulita, senza nemmeno un graffio. I tre ninja restarono nascosti dietro delle rocce, a distanza gli uni dagli altri; Haruko notò che Ayame era molto agitata. Sembrava sul punto di mandare all'aria la prudenza per intervenire. D'un tratto, da una delle pareti di quell'antro si aprì un passaggio: sbucò fuori un uomo, vestito come tutti gli altri ma in rosso e privo di maschera. Era anziano ma visibilmente vigoroso.
-Maestro Ramitsu- esordirono i due, inchinandosi. Ramitsu chiese:-Avete notizie del mercante?-
-E' accampato nei pressi del villaggio-
-E avete riscosso i soldi dalla nostra signora?-
-Certamente-. "Mercante? E che signora?" si chiese Haruko.
-Molto bene. Allora prendiamo la bambina e portiamola a Tomaki-
-Maestro, c'è un intruso-
-Di chi si tratta?-
-Non lo sappiamo. Lord Godha è venuto con dei ninja, possiamo presumere che si tratti di uno di loro-
-Quanti ninja?-
-Tre-
-Potrebbero esserci tutti, allora. Se ne stanno occupando?-
-Si, sono tutti in allarme. Stanno setacciando la caverna. Prima o poi li troveranno, qualunque sia il loro numero-
-Bene. Allora noi dobbiamo sbrigarci, prima che ci mettano i bastoni tra le ruote-. I due annuirono, si alzarono e uno di loro prese Kiku. Il Maestro Ramitsu e i due uomini si avviarono verso il passaggio da cui era uscito il primo. Non potevano permettere che sparissero, altrimenti sarebbe stato difficile seguirli e trovarli. Haruko non perse tempo: tirò fuori una delle sue cerbottane, prese la mira e colpì a morte l'uomo che teneva Kiku. Mentre stramazzava a terra, eliminò anche il secondo. Tuttavia, Ramitsu fu lesto a prendere la piccola e a sparire nel passaggio.
-Maledetto!- sbottò Ayame, correndo verso la parete per tentare di aprire quel passaggio. Fu inutile.
-Idiota! Per colpa tua....!- scattò, rivolta ad Haruko, ma lei replicò velocemente:-Dobbiamo uscire da qui, subito! Penso che quel Ramitsu voglia vendere Kiku ad un mercante!-
-E come lo troviamo?!-
-Ci diviamo e perlustriamo i confini del villaggio. Di certo non è su questa collina- asserì Rikimaru, neutro. Ayame emise un verso di impazienza e corse verso l'entrata. Rikimaru e Haruko si lanciarono una rapida occhiata e la seguirono.
***
Percorsero la strada a ritroso, in fretta e furia. Riuscirono a eliminare alcuni nemici alle spalle, ma uno di loro diede l'allarme con un penetrante fischio che rimbombò in tutta la caverna: Haruko si tappò le orecchie, preparandosi al peggio. Presto furono raggiunti da una decina di nemici: Ayame si lanciò agguerrita verso di loro, seguita da Rikimaru. Haruko si difese da uno dei nemici, ma poi la fece finita ricorrendo ad una granata: trafisse al cuore il malcapitato in fiamme senza pensarci troppo -prima di perdere il coraggio- e poi affrontò il successivo, pronta, alla stessa maniera. La attaccarono in tre e per lei fu difficile tenere testa a tutti: riusciva a malapena a parare tutti i colpi con la sua asta. Rikimaru le venne in aiuto: li allontanò tutti e tre da lei e gettò alcuni chiodi per prendere tempo; disse ad Haruko:-Va via, li fermo io-
-Ma....!-
-Non abbiamo tempo da perdere. Va-. Ciò detto, parò il colpo di uno dei tre e lo respinse; Haruko, seppur a malincuore, capì di non avere scelta e obbedì, correndo via. I rumori di quello scontro, tuttavia, attirarono altri nemici: Haruko si fece coraggio, e corse verso di loro, travolgendoli con l'asta e gettandoli tutti a terra. La cosa le riuscì sebbene non fosse imponente o molto forte: merito forse del suo furore e dell'effetto sorpresa. Non perse tempo: lasciò per terra alcune manciate di chiodi e delle mine e riuscì a fuggire via, mentre alcuni di loro andavano a fuoco e altri semplicemente erano rimasti rallentati dai makibishi. Alcuni sfuggirono, tuttavia, ma lei si era già nascosta dietro un angolo: in quel modo, riuscì a trafiggere due di loro in corrispondenza della trachea, mentre un altro inciampò nei loro corpi, e lei potè spezzargli il collo con un colpo secco. La vista di quei cadaveri non la fece sentire affatto fiera, ma si impedì di pensare proseguendo di corsa. Udì altri nemici in avvicinamento; prima di poterli vedere, si servì del rampino per aggrapparsi al soffitto, quindi incastrò faticosamente le mani tra le sporgenze del soffitto, reggendosi sebbene fossero viscide. I nemici passarono di corsa sotto di lei senza notarla. Quando furono abbastanza lontani, balzò giù, si passò le mani sui vestiti per pulirle alla meglio e proseguì la sua corsa.
Raggiunse l'uscita. Trovarsi finalmente all'aria aperta le diede un'incredibile sensazione di benessere. Peccato che non potesse goderne: aveva un compito da svolgere.
-Ti troverò, Principessa- affermò, quindi si gettò in corsa lungo quel versante della collina.
***
Il ragno si calò lentamente, le zampette spalancate. Si fermò proprio davanti al suo viso, in mezzo agli occhi. Lei lo ignorò. Aveva qualcosa di più urgente a cui dedicare la sua attenzione.
Era nascosta sopra ad un albero; sotto di lei, alcuni nemici mascherati correvano lungo la collina. Più volte aveva rischiato di farsi scoprire: ce n'erano tantissimi e apparivano a piccoli gruppi. Aveva preferito celare la sua presenza lassù, ma non poteva restare lì ancora per molto. Doveva agire.
Presto, udì un altro gruppo in avvicinamento, così si affrettò a tirare fuori una polvere soporifera. Ci ripensò tuttavia: le maschere limitavano l'ingresso della polvere nelle vie aeree dei nemici, soprattutto visto che correvano e sarebbero passati troppo velocemente. Così lanciò una buona manciata di chiodi, che fermarono tutti e quattro i nemici. Haruko non perse tempo: ne uccise due lanciando un kunai al centro del loro cervello, un altro con la cerbottana e l'ultimo a mani nude, calando su di lui e spezzandogli il collo. Rapida, si impossessò dei vestiti e soprattutto della maschera di uno di loro e nascose il corpo nudo parzialmente sotto il cadavere di uno di essi e in parte con delle foglie, quindi corse via. Si accorse che stava imparando in fretta. La cosa le piacque e non le piacque allo stesso tempo, ma non si permise di pensarci.
Risalì la collina e, come previsto, incontrò un altro gruppo di nemici; modulò la voce per renderla meno femminile e urlò:-Ci attaccano! I ninja nemici!-
-Dove??- chiese uno di loro. Lei indicò verso il punto da cui era venuta, fingendo agitazione:-Da quella parte! Sono solo due, ma bisogna stare attenti! Quei bastardi!-. Un altro di loro sollevò la maschera quanto bastava per liberare la bocca ed emise un fischio acuto, probabilmente per chiamare rinforzi. Haruko disse:-Troveranno il capo e la Principessa! Dobbiamo raggiungerli! Venite con me!-
-Buona idea, tanto arrivano gli altri- replicò colui che aveva fischiato, che fu anche il primo a prendere la giusta direzione. Si diresse a destra: Haruko e gli altri cinque nemici lo seguirono di corsa.
***
Il paesaggio cambiò gradualmente: avevano percorso la collina sulla destra, attraversando il bosco, dopo di che erano scesi, così il bosco era diradato sempre di più, fino a che il terreno non era più in discesa ma pianeggiante, ed era comparso un piccolo lago. Il pianto di una bambina fece stringere il cuore ad Haruko: era la Principessa! E fortunatamente non era molto lontana.
Tutti loro si diressero verso il pianto e, presto, si imbatterono in Ramitsu, che trasportava la bambina su una spalla, come un sacco. L'aveva imbavagliata.
-Signore! La scorteremo dal mercante Tomaki! I ninja nemici ci stanno dando problemi-
-Accetto il supporto. Facciamo in fretta e poi occupiamoci di quegli scocciatori-
-Forse non è stata una buona idea far venire Lord Godha qui. Non avremmo quelle piaghe di ninja, adesso-
-Bè, era l'unico modo, dato che quel maledetto è malato. E comunque meglio badare a tre ninja che non all'esercito di Godha, ti pare?-
-Giusto, Maestro Ramitsu-. Il gruppo si incamminò, Ramitsu in testa, a passo svelto. Haruko si tenne all'erta per intervenire nel momento più propizio.
-Quanto incasseremo per la piccola principessa?- chiese uno dei nemici mascherati. Era un donna, per la verità.
-Lo vedrai. E' comunque parecchio. Sommato a quello che ci ha elargito la cara signora per il lavoro...-
-E quando suo marito non guarirà, che cosa le diremo?-
-La uccideremo. Il marito non sa nulla e morirà semplicemente della sua malattia. Sua moglie non gli dirà mai cosa ha cercato di fare nella speranza di guarirlo-
-Povera idiota! Davvero ha pensato che esiste un rito magico per guarire dalle malattie?! Col sangue di una bambina, poi!-. Risero tutti, meno Ramitsu; Haruko si unì alla risata generale, facendosi un quadro della situazione e provando molta pena per la moglie del commerciante. E un odio incontrollato per quegli animali.
Ramitsu si fermò e posò la bambina per terra con ben poca delicatezza. Tuttavia poi le carezzò il viso spaventato e in lacrime e disse, fintamente cordiale:-Tranquilla, cara. Tra un pò passerai in mani migliori. Sarai in compagnia-. Si rivolse poi al gruppo:-Due di voi raggiungessero Tomaki e lo portassero qui. In fretta-. Si fece avanti uno di loro -la donna- e Haruko fece altrettanto. La seguì lungo la sponda del lago per poi addentrarsi nuovamente nel bosco. Presto raggiunsero un piccolo accampamento. C'erano tre tende e un fuoco spento. La donna aprì con poca gentilezza una delle tende: Haruko vide una donna magrissima e vestita di stracci trasalire e tentare di allontanarsi dall'uscita. Ma poco poteva fare, dato che era legata mani e piedi. Ad Haruko si strinse il cuore: quella donna era sporca e scarmigliata, ma soprattutto il suo viso pallido ospitava due occhi sbarrati e terrorizzati. Si avvicinò a una delle altre due tende e vi trovò due ragazzini nelle stesse condizioni, solo che questi erano anche imbavagliati.
"Ma che diavolo...?".
-Oh, eccovi!-. Dalla terza tenda era comparso un uomo di mezza età, piccolo di statura, ben vestito e riposato. Sorrideva. Haruko lo odiò al primo sguardo.
-Il Maestro Ramitsu ti aspetta. Ti scorteremo da lui- esordì laconica la donna mascherata. Tomaki disse:-Gradirei che uno di voi restasse qui a sorvegliare i miei schiavi. Non vorrei che riuscissero a fuggire o che succeda qualcosa. Devo ancora venderli-
-Resto io- fece Haruko, mossa a compassione. I due si allontanarono. Haruko aspettò un pò, poi entrò nella tenda dei ragazzini, che emisero un gemito di penoso terrore, piangendo; tolse la maschera e disse loro:-Non sono una nemica. Sono un'infiltrata. Vi libererò e voi andrete via, chiaro? Ma prima aspetterete che liberi la donna nella tenda accanto. Dovete restare uniti-. I due, increduli, annuirono freneticamente. Haruko estrasse un kunai e li liberò recidendo le corde che li legavano con un colpo secco. Si recò poi dalla donna, le disse le stesse parole e fece altrettanto. Prima che i tre sparissero, Haruko domandò:-Quel Tomaki è un mercante di schiavi, vero?-. Annuirono tutti e tre; la donna disse, in lacrime:-E' stato mio marito a vendermi a lui. Non riuscivo a dargli un figlio. Si è liberato di me vendendomi a lui-
-Nostro padre ha fatto lo stesso. Non siamo molto forti e non riuscivamo ad aiutarlo nel suo campo. Ha guadagnato più vendendoci che non facendoci lavorare con lui...-. Anche i ragazzini piansero. Haruko era inorridita. Consegnò loro alcune piccole armi e dei soldi; disse:-Restate insieme e andate il più lontano possibile da qui. Rifatevi una vita. Tranquilli, ci riuscirete. Ci sono riuscita anch'io. Fidatevi delle mie parole-. Strinse le mani della donna e la guardò fisso negli occhi per convincerla delle parole appena pronunciate. Lo stesso fece coi due ragazzini. Fu lieta di vedere parte del dolore nei loro occhi dipanarsi per far spazio alla speranza, alla voglia di fuggire e di vivere, di prendere in mano le loro semplici vite.
-Andate. Presto-. I tre annuirono, racimolarono tutto ciò che poterono da lì -cibo, vestiti, qualunque cosa- e la ringraziarono di cuore, ancora in lacrime, sparendo nella foresta. A quel punto, Haruko rimise la maschera e si sedette accanto al fuoco spento.
***
Ci volle forse mezz'ora prima che Tomaki tornasse. Aveva con sè la piccola Kiku, talmente atterrita che non piangeva più, e la scorta di prima. L'espressione compiaciuta sul viso dell'uomo le fece apprezzare la velocità con cui aveva imparato a uccidere senza nascondersi o usare veleni. Fino a quel momento, pur avendo ucciso a mani nude, Haruko aveva fatto in modo di prendere il nemico alle spalle, limitare le sue sofferenze e soprattutto evitare di incontrare i suoi occhi. Per la prima volta, invece, la ragazza desiderò vedere il terrore di quell'uomo mentre lei lo uccideva.
-Ecco qua. Potete andare- disse lui, poggiando Kiku in una tenda. La donna che lo aveva accompagnato annuì e si voltò per andar via, sicuramente certa che Haruko l'avrebbe seguita, ma si sbagliava di grosso. La ninja la raggiunse alle spalle, afferrò saldamente la testa della nemica e le spezzo il collo con più forza del solito. Tomaki aveva visto tutto e, improvvisamente sgomento e bianco come un lenzuolo, prese a indietreggiare, senza parole. Haruko avanzò verso di lui. L'uomo aumentò il passo, ma inciampò e cadde goffamente, tentando di porre le distanze strisciando col sedere per terra e gemendo impaurito. Impaurito e soprattutto conscio di ciò che stava per succedere.
-M-ma tu...??-
-Io sto per darti ciò che meriti. Sei un lurido mercante di schiavi. Hai approfittato dei più deboli per guadagnare denaro dal loro dolore. Sei...un abietto. Uno schifoso. Per questo ti strapperò la vita. E credimi, lo farò poco a poco-
-No! No, io....!
-Tu che cosa?-
-Io non esisterei nemmeno se non ci fosse gente disposta a procurarmi schiavi!-. Haruko non rispose: era superfluo. Tomaki aveva ragione: sarebbe stato opportuno ripulire il mondo da gente ripugnante come lui e come il marito di quella povera donna o come il padre di quei due ragazzini. Ma era ben conscia di non poterlo fare. Non poteva pensare di vagare per il Giappone eliminando chi viveva del dolore altrui. Per il momento poteva bastarle togliere di mezzo quel verme e salvare la principessa.
Estrasse uno dei chiodi: trafiggere quell'uomo con uno strumento non pensato per quello scopo gli avrebbe procurato più dolore. Quello che meritava.
La giovane avanzò verso Tomaki, il quale indietreggiò ancora, tremando come una foglia, finchè non finì di schiena contro un albero. A quel punto iniziò a pregarla, piangendo:-T-ti prego! Ti darò ciò che vuoi! Tutto il mio denaro!-
-Denaro sporco non ne voglio-. Sollevò il makibishi e lo trafisse una volta, nel petto. L'uomo urlò come un maiale che veniva sgozzato, sebbene la ferita non fosse mortale. L'urlo di dolore e terrore ferì tuttavia il cuore di Haruko, che per natura non era una persona che amava infliggere dolore, seppur meritato. Non volle mollare, tuttavia: strinse i denti e, prima di perdere la determinazione, lo trafisse ancora, più e più volte, sempre più veloce, con rabbia, con odio. Immaginò di avere lì davanti Lady Kagami. Quella maledetta donna, la causa per cui aveva perso la sua famiglia, la sua vita. Il pensiero di lei che moriva per mano sua le impedì di udire le grida raccapriccianti dell'uomo in preda al dolore, alla paura, alla voglia di morire in fretta. Haruko continuò finchè non si accorse di essere in totale balia della rabbia. Spaventata da se stessa, trasalì e indietreggiò, ansimando. Tomaki era ormai morto, il corpo abbandonato contro quell'albero, i vestiti laceri e sporchi di sangue, il viso immobile in un'espressione di dolore e paura. I suoi occhi vuoti erano spalancati, la bocca aperta  grondante sangue. Haruko vide che non lo aveva solo trafitto: lo aveva squarciato. E non aveva più un solo chiodo, bensì due. Gli aveva inflitto il dolore che meritava, era morto soffrendo, sia di dolore che di paura. Tuttavia, la ragazza non era affatto fiera di ciò che aveva fatto. Al contrario, ne era inorridita e in parte spaventata. Sapere di poter essere così selvaggia...
Cadde in ginocchio, piangendo in silenzio ma copiosamente.
***
La Principessa Kiku era stata portata in salvo da suo padre da Haruko, mentre Rikimaru e Ayame avevano eliminato tutti i nemici, compreso Ramitsu, che avevano fatto fuori mentre tornava alla caverna. Haruko, che aveva compreso la situazione, aveva riportato tutto a Godha per filo e per segno: il commerciante che li aveva ospitati era gravemente malato e sua moglie, disperata, si era rivolta a Ramitsu affinchè eseguisse un rito religioso per salvargli la vita. Ramitsu aveva chiesto in cambio la principessa, con lo scopo di venderla al mercante di schiavi Tomaki e guadagnare una cospicua quantità di denaro, a spese della povera moglie del commerciante, ignara del tranello. Ciononostante, la donna fu portata a castello e chiusa in prigione. Lord Godha aveva tuttavia promesso al commerciante un guaritore di nota bravura affinchè ricevesse le cure necessarie alla guarigione o, quantomeno, per lenire le sue sofferenze nel caso in cui la guarigione fosse impossibile.
Tornarono al villaggio dopo il tramonto: Haruko cenò ma, nonostante la stanchezza, non aveva voglia di dormire. Si sistemò sul tetto della casa degli Azuma a contemplare il cielo stellato. Si mise a riflettere.
Ripensò a quello che aveva fatto, al modo brutale in cui aveva ucciso Tomaki...
Inorridì di nuovo, spaventata da se stessa. Fortunatamente, però, ricordò anche di aver liberato quelle tre persone, di aver dato loro modo di rifarsi una vita, esattamente come era stato per lei grazie a Rikimaru in principal modo. Già, lei aveva una nuova vita adesso. La sua vecchia vita non c'era più...restava solo prenderne atto e andare avanti. I suoi genitori, Akahito, il suo villaggio, suo fratello...non aveva più nulla. Era colpa di Lady Kagami. Ma lei era ormai morta. A che serviva serbare rancore contro qualcuno contro il quale non ci si poteva vendicare? Quella donna le aveva tolto tutto...ma non voleva che le togliesse anche se stessa. Haruko non intendeva diventare oscura come lo era lei. Haruko non era così.
"Io non sono così. Ora devo lottare per quello che ho. Per me stessa e per le persone a cui voglio bene". Se lo ripetè diverse volte...finchè non si addormentò, esausta ma non del tutto serena.
***
Haruko sussultò, sebbene il tocco che l'aveva svegliata fosse delicato. Riconobbe subito Rikimaru, nonostante il suo viso fosse ancora celato dalla maschera, che lasciava scoperti solo gli occhi.
-Va a dormire- le disse. Lei si sollevò sui gomiti, annuendo, tuttavia restò lì seduta. Il giovane le domandò:-Stai bene?-
-Si. Si, sto bene-. Non sapeva se fosse vero, ma non se lo domandò. Doveva essere vero. Rikimaru la scrutò, ma non disse nulla. Lei evitò di guardarlo, timorosa che potesse leggere qualcosa di troppo sul suo viso.
-Sei stata brava, oggi-
-Grazie. Ma non lo sarei stata se tu non mi avessi salvata. Sarei morta miseramente-. Rikimaru non rispose. Haruko disse:-Ho l'impressione che tu mi abbia sottovalutata. Non sono molto forte fisicamente e non sono un asso nello scontro frontale...ma, se non valessi nulla, non avrei fatto parte dei ninja di Toda. Se non valessi nulla, sarei morta prima che avessimo potuto incontrarci-
-Hai ragione. Ma non ti ho sottovalutata-
-E allora cos'era quel complimento? Non mi sembra che tu ne faccia spesso. A chiunque-. Il giovane restò interdetto a guardarla. Haruko si pentì di quelle parole: lo attribuì alla stanchezza e al fatto di essere stata svegliata. Non c'era altro.
-Scusami, io...non amo essere svegliata. Vado a dormire. E grazie di nuovo per avermi salvato la vita-
-A buon rendere-
-Già. A buon rendere-. La ragazza si alzò, balzò giù dal tetto e andò a mettersi a letto. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il sonno di quella nottata fu molto ristoratore, anche per l'anima di Haruko: la ragazza smise di pensare a ciò che la tormentava fino al giorno prima, il che non le fu difficile dato che riprese la solita routine.
Fu inoltre molto lieta di scoprire che il Maestro Shiunsai non le chiese indietro le armi. Erano davvero di nuovo sue, senza ombra di dubbio. Aveva conquistato la fiducia dei ninja Azuma, insomma! Quella consapevolezza non potè far altro che metterla di buon umore, spazzando via i turbamenti seguiti alla missione.
***
-Attenta a non scivolare-
-Non potevi scegliere posto peggiore-
-Spesso non possiamo scegliere i luoghi in cui combattere-. Quel pomeriggio Rikimaru aveva deciso che si sarebbero allenati nel combattimento ai piedi di una cascata. Non era alta, ma era comunque molto bella. Sebbene lo scrosciare dell'acqua fosse rumoroso, non infastidiva Haruko e non impediva ai due di comunicare. L'acqua che arrivava loro per soffusione era molto piacevole sulla pelle: fresca, pulita, delicata. L'unico inconveniente era che le rocce alla base della cascata erano un pò viscide, per cui era molto probabile che lei sarebbe caduta in acqua durante il combattimento. Lo stesso non sarebbe valso per Rikimaru, lo sapeva: lui era troppo concentrato e serioso per avere una simile ridicola defiance. No, Haruko non poteva proprio immaginarselo mentre scivolava e rovinava goffamente in acqua.
-Pronta?-. Non lo era. Haruko annuì nonostante tutto e gli puntò contro l'asta, sebbene il giovane fosse su una roccia ad alcuni metri di distanza da lei. Lo vide tirar fuori la katana. Restarono alcuni secondi a studiarsi. Quando Rikimaru capì che Haruko non avrebbe mai attaccato per prima, fece un balzo in sua direzione e diede un fendente con la katana, che lei respinse con l'asta. Rikimaru, come prevedibile, atterrò su un'altra roccia -e non scivolò- e la attaccò nuovamente. Haruko lo respinse ancora. Il ragazzo disse, a voce alta per sovrastare il baccano della cascata:-Non restare ferma lì! Sii più dinamica-
-Ma so già che cadrò in acqua!-
-Devi fare tuo l'ambiente che ti circonda-. "E' una parola" pensò la ragazza, ma seguì comunque il consiglio di Rikimaru e spiccò un salto in sua direzione. Stavolta fu Rikimaru a respingerla, e lei ricadde su un'altra roccia. Armoniosamente.
"Forse è più semplice di quel che sembra". Pur con prudenza, lei lo attaccò ancora e ancora. Lo scontro si protrasse per alcuni minuti, durante i quali i due ragazzi si tennero testa a vicenda, con cautela, sia per non scivolare sia per non ferirsi l'un l'altra. Quando Haruko smise di preoccuparsi di scivolare, accadde ciò che aveva tentato di evitare: per allontanarsi da Rikimaru balzò su una delle rocce, ma si ritrovò in acqua due secondi dopo. Le balzò il cuore in gola per lo spavento, la sorpresa e il freddo dell'acqua. Tornò subito in superficie, infastidita e certa di aver fatto una figuraccia. Quando aprì gli occhi, si ritrovò Rikimaru di fronte, sulla roccia dalla quale lei era scivolata. Era accovacciato su un ginocchio.
-Tutto bene?-
-Si- borbottò lei. Poggiò le mani sulla roccia per risalire, ma era troppo viscida. Ricadde in acqua come un sacco di patate. Ritornò in superficie, irritata, e riprovò, ma fallì nuovamente. Rikimaru le offrì una mano per tirarla su ma, quando lei la prese, qualcosa andò storto e finì in acqua anche lui, con una piccola esclamazione di sorpresa. Quando entrambi furono in superficie, Haruko lo vide, fradicio e spiazzato, e scoppiò a ridere. Così facendo faticò a mantenersi a galla, tuttavia le venne da ridere ancora di più.
-Che ridi?-
-Avresti dovuto vederti!- replicò lei, ancora sghignazzando e faticando a mantenersi. Rikimaru si sentì arrossire e sperò non si vedesse; tuttavia, si scoprì a sorridere appena, trascinato dalla risata spensierata di lei.
Aveva un bel suono la sua risata. Ed era bello vederla sorridere e ridere di cuore, finalmente serena. Non riusciva proprio a smettere. L'ultima volta che aveva fatto ridere qualcuno risaliva a diversi anni prima, quando era un bambino: aveva posto una domanda ingenua al Maestro Shiunsai e lui era scoppiato a ridere. Non ricordava di cosa si trattasse, tuttavia. In ogni caso, invece di vergognarsi del fatto che Haruko stesse ridendo di lui, ne fu lieto.
-Aiuto, adesso affogherò! E sarà per colpa tua, che mi fai ridere!- esclamò lei scherzosamente, ancora ridendo. Il sorriso di Rikimaru si allargò senza che potesse farci nulla, pur impercettibilmente, ma non ci fece caso e risalì sulla roccia dalla quale era scivolato. Una volta su, le porse una mano; lei smise di sghignazzare e la prese. Il ragazzo la tirò su in un sol colpo, quasi fosse una bambolina di pezza; si ritrovarono maledettamente vicini, su quella stretta roccia. Lo sguardo di entrambi finì in quello dell'altro. La ragazza, sebbene in imbarazzo, sorrise appena mentre lo guardava, gradendo quell'inaspettata vicinanza; Rikimaru, al contempo, faticò a formulare qualunque pensiero: era la prima volta che si trovava così vicino ad una ragazza. Non aveva mai pensato a cose di quel genere, aveva sempre evitato distrazioni simili. Era completamente spaesato. Per la prima volta, era capitato in una situazione che non aveva idea di come gestire. Il disagio era però affiancato dal piacere, il che era contraddittorio in una maniera che lo confondeva: come poteva trovare Haruko così carina, come poteva apprezzare quella vicinanza così intima, perdersi nei suoi occhi, desiderare di avvicinarsi ancora di più se nel frattempo la cosa lo spaventava e lo spiazzava completamente?
Haruko si sentì elettrizzata. Al contempo, era rapita dalla situazione: in quel momento nulla occupava la sua mente se non il fatto che lei e Rikimaru fossero così vicini. In quel momento non ricordava neppure dove fossero, a stento era consapevole della precarietà della loro posizione, dei suoi vestiti fradici e freddi, del rumore della cascata. Era trascorso del tempo da quando non provava più emozioni simili; in realtà, presa dal proposito di salvare suo fratello e vendicare la sua famiglia da Lady Kagami, aveva pensato che non avrebbe mai più provato nemmeno vagamente interesse per qualcuno. Invece...
Decise di lasciarsi andare. Decise di vivere quel momento. Decise di smettere di pensare, di ricordare il passato. Decise di lasciare che il suo cuore battesse forte, che il desiderio di annullare la distanza tra lei e Rikimaru fosse soddisfatto...
Rikimaru invece lasciò prevalere il panico. Fu più forte di lui. Mollò la ragazza all'improvviso, indietreggiando per quanto possibile e recidendo il contatto visivo; balzò sulla sponda di quella conca d'acqua dicendo:-Andiamo o ci prenderemo un malanno. Continuiamo domani-
-Certo- replicò Haruko, pur a stento. Era stordita, come se fosse nel bel mezzo di un bel sogno e fosse stata svegliata bruscamente. D'improvviso, non riuscì a guardarlo, esattamente come lui. Una volta fuori dall'acqua, fu scossa da alcuni brividi di freddo. I vestiti, pesanti d'acqua gelida, le erano incollati addosso.
-Andiamo a toglierci questi vestiti- disse Rikimaru, come leggendole nel pensiero. Immediatamente dopo, arrossì e si incamminò verso casa a passo svelto. Haruko sospirò e lo seguì in silenzio.
***
Era seduta sull'erba, fuori dalla casetta degli Azuma. Era sera, un piacevole venticello le carezzava la pelle e giocava con le sue treccine. Haruko era intenta ad affilare i suoi kunai. Semimaru si era addormentato al suo fianco, dopo aver riscosso una generosa dose di coccole.
Affilare i kunai non era un'attività necessaria in quel momento. Haruko ci si stava dedicando solo per non pensare. Doveva stare attenta a non tagliarsi: maneggiare le lame richiedeva sempre cautela. Eppure, i suoi pensieri fluivano senza impedimenti di sorta, suo malgrado. Colui che occupava la sua mente, stavolta, era Akahito. La ragazza ricordava fin troppo bene come lo aveva perso, il suo sangue, la pesantezza del suo corpo debole in fin di vita, i suoi occhi che si spegnevano...
Ricordava anche tutte le volte che avevano giocato assieme da piccoli, gli sguardi che avevano iniziato a lanciarsi di nascosto, e poi i loro incontri segreti nelle ore più disparate del giorno, e i baci timidi che avevano iniziato a scambiarsi...
Haruko aveva iniziato a pensare che un giorno l'avrebbe sposato. Stava bene con lui, e lui non aveva occhi che per lei. Ne era consapevole e la cosa le piaceva da morire. Non riusciva a immaginare nessun altro accanto a lei. Varie volte aveva sognato di vivere con lui, di cucinare per lui e per i loro due bambini...
Era una visione che lei reputava reale, che si sarebbe senz'altro avverata. Era solo questione di tempo. Mai avrebbe potuto immaginare che Akahito sarebbe morto precocemente e che lei avrebbe iniziato a desiderare la vicinanza di un ragazzo che era completamente diverso da lui...
Quelli erano solo i vaneggiamenti di una ragazzina. Seguendo Lady Kagami, Haruko aveva smesso di sognare, aveva smesso di immaginarsi con un uomo accanto, con una famiglia tutta sua...
Erano idee così lontane e astratte. Non aveva certo tempo nè modo di dedicarsi ad una famiglia. In quel momento stava invece riconsiderando la cosa.
La sua vita stava tornando più o meno normale...
Sintomo di ciò era il desiderio di attenzioni da parte di Rikimaru. Purtroppo, però, Haruko non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Sapeva che avrebbe portato Akahito nel suo cuore per sempre, che mai lo avrebbe dimenticato, eppure le sembrava di sostituirlo, che fosse con Rikimaru o con qualcun altro era irrilevante.  Anche se era ben cosciente di non poter vivere per sempre ancorata al suo passato...
Trasalì quando Semimaru balzò in piedi e corse via. Fortunatamente, non si tagliò con il kunai che aveva tra le mani.
Si voltò e vide il cane caracollare verso Rikimaru, scondinzolando come un pazzo. Il giovane rispose alle sue feste, sorridendo appena. Haruko notò che usciva dalla stanza del Maestro Shiunsai.
Il ragazzo la notò e la salutò, sforzandosi di ignorare l'imbarazzo che lo attanagliava da quel pomeriggio; lo stesso fece lei, con finta disinvoltura.
-Che stai facendo?- le domandò lui.
-Affilavo i miei kunai. Speravo mi venisse un pò di sonno. Tu?-
-Ho appena parlato col Maestro. C'è una nuova missione per me-
-Oh-. Di già? La notizia non piacque ad Haruko. Si ritrovò di nuovo preoccupata per lui. Pensò di chiedergli se poteva seguirlo, ma lasciò perdere: se fosse stato possibile, il vecchio maestro l'avrebbe già avvertita, cosa che non era accaduta. Quella missione doveva essere svolta da Rikimaru, da solo. Lei doveva solo aspettarlo lì. E doveva smetterla di preoccuparsi per lui. Era un ninja, diamine, la sua vita era così. E comunque non erano affari suoi...
-Haruko?-
-Cosa?-
-A che stai pensando?-
-Oh, ehm...niente. Forse mi sta venendo sonno-
-Capisco-. Intercorsero alcuni secondi di silenzio, che parvero decisamente di più a entrambi. Semimaru si sedette tra loro, ignaro del disagio dei due.
Haruko prese la parola:-E quando parti?-
-Tra alcune ore. Devo arrivare tra le montagne. Prima arrivo e meglio è-
-Allora ti conviene andare a dormire-
-Già-. Nuovo silenzio. Stavolta persino Semimaru notò la sua pesantezza, difatti lanciò un'occhiata interrogativa prima all'uno e poi all'altra.
-Allora vado. Buonanotte-
-Buonanotte-. Il ninja salutò il cane con un'ultima carezza, dopo di che si voltò e si diresse verso la sua stanza. Prima di accorgersene, Haruko lo richiamò:-Rikimaru?-
-Si?-
-Uhm...-. Che diavolo voleva dirgli? Che non le andava a genio che lui andasse in missione da solo?
-Cosa c'è?-
-Io...niente di importante. Solo...fai attenzione-. Nemmeno terminò la frase che, imbarazzata, aggiunse:-Ehm, scusami. E' una sciocchezza. E' ovvio che farai attenzione-. Scosse la testa, imbarazzata, ma mentalmente si maledisse per aver parlato senza riflettere. Che stupida figura. Che cosa stupida da dire.
Ma Rikimaru era troppo educato per farle pesare qualunque sciocchezza lei potesse dire, così replicò semplicemente:-Non tutti prestano attenzione a ciò che fanno, in effetti-. "O a ciò che dicono" pensò Haruko, ma sorrise e rispose:-In effetti-. Calò ancora il silenzio. Rikimaru si congedò augurando ancora la buonanotte...e Haruko sospirò profondamente, preoccupata. E si sentì in colpa di esserlo, anche se tra lei e Rikimaru non c'era proprio nulla.
***
 
Quando si svegliò quella mattina, Rikimaru era già partito in missione. Haruko si gettò a capofitto nei suoi impegni mattutini e, così, evitò di preoccuparsi per il giovane. Quando tornò a casa per pranzo, scoprì che anche Ayame era partita per una missione. Era solo un caso o qualcosa di grosso bolliva in pentola? Avrebbe potuto chiedere informazioni al Maestro Shiunsai, ma decise di lasciar perdere, sicuramente non c'era di che preoccuparsi. Aveva un brutto presentimento, ma poteva trattarsi solo di apprensione per i suoi amici.
Passarono tre giorni. Haruko era dal panettiere, come ogni mattina, solo che stavolta la signora le aveva affidato suo figlio poichè doveva fare la spesa. Non c'era nessuno in negozio, così la ragazza potè tenere in braccio il bimbo e cullarlo per conciliargli il sonno. In realtà non era necessario, Harumaru era tranquillo e sonnecchiava placidamente. Sua madre era fortunata, e Haruko lo aveva pensato varie volte. Ricordava che, quando era ancora al suo villaggio, aveva sentito spesso di mamme e papà che si lamentavano dei figli neonati perchè piangevano di continuo, impedendo ai genitori perfino di dormire la notte. La ragazza aveva sempre temuto di avere figli: il riposo notturno era essenziale per lei! In quel momento però capì che non poteva essere così male, soprattutto se le capitava di avere un figlio angelico come Harumaru. E andava d'accordo anche con la sua sorellina, Mina. Haruko non aveva mai adorato i bambini come le altre sue coetanee, ma forse qualcosa stava cambiando in lei, ora che aveva a che fare con quei due bambini.
Per la prima volta si immaginò seriamente con un figlio.
Scacciò tuttavia quell'immagine: non era il momento di pensare a questo. Nulla era stabile nella sua vita, quella visione era ancora ben lontana per lei.
Shizune tornò in negozio, così lei potè andare via, suo malgrado -cullare Harumaru le donava una pace che era difficile da descrivere a parole-. Presto, però, quella pace sarebbe completamente svanita. Dopo pranzo, infatti, la giovane fece il bucato e lo stese al sole. Si recò quindi dal maestro per avvertirlo che andava via per allenarsi, ma proprio in quel mentre vide Rikimaru.
-Ehi!-
-Haruko-. Lei percepì una certa tensione nella sua voce, sebbene il volto di Rikimaru fosse impassibile come sempre e comunque coperto fin sotto gli occhi dalla sua maschera scura.
-Scusami, devo parlare col Maestro-
-E' successo qualcosa?-
-Ho rivisto Tatsumaru. E' vivo-. Il cuore di Haruko subì un sobbalzo. E non era di gioia. In effetti, nemmeno Rikimaru sembrava felice della cosa.
-Posso venire anch'io? Vorrei ascoltare-
-Certo-. I due entrarono nella stanza del Maestro Shiunsai; Haruko si sedette sulle ginocchia, Rikimaru restò genuflesso su un ginocchio.
Il giovane raccontò succintamente ciò che aveva vissuto al termine della sua missione: sconfitto il suo nemico, che era un invasore cinese che aveva schiavizzato la maggior parte degli uomini di un villaggio vicino, era apparso Tatsumaru, che lo aveva attaccato. Il ragazzo aveva una maschera e aveva detto di chiamarsi Seiryu, di appartenere all'Aurora di Fuoco e di non conoscere nessun Tatsumaru. Non aveva nemmeno riconosciuto Rikimaru. Era quindi andato via, lasciando Rikimaru confuso e turbato.
Haruko, invece, era raggelata: udire di nuovo il nome dell'Aurora di Fuoco le aveva ghiacciato il cuore e tutte le membra, sapere che Tatsumaru era ancora vivo dopo quella caduta le aveva tolto il respiro. Se lui era vivo e se l'Aurora di Fuoco esisteva ancora, significava che anche Lady Kagami era ancora viva e soprattutto vegeta, tanto da rimettersi a capo di quel clan da strapazzo. E, quindi, i suoi guai non erano finiti: Lady Kagami era ancora decisa a perseguire i suoi scopi, avrebbe dato guerra e Lord Godha, avrebbe raggiunto anche quel villaggio e tutti i villaggi del Giappone e li avrebbe rasi al suolo, eliminando chiunque non fosse stato disposto a seguirla. E avrebbe cercato lei per ucciderla.
Haruko non era al sicuro come aveva creduto. Altro che nuova vita: il suo incubo non era ancora terminato, anzi, stava per diventare ancora più terrificante e oscuro.
E Raundomaru? Sicuramente era ancora con quella strega e voleva ucciderla.
Gli occhi di Haruko si riempirono di lacrime mentre quelle notizie, la paura e un profondo smarrimento la travolsero. Vagamente seguì il resto del discorso tra Shiunsai e Rikimaru: c'era la possibilità che Tatsumaru avesse perso la sua identità, la memoria, ma in ogni caso era responsabile delle sue azioni e solo l'uccisione per mano di un ninja Azuma avrebbe potuto purificarlo. A quel punto la ragazza non riuscì a seguire più nulla. Sopraffatta dalle sue emozioni, si alzò e corse via, in preda al pianto. Si ritrovò nel boschetto vicino casa; crollò in ginocchio di fronte ad un albero, grondando lacrime, improvvisamente arrabbiata. Ce l'aveva con quella dannata donna: nemmeno l'inferno la voleva, e così era ancora lì a seminare dolore e violenza. Haruko si voltò e iniziò a bombardare il terreno di pugni, sempre di più. Le mani le si arrossarono, ma lei non sentiva dolore, solo rabbia, odio.
-Haruko-. La ragazza si bloccò e si tirò su, voltandosi verso la voce. Non riusciva a vedere di chi si trattasse in quanto accecata dalle sue calde lacrime, ma riconobbe Rikimaru. Si asciugò gli occhi con rabbia e voltò il viso per impedirgli di guardarla ancora mentre era in quelle condizioni -come se potesse servire a qualcosa...-. Avvertì ora il dolore alle mani, che erano sporche di terra, arrossate e graffiate.
-Perchè sei così sconvolta?-
-Io...-. Strinse i pugni doloranti. A che serviva celare ancora la verità? Ormai erano dalla stessa parte. Lo erano sempre stati, in realtà.
-Quella Lady Kagami...io la odio. La odio, Rikimaru. La ucciderei. Anzi...io la ucciderò-. Rikimaru tacque. Haruko avvertiva le sue tacite domande nell'aria che c'era tra loro; disse, irata:-Mi ha portato via tutto. Ha distrutto il mio villaggio, ha eliminato i miei genitori, ha irretito mio fratello, che ora mi odia e vuole uccidermi. Credevo fosse morta, ma non è così-. Haruko, di nuovo in lacrime, a metà tra il rancore e la disperazione, si voltò verso il ninja e disse:-Rikimaru, quella donna è peggio di un demonio. Lo farà ancora. Ucciderà, distruggerà interi villaggi, finchè non ucciderà anche Godha e dominerà ogni cosa-. Ancor più turbato da quelle parole, il giovane chiese:-Ma perchè? Che cosa vuole?-. Haruko si strinse nelle braccia, tremando, sconvolta. Stava perdendo il controllo e stava lottando contro se stessa per restare lucida; ci riusciva a stento. Tuttavia, non rispose.
Il ragazzo, colpito da tanto dolore, preferì non insistere, anche se informazioni su quella donna e sul suo clan potevano essergli utili. Era diretto al Tempio dei Sogni, avrebbe trovato lì le sue risposte, quindi inutile tediare la ragazza, che appariva fragile e indifesa, e lo era diventata al solo sentir parlare di quella faccenda. Si voltò, pronto a partire seduta stante per quella nuova missione, tuttavia, anche se non aveva tempo per aiutare Haruko, volle tentare di alleviare le sue pene. Le disse:-Haruko. Non disperare. Non sei sola-. Ciò detto, corse via, veloce come il vento.
***
Haruko restò interdetta. Fissò Rikimaru finchè non scomparve dalla sua vista. Aveva pronunciato solo poche parole, eppure avevano avuto il potere di calmarla, di arrestare quel fiume in piena di dolore, rabbia e paura.
"Non disperare. Non sei sola". Non era sola.
Era vero, non lo era più. Quelle parole significavano che i ninja Azuma l'avrebbero aiutata, protetta, che non doveva più affrontare l'Aurora di Fuoco e Lady Kagami da sola. Si sentì commossa, felice...ma in realtà questo durò poco.
A ben pensarci, sarebbe stato meglio se Haruko fosse stata sola. Non avrebbe avuto nulla da perdere, nulla per cui soffrire, nulla da temere, tranne che per se stessa e per la propria vita, com'era all'inizio. Ora, invece, era tutto diverso. Non doveva preoccuparsi solo per se stessa. C'erano anche Rikimaru, Ayame -sebbene non andassero particolarmente d'accordo, Haruko nutriva affetto anche per lei-, Shiunsai e Semimaru...la famiglia reale...e il panettiere, sua moglie. I loro due bambini. Harumaru, che lei stessa aveva portato alla luce e accudito di tanto in tanto, e stretto tra le sue braccia proprio quella mattina.
Haruko immaginò Kagami in quel villaggio, ninja nemici che davano fuoco a ogni cosa, che strappavano vite come semplici steli d'erba dal terreno. Mina e Harumaru in lacrime, un ninja che incombeva su di loro...
No. No. Haruko doveva impedire tutto questo. Lei...
-Ti ucciderò Lady Kagami. Stavolta non la passerai liscia. E ucciderò anche te, Raundomaru. Il Maestro Shiunsai ha ragione: come Tatsumaru, anche tu sei responsabile delle tue azioni in ogni caso. E ,quindi, morirai per mano mia-. La giovane, risoluta, si alzò e si asciugò gli occhi. Non aveva paura, non più. Non per se stessa. Era quasi certa che avrebbe incontrato la morte nella sua impresa, ma non aveva importanza.
***
Haruko era rientrata in casa, nella sua stanza: aveva radunato le sue armi e i suoi accessori e si era cambiata, indossando un comodo vestito scuro da ninja. Quando era uscita, aveva visto Ayame correre via. Evidentemente, come Rikimaru, era tornata dalla sua missione ma gliene era stata affidata subito un'altra. Questo non presagiva nulla di buono.
Haruko aveva in mente una sola idea al momento: recarsi alle caverne di Kansen. Le caverne erano ampie e profonde, molto estese; prima che lei si trasferisse in quel villaggio, in seguito all'apparente dipartita di Lady Kagami, il clan era nascosto proprio lì. Inizialmente occupava solo una parte delle caverne, ma ora chissà...
Se Kagami aveva acquisito nuovi adepti...senza contare la costruzione della nave con cui intendeva attaccare Godha dal mare...
Era anche possibile che si fossero spostati e che lì non ci fosse nulla, ma valeva la pena controllare. 
Haruko uscì dalla sua stanza, pronta ad andar via. Passò dalla stanza occupata dal Maestro, aperta: dentro, il vecchio e Lord Godha erano intenti a parlare. Per un istante, lo sguardo del Maestro incontrò il suo. Le parve di scorgere un cenno di assenso...
Che il Maestro avesse capito cosa lei intendesse fare? Haruko salutò con un flebile cenno del capo e corse via, diretta alle caverne.
***
Haruko raggiunse la foresta di bambù prima del previsto, tuttavia non arrivò alle caverne. Appena giunta nella foresta, dovette fermarsi per via della presenza di diversi ninja. Dalle maschere e dall'abbigliamento riconobbe i seguaci di Lady Kagami. Come aveva intuito, quindi, il covo dell'Aurora di Fuoco era ancora nelle caverne di Kansen.
Accucciata dietro ad un fascio di bambù, osservò quattro ninja che parlottavano tra loro. Avrebbe potuto ucciderli, ma preferì non farlo per non attirare l'attenzione. Accertatasi comunque che erano distratti, riuscì facilmente a passare oltre nascondendosi dietro ai fitti bambù. Sorpassò qualche altro ninja, finchè non raggiunse un ruscello. Lo conosceva bene, sovente ci si era recata quando faceva ancora parte di quel clan della malora. Il rumore dell'acqua l'aveva sempre aiutata a lenire la tensione sempre viva in lei. Le tornò in mente Yoshi: qualche volta, lui l'aveva raggiunta sulle sponde di quel ruscello. Yoshi era stato il suo unico amico lì; Haruko ricordò l'ignobile fine che il ragazzo aveva fatto e si pentì amaramente di averlo sempre allontanato e quasi ignorato...
Scosse il capo per scacciare dalla mente quei ricordi in quel momento inadeguati. Raundomaru e l'Aurora di Fuoco avrebbero pagato anche per la sua fine.
Haruko, prudente, uscì allo scoperto e si fermò sulla sponda del ruscello. Ne approfittò per abbeverarsi brevemente, ma dovette nascondersi di nuovo tra i bambù, accovacciata dietro un dislivello della terra: tre nemici si avvicinavano da sinistra. Erano tre donne e percorrevano la sponda del ruscello, proprio quella su cui poco prima si affacciava la ragazza. Udì cosa si dicevano; una di loro stava parlando:-...pena di morire-
-Sono d'accordo. Sono veramente felice di averla incontrata-
-Se solo tutti ci seguissero, eviteremmo inutili spargimenti di sangue-
-Come quello di stasera-
-Già...mi spiace per quel piccolo villaggio...-. Il cuore di Haruko si strinse dolorosamente. Era previsto l'attacco ad un villaggio quella sera? Quale villaggio?
-Non dispiacerti! E' una loro scelta non seguirci-
-Dici che quei ninja Azuma si convinceranno?-
-Speriamo. Ho sentito dire che sono in gamba. Una spina nel fianco per Lady Kagami-
-Ma sono solo due! Fortuna che uno di loro adesso è dalla nostra parte!-. Parlavano di Tatsumaru.
Un momento. Stavano parlando dei ninja Azuma. Quindi, il villaggio che intendevano attaccare...
-Manca poco, comunque. Teniamoci pronte-
-Si. Dobbiamo approfittare ora che quei ninja sono lontani dal villaggio! Lady Kagami è geniale, è riuscita ad allontanarli entrambi!-. Le tre donne si accasciarono al suolo quasi simultaneamente. Haruko non ci aveva visto più: divorata dall'indignazione, le aveva eliminate tutt'e tre con rapidi e precisi colpi di cerbottana. Si alzò, quindi, e corse via, a rotta di collo, diretta verso il villaggio. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Haruko non si fece specie ad eliminare i nemici che inizialmente aveva risparmiato; sottrasse una maschera ad una delle donne ninja che uccise, oltre alle loro cose, e corse difilato al villaggio, col cuore in gola.
Era ancora tutto tranquillo: quel placido e sereno pomeriggio si apprestava a terminare in un caldo tramonto. Il cielo mutava dall'azzurro all'arancio, il sole si avvicinava alla terra pian piano. Ciononostante, Haruko non perse tempo nè si calmò: tornò a casa e, ancor prima di passare dal Maestro e Lord Godha, si recò sul retro della casa, ove c'era una voliera contenente alcuni piccioni. I ninja Azuma tenevano quei volatili per trasmettere comunicazioni di vario tipo: gli uccelli erano ben addestrati, intelligenti e solerti. Quando la videro arrivare non si spaventarono, abituati com'erano alla presenza umana. La ragazza, rapida e anche involontariamente un pò brusca, ne tirò fuori due e legò un breve messaggio alla zampetta di ciascuno; dopo di che, scandì bene prima a uno e poi all'altro i nomi rispettivamente di Rikimaru e Ayame, quindi li lasciò liberi. I due piccioni spiccarono il volo e si separarono immediatamente, prendendo direzioni differenti. A quel punto, la giovane si precipitò dal Maestro.
Lord Godha era ancora lì. Senza perdere tempo in convenevoli, Haruko sbottò:-Maestro Shiunsai, Lord Godha! Il nostro villaggio sta per essere attaccato!-
-Cosa?!- esclamò il sovrano, balzando in piedi e impallidendo all'istante, mentre Shiunsai domandò, controllato:-Da chi? E perchè?-
-Dall'Aurora di Fuoco. Sono andata alla foresta di bambù, diretta alle Caverne di Kansen, per controllare se i nemici fossero lì. Avevo ragione. E ho anche sentito da alcuni di loro che il villaggio sarà attaccato. Ho anche inviato un messaggio a Rikimaru e Ayame affinchè tornino-
-Hai fatto bene. Prepariamoci, allora-. La ragazza annuì; tirò fuori la bianca maschera da demone che aveva portato con sè dalla foresta e la indossò, quindi spiegò:-Mi confonderò coi nemici-
-Ottima idea- replicò il Maestro, ma Godha disse, concitato:-Devi andare al castello e avvertire il Consigliere Naotada. Meglio che si tengano pronti nel caso venga attaccato anche il castello-
-Sissignore, farò in un attimo-. Ciò detto, Haruko si congedò così velocemente da dar l'impressione di avere le ali ai piedi.
***
Fece in fretta: non si recò di persona dal Consigliere, ma incaricò due cameriere di comunicare la situazione all'uomo. Tornò subito indietro, saettando per le stradine di campagna. Tuttavia, a metà strada, fu bloccata da quattro ninja che apparvero dalla foresta circostante con le armi già sguainate. Erano due uomini e due donne. Il fatto che fosse mascherata non la aiutò: probabilmente, era stata seguita da prima. La ragazza digrignò i denti, imprecando mentalmente, e non tentò di raggirarli col suo travestimento: non aveva tempo da perdere. Doveva tornare immediatamente al villaggio per proteggere la famiglia del panettiere.
La giovane era pervasa da una determinazione che non aveva mai avuto: non aveva paura, era solo decisa a superare quell'ostacolo seccante. Avrebbe fatto ciò che andava fatto, fine.
Uno dei nemici, munito di katana, si fece avanti per attaccarla; lei, rapida, gettò in mezzo al gruppo due fumogeni e due sacche di polvere urticante1. Tutti loro inalarono la polvere, celata dal fumo bianco, e iniziarono a tossire e forse anche a lacrimare, sebbene protetti dalla maschera. L'irritazione di naso, gola, occhi e pelle del viso fu tale da fermare i nemici, intenti a tossire e togliersi le maschere istericamente. Haruko ne approfittò per colpirli a morte con dei kunai, che si conficcarono nelle loro trachee. I corpi non fecero nemmeno in tempo ad accasciarsi al suolo che lei era già fuggita via.
Capì che l'attacco era iniziato molto prima di arrivarvi. Colse l'odore di bruciato, le urla, perfino un vago cozzare di lame. La sua corsa non diminuì nè aumentò, ma le si strinse lo stomaco per l'agitazione. Pregò perchè il maestro Shiunsai e Lord Godha stessero bene, perchè Rikimaru e Ayame fossero già lì a combattere per gli innocenti e fossero ancora illesi...ma soprattutto implorò gli dei di far si che il panettiere, sua moglie e i loro bambini non fossero caduti vittime dei nemici. E si sforzò di non immaginare il peggio.
Entrò al villaggio e, tentando di restare lucida, di non agitarsi per tutto il trambusto che aveva investito i suoi sensi, celò la sua presenza dietro una casa.
"Rifletti. Devi restare lucida. Stai calma" pensò. Doveva raggiungere il panificio.
***
Seminò molti morti, nei modi più disparati, ma li lasciò tutti alle spalle senza remore. Probabilmente, le loro maschere la aiutarono in questo, dato che lei non poteva vedere i loro volti, i loro occhi spenti...ma, senza dubbio, il terrore per ciò che poteva accadere ai suoi cari e la determinazione nel volerli proteggere e salvare furono preponderanti nel renderla così imperturbabile, priva della minima esitazione.
Come aveva previsto, varie case erano divorate dal fuoco e l'aria era pervasa dal puzzo di fumo, come pure del sangue, e faceva da vettore alle urla degli innocenti che perdevano la vita in modo cruento. Dovette aggirare vari cadaveri, ma non prestò attenzione a nessuno di loro; si impegnò per non posare gli occhi su di loro, per evitare di riconoscerli, sapere che altra gente che lei conosceva era stata uccisa. Man mano che si avvicinava, iniziò a sudare freddo, atterrita; nella sua mente si affastellavano ricordi fin troppo vividi del giorno in cui vittima di un attacco era stato il suo villaggio, i morti sparsi ovunque erano suoi compaesani...e la casa verso la quale aveva corso con Akahito al seguito era la sua, i morti erano suo padre e sua madre. Perchè doveva rivivere quell'incubo?
"Stavolta non perderò nessuno".
Eppure, sapeva bene che così non sarebbe stato, quasi fosse una verità imprescindibile.
Il suo oscuro presentimento si avverò troppo presto.
La ragazza raggiunse il panificio e l'attigua abitazione del panettiere. Quasi le si fermò il cuore dinanzi a quella vista: sia il piccolo panificio che la casa erano in fiamme. La casa era quasi del tutto crollata. Le fiamme si alzavano alte verso il cielo, prepotenti, distruttive. Ma, soprattutto...
-Ti prego. Ti prego, non farlo-. Quella voce tremante. Quelle lacrime che le gonfiavano il petto, le deformavano la voce, rendendola quasi irriconoscibile. Quegli occhi atterriti, imploranti...eppure rassegnati. Quegli occhi che Haruko aveva sempre visto limpidi, gentili, accompagnati da quel sorriso materno perfino nei suoi confronti...
Haruko fissò impotente quelle enormi e fin troppo note clave calare su Shizune, la moglie del panettiere, e schiacciarla come fosse fatta di paglia. Accadde tutto al rallentatore: quell'unico colpo secco, che si infranse contro quel corpo maledettamente fragile, dal quale schizzò sangue scuro, che divenne una massa informe di sangue, ossa, carne e arti. In quell'istante, Haruko non provò nulla e non udì nulla, nessun rumore circostante toccò il suo udito. Le caddero alcune lacrime, le tremarono le mani, ma non se ne rese conto. L'unica cosa che realizzava era che l'assassino della donna era suo fratello. Quel giovane di così grosse dimensioni, di quella forza, colui che impugnava quelle clave uniche nel loro genere...era lui. Come Haruko aveva previsto, Raundomaru era ancora vivo, ancora al servizio di Lady Kagami...ancora spietato, senza la minima ombra di umanità. L'espressione del suo viso era pacifica, come se avesse semplicemente spaccato il guscio di una noce.
Era la seconda volta che Haruko vedeva suo fratello uccidere. Entrambe le volte era stato terrificante, di una violenza indicibile.
Lo sguardo della ragazza si spostò dall'immagine macabra di quel cumulo di informe morte...e vide, poco lontano, un altro cadavere. Quello di Mina. Era abbandonato per terra. La testa era completamente distrutta, si vedeva il cervello ridotto in poltiglia...ma Haruko la riconobbe dalle treccine che lei stessa le aveva fatto qualche giorno prima, e dalla maglietta color arancio che le aveva regalato per il suo compleanno. Accanto a lei, c'era suo padre, riverso sulla figlia, il torace sfondato, carne e ossa che imbrattavano il terreno.
Haruko entrò in iperventilazione e iniziò a tremare violentemente. Le ginocchia le cedettero. Il cuore le si strinse tanto che sentì dolore in tutto il petto e quasi svenne. Un dolore insopportabile, accecante, inconcepibile, troppo grande da sopportare. Desiderò di svenire o di morire, altrimenti sarebbe impazzita.
Se ne restò lì, distrutta nel profondo, incapace di formulare qualunque pensiero, completamente ferma nel suo duro e nero dolore. A stento i suoi occhi catturarono l'immagine di suo fratello che si muoveva placidamente, diretto chissà dove, verso il piccolo pozzo, lo aggirò....e si fermò. E solo allora l'udito di Haruko si riattivò.
Un pianto. Un pianto stridulo e disperato, quasi di protesta. Un pianto che aveva sentito ben poche volte ma che riconobbe all'istante.
"No". Non avrebbe preso anche lui. No.
***
Haruko era rimasta bloccata. Aveva assistito all'uccisione della moglie del panettiere e tutto le era parso lento, i rumori erano svaniti. Lo stesso era valso quando aveva notato i cadaveri di Takao e di Mina. Ma il pianto di Harumaru la risvegliò repentinamente, come un secchio di acqua gelida gettato addosso ad una persona profondamente addormentata.
Un attimo prima era in ginocchio, senza forze, senza nemmeno il coraggio di respirare, di piangere; quello dopo aveva un kunai tra le mani. La cui lama era conficcata nella possente schiena di suo fratello.
L'enorme giovane si impietrì per la sorpresa e per l'improvviso dolore, spalancò gli occhi. Non era una ferita mortale e lo sapeva, difatti lanciò un lamento gutturale e si voltò di scatto. Non era particolarmente veloce, così Haruko ebbe il tempo di estrarre il coltello e allontanarsi con un balzo.
Tagliente, intimò:-Allontanati da quel bambino-
-Haruko! Sorella!-
-No. Non sono tua sorella. Io non ho fratelli-
-Ma...-
-Mio fratello Raundomaru è morto. Quello che vedo davanti a me è solo Genbu. E Genbu merita solo di morire-. Il viso stolido di Genbu mostrò un'espressione di sorpresa: gli occhi piccoli si spalancarono, le sopracciglia sottilissime si inarcarono in maniera perfetta.
-Perchè porti una maschera? Fai parte dell'Aurora di Fuoco?-. Quasi come fosse un insulto, Haruko si tolse la maschera con un gesto brusco e la gettò nel fuoco, mostrando al fratello un'espressione algida che non aveva mai visto. Harumaru continuava a piangere, a strillare, ma i due sembravano non sentirlo.
-Hai fatto male a Genbu!-
-Te ne farò molto di più-. La giovane gli lanciò il coltello, ma Genbu parò il colpo con una delle sue clave; lei tirò fuori la sua asta, ne allungò le estremità e gliela puntò contro.
-Cosa credi di fare con quello stecchino?-. Lo ignorò, corse verso di lui, balzò con l'intenzione di rompergli il cranio pelato con un colpo d'asta, ma lui la colpì violentemente con una delle clave; lei si protesse con l'asta e atterrò in piedi, ma subito dovette spostarsi di lato per evitare un nuovo furioso colpo di clava da parte del fratello, che era quasi su di lei. Lanciò un fumogeno, ma non ebbe effetto poichè lui le fu nuovamente addosso; la giovane tirò fuori un nuovo coltello e glielo conficcò nel prominente ventre. Fu inutile, lui ignorò quel colpo e sollevò entrambe le clave per abbatterle su di lei con tutta la sua forza. Haruko evitò il colpo balzando all'indietro, per un soffio, ma avvertì il rumore cupo che le clave produssero incontrando il terreno. Genbu si tolse il kunai dalla pancia e lo gettò via. Il viso era offeso.
-Basta sorellina! Genbu non vuole ucciderti!-
-Mi sembrava il contrario-
-Genbu può convincere Lady Kagami a riprenderti! Lei lo ascolterà sicuramente-
-Non mi interessa. Preferirei morire arsa viva piuttosto che servire quella strega-. Genbu divenne serio, freddo. Haruko tirò fuori una cerbottana e colpì il fratello, che era troppo grosso per evitare il dardo avvelenato.
-Fermati!-
-Non lo farò. Ho tentato di riportarti sulla retta via, ma ho fallito. Non si può fare nulla per te. L'unica soluzione è ucciderti-
-Sei diventata amica dei ninja Azuma-
-Hai ucciso delle persone. Persone che io amavo. Non te lo posso perdonare-. Genbu su chinò in avanti, preda di uno spasmo dovuto al veleno. Haruko si preparò per attaccarlo, stavolta a morte, ma fu fermata da un urlo che riverberò in tutto il villaggio. Di nuovo, le si strinse dolorosamente il cuore: era il Maestro Shiunsai.
***
Haruko si voltò in direzione della casa degli Azuma, ma ovviamente da lì non poteva vedere cosa fosse accaduto. Si pentì tuttavia di quell'attimo di distrazione e tornò a fronteggiare Genbu, ma fu con stupore che notò la sua assenza. Dove diavolo era finito?
-Genbu! Maledetto!-.
Suo fratello era sparito. Era fuggito. Sebbene solitamente fosse lento e goffo, in quel momento era riuscito a sfuggirle. Haruko non perse comunque tempo: ogni secondo era prezioso. Si precipitò dietro al pozzo, dove Harumaru piangeva ancora, lo prese e lo cullò più dolcemente possibile, sussurrandogli parole di conforto; erano forzate, tuttavia il bambino parve riconoscerla e trarre sicurezza dalla sua presenza, difatti smise di piangere e puntò i suoi occhioni scuri e innocenti su di lei. La ragazza pensò febbrilmente ad un posto dove nasconderlo, ma alla fine decise di non separarsene; riluttante ma incapace di trovare una soluzione diversa, balzò su un tetto e corse a rotta di collo verso la casa degli Azuma. Approdata sul tetto più vicino, dal quale aveva una visuale molto chiara, raggelò: Rikimaru era per terra, ferito -non sapeva bene dove, ma era sporco di sangue, senz'altro il suo- e, di fronte a lui, su uno dei fusuma ora sfondati della stanza del Maestro, c'erano Tatsumaru e Kagami. Il primo aveva un'espressione neutra in volto, la seconda sogghignava, trionfante e perfida. Aveva la sua katana sguainata. La ragazza non udiva ciò che lei stava dicendo a Rikimaru, tuttavia vedere il ragazzo ferito per terra e quella donna infernale con quell'arma sguainata le fece perdere completamente il senno. Una furia nera si impadronì completamente di lei in quattro e quattr'otto, al punto che, in seguito, non fu capace di ricordare perfettamente l'accaduto.
***
Rikimaru era atterrito, annientato; mai prima di quel momento era stato sconfitto così facilmente, nel fisico come nella mente. La situazione era completamente fuori dal suo controllo, era debole, stanco, ferito, sporco, i due nemici davanti a lui -di cui uno era Tatsumaru, cosa ancora difficile da realizzare- erano nettamente superiori a lui, e non aveva la minima idea di cosa fare. Il suo sconvolgimento divenne maggiore, tuttavia, quando un'ombra rapidissima entrò nella stanza e attaccò Lady Kagami.
L'ombra era Haruko. Le due, senza una parola, iniziarono a combattere furiosamente fuori dalla casa. Rikimaru osservò stolidamente quello scontro furioso, più confuso di prima.
Quella non poteva essere Haruko. Fisicamente era senza dubbio lei, ma...non l'aveva mai vista così feroce. I sui occhi non erano mai stati così oscuri e infuocati, il suo modo di combattere non era assolutamente quello che lui stava guardando. Sembrava indemoniata. Non aveva nulla della ragazza timorosa di combattere che lui conosceva: attaccava Lady Kagami con furore incontenibile, con forza, dandole a malapena il tempo di contrattaccare, impedendole di sorridere tronfia come l'aveva vista poco prima. Tuttavia, Rikimaru si spaventò: tanta forza non incanalata bene non portava a nulla di buono. Era quello che era successo a lui proprio allora: la furia nel combattere quella donna per ciò che aveva fatto al suo villaggio, al Maestro e a Tatsumaru l'avevano condotto a quello, a ritrovarsi ferito, debole e inerme lì per terra. Quel fuoco che animava la ragazza avrebbe prima o poi vacillato, e allora Kagami...
"Maledizione, Haruko!".
Fu Tatsumaru a interrompere quel tornado umano: dato che Haruko era concentrata sulla donna, non gli fu difficile intromettersi lanciando un fumogeno, che spiazzò la ragazza. Rikimaru vide chiaramente Tatsumaru trascinare via Lady Kagami, che avrebbe preferito uccidere la ragazza; quando il fumo bianco svanì, dei due non c'era più traccia. Fu allora che Haruko recuperò coscienza, ansimante, sudata e ancora profondamente incollerita.
-Dannazione, se nè andata!- gridò, gettando per terra la sua asta con tutta la rabbia che provava. In un attimo, però, dimenticò tutto e lasciò vagare lo sguardo per la stanza, a partire da Rikimaru e giungendo poi al corpo di Godha svenuto in un angolo e al Maestro Shiunsai, riverso a terra, mortalmente ferito...
Portò una mano alla bocca, addolorata, in lacrime. Osservò Rikimaru alzarsi e precipitarsi dal Maestro -se non altro, il giovane non era ferito gravemente, sembrava stare bene- e ascoltare ciò che lui gli diceva con un fil di voce. Ricordò Harumaru: nonostante infuriata, l'aveva lasciato all'entrata prima di attaccare Kagami. Lo raggiunse immediatamente e lo prese tra le braccia per cullarlo, sebbene il piccolo non stesse piangendo. Era lei che piangeva, in realtà. Era lei che aveva bisogno di essere cullata. Ciò che era accaduto era assurdo e profondamente ingiusto...
Il Maestro spirò e Rikimaru lo chiamò più volte, inutilmente. Haruko, col bimbo in braccio e col volto inondato di lacrime, si alzò e gli si avvicinò. Gli pose una mano sulla spalla. Solo allora Rikimaru parve rassegnarsi al fatto che il vecchio maestro non era più tra loro, non poteva più guidarli nè aiutarli. Lasciò il corpo del maestro e alzò il volto su di lei.
Entrambi restarono colpiti dall'espressione dell'altro. Rikimaru appariva ad Haruko stanco, triste, smarrito, quando solitamente era tranquillo, impassibile, imperscrutabile; mai aveva pensato di vederlo così fragile. Per questo, pianse ancora di più.
Rikimaru aveva già visto la ragazza in lacrime, disperata, e fu con profondo scoramento che si accorse che non c'era limite al dolore che una persona potesse provare. In quel momento Haruko era ancor più sofferente, distrutta. Non gli fu difficile comprenderne il motivo: Harumaru era tra le sue braccia, ormai quasi sicuramente rimasto solo al mondo. La ragazza aveva già perso una volta la sua famiglia, ma ora era accaduto di nuovo. Tra loro due, era senza dubbio lei quella che soffriva di più.
Haruko, vittima di un incontrollabile dolore e, al contempo, lieta che Rikimaru stesse bene, cadde in ginocchio, adagiò per terra Harumaru e si strinse forte al collo di Rikimaru, piangendo copiosamente, senza freni. Rikimaru, col cuore ridotto ad un nucleo di dolore e insieme desideroso di confortarla, ricambiò la stretta e affondò il viso nelle treccine della ragazza. Avvertiva l'odore acre del suo sudore e del fumo che aveva impregnato vestiti e capelli, eppure quell'odore e il calore del corpo di lei scosso dal pianto furono in quel momento la sua ancora.
***
Lord Godha aveva ripreso i sensi. Costernato per ciò che era accaduto al villaggio e a Shiunsai, si affrettò a tornare al castello per prepararsi ad un nuovo attacco da parte dell'Aurora di Fuoco. Haruko gli affidò Harumaru: era intenzionata a seguire Rikimaru nella sua lotta contro i nemici, cosa che naturalmente non avrebbe potuto fare portando un neonato con sè. Assicurò a Godha, quindi, che sarebbe tornata a prenderlo non appena la situazione fosse risolta.
Haruko e Rikimaru restarono soli, avviliti e ancora sudici per gli scontri e il sangue, ad osservare la casa vuota, al cui interno giaceva il Maestro Shiunsai. Rikimaru era silenzioso: normalmente non era un problema, ma Haruko percepì il suo dolore e lo capì perfettamente. Prese tuttavia la parola:-Rikimaru. Io so dove sono nascosti Kagami e i suoi-
-Come fai a saperlo?-
-Conoscevo quale fosse il loro nascondiglio prima di tradirli. Sono andata a controllare se fossero ancora lì. Non ci sono arrivata, ma c'erano dei ninja nei pressi del nascondiglio. Si tratta delle Caverne di Kansen-
-Capisco. Allora, rechiamoci lì-. In quel mentre, apparve Semimaru, gioioso come sempre nonostante la situazione. Quel suo atteggiamento spensierato fu come una ventata di aria fresca per i due giovani. Rikimaru decise di approfittare della sua presenza, così gli ordinò di cercare Tatsumaru. Il cane emise un lungo guaito, dopo di che corse via; senza nemmeno pensare a ripulirsi e rifocillarsi, i due ragazzi lo seguirono.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1 polvere urticante: non esiste tra le armi originarie del gioco, creata da Haruko

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Per raggiungere le Caverne di Kansen, Semimaru intraprese un altro tragitto, seguendo le tracce di Tatsumaru. Giunsero alla collina dei ciliegi, allungando il cammino.
Era ormai notte e, perfino da lì, i due ninja vedevano alcuni nemici sorvegliare la zona.
-Ci sono ninja già qui- commentò Rikimaru, nascosto dietro ad un albero. Haruko, accovacciata accanto a lui, replicò:-Evidentemente, l'attacco al castello di Godha è più prossimo del previsto-
-Cosa?-
-In sostanza, l'obiettivo di Kagami è quello di eliminare tutti i signori del Giappone. L'unico rimasto al momento è Godha, quindi il suo obiettivo è lui. Inoltre, per raggiungere ogni luogo del Giappone, ha capeggiato la costruzione di una nave già da prima dell'attacco da parte di Toda. Qualcosa mi dice che la nave è pronta e che prestò salperà. Probabilmente attaccherà Godha dal mare-
-Ne sei sicura?-
-Sono supposizioni che faccio in base a quello che so su quel demonio-. Rikimaru restò in silenzio, cercando di decidere cosa fare. Haruko disse:-E' notte e noi siamo esausti. Forse dovremmo fermarci almeno per qualche ora, altrimenti ci faremo sopraffare-
-D'accordo-. Per sicurezza, i due eliminarono i nemici più vicini alla loro posizione e nascosero i loro cadaveri. Trovarono alcune bacche e, sebbene fossero un pasto assai scarso, se lo fecero bastare.
Erano vicini ad un ruscello; Haruko si allontanò da Rikimaru e Semimaru per darsi una ripulita. Sciolse i capelli e tolse il vestito; lo lavò per bene nell'acqua fredda, poi lo stese su una roccia lì vicino e si immerse lei stessa nell'acqua. Trasalì, tremando: quell'acqua gelata fu rinvigorente. Veloce, strofinò tutto il corpo, il viso, i capelli, quindi uscì subito, infreddolita. Si sentì fisicamente meglio, sebbene fosse stanca. Tirò un profondo respiro per ritrovare la calma, ma non funzionò. Alzò il viso verso la luna, candida e alta nel cielo, contornata da una miriade di limpide stelle.
-Haruko-. La giovane si voltò di scatto verso Rikimaru, che spuntò da dietro un albero; restò di schiena, tuttavia si coprì il piccolo seno con le braccia. Il giovane, profondamente e visibilmente imbarazzato, girò la testa di lato in un attimo, balbettando delle scuse:-M-mi dispiace, ci stavi mettendo un pò e...vado via subito-
-Rikimaru-. Il ragazzo, che era già di spalle, pronto a volatilizzarsi, si fermò e restò immobile dov'era. Haruko, che non provava il minimo imbarazzo, uscì dall'acqua e gli si avvicinò. Gli prese una mano e lo guidò verso il ruscello, mentre lui teneva il volto stoicamente basso e farfugliava:-Che stai facendo?-. Rikimaru la seguì docilmente, senza osare guardarla, eppure restò stupito dalla disinvoltura della ragazza. Non sembrava importarle di essere nuda di fronte a lui. Ed era in effetti così: lei aveva ben altro per la testa in quel momento, il suo cuore era ridotto ad un buio buco ricolmo solo di brutti ricordi e della voglia di vendetta.
Haruko mise i piedi nel ruscello, e così anche Rikimaru. Si inginocchiò nell'acqua bassa, che a stento arrivava all'altezza di metà coscia, e così anche lui. Continuò a tenere lo sguardo basso, fisso sulle proprie ginocchia, ma lei gli alzò delicatamente il viso. Il ragazzo, mostrando una pudicizia fuori dal comune, chiuse gli occhi. Haruko, impassibile, si bagnò una mano e gliela passò delicatamente su un occhio, la sua unica ferita. La ragazza non sapeva se la sua vista fosse stata compromessa, ma di certo sarebbe rimasta una bella cicatrice.
Delicatamente, gli ripulì l'occhio. Rikimaru, nonostante il tocco freddo dell'acqua, si rilassò.
-Come te la sei fatta?- gli domandò lei.
-E' stato Tatsumaru. Mi ha colpito a tradimento. Stavo per ucciderlo...ma non ce l'ho fatta-
-Capisco-. E capiva davvero. Anche lei avrebbe dovuto ammazzare suo fratello molto prima, ma non ci era mai riuscita.
Silente e delicata, Haruko gli abbassò la maschera e gli pulì anche il viso, i capelli; lui la lasciò fare, a disagio...ma in realtà sempre meno a disagio. Sentì il desiderio di aprire gli occhi, pur consapevole di quanto fosse scorretto e sconveniente. Ma, del resto, lei non sembrava provare fastidio pur essendo nuda dinanzi a lui. Socchiuse gli occhi, cauto, mettendo a fuoco le sue cosce, le sue ginocchia sotto il pelo dell'acqua. Aveva una pelle incredibilmente candida.
Improvvisamente, Haruko gli sollevò il viso, con fermezza ma sempre con delicatezza. Il ragazzo arrossì vistosamente e sentì un gran caldo, nonostante fosse inginocchiato nell'acqua fredda. Non chiuse gli occhi stavolta, però. Lei lo fissava con un'espressione neutra. No, sbagliato. Sembrava neutra...ma celava un tumulto profondo, capì il giovane.
-Hai bisogno di darti una lavata. Vedrai che ti sentirai un pochino meglio-
-Io...-. Rikimaru non si mosse, incapace di staccare gli occhi da quelli di lei. Improvvisamente, avvertì la tentazione di abbassare lo sguardo, di guardare anche qualcos'altro di lei. Ma restò sul suo viso. Notò che era solo la seconda volta che la vedeva coi capelli sciolti. Appariva uguale e diversa allo stesso tempo.
-Li porti sempre raccolti-
-Cosa?-
-I capelli-
-Già-
-Perchè non...li porti sciolti?-. Abbassò lo sguardo, imbarazzato per quella domanda che, per un inspiegabile motivo, gli parve invadente; così, tuttavia, finì per guardarle il seno, e poi il ventre piatto, e poi il pube scuro e le cosce...
Girò la testa di lato, il volto in fiamme, ma dopo fece per alzarsi. Haruko lo trattenne per i polsi, dicendo fiocamente:-Rikimaru. Non essere sciocco-
-Ma...-
-Ti fa male? L'occhio?-
-Si. Un pò si-. Si alzò e si avvicinò alla roccia dove aveva poggiato il suo vestito; lì c'erano anche i suoi oggetti. Ne trasse una bottiglietta minuscola. Tornò dinanzi a Rikimaru, che si fissava le mani sulle ginocchia, gli sollevò il viso e gli spalmò un unguento scuro sopra, dicendo:-Speriamo eviti un'infezione-
-Ti ringrazio-
-Li porto sempre raccolti con le treccine perchè me lo ha insegnato mia madre. Mi sono sempre piaciute. Non c'è volta che non le faccia-
-Oh. Ho capito-. La giovane gettò la bottiglietta sulla sponda del ruscello, poi abbassò lo sguardo. Rikimaru faticò a respirare, il cuore gli batteva forte e un calore generale lo pervadeva, in particolare verso il basso. Ciononostante, si accorse del dolore che affiorò sul viso della ragazza.
-Haruko? Tutto bene?-
-No. Non c'è niente che vada bene. Io...-. Si guardò le mani e proseguì, dolente:-Li ucciderò. E porrò fine a questa faccenda-
-Haruko. Non devi farlo...-
-Si che devo. Mio fratello è divenuto un mostro. Lo devo uccidere. E devo uccidere anche Lady Kagami. E' un mostro, mi ha portato via tutto....-. Tremava, stava per piangere. Rikimaru la interruppe:-Hai ascoltato cosa ha detto il Maestro prima di spirare?-
-In realtà no. Mi dispiace-
-Ha detto che dobbiamo essere imperturbabili. Dobbiamo dominare le nostre emozioni, o verremmo sopraffatti-
-Ma...-
-E' così. Ha ragione. L'ho imparato a mie spese. La rabbia acceca la mente, impedisce di ragionare. Cercare la vendetta non è la soluzione. La vendetta...non è la chiave per riavere ciò che abbiamo perso-
-Tu non capisci...-
-Si che capisco. Lo so che soffri. Ma....-
-Ti stai dominando, quindi, Rikimaru?-
-Cosa? Che stai dicendo?-
-In questo momento. Ti stai dominando?-. Rikimaru capì cosa intendesse: arrossì, distolse lo sguardo, gli finì ancora sul pube di lei e girò la testa....
-Rikimaru...-. Era stato un sussurro. Gli risalì un brivido lungo la schiena, e senza dubbio non era per l'acqua fredda. La ragazza, presa dalle sue emozioni, si sporse verso di lui, incapace di riflettere e nemmeno desiderosa di farlo. Aveva perso tutto, aveva rischiato di perdere anche Rikimaru...
-Haruko, non dovremmo....-
-Ho avuto paura, Rikimaru. Io...sto perdendo tutto. E ho avuto paura di perdere anche te, oggi-. Il ragazzo restò paralizzato dallo stupore. Arrossì.
-Io...non ti voglio perdere. In questo momento ho solo te-
-Haruko...-
-E ucciderò anche Tatsumaru se sarà necessario-. Rikimaru respirò adagio, a fatica; era difficile farlo con lei così vicina, con quegli occhi appassionati fissi su di lui, e tutta quella pelle candida che attirava il suo sguardo e il suo tocco...
Haruko, presa dalla disperazione del momento, chiuse gli occhi e si sporse verso di lui, fino a sfiorargli le labbra con le proprie. E poi ancora. E ancora, e ancora...e Rikimaru ricambiò istintivamente, gli occhi chiusi, completamente dimentico di ogni cosa. Haruko gli carezzò il viso, lentamente, mentre ancora gli sfiorava le labbra, tremando...d'un tratto, tuttavia, interruppe quel lieve bacio, fissando gli occhi nei suoi.
-Forse ho esagerato- sussurrò, una provocazione velata. Si alzò in piedi, ma nemmeno fece in tempo a voltarsi che già il ragazzo le aveva preso il polso, senza farle male ma con fermezza. Il cuore di Haruko cominciò a battere all'impazzata. Scivolò su di lui, finendogli in braccio, reggendosi alle sue spalle, mentre di nuovo gli sfiorava le labbra e si lasciava toccare i fianchi dalle sue mani timide...
***
Avevano riposato un paio d'ore, con Semimaru che faceva loro la guardia; quando si svegliarono, si sentirono meglio, un pò rinvigoriti. La situazione tra loro sembrava invertita: tra i due, ora, era Haruko quella più imbarazzata, quella che rifuggiva gli sguardi di Rikimaru e che teneva una distanza fisica tra loro, seppur minima; Rikimaru appariva invece a proprio agio, come se la conoscesse da sempre. Senza dubbio, il loro rapporto era divenuto improvvisamente più intimo e profondo.
Rikimaru la osservò silenzioso mentre realizzava nuovamente le sue fitte treccine; desiderava vederla coi capelli sciolti ora che erano asciutti, ma non volle chiederglielo poichè sapeva quanto tenesse a portargli acconciati così.
Eliminarono nemici uno dietro l'altro, a turno o collaborando. Semimaru li conduceva sempre più in alto, verso la vetta della collina. Il silenzio di quel luogo, il profumo dei ciliegi e tutti quei petali rosa sparsi in terra creavano uno spettacolo suggestivo: Haruko si rammaricò di essere lì come ninja e non come semplice visitatrice. In ogni caso, riflettè sulle parole di Rikimaru circa l'imperturbabilità e la vendetta: erano senza dubbio ragionevoli, ma lei non conosceva alcun modo per liberarsi di tutta la rabbia e l'odio che provava. Avrebbe incontrato la morte, quindi? Scoprì che le importava ben poco.
Intanto Rikimaru aveva per la testa riflessioni ben differenti: aveva visto Haruko all'opera diverse volte, sia nelle uccisioni furtive sia nello scontro. L'aveva reputata valente in entrambi i casi. Non era frutto dei loro allenamenti, no: lei era sempre stata sufficientemente forte, ma la sua insicurezza le aveva posto limiti inutili, che non esistevano in realtà. La distolse dai suoi pensieri dicendoglielo, sperando che potesse giovarle, conferirle sicurezza. Haruko gliene fu grata e, pur stupita di quella nuova scoperta, gli credette. La sicurezza in se stessa era una cosa necessaria in quel momento. 
I due, grazie a Semimaru, raggiunsero la sommità della collina, ove si trovava un ciliegio più grosso e alto degli altri, magnifico. Entrambi lo avrebbero osservato con ammirazione se non avessero visto Ayame seduta sotto di esso. Aveva il capo chino, il viso ombreggiante d'angoscia.
-Ayame!- la chiamò Rikimaru, mentre Semimaru le faceva le feste. Smise subito, tuttavia, poichè la ragazzina non gli diede corda. Haruko fu sollevata di vederla: in effetti, con tutto quello che era accaduto, si era dimenticata di lei, ma vedere che stava bene e che si sarebbe unita a loro la tranquillizzava.
Il ragazzo le spiegò laconicamente che il villaggio era stato attaccato dall'Aurora di Fuoco, che Tatsumaru aveva ucciso il Maestro Shiunsai e che ora lui avrebbe dovuto ucciderlo; Ayame scattò in piedi, uno degli spadini puntato alla gola di Rikimaru, che restò sbigottito. Disse:-Non ti permetterò di uccidere Tatsumaru-. Nemmeno terminò la frase che Haruko si infervorò; si intromise tra i due e spinse via la ragazzina, esclamando:-Metti via quegli spadini-
-E tu fatti gli affari tuoi-
-Ragazze, per favore- disse invece Rikimaru, conciliante; si rivolse poi alla ragazzina:-Ayame, Tatsumaru ha ammazzato il Maestro...-
-No. Ucciderò Tatsumaru con le mie mani-. Sia lui che Haruko restarono interdetti e si lanciarono una fugace occhiata. Ayame, invece, era pervasa da un'aura di calma determinazione. Sia Rikimaru che Haruko compresero che Ayame era nello stato predicato dal Maestro Shiunsai: era imperturbabile. Non cercava la vendetta, era solo pronta a fare ciò che era giusto.
Rikimaru e Haruko si scambiarono una nuova occhiata; Ayame li schernì:-Avete finito di guardarvi?-. Rikimaru distolse lo sguardo da Haruko e disse a Semimaru di condurli da Tatsumaru; il cane obbedì, conducendoli alla foresta di bambù. A quel punto, Haruko non aveva più molti dubbi su dove si trovasse il covo dell'Aurora di Fuoco, tuttavia per sicurezza lasciò che fosse ancora il cane a guidarli.
La foresta era fitta di nemici, tuttavia in tre riuscirono a eliminarne la maggior parte, seguendo Semimaru, senza farsi scoprire.
Raggiunsero il ruscello presso cui Haruko aveva appreso dell'attacco al villaggio: c'erano ancora i cadaveri delle donne che aveva ucciso. Dovettero tuttavia fermarsi: proprio in quel mentre, un'ombra velocissima schizzò in direzione di Haruko. Fu Rikimaru a salvarla, interponendosi in tempo tra l'ombra e la ragazza e parando un colpo che si rivelò essere di tekagi1. Appartenevano ad una donna, molto giovane, forse poco più grande di loro. Rikimaru la respinse e lei atterrò elegantemente sull'altra sponda del ruscello.
-Bakeneko2!- esclamò Haruko. L'interpellata produsse un ghigno felino. In effetti, il modo in cui era truccata ricordava un felino: gli occhi apparivano grandi e allungati, le labbra scarlatte, la pelle bianca come la luna. Era vestita di bianco, e ciò faceva risaltare i suoi tekagi neri come la notte.
-La conosci?- le chiese Rikimaru. Haruko replicò:-E' una dei ninja più forti e subdoli dell'Aurora di Fuoco-
-Mi ricordo di te, ragazzina. Sei la sorellina di Genbu-
-La sorellina di Genbu?! Di quell'idiota?- esclamò Ayame.
-Già, non si somigliano per niente- aggiunse la nemica.
-Chi è Genbu?- domandò invece Rikimaru; Haruko spiegò, cupa:-Uno dei quattro Signori dell'Aurora di Fuoco. Sono i quattro ninja più forti dopo Lady Kagami. Tatsumaru ha detto di chiamarsi Seiryu...quindi lui è uno di loro. Un altro è Biakko, la Tigre Bianca, che è sicuramente presente in questa foresta, probabilmente lo incontreremo-
-E come fai a dirlo?- chiese Ayame.
-Bakeneko è la sua subalterna più stretta. Se c'è lei, c'è anche lui-
-Ricordi proprio tutto, uh?- la schernì Bakeneko, sfoggiando un sorriso minaccioso. Haruko aggirò Rikimaru e disse:-Mi occupo io di lei. Voi proseguite-
-Ma...- iniziò a protestare Rikimaru, ma lei continuò:-So come combatte, me la caverò. E, a differenza vostra, conosco già la strada verso le Caverne. Quando avrò finito con lei, vi raggiungerò in un attimo-
-Bene- asserì Ayame, allontanandosi. Rikimaru le lanciò un'occhiata piuttosto lunga, che palesava la sua riluttanza nel lasciarla indietro. Haruko, intenerita, annuì con decisione, così lui fece altrettanto e seguì Ayame, assieme a Semimaru. Bakeneko si scagliò contro Rikimaru, ma stavolta fu Haruko a parare il colpo, servendosi della sua asta, e a respingere la nemica. I ninja Azuma sparirono immediatamente, lasciandole sole.
***
-Che dolci. Avresti dovuto salutarlo meglio- la stuzzicò Bakeneko. Haruko la ignorò e diede inizio allo scontro lanciando dei fumogeni. La ninja era però molto rapida, difatti le fu addosso ancor prima che i fumogeni rilasciassero il fumo bianco. Haruko parò il colpo a stento, e sempre con difficoltà si difese da vari colpi di tekagi, che le piovvero addosso a cascata. Bakeneko era estremamente veloce, oltre che scaltra: il nome che si era scelta era molto azzeccato, difatti tutto in lei ricordava i felini. Perfino la sua voce sembrava un miagolio di scherno, qualunque cosa dicesse.
Haruko si trovò già in difficoltà: doveva assolutamente mettere le distanze tra lei e quella dannata gatta. Ci riuscì azzardando un calcio, che deconcentrò la nemica e le permise di gettare per terra una manciata di makibishi. Bakeneko indietreggiò per non calpestare i makibishi, quindi balzò di lato e la attaccò nuovamente, ma stavolta Haruko fu lesta nel lanciarle contro una sacca di polvere urticante; la ninja emise uno strillo, d'improvviso vittima di un'irritazione insopportabile della pelle e degli occhi. Tuttavia non si fermò e attaccò ancora la ragazza, agguerrita. Haruko evitò e parò svariati suoi colpi, a fatica, e più volte rischiò di rimediare ferite gravi. Si ritrovò addosso alcuni graffi, che sanguinarono copiosamente, e alcune treccine furono tranciate di netto. Iniziò ad innervosirsi: se Bakeneko l'avesse ammazzata, non sarebbe mai riuscita a farla pagare a suo fratello e in particolare a Kagami per tutto il male che avevano fatto. Improvvisamente ripensò alle parole di Rikimaru: la vendetta non portava a nulla, solo alla sconfitta. La rabbia, l'odio, le emozioni andavano dominate. E Ayame ci era riuscita. Lei non lottava per la vendetta, ma per rimettere a posto le cose. Così doveva fare lei: doveva battere Bakeneko perchè era una nemica, doveva eliminare Genbu e Lady Kagami perchè lo meritavano, affinchè tutti potessero tornare alle loro vite e quello spargimento di sangue finisse. Lei in particolare doveva porre fine a tutto questo per il bene di Harumaru. Lo aveva salvato, quindi ora era sotto la sua responsabilità. Quel povero piccolo aveva soltanto lei, adesso.
Fu così che Haruko si concentrò maggiormente sugli attacchi della nemica: era più calma, più lucida, più sveglia. Non aveva paura, non provava rabbia, fretta di proseguire. Avrebbe battuto Bakeneko, punto.
La ninja la attaccò ancora, velocissima; Haruko schivò un colpo di tekagi quasi per fortuna, e poi un altro ancora; si accovacciò e rotolò indietro, tornò in piedi e parò un nuovo colpo, pur più violento degli altri. Lo scontro andò avanti così per alcuni minuti, ma ad Haruko servirono per studiare Bakeneko, per abituarsi ai suoi attacchi, alla sua rapidità. Purtroppo, tuttavia, ciò era però anche stancante, il suo fisico iniziò ad avvertire la stanchezza. Bakeneko lo notò. E Haruko lo trasse a suo vantaggio.
La giovane incassò alcuni colpi, iniziò a sanguinare dal braccio, non celò la sua stanchezza. Bakeneko ghignò di soddisfazione. Fu questo a farle abbassare la guardia: Haruko riuscì a metterle lo sgambetto, quindi le diede un colpo di asta dietro la nuca. Bakeneko restò stordita per terra; Haruko le tagliò la gola con un kunai e corse via ancor prima che lei spirasse.
***
Haruko interruppe la sua corsa quando si imbattè nel cadavere di Biakko. Accanto al suo c'era quello di Kiru, la sua fedele e massiccia tigre bianca. Lieta che Rikimaru e Ayame avessero avuto la meglio, proseguì e raggiunse le caverne. Trovò Semimaru fuori; il cane scodinzolò, felice, e le andò incontro. Lei lo accarezzò ma, a malincuore, dovette lasciarlo lì come avevano fatto i ragazzi prima di lei; lo salutò ed entrò nella fredda e purtroppo familiare caverna.
Incontrò subito alcuni cadaveri; proseguì e ne trovò degli altri. Avrebbe potuto seguire la scia di cadaveri che Rikimaru e Ayame stavano lasciando alle loro spalle, ma preferì invece intraprendere un'altra via che l'avrebbe condotta alla nave che Lady Kagami aveva intenzione di far costruire quando lei era ancora nel clan. Era pronta? Era in procinto di salpare?
La ragazza si preparò all'eventualità di incontrare suo fratello o Kagami e, quindi, di combatterli e ucciderli. Era impaziente di farlo...ma, al contempo, per quanto riguardava suo fratello, non era certa che sarebbe riuscita ad andare fino in fondo. Si impose di proseguire e non pensare oltre.
Incontrò pochi ninja, ma li eliminò tutti. Stupita, si accorse di quanto le venisse ormai facile uccidere senza l'ausilio dei veleni; la cosa la compiacque e la spaventò allo stesso tempo. Quanto meno non era qualcosa che le piacesse fare, ma solo un obbligo dovuto al fatto di essere invischiata in quella storia. Ma, in effetti....lei era davvero invischiata in quella storia?
Haruko avrebbe potuto semplicemente prendere Harumaru e andare via, fuggire da Kagami, e lasciare che fossero Rikimaru e Ayame a occuparsi di tutto, dato che combattevano per Godha e non potevano esimersi dal risolvere la situazione. Eppure...lei e Harumaru sarebbero mai stati al sicuro, per quanto lontano sarebbero potuti andare? Se Kagami avesse trionfato su Godha e avesse preso il potere come auspicava, chissà cosa non avrebbe fatto per piegare chiunque alla sua volontà...
No, non poteva tirarsene fuori. In realtà non lo voleva nemmeno. Lei era stata toccata direttamente dalle azioni di Kagami, e poi di suo fratello; non poteva semplicemente andar via. Non poteva semplicemente abbandonare Rikimaru e Ayame. Doveva combattere affinchè fosse fatta giustizia, affinchè coloro che avevano sbagliato pagassero, affinchè Harumaru e lei stessa potessero vivere in un paese sicuro...e affinchè i loro morti potessero riposare in pace.
Quelle riflessioni fecero sbocciare in lei una nuova determinazione, più pura, più profonda; fu con quest'animo che raggiunse il posto che cercava.
Si trovava sulla sommità di un declivio; alla base della discesa vi era una piattaforma, la quale permetteva di salire su un'enorme nave. Haruko la fissò a lungo, impressionata. Alla fine, Kagami era ad un passo dal realizzare il suo obiettivo. Davvero era decisa a non fermarsi, ad uccidere ancora. Si chiese che cosa potesse animare in qualcuno un desiderio tanto grande, tanto spropositato da provocare tanto sangue. Perchè non si fermava? Per quale motivo credeva che tutte quelle vite sacrificate non fossero nulla in confronto al suo sogno?
Haruko scosse la testa: inutile tentare di capire quella donna. Ormai il suo operato aveva prodotto conseguenze a dir poco gravi e non c'era modo di assolverla se non con la morte.
-Ehi!-. La ragazza sobbalzò, impugnando l'asta, ma era solo Ayame.
-Mi hai spaventata-
-Una distrazione del genere può essere letale. Se fossi stata un nemico?-. Haruko sollevò gli occhi al cielo: non era necessario che facesse la maestrina con lei, non era una principiante. In quel mentre entrambe udirono rumore di passi; si accovacciarono e si spostarono dietro a due grosse scatole.
-E' quella maledetta- bisbigliò Ayame, dando voce ai pensieri di Haruko, mentre lanciava uno sguardo rancoroso a Lady Kagami. Ma non era sola: con lei c'era Tatsumaru. Haruko guardò Ayame di sottecchi: il suo volto grazioso ma sempre corrucciato era diventato algido. Avrebbe voluto dirle che la capiva, che sapeva perfettamente cosa significasse essere traditi da un proprio caro, ma non era il momento di parlare. Avrebbe potuto metterle una mano sulla spalla...ma, probabilmente, la ragazzina l'avrebbe guardata in cagnesco. Preferì fingere di non aver notato nulla.
Proprio allora Ayame notò Rikimaru; gli fece cenno di raggiungerle e lui lo fece subito, di soppiatto. Il giovane si accorse all'istante delle ferite di Haruko; constatò:-Sei ferita-
-Non è niente-. Il giovane non disse altro; i tre udirono la voce di Kagami. La donna parlò a Tatsumaru, rimarcando i principi del suo piano e esponendo la sua intenzione di attaccare Godha grazie a quella nave, che prendeva il nome di Demone di Fuoco. Rikimaru lanciò un'occhiata ad Haruko: era proprio come lei aveva intuito.
D'improvviso arrivò di corsa uno dei ninja di Kagami, che la innervosì poichè si rivolse a lei alzando troppo la voce; comunque, comunicò alla sua signora che nelle caverne si era infiltrato un ninja Azuma. Lei decise nonostante tutto di salpare, difatti salì sulla nave assieme a Tatsumaru.
-Dobbiamo sbrigarci- fece Haruko, risoluta; Rikimaru annuì e disse:-Voi due salite sulla nave. Io corro al castello per avvertire Godha-. Le due ragazze annuirono e si precipitarono verso la nave, mentre Rikimaru corse a ritroso, diretto al castello.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1tekagi:  artigli ninja
2Bakeneko: creatura soprannaturale mitologica giapponese dalle fattezze feline

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***



Una volta sulla nave, Ayame e Haruko si divisero. Haruko non era mai stata su una nave prima: tutto dondolava leggermente, ma non le dava fastidio come aveva temuto. Udiva in sottofondo il rumore lieve delle onde che si infrangevano contro la nave, e l'odore di salsedine le aveva impregnato il naso. Si sarebbe rilassata se non fosse stato per la situazione in cui si trovava. Era ancora una volta in territorio nemico, ma finalmente stavolta avrebbe potuto vendicarsi e fare giustizia. Non si sarebbe risparmiata, anche se le sarebbe valsa la vita: Genbu e Kagami dovevano pagare. Solo allora sarebbe stata in pace.
Si avventurò per la nave. I corridoi erano illuminati con delle torce, per cui riusciva a vedere sufficientemente bene. Mietette vittime una dietro l'altra, senza la minima esitazione. Aveva realizzato che ormai uccidere le veniva facile: più uccideva e meno diventava spiacevole. Non si soffermò su quanto ciò fosse allarmante, era troppo concentrata sul suo obiettivo.
La nave era molto grande e la percorse per parecchio tempo prima di raggiungere il primo dei suoi obiettivi: Genbu.
***
Aveva raggiunto un ampio spazio, illuminato da torce. Lei si trovava su una passerella. In basso, sotto di essa e davanti a una porta, c'era suo fratello, immobile come per sbarrare il passo. Probabilmente, oltre quella porta si usciva all'esterno della nave. Haruko immaginò che da lì si potesse arrivare a Lady Kagami.
Per raggiungere suo fratello doveva attraversare la passerella e scendere alcune scale; la ragazza non esitò un attimo e non celò la sua presenza mentre scendeva. Intendeva combattere contro suo fratello, farlo fuori senza nascondersi e senza limitare le sue sofferenze.
Appena entrambi i suoi piedi ebbero sceso l'ultimo gradino, la ragazza imbracciò la sua asta metallica. Genbu la fissava immobile, impettito, il viso stolido e inespressivo.
Haruko lo fissò alcuni secondi. Era arrabbiata. Lo odiava. Se prima aveva desiderato salvarlo, aggiustare le cose tra loro e perdonarlo purchè tornasse dalla sua parte, adesso sapeva con certezza che non c'era redenzione per ciò che lui aveva fatto, in generale e a lei e alla sua famiglia in particolare, quella vera e quella del panettiere.  L'unico modo per espiare le sue colpe era morire. Morire per mano di Haruko, l'unico familiare rimasto, colei che avrebbe dovuto proteggerlo ma che aveva fallito nel tentativo. La cosa non le pesava, anzi, era intenzionata a terminare quanto prima.
Gli puntò l'asta contro. Genbu non si mosse. Haruko gli corse incontro e lo attaccò con ferocia, ma Genbu parò il colpo con una delle sue grosse clave e la spinse indietro violentemente; per poco Haruko non perse l'equilibrio. Atterrò e lo attaccò nuovamente, ma ancora fu respinta. E ancora, ancora, ancora. Ad ogni attacco la sua furia aumentava. Ormai non ragionava più: il suo unico obiettivo era distruggere quel maledetto. Fece uso di granate e kunai, ma suo fratello era in gamba e rimediò solo un graffio sul bicipite sinistro, che iniziò a sanguinare copiosamente. Haruko notò che, fino a quel momento, non l'aveva attaccata una sola volta, si era limitato a evitare o parare i suoi attacchi. Questo la innervosì ancor di più.
-Non sottovalutarmi, maledetto-
-Perchè dici questo?-
-Non mi hai attaccata nemmeno una volta. Cos'è, stai giocando?-. Genbu non rispose, restò immobile e duro in volto come una statua. Haruko sentenziò:-Tanto peggio per te- e prese una bomba fumogena, ma prima che la lanciasse per terra Genbu disse:-Basta, sorella-
-Basta? Abbiamo appena iniziato. E finiremo quando sarai morto-. La bomba fumogena fu scagliata contro il pavimento in legno e Haruko sfruttò il fumo per raggiungere le spalle del fratello; lui, rotolò di lato ed evitò il suo colpo di asta. Sebbene avesse potuto attaccarla in quel momento, Genbu fece un balzo indietro e mise distanza tra sè e la sorella. Disse, scuotendo il capo pelato:-Genbu non vuole combattere contro di te-
-Bè, dovevi pensarci prima di portarmi via tutto e rovinarmi la vita!- gridò lei, indemoniata.
-Tu dovevi venire con Genbu e Lady Kagami! Hai scelto la parte sbagliata!-
-Ma che cosa dici, stupido idiota?- gridò ancora lei, sempre più feroce. L'espressione sul volto di Genbu subì una piccola variazione: la sua inespressività si screziò di dolore. Haruko lo notò nonostante il furore che le montava dentro, e ne immaginò anche il motivo: Genbu era sempre stato deriso e perfino bistrattato dai loro coetanei, un pò anche dai loro genitori. Haruko era sempre stata l'unica a non voler infierire su di lui per la sua limitata intelligenza e la sua goffaggine. Lei non lo aveva mai insultato. Quella era la prima volta che usava le parole "stupido" e "idiota" riferite a lui.
-Non dire così a Genbu!-
-E come ti dovrei chiamare? E' meglio che non mi chiedi di usare dei sinonimi, perchè quelli che ho in mente sono di gran lunga peggiori-. Genbu si accigliò, ferito; Haruko, rabbiosa, continuò:-Sei tu che hai scelto la parte sbagliata, tu! Sei tu che hai tradito la tua famiglia e il tuo villaggio per seguire quella sgualdrina...!-
-Non parlare così di Lady Kagami!-
-Oh, certo! In effetti avrei dovuto dire sgualdrina sanguinaria!-
-Smettila!-
-Ancora non capisci che cosa hai fatto?-. Genbu tacque, sotto lo sguardo di fuoco della sorella. Haruko continuò:-Non pensi mai ai nostri genitori? E a tutti gli innocenti che hai ammazzato? Eh? Ci pensi mai, grossa feccia?-
-Sorellina...-
-NON CHIAMARMI COSI'!!-. Haruko si accorse che le tremavano le  mani per quanto forte stringeva i pugni. E piangeva. Piangeva cocenti lacrime di rabbia e dolore.
Perse il controllo. Senza quasi rendersene conto, si ritrovò di fronte al fratello, a tempestargli di pugni il grosso pancione come una bambina capricciosa mentre strillava:-Perchè l'hai fatto? Perchè?-. Genbu la lasciava fare. Gli faceva male, ma non tanto da doverla fermare. E, comunque, sapeva di meritare parte della rabbia della ragazza. Sebbene avesse avuto le sue ragioni per agire come aveva agito, capiva la sorella, la sua rabbia, il suo dolore, l'odio nei suoi confronti.
-Perchè? Perchè? Perchè? Perchè? Rispondi! Lurido figlio di....!-. Haruko aveva estratto il suo ultimo kunai e lo aveva impugnato in modo da conficcarlo nel prominente ventre del fratello, ma Genbu le afferrò il sottile polso e glielo strinse tanto che l'arma le cadde di mano. Genbu la sbattè contro una delle colonne rosse che sostenevano il soffitto della stanza; non dosò la sua forza, difatti Haruko perse quasi i sensi. Genbu replicò, ferito:-Tu non puoi capire! Tu non sei mai stata trattata da stupida!-
-Ma che...-
-Raundomaru è stupido! Raundomaru è debole! Raundomaru non serve! Questo diceva la gente di Raundomaru! Anche mamma e papà! Nessuno era mai contento di Raundomaru!-
-Ma questo non è un motivo per fare le cose orribili che hai fatto! Kagami non....!-
-Lady Kagami è l'unica che ha avuto fiducia in Raundomaru! E' sempre stata soddisfatta di Raundomaru!-
-Non di Raundomaru! Ma di Genbu! Del mostro che ha creato!-
-Genbu non è un mostro! Genbu segue Lady Kagami perchè condivide le idee di Lady Kagami e perchè Lady Kagami è l'unica che vuole bene a Genbu!-
-Adesso è l'unica che vuole bene a Genbu! Ma prima anche io volevo bene a Genbu! E anche a Raundomaru!-. Le parole di Haruko si spezzarono per via di un sussulto. Copiose lacrime scesero lungo le sue guance chiare; Genbu restò interdetto da quelle parole come pure da quel pianto. Sua sorella non aveva mai pianto in quel modo. Era una che piangeva poco e, quando lo faceva, si premurava di sparire dalla circolazione affinchè nessuno potesse vedere anche soltanto una sua lacrima; vederla piangere in quel modo, in faccia a qualcuno, a viso aperto, era una cosa tutta nuova per lui. Perfino a lui fu chiaro quanto dolore le avesse arrecato, tanto da non poterlo tenere dentro.
Haruko continuò, fissandolo negli occhi:-Ma ora...è troppo tardi. Il bene che ti voglio non può cancellare quello che hai fatto. Devi pagare. Hai fatto la tua scelta. E anche se tornassi indietro...-
-Genbu non torna indietro-
-Nemmeno Haruko-
-Genbu non vuole combattere contro Haruko-
-L'unico modo per fermarmi è uccidermi. Hai capito?-. Genbu fissò gli occhi scuri della sorella. Gli parvero più scuri del solito. Capì che era convinta di ciò che diceva. Capì che, se voleva proteggere Lady Kagami, non c'era altro modo.
-Mi dispiace, sorellina-. Haruko tentò di liberarsi, ma fu inutile: era come un uccellino tra le mani di un gorilla. Raundomaru era sempre stato infinitamente più forte di lei.
Genbu le mollò una mano per afferrarle subito il collo. Strinse forte. Mentre lo faceva, abbassò lo sguardo: non ce la faceva a vedere il suo viso contorto dalla mancanza d'aria, gli occhi sbarrati e impauriti per via della morte così maledettamente vicina. Era sempre così in tutti coloro che aveva fatto fuori in quel modo. Udì tuttavia i suoi gemiti strozzati, avvertì il tocco delle sue manine disperate che si abbarbicavano al suo possente polso, invano. Il collo di Haruko era piccolo e fragile, molto più di chiunque avesse fatto quella stessa fine per mano sua. Genbu fu costretto a pensare a qualcos'altro per non cedere e lasciarla libera.
Haruko, intanto, desiderò di morire in fretta: la mancanza d'aria era tremenda, indescrivibile. Si sentiva disperata e dannatamente debole e impotente mentre la mano di suo fratello -una sola mano, diamine- le stringeva il collo. Una mano potente e inamovibile.
Alla fine eccola lì che moriva. Ecco cosa ne era stato di tutti i suoi sforzi, di tutti i suoi propositi di cambiare vita, della sua voglia di vendetta e...
Harumaru.
"Oh no. No no no no".
Cosa ne sarebbe stato di lui? Non aveva più nessuno. Come lei...
Aveva solo lei. Ma lei stava morendo...
Aveva sbagliato tutto. Aveva sbagliato tutto....
Questo fu l'ultimo pensiero che le attraversò la mente prima che il buio prese possesso di lei e della sua anima.
***
Riprese i sensi. Ci mise diversi minuti per aprire gli occhi e ricordare dove fosse. Si sentiva debole, la mente annebbiata. Rumore di acqua, odore di salsedine...
Scattò a sedere con un sussulto, improvvisamente lucida. Riconobbe subito una delle colonne rosse dell'androne dove si era scontrata con suo fratello. Ma non era quella contro cui l'aveva quasi uccisa.
Un momento. Non sarebbe dovuta essere morta, lei?
Era stata spostata, si trovava su un lato dell'androne, dietro una di quelle colonne, appunto. C'era silenzio. Si sporse oltre la colonna, guardinga...e restò paralizzata.
Ciò che vide era difficile da capire.
Suo fratello era in piedi, immobile, al centro dell'androne. Sembrava una statua. Fissava un punto lontano davanti a sè. Una delle sue clave era per terra. Haruko restò per alcuni minuti a fissarlo, senza rilevare nemmeno il minimo movimento in lui...finchè non capì.
Le si strinse il cuore. Si alzò, uscì allo scoperto, si avvicinò lentamente a lui fino ad essergli di fronte. Mai come in quel momento si era sentita così minuscola dinanzi a lui. Suo fratello restava imponente perfino da morto.
Era morto in piedi, semplicemente si era irrigidito. Già, nemmeno da morto si piegava ai ninja Azuma. Si, perchè Haruko non aveva dubbi che si trattasse di Rikimaru o di Ayame. Ma poco importava chi fosse stato dei due.
La ragazza lasciò andare alcune lacrime silenziose, chinò il capo e restò lì immobile per alcuni minuti; sollevò poi la testa, si avvicinò di alcuni passi e si alzò sulle punte per poggiare una carezza sul viso algido di suo fratello. Asciugò quindi le lacrime e proseguì di corsa.
***
Si ritrovò all'aria aperta. Si sentì improvvisamente vulnerabile lì in mezzo, senza alcun nascondiglio dove celare la sua presenza, tuttavia scoprì di non averne bisogno. Udì rumori di battaglia poco lontano, così si fiondò in quella direzione senza esitazione. Trovò una sorta di piccolo palco; su di esso scorse Lady Kagami e Rikimaru che lottavano ferocemente. I due sembravano pari.
Haruko li scrutò immobile, sperando che Rikimaru avesse la meglio sulla donna. Si stupì di questo pensiero: non aveva sempre sperato di ammazzare Lady Kagami con le sue mani? Non la infastidiva o indignava il fatto che qualcun altro se ne stesse occupando al posto suo? Haruko non nutriva minimamente quei sentimenti, il desiderio di uccidere Kagami. Non più. Lei doveva morire senz'altro, era l'unico modo grazie al quale lei potesse essere fermata, ma non le importava chi fosse il fautore della sua fine. Lo stesso era stato per suo fratello. Aveva compreso tutto questo vedendo Genbu morto: non aveva provato alcuna gioia nel ritrovarselo di fronte senza vita, nessun sollievo. E nessuna rabbia, nessun risentimento dovuto al fatto che fosse stato uno dei ninja Azuma a farlo fuori e non lei. Genbu meritava di morire, fino all'ultimo non si era pentito della scelta di aver seguito Lady Kagami, quindi aveva ricevuto ciò che gli spettava. Giustizia era stata fatta,  ma il cuore di Haruko non ne aveva tratto alcun giovamento. Lo stesso sarebbe stato per Kagami. La vendetta non dava soddisfazione di alcun tipo ad Haruko... Ormai a lei bastava che l'Aurora di Fuoco sparisse dalla sua vita per sempre, per mano di chiunque. Se Rikimaru avesse ucciso quella demonessa ninja, a lei sarebbe andato più che bene; inoltre, riconosceva che era giusto così, Rikimaru aveva diritto quanto lei di eliminarla, dato che anche lui aveva perso molto a causa sua.
"Ce la farai, Rikimaru". Haruko lo sapeva. Scorgeva una luce diversa nei suoi occhi. Che finalmente fosse divenuto imperturbabile anche lui?
-Lady Kagami! Lascialo a me!-. Haruko si voltò nella direzione di una voce alle sue spalle; contemporaneamente, Rikimaru e Kagami interruppero lo scontro.
Era stata una ragazzina a parlare; secondo Haruko, poteva avere l'età di Ayame. Era tuttavia più bassa e mingherlina di lei, sembrava una bambina particolarmente alta. O un bambino. Era completamente senza capelli. Haruko si domandò come mai avesse pensato che fosse femmina: non lo si poteva dedurre facilmente. La voce? I lineamenti delicati? Ma era davvero una femmina?
-Che ci fai qui, Hana? Vai via!-. Il tono di Kagami era stato aspro, eppure si coglieva in lei una nota di apprensione. Non era stato un ordine, quello.
-Haruko- fece invece Rikimaru, stupito di vederla lì. Kagami rivolse all'interpellata un'occhiata di fuoco e, velenosa, le disse:-Ah, ci sei anche tu. La mocciosa vigliacca che ha tentato di ammazzarmi con del veleno. Fallendo miseramente-
-Ognuno ha quel che si merita, Kagami. Probabilmente, la morte per veleno sarebbe stata troppo clemente per te, per questo ti sei salvata-
-Impertinente. Finisco con lui e mi dedicherò a te-
-Non disturbarti, sorella. A questa ragazza penserò io- intervenne la ragazzina -si chiamava Hana, era quindi una femmina-. Haruko scambiò un'occhiata con Rikimaru: aveva detto sorella?
-Non è compito tuo. Tu non dovresti nemmeno essere qui-
-Smettila di preoccuparti per me. Fino a prova contraria, sono l'unica sopravvissuta. Nessuno dei tuoi amati Signori dell'Aurora di Fuoco è qui a supportarti. Finalmente potrò dimostrati quanto valgo-
-Ma...-
-Io sono Ooryuu1, il Dragone Giallo, uno dei cinque Signori dell'Aurora di Fuoco-
-Cinque? Sono sempre stati quattro. Non ho mai sentito parlare di te- replicò Haruko, accigliata.
-E' perchè mia sorella non ha mai riconosciuto il mio valore e ha sempre cercato di proteggermi. Lei non approva che io combatta per lei. Ma io condivido i suoi ideali e sono abbastanza forte per affiancarla-
-E sei l'unica rimasta per farlo- aggiunse sardonicamente Haruko. Sia Ooryuu che Kagami la gelarono con lo sguardo, ma lei restò indifferente. Piuttosto, tirò fuori la sua asta dicendo:-Kagami è impegnata con Rikimaru. Per te ci sono io-
-No! Smettila, Hana!- gridò Kagami, il tono nuovamente tra l'autoritario e lo spaventato. Ooryuu replicò:-Inutile sottrarsi alla lotta. Siamo alla fine. Siamo le uniche rimaste. Batteremo questi due, fuggiremo e creeremo una Aurora di Fuoco più potente di prima. Se anche andassi via, cosa farei? Lo scopo della mia vita è uguale al tuo. Se fallisci tu, fallisco io. Se vinciamo, lo faremo insieme. Non mi importa di nient'altro-. Kagami strinse le labbra, evidentemente riluttante eppure incapace di mandare via la sorella. Sebbene fosse una nemica, Haruko ammirò quella ragazzina per la sua determinazione e il suo coraggio. Disse, tuttavia:-Basta chiacchiere-
-Concordo- rispose la piccola. Un secondo dopo le due erano immerse nello scontro. Haruko si ritrovò subito in estrema difficoltà. Ooryuu sembrava disarmata, ma non era così: in mano aveva delle kakusareta supairu2 particolarmente piccole, difficili da notare ma parecchio affilate, ed era anche di una velocità allarmante, tanto che Haruko si ritrovò presto ferita, pur non gravemente, sul braccio destro e sul fianco sinistro. Sicuramente sanguinava anche, ma non poteva appurarlo, o si sarebbe ritrovata probabilmente senza testa. Come mai Kagami aveva celato l'esistenza di sua sorella, che tra l'altro era così forte? Solo per proteggerla? Era degna del titolo di Signore dell'Aurora di Fuoco che si era attribuita autonomamente, cavoli! Tuttavia, Haruko non poteva permettersi di morire. Ogni singolo membro dell'Aurora di Fuoco doveva essere sconfitto e lei doveva sopravvivere...per Harumaru. Quel bambino aveva solo lei, ora. Lei lo aveva salvato e lei ne era responsabile. Haruko non combatteva più per la vendetta, non voleva sconfiggere l'Aurora di Fuoco per questo ma solo per proteggere quel povero neonato e assicurargli un futuro sereno, nonostante nessun membro della sua famiglia fosse con lui. Non avrebbe permesso che quel bambino restasse solo come lei, senza una guida, smarrito, costretto a cavarsela da solo. Sarebbe stata lei la sua guida, la sua famiglia.
Per questo Ooryuu non aveva possibilità di vittoria contro di lei. Difatti, la forza di quei pensieri portò Haruko a disarmare la sua piccola avversaria: le sue piccole lame volarono lontano, una delle due finì in mare, mentre la loro proprietaria finì sul legno duro del pavimento. Haruko credette di essere ad un passo dalla vittoria, ma si sbagliava. Impugnò il suo bastone in modo da poterla colpire in fronte e romperle il cranio, tuttavia Ooryuu scattò in piedi e si lanciò verso di lei, sferrandole un pugno all'addome. Haruko lo schivò per un soffio e mise distanza tra loro. Intravide del metallo sulle dita della ragazzina, che prima non aveva notato; dedusse fossero dei kakute3
, probabilmente tre per mano. Quella piccoletta sapeva il fatto suo, era piena di sorprese. Era forse anche all'altezza della sorella, sebbene fossero così diverse. A vederle, nessuno avrebbe mai potuto immaginare il loro legame di parentela. Kagami era bella, alta, formosa, vestita con abiti succinti e utilizzava la sua katana, più lunga del normale; Hana era minuta, senza nemmeno un accenno di seno, senza capelli, con una tuta ninja dorata a coprirle il piccolo corpo, e quelle che lei usava erano armi discrete e subdole, molto diverse dalla katana della sorella.
Le riflessioni di Haruko furono interrotte dagli attacchi ripetuti di Ooryuu, che potè solo schivare -pararli col suo bastone sarebbe stato più complicato-. Ooryuu era dannatamente rapida, difatti presto Haruko fu colpita da diversi, dolorosi pugni: sullo sterno, in pieno ventre, su una coscia. Iniziò a sanguinare copiosamente, il respiro quasi mozzato nel petto per il dolore, la lucidità affievolita. D'un tratto, tuttavia, Ooryuu si bloccò e lanciò un lacerante grido di dolore; cadde in ginocchio, tremando violentemente, e si accasciò per terra, schiumando dalla bocca, gli occhi quasi vitrei.
Ooryuu aveva uno stile di combattimento più subdolo rispetto a quello di Lady Kagami...ma lo stesso valeva per Haruko. Cosa c'era di più subdolo di un veleno?
Haruko aveva utilizzato uno dei suoi veleni: lasciato indietro suo fratello deceduto, aveva optato per una soluzione di combattimento più sicura -doveva usare estrema cautela se voleva tornare da Harumaru-, in previsione di uno scontro difficile come quello in corso. Aveva quindi cosparso generosamente le estremità della sua asta metallica con della polvere avvelenata e aveva poi assunto l'antidoto corrispondente, in modo da poter combattere senza subire gli effetti del veleno.
Haruko, sollevata di aver vinto, si avvicinò alla ragazzina moribonda. Era evidente quanto soffrisse per il veleno. Le disse:-Hai combattuto bene, se può farti star meglio. Ti ho battuta soltanto perchè sono meglio equipaggiata. In un altro momento, se tua sorella avesse fatto in modo di farci incontrare prima, probabilmente la situazione sarebbe diversa. Sei finita sul mio cammino nel momento sbagliato-. Si chinò su di lei, le portò un kunai alla gola e, guardando altrove, le disse ancora:-Ti risparmio alcuni istanti di dolore. Riposa in pace-. Con un movimento secco, le recise una carotide, quindi si alzò e si voltò, sforzandosi di non guardare in faccia la ragazzina ormai deceduta. Proprio in quel mentre, vide che anche Lady Kagami era a terra, sanguinante, mentre Rikimaru torreggiava su di lei, incolume. Anche lui aveva avuto la meglio sulla sua avversaria. Haruko provò una nuova ondata di sollievo, quasi di gioia, e un moto di orgoglio per Rikimaru.
La donna era ferita, evidentemente sconfitta, e attaccava verbalmente il giovane. Gli stava dando dello stupido perchè seguiva le regole senza porsi domande; Rikimaru rispose semplicemente che era fiero di essere tale se ciò significava salvare anche solo una vita dal quel suo sogno sanguinario. Haruko provò un moto di tenerezza per il ragazzo: nonostante avesse ucciso ripetutamente, la sua anima restava pura, rigorosa, fedele ai principi che il Maestro Shiunsai gli aveva impartito. Al tempo stesso, tale rettitudine suscitava in lei ammirazione.
La ragazza, quindi, non provava il minimo risentimento per non aver eliminato con le proprie mani nè Genbu nè Kagami. In un certo senso, aveva comunque portato a termine la sua personale missione: Kagami le aveva portato via suo fratello...e lei aveva ucciso sua sorella. Erano perfettamente pari, adesso.
Rikimaru si voltò in sua direzione. Si scambiarono un'occhiata; Haruko, debole e ferita, cadde in ginocchio. Il ninja la raggiunse in fretta e strappò alcuni lembi della sua tuta per fermare le emorragie della ragazza.
-Dobbiamo sparire da questa nave. Ce la fai?- le chiese. Sarebbe stata una tortura: Haruko era stanca, debole, dolorante. Avrebbe dovuto sopportare l'acqua fredda, nuotare in fretta per allontanarsi dalla nave, sopportare il bruciore che l'acqua marina avrebbe provocato alle sue ferite. Stoica -non c'era altro modo-, annuì una volta sola. Rikimaru la aiutò ad alzarsi e la sostenne fino al bordo della nave, poi entrambi si gettarono in mare.
***
Avevano raggiunto Lord Godha per avvertirlo che Lady Kagami e l'Aurora di Fuoco erano state sconfitte; Godha domandò di Ayame, ma Rikimaru disse che non era sulla nave. Così, il Lord diede ordine agli arcieri di colpire la nave con frecce di fuoco. D'un tratto, il cielo fu attraversato da dardi infuocati che rischiararono tutto quasi a giorno; i dardi si abbatterono sulla nave, e questa prese fuoco poco a poco. Haruko era sulla stessa barca di Godha e Rikimaru a fissare la scena assieme a loro. Osservò il veliero che si incendiava, le fiamme che lo divoravano avidamente. Gli occhi della sua mente osservavano però il fuoco che inghiottiva il suo villaggio, la sua casa, e poi il villaggio ninja e la casa del panettiere Takao. Senza accorgersene, i suoi occhi iniziarono a grondare lacrime silenti, il suo labbro inferiore a tremare. Pianse durante la morte della nave: pianse di dolore, compiangendo i suoi cari e tutto ciò che aveva perso; pianse gioia poichè era finalmente libera, libera dalla ricerca della vendetta e della giustizia; pianse di sollievo perchè quella storia era finalmente finita e adesso poteva davvero ricominciare a vivere. Il suo punto di inizio non poteva essere che Harumaru. Aveva solo lui adesso. Poteva dare un senso alla sua vita dedicandosi a lui, che era solo al mondo come lo era lei. Stavolta, però, non avrebbe fallito come era accaduto con Raundomaru. Aveva tentato in tutti i modi di riportare Raundomaru alla ragione, di eliminare la fonte della sua stupida ribellione, ma aveva ottenuto solo di perderlo, letteralmente, definitivamente. Con Harumaru sarebbe stato diverso, si ripromise. Harumaru sarebbe stato il mezzo con il quale si sarebbe riscattata per tutti i suoi errori.
***
L'aveva sentita piangere, nonostante il rumore dei dardi e l'esplosione della nave. Una fugace occhiata aveva confermato ciò che aveva avvertito.
Haruko piangeva al suo fianco a viso aperto mentre guardava la nave. Non si nascondeva, non chinava il capo, non era nemmeno lontanamente incurvata. Sembrava quasi che non si fosse accorta del suo pianto e che si fosse dimenticata di non essere sola. Rikimaru sperò che quelle fossero le ultime lacrime che versava per colpa di Lady Kagami e dei suoi misfatti: il dolore che serbava nel cuore era ben evidente sul suo viso bagnato, nei suoi occhi liquidi, nelle sue labbra curvate verso il basso. Quella ragazza aveva sofferto tanto e la capiva perfettamente, poichè anche lui aveva subito le angherie di Kagami e perso persone a lui care. Provò l'impulso di confortarla: timidamente, le nocche della sua mano destra sfiorarono il dorso della sinistra di lei. Nulla di più, non fu capace di altro. Eppure, quel semplice tocco interruppe il pianto di lei, che portò lo sguardo su di lui, stupita. Haruko si asciugò le lacrime con entrambe le mani e diede un profondo respiro, che allargò i suoi polmoni. Guardò di nuovo Rikimaru, incontrando i suoi occhi scuri, in quel momento neri come la pece. Rikimaru, la prima persona a essere stata sua amica dopo Yoshi, che l'aveva capita, aiutata, era stato un suo compagno di battaglie, e proprio lui aveva eliminato per sempre la causa di tutti i suoi problemi. Rikimaru, che aveva sofferto come lei e che, come lei, si era liberato di un grosso peso, seppur fosse comunque doloroso. Haruko, mossa dalla tenerezza, gli prese la mano saldamente mentre tornava a guardare la nave che veniva consumata dal fuoco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1Ooryuu:  Drago Giallo del Centro. La direzione cardinale associata a questo animale è appunto il "centro", e il suo elemento è la Terra. Nella tradizione giapponese, influenzato da quella buddhista (vedi Quattro Re Celesti della tradizione buddhista), Ōryū (Huánglóng) è quasi sempre assente.
 
2kakusareta supairu: "punta nascosta". Sono punte affilate celate fra le dita o le mani e usate subdolamente.



3kakute: anelli ninja. Non sono altro che semplici anelli d’acciaio con tre spuntoni appuntiti. 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Ecco l'ultimo capitolo! Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguita finora...è stato un piacere caricare questa storia per voi :) Spero vi sia piaciuta e che non restiate delusi dalla fine!
 
 
 
Haruko aveva recuperato Harumaru non appena era scesa dalla barca. Lo aveva stretto a sè e gli aveva sussurrato parole di conforto, lieta di averlo ritrovato incolume. Il bimbo l'aveva guardata senza capire e si era placidamente addormentato tra le sue braccia. Haruko restò lì a cullarlo, finchè non crollò anche lei. Per la prima volta dopo tanto tempo, la ninja dormì a lungo, di un sonno ristoratore e sereno.
***
Passarono tre giorni. Nel villaggio e al castello erano in corso lavori per riparare, ristrutturare e ricostruire dove l'Aurora di Fuoco era passata. Rikimaru forniva attivamente aiuto tutto il giorno, diligente e disponibile, volenteroso nell'apprendere perfino quel genere di cose. Haruko lo aveva aiutato a realizzare un tomba per il Maestro Shiunsai sulla scogliera; poco lontano, c'erano anche delle tombe per la famiglia del panettiere e per i genitori della ragazza. Per entrambi quello fu un modo per salutare i propri cari e lasciare il passato alle spalle.
Ayame era tornata, con sollievo di entrambi i ninja: si era lanciata in mare prima dell'abbattimento del Demone di Fuoco ed era approdata su una spiaggia distante. Come Rikimaru, aveva deciso di dedicare la propria vita a servire Lord Godha. Haruko, invece, aveva intenzione di abbandonare la sua vita da ninja, ma ancora non aveva comunicato a nessuno la sua intenzione.
***
Era tarda sera. Haruko aveva appena fatto addormentare Harumaru e lo fissava mentre dormiva beato nel suo giaciglio. Era stanca e desiderava affiancarlo, ma preferiva attendere che Rikimaru tornasse, com'era ormai abituata a fare.
Si trovava nella casetta che lei, gli Azuma e Harumaru occupavano provvisoriamente. Haruko si occupava della casa, di far trovare loro un piatto caldo tre volte al giorno e del bambino.
Aveva acceso delle candele e preparato la tavola sia per Rikimaru che per Ayame, che dovevano essere ormai di ritorno. La prima fu Ayame, che varcò la soglia di casa silenziosa come un felino. Haruko si aspettò che si sedesse e iniziasse a riempirsi la pancia senza aspettare Rikimaru -come faceva sempre-, ma invece lei le disse:-Ti devo parlare-. Stupita, Haruko la seguì fuori dalla casa.
Era una serata tranquilla, mite, e c'era silenzio: tutti gli abitanti rimasti del villaggio erano sfiniti per via dei lavori giornalieri nel villaggio, i più dormivano della grossa. Haruko tirò una boccata d'aria, apprezzando quel silenzio.
-Ti devo dire una cosa- esordì la ninja più giovane.
-Ti ascolto-
-Ho ucciso io Genbu-. Ayame lo aveva detto fissandola dritto negli occhi. Haruko non ebbe alcuna reazione, sebbene da alcuni giorni non sentisse quel nome e non pensasse a tutto ciò che vi era legato. Rispose:-Sapevo che si trattasse di un ninja Azuma. Non importa. Meritava quella fine. Non ce l'ho con te, se è quello che ti preoccupa-
-Non te lo sto dicendo per questo. So bene che meritava di morire, per questo l'ho ammazzato. Ma devi sapere una cosa-. La ragazza fece una pausa, abbassò lo sguardo, poi lo rialzò e disse:-Quando sono arrivata da voi, tu eri priva di sensi, per terra. Genbu era inginocchiato davanti a te. Diceva di continuo "Non ti voglio uccidere e non ti ucciderò, non ti voglio uccidere e non ti ucciderò", come una cantilena, sembrava impazzito. Ha smesso quando mi ha sentita. E' saltato in piedi dicendomi che non eri morta, eri solo svenuta, che eri stata tu ad attaccarlo...-
-Questo è vero-
-Ti ha spostata dietro una colonna, in modo che non fossi in pericolo mentre io e lui ci battevamo. Poi l'ho sconfitto. Credo che sia stato più felice di morire per mano mia che per mano tua-. Haruko non seppe cosa dire. Lì per lì non provò nulla. Quella storiella non le suscitò niente. Poi, però, le parole di Ayame la fecero riflettere. " Credo che sia stato più felice di morire per mano mia che per mano tua".
Raundomaru non sopportava che lei, Haruko, lo trattasse male. Haruko lo aveva sempre trattato con amore, si era affannata a stargli dietro perfino quando aveva dato inizio a una serie di azioni terribili...e lui lo sapeva. Essere stato chiamato "stupido" e "idiota" da lei ed essere stato destinatario di quel tono aspro, astioso, era stato per lui abbastanza. Essere ucciso da sua sorella sarebbe stata una punizione troppo dura per lui, sebbene sapesse di meritarla, immaginò lei.
"Non ti voglio uccidere e non ti ucciderò, non ti voglio uccidere e non ti ucciderò".
-Nonostante quello che ha fatto, Genbu ti voleva ancora bene, Haruko. Aveva raggiunto un punto di non ritorno, come Tatsumaru, e solo la morte avrebbe potuto redimerli...ma senza dubbio teneva a te e ti avrebbe protetta anche da Lady Kagami se avesse potuto-
-Tu...ne sei convinta?-
-Convinta no, non ero nella sua testa. Ma per quel poco che ho visto...-. Haruko chinò il capo, profondamente triste. Chiuse gli occhi, trattenendo le lacrime. Suo fratello le mancò improvvisamente. Provò un incontrollato desiderio di averlo davanti a sè e dirgli che gli voleva bene, nonostante tutto...che lo aveva perdonato.
-C'è la cena in tavola. Tra un pò arriverà anche Rikimaru. Torno subito- disse Haruko, allontanandosi in fretta. Ayame entrò, decidendo di lasciarla in pace. La capiva perfettamente. Anche lei era stata tradita da una persona che amava e aveva desiderato di ucciderla poichè quello era l'unico modo, l'unica cosa che andava fatta. Eppure, quando era stata sul punto di farlo, non ce l'aveva fatta. Lo aveva perdonato, fosse stato per lei gli avrebbe dato una nuova possibilità. Ma Tatsumaru sapeva che le cose ormai non potevano andare così e aveva posto fine da solo alla sua vita.
Haruko provava lo stesso dissidio e, Ayame ne era quasi certa, anche lei avrebbe esitato alla fine, se fosse riuscita a sconfiggere il fratello. Sperò che averle raccontato quelle cose la aiutasse a star meglio.
***
Haruko aveva raggiunto la scogliera. Passò lì diverse ore. Obbedendo all'istinto, realizzò una tomba simbolica per suo fratello Raundomaru, dopo di che pregò e pregò per lui. Tra una lacrima e l'altra, gli sussurrò anche di averlo perdonato, che gli voleva bene, che non lo aveva mai odiato davvero, che ora sapeva che mai avrebbe avuto la forza di ucciderlo. Si stese accanto alla tomba dandole le spalle, sul terreno duro e roccioso, l'aria marina a carezzarle la pelle nivea, e pianse silenziosamente fino ad addormentarsi.  Sognò suo fratello, che dormiva accanto a lei, schiena contro schiena, come facevano sempre in passato.
***
Era tutto pronto. Aveva radunato alcuni vestiti, cibo, oggetti utili per la cura di Harumaru e un solo coltello. Aveva potuto agire indisturbata, data l'assenza sia di Rikimaru che di Ayame.
Harumaru emise alcuni versi. Si stava annoiando. Haruko lo prese in braccio e gli sorrise dolcemente, dicendo:-Starai bene, piccolino mio. Te lo prometto-. Il bimbo guardò il soffitto. Haruko seguì il suo sguardo e vide una ragnatela.
-Un ragno. Vuole mangiare le mosche cattive che vogliono entrare nella bocca di Harumaru!- fece Haruko, anche se lui non poteva capirla; nonostante ciò, il bimbo colse il suo tono allegro e scherzoso e produsse una risatina squillante, che fece ridere anche la ragazza. Passò tutto il resto del pomeriggio a giocare col bimbo, lo fece gattonare, gli fece il bagnetto. Poi preparò la cena. Ayame fu di nuovo la prima ad arrivare. Disse:-Rikimaru farà un pò tardi. E' stato convocato da Lord Godha-
-Nuova missione?-
-Suppongo di si. Godha non ti convoca mai per una chiacchierata davanti ad un the-. Haruko non rispose, cupa; tuttavia, si convinse ancor di più della sua decisione. Ayame, intanto, finse di non notare la sacca da viaggio della ragazza nell'angolo accanto al suo letto.
***
Rikimaru era appena uscito dal castello di Godha. Era esausto; prima di tornare a casa, si sedette su una roccia poco fuori dal villaggio. Il giorno dopo sarebbe dovuto partire in missione. Così presto. Sospirò stancamente, comunque dispiaciuto di non poter aiutare gli abitanti del villaggio.
Udì un fruscio e dei passi alle spalle ma non si allarmò: era Haruko, la riconobbe subito. Non si voltò nemmeno.
-Che fai qui?-
-Che fai qui tu, piuttosto. La cena è pronta da un pezzo- replicò lei con una nota di dolcezza nella voce.
-Ho una missione. Domani devo partire-
-Capisco-. La sua voce si era raffreddata.
-Non mi hai risposto- insistette lui. Era perfettamente plausibile che lei fosse venuta a cercarlo o che fosse uscita per una passeggiata e lo avesse incontrato, tuttavia il giovane aveva un cattivo sentore. Presto, scoprì di avere ragione. Haruko disse:-Anch'io parto. Ma adesso-. Non  fu necessario che aggiungesse "per sempre", Rikimaru avvertiva quelle due parole nell'aria che li separava. Era stato il tono solenne di lei a liberarle tacitamente. Era anche dispiaciuta?
Si, lo era. Haruko aveva trovato una casa, un rifugio lì. Aveva trovato degli amici, una famiglia, delle abitudini. Aveva però perso la maggior parte di quelle cose. Spiegò:-Sento il bisogno di andare via di qui. Ciò che è successo con l'Aurora di Fuoco è ormai finito, ma le loro tracce resteranno impresse in questo posto per sempre. Ogni luogo qui mi ricorda loro, i miei genitori, ciò che ho perso...e non posso continuare a stare qui. Non voglio crescere Harumaru qui. Voglio portarlo in un luogo tranquillo che non sia stato contaminato dall'orrore che abbiamo vissuto-. Rikimaru restò immobile e silenzioso, lo sguardo fisso di fronte a sè. Ad Haruko, che era alle sue spalle, parve che si fosse irrigidito, ma in realtà non era così. Rikimaru non era stupito di quelle parole e di quella decisione. In quegli ultimi giorni, Haruko gli era parsa più distante rispetto a prima. Aveva reso accogliente la casupola in cui stavano e se ne occupava per loro, ma era come se lo facesse meccanicamente. Solo quando aveva Harumaru tra le braccia sembrava tranquilla e serena. Anche nei suoi confronti era diversa: all'inizio lei gli rivolgeva la parola molto spesso ed era premurosa, cose che lui aveva sempre apprezzato sebbene non lo avesse lasciato trapelare. Dopo ciò che c'era stato tra loro sulla collina dei ciliegi lui immaginava qualcosa di diverso...invece parlava con lui il minimo indispensabile, gli porgeva domande di rito, nulla di più. Ora capiva il perchè.
Il silenzio di Rikimaru fece sentire molto a disagio Haruko. La ragazza aggiunse, come per convincerlo:-La vita da ninja non fa per me, vi ho lasciato le mie armi. Ho portato solo un kunai per precauzione. Mentre tu e Ayame...-
-Non ti piace cosa facciamo-
-Non è questo. E' solo che...potrei perdervi da un momento all'altro. Siete forti, ma non si sa mai cosa possa accadere. E io...non voglio più perdere nessuno-.
Non aveva la forza di tenere a loro, in altre parole. Haruko preferiva interrompere così i loro rapporti, in modo da non soffrire nel caso fossero morti in missione. In modo da non saperlo neppure. Rikimaru non si sentiva di colpevolizzarla. Capiva. Gli dispiaceva immensamente perchè Haruko era diversa dalle ragazze che aveva conosciuto prima, aveva instaurato con lei qualcosa di più profondo...ma non ce l'aveva con lei perchè voleva impedirsi di soffrire ancora. Non l'avrebbe condizionata in alcun modo, non l'avrebbe fermata. Rispettava il suo volere e il suo modo di essere. E desiderava che lei stesse bene, o almeno il meglio possibile.
Sapeva di dover dire qualcosa, ma non seppe cosa. Rikimaru non era mai stato bravo con le parole.
Haruko sospirò e avanzò verso di lui, gli si portò di fronte. Aveva chinato il capo. Sebbene metà del suo volto fosse coperto dalla solita maschera e il suo viso fosse inespressivo come sempre, quel capo chino trasmise ad Haruko tutto il suo rammarico e il suo disappunto. Non aveva mai visto Rikimaru col capo chino se non mentre leggeva.
-Mi...mi dispiace- sussurrò lei, la gola bloccata da un gomitolo di pianto.
-Non devi dispiacerti. Va bene così-. Avrebbe voluto dirle che era felice di averla conosciuta, di aver avuto una nuova amica e compagna di battaglia...e qualcosa di più, ma non gli riuscì. Le parole gli morirono in gola. Era un limite che non sarebbe mai riuscito a superare.
Haruko, addolorata ma incapace di cambiare il suo volere, portò le mani sul viso del giovane e lo sollevò verso di sè. Gli abbassò la maschera e si chinò per lasciargli un bacio sulle labbra, lungo, tenero, delicato. Il cuore di entrambi reagì al bacio battendo come dopo una lunga corsa. Rikimaru scoprì di non essere pronto a lasciarla andare, così la prese per i fianchi e la attirò a sè, delicato ma fermo; lei finì seduta sulla sua gamba e lui posò la fronte sopra il suo cuore. Percepì il suo battere incessante e si rilassò, si sentì meno ridicolo sapendo di essere ricambiato. Haruko gli carezzò i folti capelli con una mano e gli lasciò un dolce bacio tra di essi.
-Vorrei essere più forte-
-Forse un giorno lo sarai-
-Lo spero. Ci proverò-
-Ci proverai?- le domandò Rikimaru in un sussurro, alzando il volto e incontrando i suoi occhi. Aveva gli occhi lucidi e ricolmi di dolore, le labbra schiuse, rosse, il viso niveo. Era bellissima. E non voleva andarsene. Se ne fosse stata capace, sarebbe rimasta.
Haruko comprese l'importanza di quella domanda. Se un giorno fosse stata più forte, sarebbe tornata?
Fissò Rikimaru negli occhi scuri, carezzandogli il viso liscio, il naso deciso, la cicatrice sull'occhio chiuso.
-Si. Si, ci proverò. Un giorno, forse, riuscirò a tornare-. "E spero che tu sia ancora qui" pensò, ma non lo disse. Rikimaru annuì appena e lei gli posò un altro bacio infinito sulle labbra.
***
Gli mancava già. Le sue labbra, i suoi baci. L'odore della sua pelle, le sue treccine sul viso. Il suo tocco, il calore del suo corpo, la sua consistenza tra le mani. I suoi abbracci, il suono del suo respiro veloce, il cuore che le batteva forte nel petto. E le lacrime, quelle silenziose lacrime che gli aveva lasciato inavvertitamente sulle guance.
-Perchè non l'hai fermata?-. Ayame. Non l'aveva sentita arrivare.
Lo trovò sulla stessa roccia su cui l'aveva trovato Haruko.
-Se glielo avessi chiesto, sarebbe rimasta- aggiunse. Ayame sapeva benissimo che i due fossero particolarmente legati. Fin dall'inizio erano andati naturalmente d'accordo. Non era stupita del fatto che il loro rapporto si fosse approfondito, anche se non sapeva bene quanto. Quando Haruko l'aveva abbracciata, giustificandosi dicendo scherzosamente:-Non ti ho mai abbracciata. Perfino un'antipatica come te ha bisogno di affetto ogni tanto-, Ayame aveva capito che qualcosa non andava. Quando subito dopo aveva detto che andava a portare una cosa ad una signora che conosceva ma che sarebbe tornata presto, lei poteva andare tranquillamente a dormire, Ayame aveva compreso che lei avesse bisogno di vedere Rikimaru senza nessuno intorno. E quando, fingendo di dormire, l'aveva sentita tornare, prendere Harumaru e la sua sacca da viaggio, allora aveva capito che era vero, stava andando via, che voleva ricominciare da capo un'altra volta, lontano da lì. Ayame la reputava una vigliacca, eppure non la biasimava. Tra loro era quella che aveva perso più di tutti, che aveva sofferto più a lungo. Eppure, nonostante tra loro non fosse mai corso buon sangue, le dispiaceva. Ormai si fidava di lei, faceva parte del gruppo. Adesso, invece, erano soltanto lei e Rikimaru.
Rikimaru rispose:-Non sarebbe stato giusto chiederglielo-
-Sei un idiota. Avresti dovuto provare. Magari ti ha messo alla prova, ha visto che sei un cretino taciturno e se n'è andata-. Era possibile. Eppure, lei sapeva  già quanto Rikimaru fosse cretino e taciturno.
Ayame sospirò e si andò a sedere accanto a lui, per terra.
-Pensi che tornerà?-
-Vedo che ti manca-
-Era giusto per chiedere. E' solo una piagnona. Non sopporto i piagnoni-
-Non so se tornerà-. Lui sperava di si, ma non lo disse. Ayame lo capì ugualmente.
Il giovane si alzò, dicendo:-Devo mangiare e andare a dormire. Domani devo partire per una missione-
-Vai, vengo tra un pò-. Rikimaru andò via, il capo chino. Ayame alzò il capo verso la luna piena e luminosa, pensando:"Buona fortuna, piagnona. E buona vita, ovunque tu voglia".
***
Era seduta sul carro di un mercante, tra le sue merci. Fortunatamente, Harumaru dormiva nonostante gli scossoni del carro.
Il villaggio non si vedeva già più, cosa di cui Haruko era sollevata. Avvertiva ancora su di sè il calore di Rikimaru e avrebbe voluto abbracciare Ayame ancora una volta, eppure era sicura della sua scelta. Aveva bisogno di voltare pagina e il modo più efficace per farlo era andare via, allontanare fisicamente quei posti pieni di ricordi dolorosi. Avrebbe trovato un villaggio tranquillo e avrebbe cresciuto Harumaru con amore e pazienza. Sarebbe stata meglio. Ci sarebbe voluto del tempo, lo sapeva, ma sarebbe accaduto. Forse, un giorno, sarebbe tornata al villaggio, sarebbe stata in grado di tornarci. Ma per ora...
Alzò il capo verso la luna piena: era luminosissima.
"Buona fortuna, ninja Azuma. Un giorno tornerò a trovarvi".

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