Tu sei Mia

di maavors
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***









PROLOGO
 
 
Una parte di lei voleva macinare
un gradino dopo l’altro […];
Poi, la parte di lei che odiava far affidamento
sugli altri -Perché non dovrebbero deluderti?-
e che era orgogliosa di proclamare che Isabelle
Lightwood non aveva bisogno di nessuno le
ricordò un dettaglio importante: se si trovava
lì, era perché avevano chiesto la sua presenza.
Loro avevano bisogno di lei.
 
Città delle anime perdute, Cassandra Clare
 
 

 
Mia scese dalla macchina con la consapevolezza che il portabagagli fosse stracolmo di cose e che se non avesse trovato qualcuno disposto ad aiutarla, avrebbe dovuto fare almeno tre viaggi per portare tutto dentro. Si appoggiò allo sportello e si prese un paio di minuti per osservare l’immensità della caserma davanti a lei; l'idea di lavorarci le fece venire la pelle d'oca. Era una sera di Ottobre quando ricevette, finalmente, la telefonata del generale Abrami che le annunciava il trasferimento.
 
La visione di un ragazzo la riportò al presente “Scusa!” il ragazzo si voltò. Lo riconobbe all’instante: il capitano Ghirelli, “Scusi capitano” si corresse immediatamente “potrebbe indicarmi qualcuno che possa aiutarmi con le mie cose? Sono il sottotenente Mia Nisi, prendo servizio oggi” cercò di essere più chiara ed educata possibile.
“Ah eccoti finalmente” Ti stavo aspettando” disse con un sorriso “dammi quei due scatoloni” continuò puntando l’indice verso le scatole di cartone all’interno della macchina, e Mia ubbidì ringraziandolo. Con un braccio stringeva l’ultimo scatolone rimasto e con l’altra mano chiuse la macchina.
“Mi scusi per il ritardo, non sono ancora esperta di Roma” si scusò come meglio poteva mentre insieme s’incamminavano all’interno dell’edificio, ma il capitano non sembrava affatto infastidito. “Sì, l’avevo capito dall’accento. Pisa?” cercò di indovinare la sua città natale.
“Firenze” rispose Mia orgogliosa e Ghirelli contraccambiò con un sorriso.
Varcarono insieme l’ingresso, impercettibili brividi le corsero lungo la schiena. Era reale, stava lavorando al RIS di Roma, nessuna sveglia l’avrebbe riportata alla realtà. Questa era la realtà.
“Allora Mia, non di Pisa ma di Firenze, posiamo qui le tue cose e andiamo che ci aspettano per il primo briefing della giornata, così ti presento al resto del gruppo” Mia fece come ordinato “Ah, io sono il capitano Ghirelli, ma sembra che tu già lo sappia” le porse la mano “È un onore conoscerla capitano!” Mia mostrò tutto il suo entusiasmo, era così euforica. “Puoi chiamarmi Daniele” disse sorridendo e iniziarono a camminare verso l'ufficio del capitano Brancato. “Conosci già Lucia, vero?” chiese Daniele, cercando di fare conversazione “Sì, da quasi un anno” rispose Mia mentre Ghirelli spingeva la porta a vetri che li introdusse all’interno di un’altra stanza.
 
All’interno c’era un grande tavolo con tre uomini seduti ai lati e due donne alle estremità.
“Ho il piacere di presentavi il pezzo forte del comando di Parma, il sottotenente Mia Nisi!” disse Lucia alzandosi dalla sedia con un sorriso che le scopriva tutti i denti “Ho personalmente insistito nel suo trasferimento. Come vedrete meglio lavorandoci, Mia è una ragazza che impara in fretta e si adatta a qualsiasi situazione. Perfetta per il nostro gruppo”
Mia non poté fare altro che arrossire imbarazzata, Lucia aveva evidentemente dimenticato di menzionare la sua timidezza. Daniele iniziò quindi le presentazioni “Lei è il capitano Brancato, ma già la conosci,” poi spostò il dito verso l'uomo vicino a un posto vuoto “lui è il tenente Orlando Serra, lei la sottotenente Bianca Proietti, lui il tenente Emiliano Cecchi e lui il tenente Bartolomeo Dossena, io mi siedo lì e tu qui” finì anche lui con un sorriso. Mia si sedette e poggiò la giacca allo schienale della sedia incrociando per un secondo lo sguardo del ragazzo accanto a lei.
 
“Ora che ci siamo tutti possiamo iniziare” iniziò la Brancato “la territoriale ha trovato il corpo di una ragazza sulla Cassia andate tu ed Emiliano” disse indicando il ragazzo seduto accanto a Mia “ah e portate anche Mia” continuò. Il tenente Dossena fece per alzarsi ma la Brancato lo fermò con un gesto della mano. “No, aspettate. Dobbiamo parlare della Banda. Come sapete tutti Mario Pugliese è scappato dall'Ospedale più di due mesi fa e non abbiamo più sue notizie da allora.”
“Potrebbe essere morto?” chiese il ragazzo seduto due posti lontano da lei “Improbabile. I medici lo avrebbero dimesso in giornata. È solo un presentimento, ma credo stia lavorando ad un piano per liberare il fratello Gerry.” Fece un momento di pausa e l'uomo seduto vicino Ghirelli ne approfittò per prendere parola “Potrei provare a parlarci” Lucia si girò di scatto verso di lui, aveva l'aria preoccupata ma annuì. “Ok, allora Ghiro e Bianca restate qui con me e cerchiamo di capirci qualcosa”.
 
Tutti si alzarono e si diressero verso le proprie postazioni di lavoro e Mia cercò di imitarli seguendo i due superiori a cui l’avevano affidata. Dossena e Cecchi si stavano muovendo probabilmente dimenticandosi della sua presenza. Doveva farsi valere se voleva dimostrare al resto del gruppo quanto valesse, ma non riusciva a trovare niente di intelligente da dire. Alzò gli occhi al cielo, maledetta timidezza pensò, cercando di infilare le mani nelle tasche della giacca. E solo in quel momento si rese conto che la sua giacca si trovava ancora nell’ufficio della Brancato. “Scusate” disse cercando di alzare la voce e di non arrossire al tempo stesso. I due ragazzi contemporaneamente si voltarono “penso di aver dimenticato la giacca dentro…” la guardarono come se si fossero ricordati solo in quel momento che si sarebbero dovuti portare dietro pure lei. Fu quello più alto a parlare “Oddio no, un’altra Bianca no, ti prego!” disse a nessuno in particolare, ma quell’altro – Emiliano – arrossì leggermente. “Cosa?” chiese Mia “Niente. Poi magari un giorno Cecchi ti spiega” disse con un ghigno “dai vai dentro a prenderla, noi ti aspettiamo in macchina”
 
Si diresse verso la stanza e vide la brancato appoggiata al tavolo mentre parlava col tenente Serra. Non voleva interrompere ma doveva: il bel ragazzone la stava aspettando. Bussò “Scusate non vorrei disturbare, ma devo prendere la giacca” spiegò ai due “Non ti preoccupare il tenente stava andando” disse Lucia, lui fece per andarsene ma lei lo interruppe. “Stai attento” disse dolcemente, lui sorrise e lei si sentì più sicura. “Scusi ancora capitano” cercò di rimediare. “Non preoccuparti, e dammi del tu” sorrise. “Ah, buon lavoro Mia.”
La ragazza contraccambiò il sorriso e raccolse la giacca marrone, ancora appesa alla sedia, come l’aveva lasciata. Aprì la porta a vetri e se la richiuse alle spalle, fece un respiro profondo e s’incamminò verso l’uscita.


 


 
aggiornato e corretto 05/01/2016

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1
 
 
Era la strada del Dover che si stendeva,
 una notte di venerdì in novembre,
innanzi al primo dei personaggi con cui questa storia ha da fare.
Il racconto di due città, Charles Dickens
 
 
 
Uscì dalla caserma e corse verso la macchina. Dossena guidava e Cecchi gli stava accanto. Stavano chiacchierando, e continuarono a farlo anche dopo che Mia entrò in macchina “Come vanno i preparativi?” stava chiedendo Emiliano. “Che preparativi?” rispose l’altro con disinteresse, tamburellando le dita sul manubrio. “Il matrimonio con Eleonora!?” esclamò sorpreso, “Ah, quei preparativi” disse voltandosi verso Cecchi “tutto bene” concluse evasivo, mentre con la mano spostava l’aria. “Con quella faccia non si direbbe” insistette il ragazzo, che evidentemente voleva sapere i dettagli. “Oh Cecchi come sei noioso, sembri mia madre!” Tagliò corto e con nonchalance si girò verso la ragazza “Non mi sono potuto presentare bene prima, io sono Bartolomeo ma chiamami pure Bart” esclamò. Mia notò che la sua espressione cambiò radicalmente, e sul suo volto al posto del broncio si aprì un sorriso che scopriva i denti. I suoi occhi erano di un verde acceso, bellissimi. Sorrise.
 
Arrivarono sul luogo del delitto dopo parecchio viaggio. Mia era già stata a Roma, ma non ricordava quella zona, quindi cercò di catturare più immagini possibili di quel panorama.
Scesero dalla macchina e si incamminarono verso il bordo della strada dove c’era il corpo di una donna e un uomo sulla cinquantina, con una sigaretta in bocca, che le stava toccando il petto. “Dicci tutto Carnacina” Bart si rivolse all'uomo e tirò fuori dal taschino della giacca un piccolo quaderno e una penna. “È morta verso le tre di questa notte a causa dello sfondamento del cranio ma non so dirvi altro, comunque non sembra essere questa la scena del delitto… ma questi sono affari vostri. Sbrigatevi che voglio fare l'autopsia” l’uomo gettò la sigaretta a terra e le si avvicinò “Salve, sono il dottor Carnacina. Tu devi essere…”
“Sottotenente Mia Nisi” continuò lei, completando la frase.
 
“Nisi, vieni qui” Dossena la richiamò e lei si liquidò dal medico con un sorriso. Si avvicinò al ragazzo che aveva già indossato i guanti “La ragazza non aveva documenti addosso ma Cecchi dall'altra parte della strada ha trovato una borsa” disse alzando la borsetta per i manici “Dolores Molina, 26 anni. Voi restate qui e repertate tutto, io vado con il tenente Sasso a sentire qualcuno” concluse e fece per andarsene, poi come se si fosse dimenticato qualcosa si girò di scatto “Ah, buon lavoro” aggiunse con un sorriso, poi finalmente si allontanò. Erano tutti così gentili e disponibili ma magari era solo per cortesia, infondo era l’ultima arrivata.
 
Mia adorava repertare, la rilassava e fu contenta di essere stata incaricata di farlo. Si avvicinò al corpo della ragazza e notò subito qualcosa tra le mani “Guarda Emiliano ci sono dei capelli tra le dita della mano destra”
“Bene, potrebbero appartenere all’assassino. Però dobbiamo capire dove è stata uccisa” parlando si guardò intorno con fare interrogativo, “Aspetta, guarda lì” disse lui indicando un supermercato “se siamo fortunati ci sono delle telecamere che magari hanno ripreso tutto” concluse alzandosi. Porse una mano a Mia che accettò l’aiuto a sollevarsi da terra.
“Ma certo, potrebbero aver ripreso l'assassino!” esclamò la ragazza. Il suono di un telefono che squillava interruppe l’entusiasmo dei due, Emiliano si mise quindi una mano nella tasca dei jeans e tirò fuori il cellulare “Sì Bart, le abbiamo viste anche noi. Davvero? Finiamo qui e ti raggiungiamo” attaccò e iniziò a ripetere quello che Dossena gli aveva comunicato. Effettivamente le telecamere avevano ripreso una macchina dalla quale, verso le tre, avevano scaricato un corpo. “Ora dobbiamo tornare al RIS e vedere se abbiamo culo e riusciamo a beccare la targa” concluse con un tono quasi gioioso, si vedeva che amava il suo lavoro.
Con una mezz’ora finirono di repertare e tornarono alla macchina dove li aspettava Bart. Era appoggiato alla vettura con braccia e gambe incrociate. Non appena scorse le due figure che si avvicinavano si mise in posizione eretta e sorrise chiedendogli se avessero trovato qualcosa di interessante.
“Dei capelli nella mano della vittima. Non è molto ma potremmo confrontarli con quelli del proprietario della macchina” disse Mia con – evidentemente – troppo entusiasmo, perché Cecchi la riportò immediatamente alla realtà “Sempre se riusciamo ad identificarlo”.
Tutti e tre si guardarono con speranza e dopo un paio di secondi entrarono in macchina.
 
Questa volta era Cecchi a guidare e Bart si spalmò sul sedile accanto. Mia non poté non notare gli aloni sul vetro che si formavano quando Dossena respirava, talmente era attaccato al finestrino. C’era qualcosa di estremamente triste in quell’immagine, in quel ragazzo che si vedeva da lontano un miglio che tutti quei sorrisi erano finti. Si raddrizzò interrotto dal telefono che vibrava nella tasca in alto a destra della giacca. Lesse il nome sullo schermo e inspirò profondamente. Si passò una mano sulla fronte, come per asciugare l’inesistente sudore. Sembrava si stesse per preparare a un litigio. Portò il telefono all’orecchio e con un filo di voce rispose “Che c’è?” si vedeva che era stanco, Mia non lo conosceva per dire di cosa fosse stanco, ma era stanco. “Ci passo appena stacco” stava dicendo all’interlocutore. “Oh, ti sto dicendo che ci passo io” insistette, era evidente che fosse scocciato dalla conversazione, dalla situazione, dalla persona con cui stava parlando. “Senti, se ti va tanto vacci tu e non mi stancare” disse irritato. Era arrivato al limite.
Attaccò il telefono e lo lanciò con troppa forza sopra il cruscotto, “Scusate” disse a nessuno in particolare, poi si voltò verso Mia “Solitamente non sono così” provo a scusarsi con la new entry ma un ghigno comparve sul volto di Emiliano: la sua faccia sembrava volesse dire “Infatti sei anche peggio”. Mia cercò di non ridere in faccia a Dossena che respirò lentamente come se dovesse combattere contro un istinto naturale “Ma certe volte è veramente…” inspirò “insopportabile” disse espirando, mentre si rimetteva nella stessa posizione di prima, ma ormai erano già arrivati.
 
Quando la macchina si fermò Mia aprì lo sportello e scese. Si avvicinò al portabagagli, dove aveva riposto i reperti ma Bart la bloccò “Non ti preoccupare, ci penso io” disse con voce calma. Quel ragazzo aveva la capacità di cambiare umore in un minuto, “Tu vai dentro che qui si gela” accennò un sorriso. Seguì il consiglio del superiore e si incamminò verso la caserma. Non appena varcò l’ingresso notò qualcuno che si stava sbracciando nel tentativo di catturare la sua attenzione, Ghirelli.
“Brutte notizie: l’auto che si vede nel filmato è rubata, la denuncia è stata fatta una settimana fa” le porse un foglio con la denuncia. “Bene!” disse Mia con sarcasmo, sorridendo desolata. “Non ti abbattere, sono sicuro che risolverete questo caso” Il ragazzo riccio cercò parole amichevoli per consolarla, poi si avvicinò “Pensa che nel mio primo caso, qui a Roma, un nano mi stava per uccidere!” Mia scoppiò in una fragorosa risata che colpì l’attenzione di Daniele, che per primo scoprì il suo potere, il suo sorriso. Quando si riprese cercò di dire qualcosa di sensato “Ma un nano, nano?” chiese incuriosita “Un nano da giardino” rispose Ghirelli cercando di trattenere il sorriso che si voleva stampare sulle sue labbra. “Oh, ma era imbottito di esplosivo eh!” aggiunse quasi ridendo, “Ah certo, questo cambia tutto” disse Mia, lasciando parlare il suo accento fiorentino, con le c deboli e le a più aperte del dovuto. “Comunque, lo sai chi mi ha salvato?” chiese cercando di incuriosire Mia “Chi ti ha salvato?”
“Bart” disse rivolgendo lo sguardo verso l’entrata. Diede una pacca sulla spalla a Mia e lei sorrise congedandosi.
“Il capitano Ghirelli ha visionato il contenuto del filmato e purtroppo l’auto è stata rubata una settimana fa, ho qui il foglio della denuncia” Mia cercò di essere più professionale possibile. C’era qualcosa di strano in lui, non riusciva a essere Mia con lui, non riusciva nemmeno a chiamarlo per nome.
“Bene!” anche lui ebbe la stessa reazione di Mia “senti io vado a parlare con la Brancato tu vai da Cecchi e iniziate a scavare nella vita della ragazza. Scoprite dove abitava, se studiava, familiari” disse sorridendo, ora non assomigliava minimamente a quel ragazzo che fino a pochi minuti prima sembrava sul punto di tirare un cazzotto al vetro della macchina. Mia annuì e si girò per andare verso la stanza dove si trovava Emiliano ma Dossena la bloccò delicatamente per un braccio “E comunque puoi rivolgerti a me in modo meno formale, eh!” disse scoprendo i denti in un sorriso. Sorriso che lei ricambiò amichevolmente.
 
Mia entrò in quello che aveva tutta l’aria di essere l’ufficio di Emiliano. Come quello della Brancato, anche il suo aveva delle grandi porte di vetro. C’era poco di personale, solo una foto di una bambina, sua sorella, pensò Mia.
“La macchina” Emiliano la fermò prima che potesse dire altro “So già tutto, Ghiro mi ha lasciato un biglietto sul PC. Prendi una sedia e iniziamo a scavare nella vita di questa Dolores” disse indicando una sedia dietro di lui, Mia la afferrò e gli si mise accanto. Emiliano iniziò a cercare nel database “Vieni da Parma giusto? chiese mentre aspettavano i risultati della ricerca. “Sì, cioè, mi hanno trasferito dalla caserma di Parma, però sono di Firenze” precisò lei. “Non l’avrei mai detto” esclamò sarcastico, “Tu Roma, vero?” chiese senza esitare, un sorriso sbocciò sul viso del ragazzo.
  Sullo schermo del PC apparve una foto, la ragazza aveva molto più trucco rispetto a quella che avevano visto durante il sopraluogo, sembravano due gemelle dai gusti opposti. “È stata arrestata due anni fa. Prostituzione” disse Cecchi quasi in un sussurro. “È strano però…  Non sembrava una prostituta” Emiliano espose i suoi dubbi con aria perplessa.
“In effetti nemmeno a me ha dato l’impressione di essere una prostituta, magari stava andando da qualche parte per cambiarsi” da brava novellina provò ad esporre una teoria, che però fu subito smontata “No, non credo. Era troppo curata per essere una donna di strada, e se stava smettendo e il suo protettore l’ha uccisa?” la sua teoria era leggermente migliore della sua, ma anche lì non c’erano prove concrete.
Qualcuno bussò alla porta aperta, era Bart “Carnacina ci vuole vedere.”



 

 
aggiornato e corretto 06/01/2016

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
 
Lui stava zitto
ma accennò un sorriso
non era il massimo della prestanza
ma aveva addosso certe sue ferite
che si capiscono a chi sa cos’è
Caravan Story, Jovanotti
 
 
 
Arrivammo all’obitorio, che non era molto distante dal commissariato. Carnacina ci aspettava al terzo piano, quello delle autopsie. La stanza era freddissima, e Mia sapeva in cuor suo che non si sarebbe mai abituata a quel freddo.
Entrarono nella stanza e il corpo della ragazza fu la prima cosa che Mia vide. Un’enorme ‘Y’ era incisa sul suo petto, opera del medico legale, che si stava lavando le mani nel lavandino.
“Allora Carnacì, che ci dovevi dì?” parlò Emiliano, con il suo solito accento romano. A differenza di Mia, lui non faceva niente per nasconderlo. Non che Mia si vergognasse, però sapeva che si starebbe sentita come un pesce fuor d’acqua. “La vostra vittima stava entrando al 4° mese di gravidanza. Era troppo magra, non me ne sono accorto sul momento”
“Ecco perché non sembrava una prostituta” disse sottovoce, ma Emiliano la sentì e annuì debolmente.
 
Mia sentì uno sparo, chiuse gli occhi, era nella sua testa. Rivide se stessa stesa a terra, le mani sporche di sangue, gli occhi dei dottori mentre le davano la notizia. Riaprì gli occhi di scatto, le pareti stavano iniziando a girare tutte intorno a lei. Decise di uscire dalla stanza con la scusa di aver ricevuto una chiamata.
Si appoggiò al primo muro che vide e lasciò che il peso del suo corpo prendesse il sopravvento sulle sue gambe. Iniziò a scivolare a terra finché non si ritrovò con il viso tra le ginocchia. “Ehy” disse una voce stranamente familiare. Mia alzò lo sguardo e si trovò due enormi occhi verdi a fissarla. Non disse una parola e anche lui si mise seduto, imitando la sua posizione. Lei si girò per guardarlo e gli sorrise debolmente, era un silenzioso “grazie per non aver fatto domande”. Bart rispose al sorriso “non c’è di che” anche la sua era una risposta silenziosa.
Rimasero per un po’ in quella posizione, senza dire niente, senza nemmeno vergognarsi del silenzio imbarazzante, senza niente. Fu lui a parlare per primo “Resterei qui anche io, ma si sta facendo tardi, Cecchi starà urlando come una femminuccia” disse e riuscì a strappare una risata a quella ragazza che Bart pensò fosse tutta da scoprire.
Rientrarono ma lì non c’era più nessuno, solo la ragazza. “Il vostro collega è andato via” sentirono la voce del dottore, che si trovava nella stanza adiacente. “Ok, grazie Carnacina” disse Dossena e insieme s’incamminarono verso l’uscita.
Non appena varcarono la porta principale una raffica di vento quasi rispinse Mia dentro. “Ho decisamente sbagliato giacca” disse Mia ridendo, notando che la sua era troppo leggera. Bart la guardò e senza esitare si tolse il suo trench grigio, molto più pesante della sua giacca a vento “Tieni metti questa.” Lei lo guardò per un istante prima di decidere di accettare.
La macchina era parcheggiata piuttosto lontano e ci misero qualche minuto prima di raggiungerla. Non appena entrarono Bart iniziò a premere una serie di pulsanti sul cruscotto e l’aria si fece molto più calda.
Mia si guardò intorno, notando qualcosa di strano “Ma Emiliano?” Dossena alzò gli occhi al cielo, come se fosse abituato ai suoi comportamenti. Si mise una mano in tasca e tirò fuori il telefono “Cecchi dove stai?” disse con aria scocciata “E non potevi aspettare? Vabbè, arriviamo” Bart disse che Emiliano aveva trovato un collega e si era fatto riaccompagnare da lui. “Ci stanno aspettando per la riunione” concluse.
 
Roma la sera era eccezionale. C’era sempre stato qualcosa che l’affascinava nella sera, forse il fatto che comunque sarebbe arrivata, non importa che giornata tu abbia vissuto –bellissima o triste – quella arriva e basta.
“Mi dispiace per prima” disse Mia senza badare alle parole “Per cosa?” rispose Bart girandosi per un secondo per osservare il volto di lei.
“Penserai che sono una novellina, che mi faccio impressionare per niente” Bart rise.
“Tutti abbiamo delle cicatrici, tu porti le tue e io non faccio domande, io porto le mie e tu non fai domande. Solo così si va avanti”
“Ero alla mia prima sparatoria” Mia iniziò a confidarsi, senza nemmeno sapere perché “il mio superiore me lo urlò di non far bischerate, ma non rimasi mica a sentirlo. Ero troppo vicina a quei criminali, non potevo permettere che scappassero di nuovo. Non le volevo sulla coscienza altre vittime. Notai che uno di loro era scoperto alle spalle e iniziai a correre verso di lui. Che bischera che sono stata. Quello che lo copriva era nascosto dietro una macchina. Uscì fuori e mi sparò contro” involontariamente Mia si portò una mano dove ora c’era solo una cicatrice. “Mi prese di striscio, proprio sopra l’ombelico, ma feci una brutta caduta. Mi portarono in ospedale, stavo malissimo, i dolori all’addome erano troppo forti” si fermò un momento “e lì i dottori mi dissero che avevo perso il bambino” a quel punto Bart si girò e la guardò “non lo sapevo mica. E mi sentì così sollevata e così schifata di me stessa al tempo stesso. Non potevo, ero appena entrata nell’arma. Non potevo.”
Mia si appoggiò al finestrino e come Bart iniziò a fare piccoli aloni sul vetro.
“Mi dispiace” disse Dossena. Gli occhi fissi sulla strada, le mani strette sul volante. “Non fa niente. Ero piccola. Incosciente. È stato solo un bene. Probabilmente se non l’avessi perso ora non sarei qui, non sarei proprio un carabiniere.”
Ci fu un momento di silenzio e questa volta fu Mia a romperlo per prima, cambiando radicalmente il discorso “Posso dire una cosa che non c’entra niente e che probabilmente troverai offensiva?” Bart si voltò un secondo con aria perplessa “Attenta a quello che dici, Nisi, sono pur sempre un tuo superiore” Mia abbozzò una risata “Sì, vabbè d’un grado” si stava finalmente sciogliendo anche con lui. “È che sembra ti dia quasi noia dire ‘mi dispiace’” Dossena abbozzò una risata “Ci vedi lungo tu eh” disse, poi senza togliere gli occhi dalla strada continuò “Non mi piace chiedere scusa, e faccio di tutto per non doverlo fare”
“Poco orgoglioso insomma” commentò Mia mentre Bart parcheggiava la macchina più vicino possibile all’entrata.
 
Entrarono nella sala delle riunioni e solo quando Mia sentì tutti gli occhi puntati addosso si ricordò di avere ancora il trench di Bart. Un fuoco avvampò sul suo volto e cercando di non farsi notare si mise seduta.
“Che novità ci sono sul caso della ragazza sulla Cassia?” chiese Lucia a nessuno in particolare. Fu Emiliano a fare il resoconto “Dolores Molina, 26 anni, uccisa questa notte alle tre per sfondamento del cranio. Abbiamo visionato i filmati delle cassette di un supermercato davanti al presunto luogo del delitto e...” venne interrotto dalla Brancato “Perché presunto?” Mia decise di rispondere al posto di Cecchi, per riprendersi dall’imbarazzo precedente “Perché il quantitativo di sangue trovato lì non corrisponde alla ferita” la Brancato annuì “inoltre si vede chiaramente un auto alle tre e venti che passa e lascia un corpo” aggiunse e poi riprese a parlare “L’auto è rubata e non ci aiuta. Comunque la ragazza viveva a Roma da otto anni e due anni fa fu arrestata per prostituzione. Carnacina ci ha fatto sapere” Bart interruppe Mia e continuò lui “Ci ha fatto sapere che la ragazza era al 4° mese di gravidanza circa. Non abbiamo altro” finì il resoconto e diede un’occhiata a Mia che solo lei capì, un altro “non c’è di che" silenzioso.
“Perfetto” iniziò a parlare Ghiro “noi qui non abbiamo risolto nulla” affermò desolato. “Io sono andato a parlare con Gerry. Mi hanno detto che la prossima settimana verrà trasferito, problemi con altri detenuti” disse Serra “Che tipo di problemi?” chiese Bianca, che fino a quel momento era rimasta in silenzio “Non hanno aggiunto altro, sembra che l’operazione sia molto riservata e Gerry non è molto collaborativo”
Lucia concluse la riunione e tutti si alzarono.
 
La Brancato e Orlando andarono via insieme, lui teneva il braccio intorno alle spalle di lei; Emiliano uscì per primo e poco dopo lo seguì Bianca.
“Bellezza che dici? Come ti trovi? Il primo giorno è andato bene?” Ghiro iniziò a tempestarla di domande. “Non potevo chiedere di meglio” rispose Mia, ma sembrava attratta da qualcos’altro. Si sentivano delle voci urlare dalla saletta accanto, anche Daniele se ne accorse “Nelle ultime settimane non fanno altro che litigare. Secondo me non ci sarà nessun matrimonio” spiegò Ghiro e Mia annuì.
“Senti dolcezza torno a casa, vuoi un passaggio?”
“Sono venuta in macchina, grazie comunque” rispose educatamente Mia.
Ghiro quindi alzò le spalle e se ne andò, proprio mentre Bart stava uscendo dalla stanza.
“Ciao, ancora qui?” chiese tutto d’un fiato, aveva l’aria strana. Mia ci mise un po’ per rispondere “Sì… stavo andando” disse finalmente. “Vieni ti accompagno a casa” gli uscì non proprio come una domanda “Eh no guarda sono venuta con la macchina” rispose imbarazzata. “E qual è il problema? Domani ti passo a prendere” lo disse come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo. E non seppe per quale motivo ma accettò.
 
Salirono in macchina e Bart fece partire l’aria condizionata, come nel pomeriggio. “Ti sei trovata bene oggi?” chiese Dossena “Si lavora bene. Mi piace il gruppo” rispose Mia e lui sorrise.
Il tragitto dal RIS a casa di Mia era piuttosto lungo e si sentì quasi in colpa per aver accettato il passaggio. “Ti tocca fare un sacco di strada. Ora chissà a che ora tornerai a casa” si scusò Mia, “Ma non ti preoccupare, anzi meno sto lì e meglio è” tagliò corto lui, si vedeva che non amava parlare di sé. Dopo una ventina di minuti arrivarono “Bene, io abito qui” disse Mia indicando un palazzo alla sua destra, quando si girò verso Bart per ringraziarlo notò che la sua faccia era decisamente troppo vicina alla sua. “Quando vuoi” disse lui, il suo alito sapeva di menta. Mia si morse il labbro inferiore, incapace di dire qualsiasi cosa. “Sì. Io. Andrei” disse alla fine, balbettando un po’. Aprì lo sportello ma lui la blocco per un braccio “Scusa ancora per prima” Mia sorrise “Vedi che l’hai rifatto” lui la guardò con aria perplessa “Fatto cosa?”
“Ti sei scusato” un sorriso si aprì sui loro volti e Mia uscì dalla macchina “Domani alle 8 sono qui” Mia chiuse lo sportello e si diresse verso il portoncino. Quando si richiuse la porta alle spalle sentì l’auto ripartire. Quella sera non aveva molta fame quindi optò per una doccia veloce e mezza bagnata si infilò sotto le coperte, sperando di riuscire a dormire.

 


 
 aggiornato e corretto 07/01/2016
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
 
 
L’amicizia come l’amore,
è di per se una coincidenza:
due persone si incontrano e
le loro vite si intrecciano.
Nulla succede per caso, Robert Hopke
 
 
 
La sveglia suonò puntuale alle sette. Quella non era mai in ritardo, non come Mia, che ritardo era il suo secondo nome.
A differenza dei timori della sera precedente, riuscì a dormire piuttosto bene e alzarsi dal letto fu – come tutte le mattine – un trauma. Quasi ricadde nel letto non appena poggiò i piedi a terra. Mezza zoppicante si avvicinò allo specchio, per vedere in che condizioni fosse la faccia, e con grande imbarazzo notò che aveva stampato sulla guancia il segno del cuscino.
 
Senza badare troppo a quello che faceva si diresse in cucina e iniziò a prepararsi un tea. Mentre aspettava le vennero in mente immagini del giorno prima: il volto di Bart troppo vicino al suo, e le sue urla con Eleonora, “il matrimonio con Eleonora”, così disse Emiliano "secondo me non ci sarà nessuno matrimonio" aveva commentato Ghiro.
Si passò una mano tra i capelli, incapace anche solo d’immaginarseli certi pensieri.
C’era qualcosa di strano e di tremendamente sbagliato nel pensare a Bart, che poi perché doveva pensare proprio a lui? Non ti incasinare Mia disse a se stessa mentre beveva il suo tea.
 
Diede uno sguardo veloce all’orologio e iniziò a prepararsi per la giornata. Si stava infilando le scarpe quando qualcuno suonò il campanello. Con una scarpa slacciata si affrettò a raggiungere la finestra che dava sulla strada “Arrivo” disse a Bart che la salutò con la mano.
Finì di allacciarsi la scarpa, prese al volo la borsa e il cappotto e scese le scale. Trovò Bart appoggiato alla macchina “Buongiorno” disse quasi in un sussurro mentre le apriva lo sportello. Mia rispose con un sorriso e si accomodò all’interno, dove la temperatura era decisamente migliore rispetto a fuori. Dopo pochi secondi anche lui entrò in macchina e senza dire una parola mise in moto. Solo quando furono quasi arrivati iniziò a parlare “Senti mi dispiace per ieri sera. Non avrei mai. Io non” stava dicendo frasi sconnesse e Mia si sentì quasi in colpa “È che” prese tempo per respirare “sta andando tutto a rotoli. Non so più cosa voglio e non… E poi sei arrivata tu” l’ultima frase spiazzò Mia che strabuzzò gli occhi, sorpresa dalle sue parole “Io?” commentò lei mentre lui parcheggiava la macchina. Rimasero all’interno della vettura anche se erano arrivati.
“Sei bellissima” disse tutto d’un fiato, e la sua espressione cambiò radicalmente come se si fosse liberato di un peso enorme. “Dal primo momento che ti ho vista, lì fuori con Ghirelli, mentre portavi dentro le scatole, io lo sapevo. Lo sapevo che avresti cambiato tutto. E non voglio fare l’esagerato, quello che si butta nelle situazioni senza nemmeno il paracadute. È che tu sei arrivata proprio al momento giusto” mentre parlava la guardò fissa negli occhi, mettendo Mia in forte imbarazzo “O in quello più sbagliato” disse lei.
Continuarono a fissarsi per un paio di secondi, finché Mia non decise di scendere dalla macchina ed entrare nella caserma, non curandosi di vedere se lui la stesse seguendo oppure no.
 
Mille cose aveva pensato, ma che Bartolomeo Dossena avesse una cotta per lei, quello no. Era tutto così assurdo, era arrivata solo da un giorno e aveva già fatto un casino. Con quei pensieri entrò in caserma dove il sorriso di Bianca la stava aspettando. “Ciao!” le disse amichevolmente “Ieri non ci siamo potute presentare per bene” sorrise “sono Bianca”
“Mia” rispose l’altra, cercando di dimenticarsi della conversazione appena avuta fuori di lì.
“Manca solo Bart e poi iniziamo. L’hai visto per caso entrando?” domandò Bianca facendo arrossire Mia che scosse la testa. Mentre parlava con l’altro sottotenente Mia non poté non notare Lucia e Orlando che si scambiavano sguardi dolci attraverso le porte a vetro dell’ufficio del capitano. “Sono belli, eh?” chiese la collega con aria sognante, “Già” rispose l’altra. “Pensa che non è stato sempre così. Quando è arrivato Orlando, la Brancato se l’è presa tantissimo. Si davano addirittura del lei, poi non so come o quando, ma hanno iniziato a frequentarsi, una cosa tira l’altra e quando Mario Pugliese l’ha quasi ucciso Lucia ha capito che lo stava perdendo. Così tre mesi fa entrano mano nella mano e da quel giorno sono inseparabili” quella storia fece sorridere Mia. Proprio mentre le due ragazza stavano sorridendo spensierate entrò Dossena con l’aria imbronciata. “Mi sembra di essere tornati a tre anni fa” la voce di Emiliano le raggiunse alle spalle “Guarda che noi non c’eravamo tre anni fa” parlò Bianca. Mia notò una strana complicità tra quei due, il modo in cui si guardavano, sembrava nascondere qualcosa. “Meglio così guarda” rispose Cecchi “’nnamo va, che so arrivati tutti ormai.”
 
Entrarono tutti e tre nella stanza del briefing, dove erano tutti già seduti. Ovviamente a lei toccò il posto accanto a Bart.
“Stavo pensando” iniziò a parlare Mia “se Dolores non faceva più la prostituta ed era incinta, deve aver avuto un partner regolare. Potremmo provare a estrarre del DNA dal feto, in questo modo otterremmo quello del padre” espose la sua idea “Sì, l’idea è buona, ma con cosa lo confrontiamo?” chiese Emiliano “Be’… Magari con… “ quella domanda la colse di sorpresa “Con i capelli che abbiamo trovato nella mano della ragazza, per esempio” intervenne Bart. Mia si voltò e cercò di ringraziarlo con un sorriso. “Ok, allora voi potete andare. Bianca e Orlando, voi andate a Villa Borghese, c’è stato un omicidio” tutti annuirono e si alzarono dal tavolo.
Quando furono fuori dalla stanza Mia parlò con Emiliano e Bartolomeo “Andate voi da Carnacina? Io vorrei provare a fare una cosa” mentì, ma solo Bart se ne accorse, in realtà l’idea di rivedere quel corpo e di estrarre del DNA da un bambino di appena 20 cm la fece rabbrividire “Sì, certo” ovviamente Bart aveva già capito. I due si allontanarono e Mia rimase a guardarli.
 
“Come mai sei rimasta qui?” la voce di una donna la raggiunse da dietro, Lucia. “Non mi andava di vedere estrarre del DNA da un feto” disse con tutta sincerità. “Istinto materno?” chiese lei “No, per niente. Ricordi, più che altro” Lucia la guardò con aria perplessa. Mia decise allora di raccontare anche a lei quello che aveva detto a Bart – Bart, da una parte evitare un altro viaggio in macchina con lui le avrebbe fatto solo che bene.
Entrarono nel suo ufficio e lentamente iniziò a parlare. La Brancato rimase in silenzio fino alla fine, quando disse “Mi dispiace tesoro.” Mia fece spallucce, “E il papà?” chiese Lucia, quella parola fece rabbrividire Mia “Non lo sa e non lo saprà mai” rispose secca lei.
“Non sei fidanzata, vero?”
“No” quel discorso non le piaceva per niente e Lucia se ne accorse subito, quindi cambiò il soggetto della conversazione. “Senti, ti posso dire una cosa che non ho ancora detto a nessuno?” le s’illuminarono gli occhi e Mia annuì sorridendo.
“Orlando ieri sera mi ha chiesto di sposarlo” disse tutto d’un fiato, facendo rimanere l’altra a bocca aperta. Le ci vollero un paio di secondi buoni per riprendersi “Scherzi davvero! Ma sono contenta u-‘mmonte!” disse infine Mia, lasciando che il suo lato fiorentino prendesse il sopravvento. “E come te l’ha chiesto?” Mia volle sapere i dettagli, allora Lucia iniziò a raccontare. “Mi ha portato dove ci siamo dati il primo bacio, sulla pista da ghiaccio, l’aveva affittata tutta per noi” non riuscì a trattenere il sorriso che prepotente le si stampò sulle labbra “la cosa bella è che lui non sa nemmeno pattinare” si mise a ridere “e quando è caduto per l’ennesima volta ha fatto cadere anche me. Stavamo seduti sul ghiaccio e lui ha tirato fuori la scatolina e…” Lucia lasciò intendere il resto. “Maremma, ci si è messo di buzzo bono eh!”
“Di che?” chiese curiosa il capitano, solo in quel momento Mia si rese conto che stava parlando in dialetto da almeno cinque minuti e inspiegabilmente arrossì “D’impegno… Com’è che si dice?” cercò di spiegarsi, facendo ridere ancora di più la Brancato.
Lucia si mise una mano dentro la maglietta e tirò fuori una catenina con attaccato un anello e lo fece e vedere a Mia che tutta contenta ne iniziò a contemplare la bellezza.
Con la Brancato aveva un bel rapporto, si conoscevano da ormai due anni. Dopo la morte di Flavia, l’aveva contattata per prendere il suo posto, ma Mia non se la sentiva, Lucia ci riprovò dopo un paio di mesi ma le pratiche per il trasferimento erano troppo impegnative e decisero di rimandare a quando si sarebbero calmate le acque.
La voce di Lucia la riportò al presente “Però non so davvero come fare. La vita da capitano è veramente troppo impegnativa. Non riuscirò mai a organizzare qualcosa di decente” Mia sorrise “Ti potrei aiutare” disse piena di entusiasmo “Davvero lo faresti?!” chiese sorpresa Lucia, che evidentemente non si aspettava quella proposta. “Ma i che scherzi? A me garba un monte anche solo l’idea!” insieme risero per la sua esclamazione finché non furono interrotte dall’arrivo di Bart che bussò dolcemente sulla porta. Lucia si affrettò a rimettere l’anello al suo posto e lo fece entrare “Vieni Nisi, abbiamo il DNA” Mia annuì e seguì il superiore.
 
“Confrontiamo il DNA con quello trovato sui capelli” disse la ragazza ad Emiliano mentre digitava al PC, “Come procede?” sentire quella voce le provocò una stretta allo stomaco, ma con tutta calma si girò e disse “Stiamo aspettando i risultati”
“Eccoli” esclamò Cecchi battendo una mano sul tavolo “oh c’avevi ragione Mia! Combaciano al 50%” commentò i risultati “Quindi appartengono al padre o alla madre del fidanzato della vittima” aggiunse Mia. “Sì, però non sappiamo niente di questa persona. Non è nemmeno schedato” disse Emiliano.
“Ci resta la macchina però” provò a teorizzare ma Cecchi le mise immediatamente i bastoni fra le ruote “E che pensi di trovarci? Sempre che la troviamo poi”
“Magari troviamo altre tracce o qualcos’altro che l’assassino può aver dimenticato, dai un po’ di fiducia Milo!” Bart come al solito aiutò Mia “Ah Bartolomè ma che te sta’ a pià ‘sti giorni?” Emiliano si girò verso di lui ed espresse un concetto che né Bart né Mia compresero “Eh?” chiesero quasi in coro i due.  “Lasciate perde va’, andiamo a cercare ‘sta macchina allora” Cecchi uscì dalla stanza lasciano Mia e Bart da soli, aspettandosi ovviamente che i due lo seguissero.
Si guardarono intensamente e a Mia spuntò un sorriso sulle labbra che non riuscì a trattenere, per quanto non lo volesse fare, quindi abbassò lo sguardo e una ciocca di capelli le cadde sul volto. Bart si avvicinò e delicatamente gliela spostò dietro l’orecchio. “Non facciamo aspettare Cecchi” Mia annuì e insieme si diressero verso l’uscita, dove Emiliano li aspettava.


 
aggiornato e corretto 08/01/2016

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
 
 
Un giorno ti renderai conto
 che le coppie non s’incontrano
 per caso: una coscienza sovrumana
 le unisce secondo disegni prestabiliti.
Alejandro Jodorowsky
 
 
Si organizzarono con la Territoriale per la ricerca dell’automobile e mentre loro cercavano per le vie di Roma, i tre rimasero al RIS. Bart e Milo continuarono ad indagare nella vita della vittima, e mentre Mia stava per andare ad aiutarli una ragazza la bloccò all’entrata “Scusami, sai dove posso trovare il tenente Dossena? Sono Eleonora” Eleonora. Eleonora. Eleonora. Quel nome le rimbombò nelle orecchie, nel cervello. 
“Bart puoi venire un momento?” si affacciò nella stanza dove stava lavorando insieme all’altro collega. Dossena uscì con uno dei suoi sorrisi, che sembrava regalasse solo a lei. Il suo sorriso però andò via subito quando vide la persona dietro di lei “Okay Mia, qui ci penso io. Tu vai ad aiutare Emiliano” lei annuì ed entrò nella stanza. Loro invece si spostarono nella stanzetta adiacente, anche quella con i muri in vetro, Mia non poté concentrarsi molto nel lavoro e rimase a fissarli.
Lui la prese per un braccio, e le urlò qualcosa contro, ovviamente Mia non seppe cosa, non si sentiva niente. Anche lei gli rispose urlando, gli diede una spinta e fece per aprire la porta, ma lui riuscì a bloccarla in tempo e iniziarono a parlare senza urlarsi contro. Eleonora si mise le mani tra i capelli e le scese una lacrima. Meccanicamente si guardò le mani e poi prese l'anello, lo poggiò su un tavolo ed uscì dalla stanza. Quella volta Bart rimase a guardarla e non la fermò. Si sedette su una poltrona e si prese la testa tra le mani. Inspirò ed espirò. Dopo pochi secondi si alzò, prese l'anello, se lo ficcò in tasca e tornò dai suoi colleghi “Trovato qualcosa di interessante?” chiese a nessuno in particolare mentre entrava, consapevole di aver appena dato spettacolo. “Ora, se Emiliano ha trovato qualcosa non lo so, perché io stavo guardando te” avrebbe tanto voluto rispondere Mia, ma al suo posto le uscì un “no” seccò.
 
“Dolores era piuttosto in là con la gravidanza, probabilmente la seguiva un ginecologo. È un azzardo, ma potremmo cercarla negli ospedali” senza pensarci troppo Mia provò a teorizzare qualcosa e dare un senso a quella giornata che fino a quel momento non aveva dato grandi risultati. “Buona idea!” questa volta ad appoggiarla fu Emiliano, Bart era fisicamente nella stanza, ma con la testa era da tutt’altra parte. “Vado a chiedere l’autorizzazione al magistrato” disse Cecchi mentre usciva dalla stanza, lasciando soli Dossena e Mia. Un breve momento di imbarazzo si impadronì della mente della ragazza, che cercava – invano – di far uscire qualsiasi cosa dalla bocca.
“Mi accompagni di là?” fu Bart, come al solito, a parlare per primo. Non le diede nemmeno il tempo di pensare o tanto meno di rispondere, perché l’afferrò per un braccio e la trascinò in una stanzetta, adiacente a quella degl’interrogatori. Quella era, notò Mia, una delle poche stanze ad avere dei veri muri e nessun vetro. Bart si chiuse la porta alle spalle e automaticamente iniziò a scivolare con la schiena addosso al muro. Mia restò a fissarlo per un momento e poi senza fare domande decise di imitare la sua posizione e si sedette accanto a lui. Aveva la testa tra le ginocchia e con le mani si scuoteva i capelli corti. Inspirava ed espirava lentamente, come se stesse cercando di calmarsi.
Come preso da un momento d’ira iniziò a sputare parole e solo dopo un paio di secondi Mia riuscì a collegarle e a seguire il discorso. “La prima volta che la vidi, a casa Ravelli, capii che c’era qualcosa in lei di diverso, di diverso dalle tante altre” stava dicendo “quattro mesi fa le chiesi di sposarmi. Ma a che cazzo stavo pensando Mia? Che coglione che sono. Adesso ho fatto un casino, ovviamente. Ho mandato tutto a puttane. Tutto. E poi sei arrivata tu! Te l’ho detto cazzo!” disse alzandosi di scatto dando un pugno allo schienale di una sedia. Mia rimase seduta a terra “Io non c’entro niente” la sua voce era calma, pacata, a differenza di quella di Bart “il casino te lo sei fatto da solo. Sono arrivata solo ieri, come posso averti sconvolto la vita?” continuò alzandosi “Sono solo una scusa e non voglio che mi metti in mezzo a questa situazione. E sì, sei un coglione” finì mentre si voltava per andarsene – dalla stanza, dalla situazione, da lui, da se stessa – ma lui riuscì a fermarla.
La bloccò contro la porta, Mia cercò di spingerlo via – senza nemmeno sforzarsi troppo – ma lui le prese le mani per fermarla. I loro volti erano incredibilmente vicini, Mia poteva vedergli brillare gli occhi verdi e inconsciamente si morse il labbro inferiore. “Io devo…  devo prima capire delle cose” disse allentando la presa sulle sue mani e fissando le sue labbra. Si fissarono intensamente per un paio di secondi, poi come se tutti i suoi dubbi non fossero mai esistiti, come se tutti i nodi si fossero sciolti, come se fosse la cosa più ovvia del mondo le prese il viso tra le mani e la baciò.
Mia non poté fare altro che ricambiare il bacio, non si sentiva assolutamente obbligata a farlo, ma sapeva che avrebbe mentito solo a se stessa se non l’avesse fatto.
Era un bacio che sapeva di caffè, di quello dei distributori, quello che fa schifo ma comunque lo prendi, per abitudine. Era un bacio normale, poteva essere il primo, o il terzo o il centesimo. Era uno di quei baci che si danno la mattina, per salutarsi. Era un “Ciao caro, ci vediamo più tardi” – bacio, “Buona giornata amore” – bacio, “Ti chiamo più tardi” – bacio.
Il primo ad allontanarsi fu lei, che quasi con un filo di imbarazzo disse “Emiliano ci starà cercando” con lui i minuti sembravano ore, e non sapeva quanto tempo fosse passato da quando Cecchi li aveva lasciati soli. Bart annuì e si strofinò la faccia un paio di volte, come per cancellare quello che aveva appena fatto, pensò Mia.
 
Tornarono nell’ufficio di Emiliano, che sembrava non essersi nemmeno accorto della loro assenza. Appena li vide iniziò a sputare parole “Mia c’hai avuto ‘na botta de culo enorme! La vittima era registrata in una struttura ospedaliera con, indovinate quale nome?” chiese retoricamente, non aspettandosi una riposta, che ovviamente non arrivò. Arrivò invece un’occhiata di Dossena che lo sollecitava a continuare. “Con il cognome del compagno! Italo Motta, anni 30, residente in via Cassia” sul suo volto apparve un sorrisetto compiaciuto. “Andiamo a prenderlo” disse Bart.
Si stavano preparando per l’arresto quando Lucia si avvicinò e prese Mia in disparte. “Lascia andare i ragazzi, mi servi per una cosa”.
 
Entrarono nell’ufficio del capitano e la Brancato invitò Mia a sedersi. “Che succede?” chiese Lucia, che evidentemente aveva visto la ragazza uscire dalla stanza con Bart.
Mia si prese la testa tra le mani. “Ci siamo baciati. Due minuti fa. Non dovrei parlartene. Sei il mio capo. Ma non so cosa stia succedendo” disse scandendo le frasi. “È un casino” Lucia sorrise e si avvicinò “Tranquilla, che tanto tutto poi si sistema, eventualmente” Mia annuì e ricambiò il sorriso.
“Volevo chiederti” disse la Brancato cambiando radicalmente argomento. “Hai impegni per domani mattina?”
“Sarei in servizio”
“Oltre a quello? Ti ho cambiato il turno con Orlando”
Mia scosse la testa. “Allora vieni con me. Ho fissato un appuntamento per provare dei vestiti. Ho pensato, se non lo faccio ora poi va a finire che non lo faccio più” Mia sorrise entusiasta.
“Ho dei sviluppi sul caso” disse Ghirelli entrando nell’ufficio senza nemmeno bussare. “Oh, ciao Mia” il sottotenente ricambiò il saluto e uscì dalla stanza.
 
Nonostante le parole della Brancato, Mia lo sapeva che niente si sarebbe sistemato e ovviamente non se ne stava tranquilla pensando di essere la causa della rottura di un imminente matrimonio. Se n’era accorta Eleonora prima? Se n’era accorta che era lei la causa della fine della sua storia con Bart? Era lei la causa?
Le frullarono per la testa milioni di domande, senza nessuna risposta. L’unico che aveva risposte non faceva altro che fare domande e al sol pensiero a Mia scoppiava la testa.
 

 
aggiornato e corretto 16/01/2016

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5
 
 
Il suo cuore stordito era condannato per sempre all'incertezza.
Cent’anni di solitudine, Gabriel Garcìa Màrquez

 
 
Cecchi e Dossena tornarono dopo nemmeno un’ora, e ad accompagnarli c’erano altre due persone: uno era Italo Motta, Mia lo riconobbe dalla foto che aveva visto sul computer, e l’altra era la madre, secondo una sua supposizione.
Emiliano portò la donna nella stanza degli interrogatori e l’uomo rimase lì, ad aspettarli. Aveva l’aria distrutta, gli occhi gonfi e rossi, tra le mani stringeva un pezzo di carta, sembrava un’ecografia.
Bart la raggiunse e l’aggiorno. Le disse che la donna aveva praticamente confessato in macchina, non aveva retto alla tensione. “Ti sei occupata tu del rapporto vero?” aggiunse e Mia annuì. “Allora aggiungi queste cose e firmalo, poi quando hai fatto ce lo passi” concluse, allontanandosi con un sorriso.
 
L’ufficio di Mia, a differenza di quello di Emiliano – che non sembrava nemmeno fosse il suo – era già pieno zeppo di effetti personali. La foto con Virginia, la sua migliore amica, quella c’era sempre. Poi aveva tante altre cornici, soprattutto foto col suo babbo. E non poteva, ovviamente, mancare una miniatura del duomo e la cupola del Brunelleschi, la sua preferita. Amare la propria città natale, Mia si ripeteva sempre, era una cosa normale, ma lei no, lei non amava solamente quella città. Lei la venerava in ogni singola stradina, anche la più remota, dove non ci passava mai nessuno. Non era tanto il fattore casa a renderla più speciale – perché in fondo, si sentiva a casa in ogni luogo doveva aveva vissuto negli ultimi 5 anni – era l’aria, era l’odore, era la terra a essere diversa lì. Ogni luogo era significativo, in ogni posto aveva vissuto qualcosa. Come per esempio il suo primo bacio. Il ragazzo, ovviamente era fiorentino, ma non l’aveva conosciuto a Firenze, l’aveva trovato a quasi 900 km di distanza, in vacanza. Lo rincontrò poi un giorno, per caso, su ponte Vecchio, e come per magia si ritrovò a baciarlo. Fu il suo primo e ultimo bacio con quel ragazzo.
Ripensarlo le fece venire in mente il bacio che aveva vissuto poche ore prima. Un brivido le corse lungo la schiena e la fece tremare. Chiuse gli occhi per un momento e cercò di ricomporsi, ma come poteva ricomporsi quando l’unica cosa che voleva fare era andare da quel bellissimo cretino che in meno di due giorni era riuscito a incasinarle la vita? Le sembrava assurdo, era impossibile. Era ancora a occhi chiusi quando qualcuno bussò sulla porta del suo ufficio, quasi cadde dalla sedia nel momento in cui incrociò due occhietti verdi che la fissavano da dietro il vetro.
 
Bart entrò nella stanza “Finito con il rapporto?” le chiese “Sì, dovevo solo sistemare due cosette” affermò lei mentre indicava la stampate “l’ho mandato in stampa ora” concluse sorridendogli. “Bene” disse Bart, in evidente imbarazzo, Mia si morse il labbro.
Dossena si voltò come per andarsene ma invece chiuse solo la porta e si avvicinò alla ragazza.
“Senti, per prima volevo” iniziò lui, come se volesse scusarsi, ma Mia bloccò il discorso sul nascere “Non c’è bisogno di scusarti. Sono una persona adulta, non mi sono sentita obbligata a farlo e non se non avessi voluto non lo avrei fatto” lui la guardò socchiudendo gli occhi “Non volevo chiederti scusa. Cerco di fare e dire cose di cui non devo scusarmi dopo” disse come se fosse la cosa più semplice del mondo, poi continuò “volevo solo dirti che hai ragione, non lo so come sia possibile che ti conosco da due giorni e già mi hai incasinato così tanto. Ma ci tenevo a dirti che non sei tu la causa dell’annullamento del matrimonio. È vero sono impulsivo, ma per mandare a monte una cosa così grande ci vogliono ben altre ragioni” Mia annuì e si sentì incredibilmente sollevata. “Ragioni di cui vorrei parlarti, se ti va”
“Sì, mi va” rispose onestamente lei. “Questa sera?” chiese lui “Ti preparo una cenetta?” disse sorridendo e a quelle parole lui quasi rabbrividì “Che c’è?” chiese Mia “No è che… Te ne parlo stasera, okay?”
“Okay”
Nel frattempo la stampante finì di fare il suo lavoro e i due firmarono i fogli, poi insieme uscirono dall’ufficio di Mia. “Io ho ancora delle cose da finire qui, se tu hai fatto puoi anche andare, nessun briefing programmato” disse Bart “ti raggiungo alle nove” aggiunse e poi si allontanò alla ricerca di Emiliano.
 
Senza salutare nessuno Mia uscì dal RIS e raggiunse la macchina, dove l’aveva parcheggiata il primo giorno. Alla radio stava passando una delle tante canzoni che amava e inconsciamente iniziò a canticchiarla “But you didn't have to cut me off. Make out like it never happened and that we were nothing.” Guidò fino a casa con in testa solo gli occhi verdi di Bart.
Fece tutto meccanicamente: parcheggiò, scese dalla macchina, entrò nel palazzo, salì le scale ed entrò nell’appartamento.
Era, ovviamente, tutto come l’aveva lasciato la mattina, quindi si sbrigò e iniziò a pulire un po’ in giro: rifece il letto, passò l’aspirapolvere e fece partire la lavastoviglie con dentro solo le quattro cose che aveva usato la mattina. Dal momento che si trovava in cucina iniziò anche a cucinare. Decise di preparare una semplice pasta al pomodoro, cercando di farla come le aveva insegnato la mamma.
Erano le otto e mezza e aveva ancora mezz’ora da dedicare a se stessa. Si fece una doccia veloce senza lavarsi i capelli e mentre si lavava pensò che forse si sarebbe messa quel vestitino blu che aveva comprato durante l’ultima visita a Firenze.
 
Era tutto pronto ed erano le nove in punto quando Bart suonò al citofono. Mia si avvicinò alla porta, aprì il portone principale e lo aspettò all’entrata.
Quando Bart si presentò davanti la porta quasi le saltò un battito, era così bello. Anche lui si era cambiato, e il completo che indossava era molto più elegante. La fissò per un momento che le sembrò interminabile e come risvegliatosi da un sogno esclamo: “Sei bellissima”. Lei sorrise e lo fece entrare, aveva portato del vino “Non sapevo quale preferissi quindi ho optato per un toscano” rise e le porse la bottiglia.
Nonostante tutto rimaneva sempre un pizzico di imbarazzo tra quei due, che non sapevano mai cosa dirsi nei momenti di silenzio.
Senza dire niente di sensato iniziarono a cenare e solo quando finirono e si spostarono sul divano iniziarono a parlare seriamente.
“È successo tutto così in fretta, non so niente di te” sussurrò lui anche se in casa c’erano solo loro. “Non mi sono mai ritenuta all’altezza delle situazioni. Ho sempre pensato che tutto quello che facevo era sbagliato. Non sono mai stata la prima scelta di nessuno e per anni ho vissuto all’ombra della mia migliore amica” disse, per una che si imbarazzava spesso riusciva a parlare di sé molto apertamente. Lui stava zitto e l’ascoltava. “Quando sono entrata nell’arma quasi non ci credevo: avevo fatto qualcosa di giusto. Da quel momento iniziai ad avere maggiore consapevolezza di me. Ti basta?” chiese divertita. Sapeva che aveva evitato il discorso più grande ma non se la sentiva di rovinare tutto subito quindi lo rimandò per la volta successiva, se mai ci fosse stata.
“Per ora sì” rispose con la consapevolezza che ora toccava a lui sciogliere i nodi sul suo passato e si preparò ad un lungo discorso.
“Prima, quando mi hai detto “ti preparo una cenetta” ho reagito in quel modo perché sono le stesse parole che mi disse una mia ex, Milena. Lei è stata… È stata una ferita grande per me. L’ho persa subito dopo averla conosciuta e non riuscirò mai a perdonarmi il fatto che non sono riuscito a proteggerla” aveva lo sguardo lontano, si vedeva che ci stava ancora male. “Comunque, dopo un anno ho incontrato questa ragazza. Stavamo lavorando sul caso della banda, le avevano rapito la sorella. È contro il regolamento, ma non riuscivo a starle lontano, dovevo stare con lei. All’inizio era tutto perfetto, si stava bene, e abbiamo iniziato a convivere. Un paio di mesi fa le chiesi di sposarmi, ma non sapevo bene cosa volessi fare realmente, l’ho fatto e basta – l’avrai capito, sono impulsivo.
Fatto sta che da quel momento non siamo più stati gli stessi, lei era cambiata, io sono cambiato, lei voleva una cosa e io l’opposto. È come se fossimo diventati due calamite dello stesso segno, non riuscivamo a trovare un punto d’incontro. Litigavamo tutti i giorni, ogni giorno c’era una scusa diversa, ogni momento era buono per attaccare briga. Siamo arrivati al limite e l’unica cosa buona per entrambi era tornare ognuno sulla propria strada e così abbiamo fatto.” Concluse con un sorriso, era convinto della sua scelta e delle sue azioni. “Tu non sei e non sarai mai la causa della mia rottura con Eleonora, voglio che questa cosa tu ce l’abbia bene impressa in testa. Ma sei intelligente, lo sai che non puoi essere tu” Mia annuì. Sentirsi dire “sei intelligente” era un complimento mille volte migliore di tutti i “sei bellissima”.
Rimasero un po’ a fissarsi, poi lui prese l’iniziativa e la baciò. Era bello baciarlo, pensò Mia, aveva un profumo buonissimo, ma non lo potevi realmente apprezzare finché non lo baciavi. Lentamente si sdraiarono sul divano e lui delicatamente si mise sopra di lei. “Lo senti?” chiese distrattamente lei allontanandosi.
“Cosa?”
“C’è qualcosa che vibra” Bart si alzò e prese la giacca, dove nella tasca interna c’era il suo telefono. “È il RIS, scusa un momento” disse avvicinandosi alla finestra. Iniziò a vibrare anche quello di Mia, e anche da lei era il RIS. Doveva essere successo qualcosa di importante per richiamarli entrambi. “Pronto?” dall’altra parte c’era Ghiro “Mia devi venire subito. Hanno recapitato in caserma una scatola” fece un momento di pausa, che a Mia sembrò molto teatrale “È per la Brancato, c’è la maschera del lupo e delle foto con dei fori”
“Arrivo” chiuse la comunicazione. La faccia di Bart era identica a quella di Mia. Prese la borsa, senza curarsi di cambiarsi d’abito. Bart l’aiuto a spegnere le luci e di corsa uscirono di casa.

 
 
aggiornato e corretto 18/01/2016

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6
 
 
Quanto sei bella Roma quann’è sera
quanno la luna se specchia
dentro ar fontanone
e le coppiette se ne vanno via
Roma Capoccia, Antonello Venditti
 
 
 
Arrivarono in caserma in tempi record e Mia quasi stava per cadere davanti l’entrata – i tacchi non erano decisamente adatti all’occasione.
Nel momento in cui varcarono l’entrata quasi tutti i carabinieri del turno notturno si voltarono per ammirare Mia. Lei abbassò lo sguardo, intimidita, ma non c’era tempo da perdere. Insieme a Bart andarono dritti verso l’ufficio della Brancato, dove stava allegramente chiacchierando con Orlando. Bart si guardò intorno: c’erano solo Ghiro ed Emiliano, e anche loro non avevano l’aria di essere preoccupati, anzi, se la ridevano di cuore. “Perché ridono?” il tono di Bartolomeo era incredibilmente serio e quasi dimenticandosi che Mia si trovava lì con lui si diresse direttamente dai due.
“Ahhhh, ecco dove dovevi andare tutto di fretta!” commentò Ghirelli non appena li vide assieme. “Scusate, ma la scatola?” chiese innocentemente Mia, non capendo cosa stesse succedendo. “A Mia, ma che n’hai capito? Era pe scherzà, pe fasse du risate” disse Emiliano, mandando su tutte le furie Bart “Ma sono scherzi da fare? Poi da te Daniele non me lo sarei mai aspettato” rimasero tutti e quattro a guardarsi e non si accorsero di Orlando e Lucia che si erano avvicinati a loro. “Mia! Stai benissimo, ma come mai sei qui? Ti sei dimenticata qualcosa?” chiese il capitano sorridendole.
“No, è che tornavo da una cena a casa di amici, e non mi hai detto a che ora ci saremmo dovute vedere domani mattina, quindi sono passata” rispose Mia con un sorriso che lasciava intravedere solamente tranquillità. “Hai ragione, scusa, non lo so dove ho la testa ultimamente. Alle nove ti passo a prendere a casa” disse e poi senza aspettare, quasi per evitare domande sul loro appuntamento mattutino, prese Orlando sotto braccio e insieme uscirono dalla caserma.
“Ma fate sempre così con le new entry?” chiese Mia “No, solo con le conquiste di Dossena” esclamò Emiliano. “Io ancora non ci credo. Ci avete fatto venire fin qui per uno scherzo? E poi che scherzo! Scherzare su una cosa così seria. Non ho parole Daniele” Bart era ancora molto arrabbiato per l’accaduto e non aveva tutti i torti, il caso della banda era serio, erano criminali che avevano ucciso molte persone, anche Flavia. “Bart io…” Daniele cercò di scusarsi ma Dossena non gli permise di finire la frase perché prese Mia per il polso e la trascinò fuori dall’edificio.
“Ehy, ma che ti prende?” cercò di protestare Mia, che aveva visto come aveva trattato Eleonora solo poche ore prima e non voleva subire lo stesso trattamento. “È che” fece un momento di pausa poi riprese “quando fanno così, ti giuro, non li sopporto. Poi da Ghirelli non me lo sarei mai aspettato. Flavia è morta a causa loro, Stincone l’ha uccisa, il suo migliore amico! E lui ci scherza” chiuse un momento gli occhi e quando li riaprì quel Bart non c’era più, d’un tratto aveva sbollito la rabbia. “Dai andiamo in macchina. Ti voglio portare da una parte”
 
Per quanto Mia amasse Firenze, Roma era pur sempre Roma. Vedere quel panorama di notte era un’esperienza che toglieva il fiato. “Sembri incantata” commentò Bart, che aveva notato lo stupore di Mia, che non riusciva a distogliere gli occhi dal finestrino. “È bellissima” disse quasi in un sussurro “non penso di riuscire mai ad abituarmi a tutto questo” questa volta il tono della sua voce era più alto.
Mia iniziò a capire dove si trovavano quando lo vide da lontano. “Mi hai portato al Colosseo?” chiese con un sorriso, come un bambino chiederebbe al babbo se gli ha portato le caramelle.
Scesero dalla macchina e iniziarono a camminare finché non si trovarono proprio davanti l’immensità del Colosseo.
Con gli occhi fissi sul monumento Mia iniziò a parlare “Credo che io e te abbiamo corso un po’ troppo. Forse ci hanno fatto un favore prima”
“Per questo ti ho portato qui. Ricominciamo dall’inizio” Bart si mise davanti a lei e le porse la mano. “Ciao, sono Bartolomeo Dossena. Ma gli amici mi chiamano Bart” disse con un sorriso che scopriva i denti bianchissimi. Mia strinse la mano tesa davanti a lei e rispose cordialmente “È un piacere conoscerti Bart, io sono Mia, Mia Nisi. Prendo servizio qui domani”
“Oh davvero? Dove?”
“Tor di Quinto. Lavoro nei RIS”
“Anche io lavoro lì, sai? Vedrai sarà bello. Sono delle persone davvero serie” a quel punto nessuno dei due riuscì ad essere serio e scoppiarono a ridere.
Nel punto dove l’aveva portata c’era un muretto, quindi Mia ci si appoggiò e Bart l’aiutò a mettercisi seduta e dopo imitò la sua posizione. Alle spalle li sorvegliava il Colosseo. Rimasero per un po’ in silenzio, poi spontaneamente Mia appoggiò la testa sulla spalla di Bart e involontariamente iniziò a sentire piccoli brividi correrle lungo la schiena. Lui non disse una parola, poi come risvegliato da un sogno scese dal muretto e aiutò Mia a fare lo stesso.
Non appena poggiò piede a terra lui le prese il volto tra le mani e la baciò. La prese alla sprovvista ma anche quella volta decise di ricambiare il bacio. Sentiva il suo respiro sulle labbra e il suo profumo nei polmoni. Le mise una mano dietro la schiena e con l’altra le accarezzata dolcemente i capelli. Si era ripromesso che non l’avrebbe baciata un’altra volta, ma era impossibile resisterle. Le morse un labbro e Mia sorrise allontanandosi. Senza dire una parola tornarono alla macchina. Lui le aprì lo sportello e la invitò a salire, dopo pochi secondi sale anche lui.
Non parlarono per tutto il tragitto fino a casa di Mia. Non parlavano molto quei due, era una comunicazione silenziosa.
Mia si accorse di essere arrivata solo quando lui fermò la macchina. Si voltò verso Bart, che tamburellava le dita sul manubrio, e gli sorrise, consapevole che lei non l’avrebbe baciato e che anche lui non l’avrebbe fatto. Scese dalla macchina e solo quando entrò dentro il portoncino sentì la sua macchina ripartire.
 
Spensierata salì le scale ed varcò l’ingresso di casa. Era tutto come l’avevano lasciato. La tavola era ancora apparecchiata e i bicchieri di vino erano ancora poggiati sul piccolo tavolinetto davanti il divano. Si tolse i tacchi e fece partire la radio. Iniziò a sistemare e a ripulire la tavola. Non aveva molto sonno quindi decise di lavare anche i piatti invece di farlo la mattina seguente. Quando ebbe finito di pulire tutto si accorse che era incredibilmente tardi e che l’indomani non si sarebbe mai svegliata in tempo per l’appuntamento con Lucia, quindi si sbrigò ad andare a letto. Puntò la sveglia per le otto e chiuse gli occhi.


 

 
aggiornato e corretto 19/01/2016

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7
 
Un uomo non ti amerà né ti tratterà mai così
bene come un negozio. Se un uomo ti sta stretto
non puoi cambiarlo entro 7 giorni con
uno splendido golf di cashmere!
I Love Shopping, Rebecca Bloomwood
 
Alle nove in punto Lucia suonò il campanello e Mia due secondi dopo uscì di casa.
Entrò in macchina con un sorriso raggiante “Perché quel sorriso?” chiese Lucia, che non se lo lasciò sfuggire. “Stiamo andando a fare shopping!” rispose Mia scoprendo ancora di più i denti. “Stiamo andando a compare il mio abito da sposa” rispose l’altra “Sempre shopping è” commentò allora Mia, che amava fare shopping – toccare tutti i vestiti, distinguere i diversi tessuti, fare possibili abbinamenti, quello era il suo secondo paradiso – Lucia abbozzò una risata e mise in moto.
“Allora… cosa stavate facendo tu e Bart ieri sera?” ovviamente la scusa della cena a casa di amici non se l’era bevuta. Mia la guardò per un momento e capì di aver trovato una vera amica. Non le importava che fosse il suo capo, sapeva che per lei era solamente Lucia. “Dovevamo parlare e ci siamo visti a casa mia” ammise la ragazza e Lucia non chiese altro.
Durante il tragitto parlarono un po’ di tutto, ma soprattutto del matrimonio. Quando arrivarono erano passate da poco le dieci, parcheggiarono e si diressero verso l’entrata della boutique.

Ad attenderle c’era un equipe di commesse munite di riviste, champagne e fazzoletti. Mia strabuzzò gli occhi, non si sarebbe mai sposata.
Insieme alle commesse iniziarono a vedere i possibili modelli da far provare a Lucia e dopo un po’ sparì dietro un enorme tenda bianca per provare i vestiti scelti.
Uscì un paio di volte, ma non sembrava convinta di nessuno, ad ognuno trovava un difetto; finché non arrivo lui. Lucia si guardò allo specchio e si portò involontariamente una mano sulla bocca, come se avesse voluto tirare indietro un urlo. Si voltò verso Mia e con incredulità iniziò a esclamare “Mi sto per sposare!”

La loro ricerca finì lì, dopo un po’ arrivò una sarta per prenderle le misure e in meno di mezz’ora si trovarono di nuovo in macchina. “Sono felice che tu sia qui con me” disse Lucia non appena partì.
“Anche io” ripose Mia con un sorriso. “Ma insomma, me lo vuoi dire che stai combinando con Bart? Hai già creato scompiglio!” sentire quel nome fece quasi sobbalzare la ragazza, che tutto si sarebbe aspettata tranne che quell’argomento.
“Non lo so Lucia, non lo so. È stato tutto così veloce. È successo tutto troppo in fretta. Ormai ci sto dentro”
“Il primo anno qui, appena creato il gruppo, lui si era preso un’infatuazione per me. Io amavo un altro, ma non riuscivo a non provare niente per lui. Ha questo potere… È come un vortice, se ti prende è finita”
“Non capisco dove vuoi arrivare”
“Voglio dire: non ti sentire obbligata. Tu hai il controllo di te stessa. Tutto qui” concluse Lucia, aveva gli occhi fissi sulla strada e per tutto il discorso non si era voltata per guardare Mia più di due volte.
L’atelier si trovava a soli dieci minuti dalla caserma e arrivarono in tempo per il briefing.

Ghirelli aggiornò le due su quello che era successo durante la loro assenza “La territoriale ha trovato il corpo di un ragazzo nei pressi della stazione di Ostiense. Me ne sto occupando insieme a Emiliano e Bianca”
“Tenetemi informata. Per il resto?”
“Se con il “resto” intendi Mario Pugliese allora la risposta è no” a rispondere fu Dossena e Lucia annuì, quasi sconsolata, e solo in quel momento sembrò essersi accorta dell’assenza di Orlando. “Orlando?” chiese quindi a nessuno in particolare “Ha ricevuto l’autorizzazione dal magistrato. È in carcere” parlò Daniele e Lucia strabuzzò gli occhi “Autorizzazione per cosa? Io non gli ho detto di chiedere assolutamente niente!”
“Per farsi dare maggiori dettagli sul trasferimento di Pugliese” lei alzò gli occhi al cielo, proprio mentre Serra varcava l’entrata. “Scusate il ritardo” disse lui, stando bene attento a non guardare Lucia negli occhi “Serra, se non la finisci di prendere iniziative solitarie ti trasferisco a Messina!” Orlando decise volontariamente di non rispondere e iniziò a parlare di tutt’altro “Ho qui tutti i dettagli del trasferimento. Se ci mettiamo al lavoro subito possiamo ricavare qualcosa e magari riusciamo a sventare un possibile tentativo di evasione” tutta la squadra annuì. Bianca, Emiliano e Ghiro tornarono a lavorare sul loro caso, mentre Mia, Orlando e Bart sotto la supervisione del capitano iniziarono a supervisionare le informazioni che Serra aveva appena portato.

Stavano lavorando da nemmeno mezz’ora quando Lucia ruppe il silenzio “Ragazzi, voi andate a segnare su una mappa tutti i punti che abbiamo segnato. Io e il tenente dobbiamo parlare un momento”
Bart e Mia si guardarono e con complicità uscirono dalla stanza “Gli aspetta una bella ramanzina” disse Dossena ridendo sotto i baffi “Già, meglio non far arrabbiare il capitano” commentò Mia ridendo.

Come aveva ordinato la Brancato segnarono su una mappa tutti i punti morti del tragitto, i luoghi dove era possibile far evadere un detenuto. Mia dettava e Bart scriveva, “Dove siete state stamattina?” chiese Bart mentre digitava sulla tastiera del computer “In procura” rispose la ragazza mentendo e immediatamente tornò al loro lavoro “Segna Via del Casale Rocchi, questo è l’ultimo” lui ubbidì e digitò il nome della via che le aveva detto.
“Che fai stasera?” questa volta fu Mia a parlare, Bart chiuse il programma e spense il PC. La domanda lo lasciò perplesso, perplessità che durò ben poco “Mi vedo con una ragazza” rispose lui con nonchalance. La risposta lasciò Mia senza fiato, era come se l’avessero accoltellata, un colpo dritto allo stomaco. “Divertiti” disse quindi lei, cercando di non far trapelare i suoi sentimenti, “Oh sì, ci divertiremo un sacco io e te. Alle nove a casa mia” Dossena si alzò dalla sedia, le stampò un bacio in fronte e fece per uscire; teatralmente sulla porta si voltò ed esclamò “Ti aspetto eh”.
Mia si stava ancora riprendendo da quello che era appena successo e nemmeno ci fece caso, si accorse che era andato via solo circa dieci minuti dopo, quando le mandò un messaggio con l’indirizzo di casa sua.

La giornata passò tranquillamente: continuarono a lavorare sui pochi indizi che si ritrovavano e ogni tanto Lucia e Orlando richiamavano Mia e Bart nell’ufficio del capitano, dove discutevano possibili teorie che poi venivano smontate da qualcuno.
Solamente verso le sette la Brancato decise di fare l’ultimo briefing. Daniele li aggiornò sul loro caso, che era quasi risolto, e Lucia li aggiornò sui loro sviluppi, che erano ben lontani da essere risolti.

Mia tornò a casa distrutta, la notte precedente aveva dormito male e poco e si ritrovava in condizioni pietose.
S’infilò velocemente sotto la doccia e cercò di lavare via la stanchezza, ma l’acqua calda provocò l’effetto contrario e quasi si addormentò sul letto mentre cercava qualcosa da indossare.
Presa dal sonno probabilmente scelse un vestito non adatto alla serata: decisamente troppo corto e scollato. Era comunque in ritardo e non poteva perdere tempo quindi ormai aveva messo su quello e quello si sarebbe lasciata. Velocemente asciugò i lunghi capelli, operazione che le portò via quasi tutto il tempo che aveva a disposizione e si infilò le scarpe. Prese la borsa, dove ficcò il telefono e il portafoglio e uscì di casa.


 
 
aggiornato e corretto 31/01/2016

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8
 
 
Così aveva finito per pensare a lui come non
 si era mai immaginata che si potesse pensare
 a qualcuno, presagendolo dove non era,
desiderandolo dove non poteva essere,
svegliandosi all'improvviso con la sensazione
 fisica che lui la contemplasse nel buio mentre lei dormiva.
L'amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez
 
 
 
Arrivò a casa di Bart con qualche minuto di ritardo. Prima di suonare il campanello restò un momento a guardarlo attraverso la grande finestra che si trovava in cucina: aveva un canovaccio poggiato sulla spalla e girava qualcosa all’interno di una pentola sui fornelli. Era bellissimo, pensò. Non si era mai sentita così con qualcuno. Era consapevole che fosse del tutto assurdo, l’aveva conosciuto da troppo poco tempo, era impossibile sentirsi così. Se lo ripeteva come un mantra almeno venti volte al giorno. Eppure si trovava lì, incapace anche solo di suonare il campanello, con le farfalle nello stomaco come durante il suo primo bacio, con i brividi lungo la schiena e non solo perché il suo vestito era troppo corto e lì fuori si congelava.
Fece un respiro profondo e si decise ad entrare.
Lui l’accolse sulla porta con un sorriso e la fece accomodare in cucina, mentre lui finiva di cucinare. Mia si sedette sull’isolotto, non curandosi del vestito corto e lo osservò maneggiare con presine e mestoli: le uscì spontaneo un sorriso. “Che ti ridi?” chiese Bart “C’è qualcosa che non sai fare?” replicò lei, lui non rispose “Assaggia qui” si avvicinò a Mia con un mestolo di legno con sopra una salsa rossa, sugo probabilmente. Lei fece come ordinato e rimase senza parole “Buonissimo”.
Non accorgendosene nemmeno si ritrovò a baciarlo. I suoi baci erano come droga, non se ne saziava mai. Strinse le lunghe gambe attorno ai suoi fianchi, facendolo avvicinare a lei.
Prima di scansarsi gli morse leggermente il labbro inferiore facendolo sorridere.
 
Cenarono tranquillamente, scambiandosi sguardi. “Sei un cuoco migliore di me, lo ammetto” disse Mia ad un certo punto, quando stavano finendo. “Ma io sono bravissimo a fare tutto” replicò lui, soffermandosi sul tutto, facendo ridere la ragazza. “Aspettami sul divano, prendo del vino” disse lui e Mia seguì il suo consiglio.
La sua casa era il regno della pace, l’opposto di quella della ragazza. Ogni cosa era al suo posto, ogni dettaglio era ben studiato, stava bene lì.
 
 “Ti ho già detto che sei bellissima?” disse Bart, raggiungendola sul divano con due bicchieri di vino “Direi almeno cinque o sei vo…” Mia non poté continuare la frase perché Bart la prese e la baciò. Un sorriso le si formò sulle labbra, stava bene.
Lentamente si sdraiarono, mentre Bart continuava a baciarla. Sul collo, sul petto, poi di nuovo sul collo. Mia era paralizzata, non riusciva a muovere anche solo un muscolo. Le sue mani erano un tocco leggerissimo che la facevano rabbrividire ogni volta che le sfiorava la pelle, sulle cosce, dietro la schiena. Ogni momento che passava diventava sempre più difficile per Mia rimanere calma.
“Ti faccio questo effetto Mia?” sussurrò lui con una voce calma, sensuale e calda. Non riusciva nemmeno a rispondere e Bart se ne accorse, quindi si alzò, ma lei lo prese per un braccio e mentre lo sbatteva sul divano si mise a cavalcioni sopra di lui. Iniziò a sbottonargli la camicia e ad ogni bottone che slacciava gli baciava l’addome, perfettamente scolpito. Poi iniziò a baciargli il collo, le orecchie, il naso, gli occhi. Questa volta era lui ad essere senza fiato. Mia tornò a baciargli l’addorme, l’ombelico, sempre più in basso. I battiti di Bart acceleravano ad ogni bacio. “Mia… Mia… Mia…” disse sorridendo. Lei lo guardò con aria divertita, poi lui le prese la mano e la condusse sul letto.
Continuando a baciarsi si adagiarono sul materasso e lui con la camicia aperta le sfilò prima le calze, poi il vestito.
Era da troppo tempo che non provava quelle emozioni pensò Mia, poi la smise di pensare del tutto e s’immerse completamente nella situazione, in Bart.
 
Un raggio di sole penetrò dalla finestra e colpì gli occhi di Mia, facendola svegliare.
Notò con piacere di trovarsi nella stessa posizione in cui si era addormentata: tra le braccia di Bart. Era ancora stanchissima, in due giorni aveva dormito otto ore. Per quanto si trovasse bene lì voleva solo tornare a casa e dormire almeno fino al giorno dopo. Immersa nei suoi pensieri non notò Bart, che nel frattempo si era svegliato e la stava fissando.
“Buongiorno” le disse con voce calma e tranquilla, come se quella fosse la normalità, come se si conoscessero da sempre. Mia non rispose ma gli sorrise debolmente, lui allora si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia. Era tutto perfetto. Non si sarebbe mai e poi mai stancata di quella situazione, finché gli occhi non le caddero sulla sveglia. “Oddio ma sono le sette e mezza” avvolta dal lenzuolo Mia scese dal letto e iniziò a cercare sul pavimento i suoi vestiti, lui la guardava divertito “Scusa, ma che stai facendo?” chiese ridacchiando. “È tardissimo, devo tornare a casa, cambiarmi, farmi una doccia possibilmente e andare in Caserma” rispose voltandosi verso di lui “e dovresti anche tu.” Lui scese dal letto e le si avvicinò “La doccia ce l’ho anche io, e ci sta benissimo anche in due. E per quanto riguarda i vestiti, be’ per me potresti anche andare così” le disse ridendo “Eleonora ha lasciato qualcosa qui, ha detto sarebbe passata in settimana.”
Mia si morse il labbro mentre cercava di ragionare, “Okay. Mi hai convinta” disse con un sorriso. Lui la prese in braccio e la portò in bagno facendola ridere. “Vedi, ci si entra in due” disse Bart mentre insieme entrarono nella doccia. Ci misero più tempo del dovuto per lavarsi, ovviamente.
 
Quando ebbero finito tornarono nella stanza, dove si trovava l’ex armadio di Eleonora. Con scetticismo Mia lo aprì e quasi le venne un colpo quando vide che lì dentro c’erano solo abiti da sera. “Oddio e ora che faccio?” disse lei mettendosi le mani tra i capelli umidi.
Bart si avvicinò “Li metteva qui i pantaloni” disse mentre armeggiava con i cassetti, e come per magia tirò fuori un paio di jeans che le lanciò. Mia li prese al volo, sembravano della sua taglia. Mentre li infilava lui le lanciò anche una felpa enorme “Ti dovrai accontentare di questa” esclamò mentre le prendeva un paio di converse, sempre di Eleonora.
“Questa l’ho presa durante il mio ultimo viaggio a New York, giusto?” disse divertita lei. La maglietta era grigia e sopra c’era scritto “I LOVE NY” Bart rise “Certo”
Trovarono tempo per prendersi un caffè e di corsa uscirono dalla villetta di Dossena.
 
Mia si avvicinò alla sua macchina e cercò le chiavi nella borsetta che si era portata la sera prima “Andiamo con la mia” le disse Bart mentre chiudeva il cancello. Mia lo guardò scettica ma visto che erano in ritardo probabilmente con lui avrebbe fatto prima.
Salirono in macchina e come Mia aveva previsto lui iniziò a sfrecciare tra le macchine a tutta velocità. “Vorrei arrivarci viva in caserma” disse lei terrorizzata. “Allacciati la cinta e non succede niente” replicò lui ridendo.
Erano anni che non stava così bene con qualcuno. La sua vita a Roma diventava giorno dopo giorno sempre più bella. A lavoro si trovava bene, i colleghi erano tutti simpaticissimi, e Bart rendeva tutto ancora più speciale.
Lo guardò mentre era preso a guidare, i lineamenti duri lasciavano intravedere quel poco di dolcezza che sembrava dedicare solo a lei. Le uscì un sorriso ma cercò di non farsi vedere.
In pochissimo tempo arrivarono in Caserma e nessuno sembrò notare lo strano abbigliamento di Mia o che fossero entrambi affannati dalla corsa per arrivare in orario.
 
Emiliano e Bianca li accolsero all’entrata, stavano prendendo un caffè. Lei rideva alle sue stupide battute e lui sogghignava mentre girava lo zucchero nel bicchierino. Erano così spensierati, pensò Mia, quando erano insieme sembrava che niente li potesse toccare, come se fossero in una bolla. Non appena Emiliano li vide si raddrizzò e cambiò radicalmente espressione “Ciao” disse ad entrambi. Mia ricambiò il saluto mentre Bart si dirigeva verso Ghirelli che lo aveva chiamato dal suo ufficio.
Bianca le sorrise e con gentilezza le disse: “Ciao Mia, che carina questa maglietta!”

 

 
aggiornato e corretto 01/02/2016

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9
 
 
Il potere deve premiare chi ha le idee
 più chiare e la forza per affermarle.
Romanzo Criminale, Giancarlo De Cataldo
 
 
 
Emiliano e Mia alle nove in punto entrarono nella stanza dei briefing dove si sarebbe svolta la riunione. Bianca e Bart erano già usciti con Ghirelli, senza dire una parola a nessuno.
“Buongiorno” disse la Brancato entrando nella stanza “È stato rinvenuto il corpo di una donna sulle rive del lago di Nemi. Il capitano Ghirelli, Dossena e Proietti sono già sul posto. Noi continuiamo sul caso della banda” continuò senza aspettare che il resto del team rispondesse al saluto. Appena Lucia finì di parlare intervenne Serra “Ho fatto un nuovo profilo psicologico su Pugliese. Le sue condizioni psicologiche al momento non devono essere delle migliori. Ha perso tutti i membri della banda. Non ha un piano, non ha soldi, ma sicuramente sta pianificando l’evasione del fratello. È un nuovo Pugliese. Non vuole fama, soldi, vuole vendetta. Contro di noi, contro la società, contro Lucia” tutti annuirono. Lavorare su questo caso per Mia era un onore, anche se avrebbe preferito non averci mai lavorato. Con tutto quello che era successo: la morte di Flavia, il migliore amico di Ghirelli come membro della banda. Era atroce.
“Stincone” disse Mia, che stava pensando ad alta voce “Come Nisi?” chiese Lucia “No, pensavo… Da quello che so, da quello che si diceva a Parma, è Stincone il pilastro della banda, giusto? Senza di lui Pugliese non saprebbe nemmeno accendere la luce dentro casa” Orlando la guardò e la invitò ad andare avanti “Be’, io fossi in lui farei lo farei evadere per primo, solo così potrei fare un piano molto più grande e far evadere mio fratello, il sospettato numero uno. Voglio dire, noi ci stiamo concentrando su Gerry perché pensiamo che sia il primo pensiero di Pugliese. Lo sappiamo noi come lo sa lui. Quindi non lo so, controllerei anche Stincone…” Mia finì di parlare e solo in quel momento notò un sorriso di soddisfazione sulle labbra di Lucia “Te l’avevo detto che era in gamba!” disse il capitano ad Orlando, che annuì. “Questa è la tesi migliore fino ad ora. Orlando e Mia, voi andate, io e Cecchi continuiamo quelle ricerche che abbiamo iniziato l’altra volta” affermò la Brancato. Come ordinato Mia e Orlando si alzarono mentre Cecchi rimase nella stanza e iniziò a lavorare con il capitano. “Orlando?” disse Lucia facendo girare i due che stavano per uscire “Avvertite Rambaudi e andate con lui”
 
“Mi sei piaciuta lì dentro” esclamò Serra non appena furono fuori la stanza dei briefing. “Non sapevo ti fossi specializzata in criminal profiler”
“No, veramente non l’ho fatto. Stavo solo pensando…” ammise Mia imbarazzata. La sua onestà fece ridere il superiore che la guardò con tenerezza, poi d’un tratto si fermò come se si fosse dimenticato qualcosa “Mia, ho dimenticato dei fogli nell’ufficio di Ghiro, tu vai avanti, poi ti raggiungo”
“Okay, lo chiamo io il Maggiore?” chiese la ragazza e Orlando annuì mentre scompariva dietro un muro per poi riapparire nell’ufficio di Ghirelli. Mia compose il numero di Rambaudi e stava per avviare la chiamata se non fosse che il volto di Orlando diventò bianco come un lenzuolo. Con una mano cercò sostegno su una sedia, dove ci si sedette. Gli occhi erano fissi su un tablet. Sembrava stesse per vomitare.
Decise di non chiamare il Maggiore ed entrò nella stanza anche lei “Orlando tutto bene?” chiese entrando, in evidente stato d’apprensione. “Guarda tu stessa” disse lui girando il monitor verso di lei.
Guardie giurate a terra, morte probabilmente, la maschera del lupo accanto ai loro corpi.
Istintivamente si portò una mano sulla bocca, come per mascherare il suo disgusto.
 
Senza dire una parola entrambi tornarono nell’ufficio di Lucia dove stava lavorando con Emiliano. Orlando voltò il tablet verso di loro e le loro facce diventarono come quelle dei due appena entrati.
“Stincone è evaso.”


 

 
aggiornato e corretto 01/02/2016

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10
 
 
    Se sapessi che oggi è l'ultima volta che

 ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei,
ti darei un bacio e ti chiamerei
di nuovo per dartene altri.
La Marionetta, Johnny Welch

 
 
Nessuno disse o fece niente finché Daniele, Bart e Bianca entrarono dalla porta principale. I loro volti parlavano da sé e senza dire una parola si diressero direttamente nell’ufficio di Lucia dove tutti li stavano aspettando, in un silenzio quasi religioso.
Non appena i tre si sederono la Brancato, come risvegliata da un’ipnosi, iniziò a parlare “Ce lo siamo fatto scappare da sotto il naso. Era lì, era sempre stato lì” la sua voce era calma, piena di delusione “ma noi non ci faremo coinvolgere in un’altra caccia alla “banda del lupo”. Questa volta li prendiamo, per sempre. Non è più padrone delle nostre vite” continuò Lucia piena di energia. “Cecchi e Nisi, controllate tutti i video di sorveglianza, deve pur essere entrato da qualche parte” disse il capitano ai due ragazzi seduti accanto a lei, che dopo aver sentito quelle parole annuirono all’unisono e si alzarono dal tavolo per iniziare il lavoro.
 
Nell’ufficio di Emiliano erano già arrivati i filmati, “Pronta?” iniziò lui mentre Mia prendeva una sedia e cominciava a visionare il primo nastro.
Con una strana sensazione nello stomaco inserì il disco e pochi secondi dopo il filmato cominciò.
Era una normale giornata di lavoro quella che stava controllando, persone che entravano, persone che uscivano, uomini e donne con valigette, due detenuti che venivano rilasciati – dopo chissà quanti anni – altri che invece varcavano la soglia del carcere, per la prima volta? Avevano ucciso qualcuno? Legittima difesa? Omicidio preterintenzionale? non lo sapeva Mia e non era suo compito dirlo, un’altra donna con una valigetta, indossava tacchi alti e un lungo cappotto, un uomo pochi minuti dopo uscì da una macchina, anche lui portava una borsa, giacca lunga, cappello e occhiali da sole. “Emiliano?” disse Mia quasi emozionata “Sì?” il ragazzo le si avvicinò con la sedia “L’ho beccato” le disse guardandolo fisso negli occhi “Occhiali da sole, peccato che oggi piova. E poi dopo questa ripresa non si vede più niente.”
Emiliano la scansò e si posizionò davanti al PC. Iniziò a digitare codici incomprensibili e dopo un paio di minuti di completo silenzio, dove si sentiva solo il rumore dei tasti, Mia chiese cosa stesse facendo “Ho isolato la sagoma di quest’uomo e la confronto con quella di Pugliese. Se combacia è lui. Mentre aspetto i risultati cerco di identificare la targa, tu aggiorna Lucia o Ghiro” le disse. Mia annuì e iniziò a cercare i superiori.
 
Era passato da poco mezzogiorno e c’erano poche persone in servizio, quasi tutti in pausa pranzo. Nonostante gli avvenimenti della mattina c’era una strana calma in ufficio. I soliti rumori dei macchinari, sempre in funzione, i soliti odori. Lucia non c’era e nemmeno Orlando. Prese il telefono e compose il numero di Ghiro, ma dopo parecchi squilli scattò la segreteria telefonica “Dannazione!” pensò.
“Mia!” la ragazza si voltò e vide Emiliano tutto contento sulla porta con il giacchetto in mano. Incerta si avvicinò “Era lui! Le sagome combaciano, combacia tutto” preso dall’euforia le stampò un bacio in fronte che lasciò Mia senza parole.
“Non ho trovato nessuno” disse lei invece sconsolata “Vabbè andiamo lo stesso” affermò Cecchi mentre prendeva la pistola “Dove, scusa?”
“Ho preso il numero della targa, un mio amico l’ha rintracciata e ho l’indirizzo”
“Dovremmo aspettare i rinforzi” disse Mia seria “Non c’è tempo per i rinforzi! Se non interveniamo noi adesso, non potrebbero esserci altre occasioni! Il lupo ha commesso un solo errore e noi lo dobbiamo sfruttare” non l’aveva del tutto convinta e le si leggeva in faccia che avrebbe preferito restare ed aspettare “Senti se hai paura lo capisco, ma io vado a prendere l’assassino di Flavia. Perché se non interveniamo noi oggi, potrebbe esserci un’altra Flavia domani” Mia lo guardò intensamente negli occhi, sentiva che poteva fidarsi di quel ragazzo, almeno un po’ “Va bene” disse espirando, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
Mentre Emiliano finiva di prepararsi Mia compose un SMS destinato a Bart “Stiamo andando da Pugliese. Siamo soli, non so l’indirizzo. Ho il GPS acceso. Mi fido di te.”
“Pronta?” chiese Cecchi con le chiavi della macchina in mano, lei prese la pistola che aveva preparato sul tavolo davanti a lei e annuì.
 
Consapevoli di star andando in una missione, probabilmente suicida, misero in moto. Quel giorno Roma era piuttosto trafficata e Mia ne fu felice, così gli altri hanno il tempo di raggiungerci, pensò la ragazza, che non era ancora del tutto convinta. Emiliano era stranamente silenzioso e poteva vedere che anche lui era agitato.  Per tutto il viaggio non dissero mezza parola e solo quando furono quasi arrivati lui disse “Forse è meglio lasciare qui la macchina e proseguire a piedi.”
La casa non aveva recinzioni o cancelli da superare, solo numerosi alberi che circondavano l’abitazione. Un gazebo bianco li accolse e sulla sinistra c’era un enorme piscina a forma di clessidra. Le enormi vetrate lasciavano intravedere l’interno. Non sembrava ci fosse nessuno in quella stanza, ma la macchina era parcheggiata nel vialetto.
Mia inspirò e si voltò verso Emiliano “Ho avvertito i superiori prima di uscire” confessò lei mentre Cecchi la guardava “direi di aspettare i rinforzi, nel frattempo li teniamo d’occhio e interveniamo solo se necessario” disse la ragazza, quasi fosse lei il tenente e lui il sottotenente. Lui annuì “Coprimi, mi sposto. Così abbiamo una visuale maggiore” disse e lei fece come comandato. Puntò la pistola verso nessuno mentre Emiliano correva verso un albero alcuni metri più avanti.
I minuti passavano e non si vedeva nemmeno l’ombra dei rinforzi. Più il tempo aumentava e più Mia pensava che nessuno sarebbe arrivato e che sarebbe morta lì: sorpresi dalla banda li avrebbero rapiti e torturati, solo alla fine quando erano all’estremo delle loro forze li avrebbero uccisi. Non aveva paura di morire, o meglio non aveva paura del dopo, era una questione che non l’aveva mai spaventata. Era convinta che come l’energia nell’universo non si crea e non si distrugge anche gli esseri viventi fossero soggetti a quella legge. Un giorno tutte le particelle del suo corpo sarebbero andate a creare qualcos’altro e prima di lei altri erano morti e ora la loro energia era in lei e così per l’eternità. Quel pensiero la rendeva, nonostante tutto, serena. Controllò l’orologio, era passata un’ora.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, pensò alla sua vita, alle decisioni che aveva preso e che l’avevano portata lì, in quel momento, insieme a Emiliano. Era talmente occupata a pensare che non sentì i passi dietro di lei. Si accorse di una presenza solo quando due mani la bloccarono. Con un braccio la stringevano e con l’altra mano le tenevano la bocca chiusa, così da non avvertire Emiliano.
Improvvisamente le sembrò che il sangue non confluisse più e la sua fronte iniziò a sudare freddo. Si sentiva paralizzata e impotente, voleva urlare e avvertire Cecchi che li avevano scoperti, ma non ci riusciva. Chiuse gli occhi e fece l’unica cosa a cui riuscì a pensare. Senza tanti scrupoli tirò un calcio all’indietro, cercando di colpire il suo aggressore, e ci riuscì, infatti la persona dietro di lei lasciò immediatamente la presa. Subito riprese il controllo della situazione: impugnò la pistola e voltandosi la puntò verso Bart.
 
Sgranò gli occhi e quasi le venne da piangere alla vista di lui. Abbassò la pistola e senza dire niente gli gettò le braccia al collo. “Sei arrivato” disse in un sussurro, lui non rispose subito, ma solo dopo quando sciolsero l’abbraccio e finalmente la guardava negli occhi “E non sono venuto solo” affermò Bart. Insieme si voltarono e Mia si sentì sollevata alla vista di due pullman pieni di colleghi venuti in soccorso.
“Grazie” gli disse con un sorriso che scopriva tutti i denti “Dovere,” rispose lui “hanno circondato la casa…” una raffica di spari catturò la loro attenzione “Mi fai da partner?” le chiese e senza aspettare la risposta iniziò a camminare impugnando la pistola. Mia lo seguì, contenta che almeno non erano più solo in due.
Entrarono nell’abitazione, la porta l’aveva sfondata chi prima di loro l’aveva varcata. Era tutto incredibilmente ordinato, non c’era una cosa fuori posto e sembrava tutto irrealistico. Gli spari sembravano provenire da una stanza accanto a quella dove si trovavano. Bart si accostò alla destra della porta e Mia alla sinistra, con un gesto fermo e deciso lui puntò la pistola all’interno della stanza ed entrò. “Libero” disse, poi prendendo la radiolina che teneva attaccata al giubbotto anti proiettile continuò “due uomini a terra, ferita da arma da fuoco, siamo al primo piano.” Mia seguì Bart e si avvicinò ai due carabinieri feriti, uno era morto mentre l’altro respirava ancora, a fatica.
“Tranquillo, stanno arrivando i soccorsi, andrà tutto bene” gli stava dicendo Bart premendo le mani sulla ferita. “Dossena qui non c’è nessuno” la voce di Lucia usciva dalla radio “sono ancora in casa, fate attenzione.”
Erano entrambi impegnati ad occuparsi del collega a terra e si resero conto della presenza di Pugliese quando lui, col gancio della pistola, colpì Bart alla testa facendolo cadere privo di sensi. Mia deglutì e impugnò l’arma “Pugliese è finita, sei circondato” disse quasi con voce tremante “Sei nuova?” rispose lui ignorando le sue minacce “Non mi sembra di averti mai vista” sembrava padrone della situazione e senza il minimo accenno di paura “Getta l’arma! Questa volta non hai scampo” continuò Mia “Lo sai? Anche quello ha detto così, prima di piantargli una pallottola in testa” Pugliese indicò il carabiniere rimasto ucciso “Non è difficile sparare, guarda ti faccio vedere, si fa così” puntò l’arma verso di lei e premette il grilletto. Il metallo le perforò la carne e cadde a terra. Si portò una mano all’altezza della spalla, dove sentiva il corpo estraneo pulsare. Il dolore iniziò a spargersi in tutto il corpo e Mia sapeva che quella sarebbe stata l’ultima faccia che avrebbe visto prima di morire. “Visto, è facile” Pugliese continuava a parlare e Mia cercò di afferrare la pistola che le era caduta mentre le aveva sparato. “Che c’è tesoro? Ci vuoi provare anche tu?” chiese lui mentre calciava via la pistola del sottotenente. “Magari, un’altra volta, che dici?”
“Sì, a Rebibbia quando ti verrò a trovare” rispose acidamente Mia. “Non mi prenderete mai, stronza!” urlò lui mentre le tirava un calcio sullo stomaco, facendola rimbalzare contro un tavolo e una cascata di vetri le cadde addosso.
Quando finalmente smise, Mia fece ricadere la testa sul pavimento freddo poi sentì uno sparo e il dolore. Il proiettile doveva essere da qualche parte sotto l’addome, ma non riusciva a capire dove perché il dolore era troppo forte. Chiuse gli occhi e sentì un altro sparo.
Aspettava con ansia di sentire il metallo perforarle la carne, di nuovo, ma quella volta non accadde niente. Sentì un corpo cadere a terra e un altro strisciare verso di lei.
“Mia” qualcuno la stava strattonando delicatamente “Mia, dai apri gli occhi” Bart era piegato sopra di lei. Con le mani cercava di bloccare la fuoriuscita di sangue ma era troppo. “Cazzo!” urlò lui “Apri gli occhi Mia, ti prego” continuava lui, ma lei era troppo debole per fare come diceva e aveva una gran voglia di dormire. Le parole che Bart le stava urlando iniziarono a mischiarsi e non avevano senso, voleva dirgli di stare tranquillo, che non aveva paura, che andava tutto bene, ma non poteva. La sua voce era lontana, lontanissima e le sembrava di star affondando, affogava e non sapeva nuotare. Con le ultime forze che aveva cercò di fargli un sorriso e poi non sentì più niente.


 

 
aggiornato e corretto 28/02/2016

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11
 
La capacità umana di provare senso di colpa
è tale che le persone riescono sempre trovare
il modo di incolpare se stesse.
Stephen Hawking
 
Era un’insolita calda giornata di Marzo, Mia stava camminando in un bosco. I raggi del sole le penetravano sulla pelle attraverso i vestiti. Continuava a camminare ma non si sentiva a suo agio, si sentiva seguita, come quando stai tornando a casa di notte e sei sicuro che qualcuno sia dietro di te, pronto ad attaccarti, tu ti giri di scatto ma non c'è nessuno. Anche Mia si voltò, sapendo che niente la stava seguendo, ma quasi le venne un colpo quando invece vide un grosso lupo grigio. Aveva una strana espressione sul muso, sembrava un ghigno. Senza avere il tempo di iniziare a correre il lupo fece un balzo e la azzannò. Mia cadde a terra priva di sensi, morente.

Si svegliò sudata con un dolore lancinante all'addome. La stanza dove si trovava non era decisamente casa sua. Le pareti erano di un celestino spento e accanto a lei c'erano dei macchinari che emettevano un suono regolare ogni secondo. Si stava per rimettere a dormire quando lo sguardo le cadde sulla poltrona vicino al letto. Un ragazzo stava dormendo, aveva la testa appoggiato allo schienale e non riusciva a vederlo in viso. Sembrava un bambino. Presa dal sonno chiuse gli occhi e si riaddormentò.

Il prato sotto di lei le solleticava la schiena, facendola ridere. Doveva essere Agosto, perché il sole era terribilmente forte, quasi fastidioso. Non c'era vento e l'aria era umida, voleva mettersi sotto un albero, ma non ne vedeva e non riusciva ad alzarsi. Aveva le gambe bloccate, non le sentiva, non riusciva a muoverle. Era paralizzata. Urlò, cercò di chiamare qualcuno, ma era inutile, non c'era nessuno, nessuno sarebbe venuto in suo soccorso. Il sole picchiava forte, non riusciva più a vedere, sentiva la forza di gravità premerle sullo stomaco e il cuore le batteva forte in gola. La luce la stava accecando, stava morendo.

"Mia!" qualcuno la strattonò. Era una voce familiare, calda e dolce, quella che la stava chiamando "Mia, svegliati." Quando aprì gli occhi vide una chioma di ricci neri che contornava il volto di Daniele. Le stava sorridendo amichevolmente "Scusa, non volevo svegliarti ma ti stavi agitando" le disse con aria gentile "Cos'è successo Ghiro?" l'espressione di serenità che echeggiava sul suo volto mutò, come risvegliato da un sogno. "C'è stato uno scontro a fuoco, magari ti ci vuole del tempo per ricordare" aveva l'aria distante, lo sguardo basso "Ma almeno li abbiamo presi?" gli chiese. Le rispose con un semplice sì, poi il suo sguardo si fissò sulla porta, facendo voltare curiosa anche Mia. Appoggiata sullo stipite si trovava una donna, aveva dei lunghi capelli neri e gli occhi, dello stesso colore, contornati da una sottile linea di eyeliner.
"Ciao sono Selvaggia! Daniele mi parla tantissimo di te!" disse entrando dentro la stanza con aria leggera. Mia sorrise imbarazzata "È veramente brutto quello che ti è successo" continuò lei con aria cupa, Mia le sorrise. "Ho visto Lucia e Orlando all'entrata, verranno qui tra poco hanno detto" disse Selvaggia a nessuno in particolare "Perfetto, allora è meglio che torni in caserma, ho delle indagini in corso. Ah, e quando ti dimettono ti aggiorno, ci servono i tuoi super consigli" affermò Daniele uscendo dalla stanza. Selvaggia la salutò con la mano e seguì Ghiro.

Non c'erano lupi o il sole accecante, non c'era niente. Solo Mia e il vuoto. Stava precipitando, il vento le spostava i lunghi capelli biondi e si sentiva leggera. Non aveva la forza di urlare o di cercare qualcosa a cui aggrapparsi. Le mancò il respiro, non c'era aria. Una mano calda la riportò alla realtà.

"Buongiorno tesoro!" Mia aprì gli occhi e trovò davanti a lei una schiera di sorrisi: Lucia, Orlando, Emiliano e Bianca. "Ciao ragazzi" disse lei debolmente, meravigliandosi di riuscire a respirare. "Sono stati qui Daniele e Selvaggia prima" continuò Mia mentre Lucia si sedeva sulla poltrona dove stava dormendo il ragazzo la sera prima. "Ti senti meglio? I dottori hanno detto che ci vorranno almeno un paio di settimane prima di tornare a casa" le chiese Orlando e la ragazza non poté fare altro che annuire. Non sapeva nemmeno lei come stava, ricordava poco di quello che era successo e la testa iniziava a farle davvero molto male. "Senti Mia..." iniziò Emiliano "Mi dispiace per quello che è successo. Penso sia colpa mia, se avessimo aspettato i rinforzi, se non avessimo fatto di testa mia... probabilmente non ti sarebbe successo niente" era visibilmente scosso e si vedeva che si sentiva terribilmente in colpa "Non ricordo molto, però ricordo una cosa: non è colpa tua. Abbiamo aspettato i rinforzi prima di intervenire, qualunque cosa io abbia fatto dopo... l'ho deciso io. Non sentirti in colpa per me" affermò Mia con un sorriso cercando di rassicurare il collega.
Ci fu un momento di silenzio imbarazzante, nessuno sapeva cosa dire e Mia avrebbe tanto voluto farsi un'altra dormita. "Non credo sia normale quello" disse Bianca, che come al solito era rimasta in silenzio fino a quel momento, indicando la macchia di sangue che si stava allargando all'altezza dell'addome di Mia. Arrivò un dottore in pochi minuti e iniziò a visitare la ragazza, facendo uscire i colleghi dalla stanza. Disse parecchie parole, ma la ragazza non prestò molta attenzione, captò solo "ferita" e "assoluto riposo". Uscì dalla camera dicendo che per qualsiasi cosa avrebbe dovuto suonare il pulsante rosso sopra il letto.
Non appena il dottore uscì dalla stanza Mia provò a chiudere gli occhi, sperando di non fare altri incubi, ma nel momento in cui appoggiò la testa sul cuscino sentì bussare alla porta. Era Lucia che aveva dimenticato la borsa, o meglio, Orlando si era dimenticato di prenderla.
Si avvicinò al letto della ragazza e le fece una carezza "Mi dispiace. Non avrei mai dovuto farti immischiare in questa situazione"
"No, Lucia, non iniziare anche tu. Facciamo un lavoro che prevede anche questo. Non è colpa di nessuno" disse Mia confusa. "L'hai sentito Bart?" chiese il capitano con aria sospetta "No" rispose secca l'altra. "Il modo in cui ti stringeva la mano sull’ambulanza... Non appena quel suo amico gli ha detto quello che stavate facendo, tu ed Emiliano, si è precipitato in caserma. Ha preparato una squadra di rinforzi in meno di dieci minuti. Sai chi altro farebbe una cosa del genere? Io per Orlando" si scambiarono uno sguardo e Mia non rispose.

Si accorse dell'assenza di Lucia solo quando il telefono iniziò a squillare e la svegliò. "Pronto?" disse lentamente, sua madre la tenne al telefono per un'ora. Voleva sapere tutto e Mia si sentiva così impotente a non ricordare. Voleva urlare e chiamare Bart "Scusa mamma, ora devo proprio andare, stanno bussando alla porta" non appena chiuse la telefonata una donna entrò nella camera seguita da un carrello con del cibo "Ora di cena" disse "ah e questa mattina è passato un bel giovanotto che chiedeva di lei. Gli ho detto che stava riposando" aggiunse con un sorriso mentre si richiudeva la porta alle spalle. Il suo primo pensiero fu Bart, sicuramente era lui. Non conosceva nessuno a Roma, ad eccezione dei suoi colleghi e non credeva che nessuno di Parma o Firenze avesse fatto tutta quella strada solo per vederla. Era sovrappensiero e quasi non si accorse del telefono che squillava ancora. Lo prese in mano e sentì lo stomaco contrarsi, fece un bel respiro profondo e premette su "accetta". Per un po' nessuno dei due disse niente, ma solo sentire il respiro regolare di Bart la faceva stare bene. "Mi dispiace" la sua voce la risvegliò da tutta quella situazione, e le sue parole le entrarono uno per una dentro la pelle, riscaldandola.
"Oh no ti prego, non ricominciare anche tu. 'Non è colpa tua'. Non faccio altro che ripeterlo da stamattina" lo sentì accennare un sorriso dall'altra parte, ma quando riprese a parlare la sua voce era dura "No. È davvero colpa mia. Se non fossi stato così imprudente, se mi fossi accorto che quello psicopatico stava dietro di me, non mi sarei fatto colpire come un coglione, tu non avresti dovuto affrontarlo da sola e non ti sarebbe successo niente. È colpa mia, e non so cosa fare per farmi perdonare" le sue parole gli uscirono come proiettili, era ferito, tra tutti loro forse lui era quello che si sentiva più in colpa. Non era colpa sua, Mia lo sapeva. "Be' potresti cominciare col venire a trovarmi quando non sto dormendo. Mi hanno detto che sei passato stamattina."
"Veramente, non… sono appena tornato a casa. Ho fatto la notte, non potevo stare qui a casa."
"Non eri qui stanotte? Mi sembra di aver visto qualcuno, pensavi fossi tu."
"No Mia, io ho lavorato. Magari mi hai sognato" disse accennando una battuta. "Già" rispose lei, ma era sicura di non aver sognato nessuno, era sicura di quello che aveva visto. "Vieni domani?"
"Certo" fece una pausa "buonanotte" Mia non rispose e attaccò.
Mille pensieri iniziarlo a frullarle in testa, il bel giovanotto era reale e anche quello che aveva visto sulla poltrona. Non poteva essere Bart e non poteva essere lui... No. Se lo impose. Non era Christian. Non era Christian.

 
aggiornato e corretto 01/03/2016

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12
 
 
Non riuscivo a pensare, non riuscivo a vedere, non...
non riuscivo a respirare. […] Il mio cuore batteva all'impazzata e...
il petto...si stava frantumando. Era... era come se fossi sott'acqua.
Suits 5x01, Harvey Specter
 
 
 
22 Aprile 2003, Firenze
 
Vieni qui Mia!” il bel ragazzo dagli occhi azzurri iniziò ad agitare energicamente le braccia per farsi vedere dalla ragazza che, nonostante fosse vicina, sembrava non sentirlo, o non volerlo sentire. Così prese lui l’iniziativa e si avvicinò a lei. “Mia quando ti chiamo voglio che mi rispondi” disse con un tono di voce serio. Non appena la ragazza sentì le sue mani sui fianchi, trasalì.
Era arrivata al culmine. Non lo sopportava più. Ogni volta che stava con lui sentiva la necessità di scappare, correre, correre più lontano che potesse. Fece un respiro profondo e si voltò con un sorriso finto stampato sulle labbra. “Scusa amore, non ti ho sentito” disse e lo baciò. Era un bacio senza amore, senza passione. Un bacio finto. Il ragazzo la strinse attorno a sé con le possenti braccia da nuotatore, lasciandola quasi senza fiato.
Mia si staccò dal suo fidanzato “Torniamo a casa? Sono stanca” chiese sbattendo le folte ciglia bionde. Sapeva che nonostante tutto, Christian era ancora nelle sue mani, e avrebbe obbedito ad ogni su volontà “Certo” disse lui confermando i pensieri di Mia.
I due ragazzi si avvicinarono alla macchina e Christian aprì lo sportello di Mia invitandola ad entrare all’interno. Era un gesto nobile e premuroso, fatto da un qualsiasi altro ragazzo, ma fatto da lui significava tutt’altra cosa. Significava che lei era sua. Che nessun’altro al mondo avrebbe potuto riaccompagnarla a casa.
Mia entrò nell’automobile e sprofondò nel sedile incavallando le gambe. Il Giardino della Gherardesca non era molto distante da casa loro, ma pur di non sentire le chiacchiere di Christian, Mia decise di addormentarsi.
 
13 Febbraio 2005, Parigi
 
“Dai Mia, facciamoci la foto sotto la Tour Eiffel” Christian indossava un simpatico cappellino acquistato sulle bancarelle di Parigi. Mia lo odiava, lo rendeva stupido.
Annuì e si avvicinò al ragazzo, quando questo mise davanti a loro l’obiettivo, Mia cercò di inarcare le labbra in un sorriso. Ma non ci riuscì.
Christian. Il suo amore del liceo.
L’aveva conosciuto il primo giorno di scuola. Erano vicini di banco, Mia ricordava che si era dimenticata l’astuccio a casa e lui le aveva prestato le penne. Sei mesi dopo erano fidanzati.
L’aveva portata a Parigi per festeggiare il loro quinto anniversario di fidanzamento, aveva il terrore che potesse chiederle di sposarlo.
“Ho prenotato in posticino carino” la voce del ragazzo si era abbassata ad un sussurro e Mia sperò di aver sentito male. “Non ce la faccio” disse la ragazza, pentendosene subito.
“Cosa?” Christian aveva gli occhi fuori dalle orbite “di cosa stai parlando? Non puoi farmi disdire all’ultimo! Che figura che ci faccio!” il ragazzo stava agitando le braccia all’aria. Mia respirò a fondo e disse quello che aveva provato a dire prima in altre parole, “È finita Christian. Torno a Firenze dai miei. Mi sono segnata all’università. Entro nell’esercito” sperò di essere stata più chiara possibile questa volta. Il volto del ragazzo era di un colore indefinito, tra il giallo e il verde.  “Non è vero” furono le ultime parole che pronunciò perché poi Mia si girò e iniziò a correre. Non si voltò per controllare se Christian la stesse seguendo o meno. Bloccò il primo taxi e si fece portare all’aeroporto. Aveva già preso il biglietto, non le importava molto delle valigie, si sarebbe ricomprata le poche cose che aveva portato con sé. Un sorriso le balenò sulle labbra quando l’aereo si sollevò da terra. Era felice. Era tornata felice.
 
06 Marzo 2013, Roma
 
La testa di Mia iniziò a pulsare violentemente. La fronte era innaturalmente fredda, il battito irregolare. Gli presero dei conati di vomito e si precipitò al bagno.
Le gambe erano leggere come piuma, e gli cedettero, facendola cadere a terra. Il contatto con il pavimento freddo era quasi confortante.
La sua mente la riportò al pensiero che l’aveva spinta a vomitare e le venne voglia di piangere. L’unica cosa che fece invece, fu un urlo disumano.
Immediatamente la porta si spalancò e una equipe di infermieri entrarono. Si gettarono immediatamente sulla ragazza a terra. L’uomo più anziano la prese dolcemente in braccio e l’adagiò sul letto farfugliando qualcosa riguardo una ferita.
Una ragazza dai lunghi capelli rossi corse fuori dalla sua stanza, rientrando subito dopo accompagnata da un uomo con il camice bianco. Gli altri gli fecero largo e si avvicinò al letto dove Mia era adagiata. Era cosciente ma non vedeva e sentiva bene. “Sembra un attacco di panico” stava dicendo l’infermiere che l’aveva sollevata da terra “Sì, ma la cosa grave è la ferita all’addome. Non era ancora rimarginata. Si è riaperta. Bisogna intervenire immediatamente, la pallottola aveva quasi raggiunto il fegato. Non possiamo rischiare.” Mia riuscì a captare solo alcune parole del discorso e sprofondò in sonno profondo.
 
“Dovremmo chiamare qualcuno” disse Ingrid, l’infermiera dai capelli rossi, alla caposala. “Vive da sola e la famiglia abita a Firenze. Chi dovremmo chiamare?” commentò spazientita l’altra. “L’ultimo numero chiamato” rispose Ingrid decisa. La caposala non aggiunse altro, spostò l’aria con la mano e si allontanò verso la sala operazioni.
La ragazza entrò nella stanza 895. Sul letto c’era ancora l’enorme macchia di sangue provocata dalla ferita, e anche sul pavimento c’era del sangue.
Gli occhi le finirono sul comodino dove si trovava il telefono, lo prese in mano e chiamò, sperando che Bart abitasse a Roma e che fosse interessato alla salute della paziente. Fu sorpresa che l’altro rispose mezzo squillo dopo “Mia” disse il giovane ragazzo dall’altra parte della linea “hai cambiato idea e non vuoi più vedermi?” chiese ironicamente.  Ingrid s’irrigidì “Salve, sono Ingrid. Chiamo dall’ospedale. Mia ha avuto una complicazione, in questo momento è in sala operatoria” cercò di essere più chiara possibile e non usare termini specifici. Il ragazzo dall’altra parte si zittì immediatamente. “Potrebbe…” Ingrid non riuscì a terminare la frase perché l’altro la interruppe “Arrivo” e la linea cadde.
 
Bart aveva da poco riagganciato il telefono. Era stato così felice di sentire la sua voce. Le era mancata, aveva avuto paura che non l’avrebbe sentita più. Quella voce così dolce e sensuale allo stesso tempo. La prima volta che l’aveva ascoltata parlare ne rimase stregato. Non era una tono “studiato”, era uscito spesso con ragazze talmente perfette, che anche il timbro della voce era finto. Quello invece era così naturalmente perfetto. Gli guizzò un sorriso sulle labbra, sorriso che scomparve subito. Si era sentito terribilmente in colpa per quello che era successo a Mia che non aveva avuto il coraggio di passare all’ospedale. Di vederla sdraiata su un lettino, collegata a macchinari, o a flebo.
L’ultimo ricordo che aveva era lei, sdraiata nell’ambulanza. Entrambi erano sporchi del suo sangue. Ne era uscito talmente tanto. Prima che l’ambulanza arrivasse aveva urlato aiuto per non sapeva quanto tempo. Il volto di Mia era cereo, lo sguardo fisso nel vuoto. Gli era sembrato di scorgere un alone bianco che appannava l’azzurro dei suoi occhi.
Un brivido lo scosse riportandolo alla realtà, notò con stupore che non si trattava di un brivido, ma della vibrazione del telefono. Portò l’apparecchio davanti al suo volto, si morse leggermente il labbro inferiore quando lesse il nome sul display.
Pensò a qualcosa di carino da dire, ma il dito andò sul tasto della risposta prima che la sua mente potesse creare una frase ad effetto da dire. Quindi disse le prime parole che gli vennero in mente. Si aspettava di udire una risata, quella bella e calorosa che ti coinvolgeva anche se eri di pessimo umore. Invece rispose una voce diversa, era di una ragazza, ma non era lei. Diceva di chiamarsi Ingrid, chiamava da parte dell’ospedale, e Mia, lei aveva avuto una complicazione. Un nodo si formò nella gola di Bart, impedendogli di respirare o deglutire. Il suo corpo si irrigidì e sentì la testa leggera, talmente leggera che dovette appoggiarsi allo schienale del divano per paura di cadere. La ragazza stava per aggiungere altro, ma non la lasciò terminare “Arrivo” furono le uniche parole che gli uscirono. Attaccò il telefono e se lo infilò nei jeans. Prese di corsa le chiavi e si precipitò in macchina, non curandosi di spegnere le luci o chiudere a chiave la porta di casa.
Calcolò mentalmente che ci avrebbe impiegato circa venti minuti per arrivare in ospedale, si prefissò di farsene bastare dieci.
Per sua fortuna le strade non erano molto trafficate. Schizzò tra le altre automobili con velocità che andavano ben oltre il limite consentito.
Il cuore gli batteva fortissimo contro la scatola toracica, sentiva il respiro affannato e la testa altrove. Quando arrivò parcheggiò nei sotterranei, dove potevano passare solamente i dottori, conosceva per fortuna il capo della sorveglianza. Non lo ringraziò nemmeno, prese il telefono e compose il numero di Daniele che rispose dopo parecchi squilli. “Dossena dimmi” aveva detto il ragazzo dall’altra parte “Dove sta Mia? Che numero è la sua stanza?” chiese Bart. Nella sua voce c’era disperazione e terrore. “Bart? È successo qualcosa a Mia?” domandò Daniele senza rispondere alla domanda. “Dimmi dove sta Mia!” urlò Bart, sorprendendosi della sua reazione. “895” Bart attaccò e iniziò a correre. Schivava infermieri, dottori e pazienti agilmente e si precipitò nell’ascensore. “Giovanotto! Potrebbe aspettarmi” chiese un’anziana che andava molto lenta. Bart maledisse la sua galanteria e si avvicinò all’anziana aiutandola a camminare.
Una volta saliti nell’ascensore la donna gli dette un colpetto sul braccio “Grazie” Bart sorrise senza dire una parola e premette il tasto dell’ultimo piano.
“Sua moglie sta partorendo?” chiese la signora. Bart si girò verso di lei e scosse la testa “No” disse in un sussurro “La mia… una mia collega è stata” aveva la voce spezzata “è stata ferita durante un’operazione molto importante, ed è in sala operatoria.  “La donna si portò le mani alla bocca “Sei un carabiniere?” chiese quella. Bart annuì “Andrà tutto bene” la donna, che aveva percepito il terrore nella sua voce provò a dire qualcosa per tirargli su il morale. “Mia è speciale” furono le ultime parole che le disse poi non appena si aprirono le porte si lanciò verso il corridoio alla ricerca della camera 895.
Per sua fortuna era una delle prime, aprì dolcemente la porta facendo un respiro profondo. All’interno non c’era nessuno ma riconobbe il dolce profumo di Mia. Ne inalò più che poté. Sul pavimento c’era una chiazza di sangue e il suo cuore saltò qualche battito quando lo sguardo si posò sul letto. Lì il sangue era ancora di più.
Cercò un appoggio e trovò una poltroncina accanto al letto, dove si sprofondò.
Chiuse gli occhi che si stavano riempendo di lacrime. Lui era Bartolomeo Dossena, e non piangeva mai.

Si passò le mani tra i capelli e cercò di regolarizzare il respiro, ancora affannoso per la corsa. Questa camera è triste, pensò Bart. Le pareti erano coperte di un celestino spento e anche i mobili erano di quel colore. Il fato si beffa di me, pensò il ragazzo quando il pensiero andò a Mia. Quel colore si intonava perfettamente con i suoi occhi. Il suo telefono era sul comodino, fu tentato di prenderlo per chiamare i suoi genitori. Ma si bloccò, come si sarebbe dovuto presentare? “Salve signora, sono Bart. Sì, quello che ogni tanto si fa sua figlia, niente volevo solo dirle che Mia è in sala operatoria perché per colpa mia si è beccata una pallottola e sta avendo delle complicazioni” ricacciò quel pensiero quando una rossetta entrò in camera con un secchio pieno d’acqua e degli asciugamani. “Ah, non pensavo che ci fosse qualcuno” disse e Bart riconobbe immediatamente la voce, era la ragazza che lo aveva chiamato con il telefono di Mia. “Ingrid?” chiese allora per confermare il suo pensiero “Sì.”
“Come sta Mia?” la sua voce era tornata disperata “Voglio dire, è fuori pericolo. Non è vero?” la ragazza scosse la testa, posò il secchio a terra e si sedette sul letto, stando attenta a non macchiarsi il camice di sangue. “Se non è un parente non posso dirle niente, mi dispiace. È il regolamento” era visibilmente dispiaciuta. “Al diavolo il regolamento!” Bart batté le mani contro le cosce “Non c’è nessuno qui della sua famiglia” continuò “lei… lei si prende cura di sé da sola. Dimmi come sta. Ti prego, Ingrid.”
La ragazza si asciugò le mani di sudore sul camice e respirò profondamente “Il proiettile ha quasi raggiunto il fegato, a causa della rottura di alcune costole. L’hanno estratto ma la situazione non è delle migliori, ha fatto una brutta caduta prima, non ci voleva.”
Bart sbiancò, sentiva tremare il labbro inferiore, ma se lo morse energicamente per impedirsi di piangere. “È colpa mia. È tutta colpa mia. È solo colpa mia” disse sprofondando ancora di più nella poltrona. “Com’è successo?” chiese Ingrid. Lei non era Mia, se fosse stata Mia avrebbe risposto di no, che non era colpa sua. “Stavamo soccorrendo un collega a terra, mi hanno colpito alla testa e ho perso conoscenza. Mi sono risvegliato quando l’ho sentita schiantarsi contro un tavolo. Era ricoperta di sangue e vetro, quel bastardo la stava prendendo a calci. Ero totalmente inerme non trovavo la pistola, non riuscivo a muovermi. Quando ha sparato di nuovo non so come ma mi sono alzato” aveva la voce spezzata, aveva ripercorso quei momenti mille volte nelle ultime 24 ore “e ho premuto il grilletto.” La ragazza si alzò e si avvicinò, poggiò una mano sulla spalla di Bart e gli sussurrò all’orecchio: “Sono sicura che non è colpa tua” poi riprese il secchio con l’acqua e si mise a pulire il sangue secco dal pavimento. Bart distolse lo sguardo. Quello era il suo sangue. “Perché c’è del sangue sul pavimento?” chiese, come se avesse notato solo in quel momento la presenza della macchia. “Pensiamo abbia avuto un attacco di panico ed è caduta mentre cercava di andare in bagno”
“E perché?” sembrava un bambino di due anni che per ogni cosa che gli dice la mamma risponde ‘perché?’. “Non lo sappiamo. Comunque ha vissuto un brutto trauma, dovrà lavorare anche dal punto di vista psicologico” disse Ingrid “torno subito con le lenzuola pulite” e uscì dalla camera con un sorriso.

La tasca iniziò a vibrare, sul display c’era il nome di Daniele. Doveva sicuramente dargli delle spiegazioni. Accettò la chiamata “Scusa, lo so” iniziò a parlare senza aspettare che l’altro potesse dire qualcosa. “Oh vedo che ti sei calmato! Mi dici che è successo?” chiese Daniele. “Dicono abbia avuto un attacco di panico, è caduta, si è riaperta una ferita. Ora è in sala operatoria. Mi hanno chiamato dall’ospedale e mi sono precipitato qui”
“Arrivo anch’io” Bart s’irrigidì “No, sto andando via, non mi fanno restare. Ti chiamo se so qualcosa” mentì, ma comunque era la verità, sicuramente non sarebbe potuto rimanere “Va bene” sentì la chiamata interrompersi.
Si alzò e andò al bagno. Aveva un aspetto orribile, aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si sciacquò la faccia per riacquistare lucidità.
Rimase per un po’ al bagno, appoggiato al muro tra la doccia e il lavandino. La finestrella era mezza aperta e una leggera brezza entrava, colpendo il volto di Bart. Era piacevole come sensazione, guardò le macchine che sfrecciavano una dietro l’altra e per un momento si sentì bene. Quando uscì il letto era stato cambiato e non c’era più traccia di sangue. Tornò a sedersi sulla poltrona e non passò molto tempo prima che la porta si aprisse e un gruppo di persone entrassero. Stavano trasportando una barella, sopra di essa giaceva Mia.
Il volto era cereo, gli occhi chiusi, e le labbra serrate. I bei ricci biondi erano adagiati con cura attorno al volto.
“Mi dispiace, l’orario di visita è finito. Torni domani” una signora alta stava parlando a Bart. “Non posso rimanere?” chiese con voce dolce.
“Solo i parenti” c’era qualcosa di acido del suo tono di voce, notò Bart.
“Lui è un parente. Ci ho parlato prima io” intervenne Ingrid, sorridendo al ragazzo senza farsi vedere dall’altra. “Sono il cugino” disse Bart stando al gioco. “Un cugino, dici?”
“Di secondo grado” parlò ancora Bart “Fate come vi pare” disse la donna alta, che evidentemente non credeva alla storia.
Nel frattempo gli altri infermieri avevano sistemato Mia sul letto, uscirono tutti uno dopo l’altro, lasciandoli soli.
Mia dormiva. Sotto la vestaglia si intravedevano le bende che coprivano la ferita.
Si avvicinò alla ragazza e le prese la mano. Era calda, molto più calda della sua. Quel contatto gli provocò una morsa allo stomaco che gli fece venir voglia di abbracciarla.
“Si risveglierà tra un’ora o due” una voce ormai familiare lo spinse a girarsi. “Hanno detto che è stabile e fuori pericolo” disse Ingrid con un sorriso, quel sorriso rassicurante fece sorridere anche Bart che si voltò di nuovo verso Mia. Sentì i passi della ragazza allontanarsi “Hai sentito? Sei salva” la mani di Bart erano sul volto della fanciulla che dormiva. “Non per merito mio, ma sei salva” sentiva gli occhi pesanti e pensò di avvicinare la poltrona al letto. Facendo meno rumore possibile trasportò il mobile accanto a dove giaceva Mia.
Si accomodò sulla soffice sedia e si addormentò.
 
“Bart? Bart sei tu?” una voce dolce stava parlando “Oddio fa che non sia Christian, ti prego” il ragazzo aprì di scatto gli occhi e due cerchi azzurri lo stavano guardano incuriositi. “Bart” disse la ragazza con una luce particolare sul volto “Che ci fai qui? Ti aspettavo per domani” le mani di Mia corsero immediatamente ai capelli e con le dita districò gli inesistenti nodi. Cercò di non farsi notare mentre si mordicchiava le labbra per far affluire un po’ di sangue. Bart alzò gli occhi al cielo “Stai benissimo” disse con un sorriso, poi continuò “C’è stato un problema e mi hanno chiamato” Mia annuì, sapeva che stava alludendo al fatto che era caduta all’entrata del bagno. “Chi è Christian?” il volto di Mia diventò inspiegabilmente bianco, quasi trasparente. “È una storia lunga, poi te la racconto” Bart annuì e si chinò su di lei. Il contatto delle loro labbra provocò ad entrambi dei brividi. Mia portò le mani dietro la testa del ragazzo per toccargli i capelli, voleva fare quel gesto da così tanto tempo. Finalmente il respiro di Bart si era calmato e ora stava respirando lei.
Sulle labbra del ragazzo spuntò un sorriso e si risedette sulla sedia. “Allora…” stava iniziando a dire lei quando qualcuno bussò alla porta ed entrò senza aspettare una risposta. Entrò prima l’enorme mazzo di rose rosse e poi la piccola infermiera. Bart si alzò per aiutarla e le tolse i fiori di mano, quella lo ringraziò ed uscì senza dire una parola. “Grazie!” disse Mia sorridendo al ragazzo che la guardava sbalordito. “Non te li ho mandati io” rispose pacato.
La ragazza scansò i fiori e prese il biglietto con le mani tremanti. Avrebbe riconosciuto quella grafia ovunque.
 
Mia,
Ho saputo quello che ti è successo e mi sono precipitato a Roma.
Ti amo, nonostante tutto, nonostante quello che è successo, ti amerò per sempre. Ci vediamo in giornata,
tuo Christian

L’orrore balenò sul voltò della ragazza che lasciò cadere il biglietto a terra, Bart si chinò a raccoglierlo e lo lesse alla svelta. “Romantico il ragazzo” affermò con una battuta.
Ma Mia non rise, si girò verso di lui e con una tono di voce terrorizzato disse: “L’attacco di panico, me l’ha provocato lui.”

 
 
 
aggiornato e corretto 01/03/2016

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13
 
 
Voglio dire che so come ci si sente quando
 il mondo ti crolla addosso e hai bisogno
 di qualcosa a cui aggrapparti. Lo so.
Grey’s Anatomy
 
 
 
 “Hai avuto un attacco di panico per colpa di questo…” lesse il nome sul biglietto “Christian?” cercò di non mostrare il sarcasmo nella sua voce “Perché hai quel sorrisetto da idiota?” chiese Mia senza rispondere alla precedente domanda. Aveva notato la leggera sfumatura di sarcasmo e non le era piaciuta. “No, niente” Bart scosse la testa. Mia stava per chiedergli quale fosse il suo problema, ma qualcuno bussò alla porta.
Entrò Daniele seguito da Lucia. Lui sembrava essersi appena svegliato: i ricci non erano stati pettinati e il lato destro della faccia era segnato da una lunga riga rossa, segno del cuscino. Lei dava invece, l’impressione di non aver chiuso occhio tutta la notte. Aveva delle ombre scure sotto gli occhi, e il suo colorito non era dei migliori.
“Ah, sei qui?” chiese Daniele guardando in direzione di Bart, che si ricompose immediatamente alzandosi in piedi, Lucia ne approfittò e si sprofondò nella poltrona.
“Stai bene ora, tesoro?” domandò dolcemente Lucia accarezzandole i capelli, Mia annuì.
“Hai passato la notte qui?” disse Daniele con voce interrogativa, ignorando completamente le due che chiacchieravano. Bart rispose immediatamente: “Sì, ero troppo stanco per guidare.”
“Accompagnami al RIS, abbiamo delle indagini in corso” la voce di Ghiro aveva una sfumatura autoritaria, sfumatura che non passò inosservata dagli altri. Bart annuì, prese la giacca che aveva appeso alla poltrona e si avvicinò al capitano. Daniele si avviò verso il letto di Mia, quando fu vicino abbastanza si chinò su di lei e le diede un bacio sulla fronte. “Guarisci presto” le sussurrò in un orecchio, poi prese Bart per un braccio e lo portò fuori dalla stanza. “Rimango qui un altro po’… Ti faccio compagnia io oggi, contenta?” disse Lucia quando la porta si chiuse, Mia le prese la mano che poggiava sulla coperta e annuì debolmente.
 
Daniele era alla guida della macchina di Bart già da parecchio tempo e non aveva aperto bocca nemmeno per commentare il tempo – cosa che faceva spesso quando era a corto di parole – Bart, invece, stava sul sedile accanto, teneva gli occhi fissi sulla strada, al di là del finestrino e non sembrava avesse intenzione di iniziare la conversazione.
Sapevano entrambi che dovevano parlare di quello che era successo la sera precedente, darsi delle spiegazioni.
“Scusa” sbottò Bart, “non avrei dovuto reagire in quel modo… è che mi sento in colpa per quello che le è successo” continuò dopo aver fatto un respiro profondo “è tutta colpa mia, lo so. Quando mi hanno detto che stava peggiorando mi è preso un colpo. Non ci ho visto più e…”
“Ce ne hai messo di tempo per inventarti una balla abbastanza credibile!” disse Daniele, che non aveva creduto alle parole dell’amico. “Non so di cosa tu stia parlando” affermò l’altro che ancora fissava un punto indefinito sull’asfalto “Lo sai invece. Dimmi la verità su te e Mia” a quelle parole Bart si voltò di scatto e fissò Daniele negli occhi, era inutile continuare a fingere “Ci sono stato a letto insieme” ammise senza fare troppi giri di parole. Daniele annuì e respirò profondamente come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
“Adesso che lo sai che ti cambia?” Bart tornò sulla difensiva. Non poteva fargli niente, lo sapeva, avere una storia con un collega non era vietato nel regolamento. “Niente, non mi cambia niente. È che non mi piacciono le bugie, e non mi piaci quando perdi la testa” disse Daniele con lo sguardo ancora fisso sulla strada “Stai perdendo i colpi, e non te lo dico come amico, te lo dico come superiore. Non stai lavorando bene, non sei più il ragazzo sveglio e intelligente che eri una volta.” Bart sprofondò nel sedile, gli veniva da vomitare, la fronte iniziava a sudare freddo, mise la testa tra le gambe: aveva ragione, non era più se stesso.
Quando si riprese erano quasi arrivati “Mi stai dicendo che devo lasciare perdere Mia, non è vero?” sapeva la risposta e si voltò per guardare in faccia l’amico mentre pronunciava la sentenza. Ma Daniele non disse nulla, si limitò ad annuire e parcheggiare all’interno della caserma. Uscirono dalla macchina quasi all’unisono, e Ghiro appoggiò le mani sul tettino della vettura e guardò Bart finché questo non si voltò “Ti obbligo a non uscire più con lei”
Bart strabuzzò gli occhi “Perché mi stai facendo questo?” disse con un filo di voce mentre sbatteva violentemente la portiera della macchina. Poi iniziò quasi ad urlare “Che ho fatto di male? Non è contro il regolamento!” Daniele si avvicinò velocemente a Bart e gli prese la testa fra le mani, lo guardò fisso negli occhi “Abrami ti vuole trasferire”.
 
“Trovato niente di interessante?” Orlando entrò nella stanza dove Cecchi e Bianca stavano lavorando senza bussare ed Emiliano sussultò appena quando il collega parlò. Fu Bianca a prendere la parola, gli spiegò quello che avevano scoperto, cioè quasi niente. “Concentriamoci sull’identità della vittima. Abbiamo stimato che l’età è compresa tra i 19 ai 21 anni, ma potrebbe essere più grande. Ieri Dossena ha controllato le denunce di scomparsa degli ultimi due mesi, ma era stanco e ha lasciato il lavoro a metà. Finite voi, in due ci metterete meno tempo” disse Orlando avviandosi verso la porta dove era entrato pochi minuti prima, ma Bianca lo bloccò mentre stava per uscire “Sai qualcosa di Mia?” Orlando si voltò con il volto angosciato e scosse la testa “Lucia dovrebbe farmi sapere qualcosa ma ancora non ha telefonato. Starà bene, non preoccupatevi. È una ragazza forte” sorrise senza convinzione, come se quelle parole servissero più a lui che agli altri. Detto ciò si richiuse la porta alle spalle e si avviò verso l’ufficio di Lucia.
La stanza era come sempre, non c’era la minima traccia di Lucia. Niente di riconducibile a lei, eccetto qualche foto. C’era quella che avevano scattato pochi mesi prima nella nuova casa. Lucia indossava una maglietta a maniche corte sbiadita, dei vecchi jeans strappati sulle ginocchia e una bandana sulla testa, teneva un enorme pennello in mano. Dietro di lei c’era lui che le cingeva le spalle in un abbraccio caloroso. L’aveva scattata Selvaggia, pochi giorni prima di trasferirsi a casa di Daniele. C’era poi l’immancabile foto con Rosanna. Quella ragazzina era veramente speciale per lei, come una figlia. A casa aveva quasi più foto con lei che con lui. Sorrise e si sedette sulla sedia girevole, e si accorse che non era vero che non c’era niente di riconducibile a Lucia: c’era il suo profumo. La stanza sapeva di limone, di mango, di aria pulita. Chiuse gli occhi e ne ispirò il più possibile chiedendosi se anche a casa loro ci fosse quell’odore. Era inevitabile, quando pensava a lei gli si formava un sorriso sul volto, ma non era il sorriso di chi ride ad una battuta o di chi vede una scena divertente. Era il sorriso di chi ha trovato quello che cerca. Di chi sa, che ha ottenuto tutto dalla vita, che si trova in paradiso. 
Lo spiacevole suono del telefono interruppe i suoi pensieri e senza riflettere alzò la cornetta, dimenticandosi completamente di trovarsi nell’ufficio di Lucia. “Pronto?” fece con un sospiro. “Lucia? Sono il generale Abrami” la voce del generale era pacata e tranquilla. “Generale, sono il tenente Serra. Il capitano Brancato è all’ospedale in visita al sottotenente Nisi” cercò di non far trapelare l’imbarazzo e di essere più preciso e dettagliato possibile.
“Ah Serra è lei. Mi serviva il rapporto sul caso della banda” disse senza giri di parole “quando pensa che tornerà il capitano?” Orlando non ne aveva la minima idea e quindi cercò di tagliare corto “Posso portarglielo io in procura, se non ci sono problemi, Generale”
“Ah… E allora verrà lei” disse il generale riagganciando il telefono, Orlando emise un sospiro di sollievo, poi il panico pervase. Non sapeva dove Lucia avesse lasciato il rapporto, poteva essere ovunque. A lei piaceva lavorare quando non era a casa, quindi poteva averlo lasciato in macchina o da qualsiasi altra parte. Fece un respiro profondo e scacciò via quel pensiero. Doveva trovarsi per forza nel suo ufficio, non era il rapporto su un omicidio qualsiasi, era il rapporto sulla cattura della banda del Lupo. Doveva trovarsi in ufficio.
Aprì il primo cassetto e rovistò tra le scartoffie, sul primo fascicolo c’era un’etichetta con su scritto “CASO RAGAZZA DEL LAGO” notò che era vuoto, non avevano ancora trovato niente. Il secondo riportava la scritta “CASO MOLINA”, il terzo “CASO GORLANI”. Tra le cartelline spiccavano dei fogli spillati, c’era scritto a caratteri verdi “AZIENDA OSPEDALIERA SANT’ANDREA”, ma non fu quello a cogliere la sua attenzione: c’era il nome di Lucia, ed erano delle analisi del sangue.
Si mise a leggere con attenzione, i valori erano tutti nella norma, l’Hb era al valore 12, l’MCV all’81. Quindi pensò che erano semplicemente delle analisi di routine. Un peso si sciolse dal petto e tornò a respirare tranquillamente. Girò il foglio e si mise a leggere gli altri valori, anche qui non c’era niente di particolare, ce ne era uno però che gli suonava troppo alto per essere nella norma: l’HCG.
Di norma l’HCG doveva essere inferiore a 12, quello di Lucia era di 369. 

“Allora, me lo dici o no chi ti ha mandato questi bellissimi fiori?” era già da un po’ che Lucia faceva quella domanda e Mia sapeva che prima o poi gli avrebbe dovuto rispondere. Prese coraggio e iniziò a raccontare tutta la storia. Partì dal principio e non sapeva dire da quanto stesse parlando quando iniziò a raccontare l’accaduto della sera precedente. Lucia rimase quasi senza fiato, poi iniziò a parlare anche lei “Be’, è carino da parte sua no? Ti ama ancora dopo tutto quello che ha passato” Mia strabuzzò gli occhi “Dopo tutto quello che lui ha passato?” disse con voce quasi stridula, ma Lucia sapeva di aver detto quelle parole. Provava un senso materno verso quel povero ragazzo, mollato sotto la Tour Eiffel, mollato perché amava troppo. Quindi espose il suo pensiero alla ragazza che la guardava allibita, come se le sue parole provenissero da un altro alfabeto e non capiva appieno il significato.
“Forse non hai capito quello che mi sono dovuta subire per anni!” sbottò Mia rabbiosamente, Lucia la guardò negli occhi e le sorrise “Quel ragazzo ti amava ed era inesperto. Ti ama ancora. Dovresti chiamarlo.”
“Mai” disse Mia scuotendo la testa energicamente “forse due mesi fa lo avrei chiamato. Ma non ora. Non adesso.”
“Perché? Hai trovato l’amore adesso?” c’era un qualcosa di aggressivo nella voce di Lucia, Mia deglutì e si guardò le mani sapendo a cosa stesse alludendo. “Mia, tesoro,” disse calmandosi “Bart può sembrare l’uomo della tua vita all’inizio, ma lui è così con tutte. Non riesce ad impegnarsi in un rapporto, guarda Eleonora. Che problema aveva lei? Nessuno. Sei arrivata te e ha trovato il capro espiatorio per mollarla, pochi mesi prima di andare all’altare. Lo capisci con chi ti stai mettendo in gioco? Ne vale la pena?” concluse.
Mia aveva l’impressione che avesse voluto dirle quelle parole dal momento in cui aveva varcato la porta. Ne rimase delusa, pensava che Lucia fosse una vera amica. Una con cui potersi confidare, e che capisse veramente quello che provava, ma non era così.
“Dovevo dirtelo scusa” Mia voltò la testa dall’altra parte, in modo che Lucia non potesse vederla in faccia. In modo che lei non potesse vederla piangere.
Era vero. Era tutto dannatamente vero. Si sentì improvvisamente vuota dentro, come se qualcuno avesse acceso l’aspira polvere sopra la sua bocca e avesse tirato fuori tutte le emozioni, belle e brutte. Non riusciva ad essere triste per le parole di Lucia, ma sapeva che erano vere. Bartolomeo Dossena non si impegna nelle relazioni. Bartolomeo Dossena non sa amare.
Squillò il telefono di Lucia e si alzò dalla poltrona portandosi l’apparecchio vicino l’orecchio. “No, ancora non l’ho fatto” disse con voce triste, poi prima di attaccare aggiunse: “Parla tu con Orlando, io sto qui ancora per un po’.”
Con grandi falcate tornò seduta sulla poltrona “È incredibile quanto sia comoda questa poltrona, non credi?” chiese cercando di deviare il discorso, ma Mia non rispose.
Lucia si sfregò le mani sui jeans e fece un respiro profondo “Mia sono…” stava iniziando la frase, ma la ragazza si voltò asciugandosi le lacrime con la manica della vestaglia e la interruppe “Hai ragione, non ne vale la pena. Sono stata una cretina. Chiamerò Christian, devo chiedergli scusa” disse decisa Mia mangiucchiandosi le pellicine all’interno della guancia. Lucia sorrise scoprendo i denti bianchissimi. “Lo sapevo che avresti fatto la cosa giusta.”
“Cosa stavi per dire prima?” chiese Mia accorgendosi di averla interrotta, Lucia scosse la testa “Niente di importante.”
 
“Cosa?” Bart sbatté gli occhi un paio di volte sperando di star sognando, ma Daniele era sempre di fronte a lui, con gli occhi fissi nei suoi. “Mi hanno chiamato ieri, e hanno detto che serve uno bravo con le armi a Parma. E visto che qui non stai rendendo molto Abrami ha fatto il tuo nome” disse Daniele tenendo le mani strette in un pugno “non c’è ancora niente di ufficiale, ma potrebbero trasferirti a momenti. Devi dimostrare che ci servi” Bart si grattò nervosamente la testa “Non è vero, lo stai dicendo perché non vuoi che mi vedo con Mia, tutto qui. Sì, deve essere così” gli occhi di Daniele rimasero fissi nei suoi, non batté ciglio e Bart capì. “Lucia sta parlando con Mia, lo sta per dire anche a lei. Se ci tiene a te farà la cosa giusta” Bart iniziò a tremare, era vero. Lo volevano trasferire. Era un perdente, trasferivano solo i perdenti o chi voleva cambiare aria. Poggiò la schiena sulla macchina, doveva fare qualcosa, voleva prendere le chiavi e correre da Mia e urlarle che non era un perdente, ma sentiva le gambe immobili. “Chiama Lucia, fermala. Non lo deve sapere. Penserà che è tutta colpa sua” Ghiro annuì e prese il telefono, quando attaccò Daniele disse che ancora non le aveva detto niente e che dovevano entrare a parlare con Orlando. Bart non batté un ciglio, si mosse in direzione dell’entrata senza dire una parola. Un passo dietro l’altro. Il cuore gli scoppiava di rabbia e voleva solo tornare indietro e prendere a pugni qualsiasi cosa gli passasse davanti. Le braccia gli tremavano e respirava faticosamente. Voleva urlare, gridare, piangere ma non fece niente di tutto ciò. Si limitò a portare un piede davanti l’altro e camminare fino all’entrata della caserma.
Trovò Emiliano e Bianca a finire il suo lavoro e li cacciò dalla sua postazione dicendo che avrebbe finito lui. I due si guardarono con aria interrogativa ma obbedirono agli ordini.
Aveva già scordato il volto della ragazza trovata morta sul lago, e dovette accendere il computer per vederne una foto. La giovane aveva i capelli neri e lunghi, gli occhi erano chiusi ma ricordava fossero blu, le labbra erano carnose e rosse.
Si mise quindi a sfogliare tra le denunce, sperando di vedere quel volto tra le foto segnaletiche.
 
Orlando era ancora seduto sulla sedia girevole di Lucia. Il suo ufficio a vetri era davanti l’entrata e quando Daniele varcò la soglia lo vide subito, si incamminò quindi verso di lui. Mentre passava vide Bart già al lavoro, si sentì sollevato.
Non bussò, aprì direttamente la porta. “Mi ha detto Lucia di dirti che Mia sta bene, e che rimane ancora un po’ lì con lei” disse, ma sembrava che Orlando non lo stesse ascoltando, quindi ripeté quello che aveva appena detto, ma la reazione di Orlando fu la stessa. Aveva gli occhi fissi su di un foglio, le mani erano leggermente tremolanti e il viso era pallido. “Stai bene?” chiese all’amico avvicinandosi verso di lui, ma non ci fu risposta. Prese quindi il foglio dalle mani di Orlando e si mise a leggere. “Che è?” domandò ancora, ma senza ottenere risposta. Stanco di quella situazione diede una spinta ad Orlando che sembrò uscire da un sogno ad occhi aperti. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e brillava una luce diversa nei suoi occhi. Sembrava accorgersi solo in quel momento che non stringeva più il foglio tra le mani. Si inumidì le labbra con la lingua e guardò Daniele che lo stava fissando in attesa di una risposta.
La sua bocca si aprì in un sorriso “Lucia è incinta.”
 

 
aggiornato e corretto 01/03/2016

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


CAPITOLO 14
 
 
E tu smetti di piangere bambina, non è finita,
finché non è finita. Se ti dico che andrà tutto
 bene, se ti dico non ti preoccupare che alla
fine ne usciremo insieme anche a costo
di dover lottare.
Andrà tutto bene, Nesli
 
 
 
06 Maggio 2013 – DUE MESI DOPO
 
Mia era sveglia già da parecchie ore quando l’orologio segnava le sette in punto. Aveva troppe cose a cui pensare per poter dormire. Si girò su un fianco per osservare il ragazzo che dormiva accanto a lei. I corti capelli marroni erano arruffati da una parte e un le spuntò un sorriso sul volto, un sorriso innocente e spontaneo. La maglietta grigia a maniche coperte scopriva i muscoli sulle braccia, la mano sinistra era nascosta sotto la testa e la bocca era socchiusa. Era così bello pensò Mia. Da quando si era trasferito a casa sua si ritrovava ogni tanto a chiudere gli occhi e inspirare il suo profumo, era intenso, elegante e coinvolgente, di quelli che rimangono a impregnare l’aria per giorni.
“Mi stai fissando, non è vero?” disse lui ancora ad occhi chiusi, Mia non rispose ma un sorriso spuntò sul suo volto. “Piccola delinquente” ridacchiò lui mentre la baciava, lei gli accarezzò la leggera barba che gli ricopriva le guance e il mento “Lo so, lo so,” disse lui “stamattina me la levo. Si torna in ufficio” continuò toccandosi il mento, “Ma no dai, a me piace così” commentò Mia sedendosi sul letto con le gambe incrociate. Le facevano ancora un po’ male le costole ma rispetto a prima si sentiva molto meglio e non vedeva l’ora di ricominciare a lavorare.
“Rimani qui, ti preparo un caffè” disse il ragazzo alzandosi dal letto “Guarda che oggi torno a lavorare, posso anche farmelo da me” commentò Mia, che nonostante tutto gradiva quei piccoli gesti, semplici ma onesti “Lo so, ma mi piace coccolarti ancora po’” la guardò con quegli occhi a cui Mia non poteva proprio resistere “Va bene Christian, hai vinto tu stavolta” affermò la ragazza mentre lui si avviava in cucina.
 
La sveglia suonò puntuale alle sei e come una marionetta Bart si alzò dal letto, si diresse in cucina dove si preparò un caffè. Notò che il tempo faceva schifo, non che gli importasse molto, non gli importava di niente. Mentre aspettava il caffè si lavò la faccia con acqua gelata, e si infilò la tuta con le scarpe da jogging. Dieci minuti dopo era sotto la pioggia a correre. Da due mesi era diventata la sua abitudine, con la pioggia o con il sole, lui era lì.
Schivava le persone che camminavano lente davanti a lui, e lo facevano innervosire, dove diavolo vanno le persone alle sei e mezza del mattino, si chiedeva ogni volta.
Durante le sue corse mattutine non faceva altro che pensare all’ultima volta che aveva visto Mia, due mesi prima. Era andato all’ospedale per parlarle, “Ciao” lei lo accolse con tono freddo, anche se era visibilmente sorpresa di vederlo lì “Ciao” rispose lui. “Come stai?” le chiese educatamente, come se tutto quello che era successo tra di loro non era mai esistito. Come se fossero due semplici colleghi di lavoro. “Meglio, domani mi dimettono” rispose altrettanto educatamente lei “Davvero? Sono contento” ci fu un momento di silenzio imbarazzante tra i due. Bart stava in piedi davanti al letto e guardava basso, mentre Mia, sdraiata fissava un punto indefinito sul muro. “Sembra di stare da un fioraio” commentò Bart infine, guardando gli innumerevoli mazzi di fiori disposti su ogni superficie disponibili. “Sono peonie” rispose Mia osservando i regali di Christian, sapeva che quelli erano i suoi fiori preferiti e ogni volta che andava a trovarla gliene portava un mazzo. “Sono molto belle” affermò lui imbarazzato strofinandosi le mani sui pantaloni “Mia senti…” stava per iniziarle a spiegare perché non era più passato a trovarla o perché non aveva più chiamato ma il suo telefono iniziò a squillare “Scusa, devo rispondere” disse Bart guardando il nome di Daniele sullo schermo. Mia annuì e lui uscì dalla stanza. Rientrò pochi minuti dopo dicendole di dover andare e che sarebbe ripassato.
Mentre imboccava l’uscita notò un ragazzo, era alto, capelli marroni, completo elegante, come il suo, e teneva in mano un mazzo di quei fiori che aveva Mia in camera. Non tornò più a trovarla.
 
“Vuoi che ti accompagno in caserma?” chiese Christian da sotto la doccia, mentre Mia si truccava “No, preferisco andare con la mia macchina” rispose lei.
L’aveva richiamato qualche giorno dopo la visita di Lucia: “Spero che questo sia ancora il tuo numero” disse senza aspettare che lui parlasse per primo. “Ciao anche a te” rispose il ragazzo, emozionato da quella chiamata, totalmente inaspettata. “Grazie per i fiori” affermò Mia. Lui passò a trovarla il giorno stesso con un mazzo di peonie, i suoi preferiti, e fece così per tutte e tre le settimane in cui Mia dovette restare all’ospedale. Quando finalmente tornò a casa, lui l’aiutò, insieme a Orlando e Lucia.
Parlarono molto quella sera, di tutto quello che era successo, dell’ultima volta che si videro, a Parma: lei era appena entrata nell’arma e lui aveva cercato in tutti i modi di dissuaderla. Avevano provato per un po’ a stare insieme, però dopo l’incidente lei decise che era meglio per tutti e due non vedersi più.
Decisero di riprovarci e di non buttare all’aria i 5 anni che avevano vissuto. Mia era contenta della sua scelta, era contenta di aver interrotto con Bart – qualsiasi cosa ci fosse tra di loro – lui non era più passato a trovarla, non aveva chiamato, era semplicemente sparito. Lucia aveva ragione, Bart non s’innamorava, non provava sentimenti concreti verso nessuna donna, amava troppo se stesso per amare altri.
Due settimane dopo Christian chiese il trasferimento per la società di Roma, lavorava come ingegnere aerospaziale e iniziarono a convivere. Trascorsero due mesi felicemente, lui si occupava di lei, e lei in cambio lo amava, lo amava come lo aveva sempre amato.
     “Nervosa?” le chiese appena uscì dalla doccia avvolto dall’asciugamano, “No, solo… emozionata. Non vedo veramente l’ora di tornare in caserma” rispose lei con un sorriso che scopriva i denti, lo stesso sorriso di cui Christian si era innamorato tredici anni prima.
Le stampò un bacio e si diresse in camera dove si vestì. Mia continuò a prepararsi per la giornata e dopo un po’ raggiunse Christian in camera. Si stava infilando una camicia perfettamente stirata e lei optò per una maglia che le aveva regalato Lucia.
“Fai fare a me, bischero” disse lei mentre lo vedeva armeggiare con la cravatta. Fare i nodi era sempre stata la sua specialità, come venivano a lei non venivano a nessuno. “No, sai che ti dico? Oggi niente cravatta. Qui a Roma non considerano l’abbigliamento come a Firenze, non mi ci abituerò mai” commentò lui e insieme risero.
“Meglio che vada,” disse Mia “meglio non trovare traffico” aggiunse dopo aver baciato Christian. Prese la borsa e mentre chiudeva la porta lo sentì dirle “Buona giornata amore!”
 
Amore. Non se lo sentiva dire da troppo tempo. Amore. Se lo ripeté finché non arrivò in caserma, alle otto in punto.
Si sentì come il primo giorno che era arrivata, ansiosa e entusiasta al tempo stesso. Fece un respiro profondo e varcò la porta. Quasi fu sorpresa della totale indifferenza dei suoi colleghi, tutti la guardavano ma nessuno diceva niente. Non si aspettava ovviamente un party di benvenuto, ma nemmeno quella situazione. Intravide Bianca vicino le macchinette del caffè e decise di andare da lei “Oh ciao!” le disse appena la vide “Come stai?” domandò la collega “Tutto bene, tutto bene, grazie. Tu?”
“Bene, grazie.”
 
Tornò a casa bagnato dalla pioggia e si diresse direttamente sotto la doccia. Lavò via il sudore e la disperazione. Oggi tornava Mia al lavoro. Si era segnato quella data nel momento stesso in cui Lucia lo annunciò a tutti in riunione, due settimane prima. Erano passati due mesi da quando Daniele gli disse del trasferimento e dal quel momento nessuno dei due ne parlò più. Era venuto a trovarlo Abrami e Lucia fece di tutto per farlo rimanere. Lei aveva detto che se non fosse stato per Bartolomeo Dossena, probabilmente avrebbero perso uno dei componenti più importanti della squadra e che solo grazie a lui si era potuto catturare la banda del lupo – grazie, pensò lui, l’ho ucciso.
Si era sentito uno schifo quel giorno, inerme e l’unica cosa che avrebbe voluto fare era andare a parlarne con qualcuno, con Mia. Ma lei era tornata col suo ex, così gli aveva detto Lucia, ed era meglio per entrambi non frequentarsi più, aveva aggiunto lei e Bart non seppe dire se fosse un consiglio da amica o da superiore. Lo seguì comunque.
Uscì dalla doccia e si infilò uno dei suoi completi, mentre si vestiva osservò la felpa che Mia aveva indossato il giorno della sparatoria. Aveva ancora il suo sangue sopra e c’erano due fori, uno per ogni colpo che aveva dovuto subire Mia. Distolse lo sguardo e uscì di casa.
     Quando arrivò in caserma non poté non notare la sua macchina parcheggiata. Ebbe un tuffo al cuore e sbatté la testa contro il sedile. Si strofinò la faccia con le mani, no, non sarebbe crollato. Stava per decidere di darsi malato quel giorno quando sentì qualcuno bussare sul vetro. Si voltò e vide il volto sorridente di Daniele dall’altra parte.
Bart fece un respiro profondo e uscì dalla vettura. “Dai, che ce la fai” gli aveva detto dandogli una pacca sulle spalle. In quei due mesi Ghiro era stato l’unico a stargli vicino, l’unico che sapeva quanto gli mancasse Mia, l’unico che sapeva la verità.
Insieme varcarono la porta e si ritrovarono davanti gli occhi Mia sorridente, insieme a Bianca. Bart si morse un labbro e si avvicinò alle ragazze. “Buongiorno” disse a nessuna delle due in particolare “bentornata Mia” aggiunse accarezzandole un braccio. Il contatto con quel corpo gli provocò brividi lungo la schiena, quindi decise di sorriderle e di andare ad aspettare il resto del team nella sala riunioni.
 
Pochi minuti dopo lo seguirono tutti e la sala si riempì. Quando Lucia vide Mia seduta al suo solito posto, accanto a Bart, le sorrise “Bentornata Nisi” disse.
“C’è stato un omicidio in un appartamento a Testaccio. Emiliano e Bianca, andate voi due. Mia ti va di andare?” le chiese “Con piacere” rispose. I tre si alzarono dal tavolo e uscirono dalla stanza.
“Oh Mia! Me fa piacere tornà a lavorà co te, però non famo stronzate ‘sta volta, vabbè?” Mia non capì molto quello che disse Emiliano ma sorrise. “Non famo stronzate” provò a imitarlo, non riuscendoci “Sì vabbè, proprio uguale” commentò lui divertito. I tre si diressero vero l’uscita dove li aspettava la territoriale. Era contenta di stare lì, era contenta di tutto. Eccetto per Bart.
Rivederlo le provocò delle emozioni che non pensava potesse sentire ancora, e si sentì in colpa per aver sentito dei brividi quando lui le accarezzò il braccio. Scacciò via quei pensieri ed entrò in macchina.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


CAPITOLO 15
 
 
Ci sono momenti in cui non smetto di parlare.
Quando un milione di parole escono dalla mia bocca in pochi secondi.
Un milione di parole che non significano nulla.
Ma quando cerco parole che significhino tutto... non riesco proprio a parlare.
Come "mi manchi".
Come "ti amo".
Come "il mio mondo sta crollando e ho bisogno che tu mi stia vicino".
My Mad Fat Diary s02e07
 
 
 
Arrivarono sul luogo del delitto accompagnati dai colleghi della territoriale. Enormi palazzi bianchi circondavano la via dove si trovavano. Per scendere dalla macchina Mia dovette schivare due enormi pozzanghere causate dall’incessante pioggia. Salirono al terzo piano “’Sto palazzo è uguale a quello de mi nonna” disse Emiliano, Mia e Bianca non poterono non ridere “Che ho detto?” chiese lui “Niente, tranquillo” lo rincuorò Bianca toccandogli delicatamente il braccio. Mia aveva sempre avuto l’impressione che tra quei due ci fosse stato qualcosa: era il modo in cui lui la guardava, come se non ci fosse nessun’altra nella stanza, e lei, ogni volta che lui parlava, lo stava ad ascoltare incantata anche se erano solo le sue stupide battute. Provò invidia nei loro confronti, loro evidentemente c’erano riusciti a far conciliare lavoro e vita privata, lei, invece, non ce l’aveva fatta. Certo lui non era Bart, e lei non era Mia. Ma poi cosa c’era stato tra lei e Bart? Niente. Non c’era stato niente.
     Arrivarono davanti la porta e prima di entrare in casa s’infilarono le tutine per non alterare la scena del crimine. “Chi ha trovato la vittima?” chiese Mia mentre si richiudeva la zip “La moglie” rispose il tenente Sasso “sostiene si sia trattato di una rapina finita male. Comunque Carnacina vi aspetta dentro” i tre annuirono e si addentrarono all’interno dell’appartamento. Era una bella casa: dalle finestre entrava la poca luce che riusciva a penetrare le nuvole, sdraiato a terra c’era un uomo e accanto a lui una pozza di sangue. Era l’unica nota stonata di quel quadretto, era tutto in ordine, tutto pulito, tutto sistemato. Tranquillo.
Carnacina era seduto su un divano proprio di fronte alla vittima “Buongiorno ragazzi” disse con un sorriso alzandosi “bentornata Mia” esclamò guardando la ragazza negli occhi, poi con un impercettibile gesto della mano spostò l’aria davanti a lui e iniziò a parlare: “il delitto è avvenuto alle 21 e 54, cadendo si è rotto l’orologio. La morte è avvenuta a causa dello sfondamento del cranio. Per il momento non so dirvi altro. Appena avete finito mandatemi il corpo” concluse allontanandosi dalla scena.
Mia non prestò molta attenzione alla vittima, quello non era il suo lavoro. Si concentrò piuttosto sull’ambiente circostante, sin dal primo momento in cui era entrata aveva notato qualcosa di strano “Non mi sembra proprio una rapina” disse Mia guardandosi intorno “nessun segno di effrazione e la casa è fin troppo in ordine” aggiunse alzando e riabbassando le braccia. “Sì, e in tasca aveva ancora lo smartphone” commentò Bianca. Repertarono le poche cose che poterono e dopo nemmeno due ore furono di ritorno al RIS.
 
Bianca e Mia iniziarono a lavorare sulla vita della vittima: “Si chiamava Michele Loreto, 55 anni, incensurato” disse Bianca “che altro sappiamo?”
“L’ha ritrovato la moglie stamattina, sostenendo l’ipotesi di una rapina. Aveva una figlia” disse Mia e l’altra annuì.
Mentre digitava al computer Mia notò una figura che da lontano la stava guardando, il suo cuore saltò un battito quando mise a fuoco sul volto: Bart. Stava bevendo un caffè appoggiato al muro. Sostenne lo sguardo per un secondo, poi come risvegliata da un sogno tornò a digitare i dati al computer.
“La Brancato mi ha chiesto di domandarvi come procede il lavoro” quella voce le penetrò nelle vene facendola tremare. “Bene, non sappiamo ancora niente” disse Mia accennando a una battuta, facendo finta che quella fosse una semplice conversazione tra colleghi, facendo finta che andava tutto bene. Aveva gli occhi fissi in quelli di Bart e sapeva per certo che Lucia non gli avrebbe mai chiesto di andare a controllarla. Perché mentire in quel modo? Lui era appoggiato alla porta dell’ufficio e sfoggiava uno dei suoi migliori sorriso, finto anche quello. “Ma questo sta per cambiare” affermò Mia prendendo il telefono che avevano imbustato “lo porto a Ghiro, magari ci tira fuori qualcosa” Bianca annuì. Mia respirò profondamente e passò davanti a quel ragazzo, così maledettamente bello pensò. Gli sorrise debolmente ed ebbe quasi l’impressione che lui le volesse dire qualcosa, come se avesse aperto impercettibilmente la bocca per parlare e poi avesse cambiato idea all’ultimo secondo.
 
“Ricava tutto quello che puoi da questa scatoletta demoniaca” disse Mia appoggiando il telefono sulla scrivania di Ghiro che stava giocherellando con un paio di cuffie. Appena la vide si ricompose “Ai suoi ordini signorina” le rispose spostando una sedia accanto a lui, invitandola a sedersi.  “Come procede la giornata?” le chiese iniziando a lavorare sulla prova “Procede” i due si scambiarono uno sguardo che diceva tutto.
“Non ho visto Orlando stamattina” chiese Mia cambiando radicalmente discorso.
“Cerchiamo di tenere il lavoro separato dalla vita personale per un motivo” Daniele smise di guardarla e iniziò a smanettare al computer “non è facile e non ci riescono nemmeno i migliori” continuò.
“Ha chiesto il trasferimento?” domandò Mia fredda, non che non le importasse ma cercava di tenersi distaccata per non immischiarsi troppo. “No… No. È che ultimamente passa un sacco di tempo in procura, sommerso da scartoffie” Mia non rispose ma annuì.
Circa un mese prima Lucia le bussò alla porta quasi in lacrime “Ehi, che succede?” le chiese premurosa. Lei non rispondeva ma tremava, l’avvolse in un abbraccio e solo dopo parecchie domande sputò fuori il rospo. “Penso che Orlando non voglia più sposarmi” ammise Lucia, Mia non chiese altro e aspettò che l’amica si prendesse il suo tempo per raccontarle cose le stava succedendo. “Pochi giorni prima del tuo incidente non mi sentivo bene, ero sempre stanca e quando mi sono addormentata in ufficio lavorando mi sono decisa a fare dei test” si portò le mani sul volto, nascondendo le lacrime che le stavano fuoriuscendo. “Ero incinta. Due settimane. Non lo so che ho pensato, non lo so quello che ho fatto, ma sapevo solo che era sbagliato. Non andava bene, non rientrava nei piani. Così ho preso un appuntamento per interrompere la gravidanza. Orlando non lo avrebbe mai saputo e sarebbe andato tutto per il verso giusto, come avevamo programmato. Poi non lo so come ma l’ha scoperto e…”
“Mia?” Daniele la strattonò leggermente “Sì?”
“Ho detto: non ho trovato niente di eclatante. Ti ho mandato però le ultime ricerche effettuate su internet, chiamate e messaggi… tutto insomma” Mia annuì e gli stampò un bacio sulla guancia “Grande Ghiro, sei il migliore” disse uscendo dal suo ufficio.
 
Che diavolo stava pensando? La Brancato non gli aveva detto proprio un bel niente. Mia era tornata da solo un giorno e stava già mandando tutto a puttane. Era questo il motivo per il quale lo volevano mandare via. Non si controllava, lui. Era impulsivo, lui. Non pensava. Agiva.
Si bagnò la faccia con l’acqua fredda, doveva pensare al suo caso, continuare a vivere come aveva fatto fino al giorno prima. Ma era così difficile farlo con lei in ufficio. Era una distrazione. Lei era la sua distrazione. Nessuna era riuscita a entrare nella sua testa come aveva fatto lei, nessuna. Sentiva il cuore sbattere contro la cassa toracica, andava a mille. Si sciacquò di nuovo il volto ma non riusciva a controllarsi. Allo specchio appeso sopra il lavandino vedeva un uomo devastato. Un uomo che non era lui. Un perdente. Chiuse gli occhi per non vederlo più, per non vedere quel vigliacco che si nascondeva in bagno per non sentire il profumo della ragazza che non poteva avere.
Inspirò.
Spalancò gli occhi.
Espirò.
Si asciugò come meglio poteva.
Aprì la porta.
Uscì.
 
Mia stava tornando nel suo ufficio quando vide Bart uscire dai bagni. Aveva un’aria strana, sembrava stanco. Decise di distogliere lo sguardo per non rischiare di incrociarlo. Un brivido le corse lungo la schiena. “Eccoti” la voce di Emiliano la fece voltare “Ero da Ghiro, stavamo analizzando il telefono della vittima” Cecchi annuì “Io invece ho convocato la moglie, ci aspetta nella saletta” Mia lo seguì.
Era una signora di una certa età, anche lei probabilmente sulla cinquantina, portava i capelli rosso scuro legati in una treccia e arrotolati sulla nuca. Era seduta composta, braccia e gambe incrociate. Non appena i due carabinieri entrarono nella stanza lei si alzò e strinse loro le mani. “Buongiorno signora, condoglianze” esordì educatamente Emiliano. È inquietante come Cecchi riesca a passare dal dialetto romano al super educato, pensò Mia sedendosi accanto alla signora.
“Cosa ci può dire di suo marito? Aveva qualche nemico? Conti in sospeso con qualcuno?” disse Mia, che fino a quel momento non aveva aperto bocca.
“Mio marito era un brav’uomo. Non aveva mai fatto un torto a nessuno, tutti gli volevano bene” mentre parlava stringeva un fazzoletto. Non guardò mai la ragazza negli occhi, e solo alla fine, alzando finalmente la testa aggiunse: “È stata una rapina, ve lo dico io com’è andata.”
“Dov’era ieri sera tra le nove e dieci?” continuò a chiedere Mia impassibile.
“Stavo tornando a casa, ho passato il weekend fuori” si fermò un momento “se fossi rimasta a casa probabilmente non sarebbe successo niente… magari…” non riuscì a terminare la frase interrotta dalle lacrime. A Mia rabbrividì il sangue, c’era qualcosa di estremamente sbagliato in quella donna, in quella casa – così perfettamente ordinata. “Arrivederci” disse alzandosi di scatto dalla sedia “esattamente dov’è che è andata?” chiese prima di aprire la porta. Lei la guardò come se avesse profanato un momento sacro, stava piangendo la morte del marito e lei aveva osato farle una domanda “Victoria Terme, a Tivoli” rispose reclutante ma educata. Mia finse un sorriso, come d’altronde lei aveva finto l’intera conversazione, e uscì dalla stanza.
Stava per tornare da Bianca quando Emiliano la fermò “Oh che t’ha preso lì dentro?” ecco che era tornato il Cecchi romanaccio “Niente” rispose evasiva tornando a lavorare.
 
“Bianca cos’hai trovato tra le cose che ti ha mandato Ghiro?” chiese alla collega che era rimasta dove l’aveva lasciata. “Niente di interessante, dai un’occhiata anche tu” rispose girando il monitor del PC.
Lesse velocemente le informazioni che le passavano davanti gli occhi finché non rimase colpita da un nome “Victoria Terme” disse ad alta voce “Cos’è?” chiese l’altra “L’alibi della moglie” Mia chiuse gli occhi e involontariamente si trovò davanti sua madre, il telefono in una mano e dei fazzoletti nell’altra. Suo padre la guardava come se gli avessero sparato. Mia li osservava inerme. Aprì gli occhi. “Questa situazione mi fa venire da vomitare” farfugliò alzandosi dalla sedia.
Uscì dal suo ufficio e si diresse verso la porta principale. Doveva andarsene da lì.
Nel momento in cui varcò l’uscita si sentì meglio, l’aria fresca impregnata di pioggia le colpì il volto facendola respirare a pieni polmoni.
Quella non era la sua famiglia e quella non era sua madre. Se lo ripeteva da almeno dieci minuti quando vide uscire da una macchina Orlando. Piena di gioia gli andò incontro a braccia aperte “Mancavi solo tu” disse stringendolo in un abbraccio che lui ricambiò “Mi ero completamente dimenticato” cercò di scusarsi “Non ti preoccupare, so che hai un sacco da fare in procura” Orlando la guardò con occhi dolci “Mi manca il lavoro sul campo” confessò infine “Sto lavorando a un caso che odio, ci farebbe comodo il tuo aiuto.”
Orlando si illuminò come un albero di Natale, era stanco di lavorare in procura ma almeno aveva una scusa per non vedere Lucia e per tornare tardi a casa. L’amava, l’amava ancora. Non poteva non farlo, gli era necessario, come respirare. Ogni cellula del suo corpo l’amava e ogni giorno ogni cellula si riproduceva e si moltiplicava, e il suo amore cresceva con esse. Nonostante tutto.
Come risvegliatosi da un sogno scosse la testa “Magari un’altra volta” le disse dandole una pacca sulla spalla. Orlando si avviò verso l’entrata e prima di aprire la porta si voltò “Mia” esclamò, catturando l’attenzione della ragazza “non so perché odi il tuo caso, ma non immischiare il lavoro con la tua vita. Sono due mondi opposti” con un sorriso debole ma sincero varcò la soglia, consapevole di dover incontrare la donna che amava.
 
Pochi minuti più tardi Mia seguì Orlando nella caserma. All’interno della struttura c’era uno strano odore, era un miscuglio di caffè scadente e di pulito, di provette che giravano e sangue. Era uno strano odore ma ci era abituata.
Emiliano e Bianca stavano lavorando e lei si fermò un momento ad osservali. Entrambi erano occupati ma erano sereni di stare uno accanto all’altra. Improvvisamente le vennero in mente le immagini di quando lavorava con Bart. Gli occhi di lui non si staccavano mai da lei e Mia si sentiva in imbarazzo e non riusciva a lavorare, allora scoppiava a ridere e lui la fissava incantato. Erano imbranati assieme, nessuno voleva mai lavorare con loro due.
Si morse nervosamente il labbro inferiore e bussò delicatamente sulla porta entrando nella stanza. “Va tutto bene?” chiese premurosa Bianca senza ottenere una vera risposta, ma lo sguardo di Mia manifestava serenità, quindi senza aggiungere altro spostò una sedia accanto a lei. “Senti, qui abbiamo delle incongruenze” iniziò a parlare la ragazza, aggiornando l’amica sul caso “l’alibi della moglie è confermato. Il check-in è avvenuto la mattina del 3 e il check-out ieri sera. Corrisponde alla sua versione”
“E allora? Dove sta il problema?” la interruppe Mia quasi delusa di sentire quelle notizie.
“Leggi qui” Emiliano le passò un foglio con stampati dei messaggi. Era una conversazione tra la vittima e sua figlia, erano messaggi dolci e premurosi: lei gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa dal momento che la madre si trovava a casa della nonna. “Nonna?” commentò Mia “Esatto” esclamò il collega “perché ha mentito?” continuò. “Chiamiamo entrambe, le facciamo venire con una scusa” suggerì Bianca “Va bene” disse Cecchi “mo’ però annamo a pranzo che sto a morì de fame” Mia sorrise e li guardò allontanarsi dall’ufficio.
Probabilmente tutti sapevano della loro relazione, ma nessuno sembrava dirgli niente, nessuno era contrario, nessuno diceva loro “vita privata e lavoro è meglio lasciarli stare separati.”
Continuava a chiedersi cosa avesse sbagliato lei; ma ogni volta si dava la stessa risposta: niente, non aveva sbagliato niente. Era stato Bart a non farsi più sentire, era stato lui a non chiamare, a non passare a trovarla, a chiederle come stava, a fermarla quando aveva chiesto a Christian di riprovarci. Non aveva fatto niente e questo la uccideva. L’aveva lasciata senza nemmeno una parola, senza una spiegazione, senza niente. Un giorno era lì a stringerle la mano e quello dopo non c’era più. Chi era? Che voleva da lei? Niente. Non voleva niente.
Incapace di amare, così lo aveva definito Lucia. Bartolomeo Dossena è incapace di amare, non sa prendersi cura di una persona diversa da se stesso. E lei se lo era inculcato nel cervello. Se lo ripeteva le prime sere – quando si sdraiava a letto e sentiva l’odore di Christian nelle lenzuola – se lo ripeteva come un mantra. Più lo ripeteva e più diventava vero. Bartolomeo Dossena non sa amare e non mi merita, questa era la conclusione a cui era arrivata due mesi più tardi.
Un rumore brusco, come un pugno che sbatteva sul tavolo, catturò la sua attenzione. Uscì dall’ufficio e si ricordò che nella stanza accanto lavorava Bart. Rimase a guardarlo senza che lui se ne accorgesse, senza che nessuno se ne accorgesse. Era sommerso di fogli e si stava passando una mano tra i capelli, era nervoso, faceva così quando non riusciva a venire a capo di qualche problema. Sarebbe voluta andare lì e aiutarlo, abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene. Ma non lo fece, rimase ferma con gli occhi fissi su quella figura agitata.
 
Lentamente Bart si mise seduto. Quel caso lo stava facendo diventare matto. Non tornava niente. Era tutto un casino, come la sua vita. Perché faceva tutto così dannatamente schifo?
Si passò le mani tra i capelli e fu in quel momento che la vide: appoggiata allo stipite della porta della stanza accanto, con l’aria tra le nuvole e la bocca semiaperta, era lì e lo stava guardando. Un sorriso prepotente voleva spuntare sulle labbra ma decise di ricacciarlo indietro. Si guardarono intensamente senza che nessuno dei due disse o facesse niente. Il vetro che li separava li fissava imbarazzato e voleva quasi rompersi per la tensione che si era creata.
Erano tante le cose che voleva dirle Bart, voleva chiederle scusa per tutto quello che non aveva fatto ma restò fermo e non disse niente.
Erano tante le domande che voleva fargli Mia, voleva chiedergli dove era sparito per due mesi ma restò ferma e non disse niente.
E senza dire niente Mia uscì finalmente dalla stanza a vetri. Si lasciò quel ragazzo alle spalle, a lavorare ai suoi problemi e raggiunse i suoi colleghi a pranzo.


 
 

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