Step Onto My Balcony

di Love Your Sin
(/viewuser.php?uid=350646)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Serial Slapper ***
Capitolo 2: *** Hot Neighbor ***
Capitolo 3: *** S.O.S ***
Capitolo 4: *** Operation Malec ***
Capitolo 5: *** Life or Death ***
Capitolo 6: *** The Hangover ***
Capitolo 7: *** Love and War ***
Capitolo 8: *** One Simple Truth. ***



Capitolo 1
*** Serial Slapper ***


[Eccomi di nuovo con un'altra traduzione! Dovete sapere che io sono una grandissima fan di Shadowhunters e che, finalmente, dopo tre anni e mezzo di appartenenza al fandom sono finalmente riuscita a vedere su schermo un bacio Malec! Per cui, dopo l'uscita dell' 1x12 dell'omonimo telefilm, non ho potuto resistere alla tentazione di cimentarmi nella stesura di una fanfiction Malec. Purtroppo, però, ero a corto di idee e dato che ho trovato questa stupenda AU, ho deciso che, perchè no, avrei potuto tradurla! La storia è veramente stupenda, ha solamente 8 capitoli, ma sono piuttosto lunghi. Vi lascio link di storia originale e vari social dell'autrice alla fine. Non li ho ancora tradotti tutti, solo il primo a dire il vero ma hei, ho appena scelto di tradurla. Conto di pubblicare almeno un capitolo a settimana, anche se gli aggiornamenti potrebbero subire delle alterazioni (sia in meglio che in peggio, non si sa mai).
Come il solito io mi prendo i meriti solamente della traduzione, che non è stata poi una passeggiata, ma comunque abbastanza semplice, considerando che l'autrice è francese, l'inglese non è la sua lingua madre, pertanto usava un vocabolario piuttosto accessibile. 
Viva i Malec, che siano benedetti loro e Cassandra Clare che è il mio Dio e mi ha permesso di avere una ship, almeno una, che sia fonte di felicità e scleri interiori.]
  • La storia originale la trovate qui e invece qui trovate il permesso dell'autrice;
  • L'autrice è Lecrit e potete trovarla su AO3 e tumblr;
  • Il paring principale è Magnus/Alec, ma c'è anche la presenza di Jace/Clary, Simon/Isabelle e Luke/Jocelyn;
  • Il banner è mio e non dell'autrice;
  • I personaggi non mi appartengono. Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo. 



 

STEP ONTO MY BALCONY


“You had to deal every day with people who
were foolish and lazy and untruthful and downright unpleasant,
and you could certainly end up thinking that the world
would be considerably improved if you gave them a slap.”

(Terry Pratchett)

 
“Non ti ha informato nessuno del fatto che fossimo nel bel mezzo di una tempesta a New York, amico?”
Okay, probabilmente Magnus stava indossando una camicia bordeaux a malapena abbottonata, senza giacca, e un paio di pantaloni beige in chino stretti da una cintura in pelle che urlavano estate. Quando aveva lasciato Londra, quella mattina, la giornata era sorprendentemente calda per essere fine settembre e, poiché odia sudare in viaggio, si era vestito di conseguenza. Non aveva pensato di controllare come fosse il tempo a New York prima di partire. Perciò eccolo, vestito in modo completamente inadatto, quando l’autista del taxi lo aveva disturbato con quell’uscita poco scaltra. Non gli interessava, a dire il vero.
Guardando fuori dal finestrino, mentre attraversavano la città, tutto ciò a cui riusciva a pensare era quanto gli fosse mancata New York. Non se ne era reso conto fino a che non era atterrato, non aveva appoggiato i piedi a terra e aveva realizzato di essere, finalmente, a casa.
Erano passati cinque anni da quando aveva visto per l’ultima volta New York e sembrava quasi di aver rincontrato un vecchio amico; era famigliare e accogliente.
“Da dove vieni?” gli aveva chiesto l’autista, quando non aveva risposto alla sua prima domanda.
“Da qui” aveva risposto Magnus. “Ma sono stato via per un po’.”
“Oh, non esiste alcun posto come casa propria” era intervenuto l’uomo, con un largo sorriso genuino “Dove sei stato?”
“Asia, Europa, Africa, Perù¼un po’ qui e un po’ qua” aveva detto, alzando le spalle. “Una sorta di giro del mondo, immagino.”
L’uomo aveva annuito nello specchietto retrovisore, pensieroso e improvvisamente interessato. Magnus avrebbe potuto parlare per ore e ore di tutti i fantastici posti che aveva visitato, di tutte le magnifiche persone che aveva incontrato, di tutto il meraviglioso cibo che aveva provato. Al momento, però, voleva solo andare a casa, farsi una doccia e ritrovarsi con la sua famiglia su di giri. Si chiese se si sarebbe sentito di nuovo a casa, dopo così tanto tempo.

Era strano realizzare che, dopo cinque anni, l’appartamento di Luke fosse ancora casa, come se fosse stato via a malapena una settimana. La prima cosa che lo aveva colpito, non appena aveva aperto la porta, era stato l’odore dei vecchi libri sparsi tutt’intorno, di nuovo familiare e accogliente. Poi c’era stata la voce di Clary, che era giunta alle sue orecchie, risonante, dal soggiorno. Aveva sorriso, lasciando i bagagli sul pavimento il più silenziosamente possibile e si era mosso leggiadramente, quasi sulla punta dei piedi, per far loro una sorpresa. Si era fermato quando aveva sentito il suo nome, pronunciato da una voce corrucciata.
“E se ha cambiato idea?” stava chiedendo Clary, ad alta voce, una nota di apprensione nel tono che aveva fatto accigliare Magnus. “E se non tornasse a casa?”
Luke aveva risposto, il suo tono gentile e premuroso aveva attraversato la stanza come un colpo. “Certo che torna a casa, Clary.”
“Clary, Magnus è un idiota, ma è un uomo di parola. Se ha detto che sarebbe tornato a casa, lo farà sicuramente!” aveva detto un’altra voce, identificata con quella di Raphael.
“Lo so, lo so, ma avrebbe già dovuto chiamare, Raphael!” aveva protestato Clary. “Doveva farlo non appena sarebbe atterrato.”
“Giuro su Dio, Clary, che se non stai ferma ti lego al pavimento” aveva ringhiato un’altra voce, vagamente infastidita che, questa volta, Magnus aveva riconosciuto come Simon.
Aveva fatto un passo avanti, pronto a sorprenderli, ma nessuno lo aveva notato sulla soglia. Per cui era rimasto lì, fermo, con un sorrisetto sul viso, ad aspettare che qualcuno lo notasse. Non lo facevano ed era divertente.
Luke e Jocelyn erano seduti sul divano, i loro corpi a stretto contatto, mentre Clary camminava avanti e indietro, mordicchiandosi le unghie. Accanto a lei, Simon la guardava disperato, come se non sapesse più cosa fare per calmarla. Vicino a lui, più o meno con la stessa espressione, c’era Raphael, i capelli tirati indietro, gli occhi neri lampeggianti di preoccupazione, affetto e irritazione, perché non sarebbe stato Raphael se non fosse sembrato almeno un po’ infastidito nel trovarsi lì.
“Vorrei solo che fosse puntuale” aveva sospirato Clary.
“La puntualità non è mai stata il suo forte” era intervenuta Jocelyn, con un sorriso che voleva dire tante cose, una tenerezza che le aveva visto nello sguardo solo quando parlava di Clary o Simon. Gli aveva riempito il cuore con un calore immenso.
“Oh, ma ho altre magnifiche qualità per compensare a quella mancanza” aveva detto, finalmente, divertito.
Cinque teste erano scattate a guadarlo sulla soglia.
A Magnus era sempre piaciuto fare grandi entrate e questo non sarebbe cambiato, almeno non così presto. Raphael e Ragnor, solitamente, alzavano gli occhi al cielo quando succedeva, per cui era molto meglio avere un pubblico sveglio e ricettivo. Il silenzio non era durato a lungo, ma abbastanza perché potesse ringraziare per la sua originalità, prima che Clary si gettasse tra le sue braccia.
“Magnus!” aveva gridato, quando quel momento di perplessità era finito.

Aveva corso attraverso la stanza per avvicinarsi a lui, per poi stringerlo forte tra le sue braccia, come se avesse paura che potesse sparire. Magnus l’aveva stretta, le braccia a circondarle la vita e una risata felice. Non la vedeva da due anni, da quando gli aveva fatto visita a Parigi con Simon, e le era mancata immensamente.
Non aveva realizzato quanto velocemente il tempo fosse passato. Quando aveva lasciato New York, Clary aveva diciotto anni, si era a malapena diplomata. E ora stava per laurearsi all’istituto artistico. Sembrava essere passato in un batter d’occhio e, mentre si allontanava da Clary per abbracciare Jocelyn e Luke, che lo avevano raggiunto, aveva pensato che, in fondo, lo scorrere di quei cinque anni lo aveva percepito. Gli sorridevano e lui ricambiava, felice, il cuore che si gonfiava alla vista di tutti i suoi cari. Dopo essere sfuggito alla stretta spacca-ossa di Luke, aveva osservato la stanza, per visualizzare Simon a pochi metri di distanza da lui.
“Sherwin!” aveva esclamato, allegro. “È bello vederti di nuovo.”
Simon aveva alzato gli occhi al cielo e sbuffato, avanzando per poterlo così abbracciare.
“Te ne vai per cinque anni e ti dimentichi persino il mio nome?” aveva detto, con tono derisorio, picchiettando gentilmente con la mano sulla schiena dello stregone. “Mi fa piacere sapere di esserti mancano, Magnus.”
“Ovvio che mi sei mancato, Sherwin.”
Il tono era indifferente, ma in netto contrasto con il sorriso gioioso che illuminava entrambi i loro volti. Magnus si era poi voltato verso l’ultima persona presente nella stanza. Raphael si era avvicinato per stringergli la mano, sempre il più distaccato tra tutti, e Magnus lo aveva sbeffeggiato, afferrando la mano che gli aveva porto per tirarlo in un abbraccio.
“Cosa ti serve a fare il cellulare se poi non lo usi per chiamare e farti dare un passaggio dall’aeroporto?”  aveva riso Raphael.
“E perdere l’occasione di fare un ingresso del genere?” aveva risposto, argutamente. “Dove sarebbe stato il divertimento?”
Raphael aveva alzato gli occhi al cielo. “Non ti ha avvisato nessuno che qui a New York fa freddo? Che cavolo hai addosso?”
“Sta’ zitto, Raphael” lo aveva zittito Magnus con un movimento esagerato della mano. “Faceva caldo a Londra, quando me ne sono andato. Vi voglio bene, davvero, ma ora ho bisogno di una doccia, poi ci possiamo aggiornare.”
“Conosci la casa” aveva risposto Luke gentilmente, un piccolo sorriso paterno a incorniciargli le labbra.
Magnus aveva annuito per poi dirigersi verso il bagno. Conosceva la casa. Era stato cresciuto in quell’appartamento.

Luke e suo padre erano stati amici per anni, da quando erano stati compagni di stanza al college al giorno in cui suo padre era morto, anni prima. Luke era stato il suo padrino e la cosa più vicina ad una famiglia che avesse mai avuto. Perciò, quando suo papà era morto a causa del cancro, dato che sua madre li aveva abbandonati poco dopo la sua nascita, Luke lo aveva adottato e si era preso cura di lui. Magnus era un uomo adulto, ora, ma lo guardava ancora come il bambino orfano che aveva preso con sé. Si chiedeva sempre se fosse doloroso riconoscere suo padre in molti suoi tratti. Si assomigliavano molto, ma non erano le somiglianze fisiche le più impressionanti. Sapeva di essere molto simile a suo padre anche nel carattere, nella sua eccentricità, nel suo animo premuroso. Anche se i suoi ricordi di lui erano sfocati, perché era molto piccolo quando era morto, Magnus ricordava abbastanza di suo padre per essere consapevole di ciò.
Luke aveva sposato Jocelyn, il suo lungo e perso amore giovanile, quando Magnus aveva nove anni. Con lei era arrivata anche Clary, che aveva solamente quattro anni all’epoca, e con Clary era arrivato Simon, il bambino dell’asilo che lei aveva praticamente deciso di adottare. Formavano una famiglia strana, ma non l’avrebbe cambiata con nessun’altra.

Aveva fatto una doccia e cambiato gli abiti, mettendo via scorbuticamente il suo outfit estivo e indossando qualcosa di più caldo, prima di tornare in soggiorno. Si era affacciato sulla cucina, dove Jocelyn e Luke si muovevano silenziosi, tagliando della verdura e mescolando una zuppa con un cucchiaino a ritmo lento: erano davvero armoniosi quando lavoravano insieme. Clary era seduta sul divano con Simon e gli stava mostrando una foto sul cellulare che Magnus le aveva inviato due giorni prima. Rappresentava Saint Katharine Docks alle prime luci del mattino. Raphael, invece, era seduto di fronte alla coppia intenta a cucinare e rubava furtivamente del cibo quando i due non guardavano.
“Quindi” aveva esclamato Magnus, sfregandosi le mani e guardando verso Luke e Jocelyn. “Dove sarebbe il mio appartamento?”
Quando aveva annunciato loro che, dopo cinque anni, sarebbe finalmente tornato a casa, Luke ne era stato felicissimo, ma niente a che vedere con Jocelyn e Clary, che avevano iniziato a programmare tutte le cose che avrebbero fatto per farlo sentire nuovamente a suo agio. Erano rimaste leggermente deluse quando aveva detto loro che aveva bisogno di un appartamento proprio, perché aveva ventotto anni e bisogno di indipendenza, ma lo avevano capito. Quindi le due avevano cercato il posto perfetto per lui, rifiutandosi di dargli qualsiasi informazione, chiedendogli di fidarsi di loro. Aveva solo mandato loro dei soldi e poi le due donne si erano occupate di tutto. Ovviamente si fidava, sapeva che avrebbe amato il nuovo appartamento per il semplice motivo che lo avessero scelto loro per lui. Però era comunque eccitato all’idea di vederlo.
Clary era scoppiata a ridere felice, scuotendo la testa come se fosse uno scherzo, e poi si era avvicinata, incrociando le sue braccia con quelle di Magnus.
“Mi sei mancato” aveva detto, gli occhi scintillanti di gioia.
“Mi sei mancata anche tu, biscottino.”
La nostalgia di New York non era niente in confronto a quella provata per tutti loro.
 
***
 
A volte, Alexander Lightwood avrebbe voluto scambiare i suoi fratelli con alcuni più onesti e di supporto. Quando aveva comprato un appartamento a Brooklyn, lasciando finalmente la casa dei suoi genitori, si erano gentilmente offerti di aiutarlo con il trasloco. Avrebbe dovuto sapere cosa ciò avrebbe comportato.
Ciò che avrebbe comportato è il fatto che i due, prima di tutto, avrebbero passato tutto il tempo a riflettere riguardo il suo andarsene di casa e non avrebbero affatto aiutato con gli scatoloni. Isabelle era seduta sul divano del soggiorno da quando lui e Jace lo avevano portato su dalle scale, a fissarsi le unghie con nonchalance e a fare commenti irriverenti riguardo loro due. Almeno Jace lo aveva aiutato con le scatole, ma aveva un cipiglio sul viso, da quando avevano lasciato la casa dei loro genitori, che i capelli biondi scompigliati non riuscivano a nascondere.
“Perché hai così tanti libri?” aveva ringhiato Jace, lasciandosi cadere sul divano vicino ad Isabelle, i capelli appiccicati alla fronte a causa del sudore.
“Non abbiamo finito” lo aveva informato Alec, approfittandone per svuotare una bottiglietta d’acqua.
Era estremamente sudato e i suoi capelli neri erano un casino, con ciuffi che sparavano ovunque.
“Mi prendo cinque minuti, capo” aveva grugnito Jace in risposta.
Alec aveva alzato gli occhi al cielo, borbottando qualcosa che assomigliava molto a ‘stronzi pigroni’, ed era tornato all’ascensore. La sua macchina era parcheggiata sulla strada, il baule aperto per facilitare i viaggi verso l’appartamento, proprio vicino al camioncino che i genitori gli avevano prestato per l’occasione. Aveva preso uno scatolone e si era diretto nuovamente verso l’edificio. Jace e Isabelle non si erano spostati, per cui lo aveva lasciato sul pavimento e si era voltato per affrontarli, un’espressione esasperata a colorargli il viso.
“Okay, ragazzi. Se non avete intenzione di aiutarmi almeno iniziate a cucinare o fate qualcos’altro. Sto morendo di fame ed è quasi ora di pranzo.”
“Ho già ordinato la pizza” aveva risposto Isabelle con un sorriso.
“Ottima idea, non avremmo voluto essere nuovamente le cavie dei tuoi esperimenti in cucina” aveva sbuffato Jace.
Era stravaccato sul divano, le gambe distese e i piedi appoggiati sul suo nuovo tavolino da caffè. Alec gli aveva lanciato un’occhiataccia, ma Jace non era sembrato molto colpito.
“E va bene” aveva sospirato alla fine, alzandosi dal divano. “Vengo con te.”
“Beh, è per questo che sei qui” aveva borbottato Alec in risposta, uscendo di nuovo dall’appartamento, seguito dal fratello.
“No, sono venuto perché avevi detto che ci avresti offerto una birra” aveva risposto Jace, con forte sarcasmo. “E con ‘una birra’, intendo dieci.”
“Quando avremo finito” aveva detto Alec, alzando gli occhi al cielo, esasperato. “Smettila di lamentarti.”
“Disse il più grande piagnucolone della storia” lo aveva deriso Jace, scompigliandogli i capelli, più di quanto già non lo fossero.
Alec aveva protestato, allontanandogli la mano.
“Ti odio” aveva sospirato, uscendo dall’ascensore.
“Non è vero” aveva esclamato Jace, allegro.
 
***
 
Magnus si sentiva molto meglio dopo una nottata di sonno profondo. Il fuso orario tra Londra e New York lo aveva colpito la notte precedente: mentre stava raccontando una delle sue avventure in Perù alla famiglia, gli occhi gli si erano quasi chiusi in automatico. Nemmeno il temporale era riuscito a svegliarlo.
Aveva ritrovato la sua cameretta proprio come l’aveva lasciata, le pareti ricoperte di foto e mappe di paesi del mondo. Aveva sorriso quando aveva notato i paesi che aveva meticolosamente cerchiato con un pennarello rosso probabilmente quando aveva diciassette anni. Ora aveva visitato tutti quei luoghi e questo pensiero lo aveva riempito di soddisfazione.

La mattina successiva, Clary lo aveva svegliato all’incirca alle dieci e mezza, affermando che il jet lag sarebbe stato ancora peggio se avesse dormito a lungo. Aveva annuito scorbuticamente, alzandosi dal letto con quanta più grazia il corpo ancora assonnato gli aveva concesso.
Il piano del giorno era di pranzare con Jocelyn e Luke, che avevano entrambi lasciato l’appartamento per diversi appuntamenti, e poi Clary lo avrebbe portato nella sua nuova casa. Quindi, dopo pranzo, se ne erano andati e avevano deciso di raggiungerla a piedi perché il temporale si era fermato e un sole pallido si era affacciato su New York.

Le strade erano piuttosto calme, per quanto lo potessero essere a New York, una città sempre in movimento. Magnus aveva circondato le spalle di Clary con un braccio, mentre camminavano, ascoltando attentamente gli aggiornamenti su ciò che si era perso negli ultimi cinque anni. Si erano scambiati email praticamente ogni settimana, quindi, bene o male, le cose le sapeva, ma era dieci volte meglio sentirle dire ad alta voce, guardando i suoi occhi verdi brillare eccitati o feroci a seconda dell’episodio.
“Eccoci!” aveva esclamato, felice, non appena si erano fermati di fronte a un nuovo edificio nel cuore di Brooklyn.
Simon e Raphael li stavano già aspettando là, ovviamente discutendo – se le loro posture potevano essere di qualsiasi indicazione. Simon stava facendo ampi movimenti con le braccia, gli occhiali gli scivolavano sul naso e Raphael sembrava voler essere ovunque tranne che lì. Magnus sospettava fosse proprio così.
“Piccioncini” era intervenuto, quando si erano fermati di fronte a loro. “Basta con queste dimostrazioni pubbliche di affetto.”
Raphael aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva lanciato un oggetto scintillante che aveva preso al volo. Era un mezzo di chiavi. Magnus gli aveva sorriso, felice, ed era entrato, per poi chiamare l’ascensore. Erano entrati e avevano osservato Clary premere il tasto cinque, l’eccitazione a crescergli nello stomaco. In tutta onestà, si era un po’ preoccupato quando Jocelyn e Clary gli avevano detto che avrebbero pensato a tutto loro, ma ora non riusciva a stare fermo per l’aspettativa. Sapeva che non l’avrebbero deluso.
L’ascensore si era fermato con un debole ding e si era aperto su un piccolo corridoio con quattro porte.
“È un edificio nuovo” lo aveva informato Clary. “Hanno terminato i lavori nemmeno un mese fa, per cui molte persone stanno ancora finendo il trasloco.”
Magnus aveva annuito, mentre avanzavano lungo il corridoio. Clary si era fermata di fronte a una porta, indicandola con un largo sorriso e stava per girare la chiave nella serratura quando una voce era risuonata alla loro destra. Si erano girati tutti in sincrono.
“Non posso credere che tu abbia mangiato tutta la pizza!”
Era la voce di una donna e sembrava realmente arrabbiata. Magnus stava per voltarsi di nuovo, quando quella uscì da una porta chiusa. Aveva lunghi capelli nero inchiostro che circondavano un bellissimo viso pallido. Gli occhi marrone scuro scintillavano rabbiosi, se ne stava in piedi, la testa in alto per mostrare il suo orgoglio e la sua rabbia. Indossava un vestito blu corto e succinto, con dei collant neri e dei tacchi vertiginosi. Magnus approvò il suo stile immediatamente.
“Stavo morendo di fame” aveva protestato un’altra voce, un uomo questa volta, che si stava avvicinando al corridoio.
Magnus era vagamente consapevole del fatto che stessero tutti ascoltando la discussione, ma non gli interessava più di tanto. Era divertente.
“Alec ti ucciderà” aveva risposto la donna, con una risata quasi perfida. “È meglio se ne ordini un’altra, subito.”
Aveva sentito l’uomo sospirare dall’interno dell’appartamento e poi era uscito, ponendosi di fronte a lei.
“Vado a prenderne un’altra” aveva borbottato, di cattivo umore.
Magnus si era chiesto se tutti in quell’edificio avessero quel fantastico stile. Se così fosse stato, lo avrebbe approvato al cento per cento.
Era anche lui alto, più della donna, ed era vestito bene, i capelli biondo oro sistemati in modo disordinato. Gli occhi erano probabilmente color nocciola, ma a causa della distanza e della luce fioca sembravano dorati. Il braccio destro era coperto da un tatuaggio nero e Magnus aveva appena notato che la donna con cui stava litigando ne aveva uno uguale.
Non appena era spuntato nel corridoio, Magnus aveva percepito la tensione di Clary farsi vivida. Si era accigliato, spostando lo sguardo verso il basso per osservarla, ma lei non lo stava guardando, completamente assorta dalla coppia.
Tutto ciò che era successo dopo era accaduto così velocemente che Magnus non ci aveva capito più niente.
I due ragazzi che stavano litigando, essendosi probabilmente accorti di essere fissati, si erano voltati verso di loro e il ragazzo biondo aveva spalancato la bocca e gli occhi, scioccato.
“Clary?” aveva esclamato.
Magnus si era guardato intorno, proprio nell’attimo in cui le porte dell’ascensore si erano aperte e un ragazzo alto dai capelli neri ne era uscito, trasportando quello che sembrava essere uno scatolone davvero pesante. Il biondo aveva fatto un passo avanti, quando i suoi occhi dorati si erano spostati sul braccio di Magnus, ancora appoggiato sulle spalle di Clary.
“Chi è questo?” aveva chiesto, meravigliato. Era ben percepibile una nota di gelosia mal nascosta nel suo tono, ma anche del dolore, che aveva costretto Magnus a concentrarsi di nuovo su di lui, giusto per scoprire che lo stava indicando con un dito.
Clary non aveva risposto. Invece, era andata verso di lui e gli aveva tirato una sberla tanto forte da fargli girare il viso dalla parte opposta.
“Wow!” aveva esclamato Simon, posto dietro Magnus.
Anche Raphael sembrava sorpreso. Il biondo era tornato a guardare Clary, gli occhi spalancati e visibilmente scioccato. Come anche Magnus, per dirla tutta. La donna con cui stava litigando fino a qualche attimo prima si era unita a loro, la postura rigida come se fosse pronta a litigare, se fosse stato necessario.
Il ragazzo che aveva appena lasciato l’ascensore li aveva raggiunti, abbandonando la scatola sul pavimento e aveva posto una mano sulla spalla del biondo.
“Jace, non ho nemmeno finito di traslocare e già infastidisci i miei vicini?” aveva borbottato, con voce profonda e rauca, causa di pensieri osceni in Magnus.
Nonostante l’intensità dell’intera situazione, ora tutta la sua attenzione era stata catturata da quello sconosciuto bello da togliere il fiato. Non era eccessivamente magro, ma dal fisico atletico, anche se era sicuramente un bonus, soprattutto per gli stupendi occhi blu e i capelli nero corvino. Quella combinazione era sempre stata la sua peggior debolezza. Indossava una canottiera nera, che faceva miracoli per le sue spalle e i bicipiti, che Magnus si era ritrovato a fissare. Sul braccio ostentava lo stesso esatto tatuaggio degli altri due. Si era chiesto che cosa fosse.
“Mi dispiace, per lui” aveva affermato, calmo.
“Sei mio fratello, dovresti supportarmi quando vengo schiaffeggiato, non buttarmi sotto il bus!” aveva sputato Jace, indignato.
“Non so cosa tu abbia fatto, ma sono sicuro che te lo meritavi” aveva risposto il bellissimo sconosciuto, il tono traboccante di sarcasmo.
“Infatti, se lo meritava” aveva confermato Clary, una rabbia incontrollata a ballarle nelle iridi.
Jace stava per controbattere, quando la donna con cui stava litigando riguardo della pizza era avanzata, alzando una mano per zittirlo. Poi aveva riportato lo sguardo fiero su Clary e Magnus, fermo di fronte a lei come se fosse sulla difensiva. Non sembrava sorpresa.
“Mi piaci” aveva constato alla fine con un sorriso “Sono Isabelle Lightwood, ma mi puoi chiamare Izzy.”
Aveva sporto una mano e Magnus aveva cercato di trattenere una risate perché, davvero, l’intera situazione era comica.
“Clary” aveva risposto la rossa, stringendole la mano.
“Vivi qui?” aveva chiesto Isabelle, offrendo un sorriso gentile al resto del gruppo.
Clary aveva scosso la testa, girandosi per indicare Magnus.
“No, mio fratello si trasferisce oggi” aveva affermato, calcando su quella parola e guardando Jace, che aveva spalancato la bocca.
“Tuo fratello?” aveva sputato quello. “Ma non vi assomigliate per niente!”
Magnus aveva riso, alzando gli occhi al cielo. Non conosceva la storia ma Clary doveva fare senza dubbio qualcosa riguardo il suo gusto in ragazzi.
“Sì, perché tu e tuo fratello siete gemelli invece” era intervenuto, con un sorriso canzonatorio, indicandoli con un dito.
“Sono stato adottato” aveva risposto, con un filo di voce. Le sue guance stavano cominciando a colorarsi di rosso.
“Beh, pure io” aveva controbattuto Magnus, con un sorriso. “Abbiamo già così tante cose in comune” aveva aggiunto sarcasticamente.
C’erano stati secondi di silenzio, mentre i tre lo guardavano come se fosse stato una preda, ma Magnus non si era scomposto un attimo, fissandoli a sua volta.
“Mi piaci anche tu” aveva detto alla fine Isabelle, sorridendo.
“Grazie, tesoro. È reciproco.”
Lo era davvero. A Magnus erano sempre piaciute le persone focose e lei era un drago.
La ragazza aveva sorriso di nuovo, voltandosi verso Occhi Blu. “Non fare il maleducato! Presentati al tuo nuovo vicino” lo aveva rimproverato.
“Scusa” aveva balbettato quello, guardandolo dritto negli occhi. “C-ciao, uhm. Sono Alec, Alec Lightwood.”
Era un bellissimo nome, aveva considerato Magnus tra sé e sé, e si abbinava benissimo a un bellissimo volto.
“Magnus Bane” aveva detto in un sospiro, come se non riuscisse in un qualche modo a flirtare, stringendogli la mano.
“Magnus, no” lo aveva ripreso Clary a bassa voce, così che potesse sentirla solo lui.
Aveva capito che probabilmente lo stava fissando e che una stretta di mano non dovesse durare così a lungo, ma non gli sarebbe potuto importare di meno dal momento che Alec lo stava guardando a sua volta con quei fantastici occhioni.
Aveva alzato gli occhi al cielo al commento di sua sorella, allontanandosi riluttante dal suo vicino. Alec aveva poi fatto un cenno con la testa al resto del gruppo.
“È stato bello conoscervi, tutti quanti, ma dobbiamo restare in corridoio tutto il giorno?” aveva borbottato Raphael, sempre un raggio di sole. “Perché preferirei piuttosto passare l’eternità a mangiare schegge di vetro.”
Magnus aveva sbuffato, voltandosi leggiadramente per inserire la chiave nella porta.
“Ecco fatto, raggio di sole.”
Raphael lo aveva guardato, prima di entrare, seguito da Simon. “Non mi chiamare in quel modo.”
Magnus aveva riso e si era girato nuovamente verso i Lightwood. “Mi ama” li aveva poi informati, con un sorriso divertito. “Ci vediamo” aveva aggiunto, facendo un occhiolino ad Alec, ridendo sommessamente quando la sua pelle pallida si era leggermente imporporata.
“Ma...” era intervenuto Jace, quando Magnus aveva però già chiuso la porta dietro sé e Clary.

Una volta dentro, si era preso un minuto per guardarsi intorno. L’ingresso era piccolo e c’era un attaccapanni in legno sul quale Simon e Raphael avevano già abbandonato le loro giacche. Il muro si apriva su un ampio salotto. I due ragazzi erano già stravaccati sui due divani in pelle posti nel centro della stanza. Uno era sistemato di fronte alle finestre, che inondavano il luogo di luce, mentre l’altro di fronte alla televisione al plasma, appoggiata a una parete di mattoni rossi. Era già accesa su una partita di basketball, così né Simon né Raphael si erano accorti di loro, troppo assorti da essa. Il tavolino da caffè che li separava da loro sembrava essere in mogano e Magnus aveva quasi rimproverato Simon per averci appoggiato i piedi, ma sapeva che lo avrebbe fatto anche lui di lì a poco.
Non era riuscito a concentrarsi per molto su di loro, perché la sua attenzione era poi stata attirata dal panorama, che era possibile ammirare dalle portefinestre. Le aveva aperte immediatamente, uscendo sul balcone e Clary lo aveva seguito con un soffice sorriso, ovviamente felice, vedendolo camminare per l’appartamento che lei stessa aveva attentamente scelto per lui.

Magnus aveva sempre amato New York. Era la città in cui era cresciuto e c’era qualcosa di attraente in ciò, ma non era solo quello. Era anche il fatto che sembrasse essere sempre in movimento, che sembrasse cambiare continuamente, un misto di moderno e antico che creava un’atmosfera che non era riuscito a ritrovare in nessuno dei magnifici luoghi in cui era stato. New York era inimitabile e, ai suoi occhi, senza eguali. Per cui era magnifico poter vivere in un appartamento con una vista del genere.
Il balcone si affacciava sull’East River. Da lontano, riusciva a vedere le meravigliose strutture architettoniche della città, un insieme perfetto di monumenti storici, grattacieli gloriosi e palazzi affascinanti. Era mozzafiato e si era ritrovato, non per la prima volta, ad essere molto più che felice per aver deciso di tornare a casa. Non pensava che sarebbe mai più voluto partire, se era questa il luogo a cui sarebbe dovuto tornare.

“Quindi, che ne pensi?” aveva chiesto Clary, ansiosa, un sorriso a illuminarle il volto.
Magnus si era girato verso di lei solo per realizzare di essere senza parole. Aveva sorriso, felice, sincero e genuinamente e le aveva circondato le spalle con un braccio, lasciandole un bacio sulla tempia.
“È perfetto” aveva mormorato, contro i suoi capelli.
Il resto dell’appartamento era tanto bello quanto il salotto. La cucina era separata dal soggiorno da un tavolo da bar e due colonne in ghisa, che creavano un equilibrio perfetto tra stile e praticità, e Magnus lo adorava. Vicino alla cucina, un lungo corridoio conduceva a tre camere da letto e un grande bagno.

La sua camera era la più grande, ovviamente,  ed era illuminata da una finestra sul soffitto e da una posta sulla parete, vicino a una porta che portava ad un bagno più piccolo. Aveva quasi perso la testa quando, aprendo una porta di fianco al letto matrimoniale, aveva trovato una cabina armadio, già riempita con tutti i vestiti che non aveva portato con sé quando era partito, cinque anni prima. Clary aveva riso della sua eccitazione, alzando gli occhi al cielo.
“Sapevo che sarebbe stata la tua parte preferita” lo aveva deriso, con gentilezza.
“Oddio” aveva esclamato, gesticolando entusiasta. “Sistemerò tutto in base al colore, sarà fantastico!”
Lei aveva ridacchiato e ci aveva messo quasi cinque minuti a convincerlo a lasciare la cabina armadio. Tutto sommato l’appartamento era perfetto e non era mai stato tanto grato a qualcuno in vita sua come in quel momento.
Quando erano tornati nel salotto, si era lanciato sul divano, stravaccandosi vicino a Simon, un sorriso felice perennemente impresso sulle sue labbra.
“Quindi, ti piace?” aveva chiesto Simon, quasi disinteressato. “Ti prego dì di sì. Non ho aiutato per settimane ad imbiancare, scegliere colori ed elettrodomestici per niente. Se non ti piace, ti rispedisco in Islanda.”
“Reykjavik è stupenda in questo periodo dell’anno” aveva risposto Magnus con un sorriso. “Ma non ti preoccupare, Samuel. Mi piace.”
Simon aveva sbuffato, alzando gli occhi al cielo. “Dopo tutto quello che ho passato per il tuo bene, potresti smetterla, almeno per un giorno, di fingere di non sapere come mi chiamo.”
“Affare fatto. Ti farò sapere quando avrò scelto il giorno. Forse Natale? Potrebbe essere il tuo regalo” aveva scherzato Magnus, divertito.
“Sei un’idiota” aveva controbattuto Simon, ma un sorriso gli giocava sulle labbra.
Clary si era seduta vicino a Raphael, troppo assorto dalla partita per potersi accorgere di loro. Aveva una lattina in mano e Magnus si era chiesto da dove arrivasse, prima di realizzare che molto probabilmente Jocelyn aveva riempito frigo e armadietti con cibo e bibite, perché questo era il genere di cose che faceva, nonostante avesse ventotto anni e fosse in grado di fare la spesa da solo.
Si era avvicinato per bere un sorso dalla lattina, per poi restituirgliela.
“Allora, che è successo tra te e quel Jace?” aveva chiesto, come se fosse un dato di fatto, lasciandosi ricadere sul divano.
“Già” si era unito Simon. “Non l’ho mai visto, che ti ha fatto?”
“Piuttosto cosa non ha fatto” aveva risposto Clary e si poteva ben percepire una nota di amarezza nel suo tono solitamente dolce. “Ricordi quella festa che ha dato Eric più o meno lo scorso mese, quando i suoi genitori erano fuori per il weekend?”
Simon aveva annuito. Magnus, invece, non aveva potuto far altro che alzare le spalle. Sapeva che Eric fosse il migliore amico di Simon e uno dei suoi compagni di band e che li portava sempre a concerti strani o feste caotiche. Però non ricordava che Clary gliene avesse menzionata una, di recente.
“Beh, ho incontrato Jace quella sera e...”
Aveva smesso di parlare, arrossendo.
“Siamo stati insieme” aveva ammesso, prima di accorgersi del sorrisino di Magnus e correggersi frettolosamente. “Non in quel senso! Ci siamo baciati e abbiamo parlato...molto. Era così carino e ci siamo trovati bene, quindi ho deciso di dargli il mio numero, ma, ovviamente, non mi ha mai richiamato. Ed ecco lo schiaffo.”
“Permettimi di dire che sono rimasto piuttosto colpito” aveva riso Magnus. “Hai fatto boxe mentre non c’ero?”
“No, ma immagino di aver avuto motivi validi per farlo” aveva risposto Clary, con un sorriso.
“Hai fatto bene!” era intervenuto Simon.
 
***
 
“Non ci credo che mi ha colpito!” aveva urlato Jace, quando avevano finalmente finito di portare tutte le scatole nell’appartamento, fermo di fronte ai due fratelli, stravaccati sul divano, esausti.
“Guardami negli occhi e dimmi che non te lo meritavi” aveva borbottato Alec, dubbioso.
“Non è vero!” aveva continuato Jace. “Ho provato a chiamarla e a scriverle, ma non mi ha mai risposto.”
“Forse hai fatto qualcosa che le ha dato particolarmente fastidio, alla festa” aveva provato Isabelle, alzando un sopracciglio, sospettosa.
“Cosa? Avanti, crediate un po’ in me, però!” li aveva implorati, la voce troppo alta a causa dell’irritazione. “Non ho fatto niente di male! Abbiamo limonato, ho passato tutta la notte con lei e le ho chiamato un taxi, quando mi ha detto che doveva andare. L’ho persino pagato! Sono stato gentilissimo!”
“Beh, devi aver fatto qualcosa di sbagliato!” aveva risposto Alec. “Sono sicuro che non vada in giro a prendere a sberle chiunque.”
“O forse sì” aveva scherzato Isabelle. “Forse è una schiaffeggiatrice seriale.”
“Una schiaffeggiatrice seriale?” aveva ripetuto Jace, completamente attonito. “Izzy, non esiste nemmeno!”
“Beh, potrebbe. Clary potrebbe essere un pioniere. Sono sicura che molti uomini meritino delle sberle gratuite. Forse non le hai fatto niente, ma sono sicuro che più volte, nella tua vita, hai meritato uno schiaffo senza però riceverlo. Quindi, in sostanza, è il karma.”
“Isabelle, non so nemmeno di cosa stai parlando” aveva borbottato Jace, prendendo la testa tra le mani.
“Io sì” era intervenuto Alec. “Ed effettivamente ha senso.”
Jace li aveva guardati, sentendosi tradito, sconvolto e impotente. Aveva socchiuso gli occhi dorati, prima di mostrare ad entrambi il dito medio e girarsi, prendendo il cellulare.
“Ordino la pizza. E ordinerò acciughe extra solo perché so che non vi piacciono.”
Alec aveva alzato gli occhi al cielo. “Molto maturo da parte tua, Jace.”
“Vaffanculo.”





Nda.
Eccomi qui, con il primo capitolo. L'ho appena revisionato, ma in ogni caso, mi scuso per eventuali errori/orrori. 
Detto questo, l'inizio potrebbe sembrare poco intrigante, l'ho pensato anche io leggendolo, ma già dal secondo capitolo la storia comincia a farsi più accattivante e avventurosa. A proposito, l'autrice, alla fine di ogni capitolo, lascia sempre un piccolo spoiler di quello successivo. 
Lo metterò anche io, alla fine delle note, per cui se non volete sapere nulla, non leggetelo. Come detto anche prima (note sopra) non ho ancora tradotto gli altri capitoli, ma spero di riuscire a pubblicarne almeno uno a settimana e probabilmente il giorno di pubblicazione sarà il giovedì, perchè è quello in cui ho meno impegni. Ovviamente questo giovedì è escluso! 
Vi lascio con una bella gif del bacio Malec.
I. xx



(SPOILER)

"Non scavalcherai proprio niente con tutto l'alcool che hai in corpo ora" aveva affermato Alec, irremovibile.
"Oh andiamo, sono sicuro che sarà divertente" aveva contestato Magnus, indicandolo con un dito con dello smalto blu. 
"Non lo sarà quando cadrai e io dovrò spiegare alla tua famiglia come sei morto." 
"Devi solo dire loro che voglio che il mio epitaffio dica 'I believe I can fly'" aveva risposto Magnus, del tutto ubriaco.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Hot Neighbor ***



Capitolo 2

Hot Neighbor



“Smoking is indispensable if
one has nothing to kiss” 
(Sigmund Freud)
 

Alec aveva rivisto il suo vicino due settimane dopo il trasloco. Lo aveva sentito rientrare a casa un paio di volte, solitamente a tarda notte, quando non riusciva ad addormentarsi. Era molto silenzioso, per cui lo sentiva solamente grazie al suono della chiavi che giravano nella serratura.
Era appena tornato a casa dal lavoro, aveva lasciato la sua borsa a tracolla sul pavimento e si era subito lavato le mani. La metro era piena e Alec si era ritrovato vicino ad una signora anziana, che lo aveva guardato per tutto il tempo con sguardo seducente. Gli aveva persino fatto l’occhiolino e i brividi gli avevano attraversato la colonna vertebrale, inorridito.
Era Ottobre inoltrato, ma non faceva ancora poi così tanto freddo, per cui ne aveva approfittato per aprire una porta finestra e uscire sul balcone e ammirare la vista. Il sole stava lentamente tramontando, inondando la città di rosa e arancio ed era mozzafiato.
Si era appena appoggiato alla ringhiera con i gomiti, quando una voce era risuonata alle sue spalle.
“Hei vicino! Alec, giusto?”
Aveva fatto un salto, per poi voltarsi verso sinistra e vedere Magnus sdraiato su una chaise longue di velluto, un cocktail in una mano e una sigaretta accesa nell’altra, un libro aperto appoggiato in grembo. Solamente un muretto, che Alec avrebbe potuto nascondere con le sue stesse mani per quanto piccolo fosse, separava i loro balconi.
Era rimasto senza fiato, vedendo quell’uomo, già al loro primo incontro e, poiché non si aspettava di rivederlo tanto presto, si era ritrovato senza parole. Magnus era troppo alto per quella sedia e sarebbe quindi dovuto sembrare impacciato, invece continuava a mostrare grazia ed eleganza, il che non aveva alcun senso. La sua pelle scura sembrava brillare sotto le luci del tramonto, ma forse era dovuto ai glitter che aveva tra i capelli neri e sulle palpebre, che coprivano gli occhi giallo verdognoli. Indossava una camicia nera di seta a malapena abbottonata, che lasciava scoperto il petto abbronzato e Alec si era auto obbligato a non fissarlo. Lo riteneva tanto mozzafiato quanto la vista che aveva di fronte a sé.
“Uhm, c-ciao” aveva balbettato, alla fine. “Sì, è giusto, Magnus” aveva aggiunto in un sussurro, solo per dimostrargli che si ricordava il suo nome.
Magnus gli aveva sorriso, gli occhi scintillanti per il divertimento.
“Ne vuoi una?” gli aveva chiesto, tirando fuori un pacchetto di sigarette.
Alec non fumava. Odiava l’odore e, in generale, la sensazione. Aveva provato, prima, soprattutto durante le feste al college e aveva persino mischiato con dell’erba, per cui probabilmente gli era anche piaciuto di più, ma non lo avrebbe mai ammesso, per non rovinare la sua reputazione di persona austera. In ogni caso, non fumava. Non lo aveva mai fatto e non aveva mai pensato di cominciare, perciò le parole che avevano poi lasciato le sue labbra erano un mistero anche per lui.
“Sì, c-certo” aveva balbettato.
Si era maledetto, internamente, facendo di tutto per sembrare tranquillo. Era diventato più difficile farlo, quando Magnus si era alzato dalla chaise longue con un movimento leggiadro, che sarebbe dovuto essere impossibile per una persona così alta. Aveva ricoperto la distanza che lo separava da Alec con pochi passi e gli aveva porto il pacchetto di sigarette. Alec ne aveva presa una, con più nonchalance possibile. Magnus aveva sorriso e aveva preso un accendino Zippo dalla tasca, aprendolo tra di loro e Alec si era avvicinato per accendere la sigaretta, aspirando profondamente prima di rilasciare il fumo e ringraziare Dio di non aver cominciato a tossire come la prima volta che aveva provato.
“Quindi, che fai nella vita?” aveva chiesto Magnus con un sorriso, avvicinandosi alla ringhiera del suo balcone.
“Insegno alla Columbia, ho cominciato quest’anno. Ho completato il mio Dottorato di ricerca lo scorso giugno” aveva risposto Alec, ringraziandosi mentalmente per non aver balbettato di nuovo come un idiota. Aveva guardato la sigaretta nella sua mano, per poi fare un tiro, riluttante, facendolo sembrare un gesto abituale. Si sentiva come uno dei suoi studenti.
“Davvero? Cosa insegni?” aveva chiesto il suo vicino, un interesse genuino ben percepibile dal suo tono, come se fosse qualcosa di davvero eccitante.
“Soprattutto Storia antica e Mitologia.”
“Fantastico!” aveva esclamato Magnus.
Alec aveva corrugato la fronte a tutto quell’entusiasmo. Non era la reazione che otteneva solitamente dalla gente quando parlava del suo lavoro.
“Amo la mitologia” aveva continuato il vicino, aspirando dalla sua sigaretta, prima di lasciar cadere la cenere in un posacenere viola e oro, porgendolo poi a lui. “Quando viaggiavo, me ne sono interessato perché c’è una tradizione mitologica diversa praticamente in ogni paese ed è affascinante conoscere un posto attraverso la sua mitologia.”
Alec aveva quasi spalancato la bocca per lo shock.
“Hai viaggiato molto?” aveva chiesto, invece, spegnendo la sua sigaretta.
“Puoi dirlo forte” aveva annuito Magnus, prendendo un sorso del suo drink rosa. “Sono tornato solo da due settimane, a dire il vero. Ero atterrato la sera prima da Londra, quando ci siamo incontrati.”
Alec aveva annuito a sua volta, pensando al giorno in cui si erano incontrati, due settimane prima, e a come la situazione si fosse evoluta.
“Scusa per Jace, comunque” aveva detto, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “Può essere un po’ rompipalle, a volte, ma non è così male se lo conosci, se lo conosci veramente a fondo.”
Queste ultime parole sembravano aver divertito Magnus, che si era lasciato scappare una risatina, riempiendo Alec di orgoglio.
“È tutto a posto, tranquillo. Non è stato così male. Clary lo ha schiaffeggiato di punto in bianco. Non penso che se lo aspettasse.”
“Ti assicuro di no” aveva riso Alec, un sorriso divertito a giocargli sulle labbra al ricordo. “Non ha smesso di parlarne per tutta la notte. Siamo andati a bere una birra al bar qui sotto, all’angolo, e aveva ancora l’impronta delle sue dita sulla guancia. Di tutte e cinque le dita.”
Questa volta Magnus era letteralmente scoppiato a ridere, lasciando cadere la testa all’indietro e la mano libera sullo stomaco.
“Lo farò sapere a Clary, sarà felice di sentirselo dire” aveva risposto, una scintilla di divertimento a ballargli negli occhi.
Alec aveva sorriso e permesso che un leggero silenzio cadesse tra di loro. Era quasi buio e le luci della città si stavano accendendo, rendendo la vista ancora più spettacolare.
“E tu?” aveva chiesto, voltandosi di nuovo verso Magnus. “Tu che fai nella vita?”
“Oh, questo e quello” aveva risposto, elusivo, muovendo una mano, aggraziato.
Alec era confuso, ma non avevo insistito. Lo conosceva a malapena, non voleva curiosare più di troppo in cose di cui non voleva parlare. Aveva aperto la bocca per parlare, ma era stato interrotto da un miagolio, proveniente dai piedi di Magnus. Aveva abbassato lo sguardo per notare un gattino grigio fissarli con gli occhi gialli.
“Buonasera, tesoro” aveva cinguettato quello, abbassandosi per prendere il gatto, grattandolo distrattamente tra le orecchie. “Lui è Chairman Meow” aveva annunciato orgoglioso, mentre l’animale miagolava il più forte possibile, come per confermare la sua identità. “È il regalo di benvenuto di Clary.”
Alec aveva sorriso, sporgendo una mano affinchè il gattino potesse annusarla. Dato che non si spostava, gli aveva accarezzato con delicatezza la testa. Chairman Meow aveva chiuso gli occhi per la soddisfazione, miagolando leggermente.
“Gli piaci” gli aveva detto Magnus.
Alec stava per rispondere quando qualcuno si era schiarito la gola, facendoli sussultare per la sorpresa. Il gatto era scappato dalle braccia di Magnus, correndo in casa, probabilmente per nascondersi da qualche parte. C’era un uomo sulla soglia aperta della finestra e Alec era sicuro di averlo già visto prima, il giorno in cui aveva conosciuto il suo vicino, ma non riusciva a ricordare il suo nome.
“Raphael!” Magnus aveva sorriso largamente. “Questo è il mio vicino, Alec. Te lo ricordi?”
“Sì” aveva risposto quel Raphael.
Alec si era chiesto se fosse fatto così o se proprio lui non gli piacesse.
“Beh, mi ricordo più di Clary che prende a sberle l’altro ragazzo, quello biondo” aveva aggiunto, con un sorriso a spuntargli veloce sulle labbra. “Ciao.”
Alec aveva annuito in risposta, sentendosi improvvisamente fuori luogo. C’era un mondo intero tra l’accoglienza amichevole di Magnus e l’atteggiamento gelido e distante di Raphael.
“Scusalo” gli aveva sorriso Magnus. “È stato cresciuto dai lupi, quindi non sa bene come comportarsi con la gente.”
Raphael lo aveva fissato. “Sei pronto? Dobbiamo andare, ho prenotato per le otto.”
“Sì, dammi cinque minuti” aveva risposto Magnus, alzando gli occhi al cielo.
Si era voltato verso Alec, sorridendo di nuovo ampiamente. “Ci vediamo in giro?”
“Beh, condividiamo un balcone” aveva risposto a bassa voce Alec, con un sorriso.
“Ci vediamo, allora” aveva concluso il suo vicino, felice, facendogli un occhiolino, che sembrava aver peggiorato ancora di più l’umore di Raphael. “Andiamo, tesoro!”
Alec si era chiesto, per un minuto, se stesse flirtando con lui, arrossendo, ma si era calmato subito dopo. Non lo avrebbe mai fatto di fronte al ragazzo che era, senza ombra di dubbio, il suo fidanzato. Erano una coppia strana, ma forse una di quelle, aveva pensato, in cui si completano perfettamente a vicenda, uno sempre felice, l’altro scontroso. O forse erano riservati e tenevano le dimostrazioni d’affetto lontano da occhi curiosi. In qualche modo, però, non sembrava che Magnus fosse uno che si vergognava dei propri sentimenti, ma Alec lo conosceva a malapena.
 
***

 
Magnus non aveva dovuto rifletterci più di tanto. Tecnicamente aveva il tempo per andare nel piccolo supermercato all’angolo, ma non poteva lasciare il sugo in pentola per troppo tempo, quindi aveva optato per l’opzione più semplice. Aveva sporto la testa dalla finestra, per assicurarsi che le luci dell’appartamento del suo vicino fossero accese, poi, soddisfatto, era uscito in corridoio per bussare alla sua porta.
Aveva sentito un movimento continuo, prima che la porta si aprisse di fronte alla ragazza esuberante dai capelli scuri che ricordava essere la sorella di Alec. Gli aveva sorriso, ampiamente, come se fosse una preda.
“Ciao! Sei il vicino di Alec, giusto?”
“Magnus” aveva annuito, per confermare.
“Ti posso aiutare?” gli aveva chiesto, gentilmente.
“Avrei bisogno di un po’ di zucchero. Sto cucinando, ma mi sono accorto di non averne abbastanza e non posso lasciare il fuoco accesso il tempo necessario per scendere al negozio” aveva spiegato velocemente.
Isabelle non aveva risposto, si era avvicinata a lui, pericolosamente vicino, e aveva annusato l’aria. Magnus non si era mosso, l’aveva osservata attentamente, confuso.
“Questo profumo arriva dal tuo appartamento?” aveva chiesto, gli occhi neri spalancati.
Magnus aveva semplicemente annuito.
“Beh, è buonissimo” aveva esclamato, felice. Poi era rientrata nell’appartamento, cominciando ad urlare. “Alec, è il tuo vicino sexy! Ha bisogno dello zucchero.”
“Vicino sexy?” aveva ripetuto Magnus, con un sorriso orgoglioso. “Mi piace, lo potrei aggiungere al mio biglietto da visita.”
Isabelle si era voltata, ammicandogli scherzosamente. “Puoi metterlo sotto la categoria ‘esperti di moda’. Adoro quella maglia!”
“Oh, grazie” aveva esclamato contento, perché il miglior modo per far breccia nel suo cuore era sempre stata la moda. Lo erano anche occhi blu e capelli neri, ma a pari merito.
Era una camicia verde scuro, con una fantasia ad onde blu sulle maniche. L’aveva comprata in Giappone la prima volta che ci era stato. “Io amo quel vestito” aveva aggiunto, indicando Isabelle. “Il rosso è il tuo colore.”
Gli aveva sorriso, proprio nel momento in cui Alec si fermava sulla soglia della porta, con in mano due pacchetti di zucchero.
“Ciao, Magnus” aveva detto, con un piccolo sorriso che metteva in mostra una fossetta sulla guancia sinistra, tanto che Magnus aveva dovuto mordersi il labbro per non gemere, dal momento che aveva un debole per le fossette e così sarebbe sempre stato. A pensarci bene, Alec era la combinazione perfetta di tutti i suoi punti deboli, il che era veramente sleale.
“Bianco o marrone?” gli aveva chiesto il vicino, sollevando i due pacchetti.
“Bianco, grazie” aveva risposto, ringraziandolo più volte. “Ci vediamo più tardi, allora” aveva sorriso, felice.
I fratelli Lightwood avevano annuito, salutandolo, e lui si era voltato, per fermarsi dopo due passi, la fronte corrucciata, pensieroso. Era tornato indietro, per bussare di nuovo.
Isabelle aveva nuovamente aperto la porta, ma Alec era pochi passi dietro di lei con un’espressione perplessa.
“Volete venire a cena?” aveva chiesto, lo sguardo a rimbalzare da uno all’altra. “Ci saranno Clary e Simon e sto cucinando abbastanza per un esercito. Ho preparato Tailandese.”
“Sì, ci piacerebbe” aveva risposto Isabelle per entrambi, sorridendo ampiamente. Alec aveva solamente sgranato gli occhi, fermo dov’era.
“Fantastico” aveva esclamato Magnus. “Ci vediamo tra un’oretta, allora.”
 
***

 
Clary e Simon erano appoggiati al bancone della cucina e guardavano Magnus girare il sugo e canticchiare tra sé e sé, quando il campanello era suonato.
“Biscottino, potresti farmi un favore e aprire la porta?” aveva chiesto, senza nemmeno guardarla, completamente concentrato sul suo lavoro.
“Stiamo aspettando qualcun altro?” aveva domandato la ragazza, avvicinandosi alla porta.
“Ho invitato il mio vicino e sua sorella, sai, quelli molto sexy?”
“Oh sì” era intervenuto Simon, annuendo con vigore. “Lei era davvero sexy” aveva aggiunto, con fin troppa enfasi.
“Ci deve essere qualcosa di speciale nel loro cibo” aveva sorriso Magnus.
Clary aveva alzato gli occhi al cielo e aperto la porta, affrontando i fratelli Lightwood con un sorriso.
“Ciao! Tu sei quella che ha preso a sberle Jace” aveva esclamato Isabelle, entrando.
“L’unica e sola” Clary aveva fatto un grande sorriso, spostandosi per lasciarli entrare.
Magnus li aveva osservati, mentre si guardavano intorno in salotto, concentrandosi attentamente sugli occhi blu di Alec che si erano fermati sulla grande mappa vicino alla televisione. Non sembrava affatto a suo agio e non riusciva a capirne il motivo. Non esisteva che avrebbe fatto sentire fuori luogo una persona come Alec nel suo appartamento.
“Sam, ti dispiacerebbe offrire una birra o del vino ai nostri ospiti?” aveva chiesto a Simon, muovendo il cucchiaio di legno verso di lui.
“Chi è Sam?” aveva domandato Isabelle, alzando un sopracciglio. “Pensavo si chiamasse Simon.”
Simon aveva spalancato la bocca, sorpreso, probabilmente chiedendosi come facesse una persona così fuori dal suo rango a ricordare il suo nome. “S-sì, è così infatti” aveva detto, prima di schiarirsi la voce, per sembrare tranquillo. “Finge di non ricordare il mio nome per farmi arrabbiare. È una cattiva persona, dovreste stargli lontano.”
Magnus aveva sorriso, bevendo un sorso del suo vino rosso con nonchalance e spegnendo il forno, per poi voltarsi verso i suoi ospiti.
“Stronzo, sono fantastico.”
Simon aveva sbuffato, senza riuscire a trattenere un sorriso.
 
***

 
Dopo cena, che era stata deliziosa se le imprecazioni di Isabelle potevano essere di qualche suggerimento, si erano accomodati tutti nel salotto di Magnus, mentre questo era sul balcone a fumare una sigaretta. Ne aveva offerta una ad Alec, che aveva annuito impacciato e lo aveva seguito fuori, ignorando lo sguardo curioso della sorella. Fortunatamente non gli aveva detto nulla, ma si era girata verso Clary.
“Quindi, che ti ha fatto Jace?” le aveva chiesto, senza giri di parole.
Alec aveva fatto accendere la sua sigaretta a Magnus, tenendo però un occhio sempre puntato sulla rossa, appoggiata ad uno dei divani.
“Non te lo ha detto?” aveva chiesto Clary, invece di rispondere, incrociando le braccia al petto, come se volesse proteggersi.
“Ha detto che non lo sapeva” aveva risposto Alec dal balcone, alzando le spalle.
“Non sapeva – cosa?” aveva esclamato, la sorpresa chiaramente leggibile sul suo volto.
Magnus aveva ridacchiato, alzando gli occhi al cielo. “Questo Jace comincia proprio a non piacermi.”
“Come fai a ricordarti il suo nome, se nemmeno ti piace?” aveva borbottato Simon, fermo di fronte alla collezione di vinili di Magnus. Ne aveva scelto uno e messo in un giradischi. Era Etta James.
“Lo sai che ti voglio bene, a prescindere da quale sia il tuo nome, Scott” aveva sorriso Magnus, inspirando profondamente dalla sua sigaretta.
“Sei una persona terribile” aveva risposto Simon, scuotendo la testa, incredulo.
“Jace non è così male” era intervenuto Alec, protettivo, accigliandosi. “Certo, può essere un coglione,ma è una brava persona.”
Clary aveva sbuffato seccata, la fronte corrugata per l’irritazione. “Beh, non lo è stato con me.”
“Hei, sei tu che non lo hai mai richiamato” aveva risposto Isabelle, con la stessa espressione che aveva il fratello, dalla parte opposta della stanza.
Con quell’atteggiamento protettivo, le facce accartocciate per il fastidio, si assomigliavano ancora di più. Isabelle si era alzata, le mani a stringere i fianchi, mentre Alec aveva le braccia incrociate, teneva la sigaretta con la mano destra, mentre annuiva alle parole della sorella.
“Cosa?” aveva protestato Clary, ad alta voce e sbalordita. “È questo che vi ha detto? Non mi ha mai chiamata!” 
La confusione di Alec era aumentata. “Ha detto di averlo fatto.”
“Beh, forse vi ha mentito” aveva insistito Clary, appoggiando con forza la sua bottiglia di birra sul tavolino da caffè.
“Hei” aveva esclamato Magnus. “Quel povero tavolo non ti ha fatto niente. È di mogano!”
Alec non aveva potuto non sbuffare, guardando il vicino al suo fianco con un sorriso divertito sulle labbra.
“Jace non ci avrebbe mai mentito” aveva controbattuto Isabelle, una scintilla di esuberanza di nuovo presente nel suo sguardo.
“Forse si vergognava” aveva risposto Clary, ostinatamente. “E non voleva che lo giudicaste.”
“Lo abbiamo visto in situazioni molto più imbarazzanti di quanto potresti pensare” aveva affermato Alec, il suo temperamento calmo in contrapposizione a quello focoso della sorella. “Fidati, non ci mentirebbe perché si vergogna.”
“Senti, non lo so” aveva sospirato la rossa, tornando a sedersi sul divano. “Tutto quello che so è che ci siamo baciati, gli ho dato il mio numero e non ho più avuto sue notizie.”
Sembrava rassegnata, quasi triste, e, con la coda dell’occhio, Alec aveva visto Magnus spegnere la sua sigaretta e trascinarsi, come se il dolore di Clary si ripercuotesse su di lui. Si era chiesto se fosse solo perché era sua sorella o se succedesse con tutti, se assorbisse la tristezza degli altri come se fosse sua. Alec sapeva quanto fosse pericoloso sentire troppo, in quel modo.
“Sono sicuro che ci sia una spiegazione” aveva detto Magnus, ragionevole, dopo essersi schiarito la voce.
Aveva uno sguardo strano. Sembrava a disagio e, anche se Alec non lo conosceva molto, non lo aveva mai visto così.
“Forse gli hai dato il numero sbagliato” aveva suggerito Simon.
“Conosco il mio numero, Simon” aveva borbottato Clary, in risposta. “E non ero ubriaca.”
Si era schiarita la gola e, in meno di un secondo, sembrava essere tornata tranquilla e sorridente.
“Non importa” aveva esclamato, più allegramente. “Non mi interessa di un ragazzo con cui ho limonato ad una festa un mese fa.”
Anche Alec aveva capito che fosse una terribile bugia, ma nessuno aveva controbattuto. Aveva lanciato uno sguardo a Magnus, che era tornato il solito, confidente e affascinante.
 
 ***

 
“Quando hai cominciato a fumare?” gli aveva chiesto Isabelle, non appena erano rientrati nel suo appartamento.
Alec aveva sospirato pesantemente, mordendosi un labbro, nervoso.
“Non ho cominciato” aveva risposto. “Mi sono…impanicato.”
Isabelle aveva sollevato un sopracciglio, confusa.
“L’altro giorno sono uscito sul balcone per prendere un po’ di aria fresca e Magnus era lì a fumare. Mi ha offerto una sigaretta e io, io ho semplicemente detto di sì” aveva spiegato, sembrando infastidito da se stesso.
“Questa cosa non ha prezzo!” aveva esclamato, cominciando a piangere a causa delle troppe risate.
“Cosa?” aveva borbottato Alec, scontrosamente.
“Hai cominciato a fumare perché hai perso completamente la testa quando un ragazzo sexy ti ha offerto una sigaretta.”
“Non ha niente a che fare con il fatto che sia sexy” aveva mentito, alzando la voce e arrossendo per l’imbarazzo.
“Sì, invece” lo aveva canzonato Isabelle. “Ti dimentichi sempre come funzionare correttamente quando ti ritrovi di fronte ad un ragazzo sexy.”
Alec le aveva mostrato il dito medio e aveva deciso che incrociare le braccia e mettere il broncio fosse la cosa da uomo adulto migliore da fare.
 
***

 
Una settimana dopo, Alec stava rientrando dal lavoro, le braccia piene di libri e verifiche da correggere. Aveva appoggiato tutto sul tavolo della cucina e aveva sussultato quando, girandosi per lavare le mani, aveva trovato il gatto del suo vicino sul lavandino, che lo fissava con occhietti annoiati.
Aveva sbuffato e si era avvicinato gentilmente. Chairman Meow gli aveva annusato una mano, prima di colpirla leggermente con il muso. Lo aveva preso in braccio e si era spostato in corridoio per bussare alla porta di Magnus.
Il suo vicino gli aveva aperto qualche secondo dopo e Alec si era ghiacciato, scioccato. Indossava dei pantaloni da yoga e una maglietta aderente, appiccicata alla pelle scura a causa del sudore, che non lasciava molto spazio all’immaginazione. Aveva dovuto scuotere la testa per allontanare certi pensieri, prima che Magnus gli sorridesse.
“Chairman!” aveva esclamato, avvicinandosi per prendere il suo gatto.
La sua improvvisa vicinanza era, in un qualche modo, allarmante.
“Uhm, era seduto in cucina quando sono tornato dal lavoro” aveva spiegato brevemente, grattandosi nervosamente la testa con una mano.
“Come ci sei arrivato?” aveva chiesto Magnus gioioso, guardando il gattino negli occhi. “Mi dispiace.”
“Non c’è problema” aveva risposto Alec, deglutendo pesantemente.
Stava per tornare nel suo appartamento quando la voce di Magnus lo aveva fermato.
“Aspetta! Alexander!”
Alec si era accigliato e si era voltato di nuovo verso di lui, socchiudendo gli occhi. “Come fai a conoscere il mio nome?”
Magnus gli aveva sorriso. “Ho ricevuto per sbaglio la tua posta. Vieni, entra pure.”
Si era voltato, facendogli cenno di seguirlo e Alec lo aveva fatto, impacciatamente. Non aveva assolutamente fissato il sedere del suo vicino, quando si era piegato per appoggiare il gatto sul pavimento. Chairman Meow era strisciato immediatamente sotto il divano per prendere qualcosa. Affianco ad esso c’era un tappetino da yoga, il che spiegava l’outfit del vicino, e Alec si era categoricamente vietato di pensare all’aspetto di Magnus mentre si allena. Quest’ultimo si era avvicinato al tavolino da caffè, prendendo una serie di buste e porgendole poi ad Alec, con un sorriso.
“Ecco!”
“Grazie” aveva risposto, dondolandosi nervosamente sui piedi.
“Vuoi un caffè? Un tea? È il minimo che posso fare per avermi riportato Chairman” gli aveva chiesto Magnus e Alec si era chiesto se il suo tono flirtante fosse solo un’immaginazione della sua mente.
“Un caffè va benissimo” si era ritrovato a dire.
Magnus aveva annuito, felice, e si era spostato in cucina, per accendere la macchinetta del caffè. Alec era finito a fissarlo, ma non ci poteva fare più di tanto: c’era qualcosa di affascinante nel modo in cui Magnus si muoveva, il suo corpo alto e sinuoso si muoveva con la grazia di un felino; si muoveva come se ogni passo aveva uno scopo ed era accattivante.
Poco dopo gli stava porgendo una tazza fumante, che aveva accettato molto volentieri. Non era riuscito a trattenere un leggero gemito di piacere, quando aveva bevuto un primo sorso.
“Merda, questo sì che è caffè di marca” aveva affermato, guardando la sua tazza come se fosse un mistero.
“Dritto dritto dalla Colombia” aveva sorriso Magnus, sorseggiando il suo. “Ho un amico là, che me lo manda ogni mese.”
“I vantaggi di avere amici in tutto il mondo, immagino” aveva risposto Alec, sorridendo leggermente. “Il tea arriva dall’Inghilterra?”
C’era un divertimento chiaro nella sua voce, che sembrava piacere a Magnus, tanto che si era ritrovato con un sorrisino gentile e affettuoso.
“No, dall’India” aveva risposto, scherzoso, sorridendogli da sopra la tazza.
Alec era arrossito. “Hai davvero visitato tutti questi paesi?” aveva chiesto, schiarendosi la voce per apparire completamente tranquillo. Stava indicando la grande mappa attaccata alla parete, di fianco alla televisione. Una miriade di puntine colorate ricopriva ogni continente.
Magnus aveva annuito, pensieroso, una scintilla nello sguardo, mentre fissava l’atlante.
“Mi piacerebbe aver viaggiato così tanto” aveva ammesso Alec, cauto, avvicinandosi per poter guardare meglio.
“È stupendo” aveva confermato. “Fino a quando non cominci a sentire nostalgia.”
“Ti è mancata la tua famiglia?”
“Certo, la mia famiglia sin dall’inizio” il suo vicino sembrava essersi perso nei suoi stessi pensieri, per un attimo. “Ma dopo un po’ cominciano a mancarti cose a cui non avevi nemmeno mai pensato. Il cibo, per esempio. Non trovi da nessuna parte hamburger come quelli che fanno a New York.”
Alec aveva sorriso. “Poi cominci a sentire nostalgia dei luoghi familiari” aveva continuato Magnus, con tono nostalgico. “Penso di non aver realizzato quanto mi fosse mancata New York fino a quando non mi sono trasferito qui e ho ammirato questa vista. Ho visto le montagne, i laghi e i deserti più belli…ho visitato posti stupendi, che mi hanno letteralmente lasciato senza fiato, ma non erano…familiari. Non erano casa.”
“Per quanto sei stato via?” gli aveva chiesto Alec, cortesemente.
C’era una grande tristezza negli occhi dell’uomo, che lo aveva portato a dondolarsi sui piedi in imbarazzo. Avrebbe voluto abbracciarlo, prendergli una mano o anche solo toccarlo per confortarlo un po’. Non era mai stato il tipo da dimostrazioni d’affetto e aveva sempre evitato il più possibile il contatto fisico con le persone alle quali non era strettamente legato. Tuttavia, Magnus era un ragazzo così raggiante, sempre sorridente e sempre felice, che quella vulnerabilità malinconica che stava mostrando in quel momento era sufficiente perché Alec dimenticasse la sua solita riluttanza.
“Cinque anni” aveva risposto Magnus, schiarendosi la voce e scuotendo la testa.
Non era riuscito a fargli tornare il sorriso, per quanto ad Alec dispiacesse.
“Come mai te ne sei andato?” gli avevo chiesto, non riuscendo a trattenersi.
Non per la prima volta, Magnus aveva catturato il suo interesse e voleva sapere di più, tutto quello che il suo vicino gli avrebbe permesso di conoscere.
“Oh, è una storia noiosa” aveva concluso quello, con un movimento esagerato della mano. “Una storia per un altro momento e, se Dio lo vuole, con molto più alcool.”
Alec aveva cercato di trattenere una risata. Solo grazie ad essa, Magnus stava di nuovo sorridendo, e non aveva non potuto rilasciare un sospiro di sollievo.
“Volevo guardare Moonrise Kingdom e ordinare del sushi” aveva continuato Magnus, allegro. “Vuoi fermarti?”
“Con piacere” si era ritrovato a rispondere. “Vado a farmi una doccia veloce e torno.”
“Certo, la devo comunque fare anche io” aveva sorriso l’altro. “Combatterò contro chiunque dirà che lo yoga non è un vero sport.”
Alec aveva riso, finendo il caffè in un sorso solo, prima di tornare al suo appartamento.
 
***


Forse, due settimane dopo, Alec era sceso al supermercato all’angolo per comprare delle sigarette, giusto per avere una scusa per poter uscire sul balcone anche se Novembre era iniziato e, fuori, si gelava. Stava tornando dalla sua corsetta di routine, quando gli era venuta quell’idea e non ci aveva pensato due volte, entrando direttamente nel negozio.
Si era sentito veramente stupido, soprattutto perché Magnus non era nemmeno single. La sua relazione con Raphael era strana, distaccata e non sembrava nemmeno molto genuina, ma non era nessuno per poter giudicare le scelte d’amore del suo vicino, quando lui per primo non stava con qualcuno da moltissimo.
Ritornato al palazzo era entrato in ascensore e si era subito perso nei suoi pensieri. Si era accigliato ancora di più quando le porte si erano aperte ed era stato salutato dalla vista di Magnus che cercava di forzare la sua stessa porta, col fiato corto.
“Magnus? Va tutto bene?” aveva chiesto, preoccupato, inclinando la testa per riuscire a vederlo meglio.
Aveva i capelli completamente arruffati e la camicia arancione sgualcita. Magnus era oscillato sulle gambe, girandosi per guardarlo. Gli occhi verdi erano iniettati di sangue e appannati.
“Sono davvero, davvero ubriaco” aveva risposto, strascicando le parole, come se volesse controllare se le sue parole avessero un qualche senso. “E tu sei molto sudato” aveva aggiunto, facendo scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo.
Alec si era dondolato sui piedi. “Sono andato a correre” aveva poi spiegato, imbarazzato.
“Oh, non era una critica” aveva sorriso l’altro, flirtando. “Mi piaci quando sei sudato.”
Aveva percepito le proprie guance andare a fuoco e si era schiarito la voce, cercando di nasconderlo; non che il suo vicino fosse abbastanza sobrio da potersene accorgere.
“Che ci fai qui?” aveva chiesto poi velocemente, realizzando che cambiare discorso fosse probabilmente la cosa più intelligente da fare.
“Ho dimenticato le chiavi da Raphael e quelle di scorta sono dentro, ovviamente” aveva farfugliato, imbronciandosi.
Prima di mettersi a tacere, Alec aveva pensato che fosse carino. Doveva decisamente calmarsi: il ragazzo era letteralmente appena tornato dall’appartamento del suo fidanzato.
“E Raphael è un coglione, non me le vuole portare quindi sono chiuso fuori” aveva continuato, appoggiandosi alla parete per restare in equilibrio.
Alec aveva girato la chiave nella sua porta. “Entra” gli aveva offerto, in un soffio. “Ti do un po’ d’acqua.”
“Oh, fantastico!” aveva esclamato allegramente Magnus, seguendolo. “Forse posso scavalcare dal tuo balcone ed entrare a prendere le chiavi. Ho lasciato la finestra aperta!”
“Non scavalcherai proprio niente con tutto l’alcool che hai in corpo ora” aveva affermato Alec, irremovibile.
“Oh andiamo, sono sicuro che sarà divertente” aveva contestato l’altro, indicandolo con un dito, la cui unghia era colorato con dello smalto blu.
“Non lo sarà quando cadrai e io dovrò spiegare alla tua famiglia come sei morto.”
“Devi solo dire loro che voglio che il mio epitaffio dica I believe I can fly” aveva risposto Magnus, del tutto ubriaco.
Alec non aveva potuto non ridere, a quelle parole. Lo aveva costretto a sedersi sul ripiano della cucina, le gambe lunghe a penzoloni, poi gli aveva riempito un bicchiere di acqua.
“Bevi” aveva ordinato e Magnus aveva obbedito, cooperativo.
Aveva osservato attentamente il ragazzo sorseggiare l’acqua e il suo pomo d’Adamo sobbalzare in un modo che non sarebbe dovuto essere così distraente. Alec aveva distolto lo sguardo quando il vicino aveva appoggiato il bicchiere vuoto sul tavolo, con un rumore secco.
“Ecco fatto!” aveva esclamato. “Sono sobrio, ora.”
Alec aveva sbuffato, tornando serio quando Magnus si era alzato, incamminandosi verso il balcone.
“Ora posso scavalcare!”
Lo aveva strattonato per un braccio con forza, non abbastanza da fargli male, ma sufficiente per costringerlo a non fare un passo in più.
“No, invece” aveva ringhiato, risoluto, con lo stesso tono che usava con i suoi studenti per evitare negoziazioni, quando si lamentavano dei compiti.
“Ma Chairman Meow è dentro” aveva ribattuto Magnus, imbronciandosi leggermente. “Non possiamo lasciarlo lì a morire, Alexander. Non possiamo!”
“Okay, ma andrò io” aveva ceduto Alec, alzando gli occhi alla preoccupazione estremamente esagerata del suo vicino.
Erano entrambi sul balcone, per cui aveva preso Magnus per le spalle, allontanandolo dalla ringhiera.
“Non ti muovere” gli aveva ordinato, guardandolo dritto negli occhi.
“Mi piace questo tuo lato da leader, Alexander” aveva risposto Magnus, con un sorriso canzonatorio. “È eccitante.”
Alec era arrossito di nuovo, ma si era voltato di spalle per scavalcare il muretto che separava i loro balconi. Non era alto, quindi gli era bastato fare un po’ di forza sulle braccia e saltare dall’altra parte.
“Sono sicuro che il tuo fidanzato lo apprezzerebbe” aveva grugnito, atterrando fortunatamente sui piedi. Si era diretto subito verso la finestra, spingendo per aprirla.
“Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando” aveva borbottato, Magnus.
“Dov’è la copia delle chiavi?” aveva chiesto Alec, non volendo discutere della vita sentimentale del suo vicino.
Si era avvicinato alla ringhiera, guardandolo con occhi confusi.
“Portachiavi nel corridoio.”
Alec aveva attraversato velocemente il salotto, trovando le chiavi proprio dove Magnus gli aveva detto. Chairman Meow stava sonnecchiando sul divano, aveva aperto gli occhi solo per fissarlo e li aveva richiusi immediatamente. Non sembrava essere in rischio di morte.
Aveva ritrovato Magnus esattamente dove lo aveva lasciato. Si era avvicinato alla ringhiera del balcone e aveva allungato le braccia per porgergli le chiavi. L’altro non si era mosso di un millimetro.
“Magnus” lo aveva chiamato, scuotendogli le chiavi di fronte al viso.
“Mi hai detto di non muovermi e non vorrei darti alcun motivo per punirmi” lo aveva preso in giro il suo vicino, con le braccia incrociate sul petto.
Alec era arrossito di nuovo ed era piuttosto sicuro di essere rosso dal collo alla punta delle orecchie. Aveva scosso la testa, incredulo, e aveva infilato le chiavi in tasca.
“Dio” aveva borbottato. “Non ci credo che lo hai detto.”
Aveva scavalcato e si era posizionato di fronte a Magnus, che sembrava pronto per scoppiare a ridere.
“Mi dispiace” aveva ridacchiato. “Ma è così facile prenderti in giro.”
Alec lo aveva guardato con occhi socchiusi, prendendo le chiavi. “Avrei dovuto lasciarti fuori a farti passare la sbronza.”
Magnus lo aveva fissato con la bocca spalancata, ferito. “Non lo avresti mai fatto.”
“Lo farò, la prossima volta” aveva borbottato, facendo ridere di nuovo il suo vicino.
Era un suono a cui si sarebbe volentieri abituato.


Nda.
Here we go again!
Temevo di non riuscire a finirlo e invece eccomi qui, con un giorno d'anticipo, il capitolo finalmente tradotto e revisionato. Questo è, sinceramente, uno dei miei preferiti, perchè finalmente i nostri adoratissimi Malec fanno realmente conoscenza e cominciano ad avvicinarsi. Vi invito a fare particolare attenzione ad alcune parole, ma soprattutto pensieri, di Alec, perchè influenzeranno molto il resto della storia. Adoro le battutine finali e trovo che la frase che conclude il capitolo sia particolarmente d'effetto.
Fatemi sapere cosa ne pensate! 
E come al solito vi ricordo che trovate la storia originale cliccando su qui e che l'autrice è Lecrit
Vi lascio con un'altra gif degli amatissimi Malec, che mi faranno soffrire nell'attesa della seconda stagione del telefilm, per cui ho deciso che appena ho tempo rileggerò tuta la saga, perchè sì. Ci vediamo, si fa per dire, settimana prossima!
I. xx




(SPOILER)

"Venti dollari che lo prende di nuovo a sberle” gli aveva sussurrato Alec.
Si stava avvicinando alla parete per osservare meglio il litigio e Magnus riusciva a percepire il profumo della sua acqua di colonia. Aveva strani effetti sul suo stomaco.
“Facciamo…trenta che si baceranno, invece” aveva mormorato Magnus, affannosamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** S.O.S ***



 
 

Capitolo 3

S.O.S

 
“Now something so sad has
hold of us that the breath leaves
and we can't even cry.” 

(Charles Bukowski)
 

“Te lo giuro, Alec, penso di essere maledetto!”
Magnus aveva sollevato un sopracciglio. Sentiva delle urla provenire dal balcone. Ci aveva messo qualche secondo a riconoscere la voce di Jace, mentre vicino a lui, Clary si era subito messa sull’attenti. Erano stravaccati sul divano a guardare una replica di American Idol, commentando i diversi concorrenti e bevendo vino, come facevano ogni domenica pomeriggio, quando una voce era risuonata nel suo appartamento.
“Perché mi continuano a succedere queste cose?” aveva continuato Jace, freneticamente.
“Perché sei un idiota” era intervenuto Alec.
Magnus aveva sbuffato.
“Vaffanculo” aveva risposto il biondo, con odio, ma senza essere davvero arrabbiato. “Non capisco perché mi ostino a dirti queste cose.”
“Perché hai bisogno di qualcuno che ti tenga con i piedi per terra.”
“Ma smettila di fare tanto l’innocente” aveva ringhiato Jace. “Ricordiamo entrambi quella volta in cui eri talmente ubriaco che ti sei messo ad urlare ai turisti a Time Square quanto fosse sexy Captain America.”
Magnus aveva tossicchiato, alzandosi per uscire sul balcone, e anche Clary era scoppiata a ridere e aveva camuffato la risata bevendo un goccio di vino.
“Avevi promesso che non ne avresti più parlato” aveva piagnucolato Alec, sentendosi tradito.
“Beh, Captain America è davvero sexy” era intervenuto Magnus, avvicinandosi alla porta finestra per osservare i due fratelli sul balcone adiacente, bevendo casualmente dal suo bicchiere.
Jace aveva un occhio terribilmente nero.
Alec era arrossito e aveva fissato il fratello. “Ti odio.”
“Te lo meritavi” aveva risposto Jace, ostinatamente, incrociando le braccia. “Ciao Magnus.”
“Ragazzi” aveva risposto quello con un sorrisetto. “Questa situazione è davvero divertente, ma fate troppo casino e noi stiamo cercando di guardare la televisione.”
“Io sto cercando di far ragionare questo traditore di mio fratello, ma sta facendo il difficile” aveva grugnito il biondo.
“Non è vero” aveva protestato Alec, spalancando gli occhi a causa dell’incredulità, prima di girarsi verso Magnus. “È incazzato con me perché non mi dispiace che sia stato preso a pugni dal fidanzato di una ragazza su cui aveva puntato.”
“Non le avevo messo gli occhi addosso!” aveva controbattuto Jace, alzando la voce. “Caso mai, era lei ad aver puntato gli occhi su di me.”
“Dettagli” aveva commentato Alec, alzando gli occhi al cielo.
“Sei il peggiore” aveva quasi sussurrato il fratello, socchiudendo gli occhi per l’esasperazione.
“Ti voglio bene anche io.”
Jace stava per rispondere, ma si era interrotto non appena era comparsa Clary, ferma dietro al fratello. Aveva spalancato gli occhi, sorpreso.
“Clary!” aveva esclamato, una nota di sollievo percepibile nel suo tono.
Non aveva risposto e si era voltata, per rientrare.
“Clary, aspetta!” aveva urlato il biondo, avvicinandosi al muretto per mantenerla nel suo campo visivo.
Non si era voltata e, al contrario, era tornata a sedersi sul divano, ignorandolo di proposito.
Magnus non se l’era aspettato, quando aveva visto il biondo fissare il fratello, che aveva risposto scuotendo le spalle, con disperazione, che sarebbe saltato dalla parte opposta del muretto che separava i due balconi e che sarebbe poi corso immediatamente nel suo appartamento.
Aveva guardato a bocca aperta la schiena del biondo, e aveva lanciato uno sguardo scioccato ad Alec.
“Mi dispiace da morire” aveva mormorato il suo vicino, per poi aggiungere, alzando la voce, “Jace, torna qui! Non puoi fare irruzione nell’appartamento del mio vicino!”
“Clary” aveva ripetuto quello, ignorando completamente il fratello. “Ti prego, parlami. Giuro di aver provato a chiamarti.”
C’era così tanta disperazione nel suo tono che Magnus non era riuscito ad intervenire per sbatterlo fuori. In un qualche modo, pensava davvero che ci fosse più di uno stronzo che non aveva richiamato la sua sorellina, sotto quella storia.
“No, invece!” aveva risposto, Clary, rifiutandosi di alzare lo sguardo su di lui, sebbene Magnus potesse vedere del fuoco ballare nelle sue iridi verdi.
“Venti dollari che lo prende di nuovo a sberle” gli aveva sussurrato Alec.
Si stava avvicinando alla parete per osservare meglio il litigio e Magnus riusciva a percepire il profumo della sua acqua di colonia. Aveva strani effetti sul suo stomaco.
“Facciamo…trenta che si baceranno, invece” aveva mormorato Magnus, affannosamente. “Vuoi venire da questa parte? Stare lì così non sembra molto comodo” aveva aggiunto, indicando il suo collo completamente piegato.
Alec aveva sbuffato, ma alla fine aveva scavalcato,unendosi al vicino sul suo balcone.
“Sì, l’ho fatto” aveva urlato Jace, di nuovo, aprendo le braccia in un gesto sbalordito. “Ti ho chiamato e mandato messaggi e tu non mi hai mai risposto!”
“Smettila di mentirmi!” aveva gridato, Clary, alzandosi per poterlo fissare negli occhi.
Era molto più bassa rispetto a lui, che aveva comunque fatto un passo indietro.
“Saggia decisione” aveva commentato Magnus a bassa voce, accendendo una sigaretta e porgendo il suo accendino ad Alec, che aveva fatto lo stesso.
“Prepara i tuoi venti dollari” aveva risposto il suo vicino, con il medesimo tono di voce, lasciando che il fumo gli abbandonasse la bocca, mentre parlava.
“Non sto mentendo!” aveva protesto Jace.
Si era fermato per un secondo, sembrava diventare matto. Improvvisamente, il suo viso si era illuminato, come se avesse avuto la migliore idea della sua vita, e aveva cominciato a frugare nelle tasche.
“Posso dimostrartelo” le aveva detto, prendendo il cellulare.
Aveva esitato un attimo, prima di avvicinarsi, la dita che si muovevano sullo screen. Dopo qualche secondo aveva posizionato il telefono sotto lo sguardo di Clary.
“Vedi?” aveva esclamato, ad alta voce. “Ti ho mandato dei messaggi! Non mi hai mai risposto!”
Clary aveva lanciato uno sguardo allo schermo e Magnus l’aveva osservata, mentre esaminava attentamente i messaggi.
“Penso di star per vincere” aveva mormorato ad Alec, aspirando profondamente.
“Oh, non sottovalutare la stupidità di mio fratello” aveva sussurrato in risposta.
Dopo un attimo, l’espressione di Clary si era tranquillizzata. Magnus non aveva idea di cosa dicessero i messaggi, ma la ragazza sembrava aver lasciato andare tutta la rabbia. Almeno, per circa tre secondi. Aveva avuto una reazione a scoppio ritardato: aveva fissato di nuovo lo schermo, prima di alzare velenosamente lo sguardo verso Jace, che aveva fatto un passo indietro. Aveva fatto un grosso sbaglio, perché le aveva dato tutto lo spazio possibile per alzare la mano e schiaffeggiargliela sul viso.
“Mi stai prendendo in giro?” aveva urlato. “Pensi che sia divertente?”
Magnus aveva gemuto, rovistando nelle tasche per porgere una banconota da venti dollari ad Alec.
“Grazie mille” aveva detto il suo vicino, con un sorriso sfacciato. “È sempre un piacere fare affari con te.”
“Cosa?” aveva urlato Jace, dopo aver superato lo shock di essere stato di nuovo preso a schiaffi. “Smettila di prendermi a sberle, per l’amor di Dio! Cosa ho fatto ora? Ti ho scritto, lo hai visto anche tu!”
“Non hai scritto a me” aveva ringhiato la rossa in risposta. “Hai scritto ad una certa Claire. Il mio nome è Clary!”
Riprendendolo, Jace aveva controllato il cellulare, e aveva spalancato comicamente gli occhi non appena si era accorto che la ragazza avesse ragione.
“Merda” aveva esclamato, con grande enfasi.
Magnus si era dovuto mordere le labbra per trattenere una risata. Accanto a lui, Alec aveva scosso la testa, esasperato.
“È così stupido” aveva borbottato a se stesso, ammorbidito dall’ovvio affetto nei confronti del fratello. “Ho paura che abbia sbattuto la testa, da piccolo.”
Magnus aveva sogghignato.
“Senti, Clary, mi dispiace. Giuro che volevo scrivere a te” aveva detto Jace, veramente pentito, gli occhi puntati esclusivamente sulla rossa. “Ci siamo divertiti tanto quella notte e non ho smesso di pensarti da allora. Ti prego, fammi perdonare!”
Clary aveva incrociato le braccia, in modo protettivo, mantenendo ostinatamente lo sguardo lontano da lui. Jace aveva fatto un coraggioso passo in avanti, muovendo la testa per intercettare i suoi occhi.
“Mi dispiace” aveva ripetuto, quasi in un sussurro. “Permettimi di offrirti da bere o una cena o entrambi. Qualsiasi cosa tu voglia.”
Magnus aveva nascosto un sorriso dietro il bicchiere di vino.
“Organizzare un appuntamento significa che ho vinto?” aveva chiesto, guardando Alec.
“Nope” aveva risposto risoluto, anche se un sorriso gli giocava sulle labbra. “Hai perso, fattene una ragione.”
“Non c’è da divertirsi con te.”
“Me lo hanno detto più volte” aveva risposto Alec, inespressivo, l’espressione indifferente se non per un leggero tic nervoso del labbro.
“Beh, quei turisti a Time Square potrebbero pensarla diversamente” aveva scherzato, mordendosi la bocca per non ridere.
Alec aveva gemuto ad alta voce, prendendosi la testa tra le mani. “Lo odio.”
Magnus era scoppiato a ridere, riportando lo sguardo sulla coppia nel suo appartamento, giusto in tempo per vedere Clary annuire leggermente.
 
***
 
Magnus era una persona socievole. Lo era sempre stato. Coglieva sempre al volo qualsiasi occasione gli permettesse di conoscere nuova gente e la sua lista dei contatti era piena di nomi di persone che provenivano da tutti gli angoli del mondo. Non aveva mai giudicato nessuno, specialmente per la loro eccentricità. Era una persona aperta, per cui non era tanto sorprendente il fatto che non avesse mai chiuso a chiave la porta del suo appartamento. Jocelyn e Luke lo avevano rimproverato più volte, ricordandogli che viveva a New York, una città talvolta anche pericolosa, e per di più non in un piccolo quartiere in periferia dove tutti conoscono tutti. Lui rispondeva semplice di conoscere i suoi vicini. Oltre ad Alec, aveva conosciuto gli altri due che vivevano sul suo stesso piano.
Nell’appartamento di fronte al suo, dall’altro lato del corridoio, viveva un uomo nel pieno dei suoi trent’anni, che lavorava a Wall Street ed era molto bello, ma estremamente noioso, mentre l’ultimo era abitato da una giovane coppia che si era appena trasferita a New York da Los Angeles. Dicevano di essere entrambi attori, ma Magnus non li aveva mai visti da nessuna parte, per cui non sapeva se fosse una bugia o semplicemente un sogno irrealizzabile.
Pertanto conosceva i suoi vicini ed erano così gentili che si sentiva sicuro nel lasciare la porta aperta. Era molto più semplice, considerando che Raphael, Simon e Clary si presentavano regolarmente a casa sua senza essere stati invitati o per passare del tempo con lui o per guardare una partita (per lo più Raphael), perché non avevano la televisione via cavo. Si era sorpreso, in ogni caso, quando una notte la porta si era aperta e, ad entrare insicuro sulle sue stesse gambe, non era stato nessuno di loro.
Aveva invitato un amico – con amico intende una possibile scopata che molto probabilmente non avrebbe più rivisto dopo quella sera – e si stavano avvicinando alla parte interessante, quando erano stati interrotti da un rumore. Aveva voltato la testa, rimanendo seduto sul divano, mentre il ragazzo si muoveva sopra di lui, e sollevato confuso un sopracciglio quando era comparsa Isabelle, barcollante.
“Magnus!” aveva esclamato felice, dopo averlo visto, prima di lanciare un occhiata al suo ospite. “E…tu!”
Era totalmente ubriaca.
“Che ci fai nell’appartamento di mio fratello?” aveva chiesto allegra, come se fosse la notizia migliore della giornata. “C’è una festa? Evvai!”
Aveva lanciato le braccia in aria entusiasta e Magnus era quasi dispiaciuto di dover distruggere quella bolla di fantasia in cui stava vivendo.
“Non sei nell’appartamento di Alec, tesoro” aveva sussurrato, alzandosi per raggiungerla. “Questo è il mio.”
Era scoppiata a ridere, prendendogli a pugni una spalla, come se avesse appena fatto la battuta più divertente dell’anno. Era sobbalzato: era molto più forte di quanto sembrasse.
“Non è vero!” aveva ridacchiato. “Alec dov’è?”
Magnus aveva guardato il suo orologio per controllare l’ora. “Penso non sia ancora tornato. Mi aveva detto di avere un appuntamento con un certo…Eric? Ethan? Non mi ricordo.”
“Boo” aveva urlato, mostrandogli un pollice rivolto verso il basso. “Si chiama Edward.”
Aveva ricominciato a ridacchiare, avvicinandosi per sussurrargli qualcosa in un orecchio, come se avesse un fantastico segreto da rivelargli. “Credi che brilli sotto il sole?”
Magnus aveva sbuffato, tenendola per un braccio per evitare che inciampasse nei suoi stessi piedi. “Spero di no. Mi piace abbastanza tuo fratello, non vorrei che venisse divorato da un vampiro.”
“Dovresti davvero uscire con mio fratello” aveva ammesso, schiettamente.
Magnus l’aveva guardata a bocca aperta, senza rispondere, lanciando uno sguardo di scuse al ragazzo, che ora era seduto sul divano a disagio.
“Quello chi è?” aveva chiesto Isabelle, indicandolo.
“Uhm, lui è Axel. Axel lei è Isabelle, la sorella del mio vicino.”
Axel aveva annuito impacciatamente, cercando di sparire sotto lo sguardo furioso di Isabelle.
“Come fai a conoscere mio fratello, Axel?” aveva chiesto, incrociando le braccia e assumendo una posizione che sarebbe sembrata dieci volte più intimidatoria, se non fosse stata ubriaca.
“I-io…non lo conosco” aveva balbettato, sembrando sempre più confuso.
“Allora perché sei nel suo appartamento?”
Sembrava quasi pazza, gli occhi ardevano di profonda protezione, e Magnus si era dovuto mordere un labbro per non scoppiare a ridere.
“Izzy, non è l’appartamento di Alec” aveva ripetuto, con gentilezza. “È il mio.”
Questa volta sembrava averlo sentito, perché aveva cominciato a guardarsi intorno notando il luogo poco familiare.
“Quello che pensavo” aveva detto alla fine. “Alec mi avrebbe chiesto qualche consiglio se avesse voluto cambiare l’arredamento. Fa piuttosto schifo con queste cose.”
Si era chiesto se avrebbe semplicemente dovuto chiederle il numero di Alec e chiamarlo per dirgli di andare a riprendersi la sorella, ma si era domandato se fosse la cosa giusta da fare. Alec era ad un appuntamento, come anche Magnus tecnicamente,  ma il suo ormai era rovinato perché, anche se Alec fosse arrivato a prendere Isabelle, sarebbe stato troppo tardi. Aveva allontanato lo sguardo da Axel, che stava fissando il pavimento con i suoi meravigliosi occhi blu.
“Oh, Izzy, dopo questa sarei in debito con me per sempre” le aveva sussurrato, prima di voltarsi verso il ragazzo. “Mi dispiace” aveva sospirato. “Dovresti andare. Non posso cacciarla in questo stato.”
Axel aveva annuito, alzandosi. “Capisco. Ti richiamo io.”
Si era avvicinato, per poi baciarlo velocemente sulle labbra e andarsene.
“Era ora!” aveva quasi urlato Isabelle non appena era uscito. “Non era affatto simpatico. Che c’è tra di voi, comunque?”
Magnus aveva alzato gli occhi al cielo. “Eravamo arrivati alla parte divertente dell’appuntamento, quando hai deciso di interromperci rudemente.”
Isabelle aveva semplicemente scrollato le spalle e aveva poi iniziato a frugare nella sua borsetta.
“Chiamo Alec” aveva annunciato solennemente.
Le aveva strappato il cellulare delle mani non appena lo aveva trovato e lei aveva cominciato a protestare ad alta voce, per cui l’aveva presa per le spalle, fermandola e facendola sedere sul divano.
“No, invece. Lo chiamerò io, perché gli verrebbe un attacco di panico, sentendoti così ubriaca.”
Aveva acceso il telefono e vi aveva trovato un messaggio di Alec, che aveva subito aperto. Fanculo alla privacy, aveva pensato. Dopotutto gli aveva impedito di farsi una sana scopata.
S.O.S, diceva il messaggio. Aveva sollevato un sopracciglio, ricambiando lo sguardo di Isabelle.
“Perché ti ha mandato un S.O.S?” le aveva chiesto.
“Oh, è il nostro codice segreto tra fratelli per appuntamenti disastrosi” aveva biascicato, chiudendo lentamente gli occhi. “Significa che devo chiamarlo e offrirgli una scusa per andarsene.”
E all’improvviso, si era addormentata. Aveva alzato gli occhi al cielo. Beh, la scusa l’aveva già trovata.
Aveva composto il numero di Alec, sorridendo alla vista della foto che era apparsa sullo schermo. Era di profilo, lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi scintillanti di divertimento. Aveva un filo di barba sul mento e Magnus si era ritrovato a pensare, non per la prima volta, che fosse totalmente ingiusto il fatto che quel ragazzo racchiudesse tutte le sue piccole debolezze.
“Perché ci hai messo tanto?” aveva sussurrato Alec, rispondendo al primo squillo. “Sto per morire, qui!”
“Uhm, sono Magnus” aveva risposto.
“Magnus?” aveva esclamato Alec, apparentemente sorpreso. Non poteva biasimarlo, lui stesso lo era. “Perché mi stai chiamando dal telefono di Izzy?”
Magnus si era gettato in un accurato resoconto della situazione, dall’entrata traballante di Isabelle nel suo appartamento, al suo addormentarsi sul divano. Per qualche ragione non voleva approfondire e perciò aveva tralasciato il fatto che, al momento dell’arrivo della ragazza, non fosse solo. Non appena aveva finito, Alec aveva sospirato pesantemente.
“Sta bene?”
Magnus aveva lanciato uno sguardo alla sorella Lightwood addormentata sul suo divano. “Sì, sta russando.”
“Giuro su Dio che i miei fratelli saranno la causa della mia morte” aveva borbottato, sembrando realmente infastidito.
“Beh, in ogni caso ti serviva una scappatoia, giusto?” aveva chiesto Magnus, cercando di risollevargli il morale.
“Già” aveva sospirato Alec. “Mi serviva davvero, davvero tanto. Sarò lì tra un minuto.”
“Okay, ci vediamo tra poco.”
“Magnus!” lo aveva richiamato, quando stava per attaccare.
“Sì?”
“Se si sveglia, non farle trovare il tuo accendino” aveva esclamato ad alta voce.
“Cosa?”
“Quando è ubriaca, diventa un po’ piromane” aveva spiegato impacciatamente. “Inoltre, non connette la bocca al cervello, quindi non prestare attenzione a quello che ti dice. Potrebbe anche provare a venire a letto con te.”
Dopodiché aveva attaccato, lasciando Magnus a fissare il cellulare.
Isabelle si era svegliata venti minuti più tardi, spalancando gli occhi lentamente. Si era guardata intorno, probabilmente chiedendosi dove fosse, e i suoi occhi si erano fermati su Magnus, concentrato a guardare la televisione, seduto di fianco a lei, mentre fumava con nonchalance una sigaretta.
“Magnus!” gli aveva detto sorridente, facendolo saltare sul posto.
Aveva spento riluttante la sigaretta, ricordandosi le parole di Alec.
“Come ti senti?” le aveva chiesto, porgendole un bicchiere d’acqua che aveva preparato poco prima.
“Meravigliosamente” aveva sorriso. Aveva bevuto un sorso d’acqua, facendo poi una smorfia. “Non è vodka!” lo aveva guardato in modo accusatorio, come se l’avesse tradita.
“No tesoro, è acqua. Giuro che non ti farà arrugginire” aveva risposto Magnus, con un sorrisino.
“Oh, avanti!” aveva borbottato. “Dovresti essere quello divertente! Dov’è la tequila?”
“Odio la tequila” aveva risposto Magnus, scuotendo la testa. Il che era una bugia oscena. Lui amava la tequila. “Quindi, hai intenzione di dirmi perché ti sei ubriacata in questo modo?”
Isabelle gli aveva sorriso, uno di quei sorrisi flirtanti che, però, non le aveva raggiunto anche gli occhi. Gli aveva appoggiato le mani sulle spalle, per poi avvicinarsi. Magnus non era sorpreso. Aveva visto tecniche di diversivo molto migliori, nella sua vita.
“Pensi che ora potremmo fare qualcosa di più divertente?” aveva chiesto, arricciando una ciocca di capelli neri con un dito.
“No” le aveva risposto, con non curanza, allontanando la sua mano e appoggiandogliela sullo stomaco. “Non mi viene in mente niente di più divertente di te che mi spieghi perché ti sei sbronzata al punto di entrare traballante nel mio appartamento al posto che in quello di tuo fratello.”
Quelle parole sembravano averla fatta tornare sobria perché il suo sorriso era sparito e, improvvisamente, si trovava a metri di distanza da lui, gli occhi scuri persi nel nulla. Aveva cominciato a muovere le dita nervosamente e Magnus si era chiesto se fosse stato meglio non fare domande.
“È solo quel periodo dell’anno” aveva sussurrato, non sembrando più tanto ubriaca.
Voleva sapere di più, ma si era trattenuto. Qualunque fosse il motivo, non doveva essere niente di felice e non voleva farle raccontare certe cose, quando non aveva controllo del suo cervello. Non voleva farle dire cose di cui si sarebbe pentita il giorno successivo.
Aveva cominciato a sfregare la mano sul tatuaggio sul braccio destro, quello che condivideva con i fratelli. Improvvisamente gli occhi le si erano riempiti di lacrime a stento trattenute e lui non sapeva cosa fare, la bocca spalancata per la sorpresa. Si era avvicinando, prendendole una mano con ovvia preoccupazione.
“Isabelle, mi dispiace” aveva detto, in un soffio. “Non devi dirmelo.”
“È solo quel periodo dell’anno” aveva ripetuto, con un tono così intriso si tristezza che gli si era spezzato il cuore.
La porta d’ingresso si era aperta rumorosamente e, dopo pochi secondi, Alec era in ginocchio di fronte a lei, con la mano che Magnus non stava tenendo stretta nella sua.
“Izzy, stai bene?” aveva chiesto, con tanta preoccupazione, amore e umanità che Magnus avrebbe seriamente voluto baciarlo, proprio lì dov’era. Non era esattamente il momento migliore.
Lo era diventato ancora meno quando Isabelle era scoppiata a piangere, lanciandosi tra le braccia del fratello e nascondendo la testa nel suo petto. Alec aveva chiuso gli occhi e l’aveva stretta forte, mormorandole gentilmente qualcosa nell’orecchio, mentre le mani le accarezzavano i capelli. Non aveva lasciato andare la mano di Magnus, che aveva ricambiato la stretta, infondendole tutto il conforto possibile.
Aveva cominciato a biascicare parole incomprensibili, mentre Alec sussurrava “Lo so” ripetutamente, zittendola delicatamente. Alla fine si era addormentata di nuovo, cantilenando un nome, come se fosse una litania. Max.
Alec l’aveva fatta sdraiare sul divano, facendo attenzione a non svegliarla. Magnus era andato in camera per prendere una coperta. Quando era tornato in salotto, Alec era seduto sull’altro divano, la testa tra le mani. Magnus aveva appoggiato la coperta sul corpo di Isabelle, che sembrava così piccola, tutta arricciata, le guance ancora bagnate dalle lacrime.
C’era qualcosa di straordinariamente terribile nel vedere qualcuno solitamente forte così vulnerabile. Lo odiava. Aveva sempre odiate vedere le persone cadere, quando lui, impotente, non poteva salvarle.
“Alec” aveva mormorato, con delicatezza.
Il suo vicino aveva alzato lo sguardo e, tutto d’un tratto, era sembrato esausto, la stanchezza così evidente nei suoi lineamenti che Magnus aveva percepito il suo cuore contrarsi dolorosamente nel petto.
“Balcone” aveva aggiunto, indicando la finestra con un movimento della testa.
Alec lo aveva seguito, prendendo la sigaretta che Magnus gli stava porgendo senza dire una parola, per poi avvicinarsi alla ringhiera. Era così vicino, ma al tempo stesso sembrava lontanissimo, lo sguardo perso nel vuoto. Magnus non aveva fatto domande, non aveva parlato. Gli aveva concesso il tempo di cui aveva bisogno. Alla fine Alec aveva sospirato, prendendo un tiro profondo dalla sigaretta e guardando il fumo svanire nell’aria.
“È solo quel periodo dell’anno” aveva sospirato e Magnus era stato sorpreso dal dolore nella sua voce, pura, incredibile e ruvida tristezza.
“È la stessa cosa che mi ha detto Isabelle, ma non posso dire di capire” aveva risposto Magnus lentamente, avvicinandosi confortevolmente al corpo di Alec. “Va bene, se non vuoi spiegarmelo.”
Alec aveva sorriso, concedendosi un piccolo sorriso, per poi voltarsi a guardarlo.
“Max era nostro fratello” aveva detto alla fine, in un respiro.
Al passato.
Magnus era sobbalzato. Conosceva il sapore di una perdita. E conosceva quell’incomparabile dolore al petto che ti toglie il respiro e ti rende completamente impotente. Sapeva che ti poteva spezzare a metà, rubando una parte di te che non ti avrebbe mai restituito. Ed era esattamente questo che vedeva nei bellissimi occhi blu di Alec.
“Era il più piccolo” aveva continuato, lo sguardo di nuovo perso nel nulla. “È morto. Settimana prossima è il suo compleanno, avrebbe compiuto sedici anni.”
Le frasi erano spezzate a cause del respiro pesante. Si toccava nervosamente le sopracciglia, voltando la testa per tornare ad osservare la sorella addormentata.
“Isabelle è quella che ha reagito peggio” aveva sospirato, apparendo miserabile. “L’abbiamo presa tutti malissimo, ma Izzy…è una persona inflessibile. Non sa controllare le proprie emozioni. Sente più di quanto facciano gli altri.”
Magnus aveva annuito, comprensivo. La prima volta che l’aveva vista, era stato attratto dal fuoco che le bruciava l’anima. Non era sorpreso dal fatto che percepisse tanto intensamente anche il dolore, oltre che alla gioia.
“Mi dispiace” aveva risposto, in un sospiro.
Non aveva mai capito perché le persone si scusassero per il dolore di qualcun altro. Non possono fare nulla a riguardo. L’aveva sentita migliaia di volte, la gente che si scusava per una perdita che non era loro e che non avrebbero mai potuto capire. Dopo la morte di suo padre, a volte questa cosa lo aveva persino fatto arrabbiare. Tuttavia, in quel momento, non era riuscito a trovare altro da dire.
Alec gli aveva sorriso, un sorriso debole, a malapena visibile che non aveva raggiunto anche i suoi occhi. “È la vita, no?”
C’era grande dolore nella sua voce, ma al tempo stesso anche una leggerissima punta di noncuranza, come se avesse ripetuto quelle parole così tante volte da diventare un’abitudine.
“Il fatto che la morte faccia parte della vita non elimina il dolore” aveva sussurrato Magnus.
Alec aveva scrollato le spalle, senza rispondere. Non era mai stata la persona più allegra che Magnus avesse mai incontrato. Era timido, riservato, ma era riuscito ad aprirsi col suo vicino, soprattutto riguardo al lavoro, ai fratelli, quando si incontravano la sera sul balcone per fumare una sigaretta. In quel momento era più chiuso che mai, a kilometri di distanza da lui. Cercava di apparire connesso, ma c’era una tempesta in corso nei suoi occhi, un dolore misterioso e fin troppo profondo. Non si aspettava di essere così empatico nei confronti del ragazzo. Dopotutto, lo aveva incontrato solo un paio di mesi prima.
Nonostante la sua eccentricità e il suo essere socievole, Magnus non si affezionava facilmente. Gli piacevano le persone, gli piaceva socializzare, ma non era mai andato oltre il pettegolezzo o le feste. Amicizia era una parola enorme, qualcosa che non regalava come se niente fosse. Essere amichevoli ed essere amici erano due cose completamente diverse e si era ritrovato a pensare che, volendo, avrebbe potuto inserire Alec nella seconda categoria. Forse era questo il motivo per cui voleva disperatamente farlo tornare a sorridere, per vedere di nuovo i suoi occhi blu illuminarsi e le fossette ai lati della bocca. Forse era anche perché Alec non era mai bello quanto quando sorrideva, ma questa era un’altra egoistica ragione.
“Allora, quel S.O.S del messaggio sembrava piuttosto urgente” aveva detto Magnus alla fine, un piccolo ma grazioso sorriso a giocargli sulle labbra. “Il ragazzo dell’appuntamneto stava cercando di mangiarti o cosa?”
“Mangiarmi?” aveva ripetuto Alec, incredulo.
“Izzy ha fatto una battuta riguardo al chiamarsi Edward e brillare alla luce del sole” aveva detto, canzonandolo.
Alec aveva sbuffato, scuotendo la testa e osservando la sorella ancora addormentata.
“È stato un disastro” aveva poi mormorato, attento a non alzare troppo la voce.
“Che è successo?”
“Stava andando alla grande, fino a quando non siamo stati interrotti…dalla sua fidanzata” aveva spiegato, quasi drammaticamente, un tic al labbro indicava che sarebbe potuto scoppiare a ridere da un momento all’altro.
Magnus aveva fatto un verso sorpreso. “Non è…gay?”
“Credevo di sì” aveva risposto il suo vicino. “Fino a quando non è comparsa. Apparentemente non era a conoscenza della sua tendenza mi-piace-succhiare-cazzi, perché mi ha presentato come un suo collega di lavoro. È andato completamente in modalità ‘no uomini’. Per cui sono semplicemente rimasto seduto a guardare.”
Magnus non era riuscito a trattenere una smorfia, mentre Alec aveva riso sommessamente.
“Mi ha ricordato me prima di fare coming out” aveva continuato. “Uscivo con questa ragazza, Lydia, al liceo. Pensavo fosse normale che non mi sentissi del tutto…attratto da lei, fino a quando non mi sono completamente cotto del mio insegnante di storia.”
“È per questo che ora insegni storia?” lo aveva preso in giro. “Perché ti fa pensare al tuo primo amore?”
Alec aveva cominciato a tossire, indignato. “Non è stato il mio primo amore, solo la mia prima vera cotta.”
Aveva le guance leggermente arrossate, Magnus lo aveva guardato attentamente per qualche secondo, stringendo gli occhi per osservarlo meglio, dal momento che aveva sussultato in modo evidente, e indicandolo in modo accusatorio con un dito.
“Hai definitivamente perso la verginità con il tuo insegnante di storia!” aveva esclamato, ridendo.
Alec era arrossito ancora di più, il calore a diffondersi dal collo alla punta delle orecchie. “Sta’ zitto” aveva borbottato, ma non c’era davvero rabbia in quelle parole. “Avevo diciotto anni, lui era bellissimo. Non sapevo cosa stessi facendo.”
“Oh, non ti sto giudicando” aveva messo in chiaro Magnus, con un sorriso divertito. “È solo sorprendente detto da te.”
“Perché? Perché sembro un venticinquenne vergine?” Alec lo aveva guardato, incrociando le braccia al petto, sulla difensiva.
“Perché non sembri affatto avere una perversione per le autorità”  aveva continuato Magnus, divertito.
Le guance di Alec si erano imporporate di nuovo. “Sei una persona terribile.”
C’era qualcosa nella sua voce, però, una tenerezza che contraddiceva le sue parole.
“Così mi hanno detto” aveva sorriso. “Se ti può far sentire meglio, io ho perso la mia nella doccia di un albergo ad Amsterdam con una donna che aveva il doppio dei miei anni. Era la prima volta che Luke mi permetteva di viaggiare da solo ed era stata una settimana assolutamente…selvaggia. Non so ancora se fosse una prostituta ed ero così fatto che, in quel momento, avrei potuto giurare su Dio di essere ateo.”
Alec era scoppiato a ridere e Magnus non era riuscito a trattenere un sorriso soddisfatto, in seguito al sollievo dovuto all’aver sentito di nuovo quel suono.
“Non mi sorprende affatto, detto da te” aveva risposto con tono derisorio, avvicinandosi alla ringhiera del balcone per guardarlo.
“Perché? Perché sembro un drogato?” aveva ripetuto Magnus. “Era solo erba. Non puoi andare ad Amsterdam e non fumare erba. È la legge.”
Alec aveva riso di nuovo, avvicinandosi e portando la voce ad un tono sommesso e rauco che aveva avuto effetti simpatici sullo stomaco di Magnus. “Perché sembri proprio una persona con una perversione per le docce” aveva detto, in un sospiro, un sorriso provocante a colorargli le labbra.
Magnus aveva spalancato la bocca, senza parole. Stava flirtando con lui? Non che gli desse fastidio, ma aveva flirtato con Alec praticamente tutti i giorni per due mesi e l’altro non gli aveva offerto niente in cambio se non guance arrossite e sguardi confusi. Toccava a lui essere frastornato, ora. Alec lo stava osservando con uno sguardo malizioso e Magnus avrebbe voluto soltanto eliminare la distanza tra di loro e baciarlo fino a rimanere entrambi senza fiato e accesi dal desiderio.
Il momento si era spezzato quando Alec si era schiarito la voce e aveva allontanato gli occhi, a disagio, quasi vergognandosi, come se fosse appena stato sorpreso con le mani in un barattolo di biscotti.
Un silenzio pesante e scomodo era sceso tra di loro. Alla fine era stato Alec a romperlo.
“Grazie per esserti preso cura di lei” aveva detto, tornando a guardare la sorella addormentata. “Non eri costretto.”
“Non l’avrei mai cacciata dal mio appartamento in quello stato” aveva risposto, gentilmente. “E poi mi piace.”
“Non eri comunque obbligato a farlo. Mi dispiace che ti abbia rovinato la serata” aveva aggiunto Alec. “Che stavi facendo, tra l’altro?”
Magnus aveva alzato le spalle. “Niente di importante. Anche questo è stato piacevole.” E lo intendeva sul serio.
Alec si era voltato di nuovo verso di lui, osservandolo attentamente per un attimo. Poi aveva annuito, concordando.
Magnus si era chiesto se potesse leggergli negli occhi quanto intensamente desiderava baciarlo.  



Nda.
Eccomi qui con il nuovo capitolo, con ben tredici giorni di ritardo ma, hei, incolpate la scuola.
Trovo che questo sia uno dei capitoli più belli, con un Alec che, finalmente, si apre senza remore con Magnus, pronto a comprenderlo e, in un certo senso, a condividere il suo dolore. Devo ammettere che, leggendo e poi traducendo, mi sono emozionata moltissimo nel passo in cui si racconta di Max, perchè insomma Max è Max e scommetto qualunque cosa che nessuno, NESSUNO, è riuscito a non piangere leggendo della sua morte nei libri. 
Comunque, vorrei dilungarmi ma c'è mia mamma che continua a chiamarmi da un quarto d'ora, quindi è meglio che vado. Ricordo che il link per la storia originale, permesso dell'autrice e account dell'autrice li trovate nel primo capitolo. Farò di tutto per tornare a pubblicare regolarmente ogni giovedì, ma causa scuola e mese di maggio pieno di verifiche/interrogazioni (come ho detto a qualcuno su wattpad, perchè si sto pubblicando anche su wattpad, esattamente qui) non posso promettervi nulla.
Vi volevo solo far notare la bellezza e l'effetto delle frasi con cui si conclude ogni capitolo e, visto che questa è particolarmente stupenda, ve la lascio anche in inglese, al posto della solita GIF perchè sono in ritardo, che rende il doppio.


«Magnus wondered if he could read in his eyes how much he wanted to kiss him.»


((SPOILER))
Alec aveva borbottato, spostando gli occhi sulla sorella, che si era improvvisamente fatta troppo silenziosa. “Izzy!”
“Cosa?” aveva chiesto, sulla difensiva. “Me lo ha chiesto!”
“Non avresti dovuto dirglielo” aveva risposto Alec, stringendo gli occhi.
“Hai visto i suoi occhi da cucciolo?” aveva protestato la ragazza ad alta voce, indicando in modo accusatorio Magnus, che aveva annuito, molto orgoglioso di se stesso. “Sono umana!”
“Non incolparla” era intervenuto il suo vicino, il sorriso ancora più largo di prima. “Nessuno è immune al mio fascino.”


 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Operation Malec ***


                                                                                                    
 

Capitolo 4

Operation Malec


“For you know that I myself 
am a labyrinth, where 
one easily gets lost.” 
(Charles Perrault)

Alec non aveva mai pensato di essere una brutta persona. Certo, non era un raggio di sole, ma nemmeno uno stronzo. Aveva sempre aiutato gli anziani a portare le borse della spesa; aveva sempre offerto le monetine che aveva con sé ai senzatetto che dormivano nel parco, quando andava a correre; non aveva mai tradito nessuno dei suoi fidanzati, non importa quanto terribili fossero e faceva persino la raccolta differenziata. Insomma, si considerava una persona piuttosto decente.
Poi Magnus Bane era entrato traballante nella sua vita e ora non ne era più così tanto sicuro.
Prima di tutto, aveva cominciato a fumare regolarmente, il che era un brutto vizio, anche se non la ragione principale per cui aveva messo in dubbio la sua moralità. La vera ragione era l’ovvia, sempre più grande e sempre più fastidiosa cotta che si era preso per il suo vicino. Se fosse stata soltanto attrazione fisica, sarebbe riuscito ad ignorarla. Il problema era che era molto più di quello.
Magnus era tanto bello quanto gentile e tanto attraente quanto premuroso. Era entusiasta, interessante, intelligente e indipendente. Sostanzialmente era tutto ciò che Alec aveva sempre cercato in un uomo. Tutto tranne che single.
Ecco, questo era il problema. Aveva una cotta per il suo vicino di casa assolutamente fidanzato, il che lo aveva costretto a mettere in dubbio tutto quello che conosceva di sé.
All’inizio aveva cercato di fare finta di niente, ma non poteva più mentire a se stesso. Erano vicini da cinque mesi e la sua cotta non era affatto diminuita, anzi. Continuava ad aumentare ad ogni momento che passava con lui, sia che si trattasse di una tranquilla chiacchierata sul balcone la sera, sia di una serata film in uno dei loro appartamenti. Si era più volte dovuto costringere a fermarsi dal prenderlo e baciarlo, fino a non avere più fiato.
Non riusciva a capire la relazione di Magnus e Raphael. Erano sorprendentemente in contrasto: Raphael era l’oscurità perfetta per la felicità estatica di Magnus. Battibeccavano in continuazione ed Alec si era chiesto una o due volte se fosse una sorta di preliminari tra i due, ma non aveva mai voluto approfondire più di tanto il pensiero. Non voleva davvero immaginare il suo vicino insieme al suo fidanzato.
Raphael raggiungeva Magnus al suo appartamento circa due volte la settimana e, solitamente, Alec sceglieva quei momenti per andare a correre la sera anziché al mattino. Ultimamente passava la maggior parte del tempo con lui, a volte con Clary o Simon, ma quando Raphael era presenta cercava qualsiasi scusa per rifiutare l’invito di Magnus. Fino a quel giorno, non aveva mai avuto sospetti. Beh, non il suo vicino, per lo meno. Isabelle era sempre stata un’altra storia. 
Voleva bene a sua sorella. Davvero. Era una delle sue persone preferite sulla Terra e avrebbe rinunciato alla sua vita per lei, senza la minima esitazione. Ma, seriamente, poteva essere il suo peggior incubo.
Era sempre stata emotivamente coinvolta nella sua vita sentimentale, sempre a pregarlo per avere qualche informazione e a cercargli un fidanzato. La maggior parte delle volte non gli importava più di tanto, per il semplice fatto che ci aveva fatto l’abitudine. Ma in quel momento, quando non c’era nulla che potesse fare per ottenere l’uomo di cui era cotto, senza diventare una persona più orribile di quanto già non credeva essere, era fastidioso.
Era iniziato tutto così: Isabelle aveva trascorso la notte nel suo appartamento; la sera prima erano usciti, e con usciti intendeva dire che l’aveva praticamente trascinato fuori casa, nonostante le sue proteste, avevano bevuto, ragionevolmente, ma quando erano usciti dal pub era piuttosto tardi, per cui l’aveva invitata a restare nella camera degli ospiti.
Stavano facendo colazione, mangiando poco entusiasti dei cereali, quando la porta d’ingresso si era aperta e Magnus era entrato in cucina, lasciando un mucchio di lettere sul tavolo. Alec si era raddrizzato sulla sedia, ma oltre a ciò non aveva mosso un muscolo.
“Ho ricevuto la tua posta” aveva detto, in saluto, aprendo il frigorifero per prendersi una mela.
“Grazie” aveva semplicemente risposto. 
Non ricordava di aver dato a Magnus la chiave per aprire la sua cassetta postale, ma non importava se ciò poteva risparmiargli una passeggiata nel corridoio, dove incontrava l’anziana signora del primo piano, Mrs. Rollins, che solitamente gli parlava per più di un’ora. Era troppo gentile per fermarla. Magnus invece le parlava con gioia, il che non era affatto sorprendente. 
Il suo vicino si era seduto accanto ad Isabelle, masticando la mela, assorto nei suoi pensieri.
“Allora, avrei un favore da chiederti” aveva dichiarato innocentemente, sebbene i suoi occhi dicessero tutto il contrario.
“Chiedi e vediamo se varrà il mio tempo” lo aveva preso in giro Alec, bevendo un sorso di caffè.
“È troppo presto perché tu possa essere così sfacciato” aveva risposto Magnus, avvicinandosi per pizzicargli una mano. 
Alec si era lamentato rumorosamente, allontanandola subito.
“Ho deciso di riarredare” aveva annunciato solennemente il suo vicino. “E ho comprato un tappeto persiano meraviglioso su Internet, ma la consegna non era compresa quindi ho bisogno che qualcuno mi accompagni al negozio. Tu hai una macchina. Fai due conti.”
“Dove cavolo lavori per poterti permettere di riarredare tutti i mesi?” era intervenuta Isabelle, lanciandogli uno sguardo incredulo.
“Se te lo dico poi vi devo uccidere e mi piacete abbastanza, quindi non intraprendiamo questo discorso” aveva risposto Magnus, scherzoso.
Dopo cinque mesi da vicini, Alec non era ancora riuscito a far parlare Magnus del suo lavoro. Sempre se ne aveva uno.
“Perché non chiedi a Raphael? Ha una macchina” aveva risposto Alec, stroncando immediatamente il tentativo di sua sorella di immischiarlo in quella storia. 
“Perché dovrei chiedere a Raphael?”aveva detto Magnus, sembrando realmente sorpreso, quasi offeso. “È un viaggio di quaranta minuti e tu sei una compagnia molto migliore.” Si era avvicinato, scuotendo la testa per incontrare gli occhi di Alec con il suo sguardo supplicante. “Ti prego?”
“E va bene” aveva borbottato, facendo del suo meglio per apparire esasperato, anche se, in realtà, c’era un piccolo sorriso che giocava sulle sue labbra e tradiva le sue vere emozioni. “Ma stasera mi offri la pizza.”
“Sei una meraviglia, Alexander Gideon Lightwood” aveva sorriso Magnus, tornando alla sua sedia. 
Il suo sorriso era così sincero e luminoso che lo stomaco di Alec si era quasi attorcigliato dolorosamente.
“Non usare mai più il mio nome completo o giurò che ti ucciderò mentre dormi” aveva detto, imperturbabile, facendo di tutto per apparire minaccioso. Aveva fallito. “Come fai a conoscere il mio secondo nome, tra l’altro?”
Magnus aveva sorriso e incrociato le braccia al petto, scuotendo la testa in negazione. “Non te lo dirò mai.”
Alec aveva borbottato, spostando gli occhi sulla sorella, che si era improvvisamente fatta troppo silenziosa. “Izzy!”
“Cosa?” aveva chiesto, sulla difensiva. “Me lo ha chiesto!”
“Non avresti dovuto dirglielo” aveva risposto Alec, stringendo gli occhi.
“Hai visto i suoi occhi da cucciolo?” aveva protestato la ragazza ad alta voce, indicando in modo accusatorio Magnus, che aveva annuito, molto orgoglioso di se stesso. “Sono umana!”
“Non incolparla” era intervenuto il suo vicino, il sorriso ancora più largo di prima. “Nessuno è immune al mio fascino.”
Alec aveva sbuffato, alzando un sopracciglio, dubbioso. Magnus gli aveva fatto un occhiolino, giocoso, e lui era arrossito, tornando a concentrarsi sui suoi cereali. Dannazione.
“Comunque, devo andare” aveva affermato, alzandosi. “Il mio tappetino da yoga mi sta aspettando e ho promesso a Guadalupe che sarei passato per pranzo. Izzy, puoi unirti a me. Ti direi lo stesso, Alexander, ma il tuo glorioso te stesso mi distrarrebbe e, con glorioso te stesso, intendo il tuo sedere in pantaloni da yoga.”
Alec si era quasi strozzato con i cereali ed era diventato bordeaux.
“Non che il tuo non sia distraente, Izzy, ma beh…” si era fermato con un movimento altezzoso e grazioso della mano.
“Grazie. Chi è Guadalupe?” aveva chiesto Isabelle, con un sorriso, lanciando uno sguardo ammiccante al fratello, ancora completamente rosso.
“La madre di Raphael. Ovviamente mi ama” aveva risposto Magnus, con aria di sufficienza. “Ma, di nuovo, è solo il mio fascino naturale.”
Aveva mandato loro un bacio volante. “Alexander, passo a prenderti più tardi per la nostra piccola gita.”
“Guido io, quindi tecnicamente, passerò io a prendere te” aveva detto Alec, indifferente. “Sono felice che nessuno sia mai stato tanto pazzo da darti la patente.”
“Questa era cattiva e superflua, Gideon.” Magnus si era fermato di fronte alla porta e si era voltato per mettere il broncio alle sue parole. Aveva evitato agilmente, ridacchiando, il cucchiaino che Alec gli aveva lanciato addosso quando aveva usato il suo secondo nome. “Congratulazioni Isabelle, sei appena diventata la mia Lightwood preferita.”
“Perché prima non lo ero?” era intervenuta, con un sorriso giocoso. 
“No, ho paura che fosse Gideon, prima. Ha questi meravigliosi occhi blu che mi rendono debole” aveva risposto Magnus, maliziosamente. “Ci vediamo dopo!”
E all’improvviso, se ne era andato. Alec aveva sbuffato, scuotendo la testa di fronte alle buffonate del suo vicino, prima di tornare a concentrarsi sui suoi cereali, un sorriso felice a coronargli le labbra. Ci aveva messo qualche secondo per rendersi conto che la sorella lo stesse fissando.
“Cosa c’è?”
“Quando gli chiedi di uscire?” gli aveva domandato, sorridendo ampiamente.
Alec aveva ansimato, alzando gli occhi al cielo, senza rispondere.
“Avanti, non dirmi che non c’è niente tra di voi!” aveva continuato, indicandolo in modo accusatorio. “Se non fossi stata qui, ti avrebbe sicuramente inchiodato al tavolo per mettere in atto i suoi atteggiamenti perversi con te!”
Alec era arrossito e, seriamente, era troppo grande per arrossire così spesso. Neanche ai sedicenni succedeva così tanto. 
“Isabelle” aveva borbottato, in avvertimento.
“Seriamente, sta flirtando con te e –“
“Isabelle, lascia perdere e basta” l’aveva fermata, un po’ più aggressivamente di quanto intendesse fare. 
La ragazza aveva spalancato la bocca e lo aveva fissato per un minuto, sorpresa. Non voleva essere così rude, ma non era riuscito a trattenersi. Non voleva illudersi. Se lo era vietato, senza eccezioni. Non poteva farlo, non quando Magnus era così irrimediabilmente fidanzato. Sì, era piuttosto sicuro che avesse flirtato con lui in diverse occasioni, ma Magnus flirtava sostanzialmente con chiunque. Questo era uno dei motivi per cui la signora del primo piano si intratteneva spesso con lui: aveva notato che erano, in un qualche modo, amici e le piaceva dirgli quanto Magnus fosse affascinante. Come se non lo sapesse.
Isabelle non aveva insistito oltre, ma aveva continuato a guardarlo con occhi consapevoli e un piccolo sorriso, che compariva sempre quando progettava qualcosa che sapeva Alec non avrebbe approvato. Era davvero preoccupante.
 
***

 “Avevi detto che era la prossima curva sulla destra!” aveva borbottato Alec, osservando esasperato il suo compagno di viaggio.
“Sì, beh, mi sbagliavo! Perché mi ascolti ancora? Sai che il mio senso dell’orientamento è pari a zero!” aveva risposto furtivamente Magnus.
“Oh, quindi ora è colpa mia perché ti ho ascoltato?” aveva protestato ad alta voce.
“Sì. Sei tu quello responsabile. Dovresti sapere queste cose meglio di me” aveva replicato Magnus, ostinatamente, incrociando le braccia. 
“Non so nemmeno dove stiamo andando!” aveva controbattuto Alec. “Avevi detto di aver guardato una mappa prima di partire!”
“Accostiamo e chiediamo a qualcuno” aveva sospirato, indicando una coppia che camminava in fondo alla strada. 
“Non chiederò informazioni a loro, sembrano serial killers!”
“Oddio, sei uno di quelli che si rifiuta di chiedere indicazioni?” aveva sospirato Magnus, la voce rauca per la frustrazione.
“Quando le persone cui devo chiederle potrebbero uccidermi, direi di sì” aveva risposto, tagliente. 
 “Smettila di giudicare! Sono sicuro che siano persone molto disponibili.”
“Ah sì? Va bene, allora” aveva detto, imperturbabile, mordendosi il labbro stizzosamente. 
Aveva girato, accostando proprio di fianco alla coppia, che stava ancora passeggiando. Aveva abbassato il finestrino, avvicinandosi per parlare.
“Scusate?”
La coppia si era fermata e i due si erano voltati verso la macchina con un movimento perfettamente sincronizzato. Erano entrambi alti e vestiti come se stessero tornando direttamente dal Medioevo. La donna indossava una lunga gonna marrone e una camicetta grigia completamente abbottonata e persino Alec, il peggior esperto di moda, era riuscito a capire che fosse un accostamento terribile. L’uomo era molto più alto di lei e indossava un completo marrone che aveva, senza ombra di dubbio, visto giorni migliori. Portavano entrambi una spilla con la scritta “pro-life” e un crocefisso al collo. Sembravano usciti da un film horror. 
“Merda” aveva sussurrato Magnus, al suo fianco. “Okay, ritiro tutto quello che ho detto. Andiamocene.”
“Non posso andarmene così. Mi sono fermato e li ho chiamati” aveva protestato Alec, a bassa voce, girandosi per fronteggiarlo.
“Non mi interessa. Parti. Mi danno i brividi“ aveva ordinato Magnus, scuotendo la testa e rifiutando di sporgersi.
L’uomo si era avvicinato. “Sì?” Aveva una terribile voce nasale.
Magnus si era avvicinato al cambio, quasi sdraiandosi sul petto di Alec, per parlare all’uomo. Alec si era congelato sul posto. Era estremamente vicino ad una parte molto sensibile del suo corpo.
“Mi scusi” aveva esclamato Magnus, sorridendo presuntuoso. “Il mio fidanzato si è perso sulla strada per la clinica dell’aborto, dove dovremmo incontrare sua sorella, una femminista che è stata messa incinta da un ragazzo con cui ha scopato in un’orgia. Dio, i giovani di oggi. Capisce cosa intendo?”
“Ti odio” aveva borbottato Alec, premendo il piede sull’acceleratore. La macchina si era allontanata immediatamente.
“Dio vi punirà!” stava urlando l’uomo, dietro di loro, alzando il pugno in aria con rabbia.
Non appena la figura era sparita dallo specchietto retrovisore, Alec si era voltato verso Magnus, che si stava mordicchiando le labbra per non scoppiare a ridere.
“Mi dispiace. I fanatici sono il mio punto debole. Non posso comportarmi bene con loro nei paraggi” aveva detto, ma non sembrava per niente dispiaciuto.
“Oh perché di solito ti comporti bene, invece?” aveva risposto Alec, alzando gli occhi al cielo.
Magnus aveva riso. Ci avevano messo un’altra mezz’ora per trovare il negozio.
 
***
“Isabelle?” 
Simon era entrato nell’appartamento di Alec cautamente. Aveva incontrato i fratelli Lightwood piuttosto spesso da quando Magnus si era trasferito, soprattutto il più grande, che sembrava vivere praticamente nell’appartamento del vicino, tuttavia lui non aveva mai visitato il suo.
Quando aveva ricevuto un messaggio da Isabelle, che le chiedeva di raggiungerla il prima possibile, si era sorpreso e la curiosità era così tanta che non era riuscito a trattenersi. Oltre a ciò, non era in grado di dire di no quando una ragazza attraente gli chiedeva di incontrarla. Era umano.
“Sono qui!” gli era giunta la voce di Isabelle.
Si era spostato in salotto e l’aveva trovata seduta sul divano del fratello con uno sguardo assorto. Era ancora più bella di quanto ricordasse. 
“Uhm…mi hai scritto per cui, eccomi” aveva borbottato, passando una mano nei capelli già scompigliati.
“Siediti” gli aveva ordinato, senza dargli la possibilità di ribattere. “Dobbiamo parlare.”
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” aveva chiesto, attentamente. Non riusciva a pensare a niente in particolare, specialmente nei suoi confronti, anche perché lei lo aveva per lo più ignorato ogni qual volta si trovassero nella stessa stanza. Non la incolpava per questo, d’altronde non erano affatto allo stesso livello.
“No” lo aveva fermato, alzando gli occhi al cielo sentendolo così preoccupato. “Mi serve il tuo aiuto.”
“Okay” aveva risposto, insicuro persino alle sue stesse orecchie. “Con cosa?”
“Magnus e Alec” aveva dichiarato, come se fosse una cosa ovvia.
“Stanno bene?” le aveva chiesto, perché il suo tono suggeriva tutt’altro.
“Sì, sì” aveva annuito, toccandosi il mento con una mano. “Dobbiamo assolutamente fare qualcosa.”
“Fare qualcosa tipo?” aveva continuato a chiedere. “Non sono sicuro di seguirti, stai facendo l’enigmatica.”
“Qualcosa riguardo alla più che ovvia tensione sessuale tra di loro!” aveva esclamato Isabelle, impazientemente.
Reagendo in modo ritardato, Simon aveva alzato un sopracciglio alle sue parole. Isabelle aveva sospirato profondamente prima di voltare lo sguardo spazientito verso di lui.
“Non dirmi che non lo hai notato.”
Simon si era preso qualche secondo per pensare a come rispondere e si era poi proteso in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. 
“Isabelle –“
“Izzy” lo aveva interrotto.
“Izzy” aveva ricominciato, con voce dolce ma ferma. “Conosco Magnus Bane da quando aveva nove anni ed io quattro. Da circa vent’anni, quindi. In tutti questi anni ho imparato alcune regole da seguire, quando si tratta di lui. Primo: non criticare il suo modo di vestire. Secondo: non cercare di farlo smettere di bere o di fumare, perché ti prenderà a pugni. Anche se molto probabilmente ti mancherebbe. Terzo: a volte si comporta da stronzo, ma sotto tutti questi strati di glitter e arroganza è una persona meravigliosa. E, per ultimo: non ti immischiare nella sua vita sentimentale perché finirà davvero malissimo. E, in più, ti prenderà a pugni.”
Isabelle era consapevole del fatto che, molto probabilmente, dietro quelle parole c’era una lunga storia, ma non le interessava. Simon aveva avuto qualche problema a respirare, quando lei lo aveva guardato, mordendosi le labbra infastidita. Era come se la stessa annoiando. Simon non ne era sorpreso; era la risposta che otteneva sempre da ragazze attraenti. 
“Ce ne sono altre, ma queste sono le più importanti” aveva aggiunto Simon, grattandosi nervosamente un ginocchio.
“Non mi prenderebbe mai a pugni” aveva risposto Isabelle, con sicurezza.
“Sono meravigliato dal fatto che questo sia il dettaglio che più hai colto.”
“Beh, sono abbastanza meravigliosa” aveva risposto con un sorriso.
Simon non poteva di certo controbattere.
“Okay” aveva sospirato alla fine. “Vedila in questo modo: tu non sarai coinvolto nella vita sentimentale di Magnus, ma in quella di mio fratello.”
L’aveva guardata sbattendo le palpebre. Era davvero irremovibile.
“Forse è anche peggio” aveva detto Simon. “Non lo conosco nemmeno bene.”
“Simon, farò qualcosa a prescindere dal fatto che tu decida di aiutarmi o no” aveva affermato, finendo. C’era qualcosa nei suoi occhi che lo faceva sentire piccolo. “Ma preferirei che mi aiutassi, perché ho bisogno di qualcuno che conosca Magnus.” 
Si era appoggiata allo schienale del divano, i capelli neri le scivolavano lungo le spalle. “E pensavo che sarebbe anche una buona occasione per conoscerci meglio. Avrei potuto chiedere a Clary o al tipo irritabile.”
Simon sapeva che si stava riferendo a Raphael. Ogni qual volta qualcuno che conosceva diceva la parola irritabile, si riferiva a lui.
Lo stava guardando, gli occhi scuri quasi supplicanti, ma un sorriso sulle labbra indicava che sapeva benissimo cosa stava facendo. Simon non era mai stato bravo a dire di no alle belle ragazze e Isabelle era sostanzialmente la più bella di tutte.
Aveva sospirato, combattuto, e infine aveva annuito lentamente.
“Fantastico!” aveva esclamato, felice. “La chiameremo Operazione Malec. Missione numero uno: dobbiamo far ubriacare Alec. È proprio una puttanella da sbronzo.”
Simon si stava già pentendo di quella decisione.
 
***
 
Un tappeto non sarebbe dovuto essere così pesante, aveva pensato Magnus, mentre lui e Alec appoggiavano il suo ultimo acquisto sul pavimento. Si erano lasciati cadere di schiena sul pavimento, nel mezzo della stanza, con il respiro pesante. Alec aveva voltato la testa per guardarlo in modo accusatorio.
“Gideon, non puoi incolparmi per il peso del tappeto” aveva detto Magnus prima ancora che il suo vicino avesse il tempo di aprire la bocca. “Non pensavo sarebbe stato così pesante.”
“Oh, invece ti posso incolpare eccome” aveva borbottato l’altro, irascibile. “Doveva essere un viaggetto da due ore. Siamo partiti alle tre, circa. E ora sono le otto.”
“Okay, dammi pure la colpa. Ma non ti aspettare che ti offra la pizza se continui a tenermi il muso.”
Alec aveva sbuffato e gli angoli della bocca si erano piegati verso il basso. Magnus aveva sorriso, soddisfatto. 
La situazione sarebbe potuta sembrare strana, soprattutto perché erano ancora sdraiati sul pavimento ad osservarsi impacciatamente, ma a Magnus piaceva. Era rilassante. Inoltre la compagnia era tanto bella quanto simpatica. La facilità con cui riusciva ad annegare nel blu profondo degli occhi di Alec faceva quasi paura, ma non riusciva a trovare alcuna ragione per non farlo. Perdersi nei suoi occhi era sempre un ottimo metodo per allontanarsi dal resto del mondo.
Erano vicini e a Magnus sarebbe bastato spostarsi di pochi centimetri, se avesse voluto baciarlo e Dio, quanto lo voleva. Aveva abbassato lo sguardo sulle labbra fin troppo invita tanti di Alec e, seriamente, chi lo avrebbe fermato più?
Alec. Alec lo aveva fermato. Si era schiarito la voce e, accigliandosi, si era appoggiato sui gomiti, guardando con un sopracciglio alzato la parete che separava i loro appartamenti.
“Lo senti?” aveva chiesto, la fronte corrugata per la confusione.
Magnus era infastidito perché avevano condiviso un momento dolce che era, però, stato interrotto rudemente, ma al tempo stesso era perplesso perché sentiva dei rumori provenire dall’appartamento del suo vicino. Aveva annuito e Alec, preoccupato, si era sollevato, seguito subito dopo da Magnus. Avevano attraversato traballanti il corridoio e Alec aveva frugato nelle tasche per cercare la chiave, realizzando infine che la porta era già aperta.
Si era voltato a guardare Magnus e aveva appoggiato una mano sulla sua spalla, protettivo.
“Sta’ indietro” aveva sussurrato.
Era entrato lentamente, pronto per fare a botte con qualcuno. Aveva le spalle tese ed era leggermente piegato in avanti, quasi come se fosse sicuro di doversi abbassare per evitare un colpo. Una delle sue mani era ancora appoggiata a Magnus, per proteggerlo, e Magnus non aveva mai avuto bisogno di protezione, essendo sempre stato in grado di prendersi cura di sé, ma quel gesto lo aveva comunque fatto sentire amato. Nonostante il nervosismo dovuto alla situazione, non riusciva a non sorridere per la dolcezza di Alec Lightwood.
“Che cazz–“
Alec si era fermato, la bocca spalancata per lo shock. Avevano raggiunto il soggiorno, che era pieno di persone, la maggior parte delle quali sconosciute. Erano disseminate in tutta la stanza e sul balcone e avevano bicchieri di carta rossi in mano. C’era una musica leggera di sottofondo, non tanto alta da infastidire i vicini.
Magnus aveva osservato, tanto sbigottito quanto Alec, che nessuno prestava loro attenzione, poiché troppo impegnati a chiacchierare, ridere e divertirsi. 
“La uccido” aveva borbottato Alec a denti stretti, gli occhi che cercavano qualcuno di preciso tra la folla. 
Finalmente si erano fermati su una figura slanciata, sul balcone, e Magnus aveva facilmente riconosciuto i capelli neri e selvaggi di Isabelle. Alec le si era avvicinato, i passi sicuri, ma al tempo stesso tesi a causa della rabbia. Magnus lo aveva seguito, facendo lo slalom tra la gente.
“Izzy!” aveva urlato il suo vicino, una volta fuori. “Che cazzo sta succedendo?”
Sembrava sorpresa di vederlo lì, ma si era subito riscossa.
“Sorpresa!” aveva esclamato, più entusiasta del necessario, tanto che Magnus aveva sollevato un sopracciglio, sorpreso. Aveva proprio una faccia tosta ed era anche per questo che la adorava.
“Per essere una sorpresa, è proprio una bella sorpresa” aveva ringhiato Alec, muovendo la mano verso la folla di gente che ancora occupava il suo appartamento.”Ti dispiacerebbe spiegarmi per quale motivo ci sono circa una ventina di completi sconosciuti nel mio salotto?”
“Stiamo festeggiando!” aveva esclamato di nuovo, un largo sorriso sul volto. “Casa mia è troppo piccola, per cui eccoci qui! E non sono tutti sconosciuti, ci sono anche Simon, Clary e Jace.”
“E cosa staremmo festeggiando?” aveva borbottato Alec, arrabbiato.
Magnus aveva osservato con interesse le sue iridi blu scurirsi per la rabbia e il suo corpo tendersi. Non avrebbe dovuto pensare che fosse sexy, ma era debole, da questo punto di vista, e non era riuscito a resistere.
“Leo che ha finalmente vinto un Oscar, ovviamente!” aveva risposto, scuotendo il drink che teneva in mano.
Magnus si era dovuto mordere un labbro per non scoppiare a ridere. Alec aveva spalancato la bocca per la seconda volta e aveva guardato la sorella, sorpreso, come se le fosse spuntata una seconda testa. Avrebbe potuto individuare l’esatto momento in cui aveva lasciato perdere, arrendendosi: aveva rilassato le spalle e rilasciato un sospiro profondo, scuotendo la testa rassegnato. 
“Beh, se vuoi saperlo, è una ragione abbastanza buona per organizzare una festa” era intervenuto Magnus, sorridendo.
Isabelle gli aveva sorriso a sua volta, porgendogli un bicchiere che aveva accettato volentieri. Alec lo aveva fissato.
“Per te ogni ragione sarebbe valida per organizzare una festa” lo aveva accusato, anche se il tono di voce si era completamente svuotato della rabbia. “Il mese scorso hai organizzato un party per i sei mesi del tuo gattino. Il che non ha alcun senso.”
“Hey!” aveva protestato Magnus, sembrando veramente offeso. “Stai per caso dicendo che Chairman Meow non merita il meglio?”
“Sto soltanto dicendo che è un gatto” aveva commentato Alec, impassibile. “Non apprezza queste cose. E, tra l’altro, si è nascosto nel mio appartamento per tutta la serata.”
Magnus, a quelle parole, aveva messo il broncio, da perfetto uomo adulto qual era. 
“Perché devi fare sempre il guastafeste?” si era lamentato, bevendo un lungo sorso del suo drink. 
Era Rum, il suo preferito.
“E in realtà Chairman ne era davvero felice. Non ha pianto per tutta la settimana successiva, quando il cane del vicino abbaiava.”
“Se questo ti farà sentire meglio…” aveva detto Alec, le labbra che fremevano per il divertimento.
Dopodiché si era voltato di nuovo verso Isabelle, che li stava guardando attentamente. C’era qualcosa in quei suoi occhi scuri. Sembrava più fiera e scaltra del solito. E non era affatto rassicurante.
 
***

La mattina dopo Isabelle si era svegliata nella stanza degli ospiti a casa di suo fratello. Non aveva bevuto più di tanto, per cui ci mise relativamente poco ad alzarsi dal letto. Aveva fatto una doccia e indossato i vestiti che aveva preparato il giorno prima, sentendosi immediatamente pronta ad affrontare la giornata. Ma prima di tutto doveva controllare se il loro piano avesse funzionato. Aveva lasciato Alec e Magnus da soli, ad un certo punto, quando avevano cominciato a flirtare tanto che le era venuta la nausea e suo fratello era abbastanza ubriaco. 
Aveva attraversato lentamente il corridoio, per poi aprire il più silenziosamente possibile la porta della camera di Alec. 
Suo fratello stava ancora dormendo, il petto nudo che si alzava e abbassava allo stesso ritmo del suo respiro. C’era una figura indistinta e accovacciata tra le coperte, vicino a lui, ma nonostante riuscisse a vedere soltanto i capelli scuri, lo aveva riconosciuto. Si era morsa le labbra per fermare il pianto dovuto alla vittoria e aveva poi chiuso la porta alle sue spalle, spostandosi in punta di piedi in cucina.
Simon era già lì e stava bevendo un caffè a piccoli sorsi, le sopracciglia corrugate a causa di quello che sembrava dolore. 
“La testa mi sta uccidendo” aveva detto, dopo averla vista. “Ho bevuto troppo. Ho fatto qualcosa di imbarazzante?”
“Beh, potresti essere tolto la maglia, ad un certo punto, perché avevi troppo caldo dopo aver ballato così tanto” aveva risposto, con un sorriso. “Congratulazioni per quegli addominali, comunque! Non me lo aspettavo.”
Simon aveva sbattuto la testa contro il tavolo, borbottando. “Voglio morire.”
“Non essere così melodrammatico” lo aveva preso in giro. “È stato divertente. Sei proprio come Alec, dovresti lasciarti andare un po’ di più, di tanto in tanto.”
Si era avvicinata, appoggiando entrambe le mani sul ripiano. “Parlando del mio caro fratellone” aveva aggiunto, la voce che si era abbassata fino a diventare un sussurro. “L’Operazione Malec è stata un successone! Stanno ancora dormendo entrambi in camera di Alec.”
Si stavano per battere il cinque quando la porta d’ingresso dell’appartamento si era aperta. Si erano guardati spaesati e confusi, quando Magnus era entrato, con in mano una scatola della pasticceria alla fine della strada. Indossava uno dei suoi soliti strani outfits eccentrici, ma erano indubbiamente vestiti diversi da quelli che aveva la sera prima. Sembrava che avesse fatto la doccia e il trucco era perfetto.
“Ho comprato le ciambelle” aveva esclamato, allegro. “Ho pensato che foste affamati.”
“Da dove arrivi?” aveva chiesto Isabelle, gli occhi spalancati per la perplessità.
“Uhm…da casa mia?” aveva risposto Magnus, con un sorrisino. “Hai bevuto tanto da dimenticare che vivo nell’appartamento qui accanto?”
“No, no, no” aveva detto, scuotendo la testa. “Non saresti dovuto essere nel tuo appartamento, ma in –“
Si era fermata, guardando Simon in panico. “Se tu sei qui, chi –“
Questa volta era stata interrotta da Alec, che era entrato in cucina, sfregando gli occhi ancora assonnati con le mani. Era andato dritto da Magnus. 
“Dio, ti amo così tanto in questo momento” aveva borbottato, prendendo una ciambella e morsicandola subito. “Sto morendo di fame.”
Magnus aveva riso e preso una ciambella per sé, sedendosi al tavolo della cucina, mentre Alec si versava una tazza di caffè. Isabelle aveva continuato a spostare lo sguardo sorpreso dall’uno all’altro.
“Chi è quel tipo nel tuo letto?” aveva sputato, puntando un dito verso il fratello, prima che riuscisse a fermarsi. Non che lo avrebbe fatto, in ogni caso.
Alec si era quasi strozzato con il caffè ed era arrossito.
“Izzy!”
“Cosa? L’ho visto. Allora, chi è?” 
Dal suo tono aveva capito che lo avrebbe infastidito fino a quando non glielo avesse detto, era stanco e stava ancora facendo i conti con i postumi della sbornia per litigare con lei su una questione del genere.
“Si chiama Alaric” aveva risposto con un sospiro rassegnato, arrossendo di nuovo. “Dovresti saperlo, lo hai invitato tu” aveva aggiunto, con uno sguardo superiore.
“Alec, diventi una troia quando ti ubriachi!” aveva urlato Isabelle, accusatoria.
La faccia del fratello, se possibile, era diventata ancora più rossa. “Isabelle!”
Aveva sibilato a causa di quella crisi di nervi, alzando una mano per massaggiare le tempie doloranti. 
Non aveva risposto, ma aveva fissato Simon incredula e lui aveva ricambiato. Dal suo posto, Magnus aveva sbuffato, senza dire una parola, guardando la sua ciambella come se in essa fossero nascoste le risposte a tutti i segreti del mondo.
Beh, la Missione Uno dell’Operazione Malec era stata un completo fallimento.



Nda.
Eccomi qui! Dopo quasi un mese (sigh), ce l'ho fatta. Come avevo già detto nel Nda. del capitolo precedente e in risposta a diversi commenti su wattpad (exactly here), purtroppo sono piena di verifiche/interrogazioni/compiti per la fine del pentamestre e non ho cinque secondi di tempo libero. Ora che mi sono liberata della maggior parte sono finalmente riuscita a concludere la traduzione di questo capitolo. Molto probabilmente la pubblicazione riprenderà a seguire il suo normale corso e quindi vi troverete gli ultimi quattro (eh già) capitoli della storia ogni giovedì. Può darsi che settimana prossima sbalzi, perchè ho ancora due verifiche importanti questa settimana, ma penso di farcela (in caso contrario, sappiate che mi scuso già da ora). Comunque, passando al capitolo, abbiamo un Alec (amore) che dichiara ufficialmente a se stesso di essersi preso una bella sbandata per lo stregone e, devo ammetterlo, l'Alec di questa storia mi fa una tenerezza incredibile. Uuh, tra l'altro l'altro giorno ero in libreria e ho visto la nuova edizione di Shadowhunters (molto bella, andate a cercarvela se non l'avete ancora vista!) e, visto che sono estremamente masochista, ho preso in mano Città delle Anime Perdute e mi sono riletta la parte in cui i Malec si lasciano. Mi sono letteralmente messa a piangere in libreria, che figure. Basta divagare, Ilaria. Allora, in questo capitolo non abbiamo passi importanti, se non quello sopracitato e...oh, il fatto che l'innocente Alec finisca a letto con uno sconosciuto, di cui, per lo meno (tira un sospiro di sollievo), ricorda il nome. Adoro il "ti amo così tanto, in questo momento" di Alec a Magnus quando quest'ultimo porta i donuts perchè sì, ho fangirlato troppo, lo ammetto.
Mi fermo perchè questo Nda. sta diventando più lungo del capitolo! 
See you next week (possibly!)
Come sempre vi lascio con una gif, questa volta dei Sizzy dai, e lo spoiler:)
I. xx



(SPOILER)


“Dobbiamo parlare dell’Operazione Malec.”
[…]
“La prima missione è stata chiaramente un disastro” aveva risposto Simon, come se fosse un dato di fatto, bevendo un sorso del suo caffè. “Non credo che dovremmo insistere.”
Isabelle aveva sbuffato e alzato gli occhi al cielo. “Dobbiamo organizzare una serata in un posto festoso, ma abbastanza intimo, così che possano trovare un angolino tranquillo per limonare.”
Era come se lui non avesse detto nulla.



 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Life or Death ***



 

Capitolo 5.

Life or Death

 
“If you want to keep a secret,
you must also hide it from yourself.” 

(George Orwell)
 
 
“Dobbiamo parlare dell’Operazione Malec.”
Simon non era riuscito a trattenere un sospiro. La Missione Uno era stata un totale fallimento, per cui credeva che Isabelle avrebbe lasciato perdere e basta. Questo si chiama sottovalutare la sua caparbietà. Quando gli aveva chiesto di incontrarsi per un caffè, sapeva che non era soltanto per la sua bellissima compagnia, anche se ci aveva sperato un po’. Avrebbe dovuto pensarci meglio, al posto di illudersi troppo.
“La prima missione è stata chiaramente un disastro” aveva risposto Simon, come se fosse un dato di fatto, bevendo un sorso del suo caffè. “Non credo che dovremmo insistere.”
Isabelle aveva sbuffato e alzato gli occhi al cielo. “Dobbiamo organizzare una serata in un posto festoso, ma abbastanza intimo, così che possano trovare un angolino tranquillo per limonare.”
Era come se lui non avesse detto nulla.
“Izzy, non è una buona idea” aveva riprovato. “Non abbiamo fatto proprio un bel lavoro la prima volta.”
“Perché siamo stati abbastanza stupidi da credere che avrebbero fatto tutto da soli” aveva risposto, guardandolo dritto negli occhi, come se lo stesse vedendo per la prima volta da quando gli si era seduta di fronte.
Si era spostato un po’ sulla sedia, sfregando nervosamente il pollice sulla tazza. “Va bene, ma se va male anche questa volta, non ci sarà un terzo tentativo. Okay?”
“Vedremo.”
 
***
 
Il Taki’s dinner era un ristorante nel cuore di Manhattan. Era frequentato da gente proveniente da tutta New York, sia dai giovani ricchi e viziati dell’Upper East Side, sia dai ragazzi di Harlem che cercavano una distrazione. Era economico e il cibo era deliziosamente fantastico. Il sabato sera era così pieno che ci si poteva muovere a malapena, ma il venerdì si riusciva almeno a respirare e questo era l’unico motivo per cui Alec aveva acconsentito a lasciarsi trascinare lì dopo il lavoro.
In realtà Jace non gli aveva lasciato molta scelta. Lo aveva aspettato nel parcheggio del campus, fermo vicino alla sua macchina.
“Andiamo a mangiare un hamburger e poi usciamo” aveva affermato, senza lasciare spazio alle negazioni. “Spero che il tuo fegato sia resistente perché berremo di brutto.”
Alec aveva lanciato uno sguardo al fratello e, dopo aver visto la determinazione illuminare i suoi occhi dorati, aveva sospirato e abbassato le spalle, sconfitto.
Perciò, eccolo lì.
Isabelle era seduta alla fine del tavolo con Clary ed erano entrambe sporte l’una verso l’altra, sussurrando e ridacchiando per solo Dio sa che cosa. Si era chiesto quando fossero diventate così amiche, per giungere alla conclusione che probabilmente era semplicemente successo, come tra lui e Magnus.
Clary e Jace avevano avuto qualche appuntamento, dopo aver chiarito quel famoso fraintendimento, ma non stavano ancora insieme ufficialmente ed Alec stava davvero cominciando a stancarsi delle lamentele del fratello. Al tempo stesso, però, era grato, perché Clary riusciva a tenere Jace sulla giusta carreggiata ed era rilassante potersi prendere un po’ di pausa da tutto quel fare da babysitter. In sostanza, aveva diverse sensazioni riguardo alla loro relazione, ma non voleva impicciarsi troppo.
Jace era di fronte a lui, mentre Simon era seduto di fianco ad Alec, che sorseggiava la sua birra in attesa di ordinare la cena, e stava fissando Isabelle con uno sguardo che aveva portato Alec a corrugare le sopracciglia, senza però dire alcuna parola. Se Simon voleva volare troppo in alto, raggiungere il sole e bruciarsi le ali, non toccava a lui fermarlo. E Isabelle era più che in grado di prendersi cura di sé.
Stava contemplando l’idea di schioccare le dita di fronte agli occhi di Simon, quando erano arrivati Magnus e Raphael, che si erano fermati al loro tavolo. Magnus aveva tirato una gomitata a Jace così che si spostasse per lasciare dello spazio. Il biondo li aveva accontentati, riservando poi loro uno sguardo privo di interesse.
Alec aveva dovuto distogliere lo sguardo dal suo vicino perché era davvero più attraente del solito e anche perché era col suo fidanzato, pertanto non poteva farsi cogliere in fallo. Era quasi da criminali, da parte di Magnus, non abbottonare mai del tutto la camicia. Lasciava sempre in mostra la pelle abbronzata del petto e non era assolutamente corretto nei confronti della forza di volontà di Alec.
“Finalmente!” aveva esclamato Isabelle dal suo posto, sorridendo ai nuovi ordinati. “Possiamo ordinare, ora?”
“Ciao anche a te, tesoro” aveva risposto Magnus, sorridente, prendendo un menù. “Siamo in ritardo perché il qui presente Raphael non voleva venire a meno che non fossimo andati a prendere una giacca a casa di sua madre. E, beh, Guadalupe mi ama troppo per lasciarmi andare così in fretta, quindi ci siamo dovuti fermare per un caffè.”
“È la mia giacca preferita!” aveva borbottato Raphael in risposta, guardandolo. “E mia mamma non ti ama poi così tanto.”
“Sì, invece, dolcezza. E lo sai benissimo” aveva replicato Magnus, facendogli un occhiolino giocoso.
“Come vuoi.”
Alec sapeva che era totalmente irrazionale il fatto che odiasse tanto Raphael. Non aveva fatto nulla di sbagliato, se non uscire con il ragazzo per cui aveva una cotta. Infondo sapeva che loro due non erano poi tanto diversi. Entrambi erano persone molto sulla difensiva. Non si aprivano molto e non si abbandonavano troppo ai sentimenti. Erano persone prudenti e Alec poteva riconoscersi in lui più di quanto volesse ammettere.
La cameriera, Kaelie, che aveva il brutto vizio di flirtare con Jace ogni qual volta frequentassero quel luogo, si era avvicinata al loro tavolo, scuotendo il suo taccuino.
“Pronti a ordinare?”
Isabelle stava per rispondere, ma Alec l’aveva interrotta, schiarendosi la voce. “No, stiamo ancora aspettando una persona. Grazie Kaelie.”
Lei aveva annuito in sua direzione e si era spostata verso il tavolo successivo.
“Cosa vuol dire che stiamo ancora aspettando qualcuno?” aveva esclamato Isabelle, sporgendosi leggermente in avanti sul tavolo per guardarlo. “Sto morendo di fame!”
“Alaric ci raggiunge” aveva detto semplicemente Alec.
Isabelle lo aveva guardato a bocca aperta, quasi comicamente. Sembrava il lupo di quel vecchio cartone di Tex Avery.
“E per quale motivo?” aveva chiesto, sollevando un sopracciglio, sorpresa.
“Perché l’ho invitato?” aveva risposto, il tono interrogativo volto probabilmente a infastidirla. “Perché ci stiamo frequentando?”
“Voi vi state che cosa?” aveva pienamente urlato, questa volta.
Alec era praticamente saltato sul posto, accigliandosi. “Potresti smetterla di urlare?” l’aveva rimproverata, le guance bollenti per l’imbarazzo. Era dolorosamente consapevole del fatto che tutti gli altri clienti li stessero fissando.
“Hai un fidanzato?” era intervenuto Jace, con un tono fortunatamente molto più calmo di quello della sorella. “Non lo sapevo.”
“È una cosa recente” aveva risposto Alec, con un leggero cipiglio. “Ci siamo conosciuti alla festa che Isabelle ha organizzato a casa mia.”
L’aveva fissata, mentre aveva sputato quelle parole. Non l’aveva ancora perdonata per quella cosa.
“Alec, non conosci la definizione di una botta e via?” aveva continuato la ragazza, le sopracciglia corrugate per il fastidio. “Non dovresti frequentare l’altro, dopo!”
La sua sorpresa stava cominciando a trasformarsi in irritazione. Non sapeva cosa non andasse con sua sorella, ma ora stava diventando rude e irrispettosa.
“Okay, cosa c’è che non va?” aveva borbottato, a denti stretti.
Non voleva che i suoi nuovi amici lo vedessero arrabbiato. Ma non era mai una bella vista. Molto probabilmente Jace aveva pensato lo stesso, perché le sue spalle si erano visibilmente tese.
“Izzy, Alec è adulto. Sono sicuro che sappia cosa sta facendo” aveva detto, cautamente.
“Beh, forse non mi piace Alaric” aveva risposto, ostinatamente, incrociando le braccia al petto con un’espressione che non era riuscita a diminuire la sua esasperazione.
“Non ti piace?” aveva ripetuto incredulo. “Sei stata tu ad invitarlo nel mio appartamento! Era tuo amico, prima di diventare il mio ragazzo!”
C’era un silenzio tombale intorno al tavolo. Sia Clary che Simon stavano guardando a disagio le proprie mani, Jace aveva la faccia da merda-si-sta-per-rovinare-tutto e, per una volta, non era colpa sua. Magnus stava fissando Alec negli occhi, preoccupato e aveva contemplato l’idea di calmarlo, ma dopo averci pensato due volte, aveva lasciato correre. Rapahel, da suo canto, sembrava divertito da tutto ciò, il che non era affatto sorprendente. Il silenzio si era protratto fino a quando qualcuno che si era schiarito la voce non li aveva fatti saltare tutti sul posto.
Alaric aveva i capelli scuri e degli occhi grigi chiari, messi in risalto dalla pelle marrone. Aveva le spalle larghe, era alto, ma non quanto Alec. Era davvero bellissimo, ma Alec, guardandolo, non aveva sentito il cuore stringersi nel petto. Andava bene così, però, perché la persona che gli provocava quegli effetti era dolorosamente irraggiungibile.
Era tranquillo, sensibile e forte al tempo stesso. Alaric non era di certo l’amore della sua vita, lo sapevano entrambi, perciò Alec si sentì un po’ meno in colpa nell’usarlo per dimenticare Magnus. Si erano divertiti alla festa, avevano riso molto e Alec non aveva trovato alcuna ragione che lo trattenesse dal portare le cose oltre, con lui, soprattutto visto che, in tutti quei mesi, aveva accumulato grande frustrazione sessuale, tanto che la pelle quasi gli pizzicava. Era umano. Alaric non sapeva proprio tutto nei dettagli, ma Alec era stato sincero riguardo ai suoi sentimenti (o della loro assenza, più precisamente). Alaric non era stato infastidito dall’onestà di Alec, anche perché nemmeno lui considerava la loro relazione una storia seria.
Ciò però non significava che avrebbe permesso ad Isabelle di insultare la loro relazione come era successo.
“Da quanto tempo sei qui?” gli aveva chiesto prudentemente Alec, guardandolo dal basso.
“Sono appena arrivato” aveva risposto, apparentemente sorpreso da quella domanda, abbassandosi per lasciargli un bacio sulle labbra. “Scusate il ritardo, mi hanno trattenuto al lavoro. Ciao a tutti” aveva aggiunto, salutando imbarazzato.
Gli altri avevano ricambiato e lui era andato a sedersi vicino ad Alec, che lo aveva fermato per alzarsi dalla cassapanca.
“Vado a fumare. Jace ordina anche per me, grazie” aveva borbottato, frugando nelle tasche per cercare le sigarette.
Aveva imprecato a bassa voce, quando aveva realizzato di averle lasciate sul balcone, la sera precedente e aveva imprecato una seconda volta perché era la prima volta che voleva veramente fumare, non per il semplice obiettivo di fare due chiacchiere con Magnus. In un qualche modo, ciò lo aveva fatto arrabbiare ancora di più.
Quest’ultimo si era alzato, al suo sguardo disperato, prendendo il suo pacchetto. “Mi unisco a te” aveva detto.
Senza aggiungere un’altra parola, Alec si era spostato verso l’uscita sul retro del ristorante. Si era appoggiato al muro e aveva aspettato pazientemente che Magnus lo raggiungesse. Gli aveva offerto una sigaretta, che aveva accettato volentieri, avvicinandosi a lui così che potesse accendergliela.
Il suo vicino gli aveva lasciato qualche altro minuto di silenzio e pace, prima di schiarirsi la voce, scuotendo leggermente la testa.
“Stai bene?”
Alec aveva respirato profondamente, gli occhi spalancati tanto per la confusione quanto per la rabbia. “Non so cosa le sia preso” aveva sospirato. “È lei ad esortarmi continuamente a cercare un fidanzato e ora che ne ho uno, non è felice? Cosa dovrei fare? Restare single fino a quando non trovo un ragazzo che non deluda le aspettative di Isabelle?”
Magnus aveva sorriso, stanco e impacciato. Non aveva niente a che vedere con il suo solito sorriso.
“Sono sicuro che avesse buone intenzioni” aveva detto. “Voi Lightwood siete molto protettivi.”
“Sì, ma questa volta non era semplicemente superprottetiva. Non so nemmeno cosa stesse facendo, non ha alcun senso.”
Magnus gli si era avvicinato, appoggiando una mano consolatoria sul suo braccio e Alec aveva sussultato per la nuova vicinanza. Non aveva detto nulla. Era stato lì a strofinare delicatamente il pollice sul bicipite di Alec. Era un gesto dolce e semplice, che però era riuscito a tranquillizzarlo. Aveva aspirato profondamente dalla sua sigaretta, soltanto perché aveva paura di non riuscire a fermare la sua bocca dal fare altro.
“Andiamo” aveva detto Magnus alla fine, buttando la sigaretta a terra e spegnendola con un piede. “Torniamo dai nostri amici prima che comincino a pensare che sei qui fuori a flirtare con me invece di tenere il muso.”
Alec aveva riso sommessamente e lo aveva seguito.
Quando erano tornati al loro tavolo, era ancora immerso in un imbarazzatissimo silenzio. Alaric era sembrato molto sollevato, quando Alec si era seduto al suo fianco.
“Okay, smettetela tutti di comportarvi in modo strano, dovrei esserlo io qui” aveva esclamato Magnus, tornando a sedersi vicino a Raphael. “Allora Alaric, cosa fai nella vita oltre ad essere bellissimo e corrompere il nostro caro Alec?”
Alaric era scoppiato a ridere, rilassandosi immediatamente. Non per la prima volta, Alec era estremamente grato che Magnus esistesse.
 
***

“Quindi…suppongo che l’Operazione Malec sia andata in fumo” aveva affermato Simon, sedendosi di fronte a Isabelle.
“L’Operazione Malec?” aveva ripetuto Jace, alzando un sopracciglio. “E cosa ci fa lui qui?”
“Mi hanno invitato Izzy e Clary” aveva risposto Simon, guardando il biondo.
Si erano riuniti in un piccolo coffee shop, tre giorni dopo, e Alec li stava raggiungendo, perciò Simon aveva pensato di aprire l’argomento per porvi una fine definitiva.
“A quanto pare” aveva sospirato Isabelle, ignorando completamente il fratello. “Non riesco a credere che abbia scelto proprio questo momento per trovarsi finalmente un ragazzo.”
“Non dovresti essere felice per lui?” aveva chiesto Clary, con un leggero cipiglio in volto.
“Sì, sì. Ovvio che sono felice per lui.”
Sembrava tutto, tranne che felice.
 
***

Alec odiava veramente la sua vita.
Non stava piovendo, stava diluviando. Era completamente fradicio e la maglia bagnata gli appiccicava fastidiosamente al petto. Stava correndo, nella speranza di arrivare al suo condominio il prima possibile. Il vento violento non stava di certo aiutando.
Quando era arrivato, si era fermato un minuto nell’ingresso, per riprendere fiato. Era saltato in aria, quando la porta si era aperta dietro di lui, e si era voltato, trovando un Magnus bagnato e infastidito, con un ombrello in mano.
“Bastardo fortunato” aveva borbottato.
“Che linguaggio sconcio” aveva sorriso Magnus. “Mai sentito parlare degli ombrelli? Sono stata un’invenzione straordinaria.”
“Ne avevo uno, ma si è rotto a causa del vento.”
Alec aveva premuto il bottone per chiamare l’ascensore, chiedendosi se quella giornata potesse peggiorare.
“Se ti fa sentire meglio, il look bagnato ti sta benissimo” lo aveva preso in giro Magnus.
Alec era arrossito e aveva cercato di nasconderlo alzando gli occhi al cielo, mentre entrava in ascensore, seguito dal suo vicino. Aveva poi premuto il tasto per il quinto piano. Stava cominciando a tremare, i denti sbattevano per il freddo. Magnus gli aveva lanciato un’occhiata preoccupata.
“Ti prenderai un raffreddore” aveva detto, accigliandosi.
“Per questo mi farò una doccia calda non appena arrivo a casa” aveva soffiato Alec, abbracciandosi per cercare un po’ di calore.
Ovviamente l’Universo aveva altri piani. Erano quasi arrivati al quinto piano – e lui riusciva già ad immaginare l’acqua calda scorrergli su tutto il corpo – quando l’ascensore si era improvvisamente bloccato e le luci erano andate vie.
“Oh, Cristo!” aveva urlato Alec, a nessuno in particolare, fissando il soffitto. “Davvero? Proprio ora?”
Magnus non era di sicuro la persona più ragionevole del mondo ma, in situazione come quelle, diventava completamente razionale. Perciò aveva premuto il pulsante di chiamata per le emergenze e parlato con l’assistenza, mentre Alec se ne stava lì in piedi ad imprecare. Quando aveva finito, si era voltato verso il suo vicino, le cui labbra stavano cominciando a diventare blu.
“Togli la giacca, è fradicia” aveva detto delicatamente, avvicinandosi.
Alec aveva seguito il suo consiglio, lasciandola cadere a terra. Senza dire una parola, Magnus aveva tolto il suo giubbetto, per appoggiarlo sulle spalle dell’altro, e aveva cominciato a sfregare le mani sulle sue braccia per procurargli un po’ di calore.
“Non sta aiutando” aveva balbettato Alec, a denti stretti.
Aveva fatto un passo indietro, restituito la giacca a Magnus, e poi aveva cominciato a sbottonare la camicia, con le dita tremanti. La stoffa si era attaccata al petto a causa della pioggia e gli sembrava di essere rinchiuso in una coperta di ghiaccio; non riusciva a pensare a nessun’altra soluzione, se non a togliersela. Quando non era riuscito a slacciare un bottone per ben tre volte, a causa del tremore, Magnus si era avvicinato e aveva continuato in quell’impresa demoniaca al suo posto, le dita ferme e sicure. Alec aveva trattenuto il respiro. Era troppo, ma al tempo stesso non abbastanza. Era troppo intimo, ma non intimo a sufficienza. Riusciva a percepire il respiro di Magnus sulla pelle, a vedere una scintilla tremolante nei suoi occhi verdi e avrebbe voluto, più che mai, prenderlo e portarselo il più vicino possibile. Era una tortura.
Magnus aveva fatto scivolare la camicia lungo le spalle e lo aveva coperto di nuovo con la sua giacca, gli occhi si erano fermati per un attimo sul petto nudo di Alec, prima di risalire. Non c’era traccia di sorrisini ironici sul suo volto, era serio e preoccupato, le sopracciglia corrugate. E Alec era completamente perso.
Magnus aveva provato a fare qualche passo indietro e sembrava quasi timido; sarebbe dovuto essere sufficiente affinché Alec si risvegliasse da quello stato di confusione e lo prendesse per le braccia, trattenendolo vicino a sé.
“C-calore umano” si era giustificato, perché riusciva a vedere la sorpresa negli occhi di Magnus.
Era probabilmente la peggiore scusa del secolo, ma Magnus non aveva controbattuto. Al contrario, si era avvicinato ancora di più, stringendo il fianco nudo di Alec con una mano. Sembrava che stesse andando a fuoco e stava tremando tutto. Era un incredibile paradosso: all’improvviso si sentiva tanto caldo quando freddo.
Magnus era più alto di lui, non di molto, ma abbastanza perché, quando erano così vicini, Alec era costretto ad alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi. Questa non era stata di sicuro la migliore idea che avrebbe potuto avere, perché Magnus aveva uno sguardo così intenso che ci era voluta tutta la sua forza di volontà per trattenersi dal baciarlo in quell’esatto istante. Era di sicuro un’idea migliore rispetto al guardargli le labbra, però, perché in quel caso era sicuro che non sarebbe riuscito a trattenersi.
“Cazzo” aveva sussurrato, quando Magnus si era leccato le labbra e lui non aveva altro su cui spostare lo sguardo.
Lo avrebbe fatto. Se voleva essere onesto con se stesso, avrebbe dovuto ammetterlo. Lo avrebbe baciato se l’ascensore non avesse ripreso a muoversi all’improvviso, facendoli saltare per lo spavento.
Magnus si era allontanato e Alec era stato colto di sorpresa dall’improvvisa mancanza di calore. Non avevano più aperto bocca. Il ding che aveva indicato il loro arrivo lo aveva riportato sul pianeta Terra. Si era schiarito la voce ed era uscito, camminando dritto verso il suo appartamento.
“Ci vediamo più tardi” aveva sputato, voltandosi per guardare Magnus.
“Vai a farti una doccia calda” aveva sorriso, quando aveva raggiunto la sua porta, sparendovi dietro.
Forse a lui serviva una doccia fredda, aveva pensato amaramente.
Alec si permise di ripensare alla scena solo dopo essersi trovato nella doccia, l’acqua bollente a rilassargli le spalle.
“Cazzo” aveva detto, a nessuno.
La sua sola voce sembrava aver risvegliato qualcosa in lui, perché era stato improvvisamente colpito dall’immagine di Alaric, velocemente seguita da quella di Raphael. Era una persona orribile, terribile. E doveva chiamare il suo fidanzato urgentemente.
 
***

Magnus era perplesso.
Sembrava proprio che Alec stesse per baciarlo. Lo aveva capito dalla tensione del suo corpo e dagli occhi blu tormentati. C’era una piccolissima possibilità che se lo fosse sognato, ma era praticamente impossibile. Era un sognatore ad occhi aperti, ma non a questi livelli.
Comunque non era stato il fatto che fosse quasi successo a sconcertarlo, ma il fatto che Alec sembrasse volerlo. Magnus aveva passato gli ultimi sei mesi a flirtare con il suo vicino, dal primo giorno in cui si erano incontrati, a dirla tutta. Nelle poche occasioni in cui Alec aveva risposto positivamente, era sembrato tutto un gioco, una risposta irriverente alle sue battutine. Tuttavia, a parte queste rare volte, non aveva mostrato grande interesse.
E, per di più, aveva un fidanzato. Non da molto, ma Alaric era davvero e sicuramente reale.
Perciò niente di tutto ciò aveva senso.
E, come sempre quando qualcosa nella sua vita non aveva senso, Magnus aveva deciso di mettere la cosa da parte fino a quando non lo avesse avuto.
Alec era sembrato sorpreso quando, aprendo la porta, aveva trovato Magnus davanti a sé. Si era cambiato indossando uno dei suoi terribili maglioni, che Magnus avrebbe volentieri usato per accendere un falò, e il viso aveva riacquistato il suo colore naturale, il che era rassicurante.
“Magnus?”
“Brodo di pollo!” aveva annunciato allegramente, mostrandogli la tazza che aveva in mano ed entrando senza troppi complimenti.
Alec aveva alzato gli occhi al cielo, seguendolo. “Sto bene, la doccia ha aiutato.”
“Starai ancora meglio dopo il mio buonissimo brodo di pollo” aveva risposto Magnus, troncando il discorso.
Alec si era lasciato cadere sul divano vicino a lui, prendendo la zuppa che gli aveva preparato il vicino con un sorriso. Aveva imparato molto tempo prima a non controbattere Magnus quando si tratta di cibo.
“Grazie.”
“Beh, mi piaci davvero, e se muori dove lo trovo un altro vicino bello quanto te?” aveva affermato Magnus, drammaticamente.
Alec aveva sbuffato. “Allora tutto questo è per interesse personale, mh?”
“Quindi oltre al bell’aspetto hai anche un cervello!” aveva sorriso Magnus, giocoso.
“Sei fortunato che il tuo brodo di pollo sia fantastico, altrimenti ti avrei già cacciato.”
Sostanzialmente la parte del ‘fare finta di nulla’ stava funzionando piuttosto bene. Non c’era motivo per smettere di farlo.
 
***

La serata a casa di Magnus era la cosa che Clary preferiva al mondo.
Non era solo per la compagnia, piuttosto magnifica, ma soprattutto perché sapeva che si sarebbe divertita, e non solo grazie al . Sia che fosse per l’eccentricità di Magnus, le sue battute con Alec o Simon, o Isabelle che era semplicemente se stessa, succedeva sempre qualcosa di particolare. Per di più solitamente si sedeva sempre sulla destra del divano, vicino alla finestra. Non era di sicuro il posto da cui si vedeva meglio la TV, ma lo era per osservare i suoi amici.
“Non guarderò Love Actually un’altra volta” aveva borbottato Simon.
Stava frugando nei cassetti in cucina alla ricerca di un pacchetto di patatine, mentre Isabelle gli gironzolava intorno.
“Beh, io non guarderò Il Signore degli Anelli di nuovo, invece” aveva ribattuto con astio. “So già che ripeteresti a memoria tutte le battute.”
“Va bene. Ma non ho nemmeno intenzione di guardare uno di quegli strani spagnoli che piacciono a Raphael.”
“Non sei abbastanza intelligente per capirli” era intervenuto Raphael dal balcone, dove si trovava con Magnus.
“Lascia perdere, Sheldon” aveva detto quello con un sorriso. “È una battaglia che non puoi vincere.”
“L’ho notato” aveva sospirato Simon, rovesciando le patatine in un piatto.
Jace, che fino ad allora era stato seduto vicino a Clary in silenzio, si era proteso verso di lei, con un sorrisino a giocargli sulle labbra.
“Venti bigliettoni che guarderemo Love Actually” aveva sussurrato scaltramente.
“Non scommetto con te quando sono sicura di perdere” aveva sorriso lei. “Sappiamo tutti che Izzy ha sempre l’ultima parola.”
E infatti, mezz’ora dopo, erano tutti riuniti davanti alla televisione; Isabelle stava borbottando qualcosa riguardo l’accento inglese di Hugh Grunt, quando Alec era entrato nella stanza. Non aveva detto una parola e si era spostato subito in cucina per prendere una birra, per poi sedersi al suo solito posto vicino a Magnus. Isabelle si era mossa per prima: aveva preso il telecomando per stoppare il e si era poi girata verso il fratello.
“Sei rientrato presto” aveva affermato. “Non dovevi essere ad un appuntamento?”
Alec aveva annuito, ingerendo un sorso di birra.
“E? Cosa è successo?” aveva insistito Isabelle, accigliata.
“Ci siamo lasciati” aveva annunciato Alec, come se non fosse niente di importante, qualcosa che succede tutti i giorni.
Clary non aveva fatto a meno di notare il modo in cui Magnus si era spostato sul posto, un sorriso timido gli era nato sulle labbra e aveva tentato di nasconderlo mordendosi l’interno delle guance. Lo conosceva troppo bene per non notarlo. Si era chiesta da quanto tempo suo fratello provasse qualcosa per il vicino di casa.
“Cosa?” aveva urlato Isabelle, non riuscendo a fermare un piccolo sorriso.
“Fai almeno finta di essere triste” aveva borbottato Alec. “E fai ripartire il .”
Aveva lanciato uno sguardo alla televisione e respirato profondamente, fissando accusatorio Simon e Jace. “Seriamente? Di nuovo Love Actually? Non c’è nessuno qui che sa tener testa ad Izzy?”
“Fa paura, amico” si era lamentato Jace. Simon aveva semplicemente annuito.
Alec aveva alzato gli occhi al cielo, per poi sorridere.
“Stai bene?” gli aveva chiesto Jace, avvicinandosi per appoggiare una mano sul suo ginocchio con fare consolatorio.
“Sì, non era di certo l’amore della mia vita. E sono stato io a lasciarlo.”
“Mh, e perché?” aveva continuato il biondo, curioso. “Pensavo ti piacesse.”
“Ne parliamo più tardi” aveva risposto Alec, prendendo un sorso di birra.
Clary non conosceva bene Alec. Gli piaceva, ma non erano proprio migliori amici. Non avevano molto in comune, se non Jace e lei e Jace uscivano ufficialmente insieme soltanto da due mesi, per cui si erano concentrati più sul conoscersi piuttosto che conoscere le rispettive famiglie. C’era qualcosa di speciale in Alec, però. Era una persona molto chiusa, ma con gli amici era in realtà molto espansivo. Era impacciato e cercava sempre di sembrare più piccolo di quanto non fosse, o indossando vestiti troppo grandi oppure piegando le spalle in avanti, seppur inconsciamente, mentre camminava. Non era la persona più carismatica che Clary avesse mai incontrato, ma chi lo può dire.
Quando Alec parlava, tutti lo ascoltavano. Era quello responsabile, forse a volte persino troppo, ma anche persone cui non importava nulla come Jace, Isabelle o Magnus lo ascoltavano quando diceva di no. Era un’osservazione speciale come quest’uomo riservato e prudente potesse diventare un leader in mezzo secondo. Aveva una luce negli occhi che ti fermava dal controbatterlo.
Era proprio a causa di quel luccichio che né Jace né Isabelle gli avevano fatto altre domande.
C’era davvero qualcosa di speciale in Alec, aveva pensato Clary sporgendosi verso Jace, gli occhi di nuovo fissi sulla televisione.
 
***
 
Raphael, è una questione di vita o di morte. Vieni da me immediatamente.
Raphael non era esattamente una persona affettuosa. La maggior parte della gente diceva che era uno stronzo e che non gli importava affatto di quello che dicevano gli altri. In ogni caso, per quanto stronzo potesse essere, di fronte a messaggi così non riusciva a non saltare in macchina e raggiungere Magnus al suo appartamento.
Magnus ci aveva messo circa cinque secondi ad aprire la porta – non che Raphael li avesse contati.
Lo aveva guardato dall’alto verso il basso, alzando un sopracciglio. Magnus aveva addosso uno dei suoi strettissimi paia di jeans e non portava la maglia, la pelle scura brillava a causa del sudore (e probabilmente anche grazie a un po’ di glitter, si era detto Raphael).
“Quale sarebbe questa questione di vita o di morte?” aveva chiesto subito. “Stai bene? Perché non hai su una maglietta?”
Odiava quando Magnus lo spingeva a dimostrare che, infondo, si preoccupava per lui.
Magnus lo aveva seguito all’interno dell’appartamento e si era fermato nel salotto, indicando il casino che aveva probabilmente creato lui stesso sul pavimento. C’era un mucchio di pezzi di legno e viti.
“Ho provato a montare questa mensola per due ore e non ho ancora capito come fare!”
Raphael lo aveva guardato storto, con la bocca spalancata.
“Magnus, questa non è una questione di vita o di morte” aveva urlato, più infastidito che arrabbiato. “Mi hai spaventato!”
“Oh tesoro, non sapevo ti importasse così tanto” aveva risposto Magnus con un sorriso e una luce negli occhi che Raphael aveva deciso di ignorare. “E questa è una questione di vita o di morte perché se questa mensola demoniaca non sarà pronta entro un’ora potrei uccidere qualcuno o me stesso o entrambi.”
Raphael aveva alzato gli occhi al cielo e si era piegato per raccogliere il foglietto delle istruzioni da terra. “Dio, sei proprio melodrammatico” aveva sospirato. “E poi perché ti serve una nuova mensola?”
“Sto ridecorando” aveva detto Magnus, fermando qualsiasi commento con un cenno della mano.
“Devi smetterla di ridecorare tutti i mesi” aveva borbottato Raphael, togliendosi la giacca per poi lanciarla sul divano. “È estremamente fastidioso, proprio come lo sei tu.”
“Smettila di fingere di non sapere quanto sono fantastico.”
Raphael aveva sbuffato, lanciando un’occhiata critica agli attrezzi di Magnus. Aveva raccolto un cacciavite per smontare il casino creato dal suo amico.
“Perché non hai chiesto aiuto ad Alec?” aveva chiesto, mentre proseguiva nel suo lavoro. “Sono sicuro che sappia come montare una mensola e in più ti avrebbe dato l’occasione di fissargli il sedere come fai continuamente.”
“Hei” aveva protestato Magnus. “Non sono così anti sgamo!”
Raphael aveva cominciato a tossire, indignato. “Sì. L’unico modo per essere più esplicito sarebbe gridare ‘voglio un pezzo di quel sedere per Natale’, ma d’accordo Magnus, hai ragione tu.”
“Sai come si dice, no? Il sarcasmo è la forma più bassa di arguzia” aveva risposto, mettendo il broncio.
“Disse colui che ha inventato il sarcasmo.”
Raphael aveva poi raccolto il martello da terra per fissare due assi. Non poteva vedere Magnus, ma riusciva ad immaginare la sua solita espressione da ostinato, le sopracciglia corrugate e le dita che si muovevano leggermente. Questa cosa succedeva probabilmente con tutte le persone che si conoscono da molto e i cui comportamenti sono quindi famigliari.
“Allora, perché non l’hai chiesto a lui?” gli aveva domandato.
“È al lavoro” aveva risposto Magnus, fissando le unghie colorate di verde con nonchalance.
Raphael aveva acconsentito sotto voce, concentrandosi sul suo lavoro. Non era così complicato e non riusciva a capire a cosa fossero dovute le difficoltà di Magnus. A pensarci bene, probabilmente non voleva rovinarsi lo smalto. Magnus era una vera diva.
Ci aveva messo meno di venti minuti a montare la mensola. Quando aveva terminato, Magnus aveva fortunatamente indossato una maglia.
Si era poi seduto sul divano, accettando volentieri il bicchiere di vino rosso offertogli dall’altro.
“Cosa c’è tra te e Alec, comunque? Perché non gli hai ancora chiesto di uscire? Tutta questa tensione sessuale tra di voi sta diventando fastidiosa.”
“Da mio ex fidanzato, non dovresti cercare di sistemarmi con qualcun altro” aveva risposto Magnus casualmente, sedendosi a gambe incrociate vicino a lui.
Raphael aveva sbuffato. “Essendo il tuo ex fidanzato, sono la persona più adatta per dirti di darti una svegliata e chiedergli di uscire.”
Non parlavano spesso della loro relazione. Magnus era stato il primo ragazzo di Raphael. Lui aveva sedici anni, Magnus diciotto e non era durata a lungo.
Erano amici sin da bambini. Magnus era già molto socievole e Raphael estremamente irritabile. Ricordava ancora benissimo il giorno in cui si erano incontrati. Era successo nel parco dietro l’appartamento di Luke. Magnus era lì controllato dal padre e correva intorno insieme a Luke per fare amicizia con chiunque. Raphael era seduto sotto lo scivolo. Era lì solo perché la madre lo aveva forzato, per permettere alla sorellina di giocare con gli altri bambini. Raphael stava meglio da solo e si divertiva a giocare con le sue figurine di Iron Man. Magnus si era mosso verso di lui e aveva cominciato a parlargli, come se fossero stati amici da sempre. Raphael aveva fissato incredulo l’altro, che aveva preso a parlare e parlare senza mai fermarsi, senza essere infastidito dal suo silenzio che solitamente faceva allontanare tutti. Poi era stato semplicissimo e naturale diventare amico di Magnus, più che altro perché quest’ultimo non gli aveva lasciato molte scelte. Magnus era riuscito ad affascinare la madre di Raphael in pochissimo tempo.
Erano cresciuti insieme. Raphael era consapevole del fatto che non era stata la socievolezza di Magnus a consolidare la loro amicizia. Raphael aveva perso il padre quando aveva due anni, praticamente non lo aveva mai conosciuto, non riusciva a ricordarlo. Seppure piccolo però, comprendeva il significato di una perdita e del dolore. Raphael aveva sette anni quando Magnus aveva perso il padre a causa del cancro. Quando lo aveva scoperto, aveva chiesto di essere accompagnato a casa sua e quando era arrivato, Magnus gli aveva sorriso; un sorriso triste e spezzato, ma pur sempre un sorriso. Da quel momento Raphael non lo aveva mai abbandonato.
Magnus era il suo unico amico per cui era stato normale, per Raphael, parlargli dei suoi dubbi sulla sua sessualità. Quella di Magnus non era un segreto. Aveva fatto outing nell’esatto istante in cui aveva capito di essere bisessuale, Luke e Jocelyn lo avevano accettato senza pensarci due volte, perché lo amavano per quello che era.
Per Raphael era stato completamente diverso. Era stato cresciuto in un ambiente estremamente religioso, dove essere etero era praticamente una regola e la migliore delle opzioni. Magnus era con lui quando lo aveva detto a sua madre e ai suoi fratelli e gli aveva tenuto la mano per tutto il tempo. Non era stato facile, ma alla fine lo avevano accettato. Magnus aveva pregato per lui, gli occhi ardenti di sicurezza e affetto, e ciò lo aveva aiutato. Quando erano tornati alla loro solita panchina nel parco, Raphael si sentiva molto più leggero e lo aveva baciato. Era sembrato il modo migliore per ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto. Era stato strano perché, dopo tutti quegli anni, Raphael non pensava di vivere nuove prime volte con Magnus, ma al tempo stesso era stato anche bello e infatti avevano cominciato ad uscire insieme.
Non era durata a lungo. Non perché non si amassero, ma più che altro perché il loro era un amore fraterno.
Inoltre Magnus aveva conosciuto Camille e si era completamente innamorato di lei.
Raphael non era mai stato una persona affettuosa. Magnus era sempre stato l’unico abbastanza forte da riuscire a distruggere i suoi muri. Quindi forse ora toccava a lui rompere quelli che l’amico aveva costruito intorno a sé.
“Non gli chiederò di uscire” aveva sospirato Magnus, rompendo il lungo silenzio.
“Perché no?” gli aveva chiesto Raphael, con un cipiglio in volto. “Magnus, ti conosco e sei talmente cotto per quel ragazzo che sta diventando una cosa morbosa.”
L’amico era arrossito e Raphael aveva sorriso. Fare arrossire una persona sicura quanto Magnus con la semplice capacità di ciò che prova è gratificante.
“Non ha alcun senso chiedergli di uscire, sapendo che mi direbbe di no” aveva sospirato. “Non voglio rendere le cose strane tra di noi.”
“Perché sei così sicuro che rifiuterebbe?”
“Lui è…sta raramente al gioco quando flirtiamo e fa sempre due passi indietro quando cerco di avvicinarmi, non perché sia disgustato, ma come se si sentisse…in trappola” aveva sospirato, la voce sembrava lontana, lo sguardo perso nel liquido scuro del bicchiere.
Si era poi schiarito la voce, aveva scosso la testa e sul suo viso era ricomparso il famigliare sorrisino sarcastico.
“Basta con queste chiacchiere” aveva detto, con un tono troppo allegro per essere naturale. “Come sta il caro Ragnor? Come lo sta trattando il Perù? Non lo sento da settimane, quello stronzo.”
“Non chiamare il mio fidanzato stronzo, coglione” aveva borbottato Raphael.
Avrebbe dovuto sicuramente avere gusti migliori in fatto di migliori amici.
 

Nda.
Finalmente un po' di movimento e di hot scenes in questa storia!
Eccomi con un nuovo capitolo, come promesso. Purtroppo, anche se gli impegni scolastici sono pressoché finiti, non sono riuscita a di giovedì nemmeno questa volta. Molto probabilmente il prossimo capitolo arriverà esattamente giovedì 16, così che poi possa riprendere a sempre lo stesso giorno. Tuttavia mi dispiace dirvi che non posso garantirvi nulla perchè il prossimo lunedì inizio lo stage e sarò impegnata tutti i giorni fino alle 17.00 circa.
Comunque, passando al capitolo. VOGLIAMO PARLARE DELLA SCENA IN ASCENSORE? No perchè, non so voi, ma ho sclerato e fangirlato tantissimo. Anche ora, traducendola, ci sono rimasta malissimo per il mancato bacio. Comunque perseverate e non abbattetevi proprio ora perchè cambiamenti significativi stanno arrivando. Abbiamo poi dei chiarimenti riguardo al rapporto tra Magnus e Raphael, che purtroppo però non avvengono di fronte ad Alec (non ancora). Credo che tutti aveste già capito che i due non stavano insieme. Come vi avevo detto l'idea che Alec si fa della relazione tra questi due personaggi avrebbe influenzato fortemente tutta la storia. Ho appena finito di tradurre il capitolo e purtroppo non avevo voglia di rileggerlo tutto e revisionarlo, anche perchè è leggermente più lungo del solito, ma domani non avrei avuto tempo di pubblicarlo, quindi eccomi qui.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questi stravolgimenti e sclerate con me, grazie. Come al solito vi ricordo che la storia non è mia (potete trovare l'originale qui su AO3), ma soltanto una traduzione, tutti i diritti (tranne quelli della traduzione, che ricordo non può essere copiata da nessuna parte) sono dell'autrice (Lecrit). Vi lascio con lo spoiler del capitolo successivo che vi lascerà con un'ansia assurda (vi faccio aspettare fino al 16 per l'aggiornamento anche per questo, eh già) e una bellissima gif dei nostri amatissimi Clace, questa volta!
Ci sentiamo alla prossima, I. xx




(SPOILER)

“Scusa” aveva detto Jace. “Cosa ti ricordi?”
“Niente” aveva sospirato, cercando di farsi passare il mal di testa per riavere indietro i ricordi. “Oh sì, ricordo che Simon mi ha sfidato a chi beveva più shots. Sono piuttosto sicuro di aver perso, costatando il mio stato.”
Jace aveva esitato per qualche secondo prima di schiarirsi la voce. “Ricordi…altro?”
Se fosse stato in grado di muoversi, Alec si sarebbe probabilmente ghiacciato sul posto. Il tono di suo fratello in quel momento era la cosa più preoccupante che avesse mai sentito in vita sua.
“Che cosa è successo?” aveva chiesto, frettolosamente. “Che ho combinato?”

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** The Hangover ***


                                                    


Capitolo 6.

The Hangover.
 

I don't want to repeat my innocence.
I want the pleasure of losing it again.
” 
(F. Scott Fitzgerald)
 

 

“Mi hai chiamato per ricominciare l’Operazione Malec? Perché sappi che non sono più d’accordo come la prima volta.”
Simon si era seduto di fronte ad Isabelle nel solito coffee shop. Era un posto carino, con divanetti comodi e drinks fantastici, anche se la musica non era di sicuro delle migliori. Era diventato un luogo familiare per Simon, che non ci era mai stato prima di conoscere i Lightwood, ed era sicuramente meglio del coffee shop nell’East Brooklyn. Non si sa come, aveva legato quel posto ad Isabelle e forse anche per questo gli era diventato accogliente e famigliare.
Isabelle indossava una canottiera rossa, che si abbinava al rossetto, e una giacca in pelle leggere adatta ai giorni di sole che erano finalmente arrivati. Ormai si conoscevano da otto mesi, eppure a Simon continuava a mancare il respiro ogni volta che la vedeva.
“No” aveva risposto con un sorriso timido, così insolito per lei.
“Che c’è allora? Hai bisogno di qualcosa?” aveva chiesto Simon, quasi preoccupato, scuotendo la testa per incontrare il suo sguardo.
“Pensi che io ti cerchi soltanto quando mi serve qualcosa?”
Il tono quasi ferito aveva fatto boccheggiare Simon una o due volte prima di rispondere.
“Beh, più o meno è così” aveva detto semplicemente, sistemando nervosamente gli occhiali sul naso. “Mi chiami solo quando hai bisogno di aiuto, come è successo per l’Operazione Malec o quella volta con il messaggio S.O.S perché Alec non ti rispondeva oppure quando mi hai chiesto di venirti a prendere a –“
“Okay, okay, ho capito” lo aveva interrotto Isabelle, alzando una mano per fermarlo. “Oggi non mi serve il tuo aiuto, comunque.”
“Allora perché mi hai chiamato?” le aveva chiesto, sorpreso.
Isabelle aveva respirato profondamente e lo aveva guardato. “Me lo farai dire, vero?”
Simon aveva semplicemente alzato un sopracciglio, confuso.
“Volevo vederti, Simon” aveva sputato alla fine e lui non riusciva a capire come facesse a sembrare infastidita e affettuosa al tempo stesso. “Volevo soltanto prendere un caffè con te.”
“Oh.”
Si era costretto a tenere la bocca chiusa per non sembrare un pesce lesso. Isabelle non smetteva di agitarsi sulla sedia e, tutto d’un tratto, non era più la ragazza sicura di sé che era sempre stata. C’era qualcosa di vulnerabile nel modo in cui aveva portato una ciocca di capelli dietro l’orecchio, guardando ovunque ma non lui. Amava la sua sicurezza, il fuoco che la seguiva ovunque andasse, ma questo era tutt’altro, qualcosa di più profondo, qualcosa che lei gli aveva concesso di vedere. E gliene era estremamente grato.
“Perché?” aveva chiesto alla fine.
Questa volta lei aveva riso, alzando gli occhi al cielo in un modo che gli ricordava Alec. Quei due erano così diversi, ma al tempo stesso così simili che faceva quasi paura.
“Perché mi piaci” aveva risposto.
Era stato semplice e abbastanza strano, come se avesse detto quelle parole già migliaia di volte solo con gli occhi.
“Oh.”
“Ti ricordavo più logorroico. Di solito non stai mai zitto.”
Simon aveva sorriso e si era seduto dritto sulla sedia, schiarendosi la voce.
“Mi piaci anche tu” aveva affermato, sperando che Isabelle percepisse la sincerità nella sua voce.
Gli aveva sorriso; un grande e vero sorriso che aveva fatto evaporare l’intero mondo intorno a loro.
“Lo so, stupido” aveva detto, ridendo.
In un qualche modo aveva letto nei suoi occhi che no, non lo sapeva; non davvero.

***

“Questo” aveva cominciato Magnus severamente “non è ciò che mi aspettavo accadesse.”
“E cosa ti aspettavi invece?” aveva borbottato Alec in risposta, alzando gli occhi al cielo.
Magnus aveva scrollato le spalle, lanciando un’occhiata innocente al suo vicino. Alec non aveva creduto alla sua purezza nemmeno per mezzo secondo.
“No, seriamente” aveva detto, incrociando le braccia al petto. “Sono curioso. Cosa ti aspettavi che succedesse?”
“Beh, prima di tutto, non mi aspettavo che andasse via la corrente di tutto il piano” aveva risposto.
Stava camminando per tutta la stanza, accendendo della candele per creare un po’ di luce.
“Ma che cavolo volevi fare?” aveva quasi urlato Alec, alzando le braccia al cielo per l’esasperazione. “Costruire una macchina del tempo?”
Magnus aveva sorriso, voltandosi con una candela in mano per fronteggiare l’altro. “Perché avrei dovuto farlo se ho tutto quello di cui ho bisogno qui e ora?”
Aveva osservato, estasiato, Alec arrossire, il rossore sulle sue guance ancora più visibile alla luce della candela.
“Non cambiare il discorso” lo aveva ripreso. “Sono arrabbiato con te, per colpa tua mi sto perdendo la partita!”
“Sembri Raphael quando parli così” aveva sbuffato Magnus, alzando gli occhi al cielo.
Alec si era irrigidito all’improvviso e Magnus si era accigliato, chiedendosi il motivo.
“Non hai ancora risposto. Cosa stavi cercando di fare?” gli aveva chiesto Alec, corrugando le sopracciglia con fare sospettoso.
“Stavo ridecorando e –“
“Oh mio Dio, smettila di riarredare ogni mese!” lo aveva interrotto, incredulo.
“Mai” aveva risposto Magnus, senza lasciare spazio ad altre parole. “Stavo ridecorando e volevo appendere le nuove lampadine colorate che io stesso ho costruito, se lo vuoi sapere, e appena ho attaccato la spina, è saltata la corrente.”
“Hai costruito lampadine colorate?” aveva ripetuto Alec, sollevando un sopracciglio, scettico. “Tu?”
“Non mi piace questo tono, Gideon.”
“Non mi chiamare Gideon” aveva borbottato, avvicinandosi e stringendo gli occhi, cercando di apparire minaccioso, ma fallendo miseramente. “Fammi vedere queste lampade, devi aver sbagliato qualcosa.”
Magnus aveva tenuto il broncio per un po’, ma aveva acconsentito, raccogliendo l’oggetto per porgerlo al suo vicino di casa. Ci aveva messo due minuti per trovare il problema.
“Magnus! Non puoi collegare queste lampadine con un cavo così debole. È ovvio che sia saltata la corrente.”
“Ci ho provato. Al posto di rimproverarmi, dovresti incoraggiarmi per i tentativi che ho fatto” aveva risposto con nonchalance.
“Sei che sei terribile a fare questi lavori manuali” era intervenuto Alec. “Avresti potuto prendere una scossa.”
“Alexander, la tuo preoccupazione è commovente, davvero, ma sto bene. E sarei semplicemente stato più elettrizzato del solito” aveva scherzato Magnus, Alec non aveva riso ma alzato gli occhi al cielo. “Per di più, ti assicuro che sono bravissimo con le mani. Posso farti vedere, se vuoi.”
Gli aveva fatto un occhiolino e Alec aveva stretto i denti, contraendo la mascella. Magnus non sapeva se lo stesse facendo perché esasperato o perché stava ardentemente provando a non arrossire. Era sexy in ogni caso.
“Ora, vuoi provare ad evocare un demone? Non ho acceso tutte queste candele per niente” gli aveva offerto Magnus, sorridendo.
“Io me ne vado. Andrò a denunciarti ai nostri vicini immediatamente.”
Alec aveva a malapena fatto due passi quando la voce di Magnus lo aveva fermato.
“Ho preparato i cupcakes prima” aveva detto e non c’era alcuna traccia di innocenza ora, soltanto malizia.
Il suo vicino si era voltato per guardarlo, l’irritazione ormai sparita dal suo volto.
“Stai cercando di corrompermi con i cupcakes?” aveva chiesto, socchiudendo gli occhi sospettoso.
“Sta funzionando?”
“Potrebbe.”
“È alla nocciola” aveva continuato, maliziosamente. “Il tuo gusto preferito.”
“Sto cominciando a chiedermi se sapevi che sarebbe successo tutto questo” aveva detto Alec, entrando in cucina.
“Stai dicendo che ho volontariamente fatto saltare la corrente così che potessi attirarti nel mio appartamento per invocare un demone insieme?” Magnus aveva finto uno sguardo offeso.
“Potresti averlo fatto. Sei una terribile persona” aveva dichiarato Alec solennemente, masticando un cupcake.
“Basta complimenti, Gideon. Mi farai arrossire.”
“Ti strozzo con le mie mani se mi chiami in quel modo di nuovo.”
“E cosa farai quando io sarò morto e dovrai sopportare un altro vicino? Sono il migliore che ti potesse mai capitare.”
“La mia vita era così tranquilla prima di incontrarti” aveva sospirato Alec.
“Spero che con tranquilla’ intendi noiosa, altrimenti niente più cupcakes per te, cupcake”  lo aveva minacciato Magnus, col cuore spezzato.
“Mi hai appena chiamato cupcake?”
“Sì” aveva risposto con un sorriso malizioso. “Ti sta bene, sai. Per via del tuo amore incondizionato per i cupcakes.”
“Ho una proposta per te” aveva detto Alec, fissando Magnus con occhi impassibili.
“È un po’ presto per sposarci, tesoro. Non abbiamo nemmeno avuto un appuntamento” aveva sorriso Magnus.
“Ho una proposta per te” aveva ripetuto, alzando la voce, come se lui non avesse detto una parola.
“Ti ascolto.”
“Tu la smetti con questi stupidi soprannomi” aveva cominciato, incrociando le braccia al petto.
Sarebbe risultato più minaccioso se non avesse avuto metà cupcake in bocca.
“E cosa ottengo in cambio?” aveva chiesto Magnus, scettico.
“Non ti ucciderò” aveva risposto, guardandolo.
 Magnus aveva riso, lasciando cadere la testa all’indietro.
“E poi chi ti cucinerebbe i cupcakes?” aveva sorriso. “E non dire Isabelle, perché sai benissimo che i suoi potrebbero seriamente ucciderti.”
Alec aveva provato a gemere sconfitto, ma c’era un piccolo sorriso che gli giocava sulle labbra.
“Suppongo che dovrò tenerti tra i piedi, allora” aveva borbottato, ferito, come se fosse l’avversità peggiore della sua vita. Dopodiché aveva finito di mangiare il suo cupcake.

***

 
Il giorno preferito di Alec non era sicuramente quello del suo compleanno. Ogni anno gli ricordava dolorosamente quanto stesse invecchiando e quanto fosse inesorabilmente single, come Isabelle amava dire. Si sveglia da solo e tornava a letto allo stesso modo. Credeva che quell’anno non sarebbe stato diverso.
Non aveva programmato niente di particolare. Non era mai stato una persona molto estroversa e socievole e non faceva eccezione nemmeno al suo compleanno. Aveva semplicemente invitato Magnus per la cena, Isabelle e Jace si sarebbero sicuramente uniti, quindi ci sarebbero stati anche Clary e Simon, perché in quei giorni Isabelle e Simon facevano tutto insieme. Era una cosa strana e non sapeva esattamente cosa ci fosse tra i due, ma non aveva fatto molte domande, dopo che la prima volta la sorella gli aveva risposta qualcosa del tipo: ‘non lo so nemmeno io, te lo farò sapere quando lo capirò’. Stava quindi aspettando che succedesse così da poterci capire qualcosa di più.
Aveva avuto una giornata semplice. Era venerdì e il venerdì era sempre un giorno tranquillo. Aveva solamente tre lezioni, una delle quali con una classe che gli piaceva particolarmente e che, scoperto che era il giorno del suo compleanno, gli aveva portato dei brownies. Forse era stato un po’ freddo, ma era comunque rimasto sorpreso da quel piccolo gesto. Era sicuro al novantanove percento che due delle sue studentesse avessero anche flirtato con lui, ma non poteva incolparle per non sapere che fosse gay, quindi le aveva rifiutate con gentilezza.
Stava tornando a casa, desideroso come al solito di arrivarci, per poi andare a correre, fare una doccia e passare la serata con Magnus. Sostanzialmente aveva intenzione di passare una normalissima serata. Non aveva bisogno del suo compleanno per sentirsi speciale, visto che era circondato tutto l’anno da persone speciali.
Perciò era rimasto leggermente shockato quando, aprendo la porta, aveva trovato il suo appartamento pieno di volti familiari. Era quasi saltato sul posto quando gli avevano urlato ‘sorpresa!’, ma a sopraffarlo più di tutto era stato il forte affetto che si poteva percepire nell’aria.
Forse il suo compleanno non era poi un giorno così brutto.

***

La mattina successiva era stata tuttavia una cosa terribile.
Alec si era svegliato con un mal di testa opprimente che gli colpiva le tempie. Si sentiva come se qualcosa gli fosse morto in bocca e lo stomaco gli si contorceva a causa dell’abuso di alcool fatto la sera prima. Non era la prima volta che doveva affrontare i postumi di una sbornia, ma questa era senza ombra di dubbio la più dolorosa. Aveva aperto con grande difficoltà gli occhi, imprecando contro le luci del mattino che entravano dalla finestra, e aveva immediatamente alzato una mano per coprirli. Dopo essere riuscito a tenerne aperto definitivamente uno, si era guardato intorno, sollevato nello scoprire di trovarsi nel suo letto. In quel momento, però, si era anche reso conto di non ricordare nulla della nottata.
Si era seduto sul letto, sfregando le mani sugli occhi, e aveva gemuto a causa del dolore provocato dal mal di testa sempre più forte.
“Stai flirtando con me?”
“Alec, tesoro, flirto con te da otto mesi, ma grazie comunque per averlo notato.”
Si era accigliato al ricordo, anche se più che un ricordo erano solo parole confuse nella sua testa. Stava per rinunciare a ricordare, con l’intenzione di lasciarsi cadere sul letto, quando il suo cellulare era vibrato sul comodino. Era un suono debole, ma abbastanza rumoroso da fargli fare una smorfia per il dolore. Aveva afferrato il telefono, schiacciando ovunque sullo schermo per farlo smettere e aveva urlato qualche parolaccia quando la luce dello screen aveva colpito i suoi occhi già sensibili.
Era un messaggio di Jace.
Sto convivendo con i peggiori postumi della sbornia in vita mia e penso che Clary sia arrabbiata con me, anche se non ne so il motivo. Tu eri messo molto peggio di me, ieri sera. Fammi sapere se sei vivo. Un punto bonus se mi rispondi prima che mi alzi per andare a vomitare.
Non riusciva a trovare le forze nemmeno per ridere alle battute del fratello, per cui aveva ripreso a borbottare.
Sono vivo, non so per quanto ancora visto che la testa mi sta per uccidere. Che è successo ieri notte?
Il telefono ci aveva messo circa cinque secondi a suonare e il rumore si era sparso amplificato in tutta la stanza. Lo avrebbe lanciato addosso ad una parete, ma era Jace, che probabilmente era in grado di ricostruire tutti i pezzetti mancanti del puzzle.
“Non ti ricordi niente?” aveva sputato il fratello, non appena aveva risposto.
“Ti prego, non urlare” si era lamentato, stringendo le palpebre. “Potrei morire, se lo fai.”
“Scusa” aveva risposto Jace. “Cosa ti ricordi?”
 “Niente” aveva sospirato, cercando di farsi passare il mal di testa per riavere indietro i ricordi. “Oh sì, ricordo che Simon mi ha sfidato a chi beveva più shots. Sono piuttosto sicuro di aver perso, costatando il mio stato.”
Jace aveva esitato per qualche secondo prima di schiarirsi la voce. “Ricordi…altro?”
Se fosse stato in grado di muoversi, Alec si sarebbe probabilmente ghiacciato sul posto. Il tono di suo fratello in quel momento era la cosa più preoccupante che avesse mai sentito in vita sua.
“Che cosa è successo?” aveva chiesto, frettolosamente. “Che ho combinato?”
“Beh, prima di tutto hai detto a Clary di esserle grato per essersi fidanzata con me, così ora non mi devi più fare da babysitter…crudele!”
“Jace, di questo non me ne pentirò, è la verità. Cosa ho fatto di cui mi pentirò sicuramente?”
Jace si era schiarito nuovamente la voce, una cosa terribile per i nervi di Alec, che non aveva assolutamente bisogno di ciò, e il suo mal di testa.
“Sono piuttosto sicuro che tu abbia fatto sesso con Magnus” aveva detto il fratello lentamente, strascicando le parole come se fosse forzato a dirle.
“Cosa?” aveva urlato, pentendosene immediatamente, quando la testa aveva preso a pulsare ancora di più. “E cosa vuol dire piuttosto sicuro poi?”
“Con piuttosto sicuro, intendo al novantanove percento” aveva risposto Jace, comprensivo, il tono addolcito. “Avete cominciato a limonarvi sul balcone e poi siete spariti per un po’ in camera tua. Quando sei tornato…bhe, avevi l’aspetto di uno che ci ha appena dato dentro. Conosco la tua faccia da ho-appena-fatto-sesso.”
Alec aveva chiuso gli occhi, gemendo dolorosamente, e il telefono gli era quasi sfuggito dalle mani.
“Ti odio” aveva sospirato. “Perché non mi hai fermato?”
“Per dirla tutta, non sono sicuro che qualcuno ci sarebbe riuscito” aveva detto Jace e c’era così tanta verità in quelle parole che era quasi più doloro del mal di testa. “Eri completamente andato. In più, ero ubriaco marcio anche io. In tutto questo immagino che non saprai dirmi perché Clary è arrabbiata con me…”
“Non lo so e sinceramente, scusa, ma ora non me ne potrebbe fregare di meno” aveva sputato Alec, sfregando le dita sulle tempie per far allontanare il dolore.
“Mi ero dimenticato di quanto sei dolce quando hai i postumi di una sbornia.”
“Jace! Non scherziamo. Ho fatto sesso con Magnus!”
“Se ti può far sentir meglio, era ubriaco anche lui” aveva risposto Jace, senza essere d’aiuto.
“E questo dovrebbe farmi star meglio?” aveva chiesto, incredulo.
“Non lo so, penso di essere ancora ubriaco.”
Dopodiché era sceso un lungo silenzio. Alec stava mettendo in dubbio ogni decisione presa nella sua vita e Jace stava probabilmente pensando a cosa avesse combinato con Clary.
“Alec, va tutto bene” aveva detto alla fine. “Vai a parlargli, è letteralmente dietro la porta affianco alla tua.”
“No che non va bene” aveva borbottato Alec. “Come faccio a guardarlo negli occhi? E Raphael?”
“Che? Hai fatto sesso anche con lui?”
Alec aveva veramente voglia di dargli del coglione.
“No! Beh, non credo, ma non ricordo nulla quindi chi lo sa?” aveva detto, la voce pregna di irritazione rivolta soltanto verso di sé. “Non berrò mai più” aveva concluso, sospirando.
“Lo avevi detto anche dopo quello che era successo a Time Square e guardati ora” aveva insinuato Jace e Alec lo aveva odiato un po’ di più. “Prendi un’aspirina, fatti una doccia e va’ a parlargli! Non puoi evitarlo per sempre. Richiamami poi. Io ora vado a vomitare, poi chiamerò Clary per sapere perché non mi parla più.”
E senza aggiungere altro, aveva attaccato.
Per cui Alec aveva semplicemente seguito il consiglio del fratello. Ci aveva messo ben dieci minuti per alzarsi dal letto, ma alla fine si era spostato verso il bagno, inciampando nei suoi stessi piedi. Aveva trangugiato due aspirine e si era poi buttato sotto la doccia.

***

Era sul balcone con Magnus e la testa gli girava a causa dell’alcool. La sigaretta che gli bruciava tra le dita era un’ottima distrazione da quella terribile sensazione. Però, in un qualche modo, né l’alcool né il fumo erano tanto intossicanti quanto l’uomo di fronte a lui.
L’alcool aveva sempre spinto Alec a soddisfare qualsiasi suo desiderio e pensiero per cui ora aveva bisogno di tutto l’auto controllo possibile per non baciare Magnus, senza agitarsi più di tanto. Era più difficile del solito, soprattutto perché Raphael non era lì.
“Quindi” aveva cominciato, dondolandosi leggermente sui piedi. “Chi ha organizzato la festa? Non ho scoperto nulla ed è strano, visto che Jace era coinvolto.”
“Abbiamo fatto tutto io e tua sorella” aveva risposto Magnus con un sorriso. “E credo che tuo fratello abbia tenuto la bocca chiusa perché Clary lo aveva minacciato di smettere con il sexting se avesse detto qualcosa.”
Alec aveva fatto una faccia disgustata. “Non mi servono i dettagli.”
Magnus aveva riso, in modo un po’ confuso a causa dell’alcool, e si era avvicinato ad Alec, spostandosi in avanti verso di lui. Non aiutava di certo la resistenza di Alec.
“Lo hai chiesto tu, cupcake.”
“Avevamo detto niente più soprannomi” aveva borbottato, rabbrividendo nei punti in cui Magnus lo toccava.
“Lo hai detto tu. Io non ho concordato su nulla” aveva risposto Magnus con un sorrisetto. “E sappiamo entrambi che non mi ucciderai. Sei troppo carino per finire in prigione.”
“Potrei sempre scappare” aveva detto Alec, spegnendo la sigaretta e lasciandola nel portacenere che, mesi prima, avevano appoggiato sul muretto che divideva i loro balconi.
“Non lo faresti!” aveva sussultato Magnus, fingendo di essersi offeso e poggiando una mano sopra al cuore. “Dove troverei un sedere fantastico quanto il tuo da fissare?”
E, davvero, era crudele da parte di Magnus fargli questo. Non era arrossito, per il semplice fatto che ci aveva già pensato l’alcool, ma aveva dovuto rafforzare la presa sul muretto per trattenere il suo corpo. La sua testa era tutta un’altra storia.
Sapeva che Magnus flirtava praticamente con tutti, ma ora l’alcool stava lentamente bruciando i muri che aveva costruito in quei mesi e stava diventando troppo.
“Stai flirtando con me?”
Magnus aveva sorriso e gli aveva fatto un occhiolino, voltando la testa per guardarlo negli occhi.
“Alec, tesoro, flirto con te da otto mesi, ma grazie comunque per averlo notato” aveva detto, la voce pesante di sarcasmo e Whiskey.
“Non dovresti” aveva borbottato, stringendo i denti sia a causa della rabbia che del fastidio. “Non è giusto.”
Un cipiglio si era creato sul volto di Magnus e Alec gli era così vicino che riusciva a vedere il movimento delle sopracciglia che si corrugavano per la confusione.
“Perché?” aveva chiesto e, per un secondo, Alec avrebbe voluto spingerlo via e scappare.
Era impossibile che Magnus non sapesse cosa stesse facendo e perché fosse sbagliato.
“Perché uno di questi giorni” aveva sussurrato lentamente, come se stesso contando tutte le parole “perderò e ti bacerò.”
Magnus aveva sbattuto le palpebre una, due volte e gli aveva sorriso, alzando lentamente gli angoli della bocca. Gli occhi verdi si erano illuminati e si era voltato per fronteggiare completamente Alec, fissandolo dritto negli occhi.
“Fallo.”
Lo stava mettendo alla prova, era una chiara provocazione ed era l’ultimo input perché Alec si dimenticasse di tutti i suoi dubbi. Ciò che era rimasto del suo autocontrollo crollò a terra e lui si lanciò in avanti, spingendo le loro labbra ad incontrarsi. Magnus aveva trattenuto un gemito nel retro della gola, le dita si erano strette alla maglia di Alec per tirarlo più vicino e i due si erano baciati ferocemente, senza pensarci due volte. Non lo avrebbero comunque fatto.
Alec si era spostato in avanti, costringendolo ad appoggiarsi alla parete, coprendo il corpo di Magnus con il proprio. Fremeva per il desiderio e le mani tremavano, quindi le aveva fatte scivolare sotto la maglia dell’altro, sfregandole sulla pelle nuda. Il suo cuore aveva perso un battito, quando le mani di Magnus si erano aggrappate ai suoi capelli, tirandoli abbastanza da farlo allontanare. Le sue labbra si erano spostate automaticamente a mordicchiare la mascella di Magnus e poi giù a lasciare un succhiotto sul collo.
“Alec, dovremmo fermarci” aveva sospirato quello, mostrando però il collo per offrire al compagno un accesso migliore. “Non siamo esattamente da soli.”
Le labbra di Alec erano risalite velocemente e si erano fermate vicino all’orecchio. “Camera da letto” aveva mormorato, mordendogli il lobo.
“Cazzo” aveva gemuto Magnus.
“Questo è il piano” aveva sospirato Alec in risposta, sorridendo ampiamente. 1.
Si era allontanato riluttante, fissando per un attimo lo sguardo negli occhi di Magnus che stavano ardendo per l’intensità del desiderio – di cui era sicuro stessero bruciando anche i suoi – e aveva poi afferrato la sua mano, trascinandolo dentro.
“Usate le protezioni!” aveva urlato Jace quando si erano fermati nel salotto, dove avevano trovato il fratello di Alec a guardarli, mentre li indicava con un dito della mano con cui reggeva un bicchiere, mentre l’altra era attaccata alla parete per tenersi in piedi.
Si era fermato per un secondo, guardandosi intorno, ma nessun’altro nella stanza stava prestando loro attenzione.
“Andate a scopare” aveva borbottato Jace, lasciandoli allontanare con un movimento della mano. “Vi copro le spalle se qualcuno fa domande.”
Alec aveva deciso di ignorarlo e di continuare la sua strada verso la camera da letto, portando Magnus con sé. Sembrava lontana chilometri.

***

“Merda” aveva sussurrato Alec a nessuno, quando la doccia gli aveva schiarito le idee e alcuni ricordi si erano riaffacciati.
Era un completo disastro.
Ma Jace aveva ragione: doveva parlare con Magnus. Non poteva semplicemente fare finta di niente.
Si prese un po’ di tempo per raccogliere il coraggio necessario, aveva bevuto un caffè e cercato di richiamare alla mente tutti i ricordi.
Stavano tornando tutti come onde. Lo sentiva nell’inquietante sensazione dello stomaco che si attorcigliava, la pelle che solleticava, il fantasma di un tocco sulle labbra. Per essere onesti, anche nel corpo intorpidito.
Era perso nei suoi pensieri quando il telefono era vibrato sul tavolo, annunciando l’arrivo di un nuovo messaggio.
VA’ A PARLARGLI!!!
Jace era davvero un ragazzo irremovibile.
Alla fine, a pomeriggio inoltrato, aveva preso un bel respiro e aveva lasciato il suo appartamento, per bussare alla porta del vicino. Era strano, visto che non bussava da settimane prima di entrare. Solitamente entrava come se fosse casa sua, ma in questo caso voleva lasciare a Magnus la possibilità di chiudergli la porta in faccia se non avesse voluto vederlo. Forse un po’ lo sperava anche.
Ovviamente Magnus non l’aveva fatto: non si era mai tirato indietro di fronte ad una sfida e tantomeno davanti ad un confronto. Era troppo onesto e trasparente per farlo.
“Hey” aveva detto, vedendo Alec fermo sulla soglia della porta.
Un segno rosso campeggiava sul suo collo. Si era sistemato i capelli, ma non il trucco, quindi non doveva essere sveglio da molto.
Si era schiarito la voce, dondolandosi imbarazzato sui piedi. “P-posso entrare? Dobbiamo parlare.”
La sua voce tremava un po’ e se ne era sorpreso. Era solo Magnus, dopo tutto.
“Certo” aveva risposto quello, spostandosi di lato per farlo entrare. “Non devi nemmeno chiedere.”
Magnus si era diretto in cucina per accendere la caffettiera, mentre Alec si era seduto sul divano e aveva cominciato a guardarsi intorno, come se fosse la prima volta che metteva piede in quel posto. Si sentiva a disagio e il cuore gli martellava nel petto. Il mal di testa era quasi passato, ma percepiva ancora un lieve dolore sul retro del cranio, a ricordargli che non avrebbe più dovuto bere.
Passandogli la tazza, Magnus gli aveva sfiorato le dita.
“Te ne pentirai domani mattina?” aveva respirato Magnus sulla sua bocca, entrambe le mani impegnate a sbottonargli la camicia.
“Non lo so” aveva sussurrato in risposta, stringendo le dita intorno alla cintura di Magnus per tirarselo vicino.
La cosa peggiore era che non lo sapeva nemmeno ora che era sobrio. Se ne stava davvero pentendo? Lo aveva voluto per così tanto e ora che era finalmente successo e stava cercando di rimettere insieme tutti i pezzi gli sembrava del tutto irreale.
Stava guardando nel vuoto, mentre Magnus guardava lui, seduto sull’altro divano con la tazza fumante tra le mani. Un leggero cipiglio si era formato sul suo viso e Alec aveva capito che stava cercando di interpretare la sua espressione, per prevedere qualsiasi sua potenziale reazione. Ma come poteva farlo quando Alec per primo non sapeva cosa pensare o fare?
Alla fine Magnus, perdendo la pazienza, si era schiarito la voce e si era seduto a gambe incrociate sul divano, stringendo forte la tazza tra le dita. Era sulla difensiva come se si aspettasse che Alec lo ferisse e faceva male, faceva così male che Alec aveva sentito il cuore stringersi nel petto in una morsa dolorosa.
“Quindi” aveva detto Magnus, con voce roca. “Siamo stati a letto insieme.”
Alec era riuscito soltanto ad annuire.
“Alexander, hai intenzione di parlarmi o anche solo di guardarmi o continuerai a fare finta che io non sia qui?” aveva chiesto Magnus, senza risultare scortese, ma estremamente stanco.
“Dobbiamo dirlo a Raphael” aveva mormorato Alec, più a se stesso.
“Scusa?!”
“Dobbiamo dirlo a Raphael” aveva ripetuto, alzando la voce e sollevando lo sguardo per guardare l’altro.
Il modo in cui Magnus aveva spalancato gli occhi, guardandolo sorpreso a bocca aperta, era quasi offensivo.
“Scusa?” aveva chiesto, di nuovo. E, sul serio, questa conversazione non sarebbe arrivata da nessuna parte.
Il suo vicino sembrava averlo realizzato perché aveva cominciato a scuotere la testa, l’incredulità ancora del tutto visibile.
“E perché mai dovremmo dirlo a Raphael?” aveva domandato.
“Fai davvero?” era scattato Alec, la rabbia che iniziava a crescere. “Perché mi sento in colpa! Ecco perché!”
“Okay, Alec, non ti sto seguendo.”
Alec si era alzato in piedi, pentendosene immediatamente perché la testa aveva ripreso a girare. Aveva cominciato a fare su e giù per la stanza, incredibilmente arrabbiato. Non era possibile che Magnus non si sentisse nemmeno un po’ in colpa per ciò che era successo quella notte. Raphael era la ragione per cui Alec stava così male – e non gli stava nemmeno simpatico – e il fatto che Magnus gli desse così poca importanza gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
“Sei serio?” aveva urlato di nuovo, fissando in modo accusatorio il vicino del tutto stupefatto. “Se è uno scherzo, sappi che non è affatto divertente Magnus! Dobbiamo dirlo a Raphael!”
“Dirmi cosa?”
Alec si era voltato e si era congelato sul posto. A sua discolpa, non lo aveva sentito entrare.
Raphael era in piedi vicino alla porta, la giacca di pelle bordeaux in estremo contrasto con la pelle pallida. Aveva le braccia incrociate e stava guardando Magnus con sguardo protettivo e fiero. Alec non sapeva se fosse perché gli aveva appena gridato contro oppure perché era semplicemente un fidanzato possessivo. Nessuna delle due opzioni gli piaceva.
Magnus si era girato per guardare Raphael dietro di lui, osservandolo sorpreso.
“Apparentemente, ti dovrei dire che io e Alec abbiamo fatto sesso la scorsa notte” aveva sputato, suonando tanto sorpreso quanto lo sembrava. “Se ne capisci qualcosa, fammelo sapere.”
Alec aveva spalancato la bocca. Okay, voleva che Raphael sapesse la verità, ma pensava che lo avrebbero detto con calma.
La faccia di Raphael si era invece macchiata di una smorfia.
“E perché io dovrei saperlo?” aveva esclamato, quasi schifato. “Non voglio sapere nulla della vostra vita sessuale!”
Alec si stava chiedendo in quale strana dimensione si fosse svegliato quella mattina o se la notte prima avesse mischiato all’alcool anche della droga, quando i due si erano voltati in sincrono verso di lui.
“Che significa che non lo vuoi sapere?” aveva sputato, prima che chiunque potesse anche solo aprire bocca.
“Significa esattamente quello che ho detto” aveva risposto Raphael, sollevando un sopracciglio. “Stai bene? Dobbiamo portarti da un dottore?”
“Non ho bisogno di un dottore!” aveva urlato Alec questa volta. “Ho bisogno di capire cosa sta succedendo e per quale cavolo di motivo non ti sei incazzato visto che ho fatto sesso con il tuo fidanzato ieri!”
Alec non aveva mai dovuto convivere con un silenzio simile a quello che era sceso dopo la sua sfuriata. La testa gli stava scoppiando sia per la confusione sia per i ricordi della notte precedente. Non riusciva a spiaccicare parola. Doveva processare il tutto.
Magnus e Raphael lo avevano guardato a bocca spalancata, poi si erano guardati, poi aveva rispostato lo sguardo su di lui, gli occhi che si allargavano sempre un po’ di più.
“A meno che tu non sia volato in Perù e non sia tornato stamattina, dubito che tu abbia fatto sesso con il mio fidanzato ieri sera” aveva affermato Raphael alla fine.
Alec ci aveva rinunciato. Le spalle si erano piegate in avanti e si era lasciato cadere sul divano, massaggiandosi le tempie con le dita. Niente di tutto quello aveva senso. Di fianco a lui, Chairman Meow si era risvegliato dal suo sonnellino, aprendo gli occhi stanchi e richiudendoli dopo aver riconosciuto la sua figura familiare.
“Pensi…pensi che Raphael sia il mio fidanzato?” aveva borbottato Magnus, quasi senza fiato.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto, poi si era costretto a incrociare quello di Alec. Sembrava aver appena avuto un’illuminazione.
Alec aveva capito tutto dalla sua espressione e dalle sue parole. La verità gli era andata addosso con prepotenza come una macchina.
“Oddio” aveva sussurrato a se stesso, sentendosi stupido come mai prima. “Non lo è, vero?”
Aveva alzato lo sguardo giusto in tempo per vedere che Raphael si era seduto di fianco a Magnus sul divano e che entrambi stavano scuotendo la testa in negazione. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe più chiamato Jace idiota.
“Non state insieme?” aveva chiesto, in un sospiro.
“No” avevano risposto i due contemporaneamente.
“Ci siamo lasciati molto tempo fa” aveva aggiunto Magnus. “Raphael è il mio migliore amico e sta frequentando un mio caro amico da quattro anni–“
“Cinque” lo aveva interrotto il diretto interessato.
“Cinque anni” si era corretto, alzando gli occhi al cielo. “Ragnor, il suo fidanzato, è dovuto andare in Perù per lavoro l’estate scorsa. Tornerà a settembre.”
Il suo tono era gentile, come se stesse spiegando ad un bambino come funziona il mondo. Alec aveva dimenticato persino come funzionava lui.
“Non state insieme” aveva ripetuto, questa volta pienamente convinto.
“Alexander, posso sapere cosa te lo ha fatto pensare?” aveva chiesto Magnus in un soffio, quasi dolcemente.
Quel tono faceva strani scherzi allo stomaco di Alec, che per una volta aveva lasciato che succedesse e basta. Non ha alcuna ragione per non farlo. Era del tutto sollevato da quelle scoperte.
“Lo chiami sempre tesoro.”
“Come faccio con tutti” aveva risposto Magnus, corrugando le sopracciglio in confusione.
“Lo fa per farmi arrabbiare” aveva aggiunto Raphael cautamente e, per una volta, non aveva quell’aria di superiorità che lo seguiva ovunque. “Sa che lo odio.”
“Avete un appuntamento almeno una volta alla settimana” aveva continuato Alec con tono accusatorio, senza scaldarsi troppo, ma semplicemente incredulo. “Prenotate pure!”
“Ci piace il buon cibo” aveva spiegato Raphael. “Per di più non vedevo Magnus da tantissimo, quindi abbiamo deciso di passare del tempo insieme minimo una volta a settimana.”
“Tua madre lo adora” aveva detto, guardando Raphael ma indicando Magnus con un dito.
“È vero” aveva sorriso quello ammiccando.
“Ci conosciamo da quando siamo bambini” era intervenuto Raphael. “Quindi sì, Magnus conosce mia madre e a lei piace.”
“Mi ama” lo aveva corretto il diretto interessato.
Alec e Raphael avevano alzato gli occhi al cielo in sincrono.
“Siete andati in vacanza insieme a marzo!” aveva continuato Alec, quasi come se volesse incolparli.
“Siamo stati in Perù” aveva chiarito Magnus, il sorrisetto ormai scomparso per lasciar posto alla serietà. “Per vedere Ragnor, il suo fidanzato.”
Questo era tutto quello che veniva in mente ad Alec, in quel momento. Forse più avanti avrebbe avuto nuove domande , ma per ora non riusciva a pensare ad altro. Si era chiesto se gli altri due riuscissero a sentire gli ingranaggi del suo cervello girare velocissimamente perché riusciva a farlo persino lui. Era come vedere la luce e, all’improvviso, riusciva a capire tutto chiaramente.
Magnus non aveva flirtato con lui perché lo faceva con tutti. Lo aveva fatto perché lui gli piaceva, gli piaceva davvero. La consapevolezza lo aveva colpito con così tanto piacere che il suo cuore aveva perso un battito e aveva dovuto trattenere il respiro per un secondo.
Alec aveva alzato di nuovo lo sguardo su Magnus.
“Quindi…sei single?” aveva chiesto perché era seriamente l’unica cosa che gli importava.
“Moltissimo” aveva risposto.
Alec non si era mai sentito così sollevato come ora.
Il cuore gli martellava nel petto e per un attimo si era chiesto se sarebbe schizzato fuori per la forza con cui pompava.
Non riusciva più a pensare a nulla. Chiaramente aveva già pensato troppo in tutti quei mesi.
Aveva respirato profondamente per poi alzarsi dal divano, facendo saltare Chairman Meow sul posto. Si era spinto in avanti, afferrando Magnus per il colletto per tirarselo più vicino. Aveva ignorato il suo lamento sorpreso e aveva appiccicato le labbra alle sue.
Per un momento quei pochi secondi erano sembrati durare un’eternità: Magnus era impietrito per lo shock, senza sapere cosa fare. Poi lo aveva ricambiato e l’intero mondo di Alec era come esploso. Aveva dimenticato tutto, a partire da Raphael fino ad arrivare al fatto che lui fosse così diverso da come pensava, per focalizzarsi completamente su Magnus. Aveva riversato tutto se stesso in quel bacio, dalla frustrazione di quei mesi al sollievo provato in quel momento che lo aveva reso più leggero di una piuma. Baciare Magnus era come inseguire un uragano e ad Alec non importavano affatto il pericolo o la tensione da togliere il fiato che gli attraversano il corpo, la mente e l’anima. Baciare Magnus era esattamente come lo aveva immaginato, forse anche di più.
Non si era nemmeno leggermente vergognato del gemito che gli era scappato, quando Magnus aveva preso a mordicchiare il suo labbro inferiore, e aveva aperto la bocca, lasciando che le loro lingue si incontrassero con forza.
“Non fate caso a me” era intervenuto Raphael.
Alec si era spostato riluttante, fissando Magnus direttamente negli occhi verdi.
Raphael si era alzato dal divano, schiarendosi la voce.
“Ero venuto solamente per controllare che fossi ancora vivi” aveva detto, indicando il suo non-fidanzato. “Mi hai lasciato un messaggio vocale piuttosto allarmante ieri sera. Sembravi davvero ubriaco.”
“Lo ero. Ma ora sono del tutto sobrio e vorrei che te andassi, a meno che tu non voglia vedere cose che i tuoi poveri occhi innocenti non dovrebbero vedere” aveva affermato Magnus, sorridendo ammiccante.
“Sono già fuori dalla porta” aveva risposto Raphael, tornando immediatamente ad essere il solito.
Un secondo dopo, la porta d’ingresso si stava chiudendo dietro di loro.
Magnus si era voltato di nuovo per fronteggiare Alec, che lo stava guardando come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto. E, in quel momento, lo era. Oh, lo era davvero.
“Allora…come ti sentiresti ad essere non-single?” aveva chiesto Alec, la voce tremolante sia per l’emozione che per la tensione.
Magnus aveva mostrato uno dei suoi bellissimi e luminosi sorrisi e aveva stretto le braccia intorno al collo di Alec.
“Penso che potresti persuadermi” aveva sussurrato, per poi baciarlo di nuovo.

 

1Riporto le battute in inglese perché purtroppo in italiano il gioco di parole non si riesce a rendere esattamente. In inglese, infatti, il termine fuck utilizzato da Magnus è, al tempo stesso, un’espressione esclamativa corrispondente, appunto, al nostro volgarissimo “cazzo!” e un verbo che significa “fottere, scopare”. Da qui il “questo è il piano” di Alec.
[“Fuck,” Magnus moaned.
“That’s the plan,” Alec breathed back, chuckling lightly]


Nda.
Here we are! 
Con ben una settimana di ritardo rispetto a quanto avevo promesso, ma purtroppo lo stage mi sta portando via più forze e più tempo di quanto mi aspettassi.
Anyway, come avevo giurato, l'attesa è valsa la pena! Finalmente abbiamo questo benedetto bacio e anche qualcosina in più! Alec che finalmente capisce che tra Magnus e Raphael non c'è nulla, non so perchè, mi fa una tenerezza assurda. Tra l'altro, la scena dei chiarimenti è seriamente hilarious, come direbbero gli inglesi! 
Mancano 
soltanto due capitoli alla fine della storia (che come sempre ricordo non è mia, ma di Lecrit, autrice AO3. Questa è "soltanto" una traduzione) e, visto che domani (alleluja) finisco lo stage, dovrei (SOTTOLINEO IL MODO CONDIZIONALE) riuscire ad aggiornare giovedì prossimo, altrimenti il capitolo arriverà sicuramente entro lunedì 4 luglio (di già? Aiuto.)
Detto questo, see you soon!
Vi lascio con una gif del bacio Malec (quanto ho aspettato per vederlo su schermo dopo tutti questi anni nel fandom, mamma mia), che ci sta tantissimo (l'avrei probabilmente messa anche se non si fossero baciati in questo capitolo, perchè sì, fa sempre bene).
See you soon! I. xx
Come sempre lascio lo spoiler qui sotto.



#SPOILER#
“Toglietevi quei sorrisi compiaciuti dalla faccia” aveva detto Jace, dopo aver rivolto loro un solo sguardo. “Il senso della ‘camminata della vergogna’ è che dovreste sembrare vergognati.”
“Resta una ‘camminata della vergogna’ se riesci a malapena a camminare?” aveva risposto Magnus, un sorrisino arrogante a giocargli sulle labbra.
Alec aveva sentito le guance prendere fuoco.
“Magnus!” avevano esclamato, con tono di disapprovazione, lui, Jace e Clary.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Love and War ***



 

Capitolo 7.

LOVE AND WAR

“If liberty means anything at all,
it means the right to tell people
what they do not want to hear.” 

(George Orwell)
 
“Allora...quando avevi detto che mi avresti ucciso se avessi continuato con i nomignoli, non immaginavo lo avresti fatto con il sesso.”
Alec aveva riso con il respiro pesante e si era voltato sul letto per osservare Magnus. Gli occhi blu brillavano gioiosi ed era una vista così bella che Magnus era stato costretto ad avvicinarsi per baciarlo. Alec aveva rilasciato un gemito contro le sue labbra, le mani che si muovevano sulla pelle nuda della schiena dell’altro. Avrebbe potuto iniziare a fare le fusa, per via di tutte quelle attenzioni.
Erano stati interrotti rudemente da una suoneria e Alec si era allontanato con un borbottio riluttante. Era scappato alla presa di Magnus ed era sceso dal letto per recuperare il cellulare dalla tasca dei suoi jeans. Una foto di Jace era ben visibile sullo screen e Alec non era riuscito a trattenere un sospiro.
Si era voltato per fronteggiare Magnus e lo aveva trovato intento ad adocchiare il suo corpo nudo con interesse.
“Smettila di fissarmi il culo” aveva detto, senza alcuna rabbia.
“Fammi smettere” aveva scherzato quello, sorridendo.
Alec aveva alzato gli occhi e aveva poi risposto al telefono. La sua voce suonava roca alle sue stesse orecchie.
“Sono davanti alla porta di casa tua e tu non ci sei” aveva annunciato Jace senza preamboli. “Sono con Clary. Alla fine non era arrabbiata con me, stava soltanto affrontando i postumi della sbornia. Una brutta sbornia.”
“Perché sei davanti alla porta di casa mia?” aveva borbottato Alec, spostandosi di nuovo verso il letto, per accoccolarsi addosso a Magnus e intrecciare le loro gambe.
“Sono venuto a controllare che fossi ancora vivo” aveva affermato Jace. “Perché sono un bravo fratello. Dove sei?”
Era sceso il silenzio per qualche secondo, dopodiché Alec si era schiarito la voce. “Sono da Magnus.”
“Oh, fantastico. Arriviamo” aveva detto Jace.
“Aspetta!” aveva sputato, prima di riuscire a ricomporsi. “Dacci qualche minuto.”
“Oddio, siete entrambi nudi, vero?”
Alec si era schiarito nuovamente la voce, mentre le guance gli si arrossavano. “Sì.”
“Okay, avete cinque minuti” aveva detto Jace, come se stesse facendo loro chissà quale favore.
Alec aveva attaccato per poi seppellire immediatamente il volto nel collo di Magnus, inebriato dal suo profumo.
“Immagino che dovremo uscire dal letto, vero?” gli aveva sussurrato all’orecchio, le dita che giocavano con i capelli neri di Alec.
Lui aveva gemuto, lasciandogli un bacio sul pomo d’Adamo. “Forse se li ignoriamo per un po’, se ne andranno e basta.”
Magnus aveva riso, le dita erano scivolate dai capelli alla base del collo.
“Non dico di conoscere tuo fratello meglio di te, ma sappiamo benissimo che non succederà mai” aveva detto e Alec era riuscito a percepirne il sorriso contro l’orecchio.
“E va bene” aveva sospirato.
Si era allontanato riluttante da Magnus, flettendo le spalle per allungare i muscoli intorpiditi e si era alzato nuovamente dal letto, indossando i suoi vestiti che giacevano sul pavimento. Magnus aveva fatto lo stesso e Alec non era riuscito a trattenere una o due occhiate (o anche tre). Si era dovuto trattenere prima di perdere il controllo e spogliarlo di nuovo. Si era sentito leggermente rassicurato quando aveva beccato Magnus fissarlo a sua volta.
Stavano attraversando il corridoio, quando Jace e Clary erano irrotti nel soggiorno.
“Toglietevi quei sorrisi compiaciuti dalla faccia” aveva detto Jace, dopo aver rivolto loro un solo sguardo. “Il senso della ‘camminata della vergogna’ è che dovreste sembrare vergognati.”
“Resta una ‘camminata della vergogna’ se riesci a malapena a camminare?” aveva risposto Magnus, un sorrisino arrogante a giocargli sulle labbra.
Alec aveva sentito le guance prendere fuoco.
“Magnus!” avevano esclamato, con tono di disapprovazione, lui, Jace e Clary.
“Troppe informazioni” aveva borbottato Jace, chiudendo gli occhi per un secondo, accigliato. “Stai pur sempre parlando di mio fratello.”
“Scusa” aveva detto Magnus, sebbene non sembrasse affatto dispiaciuto.
Alec aveva alzato gli occhi al cielo, ma aveva fatto comunque qualche passo per avvicinarsi a lui, come se attratto da una forza a cui non poteva resistere.
Si erano riuniti sui divani e Alec si era seduto al fianco di Magnus, giusto perché poteva farlo, il senso di colpa che lo aveva perseguitato per mesi del tutto dissolto nell’aria fine. Era liberatorio.
“Sono felice per voi, ragazzi” aveva esclamato Clary, dopo essersi seduta. “Ce ne avete messo di tempo, ero quasi disperata. Otto dannati mesi!”
“Beh, a dire il vero è una storia divertente” aveva iniziato Magnus con entusiasmo, già ridendo.
“Non farlo” lo aveva fermato Alec severamente.
“Tesoro, lo dirò a Clary, che tu sia qui o no” aveva risposto con un sorriso e Alec lo aveva odiato un pochino (o affatto, ma beh, poteva sempre fingere). “E lei lo dirà a Jace, quindi arrenditi.”
Alec aveva borbottato scontrosamente, incrociando le braccia al petto sconfitto.
“Quindi, questa storia?” era intervenuto Jace, le sopracciglia sollevate per la curiosità. “Per favore, tieni per te più dettagli erotici possibili.”
Magnus si era avvicinato a loro e aveva abbassato il tono di voce in modo confidenziale, uno scintillio divertito a giocargli negli occhi verdi.
“Il nostro caro Alexander pensava che io frequentassi Raphael.”
Le sopracciglia di Clary si erano arruffate per la confusione e i capelli rossi avevano preso a volarle intorno al viso quando si era voltata verso Alec. “Cosa?”
“Avevo buone ragioni per pensarlo” aveva brontolato Alec a denti stretti, le guance che gli bruciavano per l’imbarazzo.
“È venuto da me questo pomeriggio” aveva continuato Magnus impazientemente, “urlando che dovevamo dire a Raphael di aver fatto sesso la notte scorsa, il che tra parentesi è stato davvero dolce. Amo la tua onestà” stava guardando Alec con quello che sembrava tanto stupore, ma era poi tornato velocemente a guardare i due ospiti. “Vi lascio immaginare la mia espressione.”
Jace e Clary stavano ascoltando attentamente Magnus che si era avventurato nel racconto della storia e nel frattempo guardavano Alec, che stava invece fissando il tavolino da caffè, sperando silenziosamente che il divano lo inghiottisse. Jace non gli avrebbe più dato pace con questa storia.
Quando aveva finito, Jace era scoppiato a ridere. Clary aveva almeno avuto la decenza di nascondere il sorrisino dietro la mano.
“Stai dicendo che per otto mesi non è successo nulla tra di voi perché tu pensavi che stesse frequentando Raphael?” aveva chiesto Jace, ilare. “Ma li hai visti insieme? Perché non mi hai detto nulla?”
“Perché mi avresti detto di provarci anche se stavano uscendo insieme” aveva brontolato Alec in risposta, quasi mettendo il broncio. Jace non aveva controbattuto. “E in ogni caso potevano essere una di quelle coppie che stanno insieme anche senza piacersi.”
“Oh, era proprio così quando stavano insieme” era intervenuta Clary, ridendo con pieno gusto. Alec li odiava tutti. “Era un disastro.”
“È vero” aveva confermato Magnus, annuendo. “Io e Raphael non siamo fatti per stare insieme troppo a lungo.  Alla fine, non si sa come, finiamo sempre per volerci uccidere a vicenda.”
“E lo definisci il tuo migliore amico?” aveva scherzato Alec impassibile, con tono interrogatorio.
Magnus aveva scrollato le spalle, un sorriso affettuoso sulle labbra. Era strano sentirlo parlare di Raphael, ora che sapeva che tra loro non c’era alcuna relazione amorosa. Era ovvio l’affetto nel suo sguardo, ma ora Alec notava che non c’era traccia di romanticismo. Niente rispetto al modo in cui Magnus guardava lui. Ciò lo riempì di orgoglio.
Era quasi pronto a sopportare le battute di Jace per tutta la notte.

***

Quando aveva chiesto a Isabelle di raggiungerlo, non si aspettava che arrivasse con Simon, ma era inevitabile ammettere che i due non si separavano praticamente mai nell’ultimo periodo.
“Sta succedendo qualcosa tra di voi?” aveva sputato, prima di avere anche solo il tempo di pensarci due volte.
“Non sappiamo…bene cosa” aveva risposto Isabelle con un cenno rapido della mano.
“Il che significa che il povero Simon sta aspettando che tu capisca che lo vuoi frequentare”  aveva scherzato Alec, serio.
“Più o meno” era intervenuto Simon. “Ma va bene così, sono paziente.”
Alec non era riusciuto a trattenere un sorriso. Aveva sicuramente bisogno di molta pazienza, se voleva uscire con sua sorella. Simon era completamente diverso dai ragazzi che Isabelle aveva frequentato fino ad allora e, forse, era una cosa positiva. Prima di tutto perché faceva molto meno paura degli altri, quindi Alec poteva tranquillamente minacciarlo di comportarsi bene. Secondo, perché sembrava così innamorato che probabilmente quel discorso non sarebbe nemmeno servito. Infine, Simon gli piaceva davvero, cosa che non poteva dirsi dei suoi ex-fidanzati, o qualunque cosa fossero.
“Allora, volevi parlarmi?” aveva chiesto Isabelle, felice di cambiare argomento. Le guance pallide si erano illuminate leggermente di rosso.
Alec era stranamente sollevato nel constatare che non era l’unico Lightwood ad arrossire. Era confortante.
“Sì” aveva risposto, schiarendosi la voce a disagio e fissando per un attimo lo sguardo su Magnus, seduto di fianco a lui, che gli stava rivolgendo un sorriso incoraggiante.
Le dita gli formicolavano per quanta era la voglia di toccarlo, anche solo appoggiandogli una mano sulla spalla. Dopo mesi in cui si era trattenuto, costringendosi a non avvicinarsi troppo, a non trovarsi in atteggiamenti intimi con lui, ora non riusciva a smettere di toccarlo. Anche soltanto uno sfioramento di dita o uno scontro spalla a spalla era rinvigorente.
“Stiamo insieme” aveva detto, indicando il suo fidanzato.
Quella parola suonava ancora strana nella sua testa, ma nel miglior modo possibile. Incapace di trattenersi ancora a lungo, si era avvicinato un po’ e gli aveva circondato le spalle con un braccio. Magnus aveva posato lo sguardo su di lui e gli aveva preso una mano con un sorriso dolce.
“Cosa?” aveva urlato Isabelle.
“Congratulazioni!” aveva risposto Simon nello stesso momento, con un grande sorriso. “Era ora!”
Tutti i suoi auguri erano stati surclassati dalla reazione di Isabelle. Alec l’aveva fissata, la bocca aperta per lo stupore.
“Hai intenzione di reagire come hai fatto con Alaric?” aveva sputato, la mascella stretta a causa dell’irritazione. “Perché se lo farai, mi arrabbierò davvero.”
“Ho reagito in quel modo a causa dell’Operazione Malec!” aveva gridato di nuovo Isabelle e sembrava quasi arrabbiata, sebbene tale rabbia non sembrasse essere indirizzata alla sua relazione con Magnus. “Hai idea di quanto intensamente vi abbia shippato in questi mesi?”
“Shippato? Operazione Malec?” aveva ripetuto Alec, accigliandosi confuso. “Ti senti bene?”
“Penso voglia dire che è felice per noi, tesoro” era intervenuto Magnus in aiuto.
“Certo che sono felice per voi!” aveva esclamato Isabelle. “Ho cercato di farvi mettere insieme, ecco in cosa consisteva l’Operazione Malec.”
“Ti dispiacerebbe spiegare?” aveva chiesto Alec, quasi più confuso di prima.
“Oh, ho capito” aveva detto Magnus prima che Isabelle avesse la possibilità di spiegare. Alec era piuttosto sicuro che non ne avrebbe capito nulla comunque. “Siamo come una coppia famosa” aveva aggiunto, con un sorriso fiero.
“Che?”
“Come Brad Pitt e Angelina Jolie sono i Brangelina, noi siamo i Malec. Magnus e Alec.”
Alec ci aveva messo qualche secondo a capire di cosa stesse parlando e, quando era successo, si era voltato per fronteggiare la sorella.
“Hai dato un nome al tuo piano diabolico per accoppiarci?”
“Certo che sì” aveva risposto, come se fosse un dato di fatto. “Tutti i piani fantastici devono avere un nome in codice.”
Alec aveva alzato gli occhi al cielo.

***

Simon stava guardando a disagio il luogo in cui si trovava. Non aveva idea del perché Isabelle gli avesse chiesto di vedersi in un ristorante cinese nel centro di Brooklyn, dove sembrava cucinassero direttamente sul pavimento. Tutti i suoi dubbi erano svaniti quando la porta si era spalancata e lei aveva fatto il suo ingresso. Per un secondo si era chiesto se lui fosse l’unico a non riuscire a distogliere lo sguardo da lei ogni qual volta entrasse in una stanza, poi aveva realizzato che la risposta non importava, perché lei stava sorridendo a lui, soltanto a lui, come se le avesse migliorato la giornata.
Si era seduta di fronte a lui.
“Questo posto è terribile” aveva sussurrato, avvicinandosi come se volesse rivelarle un segreto.
“Lo so” aveva risposto allegra, “ma il cibo è buonissimo e i cocktails davvero economici.”
Simon aveva riso, scuotendo la testa divertito per l’esasperazione.
“Allora” aveva detto lei, prendendo il menù e studiandolo a fondo, per evitare il suo sguardo. “Devo parlarti di una cosa.”
Per un attimo, Simon aveva pensato che volesse lasciarlo e aveva sentito il cuore stringersi in una morsa dolorosa, impedendogli di respirare. Però non aveva detto nulla. Aveva deglutito con difficoltà, sfregando i palmi sudati delle mani contro i jeans.
“Penso che dovremmo frequentarci” aveva sputato Isabelle, “seriamente.”
Le era quasi scoppiato a ridere in faccia. Non sapeva come dirle che ormai si frequentavano seriamente da mesi, senza far apparire sul suo volto quello sguardo che amava e al tempo stesso temeva. Stare con Isabelle era come vivere costantemente in bilico sul ciglio di un burrone. Era terrificante, ma esilarante. Era sicuramente la cosa migliore che gli fosse mai capitata.
“Okay” aveva detto invece, sorridendole ricolmo di affetto.
Lei aveva annuito, apparentemente soddisfatta della sua risposta, e lo aveva preso per il colletto, tirandolo sopra il tavolo per lasciare un bacio sulle sue labbra. Simon non si era lamentato.

***

La cosa che Alec preferiva dell’avere un fidanzato era la presenza costante di affetto.
Era un ragazzo molto prudente e sempre sulla difensiva, ma quando amava, amava con tutto se stesso, sia con il corpo che con l’anima. Non si tratteneva in nulla ed era magico.
Da quanto erano vicini, Magnus aveva imparato a memoria la routine che Alec compiva tornato dal lavoro: lasciava la borsa in soggiorno, andava dritto in cucina per lavare le mani (perché dopo essere stato in metro diventava una sorta di maniaco del pulito) e poi si sedeva davanti alla televisione con una birra o un bicchiere di acqua, oppure usciva a prendere una boccata di aria fresca sul balcone. A volte andava persino a correre, ma preferiva farlo di mattina. Ora però questa routine era stata rotta da Magnus stesso, ma Alec non se ne era preoccupato.
Al posto di sedersi di fronte alla televisione, raggiungeva Magnus nel suo appartamento – senza nemmeno prendersi la briga di bussare – e si univa a lui in qualsiasi cosa stesse facendo. Ad un certo punto, Magnus aveva cominciato a farsi trovare nei pressi della sua stanza da letto, quando Alec tornava dal campus. Quest’ultimo sapeva perfettamente cosa stesse cercando di fare, ma di certo non se ne lamentava.
La cosa che Magnus preferiva dell’avere Alec come fidanzato era il modo in cui lui gli si accoccolavo addosso dopo aver fatto sesso: seppelliva il viso nella piega del suo collo e lasciava baci sparsi ovunque sulla sua pelle bollente. Oltre a questo, amava ovviamente anche i suoi addominali.
Era proprio una di quelle giornate. Erano stesi a letto, le gambe intrecciate, e stavano cercando di recuperare fiato, mentre Alec aveva già nascosto il naso contro la sua gola e le sue ciglia fluttuavano contro i lineamenti della mascella di Magnus, facendogli il solletico.
“Uno di questi giorni, ti devo portare ad un vero appuntamento” aveva borbottato Alec e le sua labbra che si muovevano a contatto con la sua pelle avevano fatto partire una scarica di brividi lungo la colonna vertebrale di Magnus. “Non ne abbiamo ancora avuto uno.”
Magnus aveva sorriso, spingendolo per fargli appoggiare la schiena sul materasso e appoggiando le mani intorno al suo viso.
“Non so” aveva sussurrato maliziosamente, stampandogli un bacio sulle labbra. “Non sono sicuro di riuscire a trattenermi abbastanza a lungo da non traumatizzare gli altri clienti.”
“Sono certo che potrai fare uno sforzo” aveva risposto Alec, le sue labbra che cominciavano ad alzarsi in un sorriso, che Magnus gli baciò via.
“Potrei provarci” aveva detto a bassa voce contro le sua labbra, come se fosse la cosa più difficile che avesse mai fatto nella sua vita. “Questo vuol dire che ti sto corrompendo anche se non stiamo ancora ufficialmente uscendo insieme?”
La malizia nella sua voce fece alzare gli occhi al cielo ad Alec. “Corrompermi? Pensavo avessimo stabilito che non ero un verginello prima di conoscerti, Magnus.”
“Oh, già” aveva mormorato sulla sua bocca, sorridendo, le dita che andavano ad incastrarsi con quelle di Alec sopra la sua testa. “L’insegnante di storia.”
Questa volta, Alec era arrossito. “Dovevo sapere che sarebbe stato meglio non dirtelo” aveva borbottato.
Le labbra di Magnus si erano spostate dalla sua bocca alla sua mascella e infine sul collo e avevano cominciato a mordicchiarlo gentilmente. Alec aveva gemuto, spingendo i fianchi contro i suoi.
“Te lo ha insegnato lui questo?” aveva chiesto Magnus senza fiato, mentre le sue labbra si muovevano sempre più in basso.
“Potresti non parlare di lui, mentre siamo a letto?” aveva ringhiato Alec, la testa abbandonata sul cuscino e la bocca aperta per l’eccitazione.
“Sì, hai ragione” aveva risposto Magnus. “Che si fotta.”
“Che ne dici di fottermi tu, invece?”
Magnus aveva sorriso e lo aveva fatto.
Erano andati ad un appuntamento e Magnus non si era affatto comportato bene.

***

Jace non era un ragazzo apprensivo. Era più che altro spensierato, il classico tipo da fai quello che ti pare e vaffanculo tutto il resto. In quel momento stava camminando avanti e indietro davanti alla porta di casa di Clary, come se bussare fosse la sfida più difficile che avesse mai affrontato in quegli anni. Probabilmente perché lo era davvero.
Jace aveva avuto la sua schiera di fidanzate (Alec lo aveva definito fin troppe volte una troia, perché fosse normale), ma nessuna era mai stata come Clary. Clary gli toglieva il respiro non solo perché era bella, ma perché era anche gentile, orgogliosa, spontanea e testarda. E anche violenta, come aveva potuto imparare molto in fretta. Il che, però, poteva anche essere una cosa positiva. Non immaginava che si sarebbe innamorato così velocemente e completamente come era successo, ma eccolo lì ora e, a dirla tutta, non se ne era pentito nemmeno per un attimo.
O forse lo stava facendo in quel momento, perché prima di allora non aveva mai dovuto sottoporsi all’incontro con i genitori di una ragazza. Aveva sempre inventato una scusa per evitarlo o semplicemente lui e la sua fidanzata in questione si lasciavano prima che questo momento arrivasse. Clary, però, era diversa.
Per cui eccolo, del tutto privo di fascino e tranquillità, a fissare la porta, come se lo avesse personalmente offeso. Più per sfida nei confronti di quest’ultima (che sembrava seriamente lo stesse fissando giudiziosamente e, sul serio, non aveva alcun senso, ma Jace non aveva mai sostenuto di essere una persona normale) aveva finalmente alzato la mano per bussare.
Grazie a Dio, ad aprirgli la porta era stata Clary, che dopo avergli lanciato una lunga occhiata, era scoppiata a ridere.
“Sembra che tu voglia scappare” aveva scherzato, tirandolo per il colletto della maglia per farlo entrare.
Lo aveva baciato velocemente sulle labbra ed era quasi bastato a far sparire tutta la sua preoccupazione. Quasi.
“Rilassati” gli aveva detto con un sorriso gentile. “Andrà bene.”
Jace aveva annuito nervosamente, schiarendosi la voce per apparire più tranquillo di quanto fosse in realtà. Sembrava che lei riuscisse a guardargli attraverso, ma non aveva fatto altri commenti. Al contrario, lo aveva preso per mano, trascinandolo con sé.
“Mamma, Luke! Lui è Jace, il mio fidanzato!” aveva annunciato ad alta voce, entrando in cucina.
La coppia si era voltata contemporaneamente verso di loro e Jace aveva dovuto trattenersi dal bloccarsi sul posto a causa del panico. Ce la poteva fare. Non era così difficile. Era una persona affascinante o, almeno, così gli avevano detto.
“Ciao” aveva sputato, facendo loro un cenno con la mano libera.
La madre di Clary gli aveva sorriso, facendo un passo avanti per stringergli la mano. “Puoi chiamarmi Jocelyn” aveva poi detto gentilmente. Aveva gli stessi capelli rossi di Clary, ma le somiglianze non finivano lì. Si assomigliavano anche nei lineamenti sottili e nel modo in cui gli occhi brillavano di gentilezza. Lo aveva immediatamente fatto sentire a suo agio.
L’uomo l’aveva seguita e Jace aveva sussultato quando gli aveva stretto la mano, forse un po’ più forte del necessario.
“Io sono il Signor Garroway, per te” aveva detto freddamente.
Jace aveva annuito ansiosamente, lo stomaco che gli si torceva per il nervosismo e la voglia di scappare che stava prendendo il sopravvento. Tutto questo per essere il coraggioso, incosciente testardo della famiglia, aveva pensato amaramente.
“Allora” aveva continuato l’uomo. “Hai intenzione di sposare mia figlia o te la stai solo portando a letto?”
Jace aveva spalancato la bocca prima di riuscire a fermarsi. Aveva cominciato a balbettare, la faccia gli stava prendendo fuoco e, per un attimo, si era probabilmente sentito come Alec ogni giorno. Non gli piaceva. Essere timidi faceva schifo.
Aveva spostato velocemente gli occhi pieni di panico su Clary, che lo stava fissando a sua volta, ma c’era una scintilla, nelle sue iridi, di divertimento e affetto fusi insieme. Jace si era voltato nuovamente verso il Signor Garroway, che ora si stava mordicchiando il labbro inferiore, come se fosse sul punto di scoppiare.
E infatti era scoppiato a ridere e aveva stretto con forza una spalla di Jace con la mano.
“Ti stavo prendendo in giro” aveva detto, ridendo fragorosamente. “Sono Luke, piacere di conoscerti.”
Jace aveva rilasciato un sospiro di sollievo e si era preso qualche secondo per fermare il treno di pensieri negativi. Luke stava ancora ridendo, ma l’attimo dopo era tornato serio. Era destabilizzante.
“Ma se ti prendi gioco di lei, ti faccio fuori. Sono un poliziotto, conosco molti metodi per nascondere un cadavere e fare in modo che non venga più ritrovato” aveva affermato.
Questa volta, Jace aveva trovato la forza di accennare un sorriso, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
“Non sto scherzando, ora” aveva aggiunto Luke, guardandolo dritto negli occhi. “Falle del male e sparirai dalla superficie della Terra.”
Jace aveva deglutito a fatica, annuendo comprensivo.
“Fantastico” aveva poi esclamato Luke, battendo le mani tra di loro, per poi voltarsi verso Jocelyn che stava scuotendo la testa esasperata. “Spero ti piaccia il cibo Indiano.”
A Jace non piaceva, ma lo aveva mangiato comunque.

***

Alec aveva fatto coming out con la sua famiglia molto tempo prima.
Isabelle e Jace lo avevano accettato facilmente, soprattutto perché lo sapevano già da prima che lui aprisse bocca. Era stato un po’ più difficile convincere i suoi genitori, soprattutto suo padre, ma alla fine se n’era fatto una ragione e aveva smesso di lanciargli occhiate deluse. Non ne era di certo entusiasta, ma almeno ora Alec non doveva più nascondersi davanti a lui.
Aveva fatto coming out con la sua famiglia e i suoi amici molto tempo prima, ma questo non significava che andasse in giro a dire che era gay ogni volta che doveva presentarsi. Era gay, sì, ma aveva anche tante altre qualità più importanti che lo aiutavano in determinati contesti. Come nel lavoro, per esempio.
Alcuni dei suoi colleghi lo sapevano, soprattutto quelli con cui andava più d’accordo, come Maia e Aline, e altri invece no, ma non perché volesse tenerlo loro nascosto. Semplicemente, non era mai uscito il discorso.
L’opportunità era comparsa con le sembianze del suo bellissimo fidanzato in una giornata di giugno.
Alec stava finendo una lezione riguardo la mitologia norvegese, cercando di non alzare gli occhi al cielo ogni volta venisse menzionato Loki o dei ragazzi cominciassero a ridere sommessamente sul fondo dell’anfiteatro, quando aveva notato un’ombra familiare vicino alla porta e aveva iniziato a balbettare.
Alec non balbettava mai davanti ai suoi alunni. A dirla tutta, era anche piuttosto sicuro di sé, forse perché amava davvero la sua materia, ma la semplice vista del suo fidanzato era riuscito a fargli perdere tutta quella sicurezza. Aveva lasciato la porta aperta perché era una bella giornata e in quel modo dei piacevoli spifferi d’aria attraversavano la stanza, evitando che questa iniziasse a puzzare di sudore e cervelli fumanti. Però, se avesse saputo che Magnus si sarebbe presentato, probabilmente l’avrebbe chiusa. Dannato lui, che riusciva sempre a portarlo a queste reazioni esagerate.
Magnus aveva catturato il suo sguardo, ancora fermo in corridoio, e aveva sorriso divertito.
Alec aveva balbettato di nuovo e si era poi schiarito la voce, voltando lo sguardo verso i suoi studenti. Alcuni gli stavano sorridendo consapevoli e si era trattenuto dall’imprecare sottovoce. Aveva terminato la lezione in fretta, grato di non essersi più impappinato. Quando li aveva congedati, alcuni studenti erano usciti dalla classe, mentre altri erano rimasti seduti al loro posto, guardandolo pieni di aspettativa.
“Non avete altre lezioni?” aveva chiesto fermamente, alzando un sopracciglio mentre riponeva il computer nella sua tracolla.
Nessuno aveva risposto, alcuni sguardi si erano fissati su Magnus, che era entrato nella stanza e stava camminando lungo il muro che affiancava la porta di ingresso. Alec aveva alzato gli occhi al cielo e scosso la testa incredulo. Indossava una camicia blu elettrico a malapena abbottonata e dei pantaloni di pelle nera così aderenti che sembravano pitturati. Alec odiava quei pantaloni (okay, era una bugia, lo facevano eccitare tutte le volte). Come se quell’outfit non attirasse già di per sé abbastanza attenzioni, indossava anche le sue Dr. Martens argento. Era bellissimo.
Alec si era voltato verso i suoi studenti.
“Forza, uscite da qui prima che vi dia un tema da scrivere per domani!” aveva esclamato, ma nessuno si era mosso.
Aveva sospirato sconfitto e aveva raccolto la sua borsa, per poi spostarsi verso Magnus che lo stava guardando maliziosamente.
“Che ci fai qui?” gli aveva chiesto, abbassando la voce per evitare di essere sentito dagli alunni.
“Volevo vederti” aveva risposto Magnus gentilmente. “Perché non mi saluti come si deve?”
“Perché non ho intenzione di baciarti davanti ai miei studenti” aveva ribattuto Alec.
“Ti vergogni di me?” aveva chiesto Magnus, fingendo un tono offeso.
“Taci, lo sai che non è vero” aveva detto, alzando gli occhi al cielo. “Sei tu che dovresti vergognarti per questo comportamento.”
“Dai” aveva borbottato Magnus, prendendolo gentilmente per il gomito. “Saluta il tuo fidanzato per bene.”
“Perché sei così testardo oggi?” aveva chiesto, corrugando la fronte sospettoso.
“Teoricamente, può darsi che un ipotetico uccellino mi abbia riferito che alcuni dei tuoi studenti ci abbiano provato con te. Ma è solo un’ipotesi.”
Alec aveva gemuto. “Odio che tu ed Izzy siate amici.”
“Non mentire, ti piace” aveva risposto Magnus.
Aveva alzato di nuovo gli occhi al cielo, ma capendo a cosa fosse dovuta tutta quella scenata, aveva sorriso, ridendo leggermente.
“Quindi sei geloso?” aveva chiesto, una tenerezza che non sapeva nemmeno di possedere gli aveva fatto tremolare la voce.
“Non sono geloso, sono più che altro un uomo primitivo delle caverne che deve reclamare il suo territorio” aveva risposto spensieratamente. Alec lo conosceva abbastanza da sapere che, in parte, fosse serio.
Aveva sbuffato, ma alla fine si era avvicinato, lasciandogli un bacio sulle labbra. Stava per allontanarsi, quando Magnus (sporco traditore) aveva stretto la presa sul collo con una mano e aveva portato la lingua prima a leccare il suo labbro inferiore e poi dentro la sua bocca. Alec non aveva avuto altra scelta se non ricambiare il bacio (e giurava che era un’avversità) e fare di tutto per non piagnucolare per avere di più.
Quando il bacio era diventato abbastanza soddisfacente, Magnus si era spostato, sorridendogli altezzosamente. Alec stava facendo del suo meglio per ignorare gli studenti che, dietro di loro, stavano esultando, fischiando o ridendo. Era arrossito, aveva afferrato la mano del suo fidanzato e lo aveva trascinato fuori dall’anfiteatro.
“Non posso credere che mi hai costretto a limonarti davanti ai miei studenti!” lo aveva ripreso a bassa voce mentre attraversavano il corridoio.
Aveva provato a sembrare infastidito, davvero, ma aveva fallito miserabilmente.
“Beh, tu sembravi davvero contrariato all’idea” aveva scherzato Magnus sarcasticamente, stringendogli la mano. “Soprattutto quando mi hai morsicato.”
“Stai indossando quei pantaloni” aveva controbattuto Alec, ma aveva subito realizzato che non era di certo la miglior spiegazione del secolo. “Sai che effetto mi fanno quei pantaloni. Hai imbrogliato.”
“È tutto lecito in amore e in guerra, Gideon.”
“Tu lo chiami amore, io la chiamo manipolazione emotiva.”
“Sta’ zitto, lo sai che ti amo” aveva detto Magnus, sorridendo.
“Sei fortunato che ti ami anche io, altrimenti avrei preso a calci quel bel sedere che ti ritrovi.”
Quindi, ovviamente, il giorno successivo tutti i suoi colleghi e l’intero campus sapevano che era gay. La maggior parte degli insegnanti non ci avevano fatto caso, ma Maia lo aveva preso in giro per essere stato trovato sul punto di fare sesso con il suo fidanzato in una classe. Alcuni studenti si erano addirittura congratulati con lui per il suo sexy fidanzato da urlo (parole loro, non sue, anche se Magnus era davvero sexy e da urlo), quindi alla fine, non gli era andata tanto male. Non aveva detto niente a Magnus, però, perché tutto ciò non avrebbe fatto altro se non accrescere il suo egocentrismo.

***

Non litigavano spesso. Discutere giocosamente e litigare erano due cose completamente diverse.
Se litigavano, era soprattutto per cose futili, come ad esempio perché Magnus lasciava i suoi vestiti in giro per casa o era un po’ troppo amichevole con qualcuno (le persone tendevano a confondere il suo fascino naturale con interesse e quindi flirtavano a loro volta e ad Alec questa cosa non piaceva per niente) o, ancora, per il modo di vestirsi di Alec (Magnus voleva davvero che il ragazzo buttasse quel particolare maglione che aveva indossato così a lungo tanto che da marrone era diventato grigio). Ma andava bene così, perché i litigi non duravano a lungo e alla fine si ritrovavano sempre felici in camera da letto.
C’era stato un litigio, però, diverso dagli altri. Diverso perché non era stato giocoso o per una cavolata, come al solito, ma perché per la prima volta da quando si erano incontrati aveva creato un muro tra di loro.
“Eri sposato?”
Magnus si era lamentato e, avvicinandosi alla barriera del balcone, aveva sospirato, stanco. “Solo per sei mesi, non è chissà che cosa.”
Alec si era sorpreso quando ne era venuto a conoscenza. Erano stati a cena da Ragnor, il fidanzato di Raphael, che era finalmente tornato dal Perù e li aveva invitati nel suo appartamento per conoscere il ragazzo che “sopportava Magnus tutti i giorni”, come lo aveva definito. Per cui ci erano andati. La serata era stata davvero piacevole. Alec si era immediatamente trovato a suo agio con Ragnor e quando lo aveva visto con Raphael si era chiesto come avesse potuto pensare anche per un solo secondo che lui e Magnus si frequentassero. Raphael era un’altra persona, quando il suo fidanzato era nei paraggi. Era sicuramente più rilassato e al tempo stesso lo erano anche le sue battute sarcastiche. Era quasi simpatico, ma forse questa era una considerazione un po’ eccessiva.
Dopo cena, Alec si era alzato e aveva cominciato a guardarsi intorno, osservando interessato parti della vita di Ragnor racchiuse in fotografie. Ragnor lo aveva seguito, raccontando storie divertenti e facendo commenti irriverenti. Si era fermato di fronte ad una foto particolare, che ritraeva lui e Magnus, entrambi sorridenti e vestiti in modo formale, in posa davanti ad una distesa di acqua.
“Questa foto è davvero bella” aveva detto, un leggero sorriso a colorargli le labbra, soffermandosi con lo sguardo sulla figura del suo fidanzato.
Magnus sembrava molto più giovane, ma comunque adulto.
“Già, l’abbiamo scattata il giorno del suo matrimonio” aveva risposto Ragnor, e non c’era ragione per cui lui avrebbe dovuto sapere che Alec non ne sapeva niente, semplicemente perché, beh, Alec avrebbe dovuto saperlo.
“Scusa?” aveva sputato, la bocca spalancata per la sorpresa.
“Il giorno del matrimonio di Magnus” aveva ripetuto ingenuamente, indicando i vestiti eleganti che indossavano entrambi.
Alec aveva quasi fatto cadere il bicchiere che teneva in mano a terra per lo shock.
“Che state facendo?” aveva chiesto Magnus allegramente, unendosi a loro. “Ragnor, non raccontargli mie storie imbarazzanti!”
“Oh, me ne ha raccontata una davvero interessante” aveva risposto Alec freddamente e il suo tono era stato sufficiente a far bloccare Magnus sul posto. “Ma è una cosa di cui dovremmo discutere a casa, perché non voglio che i tuoi amici siano presenti.”
Per cui se ne erano andati. Ragnor aveva mormorato delle scuse nell’orecchio di Magnus, mentre si abbracciavano in saluto, ma non gli si poteva certo dare colpe perché ovviamente non poteva sapere che Alec non fosse a conoscenza del fatto che fosse stato sposato in passato. Si era limitato a seguire impacciatamente fino alla macchina Alec, che aveva guidato fino a casa. Non aveva spiaccicato parola per tutto il viaggio, ma aveva cominciato ad urlare non appena avevano messo piede nell’appartamento di Magnus.
“Come è possibile che il tuo essere stato sposato non sia chissà che cosa?” aveva urlato Alec, il corpo tremante di rabbia.
“Non è questa gran cosa” aveva ripetuto Magnus, testardamente. “Non c’è bisogno di rivangare il passato.”
Alec si era lasciato scappare un lamento di frustrazione. “Smettila! Smettila di comportarti come se non significasse niente, perché non è così!”
“Davvero?” era scattato Magnus, stringendo i denti irritato. “Perché? Vuoi smettere di uscire con me all’improvviso perché hai scoperto che sono stato sposato?”
“No, ma potrei non volerlo considerando che mi hai mentito per tutti questi mesi!”
“Non ti ho mentito” aveva protestato Magnus con violenza. “Non è mai uscito il discorso e basta.”
“Oh, ma davvero?” aveva sputato Alec, la voce pesante di sarcasmo e tagliente quanto un coltello. “Ci conosciamo da un anno e non so quanto, stiamo insieme da sei mesi e tu non hai mai avuto l’occasione di dirmi che eri sposato?”
“Come volevi che te lo dicessi?” aveva urlato Magnus. “A colazione? Buongiorno tesoro! Ah, per la cronaca, sono stato sposato per sei mesi otto anni fa!”
“Sarebbe stato meglio così, piuttosto che mentirmi” aveva gridato Alec in risposta.
Gli girava la testa, aveva le pupille dilatate e stringeva i denti così forte da fargli male.
“Non ti ho mentito!” aveva ribattuto Magnus, con lo stesso tono di voce.
“Nascondere la verità e mentire è la stessa cosa!”
Magnus si era lamentato, frustrato. “Amore –“
“Non mi chiamare amore” aveva sibilato Alec, sputando la parola come se fosse un insulto. Il sangue gli ribolliva di rabbia irrazionale e inamovibile. “Non posso credere che non me lo hai mai detto.”
“Perché non ha importanza!” aveva ripetuto Magnus, alzando le braccia esasperato e frustrato. “È stato tantissimo tempo fa e, ovviamente, un errore.”
“Sai cos’è stato un errore? Pensare di potermi fidare di te.”
Magnus aveva fatto un passo indietro, spalancando la bocca per lo shock e stringendo poi i denti per cercare di trattenere le lacrime che gli si erano formate agli angoli degli occhi. Sapeva di aver rovinato tutto e che, in quel momento, avrebbe dovuto cercare il perdono di Alec invece di essere arrabbiato, ma non poteva farne a meno. Il suo passato era ancora un tasto dolente e non era sicuro di volere che Alec lo vedesse così vulnerabile, che vedesse quella ferita che gli squarciava il cuore, perché non aveva certezze che, scoprendo quanto fosse incasinato, gli sarebbe rimasto accanto.
Perciò lo aveva lasciato andare e lo aveva guardato, impotente, abbandonare il suo appartamento e sbattersi la porta alle spalle.
 


Nda.
 

Eccomi qui! Sono, finalmente (ammettiamolo), tornata. Se per caso seguite la storia e me su wattpad (sono resistoperniall, link diretto nella bio del mio profilo) e avete letto i miei messaggi e l'ultimo avviso pubblicato, saprete benissimo che quest'estate non ho avuto molto tempo e, purtroppo, nemmeno molta voglia di tradurre. Ho ripreso soltanto nelle ultime settimane, quindi come promesso eccomi qui con il settimo capitolo. 
Ho amato tradurlo, davvero, è sicuramente uno dei miei preferiti. Ci sono alcune scene che mi fanno sempre nascere un sorriso immenso sulle labbra, come ad esempio la parte iniziale, che davvero aw, i Malec sono tenerissimi. Ovviamente, però, figuriamoci che Lecrit (vi ricordo che l'autrice della storia è lei; trovate tutte le informazioni nelle note iniziali che precedono il primo capitolo) potesse darci una gioia, quando mai. Quindi adesso resterete con l'ansia per altre due settimane per sapere se ci sarà l'happy o il sad ending, mi dispiace.
Però dai, siate felici per i Sizzy che sono l'amore e i Clace (Jace che si presenta a Jocelyn e Luke è la parte epica del capitolo, avanti)!
Come anticipato più volte su wattpad, il prossimo capitolo (L'ULTIMO, AIUTO) arriverà tra due settimane - quindi, giovedì 29 settembre. 
Visto che non lo faccio mai nelle note, volevo ritagliarmi questo ultimo angolino per ringraziare tutti quanti per le recensioni ricevute, per i complimenti per la traduzione, per aver aggiunto alle preferite/ricordate/seguite. L'ho davvero apprezzato!

E ovviamente grazie anche a tutti i lettori silenziosi, so che ci siete (e vi capisco, anche io recensisco raramente).
Lasciatemi tanti bei pareri, che mi fa sempre piacere! 
Vi lascio con la mia gif preferita del bacio Malec, che mi fa venire i brividi tutte le volte, mamma mia.

STAY TUNED, ci vediamo tra due settimane!
I, xx.



 

((SPOILER))

"Se stai cercando di farmi sentire meglio, non ci stai riuscendo" aveva borbottato Magnus. "Vattene."
"L'amore non è mai facile" aveva risposto Raphael, togliendo a forza le coperte dal suo corpo. "Alzati, fatti una doccia, sistema tutti i tuoi casini e va' a riprendere il tuo uomo. Sono stanco di vederti crogiolare nella tua autocommiserazione."
"Vaffanculo, Raphael."
"Lo farò dopo che ti sei fatto una doccia."

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** One Simple Truth. ***



 

CAPITOLO 8.

ONE SIMPLE TRUTH.

 
We are all in the gutter,
but some of us are looking
at the stars.
” 
(Oscar Wilde)
“Hai dato da mangiare a Chairman Meow in questi giorni o hai intenzione di lasciarti morire di dolore così che poi ti possa mangiare?”
Raphael era un coglione, Magnus lo aveva definitivamente deciso in quel momento. Diventare suo amico, quando ancora era un bambino, era stato un grandissimo errore.
“Non lo farebbe mai, mi ama troppo” aveva borbottato, da sotto la corazza di coperte.
Raphael si era sporto sul divano e aveva fatto una smorfia quando era stato colpito dall’odore forte del whiskey. Ce n’era una bottiglia sul tavolino da caffè, vuota da chissà quanto tempo.
“Fai schifo” aveva detto alla fine, prendendo la bottiglia con un cipiglio inorridito.
“Se stai cercando di farmi sentire meglio, non ci stai riuscendo” aveva borbottato Magnus. “Vattene.”
“L’amore non è mai facile” aveva risposto Raphael, togliendo a forza le coperte dal suo corpo. “Alzati, fatti una doccia, sistema tutti i tuoi casini e va’ a riprendere il tuo uomo. Sono stanco di vederti crogiolare nella tua autocommiserazione.”
“Vaffanculo, Raphael.”
“Lo farò dopo che ti sei fatto una doccia.”
Proprio un coglione.
Magnus gli aveva mostrato un dito in particolare, dopodiché si era alzato, trascinando i piedi fino al bagno.
 
***
 
“È morto qualcuno in questo appartamento?” aveva chiesto Jace, quando il fratello gli aveva aperto la porta. “O forse sei proprio tu?”
Alec gli aveva mostrato il dito medio, borbottando degli insulti incomprensibili, poi si era spostato di nuovo sul divano, lasciando la porta d’ingresso aperta così che Jace e Isabelle potessero seguirlo.
Isabelle si era guardata attorno circospetta.
“Alec, devi andare a parlargli” aveva detto dolcemente, il tono ricco di affetto, quasi con compassione.
Aveva stretto i denti. “No, invece” aveva mormorato testardamente.
“Sei messo malissimo” era intervenuto Jace. “Ti manca.”
“No, non è vero” aveva mentito Alec.
Non era tanto il modo in cui lo aveva detto a far capire che si trattasse di una bugia, ma tutto il resto: dagli occhi venati di sangue alla sua postura rigida e al leggero tremore della sua voce. Lo si capiva da ogni passo facesse e da ogni suo respiro.
“Sono cazzate” aveva proferito Jace, perché era sì un coglione, ma uno di quelli senza peli sulla lingua.
Isabelle, che era sempre stata quella più gentile, si era seduta al suo fianco, prendendogli le mani tra le sue.
“Allora, ti ha mentito” aveva detto. “La gente mente, succede continuamente. Va’ avanti, ora.”
“Non mi ha detto di essere stato sposato” era scattato Alec. “Sono abbastanza sicuro che non sia una cosa da tutti i giorni.”
“Io ho mentito su cose peggiori” era intervenuto – tutt’altro che d’aiuto – Jace.
“Stai per dirci che anche tu eri sposato?” aveva chiesto Alec, la voce pesante di sarcasmo. “O che hai ucciso qualcuno e hai nascosto il corpo nella cantina della sua casa di famiglia?”
“No, ma una volta ho fatto finta di essere un astronauta per farmi una scopata” aveva risposto. “Prima di incontrare Clary, ovviamente.”
Quelle parole gli avevano fatto sollevare leggermente gli angoli della bocca. “Me lo ricordo” aveva detto in un sussurro. “C’ero anche io, quella volta.”
A quel punto era caduto il silenzio.
“Alec, devi perdonarlo” aveva mormorato Isabelle con dolcezza, alzando gli occhi ai commenti dei due fratelli.
“Io…io non posso” aveva balbettato, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime. “Ogni volta che penso di perdonarlo, mi ricordo per qualche motivo abbiamo litigato e mi arrabbio di nuovo.”
“E succede perché non ti ha detto di essere stato sposato o semplicemente perché lo è stato?” aveva chiesto Isabelle gentilmente, anche se dal suo tono si capiva benissimo che conoscesse già la risposta.
“Entrambe le cose” aveva risposto comunque alla fine. “Smettila di essere così saggia. Dovrei essere io quello intelligente.”
“E allora fa’ quello intelligente! Sistema tutto questo casino e va’ a parlargli” aveva sputato Jace.
Isabelle si era limitata ad annuire.
Alec si era chiesto se fosse possibile ripudiare i propri fratelli. Avrebbe dovuto chiederlo ad un avvocato.
Simon aveva detto di no.
 
***
 
Una settimana dopo, di ritorno dalla sua solita corsa mattutina, facendo di tutto per evitare la Signora Rollins – la vecchia signora del primo piano – si era imbattuto in Magnus.
Da quando si erano lasciati, la Signora Rollins aveva cominciato a lanciargli occhiatacce continue. Amava Magnus, ovviamente, come tutti gli altri nel condominio, perciò era davvero arrabbiata con Alec per aver rotto con lui. L’ascensore stava per chiudersi, quando una mano aveva fermato le porte. Alec aveva trattenuto il respiro, quando aveva riconosciuto le lunghe dita ornate di anelli.
Magnus era sussultato quando si era accorto della presenza dell’altro e aveva deglutito a fatica, facendo un passo avanti.
Alec aveva sentito il bisogno di spingerlo fuori, ma non era un bambino, per cui si era spostato verso la parete e si era appoggiato con le braccia incrociate, facendo il suo meglio per ignorarlo.
“Alexander” aveva sussurrato Magnus.
Sentire la sua voce non sarebbe dovuto essere così straziante. Era ricolma di sofferenza e preoccupazione e pentimento, che il suo cuore aveva perso un battito e il petto gli si era stretto in una morsa dolorosa. Alec non lo aveva degnato di una parola o di uno sguardo.
“Alexander” aveva ripetuto Magnus, testardo.
Alec non aveva fatto una piega e il suo sguardo era talmente fisso sulla parete dell’ascensore da aver creato un buco.
“Alec, parlami” aveva sospirato, la voce rotta sull’ultima parola.
Alec aveva mantenuto la stessa espressione indifferente, nonostante i suoi muri si stessero per rompere. Alla fine Magnus aveva preso un respiro profondo, si era passato una mano tra i capelli e si era voltato, per schiacciare il bottone stop. L’ascensore si era bloccato all’improvviso.
“Che cavolo stai facendo?” aveva sputato Alec, sorpreso.
“Ma sentilo, allora parla!” aveva esclamato Magnus, alzando le braccia al cielo in modo esagerato. “Fantastico. Ora parla con me, però.”
“Non voglio parlarti” era scattato in risposta.
“Che ne dici di far parlare me, allora?”
“Dipende, mi dirai la verità?” aveva controbattuto, con tono tagliente.
Si era dovuto mordere la lingua per non dire cose di cui si sarebbe sicuramente pentito, più tardi.
“Sì, se mi lasci parlare” aveva risposto Magnus, gentilmente. Aveva preso un respiro profondo, grattandosi un sopracciglio nervosamente. “Senti, Alexander, mi dispiace.”
Era strano il modo in cui delle semplici parole, dette con quel semplicissimo tono, avessero fatto svanire parte della sua rabbia.
“Mi dispiace davvero” aveva continuato. “Io – io avrei dovuto dirtelo prima e hai ragione, ho avuto milioni di occasioni, ma avevo paura. Non è…un bel ricordo. Non l’ho fatto perché ero giovane e stupido, ma perché mi ero innamorato della persona sbagliata.”
La voce gli tremava leggermente e, al contrario di quanto aveva pensato all’inizio, Alec avrebbe voluto confortarlo perché odiava vedere Magnus così ferito. Non lo aveva fatto, ma aveva comunque distolto lo sguardo dalla parete per puntarlo su di lui. Sembrava devastato.
“Avevo ventuno anni quando ho sposato Camille ed ero convinto che mi amasse quanto io amavo lei. Mi sbagliavo” aveva sospirato e fatto una pausa, le dita che giocherellavano nervosamente tra di loro. “Sai perché non ti ho mai risposto quando mi chiedevi cosa faccio per vivere?”
Alec non aveva risposto, ma Magnus aveva proseguito comunque. “Lavoro con molte associazioni di volontariato, ma solo per tenermi occupato. Non ho bisogno di lavorare. E commissiono abitualmente opere d’arte a certi artisti. Mio padre era ricco, davvero ricco. Quel genere di uomo che possiede locali in giro per tutto il mondo. Quando è morto ho ereditato tutti i suoi averi, quindi immagino di essere ricco anche io da allora.”
Alec aveva spalancato gli occhi per la sorpresa, ma pochi istanti dopo si erano subito rianimati di rabbia.
“Aggiungiamolo alla lista delle cose che non sapevo di te” era scattato.
Magnus aveva sospirato di nuovo. “Non mi piace parlarne ed è proprio quello che sto cercando di farti capire. Camille non mi ha sposato per quello che sono. Mi ha sposato per i miei soldi. Ci sono voluti sei mesi – senza contare il tempo che siamo stati insieme prima del matrimonio – e molta risolutezza da parte di Raphael, prima che aprissi gli occhi. quindi, no, non mi piace dire che sono ricco né tantomeno che sono stato sposato perché a quel punto dovrei parlare anche del fatto che sono ricco.”
Alec si era ammorbidito, le spalle si erano rilassate, ma non si era comunque mosso.
“Detto questo” aveva continuato Magnus, facendo cautamente un passo avanti. “So che avrei dovuto dirlo a te. So che non faresti mai una cosa del genere. So che mi amavi per chi sono e per nient’altro e avrei dovuto dirtelo. Mi dispiace. E ti amo. Ti amo così tanto che saperti così vicino e al tempo stesso lontano chilometri da me, mi uccide. Anche in questo momento.”
Si era fermato, spostando lo sguardo imbarazzato. Alec sapeva quanto Magnus odiasse apparire vulnerabile agli occhi degli altri. Sapeva quanto fosse importante quel momento.
“È per questo che hai lasciato New York?” aveva chiesto Alec, perché se voleva delle risposte, allora era il caso di averle tutte insieme.
Magnus aveva annuito debolmente. “Sì, alla fine. Avevo bisogno di allontanarmi per un po’ e avevo sempre voluto viaggiare, ma Camille non era esattamente…avventurosa, per cui non siamo mai andati da nessuna parte. Sono partito una settimana dopo aver ottenuto il divorzio. Pensavo di stare via per qualche settimana, ma alla fine sono passati cinque anni.”
Alec aveva lasciato che calasse il silenzio per qualche minuto. Aveva bisogno di pensare e di riflettere riguardo a tutte quelle informazioni e, alla fine, aveva capito che non doveva pensarci per niente. Era piuttosto semplice. Faceva schifo senza Magnus nella sua vita.
 “Amo.”
Alec aveva borbottato quella parola prima di riuscire a trattenersi.
“Cosa?” aveva chiesto Magnus, confuso.
“Hai detto che ti amavo, al passato. Ti amo ancora” aveva spiegato docilmente, la voce che gli tremava nonostante stesse facendo il suo meglio per controllarla.
Magnus aveva fatto un piccolo e timido sorriso che aveva spezzato il cuore di Alec più di quanto avrebbero mai potuto fare delle lacrime. Era così insolito per Magnus, così diverso dal suo solito sorriso malizioso, quello che lo aveva fatto immediatamente innamorare del suo eccentrico e superentusiasta vicino di casa.
“Mi dispiace” aveva ripetuto Magnus, in un sussurro. “Avrei dovuto dirtelo.”
Si era voltato per premere il bottone e far ripartire l’ascensore, ma Alec lo aveva fermato. Gli aveva catturato il polso gentilmente, facendolo girare. Magnus era rimasto sorpreso, ma aveva seguito i suoi movimenti, compiaciuto.
“Ti devo delle scuse anche io” aveva detto Alec in un respiro, schiarendosi la voce per mostrarsi composto.
Magnus aveva aperto la bocca per controbattere, ma l’altro aveva già ripreso a parlare. “Ho reagito in modo esagerato” aveva sospirato. “Non mi piacciono le bugie o mezze verità o come le vuoi chiamare. Io…”
Si era dovuto fermare, bloccato dall’emozione, e Magnus aveva fatto qualche passo avanti, prendendogli la mano quasi timidamente. Era strano il modo in cui gesto che era stato così semplice e familiare ora era diventato simbolo della distanza che si era fissata tra di loro in quel mese.
“È solo che…non mi fido facilmente” aveva confessato. “Mi conosci. Sai che non mi apro facilmente e con te è diverso perché…è stato più semplice. E immagino di aver reagito così perché ero ferito, ma non perché non me ne avevi parlato… Ero ferito perché credevo che tu non ti fidassi abbastanza di me, quando io invece lo avevo fatto raccontandoti persino di Max.”
“Certo che mi fido di te” aveva risposto Magnus velocemente, guardandolo negli occhi. “Non è che non mi fido di te” aveva aggiunto gentilmente. “Non mi fido di me stesso. A volte mi dimentico di essere abbastanza.”
Si erano fermati entrambi, guardandosi negli occhi e cercandoci la risposta a domande di cui non erano nemmeno consapevoli.
“Mi manchi” aveva sussurrato Alec.
Non era necessario sussurrare. Non c’era nessuno lì con loro, nessuno che potesse sentirlo mentre concedeva il suo cuore all’uomo di fronte a lui. Ma aveva sentito il bisogno di abbassare la voce, come se fosse un segreto, come se lo stesse confessando sia a Magnus che a se stesso.
La mano di Magnus si era spostata sulla sua guancia.
“Mi manchi anche tu” aveva risposto, la voce tremante. “Da morire.”
Alec si era avvicinato e lo aveva baciato. Aveva sentito con spaventosa perfezione il momento in cui avevano respirato entrambi l’uno nella bocca dell’altro, per il sollievo, il dolore e il perdono. Aveva premuto con più forza, circondando la vita di Magnus con le braccia per tirarselo più vicino che poteva, ma mai vicino abbastanza. Si erano baciati come se fosse l’ultima volta e Alec si era ripromesso che non lo sarebbe stata. Non poteva esserlo.
Quando Magnus si era allontanato, un’eternità di tempo dopo, e aveva sussurrato “Ti amo”, il “Ti amo anche io” di Alec non era stato una bugia, perché in quell’esatto momento entrambi sapevano che era vero e che il loro amore era più forte di qualunque altra cosa.
 
***
 
“Oh, grazie a Dio!” aveva esclamato Raphael quando, la sera successiva, Alec li aveva raggiunti nell’appartamento di Magnus per la serata film.
Non si era presentato alle loro serate per tutto il mese in cui erano stati separati e gli era sembrata una buona occasione per ricominciare.
Non era stata tanto la presenza di Alec a far reagire Raphael in quel modo, ma più che altro il fatto che fosse entrato come se fosse casa sua e aveva subito raggiunto Magnus sul balcone per baciarlo.
“Evviva!” aveva esclamato a sua volta Isabelle, circondata dalle braccia del suo fidanzato. “La mia ship va a grandi vele! I Malec esistono ancora!”
Alec non ci aveva capito nulla.
“Mi stavo davvero preoccupando per te” era intervenuto Simon. “Soprattutto quando Alec mi ha chiamato settimana scorsa chiedendomi se fosse possibile ripudiare i propri fratelli.”
“Sono fastidiosi” aveva risposto, con un piccolo sorriso, mentre circondava le spalle di Magnus con le braccia.
Dal giorno precedente, sorridere era diventato molto più facile.
“Ti dava fastidio solo il fatto che per una volta ero io a psicanalizzarti” aveva affermato Jace.
“Dovresti farti psicanalizzare da Alec, di tanto in tanto. Praticamente metà del tuo autocontrollo in realtà è proprio lui” si era intromessa Clary, facendo un occhiolino al fratello.
Magnus le aveva sorriso, prima di circondare la vita di Alec e baciarlo una seconda volta.
“Mi sei mancato” gli aveva sussurrato in un orecchio.
“Ci siamo visti stamattina” aveva risposto Alec, con lo stesso tono lento, gli occhi ricolmi di amore e affetto.
“Mi sei mancato comunque.”
“Mi sei mancato anche tu” aveva risposto, stampandogli un bacio sulle labbra.
“Questo vuol dire che dovrò sopportare di nuovo tutte le vostre effusioni?” aveva borbottato Raphael.
“Solo durante il giorno” aveva detto Magnus, una scintilla divertita a giocargli negli occhi. Alec non riusciva a distogliere lo sguardo. “La notte è una cosa privata. No, cancella. Anche il giorno può essere privato, molto privato. Spesso. Come stamattina, per esempio.”
Raphael e Jace si erano lamentati contemporaneamente. Alec era troppo occupato a ridere, per poter arrossire.
 
***
 
“Amore?”
“No.”
“Tesoro?”
“Anche peggio” aveva borbottato Alec.
Era sdraiato sul divano di Magnus, con la testa appoggiata al suo petto e stava davvero cercando di guardare il film, ma le dita del ragazzo che gli accarezzavano distrattamente la pelle nuda delle braccia lo distraevano fin troppo, per cui, per tutto quel tempo, non aveva affatto guardato il film, il che non significava che non poteva almeno fingere.
“Mio sole e stella?”
“Nemmeno per sogno” aveva affermato Alec. “Non sei Khaleesi. Ora taci, sto guardando il film.”
“Non è vero” aveva risposto Magnus ed era fastidioso, a volte, il fatto che lo conoscesse così bene.
Alec aveva sospirato e si era sdraiato sulla schiena, voltandosi per guardare il suo bellissimo fidanzato.
“Cosa vuoi?” aveva chiesto, non così duramente come avrebbe voluto.
Magnus aveva aperto bocca per rispondere, ma lui lo aveva fermato frettolosamente. “Se dici sesso, giuro che passerò la notte nel mio appartamento. Non ho tempo da perdere, ora.”
Il suo fidanzato aveva sorriso, alzando gli occhi al cielo, e aveva passato le dita tra i suoi capelli disordinati.
“È all’incirca di questo che volevo parlarti” aveva detto Magnus gentilmente e c’era un leggero scintillio nei suoi occhi che aveva portato Alec a concentrarsi soltanto su di lui.
“Parlarmi di cosa?” gli aveva chiesto, accigliato. “Del sesso? Ho fatto qualcosa di sbagliato la scorsa notte?”
Stava cominciando ad andare in panico.
Magnus era scoppiato a ridere e aveva guardato Alec con gli occhi pieni di affetto, piegandosi per stampargli un bacio sulle labbra.
“No, niente di sbagliato. Non per me almeno, la Bibbia potrebbe pensarla diversamente.”
Alec aveva sbuffato. “Abbiamo già stabilito che finiremo entrambi all’inferno in ogni caso” aveva poi scherzato. Aveva preso la mano di Magnus tra le sue, facendo scorrere il pollice sulle nocche. “Ma basta divagare. Di cosa devi parlarmi?”
“Il tuo appartamento. Il mio appartamento. Appartamenti…” aveva balbettato Magnus dopo qualche secondo di silenzio, schiarendosi la voce per apparire composto. Alec sarebbe riuscito a sentire i suoi nervi vibrare, anche se non avesse avuto la testa appoggiata al suo petto.
“Penso che dovremmo andare a vivere insieme” aveva affermato Magnus, velocemente ma con cautela.
Per un minuto, Alec si era sentito completamente stupido perché non ci aveva mai pensato. Non perché non volesse vivere con Magnus, anzi, ma perché, in ogni caso, erano sempre insieme, l’uno nell’appartamento dell’altro. Non avevano passato la notte separati dal periodo del loro litigio, ed erano passati mesi.
“So che non ne abbiamo mai parlato bene, ma credo sia arrivato il momento” aveva aggiunto Magnus, mordendosi il labbro nervosamente. Lo distraeva in modo assurdo: le labbra di Magnus erano sempre state la sua più grande debolezza. “Se lo vuoi anche tu” aveva concluso.
“Certo che voglio” era intervenuto Alec, prima che il suo fidanzato potesse dire altro. “Ti amo.”
“Ti amo anche io” aveva affermato, gli occhi illuminati di affetto e felicità.
Era incredibile che riuscisse ancora a togliergli il fiato con un semplice sorriso. Alec si era voltato per tornare a guardare il film, in modo ancora più assente di prima: aveva lo sguardo perso nel vuoto e un sorriso incollato in faccia.
“Hei, pasticcino.”
Alec aveva gemuto. “No. Assolutamente no.”
Magnus aveva riso, felice e rumorosamente. “Alec?”
Si era voltato per ripuntare lo sguardo su di lui, chiedendosi come, quando e perché era stato stabilito che nella vita sarebbe stato così fortunato da incrociare il cammino di quell’uomo.
“Che ne dici ora, del sesso?” aveva chiesto Magnus, maliziosamente, leccandosi le labbra.
Alec non aveva dovuto pensarci a lungo.
“Beh, terribile a dirla tutta, ma abbiamo qualcosa da festeggiare” aveva risposto e, anche volendo, non sarebbe riuscito a nascondere la malizia ben percepibile dalla sua voce.
Alec si era seduto e aveva gattonato fino a lui, per poi sedersi a cavalcioni sulle gambe del fidanzato e rubargli la risata con un bacio.
“Ti amo” aveva ripetuto, mormorandolo nell’intervallo tra due baci.
“Ti amo anche io” aveva risposto Magnus sulle sue labbra, mentre la mani si muovevano sempre più giù lungo la schiena per poi andare a stringergli il sedere. “E non hai idea di quanto ami il tuo culo.”
“Come rovinare un momento romantico, vero Magnus?” si era lamentato Alec, non riuscendo a trattenersi dal sorridere. “Ci sto ripensando.”
“Troppo tardi” aveva sostenuto il suo compagno, allontanandosi per togliere la maglia e lanciarla sul pavimento. “Hai già detto di sì, non puoi cambiare idea ora.”
“Sì, invece” aveva risposto, senza fiato, senza riuscire a trattenere un gemito quando Magnus aveva spinto i fianchi contro i suoi. “Non mi sembra di aver firmato un contratto.”
“Era un contratto orale. Lo hai firmato nel momento in cui mi hai baciato.”
Alec era scoppiato a ridere contro il collo del suo fidanzato, tirandosi in dietro per baciarlo di nuovo.
“Immagino di essere bloccato qui con te, allora” aveva sussurrato sulla sua bocca.
“Mi dispiace” aveva mormorato Magnus, mordendogli il labbro inferiore, mentre le dita cercavano rabbiosamente di aprire i pantaloni. “Non faccio io le regole.”
Alec aveva sbuffato perché, sul serio erano ridicoli…ridicolosamente innamorati.
 
***
 
Un paio di settimane dopo, Magnus era seduto sul letto, con la schiena appoggiata allo schienale e il computer sulle gambe alla ricerca di qualche appartamento, quando Alec era tornato a casa. Avevano cercato di trovare il luogo perfetto per loro, ma c’era sempre qualcosa che non piaceva a uno dei due, dall’ampiezza del bagno (soprattutto per quanto riguarda Magnus) alla distanza dal campus (per Alec). Continuavano a cercare, ma cominciavano a sentirsi leggermente frustrati.
Alec era stato in California per qualche giorno per partecipare a un seminario ed era quindi davvero esausto, come indicavano le sue spalle curvate in avanti. Aveva abbandonato la valigia in un angolo della camera e si era arrampicato sul letto vicino a Magnus, per poi infilarsi sotto il suo braccio e accoccolarsi al suo fianco. Chairman Meow, che fino ad allora aveva dormicchiato sui piedi del suo padrone, aveva lanciato loro un’occhiataccia ed era corso fuori dalla stanza.
Magnus gli aveva lasciato prima un bacio sulla fronte, poi uno sulle labbra, sorridendo.
“Mi sei mancato” aveva sussurrato, incastrando le dita nei capelli scuri dell’altro.
“Anche tu” aveva risposto Alec, appoggiando la testa sul petto del fidanzato e spostando lo sguardo sul computer. “Trovato niente di interessante?”
Magnus aveva sospirato. “No, e sto cominciando a pensare che l’Universo non voglia che andiamo a vivere insieme.”
“Fanculo l’Universo” aveva risposto.
Si era seduto, aveva preso il computer e lo aveva appoggiato a terra. Magnus aveva sorriso, lasciando che Alec gattonasse fino al suo corpo.
“Potrei avere un’idea” aveva affermato, attentamente.
Alec aveva alzato gli occhi per fissarli in quelli del compagno e aveva poi sollevato un sopracciglio, curioso.
“A entrambi piace il proprio appartamento, giusto? E nessuno dei due vuole lasciarlo per andare a stare definitivamente in quello dell’altro.”
Alec aveva annuito, appoggiando il mento sul petto di Magnus per mantenere lo sguardo su di lui e facendo scorrere le dita sotto la sua maglietta. Non c’era niente di sensuale in quell’atto, era soltanto un gesto intimo e famigliare.
“Beh, se rompessimo il muro tra i nostri due appartamenti, diventerebbe un unico grande appartamento” aveva tentato Magnus. “Mi piace troppo questo balcone. Ci sono troppi ricordi e non sono sicuro di essere pronto a lasciarlo a qualche idiota che non è in grado di capire quanto sia importante.”
Alec aveva sorriso, spingendosi sulle mani per sollevarsi e baciarlo. “Piacciono anche a me i nostri balconi. È un’idea fantastica.”
“Davvero?”
“Certo, quei balconi sono speciali.”
E lo erano davvero. Era il punto esatto in cui Magnus si era innamorato di Alec e non avrebbe mai dimenticato quel posto.
Alec si era stiracchiato, coprendosi la bocca con una mano mentre sbadigliava, e lo aveva baciato di nuovo.
“Ho bisogno di una doccia” aveva detto, allontanandosi riluttante dal fidanzato per alzarsi dal letto. “Il viaggio di ritorno è stato terribile.”
“Vuoi compagnia?”
“Certo, chiamerò il vicino” aveva scherzato Alec, un sorriso divertito distruggeva la sua compostezza.
“In questo caso, potrei proprio prendere in considerazione tutta la storia della mia relazione con Raphael” aveva risposto Magnus, alzandosi dal letto e mettendosi di fronte al suo compagno, con le mani sui fianchi.
Alec lo aveva fissato. “Non lo faresti mai” aveva affermato. “E anche se fosse, Raphael non ti vorrebbe mai.”
Magnus aveva sorriso e aveva stretto le braccia intorno al suo collo, per stampargli poi un bacio sulle labbra. “Non lo farei” aveva ammesso. “Ti amo troppo.”
“Ti amo anche io” aveva risposto Alec, tirandoselo più vicino per baciarlo più a fondo.
“Allora, vuoi che il tuo fantastico fidanzato ti scopi nella doccia o hai intenzione di restare fermo qui per tutta la notte?”
Alec era scoppiato a ridere e lo aveva trascinato in bagno. “Dobbiamo davvero lavorare su questa tua abitudine di rovinare momenti romantici.”
 
***
 
Simon e Isabelle stavano camminando, mano nella mano, per le strade di Brooklyn, per raggiungere Magnus e Alec che avevano appena finito di distruggere, ricostruire e risistemare il loro appartamento, quando Simon aveva finalmente trovato il coraggio di dire ad alta voce quella cosa che si era chiesto tra sé e sé da quando aveva conosciuto i Lightwood.
Si era schiarito la voce, cercando di recuperare tutto il coraggio possibile. Era consapevole del fatto che si trattasse di un argomento difficile e che avrebbe reso Isabelle triste.
“Izzy?”
La sua voce era timida ed insicura e aveva immediatamente catturato la sua attenzione.
“Sì?”
“Che significato ha quel tatuaggio?” aveva sputato, prima di realizzare quanto fosse stato diretto. “Voglio dire, non sei costretta a rispondere! Me lo stavo soltanto chiedendo perché, visto che lo hanno anche Jace e Alec, deve avere una storia dietro, ma va bene comunque se non vuoi –“
Isabelle si era fermata, costringendolo a fare lo stesso e lo aveva zittito con un bacio, sorridendogli piena di amore.
“Simon, sei il mio fidanzato” aveva risposto, affettuosamente. “Hai il diritto di fare domande riguardo a me e alla mia storia.”
Lui aveva annuito e, quando lei aveva ripreso a camminare, l’aveva seguita con attenzione.
“È una runa” aveva affermato, dopo un momento di silenzio. Sembrava che stesse facendo di tutto per nascondere la sua fragilità, non perché si trovava con Simon, ma piuttosto perché era nel mezzo della strada, circondata da estranei.
“A dire il vero” aveva continuato Isabelle, “sono due rune fuse insieme. Simboleggiano famiglia e amore. Le ha scoperte Alec quando stava studiando mitologia norvegese per il suo dottorato di ricerca. Aveva deciso di farsele tatuare, ma prima voleva sapere cosa ne pensavamo io e Jace.”
Si era fermata per un secondo e un piccolo, triste sorriso le aveva colorato le labbra.
“Quando ci ha detto che era un modo per…ricordare Max, ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di farcelo tutti e tre. E questo è il significato” aveva concluso, stringendogli con dolcezza la mano. “Famiglia, amore e...dolore, in un certo senso.”
Simon aveva annuito con cautela e, quella volta, era stato lui a fermarsi, trattenendola con la mano. Lei aveva seguito il suo esempio, sorpresa, e lui le aveva stretto il viso tra le mani per baciarla.
“Grazie per avermelo detto” aveva affermato teneramente. “Ti amo.”
“Grazie a te per avermi ascoltato” aveva risposto senza fiato e non si era dovuta sforzare per sorridergli. “Ti amo anche io.”
 
***
 
“Magnus, non andare in panico.”
Magnus aveva alzato lo sguardo dalla sua copia di American Psycho per guardare il suo fidanzato.
“Perché dovrei?” aveva chiesto, chiudendo il libro.
Alec non smetteva di muoversi, palesemente agitato, per cui si era alzato dal divano e gli aveva preso le mani tra le sue.
“Cosa succede?”
“S-solo, non andare in panico, okay?” aveva ripetuto Alec, con voce tremante, guardando oltre le sue spalle come se temesse di essere attaccato.
“Lo decideremo quando mi avrai detto che cosa sta succedendo. Hai messo di nuovo il mio maglioncino di cashmere in lavatrice?”
Alec aveva scosso la testa, facendo un respiro profondo. Si era avvicinato per lasciargli un bacio sulle labbra, un bacio velocissimo e quasi disperato che aveva sostituito il cipiglio di Magnus in un dolce sorriso.
“Mi hanno chiamato i miei genitori. Non so per quale motivo verranno a New York per una settimana e passeranno a trovarci. Saranno qui tra dieci minuti.”
Sembrava quasi offeso all’idea. Magnus aveva alzato nuovamente un sopracciglio, confuso.
“Okay” aveva risposto semplicemente, stringendogli le mani. “Beh, stiamo insieme da un anno e mezzo e viviamo insieme, quindi credo che sia arrivato il momento di conoscerli, non credi?”
“Non stai…andando in panico?” aveva chiesto Alec, corrugando la fronte per la confusione.
“Posso farlo, se vuoi” aveva scherzato Magnus, sorridendo. “Ma non sarebbe un bene essere entrambi impanicati.”
“Ti ho detto quanto ti amo, oggi?” aveva chiesto Alec in un sospiro, avvicinandosi per baciarlo a lungo.
Magnus aveva stretto le braccia intorno al suo collo, approfondendo il bacio. Faceva quasi paura il modo in cui riusciva a perdersi tra le sue braccia, a dimenticare tutto il resto.
“Magnus” aveva sospirato sulle sue labbra. “Saranno qui a momenti.”
Si era allontanato riluttante, scoccandogli un ultimo bacio sulla bocca.
“Come sto?” aveva chiesto, aprendo le braccia, in attesa di un complimento.
“Bello da togliere il fiato, come sempre” aveva risposto Alec con un sorriso affettuoso.
“Mi stai adulando per costringermi a comportarmi bene davanti ai tuoi genitori?” aveva chiesto Magnus, stringendo gli occhi con fare accusatorio.
“Sta funzionando?” aveva borbottato il suo fidanzato con un sorriso malizioso.
Magnus aveva sbuffato. “Potrebbe, se mi prometti di ricompensarmi con del sesso, dopo” aveva detto, con tono derisorio.
“Sei fortunato, ho comprato il lubrificante stamattina” aveva scherzato Alec, in risposta.
“Giuro che sarò affascinante come il solito” aveva promesso.
Alec aveva sorriso, avvicinandosi per baciarlo di nuovo, nonostante fosse stato proprio lui a mettere in guardia il fidanzato qualche secondo prima. Erano stati interrotti dal suono stridulo del campanello.
Alec aveva fatto un respiro profondo. “Okay, facciamo questa cazzata” aveva detto, più per darsi coraggio che per rassicurare Magnus.
Mentre aspettavano pazientemente che i genitori di Alec uscissero dall’ascensore, Magnus si era voltato e lo aveva baciato un ultima volta.
“Mi amerai comunque se non piacerò ai tuoi genitori?” aveva chiesto, perché, in un modo o nell’altro, sembrava importare in quel momento.
“Probabilmente ti amerei ancora di più” aveva scherzato Alec, ma i suoi occhi erano sinceri.
Maryse e Robert Lightwood erano una coppia strana. Maryse era una donna dall’aspetto severo, stretta in una maglia e in una gonna aderente. Camminava come se sapesse esattamente dove stesse andando e in quel momento Magnus capì a chi assomigliava Isabelle. Però i suoi occhi si erano addolciti, quando aveva visto il figlio, e c’era qualcosa di profondamente materno nel modo in cui aveva tirato indietro i capelli ad Alec, quando lui le aveva aperto la porta. Robert era forse ancora più rigido. Era alto, non quanto Magnus e Alec, e stava dritto sulle gambe come se si aspettasse di incorrere in un pericolo da un momento all’altro. Magnus pensava fosse il risultato di anni passati nell’esercito, ma aveva la faccia di qualcuno che non si era divertito molto nemmeno da bambino. Magnus riusciva ad immaginarselo come un bambino di dieci anni che dava ordini ai suoi stessi genitori. Aveva stretto la mano di Alec come se fosse uno sconosciuto o un collega di lavoro e aveva guardato Magnus come se fosse la cosa più strana che avesse mai visto in vita sua (il che, aveva pensato Magnus tra sé e sé, era probabilmente vero).
Era una bella cosa che gli amici e i fratelli o famigliari di Alec passassero regolarmente a trovarli senza preavviso, perché ciò voleva dire che il loro frigorifero era sempre pieno. Era una cosa positiva anche il fatto che Magnus fosse un ottimo cuoco perché, nel caso in cui non fosse piaciuto ai suoi genitori, avrebbe sempre potuto far colpo con un buon piatto.
Avevano mangiato in silenzio e Magnus ne aveva approfittato per osservare meglio i genitori di Alec. Sembrava che entrambi non conoscessero il significato della parola divertimento e a volte condividevano sorrisi furtivi, divertiti da battute che solo loro avevano capito. Era quasi dolce, ma al tempo stesso strano, perché c’era poco di cui parlare e di conseguenza anche di cui ridere.
Magnus odiava da morire i silenzi imbarazzanti. Odiava quando cadevano in una stanza, figuriamoci intorno al tavolo. Una stanza in cui si trovava Magnus non poteva essere silenziosa e non confortevole. Per questo motivo si era schiarito la voce e aveva preso parola.
“Parliamone e basta, perché questo imbarazzo mi sta uccidendo” aveva cominciato.
Alec si era raddrizzato sulla sedia e gli aveva lanciato un’occhiata preoccupata, senza cercare di fermarlo.
“Capisco che la sessualità di vostro figlio abbia creato dei problemi tra di voi e magari avete anche sperato che cambiasse, ma con tutta sincerità, non è successo. Vostro figlio è davvero molto gay. Tipo davvero, davvero gay. È il più gay –“
“Magnus” lo aveva interrotto Alec, schiarendosi la voce. “Penso che abbiano capito.”
Magnus aveva alzato lo sguardo su Maryse e Robert, che si stavano scambiando uno sguardo piatto e stavano sbattendo gli occhi sorpresi.
“Sì, scusa. Allora, non so cosa Alec e i suoi fratelli vi abbiano detto riguardo a me, ma ormai abbiamo rotto il ghiaccio e quel discorso è superato. Lavoro nel campo del volontariato, sono bisessuale e sono stato adottato. Mio padre è morto quando ero molto piccolo e mia madre ci ha abbandonato quando sono nato. Credo nella democrazia e sono ateo. Sono anche molto onesto, quindi se avete qualche domanda, non esitate a farla. Non vorrei che riceveste una brutta sorpresa tra qualche anno, quando avrò sposato vostro figlio.”
“Sposato?” avevano sputato Alec e i suoi genitori contemporaneamente.
Magnus aveva fissato lo sguardo sul suo fidanzato per qualche secondo, alzando un sopracciglio con sfrontatezza, e lo aveva poi indirizzato nuovamente su Robert e Maryse.
“Sì, sposerò vostro figlio un giorno” aveva detto con tranquillità, come se non fosse niente di speciale.
“Se questa è la tua proposta, fa schifo” era intervenuto Alec, nascondendo un sorriso dietro il bicchiere di vetro da cui stava bevendo.
“Non è la mia proposta” aveva risposto, indignato. “Quando mi proporrò, lo saprai, Gideon.”
Robert Lightwood si era accigliata, spostando lo sguardo confuso dall’uno all’altro. “Ti ha appena chiamato Gideon?” aveva chiesto ad Alec, ma guardando Magnus dritto negli occhi.
“Sì, lo fa spesso” aveva sospirato Alec, alzando gli occhi al cielo.
“Beh, se questa è la cosa più scandalosa che ha capito fino ad adesso, allora penso che andremo d’amore e d’accordo” aveva affermato Magnus, con un sorriso.
Maryse aveva scrollato le spalle. Robert, alla fine, aveva annuito. E così Magnus aveva incontrato Maryse e Robert Lightwood.
 

***

“Jace, metti giù quel ramo.”
“No.”
“Jace mettilo giù o farai male a qualcuno.”
“Non provare a ragionare con lui, Alec” era intervenuta Clary. “È una perdita di tempo.”
“Alec!” aveva urlato Jace. “Allontana quella cosa da me!”
“Non mi avvicinerò a te se non metti giù quel coso” aveva ribattuto Alec, ma nonostante ciò si era alzato.
Jace lo aveva afferrato per il braccio e lo aveva tirato vicino a sé, il ramo brandito di fronte al suo corpo come se fosse una spada.
“Mi sta guardando” aveva gridato, guardando la sua assaltatrice.
“È una papera” aveva constato Alec, alzando gli occhi al cielo. “Smettila e metti giù quel ramo.”
“Le papere sono cattivissime” aveva risposto Jace, con voce tremante. “Mai fidarti di una papera.”
Alec aveva sbuffato. Che idea geniale era stata andare a Central Park per un picnic. Si era quasi dimenticato della paura di suo fratello. In ogni caso, non si aspettava che reagisse in quel modo, visto che ormai era un adulto.
“Come ti prenderai cura di un bambino se hai bisogno che io ti protegga da uno stupido uccello?” aveva sospirato.
Aveva fatto qualche passo avanti e aveva allontanato l’animale con dei gesti delle mani. Lo aveva guardato con atteggiamento di sfida per qualche minuto, ma alla fine era tornato verso il lago, lontano da loro.
Jace aveva rilasciato un sospiro e aveva fatto finalmente cadere il ramo. Era tornato a sedersi con il resto del gruppo, ignorando i loro sguardi divertiti.
“Che nessuno dica una parola a riguardo” aveva borbottato, accarezzando delicatamente la pancia arrotondata a molto incinta di Clary.
“Non abbiamo detto niente” aveva detto Simon, con la bocca piena di sandwich.
“I tuoi occhi dicono abbastanza” aveva risposto Jace, mettendo il broncio. “Taci.”
Alec aveva alzato gli occhi al cielo e aveva scavalcato le gambe di Raphael per sedersi a terra vicino al suo fidanzato. Magnus gli aveva sorriso e lo aveva baciato.
“Basta con queste dimostrazioni di affetto” aveva brontolato Raphael. “Mi viene il diabete.”
“Sei soltanto geloso perché il mio fidanzato è più bello del tuo” aveva risposto Magnus con un sorriso e aveva baciato Alec con più lingua del necessario, mettendo su una vera e propria scenetta. Era scoppiato a ridere sulle sue labbra quando, dopo una serie di imprecazioni calorose, Raphael e Jace avevano cominciato ad imitare il rumore dei conati di vomito.
“Non posso portarti ovunque” aveva biascicato Alec, quando il suo fidanzato si era allontanato.
“Puoi portarmi a letto quando ti pare” aveva sussurrato Magnus in risposta, con un sorriso malizioso.
Alec aveva sbuffato, scuotendo la testa incredulo. “Le tue battute di abbordaggio peggiorano di giorno in giorno.”
“Perché non mi servono, non sai resistermi.”
“Bella risposta” aveva sorriso il suo fidanzato, stampandogli un altro bacio sulle labbra.
“Basta, vi prego” aveva supplicato Raphael. “Sposatevi e basta, così supererete la fase in cui siete disgustosamente innamorati e comincerete ad odiarvi come tutte le persone normali che sono state insieme per anni.”
Alec era arrossito e si era schiarito la voce, prendendo un panino per distogliere l’attenzione da sé. Magnus lo aveva guardato con un sopracciglio alzato, ma non aveva detto nulla. Isabelle, che era sdraiata con la testa appoggiata al petto del suo fidanzato, li aveva osservati da dietro le lenti degli occhiali da sole, in silenzio.
“Oddio, Raphael, sei proprio un coglione” lo aveva rimproverato lei.
Raphael l’aveva guardata, accigliato. “Che? Cosa ho fatto ora?”
Simon aveva probabilmente realizzato a cosa si stesse riferendo Isabelle, perché aveva sussultato rumorosamente e aveva spalancato gli occhi in modo comico.
“Guardalo!” aveva detto, indicando il volto arrossato del fratello. “Sai che quando arrossisce è terribile.”
Alec aveva cercato di ignorarli, concentrandosi sul suo sandwich, che non aveva in realtà niente di interessante. Era soltanto un panino con formaggio e pomodori. Raphael aveva seguito il suo sguardo e aveva fissato gli occhi su Alec.
“Oh, merda.”
Magnus aveva cercato di trattenere un sorriso mordendosi il labbro, ma aveva fallito miseramente. Si era avvicinato, per appoggiare la guancia sulla spalla del compagno, scuotendo la testa per incontrare il suo sguardo.
“Va tutto bene, tesoro.”
“Perché devono rovinare sempre tutto?” aveva borbottato Alec. “Perché non posso avere una proposta decente?”
“Se ti può far sentire meglio, te lo avrei chiesto” aveva detto Magnus, con un sorriso affettuoso. “Te lo avrei chiesto stasera.”
Alec lo aveva fissato, socchiudendo gli occhi accusatorio. “Lo sapevi già, vero?”
“Sì, scusa.” Magnus aveva provato ad apparire dispiaciuto, ma non era riuscito a non sorridere, contento. “Però hai davvero una faccia terribile, quando arrossisci.”
“Beh, ti dirò di no” aveva risposto Alec scontrosamente, incrociando le braccia sul petto.
“Cosa?”
“Ti dirò di no. Volevo farlo io e avete rovinato tutto, quindi dirò di no.”
Magnus aveva cominciato a ridere, ma si era fermato non appena aveva scorto il viso impassibile di Alec, che stava guardando dritto di fronte a sé, come se stesse cercando di aprire un vortice nel lago con la forza del pensiero.
“Alec!” aveva sussultato.
“No.”
“Gideon” lo aveva chiamato, con disapprovazione.
“No” aveva ripetuto Alec, evitando lo sguardo del fidanzato.
“Alexander, amore della mia vita, stella delle mie notti, sole dei miei giorni” aveva riprovato, con un tono esageratamente adulatorio.
Alec si era mosso un po’ e aveva stretto i denti, senza muoversi. Magnus aveva alzato gli occhi al cielo e si era accoccolato contro il suo petto, poi gli aveva stretto il viso tra le mani per costringerlo a guardarlo e gli aveva accarezzato delicatamente le guance, con le dita coperte di anelli.
“Mi dispiace” aveva sussurrato. “Ti amo, ti prego dì di sì.”
C’era un tono interrogativo nella sua voce e una scintilla di apprensione nel suo sguardo, che aveva spazzato via tutto l’autocontrollo di Alec. Aveva preso un respiro profondo e aveva voltato il viso per baciare il palmo della mano di Magnus.
“Va bene” aveva borbottato, senza riuscire a trattenere un sorriso felice.
Magnus gli aveva regalato un sorriso unico e luminoso, quello che primo fra tutto lo aveva fatto innamorare di lui, e si era avvicinato, attaccando le loro bocche e costringendo Alec a sdraiarsi a terra. Alec aveva riso contro le sue labbra e gli aveva circondato i fianchi con le braccia, ricambio il bacio con passione.
“Cosa è appena successo?” aveva sputato Jace, indicando i due che si stavano ancora baciando, con la fronte corrugata per la confusione.
“Penso che tuo fratello si sposerà” aveva spiegato Clary e le lacrime che le riempivano gli occhi erano sicuramente soltanto causa degli ormoni.
“Che?” aveva esclamato Jace, per la seconda volta. “È stata la peggior proposta che io abbia mai visto!”
Magnus e Alec non si erano separati, le loro labbra si muovevano le une sulle altre e le loro lingue erano ancora intrecciate, ma nonostante questo gli avevano entrambi mostrato, in un sincronismo perfetto, il dito medio.
“Sono proprio destinati a stare insieme” aveva commentato Simon con un sorriso.
Gli altri non avevano potuto far altro se non annuire.
Raphael aveva dovuto separarli con la forza, mentre borbottava qualcosa riguardo al fatto che Central Park fosse un posto per le famiglie.
 
***

Soltanto dopo essere stati insieme per un altro anno, Alec gli aveva detto la verità per la prima volta.
“Sono felice di aver accettato quella sigaretta, quando ci siamo incontrati la prima volta” aveva sussurrato Alec contro il suo collo, mentre la testa gli girava ancora per l’eccessiva eccitazione.
“Sono felice che tu abbia finto di essere un fumatore solo per avere una scusa per uscire sul balcone” aveva sussurrato Magnus in risposta, con tono divertito.
“Lo sapevi?” aveva chiesto Alec, sollevando la testa e stringendo gli occhi con fare accusatorio.
Magnus era scoppiato a ridere. “Certo che lo sapevo! Guardavi quella sigaretta come se ti stesse per aggredire.”
“Giuro che ti sposerò soltanto per divorziare” aveva affermato Alec, fissandolo, ma Magnus non gli aveva creduto nemmeno per un secondo.
“Beh, aspetta il prossimo weekend e, quando saremo davvero sposati, potremo parlare di divorzio.”
Il cuore di Alec aveva cominciato a battere furiosamente nel petto al solo pensiero di sposare Magnus.
“Stavo scherzando, non ti lascerei mai.”
“Bene, perché in un certo senso mi piace averti sempre intorno.”
“Wow, mi sto sciogliendo. Vacci piano con le confessioni d’amore, Magnus.”
“Sta zitto, Gideon. Ti amo.”
“La situazione sta migliorando, ma ci devi lavorare ancora su. Ti amo anche io.”
 
Now and then it's good
to pause in our pursuit of
happiness and just be happy.
” 
(Guillaume Apollinaire)
 
 
Nda.
Con ben due giorni di anticipo (miracolo!), eccomi qui, finalmente (insomma, mica tanto), con l’ultimo capitolo di questa bellissima storia. Come avete visto, ci è stato fortunatamente consentito il bellissimo happy ending, ma il matrimonio dei Malec ci tocca sognarlo e immaginarlo da soli (fate volare la fantasia e scrivetemi nei commenti cosa vi aspettereste!). Lasciamo quindi una Clary incinta e particolarmente emotiva (maledetti ormoni), un Jace spaventato dalle papere e figuriamoci da un bambino, i Sizzy sempre più innamorati, un Raphael che, mannaggia, è scontroso ma amabile quanto il solito, un Alec sempre più adorabile e completamente, totalmente innamorato di un Magnus al massimo della sua eccentricità.

È la prima volta che mi dedico ad una storia a più capitoli (visto che io ho sempre scritto soltanto oneshot) e devo ammettere che, ora più che mai, nonostante questa non sia una storia scritta da me, capisco cosa voglia dire “provare nostalgia per i personaggi”. Ovviamente succedeva anche con le mie storie, ma otto capitoli sono pur sempre otto capitoli e questi protagonisti mi (e ci) hanno accompagnato per ben sei mesi, all’incirca. Nonostante io mi sia occupata solo della traduzione, in realtà, dopo tutto questo tempo, questa storia la sento anche un po’ mia e mi mancherà davvero molto.

Ora passo ai ringraziamenti, che ce ne sono fin troppi.
  • Prima di tutto, volevo ringraziare Lecrit (l’autrice originale, trovate il link al suo profilo nella sezione “note e permessi” che precede il primo capitolo), per avermi permesso di tradurre questa fantastica fanfiction e, in primis, per averla scritta!      
  • Un ringraziamento speciale va a tutti voi che mi avete fatto compagnia in questi mesi, GRAZIE DI CUORE. Grazie per le 2k passa visualizzazioni su wattpad e 2.3k passa su EFP, grazie per le 153 stelline e per aver aggiunto nelle vostre liste di lettura o tra le vostre preferite/ricordate/seguite su EFP e grazie anche per tutti i vostri commenti e le vostre recensioni!
  • Un grazie anche ai lettori silenziosi, so che ci siete e siete fondamentali anche voi!
  • Grazie al mio corpo, per aver resistito anche nelle sessioni notturne e infinite di traduzione e per non avermi abbandonato.
  • Grazie a tutti quelli che hanno sopportato i miei scleri su twitter (sono resistopernjall, potete seguirmi!) perché questo impegno che mi sono presa mi faceva diventare matta.
Grazie di nuovo a tutti per i bellissimi commenti e per i complimenti, hanno significato davvero tanto!
 
Un bacio, ci risentiamo presto!
I. xx

Vi lascio con le ultime gif, una per ogni coppia questa volta!

            

       
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3422982