Ti strapperò il cuore

di Marilia__88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Qualcosa di strano ***
Capitolo 2: *** Scena del crimine ***
Capitolo 3: *** Incertezza ***
Capitolo 4: *** Accertamenti ***
Capitolo 5: *** Triste scoperta ***
Capitolo 6: *** Difficile rivelazione ***
Capitolo 7: *** Paura ***
Capitolo 8: *** Crisi ***
Capitolo 9: *** Ti amo ***
Capitolo 10: *** Nuova forza ***
Capitolo 11: *** Rialzarsi ***
Capitolo 12: *** L'eroe di Baker Street ***
Capitolo 13: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 14: *** La caduta ***
Capitolo 15: *** Buon anniversario, John ***
Capitolo 16: *** Ti voglio bene, fratellino ***
Capitolo 17: *** Addio, Sherlock ***
Capitolo 18: *** La casa vuota ***
Capitolo 19: *** Dolore insopportabile ***
Capitolo 20: *** Buonanotte, papà ***
Capitolo 21: *** Il gioco ricomincia ***



Capitolo 1
*** Qualcosa di strano ***


                Ti strapperò il cuore





                                           Qualcosa di strano





                                                                    SEI ANNI E MEZZO DOPO


Erano passati circa sei anni e mezzo dal matrimonio di Sherlock e John e le cose tra loro andavano magnificamente. Sherlyn, ormai, aveva circa dieci anni. Un giorno come tanti, John tornò a casa dal supermercato, rientrando al 221B con una busta in mano. Era andato a comprare il latte, dei biscotti ed altre cose che mancavano in casa. Appena aprì la porta ed entrò nel soggiorno, però, rimase confuso dalla scena che gli si presentò di fronte. Sherlock era posizionato al contrario sulla sua poltrona: aveva le gambe sulla spalliera, la schiena poggiata sulla seduta, la testa penzolante che quasi sfiorava il pavimento e teneva gli occhi chiusi e le mani congiunte sotto il mento. Addentrandosi un po' di più nella stanza, si accorse che Sherlyn era nella stessa posizione, sull’altra poltrona.
“Si può sapere che state facendo tutti e due?” esclamò confuso.
“Shh…stiamo riflettendo…” rispose la ragazzina, mantenendo la posizione.
“Sai, John…uno studio ha dimostrato che questa posizione permette al sangue di affluire con abbondanza al cervello, stimolando i processi mentali e deduttivi…” aggiunse Sherlock, sempre immobile.
Il medico non sapeva cosa rispondere. Continuava ad osservarli con un evidente stupore. Giorno dopo giorno, infatti, Sherlyn somigliava sempre di più a Sherlock: non solo nella passione per le scene del crimine, ma anche negli atteggiamenti e nei modi di parlare. A guardarla sembrava più figlia del detective che sua. I pensieri di John vennero improvvisamente interrotti dalla ragazzina, che aprì di scatto gli occhi, sbattendo le mani e alzandosi velocemente dalla poltrona.
“Ci sono!” urlò divertita.
Anche Sherlock aprì gli occhi ed uno strano sorriso apparve sul suo volto. Si spostò lentamente da quella posizione e si mise seduto normalmente, incrociando le gambe e poggiando le braccia rilassate sui braccioli.
“…Ti ascolto…” disse semplicemente, scrutando Sherlyn con fare sospettoso.
“È stato lo zio, è ovvio! Non solo abusava di lei da alcuni anni, ma la minacciava, obbligandola a mantenere il silenzio! La ragazza, però, stanca di tutta quella situazione, un bel giorno ha scelto di ribellarsi, decidendo di raccontare tutto ai genitori e di denunciarlo alla polizia…e lui l’ha uccisa!” esclamò Sherlyn tutto d’un fiato, voltandosi verso Sherlock e aspettando una sua conferma.
“…E l’arma del delitto?” chiese curioso il consulente investigativo.
“…L’arma del delitto…” disse pensierosa la ragazzina “…parliamo di un uomo ossessivo…sentimentale…l’ha sicuramente conservata, come un macabro ricordo di ciò che ha fatto!... È a casa sua!” esclamò all’improvviso.
Il detective non disse niente. Mostrò un enorme sorriso compiaciuto e soddisfatto e prese il telefono, avviando una chiamata.
“Lestrade…” disse, appena l’altro rispose “…arresta lo zio della vittima, il sig. Taylor. Procurati un mandato e vai a casa sua. Troverai l’arma del delitto e alcune foto pornografiche, riguardanti la nipote, sul suo portatile…” aggiunse serio “…ah…e saluta mio fratello da parte mia!” esclamò alla fine, chiudendo la telefonata.
Poi si alzò dalla poltrona e si avvicinò a Sherlyn.
“Ottimo lavoro…” le disse, passandole dolcemente una mano nei capelli e scompigliandoglieli leggermente.
“Tu l’avevi già capito da un pezzo vero?” chiese la ragazzina, sorridendo.
“Si…ma questo caso era tuo…era giusto che lo risolvessi da sola…comunque devo ammetterlo, stai migliorando i tempi…” rispose, abbassandosi e sorridendole.
“Sto imparando dal migliore…” disse Sherlyn, abbassando lo sguardo un po' imbarazzata.
“Questo è sicuro!” esclamò Sherlock, abbracciandola con affetto.
John era ancora immobile con la busta in mano. Era così sconvolto e intenerito da quella scena da non riuscire a muoversi. Era incredibile il rapporto che il marito era riuscito ad instaurare con la figlia in quegli anni e rimaneva sempre piacevolmente sorpreso da queste situazioni tra loro.
“John, hai intenzione di rimanere lì impalato per tutto il giorno?” esclamò, all’improvviso il detective, voltandosi verso di lui.
“Oh, la spesa…” rispose il dottore, ricordandosi di avere ancora la busta in mano e dirigendosi in cucina.
“Papà, ho una sorpresa per te!” disse Sherlyn, avvicinandosi al medico e abbracciandolo da dietro.
“Ah, sì? E cos’è?” chiese John curioso, voltandosi e dandole un bacio sulla fronte.
“Finisci di mettere a posto la spesa e vieni di là in soggiorno” rispose semplicemente la ragazzina.
Poco dopo, mentre John era ancora in cucina, il dolce suono del violino di Sherlock iniziò ad echeggiare per tutta la casa. Stava intonando le note della musica che avevano ballato al loro matrimonio, la loro musica. Finì velocemente e si precipitò contento nel soggiorno. Ciò che lo sorprese fu che il marito era tranquillamente seduto sulla sua poltrona. A suonare, infatti, non era lui, ma era sua figlia. Rimase a guardarla immobile con un sorriso da ebete stampato in faccia, mentre Sherlock sorrideva tutto soddisfatto. A metà melodia, però, Sherlyn si bloccò all’improvviso.
“Purtroppo l’ho imparata solo fino a qui…ma riuscirò ad impararla tutta!” disse, poggiando il violino con cura sulla scrivania.
“Sei stata bravissima, tesoro…” rispose il medico, ancora estasiato, avvicinandosi a lei e abbracciandola con affetto.
“Oh, sì…rimanete pure ad abbracciarvi…io me ne starò qui, completamente ignorato…” esclamò Sherlock con sarcasmo, mostrando un finto broncio.
“Stavolta te la sei cercata…” rispose John con un sadico sorriso “…pronta?” aggiunse, guardando la figlia.
“Pronta!” disse Sherlyn con la stessa espressione.
Il medico e sua figlia si fiondarono sul detective, iniziando a baciarlo e ad abbracciarlo con foga.
“Ok, stavo scherzando…ora basta!” urlò il consulente investigativo, cercando di liberarsi dalla presa “…John…Sherlyn…smettetela!” aggiunse, iniziando a ridere.
Anche John e la ragazzina iniziarono a ridere di gusto, continuando imperterriti la loro sadica tortura.


Era ormai sera. Sherlyn era seduta sulla poltrona di Sherlock con le gambe incrociate intenta a leggere un libro; John era di fronte a lei con il portatile sulle gambe e Sherlock era sul divano sdraiato nella sua classica posizione meditativa.
“Cosa stai leggendo?” chiese il medico curioso, rivolgendosi alla figlia.
“Fondamenti di chimica organica…” rispose lei, senza staccare gli occhi dalle pagine.
“Non potresti leggere dei libri più adatti alla tua età?” esclamò John rassegnato.
“Noiosi…” rispose Sherlyn con un mezzo sorriso.
Dopo la risposta della ragazzina, anche Sherlock iniziò a sorridere, continuando, però a mantenere la sua posizione.
“Non c’è niente da ridere…la stai trasformando in una copia di te stesso!” esclamò il medico con finto rimprovero, rivolgendosi al marito.
“Oh, John…non negarlo…la cosa ti piace…” rispose il detective, alzandosi di scatto dal divano. Appena fu in piedi, però, un piccolo capogiro lo obbligò a tenersi con una mano alla scrivania.
“Che succede?” chiese allarmato John.
“Niente…” rispose Sherlock, riprendendosi all’istante.
“Sei sicuro?” domandò il medico sospettoso.
“Si, sono sicuro…” disse il detective, sbuffando irritato e dirigendosi in camera da letto.
“E ora dove stai andando?” chiese John sorpreso.
“Vado a letto…sono un po' stanco!” rispose brusco il marito, chiudendosi la porta alle spalle.
John rimase confuso da quel comportamento. Si voltò verso Sherlyn e vide che lei continuava a fissare la porta della camera da letto con uno strano sguardo indagatore.
“Papà…sono giorni che papà Sherlock si comporta in modo strano…” disse poi, continuando a guardare la porta.
“Già…l’ho notato anche io…” rispose pensieroso il medico.
Sherlock, intanto, si era tolto la vestaglia e si era buttato sul letto. Ultimamente non era la prima volta che gli capitavano questo genere di episodi e la cosa lo innervosiva parecchio. Non aveva detto niente a John per non farlo preoccupare inutilmente. D’altronde stava lavorando su molti casi e, sicuramente, anche il suo corpo iniziava a risentire di tutto quello stress accumulato. Fece un profondo respiro, si voltò di lato e si addormentò, avvolto dalle bianche lenzuola del suo letto.


La mattina dopo Sherlock si svegliò di buon’ora. Quella dormita gli aveva fatto bene, si sentiva decisamente meglio. Appena entrò in cucina, trovò John intento a preparare del tè.
“Buongiorno…” disse il detective, abbracciando suo marito da dietro e baciandolo sul collo.
“Buongiorno a te…come ti senti oggi?” chiese il medico, voltandosi e scrutandolo con attenzione.
“Bene…perché?” 
“In questi giorni sei strano…sei sicuro di stare bene?” insistette John, preoccupato.
“Si, John!... Va tutto bene, non preoccuparti!... Sto lavorando su molti casi e sono sotto stress…tutto qui…” rispose Sherlock con un sorriso.
“Dovresti allentare un po' il ritmo…cerca di non prendere altri incarichi per questa settimana…ok?” disse il medico con apprensione.
“Agli ordini capitano…!” ironizzò il consulente investigativo.
John sorrise rilassato, prendendolo per la vestaglia e baciandolo intensamente.
“Devo andare a svegliare Sherlyn o farà tardi a scuola!” esclamò all’improvviso John, staccandosi dal marito.
“Ci penso io…” rispose dolcemente il detective.
Si avviò così al piano di sopra. Sherlyn, infatti, aveva espresso il desiderio di avere una camera tutta sua, così le avevano risistemato la vecchia stanza di John.
“Sherlyn…” la chiamò delicatamente Sherlock, aprendo la porta.
La ragazzina, però, non dormiva. Era sdraiata a pancia in su e guardava pensierosa verso il soffitto.
“Papà Sherlock!” esclamò, appena si rese conto della sua presenza “…come stai?” gli chiese apprensiva.
“Sto bene…perché non dovrei?” rispose tranquillamente il detective.
“Puoi prendere in giro papà e sperare che lui ti creda…ma con me non attacca, lo sai…” disse Sherlyn, seria “…ho notato che in questi giorni sei più stanco del solito, hai perso circa tre chili solo nell’ultima settimana, hai spesso mal di testa e sei decisamente nervoso… anche se cerchi di nasconderlo…” aggiunse, con uno sguardo indagatore.
“Credo di averti insegnato troppe cose…” ironizzò Sherlock, sorridendo.
La bambina sorrise a sua volta, poi ritornò nuovamente seria.
“Sto ancora aspettando…” disse all’improvviso.
“Non ho niente Sherlyn…credimi!... Sto lavorando su molti casi e sono chiaramente sotto stress…!” rispose il detective, sospirando. Poi si sedette vicino a lei sul letto e le mise un braccio sulle spalle, stringendola a sé.
“Dovresti affidarmi qualche altro caso…non sarò veloce come te, ma posso comunque aiutarti…non mi va di vederti così…” disse Sherlyn, abbassando lo sguardo.
“Ehi…” rispose Sherlock, attirando la sua attenzione “…Facciamo così...ora tu corri a prepararti e vai a scuola…ed io ti prometto che quando tornerai, potrai aiutarmi con alcuni casi…va bene?” aggiunse, passandole una mano nei capelli e scompigliandoglieli come faceva di solito per farla ridere.
Lei, infatti, sorrise e lo abbracciò intensamente. Poi si staccò contenta ed iniziò a prepararsi per andare a scuola.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il primo capitolo della terza e ultima storia della serie. Se avete iniziato a leggerla nonostante l'avvertimento nel finale della seconda storia, vuol dire che siete persone coraggiose e la cosa vi fa onore! ;)
Parlando del capitolo...io mi sono innamorata di Sherlyn...ormai è una piccola Sherlock e il rapporto che ha con il nostro detective, mi fa impazzire...voi cosa ne pensate?

Ringrazio in anticipo tutti coloro che mi seguiranno in questo terzo e difficile viaggio. Grazie a chi vorrà commentare... Alla prossima ;)



 

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Capitolo 2
*** Scena del crimine ***


               Ti strapperò il cuore



 

                                             Scena del crimine






… “Ehi…” rispose Sherlock, attirando la sua attenzione “…Facciamo così...ora tu corri a prepararti e vai a scuola…ed io ti prometto che quando tornerai, potrai aiutarmi con alcuni casi…va bene?” aggiunse, passandole una mano nei capelli e scompigliandoglieli, come faceva di solito per farla ridere.
Lei, infatti, sorrise e lo abbracciò intensamente. Poi si staccò contenta ed iniziò a prepararsi per andare a scuola.
 



 
Sherlyn tornò a casa, canticchiando. Per tutto il tempo, a scuola, non aveva fatto altro che pensare a suo padre Sherlock e a quali interessanti casi le avrebbe affidato. Appena entrò nel soggiorno di Baker Street, però, trovò entrambi i suoi genitori, intenti a prepararsi per uscire.
“Dove state andando?” chiese curiosa.
“Su una scena del crimine…Lestrade ci ha appena chiamato!” rispose frenetico Sherlock.
“Tu aspettaci di sotto dalla signora Hudson…” aggiunse John, mentre indossava la giacca.
“Vengo anche io!” esclamò all’improvviso Sherlyn.
“Sherlyn…ne abbiamo già parlato!... Ti permetto di aiutare tuo padre, ma non voglio che tu venga sulle scene del crimine…sei ancora troppo piccola!” rispose il medico, serio.
“Ma papà…!” esclamò delusa la ragazzina. Poi si voltò a guardare il detective, per cercare un appoggio da lui.
“Ma John…” aggiunse Sherlock, imitando il tono e l’espressione di Sherlyn.
“Santo cielo, Sherlock…non ti ci mettere anche tu!” disse John disperato “…ha solo dieci anni!” aggiunse poi, passandosi una mano sul viso.
“Si, ha solo dieci anni ed ha visto più parti di cadavere lei, che Anderson in tutta la sua vita!” esclamò il consulente investigativo con sarcasmo “…Non devi trattarla come una bambina, John…se si sente pronta, devi lasciarla venire!... Sono sicuro che è pienamente in grado di lavorare sul campo! …Devi fidarti di lei…!” aggiunse serio.
John guardò il marito negli occhi, senza dire niente. Poi spostò lo sguardo verso sua figlia, che lo osservava con impazienza.
“Va bene…tanto è inutile discutere con voi due!” rispose rassegnato, uscendo dall’appartamento.
Sherlock fece l’occhiolino a Sherlyn e lei ricambiò sorridendo contenta. Poi, insieme si diressero fuori.

 
Arrivati sulla scena del crimine, i tre si avviarono nell’edificio, sotto lo sguardo sorpreso di Donovan e degli altri agenti di polizia.
“Finalmente siete arrivati!” disse Lestrade, spazientito “…Sherlyn! E tu cosa ci fai qui?” aggiunse stupito.
“Zio Greg!” esclamò la ragazzina, abbracciandolo “…Beh, cosa abbiamo? Oggi ti aiuto io…!” aggiunse, staccandosi da lui seria ed iniziando ad osservare il cadavere a terra.
L’ispettore, decisamente senza parole, si voltò a guardare Sherlock e John, con un’espressione interrogativa.
“Oh, non guardare me!... Ormai non ho più potere decisionale con questi due!” disse il medico rassegnato.
“Cosa stai facendo lì impalato, Gavin?... Hai sentito cosa ti ha detto Sherlyn? Dalle tutti i dettagli… ti aiuterà lei, per oggi!” esclamò convinto il detective.
“Beh…un uomo di circa 40 anni…la causa della morte è ancora incerta, considerando che non ha ferite o lividi di alcun genere…” cominciò a dire Greg, titubante.
Sherlyn, intanto, si era inginocchiata vicino all’uomo e lo stava ispezionando con cura, sotto gli occhi stupiti di tutti, tranne di Sherlock, che la guardava con una seria curiosità. Dopo alcuni minuti, il detective si avvicinò, si inginocchiò dall’altro lato rispetto alla figlia ed iniziò, anche lui, ad osservare il cadavere.
“Sai, John…insieme sono inquietanti…” disse Lestrade, decisamente turbato.
“Non dirlo a me…” rispose John, scuotendo la testa.
“Credo di aver capito la causa della morte…!” esclamò all’improvviso Sherlyn.
“Ti ascolto…” rispose Sherlock, iniziando a fissarla.
“Avvelenamento da arsenico…” disse lei con tono di sfida.
“Ah sì?... E da cosa lo deduci?” chiese il detective, con uno strano sorriso.
“Lo deduco dalla decolorazione della pelle…dalla bocca che odora di aglio…e dalle linee bianche che sono presenti sulle unghie…” rispose Sherlyn, mantenendo il contatto visivo.
“Ottima deduzione!” esclamò il consulente investigativo, soddisfatto.
Poi si alzò e si diresse verso Lestrade.
“L’arsenico non è molto facile da reperire ultimamente, almeno non senza lasciare tracce. Fate una ricerca su chi, nella zona, abbia fatto un acquisto del genere e troverete il vostro assassino” disse Sherlock, continuando a sorridere.
“Incredibile…” esclamò semplicemente Greg, continuando a fissare la ragazzina.
“Visto papà?... Sono stata brava!” disse Sherlyn, avvicinandosi a John contenta.
“Si…molto brava…” rispose il medico, sorridendole e dandole una carezza sul viso.
La ragazzina, poi si voltò verso il punto in cui si trovava il detective, ma vide che era sparito.
“Papà…dov’è andato papà Sherlock?” chiese confusa, rivolgendosi a John.
“Non lo so…forse è uscito…” rispose pensieroso il dottore.
“Si, ho visto che andava fuori…” disse Greg, mentre parlava con i suoi uomini per avviare le ricerche dell’assassino.
John e Sherlyn uscirono velocemente e lo trovarono seduto sui gradini all’entrata dell’edificio. Si teneva la testa tra le mani e aveva un’espressione sofferente in viso.
“Papà Sherlock!” urlò la ragazzina, correndo verso di lui “…cos’hai?” gli chiese preoccupata, mettendogli una mano sulle spalle.
“Sherlock, che succede?” aggiunse il medico, anche lui agitato.
“Niente…solo un po' di mal di testa…” rispose il detective, massaggiandosi le tempie con le dita.
John, allora si abbassò e gli spostò con delicatezza i capelli dalla fronte.
“Vieni…torniamo a casa…” gli disse poi dolcemente, facendogli una carezza.
“Tutto bene?” chiese Greg, uscendo e avvicinandosi a loro.
“Si, si… Sherlock ha un po' di mal di testa…andiamo a casa…” rispose il medico.
“Se aspettate qualche minuto, vi accompagno io…” disse Lestrade.
“No…li accompagno io!” esclamò una voce alle loro spalle.
“Zio Myc!” urlò la ragazzina, correndo verso di lui.
“Ehi, piccola…” rispose il politico dolcemente.
“Potevi avvisarmi che saresti passato…” disse l’ispettore, sorridendo e avvicinandosi al fidanzato.
“Mi sono liberato prima del previsto…volevo farti una sorpresa” rispose Mycroft, dandogli un bacio.
“Ci sei riuscito, eccome!” esclamò Greg, contento.
“Li porto a casa e torno, va bene?” disse il politico, facendo cenno a John, Sherlock e Sherlyn di salire sulla sua auto nera.
“Ti aspetto…” rispose Lestrade con un sorriso.
Dalla sera del matrimonio Greg e Mycroft, infatti, avevano iniziato a frequentarsi e, dopo alcuni mesi, si erano messi ufficialmente insieme. Il medico e il detective avevano fatto, inizialmente, fatica ad abituarsi alla cosa, ma poi, con il passare del tempo, tutto era diventato naturale.

 
Durante il tragitto verso casa, Sherlock se ne stava con la testa poggiata al sedile e gli occhi chiusi. Sherlyn, intanto, gli teneva la mano, guardandolo con aria preoccupata. Mycroft e John, invece, stavano stranamente in silenzio, pensierosi.
Arrivati al 221B, salirono tutti e quattro nell’appartamento. Il detective sembrava stare decisamente meglio, ma nonostante ciò, il marito lo obbligò a mettersi sdraiato sul divano e riposarsi un po'. La ragazzina si sedette accanto a lui, continuando a guardarlo apprensiva.
“Sherlyn, sto bene…stai tranquilla!” disse Sherlock, sorridendo e passandole una mano nei capelli.
“Sei sicuro?... Non hai un bell’aspetto…” rispose lei, accarezzandogli il viso.
“Si, sono sicuro…mi sento già molto meglio!” disse il detective, prendendole la mano e stringendola nella sua.
“Da quanto tempo sta così?” chiese Mycroft a John, prendendolo da un braccio e portandolo in cucina.
“Da qualche giorno…sta lavorando senza sosta…gli ho anche detto di allentare un po' il ritmo, ma lo conosci!” esclamò il dottore, sospirando pesantemente.
“Cerca di farlo riposare, non ha una bella cera...!... Io, intanto, parlo con Greg e lo convinco a non chiamarlo per qualche giorno!” rispose il politico serio.
“Va bene…” disse John, abbassando leggermente lo sguardo.
“Ma cosa ci faceva Sherlyn con voi su una scena del crimine? Non glielo avevi proibito?” chiese, poi Mycroft curioso.
“Ci avevo provato…ma, come puoi immaginare, insieme sono incontrollabili!” rispose il medico, con un sorriso.
“Da quello che vedo, sono sempre più legati…” disse il politico, osservando i due sul divano.
“Si è vero… Sherlyn ha sviluppato un attaccamento quasi morboso nei confronti di Sherlock!” esclamò John, guardando anche lui verso il marito e la figlia.
“Almeno una cosa l’ha presa da te, allora!” ironizzò Mycroft, mettendosi a ridere.
Il medico scoppiò a ridere anche lui, dando una spinta amichevole al cognato. Poi insieme ritornarono in soggiorno.
“Beh, io vado!” esclamò Mycroft “…e tu, caro fratellino, cerca di riposarti un po' e ascolta i consigli del tuo medico…” aggiunse, sorridendo verso John.
“Certo, vai pure…corri dal tuo pesce rosso…non farlo aspettare!” rispose Sherlock con sarcasmo.
Il politico scosse la testa e sorrise a quella battuta. Poi salutò Sherlyn e si diresse fuori dall’appartamento.
“Papà Sherlock…” disse titubante la ragazzina, abbassando lo sguardo.
“Dimmi...” rispose dolcemente il detective, alzandole il volto con la mano.
“Posso mettermi vicino a te?” chiese Sherlyn, un po' imbarazzata.
“Ma certo…vieni…” disse Sherlock, facendole spazio vicino a lui sul divano.
La ragazzina, allora, si sdraiò accanto al detective, poggiando la testa sul suo petto e abbracciandolo teneramente. Il consulente investigativo sorrise e la abbracciò a sua volta.
“Sei stata davvero brava oggi…sono fiero di te!” esclamò all’improvviso Sherlock.
Sherlyn fece un enorme sorriso e strinse maggiormente il suo braccio intorno a lui, contenta e soddisfatta.
John, intanto, prese una coperta e la poggiò addosso ai due, intenerito, come sempre, nel vederli insieme.




Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il secondo capitolo! Beh, anche se si era capito...vi ho confermato che Greg e Mycroft si sono messi ufficialmente insieme (una gioia per tutti gli amanti del mystrade)!
Beh, che dire di Sherlyn? Ha la genialità di Sherlock, i suoi atteggiamenti e i suoi modi di parlare...ma in fondo ha preso da John una cosa molto importante: la dolcezza! Soprattutto nei confronti del detective, a cui sembra particolarmente legata! 
Per quanto riguarda Sherlock si è capito che ha qualcosa che non va...ma non voglio pronunciarmi... entro il quinto capitolo capirete molte cose...!
Grazie a tutti quelli che stanno seguendo la storia. A chi l'ha già inserita tra le preferite/seguite/ricordate e a chiunque voglia lasciarmi un commento.
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 3
*** Incertezza ***


               Ti strapperò il cuore





                                                Incertezza





… “Sei stata davvero brava oggi…sono fiero di te!” esclamò all’improvviso Sherlock.
Sherlyn fece un enorme sorriso e strinse maggiormente il suo braccio intorno a lui, contenta e soddisfatta.
John, intanto, prese una coperta e la poggiò addosso ai due, intenerito, come sempre, nel vederli insieme.
 
 


 
 Dopo quell’episodio sulla scena del crimine, Sherlock stava decisamente meglio. Erano passati alcuni giorni da allora e, a causa del riposo forzato messo in atto da Mycroft e John, il suo livello di noia era arrivato a livelli ingestibili. Era mattina e Sherlyn era andata a scuola, quando il detective iniziò a sclerare.
“Mi annoio, John!... So che tu e il mio caro fratellone state impedendo a Gavin di assegnarmi nuovi casi…!” urlò furioso.
“Come puoi vedere un po' di riposo non può che farti bene… quindi smettila di lamentarti!” rispose il dottore a tono.
“Oh, certo!... Guarda come sto bene!” esclamò Sherlock, prendendo la tazza dal tavolino e lanciandola contro il muro.
“Santo cielo, Sherlock!... Vuoi smetterla di comportarti come un bambino capriccioso?” urlò John spazientito.
“Lo farò quando tu smetterai di angosciare la mia vita con le tue stupide opinioni!” ribatté il detective con acidità.
Il medico non rispose. Iniziò a fissare il marito con uno sguardo ferito e irritato al tempo stesso.
“Ma certo…scusami se mi preoccupo per la tua salute!... Fai quello che vuoi!” esclamò poi, voltandosi e andando in cucina.
“John, torna qui…non volevo…” disse Sherlock, cercando di scusarsi.
“No, basta Sherlock! Non puoi trattarmi così e pretendere che io stia zitto!” urlò John, dall’altra stanza.
“Per favore ascoltami, sto cercando di scusarmi!” esclamò disperato il detective “…John, sto male!” aggiunse dopo un pò.
“E pensi che io non stia male ogni volta che mi tratti in questo modo? Beh, sai che ti dico? Se ci stai male, non mi importa! È quello che ti meriti!” esclamò il dottore con rabbia, mentre metteva le tazze apposto.
“John…non hai capito…sto male…sul serio!” esclamò Sherlock, ansimando pesantemente.
John uscì dalla cucina, allarmato da quel tono di urgenza. Il marito era piegato su sé stesso sofferente: con una mano si sosteneva, a fatica, alla spalliera della sua poltrona e con l’altra, invece, si teneva la testa.
“Sherlock!” gridò, correndo verso di lui per sostenerlo “…che succede?” gli chiese preoccupato.
“Io…non…” il detective cercò di parlare, ma il dolore alla testa era troppo forte “…scusami!” riuscì a dire soltanto, liberandosi dalla stretta di John e correndo in bagno a vomitare.
Il medico lo seguì preoccupato. Gli mise una mano sulla fronte ed una sulla schiena, aspettando che i conati si fermassero. Appena finì, lo aiutò a mettersi dritto e lo accompagnò lentamente sul divano, facendolo sdraiare. Era pallido come un cencio, sudava freddo e, con una mano, continuava a tenersi la testa sofferente.
“Va meglio?” gli chiese John dolcemente, spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte bagnata.
Il detective annuì soltanto. Manteneva, però, gli occhi chiusi e continuava ad ansimare pesantemente.
“Sei sicuro? Hai un aspetto orribile. Vuoi che chiami un’ambulanza?” aggiunse, ancora preoccupato.
“No, no…sta passando!” rispose Sherlock, aprendo gli occhi e sorridendo.
“Mi sa che ti sei beccato una bella influenza di stagione! …Potrebbe spiegare anche i mal di testa e la spossatezza che hai avuto in questi giorni!” esclamò John non molto convinto “…e comunque trovi sempre il modo per farmi dimenticare che sono arrabbiato con te!” aggiunse poi, leggermente più rilassato nel vederlo sorridere.
“Questo è talento!” rispose il detective con sarcasmo, mettendosi a ridere con un po' di fatica.
Il medico lo guardò, scosse la testa rassegnato e poi scoppiò a ridere anche lui.

 
Quando Sherlyn ritornò da scuola, Sherlock stava di nuovo bene. Era intento a suonare il suo violino, per combattere la noia ed evitare di sclerare nuovamente.
“Adoro questo pezzo…!” esclamò la ragazzina, entrando nel soggiorno contenta.
“Lo, so...” rispose semplicemente il detective, concludendo e voltandosi verso di lei con un sorriso.
Lei sorrise a sua volta e corse ad abbracciarlo.
“Papà…!” esclamò poi, vedendo John uscire dalla camera da letto.
“Ehi, tesoro!... Com’è andata a scuola?” chiese il medico dolcemente, dandole un bacio sulla fronte.
“Tutto noioso…come sempre…!” rispose la ragazzina, sbuffando e sedendosi sul divano “…tutto bene?” aggiunse poi, guardando John con il suo sguardo indagatore.
“Si, perché?” rispose il padre sorpreso.
“Non lo so…mi sembri preoccupato…” disse lei, continuando a fissarlo.
In quel momento anche Sherlock si voltò verso di lui, iniziando a guardarlo con attenzione, ma rimanendo in silenzio.
“Si, va tutto bene…tranquilla!” rispose John, con un sorriso non molto convinto. Poi si voltò e si diresse in bagno, mettendo fine, così, a quella conversazione.

 
La mattina dopo, il telefono del detective squillò con insistenza. Sherlock lo afferrò entusiasta, vedendo che si trattava di Lestrade.
“Dimmi tutto, Gavin!” esclamò eccitato.
“Sherlock, ho bisogno di te…puoi raggiungermi al 56 di Star Street?” chiese Greg, con urgenza.
“Arrivo subito!” rispose il consulente investigativo, chiudendo la telefonata e correndo in camera a cambiarsi.
“Si può sapere dove stai andando?” domandò John irritato.
“Mi ha chiamato Lestrade! Abbiamo un caso…muoviti!” disse Sherlock, con entusiasmo.
“Stamattina gliene dico quattro!” esclamò il medico tra sé e sé, riferendosi all’ispettore “…Sei sicuro di sentirti bene?” chiese poi al marito, scrutandolo con attenzione.
“Si, sto benissimo…dai, andiamo!” rispose il detective, mettendo velocemente il cappotto.
John sospirò pesantemente, mise la giacca e lo seguì fuori dall’appartamento.

 
Erano sulla scena del crimine. Sherlock si trovava nella camera dov’era avvenuto il delitto, intento ad esaminare il cadavere con la sua solita attenzione e minuziosità; essendo un caso decisamente complicato, aveva chiesto di rimanere da solo, per concentrarsi meglio sulle sue deduzioni. Greg e John, intanto, stavano discutendo in corridoio.
“Sbaglio o io e Mycroft ti avevamo chiesto di non chiamare Sherlock?” disse il medico irritato.
“Si, mi avevate detto di non chiamarlo per qualche giorno!... Pensavo che dopo cinque giorni stesse meglio...!” rispose Lestrade, cercando di giustificarsi.
“E invece no…non sta meglio!” urlò John, abbassando lo sguardo e passandosi una mano sugli occhi.
“Mi dispiace…non volevo crearvi dei problemi…” rispose Greg mortificato.
“No, scusami tu…so che non lo hai fatto apposta…non dovevo gridarti contro…” disse il medico, sospirando pesantemente.
“John, che hai?... Sembri turbato…sai che puoi parlare con me di qualsiasi cosa…” disse Lestrade, mettendogli una mano sulla spalla.
“Niente…è solo che…” cercò di dire il dottore, ma venne improvvisamente interrotto.
“Greg, credo che il geniaccio abbia qualcosa che non va!” esclamò Donovan, passando davanti a loro.
John si scambiò uno sguardo preoccupato con l’ispettore ed entrambi si precipitarono nel soggiorno per capire cosa stesse succedendo. Appena entrarono, lo videro: era poggiato con una mano al muro e con l’altra si teneva la testa, con un’espressione sofferente in volto.
“Sherlock!” esclamò il medico, avvicinandosi a lui.
“Che succede?” chiese Greg, subito dopo.
Il detective non rispose. Ansimava e si lamentava sommessamente per il dolore. Poi, all’improvviso, si staccò dal contatto dei due e corse, velocemente, fuori dall’edificio.
John e Greg lo seguirono preoccupati e lo trovarono sul retro del palazzo, poggiato con le mani al muro, intento a vomitare e a tossire convulsamente.
Il dottore corse ad aiutarlo, togliendogli la sciarpa e sbottonandogli il cappotto, per farlo respirare meglio. Quando finì di rimettere la scarsa colazione di quella mattina, si poggiò esausto con la schiena contro il muro, ansimando leggermente con gli occhi chiusi.
“Tutto bene?” chiese Lestrade, decisamente agitato.
Il detective annuì e riaprì gli occhi, cercando di regolarizzare il proprio respiro.
“Avresti dovuto dirmi che non ti sentivi ancora bene! Sei sempre il solito!” lo rimproverò John, serio.
“Mi sentivo bene prima di venire!” rispose Sherlock, decisamente ripreso.
“Si, certo! Dovevo immaginarlo che in un giorno non potevi essere già guarito! Ora andiamo a casa e ti metti a letto, chiaro?” ordinò il dottore con tono categorico.
“Ma, John!” cercò di obiettare il consulente investigativo.
“Niente ma, Sherlock! Ordini del medico!” esclamò John, minacciandolo con lo sguardo e afferrandolo da un braccio.
“Ti conviene andare!” disse Greg, sorridendo sommessamente.
Sherlock sbuffò pesantemente, mentre veniva trascinato via da suo marito, con un broncio simile ad un bambino a cui è stato tolto un giocattolo.
L’ispettore continuò a ridere, decisamente divertito da quella scenetta a cui aveva appena assistito.
 

Arrivati al 221B, John obbligò Sherlock a mettersi a letto. Poi andò in bagno, prese il termometro e ritornò da lui per misurargli la temperatura.
“John...ti ho già detto che mi sento meglio…” cercò di opporsi il detective.
“Stai zitto!” urlò il medico, decisamente nervoso.
“Si può sapere che ti prende?... Stai avendo una reazione esagerata…!” esclamò Sherlock, confuso.
John non rispose. Prese il termometro con le mani leggermente tremanti e lo guardò attentamente.
“John…” lo chiamò il marito.
“Hai solo qualche linea di febbre…ma devi stare comunque a letto!... E voglio che domani vieni con me a fare un prelievo!” esclamò il medico serio.
“Ma non essere ridicolo!” rispose Sherlock, sbuffando.
Il dottore non disse niente. Si voltò di scatto, avviandosi verso il bagno per conservare il termometro.
“John…” lo fermò il consulente investigativo, afferrandolo per un braccio e obbligandolo a voltarsi verso di lui “…Non capisco perché ti stai comportando così…” aggiunse dolcemente.
“Sono preoccupato per te…cosa c’è da capire?” rispose John, abbassando lo sguardo.
“Vieni qui…” disse il detective, invitando il marito a sdraiarsi accanto a lui.
“Devo andare a preparare qualcosa per pranzo…Sherlyn ritornerà da scuola tra un po'…” rispose il medico, cercando di liberarsi dalla presa.
“Manca più di un’ora!... Abbiamo tutto il tempo…” disse Sherlock, attirandolo verso di sé “…per favore…” aggiunse, pregandolo con lo sguardo.
John si sdraiò di fronte a lui, continuando a mantenere lo sguardo basso. Sherlock, allora, gli alzò la testa con la mano ed iniziò a baciarlo dolcemente.
“Sai quanto odio gli ospedali…ma se ti prometto di venire a fare il prelievo domani, me lo fai un sorriso?” chiese il detective con dolcezza.
Il medico annuì e fece un sorriso non molto convinto.
“E comunque ti preoccupi sempre troppo…” aggiunse poi Sherlock, abbracciandolo e attirandolo verso di sé.
“È perché ti amo…” esclamò John abbracciandolo a sua volta.
“Lo so…ti amo anche io…” rispose il consulente investigativo, iniziando a spogliarlo e a baciarlo con passione.
“Sei sicuro di sentirti meglio per…” chiese titubante il medico.
“Te lo dimostro subito!” esclamò Sherlock con malizia, mettendosi sopra di lui e bloccandogli le braccia sopra la testa.
John, allora, iniziò a ridere, decisamente più rilassato e si lasciò andare, con trasporto, alle provocanti attenzioni di suo marito.




Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il terzo capitolo! Non sono riuscita ad inserire molto humor come nei due capitoli precedenti, anche perchè la storia sta prendendo una piega un pò più seria...il prossimo capitolo comunque, spero che risulti più leggero e un pò più divertente, prima del quinto e del sesto capitolo che saranno decisamente seri.
Beh, che dire? John in fondo è un medico...e in cuor suo comincia ad analizzare ciò che sta accadendo a suo marito! E ciò lo preoccupa non poco. 
Sherlyn naturalmente nota subito che qualcosa nel padre non va, anche se lui devia la conversazione.
E Sherlock, invece, pensa che John esageri come al solito! 
Vedremo poi se il nostro medico faceva bene a preoccuparsi...
Grazie come sempre a chi continua  a seguire la storia... e a chi vuole lasciare un commento...
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 4
*** Accertamenti ***


              Ti strapperò il cuore



                         


                                                Accertamenti






… “Sei sicuro di sentirti meglio per…” chiese titubante il medico.
“Te lo dimostro subito!” esclamò Sherlock con malizia, mettendosi sopra di lui e bloccandogli le braccia sopra la testa.
John, allora, iniziò a ridere, decisamente più rilassato e si lasciò andare, con trasporto, alle provocanti attenzioni di suo marito.
 
 



 
La mattina dopo quell’episodio, Sherlock e John si recarono in ospedale per fare tutti i controlli necessari. Il detective si sottopose ad un prelievo del sangue e, considerati i sintomi, venne consigliata anche una Tac cerebrale, giusto per escludere tutte le eventualità. Per tutto il tempo di attesa, Sherlock non faceva altro che sbuffare impaziente, seduto su una scomoda sedia della sala d’aspetto.
“Possibile che ci voglia così tanto?” chiese, continuando a sbuffare.
“Santo cielo, smettila di agitarti! Ti stanno guardando tutti!” rispose John, decisamente imbarazzato dal comportamento di suo marito.
“Cosa vuoi che mi importi? Lasciali guardare!... La verità è che sono tutti tranquilli, perché hanno tutti delle vite noiose, con dei lavori noiosi e non hanno di meglio da fare che sprecare qui il loro inutile tempo!... Al contrario loro, però, il mio tempo è prezioso!” urlò il detective, facendo quel piccolo monologo, sotto gli occhi scioccati degli altri pazienti.
“Vuoi smetterla di gridare?... Ti stai comportando da pazzo!” esclamò il medico, mettendosi una mano sugli occhi disperato.
Sherlock parve zittirsi per qualche istante, ma solo perché si era messo a fissare un uomo di fronte a lui. Appena il marito si accorse della cosa, però, gli tirò una piccola gomitata, per farlo smettere.
“Smetti di fissare quell’uomo…lo stai spaventando!” esclamò John, disperato.
“Sa…non vorrei rovinarle una così bella e inutile giornata…ma sua moglie la tradisce con il suo vicino di casa…!” disse all’improvviso Sherlock, ignorando il marito.
L’uomo si voltò di scatto verso la moglie al suo fianco e la guardò con fare sospettoso. La donna abbassò lo sguardo, diventando rossa d’imbarazzo.
“Sherlock!” lo ammonì il medico, tirandogli un’altra gomitata.
“Oh, John…mi annoio!... Devo passare il tempo in qualche modo!” rispose il detective, con il suo solito broncio “…Comunque se fossi in lei non riderei…” aggiunse poi all’improvviso, riferendosi ad una signora alla sua destra “…considerando che suo marito si è giocato tutti i vostri risparmi a carte e non sa come dirglielo!” continuò, con un sorriso soddisfatto.
John sospirò rassegnato, passandosi le mani sul viso in segno di disperazione.
“Signor Holmes…” disse l’infermiera, facendo cenno a Sherlock di entrare.
“Grazie al cielo…!”  esclamò sollevato il medico, considerando finalmente concluso quel momento imbarazzante.

 
Appena il detective finì tutti i controlli, poterono finalmente tornare a casa. I risultati sarebbero stati pronti l’indomani mattina. Arrivati al 221B, trovarono Sherlyn già lì ad aspettarli.
“Cosa ci fai già qui?” chiese John sorpreso.
“Ieri ti avevo detto che sarei uscita prima da scuola!... Ma in questi giorni sembra che tu abbia la testa da un’altra parte!” rispose la ragazzina a tono “…dove siete stati?” domando poi curiosa.
“In ospedale!” rispose schifato Sherlock.
“Perché?... Non sei stato di nuovo bene?” chiese Sherlyn agitata, alzandosi di scatto dal divano.
“No, stai tranquilla…l’ho portato a fare degli esami, giusto per un controllo!” rispose prontamente John, lasciando il marito sorpreso da quella risposta improvvisa.
La ragazzina guardò attentamente i due, con un’espressione seria, ma non disse nient’altro.
“Io vado di sotto!” esclamò tutto d’un tratto il detective, dirigendosi verso la porta.
“Vengo anche io!” rispose Sherlyn contenta.
Appena il marito e la figlia uscirono per andare in laboratorio, il medico si poggiò con le mani alla mensola del camino, abbassando la testa e sospirando pesantemente. Non poteva negare di essere preoccupato per Sherlock e sperava soltanto che le cose andassero bene.
“Mi dici cos’hai?” chiese Sherlyn alle sue spalle.
“Ma non eri andata di sotto?” rispose John, voltandosi di scatto sorpreso.
“Ho dimenticato il mio quaderno con gli appunti…” disse lei seria “…papà, per favore…” aggiunse, guardandolo negli occhi.
“Non ho niente, Sherlyn…stai tranquilla!” rispose il medico, abbozzando un sorriso.
“Sei preoccupato per papà Sherlock, vero?” chiese la ragazzina, abbassando per un attimo lo sguardo.
John annuì semplicemente, continuando a sforzarsi di sorridere.
“Lo sono tanto anche io…” confessò Sherlyn, con le lacrime agli occhi.
“Ehi, tesoro…” esclamò il dottore, avvicinandosi a lei e abbassandosi leggermente “…andrà tutto bene!... Domani tuo padre andrà a ritirare i risultati degli esami e vedrai che ci siamo preoccupati per niente!” aggiunse con dolcezza, accarezzandole il viso.
“Ne sei davvero convinto?” chiese lei seria.
“Si…ne sono sicuro!” mentì John, sforzandosi di essere convincente.
La ragazzina sospirò, annuendo perplessa. Poi prese il quaderno e si avviò giù per le scale.

 
Qualche ora dopo, il pranzo era pronto e Sherlock e Sherlyn erano ancora di sotto. John, allora, stanco di aspettarli, decise di andare in laboratorio a chiamarli. Appena aprì la porta, però, rimase decisamente turbato da ciò che vide: il marito e la figlia stavano ispezionando una testa mozzata, poggiata, come se niente fosse, sul tavolo da lavoro.
“Santo cielo…che state facendo?” chiese schifato.
“Stiamo studiando i processi di decomposizione dei tessuti della bocca…” spiegò il detective, prelevando un campione e mettendolo sul vetrino del microscopio.
“Vieni a vedere papà…i risultati sono davvero interessanti!” esclamò la ragazzina con entusiasmo.
“Più che interessante…io lo definirei disgustoso…” rispose John con una smorfia “…comunque ero venuto a dirvi che il pranzo è pronto…ma sinceramente…mi avete fatto passare l’appetito!” aggiunse poi, continuando ad osservare la testa.
Sherlock e Sherlyn si guardarono tra loro divertiti, poi spostarono lo sguardo verso John e scoppiarono a ridere.
“Dovesti vedere la tua faccia…!” esclamò il detective tra le risate.
“Già…è favolosa!” aggiunse la ragazzina, ridendo di gusto anche lei.
“Bravi…prendetemi pure in giro!” rispose il medico con un finto broncio, poi scoppiò a ridere anche lui.
Mentre tutti e tre ridevano di gusto, però, Sherlock, divenne improvvisamente serio, si poggiò con una mano al tavolo e abbassò leggermente la testa.
“Papà Sherlock!” esclamò Sherlyn, aiutandolo a reggersi in piedi.
John corse a prendere la sedia della scrivania e la avvicinò al marito, facendolo sedere cautamente. Il detective, intanto, era sbiancato in modo preoccupante e stava con gli occhi chiusi, cercando di fare dei lenti e profondi respiri.
“Come va?” chiese preoccupato il medico, spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte e accarezzandolo con dolcezza.
“Bene…” mentì Sherlock, con la voce tremante.
“Se ce la fai a camminare, andiamo di sopra…” disse il medico, porgendogli una mano.
“Credo di sì…” rispose il detective, prendendo la mano del marito e mettendosi in piedi a fatica.
Sherlyn, intanto gli teneva l’altra mano, aiutandolo anche lei, a mantenersi in equilibrio.
Arrivati alla fine della prima rampa di scale, però, la situazione parve peggiorare. La ragazzina iniziava ad avere difficoltà a reggere il peso di Sherlock e John da solo non riusciva ad aiutarlo a salire.
“Signora Hudson!” urlò il medico, cercando aiuto.
“Che succede, caro?” disse lei, uscendo di corsa “…Oh, Dio Sherlock!” aggiunse poi allarmata.
In quel frattempo, qualcuno bussò alla porta del 221B. La donna corse velocemente ad aprire, sperando che fosse qualcuno che potesse aiutarli.
“Mycroft...entri, la prego… John ha bisogno di aiuto!” disse con urgenza.
“Che succede?” chiese il politico, preoccupato dal pallore del fratello. Poi prese il posto di Sherlyn, afferrando Sherlock dalla vita, aiutando il medico a salirlo di sopra e a metterlo sul divano.
“Si è sentito male mentre eravamo di sotto in laboratorio…” spiegò John, ancora agitato e con il respiro corto dallo sforzo.
“Papà Sherlock…come ti senti?” domandò la ragazzina, entrando subito dopo di loro e inginocchiandosi al lato del divano.
“Meglio…non preoccuparti…” rispose il detective.
Dopo qualche minuto, infatti, Sherlock parve riprendersi e riacquistare man mano un colorito più roseo. John e Mycroft, intanto, si erano allontanati leggermente per parlare.
“Bisogna che faccia dei controlli…non può continuare così!” esclamò il politico, passandosi una mano sul viso, con preoccupazione.
“Stamattina l’ho portato in ospedale a fare alcuni accertamenti. Domani ci daranno i risultati…” rispose il medico serio, abbassando lo sguardo.
“John…cerca di stare su…potrebbe essere una cosa da niente…” disse Mycroft, cercando di tranquillizzarlo.
Il dottore annuì poco convinto e gli sorrise con affetto.
“Grazie…” rispose poi semplicemente.

 
Dopo aver passato l’intero pomeriggio a riposo, Sherlock era ritornato completamente sé stesso. Sherlyn, che per tutto il tempo, era stata seduta vicino a lui a tenergli la mano e ad accarezzarlo, si era addormentata esausta. Il detective, allora, si alzò e adagiò la figlia con delicatezza sul divano, coprendola con una coperta.
“Come ti senti?” chiese John, uscendo dalla cucina.
“Molto meglio dopo questa dormita…” rispose il consulente investigativo, continuando a guardare la ragazzina.
“Alla fine è crollata!... Non ti ha staccato gli occhi di dosso neanche per un secondo, mentre riposavi…non sono riuscito nemmeno a farla mangiare!” esclamò il medico, guardando anche lui verso la figlia.
Sherlock non disse niente. Continuò a guardare Sherlyn con aria preoccupata.
“Ma sbaglio o c’è stato mio fratello?” disse poi all’improvviso, voltandosi confuso verso il marito.
“Si, è venuto quando ti sei sentito male e mi ha aiutato a portarti di sopra…” rispose John serio.
“Pensavo di essermelo immaginato…” esclamò il detective, pensieroso.
“Anzi, lo chiamo per dirgli che ti senti meglio…” disse il medico, andando a prendere il cellulare.
“Prima vieni qui…” sussurrò Sherlock, afferrando il marito da un braccio e attirandolo verso di sé.
“Sherlock!” esclamò il dottore, sorpreso da quel gesto improvviso.
Il consulente investigativo iniziò a baciarlo con passione, facendolo indietreggiare e adagiandolo con delicatezza contro il muro.
“Sherlyn dorme... ed io mi sento decisamente bene…cosa deduci da questi indizi?” chiese Sherlock, con malizia.
“Non eri tu che una volta affermavi di non avere questo genere di impulsi?... Ed ora non pensi ad altro!” ironizzò John, iniziando a sorridere.
“Te l’ho detto anni fa John…tu sei l’eccezione della mia vita…!” rispose il detective, continuando a baciarlo.
Il medico rimase piacevolmente colpito nel risentire quelle parole. Facevano parte del bellissimo discorso che il marito gli aveva fatto anni prima, per chiedergli di sposarlo. Tornare con la mente a quel momento gli mise addosso un’indecifrabile gioia e tranquillità. Si abbandonò, così, a quelle sensazioni, dimenticandosi, per un po', di tutto il resto. 




Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il quarto capitolo! Beh, abbiamo un pò di humor all'inizio, considerando che mi sono immaginata come potrebbe comportarsi un tipo come Sherlock in una sala d'attesa, costretto ad aspettare il suo turno! Abbiamo anche qualche momento meno bello, ma tutto sommato le due cose sembrano equilibrarsi.
I prossimi due capitoli (che erano nati come uno solo, ma ho deciso di dividerli per non dare troppe situazioni tutte in una volta) saranno rivelativi e più seri di questi! 
Grazie come sempre a chi continua a seguire la storia... grazie a chi vuole lasciare un commento e un opinione, che sono sempre graditi e a chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Alla prossima ;) 

 

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Capitolo 5
*** Triste scoperta ***


             Ti strapperò il cuore






                                            Triste scoperta





… “Te l’ho detto anni fa John…tu sei l’eccezione della mia vita…!” rispose il detective, continuando a baciarlo.
Il medico rimase piacevolmente colpito nel risentire quelle parole. Facevano parte del bellissimo discorso che il marito gli aveva fatto anni prima, per chiedergli di sposarlo. Tornare con la mente a quel momento gli mise addosso un’indecifrabile gioia e tranquillità. Si abbandonò, così, a quelle sensazioni, dimenticandosi, per un po', di tutto il resto.
 
 



 
Il giorno dopo, Sherlock si svegliò di buon’ora. Si sentiva decisamente meglio, rispetto ai giorni scorsi e ciò lo metteva di buon umore. Naturalmente, anche John e Sherlyn sembravano leggermente sollevati nel vederlo più in forma.
“Papà…papà Sherlock io vado a scuola!” esclamò la ragazzina sbucando dalla porta del soggiorno.
“Buona giornata, tesoro…” rispose John, con un sorriso.
“Grazie papà…” disse lei con dolcezza “…ah, papà Sherlock, ricordati che mi hai promesso di continuare i test su George!” aggiunse poi, divertita.
“Certo…” rispose Sherlock, mettendosi a ridere.
“Chi è George?” chiese John curioso, dopo che Sherlyn era uscita dall’appartamento.
“La testa mozzata a cui stavamo lavorando ieri!” esclamò il detective, continuando a sorridere.
“Le avete dato anche un nome?” domandò sconvolto il medico.
“È stata un’idea di Sherlyn…” rispose il consulente investigativo, decisamente divertito dalla cosa.
“Santo cielo…” esclamò John, scuotendo la testa rassegnato.
 
Dopo qualche minuto, il cellulare del detective squillò insistentemente.
“Dimmi tutto…” rispose secco Sherlock “…certo arrivo subito!” aggiunse poi contento.
“Chi era?” chiese il medico curioso.
“Era Molly...mi ha detto che sono arrivati tre cadaveri proprio stamattina!... Vado al Bart’s e vedo cosa posso ricavarne!” esclamò il detective eccitato.
“Da come lo dici, la fai sembrare una cosa normale!” rispose John divertito.
“Perché? Non lo è?” chiese Sherlock confuso.
“Per le persone normali…decisamente no!” disse il medico ridacchiando.
“Beh, in fondo io non sono una persona normale!” esclamò il detective sorridendo; poi si avvicinò a John, e lo baciò dolcemente “…e tu mi ami proprio per questo!” affermò contento.
“Questo è vero!... Ti amo Sherlock Holmes!” disse John, attirandolo di nuovo verso di sé e baciandolo con passione.
“Anche io ti amo, John Watson!” rispose Sherlock, staccandosi da lui “…beh, io vado! Ritorno tra un paio d’ore al massimo!” aggiunse poi, avviandosi fuori dall’appartamento.
“Ah, visto che ci sei…non dimenticare di ritirare i risultati degli esami che hai fatto!” esclamò il medico, affacciandosi nelle scale.
“Agli ordini, capitano!” ironizzò il detective.
John scoppiò a ridere e ritornò dentro con un sorriso da ebete stampato in faccia. Vedere suo marito di nuovo in forma e contento, gli aveva risollevato decisamente il morale.

 
Arrivato al Bart’s, Sherlock passò un’ora e mezza in obitorio, cercando di prendere quante più parti umane poteva. Dopo aver fatto la sua “spesa”, si avviò tutto soddisfatto verso l’ufficio del ritiro delle analisi.
“Salve, sono Sherlock Holmes! Dovrei ritirare i risultati di alcuni esami” disse il detective alla signora dello sportello.
“Oh, signor Holmes! Il medico che ha stilato il suo referto vorrebbe parlarle!” rispose la donna seria.
“Mi scusi, ma vado di fretta! Mi dia i risultati e non mi faccia perdere troppo tempo!” esclamò Sherlock leggermente irritato.
“È importante!” disse semplicemente lei “…il medico la aspetta nella stanza lì in fondo” aggiunse, mantenendo la stessa espressione.
Il consulente investigativo rimase colpito dal tono usato dalla donna. Non capiva cosa potesse esserci di tanto importante da comunicargli. In fondo suo marito era un medico, avrebbe potuto tranquillamente analizzare lui i risultati e capire quale fosse il problema. Confuso e ancora irritato si diresse nell’ufficio indicatogli.
“Buongiorno! Sono Sherlock Holmes! Voleva parlarmi?” chiese il detective, entrando e dando la mano al medico.
“Oh, salve signor Holmes! Sono il dott. Stevenson. Si sieda, ho alcune cosa da dirle!” rispose l’altro serio.
Sherlock si sedette e aspettò che il medico si decidesse a parlare.
“Ho analizzato attentamente tutti i referti e, devo essere sincero, non è mai facile per me dare certe notizie, anche dopo molti anni di carriera…poi conosco suo marito e nutro una grande stima nei suoi confronti…” iniziò il dott. Stevenson, ma venne interrotto.
“Vada al dunque, senza girarci troppo intorno!” esclamò brusco il consulente investigativo.
“Come vuole…dalla Tac cerebrale è stato evidenziato un glioblastoma purtroppo inoperabile: si tratta di uno dei tumori maligni più aggressivi che possano colpire il cervello. Vista la gravità della situazione, dobbiamo programmare subito l’avvio di una terapia chemioterapica, per iniziare a combattere, per quello che possiamo, le cellule degenerative… so che non è una notizia facile da assimilare, ma, secondo le statistiche, se si sottopone subito alle cure, potrebbe avere un’aspettativa di vita che va…” il medico stava cercando di spiegare tutta la situazione, ma venne nuovamente interrotto.
“Oh, non si metta a parlare con me di statistiche e di aspettative di vita! Non sono un idiota! So bene, che la cosa migliore che posso aspettarmi è quella di vivere al massimo per altri cinque anni!” esclamò Sherlock, decisamente provato dalla notizia.
“Mi dispiace, signor Holmes! Comunque vorrei che tra due giorni, veniste qui con suo marito, così possiamo iniziare la terapia e posso darvi tutti i chiarimenti di cui avete bisogno…” disse con rammarico il medico.
Il detective annuì, alzandosi di scatto dalla sedia. Poi salutò velocemente il dott. Stevenson e si avviò fuori. Aveva il respiro corto e stava ansimando leggermente. Voleva solo uscire da quell’edificio il più in fretta possibile. In quel momento tutti i sintomi e i disturbi che aveva avuto in quei giorni, iniziavano ad avere un senso. Si sentì un stupido: avrebbe dovuto capirlo prima di tutti e, invece, non aveva neanche valutato questa ipotesi. O forse, in cuor suo, ci aveva pensato per un istante, ma probabilmente, la riteneva un’idea talmente inaccettabile, da non considerarla minimamente plausibile. Il suo primo pensiero fu John. Non poteva negare di aver paura di ciò che gli sarebbe successo, ma la cosa che gli faceva più male, era l’idea di dare quella notizia a suo marito. Come poteva dirgli che, nella migliore delle ipotesi, avrebbe avuto solo altri cinque anni di vita? Ma, soprattutto, come poteva accettare di sottoporsi a quelle terapie, che avrebbero ben presto intaccato la sua capacità di pensare e di dedurre? E poi c’era Sherlyn. In quegli anni si era legata così tanto a lui che, il solo pensiero di dirle una cosa del genere, gli toglieva il respiro. Non aveva il coraggio di tornare a casa, ma, nello stesso tempo, aveva bisogno del suo John: desiderava soltanto che lo abbracciasse e che gli sussurrasse che tutto sarebbe andato bene.
Decisamente triste e avvilito, si fermò al Postman’s Park. Voleva semplicemente un po' di calma, per riordinare le idee ed assimilare quella notizia. Si sedette su una panchina e gettò, sgraziatamente, a terra la busta con i resti umani, che aveva preso poco prima, quando la sua vita sembrava quasi perfetta. Poi si mise le mani sul volto, mentre alcune lacrime iniziavano a rigargli il viso.
 
Era lì da qualche ora, ormai e John aveva provato a chiamarlo e ad inviargli una marea di sms, ma non aveva avuto la forza e il coraggio di rispondere. Mentre era ancora immerso nei suoi pensieri, una voce alle sue spalle lo chiamò all’improvviso.
“Sherlock! Che diamine ci fai seduto in un parco?” chiese Greg con sarcasmo, avvicinandosi a lui.
Il detective non rispose e abbassò lo sguardo. Non voleva che l’ispettore lo vedesse in quelle condizioni, ma purtroppo non riuscì a nasconderlo.
“Ehi, tutto bene? Cos’è successo?” chiese Lestrade, sedendosi preoccupato vicino a lui.
“Niente, Greg! Lascia perdere!” esclamò Sherlock, mantenendo lo sguardo basso.
L’ispettore rimase immobile a fissare il detective. Era la seconda volta che usava il suo nome corretto. Considerando l’occasione in cui era successo la prima volta, quando aveva rischiato la vita per lui, doveva essere successo qualcosa di veramente grave.
“Mi hai chiamato Greg! Ora si, che sono preoccupato!” esclamò Lestrade, cercando di sdrammatizzare la situazione “…Sherlock, sai che puoi dirmi qualsiasi cosa! Cosa c’è che non va?” aggiunse poi dolcemente, mettendogli una mano sulla spalla.
Sherlock, allora, prese il foglio dove c’era scritta la diagnosi, che aveva appena sentito e lo passò all’ispettore. Non aveva il coraggio di pronunciare quelle parole, avrebbe reso tutto fin troppo reale ed inevitabile.
Greg prese confuso quel foglio e iniziò a leggerlo con attenzione. Appena capì cosa stava leggendo, sgranò gli occhi, portandosi una mano alla bocca con stupore.
“Cristo Santo… Sherlock…” esclamò con voce tremante e con le lacrime agli occhi. Poi si voltò verso di lui e lo abbracciò con tutta la forza che aveva.
Sherlock si abbandonò a quel confortante contatto e, in quel momento, tra le braccia del suo amico, non riuscì più a trattenersi ed iniziò a piangere e a singhiozzare senza controllo.
“Andrà tutto bene…vedrai che andrà tutto bene…” ripeteva Lestrade come una cantilena, accarezzandogli le spalle e piangendo anche lui.
 
Dopo alcuni minuti, quando il detective si fu calmato leggermente, si straccarono da quell’abbraccio.
“John lo sa?” chiese serio Greg.
“No, l’ho appena ritirato” rispose Sherlock, con voce tremante.
“Devi dirglielo…vuoi che venga anche io?” domandò dolcemente l’altro.
“No…non posso dirglielo…” disse improvvisamente il detective.
“Che vuol dire che non puoi? John ha il diritto di saperlo!” lo ammonì Lestrade.
“Non posso fargli questo, Greg! Dopo tutto quello che ha passato…non merita anche questo!” disse il consulente investigativo, mettendosi le mani sul volto disperato.
“Oh, Sherlock! …Ma devi renderti conto che è tuo marito e deve assolutamente saperlo! Lo so che è difficile, ma è una cosa che dovete affrontare insieme e non te lo perdonerà mai se dovessi tenerglielo nascosto!” rispose l’ispettore, stringendo leggermente la presa sulla sua spalla, per fargli sentire la sua vicinanza.
Sherlock parve riflettere qualche istante su quelle parole. Poi annuì e si alzò, diretto verso casa.
“Vieni, ti accompagno…” gli propose Lestrade.
“No, grazie Greg…vado a piedi, ho bisogno di fare due passi!” rispose tristemente il detective.
“Sicuro?” domandò preoccupato l’ispettore.
“Si, sicuro…grazie di tutto!” rispose Sherlock con un sorriso sforzato “…ah, ti chiedo solo un favore…non dire niente a Mycroft…lo farò io appena possibile…” aggiunse, con lo sguardo basso. Poi si voltò, alzò il bavero del cappotto, mise le mani in tasca e si avviò verso casa. La busta rimase lì, a terra, ai piedi di quella panchina, insieme al suo entusiasmo e a tutte le sue speranze. 





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il quinto capitolo! Come già annunciato non è un capitolo molto facile e la seconda parte (il sesto capitolo) che pubblicherò domani, sarà altrettanto bruttino, considerando che Sherlock dovrà dirlo a John...!
Non credo che servano molte parole per descriverlo...! L'unica cosa che tengo a precisare è che una delle frasi che mi hanno colpito di più mentre la scrivevo, era "
Non posso fargli questo, Greg! Dopo tutto quello che ha passato…non merita anche questo!"... L'ho trovata davvero triste...!
Comunque, spero che nonostante tutto, il capitolo vi sia piaciuto...Grazie a chi continua a seguire la storia... a domani con il sesto capitolo!
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 6
*** Difficile rivelazione ***


                Ti strapperò il cuore







                                                Difficile rivelazione





… “Sicuro?” domandò preoccupato l’ispettore.
“Si, sicuro…grazie di tutto!” rispose Sherlock con un sorriso sforzato “…ah, ti chiedo solo un favore…non dire niente a Mycroft…lo farò io appena possibile…” aggiunse, con lo sguardo basso. Poi si voltò, alzò il bavero del cappotto, mise le mani in tasca e si avviò verso casa. La busta rimase lì, a terra, ai piedi di quella panchina, insieme al suo entusiasmo e a tutte le sue speranze.
 
 
 
 



Sherlyn tornò a casa da scuola, tutta sorridente. Era contenta all’idea di passare il pomeriggio a fare interessanti esperimenti su George. Quando entrò nel soggiorno, però, trovo suo padre decisamente agitato, che camminava avanti e indietro per la stanza, con il cellulare in mano.
“Papà che succede?” chiese preoccupata.
“Quando torna a casa lo uccido!... Non si degna neanche di avvisare o di rispondere alle chiamate!” sputò arrabbiato John.
“Ma dov’è andato?” domandò confusa la ragazzina, capendo che stava parlando di suo padre Sherlock.
“È andato da Molly al Bart’s!” rispose secco il medico “…due ore al massimo e torno…!” aggiunse, imitando il tono di voce del marito.
“Papà, lo sai com’è fatto!... Non prendertela, vedrai che tornerà presto a casa…” disse dolcemente Sherlyn, avvicinandosi a John per tranquillizzarlo.
Il dottore annuì, ancora nervoso, sbuffando e sedendosi sulla sua poltrona.
“Io inizio ad andare di sotto in laboratorio…appena arriva fallo scendere subito, va bene?” esclamò la ragazzina “…e, mi raccomando…vacci piano…quando ti arrabbi tendi a perdere un po' troppo il controllo!” aggiunse con sarcasmo, per farlo sorridere.
John, infatti, si mise a ridere. Poi, appena la figlia uscì dalla porta, sospirò e si poggiò pensieroso allo schienale della poltrona.


Sherlock tornò a casa dopo otto ore, da quando era uscito quella mattina. Come aveva previsto, appena entrò nell’appartamento, venne prontamente aggredito da suo marito.
“Si può sapere dove diamine sei stato? Sbaglio o dovevi stare fuori due ore al massimo? È tutto il giorno che provo a chiamarti e ad inviarti messaggi…potevi almeno avere il buon senso di rispondermi! Mi hai fatto davvero preoccupare, lo sai?” urlò il medico furioso, tutto d’un fiato.
Il detective, intanto, manteneva lo sguardo basso. In silenzio, si tolse sciarpa e cappotto e si andò a sedere con calma sulla sua poltrona.
“Mi dispiace…” disse soltanto con un filo di voce.
Fu allora che John notò, finalmente, la sua espressione. Era decisamente pallido e sembrava sconvolto. Nel guardarlo con più attenzione, si vedeva chiaramente, che aveva gli occhi rossi: aveva sicuramente pianto e non poco.
“Cos’è successo?” chiese allarmato il dottore.
“John…siediti…devo parlarti…” rispose Sherlock serio.
“Così mi stai facendo preoccupare…vuoi dirmi che ti è successo?” esclamò John, decisamente agitato.
“John…siediti…ti prego…” lo supplicò il detective.
Il medico si sedette sulla sua poltrona, aspettando con ansia che suo marito si decidesse a parlare.
“Ho ritirato i risultati degli esami che ho fatto…” iniziò Sherlock. Era così difficile affrontare quel discorso, che le parole gli uscivano fuori con enorme fatica “…il dottor Stevenson, il medico che ha stilato il referto, ha voluto parlarmi…” aggiunse poi lentamente, sospirando.
A quella frase, il cuore di John perse un battito. Era anche lui un medico e sapeva che, quando c’era bisogno di parlare con un paziente dei risultati delle analisi, significava che c’era qualcosa che non andava e, a giudicare dall’espressione di suo marito, doveva essere qualcosa di grave.
“Sherlock…cosa stai cercando di dirmi?” chiese il dottore con voce tremante.
Il detective, allora, si alzò e andò a prendere il foglio dove c’era scritta la diagnosi. In allegato c’erano anche tutti i valori delle analisi del sangue e i risultati della Tac. Li diede a John e tornò a sedersi sulla poltrona.
Il medico prese quelle carte con le mani tremanti e le analizzò con attenzione. Appena si rese conto di ciò che c’era scritto, alzò lo sguardo verso suo marito.
Sherlock si accorse che John era visibilmente sbiancato, aveva il respiro corto e continuava a fissarlo con un’espressione di puro terrore stampata sul volto.
“No…devono essersi sbagliati! …Si, sicuramente si sono sbagliati! …A volte capita che confondano i referti o che qualcuno scambi, per sbaglio, i nomi…si, deve essere andata così…” esclamò all’improvviso il medico, alzandosi di scatto e camminando nervosamente per la stanza.
“John…” lo chiamò il detective, ma l’altro continuava a blaterare.
“John!” ripeté Sherlock, alzandosi e avvicinandosi a lui. Poi lo afferrò per le braccia e lo fece voltare verso di sé, per guardarlo negli occhi “…Stai dicendo cose senza senso…te ne rendi conto?... Sei un medico e lo sai anche tu, che tutti i sintomi e i disturbi che sto avendo in questo periodo, corrispondono!” aggiunse con le lacrime agli occhi.
“No…no…” riuscì a dire soltanto John, mentre iniziava a piangere.
Il detective, allora, lo abbracciò con forza, accarezzandogli dolcemente le spalle, permettendo a suo marito, che aveva iniziato a singhiozzare, di sfogarsi contro il suo petto.
Rimasero in quella posizione per alcuni minuti, in silenzio, stretti in quel disperato abbraccio. All’improvviso, però, Sherlock iniziò a sentirsi decisamente debole: tutto lo stress emotivo e fisico di quella giornata, cominciavano a farsi sentire sul suo corpo. Si poggiò con forza al medico, nel tentativo di non cadere a terra. John, intanto, che si era accorto subito che qualcosa non andava, alzò lo sguardo su di lui.
“Sherlock…che hai?” chiese allarmato.
“…John…” riuscì a dire soltanto il detective, poi tutto divenne, improvvisamente, buio e crollò svenuto tra le braccia di suo marito.
“Santo cielo… Sherlock, mi senti?” esclamò il dottore preoccupato, adagiandolo delicatamente a terra e cercando di fargli riprendere conoscenza.
“Papà, ma papà Sherlock non è ancora tornato?” disse Sherlyn, aprendo la porta del soggiorno e bloccandosi spaventata, con la maniglia ancora in mano.
“Sherlyn, prendi il mio telefono nella giacca e chiama subito un’ambulanza, presto!” urlò John, cercando di non andare nel panico.
La ragazzina, però, era paralizzata dal terrore e continuava a fissare, immobile, la scena che aveva di fronte.
“Sherlyn…ti prego…!” la supplicò il padre disperato, attirando la sua attenzione e sboccandola da quello stato di trans. Sherlyn, allora, corse verso la giacca del padre e con le mani e la voce tremanti, fece quello che le era stato detto.

 
Sherlock venne portato d’urgenza in ospedale. Con enorme sollievo di John, gli comunicarono che aveva avuto un semplice collasso dovuto, probabilmente, allo stress emotivo e fisico, che aveva accumulato nella giornata. Nelle sue condizioni avrebbe dovuto mantenere, da quel giorno in poi, uno stile di vita più calmo e tranquillo possibile, per evitare nuovamente questo genere di episodi.
John chiamò subito Mycroft e Greg, per avvisarli di ciò che era successo. Ne avrebbe approfittato per comunicare ad entrambi i risultati degli esami. Dovevano assolutamente saperlo.
Il politico, alla notizia, rimase senza parole. Si sedette sconvolto sulla sedia della sala d’aspetto, con le mani sul volto disperato. Greg, invece, confessò di averlo saputo quel giorno stesso e raccontò a John della conversazione avuta con Sherlock. Il medico sentì una fitta al cuore al pensiero che suo marito avesse pensato prima a lui che a sé stesso, in quella situazione e non poteva credere, che avesse valutato perfino l’idea di non dirgli niente ed affrontare tutto da solo.

 
Sherlyn arrivò un’ora dopo con la signora Hudson. John aveva preferito lasciarla con lei, almeno fino a quando non avessero capito cosa avesse avuto Sherlock. Appena entrò nella saletta d’attesa, si precipitò subito piangendo tra le braccia del padre.
“Shh…non piangere, Sherlyn! Papà sta bene…ora sta riposando! Ti prometto che appena si sveglia, ti porto da lui a salutarlo, va bene?” disse John, cercando di trattenere le lacrime e mostrando un falso sorriso.
La ragazzina annuì poco convinta e si mise ad aspettare lì fuori con lui.

 
Sherlock si risvegliò stordito in ospedale. Aveva i ricordi leggermente confusi e ci mise un po' a ricordare tutto con precisione. Non vedendo nessuno nella stanza, premette il pulsante per chiamare un’infermiera. La donna arrivò subito e, dopo una veloce visita, andò a chiamare John.
Dopo alcuni minuti, il medico aprì di scatto la porta e si precipitò ad abbracciarlo e a baciarlo, con entusiasmo.
“Come ti senti?” chiese poi, staccandosi da lui e accarezzandogli il viso.
“Bene…” rispose Sherlock con un sorriso.
“Ho parlato con il dott. Stevenson ed ha detto che dobbiamo programmare l’inizio della terapia già per domani mattina” esclamò John serio.
“John…non credo di volerlo…” rispose il detective, abbassando lo sguardo.
“Sei impazzito? Se rifiuti la terapia, morirai!” urlò il medico, iniziando a camminare per la stanza nervoso.
“Tanto morirò lo stesso, John! Cosa credi che cambi?” sputò Sherlock, alzando anche lui il tono di voce.
Quella frase colpì John, come una coltellata dritta al cuore. Si bloccò all’improvviso e abbassò lo sguardo, mentre alcune lacrime iniziavano a rigargli il viso.
“Avremmo più tempo per…” cercò di dire, ma non riuscì a continuare.
“Per fare cosa?... Non puoi chiedermi questo, John!... Sai quanto quei farmaci altereranno la mia mente…non potrò fare più quello che faccio adesso…non potrei più essere me stesso…e non credo di poterlo sopportare…” rispose il detective con la voce tremante.
Il medico continuò a mantenere lo sguardo basso, senza rispondere. Capiva quanto potesse essere difficile per Sherlock, l’idea di rinunciare alla parte migliore di sé stesso, ma in cuor suo, in un discorso che gli sembrò quasi egoistico, voleva passare con suo marito, quanto più tempo avrebbero potuto ricavare dalla cura. Mentre entrambi erano immobili, in quel terribile silenzio, qualcuno bussò alla porta: era Sherlyn.
“Papà Sherlock, stai bene?” domandò preoccupata la ragazzina, con le lacrime agli occhi. Non si avvicinò al letto, ma rimase all’entrata, insicura se entrare o meno.
“Sto bene, Sherlyn…non preoccuparti!” disse il detective con dolcezza “…vieni, avvicinati…” aggiunse, vedendo che rimaneva lì ferma e indecisa.
La ragazzina non se lo fece ripetere due volte, si precipitò sul suo letto, abbracciandolo con forza ed iniziando a piangere.
“Va tutto bene, Sherlyn…è tutto passato…tornerò presto a casa…e continueremo a lavorare sul nostro caro George!” disse Sherlock, accarezzandole le spalle, mentre continuava a singhiozzare.
John, a quelle parole, dovette girarsi verso la finestra, dando loro le spalle, per evitare che la figlia lo vedesse piangere.
In quel momento, finalmente, il detective capì cosa cercava di dirgli suo marito. Avrebbe avuto più tempo da passare con lui e sua figlia, avrebbe potuto dargli quanto più poteva, prima di lasciarli per sempre. Aveva paura di come sarebbe cambiata la sua vita da quel punto in poi, ma decise di sottoporsi al trattamento: doveva farlo per John e Sherlyn, per compensare, meglio che poteva, alle mancanze che avrebbero avuto in futuro.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi la seconda parte...il sesto capitolo! Beh, io lo trovo ancora più bruttino del precedente... e anche questo non necessita di molte spiegazioni.
Solo una cosa tenevo a precisare: quanto il personaggio di John sia favoloso. Lo adoro perchè ha tante sfumature diverse e qui se ne evidenziano alcune importanti: abbiamo il "John-umano" che reagisce come tutti andando nel panico e disperandosi; abbiamo subito dopo il "John-medico" che riesce a mantenere il sangue freddo nonostante tutto e abbiamo il "John-forte" che cerca di dare forza agli altri (in questo caso alla figlia), nonostante dentro si senta morire. Mi piace sempre scrivere di lui proprio per questo.
Per quanto riguarda Sherlock, qui vediamo la sua paura, che non è tanto quella di morire, ma quanto quella di non riuscire più ad essere se stesso in modo irreversibile. Ma, come sempre, decide di affrontare lo stesso la sua paura per John e Sherlyn...loro, in fondo, sono più importanti di tutto il resto.
Comunque se arrivati a questo punto siete ancora "vivi", vi avviso che nel prossimo capitolo Sherlock lo dirà alla figlia e non serve anticiparvi molto...! 
Inoltre per chi pensasse che il livello di angst di questa storia abbia raggiunto il suo punto massimo, voglio precisare che non siamo ancora neanche a metà del livello da raggiungere.
Grazie come sempre a chi continua a seguire la storia e a tutti coloro che si sentono di lasciare un commento (sempre molto gradito).
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 7
*** Paura ***


              Ti strapperò il cuore






                                                   Paura






… In quel momento, finalmente, il detective capì cosa cercava di dirgli suo marito. Avrebbe avuto più tempo da passare con lui e sua figlia, avrebbe potuto dargli quanto più poteva, prima di lasciarli per sempre. Aveva paura di come sarebbe cambiata la sua vita da quel punto in poi, ma decise di sottoporsi al trattamento: doveva farlo per John e Sherlyn, per compensare, meglio che poteva, alle mancanze che avrebbero avuto in futuro.
 
 



 
“Voglio che mi diciate la verità!” esclamò all’improvviso la ragazzina, appena si fu leggermente calmata. Aveva il viso ancora bagnato dalle lacrime e se ne stava seduta sul letto accanto a Sherlock, alternando lo sguardo tra i due genitori.
John non rispose. Continuò a fissare fuori dalla finestra, aggrappandosi con forza a tutto il suo autocontrollo.
Sherlock, intanto, aveva abbassato lo sguardo. Sapeva che sarebbe arrivato quel momento e sapeva, soprattutto, che Sherlyn non era una stupida e che non avrebbe accettato altre risposte, se non la verità pura e semplice.
“Capisco dai vostri atteggiamenti che si tratta di qualcosa di grave…” continuò la ragazzina con la voce tremante “…per favore…” aggiunse, supplicandoli entrambi.
I genitori, però, continuavano a non rispondere. Nessuno dei due aveva il coraggio di darle quella notizia e la stanza, per qualche minuto, venne avvolta da un fastidioso ed opprimente silenzio.
“Papà…” disse Sherlyn, cercando di attirare l’attenzione di John.
“No…non posso…scusami…” rispose il medico, cercando di trattenere le lacrime.
“Papà Sherlock…” disse, voltandosi verso il detective.
“Sherlyn…” rispose semplicemente il consulente investigativo, supplicandola con lo sguardo di non continuare quella conversazione.
“Ricordi la promessa che mi hai fatto tempo fa?” chiese la ragazzina, rivolgendosi a Sherlock “…mi hai promesso che mi avresti detto sempre la verità…e che non mi avresti mai nascosto niente…!” aggiunse con le lacrime agli occhi.
Il detective guardò la figlia per qualche istante. Poi spostò lo sguardo verso John, che annuì con il capo e, subito dopo, si mise a guardare le proprie mani, sospirando pesantemente.
“M-mi hanno diagnosticato…un…tumore cerebrale…” rispose semplicemente Sherlock. Era la prima volta che lo diceva ad alta voce e pensò, che quella frase era stata la più difficile e dolorosa che avesse mai pronunciato in vita sua.
Sherlyn sgranò gli occhi, sconvolta da quella risposta. Poi guardò entrambi i genitori con un’espressione di puro terrore in volto.
“D-dovrai subire un intervento?” chiese poi, balbettando leggermente e cercando di mantenere il controllo.
“No…non è operabile…” rispose il detective, abbassando lo sguardo.
“F-farai delle cure di chemioterapia?” domandò la ragazzina, cercando di ottenere più informazioni possibili sulla situazione.
“Si, le farò…” rispose Sherlock, guardando verso John.
“Ma guarirai…vero?” chiese ingenuamente Sherlyn.
Il consulente investigativo, però, non rispose. Abbassò lo sguardo, iniziando a fissare il pavimento.
“Papà Sherlock…dimmi che guarirai…” provò di nuovo la ragazzina.
“Non posso…” rispose Sherlock, chiudendo gli occhi.
“Perché non puoi?” domandò Sherlyn, prendendogli la mano tra le sue.
“Perché mi hai chiesto di non mentirti…e non voglio farlo…” disse il detective, mentre una lacrima gli rigava il viso.
Dopo quella risposta, la ragazzina iniziò a perdere il controllo su sé stessa. Cominciò ad ansimare, sbiancando visibilmente.
“Sherlyn…tesoro…” esclamò John, avvicinandosi a lei preoccupato “...fai dei respiri lenti e profondi…” aggiunse, prendendole il polso per controllarle i battiti.
Sherlyn, però, sembrava non riuscire a riprendere il controllo dei propri respiri e continuava ad ansimare.
“Tesoro…mi senti?” provò di nuovo il medico, vedendo che la figlia non reagiva.
Dopo qualche secondo, infatti, la ragazzina crollò svenuta tra le braccia di John.
“Santo cielo…” esclamò il dottore disperato.
“Sdraiala qui!” disse Sherlock, alzandosi con molta fatica dal letto e cedendo il suo posto alla figlia.
“Cristo Santo, Sherlock…non puoi alzarti!” urlò il medico.
“Lascia perdere me…pensa a lei!” rispose il detective, tenendosi la testa e trattenendo una smorfia di dolore.

Dopo qualche minuto, Sherlyn parve riprendersi. Aprì lentamente gli occhi e guardò verso suo padre John, che le aveva messo un panno bagnato in fronte e la accarezzava con dolcezza.
“Ehi…come ti senti?” chiese il medico, con un sorriso.
“Bene…ma cos’è successo?” domandò la ragazzina confusa.
“Sei svenuta all’improvviso…” rispose John, accarezzandole il viso.
Sherlyn si mise seduta con calma e solo allora si accorse di essere nel letto di Sherlock.
“Tutto bene?” chiese il detective, accarezzandole i capelli e trattenendo un’altra smorfia di dolore.
“Papà Sherlock…non dovresti stare in piedi!” esclamò sorpresa la ragazzina, alzandosi, decisamente ripresa.
“Volevo sgranchirmi un po' le gambe!” ironizzò Sherlock, sostenendosi al muro con fatica.
“Vieni sdraiati…” disse John, aiutandolo a mettersi di nuovo a letto.
Il consulente investigativo si sdraiò, poggiando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi. Dopo quello sforzo si sentiva decisamente esausto.
Sherlyn, intanto, era immobile e lo guardava con una strana espressione sul viso.
“Stai di nuovo male?” le chiese il medico con apprensione.
La ragazzina negò con il capo, mantenendo la stessa posizione. In quel momento, Sherlock aprì gli occhi e incontrò quelli di sua figlia, che continuavano a fissarlo.
“Ci riesci sempre…nonostante tutto questo…riesci a farlo sempre…” disse Sherlyn, riferendosi al detective.
“A fare cosa?” chiese il consulente investigativo, confuso.
“A pensare sempre prima a noi che a te stesso…” rispose la ragazzina con mezzo sorriso.
Sherlock ricambiò il sorriso, decisamente sorpreso. John, invece, mise un braccio intorno alle spalle della figlia, attirandola a sé, intenerito da quella frase.
“Hai chiamato mio fratello?” chiese all’improvviso il detective, ritornando serio.
“Si…è fuori con Greg…” rispose il medico.
“Glielo hai detto?” domandò Sherlock, abbassando lo sguardo.
“Si…” rispose semplicemente John “…lo faccio entrare?” aggiunse poi titubante.
Il consulente investigativo annuì, continuando a mantenere lo sguardo basso.
Il medico e Sherlyn, allora, lo salutarono e si avviarono fuori dalla stanza.
“Papà…ho paura…” esclamò la ragazzina, appena chiusero la porta.
“Anche io, tesoro…anche io…” rispose John, abbracciandola con forza.
 

Mycroft entrò nella stanza qualche minuto dopo. Quella notizia lo aveva devastato, ma cercò comunque di mantenere la sua espressione fredda e distaccata. Non voleva che Sherlock vedesse la sua sofferenza; in fondo, lui era il fratello maggiore e doveva essere quello forte, pronto a sostenere il suo caro fratellino.
“Come ti senti?” chiese il politico, dopo essersi chiuso la porta alle spalle. Nonostante il suo sforzo, però, non riuscì a nascondere un leggero tremore di voce.
“Bene…” rispose semplicemente il detective “…John ti ha detto di…” aggiunse poi titubante.
“Si, me lo ha detto!” rispose secco Mycroft, iniziando a guardare il pavimento.
Rimasero immobili e in silenzio per alcuni minuti. Nessuno dei due sapeva cosa dire. Era una situazione difficile da gestire per entrambi, soprattutto considerando i loro particolari caratteri. Dopo un tempo che sembrò interminabile, fu il consulente investigativo a farsi coraggio e a parlare.
“Mycroft…” lo chiamò, attirando la sua attenzione “…io…” provò a dire, ma si fermò e abbassò, di nuovo, lo sguardo “…c’è una cosa che…non ho potuto dire a John…” aggiunse poi, cercando di usare le parole giuste.
“Cosa?” chiese il politico confuso.
Era una cosa difficile da ammettere per Sherlock, ma doveva dirlo a qualcuno, non poteva più tenerselo dentro.
“Io…” provò di nuovo, sospirando pesantemente “…Mycroft... io…ho paura…!” esclamò alla fine, mentre alcune lacrime gli rigavano il viso.
Fu in quel preciso istante, che Mycroft sentì il suo cuore disintegrarsi in mille pezzi. Non riuscì più a mantenere la sua maschera di freddezza, non dopo le parole di suo fratello. Alcune lacrime iniziarono ad uscire senza controllo, ricadendo sul suo costoso vestito scuro.
“Oh, Sherlock…” riuscì a dire soltanto, prima di correre verso di lui ed abbracciarlo con tutta la forza che aveva. Con una mano iniziò ad accarezzargli i capelli, in un gesto ripetitivo che ricordava la loro infanzia. Quando erano piccoli, infatti, quello era il modo in cui Mycroft riusciva a far calmare il suo fratellino, tutte quelle volte che tornava a casa piangendo, umiliato e mortificato dai suoi compagni di scuola.
Rimasero lì, fermi in quell’abbraccio per alcuni minuti, poi, appena il detective ebbe ripreso il controllo, il politico si staccò da lui e si mise a guardarlo negli occhi.
“Sherlock, ascoltami...tu sei mio fratello...e…come ti ho sempre detto…io sono qui per te…e sarò sempre qui per te…! Non dimenticarlo mai…!” esclamò all’improvviso.
Il consulente investigativo annuì con un mezzo sorriso, continuando a guardare il fratello dritto negli occhi.
“Lo so…grazie Mycroft…” rispose poi, distogliendo lo sguardo.

 
Il giorno dopo, Sherlock iniziò il primo ciclo di cure. In base ai risultati delle analisi, i medici optarono per alcuni farmaci da prendere per via orale, abbinati ad altri da iniettare per via endovenosa. John, naturalmente, si prese la responsabilità di proseguire il trattamento a casa, per evitare a suo marito, lo stress di ritornare in ospedale ogni volta.
Finita la prima seduta, il detective dovette stare sotto osservazione per qualche ora e, dopo altri controlli, venne finalmente dimesso. Mycroft e Greg, accompagnarono John e Sherlock al 221B, mentre Sherlyn era già lì ad aspettarli, insieme alla signora Hudson.
Per tutto il tragitto verso casa, il consulente investigativo, però, se ne stava in silenzio, guardando pensieroso fuori dal finestrino. Si sentiva decisamente stanco e privo di forze, chiaro segnale che i farmaci stavano facendo effetto sul suo organismo. In quel momento, nonostante continuasse a ripetersi che lo stava facendo per suo marito e per sua figlia, sentire, concretamente, i primi devastanti effetti di quel trattamento sul suo corpo, gli mise addosso uno strano senso di insicurezza sulla decisione che aveva preso.
“Tutto bene?” chiese John, prendendo la sua mano e interrompendo i suoi pensieri.
“Si, tutto bene…” mentì Sherlock, voltandosi con un falso sorriso. Poi strinse la mano di suo marito e si mise a guardare, di nuovo, fuori.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il settimo capitolo! Beh, come promesso Sherlock lo ha detto a Sherlyn e subito dopo c'è finalmente un confronto con Mycroft. Devo confessarlo, nonostante la parte di Sherlyn mi abbia colpito, la piccola parte con Mycroft, per me, è stata la peggiore...sarà che è proprio Mycroft che mi colpisce sempre come personaggio!
Comunque il finale di questo capitolo è un pò amaro, perchè in cuor suo Sherlock, comincia a dubitare della sua scelta, nonostante l'abbia fatta per una buona ragione. Dal prossimo capitolo le cose si movimenteranno un pò di più e vedremo come il nostro detective reagirà all'inizio di questo "cambio di vita"...!
Grazie a chi continua a seguire la storia...e a tutti quelli che vogliono lasciare un commento!
Alla prossima ;)




 

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Capitolo 8
*** Crisi ***


               Ti strapperò il cuore






                                                   Crisi





… In quel momento, nonostante continuasse a ripetersi che lo stava facendo per suo marito e per sua figlia, sentire, concretamente, i primi devastanti effetti di quel trattamento sul suo corpo, gli misero addosso uno strano senso di insicurezza sulla decisione che aveva preso.
“Tutto bene?” chiese John, prendendo la sua mano e interrompendo i suoi pensieri.
“Si, tutto bene…” mentì Sherlock, voltandosi con un falso sorriso. Poi strinse la mano di suo marito e si mise a guardare, di nuovo, fuori.
 


 
 
Arrivati a Baker Street, il senso di stanchezza e di spossatezza di Sherlock erano decisamente peggiorati. D’altronde i medici erano stati chiari nell’elencare, con precisione, tutti i fastidiosi effetti collaterali della terapia. “Vieni ti aiuto…” disse John al marito, offrendosi di aiutarlo a salire le scale.
“Ce la faccio da solo!” rispose brusco il detective, salendo e tenendosi al corrimano.
Il medico non disse niente. Continuò a camminare vicino a lui, pronto ad intervenire se ce ne fosse stato bisogno.
Dopo la prima rampa di scale, però, Sherlock dovette fermarsi. Era esausto e aveva il fiato corto.
“Ti serve aiuto?” chiese di nuovo John, accorgendosi del suo stato.
“No!” rispose il detective, ansimando leggermente.
“Sherlock…” disse il medico, sospirando rassegnato “…non c’è niente di male a chiedere aiuto…” aggiunse, porgendogli la mano.
“Ti ho detto che ce la faccio!” urlò il consulente investigativo, riprendendo a salire. Dopo soli due gradini, però, le gambe gli cedettero e crollò a terra in ginocchio.
“Sherlock!” gridò John, avvicinandosi a lui preoccupato.
“Dannazione!” esclamò Sherlock, tirando un pugno sul gradino con rabbia.
Il medico prese il suo braccio e se lo passò sulle spalle, poi lo afferrò dalla vita e lo aiutò ad alzarsi, portandolo lentamente di sopra.
Il detective non ebbe la forza di opporsi e si lasciò aiutare. Fu in quel momento che venne invaso da un senso di rabbia e frustrazione, che mai aveva provato in vita sua.
 
Arrivati nel soggiorno, trovarono Sherlyn e la signora Hudson ad aspettarli.
“Papà Sherlock!” urlò la ragazzina, andando da lui ad abbracciarlo “…come ti senti?” aggiunse, guardandolo con attenzione.
“Benissimo…non si vede?” sputò acido Sherlock, mentre il marito lo aiutava a sedersi sul divano.
Sherlyn rimase sorpresa da quel tono e guardò suo padre John con aria interrogativa. Il medico le fece cenno con il capo di non insistere, facendole capire, che non era il momento giusto per parlare con lui.

 
Nei giorni successivi l’umore di Sherlock non migliorò, anzi sembrò peggiorare. Era irrequieto e sempre più nervoso. Il comportamento di John nei suoi confronti, inoltre, invece di aiutarlo, lo irritava ancora di più. Non solo era protettivo ad un livello asfissiante, ma lo trattava con un’attenzione quasi maniacale. Seguiva ogni suo gesto, ogni suo movimento o smorfia, come se si aspettasse che da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa. In più era sempre disponibile e affabile, non lo contraddiceva mai, non si arrabbiava mai con lui ed era pronto, in ogni occasione, a giustificarlo per qualsiasi cosa facesse. Tutto questo, combinato con la frustrazione per la sua malattia, rendevano ogni giorno un terribile incubo. L’unica persona che riusciva a farlo calmare leggermente, era Sherlyn. Quando era a casa, infatti, non perdeva occasione per sedersi vicino a lui, con il suo prezioso quadernino degli appunti, mostrandogli tutti i progressi dei suoi esperimenti e chiedendogli consigli e correzioni per eventuali sbagli di calcolo. Solo in quei momenti, Sherlock sembrava ritornare parzialmente sé stesso.
Una mattina, il detective, approfittando del fatto che Sherlyn fosse a scuola e stanco di tutta quella situazione, decise di provocare suo marito in qualche modo.
“John, vorrei un po' di tè…” esclamò all’improvviso.
“Certo…te lo preparo subito!” rispose John, sbucando dalla cucina con un sorriso.
Dopo qualche minuto, infatti, il medico arrivò con una fumante tazza di tè in mano.
“Ecco…tieni!” disse, continuando a mantenere lo stesso fastidioso sorriso.
“Sai…ho cambiato idea…forse ho voglia di caffè...!” esclamò Sherlock, con tono di sufficienza.
“Va bene, non preoccuparti! Te lo vado a preparare…” rispose John, con dolcezza “…questa te la lascio comunque…nel caso lo volessi dopo…” aggiunse, mettendo la tazza di tè sul tavolino vicino al divano.
Poco dopo, il dottore ritornò in soggiorno con una tazzina di caffè.
“Ecco qui…” disse, porgendola a suo marito, con la stessa espressione sorridente.
Il detective prese la tazzina tra le mani, senza dire niente. Poi all’improvviso la sbatté sul tavolino, frantumandola in mille pezzi e facendo schizzare il caffè ovunque.
“Oh…come sono maldestro!” esclamò con un tono dispettoso e irritato al tempo stesso.
John si fermò ad osservarlo per qualche secondo. Aveva capito che quel gesto lo aveva fatto di proposito, ma decise come al solito, di non dire niente.
“Non preoccuparti…vado a prendere uno straccio e pulisco subito” rispose poi, cercando di apparire calmo e rilassato.
Sherlock iniziò a stringere i pugni, decisamente furioso. Aspettò che il marito ritornasse per pulire, poi prese la tazza di tè tra le mani e ruppe anche quella sul tavolino con lo stesso gesto di prima.
“Oh, scusa…oggi sono proprio sbadato!” esclamò, usando sempre quel tono dispettoso.
A quel punto John fece un profondo respiro, cercando in tutti i modi di autocontrollarsi.
“Sherlock…mi spieghi cosa ti prende?” chiese poi, mantenendo un tono calmo.
“Cosa mi prende?! Cosa prende a te, piuttosto!” urlò all’improvviso il detective, tirando un calcio rabbioso al tavolino.
“Di che stai parlando?” chiese il medico confuso.
“Sto parlando di tutto questo, John!” rispose Sherlock, continuando ad urlare “…certo, Sherlock…lo faccio io, Sherlock…non preoccuparti, Sherlock…ti aiuto io, Sherlock…!” aggiunse, imitando suo marito con un’espressione da esaltato e alzandosi con un po' di fatica dal divano.
“Sto solo cercando di aiutarti!” disse John, abbassando lo sguardo.
“Lo capisci che così non mi aiuti?... Non fai altro che rendermi tutto un inferno…più di quanto lo sia già!” esclamò il detective, continuando ad urlare e passandosi nervosamente le mani nei capelli.
“Sherlock, per favore…potresti almeno sederti? Non dovresti sforzarti così nelle tue condizioni…” rispose il medico preoccupato.
“Oh, già…le mie condizioni!... Non posso certo dimenticarlo, visto che me lo ricordi ogni santo giorno!” gridò Sherlock, tenendosi allo stipite della porta e ansimando leggermente.
“Sherlock, ti prego…” lo supplicò John, con apprensione.
“No, John…sono io che ti prego di smetterla!... Sto facendo tutto questo per te, ma non posso andare avanti così…non ce la faccio!” rispose il detective, passandosi una mano sugli occhi disperato.
“Sherlock…” riuscì a dire soltanto il dottore, con le lacrime agli occhi.
“Non voglio tutto questo, John…non voglio essere trattato come un malato…voglio poter vivere quello che mi rimane con la mia libertà e con la mia dignità…non togliermi anche questo…!” disse Sherlock, abbassando la testa per nascondere una lacrima che gli rigava il viso.
John non disse niente. Si precipitò verso di lui e lo abbracciò con forza. Il detective ricambiò la stretta, mentre altre lacrime uscivano senza controllo. Dopo qualche minuto i due si staccarono e Sherlock si diresse in silenzio verso il suo cappotto. Si tolse la vestaglia e lo indossò con lentezza, facendo lo stesso con la sciarpa.
“E ora dove stai andando?” chiese il medico allarmato.
“Ho bisogno d’aria…” rispose semplicemente il consulente investigativo.
“Aspetta, ti accompagno…” esclamò d’istinto John.
Sherlock si voltò verso di lui, negando con il capo e pregandolo, allo stesso tempo, con lo sguardo. Poi aprì la porta ed uscì lentamente dall’appartamento, lasciando il marito immobile nel soggiorno.

 
Dopo un’ora persa a vagare senza una meta precisa, Sherlock iniziò a sentirsi decisamente esausto. Aveva la testa pesante e, dai brividi di freddo che gli attraversavano tutto il corpo, doveva avere anche qualche linea di febbre. Non aveva voglia di tornare a casa ed affrontare di nuovo John, perciò andò nell’unico posto in cui sarebbe stato sicuramente accolto, senza molte domande. Arrivato davanti alla porta dell’imponente villa di suo fratello, bussò sperando con tutto il cuore che fosse in casa.
“Sherlock!” esclamò Mycroft, sorpreso di vederlo lì.
Il detective accennò un sorriso senza dire niente. Si reggeva allo stipite della porta d’ingresso e ansimava leggermente.
“Stai bene?” chiese il politico, rendendosi conto delle sue condizioni.
“No…” rispose sinceramente il detective.
Mycroft fece appena in tempo a prendere suo fratello da un braccio ed afferrarlo dalla vita, prima che gli crollasse addosso svenuto.
“Sherlock!” lo chiamò, mentre lo trascinava sul suo divano “…Sherlock, mi senti?” provò di nuovo, mentre gli tirava dei piccoli colpetti al viso, per fargli riprendere conoscenza. Fu in quel momento che si accorse che suo fratello scottava. Aveva la febbre decisamente alta e non era per niente un buon segno. I medici, infatti, gli avevano spiegato che con la terapia, Sherlock sarebbe stato più soggetto a contrarre infezioni di ogni tipo e la temperatura alta era un chiaro segnale che qualcosa non andava. Mentre prendeva il cellulare di suo fratello per chiamare un’ambulanza, il detective riaprì gli occhi.
“John…” disse con un filo di voce.
“Sherlock…sono Mycroft!” rispose il politico, prendendogli la mano “…chiamo un’ambulanza…andrà tutto bene…” aggiunse, decisamente agitato.
“No! Chiama John!” esclamò il consulente investigativo, afferrando il braccio del fratello.
“Sherlock, hai la febbre alta…devi andare in ospedale!” ribatté Mycroft.
“No, per favore…chiama John…ti prego…” lo supplicò Sherlock, con le lacrime agli occhi.
Il politico sospirò pesantemente, poi prese il cellulare e fece il numero del cognato.
“Sherlock, dove sei? …Mi dispiace davvero tanto…” rispose subito il medico dall’altra parte.
“John…sono Mycroft!” disse secco il politico.
“Cos’è successo?” chiese allarmato John.
“Sherlock è qui da me…ha perso conoscenza per alcuni minuti, ha la febbre alta…non vuole andare in ospedale…ha chiesto solo di te…” rispose disperato Mycroft.
“Cristo Santo…” esclamò il medico sospirando “…arrivo subito!” aggiunse poi, prendendo la giacca.
“C’è una mia auto già davanti al 221B ad aspettarti!” rispose il politico, riagganciando e tornando a controllare suo fratello.
Il dottore si precipitò di sotto e, come aveva detto suo cognato poco prima, un’auto nera lo stava già aspettando.
Mycroft, intanto, si era avvicinato preoccupato a suo fratello, si sentiva impotente a vederlo in quelle condizioni e sperava solo che John arrivasse prima possibile.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi l'ottavo capitolo! Il nostro povero Sherlock ha avuto un crollo di nervi decisamente giustificabile. John in cuor suo cercava di essere di aiuto, ma con il suo comportamento asfissiante, ha fatto l'esatto opposto.
La piccola Sherlyn, per fortuna riesce a calmare il detective, almeno quando è in casa.
Il finale, un pò più movimentato e ansiolitico, lascia un pò la situazione in sospeso! Vedremo nel prossimo capitolo cosa accadrà al nostro Sherlock. 
Due cose mi hanno "toccato" mentre le scrivevo...la supplica che Sherlock fa a John di non trattarlo come un malato e il fatto che comunque, quando sta male non vuole altri che lui...! Credo siano i due momenti più tristi ed angst del capitolo.
Spero che vi sia piaciuto...grazie a chi nonostante tutto continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento.
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 9
*** Ti amo ***


             Ti strapperò il cuore






                                                 Ti amo





… Il dottore si precipitò di sotto e, come aveva detto suo cognato poco prima, un’auto nera lo stava già aspettando.
Mycroft, intanto, si era avvicinato preoccupato a suo fratello, si sentiva impotente a vederlo in quelle condizioni e sperava solo che John arrivasse prima possibile.



 
 
John arrivò a casa di Mycroft circa dieci minuti dopo la chiamata.
“Dov’è?” chiese preoccupato il medico, appena l’altro lo invitò ad entrare.
“Di là, sul divano…” rispose il politico, facendogli strada “…credo stia peggiorando…” aggiunse con voce tremante.
“Sherlock!” esclamò John, precipitandosi vicino a lui.
“John…” disse il detective a fatica, abbozzando un mezzo sorriso “…mi dispiace…di averti…gridato contro…so che volevi…solo aiutarmi…!” aggiunse poi, ansimando pesantemente.
“Shh…non sforzarti!... Sono io che devo scusarmi… avevi ragione tu, ho sbagliato a starti troppo addosso…” rispose il dottore, iniziando a visitarlo con attenzione “…senti dolore anche al petto?” aggiunse all’improvviso, decisamente allarmato.
“Si…” rispose Sherlock, chiudendo gli occhi.
“Sherlock, guardami…devi rimanere sveglio…va bene?” esclamò il medico, scuotendolo leggermente.
Il detective aprì gli occhi e annuì non molto convinto.
John, allora, si alzò e si avvicinò a Mycroft, che, intanto, se ne stava immobile e guardava la scena, pietrificato dalla paura.
“Cos’ha?” chiese il politico, preoccupato.
“Considerando la febbre alta ed i problemi respiratori, ho paura che si tratti di polmonite…” rispose il medico, passandosi nervosamente le mani tremanti sul viso “…mentre venivo, ho chiamato un’ambulanza…sarà qui a momenti!” continuò con fare professionale.
“John…” disse improvvisamente Sherlock, con un filo di voce.
“Sono qui…” rispose il dottore, inginocchiandosi di nuovo al suo fianco e prendendogli la mano.
“…John…” ripeté il detective, quasi come una supplica, mentre iniziava ad agitarsi.
“Shh…stai tranquillo…andrà tutto bene…” disse il medico, accarezzandogli i capelli con dolcezza, per farlo calmare.
Con quel gesto il detective parve rilassarsi leggermente. Poi strinse la mano di John ed iniziò a guardarlo intensamente.
“John…io…ti amo!” esclamò soltanto, prima di chiudere gli occhi e perdere di nuovo conoscenza.
“No…no…no…Sherlock, svegliati! …Ti prego…” disse il medico, scuotendolo ed iniziando ad andare nel panico.
In quel momento, il suono delle sirene dell’ambulanza annunciò l’arrivo dei soccorsi. Mycroft fece entrare velocemente i paramedici, lasciando che caricassero Sherlock sulla barella. John, intanto, li seguì, cercando di spiegare tutta la situazione. Appena il mezzo di soccorso sfrecciò con a bordo il detective, il medico e il politico salirono sull’auto nera, diretti anche loro in ospedale.
“Santo cielo…Sherlyn uscirà fra poco da scuola!... Ed oggi non c’è nemmeno la signora Hudson!” esclamò John durante il tragitto, mettendosi le mani sul viso, disperato.
“Non ti preoccupare! Avviso Greg e la faccio andare a prendere!” rispose il politico, prendendo subito il cellulare per chiamare il fidanzato.

 
Arrivati in ospedale, Mycroft e John chiesero subito informazioni sulle condizioni di Sherlock. Così come aveva intuito il medico, poco prima, si trattava di polmonite. Per fortuna, visti gli immediati soccorsi, le sue condizioni non erano esageratamente gravi, ma dovevano, comunque, passare alcune ore prima di dichiarare con certezza, se fosse effettivamente fuori pericolo.
Il medico e il politico, allora, non poterono fare altro che sedersi sulle sedute della sala d’aspetto e attendere altre notizie dai dottori.
“Non so se posso farcela, Mycroft…non so se sono forte abbastanza…” confessò John, piegandosi in avanti e prendendosi la testa tra le mani.
Mycroft inizialmente non rispose. Gli mise una mano sulla spalla, stringendo con forza, per fargli sentire la sua vicinanza. Poi abbassò lo sguardo e fece un profondo sospiro.
“Sai, John…per la prima volta in vita mia…anche io…non sono sicuro di poter sopportare tutto questo…” rispose con le lacrime agli occhi.
John si mise di nuovo dritto e voltò lo sguardo verso di lui. Era decisamente distrutto. In più nei suoi occhi si potevano leggere, con chiarezza, non solo tutto il dolore e la sofferenza che stava provando, ma anche un velo di smarrimento, che mai gli aveva visto prima. Preso da quel momento, si avvicinò a lui e lo abbracciò con forza. Non c’era mai stato un contatto del genere tra di loro, ma in quella situazione, gli sembrò, comunque, la cosa più naturale del mondo.

 
Greg, intanto, stava aspettando Sherlyn davanti scuola. Era agitato e aspettava con ansia che il fidanzato lo chiamasse, per dargli altre notizie su Sherlock.
“Sherlyn!” la chiamò l’ispettore, appena la vide uscire dal cancello.
La ragazzina rimase sorpresa nel vederlo lì e si avvicinò all’auto con un’espressione sospettosa in volto.
“Zio Greg…cosa ci fai qui?” chiese lei, salendo in macchina e guardandolo attentamente.
“Sono venuto a prenderti…” rispose Lestrade, cercando di apparire calmo. Non sapeva come dirle che Sherlock era in ospedale e preferì, in un primo momento, sviare la conversazione “…com’è andata oggi a scuola?” aggiunse poi, con un finto sorriso.
Sherlyn non rispose, ma continuò a fissare l’ispettore con il suo sguardo indagatore.
“Sei preoccupato e, allo stesso tempo, sei anche nervoso…hai qualcosa da dirmi, ma non sai come fare…” disse scrutandolo con attenzione “…è successo qualcosa a papà Sherlock, vero?” esclamò poi all’improvviso.
Greg rimase sorpreso dalle sue deduzioni e si sentì decisamente spiazzato da quella domanda diretta.
“Si…cioè…non si è sentito bene e lo hanno portato in ospedale…ma stai tranquilla, non è niente di grave…” rispose titubante, cercando di non allarmarla.
La ragazzina sospirò pesantemente e si passò le mani sul viso con sconforto. Poi le congiunse sotto il mento, chiuse gli occhi ed iniziò a fare dei respiri lenti e profondi, nel tentativo di calmarsi.
“Stai bene?” le chiese Greg preoccupato, vedendo che era leggermente impallidita.
“Si…” rispose semplicemente lei, mantenendo quella posizione.
L’ispettore la fissò per qualche istante. Con quell’atteggiamento era così incredibilmente simile a Sherlock, da non riuscire, in quel momento, a trattenere un lieve sorriso.

 
Greg e Sherlyn arrivarono poco dopo in ospedale. Appena entrarono nella saletta d’attesa, entrambi rimasero sorpresi nel vedere John e Mycroft stretti in un disperato abbraccio. La ragazzina, soprattutto, vedendo quella scena, iniziò subito ad immaginarsi il peggio.
“Papà…cos’è successo?” chiese titubante, avvicinandosi lentamente a loro.
Quando il medico si accorse della presenza della figlia, si staccò dal cognato e si asciugò istintivamente alcune lacrime con la mano.
“Sherlyn…tesoro! …Vieni qui!” esclamò poi, mostrandole un mezzo sorriso.
La ragazzina, però, rimase immobile a fissare il padre, aspettando una risposta alla sua domanda.
“Non preoccuparti, Sherlyn…papà non si è sentito molto bene…ma non è niente di grave…andrà tutto bene…” disse John, cercando di apparire tranquillo.
“Dannazione papà, smettila!” urlò all’improvviso Sherlyn, sorprendendo tutti “…Smettila di trattarmi come una bambina!... Smettila di mentirmi solo per non farmi preoccupare!... Continui a ripetermi che andrà tutto bene…beh, non so se l’hai notato, ma niente sta andando bene!” aggiunse, continuando ad urlare.
Il medico rimase senza parole. Non si aspettava una reazione del genere da sua figlia. Restò fermo e immobile ad osservarla, incapace di formulare una qualsiasi frase di risposta.
La ragazzina, dopo quello sfogo, si andò a sedere su una seduta della sala d’aspetto. Incrociò le gambe, mise le mani congiunte sotto il mento, chiuse gli occhi e assunse quella posizione che, di solito, riusciva a farla calmare.
John, che intanto l’aveva seguita con lo sguardo, si voltò verso Mycroft e Greg, con un’espressione ancora incredula sul viso e vide, che anche gli altri due erano sorpresi da quel comportamento.
Proprio in quel momento, quando tutti erano in silenzio, un dottore arrivò portando altre notizie di Sherlock. Per fortuna era fuori pericolo: la polmonite, di origine batterica, era stata presa in tempo e il detective, dopo aver passato un giorno in ospedale sotto osservazione, sarebbe potuto tornare tranquillamente a casa. La febbre era leggermente scesa, ma per una guarigione completa, sarebbero serviti alcuni giorni, con una cura di antibiotici ed un po' di riposo.
“Possiamo vederlo?” esclamò John, sollevato.
“Certo!... Però uno per volta, non deve stancarsi molto…” rispose l’altro con un sorriso.
Il medico, allora si precipitò nella stanza di suo marito. Appena aprì la porta e lo vide sveglio, si sentì rincuorato. Lo guardò per qualche istante, mentre alcune lacrime gli rigavano il viso e poi corse ad abbracciarlo, iniziando a piangere senza controllo.
“John…non piangere…” disse il detective un po' a fatica, accarezzandogli i capelli con dolcezza.
“Ho avuto tanta paura che tu potessi…” rispose John, staccandosi da lui e abbassando lo sguardo. Non riuscì a finire quella frase, il solo pensiero di perderlo gli faceva troppo male.
“Lo so…anche io…ho avuto paura…” confessò Sherlock, con voce tremante e ansimando leggermente.
Il medico alzò lo sguardo su di lui e si mise a fissarlo dritto negli occhi.
“Non azzardarti più a farmi una cosa del genere…” esclamò all’improvviso serio.
“Cosa?” rispose il detective confuso.
“A dirmi che mi ami, senza darmi la possibilità di risponderti!” disse John, con un mezzo sorriso.
Sherlock sorrise a sua volta. Poi prese suo marito dalla maglia e lo attirò verso di sé, iniziando a baciarlo dolcemente. Subito dopo si staccò da lui e lo guardò con una strana espressione compiaciuta.
“Non hai…niente da dirmi…allora?” chiese sorridendo soddisfatto, nonostante il respiro corto.
“Ti amo anche io…” rispose John, avvicinandosi di nuovo a lui e baciandolo intensamente.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il nono capitolo! Per fortuna Sherlock sta bene...almeno per ora! In questo capitolo ho voluto dare spazio di più a John e Sherlock, cospargendolo con una nota leggermente romantica (che a volte ci sta pure!).
Sherlyn ha avuto una sua reazione a tutta questa storia e credo che sia abbastanza normale, visto tutto lo stress emotivo che sta accumulando anche lei!
La scena di Mycroft e John la trovo molto carina...mi piace soprattutto immaginare Mycroft smarrito, dopo aver visto il fratello stare male...credo che anche lui abbia realizzato cosa vorrebbe dire perderlo sul serio.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto...grazie a chi continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento ;)
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 10
*** Nuova forza ***


               Ti strapperò il cuore






                                                 Nuova forza





… Sherlock sorrise a sua volta. Poi prese suo marito dalla maglia e lo attirò verso di sé, iniziando a baciarlo dolcemente. Subito dopo si staccò da lui e lo guardò con una strana espressione compiaciuta.
“Non hai…niente da dirmi…allora?” chiese sorridendo soddisfatto, nonostante il respiro corto.
“Ti amo anche io…” rispose John, avvicinandosi di nuovo a lui e baciandolo intensamente.
 


 
Appena John uscì dalla stanza del marito, Sherlyn si alzò silenziosamente e si diresse, anche lei, a salutare Sherlock.
“Papà Sherlock…” disse, aprendo lentamente la porta ed entrando titubante.
“Ehi…Sherlyn…” rispose il detective con un sorriso.
“Come stai?” chiese la ragazzina, avvicinandosi al suo letto e prendendogli la mano.
“Vorrei dirti…che sto bene…ma non mi crederesti…” rispose Sherlock, ansimando leggermente.
“Papà ti ha raccontato della mia sfuriata qui fuori, vero?” domandò Sherlyn, leggermente imbarazzata.
Il detective annuì, regalandole un sorriso. Poi posò la sua mano libera sulle loro già intrecciate ed iniziò ad accarezzarla dolcemente.
“Sai, quando ho visto zio Greg davanti scuola…ed ho capito che ti era successo qualcosa…io ho avuto paura di…di non arrivare in tempo per…” cercò di dire la ragazzina, ma dovette fermarsi a causa di alcune lacrime, che avevano iniziato a scendere senza controllo.
“Sherlyn…” disse semplicemente Sherlock, intensificando la stretta.
“Voglio che tu mi faccia una promessa!” esclamò all’improvviso Sherlyn, guardandolo negli occhi “…hai detto che non puoi promettermi che guarirai…ma voglio, almeno, che tu mi prometta che…che non andrai da nessuna parte…senza prima avermi salutato…” aggiunse con voce tremante.
“Sherlyn…sai che non posso promettertelo…non sappiamo come andranno le cose…” rispose tristemente il detective, abbassando lo sguardo.
“Ti prego…promettimi almeno questo…per favore…” disse la ragazzina, continuando a piangere.
Sherlock sospirò pesantemente. Poi alzò lo sguardo su di lei e la guardò con attenzione.
“Va bene…te lo prometto!” rispose con dolcezza “…vieni qui…” aggiunse, attirandola a sé e abbracciandola con forza.

 
Sherlock venne dimesso il giorno dopo. Le sue condizioni sembravano decisamente migliorate, nonostante ancora non fosse guarito del tutto dalla polmonite. Rientrati al 221B, John decise di fare un accordo con lui, promettendogli che non lo avrebbe più asfissiato come nei giorni precedenti, ma ad una condizione: Sherlock doveva promettere a sua volta, che avrebbe imparato a chiedere aiuto, quando si trovava in difficoltà.
Grazie a questo accordo, i giorni a Baker Street, passarono tranquilli e sereni. Il detective, anche dopo essere guarito dalla polmonite, ebbe ancora i suoi scatti d’ira e di frustrazione, di tanto in tanto, ma niente che John non riuscisse a gestire e a placare. Nella settimana successiva, però, due episodi riuscirono a turbare il consulente investigativo, riuscendo a colpirlo nella parte più profonda di sé stesso.
 
Un giorno, Sherlock era di sotto in laboratorio con Sherlyn. John gli aveva concesso di andare, a patto che non si stancasse troppo e che usasse tutte le protezioni adeguate, per evitare che potesse contrarre una qualsiasi tipo di infezione. Mentre entrambi erano intenti a controllare i risultati dei loro esperimenti, il consulente investigativo, prese una provetta tra le mani, per analizzarne il contenuto al microscopio. A causa di un lieve tremore alla mano, però, questa gli cadde a terra, frantumandosi all’istante.
“Tutto bene?” chiese Sherlyn, voltandosi di scatto verso di lui.
“Si…” rispose Sherlock, sospirando pesantemente.
Dopo qualche minuto, il detective, prese tra le mani un’altra provetta, ma successe, purtroppo, la stessa cosa.
“Dannazione!” esclamò furioso, sbattendo un pugno sul tavolo da lavoro. Poi si prese la testa tra le mani, in un gesto di pura frustrazione.
“Se sei stanco facciamo una pausa…” disse dolcemente Sherlyn, avvicinandosi a lui.
“Sono stanco di tutto questo!” urlò Sherlock, iniziando a prendere alcuni oggetti e a scagliarli violentemente contro il muro.
“Papà Sherlock…calmati…per favore…” lo supplicò la ragazzina, allarmata da quella reazione.
Il detective, però, non le diede ascoltò. Continuò imperterrito a prendersela con tutto ciò che di frangibile era presente nel laboratorio.
Sherlyn, allora, corse subito di sopra a chiamare suo padre John, sperando che almeno lui riuscisse a farlo calmare.
“Papà corri di sotto!” esclamò, appena entrò nel soggiorno.
“Cos’è successo?” chiese il medico, mentre scendevano le scale.
“Non lo so…gli sono cadute due provette dalle mani ed ha iniziato a dare di matto” rispose Sherlyn, preoccupata.
Appena entrambi entrarono nel laboratorio, Sherlock aveva già rotto metà delle cose che erano presenti nella stanza. Aveva il respiro corto a causa dello sforzo, ma continuava, imperterrito, il suo sfogo distruttivo.
“Sherlock!” urlò John, avvicinandosi a lui ed afferrandolo da dietro, cercando di bloccargli le braccia in una presa.
“Lasciami…lasciami…” gridò il detective, provando a liberarsi da quella stretta.
“Calmati…. va tutto bene…” disse il medico, continuando a trattenerlo.
Sherlock tentò più volte di liberarsi dalle braccia del marito, ma poi esausto, si lasciò andare a terra in ginocchio. John si inginocchiò insieme a lui, sostenendolo nella caduta senza, però, mollare la presa.
“Va tutto bene…ci sono io qui con te, adesso…” sussurrò il dottore al suo orecchio.
“No…non va tutto bene…” rispose Sherlock, con voce tremante.
“Si, lo so…ma non sei solo…hai me…hai Sherlyn…e saremo sempre al tuo fianco…” disse John, iniziando a cullarlo tra le sue braccia e trasformando quella presa in un dolce abbraccio.
Il detective parve calmarsi, ma da quel episodio, il suo umore ne risentì anche nei giorni a seguire.

 
La goccia che fece traboccare il vaso e portò Sherlock a crollare del tutto, arrivò una mattina, qualche giorno dopo quell’avvenimento.
“Sherlock, stai bene?... Sei chiuso in bagno da una vita!” chiese il medico, bussando alla porta “…posso entrare?” aggiunse poi, non ottenendo alcuna risposta. Aspettò qualche secondo, ma poi, preoccupato, decise di entrare.
Il detective era poggiato con le mani al lavandino e aveva la testa bassa.
“Sherlock…” lo chiamò John titubante “…stai bene?” ripeté, cercando di capire cosa avesse. Appena si avvicinò a lui, però, notò un importante particolare. Sherlock aveva tra le mani una ciocca di capelli. Fu in quel momento che tutto gli fu chiaro e capì cosa lo avesse turbato tanto.
“Sherlock…” disse di nuovo il medico.
Il detective, però non rispose, si voltò di scatto e si precipitò fuori dal bagno sorpassando il marito, in silenzio.
“Sherlock…parlami, per favore!” esclamò John, afferrandolo dal braccio.
“John…lasciami…” rispose Sherlock, con voce tremante.
“No!... È importante che tu ne parli…” insistette il medico.
“Perché, John?... Credi che parlarne impedirà che accada?” urlò con rabbia il consulente investigativo.
“No, ma ti aiuterebbe…so che adesso ti senti frustrato, ma…” provò a spiegare John, ma venne interrotto.
“Credi davvero di sapere cosa si prova, John?... Sei sicuro di sapere cosa sto provando adesso?” domandò Sherlock, continuando ad urlare.
Il medico non fece in tempo a rispondere, che il marito si liberò bruscamente dalla presa e si diresse in camera da letto, sbattendo la porta.
 
Qualche ora dopo, Sherlyn tornò da scuola. Sherlock, dopo quella sfuriata, non era più uscito dalla stanza, si era chiuso a chiave e non aveva voluto parlare con suo marito, nonostante le sue numerose suppliche. Appena la ragazzina entrò nel soggiorno, trovò suo padre seduto sulla poltrona, disperato, con la testa tra le mani.
“Papà…che hai?” chiese preoccupata.
Il medico, allora, le raccontò tutto ciò che era successo qualche ora prima.
Sherlyn, dopo aver ascoltato il racconto con attenzione, sospirò e si diresse, silenziosamente, verso la camera da letto.
“Papà Sherlock…apri!” esclamò, bussando alla porta.
“È inutile, Sherlyn…sono ore che provo a parlare con lui!” disse John, con sconforto.
“Papà Sherlock…ti prego…ho bisogno di parlarti…” insistette lei, continuando a bussare.
Con grande sorpresa del medico, si sentì la chiave girare nella toppa e la porta si aprì leggermente per far entrare la ragazzina. Lei entrò e se la richiuse alle spalle.
“Papà è molto preoccupato per te…ed anche io lo sono…” disse Sherlyn, entrando nella stanza.
Sherlock, intanto si era seduto sul letto con le gambe al petto e la testa sulle ginocchia.
“Mi ha raccontato cos’è successo…” continuò la ragazzina “…per favore, parlami…” aggiunse, sedendosi sul letto vicino a lui.
“Mi dispiace…non volevo farvi preoccupare…è solo che…” provò a dire il detective, ma non riuscì a finire la frase.
“Ascoltami…” disse Sherlyn, mettendo la sua mano sulla spalla di Sherlock “…non posso sapere cosa stai provando adesso…non posso sapere come ti senti…ma c’è una cosa che so con certezza…” aggiunse, guardandolo intensamente.
“Cosa?” chiese il consulente investigativo curioso.
“Che tu sei il grande Sherlock Holmes e sei più forte di tutto questo!” esclamò lei, stringendo la presa sulla sua spalla.
“Ne sei davvero convinta?” domandò Sherlock, abbassando lo sguardo “…io non credo di essere così forte, Sherlyn…” aggiunse, sospirando con sconforto.
“Si, ne sono convinta…perché ti conosco!” rispose Sherlyn con tono deciso “…quindi, puoi decidere di rinnegare chi sei e rimanere qui a piangerti addosso, o uscire lì fuori ed affrontare tutto questo come solo tu sai fare, combattendo…!” aggiunse, mentre alcune lacrime le rigavano il viso.
Il detective alzò lo sguardo ed iniziò a guardarla dritto negli occhi. Poi le sorrise, con gli occhi lucidi dalla commozione e le passò dolcemente la mano nei capelli, scompigliandoglieli leggermente.
“Qualcosa allora l’hai presa da tuo padre!” esclamò all’improvviso.
“Che cosa?” domandò la ragazzina curiosa.
“Sei davvero un’ottima adulatrice!” rispose lui con sarcasmo “…il grande Sherlock Holmes…” aggiunse, imitando il tono della figlia e mettendosi a ridere.
Sherlyn gli diede una spinta scherzosa, mostrando un finto broncio. Subito dopo, però, scoppiò a ridere anche lei.
“Allora…sei pronto?” chiese seria la ragazzina, alzandosi e porgendogli la mano.
“Pronto!” rispose Sherlock, afferrando la sua mano ed uscendo con lei fuori dalla stanza.
John, appena lo vide uscire, si alzò di scatto dalla poltrona ed iniziò a fissarlo.
“John…mi dispiace…non volevo prendermela con te…” disse il detective mortificato.
Il medico, però, non disse niente. Corse verso di lui e lo abbracciò con forza, sotto gli occhi soddisfatti di Sherlyn. Poi entrambi si voltarono verso di lei e la invitarono ad unirsi a quell’abbraccio.
Fu in quel momento che Sherlock capì una cosa molto importante: per quanto le cose potessero andare male, per quanto a volte sentisse di non farcela, non era solo. Sapeva, in cuor suo, che suo marito e sua figlia, con il loro amore e il loro sostegno, sarebbero stati lì, sempre pronti ad afferrarlo, prima che potesse cadere.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il decimo capitolo! Beh, Sherlock sembra stare meglio e nonostante il suo crollo, ha capito una cosa molto importante: John e Sherlyn saranno sempre al suo fianco, sempre pronti a sostenerlo e ad impedirgli di crollare.
Con questo capitolo volevo dare una nota positiva in mezzo a tutto questo "angst"...in fondo, a volte abbiamo bisogno di vedere un pò di luce in mezzo a tanta ombra.
Spero che vi sia piaciuto...ringrazio chi continua a seguire la storia e chi vuole lasciare un commento.
Alla prossima ;)

Ps: volevo precisare che, grazie a Dio, non ho mai avuto esperienze dirette con questo genere di malattia, perciò tutto ciò che ho scritto (sintomi, problemi, complicanze ecc...) le ho apprese tramite alcune ricerche su internet. Spero di non fare strafalcioni e di essere sempre realistica sull'argomento. ;)

 

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Capitolo 11
*** Rialzarsi ***


              Ti strapperò il cuore




 

                                                      Rialzarsi








… Fu in quel momento che Sherlock capì una cosa molto importante: per quanto le cose potessero andare male, per quanto a volte sentisse di non farcela, non era solo. Sapeva, in cuor suo, che suo marito e sua figlia, con il loro amore e il loro sostegno, sarebbero stati lì, sempre pronti ad afferrarlo, prima che potesse cadere.
 
 




 
Erano passate alcune settimane e Sherlock, nonostante tutti i disturbi derivanti della terapia, sembrava investito da una forza nuova. Nella lotta contro il problema della perdita dei capelli, il famoso cappello, che aveva sempre odiato, era diventato il suo migliore alleato. Ormai non se ne separava mai, considerando che lo faceva sentire più a suo agio davanti alle persone. Nei periodi di pausa tra un ciclo di terapia e l’altra, inoltre, sembrava ritornare quasi completamente sé stesso e questo rendeva John e Sherlyn decisamente più sereni.
Un pomeriggio di questi, Sherlock camminava avanti e indietro per il soggiorno, irrequieto.
“Si può sapere che ti prende oggi?... Ricordati che mi hai promesso di riposare un po'!” esclamò il medico, guardandolo confuso.
“Papà, non hai letto il giornale di recente, vero?” chiese Sherlyn, con un’espressione di chi sa più di quello che dice.
“No…perché?” domandò John a sua volta.
“C’è un serial killer in giro, John!” esclamò il detective all’improvviso “…Tre omicidi, tutti in circostanze sospette…ed io sono rilegato qui dentro!” aggiunse, sbuffando pesantemente.
John non rispose. Continuò a guardare suo marito con attenzione. Gli mancava così tanto il suo lavoro, poteva leggerlo nei suoi occhi. A vederlo, così, sembrava un animale chiuso in gabbia. Senza che se ne accorgesse, si allontanò con una scusa e chiamò Mycroft, per avere informazioni sul caso tramite Greg. Scoprì che proprio in quel momento l’ispettore era sulla scena del crimine del presunto quarto omicidio del serial killer. Chiuse la telefonata e ritornò in soggiorno tutto soddisfatto.
“Beh, visto che oggi stai un po' meglio…ti va di uscire un po'?” chiese rivolgendosi al marito.
“Se hai in mente una delle tue noiose passeggiate nel parco…no, grazie declino il tuo invito!” rispose il detective, con aria schifata.
“Veramente ho avuto una soffiata…pare che ci sia stato un quarto omicidio e pensavo di andare a curiosare…ma se non ti va…” disse John, facendo finta di andare nell’altra stanza.
“John, ti avverto…se è uno scherzo è di pessimo gusto…” rispose Sherlock, confuso “…no, stai dicendo sul serio!” aggiunse poi, leggendo tutto dall’espressione di suo marito.
“Allora cosa aspettiamo?” esclamò entusiasta Sherlyn “…il gioco è cominciato!” aggiunse, correndo nella sua camera a cambiarsi.
“Mi ha rubato la battuta…!” disse il detective, guardando John con un finto broncio.
Entrambi si guardarono intensamente e poi scoppiarono a ridere. Subito dopo, però, il medico ritornò serio.
“Sherlock, mi raccomando…non devi strafare e non devi avvicinarti molto al cadavere, almeno non senza le dovute precauzioni…sei sempre a rischio lo sai…” disse John, guardandolo negli occhi “…appena ti senti stanco, voglio che tu me lo dica subito, siamo intesi?” continuò, prendendolo per mano “…e visto che viene anche Sherlyn, potresti lasciare che lei ti aiuti per le cose che non riesci a fare…” aggiunse, sorridendogli.
“Praticamente mi stai degradando ad assistente di Sherlyn?” chiese Sherlock con sarcasmo “…ecco la fine del grande Sherlock Holmes…da consulente investigativo a semplice assistente!” continuò con il suo solito fare teatrale.
“Ma smettila!” esclamò il medico, spingendolo scherzosamente.

 
Greg era sulla scena del crimine. Quel quarto omicidio non faceva che complicare la situazione. I suoi superiori e la stampa lo stavano massacrando, ma nonostante il suo impegno, non aveva ancora trovato elementi, per capire chi fosse l’autore di questi delitti. Decisamente demoralizzato, si fermò a guardare il cadavere, sospirando pesantemente.
“Stai pensando a lui, vero?” chiese Donovan alle sue spalle.
“Già…se ci fosse lui, avrebbe già capito che pista seguire…” rispose l’ispettore abbassando lo sguardo “…mi sento un incapace…” aggiunse, passandosi le mani sul volto.
“Ne verremo a capo, in un modo o nell’altro!” esclamò Sally, cercando di consolarlo.
In quel momento si sentirono dei passi ed una voce provenire dall’ingresso del capanno dove si trovavano.
“Anderson sembri già un idiota, senza bisogno di quel sorriso da ebete stampato in faccia!” disse la voce in lontananza.
Greg, nel sentire quel tono familiare, si voltò di scatto sorpreso e guardò Donovan, con aria interrogativa.
“L’hai sentito anche tu o me lo sono immaginato?” chiese confuso.
“No, l’ho sentito anche io…” rispose Sally, altrettanto sorpresa.
Dopo alcuni secondi Sherlock, con la sua solita aria di superiorità, fece il suo ingresso nella stanza.
“Sherlock…e tu cosa ci fai qui?” domandò Lestrade sbalordito.
“Quello che faccio di solito, Gavin…ti tiro fuori dai guai!” rispose il detective, dandogli una pacca sulla spalla.
“Non dovresti stare qui…” disse Greg, preoccupato.
“Non preoccuparti! Ho l’autorizzazione del mio medico…sono in regola!” esclamò Sherlock, con sarcasmo.
“Potresti almeno aspettarmi!” disse John, entrando anche lui nella stanza.
“Cosa, delle parole serial killer non ti è chiara, John?... Non abbiamo tempo da perdere!” rispose prontamente il detective “…Dimmi tutto Gavin…” aggiunse, voltandosi verso Greg.
Lestrade stava per parlare quando un’altra voce si sentì in lontananza.
“Anderson sembri già un idiota, senza bisogno di quel sorriso da ebete stampato in faccia!” esclamò ridendo.
John e Sherlock scoppiarono a ridere di gusto, sotto gli occhi confusi dell’ispettore.
“Zio Gavin…” disse Sherlyn, entrando nella stanza e prendendolo in giro. Poi si voltò verso il detective e gli fece l’occhiolino “…cosa abbiamo?” continuò, trattenendosi dal ridere.
“Ti prego…non ti ci mettere anche tu adesso!” rispose Greg con un finto tono disperato.
Subito dopo Lestrade cominciò a fornire i dettagli di tutti e quattro gli omicidi. Sherlyn, si mise subito ad ispezionare il cadavere, mentre Sherlock lo osservava senza avvicinarsi troppo, dando direttive alla figlia.
“Sherlyn…alza il braccio e controlla quella macchia sulla manica del cappotto…” disse il detective, avvicinandosi a lei, ma rimanendo in piedi.
“Sembra ruggine…” rispose seria la ragazzina. Poi alzò lo sguardo verso Sherlock a fece un sorriso compiaciuto.
“Pensi anche tu quello che penso io, vero?” chiese il consulente investigativo, mostrando la stessa espressione.
“Già…ne prelevo un campione, per analizzarlo meglio…” disse Sherlyn, soddisfatta.
John e Greg, intanto, stavano parlando, leggermente distanti.
“Come sta?” chiese l’ispettore, serio.
“Ha alti e bassi…diciamo che oggi è un giorno buono…!” rispose il medico, sospirando pesantemente.
Lestrade annuì, abbassando lo sguardo.
“Non ce la facevo più a vederlo rilegato in casa con quello sguardo spento…” riprese John “…guardalo adesso...è da prima che stesse male la prima volta che non lo vedevo così felice…” aggiunse, con un
sorriso triste.
“Hai fatto la cosa giusta, John…” rispose Greg, mettendogli una mano sulla spalla.
“Sai, Greg…a volte mi sento in colpa…” disse il medico con le lacrime agli occhi.
“Ma di che stai parlando?” chiese confuso l’ispettore.
“Parlo del fatto che lui sta affrontando tutto questo per me e per Sherlyn…prima che iniziasse la terapia, mi ha detto che avrebbe preferito non combattere la malattia, pur di non dover rinunciare a tutto questo ed a sé stesso…!... Solo adesso riesco a vedere quale enorme sacrificio sta facendo per noi…per darci più tempo da passare con lui…” disse John, asciugandosi una lacrima che gli aveva rigato il viso.
“John…se lo sta facendo è perché vi ama!... E poi non devi sentirti in colpa, perché, in ogni caso, è stata una sua libera scelta!” esclamò Greg, avvicinandosi e abbracciandolo con affetto “…va meglio?” chiese poi, staccandosi da lui.
“Si…grazie, Greg!” rispose il medico, sforzandosi di sorridere.
“Dovremmo avere tutti gli elementi necessari!” esclamò Sherlock avvicinandosi a loro “…Sherlyn sta finendo di raccogliere gli ultimi campioni, ma mi servirebbero anche i fascicoli degli altri omicidi!” aggiunse, rivolgendosi all’ispettore.
“Certo, te li mando stasera per Mycroft, visto che voleva passare a salutarti” rispose prontamente Lestrade.
In quel momento, però, il detective si passò una mano sugli occhi con un gesto stanco.
“Stai bene?” chiese subito John, vendendo che il marito era decisamente sbiancato.
“Si, si…sto bene” rispose Sherlock, cercando di sembrare convincente.
“Sherlock…” disse semplicemente il medico con rimprovero.
“Mi gira un po’ la testa…” ammise il detective, poggiandosi con la mano sulla spalla di John.
“Vieni…siediti qui su questi scatoloni” disse il dottore, iniziando a visitarlo con attenzione “…Greg, avresti per caso un po' d’acqua?” aggiunse rivolgendosi all’ispettore.
“Si, ho una bottiglia in macchina…vado a prenderla subito!” rispose Lestrade, correndo fuori.
“Papà Sherlock, io ho finito!” esclamò Sherlyn avvicinandosi a loro “…che succede?” chiese poi, preoccupata dal pallore del detective.
“Il solito giramento di testa…” rispose John, slacciando la sciarpa del marito, per farlo respirare meglio.
“Ecco qui!” esclamò Greg affannato, tornando con l’acqua.
Il medico prese la bottiglietta, bagnò un fazzoletto e lo passò sul viso del detective.
“Va meglio?” chiese poi a Sherlock.
“Si, si…sta passando…” rispose il detective, con un colorito decisamente più roseo.
“Tutto bene? Ti serve altro?” chiese Lestrade preoccupato, rivolgendosi a John.
“No, Greg…stai tranquillo!... È solo un calo di pressione. Ultimamente gli capita spesso, visto che per la forte nausea non riesce a mangiare quanto dovrebbe…” spiegò il dottore con fare professionale.
Dopo qualche minuto, infatti, Sherlock si riprese completamente.
“Allora Sherlyn, hai preso tutto quello che ti ho detto?” chiese alla figlia, con il suo solito tono eccitato.
“Certo! Stasera ci divertiamo!” rispose Sherlyn contenta.
“Naturalmente, dopo aver riposato un po', vero?” domandò John, guardando verso il marito.
“Ovviamente!” esclamò il detective, sbuffando e mettendo il broncio “…Non dimenticare di mandarmi i fascicoli per mio fratello!” aggiunse riferendosi a Greg.
“Si, non preoccuparti!” rispose Lestrade “…e tu, mi raccomando…riguardati…” continuò, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

Subito dopo, Sherlock, John e Sherlyn si avviarono fuori, diretti verso casa. Nel taxi, durante il tragitto, tutti e tre se ne stavano pensierosi, senza dire una parola. All’improvviso, il detective, che si era poggiato con la testa al sedile e aveva gli occhi chiusi, ruppe quel silenzio.
“Sai, John…Oggi, per un momento, mi sono sentito di nuovo me stesso…di nuovo vivo…!” disse, mantenendo quella posizione.
John non rispose. Prese semplicemente la mano del marito e la strinse con forza nella sua, cercando di trattenere le lacrime.
“Possiamo rifarlo!” esclamò Sherlyn, attirando l’attenzione dei genitori.
“Cosa?” chiese il medico confuso.
“Quello che abbiamo fatto oggi!... Non c’è bisogno che papà Sherlock rinunci al suo lavoro. Certo, non prenderemo molti casi come prima, ma insieme possiamo comunque gestirli!” rispose la ragazzina con tono deciso.
Sherlock aprì gli occhi e guardò la figlia intensamente. Poi si voltò verso il marito, aspettando una sua risposta.
“Penso che si possa fare...” rispose John, con un lieve sorriso “…la scelta sta a te, Sherlock! Te la senti di riprendere?” chiese poi al marito.
“E c’è bisogno di chiederlo?” rispose il detective, con entusiasmo.
“Allora papà Sherlock…lascio a te l’onore di dirlo questa volta…” disse Sherlyn, sorridendo divertita.
“D’accordo…John…Sherlyn…il gioco è cominciato!” esclamò Sherlock soddisfatto.




Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi l'undicesimo capitolo! Diciamo che è sempre sulla linea del "positivismo"...e cerca, nonostante tutto, di strappare un sorriso. D'altronde mi sono accorta che questo argomento è davvero molto pesante e in alcuni punti ho preferito alleggerirlo con qualche scena più soft e positiva, per evitare di deprimere troppo (almeno per il momento)!
Sherlyn, John e Sherlock ormai sono una squadra! John in cuor suo ha capito quanto Sherlock stesse sacrificando per lui e la figlia, per questo decide di fare il possibile per far riprendere al marito il suo lavoro, almeno fin dove riesce ad arrivare! Sherlyn è favolosa e non credo che servano altre parole per descriverla (lo ammetto io sono di parte!)!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto...grazie come sempre a chi continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)

 

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Capitolo 12
*** L'eroe di Baker Street ***


             Ti strapperò il cuore






                                      L'eroe di Baker Street



 



… “Allora papà Sherlock…lascio a te l’onore di dirlo questa volta…” disse Sherlyn, sorridendo divertita.
“D’accordo…John…Sherlyn…il gioco è cominciato!” esclamò Sherlock soddisfatto.
 
 


 
Era sera e Mycroft arrivò davanti al 221B. Scese dalla macchina, bussò alla porta e attese che qualcuno aprisse.
“Oh, buonasera Mycroft!” disse la signora Hudson, aprendo la porta.
“Buonasera a lei! Sherlock è in casa, vero?” chiese il politico, entrando dentro.
“Si, si…sono entrambi di sopra…e come al solito stanno bisticciando!” esclamò lei, con il suo solito tono di rimprovero.
Mycroft sorrise e si avviò di sopra. Come aveva detto la padrona di casa, infatti, sentiva Sherlock e John discutere animatamente. Appena aprì la porta del soggiorno, vide che il fratello era seduto imbronciato sulla sua poltrona ed il cognato, invece, aveva un vassoio con dei biscotti e del tè in mano.
“Sherlock, è da stamattina che non tocchi cibo…prova almeno a mangiare qualche biscotto!” disse John esasperato.
“John, ti ripeto che non ho fame! Ho la nausea e se mangio qualcosa correrò in bagno a vomitarla!” rispose il detective a tono.
“Ma almeno provaci!” esclamò il medico, sospirando pesantemente.
“Fratellino, quante volte ti ho detto che devi ascoltare il tuo medico?” disse all’improvviso Mycroft, entrando nel soggiorno.
“Ehi, Mycroft! È inutile…conosci tuo fratello! A volte è peggio di un bambino capriccioso!” esclamò John, poggiando il vassoio sul tavolino “…vuoi del tè?” aggiunse poi, andando in cucina.
“Si, grazie” rispose il politico, accomodandosi sulla poltrona di fronte al fratello “…questi te li manda Greg…” continuò, porgendo i fascicoli a Sherlock.
“Oh, finalmente!” disse il consulente investigativo, afferrando i fogli ed iniziando a leggerli.
“Dov’è Sherlyn?” chiese Mycroft, curioso.
“È in camera sua…vado a dirle che sei qui…” rispose John. Poi uscì dalla cucina, diede il tè al cognato e si avviò di sopra.
“Come stai?” domandò il politico serio, rivolgendosi al fratello.
“Diciamo bene…” rispose Sherlock, afferrando un biscotto dal vassoio ed iniziando a mangiarlo.
“Zio Myc!” esclamò Sherlyn, entrando nella stanza insieme a John.
“Ehi, piccola!” rispose Mycroft con un sorriso.
“Finalmente ti sei deciso?” disse John, vedendo che il marito aveva iniziato a mangiare.
Dopo il quarto biscotto, però, il detective si alzò di scatto dalla poltrona e corse in bagno a vomitare. John e Sherlyn lo seguirono con lo sguardo ed entrambi sospirarono pesantemente.
“Da quello che vedo non va molto bene…” disse il politico, abbassando lo sguardo.
“Insomma…ha momenti buoni ed altri un po' meno…ma è la nausea che in questi giorni lo sta distruggendo!” rispose il medico, passandosi le mani nei capelli.
“Mi ha detto Greg che gli hai permesso di riprendere a lavorare…” disse Mycroft con un mezzo sorriso.
“Si! E credimi, per me non è stata una scelta facile…in fondo vado contro la mia etica professionale, permettendogli di riprendere nelle sue condizioni…ma oggi era così felice su quella scena del crimine, che non ho potuto fare altrimenti…” rispose John, sorridendo con amarezza.
“Hai fatto la scelta giusta per lui…” disse il politico, annuendo convinto.
In quel momento Sherlock uscì dal bagno. Era bianco come un cencio ed ansimava leggermente.
“Vieni, sdraiati sul divano!” esclamò il medico, afferrandolo dalla vita e aiutandolo a mettersi disteso. Dopo qualche minuto, il detective cadde in un sonno profondo. Sherlyn, allora, si sedette vicino a lui ed iniziò ad accarezzarlo dolcemente, con fare apprensivo.
“Mycroft, stai bene?” chiese all’improvviso John, vedendo che il cognato era sbiancato visibilmente.
“Si, sto bene…” rispose il politico, passandosi le mani sul volto.
“Sei sicuro?” insistette il medico, avvicinandosi ulteriormente a lui.
“Si…è solo che…non ce la faccio a vederlo così…scusatemi…” disse Mycroft con le lacrime agli occhi. Poi si alzò di scatto dalla poltrona e si avviò verso la porta.
“Mycroft, aspetta!” esclamò John, nel tentativo di fermarlo.
“Dì a Sherlock che lo chiamo domani…” disse semplicemente il politico, avviandosi di corsa fuori dall’appartamento.
Il medico rimase immobile a fissare la porta da cui era appena uscito suo cognato. Era difficile vederlo in quelle condizioni. Nonostante cercasse di nasconderlo, stava crollando anche lui.
 
Appena salì in macchina, Mycroft si lasciò andare ad un pianto liberatorio. Si sentiva così impotente di fronte alla malattia di suo fratello. Lui, nel suo cuore, aveva voluto sempre e solo proteggerlo. Ma come faceva a rassegnarsi all’idea, che qualcosa più grande di lui, glielo stesse lentamente portando via, senza che potesse impedirlo? Avrebbe dato la sua stessa vita, pur di non dover assistere a tutto quello, pur di non vedere la sofferenza del suo fratellino. Decisamente sconvolto, si diresse dall’unica persona che potesse consolarlo.
“Mycroft!” esclamò Greg, aprendo la porta “…pensavo venissi più tardi…non dovevi passare da Sherlock?” aggiunse, confuso. In quel momento, però, l’ispettore si accorse dello stato in cui era il suo fidanzato “…cos’è successo?” chiese poi, allarmato.
Il politico non rispose. Lo abbracciò all’improvviso, iniziando a singhiozzare senza controllo.
“Ehi…” disse l’ispettore, accarezzandogli le spalle “…vieni, andiamo dentro” aggiunse con dolcezza. Appena furono nell’appartamento, Greg lo guidò sul divano, lo fece sedere e si mise di fianco a lui, continuando ad abbracciarlo e a cullarlo teneramente.
Dopo alcuni minuti, Mycroft si calmò leggermente, si staccò dal fidanzato e sospirò.
“Vuoi dirmi cos’è successo?” chiese Lestrade, mentre gli sfiorava delicatamente il viso.
“Sono stato da Sherlock…ed io non…non ci riesco, Greg…non posso vederlo così…” rispose il politico, continuando a piangere.
“Oh, Mycroft…lo so che è difficile…ma devi essere forte…devi farlo per lui…” disse Greg, con le lacrime agli occhi.
“Lui è il mio fratellino, Greg! …Sai, il giorno in cui nato e l’ho preso in braccio per la prima volta, ho fatto una promessa…ho promesso a me stesso, che lo avrei sempre protetto da tutto e da tutti, anche a costo della mia stessa vita…ed ora mi sento così impotente…ho fallito, Greg…ho fallito miseramente…” rispose Mycroft, mettendosi le mani sul volto.
“No, non hai fallito!... Non potevi prevedere che accadesse questo e non potevi fare niente per impedirlo!... L’unica cosa che puoi fare, è cercare di essere forte e stargli vicino!” esclamò l’ispettore, prendendogli il volto tra le mani.
Il politico annuì semplicemente, mentre altre lacrime gli rigavano il volto.
Greg, allora, si avvicinò a lui e lo baciò con passione. Poi lo abbracciò di nuovo e rimasero lì, per un tempo che sembrò interminabile, stretti in quel dolce e disperato abbraccio.

 
Il giorno dopo, Sherlock si mise subito a lavorare al caso del serial killer. John, appena sveglio, si rese conto che suo marito era già in piedi. Lo trovò seduto nel soggiorno, circondato da carte, foto e fascicoli, mentre analizzava tutto con la sua solita frenesia.
“Buongiorno! Già al lavoro?” gli chiese con un sorriso.
“Si...ieri sera mi sono addormentato come un idiota! Sherlyn, per fortuna, non ha perso tempo ed ha analizzato tutte le sostanze trovate sul cadavere!... La soluzione è qui, da qualche parte…” rispose il detective, guardando con attenzione alcune foto.
“Mi raccomando non ti stancare troppo…” disse il medico serio. Poi andò in cucina a preparare la colazione “…Sherlyn è già andata a scuola?” chiese poi confuso.
“Si…circa venti minuti fa!” rispose Sherlock, con aria assente.
“Come ti senti stamattina? Ti va un po' di tè?” domandò John dalla cucina “…Sherlock?” lo chiamò, ritornando in soggiorno.
Il marito, però, non rispose. Aveva gli occhi chiusi e con le dita si massaggiava le tempie.
“Tutto bene?” gli chiese preoccupato.
“Shh…sto cercando di pensare…e questo mal di testa non fa che distrarmi…” rispose il detective irritato.
“Rilassati e vedrai che ne verrai a capo” disse il medico, cercando di tranquillizzarlo.
“Ci sono!... Che idiota, lo avevo davanti agli occhi!” gridò tutto ad un tratto Sherlock, sbattendo le mani e alzandosi di scatto da terra.
Quel gesto improvviso, però, gli provocò un capogiro e dovette reggersi alla poltrona di John, per non cadere.
“Sherlock! Santo cielo, quante volte ti ho detto che non devi alzarti così all’improvviso?” urlò il medico, correndo da lui ad afferrarlo.
Il detective non rispose. Continuava a guardare un punto fisso del pavimento, con aria assente.
“Sherlock, mi senti?” provò di nuovo John.
Dopo qualche secondo, però, il consulente investigativo svenne tra le sue braccia.
“Cristo Santo…Sherlock!” gridò il medico, adagiandolo a terra e cercando di farlo rinvenire.
Alcuni minuti dopo, il detective riaprì gli occhi e fece un enorme sorriso soddisfatto.
“Come ti senti?” chiese il medico allarmato.
“Ho risolto il caso…come vuoi che mi senta?” rispose Sherlock, cercando di mettersi seduto e continuando a sorridere.
“Si, ma sei svenuto!” precisò John, con rimprovero.
“Dettaglio irrilevante…! Devo chiamare Lestrade!” disse il detective, alzandosi a fatica e afferrando il telefono.
Il dottore lo guardò con aria preoccupata, poi scosse la testa e sospirò rassegnato.
 
La risoluzione di quel caso e la cattura del serial killer, che stava terrorizzando l’intera Londra, venne definito dalla stampa, come il grande ritorno di Sherlock Holmes. Un’ondata di giornalisti iniziò ad accalcarsi davanti al 221B, ponendo, naturalmente, l’attenzione anche sul precario stato di salute del detective. La scoperta della sua malattia, però, non fece altro che renderlo ancora più famoso. Iniziarono, infatti, a definirlo “l’eroe di Baker Street”: colui che, nonostante il tumore, non si era arreso e che continuava, imperterrito, la sua lotta contro il crimine.




Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il dodicesimo capitolo! Beh, devo essere sincera, la parte del crollo di Mycroft è stata molto difficile da scrivere! In fondo lo amo come personaggio e immaginarlo distrutto per la malattia del fratello, mi colpisce parecchio. Meno male che c'è Greg...e qui si spiega come mai ho optato per l'inserimento di una Mystrade, per dare a Mycroft qualcuno su cui appoggiarsi in questa situazione... e poi sono carini anche loro insieme!
Sherlock, nonostante tutto, sta lottando con tutte le sue forze. Il finale da una nota molto positiva...il nostro detective, definito addirittura un eroe, nonostante la sua malattia, continua a fare il suo lavoro e a combattere il crimine! 
Beh, che dire! Spero che il capitolo vi sia piaciuto... 
Grazie come sempre a chi segue la storia e a chi vuole lasciare un commento! 
Alla prossima ;)
 

 

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Capitolo 13
*** L'inizio della fine ***


           Ti strapperò il cuore






                                        L'inizio della fine



 


… La risoluzione di quel caso e la cattura del serial killer, che stava terrorizzando l’intera Londra, venne definito dalla stampa, come il grande ritorno di Sherlock Holmes. Un’ondata di giornalisti iniziò ad accalcarsi davanti al 221B, ponendo, naturalmente, l’attenzione anche sul precario stato di salute del detective. La scoperta della sua malattia, però, non fece altro che renderlo ancora più famoso. Iniziarono, infatti, a definirlo “l’eroe di Baker Street”: colui che, nonostante il tumore, non si era arreso e che continuava, imperterrito, la sua lotta contro il crimine.
 
 



 
        
                                                           QUATTRO ANNI DOPO

 
Erano passati quattro anni dal famoso ritorno di Sherlock sulla scena pubblica. Grazie ai cicli di chemioterapia, le condizioni di salute del detective, si erano mantenute stabili, permettendogli di continuare il suo lavoro e aumentando notevolmente la sua fama. La straordinaria storia de “l’eroe di Baker Street”, infatti, si era diffusa, non solo in Inghilterra, ma un po' in tutto il mondo, rendendo il consulente investigativo, una figura di rilievo a livello internazionale. I problemi, naturalmente, non erano mancati. In questi anni, effettivamente, c’erano stati molti episodi in cui Sherlock era finito in ospedale o era stato costretto a rimanere a letto per giorni, ma, per fortuna, non era stato niente di così grave, da impedirgli di continuare il normale corso della sua vita.
Sherlyn, inoltre, ormai quattordicenne, affiancava quasi sempre il detective sulle scene del crimine ed era diventata brava a tal punto, che spesso Sherlock le affidava dei casi, anche importanti, che lei riusciva prontamente a risolvere, senza alcun aiuto da parte dei genitori.
Un pomeriggio come tanti, Sherlock era in soggiorno, seduto sulla sua poltrona, intento ad esaminare dei fascicoli di un caso di omicidio molto interessante. Si trattava della morte di un uomo di circa 50 anni, avvenuta in casa sua, mentre si trovava nel suo studio a lavorare. Dal sopraluogo fatto sulla scena del crimine, non risultavano segni di effrazione o di lotta, il che faceva pensare che la vittima conoscesse bene il suo assassino. La morte era avvenuta a causa di un colpo d’arma da fuoco, sparato a bruciapelo, dritto in fronte. La principale sospettata era la moglie. Il figlio, invece, un ventiduenne universitario, aveva un alibi di ferro: pare si trovasse nel campus al momento dell’omicidio.
Mentre il detective era intento ad analizzare tutti i dettagli, Sherlyn entrò nella stanza, attirando la sua attenzione.
“Papà Sherlock! Ecco i risultati dei campioni che mi avevi chiesto!” esclamò soddisfatta, porgendo dei fogli a Sherlock.
“Grazie Sherlyn!... Come va con il caso dell’alpinista?” chiese il consulente investigativo, curioso.
“Risolto in meno di un’ora!... Decisamente noioso… l’assassino, ovviamente, era suo fratello! Ho già chiamato zio Greg, per farlo arrestare!” rispose la ragazzina, sbuffando e sedendosi sulla poltrona di John.
“Allora visto che sei libera…voglio farti un regalo!” disse Sherlock, con un sorriso, porgendole il fascicolo che stava leggendo.
“No, non ci credo…è il caso del signor Thompson!” esclamò entusiasta Sherlyn “…Ma non vedevi l’ora di lavorarci!” aggiunse, scrutando il detective con attenzione.
“Si, ma tu ne hai più bisogno di me! Dopo i casi noiosi a cui hai lavorato, devi assolutamente allenare le tue abilità deduttive con qualcosa di più stimolante. È un caso complicato, ma sono sicuro che puoi benissimo risolverlo da sola” rispose il detective, con dolcezza.
“Grazie, papà Sherlock! Mi metto subito al lavoro e vedrai che non ti deluderò…!” esclamò la ragazzina, alzandosi decisa e correndo di sotto in laboratorio.
“Ho incrociato Sherlyn per le scale…sembrava entusiasta! Le hai affidato un caso?” chiese John, entrando in soggiorno con le buste della spesa.
“Si, le ho dato il caso del signor Thompson…” rispose Sherlock pensieroso. Poi si alzò dalla poltrona e si mise a guardare fuori dalla finestra.
“Sono giorni che preghi Greg di assegnarti quel caso!... Non vedevi l’ora di lavorarci ed ora l’hai dato a Sherlyn?” domandò il medico, confuso “…Sherlock?” aggiunse, vedendo che il marito non rispondeva.
Il detective, però, rimase immobile e silenzioso, continuando a guardare fuori dalla finestra.
“Sherlock…stai bene?” chiese John, avvicinandosi a lui preoccupato.
“No…” ammise il consulente investigativo, sospirando pesantemente.
“Che cos’hai?” domandò il medico, mettendogli una mano sulla spalla.
“Le fitte alla testa stanno aumentando…iniziano a diventare ingestibili…” rispose Sherlock, passandosi una mano sugli occhi.
“Stai lavorando molto in questi giorni…sarà sicuramente stanchezza…” provò a spiegare il medico, cercando di convincere anche sé stesso.
“…John…” provò a chiamarlo il detective. Il fatto che i dolori stessero peggiorando, non era decisamente un buon segno e, in cuor suo, anche suo marito lo sapeva.
“Siediti, vado a prepararti del tè…così ti rilassi un po'!” esclamò John, andando velocemente in cucina.
“Non riesco a vedere bene dall’occhio destro…” disse improvvisamente Sherlock, abbassando lo sguardo.
Appena il dottore sentì quella frase, il suo cuore perse un battito. La tazza che aveva in mano gli cadde a terra, infrangendosi in mille pezzi. Fino a quel momento il tumore era rimasto sempre della stessa grandezza. Il fatto che avesse iniziato ad intaccare il nervo ottico, voleva dire che si era sicuramente esteso e non di poco.
“Da quando?” chiese John, con voce tremante, uscendo dalla cucina.
“Da stamattina…pensavo fosse una cosa passeggera e invece…” rispose il detective, sospirando pesantemente.
Il medico non disse niente. Si avvicinò a lui e lo abbracciò con forza, mentre alcune lacrime gli rigavano il viso.
“Ehi…va tutto bene…” disse Sherlock, accarezzandogli le spalle con dolcezza.
“No, non va tutto bene…” rispose John, con voce rotta dal pianto.
“John, guardami!” esclamò il consulente investigativo, staccandosi da lui e prendendo il suo volto tra le mani “…ne abbiamo già parlato!... Sapevamo che prima o poi sarebbe successo…” aggiunse, mentre gli sfiorava teneramente le guance. Poi lo attirò a sé e lo baciò con passione, cercando di farlo calmare “…dobbiamo avvisare il dottor Stevenson…ci pensi tu?” continuò, sforzandosi di sorridere.
Il medico annuì semplicemente. Poi sospirò con tristezza e si diresse a prendere il cellulare.
 

Il giorno dopo Sherlock e John si recarono in ospedale per parlare con il dott. Stevenson e fare tutti gli accertamenti. Bisognava capire quanto la situazione si fosse aggravata e come intervenire. Dopo un paio d’ore di attesa nell’apposita saletta, vennero chiamati per i risultati.
“Signor Holmes…dott. Watson…mi dispiace…ma purtroppo la situazione è peggiore di quanto credessi…” disse serio il dott. Stevenson “…la massa tumorale si estesa notevolmente e sta iniziando ad intaccare una buona parte della massa cerebrale…” aggiunse, abbassando lo sguardo sui fogli che aveva in mano “…arrivati a questo punto, purtroppo, non c’è più niente che possiamo fare…posso affermare con certezza che la malattia ha raggiunto la sua fase terminale…mi dispiace davvero tanto…” concluse, guardando i due con aria triste.
“Quanto tempo mi rimane?” chiese Sherlock, cercando di apparire freddo e distaccato.
“Non posso dirglielo con certezza…ma vedendo i suoi valori, direi circa un mese…due al massimo” rispose serio il dott. Stevenson “…devo naturalmente metterla in guardia. Questa fase è sicuramente la più dolorosa. Le fitte aumenteranno sempre di più e proprio per questo le darò una cura a base di antidolorifici e di morfina, per renderle tutto più facile da sopportare…” aggiunse rivolgendosi al detective. Poi, con aria afflitta, guardò verso John, che, intanto, se ne stava in silenzio, mantenendo lo sguardo basso.
“Grazie di tutto…” disse Sherlock, salutando il dottore ed avviandosi con il marito fuori dalla stanza.
Uscirono dall’ospedale e rimasero in silenzio per tutto il tragitto verso casa. Appena il taxi si fermò davanti al 221B, scesero dalla vettura e si diressero demoralizzati di sopra.
“John…” lo chiamò il detective, chiudendosi la porta alle spalle.
Il medico, però, non rispose. Sospirò pesantemente e si mise a guardare fuori dalla finestra. Sapeva che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato, ma in cuor suo, sperava sempre che fosse più lontano possibile.
“John…” provò di nuovo Sherlock, con voce tremante. Poi si tolse lentamente sciarpa e cappotto e si sedette sul divano, prendendosi la testa tra le mani in un gesto disperato.
John continuò a non rispondere. Si mise le mani sul volto ed iniziò a piangere e a singhiozzare senza controllo.
“John, ti prego…vieni qui…” lo supplicò il detective.
Il medico si voltò e raggiunse il marito sul divano, sedendosi vicino a lui. Il consulente investigativo lo abbracciò con forza e lasciò che si sfogasse contro il suo petto.
Dopo qualche minuto, Sherlock si staccò improvvisamente da lui ed iniziò a massaggiarsi le tempie, trattenendo una smorfia di dolore.
“Fa male?” chiese John allarmato.
Il detective annuì semplicemente, mantenendo gli occhi chiusi. Il medico, allora si alzò, andò a prendere la scatola di antidolorifici e gliene diede una compressa.
Sherlock, dopo averla ingoiata, si mise sdraiato, aspettando che facesse effetto, mentre il marito lo accarezzava dolcemente, inginocchiato vicino a lui.

 
Qualche ora dopo Sherlyn tornò da scuola. Trovò i suoi genitori seduti sulle rispettive poltrone. Dalle loro facce scure, capì subito che doveva essere successo qualcosa. Senza dire una parola, lasciò cadere lo zaino a terra e si avvicinò leggermente a loro, aspettando che si decidessero a parlare. Sherlock, allora, fece un profondo respiro e le spiegò tutto quello che il dott. Stevenson gli aveva comunicato quella mattina. La ragazzina ascoltò tutto con attenzione, poi con le lacrime agli occhi corse via, chiudendosi nella sua stanza.
“Vado a parlarle…” disse John sospirando.
“No…vado io!” rispose prontamente Sherlock, alzandosi a fatica dalla poltrona e salendo di sopra.
Appena aprì la porta vide che Sherlyn era sdraiata sul suo letto, intenta a piangere e a singhiozzare.
“Sherlyn…” la chiamò il detective con voce tremante.
La ragazzina non rispose, ma nel sentire la voce di Sherlock cercò di trattenersi, mettendosi una mano sul viso, per nascondere la sua debolezza.
“Ehi…” provò di nuovo Sherlock, sedendosi sul suo letto ed iniziando ad accarezzarle i capelli.
“Scusami…so che ti avevo promesso di essere forte…ma io non voglio che tu…” disse Sherlyn tra le lacrime.
“Lo so…” rispose il detective con gli occhi lucidi. Poi si sdraiò vicino a lei e la abbracciò con dolcezza.
“Papà Sherlock…io…ho paura…” confessò all’improvviso la ragazzina.
“Anche io Sherlyn…anche io…” disse Sherlock, mentre una lacrima gli rigava il viso, cadendo sul cuscino.
Rimasero stretti in quell’abbraccio. Cercando la forza e il coraggio, l’una nelle braccia dell’altro.






Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il tredicesimo capitolo! Beh, come avrete capito, la positività dei capitoli precedenti, non era altro che la quiete prima della tempesta. Sarà una tempesta davvero forte, quindi consiglio di prepararvi al meglio...! 
Non credo che servano molte parole per descrivere questo capitolo...in fondo, parla da solo!
Grazie a chi continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento. 
Alla prossima ;)

 

 

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Capitolo 14
*** La caduta ***


              Ti strapperò il cuore







                                                   La caduta






… “Papà Sherlock…io…ho paura…” confessò all’improvviso la ragazzina.
“Anche io Sherlyn…anche io…” disse Sherlock, mentre una lacrima gli rigava il viso, cadendo sul cuscino.
Rimasero stretti in quell’abbraccio. Cercando la forza e il coraggio, l’una nelle braccia dell’altro.
 



 
 
Quella sera, a Baker Street, regnava un angosciante silenzio. Tutti e tre erano ancora decisamente provati dalla notizia e nessuno di loro riusciva a dire niente. John e Sherlyn erano seduti sulle due poltrone, con lo sguardo perso e gli occhi ancora rossi dalle lacrime. Sherlock, invece, se ne stava sdraiato sul divano, nella sua classica posa meditativa. Gli antidolorifici non erano di alcun effetto su di lui e ciò era prevedibile, considerando il suo passato da tossicodipendente. Per questo motivo, aveva dovuto ricorrere alla morfina, per provare un po' di sollievo dal dolore insistente.
“John…devi farmi un favore…” disse improvvisamente il detective, mantenendo la sua posizione.
“Cosa?” chiese il medico, ridestandosi da quello stato di trans in cui era caduto.
“Non devi dire a nessuno delle mie condizioni!... Vale anche per te, Sherlyn…” rispose Sherlock serio.
La ragazzina guardò verso il padre con aria interrogativa, ma non disse niente.
“Sei impazzito? Almeno, Greg e Mycroft devono saperlo!” esclamò John sorpreso.
“No, non voglio!” rispose semplicemente il consulente investigativo.
“Che significa che non vuoi? Si tratta di tuo fratello!” urlò il medico, alzandosi nervoso dalla sua poltrona.
“John, tu non capisci…” disse Sherlock, aprendo gli occhi e mettendosi lentamente seduto.
“Hai proprio ragione, Sherlock! Non ti capisco!” esclamò John, passandosi le mani nei capelli.
“Non voglio che lo sappiano perché…” provò a dire il detective, ma si fermò titubante e abbassò lo sguardo. Poi fece un profondo respiro e continuò “…perché non farebbero che guardarmi come state facendo voi adesso…con compassione…come se fossi un morto che cammina…e non credo di poterlo sopportare...soprattutto da mio fratello…” aggiunse, sfregandosi le mani sul volto.
Il medico rimase profondamente colpito da quelle parole. Non aveva capito che alla base di quella scelta ci fosse una sensazione di disagio tanto forte. Rimase a fissarlo per qualche istante, poi si avvicinò a lui e lo abbracciò con dolcezza.
“Oh, Sherlock…” riuscì a dire soltanto, mentre lo cullava teneramente tra le sue braccia.
“Ti prego, John…promettimelo!” esclamò Sherlock, staccandosi leggermente da lui.
“Sherlock…ma…” provò di nuovo John, ma venne interrotto.
“Per favore…almeno per il momento…” supplicò il detective, guardandolo dritto negli occhi.
Il medico sospirò pesantemente. Poi guardò verso Sherlyn, che annuì con il capo.
“Va bene…te lo prometto…” rispose alla fine rassegnato.
 

Quella notte, per Sherlock, non fu delle migliori. Nonostante le forti dosi di morfina, infatti, il dolore non accennava a diminuire. L’effetto del calmante, comunque, inizialmente lo fece addormentare, ma dopo qualche ora, John lo sentì lamentarsi nel sonno.
“Sherlock…” provò a chiamarlo, scuotendolo leggermente. Aveva la fronte madida di sudore e continuava ad agitarsi tra le lenzuola “…Sherlock…” ripeté, alzando il tono di voce.
Il detective si svegliò di soprassalto, ansimando leggermente. Poi si mise seduto e si prese la testa tra le mani.
“Ehi, che succede?” chiese il medico, sedendosi anche lui.
Sherlock, però, non rispose. Chiuse gli occhi ed iniziò a massaggiarsi le tempie, cercando di regolarizzare i propri respiri.
“Non è migliorato neanche un po'?” domandò John, preoccupato.
Il detective negò semplicemente con il capo, trattenendo una smorfia di dolore. Poi si alzò lentamente dal letto, indossò la vestaglia e andò in soggiorno.
“Sherlock…!” esclamò il medico, alzandosi anche lui e seguendolo nell’altra stanza.
Sherlock si sedette sulla sua poltrona, passandosi nervosamente le mani sul viso. Dopo qualche istante, però, scattò in piedi e si mise a camminare freneticamente per la stanza, sbuffando ed iniziando a prendersela con alcuni oggetti che aveva intorno.
“Cerca di calmarti…se fai così non fai che peggiorare la situazione…” disse John, nel tentativo di tranquillizzarlo.
“Calmarmi?... È facile dirlo per te!” urlò Sherlock, con le lacrime agli occhi.
Il medico non rispose. Si avvicinò a lui, lo afferrò per le braccia, facendolo voltare verso di sé e lo abbracciò intensamente, accarezzandolo con dolcezza. Il detective, in quel momento, non riuscì più a controllarsi e scoppiò a piangere, aggrappandosi con forza a suo marito.
“Shh…ci sono io qui con te…” disse teneramente John.
“Non ci riesco, John…non ce la faccio a sopportare tutto questo…sono stanco di stare così…” rispose Sherlock tra le lacrime.
“Lo so…” disse semplicemente il medico, iniziando a piangere anche lui. Poi lo prese per mano, si sedette sul divano e lo invitò a sdraiarsi, facendogli poggiare la testa sulle sue gambe, mentre gli sfiorava delicatamente il viso. Dopo qualche minuto, Sherlock parve calmarsi e si addormentò, cullato dalle carezze di suo marito.
John rimase a fissarlo per tutta la notte, piangendo in silenzio. Non poteva accettare di vederlo spegnersi lentamente, senza poter fare niente per impedirlo. Non poteva accettare di vederlo soffrire in quel modo. Ma soprattutto, non poteva accettare l’idea di dover vivere senza di lui. Gli mancava l’aria e si sentiva come se gli stessero strappando il cuore dal petto, riducendolo in mille pezzi. Dopo ore passate a piangere, quando i primi raggi del sole iniziarono ad illuminare il soggiorno di Baker Street, decisamente esausto, crollò anche lui in un sonno profondo.

 
Sherlock e John vennero svegliati dal suono del cellulare del detective. Il medico, dopo aver aiutato il marito a mettersi seduto, si alzò per andare a rispondere.
“Pronto?” disse ancora intontito.
“John, sono Greg… avrei bisogno di voi per un duplice omicidio al 102 di Bell Street. Potete raggiungermi?” chiese l’ispettore dall’altra parte.
“Greg, non credo che possiamo venire…” iniziò a dire John, cercando di farsi venire in mente una scusa plausibile.
Sherlock, che intanto si era alzato dal divano, prese velocemente il cellulare dalle sue mani.
“Ti raggiungiamo subito, Gavin!” esclamò, chiudendo la telefonata.
“Ma sei impazzito? Non puoi andare su una scena del crimine in queste condizioni!” urlò il medico, furioso.
“Come vedi, mi sento meglio…” rispose il detective, trattenendo una smorfia di dolore.
“Certo! Infatti si vede!” disse John, continuando ad urlare.
“Si può sapere perché state urlando?” chiese Sherlyn, entrando nel soggiorno tutta assonnata.
“Sherlyn, vestiti abbiamo un caso e mi serve il tuo aiuto!” esclamò Sherlock, dirigendosi verso la camera da letto per cambiarsi.
“Sherlock!” gridò il medico, cercando di fermarlo.
La ragazzina, però, all’improvviso, prese John da un braccio, attirando la sua attenzione.
“Papà…lascialo fare…!” disse seria.
“Ma Sherlyn, non è nelle condizioni di andare…” rispose il medico, sospirando.
“Papà…per lui è importante…devi lasciarlo andare…” ribatté lei, guardandolo dritto negli occhi.
In quel momento, John capì cosa voleva dirgli sua figlia con quelle parole. In fondo, considerando lo stato in cui si trovava Sherlock, ogni occasione per lui, su una scena del crimine, poteva anche essere l’ultima e, di certo, non poteva negarglielo.
“Va bene…” disse, abbassando lo sguardo. Poi si avviò verso il cassetto della scrivania, prese le compresse di morfina e le mise nella giacca. Appena furono tutti pronti, uscirono velocemente di casa, diretti verso la scena del crimine.

Arrivati al 102 di Bell Street, i tre scesero dal taxi e si avviarono dentro. Le vittime erano due: marito e moglie brutalmente assassinati con un coltello da cucina. L’uomo, di circa 60 anni, giaceva nel soggiorno, mentre la donna, di circa 50 anni, si trovava in camera da letto al piano di sopra.
“Finalmente siete arrivati!” esclamò Greg, sollevato “…credimi, in questo caso non ci stiamo capendo niente…sembra non ci siano impronte e prove di nessun tipo!” aggiunse disperato.
“Praticamente siete nelle solite condizioni!” rispose Sherlock, con sarcasmo.
“Va tutto bene?” chiese Lestrade, guardando John e Sherlyn.
“Si, certo!” esclamò prontamente il medico, sforzandosi di sorridere.
“Non lo so…vi vedo strani…” insistette l’ispettore.
“Avanti Gavin, non perdiamo altro tempo!” disse il detective all’improvviso “…Sherlyn, tu vai con tuo padre dall’uomo in soggiorno…io, intanto, vado a dare un’occhiata di sopra. Quando finisci, raggiungimi!” aggiunse, recandosi con Greg dalla donna.
“Va bene…” rispose la ragazzina, avviandosi con John dal cadavere del marito.

Appena furono di sopra, Sherlock iniziò ad analizzare il cadavere, mantenendo sempre una debita distanza. Dopo alcuni minuti, però, le fitte alla testa, che fino a poco prima sembravano diminuite, cominciarono nuovamente a farsi sentire. Iniziò, così, a massaggiarsi le tempie, nel vano tentativo di alleviare il dolore.
“Stai bene?” chiese Lestrade, preoccupato dall’espressione sofferente del detective.
Sherlock, però, non rispose. Si poggiò con una mano al muro e cominciò ad ansimare leggermente.
“Sherlock…” lo chiamò di nuovo l’ispettore, avvicinandosi a lui.
“Greg…chiama John…sbrigati…” rispose il consulente investigativo, poggiandosi anche con l’altra mano al muro, per reggersi meglio.
Lestrade, allarmato dal tono di urgenza del detective, corse velocemente di sotto a chiamare John.
“Sherlock!” urlò il medico, entrando nella stanza qualche attimo dopo “…che succede?” aggiunse, avvicinandosi a lui.
“Le hai portate?” chiese semplicemente Sherlock, trattenendo una smorfia di dolore.
“Si, vado a prenderti dell’acqua di sotto” rispose prontamente John.
“Lascia perdere l’acqua! Sbrigati!” esclamò il detective, alzando il tono di voce e porgendogli la mano.
Il dottore gli diede due compresse. Sherlock le ingoiò e si rimise nella stessa posizione di prima.
“Va meglio?” chiese il medico, dopo un po'.
“No…” rispose il consulente investigativo, lasciandosi sfuggire un gemito “…John…” riuscì ad aggiungere soltanto, prima di crollare a terra svenuto.
“Cristo Santo!... Sherlock…!” urlò John in preda al panico, cercando di fargli riprendere conoscenza, sotto gli occhi scioccati di Greg e Sherlyn.

Dopo alcuni minuti, il detective riaprì gli occhi.
“Ehi…” disse il medico, accarezzandogli il viso “…ho chiamato un’ambulanza, saranno qui tra poco…” continuò con dolcezza.
“No…voglio tornare a casa…” rispose Sherlock, cercando di mettersi seduto.
“Sherlock, devi andare in ospedale… e rimani sdraiato!” ribatté John, spingendolo di nuovo a terra.
“Ha ragione John… stai tranquillo…” aggiunse Greg, con voce tremante.
“No, John…ti prego…portami a casa…per favore…” supplicò il detective, mentre alcune lacrime gli uscivano senza controllo.
“Papà…andiamo a casa…” disse Sherlyn con gli occhi lucidi, mettendo una mano sulla spalla di John.
Il medico sospirò pesantemente e si passò le mani sul viso con disperazione.
“Va bene…” rispose rassegnato “…Greg, aiutami…” aggiunse rivolgendosi all’ispettore.
John e Lestrade si caricarono Sherlock addosso, prendendolo dalle braccia ed afferrandolo dalla vita. Poi lo portarono lentamente nell’auto di Greg. Non appena tutti e quattro furono a bordo, partirono, diretti verso Baker Street.






Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il quattordicesimo capitolo! Beh, con il titolo ho volutamente fatto un riferimento alla caduta della seconda stagione... in fondo, per Sherlock si tratta proprio di questo! Non ho resistito!
Cosa dire...il nostro detective sta crollando...non solo fisicamente, ma anche emotivamente...ed ha tutte le ragioni possibili.
Sherlyn, in questo capitolo, fa il ruolo della "voce della coscienza di John"... cercando di fargli capire, nelle varie occasioni, cosa è giusto fare per Sherlock.
Spero che, nonostante la drammaticità, il capitolo vi sia piaciuto. Vedremo cosa accadrà a Sherlock nel prossimo capitolo....
Grazie come sempre a chi segue la storia e a chi vuole lasciare un commento. 
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 15
*** Buon anniversario, John ***


              Ti strapperò il cuore



 



                                     Buon anniversario, John






… John e Lestrade si caricarono Sherlock addosso, prendendolo dalle braccia ed afferrandolo dalla vita. Poi lo portarono lentamente nell’auto di Greg. Non appena tutti e quattro furono a bordo, partirono, diretti verso Baker Street.
 


 
… Ho incontrato il tuo sorriso dolce, 
con questa neve bianca adesso mi sconvolge, 
la neve cade e cade pure il mondo 
anche se non è freddo adesso quello che sento 
e ricordati, ricordami: 
tutto questo coraggio non è neve

e non si scioglie mai…
                                                                              […] l'ultima notte al mondo io la passerei con te, 
mentre felice piango …

“L’ultima notte al mondo” - Tiziano Ferro    
 
  



Arrivati al 221B, Greg e John portarono Sherlock di sopra, gli tolsero sciarpa e cappotto e lo adagiarono lentamente sul divano.
“John, ma non era il caso di portarlo in ospedale? Non ha una bella cera…” chiese Lestrade, preoccupato.
In quel momento il detective guardò intensamente il marito e negò con il capo, cercando di fargli ricordare la sua promessa.
“No, Greg…è tutto sotto controllo! Sai, sta lavorando parecchio in questi giorni e purtroppo la stanchezza gioca brutti scherzi! Gli basterà soltanto un po' di riposo…” rispose John, sforzandosi di apparire tranquillo.
“Va bene…” disse l’ispettore, non molto convinto “…devo tornare sulla scena del crimine…vi serve qualcos’altro?” aggiunse serio.
“No, no…grazie di tutto!” rispose il medico, con un mezzo sorriso.
Lestrade, allora, anche se un po' titubante, salutò e ritornò al lavoro.
“Sei un completo idiota!” esclamò John, avvicinandosi al marito e inginocchiandosi vicino a lui e accanto alla figlia, che intanto gli teneva la mano “…come ti senti?” continuò, accarezzandogli il viso.
“Un po' meglio…” rispose Sherlock, accennando un sorriso “…mi prepareresti un po' di tè?” chiese poi, cercando di mettersi seduto.
“Certo! Ma tu non sforzarti troppo…!” disse il medico, alzandosi e andando in cucina.
Appena John sparì nell’altra stanza, il detective fece cenno a Sherlyn di avvicinarsi ulteriormente a lui.
“Sherlyn, devo chiederti un favore…” disse sottovoce alla figlia.
“Dimmi” rispose la ragazzina sorpresa.
“Più tardi, nel pomeriggio, devi convincere tuo padre ad uscire con una scusa qualsiasi. Mi serve che stia fuori almeno un’ora…e, in questo frattempo, devi aiutarmi ad organizzare una cosa…” disse serio Sherlock.
“Va bene…gli dirò che mi serve qualcosa dal supermercato…lo sai, litiga sempre con le casse automatiche e ci mette una vita a fare la spesa!” esclamò lei, con un mezzo sorriso.

 
Come da programma, nel pomeriggio, Sherlyn chiese a John se poteva andare al supermercato a comprarle alcune cose.
“Te la senti di rimanere da sola con lui?... Se non dovesse stare di nuovo bene…” disse il medico titubante.
“Tranquillo, papà…in tal caso ti chiamo!” rispose sicura la ragazzina.
John annuì poco convinto. Poi si mise la giacca ed uscì velocemente dall’appartamento.

 
Dopo un’ora e mezza circa, il medico tornò a casa con una busta in mano. Come previsto dalla figlia, aveva di nuovo litigato con la cassa automatica e ci aveva impiegato anche più del dovuto. Appena aprì la porta, rimase sorpreso dalla scena che gli si presentò davanti. Il tavolo della cucina, era stato portato in soggiorno ed era apparecchiato, in modo impeccabile, per due. La stanza era illuminata grazie a delle candele che erano sparse un po' ovunque e dalla luce del camino acceso. Subito dopo, all’improvviso, le note della musica, che lui e il marito avevano ballato al loro matrimonio, echeggiarono in tutta la casa. A suonarla era Sherlyn, che ormai la aveva imparata tutta. In quel momento, Sherlock uscì sorridente dalla cucina, vestito di tutto punto. Si avvicinò lentamente a lui e gli diede un tenero bacio.
“Buon anniversario, John…” gli disse dolcemente.
John era senza parole. Era tutto così perfetto, che alcune lacrime gli rigarono il viso dalla commozione.
“Mi concedi questo ballo?” chiese il detective, porgendogli la mano.
Il medico annuì, poggiò la busta, si tolse la giacca e danzò con il marito sulle note della loro canzone. Alla fine della melodia si scambiarono un altro bacio, sotto gli occhi soddisfatti di Sherlyn.
“Beh, io vado in camera mia…il mio lavoro qui è finito!” esclamò la ragazzina, riponendo il violino nella custodia ed avviandosi di sopra sorridente “…ah, la cena è nel forno!” aggiunse, guardando John e facendogli l’occhiolino.
John sorrise, ma appena la figlia uscì, si rattristò ed abbassò lo sguardo.
“Sherlock…tutto questo è meraviglioso…ma…oggi non è il nostro anniversario…” disse serio.
“Si, lo so…è tra sei mesi…ma sai, ci pensavo oggi…considerate le mie condizioni e…visto che…sicuramente io…io non ci sarò…volevo solo…” cercò di spiegare Sherlock con voce tremante, ma non riuscì a finire la frase.
“Oh, Sherlock…” disse semplicemente il medico, abbracciandolo con forza, mentre altre lacrime gli uscivano senza controllo.
“Sai, volevo portarti a cena fuori come facciamo di solito…ma vista la situazione, ho pensato di organizzare tutto qui!” esclamò il detective, staccandosi da lui.
“Non potevi fare scelta migliore…” rispose John, sorridendo “…beh, vediamo cosa c’è di buono nel forno! Spero non abbia cucinato tu!” aggiunse con sarcasmo, asciugandosi il viso.
“No, stai tranquillo…è tutto merito di Sherlyn!” esclamò Sherlock, ridendo di gusto, mentre prendeva posto a tavola.
Appena il medico uscì dalla cucina con i vassoi in mano, trovò il consulente investigativo con i gomiti poggiati sul tavolo, intento a massaggiarsi le tempie.
“Ehi, va tutto bene?” chiese preoccupato.
“Si, si…stai tranquillo!” mentì il detective, sforzandosi di sorridere. Effettivamente le fitte non facevano che tormentarlo, ma si era ripromesso che avrebbe resistito nonostante tutto. Voleva farlo per suo marito, per regalargli la serata che meritava.
“Sherlock, non mentirmi…” ribatté John serio, mentre poggiava le pietanze sul tavolo.
“John…ti prego…per stasera dimenticati di tutto il resto e pensa solo a goderti la cena…” lo implorò Sherlock, prendendolo per mano.
Il medico annuì e si sedette anche lui a tavola.
Dopo aver finito di mangiare, il detective si alzò e si diresse alla finestra, attirato da qualcosa.
“Guarda, John…nevica!... Vieni qui…so che ami guardare la neve che cade…” esclamò, continuando a guardare fuori.
“Si, è vero…tu invece l’hai sempre odiato!” rispose John, avvicinandosi a lui e sorridendo.
“Non ci crederai…ma stasera lo trovo stranamente piacevole…” disse Sherlock, con un sorriso triste. Poi si voltò, improvvisamente, verso suo marito e lo attirò a sé, iniziando a baciarlo con passione. Mentre iniziava a spogliarlo con dolcezza, però, il medico lo fermò.
“Sherlock…non è il caso…” esclamò, afferrandogli le mani.
“Lascia decidere a me se è il caso…” ribatté il detective, riprendendo a baciarlo.
John si staccò velocemente e lo allontanò, abbassando lo sguardo.
“Questa mattina sei stato male…e questo sforzo non ti farà bene…” disse, sospirando “…avremo altre occasioni, quando starai meglio!” aggiunse, guardandolo negli occhi.
“Dannazione John! Smettila!” urlò Sherlock, sorprendendo suo marito.
“Di fare cosa?” chiese il medico, confuso.
“Smettila di negare l’evidenza!” rispose, ansimando leggermente. Poi si poggiò con una mano alla poltrona, per sorreggersi meglio “…Santo cielo, sei un medico…per una volta, sforzati e pensa da medico!... Lo vedi anche tu che sto peggiorando giorno dopo giorno…quanto tempo credi che abbiamo ancora?... Lo capisci che questa potrebbe essere la nostra ultima occasione?” aggiunse, mettendosi una mano sulla fronte, decisamente provato dallo sforzo.
“Vieni…andiamo a letto…hai bisogno di sdraiarti…” disse John con voce tremante, afferrandolo dalla vita. Aveva gli occhi lucidi, chiaro segno che quelle parole lo avevano profondamente colpito.
Arrivati lentamente in camera da letto, il medico aiutò suo marito a sdraiarsi e poi si mise accanto a lui, iniziando ad accarezzargli il viso con dolcezza.
Dopo un po' Sherlock si girò verso di lui ed iniziò a guardarlo intensamente.
“È una cosa che non posso accettare, Sherlock…l’idea di vivere senza di te…” disse all’improvviso John, abbassando lo sguardo, mentre alcune lacrime cadevano sul cuscino.
“Shh…” lo zittì il detective, avvicinandosi a lui ed iniziando a baciarlo.
Questa volta il medico non si oppose. Si lasciò andare con trasporto alle attenzioni di suo marito.
Quella notte Sherlock e John fecero l’amore con tutta la dolcezza e tutta la passione che riuscirono a provare. Si concessero l’uno all’altro come se non ci fosse un domani, come se quella fosse la loro ultima notte insieme.
Appena tutto finì, si sdraiarono tra le lenzuola, esausti e soddisfatti. Ben presto, però, il medico si accorse che suo marito si teneva le mani sulla fronte. Aveva gli occhi chiusi, un’espressione sofferente ed ansimava pesantemente.
“Sherlock…” lo chiamò allarmato, sedendosi sul letto.
“Stai tranquillo…John…sta passando…” rispose il detective, con il respiro corto.
“Vado a prenderti le compresse…” disse John, iniziando ad alzarsi dal letto.
“No…resta qui!” esclamò Sherlock, afferrandolo da un braccio “…Non ho bisogno della morfina…ho bisogno di te…” aggiunse, leggermente ripreso.
Il medico, allora, si sdraiò di nuovo accanto a lui. Poggiò la testa sul suo petto e lo abbracciò con dolcezza, lasciando che il marito facesse lo stesso.
“Allora…ti è piaciuta la sorpresa?” chiese all’improvviso il detective.
“E me lo chiedi?... Era tutto perfetto!... Solo che tu mi hai regalato una bellissima serata ed io, invece, non ti ho regalato niente…” rispose John, sospirando.
“Qui ti sbagli, John…tu mi hai regalato più di quanto immagini…” disse Sherlock.
“Buon anniversario, Sherlock!” esclamò il medico, con un mezzo sorriso.
Il detective sorrise a sua volta e strinse suo marito con maggiore forza. Poi entrambi si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro, cullati dal calore di quell’abbraccio. 






Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il quindicesimo capitolo! E' un capitolo più romantico rispetto ai precedenti. Qui ho voluto dare spazio interamente a Sherlock e John. L'atmosfera che regna e lo sfondo che si intravede, mi sono stati ispirati dalla canzone di Tiziano Ferro, di cui vi ho riportato alcune parole all'inizio. In fondo, per i due potrebbe realmente essere l'ultima notte insieme...ma non voglio nè confermarlo e nè negarlo...vedremo cosa accadrà nel prossimo capitolo. 
Spero che vi sia piaciuto...io vi confesso che ci ho lasciato un pò di lacrime mentre lo scrivevo...! ;)
Grazie come sempre a chi segue la storia e a chi vuole lasciare un commento.
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 16
*** Ti voglio bene, fratellino ***


               Ti strapperò il cuore








                                        Ti voglio bene, fratellino






… “Qui ti sbagli, John…tu mi hai regalato più di quanto immagini…” disse Sherlock.
“Buon anniversario, Sherlock!” esclamò il medico, con un mezzo sorriso.
Il detective sorrise a sua volta e strinse suo marito con maggiore forza. Poi entrambi si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro, cullati dal calore di quell’abbraccio.
 



 
 
La mattina dopo Sherlock si svegliò e si ritrovò da solo nel letto. Dai rumori che sentiva provenire dalla cucina, John stava sicuramente preparando la colazione. Anche Sherlyn era sveglia. La sentiva sbuffare e camminare nervosamente nel soggiorno. Sicuramente stava lavorando al caso del signor Thompson, che le aveva affidato. Appena si mise seduto sul letto, un forte capogiro lo costrinse a chiudere gli occhi. Quella mattina si sentiva strano: nonostante avesse dormito, infatti, si sentiva esausto e decisamente debole. Fece comunque un profondo respiro e, con un po' di fatica, si mise in piedi ed uscì lentamente dalla stanza.
“Buongiorno papà Sherlock!” esclamò Sherlyn appena lo vide.
“Buongiorno Sherlyn…ma non dovresti essere a scuola?” chiese il detective, guardando l’ora.
“La scuola è chiusa a causa della bufera di neve. Almeno posso dedicarmi un po' a questo!” rispose la ragazzina, sventolando il fascicolo.
Sherlock le sorrise e si diresse in cucina dal marito.
“Buongiorno!” disse John, mentre era intento a preparare del tè.
“Buongiorno a te…” rispose il detective, dandogli un bacio.
Appena il consulente investigativo si voltò per ritornare in soggiorno, un altro forte capogiro lo obbligò a mantenersi allo stipite della porta.
“Che succede?” domandò il medico allarmato.
“Stamattina mi gira un po' la testa…” rispose Sherlock, visibilmente impallidito.
“Vieni…sdraiati sul divano…” disse John, afferrandolo ed aiutandolo a sdraiarsi.
Il detective poggiò la testa sul cuscino, chiuse gli occhi e si addormentò, cadendo in un sonno profondo.
 

Sherlock si risvegliò intontito. Guardando fuori dalla finestra si accorse che era quasi il tramonto. Aveva dormito davvero tanto per i suoi standard.
“Finalmente ti sei svegliato!” esclamò il medico avvicinandosi a lui e accarezzandolo dolcemente “…Sai, la notte dovresti dormire, invece di fare baldoria!” aggiunse con sarcasmo, lanciandogli un occhiolino malizioso “…vado a prepararti qualcosa da mangiare…sarai affamato!” continuò andando in cucina.
Il detective sorrise e si mise lentamente seduto. Nonostante avesse dormito tutte quelle ore, però, si sentiva sempre come quella mattina. Anzi, dei nuovi disturbi si erano aggiunti: il battito accelerato, dei brividi lungo tutto il corpo e le mani leggermente tremanti. Cercando di non pensarci, si alzò dal divano ed afferrò il suo violino, nel vano tentativo di rilassarsi. Appena iniziò a suonare, però, un altro capogiro, lo obbligò a fermarsi e a mantenersi alla sua poltrona. Decisamente frustrato, abbassò lo sguardo e sospirò pesantemente.
“Se ti gira la testa posso suonare io per te…” disse dolcemente Sherlyn alle sue spalle.
Sherlock si voltò e le diede il violino. Poi si accomodò lentamente sulla sua poltrona.
La ragazzina si mise a suonare una musica dolce a rilassante, con un’eleganza nei movimenti da lasciare senza parole. Verso metà melodia, però, il detective non si sentiva più rilassato, anzi, si sentiva ancora peggio. Con un po' di fatica si alzò e andò in cucina.
“John…” disse, ansimando leggermente. La vista iniziava ad offuscarsi e si passò una mano sugli occhi, poggiandosi al tavolo.
“Sherlock, che cos’hai?” chiese John, accorgendosi dello stato di suo marito. Poi si avvicinò a lui e lo afferrò dalla vita, per aiutarlo a stare in piedi “…andiamo di là sul divano…” aggiunse, iniziando a portarlo nell’altra stanza.
Sherlyn si accorse di ciò che stava accadendo e lasciò di suonare, correndo ad aiutare suo padre.
“John…non mi sento molto bene…” disse Sherlock, reggendosi con più forza al marito. Quando furono quasi vicino al divano, infatti, crollò svenuto tra le braccia di John e Sherlyn.
“Sherlock!” provò a chiamarlo il medico, cercando di farlo rinvenire. Un’ondata di panico, però, gli attraversò il corpo, quando si accorse che non respirava “…No…no…no…santo cielo!” esclamò, prendendogli il polso per sentire se c’era battito.
“Papà che succede?” chiese la ragazzina allarmata.
“Cristo santo non c’è battito…chiama subito un’ambulanza! Sbrigati!” urlò John terrorizzato.
Sherlyn si alzò di scatto, prese il cellulare con le mani tremanti e chiamò i soccorsi.
“Razza di idiota…non farmi questo…non adesso…!” esclamò il medico, iniziando ad eseguire un massaggio cardiaco sul marito. Dopo un po', per fortuna, il cuore del detective riprese a battere.
Appena arrivò l’ambulanza caricarono velocemente il consulente investigativo e John chiese di salire a bordo con loro insieme a Sherlyn. D’altronde la signora Hudson non era in casa e non poteva lasciare la figlia da sola in quella situazione.

Giunti in ospedale, John fece un veloce giro di telefonate, avvisando tutti dell’accaduto. I primi a precipitarsi decisamente allarmati, furono Greg e Mycroft.
“Cos’è successo?” chiese il politico preoccupato.
In quel momento il medico decise di infrangere la promessa che aveva fatto a suo marito e raccontò quello che era successo due giorni prima. Alla notizia, i due rimasero senza parole. Mycroft, soprattutto, sbiancò visibilmente e dovette reggersi al muro. Aveva le gambe che gli tremavano e non riusciva a prendere aria.
“Mycroft…vieni…siediti…” gli disse dolcemente l’ispettore con le lacrime agli occhi, mentre lo aiutava a mettersi seduto.
“Tieni…bevi un po' di questo!” esclamò John, tornando poco dopo con un bicchiere d’acqua e zucchero, preso al distributore automatico.
Il politico bevve l’acqua e si poggiò con la testa al muro, chiudendo gli occhi. Era ancora pallido ed ansimava leggermente.
Rimasero in attesa per un tempo che sembrò interminabile, senza riuscire ad avere notizie sulle condizioni del detective.

Dopo un paio d’ore, il dottor Stevenson uscì dalla porta con un’espressione scura in volto.
“Dottor Watson…” disse serio, avvicinandosi a John “…mi dispiace, ma le condizioni di suo marito sono estremamente gravi…devo purtroppo avvisarla che non passerà questa notte…mi dispiace davvero tanto…” aggiunse, mettendogli una mano sulla spalla “…se volete, uno per volta, potete entrare a salutarlo...” continuò rivolgendosi anche agli altri. Poi strinse la presa sulla spalla del medico e ritornò in reparto.
John rimase immobile a guardare quella porta. Non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare. All’improvviso, Sherlyn corse da lui e lo abbracciò con forza, iniziando a piangere. Lui si abbassò leggermente e ricambiò la stretta, lasciando libero sfogo alla sua frustrazione.
Senza dire una parola, Mycroft si alzò dalla sedia e si diresse verso la stanza di suo fratello.
“Ce la fai?” gli chiese Greg preoccupato.
Il politico annuì semplicemente e sparì dalla loro vista.
Appena aprì la porta della camera, vide che Sherlock era sveglio. Aveva tutte le macchine attaccate, il tubicino dell’ossigeno nel naso ed una flebo di morfina. Vederlo in quelle condizioni era straziante. Rimanendo in silenzio, si avvicinò al letto, si sedette sulla sedia, gli prese la mano e se la portò alla fronte, iniziando a piangere.
Il detective rimase per qualche momento a fissarlo. Era sempre stato abituato a vederlo freddo e impassibile, che in quel momento e in quelle condizioni, non gli sembrò nemmeno lui. Sembrava l’ombra di sé stesso.
“Mycroft…” lo chiamò, stringendo la mano di suo fratello.
Il politico alzò gli occhi pieni di lacrime e si sforzò di fargli un sorriso.
“Devi fare una cosa per me…” disse Sherlock, con voce tremante.
“Cosa?” chiese Mycroft.
“Quando io…” iniziò il detective, ma si fermò abbassando lo sguardo “…devi stare vicino a John e a Sherlyn…devi aiutarli ad andare avanti e a superare tutto questo…devi impedire che crollino…” aggiunse con le lacrime agli occhi “…sai, Sherlyn è una ragazzina forte…ma John è quello che mi preoccupa di più…ho paura che faccia qualcosa di avventato…” continuò, sospirando.
“E chi penserà a me?... Chi impedirà che io crolli?” domandò il politico tra le lacrime.
Sherlock rimase colpito da quelle parole. Non si aspettava una reazione del genere da parte di suo fratello.
“Oh, Mycroft…tu sei l’uomo più forte che io conosca…e poi ora hai Greg…” rispose il detective, con un mezzo sorriso.
“Si, ma tu sei mio fratello…sei tutto ciò che mi rimane della nostra famiglia!” esclamò Mycroft, guardandolo negli occhi “…io ho sempre voluto solo proteggerti e tenerti al sicuro…mi dispiace di non esserci riuscito…di aver fallito…” aggiunse, abbassando lo sguardo.
“Fallito!?” disse Sherlock, sorpreso “…tu sei stato il fratello migliore che potessi mai avere…sono io che dovrei scusarmi con te, per non aver fatto abbastanza! Ti ho dato colpe che non avevi, ti ho riservato per anni solo il mio rancore e il mio disprezzo…e tu, nonostante tutto, non hai mai smesso di volermi bene…!” continuò, mettendogli una mano sulla spalla.
“E non potrei mai smettere di farlo…” rispose il politico, afferrando la sua mano.
“Sai, Mycroft…non credo di avertelo mai detto…ma…anche io ti voglio bene…anche più di quanto immagini…” disse il detective, mentre una lacrima gli rigava il viso “…ho solo un rimpianto…di non essere mai riuscito a dimostrartelo quanto avresti meritato…” aggiunse, abbassando lo sguardo.
Mycroft non rispose. Si alzò e lo abbracciò con tutta la forza di cui era capace, piangendo e singhiozzando senza controllo. Dopo qualche minuto stretti in quel disperato abbraccio, si staccarono e si guardarono intensamente negli occhi.
“Ieri Greg mi ha chiesto di sposarlo…!” esclamò all’improvviso il politico.
“E me lo dici così? Hai intenzione di farmi prendere un colpo?” rispose il detective con sarcasmo “…ma tu hai intenzione di rifiutare…” aggiunse poi, osservandolo con attenzione.
“Mi conosci…non sono tagliato per questo genere di cose!” disse Mycroft, abbassando lo sguardo.
“Dicevo anche io la stessa cosa…e poi guarda dove sono finito…!” rispose Sherlock con un mezzo sorriso, trattenendo una smorfia di dolore “…sai, Mycroft…ti sei sempre sbagliato!... I sentimenti non sono uno svantaggio, ma lo è decidere di non provarne…! Non negarti l’opportunità di essere felice…perché credimi, trovare qualcuno con cui condividere la tua vita e che affida la sua nelle tue mani…è la cosa più bella che possa capitarti! E quando succede, riesci ad assaporarlo…il dolce gusto della felicità!” continuò, guardando verso la finestra, mentre una lacrima gli rigava il viso.
Il politico rimase senza parole. Non aveva mai sentito suo fratello parlare in quel modo. Restarono entrambi per qualche minuto in silenzio, persi nei loro pensieri. Poi all’improvviso, il detective riprese a parlare.
“Quindi farai quella cosa per me?” chiese nuovamente Sherlock.
Il politico annuì, asciugandosi il viso e cercando di mostrare la sua solita espressione.
“Ma sbaglio o sei ingrassato?” domandò, subito dopo, il consulente investigativo con un mezzo sorriso.
“Sbagli…non ci crederai, ma sono dimagrito!” rispose prontamente Mycroft, sorridendo con gli occhi lucidi.
In fondo, quel botta e risposta, che apparentemente sembrava intrinseco di disprezzo, era sempre stato il loro modo speciale di dirsi “Ti voglio bene, fratellino”. 





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il sedicesimo capitolo! Sto andando veloce nella pubblicazione, perchè alcuni pezzi di questi capitoli li avevo già scritti, in preda a momenti di ispirazione...!
Parte del capitolo l'ho voluto dedicare a Sherlock e Mycroft...perchè in fondo se lo meritavano, soprattutto in questa situazione...! Ciò che si sono detti, comunque, è stata la parte più difficile da scrivere, perchè i momenti tra loro tendono sempre ad emozionarmi...! 
Spero che nonostante la drammaticità, il capitolo vi sia piaciuto...! A domani con il prossimo, in cui vi anticipo, Sherlock parlerà con Sherlyn e John...! Praticamente preparate altri fazzoletti...!
Grazie a chi con coraggio sta continuando a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento. 
Alla prossima ;)

 

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Capitolo 17
*** Addio, Sherlock ***


           Ti strapperò il cuore







                                           Addio, Sherlock






… “Ma sbaglio o sei ingrassato?” domandò subito dopo il consulente investigativo con un mezzo sorriso.
“Sbagli…non ci crederai, ma sono dimagrito!” rispose prontamente Mycroft, sorridendo con gli occhi lucidi.
In fondo, quel botta e risposta, che apparentemente sembrava intrinseco di disprezzo, era sempre stato il loro modo speciale di dirsi “Ti voglio bene, fratellino”.
 





 
Mycroft si avvicinò alla maniglia della porta per uscire dalla stanza. Rimase fermo per qualche istante, poi si voltò nuovamente verso suo fratello, si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla fronte, accarezzandolo con dolcezza. Subito dopo sospirò pesantemente ed uscì senza pensarci due volte. Appena Greg lo vide, corse da lui ad abbracciarlo, stringendolo a sé con forza.
John, intanto, camminava avanti e indietro nella saletta, passandosi nervosamente le mani sul viso.
“John, vai…entra tu” disse Lestrade, staccandosi dal fidanzato e avvicinandosi a lui.
“No ...non posso…” rispose il medico, continuando a camminare freneticamente.
“Che vuol dire che non puoi? Devi andare da lui prima che…” provò a dire l’ispettore, ma si fermò a metà frase.
“No, Greg…non posso vederlo morire…non di nuovo…!” esclamò John, poggiandosi esausto con la schiena al muro. Poi si lasciò scivolare a terra, mettendosi le mani sul volto ed iniziando a piangere.
Prima che Lestrade potesse avvicinarsi, Sherlyn si inginocchiò davanti al padre e lo abbracciò con forza, cullandolo dolcemente tra le sue braccia.
“Zio Greg, vai tu…ci penso io a lui…” disse poi, continuando ad accarezzare John.
L’ispettore annuì tristemente e si diresse nella camera di Sherlock. Appena entrò, rimase sconvolto nel vederlo in quelle condizioni. Si bloccò con la maniglia della porta ancora in mano, e si mise ad osservarlo intensamente.
“Greg…!” lo chiamò il detective, passandosi stancamente una mano sugli occhi.
“Ehi, Sherlock…” disse Greg con le lacrime agli occhi, sbloccandosi ed avvicinandosi a lui.
“Avete risolto il caso del duplice omicidio?” chiese Sherlock curioso.
“Lasciamo perdere…quel caso mi sta facendo impazzire!” rispose Lestrade, sospirando pesantemente.
“Ti aiuterei volentieri…ma come vedi…sono leggermente impossibilitato…!” esclamò il detective con sarcasmo “…comunque Sherlyn è davvero in gamba, saprà aiutarti lei…non sottovalutarla solo perché è una ragazzina…so, che prenderà egregiamente il mio posto…” aggiunse, sorridendo con tristezza.
“Nessuno potrà mai prendere il tuo posto, Sherlock…” si lasciò sfuggire Greg, abbassando lo sguardo e asciugandosi alcune lacrime che iniziarono a rigargli il viso.
Sherlock sorrise, piacevolmente sorpreso da quelle parole. Poi ritornò di nuovo serio.
“Greg…io volevo ringraziarti…sei stato davvero un amico leale…e mi hai salvato la vita così tante volte e in così tanti modi…” disse, con voce leggermente tremante.
“Vorrei poterlo fare anche adesso…” rispose tristemente l’ispettore.
“Mi raccomando…prenditi cura di mio fratello…avrà bisogno di te quando sarà tutto finito…” disse poco dopo, guardandolo intensamente.
“Certo che lo farò…tengo davvero tanto a lui…” rispose Lestrade, con un mezzo sorriso.
“Lo so…ho saputo della tua proposta!” esclamò il detective, sorridendo soddisfatto.
“Sono stato uno stupido…dovevo saperlo, che lui non ama certe cose…” rispose Greg, sospirando.
“Dagli un po' di tempo e vedrai che accetterà…fidati di me!” disse Sherlock, mettendogli una mano sulla spalla.
“L’ho sempre fatto!” esclamò Lestrade, mettendo la sua mano su quella del detective “…mi mancherai, Sherlock…” aggiunse, stringendola con forza.
Appena Greg uscì dalla stanza, si accorse che, intanto, anche tutti gli altri erano arrivati: Molly, la signora Hudson, Billy e perfino Harry. Sherlyn, nel frattempo, aveva portato John a prendere un po' d’aria fuori e i presenti ne approfittarono per dare, anche loro, l’ultimo saluto al detective.

Dopo una mezz’ora circa, il medico rientrò con la figlia, decisamente ripreso.
“Papà, vuoi andare tu?” chiese dolcemente la ragazzina.
“No, vai prima tu…” rispose John con lo sguardo basso.
Sherlyn annuì e si diresse nella camera di Sherlock.
“Papà Sherlock…” disse con le lacrime agli occhi, appena entrò dentro.
“Sherlyn!” esclamò il detective, regalandole un enorme sorriso.
La ragazzina si avvicinò lentamente al letto e si sedette sulla sedia, prendendogli la mano.
“Come va con il caso del signor Thompson?” chiese Sherlock, passandosi una mano sulla fronte e trattenendo una smorfia di dolore.
“Non bene purtroppo…non riesco a venirne a capo…mi sa che questa volta mi hai sopravvalutato…” rispose Sherlyn, abbassando lo sguardo.
“No, Sherlyn…lo risolverai, ne sono sicuro! …Tu ancora non ti rendi conto di quanto sei speciale…!” esclamò il detective sorridendo.
“Ne sei davvero convinto?” chiese la ragazzina, guardandolo negli occhi.
“Si…e so anche che diventerai un consulente investigativo migliore di me!” rispose Sherlock, stringendo la sua mano.
“Questo è impossibile!” disse Sherlyn, con un mezzo sorriso.
“No, non lo è Sherlyn!... Sai perché io e tuo padre siamo sempre stati una coppia perfetta? Perché ci siamo completati a vicenda…io sono sempre stato la mente e lui il cuore. Io non sono diventato famoso quando lavoravo da solo, ma è successo quando ho iniziato a lavorare con tuo padre…e questo perché lui mi ha dato quell’elemento in più che a me è sempre mancato!... Tu al contrario mio, sei perfetta!... Hai una mente brillante, hai assimilato in modo eccellente il mio metodo deduttivo, ma la cosa più importante è che hai il cuore di tuo padre…e credimi, è questo che ti porterà lontano e che ti renderà migliore di me!” rispose il detective con le lacrime agli occhi.
La ragazzina rimase colpita da quelle parole. Restò a fissare Sherlock per qualche istante, senza sapere cosa dire. Poi, però, abbassò di nuovo lo sguardo e sospirò.
“Papà Sherlock…io ho paura!... Ho paura di non farcela!... Ho ancora bisogno di te…della tua guida!... Non so se da sola sarò forte abbastanza…ho paura di deluderti…!” esclamò iniziando a piangere.
“Sherlyn…” la chiamò Sherlock, alzandole delicatamente il volto con la mano e guardandola intensamente negli occhi “…Ce la farai, anche senza di me!... Ho visto abbastanza di te, da sapere che mi renderai orgoglioso…!” aggiunse, passandole le mani nei capelli e scompigliandoglieli come faceva di solito per farla ridere.
La ragazzina, infatti, sorrise, mentre altre lacrime le rigavano il viso.
“Sherlyn…devi farmi una promessa…so di chiederti un enorme favore…e so che anche per te sarà difficile tutto questo…ma devi stare vicina a tuo padre…devi aiutarlo ad andare avanti nonostante tutto!... Io lo conosco…sarà tentato di mollare, di lasciarsi andare…ma tu non devi permetterglielo!” esclamò il detective, passandosi nervosamente le mani sul viso.
“Te lo prometto, papà Sherlock…” rispose sicura Sherlyn.
“Vieni qui…” disse Sherlock, spostandosi leggermente, con molta fatica e facendole posto vicino a lui.
La ragazzina si sdraiò con molta attenzione, poggiò la testa sul suo petto e si lasciò abbracciare, circondando la vita del detective con il suo braccio.
“Vorrei poter fermare il tempo…e rimanere qui…stretta tra le tue braccia, per sempre…!” esclamò all’improvviso Sherlyn, sorprendendo il consulente investigativo.
Sherlock sorrise, ma non rispose. Poi la strinse a sé con maggiore forza, accarezzandola con dolcezza, mentre alcune lacrime gli uscivano senza controllo.
Dopo qualche minuto i due si staccarono e la ragazzina si alzò dal letto. Si asciugò le lacrime e diede al detective un bacio sulla guancia. Poi si avviò verso la porta, si voltò a guardarlo un’ultima volta ed uscì. Appena fu fuori, però, un senso di angoscia la pervase a tal punto, che iniziò a piangere e a singhiozzare. Nel momento in cui John la vide uscire in quelle condizioni, si precipitò da lei e la abbracciò con forza, cercando di consolarla. Subito dopo anche Greg si avvicinò a loro.
“La porto un po' fuori…tu vai da lui…” disse, porgendo la mano a Sherlyn.
Sherlyn afferrò la mano dello zio e fece cenno a suo padre di entrare dentro. Il medico respirò profondamente e si avviò verso la stanza di suo marito. Arrivato davanti alla porta, rimase per qualche istante immobile con la maniglia in mano. Non aveva la forza e il coraggio di affrontare tutto quello. Cercò di calmarsi e di riprendere il controllo di sé, poi aprì la porta ed entrò.
“John…” disse Sherlock contento.
John non disse niente. Si precipitò da lui e lo abbracciò con forza, iniziando a piangere.
“John…ti prego…” lo supplicò il detective, trattenendo anche lui le lacrime.
“Non ce la faccio, Sherlock…non posso perderti di nuovo…” disse il medico, stringendolo con più forza.
“Certo che ce la fai…sei un uomo forte, John…più di quanto credi…e poi hai Sherlyn al tuo fianco…” rispose Sherlock, accarezzandolo con dolcezza. Subito dopo una fitta alla testa lo colpì all’improvviso e si portò la mano alla fronte, lasciandosi sfuggire un gemito.
“Che succede?” chiese John allarmato, staccandosi da lui.
“Niente…va tutto bene…” cercò di tranquillizzarlo il detective, facendo un mezzo sorriso “…vieni qui…sdraiati vicino a me…” aggiunse, cercando di spostarsi un altro po'.
Il medico si sdraiò vicino al marito. Gli fece poggiare la testa sul suo petto ed iniziò ad accarezzarlo con le mani tremanti.
“Ora va molto meglio…” rispose Sherlock, rilassato tra le braccia del dottore.
Rimasero per qualche istante in silenzio, poi il detective riprese a parlare.
“John…conoscerti è stato il dono più bello che la vita potesse farmi…” disse all’improvviso “…Sai, a causa del mio lavoro e del mio contestabile modo di vivere, non ho mai pensato di poter avere una vita lunga davanti a me…e sinceramente, questo pensiero, non mi ha mai creato problemi…anzi! È sempre stata l’idea di invecchiare e di vedere il declino della mia geniale mente, a terrorizzarmi…! ...Da quando sei entrato nella mia vita, però, ho iniziato a vedere le cose sotto un altro punto di vista…e devo ammetterlo, l’idea di invecchiare insieme, adesso, non mi sembrava poi così male…!” continuò, facendo un sorriso triste “…Mi dispiace davvero tanto, John… per tutte le mie cavolate, per tutte le volte che ti ho fatto soffrire e per tutte le volte in cui ho fallito come marito. Mi dispiace, in particolare, per tutto questo…per aver fallito ancora una volta!” aggiunse mentre alcune lacrime iniziavano a rigargli in viso “…La cosa che mi fa stare più male è il pensiero di tutto ciò che non potrò più fare e che non potrò più darti: non potrò più farti ridere e vedere il tuo volto illuminarsi con il tuo meraviglioso sorriso…non potrò più farti arrabbiare e vedere la tua espressione di rimprovero, la tua ira e le tue scariche di violenza…non potrò vedere Sherlyn crescere e diventare un geniale consulente investigativo…non potrò più vederti al mattino, con i capelli scompigliati e l’aria assonnata…non potrò più baciarti, toccarti e abbracciarti…ma soprattutto…non potrò più consolarti e starti vicino, quando avrai bisogno di me…!... Mi dispiace per tutte queste mancanze che avrai a causa mia, John…!” concluse, stringendo suo marito con maggiore forza.
Anche John, intensificò la stretta, profondamente commosso da quelle parole.
“Ti prego, Sherlock…non lasciarmi…ti prego…fai un altro miracolo per me…!” esclamò, in preda alla disperazione.
“Mi dispiace, John…credo di averli finiti…” rispose Sherlock, con un sorriso amaro. Poi ritornò serio e, trattenendo un’altra smorfia di dolore, alzò leggermente la testa per guardare suo marito negli occhi.
“C’è una cosa che devi promettermi, John…che vivrai e che andrai avanti…per Sherlyn…perché ha ancora bisogno di te!... Ti prego, John…promettimi che non ti lascerai andare…che sarai forte…e che cercherai di essere felice, nonostante tutto…” disse tra le lacrime.
“Non posso farlo, Sherlock…” rispose il medico, continuando a piangere.
“Ti prego, John…promettimelo…per favore…!” lo supplicò il detective, stringendo la sua mano.
John lo guardò per un istante negli occhi ed annuì semplicemente. Sherlock allora mise di nuovo la testa sul suo petto, rilassandosi e sospirando. Iniziava a sentirsi stanco e voleva solo chiudere gli occhi e dormire.
“Sono così stanco, John…” disse con un filo di voce “…stringimi forte…ho paura…” confessò, iniziando a tremare leggermente.
“Shh…ci sono io qui con te…” rispose il medico, stringendolo più forte a sé.
“Ti amo, John…” disse il detective, con voce tremante.
“Ti amo anche io, Sherlock…” rispose John, sporgendosi leggermente per dargli un dolce bacio sulle labbra.
Sherlock ricambiò il bacio, sorrise e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalle carezze di suo marito. Dopo alcuni minuti il suo cuore smise di battere e morì tra le braccia di John, del suo John.
Appena il medico se ne accorse, iniziò a piangere e a singhiozzare senza controllo, continuando a stringerlo ed invocando il suo nome.
“Sherlock…” continuava a ripetere in preda alla disperazione.
Dopo un tempo che sembrò interminabile, cercò di prendere le ultime forze che gli erano rimaste e si alzò dal letto. Guardò suo marito per qualche istante, si avvicinò a lui, gli diede un ultimo bacio e gli accarezzò teneramente il viso. Poi si voltò con la sua postura da soldato ed uscì dalla stanza. Doveva comunicare la notizia anche agli altri lì fuori. Appena lo videro uscire, tutti si voltarono a guardarlo. Lui, però, non disse niente. Negò semplicemente con il capo, abbassò lo sguardo e riprese a piangere. In quel momento, però, la vista cominciò ad offuscarsi, i suoni intorno a lui divennero ovattati e crollò a terra svenuto. L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi, fu la voce di Sherlyn che lo chiamava, poi tutto divenne buio. 






Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il diciassettesimo capitolo! E' stato sicuramente il capitolo più difficile da scrivere...credo di averci lasciato un pezzo del mio cuore e buona parte delle mie lacrime...in fondo, quando scrivo tendo ad immedesimarmi così tanto nella storia, da condividere gli stessi sentimenti dei miei personaggi!
Non credo servano parole per descriverlo...ciò che si sono detti con Greg, la parole dette a Sherlyn e l'ultimo struggente saluto con John, credo parlino da soli...! Naturalmente, il nostro John ha cercato di essere forte fino alla fine, ma poi è crollato anche lui...d'altronde è comprensibile...!
Non so cos'altro dire...anche perchè non credo di essere ancora pienamente "lucida"...!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante tutto!
Grazie a chi continua a seguire la storia, che tengo a precisare, non è ancora finita, ma terminerà con il ventunesimo capitolo...grazie anche a chi vuole lasciare un commento...Alla prossima ;)

 

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Capitolo 18
*** La casa vuota ***


              Ti strapperò il cuore







                                                  La casa vuota






… Appena lo videro uscire, tutti si voltarono a guardarlo. Lui, però, non disse niente. Negò semplicemente con il capo, abbassò lo sguardo e riprese a piangere. In quel momento, però, la vista cominciò ad offuscarsi, i suoni intorno a lui divennero ovattati e crollò a terra svenuto. L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi, fu la voce di Sherlyn che lo chiamava, poi tutto divenne buio.
 
 



 
John si risvegliò confuso e si accorse, ben presto, di essere in un letto d’ospedale. Per un momento pregò con tutto sé stesso che si fosse trattato soltanto di un brutto sogno. Guardò la porta che aveva di fronte e sperò di vedere Sherlock entrare sorridente, come se niente fosse. Lo immaginò vestito di tutto punto come al suo solito, con il suo elegante cappotto, la sua sciarpa blu, i suoi riccioli scuri e ribelli e i suoi penetranti occhi chiari. Nella sua folle immaginazione di quel momento, lo vide avvicinarsi a lui, dargli un tenero bacio, porgergli la mano e dirgli dolcemente: “Andiamo a casa, John!”. La voce di Sherlyn, però, lo fece ritornare alla realtà e quella meravigliosa visione svanì all’improvviso.
“Papà…come ti senti?” chiese preoccupata.
“Non lo so…” rispose John, passandosi una mano sugli occhi “…che mi è successo?” chiese poi confuso.
“Hai avuto un collasso e sei svenuto…dopo che…” cercò di spiegare la ragazzina, ma si fermò a metà frase e abbassò lo sguardo.
Il medico annuì soltanto. Poi si strofinò le mani sul viso e sospirò pesantemente.
“I dottori hanno detto che appena ti senti meglio, possiamo andare a casa…” disse Sherlyn titubante.
“Non credo di riuscire a tornare a casa adesso...vedere tutte le sue cose…io non…” rispose John con voce tremante e con le lacrime agli occhi.
“Zio Myc ha detto di andare da lui per qualche giorno…zio Greg passerà da casa a prendere alcune delle nostre cose…” rispose la ragazzina seria.
“Va bene…” disse semplicemente il medico. Poi voltò la testa verso la finestra e si accorse che il sole stava sorgendo. Era l’alba di un nuovo giorno, il primo senza Sherlock.
 
Quella mattina John e Sherlyn si diressero con Greg e Mycroft verso la villa del politico. Anthea si occupò dell’organizzazione del funerale, riuscendo a preparare tutto per la mattina dopo. Quella giornata passò in un decoroso silenzio. Nessuno sapeva cosa dire e tutti erano persi nei loro pensieri. Mycroft la passò seduto sulla sua poltrona, con un bicchiere di brandy in mano, intento a guardare le fiamme del camino acceso. Greg, di fianco a lui, gli teneva la mano, osservandolo con aria preoccupata. Sherlyn si era seduta sul divano, nella sua classica posa meditativa, che aveva ereditato dal detective e John guardava fuori dalla finestra. Aveva ripreso a nevicare e mentre guardava la neve cadere, non poteva che ricordare l’ultima sera che avevano passato insieme.
Quando arrivò sera, tutti andarono a letto, ma nessuno quella notte riuscì a dormire. Mycroft e Greg si coricarono insieme, così come John e Sherlyn, cercando calore e conforto l’uno nelle braccia dell’altro.
La mattina dopo al funerale parteciparono tutti. Si presentarono perfino un’ondata di giornalisti e tantissime persone, che volevano dare il loro ultimo saluto al tanto amato “eroe di Baker Street”.  Il medico cercò di mantenere la sua posa da soldato, mentre stringeva la mano di sua figlia, per cercare il coraggio di non mollare. Mycroft, nella sua solita e impeccabile eleganza, indossò la sua maschera di freddezza, cercando a volte, nello sguardo di Greg, la forza di non crollare.
Quando la funzione finì e tutti se ne andarono, John chiese di rimanere da solo davanti alla lapide di Sherlock. C’erano molte cose che avrebbe voluto dirgli quel giorno e che non era riuscito a dire e, tutte quelle parole non dette, gli pesavano sul cuore come macigni. Si avvicinò leggermente alla lapide nera, fece un profondo respiro ed iniziò a parlare.
“Ok, Sherlock…sono di nuovo qui…davanti alla tua lapide…solo che…stavolta è tutto vero. Sai, sono così tentato di chiederti, di nuovo, un miracolo…per me…sono tentato di chiederti di smetterla con questa farsa e di tornare da me…ma so che purtroppo questa volta non potrai farlo. Tu…eri la persona migliore che abbia avuto la fortuna di conoscere…eri il marito migliore che potessi mai sperare di avere…e sei stato un padre fantastico per Sherlyn, nonostante non fosse davvero tua figlia…!... Volevo ringraziarti per tutto quello che mi hai dato…per gli anni favolosi che mi hai regalato…per i tuoi baci, i tuoi abbracci, le furiose liti, i tuoi modi sgarbati, le tue cavolate, i tuoi strani modi di dimostrarmi il tuo amore, le sorprese e tutto ciò che ho avuto la fortuna di ricevere da te…!” disse, mentre con una mano si asciugava le lacrime che avevano iniziato a rigargli il viso “…Ricordo ancora la sera in cui mi hai chiesto di sposarti…era la Vigilia di Natale e avevi organizzato una bellissima festa a sorpresa…ricordo ancora tutte le parole che mi dicesti e il tuo tenero imbarazzo…è stato uno dei giorni più belli e felici della mia vita” aggiunse, sorridendo e piangendo al tempo stesso “…Lo so, ti ho promesso di essere forte…ma non posso vivere senza di te…so che devo farlo per Sherlyn, perché ha bisogno di me…ma non so come fare!... Come posso svegliarmi al mattino e addormentarmi la sera, se non sei nel letto con me? Come posso passare le giornate senza i tuoi lamenti, il tuo blaterare per casa in preda alla noia, la tua musica, i tuoi esperimenti e le tue urla eccitate quando trovavi un caso interessante?... Io non so se posso farcela, Sherlock!... Come ti dissi quel giorno in questo cimitero, quando volevi farla finita…io ho bisogno di te…io John Watson, non sono niente senza Sherlock Holmes!” concluse quel discorso e poggiò la sua mano sul freddo marmo nero. Poi crollò a terra in ginocchio, iniziando a singhiozzare senza controllo. Sherlyn, che intanto lo osservava da lontano, appena lo vide piangere in quel modo, corse da lui, si inginocchiò e lo abbracciò con forza, cullandolo tra le sue braccia, nel tentativo di farlo calmare.
“Ce la faremo papà…ce la faremo…” gli ripeteva all’orecchio, mentre anche lei iniziava a piangere.
Appena John si fu calmato leggermente, la figlia si staccò da lui e lo guardò fisso negli occhi.
“Papà…torniamo a casa!” esclamò convinta.
“Sherlyn non so se posso farlo…” rispose il medico, abbassando lo sguardo.
La ragazzina, allora, gli alzò il viso con una mano, obbligandolo a guardarla.
“Ti prego…” lo supplicò, con le lacrime agli occhi.
John annuì semplicemente. Poi insieme si fecero accompagnare a Baker Street.
“Siete sicuri di riuscire a rimanere da soli?... Se volete possiamo restare un po' con voi…” chiese Greg, preoccupato.
“Non preoccuparti zio Greg…grazie di tutto…” rispose dolcemente Sherlyn.
“Per qualsiasi cosa, chiamateci…” insistette Lestrade.
“Va bene…” disse la ragazzina con un mezzo sorriso.
Il medico non disse niente. Continuava a stringere la mano di sua figlia, cercando la forza di ritornare in quella casa.
Appena entrarono, un’addolorata signora Hudson li abbracciò con affetto. Poi, dopo qualche minuto, li lasciò salire di sopra. Nel momento in cui aprirono la porta del soggiorno, entrambi rimasero per un istante immobili a fissare la stanza.
“Vado a preparare del tè!” esclamò John all’improvviso, con la voce e le mani tremanti. Gli mancava l’aria e aveva bisogno di distrarsi in qualche modo.
In quella stanza, però, qualcosa attirò l’attenzione di Sherlyn, qualcosa che riuscì a distruggere in un attimo, tutta la forza che aveva avuto fino a quel momento: il violino di Sherlock. Giaceva a terra, insieme al fascicolo del caso del signor Thompson. Si ricordò che la sera in cui il detective era stato male, non aveva avuto il tempo di riporlo con cura nella sua custodia, così come faceva sempre Sherlock e vederlo lì, abbandonato sul pavimento, le diede un senso di angoscia inimmaginabile. Silenziosamente si avvicinò al violino, lo prese in mano e lo abbracciò con dolcezza.
Quando John uscì dalla cucina, trovò sua figlia seduta sulla poltrona del detective, con il violino tra le braccia, intenta ad analizzare il fascicolo del caso Thompson. Sembrava così piccola e indifesa, mentre stringeva a sé lo strumento, che, in quel momento, gli vennero in mente le ultime parole di suo marito. Sherlock aveva ragione: Sherlyn in fondo era solo una ragazzina e nonostante si sforzasse di essere forte, aveva ancora bisogno di lui. Doveva riuscire ad andare avanti per lei o almeno doveva provarci.

 
Si fece sera e Sherlyn era ancora immobile in quella posizione. Non parlava, non voleva mangiare e non aveva intenzione di muoversi da lì. Continuava ad abbracciare il violino, leggendo freneticamente quel fascicolo.
“Sherlyn, per favore…è tutto il giorno che sei seduta lì! Vieni almeno a mangiare qualcosa!” esclamò John disperato.
La ragazzina negò con il capo e continuò a fissare quei fogli.
Nonostante le suppliche del medico, Sherlyn passò anche tutta la notte ferma e immobile su quella poltrona.
Quando la mattina dopo John, che si era appisolato sul divano, si svegliò, vide che la figlia non si era mossa di un centimetro e continuava imperterrita a leggere quel fascicolo.
“Sherlyn…” provò a chiamarla, ma non ricevette risposta. Non sapendo più cosa fare, si alzò e telefonò a Greg, per chiedere aiuto.
Mycroft e Lestrade si precipitarono subito a Baker Street. Il medico li portò in cucina e raccontò loro ciò che era successo.
“Vado a parlarle…” disse subito l’ispettore.
“No, vado io!” esclamò il politico, all’improvviso, afferrando il fidanzato da un braccio.
Greg annuì e si scambiò uno sguardo sorpreso con John. Mycroft, allora, si avvicinò alla poltrona e si inginocchiò a terra, incurante del suo costoso vestito.
“Sherlyn…” la chiamò dolcemente, ma non ricevette risposta. Poi si fermò un attimo a fissarla. Aveva preso così tanto da Sherlock, nonostante non fosse sua figlia, da lasciarlo senza fiato. Per un momento, gli sembrò di avere di fronte il suo piccolo fratellino, che se ne stava per ore e ore, seduto sul suo letto, intento ad analizzare fascicoli e foto di omicidi irrisolti. Sorrise con nostalgia e poi riprovò ad attirare la sua attenzione.
“Sherlyn…per favore, guardami!... Tuo padre è molto preoccupato per te…” disse lentamente “...anche lui non vorrebbe vederti così…” aggiunse, non riuscendo a pronunciare il nome di suo fratello.
Dopo quell’ultima frase, la ragazzina alzò lo sguardo su di lui.
“Papà non capisce…” rispose all’improvviso “…questa è una cosa che devo fare, zio Myc…” aggiunse, indicando il fascicolo “…lui teneva a questo caso, ma me lo ha ceduto lo stesso…si è fidato di me…e io devo risolverlo…non posso tradire la sua fiducia…” continuò con le lacrime agli occhi “…so che tu puoi capirmi…perché tu sai quanto tutto questo era importante per lui…” concluse, asciugandosi il viso con la manica della maglia.
Mycroft, profondamente commosso da quelle parole, sorrise e mise la sua mano su quella di Sherlyn, stringendola con forza. Poi si voltò verso Greg e John, che intanto avevano ascoltato tutto ed erano rimasti anche loro colpiti da quel discorso.
Dopo un paio d’ore la ragazzina chiuse il fascicolo, si alzò lentamente e si diresse al computer di Sherlock, inserendo un cd nel lettore. Rimase un’altra ora a guardare quel video, poi spense tutto e si mise a pulire il violino, riponendolo con cura e dolcezza nella sua custodia. Subito dopo, si avvicinò a John, gli diede un bacio, fece un saluto con la mano verso Mycroft e Greg e salì silenziosamente in camera sua.
“Noi andiamo…se hai bisogno, non esitare a chiamarci!” disse il politico, mettendo una mano sulla spalla del cognato.
“Si…grazie!” rispose il medico, con un mezzo sorriso.

 
Quella notte John non riuscì a prendere sonno. Rimase seduto sulla sua poltrona a ripensare alle parole dette da Sherlyn quel pomeriggio.
Quando le prime luci del mattino iniziarono ad illuminare il soggiorno di Baker Street, si alzò e si diresse in cucina a preparare la colazione, con la speranza di riuscire a convincere sua figlia a mangiare. Appena il tè fu pronto, prese dei biscotti, le fette biscottate e la marmellata e mise tutto su un vassoio. Poi si diresse di sopra nella camera di Sherlyn.
“Tesoro…” disse, aprendo lentamente la porta. Con sua grande sorpresa, però, si accorse che la stanza era vuota. Poggiò il vassoio sulla scrivania e si mise a cercarla dappertutto, ma di lei non c’era traccia. Andò perfino di sotto dalla signora Hudson, sperando di trovarla lì, ma neanche lei l’aveva vista. In preda al panico, chiamò Mycroft e gli raccontò tutto.
Il politico e Greg arrivarono di corsa al 221B e tutti e tre si misero in macchina, iniziando le ricerche di Sherlyn. Dopo una mezz’ora persa a vagare per la città John, in preda alla disperazione, si mise le mani sul volto, cercando in tutti i modi di reprimere le lacrime.
“Potremmo provare al cimitero!” esclamò poi all’improvviso.
Mycroft annuì convinto e si diressero di corsa verso il posto indicato dal medico.
Speravano solo di trovarla sana e salva. In fondo era solo una ragazzina, che si aggirava per la città da sola e sicuramente sconvolta. 






Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il diciottesimo capitolo... anche questo abbastanza drammatico, così come lo sarà anche il prossimo...! Insomma ormai è un dramma continuo!
Il finale, lasciato un pò in sospeso, ci fa capire che Sherlyn, per quanto si sforzi di essere forte per suo padre, alla fine crolla anche lei...! Per quanto riguarda John non ci sono commenti...il suo discorso davanti alla lapide di Sherlock, che nella parte iniziale ricorda volutamente il discorso della serie tv, parla da solo.
Anche il titolo del capitolo fa un riferimento evidente della serie tv!
Mycroft e Greg sono favolosi e ciò non si discute...soprattutto Mycroft quando si ricorda di Sherlock guardando Sherlyn.
Spero che vi sia piaciuto.. a domani con il prossimo capitolo...! Grazie come sempre a chi segue la storia e a che vuole lasciare un commento! Alla prossima ;)

 

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Capitolo 19
*** Dolore insopportabile ***


              Ti strapperò il cuore






                                         Dolore insopportabile







 
... Dopo una mezz’ora persa a vagare per la città, John in preda alla disperazione, si mise le mani sul volto, cercando in tutti i modi di reprimere le lacrime.
“Potremmo provare al cimitero!” esclamò poi all’improvviso.
Mycroft annuì convinto e si diressero di corsa verso il posto indicato dal medico.
Speravano solo di trovarla sana e salva. In fondo era solo una ragazzina, che si aggirava per la città da sola e sicuramente sconvolta.




 
I miss you, miss you so bad 
I don't forget you, oh it's so sad 
I hope you can hear me 
I remember it clearly 
The day you slipped away 
Was the day I found it won't be the same 
I didn't get around to kiss you 
Goodbye on the hand 
I wish that I could see you again 
I know that I can't  
I hope you can hear me cause I remember it clearly 
The day you slipped away 
Was the day I found it won't be the same 
I had my wake up 
Won't you wake up
I keep asking why 
And I can't take it 
It wasn't fake 
It happened, you passed by 
Now your gone, now your gone 
There you go, there you go 
Somewhere I can't bring you back 
Now your gone, now your gone 
There you go, there you go, 
Somewhere your not coming back 
The day you slipped away 
Was the day i found it won't be the same
The day you slipped away 
Was the day that i found it won't be the same. 
I miss you…
 
Mi manchi
Mi manchi da morire
Non ti dimentico
Oh è così triste
Spero tu possa sentirmi
Lo ricordo chiaramente
Il giorno in cui sei scivolato via
E' stato il giorno in cui ho capito
Che non sarebbe più stato lo stesso
Non sono venuta a dirti addio baciandoti sulla mano
Spero di poterti rivedere
So che non potrò
Mi sono svegliata
Tu non ti sveglierai
Continuo a chiedermi perchè non posso accettarlo
Non era una finzione, è successo davvero che te ne sei andato
Ora non ci sei più
Ora non ci sei più
Te ne sei andato
Te ne sei andato
Da qualche parte da dove non posso riportarti indietro
Ora non ci sei più
Ora non ci sei più
Te ne sei andato
Te ne sei andato
Da qualche parte da dove non puoi tornare indietro
Mi manchi


Avril Lavigne - Slipped Away
 

 
 

 
Quando arrivarono al cimitero, si recarono al punto in cui giaceva la tomba di Sherlock. Riuscirono a vedere Sherlyn in lontananza, inginocchiata davanti alla lapide nera. Si avvicinarono leggermente, ma non ebbero il coraggio di interromperla. Rimasero lì a fissarla, concedendole un po' di tempo da sola. La ragazzina, infatti, fece un profondo respiro ed iniziò a parlare.
“Papà Sherlock…il caso del signor Thompson…l’ho risolto…è stato il figlio, ha mentito…non si trovava all’università nel momento in cui veniva ucciso il padre…ho fatto delle ricerche…e poi ho riguardato il video che mi hai dato, con tutti gli interrogatori e si vede chiaramente che stava mentendo…tu sicuramente l’avresti capito prima di me!” disse, sorridendo con tristezza “...Vorrei averti qui e vedere il tuo sorriso soddisfatto… vedere che sei orgoglioso di me…!... Vorrei poter ricevere un tuo abbraccio e sentire la tua mano che scompiglia i miei capelli!... Non mi dicevi quasi mai di volermi bene, ma non avevi bisogno di farlo…lo capivo dai tuoi sguardi, dai tuoi gesti e da tutte le cose che facevi per me!... Ieri sera ho ripulito il tuo violino e l’ho conservato con cura, come tu mi hai insegnato…ho ancora molto da imparare, ma ti prometto che studierò e che riuscirò a suonarlo come si deve!... Ti prometto anche che mi impegnerò e riuscirò a prendere il tuo posto, così come volevi tu!... Sarà difficile senza di te, senza la tua guida e senza il tuo incoraggiamento…ma ti renderò fiera di me, te lo giuro!... Mi manchi così tanto…e manchi tanto anche a papà…ma farò ciò che mi hai chiesto…mi prenderò cura di lui e lo aiuterò ad andare avanti…anche se…non sarà più lo stesso senza di te!... Ti voglio bene, papà Sherlock…e te ne vorrò sempre!” Sherlyn fece quel discorso tra le lacrime. Rimase per tutto il tempo in ginocchio, con la sua mano destra poggiata sul freddo marmo nero. 
John era immobile, pietrificato da tutte quelle parole e dal dolore della figlia. Era stato in disparte insieme a Greg e a Mycroft, ma vedendola in quelle condizioni, non poté più resistere.
“Sherlyn…!” la chiamò, con voce tremante.
La ragazzina si voltò, sorpresa nel sentire la voce del padre e, istintivamente, si asciugò le lacrime con la manica della maglia.
“Sherlyn…perché sei scappata?” chiese il medico, avvicinandosi a lei.
“Scusami papà…non volevo farti preoccupare…volevo solo…” cercò di dire, ma un singhiozzo improvviso la fece fermare.
“Lo so, Sherlyn…lo so…!” disse semplicemente John, inginocchiandosi e abbracciandola con tutta la forza di cui era capace. Rimasero stretti in quel disperato abbraccio, piangendo e cercando conforto l’uno nelle braccia dell’altra.

 
Da quel giorno la forza di Sherlyn parve riaffiorare. Era ritornata, di nuovo, la ragazzina combattiva e decisa di un tempo. Greg, intanto, vedendo quanto la nipote ci tenesse a riprendere il lavoro di Sherlock, iniziò a recarsi spesso a Baker Street, portandole alcuni fascicoli di casi irrisolti. In particolare, così come gli aveva consigliato il detective, sottopose alla sua attenzione il caso che lo preoccupava più di tutti: quello del duplice omicidio. Sherlyn ne fu entusiasta e, non solo, si mise subito al lavoro, ma riuscì a risolverlo in meno di mezza giornata, sotto gli occhi sorpresi dell’ispettore.
John, invece, aveva spesso un umore altalenante. C’erano giorni in cui riusciva ad essere forte e si recava volentieri con la figlia sulle scene del crimine, ma altri in cui non voleva uscire di casa e se ne stava per ore sulla sua poltrona con lo sguardo perso nel vuoto. Dalla morte di Sherlock, inoltre, non era riuscito più a dormire nella loro camera da letto. Spesso dormiva sul divano, nonostante le urla contrariate di Sherlyn, o a volte, nelle sere in cui era particolarmente giù, saliva nella camera della figlia e dormiva con lei.
Un giorno come tanti, Sherlyn tornò da scuola ed entrando nel soggiorno, vide che non c’era traccia di suo padre.
“Papà…” lo chiamò titubante. Addentrandosi più a fondo nell’appartamento, si accorse che si trovava in camera da letto.
Ormai John entrava in quella stanza soltanto quando doveva prendere qualche vestito.
La cosa che sorprese la ragazzina, però, fu il fatto che se ne stava immobile, con l’anta dell’armadio aperta, fissando qualcosa al suo interno.
“Papà…” provò di nuovo lei, entrando nella stanza “…che succede?” chiese poi, vedendo che suo padre non rispondeva.
“Ero venuto a prendere il mio maglione verde…” rispose semplicemente John, con voce tremante.
“E non c’è?” domandò confusa Sherlyn, mentre iniziava anche lei a guardare nell’armadio. Dopo un attimo lo vide e capì subito quale fosse il problema. Il maglione in questione era appeso su una gruccia e, di sopra, c’era una camicia bianca di Sherlock “…Oh, papà…” aggiunse subito dopo.
“Non posso spostarla…” disse il medico con le lacrime agli occhi.
“Vuoi che lo faccia io?” chiese la ragazzina, mettendogli una mano sulla spalla.
“No…lasciala lì!” esclamò all’improvviso John, chiudendo di scatto l’armadio e ritornando velocemente in soggiorno.
“Papà…aspetta!” disse Sherlyn, seguendolo nell’altra stanza.
Il medico, intanto, si era poggiato con le mani al camino e se ne stava con la testa bassa, piangendo sommessamente. La ragazzina si avvicinò lentamente a lui ed iniziò ad accarezzargli le spalle con una mano.
“Non ce la faccio Sherlyn…fa troppo male…a volte mi sembra di impazzire…!” esclamò John tra le lacrime.
“Lo so, papà…” rispose semplicemente lei, prendendolo dolcemente da un braccio e facendolo voltare verso di sé. Poi lo abbracciò con forza, senza dire altro, lasciando che suo padre si sfogasse.
Quella notte Sherlyn lo sentì piangere dalla sua stanza. Si alzò, sospirando pesantemente e scese di sotto in soggiorno. Lo trovò sdraiato sul divano, mentre stringeva con forza la vestaglia blu di Sherlock.
“Papà…” disse, avvicinandosi a lui con le lacrime agli occhi.
“Scusami tesoro…non volevo svegliarti…” rispose John, continuando a piangere.
“Non fa niente…” disse la ragazzina, prendendo posto vicino a lui ed abbracciandolo teneramente “…shh... ci sono io qui con te…” gli sussurrò all’orecchio. Dopo qualche istante, il medico parve calmarsi ed entrambi, cullati dal calore di quell’abbraccio, caddero in un sonno profondo.
 
 



                                             
                                                                              SEI MESI DOPO


 
Erano passati dei mesi dalla morte di Sherlock e Sherlyn era diventata sempre più brava e veloce nel risolvere i casi che Greg le proponeva. John aveva ripreso le sue solite abitudini quotidiane e spesso, nei casi più complicati, aiutava anche sua figlia. Nonostante, però, in apparenza, sembrasse ritornato la persona di sempre, chiunque si fermasse a guardarlo attentamente, poteva notare che il suo sguardo non era più quello di una volta. I suoi occhi erano spenti, vuoti, quasi come se avesse perso completamente la gioia di vivere. Faceva tutto in modo automatico, come se fosse intrappolato in una angosciosa routine che, ormai, non gli apparteneva più. Sherlyn, nonostante i suoi sforzi, non riusciva a migliorare la situazione e, ben presto, si accorse che suo padre, ormai, non viveva più, ma cercava semplicemente di sopravvivere.
Una domenica, in un giorno particolare, la ragazzina andò con suo zio Greg su una scena del crimine. Per quanto avesse cercato di convincere suo padre ad uscire, quel giorno non era riuscita a smuoverlo di casa.
Sulla strada del ritorno verso Baker Street, Lestrade divenne improvvisamente serio.
“Come sta John?” chiese preoccupato.
“Insomma…l’hai visto anche tu…cerca di apparire normale, ma ormai non è più quello di una volta…” rispose Sherlyn, sospirando pesantemente “…e zio Myc?” domandò poi a sua volta.
“Diciamo bene…a volte ha i suoi momenti negativi…ma sembra stia reagendo in qualche modo…” rispose l’ispettore “…ma come mai tuo padre oggi non è voluto venire? Ultimamente ti segue sempre sulle scene del crimine…” aggiunse confuso.
“Non ricordi che giorno è oggi, vero?” chiese lei con un sorriso triste.
“No…” rispose Greg pensieroso.
“Oggi sarebbe stato il loro anniversario di matrimonio…” disse Sherlyn, abbassando lo sguardo.
“Capisco…” rispose tristemente Lestrade.
Arrivati davanti al 221B, la ragazzina salutò lo zio e salì velocemente di sopra. Appena entrò nel soggiorno, però, vide che suo padre era in piedi, immobile e guardava fuori dalla finestra.
“Papà…” provò a chiamarlo, ma lui non rispose. Solo in quel momento si accorse che nella mano destra stringeva con forza la sua pistola “…papà, che stai facendo?” chiese poi spaventata.
John rimase in silenzio. Dopo un po' si voltò di scatto ed iniziò a camminare freneticamente per la stanza, passandosi nervosamente le mani sulla testa e continuando a stringere l’arma.
“Papà…lascia quella pistola…mi stai spaventando…” disse Sherlyn con la voce tremante. Vedendo, però, che il padre non le dava ascolto, senza farsi notare, mandò un messaggio a suo zio Greg.
L’ispettore ricevette il messaggio nel momento in cui si era appena incontrato con Mycroft. Lo fece leggere anche al politico e insieme si diressero di corsa a Baker Street. Appena arrivati, salirono con cautela le scale ed aprirono lentamente la porta. Trovarono John seduto sulla sua poltrona, con la testa tra le mani, mentre impugnava ancora la pistola e Sherlyn in piedi a debita distanza, che lo chiamava e lo supplicava di darle ascolto.
“John…” provò a chiamarlo Greg, ma non ricevette risposta.
“John…” disse anche Mycroft, iniziando ad avvicinarsi lentamente a lui. Appena il politico si mosse di qualche passo, però, il medico scattò in piedi e gli puntò l’arma contro.
“Non provare ad avvicinarti!” esclamò John con lo sguardo sconvolto.
“Va bene… ma tu stai calmo…” rispose Mycroft, alzando le mani in alto e facendo un passo indietro.
“John…si può sapere che hai intenzione di fare?... Guarda, Sherlyn…la stai spaventando…” urlò Greg, nel tentativo di farlo ritornare in sé.
“Papà…per favore…” lo supplicò la figlia, iniziando a piangere.
In quel momento il medico si voltò a guardare sua figlia e alcune lacrime iniziarono a rigargli il volto.
“Mi dispiace, Sherlyn…tutto questo è troppo per me…non ce la faccio…” disse con la voce rotta dal pianto. Poi afferrò in modo più deciso la pistola e se la puntò alla tempia.
“Cristo Santo, John…abbassa la pistola!” esclamò Lestrade terrorizzato.
“John…non puoi farlo…non davanti a tua figlia…” disse Mycroft, iniziando ad avanzare di nuovo verso di lui.
“Ti ho detto di non avvicinarti!” urlò John, puntando di nuovo la pistola verso cognato “...Se fai un altro passo giuro che ti uccido!” aggiunse, con un’espressione da pazzo in volto.
“Se uccidermi ti farà stare meglio, allora ti aiuto…” rispose il politico a tono, avvicinandosi ulteriormente e facendo in modo che la pistola gli sfiorasse il petto.
“Dannazione, Mycroft! Che diavolo stai facendo?” esclamò Greg, spaventato da quel gesto.
In quel momento la mano del medico iniziò a tremare e altre lacrime gli uscirono senza controllo.
“Lo capisci che non posso più vivere senza di lui?” urlò poi disperato.
“Certo che lo capisco!... Credi che per me sia facile, John?... Era mio fratello!... Era tutta la mia famiglia!” gridò a sua volta Mycroft, con gli occhi lucidi “…ma dobbiamo andare avanti comunque…e dobbiamo farlo per loro...per le persone che ci amano…” aggiunse, indicando Greg e Sherlyn “…ora dammi la pistola…” gli ordinò con dolcezza, porgendogli la mano.
John parve riflettere qualche istante su quelle parole, mise l’arma nella mano del cognato e cadde a terra in ginocchio, iniziando a piangere e a singhiozzare. Subito dopo, la ragazzina corse da lui ad abbracciarlo, decisamente sollevata.
“Mi dispiace, Sherlyn…mi dispiace…” ripeté il medico tra le lacrime.
“Non fa niente, papà…va tutto bene…” rispose la figlia con la voce tremante, mentre lo accarezzava e lo baciava con dolcezza.
Anche Greg corse ad abbracciare il suo fidanzato, stringendolo con forza.
“Cristo Santo, Mycroft…mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò poi all’improvviso.
“Lo so, scusami…ma non c’era altro modo…” rispose il politico, ricambiando la stretta “…comunque…volevo dirti che…se la tua proposta fosse ancora valida…io…avrei deciso di accettarla…” aggiunse, staccandosi da lui e abbassando lo sguardo decisamente imbarazzato.
“E me lo chiedi?... Certo che è ancora valida!” esclamò Lestrade sorpreso, ridendo e baciandolo intensamente.
Le cose sembravano essersi risolte per il meglio e, per il momento, ognuno poteva tranquillamente bearsi tra le braccia della persona amata. 






Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il diciannovesimo capitolo! Beh, drammatico e con un pò di "azione"! Alla fine sembra che sia andato tutto per il meglio. La canzone che vi ho riportato mi ha ispirato molto per questo capitolo, perchè io purtroppo non riesco ad immaginare John felice dopo la morte di Sherlock. Posso vederlo andare avanti per la figlia, ma con molte difficoltà e molti momenti in cui lo si vede crollare...in fondo, per me lui e Sherlock sono una cosa sola!
In questo capitolo abbiamo fatto anche un piccolo salto temporale...e nel prossimo capitolo, vi anticipo, ne faremo un altro ancora più lungo. 
Spero che nonostante tutto vi sia piaciuto...Grazie a chi segue la storia e a chi vuole lasciare un commento. A domani con il penultimo capitolo...! ;)

 

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Capitolo 20
*** Buonanotte, papà ***


              Ti strapperò il cuore






                                         
                                        Buonanotte, papà






“Mi dispiace, Sherlyn…mi dispiace…” ripeté il medico tra le lacrime.
“Non fa niente, papà…” rispose la figlia, con la voce tremante.
Anche Greg corse ad abbracciare il suo fidanzato, stringendolo con forza.
“Cristo Santo, Mycroft…mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò poi all’improvviso.
“Lo so, scusami…ma non c’era altro modo…” rispose il politico, ricambiando la stretta.
Le cose sembravano essersi risolte per il meglio e, per il momento, ognuno poteva tranquillamente bearsi tra le braccia della persona amata.
 




 
Pipino: È finita.
Gandalf: Finita? No. La morte è solo un'altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato. E poi lo vedi...
Pipino: Cosa, Gandalf? Vedi cosa?
Gandalf: Bianche sponde e, al di là di queste, un verde paesaggio sotto una lesta aurora.
Pipino: Beh, non è poi così male!
Gandalf: No.. No, non lo è.

Da "il Signore degli anelli - il ritorno del re"






 
                                                               CINQUE ANNI DOPO
 

Erano passati cinque anni dal giorno in cui John aveva avuto quel crollo emotivo e aveva cercato di uccidersi con la sua pistola. Da quell’episodio le cose erano leggermente migliorate. Il medico aveva cercato in tutti i modi di reagire, nonostante spesso, nel corso di questi anni, aveva avuto molti crolli e molti momenti di scoraggiamento. Ormai aveva preso l’abitudine di dormire sul divano, nonostante Sherlyn avesse cercato di convincerlo a ritornare nella sua camera. Spesso la figlia lo sentiva piangere di notte, ma la mattina dopo, lo vedeva sfoggiare il suo sorriso di convenienza ed affrontare la giornata nonostante tutto.
Sherlyn, ormai, aveva quasi vent’anni ed era diventata decisamente autonoma. Non aveva più bisogno di suo padre sulle scene del crimine e non le serviva aiuto nel risolvere i casi, anche quelli più complicati. Aveva da poco iniziato l’università e, seguendo la passione che gli aveva trasmesso Sherlock, si era iscritta al corso di laurea in chimica. Il laboratorio del detective era diventato il posto in cui passava la maggior parte del suo tempo, impegnata a fare strani esperimenti e a lavorare ai casi che lo zio Greg le affidava. L’ispettore aveva provato a convincere il suo superiore ad assumere la nipote come consulente investigativo ufficiale di Scotland Yard, ma dopo tutte le vicende con Sherlock negli anni passati, non aveva acconsentito. Nonostante ciò, le affidava comunque gran parte dei casi che aveva in gestione.
Mycroft e Greg, alla fine, si erano sposati. Avevano optato per un semplice rito in municipio senza festeggiamenti o altre tradizioni, che al politico non andavano a genio. L’ispettore, naturalmente, dopo il matrimonio, aveva lasciato il suo appartamento e si era trasferito nella villa di suo marito.
Tutto, insomma, sembrava andare per il meglio e tutti sembravano aver ritrovato, in quegli anni, la gioia di vivere e di realizzare i propri sogni. Ovviamente, tutti tranne John. Nonostante fossero passati solo cinque anni, sembrava che fosse invecchiato almeno di dieci. Si era dato tantissimo da fare con Sherlyn, supportandola quando ne aveva bisogno, aiutandola quando era in difficoltà e incoraggiandola sempre a studiare e a cercare di migliorarsi. Se la figlia, dopo quei cinque anni, era diventata tanto forte e indipendente, era stato proprio grazie a lui e alla sua voglia di lottare per lei, nonostante tutto. Questo periodo di tempo passato a reprimere il suo dolore per la morte di Sherlock, però, avevano segnato in modo visibile il suo fisico, rendendolo spesso stanco e privo di forze, anche se cercava in tutti i modi di nasconderlo.
Una mattina come tante altre, John venne svegliato da alcuni strani rumori. Aprì gli occhi e vide sua figlia camminare freneticamente per il soggiorno, buttando in modo sgarbato tutto per aria, come se stesse cercando qualcosa.
“Sherlyn…che stai facendo?” chiese ancora intontito, sbadigliando e mettendosi seduto sul divano.
“Papà, scusami…non volevo svegliarti…sto cercando una cosa importante…” rispose lei, continuando a lanciare oggetti e carte dappertutto.
“A me sembra, invece, che tu stia distruggendo il soggiorno!” esclamò il medico con sarcasmo “…si può sapere cosa stai cercando?” aggiunse poi confuso.
“La piccola lente d’ingrandimento di papà Sherlock…mi ha chiamato zio Greg per raggiungerlo su una scena del crimine, ma sai che non posso andare senza averla con me!” rispose la ragazza, sbuffando pesantemente.
John sorrise con nostalgia nel vedere quella scena. Sua figlia, ormai, era diventata tale e quale a Sherlock. I suoi atteggiamenti frenetici, i suoi modi teatrali, il suo sbuffare spazientita, non facevano altro che ricordargli suo marito.
“Hai guardato nel tuo cappotto?” chiese il medico, con un mezzo sorriso.
“Certo che ho…” iniziò a dire lei, ma si fermò di colpo. Poi corse verso il suo cappotto ed iniziò a frugare tra le tasche “Eccoti, finalmente!” esclamò appena la tirò fuori. Subito dopo si voltò verso suo padre, con un finto broncio “…Non una parola!” esclamò seria, con l’orgoglio ferito.
John si mise a ridere. Anche quello, in fondo, era un comportamento da Sherlock: perdere le cose e, pensare prima a distruggere il soggiorno, invece di guardare nei posti più ovvi.
“Io vado…vuoi venire?” domandò dolcemente la ragazza.
“No, vai tu…non mi va molto di uscire” rispose il medico, poggiandosi allo schienale del divano.
“Stai bene?... Ultimamente ti vedo più stanco del solito…” disse Sherlyn, avvicinandosi a lui e scrutandolo con attenzione.
“Si, sto bene…stai tranquilla!” rispose John con un sorriso.
“Va bene…” disse la ragazza non molto convinta. Poi si voltò e scese di corsa le scale.
“Sherlyn…dove stai correndo di prima mattina?” chiese la signora Hudson, sbucando dalla sua porta.
“Signora Hudson…c’è stato un omicidio! Sarebbe assurdo restare a casa quando c’è qualcosa di divertente!” esclamò Sherlyn eccitata.
“Però, cara…esserne così felici è indecente!” esclamò la padrona di casa, divertita da quell’atteggiamento.
“Oh, al diavolo la decenza, signora Hudson! Il gioco è cominciato!” rispose prontamente la ragazza, uscendo fuori dall’appartamento.
John, intanto, che aveva ascoltato tutta la conversazione, ridacchiava seduto sul divano. In quel momento si ricordò di quando Sherlock fece un discorso simile con la loro padrona di casa: era stato il giorno in cui si erano incontrati per vedere l’appartamento di Baker Street. Chiuse gli occhi e ripensò a quell’episodio: il primo caso insieme, la prima cena da Angelo, la folle corsa per la città ad inseguire un taxi. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di ritornare indietro ai giorni in cui c’era Sherlock, pur di poterlo rivedere, riabbracciare e baciare. Nonostante fossero passati poco più di cinque anni, gli mancava ancora come il primo giorno e, ne era sicuro, gli sarebbe mancato per tutto il resto della sua vita.  

 
Quando Sheryn tornò a casa, nel primo pomeriggio, trovò suo padre seduto sulla sua poltrona a sorseggiare del tè, mentre guardava pensieroso una foto di lui e Sherlock al loro matrimonio.
“Brutta giornata?” chiese seria la ragazza. Poi si tolse sciarpa e cappotto, posò a terra una busta che aveva in mano e si andò a sedere sulla poltrona di fronte a lui.
“No…stavo solo pensando…!” rispose John con un sorriso “…beh, com’è andata?” domandò poi curioso.
“Non ne parliamo! Un caso noioso…avrei potuto risolverlo anche stando a casa!” rispose lei sbuffando pesantemente.
“E allora come mai ci hai messo tanto?” chiese il medico confuso.
“Sono passata da Molly al Bart’s…mi servivano dei bulbi oculari, delle dita e qualche lingua per finire un esperimento!” rispose Sherlyn, indicando la busta a terra.
“Non voglio neanche sapere di cosa si tratta…!” esclamò John con un’espressione schifata.
Si guardarono per qualche istante, poi entrambi scoppiarono a ridere di gusto. Dopo un po', però, il medico ritornò serio e si mise a fissare sua figlia con uno strano sguardo compiaciuto.
“Che c’è?” chiese lei, incuriosita da quello sguardo.
“Niente…pensavo che ormai non hai più bisogno di me…” rispose John con un mezzo sorriso.
“Non dire sciocchezze, papà! Io avrò sempre bisogno di te!” esclamò Sherlyn.
“No…guardati!... Sei diventata una donna straordinaria!... Sono così orgoglioso di te, Sherlyn…e sono sicuro che lo sarebbe anche lui…!” rispose il medico, continuando a guardarla intensamente.
“Se stai cercando di farmi commuovere, ti avverto…sei sulla buona strada!” ironizzò la ragazza con gli occhi lucidi.
“È la verità…” rispose semplicemente John, spostando lo sguardo ed iniziando a guardare verso la finestra.
Sherlyn non rispose. Osservò attentamente suo padre e si accorse che aveva una strana espressione rilassata sul volto. Trovò tutto molto strano, quelle parole, quello sguardo, ma decise comunque di rimanere in silenzio.
Per tutto il resto della giornata il medico mantenne quella strana espressione, fermandosi spesso a guardare quella foto di lui e Sherlock con uno strano sorriso triste.
“Tesoro io vado a letto…” disse improvvisamente John, alzandosi dalla poltrona e dandole un dolce bacio sulla fronte “…ti voglio bene…” aggiunse, accarezzandole il viso.
“Fra un po' vado anche io…” rispose la ragazza, ricambiando il bacio sulla sua guancia “…anche io ti voglio bene…” aggiunse con un sorriso “…Buonanotte, papà…” continuò dolcemente.
“Buonanotte, Sherlyn...” rispose il medico.
Quella sera, per la prima volta dopo la morte di Sherlock, John andò a dormire nella loro camera, sotto gli occhi sorpresi di Sherlyn, che lo seguì con lo sguardo. Si sdraiò dalla sua parte del letto e strinse con forza a sé la vestaglia di suo marito, che aveva conservato con molta cura. Dopo alcuni minuti fece un profondo respiro, rilassandosi tra le lenzuola, chiuse dolcemente gli occhi e non li riaprì più.


La mattina dopo Sherlyn trovò il corpo senza vita di suo padre in quella posizione. Aveva un sorriso che gli illuminava il volto, un sorriso che non gli vedeva da molti anni. Nonostante il dolore che provava in quel momento per la sua perdita, da un lato si sentiva sollevata. Non poteva più vederlo in quelle condizioni, soprattutto come si era ridotto negli ultimi mesi. In fondo era rimasto con lei fino a quando ne aveva avuto bisogno, ma ora, che poteva benissimo cavarsela da sola, si era lasciato andare, si era semplicemente arreso. La sua espressione sorridente, comunque, lasciava a sua figlia un messaggio di amore e di speranza: ognuno alla fine può trovare la propria felicità, anche nei modi più tristi e inaspettati.
Facendo un’analisi sul cadavere, si scoprì che il medico aveva avuto semplicemente un arresto cardiaco nel sonno. Non aveva sofferto, ma se n’era andato in pace, nel modo migliore che chiunque possa augurarsi.

Il funerale di John si svolse il giorno dopo e parteciparono tutti. Dopo la funzione Sherlyn chiese di rimanere da sola davanti alla lapide del padre, che per sua volontà, era stata messa di fianco a quella di Sherlock. Si inginocchiò e poggiò la mano sul freddo marmo bianco, accarezzandolo con dolcezza.
“Papà…mi mancherai davvero tanto…” iniziò a dire con voce tremante “…volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me in questi anni…per essermi stato vicino dopo la morte di papà Sherlock, dandomi forza e coraggio, nonostante dentro di te ti sentissi morire!... Se sono riuscita a prendere il suo posto, è solo grazie a te e al tuo continuo incoraggiamento!” aggiunse con gli occhi lucidi “…Sai, la cosa strana è che una parte di me si sente sollevata…perché so che, in fondo, è quello che volevi!... Da quando è morto papà Sherlock avevi perso la gioia di vivere e potevo leggerlo nei tuoi occhi, ogni giorno…so che se sei rimasto forte fino ad ora, lo hai fatto soltanto per me…e di questo non finirò mai di dirti grazie!... Nel più profondo del mio cuore, voglio pensare che adesso tu sia nel posto che ti rende felice, di nuovo accanto a lui…!... Beh, se fosse davvero così…ho un solo favore da chiederti…dagli un bacio e un abbraccio da parte mia…!” finì quel piccolo discorso tra le lacrime. Poi si alzò lentamente, si asciugò il viso e guardò per l’ultima volta i nomi dei suoi genitori impressi sulle loro lapidi. Fece un dolce sorriso e si diresse verso suo i suoi zii Mycroft e Greg, che l’aspettavano a bordo strada.
“Perché non rifletti sulla nostra proposta?... Saremmo davvero felici se venissi a vivere da noi…!” chiese Lestrade con dolcezza.
“No, zio Greg…non posso! Vi ringrazio per la vostra offerta, ma la mia casa è Baker Street!... È tutto ciò che mi rimane di loro e non potrei vivere da nessuna parte se non lì!” rispose Sherlyn con un mezzo sorriso.
“Ma almeno per questa sera potresti rimanere da noi…!” aggiunse Mycroft preoccupato.
“Stai tranquillo, zio Myc…posso cavarmela anche da sola!” rispose la ragazza, sorridendogli con affetto. Poi si voltò a guardare fuori dal finestrino e sospirò “…l’unica cosa che voglio adesso…è di tornare a casa!” aggiunse semplicemente. 







Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il ventesimo e penultimo capitolo! C'è un bel colpo di scena dato dalla morte di John, ma per me era l'unico modo per avere una nota positiva alla fine e quando leggerete l'ultimo capitolo che pubblicherò domani, capirete perchè. Io purtroppo non posso vedere John felice senza Sherlock...ha lottato per anni per dare forza a sua figlia, per farla diventare ciò desiderava, ma alla fine, quando non ha più bisogno di lui, decide di arrendersi e di andare dove finalmente potrà essere felice...da qualche parte vicino a Sherlock. 
Il discorso messo all'inizio de "il signore degli anelli" mi ha ispirato un pò, mentre immaginavo la morte di John come qualcosa di triste, ma bello e liberatorio al tempo stesso. Una morte serena, consapevole e anche desiderata, che lascia un pò d'amaro in bocca, ma che da al tempo stesso una sensazione di pace.
Spero che nonostante tutto vi sia piaciuto. A domani con l'ultimo capitolo! Grazie a chi continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento.

 

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Capitolo 21
*** Il gioco ricomincia ***


            Ti strapperò il cuore







                                    Il gioco ricomincia





… “Ma almeno per questa sera potresti rimanere da noi…!” aggiunse Mycroft preoccupato.
“Stai tranquillo, zio Myc…posso cavarmela anche da sola!” rispose la ragazza, sorridendogli con affetto. Poi si voltò a guardare fuori dal finestrino e sospirò “…l’unica cosa che voglio adesso…è di tornare a casa!” aggiunse semplicemente.
 
 
 



John: “Il gioco è finito…”
Sherlock: “Il gioco non finisce mai, John…ma potrebbero esserci altri giocatori ora, questo sì…”
 
Sherlock – “L’ultimo giuramento”
 

 
 
                                                       


                                                                   TRE ANNI DOPO
 
 
Erano passati tre anni dalla morte di John e Sherlyn viveva ancora a Baker Street. Da quel giorno aveva lasciato la sua camera al piano sopra e si era trasferita nella stanza dei suoi genitori. Era un modo, per lei, per sentirli più vicini e mantenere vivo il loro ricordo.
Greg era appena diventato commissario capo di Scotland Yard e aveva assunto la nipote come consulente investigativo ufficiale del distretto. In quei giorni, inoltre, attendeva l’arrivo di un nuovo ispettore, che doveva prendere il suo vecchio posto. Era un giovane trentenne, molto promettente che proveniva dagli Stati Uniti.
“Buongiorno, signore! Sono Julian Scott…molto piacere!” disse il ragazzo, entrando sorridente nell’ufficio di Lestrade.
“Buongiorno! Piacere mio, lei deve essere il nuovo ispettore… Sa, mi hanno parlato molto bene di lei…” rispose Greg, stringendo la sua mano.
“Si…beh, diciamo che me la cavo!” esclamò Julian in tono scherzoso.
“Ho già questo caso da affidarle” disse Lestrade, porgendogli un fascicolo “…si tratta di un probabile serial killer…ci sono stati tre omicidi sospetti, avvenuti tutti nelle stesse circostanze e allo stesso modo” aggiunse serio.
“Perfetto, mi metto subito al lavoro!” rispose Scott, entusiasta.
“Ah, se dovesse trovarsi in difficoltà, le consiglio di rivolgersi al nostro consulente investigativo, che tra l’altro è mia nipote! …Anzi, se volesse conoscerla può venire con me…sto giusto andando da lei a Baker Street!” esclamò Greg, con un sorriso compiaciuto.
“Baker Street? Si tratta della figlia dei famosi John Watson e Sherlock Holmes?” chiese Julian sorpreso.
“Si, proprio lei!” rispose Lestrade.
“Certo che voglio venire a conoscerla! …I suoi genitori erano due uomini straordinari…! Ho sentito molto parlare di loro…!” esclamò Scott con aria sognante.

 
Greg e Julian arrivarono a Baker Street ed una sorridente Signora Hudson li invitò ad entrare.
“Buongiorno signora Hudson! Dov’è Sherlyn?” chiese Lestrade.
“È di sotto in laboratorio…sta lavorando ad uno dei suoi strani esperimenti!” rispose la donna divertita.
I due, allora, scesero di sotto e trovarono Sherlyn intenta a mettere una sostanza sul vetrino del microscopio.
“Sua nipote ha un laboratorio in casa, signore?” domandò Julian sorpreso, mentre entravano nella stanza.
Greg non rispose, ma si limitò ad annuire e a ridacchiare.
“Zio Greg!... Mi hai portato qualche caso di interessante?” chiese Sherlyn, alzando leggermente lo sguardo e scrutando il ragazzo.
“No, ero venuto per presentarti un mio nuovo amico…” rispose vagamente Lestrade.
“Lei deve essere Sherlyn Watson!” esclamò Scott entusiasta, avvicinandosi leggermente.
“Sherlyn Watson-Holmes!” lo corresse la ragazza.
“Oh, sì…mi scusi…! Io sono Julian Scott… sono il…” provò a dire Julian, ma venne interrotto.
“Si, lo so…è il nuovo ispettore di Scotland Yard!” esclamò Sherlyn, lasciando il vetrino e avvicinandosi per stringergli la mano.
“Le ha parlato di me?” chiese Scott confuso, rivolgendosi a Greg.
“Niente affatto!” rispose Lestrade divertito.
“E allora come faceva a sapere chi ero?” domandò Julian sorpreso, voltandosi di nuovo verso la ragazza.
“Stamattina mio zio mi ha informato che sarebbe arrivato il nuovo ispettore e, dopo pranzo, si presenta qui con un presunto nuovo amico…che a prima vista direi americano…con un passato da soldato, probabilmente un ex-marines...ma che negli ultimi anni si è dedicato a fare carriera nelle forze di polizia…non è stato difficile!” rispose Sherlyn con un sorriso compiaciuto.
“Come sa tutte queste cose di me?” domandò Julian sbalordito.
“Non le sapevo…le ho dedotte!” rispose la ragazza “…il fatto che lei è americano l’ho notato dai suoi tratti somatici e dall’accento inconfondibile, anche se cerca spesso di nasconderlo. È stato un soldato e lo posso capire dalla sua postura…è un andamento che raramente si perde, anche quando ci si riadatta alla vita civile…poi, considerando la sua giovane età e il fatto che sia americano è molto probabile che abbia fatto parte dei marines. In questi ultimi anni, però, ha lavorato in polizia, sicuramente è stato coinvolto in molti scontri a fuoco e si vede chiaramente dal gesto involontario che ha fatto prima con il braccio destro…appena ha sentito un rumore sospetto provenire dalla finestra, d’istinto ha alzato la mano destra all’altezza della cintura, dove di solito tiene la pistola! È un riflesso incondizionato che assume, appunto, chi lavora in polizia…!... Appena entrato, inoltre, ha chiamato mio zio, signore…è statisticamente improbabile che sia venuto da così lontano per prendere il posto di semplice agente, quindi la deduzione più ovvia è che si tratti del nuovo ispettore!” disse la ragazza tutto d’un fiato.
“Straordinaria!” esclamò Scott a bocca aperta.
“Grazie…” rispose Sherlyn, leggermente imbarazzata.
In quel momento Greg ricevette una telefonata. C’era stato un quarto omicidio, riconducibile al presunto serial killer che si aggirava per Londra.
“Julian…mi hanno appena avvisato che c’è stata una quarta vittima in Oxford Street!” disse serio Lestrade.
“Ok, andiamo subito allora!” rispose prontamente Julian “…Sa, è il mio primo caso da ispettore…mi sarebbe sicuramente d’aiuto la sua consulenza…” aggiunse poi rivolgendosi alla ragazza.
“Va bene…ma non vengo con l’auto della polizia! Vi raggiungo lì in taxi!” esclamò lei, con il suo solito tono teatrale.

 
Sherlyn arrivò sulla scena del crimine dopo alcuni minuti. Scese dal taxi con la sua consueta eleganza: indossava un tailleur nero con pantalone, la camicia bianca, un cappotto lungo ed una sciarpa legata intorno al collo. A vederla, sembrava la versione femminile di Sherlock.
Julian era già lì, ma era da solo. Greg era dovuto rientrare al distretto per risolvere alcuni problemi.
“Cosa abbiamo?” chiese la ragazza, avvicinandosi all’ispettore.
“Una donna di circa 35 anni…sembra sia stata strangolata come le altre tre…” rispose Scott, mentre osservava il cadavere.
“Se volete un mio parere…” iniziò a dire Anderson avvicinandosi a loro.
“Anderson, ti prego…non esprimere pareri…abbassi il quoziente intellettivo dell’intero quartiere!” esclamò Sherlyn, inginocchiandosi ed iniziando ad ispezionare il corpo.
“Mi illumini…” disse Julian, dopo un po', rivolgendosi alla ragazza.
“Lavorava sicuramente in un ufficio, considerando l’appiattimento dei polpastrelli dovuto al troppo utilizzo della tastiera di un computer e dal callo nella parte inferiore della mano destra che si forma quando si usa molto il mouse. Dall’eleganza e dal tipo di abiti che indossa, direi che era una segretaria, probabilmente di uno studio medico. I lividi che ha sui polsi, indicano chiaramente che è stata legata prima di essere uccisa…in apparenza non risultano esserci state, neanche qui, violenze di natura sessuale, quindi il nostro assassino uccide per un puro desiderio di morte e non per approfittarsi delle sue vittime… Da una prima analisi direi che è morta tra le 10 e le 12 ore, non di più… La causa della morte è avvenuta, come ha detto anche lei, per strangolamento… la cosa particolare è che usa sempre lo stesso tipo di corda, cha lascia sul collo dei segni inconfondibili…inoltre dal modo violento in cui uccide, possiamo sicuramente dedurre che si tratta di un uomo ben piazzato e con una prestante forza fisica” disse Sherlyn, tutto d’un fiato, iniziando a prelevare alcuni campioni “…analizzando queste tracce potrei dirle qualcosa in più…” aggiunse, alzandosi e guardando l’ispettore.
“Fantastica…!” esclamò Julian sbalordito.
“Lo ha detto ad alta voce…” disse la ragazza, con un mezzo sorriso, indicando gli agenti intorno a loro.
“Si…mi scusi…” rispose Scott, leggermente imbarazzato.
“Fa niente…va bene…” disse Sherlyn, continuando a sorridere.
Dopo aver preso qualche altro campione, la ragazza salutò e si avviò verso l’uscita.
“Aspetti…!” urlò Julian, seguendola fuori.
Sherlyn si voltò incuriosita e sorpresa da quel tono.
“Stavo pensando…di invitarla a cena…se non ha altri impegni per stasera…” disse lui, tossendo leggermente per schiarirsi la voce.
“Julian…deve sapere che mi considero sposata con il mio lavoro…nonostante mi lusinghi il suo interesse…non sto cercando…” iniziò a dire la ragazza, ma venne interrotta.
“Oh…no…non ci sto provando…è sono una cena…sa, visto che sicuramente lavoreremo spesso insieme, era un modo per conoscerci meglio…tutto qui!” esclamò Julian, imbarazzato.
“Va bene…” rispose alla fine Sherlyn “…allora la porto in un ristorante che conosco…il proprietario, Angelo, è un tipo davvero interessante!” aggiunse con un mezzo sorriso “…mi passi a prendere per le otto, ho alcune cose da sbrigare prima…” continuò, guardando l’orologio.
“Ok…mi fido…allora a dopo…” disse Scott sorridendo a sua volta.

 
Dopo aver finito di dare tutte le direttive agli agenti, sulla scena del crimine, Julian si diresse verso la sua macchina. Prima che potesse arrivarci, però, un’auto nera con a bordo una donna, si fermò proprio davanti a lui.
“Signor Scott…salga, il mio capo vorrebbe parlarle…” disse Anthea seria.
“E lei chi sarebbe?... Non ho intenzione di venire da nessuna parte…mi scusi…” rispose Scott, cercando di divincolarsi.
“Insisto…!” esclamò lei, guardandolo dritto negli occhi.
“E chi sarebbe il suo capo?” chiese Julian a tono.
“Un uomo molto influente…” rispose Anthea, facendogli cenno di salire.
L’ispettore, anche se un po' titubante, salì sull’auto nera. Dopo alcuni minuti venne fatto scendere davanti ad un capanno abbandonato e lì trovò un uomo ad attenderlo: era vestito con un’eleganza impeccabile e giocherellava con un ombrello.
“Si può sapere chi è lei?” chiese l’ispettore, avvicinandosi a lui.
“Non mi sembra spaventato!” esclamò l’uomo.
“Lei non mi sembra spaventoso…” ribatté Julian a tono.
Il politico scoppiò a ridere di gusto, iniziando a scrutarlo con attenzione.
“Certo che non lo è!... In lei vedo il coraggio di un soldato e la strafottenza di un poliziotto…eccellente abbinamento, non trova?” chiese Mycroft, ritornando serio.
“Le ripeto la domanda…chi è lei?” insistette l’ispettore.
“Il mio nome è Mycroft Holmes…e lei naturalmente è Julian Scott, il nuovo ispettore di Scotland Yard…” rispose il politico serio.
“Mycroft Holmes?... Ho sentito molto parlare di lei!” esclamò Julian sorpreso.
“Per fortuna i pettegolezzi spesso mi fanno risparmiare tempo…quindi non c’è bisogno che le dica che sono una persona molto influente qui a Londra, vero? …E naturalmente, sa già che Sherlyn è mia nipote…” rispose Mycroft a tono.
L’ispettore annuì semplicemente, leggermente intimorito dal tono e dall’espressione del suo interlocutore.
“Ecco…volevo solo precisare, che se le sue intenzioni verso mia nipote non fossero del tutto sincere…le consiglio di starle alla larga, almeno fuori dall’ambito lavorativo…sono stato abbastanza chiaro?” disse il politico, guardandolo dritto negli occhi.
“Si, è stato chiarissimo!” esclamò Julian “…E comunque non dubiti mai della mia sincerità…è una qualità che mi vanto di possedere, nonostante i suoi pregiudizi nei miei confronti!” aggiunse, con un sorriso strafottente.
“Lo vedo…” rispose Mycroft, ricominciando a ridere. Poi si voltò senza aggiungere altro e si allontanò, sparendo dalla sua vista.

 
Alle 20:00 in punto, l’ispettore passò a prendere Sherlyn a Baker Street. Si recarono da Angelo, che li accolse con la sua solita gentilezza ed iniziarono a godersi la cena.
“Sa, ho conosciuto suo zio…” disse all’improvviso Julian.
“Oh…avrei dovuto avvisarla…sa, ha manie iperprotettive nei miei confronti…” rispose Sherlyn divertita.
“Si, l’ho notato!” esclamò Scott, scoppiando a ridere.
“Credo che ormai puoi anche darmi del tu, Julian…” disse la ragazza con un mezzo sorriso.
“Volentieri, Sherlyn…” rispose l’ispettore “…quindi vivi da sola?... Non hai un fidanzato?” aggiunse leggermente imbarazzato.
“No…non ce l’ho…” rispose lei, spostando lo sguardo verso la finestra “…e tu dove vivi adesso?” aggiunse, cercando di cambiare discorso.
“Per ora in albergo…sto ancora cercando un appartamento che possa permettermi!” esclamò Julian, sospirando con sconforto.
In quel momento, però, l’attenzione della ragazza venne attirata da un uomo, che si trovava dall’altra parte della strada e che stava parlando con una donna. Quest’ultima, in particolare, sembrava spaventata e intimorita e, appena Sherlyn si accorse che l’uomo nascondeva una pistola sotto il cappotto, si alzò di scatto e corse fuori.
“Sherlyn!” urlò Scott, seguendola sorpreso da quel gesto.
“Il serial killer!” rispose semplicemente la ragazza, prima di gridare verso l’uomo armato.
L’assassino, appena si accorse di cosa stava accadendo, lasciò stare la donna e si mise a correre. Sherlyn iniziò ad inseguirlo e Julian fece lo stesso. Corsero per le vie della città per più di venti minuti e man mano, l’ispettore cominciò a perdere terreno: gli altri due erano sicuramente più veloci e agili di lui.
Arrivato ad una strada senza via d’uscita, trovò l’uomo che urlava e puntava la pistola verso Sherlyn. Cercando di non far notare la sua presenza, si avvicinò con cautela e, nel momento in cui ebbe a tiro l’assassino, sparò un colpo di precisione, che lo colpì dritto in testa.
La ragazza rimase sorpresa da ciò che accadde e appena vide Julian uscire dall’oscurità, si lasciò scappare un sorriso.
“Bel colpo!” esclamò continuando a ridere.
“Stai bene?” chiese lui, avvicinandosi preoccupato.
“Si, tranquillo…e tu stai bene?” domandò a sua volta Sherlyn.
“Si…perché non dovrei?” ribatté Scott confuso.
“Hai appena ucciso un uomo a sangue freddo!” esclamò la ragazza.
“Già…succede…ma non era una bella persona!” rispose Julian serio.
“No, non lo era!” disse la ragazza scoppiando a ridere.
Anche Julian scoppiò a ridere. Poi, dopo alcuni istanti, prese il cellulare e chiamò i suoi agenti per occuparsi del cadavere, annunciando la risoluzione del caso. Aspettarono lì fino all’arrivo degli agenti e di Greg, che si era precipitato per assicurarsi che Sherlyn stesse bene.
“Riaccompagnala pure a casa…ci penso io qui!” esclamò Lestrade, rivolgendosi a Julian “…Ottimo lavoro!” aggiunse, guardando entrambi.
“La ringrazio, signore!” rispose Scott, facendo un occhiolino alla ragazza.
Durante il tragitto verso casa, entrambi se ne stavano in silenzio, immersi nei propri pensieri. All’improvviso la ragazza si voltò verso di lui, con una strana espressione sul viso.
“Che c’è?” chiese Julian curioso.
“Stavo pensando…che a Baker Street c’è una camera libera che io non utilizzo più…se fossi interessato, potremmo dividere l’affitto…la signora Hudson mi fa un prezzo di favore e sicuramente potresti permettertelo!” esclamò lei seria.
“Dici sul serio?” chiese Scott sorpreso.
“Ti sembra che stia scherzando?” rispose lei a tono.
“Certo che sono interessato!” esclamò Julian sorridendo.
“Però ti avverto…io suono il violino quando penso e spesso accade anche di notte e a volte non parlo per giorni interi se sono impegnata in qualche caso…” disse Sherlyn con un mezzo sorriso.
“Nessun problema! Adoro il violino e spesso gradisco anche un po' di silenzio…” rispose Scott continuando a sorridere.
“Allora potresti passare a prendere le tue cose in albergo e venire già da stasera…sempre se ti va…!” disse la ragazza, leggermente imbarazzata.
Julian non rispose. Fece una veloce inversione con l’auto e si diresse verso il suo albergo.

 
Dopo una mezz’ora circa i due arrivarono a Baker Street. Appena entrarono nel soggiorno, l’ispettore si mise a guardare l’ambiente incuriosito.
“Che ne pensi?” chiese la ragazza, scrutandolo attentamente.
“Delizioso…” rispose Julian, poggiando le valigie e andandosi a sedere sulla poltrona di John.
Appena Sherlyn se ne accorse si fermò a fissarlo intensamente.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato? Forse questa è la tua poltrona…!” esclamò Scott, alzandosi di scatto.
“No…la mia è quella nera…” rispose la ragazza cominciando a sorridere “…da oggi questa sarà la tua…” aggiunse divertita.
“Perché non mi fai sentire qualcosa?” domandò Julian sedendosi di nuovo ed indicando il violino.
Sherlyn si tolse il cappotto e si avvicinò allo strumento. Poi con la sua solita eleganza, iniziò a suonare la musica che Sherlock aveva scritto per John e che, ormai, era la sua preferita. Alla fine della melodia, si voltò a guardare l’ispettore e fece un piccolo inchino.
“Meravigliosa…!” esclamò lui estasiato “…Questa melodia, però, credo di non averla mai sentita!” aggiunse pensieroso.
“Era la musica dei miei genitori…l’hanno ballata anche al loro matrimonio…l’ha composta mio padre Sherlock per mio padre…” rispose Sherlyn con un sorriso triste.
“È davvero bellissima…” disse Julian.
“Scusate se vi interrompo…ma la camera di sopra è pronta!” esclamò la signora Hudson, sbucando dalla porta.
“Bene…allora vado a sistemare le mie cose…” disse Scott, alzandosi di scatto “…Ah, grazie ancora Sherlyn…” aggiunse, voltandosi verso di lei e sorridendole.
“Figurati…per così poco…” rispose la ragazza.
“Credo che sarà una convivenza davvero interessante!” esclamò Julian ridacchiando e salendo di sopra.
“Lo credo anche io…” disse Sherlyn. Appena l’ispettore salì di sopra, si voltò verso il camino e prese tra le mani la foto dei suoi genitori al loro matrimonio. Era la stessa foto che suo padre guardava intensamente il giorno prima di morire. Erano così belli e felici in quello scatto che non poté fare a meno di incorniciarla e di metterla in bella vista. Iniziò ad accarezzarla dolcemente, lasciandosi scappare un tenero sorriso. Poi la posò di nuovo e continuò a guardarla.
“Papà…papà Sherlock…il gioco è cominciato!” disse, iniziando a ridere di gusto.
 



 
In tutte le storie, in fondo, è possibile trovare un lieto fine, che lascia al lettore una piccola speranza. Nonostante la vita spesso sia difficile, nonostante la tristezza e il dolore che ci ritroviamo ad affrontare, nostro malgrado, alla fine, a volte anche in modo inaspettato, possiamo trovare il modo di essere felici. Questa storia, infatti, non è la storia di Sherlock e John, ma è la storia di Sherlyn: una ragazza che nonostante tutte le cose brutte che le sono capitate nel corso della sua vita, non si è mai arresa, ma ha lottato con tutte le sue forze per realizzare i propri sogni e per avere un futuro pieno d’amore e di speranza. Questa storia, dunque, per quanto sia stata piena di dolore e sofferenza, ci insegna che non dobbiamo mai mollare, ma dobbiamo andare sempre avanti, anche quando tutto è difficile, anche quando è troppo doloroso, perché alla fine la nostra forza viene ricompensata e possiamo assaporare anche noi il dolce gusto della felicità.

 
Per quanto riguarda Sherlock e John, infine, condivido la stessa idea di Sherlyn. Nel profondo del mio cuore, infatti, mi piace pensare che adesso, ovunque si trovino, siano di nuovo insieme…di nuovo soli contro il resto del mondo!







Angolo dell'autrice:

Salve! Eccovi il ventunesimo e ultimo capitolo della storia e della serie Heart! Mi scuso per il ritardo, ma mi ha preso molto più tempo del previsto...come avrete notato, infatti, ho voluto fare una sorta di "prima puntata della serie tv" modificata, ma mantenendo molte battute originali...mi sembrava un'idea carina per far capire che, come disse anche Sherlock, anche se i giocatori cambiano, alla fine il gioco non finisce mai, ma spesso ricomincia da capo! Il titolo del capitolo è volutamente uguale a primo capitolo della prima storia...è un modo per sottolineare che, in un certo senso, si è chiuso il cerchio e si è ritornati di nuovo al punto di partenza. 
Spero che questo finale vi sia piaciuto...come avevo annunciato, nonostante la storia straziante, ho voluto dare una nota positiva alla fine, per far capire che nonostante tutto, si può sempre sperare in un finale felice.
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno seguito tutte e tre le storie, a chi ha avuto il coraggio di seguire questa fino alla fine, ha chi ha inserito le storie tra le preferite/seguite/ricordate e a tutti quelli che hanno lasciato un commento o un pensiero. Vi ringrazio di cuore.
Credo di avere un'altra mezza idea per un altra storia, ma penso che mi prenderò un pò di pausa per svilupparla bene...Grazie di nuovo a tutti...alla prossima ;)









 

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