Cronache di Atreia

di Selhen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -1- Un elisiano clemente ***
Capitolo 2: *** -2- Incontro inaspettato ***
Capitolo 3: *** -3- Sillus ***
Capitolo 4: *** -4- Rivelazioni ***
Capitolo 5: *** -5- Kamar ***
Capitolo 6: *** -6- Sicurezze e paure ***
Capitolo 7: *** -7- Una serata singolare ***
Capitolo 8: *** -8- Scuse inaspettate ***
Capitolo 9: *** -9- Polvere di odella ***
Capitolo 10: *** -10- La fine del gioco ***
Capitolo 11: *** -Speciale 20 recensioni- Un giorno da elisiano ***
Capitolo 12: *** -11- Un bacio clandestino ***
Capitolo 13: *** -12- Una nuova amica ***
Capitolo 14: *** -13- Veleno e antidoto ***
Capitolo 15: *** -14- Confessione ***
Capitolo 16: *** -Speciale 25 recensioni- Un'altra notte ***
Capitolo 17: *** -15- Il guardiano di Tiamat ***
Capitolo 18: *** -16- Vendetta ***
Capitolo 19: *** -17- Il paradiso del Katalam ***
Capitolo 20: *** -Speciale 30 recensioni- Rosso come il sangue ***
Capitolo 21: *** -18- Nel buio del sottosuolo ***
Capitolo 22: *** -19- Buongiorno Pandarung ***
Capitolo 23: *** -20- Sahnu ***
Capitolo 24: *** -21- L'ingresso segreto di Adma ***
Capitolo 25: *** -Speciale 35 recensioni- Aria di tradimento ***
Capitolo 26: *** -22- La principessa ***
Capitolo 27: *** -23- Un barlume di speranza ***
Capitolo 28: *** -Speciale 40 recensioni- Un messaggio da Elysea ***
Capitolo 29: *** -Speciale S. Valentino- A little piece of past ***
Capitolo 30: *** -Speciale 45 recensioni- Galà elisiano ***
Capitolo 31: *** -24- Il bambino dimenticato ***
Capitolo 32: *** -25- Lady Pandora ***
Capitolo 33: *** -26- La fine della maledizione ***
Capitolo 34: *** -27- Ancora una notte insieme ***
Capitolo 35: *** -Speciale 50 recensioni- I morti possono danzare ***
Capitolo 36: *** -28- Festeggiamenti ***
Capitolo 37: *** -29- Bugie ***
Capitolo 38: *** -30- Il percorso di marcia di Jormungand ***
Capitolo 39: *** -31- Agguato ***
Capitolo 40: *** -Speciale 55 recensioni- Un lieto fine ***
Capitolo 41: *** -32- In prigione ***
Capitolo 42: *** -33- Tu?! ***
Capitolo 43: *** -34- Salvati ***
Capitolo 44: *** -35- Infrante illusioni ***
Capitolo 45: *** -36- Morte di Daeva ***
Capitolo 46: *** -37- Occhi elisiani ***
Capitolo 47: *** -Epilogo- Come andò a finire ***
Capitolo 48: *** -Speciale dopo tanto tempo- Azariel ***



Capitolo 1
*** -1- Un elisiano clemente ***


Avrei voluto odiarli, come facevano tutti, avrei voluto provare gioia nell’uccidere un elisiano, o nel vederlo morire, ma così non era.
Seduta tra le alte colonne della piazza di Pandemonium, mi specchiavo nell’acqua cristallina di quel piccolo laghetto artificiale. Ero in ascolto del fruscio delle foglie di quel  verde rigoglioso, e ripensavo solitaria a quello che mi era successo quella mattina.
Il sole sbiadito e pallido stava per soccombere alla notte, la vera signora di Asmodae. Era lei la protettrice di ogni asmodiano. Ad essa ognuno di noi era legato da un patto di sangue. Gli asmodiani, le creature della notte, come ogni elisiano ci definiva spregiativamente, vivevano di oscurità e da essa traevano la loro forza.
Portai dietro l’orecchio una ciocca ribelle di capelli bianchi e percorsi la piazza che pian piano si stava svuotando, con il mio sguardo cremisi.
Non riuscivo a credere che mi fosse successa una cosa così singolare, né potevo credere che io, Selhen, stessi ancora a crucciarmi perché uno stupido elisiano, impietositosi, mi aveva risparmiato la vita.
Rimasi immobile, appoggiata alla grande colonna di marmo. Un’immagine, come un flash, mi balenò nella mente.
Il suo sorriso, il suo sorriso divertito alla battuta di un suo compagno di legione.
Mi rividi ad Eltnen, come quella mattina, nascosta tra le foglie. Ero nei pressi di un ruscello, in cerca di ristoro. Il sole cocente di Elysea mi aveva causato capogiri e mi faceva male la testa. Avevo avuto bisogno d’acqua.
Ad un tratto avevo udito il suono di una voce seguito da una risposta. Una lingua a me sconosciuta che da lontano non riuscii a decifrare. La mia cagnetta da caccia, Daf, aveva iniziato ad agitarsi, segno che sì, c’erano degli elisiani nei dintorni ed io ero in pericolo e per di più in netto svantaggio perché nel loro territorio.
Quel giorno ero stata incaricata dal capo della mia legione di infiltrarmi ad Eltnen per procurarmi dei documenti elisiani che avrei trovato in un accampamento. Il problema era sorto quando, in seguito ad un agguato, io e i miei compagni di legione ci eravamo separati e io, come ero stata addestrata a fare in quei casi, avevo iniziato a sgattaiolare, nascondiglio dopo nascondiglio, al varco di ritorno per Asmodae.
Tuttavia quel giorno, data l’eccessiva temperatura e la calura estiva, non era andato tutto come previsto. Avevo avuto bisogno di un po’ d’ombra per rimettermi in sesto e questo, a quanto pareva, poteva condannarmi a morte. Due ufficiali elisiani si stavano avvicinando a me e io ero assolutamente impreparata a combattere.
Rimasi nell’ombra, riparata dalle foglie di un cespuglio, a fissare la strada e ad un certo punto li vidi. Stavano parlando tra loro, assolutamente ignari della mia presenza. Uno dei due doveva aver fatto un’osservazione divertente, perché l’altro era scoppiato a ridere di gusto.
Li osservai, ebbi il tempo di studiarli, e mi colpì la differenza che c’era tra loro e noi. Ogni volta che avevo visto un elisiano da vicino era stato nelle battaglie. E una volta uccisi, con le loro ali richiuse su se stessi, non c’era modo di studiarne i lineamenti.
Adesso erano vicini, tanto vicini e inoffensivi, da sembrare così normali, così… innocui.
Un groppo alla gola mi ricordò l’immensa rivalità che c’era tra il nostro popolo e il loro. Le crudeltà che ognuno di essi aveva fatto all’altro e i bagni di sangue nelle fortezze dell’abisso, quando le due fazioni si scontravano.
La voce calda e suadente del tizio che aveva sorriso attirò nuovamente la mia attenzione. Si era seduto stancamente sulla riva del fiume e aveva deposto l’arma. Un arco splendente e finemente lavorato.
Si trattava di un cacciatore, dunque.
L’amico per tutta risposta parve congedarsi con un’altra battuta, lasciandolo solo sulla riva del fiume ad osservare l’acqua che scorreva quieta. Mi chiesi, curiosa, cosa si fossero detti.
Ignaro di essere osservato l’elisiano si distese sul manto erboso e sospirò rivolgendo gli occhi al cielo. A quel punto un’asmodiana sana di mente sarebbe sgattaiolata via silenziosamente oppure avrebbe colto l’occasione per piantargli una stilettata al cuore e pensare ”Bene, un nemico in meno agli assedi”.
Ma io? Io che avrei fatto?
Era un ragazzo, poteva avere poco più della mia età. I suoi capelli castani ricadevano sulla fronte in un ciuffo e mi accorsi che c’era un perchè. Sembrava che col ciuffo avesse voluto nascondere una profonda cicatrice che gli si apriva, obliqua, sull’occhio sinistro. Ma nonostante i segni delle numerose battaglie combattute, era bello. I suoi occhi verdi ebbero un guizzo, all’improvviso, e l’elisiano scattò a sedere come se fosse allerta. Mi aveva sentita? Aveva capito di essere spiato?
Le sue labbra si arricciarono come per un pensiero che gli fosse passato per la mente causandogli un certo fastidio. Aveva un accenno di barba sul mento che lo rendeva quasi più attraente.
Scossi il capo. Dovevo smetterla di fantasticare, era un nemico e piuttosto pericoloso, per giunta.
Mi preparai a darmela a gambe, prima che al tizio venisse la felice idea di cominciare a esplorare i dintorni, ma misi un piede in fallo e un rametto, sotto il mio peso, scricchiolò minacciosamente.
Imprecai in silenzio e mi voltai sperando di trovarlo ancora là, sdraiato e innocuo, ma fui colta da sgomento quando vidi la superficie del fiume totalmente deserta.
“Altolà” sentii alle mie spalle. Mi voltai lentamente mentre Daf aveva iniziato a ringhiare allo straniero. Ero in trappola, e se solo avesse chiamato rinforzi potevo dirmi spacciata.
Ero un tiratore, avevo bisogno di prendere le distanze per combattere, ma il suo arco era praticamente puntato addosso a me e la sua freccia mi sfiorava quasi il costato, pronta a scoccare. Deglutii e sentii il terreno mancare sotto i piedi.
“Chi sei, asmodiana?”, mi chiese padroneggiando perfettamente la mia lingua.
Deglutii senza sapere cosa rispondere. “Sono… un’asmodiana”, pigolai atterrita, sapendo di avere detto un cosa alquanto banale e idiota. La sua voce aveva assunto un tono gelido e calcolatore.
“Questo l’avevo capito anche da solo” terminò allentando appena la freccia, come se volesse riporla. Mi osservò le mani, che per reazione chiusi a pugno. Stava scrutando le mie dita artigliate con quello che sembrava… disgusto?
“Cosa ci fai qui?” continuò riprendendo a studiarmi ma senza abbassare mai la guardia.
Contrassi i muscoli impaurita e mi appoggiai al tronco dell’albero che mi sbarrava a strada. “Stavo… stavo tornando a casa”.
Mugugnò annoiato e roteò i suoi occhi verdi deponendo completamente la freccia, ma solo dopo aver tirato fuori i miei revolver e averli gettati malamente sul terreno.
Lo guardai stupefatta. “Non mi uccidi?”, gli chiesi a bassa voce, come se non volessi spezzare quell’equilibrio.
“Non se non me ne dai il motivo”, fece lui pigramente passandosi una mano tra i capelli per rimetterli apposto. Notai la sua cicatrice rilucere alla luce del sole di Eltnen.
“Vuoi andare? Vai”, concluse annoiato allontanandosi di tutto punto. “Non mi metto contro una donna sola”.
Socchiusi la bocca per lo stupore. “Cosa…”
“Sì hai capito bene, bambolina asmodiana. Oggi sono magnanimo, ma non farci l’abitudine”. Ridacchiò sarcastico e ripose la freccia nella faretra scrollandosi fastidiosamente i pantaloni in pelle.
“Grazie”, gli dissi solo con un filo di voce.
Quel gesto mi aveva spiazzata. Così come l’atteggiamento di quell’elisiano, che a dirla tutta, sebbene giovane, portava addosso gli abiti di un ufficiale.
Arretrai piano raccogliendo cauta le pistole. Avevo paura che mi colpisse alle spalle ma così non fu.
“Solo una cosa…” disse all’improvviso facendomi sobbalzare.
I miei occhi rossi si puntarono addosso a lui che stava sorridendo, con un ghigno quasi divertito, perso in chissà quali pensieri.
“Sì?”, chiesi allerta.
“Qual è il tuo nome, asmodiana?”.
Sembrava così inoffensiva, quella domanda. Ma valeva la pena dire ad un elisiano come mi chiamavo?
Era una trappola? C’era sotto un agguato?
“Selhen”, risposi, senza rifetterci più di tanto. Avevo già riposto le pistole ai miei fianchi.
“Selhen” ripetè lui annuendo. “Non pensavo che ci fossero asmodiane così... carine, dalle tue parti”, terminò ridendo sghembo. “Vai dritta al portale e non combinare guai Selhen, se dovessi beccarti di nuovo da queste parti, non sarò così clemente”. Si stropicciò gli occhi con le dita e mi indicò col mento la strada alle mie spalle, dove avrei trovato il portale.
“Mi è lecito rivolgerti solo una domanda, elisiano?”, dissi, consapevole che al momento non costituiva più una minaccia per me.
“Wow, che asmodiana audace… fai pure!”, mi rispose lui con un sorrisetto canzonatorio.
Arricciai il labbro infastidita. Evidentemente mi stava prendendo in giro. “E il tuo nome, qual è?”.
Il suo sorriso si estese anche agli occhi quando rispose. “Ufficiale a cinque stelle Velkam, per servirla”, abbozzò un inchino allegramente. Era consapevole che io, semplice soldato, non avrei neanche avuto una remota possibilità contro di lui. Mi stava sbattendo in faccia la verità. Se solo avessi provato a ribellarmi mi avrebbe fatta fuori senza alcuna difficoltà.
“Tutti uguali, pieni di sé e boriosi, voi elisiani”, dissi stizzita.
“Vogliamo parlare di voi bestioline del buio?”, replicò lui con tono acceso e canzonatorio.
“Come osi definirmi bestiolina, elisiano!”, lo apostrofai infastidita.
“Perché sono in netto vantaggio, Selhen. Buon ritorno!”. Con la solita aria con cui mi si era rivolto mi aveva fatto un cenno con la mano e mi aveva dato le spalle.
Non mi rimase che prendere la via di casa e stavolta essere svelta e scattante. Raramente un ufficiale a cinque stelle, una vera macchina da guerra, incontrava un soldato e gli dava modo di raccontarlo.
Raggiunsi in pochi minuti il portale lanciandomici e mi sentii veramente al sicuro solo quando posai i piedi sul suolo di Morheim. Il buio confortante e rassicurante mi accolse. Tutto taceva. Ad Asmodae era quasi notte.
Mi mossi a passo deciso verso il teletrasporto e pagai per un viaggio veloce verso Pandemonium.
Erano i gradini della piazza il mio posto preferito, il posto in cui spesso mi sedevo a pensare, che fosse giorno o notte.
Guardavo la gente indaffarata passare, fare le proprie compere o semplicemente l’acqua del lago rilucere al chiarore dei raggi lunari e sbatacchiare sui bordi.
C’era pace quella notte a Pandemonium. Una pace che mi rendeva tranquilla e mi dava il tempo di riflettere e pensare.
Chissà, se ci fossimo di nuovo incontrati io e Velkam. Dovevo ammetterlo, era l’elisiano più simpatico che avessi mai conosciuto.
Scossi la testa tra me. Se Death, il mio capo di legione, avesse saputo che simpatizzavo per gli elisiani, avrebbe avuto sicuramente da ridire. Dunque, forse, avrei evitato di raccontare questa mia strana avventura. Domani avrei visto la mia migliore amica Saephira. Con lei sì che potevo confidarmi e si prospettava una bella giornata di compere. Mi alzai in piedi pronta per ritornare a Pernon. Avevo bisogno di riposare e per qualche ora dimenticarmi di tutto. Degli elisiani, della guerra, e della missione che avevo miseramente fallito.
A dire tutto a Death ci avrei pensato in seguito.
 

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Capitolo 2
*** -2- Incontro inaspettato ***


Quando riaprii gli occhi era già mattino inoltrato. Il cupo sole di Asmodae illuminava con la sua luce debole la terra e le case di Pernon.
Mi risvegliai dopo quello che mi parve solo qualche minuto ma già la luce entrava prepotente nella stanza insinuandosi  tra le tende della finestra. Con un grosso sbadiglio mi misi a sedere sul letto e mi stropicciai gli occhi, pronta ad affrontare quella nuova giornata.
Raccolsi i vestiti che avevo depositato malamente ai piedi del letto la notte prima, e chiamai lo shugo servitore perché mi portasse una bella tazza di caldo latte di brax.
Quando Mnerunerk venne, allegramente, con un grosso vassoio tra le mani, gli rivolsi un enorme sorriso.
“Buongiorno cara, jang jang”, disse.
Ridacchiai al suo modo strampalato di parlare e a quel verso finale che rendeva ogni cosa che diceva buffa e simpatica.
Afferrai la mia tazza di latte e la tracannai senza tanti accorgimenti. Di Mnerunerk non mi intimidivo, mi conosceva dai giorni della mia ascensione, da quando, insomma, ero diventata una Daeva e mi era stato assegnato quell’alloggio a Pernon con tanto di shugo maggiordomo.
“Oggi siete in splendida forma, padrona, jang jang”.
Rivolsi il mio sguardo allegro allo shugo che mi stava osservando con i baffetti tremolanti. “E tu sei un ruffiano come sempre, Menrunerk!”, risi.
Mnerunerk parve imbarazzato da quell’affermazione, perché dondolò sul posto guardandosi le zampette.
Il suono del campanello distolse la sua attenzione dai suoi piedi e vidi Mnerunerk volare alla porta per accogliere il nuovo arrivato.
Doveva trattarsi di Saephira, la mia migliore amica. Una barda strampalata e lunatica con cui avevamo trascorso insieme gli ultimi anni da umane prima dell’ascensione.
“Buongiorno sorellina!”, udii dall’ingresso, poi una massa di capelli argentei mi coprì la faccia e mi sentii stritolare.
“Ciao tesoro!”, la accolsi con un abbraccio.
Saeph mi stampò un grosso bacio sulla guancia e si sedette stancamente sul letto col suo ampio ed elegante gonnellone da barda.
Era una ragazzina bassa ed esile, raffinata nell’aspetto ma un po’ meno nei modi. I capelli argentei e ondulati finemente acconciati e stretti con un fermaglio dietro la testa, con la frangia che le copriva parzialmente la fronte. Le labbra sottili e disegnate erano rosee nel viso estremamente pallido, come il mio. Gli occhi celesti coronati da lunghe ciglia e alle sue spalle non potevano non mancare un’arpa e un archetto, essenziali ad ogni bardo per evocare la loro magia con l‘ausilio della musica.
“Pernon è in subbuglio oggi!”, disse lei stendendosi sul letto e puntellando un gomito per reggersi il mento. “I mercanti hanno invaso la piazza con le loro mercanzie”.
Mi infilai il corpetto mentre la ascoltavo e chiesi a Saeph di aiutarmi a tirare le cinghie.
“Oggi vieni con me a Pandemonium” le annunciai.
“A Pandemonium?! Ma non ho tutti questi soldi per andare a far compere nei negozi di lusso di Pandemonium!”
“Shhh”, la zittii con un’occhiataccia.
“Credevo ci limitassimo al mercato di Pernon!”, piagnucolò.
Avevo finito di indossare gli stivali e mi diedi una controllatina allo specchio rifacendomi il trucco in modo accurato. Con la matita nera tracciai un disegno sotto l’occhio sinistro. Per quanto potesse sembrare strano non era difficile trovare gente, tra gli asmodiani, con tatuaggi e trucchi pesanti che gli decorassero il viso, o in alcuni casi, perché no? Glielo deturpassero anche.
Quando fui pronta e messa in tiro dissi a Saeph di seguirmi e salutai con un bacio sul capo il mio shugo servitore.
L’aria fresca e il profumo di fiori di Pernon mi accolse, gli uccellini cinguettavano pigri e il rumore di passi e parlottii concitati mi indicò che la città era ormai completamente sveglia.
Pernon, la città della pace, il posto utopico in cui ogni asmodiano poteva dormire sonni tranquilli, lontano dalla minaccia elisiana o della guerra.
Io e Saephira ci recammo al teletrasporto dove pagai per entrambe e attraversammo un profondo varco che ci risucchiò oltre lo spazio e il tempo per catapultarci coi piedi per terra sul suolo della piazza di Pandemonium.
Salutai con un cenno della mano il responsabile del teletrasporto di Pandemonium, ci conoscevamo da un pezzo, poi rivolsi lo sguardo verso Saephira che stava fissando incantata un bel tipo asmodiano intento a esporre i propri bottini di guerra al miglior offerente.
“Chi è?”, le chiesi.
“È un tipo della mia legione, un tribuno, ed è bello”, terminò con occhi languidi.
Ridacchiai. Saeph e le sue cotte improvvise! Era ancora alle prime armi e questo spiegava il perchè di quello sguardo affranto. Tra gli asmodiani, per quanto si fingesse di no, il rango contava parecchio.
“Diventerai anche tu forte e valorosa, e allora farai colpo su di lui!”. La oltrepassai dirigendomi verso il ponte Vifrost per attraversare la coperta e rumorosa strada del Mercato che portava alla piazza principale. Con Saephira sempre alle mie spalle proseguii dritta per un po’ e svoltai a destra alla volta di una gradinata, facendo ingresso nella imponente e lussuosa Strada della Prosperità. Davanti a noi si parò il magnifico Colosseo di Triniel dove spesso si svolgevano sanguinosi combattimenti tra Daeva.
“No Selhen, davvero, torniamo a Pernon!” protestò Saephira tirandomi per un braccio.
La ignorai e continuai a camminare fino alle gradinate che portavano al negozio di abiti più lussuoso che ci fosse a Pandemonium: la Boutique di Vanahal.
Salutai i numerosi commessi presenti e mi rivolsi alla mia commessa di fiducia. In quanto soldato e responsabile di missioni piuttosto fruttuose potevo permettermi abiti del genere, e poi avevo un’immensa passione per i vestiti di ogni genere.
“Un vestito per questa signorina qui?” dissi sorridente indicando la mia amica. La ragazza, dal canto suo, era sbiancata, consapevole che neanche se avesse ipotecato casa sarebbe riuscita a pagare un vestito del genere.
La commessa incaricata tirò fuori uno dei suoi abiti più belli, un tubino di scaglie rilucenti che lasciò tra le mani di Saephira perché lo provasse.
“Su provalo”  la incitai vedendola dubbiosa mentre contemplava l’abito di ottima fattura.
Piccola e fine com’era, quell’abito le stava un incanto.
“Sei meravigliosa”, la accolsi quando la vidi uscire dal camerino. “Lo compriamo!” conclusi rivolgendomi alla commessa.
Vidi Saephira, abituata ai soliti gonnelloni, contemplarsi preoccupata la gonna corta, io intanto avevo già sborsato alla commessa i due milioni di Kinah per pagare.
“Ehi, ehi!”, protestò la mia amica, “Selh! Che stai facendo?”.
Le sorrisi, “è un regalo, un mio regalo. Trattalo bene!”.
 
Avevamo trascorso la mattinata così, per le vie di Pandemonium. Per quel giorno avevo deciso di tralasciare le mie missioni e dare una mano alla mia migliore amica per  trovare un tizio a cui avevano ordinato di recapitare una lettera. Pranzammo insieme alla taverna Apellbine e lì, ne approfittai per raccontare della mia curiosa avventura con l’elisiano. Saephira rimase affascinata.
“Che gentiluomo! Era bello?”, domandò tutta esilarata.
Mi balenò nella mente il suo sorriso, i suoi occhi verdi disarmanti. Annuii. “Bello quanto pericoloso”.
Lei non rispose, parve piuttosto crucciarsi. “Perché dobbiamo odiarci?”, sospirò, “perché la guerra? Non sarò mai pronta per la guerra”.
“Sebbene io sia più forte e addestrata di te, non mi sento pronta neanch’io”, dissi tristemente ripensando alla guerra che imperversava nelle guarnigioni del Katalam.
“Voglio credere che un giorno sarà tutto finito”, terminò Saephira buttando giù l’ultimo sorso di vino annacquato. “Sarei così curiosa di vedere un elisiano da vicino”.
Sbattei le palpebre e le mie iridi rosse tremolarono. “Non penso che quando proverai l’atroce dolore di una freccia tra le costole dirai la stessa cosa”.
Saephira arricciò il labbro. “Sono davvero così crudeli?”.
Sospirai. “Buona parte”. Senza dilungarmi ulteriormente in quella conversazione mi alzai in piedi per andare a pagare.
“Adesso devo salutarti Saeph, il capo legione mi aspetta”. Un velo di tristezza mi trasfigurò il viso. “Devo andargli a riferire i miei insuccessi”.
La mia amica annuì e mi stritolò in un abbraccio. “Grazie di tutto Selh”, sorrise guardandosi il vestito nuovo. “E grazie per questo”, lo indicò con una mano.
“Figurati”, le sorrisi dolcemente prima di uscire dalla taverna con un ultimo cenno di saluto e lasciarla seduta al tavolo.
 
Io e Death ci eravamo dati appuntamento all’ingresso del tempio dell’oro, in un angolino appartato dove avremmo potuto parlare, e quel posto non era tanto distante dalla taverna nella quale avevo appena mangiato con Saephira.
Raggiunsi il sontuoso portone in pochi passi e varcai la soglia, svoltando la parete. Infondo al tempio doveva esserci Death, il grosso omaccione col coprifronte e i capelli ribelli color argento, tanto grande quanto buono.
Lo vidi, proprio nell’angolo in fondo.  Portava una pesante armatura di combattimento e uno spadone fissato alla schiena. Tutto di lui faceva pensare alla forza e all’imponenza.
Quando mi vide da lontano mi salutò allegramente con la grande mano guantata tornando poi a tuffarsi in un’accesa conversazione con un interlocutore che da lontano non riuscii a riconoscere perché parzialmente nascosto da una colonna.
Allungai il passo nella sua direzione portando nervosamente indietro una ciocca di capelli. Abbozzai un sorriso dalla sua parte pensando mentalmente a come impostare il discorso, quando all’improvviso mi si raggelò il sangue nel vedere il misterioso interlocutore di Death.
Capelli blu notte come gli occhi, barbetta e viso dai tratti spigolosi. Gelidamente bello.
Shad.
Era così intento a parlare che non mi aveva ancora notata, ma a me il cuore era iniziato a battere all’impazzata.
Ripensai al nostro primo e unico bacio, alle notti di pianto che solo Saephira aveva saputo sopportare e alleviare, a quella mancanza assurda, a quel vuoto che niente e nessuno era stato in grado di colmare.
Shad era là, davanti a me, dopo mesi che non lo incontravo. E la sua bellezza e la sua sicurezza erano spiazzanti come sempre.
Mi feci coraggio e tirato un profondo respiro raggiunsi Death ostentando una falsa sicurezza. “Buongiorno Death… Shad”, lo liquidai con un cenno del capo senza degnarlo di uno sguardo.
“Guarda un po’ chi abbiamo qui”, mi accolse Shad come se nulla fosse. Sentii il suo sguardo bruciante addosso, mi stava fissando sfacciatamente mordendosi il labbro inferiore col suo solito ghigno.
Death mi sorrise dolcemente. “Ciao piccola Selh, per fortuna ieri te la sei cavata anche tu”, si grattò una guancia appoggiandosi alla parete. “Io e Shad stavamo parlando della disfatta di ieri e beh…”, rise, “stavo provando a persuaderlo mostrandogli tutti i vantaggi nel tornare nella nostra legione”.
Pensai a che incubo sarebbe stato se Shad fosse tornato in legione, ma ovviamente Death non poteva essere a conoscenza dei nostri precedenti. Deglutii visibilmente in difficoltà, volevo chiudere subito quella conversazione e tornare a casa.
“Su, riferiscimi come sei riuscita a tornare ieri!”, mi incalzò Death.
Annuii e mi lanciai a capofitto nel racconto, parlando della sosta sul fiume, dell’elisiano clemente e di come avevo quasi rischiato la vita in agguato. In tutto ciò mi sforzai di ignorare Shad, che ovviamente quando parlai di Velkam si intromise.
“Guarda, guarda, la piccola Selh, fa strage di cuori tra gli ufficiali elisiani più pericolosi! Velkam poi…”, rise sarcastico.
Lo fulminai con lo sguardo. “Perché? Lo conosci?”.
“Certo che lo conosce”, intervenne Death, “Velkam è il capo di una delle più pericolose e devastanti legioni elisiane. Ritieniti molto fortunata. Per poco Shad non ci lasciava le penne, sotto le sue spade affilate”, scoppiò a ridere.
“E alla signorina bastano un paio di occhioni a calamita per farsi risparmiare, mmh, dovevo nascere donna”, riprese Shad, a quanto pareva divertito dalla discussione.
“Non c’è arma più letale della seduzione!”, scherzò Death.
Mi imbronciai. “Io non ho fatto assolutamente nulla, Death!”.
Shad si era messo a braccia conserte a scrutarmi. Il suo sguardo era indecifrabile. Stava pensando anche lui a quello che era successo tra noi?
“Ad ogni modo, ti ho convocata anche per annunciarti dell’altro”, disse Death. “Per domani io e Shad abbiamo organizzato un’alleanza per riconquistare la fortezza di Sillus, a Katalam Nord. I generali elisiani ce l’hanno soffiata ieri notte e dobbiamo riprendercela. Si va in guerra!”.
Guerra. Ecco che tornava nuovamente quella parola che odiavo.
“E tu, per la prima volta, sarai dei nostri”, concluse placido Shad battendomi amichevolmente una spalla.
Rabbrividii a quel tocco e i nostri sguardi si incrociarono per un attimo, riaprendomi una voragine nello stomaco.
“Hai mangiato, ammaliatrice di elisiani?”, mi domandò Shad assolutamente tranquillo.
Esitai a rispondere, poi annuii frettolosamente.
“Che peccato, e io che volevo invitarti a pranzo”.
Death scoppiò a ridere. “Io credo che andrò ad abbuffarmi alla Apellbine. Sapete che senza cibo non combatto bene!”, si stiracchiò. “A presto giovani,e ciao a te, traditore!”, diede una pacca a Shad apostrofandolo scherzosamente. “Da noi sei sempre il benvenuto, in legione, diglielo Selh!”.
Sorrise congedandosi con un cenno e lasciandoci soli, faccia a faccia, per la prima volta dopo tanto tempo.
Abbassai lo sguardo imbarazzata e umiliata, non avrei avuto la forza di controbattere alle sue battutine, non in quel momento.
“E così sarei il benvenuto?”, disse placido ridacchiando mentre assumeva un’espressione pensierosa. Non risposi.
“Ti trovo cambiata” esordì Shad in un nuovo tentativo osservando le mie nuove armi e la mia nuova tenuta. Sorrise enigmatico, “Cresci bene”.
Mi fece cenno di seguirlo e un po’ incerta eseguii. Ci mischiammo tra la folla della piazza finchè lo vidi svoltare verso la strada della Prosperità.
“Dove andiamo?”, gli chiesi.
“In nessun posto”, rispose lui tranquillo, “avevo voglia di fare due passi”.
Proseguimmo per il viale e lo vidi soffermarsi al colonnato di fronte il distretto di Vanahal, là dove quella mattina io e Saeph avevamo comprato l’abito.
“Come ti trovi nella nuova legione?”, chiesi tentando di fare conversazione, imbarazzata.
“Non bene”, disse lui enigmatico sedendosi sul bordo dell’aiuola rigogliosa, tra una colonna e l’altra. “Ma neanche male”.
Sospirai, le sue solite risposte elusive. Rimasi in piedi, distante. Non volevo abituarmi alla sua presenza perché sapevo che tra qualche minuto sarebbe sparito. Ormai lo conoscevo bene.
“E tu? Come stai?”, mi chiese a bruciapelo.
Male… avrei voluto dire, ma mentii. “Bene, tiro avanti e do il massimo per migliorarmi”.
Un sorriso sincero gli illuminò il viso, poi balzò in piedi. “Tempo al tempo e diverrai forte”, disse annuendo per poi indugiare con lo sguardo sulle mie labbra.
“Ci vediamo alla Sillus, Selhen”, terminò facendomi l’occhiolino.
“Ci vediamo ala Sillus, Shad”, replicai freddamente le sue stesse parole.
“Vado, la mia legione mi attende”, terminò lui tranquillo. Aprì un portale con un movimento del braccio e prima di buttarsi dentro mi mandò uno sfacciato bacio con la mano.
Quando vi fu sparito dentro, il varco rimase ancora a galleggiare nell’aria per qualche secondo, poi svanì.
Avevo pensato con orrore che rivivere quel momento sarebbe stato terribile, ma così non fu. Mi stavo abituando all’assenza di Shad, e ogni giorno che passava, il dolore era sempre meno lacerante.
Evocai Daf, la mia cagnetta, e mi chinai ad accarezzarla pensierosa. Lei scodinzolò.
“Vieni Daf, torniamo a casa”, le dissi dolce e malinconica raddrizzandomi. A passo lento mi preparai a tornare a Pernon, cercando di evitare il pensiero di Shad per tutto il viaggio di ritorno.
Che io ci fossi riuscita o no, a evitarlo, quello non era importante. Dopotutto domani ci saremmo rivisti alla Sillus. A quanto pareva ero destinata a dovermelo ricordare sempre, e la ferita si riapriva, ricominciava a sanguinare. Avrei sanguinato il doppio, in uno dei momenti più inopportuni. In guerra.
 
[In questo angolo dell'autrice voglio approfittare per ringraziare Andrea, che mi segue sempre e mi supporta con le sue entusiasmanti recensioni. E le mie migliori amiche: Mikachan e la Saephira della storia, a cui ovviamente mi sono ispirata u.u
Non so quando potrò aggiornare il prossimo capitolo. Volevo postarvi le immagini di Velkam e Selhen, ma non so come fare. Qualcuno che mi sappia consigliare? Bacione.]

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Capitolo 3
*** -3- Sillus ***


Quella notte non avevo chiuso occhio se non per un rada ora in cui il mio sonno era stato anche tormentato da incubi. Avevo trascorso tutta la mattinata un po’ nervosa, consapevole di quello che mi sarebbe aspettato nel pomeriggio.
Ferma davanti al mio piatto di zuppa, raccoglievo il brodino col cucchiaio e lo ributtavo dentro senza realmente avere voglia di mangiare. Avevo deciso di trascorrere il tempo che mi separava dall’attacco ad allenarmi ai manichini della piazza di Pandemonium, così pagai frettolosa il piatto di zuppa che avevo lasciato intero al tavolo e mi diressi a passo lento verso la piazza.
Quella mattina l’aria di Pandemonium era più opprimente del solito, o forse ero io che percepivo tutto in maniera alterata. Tirai  entrambe le pistole fuori dai foderi. Scaricare due pallottole su quei manichini, forse, avrebbe sfogato il mio senso di oppressione.
Fissai per qualche minuto l’ampio colonnato che circondava il laghetto artificiale della piazza, dando le spalle ai manichini, poi i miei occhi si accesero, la furia asmodiana del combattimento mi pervase e i tratti del mio viso si trasfigurarono. Urlai e mi voltai di scatto scaricando una serie di colpi sull’inerme manichino, centrandolo in pieno.
Mi abbandonai alla piacevole sensazione di galleggiare nell’incoscienza, di non essere me stessa, premendo il grilletto, una pallottola dopo l’altra, contro quel manichino che avrebbe potuto essere benissimo un potenziale elisiano.
Mi fermai all’improvviso. La pistola fumante per l’ultimo colpo appena sparato. Il mio viso tornò rilassato e le mie mani si strinsero convulsamente alle armi. Mi lasciai cadere sul pavimento, in ginocchio, abbassando il capo con gli occhi chiusi e i capelli mi nascosero il viso.
Avrei avuto il coraggio di riempire di pallottole un elisiano?
È per questo che sei stata addestrata… tuonò la mia coscienza.
Depositai le armi nel fodero dopo avervi impostato la sicura e attraversai la strada del mercato e il ponte Vifrost per raggiungere il teletrasporto.
“Dove ti spedisco?”, mi chiese il responsabile sorridendomi pronto ad aprire un portale.
“Katalam Nord”, annunciai. Il portale si aprì galleggiando nell’aria e il tizio mi sorrise: “Beh ragazzi, in bocca al lupo per la Sillus”.
Ricambiai il sorriso poco convinta e mi lanciai dentro il passaggio finchè non finii coi piedi sul suolo della fortezza asmodiana di Katalam.
Un’enorme folla di asmodiani pronti alla battaglia mi accolse. Chi rideva, chi urlava ordini, chi schiamazzava. Uomini, donne in armatura, vecchi, giovani. Era un giorno importante. Riprendersi la Sillus era essenziale, era una fortezza che si trovava in un punto troppo strategico, per rinunciarvi. Avremmo dovuto raggiungere le montagne innevate del Katalam Nord e lì contrastare la minaccia elisiana che si era impossessata della fortezza.
“Benvenuta Selhen”, mi salutò Death quando mi notò tra la folla, “vieni qui, con i membri della nostra legione. Durante l’attacco dobbiamo stare uniti”.
Un po’ spaesata lo seguii, lui mi sorrise e mi tirò per un braccio per non farmi perdere tra la folla.
Salutai con un cenno del capo tutti gli altri componenti della legione. Bard, John, Arker, poi, poco lontano da noi, lo notai. C’era Shad, e accanto a lui Ethun, l’elegante chierichessa  dai capelli neri legati in una comoda crocchia affermata alla testa con un ricco fermaglio.
Vidi Shad vagare tra la folla con lo sguardo e fermare i suoi occhi di ghiaccio su di me per qualche secondo.
Nel vederli insieme provai una sensazione di malinconia e girai lo sguardo contrariata.
A un certo punto fu Death a distogliermi da quei pensieri con i suoi ordini.
“Bene ragazzi, prendiamo il teletrasporto dritti dritti per i monti Sillus e lì ci disporremo in formazione per avviarci con tutti gli altri verso la fortezza”.
“Si va a fare a fette un po’ di elisiani!”, esultò Bard.
Non mi pronunciai, mettendomi in fila per il teletrasporto ai monti Sillus e una volta attraversato il varco, mi si parò davanti un’ampia distesa di neve.
Allargai le braccia sollevando lo sguardo. Lasciai che dei soffici fiocchi di neve si depositassero sui miei spessi guanti di pelle.
Evocai Daf. La mia cagnolina era brava a fiutare elisiani se ce ne fossero stati nei dintorni, poi, quando arrivò Death, ci disponemmo tutti in formazione.
Vidi Shad poche file avanti  me. Aveva evocato uno spirito del vento che stava provvedendo a proteggere con tutta una serie di formule specifiche. Ethun dal canto suo era intenta a distribuire incantesimi di protezione per tutto il gruppo.
Estrassi le armi dal fodero, e come tutti mi misi in marcia. Quella per me sarebbe stata la prima volta che avrei visto così tanti elisiani tutti insieme. Rabbrividii. Chissà se avrei avuto anche l’occasione di rivedere il tizio elisiano che mi aveva risparmiata.
Quando giungemmo alla fortezza le sentinelle elisiane si misero in allerta e chiusero il grande portone d’ingresso della fortezza.
“Abbattere le barricate!”, stava urlando Death ai suoi uomini, così come tutti gli altri capi di legione.
Sulle nostre teste oltre alla neve silenziosa cominciarono a piovere migliaia di frecce sibilanti. Presto, troppo presto, era iniziata la carneficina mentre i nostri forzavano per sfondare le difese.
Con orrore vidi molti asmodiani cadere sotto le punte affilate delle frecce di difesa.
Alla fine un pesante rombo al di sopra del clangore delle armi cozzanti, annunciò che il portone era crollato e che avevamo il via libera per la fortezza.
Notai con immensa preoccupazione che il nemico era in sovrannumero. Un’orda di elisiani impazziti si riversò verso di noi dalle porte della Sillus cominciando, freddamente, a mietere vittime. Vidi Shad respingere un attacco facendosi scudo con la magia e sbaragliare l’elisiano di fronte a lui con una serie di incantesimi vincolanti, il tutto mentre un altro gli puntava un revolver a etere alla tempia, cogliendolo di sorpresa, alle spalle.
“Shad!”, urlai terrorizzata. Fu istintivo. Sparai una serie di colpi precisi sull’elisiano che stava per colpire Shad vedendolo accasciarsi sulla neve che iniziò a colorarsi di rosso per il sangue. Rimasi inorridita, incredula, con e pistole ancora tra le mani.
Shad si voltò a guardarmi. Mi sorrise e rivolse lo sguardo sul cadavere dell’elisiano con le candide ali richiuse su di sé. Lo vidi rituffarsi all’attacco dopo un ultimo sguardo incerto e anch’io iniziai a muovermi tra la folla. Come se fosse tutto rallentato mi guardai intorno.
Vidi elisiani cadere sotto le armi affilate degli asmodiani, e asmodiani perdere la vita sotto i duri colpi elisiani.
In quell’affollarsi di immagini mi chiesi se in quel posto ci fosse Velkam e quante vittime avesse mietuto fino a quel momento.
Un rumore assordante attirò nuovamente la mia attenzione. Il frastuono veniva dall’alto. Mi distanziai dal gruppo per via di un elisiano che mi piombò addosso. Sparai un colpo dritto nel suo torace con un revolver lasciandolo morto ai miei piedi e scavalcandone il cadavere alla ricerca del mio gruppo, ma a quanto pareva, erano bastati quei due secondi di distrazione a farmi perdere tra la folla. Imprecai, sollevando gli occhi al cielo e li sbarrai quando la luce del giorno si oscurò all’ombra di una dredgion. Una velivolo pieno zeppo di soldati dell’abisso.
“Balaur in vista!”, sentii urlare tra i combattenti.
“Una dredgion!”, disse sorpreso qualcun altro.
“Ritirata! Ritirata!”, stavano ordinando i nostri generali. Era evidente che contro due forze contrastanti non avremmo mai potuto farcela. Gli elisiani erano già in sovrannumero e gli uomini balaur, i mostri dell’abisso, come li chiamavano, erano altrochè pericolosi.
Gli asmodiani avevano iniziato ad arretrare proprio nel momento in cui un enorme numero di balaur si era riversato dalla dredgion all’ingresso della fortezza.
Approfittando della distrazione degli elisiani intenti a respingere l’attacco balaur ci demmo alla ritirata. Per quel giorno la fortezza era perduta, non avremmo avuto nulla da fare.
Sgomenta mi accorsi che un gruppo di balaur aveva cominciato ad avanzare verso gli asmodiani in fuga. Mi lanciai tra gli alberi del bosco che circondavano la fortezza e mi diedi alla fuga, come tutti, alla ricerca del teletrasporto che mi avrebbe riportata alla fortezza di Katalam, ma nel panico non mi accorsi di avere imboccato la strada sbagliata. Un gruppo di balaur in avanscoperta mi notò.
“Mannaggia!”, imprecai accelerando la corsa mentre i balaur si lanciavano all’inseguimento.
“No, no, no”, dissi tra me mentre Daf abbaiava all’impazzata. Ero nei guai, guai seri. I balaur erano troppi e io una sola. E se nella corsa avessi beccato un elisiano? Quello avrebbe approfittato del mio svantaggio e mi avrebbe fatta fuori.
Avevo corso per centinaia di metri, nella speranza che il nemico rinunciasse all’inseguimento, ma i maledetti balaur sembravano non voler mollare l’intento. Data la mia agilità non mi era stato difficile mettere tra me e loro un certo vantaggio di distanza. Sentivo Daf abbaiare come una forsennata mentre stentava a starmi dietro, poi, per tentare di seminarli mi gettai tra due cespugli e cozzai contro qualcosa di duro ruzzolando per terra.
Alzai gli occhi giusto il tempo di accorgermi che ero appena andata a finire addosso ad un elisiano. E che in quella radura non c’era un solo nemico, bensì due.
Le cose andavano di male in peggio.
Il mio sguardo cadde sul tizio che avevo investito e lo riconobbi.
“Velkam!”, dissi sollevata e col fiatone. “Ci sono dei balaur, salvati!”, boccheggiai senza fiato.
Stavo davvero dicendo ad un elisiano di salvarsi?
Fu l’unica cosa che potei dire prima di ritrovarmi una spada puntata alla gola.
Velkam era in piedi di fronte a me e mi fissava come se cercasse di trattenere una risata, il suo compare invece, a quanto pareva, sembrava essere un po’ più ostile.
“Lasciala Gaar”, ordinò nella sua lingua facendo un cenno col capo per invitarlo a mettere via l’arma.
Sentii l’assassino dietro di me muoversi con incertezza e riporre le spade.
“E così adesso te la fai con gli asmodiani, capo?”.
Alla battuta del suo amico Velkam rispose con una smorfia mentre tirava fuori una freccia dalla faretra e la incoccava coi sensi allerta. “Arrivano”, annunciò piano prima di sparire totalmente dalla mia vista. Cacciatori, pensai. Potevano rendersi invisibili.
“Vuoi prenderti tutto il divertimento, amico?”, disse allegramente l’altro scomparendo a sua volta.
Fu un attimo. I balaur sembravano essersi duplicati nell’inseguimento. Sei balaur mi accerchiarono con sguardi furiosi mentre io ero ancora per terra, senza alcuna possibilità di reagire. Poi un movimento dell’aria mi annunciò che Gaar, l’amico di Velkam, si era mosso fulmineo ricomparendo proprio dietro due balaur per colpirli alle spalle con entrambe le sue spade e mozzarvi la testa. I suoi movimenti erano rapidi, proprio come quelli di un assassino freddo e letale che si rispetti. Rimasi impressionata.
I due baaur si accasciarono per terra seguiti da un terzo colpito alla giugulare da una freccia di Velkam che era riapparso arrampicato sul ramo di un albero. Lo vidi incoccare altre due frecce contemporaneamente e stendere altri due balaur per terra che vennero immediatamente freddati dalle spade dell’altro elisiano.
Rimaneva l’ultimo balaur, che ostinato si era lanciato contro di me con la spada sguainata. Ebbi giusto il tempo di vedere una nuova freccia fulminea conficcarsi nel collo dell’ultimo balaur, il quale, colto di sorpresa, stramazzò per terra.
Ancora a bocca aperta per la rapidità con cui due soli elisiani avevano fatto fuori sei balaur ufficiali, riposi le armi che avevo sguainato senza utilizzarle. Vidi Velkam scendere con passo ovattato dal ramo su cui era arrampicato e fermarsi a pochi passi da me per chinarsi a guardarmi. Piegò il capo da una parte e un sorrisetto gli lineò il viso. I suoi occhi verdi, prepotenti, scrutarono i miei. “Ci reincontriamo, Selhen”.
Lo guardai dal basso, il mio nemico. “Ti ricordi il mio nome?”, gli chiesi meravigliata.
Lui intanto aveva risposto l’arco, e Gaar lo aveva affiancato per osservarmi come se fossi un animale da circo.
“Anche tu ricordi il mio”, rispose lui ammiccando con aria scontata.
“Mi hai salvata per la seconda volta”, continuai sempre deconcentrata dal suo sguardo, ignorando totalmente la presenza dell’altro elisiano.
“Velkam, vuoi spiegarmi?”, aveva chiesto il tipo. Adesso che lo vedevo meglio i suoi capelli erano rossi e scompigliati. Portava due orecchini al sopracciglio ed era alto e snello. Caratteristiche essenziali per un assassino veloce e scattante. I tratti del viso erano morbidi e giocosi.
“Non c’è nulla da spiegare, Garr”, gli rispose secco Velkam. “Torna alla fortezza piuttosto. Avvisa i legionari di vederci tra un’ora a Sanctum per una riunione”.
Garr annuì vagamente offeso. Era consapevole che fosse un ordine come un altro per toglierselo di torno.
“Non la prendi in ostaggio?”, suggerì l’assassino prima di rimettersi in cammino.
“Ho detto, vai…”, concluse Velkam con tono autoritario.
Gaar sbuffò e si allontanò con una scrollatina di spalle. “Vabeh, se lo dici tu”.
Io che ero stata a sentire tutto il dialogo senza averci capito una parola mi ero rimessa in piedi un po’ incerta. Al cospetto di Velkam non sapevo mai cosa dire.
“Grazie, ancora una volta”, dissi solamente.
Eravamo rimasti soli. Vidi Velkam inumidirsi le labbra nervoso ma accettare quel grazie senza replicare nulla.
Ne approfittai ancora qualche minuto per osservare da vicino quel Daeva elisiano. Aveva ricominciato a nevicare, e i soffici e leggeri fiocchi di neve si impigliavano tra i nostri capelli.
“Non ho fatto assolutamente nulla”, disse Velkam all’improvviso.
Corrugai la fronte. “Appunto”, annuii curvando le mie labbra rosse in un sorriso.
“Mh”, grugnì lui dando un calcio alla neve sotto i suoi piedi.
Senza alcun preavviso, e d’istinto, mi sporsi verso di lui, che tornò a essere guardingo. Gli lasciai un innocente bacio sulla guancia, e potei percepire il suo profumo.
Sapeva di sole, di caldo, di fiori esotici e deserti caldi. Così diverso da Shad che mi ricordava la notte scura e le piogge invernali.
Mi bloccò le braccia con un movimento fulmineo da entrambe i polsi, pronto a colpire se ce ne fosse stato bisogno. La mia eccessiva vicinanza lo aveva turbato, e mi parve privo di difese. Furono solo pochi secondi, poi scosse il capo e lasciò i miei polsi arretrando di qualche passo mentre si toccava la guancia là dove le mie labbra lo avevano sfiorato.
Immaginai che per lui fosse stata un’esperienza singolare, essere così vicino ad un asmodiano e non essere attaccato. Ma infondo, cosa avevamo di diverso io e lui? Dov’era scritto che dovevamo odiarci senza nemmeno conoscerci?
“Avrei potuto ucciderti, se fossi stato un po’ più avventato”, mi disse con tono inespressivo puntandomi addosso i suoi occhi verdi.
“Non avevo alcuna intenzione di aggredirti”, risposi io con tono neutro.
“Lo so, ho già capito che tipo sei”, un sorrisetto malizioso gli trasfigurò il viso. “Sei una fanatica della pace e dell’amore fraterno tra Daeva elisiani e asmodiani”. Scosse il capo ridendo. “Mi dispiace infrangere i tuoi sogni dolcezza, ma è un’utopia”.
Aprii la bocca per ribattere , ma lui stava già riprendendo a parlare. “E comunque un gesto del genere non verrebbe visto di buon occhio, nemmeno dal tuo popolo, quindi non farlo più”.
Da come parlava mi diede l’idea che volesse impartirmi una lezioncina di vita. Peccato che io nella vita, avevo sempre fatto di testa mia. La sua mancata ostilità, oltretutto, non faceva che accrescere la mia curiosità nei suoi confronti.
“Un’elisiana, da noi, è stata condannata a morte per avere intrattenuto relazioni con un asmodiano”, concluse riprendendo l’arco tra le mani.
Guardai il meraviglioso arco brillare tra le sue mani, ne rimasi affascinata. Annuii tristemente. Non sapevo che si potesse arrivare a tanto. La pena di morte, addirittura.
“Mi dispiacerebbe se dovesse finirti così”, continuò lui con un mezzo sorriso prendendo una freccia tra le mani. “Infondo, sei l’unica asmodiana che mi sta simpatica e che incontro per la seconda volta senza uccidere”.
Si levò il cappuccio sulla testa. Sotto il nero della pelle della giubba il roseo colore della sua pelle, e la cicatrice che gli tagliava l’occhio, obliqua, risaltarono più del solito.
“Adesso sarà meglio che vada, la mia legione mi aspetta a Sanctum per una riunione”.
Mi rivolse un sorriso bellissimo che mise in risalto i suoi denti bianchi e perfetti. I suoi occhi verdi e luminosi mi guardarono un’ultima volta poi mi voltò le spalle e si dileguò. Vidi solo i cespugli da cui mi ero lanciata poco prima essere investiti da qualcosa di incorporeo e capii che aveva abbandonato la radura. Ero rimasta sola, tra i cadaveri di balaur silenziosi e senza vita, col cuore che batteva un po’ più forte del solito per via di quel sorriso mozzafiato.

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Capitolo 4
*** -4- Rivelazioni ***


Era pomeriggio inoltrato, e il debole sole faceva capolino tra le nuvole pronto ormai a lasciar spazio alla prepotente oscurità, quando venni congedata dagli uffici amministrativi della legione. Tutti i soldati erano stati chiamati a fare rapporto per capire quante perdite si fossero subite, in modo da far menda alle morti con l'aiuto dei grandi obelischi della resurrezione o reclutando tutti i chierici disponibili perché andassero a curare i feriti.
Quel giorno avevo trovato un messaggio di Saephira nella mia cassetta della posta che mi annunciava la sua promozione. Dall'indomani avrebbe cominciato a essere operativa nei pressi di Beluslan.
Fui felice per lei e risposi alla sua lettera con tanti complimenti e una rinnovata offerta di aiuto, se mai ne avesse avuto bisogno.
Camminando per le strade affollate di Pandemonium avevo gioito per un attimo di quella quiete e di quella calma apparente. Bambini correvano per le strade schiamazzanti, mentre venditori di ventura urlavano prezzi ultraconvenienti per accaparrarsi il compratore di turno.
Un venticello leggero scompigliava i miei capelli candidi e il profumo di fiori della notte, pronti a schiudersi, solleticò le mie narici.
"Selh!". Udii chiamare alle mie spalle.
Era una voce che avrei riconosciuto fra mille e più voci. Shad.
Mi voltai chiedendomi se non me lo fossi immaginata, ma a un passo da me c'era lui. Il suo fisico asciutto nel giubbino in stoffa di Kahrun aderente e i pantaloni neri e sagomati, con la sua solita aria austera del combattente vincitore. I suoi capelli blu erano un po' più scompigliati del solito e il suo sguardo un po' più spento.
Il mio cuore si ribellò alle sue iridi di ghiaccio.
"Shad", risposi al suo richiamo voltandomi di tutto punto.
Mi sembrò di tornare indietro nel tempo, a quella volta in cui era iniziato tutto, a Katalam Nord. Rimasi a guardarlo per qualche secondo, prima di incalzarlo a parlare. "Qualcosa non va?".
Sebbene mi fosse sembrato un po' incerto, com'era tipico di lui, ci mise poco a fare a menda a quei pochi secondi di perplessità. Si appoggiò ad una colonna della piazza di Pandemonium a braccia conserte riprendendo a fissarmi. "Volevo chiederti una collaborazione".
Aggrottai le sopracciglia senza capire.
"Guarnigioni", precisò lui, "come ai vecchi tempi". A quelle ultime parole i suoi occhi scintillarono.
"Katalam Sud", terminò.
"Adesso?", feci io battendo le palpebre spaesata.
"Prima che tramonti il sole, mi è giunta voce che l'ottantadue è appena stata conquistata e dobbiamo andare a dare una ripulita alle truppe d'avanguardia elisiane".
Lo guardai recuperando una certa sicurezza e incrociai le braccia a mia volta. "Perché me, e non Ethun?".
Shad scrollò le spalle. "Ethun è impegnata con i caduti di guerra".
I suoi occhi non confermarono la versione appena riferita, ma volli prenderla per buona. Ero ancora in divisa da combattimento, quindi avrei potuto seguirlo senza problemi.
"Su, su, muoversi!", aveva detto lui facendomi segno col capo mentre si allontanava a passo celere verso Doman e il suo teletrasporto.
"Dove vi porto?", chiese il responsabile del teletrasporto quando ci vide pronti alla partenza.
"Katalam Meridionale", dissi io anticipando Shad.
Con un gesto della mano Doman aprì il varco dopo che avemmo pagato la quota del passaggio. Ci lanciammo dentro finché i miei piedi non si posarono con un tonfo su un'ampia piattaforma di legno, proprio al fianco di un elisiano che era lì, fermo sull'alto terrazzo, a godere della vista di quel piccolo cantiere shugo: la città di Pandora
Shad mi comparve accanto proprio nel momento in cui il tizio elisiano si voltò infastidito dal nostro arrivo. A quanto pareva, avevamo turbato la sua quiete.
"Zona neutrale, amico. Non vorrai metterti nei guai...", disse Shad con un tono che aveva un che di irritante. Fui sicura che se si fossero incontrati entrambi in territorio conteso, l'elisiano in questione non sarebbe rimasto tanto a lungo così statuario e insensibile, benché non potesse interpretare le parole di Shad. Bastava il tono.
Il tipo si limitò a lanciare dalla nostra parte uno sguardo arcigno e ostile prima di spiegare le ali e gettarsi di sotto senza aggiungere una parola. Dedussi che fosse diretto al sottosuolo di Katalam.
Pandarung era una piccola città-cantiere di Shugo che sorgeva in un territorio brullo e arido, quasi deserto, ma il suo sottosuolo era immenso e da esplorare, ricco di misteri e creature pericolose, oltre che di roba preziosa e interessante che avresti potuto rivendere a prezzi esorbitanti ai mercanti di Pandemonium. Le battaglie più frequenti tra elisiani e asmodiani prendevano forma soprattutto nei meandri del sottosuolo, era per questo motivo che da quelle parti non mi ero mai avventurata da sola.
Al momento ci trovavamo in una zona quasi neutrale. Qualunque elisiano o asmodiano avesse osato attaccare un avversario sarebbe morto all'istante, freddato dalle potenti armi dei guardiani shugo, tanto piccoli quanto spietati.
Mi lanciai dalla piattaforma con le ali spiegate, seguita a ruota da Shad. Sapevamo entrambi dov'eravamo diretti. Una corrente d'aria ci avrebbe portati in una nuova zona neutrale e da lì, presa un'altra statua del teletrasporto, avremmo raggiunto la guarnigione ottantadue
A differenza di Pandarung la guarnigione ottantadue sorgeva dispersa tra gli alberi frondosi di un bosco rigoglioso e quasi, avrei potuto dire, incantato. Un ruscello attraversava il territorio aprendosi poi in uno scintillante lago, dimora di Seiren selvagge.
Era bello lasciarsi dietro l'afa e la sabbia di Pandarung per tornare a respirare il profumo balsamico di fiori silvani in quel bosco umido e fresco.
Il ronzio delle cicale, continuo e rassicurante, mi trasmetteva quasi un senso di pace. Si era fatto quasi buio, e non era raro, col calpestio dei nostri passi sull'erba soffice, disturbare qualche lucciola solitaria, che volando rendeva l'atmosfera del posto fin troppo romantica.
Mi chiesi se Shad non lo avesse fatto apposta a portarmi lì.
Mi guardai intorno serena, godendo di quel paesaggio tranquillo e incontaminato. Era quasi impossibile pensare che in quella zona scorrazzassero liberi anche soldati elisiani. 
Se c'era una cosa che avevo imparato in tutti quegli anni d'addestramento, era questo: più una zona era bella, e più poteva essere pericolosa. Specialmente a Katalam.
Accelerai il passo per affiancare Shad e sentii il suo braccio muscoloso strisciare contro il mio. La sua presenza mi diede sicurezza.
Con lui accanto mi sentivo protetta, nonostante tutto. Riusciva sempre a uscire vittorioso dagli assalti, con qualche ferita lieve o addirittura indenne.
Proprio mentre camminavamo in religioso silenzio, Shad si bloccò, poco avanti a me.
Tesi le orecchie cercando di cogliere un qualsiasi suono anomalo, qualsiasi presenza, ma niente si muoveva nella foresta se non le fronde dei grandi pioppi che sbatacchiavano alla leggera brezza del tramonto.
"Shad?", mormorai.
Lo vidi cambiare direzione e uscire fuori strada, alla ricerca della piattaforma di pietra su cui ogni guerriero poteva riposare, rimanendo al sicuro da ogni attacco, protetto dagli obelischi che si issavano in essa.
Quando la trovammo Shad andò a sedervisi in un sospiro e io lo seguii vagamente perplessa. Piano piano mi sorse il dubbio che forse, non avevamo alcuna avanguardia elisiana da attaccare.
"Si può sapere che ci facciamo qui?", gli chiesi con aria seccata. "Era una scusa, non è vero?".
Shad inarcò un sopracciglio senza scomporsi. "Può darsi".
Roteai gli occhi, ignorando il senso di disagio nello stomaco. "Andiamo Shad, perché mi perseguiti?".
Lui non rispose, anzi rimase per qualche minuto a riflettere spiazzandomi infine con una domanda che mi mise alquanto in difficoltà.
"Dove sei stata oggi dopo la Sillus?".
Ebbi un sussulto allo stomaco ma cercai di non darglielo a vedere, mantenendo la solita aria di sicurezza. "Da nessuna parte".
Shad scosse il capo ridendo sarcastico. "Selhen, Selhen... non ci vuole così tanto a tornare a Pandemonium dopo un siege".
"Perché ti fai gli affari miei, Shadow? La cosa non ti riguarda", lo apostrofai acida.
Lui annuì accomodante. "D'accordo, d'accordo... non ti chiederò nulla ma...", sollevò una mano e mi trascinò giù, accanto a lui. La guarnigione era ancora lontana e nessuno in quel momento si aggirava in quella zona. Io e Shad eravamo da soli, cosa che mi preoccupò alquanto, dati i nostri precedenti.
"Ho paura che tu ti metta nei guai, Selh".
Rimasi spiazzata da quell'affermazione. Ci volle qualche secondo prima che riuscissi a riprendere il controllo per ribattere. Corrugai la fronte scuotendo il capo incredula. "Ma cosa... cosa ti passa per la testa, Shad?".
Shad voltò nervosamente lo sguardo verso la folta foresta dietro di noi. Ormai era il crepuscolo e da lontano proveniva fievole il rumore piacevole del ruscello nascosto dalla folta vegetazione.
L'atmosfera rarefatta e le accese sfumature arancioni che accarezzavano irregolari la sua pelle pallida, mi lasciarono per un attimo affascinata.
I raggi del sole, ormai morente, si insinuavano tra i rami e la mia pelle sensibile ne percepì il debole calore quando ne fu sfiorata.
"Perché mi hai portata qui, Shad?", gli chiesi alla fine appoggiandomi con la schiena all'obelisco di protezione.
Lo vidi fare forza con le braccia possenti per issarsi e portarsi vicino a me, inginocchiandomisi di fronte per essere all'altezza del mio viso. Cercò il mio sguardo coi suoi occhi di ghiaccio e mi accarezzò la guancia col dorso della mano artigliata.
Il suo tocco era soffice. Fu un gesto che mi mise a disagio e risvegliò in me un inspiegabile desiderio di lui. Avrei voluto che non finisse, che non allontanasse la mano. Avrei voluto sentire attorno al mio corpo la stretta rassicurante delle sue braccia. Avrei voluto che quei piccoli gesti fossero solo i nostri. Avrei voluto poter sognare qualcosa di più con lui, ma così non era. Lui apparteneva ad Ethun, e io... io dovevo fare in modo che tutto questo, tra noi, finisse.
La sua mano percorse lenta il profilo della mia guancia e mi sollevò il viso, quel tanto che bastasse perché le nostre bocche fossero vicine, a pochi centimetri di distanza.
Sentii il profumo del suo respiro, misto ai fiori notturni, delicato, solleticarmi pigramente le narici.
"Shad...", mormorai insicura, ricambiando il suo sguardo ardente senza volontà.
Il mio respiro si era inspiegabilmente agitato. La frustrazione di averlo così vicino, ammaliante e tentatore. Era una tortura fisica, un affanno inutile e gratuito a cui lui, probabilmente, non voleva rinunciare.
Infine Shad si sporse, quel poco che bastava perché le nostre labbra si sfiorassero. Le percepii morbide, rassicuranti. Mossi appena il capo per sentirne meglio il tocco, poi allungai una mano incerta, per stringere la sua che ancora mi sorreggeva il viso, e con tutta la forza di volontà che riuscii a raccogliere lo dissi: "No".
Shad non si scompose, ricambiò la mia fredda stretta con la mano e si lasciò cadere nuovamente seduto.
"Volevo solo passare del tempo con te", disse alla fine con aria tutt'altro che colpevole.
"E' per questo che hai scelto la guarnigione più sperduta del Katalam?", domandai sospirando.
"Proprio un bel posticino qui", rispose lui guardandosi curiosamente intorno.
"Direi quasi romantico", lo apostrofai sarcastica.
"Come sei perspicace, Selhen".
Mi accigliai. "Shadow, non eri impegnato?".
Shad annuì. "Ti salvi solo per questo", disse con un finto tono minaccioso.
Fui io, allora, divertita, a sporgermi verso di lui e a prendere il suo viso con una mano, per guardarlo negli occhi. Il suo labbro si pronunciò in maniera buffa alla stretta delle mie dita.
Per fortuna l'atmosfera si era alleggerita, tra noi.
"Muoio di paura!".
Ghignò. "Faresti bene, donna".
Lasciai andare il suo viso in una debole spinta e mi rimisi in piedi. "Sei bravo a giocare, Shadow, ma piano piano imparerò a non cascarci. Ho già guadagnato qualche punto". Sorrisi con aria di sfida.
"Chi ti dice che io stia giocando?", mi prese lui in contropiede, nel momento in cui avevo già cominciato a muovere le mani per evocare un portale che mi conducesse a casa. 
Mi bloccai.
"Il fatto che tu non sia mai stato serio, e mai lo sarai", scrollai le spalle.
"Che brutta opinione che hai di me", disse rammaricato mentre evocava un varco che lo avrebbe condotto a Pernon.
"Colpa tua".
Shad assunse un'espressione indecifrabile e mi invitò ad attraversare il suo portale con un cenno del capo.
"Ci vediamo a Pandemonium", gli dissi con un sorrisetto affettato tirando fuori dalla mia bisaccia una pergamena del teletrasporto per Pandemonium e ignorando palesemente il suo invito. La srotolai accuratamente e ne lessi con chiarezza la formula magica. Sentii il mio corpo essere avvolto da un torpore, poi la sensazione di dissolvermi nell'aria per ricompormi in un soffio di vento, davanti all'obelisco del tempio della Conoscenza di Pandemonium.
Poco dopo, al mio fianco comparve anche Shad. Il che mi incuriosì. "Non stavi tornando a casa, con quel portale?".
Lui sorrise sghembo. "In verità mi sono ricordato che ho un certo languorino".
"Morale della favola?", chiesi alzando gli occhi al cielo.
"Andiamo a cena!". Mi afferrò per un polso trascinandomi su per le scale del tempio della Conoscenza e ci trovammo entrambi all'aria aperta. 
Era calata la notte a Pandemonium che, mi accorsi, era tutta un gioco di luci e di torce divampanti. Io e Shad ci incamminammo a passo lento verso la piazza chiacchierando del più e del meno. Attraversammo il ponte Vifrost e la strada del Mercato che a quell'ora era solo occupata da daeva di passaggio, data l'assenza di mercanti.
Mi chiesi dove mi stesse portando. Mi ero immaginata che andassimo a prendere qualcosa alla taverna Apellbine, ma evidentemente Shad aveva in mente dell'altro, perché oltrepassato il grande tempio dell'oro, sui cui gradini erano seduti un gruppo di giovani daeva schiamazzanti, mi trascinò oltre al piccolo ingresso del Tempio degli Artigiani, per svoltare verso la Strada della Prosperità che percorremmo fino in fondo una volta girato a destra.
Una piacevole musica mi giunse alle orecchie quando fummo proprio vicino al fondo del viale, e infatti, c'era davvero una bella locanda da quelle parti.
"Da questa parte", mi disse lui con tono allegro prendendo la mia mano ma sciogliendola proprio quando fummo all'ingresso.
Ebbi una fitta allo stomaco, a quel sorriso. E le cose non migliorarono quando mi strinse la mano.
A volte mi chiedevo se Shad non mentisse, se non mi prendesse in giro. Ma com'era possibile che non ci fosse un po' di vero in quel sorriso?
Era riuscito a farmi totalmente dimenticare l'avventura di quel pomeriggio, con l'elisiano, quando facemmo ingresso nella grande locanda di Dorein e Kitanya. Shad salutò Dorein, immerso nelle sue ordinazioni, con un cenno del capo, poi ci guardammo intorno alla ricerca di un tavolo libero.
Era una taverna di gran lunga più grande della Apellbine, i tavoli erano ampi e rotondi, decorati con grandi tovaglie scarlatte che li ricoprivano. Al centro di ogni tavolo tremolava la luce di una candela profumata e sebbene l'ambiente fosse piuttosto scarno, su ogni tavolo era sistemato con cura un piccolo vaso di fiori colorati.
Esplorai il posto con lo sguardo, tra gli schiamazzi della clientela. Su una panca poco distante da noi un Daeva piuttosto euforico si stava atteggiando con sfida nei confronti di un altro. Evidentemente entrambi avevano alzato un po' troppo il gomito, perché sul loro tavolo giaceva, rovesciata, una bottiglia di vino.
"Non ero mai stata qui", dissi a Shad accomodandomi nella sedia che lui aveva prontamente scostato per me.
"Una vera eresia, visto che si mangia divinamente", disse lui andando a prendere posto di fronte a me.
"E dunque questa sera sarai tu ad offrire?", lo incalzai divertita.
"Hai qualche dubbio sul fatto che io non sia un gentiluomo?"
"Sì certo, un egocentrico gentiluomo piuttosto montato".
Ridacchiò quando io, accidentalmente, urtai un bicchiere di vetro che si rovesciò.
"Dio! Oggi non è proprio giornata!". Lo rimisi in piedi nervosamente.
"Chiamami pure Shad!", disse lui sorridendo sornione alla mia imprecazione.
"Mh", annuii tornando a guardarlo, "Sì, decisamente un daeva egocentrico e irritante". Mi accarezzai un ciuffo di capelli con le dita.
"E' per questo che sei pazza di me!".
"Non sei divertente".
"Anch'io ti adoro Selh"
Scossi il capo arresa. "Va bene, va bene, hai vinto!".

La serata era trascorsa così, tra una risata e l'altra. Avevamo consumato le nostre appetitose porzioni a base di spezzatino di poma per poi concludere con un delizioso dessert di Marmellata di zeller ed etere, il tutto coronato da più giri di cocktail di drupa che, forse, mi avevano dato leggermente alla testa.
"E dimmi che ne pensi di questo", stavo dicendo a Shad ridendo schiamazzante per le strade deserte di Pernon. Era notte inoltrata, e tutta la città era immersa nel silenzio e nella pace. L'intera Asmodae dormiva.
"Un asmodiano che mi lascia viva anche per la seconda volta", sorrisi ebete, "che sbadata, dovevo dire... elisiano", scandii enfatica l'ultima parola inciampando.
Shad mi sorresse per un braccio accompagnandomi fino alla porta della mia abitazione.
"Per la seconda volta?", mi chiese lui lucidamente, "stai parlando di Velkam?".
Mi bloccai appoggiandomi malamente alla porta di casa e strizzai le palpebre toccandomi la fronte. La testa mi faceva male.
"Oooh, avanti Shadow... che ci sarà mai di strano nel fare amicizia con un elisiano?", ridacchiai.
Shad scosse il capo guardando altrove. "Di questo parleremo domani, quando sarai più lucida".
Sorrisi gongolando sul posto. Ero scivolata per terra, sui gradini dell'uscio.
"Adesso alzati e vai a nanna, su". Il suo tono voleva sembrare più tranquillo di quanto in realtà desse a vedere.
Mugugnai provando a sollevarmi goffamente ma senza risultati e ci riuscii solo quando Shad mi tirò su con la sua presa salda. A tentoni provai a infilare la mano nella borsa, con scarso esito.
"Non trovo le chiavi", biascicai oscillando pericolosamente con le gambe molli.
Vidi sul viso di Shad balenare un sorrisetto divertito e togliermi la borsa di mano per frugarci dentro. Quando trovò le chiavi le infilò nella toppa e mi sollevò tra le braccia per andare ad adagiarmi sul letto, congedando Mnerunerk con uno sguardo.
Deglutii, avevo la bocca secca e mi girava la testa. Sporsi le braccia verso di Shad sghignazzando. "E adesso cosa farai? Mi rimboccherai le coperte, gentiluomo?".
Lui mi scostò un ciuffo di capelli che si era impigliato alle mie labbra secche e si chinò, molto lentamente, per suggellarle con un piccolo bacio leggero. Non durò molto, ma fu comunque bellissimo.
"Credo che per il momento il bacio della buonanotte possa bastare, non vorrei viziarti troppo coi miei servigi".
Feci una smorfia piuttosto enfatizzata. "Sei sempre il solito str...".
Fui interrotta da un suo dito sulle labbra."Shhh, aspetta a darmi certi epiteti", mi sussurrò dolcemente alzandosi in piedi.
"Buonanotte Shadow...", biascicai fulminandolo con lo sguardo per poi girarmi su un fianco con gli occhi già chiusi.
"Buonanotte, Selh", disse lui piano. Rimase a fissarmi per qualche altro secondo con un sorriso enigmatico sulle labbra, poi, scuotendo appena il capo ad un pensiero che gli era balenato nella mente, si avviò verso la porta e la aprì con delicatezza scivolandovi oltre.

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Capitolo 5
*** -5- Kamar ***


Era una notte buia e senza luna a Kamar.  Quel giorno avevo fatto tardi con le missioni giornaliere che il Consiglio delle ombre di Kamar mi aveva assegnato visto che di mattina ero rimasta a casa con un terribile mal di testa, reduce della sbornia della serata passata. A rimettermi in sesto, con uno dei suoi infusi miracolosi, c'aveva pensato Mnerunerk, e così nel primo pomeriggio avevo deciso di uscire di casa per correre a sbrigare alcune missioni strettamente necessarie.
Adesso, nel buio della fortezza di Kamar, all'ombra maestosa di quell'oscuro colosso di pietra, me ne stavo seduta sui gradini dell'entrata.
La luce sparsa e soffusa rischiarava la piazza d'un colore latteo, mentre il parlottio di voci insistenti in un'altra lingua attirava la mia attenzione.
La piazza era gremita di elisiani persino a notte fonda. Saettavano, sfrecciando a bordo delle loro nuvolette eteree, o discutevano con i guerrieri presenti degli esiti delle loro missioni.
Kamar era uno dei pochi posti in cui potevo starmene ore seduta ad osservarli senza paura di essere attaccata da uno di loro. Mi incuriosiva tantissimo il loro mondo, prestavo orecchio alle loro conversazioni, tentavo di decifrare la loro lingua.
Con non poca fatica ero riuscita a capire che la loro forma di saluto era una semplice parola: Hmeo.
Ripensai a Velkam, il singolare e unico elisiano che fino ad allora avevo conosciuto da vicino. Chissà come mai era in grado di parlarmi in perfetto asmodiano.
Non esistevano scuole o insegnanti della loro lingua ad Asmodae. Che fosse diverso ad Elysea?
I miei occhi caddero su una coppia di giovani elisiani poco lontani da me. Dovevano appartenere alla stessa legione, a giudicare dai mantelli.
La ragazza, una barda piccola e dalla pelle rosea, aveva i capelli di un biondo lucente. I suoi occhi ridenti erano azzurri, il suo viso era quasi angelico. Stava parlando allegramente con quello che supposi dovesse essere il suo compagno. Un arciere dai capelli tinti di verde scuro e dagli occhi altrettanto verdi. Anche tra gli elisiani non era strano trovare tipi stravaganti. Notai il taglio di capelli del tipo, un ciuffo ricopriva l'occhio tatuato. Che fosse una moda tra gli arcieri elisiani quella dei segni sull'occhio? 
Un piccolo sorriso mi comparve sulle labbra quando ripensai a Velkam. 
Avrei voluto potesse essere così semplice anche per me scambiarci due parole, conoscerlo; esattamente come lo era per quei due elisiani stare insieme.
Per quanto fosse un elisiano, dovevo ammettere che Velkam era un tipo interessante.
Guardai nuovamente la coppietta di elisiani accanto a me. Adesso lui le stava sorridendo, e si era esposto per lasciare alla ragazza bionda un bacio sulla fronte. Lei aveva sorriso dolcemente e si era lanciata a capofitto tra le sue braccia.
Osservai i loro corpi, erano così umani. 
I miei occhi caddero sulla mia mano chiusa a pugno. Era bianca come un cencio e quando distesi le dita l'anello al mio dito rilucette sinistro alla luce delle torce.
Il mio sguardo percorse gli artigli, mentre istintivamente l'altra mano correva alla mia schiena per sfiorare la coda fulva e candida come i miei capelli.
Guardai ancora gli elisiani, stretti l'uno all'altra e sospirai. 
Già... eravamo così diversi!
Con quei pensieri raccolsi le ginocchia su di un fianco e rimasi a fissare quei due finchè non li vidi sparire alla volta del teletrasporto, diretti chissà dove.
“Ciao”, udii alle mie spalle una voce poco familiare. Doveva trattarsi di qualcuno che era uscito proprio in quel momento dalla fortezza visto che io davo le spalle a quella che era l'entrata principale.
Non feci in tempo a voltarmi che il ragazzo che mi aveva salutata mi si parò davanti. Nascosto dalla penombra non ne potei mettere subito a fuoco il viso ma non ebbi dubbi quando i miei occhi caddero sulle sue dita tozze e per nulla affilate. Era un elisiano.
“Velkam?”, chiesi curiosa sollevando il capo a cercare il suo sguardo.
“A quanto pare...”, fece lui con un mezzo sorriso incrociando le braccia e guardandosi intorno con spavalderia.
Appoggiai le mani sul marmo dello scalino e mi misi più comoda per poterlo osservare meglio. “Cosa ci fai qui a Kamar?”, gli chiesi. Un sorriso spontaneo e amichevole mi comparve sul viso.
“Quello che ci facevi tu, probabilmente...”, mi disse lui indicandosi l'arco sulle spalle. “Guadagnavo qualche moneta Kaharun”, ammiccò con entrambe le sopracciglia. “Come sai bene gli equipaggiamenti costano”.
Distolsi per un attimo lo sguardo da lui per fare il giro della piazza, nessuno sembrava avere fatto caso a noi.
“Sei riuscita a tornare casa sana e salva, vedo”, aggiunse con un sorrisetto che aveva ben poco di protettivo.
“Sì, me la sono cavata”, risposi sempre meno convinta di quella conversazione. “Non avevi detto che non avrebbero visto di buon occhio che un asmodiana ti rivolga la parola?”, chiesi poi sinceramente curiosa.
Velkam corrugò la fronte seguendo il mio sguardo, poi ridacchiò con sarcasmo. “Più che altro, non sarebbe vista di buon occhio un'asmodiana che da un tenero bacio ad un ufficiale elisiano”, si morse il labbro camuffando un ghigno che aveva tutta l'aria di essere una presa in giro.
Se in quel momento avessi potuto arrossire, di certo l'avrei fatto. Il tizio elisiano, a quanto pareva, sapeva come mettermi in difficoltà.
“Ma questo non succederà più, suppongo... quindi perché preoccuparsi?”, mi si sedette accanto gettando una vaga occhiata divertita alla mia coda sparsa un gradino più in alto. 
“Che poi...”, continuò, “sono i nostri superiori a volere la tregua a Kamar, quindi non vedo perché non dovrei riempire di insulti un asmodiano in un luogo in cui gli è praticamente impossibile attaccarmi”, rise sghembo e si passò nervosamente una mano a sistemare il ciuffo che gli copriva parzialmente la cicatrice. “Non è il nostro caso, si intenda, ma nessuno sa di cosa stiamo parlando”, concluse con un occhiolino.
“Come te la sei fatta?”, chiesi di getto alludendo alla cicatrice. Non avevo neanche dato attenzione alle sue parole. Ero distratta. Mi era quasi impossibile credere che stessi intrattenendo una conversazione con un elisiano, e non sapevo neanche se avessi potuto prendermi la libertà di domandargli certe cose, dato il suo alto rango. Eppure mi era venuto spontaneo.
“Cosa?”, chiese lui senza capire bene.
“La... la cicatrice che hai sull'occhio”, balbettai infine poco sicura.
Velkam abbozzò un sorriso e soffiò verso l'alto per lasciare che il ciuffo si sollevasse di qualche millimetro. “Dici questa?”, chiese indicandosela con un dito, “me la procurai in abisso contro un brutto ufficiale asmodiano che era poco propenso all'amicizia”, scrollò le spalle ironizzando. 
Per un attimo sentii il suo braccio caldo toccare il mio. Dovetti sembrargli gelida perchè si scostò all'improvviso, il che mi mise leggermente in imbarazzo.
“Siete sempre così freddi?”, mi domandò corrugando la fronte vagamente incuriosito.
“Più... più o meno”, balbettai allarmata, tormentandomi una mano con gli artigli dell'altra.
“Credevo che lo foste solo da mort...”.
Dovette accorgersi che mi ero incupita perchè si riprese quasi subito tossicchiando chiaramente imbarazzato: “Cioè... insomma... volevo dire...”.
Lo zittii sollevando una mano e annuii tristemente. “So già cosa volevi dire, e sinceramente, elisiano... mi stupisce tutta questa tua eloquenza, oggi...”, sbuffai.
“Mi daresti dell'idiota se ti dicessi che stupisce un po' anche me?”.
Mi stropicciai gli occhi stancamente prima di rispondere con tono piatto: “Decisamente”.
Notai che la mia risposta lo aveva lasciato perplesso finchè non sembrò riprendere la sicurezza di sempre.
Io, intanto, mi ero messa a guardare il cielo buio e senza nuvole quasi in trance, quando lui tornò a parlarmi in un sussurro, come se non volesse realmente disturbarmi. “Come fate voi asmodiani a essere così innamorati della notte? Vivere nel buio quasi perenne... deve essere terribile”.
Distolsi lo sguardo da quella tavola nero pece per ripuntare i miei occhi su quelli verdi e lucenti di lui. Osservai i lineamenti rosei e delicati di Velkam e sorrisi sarcastica. “Probabilmente perchè non siamo elisiani, non ci avevi mai pensato?”, gli dissi inarcando un sopracciglio.
L'angolo del suo labbro si curvò impercettibilmente. “Che creature affascinanti gli asmodiani! Letali, quanto affascinanti”.
Lo osservai a fondo per qualche secondo, poi provai ad osare con un'altra domanda.
“Come conosci la lingua asmodiana?”.
Lui ammiccò simpaticamente prima di rispondere con un tono tanto irritante da ricordarmi Shad.
“Non credo che questo ti riguardi...”, si alzò in piedi scrollandosi i pantaloni. “Per oggi ti ho concesso fin troppe risposte... il bello del mistero si estinguerebbe”, terminò con sguardo birbante grattandosi il mento.
Scrollai le spalle arresa. Ero pronta a una risposta del genere, e per me, in quel momento, quel dettaglio non era essenziale da conoscere, quindi non replicai.
Rimanemmo in silenzio per qualche altro secondo. Io persa nei miei pensieri e lui nei suoi. Stavo guardando la folla di elisiani intorno a noi,e forse era stata una mia impressione, ma c'era qualcuno che ci guardava sospettoso. 
All'improvviso qualcuno chiamò Velkam. Ci girammo insieme verso il punto da cui era provenuta quella voce. Riconobbi l'elisiano assassino dai capelli rossi, Gaar. Quando mi notò lui ammiccò nella mia direzione, dando segno di avermi notata, poi la sua attenzione si concentrò su Velkam a cui fece cenno con un dito, invitandolo a raggiungerlo.
Fu nel momento in cui i due elisiani si confusero tra la folla, non molto lontani da me, che i miei occhi caddero su un portale che si era appena formato nei pressi del teletrasporto, lasciando uscire uno spirito del vento seguito dal suo proprietario. Shad.
Imprecai. Adesso sì che le cose si mettevano male. Andai in panico. Se Shad avesse notato Velkam nelle vicinanze sarebbe successo il finimondo.
Raccolsi all'improvviso armi e bisaccia sperando di sfuggire al suo sguardo, ma lui voltò troppo presto gli occhi nella mia direzione. La sensazione fu quella di rimanere inchiodata sui gradini della fortezza, senza sapere realmente come comportarmi. Dovevo avere un'aria talmente smarrita che Shad lo percepì, perchè corrugò la fronte perplesso.
“Buonasera Selh, qualcosa non va?”, disse poi allegramente raggiungendomi fino a sfiorarmi i capelli con una mano.
Abbassai lo sguardo imbarazzata mentre dentro di me pregavo che non si accorgesse della presenza di Velkam, poco distante da noi.
“Ciao Shad, certo che no...”, lo salutai tentando di spostarmi per far sì che lui ruotasse e desse le spalle al gruppo di elisiani che conoscevo. “Qual buon vento?”, aggiunsi tentando di apparire disinvolta.
“Ti cercavo, e sapevo che ti avrei trovata a Kamar a guadagnare Kahrun”.
Ridacchiai. “Sono davvero così prevedibile?”. Mentre facevo quella stupida domanda percorsi i suoi muscoli asciutti con lo sguardo. Avrei potuto sporgermi solo per un momento, sfiorarlo con una scusa qualunque. 
Ogni volta che lo avevo troppo vicino il mio autocontrollo andava in tilt, ma nonostante ciò, mi imposi di restare al mio posto.
“Di che devi parlarmi?”, gli chiesi portandomi la bisaccia a tracolla.
“Volevo il resoconto dettagliato di  ieri pomeriggio”, disse con finta indifferenza e mi zittì con lo sguardo quando provai a ribattere indignata.
“Sì, che lo farai!”, tuonò austero poggiandomi delicatamente un dito sulle labbra per zittire i miei dinieghi.
“Velkam mi ha solo aiutata a sfuggire ad un gruppo di balaur, tutto qui...”, dissi arresa.
“Ti ha aiutata?”, rise sarcastico inarcando un sopracciglio.”Con quale secondo fine?”.
Incrociai le braccia. “Nessun secondo fine Shadow, rilassati”.
Lui mi prese un polso con impeto, ma lo lasciò subito dopo rendendosi conto di essere in mezzo a una folla.
“Nessun elisiano fa niente per niente, Selhen”, sibilò ammonitore.
“Velkam non è così”. Mi surriscaldai. Volevo fargli capire che non c'era niente di male nell'essere risparmiata da un nemico che probabilmente non era come tutti gli altri. Non doveva fare di tutta l'erba un fascio.
“Velkam...”, continuò Shad infervorato ad alta voce, “è molto pericoloso per qualunque essere con coda e artigli che respiri”, ringhiò. “Perchè non capisci, Selhen?”.
“Non è vero!”, contestai debolmente. Non riuscivo più a sostenere il suo sguardo gelido e bruciante al tempo stesso.
I miei occhi andarono alle sue spalle, là dove notai con sgomento che l'elisiano aveva udito il suo nome quasi urlato da Shad, e si stava avvicinando. Probabilmente si era sentito chiamare in causa.
Shad raggelò quando si voltò trovandoselo alle spalle.
“No, no, vi prego, continuate pure...”, aveva detto l'elisiano incrociando le braccia con un sorriso di scherno. “Stavo giusto per andare a prendere uno spuntino da consumare mentre assistevo”.
“Velkam!”, lo richiamai. Dovevo fare in modo che si calmassero le acque o quel giorno ci sarebbe saltata fuori una bella rissa.
Tu!”, sputò Shad inchiodandolo con lo sguardo.
“Io?”, replicò Velkam tranquillo mantenendo le braccia conserte mentre lo guardava con falsa curiosità.
Gli occhi di Shad brillarono di una rabbia sopita, un luccichio rosso e sinistro aveva trasfigurato per un momento il suo sguardo.
Poggiai una mano insicura sul suo avambraccio. “Shad, non ne vale la pena”, gli mormorai vicino.
“Stanne fuori, Selhen”, sibilò lui afferrando Velkam per il giubbino in cuoio.
“Ehi, ehi, asmodiano...”, stava dicendo Velkam con un tono totalmente trasfigurato. La sua voce aveva assunto una chiara sfumatura di presunzione mentre fissava Shad con sguardo sprezzante.
“Se hai qualche problema da risolvere c'è sempre l'abisso, vero Gaar?”, aveva aggiunto chiamandosi accanto il compare, il quale, con la solita aria di scherno, teneva tra le mani l'elsa delle sue spade, minaccioso.
“Spera solo di non incontrarmici, lurido elisiano”, ringhiò Shad scoprendo i denti in un gesto di chiara ostilità.
“L'ultima volta non ti è andata tanto bene, mi sembra. Vero Shadow?”, continuò Velkam con fare sfacciatamente provocatorio.
“Puoi star tranquillo, Velkam, che la prossima volta non te la caverai tanto facilmente!”, sibilò tra i denti.
Velkam rise sonoramente allargando le braccia. “Che arrivi in fretta quel giorno allora! Muoio dalla voglia di ficcarti quella freccia alla gola che non ti ha mai ucciso, quel giorno di qualche anno fa”.
“Smettetela!”, mi lamentai tirando Shad per un braccio. “Shad, ti prego...”.
“Sta' lontano da lei, sporco elisiano”. Terminò Shad con gli occhi accesi dalla furia asmodiana, “o ti giuro... ti giuro, che se vengo a sapere che l'hai incontrata un'altra volta, vengo a stanarti in quella topaia elisiana in cui ti nascondi, e ti ammazzo con le mie mani!”.
Velkam scrollò le spalle. “E mi impediresti tu di fare con lei quello che voglio?”.
Spalancai la bocca offesa e un po' ferita da quelle parole che mi colpirono come una stilettata al cuore.
Shad ghignò soddisfatto dalla mia reazione. “Visto Selhen? Mai fidarsi di un schifoso elisiano”. Proferì lanciandomi un'ultima occhiata truce prima di aprire un portale e gettarvisi dentro seguito dal suo spirito del vento.
Il varco rimase a galleggiare nell'aria, mentre ferita guardavo Velkam che si stava grattando il capo con la solita aria da falso innocente.
Non aggiunsi altro. Che credevo? Di aver trovato un elisiano diverso dagli altri? Aveva ragione Shad. Nessun elisiano faceva niente per niente e Vekam era solo un falso doppiogiochista che aveva riconosciuto in me una potenziale ingenua spia che gli avrebbe spiattellato ogni movimento delle truppe asmodiane nel momento in cui saremmo entrati più in confidenza.
Scossi il capo con una sensazione di smarrimento crescente nelle viscere.
“Selhen...”, stava dicendo Velkam protendendo la mano per fermarmi, ma mi ero già lanciata nel varco di Shad senza voltarmi.
Non volevo sentire cosa avesse da dirmi, per quel giorno avevo sentito anche abbastanza.
Il varco mi risucchiò familiare e mi portò dritto davanti casa di Shad.
Ero confusa, spaesata, smarrita, ma di una cosa ero certa. Da quel momento, di Velkam non avrei voluto più sentire parlare.



Ed ecco a voi la traccia che ho associato a questo capitolo cari lettori ^^
http://www.youtube.com/watch?v=bhL5_O9ajh0
Eh sì, ho deciso che da adesso in poi assegnerò una traccia a mo' di colonna sonora, per ogni capitolo. In questo modo potrete ascoltare i migliori pezzi del gioco fonti delle mie ispirazioni.
Per chi volesse conoscere le immagini dei miei personaggi, ripeto anche qui, contattate in privato.
Bacione e spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.
Fate sapere che ne pensate nelle recensioniiii <3
Un bacione, la vostra autrice.

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Capitolo 6
*** -6- Sicurezze e paure ***


Quando mi ero lanciata nel portale di Shadow non avevo riflettuto sul fatto che sarei finita dritta dritta davanti casa sua, ma la rabbia nei confronti di Velkam era stata tale che avevo scelto il metodo più veloce per allontanarmi da lui.
"Shadow, Shadow... apri!". Mi ero lanciata contro la porta di casa di Shad e la avevo letteralmente presa a pugni. Volevo dirgliene quattro per tutto quello che era successo a Kamar, e per il modo in cui mi aveva messa in difficoltà facendomi temere, fino all'ultimo secondo, che sarebbe avvenuta una lite epocale.
Proprio mentre battevo con violenza il maniglione del grande portone in legno, uno spiraglio si aprì e da esso intravidi il viso annoiato di Shad.
Notai un piccolo particolare che quella sera mi era sfuggito. Al sopracciglio di Shad, perfettamente inarcato, rilucevano due anellini argentati.
"Si può sapere il motivo per cui stai buttando giù a pugni la porta di casa mia?", chiese lui aprendo il portone per venire sulla soglia.
I miei occhi scarlatti si puntarono sui suoi senza alcuna incertezza, anche se, quella sicurezza durò poco.
Perché stavo buttando giù la porta di casa sua? Non ero arrabbiata con lui, ma con Velkam, eppure fino a poco prima nella mia testa era balenato un pretesto per cui potessi andare a lamentarmi con Shad. L'unica cosa era che, adesso che me lo chiedeva, nessuna scusa sembrava verosimile e la verità era solo una: avevo voglia di stare con lui.
"Perché...", esordii con una falsa decisione nel tono di voce, "perché sei uno stupido guastafeste!". Lo spinsi senza chiedere permesso e feci ingresso in casa sua ignorando altezzosamente il suo shugo servitore.
Intravidi Shad scuotere il capo esasperato e venirmi dietro dopo aver richiuso la porta d'entrata. Io intanto mi ero seduta su una ricca poltrona del soggiorno e stavo cercando di placare la rabbia concentrando il mio sguardo sulla grande testa di Raksha, esposta come trofeo, accanto a una grande libreria in noce piena zeppa di libri rilegati in pelle.
"E così io sarei uno stupido guastafeste ma tu... tu non saresti un'esaltata pacifista pazza suicida", disse versandosi un liquido scuro in un elegante bicchiere di vetro e riposando la bottiglia sul tavolo del soggiorno.
Lo guardai male. "Potrai anche avere avuto ragione ma... per poco non ci ritrovavamo le autorità di Sarpan nell'intento di fermare una lite violenta e assurdamente stupida!", sbottai surriscaldata osservando la sua mano stretta al bicchiere. "E comunque...", proseguii altezzosa, "pensavo che fossi così galante da offrirmi qualcosa".
Shad ridacchiò e sollevò la bottiglia, "Questa roba non fa per te", disse divertito mandando giù l'intero bicchierino e poggiandolo, in un tintinnio, di fianco alla bottiglia scura.
"Selhen... ho la vaga sensazione che presto, molto presto, tu ti metterai nei guai". A passi molto lenti percorse il perimetro della stanza fino a raggiungermi. 
"Qualcuno ti ha mai raccontato la favoletta del nostro popolo? Sai... quel raccontino in cui ci stanno dei cattivi, boriosi tizi con le alucce bianche che ci odiano a morte...".
Lo fulminai con lo sguardo. C'era una domanda che mi premeva fargli, ma non ne avevo il coraggio.
"Conosco la nostra storia", sibilai acida.
"Ecco..." , continuò lui con aria soddisfatta, "ora proviamo a supporre che non sia una favola".
Roteai gli occhi stizzita e mi alzai in piedi spintonandolo per dirigermi verso la grande libreria alla parete. "Piantala di fare il mio angelo custode! Nessuno ti ha chiesto niente, Shadow. Quando imparerai a farti gli affari tuoi?", dissi gelida mentre scorrevo con gli occhi i titoli d'oro sul dorso di ogni libro.
Sobbalzai quando Shad, d'improvviso, mi prese per un braccio e mi voltò con violenza facendomi urtare con le spalle alla grande libreria. Da uno scaffale cadde per terra, sparpagliata, una pila di libri che era stata sistemata troppo in bilico.
"Quando tu smetterai di fare la pacifista suicida". Il suo sguardo severo incatenò il mio, poi le sue labbra morbide e invitanti si piegarono all'insù da un angolo.
Mi ritrovai imprigionata tra Shad e la libreria. Il suo corpo muscoloso, contro il mio, mi causò un brivido che al suo sguardo attento non dovette sfuggire.
"Shad...", mormorai confusa cercando nei suoi occhi una risposta a quello che stava per accadere tra noi.
"Shad... cosa...". Fui zittita dal suo indice che morbido e lento si posò sulle mie labbra rosse.
"Shhh", mi stava sussurrando suadente. "Riformulo la domanda", proseguì dolcemente, "quando capirai che se dovessi metterti in pericolo sarei capace di farmi ammazzare, per te?".
Non capivo, era tutto così confuso, così irreale e inverosimile. Quelle parole che non avrei mai immaginato Shad potesse proferire per me.
"Sei un maledetto diavolo tentatore, Shadow", sibilai tra i denti quando lui ebbe scostato il dito con cui stava percorrendo l'intero profilo della mia guancia, e poi giù, a segnare leggermente con l'artiglio, la mia gola.
"Che vuoi fare?", continuai con voce tremolante, scossa dai brividi. "Ethun...".
"Ethun...", intervenne per zittirmi,  "non è più un problema".
Corrugai la fronte senza capire. "Vi siete lasciati?".
Non rispose volutamente, né mi diede la soddisfazione di conoscere la verità, intento com'era a studiare le mie labbra con lo sguardo colmo di desiderio.
Incerta posai entrambe le mani sui suoi avambracci che mi tenevano imprigionata tra lui e la libreria. Percepii il calore del suo respiro e quel profumo di notte. L'oscurità della sua personalità duttile e carismatica balenò nel blu di quegli occhi magnetici.
Aveva la  bellezza di un dio e la duttilità di un demone tentatore.
"Shadow", dissi in un sussurro quando lui ormai era troppo vicino alle mie labbra.
Per tutta risposta lui mi rivolse un sorriso sghembo e catturò le mie labbra tra le sue costringendomi,  o meglio, invitandomi ad un bacio profondo e passionale che io fui ben felice di ricambiare.
Le mie mani, dapprima incerte, si strinsero convulsamente sui suoi avambracci scoperti e muscolosi mentre il respiro mi si affannava nella foga di quel bacio da sempre tanto agognato.
Con una sicurezza spiazzante Shad mollò la presa dalla libreria per infilarmi entrambe le mani tra i capelli e sorreggermi il capo continuando, vorace, a cercare le mie labbra umide e arrossate da quel lungo contatto.
Ad un certo punto i denti di Shad si strinsero suo mio labbro inferiore e le sue mani si mossero alla volta del vestito rosso, alla ricerca dei laccetti che me lo tenevano chiuso.
"Shadow, che stai facendo?", dissi incerta quasi senza volontà. 
"Quello che avrei voluto fare da quando ti conosco", mormorò lui accostando sensuale le labbra al mio orecchio. "E non mi stupirebbe se questo valesse anche per te...", continuò con un mezzo sorriso storto tirando il primo laccetto.
Abbozzai un sorriso a quell'ultima osservazione e quando percepii il vestito allentarsi raccolsi due lembi della sua maglietta aderente per sfilargliela dalla testa, contemplando per qualche minuto il suo corpo pallido e muscoloso, adornato di cicatrici. Tante cicatrici, quasi fossero prepotenti trofei di battaglia, esposte a vita su quel corpo divinamente bello.
Il bacio che si era interrotto per poco riprese, più ardente e appassionato di prima. In me si era risvegliato un istinto sopito che la morbidezza delle labbra di Shad e i brividi, che con il suo tocco mi causava, erano riusciti a far tornare a galla.
Sentivo nella mia bocca il sapore dolciastro e alcolico della bevanda che poco prima si era servito e il suo fiato caldo sul mio viso si era spostato poi all'incavo del mio collo, dove aveva cominciato a lasciare numerosi piccoli baci.
Chiusi gli occhi inebriata da quella sensazione e affondai le unghie nelle sua pelle, mentre con la mano sinistra stringevo in un pugno i capelli alla sua nuca.
"Avevo detto che non ci sarei ricascata", balbettai senza però opporre alcuna resistenza.
"Cosa te lo impedirebbe?", sussurrò lui risalendo con lo sguardo ai miei occhi mentre scostava una bretella del mio vestito rosso scoprendomi una spalla.
"Non ti ho mai considerato un tipo molto affidabile, Shad".
Per tutta risposta lui mi accarezzò una guancia con la mano fresca. "L'ho sempre detto che hai una brutta opinione di me".
Risi ironica. "Guarda un po' come mi hai ridotta" , mi indicai la spallina che era stata abbassata decisamente con poca delicatezza. "Potresti fare qualcosa per farmi cambiare idea magari...".
Shad mi guardò interrogativo per un momento, poi sorrise sghembo e con eleganza riportò delicatamente la spallina al suo posto.
"Un gentiluomo che si rispetti non costringerebbe mai una donna a fare quello che non vuole". L'aria teatrale con cui lo disse mi fece capire che voleva essere una ripicca nei miei confronti.
"Se è a giocare che mi stai invitando, non mi tiro indietro", concluse con tono irritante raccogliendo la sua maglietta da terra per infilarsela nuovamente.
Si allontanò da me per ritornare al tavolo e versarsi dell'altro liquido nel bicchiere.
Scossi il capo ridendo. Ormai i suoi simpatici giochetti non mi impressionavano più ne sarebbe riuscito a imbarazzarmi per così poco. Era ovvio che Shad volesse rimanere con il coltello dalla parte del manico.
Per quel giorno tutto sarebbe finito lì, e la cosa, forse, neanche mi dispiaceva. 
Mi risistemai il vestito con nonchalance e lo raggiunsi al tavolo poggiandogli entrambe le mani sulle spalle.
Da una parte lo desideravo ardentemente, ancora in quel momento, ma sarei stata abbastanza forte da non dargliela vinta e da fare il suo gioco. 
"Bravo Shad", sussurrai suadente al suo orecchio. "Sei proprio un gentiluomo".
Ridacchiai scuotendo il capo prima di allontanarmi verso la porta accompagnata dal rumore cadenzato dei tacchi dei miei stivali.
"Oh. .. ti conviene sistemare quei libri", conclusi indicandoli ai piedi della libreria con un cenno del capo. Gli rivolsi un ultimo sorriso affettato e uscii dalla porta per richiudermela alle spalle.

L'episodio appena accaduto mi aveva stravolta, nonostante non lo avessi dato a vedere.
Da tanto tempo Shad mi piaceva. Lo avevo sempre guardato con paura mista a desiderio.
Sì,  Shad mi metteva anche paura. Era totalmente imprevedibile e dopotutto, quello che era appena successo a casa sua, ne era stata la prova.
Chissà che avrebbe pensato Saephira di tutto questo.
Con questi pensieri ero giunta al teletrasporto di Pernon, avrei voluto fare un salto a Pandemonium per una cena veloce, prima di ritornare a casa. Ero totalmente a digiuno.
Salutai cordialmente il responsabile del teletrasporto e dopo aver pagato per il viaggio mi ero lanciata nel portale  ritrovandomi in poco tempo davanti all'obelisco del grande tempio di Pandemonium. 
Con la mente ancora ingombra da mille pensieri mi diressi a passo svelto oltre il ponte Vifrost e feci una breve sosta sui gradini della piazza per frugare nella bisaccia alla ricerca di qualche moneta con cui avrei pagato la mia cena.
"Ehi Selhen !", udii qualcuno chiamarmi.
Vagai con lo sguardo per tutta la piazza e i miei occhi si soffermarono su un tipo dai capelli bianchi come i miei che agitava le braccia per farsi notare. Ci misi qualche secondo a capire chi si trattasse poi sorrisi sincera.
"Dahnael!". Il mio sorriso si allargò e senza pensare all'ultimo litigio che stupidamente ci aveva separati accelerai il passo per raggiungerlo e stringerlo affettuosamente in un abbraccio a lungo sperato.
"Stupido, non sai quanto mi sei mancato".
Lui mi sorrise. "Se anche tu non mi fossi mancata, non sarei venuto a cercarti".

[Eh eh eh... posto il pezzo di questo capitolo u.u un pezzo che adoro.
http://m.youtube.com/watch?v=38ACAg1XAv8
Sappiate che ho ricopiato questo capitolo dal cellulare solo per voi è.é visto che mio fratello stavolta non mi ha ceduto il pc.
Spero che gradirete anche questo capitolino. Recensite e ditemi che ne pensate. Bacio! ♡

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Capitolo 7
*** -7- Una serata singolare ***


Rincontrare Dahnael dopo così tanto tempo era stata davvero una sorpresa. Lui era là, uguale a sempre, con i suoi capelli candidi e gli occhi grigi, quasi vitrei. Le labbra erano disegnate e serie, la testa un po' curvata mentre mi ascoltava e l'aria austera del tiratore scelto con tanta esperienza alle spalle.
"Dove sei stato in tutto questo tempo?", gli domandai mentre passeggiavamo per le vie deserte di Pandemonium. Lui ridacchiò prima di svoltare nella direzione dell'Apellbine.
"Sai, Katalamize... è dura, e ti ruba molto tempo. Sto cercando di procurarmi l'armatura di Iperione. Una volta ottenuta diverrò imbattibile".
Scossi il capo ridendo. "Sempre in fissa con il rango tu, eh?".
Annuì allegro. "Qualche settimana fa mi hanno promosso ad Ufficiale a una stella, è inutile dire che aspiro al titolo di generale! Almeno per ora...", inarcò entrambe le sopracciglia.
"Poi anche più in alto...", terminai io completando la sua frase.
La sua risata melodiosa e cristallina rimbombò sotto la volta coperta da cui si accedeva all'Apellbine. Davanti l'entrata sfavillavano due torce fiammeggianti che con la luce guizzante sembravano darci un caldo benvenuto.
"Hai impegni tra qualche ora?", mi chiese Dahn mentre ci accomodavamo ad un tavolo.
Mi accigliai. "Tra... qualche ora?", lo guardai con l'aria di chi guarda qualcuno con qualche rotella fuori posto. "Tra qualche ora sarà mezzanotte Dahn... cosa credi di fare a quell'ora?".
Dahn parve riflettere qualche secondo. "Credevo sapessi del party estivo al chiosco della piazza di Pandemonium".
"Party?", chiesi sorpresa. Non capivo.
"Avanti Selh, non hai visto il chiosco che hanno montato accanto al lago della piazza? Hanno anche organizzato un bagno di gruppo".
Scoppiai a ridere. "Ma è roba da matti!".
"La definirei una bella novità... tra qualche ora la piazza sarà gremita di gente".
"Wow!", esclamai poco convinta, "ma io... non sono in tenuta da festa, Dahn". Mi osservai i vestiti, non che fossi in disordine, ma la mia era una fissazione.
"Sei perfetta, invece", sbuffò Dahnael scorrendo il menù con gli occhi. "Che ne dici di questo spezzatino? Ha l'aria deliziosa", girò il menù dalla mia parte e io annuii vaga, senza neanche aver letto di che cosa si trattasse.
La mia mente già galoppava, ci sarebbe stato anche Shad a quella festa? E Ethun? Si erano veramente lasciati?
"Selh... Selh".
Mi riscossi, Dahn mi stava sventolando il menù davanti agli occhi mentre il cameriere veniva a servirci gli spezzatini che avevano un odore delizioso.
"Ma mi stai ascoltando?"
Lo guardai colpevole. "Ehm... veramente".
Dahn scosse il capo e con aria paziente mi guardò. "Non sei cambiata. Sempre la solita distratta", sorrise malinconico. "Sei ancora la sbadata di sempre?".
"All'ennesima potenza!". Scoppiai a ridere cominciando a mangiare il mio spezzatino.
"Mi è dispiaciuto non averti intorno per tutto questo tempo, ma... le legioni differenti, gli impegni numerosi, e un po' anche gli eventi accaduti in questi anni, hanno lasciato che ci allontanassimo".
Allungai una mano sul tavolo a stringere la sua fresca e un po' callosa. "Se non fossi tornato tu lo avrei fatto io". Sorrisi dolcemente guardandolo negli occhi, e fu quando anche lui mi strinse affettuosamente la mano, che sentii realmente quanto mi fosse mancato.
"Ti voglio bene Dahnael", mormorai guardandolo negli occhi. "Non andartene più".
Il suo sorriso fu rassicurante. "Ci terremo in contatto, te lo prometto, ma per adesso...", disse buttando giù un bicchiere di vino, "pensiamo a divertirci".
Si riconcentrò sul suo piatto che terminò il un baleno. Dahn era tanto magro quanto mangione. Avesse mangiato anche una gorgone intera sarebbe rimasto il solito stecchino!
Io ci misi un po' di più a terminare il mio piatto.
"Che mi dici della tua vita amorosa?", gli chiesi poi con aria furba, appoggiando un gomito sul tavolo a sorreggermi il mento.
Dahn per poco non soffocò col vino che stava bevendo e mi guardò con aria smarrita. "Amore? Io? Scherzi?".
Lo guardai severa. "No, non scherzo".
"Sai che non sono fatto per queste cose", si aggiustò nervosamente il colletto del giubbotto in pelle.
"Sei il solito Casanova senza cuore?", chiesi con aria afflitta.
"Ma non sono un Casanova! Non è colpa mia se le ragazze mi sbavano dietro!".
"Si, ma non hai mai fatto nulla per impedirlo..." dissi cercando di non ridere, "e adesso vieni anche a vestire i panni della povera vittima!", conclusi teatrale.
Scoppiammo a ridere insieme, come ai vecchi tempi. Mi sembrò fare un salto indietro nel tempo, le marachelle in accademia, la nostra ascensione, le risa, le ironie, gli amori passati che l'uno aveva confidato all'altra, le tristi discussioni risolte con qualche lacrime e un abbraccio.
Dahn aveva sempre saputo tutto di me, e io di lui.
Una cosa era certa: avremmo dovuto recuperare tutto il tempo perduto a causa della lontananza.
 
Il momento della festa era arrivato e quando uscimmo dell'Apellbine la piazza era già colma di Daeva schiamazzanti. Una musica allegra e ritmata proveniva dal luogo dal chiosco poco lontano. Tutti i musici di Pandemonium, per l'occasione, erano stati invitati a suonare.
Il beach bar, così si chiamava il piccolo chiosco sorto nel centro della piazza, era pieno di luci e colori.
Le sedie sdraio tutte occupate e al banco dei cocktail un'indaffarata barista stava shekerando delle bibite con dei ghiaccioli.
Dahn mi prese per mano e mi condusse nei pressi di una Daeva ferma all'entrata della piattaforma sabbiata.
Tutto intorno al chiosco era stata sparpagliata della sabbia, candida quasi a voler riprodurre l'immagine delle spiagge paradisiache di Elysea. Delle palme si piegavano docili sulle sdraio e sugli ombrelloni colorati. Non che dovessero effettivamente riparare dal sole, ma era un montaggio ben inscenato per dare l'idea della stagione estiva, che più mite, si abbatteva su Asmodae.
"Biglietti per noi?", chiese Dahnael indicandomi. La Daeva ridacchiò immaginando che potessimo essere una coppia e strappò da un blocco in pergamena due piccoli tagliandi elegantemente vergati: Beach party.
Sorrisi a Dahnael quando consegnò entrambe i biglietti a un Daeva grande e grosso in costume da bagno. Era arcigno e piuttosto inquietante. Il suo corpo grigio pietra si confondeva col semibuio del luogo mettendo in risalto i preoccupanti occhi bianchi.
Accarezzai con lo sguardo il profilo di Dahn. Era piacevole. Le sue gambe lunghe e muscolose chiuse in aderenti pantaloni in pelle, stivali di cuoio, e al busto un giubbino pieno di cinghie, abbastanza stretto da metterne in risalto le braccia magre e muscolose. Alla cintura, proprio come me, portava i due immancabili revolver. Le mie armi luccicarono sinistre nel semibuio di quel posto.
Gettai un'occhiata al laghetto cristallino che riluceva alla luce della luna mentre l'acqua tremolava al debole vento sbatacchiando sui bordi.
Due Daeva al centro della pista si scatenavano ballando, e uno di essi mi urtò facendomi quasi cadere. Oscillai pericolosamente sui tacchi e mi appoggiai al bancone dove, sporgendomi, con stupore mi cadde lo sguardo su Saephira.
Saephira? Anche lei sapeva del party?
La vidi intenta a parlare con un Daeva alto e slanciato. La posa elegante e severa non lasciava dubbi riguardo a quale classe appartenesse. Era un fattucchiere.
"Vieni Dahn, guarda chi ti faccio rivedere", dissi al mio amico tirandolo per un braccio verso la combriccola.
Notai che Saeph indossava il vestito che le avevo regalato. Era a dir poco incantevole.
Il trucco attorno agli occhi era perfetto e accurato. Quanto alle sue labbra, erano perennemente incurvate in un sorriso allegro, dovuto forse, ai troppi cocktail mandati giù.
"Ehi Saeph!", urlai per sovrastare la musica. Quando la raggiunsi la punsi con un dito su di un fianco.
"Seeelh", strillo lei tutta contenta stringendomi tra le braccia affettuosamente.
Dahnael era rimasto di sasso, un po' impacciato le aveva sorriso.
"Ti ricordi di lui?", le chiesi tirandomelo accanto per un braccio.
Lei esultò. "Dahn, per Aion! Quanto tempo!". Si issò sulle punte lasciandogli un tenero bacio sulla guancia che Dahnael parve decisamente apprezzare.
Quando ebbi finito di parlare con Saeph scorsi i miei occhi scarlatti sul resto della combriccola.
"Loro sono Asther e Brahm", sorrise Saephira indicando prima il Daeva dai capelli rossi che le stava davanti, e poi l'altro, che a giudicare dallo spirito al suo fianco doveva essere un incantatore.
"Sono fratelli", continuò Saeph, "li ho conosciuti a Beluslan".
Guardai prima l'uno poi l'altro. Mi colpì l'incantatore, aveva un taglio del tutto singolare: rasato da una parte e con i capelli lunghi dall'atra. Stava a braccia conserte, taciturno e con l'espressione un po' imbronciata. I bicipiti robusti e la veste intarsiata di pietre luminose.
Il suo aspetto era piacevole e un po' inquietante.
Asther invece era più allegro ed elegante. I suoi modi di fare erano solari.
"E' un piacere Selhen", aveva detto con un sorriso a trentadue denti chinando il capo in segno di riverenza.
"Anche per me", dissi ricambiando il sorriso.
Guardai la mia amica di soppiatto con l'espressione di chi la sapeva lunga, giusto in tempo, prima che Dahn mi trascinasse in pista tra i Daeva ballerini.
Le cameriere intanto passavano allegramente tra il pubblico servendo cocktail ghiacciati e stuzzichini.
Si respirava una tale aria di festa che nessuno pareva ricordarsi delle battaglie che imperversavano nelle altre zone di Atreia.
A un certo punto, proprio mentre danzavo di fronte a Dahnael reggendomi con una mano alla sua spalla, il mio amico si piegò in due, come colto da una fitta allo stomaco.
Mi preoccupai e mi chinai subito a sorreggerlo per un braccio. "Dahn, che succede?", dissi con affanno.
Vedendolo ansimare come fosse in un attacco di panico, lasciai che si aggrappasse a me e lo condussi sulla prima sdraio libera per permettergli di sedersi.
Dahn si abbandonò sulla sedia reggendosi la testa tra le mani. "E' tutto ok, va benissimo", provò a sorridere rassicurante, ma la sua espressione non fece trapelare nulla di buono.
"Sei sicuro?", gli chiesi passandogli una mano tra i capelli attaccati alla fronte imperlata di sudore.
Lui deglutì e annuì col respiro un po' affannato, provando a regolarizzarlo. "E' tutto apposto", concluse con freddezza allontanando con violenza la mia mano che era poggiata sul suo avambraccio. Sembrava essere infastidito dalla mia presenza.
Rimasi sorpresa da quel gesto sgarbato e aggressivo, ma non lo diedi a vedere, piuttosto lasciai cadere il braccio lungo il fianco senza replicare.
"E' stato solo un calo di pressione", si giustificò Dahn rimettendosi in piedi.
Guardai stranita i suoi movimenti nervosi e mi allarmai. Pareva essere cambiato all'improvviso.
Di nuovo i miei occhi andarono a Saephira che chiacchierava allegramente con Brahm. Il tizio, per l'occasione, aveva esibito un sorriso così smagliante che mi stupì, visto che dava l'impressione di essere uno che ce l'avesse con il mondo intero.
Dahn, che sembrava essersi ripreso del tutto, tirò su col naso bruscamente e si piantò in faccia un sorriso strafottente che, mi accorsi, non era da lui.
"Basta, mi sto stufando, vado a ballare", disse schietto.
Lo guardai intimorita e un po' sconvolta allontanarsi da me, per tuffarsi nella mischia e senza preavviso prendere per un braccio una Daeva intenta a sorseggiare la sua bibita, facendola letteralmente sbattere contro il suo petto e sussurrandole delle parole all'orecchio.
Attonita scorsi Dahnael cominciare succintamente a ballare davanti alla ragazza che parve essere piuttosto consenziente alle sue avance.
Mi accorsi di avere spalancato la bocca dallo stupore e la richiusi allibita mentre assistevo a quel flirt in piena regola. Presto la mia espressione passò dallo stupore al disgusto. C'era qualcosa che non andava in Dahnael. Quello non era il mio migliore amico.
Imprecai indignata e mi mossi decisa verso quei due per richiamare Dahnael da quell'atteggiamento poco dignitoso.
"Si può sapere che vuoi?" disse lui infastidito.
"Cerco di salvarti da te stesso", lo fulminai con lo sguardo, "che ti prende? Non sei mai stato così... così...".
"Che vuoi saperne tu, di come sono?" sbottò lui prendendo le distanze per allontanarsi dalla folla.
La ragazza parve alquanto delusa dalla mia sgradita interruzione, ma poco mi importava, in quel momento.
Quella frase mi aveva colpita come un pugno allo stomaco. Dovetti metabolizzare per qualche secondo, poi gli corsi incontro. Dovevo capire cosa gli fosse preso.
"Dahnael... Dahnael..." lo chiamai. Per un attimo lo persi tra la folla, ma potei scorgerlo allontanarsi a passo svelto oltre la grande entrata, a quell'ora semideserta, del tempio dell'oro. Mi affrettai a raggiungerlo per quanto i tacchi me lo permettessero e quando svoltai in quel buio vicolo cieco dove lo avevo visto sparire,  rimasi di sasso.
Dahnael avendomi notata si stava affrettando a nascondere qualcosa nella tasca interna del giubbotto, passandosi poi, nervosamente, una mano sulle labbra. Qualcosa di dorato e sospetto sfavillò sul dorso di essa.
"Dahn, che cosa significa tutto questo? Ti prego, dimmi che non è quello che penso..." tesi una mano dalla sua parte avvicinandomi cauta.
Nei suoi occhi balenò un'espressione di dolore che mi allarmò. Mi sporsi con una mano ad accarezzargli una guancia e per la prima volta Dahnael chinò il capo, senza difese, verso quella carezza. "Sarebbe meglio che tu ne rimanessi fuori, Selhen", mormorò.
Con gli occhi lucidi ricambiai il suo sguardo tristemente. Volevo veramente conoscere il segreto di Dahnael? Perché una cosa era certa, un segreto ce l'aveva.
"Se c'è qualcosa che posso fare per...".
"Non c'è niente che tu possa fare!", sbottò in un impeto di rabbia lasciandomi impietrita nel buio e allontanandosi a passo celere alla volta del teletrasporto.
Mi accasciai sull'asfalto abbracciandomi le ginocchia tristemente. Non potevo credere che quella serata fosse finita in quella maniera. Ancora una volta qualcosa andava storto con Dahnael. Ma questa volta non lo avrei lasciato da solo. Negli occhi del mio migliore amico avevo letto una tacita richiesta d'aiuto che non avrei potuto ignorare per nessuna ragione.

[Pezzo del capitolo, anche se aggiornato con ritardo :
http://www.youtube.com/watch?v=FhEZv6jSEk0 ]

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Capitolo 8
*** -8- Scuse inaspettate ***


Mattina estiva di sole cocente a Katalam Nord quel giorno, ed io, come al mio solito, indugiavo all'uscita della fortezza dopo aver evocato la mia cagnolina Daf, indecisa se precipitarmi alla guarnigione più vicina, la 71, per far fuori un paio di fastidiosi intermediari elisiani presenti nelle sue vicinanze.
Ogni giorno scorrazzare per Katalam nord era una lotta alla sopravvivenza, nella speranza che un qualunque elisiano non ti cogliesse alle spalle e ti uccidesse senza che tu potessi neanche rendertene conto.
Sia loro che noi eravamo stati addestrati per questo: uccidere lo straniero: senza pietà, senza ripensamenti... non era importante come, il fine giustificava i mezzi, anche vigliacchi, anche se si era in tre contro un povero soldato di basso rango; e in questo gli elisiani erano più che bravi. 
Attraversai il verde corridoio che mi separava dall'esterno della fortezza e passando per la fitta vegetazione mi scrutai attentamente intorno sguainando i revolver. Tutto sembrava tranquillo.
Mossi ancora qualche passo e mi appoggiai cauta al grande tronco dell'occhio asmodiano che proteggeva dagli attacchi nemici la nostra fortezza. Mi divertiva, quando ne avevo l'occasione, farmi inseguire da qualche ignaro elisiano fin sotto l'occhio che con un preciso raggio letale lo fulminava lasciandolo per terra stecchito.
Mentre pensavo a guardarmi intorno e iniziavo a muovere leggera qualche passo verso il mio obbiettivo, un movimento sospetto mi allarmò. Avevo udito del fracasso provenire dalla guarnigione. Evidentemente qualche elisiano aveva tentato di fare incursione. Accelerai il passo seguita dal mio cucciolo di wuff, Daf, che mi diede la conferma di una presenza nemica cominciando ad agitarsi al mio fianco.
Alla grande! Era un'utopia pensare che si potesse compiere una dannata missione in santa pace!
Decisi che avrei rallentato e con il favore della folta vegetazione mi sarei appostata a dare una controllatina sul posto, prima di entrare in azione. 
Dovevo ancora aspettare Saephira. Quella mattina l'avevo invitata a guadagnarsi qualche medaglia della battaglia insieme a me per guidarla, con l'occasione, alla sua prima esplorazione dell'inospitale Katalam Nord, visto che era ancora una piccola barda alle prime armi.
Mi raggomitolai dietro il cespuglio più vicino e con un sussurro evocai il potere della vista acuta che all'ascensione mi era stato conferito. Subito davanti ai miei occhi comparve una sagoma che di soppiatto stava abbandonando la guarnigione tra lo smarrimento delle guardie asmodiane presenti.
Non resistetti. Avevo l'occasione di cogliere un elisiano alle spalle esattamente come facevano loro con noi. Caricai l'arma e a passo felpato raggiunsi il tizio che mi dava le spalle, puntandogli una pistola contro la schiena.
“Fermo dove sei elisiano!” dissi con tono autoritario facendo scattare anche l'altra sicura. Il cacciatore, che appunto portava un arco tra le mani, si fermò statuario di fronte a me senza alcuna possibilità di raccogliere una freccia dalla faretra alle sue spalle.
“Voltati, voglio vederti in faccia mentre ti sparo!”.
Il cacciatore si voltò con un movimento cauto e sul suo volto, ormai più che familiare, si delineò la parvenza di un ghigno divertito.
“Ciao Selhen” disse allegro sollevando un sopracciglio.
Rimasi impietrita e un po' spiazzata da chi mi trovai davanti. “Velkam... ancora tu!” sbuffai annoiata. “Che ci facevi alla 71?”. 
“Ero venuto a fare una grigliata insieme ai tuoi compari asmodiani presenti, ma a quanto pare non hanno gradito la mia compagnia.”.
Lo guardai infastidita dal sarcasmo ostentato. Ce l'avevo ancora con lui per quello che aveva detto a Sarpan davanti a Shadow.
“Bene” dissi freddamente abbassando le pistole. “E adesso che dovrei fare con te?”. 
Velkam abbozzò un ghigno e prima che potessi solo dire un'altra parola, capovolse la situazione, estraendo fulmineo una freccia e tendendola sull'arco proprio davanti al mio petto.
Le mie labbra si schiusero per lo stupore. Boccheggiai senza dire una parola. Adesso sì, che si stava mettendo male per me. I miei occhi vagarono smarriti alla ricerca di un appiglio per sfuggire al suo tiro, ma anche se avessi voluto portarlo all'occhio asmodiano, ero troppo distante perché non se ne rendesse subito conto. 
Scrutai il viso di Velkam. Dagli occhi verdi non traspariva nessuna ostilità, eppure stava tendendo con assoluta precisione la freccia verso di me. 
Ad un certo punto i miei sensi allerta captarono dell'energia diffondersi nell'aria e lo stesso Velkam scattò sull'attenti voltandosi improvvisamente nella direzione di una sfera di luce che rapida si dirigeva verso di lui pronta a colpirlo. Una freccia saettò dal suo arco frantumando in mille scintille la palla d'energia. Mi chiesi quale asmodiano avesse osato attaccarlo ed ebbi la risposta quando guardai oltre le sue spalle. Un gruppo di tre asmodiani si avvicinava a noi. Riconobbi all'istante la mia amica Saephira scortata da altri due Daeva che, facendo mente locale, capii essere quelli che avevo incontrato con lei al Beach Party della sera prima. 
Il fattucchiere dai capelli rossi, Asther, si preparava ad attaccare Velkam. I suoi occhi erano rossi e luminosi, il suo sguardo minaccioso e intransigente. Fui colta istintivamente da un attacco di panico. Chissà perché, anche se Velkam mi aveva delusa, era nato tra noi un tacito accordo di simpatia che ci portava a risparmiarci l'un l'altra ogni volta che, per caso, ci incontravamo in territorio conteso. 
La luce ignea di una freccia di fiamma balenò inquietante tra le dita del fattucchiere e si scagliò improvvisa alla volta di Velkam, che per evitarla dovette scattare da una parte rispondendo istintivamente con un attacco fulmineo. Un dardo si conficcò, con mira precisa, alla caviglia di Asther. 
L'asmodiano ululò dal dolore accasciandosi a terra. Si strinse le mani attorno alla gamba e con un atto di coraggio cavò via la freccia dalla ferita. 
Saephira urlò atterrita portandosi entrambe le mani sulla bocca spalancata dallo stupore e dalla paura, giusto nel momento in cui Velkam era pronto ad incoccare una nuova freccia nella direzione dell'altro fratello. Ma questa volta l'incantatore dai capelli argentei, Brahm, fu più svelto. Con un cenno del mento comandò allo spirito del vento che gli stava accanto di lanciarsi su Velkam. 
La bestia obbedì. 
Una folata di vento più forte scosse i miei capelli e la creatura di Brahm ricomparve più vicina, scagliandosi con aggressività verso la mano dell'elisiano che reggeva l'arco. Velkam urlò per il dolore infertogli dai denti affilati dello spirito del vento e lasciò cadere l'arco sull'acciottolato della strada, che venne spinto via dalla coda della bestia all'istante.
Disarmato e inerme l'elisiano si premette una mano sul fianco, là dove la freccia di Asther lo aveva ustionato. Con un debole rantolo oscillò sui piedi e i suoi grandi occhi verdi si puntarono sul fattucchiere che intanto si era rialzato e si preparava ad un nuovo attacco mirato. 
Deglutii senza sapere cosa dire o come comportarmi, mentre Saephira osservava sconvolta la scena. Di nuovo dalle mani di Asther saettarono delle rapidissime lame di vento che investirono Velkam aprendogli dei grossi tagli sulle braccia. 
Notai Brahm avvicinarsi con sguardo fiero e soddisfatto ad un Velkam ridotto ormai inoffensivo.
“E così becchiamo qui tutto solo il generale preferito dal grande Cornelius. Com'è piccolo il mondo.”
Ascoltai le parole dell'incantatore con aria interrogativa. Cornelius? Di chi stavano parlando?
Velkam arricciò il labbro disgustato quando guardò l'incantatore che lo sovrastava con uno sguardo arcigno. Un'espressione terribilmente ostile, che quasi mi mise paura, imbruttì il suo volto.
“Vieni Asther, abbiamo la possibilità di finirlo... La vendetta è dolce!”.
Con la gamba ancora dolorante Asther si trascinò verso il fratello ma inciampò poco dopo ruzzolando rovinosamente a terra. 
A quella scena Velkam rise sonoramente. “Ti conviene fare in fretta, pivello, o se ti perdi in chiacchiere potresti non riabbracciare tuo fratello domani”.
Un'espressione di comprensione balenò sul viso di Brahm e anch'io capii a cosa Velkam si stava riferendo in quel momento. La freccia che si era conficcata nella caviglia di Asther era avvelenata e pian piano il veleno si stava diffondendo letale nel corpo del fattucchiere fino a intaccare fatalmente i suoi organi vitali. 
Gli occhi argentei di Brahm si posarono sul fratello che respirava a fatica e l'ira repressa si riversò in tutta la sua furia dalle mani dell'incantatore, che in uno sforzo sovrumano, aveva richiamato a sè una quantità di energia tale, che avrebbe potuto frantumare il corpo di Velkam in pezzi se solo l'avesse colpito. 
Guardai terrorizzata Saeph nella speranza che qualcosa avesse potuto far cambiare idea a Brahm e fu proprio una preghiera appena accennata di Saephira a far desistere l'asmodiano. La mia amica si era avvicinata incerta al ragazzo e aveva posato sul suo avambraccio scoperto e adornato di tatuaggi la sua mano delicata, cercando il suo sguardo. A quel tocco la grande concentrazione di energia presente nelle mani dell'incantatore svanì e i suoi occhi, prima accesi dalla furia asmodiana, tornarono freddi e pacati.
Fu istintivo per me tirare un respiro di sollievo quando Brahm preoccupato voltò le spalle a Velkam e si chinò a dare soccorso al fratello moribondo. 
“Saeph, ci serve un guaritore dell'anima prima che sia troppo tardi”, aveva farfugliato.
Vidi l'incantatore asmodiano evocare uno spirito della terra che con le possenti braccia sollevò il corpo inerme del fratello e tuffarsi insieme alla mia amica Saephira oltre un portale da lui stesso evocato, dopo avermi rivolto un freddo cenno di saluto.
Rimasi per qualche secondo immobile, prima di voltarmi verso Velkam, ancora abbandonato contro il tronco di un arbusto. Sospirai stizzita e lo afferrai per la giubba di cuoio incitandolo a tirarsi su.
“Non ti meriteresti niente da me! Eppure sono ancora qui a portarti in salvo”, sbottai acida trascinandolo con me zoppicante fino ad una folta macchia di arbusti dove sarebbe stato più difficile per pattuglie elisiane o asmodiane trovarci. 
Lo aiutai ad appoggiarsi ad una roccia che fuoriusciva dal terreno e iniziai a rovistare nella mia bisaccia alla ricerca di alcune bende per medicargli le ferite. Presi il suo polso tra le mani e guardai il suo avambraccio dove si aprivano dei profondi tagli che ripulii con dell'acqua. Velkam mugugnò dolorante mentre mi fissava.
“Zitto eroe! Dovresti ringraziare di essere ancora vivo dopo quel che è successo oggi!”, dissi sgarbata continuando a cercare nella borsa il barattolino in cui tenevo le erbe medicinali.
“Mmh, effettivamente devo dire che oggi non è proprio il mio giorno fortunato. Prima la guarnigione, poi i tuoi compari asmodiani. Non me ne va bene una!” abbozzò il solito sorriso sarcastico sollevando il suo sguardo sul mio. 
Fui costretta ad abbassare gli occhi e presi a spalmare l'impacco sulle ferite, andando poi a curare la bruciatura che si apriva sul suo fianco con una lozione. Notai il petto di Velkam alzarsi e abbassarsi scosso da una leggera risata.
“Chi l'avrebbe mai detto? Un'asmodiana che mi fa da infermierina...”.
Serrai i denti infastidita e per tutta risposta premetti sulla ferita con più forza, strappandogli un urlo di dolore.
“Okay okay, scherzavo!” si affrettò a continuare quando vide che facevo sul serio. “Ce l'hai ancora con me, asmodiana?”.
Lo fulminai con lo sguardo severa: “Tu che dici? Non avevi intenzione di fare con me qualunque cosa volessi?”, rimasi rigida in attesa della sua risposta dopo aver terminato di fasciargli le ferite con le mie bende.
Velkam scosse il capo col solito sorriso sarcastico. “Volevo solo provocare il tuo amichetto, avanti... non credi che se avessi voluto ucciderti prima lo avrei fatto? E poi... adesso ti devo la vita anch'io; siamo pari”.
Il suo tono si era fatto serio e la sua voce si era leggermente incrinata all'ultima frase. Dal canto mio percepii il mio cuore fare un tuffo nel momento in cui lessi, chiara nei suoi occhi, la sincerità di quelle parole. Non aggiunsi altro. Non mi aspettavo quelle strane scuse, nè mi aspettavo che Velkam si rivolgesse a me con questo tono. 
Mi indirizzò un sorriso che nulla aveva a che fare con quelli sarcastici di poco prima. “Grazie” mormorò infine.
Sorrisi di rimando. “L'hai detto anche tu, elisiano. Una vita per una vita. Ho pagato il mio debito”. Raccolsi tutta la mia roba, reinfilandola frettolosamente nella borsa e alzandomi in piedi, porgendogli poi la mia mano artigliata perché la afferrasse per sollevarsi. 
Vidi gli occhi di Velkam percorrere le mie dita e mi chiesi, a quell'indugio, che pensieri gli passassero per la testa. Il nostro aspetto spettrale poteva davvero fare così senso ad un elisiano? L'elisiano allungò il braccio meno ferito nella mia direzione e strinse saldamente la mia presa mettendosi in piedi. Barcollò, ma si sostenne ancora prolungando per qualche secondo quella stretta. La sua cicatrice alla luce del sole rilucette sinistra. Allungai una mano per sfiorarla con un dito e con mio grande stupore Velkam me lo lasciò fare. La ritrassi poco dopo e mi venne in mente che, anche quel giorno, avrei potuto fargli una domanda. 
“Posso chiederti una cosa?”, gli dissi un po' incerta. Non poteva dire no... me lo doveva.
Velkam sospirò paziente. “Solo una, sai come la penso. Quindi scegli bene la tua domanda”.
Scossi il capo con un mezzo sorriso. “Chi è il Cornelius di cui parlava Brahm?”.
Velkam rise. “Cornelius è una leggenda a Sanctum. Come fai a non conoscerlo?”. Corrugò la fronte alzando un sopracciglio.
Mi imbronciai. “Sì, ma... che leggenda? Chi è precisamente? Perché Brahm ce l'aveva così tanto con lui?”.
Velkam ridacchiò sottolineando con uno sguardo furbo quanto si stesse prendendo gioco di me. “Per oggi ti avevo concesso una sola domanda, l'hai sprecata”. Allargò le braccia facendo spallucce col solito sorrisetto sghembo.
Lo guardai male. “Che un veloscooter ti investa quando arrivi a Sanctum, borioso elisiano!”.
Velkam scoppiò a ridere di gusto a quell'imprecazione e mi sorprese con un fulmineo bacio sullo zigomo prima di raccogliere il suo arco abbandonato sul manto erboso. “Ci rivediamo asmodiana, e fino a quel momento spera che nessun veloscooter mi investa o non ci sarà più nessun borioso elisiano a tirarti fuori dai guai”.
“So badare a me stessa, grazie...”dissi con aria austera, anche se non ero molto convinta di quell'affermazione. “Non sarà mica che muori dalla voglia di rivedermi, piuttosto?”, azzardai prendendolo in contropiede.
“Io starei attento che non accada il contrario”, concluse lui con un sorrisetto furbo evocando un portale. “E adesso... se non ti dispiace torno ad Elian, ho bisogno di darmi una bella ripulita se voglio far conquiste al Beach Party di stasera”, terminò con un sorrisetto irritante.
Roteai gli occhi “Sì certo, vai pure, anche se prima penserei a quella bella ustione”, conclusi indicandola con un gesto del viso, mentre cercavo di mantenere un'aria piuttosto sicura.
Gli voltai le spalle accingendomi ad uscire dalla macchia di vegetazione e lo lasciai da solo davanti al suo portale senza che, forse, avesse voglia di replicare altro.
Quando fui sparita dalla sua vista mi sfiorai la guancia, là dove le sue labbra morbide si erano posate. Riflettei su quel gesto così insolito. 
Non lo avrei mai creduto possibile, nemmeno nei miei sogni più reconditi: Velkam che un tempo mi aveva derisa, quel giorno mi baciava affettuosamente sulla guancia come se fosse il gesto più naturale del mondo. 
Mi accorsi solo in quel momento della pericolosità di quell'affascinante giovane elisiano. Quell'avventura ci aveva avvicinati tanto, e aveva ragione Shad, stavo finendo in una situazione scomoda dalla quale mi sarebbe stato difficile venirne fuori indenne.



[Perdonate l'attesa ma non ho potuto fare altrimenti. Scrivere e trovare del tempo per caricare questo capitolo è stata davvero dura! Per non parlare poi del pc da procurarmi per poterlo fare...
Ecco a voi il pezzo del capitolo u.u
http://www.youtube.com/watch?v=VIxdQDQ9IAw

Non so quanti errori possano esserci ma nn ho potuto rileggerlo troppe volte quindi, spero bene ç_ç
Un bacione a tutti i miei seguaci e mi raccomando, recensite sempre. Ho deciso! A venti recensioni tiro fuori uno speciale u.u 
Quanto a Razielletta95 che mi segue sempre, vedrò di riservare una sorpresa anche per lei.
Speriamo di leggerci presto, cari lettori. Fino a quell'ora: Azphelumbra! <3] 

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Capitolo 9
*** -9- Polvere di odella ***


Da quando Dahnael era praticamente scappato da me, quella sera del Beach Party, non l'avevo più rivisto. Per un'intera settimana, indipendentemente da qualunque ora del giorno io passassi a Pandemonium, i miei occhi cadevano sempre là, in quel punto dove alcuni giorni prima Dahnael aveva agitato le braccia allegro per salutarmi, e ogni volta che lo facevo distoglievo lo sguardo un pò più triste, chiedendomi dove fosse il mio amico e che fine avesse fatto.
Era difficile incontrare Dahnael per Pandemonium. Odiava i gruppi numerosi e i luoghi affollati. Eppure non potevo far finta di nulla e dimenticare.
Dahnael non stava bene, ed esattamente come mi ero promessa, io l'avrei tirato fuori dai guai a qualunque costo.
Con questi pensieri percorrevo un vialetto tortuoso costeggiato da lussuose ville dai tetti spioventi, a Pernon.
Mi era giunta voce, chiedendo ai compagni della sua legione, che Dahnael si fosse trasferito proprio lì dopo la sua promozione ad ufficiale a una stella.
E così, dopo aver girato a vuoto per un pò di tempo alla ricerca del cartello che recasse il suo nome, ero riuscita a trovare la villetta interessata.
Era un cottage in legno molto semplice. Aveva il tetto spiovente come la maggior parte delle altre e un comignolo sbucava curioso sull'ala destra della casa.
Davanti la porta, in quello che doveva essere il giardino, crescevano dei rigogliosi cespuglietti accuratamente coltivati.
Cauta mi avvicinai all'uscio e con non poca insicurezza bussai.
Dapprima non udii nulla, se non i rumori della città che si svegliava e delle cicale che frinivano tra le folte chiome dei viali alberati. Alla fine, uno scatto della serratura mi annunciò l'imminente apertura della porta, e un ancora assonnato Dahnael comparve dallo spiraglio, coi candidi capelli scompigliati e due nere occhiaie inquietanti, sintomo di una probabile notte insonne.
"Selhen", disse sorpreso. Le sue morbide labbra sottili si atteggiarono in un sorriso sincero, come se Dahnael avesse già rimosso dalla sua mente tutto quello che era successo tra noi l'ultima volta che ci eravamo incontrati.
D'istinto mi lanciai contro di lui che mi strinse in un abbraccio mantenendo sul viso un'espressione di sana curiosità.
"Sei sparito ancora... per un'intera settimana", gli dissi con tono lamentoso arricciando il tessuto della maglietta sulla sua schiena con le dita, mentre lo stringevo.
Dahnael sospirò prima di sciogliere quell'abbraccio. "Scusami", mi disse con quello che mi parve un tono che stentava a nascondere una certa infelicità.
"Non importa", farfugliai abbassando lo sguardo.
Dahnael mi prese per mano e mi invitò ad entrare. "Vieni, ti faccio vedere casa nuova, mi sono trasferito da pochissimo. Come sei riuscita a trovarmi così in fretta?".
Sorrisi. "Ho le mie risorse, anche tra i tuoi".
Dahnael aggrottò la fronte. "La mia legione?".
"Mh, mh", assentii facendo cenno col capo.
Dahnael scosse la testa con un mezzo sorriso e mi diede una veloce illustrazione di quella che era la sua nuova casa. Le finestre, immense e luminose, adornate da colorati tendaggi, avrebbero dovuto lasciare entrare nell'ambiente una grossa quantità di luce, eppure le tende erano tutte calate e la luce filtrava appena da sotto i pesanti tessuti dei tendaggi.
A illuminare la stanza c'era solo un lucernario acceso alla parete.
"E' giorno!", gli dissi stranita guardandolo. "Perchè non lasci entrare un pò di luce?".
Dahnael mi guardò come se nulla fosse scuotendo il capo. "Certo che no, se non amassi la mia adorata oscurità, che Asmodiano sarei?".
Senza dargli tanto ascolto mi mossi decisa verso le due cortine e le spalancai.
Un raggio di sole, prepotente, tagliò in due l'oscurità della stanza filtrando dalla finestra, e a quel mio gesto improvviso Dahnael ebbe un cambiamento repentino nell'atteggiamento.
Si precipitò verso di me e spingendomi da una parte, richiuse la tenda stropicciandosi fastidiosamente i due occhi vitrei. "No Sel, non voglio luce".
Provai a scherzarci su: "Hai problemi di fotosensibilità più grossi dei miei?". Ridacchiai pensando al mio primo giorno ad Eltnen.
"Più o meno è così", disse Dahnael appoggiandosi con noncuranza alla parete con un piede e prendendo a giocare con l'anellino all'orecchio, in un atteggiamento piuttosto nervoso.
Lo fissai per qualche istante. Avrei avuto il coraggio di chiedere informazioni in merito all'altra sera?
Avevo paura che potesse riemergere il Dahnael inquietante e aggressivo di quel momento.
"In questi giorni non ti ho visto molto in giro", gli dissi tentando di cominciare una conversazione.
Dahnael annuì smettendo di torturarsi l'orecchio. "Sì, è vero... sono stato poco bene".
Curvai la testa da una parte senza capire.
"Adesso però va molto meglio", terminò profetico allargando le braccia come a mostrarsi in buona salute, cosa che, dopotutto, non era riuscita a convincermi così tanto.
Incrociai le braccia scrutandolo severa. "Cosa c'è che non va in te, Dahn? Perchè non sei più come un tempo, nei miei confronti?".
Dahn inarcò un sopracciglio e si rimise dritto, sgravando dal suo peso la parete. "Non ho assolutamente nulla Selhen, togliti dalla testa quelle strane idee paranoiche che ti sei fatta".
"Non mi sono fatta nessuna idea paranoica!", protestai.
"E allora mi spieghi qual è il problema?", chiese Dahn tranquillo. Un'ombra inquietante percorse i suoi occhi incavati nel semibuio della stanza.
"I tuoi cambiamenti d'umore non sono normali", pigolai.
Dahnael serrò i pugni, come a voler trattenere un eccesso d'ira, poi sospirò profondamente e sollevò una mano in atteggiamento paziente, improvvisando una spiegazione. "E' solo che...i troppi impegni a volte mi mandano in escandescenza".
Mi voltai di spalle arrabbiata, umiliata... era ovvio che mi stesse mentendo, e io ero stufa di bermi tutte le sue assurde frottole.
"No Dahnael, non è così!", lo fulminai con uno sguardo tagliente. "Tu non stai bene! E quando dico che non stai bene intendo... fisicamente!".
Il mio amico rimase immobile e taciturno a quelle parole, vagamente spiazzato.
"E tu non fai che raccontarmi menzogne su menzogne. Che ne è stato di quello che eravamo, Dahn?", proseguii implorante cercando il suo sguardo assente.
"E' stato un bel passato", concluse gelido.
"Se pensi che sia solo passato, per me, ti sbagli di grosso... scoprirò cosa mi nascondi. E se mai dovessere esserci un responsabile che ti ha reso quello che sei, adesso, la pagherà cara quant'è vero che Asmodae ci è madre!".
Dahn rise sarcastico. "E' carina la Selhen in versione paladina della giustizia!". A quel sorriso i suoi canini bianchi e leggermente affilati luccicarono sinistri.
"Non sono un ribbit, quindi non darmi della carina", ribattei acida.
Quando Dahn riprese a ridere qualcosa nel tono della sua voce era curiosamente cambiato.
La scena del Beach Bar parve ripetersi davanti ai miei occhi come un dejavò. Gli occhi di Dahnael si erano trasfigurati e le sue gambe avevano ceduto rovinosamente.
"Dahn!", sobbalzai preoccupata per chinarmi ad assicurarmi che non si fosse fatto niente.
I suoi occhi vitrei si riaprirono. Mi parvero vuoti e spiritati. "La fiala", lo udii farfugliare tra sé spaventato, rovistandosi nelle tasche.
Impietrita lo osservai nel panico più totale mettere sottosopra le tasche dei suoi pantaloni per poi sollevarsi e precipitarsi al comodino poco vicino aprendo uno dopo l'altro tutti i cassetti e buttandone all'aria, impaziente, il contenuto.
Non ebbi il coraggio di proferire parola. Il silenzio di quella casa buia e solitaria era rotto solo dai forti ansimi di Dahnael che adesso, in preda a un'ansia crescente, si era spostato verso l'ingresso imprecando. "Non è possible!", stava urlando.
Il rumore di un vaso infranto, dall'altra parte della casa, mi fece sobbalzare, poi vidi Dahnael tornare e abbandonarsi sfiancato su di una poltrona. "Devi andartene...", biascicò.
"Non... non vado via", dissi testarda.
"Potrebbe essere pericoloso Selhen, vai...", urlò innervosito.
"Mi stai chiedendo di lasciarti da solo in queste condizioni? Stai scherzando?".
Dahnael scartò da una parte con un braccio, fracassando con un colpo preciso un suppellettile poggiato sul mobile accanto. "Vattene Selhen!".
"No!", dissi raddrizzandomi sulle spalle con aria sicura. Era Dahnael, il mio amico Dahnael. Non mi avrebbe fatto del male. Quel suo atteggiamento non mi avrebbe intimorito.
Dopo una successiva imprecazione, sicuramente poco decorosa, vidi Dahn accasciarsi sulla poltrona e nascondere la testa tra le mani. I suoi respiri erano ancora rotti e faticosi.
"Va bene...", disse in un sussurro, arreso, tentando di calmarsi. "Soffro di crisi d'astinenza", farfugliò colto da un tremito.
Mi accigliai incredula. "A... astinenza?".
Dahn scosse il capo con un sorriso amaro. "Astinenza", confermò.
Dovevo ammettere che un pensiero del genere mi era già passato per la testa, ma lo avevo quasi subito escluso, eppure... ora che me lo diceva lui tutti i pezzi tornavano al loro posto: gli sbalzi d'umore, la polvere dorata che avevo visto quella notte sul dorso della sua mano, l'oggetto che aveva nascosto quando mi aveva notata.
Dahnael si drogava? Non era possibile! Non potevo crederci.
"Se stai pensando all'eventualità che io mi droghi, stai andando nettamente fuori strada", intervenne lui come se avesse letto i miei pensieri. Riversò la testa indietro e stirò le membra come scosso da un brivido.
"Sono... costretto", biascicò. "Dipendo da quella dannata roba che mi rende solo per un po', un daeva più normale".
Non lo seguivo, nè capivo cosa volesse dirmi. Accennai un passo cauto verso di lui ma rimasi sempre a debita distanza.
"Sono vittima di una maledizione, Selhen, per cui non c'è assolutamente nulla da fare".
Le mie labbra si spalancarono dallo stupore.
"Sono un mostro sotto sedativo.. e il mostro sta per risvegliarsi quindi, vai via...", rantolò, "ho finito le mie scorte di polvere di odella, sono a corto". Chiuse dolorosamente gli occhi e deglutì.
Le condizioni del mio amico mi sconvolsero.
"Dimmi dove posso procurarti questa dannata polvere", dissi isterica all'improvviso. Se quella roba avesse potuto farlo star bene sarei stata io stessa ad andargliela a procurare.
"E' escluso", mi liquidò Dahnael col tono più autoritario che gli riuscì.
"Come vorresti fare ad andare da solo, in queste condizioni?".
Dahnael mi indirizzò uno sguardo infastidito. "Me la caverò"-
"Per Aion! Dahnael...", sbottai inferocita. "quale dannato contrabbandiere può vendermi questa polvere?".
"Usarla è contro la legge... ti metteresti nei guai...", disse Dahn a fatica, "è roba di Mau!".
"Se è ai Mau che devo rubarla non sarà un problema", dissi io risoluta cominciando a muovermi verso l'uscita.
"Aspetta!", mi chiamò Dahnael esasperato.
"Che vuoi?".
"Cosa vuoi fare? Pazza suicida...", sbottò spazientito passandosi nervosamente una mano tra i capelli. "Pandemonium, l'aerodromo", concluse diffidente.
"Bene!", annuii senza aggiungere altro. "Vedi di resistere ancora qualche minuto, sarò presto di ritorno e dopo... mi spiegherai il perchè di questa storia". Il mio tono non accettava repliche.
Uscii di casa sbattendo la porta, che mi accorsi, rimase aperta, e i miei occhi faticarono ad abituarsi alla luce del sole.
Senza indugi estrassi dalla tasca una pergamena del teletrasporto per Pandemonium. Dovevo fare in fretta.
Pronunciai in sussurro la formula magica dopo averla srotolata e mi dissolsi da Pernon per ricomparire nelle mie solide fattezze, al grande tempio di Pandemonium. Corsi a perdifiato attraversando tutta Pandemonium fino al deserto angolo nord-occidentale. Uno shugo sospetto che si aggirava per quella zona attirò la mia attenzione.
"Ehi tu", lo chiamai.
L'esserino si strinse nel suo cappuccio marrone sentendosi chiamato in causa.
"Shugo!", continuai afferrandogli la mantella per voltarlo. L'animale coi baffi tremolanti e un chiara espressione colpevole sul visino tondo, mi guardò.
"Shugo non ha fatto nulla, jang jang", disse per discolparsi da una possibile accusa.
"Non mi importa nulla di cosa tu abbia fatto o non abbia fatto", dissi con un sentore di perfidia nella voce. "Dammi dell'odella in polvere e ti pagherò tutti i kinah che vuoi... so che la contrabbandi".
L'esserino si ritrasse, come colto nel tenero dei suoi segreti, e strattonò la sua mantellina perchè lo lasciassi. "Shugo non ha nulla di quello che cercate, jang jang".
Era evidente che quel tizio mi stesse mentendo.
"Ne sei proprio sicuro?", chiesi pacata estraendo un revolver luminoso fuori dal fodero.
Lo shugo tremò nervosamente e indietreggiò di un piccolo passo.
"E' una questione urgente, shugo... non farmi perdere tempo", dissi con un falso tono melodioso.
"Qua... quanta?", balbettò infine fissando impaurito il mio revolver a etere carico davanti al suo naso.
"Quanto basta per risolvere una questione di una certa urgenza". Mi ravviai i capelli portandomeli dietro le spalle, nervosa.
Vidi l'esserino rovistare in una borsa di cuoio che teneva a tracolla ed estrarvi cinque fiale di vetro contenenti della fine polvere dorata.
Le afferrai con poco garbo infilandomele nella bisaccia e depositando al loro posto un sacchetto contenente un milione di kinah in contanti.
"Sono tanti, vedi di farteli bastare e...", mi poggiai un dito sulle labbra puntandolo coi miei occhi rossi e severi, "acqua in bocca".
Lo shugo abbozzò un sorriso a quelle ultime parole. "E' stato un piacere fare affari con voi, oggi... signora, jang jang".

Quando ritornai a casa di Dahnael in tutta fretta, mi curai di spalancare la porta che per l'occasione avevo lasciato appena chiusa.
Come un uragano attraversai l'ingresso per correre ai piedi della poltrona dove Dahnael, con due ombre sempre più scure sotto gli occhi, respirava con affanno.
"Ci hai messo davvero poco", rantolò roco. I suoi canini erano maggiormente affilati e gli occhi, contornati dal nero delle occhiaie, erano diventati acquosi, quasi demoniaci e incavati.
"Eccoti una fiala di polvere", dissi frettolosa mettendogliela tra le mani.
Osservai Dahn stapparla vorace e versarsene la metà del contenuto sulla lingua per lasciarsela sciogliere in bocca e deglutirla.
Corsi al tavolo, dov'era poggiata una brocca piena d'acqua e gliene versai una piccola quantità nell'elegante bicchiere vicino, per portargielo e permettergli di bere.
"Grazie", sussurrò Dahnael a fatica sfinito dalle convulsioni che avevano straziato il suo corpo fino a quel momento.
"Da quanto tempo va avanti questa storia?", chiesi piano.
"Due anni".
"Due anni...", ripetei, "due anni di totale assenza, due anni di maledizione e morte, due anni di guerra... due anni di silenzio", conclusi sofferente guardandolo negli occhi.
"E' stato a Tiamaranta. Nell'occhio. In quel luogo oscuro e ostile vive un drago che avevo avuto l'incarico di annientare...".
Mi sedetti accanto a lui prestandomi all'ascolto. Finalmente potevo conoscere tutta la verità.
"Non fu il drago, la causa di questa maledizione...", continuò Dahnael con la fronte imperlata di sudore e le labbra umide, "so solo che udii una voce e poi più nulla. Era una formula oscura... una maledizione mi aveva colpito. Quando mi risvegliai da quel torpore ero già fuori dall'occhio. Avevo ripreso lucidità ed ero tornato alla fortezza per chiedere a un guaritore dell'anima di controllare che stessi effettivamente bene". Si interruppe.
Posai una mano sul suo avambraccio incitandolo a continuare e Dahnael, con un sospiro, proseguì la narrazione.
"Per farla breve. Più tardi scoprii a mie spese il peso di questa maledizione divenendo io stesso l'assassino dell'unica persona che avessi mai amato. Adesso rifuggo la luce, brucia... evito le relazioni e gli affetti. Quando non ho odella a sufficienza comincio a diventare aggressivo, poi mi tramuto dopo tanti spasmi di dolore. Dipendo da questa sostanza che...", rantolò mentre le pupille dilatate tornavano pian piano al tipico colore argenteo e sollevò la fiala semivuota, che conteneva ancora della polvere dorata. "Una sostanza che non è una medicina. Non mi cura, ma mi ha reso schiavo...", deglutì nell'urgenza del racconto, "ne ho bisogno, un terribile... innaturale bisogno. Mi assuefaccio al suo sapore, ma ogni volta che ne mando giù una piccola quantità, perdo un briciolo di umanità".
Rimasi attonita ad ascoltarlo senza sapere realmente cosa dire.
"Ogni daeva resta nel profondo del cuore quello che era... un umano. Abbiamo molto più di quanto pensi di umano, e ben poco di divino... che alla fine dei conti è ciò che ci rende perfetti". Sospirò. "Con l'odella invece, la parte crudele e oscura che ogni asmodiano controlla con la sua umanità emerge più prepotente alla fine dei suoi effetti di assuefazione". Il suo viso si chinò in avanti stancamente.
"Anche oggi, ho perso un altro briciolo di umanità e tu... tu hai perso un briciolo di Dahnael, il Dahnael della tua infanzia, il tuo compagno di accademia...".
"Ti prego, non dire così", lo implorai con gli occhi lucidi.
Dahn sorrise amaro e mi accarezzò una guancia con la mano. "Adesso sai la verità".
Sollevai il viso a quella carezza e strinsi il mio amico in un abbraccio trasportato. "Giuro che troveremo il responsabile di tutto questo, e quando quel giorno verrà, lo ucciederemo. La tua maledizione si spezzerà!", dissi risoluta.
Dahnael mi rivolse un tenero sorriso. "Piccola Selh, la maledizione si spezzerà, ma la mia dipendenza... il mio bisogno sfrenato... questi non finiranno. L'odella potrà anche impedire una mia mutazione repentina, ma finirà comunque per trasformarmi in un mostro".

[Beeeene u.u ecco svelato un piccolo tassello della nostra storia. Dahn comincia ad essere un personaggio portante in tutta la vicenda, ma chi sarà stato a lanciare al migliore amico di Selhen questa brutta maledizione? E in cosa consiste veramente?
Continuate a seguirmi. Le visualizzazioni accanto ad ogni capitolo che pubblico... quei numerini, sono la mia gioia **
Vi adoro tutti! E fatemi sapere cosa ne pensate nelle vostre recensioni <3 ç_ç
se voi siete curiosi di leggere il capitolo, io sono curiosa di sapere che ne pensate per essere sempre più motivata a scrivere per voi]

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Capitolo 10
*** -10- La fine del gioco ***


A parte i grossi eventi accaduti a Katalam Nord, quando per molto poco Brahm e Asther non avevano fatto fuori Velkam, non era successo nulla di plateale. Avevo deciso che per quei giorni sarei stata vicina a Dahnael. Ora che ne conoscevo le condizioni era diventato molto più semplice comprenderlo e rendermi utile senza tuttavia commiserarlo.
Dahnael era un Daeva forte. Mi bastava osservarlo quando combatteva, tra le oscurità dell’abisso. Era un’ancora di salvezza tra quelle rocce vaganti in mezzo alle quali avevo da sempre odiato addentrarmi da sola.
Avevamo preso un accordo, io e il mio amico: la notte mi sarei spostata in abisso con lui per aiutarlo nella conquista dei manufatti elisiani. Dato che non poteva stare per troppo tempo a contatto con la luce del sole, da quando Dahn era stato maledetto, aveva iniziato a operare stabilmente in abisso, dove la luce era scarsa e l’aria pregna di etere. Partecipava alla conquista di ogni fortezza, e donava tutto se stesso per la causa asmodiana. Cercava di riscattarsi in tutto per tutto, consapevole di essere, a sua detta, un mostro.
Avevo cercato di dissuaderlo in tutti i modi, ma nulla gli toglieva dalla testa che lui non fosse normale.
Quella notte mi trovavo a casa di Dahnael dopo aver trascorso un pomeriggio in giro per Katalam Nord a guadagnare medaglie della battaglia. Ero seduta nel grande tavolo del salone, tra due alti candelabri che spandevano sulla superficie lucida del tavolo la loro luce ed ero intenta a lucidare i miei sfavillanti revolver a etere, prossima per la battaglia.
Noi asmodiani non soffrivamo tanto il sonno, ecco perché, una notte sì e una no, la trascorrevo svolazzando libera per l’abisso in compagnia del mio migliore amico. Naturalmente questo aveva comportato che anche io avrei dovuto rivelare uno dei miei più imbarazzanti segreti. Ero una totale frana nel volo, ed era per questo che quando mi veniva proposto rifuggivo l’abisso come la peste.
A quella confessione Dahnael ovviamente aveva  iniziato a ridere a crepapelle, poi aveva valutato che dopotutto il problema era più serio di quanto pensasse, quando mi rifiutai categoricamente di lanciarmi in volo per raggiungere la lontanissima scheggia occidentale di Reshanta.
Le notti trascorse con lui mi avevano così migliorata. Avevo, piano piano, cominciato a superare la mia fobia e a percorrere con le mie grandi e meravigliose ali rosee, distanze sempre maggiori. Per il combattimento in volo, certo, non ero ancora pronta.
“Selh, sei pronta?”, mi aveva chiesto Dahn affacciandosi dalla porta mentre si infilava il giubbotto in pelle.
“Eccomi”, avevo sorriso richiudendo le pistole dentro i foderi.
“Ambras ci aspetta alla nostra base di Reshanta”.
Misi su una smorfietta furba. “Oh, oh! Ambras!”, sollevai un sopracciglio divertita.
Dahn curvò la testa da una parte assottigliando lo sguardo. “Cosa stai insinuando?”.
Mi illuminai di un sorriso e mi rimisi in piedi assicurando i foderi alla mia cintura. “Si vede da come ne parli, Dahn, ti piace!”, scoppiai a ridere e lo oltrepassai altezzosa per dirigermi fuori dall’abitazione.
Dahn mugugnò qualcosa di poco chiaro, poi mi fu dietro all’istante. Parlare di Ambras lo rendeva sempre vulnerabile e taciturno.
Ambras era il capo della sua legione. Nonchè un'assassina bella e potente che non lasciava di certo a intendere quanto tenesse a Dahn. Li avevo visti spesso insieme, nelle notti precedenti, e che tra i due corresse una certa simpatia, non era certo un mistero. Pensai che forse a Dahnael il ruolo del casanova non dispiacesse poi così tanto. Lo avrebbe aiutato a nascondere la sua vera indole dolce e fragile, e a camuffare, forse, i suoi piccoli problemi collaterali dovuti alla polvere di odella e alla maledizione.
Quando mettemmo piedi fuori di casa l’aria era fresca e un debole vento ci scompigliò i capelli. Il freschetto tagliente si insinuava nelle mie narici facendomi di buon grado respirare il delizioso profumo di fiori, proveniente dagli alberi fioriti e dai giardinetti delle case di Pernon. Il rumore dei passi sul selciato mi informarono che Dhanael mi era accanto, così mi voltai a guardarlo.”Pergamena per Morheim, poi dritti dritti per Reshanta”.
Annuii fingendo un saluto militare. “Agli ordini capo!”, dissi estraendo dalle tasche la pergamena del teletrasporto interessata.
Quando raggiungemmo Reshanta, dopo le varie peregrinazioni necessarie, trovammo un gruppetto di Daeva asmodiani ad attenderci. A una prima occhiata notai che buona parte erano compagni di legione di Dahnael, ma poi, un tuffo al cuore mi informò che c’era dell’altro.
Intento a discutere animatamente con il capo della legione di Dahnael, c’era Shad, ed esattamente al suo fianco, nella sua elegante acconciatura corvina, la sua ragazza, Ethun.
I miei passi si bloccarono all’improvviso, tanto che Dahn se ne accorse perché si voltò a guardarmi. “Qualcosa non va?”, mi chiese stranito.
Tentai di avanzare un passo ma con scarso risultato. Dovevo avere un’espressione sconvolta perché il mio amico aveva assunto, di contro, un’espressione, davvero allarmata.
“È che…” , balbettai, “non mi aspettavo che ci fosse tutta questa gente”.
Dahn aggrottò la fronte perplesso. “Ma se è sempre stato così!”.
Non risposi, con lo sguardo ancora fisso su Shad che intanto aveva sollevato il suo e lo aveva puntato su di me con chiaro stupore.
“Selhen, ho…  ho fatto qualcosa che non andava?”.
Scossi la testa con un risolino nervoso. “Ma no! Ma che vai a pensare… è che… non mi sento tanto bene”, conclusi frettolosa girando i tacchi.
Del gruppetto intanto sembrava essersi accorto solo Shad della nostra presenza, quindi avrei potuto approfittare per squagliarmela e mandare tramite Dahnael le mie scuse, informandoli che non avrei partecipato alla spedizione perché non mi ero sentita bene.
“A quanto pare non sono l’unico ad avere segreti”, mormorò Dahnael guardandomi male e seguendomi verso l’ingresso della fortezza, a quell’ora semideserta, al di fuori di occhi o orecchie indiscrete.
“Quell’incantatore…”, dissi infervorata quando ci trovammo faccia a faccia, “non lo reggo!” .
Dahnael sollevò un sopracciglio malizioso.
“Smettila di guardarmi in quel modo!”, brontolai.  “Adesso da bravo torni di là e dici a tutti che non stavo abbastanza bene per sopportare una stremante notte di volo”.
“Ma se alcuni ti hanno anche vista!”, protestò.
“Un mancamento dell’ultimo minuto”, conclusi con un sorrisetto affettato.
Dahnael sbuffò “Senti, se…”.
Non riuscì a terminare la frase che qualcuno ci interruppe all’improvviso cogliendoci di sorpresa.
“Ma ciao Selhen!”, aveva detto Shad con la solita faccia da schiaffi avvicinandosi a me e a Dahn. “Anche tu sei dei nostri oggi, donzella?”.
Gli indirizzai un chiaro sguardo ostile che lasciò intendere esattamente quello che stavo pensando.
Da quando Ethun non era un problema? Da quando pensava di giocare con due piedi in una scarpa?
“No Shadow, non sarò dei vostri”, tagliai corto freddamente, “non mi sento bene!”, non nascosi nemmeno le mie ottime condizioni di salute.
Shad mise su un’espressione crucciata. “Oh, e come mai?”, domandò.
“Indigestione”, ironizzai guardandolo dritto negli occhi con i miei rossi come il sangue.
Shadow si morse il labbro pensieroso sostenendo comunque il mio sguardo. “Mangiato pesante?”, ribattè sarcastico.
“Mh, più o meno”, continuai con una smorfia schizzinosa sulle labbra.
Dahnael che aveva seguito tutto il nostro battibecco senza capirci più di tanto dondolò sulle gambe tossicchiando. “Non vi dispiace se io vado, vero?”.
“Vai pure!”, gli rispose Shad cordiale, “Arrivo tra un attimo”.
Dahn annuì sotto il mio sguardo incandescente e quando fu alle spalle di Shad fece spallucce colpevole, come a scusarsi. Questa me la pagava.
“So benissimo che il motivo della tua indigestione sono io!”, cominciò Shad con ovvietà.
Sorrisi sarcastica. “Ma come ci sei arrivato?”, dissi con falso stupore.
Shadow sbuffò. “ Ti stai chiedendo cosa ci fa Ethun con me?”.
A quella domanda le mie labbra si sollevarono in una smorfia di disinteresse. “Non dartene cura, Shadow… che sei uno stronzo patentato l’ho sempre saputo. Sei subdolo, e mi fai schifo!”, ringhiai prendendo le distanze da lui.
Per la prima volta, da quando lo conoscevo, il suo viso rimase serio e impassibile. Sembrava non si aspettasse una reazione così accesa e in così poco tempo.
“Ethun non è un problema!”, cantilenai a bassa voce imitando il suo tono. “E io che ci stavo quasi credendo! Non credevo fossi caduto così in basso”, sputai disgustata.
“Selhen…”, provò a fermarmi lui prendendomi per un braccio.
Mi voltai impaziente in attesa di una sua giustificazione. “Per me ed Ethun non è un gran periodo…”, disse con aria fin troppo abbattuta.
“Quindi ti consoli con la prima pivella di turno…”, sbottai indignata.
“Non sei la prima pivella di turno!”, tentò di inserirsi lui nel mio discorso.
“Provamelo Shadow, provamelo, dannazione!”, i miei occhi si erano fatti inspiegabilmente lucidi e il mio respiro irregolare. Stavo piangendo?
Cercai di ricompormi, raddrizzando le spalle, ma distogliendo i miei occhi dai suoi.
“A che pro farmi innamorare di te, quando tu non vuoi rinunciare a lei?”, mormorai con la testa bassa e il cuore che quasi mi esplodeva nel petto. “Mi fai solo del male Shadow, se per te è un gioco… sappi che non lo è mai stato per me”.
Gettai uno sguardo intorno a noi. Le grosse cinte murarie della fortezza deserta ci separavamo dal capannello di Daeva schiamazzanti che si preparavano alla partenza.
“Avevo seriamente provato a rinunciare a te…”, riprese lui serio, “non ci riesco!”, protestò colpendo l’aria con un pugno.
Annuii seccamente. “Allora vorrà dire che il nostro gioco finisce qui…”, conclusi gelida sollevando lo sguardo dopo aver raccolto tutta la determinazione che mi restava dal mio cuore infranto. “Grazie per avermi fatto soffrire, Shadow”.
Shad sollevò una mano, come se volesse sfiorarmi il viso ma la abbassò quasi subito. I suoi occhi blu trapelarono una sorta di rimpianto, e le sue labbra sottili si contrassero.
Percepii il suo tocco tra le dita, mi stava sfiorando la mano con la sua. “Sei il tiratore scelto più fantastico che io abbia mai conosciuto”, abbozzò un sorriso.
“Hai finito con le moine?”, chiesi inarcando un sopracciglio con la massima freddezza.
Shad aveva aperto appena le labbra per ribattere, ma una voce femminile che lo chiamava lo fece desistere.
Ethun aveva appena svoltato l’angolo dell’ingresso alla fortezza e si stava dirigendo verso di noi. Cercai di ricompormi, ma la mia espressione doveva essere chiaramente sconvolta e non dovette passare inosservata.
“È ora di andare", aveva detto dolcemente la chierichessa a Shad sfiorandogli teneramente una spalla. I suoi grandi occhi neri accarezzarono i suoi lineamenti spigolosi come in un gesto di profonda ammirazione, che mi diede l’idea di quanto veramente quella Daeva potesse essere innamorata di lui.
Un nodo allo stomaco mi attanagliò per il senso di colpa. Avevo baciato il suo ragazzo, e lei non sembrava saperne assolutamente nulla. Mi chiesi come Shad non si sentisse un verme in prima persona.
“Ciao tesoro”, mi aveva salutata lei con un sorriso pulito. “Sei dei nostri oggi?”.
Scossi il capo. “No Ethun, stavo… giusto dicendo a Shad che non mi sento molto bene”, balbettai.
“Oh”, esclamò aprendo le piccole labbra stupita. “Posso fare qualcosa?”.
Tentai di sorriderle. “No, ho solo bisogno di un po’ di riposo”, dissi cercando di non tradirmi con il tono della voce.
Ethun abbassò la mano dalla spalla di Shad rivolgendogli un ultimo sguardo rapito. Poi udì qualcuno urlare il suo nome e sorrise. “Mi allontano un momento e sono già ricercata…”, si rivolse a me alzando gli occhi al cielo, “la dura vita dei chierici”.
Ricambiai il sorriso poco convinta.
“Muoviti, mago merlino, aspettiamo solo te”, scherzò lanciando un’ultima occhiata a Shad.  “Buon riposo a te, Selhen, scappo a vedere di cosa hanno bisogno”. Con un ultimo sorriso pulito si allontanò a passo celere svoltando l’angolo e sparendo dalla nostra vista.
Rimasi in silenzio, col viso abbassato, ignorando la sofferenza che mi costava stare con lui per ogni secondo che passava. Alla fine Shad prese la parola.
“Buona notte, meraviglia”.
“Non ripeterlo più”, ringhiai.
Mi si accostò ad un orecchio, come per sussurrarmi qualcosa. “L’importante è che sai quello che penso”, disse rimontandosi sulla faccia la solita maschera di indifferenza.
“Non mi interesserebbe comunque, non più”.
Arretrai, ma per l’ennesima volta, a tradimento, Shad mi tirò per un braccio e mi baciò all’improvviso.
Le sue labbra erano morbide e invitanti come sempre, ma fu un bacio fugace, che non durò a lungo, per la paura forse di essere scoperto.
Un impeto di rabbia mi invase, come mai prima da allora. Ero stufa di essere la sua marionetta, ed ero stufa di essere manovrata da lui a suo piacimento.
La mia mano sferzò l’aria terminando la sua corsa in un sonoro ceffone sulla sua guancia pallida e rigida che lo lasciò di stucco.
“Non ci provare mai più!”, sibilai tra i denti minacciosa girando i tacchi.
Shad non replicò né cambiò espressione. Probabilmente era soddisfatto di avere ottenuto comunque quello che voleva. Io mi allontanai a passo svelto e estrassi dalla tasca una pergamena del ritorno per Pandemonium, che srotolai e lessi tutta d’un fiato. Non vedevo l’ora di dileguarmi e tornare a casa, o magari correre da Saephira a piangere, perché era quello, che avevo voglia di fare in quel momento: chiudermi in casa e non metterne più il naso fuori fino a non avere completamente dimenticato il male che Shad mi aveva fatto.
A Dahnael, forse, avrei spiegato tutto più tardi.
 


[Dai ragazzi, altre due recensioni e tiriamo fuori questo speciale su Velkam. Non credevo sarei riuscita a caricare così in fretta questo capitolo, ma l'amore per i miei lettori è così grande che mi sono adoperata subito per la stesura del nuovo u.u
Grazie seeeempre infinite a Razielletta95 che mi segue e che ho anche avuto il piacere di conoscere su Aion, una bimba taaanto dolciosa.
Volevo inoltre ringraziare il mio Dahn che puntualmente legge i miei capitoli dal lontano nord europa dove si trova per ora e si è offerto volontario per due magnifici screen del Beach party, che caricherò a breve sul profilo dedicato alle immagini della storia. Mi chiede sempre che fine farà il suo povero personaggio, e ha paura che se doveste incontrarlo su Aion gli chiederete se si droga davvero, ahahahah, ovviamente non è così.
Ti voglio bene Dahn, ti prometto che domani mangerò una bella carbonara anche per te, e Saeph si assicurerà di fare il bis in tuo onore. 
Al momento la Saeph è qui con me e si è anche offerta di farmi da scriba, visto che io sono troppo pigra per scrivere ancora.
Ciao a tutti belli, ci si rilegge al prossimo capitolo. <3 ]

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Capitolo 11
*** -Speciale 20 recensioni- Un giorno da elisiano ***


Quella mattina il sole nascente spandeva i suoi deboli raggi su Elian. Benchè fosse ancora l’alba si prospettava già una torrida giornata di sole e l’arsura dei mesi estivi a Elysea non risparmiava neanche la notte.
Era questo a cui Velkam aveva pensato appena sveglio, con la fronte imperlata di sudore e i capelli arruffati da un’orribile notte insonne e tormentata dai sogni.
Il giovane cacciatore si stiracchiò pigro, prolungando ancora per qualche minuto quel momento di indolenza poi fece forza sui suoi addominali per mettersi a sedere sull’enorme e lussuoso letto di camera sua.
Il suo sguardo smarrito percorse le pareti un po’ scarne della casa. A parte trofei di lotte e qualche mobile di alta qualità, in quella casa non c’erano tracce di decorazioni o tappeti e tappezzeria d’arredo.
Era chiaro che, da quando era venuta a mancare sua madre, quella enorme e ricca casa era divenuta per lui solo un luogo di passaggio e un posto dove depositare, come a un’esposizione, le valanghe di trofei al merito che con la sua forza e le sue grandi azioni lodevoli, gli venivano continuamente assegnati.
Velkam si guardò accanto, vagamente perplesso. Una piccola sagoma dormiva rannicchiata a lui e teneva le mani intrecciate al suo addome, come se nel sonno non avesse voluto lasciarlo scappare. Un tenero sorriso gli ravvivò l’espressione mentre con una mano, delicato, accarezzava alla ragazza un ciuffo della sua grande frangetta bionda.
L’espressione della giovane donna si contrasse per poi rilassarsi a quella carezza. Infine Echo si voltò dall’altra parte rannicchiandosi su se stessa lasciandolo libero di sollevarsi.
Il cacciatore fece mente locale, sforzando di ricordarsi quello che era accaduto la sera precedente.
Mentre si sciacquava frettoloso il viso in una bacinella di acqua fresca ripensò al party, al vino, all’euforia della serata, e poi più nulla.
Non poteva definirsi un tipo irresponsabile, ma per quella sera aveva deciso di affogare tutti i suoi pensieri spregevoli nell’alcool. Solo quando beveva, o quando combatteva freddo e razionale, riusciva a dimenticare per un po’ tutti i lati più miserabili della sua esistenza d’elisiano d’alto rango.
Ricorda figliolo, più grande sarà il tuo potere e più il popolo si aspetterà da te”, gli aveva detto un tempo suo padre dopo una battaglia in cui era rimasto ferito.
Velkam era un buon rampollo. Discendeva da sangue nobile ma questo status non gli era mai andato a genio. Era sempre stato un elisiano un po’ ribelle, testardo, eppure cosciente nelle sue responsabilità.
Da bambino, un po’ come tutti i figli degli elisiani più nobili, era stato cresciuto con la dottrina che il popolo asmodiano fosse una razza da annientare, e aveva dedicato tutta la sua giovinezza e la sua esistenza a combattere in nome della sua razza.
Un gemito sommesso aveva annunciato che Echo si era nuovamente agitata nel letto. Chissà che stava sognando.
Velkam la osservò da lontano, stupendosi di quanto potesse somigliare a un fiore delicato. La sua carnagione, liscia e rosea, lasciava spazio a due gote un po’ più arrossate. I suoi capelli lisci e biondi erano come il grano in estate e le piccole labbra rosee e contratte. Le lunghe ciglia dorate coprivano due iridi azzurro cielo che quando i raggi del sole le toccavano sembravano essere uno specchio d’acqua cristallino.
La sua sfera e il suo libro di incantesimi giacevano sul pavimento dove li aveva abbandonati la sera prima, e il vestito rosso era un po’ sgualcito dalla notte passata riposandoci dentro.
Probabilmente la ragazza si era presa cura di lui quando il cacciatore, giunto all’ennesimo cocktail, aveva perso la cognizione del tempo e della ragione.
Decise di cambiarsi i vestiti. I suoi puzzavano di sudore e alcool, e come per Echo, anche a lui erano rimasti addosso tutta la notte. Infilò così la tenuta da combattimento e prese lo scintillante e prezioso arco che il padre gli aveva lasciato. Avrebbe fatto un giro di perlustrazione alla ricerca di qualche spia asmodiana nelle zone di Elysea.
Quando uscì fuori di casa la luce del sole lo investì, ma la brezza mattutina non rendeva ancora l’aria estiva così pesante. Elian non si era ancora risvegliata, e Velkam sapeva che quello sarebbe stato il momento migliore per beccare qualche asmodiano in territorio elisiano con le mani nel sacco.
Raggiunse Sanctum dove incontrò i Daeva più mattinieri iniziare a esporre le proprie mercanzie e da lì, con un cenno a Polido, il responsabile del teletrasporto, aveva chiesto di essere spedito ad Eltnen.
Erano soprattutto le zone verdeggianti e piene d’acqua, quelle in cui gradiva svolgere le sue spedizioni, e la zona nei paraggi della fortezza di Eltnen era verde e rigogliosa.
Si chiese se anche il suo migliore amico Gaar si fosse ripreso dalla sbornia della sera precedente, visto che quando si trattava di far bravate, erano sempre in due.
Scosse la testa come per mandare via dalla propria testa il pensiero scomodo e si riconcentrò sul tragitto da seguire. Quando la fortezza di Eltnen gli si parò davanti, sopraelevata quasi a toccare con le sue immense guglie il cielo, si sporse oltre il parapetto guardando giù.
Ogni elisiano che per pigrizia non voleva attendere il teletrasporto che lo avrebbe accompagnato di sotto, avrebbe dovuto lanciarsi in volo e lasciarsi andare in picchiata fino a sfiorare con la punta del naso l’azzurro lago che circondava i piedi della fortezza.
Il suono di due immense e maestose ali bianche che si schiudevano precedette il momento in cui Velkam, con massima libertà, si lanciò nel vuoto. L’aria fresca gli sferzò la faccia mentre cadeva giù, in picchiata, poi con un colpo d’ali, come era solito fare, era rimasto sospeso sul pelo dell’acqua e lì le aveva richiuse, sicuro che non si sarebbe bagnato per via dei pesanti stivali in pelle che gli proteggevano i piedi.
Direttosi verso riva tese le orecchie, per captare qualsiasi suono che non fosse il canto degli uccelli o il frinire delle cicale, la zona era ancora poco trafficata, a quell’ora del mattino, quindi ne avrebbe approfittato anche per stare un po’ solo con se stesso.
Lo scalpiccio dei suoi stessi passi sul selciato lo accompagnarono finchè non si ritrovò nei pressi del laghetto su cui aveva fatto, quasi un mese prima, quell’incontro singolare con la Daeva asmodiana che più d’una volta si era imbattuta nel suo cammino.
Si sedette nuovamente presso riva e guardò in direzione del cespuglio in cui quel giorno si era nascosta, quasi si aspettasse di rivederla là, nascosta tra le fronde.
Aveva sempre pensato agli asmodiani come a esseri ignobili e senza sentimenti. Aveva immaginato che fossero solo programmati per uccidere, e che, oltretutto, fossero tutti uguali: dei brutti ceffi pallidi come cadaveri e ferini come bestie indomate. Ma se avesse dovuto paragonare Selhen a qualcosa di ferino, non sarebbe riuscito a pensare a qualcosa di spregevole per descriverla. L’aspetto austero e a tratti combattivo di Selhen, era facilmente accostabile a quello di un fiero Karnif dalla coda spinata. Le sue mani adornate da ditali argentei che ne rivestivano gli artigli non erano nulla di impressionante, Velkam si ritrovò a pensare che quella parte selvaggia che caratterizzava ogni esemplare di razza asmodiana, avesse piuttosto una sua innata eleganza.
Abbozzò un sorriso a quel pensiero e i sanguigni occhi di Selhen gli ricomparvero nei ricordi. Era un’asmodiana alle prime armi, e lo aveva detto il suo sguardo smarrito quando il cacciatore l’aveva scoperta.
 In un’altra occasione Velkam non si sarebbe neanche alzato dalla riva del lago, ma avrebbe afferrato fulmineo il suo arco e avrebbe lanciato la freccia alla cieca consapevole di un possibile bersaglio nascosto tra le foglie. Eppure stranamente quel giorno era stato curioso. Sapeva che c’era stata un’incursione asmodiana ad Eltnen e che l’ordine supremo era stato quello di ripulire ed eliminare tutti  i superstiti fuggitivi.
Lui ne aveva avuta una davanti e l’aveva lasciata libera di tornare a casa. Forse era stato il suo aspetto piacevole e inoffensivo allo stesso tempo, o forse quel giorno era in vena di dispensare grazie, ma di certo non le aveva torto un capello.
La massa di lunghi lisci capelli argentei si aggiunse a rendere più nitida la figura di Selhen nei suoi pensieri. Il corpo slanciato e proporzionato, la pelle argentea, pallida. Selhen era un’asmodiana affascinante, che tentava a tratti di mostrarsi sicura quando sicura non era.
L’ultimo incontro tra loro risaliva al giorno precedente, quando lei, per sdebitarsi, aveva deciso di salvargli la vita. I verdi occhi di Velkam ricaddero sulle bende strette alle ferite del suo braccio. Era stata Selhen a sistemargliele con mano delicata mentre continuava a fingere di essere imbronciata con lui.
Una risata scosse il petto di Velkam nel ricordare il muso lungo di lei. Quelle labbra così rosse e prepotenti come i suoi occhi nel viso bianco ed evanescente. Era stato quello, forse, ad incantarlo. Quel contrasto così selvaggio e marcato, quell’insolito accoppiamento di colori. Il bianco della sua pelle e il rubino di quelle labbra schiuse per il timore di chi gli stava davanti.
In confronto loro elisiani erano così normali… così banali.
Crucciando appena la sua espressione si chiese come sarebbe stato se fosse nato asmodiano. Se avesse dovuto combattere per la fazione opposta. Poi fece una smorfia di disapprovazione, non poteva mettersi a pensare certe assurdità.
Suo padre lo aveva avvisato quando aveva cominciato a prendere lezioni di asmodiano dallo shugo contrabbandiere che in quell’occasione era stato assunto come suo precettore: conoscere la loro lingua sarebbe stata un’arma a doppio taglio. Se anche fosse stato possibile comprendere gli ordini e i dialoghi che gli asmodiani si scambiavano in battaglia, dialogare con il nemico avrebbe anche potuto accrescere il rischio di avvicinamento a uno di essi, e avvicinarsi avrebbe significato affezionarsi, crearci un qualche legame, e crearci un legame avrebbe reso l’eliminazione del nemico molto più problematica.
Velkam, ai tempi, non aveva neanche ascoltato quell’avvertimento. Entusiasta com’era di sperimentare la guerra aveva assorbito tutti gli insegnamenti dello shugo come una spugna ed era riuscito presto a padroneggiare quella lingua astrusa e sgradevole all’orecchio. Sapeva di essere stato uno dei pochi ad avere avuto quella fortuna e aveva sempre usato quel dono singolare con parsimonia finchè…
Finchè non era comparsa quell’asmodiana nella sua vita.
Si era accorto che conversare con il nemico, se inoffensivo, non era nulla di male, e la situazione era iniziata a degenerare quando l’aveva lasciata andare per la seconda volta, quasi lei fosse divenuta una specie di sua protetta.
Provò a pensare come sarebbe stato se non l’avesse più rivista. Se lei fosse stata uccisa da un qualunque altro suo compagno elisiano. Un moto di coscienza molto nascosto parve ribellarsi nel profondo ma Velkam lo mise quasi subito a tacere stringendo convulsamente il suo arco tra le mani.
Beh forse un po’ gli sarebbe dispiaciuto. Non faceva Selhen così letale da ritenerla una minaccia, o forse, l’aveva incontrata solo nelle occasioni sbagliate. In ogni caso non gli riguardava poi così tanto. Se fosse morta sarebbe solo stato un problema suo.
A quei pensieri il cacciatore si scompigliò i capelli castani che gli erano finiti dentro l’occhio con una folata di vento e aveva distolto lo sguardo dalle bende sul suo braccio. La ferita avrebbe impiegato pochi giorni a ripristinarsi. Era il bello di essere un Daeva.
Poi un piccolo capello argenteo scosso dal vento attirò la sua attenzione. Era un capello di Selhen rimasto impigliato nel nodo della stretta fasciatura. Con due dita il cacciatore lo prese e lo tirò, stando attento a non farlo spezzare mentre lo sfilava piano piano. Era sottile e bianchissimo. Se lo rigirò per qualche secondo nei polpastrelli prima di lasciarlo volare via e una sensazione di disagio lo colse all’improvviso.
Era stato uno sciocco, il giorno precedente. Aveva mostrato a Selhen la sua debolezza. Si era lasciato curare da un’asmodiana.
Si biasimò per quell’atteggiamento così stupido e infantile. E l’aveva anche baciata sulla gota fredda e marmorea fingendo, ovviamente, che quel gesto fosse cosa da poco!
La verità era un’altra. Era stato curioso di sapere che sensazione si provasse a fare qualcosa di così abominevole come baciare una dell’altra razza. Era rimasto colpito dall’assoluta naturalezza con cui Selhen aveva fatto lo stesso alla Sillus.
A quel contatto si era quasi aspettato di esplodere, o di ferirsi mortalmente, di bruciarsi, scottarsi, morire… ma non era successo assolutamente niente, e questo lo aveva lasciato deluso, quasi svuotato.
Quell’esperienza aveva minato seriamente tutto quello che aveva impiegato a costruirsi in una vita: una teoria secondo cui non poteva esistere, neanche nei più remoti pensieri, un accordo con l’altra razza, un contatto visivo né, a maggior ragione, fisico. E solo in quel momento si era accorto che quella teoria non aveva alcun fondamento. Quell’odio infiammato tra le due razze era solo il frutto delle manipolazioni mentali dei Daeva altolocati che portando avanti gli ideali di una guerra giusta salvaguardavano i loro interessi.
Alla fine dei conti al centro di tutto cosa c’era? L’amicizia tra un elisiano e un’asmodiana che sarebbe stata anche punibile con la morte, se fosse stata scoperta.
Alto tradimento e disonore massimo. Fare comunella con le bestie indisciplinate di Asmodae era uno dei reati che non meritava pietà, dalle sue parti.
“Sapevo che ti avrei trovato qui”, aveva detto una vocina melodiosa alle sue spalle cogliendolo di sorpresa.
Velkam si voltò all’improvviso colto alla sporvvista. Come avevano potuto, i suoi sensi in allerta, dimenticarsi di scandagliare la zona e permettergli di abbassare le difese?
“Echo”, disse voltandosi dalla parte della ragazza che avanzava nel suo elegante vestito rosso un po’ sgualcito.
La Daeva dall’aspetto angelico stirò un piccolo sorriso e allungò una mano verso di lui per aiutarlo a rimettersi in piedi. “Dormito male questa notte?”, domandò.
Velkam scrollò le spalle. “Colpa tua e della tua invadente presenza…”, scherzò con un mezzo sorriso. In realtà Echo era così minuta che la sua presenza, quella notte, non aveva fatto alcuna differenza.
Lei lasciò andare la sua mano e lo guardò da sotto in su con ammirazione. “Mi perdonerai, ma ieri sera ero così esausta che dopo averti riaccompagnato a casa ti sono crollata accanto”.
Velkam le rispose con un tenero sorriso. “In questo modo non faremo altro che aumentare le malelingue sul nostro conto. Sai che a Sanctum sono uno degli oggetti di gossip preferito dai daeva nullafacenti”.
Echo ridacchiò. “Ti importa qualcosa?”.
“Sinceramente? Mi è sempre importato molto poco di quello che la gente dice”, disse lui disinteressato .
I luminosi capelli di Echo rilucettero ai primi raggi più caldi del mattino. “Che ne dici di darmi qualche dritta su come si caccia?”, chiese poi come se quella fosse stata la migliore trovata del momento.
“Solo perché oggi è la mia giornata libera”, rispose lui tirando fuori dalla faretra un’elegante freccia dalla coda piumata.
“Vada solo per oggi…”, sbuffò la fattucchiera con un cipiglio dispiaciuto. Diede un’occhiata a un foglio che estrasse dalla borsetta e sorrise radiosa. “Ho anche una missione qui vicino. Si comincia, da questa parte!”, trillò trotterellando lungo il vialetto sterrato.
Velkam sorrise all’entusiasmo di quella ragazzina perennemente allegra e si apprestò a seguirla. Quanto a Selhen, e ai pensieri che fino a poco prima lo avevano distratto, li seppellì in una parte remota della sua testa e lì li lasciò, preparandosi piuttosto ad un’autentica giornata da perfetto elisiano.
Era arrivato il momento della caccia agli asmodiani, ed era meglio mettere da parte i sentimentalismi, se voleva essere un bravo precettore per la sua cadetta.
 
 
[Ecco a voi lo speciale che avevo promesso. Consideratelo come un extra tutto all’insegna di elysea che avevo già pronto in attesa della ventesima recensione, per cui ringrazio la mia cara Mikachan **
E’ bellissimo leggere i vostri commenti a volte anche simpatici e, lasciatemelo dire, un po’ comici.
Godetevi questo lungo speciale e un bacione a tutti quanti. Always in my heart.
Fatemi sapere che ne pensate u.u, si accettano anche critiche e consigli <3 al prossimo capitolo!]
 
 
pezzo: http://www.youtube.com/watch?v=iY_KPElG6kI

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Capitolo 12
*** -11- Un bacio clandestino ***


~~Avrei voluto odiarli, come facevano tutti. Avrei voluto provare gioia nell'uccidere un elisiano o nel vederlo morire, ma così non era...
Era passato un mese dall'ultima volta che le strade mia e di Shad si erano incrociate a Reshanta. Da allora mi ero imposta che se lo avessi rivisto, avrebbe dovuto apparirmi indifferente.
Il dolore tornava a pungere come una lama tagliente alla gola ogni volta che, qualsiasi fosse l'occasione, i nostri occhi si incontravano.
Il tempo trascorso da sola, tuttavia, mi aveva fortificata. E se prima ad offuscare la mia mente c'era il ricordo di quel pomeriggio con Shad, adesso pensavo solo a me stessa e a quello che era meglio per me.
Le missioni mi tenevano impegnata, assorbivano completamente le mie energie, eppure, nonostante fossi divenuta una guerriera più attenta, gli elisiani che uccidevo non colmavano il vuoto che avevo dentro, anzi, spalancavano la voragine del mio cuore. Dei pensieri scomodi mi affioravano nella mente perchè stavo negando la vita a un essere che ne aveva il diritto esattamente come lo avevo io.
E poi c'era Velkam. Quel sorriso pulito che non riuscivo a togliermi dalla testa, quella risata cristallina e contagiosa. Quegli occhi verdi...
“Selh”. Saephira mi guardava preoccupata. Avevamo trascorso quell'ultimo mese vedendoci ogni giorno. Ogni volta che la guardavo vedevo nella mia amica una risolutezza nello sguardo, come se ci tenesse a farmi stare meglio anche solo con la sua presenza.
Ma Saephira aveva trovato la persona che colmava quel vuoto, quella voragine che a me tanto pesava.
Me lo aveva detto qualche giorno prima, in uno dei tanti pomeriggi passati a Gelkmaros insieme. Eravamo di ritorno da una missione e avevamo appena fatto ingresso nella fortezza quando Saeph si era seduta su un gradino, all'ombra, e aveva vuotato il sacco.
“Selhen, devo confidarti una cosa”.
Io l'avevo osservata con curiosità e mi ero seduta accanto a lei. L'avevo vista molto cambiata in quei giorni. Era apparsa più matura, più consapevole del suo ruolo, e a giudicare dal tempo che avevamo passato insieme a combattere, mi era sembrata anche molto più abile.
“Io e Brahm...stiamo insieme”, aveva detto così di fretta tanto da aggrovigliare le parole.
Ripensai al tizio alto e severo che sembrava avercela col mondo intero. L'incatatore asmodiano che per poco non aveva ammazzato Velkam.
“Tu e Brahm?”, chiesi incuriosita.
Saeph aveva annuito allegra. “Ecco spiegati i miei passi da gigante nel combattimento e nelle abilità”, aveva concluso luminosa. “Mi è sempre stato accanto, mi ha insegnato un sacco di cose”.
Io avevo sorriso, o per lo meno mi ero sforzata.
Ero contenta per lei? Sì, lo ero, ma sapevo anche che adesso un pezzettino della mia migliore amica mi sarebbe stato rubato da Brahm.
Eppure questo aveva spiegato i suoi strabilianti miglioramenti e il suo perenne buonumore.
Da quel giorno Brahm era stato sempre nei dintorni, ed era inutile negare che tra quei due corresse una chiarissima sintonia.
Io, invece, da quel giorno mi ero sentita sempre più sola, sempre più matta, sempre più... incompleta.
Sì, mi sentivo pazza, invasata... Velkam e quel bacio sulla guancia che mi aveva lasciato, se prima lo avevo seppellito nei ricordi e lì lasciato andare, adesso riaffiorava sempre più spesso alla mia memoria. Rivedevo quella scena, risentivo il suo profumo vicino al viso, bramavo di sfiorare con le mani la pelle calda e rosea di quel nemico.
Sembrava quasi che io fossi una falena attratta dalla luce di una lanterna, e che bramassi, più di ogni altra cosa, sfiorare quella luce e sentirne il calore sulle ali.
Velkam rispuntava troppo spesso nei miei pensieri. Lo avevo confidato a Saephira che aveva liquidato la cosa interpretandola come un problema di poco conto.
“È solo una reazione alla delusione che ti ha dato Shad...”, mi aveva rassicurata con razionalità, “tra qualche giorno te ne dimenticherai”.
 Avevo sperato che fosse davvero così, ma più tentavo di scacciarlo dai miei pensieri più lui ci tornava.

Adesso davanti a noi si stagliava l'immenso palazzo di Kamar, a Sarpan.
Ero stata tutto il giorno in giro per Pandemonium a sbrigare faccende ufficiali.
Avevo deciso di abbandonare la mia legione e rifugiarmi in quella di Saephira. Ero convinta che operare insieme a lei avrebbe potuto distrarmi, così avevo dovuto adoperarmi per comunicare il tutto agli uffici di Legione.
Adesso io e lei eravamo ufficialmente compagne di legione, e i nuovi legionari erano stati con me fin troppo cordiali e accoglienti. In un attimo ero quasi riuscita a dimenticare gli avvenimenti dell'ultimo periodo.
Stare lontano dal gruppo di Shad, oltretutto, mi avrebbe solo fatto bene. Adesso non ci saremmo nemmeno incrociati per sbaglio, ma salutare Death... quello era stato piuttosto duro.
Io e Saephira stavamo parlando del mio recente ingresso in legione, quando notai una figura familiare vicino alla statua del teletrasporto.
Scossi il capo con una mezza risata nel momento in cui dal varco comparve il cacciatore che da circa un mese tormentava i miei pensieri.
I suoi occhi luminosi avevano percorso la piazza e le sue pupille smeraldo avevano tremato per qualche motivo quando si erano posate sopra di me.
Non mi ero accorta di avere schiuso le labbra dallo stupore memtre il cuore aveva iniziato a martellarmi nel petto.
Era inaudito... La mia reazione, era inaudita.
Avrei voluto odiarli... come facevano tutti, avrei voluto provare gioia nell'uccidere un elisiano... ma non ne ero capace...
Velkam aveva pagato il teletrasportatore e aveva camminato pigramente verso di me mentre un farfuglio stupito della mia migliore amica mi aveva indicato che anche lei era consapevole di quello che stava  per succedere.
“Sta venendo qui... ti fissa...”, aveva proferito in un sussurro.
“Lo so”, risposi tra i denti facendo finta di non far caso a lui e puntando il mio sguardo smarrito su Saephira.
“Che pensi di fare?”, mormorò di soppiatto.
“Questo non lo so”, risposi.
Quando percepii il tocco dell'elisiano sulla mia spalla rabbrividii e mi voltai un po' diffidente.
“Ehi, ehi, asmodiana. Non era mia intenzione spaventarti...”, disse l'elisiano sorridendo rassicurante, “siamo in territorio neutrale, ricordi?”.
Ne approfittai per percorrerlo con lo sguardo. Le mie gambe erano molli e la salivazione azzerata.
“Ciao Velkam”, dissi deglutendo quel poco di saliva che mi era rimasta.
“Ciao Selhen”, aveva replicato lui senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.
Saephira spostava lo sguardo dall'uno all'altra un po' smarrita.
Tentai di recuperare la mia aria sicura e raddrizzai le spalle per voltare il busto verso di lui. “Hai ripreso l'uso del braccio, vedo...”, sorrisi osservando il suo bicipite liscio e roseo scoperto, senza più nessuna fasciatura.
“Le tue erbe medicinali sono state miracolose”, mi sussurrò vicino all'orecchio perchè nessuno potesse sentire, oltre me.
“Oh...”, arrotondai le labbra inarcando un sopracciglio, “ne sono felice”.
Velkam aveva titubato per un attimo quando il nostro gruppetto era stato raggiunto da un terzo asmodiano. Si trattava di Brahm, che lo aveva guardato con aria minacciosa.
“Il tuo amico deve avercela con me proprio a morte”, aveva detto lui sarcastico stiracchiandosi, poi aveva seguito con lo sguardo le sagome di Brahm e Saeph che si allontanavano da noi dopo che la mia amica mi aveva fatto un cenno con lo sguardo per indicarmi che aveva da fare.
Le avevo annuito ed ero rimasta sola con il cacciatore elisiano, studiando con lo sguardo i suoi abiti in pelle finemente lavorati e resistenti. Notai varie scalfiture e graffi nella pelle lucida. Dovevano essere segni delle armi che in battaglia glieli avevano incisi.
C'erano tratti del carattere di Velkam, a volte, che un po' mi ricordavano Shad. Ma a lui non avrei potuto mai associare le tenebre, era più un tipo luminoso, nei suoi occhi potevi quasi leggere quello che pensava. Shad, invece, era un enigma continuo.
“Allora asmodiana, mi aspettavo che fossi almeno un po' contenta di incontrarmi sano e salvo”.
Lo guardai male. “Dovrei?”.
Lui stirò un sorriso. "Ovviamente...", disse scompigliandosi i capelli, "non si incontra tutti i giorni un giovane di razza elisiana come il sottoscritto".
Cercavo di reprimere in me quell'assurda sensazione di felicità che la sua vista mi causava e non riuscivo, nonosante tutto, a sforzarmi di non sorridere. Quell'elisiano mi stava troppo simpatico. E quel troppo aveva un'accezione chiaramente negativa.
"Stavi a Sarpan per guadagnare qualche Kahrun?", mi chiese lui dopo averci riflettuto.
Annuii poco convinta.
Sul suo viso si disegnò uno di quei sorrisi bellissimi e tentatori. "Sai una cosa? Stavo andando anch'io a sbrigare una faccenda Kahrun. Vuoi una mano?".
Mi accigliai senza capire. Avevo sentito bene? Un elisiano che si offriva di darmi una mano?
"Stai scherzando vero?".
Lui rise sghembo. "Mai stato così serio, asmodiana. Finchè a Sarpan vige il coprifuoco sei al sicuro".
Che fossi al sicuro lo sapevo già. Se Velkam avesse voluto uccidermi avrebbe potuto farlo più di una volta, di certo non gli erano mancate le occasioni. Però suonava tremendamente strano sentire che si stava offrendo di aiutarmi per una missione.
"Mi correggo...", aveva ripreso lui come se mi avesse letto nel pensiero, "non mi sto offrendo di aiutarti, ma solo di... tenerti compagnia fino al deserto di Kamar", scrollò le spalle sorridendo.
Grugnii poco convinta. "Come preferisci".
Mi ero avviata a passo lento oltre la statua del teletrasporto e avevo sceso le scale voltandomi solo alla fine dell'ampia scalinata per verificare che Velkam mi fosse dietro. In effetti c'era davvero, e lo sorpresi a studiarmi con lo sguardo.
"A che pensi?", gli chiesi a bruciapelo in un momento di silenzio.
Non rispose subito. Parve dover trovare le parole giuste prima di concedermi la risposta.
"Stavo pensando a quanto sia strano eppure semplice, qui a Sarpan, camminare fianco a fianco a un'asmodiana".
Mi voltai a guardarlo e puntai i miei occhi sui suoi. "C'è qualcosa che ti ha fatto cambiare idea sul nostro conto?", domandai.
Lui si fissò gli stivali per qualche secondo. "Tu...", disse poi risollevando lo sguardo, "mi hai fatto capire un paio di cose che non avevo capito in vent'anni d'addestramento".
"Tipo?", chiesi esortandolo a continuare.
Lui ridacchiò furbo. "Non credi che stiamo andando troppo oltre al numero di domande concesse?".
Sbuffai. "Oh insomma! Non sono stata io a chiederti di venire con me. E sarebbe uno spreco non conversare visto che sei così bravo a parlare la mia lingua".
Annuì divertito da quell'affermazione. "Posso dartela per buona. Comunque... non pensavo fosse così facile stare bene con te".
Sorrisi sincera continuando a guardare avanti a me l'uscita della fortezza. Dei Reyan a guardia tenevano ritte le loro lance. Le loro ali rosee oscillavano piano al vento pomeridiano. Al nostro passaggio ci scrutarono con diffidenza ma non dissero una parola.
"Sì beh, stare bene è un parolone ma... pensavo fosse più difficile approcciarsi a un asmodiano senza le armi".
Scossi il capo con disapprovazione. "E' quello che hanno sempre voluto farci credere. Nulla ci vieta di andare contro questa credenza comune".
"Le convenzioni sociali lo vietano. Se adesso qualche elisiano di alto rango mi vedesse a passeggiare con te mi darebbe del disertore... del traditore".
Forse sarebbe stato lo stesso per me. Tra il popolo asmodiano erano più gli estremisti che le personalità che protendevano alla pace. E poi, il popolo asmodiano era stato generato dalla guerra.
Se gli elisiani, un tempo, avevano desiderato la pace coi balaur, gli asmodiani erano stati gli unici responsabili della scintilla che aveva fatto scoppiare quella guerra. L'ucciosione di uno dei grandi generali balaur aveva fatto saltare in aria tutti gli accordi tra i Daeva e i mostri dell'abisso.
Da allora il disaccordo era stato tale che gli asmodiani, rifugiatisi nella parte più oscura di Atreia, avevano cominciato a portare avanti nell'ombra la loro crociata sia contro i Balaur che contro i loro oppositori.
"Sai cosa penso? Che abbiamo molto più di quanto crediamo in comune", gli spiegai mentre tiravo fuori i miei revolver alla ricerca di Layalf l'astuto. Eravamo scesi a valle e lì il terreno cominciava a diventare arido e sabbioso, pieno di insidie e scolopen velenosi.
Velkam mi affiancò prendendo l'arco tra le mani ed estraendo una freccia dalla faretra.
"Cosa, secondo te?", mi chiese con tono di chi già conosceva la risposta.
"Siamo Daeva...", lo guardai, "siamo stati entrambi esseri umani prima della nostra ascensione...", mi interruppi scandagliando la zona con gli occhi. "Alla fine cambia solo il colore delle nostre ali e della nostra pelle".
Velkam annuì.
"Non pensi anche tu, quando uccidi un nemico, che stai negando la vita a un individuo che la merita proprio come la meriti tu?".
Il cacciatore mutò espressione ma ritrovò presto il sorriso di sempre. "Forse a volte ho potuto pensarci".
"Forse", gli feci eco acida.
"Selhen", mi chiamò con tono pacato.
Mi girai a guardarlo. Era bellissimo coi raggi del sole che rendevano il verde dei suoi occhi ancora più limpido. Lui abbozzò un mezzo sorriso a cui risposi poco convinta.
"Sì?", domandai senza capire.
"Non mi ero mai chiesto cosa si potesse provare sfiorando la guancia di un'asmodiana, prima di un mese fa", cominciò.
Mi chiesi dove volesse arrivare con quel discorso ma lo lasciai proseguire.
"E la cosa mi ha lasciato alquanto perplesso. Mi aspettavo qualcosa di terribile che invece non è accaduto, così, in tutto questo mese ho sperato vivamente di rincontrarti".
"Perchè?".
"Perchè..." si interruppe. "Perchè avrei voluto provare un'altra cosa".
Corrugai la fronte senza capire. "Cosa?".
Non feci a tempo a chiederlo che me lo ritrovai così vicino che avrei quasi potuto contarne le ciglia. Velkam mi stava scostando un ciuffo di capelli dal viso e sfiorava la punta del naso contro il mio fissandomi intensamente negli occhi.
Potei quasi perdermi in quegli occhi limpidi e il mio stomaco si contorse. Non capii se stesse accadendo per via della paura o solo perchè non mi aspettavo che mi venisse così vicino e si esponesse così tanto.
Temetti che qualcuno potesse vederci, ma con mio sollievo mi accorsi che un grande masso ci nascondeva alla strada di passaggio.
Lasciai cadere inerte i due revolver sulla sabbia morbida poggiando entrambe le mani sui suoi avambracci, accarezzandone la pelle calda e rosea, così diversa dalla mia.
"Solo per una volta", aveva detto in un sussurro prima di sfiorare le mie labbra con le sue, senza fretta, chiudendo gli occhi per godersi tutte le sensazioni che quel bacio clandestino gli procurava. Lo imitai, col cuore che mi martellava nel petto. La morbidezza di quelle labbra era disarmante, il calore di quella bocca rassicurante.
Io e Velkam ci stavamo baciando. Era mai, qualcuno, arrivato a tanto?
Improvvisamente l'unica domanda che aleggiava nella mia mente era questa: c'era mai stato qualcun altro prima di noi?
Quel bacio lento sembrò durare un'eternità e mi diede la consapevolezza che avevo sempre cercato di insabbiare con inutili giustificazioni. Avevo sempre pensato a Velkam non perchè Shad mi avesse deluso, ma perchè era a lui che avevo voluto pensare.
Mi allontanai terrorizzata. "Velkam!". Avevo stretto le mani su entrambe le sue braccia muscolose come per aggrapparmi a lui. Sentii la sua presa salda nell'incavo della mia schiena. Le sue braccia solide passavano intorno ai miei fianchi azzerando la distanza tra i nostri corpi.
"Niente di meglio...", aveva detto alla fine tentando di prolungare quel momento ancora un po' coi suoi occhi chiusi.
Non lo spinsi via, nè feci nulla per allontanarmi ma mi sentivo confusa e smarrita.
Perchè Velkam mi aveva baciata? Era stato lui stesso a parlarmi delle pesanti pene che colpivano i disertori, sia ad Elisea che ad Asmodae.
Poi con un sorriso mi aveva lasciato andare e aveva scoccato fulmineo una freccia che era andata a conficcarsi nella pelliccia morbida di Layalf. La volpe, che era appena sbucata da dietro il masso, aveva cacciato un urlo prima di accasciarsi per terra morente.
"Tutto tuo, Selhen", aveva detto infine Velkam sfiorandomi il viso con il pollice.
 Mi riscossi dal torpore solo dopo che tutta l'azione era realmente terminata. "Grazie", mormorai soltanto accennando un sorriso.
 Lui fece per voltarsi e lasciarmi andare a recuperare la bestia.
"Aspetta", lo fermai trattenendolo per un braccio.
I suoi occhi verdi mi scrutarono interrogativi. Si aspettava un mio commento riguardo a ciò che era appena accaduto?
Non avrei commentato, o almeno non in quel momento, c'era dell'altro che era più importante che io gli dicessi.
"Voglio rivederti", conclusi secca serrando la stretta sulla sua mano.


[Bene carissimi, perdonate immensamente il ritardo della pubblicazione ma è stato un brutto periodo e io ero decisamente a corto di idee.  Mi ci è voluto un po' di tempo a ideare questo nuovo capitolo che credetemi, vuole essere il preludio a qualcosa di molto meglio.
Recensite come sempre, e magari deciderò di tirar fuori un altro speciale su Velkam :* bacio a tuttiiiiii]

 

 

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Capitolo 13
*** -12- Una nuova amica ***


~~Quando avevo chiesto a Velkam di rivederlo non avrei mai creduto che avesse potuto accettare così facilmente. Eppure aveva abbozzato un sorriso e aveva annuito, raccogliendo le mie pistole da terra e rimettendomele in mano.
"Dove?", aveva chiesto pragmatico.
"A Sarpan, sul retro della fortezza", avevo detto io in un soffio col cuore che dentro di me faceva le capriole.
Non era stato facile spiegare a Dahniel quello che mi era accaduto quel giorno.
Quando gli avevo raccontato che un elisiano mi aveva baciata la sua espressione dapprima incredula era mutata presto in un'espressione sdegnata, e successivamente diffidente.
"Stai scherzando!", aveva proferito freddamente mentre si sistemava la cintura del giubbino, interrompendo imrovvisamente quell'azione per guardarmi dritto negli occhi.
Scossi il capo con aria colpevole.
"E mi auguro tu gli abbia piantato una pallottola nel cuore".
Negai ancora una volta.
"Selhen, cosa...?", corrugò la fronte con un sorriso scettico.
Dondolai sui piedi chiaramente in difficoltà. "Senti Dahn, non è come pensi".
"Cosa ti salta in mente Selhen? Vuoi davvero farti ammazzare? Dubito che non lo faccia lui, ma se anche fosse, hai idea di quello che significherebbe se venisse scoperto che hai una relazione col nemico?".
Quelle parole furono per me un pugno allo stomaco. Era come se non avessi mai voluto sentirle davvero.
"Non succederà nulla Dahn, promesso".
Dahnael annuì nervosamente. "E' per questo che gli hai chiesto di rivederlo, immagino".
Ad un tratto un lampo di genio illuminò la mia mente. E se Velkam avesse potuto aiutarci con la maledizione di Dahn?
"Ho... ho pensato che potesse esserci utile per risolvere la faccenda della tua maledizione".
Dahnael rimase perplesso per qualche secondo, come se stesse valutando realmente quella mia supposizione. In realtà però avevo mentito, e a quell'ipotesi avevo pensato solo in quel momento per trovare una giustificazione all'errore madornale che avevo fatto.
Eppure, pensandoci bene, non era una cattiva trovata.
 Dahnael si era lasciato andare a una risatina invasata. "Un elisiano che debba essermi d'aiuto, giusto? Selhen, in che mondo vivi?", concluse agganciando ai pantaloni la cintura coi foderi delle pistole.
"Dai andiamo, devo farti conoscere qualcuno", lasciò cadere l'argomento con tono scocciato
Corrugai la fronte. "Non dovevamo andare a Morheim?", chiesi.
Dahnael annuì. "Ovvio".
Quel giorno avevamo deciso che era arrivato il momento di guadagnare un po' di kinah, e cosa avremmo potuto fare di meglio, se non andare a saccheggiare e derubare la più ricca e facoltosa tribù di Mau di tutta Morheim?
Dahn aprì il cassetto della credenza e ne tirò fuori tre fiale scintillanti. Rimasi a guardarlo mentre inalava svelto una parte della polvere e lasciava scivolare la fiala col resto dentro la tasca del giubbotto.
"Per stanotte in questo modo dovrei essere coperto", mormorò cupo richiudendo il cassetto con un tonfo.
Sussultai alla violenza con cui lo fece e mi accinsi a seguirlo docile fino all'ingresso.
Mi guardai intorno nel semibuio delle torce e il mio sguardo si soffermò sulla mia immagine allo specchio. Una Selhen pallida e dallo sguardo afflitto ricambiò la mia occhiata.
Non lo avrei mai ammesso, ma quella parte irosa e pericolosa di Dahn mi faceva un po' paura.
Scorsi lo sguardo sui miei abiti. Da quando avevo fatto ingresso nella nuova legione avevo mutato anche tenuta da combattimento. Lo scarlatto emblema della nosra armata risaltò alla luce delle torce in direzione della mia spalla. L'elegante giubino in pelle candida non faceva che accentuare il pallore del mio viso magro e diafano.
Mi riscossi solo quando mi accorsi che Dahn mi stava guardando con un mezzo sorriso.
Ricambiai la sua occhiata con una interrogativa.
"Ti trovo più in forma", disse dolcemente. "Da quando hai cambiato legione, intendo", concluse indicando con lo sguardo l'emblema alla mia spalla.
Sorrisi pacata. "Lo sono, non avere Shad tra i piedi migliora di gran lunga le cose", dallo specchio notai il mio sguardo spegnersi.
Dahn mi posò una mano artigliata sulla spalla. Voleva essere un gesto di consolazione. "Hai fatto la scelta più giusta".

 Era stata una lunga camminata quella che ci aveva portati alla stazione del teletrasporto di Pernon. Eravamo poi volati dritti a Pandemonium per gli acquisti dell'ultimo minuto e quindi, Dahn pagò Doman per entrambi, perchè ci indirizzasse alla volta della maestosa e buia fortezza di Morheim.
Quando giungemmo in quella che era, assieme a Beluslan, una delle zone più gelide di Atreia, mi strinsi nel mio giubbino in pelle e fui scossa da un brivido.
"Brrrr, si gela", mi lagnai sbattendo i tacchi sulla pietra gelata della piattaforma.
Mi incuriosii quando vidi che Dahn non aveva nessuna intenzione di pagare l'aerotrasporto che ci conducesse verso l'osservatorio di Morheim, molto più a sud. Ne fui contrariata visto che stavo letteralmene tremando dal freddo. La divisa di legione iniziava a risultare piuttosto leggera.
"Insomma Dahn, vogliamo andare?".
Dahnael parve non fare caso alle mie lamentele, continuò, piuttosto, a guardarsi intorno come alla ricerca di qualcosa... o qualcuno.
Ebbi la risposta quando notai una bella Daeva dalla fulva chioma corvina venire a passo svelto verso di noi.
Il taglio selvaggio di due occhi di ghiaccio erano un chiaro segnale della sua razza, così come la bella coda nera e le unghie affilate.
"Selhen, ti presento Lacie", aveva detto Dahn allegro prendendo la giovane Daeva per mano e portandola al mio cospetto.
Sorrisi alla nuova arrivata un po' sorpresa. "Ma noi non... dovevamo andare da...?", farfugliai confusa.
La ragazza dai capelli neri adornati da un fine ed elegante diadema annuì. "Piacere Selhen, sono Lacie e oggi sarò anch'io dei vostri nella... lotta contro i Mau!", la sua risata cristallina risuonò tra i ghiacci del luogo. Lacie aveva lanciato un'occhiata d'intesa a Dahn e aveva poi ripetuto con voce alta e sicura una formula magica, evocando al suo fianco un imponente spirito della terra esattamente uguale a quello che avevo visto un tempo ubbidire agli ordini di Shad.
Annuii e ricambiai il contagioso sorriso dell'incantatrice. "Oh ne sono davvero felice", fissai Dahnael con un ghigno furbo, "quantomeno avrò quacuno con cui prenderlo in giro!".
Lacie sorrise nuovamente.
Era appurato. La sua risata era decisamente contagiosa.
Dahnael mi guardò male per un attimo ma poco dopo non riuscì a trattenersi neanche lui dal lasciarsi andare ad una sana risata.
"Questa sera mi toccherà fare il cavaliere a due donne perfide come voi", disse poi con una falsa afflizione nel tono della voce.
Lacie esultò nel suo elegante vestito nero. "Oh, sciocchezze Dahn! Sai bene che so essere una così tenera compagnia, quando voglio!", lo guardò con degli occhi da cerbiatta, a cui Dahn avrebbe potuto anche capitolare se non fosse stato per il ghignetto divertito dipinto sulle labbra dell'incantatrice.
Mi venne da pensare che Dahnael non si smentiva mai quanto a buon gusto sulle compagnie da frequentare.
"E' comunque è chiaro che sei un donnaiolo", dissi austera lasciando che anche Lacie sentisse.
"Oh senza ombra di dubbio...", ridacchiò lei, "avresti dovuto vedere come provolava la prima volta che ci incontrammo in abisso...".
Inarcai un sopracciglio curiosa. "Ma davvero?".
Lacie allargò il sorriso mostrando i piccoli denti bianchissimi e piegò il capo per squadrare Dahnael da sotto in su.
"Mi ha salvata da un elisiano che mi aveva praticamente colta alle spalle, e poi ha insistito così tanto perchè uscissimmo insieme una sera".
Dahn si imbronciò. "Volevo solo essere cortese, donna di poca fede".
Intervenni con aria severa. "Oh certo Dahn, ricordo ancora la tua cortesia con quella sconosciuta al beach party".
il mio amico deglutì, toccato nel tenero del suo punto debole. Lacie intanto aveva spalancato le piccole labbra desiderosa di un nuovo scoop su Dahn.
Avevo dimenticato da tempo cosa significasse giocare con Dahn. Quando eravamo solo due umani compagni di giochi, mi divertivo un mondo a prenderlo in giro. E poi Dahn era un po' sadico. Se si trattava di donne, non ci pensava neanche una volta ad accondiscendere ad ogni richiesta.
Mi divertivo a fingere di essere la sua padrona. Con quell'aria austera con cui ero solita guardarlo quando volevo che facesse qualcosa per me.
Le nostre recite erano così verosimili che se qualcuno di esterno ci avesse visti, non avrebbe esitato a darmi della perfida despota.
Eppure a ogni ordine perentorio seguiva poi una risata divertita, soprattutto quando Dahnael, con l'aria da cagnolino bastonato diceva teatrale: "zì badrona!" "ai tuoi ordini badrona!".
Lacie mi aveva per un attimo riportata indietro nel tempo, ed era stato bellissimo guardare Dahnael con quello sguardo da despota e vedere come lui, afferrate le miei intenzioni, si era gettato per terra chiedendo teatralmente perdono.
L'incantatrice spalancò gli occhi interrogativa a quel gesto e io fui alquanto imbarazzata. "Dai Dahn, la gente ci osserva", avevo mormorato preoccupata e vagamente in difficoltà.
Dahnael si era rialzato con un ghignetto vendicativo sul volto e io gli avevo indirizzato uno sguardo offeso.
Spiegai a Lacie il comportamento di Dahn con un tono annoiato. "Compatiscilo, poverino. E' un sadico".
Lacie scoppiò a ridere.
"Gli piace che la gente lo schiavizzi e per vendetta, dopo avermi servito fedelmente per anni, mi fa apparire davanti a tutti come una despota".
Lacie ci pensò su per un attimo. "Fantastico, adesso avrò un nuovo spiritello da schiavizzare", annuì tutta contenta, "e questa volta me lo son trovato anche affascinante!", lo guardò maliziosa.
Dahn ricambiò lo sguardo senza mezzi termini.
Lo guardai con studiata preoccupazione. "Non starai pensando di ammutinarti alla tua vecchia padrona, vero?".
Dahn sorrise sghembo. "Perchè non dovrei, se la nuova sembra essere più benevola?".
Vidi Lacie titubare un po' dubbiosa ma riprendere poi la sua aria sicura. Quella ragazza sapeva il fatto suo, e quanto a simpatia, era una delle Daeva più divertenti che avessi mai conosciuto.
Tra una risata e l'altra un brivido di freddo mi fece tornare alla realtà. Convenimmo così, tutti insieme, di trasferirci a sud di Morheim e incamminarci verso il villaggio Mau che ci eravamo prefissati di saccheggiare. Con l'aiuto di una maestra degli spiriti e i suoi devoti seguaci sarebbe stato anche più semplice farlo.
Tra una base di teletrasporto e l'altra giungemmo nelle aride terre dei Mau. La sabbia soffiata dal vento entrava fastidiosamente negli occhi e si intrufolava nei vestiti . Dal gelido clima della fortezza eravamo passati al secco territorio della Morheim meridionale.
Ci muovemmo a passo svelto e sicuro tra quelle lande desolate, e presto, da un'altura, ci si parò di fronte il piccolo villaggio affollato che cercavamo.
Le capanne di legno, fango e paglia erano silenziose, ma le sentinelle erano ovunque. Si trattava di un villaggio ricco e come tale, il nostro primo problema doveva essere quello di ripulire il più velocemente possibile, tutte le sentinelle presenti. Solo allora ci saremmo infiltrati nella capanna del generale e degli sciamani, razziando tutte le loro ricchezze per andarle a rivendere poi, a prezzi esorbitanti, al primo mercante shugo che incontravamo.
"Penso io alle guardie", aveva assicurato Lacie spalancando le sue grandi ali rosate. La seguii con lo sguardo sorvolare il grosso burrone che ci separava dall'accampamento e posarsi con passo felpato dietro un cespuglio poco lontano dall'ingresso al villaggio. Le guardie non sembrarono essersi accorte di nulla. Una delle due, addirittura, sonnecchiava.
Meglio, sarebbe stato più semplice sopraffarle.
Presto io e Dahnael la imitammo raggiungendola al sicuro, all'ombra di quei cespugli rinsecchiti.
"Al mio tre", aveva sussurrato Lacie sollevando una mano dalla quale si sprigionò un flebile lampo di luce.
Io e Dahn annuimmo e caricammo entrambe i revolver. I nostri occhi luminosi furono pervasi dalla rassicurante furia asmodiana. Ed ogni volta che accadeva, combattere diventava più facile. La mia mente era totalmente concentrata, i miei sensi allerta.
Un lampo più forte sprigionatosi dalle mani di Lacie andò a investire la guardia Mau sveglia facendola cadere istantaneamente esanime, per terra.
"Era il tre", mormorò Lacie con un mezzo sorriso.
Il Mau dormiente sussultò, rendendosi conto troppo tardi di star subendo un attacco, ma Lacie ci mise una frazione di secondo a finire anche lui.
L'incantatrice ci aveva aperto la strada, adesso toccava a noi tiratori farci strada coi nostri revolver tra i Mau più pericolosi fino alla capanna più grande: il rifugio dello sciamano.
Già pregustavo il bottino.
Io e Dahn ci demmo la conferma a vicenda poi sbucammo dal nostro nascondiglio e a passo celere ci lanciammo nella mischia cominciando a sparare all'impazzata sulle guardie Mau, che smarrite non avevano ancora ben capito quel che stava accadendo.
La voce di Lacie accompagnava la nostra strage con melodiose fermule magiche mentre i forti ruggiti del suo spirito mi facevano capire che anche lei si stava dando da fare nel bel mezzo della battaglia.
"Da questa parte", aveva detto Dhan cercando di sovrastare il suono delle urla incomprensibili di quegli esseri guerrieri.
Poco dietro di noi Lacie ci seguiva facendosi scudo con la magia, protetta dal suo spirito.
Era quello il punto di forza delle classi magiche. Uno scudo di magia impenetrabile.
Quando raggiungemmo la capanna tanto agognata, Lacie distrusse la porta urlando una formula magica. Mentre lo faceva io e Dahn mietevamo svelti delle altre vittime tra i Mau più coraggiosi che cercavano di impedirci di raggiungere il loro generale, e alla fine eccolo là. Alto e possente, con un'armatura più ricca degli altri e un'espressione ostile dipinta nel viso rapace.
"Due piccioni con una fava", disse deliziato Dahn indicando con gli occhi luminosi un angolo della stanza in cui, mi accorsi, si trovava lo sciamano.
"Allo sciamano penso io", ghignò Lacie.
Fu un ammasso di luci e di suoni. Cinque precisi proiettili si conficcarono nel cuore del generale mentre distrattamente notavo dei lampi di luce sprigionarsi dai palmi di Lacie. Quando il generale fu a terra, svelti ci dirigemmo a dar man forte alla nostra amica che sembrava essere stata messa in difficoltà dalla magia dello sciamano.
"Lacie", arrancai verso di lei e la sostenni di peso mentre percepivo Lacie perdere le forze.
Dahniel sparò quattro colpi ben calibrati alla testa dello sciamano che stramazzò a terra senza più alcun suono poi ci raggiunse con un cipiglio preoccupato. Nel viso aveva dipinta un'espressione d'orrore. Temeva che a Lacie fosse accaduto qualcosa di simile a ciò che era accaduto a lui?
"Potrebbe essere una maledizione, una fattura... ci serve un guaritore dell'anima, subito!".
Lacie sospirò. Sembrava perdere le forze ad ogni secondo che passava.
"Resta a raccogliere il bottino, penso io a lei", disse il mio amico agitato prendendola tra le braccia. Il corpo di Lacie, abbandonato tra di esse, sembrava quasi più minuto e leggero.
Annuii senza contraddirlo. Leggevo il terrore nei suoi occhi, e capivo che Dahn non avrebbe mai augurato a nessuno che potesse accadere ciò che lui aveva patito.
Mi chinai a razziare tutto ciò che trovai in quella ricca capanna mentre Dahn, con cipiglio serio, dopo aver appoggiato Lacie coi piedi per terra, per soreggerla da un solo braccio, estraeva una pergamena dalla bisaccia e in asmodiano evocava il nome del Grande Tempio di Pandemonium. Era lì che era diretto.


[Ok . Ho scritto questo capitolo a seguito di una esperinza notturna vissuta realmente con questi due simpaticoni e casinari asmodiani di Aion. E devo dire che sì, quella sera ci siamo davero divertiti e io ho scroccato un sacco di kinah. <.<
 Avete visto che nuovo fantaviglioso arrivo nella storia? Oh sì, era doveroso. E poi ho notato che nella realtà tra la nostra Lacie e il nostro Dahn c'è molto feeling quindi u.u che ce la presentasse Dahnael era assolutamente d'obbligo. Li amo entrambi, sono fantastici e... che dire? Spero di vivere ancora tante avventure insieme a loro. Lacie ormai è una di noi <3 ti voglio bene Lacie, la mia fangirl preferita!]

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Capitolo 14
*** -13- Veleno e antidoto ***


Quando il giorno precedente avevamo saccheggiato con Dahn la tribù Mau a Morheim, eravamo riusciti a dividerci quello che era stato un bel sostanzioso bottino. Ne avevamo fatto pervenire un terzo a Lacie, della quale mi erano arrivate notizie tramite il mio migliore amico. Lacie era stata colpita da una banale fattura che un guaritore dell'anima aveva saputo eliminare senza problemi. Stava bene, e anche lei era riuscita ad arricchirsi parecchio.
Quanto al mio ultimo incontro con Velkam, erano passati tre giorni. Da allora quel bacio era stata la mia continua ossessione. Che fosse giorno, o notte, quella scena mi riaffiorava prepotente nella mente e nello stesso momento qualcosa dentro di me si agitava.
Era sera inoltrata e tra le ombre di Pandemonium il mio cuore faceva le capriole nell'impazienza di rivedere quell'elisiano. La luna immensa e imponente cominciava a risplendere illuminando coi suoi raggi pallidi e argentei le guglie degli edifici e i grigi muri in pietre della città.
Avevamo scelto la notte come nostra complice, quando nessuno sarebbe stato nei dintorni di Kamar intento ad adempiere a qualche missione.
Le alte colonne che circondavano il lago della piazza gettavano la loro cupa ombra all'interno del lago, e il cullante sbatacchiare dell'acqua al vento era l'unico rumore che potevo percepire intorno a me.
Solo ogni tanto, come lontani e spuntati da chissà dove, avvertivo dei passi leggeri  perdersi per chissà quale destinazione. Qualche Daeva frettoloso attraversava la piazza intento nei suoi affari e da essa presto spariva. Era ora di cena, a Pandemonium, e tutti sembravano essersi rintanati nello loro case a Pernon. Perfino i mercanti avevano ritirato le loro merci e avevano abbandonato le loro postazioni di vendita. La giornata moriva, e con essa, Pandemomium sprofondava nel silenzio e nell'oscurità. Un'oscurità che era vita per noi, e che alimentava e plasmava la nostra natura guerriera possente e diafana, come la mia.
Sollevai il viso a incontrare coi miei occhi scarlatti il bianco latteo di quella luce discreta. La luna, silenziosa, ricambiò il mio sguardo con una carezza luminosa. Impallidì ancora di più il mio viso, e fu testimone di una lacrima che scivolò lungo la mia gota per andare a inzuppare i miei vestiti.
"Perchè?", chiesi in un sussurro, più a lei che a me stessa.
Sorrisi tra le lacrime. Selene, il corpo celeste da cui prendevo il nome, era molto più simile a me di quanto mai avessi immaginato. Portavamo perfino lo stesso nome.
Selhen, perchè sei bianca e bella come la luna... mi aveva dolcemente spiegato una volta mia madre osservandomi con occhi pieni di orgoglio.
Non rivedevo mia madre da tempo immemorabile. Da quando se n'era andata, di sua volontà, rinunciando a che la sua anima venisse legata a un obelisco della resurrezione, perchè lo stesso destino era toccato a mio padre.
Anche lei, come me, era innamorata della luna. Della pallida e candida luna. Bella, selvaggia e silenziosa.
Così simile a me da morire ogni notte per il sole. Da inseguirlo instancabilmente nel cielo consapevole di non raggiungerlo mai.
Era Velkam il mio sole.  Era lui il mio sogno impossibile e recondito. La mia più assurda e stupida ossessione.
Ed era proprio per lui che quel pomeriggio io e Dahniel avevamo avuto una lite furiosa.

"Sei testarda, cocciuta! Maledizione!", aveva imprecato con un urlo così disumano che non avevo potuto far altro se non stringermi nell'angolino della poltrona su cui stavo seduta.
Dahniel era nel pieno di una crisi di astinenza. I suoi occhi iniettati di sangue mi tenevano inchiodata al mio posto, col respiro irregolare e il terrore nell'espressione. La sua fronte pallida era imperlata di sudore mentre a passo svelto si avvicinava a me e mi spingeva contro lo schienale con una mano serrata sul mio collo.
"Sappi, Selhen...", aveva sibilato spingendo contro la mia carotide quasi fino a togliermi il fiato, "che se perderai la vita per un... uno schifoso elisiano come lui, sarò io stesso ad ammazzarlo con queste mani".
I suoi denti famelici rilucettero sinistri alla luce di una torcia mentre le sue dita, nel movimento improvviso con cui le spostò, andarono a procurarmi con le unghie un profondo taglio sul collo che iniziò a sanguinare.
Mi ero accorta di star sanguinando solo quando mi massaggiai il collo col cuore in gola dalla paura.
"Dahniel, la fiala...", pigolai terrorizzata. "Non sei in te...".
"Zitta!", aveva urlato con chiara disperazione nella voce. Era caduto in ginocchio strappandosi i capelli e aveva poi, con un movimento brusco, distrutto il vaso che gli stava più vicino.
Mi strinsi nelle spalle spaventata al fracasso della ceramica infranta e le lacrime avevano cominciato a rigarmi il viso.

La discussione era nata quando avevo accennato a Dahniel che quel giorno avrei rivisto Velkam. Ma probabilmente avevo scelto il momento più sbagliato per ricordarglielo. In quell'ultima ora aveva dato facilmente in escandescenza ed era stato nervoso e intrattabile.
Eppure, a lui non riuscivo a nascondere nulla. Era sempre stato dolce e comprensivo. E la prima volta in cui glielo avevo confessato non era stato così duro nei miei confronti, ma forse, solo perchè aveva abbastanza polvere in circolo da placarne i sensi e le ire.
In quell'ultimo periodo avevo frequentato così tanto Dahnael da aver capito che, proprio come mi aveva spiegato la prima volta che mi aveva parlato della sua dipendenza e della sua maledizione, più il tempo passava, e ancor più devastanti erano le crisi d'astinenza che lo colpivano. L'odella lo rendeva giorno dopo giorno suo schiavo.
Con quei pensieri desolanti continuavo a rimirare l'acqua del lago, fin quando, in lontananza non udii i rintocchi della mezzanotte.
Balzai in piedi, e il mio cuore sussultò ad ogni suono chiaro e definito. Era il momento.
Mi specchiai nell'acqua e la tremolante sagoma della luna fu coperta dal mio viso che si sporgeva sull'acqua. Mi scoprii stanca e sfiancata.
I miei occhi erano arrossati e gonfi. La lite con Dahnael e il pomeriggio di pianto mi avevano estenuata. Non avevo immaginato che il mio primo incontro con Velkam avrebbe potuto avere il sapore delle lacrime.
Mi gettai la bisaccia a tracolla e salii le scale accostandomi, per un momento, a una delle alte colonne. Nascosi il viso tra i capelli poggiando la fronte sul freddo marmo di essa, poi presi un profondo respiro e mi incamminai, molto lentamente, per la strada del mercato. Attraversai senza fretta il grande e deserto ponte di Vifrost e raggiunsi la postazione del teletrasporto dove Doman sonnecchiava.
"Ehi", dissi con voce delicata per non spaventarlo.
Il teletrasportatore battè le palpebre e scosse il capo giustificandosi "Oh, sì sì... dove?", aveva farfugliato confuso con la voce impastata di sonno.
"Sarpan", dissi accennando un sorriso che non si estese agli occhi posando tra le sue mani la quota di kinah richiesta.
Il portale mi comparve davanti attendendo solo che mi ci lanciassi dentro.
Quella dimensione... solo quella dimensione e pochi passi di distanza mi separavano da Velkam. Almenocchè lui... non mi avesse presa in giro.
Quella possibilità mi attanagliò subito l'animo. E se si fosse solo preso gioco di me? Fino a quel momento?
E poi, potevo io confidare nella parola di un elisiano, quando era proprio la sua razza a volerci sterminati uno ad uno?
Senza pensare oltre mi gettai nel cerchio di luce e mi sentii leggera finchè i miei piedi non toccarono la dura pietra della piattaforma di Sarpan.
Mi guardai intorno in un atteggiamento furtivo che mi venne quasi naturale poi scesi dalla piattaforma attenta a che i miei tacchi non facessero tropo rumore.
Per l'occasione avevo decorato i miei capelli candidi con un cerchietto rosso che ben si intonava con i miei occhi e un vestito nero in pelle Uno dei miei ultimi acquisti elisiani fatto a Pernon da un mercante shugo itinerante.
Il ticchettio insicuro dei miei tacchi rintonò nella piazza buia e deserta. Le luci delle torce, sinistre, gettavano ombre scure ad ogni mio passo.
Sollevai gli occhi al cielo, come a cercare dalla luna un misterioso incoraggiamento. La sua figura diafana e silenziosa placò il mio animo quando mi addentrai in uno dei portici e sbucai su una seconda piazza ancor più quieta della precedente.
Silenziosamente, col cuore che batteva un po' più forte, svoltai l'angolo. Banchi e banchetti deserti erano riposti alle pareti della fortificazione, piccoli tavolini che all'alba sarebbero stati occupati dalle varie e singolari mercanzie degli shugo.
Le mie pupille si ingrandirono, abituandosi con fin troppa facilità al buio pesto, accennai qualche altro passo incerto, poi lo scorsi, un movimento fulmineo.
Sussultai quando mi ritrovai una mano posata sulle labbra che mi impedì di urlare. Ne riconobbi il profumo all'istante.
"Shhh", percepì in un sussurro al mio orecchio. Poi la mano si scostò e finalmente potei voltarmi.
Era Velkam. Con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra carnose.
Tendevo spesso a dimenticare che i cacciatori e gli assassini erano in grado di sparire. Era stato così che Velkam era riuscito ad avvicinarmi così tanto senza che io me ne rendessi conto.
Incerta ricambiai quel sorriso. Ero totalmente in imbarazzo che non avevo idea di cosa avrei potuto dire in quel momento.
"Da questa parte", aveva detto lui sottovoce prendendomi per mano e conducendomi fuori dalle mura,  oltre il ponte della fortificazione, per rifugiarci in una macchia d'alberi poco oltre i confini dell'immenso palazzo di Kamar.
Quando fummo abbastanza al sicuro perchè nessuno potesse vederci ritornai a respirare.
"Non credevo di trovarti qui per davvero", dissi alla fine sollevando lo sguardo verso il cielo mentre gli parlavo.
Dei candidi raggi lunari filtravano oltre i rami degli alberi investendo delicati entrambi i nostri volti.
Velkam era ancora in piedi. Aveva deposto vicino un masso arco e faretra e aveva approfittato della mia disattenzione per fissarmi.
"Neanch'io", aveva detto infine sarcastico.
A quella risposta distolsi gli occhi dal cielo e tornai ad osservarlo. La tenuta in pelle era la stessa di tre giorni prima. Di diverso c'era solo un taglio sull'avambraccio, vivido e fresco.
Corrugai la fronte senza capire. "Cosa hai fatto al braccio?", gli chiesi avvicinandomi.
Il flebile calpestio dell'erba accompagnò i miei passi quando presi il suo braccio caldo e muscoloso tra le mie mani gelide e delicate.
Scottava, segno che in quella ferita cominciava a diffondersi l'infezione.
"Questo pomeriggio a Gelkmaros... mi sono imbattuto in uno dei...", sorrise nervosamente. "In uno dei tuoi...", concluse incerto.
Allargai appena le labbra, in un gesto di comprensione, e annuii. Non mi andava nemmeno di sapere come fosse finita tra i due.
"Il tipo è riuscito a filarsela", aveva continuato senza che glielo avessi chiesto, quasi come a voler rassicurarmi.
Accarezzai assorta i contorni della ferita e ripensai al pomeriggio in cui ero stata io stessa a medicarlo. Medicare un elisiano potenziale assassino dei miei conoscenti, compagni, e amici di legione. Che blasfemia!
Senza pensare oltre mi chinai silenziosa a rovistare nella mia bisaccia per ripetere quell'operazione ma lui mi fermò con una mano sul polso.
"Guardami", disse soltanto.
Deglutii rimanendo per un attimo con le mani ferme ancora dentro la bisaccia e il viso chino sopra di esse, poi, molto lentamente sollevai lo sguardo sul suo, bruciante.
"Sei in pessimo stato", disse solamente.
Esitai. Aveva capito che c'era qualcosa che mi tormentava.
"Non sono io ad aver bisogno di cure oggi".
Scossi il capo con vigore e mi ostinai a tirar fuori dalla borsetta le erbe medicinali senza aggiungere nulla.
"No", disse lui secco ma con tono pacato bloccandomi nuovamente.
"Selhen...", mormorò.
Una marea di emozioni contrastanti mi invase quando sentii quel tono carezzevole pronunciare il mio nome. Quella cadenza strana e melodiosa, quell'accento lontano a cui a volte non avevo neanche fatto caso.
 E a quel nome, con le emozioni vennero i ricordi di quel pomeriggio, emersero i sentimenti di quegli ultimi tempi. L'incertezza e lo smarrimento di quel momento. Cosa provavo per Velkam in quell'esatto momento?
Non ne ero innamorata, no? Non potevo esserne innamorata!
Il frinire delle cicale alla calura di quelle notti estive interruppe il mio silenzio. Riempì lo spazio di tempo che io impiegai prima di parlare.
"Non... non è nulla", balbettai afferrando convulsamente il barattolino dentro la borsa nella quale avevo affondato le mani.
"Non è vero...", mormorò placido posandomi un dito sotto il mento perchè sollevassi il viso a guardarlo negli occhi.
"Sono solo... problemi asmodiani", ironizzai con un tono che era tutt'altro che leggero.
"Non deve essere così tanto irrilevante se stai così a pezzi".
Come aveva fatto con quel buio ad accorgersi di me e dei miei occhi gonfi?
Gettai uno sguardo nervoso al cielo.
"Cosa c'è?", chiese alla fine col tono dolce e l'accento come sempre melodioso.
Cercai di reprimere delle nuove lacrime. I miei occhi tornarono minacciosamente lucidi mentre stringevo così forte i denti da impedirmi uno scoppio improvviso di pianto.
Era stata un'orribile giornata, la crisi di Dahn, il graffio sul collo che ancora bruciava. La consapevolezza che il mio migliore amico poteva diventare pericoloso da un momento all'altro e che a volte il ritardo nella somministrazione di quella sostanza, per di più pericolosa, avrebbe potuto far scattare una scintilla di odio... tutto mi disruggeva. E poi... quando sarebbe dovuto giungere il momento che più avrebbe potuto farmi felice...  quando mi ritrovavo di fronte a lui, ecco che invece non potevo, essere felice. Non dovevo esserlo!
La bellezza di Velkam mi spiazzò ancora e quei suoi occhi verdi così veri e sinceri mi fecero capitolare all'istante.
Scoppiai in un fragoroso pianto che mi costrinsi a fermare per evitare che qualcuno potesse sentirci, ma se anche ero riuscita a placare e a tenere a freno i singhiozzi, così non era stato per le lacrime che continuavano, copiose, a rigarmi il viso.
Scivolai piano lungo la corteccia di un grande platino e mi ci appoggiai sedendomi a terra.
Quando Velkam mi si inginocchiò di fronte, per guardarmi negli occhi, non ebbi neanche la forza di oppormi a quella richiesta.
"Spiega", disse soltanto con un'autorevolezza nella voce degna di un governatore elisiano.
"Si tratta del mio migliore amico...", cominciai incerta prima di bloccarmi nuovamente disillusa. "Oh inutile, non capiresti... elisiano", sputai col tono più velenoso che potesse riuscirmi.
Velkam non demorse. Il suo sguardo, incatenato al mio, era rimasto ancora autorevole. "Mettimi alla prova".
Decisi che avrei provato a fidarmi di lui, ancora una volta. Fino a quel momento Velkam non mi aveva dato modo di dubitare delle sue azioni.
Ancora una volta la cosa mi suonò strana. Ripensai alle parole che Shad mi aveva detto quel giorno a Kamar, rimeditai sulla risposta di Velkam?
A chi avrei dovuto credere? Velkam, da elisiano che era, aveva mantenuto la parola ancor meglio di Shad, dal quale invece ero stata continuamente ferita e tradita.
Acconsentii a spiegargli ogni cosa quando lui, appoggiatosi a un tronco di fronte al mio, si dispose all'ascolto.
Raccontai di Dahn, della maledizione, della droga e della sua dipendenza.
"Lui... è importante per me", gemetti alla fine asciugandomi una lacrima col dorso della mano.
Quando ebbi terminato il racconto il silenzio calò nuovamente tra noi, rotto dal canto dei grilli e delle cicale tra le fronde.
Nella penombra, coi miei occhi felini in grado di vedere anche in condizioni di più scarsa visibilità, intravidi Velkam corrucciarsi ad un pensiero. Il cacciatore annuì distrattamente.
"Ho sentito di un caso simile al tuo anche dalle mie parti... ed è capitato a Tiamaranta anche quella volta", fece una pausa. "Ho paura che si tratti di un nemico comune o di un esemplare delle due razze fuori controllo".
Il tono pragmatico con cui analizzò la situazione riuscì quasi a darmi nuova speranza.
"Forse potremo...", continuò incerto, "indagare sulla questione nel tempo libero", esitò ad aggiungere insicuro.
Avevo sollevato lo sguardo speranzosa di sentirgli qualcosa del genere, e quella speranza, quella dolcezza...
Balzai in piedi senza neanche pensarci e mi gettai al suo collo.
"Grazie", dissi solo piangendo di gioia.
Percepii la sua mano accarezzarmi i capelli mentre lo stringevo. Il suo respiro era calmo e cullante.
"Perchè?", singhiozzai, "Perchè fai tutto questo per me?".
Sospirò serrando la stretta. "Non chiedermelo...", sussurrò. "Non perchè non ne hai il diritto, solo...", si interruppe, "non conosco neanch'io la risposta".
Mi distanziai per guardarlo negli occhi dopo aver asciugato gli occhi alla meno peggio. Il trucco doveva essere completamente sbavato e il mio aspetto mostruoso e cadaverico.
"E tu?", proseguì con tono più sicuro, "Tu perchè mi hai chiesto di rivederci?".
Non risposi a quella domanda spiazzante. Avrei potuto rispondere solo in una maniera.  Ma non ero certa che a lui sarebbe stata cosa gradita.
Esitando pensai che dopotutto era stato lui a chiederlo e a pretendere una risposta, e d'istinto lo feci. Mi slanciai verso di lui e premetti le mie labbra sulle sue.
Emozioni del tutto nuove mi travolsero a quel nuovo bacio a cui lui, rigido, non contraccambiò subito. Colto di sorpresa era rimasto immobile senza la minima idea di come reagire.
Non desistetti, ma serrai ancor più la stretta attorno al suo collo e finalmente quel bacio si sciolse.
Non c'era più alcuna inibizione che ci impedisse di scambiarci nel buio di quella notte di luna piena, una reciproca promessa.
Quel bacio concitato, disperato, era meglio di tutte le parole che insieme avremmo potuto pronunciare.
Mi abbandonai completamente tra le sue braccia. Lui appoggiato contro un rigido tronco, io con una mano tra i suoi capelli e una in direzione del suo cuore. I nostri respiri si fusero, le nostre salive si confusero, mentre i nostri cuori, destinati a non amare mai quello che eravamo l'uno per l'altra, perdevano pericolosamente la cognizione di ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
La luna, Selene... dall'alto di quel cielo buio e senza nuvole era l'unica testimone di quello che all'ombra della fortezza di Kamar adesso sbocciava tra noi.
Un seme maligno, insidioso, velenoso ma così dolce, a cui forse, come a una dipendenza, non avrei più rinunciato. Quel bacio era veleno per me, si insinuava nelle mie membra, in ogni parte della mia mente, mi uccideva con l'assurdità della sua stessa esistenza ma come un antidoto mi guariva da tutto ciò che ero sempre stata senza di lui.

 

[Ohw... io amo le storie d'amore impossibili. Non si era capito vero? <.<
No ma ditemi, non sono teneri? Che ne pensate di questa struggente e travagliata storia d'amore?
Avevo provato a scrivere questo capitolo ieri ed ero completamente bloccata e a corto di idee. Una chiacchierata con la mia migliore amica, che ringrazio immensamente, ha chiarito molte mie idee e mi ha dato l'input per proseguire questa bella fic per tutti voi che mi seguite. Siete meravigliosi **
Grazie anche a chi ha messo la mia storia tra le preferite. (ga6ri3lla e hopeless99). Un pezzetto di questa storia è anche vostra <3
Vi amo tutti e sono davvero curiosa di leggere le vostre recensioni, se solo me le faceste ç_ç
Voglio i vostri consigli, le vostre idee e anche le vostre critiche u.u
Bacio. Al prossimo capitolo!]
P.s. love you Razielletta95 perchè mi recensisci sempre u.u

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Capitolo 15
*** -14- Confessione ***


~~Velkam... Velkam... Velkam. Era quel nome che rintonava prepotente nella mia testa. Ed erano brividi quelli che ne seguivano al pensiero delle nostre labbra unite, fameliche, desiderose le une delle altre.
Non mi ero accorta nemmeno di starmi sfiorando le labbra con le dita mentre ci pensavo, ma mi riscossi nel momento in cui sorpresi Dahnael a fissarmi con un sorrisetto sghembo.
"Che stai facendo?", mi chiese con un lampo di malizia negli occhi.
"N.. nulla", balbettai in difficoltà girandomi dall'altra parte.
"Hai veramente incontrato l'elisiano ieri notte?", chiese con tono pacato. Dell'ira funesta dello scorso pomeriggio non c'era più alcuna traccia.
Annuii rimanendo di spalle, abbassando e alzando solo vistosamente il capo.
Udii un sospiro rassegnato  e in quel momento immaginai che Dahnael stesse scuotendo il capo candido come solo lui era solito fare, con quelle sopracciglia teneramente aggrottate, e quella fossetta che gli rigava la fronte nei momenti di preoccupazione.
Era bellissimo Dahnael, da piccola avevo anche avuto una cotta per lui. Non glielo avevo mai confessato, ma per certi versi eravamo uguali.
Quando mi voltai Dahn aveva il capo reclinato da una parte e mi guardava con un po' d'apprensione.
"Ho paura, Selhen". Si avvicinò cauto e mi passò una mano artigliata sulla guancia spostandomi i capelli dietro un orecchio.
Non ebbi il coraggio di rispondere. Anch'io ne avevo, così come Velkam, ne ero sicura. Chinai il viso ad assecondare la sua carezza e il graffio del giorno precedente sembrò protestare.
"Non avrei mai voluto farti del male", continuò lui a bassa voce sfiorandomi la ferita con un dito delicato. "Sono stato...", il suo viso assunse un cipiglio addolorato.
"No Dahnael, so a cosa vado incontro se sto con te... tu non hai nessuna colpa", poggiai una mano sulla sua, alla ricerca di conforto, poi d'impeto lo abbracciai forte, e lui non si sottrasse a quella stretta, anzi, la ricambiò con maggiore energia.
"Grazie, grazie...", sussurrò commosso in quell'abbraccio.
Trattenni a stento le lacrime. "E di che?", dissi abbozzando un sorriso che lui non poteva vedere.
"Di esistere... e di essere con me nonostante tutto".
Premetti le labbra l'uno sull'altro con gli occhi lucidi poi mi ricomposi e sciolsi l'abbraccio tornando a guardarlo negli occhi.
"Come farei senza di te?", dissi soltanto con aria complice.
Dahnael scosse il capo sorridendo. "Non faresti".

La vita ad Asmodae si svolgeva sempre all'insegna della guerra. Scontri a Katalam, guarigioni da conquistare, Dredgion da sconfiggere, Balaur da annientare, Elisiani da elminare... era sempre la stessa storia. Eppure, ogni volta che mi capitava di incontrare un elisiano in territorio neutrale, mi soffermavo ad osservarlo. Ne studiavo i tratti avida di curiosità, e in ognuno di loro, per caratteristiche, rivedevo Velkam.
Quel giorno avevo preso un teletrasporto che mi conducesse a Tiamaranta. Benchè odiassi quel posto pieno di pattuglie drakan e di terreno arido e roccioso, quel pomeriggio non vedevo l'ora di poggiare i piedi sul suolo della fortezza.
Avevo pagato il teletrasportatore ed ero scesa dalla piattaforma vagando con occhi impazienti su tutto il salone d'entrata. Due ridenti occhi smeraldo erano puntati su me.
Un sorriso spontaneo mi si allargò sul viso quando scoprii Velkam accovacciato in cima alla fontana di pietra che adornava il centro della piazza. Era meraviglioso come sempre.
Quel giorno i suoi abiti erano ben diversi dalla solita tenuta da combattimento rigida e lucida. Velkam portava un elegante e sportivo pantalone nero, degli scarponi sportivi e un piumino nero smanicato a coprire una t-shirt rossa. Era proprio quello che poteva definirsi, un ragazzo normale, se non fosse che teneva nascoste due preoccupanti ali candide da elisiano.
Con un balzo preciso e calibrato scese dal piedistallo di pietra e dovetti allungare di qualche passo per essergli davanti. Chissà perchè, ogni volta che mi recavo al luogo in cui ci eravamo dati appuntamento mi stupivo di trovarlo realmente là... e solo per me.
"Ciao", aveva detto lui con quell'accento melodioso e un tono così pacato da causarmi un brivido.
"C... ciao", balbettai distogliendo lo sguardo dal suo, spiazzante.
"Sei stupenda oggi, asmodiana", mi sussurrò in un soffio con tono suadente.
Per poco non soffocai, così mi ripresi tossendo sonoramente. Avevo tenuto semplicemente la mia divisa di legione. Pantaloni neri in pelle, aderenti, alti stivali alle ginocchia e un giubbino in pelle candida che si adattava perfettamente al colore diafano dei miei capelli e della mia pelle.
"Tu invece non hai per niente l'aria pericolosa", lo stuzzicai.
Velkam rise sghembo. "Sai com'è... a volte l'apparenza inganna", disse con un occhiolino sistemandosi con nonchalance i due polsini alle braccia.
Non potei fare a meno di ridere. "Allora genio? Dov'è che vuoi cominciare l'ispezione?".
Il cacciatore assottigliò lo sguardo come per riflettere e si grattò distrattamente la barba appena accennata sul mento. "Dov'è che il tuo amico è stato attaccato?".
Dov'era stato attaccato Dahniel? In una brutta, bruttissima zona, che odiavo frequentare. "Una delle entrate che danno accesso all'occhio di Tiamaranta. Quella nei pressi della palude".
Velkam abbozzò un sorriso furbo. "Da come lo dici sembra che non muori dalla voglia di andarci".
Roteai gli occhi. "Decisamente... ho il brutto vizio di smarrirmi sempre per Tiamaranta, è un labirinto".
Velkam si incamminò verso l'aerotrasporto. "Ma oggi ci sono io!", disse con un simpatico tono da maestrino.
"Capirai!", ironizzai divertita.
Lo vidi fermarsi di colpo e voltarsi con le sopracciglia un po' aggrottate. "Che stai insinuando, asmodiana?".
Spalancai gli occhi con aria innocente. "Ma niente... tranquillo!".
Velkam sorrise scuotendo il capo e riprese a camminare.
Pagammo un aerotrasporto per l'avamposto di Turbatu e decidemmo di percorrere il resto della strada a piedi. Quel punto era sempre piuttosto deserto, ragion per cui non avremmo destato sospetto se avessimo camminato fianco a fianco.
La strada si inerpicava ripida e rocciosa per poi proseguire in un avvallamento che ci portò dritti alla palude da me prima citata. Lì dovemmo percorrere a piedi un lungo tratto tra gli sporchi fanghi del corso d'acqua, cosa alquanto sconveniente per me e i miei raffinatissimi stivali che affondavano nel terriccio molle e melmoso suscitando le risa di scherno del cacciatore elisiano.
"Oh insomma, la pianti?", lo incalzai con tono minaccioso.
Velkam non smise di ridere. Cosa che mi fece contrariare alquanto.
La pace assoluta era rotta solo dalle sue sonore risate. Un leggero venticello percorreva l'alta gola nella quale ci eravamo addentrati, e gli unici suoni erano il lento e inesorabile scrosciare del corso d'acqua e lo stormire dell'alta vegetazione ai bordi del fiume.
Adesso eravamo in una zona non protetta dai Reian e sarebbe stato facile essere attaccati da un qualunque elemento della fazione nemica.
Continuavo ad affondare gli stivali sottili nel fango e a ritirarli fuori a fatica quando il guaito di Daf, la mia cagnetta anti-elisiani, mi preoccupò. La piccola wuff aveva percorso tutta la strada silenziosa e obbediente fino a quel momento. Aveva imparato a riconoscere Velkam e a non dar conto alla sua presenza visto che lo aveva visto clemente nei miei confronti, fino a quel momento. Quel guaito non era un avvertimento sul suo conto.
"Aspetta", dissi a bassa voce fermando Velkam per un braccio. Abbassai nuovamente lo sguardo su Daf che si agitava esibendosi in una serie di guaiti lamentosi.
"Che ha quel cane adesso?", aveva detto annoiato il cacciatore voltandosi dalla mia parte.
"Ci sono membri della tua fazione da queste parti", mormorai guardinga.
Velkam si grattò il capo preoccupato. Io ero in pericolo, e lui nei guai, se ci avessero visti insieme.
"Non ci voleva", disse con l'espressione infastidita di qualcuno a cui si era appena insediato nella testa un pensiero scomodo.
"A chi lo dici che non ci voleva?", dissi seccata.
"A te", chiarì lui con sottile ironia.
"Mi nascondo tra quei canneti, sviali!", lo apostrofai severa tirando con un plop lo stivale ormai affondato nella melma fino alla caviglia.
Velkam ridacchiò e io lo fulminai con lo sguardo rintanandomi tra la folta vegetazione mentre tenevo la piccola Daf agitata, tra le braccia.
Non aspettammo molto, presto percepii Daf rabbrividire e dei tonfi pesanti nell'acqua del fiume mi annunciarono della corsa di due elisiani che venivano verso di noi. Gli schiamazzi erano chiari, in quella lingua melodiosa e ricca di sfumature di suoni che solo loro possedevano.
Non capii cosa si stessero dicendo ma qualcuno stava imprecando. Vidi Velkam fingersi affannato e rivolgersi ai due individui dai tratti angelici come i suoi, in maniera amichevole.
Quello che percepii furono degli strani farfuglii, e mi chiesi di che parlassero.
A quanto pareva Velkam aveva finto di avermi inseguita fino a quel momento e stava indicando la parte opposta della gola per mandarli il più lontano possibile da noi.
Intuii un "E' andata da quella parte..." che infatti, aveva dissuaso gli elisiani a continuare per la nostra direzione per intraprendere quella opposta scomparendo di corsa.
"Sono lontani, vieni fuori", aveva detto alla fine Velkam incrociando le braccia con aria annoiata.
"Grazie", borbottai. Ringraziarlo troppo mi infastidiva. Ne risentiva il mio orgoglio di asmodiana.
"E me lo dici così?", aveva detto lui senza nascondere un lampo di divertimento negli occhi. Si era girato solo un po', tanto che ne avevo potuto scorgere l'elegante profilo angelico.
"Tu come ti sentiresti a ringraziare un asmodiano così spesso?".
Le sue labbra si storsero curiosamente. "Sarebbe dura, ma per una giusta causa lo farei... sai com'è, ti ho appena salvato le chiappette", ironizzò con un sorriso sghembo.
Arricciai il naso con sufficienza. "Quanto te la tiri, elisiano". Avevo detto tentando un passo elegante sebbene i tacchi mi sprofondassero continuamente in quella melma odiosa. Inciampai rovinosamente e per poco non diedi il muso per terra, se non fosse stato per la fulminea prontezza di Velkam che mi aveva retta per un braccio lasciando che sbattessi spaesata contro il suo petto. "Attenta.. pasticciona".
Avvampai, o almeno fu quella la sensazione, anche se continuavo a restare pallida come un cencio.
Deglutii sollevando lo sguardo nel suo e i suoi occhi verdi non si spostarono. Sprofondai in quello sguardo, e avrei tanto voluto un altro bacio, uno di quelli che fino ad allora ci eravamo rubati l'un l'altra senza che, un attimo prima, ne avessimo avuto la consapevolezza.
Percorsi con lo sguardo le sue labbra rosee e carnose. Sembravano così morbide.
Quando Velkam allentò la presa dovetti reggermi in piedi, un po' sorpresa. Mi ero aspettata un altro bacio. Lo avevo desiderato, tanto che la mia insoddisfazione non dovette passare inosservata.
"Che c'è?", domandò lui curiosamente.
Esitai a rispondere, ma poi mi feci coraggio. Volevo capire cosa aveva significato e cosa, effettivamente, significasse per lui tutto questo. "E' che... mi chiedevo... l'altra sera, quel giorno a Sarpan... stai giocando con me, elisiano?". Il mio tono salì nervosamente di un'ottava. Temevo una sua risposta positiva. Del resto, poteva essere altrimenti?
Velkam dovette metterci un po' a capire cosa intendevo, visto che lo avevo farfugliato confusamente, ma poi la sua mente si distese in un lampo di comprensione. "Perchè me lo chiedi?", disse poi con tono tranquillo dandomi le spalle per riprendere a camminare.
Arrancai per mantenere il suo passo. "Perchè ho paura che sia così", dissi infine.
Il cacciatore si bloccò rimanendo di spalle. "E perchè hai paura che sia così?".
Non esitai a rispondere. "Perchè adesso io non gioco più", dissi con tono addolorato. Percepii un respiro spezzato in quella che sembrava la sua calma apparente.
"Tra le righe mi stai dicendo che... che sei innamorata di me?", mi prese in contropiede colpendo il centro della questione.
"Non lo so se sono innamorata di te...", mi prontai a rispondere mentre lo voltavo per un braccio. "E guardami quando ti parlo!".
Perchè aveva la faccia dell'incastrato? La sua espressione non aveva più nulla dell'aria giocosa di poco prima. 
Velkam si era morso nervosamente il labbro inferiore. "Ho sempre sperato che fosse solo attrazione, ma non ne sono sicuro", concluse infine con espressione molto più seria.
"Non ne sei sicuro...", gli feci eco io con tono triste.
"Nel senso che...", riprese lui all'improvviso. "Ho interpretato benissimo la tua delusione Selhen. Ho sempre sperato che fossi tu a fare il primo passo, sempre. Io ti ho sempre dato l'appiglio ma... non ho mai fatto nulla per uscire alla luce del sole...", aveva parlato tutto d'un fiato. Anche lui sembrava confuso e sbalordito delle sue stesse parole.
"Cosa significa quando senti una piacevole morsa allo stomaco se vedi una persona? Cosa significa quando, se la vedi, ne desideri un contatto fisico più che con ogni altra? Cosa significa se il suo volto emerge sempre nei tuoi pensieri di giorno, e nei tuoi sogni di notte?", rise un po' incredulo. "Non credevo avrei mai potuto dire tutto questo...".
Chiusi la bocca solo quando mi accorsi di averla spalancata per lo stupore.
"Cosa accadrebbe se io adesso, mandassi al diavolo tutte le convenzioni sociali del nostro mondo, se prendessi te, asmodiana, tra le braccia, se ti baciassi come esattamente un attimo fa ho desiderato fare?", stava continuando enfatico.
Lo guardai spaesata. "Velkam... fallo ti prego. Non mi importa di niente", dissi in risposta. Solo adesso capivo che quelle sensazioni... quei... sentimenti? Sì, quei sentimenti erano reciproci.
Non me lo lasciò ripetere due volte, quel bacio arrivò, e stavolta non ero stata io ad averlo chiesto o comunque ad essermelo preso con la prepotenza della volta scorsa.
Velkam mi prese il mento, delicato e lo tirò verso di sè, tanto di fretta che ebbi a malapena il tempo di prendere fiato.
Mi aggrappai alle sue spalle e sollevai un piede per tirarlo via dalla melma in cui era nuovamente affondato. Fu lui a stringere le mani alla mia vita sollevandomi per qualche secondo tra le braccia proprio mentre mi baciava.
Sentivo le farfalle nello stomaco. Strinsi forte le braccia attorno al suo collo beandomi della sensazione di quei suoi baci, poi, delicato, mi poggiò nuovamente coi piedi per terra.
"Questi sentimenti non hanno speranza, Selhen", disse piano addolorato mentre mi accarezzava lento una guancia.
"Che importa? Sono contenta di farlo clandestinamente se è necessario".
Velkam sospirò. "Ad Elysea mi conoscono tutti... sono il figlio del vecchio governatore. Non credi che sia un po' difficile per me, nascondermi?".
Spalancai gli occhi sorpresa. "Il fi... il figlio di chi?", immaginai di non aver sentito bene.
"Mio padre, Cornelius. E' stato l'ultimo governatore prima di quello attuale. E' morto un anno fa".
Dovetti appoggiarmi al suo petto per non cadere nuovamente dalla sorpresa. Avevo appena baciato il figlio di uno delle massime cariche politiche di Elysea. Se a stare con un elisiano rischiavo grosso, a stare con Velkam rischiavo il doppio...
"Adesso capisci perchè non ne vale la pena?", disse infine premendo cauto le sue labbra sulle mie. In un altro bacio fugace.
Non mi ritrassi a quel contatto leggero, poco invadente, ma intanto la mia mente viaggiava. Come sarei uscita indenne da questa situazione? Come avrei potuto rinunciare a lui? Era iniziato tutto come un gioco, almeno per lui, ma adesso eravamo entrambi nei guai fino al collo.
Strinsi la sua mano tra le mie, non curandomi dell'effetto che potessero fare i miei ditali metallici al tocco della sua carne morbida. "Non voglio rinunciare a te. Sei l'unico che non mi ha fatto mai male, sebbene la tua natura te lo ha sempre imposto. Come potrei rinunciare a te quando sono gli... asmodiani, a volte, i primi che fanno del male ai propri compagni. Che importanza ha se non siamo della stessa razza?". Ripensai a Shad, a quanto era stato vigliacco e io ingenua. A quanto avevo desiderato e sperato in un futuro insieme a lui. E proprio ora, proprio nel momento in cui vedevo un nuovo spiraglio di luce, delle stupide regole, delle assurde convenzioni dovevano portarmelo via.
"Per me ne vale la pena, elisiano", gli rivolsi un tenero sorriso e percorsi con le mie fredde dita il contorno delle sue labbra.
Lui sollevò una mano ad accarezzarmi i capelli bianchi e morbidi. "Allora rischieremo. Insieme".



[Cari lettori, chiunque voi siate. Vado un po' a rilento ultimamente... mi perdonerete? Ma sono tanto impegnata e ho molto da fare. Ho comunque intenzione di completare questa fic quindi. Basta che pazientate, io vi penso sempre e ogni tanto un capitolo per voi lo tiro fuori. Bacioni a tutti <3]

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Capitolo 16
*** -Speciale 25 recensioni- Un'altra notte ***


~~Quella notte Dahnael non era andato a combattere. Aveva piuttosto preferito rimanere nei dintorni di Pandemonium e prendersi una serata di totale relax tra le torce rilucenti e il profumo d'arrosto di un primo autunno che bussava alle porte di Asmodae.
Le alte guglie dell'antica città di Pandemonium sfioravano il cielo pregno d'etere. Le nubi, quella notte, nascondevano e a tratti scoprivano la luna preziosa e brillante.
L'aria fresca e balsamica di un'estate che stava per andare via gli pizzicò le narici e Dahn tirò su col naso.
Lui e Selhen non si erano visti quel pomeriggio, lei aveva farfugliato di qualcosa di importante da sbrigare ma Dahnael sapeva che non era così. C'entrava qualcosa l'elisiano, ne era sicuro.
Un dolore sordo, alla bocca dello stomaco, quasi fosse un presentimento, gli disse che in tutta quella situazione non c'era nulla di buono.
Gli asmodiani sapevano essere crudeli e spietati contro i propri simili accusati di tradimento, e il fatto che Selhen si vedesse costantemente con uno dell'altra razza non poteva non essere considerato tale.
Con un sospiro Dahn si appoggiò noncurante al possente muro di cinta della città. Si trovava nei pressi del tempio della conoscenza, poco vicino all'Apellbine. Era un tratto di strada piuttosto buio e isolato, tutta la gente che vi si addentrava sostava alla taverna, invece le torce, in quella piccola piazzetta retrostante, erano rade e mal distribuite. Nessuno si introduceva da quelle parti se non per loschi affari. Solo di giorno, quando il tempio della conoscenza era aperto, con le sue stracolme biblioteche attirava qualche dotto asmodiano che a passo celere andava a rifugiarsi subito nell'edificio.
Con nonchalance Dahnael tirò fuori dalla tasca la fialetta di polvere d'odella. Gliene restavano solo tre, il che voleva dire che avrebbe accomodato solo per altri tre giorni.
La polverina dorata rilucette sinistra alla luce delle torce e un moto quasi selvaggio, come un mostro sopito, si agitò nelle sue viscere.
Il giovane daeva tirò su col naso nervosamente, ancora una volta. Sentiva le narici bruciare, e la necessità impellente di assumere quella sostanza il più presto possibile.
Quando i suoi pensieri cominciavano a essere sconnessi, quando la sua vista iniziava a diventare un po' più acuta, nel buio, allora quello era il momento di mandare giù l'ultima dose della fialetta giornaliera.
Con una vaga ostilità negli occhi, Dahniel osservò il piccolo oggetto apparntemente innocuo nelle sue mani. Si strinse nel giubbotto in pelle e deglutì vagando coi suoi occhi grigi e vitrei per la piazza deserta e silenziosa.
Con gesto pratico ed esperto decise che per quella volta avrebbe assunto la polvere con dell'acqua. Gliene restava un po' nella borraccia, e dato il sapore dolciastro non sarebbe stato neanche tanto traumatico. In questo modo avrebbe potuto vedere quella robaccia più come una medicina che come una droga in piena regola.
Aprì il piccolo tappo che chiudeva la fialetta e rovesciò l'intero contenuto rimasto sulla lingua, il muscolo pizzicò proprio nel punto in cui la polvere si era posata, ma Dahn ingoiò dell'acqua dalla borraccia che aveva appena tirato fuori e la sua bocca fu nuovamente pulita.
Attese qualche momento che la polvere entrasse in circolo. Statuario, con il piede sempre appoggiato alla parete e la testa riversa all'indietro, a guardare la luna lattea che di tanto in tanto faceva capolino tra le nuvole.
Dei passi cadenzati, all'improvviso, lo svegliarono da quello strano torpore. La polvere aveva attenuato i suoi impulsi e di certo, aveva ridotto anche i suoi riflessi.
Una sagoma esile, che al buio era difficile da definire si fermò all'ingresso della piazza guardandosi intorno.
Dahn potè riconoscerla solo dei lunghi capelli neri e dal vestito nero esattamente a tono. Quando poi la figura fece un passo in avanti comparve dietro di lei uno spirito del vento fulvo e minaccioso.
Il daeva sollevò un sopracciglio con aria divertita. Era Lacie.
Era proprio lì che l'aveva conosciuta. Ed era lì, che solitamente gli capitava di incontrarla.
Lacie si accigliò teatrale e accelerò con decisione il passo verso di lui. "Dove mai potrei trovare Dahniel a fare le sue cosucce losche?", l'incantatrice sorrise furba mentre il suo sguardo austero si soffermò alle mani del ragazzo.
Lacie era una delle poche che sapeva, insieme a Selhen. Era l'unica che l'aveva colto sul fatto, quella notte di alcuni mesi prima, e che non era corsa a denunciare subito quello che aveva visto.
Dahnael si era sempre chiesto, in effetti, cosa Lacie ci facesse, di notte, in giro per i quartieri meno affidabili di Pandemonium, ma non aveva mai voluto insistere sull'argomento, nè tantomeno indagare.
La giovane incantatrice, nel suo vestito nero, come i capelli, poggiò un mano sul petto del daeva e si issò sulle punte per posargli un piccolo bacio sulla guancia.
Dahn le sorrise dolcemente. "Stai bene?", le chiese premuroso in riferimento all'accaduto di alcuni giorni prima.
Lacie annuì rassicurante e si distanziò quel tanto che bastasse per guardarlo negli occhi. "Perchè stai qui tutto solo?", gli chiese a bassa voce rimuovendo dal viso la teatrale espressione severa di poco prima.
"Perchè è meglio che sia così", disse lui scrollando le spalle. "Non mi piacciono molto i luoghi affollati, lo sai".
Lacie sospirò e accarezzò pensierosa la fulva pelliccia del suo spirito. "Non lo so... hai l'aria del drogato depresso". Rimase seria, nonostante nelle sue parole vi fosse un'accezione comica.
Dahnael sollevò in fretta lo sguardo offeso. "Ah... pure!", sbottò. La spinse da parte per farsi spazio e camminò verso il centro della piazza dove si fermò dandole le spalle.
"Andiamo, sai che sto scherzando. Voglio solo che... che tu viva la vita come tutti gli altri". Lacie fece qualche passo indeciso e gli posò una mano sulla spalla.
"Lacie, non sono come tutti gli altri", sbottò il Daeva infastidito.
La voce dell'incantatrice tremò. "E', è per questo che esci ogni sera con una ragazza diversa? Che...", si interruppe.
Dahnel si accigliò. E questo discorso adesso, da dove lo tirava fuori?
"Ma che vuoi saperne tu, di chi frequento e con chi esco?".
Ci fu un attimo di silenzio seguito dal suono di un colpo di tosse riparatore. Dahn si voltò di scatto, per guardarla dritto negli occhi.
"L'altro ieri... e due giorni fa... e lo scorso fine settimana...", pigolò Lacie con aria afflitta.
Dahnael immaginò che la sua espressione in quel momento doveva essere a dir poco allibita.
Coma faceva, Lacie, a sapere delle sue saltuarie e disastrose avventure amorose?
"Mi spii e cosa?", le chiese severo con un tono gelido che causò all'incantatrice un brivido.
Lei non parlò. Per tutta risposta abbassò il capo colpevole.
"Lacie, come fai a sapere quello che faccio la sera?", domandò il daeva con urgenza.
Era vero. Ogni singola parola di Lacie era vera. Dahnael non aveva più avuto una storia seria da quando la sua vita era radicalmente cambiata. Da quando aveva avuto la certezza che sarebbe stato un pericolo per chi gli stava costantemente vicino.
Lacie non sollevò il capo. La piccola incantatrice sveglia e disinvolta sembrava essere in difficoltà.
"Perchè ti importa di quello che faccio, Lacie? Io sono interamente sbagliato e tu... tu non dovresti essere nemmeno qui a parlarmi...", sussurrò Dahnael cercando il suo sguardo.
L'incantatrice sollevò il viso. "E' che io... penso... che tu non lo meriti".
"Cosa non merito?", chiese Dahnael pragmatico.
"Tu meriti qualcuno che ti ami veramente, Dahnael. Da quando ti conosco... non conosco persona più perfetta di te!".
Dahn scosse il capo sorridendo sarcastico. "Ti ha mica mandato Selhen a farmi il lavaggio del cervello? Ci ha provato anche lei, sai...".
"Dahnael!", protestò la ragazza con cipiglio serio che non ammetteva repliche. "Nessuno mi ha mandata da nessuna parte, o forse... forse è il mio cuore che mi ha mandata da te".
Un senso di disagio colse il tiratore di sorpresa. Non era pronto a sentirsi dire quelle parole da una daeva a cui avrebbe potuto spezzare il cuore. Meno che meno da Lacie!
"Lacie... ascolta...".
"No Dhan, ascolta tu. Da quando ti conosco io... sì okay, ti ho spiato. Non odiarmi, non prendermi come una persecutrice, non lo sono! Giuro che non lo farò mai più... ma io...  io non riesco a pensarti con qualcun'altra quando vorrei...", la sua voce perse intensità, "vorrei che tu fossi con me".
Le labbra del ragazzo, aride per la polvere che le aveva appena sfiorate, si chiusero dallo stupore. Scosse il capo smarrito. "No Lacie, non funzionerebbe, lo sai...". Arretrò di un passo mentre si accorse che gli occhi di Lacie si velavano di lacrime.
"Dahnael... non voglio perderti", disse lei afferrandogli una mano.
Dahnael si fermò, interdetto. "Nemmeno io... è per questo che penso che non funzionerebbe".
Come avrebbe potuto funzionare? E poi, sarebbe mai stato disposto ad abbandonare la vita del worg solitario per legarsi e donarsi completamente ad una sola persona?
Quante volte aveva desiderato di essere amato. Aveva guardato le coppie di daeva felici e aveva sospirato invidiandole, colmando poi quel senso di disagio con del vino o con avventure che ben poco avevano di romantico.
"Ti faresti del male, Lacie".
Nel semibuio della piazza l'incantatrice strinse maggiormente la sua mano tra le proprie. "Non mi importerebbe, Dahnael".
"Perchè?", le chiese di nuovo, con freddezza.
E poi fu un lampo. Negli occhi di Lacie balenò la risolutezza di sempre, la sua anima da guerriera indomita e selvaggia,  il lato più affascinante che ognuno di loro, da asmodiano, possedeva.
A un certo punto a Lacie non era importato più nulla dei suoi dinieghi. Gli era quasi saltata addosso nella foga di stringere le sue braccia attorno al collo di lui e coglierlo di sorpresa con un bacio.
Non che Dahn non avesse mai baciato nessuna, ma solo poche volte la sua pancia aveva protestato e il suo cuore aveva accelerato i battiti come allora.
Senza inibizione si abbandonò presto a quel bacio agitato e urgente che forse, da lui, era stato a lungo atteso.
Il ragazzo strinse convulsamente le braccia attorno alla vita sottile della daeva, la quale, tra un respiro e l'altro, non smetteva di sussurrargli da quanto avesse aspettato quel momento.
"Dimmi che non te ne andrai... dimmi che mi vuoi con te", mormorò infine sulle sue labbra secche.
"Potresti rimanerne delusa".
Lacie scosse il capo con testardaggine e in quel momento lo spirito del vento grugnì pigro e annoiato accucciandosi ai loro piedi. Dahn lo guardò pensieroso, approfittando di quell'attimo di silenzio per fare ordine tra i suoi pensieri.
"Ci è capitato tante volte di andare in missione insieme...", cominciò scorrendo la mano sul fianco ricoperto dal vestito vellutato della daeva, "non avevo mai capito che...".
Lacie sorrise timidamente nascondendo il proprio viso nell'incavo del suo collo. Dahn percepì il solletico del suo dolce respiro. Un brivido gli percorse la schiena mentre lei, con le mani, risaliva ad accarezzargli i capelli candidi dietro la nuca.
"Non volevo spaventarti", ridacchiò sfiorando nuovamente le sue labbra, "pensavo l'avessi presa molto peggio".

Quando Dahnael tornò a casa, quella sera, non lo fece da solo. Non aveva idea di come sarebbe potuta finire tra lui e Lacie, ma presto molti pezzi del puzzle erano tornati al loro posto.
Quegli incontri notturni, spesso casuali, non erano mai stati casuali. Lacie aveva sempre cercato di nascondere sotto una maschera di indifferenza quello che provava nei suoi confronti.
Eppure non era stato un caso incontrarla spesso nei luoghi più svariati come fosse una coincidenza.
Quella notte nulla sembrava poi tanto sbagliato, mentre la porta si richiudeva dietro di loro stretti l'uno all'altra in un bacio senza fine.
Dahnael affondò una mano tra i morbidi e profumati capelli di Lacie e percorse il suo zigomo con le labbra, c'era poco di razionale e molto di istintivo tra quello che tra loro stava accadendo.
Non sapeva se domani sarebbe accaduto come ogni altra volta. Stentava a credere che Lacie, al contrario delle altre, avrebbe fatto finta di nulla, e avrebbe sorvolato sul suo problema pur essendone cosciente.
Era sempre stato lui ad allontanare le ragazze dopo averne ottenuto esattamente quello che voleva. Ma con Lacie, era diverso? Poteva essere diverso?
Il suo giubbotto in pelle così come la cintura delle pistole cascarono a terra con un tonfo leggero. Ignorandoli e scalciandoli via con un piede Dahn raccolse la mano di Lacie nella sua trascinandola con sè.
"Non vorrei che quel guardone di Trerinerk abbiada ridire sui nostri modi poco ortodossi", scherzò lui sorridendo sulle labbra dell'incantatrice e richiudendo la porta di camera alle loro spalle una volta che vi ebbero fatto ingresso.
Lacie sorrise e i loro occhi si incontrarono. Da quanto tempo Dahniel non guardava negli occhi qualcuno? A parte Selhen ovviamente.
Essere sfuggente con la gente era la sua specialità.
"Che parli pure...", disse lei divertita. "Vorrà dire che gli faremo conoscere la mia shughina domestica".
Il daeva sorrise a quelle parole, per poi tornare a baciarla ancora, e ancora.
Eppure c'era qualcosa di diverso quella notte, rispetto alle altre notti.
Sì. Ciò che c'era di diverso, era il suo freddo cuore che sembrava avere ripreso nuovamente vita.

[So già che Dahn mi ucciderà (gli ho appena troncato la libertà), e Lacie invece starà saltando di gioia.
"Lui è troppo libertino! Ma io lo metto apposto è_é" (dal vangelo secondo Lacie). Ma secondo voi ci riuscirà davvero a far mettere questo benedetto ragazzo libertino, ubriacone e un po' inguaiato in riga? Ahahaha
Ovviamente ci tengo a precisare che questi due su Aion si conoscono sul serio, dunque u.u data la simpatia che Lacie nutre per Dahn... tadàààà.
 Bene ragazzi, so che non lo avevo annunciato, ma questo era lo speciale 25 recensioni.
A presto col nuovo capitolo, e ci vediamo con un altro speciale alle 30 ;) :***
Grazie a chi mi segue, bacione, la vostra autrice]

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Capitolo 17
*** -15- Il guardiano di Tiamat ***


~~Il cielo era già tinto di violaceo quando giungemmo davanti a uno degli immensi accessi dell'Occhio di Tiamaranta. Ci eravamo lasciati alle spalle i fastidiosi fanghi e l'umido acquitrino pieno zeppo di insetti di ogni tipo per addentrarci tra la folta vegetazione. Ad un certo punto il terreno era divenuto scosceso e la gola dentro cui eravamo si era fatta più profonda. Un portone immenso chiudeva un'antica apertura della parete rocciosa.
"Eccoci qua" aveva annunciato Velkam pragmatico incrociando le braccia per contemplare l'entrata.
Alzai lo sguardo. Il portone era così alto e immenso che aprirlo in due sarebbe stato arduo, ma fortunatamente eravamo Daeva e quegli accessi per noi erano molto più pratici: bastava sussurrare una formula magica ed ecco che ci saremmo dissolti per ricomporci perfettamente integri dall'altra parte della spessa superficie. Eseguii, invocando in mio soccorso il nome di Aion e la forza del popolo asmodiano ed ecco che la scarsa luce di poco prima si era totalmente estinta per fare spazio ad un'oscurità quasi completa. Eravamo all'ingresso di una caverna umida e fredda, Velkam era comparso alle mie spalle e il suono cadenzato del suo respiro mi rassicurò. Gli lanciai un'occhiata che ricambiò, enigmatico, per poi passare avanti a me e fare strada.
Piccole gocce di condensa cadevano dalle pareti per accumularsi in pozzanghere, il suono dell'acqua riecheggiava sinistro nel luogo mentre le pareti spesse di roccia, e il semibuio, rendevano ogni suono quasi ovattato.
"Che posto inquietante", proferii in un brivido. Udii la mia voce rimbomabre nel vasto vano e trasalii perchè mi parve di aver fatto troppo rumore. Non mi era mai piaciuto addentrarmi da sola in quella parte selvaggia dell'occhio di Tiamaranta. Eravamo in una zona periferica e poco trafficata, e non seppi dire se per nostra fortuna o sfortuna.
Velkam si fermò davanti a me e mi rivolse un sorriso luminoso. "Pensavo fossi un'asmodiana più coraggiosa".
Mi accigliai.
Lui continuò. "E poi a voi asmodiani non piace il buio?".
Scossi la testa. "Al buio vediamo solo meglio di voi", lo canzonai. "Ma ciò non vuol dire che mi piacciono i luoghi umidi e che puzzano di acqua stantia, non sono un nasolungo di palude", borbottai.
Il rumore dei nostri passi era l'unica cosa di animato, poi ad un tratto, un boato ruppe il silenzio facendomi letteralmente sobbalzare. Erano urla.
Velkam balzò sull'attenti e tirò fuori dalla faretra una freccia. La incoccò fulmineo e guardingo ridusse il passo.
"Che cosa... che cosa è stato?", mormorai confusa.
"Il drago di Tiamat, non te l'hanno mai detto che una volta entrata da questo ingresso saresti stata in dolce compagnia?", scherzò lui. Sembrava essere divertito dalla mia espressione.
"Credevo che la mia unica dolce compagnia saresti stata tu", ironizzai.
Lui ridacchiò. "E' l'occhio di Tiamaranta, mica la mia pacifica Helian".
Inarcai entrambe le sopracciglia. "Beh, sono punti di vista. Per la sottoscritta Helian non sarebbe poi così tanto pacifica!".
Non disse più nulla, ma sempre col sorriso sulle labbra varcò un ampia fessura nella roccia dalla quale proveniva un'immensa luce di fuoco.
Oltrepassata la soglia ebbi una sensazione di smarrimento. Ci trovavamo in un antro immenso e proprio là, alla nostra sinistra, troneggiava alto un immenso drago. Uno dei guardiani di Tiamat.
Le mie labbra si spalancarano dallo stupore mentre Velkam tese l'arco minaccioso verso la bestia.
"Chi osa disturbare la quiete  del grande guardiano di Tiamat?", ruggì una voce. Il suono rintonò nell'enorme antro. Sollevai lo sguardo ma mi accorsi di non potere scorgere, tra i vapori, quale fosse la parte più estrema della roccia. Non c'era copertura in quel luogo. Solo mura e roccia alte, altissime, che sembravano non finire mai.
"Velkam, figlio di Kornelius, governor di Elysea".
Il drago storse da un lato la testa. I suoi occhi scintillanti luccicarono sinistri quando il suo sguardo rovente si soffermò sulla piccola figura del cacciatore elisiano che si era appena presentato.
"E cosa desidera un elisiano bruciato dal sole, da un guardiano come me?".
Velkam non parlò subito. Accennò qualche passo, l'arco sempre teso, pronto a dissolversi nell'aria come solo i cacciatori sapevano fare.
"Voglio delle risposte, drago". Annunciò.
Il drago grugnì e le sue narici sbuffarono due minacciose nuvole di fumo. "Il guardiano di Tiamat non da risposte".
"Questo lo vedremo", proferì Velkam con un'apparente calma che mi lasciò quasi sbalordita.
Mi ero tenuta in disparte. Un po' spaventata. Benchè fossi una guerriera asmodiana non nutrivo molta passione per l'azione e quelle operazioni scomode un po' mi contrariavano.
Trasalii quando gli occhi ignei del drago si soffermarono su di me. "Da quando un elisiano e un'asmodiana si trovano nel medesimo luogo e non cercano di darsi la morte l'un l'atra?", chiese il drago sporgendo il possente collo nella mia direzione.
Quel gesto fece spostare fulmineo Velkam dalla mia parte quando io sobbalzai all'indietro colta di sorpresa. Mi ero ritrovata a pochi metri dall'immenso faccione del mostro e il cuore aveva iniziato a balzarmi nel petto.
"Questo non ti riguarda", sibilò il cacciatore elisiano senza batter ciglio.
"Oh, un cacciatore elisiano che difende il suo nemico... è curioso". La voce gutturale che fuoriusciva dalla gola del drago assunse un'inclinazione divertita.
"Sei tu, drago, il responsabile delle maledizioni di chi si addentra in questo luogo?", ricominciò Velkam ignorando le sue ultime parole.
L'attenzione del drago parve essere tutta rubata da quella domanda. I suoi occhi scintillarono nuovamente come guizzanti fiammelle.
La bestia mostruosa non parlò subito, ma un altro sbuffo di fumo fu sintomo di una sua reazione. "Anche se fosse, cos'è che mi faresti, elisiano?". Il tono divertito della voce era divenuto fin troppo inquietante.
"Potrebbero esser e i tuoi ultimi giorni, guardiano di Tiamat...", rispose Velkam con un ghigno spavaldo. "Ho una legione ad elysea, e un certo potere che mi consente di comandarla. Sono un Daeva immortale, ho il dio Aion dalla mia parte...", rise, "tu invece, cos'hai ad attenderti se non l'ubbidienza e la morte?".
Il drago ruggì, e l'antro rintonò della sua risata malefica. "Sciocco elisiano. La tua razza sarà schiacciata dalla sua stessa arroganza, certe volte un buon numero non basta, se manca l'astuzia". Il drago voltò il capo verso di me e rimase a osservarmi.
"Bada a offendere la mia razza!", alzò la voce Velkam con la freccia pronta a scoccare.
"E tu bada a come ti rivolgi a me, stupido cacciatore", il testone del drago si levò verso l'alto e una vampata scarlatta fuoriuscì dalle sue narici.
"Non saprai nulla da me", disse il mostro compiaciuto. "Non ho alcun debito con gli elisiani...", voltò la testa, "nè tantomeno con voi sporchi asmodiani".
Mi accigliai. Non era bello sentir dare degli sporchi a quelli della propria razza. Tirai fuori i revolver e i miei occhi si accesero della stessa furia minacciosa che illuminava quelli del mostro. Metà angeli, metà demoni. Era questo che eravamo noi asmodiani.
Notai Velkam che mi osservava affascinato, in posizione d'attacco.
"Andatevene, e potrete dirvi fortunati", ringhiò la bestia soffiando una vampata che quasi non mi sfiorò il giubbino in pelle.
A quel passo falso del drago, la freccia di Velkam scoccò centrando in pieno il suo grande occhio scarlatto. L'urlo disumano della bestia sembrò far tremare le fondamenta di quel luogo deserto e una nuova fiammata per poco non mi investì.
"Scappa", disse Velkam prendendomi per mano. Non esitai e con lui mi diedi alla fuga, diretta in una corsa mozzafiato verso l'uscita.
Sparai alla cieca mentre arretravo e quando fummo coperti dalle pareti dell'immensa fessura da cui eravamo arrivati una fiammata più decisa ci seguì e andò a investire la parete opposta.
Rimasi appoggiata alla parete rocciosa col fiatone. Le gambe mi tremavano e la testa mi ronzava.
"Dobbiamo uscire", mi stava urlando Velkam. L'atroce suono dei ruggiti mi impediva di percepire le sue parole ma lo avevo visto estrarre una pergamena del ritorno e usarla.
"Sarpan", fu l'ultima cosa che mi disse.
Lo imitai ed estrassi il foglietto dalla bisaccia, col sangue che mi pulsava nelle vene e l'adrenalina della corsa.
Ritornai. E presto i raccapriccianti strepiti del drago furono inghiottiti dal silenzio. Non avevamo scoperto niente, ma per lo meno, eravamo usciti da quel posto orrendo sani e salvi.

Quando mi ricomposi davanti all'obelisco di una delle piazzette della fortezza di Kamar, Velkam era già seduto in uno dei gradini. Mi concessi qualche secondo per ricompormi e riprendere fiato, poi piano piano la sensazione di tensione e paura si allentò, lasciando spazio ad una latente stanchezza.
"E' stato un completo insuccesso", mi lagnai, mantenendomi comunque a debita distanza da lui ed evitando di farmi sentire da qualcun altro.
Per tutta risposta Velkam balzò in piedi. Lo vidi sparire oltre l'uscita della fortezza e supposi che stesse andando nel posto in cui ci eravamo visti la notte prima.
La piazza era già immersa nel buio. Si era svuotata e in quel momento la maggior parte dei Daeva, sia elisiani che asmodiani, erano tornati alla propria città. Tuttavia era presto, e qualche anima vagava ancora per le mura della fortezza.
Attesi qualche secondo perchè sparisse dalla mia vista e lo seguii. Poi, una volta guardatami intorno e accortami di essere al sicuro, scostai le fronde degli alberi ed entrai in quell'angolo di verde tutto nostro.
Come avevo ben supposto Velkam era là, e sedeva su un masso pensieroso.
"A che pensi?", gli domandai intimidita.
Velkam scosse il capo. "Lui non c'entra nulla, è sicuro".
Mi inginocchiai di fronte a lui per poterlo guardare negli occhi. "Perchè lo hai attaccato?", gli chiesi all'improvviso.
Velkam parve sorpreso da quella domanda, ma rispose sinceramente. "Temevo che avesse potuto farti del male".
"Forse lo avrebbe fatto, nell'intervallo di qualche secondo, se non fossi intervenuto tu", gli dissi.
Il cacciatore elisiano mi rivolse un sorriso.
"Grazie Velkam, non smetterò mai di dirtelo".
La sua mano si tese a sfiorarmi una guancia, poi il mento, e infine risalì ai capelli sulla mia fronte. "Lo faccio solo per te".
Sorrisi e poggiai una mano insicura sul suo ginocchio, quasi a sorreggermi. Quell'elisiano riusciva a farmi girare la testa con poco.
"Non ho voglia di tornare a casa, e passare la notte consapevole che non siamo nemmeno nello stesso lato di Atreia", mi lagnai.
Lui sorrise luminoso e si strinse nel piumino rosso. Con la sera era calato anche un certo freddo pungente.
"Anche da Elian, asmodiana, il mio pensiero va a te", strizzò l'occhio con aria furba e con un dito sotto il mento mi sollevò la testa chinandosi a suggellare le mie labbra con un bacio dolce.
Era quello, solo quello che stava finalmente dando senso alla mia giornata. Adesso, forse, sarei potuta ritornare a Pernon sentendomi almeno per un po' completa.
"Sappi che sarà lo stesso per me", sussurrai sulle sue labbra respirando volutamente il profumo del suo respiro.
Velkam scorse il suo pollice sul mio mento liscio e marmoreo, mentre i suoi occhi sembravano scavare nei miei.
"Voglio portarti in un bel posto domani. Ma carica le pistole, non si sa mai". Ridacchiò.
Lo guardai curiosa. Era un'altra sorta di appuntamento?
"Do... domani? Vuoi tornare all'occhio?"
Il cacciatore scosse il capo con aria furba. "Oh no, asmodiana. Voglio solo ritagliare un momento per noi due. Dopotutto non riuscirei a stare troppo tempo senza incontrarti. Finirei per morire di astinenza". Ridacchiò. E io gli feci eco.
Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi. Lui ricambiò, rassicurante, e rimanemmo così per qualche minuto. nell'ascolto l'uno dei respiri dell'altro.
"A domani, asmodiana", mi sussurrò infine all'orecchio lasciandomi un ultimo bacio sul capo.
Sciolsi l'abbraccio per guardarlo e sorrisi. "A domani, elisiano baciato dal sole".
Cavò fuori dalla tasca una pergamena e immaginai che fosse diretto a Sanctum. La capitale di Elysea. Provai ad immaginarlo in giro per quei luoghi a me sconosciuti. Mi chiesi come fossero, e poi sorrisi. Il bello di essere così diversi era anche il mistero di quello che di diverso avevamo.
"Katalam Nord, al tramonto.. dove mi curasti le ferite", mi disse, poi, con un ultimo occhiolino svanì lasciandomi da sola.
Sospirai. Il classico sospiro da innamorata. Perfetto... andavamo bene.
Quanto sei sciocca, Selhen? Ronzò la mia coscienza.
Eppure non avevo voglia di niente. Non avevo voglia di sentirmi in colpa, nè di pensare a come sarebbe stato il mio futuro con o senza di lui, di preoccuparmi. Avevo solo voglia di rivederlo. Ancora, e ancora, avevo voglia di stringerlo. Avevo voglia di gettarmi tra le braccia di un nemico ed essere consapevole che quelle, dopotutto, erano il mio porto sicuro.

[Causa esami universitari sto pubblicando questo capitolo in ritardissimo. Chiedo umilmente perdono. Adesso cercherò certamente di rifarmi. Non vi prometto nulla sui tempi ma una cosa ve la garantisco: quando inizio una cosa io la porto sempre a termine, quindi questa fic avrà una fine. Spero di poter scrivere al più presto il nuovo capitolo E per chi anche fosse di passaggio nella lettura, beh, una recensione non è mai sgradita :) Love you alls <3 ]

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Capitolo 18
*** -16- Vendetta ***


~~C'erano volte in cui Shadow guardava Ethun e si ritrovava a pensare a quanto fosse fortunato. Quando il suo sguardo accarezzava quelle candide curve morbide, quei capelli corvini, quel sorriso. In certi casi il tempo avrebbe potuto anche fermarsi.
Cos'era che l'aveva fatto innamorare di lei? Il suo sorriso. Il suo tono pacato e rassicurante. Il fatto che lei fosse docile e tranquilla.
Pensava a questo, Shad, mentre stava seduto nella sua poltrona tutto intento alla lettura di un tomo di magia che quel giorno aveva ritirato al Tempio della Conoscenza di Pandaemonium.
"E così stavamo giusto per dare il colpo di grazia a Grigol quando ci vedemmo piombare addosso una torma imbizzita di elisiani...".
Ethun era immersa nel racconto di quello che le era accaduto la notte precedente.
Shad si ritrovò a pensare a quanto in realtà, adesso, non sembrassero neanche una coppia. Lui a sbrigare i suoi affari, lei i propri. Era tutti i giorni così.
In quanto chierichessa Ethun era sempre molto ricercata. A lei toccavano le responsabilità della cura dei daeva nelle grandi battaglie, e a lei toccava preparare con le benedizioni ogni Daeva che fosse pronto alla guerra.
Chiunque avrebbe desiderato avere una chierichessa al proprio fianco, eppure... da qualche mese a quella parte Shad non era più sicuro di niente.
"Non sai quanto mi sia dovuta impegnare per cercare di tenerli tutti in vita, gli elisiani erano in netto vantaggio, avevano dalla loro anche un cantore piuttosto in gamba. E' stato Death a dare al loro chierico il colpo di grazia!", concluse con una risata cristallina.
Qualcosa nello stomaco dell'incantatore si contorse nel momento in cui i suoi occhi incrociarono quelli di lei, spensierati e sorridenti. Ad un tratto il viso di Ethun si accigliò. "Mi stai ascoltando?".
Shad non rispose. Qual giorno non aveva voglia di mentire nè di fare tanto il misterioso. "No, mi sono deconcentrato leggendo l'introduzione di questo libro", disse sincero.
Ethun sospirò. "Capisco".
Con le palpebre pesanti Shad chiuse gli occhi e li riaprì dopo qualche secondo per trovare le parole giuste.
"E' che sono sfinito".
Ethun aveva smesso di lucidare il proprio scudo scarlatto da chierichessa e si era avvicinata a lui.
"Cosa c'è che non va?", gli aveva sussurrato passandogli dolcemente una mano tra gli arruffati capelli blu.
Shad si scansò. Quella giornata era partita male e prometteva di chiudersi anche peggio.
"C'è che non va più come prima. C'è che non siamo mai insieme. C'è che non mi sento più a mio agio in questa situazione".
Ethun si accigliò confusa. "Ma ehi, è solo colpa dei nostri impegni se ci vediamo poco, lo sai", la sua mano tornò a sollevargli il viso e a quel gesto Shad richiuse il libro che aveva tra le mani e lo ripose sullo scrittoio vicino.
"Ethun, ho un paio di cose da dirti".
La chierichessa lo guardò interrogativa. E sembrò quasi essere in soggezione dal suo sguardo. D'altro canto, chi non provava soggezione e smarrimento con un suo sguardo?
Aveva lavorato per tutta la vita a costruirsi quella finta maschera di sarcasmo e insensibilità, e forse anche per questo era sempre riuscito ad avere un discreto successo con le donne.
Ethun non era stata l'eccezione. Così innamorata... così persa di lui che avrebbe potuto ferirla in qualsiasi momento. Lei sarebbe sempre tornata da lui. Eppure Shad non voleva questo. Teneva a lei esattamente quanto teneva alla sua maschera.
Era troppo orgoglioso per abbassarla, ma troppo coinvolto dai sentimenti di Ethun perchè potesse ferirli.
La giovane Daeva si chinò a lasciargli un dolce bacio sulle labbra. "Ehi, mago Merlino... oggi sei soltanto di cattivo umore, vedrai, passerà". Si sedette sulle sue gambe e gli circondò le spalle con un braccio, poggiando la testa profumata nell'incavo della sua spalla.
Shad rimase per un attimo ad accarezzare la superficie ruvida della divisa di Ethun, sul fianco. Percorse con lo sguardo le aderenti calze scarlatte che le fasciavano le gambe per poi tornare all'unica parte del suo viso che poteva scorgere, la piccola e delicata curva del suo naso, che terminava all'insù.
Percorse un suo zigomo con una mano e sospirò.
"Cos'è che vorresti dirmi?", chiese poi Ethun in un sussurro. Quasi come se un presentimento le impedisse di proferire quelle parole a voce più alta.
Ancora una volta Shad non seppe cosa rispondere. Era certo che se avesse confessato a Ethun tutto quello che tra lui e Selhen era successo, lei avrebbe sofferto, ma alla fine, lo avrebbe perdonato.
"Qualche giorno fa...", esordì poco convinto, "ho baciato Selhen".
Percepì i muscoli di Ethun irrigidirsi e sentì la mano di lei stringersi convulsamente sulla sua maglia.
"Cosa... cosa hai detto?".
Shad annuì. "E' stato il giorno dopo che abbiamo litigato e... in realtà anche prima". Il suo tono era freddo e calcolatore.
Ethun fu scossa da un impercettibile tremito. "La... il nostro ex tiratore scelto?".
Shad annuì. "Sì, lei... dovevo dirtelo".
La chierichessa boccheggiò stupita. "Perchè?".
Shad fece una smorfia stizzita. "Perchè i nostri impegni, come vedi, Ethun... sono diventati più grandi di questa storia".
"Ma lei cosa c'entra?", strillò Ethun con la voce di un'ottava più alta.
"E' stata solo colpa mia, lei non c'entra nulla".
Ethun si alzò in piedi sciogliendo all'istante le braccia dal collo di Shad.  Scosse il capo incredula e si portò le mani al viso, a coprirsi gli occhi confusa. "Dimmelo che è solo un modo per troncare la nostra storia".
Shad le afferrò i polsi per scostarle le mani dagli occhi. Le parve fragile come non mai. "Io tengo a te, Ethun...".
"E allora perchè mi fai questo?", intervenne lei tra le lacrime. Non attese neanche una risposta, si diresse velocemente verso la porta e la aprì sbattendosela alle spalle.
Shadow rimase in piedi. La calma apparente aveva lasciato spazio a uno sfogo d'ira che aveva visto il libro di incantesimi precipitare per terra e aprirsi in pagine sparse facendo volare qua e là i fogli con gli appunti che vi erano in mezzo.

(Selhen)
Era notte fonda a Pernon, e io ero ferma, sulla veranda della mia modesta casetta a tenere fisso il mio sguardo verso il cielo.
La luna era immensa e bianca. Le stelle erano rade ma luminose.
Nella notte silenziosa c'era solo un venticello fresco e gentile a scompigliare i miei capelli candidi.
Mi piaceva l'autunno a Pernon. Lo sentivi nell'aria. Lo percepivi dal profumo degli alberi interamente tinti di arancio.
Il suono delle foglie secche spinte dal vento facevano da colonna sonora a quella notte serena quando, infondo al vicolo, vidi qualcuno avvicinarsi. Una sagoma buia avanzava verso la porta di casa mia.
Mi alzai in piedi, visto che ero rimasta seduta sul gradino d'entrata per tutto il tempo, e riconobbi la sagoma dalla sfera luminosa che portava al polso.
Il cuore mi balzò nel petto, anche se effettivamente non ne capii il motivo.
Avevo dimenticato Shadow, ma ogni volta che lo vedevo, quel daeva esercitava su di me un certo effetto che non potevo negare.
"Selhen", disse con un tono alquanto serio, ma pacato.
"Shadow, cosa ci fai a casa mia nel cuore della notte?", gli chiesi diffidente.
Mi accorsi che non sorrise. Non come avrebbe fatto di norma.
"Ho litigato con Ethun".
Mi indignai. "Ti aspetti di essere consolato da me?", sputai con un tantino di veleno nella voce.
"Calmati, non mi aspetto assolutamente niente", disse col tono che parve quasi essere seccato.
"Ti avevo detto...", sibilai tra i denti, "che non avrei voluto più vederti".
"Avevo afferrato il concetto", fece lui tranquillo appoggiandosi allo stipite della porta chiusa.
"Allora che cosa vuoi ancora?", dissi acida.
"Metterti in guardia. Ethun sa essere alquanto vendicativa, ha le conoscenze giuste... e sa di noi" 
Una risatina nevosa coronò la mia espressione di incredulità. "Di noi??? Esiste un noi?", risi più forte. "Shadow, stai scherzando, mi auguro. In questa storia sei solo stato tu l'idiota", arretrai di un passo.
"Sì, ma lei non lo sa", mormorò.
"Non mi interessa", quasi urlai. Ma abbassai subito il tono consapevole che fosse notte. "Farai in modo di assumerti le tue responsabilità".
Shad scosse il capo. "Ci ho provato, ci proverò, ma non funzionerà".
Arricciai il labbro sdegnata. "Sei spregevole, Shadow. Te l'ho mai detto?".
"Sempre", sembrò ironizzare lui, ma con lo stesso tono serio.
I suoi occhi erano colmi di tristezza, mi accorsi, sebbene la sua espressione dura e distaccata non volesse lasciarlo a intendere.
"Allora ti dico dell'altro. La tua presenza non è gradita, da queste parti".
L'incantatore annuì. "Non posso darti torto, volevo solo avvisarti perchè...".
Inarcai un sopracciglio in attesa che continuasse.
"Gira voce di te e quell'elisiano. Non fare sciocchezze, Selhen. O potresti restarci secca".
Andai in panico. Andava bene che Shadow mi avesse vista con Velkam in alcune occasioni, ma che girassero voci... di questo non ne ero consapevole. Eppure ero stata così attenta a cercare di non lasciar trapelare la cosa. Dove avevo sbagliato?
"Gi... gira voce?", balbettai.
"Il tradimento non è per niente un bell'affare. E tu sei un'asmodiana. Velkam ha buone probabilità di divenire il loro governor, il futuro governor elisiano. Se non sei informata delle loro questioni politiche io ne so qualcosa in più di te. Mi sembra di averti dato una serie di motivi validi per invitarti ad aprire gli occhi".
Deglutii. "Cosa farai con Ethun?", gli chiesi. Non avevo idea se lo stessi facendo per evitare la questione o perchè lo avevo visto tremendamente stanco. Il suo viso era più incavato e spigoloso del solito e quella volta Shad era tremendamente serio, su tutto.
"Cercherò di risolvere con lei. E cercherò di far sì che tu ne rimanga fuori, in ogni caso". Concluse. "Il fatto che io sia un idiota non mi autorizza a rovinare la vita altrui".
Scossi il capo con un mezzo sorriso paziente. "E' forse la prima volta che devo darti ragione".
Shad abbozzò un sorriso stanco. "Devi stare attenta Selhen. Non voglio leggere sulle bacheche di Pandaemonium gli annunci della tua condanna a morte".
Rabbrividii a quella frase seria quanto vera. D'un tratto ebbi paura, e fui anche un po' grata a Shad. Dopotutto il suo era un preoccuparsi per me.
"Scusa per quella notte a Rashanta. Scusa per tutto". Concluse infine con un mormorio chinando il capo. Dondolò un attimo sui piedi e il mio sguardo andò alla sfera luminosa che gli scintillava al polso.
"Ti ho già perdonato, Shadow", mormorai sospirando.
Quelle parole sembrarono tirargli un po' su il morale.
"Ho sempre avuto un debole per te, lo sai", conclusi amareggiata dalle mie stesse parole.
Le labbra dell'incantatore si curvarono un po' all'insù. "L'ho sempre saputo".
"E ne hai sempre approfittato", completai la sua frase ferita.
"No, non ne ho approfittato. Forse c'è sempre stato qualcosa di più, non credi?".
"Non ha importanza Shadow, aiutami almeno a dimenticarti", dissi pragmatica.
"Lo farò". Tornò dritto e scese il gradino per tornare a posare i piedi sul selciato.
"Buona notte", gli dissi dolcemente spingendo il mio pesante portone dal quale fuoriuscì uno spiraglio di luce che gli illuminò la metà del viso.
"A te...", disse soltanto. Poi evocò un varco e vi si lanciò dentro senza guardarsi indietro.
Lo guardai sparire con un pizzico di nostalgia per i pochi bei momenti passati insieme. Perchè infondo, anche lui mi aveva insegnato molto quando eravamo stati nella stessa legione. Tra un battibecco e l'altro aveva mostrato di tenerci.
In realtà non ne avevo idea. Non sapevo se ci tenesse o no. Con lui era sempre così. Non sapevi dove finisse la menzogna e cominciasse la verità. Era tipico di Shad.
Era quello che mi aveva affascinata e che mi avrebbe per sempre vincolata un po' a lui.

[Vedete che ho aggiornato presto? In realtà questo capitolo è venuto fuori da un evento che un po' mi ha dato l'idea. Ecco perchè l'ho scritto subito.
Non si tratta di autobiografia, capiamoci, ma di certo c'è molto di mio. Spero non vi stiate annoiando, a presto col nuovo capitolo u.u]
 

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Capitolo 19
*** -17- Il paradiso del Katalam ***


~~Il vento stormiva tra le fronde, e un quieto silenzio aleggiava nei dintorni della fortezza del Katalam quando, portata dal teletrasporto, sopraggiunsi in quel luogo. Era il tramonto.
La mia giornata era stata talmente impegnata che non avevo avuto un attimo di respiro. Ripulire le guarnigioni dagli intermediari nemici, avventurarmi con la mia amica Saephira nel sottosuolo di Katalam alla ricerca di ID sconosciuto da consegnare allo shugo che ce lo aveva commissionato , il tutto, solo in cambio di qualche moneta antica che, con parsimonia, io e la mia amica mettevamo da parte in vista dell'acquisto di una nuova arma decisamente più efficace di quella attuale.
Avevo così tanta fame che prima di recarmi al Katalam Settentrionale, dove Velkam mi aveva indicato, mi ero fermata in una piccola taverna di ventura, ad Altgard, per mettere qualcosa sotto i denti una volta di ritorno dalla fortezza dell'abisso.
Io e Dahnael, con cui ero andata a fare un ispezione nei dintorni di Primum, eravamo seduti al piccolo tavolo dell'inospitale taverna quando balzai in piedi, ricordandomi solo allora dell'appuntamento con Velkam.
"Devo scappare...", avevo solo detto colta da una fretta improvvisa. Il mio piatto di sushi con erbe aromatiche e nokara era rimasto terminato solo per metà, e già sentivo di non avere neanche più fame.
"Ma... ma...", aveva boccheggiato Dahn con uno sguardo spaesato. "Dove scappi?".
Rimasi per un secondo interdetta, senza sapere realmente cosa dire, e notai negli occhi di Dahn balenare una scintilla di consapevolezza.
"Mi sono ricordata solo ora di un impegno", avevo farfugliato abbassando lo sguardo per prendere e imbracciare la mia bisaccia.
"D'accordo, ci vediamo...", aveva borbottato lui contrariato.

Mi lanciai in una corsa a rotta di collo mentre gettavo una fugace occhiata al cielo che cominciava a diventare di un colore più scuro.
Chissà se Velkam si era stufato di aspettarmi... e se non ci fosse stato? E se non fosse mai arrivato?
Con un verso di disapprovazione per i miei pensieri inutili e idioti, come al solito, mi avvicinai al teletrasportatore, e una volta pagatolo e giunta alla fortezza asmodiana di Katalam Nord,  mi mossi verso la corrente d'aria che mi avrebbe condotta direttamente nei pressi della guarnigione 71. Proprio nel posto che Velkam mi aveva indicato.
Quando con un colpo secco mi lasciai andare oltre il tubo di corrente le mie ali si gonfiarono, planando dolcemente nell'aria calma e ormai fresca delle foreste settentrionali.
Riuscii a prolungare l'atterraggio quel tanto che bastasse per raggiungere l'imbocco della radura che avevamo prestabilito, e non appena i miei piedi sfiorarono il suolo cominciai a scostare i rami delle folte piante per addentrarmi nel semibuio di quella piccola radura nascosta.
"Velkam", mormorai con tono fievole. La piccola Daff ai miei piedì cacciò un piccolo guaito, che non era nè ostile nè di preoccupazione. Aveva di certo percepito la sua presenza, il che mi rincuorò.
Scostai un'ultima fronda oltre la quale la mia piccola wuff argentata era sparita e lo vidi. Tutto intento a tendere la corda sull'arco, a calibrarla aiutandosi con uno sguardo attento.
Il suo sorriso luminoso mi mozzò il respiro.
"Bentrovata, Asmodiana", aveva sussurrato melodioso.
Allungai cauta un piccolo passo e il mio labbro si curvò in un sorriso spontaneo.
"Mi sei mancata...", mormorò infine, gettando l'elegante arco da una parte.
Quella frase, detta da un elisiano suonava tanto strana e quasi, avrei potuto dire, ingannevole. Ma avevo imparato a conoscerlo, e mai Velkam mi aveva dato motivo di dubitare di lui.
Senza lasciargli il tempo di dire altro mi chinai alla sua altezza, con un ginocchio conficcato nel terreno, e lo tirai verso di me per il giubbino, con l'urgenza di sentire le sue labbra sopra le mie.
Mi piaceva la sua tenuta sportiva. Quando era vestito come la sera precedente a Tiamaranta, riuscivo quasi a dimenticare quanto minaccioso fosse. Non  mi era facile riconoscerlo come un nemico.
La sua mano ruvida e callosa accarezzò la pelle morbida del mio viso. Ci staccammo per un momento, giusto per riprendere una frazione di secondo dopo con più intensità di prima.
Non mi accorsi come, ma mi ritrovai seduta sulle sue ginocchia con le braccia intrecciate dietro la sua nuca, ubriaca del suo profumo che mi riempiva insistente le narici.
"Selhen..." sussurrò roco sulle mie labbra.
Rimasi con la bocca dischiusa e il suo viso tra le mani, a fissarlo intensamente negli occhi.
"Dovremmo spostarci", disse lui a fatica. Percepii un tremito nel suo corpo poi i suoi pugni si strinsero tra i miei capelli tornando a darmi un ultimo bacio intenso prima di costringersi a farmi scendere e rimettere in piedi.
 "Tra un po'...", disse con un sorrisetto sghembo passandosi sulla spalla la cintura della faretra e raccogliendo l'arco da terra.
"Dove andremo adesso...", annunciò, "è una zona poco trafficata...  si tratta di un distretto neutrale dei Reyan, ho cambiato programma quindi quelle non serviranno". Sfiorò con lo sguardo i revolver scarlatti assicurati ai miei fianchi. Emanavano una luce rassicurante nel buio della sera.
"Ci sono guarnigioni nei dintorni?", domandai.
"No...", rispose pragmatico stringendosi addosso la cinghia della faretra, concentrando in essa tutta la sua attenzione. Lo vidi uscire allo scoperto e attesi che si guardasse intorno per potermi comunicare che non c'era nessun pericolo.
"Vieni svelta...", lo sentii dire. Mi affrettai e quando fummo sulla strada, ormai al buio, il rumore veloce e cadenzato dei nostri passi ci accompagnò per tutto il tragitto.
"C'è molto da camminare?".
Lo vidi inerpicarsi per una stradina che attraversava una piccola e boscosa radura neutrale piena di guardie Reyan. Lo seguii ignorando lo sguardo sospettoso di quelle guardie impiccione, e mi stupii quando lo vidi lanciarsi per la discesa aprendo le sue splendide ed immense ali candide.
Era la prima volta che vedevo le ali di Velkam. Ed erano così diverse dalle nostre.
Per gli asmodiani tendevano spesso ad una gradazione di colore che variava dal nero al blu. Le sue invece erano luminose e chiare. Rasentavano quasi l'idea della purezza. A confronto, mi parve quasi di sentirmi sporca, mentre le mie immense ali verde smeraldo striate di nero si spalancavano.
Giungemmo nei pressi di una vecchia fortezza interamente in pietra costeggiata da uno scuro ruscello punteggiato da fiori di ninfee. Poco più in là, a perdita di vista, si stendevano silenziose le acque di un lago cristallino.
Grandi chiazze di verde, da una parte all'altra, rendevano quel posto quasi paradisiaco. Lo scroscio dell'acqua era continuo là dove un naturale terrazzamento roccioso del corso d'acqua creava una piccola cascata naturale.
L'atmosfera era quasi magica, tra le lucciole notturne e il profumo dei fiori che abbellivano in ogni angolo quella che doveva essere, a mio parere, una sorgente.
"Benvenuta nel lago della solitudine... territorio Reyan", disse Velkam teatrale allungando un braccio a mostrarmi il paesaggio circostante
"Non ci ero mai... stata". Mormorai meravigliata.
"Te l'ho detto che non è un posto di passaggio", disse lui poggiandomi entrambe le mani sopra le spalle. "Le guarnigioni sono lontane".
Con un'agilità tale da fare invidia ad un karnif vidi Velkam arrampicarsi su uno dei muri  bassi e laterali della fortezza e tendermi una mano per aiutarmi a fare lo stesso.
"E' bellissimo..." mormorai rimanendo in piedi su di esso una volta che mi fui arrampicata. Da quell'altezza era possibile scorgere tutto il paesaggio circostante.
Tutto taceva, e il vento sembrava essersi stranamente calmato. Solo una leggera brezza portava alle mie narici il delizioso profumo del nettare dei fiori. I miei occhi, abituati all'oscurità non faticavano a visualizzare, in lontananza, colossali statue di giganti che dovevano essere state un tempo, i moniti della fortezza verso un possibile incauto nemico che avesse voluto attaccarla.
L'ingresso della fortezza, maestoso tra i giganti di pietra, si apriva in un'immensa scalinata che percorsi quasi con soggezione.
Alcune colonne erano spezzate, le mura, nelle parti più umide, adorne da timidi ciuffi di muschio.
Velkam mi prese per mano, ormai certo che nessuno potesse vederci al riparo di quelle vecchie mura. Timidamente avanzai con lui verso quella che un tempo doveva essere stata un'uscita laterale, ma di cui ormai non era rimasta alcuna parete.
Ci ritrovammo di fronte ad una piccola altura che si apriva esattamente sopra il fiume. L'acqua scorreva placida abitata da innocui aironi e famiglie di ribbit della nebbia di lago.
"Togliti le scarpe", disse Velkam con un sorriso complice sfilandosi gli stivali.
Per un attimo temetti che alla vista dei miei piedi artigliati Velkam avrebbe potuto provare ribrezzo.
"Non importa...", farfugliai, "scendo con gli stivali".
Velkam corrugò la fronte. "Dai asmodiana, hai paura che possa vederti i piedi?", ridacchiò.
Scossi energicamente il capo ma ciò non servì a far desistere Velkam che mi spinse a sedere sull'erba soffice e si inginocchiò davanti a me per prendere tra le mani la mia caviglia.
"No Velkam...", dissi spaventata e vagamente in difficoltà.
"Se credi che possa giudicarti perchè i tuoi piedi hanno gli artigli...", disse tranquillo scorrendo piano il mio stivale per sfilarmelo, "non hai capito niente...". Il suo tono era carezzavole e pacato come sempre. Il suo tocco controllato e sapiente.
Deglutii. Quando mi sfilò lo stivale il mio piede parve di gran lunga fuori posto, pallido e artigliato, a confronto con le sue mani rosee e umane.
Mi accarezzò la caviglia nuda, sempre col capo chino. Il ciuffo gli ricadde sul viso e questo non mi permise di scorgerne l'espressione.
Era vero, avevo paura... una tremenda paura di essere giudicata da lui per quello che ero. Un'asmodiana dall'aspetto mostruoso e bestiale. Le mie fattezze, i miei lineamenti, non avevano nulla a che vedere con la raffinatezza e l'eleganza delle femmine della sua razza.
Mentre questi pensieri mi affollavano la mente Velkam mi aveva già sfilato il secondo stivale.
"Giù...", disse alla fine con un sorriso rimettendosi in piedi e lanciandosi di sotto con le ali spalancate.
Titubai un momento sul ciglio della sporgenza ma infine mi lasciai cadere attutendo il breve tuffo con l'apertura delle ali. Quando posai i piedi nel letto sabbioso del corso d'acqua mi stupii. Era calda e fumante.
Una cascata scrosciava poco lontana, l'acqua precipitava da una roccia e sembrava stemperarsi nel tragitto fino a raggiungere, in quel punto, la temperatura perfetta.
Mi accorsi solo allora che Velkam mi aveva sorretto prontamente, e mi ritrovai inspiegabilmente tra le sue braccia forti e robuste.
Socchiusi gli occhi rilassata al calore di quell'acqua che mi avvolgeva i piedi. Sebbene noi asmodiani fossimo abituati alle temperature fredde, non ci dispiacevano i bagni caldi.
Nell'attimo in cui mi resi conto di essere ancora tra le braccia dell'elisiano questo si era già allontanato, sbottonando il giubbino e sfilandosi la felpa sottostante.
Mi accigliai stupita. "Velkam che.. stai...?".
Il giovane cacciatore ridacchiò. "Non vorrai mica rinunciare ad un bel bagno caldo", disse con un sorrisetto furbo. La sua espressione si turbò. "O forse a voi asmodiani non piace il caldo?". Fu come se se lo stesse chiedendo seriamente preoccupato.
"Ti sbagli", sorrisi sincera. "Non avresti potuto scegliere posto migliore!".
Velkam sorrise angelico, allungando il passo verso di me.
"Vuoi... fare il bagno coi vestiti?", domandò cauto, come se si aspettasse un rifiuto secco.
Rimasi interdetta. Ancora una volta la paura di non esser accettata per quello che ero mi tormentò i pensieri.
"Io..." balbettai in difficoltà.
Anche in quel momento di totale imbarazzo Velkam non smise di rivolgermi quello sguardo spiazzante ma allo stesso tempo rassicurante. I suoi occhi verdi erano più luminosi del solito. La cicatrice rosea che gli tagliava a metà quello sinistro era per una parte coperta dal suo ciuffo ribelle.
Le sue labbra, morbide e invitanti erano socchiuse a lasciare intravedere una fila di denti bianchi e perfetti.
"Shhhh", mi sussurrò piano premendomi un dito sulle labbra tremanti e intente a proferire chissà quale giustificazione.
"Pensi sempre troppo...", mormorò melodioso percorrendo con un pollice l'intera curva della mia spina dorsale e soffermandosi, gentile, ad accarezzare la mia lunga coda albina.
Rabbrividii al tocco di quella mano, lento ma fermo. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quegli occhi, sebbene percepissi sopra di me le sue mani attente e curiose.
Mi sfiorò piano la coda, ancora, soffermandosi sul fondo della mia schiena mentre mi guardava negli occhi.
"Non c'è niente di cui tu debba preoccuparti...", mormorò. "Se adesso, io sono qui con te, è perchè ho scelto di esserlo. E non mi importa... nulla, delle convenzioni sociali, della legge, della tua natura".
Contrassi le labbra ma le distesi nuovamente quando lui me le accarezzò con un pollice.
"Mi hanno sempre insegnato ad avere paura della tua gente... comprendimi", risposi incerta senza distogliere lo sguardo da quelle iridi smeraldo.
Prima che potessi anche fare qualcosa per fermarlo, le mani di Velkam si mossero lente ma decise all'attaccatura del mio giubbino in pelle.
Ne sbottonò i bottoni, uno per uno, scoprendo pian piano la pelle pallida del mio corpo da asmodiana.
"Ho paura che il tuo sia solo un capriccio da soddisfare", gli confidai con voce tremante.
E anche se fosse stato? Che armi avrei potuto avere io, per difendermi? Ero già pazza di lui... mi aveva in pugno. E sarebbe stato di certo meglio per me, se non stesse mentendo.
"Selhen, io sono... innamorato di te. Sono un elisiano suicida. Ogni singolo... attimo...", il suo tono aveva subito una leggera inclinazione d'enfasi, "ogni singolo istante che passo insieme a te... lo passo col rischio di vedermi appeso con un cappio al collo, senza la possibilità che la mia anima sia legata ad un obelisco della resurrezione. Credi davvero che io voglia scherzare?".
Abbassai lo sguardo. "E suppongo che valga lo stesso per te", concluse gentile.
Le sue labbra cercarono le mie, mentre con le mani, anche l'ultimo bottone usciva fuori dall'occhiello. Sul mio petto non rimase che la collana luminosa che da sempre portavo al collo. Era un regalo... regalo di mia madre che non avevo mai tolto.
La mano di Velkam scivolò lenta sul mio collo, e percorse con un dito la mia gola e ancora giù, fino ad appoggiarsi sul mio petto, esattamente in direzione del cuore.
La mia pelle assurdamente pallida non parve sconvolgerlo mentre le nostre lingue si intrecciavano in un gioco di ansimi e respiri. I suoi occhi verdi accarezzarono le mie curve e anche gli aderenti pantaloni in pelle finirono sulla riva.
Senza chiedermi alcuna spiegazione, senza pensare neanche un attimo, gettai entrambe le braccia al suo collo spingendomi contro di lui per sentire il calore rassicurante della sua pelle contro il mio corpo quasi nudo.
"Ti voglio Selhen", aveva sussurrato sulle mie labbra tra un bacio e l'altro annaspando con i respiri.
Le mie mani incerte andarono al bottone dei suoi pantaloni sportivi che erano ormai per metà bagnati fino al ginocchio, esattamente come i miei.
"Sono tua da un sacco di tempo", proferii nascondendo il viso nell'incavo della sua spalla e baciandogli un lembo di pelle.
Assaporai tutte le contrastanti sensazioni che mi causava. Il mio cuore era in subbuglio così come i pensieri nella mia testa. Il suo profumo mi stordiva, il suo calore accendeva i miei sensi. E ad ogni bacio sentivo di volere sempre di più.
Scivolammo entrambi nell'acqua calda del torrente. Ben lontani da occhi indiscreti e nascosti dalle possenti mura di quella vecchia fortezza.
Sussultai appena alle sue carezze sfrontate, poi anche gli ultimi indumenti finirono sulla riva del fiume lasciandoci completamente nudi, immersi tra i vapori di quelle terme naturali, a baciarci e a stringerci come se fosse stata l'ultima volta.
Colta da un desiderio crescente incrociai le gambe ai suoi fianchi mentre i capelli bianchi, così come la coda, mi si inzuppavano d'acqua.
Riversai la testa all'indietro, lasciandomi cullare da quella stupenda sensazione di calore avvolgente mentre Velkam si chinava con lentezza estenuante a lasciarmi una scia continua di baci sul collo.
Percepii un brivido e la mia schiena si inarcò. Poi fummo una cosa sola. Velkam era sicuro, esperto, ma comunque cauto.
Un gemito fuoriuscì flebile dalle mie labbra ad ogni suo movimento cadenzato. Si sporse a soffocarlo con un bacio lungo e appassionato mentre mi reggeva il capo con una mano.
Non capii se fosse stata solo una mia impressione, se il rumore delle cascate e dell'acqua scrosciante mi avessero causato una qualche strana illusione, eppure mi parve di sentirla, tra un bacio e l'altro.
Era una frase che non mi sarei mai aspettata di sentire. Mentre i nostri respiri continuavano ad aumentare di intensità, fu un farfuglio, quello che giunse fragile, nella mia testa.
"Zl ipr", aveva sussurrato Velkam.
Non seppi mai cosa volesse dire, ma in cuor mio, ebbi la certezza che quella fosse una tacita promessa.
"Ti amo".

[Ok lo ammetto, mi sono fatta attendere troppo per questo capitolo, ma sono sempre troppo piena di impegni ç_ç. Però si può ben dire che l'attesa ripaga. E i tempi erano ben maturi perchè i nostri due tesori si dichiarassero il loro amore proibito ed eterno u.u
Premetto che non so quando pubblicherò il prossimo, ma spero che i ritardi nella pubblicazione non vi dissuadano dal seguirmi.
Ovviamente ve lo dico sempre, spendete l'1% del vostro tempo recensendo. Salvate anche voi l'ispirazione di un'autrice in crisi <.<. Un'altra piccola precisazione che ci tenevo a fare: volevo chiedervi scusa per non aver più risposto alle vostre recensioni, ma sono stata (come vi ho già detto) un po' con la testa in aria. Non avevo neanche fatto caso a tutto il tempo in cui ho visualizzato ma non ho scritto alcuna risposta. Perdonatemi! Da adesso in poi sarò qui a rispondere a tutto quello che vorrete sapere. Vi ricordo che se voleste avete un riscontro visivo con i personaggi della storia basterá che mi contattiate in privato.
Bon, non ho altro da aggiungere xD vi amo <3 e a presto col prossimo capitolo!]

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Capitolo 20
*** -Speciale 30 recensioni- Rosso come il sangue ***


~~Era l'odore del sangue frammisto a quello dell'etere, che impregnava l'aria della fortezza di Asteria, quella notte.
Araziel era nel suo elemento. Le sue mani possenti stringevano due luminosi revolver scarlatti, rossi come il sangue, come il fuoco. Incandescenti come il suo animo irrequieto e indomabile.
Con un attento balzo calibrato e un'improvvisa apertura d'ali era piombato in mezzo alla battaglia. Non si era risparmiato un colpo, gettandosi nella mischia. L'odore del sudore e del sangue era pregnante mentre le sue mani saettavano al grilletto e poi al caricatore.
Caricatore. Grilletto. Caricatore. Grilletto.
Un gioco così familiare da essere in ogni secondo fulmineo e calcolato.
Le file degli elisiani si assottigliavano finché, solo un po' frastornati dal dolore della resurrezione, tornavano a difesa della fortezza più numerosi di prima.
"Sono troppi, finiranno per sterminarci", si era lamentato rivolgendosi al chierico di legione tutto intento a tenerli in vita ripristinandone la salute e alleggerendo loro la stanchezza con potenti incantesimi di guarigione.
Lohan, lo sparuto ragazzetto dai capelli neri, aveva annuito con consapevolezza, cosciente che presto sarebbe divenuto lui il principale bersaglio degli elisiani.
"Ho paura che saremo costretti alla ritirata" aveva annunciato con la sua voce pacata divenuta un po' stridula per superare gli strepitii e lo scrosciare delle armi.
Ad un certo punto un'orda di elisiani più compatta delle precedenti, come un enorme gigante furioso, aveva spinto contro di loro.
Araziel si era sentito sballottare tra i corpi dei suoi compagni asmodiani. Aveva appena fatto in tempo ad aprire le ali che già la metà dei propri compagni giaceva carponi sul freddo prato che circondava la fortezza, con le timide ali richiuse su se stessi.
"Lohan!", aveva urlato quando aveva visto il compagno accasciarsi esile e privo di respiro su una roccia.
Ebbe appena il tempo di schivare un calibrato colpo di spadone a due mani quando si accorse che un templare elisiano si era lanciato al suo inseguimento nel vederlo issarsi in volo.
Si concesse solo qualche secondo per riflettere. Una frazione di secondo per capire cosa avrebbe dovuto fare. Scappare o affrontare il nemico?
La resistenza e la tempra dei templari era inaudita. Erano in grado di resistere contro un avversario più grande di loro per un lungo, lunghissimo tempo.
Ma non per un tiratore scelto svelto e calcolatore come lui. Un tiratore che era in grado, con la velocità, e conoscendo i punti giusti, di uccidere un nemico più forte di lui con la sola rapidità dei movimenti e con la mira.
Con un profondo battito le sue ali nere permisero che si librasse nell'aria notturna pregna d'etere. I suoi revolver scattarono fulminei in entrambe le mani e i suoi occhi avvamparono di furia.
"Non questa volta, amico", disse risoluto cosicchè solo lui potesse sentirsi.
Uno contro uno. Uno scontro più che equo che sarebbe finito esclusivamente con una vittoria. La sua.
Il revolver destro scattò e una pallottola colpì il templare ad una spalla facendogli perdere il controllo del peso dell'arma. Approfittando dell'incertezza del giovane e robusto elisiano, Araziel strinse l'impugnatura del suo revolver sinistro e si mosse ancora, prendendo le distanze dall'avversario prima di lasciargli contro una bomba intrappolante che lo trattenesse per qualche secondo in quel punto, senza permettergli di spostarsi. Infine, sfruttando quell'immobilità forzata che per una classe fisica come il templare era letale, sparò un calibratissimo colpo al cuore dell'elisiano che stramazzò sfinito perdendo anche il controllo delle ali. Lo vide precipitare nel vuoto e oscuro universo d'etere che era l'abisso, attorno all'illusoria e paradisiaca fortezza di Asteria.
Senza pensarci più di qualche secondo Araziel si gettò nuovamente in picchiata, cercando il manto erboso di quello sprazzo di terra. Doveva recuperare il corpo di Lohan e portarlo da un bravo guaritore dell'anima perché si occupasse personalmente della sua resurrezione da daeva, senza rischi ulteriori.
Si guardò intorno. Sovrastando la folla accalcata della battaglia.
Per quella notte gli asmodiani avevano perso. Non era un mistero.
I pochi superstiti arrancavano in mezzo a eserciti inferociti di pallidi elisiani le cui ali bianche quasi stonavano nell'oscurità dell'orizzonte.
Asteria era persa, e lui per quella notte doveva solo recuperare il suo amico ed andare il più lontano possibile da quel posto.
Lo vide. Le piccole ali rinchiuse. Abbandonato su una sporgenza di terreno e per poco quasi non calpestato dai piedi degli altri combattenti.
I suoi occhi verdi rivolsero infine un ultimo sguardo alla fortezza perduta. Dal basso di quel campo di battaglia vide gli ultimi compagni asmodiani cadere, prima di stringere le braccia robuste attorno all'esile vita di Lohan e issarsi nuovamente in volo alla volta del teletrasporto che li avrebbe condotti all'abisso inferiore, e quindi all'approdo asmodiano. Il loro porto sicuro. La fortezza di Primum.

Araziel era un Daeva piuttosto schivo. I suoi compagni di battaglia lo conoscevano poco, e quel che conoscevano di lui era forse il lato più superficiale della sua personalità.
Era un asmodiano totalmente votato alla sua schiera. Come ogni asmodiano sano di mente odiava a morte gli elisiani e quando ne incontrava uno per strada, sapeva bene come ucciderlo il più in fretta possibile, evitando che un eccessivo indugio potesse ritorcerglisi contro.
Il giovane asmodiano era fermo nei pressi di un lago di Altgard. Aveva voglia di riposare. Sciacquare il corpo dal sangue raggrumato, suo e dei suoi compagni, che la battaglia gli aveva lasciato addosso.
Il corpo senza vita di Lohan giaceva silenzioso al suo fianco.
Sospirò stizzito. La resurrezione di un Daeva non era un bell'affare. E lui che era un vero soldato, ne era più che cosciente.
Più di una volta quel rituale lungo e doloroso lo aveva sfinito talmente tanto da costringerlo a rimanere inattivo e debole per intere settimane.
Ogni volta che l'anima di un Daeva risorgeva dalle ceneri si sciupava un po' di più. E a lungo andare, le eccessive risurrezioni potevano sfiancarlo.
Con un gesto fermo e deciso girò il corpo di Lohan lasciando che i suoi occhi chiusi fossero rivolti alla volta stellata di Altgard. Era una notte serena, priva di nuvole. Niente pioggia. Sebbene gli piacesse starvi sotto e sentirla scorrere sui suoi vestiti in pelle. Adorava la sensazione dell'acqua piovana che gli inzuppava i capelli.
Si scostò il ciuffo incrostato di sangue. I suoi capelli erano rossi, rossi come il sangue di tutti i daeva che in vita sua aveva visto morire.
Era giovane. Ma era parte della guerra sin dalla più tenera età.
Il rombo delle armi batteva all'unisono col suo cuore. Era questo che aveva scelto di diventare, sin da bambino. Un guerriero, un combattente.
Data la sua prestanza fisica gli avevano proposto di arruolarsi tra le fila dei gladiatori e dei templari. Ma lui aveva preferito un'altra strada.
Quella dell'ingegnere.
Era troppo facile manovrare uno spadone, uno scudo. Ma un revolver a etere... un macchinario così sopraffino e pericoloso. Quella era un'altra storia.
Erano solo gli ingegneri ad essere in grado di usarli. Era la classe dei daeva più all'avanguardia.
Non si affidavano a formule magiche, a incantesimi o melodie arcane.
Il loro era tutto un lavoro di ingegno e rapidità.

Stava ritornando all'obelisco di Altgard col corpo esanime di Lohan tra le braccia quando la vide.
Usciva da una taverna e sembrava andare così di fretta che non si era nemmeno accorta di lui.
Non si era accorta o lo aveva totalmente dimenticato?
Araziel sbattè le palpebre un po' perplesso. Selhen stava pagando l'addetto al teletrasporto e si stava tuffando in fretta nel varco.
I suoi capelli bianchi svolazzarono al balzo, poi sparì oltre quella barriera eterea.
Il giovane tiratore scosse il capo. Si lisciò pensieroso il pizzetto rosso e sorrise tra sè.
"Svampita e matta come sempre...", pensò con un mezzo sorriso.
Ricordò la notte di molti anni prima. Quando ancora, entrambi, frequentavano l'accademia.
Ricordò il loro primo incontro. Lei gli era sembrata altezzosa, antipatica, perfino un po' sciocca.
Poi, in varie missioni che si erano ritrovati a condividere, l'aveva conosciuta un po' meglio.
Eh sì, si era lasciato prendere ogni giorno di più dalla sua ingenuità. Si era abbandonato a quel senso di protezione che lei, delicata ma a volte falsamente risoluta, gli ispirava.
Per quanto facesse la forte, Selhen era la solita insicura. E lui era riuscito a capirla in poco tempo.
Avevano avuto così tante cose in comune!
Quante volte si erano ritrovati a pranzare all'Apellbine insieme, solo perchè Selhen aveva insistito a sentire la cantante della taverna che ogni settimana si esibiva con lo stesso brano che lei tanto adorava?

Don't cry for me, how easy love has gone
Try to see, how deep my despair is
Come the winds of fate and time
Take all my tearful memories

Call out to thee sing your name in sweet harmony
But only echos fade away...

La ricordava, ne ricordava ogni parola. E sembrava quasi parlasse di loro...
E tante volte era tornato là, da solo, ad ascoltarla.

Gli occhi verdi di Araziel scorsero in lontananza un Guaritore dell'anima.
Abbandonò quei pensieri del suo passato. Solo l'immagine di un bacio balenò tra i suoi ricordi per qualche attimo. Poi si spense anche quella.
Lohan era ancora esanime sulle sue spalle.
"Su, piccolo idiota, è il momento di tornare in vita", ridacchiò parlando al vento.
Era certo che Lohan non potesse sentirlo.

[Beeene bene, ecco qui lo speciale 30 recensioni. Tutto per voi e con un nuovo personaggio tutto da scoprire :D
Dopotutto anche la nostra Selhen ha un passato.
Quanto alla canzone che ho trascritto, è realmente una canzone di Aion. Una delle mie preferite dal titolo: Fogotten Sorrow, per chi la volesse ascoltare.
Grazie per la vostra costante presenza. Sono contenta di vedere, quando entro nel mio account, che qualcuno di nuovo ha inserito la mia storia tra le preferite o tra le seguite.
Recensite numerosi, al prossimo capitolo u_u Un bacio, Selhen]

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Capitolo 21
*** -18- Nel buio del sottosuolo ***


~~La notte era ormai fonda quando mi risvegliai colta dai brividi di freddo. Ad accogliermi, quando riaprii gli occhi, fu la luce splendente di un fuoco che mi ferì gli occhi. Scostai di dosso il mantello con cui Velkam mi aveva coperta e alzatami raccolsi giubbotto e pantaloni pettinando alla bell'e meglio i miei capelli con gli stessi artigli.
Quando fui rivestita di tutto punto la sensazione fastidiosa di freddo umido e pungente svanì. Gettai un'occhiata verso quel bagliore, cercando piano piano di abituare i miei occhi da asmodiana a quella luce bruciante e misi a fuoco la sagoma di Velkam seduto su un masso vicino al fuoco.
"Ehi", dissi poco convinta raggiungendolo e poggiandogli una mano guantata sulla spalla. Anche lui aveva indossato nuovamente la giubba di cuoio. Le braccia restavano scoperte a lasciare intravedere o bicipiti asciutti.
Quando percepì il mio tocco si voltò improvviso e mi rivolse un sorriso. "Ben svegliata", disse tornando a concentrare il suo sguardo sui tizzoncini ardenti.
Non risposi subito, ma presi posto accanto a lui accostando le mie mani al fuoco, per percepirne il calore.
"Ho pensato di aspettare che ti svegliassi. Finché è notte qui in questa zona neutrale e sperduta non ci dovrebbero essere problemi", disse inumidendosi le labbra mentre giocava con un bastoncino a spostare i tizzoni ardenti per ravvivare il fuoco.
La luce tenue della fiammella che cominciava a calare gli illuminò lo sguardo.
"Deve essere tardissimo", mormorai.
"No. In realtà avrai dormito solo un'ora o due, cosa che per me è stata impossibile per via..del freddo", ridacchiò.  "Voi asmodiani avete una resistenza impressionante ai climi rigidi".
Corrugai la fronte. Sì, era vero. Ma ciò non ci rendeva meno umani degli elisiani. Eravamo un po' più resistenti forse: merito del territorio arido, freddo e deserto in cui ci trovavamo a sopravvivere.
Il canto delle cicale era insistente e una brezza leggera scuoteva le folte chiome degli alberi circostanti. Il rumore della cascata era continuo, crosciante e allo stesso tempo rilassante.
"A che pensi?", gli domandai sempre sottovoce. Velkam era assorto nei suoi pensieri e questo mi aveva dato da pensare che potesse esserci qualcosa che non andava.
"A niente in realtà", disse lui tranquillo mentre attendeva che il fuoco si estinguesse.
"Non si può non pensare a niente, elisiano. Non prendermi in giro. Il solo fatto che tu pensi di non pensare a niente è già un pensiero", lo fulminai con un'occhiata che suscitò in Velkam una risata divertita.
"Sai che questa è una battuta vecchissima, vero?", mi chiese con cipiglio furbo accarezzandosi il mento con due dita.
"Dunque?", insistetti sollevando un sopracciglio.
"Stavo riflettendo sulla maledizione del tuo amico e mi chiedevo... qual è il luogo più pregno di maledizioni, ad Atreia?".
Scossi il capo confusa. Davvero Velkam stava pensando a Dahnael?
"Ehm... non saprei... pensi che il fatto che Dhan sia stato colpito nei pressi della dimora del drago non c'entri nulla con chi ha lanciato la maledizione?".
Velkam annuì. "Io penso... che la chiave di lettura di questa vicenda è un'altra. Ben più grande di un problema che riguarda un singolo Daeva, che sia asmodiano o elisiano".
Ancora non capivo. Sfregai le mani al freddo del fuoco ormai estinto. Di esso non rimanevano che pochi tizzoni ardenti. Il viso di Velkam adesso era illuminato dalla fievole luce della luna.
"Stai dicendo che potrebbe esserci qualcosa di più grande?".
L'elisiano annuì ancora. "E' da un po' che ci stiamo occupando di questo problema con la mia legione. Hai mai sentito parlare della maledizione di Adma?".
La mia espressione di sorpresa non fece che suscitare in lui una maggiore risolutezza.
"Il castello di Adma... ma è pieno di zombie e di.. morti", arricciai il naso in un brivido.
"Attorno a quella fortezza non c'è che morte e putrefazione", continuò Velkam.
"Metà Brushtonin, ad Asmodae, è stata colpita dalla sua maledizione", continuai.
"E non vi siete mai chiesti il motivo?". Era tornato in lui, seppure involontario, un tono malcelato di arroganza nella voce.
"Beh, ci hanno sempre parlato di una contaminazione. Adma rimase chiusa, nonostante gli abitanti avessero cercato di rifuggiarvisi. Era quella l'unica speranza di salvezza per coloro che avevano cercato di sfuggire a quella maledizione che aveva messo in ginocchio la metà dell'isola ma...", mi interruppi.
"Ma probabilmente è proprio al suo interno che si nasconde la causa della contaminazione. Ed è proprio lì il responsabile di queste maledizioni". Si scostò nervosamente il ciuffo dagli occhi. "Riflettici Selhen, nessuno è mai riuscito ad addentrarsi in quella fortezza. Noi stessi siamo alla ricerca di un passaggio che ci faccia arrivare al suo interno".
Annuii riconoscendo la ragione in ogni sua parola. E se fosse stata veramente quella la chiave di lettura della vicenda di Dhanael? E se fossero stati colpiti altri Daeva da quell'orribile maledizione?
"Credo che domani andrò a fare un salto a Brushtonin. Voglio quantomeno chiedere informazioni a Surt. Il luogotenente del posto".
Velkam voltò lo sguardo verso di me, per la prima volta da quando mi ero seduta accanto a lui. "Non hai intenzione di metterti nei guai, vero? Sai che non potrò essere a Brushtonin a salvarti la vita, asmodiana".
"Voglio solo saperne un po' di più, tutto qui". Mi morsi il labbro imbarazzata distogliendo i miei occhi dai suoi.
L'angolo delle labbra del cacciatore si sollevò in un sorriso ambiguo che mi mise vagamente in difficoltà.
"Qualunque cosa dovessi scoprire. Fammelo presente", disse infine con tono paziente.
Annuii. "D'accordo", dissi in un sospiro. Percepii la sua mano calda sfiorare la mia e stringerla trasferendo in essa un po' del suo calore.
Fu istintivo per me appoggiare il capo sulla sua spalla e a quel gesto potei sentire il braccio di Velkam passare ai miei fianchi e stringermi maggiormente a sè.


Notte fonda. Era ancora buio quando io e Velkam ci lasciammo.  Avevamo cancellato ogni traccia del nostro passaggio da quelle parti e furtivamente eravamo arrivati all'uscita della zona neutrale. Con un veloce bacio ci eravamo separati ripromettendoci che ci saremmo rivisti l'indomani a Sarpan per aggiornarci sulle novità scoperte, se mai ce ne fossero state.
Avevo pensato di tornare a casa a riposare ma quell'ora di sonno non aveva fatto altro che acuire i miei sensi e causarmi la solita insonnia notturna. Mentre camminavo sulla strada di ritorno per la fortezza di Ruhn, guardinga e attenta a non lasciarmi cogliere impreparata da qualche elisiano, incontrai un asmodiano intento a fare silenziosamente strage di Zaion dagli artigli affilati. Sembrava che fossero divenuti ormai troppi nei dintorni della fortezza.
Passai avanti un po' più tranquilla. Inizialmente avevo temuto che potesse essere un nemico.
Il Katalam era sprofondato nel silenzio e nella quiete. Nessun cozzare di armi, nessun urlo di battaglia, nessuno schiamazzo aleggiava per le sue strade deserte.
Muoversi di notte, per noi asmodiani, era di gran lunga più agevole che farlo di giorno.
Col sorgere del sole sembrava che i nemici si moltiplicassero a dismisura. Compiere le missioni in certi casi era impossibile.
Un'idea mi balenò per un attimo nella mente.
E se fossi scesa nel sottosuolo del Katalam a raccogliere adesso dell'ID? Era un ottimo modo per scambiarlo per delle monete antiche e farlo con la pace e il favore della notte sembrava un'ottima idea.
Era di notte che ogni elisiano dormiva, così sarebbe stato più semplice raccogliere dell'ID dai klaw della miniera. E più ID riuscivo a procurarmi maggiore per me sarebbe stata la ricompensa in monete antiche.
Valutai con me stessa che era assolutamente una trovata geniale e così, giunta al teletrasporto del Katalam pagai per il viaggio fino a Pandarung.
Era così strano trovarsi nel cantiere deserto di Pandarung di notte. Tutto riposava, perfino lo shugo che stava a guardia dell'accesso del sottosuolo ronfava beato.
Mi schiarii la voce cercando di attirare la sua attenzione.
"Scusi".
Lo shughino balzò sull'attenti, i suoi occhietti acquosi erano spaesati. Puntò lo sguardo su di me e assunse un'aria interrogativa.
Senza ribattere depositai 60.000 kinah sul suo tavolino e feci ingresso nell'ascensore che mi avrebbe condotto migliaia di metri sotto terra.
Quando arrivai le luci soffuse del sottosuolo e il silenzio mi ricordarono che effettivamente era notte fonda. Gli shugo addetti alla vendita di oggetti e viveri sonnecchiavano tutti. Ognuno al loro bancone. Alcuni altri avevano dipinta sul viso un'espressione annoiata nell'attesa di qualche possibile visitatore notturno. Notai in un angolo del grande atrio un elisiano. Era accucciato, come in meditazione, in attesa di chissà chi.
Purtroppo per me, il fatto che fosse notte non mi difendeva totalmente dagli elisiani. Poteva sempre esserci qualcuno che aveva pensato la mia stessa cosa e si fosse trovato a raccogliere ID nel medesimo posto.
Preoccupata a quel pensiero e sperando mentalmente di non imbattermi in nessun nemico offensivo, mi avviai verso le scale che conducevano nel vero sottosuolo. Quello fatto di piante selvatiche e ruderi.
L'ambiente brulicava di guardie balaur e mostri di ogni tipo. Viverne aggressive, dalla forme di grandi pipistrelli, svolazzavano per tutto il grande ingresso, minacciose.
A passo felpato e con i revolver sguainati mi mossi sicura verso la prima miniera di ID.
Ero già stata parecchie volte nel sottosuolo. Poche volte da sola, era vero, ma di notte il peggio che poteva capitare era imbattermi in qualche sparuto elisiano solitario che poteva essere messo più facilmente fuori combattimento.
Passando alla larga dalle viverne oscure che schiamazzavano all'ingresso della miniera mi inerpicai per la salita fino a raggiungere una strada sterrata ai bordi della quale cresceva una rigogliosa vegetazione sotterranea. Percorsi l'ambiente oscuro e silenzioso con lo sguardo e caricai i revolver alla ricerca di quello che mi interessava.
Un movimento di chele e zampette agili catturò la mia attenzione e con la mia acuta vista asmodiana lo notai all'istante: un klaw lavoratore intento a scavare nel terreno. Allungai il braccio destro chiudendo un occhio per prendere meglio la mira, poi sparai il primo colpo.
La pallottola d'etere scalfì appena il duro guscio dell'esserino che nello stesso momento in cui si vide attaccare mi si rivoltò contro. Lo vidi venire verso di me minaccioso ma ero già pronta a sparare una raffica di proiettili con entrambi i revolver. Il piccolo crostaceo si riversò sul dorso zampettando in un ultimo rantolo e quando fui sicura che fosse completamente morto mi chinai a raccogliere da lui la pietra di Idium pietrificato che conteneva.
Continuai così per una buona mezz'ora. Nell'intenzione di scovare più klaw possibili e di sparar loro contro fino ad ucciderli. Avevo riempito già buona parte della bisaccia quando un rumore un po' diverso da quello dei miei revolver risvegliò i miei sensi allerta.
Con le pistole sfavillanti e luminose tra le mani rimasi sull'attenti. I miei occhi rossi e accesi dalla furia del combattimento percorsero il posto buio.
Potevo riuscire a mettere a fuoco qualsiasi cosa. Perfino il più piccolo klaw che trafficava tra la sterpaglia. Le mie orecchie coglievano i flebili suoni dei loro versi e delle loro zampette. Ma quel rumore che avevo percepito non lo aveva causato un klaw.
Un altro scoppio, più forte. Poi un rumore di passi metallici, come di un enorme mostro di metallo che passo dopo passo veniva nella mia direzione. Evocai Daff con un fischio e la mia wuff mi comparve accanto.
"Che  succede, Daff?", mormorai arretrando.
Studiai gli atteggiamenti della wuff, sembrava nervosa, eppure non abbaiava. Che ci fosse un elisiano da quelle parti?
Il cuore mi balzò in petto a quel pensiero. Sarei riuscita a battermi con un elisiano da sola?
Deglutii nervosamente indecisa sul da farsi. Filarsela nella zona neutrale del sottosuolo o rischiare ancora?
Stavo ancora indugiando quando il rumore di tonfi metallici mi sorprese ancora, questa volta più vicino.
Non ebbi neanche il tempo di fare un dietro front veloce, che dall'angolo del viale una palla infuocata andò a investire in pieno un klaw che si incendiò morendo sul colpo.
A quanto pareva qualcun altro aveva avuto la mia stessa idea. E quel qualcun altro era proprio un elisiano.
Lo vidi, un tecnico dell'etere a bordo del suo mecha. I robottoni metallici di ultima generazione che i Daeva ingegneri avevano progettato.
Non avevo idea di come si manovrasse un aggeggio diabolico come quello. Io ero un tiratore scelto, vestivo in pelle e mi servivo solo della mia agilità per combattere. Quei mostri invece erano giganteschi.
Due manone enormi si erano sporte a raccogliere il cadavere del klaw poi la macchina si voltò nella mia direzione. Vidi un enorme cannone puntarsi contro di me che in quel momento dovevo avere un aspetto inerme e sconcertato.
Scorsi da lontano l'elisiano che dentro quell'enorme mostro di latta gestiva i comandi, ma l'unica cosa che riuscii a fare, mentre Daff abbaiava come una forsennata, fu darmela a gambe per istinto di sopravvivenza.
In una corsa a rotta di collo percorsi la strada a ritroso e imboccai un altro sentiero del sottosuolo per tentare di seminarlo. Ma il mecha era sempre alle mie costole.
Mi accorsi che più correvo più il mio passo rallentava per la stanchezza. La distanza tra noi si accorciava rapidamente.
Mi ritrovai quasi addosso ad uno zombie soffocato, nella folle corsa, il quale, aggressivo mi si rivoltò contro strappandomi la pelle del braccio con un unghiata. Digrignai i denti soffocando un urlo di dolore, il petto mi faceva male per la corsa.
Che altro potevo fare se non fermarmi e combatterlo? L'uscita era ormai troppo distante e quell'elisiano sembrava deciso a volermi ammazzare.
Con un dolore lancinante ai polmoni per la folle corsa mi costrinsi a cambiare direzione coi revolver sguainati. I miei occhi accesi mirarono il bestione che mi veniva incontro.
Se volevo fermare quella macchina infernale dovevo mirare a chi la guidava.
Sperai che l'elisiano non avesse un'armatura tanto resistente, e con quel pensiero sparai. Un rumore di lamiera ammaccata mi fece capire che avevo mancato il colpo.
"Dannazione!", imprecai ricaricando il revolver mentre arretravo. Il braccio del mecha era diventato un cannone che si preparava ad un colpo ben più grosso del mio.
Mi preparai ad evitarlo e nell'attimo in cui sparò con un urlo scartai da una parte crollando a terra rovinosamente.
Faticai a rimettermi in piedi, mi faceva male tutto il fianco destro su cui mi ero buttata. E proprio mentre cercavo con le mani i revolver che nello schianto mi erano caduti sentii gli striduli passi del mecha sempre più vicini. Quella figura immensa mi sovrastava e l'elisiano che la comandava, lo scorsi nitidamente, aveva sul volto un ghigno di soddisfazione.
Ero spacciata. Ogni via di fuga sbarrata dalle vecchie mura di quell'antico passaggio sotterraneo. Incastrata in un angolo tra il mecha e la parete mi strinsi nelle spalle preparandomi mentalmente a quello che sarebbe accaduto da un momento all'altro.
Ma proprio nel momento in cui il braccio possente del mecha si muoveva nella mia direzione con un inquietante rumore meccanico, un'enorme palla di cannone lo colpì in pieno, frantumandolo.
Ci fu uno schianto. L'elisiano distratto da quell'improvviso attacco voltò il mecha nella direzione di chi aveva sparato.
Mi aspettai di vedere, dietro quell'enorme cannone bianco, un asmodiano qualunque, capitato da quelle parti per caso, ma spalancai le labbra dalla sorpresa quando mi accorsi di chi si trattava.
"Araziel", mormorai. Sì, non c'era dubbio era lui. Magari un po' cambiato. Un po' diverso da come me lo ricordavo, eppure era lui. I suoi capelli rosso acceso erano raccolti da un coprifronte che gli copriva l'occhio destro. Nell'unico occhio visibile, segnato da una cicatrice, traspariva una tale risolutezza che mi sentii ad un tratto al sicuro. Come ai vecchi tempi.
Imbracciava un cannone cristallino ancora fumante per il colpo inferto al mecha. Questo, dal canto suo aveva perso completamente l'interesse nei miei confronti per rivolgere l'attenzione contro il nuovo tiratore.
Vidi Araziel, avvolto in una ricca armatura rosso e oro affermata da pesanti cinghie di cuoio, caricare un altro potente colpo con il cannone ad etere.
Una nuova palla incandescente si infranse sul busto del mecha facendolo oscillare pericolosamente e ammaccandone la superficie, poi con sveltezza vidi il tiratore portare alle spalle il cannone ad etere per afferrare, approfittando dell'indugio dell'elisiano, le pistole.
Il mecha aveva vacillato solo per qualche secondo, poi aveva sparato una veloce raffica di proiettili tanto fitta che dovetti chinarmi su me stessa per evitarla.
Araziel intanto era balzato su una colonna spezzata, poco vicina a lui, e adesso studiava dall'alto l'avversario.
Non disse una parola mentre con un balzo preciso atterrò di fronte al mecha sparando una serie di colpi che mancarono l'obbiettivo. Il robot era robusto e impenetrabile ai proiettili. Quello a cui Araz doveva mirare era l'elisiano che lo comandava.
E fu proprio quello a cui il giovane Daeva sembrò puntare, sfruttando le vecchie colonne e i muri diroccati per sparare da posizioni sopraelevate, ma mancando ogni volta, per un pelo, il proprio bersaglio.
Alla fine lo vidi atterrare sui pesanti stivali in cuoio e con decisione lanciarsi in una corsa, per sfruttare il moncherino del robottone ed issarsi fino alla spalla del mostro di latta.
Un ghigno vittorioso gli si dipinse in volto mentre col pesante revolver sparò una serie di colpi ben calibrati all'elisiano che vi si trovava all'interno.
L'enorme rumore di lamiera che si infrangeva contro il sentiero acciottolato mi fece capire che la macchina non era comandata più da nessuno. Araziel si lasciò cadere, prima dello schianto, atterrando con un tonfo preciso proprio di fronte a me.
Rimanendomi accovacciato davanti, con una mano avanti a sè a sorreggersi, sollevò il proprio capo per incontrare il mio sguardo.
Degli schizzi di sangue, che supposi fosse quello dell'elisiano, gli imbrattavano il vestito di ottima fattura. Quando si mosse udii il rumore delle robuste cinghie di cuoio. Soffermai il mio sguardo sul suo volto, notando che una nuova cicatrice gli segnava la fronte e che le treccine rosse che prima aveva tenuto alla nuca adesso erano state sciolte. I capelli, trattenuti dal coprifronte, ricadevano ribelli sulla sua fronte. Il suo sguardo era fiero, ora più che mai. Il suo viso risoluto era un po' più maturo di un tempo e sembrava che molte cose fossero cambiate dall'ultima volta che ci eravamo visti.
Contenendo l'affanno che quella battaglia gli aveva causato si inumidì le labbra secche prima di parlare e regolarizzò il respiro.
"Allora Selhen...", disse con aria saccente trapassandomi con lo sguardo, "quando imparerai a non cacciarti nei guai?".

 

[Rieccomi qua, anche se con ritardo col nuovo capito. Sì lo so, la nostra Selhen è la solita DID (donzella in difficoltà) e adesso spunta anche un nuovo salvatore, questa volta asmodiano. E il caso di Adma?
Direi che mi sto complicando la vita da sola, ne avrò di roba da scrivere per i prossimi giorni. Fino ad allora xD Leggete e recensite! Baci, Selhen]

 

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Capitolo 22
*** -19- Buongiorno Pandarung ***


Ero rimasta veramente sorpresa di aver salva la vita dalla persona che tantissime volte, in passato, aveva fatto quelle sue comparse a effetto per tirarmi fuori dai guai.
Araziel e i suoi arrivi tempestivi.
Quando l'elisiano si era dissolto nell'aria con il suo mecha, avevo visto l'asmodiano balzare avanti a me con un'aria alquanto inespressiva. Non seppi capire se fosse contento di rivedermi o solo annoiato da tutta quella situazione.
Mi sollevai in piedi scrollandomi i pantaloni dalla polvere. Abbassai lo sguardo imbarazzata e balbettai un "grazie" poco convinto.
Al mio gesto notai Araziel imitarmi fulmineo e seguirmi con lo sguardo, perplesso.
Senza sapere realmente cosa fare mi chinai a raccogliere i revolver che mi erano cascati a terra nello scontro. Li tenni sguainati, pronta a tornarmene da dove ero venuta nella speranza di non trovare nessun altro elisiano sulla via del ritorno.
"E' così che mi saluti?", disse infine la voce tranquilla di Araziel. Gli stavo dando le spalle, il che non mi permise di vedere che cosa stesse facendo, ma ero sicura che stesse posando nuovamente le pistole nei loro foderi.
Mi voltai a quella strana richiesta corrugando la fronte. "Non vorrei... causarti ulteriori perdite di tempo", mormorai voltandomi verso di lui. Incrociai nuovamente il suo sguardo, o quantomeno il solo occhio che non era coperto dal coprifronte. Se c'era una cosa che trasmetteva la sua immagine, era timore e riverenza.
Araziel non aveva più nulla dell'immagine del ragazzo che avevo conosciuto un tempo.
Era sempre stato un po' sulle sue. Instancabile combattente e ottimo tiratore scelto. Avevamo frequentato l'accademia insieme, ed era lì che lo avevo conosciuto.
Per i primi tempi lo avevo semplicemente ignorato. Lo consideravo troppo pieno di sè. E sebbene a volte fosse taciturno in maniera irritante, altre volte, finiva con l'essere eccessivamente ciarlatano, soprattutto se nei dintorni c'era un gran numero di ragazze su cui fare colpo.
Eccelleva nell'uso del cannone ad etere e nei corpo a corpo. Durante l'accademia, era sempre stato il migliore di tutti noi.
Proprio mentre nella mente mi si affollavano confusi tutti questi pensieri, notai Araziel avvicinarsi a me. 
I suoi capelli rossi stonarono con il buio del sottosuolo. "Vieni, bimba, camminare nel sottosuolo da soli a quest'ora della notte non è sicuro".
Bimba... Nell'udire quella parola ebbi un moto di sconcerto. Non perchè non mi piacesse sentirmelo dire ma... quel soprannome mi riportava indietro nel tempo di un sacco d'anni.
Era così che Araziel mi chiamava quando frequentavamo l'accademia.
Abbozzai un sorriso avviandomi verso il corridoio buio che portava al maestoso ingresso del sottosuolo e poi giù, fino all'enorme atrio neutrale. Soltanto lì sarei stata veramente al sicuro. Anche se, mi ritrovai a pensare, in presenza di Araziel ero al sicuro anche in mezzo a un'orda di elisiani inferociti.
"Pensavo che a quest'ora della notte sarebbe stato un po' meno rischioso", mi giustificai quando lo percepii accanto a me.
Araziel sorrise divertito. "Effettivamente potrebbe essere meno rischioso, ma non nel tuo caso", mi guardò di sbieco col solito sorriso furbo che mi turbò. "Non sei fatta per muoverti da sola nei luoghi ostili, Selhen. Sei stata una Daeva molto fortunata, oggi, ad incontrarmi".
Aveva ragione, ero stata molto fortunata. Fosse stato un altro asmodiano se la sarebbe data sicuramente a gambe per avere salva la vita. Non tutti decidevano di essere solidali coi propri compagni, se sconosciuti. La maggior parte dei daeva tendeva a scappare se si imbatteva in una lotta già cominciata; giusto per evitarsi la scomoda sofferenza della resurrezione. Il semplice fatto che io quella notte avessi incontrato Araziel, era stata un'immensa fortuna.
"Non pensavo che avrei avuto nuovamente l'onore di essere salvata da te", dissi infine per rompere il ghiaccio.
C'era un che di imbarazzante in quel momento. Rincontrarsi dopo essere stati insieme in passato.
Non era andata come avevo previsto. Sebbene fossimo entrati in accademia quasi nello stesso periodo, Araziel aveva fatto passi da gigante e aveva dovuto trascorrervi molto meno tempo di me. Questo lo aveva costretto a partire in missione troppo presto.
Ricordo ancora la notte in cui me lo aveva annunciato. Non era stata una bella cosa venire a sapere che non lo avrei rivisto più per un tempo indefinito.
La nostra storia era finita quasi prima ancora di cominciare. Ma nessuno dei due sembrava aver cancellato quel pezzo del nostro passato.
Lo confermava l'effetto che quello stupido nomignolo aveva su di me e il fatto che, dopotutto, lui lo usasse ancora.
Raggiungemmo l'atrio del sottosuolo senza che neanche mi fossi resa conto della strada percorsa.
Quando prendemmo l'ascensore per raggiungere nuovamente l'aria fresca della superficie, mi stupii del colore che il cielo aveva assunto.
Tra un po' sarebbe stata l'alba.
Vidi Araziel fare forza sulle braccia e sedersi sulla ringhiera della torretta sopraelevata dove l'ascensore del sottosuolo ci aveva lasciati.
Lo guardai con curiosità, mentre appoggiava le spalle a una delle colonne portanti della copertura dell'edificio in legno. Aveva l'aria nostalgica del Daeva solitario con la guerra nel sangue. 
Seguii il suo sguardo notando che i suoi occhi si perdevano nell'orizzonte.
Potevamo percorrere Pandarung con una sola occhiata, da quell'altezza. Le officine e i cantieri shugo, a riposo, erano ancora silenziosi e immersi nella semioscurità. Solo una striscia rosea nel cielo lasciava intendere che di lì a poco il sole sarebbe sorto.
"E' stato bello rivederti", dissi alla fine appoggiandomi con la schiena alla stessa spessa ringhiera su cui lui si era seduto.
Quelle parole parvero risvegliarlo dai pensieri in cui si era immerso.
"In realtà non credevo ti avrei rivista così presto", fece lui guardando oltre la torre. "Oggi pomeriggio ti avevo incontrata per caso ad Altgard, ma sembra che tu non mi abbia notato".
Cercai di capire a che momento si riferisse e mi ricordai della cena con Dahn prima dell'appuntamento con Velkam.
Al pensiero di Velkam un po' rabbrividii. Se c'era qualcuno a cui la cosa non sarebbe andata affatto a genio, quello era Araziel che, per tutta la vita non aveva fatto altro che combattere gli elisiani con tutte le sue forze.
Mi sentii in colpa e un moto di angoscia mi colse di sorpresa, nonostante non lo diedi a vedere.
"Già...", mormorai vaga rispondendo dopo un breve indugio alla sua affermazione.
"Che ci facevi in sottosuolo a quell'ora della notte?", gli domandai infine, più per curiosità che per altro.
Araziel tornò serio. "Avevo appena finito di raccogliere dei cristalli".
Annuii. Araziel stava parlando dei cristalli che garantivano l'accesso a Katalamize. Il misterioso luogo dove da sempre intere orde di legioni combattevano per l'annientamento di Iperione.
Non tutti potevano avere libero accesso a missioni del genere. Solo i daeva più forti riuscivano ad addentrarsi in posti come quello e non lasciarci la pelle.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa, era già diventato così tanto forte?
"Andate già a Katalamize con la tua legione?", gli chiesi curiosa.
Il tiratore aggrottò le sopracciglia e scosse il capo. "Oh no, non ho nessuna legione. Sono libero come l'aria", dichiarò divertito stiracchiandosi pigramente.
Ovvio, pensai. Era tipico di Araziel vivere alla giornata.
"Le occasioni non mi mancano di certo. Mi cercano spesso come cristallaro...", continuò, "i cristalli di difesa di Iperione, che era il massimo a cui potevo aspirare, con me in alleanza hanno vita breve", rise sghembo.
Il cristallaro, ovvero il distruttore delle difese di quel mostro colossale che regnava in Katalamize, era uno dei ruoli di maggiore responsabilità all'interno del gruppo che vi si avventurava. Debellare quel mostro per contenerne la forza non era per nulla facile.
Iperione non sarebbe mai morto, ma di certo, era quello che poteva definirsi: il mostro dormiente del sottosuolo. Finchè ci fossero stati daeva disposti a combatterlo il suo potere sarebbe rimasto contenuto e confinato solo all'interno di quel luogo tetro e pericoloso. Ma se così non fosse stato, le conseguenze avrebbero potuto essere catastrofiche.
Il cielo cominciò a rischiararsi, illuminando gradualmente il viso stanco e provato di Araziel. Le cicatrici che apparivano sui tratti di pelle scoperta, così come in Shad, o nello stesso Velkam, avevano un che di affascinante.
Sembrava quasi che più un Dava avesse il corpo punteggiato da chiare cicatrici, e più apparisse bello. Era questo che mi ritrovai a pensare quando guardai Araziel in viso.
I suoi occhi verdi erano fermi e seri, mi stava studiando, cosa che mi mise un po' in soggezione.
"Sei diversa", disse soltanto raddrizzandosi con la schiena per potermi scorgere meglio.
Il sole adesso faceva capolino all'orizzonte. Era una indefinita macchia di arancione in un cielo violaceo punteggiato da morbide nuvole.
"Lo so", dissi voltando il viso dalla sua parte. "Anche tu".
Rabbrividii quando percepii il suo guanto sfiorarmi i capelli in una carezza. Si lasciò scorrere tra le dita della mano aperte, un ciuffo bianco e liscio, fino alle punte.
Lo osservai con la coda dell'occhio e potei percepire il calore del suo corpo nel freddo pungente della brezza mattutina.
Il lungo cappotto in pelle, scarlatto come i suoi capelli, sbatacchiò contro la ringhiera, penzolante. I suoi capelli si mossero ribelli ad una folata di vento più forte.
Mi ritrovai a pensare che era stato piacevole assistere all'alba in sua compagnia. Supposi che la Selhen di qualche anno addietro avrebbe venduto l'anima per un momento come quello, e in nome di quello che tra noi c'era stato avevo deciso di non scappare come ero solita fare quando una situazione mi metteva in difficoltà.
Odiavo i troppi pensieri, e odiavo la malinconia che si portavano dietro i ricordi.

"Don't cry for me, how easy love has gone
Try to see, how deep my despair is
Come the winds of fate and time
Take all my tearful memories".

Canticchiai in un sussurro voltandomi a guardarlo. Mi era venuta in mente solo ora. La canzone della cantante dell'Apellbine. Quella che adoravo andare ad ascoltare con lui ogni fine settimana.
Non avevo più voluto sentirla da quando Araziel era partito. Non mi piaceva perdermi in inutili reminescenze, eppure, riaverlo lì, dopo così tanto tempo, non aveva cambiato le sensazioni che provavo in sua presenza.

" Call out to thee sing your name in sweet harmony
But only echos fade away..."

Mi stupii quando fu lui a canticchiare sottovoce quell'ultima frase.
Se c'era una cosa che mi aveva sempre colpita di lui, era la sua voce. Così intonata e piacevole da ascoltare che quel solo verso, gettato lì a caso alla meno peggio, mi suscitò una strana sensazione.
Sorrisi tra me.
Avrei dovuto voltarmi, dire "si è fatto tardi, sarà meglio tornare a casa" ma non ci riuscivo.
La Selhen innamorata di Velkam non lo avrebbe mai ammesso, ma quella del passato insisteva a restare, a prolungare ancora un po' quel momento perchè, chissà quando sarebbe ricapitato.
Araziel mi era mancato ma sembrava essere intoccabile, quasi irreale. Seduto là, su quella ringhiera, con quell'aria distaccata. Dava l'impressione di essere un ricordo che mi si era materializzato davanti, eppure, quella notte, dovevo ancora una volta a lui la mia vita.
Non avrei mai ammesso che mi era maledettamente mancato, non era da me. Sembrava quasi che avessimo evitato di proposito di parlare del giorno in cui le nostre strade si erano separate, ma vedermelo ricatapultare davanti mi aveva colto impreparata.
Un tonfo legnoso mi annunciò che il daeva si era lasciato scivolare giù dalla ringhiera ed era tornato in piedi. Mi voltai sollevando appena il viso per incontrare i suoi occhi. Fummo l'uno di fronte all'altra e in cuor mio seppi che quello era uno degli ultimi momenti che per quella mattina condividevamo.
"Dai bimba, torniamo a casa...", disse infine pizzicandomi il mento con la mano.
Annuii senza replicare. Costringendo giù il nodo che avevo alla gola. Mi gettai di slancio contro il suo petto solido stringendovi forte le braccia intorno, in un abbraccio.
Araziel rimase rigido per qualche istante, non era il tipo da eccesive tenerezze, ma alla fine circondò delicatamente la mia vita con un suo braccio.
"Sparirai di nuovo?", mormorai contro il suo petto. L'odore forte della pelle del suo cappotto mi pizzicò il naso.
"Non penso", disse continuando a tenermi stretta. "E' un classico che, misteriosamente, qualcosa mi conduca da te quando stai per lasciarci le penne". Il suo petto fu scosso da una risata, e anch'io non potei fare a meno di sorridere.
"Non sono fatta per la guerra", dissi soltanto in un sospiro. "Lo sai".
"Lo so", mormorò.
Sciolsi l'abbraccio sistemandomi sulla spalla la bisaccia. Strinsi il pugno sulla cinghia in pelle costringendomi mentalmente ad arretrare di un passo.
"Ciao Araz...", dissi infine trattenendomi alla ringhiera pronta a scendere le scale della torretta per raggiungere il suolo sterrato del cantiere di Pandarung.
"Ciao bimba...", rispose lui con un mezzo sorriso.
Lo vidi arrampicarsi agile sulla ringhiera della torre e dopo avermi lanciato un'ultima occhiata lasciarsi cadere giù mentre spalancava le immense ali nere.
 Lo seguii con lo sguardo finchè non lo vidi posare i piedi per terra e sparire veloce dietro un edificio vicino al quale si era posato.
Rimasi così, in silenzio, a fissare il vuoto per qualche altro istante. Poi mi voltai e cominciai a scendere le scale, una ad una, senza avere una chiara idea di dove andare.
Gli shugo cominciavano a popolare il cantiere ormai interamente illuminato dal sole.
"Buongiorno Pandarung", dissi tra me con un sorriso. Ero contenta. Alla fine dei conti la giornata non era cominciata così male, e l'avere rivisto Araziel mi aveva lasciata, senza ombra di dubbio, di buon umore.

[Rieccoci qua col nuovo capitolo. Aggiorno un po' a rilento è vero, ma dalle visualizzazioni vedo che la mia storia viene comunque seguita e questo non può che lasciarmi felice :3 recensite su, così tiriamo fuori un nuovo speciale. Fino ad allora, l'appuntamento è al prossimo capitolo! A presto, baci! :*]

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Capitolo 23
*** -20- Sahnu ***


Erano passati giorni da quella volta in cui io e Velkam avevamo trascorso quella notte insieme.
L'autunno aveva lasciato spazio all'inverno e la neve coglieva spesso di sorpresa Atreia e le guglie alte e graffianti di Pandemonium.
Nonostante ciò, nessun asmodiano si preoccuppava della neve. Il freddo non ci spaventava nè ci causava alcun tipo di impedimento, e i Daeva come me vedevano in quel bianco candore l'annuncio dell'arrivo di una delle feste più magiche. Solorius.
Era con l'arrivo di dicembre che Pandemonium iniziava a colorarsi di rosso. I Daeva festaioli starnazzavano per la piazza intenti ad addobbare un immenso albero di Solorius pieno di luci e coccarde, tra la neve.
Mi piaceva così tanto quella festa. I colori, le luci, i sapori, gli odori, e molto spesso mi chiedevo in che modo gli elisiani percepissero quella ricorrenza.
Anche Sanctum era addobbata a festa? C'erano luci e ghirlande di vischio anche per le vie di Helian?
Di Velkam non avevo avuto notizie per settimane, e ogni qualvolta mi ritrovavo in giro per il Katalam una parte di me sperava fortemente di ritrovarselo davanti.
Un pensiero, prepotente, si era fatto spazio nella mia mente.
Che Velkam si fosse pentito di tutto? Che quello che era successo tra noi aveva solo rovinato quel precario equilibrio che fino ad allora tra noi c'era stato?
Non lo sapevo E la cosa peggiore era che non avevo alcun modo per contattarlo se non incontrarlo in giro per Sarpan o per il Katalam casualmente.
L'assenza dell'elisiano non aveva fatto altro che farmi perseverare nelle mie indagini. Il caso di Adma era diventato una fissazione da quando Velkam mi aveva messo quella pulce nell'orecchio.
Morivo dalla voglia di conoscere la verità su quel posto tetro e abbandonato e così, in quelle settimane Brushtonin era stato l'unico posto in cui avevo trascorso la maggior parte del mio tempo libero in compagnia di Dahnael.
Chiedere, indagare, esplorare. Erano stati questi i nostri principali imperativi in quelle settimane di iperattività.
"Ooooh, insomma!", sbuffai seriamente scoraggiata di ritorno dalla fortezza di Alukina, a Beluslan. Gli stivali mi affondavano nella neve e a fatica mantenevo il passo del mio amico Dahnael, nei suoi stivaloni in cuoio. "Vuoi rallentare il passo?".
Dahnael roteò gli occhi voltandosi a guardarmi e riducendo la marcia. "Io invece ti dico: Levitazione!", grugnì, "Risolverebbe tutti i tuoi problemi di tacco a spillo".
Corrugai la fronte imbronciata. Avevo percepito un tono canzonatorio in quella semplice affermazione. "Ma certo, e me li daresti tu 15 milioni di kinah, Lamurr? Tanto sei ricco!", lo guardai male inciampando e cadendo rovinosamente col sedere per terra.
Dahnael sorrise quando usai quel nomignolo. Lo chiamavo così da quando, da piccoli, si prontava a difendermi con le sue spade di legno quando qualcuno faceva il bullo con me.
La parola Lamurr era una parola ibrida che comprendeva le parole: Lama e amore. Okay, era anche un significato un po' stupido, ma per noi aveva un senso. Era il principe azzurro che da bambina mi mancava. Ricopriva le veci del mio... salvatore.
Ridacchiai facendo leva sulle braccia per rimettermi in piedi. Dahnel non mi stava nemmeno aiutando, impegnato com'era a scompisciarsi dalle risate.
"Sei spregevole!", brontolai con falso rancore.
Dahn si morse il labbro inferiore costringendosi a smettere di ridere.
"Prima eri un gentiluomo. Questa maledizione ti ha reso un bastardo patentato".
"Col brevetto", ironizzò lui tornando serio per un momento e porgendomi la mano solo quando non ne avevo più bisogno.
La snobbai passando avanti. "Presto mi comprerò un pagati con le monete di Kahrùn. A quel punto sarai tu a farmi da stuolo servile ai piedi del mio grosso dinosauro. Diventerai il mio portantino, tsè".
Dahn parve per un attimo preoccupato da quell'affermazione. "Lo pensi davvero?", disse con un tono quasi arrogante.
"Idiota, stavo scherzando". Sbuffai e una nuvoletta di vapore fuoriuscì dalle mie labbra. Quando mi raggiunse mi aggrappai al suo braccio. Aveva ragione Dahnael, una levitazione sarebbe stata comoda. Si trattava di pattini escogitati dai daeva ingegneri per fluttuare elegantemente e coprire grandi distanze a piedi senza sentire il peso della stanchezza o essere costretti coi piedi per terra qualunque fossero le condizioni del terreno.
Quel giorno eravamo andati a recuperare le gocce d'acqua dello spirito per la Seiren Sahnu, una creatura marina che viveva nei pressi della fortezza. E per quel motivo avevamo dovuto far fuori una quantità enorme di spiriti dell'acqua nel regno delle Seiren.
Le numerose ricerche e l'aiuto di Surt, il luogotenente di Brushtonin, ci avevano permesso di scoprire un passaggio segreto che conduceva dritto all'interno dei sotterranei di Adma. Se solo avessi potuto incontrare Velkam per dirgli dei miei progressi!
"Dunque adesso cosa dovremmo farci con questa roba?", chiese il mio amico lanciando in aria la boccetta con le gocce d'acqua, riprendendola prontamente nel momento in cui ricadde.
"Sahnu ci preparerà una pozione che ci consentirà di attraversare il passaggio", spiegai in una scrollatina di spalle. "Ti trasformerai in un ribbit, la tua vera essenza", conclusi con una risata cristallina.
Dahn si accigliò. "Dovrei trasformarmi in una specie di rana viscida per qualcosa di cui non siamo nemmeno sicuri?".
Battei le palpebre. "Ma... sarà solo per qualche minuto, sciocco. E poi con la nostra forma umana non potremmo mai attraversare quelle grate".
"Mah...", tagliò corto Dhan, poco fiducioso. "Vuoi che andiamo solo io e tu a ispezionare quel posto? Non credi che possa essere pericoloso?".
"Sì, lo credo", sospirai. "Ho chiesto a Brahm e Saephira di venire con noi... potrebbe farci comodo il supporto di un bardo. I suoi incantesimi curativi non ci sarebbero indifferenti... e un maestro degli spiriti... beh...".
Dahnael annuì pensieroso. "Come sei venuta a conoscenza di Sahnu?".
"Mi ci ha indirizzato Surt, due giorni fa", dissi scansando con un balzo un masso che si intravedeva in mezzo alla neve. C'era freddo, eppure la mia pelle era perfettamente a temperatura ambiente. Dal cielo scendevano leggiadri i fiocchi di neve.
"E' quasi Solorius", mormorai sognante alzando gli occhi verso il cielo.
"Già", annuì Dahnael con un tono di stizza nella voce, "e io lo detesto".
"Perchè?".
"Perchè... tutto ciò che è calore e relazioni umane l'ho sempre detestato", terminò lui secco.
"Sì ma. Tu e Lacie...", provai a replicare.
"Senti non chiedermi di Lacie, è una cosa che non c'entra assolutamente niente". Era tornato schivo, il che mi aveva fatto zittire in un batter d'occhio. Ormai avevo capito che non era il caso di contrariare Dahnael, dati gli effetti collaterali della sua maledizione.
"Oggi ero nella strada del mercato...", aveva ricominciato il mio amico. Questa volta con un tono piatto. "Ho udito una conversazione...".
Il modo in cui aveva cominciato quel discorso attirò la mia attenzione.
Avevamo risalito a piedi una collinetta innevata ed eravamo quasi giunti al Campo profughi di Besfer. Da qui avremmo preso un aerotrasporto per giungere fino alla fortezza centrale di Beluslan.
La nostra destinazione, una volta arrivati lì, sarebbe stato il lago di Brushtonin. Il luogo tetro in cui dimorava Sahnu.
Sahnu era una seiren. Una sorta di ibrido tra una strega e una sirena. Le seiren erano creature marine dai grandi poteri e dalla grande saggezza, tanto era antica la loro razza.
"Parlavano di Velkam, il tuo elisiano...", continuò Dahnael catturando nuovamente la mia attenzione.
Non avevo raccontato a Dahn quello che era successo tra me e Velkam, ma supposi che avesse intuito qualcosa dal modo in cui me lo disse.
"Non si fa che parlare di lui", terminò gelido.
"Davvero? E di cosa?", chiesi urgentemente.
"Della sua tresca con una di noi", concluse fermandosi e rivolgendomi uno sguardo severo.
Sembrò mancarmi il terreno sotto i piedi, tanto che dovetti tornare a reggermi al suo braccio. Deglutii vistosamente e battei le palpebre con un'espressione, ne ero sicura, terrorizzata.
"Non è... non può... ti giuro Dahn, sono stata discreta e...", balbettai senza sapere come cominciare.
"Zitta! Miss discrezione...", brontolò avanzando e lasciandomi in balia di me stessa coi tacchi affondati nella neve.
"Dahn, dannazione!", lo chiamai arrancando. "Dahn, ti prego... com'è possibile? Ti giuro, io ti giuro...".
"La gente vede... Selhen. Gira voce che sia stato trattenuto dalle autorità di Elysea. E se farà parola di te... ti immagini quello che succederebbe ad Asmodae?", disse in un sussurro chinandosi col viso verso il mio.
"Non lo farebbe mai", mugolai totalmente insicura.
"E' un elisiano... può tutto. Sono vigliacchi Selh, non hanno il senso dell'onore nè il coraggio di affrontare le situazioni più grandi di loro".
Scuotevo la testa senza fermarmi. Non volevo neanche sentire le sue parole. "Dahn... ti sbagli!".
Dahnael scosse il capo. "Non c'è niente da fare, ti ho persa....".
Il tono rammaricato con cui lo disse mi ferì.
Quando giungemmo all'aerotrasporto nessuno dei due proferì parola. Pagammo i kinah necessari a salire sul grande rapace che ci avrebbe condotto in volo fino alla fortezza. L'aria gelida mi sferzava la faccia mentre udivo i forti tonfi delle grandi ali di quella fenice dalle piume smeraldo.
Giunti all'interno della fortezza la fenice planò dolcemente posandomi sulla piattaforma del nuovo aerotrasporto e Dahnael venne depositato poco dopo.
Ci teletrasportammo infine a Brushtonin e da lì con un altro aerotrasporto ci dirigemmo nei pressi del lago.
Guardandomi intorno riconobbi la familiare montagna su cui mi trovavo e da quella vetta io e Dhan ci preparammo a lanciarci giù, per raggiungere Sahnu.
Mi sporsi poco convinta oltre il precipizio. Nonostante le mie ali, le grandi altezze non mi rassicuravano. La fortezza di Adma, grigia, triste e solitaria, si stagliava all'orizzonte come un fantasma tra le venefiche nebbie di quella zona arida e contaminata.
Quando Dahn si lanciò giù non potei fare altro che seguirlo. Scendemmo sfruttando le correnti d'aria e ci librammo per l'aria fino ad affondare gli stivali in cuoio nelle acque melmose della riva del lago che costeggiammo in silenzio.
"Credi che ci stia già aspettando?", mormorai mentre camminavo con lui a passo celere. Il rumore dello sbattacchiare dell'acqua e delle urla indistinte dei non morti, provenienti dalla fortezza, mi inquietavano.
Osservai la superficie del lago. Pullulava di creature viscide e Alitauri simili a coccodrilli dai denti pericolosi e affilati. Mi scansai meglio dalla riva stringendo quasi automaticamente le mani sulle impugnature dei miei revolver.
"Benvenuti", udimmo infine quando ci addentrammo in una rada macchia di arbusti che si apriva sulle rive del lago.
"Sahnu", dissi io riverente.
La seiren, con la sua lunga coda da pesce fluttuava nell'aria. Appariva quasi come la mitica Medusa. I tratti del viso, mostruosi e severi, erano colorati da lunghi capelli sparsi e fluttuanti anch'essi. Al centro del viso rilucevano due gialli occhi serpentini.
"Avete le gocce d'acqua degli spiriti?", chiese la creatura con la voce rintonante che sembrava essere un'eco lontana.
Annuii decisa e attesi che Dahnael le consegnasse la boccetta. Da questo potei intuire che la Seiren si aspettava già una nostra visita.
Le sue mani artigliate e spigolose si chiusero attorno al vetro e il suo sguardo severo ne accarezzò il contenuto.
"Molto bene...", proferì oracolare. "Domani avrete il vostro infuso".
Feci un gesto di rispettosa riverenza e indugiai con lo sguardo sul corpo perfetto e femminile ricoperto di squame. Chissà perchè ma quella creatura mi faceva pensare ad un'antica bellezza ormai svanita.
Non aggiunsi altro. Non era il caso di contrariare le seiren con stupide domande. Erano pur sempre degli esseri pericolosi e selvaggi.
"Grazie Sahnu", dissi soltanto con decisione estraendo dalla bisaccia una pergamena del teletrasporto. Feci un cenno di intesa a Dahn che comprese alla perfezione dove mi stavo dirigendo dopo che mi sentì recitare la formula magica mentre la srotolavo.

Mi dissolsi nell'aria e tutta quell'atmosfera di pesantezza sembrò disperdersi quando mi ritrovai tra i vischi e le luci festose di Pandemonium.
La musica di Solorius inondava la piazza e i bambini schiamazzavano allegri trotterellando tra le alte guglie.
Dahnael mi fu subito accanto. Si stava scompigliando i capelli appiccicati sulla fronte per l'umidità del posto in cui eravamo stati.
Fu proprio quando giungemmo alla grande piazza del tempio dell'oro che riconobbi in un angolo una sagoma conosciuta.
Se ne stava taciturno appoggiato a una colonna del grande edificio immerso in chissà quali pensieri.
Era Araziel.
Chissà che ci faceva a Pandemonium a quell'ora. Di solito tutti i Daeva come lui nel pomeriggio erano pieni di impegni e di cose da sbrigare.
"Oh", dissi alla sua vista indugiando prima di seguire Dahn. "Stai andando al tempio dell'oro?", chiesi al mio amico.
"Senza i kinah come vuoi che ti offra la cena?", fece lui pragmatico rovistando nella sua bisaccia.
Allargai le labbra in un sorriso a trentadue denti. "Vuoi dire che stai pensando di offrirmi tu la cena, Lamurr?".
"Una volta tanto si può fare".
"E io che pensavo che fossi avaro!", scoppiai a ridere quando lui mi fulminò con lo sguardo. "D'accordo tregua, va a prelevare i tuoi kinah, io nel frattempo mi troverò qualcosa da fare".
Voltai lo sguardo in direzione di Araziel che sembrava avermi notata. Sollevai un braccio indirizzandogli un cenno di saluto e mi avvicinai cautamente al suo angolino.
"Ciao Araz", sorrisi dolcemente una volta che gli fui abbastanza vicina.
"Bimba", disse lui con un mezzo sorriso.
"Ti disturbo?", domandai timorosa.
Araziel scosse appena il capo. "No, sono appena tornato dal percorso di Marcia di Jormungand e sono in pausa".
Annuii, i capelli umidi la dicevano lunga sul fatto che si era preso addosso una bella nevicata.
"Oggi siamo riusciti a sottrarre agli elisiani tutti e quattro gli accampamenti", ghignò sfilandosi la benda dagli occhi.
I suoi capelli gli ricaddero sull'occhio in un ciuffo scarlatto e finalmente potei scorgerne entrambe le iridi.
"E tu, cosa ci fai da queste parti?", mi chiese senza essere, a mio parere, realmente interessato.
"Cenavo con Dhanael, cioè... credo che oggi abbia intenzione di offrire", sorrisi ma balenò nel suo viso un'espressione che non seppi interpretare.
"Araziel", chiesi poi all'improvviso colta da un immediato pensiero.
Lui si accigliò in una tacita domanda.
"Sei mai stato ad Adma?".
Vidi il tiratore guardarmi come si guarda qualcuno che sta delirando. "Credi che abbia voglia di banchettare con i non morti di quel castello?".
"No è che... dovrei andarci per un sopralluogo. Ho il modo di entrarci!".
Il giovane tiratore parve incredulo. "E mi stai chiedendo di venire con te?", domandò. Il suo tono rasentava il sarcasmo.
"Solo se hai voglia di darmi una mano visto che...", esitai, "potrebbe essere pericoloso".
"Io e te?", chiese con un guizzo furbo nelle iridi verdi.
"Io, te, Dahniel e Saephira".
"Dahniel...", disse pensieroso vagando con lo sguardo nella piazza mentre si accarezzava il pizzetto rosso.
"Un tiratore abile come te farebbe la differenza", mormorai.
"E perchè vorresti addentrarti nel castello di Adma?".
"Questo te lo spiegherò solo se mi dirai che sarai dei nostri".
Vidi Araziel ridacchiare scuotendo il capo e passarsi una mano tra i capelli rossi. "Solo se me lo chiedi con gentilezza".
Lo guardai male. "Per favore?", brontolai sbuffando. Non seppi dire se era una domanda o una richiesta.
Araziel distese un sorriso divertito e tornò a fissare il suo sguardo sul mio. "D'accordo, bimba. A quando l'irruzione?".
Sorrisi sollevata da quella risposta. "Oh, presto... molto presto".

[Ciao belliiiii, rieccomi qui con il nuovo capitolo e con una marea di novità. Avevo continuato ad aggiornare il mio profilo Istangram con le immagini dei protagonisti, ma trovandolo alquanto scomodo ho pensato di creare un gruppo apposito. Lì potrete trovare tutte le news, foto e chi più ne ha più ne metta. In questo modo anche chi è più pigro e non vuole recensire può comunque lasciare un piccolo post con una breve impressione. u.u
Quanto alla trama della storia, ci dirigiamo alla svolta. All'intreccio principale. Che ne è stato di Velkam? E Selhen? Riuscirà ad annullare la maledizione di Dahn e a scoprire cosa si nasconde dietro tutto ciò? A presto con il prossimo capitolo ;)]
Ecco a voi il link del gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/964519573578228/

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Capitolo 24
*** -21- L'ingresso segreto di Adma ***


Mancava solo un giorno a Solorius. Le luci e i colori di Pandemonium erano diventati più intensi, ovunque mi ritrovavo a guardare potevo scorgere Daeva impegnati nei loro acquisti festivi: gladiatori intenti a incastonare pietre di potenziamento nelle armi, altre daeva impegnate nell'acquisto del loro ultimo vestito, negozianti improvvisati per tutta la piazza che esponevano le loro mercanzie sotto insegne luminose.
Era tutto un gioco di suoni e rumori. Perfino nel Katalam settentrionale si respirava aria di festa per via di coloratissimi costumi che molti Daeva indossavano per l'occasione festiva.
L'ingresso ad Adma era stato fissato pr quel giorno. Mi ero recata personalmente da Sahnu per procurarmi le pozioni che ci sarebbero servite ad attraversare lo stretto passaggio delle segrete. Non c'era più tempo da perdere.
Stavo attendendo l'arrivo di Araziel, Brahm e Saephira con Dahnael. Sedevamo sui gradini della piazza con la schiena appoggiata alla colonna e lo sguardo in direzione dello sfavillante albero di Solorius.
"Ma ti sembra il caso di andare a rischiare la morte il giorno prima di Solorius?", aveva brontolato Dhan rigirandosi la fiala di polvere d'odella ormai semivuota tra le dita.
Aveva mandato giù l'ultima dose proprio pochi minuti prima, in questo modo, la sua lucidità sarebbe rimasta intatta finchè non avremmo terminato la nostra missione.
"Non eri tu che odiavi i periodi di festa?", gli chiesi con tono canzonatorio sollevando un sopracciglio.
Lui si bloccò per qualche secondo, come impensierito. "Ciò non vuol dire che questo ti da il diritto di condurmi al suicidio".
Sbuffai gettando gli occhi al cielo. "Siamo un gruppo numeroso, non ci accadrà nulla, sir Dahnael cuor di leone!", lo apostrofai scherzosamente.
"Forse non hai capito, avrei preferito fare qualcosa di più costruttivo piuttosto che rinchiudermi in una fortezza abbandonata a banchettare con gli spiriti dei suoi vecchi abitanti. Se io...".
Non seppi mai cosa stesse per dire Dahn, Saephira ci era comparsa dietro all'improvviso. "Azpheeeeelumbra!", aveva trillato allegra stringendomi le braccia attorno al collo.
"Azphelumbra musicista!", la salutai sorridendo.
"Ci scusiamo per il ritardo ma stavo terminando la fabbricazione di alcune pergamene. Un cliente me ne ha ordiate un migliaio", roteò gli occhi in un'espressione talmente buffa che riuscì a strapparmi una risata.
"Adesso è diventata anche alchimista", disse Brahm scuotendo il capo esasperato mentre la affiancava subito dopo. Il suo tono aveva un che di sarcastico.
Salutai l'incantatore dai capelli grigi che stava gettando un'occhiata alla combriccola. Sul suo viso era presente la solita aria di superiorità. Mi chiesi come facesse una così estroversa come Saphira a fare coppia con uno taciturno e serio come Brahm.
Lo vidi ricambiare il mio saluto con un cenno del capo. "Tutto pronto per oggi?", domandò.
"In realtà siamo in attesa di qualcun altro", risposi.
Alle mie parole Brahm si appoggiò alla colonna con fare disinvolto e con voce cristallina evocò il suo spirito del vento. La bestia dal fulvo crine argenteo mugugnò al richiamo del proprio padrone e una volta comparsa si accucciò compostamente e in silenzio ai suoi piedi.
Per quell'occasione Brahm aveva indossato un lungo e lucido cappotto nero che rendeva la sua aria ancora più austera e misteriosa. Il volto era giovane e imberbe e le lunghe ciglia gli coprivano le pupille, intento com'era, dalla sua posizione, a fissare il pavimento della piazza che sembrava avesse colto il suo più grande interesse.
"Chi stiamo aspettando?", aveva domandato Saephira interrompendo il mio flusso di pensieri.
Non risposi subito. Dubitavo che Saeph conoscesse Araziel, dopotutto lei era entrata in accademia molto dopo il suo congedo.
Volsi lo sguardo verso il sole, a giudicare dalla sua posizione doveva essere passato da poco mezzogiorno.
"Dovrebbe essere qui a momenti", le dissi tergiversando.
E infatti fu proprio così. Dal lungo corridoio della strada del mercato si fece lago un grosso pagati combattente che venne a fermarsi proprio di fronte a noi. Un daeva alto e dalla zazzera rossa e scompigliata stava a cavallo dell'imponente dragone. Levò una mano in cenno di saluto e reggendosi alle robuste redini si lasciò scivolare sul fianco della bestia per battere con un tonfo i piedi sul suolo acciottolato della piazza.
"Vogliamo andare?", disse con un mezzo sorriso incrociando il mio sguardo.
Le mie pupille tremolarono appena per l'imbarazzo a quello sguardo troppo diretto. Annuii distogliendo da lui gli occhi.
"E tu saresti?", domandò Saephira impertinente al nuovo arrivato.
"Araziel", disse il tiratore volgendo uno sguardo curioso alla mia amica che aveva parlato.
"Araziel...", intervenni io, "loro sono Saphira, Brahm e Dahnael", mi rivolsi a lui indicando rispettivamente i miei amici che chinarono uno ad uno il capo in segno di saluto.
"Bene..., conclusi infine vagamente imbarazzata, "abbiamo fatto le presentazioni, detto ciò credo che possiamo anche avviarci", serrai le labbra in attesa di una loro risposta.
"Giusto!", aveva annuito Saephira col suo solito tono tintinnante, "Muoversi, sù sù sù!". Tirò fuori l'archetto intonando una melodia che creò intorno a lei un'aura colorata. Intuii che dovesse essere una qualche forma di difesa.
Seguii Araziel con lo sguardo che intanto era tornato a cavalcioni del suo pagati. Come avrei desiderato anch'io averne uno tutto mio!
Anche Brahm e Dahniel evocarono la loro cavalcatura. Soltanto io e Saeph rimanevamo senza un mezzo di trasporto.
Mi preparai mentalmente a raggiungere la mia meta a piedi e tramite aerotrasporti.
"E noi?", disse infine Saephira guardando un po' spaesata tutti quei pagati fermi davanti a lei.
"Niente mezzo di trasporto?", ironizzò Dahnael guardandoci dall'alto del suo drago.
Lo ricambiai con un'espressione imbronciata.
"Le evocherò io!", intervenne Brahm divertito indirizzando a Saephira un complice occhiolino a cui lei rispose con un intenerito battito di ciglia e un sorriso.
Ad un tratto Araziel partì e così tutti gli altri, che lo seguirono a ruota. "Allora ci si vede tra un po'", disse soltanto mentre faceva arretrare il proprio pagati.
"Oh beh, a tra poco!", sorrise Saephira!
Io e la mia amica rimanemmo impalate davanti all'immenso albero di Solorius e li vedemmo sparire oltre l'affollata strada del Mercato.
"Sento che oggi sarà un giorno speciale...", aveva detto la mia amica sedendosi sul gradino accanto a me.
Le sue parole attirarono la mia attenzione e cercai il suo sguardo interrogativa.
"Dici?", domandai con un tono di totale disinteresse. Non ci vedevo nulla di interessante in un'escursione a Brushtonin.
Saephira annuì. "Beh, siamo un bel gruppo... e poi fare missioni con Brahm accanto mi piace un sacco!", sorrise teneramente. Ricambiai il sorriso invidiandola un po'. Lei poteva fare tutto questo alla luce del sole, perchè io non potevo fare lo stesso con Velkam? La cosa mi intristì talmente tanto che Saephira dovette accorgersene.
"Ti sento strana...", mormorò con un tono che mi inquietò parecchio.
Mi sentiva strana? E perchè? Non avevo avuto modo di parlare con lei degli ultimi avvenimenti con Velkam.
"Sì...", asserì con aria indagatrice, "sembri con la testa tra le nuvole... più del solito intendo", fece un sorriso contagioso a cui risposi senza neanche pensarci.
"Hai smesso di pensare all'elisiano?", disse infine colta da quell'improvviso pensiero.
Fantastico! Aveva colpito il centro della questione. Non seppi cosa rispondere.
Il mio silenzio la preoccupò. Lo capii dalla fossetta che si era formata sulla sua fronte. "Selhen?", mi chiamò abbassando il tono.
Non le diedi retta, persa com'ero nei ricordi dell'ultima volta che ero stata con Velkam e al pensiero delle ultime parole di Dahnael. Le autorità di Elysea stavano indagando su di lui. Forse io stessa ero in pericolo. Chi poteva dirmelo?
Non avevo più saputo niente di Velkam da troppo tempo. Quasi tre settimane di totale silenzio. Era il caso di cominciare a preoccuparsi?
"Selhen!", aveva protestato Saephira facendomi sobbalzare.
La guardai battendo le ciglia un po' spaesata.
"Non mi piace questo silenzio". I suoi occhi azzurri mi guardarono indagatori.
"Non... non avevo avuto modo di raccontartelo prima. Avrei potuto scrivertelo nella lettera con cui ti avvisavo dell'incursione di oggi ma ho pensato che parlarne a tu per tu sarebbe stato meglio...".
Saephira aveva ancora un'espressione dubbiosa e accigliata ma non parlò, attese piuttosto che terminassi il mio discorso.
"Saeph, io e quell'elisiano stiamo insieme", dissi tutto d'un fiato.
La sua reazione fu più di quanto mi immaginassi. "Oh per Aion, stai scherzando?", quasi urlò.
Un passante si voltò al suo improvviso schiamazzo con espressione infastidita.
"Shhh, vuoi farmi condannare a morte?", la rimproverai in un bisbiglio.
Saephira aveva cominciato a sventolarsi il viso con la mano per lo shock. "Dimmi che è tutta una burla Selhene... dimmi la verità!".
Aveva usato il mio nome per intero, il che lasciava intendere che era seriamente preoccupata.
Non risposi.
"Oh, lady Siel, illuminala tu!", piagnucolò, "Com'è possibile?! Tu non puoi darmi queste notizie e aspettare che io ti faccia i complimenti... se lo sapesse Brahm...".
"Brahm... non deve saperlo!", la ammonii con tono basso e minaccioso.
Saeph annuì convulsamente.
"Non lo sento da una settimana e Dahnael mi ha detto che le autorità di Elysea lo hanno trattenuto... ho paura che gli sia successo qualcosa per causa mia. Non me lo perdonerei mai...".
Distolsi lo sguardo da lei e lo puntai sul rassicurante albero di Solorius.
"E io che pensavo che fosse solo una cosa passeggera!", si disperò la mia amica. "Avrei dovuto tenerti d'occhio!", protestò lisciandosi nervosamente i capelli che le ricadevano sulla spalla.
"Senti non darmi pensieri più di quanto non ne abbia già...", dissi spazientita mettendomi in piedi. All'improvviso non desiderai altro che essere evocata da Brahm e lanciarmi a capofitto nella missione.
"Io lo dico solo per te... non hai paura che possa essere solo un tranello?", domandò con tono paziente venendomi vicino e appoggiandomi una mano esile sulla spalla.
"No!", ribattei secca. "E ho i miei buoni motivi per crederlo".
Ero stufa. Totalmente stufa di avere ripetute le medesime cose dalle persone a me più care. Perchè tutti dovevano vedere il marcio in un sentimento come il nostro sebbene fosse nato in circostanze avverse?
Saephira serrò le labbra come a privarsi di dire altro. Si stava trattenendo, era evidente.
"Mi fido di te se ti fidi di lui", terminò infine con un sospiro.
"Bene...", conclusi acida.
"Ma fa' attenzione ti prego".
Proprio mentre mi rivolgeva quello ultime parole d'apprensione percepii il richiamo della magia di Brahm. Mi lasciai andare e chiusi gli occhi. Non avevo neanche voglia di ribattere e rispondere alla preoccupazione della mia amica.
Fu come dissolversi nell'aria e viaggiare attraverso il tempo. La mia sagoma si era perfettamente ricomposta davanti alle grate dell segrete del palazzo di Adma.
Alla vista del paesaggio grigio che ci circondava immaginai che fossimo finiti nei pressi del lago dove la Seiren Sahnu dimorava.
Ringraziai mentalmente Brahm per avermi evitato quella conversazione scomoda. Quando anche Saephira venne evocata ci scambiammo solo uno sguardo silenzioso, poi tirai fuori dalla bisaccia le cinque boccette di pozione che Sahnu ci aveva procurato e annuii a tutti gli altri.
"Una per ognuno. L'effetto durerà pochi secondi quindi preparatevi in fretta ad oltrepassare le grate", li ammonii con decisione.
Non attesi che qualcuno rispondesse. Feci io il primo passo mandando giù il liquido amaro che la boccetta conteneva.
Il mio corpo si trasfigurò all'istante e mi ritrovai ad essere un viscido e piccolo ribbit rosa. Ciò suscitò un risolino di Dahnael. Di certo non era a conoscenza del discorso molto più serio che avevo affrontato poco prima con Saeph che mi aveva rovinato l'umore e non poteva sapere che se avessi avuto due mani per reggere i revolver avrebbe rischiato per quell'affronto.
Con un goffo salto mi gettai attraverso le grate e saltai giù, nel paludoso acquitrino degli scarichi di Adma.
Dovetti attendere qualche altro secondo prima che il mio corpo tornasse quello di sempre. Mi appoggiai alle umide pietre del passaggio e ad uno ad uno anche gli altri mi raggiunsero.
Soltanto quando fummo tutti uno accanto all'altra tirai fuori i miei revolver luminosi.
Saephira fece lo stesso col suo strumento a corda. Le note dei suoi incantesimi rintonarono tra quelle fredde mura così come i suoi incantesimi di guarigione che ci sfiorarono uno ad uno.
Eravamo tre tiratori, un bardo e un incantatore col suo spirito del vento. Non poteva dirsi un gruppo così ben assortito però gli spiriti di Adma erano sicuramente alla nostra portata.
Adesso non ci restava che trovare gli ingressi per le camere reali.
Araziel era automaticamente passato in testa al gruppo. Mi ritrovai a pensare con un sorriso spontaneo che lo spirito del leader era più forte di lui.
I suoi revolver scintillavano nel semibuio del passaggio così come i suoi occhi luminosi.
Con un gesto deciso mi tirò vicino a sè lasciandomi perplessa per un momento. Scrutai il suo grande cappotto in pelle rosso e rigido che gli metteva in risalto le spalle solide e muscolose.
"Tiratori avanti", disse soltanto distogliendo da me lo sguardo all'improvviso. "Le porte sono da questa parte".
 
[Diciamo che anche questo, come quello precedente, è un capitolo di raccordo in preparazione di altri sicuramente più importanti.
Sono in attesa delle vostre recensioni u.u su dai, sono pronta per un nuovo speciale per scoprire un po' cos'è successo a Velkam ad Elysea, non siete curiosi? u.u
Chi mai incontreranno ad Adma i nostri amici? E cosa c'entra tutto questo con la maledizione di Dahn?
Che Tiamaranta c'entri veramente qualcosa con questa maledizione?
Mi sto un po' ispirando alla storia delle campagne di aion, sia chiaro, ma il livello dell'istanza "fortezza di Adma" non c'entra niente. Voglio che vediate l'uso di questo scenario solo per la teatralità che può offrire, e, parlo ai giocatori di aion, non pensate al livello dei nemici presenti al suo interno xD
Io adoro Adma e le sue stanze reali in triste rovina.
Questo vuol essere il mio regalo di Natale per voi :3 spero di riuscire ad aggiornare la storia il più presto possibile, fino ad allora vi ricordo il mio gruppo! Iscriveteviiii
 
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Buon Natale a tutti e... vi aspetto sul mio gruppo facebook ;) ]

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Capitolo 25
*** -Speciale 35 recensioni- Aria di tradimento ***


La neve cadeva lieve e silenziosa a grandi fiocchi tra le argentee torri del Sanctum, quella mattina. Velkam si ritrovò a pensare che quell'anno era arrivata tardi. E che per quel motivo Sanctum manteneva comunque il suo aspetto di sempre, grigio, caotico e un po' futuristico. Eppure il profumo di fiori era sempre pregnante nell'aria di quella movimentata cittadina Elisiana.
La capitale di Elisea si preparava a festeggiare il Solorius, e ogni edificio, ogni viuzza o piazza lo lasciava intendere dalle decorazioni di vischio e neve artificiale sparse per la città.
Con questo pensiero Velkam si soffermò su una delle balconate del Canale Celeste. Il grande canale d'etere che separava una parte della città dall'altra. Sanctum era avvolta dalla magia del Solorius.
La città eletta dal dio Aion ad essere la più bella sembrava in qul periodo, dare il meglio di sè.
La grande nave dorata che attraversava il canale Celeste cominciava a muoversi silenziosa mentre un rumore attirò l'attenzione dell'ufficiale elisiano.
Un Daeva ubriaco poco vicino a lui stringeva tra le mani un fiasco semivuoto.
"Solorius ha portato cambiamenti stravolgenti", biascicò l'uomo con una risata ebete stampata sul volto.
Il viso del cacciatore si accigliò curiosamente anche se diede poco conto a quelle parole.
"Nuovo governatore nuova vita, non credete?", tornò a ridacchiare portandosi nuovamente il fiasco alla bocca.
Del liquido fuoriuscì dalle labbra serrate sulla bottiglia andando ad imbrattare la casacca già sudicia del Daeva, che a detta di Velkam doveva essere qualche soldato caduto in rovina.
"Quando anche questo governatore usurpatore sarà scacciato torneranno ad arruolarmi, me lo sento!", fece un sorriso a trentadue denti rovesciandosi su di un fianco contro la ringhiera del belvedere.
Velkam rimase assorto ad osservarlo per qualche minuto. Non che le parole di un Daeva ubriaco e poco lucido gli interessassero, ma quell'uomo aveva ragione. Da troppo tempo, tra i ranghi più alti dei soldati elisiani si respirava aria di malcontento e cospirazione. Lo stesso consiglio Elisiano cominciava ad essere scontento dell'operato del governatore elisiano del momento.
Eppure Velkam conosceva il governatore del Sanctum, Fasimede. Era sempre stato uno stretto collaboratore di suo padre. Se era vero che una ribellione ne avesse rovesciato il potere, chi avrebbe preso il suo posto?
Che lui fosse tra i prediletti del consiglio per divenire uno dei tre massimi generali di Elisea non era un mistero, eppure, sarebbe mai stato in grado di governare il popolo elisiano come suo padre prima di lui?
Con questo pensiero Velkam si diede una grattatina al capo e si appoggiò alla ringhiera metallica che dava sul ponte celeste. Una brezza leggera gli scosse i capelli spostandogli fastidiosamente il ciuffo che rimise subito al posto. Odiava mostrare la propria cicatrice, lo faceva sentire vulnerabile.
"Ehi voi!" lo stava nuovamente chiamando il Daeva ubriaco.
Voltò lo sguardo ricordandosi solo allora di quella presenza fastidiosa e arricciò il naso in una smorfia di stizza guardandolo interrogativo.
"Voi siete Velkam, non è vero? Ho sentito parlare di voi... il giovane figlio di Cornelius".
Entrambe le sue sopracciglia si levarono con aria di sufficienza, poi Velkam annuì distrattamente.
"E' vero quello che si dice?", ridacchiò l'uomo come se il solo pensiero lo facesse sbellicare.
La linea delle labbra del cacciatore divenne dura e severa. "Qualunque cosa si dica sul mio conto è solo una diceria, non mi riguarda", tagliò corto volandogli le spalle e lasciandolo un po' spaesato nel suo angolino.
Quella mattina la strada degli Dei era un subbuglio di ultimi compratori. I negozi di cianfrusaglie erano strapieni di Daeva festaioli e perfino i soldati sembravano impazienti nelle loro postazioni di guardia, di smontare dal loro incarico per tornare a casa.
Un certo languorino ricordò a Velkam di non aver fatto la sua usuale colazione così si avviò verso la taverna di Aktus con l'intenzione di riempire lo stomaco con una porzione di succo fresco di lisheri. Il vociare attorno a lui non riusciva a far altro che ad isolarlo maggiormente. Per quella mattina aveva deciso di non occuparsi degli affari di legione lasciando tutte le responsabilità al suo secondo, Gaar, eppure, mentre faceva ingresso nella sua taverna di fiducia e prendeva posto in uno dei comodi sgabelli davanti al bancone, qualcuno gli battè un energico colpo sulla spalla.
"Sapevo che ti avrei trovato quì, amico", aveva detto allegramente una voce che non poteva essere di altri se non che del suo migliore amico.
"Gaar", sbuffò il cacciatore voltandosi verso l'assassino.
Gaar si stampò sul viso un sorrisetto sghembo. "Ti ho visto entrare e ho pensato che magari avevi voglia di offrirmi qualcosa, capo!", sottolineò l'ultima parola con una punta di ironia.
"Non avevo voglia di offrire nulla a nessuno, meno che meno a te", rispose lui con una mezza risata anche se in realtà fece l'esatto opposto ordinando due bicchieri di succo di lisheri ad Aktus.
Rivolse poi uno sguardo interrogativo all'amico che aveva preso posto nello sgabello di fronte al suo. "Qualche problema con i nuovi reclutamenti?", domandò.
"Nessun problema, anzi, hai presente la gladiatrice che hai reclutato ieri?", disse simpaticamente col solito sorrisetto furbo, "Non avevo notato quanto fosse bella sotto l'armatura".
Lo sguardo di biasimo del cacciatore elisiano nei confronti dell'amico fu meglio di un discorso di mille parole.
"Allora perchè sei venuto a cercarmi? Mi sembra di averti lasciato ordini precisi questa mattina. Sono stufo di essere il capo e non avere mai un attimo di tempo per me. Sei il mio secondo, ogni tanto potresti anche far finta che io non esista", disse stizzito, "Soprattutto quando te lo chiedo espressamente".
Il viso di Gaar si fece serio d'improvviso, quasi furtivo, e il suo tono si abbassò fin quasi a diventare un sussurro. Lo stesso Velkam stentava ad udirne le parole.
"Il consiglio... un esponente oggi è arrivato in sede di legione e... hanno chiesto di te con mandato ufficiale. Una questione alquanto urgente, credo". L'assassino lo guardò negli occhi. "Francamente credo che tu abbia già capito che cosa vogliono".
Velkam assottigliò le labbra, un sentore di preoccuazione aleggiò nel suo petto ma tentò di reprimerlo mandando giù in pochi sorsi il proprio succo di lisheri.
"Che assurdità è mai questa?", disse alla fine sbattendo il grande bicchiere sul bancone e lasciando una manciata di Kinah all'impiegato.
"Ecco..." disse Gaar alzandosi frettoloso e tentando di mantenere il suo passo. "Che assurdità è mai questa? Che sarà mai, è tutto normale, no?".
Velkam si fermò all'improvviso e voltandosi di scatto lo guardò con aria severa. "Era una punta di ironia, quella che ho udito nella tua voce".
"Direi che più che una punta, era una valanga... mio generale!", disse Gaar con un sorriso pungente.
Il cacciatore non proferì parola. Rimase solo a fissare gli occhi dell'amico. Perennemente ridenti, allegri e ironici anche nei momenti più critici. Eppure aveva imparato a leggerli così bene che non fu difficile scorgerci una chiara preoccupazione.
"Stai facendo il passo più lungo della gamba Velkam...", aveva mormorato l'assassino avvicinandolo. "Devi fermarti finchè sei in tempo".
Velkam vagò con lo sguardo per la via. Le eleganti entrate dei negozi erano addobbate di vischi e fiocchi rossi. Soffermò poi l'attenzione sui vestiti in pelle dell'amico. Nero lucido così come le due spade fissate alle sue spalle.
Aveva sempre invidiato a Gaar la velocità con cui riusciva ad assaltare i nemici. Se lui sapeva essere sfuggente e rapido con l'arco, Gaar era di più. Una letale macchina da guerra con i pugnali. A volte si era quasi ritrovato a pensare che solo lui sarebbe stato in grado di prendere il suo posto.
Forse sarebbe addirittura stato un figlio più esemplare di lui, per Cornelius.
Quantomeno Gaar non si era mai innamorato di un'asmodiana. Non aveva mai infangato il suo nome relazionandosi con il nemico così come lui aveva fatto.
"E' tardi Gaar... è già tardi", mormorò deglutendo e avanzando un altro passo.
Ripensò a Selhen, a quello che era successo tra loro. Ripensò che dopotutto non era riuscito a dimenticarla, e che nè ci sarebbe riuscito nè avrebbe avuto intenzione di farlo.
"La questione si sta facendo più spinosa di quanto immagini, Velkam". Tornò a dire Gaar, era serio, fin troppo serio per i suoi standard. "Il consiglio vuole indagare sui tuoi movimenti, crede che tu sia coinvolto in una cospirazione... un tradimento".
Velkam fece un gesto impaziente con la mano. "Già si parla di tradimento?", domandò sarcastico rimettendosi a camminare. La risata che seguì quella domanda fu sarcastica e incredula.
"Se non smetterai di incontrarla anche lei finirà per essere in pericolo. Il popolo asmodiano è più crudele del nostro quando si tratta di punire chi infrange la legge". Gaar aveva parlato in un mormorio, la sua discrezione era massima quando si trattava di proteggere il proprio amico.
Quando era tornato dal Katalam, all'alba di qualche settimana prima, Velkam non aveva potuto fare a meno di confidarsi con lui. E Gaar aveva capito. Non aveva battuto ciglio quando gli aveva rivelato ogni cosa.
Sebbene all'occasione Gaar sembrasse un Daeva idiota. Il tipico esempio di uomo che preferiva le avventure divertenti ai sentimenti, Velkam sapeva che dentro di lui si nascondeva una sensibilità fuori dal comune. Ne aveva avuto la conferma proprio dal fatto che non una parola di biasimo era uscita dalla bocca dell'amico quando aveva saputo tutto sul conto suo e di Selhen.
Il cacciatore si passò una mano tra i capelli. Gesto che faceva spesso quando era nervoso. "Cosa devo fare?", chiese infine mettendo da parte l'orgoglio e appoggiandosi stancamente alla colonna dell'ingresso della Sala dei Custodi.
"Starle lontano".
"Non se nen parla. Non posso".
"Devi!", terminò Gaar senza ammettere repliche. "E per una volta prenderai ordini tu, dal tuo secondo!"
Velkam scosse il capo.
"Sì Velkam! Non voglio un futuro cadavere come migliore amico... il mondo è pieno di belle elisiane. Che diamine ti è preso, per Aion? Innamorarti di un'asmodiana!". Il suo tono era sempre fievole ma serissimo.
Qualche passante curioso gettava un'occhiata dalla loro parte ma nessuno sembrava essere seriamente interessato alla loro conversazione.
"Non puoi capire", mugugnò il cacciatore incrociando le braccia mentre fissava la parete avanti a sè. Si infastidì quando i passanti che animavano la strada interruppero il contato visivo con quel punto indefinito su cui si era concentrato. Eppure non guardò il proprio migliore amico. Rimase con lo sguardo fisso. Non aveva voglia di leggere negli occhi di Gaar quell'odiosa apprensione di cui lui non aveva alcun bisogno.
"Una cosa è certa", proseguì fermamente l'assassino. "Niente mosse insensate. Non rivedrai Selhen finchè il Solorius non sarà passato. Ti stanno alla calcagna da quel che ho capito e... intendono parlarti. A mezzogiorno".
Qualcosa si raggelò dentro di lui. Il suo cuore perse un battito. Era pronto ad affrontare le autorità elisiane e a mentire spudoratamente su tutto?
"Che cosa vogliono?", chiese infastidito.
"Qualcuno ha parlato, credo che vorranno... spaventarti".
Una risata sprezzante irruppe dalle labbra del cacciatore. "Non hanno nessuna prova".
"Ecco perchè non dovrai dargliene". Concluse Gaar con uno sguardo d'intesa. Non disse altro, fece solo un segno di rispettosa riverenza. "Torno agli uffici di legione, ci vediamo stasera per un resoconto dettagliato". Si incamminò tra la folla congedandosi. Velkam lo vide allontanarsi a passo lento, con le spalle un po' ricurve.
Si ritrovò a valutare anche le ipotesi più disastrose. Se fosse stato trattenuto? Messo in carcere e costretto a parlare con le torture?
Non che temesse il dolore fisico ma le autorità avevano i loro buoni trucchi per estorcere la verità ai daeva criminali.
No, non potevano cominciare in maniera così seria. Trattarlo da criminale. Era pur sempre il figlio del vecchio governatore elisiano. Fasimede, il governatore di Sanctum, conosceva lui e suo padre prima di lui.
Sperando che da tutto ciò Selhen potesse restare fuori prese una decisione, sarebbe rimasto ad allenarsi ai manichini di Sanctum aspettando l'ora dell'incontro con Fasimede, una volta giunta, avrebbe fatto di tutto perchè il loro segreto rimanesse al sicuro. Era la loro parola contro la sua.
Percorse immerso nei pensieri la strada degli Dei fino al punto più estremo e lì, scelse di allenarsi al manichino che trovò libero.
Accarezzò il suo arco pensieroso portando una mano alla faretra per afferrare la coda piumata di una freccia. La incoccò e prese la mira.
La prima freccia mancò per un pelo il centro del bersaglio. Fulmineo ne incoccò un'altra e un'altra ancora. Una dopo l'altra andarono a colpire l'inerme manichino in potenziali punti vitali. I lanci erano rapidi e precisi, come sempre.
Cercò di associare a quel manichino un paio di ali nere, esattamente uguali a quelle che aveva visto spiegare a Selhen, e un brivido gli percorse la schiena.
Gli parve di rivederle. Imponenti e oscure. Di quel colore così intenso dal quale era rimasto segretamente affascinato.
Scosse il capo. Più i pensieri andavano a lei più era difficile per lui trattenersi dal prendere un teletrasporto e farsi spedire a Sarpan o nel Katalam alla sua ricerca.
Moriva dalla voglia di rivederla. Eppure doveva far finta di niente. Mostrarsi l'elisiano puritano ed esemplare degno della carica di un generale.
Quando finì tutte le frecce e il fantoccio diede l'idea di un puntaspilli, si avvicinò al manichino per raccoglierle tutte, ma nell'impeto dello strappo una gli si spezzò tra le mani. Imprecò irritato, cosciente di quanto la rabbia gli impedisse di controllare la propria forza, ma si costrinse a non fare nessuna scemenza, a non andare da nessuna parte. Rimanere a Sanctum... ritornare di nuovo a una certa distanza dal manichino per ricominciare il giro dei lanci. Era questo che doveva fare.
 Sempre più rapido e preciso, ricominciò, cercando di placare la rabbia e la sensazione di impotenza che in momenti come quello lo sorprendevano.
 
Il sole era alto, nel punto più alto in cui l'inverno di Elisea permetteva che si trovasse. Era arrivata l'ora.
Con un gesto preciso Velkam tornò ad assicurare l'arco alle sue spalle e sempre con la solita freddezza con cui era solito reagire in situazioni del genere, come se tutto gli scivolasse addosso, il cacciatore si diresse verso l'alto ingresso della Sala dei Custodi.
Aveva il fiatone per l'impeto e l'ingente sforzo che aveva fatto nel duro allenamento. Da un sacco di tempo non si allenava in quella maniera.  Le braccia gli dolevano e il petto si alzava e si abbassava irregolare.
Gocce di sudore gli imperlavano la fronte nonostante il freddo secco e invernale iniziava a farsi sentire con l'arrivo imminente del pomeriggio. Aveva smesso di nevicare e questo gli aveva permesso di continuare ad allenarsi senza interruzione fino a quel momento.
Il giovane fece ingresso nel vasto tempio degli artigiani. Da lì un ascensore lo avrebbe condotto nell'alta e isolata Sala dei Custodi.
Velkam ricordò di essere stato in quel luogo solo poco dopo essere diventato un Daeva cacciatore.
Era un maestoso palazzo in cui stavano raccolte tutte le più alte cariche di Elisea e gli istruttori più facoltosi della capitale. Altre rare volte aveva visitato quel luogo da bambino, in compagnia del governatore elisiano, suo padre.
L'aria gli mosse fastidiosamente i capelli mentre l'ascensore risaliva ad alta velcità attraversando quella che sembrava una galleria infinita. Infine la piattaforma rallentò fino a fermarsi e Velkam avanzò un passo per toccare la terraferma prima che l'ascensore fosse tornato a percorrere la strada appena fatta a ritroso.
Il vociare era costante e fastidioso, eppure nessuno occupava la stanza che di norma ospitava i grandi istruttori elisiani.  Che fossero tutti nella sala del trono di Fasimede? Che l'intera elite elisiana lo stesse aspettando per interrogarlo?
Con una sensazione di ansia crescente nel petto il giovane cacciatore cominciò a risalire uno ad uno la grande scalinata che lo avrebbe condotto nella sala del governatore e proprio quando fu in cima non si stupiì di trovare l'intero stuolo delle più alte cariche elisiane disposte attorno al ricco trono del governatore di Sanctum.
Al suo ingresso la grande sala piombò nel più assoluto silenzio. Velkam vi vagò con lo sguardo studiando ad una ad una le facce contrite di quei singolari personaggi che lo stavano aspettando.
Ma non fu questa cosa ad impressionarlo maggiormente. Non il gran numero di uomini, nè il silenzio che era calato all'improvviso.
 Quello che lo sconvolse fu un viso familiare. Un viso familiare e due occhi azzurro cielo spalancati e colmi di terrore.
"Echo!", disse il cacciatore riconoscendo in lei la giovane fattucchiera minuta con cui aveva trascorso l'infanzia.
La ragazzina sembrava preoccupata e dispiaciuta al tempo stesso. I suoi occhi imploravano un misterioso perdono che divenne più chiaro non appena il governatore volse lo sguardo dalla sua parte.
"Ufficiale Velkam, vi dichiaro momentaneamente sollevato dall'incarico di generale della vostra legione", esordì il governatore con un tono piatto.
Velkam vagò incredulo con lo sguardo. Lo spostò da Echo all'uomo sul trono, senza capire.
"Echo... cosa?", disse cercando una risposta nel viso basso e sottomesso dall'esile ragazza bionda.
"Avevate promesso che vi sareste accertato", trillò la voce acuta della ragazza rivolgendo uno sguardo supplichevole al governatore.
Questo si massaggiò il mento pensieroso prima di intimare con un gesto della mano a Velkam di avvicinarsi.
Il giovane elisiano a cui tutto fu chiaro non appena Echo ebbe proferito quelle parole, con passo cauto e incerto raggiunse l'uomo dal capo canuto che stava seduto comodamente sul trono.
Era magro e nonostante i tratti dell'età fossero più accentuati aveva l'aspetto superbo e piacente di ogni elisiano.
"Velkam, ragazzo, in quanto figlio di un uomo che ho sempre stimato, voglio darvi atto della mia fiducia. Non vi farò arrestare quest'oggi, sebbene basterebbe anche una minima testimonianza a decretare il vostro arresto. Smentite di avere intrattenuto una relazione di qualsiasi genere con un esemplare del popolo...", una smorfia di disgusto gli animò le labbra, "Asmodiano?".
Mentire spudoratamente a quelli come lui, alla propria razza. Sapeva che avrebbe dovuto farlo eppure, sarebbe riuscito ad essere un bravo attore? Di fronte ad Echo?
Rivolse uno sguardo incredulo alla ragazza bionda che lo osservava col fiato sospeso. Come faceva Echo a sapere? Chi glielo aveva detto? E perchè, quella piccola Daeva immatura e impertinente aveva fatto una cosa simile denunciandolo alle autorità e non parlandone direttamente con lui, prima di tutto?
"Smentisco ogni cosa, governatore Fasimede", disse Velkam gelido tornando a puntare lo sguardo sull'uomo di mezza età avvolto nella candida veste d'alto funzionario.
Cercò di mantenere fermo il proprio sguardo, di non lasciar trapelare nessun segno di preoccupazione, nè di timore. "Mi stupisco di com'è possibile che voi dubitiate di qualcuno che ha sempre portato avanti con onore la causa Elisiana", continuò. Il tono era piatto e tranquillo. Aveva sollevato il mento assumendo in tutto e per tutto l'aria superiore di un qualsiasi elisiano di nobile stirpe, quale lui era.
Il governatore parve essere per un attimo colpito da quelle parole. "Oh sì, avete ragione Velkam, ma sapete, è per il bene di Elisea... mi trovo costretto a prendere delle precauzioni nei vostri confronti finchè non sarà scongiurato ogni sospetto".
"Evidentemente...", continuò il giovane cacciatore con aria gelida puntando lo sguardo verde smeraldo sull'esile figura di Echo, "qualcuno qui cerca di ottenere qualcosa con una bravata del genere. Qualcuno che ritenevo fosse un'amica ma che sta cercando di sfruttare la mia notorietà per qualcos'altro".
Le labbra del cacciatore si serrarono in un'espressione severa. "Dove desideravi arrivare, Echo?", domandò poi con uno studiato sorriso di incredulità.
"La ragazza dichiara di avere udito una conversazione tra voi e il vostro secondo. Dalle dichiarazioni di quest'ultimo non ci risulta nulla di sospetto ma era giusto che vi mandassimo a chiamare", intervenne il governatore con espressione dura.  "Non sarebbe tollerabile che il futuro generale di Elysea abbia una macchia nella sua impeccabile ascesa in carriera militare". Scosse il capo, "Conoscevo Cornelius, so come siete stato educato, ed è per questo che nutro nei vostri confronti un rispetto e una fiducia che le vostre degne imprese hanno consolidato con l'andare del tempo", il governatore fece un gesto di stizza che intimò le guardie che trattenevano Echo di lasciarla libera.
"Potete andare entrambi, chiarite i vosri affari di cuore, non sono un mio problema...", continuò l'uomo con un mezzo sorriso divertito. "Ma attenti a non fare più errori del genere, nessuno dei due. La falsa testimonianza potrebbe garantire la prigione a vita", disse con uno sguardo severo rivolto a Echo.
"Quanto al tradimento. La morte sarebbe inevitabile, perfino per un Daeva immortale come voi, ufficiale".
 
[Ecco qui che fine aveva fatto Velkam. Ve lo chiedevate tutti, no? Ebbene, il nostro elisiano è nei guai fino al collo, anche se ancora non lo sa. Quanto ad Echo, sì, ha fatto la spia.
 Non prendetevela con lei, avrà avuto i suoi buoni motivi, e poi non dimentichiamo che non tutti gli elisiani sono amichevoli come Velkam. Alcuni quando si parla di Asmodiani, non capiscono più quello che fanno.
Bene ragazzi con questo nuovo capitolino vi lascio, ci vediamo presto con il prossimo!
Continuate a leggere, a recensire, e a richiedere le  iscrizioni nel gruppo. Insomma, motivatemi u.u Ciaoooo!
 
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Felice anno nuovo a tutti voi!]

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Capitolo 26
*** -22- La principessa ***


Il puzzo di stantio e il semibuio erano una presenza costante in quel posto dimenticato da tutti. Gocce d'umido cascavano sui nostri vestiti man mano che avanzavamo, e la luce tenue e grigia proveniente dalle grate che avevamo attraversato, iniziava ad affievolirsi.
Sempre mantenendomi fianco a fianco ad Araziel avanzai cauta. Al centro del grande passaggio scorreva un canale artificiale vecchio e malandato ricolmo di acqua putrida e fanghiglia.
"Come fai a sapere da che parte è l'entrata del palazzo?", domandai sommessamente ad Araziel.
Per tutta risposta lui mi rivolse uno sguardo eloquente ma non disse una parola, continuò piuttosto ad avanzare svoltando all'angolo del corridoio, in testa al gruppo, per addentrarsi in un vicolo più astruso e umido del precedente.
Mi guardai intorno leggermente disgustata dalla presenza di viscidi fangospina che popolavano le acque putride di quei canali. Rivolsi uno sguardo a Saephira e Brahm che intanto avanzavano l'uno vicino all'altra.
Il giovane incantatore teneva tra le mani un'orbe luminosa. La grande sfera levitava sospesa tra le sue lunghe dita ricurve e artigliate con aria minacciosa. La mia amica Saephira invece impugnava l'archetto del suo strumento a corda. Anche i suoi occhi erano rossi e guardinghi come quelli di tutto il resto del gruppo. Mi colpì Dahnael, camminava in disparte, un po' più indietro di Araziel e quasi strisciando il giubbotto in pelle all'umida parete di pietra.
Potevo quasi avvertire la tensione in ogni muscolo, le nostre orecchie erano pronte a captare qualsiasi suono non fosse stato l'insistente gocciolio della condensa o i versi fastidiosi e gutturali dei fangospina che sguazzavano nel fango.
Ad un certo punto giungemmo in una grande stanza di pietra male illuminata, più grigia e vuota di tutte le altre. Il rumore dei nostri passi riecheggiò oltre un enorme buco che si apriva nel soffitto diroccato.
"Per di là, non c'è altra via", disse Araziel con un sorrisetto trionfante sollevando il capo a scrutare l'apertura.
Mi chiesi cosa potesse esserci oltre quel buco sul tetto. Se veramente quello era l'ingresso alle camere reali di Adma, cosa avremmo trovato al suo interno? Era uno dei suoi abitanti non morti il responsabile della maledizione di Dahn?
Guardai il diretto interessato per studiarne l'espressione. Dahn sembrava essere totalmente assente. Sapevo che soleva svalutarsi, e non era neanche tanto ottimista. Eppure ne ero sicura. Poteva esserci un legame tra la sua maledizione e il degrado di quella parte di Brushtonin. Quello che non riuscivo a spiegarmi era in che modo lui avesse contratto quella "malattia dell'anima" proprio a Tiamaranta e non in una zona più plausibile come quella in cui ci trovavamo in quel momento.
"Non ci resta che aprire le ali", commentò Saephira interrompendo in me quel flusso di pensieri.
Araziel premette le labbra come a valutare i rischi che avremmo potuto correre, poi caricò entrambe le pistole e spalancò le ali.
Erano nere striate di blu, eleganti e immense. Mi accorsi di essere rimasta ad osservarle con fin troppo trasporto finchè la folata d'aria causata da un loro battito non mi riscosse.
"Saephira", aveva detto Araziel calcolatore ancora sospeso a mezz'aria a revolver carichi, "Tieniti pronta con degli incantesimi curativi se ce ne dovesse essere bisogno".
Saephira annuì fieramente sentendosi chiamata in causa. L'archetto scivolò sulle corde del suo strumento sprigionando, con la melodia, una luce che nuovamente la avvolse.
"Sono pronta", dichiarò la sua giovane voce risoluta.
Araziel avanzò, il fiero collo teso verso l'alto mentre le possenti ali lo spingevano fin oltre la voragine nel tetto. Quando fu sparito oltre quel buco non si udì più alcun suono se non quello di due grandi ali che si richiudevano. Il capo di Araziel sbucò dall'apertura poco dopo, si stava sporgendo a chiamarci.
"Tutto tranquillo, salite pure!".
Fu un crepitio d'aria. Le ali di tutti si spiegarono all'istante mentre chi più chi meno, volteggiava elegantemente, o goffamente, verso l'alto soffitto della stanza. Prima Dahn, poi io, e infine Brahm e Sae che posarono sofficemente i piedi sul pavimento tenendosi per mano.
Riprendemmo l'avanzata, sempre mantenendo lo stesso schema. Araziel in testa, io a un passo da lui e Dahnael al lato opposto, mentre Sae e Brahm restavano a coprirci le spalle.
Lo scenario iniziava a mutare. Adesso il rozzo acciottolato delle segrete si era trasformato in un pavimento di pietra logoro ma liscio e levigato.
I nostri piedi strisciarono cauti tra le rovine di quella fortezza ormai fantasma. Le pareti adorne di arazzi e scaffali erano pregne di umidità. Alcuni libri ingialliti dagli anni giacevano sul pavimento sparpagliati. Il silenzio sepolcrale di quel palazzo metteva i brividi.
Arricciai il naso, stringendomi alla spalla di Araziel. Ovunque io fossi stata, con lui mi sarei sempre sentita al sicuro, nonostante fosse passato un sacco di tempo dai momenti in cui la sua presenza accanto a me era costante.
Vagando per la stanza con lo sguardo mi accorsi che avremmo dovuto trovarci in una sorta di studio o libreria nobiliare. Se ne avessi avuto il tempo avrei quasi afferrato uno di quei libri per vedere che cosa conteneva.
Trattenni nuovamente i revolver con entrambe le mani. La loro luce appariva in quel semibuio sinistra e minacciosa.
Le mura di quella fortezza fantasma sembravano quasi assumere, misteriosamente, una colorazione eterea e azzurrina, dovuta probabilmente al colore della pietra.
"Dove sono i non-morti in tutto questo?", mormorai stranita da quella calma troppo insolita.   
"Io aspetterei ad avere voglia di incontrarli", mi rispose Araziel con un sorrisetto saccente.
Ammutolii, forse non aveva poi tutti i torti. Se era vero che quel palazzo pullulava di non-morti, ci sarebbero state abbastanza camere per giocare al tiro al bersaglio con loro.
Strinsi convulsamente la mia mano pallida sul revolver, sentii i ditali metallici premere sull'impugnatura della pistola e le dita mi dolettero.
Divani dalla moquette lacera e sgualcita, con eleganti intarsi nei piedi in legno finemente lavorati, tavoli altrettanto lussuosi e in triste decadenza. Libri, un sacco di libri.
Tutto, in quella stanza emanava un che di malinconico e dava l'impressione di uno splendore ormai perduto.
Repressi nuovamente l'impulso di allungare la mano verso uno di quei libri.
Poi un tonfo improvviso ci fece sobbalzare tutti. Lo spirito di Brahm aveva rizzato il manto fulvo e minaccioso si era lanciato oltre l'elegante porta in ebano davanti a noi.
"Ragazzi, abbiamo visite", aveva proferito Brahm tornando a far levitare la sfera luminosa tra le mani.
"Quando lo spirito sarà fuori gioco verranno a prendersela con noi", imprecò Dahn infastidito, "dovresti imparare a tenere al guinzaglio quel coso!".
Mi domandai il motivo di tanta irritazione nel tono del mio amico ma evidentemente era solo un modo per nascondere la sua apprensione.
"Dahn, piantala!", lo esortai.
"Preparatevi, arrivano", annunciò Araziel caricando i revolver.
Uno sfarfallio sonoro dell'archetto di Sae destò la mia attenzione. Poi eccoli là.
Avanzavano riversandosi dall'immenso portone, macabramente silenziosi, uno dopo l'altro. Una schiera di cadaveri putrefatti rivestiti da abiti lerci e sfibrati o da armature arruginite.
Sembrava che il cranio di quei morti fluttuanti fosse appena ricoperto da un sottile lembo di pelle. Gli occhi erano vuoti e incavati, persi nel vuoto, e quel che restava dei loro capelli era una zazzera rada e crespa.
Vestivano come servitori e maggiordomi, o come soldati, eterni guardiani di quella casata nobiliare perfino nella loro dannazione. I suoni che provenivano dalle loro gole erano rochi e gutturali.
Osservai sgomenta quella schiera di anime in pena avanzare verso di noi a braccia protese.
Le loro unghie nelle dita ricurve erano lunghe e affilate, sarebbero state capaci di dilaniare un corpo senza alcuna difficoltà.
"Sono decisamente troppi. Le cose si mettono male. Sae... preparati ad addormentarne un paio", Araziel aveva girato lo sguardo sulla mia amica richiamando la sua attenzione. Questa aveva annuito risoluta avanzando di un passo. Le sue labbra proferirono una formula magica e dall'archetto una scintilla scaturita dal suo archetto andò a investire un non-morto che istantaneamente si trasformò in un pinguino ballerino. 
Ridacchiai tra me. Se c'era una cosa per cui avevo sempre preso in giro Saephira, era quell'incantesimo a dir poco ridicolo. Si trattava di una specie di simpatica illusione che mandava l'avversario in un sonno momentaneo impedendogli di agire per una manciata di secondi, trasformandolo in un pinguino danzante.
Brahm urlò una formula in una lingua sconosciuta legando un altro non-morto sul posto e infine fu il turno di Araziel e Dahnael.
Spararono una serie di colpi su due bersagli ormai giunti a pochi metri da loro. Vidi Araziel arretrare mentre apriva il fuoco, coperto alle spalle da Dahn.
Ad un certo punto quella biblioteca buia e abbandonata si era trasformata in un vero e proprio campo di battaglia. Non-morti su non-morti si affollavano alla porta avanzando minacciosi mentre noi eravamo intenti a soffocarne le ondate. 
Vidi uno di quei mostri soccombere sotto l'illusione di un'immensa chiave di violino evocata dalla mia amica Saephira e rimasi sbalordita da quanto forte fosse diventata. Era da tempo che non combattevamo fianco a fianco.
"Attenta", mi aveva ammonito Brahm quando un non-morto mi era quasi balzato addosso a unghia protese. 
Cacciai un urletto sorpreso e sparai con entrambe le pistole la pallottola stordente che avevo preparato.
Il non-morto rimase confuso per un momento. Il tempo sufficiente a permettermi di arretrare rapida e concludere l'opera scaricando su di esso una raffica di colpi che lo mandarono in frantumi.
"Così ti voglio, agguerrita!", aveva commentato Araziel finendomi accanto con un mezzo sorriso mentre trivellava con una nuova scarica di colpi un altro maggiordomo dalla distinta divisa col fiore all'occhiello.
Abbozzai un sorriso poco convinto. Sia io che lui sapevamo che non ero proprio tagliata per le guerre. Ecco perchè forse quella mia iniziativa lo aveva sorpreso.
Collaborai, sparando sul non-morto, contro cui era impegnato Araziel il colpo di grazia, prima di spostare entrambi i miei revolver, a braccia protese avanti a me, su altri due non-morti poco distanti. 
Lanciai una bomba intrappolante su di uno, scostandomi per dare spazio ad Araziel.
"Tutto tuo", gli dissi concentrando entrambe i revolver sull'altro non-morto pericolosamente vicino. 
Le pistole rotearono svelte tra le mie dita e premetti il grilletto atterrando con un solo colpo il mio aguzzino.
Mi accorsi, rincuorata, che i proiettili stordenti erano efficaci e grazie ad essi, con una tecnica che ai tempi dell'accademia proprio Araziel mi aveva insegnato, riuscivo subito a mettere distanza tra me e i cadaveri prima che le loro unghie pericolose potessero sfiorarmi.
Il tintinnio dell'archetto di Saephira sembrava stonare nel cruento clangore di quei brontolii gutturali e degli spari dei nostri revolver. Eppure era incredibile in quanto poco tempo Sae riuscisse a mettere k.o. un non-morto col suono di pochissimi incantesimi.
I miei occhi captavano lampi di luce, formule magiche pronunciate dalla voce chiara e cristallina di Brahm, e ancora spari su spari. Qualche pinguino danzava per la stanza, segno che Sae era ben impegnata a svolgere il suo compito di supporto.
Stavamo riuscendo egregiamente a tenere testa a quell'ondata di non morti che sembrava non finire mai quando uno straziante urlo di dolore mi riscosse. Un non-morto aveva preso alle spalle Brahm ed era riuscito a sfondare le sue difese conficcando le affilate unghie sulla schiena dell'incantatore che il suo cappotto leggero non era riuscito a proteggere.
Fulminea imbracciai i revolver indirizzando sul non-morto interessato un nuovo proiettile stordente mentre Araziel, rapido e preciso, aveva imbracciato il proprio cannone ad etere spedendo l'avversario in un preciso tocco etereo.
Il non-morto si sollevò, avvolto in una luminosa sfera d'etere. Inerme divenne presto bersaglio dei nostri colpi e dei terribili incantesimi velenosi di Saephira che lo consumarono in poco tempo lasciando che si frantumasse ai nostri piedi.
Restavano ormai pochi non-morti che ci avevano quasi raggiunti. Non sempre i nostri colpi sembravano sfiorarli o procurar loro dolore. Braham, intanto, si era accasciato stancamente contro una parete. Era ferito e sanguinante e per ciò era riuscito solo ad evocare una barriera di difesa che lo proteggesse da altri eventuali attacchi mentre noi terminavamo l'opera di sterminio degli spiriti. Uno spirito del vento, da lui evocato, stava a sua guardia, minaccioso.
Quattro non-morti adesso avanzavano in schiera dalla nostra parta. Il flusso di anime si era placato e dalla porta semiaperta non scivolavano più fuori altre scomode presenze. Con un urlo agguerrito Saephira spedì un incantesimo al primo della fila e delle radici sbucarono magicamente dal terreno trattenendolo sul posto. Dahnael e Araziel intanto si erano concentrati sul secondo. Raffiche veloci e precise investivano il petto già martoriato dello zombie che continuava ad avanzare imperterrito e mugugnante.
Quello che sembrava il cadavere di una domestica, all'estrema destra, teneva i suoi occhi vuoti fissi su di me. Deglutii, caricando i revolver mentre arretravo cauta. No, non mi ero sbagliata, stava puntando nella mia direzione, e ne fui certa quando deviai da una parte e lei si separò dagli altri per venire, da sola, incontro a me.
Guardai gli altri spaesata. Saephira faceva tintinnare il suo arco addosso al non-morto immobilizzato. Araziel e Dahnael stavano riempiendo di pallottole il terzo zombie e poi c'era Brahm. Stancamente appoggiato a una parete, sanguinante. Le pietre del muro su cui la sua schiena era scivolata erano striate dal rosso intenso del suo sangue e i suoi occhi erano chiusi Il suo petto era scosso da respiri irregolari.
Se Saephira non fosse intervenuta subito coi suoi incantesimi curativi avrebbe potuto mettersi male per lui.
Proprio mentre pensavo a ciò un bruciore lancinante ad un polso mi annunciò che gli artigli della domestica si erano conficcati nel mio braccio. Balzai indietro, d'istinto, e i miei occhi avvamparono di furia con un ringhio spontaneo.
Vidi Dahn e Araz fare fuori il terzo zombie e concentrarsi su quello che Saephira stava attaccando e immobilizzando con tutti gli incantesimi che conosceva.
Sparai alla tempia di quel mostro senza sortire alcun effetto. La domestica barcollò un poco prima di tornare dritta e silenziosa ad avanzare verso di me. Arretrai ancora, sparando raffiche di proiettili con entrambe le armi stordendo nuovamente la non-morta con un medesimo proiettile stordente. Piegai nuovamente le ginocchia sporgendo entrambe le braccia in nuove raffiche più rapide e precise.
I suoi vestiti, già a brandelli, si laceravano sotto la scarica di proiettili e il cadavere barcollava maggiormente a ogni scarica più forte.
Farla a pezzi, frantumarla di colpi. Era quello il mio obbiettivo. Il cannone ad etere assicurato alle mie spalle mi pizzicò la schiena quando arretrando sbattei contro uno scaffale. Fui rapida, come in accademia mi avevano insegnato. Lo imbracciai svelta e sparai un colpo dritto al torace merlettato del cadavere.
Vidi la cuffietta ingiallita cascare dalla sua testa rivelando una porzione di cranio senza capelli. Esultai sparando un nuovo colpo che le fece volare via un braccio, poi mirai alla testa contando mentalmente fino a tre.
Uno. Due. Tre. Avevo quasi ricaricato il colpo quando la testa della non-morta volò via senza che io avessi sparato. Mi indignai.
Il cannone di Araziel era ancora fumante, puntato in direzione della non-morta ormai frantumata.
"Ma perchè?!" protestai.
Intorno a noi una massa di cadaveri di non-morti. Sembrava un campo di battaglia. Calpestavo ossa e arti ad ogni passo. Araziel scoppiò in una risata cristallina.
"Ci sarei riuscita!", continuai convinta. "Non dovevi intrometterti".
Lui per tutta risposta abbozzò un sorriso dalla mia parte venendomi vicino. "Shhh, bimba, è un classico che io ti debba salvare".
Arricciai le labbra nell'espressione più minacciosa che potesse riuscirmi ma questo lo fece solo ridere maggiormente.
Una tenue e dolce musica mi annunciò che Saephira sfarfallava l'archetto sulle corde intenta a pronunciare incantesimi curativi per lenire le ferite di Brahm. La raggiunsi scansando la testa di un non morto con un balzo.
"Si rimetterà in piedi?", domandai.
Tutti adesso erano intorno al ragazzo che intanto aveva ripreso a respirare regolarmente.
"Sì, certo. Anche se ci vorrà un po'".
Annuii pensierosa accorgendomi solo in quel momento del bruciore che quel graffio sul braccio mi procurava. "Ahi", mormorai senza volerlo.
Quel gemito riscosse Araz e Dahn che voltarono subito lo sguardo su di me.
"Selh, sei ferita!", aveva detto Dahnael apprensivo afferrandomi il braccio per controllare la ferita. Era una graffio abbastanza profondo e malandato.
Senza lasciarselo chiedere Saephira direzionò sul mio braccio uno dei suoi incantesimi curativi. La melodia che si era ripetuta a lungo per Brahm era ricominciata avvolgendo, con un flusso celeste di magia, il mio arto ferito.
Potei scorgerla. La mia ferita che lentamente si rimarginava. Non restava che la manica strappata e il sangue rosso e ancora fresco che ne imbrattava la pelle.
"Molto meglio grazie", sorrisi alla mia migliore amica. Lei mi sorrise di rimando, tornando poi a concentrarsi sull'incantatore.
"Forse potremmo dividerci e andare in avanscoperta mentre Brahm si riprende", propose Dahnael poggiandosi con un gomito alla parete. "Ho guardato oltre la porta. Sembra una sala circolare con tantissime porte. Ci scommetto che questi tizi non-morti hanno un non-morto re o qualcosa del genere, è lui che dobbiamo trovare", ironizzò il mio amico.
"Pensi che ci sia una sala del trono?", rispose Brahm con altrettanta ironia poggiando stancamente il capo alla parete, con gli occhi chiusi, ancora seduto sul freddo pavimento della stanza.
"Si tratta di un palazzo nobiliare, potrebbe esserci di tutto", commentò Araziel serio. "Perfino roba preziosa... il che presumerebbe un bel bottino!".
Vidi Dahn divenire ad un tratto più interessato.
"Dahn", lo apostrofai punzecchiandolo su un fianco, "ricordati che i soldi non fanno la felicità!".
La mia frase suscitò una risata cristallina di Saephira che intanto si era chinata ad accarezzare la fronte stanca del suo ragazzo.
"Allora vogliamo andare? Sae, tu resta pure con Brahm finchè non si sarà ripreso, quanto a noi... Selh, tu la porta giù in fondo. Io andrò a destra e Araziel a sinistra".
Si era già avviato oltre la soglia quando il tono fermo di Araziel lo richiamò. "Sei davvero convinto di lasciarla andare da sola, Dhanael?".
Il mio amico si voltò sollevando entrambe le sopracciglia. "Sì... perchè?", domandò.
"Sì appunto!", protestai risoluta. "Che problemi hai, Daeva?", dissi inviperita.
"Non se ne parla!", concluse lui placido rimettendo i due revolver nei foderi. "Lei viene con me".
"Io non vado da nessun....", mi zittì poco decorosamente con un dito sulle labbra.
"Smettila di fare i capricci".
"ARAZIEL SEI UN GUASTAFESTE!", avevo urlato in protesta alzando la voce. "So benissimo cavarmela da sola quindi vado dentro quella porta e tu non mi fermerai!", conclusi placida iniziando ad avanzare per raggiungere Dahn.
"Sì, hai ragione non ti fermerò", concluse lui avvicinandosi.
Feci un sorriso vittoriosa fermandomi davanti al grande portone in ebano, chiuso. Era ora che iniziasse a farsi convinto che potevo benissimo cavarmela senza qualcuno che categoricamente venisse a salvarmi per ogni cosa. Non pensavo ci fosse voluto così poco per convincerlo.
"Molto bene", concluse Dahn, "inizio ad avviarmi". Dalla porta che aveva aperto si stendeva un profondo e buio corridoio deserto. Sguainò le due pistole e vi svanì oltre.
Fu quando abbassai la maniglia della porta che notai la presenza di Araziel alle mie spalle. "A più tardi" gli dissi tranquilla addentrandomi in un corridoio identico a quello che aveva imboccato Dahn dall'altro lato.
Corrugai la fronte quando lo vidi continuare a seguirmi. "Araziel...", dissi stizzita guardandolo torva.
"Sì?", domandò lui innocente continuando a camminarmi alle spalle.
"Che-stai-facendo?", scandii le parole minacciosa.
"Ti seguo".
Chiusi le palpebre esasperata. "Sai che non lo voglio. Non sono più una bambina, devo imparare a cavarmela da sola e così facendo tu non collabori". Tentai di tirar fuori il discorso più ragionevole che potessi fare.
"So che non sei una bambina, ma sei una bimba".
"La pianti di usare quello stupido soprannome?", lo guardai indignata. "Hai detto che mi avresti lasciata andare, sei un Daeva di parola quindi... dietro front!", mi voltai e gli feci segno con la mano di tornare indietro.
Lo vidi scompigliarsi la zazzera di capelli rossi e fare un solito sorrisetto irritante. "Infatti ho detto che non ti avrei fermata. Questo presupponeva che non ti avrei costretta a venire con me, ma non ho mai detto che non ti avrei seguita".
Mi feci ad un tratto più seria. Mi aveva fregata in pieno.
"Non te lo permetterò", dissi infine placida poggiandomi al muro con le braccia conserte.
Araziel mi imitò poggiandosi al muro accanto a me. "Vorrà dire che resteremo qui insieme".
Presi un respiro profondo, cercando di mantenere la calma. "Non ricordavo tu potessi essere così irritante, certe volte".

Era chiaro. Alla fine avevo dovuto cedere, o io e Araziel saremmo rimasti a guardarci in faccia per il resto del tempo. Eravamo rimasti per un quarto d'ora bell'e buono in quella posizione e il tiratore non aveva mostrato alcun segno di cedimento.
Avevo sbuffato esasperata e mi ero rimessa a camminare parlottando isterica su quanto fossero odiosi gli uomini quando pretendevano di fare gli eroi.
"Perchè dovete sempre sottovalutarmi? Perchè?", dissi pestando un piede capricciosa.
Araziel rimaneva con espressione serena al mio fianco. Sul viso la solita espressione placidamente divertita per le mie proteste isteriche e il mio acceso gesticolare. 
Non disse una parola. 
Conoscevo la sua tattica a riguardo. Mantenere indifferenza finchè la sfuriata non fosse passata. E dovevo ammettere che era infallibile, anche perchè poi, bastava una stupidaggine buttata lì a caso per farmi sorridere.
Mi stavo seriamente impegnando a tenere il broncio ad Araziel, ma per quanto volessi riuscirci bastò una sua domanda a farmi dimenticare che ero ancora offesa con lui.
"Come hai passato questi ultimi anni?", la sua voce rimbombò nell'oscuro corridoio di pietra.
Esitai un po' prima di rispondere. "A cercare di migliorarmi", bofonchiai fingendo di mantenere un tono offeso.
"E io che pensavo che fossi solo diventata più brava a farti salvare".
Lo raggelai con un occhiata omicida a cui lui rispose con un sorrisino sghembo. "Sei tu quello che si monta la testa e sparisce improvvisamente", mugugnai.
"Sai che non sono sparito improvvisamente. Non avevo più nulla da imparare in accademia".
Liquidai quella frase con un gesto della mano. Non lo avrei mai ammesso ma la sua partenza mi aveva fatta sprofondare in una voragine di solitudine. Non sapevo ancora cosa volesse dire sentire la mancanza di una persona, e la prima volta che lo avevo sperimentato era stato solo a causa sua.
Non c'era nulla di peggio che avere il bisogno di un gesto, di una parola di conforto di qualcuno in particolare e trovarsi nel buio del proprio letto a ripensarlo con la certezza che non lo avresti più rivisto.
Con Araziel avevo sperimentato cosa volesse dire amare qualcuno e lasciarlo andare senza poter fare nulla per evitarlo.
"Non hai mai pensato a come sarebbe andata se  tra noi fosse continuato?", domandai poi a bassa voce guardando il fondo del corridoio. Si intravedeva un'apertura illuminata dalla rada luce delle finestre sulla parete.
"Ci ho pensato", aveva risposo alle mie spalle la voce di Araziel.
E? Avrei voluto dire... ma non lo feci. Mi limitai ad annuire tristemente. Caricai le pistole percependo delle nuove presenze nella stanza in cui stavamo per fare ingresso. 
Sembrava un enorme salone da pranzo con giganteschi tavoli contornati da non-morti e gentildonne dagli ampi vestiti fluttuanti. Delle ampie finestre alla parete gettavano ombre cupe sull'entrata della stanza, nei punti di raccordo attraversati dalla pietra.
Deglutii. Gli statuari non-morti ci avevano notati iniziando ad avanzare contro di noi.
"Questa volta siamo in due", aveva detto Araz sguainando le pistole. "Vedi di stare molto attenta e cerca di usare il cannone, i colpi potenti li rallentano".
Annuii con aria accigliata. "E sia! Sono pronta".

Una scena cruenta di sterminio esattamente simile alla precedente si era ripetuta in quella più stretta sala da pranzo. Gentiluomini e gentildonne avanzavano verso di noi con meno impeto dei maggiordomi e dei guardiani precedenti e questo aveva permesso a me ed Araziel di muoverci con dimestichezza tra un cadavere e l'altro, a cannone ad etere imbracciato.
Il mio cannone riluceva di una luce blu. Nero come la notte e sospeso sul mio braccio sparò un potente colpo che mandò letteralmente in frantumi il macabro cadavere di quella che sembrava una cuoca.
Questa volta i non-morti erano in numero minore e sia io che Araziel avevamo capito come farli fuori più in fretta. Presto, molto presto, ci ritrovammo circondati dai loro cadaveri silenziosi e frantumati.
In fondo alla stanza una nuova porta ci attendeva. Proseguimmo. Riassicurai alla schiena il cannone ad etere e ripresi a camminare fianco a fianco ad Araziel regolarizzando il respiro affannato per la fatica.
Ci fu un momento di imbarazzante silenzio tra noi, poi, quando varcammo la soglia, il buio di un nuovo corridoio ci avvolse.
"Selhen", mi chiamò Araziel all'improvviso. Puntai lo sguardo spaesato su di lui. Ero così persa nei ricordi che mi ero quasi estraniata dall'ambiente circostante... e da lui.
"Sì?", domandai pacata.
"Rallenta, e ascolta".
Diminuii la velocità dei miei passi e tesi l'orecchio in ascolto. Era vero, un suono mi solleticò i timpani, come un'eco lontana. Sembrava essere un dolce e straziante canto femminile.
"Altri non-morti? Non sarà mica il caso della stanza della musica?", ironizzai, "non voglio ritrovarmi a combattere contro clavicembali animati o cantanti liriche indemoniate". Rabbrividii.
L'affermazione suscitò un sorriso di Araz che aveva circondato i miei fianchi con un braccio.
"Anche se fosse?", mormorò stringendo appena la presa.
"Non ci crederai ma sono stanca di combattere contro cadaveri fluttuanti", cercai di mantenere un tono indifferente, benchè la stretta di Araziel mi facesse un certo effetto.
"Lo sai che con me non hai nulla da temere".
Mi accigliai. "Tecnicamente, ci terrei a precisare che avrei dovuto venire qui da sola", mi lagnai.
"Ma solo tecnicamente", aveva sorriso Araziel rallentando il passo costringendo me a fare lo stesso.
In quel momento, col calore di quel braccio che mi circondava i fianchi, non potei fare a meno di ripensare al passato. Sembrava quasi che piacesse a tutti e due farlo, o se Araz avesse voluto evitarlo, si sarebbe risparmiato qualunque contatto fisico tra noi. 
Sollevai lo sguardo a incontrare la sua iride verde, la cicatrice che gli solcava l'occhio scoperto dal coprifronte in pelle e parte dell zigomo stonava, quasi candida, nel buio di quell'ambiente.
"Come te la sei fatta?", domandai levando un dito per percorrerla in tutta la sua lunghezza.
Mi stupii quando non si spostò consentendomi di toccargliela. Un tempo non me lo avrebbe mai permesso. Araziel odiava lasciare che gli altri studiassero o notassero troppo i segni della sua vulnerabilità.
"Uno dei tanti Aetertech elisiani", disse tranquillo ricambiando il mio sguardo.
Il suo viso, di solito duro e accigliato, sembrava adesso rilassato e quasi nostalgico. Percorsi con gli occhi i suoi lineamenti, soffermandomi sulle sue labbra pronunciate. Percepii quasi i suoi pensieri perchè una sua mano guantata si sollevò ad accarezzarmi lo zigomo. Serrai la mano sull'impugnatura del revolver alla mia cintura, in un gesto nervoso. Il profumo della pelle dei nostri vestiti tornò a pizzicare le mie narici per la sua eccessiva vicinanza poi anche l'altro suo braccio mi strinse il fianco avvicinandomi maggiormente a lui.
Non disse niente mentre la mia mente vagava senza una meta. Ripesando ad elisiani, guerre, compagni che avevo visto massacrare crudelmente e poi lui... Velkam.
Un morso al cuore mi fece titubare ma mi ritrovai impedita dalle sue braccia. Araziel dovette cogliere la mia spaesatezza perchè lasciò scivolare la sua mano lungo il fianco e sciolse la stretta improvvisamente, rimettendosi a camminare come se nulla fosse successo.
Rimasi indietro per qualche secondo. Dovevo ancora capacitarmi di quello che di lì a poco sarebbe successo. Avevo quasi sentito il bisogno di quel bacio. Valutai le mie sensazioni, e forse, pensai, se Araziel non si fosse trattenuto dal darmelo io avrei ricambiato.
Mi sentii in colpa a quel pensiero. Poi fui colta da un moto di panico assurdo. Avevo preferito la strada più complicata alla normalità. Avevo scelto di amare un elisiano... un nemico.
No... non avevo scelto. Erano cose che non si potevano scegliere, e io non ne avevo nessuna colpa.
Però ero confusa, fin troppo confusa. Prima quell'idiota di Shadow, poi Velkam e adesso anche Araziel che si aggiungeva a tormentare i miei sensi di colpa.
Il dolce canto che avevamo udito poco prima iniziava a farsi più intenso. La voce femminile e acuta ma assurdamente dolce adesso era talmente definita da permetterci di comprendere le parole di quel canto. Era lingua elisiana, quella?
Ad un certo punto il corridoio svoltò, aprendoci di fronte una piccola apertura che varcammo.
Spalancai le labbra dallo stupore quando ci ritrovammo in un ampia sala al centro della quale sorgeva un alto ed elegante letto a baldacchino con coperte merlettate ingiallite dal tempo.
Le luci dai candelabri accesi spandevano ombre tetre tutt'intorno e lì dentro il canto rintonava forte e chiaro. 
Mi guardai intorno, chiedendomi da dove provenisse quella dolce musica dalle parole sconosciute e ad un tratto la vidi: seduta sul letto, una non-morta decisamente diversa dalle altre. 
Sotto un lampadario polveroso dal quale pendevano copiose le ragnatele, una giovane donna. Bellissima.
Anche Araziel sembrava aver notato quella presenza, circondata da altre non-morte donne che sembravano essere delle balie.
"Non avrei mai creduto che quella storia fosse vera", mormorò il tiratore con stupore.
La ragazza mantenne il viso basso, nascosto da una cascata di capelli biondi. Dondolava i piedi sul letto affiancata da una balia non-morta che le pettinava in movimenti ritmici e delicati i lunghi capelli mossi, color dell'oro.
Guardai Araziel interrogativa. "Di chi si tratta?".
Il canto si interruppe d'un tratto facendo piombare la stanza in un tetro silenzio. Poi il viso assurdamente pallido e inquietante della giovane si sollevò lentamente. Due vacui occhi rossi e ferini si puntarono addosso a noi e la voce assurdamente carezzevole parlò.
"Benvenuti nell'umile dimora della principessa Karemiwen".

[Ci ho messo veramente tanto. E sono sicura di non averlo neanche riletto abbastanza, ma davvero, se non lo avessi pubblicato subito non lo avrei più fatto. 
Miei cari lettori, non potete capire quanto ci siamo divertiti a fare il photoshoot di questa avventura ad Adma con tutti i protagonisti della storia. Dahn soprattutto.... questa scusa delle foto ci ha veramente permesso di trascorrere una serata insieme dopo una vita che non lo facevamo!
Beh che dire? Mi sono seriamente divertita!
Un bacione enorme a chi mi segue e spero di aggiornare al più presto, anche se sono coperta di impegni, ahimè ç_ç
Vi ricordo come sempre il mio gruppo. Copiate il link sulla barra dell'url e richiedete l'iscrizione u.u vi voglio numerosi. Anche perchè su "Selhen's dreams" pubblico tutti gli aggiornamenti sulla fan fiction e taaante foto. (Tipo il servizio fotografico di ieri xD)]

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Capitolo 27
*** -23- Un barlume di speranza ***


Karemiwen, chi aveva mai sentito parlare di lei? Era uno spirito ostile esattamente come tutti gli altri o quel "Benvenuti" poteva essere preso alla lettera?
Esitai sul posto gettando un'occhiata nervosa ad Araziel. Stavo per replicare quando una mano ferma del tiratore si strinse sul mio avambraccio per zittirmi.
"E' un vero piacere fare la vostra conoscenza, principessa", aveva detto atteggiandosi in un profondo inchino che sembrò compiacerla.
La principessa abbozzò un sorriso deliziato battendo le lunghe ciglia che coronavano i suoi occhi rossi e vacui.
"Mi sono sempre piaciuti i Daeva a modo, tiratore", riecheggiò nella sala. La giovane non-morta si stava lisciando il vestito con una cura maniacale e aveva ordinato alla balia di allontanarsi, con un gesto imperioso della mano.
"Come siete riusciti a fare ingresso nel palazzo?", domandò con un'espressione puerile e sorpresa.
"Veniamo in pace", disse Araziel con chiarezza lasciando i revolver chiusi nei loro foderi e sollevando le mani in segno di resa.
Un sorriso eccessivamente smielato della principessa non-morta mi diede da pensare che provasse una certa malcelata simpatia per Araziel.
"E' per me un grande piacere vedere delle facce nuove, in questo palazzo di morte dimenticato da tutti", sospirò lasciandosi cadere sul letto meditabonda.
"Da quando, dopo la grande catastrofe, la malattia si abbattè su Brushtonin trasformando tutti gli abitanti della parte meridionale in non-morti, nessuno è più venuto a farmi visita". Giocherellò con una ciocca dei suoi capelli, come se si fosse estraniata in un mondo tutto suo.
Lasciai andare i revolver nel fodero, rassicurata dalla calma di Araziel e dal tono pacato di Karemiwen.
"A cosa devo la vostra visita gentile?", domandò con vocina mielosa sollevando nuovamente lo sguardo su entrambi. Un brivido mi percorse la schiena e la coda mi si agitò nervosamente quando venni trapassata da quello sguardo.
Potei percepire in quella non-morta un grande potere che tuttavia non stava usando contro di noi. Perchè?
"La mia storia...", cominciò, "affonda le radici nell'epoca della grande catastrofe. Fu successivamente ad essa che a Brushtonin cominciarono a manifestarsi le prime avvisaglie della pestilenza che ha ridotto in quello stato tutti gli abitanti di questo luogo". Sussultò al ricordo.
Me ne stetti impalata. Le dita di Araziel stringevano ancora il mio braccio, ammonitori. Avrei voluto chiedergli che ne pensava, se quello spirito potesse essere una minaccia per noi, ma non fiatai. Eravamo troppo vicini a lei e avrei rischiato che mi sentisse.
Mentre tutti questi pensieri mi vorticavano nella testa, la principessa continuava imperterrita nel suo racconto. Sembrava quasi morisse dalla voglia di condividere con qualcuno la sua triste storia.
"I vecchi e i bambini cominciarono ad ammalarsi. I servitori morivano, uno dopo l'altro, e chi non moriva si trasfigurava in un mostro assetato di sangue".
Dondolai sul posto mantenendo le mie mani a portata di cannone, ma sempre cercando di non dare a vedere la mia agitazione.
"Dei verdi campi alberati, non rimase che territorio arido e brullo, delle azzurre acque cristalline non ci furono che paludi... i pochi superstiti si affollarono alle porte del palazzo invocando aiuto ai signori del posto. I miei parenti. Ma anche loro avevano subito una repentina mutazione".
Araziel si stava mostrando interessato alla storia.
"Avevo sentito parlare di una pestilenza che avesse catastroficamente colpito questo posto".
La principessa sorrise dolcemente ad Araziel e annuì sognante. "Oh, sì. Non è rimasto più niente. Adma è caduta in rovina. Così i suoi signori".
"E voi? Non siete come tutti gli altri", intervenni fervidamente curiosa e improvvisamente più interessata.
La giovane non-morta curvò maggiormente le labbra prima di rispondermi. "Ero una Daeva, e come tale il virus che ha devastato queste terre, ha risparmiato me, solo in parte".
Corrugai la fronte senza ben capire.
"La principessa...", chiarì Araziel, "sta dicendo che il suo aspetto non è rimasto corrotto dalla pestilenza ma che questo non ha evitato che la sua parte divina venisse annientata".
La ragazza annuì, nei suoi occhi uno sguardo adorante quasi ossessivo. "Sì, giovane Daeva, sì!". I suoi riccioli d'oro furono scossi dall'impeto della risposta.
"Sono rimasta chiusa qui, ho visto avanzare gli anni, ho osservato il tempo che scorreva e il degrado di quello che era uno splendido palazzo", si fermò per un attimo, la sua espressione era serena, sembrava quasi che il racconto degli avvenimenti non la sfiorasse minimamente.
"Ho visto i miei servitori trasmutarsi in non-morti", sorrise teneramente alla balia che le aveva acconciato i capelli. Il suo aspetto era mostruoso, come quello di tutti. "E vivo in questo palazzo come un'ombra. Sono forse l'unico emblema del suo antico splendore", pigolò.
La osservai e un moto di tristezza mi attanagliò lo stomaco. Immaginai come potesse essere vivere nello sfarzo, nella gioia. Divenire una Daeva rispettabile, e finire i tuoi ultimi giorni di vita vedendo crollare tutto. Trascorrere il resto di una misera esistenza, da mostro, prigioniera del tuo stesso palazzo caduto in rovina.
"Voi, voi... eravate un'elisiana?", domandai spalancando le labbra stupefatta.
Adesso si spiegava la lingua melodiosa in cui aveva modulato il canto, così come il suo aspetto assurdamente umano, bechè pallido.
Karemiwen annuì. Un moto di fierezza balenò in quegli occhi rossi che presto si spensero. "Ma adesso sono solo una via di mezzo. Non sono un elisiana. Non sono un'asmodiana, e soprattutto, non sono una Daeva. Mi sono sporcata!", proferì inespressiva.
Vidi Araziel agitarsi a quella dichiarazione. Potei immaginare il suo sangue ribollire nelle vene. Odiava gli elisiani, e aveva passato la vita intera a combatterli.
Ad un certo punto sembrava quasi non volesse essere più gentile con la non-morta. Ma dato che era lei ad avere il coltello dalla parte del manico, non sarebbe stato saggio contrariarla.
Afferrai fulminea una sua mano. Stringendola ammonitrice.
Le sue dita calde ricambiarono la stretta e quel gesto sembrò far sorridere la principessa elisiana che ci stava ancora studiando.
"Cosa mai può cercare una coppia di Daeva asmodiani nella fiera Adma?", domadò tra sè, sognante.
"Aiuto", dissi implorante guardando la giovane donna mentre avanzavo un passo.
La principessa sembrò scontenta del fatto che a parlare fossi stata io. Arricciò il labbro in un'espressione curiosa prima di piegare il capo da una parte con sguardo interrogativo.
"Ci sono stati casi...", esitai.
Non avevo nemmeno idea di come cominciare. Come porre il problema?
E lei? Sarebbe stata disposta ad aiutarci? Continuavo a vedere un che di minaccioso nella figura diafana e statuaria di quella non-morta.
Sembrava quasi fosse una bambola di porcellana, nel suo vestito rosso, ornato di pizzi e fiocchi color panna ormai ingialliti. Ma una bambola pericolosa. Una bambola maledetta: bella quanto letale.
"Una maledizione ha colpito un mio amico. Sembra quasi una malattia dell'anima. A detta di molti non è l'unico caso. Anche ad Elysea si sono verificati dei casi simili", spiegai.
"Dahnael perde il controllo ogniqualvolta questa sua malattia dell'anima non viene sedata con della polvere d'odella". Gettai uno sguardo sfuggente ad Araziel. Aveva entrambe le sopracciglia inarcate alquanto stupito dalla notizia che, in effetti, non gli avevo mai rivelato.
"Supponevo che ad Adma potesse esserci una risposta. Dahnael è un Daeva... e a detta del vostro racconto questo spiegherebbe il fatto che non si sia tramutato".
La principessa rimase impassibile. Il suo corpo ebbe un fremito prima di tornare a fissare lo sguardo su Araziel. "Sei tu, Dahnael?".
Il tiratore scosse il capo. "No".
"Peccato", disse la principessa con cipiglio corrucciato mentre valutava se darmi o no un eventuale chiarimento. "O per fortuna, forse...", trillò.
Corrugai la fronte senza capire.
"Non sappiamo chi sia il responsabile della pestilenza, non so, chi possa avere maledetto il tuo amico. Ma non è un mistero... quel Daeva ha iniziato a tramutarsi. Pochi anni e diventerà esattamente uguale a me", ridacchiò compiaciuta.
Fui presa dal panico. "Non c'è una soluzione?", chiesi con urgenza sollevando il capo a cercare il suo sguardo impetuosa.
"Uccidere il fautore della maledizione".
Chinai il capo sconsolata. Nulla di nuovo.
"Principessa Karemiwen, se solo poteste aiutarci... sarebbe la vostra vendetta per tutto quello che è successo a Brushtonin, alla vostra Adma!".
Karemiwen si voltò di spalle. Nessuna coda, nè alcuna folta peluria adornava la sua schiena. Le sue dita erano morbide e tozze. Candide come la porcellana. Le braccia le ricaddero mansuete lungo i fianchi, poi la principessa tornò a voltarsi.
"Ai tempi della contaminazione, parlavano dello spirito di un bambino. Un bambino che si aggirava per le mura di Adma che si diceva avesse maledetto noi e queste terre...".
"Di chi si tratta?", domandai con enfasi.
"Questo non posso saperlo... ma se mai questa maledizione potesse essere sciolta", mormorò speranzosa.
Mi domandai da quanti anni lei fosse uno spirito. E se fosse stato possibile che potesse tornare anche per lei, tutto come prima. Nel suo caso dubitavo sarebbe stato reversibile.
"Ma se è vero che questo spirito dimora in questo castello. Come ha fatto a giungere a Tiamaranta?".
"La mia è solo un'ipotesi", dichiarò la non-morta con la solita aria assente. "Ma non è poi così difficile uscire da queste mura. Il fatto che io non lo abbia voluto fare non esclude che anche io possa farlo. Non abbandonare il mio palazzo è stata solo una mia scelta".
Annuii.
"Ho scelto di esserne la guardiana per sempre", terminò voltandosi nuovamente di spalle.
"E ora andate. Non ho più nulla da dirvi. Non mettete troppo alla prova il mio buonsenso. Sono stata pur sempre un'elisiana. Tra le nostre razze non corre buon sangue e mai ne correrà...".
Deglutii quando i suoi occhi indagatori si puntarono esclusivamente su di me. Potei quasi percepire un rimprovero in quelle parole.
"Ma confesso di aver sostenuto, un tempo, l'assurdo e illusorio ideale di una pace tra le due razze", un sorriso dolce decorò le sue labbra rosee e sottili.
Il suo sguardo cremisi era insistente e vacuo al tempo stesso. Proprio su di me. Quasi come se sapesse o sospettasse qualcosa.
Avevo davvero un'espressione così rivelatrice?
"Buona fortuna Daeva. Che la benevolenza del dio Aion vi giovi...", i suoi occhi tornarono nuovamente a me, "per ogni cosa". E detto ciò la vidi sparire in una nuvola di polvere confondendosi col buio delle candele ormai spente.
 
Quando fummo di ritorno nella sala circolare Saephira e Brahm erano ancora là ad attenderci, lo stesso Dahnael che era intento a farsi curare dei graffi profondi dalla mia migliore amica.
Il suono chiaro e nitido dell'arpa di Saephira ci aveva guidati fino a quel punto.
"Novità?", domandò Dahn. Non c'era traccia di speranza nella sua voce. Evidentemente era sicuro che non potesse esserci niente di rilevante nel nostro resoconto.
"Mi sono solo imbattuto in un altra serie di non-morti piuttosto difficili da fronteggiare", si sistemò accanto a Saephira a braccia conserte con la solita aria annoiata.
"Non penso ci siano grosse novità ma... almeno sappiamo quello che ti sta succedendo", mormorai con tono afflitto.
Dahn parve recuperare tutta l'attenzione in un momento. "Che stai dicendo?".
"Se non eliminiamo il responsabile di tutto questo morirai, Dahn...", proferii senza mezzi termini.
"Morirò? Ma che stai dicendo Selhen?", i suoi occhi si erano spalancati.
"Non fisicamente, ma morirai come Daeva...", chiarii.
"E' esattamente la stessa maledizione di Adma, solo che sugli esseri umani ha l'effetto che hai visto...", intervenne Araziel, "sui Daeva resta incorrotto il tuo aspetto fisico, quanto alla tua parte divina... in parole povere va a farsi benedire", ironizzò guardando il mio amico pragmatico.
 Dahnael dovette sorreggersi alla parete. Appariva sconvolto.
"Dahn, abbiamo incontrato la principessa di Adma. Ci ha dato la conferma che le due maledizioni sono legate. Spezzando la tua spezzeremmo anche quella di Brushtonin. Ci ha parlato dello spirito di un ragazzo che ai tempi della pestilenza si aggirava per il palazzo".
"Credi che sia ancora qui?", domandò Dahnael sguainando i revolver frettoloso.
"Questo non lo sa nessuno. E già che ci penso, se Karemiwen ha dichiarato di non averlo più visto... ho paura che dovremo tornare a far visita ai sotterranei".
 
[Ho fatto presto vero? Eh sì ero ispirata e ho avuto un'ora buca per poter scrivere :D
Tutti i nodi vengono al pettine e finalmente la situazione di Dahnael inizia a farsi più chiara. I grovigli si districano e la trama inizia a prendere la piega giusta. Quanto a Velkam e Selhen... beh, quella è un'altra storia.
Curiosi della svolta? Due recensioni e arriva lo speciale. Ciaooo!
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Capitolo 28
*** -Speciale 40 recensioni- Un messaggio da Elysea ***


Il cielo era di un azzurro pallido, quel giorno, a Sanctum. Velkam e Gaar erano da poco usciti dagli uffici di legione e avevano fatto una breve sosta in una taverna per mettere qualcosa sotto ai denti. Erano stati giorni duri per l'ufficiale elisiano. Giorni in cui essere quello che era sempre stato cominciava a divenirgli difficile, quasi scomodo.
Gaar si era messo in testa che l'unico modo per dissuadere il governatore del Sanctum dal tenere Velkam sotto controllo era quello di essere il più crudele e spietato possibile con gli asmodiani in cui si imbatteva durante le sue ispezioni.
"Gaar...", stava dicendo il cacciatore mentre era intento a sistemarsi una cinghia della giubba di cuoio. "Hai sentito parlare del banchetto organizzato per l'elezione del nuovo governatore di fazione?".
Il ragazzo rosso si era dato una grattatina alla nuca e aveva girato il suo sguardo scuro dalla parte del suo migliore amico. 
"In effetti ne avevo sentito parlare. Cosa diceva quella lettera che è arrivata stamattina?".
Quella mattina agli uffici di legione era stata recapitata una lettera indirizzata proprio al capo degli Empirean Knights. Velkam l'aveva aperta temendo che fosse una nuova comunicazione ufficiale che lo punisse per qualche passo falso che in quei giorni aveva fatto o perchè, magari, erano state trovate delle prove tangibili della sua relazione. Fortunatamente, alla fine si era trattato solo di un invito ufficiale ad un banchetto di fazione. 
Il nuovo governatore invitava gli elisiani a un momento di comunione per festeggiare la sua nuova carica, e tutte le legioni elisiane, compresa la sua, erano state mandate a chiamare per l'evento.
"Lord Silence ci invita al banchetto ufficiale di questa sera, a Sanctum".
Gaar abbozzò un sorriso mentre i suoi passi risuonavano sul selciato della strada sterrata. "Oh, finalmente un governatore che mira ad aumentare i consensi tra le fila dei guerrieri".
Velkam arricciò le labbra. "E' un incontro ufficiale, mi toccherà rivedere Fasimede... figurarsi se il governatore del Sanctum non è stato invitato".
"Mmh, la cosa non dovrebbe crearti problemi", Gaar aveva battuto amichevolmente una mano sulla spalla dell'amico.
"Non uccido un asmodiano da... quasi due settimane. Dovrò giustificarmi in qualche modo", soffiò Velkam stizzito, a bassa voce. 
Gaar scoppiò a ridere divertito. "Basta allungare il passo verso i dintorni della fortezza asmodiana. Sai quanti ne trovi?".
Velkam si morse il labbro pensieroso.
"Incocca una freccia amico. Oggi si picchiano asmodiani!".
 
Non che Velkam fosse contento di sentirsi dire di andare ad uccidere. Ma in alcuni casi era necessario mettere da parte certi sentimentalismi assurdi.
Nessun asmodiano, se lo avesse visto, gli avrebbe risparmiato la vita. Non era un bene essere clemente col nemico perchè questo, la maggior parte delle volte, si rivoltava contro di te.
"Oh ooh", aveva esclamato Gaar sotto voce tutto eccitato. Stava indicando con lo sguardo oltre una siepe. Avevano raggiunto la guarnigione settantuno. Il posto ideale per andare alla ricerca di asmodiani inesperti.
Due asmodiani, ignari della loro presenza, erano intenti a combattere contro le truppe di avanguardia elisiane per difendere la loro postazione.
"Cacciatore e Cantore...", aveva bisbigliato Gaar. I suoi occhi si erano illuminati di compiacimento mentre si acquattava dietro la siepe pronto a scomparire come solo gli assassini sfuggenti sapevano fare.
"Sta fermo", fece a tempo a richiamarlo Velkam vagamente stizzito dall'eccessivo entusiasmo del suo secondo.
La sagoma invisibile del migliore amico indugiò di fronte al cespuglio dietro cui erano nascosti. "Occupati del Cantore. Al cacciatore penso io", mormorò Velkam.
Gaar non disse altro. Si avviò quatto quatto verso i due asmodiani intenti a combattere e una volta raggiunto il Cantore alle spalle lo aggredì sguainando il pugnale.
Velkam intanto aveva già teso l'arco. La punta metallica della freccia sfavillò alla luce del sole mattutino del Katalam e la corda scricchiolò.
Quando il rumore dei pugnali di Gaar che si infrangevano sulla maglia metallica del cantore gli fecero capire che era ora di uscire allo scoperto, Velkam sparì a sua volta pronto a cogliere il cacciatore asmodiano di sorpresa.
Il giovane asmodiano portava i lunghi capelli blu raccolti in una alta coda di cavallo, Velkam si portò alle sue spalle mentre il tizio, ignaro della sua presenza, si stava concentrando a mirare l'assassino che aveva aggredito alle spalle il suo compagno.
Proprio mentre il cantore indugiava stordito da un forte colpo alla testa che Gaar gli aveva assestato, una freccia del cacciatore asmodiano scoccò centrando l'assassino alla spalla.
Gaar gemette mostrando i denti dal dolore e ferì il Cantore alla gola. Questo intanto, in chiara difficoltà, aveva provveduto a proteggersi con una difesa magica.
Incrementando al massimo la potenza delle frecce dell'arciere con un incantesimo pronunciato a voce alta e roca, il Cantore dalla pelle pallida arretrò, approfittando della bolla di protezione attorno a lui che gli evitava i colpi dell'assassino elisiano.
Un suo incantesimo curativo, poi, si era posato sul suo compagno e su di lui per ripristinare in fretta la salute di entrambi.
Velkam ancora nascosto dietro il cacciatore scoccò rapido una serie di frecce.  La prima mancò per un pelo il bersaglio, l'altra si conficcò nella schiena dell'asmodiano sfondando il sottile rivestimento in pelle della sua giubba, proprio vicino alla folta peluria dalla quale prendeva forma una lunga coda blu.
Il cacciatore elisiano vide il suo migliore amico strapparsi con un lamento la freccia conficcata alla spalla e rilanciarsi all'attacco più feroce di prima, intento a sfondare una volta per tutte le difese del cantore.
"Haw Affrei!", urlava il cantore gesticolando con le braccia per tentare di curare la ferita del compagno da dietro il suo scudo.
Un nuovo assalto dell'assassino elisiano però non diede tempo al cantore di prendere le distanze. Anche Velkam aveva cominciato a scagliare una serie di frecce fulminee sulla barriera dell'asmodiano. Una sferzata più forte delle altre da parte di Gaar sfondò definitivamente la barriera del curatore che svelto si mise a correre verso la guarnigione.
"Non farlo scappare!", urlò Gaar a Velkam che fulmineo tese l'arco e prese la mira.
Pochi secondi, poi la freccia scoccò, con un sibilo percorse la grande distanza che lo separava dal cantore, e con un volo estremamente preciso si conficcò nella parte più tenera del suo collo. L'asmodiano si portò una mano artigliata alla gola e perse l'equilibrio ruzzolando sul terreno.
Fu in quel momento che Gaar, ancora dolorante, sembrò riacquistare il vigore di sempre. Con il volto feroce e trasfigurato spiccò un balzo preciso, atterrando esattamente di fronte al cacciatore ferito piantandogli secco un pugnale nello stomaco.
L'asmodiano spalancò le orbite, il suo sguardo divenne vuoto mentre esalava il suo ultimo respiro. Due grandi ali corvine si spalancarono avvolgendo quel corpo senza vita che molto presto si dissolse nell'aria lasciando al suo posto solo una larga chiazza di sangue scuro.
Senza soffermarsi a indugiare su quella vittima appena mietuta Gaar si spostò fulmineo e silenzioso raggiungendo il corpo arrancante del cantore che stava tentando di curarsi. 
"Dove credi di andare, bestiolina?", lo aveva apostrofato l'assassino divertito calpestando il suo mantello per bloccare la sua fuga con il pesante stivale.
"Feccia...", aveva sputato l'asmodiano nella sua lingua. 
Velkam era sopraggiunto. Sul viso un'espressione seria e per niente divertita. I suoi occhi verdi percorsero il nemico inerme sulla strada sterrata.
"Ripetilo...", aveva detto ammonitore stringendo gli occhi a fessura.
"Siete tutti uguali, vi diverte coglierci alle spalle..." gracchiò il cantore sputando sangue ai piedi di Gaar, in segno di disprezzo. 
L'assassino intanto aveva estratto dalla guaina il secondo pugnale che stava contemplando incantato mentre se lo rigirava tra le mani.
Velkam aveva voltato il capo dall'altra parte, in direzione dell'occhio asmodiano dove il cantore aveva tentato di sgattaiolare per evitare di essere inseguito.
"No, no, no, che bestioline disubbidienti siete...", aveva mormorato Gaar falsamente crucciato ma con tono carezzevole mentre scuoteva il capo.
Le labbra rosee di Velkam si assottigliarono nell'udire le parole del proprio compagno.
"Empirean Knights, voi sì che siete i peggiori... gli elisiani raccomandati per eccellenza... facile prendersela con chi è meno forte di voi, vero?". L'asmodiano digrignò i denti affilati e il suo labbro superiore si scoprì minaccioso, poi in un ultimo tentativo di reazione raccolse da terra la bacchetta che gli era cascata e la mosse pronunciando a voce chiara e squillante un incantesimo.
Fu Velkam, questa volta, ad essere fulmineo. Arretrando di quel tanto che bastasse perchè il colpo andasse a segno incoccò una freccia che questa volta si conficcò nella pancia dell'asmodiano. 
Le labbra del nemico rimasero aperte come a voler prendere un respiro che gli mancò, poi un rivolo di sangue scorse lento all'angolo delle sue labbra già sporche e le palpebre ferine del ragazzo moro si chiusero rivelando, in un suono lugubre, l'apertura di due grosse ali ossee.
Il labbro di Gaar si arricciò disgustato. "Vomitevoli questi asmodiani", aveva detto pulendo sui pantaloni i due pugnali prima di rimetterli nei rispettivi foderi.
"Sta' zitto Gaar", aveva dichiarato lugubre il giovane cacciatore sistemando l'arco alle sue spalle. 
Dall'espressione appariva alquanto turbato. "Spero che con ciò Fasimede possa dichiararsi contento e soddisfatto del mio operato", terminò in modo che solo lui potesse sentirlo. Tirò fuori dalla bisaccia in pelle una pergamena per Sanctum e, letta la formula magica, sparì senza neanche aspettarlo.

Quella notte Sanctum era decisamente in subbuglio. Da ogni parte c'erano elisiani schiamazzanti e torce sfavillanti. La musica dei bardi inondava la grande Piazza Elisiana che per l'occasione era stata addobbata di numerosi stendardi che esibivano il simbolo della fazione.
In tutto ciò, non era per nulla inconsueto udire il nome del nuovo governatore, Lord Silence, risuonare sulla bocca di tutti.
Velkam aveva cercato con lo sguardo Polido e da lì, si era diretto stancamente alla sua grande villa, ad Elian. La grande abitazione buia lo accolse. 
Senza tanti indugi si sfilò la tenuta da combattimento per indossare, per quell'occasione, degli abiti più formali e degni del figlio dell'ex governatore elisiano.
Una piacevole giubba dagli intarsi cristallini, candida come le sue ali, e un pantalone in pelle nero opaco infilato dentro due pesanti stivali in cuoio.
Il suo sguardo smeraldo si riflesse sul vetro della grande finestra che dava nel cortile.
Era calata la sera ad Elisea. Per la prima volta Velkam restava da solo, dopo una lunga e impegnativa giornata.
Il ragazzo si lasciò scivolare stancamente lungo la parete cui si era appoggiato e nascose il viso tra le braccia, ad occhi chiusi.
Aveva bisogno di vederla. Ogni cosa, intorno a lui le parlava di lei. 
Dal cielo buio, ai ricordi di quel pomeriggio.
Si rialzò in piedi di scatto. Per quanto fosse stanco di inscenare recite su recite, quella sarebbe stata l'ennesima. E doveva prepararsi a interpretarla al meglio.
Questa volta il vetro della finestra gli rimandò uno sguardo duro e fiero. Lo sguardo autentico di un elisiano guerriero.
Ancora una volta, per quella notte, seppellì il pensiero di Selhen nei meandri più nascosti della sua anima.
Proprio in quel momento qualcuno bussò poco delicatamente alla porta. Quando l'elisiano andò ad aprire si ritrovò un Gaar tutto in tiro appoggiato allo stipite. I due anellini al sopracciglio rilucettero alla rada luce dell'ingresso con un sorriso smagliante decisamente contagioso.
"Ma come siamo eleganti. Se non fosse che ti conosco troppo bene, amico, direi quasi che tu abbia voglia di rimorchiare".
Velkam accennò una risata. "Ma piantala di fare il lecchino. Tanto toccherà a te fare il discorso questa sera!".
Gaar si accigliò. "Ma scherzi? Il capo della legione sei tu, mica io! Quale discorso, poi?".
"Io ho ben altro di cui occuparmi", disse Velkam spiccio prendendo l'arco che aveva poggiato all'ingresso e risistemandoselo nuovamente alla schiena.
"Non se ne parla".
Velkam si bloccò, aveva ancora un'espressione meditabonda. Poi un lampo di genio illuminò il suo sguardo.
"D'accordo, sei accontentato. Farò io il discorso per il nuovo governatore, ma a una condizione...", disse voltandosi verso l'amico con un sorrisetto sghembo.
Senza indugio raccolse dal mobile dell'ingresso un pezzetto di pergamena immacolata stesa accanto ad un calamaio. Afferrò la candida piuma che vi era immersa e cominciò a vergare delle parole che a Gaar sembrarono non avere alcun senso.
Il giovane assassino corrugò la fronte. "Che cosa...?"
"Questa è la condizione", lo interruppe lui con un gesto della mano, "Va da lei... trovala... e non tornare prima che non abbia adempito al tuo compito!".
"Ma...".
Velkam scosse il capo. "E' me che pedinano, non te".
"E come penseresti di recarti da lei, dopo che le avrò consegnato il biglietto, genio?".
Velkam corrugò la fronte prima di stenderla spostando lo sguardo fuori dalla finestra. "Non lo so.. in qualche modo farò... mi troverò qualcosa da fare in quei dintorni".
Gaar osservò titubante le lettere senza senso che l'amico aveva tracciato sul foglio bianco in modo sciatto e disordinato.
"Si può sapere che diavolo le hai scritto"?.
"E' meglio che tu non lo sappia, credimi...".
Lo sguardo canzonatorio di Gaar fu più che eloquente. "Sono curioso... ci scommetto che hai scritto una straziante frase d'amore... Oh mia bella, senza di te non vivo. O qualcosa del genere" cantilenò teatrale.
La sua faccia da attore tragico suscitò nell'ufficiale elisiano una risata.
"No, idiota. Le sto solo chiedendo di incontrarci".
Il viso di Gaar si fece ad un tratto più serio. "Sei sicuro di quello che fai?".
Velkam annuì. 
"In bocca al lupo, amico", borbottò Gaar scompigliandosi il ciuffo. Poi si strinse nel cappotto dandogli le spalle e riaprì la porta di ingresso per uscire.
Velkam rimase sulla soglia a guardarlo scomparire. Era impaziente. Impaziente della risposta del suo migliore amico, impaziente di sentir parlare di lei... ma soprattutto, impaziente che quell'odioso banchetto finisse.

[Eccoci con Velkam. Ora che Ladypandora mi recensisce i capitoli dovrò darmi da fare con questi speciali perchè le recensioni iniziano a crescere a dismisura D:
I'm happy, la mia storia è gradita e questo mi rende mooolto felice *-*
L'appuntamento è sempre sul mio gruppo. Non mancate! Al prossimo capitolo ;)]

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Capitolo 29
*** -Speciale S. Valentino- A little piece of past ***


L'Accademia dei tiratori scelti era un posto piuttosto inospitale per Selhen, e pullulava di tanti Daeva più forti di lei, talvolta boriosi e narcisisti, che esibivano le abilità apprese con i nuovi arrivati approfittando per fare sentire quelli come lei inutili e incapaci.
Se non fosse stato per la presenza di Dahnael, la ragazza avrebbe perfino rinunciato alla sua natura divina, a quei tempi. Non era un tipo che amava le novità, e quando la sua natura era risultata apprezzabile al dio Aion, che le aveva concesso il dono dell'immortalità, un vero abisso le si era spalancato davanti.
Selhen era nata umana. Sia lei che Dahnael avevano aspirato, un po' come tutti gli umani, ad essere dei buoni guerrieri. A difendere Atreia con il loro sangue. Ma da lì ad essere una Daeva Asmodiana la strada era lunga, forse anche impercorribile.
Eppure, quel giorno era arrivato. Ed era arrivato a ben poca distanza da quello di Dahnael.
La fatidica Ascensione era sopraggiunta. E così, avrebbe avuto anche Selhen un bel paio di ali nere! Avrebbe avuto vita infinita e forza divina!
Con quei pensieri la giovane Daeva era intenta a triturare lo spezzatino di poma nel suo piatto. Si trovava all'Apellbine, stremata da una lunga giornata di allenamento per niente piacevole.
Le dita le dolevano e quasi a sfiorarle, poteva sentire già i primi calli irruvidirle la pelle liscia e delicata.
Era una Daeva ancora inesperta, e le legioni disponibili ad ospitare degli apprendisti erano poche.
Aveva cominciato a far parte di una legione da poco e di certo, la loro, era stata un'accoglienza gioviale, ma a Selhen non piacevano tanto le missioni in compagnia, soprattutto se nel gruppo ci stavano degli sconosciuti superiori a lei in capacità. 
Non facevano altro che esibirsi nelle loro esilaranti performance facendo sentire i legionari inesperti totalmente inutili.
Quel giorno era stata selezionata in un grande gruppo per andare a ripulire la palude di Tiamaranta da fastidiose creature che ostacolavano ai Daeva più esperti le loro scampagnate verso l'occhio.
Era compito delle reclute fare i lavori meno piacevoli e più noiosi e così, revolver alle mani, Selhen aveva iniziato a massacrare Gurr, mostriciattoli dalle sembianze di ranocchi bipedi, cercando di mettere in atto tutto ciò che aveva imparato dal mentore che la aveva accompagnata.
Con lei era presente una manciata di compagni. Ridevano e scherzavano, perfettamente a loro agio, mentre lei, e il suo migliore amico Dahnael, che per l'occasione si era offerto volontario per quella missione, camminavano a debita distanza dandosi una mano a vicenda.
 "Non riuscirò mai ad essere come loro", aveva mormorato sconsolata mentre osservava uno dei suoi compagni tiratori massacrare di colpi una delle creature più pericolose sotto gli sguardi entusiasti e gli schiamazzi dei compagni di legione.
Il ragazzo stava abilmente riuscendo a trattenere a debita distanza la creatura, utilizzando tutte le tecniche di stordimento e rallentamento che erano possibili al tiratore, quando per un accidente la spada dell'avversario lo sfiorò facendogli cadere di mano un revolver. A quel punto, il rosso, fu svelto nell'utilizzare una tecnica magica imparata proprio quel pomeriggio. Il colpo del succhia anime. La sua mano si strinse a pugno e risucchiò la salute del nemico. In quella maniera sia l'abilià magica che la salute del giovane tiratore si ripristinarono risanando all'istante la ferita che il mostro gli aveva appena inferto.
"Grande!", aveva esclamato il mentore di cui Selhen non ricordava neanche il nome. Sembrava a dir poco entusiasta della performance del tiratore che si era appena guadagnato una promozione ad un livello superiore di missioni.
Araziel, si chiamava. Aveva l'espressione del classico Daeva un po' montato per le sue doti innate e lo sguardo da duro. I capelli erano corti, accuratamente raccolti dietro la nuca con due treccine e la fronte era in parte coperta da un generoso ciuffo rosso.
Selhen rivolse i suoi occhi scarlatti su quel Daeva, il quale, uscito fuori dalla melma della palude si stava ripulendo il viso dagli schizzi con una manica. La ragazza dovette ammettere che era veramente bravo a centrare i suoi bersagli in moivimento.
"Tanto avrei saputo fare meglio", aveva schiamazzato un altro ragazzo dalla voce profonda. Il tizio in questione aveva una pesante armatura nera e un ponderoso spadone assicurato alla schiena. Non riuscì a vederlo di spalle ma dalla voce sembrava dover essere un bel ragazzone robusto.
"Zitto, idiota, sappiamo tutti che non saresti neanche in grado di ferire un Elrok! ", aveva risposto il rosso in tono giocoso.
Il templare dai capelli bianchi parlò sguainando lo spadone. "Vie' qui che ti apro!", disse in tono di sfida allungando un passo verso il tiratore.
"Al massimo io apro te, pollo!", aveva schiamazzato l'altro sguainando i revolver e afferrandoli in un'acrobazia per puntarli addosso al templare.
Dal tono con cui si rivolgevano la parola a Selhen parve fossero piuttosto in confidenza.
"Cane, che c'è, hai paura?", aveva continuato a insultarlo per gioco il templare stuzzicandolo sulla giubba in pelle con la punta affilata della sua spada a due mani.
"Paura io? Amico, caschi male", aveva dichiarato il rosso con un ghigno complice mettendosi in posizione. "Quello che dovrebbe farsela sotto per le mie letali pallottole sei tu...".
"Ma sentilo, letali pallottole, ma se non sai nemmeno cosa significa la parola elisiano, figurarsi se sai farli fuori... e pretendi di avere qualche possibilità col sottoscritto", continuò il ragazzo in armatura, canzonatorio.
"Eh no... amico, adesso ti spacco il sedere e poi vediamo chi non sa come spennare certi angioletti gay!".
Selhen, che intanto era rimasta a fissarli con un sorrisino divertito, si stava godendo tutto il teatrino dal fianco di Dahnael. Il duello tra i due era terminato con una disfatta del templare che era finito a farsi curare dal mentore con una serie di pozioni curative che accelerassero la guarigione delle sue ferite.
Araziel intanto aveva battuto amichevolmente la spalla dell'amico, esibendosi in una specie di balletto di scherno che gli aveva fatto guadagnare un bel pugno di gran lunga poco delicato all'altezza dello sterno.
"Così mi ammazzi, fratello, piano la prossima volta!".
Il templare sorrise osservandosi la ferita che lentamente si rimarginava.
"La prossima volta sarà la volta buona che ti sotterro!".

...

"Araz, credo che andrò via di legione", Selhen era nel grande ingresso del sottosuolo del Katalam. Aveva imparato da poco a trovare nei meandri di quel posto di massacri, gli oggetti che gli shugo richiedevano in cambio di monete antiche, e visto che preferiva non avventurarsi mai da sola da quelle parti aveva chiesto ad Araziel di accompagnarla.
Da un paio di giorni a quella parte si erano ritrovati a parlare del più e del meno, e spesso Selhen si era ritrovata a chiedergli, come cortese favore, una mano con le sue missioni in sottosuolo. Per quanto fosse un tipetto tutto pepe che difficilmente acconsentiva ad aiutare le reclute inesperte come lei, Araziel non aveva detto di no. 
Più volte Selhen, incontratolo nel grande atrio per caso, si ritrovava quindi ad andare a zonzo per le scure e selvagge strade del sottosuolo del Katalam in sua compagnia.
Si conoscevano quel tanto che forse, avrebbe potuto confidarsi con lui sui disaccordi che in quei giorni aveva avuto con un membro della legione.
"Perchè?", aveva chiesto lui voltandosi a guardarla con più attenzione nel momento in cui si accingeva a salire la grande scalinata colma di elisiani pronti a massacrare l'ignaro nemico che avrebbe attraversato la linea di confine tra territorio conteso e neutrale.
"Mashi", aveva detto Selhen crucciata. "Non riusciamo più ad andare d'accordo e... forse è il caso che io cambi clan, ero solo intenzionata a dirtelo. Parlerò col capo stasera stessa per comunicare la mia uscita".
"Ma no sciocca, parlerò io a Mashi, lo rimetterò in riga".
"No davvero, ho già deciso, Araziel".
Il ragazzo aveva scrollato le spalle. "Non posso fare altro, se non provare a dirgli due parole ", aveva dichiarato a malincuore, "ma se sei decisa...".
Selhen aveva annuito. "Posso... posso chiamarti se, quando sarò senza legione, avrò bisogno di una mano?".
Araziel aveva annuito distrattamente, e i suoi rassicuranti occhi verdi avevano percorso i lineamenti del suo viso.
"Grazie", aveva terminato Selhen in un sorriso timido tirando fuori dalla tasca una pergamena per Pandemonium.

...

L'uscita dalla legione non aveva fatto altro se non unirli ancora di più.
"Vieni qui..." stava dicendo Araziel divertito dopo aver riposto le due pistole dentro i foderi.
Vestiva con un piumino nero e una maglietta a maniche corte sotto di esso. Selhen si chiese come facesse a non morire di freddo nel clima rigido di Beluslan. Era vero, erano Asmodiani, ma anche per loro non era tanto conveniente sfidare le gelide temperature di Asmodae.
"Aspetta", aveva arrancato lei tra la neve quando lui l'aveva tirata per un polso. "Dov'è che vuoi andare?".
"Voglio mostrarti un bel posto...", aveva detto col solito mezzo sorriso troppo sicuro di sè. "E sentiti onorata.. sei la prima che ci porto".
Avevano camminato fino alla grande statua che permetteva l'accesso al grande palazzo subacqueo di Alukina.
"Ma qui non è quel posto dove dimorano tutte quelle orribili Seiren?".
"Non sono così orribili", l'aveva interrotta lui indirizzandole un occhiolino prima di leggere la formula d'accesso e sparirle di davanti. 
Selehn sospirò, se non voleva restare sotto la neve di Beluslan, sola, a morire assiderata o a trasformarsi in un ghiacciolo di Daeva vivente, era il caso di seguirlo.
Lesse ad alta voce la formula incisa sulla grande statua di pietra. Il potere etereo che animava quel grande colosso di pietra la fece smaterializzare per accompagnarla esattamente al fianco di Araziel che per l'occasione si era accucciato in un angolo ad attenderla.
"Ce ne hai messo di tempo", le aveva detto tornando in piedi a levitare sullo strano marchingegno sotto le sue scarpe che aveva acquistato da poco: la levitazione. 
"Apri le ali e vola in alto, oltre la coltre d'acqua", aveva cominciato lui spalancando due immense ali nere.
"E... e le seiren?", aveva domandato Selhen perplessa.
"Non faranno neanche in tempo a notarci", l'aveva rassicurata lui librandosi nel vuoto.
Alla ragazza non restò che imitarlo, seguendo la luce dei revolver nel semibuio di quel pozzo d'acqua incorporea. Volarono per un po', puntando verso l'alto, finchè quella che doveva essere la superficie non venne spezzata dalle loro ali prepotenti.
Araziel volteggiò per qualche altro momento cercando il punto più congeniale in cui atterrare e infine poggiò i piedi sul terreno che circondava il palazzo di Alukina.
"Non ero mai stata qui", mormorò la Daeva richiudendo le rosee ali e poggiando leggera i piedi sul terreno.
Si guardò intorno. Avanti a loro, esattamente poco distante, una grande piscina d'acqua eterea che era il punto da cui erano appena arrivati, sbatacchiava ai bordi di quel lembo di terra. Tutto intorno a loro, invece, si poteva scorgere solo il cielo infinito... un cielo al tramonto fin troppo luminoso. Aldilà di esso una pesante coltre di nuvole che non permetteva di vedere altro sotto di esse, sembrava essere un ammasso di soffice panna montata.
"E' stupendo!".
"Questo è il sole di Asmodae", le aveva detto lui raggiungendola alle spalle.
Gli occhi della Daeva, non abituati a tanta luce, bruciarono. "Egoiste le seiren, che non vogliono condividere una tale bellezza con nessuno", aveva ironizzato lei voltando lo sguardo dalla parte del tiratore.
Araziel la fissò in silenzio per qualche istante, qualche istante in cui sembrò perso in chissà quali pensieri, poi afferrò la mano di lei dopo essersi esibito in un teatrale inchino.
"Volete concedermi questo salto nel vuoto, Daeva?", aveva domandato trascinandola sull'orlo dell'apparente piscina.
"Selhen corrugò la fronte: "mi... mi stai chiedendo di tuffarmi lì dentro e finire sulla testa di qualche Seiren poco amichevole?".
Araziel rise di gusto. "Ti sto solo chiedendo di saltare e aprire le ali".
"D'accordo siamo morti...", mormorò lei sinceramente perplessa.
"Al mio tre...", aveva continuato lui senza ascoltarla, sfilandosi via il giubbino per simulare un tuffo in piena regola.
"Uno... ",
"Due... ",
"Tre...".

....

Il mare si stendeva burrascoso avanti a loro. Le acqua agitate e il cielo grigio presagivano l'arrivo di un imminente temporale.
Quel giorno Araziel le aveva chiesto di andare con lui a Pernon. Era la loro giornata libera, e per questo avevano temporaneamente abbandonato le loro missioni per fare un giro nella cittadina più pacifica di Asmodae.
Avevano raggiunto il mare con l'aiuto dell'aerotrasporto e con un'altra breve camminata si erano ritrovati nei pressi di un belvedere che dava accesso alla spiaggia tramite una piccola scalinata.
"Ehi tiratore, rallenta!", lo aveva chiamato lei aggrappandosi alla ringhiera e affondando gli stivali nella morbida sabbia fresca.
Araziel arrestò il passo e tornò da lei per darle una mano a scendere e permetterle di aggrapparsi al suo braccio. 
"Grazie", aveva detto trafelata, soffermandosi per un attimo con lo sguardo alle labbra di lui.
Fu solo un momento, poi battè le palpebre e distolse lo sguardo per spostarlo all'orizzonte. Una coppia di delfini era emersa balzando dalle acque per sprofondare nuovamente nel mare grigio.
Lo scroscio era forte e penetrante, il rombo continuo e rassicurante di quell'immensa massa d'acqua li aveva accolti mentre la spuma di mare si infrangeva sugli scogli di quel piccolo golfo.
"Perchè siamo qui, oggi?", chiese Selhen tranquilla, mentre si accomodava su un tavolino deserto sistemato in quella spiaggia solitaria in attesa di un'estate che non sarebbe mai arrivata.
Aveva snobbato chiaramente le sedie. I modi più assurdi di sedersi erano per lei i più congeniali.
"Perchè sta per piovere", aveva detto lui chinandosi a sfiorarle un orecchio con le labbra, sovrastando il rumore del vento in un sussurro.
Selhen aveva annuito divertita. "Oh, è un altro dei tuoi colpi di genio?".
Nei giorni precedenti tra lei e Araziel qualsiasi residuo di timidezza si era completamente estinto e per Selhen stare in sua compagnia era divenuto così naturale e piacevole che iniziava a sentire la sua mancanza quando non sapeva dove si trovasse o cosa facesse.
Araziel le si era parato di fronte piegando il capo da una parte per studiarla. 
Selhen indossava un elegante vestito blu, corto, come una casacca che le cascava morbida sui fianchi stringendosi poi all'altezza delle cosce. Le lunghe gambe bianche erano fasciate da delle raffinate calze scintillanti e delle scarpe a stivaletto, che si era momentaneamente sfilata, completavano il suo accurato abbinamento. Niente pelle, per quel giorno.  
 La Daeva parve per un momento a disagio per quello sguardo, qualcosa si agitò nel suo stomaco ma quella volta non volle distogliere lo sguardo.
Araziel intanto si era avvicinato a lei, sempre di più, e aveva poggiato le mani ai lati delle sue gambe per sporgersi verso di lei portando un dito guantato a scostarle delicato, con l'artiglio, i candidi capelli che il vento le aveva spinto sul viso.
"Perchè ti piace la pioggia?", mormorò Selhen così vicina a lui da sentire su di sè il suo respiro profumato.
Il dito di Araziel era scivolato giù, fino a sollevarle il mento, delicato, mentre i suoi occhi verdi le fissavano intensi le labbra.
"Perchè mi rilassa... e perchè certe cose si vedono solo quando piove, lo sapevi?".
Selhen deglutì, appoggiando leggera le mani sul giubbino di lui, accarezzandone le cuciture distratta. Il cuore le si era agitato nel petto al tono giovane e carezzevole di lui. 
Il suo viso era sempre più vicino, e le sue labbra più invitanti quando si schiusero nel momento in cui Selhen sentì le dita di lui attraversare i suoi capelli all'altezza della nuca per farle abbreviare la distanza tra loro.
Poi le loro labbra si incontrarono. C'era poco di gentile in quel bacio eppure a Selhen parve essere il più bello del mondo.
Chiuse le palpebre lasciandosi trasportare dal calore e dalla morbidezza di quelle labbra e in quel momento un rombo lontano annunciò l'imminente arrivo del temporale.
Ad un tratto una fredda goccia d'acqua si infranse sul viso di lei mentre il mare si agitava sotto la pioggia che diveniva pian piano battente. Il loro bacio si protrasse nel tempo e la pioggia scrosciante iniziò a inzuppare loro i vestiti, insinuandosi tra quelle labbra e tracciando con timide gocce il profilo dei loro visi.
Quando Araziel si allontanò da lei sfiorando il contorno del suo labbro inferiore con un dito, Selhen abbozzò un sorriso stringendo le dita sul piumino morbido di lui.
Araziel non disse nulla, si voltò soltanto, dandole momentaneamente le spalle, poi una mano di lui le circondò il polso guidandola fin sopra il bagnasciuga dove la spuma di mare si infrangeva sulla sabbia.
"Guarda là", aveva mormorato Araziel indicando l'orizzonte. L'imponente figura di Pandemonium, con le sue guglie alte che graffiavano le nubi, era emersa dal grigio del cielo.
Era una visione stupenda e singolare. Pandemonium era lontana, così lontana che da quel punto era quasi impossibile vederla con le belle giornate. Eppure la pioggia ne definiva i suoi contorni, la delineava mettendone in risalto le luci e il nero delle sue rocce.
Appoggiò il capo alla spalla di Araziel, ignorando totalmente l'acqua piovana che iniziava ad inzupparle i capelli, poi il tiratore le circondò un fianco con un braccio deponendole un bacio tra i capelli.
"Andiamo a casa, bimba?", le aveva mormorato ad un orecchio in attesa di una sua risposta.
Selhen sussultò al tono della sua voce. "Come mi hai chiamata?" domandò.
Araziel abbozzò un sorriso. "Bimba", le disse divertito mentre evocava il portale che li avrebbe condotti verso casa sua.
I loro vestiti erano ormai zuppi e forse il calore di un camino in quel momento a Selhen non sarebbe dispiaciuto.
Senza pensare fu lei a gettarsi contro la superficie eterea del portale attraversandola prima di lui. I suoi piedi si posarono saldi sul parquet noce della casa di Araziel.
Selhen l'aveva visitata un paio di volte. Quando Araziel aveva avuto bisogno di passare a prendere delle munizioni prima di qualche missione più impegnativa.
"Benvenuta a casa, jang!", l'aveva accolta lo shugo servitore di Araziel strisciando quasi il naso sul pavimento in un profondo inchino.
Selhen gli indirizzò un cenno del capo e un sorriso cordiale ricambiando il saluto, poi Araziel era comparso alle sue spalle, fradicio, frizionandosi con una mano i capelli zuppi.
"Benvenuto a casa, jang jang!", aveva ripetuto lo shugo all'arrivo del proprio padrone. Sembrava quasi non conoscesse altre parole.
"Sì, sì, d'accordo Trerinerk, adesso vai a lavorare, sù". Lo aveva apostrofato simpaticamente Araziel, facendogli palesemente capire che era il caso che si togliesse di torno.
Lo shugo non se lo fece ripetere due volte, e zampettando timidamente era scomparso oltre la soglia della porta di casa.
"Poverino, non dovresti trattarlo così".
Araziel sorrise sghembo. "Non lo tratto male, ma io e Trerinerk ci intendiamo alla perfezione, ecco perchè quando gli ho detto così lui è stato ben contento di eseguire i miei ordini".
Selhen si accigliò senza capire, cosa che suscitò in Araziel una sonora risata.
"Lascia perdere, bimba", aveva terminato accorciando le distanze tra loro. Un nuovo bacio più travolgente del primo la sorprese e stavolta la sua fu una reazione più impacciata.
Non sapeva come sarebbe potuta finire con Araziel. Si conoscevano da poco, dopotutto, e questo non le permetteva di conoscere al meglio le sue intenzioni.
Si chiese se ne sarebbe valsa la pena. Avrebbe dovuto interrompere quella relazione ancor prima di nascere o avrebbe dovuto affidarsi completamente a lui?
Azzerò i suoi pensieri, ogni dubbio svanì quando le braccia di lui le circondarono i fianchi per stringerla maggiormente a sè. 
Araziel fece scivolare la mano sul fianco zuppo del vestito di lei arricciandoglielo mentre serrava la presa delle dita artigliate su di esso, ma senza farle male.
Selhen gli gettò le braccia alle spalle intrecciandole alla sua nuca. Si abbandonò totalmente a quei baci.
"Resti con me?", lo sentì mormorare sulle sue labbra.
La Daeva fu colta alla sprovvista da quella domanda che non pensava gli avrebbe mai sentito proferire. Sorrise, restando comunque ad occhi chiusi e sporgendo il mento a cercare ancora le labbra di lui.
"Sì, e tu, resti con me?", gli aveva mormorato di rimando.
Ci fu un momento di silenzio. Un momento in cui le infinite possibilità di una risposta negativa la fecero sprofondare nel dubbio. Poi quella risposta arrivò, e fu la sensazione più bella che Selhen avesse mai provato in vita sua.
"Sempre". 

 
[E questo era il mio regalo per San Valentino, per voi e per Araziel, a cui lo dedico... Ciao bimbo <3]

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Capitolo 30
*** -Speciale 45 recensioni- Galà elisiano ***


Sanctum profumava sempre di fiori, ma quella sera particolarmente. L'odore era forte, invadente, quasi come se quell'aria fosse stata appesantita da essenze artificiali. L'atmosfera della città era particolarmente festiva, in totale contrasto con l'apatia di Velkam.
L'ufficiale elisiano aveva lasciato Elian con la consapevolezza che per quella sera avrebbe dovuto abbandonarsi ai sorrisi forzati e alle ipocrisie proprie del suo rango di ufficiale.
Le migliaia di ufficiali elisiani, ospiti come lui, avrebbero dovuto presenziare quell'immenso banchetto e non avrebbero di certo evitato lo scottante argomento di cui, ultimamente, Elisea parlava sottovoce: l'amante asmodiana del figlio di Cornelius.
Verità? Menzogna? Abominio? Disonore? Tradimento?
Le tematiche che sfioravano quel delicato argomento erano tante. Eppure Velkam in cuor suo sapeva che non c'era nulla di tutto questo. Aveva imparato, e chiaramente a sue spese, che l'amore non lo scegli, e che quando arriva non puoi fare altro che accoglierlo.
Aveva imparato che più tenti di sbarrargli la strada più si insinua sotto la tua pelle e ti brucia, ancor più, ti rende accondiscendente, vittima, ti sottomette. Non guarda in faccia nessuno. Non un ufficiale, non un Generale, non un Soldato, nè un Governatore.
A chi affermava con convinzione che l'amore di un elisiano per un asmodiano non sarebbe potuto esistere, il cacciatore avrebbe voluto cedere la propria pelle.
Con questi pensieri e un'ombra di stizza sul bel viso, Velkam aveva attraversato l'affollata piazza Elisiana e si era diretto verso il Canale Celeste nell'attesa della piattaforma che glielo avrebbe fatto attraversare.
L'invito recava  il nome della Sala dei Custodi come ubicazione del banchetto, così una volta giunto all'altra parte del canale aveva continuato la sua camminata solitaria tra bambini schiamazzanti e venditori urlanti.
Nonostante fosse sera inoltrata, Sanctum per quell'occasione aveva deciso di non dormire. Taverne e negozi rimanevano aperti per tutti mentre per la strada degli Dei intere flotte di Ufficiali suoi colleghi lo salutavano con un'alzata di mano o con leggere pacche sulla spalla se lui gli passava accanto.
Alcuni da lontano lo additavano, altri non facevano nemmeno caso a lui.
Gli stendardi elisiani, candidi e fulgenti, balzavano prepotenti all'occhio ricordandogli la brutale verità. Era un elisiano tra gli elisiani, non poteva e non doveva  esserci posto per Selhen da quelle parti.
Decise di prolungare per qualche minuto quel momento di solitudine poggiandosi sfacciatamente con un piede alla parete di una taverna. L'insegna pensolava sferragliando, e un odore appetitoso usciva dalla porta attraversata da un continuo andirivieni di gente starnazzante e festaiola.
Il bianco candido dei capelli dell'asmodiana che gli aveva rubato il cuore emerse tra i suoi pensieri.
Come potevano, gli altri elisiani, considerare la razza asmodiana disgustosa? Selhen era tutt'altro che disgustosa. I suoi lineamenti erano perfetti e delicati esattamente come quelli di qualunque altra ragazza elisiana. Per di più, erano i suoi colori ad affascinarlo. I colori di un inverno misterioso. Il bianco della neve di Beluslan...
Sì, Beluslan, c'era stato qualche tempo prima. Era davvero così freddo e incantevole, quel posto. Ecco, Selhen gli ricordava il bianco della neve di Beluslan e lo scarlatto colore del bastione delle scorie di Morheim.
Da ragazzo viaggiare in territorio ostile lo aveva divertito parecchio. Ecco perchè non aveva mancato, con la sua invisibilità, di esplorare indisturbato quella terra nemica.
Il cacciatore elisiano si lisciò il pizzetto con due dita, perso nei suoi pensieri, poi tornò a poggiare entrambe i piedi per terra e si rimise a camminare. L'armatura dell'Abisso risplendeva particolarmente di un bianco scintillante sotto le torce luminose di quella strada.
Velkam rimase alquanto stupito quando, oltrepassato il grande stendardo elisiano dondolante che era stato posto all'ingresso, avanti a lui si parò un'enorme ferro di cavallo di tavoli sontuosamente apparecchiati.
Sui lati circostanti, perfettamente visibili erano le cucine che, per quell'occasione, avevano visto triplicare il numero di cuochi e camerieri.
Il vocio era fastidioso e penetrante. Il cacciatore girò lo sguardo alla ricerca del nuovo Governatore, e lo vide, rivestito di una sontuosa armatura, con due revolver luminosi assicurati alla cintura. Era un tiratore scelto.
Uno che aveva fatto della guerra la sua vita, e lo si notava dalle cicarici che riportava sul viso serio e distinto.
Aveva conosciuto Lord Silence quando era solo un Generale. A quei tempi lui era solo un giovane Soldato e suo padre era il Governatore. Ripensò ai tempi del suo apprendistato. A quando ne aveva combinate così tante, per il suo carattere ribelle, da costringere il padre a prendere seri provvedimenti nei suoi confronti.
E in tutto ciò Gaar c'era stato.
Se si trattava di combattere insieme, lui c'era, se si trattava di far baldoria insieme, lui c'era. Se poi c'era da condividere donne, sorrise al pensiero, anche in quel caso erano stati altruisti l'uno con l'altro. Quando poi Velkam aveva avuto la pazza idea di fondare una legione, Gaar lo aveva appoggiato in tutto e per tutto.
Sì, proprio Gaar, l'assassino che adesso girava il Katalam col favore della notte, in attesa di trovare Selhen o qualcuno che potesse recapitarle quel biglietto.
Gaar avrebbe fatto di tutto per lui, e lui avrebbe fatto di tutto per Gaar. Come fratelli, anche meglio, si era detto tra sè mentre prendeva posto in un angolo dell'affollato ferro di cavallo.
Avrebbe voluto andare personalmente alla ricerca di Selhen, ma era troppo sotto i riflettori perchè potesse permettersi una simile negligenza. Invidiava Gaar in quel momento, invidiava il povero Gaar che per causa sua si stava perdendo un banchetto coi fiocchi.
Per questo un po' se ne dispiacque.
Quando anche Lord Silence ebbe preso posto al centro del ferro di cavallo sorridendo ai convitati e ringraziando tutti per la gentile presenza, le portate generose e decisamente deliziose cominciarono ad arrivare. I piatti presero a riempirsi  e così la pancia del giovane cacciatore, che a fine banchetto pensò di non ricordare quand'era stata l'ultima volta che si era abbuffato in quel modo.
"Ehi, cinque stelle", lo aveva salutato altezzosamente un ufficiale di sua conoscenza.
Velkam si voltò curiosamente. Adesso tutti i convitati avevano abbandonato il posto loro assegnato per scambiare due parole tra loro.
"Drekan!", aveva sorriso il cacciatore facendo un cenno con la testa verso il compagno. "Non avevo ancora fatto caso alla tua presenza".
Drekan sorrise, aveva lunghi capelli biondi e una fila di denti bianchissimi. "In realtà non sembri aver fatto tanto caso a niente. Ti osservavo durante il banchetto e sembri vagamente... distratto".
Qualcosa si contorse nello stomaco del cacciatore elisiano. E non era di certo timore, quanto, fastidio.
"Davvero?", allargò il sorriso, "colpa di una stressante giornata di guerra. Stamane sono stato ucciso un paio di volte alla fortezza di Miren... Io e la mia legione ci siano occupati personalmente della difesa".
Drekan si lasciò andare ad una sonora risata e prese posto accanto a Velkam poggiando un gomito sul tavolo. "Allora amico, che ne pensi del nostro nuovo governatore?".
Velkam fece una smorfia di ironia. "E' un gunner, non nutro molta simpatia verso i tiratori scelti, dovresti saperlo!", disse osservandolo.
Anche Drekan era un tiratore scelto che aveva conosciuto ai tempi dell'accademia. Nobile di stirpe, avevano intrapreso qualche combattimento nell'arena quando ancora Velkam era un soldato inesperto. Inutile dire che non era finita alla grande. Le pallottole di un revolver erano molto più efficienti delle sue frecce, per non parlare del fatto che se anche avesse voluto nascondersi, i tiratori scelti erano a conoscenza di un incantesimo che permetteva loro di scovarlo anche da invisibile.
"Solo perchè siamo più all'avanguardia, le altre classi non dovrebbero avere il diritto di discriminarci", disse il borioso elisiano rigirandosi un candido revolver tra le mani. L'apparecchio emanava una luce azzurrina che sembrava morire di tanto in tanto per poi riaccendersi più forte di prima.
"In effetti è un'antipatia condivisa", rise sghembo il cacciatore distendendosi comodamente sullo schienale dell'elegante sedia. Chiuse le palpebre, aspettandosi sfacciatamente la domanda, anticipando piuttosto uno dei tanti curiosi venuto là apposta.
"Andiamo Drekan, sappiamo tutti che muori dalla voglia di sapere cosa si prova a scoparsi un'asmodiana".
Drekan parve spiazzato da quell'affermazione improvvisa e del tutto fuori luogo. Allargò le palpebre e le due iridi azzurre luccicarono alla luce delle torce della sala.
Velkam riaprì gli occhi e puntò lo sguardo sull'ufficiale con un sospiro rammaricato. "Mi dispiace deluderti Drekan, non ne ho idea. Sai...", arricciò il labbro infastidito. "Tutto questo pettegolezzo sul figlio dell'ex governatore, alla lunga è stressante, mi capisci?".
Drekan annuì.
"Il fatto che Echo abbia messo in giro delle voci sul mio conto, che si fondano su...", corrugò la fronte, "un momento... non sappiamo neanche su cosa si fondano... è deprimente, non credi?".
L'ufficiale apparve spaesato per un momento, poi ridacchiò.
"Non ti nascondo...", sussurrò Velkam avvicinandosi all'orecchio del compagno, "che sarei curioso di provarlo...". Si alzò in piedi col solito sorriso sfacciatamente sghembo lasciando a Drekan un'ultima pacca sulla spalla. "Ma questo resti in confidenza...", terminò a voce più alta voltandosi e dando al compagno le spalle per dirigersi verso il governatore.
Dovette attendere un paio di minuti in fila. Era arrivato il momento dei noiosissimi convenevoli che, purtroppo, in quanto capo legione era costretto a fare. Scorse il Governatore del Sanctum, Fasimede, al fianco del nuovo capo dell'esercito.
Sospirò annoiato e incrociò le braccia nell'attesa. Poi quando venne il suo turno, con un saluto militare si inchinò al nuovo Governatore.
"Ufficiale a cinque stelle, Velkam...", lo introdusse Fasimede. "Il figlio di Cornelius".
Un lampo di comprensione balenò negli occhi castani del tiratore scelto. Silence era giovane, biondo come quasi il novanta percento degli elisiani, ma con un taglio corto e sbarazzino, decisamente da tiratore.
Era muscoloso e robusto, col sorrisetto sghembo perennemente sulle labbra rosee e disegnate.
Il viso angelico era totalmente in contrasto con la sua espressione da guerriero.
"Ufficiale Velkam, ero ansioso di fare la vostra conoscenza", gli sorrise cordialmente il Governatore. "La vostra fama vi precede... Buona e cattiva che sia", terminò.
Velkam si morse il labbro con evidente nervosismo ma non disse nulla.
"Mi hanno parlato delle vostre strabilianti doti da cacciatore...", indicò con lo sguardo l'arco sfavillante assicurato alla sua schiena, "e ammetto di non essere per niente preparato in materia", ridacchiò, "ma voi cacciatori mi piacete!".
Velkam abbozzò un mezzo sorriso compiaciuto.
"Il Governatore Silence ha avanzato la proprosta di promuovervi a Generale, Velkam", disse Fasimede incrociando le braccia mentre lo osservava placido.
Quella notizia lo colpì come un secchio d'acqua gelida. "Cosa?", domandò Velkam credendo di non aver capito bene.
"Beh", esordì nuovamente Silence, "come dicevo prima, la vostra fama vi precede, Velkam. Capo di una delle legioni elisiane più potenti e prestigiose, figlio di un ex governatore, padroneggia al meglio la lingua asmodiana, mi dicono...".
"Sì signore...", annuì il cacciatore.
"Meraviglioso, assolutamente meraviglioso. Come avete ottenuto queste strabilianti conoscenze?".
Fasimede sorrise orgoglioso, quasi come se Velkam fosse stato un suo diretto erede. "Cornelius si è occupato personalmente dell'educazione del ragazzo".
Silence annuì. "Il fatto poi, che ci siano delle voci così deliziose e... maligne, nei vostri confronti...", continuò il Governatore, "non fa che convincermi maggiormente che siete la persona giusta per essere scelto tra i nuovi Generali. Insomma, talento, ascendenza straordinaria e... la fama del latin lover ribelle. E' questo il tipo di persona che cerco!".
Incredulo ancora per quello che aveva appena udito Velkam si torturò il guanto di pelle che stava indossando. Non capiva. Fasimede e Silence stavano tentando di giocare d'astuzia o erano realmente sinceri e interessati ad averlo nella loro cerchia?
"Allora, Velkam, accettate l'incarico di Generale che vi viene proposto?".
Quelle parole risuonarono nella testa di Velkam senza trovare alcuna risposta. Se già era difficile da Ufficiale, come sarebbe stato possibile continuare quella relazione pericolosa con Selhen da Generale?
Annuì, fu l'orgoglio elisiano ad avere la meglio, insieme al desiderio di non voler destare alcun tipo di sospetto.
"Mi sorprendete, Governatore, ma io e la mia legione saremmo onorati di perseguire la causa elisiana al vostro fianco. E io...", sorrise, "sarei onorato di entrare a far parte della cerchia dei vostri più fidi collaboratori".
"Inginocchiatevi, allora", disse Silence poggiandogli una mano sulla spalla.
Velkam eseguì abbassando le palpebre riverente.
"Con il potere conferitomi dal dio Aion, e con il consenso del Governatore del Sanctum, Fasimede, io... Lord Silence, nomino voi, Ufficiale Velkam, mio Generale.
Arieluma Daeva, possa essere la benevolenza del dio Aion sempre con voi!".
E pronunciate a voce alta e chiara queste parole davanti a tutti gli invitati, che sorpresi si erano zittiti e si erano volati a guardare, Velkam si rialzò.
Adesso non era più un semplice Ufficiale. Era diventato un Generale elisiano.
 
 
[Mi sono fatta attendere veramente tanto, lo so, ma non ero ispirata. Adesso sono tornata muahaha, e siccome all'ispirazion non si comanda non posso promettervi una data di scadenza per il prossimo aggiornamento. Potrei aggiornare anche domani come potrei farlo tra un mese, quello che è certo è che questa storia avrà un finale. Ora o tra vent'anni. Promesso! v.v
Recensitemi che ne ho proprio bisogno!
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Capitolo 31
*** -24- Il bambino dimenticato ***


Quel pomeriggio intenso di scoperte ad Adma non accennava a finire. Quando io e Araziel raggiungemmo gli altri nella grande sala circolare in cui si era consumata la battaglia con i non-morti, Brahm aveva recuperato già parte delle sue forze e, con l'aiuto di Saephira, anche il profondo taglio alla sua schiena si era rimarginato. 
Non avevo più avuto tempo di rimuginare su quello che per poco non era accaduto tra me e Araziel. Lui era tornato il tiratore risoluto di sempre, il suo viso era di nuovo serio e concentrato, calcolatore.
Mi ritrovai a pensare che non avevo mai visto un Asmodiano più Asmodiano di Araziel.Tanto  feroce nei suoi tratti quanto nel suo carattere indomabile. Nonostante tutto c'era di Araziel una parte che più ammiravo. Per quanto potesse essere crudele e spietato con i nemici, era sopratutto leale.
Nel suo atteggiamento traspariva sempre una certa correttezza di fondo, una sorta di diplomazia, che gli permetteva di tirarsi fuori dalle situazioni più difficili e disparate.
Araziel poteva anche essere definito un bravo oratore. Un oratore per niente paragonabile a Shadow, che sì, era bravo ad incantare, ma forse era un po' meno coerente nei fatti.
Se Shad era ingannevole, Araziel trasmetteva una sicurezza tale da metterti a volte a disagio, come era successo a me innumerevoli volte.
Mi morsi il labbro pensierosa, proprio mentre nessuno mi notava. C'era una cosa che mi aveva sempre colpito di Araziel: la sua schiettezza, l'aura di sicurezza che incombeva quando ero nei suoi paraggi. Una sensazione ben diversa da quella che provavo quando ero con Velkam.
Era per gli Asmodiani leali e indomiti come Araziel che la nostra razza era da considerare esemplare. 
Abbozzai un sorriso tra me, e quando girai lo sguardo su di lui, lo sorpresi a scrutarmi.
Quell'iride verde, tendente quasi all'azzurro, percorse il mio aderente cappotto nero lasciandomi per un momento interdetta e a disagio.
Decisi allora di distogliere lo sguardo incamminandomi a ritroso verso la grande voragine sul pavimento. Era il caso di esplorare al meglio le segrete, e su questo, eravamo tutti d'accordo.
Mi soffermai sul ciglio del soffitto diroccato e guardai giù, voltandomi in seguito a richiamare i miei compagni d'avventura.
Dahnael era tornato il Daeva taciturno di sempre. Da quando gli avevo rivelato che avrebbe potuto perdere la sua natura divina era diventato anche più burbero del solito.
"E tu piantala di tenere il muso", lo avevo apostrofato con l'aria della maestrina. "Non è così che si risolvono le cose".
Dahn aveva grugnito per tutta risposta spiccando un balzo preciso dentro al vuoto e spalancando, proprio prima di toccare il suolo, le immense ali nere.
Scossi il capo esasperata e tirai un sospiro di rammarico, poi, senza aspettare che gli altri facessero lo stesso, provai a raggiungerlo.
"Ehi...", lo chiamai.
Il capo candido di Dahn non si voltò, mi stava dando le spalle e camminava con le spalle un po' ricurve per i soliti corridoi umidi e acquitrinosi che avevamo percorso poco prima.
"Dahnael!", lo chiamai indignata stringendolo per una spalla e costringendolo a voltarsi.
La sua espressione triste non era delle migliori, e nello scorgerla ebbi quasi un tuffo al cuore.
"Dahn, ho cercato di evitare i giri di parole, perdonami se ho potuto sembrarti indelicata".
Dahn sorrise sarcastico mentre proseguivamo per i corridoi. Il vociare indistinto alle nostre spalle ci disse che anche gli altri stavano per raggiungerci.
"Non è con te che ce l'ho... ce l'ho con me stesso. Come ho fatto a non capirlo prima?".
Non mi pronunciai. Dopotutto non ero stata io ad aver pensato a quella soluzione, ma Velkam.
"Inutile crucciarsi per questo, ormai dobbiamo solo pensare a risolvere il problema".
Dahnael annuì poco convinto. I nostri revolver sbatacchiavano sui nostri fianchi ad ogni passo mentre io senza preavviso lo strinsi in un abbraccio che lo costrinse a fermarsi
"Fidati di me".
Un sorriso tenero animò le sue labbra pallide. Vidi la sua mano artigliata sollevarsi per farmi una delicata carezza sulla guancia prima di lasciarmi andare.
"Certo che mi fido di te".
Ricambiai quel sorriso un po' dubbiosa. "Anche se... anche se mi frequento assiduamente con un elisiano ti fidi di me?", domandai in un sussurro prima che gli altri ci raggiungessero.
"Anche nonostante quello", disse lui pacato abbozzando un altro sorriso forse un po' più forzato.
Riprendemmo a camminare e giunti all'imbocco di un nuovo corridoio ci fermammo ad attendere il resto della combriccola. Le chiazze d'acqua emanavano un puzzo di stantio che penetrava pungente le nostre narici, e le pareti grondavano umidità.
"Selhen, dove siete?", era rimbombata squillante la voce di Sae tra le possenti mura di pietra di quelle segrete.
"Per di qui!", dissi sbracciandomi quando li vidi uscire dal luogo da cui poco prima avevamo svoltato io e Dahnael.
Saephira diede segno di avermi vista. Accelerò il passo nella sua attillata veste nera. Doveva essere un suo ultimo acquisto, a giudicare dalla lucentezza di quel nero. Era l'armatura Beritra, una delle migliori sul mercato, solo i daeva più benestanti potevano permettersela. Ecco da cosa si vedeva che la mia Sae non era più una principiante.
Sorrisi tra me, stringendomi al fianco di Dahn come a volergli trasmettere un po' di sicurezza.
Quando fummo tutti nello stesso punto riprendemmo la formazione di sempre e ci inerpicammo per una salita in un punto in cui il pavimento diventava scosceso.
I canali e l'umidità iniziavano a dare spazio ad ambienti più asciutti e meno muschiosi. Non c'erano più nè viverne nè fangospina e nel semibuio di quelle segrete erano solo le nostre armi l'unica fonte di luce.
I revolver miei e di Arazie e Dhanael aprivano la strada. Anche l'arpa di Saephira, alle mie spalle, emanava una luce sinistra e silenziosa. I nostri occhi erano rossi e luminosi, sull'attenti, pronti a cogliere il suono o il movimento più sospetto, che non fossero i versi lontani dei fangospina e i ticchettii delle gocce d'acqua.
Fu nel momento in cui svolammo l'angolo che lo scorsi. Io per prima.
Era piccolo. Un esile ragazzino dalla zazzera scompigliata e dagli occhi innocenti.
Le mie labbra si spalancarono dallo stupore. Ritrassi le pistole, senza pensarci, e mi coprii le labbra con la mano.
Potei scorgere in quei lineamenti quasi angelici qualcosa di macabro e misterioso. Il giovane era pallido e silenzioso. Seduto al centro di un ampia stanza circolare identica alla precedente tra larghe chiazze di acqua stantia, teneva le gambe incrociate e il capo reclinato finchè non notò la nostra presenza.
Fu Dahnael a estrarre per primo le pistole, la furia asmodiana accese i suoi occhi vitrei e il labbro assunse una curva minacciosa.
"Dahn....", mormorai toccandogli un braccio.
"E' lui...", aveva ringhiato il mio amico cercando i revolver ai suoi fianchi e caricandoli con uno schiocco che rintonò nella grande stanza vuota.
Vidi il bambino voltare lo sguardo innocente dalla nostra parte. "Chi siete?", domandò. Mi sorpresi nell'udire una voce così infantile e tremolante.
Trattenni Dahnael con più forza, affondando quasi gli artigli nel suo cappotto in pelle. "Aspetta", sibilai.
"Ci hanno parlato di te", cominciò Araziel col migliore tono eloquente che potesse esibire.
Nessuno di noi proferì parola a parte Araziel. L'unico rumore fu il tintinnio dell'archetto di Saephira.
"Chi vi ha parlato di me?", continuò il ragazzo senza muoversi di un centimetro.
"Gli spiriti della fortezza parlano di te...", chiarì il tiratore con voce paziente.
Il bambino abbozzò un sorriso, la sua espressione assunse una sfumatura di purezza inequivocabile. Non poteva trattarsi del ragazzo di cui Karemiwen ci aveva messi in guardia.
"Oh sì...", disse lui con tono compiaciuto. "Non sto loro molto simpatico, è per questo che vivo qui".
"Vivi qui?", intervenni curiosamente allungando un passo verso il piccolo soggetto davanti a noi.
Mi sentii trattenere da Araziel per il cappotto. Era chiaramente teso e sull'attenti.
"Vivo qui da molto, moltissimo tempo", sorrise placido rimanendo sempre nella medesima posizione.
Udii schioccare il caricatore di Araziel. E poi vidi Dahnael allungare un braccio avanti a sè per puntare alla testa del ragazzo. "Maledetto marmocchio, sei tu la causa della contaminazione, non è vero?".
Imprecai tra me, se era vero che lui fosse la causa della contaminazione non era proprio quello il modo ideale per approcciarglisi. Dahnael e la sua impulsività.
Il bambino per tutta risposta si alzò in piedi, cosa che ci portò a sguainare le armi e a disporci in posizione d'attacco. Sebbene potesse sembrare inoffensivo non era il caso di adagiarsi troppo sugli allori.
"Sì, sono io", annunciò lui con un sorriso compiaciuto.
Battei le palpebre meravigliata a quella risposta. Ma non ebbi il tempo di proferire nessun'altra parola d'incredulità perchè un rimbombo assordante mi aveva annunciato uno sparo improvviso.
Mi voltai sconvolta dalla parte di Dahnael, il quale stringeva tra le mani, ancora fumante, un revolver.
Il proiettile aveva trapassato la carne del braccio del giovane, ma notai con sgomento che dalla ferita non era fuoriuscito del sangue. La profonda lesione inferta dal proiettile di Dahnael si era rimarginata all'istante mentre il ragazzo aveva iniziato col solito sguardo pacato ad avanzare verso di noi.
C'era un che di inquietante in quell'espressione dolce e ingenua. Poi ad un tratto i lineamenti morbidi di quella figura infantile si erano induriti. Il suo viso era divenuto ostile e quella che sembrava la diafana corporatura di un giovane aveva iniziato a sbiadire, lasciando il posto alla limpida figura di uno spettro molto più adulto.
Poteva trattarsi di un giovane che aveva all'incirca l'età di Araziel. Un soldato, a detta dell'armatura che indossava. Un Daeva dalle candide ali che aveva pronunciato a voce forte e chiara un incantesimo che era piombato addosso al nostro gruppo scaturendo una pericolosa pioggia di dardi infuocati.
"Ci mancava il fantasma di un fattucchiere!" imprecò Araziel vicino a me sorprendendo lo spettro con una serie di colpi magici.
Ci avevano insegnato questo all'accademia: l'unica cosa che poteva mettere fuori gioco uno spettro era la magia. E il daeva in questione questo lo sapeva bene perchè aveva concentrato all'istante i suoi colpi più potenti su Brahm e Saephira che erano le classi magiche più pericolose presenti.
"Dahn coprila!", aveva urlato Araziel riferendosi alla mia amica mentre si gettava davanti a Brahm per fargli scudo con i propri colpi.
"Nessuno è mai riuscito a sconfiggere Villaire!", aveva esclamato lo spettro con chiara ilarità nella voce. "La Legione del cielo rosso reclama i suoi morti! Oggi, come sempre, e voi sarete i prossimi non morti ad abitare le segrete di questa fortezza", terminò prorompendo in una risata.
Un lampo di comprensione illuminò gli occhi di Dahnael, e mi chiesi cosa effettivamente avessero potuto significare per lui quelle parole.
"Morirete tutti, e sarò io... solo io, a nutrirmi della vostra natura divina, Asmodiani ingrati!"
Mentre Saephira era intenta a curare la salute di Brahm che cominciava a vacillare, si alzò tra noi un forte vento che ci offuscò la vista per qualche momento.
Mi guardai intorno spaesata, quando un potente attacco diretto su Sae, la quale si adoperava instancabilmente per tenerci in vita, non sfondò totalmente le sue difese.
Un urlo di dolore ci annunciò che l'incantesimo dello spettro era andato a segno.
"Seaph!", urlai allungando terrorizzata una mano nella sua direzione. Vidi la mia migliore amica accasciarsi inerme sull'umido pavimento in pietra. I suoi occhi si chiusero stancamente poi le sue ali si spalancarono in un suono lugubre e agghiacciante.
"Sae!", avevo urlato di nuovo inginocchiandomi al suo fianco, incurante degli attacchi dello spettro.
Non ricevetti nessuna risposta, e mentre il mio gruppo cominciava ad essere messo in seria difficoltà dai potenti incantesimi del fattucchiere i miei occhi rossi e luminosi tornarono ad accendersi.
Desiderosa di vendetta poggiai le pistole nei foderi e scansando un'altra pioggia di frecce di fiamma, quando mi rimisi in piedi, imbracciai il cannone ad etere.
Come potevo neutralizzare quello spirito?
Scorsi sul viso di Brahm una furia controllata. Mi ritrovai a pensare che forse era proprio questo che non faceva di me un'ottima Daeva. Ero troppo condizionabile dagli eventi che mi accadevano intorno e questo bastava a farmi distrarre, a farmi perdere il controllo. Ero facile preda delle emozioni. Non era stato così per Brahm  che invece aveva mandato all'attacco il suo spirito della terra, come uno scudo , e che intanto continuava a proferire con voce forte e chiara dei potenti incantesimi che sembravano in parte scalfire il corpo diafano di Villaire.
All'improvviso mi balenò un'idea nella mente. Lo avevo visto fare ad Araziel poco prima. Era sempre stato un incantesimo difficile, che non mi era mai riuscito alla perfezione, ma decisi che ci avrei provato. Per Sae e perchè infondo quello era l'unico modo che avevo io, da tiratore, di immobilizzare un avversario.
Scrutai Araziel e Dahnael, avevano ancora tra le mani i revolver e sembravano non avere pensato alla soluzione e così mi decisi. Caricai il colpo e sparai, con un braccio teso dentro al cannone ad etere.
Chiusi gli occhi, sperando di aver impiegato la quantità giusta di mana, sperando che Villaire non avesse alzato nessun altra barriera di difesa.
Quando sollevai gli occhi lo vidi. Lo spettro era sospeso in aria, si dimenava in una bolla di luce impossibilitato a muoversi e così sparai un altro colpo, preciso e potente col mio cannone.
Dahn e Araziel fecero lo stesso approfittando di quei pochi secondi di vantaggio e fu Brahm, con un incantesimo urlato quasi con violenza, a porre fine all'energia vitale dello spettro.
Come al rallentatore vidi la soffice figura del giovane, trasparente, abbandonarsi sulle ali e rimanere così, sospesa in aria.
Guardai Dahnael, come ad aspettarmi che qualcosa in lui fosse cambiata, con la morte di Villaire, eppure era identico a sempre.
Rimanemmo in silenzio. perplessi, spaventati, delusi.
"Non è successo niente", disse Araziel corrugando la fronte.
Notai Brahm gettarsi sul pavimento a a cercare una risposta di Saephira che non venne. "Sae...", la chiamò in un sussurro sfiorando con le dita le soffici ali rosee della mia amica richiuse.
"Dobbiamo portarla dal primo chierico disponibile", mi ero affannata ad urlare enfatica.
Non stavo nemmeno notando Dahnael nè mi ero curata di chiedergli come si sentisse. Dovevamo sbrigarci. Più un Daeva rimaneva incosciente e peggiori erano le conseguenze quando questo veniva resuscitato da un chierico o da un guaritore dell'anima.
"C'è una mia amica da queste parti...", aveva mormorato Dahn con un tono indecifrabile, "si fa chiamare Lady Pandora. E' una rispettabile asmodiana parecchio esperta nella resurrezione dei Daeva caduti in battaglia".
"Allora andiamo!", avevo detto frettolosa riponendo il cannone dietro la schiena.
"Ci vediamo al villaggio di Surt", aveva terminato il mio amico impassibile, poi aveva raccolto il corpo ciondolante della mia migliore amica e aveva pronunciato la formula che tutti i Daeva usavano per ritornare all'obelisco al quale erano legati.
Scorsi per un altro momento le lunghe ciglia di Sae richiuse, era come se dormisse, pallida come sempre. Rabbrividii al pensiero delle volte in cui quella sorte era toccata a me, ma per i Daeva era normale, morire in battaglia e rinascere.
"D'accordo!", annuii energica, "Ci vediamo lì!".
Dahn e Sae si dissolsero, così Brahm che li aveva seguiti in fretta.
"Credo che debba andare anche tu", aveva detto Araziel riponendo nei foderi le proprie pistole.
Spostai lo sguardo su di lui. Eravamo rimasti soli in quell'innaturale silenzio.
"Sì... credo di sì", mormorai con un nuovo imbarazzo.
"Sei stata brava, bimba", disse infine con la voce carezzevole e familiare di sempre. "Ci si vede", con un ultimo cenno del capo aveva estratto dalla tasca una pergamena per Pandemonium e pronunciata la formula vidi il rosso dei suoi capelli dissolversi nell'aria.
"A presto", mormorai. Ma ero rimasta da sola. Immersa in un malinconico e assordante silenzio.
Notai ai miei piedi qualcosa che prima non c'era. Un piccolo seme, dall'involucro duro e ruvido. Ci avevo messo un piede sopra per sbaglio.
"Cosa?", corrugai la fronte e sollevai lo sguardo sul cadavere di Villaire che aveva la mano aperta e pensoloni. Era come se quel seme fosse caduto di mano a lui.
Lo raccolsi cauta e lo infilai nella bisaccia. Di cosa poteva trattarsi?
"Hauw Affrei!" dissi secca ponendo entrambe le mani una di fronte all'altra avanti a me.
Un'energia scosse i miei candidi capelli poi anche io abbandonai Adma. Dovevo tornare da Sae, ma soprattutto dovevo capire perchè quel seme si era trovato sul pavimento di Adma e cosa fosse. Forse proprio Lady Pandora avrebbe conosciuto la risposta alle mie domande. Ed erano tante, forse anche più di quelle che mi affollavano la testa quando ero entrata dentro quella fortezza. Dahn aveva cessato di essere un non morto? O non si trattava ancora di un capitolo chiuso?
Possibile che questo seme c'entrasse qualcosa?
Non avevo avuto modo di conoscere Villaire, di capire di chi si trattasse. Aveva solo pronunciato il suo nome e il nome di una legione: la legione del cielo rosso.
Eppure a Dahn aveva scaturito una reazione, sentirlo pronunciare.
Mi ripromisi che quando Sae si sarebbe rimessa avrei chiesto informazioni sull'argomento. Il mio corpo si dissolse, e quando mi ricomposi avevo già posato i piedi sul suolo davanti all'obelisco di Brushtonin. 




[Ciaoooo, eccomi col nuovo capitolo della storia. Lo so, mi sono fatta attendere ma ci sono sempre, e quando ho un po' di tempo disponibile butto giù un nuovo capitolo per voi. Ma secondo voi, che legame ha Dahnael con la legione nominata da Villaire? Perchè proprio a lui questa maledizione? Lo scopriremo alla prossima puntata. Intanto cominciano a comparire le fantastiche pg di due delle mie lettrici u.u c'è sempre un posticino per tutti in questa storia. Ci si sente per lo speciale 45 recensioni! Un bacione!]

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Capitolo 32
*** -25- Lady Pandora ***


La casetta di Pandora sorgeva su una delle tante delicate alture del villaggio di Surt, a Brushtonin. Era piccola ed elegante, tutta di legno, con un tetto spiovente ed un comignolo fumante.
Quando comparii ai piedi dell'obelisco scorsi in lontananza Dahn e Brahm che si stavano inerpicando per la stradina che conduceva all'ingresso della casa della chierichessa amica di Dahnael. Accelerai il passo per raggiungerli e con un po' di fiatone riuscii ad accodarmi a loro. 
Quando raggiungemmo la porta Dahn suonò un elegante campanello di metallo sospeso davanti all'ingresso.
Rimanemmo sotto la veranda in attesa di una risposta, e infatti, poco dopo si aprì uno spiraglio dall'uscio e un curioso viso guardò nella nostra direzione con evidente curiosità.
"Ciao Pandora", disse Dahn portandosi di fronte a noi altri per farsi notare. "Abbiamo bisogno di una mano".
Un rumore di ferraglia preannunciò la comparsa della giovane donna, la quale aveva rimosso il fermo che bloccava l'entrata per comparire interamente davanti a noi.
Indossava un'ampia veste grigia, adorna di pizzi e merletti, che le conferiva un'aria seria e distinta. 
I suoi lunghi capelli, semplicemente sciolti a incoronare un viso giovane e piacevole, erano blu notte, così come anche gli occhi, scuri e profondi. Le labbra erano carnose e disegnate, rosee, e sebbene la veste fosse indice di imponente presenza Pandora appariva minuta e amichevole.
I merletti ruvidi della sua veste sfiorarono la gamba scoperta di me che stavo appoggiata allo stipite. 
Vidi Pandora abbassare lo sguardo su Saephira abbandonata tra le braccia di Dahnael e un chiaro lampo di comprensione attraversò i suoi occhi.
"Entrate", disse spiccia e professionale scostandosi dall'entrata per favorire il nostro ingresso e facendoci strada a passo celere attraverso un lungo corridoio.
Le decorazioni floreali e i forti profumi di incenso solleticarono le mie narici. Pandora ci accompagnò in una piccola stanza ben arredata. Le pareti erano arancioni e l'atmosfera delle tremolanti lanterne rendeva il luogo caldo e accogliente.
"Stendila qui", aveva detto sollecita la chierichessa indicando un morbido lettino dalle lenzuola aranciate come tutti gli oggetti della stanza.
Dahn eseguì e la testa di Sae ciondolò sul cuscino con gli occhi richiusi. 
Osservai la mia amica con un po' di apprensione, ma ebbi appena il tempo di scorgerla oltre il vestito di Pandora che questa ci catapultò letteralmente fuori dalla stanza. "Va benissimo, potrete essere di ritorno tra un quarto d'ora", aveva detto poco delicata mentre noi venivamo precipitosamente spinti alla porta d'ingresso.
Battei le palpebre spaesata e la porta di legno mi si richiuse quasi sulla faccia.
"Wow...", commentai sarcastica rivolta verso Dahnael, "che modi la tua amica!".
Dahn scrollò le spalle tentando di giustificasi con un balbettio.
"Ci si rivede tra mezz'ora", ci aveva interrotti Brahm tetro incamminandosi giù per la stradina senza aspettarci. Sembrava non essergli importato nulla del fatto che era stato chiaramente sbatuto fuori di casa.
Interpretai quell'atteggiamento come un chiaro desiderio di solitudine così trattenni Dahn, che aveva tentato di seguirlo, per un polso.
"Vieni qui... lascialo solo", lo rimproverai indignata.
Dahn mi guardò, il fatto che non avesse assunto la sua dose di odella giornaliera gli rendeva lo sguardo più vacuo e cinereo.
"Devi spiegarmi un paio di cose..", esordii guardandolo male. "Già che possiamo approfittarne...".
Il mio amico mi guardò interrogativo. "Che c'è? Che ho fatto?", chiese annoiato.
"Tu mi nascondi qualcosa, Lamur".
"E tu sei una despota... lamur" aveva cantilenato Dahnael appoggiandosi alla parete della veranda con aria disinteressata.
Storsi le labbra con atteggiamento da smorfiosa. "Può darsi".
Udii un grugnito di Dahnael mentre frugava nelle tasche alla ricerca della fiala di polvere d'odella giornaliera.
"Quello spettro di oggi pomeriggio.. ha detto qualcosa che ha suscitato in te una reazione, che c'è che non mi hai detto Dahnael?".
Le mie parole parvero risvegliare in Dahn dei ricordi sopiti o dimenticati che gli fecero cambiare espressione. "Oh...", disse poi rigirandosi la fialetta dorata vuota ormai per metà.
Piegai il capo da una parte, in attesa di un chiarimento.
"La legione del cielo rosso, dici?".
Scrollai le spalle come a dire Non lo so, spiegami tu.
Dahnael annuì sfilando il tappo decisamente piccolo per le sue mani artigliate e trangugiò il contenuto gettando da una parte la fiala di vetro ormai vuota che si infranse contro il muro.
"Voglio farla breve...", cominciò grattandosi una guancia mentre teneva lo sguardo fisso sull'unico piede affondato nel terreno. "La mia famiglia... mio padre per esattezza, faceva parte di un gruppo di disertori della legione del Cielo rosso... o meglio, faceva parte della legione del cielo rosso e ha disertato", il mio amico sollevò lo sguardo per puntarlo sul mio, "ecco perchè penso che Villaire abbia voluto punire la sua discendenza", si indicò teatrale.
"Eppure non sembrava averti riconosciuto, oggi", dissi io corrugando la fronte.
Dahn scrollò le spalle. "Evidentemente in quel momento era troppo indaffarato ad aver salva la pelle".
Mossi qualche passo deciso verso Dahn, con una camminata sicura e sinuosa nei miei neri stivali in pelle. Estrassi un revolver dal fodero e me lo rigirai tra le mani concentrata, prima di fermarmi esattamente davanti a lui. "Lo abbiamo eliminato comunque", dissi con un sorrisetto sghembo e soddisfatto, "quindi..".
A quella mia affermazione Dahn parve diventare nuovamente turbato.
"Che cosa c'è?", domandai.
"E' vero, lo abbiamo eliminato.. ma io sono rimasto come prima", mormorò disincantato.
Alle sue parole mi venne in mente quello strano ritrovamento del pomeriggio. Quando, una volta che tutti erano svaniti dalle segrete di Adma con le loro pergamene, il mio piede aveva calpestato quello strano seme che avevo raccolto e accuratamente conservato in borsa.
"Ah! Dahn, devo mostrarti una cosa", dissi urgentemente iniziando a trafficare con la mia bisaccia per estrarne fuori il grande chicco marrone. Mi concessi qualche altro secondo per osservarlo poi presi un polso a Dahn e glielo piazzai in una mano. "Che te ne pare, mh?", dissi tutta orgogliosa.
"Che cos'è?", domandò lui aggrottando le sopracciglia.
"Ehm... non lo so, ma siccome è caduto dalle mani di Villaire potrebbe essere qualcosa di interessante".
Quando nominai Villaire gli occhi di Dahn si fecero più attenti. Passandosi la lingua sulle labbra secche e screpolate Dahnael rigirò il seme con le dita dell'altra mano. 
"Credi che possa entrarci qualcosa con... me?".
"Con te, con la contaminazione, chi meglio di Pandora può illuminarci?".
"Mh...", mugugnò il mio amico poco convinto.
"Abbi fede, Lamur, abbi fede!", dissi profetica rimettendo il grosso seme nella mia borsa.
Dahn ridacchiò, all'improvviso più allegro. "Vieni qui, sciocca", aveva mormorato tirandomi per un braccio. Mi strinse in un tenero abbraccio sfregandomi amichevolmente una mano sulla testa per disordinarmi tutti i capelli.
"Ehi, ehi... no! I miei adorati e ordinatissimi capelli".
Imbronciai le mie labbra scarlatte senza tuttavia essermela presa realmente con lui e ricambiai affettuosamente l'abbraccio nascondendo il viso nell'incavo della sua spalla. Mi stupii dell'odore dei suoi vestiti. Era come se Dahnael sapesse di zolfo... e in effetti il motivo era presto spiegato. Passava così tanto tempo in abisso che l'odore di quel posto sembrava essersi ormai impossessato di lui!
Ma nonostante quella sua aria da bello e dannato sapevo bene quanto Dahnael avesse un cuore d'oro. Serrai maggiormente la stretta a questi pensieri, come a volerlo soffocare, e mi stupii quando lui mi lasciò un tenero bacio sulla guancia.
"Ti voglio bene lamurr, lo sai?", sussurrai ancora stretta a lui.
"Anch'io te ne voglio, padrona!", scherzò lui sciogliendo l'abbraccio.

Quando la porta si riaprì io e Dahnael eravamo ancora seduti sui gradini d'entrata. Pandora parve sorpresa di trovarci là. Allungai subito il collo alla ricerca della mia amica che in quel momento doveva essere resuscitata e di nuovo in salute. La scorsi instabile venire a passo lento verso di noi
"Sae!", urlai gettandomi letteralmente al suo collo tanto che quasi non precipitammo entrambe ruzzoloni sul pavimento.
Pandora parve infastidita da quell'eccessiva manifestazione d'affetto. "Tiratori...", aveva brontolato schizzinosa tra sè, ma si bloccò e rimase rigida quando abbracciai anche lei.
"Grazie", le dissi con un sorriso angelico come per riparare al mio atteggiamento. Rimasi a sostenere Saephira ancora debole e stordita dalla resurrezione e le diedi una mano trattenendo per lei il suo strumento a corda.
"Pandora", stava dicendo intanto Dahnael chiamando la chierichessa fuori dalla porta, "come posso ripagarti per l'enorme favore?".
"Nessun problema Dahn, non devi ripagarmi niente, ho solo fatto il mio dovere di asmodiana", aveva detto la ragazza con un gesto di diniego. 
Dahnael le sorrise grato e quando lei stava per dare le spalle a tutta la nostra combriccola richiamò la sua attenzione chiamandola. "Aspetta", aveva detto improvviso. "Prima di salutarci, c'è una cosa che Selhen vorrebbe mostrarti".
Mi chiamò con un cenno della mano e intuite le sue intenzioni tirai fuori dalla mia borsa il seme caduto dalle mani di Villaire. Lo allungai a Pandora che lo osservò incuriosita.
"Viene da Adma...", spiegai, "dalla zona contaminata".
"Ne era in possesso lo spirito di Villaire, il capo della legione del cielo rosso", completò Dahn.
Gli occhi di Pandora si spalancarono con evidente preoccupazione. "Una potentissima magia oscura è racchiusa in questo seme", mormorò a denti stretti mentre me lo rilasciava nelle mani come se fosse una patata bollente. "Dovete distruggerlo".
"Come?", domandò Dahnael. "Saresti in grado di farlo?".
Pandora scosse il capo quasi come se il solo pensiero le facesse accapponare la pelle.
"Questo seme contiene della magia oscura, e con della magia oscura dovrà essere distrutto", terminò intransigente riparandosi dietro la porta di casa. "Cercate Silyssa, è una potente strega che vive nei dintorni della zona residenziale di Beluslan, credo che lei potrebbe aiutarvi più di me", scalpitò nervosa, facendo un passo indietro, poi, senza aggiungere altro ci richiuse la porta in faccia. Scossi il capo, eppure iniziavo ad abituarmi nel giro di poche ore ad avere sbattuta la porta in faccia.
"Che modi", riconfermai con un mezzo sorrisetto tra l'irritato e il divertito.
Dahn scrollò le spalle ricambiando il sorriso. "Chierici".
Brahm, che intanto si era accorto del movimento davanti all'abitazione di Pandora, ci aveva raggiunti e aveva ascoltato tutta la discussione con grande curiosità. 
"Conosco Silyssa...", aveva detto cupo premurandosi di sorreggere Saephira al posto mio. "E' una delle fattucchiere più potenti di Pandemonium".
Gli cedetti il posto mantenendomi comunque a una breve distanza dalla mia amica, pronta a intervenire se ce ne fosse stato bisogno. Sae barcollava e non aveva proferito ancora una parola. Ci sarebbe voluta almeno un'ora perchè quell'effetto di stordimento si dissipasse del tutto. Solo allora la mia amica sarebbe tornata la Daeva pimpante di sempre, piena di energie e voglia di fare.
La guardai negli occhi sorridendole rassicurante, lei non parlò, era troppo debole anche per parlare, ma il mio sguardo dovette rincuorarla perchè scorsi sulle sue labbra la parvenza di un sorriso di risposta.
 
.........

La notte era fonda nell'antico Katalam e non un alito di vento soffiava tra le fronde degli alti alberi della foresta che fronteggiava l'asmodiano tempio dei Ruhn.
Sapehira non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno, la resurrezione di quel giorno le aveva ripristinato totalmente le energie, tanto che anche il sonno era tardato ad arrivare. E così, dopo la prima ora di indolenzimento, in cui era stata una specie di zombie soffocato ambulante, aveva ripreso appieno tutte le sue facoltà motorie e cognitive.
Aveva pensato che fare un giro per il Katalam alla ricerca di intermediari balaur che assediavano le guarnigioni asmodiane sarebbe stato un ottimo modo per dare un contributo alla causa asmodiana e ammazzare una stupida notte insonne.
Muoversi con il favore del buio agevolava qualsiasi asmodiano, e lei non era da meno. Non aveva avuto voglia di disturbare Brahm nel cuore della notte, così aveva raccolto la sua divisa beritra, la sua arpa e silenziosamente si era diretta verso il tempio dei Ruhn con l'ausilio di una pergamena.
Si era poi incamminata solitaria verso la guarnigione settantatrè e lì, dopo aver parlato con il legato dell'accampamento si era avventurata tra le alte fronde alla ricerca dei nemici.
"Psss", aveva sentito sussurrare da dietro un cespuglio.
La Daeva aggrottò le sopracciglia perplessa. Possibile fosse stato un rumore che si era immaginata?
Non c'era un alito di vento, e l'unico suono era il frinire delle cicale notturne. 
Si guardò intorno spaesata, come a voler scorgere una qualsiasi sagoma nell'ombra, ma non vide nulla.
Guardinga estrasse arpa e archetto, pronta ad attaccare se ce ne fosse stato bisogno, poi ci fu un ulteriore scricchiolio che la fece sobbalzare.
"Buh", udì in un altro sussurro proprio a un centimetro di distanza dal suo orecchio.
Immediatamente percepì una presenza corporea alle sue spalle, due mani le afferrarono saldamente gli avambracci e una delle sue gambe venne immobilizzata dalla pressione di una gamba estranea.
"Stai buona e non ti succederà niente, asmodiana", disse una voce profonda mentre la lama di una spada affilata le accarezzava dolcemente la gola.
Saephira espirò cautamente, col terrore che le paralizzava le membra e la mente che si affaticava a lavorare per trovare una soluzione, una via di fuga.
Non poteva vedere il suo interlocutore, ma non c'era dubbio, si trattava di un assassino elisiano.
Le eleganti spade sottili e maneggevoli ne erano l'indicatore così come il melodioso accento cantilenante di ogni sua parola.
Il petto della barda si alzò e si abbassò vistosamente quando con il coraggio di chi si trova davanti a morte certa, non si chinò fulminea a scansare la lama della spada e non roteò su se stessa evocando con una formula magica un'illusione di sonno che colpì all'istante il suo aguzzino.
Aveva ritenuto che fosse l'unico modo per darsela a gambe visto che non avrebbe avuto nè la voglia nè il coraggio di morire di nuovo, per quel giorno.
Non fece a tempo a vedere, nel buio, la scura sagoma dell'assassino che già questo si era trasformato nell'allegra illusione di un pinguino ballerino.
Cominciò a correre, veloce, nella speranza di sfruttare quei pochi secondi di vantaggio e riuscire a trovare l'occhio asmodiano più vicino che avesse potuto proteggerla, ma l'assassino fu più svelto, e in men che non si dica, svanito l'incantesimo di sonno, le si era fiondato letteralmente addosso.
Questa volta la lama della sua spada aveva premuto pericolosamente sulla gola di Saephira, la quale, senza speranza, aveva cominciato a dimenarsi tra le braccia dell'assassino.
L'elisiano schioccò le labbra in un suono di compiaciuta indignazione. "Cattiva barda asmodiana... è ... decisamente imbarazzante essere trasformato in un pinguino ballerino ", scosse il capo nel buio.
"Chi sei? Che cosa vuoi da me?".
A quel punto le due possenti braccia dell'assassino elisiano la fecero voltare con forza, e Saephira si ritrovò faccia a faccia ad un giovane dai capelli rossi e dallo sguardo penetrante.
"Non ti ricordi di me?", le chiese con un mezzo sorriso di scherno. "Avete la memoria corta voi... bestioline asmodiane". Il tono con cui pronunciò l'ultima parola fu chiaramente canzonatorio.
A quel punto a Saephira tornò in mente un'immagine, come un flash. Un giorno a Sarpan. Lei, Selhen, l'elisiano cacciatore e... lui. L'assassino che aveva davanti era il braccio destro del cacciatore.
"Vengo in pace", aveva detto spiccio lasciandola andare, "quindi non provare a trasformarmi di nuovo in un pinguino o sarò io a trasformarti in spezzatino di Daeva, intesi?", il suo tono inquietante si era abbassato di un'ottava. Il ragazzo aveva poi riposto le spade nelle guaine incrociate alla sua schiena ed era tornato a fissare lo sguardo sull'esile viso della barda.
"Oh, come ho fatto a dimenticare le buone maniere?", disse ironico inchinandosi . "Mi chiamo Gaar... il per servirla permettimi di risparmiarmelo, sei pur sempre un'asmodiana".
Saephira arricciò il labbro in una specie di ringhio indietreggiando diffidente. "Ho detto... che cosa vuoi?".
Gaar si passò distrattamente una mano sul generoso ciuffo rosso, grattandosi il capo pensieroso.
"Regola il tono bambola, e ritieniti fortunata piuttosto, sei la prima asmodiana che può dire di avermi incontrato senza averci lasciato le penne".
"La pianti di blaterare con quel tuo... vomitevole accento da piccione canterino?", continuò la barda risoluta puntando l'archetto del suo strumento contro il petto dell'elisiano.
Gaar apparve contrariato dal fatto che le sue parole non avevano sortito effetto ma si limitò a tacere gettando uno sguardo intorno a loro. "La tua amica... il tiratore scelto", esordì in un sospiro di rassegnazione.
"Che cosa vuoi da lei?"
"Velkam mi ha chiesto di recapitarle questa". Saephira lo vide rovistare nelle tasche della sua divisa in pelle e trarne fuori una pergamena accuratamente arrotolata.
"Cos'è?", chiese la barda scrutando l'oggetto a debita distanza con una certa diffidenza.
"Se hai paura che possa esplodere... sta tranquilla", il sorriso che gli lineò il viso non fu per niente rassicurante.
"Mi prendi in giro, elisiano?", la voce dell'asmodiana si era fatta più dura, così come lo sguardo che ora riusciva meglio a mettere a fuoco i lineamenti del ragazzo.
"Purtroppo no", disse l'assassino. Parve sinceramente rammaricato nell'ammetterlo. Con una mano scostò senza tante cerimonie l'archetto minacciosamente puntato contro di lui e si avvicinò alla barda sospendendole la pergamena sulla punta del naso. Adesso che era pericolosamente vicino Saephira potè percepirne la potenza e la scaltrezza. Ogni suo muscolo era teso, pronto a scattare a qualunque suo passo falso.
Incerta allungò la mano artigliata e strinse le dita attorno a quel rotolo che, come del resto aveva detto l'elisiano, non ebbe alcuna reazione anomala.
"E' per lei?", domandò infine Saephira sospirando.
"Credo che sia per la loro condanna a morte, sì", annuì l'elisiano con sconcertante ironia.
Ad un certo punto la preoccupazione negli occhi di Gaar fu l'esatto specchio di quelli di lei. Saephira sentì una morsa allo stomaco che, ne fu certa, stava condividendo con quel nemico davanti a lei.
"Lo pensi anche tu?", pigolò dimentica per un attimo della razza dell'assassino di fronte a lei.
Era come un presentimento, un'assurda paura che quell'osare così tanto avesse portato la sua migliore amica alla rovina. Notò, dagli occhi dell'elisiano davanti a lei, che uno stesso sentimento di amicizia e stima reciproca dovevano legare il giovane cacciatore e quell'assassino
"Sì", rispose Gaar serio sollevando il cappuccio di pelle per confondersi meglio nella notte. Non aveva proferito altro, e il suo tono era rimasto gelido e inespressivo.
Prima ancora che Saephira avesse potuto aggiungere qualcosa Gaar era già scomparso con un fruscio.
Restava a farle compagnia solo il rumore della notte e il brillare delle stelle nel cielo.


[Aaaaarieccomiiii, mi sono fatta attendere lo so, ma il capitolo è arrivato. Non dimenticate il mio gruppo fb ( https://www.facebook.com/groups/964519573578228/ )
su cui scrivere per qualunque vostra curiosità, recensite e.... alla prossima con l'arrivo di Silissa ;) Vi penso sempre u.u ciaoooo e buon primo maggio!]

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Capitolo 33
*** -26- La fine della maledizione ***


Quella notte il vento cantava sulle distese innevate dei terreni gelati di Beluslan. Intirizziti dal freddo io e Dhanael ci stringemmo nei nostri lunghi cappotti con l'intenzione di raggiungere la zona residenziale più lontana dalla fortezza. Era lì che a detta di Brahm abitava Silyssa, la fattucchiera che forse, avrebbe posto la parola fine alla maledizione del mio migliore amico.
Per tutto il tragitto Dahnael non aveva proferito neanche una parola. Era rimasto zitto, e il solo rumore era causato dai nostri passi cadenzati nella neve.
I nostri stivali si alzavano e si abbassavano affondando in quella soffice coltre di ghiaccio a ritmo regolare.
"Ehi Dahn...", l'avevo chiamato poi timidamente, stanca di quell'eccessivo e pesantissimo silenzio.
"Mh?", lui si era voltato un po' smarrito. Come se la mia voce lo avesse risvegliato da chissà quali pensieri.
"A che pensi?", gli domandai.
Lui non parlò subito, si concesse qualche altro minuto di silenzio poi annuì. "A niente", disse infine con un sospiro sconsolato.
Lo osservai preoccupata, quel suo sospiro non  mi aveva convinta. "Sai che non ti credo...".
A quella frase il mio amico sorrise teneramente. "Pensavo a me e Lacie".
Ammutolii. Immaginai fosse un argomento delicato di cui a Dahn non premeva mai di parlare. 
"Pensavo ai progetti che ogni tanto le sfuggono su di noi... alla nostra storia...". Si fermò, rimanendo ritto sulla neve a guardare lontano.
"E pensavo che non so se sarò mai in grado di darle quello che vuole o se sarò costretto ad infestare la fortezza di Adma con Karemiwen per sempre".
"Smettila", lo rimproverai indignata. "Sono certa che Silyssa avrà una soluzione... ha la fama di essere una strega potente".
Dahn annuì distrattamente, come se avesse voluto farmi contenta e riprese a camminare finchè non fummo giunti di fronte alla zona residenziale di cui Brahm ci aveva parlato.
"Oh, eccoci", aveva detto Dahn tetro guardandosi intorno. "E' un posto abbastanza squallido per una zona residenziale, non trovi?".
Valutai con lo sguardo che forse non aveva tutti i torti, ma senza aggiungere altro mi misi a cercare con gli occhi la casa che più mi facesse pensare all'abitazione di una fattucchiera.
Ce ne fu una, poco in fondo alle altre, ad attirare misteriosamente la mia attenzione.
Era rosa, di una forte colorazione accesa, ma le tegole erano scure e stonavano un po' con il resto del prospetto.
"Che ne dici di quella?", dissi a Dahn indicandola con il mento.
Il mio amico annuì. "Suonare non costa nulla... sempre che non ci trasformi in ribbit".
Scoppiai a ridere e insieme ci avviammo verso quella strana abitazione. Due alberi spogli erano l'unico adorno del giardinetto antistante, e una panchina deflorata dalla ruggine e dal tempo sembrava spiccare solitaria in un angolo del giardino, poco vicina ad un aiuola di rose invece coloratissime.
Quando Dahn si fermò davanti la porta e tirò l'elegante campanella, rosa anch'essa e decorata da mille ghirigori, la porta si aprì seduta stante, ma nessuno stava dietro ad attenderci.
Io e il mio amico ci scambiammo un'occhiata comprensiva, poi fu Dahn a fare ingresso per primo. Lo vidi sfiorare istintivamente con le dita i suoi revolver ma non li tolse dai foderi. Non sarebbe stato carino presentarsi in casa altrui con due revolver sguainati e l'aria tutt'altro che amichevole.
Ad un certo punto da una polverosa soffitta in legno spuntò una curiosa testolina dalla fulva chioma rossa. "Oh", disse coi capelli pensolanti perchè si era sporta dalla ringhiera. "Ospiti!", sorrise smagliante stirando le piccole labbra a cuore e cominciò a scendere le scale senza tanta fretta.
Io e Dhan avevamo avuto il tempo di studiarla in tutta la sua discesa. Teneva una mano alla ringhiera di legno. Le unghie erano affilate ma curatissime e dei pesanti bracciali le adornavano il polso.
Quanto al vestito, era chiaramente provocante e ricercato. Mi ritrovai a pensare che doveva esserle costato un occhio, sebbene fosse tanto colorato e stravagante.
Silyssa ci venne davanti e ci osservò curiosa con i due grandi occhi rossi e pesantemente dipinti. Un trucco da lolita le tagliava in croce entrambe gli occhi e lunghi e lisci capelli rossi, come una cascata rubino, le solleticavano le spalle totalmente scoperte.
Mi sfuggì un sorriso quando notai il bustino del vestito della fattucchiera che richiamava le forme di un simpatico gatto nero col pelo ritto e la coda attorcigliata. Quanto poi alle calze, erano a rombi, nero e viola.
"Ciao", aveva detto allegramente visto che nè io nè Dahn avevamo proferito parola.
Udimmo da qualche parte il miagolio di un miol gatto, che immaginai dovessero essere la sua passione, ma non lo vidi.
"Ci... ciao!", tentai di replicare disinvolta. "Perdonate il disturbo, lady Silyssa".
Silyssa si accigliò alle mie parole. "Per quanto io possa essere vecchia, cara... gradirei che non mi fosse dato del lei!", terminò schietta cercando di ammorbidire la sua espressione in un sorriso.
Annuii spaesata. "Oh, scusa, perdonami!", avevo detto con una mano sulle labbra, "non volevo recarti offesa".
La fattucchiera fece un gesto spiccio con la mano, come a voler dissolvere quei cattivi pensieri e si accomodò su una maestosa poltrona rosa incrociando le gambe.
"Allora...", cominciò giungendo le mani in grembo sempre col solito sorriso dolce. Non potei dire quanto quel sorriso potesse essere dolce in realtà, chissà a Dahn, ma a me inquietava di brutto. 
"A cosa devo questa... visita?", allargò i palmi teatrale passando poi ad acconciarsi i capelli con una mano.
Nel movimento studiato della giovane notai sbucare, dalla cascata dei capelli, due curiose orecchie a punta, e in quel momento tutto mi fu più chiaro.
Tutti gli asmodiani dalle orecchie a punta avevano discendenze elfiche, e ognuno di loro era molto più propenso a trattare di vicende oscure di quanto non lo fossero gli asmodiani come me, di umili origini umane.
Si narrava che chi era per metà Daeva e metà elfo godesse di capacità decisamente superiori. Quanto di questa diceria fosse vero, però, era tutto da vedere.
"Si tratta di una maledizione", avevo detto tentennando sui piedi mentre mi accarezzavo nervosamente una ciocca di capelli bianchi
In quel momento il sorriso di Silyssa si fece decisamente inquietante e i suoi occhi passarono in rassegna la figura di Dhan ritta di fianco a me, poi le sue labbra tornarono a cuore. Il viso divenne attento e pensoso.
"Caspita ragazzo, devi proprio essere messo male". Arricciò il naso, come se un cattivo odore l'avesse disturbata ed in quel momento un grosso gatto nero, che si era fatto largo prepotentemente tra di noi, le balzò in grembo.
Senza scomporsi più di tanto Silyssa sorrise intenerita al suo miol e prese ad accarezzarlo massaggiandolo dietro le orecchie con gli artigli.
Io dal canto mio ero rimasta scossa dalla sua acuta osservazione. 
Per quanto sembrasse strampalata e distratta, aveva centrato perfettamente il nodo della questione.
"Tuttavia...", aveva continuato la giovane fattucchiera mentre continuava ad accarezzare il gatto con una vacua espressione tenera, "certi favori richiedono grosse quantità di kinah, oltre che... lasciamocelo dire... un pizzico di fortuna".
Dahnael corrugò la fronte ma lo trattenni per un braccio prima che potesse compiere un qualche passo falso.
"Non eravamo qui per la sua maledizione... ma se sei in grado di dirci quanto può essere risolvibile, sarebbe anche una buona cosa".
Alle mie parole Silyssa lasciò scendere gentilmente l'animale e una volta che le sue gambe furono libere balzò in piedi trotterellando alla volta di Dahn. Qui, sollevatasi in punta di piedi, avvicinò il suo visino curioso e truccato a quello di Dahn, talmente vicino che sembrava volesse contarne il numero delle ciglia.
"Mh...", mugugnò col gonnellino di toulle che si sollevava a scoprirle un'ampia porzione di cosce chiare.
Dahn era rimasto immobile, in attesa di una sentenza.
"Nah, niente da fare ragazzo...", scrollò le spalle, "ci sei dentro fino al collo".
Vidi le spalle di Dahn cadere per un sospiro più lungo di tutti gli altri.
Anch'io assunsi un'espressione addolorata, e mi domandai come facesse Silyssa a liquidare in questo modo e con tanta disinvoltura una situazione talmente grave.
"In ogni caso..." tentai di riprendere, "Ci hanno mandati da te per mostrarti questo". Infilai la mia mano artigliata nella borsa e i miei palmi si chiusero intorno al ruvido seme che avevo custodito con parsimonia fino a quel momento.
Quando lo strinsi percepii in esso una vibrazione che non avevo mai sentito prima d'allora e che mi costrinse a lasciarlo cadere sul pavimento con un'imprecazione. 
"Ahi!", gemetti. Come potevo essermi scottata?
A Silyssa non sfuggì un dettaglio di tutto ciò che accadde in quei pochi secondi. Seguì con lo sguardo incantato il seme che rotolava per la moquette che rivestiva il suo pavimento e si fermò su di esso quando questo le fu praticamente davanti ai piedi.
"Divino Aion!", aveva mormorato colpita chinandosi a raccogliere l'oggetto e tenendolo tra le mani come fosse un raro cimelio.
Io e Dhan ci scambiammo un'occhiata interrogativa nell'attesa di un chiarimento.
"Quali mani magnifiche, quale mente insigne ha racchiuso in un misero seme tutto questo immenso potere?", aveva detto stupefatta la fattucchiera rigirandoselo sul palmo deliziata.
"Questo seme...", tentai di spiegare a una Silyssa apparentemente in trance, "proviene dalle segrete di Adma, lo custodiva il fantasma del legionario del Cielo rosso, Villaire".
"Il cielo rosso...", aveva mormorato come da eco la fattucchiera.
"E' probabile che c'entri con la maledizione di Dahnael e con la contaminazione di Brushtonin?".
Silyssa stava ancora rimirando quello che apparentemente appariva l'osso di un frutto poco più grande di un pugno e senza neanche dire una parola aveva salito le scale scomparendo nuovamente in soffitta. Tornò poco dopo, tutta eccitata, con un grosso tomo polveroso tra le mani.
Con un tonfo sonoro lo aveva appoggiato malamente su un tavolino e aveva iniziato a sfogliarlo frenetica alla ricerca di una pagina, poi aveva cominciato a leggere in una lingua arcana e sconosciuta che io e Dahn non riuscimmo a comprendere neppure impegnandoci. Elfico? Elisiano? Ibrido?
Tossicchiai, sperando di attirare nuovamente la sua attenzione, ma temevo che se l'avessi infastidita avrebbe potuto realmente trasformarci in ribbit e rinchiuderci in una gabbietta. 
L'idea mi preoccupò alquanto, ma confidai nel suo buonsenso.
E se Silyssa non avesse voluto distruggere quel seme una volta avutolo tra le mani? Dopotutto era una fattucchiera molto votata alle arti oscure. Avrebbe potuto volerlo tenere per studiarne il maleficio. Notai dall'espressione di Dahn che anche lui sembrava avere avuto lo stesso pensiero.
"Questo seme è la causa di ogni contaminazione...", aveva mormorato la fattucchiera accarezzando pensierosa la pagina del tomo in cui stava leggendo. Non ci fissava. Sembrava stare fissando molto lontano. In qualche luogo a noi precluso vagavano i suoi oscuri pensieri. 
Dahn intanto era attento, potei dire, quasi speranzoso. Respirava più velocemente e potevo notare dai suoi piccoli movimenti i suoi nervi tesi.
"Distruggendolo... tornerei il Daeva di sempre?", domandò il mio amico sfiorando il braccio della fattucchiera con una mano.
La ragazza parve risvegliarsi a forza da quello stato di trance. Lanciò un'occhiataccia a Dahnael che aveva osato sfiorarla e incrociò le braccia al petto minacciosa.
"Datemi un motivo per cui io debba farlo", disse infine altezzosa. "Distruggere un oggetto di tale potenza...", aveva detto con un'inclinazione della voce inquietante.
Dahnael boccheggiò in difficoltà, senza realmente sapere cosa dire.
"Asmodae!", intervenni io svelta. "Restituiresti la vita a una parte di Asmodae ormai distrutta".
"Coloro che sono infetti e che hanno compiuto la loro mutazione non torneranno a essere quello che erano", disse Silyssa capricciosa.
"E per quelli come me? C'è speranza?".
La fattucchiera storse il labbro un po' contraria a doverlo ammettere. "Forse..." buttò lì vaga.
"Devi farlo Sily!", dissi supplicante, "Potrai chiederci quello che desideri una volta distrutto quel seme".
La fattucchiera mezz'elfa parve valutare la mia proposta e riflettere sui suoi vantaggi.
"Mi chiedi di scegliere una ricompensa?", aveva detto deliziata studiandosi il corpetto sovrappensiero.
Annuii con vigore.
"Essia...", aveva concluso infine premendo tra le mani il seme e stringendolo con forza in un pugno. "Ma prima devi garantirmi qualcosa di molto prezioso... qualcosa di immensamente raro...", Silyssa si passò la punta della lingua sul labbro inferiore compiaciuta e i suoi canini rilucettero minacciosi.
"Cosa?", domandai risoluta. Qualunque prezzo non sarebbe stato alto se lo avessi fatto per il mio amico Dahn.
"No Selh...", stava tentando di intervenire lui.
"Cosa?", scandii quella domanda con una nuova risolutezza nei miei occhi scarlatti.
Silyssa mi guardò negli occhi, con aria di sfida. Le sue pupille ridenti tremolarono mentre mi scrutava a fondo senza dare alcuna attenzione a Dahnael che era intento a spostare lo sguardo dall'una all'altra.
"Il sangue di un elisiano innamorato... e so... che tu puoi procurarmelo!".
Smisi di respirare e per poco non ebbi un mancamento. Le mie gambe tremarono minacciosamente mentre dovetti trattenermi al tavolo davanti a noi.
"Come... com'è possibile...?", balbettai confusa.
"Che io lo sappia?", chiese Silyssa giocherellando con un bracciale.
Annuii. 
"Ho le mie risorse, giovane Daeva, e posso garantirti che sono poche quelle che come noi riescono a rubare il cuore a un elisiano".
Non capii. Mi accorsi che le mani mi stavano tremando. Temevo per me. Per l'incolumità di me e di Velkam.
Come lo aveva scoperto? 
Perfino Dahnael appariva teso e preoccupato.
"Allora lo farai?".
"Solo se tu...", esordii timidamente.
"Se pensi che io possa denunciarti alle autorità puoi stare tranquilla. Portami quella fiala di sangue elisiano, dopodichè sarà come se non ci fossimo mai viste".
Tirai un sospiro di sollievo, poi vidi Silyssa incidersi una mano con un tagliacarte e lasciare cadere una goccia scarlatta di sangue su un foglietto di pergamena che aveva strappato dalla fine del tomo.
"E' un patto di sangue, Selhen".
Sobbalzai, come faceva quella fattucchiera a conoscere il mio nome? E cosa avrebbe comportato quel patto se non fossi riuscita ad adempiere alla mia promessa?
La fattucchiera mi tese il tagliacarte. Rimasi a fissarne la lama un po' spaventata.
"No Selhen...", era tornato a dire Dahn, ma non lo ascoltai, e prima che lui potesse fare qualcosa per dissuadermi, lacerai la carne della mia mano e premetti il palmo sul foglio, esattamente sul sangue di Silyssa che sigillò il tutto con una melodiosa formula arcana di parole sconosciute.
"Il patto è siglato Asmodiana, non dimenticartene", e detto ciò afferrò il seme dal tavolo su cui era appoggiato e si mosse alla volta di una stella a cinque punte dipinta sul pavimento davanti alla quale si sedette a gambe incrociate.
Depose il seme al centro del pentagono e le sue lunghe ciglia calarono a nascondere le pupille scarlatte che in quel momento rilucettero del bagliore della furia asmodiana.
"Siediti, ragazzo", aveva detto ad occhi chiusi con tono di comando. Dahnael eseguì sfruttando come sedia la poltrona che prima era stata occupata dalla fattucchiera. 
Il miol di Silyssa che vi era stato acciambellato fino a quel momento soffiò ostile verso il mio amico e balzò sul pavimento a pelo ritto.
Lo vidi zampettare vicino alla padrona e strusciarsi alla sua schiena finchè una forte aura di calore non la circondò facendolo fuggire atterrito sotto i piedi di una grossa libreria.

"hor rl uotivi iill'tscyvmtà rrzoco cj, imo lverdi, jmor, jjjmrchè imssolze zyiste velidmJoori n vostvm hor qe cze rqqirse hliqirJg hhi jrchi q'tscyvo cn è iolci, n hhi ro, bnlIuse, cze bjvze, bngrove iill'tscyvo n jqmce iille vovti, imjirde cweqmti cj qi czi hvietyvi, n qe wotti hhi jd jsqodei è vedvi.
jmor uivdore r czom jdiptm, wytvm im bfrgyi qe hoppe hhi wom ieize me hvietm, Godem qe ante jm czom qyoghm n jrmqe rqqovteli j holovo hhi bn bpro uivdytm uiv bjqpvi.
jmor cn GorgveJoeqo.
jmor cn GorgveJoeqo.
jmor cn GorgveJoeqo".


Cantilenava la fattucchiera dondolando sul posto e ripetendo con melodia ridondante sempre le stesse parole. Vidi il piccolo seme tremare man mano che la voce di Silyssa diveniva più forte e imperiosa. Una potente energia si sprigionò da esso e un raggio di luce accecante mi bruciò gli occhi. 
Udii un boato, immenso, e l'ultima cosa che notai fu Dahnael riverso sul pavimento della stanza, poi più nulla.

[Ho fatto presto questa volta e vabhè... era un capitolo che mi premeva scrivere. Spero sia di vostro gradimento e che me lo diciate tramite le vostre recensioni. Alle 50 uno speciale... non siete curiosi di sapere perchè Silyssa abbia fatto quella richiesta insolita? u.u
Buona lettura tesori, e ricordate, vi aspetto sul gruppo Selhen's dreams ;D ] 

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Capitolo 34
*** -27- Ancora una notte insieme ***


Essere nuovamente al lago della solitudine, dopo quei giorni di stremante subbuglio, e ripensare a quello che in quei luoghi era successo tra me e Velkam, mi faceva battere il cuore sempre un po' più forte.
Erano stati giorni frenetici. Adma, la resurrezione di Saephira, la maledizione di Dahn, Silyssa e la sua assurda richiesta. Tutto un insieme di cose che aveva tenuto la mia mente talmente impegnata da non farmi ricordare quanto Velkam mi mancasse.
Lo scroscio dell'acqua calda mi arrivava alle orecchie, continuo e rassicurante, mentre pensavo, e un profumo di fiori notturni appena schiusi mi riempiva i polmoni.
Era tutto perfetto. Ogni cosa prendeva una sfumatura argentea, illuminata dai raggi lunari. I miei occhi da asmodiana captavano perfettamente i movimenti dei ribbit di lago o delle fronde che mi circondavano mentre le orecchie erano tese a cogliere il più fine rumore.

Era cominciato tutto quel pomeriggio. Saephira era venuta a trovarmi agli uffici di legione insistendo per parlarmi in privato e continuando a dirmi che aveva qualcosa di urgente da riferirmi.
Avevo terminato le mie faccende e così avevo deciso di concederle qualche minuto del mio tempo per capire cosa avesse di tanto importante da dirmi.
La mia amica mi stupì, quando senza mezzi termini mi porse un rotolo di pergamena. Teneva gli occhi serrati e il braccio teso, come se stesse facendo qualcosa di sbagliato, come se fosse pentita di quel gesto, e i suoi occhi avevano un'espressione combattuta quando li aveva riaperti per fissare la mia espressione interrogativa.
"Cos'è?" domandai sciogliendo il nastro che la sigillava. Il filo di raso cascò sul pavimento di pietra di piazza Pandemonium, poi i miei occhi scorsero la grafia spiccia e spigolosa che riportava solo pochissime righe.

Ti aspetto al lago della solitudine domani a mezzanotte. Sempre tuo, 
Velkam


 Era scritta perfettamente in asmodiano e mi concessi solo qualche altro secondo per studiare ogni singolo dettaglio dei tratti di quel testo. Il corpo della grafia era svelto e sicuro, un po' ingarbugliato.
Quella lettera era stata scritta dal pugno di Velkam. 
Come era riuscita Sae ad ottenerla?
"Chi... come l'hai avuta?", domandai infine richiudendola frettolosa e infilandola a forza sul fondo della bisaccia.
"L'assassino, il tizio amico del tuo cacciatore. Mi ha praticamente teso un agguato ieri notte", disse imbronciata Sae sistemandosi nervosamente il fermaglio tra i capelli.
La sua frangia era scombinata, come se l'avesse tormentata tutto il tempo con le dita della mano, e gli occhi erano un po' stanchi e provati.
Non potei fare a meno di sorridere, nonostante la sua espressione combattuta e addolorata. Lei non poteva capire, non aveva idea di cosa significasse per me quella lettera!
Il sorriso si estese perfino ai miei occhi, mi illuminai, come se in quel momento fossi tornata a vedere tutto colorato. Il respiro che presi sembrò realmente darmi la vita.
Mi accorsi solo in quel momento di quanto Velkam mi era mancato fino a quel momento. Stritolai Saephira in un abbraccio, tutta presa dalla contentezza, ma notai che la sua stretta fu molto meno energica della mia.
"Sono preoccupata Selh, devi stare attenta...", aveva mormorato perchè solo io potessi sentirla.
"Non c'è nulla di cui preoccuparsi, Tess", era così che la chiamavo nei momenti di più eclatante affetto. Tess era un modo per abbreviare la parola tesoro, e lei per me lo era, era un vero tesoro, era una delle cose più importanti della mia vita, dopo Velkam naturalmente. 
Saephira sospirò e il nostro abbraccio si sciolse. "Se dovesse accaderti qual..."
"Shhh...", la interruppi accigliata, "Sae... lo amo".
La barda giocherellò malinconica con una ciocca dei suoi capelli, poi i suoi occhi azzurri ed espressivi fissarono i miei, e le sue labbra si distesero in un timido sorriso. "Per te ci sarò sempre, lo sai, vero Tess?".
Annuii. Certo che lo sapevo, e anch'io avrei potuto dirle lo stesso, ma non parlai. "Grazie", dissi infine in un mormorio, solo questo. E stavolta ci abbracciammo, ci abbracciammo forte, e potei percepire in quell'abbraccio tutto il calore e il conforto di cui in quel momento avevo bisogno

Adesso era mezzanotte, nel paradiso del Katalam, e io giacevo silenziosa sull'erba, con le gambe stese su di un fianco e il viso rivolto alla cascata d'acqua calda che scrosciava rumorosa quando si infrangeva sulla superficie del rigagnolo.
Potevo quasi rivedere, come in un flash, Velkam che mi baciava. Potevo rivedere tra quei vapori i nostri corpi avvinghiati fino a volerci rubare anche l'ultimo respiro.
Calai le palpebre e ricordai. Ricordai quanto alla fine non fosse contato essere così diversi, così distanti.
Era stato tutto così semplice, così naturale. Eravamo solo noi in quel momento.
Davanti a me non c'era un elisiano. C'era solo Velkam, indipendentemente da quale rango, classe o fazione appartenesse.
Non eravamo più guerrieri. Nè nemici. In quel momento ci amavamo e basta.
E non si poteva dare una spiegazione razionale a un sentimento di tale portata.
Nel silenzio più assoluto qualcosa guizzò dietro di me, ma se fosse stata una minaccia non avrei avuto nemmeno il tempo di rendermene conto.
Due mani mi avevano afferrata, delicate, e le sentii... sentii le sue labbra premere sul mio collo. Con la mano mi aveva coperto la bocca per non permettermi di urlare se mi fossi spaventata e il suo solido petto premeva contro le mie spalle, mentre mi stava inginocchiato dietro. Aveva usato la sua invisibilità, ed era stato incredibilmente silenzioso.
"Ciao Asmodiana", mi sussurrò melodioso, ad un orecchio.
Il cuore iniziò a battermi frenetico mentre la sua mano scivolava dalle mie labbra per lasciarmi libera di parlare.
"Velkam", mormorai agitata, voltandomi. 
Lui era là, bello come sempre. Bello come la prima volta in cui lo avevo visto, come la prima volta in cui mi aveva lasciata andare, con la sua aria austera e boriosa. I suoi occhi verdi erano ridenti nel semibuio di quella notte e le sue labbra appena atteggiate in un sorriso sghembo. 
Mi concessi qualche secondo per ripassare la sua immagine nella mia mente, per fissare ogni dettaglio di quel viso che i miei occhi da asmodiana potevano scorgere, poi gli gettai precipitosamente le braccia al collo per stringerlo a me.
Percepii le sue braccia ricambiare quella stretta con altrettanta energia. 
Respirai a fondo il suo profumo, come se fosse stato quello il mio vero ossigeno. Scorsi i palmi sulle sue braccia nude e muscolose, strinsi con energia le dita sul suo giubbino in pelle. Non volevo che se ne andasse, sentivo che non ce l'avrei fatta a sopportare una nuova separazione. Sentivo che quel momento sarebbe durato troppo poco, e che quegli attimi rubati, per noi due sarebbero stati sempre insufficienti.
"Mi sei mancato, terribilmente...", avevo sussurrato con una fitta dolorosa allo stomaco mentre mi abbandonavo a quella stretta come per saziare la mancanza che avevo patito fino a quel momento.
"Anche tu, Selhen, anche tu...", mi aveva risposto lui affondando una mano morbida tra i miei lunghi capelli albini.
Velkam spostò la punta del suo naso tra di essi e respirò, come se avesse avuto bisogno di sentirmi tra le sue braccia, come se avesse voluto imprimersi nella mente il mio profumo.
Faceva appello ad ogni senso. Le sue mani scorrevano lungo i miei fianchi mentre mi stringeva, e le sue labbra si erano precipitate con urgenza sulle mie.
"Mi è mancato tutto di te... non ce l'avrei fatta a starti ancora lontano".
"Cos'è successo?", gli domandai tra un bacio e l'altro senza sciogliere comunque quell'abbraccio.
Velkam mi baciò ancora, lento, poi rimanendo con le sue labbra sulle mie parlò. "Mi tengono sotto controllo, per via di una soffiata".
Mi incupii, e voltai il viso da una parte per riflettere. "Mh... c'era da aspettarselo".
A quel punto il cacciatore elisiano mi si sedette accanto, lasciando che mi rannicchiassi a lui. 
Chiusi gli occhi quando lo feci e la sua mano mi sfiorò il viso delicata.
"Sta diventando tutto molto più complicato", mormorò mentre scorreva la punta dell'indice sul dorso del mio naso. "Il nuovo governatore.. Silence, mi ha nominato suo Generale".
A quella parola sussultai. "Generale?!", quasi urlai. Dovetti abbassare il tono, mentre con gli occhi spalancati mi ero voltata a guardarlo seriamente preoccupata.
"Non avrei potuto rifiutare l'incarico o avrei destato sospetto...", disse Velkam spiccio prendendo nuovamente il mio mento tra le dita per sollevarlo all'altezza delle sue labbra. "ma questo non ci fermerà comunque", mi rassicurò dolcemente sfiorando le mie labbra con le sue.
"Sì...", risposi piano chiudendo gli occhi per lasciarmi andare ad  un nuovo bacio trasportato.
C'era un che di disperato in quel gesto. Era come se, mentre ci baciavamo, le nostre mani cercassero quel contatto troppo a lungo negato. Gli accarezzai i capelli, all'attaccatura delle orecchie, poi tenni la sua testa tra le mani e premetti ancora più forte le mie labbra sulle sue. Lo volevo vicino a me, il più vicino che mi fosse possibile.
Volevo sentire quella sensazione di sicurezza che provavo solo tra le sue braccia.
"Ti amo troppo per perderti", mi aveva mormorato infine poggiando il palmo sul mio collo.
Gli rivolsi lo sguardo più sincero che avessi potuto assumere. Uno sguardo colmo di mille richieste. Uno sguardo che lo implorava di non lasciarmi, di non abbandonarmi, di non morire.
Non mi importava niente del fatto che fosse un elisiano, che fosse un Generale, mi importava che non lo condannassero a morte, perchè se mai fosse successo ne ero certa, io l'avrei seguito.
"Velkam, voglio te per sempre...", gli dissi implorante e con la voce colma di emozione.
"Ti appartengo già...", mi rassicurò lui. Poi le sue labbra tornarono a baciare le mie, scivolarono sul mio collo, percorsero il petto che il vestito mi lasciava parzialmente scoperto, e le sue mani mi accarezzarono i fianchi mentre mi invitavano delicate ad adagiarmi sull'erba.
Eseguii, senza pensare a niente. Lasciai che i suoi baci mi annebbiassero la mente e che il suo respiro mi cullasse ancora una volta in quell'angolo di paradiso dimenticato da tutti.
Avrei avuto così tante cose da dirgli. Avrei dovuto raccontargli di tutti gli eventi singolari che mi erano capitati, avrei dovuto riferirgli che l'intuizione che aveva avuto su Adma si era mostrata fondata, che adesso Dahn era libero dalla maledizione grazie a lui, e per finire, avrei dovuto chiedergli una fiala del suo sangue. Domanda insolita, a cui non avevo idea nemmeno di come avrebbe risposto. 
Ma in quel momento non mi importava niente. Contavano solo i suoi baci.
Al resto, avremmo pensato a tempo debito.


[Attualmente sono ispirata quindi vado celere con la pubblicazione. Poi oggi ho avuto un attimo di riposo che mi ha concesso di dedicarmi alla scrittura (il mio passatempo preferito).
Noto dalle visualizzazioni che siete in tanti a seguirmi e il mio cuore è coooolmo di gioia *-*
beh ragazzi, spero di tenervi ancora col fiato sospeso per questa fic, e spero davvero che gradiate il mio lavoro <3
Volevo chiedervi, piuttosto, ripensando al capitolo precedente. Avete capito come e cosa recita Silyssa? 
Ci tenevo ad informarvi sul fatto che è un discorso di senso compiuto che può essere compreso solo se leggete il testo in un certo modo u.u 
Su su, vediamo se indovinate e se qualcuno riesce a comprenderlo. Muahahah io non vi do aiuti ma se state leggendo questa fiction e vi piace magari potreste anche essere in grado di arrivarci e avere il lampo di genio che vi permetta di scoprire che cosa significa u_u
Peace&love
Al prossimo capitolo, sssciao belli!!]

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Capitolo 35
*** -Speciale 50 recensioni- I morti possono danzare ***


Quella notte nell’antro di Grigol, una grande miniera di id, l’unica fonte di luce erano i cristalli di Idium. Rilucevano sinistri, incastonati nelle massicce pareti rocciose di quel macabro luogo del sottosuolo del Katalam. 
Con un salto svelto e agile Araziel si era arrampicato su una roccia sopraelevata al centro della miniera, proprio accanto alla grande statua silenziosa di un immenso colosso, fedele riproduzione dell’immagine del mostro che dimorava in quell’antro.
Gli occhi verdi del tiratore scelto scandagliarono dall’alto ogni angolo di quel luogo buio, non facevano alcuna fatica a mettere a fuoco neanche i movimenti più insignificanti dei klaw saccheggiatori e delle loro zampette esili sul terreno.
“Nessuno traccia di Grigol “aveva detto il rosso accovacciandosi in cima alla roccia, come in agguato.
Sotto di lui un curioso ragazzetto minuto, tutto assorto nel gesticolare con le braccia in una sorta di riscaldamento, aveva voltato il capo e lo aveva osservato con due grandi occhi neri. Il ciuffo gli ricadeva sulla fronte e a dispetto dell’età che poteva dimostrare, una sfavillante armatura dell’abisso  gli splendeva addosso.
“Zio mastro...”, aveva detto Araziel, “mi sa che dovremo cercarci un altro passatempo”. Il piccolo chierico aveva allargato le braccia nella loro massima estensione, le aveva poi richiuse, l’una davanti all’altra, giungendo perfettamente le mani, e aveva sollevato la gamba, ben tesa, come a sferrare un calcio nel vuoto. “Uhm...” aveva mugugnato con una voce che sembrava appartenere ad un ragazzo molto più grande dell’età che dimostrava, “non mi sembra per niente una cattiva idea”.
“Io ci sto!” era risuonata forte e chiara una voce femminile dal tono strascicato e suadente. Poco distante da loro era comparsa dal nulla la sagoma minuta di una giovane asmodiana dalla chioma riccia e fiammante.
Un sorrisetto sghembo aveva lineato le labbra del ragazzo chierico nel vedere avanzare verso di loro, a passo sinuoso, l’assassina. Era rimasta invisibile per tutto il tempo e li aveva seguiti in tutto il giro di perlustrazione con l’intenzione di cogliere di sorpresa qualunque elisiano si fosse imbattuto nei loro passi.
Con un balzo attento Araziel si era gettato dalla roccia e aveva attutito la caduta rannicchiandosi sul pietrisco prima di tornare in posizione eretta. Aveva sguainato i suoi revolver e la parvenza di un sorriso aveva animato il suo volto. ”Prima le signore” aveva detto teatrale rivolgendosi a Flamet, l’assassina dai capelli rossi. Questa, senza lasciarselo ripetere due volte aveva piantato sul bel viso da bambolina un ghigno chiaramente inquietante ed era tornata a dissolversi poco dopo, sparendo dalla loro vista.
Mastrogeppetto, così si faceva chiamare il giovane chierico che li accompagnava, si era avvicinato ad Araziel e aveva pronunciato numerose formule magiche a protezione del compagno, poi, quando il tiratore aveva cominciato ad avanzare guardingo, lo aveva seguito a passo svelto e attento.
Mastro era un chierico parecchio ricercato; da un po’ di tempo amico di Araziel, avevano collaborato spesso durante gli assedi alle fortezze dopo che Lohan aveva trovato legione e quindi i suoi impegni non gli avevano più permesso di essere tanto presente. 
Da qualche tempo tiratore e chierico, insieme a qualche compagno di ventura, erano soliti inoltrarsi nei meandri del sottosuolo alla ricerca di squadroni di elisiani da massacrare. Quella sera era toccato a Flamet far loro compagnia: la sadica assassina con un antipatia innata per i tiratori scelti.
Stavano attraversando uno dei deserti corridoi del sottosuolo del katalam, adesso. Fili di ciuffi d’erba spuntavano dalle fessure dei muri diroccati, le strade ormai cadute in rovina scricchiolavano sotto i loro passi. Fu proprio quando svoltarono l’angolo che li colse di sorpresa un rumore di andature pesanti. 
Immediatamente Araziel balzò in posizione d’attacco e così Mastro, che aveva impugnato la mazza poco prima assicurata al fianco.
Dovettero attendere solo qualche secondo, poi eccoli là: pelle rosea e lineamenti delicati, nessuna coda né artigli. Erano elisiani, ed erano tanti...
Cinque pennuti dall’aria aristocratica avanzavano verso di loro e anche loro avevano già tirato fuori le armi.
Erano sicuramente in sovrannumero, ma questo non preoccupò Araziel, il quale non fece altro che caricare entrambi i due revolver osservando la combriccola di elisiani che avanzava verso di loro. Con una veloce analisi tentò di studiarne il punto debole.
In effetti un punto debole c’era: un chierico che doveva cadere per primo se avessero voluto far fuori il resto del gruppo.
Gli occhi di Araziel in quel semibuio si illuminarono, e nonostante lo svantaggio numerico un’espressione risoluta gli si dipinse in volto. Era pronto a combattere, come sempre, come in accademia e nella vita gli era stato insegnato. Mastro era con lui e questo lo rassicurava.
Vide gli elisiani avanzare e fermarsi ad una certa distanza, indugiando. 
Quello che sembrava essere il capo del gruppo indossava una maschera che gli copriva parzialmente il viso, aveva i capelli rossi, e una grossa orbe sospesa tra le mani. Un fattucchiere la cui sagoma gli ricordava qualcuno di familiare. 
L’elisiano diede segno di escandescenza, la sua fronte dovette aggrottarsi sotto la maschera, poi una voce molle e strascicata pronunciò il suo nome: “Araziel…”. 
Il tiratore scelto arricciò il labbro in segno di ostilità. All’improvviso quella maschera gli aveva riportato alla mente un ricordo alquanto spiacevole. Un ringhio quasi spontaneo uscì dalla sua gola e il suo sguardo assunse chiaramente un'aria letale : ”Ci rivediamo…Cohaku..”. 
Il fattucchiere elisiano abbozzò un ghigno di scherno e in quel momento di silenzio e stasi fu Flamet a cogliere tutti di sorpresa. Con la fulminea prontezza di cui solo lei era capace, era sbucata dal nulla, e prima ancora che il chierico della combriccola elisiana potesse accorgersi della sua silenziosa presenza, con un ringhio quasi animale l’assassina asmodiana aveva conficcato tra le scapole dell’ignaro nemico uno dei suoi pugnali. Un sorriso sadico e crudele aveva sfigurato il suo bel viso, e i suoi occhi accesi indirizzarono uno sguardo di intesa ad Araziel mentre con la mano libera passava a tagliare la gola dell’elisiano ormai rantolante. 
Colti di sorpresa, ma pronti a reagire, gli elisiani avevano subito concentrato la loro attenzione su Flamet. 
L’assassina, fulminea, con un rapido scatto all’indietro, si era lanciata con balzo quasi felino alle spalle del tiratore scelto del gruppo, mentre gli incantesimi curativi di Mastro la rendevano indenne e invulnerabile agli attacchi dei due nemici che aveva addosso. 
L’attenzione di Araziel si concentrò immediatamente sul fattucchiere a capo del gruppo, cercò di prendere la mira e sparò prima con un revolver e poi con l’altro. Imprecò quando i colpi non andarono a segno. Cohaku era stato svelto, e pronunciata una formula magica aveva evocato una robusta barriera protettiva che aveva ostacolato i proiettili nel loro tragitto. 
A quel punto Araziel aveva pronunciato uno degli incantesimi più utili che gli erano stati insegnati per inibire temporaneamente le capacità magiche dei fattucchieri, poi era passato all’attacco con l’intenzione di infrangere la barriera magica del nemico, ma proprio quando lo scudo magico si dissolse Cohaku lanciò di contro un incantesimo di sonno che costrinse Araziel ad un'immobilità temporanea.
Senza che il tiratore potesse fare nulla per impedirlo, il fattucchiere elisiano si sollevò in aria roteando come se una forza invisibile gli permettesse di levitare. Delle fiamme si sprigionarono intorno a lui accompagnate dalla voce cantilenante dell’elisiano e due nitidi draghi di fuoco si scagliarono contro il tiratore appena risvegliatosi. 
Con la freddezza e la rapidità che gli erano propri, Araziel schivò il colpo e un proiettile stordente colpì l’elisiano ormai privo di difese, ferendolo.
Sarebbe mancato il colpo di grazia se solo un incantatore staccatosi dal gruppo non avesse trasformando lui e mastro in spiritelli impazziti impedendo ad Araziel di concludere l’opera.
Quando Araziel tornò alle sue facoltà mentali si ritrovò addosso sia gli incantesimi del fattucchiere elisiano che quelli dell'incantatore. Sarebbe potuta finire male se un'imponente figura femminile con un balzo non si fosse messa tra lui e i due elisiani.
Pausania, un'altra compagna di ventura, con un tempismo perfetto aveva sferzato l'aria con il suo enorme spadone a due mani e aveva tirato verso di sè, con un laccio d'etere, l'incantatore. 
Presto le difese del secondo mago furono infrante e toccò ad Araziel sparare su di lui il colpo di grazia mentre Flamet si lanciava brutalmente contro Cohaku.
In quel momento di totale trambusto una nuova voce era emersa forte e chiara. Pausania non era da sola, con lei c'era Galthun, un altro chierico capace di cui Araz aveva fatto personale conoscenza quando aveva combatutto con la legione di Flamet.
Con due chierici e un'assassina forte e sadica come Flamet il gruppo di asmodiani era diventato totalmente intoccabile.
Rimanevano Cohaku e un elisiano cacciatore. Con un salto alla ceca il fattucchiere elisiano si mise in salvo dandosela letteralmente a gambe, sparì poco dopo, evocando svelto un portale. Quanto al cacciatore, sparì dalla loro vista, ma il gruppo di asmodiani rinunciò all'inseguimento e non se ne diede più cura.
"Tempismo perfetto, Pausania!", aveva detto Araziel con un sogghigno rimettendo le pistole nei foderi.
"Dillo forte", aveva detto la templare dalle forme prosperose riassicurando lo spadone alla sua schiena con pochissimo sforzo, sebbene fosse pesante.
"Anche il grande Araziel ogni tanto viene fregato dai pennuti, a quanto pare", lo aveva canzonato Flamet a braccia conserte. Le sue labbra succintamente rosse e truccate erano ricurve in un sorrisetto sghembo.
"E così questa notte mi ritrovo da solo tra i Deads can dance disseminati per tutto il sottosuolo.. mi sento fortunato".
Pausania sorrise affiancando Flamet. "In realtà noi Deads non perdiamo mai di vista i nostri legionari", ammiccò all'assassina rossa.
I Deads can dance erano una delle legioni più conosciute di Asmodae, famosi per essere abili guerrieri e per il carisma del loro capo. Araziel aveva conosciuto personalmente Malombras, anzi, gli era capitato piuttosto spesso di essere cercato da lei per Katalamize di ventura o combattimenti di svariato genere.
La piccola cacciatrice peperina aveva un vero atteggiamento da leader che agiva da fortissimo collante per tutti i membri della sua legione.
"Allora, ragazzi, come mai così numerosi in sottosuolo stanotte?", chiese Araziel rivolgendosi a Pausania.
Fu Galthun, il chierico dei Deads can dance a prendere la parola.
"Siamo rimasti momentaneamente senza un leader, quindi... niente attività di legione troppo impegnative. Ci limitiamo a picchiare elisiani".
Araziel si accigliò. "Che è capitato a Malombras?".
Pausania sorrise. "E' quello che ci chiediamo anche noi, la vediamo molto assente e... ci ha colpiti il fatto che abbia rinunciato al suo grado di Generale di Brigata".
"Mh...", Araziel si grattò una guancia pensieroso. " E adesso? Chi è il nuovo leader?", domandò curioso spostando lo sguardo da uno all'altro.
"Nessuno" puntualizzò Flamet ravviandosi la folta chioma. 
Mastro, che era l'unico esterno del gruppo, a parte Araziel, aveva ripreso, fortemente disinteressato, a fare le sue solite mosse di karate.
"Ne stavamo proprio cercando uno", aggiunse Pausania con tono innocente. "Nessuno in legione si è deciso ad accollarsi la situazione e ci serve un capo che riesca a mantenere la legione come è sempre stata".
Flamet alzò lo sguardo puntando gli occhi sul tiratore. Il suo sorrisetto sadico adesso aveva un che di pretenzioso.
"Beh, buona fortuna", aveva detto Araziel scrollando le spalle.
 Pausania era tornata ad ammutolirsi, Flamet invece, stava continuando a fissarlo in maniera irritante.
"Che c'è, cobra?", aveva sbottato Araziel appellandola in maniera sarcastica e ricambiando irritato il suo sguardo. "Conosco quello sguardo... ed è no!".
Flamet inarcò un sopracciglio perfetto ma non distolse lo sguardo rovente dagli occhi del tiratore. Il momento di silenzio che si venne a creare subito dopo fu rotto solo dalla risatina divertita di Mastro.
Galthun, che intanto aveva compreso le intenzioni dell'assassina aveva annuito. Araziel lo vide lisciarsi i grandi baffoni pensieroso e annuire. "In effetti lui avrebbe tutte le carte in regola, e sono sicuro che Malombras non avrebbe nulla da ridire", stava dicendo pragmatico con la solita aria da maestrino perfezionista.
"Non ci pensate nemmeno, è escluso!", aveva sbottato il tiratore dando le spalle alla combriccola. "E adesso se non vi dispiace mi dileguo... Ho già abbastanza a cui pensare".
"Voi siete d'accordo?", aveva chiesto Flamet senza nemmeno ascoltarlo, a quelli che sembravano essere i maggiori esponenti dei Deads can dance.
Tutti avevano fatto un sorriso d'assenso. 
"Araziel!", la voce imperiosa di Flamet risuonò tra le pietre di quel corridoio. "Che tu lo voglia o no, ti abbiamo eletto come nuovo capo... benvenuto nei Deads can dance...".
Sembrava quasi che a quel carisma e a quella voce non si potesse transigere. Flamet era un'assassina serpentina quanto ammaliante, ma lui era un solitario. E da quando aveva perso il suo miglior compagno di battaglia si era promesso che mai e poi mai sarebbe più entrato a far parte di una legione. 
"Che voi lo vogliate o no, non accetto l'invito", disse ancora di spalle, con il tono più autoritario che potesse mettere su.
Dei passi rimbombarono sul pavimento in pietra, poi una sottile e curata mano artigliata lo costrinse a voltarsi. "Sai che con un buon gruppo di devoti compagni potresti ottenere la gloria che da sempre desideri?", disse suadente l'assassina articolando ogni parola con studiata lentezza.
Il tiratore valutò ancora per qualche secondo le parole di Flamet. Inutile negarlo, aveva toccato una delle corde più profonde del suo animo.
Ripensò a Ura, il templare che una cruenta battaglia di proporzioni colossali gli aveva sottratto. Il suo migliore amico, l'unico fratello, al di là del sangue, che avesse mai avuto.
Ripensò ai loro sogni. Alla rinuncia che da quel giorno si era imposto di fare. Avrebbero dovuto crescere insieme e non era stato loro concesso. Era rimasto senza un braccio destro e questo lo aveva scoraggiato così tanto che si era abbandonato a una vita di solitudine e di guerra.
Non aveva più mirato a quella crescita personale che la sua ambizione gli aveva fatto desiderare. Adesso era solo un bravo tiratore, uno che le prestigiose legioni cercavano per la buona riuscita delle loro missioni.
L'idea di avere una legione propria non lo aveva mai sfiorato. Dopotutto, dopo la perdita di Ura non lo aveva neanche più voluto. Era stato un sogno comune, un sogno che si era dissolto con l'anima del suo migliore amico.
"Non... non posso".
"Sì che puoi...", aveva annuito Flamet, "Sai che Ura lo vorrebbe".
Araziel scosse il capo e le sue labbra si assottigliarono con nuova risolutezza. Flamet lo conosceva da abbastanza tempo da riuscire a comprendere che cosa, in quel momento, lo stesse frenando.
"Araziel", aveva cantilenato l'assassina. "Sai che i morti possono danzare?", fece un sorriso enigmatico lasciando scivolare via la mano dalla sua spalla in una macabra quanto ironica allusione.
Araziel si voltò. "I morti non possono tornare", disse acido.
"Ma possono tornare a vivere nel ricordo degli altri", terminò secca mentre si allontanava. La sua voce rimbombò nel vuoto corridoio, poi scomparve, lasciandoli là, da soli, in uno statuario silenzio, uscendo di scena come era solita fare.
Quel silenzio parve pesare sull'animo del tiratore come un macigno. Decise che forse avrebbe potuto concedersi un piccolo periodo al di fuori dell'ordinario. In fondo, avrebbe  significato soltanto aiutare un gruppo di amici.
"E va bene, ma solo finchè Malombras non riprenderà il comando".
Pausania esultò, e Galthun abbozzò un sorriso distinto.
"Oh beh, allora auguri amico", aveva detto il piccolo Mastro battendo una mano dietro la sua schiena.
Araziel mugugnò infastidito a quello sfacciato augurio.
"Grande ragazzi, stasera si festeggia!", sorrise la templare riprendendo lo spadone, "Adesso non ci resta che fare l'annuncio. Tutti devono dare il benvenuto al nuovo capo dei Deads can Dance!

Il sangue caldo e scarlatto scorreva fluido tra le mura della fortezza. Gli Asmodiani quella notte avevano tentato il tutto e per tutto per ottenere la più ambita fortezza dell'abisso. La fortezza degli dei.
Il buio che circondava Araziel puzzava di sudore e di morte. Qua è là, il lugubre suono di ali richiuse faceva da colonna sonora a quella cruenta battaglia.
Urara era al suo fianco, quella notte. Templare e tiratore, spalla con spalla, affrontavano audacemente ogni nemico. 
Le candide ali degli elisiani si macchiavano di sangue quando questo schizzava dalle ferite inferte dalle pallottole di Araziel. E intanto lo spadone di Ura mozzava teste, arti, affondava in rosei e caldi petti elisiani. Indipendentemente se il nemico fosse uomo o donna, giovane o vecchio. 
Nessuna pietà. Era questo che a entrambi era stato insegnato nei loro anni di apprendistato.
Poi era successo. Dopo ore di strenuante battaglia Araziel aveva visto un fattucchiere librarsi tra i vapori sulfurei dell'abisso. Le ali bianche che si agitavano freneticamente e una luce tra le mani. Un potentissimo incantesimo si era scaricato sulle spalle di Urara prima ancora che lui avesse potuto accorgersi del vigliacco nemico che lo colpiva alle spalle.
Araziel non aveva potuto fare nulla per impedirlo. Era rimasto inerme, impotente, a guardare la scena come a rallentatore.
Gli occhi del suo migliore amico si erano spalancati, spiritati e senza vita. Poi il suono più pesante di tutti. Due ali nere, imponenti, si erano richiuse sul corpo di Ura mentre Araziel, traboccante di furia, si lanciava all'inseguimento del fattucchiere mascherato che aveva lanciato quel sortilegio.
Cohaku... aveva saputo in seguito il nome del vigliacco.
Ma quel che c'era di peggio era che quella notte non solo Ura, ma numerosissimi asmodiani avevano perso definitivamente la vita.
L'obelisco della resurrezione a cui sia il suo migliore amico che molti altri erano legati, era stato totalmente distrutto.
Gli elisiani, capeggiati da Cohaku,  erano riusciti a fare irruzione a Primum e a seminare il panico tra le guardie asmodiane puntando in primo luogo all'obelisco della fortezza.
Quando Ura svanì, Araziel si aspettò di ritrovarlo all'obelisco a fine battaglia, ma poi la notizia era giunta... cruda e brutale. L'anima di Urara era andata perduta per sempre e dell'obelisco non rimanevano che macerie.
Quella notte fu la notte peggiore che mai avesse passato. La notte in cui decise che avrebbe combattuto senza sosta, per tutta l'eternità da Daeva che gli era concessa.
Quella notte moriva con Ura il ragazzo che era stato, e nasceva Araziel, l'asmodiano che aveva perso tutto ma aveva guadagnato la fedeltà più assoluta ad Asmodae.
Quanto agli elisiani, mai nessuno avrebbe avuto la fortuna di raccontare di essere scappato da lui, e se mai fosse successo, lui l'avrebbe trovato e per finire l'avrebbe annientato. Nel modo più cruento e doloroso possibile.
Da quella notte, nasceva in Araziel, l'odio più profondo che avrebbe nutrito per ogni singolo membro della razza elisiana. Per sempre.


[Questo capitolo lo dedico alla mia legione, visto che ultimamente lo fanno un po' tutti gli scrittori in questa sezione. 
Beh, loro sono i Deads can Dance, e sono quelli con cui di solito trascorro maggiormente le serate. Flamet, Pausania, Galthun, Araziel, Mastro (che è dentro per metà) e poi la nostra Malo, la cacciatrice più powa del server u.u
Li ringrazio uno per uno. Grazie per le belle serate ragazzi, spero che non vi sia dispiaciuto il fatto che abbia usato i vostri nomi autentici, nel caso foste contrari avvisate e modifico :3
Questo era lo speciale 50 recensioni, volevo mettere anche Sily ma sarebbe venuto troppo lungo quindi... al prossimo speciale per la vera storia di Sily! Recensite e arriveremo presto alle 55! Ciaooo ;)]

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Capitolo 36
*** -28- Festeggiamenti ***


"Che devi farne del mio sangue?". Velkam aveva la fronte corrugata, la sua era un'espressione di semplice curiosità.
"Ecco io... non lo so", dissi sospirando, "Non è per me, ma ho fatto una promessa a quella fattucchiera che ha liberato Dahnael dalla maledizione, e adesso... devo saldare il mio debito, ma se non vuoi aiutarmi...", mi affrettai ad aggiungere, "posso capire!". Chinai il capo, in realtà se Velkam si fosse rifiutato non sapevo proprio dove andare a sbattere la testa... trovare il sangue di un elisiano innamorato di una di noi non era di certo semplice.
Vidi il cacciatore elisiano  allungarsi a raccogliere la cinghia di cuoio che reggeva le sue armi e estrarre un piccolo pugnale dal proprio fodero. Si incise il palmo con la punta di questo senza aggiungere altro.
"Non so a cosa possa servirti il mio sangue, ma di te mi fido", aveva concluso spiccio osservando il sangue scarlatto che colava lento dalla ferita aperta.
Lo osservai per un momento in ipnosi e fu proprio un momento. Passai la punta della lingua sui miei canini da asmodiana appena più sporgenti del normale. Percepii la mia coda fremere a quella vista e i peli della schiena rizzarsi in un piacevole brivido, poi mi costrinsi a distogliere lo sguardo e ad impegnarmi a rovistare nella mia bisaccia alla ricerca di una boccetta che potesse contenere quel sangue.
Trovai una pozione curativa, tra le cianfrusaglie presenti, e la stappai per svuotarla del contenuto. La sciacquai velocemente nell'acqua del torrente vicino prima di tornare da Velkam e accostare il beccuccio della boccetta alla mano ferita del cacciatore.
Il sangue gocciolò lento, fino a coprire l'intero fondo della boccetta. 
"Credo... che tanto basti", mormorai un po' imbarazzata.
A quelle parole Velkam ritrasse tranquillamente la mano richiudendola a pugno. Ebbi nuovamente un moto di desiderio. Sentii l'impeto di prenderla tra le mie mani e baciarne la ferita.
In me aveva iniziato a farsi largo il perverso desiderio di assaporare il suo sangue, fresco e fragrante.
Velkam rimase a guardarmi interrogativo mentre arricciavo il naso come per scacciar via i cattivi pensieri, tuttavia non ritrasse la mano quando la presi tra le mie. "Cosa c'è, asmodiana?", aveva domandato con un mezzo sorriso nello studiare la mia espressione confusa.
Deglutii, potei quasi sentire il sapore metallico del suo sangue sulla lingua... desideravo assaporarlo.
Forse era proprio questo che ci distingueva dagli elisiani, l'irrefrenabile istinto animale e selvaggio che di tanto in tanto ci coglieva di sorpresa.
Senza rispondere a Velkam lo invitai ad aprire delicatamente le dita e avvicinai il suo palmo inciso e sporco di sangue alle mie labbra scarlatte. Percepii il suo sangue caldo bagnarle, poi schiusi le labbra esponendo timidamente la punta della lingua per sentire il sapore di quel sangue che me le imbrattava.
Baciai il taglio con più decisione mentre Velkam non faceva assolutamente nulla per impedirlo. Inspirai a fondo l'odore familiare ed estivo della sua pelle, quello più acre del suo sangue fresco. Sfiorai con la punta della lingua i bordi del taglio.
"Selhen...", mi chiamò sottovoce. Come se dopotutto non gli dispiacesse, come se in fondo non volesse disturbarmi.
"Velkam", mormorai accarezzando il dorso della sua mano ferita con la mia mentre spostavo le mie labbra a baciargli le dita.
Percepii le dita della sua mano libera giocherellare con una ciocca dei miei capelli, poi il suo pugno si richiuse all'attaccatura di essi, sulla mia nuca, e strattonò delicatamente la mia testa per costringermi a sollevare il viso.
I miei occhi accesi avevano incrociato il suo sguardo limpido, e col respiro un po' agitato avevo baciato con urgenza le sue labbra.
"Asmodiana...", mi aveva sussurrato lui tra un bacio e l'altro.
"Sì, Generale?".
"Ti voglio mia, ancora una volta, prima che tu te ne vada", aveva mormorato scorrendo la punta dell'indice sulla mia spalla nuda, proprio in direzione del tatuaggio asmodiano che me la adornava.
"Sai che ti appartengo, Velkam", avevo sussurrato mentre intrecciavo le mie braccia al suo collo. Le sue mani calde e gentili mi accarezzarono i fianchi causandomi un brivido.
"Quando potrò rivederti?", domandai sfiorandogli il ciuffo con un dito e prendendo la sua testa tra le mani per premere le mie labbra sulla sua fronte.
"Spero presto, asmodiana, spero presto...".
"Fino ad allora?", domandai abbassando lo sguardo per incrociare il suo.
"Fino ad allora...", i suoi occhi sembrarono fissare il vuoto per qualche secondo, poi le sue mani andarono svelte e sicure alle cinghie dei suoi polsini, se ne sfilò uno, raccogliendo poi una delle mie mani per infilarmelo al polso e stringere la cinghia fino all'ultimo foro.
"Fino ad allora avrai qualcosa che ti ricorderà di me...", disse.
Mi sganciò la collana dal collo senza chiedermi neanche il permesso, "ed io avrò qualcosa che mi ricorderà di te".
La pietra, dono di mia madre, sfavillò tra le sue mani rosee, prima di sparire nel suo pugno, e quindi nella tasca del suo giubbino in pelle abbandonato di fianco a noi.
"Mi hai rubato il cuore, asmodiana...", sussurrò mordendomi il labbro inferiore con dolcezza, quando tornò da me.
"Non è il tuo cuore, è un polsino!", scherzai giocando con una ciocca dei suoi capelli mentre intrecciavo le braccia alle sue spalle.
Cademmo sdraiati sull'erba soffice, l'una sopra l'altro, scorsi un artiglio lungo tutto il suo addome e mi soffermai al suo ombelico prima di chinarmi a seguire il tragitto precedentemente tracciato dal mio dito, con una serie di baci umidi.
Sussultai quando una mano di lui mi bloccò, sollevai il viso, guardandolo interrogativa e preoccupata.
"Se... se non dovessi tornare.. se qualcosa dovesse andare storto, Selhen...", stava dicendo all'improvviso.
Aggrottai le ciglia senza capire. "Voglio che tu neghi tutto, hai capito? Voglio che tu ti metta in salvo, asmodiana, qualunque cosa succeda".
"Velkam che stai...?", non capii.
"Promettimelo", il suo sguardo era serio, e il taglio elegante dei suoi occhi ben definito.
Esitai, non potevo promettere che sarei rimasta a guardare.
"Promettimelo...", mi incitò con un tono più autoritario.
"S.... sì", dissi, tutt'altro che convinta.
Velkam tirò il mio viso più vicino al suo e mi fissò con sguardo intenso. "Dì: sì Velkam, te lo prometto".
Ripetei a pappagallo. "Sì Velkam, te lo prometto", sbuffai.
Un sorriso rassicurato e sereno comparve sul suo viso, poi un bacio più intenso  mi colse di sorpresa. Chissà se quello era il suo giorno libero e se semplicemente essere diventato Generale gli comportava più libertà.
Una cosa era certa. Quando eravamo insieme non c'era in Velkam nessuna traccia dell'elisiano antipatico e borioso che dipingevano in giro. E poi sembrava perfettamente sereno, a suo agio, in quell'angolo di paradiso eravamo al sicuro. Niente poteva rompere quel dolce e delicato equilibrio. Nessuno mai, avrebbe potuto distruggere quell'amore clandestino di cui solo noi due eravamo segreti testimoni.
"Ti amo", mi sentii dir con un tono più sicuro della sua voce.
Sorrisi alle sue parole. "Anch'io Generale, ma adesso tocca a te fare una promessa".
Velkam mi baciò ancora prima di sussurrarmi sulle labbra. "Tutto quello che vuoi".
"Promettimi... che non ti dimenticherai mai di me".
Lo scorsi sorridere. "Te lo prometto, bambolina asmodiana!".



"L'hai rivisto?", Saephira, apprensiva, si stava mordendo nervosamente il labbro.
"Sì, Sae... devi star tranquilla è andato tutto bene".
Saephira farfugliò qualcosa di preoccupato che non riuscii a intendere, poi si voltò a sbarazzare la tavola che per l'occasione aveva imbandito con delle marmellate di zeller ad etere. Il dessert era letteralmente sparito dai piattini che lo contenevano.
Quella sera la mia migliore amica mi aveva invitata da lei. A sua detta era da tanto tempo che non passavamo una serata insieme e quindi c'era un po' di aggiornamento in arretrato riguardante i nostri affari di cuore, da scambiare.
Saephira e la sua insaziabile curiosità.
"Siamo stati bene...", avevo detto sognante adagiandomi sul piccolo puff celeste mentre stringevo entrambe le mie mani tra le ginocchia.
La barda grugnì riprendendo il discorso più seria. "Comunque, mi hanno incaricato di farti una comunicazione di servizio... visto che eri... a detta degli altri... introvabile nelle ultime dodici ore".
Ridacchiai. "Chi mi ha cercata?".
"Draven, è venuto a portarmi un'informazione che... non so quanto possa piacerti. Suppongo che prima di incontrarmi ti stesse cercando", protruse le labbra pensierosa.
"Ah...", feci tornando seria e un po' preoccupata. Non osai pensare se uno della mia legione mi avesse trovata in atteggiamenti equivoci con un elisiano. "Qual è il problema?", chiesi scuotendo il capo.
Saephira tornò a torturarsi le labbra. "Il problema è che... che...", rimase in silenzio e porse i piattini alla shugina domestica che era venuta a raccoglierli.
Corrugai la fronte, in attesa che completasse la frase.
"Abbiamo un nuovo capo legione!". 
Sorrisi. "Oh, finalmente, era anche ora!".
Saephira sorrise poco convinta. 
"E chi è? Flamet?", domandai curiosa sbadigliando stancamente mentre mi stiracchiavo.
Sae scosse la testa lasciando che tra di noi scorresse un solenne silenzio, prima di parlare. "E' Araziel".
Rimasi paralizzata, con gli arti ancora stirati e senza battere palpebra per quasi un minuto. Quando il mio corpo si mise nuovamente in moto dalla mia gola uscì solo una vocina flebile che mormorò: "Cosa?". Speravo di non aver capito bene.
"Ti avevo detto che la cosa avrebbe potuto turbarti".
Deglutii. "Non mi turba è che...".
"E' che se Araziel scoprisse che te la fai con gli elisiani...".
"Shhh", dissi rabbrividendo, "Non ricordarmelo ti prego".
"Eh sì sorella, sei fottuta. anche perchè... permettimi di dirlo, ma tra di voi non è mai finita".
"Shhhh!!!", la zittii maggiormente irritata.
"Sono la bocca della verità", annuì lei orgogliosa.
"Sei solo stupida".
"Pensa un po' a cosa potrebbe succedere...", disse con tono oracolare.
La fulminai con lo sguardo. "Non voglio prendere in giro il capo legione... non voglio tradire Araziel...", balbettai affranta.
"E' una questione personale, vero?", disse Saephira deliziata. "Ammettilo che non ti dispiacerebbe passare al grado di first lady di legione", sghignazzò.
"Sae!", la richiamai indignata, "Sono seria!".
La mia amica sospirò scuotendo il capo. "Scusami se ci spero, ma sai che sono solo preoccupata per te... non ti mentirei mai a riguardo!".
Annuii. "Lo so", allargai le braccia in attesa che venisse a stringersi in un abbraccio.
Ad un tratto qualcuno bussò al portoncino in legno dell'appartamento. Calai le braccia tristemente.
"Brerinerk, va' tu ad aprire", urlò Saephira mentre rimetteva al posto con cura maniacale il centro tavola.
"Agli ordini padrona, jang!", si era udita la vocina femminile della shughina domestica.
Un rumore cadenzato e strascicato di tacchi annunciò la comparsa di una figura imponente sulla soglia della porta. Sorrisi alla massiccia ragazza dai capelli blu elegantemente acconciati.
Del pesante trucco le adornava gli occhi, e i vestiti, aderenti e di gran lunga succinti, lasciavano intravedere delle sinuose forme e un seno alquanto prosperoso.
"Uh ciao Lythium! Sei arrivata tardi, non ho più marmellata di zeller ad etere per te", disse la mia amica cinguettando allegramente.
La chierichessa sorrise a Saephira. "Non importa, sono solo passata come mi avevi detto".
"Oh sì, io e Lyth avevamo concordato di andare tutte insieme alla festa".
Corrugai la fronte. "Festa?".
"Ah già, la scomparsa non sa di festeggiamenti?", ironizzò la chierichessa sulla porta appoggiandosi allo stipite. Uno spacco vertiginoso lasciò fuoriuscire una lunga e liscia gamba bianca.
"Glielo stavo appena dicendo", ridacchiò Sae, "ma continua tu, vado a cambiarmi di corsa", si precipitò fuori dalla stanza quasi urtandola.
Mi misi in piedi a braccia conserte. "No ragazze davvero, non sono in tenuta da festa".
"Passeremo da casa tua a prendere i vestiti, devi farti bella per il nuovo capo legione", ghignò la ragazza in un fugace occhiolino.
"Eccone un'altra!", borbottai sollevando gli occhi al cielo. "No ragazze, davvero... io non...".
"TU, vieni con noi!", aveva detto quell'uragano della mia amica spuntando poco dopo con un vestitino altrettanto succinto, perfettamente intonato al colore dei suoi occhi.
Con quel filo di trucco e una tenera coroncina tra i capelli, Saephira era decisamente stupenda.
"E poi sarebbe da malducati non fare ad Araziel i tuoi auguri, non credi?", aveva detto Lythium con nonchalance osservandosi le punte delle unghie.
"D'accordo, d'accordo, ma solo a una condizione... torniamo presto a casa, vi prego!".
"Ma anche no! Stanotte si beve!", stava esultando Sae tutta contenta.
Scossi il capo scoraggiata. 
"E io dovrò aspettare Draven, non posso mica tornarmene prima di lui", aveva detto con un sorrisetto traditore la chierichessa di legione.
Draven era un tiratore di legione che da un po' di tempo faceva coppia con lei. Erano due tipi stravaganti e singolari. Draven minuto e divertente, con la solita aria del giullare di legione. La battuta sciocca sempre pronta, e l'insulto bonario sempre in agguato. Non era mai facile prenderlo sul serio. Sorrisi al pensiero.
Lyhium dal canto suo era una donnona tutta d'un pezzo, bella da mozzare il fiato e conosciuta da mezza Asmodae. Chissà quanti rivali doveva avere Draven!
Mi misi l'anima in pace. Non mi avrebbero mollata tanto facilmente.
"D'accordo, d'accordo andiamo".
Pensai ad Araziel e un moto d'inquietudine mi colse allo stomaco. Sarei stata in grado di sostenere il suo sguardo? Lui, che odiava così tanto gli elisiani. Che sicuramente conosceva e detestava Velkam.
Uno sguardo apprensivo di Saephira mi fece capire che sapeva esattamente a cosa stavo pensando. Mi sorrise rassicurante.
"Allora dove si va?", tentai di non pensarci e stirai un bel sorriso che voleva essere sincero.
"Fiaschi, cibo... Apellbine!", esultò Lythium muovendosi svelta verso la porta.
"Prima dobbiamo passare da casa mia", protestai cominciando ad evocare il portale che mi ci avrebbe condotto. "Van affrei!", citai spiccia. 
Un grande portale dorato, elegante, comparve avanti a noi. Attesi che le mie amiche infrangessero la superficie eterea coi loro corpi e vi sparissero dentro, poi fu il mio turno.
Casa mia mi apparve davanti nelle sue modeste dimensioni. I miei piedi si posarono sul parquet della mia camera, e già Lythiume e Sae stavano rovistando nel baule alla ricerca di un abito che mi si addicesse.
"Ehi, ma che fate?", le richiamai infastidita.
"Io direi che questo sarebbe perfetto, non credi?", stava dicendo Lyhium. Aveva tra le mani un vestito dalla setosa stoffa blu. Le calze, posate al suo fianco erano bianche e decorate.
"No.. ragazze.. scelgo io...".
"Silenzio, vieni qui", mi travolse Sae sfilandomi il cappotto. "Questa sera ti agghindiamo noi!".
"Valorizziamo quelle belle gambe", stava dicendo Lythium osservandomi con occhio esperto.
"Questo vestito e perfetto".
"Ma io non voglio metterlo!", mi lamentai. E in effetti un motivo c'era. Araziel conosceva fin troppo bene quel vestito. Avrebbe potuto pensare che lo avevo messo apposta per attirare la sua attenzione.
"No, dai ragazze, ho così tanti altri bei vestiti corti", dissi tentando di persuaderle.
"Per una volta fai fare a me, mh? Che di moda ne capisco sicuramente più di te", aveva detto Sae col tono che rasentava l'offesa.
Mi zittii, se per quella notte avevano deciso che dovevo essere la loro marionetta, non potevo farci realmente niente.
Mi armai di tanta pazienza, e un po' turbata mi preparai mentalmente a una serata molto, molto, faticosa.

[Ragazzi D: ho esami, non so nemmeno come sia riuscita a tirarlo fuori! No, in realtà lo so, pagherò le conseguenze per avere scritto anzichè studiato ç_ç
Spero almeno che vi piaccia... recensiteeee. Al prossimo capitolo!]

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Capitolo 37
*** -29- Bugie ***


La notte era scura, ma portava con sé mille profumi e colori. L'odorino delizioso che si spandeva nell'aria annunciava che i grandi festeggiamenti dei dead Can dance erano cominciati, e infatti, non dovetti attendere molto che già alla fine di ponte Vifrost avevo scorso Draven appoggiato alla parete tutto intento a lucidare la canna di uno dei suoi revolver luccicanti. 
Quando lo vidi allungai una mano in cenno di saluto, quanto a Lythium, allargò un sorriso accelerando il passo fino a raggiungerlo. Io e Sae ci mantenemmo qualche passo indietro lasciando loro la possibilità di confabulare qualcosa. Il giovane tiratore dai capelli cortissimi e dallo sguardo duro aveva accennato un saluto verso di noi prima di lasciare alla chierichessa dai capelli blu notte un bacio sulle labbra. L'intera legione dei DcD era disseminata per tutta Pandaemonium. 
Io e la mia amica proseguimmo senza Lythium, e fu in piazza che incontrammo Galthun intanto in una conversazione con Pausinia, la templare dal generoso ciuffo castano e dall'armatura decisamente succinta. 
"Come mai stasera Brahm non ci sarà?", domandai alla mia amica che me lo aveva annunciato poco prima. Sae si incupì, e la sua espressione si fece dura. Balenò nei suoi occhi una rabbia repressa. "Non mi va di parlarne..." tagliò corto acida, poi la sua espressione si rilassó "voglio solo pensare a godermi la serata".
Non aggiunsi altro, tirai solo un mezzo sospiro annoiato e voltai l'angolo alla fine della strada del mercato per dirigermi con Sae verso la rinomata taverna Apellbine. Mi toccai una coscia infastidita, le calze sembravano essere talmente strette da bloccarmi la circolazione.
Da come Sae e Lythium mi avevano vestita sembrava quasi che io avessi dovuto far colpo su qualcuno. 
"Magari il capo...", aveva insinuato Lythium poco prima con uno sguardo malizioso.
Sia Saephira che Lythium erano a conoscenza della mia vecchia storia con Araziel, ma solo la mia migliore amica sapeva di Velkam, del resto, non era una notizia che mi conveniva diffondere.
Varcammo la soglia dell'Apellbine salendo gli scalini. L'oste era fermo al bancone, intento a servire l'ubriacone di turno. La sua attenzione venne subito attirata dai nostri abiti impeccabili e dalla non poca appariscenza del nostro trucco.
"Siete qui per la festa dei Dead can Dance?", ci domandò professionale ignorando un cliente che protestava per il suo olio di slink servito troppo freddo.
Annuimmo insieme. Dalla stanza adiacente al salone di ingresso provenne una musica allegra e delle risate di fracasso fecero risuonare le pareti.
"Per di là", sorrise l'oste indirizzando a Sae un occhiolino.
La mia amica non diede segno di essere lusingata, voltò le spalle all'uomo e si diresse con passo sinuoso fino alla stanza che ci era stata indicata. Io la seguii, un po' goffa nel mio imbarazzo. Pensare che avrei dovuto trovarmi faccia a faccia con Araziel, a fargli le mie congratulazioni, mi inquietava non poco.
"Azphelumbraaaaa!", cinguettò allegramente Saephira. Sollevai anch'io una mano in un cenno di saluto generale.
"Ma ciao, belle!", aveva salutato Demonfury con il sorriso smagliante da sempiterno amicone. Demonfury era un cacciatore di legione che aveva iniziato presto, da quando aveva fatto ingresso in legione, a distinguersi per le sue innate capacità. Era svelto e sapeva essere fastidioso come qualsiasi cacciatore di rispetto doveva essere, stava tutto intento a ridere e scherzare con Altix, un'altro cacciatore pasticcione che era sempre il primo a mettersi nei guai durante le missioni di legione.
Feci vagare il mio sguardo nella stanza alla ricerca di Araziel. Notai sul fondo del locale Astralmusic, un'altra dei bardi di legione, piccola, minuta e coccolosa, nel suo vestitino rosa e nelle sue codine bionde raccolte. Era concentrata a suonare il proprio strumento a corda in compagnia di Kyp, un'altra piccola barda che per l'occasione si stava esibendo in una danza divertita. Anche Sonea, la fattucchiera di legione, minuta quanto Kyp, si era improvvisata ballerina sotto gli occhi divertiti degli altri, praticamente costretta da quell'uragano di barda.  
Mi ritrovai a pensare che i bardi ce l'avevano proprio nel sangue. La stessa Saephira, accanto a me, sembrava non riuscire a tenere i piedi saldi per terra mentre le altre due suonavano. Fremeva dalla voglia di buttarsi nella mischia e cominciare a far baldoria con loro. Per quanto l'avessi vista inquieta, per qualche motivo, sembrava che la musica fosse riuscita a farle scordare ogni pensiero.
Spostai ancora lo sguardo. Sulla porta la slanciata figura di Lythium, seguita dal più minuto Draven, mi annunciarono che la cena stava per iniziare.
Poi lo vidi. Araziel era in fondo alla stanza, proprio accanto al festaiolo gruppetto di barde. Era immerso in una conversazione con un'incantatrice dal caschetto blu. Non la conoscevo bene, ma doveva chiamarsi Yumeria, e i due parevano conoscersi anche da parecchio. Nonostante il discorso iniziato notai Araziel sollevare il capo. Sembrava che ci fossimo notati nello stesso momento perchè i nostri sguardi si scontrarono. Abbassai il mio un po' imbarazzata percependo il suo insistente e bruciante.
Tirai Sae per un polso. "Vieni", le dissi malamente. Non avevo il coraggio di affrontarlo da sola. Ma la mia amica sembrava essere totalmente assente. 
"Selhen", mi salutò lui con un mezzo sorriso. I suoi occhi verdi scandagliarono la mia figura, ed ebbi la sensazione che riconobbe di certo il vestito che avevo addosso.
"Araziel", dissi imbarazzata con un sorriso. "Congratulazioni per essere diventato il nostro nuovo capo legion".
"Già", aveva detto lui sfiorandosi la barba con un indice. Un ditale di metallo aguzzo gli adornava il dito, e la profonda cicatrice sull'occhio riluceva alla luce delle torce della sala.
Un ampio tavolo imbandito di piatti e bicchieri occupava quasi tutta la stanza, attorno ad esso erano sistemate delle lunghe panche sulle quali già i primi gruppetti di legionari erano seduti.
Proprio su un angolo del tavolo prendevano posto i Templari e Gladiatori della legione. Apriva la fila Denki, il gladiatore più forte, esattamente al suo fianco Ryugan. Era ancora molto giovane ma sembrava apprendere da Denki il mestiere molto velocemente. 
Sorrisi. C'era Huntank, fianco a fianco a Pausania che era sopraggiunta da poco. Discutevano animatamente sui modi migliori per incassare i colpi di Iperione ed uscirne illesi. Asrielx, poco più distante, ascoltava interessato la conversazione. Era l'unico Robottone della legione, e mi capitava spesso di guardarlo con curiosità e ammirazione. Dopotutto la sua classe era l'evoluzione più moderna del tiratore scelto.
Il gruppo dei chierici sedeva dal lato opposto del tavolo. Su un capo di esso si faceva spazio l'imponente figura di Lythium che stava guardando con aria annoiata Draven. Il tiratore aveva l'aria del buffone che era solito assumere quando faceva le sue battute più sciocche. Notai Demon scompisciarsi dalle risate e rivolgere uno sguardo divertito a Lythium che immaginai, dalla sua faccia, fosse l'unico bersaglio della loro conversazione. Galthun, con la solita aria del chierico baffuto, spiegava ad Hazoken un paio di trucchetti sulle cure di gruppo. E Slavezyro e Skeletonking erano assorti ad apprendere. Gli unici due cantori della legione, merce rara per la fazione asmodiana, avevano cominciato a fare passi da gigante sotto l'ala protettiva del saggio Galthun.
"Selhen?", mi riscossi. Notai che Araziel mi stava chiamando. Vestiva in pelle nera, come sempre, e i suoi capelli rossi, uscivano in un ciuffo ribelle dal coprifronte scuro.
"Dimmi", dissi con un mezzo sorriso.
"Ti vedo distratta".
Scossi il capo. "No è che...", balbettai.
Sentii la sua mano sicura serrarsi sul mio braccio e condurmi all'angolo della stanza. Saephira dal canto suo si era ormai persa a danzare in compagnia di Kyp e Astral. Un flautista di ventura si era affiancato ad Astral col suo strumento grezzo, il suono soffioso del flauto tornò a diffondersi nella stanza occupata dall'allegra combriccola.
"Verresti un momento?", mi chiese cauto trascinandomi con sè dall'altra parte della taverna. Raggiungemmo la stanza col bancone e mi arrampicai su uno dei sedili per prendervi posto. Araziel mi rimase in piedi di fronte. "Gradisci qualcosa da bere, bimba?".
Tossicchiai imbarazzata. "Un bicchiere di succo di Kokonas, grazie".
Araziel sollevò un sopracciglio. "Nulla di alcolico?", domandò con un sorrisino furbo.
"Preferisco non incominciare in grande stile", ridacchiai.
Araziel appoggiò un gomito al bancone ordinando la stessa cosa per entrambi, poi volse lo sguardo verso l'entrata della taverna. 
Seguii i suoi occhi e un nodo mi si strinse allo stomaco quando notai una giovane donna intenta a drappeggiare il velo del proprio vestito.
"Me è...".
"Oggi è il fine della settimana", chiarì Araziel.
La cantante dell'Apellbine si esibiva ogni fine settimana con la stessa canzone. Era la nostra canzone. Forgotten Sorrow.
 Il flautista che aveva accompagnato Astral era rientrato per andare a disporsi al fianco della cantante. Anche la musica di Astral era cessata, e solo il vocìo dei clienti animava la taverna.
Dall'introduzione del flautista notai che avevano rinnovato un po' la base musicale, poi la voce dolce e calda della cantante sovrastò il brusio.
"Don't cry for me...", era cominciata la canzone.
Rabbrividii, sentendo la presenza di Araziel al mio fianco, il profumo dei suoi abiti in pelle e il calore del suo braccio contro la mia spalla.
"Perchè?", gli domandai soltanto, a bassa voce.
"Perchè ne avevo voglia", aveva tagliato corto lui.
Non chiesi altro. Non sembrava avesse altro da aggiungere, quasi come se parlare oltre gli fosse costato qualcosa. 
La magia del momento venne interrotta dalla plateale entrata in scena di Flamet.
Salì sinuosamente le scale ravviandosi la chioma rosso fiammante e si avvicinò a noi, interrompendo per un attimo il mio campo visivo.
"Ehi, capo!", disse facendo ad Araziel un occhiolino provocante. 
Le sue mani sottili e sicure spostarono con prepotenza il viso del tiratore verso di lei.
Araziel ghignò rispondendo alla provocazione.
"Vedo che ti sei ambientato alla grande", disse l'assassina incurvando le labbra scarlatte in un sorrisetto serpentino.
Qualcosa si mosse nel mio stomaco. Sembrava essere stizza, o forse fastidio. L'arrivo di Flamet aveva catturato tutta l'attenzione di Araziel relegandomi praticamente in un angolino. Presi il bicchiere di succo di koknas tra le mani e iniziai a sorseggiarlo fingendomi disinteressata.
"Dopo la festa hai un momento, tiratore?", aveva detto Flamet senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Araziel.
Lui socchiuse le palpebre. "C'è qualcosa di cui hai estremamente bisogno? Ci tenevo a godermi i miei festeggiamenti". Il tono con cui lo disse aveva molto di sarcastico ma in realtà c'era un che di amaro in quell'affermazione.
"Nessuno vorrebbe rovinarti il momento di gloria", gli occhi indagatori dell'assassina mi scrutarono.
"Non è un momento di gloria", tagliò corto Araziel. "Lo sarebbe stato in un'occasione diversa, magari...".
"Ura sarebbe fiero di te...", disse l'assassina. Era divenuta seria.
La taverna intera intanto era esplosa in un fragoroso applauso per la cantante che aveva terminato con una nota lunga e tenuta la canzone. Rivolsi uno sguardo acido a Flamet che aveva interrotto quel momento, ma lei non sembrò proprio notarmi, tutta occhi com'era nei confronti di Araziel. 
Terminai il mio succo e mi alzai frettolosamente dallo sgabello. "Torno da Saephira", farfugliai. "Vi lascio agli affari di legione".
Vidi Araziel aprire la bocca per replicare ma prima che potesse dire qualcosa mi ero già dileguata. 
Quado giunsi nella grande sala scorsi con lo sguardo la grande tavolata alla ricerca di un posto a sedere.  Lo trovai accanto a Saephira ed Enkijdu, il bardo new entry della legione con la sua armatura dei Ruhn.
"Dove sei stata?", mi domandò Saephira tutta interessata.
"A prendere un succo di Kokonas con Araziel", dissi. Con un'occhiataccia finale la invitai a non polemizzare.
Vidi rientrare poco dopo Araziel e Flamet ancora intenti in un'accesa conversazione e nuovamente la sensazione di stretta allo stomaco mi colse. Era possibile che con Araziel non fosse mai finita? Poteva avere ragione Saephira? 
No, decisamente. L'unica cosa che mi faceva male era dover mentire al nuovo capo legione. Dover fingere davanti ad Araziel che tutto fosse normale mi costava il triplo della fatica.
Nascondere la mia relazione a Malombras era stato semplice, ma ogni volta che Araziel mi guardava negli occhi mi sentivo mancare.
Fu proprio quando Araziel prese posto a capo tavola che la tavola iniziò a riempirsi di deliziose portate.
"Al nuovo capo legione!", disse a gran voce Flamet sollevando il suo calice traboccante.
Araziel sollevò l'angolo del labbro indirizzando un'occhiata complice all'assassina e sollevò a sua volta il proprio calice. "E che Malombras ritorni presto, aggiungerei", disse divertito.
I templari si erano già tuffati sul buffet, immaginai che con la loro stazza avrebbero portato via, solo loro, la metà del banchetto di legione.
Io dal canto mio non avevo fame. Ero annoiata, infastidita, e costretta in abiti che non erano i miei. Volevo solo finirla al più presto con quella farsa. Volevo rivedere Velkam.
Quando il banchetto finì, di nuovo le barde festaiole ripresero a far baldoria, e stavolta non si era risparmiata nemmeno Saephira che per l'occasione aveva anche alzato un po' il gomito.
Era decisamente brilla e rideva e scherzava con un fattucchiere, un altro new entry della legione, Kazuyro.
Mi accostai a lei per tentare di richiamarla al decoro.
"Sae...", la chiamai timidamente.
"Oh ciao sorellina!", ridacchiò melodiosa.
"Che ne dici di tornare? Ormai il banchetto è terminato...".
Capii di non essere stata tanto convincente quando Saephira arricciò il naso come se le fosse giunto sulla punta un odorino appetitoso. Le sue lunghe ciglia si richiusero un momento poi ridacchiò. "Sento odore di cosciotto di brax... mmmm, non lo senti anche tu Kazu?", perse l'equilibrio e quasi non inciampò, se Kazuyro non l'avesse sorretta prontamente. "Direi che siamo in una taverna", le aveva risposto lui divertito.
"Sae...", ritentai con maggiore convinzione.
"Zitta Selhen!", continuò lei. Riprese a ridere rimanendo aggrappata al giovane fattucchiere.
Scossi il capo esasperata. "D'accordo, me ne vado", dissi spazientita girando i tacchi. Non salutai nessuno. Ne avevo abbastanza di quella serata così allegra. Io non ero allegra per niente. E, anche se non volevo ammetterlo, mi dava fastidio vedere Flamet flirtare con Araziel.
Stavo uscendo di corsa dalla taverna e mi ero quasi inoltrata nel buio corridoio che mi avrebbe condotto in piazza Pandemonium quando, sbadata e un po' brilla com'ero, non mi andai a schiantare contro qualcuno.
"Oh, dannazione, chiedo scusa!", dissi sollevando in fretta lo sguardo verso l'ignaro passante. Rimasi sorpresa di chi mi ritrovai davanti.
"Puzzi Selhen...", mi disse Shad arricciando il naso disgustato. "Quanto hai bevuto?".
Non lo ascoltai, ma accelerai il passo senza parlargli.
"Dove corri?", continuò lui cambiando in fretta direzione per venirmi dietro.
"Lasciami in pace Shadow".
"E così nuovo capo legione per i Dead can Dance, mh?", riprese affannato per la camminata veloce.
Serrai le labbra sperando che decidesse di rinunciare all'inseguimento.
"Avanti, pensavo che fossimo rimasti in pace...".
Mi fermai di fronte al pianoforte da terra di piazza Pandemonium. "E' così infatti, quindi, buonasera Shad, sto tornando a casa... no, non ho bisogno di nessuno che mi accompagni a casa, ciao". Non gli diedi tempo di replicare che avevo già ripreso ad avanzare.
"Come siamo permalose questa sera... l'alcool ti causa decisamente uno sgradevole effetto". Si passò una mano tra i capelli blu e si voltò nuovamente a fissarmi. "Ti stai preparando per la maratona di Atreia, per caso?", domandò sarcastico sostenendo il mio passo.
Mi fermai di nuovo, così all'improvviso che quasi non me lo ritrovai addosso. "Che vuoi, Shad?".
"Ero venuto a imbucarmi", disse lui con un sorrisetto furbo.
"Beh, la festa è per di là, buon divertimento".
Shad scosse il capo. "Era con te che dovevo parlare".
Sbuffai annoiata ma mi disposi all'ascolto. Prima avesse parlato prima si sarebbe tolto dai piedi.
"Illuminami".
"Prima lascia che ti accompagni a casa", disse con tono paziente.
"No", tuonai.
"Ma ti vedi?".
"Shad, non sono una bambina... smettila di trattarmi come tale, TU... non sei nessuno... nessuno!". Avevo alzato la voce un po' troppo, tanto che delle guardie assopite nel loro posto di guardia si erano risvegliate protestando.
"Abbassa i toni, Selh".
"E tu sparisci", sibilai tra i denti.

"Non hai sentito la richiesta della mia legionaria, Shadow?".
Corrugai la fronte al suono di quella voce familiare, e poco dopo vidi Araziel uscire dall'ombra del corridoio e venire deciso verso di noi con uno dei due revolver luminosi tra le mani.
"Araziel!", esclamò l'incantatore diplomatico. "Ero venuto personalmente a farti le mie congratulazioni. Da lupo solitario a capo legione! Che salto di qualità".
La smorfia di stizza sul viso di Araziel sembrava dirla lunga sui precedenti di scarsa simpatia tra i due.
"Potevi risparmiarti gli auguri, e risparmiati anche le premure per Selhen, sa badare a se stessa".
Lo guardai male, era chiaro come l'acqua che voleva essere una battutina sarcastica nei miei confronti oltre ad essere un metodo per controbattere a Shadow.
"Non pensavo fossi un capo legione così negligente, mandare in giro di notte una donzella da sola...".
"Sei venuto a piantare grane nella mia legione, Shadow?".
Shadow si morse il labbro pensieroso. "Nha, non è ho la benchè minima intenzione".
"E cosa sei venuto a fare, allora?".
"Questi saranno affari miei".
"Grazie per i tuoi cordialissimi auguri, Shadow, sei congedato". Aveva tagliato corto Araziel afferrandomi per un braccio. "Torniamo dentro".
"No, Araziel...", tentai di protestare.
"Ti sei persa il dolce Selhen, te ne ho fatto mettere da parte un po'", stava continuando Araziel tranquillo trascinandomi con sè di forza.
"Araziel", era tuonata la voce di Shad nella notte.
Il tiratore si voltò verso Shadow che lo aveva chiamato.
"Credi potrebbe passarsela bene il capo di una legione accusata di tradimento?", domandò l'incantatore. Non potei scorgerne l'espressione per il semibuio, ma il tono appariva ironico.
"Non so di cosa tu stia parlando", tagliò corto il tiratore.
 Mi sentii mancare, e dovetti quasi aggrapparmi al braccio di Araziel che nel frattempo stava scrutando Shadow con aria minacciosa. I suoi occhi erano accesi e il caricatore di uno dei revolver era scattato con suono sinistro.
"Stai cercando rogna, Shadow? Se vuoi ci rivediamo in arena come ai vecchi tempi... e magari questa volta ti faccio anche un po' più male".
L'ombra scura di Shadow sollevò le braccia. "Oh no... tenevo solo a dire che, a buon intenditor, poche parole". E detto questo girò i tacchi lasciandoci soli nel buio della piazza.
Nessuno spirito lo seguiva quella notte, e Shadow sembrava essere venuto in chiave del tutto inoffensiva. Voleva parlarmi di Velkam, ne ero sicura, e io non avevo voluto ascoltarlo.
Mi chiesi se potesse essere una minaccia per me. 
Lui forse no, ma Ethun sì, Ethun era chiaramente una minaccia.
Rabbrividii. Se tutto fosse saltato fuori, come avrei potuto reagire? E che avrebbe pensato Araziel di me.
Il calore della sua mano calda mi sfiorò delicatamente il braccio che poco prima mi stava stringendo.
"Sei stata fredda, distaccata per tutta la sera. Cosa ti frulla in quella testolina, Selhen?".
Lo rassicurai con un sorriso. "Nulla Araz, è tutto apposto".
"Ti conosco abbastanza da sapere che mi stai mentendo nel peggiore dei modi", disse tranquillo. "Cos'è che voleva dire quel tizio con quelle ultime parole?".
"Non lo so", mentii.
"Lo spero per te", disse Araziel con cipiglio preoccupato. "Stai attenta Selhen, di te mi fido".
Non disse altro. Pronunciò solo la formula alta e chiara del portale di casa sua e l'elegante varco comparve, incorniciato da ghirigori oro. 
"Prendilo, e va a Pernon, Trerinerk ti aiuterà a raggiungere la tua abitazione, ti accompagnerà lui, e quando torno dovrà riferirmi che è tutto apposto... non voglio sentire ragioni".
Annuii senza avere la forza di controbattere. Mi sentivo distrutta. Viscida traditrice com'ero che altro avrei potuto aggiungere?
"Buonanotte Araziel", mormorai con un filo di voce.
"Buonanotte bimba", mi sorrise sfiorandomi la guancia con un dito prima di lasciarmi andare.
Mi lasciai cadere dentro la superficie eterea del portale, senza voltarmi indietro. 
Per quella notte avevo già mentito abbastanza. 

[E dopo i giorni del silenzio il grande ritorno... adesso credo proprio che i DCD siano al completo. Sono stata a corto di tempo e di ispirazione, chiedo umilmente perdono. E voi, come state? Cominciate bene le vacanze? La storia inizia a volgere al termine ragazzi, mi auguro di farmi risentire preeeeestissimo col nuovo capitolo. Recensiteeee! Un bacio!] 

 

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Capitolo 38
*** -30- Il percorso di marcia di Jormungand ***


Quel mattino sembrava essere più luminoso degli altri, quando riaprii gli occhi. Timidi raggi di luce entravano dalle fessure della finestra e potevo udire il cinguettio mattutino degli uccellini che popolavano gli alberi dei giardini di Pernon. Come ogni mattina mi stiracchiai in un grande sbadiglio, poi posai i piedi per terra, pronta a cominciare una nuova giornata. Mnerunerk bussò timidamente alla mia porta facendosi avanti con una tazza di delizioso latte di brax che trangugiai senza tante cerimonie. 
"Azphelumbra padrona, jang jang!", aveva detto zampettando allegramente verso il mio letto. 
"Ciao Mnerunerk", gli avevo sorriso dolcemente. Era così tenero, con tutte le sue premure, che sembrava quasi un disprezzo costringerlo a servirmi. "Che ne dici se per oggi ti prendi una giornata libera?" . 
"Giornata libera?", domandò incredulo. Il suo nasino tremolò, così come anche i baffetti. "Shugo servitore non può avere giornate libere, jang". 
"Ogni tanto può anche starci", dissi osservandolo col capo piegato da una parte. "Quindi non obiettare, oggi è il giorno del mercato", conclusi con un occhiolino. 
Mnerunerk dondolò per un momento sulle zampette, un po' titubante, poi raccolse il vassoio e si accinse ad uscire. "Shugo promette che sarà di ritorno presto, jang jang". 
Annuii sorridendo mentre mi alzavo a raccogliere la mia divisa di legione. Non avevo ancora nulla in programma per quel giorno, eppure una cosa che avrei potuto fare era unirmi a qualche mio compagno per tentare di conquistare il percorso di marcia di Jormungand. Mi vestii in tutta fretta. Avrei dovuto recarmi agli uffici di legione per dare la mia disponibilità a fare gruppo. 
Quando giunsi a Pandemonium notai che c'era già un gruppo quasi formato. 
Araziel era in testa, a seguire, scritti nella grafia tremolante del responsabile di legione c'erano Flamet, Pausania, Demonfury... 
Nel leggere il nome di Flamet ebbi un moto di fastidio, che repressi non appena vidi fare ingresso negli uffici la mia migliore amica. "Azphelumbra, Selhen!", canticchiò venendo ad abbracciarmi, "E tu? Cosa ci fai qui?". 
Ricambiai l'abbraccio sorridendo. "Mi stavo prenotando per una Jormungand". 
"Uh fantastico, c'è posto?", domandò lei sbarazzina. 
"In realtà servirebbe un chierico". 
Saephira si lasciò andare ad una risata cristallina. "Poco male! I cleric mi fanno un baffo, chiedi a Pausania", disse altezzosa facendomi un occhiolino, poi compilò il posto mancante del gruppo con la sua grafia svolazzante. 
L'assalto al percorso di marcia era programmato per le dodici, decidemmo che nell'attesa avremmo potuto fare un giro per Pandemonium
Accompagnai Saephira a comprare dell'etere che le era necessario per la realizzazione di pergamene in alchimia, poi andammo insieme al tempio dell'oro a ritirare dei pagamenti per delle vendite ben riuscite e lì approfittai per pagare uno shugo postino e inviare la fiala di sangue a Silyssa, come di patto.
Quando ci ritrovammo nella zona neutrale del percorso di marcia era già mezzoggiorno. Eravamo state le prime ad arrivare e solo dopo di noi fecero ingresso Demonfury e Flamet.
Il cacciatore spiccò un agile balzo andando a punzecchiare Saephira su un fianco. "Buongiorno splendore".
Saephira stirò un sorrisino forzato. "Hai intenzione di importunarmi con le tue battute sciocche anche oggi?".
Demonfury si lisciò il pizzetto scuro divertito. I suoi occhi dal taglio ferino guardarono la mia amica divertiti prima che un ghigno malefico si disegnasse sul suo viso. Incrociò le braccia per osservarla con attenzione. "Sai che non riesco a farne a meno", disse con una sfumatura di finto rammarico nella voce. 
Saephira sbuffò con disapprovazione. "Attento a te, moscerino, qualche giorno potresti ritrovarti con una bella disarmonia sulla testolina bacata!".
Demon ghignò accarezzandosi con delicatezza il ciuffo di capelli perfettamente curato sul resto della testa rasata.
"Il mio parrucchiere potrebbe avere da ridire! Quella chiave di violino è terribilmente pesante. Senza parlare del fatto che mi ritroverei con danni permanenti alle mie facoltà cognitive".
Ridacchiai a quel divertente battibecco che venne interrotto solo dall'arrivo di Araziel. "Quelli li hai già Demon! E piantala di fare l'animale!", aveva detto il capo legione con espressione annoiata, mentre si accingeva a raccogliere la granata riservata alla fazione asmodiana. 
Demon non parve per nulla offeso da quell'affermazione, piuttosto cominciò a pronunciare alcuni incantesimi di potenziamento e andò a disporsi fianco a fianco a Flamet, raggiungendo l'uscita.
Sguainai i revolver anch'io, rimanendo accanto ad Araziel mentre Saephira intonava alcune melodie col suo strumento a corda per ricaricare il mana di Flamet con la magia.
"Grazie", aveva detto l'assassina con tono mellifluo sparendo poi dalla nostra vista.
Quando i cancelli si aprirono orde di Balaur interi ci assaltarono. Ma lo spirito di gruppo e le pronte cure di Saephira erano riusciti a tenerci in vita senza troppi problemi.
Conquistare il primo accampamento di difesa era stata una passeggiata. La possente stazza di Pausania aveva permesso di incassare i colpi peggiori senza che lei ne rimanesse lesa. Quanto a me e Araziel ci limitavamo a stordire più nemici possibili, mentre Saephira temporeggiava mandando in sonno i nemici più pericolosi.
Più che uno scontro sembrava di essere ad un rave party di pinguini danzanti.
La massima disinvoltura ci aveva portati alla conquista della guarnigione Nord. Andammo avanti alla stessa maniera nell'occupazione della postazione Nord. Flamet tendeva gli agguati alle guardie balaur, poi tutti insieme ci lanciavamo all'attacco mentre le melodie di Saephira ripristinavano la salute di tutti e cinque i combattenti.
Quando già avevamo preso due postazioni, impossessandoci delle provviste dei balaur, ci preparammo a dirigerci verso la postazione sud e in quel frangente ci giunse un gran fracasso alle orecchie.
"Sono già alla sud", annunciò Flamet in tono macabro.
Deglutii, e io e Saephira ci scambiammo un'occhiata preoccupata. La parte più difficile doveva ancora venire: lo scontro con il gruppo della fazione Elisiana.
"Il percorso di marcia oggi deve essere nostro", disse con sguardo severo Araziel puntando i suoi occhi su ognuno di noi. "Flamet, dolcezza, sai cosa fare!".
L'assassina ghignò divertita prima di sparire nuovamente.
"Ti prego Araz, voglio andare anch'io a sgamare le guarnigioni ai piccioni", si era lagnato Demon.
"Tu stai qui!", il tono imperioso con cui Araziel aveva parlato non ammetteva repliche.
Vedemmo Flamet sparire davanti a noi, poi tutti insieme cominciammo cautamente a scendere fino alla postazione sud, dove probabilmente gli elisiani ci aspettavano.
Quando Flamet fu di ritorno aveva un'aria parecchio preoccupata. "Siamo finiti contro due Generali e parecchi ufficiali", arricciò il naso disgustata. 
"Che classi?", domandò Araziel senza lasciarsi impressionare da quella notizia.
"Chierico, Assassino, fattucchiere, gladiatore", cominciò Flamet.
"I Generali?", la incalzò Araziel.
"Tiratore e Cacciatore".
Nell'udire le parole di Flamet ebbi un sussulto al cuore. Poteva essere che...? No. Il destino sarebbe stato terribilmente crudele se tra tutti gli elisiani che avremmo potuto avere contro, fossimo finiti contro Velkam e i suoi.
"Ragazzi, inutile che vi spieghi chi deve implodere per primo", disse Araziel pragmatico mentre caricava i propri revolver.
"Tutti sul cleric, quanto a voi, Araziel, Selhen, ricordatevi di evocare l'occhio magico per scovare assassino e cacciatore!".
Annuii senza essere sicura di aver capito.
"Pronti all'assalto". Aveva annunciato Araziel sollevando un revolver.
"Tre, due, uno...".

Fu nel momento in cui varcammo la fortificazione della postazione sud che ce li ritrovammo davanti. Le loro armature erano preoccupanti. La bandiera elisiana già sventolava all'interno della guarnigione e numerosi corpi di Balaur, ormai morti, giacevano sul pavimento innevato della postazione.
Per un momento per me fu come vedere tutto rallentato. 
Sì, il destino era stato tanto ironico quanto crudele. Velkam era là, tra quel gruppo di elisiani. 
Mi arrestai di colpo e sentii Demon che mi sbatteva contro. "Selhen!", si era lamentato oltrepassando la mia figura di ghiaccio.
Notai in Velkam lo stesso sguardo smarrito e preoccupato. 
Fu solo un attimo, un momento. Accadde tutto molto velocemente.
Il chierico del gruppo elisiano era praticamente stato trivellato dai colpi di Araziel e Demon, Sae si manteneva a debita distanza, protetta da una barriera magica che il Gladiatore elisiano stava cercando di spezzare in tutti i modi. Poi, d'improvviso, il gruppo di elisiani si era ridotto.
Velkam era sparito dalla mia vista, cosa che, in un primo momento, mi aveva fatto credere che avessi avuto soltanto una visione.
"Assassino e cacciatore, prendeteli!", aveva urlato Flamet sgozzando il Gladiatore che aveva aggredito Saephira.
Capii da ciò che in realtà avevano solo sfruttato la loro invisibilità. Gaar e Velkam stavano andando a rubare le nostre guarnigioni.
"Selhen, muoviti!", il tono imperioso di Araziel mi aveva fatto rabbrividire. Sembrava... arrabbiato?
Sparai un colpo sul fattucchiere elisiano che aveva preso di mira Flamet ma la barriera magica lo protesse.
"Buttala giù", arrivò perentorio l'ordine di Araziel.
Annuii frettolosa sparando i colpi più potenti che avevo in serbo. Quando la difesa magica si infranse, il fattucchiere divenne carne da macello tra i letali pugnali di Flamet.
Rimaneva solo il tiratore che per l'occasione aveva preso le sembianze di un pinguino ballerino per merito di Saephira.
Mi guardai intorno e notai che di Araziel e Flamet non c'era più nessuna traccia. Eravamo rimasti io, Pausania e Saephira contro il tiratore elisiano. Uno dei generali.
Notai il tizio biondo studiarmi con un occhiata. Disse qualcosa, che non capii, prima che Saephira con un urlo non svolazzò l'archetto mandando addosso al nemico una chiave magica. Il peso della pesante disarmonia schiacciò l'elisiano che si accasciò per terra spalancando le candide ali richiuse su se stesse prima di scomparire alla vola della loro zona neutrale, dalla quale sarebbero rinati.
"Prendi la guarnigione, Selhen!", aveva urlato Pausania frettolosa mentre usciva dalla postazione sud per recarsi all'ultima guarnigione che restava agli elisiani. La loro difensiva.
Mi accostai alla capannuccia elisiana e ne strappai gli stendardi, imponendo, con la magia, il sigillo di conquista Asmodiano.
Imprecai quando in quel momento una nuova orda di Balaur aveva fatto ingresso nella guarnigione, ormai asmodiana, per riprendersela.
"Fila, viaaa!", aveva detto Sae terrorizzata muovendosi verso la direzione della nostra difensiva.
Sussultai, aveva ragione. Non potevamo competere solamente in due con un nuovo manipolo di Balaur. 
Incontrammo Araziel alla difensiva asmodiana, era intento a evocare il sigillo anche in quella guarnigione che ci era stata sottratta, quando il suono di una nuova conquista elisiana rimbombò nel percorso di marcia.
Gli elisiani avevano conquistato una postazione. Supposi fossero stati o Velkam o Gaar.
Quando ci riunimmo nuovamente alla loro postazione sud, scorsi i vestiti di Araziel imbrattati di sangue. Non riportava nessuna ferita, dunque supposi che quel sangue fosse di qualche elisiano con cui si era scontrato. Rabbrividii. Sapere che Velkam avrebbe potuto soffrire la morte a causa nostra non era una gran bella cosa.
"Preparatevi ad attirarli dentro la guarnigione", aveva ordinato il tiratore scandagliando il corridoio esterno con lo sguardo. Ho mandato Flamet ai lanciagranate. Li incastriamo tutti come i topi, generali compresi", ghignò Araziel. "Demon, tu torna alla nord e conquistala,  l'assassino ce l'ha rubata, ma ha fatto la fine che meritava".
Rimasi di sasso quando notai gli elisiani venire di corsa alla nostra volta. Non potei fare a meno di gettare uno sguardo verso Velkam, di scuotere il capo terrorizzata, cosciente della fine che di lì a poco avrebbero fatto tutti. In tutto ciò mi accorsi troppo tardi che mi ero sporta troppo fuori dalla guarnigione.
Venni letteralmente assaltata dal tiratore elisiano. Il mio braccio sinistro, aveva incassato la maggior parte dei suoi colpi, e così anche la mia spalla. Vidi il mio sangue, copioso, sgorgare e macchiare la neve della postazione Sud, e nell'accasciarmi a terra notai Velkam spintonare il suo compagno elisiano per impedirgli di sparare il colpo decisivo.
La granata lanciata da Flamet esplose, in un boato fragoroso. Il macabro suono di sei paia di ali riempì il silenzio, e tra quelle le vidi, mentre rantolavo per terra. Le immense ali di Velkam, sfumate di azzurro, si erano richiuse esattamente con tutte le altre.
Urlai, ma fortunatamente per me quell'urlo venne scambiato per un urlo di dolore viste le mie condizioni.
Vidi Araziel inginocchiarmisi accanto e prendere il mio braccio sanguinante tra le mani.
"Saephira, è messa malissimo, curala", aveva detto svelto.
Saephira aveva assistito attonita a tutta la scena. Mi aveva solo guardata tristemente negli occhi, mentre i corpi degli elisiani cominciavano a svanire uno per uno.
Lacrime mi rigavano le guance, mentre il suono dell'ultima guarnigione conquistata sanciva la nostra vittoria.
Mi accorsi di singhiozzare. "E' tutto finito, torniamo a Pandemonium, bimba", mi aveva sussurrato Araziel dolcemente.
Non risposi, potevo quasi sentire lo sguardo di Flamet bruciante sopra di me. Come se avesse intuito qualcosa ma come se lei stessa non fosse in grado di capire di cosa si trattasse.
Vidi Araziel estrarre una pergamena del ritorno dalla propria borsa in pelle e leggere il nome della destinazione. Ci dissolvemmo, e quando ci ricomponemmo davanti all'obelisco del grande tempio di Pandemonium un capannello di Asmodiani curiosi ci accolse.
Appoggiai stancamente il capo alla spalla di Araziel mentre il braccio mi doleva come non mai. Potevo sentire il sangue viscido sporcarmi la mano e sgorgare dalla ferita. Vidi le gocce imbrattare il pavimento di pietra del Tempio.
"Coraggio bimba, vedrai che lo zio Galthun ti rimetterà a nuovo", mormorò Araziel portandomi a passo cadenzato verso gli uffici di legione.
Chiusi gli occhi lasciandomi cullare dal dondolio dei suoi passi, sentivo il respiro farsi sempre più pesante e la mia vista annebbiarsi.
A quanto pareva qualcuno aveva fatto chiamare Galthun perchè lo ritrovammo già nel luogo prestabilito. 
Con sguardo esperto il chierico di legione mi scrutò la spalla mentre ancora Araziel mi teneva tra le braccia.
"Ci vorrà un po'", aveva detto maneggiando con cura le mie ferite. "Saephira ha fatto un buon lavoro, ma a me toccherà quello più scomodo. Puoi appoggiarla qui, se vuoi" indicò una panca in un angolo, e detto ciò si lisciò i grandi baffoni cominciando a recitare una dolce litania guaritrice.
Una sensazione di calore mi avvolse il braccio mentre Araziel mi adagiava distesa sulla dura superficie di legno. 
"Ho caldo", mormorai con voce spezzata.
La mano calda e sicura di Araziel mi spostò dalla fronte i capelli albini incrostati di sangue, si erano attaccati ad essa per il sudore e l'umido della neve.
"Shhh", mi disse mentre mi studiava con lo sguardo.
Volsi per un momento uno sguardo grato verso di lui, ma non ebbi la forza di ringraziarlo, ero veramente sfinita, e per quanto la magia di Galthun mi attutisse il dolore, il braccio e la spalla continuavano comunque a dolere.
"Per poco non la colpivano al cuore...", riecheggiò nella mia testa la voce di Galthun, poi fu buio.

Ritornai a casa nel pomeriggio inoltrato. I miei vestiti erano interamente imbrattati del mio stesso sangue, ragion per cui, avrei dovuto toglierli e cestinarli.
L'immagine di Velkam che si accasciava senza vita sul suolo della postazione sud mi aveva tormentato per tutto il pomeriggio. 
Vedere morire un Daeva non era per niente una bella cosa, soprattutto quando si trattava del Daeva di cui eri innamorata.
Avrei voluto scrivergli, sapere come stesse, sapere se si fosse ripreso.
Con questi pensieri arrivai all'ingresso di casa mia. Come di abitudine controllai la cassetta della posta, sicura comunque, di non trovarci alcuna lettera.
Quando aprii il coperchio della cassetta, su cui una grande aquila dorata spalancava le sue immense ali, un foglietto di pergamena bianco catturò la mia attenzione.
Corrugai la fronte. Eravamo a metà settimana. Non poteva trattarsi di nulla se non di un messaggio inaspettato.
La mia sorpresa fu più grande quando raccolsi il foglietto tra le mani, per decifrarne il testo vergato a mano.
L'inchiostro era sbavato, e le parole sembravano essere state scritte di tutta fretta.

Velkam vuole vederti. Ti aspetta alle cascate della guarnigione 72 a mezzanotte. 
Gaar


Il mio cuore fece le capriole quando lessi quel nome. Velkam.. voleva vedermi.
Ma perchè incaricare Gaar di scrivere quel biglietto? E come aveva fatto, un elisiano, a portare il biglietto nella mia buca delle lettere, a Pernon?
Senza farmi tante altre domande, accecata dalla voglia di rivederlo, mi fiondai letteralmente dentro la porta di casa.
Mi spogliai di tutta fretta sfruttando l'acqua calda che Mnerunerk aveva preparato per il mio bagno, di ritorno dal mercato. 
Feci in fretta, mi lavai, e mi rivestii di tutto punto. Sarei passata a mangiare qualcosa all'Apellbine, poi avrei cominciato a incamminarmi verso il posto indicato.
Conoscevo quella zona. Era una cascata che si apriva tra le rocce del Katalam Nord, l'unica cosa che mi stranizzò fu che Velkam, per quell'incontro, avesse scelto una zona non neutrale.
Caricai i revolver, consapevole che avrei dovuto essere ben pronta a usarli, poi, senza comunicare niente nemmeno al mio shugo servitore uscii.
Avrei voluto riabbracciarlo. Sentirlo tutto intero tra le mie braccia. Baciarlo ancora una volta e comunicargli quanto vederlo accasciarsi al suolo era stato doloroso.
Ringraziarlo, perchè mi aveva evitato una morte certa mettendosi contro uno della sua stessa fazione.
Sorrisi tra me, mentre attraversavo i vialetti alberati di Pernon alla volta del teletrasporto, non avrei mai creduto possibile che così presto avremmo potuto rivederci.


[Eccoci col nuovo capitolo, secondo voi cosa accadrà? Perchè Velkam ha mandato a chiamare Selhen? 
Beh non vi anticipo nulla, scopriremo alla prossima puntata il lupus in fabula.
Ciao belli, recensite che così arriva lo speciale 55 recensioni! Su u.u]

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Capitolo 39
*** -31- Agguato ***


Era l'alba, davanti alla fortezza di Kamar, e il cielo puntellato d'etere faceva spazio, tra timide nubi, a un sole dalla luce ancora debole e incerta.
Il suono di passi rumorosi e decisi rimbombò nella piazza ancora deserta. Una figura minuta e incappucciata avanzava silenziosa, aveva percorso già buona metà della piazza quando, davanti a un varco che fece aprire l'ancora assonnato teletrasportatore elisiano, comparve la massiccia figura di un giovane Generale.
L'asmodiano incappucciato che era rimasto statico fino a quel momento, diede segno di irrequietezza, e si mosse per raggiungere il nuovo arrivato.
"Elisiano... mi auguro che tu abbia un valido motivo per pretendere la mia presenza a quest'ora del mattino", disse una voce femminile proveniente da sotto il cappuccio, con tono irritato.
"Ho motivi più che validi, asmodiana", disse il generale incrociando le braccia al petto in un cipiglio severo.
"Illuminami allora", un sorriso affettato si era allargato sotto l'ombra scura del cappuccio in pelle.
L'elisiano giocherellò pensieroso con un sassolino che il suo piede aveva pestato sul suolo della piazza. "Ho paura che entrambe le nostre fazioni siano state tradite, e... attenzione, non sono preoccupato per la tua...", puntualizzò ironico.
La figura femminile incappucciata aveva posto entrambe le mani sui fianchi. "Oh, non l'avrei mai detto", ironizzò.
Il Generale ridacchiò, "Dopotutto, non nutro affatto simpatia per la tua razza, donna... e non prendo accordi con asmodiani, se non per motivi seri".
"Sto ancora aspettando", era intervenuta l'esile figura con aria seccata.
"Temo che... i vostri siano coinvolti in un bel tradimento. Affare decisamente grosso", ghignò sprezzante il Generale. "Chi di competenza dovrebbe evitare che della feccia tenti di mettersi a fare l'amicona con quelli dei nostri".
Un pugnale affilato uscì svelto dal mantello nero che copriva la figura minuta, per puntarsi dritto sulla carotide dell'elisiano. "Bada a come parli, elisiano... la feccia siete voi, qui, tra le due razze", sibilò minacciosa. Il mantello ebbe un sussulto. Come se la coda dell'asmodiana si fosse nervosamente agitata.
"Prova soltanto a dire un'altra cosa del genere e giuro che mi divertirò a strapparti gli occhi con gli artigli che Aion mi ha dato", ringhiò minacciosa.
Il Generale sorrise affettato. "Calma i bollenti spiriti, bestiolina".
"Non... osare!", un taglio profondo rigò la guancia dell'elisiano dal quale sgorgò una goccia di sangue scarlatto.
Il giovane arricciò il labbro contrariato. "La tizia albina", rise sghembo, "manda avanti una tresca amorosa con uno dei nostri".
L'espressione dell'asmodiana fu indecifrabile, e non un movimento si manifestò da sotto il lungo mantello.
"Stai parlando del tiratore scelto?", chiese in tono piatto l'asmodiana.
Il Generale annuì compiaciuto. "Oh sì, e con un nostro Generale, per di più. Che avrà dalle autorità la punizione che si merita".
"E quale sarebbe la motivazione per cui stai venendo a riferirmi tutto ciò?", domandò l'asmodiana sprezzante.
"Perchè sei una delle principali esponenti della sua legione. Confido nel tuo buonsenso, per quanto tu sia un'asmodiana e lo abbia scarso".
La figura incappucciata mosse nervosamente il pugnale che aveva tra le mani. "Ho sicuramente più buonsenso di te...", una serie di insulti in asmodiano seguirono quell'affermazione.
L'elisiano rise con aria divertita. "Risparmiati gli insulti, e se vuoi una conferma di ciò che ti sto dicendo, vieni pure alle cascate della guarnigione 72 a mezzanotte, vedrai con i tuoi stessi occhi". Il Generale non disse altro, mantenne solo il solito sorriso irritante lanciando un occhiata sotto il cappuccio dell'asmodiana.
"Sappi, che non ho nulla da spartire con quelli della vostra razza, e se dovesse essere una calunnia, ti scoverò e ti torturerò, ovunque tu ti nasconda", sibilò tra i denti la figura incappucciata. "Non sono il tipo che prende accordi con la feccia elisiana".
"La feccia elisiana, sta salvando quel che resta dell'onore della tua sporca legione", concluse il Generale con aria boriosa e annoiata. "Un po' di gratitudine, sù...".
Un ringhio quasi animale fuoriuscì dal cappuccio, poi la figura incappucciata si voltò nervosamente, dissolvendosi poco dopo con una pergamena del teletrasporto.




Un silenzio insolito circondava la guarnigione 72 quella notte. Camminavo a passo felpato, col favore della notte, il religioso silenzio era rotto solo dal forte ronfare degli uomini elisiani a guardia della guarnigione. La oltrepassai, a distanza, evitando l'occhio Elisiano che potesse fulminarmi con un solo raggio e cominciai a inerpicarmi per le rocce erbose della zona fino a raggiungere una profonda gola nella quale risuonava lo scrosciare di una cascata.
Mi guardai intorno, alla ricerca di qualsiasi traccia di Velkam, ma probabilmente non era ancora arrivato, così mi adagiai sul prato poggiando la schiena alla parete rocciosa.
I miei occhi scandagliarono il luogo silenzioso, nel buio, mi distrassi a osservare l'acqua che scorreva nel fiumiciattolo che terminava in un'ulteriore cascata.
Rimasi in silenzio, respirando a pieni polmoni l'aria fresca e notturna di quel luogo. Un dolce profumo raggiunse le mie narici, intenso, erano i fiori notturni di cui quella zona del Katalam era piena e che certamente a quell'ora si erano schiusi.
Quando udii un fruscio il cuore mi balzò nel petto. Mi mordicchiai il labbro inferiore, guardandomi intorno.
"Velkam...", mormorai tra me. "Sei tu?".
Un'immagine mi si materializzò di fronte. Poggiava un ginocchio sull'erba ed era accovacciato, teneva un dito sulle labbra come ad invitarmi a fare silenzio.
La mia bocca si allargò in un sorriso sincero e luminoso.
"Ciao Asmodiana".
Mi lanciai contro di lui, stringendogli le braccia al collo con forza. "Amore mio!", dissi felice di rivederlo tutto intero. "Come stai?".
Per tutta risposta lui sciolse l'abbraccio e mi osservò la spalla con cipiglio preoccupato. Mi prese il polso tra le mani e percorse con lo sguardo il braccio intero.
"Tu piuttosto, sei rimasta ferita?".
Scossi il capo. "Oh no, come vedi Galthun ha fatto un ottimo lavoro".
Il cacciatore elisiano annuii cupo. "Come hai fatto?".
Stavo ancora sorridendo e non avevo nemmeno fatto caso alla sua domanda. Ero così presa della sua presenza che avevo ripreso a parlare sena prendere fiato neanche un momento. "... avevo veramente temuto di ritrovarmi contro di te! Sembra che il destino ci sia avverso!", stavo protestando incrociando le braccia mentre mettevo il broncio.
"Selhen... come hai fatto?".
Corrugai la fronte. "Mh?".
Lo vidi rovistare nelle tasche della giubba di cuoio ed estrarre un foglietto di pergamena identico a quello che avevo trovato io quel pomeriggio nella mia cassetta delle lettere.
"Co... cosa?".
"Credevo che per un'asmodiana fosse un po' difficile raggiungere la cassetta delle poste di un Generale elisiano".
Boccheggiai senza far fuoriuscire alcun suono, non capivo. Era stato Gaar a contattarmi per lui, non io che gli avevo chiesto di incontrarci.
"Per di più hai fatto una pessima scelta", disse sganciando la cinghia della propria faretra.
"No!", dissi realizzando solo in quel momento. Il mio cuore aveva iniziato a battere così forte che sembrava quasi stesse balzando fuori dal petto. "Una trappola...", mormorai.
Non servì nessun'altra parola. Velkam si rimise sull'attenti fulmineo mentre io gettavo alla rinfusa gli oggetti fuori dalla mia borsa cavando un biglietto esattamente uguale al suo, che gli mostrai.
"Che diamine...", Velkam aveva scorso il testo in un battito di ciglia. Quello che avevo notato in lui era stata un'espressione di sgomento, prima che  estraesse una freccia dalla faretra e sparisse svelto dalla mia vista.
Percepii la presenza di Velkam al mio fianco, per quanto fosse invisibile.
"Lo ammetto... avevo stentato a crederci", aveva detto una voce con tono vellutato.
Dal nulla era comparsa un'asmodiana minuta dalla fluente chioma scarlatta.
I grilletti di entrambe i miei revolver scattarono. Per quanto sapessi che mettermi contro un ufficiale a quattro stelle non mi sarebbe servito a niente.
"Flamet... posso spiegare", tentai di esordire nella maniera meno ostile possibile.
L'assassina scosse il capo raccapricciata. "Oh no, non è a me che devi spiegare, forse ad Araziel...". 
Deglutii sgomenta. Mi guardai intorno, senza avere una reale via di fuga, poi vidi Velkam comparire alle spalle di Flamet e attaccarla con una rapidità impressionante.
Non avrei potuto essergli d'aiuto. Le armi asmodiane non erano fatte per attaccare gli asmodiani. Premetti la schiena contro la parete rocciosa. Poi iniziai a indietreggiare.
Che avrei potuto fare? Scappare? Lasciare che Velkam uccidesse Flamet? E cosa sarebbe cambiato? Una volta rinata all'obelisco della resurrezione sarebbe andata dritta a Pandemonium per avvisare Araziel e le autorità di Asmodae.
"Scappa, sparisci!", mi aveva urlato Velkam mentre era intento a schivare uno dei letali pugnali di Flamet. Una parte del suo ciuffo si sparpagliò nell'aria, reciso dalla furia del movimento dell'asmodiana.
"Flamet, ti prego!", la supplicai. "Lascia che ti spieghi", con gli occhi lucidi e le mani giunte in un'innocente preghiera avevo cercato di mettermi in mezzo tra i due, poi una pallottola mi colpì una caviglia.
Raggelai, sentendo le gambe cedermi, e ruzzolai per terra. I miei occhi scarlatti cercarono nel buio la persona da cui era partito quel colpo e la vidi. Era il tiratore che mi aveva quasi ammazzata quel pomeriggio nel percorso di marcia.
Rantolai abbracciandomi la gamba ferita, ma non ebbi neanche per un momento l'attenzione di Flamet che con un balzo agile aveva stretto una morsa mortale attorno al collo del cacciatore elisiano premendo forte la lama del pugnale nel suo punto vitale. Lo aveva colto in un momento di distrazione. 
Una stilla di sangue scarlatto sgorgò dal taglio che gli aveva arrecato e tanto bastò a farmi urlare dallo sgomento. "Velkam!", lo chiamai tentando di raccogliere le pistole che erano cadute sul terreno poco distanti da me.
"Drekan... non farlo, te ne prego!", stava balbettando Velkam tremando vistosamente.
Con un calcio Flamet allontanò i miei revolver, poi, con un colpo secco recise la carotide di Velkam. "Feccia elisiana", aveva ringhiato lasciando cadere il suo cadavere rigido sull'erba soffice. Il suo sangue andò a inzuppare il terreno mentre il tiratore elisiano osservava vagamente impressionato la scena.
"Sei soddisfatta, adesso?", aveva detto gelido. I suoi occhi di ghiaccio avevano studiato le ali di Velkam, eleganti, ricomporsi sul suo cadavere prima di svanire dal luogo per tornare a ricomporsi in chissà quale obelisco di resurrezione di elisea.
"E' la seconda volta che lo uccido, nel giro di un giorno... questo cacciatore inizia ad irritarmi" aveva detto Flamet seccata.
Drekan osservò l'assassina prima di abbassare lo sguardo sprezzante su di me, ancora raggomitolata sul terreno in preda ai singhiozzi.  
"Mi fa pietà, Quasi la lascerei vivere...".
Flamet non si pronunciò, ma rimase a osservarmi con evidente disprezzo nello sguardo.
Non alzai gli occhi, non volevo incontrare il suo sguardo, e se anche Drekan mi avesse uccisa, quando sarei rinata all'obelisco, avrei di certo incontrato una pattuglia Asmodiana pronta ad aspettarmi. Strinsi le palpebre in attesa della pallottola che mi avrebbe uccisa definitivamente.
Al momento d'esitazione seguì solo uno sparo, poi tutto piombò nell'oscurità.

La fortezza di Katalam Nord era illuminata dai deboli raggi di luna, quando il mio corpo avvilito si ricompose ai piedi dell'obelisco di resurrezione. Un silenzio assordante echeggiava, e solo il mio cuore, tornato a battere lo spezzava con veloci tonfi.
Non mi accorsi della presenza di qualcuno al mio fianco finchè non mi girai. Era l'unico asmodiano presente in quel posto,  solo quando recuperai gradualmente la vista capii di chi si trattava.
Araziel mi aveva sorretta, vedendomi barcollare. I miei capelli bianchi erano sporchi di sangue per il colpo appena ricevuto e zoppicavo mentre le mie ferite si andavano pian piano rimarginando.
Guardai spaventata il viso di Araziel, il quale aveva scosso il capo amareggiato, poi qualcuno chiamò il mio nome e mi sentii afferrare con poca delicatezza le braccia.
Non ebbi il tempo di dirgli nulla. Solo, sperai che ovunque mi stessero portando, lui restasse con me, esattamente come un giorno mi aveva promesso.

[Ogni tanto mi rifaccio viva con un nuovo capitolo. Ebbene sì, siamo al punto di svolta, ma non dimenticatevi di meeee, voglio le vostre deduzioni, i vostri pareri. Chissà, magari qualcuna potrebbe essere determinante per la trama. Quindi se recensite salverete l'ispirazione di un'autrice quasi in crisi, ve lo dico sempre u.u
Per il resto mi siete mancati! State passando bene l'estate? 
Anche Kaha, la pg attrice di Selhen, se la passa a meraviglia con Saephira sulle spiagge di Akaron, ma questi screen speciali li trovate solo sul mio gruppo. Iscrivetevi e ne vedrete delle belle.
Ciaoooo e buona estate :*]    
 

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Capitolo 40
*** -Speciale 55 recensioni- Un lieto fine ***


Un'altalena oscillava vuota in cima a un'anonima collina di Brushtonin. Silyssa era rimasta seduta sull'erba soffice e rigogliosa, con la schiena poggiata contro la corteccia di quel grande albero, scorreva con gli occhi un libro del quale teneva il segno con un elegante dito artigliato.
"Sylissaaa!", rimbombò per le colline una voce acuta e penetrante. La giovane fattucchiera non rispose, sapeva di chi si stesse trattando, così era rimasta ad attendere soltanto che sua sorella la raggiungesse all'ombra del grande albero.
Il sole era alto, e un'afa insopportabile quel giorno sembrava toglierle il respiro. La giovane asmodiana si tolse, sbuffando, una ciocca di capelli cadutale davanti alla fronte, poi sollevò lo sguardo solo per un secondo, prima di rituffarsi nell'attenta lettura.
Malombra era arrivata saltellando come un moscerino fastidioso. Assicurato alla schiena reggeva un elegante arco che riluceva ai raggi del sole.
"Che c'è Malo?", aveva detto Sylissa senza essere poi realmente interessata a quello che la sorella minore avesse intenzione di dirle.
Gli occhi verdi e ridenti della minuta cacciatrice si illuminarono. La sua piccola bocca si stirò prepotente in un luminoso sorriso che fece comparire due curiose fossette sulle guance lentigginose.
Sylissa non parlò, continuò a leggere, toccandosi la punta di un'orecchia tutta concentrata. Le sue orecchie erano a punta, segno di una nobile discendenza elfica, ed era stata soltato lei la fortunata ereditiera di quella privilegiata linea di sangue.
Malombras aveva preso dal ramo umano della famiglia. Era invece toccato a lei ricevere in eredità i potenti poteri oscuri che ora, con difficoltà, si ritrovava a padroneggiare.
La chioma riccia e irsuta della minuta cacciatrice sembrò essere appena intaccata dal venticello estivo mentre muoveva la testa ad osservare curiosa la sorella maggiore. Poi Malombra, non contenta della poca attenzione di Sily, le pestò dispettosamente un lembo della lunga tunica.
"Ehi, Malo! Il vestito!", si lamentò la fattucchiera distogliendo finalmente lo sguardo dal libro.  Appariva vagamente infastidita dai dispetti della sorella, ma le voleva comunque un gran bene.
"Ma hai presente che domani sarà il giorno della mia ascensione?", aveva esultato Malombras piroettando tutta contenta.
"Sì Malo, ma adesso mi lasceresti studiare in pace, per favore?". L'aria altezzosa della fattucchiera aveva lasciato spazio a un sorriso dolce e comprensivo.
"Non credo che me lo chiederesti di nuovo se sapessi cos'ho qui per te", ridacchiò Malombra divertita.
A quell'affermazione gli occhi viola di Silyssa si distolsero rapidamente dal tomo per puntarsi alle mani della sorella asmodiana. La piccola cacciatrice stringeva tra le dita un fogliettino spiegazzato di pergamena.
"Eh sì sorella...", aveva ghignato Malombra, "...direttamente da Sanctum e solo per te!", il tono furtivo e furbesco con cui lo aveva detto le aveva fatto abbassare la voce di due buone ottave.
Negli occhi di Silyssa si dipinse un vago stupore mentre le sue guance assurdamente pallide iniziavano a colorarsi di rosso. Improvvisamente aveva iniziato ad avere caldo.
"Dove!", aveva detto all'improvviso cercando di afferrare il foglietto dalle mani di Malombra con urgenza. 
"Eh no!", aveva ridacchiato la cacciatrice spiccando un abile balzo all'indietro.
Le mani di Silyssa si ritrovarono ad afferrare l'aria. "Malo!", aveva imprecato minacciosa, "Per favore".
"E tu cosa mi dai in cambio?", aveva detto la piccola rossa con aria diplomatica.
"Giuro che non dirò a nonna delle tue scappatelle notturne", un ghigno crudele si era dipinto sul volto della fattucchiera. 
Malo apparve per la prima volta seriamente preoccupata. "Non lo faresti mai!"
"Potrei".
Malombra mugugnò qualcosa di incomprensibile poi lasciò cascare il foglietto di pergamena.
Le mani della fattucchiera che avevano tentato dapprima di strapparglielo di mano se ne impossessarono bramose. Gli occhi viola di Silyssa scorsero il testo della lettera, poi un dolce sorriso comparve sulle sue labbra. "Elyos vuole vedermi, perchè non me l'avevi detto prima!"
"Perchè è pericoloso".
"Naaah, andiamo, non mi è mai importato nulla del pericolo", disse sprezzante la fattucchiera. "Sono abbastanza forte da cavarmela da sola".
Malombras alzò gli occhi al cielo. "Sì, lo so, è tutto inutile... ma io almeno ci ho provato!".
Silyssa non la ascoltò. Balzata in piedi, si sollevò entrambe i lati della veste con le mani e si lanciò in una corsa a perdifiato giù per la collina, lasciando la piccola cacciatrice imbambolata ai piedi dell'altalena. 
Elyos la stava aspettando, e per lei non c'era altra ragione di indugiare ancora.
Quanto a Malo, piccola complice di quella relazione, non era importante quanto fosse preoccupata per lei. C'era qualcosa che contava molto più della lunga vita della Daeva solitaria che altrimenti le si sarebbe prospettata, di una vita lunga, ma infelice, e soprattutto senza amore.


Pensava a tutto questo Silyssa, mentre rimirava la boccetta che quella mattina gli era stata consegnata in un piccolo e anonimo pacchettino da uno shugo postino.
Del sangue scarlatto e liquido ne colorava le pareti di rosso. 
Sily mosse prima da una parte, poi dall'altra, la fiala di vetro. La contemplò incantata e quasi bramosa. 
Un calderone ribolliva davanti a sè, e dalla brodaglia al suo interno si alzava un odore di certo poco invitante. 
Poche gocce di sangue... poche gocce di sangue elisiano, ma non di un elisiano qualsiasi... doveva trattarsi di un elisiano innamorato... un elisiano che come Elyos, aveva donato il suo cuore ad un'asmodiana.
Un pesante e polveroso tomo di arti oscure giaceva sul banco di legno, accanto al calderone. Silyssa ridacchiò deliziata, mentre il suo miol gatto le si strusciava tra le gambe facendo le fusa.
"Mio tesoro...", lo aveva apostrofato lei dolcemente sfiorandogli la coda. Il micio aveva miagolato placido prima di spiccare un balzo e andare ad acciambellarsi nella poltrona della padrona.
La fattucchiera tornò a concentrare tutta la sua attenzione sulla piccola boccetta. La accarezzò con dolcezza, come se in questa fossero riposte tutte le sue speranze.
E così il cerchio si chiudeva, lei era sopravvissuta, ma Elyos no, Elyos qualche centinaio di anni indietro era stato condannato a morte. Punito per averla amata.
Per anni mai, la fatucchiera, si era perdonata quello che per causa sua il giovane ufficiale elisiano aveva patito. Condannato crudelmente all'oblio eterno, alle tenebre più profonde. La sua anima era andata perduta per sempre... forse.
Poi aveva iniziato a fare ricerche. Libri proibiti, incantesimi arcani, arti oscure, formule proibite e sconosciute.
Qualche mese prima, dopo secoli, aveva trovato la risposta che cercava. E poi la notizia.
Selhen e il Generale elisiano. Voci di corridoio?
Forse. Ma l'occasione era stata troppo ghiotta per non esporsi. Elyos sarebbe potuto tornare. Sarebbero potuti fuggire insieme, in un'altra dimensione magari, in un altro mondo, perdersi insieme per abbandonare Atreia e quell'assurda rivalità tra popoli che aveva mietuto così tante vittime fino ad allora.
Era apparentemente giovane, ma troppo vecchia, troppo stanca di combattere per Asmodae senza ottenere niente che le importasse davvero.
Pensò a Selhen, alla giovane asmodiana che in quel momento stava combattendo la sua stessa battaglia. Non potè che augurarle ogni bene, anche se non era poi così convinta di un esito positivo di quella storia.
Silyssa scosse il capo, sbattendo le lunghe ciglia. Gli occhi azzurri di Elyos la stavano guardando. Le sue labbra le stavano sorridendo, nei suoi pensieri. Potè quasi percepire le sue mani che le sfioravano la spalla scoperta, sentirne il calore.
"Promettimi che sarai mia per sempre..."
Le sue parole le riecheggiarono nella mente.
E così la risposta di lei. "Te lo prometto".
Fu quel ricordo a darle la certezza assoluta di ciò che più desiderava.
Con un gesto secco rovesciò nel calderone il contenuto della boccetta, poi i suoi occhi divennero fiamme ardenti, e la sua lingua svelta prese a pronunciare parole sconosciute.
Elyos sarebbe risorto dalle proprie ceneri. E lei avrebbe avuto il lieto fine che da sempre si era meritata. Che aveva sperato, agognato, e che finalmente avrebbe ottenuto.
Il pavimento della sua casa tremò, e il suo miol soffiò atterrito correndo a nascondersi sotto la libreria. La cantilena acuta e penetrante continuò a lungo, finchè Silyssa, esausta e con la testa che le ronzava, non perse i sensi sbattendo violentemente il capo sul pavimento.
Quando si svegliò Elyos era là. Un elisiano a Beluslan, in casa sua.
Due occhi azzurri la scrutarono preoccupati, due mani le sfiorarono dolcemente la guancia in una carezza. "Silyssa".
"Elyos", rispose lei in preda alla più forte emozione che nel corso degli ultimi secoli avesse mai provato. "Mio amato".
"Cosa...?", aveva domandato lui battendo le palpebre spaesato.
Lei si era sollevata sulla schiena con l'aiuto delle sue braccia robuste. Gli aveva gettato le proprie al collo scoppiando in un pianto liberatorio.
I mezz'elfi non piangono mai... le rimbombarono le parole di sua nonna nella testa.
Ma non poteva non piangere. Quanto aveva desiderato così intensamente che quel momento arrivasse!
"Nulla amore mio, sei con me... e adesso penseremo ad un modo per restare insieme per sempre".
Aveva baciato le labbra rosee del nemico, lo aveva stretto forte tra le sue braccia, e lui, per nulla turbato, la aveva ricambiata. 
L'elisiano dalla corazza splendente le aveva sorriso. I suoi capelli erano legati in una coda di cavallo color dell'oro e la sua pelle era rosea ma abbronzata dal sole. Era esattamente come Silyssa lo ricordava nel giorno della sua esecuzione.
"Mi sei mancato così tanto, amore mio...".
"Anche tu, piccola, anche tu".
Silyssa sorrise. "Andiamo via da qui... spariamo da Atreia per sempre, sei d'accordo con me?".
Elyos annuì. "Dopotutto, credo che sia passato un po' di tempo da quando ad Atreia si è pronunciato per l'ultima volta il mio nome".
"Centosettantanni", mormorò lei accarezzandogli la guancia con delicatezza.
"Centosettantanni", ripetè lui impressionato. "E... in tutto questo tempo non mi hai mai dimenticato?".
Silyssa scosse la testa. "No amore mio, te l'ho promesso... sono e sarei stata tua per sempre".


[Si chiude così, con questo lieto fine, la storia di Sily. Vi sareste mai immaginati che nel suo passato avesse vissuto una vicenda così simile a quella di Selhen? A cosa avevate pensato le fosse servito il sangue che aveva chiesto?
Beh guys, adesso ci avviamo realmente al finale della storia, dite la vostra adesso o tacete per sempre u.u
Ciao cari lettori, alla prossima!]

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Capitolo 41
*** -32- In prigione ***


Lo sferragliare della grande cella mi annunciò che qualcuno era venuto a prendermi. Mi ero rannicchiata in un angolo della stanza buia, con le ginocchia strette in un abbraccio e la testa ricurva, a lasciare che i capelli mi scivolassero avanti a coprire completamente il mio viso.
Non sollevai il capo nemmeno quando i rumori divennero più insistenti e un: "Ehi tu!", tentò di richiamare la mia attenzione.
Fu in quel momento che mi sentii prendere con la forza e strattonare con poca delicatezza. Alzai il viso, tumefatto e rigato da sangue e dalle lacrime.
Non avevo più ferite perchè la mia natura di daeva permetteva subito di rigenerarle, eppure non era un mistero quello che avevo subito in quelle ultime ore.
Benchè fosse vietato prendersela con i prigionieri prima ancora di un responso giudiziario, i soldati della fazione asmodiana non disdegnavano mai le crudeltà verso i loro simili accusati, anche per semplice sospetto, di tradimento.
Mi avevano interrogata, torturata, mi avevano minacciata col fuoco e in certi casi, avevo addirittura desiderato di morire, per quanto io fossi un essere immortale.
Uscii dalla cella a testa bassa, mentre il mio aguzzino continuava a trascinami con poca delicatezza fino ad una cella un po' più grande. C'era un lungo tavolo in legno, e sui due lati di quello, due smilze sedioline che sembravano reggersi appena.
Il soldato mi spinse violentemente contro una delle due sedie.
"Resta qui, feccia", aveva detto sputandomi ai piedi.
Non osai proferir parola. Continuai a tenere la testa bassa, sicura che anche ora, era arrivato il momento degli interrogatori e delle torture gratuite nei confronti di una sporca traditrice come mi consideravano.
Quale personalità importante voleva vedermi oggi per giudicarmi e per tentare di estorcermi inutilmente informazioni sull'altra fazione?
Era stato inutile spiegare loro che non c'era stato nessun secondo fine, nella relazione tra me e quel Generale elisiano. Mai avevamo parlato di fatti di fazione, mai avevamo affrontato discussioni che riguardassero il nostro essere diversi. Tutt'altro, quando eravamo insieme ci rendevamo conto di essere totalmente uguali.
Perchè dovevo considerare nemico un ragazzo che mi aveva trattata molto meglio di come stavano facendo adesso quelli della mia stessa razza?
Un singhiozzo debole e sommesso mi colse di sorpresa ma serrai le labbra e le palpebre per soffocarlo.
Avevo paura, tanta paura, e per quanto potessi sembrare forte quei pochi giorni di prigionia mi avevano devastata.
Piangevo ogni notte, nel buio della mia cella, urlavo il mio dolore che solo io potevo sentire.
Ai traditori erano riservate le prigioni più profonde del Colosseo di Triniel. Ero in totale isolamento, non fosse mai stato che fossi riuscita a sovvertire le menti degli altri prigionieri.
Non esistevano traditori, le cronache di Atreia non ne contemplavano, e se anche c'erano stati, quelle pecore nere erano rimaste schiacciate dal peso delle istituzioni di Pandemonium.
Eliminazione rapida e repentina, chi tradisce non merita di vivere per sempre. Merita l'oblio, una damnatio memoriae eterna.
Mentre pensavo a tutto questo la porta della cella sferragliò ancora. Udii la guardia che mi aveva accompagnata muoversi verso il nuovo arrivato. "La lascio a voi, non fatela scappare", aveva strascicato annoiato, poi era uscito e si era richiuso la grata alle spalle.
Nel silenzio di quel luogo udii solo l'avanzare di passi. Potei scorgere, dal mio sguardo basso, le punte di due pesanti stivaloni in cuoio poi, stranamente, una mano si posò delicata sulla mia testa. 
Mi ritrassi automaticamente, come se mi aspettassi di essere picchiata in qualche modo, ma mi accorsi che non c'era nulla di violento in quel tocco.
Quando levai in alto lo sguardo raggelai. Araziel mi fissava dall'alto. I suoi occhi verdi ricolmi di preoccupazione e compassione stavano studiando ogni centimetro del mio viso tumefatto e martoriato.
"Selhen...", disse sottovoce.
Scostai il viso dalle dita che mi reggevano il mento e guardai altrove. Non avevo la forza di reggere il suo sguardo, che per l'occasione sembrava perfino gelido e arrabbiato. Lui era leale, lui era giusto, non aveva nulla a che spartire con una traditrice come me.
"Che ti hanno fatto?", domandò a un certo punto addolorato, come se la preoccupazione avesse prepotentemente preso il posto della rabbia.
Serrai nuovamente le labbra, forte, chiusi i pugni affondandomi le unghie nei palmi, non dovevo piangere, non davanti ad Araziel...
Ma non ci riuscii. Scoppiai in un pianto a dirotto, scivolai dalla sedie e mi accasciai disperatamente a terra. 
Il tiratore mi si inginocchiò accanto. Il familiare profumo di pelle dei suoi vestiti neri mi giunse alle narici.
"Bimba... non piangere".
Non lo stavo ascoltando. Con le mani legate mi reggevo il viso. Le lacrime bagnavano copiose le mie mani e i singhiozzi mi spezzavano i respiri.
"Perchè lo hai fatto?", mi chiese Araziel infine. Esattamente come tutti. Forse solo un po' delicatamente, ma potei scorgere il disprezzo malcelato anche nella sua voce.
"Perchè mi sono innamorata",mormorai tra un singhiozzo e l'altro. "Non è stata una scelta Araz, te lo giuro... è capitato".
Araziel sospirò. "Guardami negli occhi".
Ubbidii, i miei occhi rossi erano lucidi e gonfi per il pianto, e non potei fare a meno di cercare un mero conforto afferrandogli un polso.
Araziel mi lasciò fare. Sembrava in combutta con se stesso per qualcosa. Il suo viso appariva corrucciato, e nella penombra delle torce di quel posto le cicatrici sembravano essere più profonde e minacciose.
"Per quanto io sia il tuo capo Legione... per quanto tu abbia tradito me per primo e il resto di Asmodae poi... per quanto tu sia stata così sciocca ad innamorarti di un nemico... non riesco ad immaginare una vita da daeva senza la tua presenza".
Lo guardai scuotendo il capo. "E' quello che merito".
"E se quell'elisiano non verrà condannato a morte prima, giuro che sarò io a perseguitarlo in ogni dove..:".
"Araziel..." intervenni fermando il flusso delle sue parole. "Ti prego, lui non ha mai fatto nulla, mai..:".
"Ti ha... insudiciata... ti ha toccata con le sue sporche mani da elisiano. Si è fatto beffe della mia legione... di me!", ringhiò sollevandosi in piedi e iniziando a percorrere la cella a grandi passi.
Rimasi accovacciata sul pavimento senza aggiungere altro. Come potevo pretendere che Araziel mi capisse? Era una Asmodiano tra gli Asmodiani. Odiava l'altra razza esattamente come gli Asmodiani sani di mente.
"Araziel..." pigolai soffocando una nuova minacciosa ondata di pianto.
Lui si voltò nuovamente a a guardarmi. 
"Ti prego...", mormorai ricominciando a piangere.
il suo freddo sguardo si fissò su di me. Sembrava disgustato, deluso... e faceva male, tanto male.
"Voglio... voglio che mi abbracci", dissi. 
Araziel scosse il capo. 
"Non credo di riuscirci".
"Ti prego!", lo supplicai guardandolo dal basso. Il pavimento di pietra lurido e sporco era freddo sotto di me. 
Araziel accennò qualche passo verso di me, stava combattendo con se stesso perchè, immaginai, non aveva nessuna voglia di avere contatti con me, dopo quello che avevo fatto.
"Resta", singhiozzai.
A quella parola, non seppi se per senso del dovere, o per compassione, il tiratore si chinò vicino a me. Potei sentire le sue braccia robuste e muscolose che circondavano il mio corpo e in quel momento non ressi più.
Piansi come non mai, piansi tutte le lacrime che avevo cercato di trattenere fino a quel momento.
Perchè tra le sue braccia riuscivo a sentirmi sempre al sicuro?
Non potevo stringerlo, perchè le mie mani erano legate, eppure premetti la mia guancia contro al suo petto, mi spinsi contro di lui con tutto il peso del mio corpo.
"Bimba", mi chiamò infine sottovoce.
Sollevai lo sguardo ma allargai le narici, per respirare ancora una volta il suo profumo familiare di pelle.
"Mi hai deluso profondamente, lo sai, vero?".
Tirai su col naso. "Mi dispiace", biascicai. Sentivo il mio corpo tremare, i nervi erano tesi fino allo spasmo e mi sentivo stanca e sporca. Tanto stanca.
"Mi condanneranno all'oblio?", domandai vagamente atterrita.
Il tiratore non parlò subito. Si torturò per un po' il pizzetto rosso prima di rispondere.
Appariva nervoso.
Mi allontanai da lui, forse si era stancato di toccarmi.
"A Pandemonium non si parla che del tuo tradimento... credo che le autorità elisiane e asmodiane stiano decidendo per la vostra esecuzione".
Abbassai il capo con un nodo che cresceva al petto. "Capisco".
Avrei avuto bisogno di un po' di conforto. Eppure, io che conoscevo bene Araziel sapevo che aveva anche già fatto troppo nei miei confronti.
Lui non disse altro. Solo scosse il capo prima di allontanarsi da me con un ultima delicata carezza ai miei capelli.
Quando varcò la soglia mi sentii terribilmente sola. Ripresi a piangere, in silenzio, man mano sentivo i suoi passi sempre più lontani e indistinti. Era appena andato via e già mi mancava.
Una vera e propria violenza psicologica, per me, quella di stare in isolamento, lontana da tutti, trattata come la peggiore feccia solo per l'essermi innamorata di un nemico.
Ripensai ai momenti miei e di Araziel. Potei comprendere quanto gli avesse fatto male quel tradimento, nonostante non lo desse a vedere.
C'era lui prima di Velkam, e questa cosa ero sicura che lo offendesse. Avevo letto il ribrezzo nei suoi occhi quando mi aveva guardata.
"Ti ha... insudiciata... ti ha toccata con le sue sporche mani da elisiano. Si è fatto beffe della mia legione... di me!"
Mi rimbombarono nella testa le sue ultime parole. 
Quando vennero a riprendermi seguii ubbidiente il mio aguzzino. Ormai non avevo più nulla da perdere. 
Avevo perso Araziel, avevo perso Velkam,e avevo perso la mia libertà. Quello che mi restava era accogliere la fine della mia vita da Daeva a testa alta. Allo stesso modo in cui aveva fatto mia madre, prima di me, quando mio padre, da semplice essere umano era passato a miglior vita.
Mi chiesi cosa stesse facendo Velkam in quel momento. Se avessimo avuto la possibilità di rivederci.
E se anche in una vita dopo la morte, avessimo avuto la possibilità di vivere lontano dalle paure e dai pregiudizi che fino ad allora ci avevano perseguitato.

...


Velkam era seduto in un angolo della luminosa cella in cui era stato rinchiuso al momento della sua cattura. La sua schiena era poggiata completamente contro la parete in pietra. L'elisiano era pensieroso. Per nulla turbato dal suo destino stava giocherellando distrattamente con una cinghia del suo polsino in cuoio quando la porta cigolò all'improvviso costringendolo a sollevare lo sguardo curioso.
"Ti stavo aspettando", disse infine il giovane elisiano gettando solo uno sguardo distratto alle scarpe del visitatore che aveva prontamente riconosciuto.
"Sei un grosso, grossissimo idiota", disse una voce giovane aggirandosi intorno all'elisiano fin troppo impegnato ad allargare e stringere le cinghie del suo polsino.
"Risparmiati le prediche".
"Sapevo che sarebbe successo", disse il visitatore con un'imprecazione. "E nonostante tutto continui a fare l'arrogante, con un piede alla fossa!".
Velkam sollevò lo sguardo oltre il generoso ciuffo che gli copriva la fronte. "Hai finito?".
"No dannazione! Parlano tutti della tua condanna a morte e il minimo che sai fare e stare in una cella di lusso a girarti i pollici! Sei un idiota!".
"Grazie", disse l'elisiano tranquillo sollevandosi in piedi.
"Velkam...".
"No Gaar, non cominciare anche tu... non voglio scappatoie e non mi interessa scappare, mi è già stata offerta la possibilità".
Il giovane elisiano dagli scompigliati capelli rossi scosse il capo rivolgendo uno sguardo preoccupato all'amico. 
"Velkam, ho parlato con numerosi collaboratori di tuo padre, potrebbero darti la possibilità di scappare... una grossa somma di denaro e le guardie potrebbero essere corrotte".
Velkam gli voltò le spalle, e una debole risata scosse il suo petto, una risata di puro sarcasmo, prima di ritornare faccia a faccia al suo migliore amico.
"Sai che non lo farei, Gaar...".
"E se provvedessi a far liberare anche lei... ?"
Una nuova sonora risata irruppe dalle labbra del cacciatore elisiano. "Andiamo amico, recitare non ti è mai riuscito bene".
Gaar non rispose. Rimase in silenzio per qualche minuto, poi si accomodò sconsolato su una panca a ridosso della parete in pietra. "Perchè sei così convinto?".
"Perchè mi assumo le mie responsabilità, tutto qui...".
"Saresti disposto a morire? A lasciare tutto quello che fin ora ti sei guadagnato con le unghie e con i denti, la tua legione, i tuoi amici... tutto per un' Asmodiana?".
"Sì Gaar... tutto... perchè la amo".
"Tu sei pazzo!", rise l'assassino sprezzante.
Velkam lo guardò ricambiando quel sorriso con uno vagamente più mesto ma sempre deciso.
"Lascio alla mia legione un capo decisamente più valido", mormorò dandogli un leggero colpetto sul braccio.
Gaar deglutì. "No amico... non sono pronto per mandare avanti una legione da solo".
"Dovrai esserlo Gaar, da dopodomani probabilmente sarai da solo...".
L'assassino sembrò rianimarsi, il suo petto aveva iniziato ad alzarsi e abbassarsi più velocemente nella foga. "Non se ne parla, ti tirerò fuori di qui!", disse rimettendosi in piedi per dirigersi celermente verso la grata.
"Gaar", lo aveva chiamato Velkam con tono paziente. "Torna qui".
Gaar scosse il capo. I suoi pensieri galoppavano a quello che sarebbe stato dopo la morte di Velkam. E ripensò ad ogni singolo momento trascorso con lui, ogni bravata che insieme avevano fatto, ogni avventura vissuta. Sempre in due, sempre insieme.
Velkam era stato da sempre il fratello che gli era mancato, e perderlo equivaleva a perdere una parte di se stesso. Perdere il suo migliore amico, il suo compagno di mille battaglie, il suo capo legione, il suo complice.
"Devo parlare con Fasimede".
"Fasimede... è il primo responsabile della mia condanna", aveva chiarito Velkam a voce nitida.
"Velkam, non può non esserci una soluzione... io non... non voglio il tuo posto, non voglio continuare da solo, non mi interessa, lo capisci?".
"Non è una cosa che dipende da te".
"Lo so! Ma da te sì!", aveva esclamato l'assassino rosso in viso per la collera.
Velkam era rimasto impassibile, tranquillo e placido come sempre. Per quei giorni di prigionia e interrogatori era stato in grado di mantenere la massima calma. Del resto non lo avevano poi trattato così male. A migliorare le sue condizioni di prigionia erano venute in soccorso la sua discendenza militare e il suo rango di nobiltà.
D'altro canto nessuno era riuscito a piegarlo ad un'azione di codardia di cui, Gaar stesso, stava cercando di convincerlo.
Non sarebbe scappato. Se avesse dovuto morire con lei, lo avrebbe fatto senza alcun ripensamento. Dopotutto, era una cosa che aveva già messo in conto. Una cosa che gli aveva disturbato la mente ad ogni loro incontro.
Se Selhen avesse dovuto essere condannata, allora sarebbero stati condannati insieme.
"Promettimi soltanto una cosa", aveva mormorato il cacciatore elisiano cercando lo sguardo del suo migliore amico.
Gaar lo fissò interrogativo, ma disposto all'ascolto.
"Sei destinato a fare grandi cose, amico mio...", aveva continuato Velkam, "e quello che ti chiedo è che... un giorno, quando sarai Governatore al posto mio, tu possa fare finire tutto questo".
L'assassino prese a ridere divertito. "Hai dato di matto, rinchiuso qui?".
"Promettimelo", disse solo Velkam con aria decisamente troppo seria e autoritaria.
"Te lo prometto", disse Gaar con poca convinzione nella voce.
"Dico davvero, Gaar... voglio che la mia morte, dopodomani, non venga dimenticata... voglio che... un elisiano possa essere libero di amare un'asmodiana, senza pregiudizi, senza barriere, senza limiti!".
Gaar si morse il labbro con forza. Le parole del suo migliore amico gli facevano male... erano una stilettata al cuore. Aveva ragione, non si era trattato di tradimento. Nessuno aveva tradito nessuno, queste condanne a morte servivano solo a mantenere vive delle leggi ingiuste e obsolete. Ma cosa era stato violato? Che equilbrio aveva potuto rompere l'amore di quei due in un mondo di guerra e morte come Atreia?
"Quanto a Drekan...", aveva proseguito Velkam, "fa in modo che abbia quello che meriti". I suoi occhi verdi avevano assunto una curva sprezzante mentre lo diceva. Lo sguardo da elisiano arrogante era tornato nuovamente nel viso fresco e pulito del cacciatore.
Velkam si scompigliò distrattamente i capelli che piccole perle di sudore gli incollavano alla fronte e poi, in un gesto improvviso e per nulla premeditato, si slanciò a stringere il suo migliore amico in un abbraccio fraterno.
"Non credo di riuscire a diventare quello che speri... ma se è per vendicarti...", disse Gaar ricambiando energicamente la stretta.
"No fratello, nessuna vendetta...", mormorò Velkam con tono pacato, "solo... giustizia".
"Non ti dimenticherò mai... capo".
Il giovane elisiano lasciò andare l'assassino rivolgendogli un sorriso rassicurante. Si pose una mano sul cuore e chinò il capo, in segno di rispetto. "Sei tu adesso, il nuovo capo degli Empyrean, va, e rendimi fiero".
Gaar deglutì nervosamente. I suoi occhi erano vagamente lucidi e un nodo gli serrava la gola. Non fu in grado di parlare quando i suoi neri stivali sbatterono sul pavimento di pietra per un inchino di rimando al cospetto di Velkam. 
Dalle grate della grande finestra inferriata si intrufolavano prepotenti degli arancioni raggi di un sole ormai al tramonto.
"Non ti deluderò, Velkam... sangue per sangue". Fu questa infine, l'unica cosa che riuscì a dire.
"No... non mi piace quel detto. Per Atreia, non per gli elisiani, nè per gli asmodiani... solo per un comune accordo...", era intervenuto Velkam con urgenza.
Gaar sorrise, appena più convinto di prima.
"Tienili tutti in riga, quando li governerai". Terminò il cacciatore con un mezzo sorriso.
L'assassino sorrise a quella lusinga ma non rispose. Velkam aveva dimostrato un fermezza d'animo che lo rendeva degno in tutto e per tutto della carica che fino a quel momento aveva ricoperto.
Gaar si sporse, nell'impeto di un nuovo abbraccio, ma si costrinse a fermarsi. Non era il momento dei sentimentalismi, quindi bastarono un'amichevole pacca sul braccio di lui e un cenno di saluto, prima di uscire definitivamente da quella stanza.
"Agli ordini", disse richiudendosi la porta alle spalle.
Agli ordini... riecheggiarono le sue stesse parole, nell'ampio vano di quella cella. 
Velkam era rimasto a fissarlo in piedi, oltre le grate, mentre si allontanava. Le sue braccia erano conserte e la sua postura ferma. 
Credeva in quell'irruento assassino dai capelli rossi più che in se stesso. E aveva creduto in ogni singola parola che a lui aveva rivolto.


[Eh, lo so, mi sono fatta attendere, ma tra agosto (mese che mi sta tremendamente antipatico quest'anno) e la mia ispirazione che è pari a 0, non sono riuscita a pubblicare prima. E voi? Procedono bene le vostre vacanze? Ditemi, che ne pensate della scelta di Velkam? E dell'atteggiamento di Selhen? Torno ad augurarvi nuovamente buona estate in attesa delle vostre impressioni! u.u Ciaooo]

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Capitolo 42
*** -33- Tu?! ***


"In tutto questo mese ho sperato vivamente di rincontrarti".
"Perchè?".
"Perchè... Perchè avrei voluto provare un'altra cosa".

Erano quelle le parole a cui era seguito il nostro bacio. Quel bacio clandestino con cui tra me e Velkam era cominciato tutto.
La mia cella inospitale adesso era buia. Soltanto dei timidi raggi lunari penetravano appena dalle sbarre di metallo dell'alta e piccola finestra. Era quella la mia unica fonte di luce.
Tirai su col naso tristemente. Dopo il mio incontro con Araziel non era venuto più nessun altro a farmi visita, e se da una parte avevo tirato un respiro di sollievo, dall'altra mi ero ritrovata terribilmente sola con i miei pensieri tanto da non riuscire a reprimerli tutti.
Avevo mormorato tra me, nel silenzio di quella cella deserta: "Aiutami".
Ma a chi chiedevo aiuto? Chi avrebbe potuto aiutarmi?
I miei occhi si levarono sulla mia unica fonte di luce e compagnia. La luna. Selene.
Selene era là, argentea e silenziosa, e stranamente quella notte era presente. 
Era un evento piuttosto raro ad Asmodae riuscire a vedere la luna. Era sempre nascosta dietro una coltre di fitte nubi violacee e sebbene fosse sempre cupa, a Pandaemonium, quella volta il cielo sembrava avermi voluto regalare un leggero sentore di pace.
Avevo smesso di piangere, e mi ero alzata in piedi. Avevo accarezzato pensierosa le nude pareti della mia cella e avevo canticchiato tra me una ninna nanna. Era la ninna nanna che mia madre mi cantava sempre da bambina. Aveva per protagonisti due Daeva meravigliosi e la loro fiabesca storia d'amore. Un po' come un principe e una principessa.
Sorrisi al pensiero che quei due Daeva innamorati fossero un elisiano e un'asmodiana. Perchè no? Chi avrebbe mai detto che anche gli elisiani non conoscessero una loro versione di quella ninna nanna. Magari loro parlavano di due splendidi elisiani; noi di due asmodiani innamorati; e invece la storia vera era un'altra. Magari quei Daeva erano come me e Velkam...

Apri... le tue belle ali...
vola via con me... 
Solo con me...


Ero una Daeva molto intonata, a detta di Dahnael e di tutti quelli che mi conoscevano, sarei potuta ascendere come bardo. Le doti non mi sarebbero mancate e in effetti, forse, avevano avuto tutti ragione.
Se mettevo a paragone la grinta di Araziel e la mia sensibilità, certo, sarei venuta fuori molto meglio come bardo che come tiratore scelto.
Provai a immaginarmi. Fantasticai di cambiare la mia storia. Di ritornare indietro. Di rinascere come un'altra, completamente diversa.
Mi rividi spregiudicata, con un'altra vita, un altro aspetto, fianco a fianco ad Araziel.
Già... un bardo... una meravigliosa creatura asmodiana dai lunghi capelli colorati, magari, e due labbra scarlatte come i suoi occhi. Mi immaginai addosso un delicato vestito nero, un'archetto scintillante e un'elegante cappellino nero.  Delle fini scarpette nere e lucide.
Una barda mano nella mano con Araziel. 
Tutto diverso, tutto più corretto, più sensato... tutto più semplice.
Era quello che avrebbero voluto vedere tutti. Adulta, bella, ascesa, e compagna di un asmodiano che si rispetti. Araziel sarebbe stato il compagno perfetto per me, quello con cui tutti, sin dal principio, mi avevano ben vista.
Mi immaginai mentre gli stringevo la mano, mentre combattevamo insieme, mentre forse, lo curavo anche, come avevo visto fare a Saephira miriadi di volte.
E invece io ero una Selhen completamente diversa. Sbagliata. E mi ero innamorata di un elisiano.
Mentre la mia mente viaggiava con l'immaginazione un'assordante esplosione mi colse di sorpresa.
Era provenuta dall'esterno della mia finestra. 
Tentai di allungarmi per quanto l'altezza della finestra me lo permettesse, ma non vidi nulla.
Poi una nuova esplosione, più forte della precedente, investì nuovamente la grata della mia cella.
"Auf weehlo!", udii.
Quella voce... mi era così familiare, eppure, non riuscivo a ricordarne il proprietario.
Un lampo nuovo di luce viola investì nuovamente le sbarre senza successo, poi, un nastro blu di energia si avvolse ad ogni singola sbarra, tramutandosi in taglienti scaglie di ghiaccio che esplosero.
Per la prima volta le sbarre sembrano incrinarsi. E così tornò una nuova ondata di energia, più forte della precedente, poi qualcosa urtò contro le sbarre e un tonfo assordante divelse le spesse grate di ferro dal cemento.
Arretrai prima che mi precipitassero sulla testa, e incollai la schiena al muro con lo sguardo levato verso l'alto.
"Chi c'è?", domandai sorpresa.
Un curioso sorriso comparve dalla finestrella poi una mano artigliata sventolò per salutarmi.
"Tu?!".
Non potevo crederci. Shadow mi stava sogghignando. Sul viso un'espressione soddisfatta. "Siamo così potenti che neanche le sbarre del colosseo di Triniel possono resisterci", disse orgoglioso dando una pacca affettuosa al minaccioso spirito del vento ritto al suo fianco.
La bestia mugugnò pigra, i suoi occhi color zaffiro, senza pupille, si puntarono su di me.
"Shadow, cosa... cosa ci fai qui?".
Il sorriso strafottente di sempre tornò a lineare le sue labbra. "Mi faccio perdonare".
Ricordai l'ultima volta che ci eravamo rivisti, alla festa di Araziel, avrebbe voluto parlarmi ma io non ero stata molto propensa all'ascolto. "Con ciò vuoi... vuoi dire che... che hai intenzione di farmi scappare?".
Shadow annuì, poi allargò le braccia cominciando a recitare una formula magica. E come accadeva quando usavo le pergamene del teletrasporto, mi sentii dissolvere.
Compresi che stavo per essere evocata dall'altra parte della finestra, visto che la barriera magica che mi isolava dal mondo esterno era ormai stata spezzata insieme alle grate.
Quando mi ritrovai in piedi al fianco di Shad mi venne spontaneo gettargli le braccia al collo. Lui non fece nulla: nè osò, come era solito fare, nè mi impedì di toccarlo. 
Rimasi stupita. Come mai Shad non provava ribrezzo nei miei confronti quando invece tutti gli altri non avevano esitato ad etichettarmi come traditrice?
"Vieni, dobbiamo far presto", stava dicendo Shad calcolatore ripristinando tutte le protezioni al suo spirito del vento.
"Come usciremo di qui? Se un asmodiano chiunque si accorgerà della mia fuga mi riprenderanno!".
"E tu pensi che IO, Shadow, non abbia pensato a una fuga degna del mio nome?", aveva detto con cipiglio falsamente offeso Shad. I suoi artigli affilati si strinsero in un pugno poi con un sussurro appena accennato pronunciò una nuova formula magica.
"Che cosa...", percepii un caldo torpore avvolgermi, come se fossi finita dentro una bolla. "Ma siamo invisibili entrambi!".
"Soltanto se non parli!", aveva detto lui a bassa voce iniziando a muoversi quatto quatto verso il fosso che separava la grande struttura del Colosseo dalla piazza. Spiegammo entrambi le ali.
"Mi auguro che tu sia legata ad un qualche obelisco che non sia quello di Pandaemonium!", mi aveva sussurrato preparandosi a planare per finire poi con i piedi ben saldi sulla strada della prosperità.
Feci lo stesso frettolosa. Temevo che se si fosse allontanato troppo quel sogno fosse svanito.
Già... dove ero legata? L'ultima volta che ero resuscitata mi ero ritrovata ai piedi dell'obelisco di...
"Katalam Nord", dissi per nulla rincuorata. La fortezza dei Ruhn era uno dei luoghi più affollati di Atreia.
"Per fortuna è lì che sono legato anch'io. Avremo la possibilità di tornare invisibili subito dopo essere comparsi. E' ancora notte, possiamo svignarcela facilmente".
"Shadow...".
"Dobbiamo essere cauti poi tu...".
"Shadow...", tornai a chiamarlo.
Lui si interruppe interrogativo. "Mh?".
Esitai. "Solo... grazie".
"Non ringraziarmi", aveva detto spiccio iniziando a richiamare una forte aura di potere.
Mugugnai, non riuscivo a capire perchè fosse così sfuggente, ma mentre ci pensavo già un vento invisibile gli stava scompigliando i capelli. Si dissolse subito dopo, facendomi capire che si era appena teletrasportato al tempio dei Ruhn.
Non appena Shad fu sparito dalla mia vista mi sentii vulnerabile. Ero tornata nuovamente visibile e il senso di torpore che fino ad allora mi aveva avvolta era sparito. Mi affrettai a seguirlo e quando mi ritrovai ai piedi dell'obelisco del Katalam Nord di nuovo quel familiare torpore mi accolse.
"Su su... muoviti", aveva detto Shadow sottovoce mentre camminava svelto verso l'uscita della fortezza che ci avrebbe condotti alla guarnigione 73.
"Dove stiamo andando?".
"Alla fattoria di Rubinerk, da lì deciderai dove andare e dove nasconderti".

Giungemmo all'entrata buia delle fattorie shugo più vicine dopo una camminata piuttosto tranquilla. Benchè fosse comunque un posto pericoloso là potevo avvalermi della neutralità degli shugo, quindi, quando finalmente ci rifugiammo in un angolino più nascosto, ebbi la possibilità di scivolare seduta sul terreno esausta e di abbassare la guardia per un attimo.
Notai Shadow percorrermi con gli occhi, risalire lungo tutti i miei attillati pantaloni in pelle prima di sedermisi accanto un po' annoiato.
A quel suo gesto mi accostai maggiormente a lui e gli appoggiai il capo sulla spalla. "Non mi aspettavo di rivederti", ammisi sinceramente.
Percepii un piccolo movimento del suo busto, poi Shad ridacchiò. "Nemmeno io ma... ci tenevo a lasciarti con un bel ricordo di me... al di là di tutti i tuoi vecchi pronostici".
Scoppiai a ridere divertita. "Sei sempre il solito... Shadow".
"Anche tu a quanto pare, Selhen, visto che non tardi mai a cacciarti nei guai", mi guardò storto.
Mugugnai. "Dove pensi che potrei nascondermi?", domandai tornando seria.
"A questo devi pensare tu... per quanto ne sappiamo a quest'ora ti staranno già cercando".
Mi fermai un attimo a riflettere. Dove sarei dovuta scappare? Rimanere ad Asmodae non era per nulla consigliabile, soprattutto a Katalam nord. Optai per Ishalgen, era abitata per lo più da esseri umani  ma...
"Ci sono!".
Shad sobbalzò. "Oh".
"Andrò ad Elisea!".
"Ma sei matta?".
"No... pensaci un po'. Ad Asmodae sarò ricercata, ma ad Elisea... la dovrò solo stare attenta a non farmi trovare!".
Shad sembrò rivalutare la mia trovata. "In effetti potrei anche non darti torto ma... dove vorresti andare?".
Sorrisi ripensando al mio primo incontro con Velkam... ci trovavamo ad Eltnen. Che varchi dovevo pendere per raggiungere quel posto?
"Credo che andrò ad Eltnen...", dissi tranquillamente.
"I varchi per Eltnen si apriranno tra qualche ora da Morheim", mi aggiornò Shadow.
"Mi presti tu una pergamena per raggiungere Morheim? Mi hanno sequestrato tutto quando mi hanno catturata".
Vidi Shadow rovistare nella sua borsa e trarne fuori una pergamena accuratamente arrotolata. "Questa la metto nel conto".
Gli sorrisi realmente grata. "Certo, certo", annuii accomodante. Quando mi rimisi in piedi attesi che anche lui lo facesse e gli posai una mano sull'avambraccio. "Grazie Shadow, grazie... non smetterò mai di dirtelo".
"Abbi cura di te, piccola Selh... non potrò essere sempre dietro l'angolo per evocarti fuori dai guai, sappilo!".
Lo abbracciai forte. "Sei il migliore evocatore che conosca", gli dissi con tono tremante accarezzandogli una spalla.
"Buona fortuna", mi disse lui, lasciandomi un tenero bacio tra i capelli.
Srotolai la piccola pergamena fissando con gli occhi un po' annebbiati dalla commozione la formula che mi avrebbe condotto a Morheim. Non dissi altro, ma mi limitai a leggere a voce forte e chiara.

...

E adesso, dove mi sarei nascosta?
Era questo che mi stavo chiedendo mentre intirizzita dal freddo e con i denti che battevano correvo a perdifiato per le strade deserte e innevate di Morheim.
Una piccola bufera aveva investito la cittadella quella notte e mi dispiacque non avere con me il mio caldo cappottone in pelle. Decisi di uscire dal sentiero principale e mi inerpicai su di una montagna, cercando di evitare le furie dei taiga bianchi come la neve, disseminati per il territorio.
Le grosse tigri mi osservano minacciose mentre a passo spedito mi dirigevo verso la parete rocciosa alla ricerca di una grotta in cui rifugiarmi. La trovai, poco distante, e ne approfittai per accendere un piccolo fuoco con dei legnetti che avevo rubato agli shugo addormentati della fattoria di Rubinerk. Dovevo aspettare solo poche ore, poi finalmente il varco per Eltnen sarebbe comparso, e io sarei potuta fuggire da Asmodae.
Dovetti addormentarmi, al calore del fuoco, e non seppi nemmeno per quanto tempo, quando il suono di una campanella rimbombò nell'ampio vano della mia grotta facendomi sussultare.
"Posta jang jang!", aveva borbottato un piccolo shugo postino che era inspiegabilmente riuscito a raggiungermi in quel nascondiglio inospitale.
Mi accigliai quando vidi il piccolo animaletto avvicinarsi con un grosso pacco prioritario. "Gra... grazie", balbettai colta alla sprovvista mentre balzavo a sedere in tutta fretta. Possibile che Shad mi avesse mandato qualcosa?
Scartai il pacco con l'ausilio degli artigli e mi stupii, in quel momento, di trovarci roba che sì, mi sarebbe stata decisamente utile. Una grande borsa in cuoio precedeva un buon numero di kisk, bende e pozioni curative, cibi e bevande energizzanti chiudevano il tutto. Capii il motivo per cui quel pacco era troppo pesante per lo shugo.
Un biglietto, in fondo al tutto, diceva:

Dove credi di andare senza approvvigionamenti? Daeva irresponsabile che non sei altra.

La firma di Shad, sicura e svolazzante, accompagnava quelle esigue parole.
Sorrisi dolcemente. Chi l'avrebbe mai detto che Shad avesse rischiato così tanto per aiutarmi? 
Imbracciai la grande borsa in cuoio, regalo di Shad, e la riempii con tutti gli approvvigionamenti ricevuti, poi iniziai a incamminarmi verso il luogo del varco, che a quell'ora doveva essere comparso.
Che avrei dovuto fare una volta giunta ad Eltnen?
Semplice. Iniziare a capire dove avessero rinchiuso Velkam e liberarlo. Ma questo non lo avevo detto a Shadow...
Non potevo permettere che il mio elisiano rimanesse ucciso, e continuavo ad essere convinta che se fosse dovuto morire per causa mia, allora saremmo morti insieme.
Mi sarei messa alla sua ricerca nel momento stesso in cui i miei piedi si fossero posati sul rigoglioso suolo del bosco di Eltnen.
Ad un certo punto, mentre arrancavo nel freddo e nella neve la vidi. Un'ampia voragine scura. Il varco.
Non ci pensai neanche un secondo, e prima ancora che qualche elisiano ne avesse trovato l'uscita e mi avesse potuto dare del filo da torcere, lo attraversai tuffandomici dentro e dopo quelli che furono pochi secondi ruzzolai su un morbido tappeto d'erba. Eccomi. Ero arrivata. 

...

L'arsura della foresta di Eltnen e il forte sole del mattino di Elysea mi accolsero. Strizzai gli occhi abbagliati, poi evocai Daff. In quel luogo avrei avuto decisamente bisogno del mio wuff argentato.
"Ehi Daff!", lo salutai in un mormorio mentre correvo a nascondermi dietro un folto cespuglio.
La cagnetta mi seguì scodinzolante. La coccolai accarezzandola sul morbido pelo. In quei giorni di prigionia mi era decisamente mancata. "Ciao piccola! Mi sei mancata...", le dissi grattandola teneramente dietro le orecchie.
La piccola e morbida lingua del wuff mi inumidì affettuosamente le mani. 
"Dobbiamo cercare qualcuno che possa informarci su dove tengono Velkam... magari Gaar, che ne dici? Mi dai un mano?".
Daff rispose con un piccolo latrato, benchè non fosse in grado di capire quello che gli stavo dicendo.
Era Gaar che dovevamo trovare, solo lui avrebbe potuto condurci da Velkam, quindi, mi sarei messa già da quel momento alla sua ricerca.
Se lo avessi incontrato, insieme, anche se nemici, avremmo potuto trovare una soluzione per salvargli la vita. E lui mi avrebbe aiutata, ne ero sicura, perchè teneva tanto al suo migliore amico quasi quanto ci tenevo io.


[Beh... ne vedrete ancora delle belle, ve lo assicuro, fino ad allora godetevi questo capitolo e immaginate la melodia della ninna nanna di Selhen come la musica principale di Redwood forest. Buona lettura e Recensiteee (io ve lo chiedo sempre, non si sa mai a qualcuno passi per la testa) Bacioni!]

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Capitolo 43
*** -34- Salvati ***



L'aria era divenuta soffocante, e i miei sensi erano talmente annebbiati, che avevo dovuto necessariamente far sosta in riva al lago. Là, da quello che ormai mi sembrava un secolo fa, le strade mie e di Velkam si erano incrociate per la prima volta.
Respiravo affannosamente e i miei vestiti di pelle non facevano che soffocarmi maggiormente. Mi mancava l'aria, e di Gaar ancora neanche l'ombra.
"Non posso arrendermi", avevo mormorato tra me immergendo entrambe le mani nel torrente e bagnandomi il viso con un copioso getto d'acqua.
Respirai la frescura di quel torrente cristallino a pieni polmoni. Andava molto meglio.
Mi leccai le labbra, lasciando che la mia lingua saggiasse dell'acqua fresca e mi concessi di rimanere inginocchiata sulla riva di quel corso d'acqua di Eltnen per altri cinque minuti.
Le lunghe camminate tra le fronde di quella zona mi avevano condotta in uno sconfinato deserto. Ero stata costretta a tornare indietro o sarei morta per l'eccessiva arsura e l'assenza di acqua.
Ero un'asmodiana, e come tale soffrivo terribilmente l'eccessivo calore climatico e la mancanza d'acqua. Il sole mi bruciava la pelle. Ero molto più abituata ai climi rigidi, e il caldo eccessivo mi mandava in confusione e mi spaventava anche un po'. 
Quando rimanevo al sole troppo a lungo iniziavo a sentir l'aria mancare e il bisogno di acqua diveniva per me insopprimibile.
Ero tuttavia riuscita a posizionare un kisk tra le dune e a legarvi la mia anima momentaneamente. In questo modo, se anche qualche elisiano mi avesse uccisa. Quel piccolo obelisco portatile e nascosto mi avrebbe ricondotto ad Eltnen, senza farmi rischiare di tornare alla fortezza dei Ruhn.
Ringraziai mentalmente Shad per avermi rifornita di approvvigionamenti e, aperta la mia borsa, vi rovistai alla ricerca di un pacchetto di deliziose polpette di kokonas. Ne trangugiai due, prima di tornare a nascondermi dietro i cespugli più alti e abbandonare a malincuore la fresca riva del fiume.
Per quella mattina, fortunatamente, non avevo corso nessuno rischio. Mentre andavo alla ricerca di Gaar mi ero solo imbattuta in un fattucchiere elisiano ancora in rodaggio, troppo indaffarato a sterminare manduri per notarmi.
Avevo deciso di ignorarlo. Sebbene fosse stato una preda facile non sarebbe stato conveniente rivelare la mia posizione.

"Tanto va la gatta al lardo...", aveva mormorato una voce alle mie spalle. La punta affilata di una spada mi punse il collo e raggelai.
Mi voltai cauta. Quale elisiano era così tranquillo alla presenza di un'asmodiana da non agire subito e uccidermi? 
La spada rimase puntata minacciosa verso di me, quando sollevai lo sguardo verso l'elisiano che mi minacciava.
"Che ci lascia lo zampino... Gaar", completai con un sospiro di sollievo.
"Cosa ci fai qui?", mi chiese spiccio l'assassino. Aveva abbassato di una spanna la spada e mi stava studiando guardingo.
"Ti cercavo".
Gaar sollevò un sopracciglio con aria divertita. "Mh... anch'io". 
Mi accigliai. "Dov'è Velkam?", chiesi subito senza domandarmi neanche il motivo di quella risposta.
Gaar ridacchiò. "Credo che i vostri ruoli si siano miseramente invertiti e che mentre tu non sei più in una lurida prigione è stato lui a scegliere di restarci".
"Restarci? Dov'è? Dove lo tengono?", domandai con più urgenza spingendo via completamente la lama della sua spada con i miei guanti in pelle.
"A Sarpan". Aveva detto l'assassino elisiano riponendo la spada nel fodero alla sua schiena.
"A Sarpan!?", quasi urlai. "Perchè non lo hai ancora liberato?".
Gaar mi fulminò con lo sguardo. "Perchè credi che io mi sia preso la briga di cercarti? Ho saputo della tua fuga... e sapevo benissimo che saresti corsa ad Elisea per lui, a differenza degli Asmodiani ottusi che credono ancora che tu bazzichi per le vie di Pandemonium!".
Mi imbronciai ma lasciai correre quell'insulto rivolto alla mia razza. "Allora?", lo incalzai.
Gaar si sgranchì il collo prima di rispondermi. "Non vuole saperne di uscire da quella maledetta cella".
Mi accigliai. "Come non vuole...". Realizzai solo in quel momento le intenzioni di Velkam.
"E non lo farà finchè non ti vedrà con i suoi occhi. Stamattina me l'ha già detto quando sono corso ad informarlo. Crede che lo stia prendendo in giro per farlo scappare ed è convinto che tu sia ancora rinchiusa...", sospirò, "Cosa mi tocca fare...".
Feci un sorriso incantato alle parole di Gaar. Velkam era pronto a sacrificarsi con me.
"Devi portarmi da lui, Sarpan è neutrale, non potranno toccarmi",
"C'è il triplo della sorveglianza davanti alla sua cella, da quando sei scappata", aveva detto l'assassino sedendosi per terra annoiato.
"Fantastico", dissi sarcastica. "Non c'è un'ora buca... un cambio di guardia... qualcosa che mi permetta di parlarci per pochi secondi?".
"Potrebbe esserci un modo, ma è molto pericoloso... senza contare che metteresti nei guai anche me".
Strappai una fogliolina dalla fronda di un cespuglio che mi era accanto e mi concentrai a studiarla riflettendo sul da farsi.
"Io... avrei un'idea". Mormorai sollevando nuovamente lo sguardo verso di lui.
"Ti ascolto", aveva detto l'elisiano incrociando le braccia in attesa.
"Sono legata ad un kisk che ho accuratamente nascosto da queste parti. Perchè non pensi a montare di guardia a quel kisk per evitare che qualcuno dei tuoi compari lo distrugga?".
Gaar mi guardò interrogativo ed io annuii con più decisione.
"Mentre tu monterai di guardia al kisk io farò una missione suicida. Basterà soltanto che Velkam mi scorga e quando mi sarò gettata dall'alto ponte che porta fuori dalla fortezza di Sarpan per evitare che mi catturino sarò già ritornata ad Eltnen", conclusi.
"Però Asmodiana! Devo ammettere che almeno tu hai un cervellino funzionante", aveva sorriso Gaar con un cenno d'approvazione. "Non pensavo foste in grado di fare queste acute osservazioni!".
Lo guardai male. "Quando sarà il cambio di guardia?", domandai spiccia ignorando il resto.
"Stanotte!".


Le ombre cupe della fortezza di Kamar erano gli unici adorni della piazza della Pace. Respirai l'aria notturna di quella cittadina Reian, profumava di fiori e di pietra. Lo scroscio continuo e prepotente dell'acqua della grande fontana mi accolse, mentre a passo felpato mi allontanavo silenziosa da esso cercando di non svegliare il guaritore dell'anima ancora assopito.
Per raggiungere il complesso della fortezza di Kamar mi ero servita di una delle tante pergamene che Shadow mi aveva mandato, strumenti molto utili dal momento che non potevo rivolgermi a nessun servizio di teletrasporto, soprattutto da Eltnen. 
Da quanto mi aveva detto Gaar, per mia fortuna, non avevano rinchiuso Velkam nelle segrete di Kamar, che come era ovvio, sarebbero state impossibili da raggiungere.
Per via del suo alto rango avevano riservato al cacciatore una zona più ospitale per la sua momentanea prigionia. Così mi mossi a passo sicuro verso la Centrale delle truppe di difesa di Kahrun. Solo all'ingresso delle segrete, nelle celle riservate ai prigionieri che avevano commesso reati lievi, avrei trovato Velkam. 
La sua cella dava sul retro della fortezza, e una piccola finestrella, di tutta una serie che percorrevano la spessa parete di pietra, sarebbe stata quella giusta.
Le due guardie piantonate all'ingresso delle segrete stavano sonnecchiando. Le loro grandi ali rosee erano richiuse e rilassate, e il copioso turbante gli ricadeva disordinato sugli occhi.
Riuscii a mettere a fuoco ogni loro singolo lineamento abbandonato al sonno. Il broncio delle loro labbra ronfanti e il suono dei loro respiri regolari.
Col favore dell'oscurità varcai senza difficoltà la soglia delle mura, ma prima di uscire completamente verso il ponte che conduceva nei dintorni di Kamar, mi mantenni lungo il perimetro delle mura, percorrendolo in tutta la sua lunghezza. Iniziai a scrutare le finestrelle una per una. Erano alte, così dovevo spiccare ogni volta un piccolo balzo per vedere cosa o chi vi fosse al loro interno.
Ne avevo già passae in rassegna quattro, quando alla quinta uno scompigliato ciuffo illuminato fiocamente dalla luce della luna catturò la mia attenzione.
"Velkam...", chiamai sottovoce.
Non ricevetti nessuna risposa, per cui rotolai un grosso masso presente là vicino e mi ci arrampicai. aggrappandomi alle grate. 
Dalle piattaforme presenti ai lati della sua finestra capii che presto sarebbero tornati degli uomini a montare di guardia anche là sotto.
"Velkam!", ripetei frettolosa.
Ad un certo punto la figura sonnecchiante si mosse. "Selh", gli sentii sussurrare con una sfumatura di incredulità nella voce.
"Velkam, amore mio!", dissi sporgendo un braccio oltre le sbarre. 
Percepii una serie di rumori, poi anche Velkam fu alla mia altezza. Mi stava stringendo forte la mano.
"Come hai fatto a liberarti?".
"Non ho tempo per spiegartelo", dissi ansiosa accarezzandogli il viso con una mano. Avevo avuto così tanta voglia di tornare a stingerlo, eppure dovevano esserci quelle maledette sbarre a separarci.
"Potrebbero catturarti, se ti vedono...", disse lui sfiorando con un dito il polsino che mi aveva regalato e che io avevo costantemente tenuto messo.
"Promettimi che ti metterai in salvo", lo interruppi io in fretta.
Velkam titubò. 
"Promettimelo!".
"Solo se tu prometti che sarai fuori ad aspettarmi".
"Io ci sarò, amore mio...", dissi risoluta.
Nella penombra le labbra del cacciatore elisiano si curvarono sghembe. La luce della luna, adesso, gli illuminava una buona porzione di viso mettendone in risalto il verde smeraldino delle iridi.
"Come mi hai trovato?".
"E' stato Gaar...", spiegai svelta.
"Uiv Jte aplte wi jJbjcce Jte lyste", disse ridacchiando.
Mi accigliai. Che cosa aveva detto? Ero sicura che avesse fatto un qualche commentino sarcastico nella sua lingua.
"Ehi tu...", giunse una voce lontana, "è la fuggitiva prendetela!", avevano urlato dal fondo delle mura delle guardie.
"Dannazione! Le nuove sentinelle", imprecai volgendomi un'ultima volta verso di lui. Notai che mi stava ancora guardando incantato. Come potevo dubitare di quello sguardo così sincero?
"Ti aspetto", gli mormorai in un soffio. Mi slanciai, spingendo forte le mie labbra tra le grate e cercai di dargli un bacio fulmineo visto che anche lui si era sporto verso di me.
"Ti amo...", mi disse soltanto, poi mi lasciò andare la mano per permettermi di scappare.
Scesi dalla pietra alla velocità della luce e mi lanciai contro le guardie per sbaragliarle. Non si erano aspettate che corressi nella loro direzione, così con uno spintone riuscii a passare in mezzo ai due Reian che venivano verso di me. 
Mi sarebbe bastato correre per le mura a ritroso e svoltare l'angolo, da lì, il ponte altissimo dal quale mi sarei buttata, mi aspettava. Quella volta la morte sarebbe stata la mia unica fonte di salvezza.
Coraggio Selhen, puoi farcela. Mi dissi.
Raggelai quando percepii la cinghia della mia borsa essere tirata con violenza da una guardia che era riuscita ad afferrarmela al volo. Riuscii a strattonarla con forza e a correre ancora più veloce fino all'uscita del corridoio interno delle mura.
"Prendetela!", stava urlando qualcuno alle mie spalle.
Devi solo buttarti e non aprire le ali. Non è difficile...
"Da questa parte!", urlava il vocio mentre uno sferragliare d'armi mi braccava minaccioso.
Ed eccola là, la fine della corsa. Il ponte davanti a me. 
Chiusi gli occhi, premendo le mie palpebre le une sulle altre,
"Sta scappando!", disse un Daeva asmodiano quando mi vide titubare sul bordo dell'alto ponte d'uscita.
Non pensai oltre e mi gettai nel vuoto sperando in una morte rapida e poco dolorosa.

...


"Ci hai messo un po'", mi aveva accolta Gaar mentre se ne stava sdraiato su una nuvoletta tutto intento a grattarsi un orecchio con aria alquanto disinteressata.
"Beh, non si può dire che tu non ti sia rilassato nel frattempo", avevo detto io ansimando per l'imminente resurrezione. 
Sentivo il mio corpo dolorante, come se la resurrezione mi avesse messo apposto ogni osso spezzato senza però eliminarne il dolore atroce. Caddi al suolo sulle ginocchia, dolorante.
"Perdonami se non intervengo a darti una mano, ma sei pur sempre un nemico...", aveva commentato Gaar tornando a ficcarsi un mignolo nell'orecchio.
"Ti ha mai detto nessuno che sei disgustoso? Oltre che schifosamente ineducato?", dissi con gli occhi lucidi per il dolore sollevando appena il capo da terra per osservarlo.
"Detto da un'asmodiana è un complimento", ridacchiò lui senza muoversi di una virgola.
"Maledetto str...".
"Ah, ah, ah, no!", mi stava ammonendo con un indice. "Non si dicono le parolacce, Asmodiana".
Arrancai fino alla borsa sprezzante e la aprii alla ricerca di una pozione curativa che mi alleviasse il dolore. La trovai e subito ne estrassi il piccolo tappo di sughero con i denti per trangugiarne il contenuto. 
Fortuna che ero riuscita a filarmela senza dover rinunciare alla mia preziosa sacca. Come avrei fatto senza altri kisk o pergamene?
"Allora?", domandò Gaar tornando in piedi e scrollando i suoi pantaloni in pelle dalla sabbia.
"Missione compiuta", sorrisi.
Proprio in quell'esatto momento il suono di un campanello ci distrasse. 
"Postaaa, n'yang!", annunciò uno shugo postino esattamente identico a quello che mi aveva consegnato il pacco di Shadow, ma questa volta l'esserino non era lì per me, e non portava un pacco.
L'assassino elisiano si accigliò. Perchè quella lettera a quell'ora della notte?
La prese diffidente e la aprì per leggerne il contenuto. 
"Aspetta un po' ad esultare, asmodiana", stava dicendo con cipiglio concentrato. 
Tentai di sbirciare ma non capii nulla della strana lingua in cui era scritta quella lettera. "Cosa?".
"I legionari mi avvisano che hanno anticipato l'esecuzione a domani mattina".
"No!", sussultai.
"La tua visita li ha messi in allarme, e sperano di prendere due piccioni con una fava", chiarì Gaar pensieroso.
"Che pensi di fare?".
"Resta nascosta nel bosco di Eltnen. Al resto penso io, ho libero accesso alla sua cella, troverò una soluzione".
Lo guardai speranzosa, poi mi gettai verso di lui prendendogli entrambe le mani. "Gaaar...", lo chiamai.
Lui parve alquanto impressionato da quel gesto e se anche gli causò un certo brivido di disgusto si sforzò di non darlo a vedere.
"Sì?", domandò impassibile.
"Salvalo, ti prego...".
Il giovane assassino sospirò. I suoi corti capelli rossi si mossero quando una folata di vento li investì.
"Sarà meglio che torni agli uffici di legione, e tu... asmodiana, stai attenta!".
Annuii a quel singolare quanto preoccupato ammonimento.
Abbassai lo sguardo a fissare il polsino che Velkam mi aveva regalato. Lo accarezzai affettuosamente con le dita con un senso crescente di oppressione nel petto.
Gaar si voltò dandomi le spalle. "Seguimi, ti accompagno in un rifugio. Conosco un'insenatura nella roccia del bosco di Eltnen che può fare al caso tuo". Aveva cominciato a camminare e io mi accinsi a seguirlo con un sorriso. Per quanto lo facesse a malincuore, quell'elisiano si stava rendendo altamente utile.
"Come ci teniamo in contatto?", domandai all'improvviso, prima che se ne andasse.
"Resta dove ti porto e attendi mie notizie", disse spiccio.
"Non credere che me ne starò con le mani in mano se...".
"NIENTE - AZIONI - INSENSATE!", disse minaccioso voltandosi di scatto e puntandomi uno dei pugnali dritto contro il petto.
Rimasi paralizzata e annuii solo debolmente.
"Mh...", mugugnò apparentemente soddisfatto riprendendo a camminare con le spalle un po' ricurve dal peso dei pensieri.
Non dissi più nulla finchè non giungemmo al luogo prestabilito. Qui salutai Gaar con un cenno imbarazzato della mano. "A... presto...", dissi solo speranzosa. Feci ingresso nell'angusta cavernetta dove Gaar mi aveva accompagnata e mi accinsi ad accomodarmi come meglio potevo, badando ad accendere fuochi, data la tarda ora della notte.
Quando Gaar fu sparito oltre una fronda, rimasi per qualche altro secondo appoggiata all'ingresso del mio antro.
Non mi era neanche sembrato vero che fino a pochi minuti fa Velkam mi aveva stretto la mano e che presto, molto presto, avrebbero potuto ucciderlo senza che nè io nè Gaar avremmo potuto fare nulla per salvarlo. 
Riposi in quell'elisiano tutte le mie speranze e fiducie. Io avevo fatto la mia parte, ma ora sarebbe toccato a lui. 
Mi sedetti sul pavimento della caverna abbracciandomi le ginocchia. Da lontano proveniva lo scrosciare di un fiumiciattolo. Evocai  nuovamente Daff perchè mi facesse compagnia in quegli orrendi momenti di solitudine. 
Quando la chiamai, la piccola wuff mi si accucciò sulle gambe e io le grattai affettuosamente dietro le orecchie.
La paura di perdere Velkam non mi aveva abbandonata, anzi, dal momento che lo avevo rivisto si era fatta anche più reale e concreta. Avevo deciso, se l'indomani Gaar non si fosse fatto vivo sarei andata io a Sarpan.

[Si avvicina il finale. Che vi aspettate da queste ultime pagine? Rinnovo il mio invito al gruppo "Selhen's dreams" e a recensire. Siete e sarete sempre i benvenuti. Un grazie a chi mi segue e... vi aspetto!] 

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Capitolo 44
*** -35- Infrante illusioni ***


Non ero stata capace di chiudere occhio quella notte. Più volte il verso di qualche animale notturno mi aveva svegliata, ed io, rigirandomi su un fianco, avevo rabbrividito. Il mio unico pensiero fisso era Velkam. Se Gaar non fosse riuscito a farlo scappare in tempo, sarebbe morto; visto che all'indomani mattina era stata fissata la sua esecuzione.
Riuscii ad attendere soltanto la prima timida luce dell'alba, ma, ovviamente, di Gaar non c'era stata ancora alcuna traccia.
Fremente per il nervosismo e l'agitazione raccolsi allora la mia sacca e mi preparai a raggiungere Kamar. Non potevo rischiare di perdere Velkam per sempre.
La mia wuff, accoccolata in un angolo roccioso del rifugio, sollevò la testolina assonnata e mugolò sorpresa.
"Vieni Daff, è ora di andare", le dissi. 
Rovistai nella borsa, controllando che fosse presente tutto il necessario. C'erano dei kisk, delle pergamene che conducevano ai punti nodali di Atreia, e ancora del cibo.
Decisi che per precauzione avrei lasciato un kisk in quella caverna. Ci legai l'anima anche quella volta, nella speranza che un elisiano qualunque non me l'avrebbe mandato in frantumi, e poi raccolsi una pergamena per Kamar e la srotolai.
Era il caso che cominciassi a muovermi a quell'ora, perchè, più si avvicinava il momento dell'esecuzione e più la fortezza si sarebbe riempita di gente.
Con quel pensiero lessi la formula vergata sulla pergamena, e mi dissolsi, come sempre, comparendo ai piedi dell'obelisco principale di Sarpan. Mi dispiacque di non poter sparire, ma quella era solo una prerogativa di assassini e cacciatori, perciò dovetti solo darmela a gambe e impegnarmi a trovare un nascondiglio efficace prima che il sole fosse completamente sorto.
Sorrisi quando mi balenò nella mente un'ottima idea. Perchè non nascondermi nella zona in costruzione di Kamena? Era un angolo della fortezza che dava perfettamente sulla piazza e gli edifici, da quando avevano interrotto i lavori, erano deserti. Non c'erano negozi nè taverne. Gli accessi erano chiusi e questo mi garantiva di certo una tranquillità maggiore.
Approfittando del favore della poca luce mi incamminai in fretta verso piazza della pace. La attraversai furtiva e quando giunsi all'ingresso di Kamena mi ci gettai, evitando per un pelo di essere vista da un Reian che iniziava a montare di guardia davanti al Palazzo di Kamar.
Un'apertura faceva da ingresso ad un palazzo in costruzione. Appoggiandomi alla parete per evitare di cadere giù dalle scale salii, alla ricerca di una qualche altra apertura che desse sulla piazza. Dovetti salire più piani, ma alla fine il risultato fu quello sperato. Direttamente dal terrazzo di quella alta abitazione potevo avere una panoramica perfetta della piazza. 
Potei notare l'obelisco elisiano che per l'occasione era stato sistemato al centro e la pedana sulla quale, supposi, Velkam avrebbe udito la sua sentenza. 
Avrebbero costretto Velkam a legarsi a quell'obelisco e solo allora il guaritore dell'anima avrebbe proceduto allo scioglimento dell'anima da esso.
Il pensiero dell'uccisione di Velkam senza una conseguente rinascita mi fece cedere le gambe. Dovetti sorreggermi alla merlatura del tetto dietro cui mi ero nascosta. 
Strinsi i pugni. Chissà se Gaar era venuto a cercarmi...
Supposi che se l'avesse fatto a quell'ora doveva essere furibondo perchè gli avevo disubbidito.
Mi appostai dietro quella merlatura e scivolai a sedere per terra sospirando. Avrei dovuto attendere un po' prima che la piazza si riempisse di gente, anche se, dentro di me, speravo che un funzionario qualunque annunciasse al pubblico che il prigioniero era scappato.
Passarono attimi, minuti, ore... non lo seppi mai con esattezza, ma poi udii il suono di alcune trombe cerimoniali. Mi riscossi e mi voltai, carponi, a sbirciare da dietro la merlatura di pietra, verso la piazza.
Adesso un vociare continuo la riempiva, numerosi elisiani e asmodiani erano accorsi a Kamar per assistere all'esecuzione del cacciatore traditore, poi, non pochi, a mio parere, erano lì nella speranza che un mio arrivo potesse trasformare quell'esecuzione in uno spettacolo meno noioso e più plateale.
Mi sistemai meglio scacciando con una mano un sassolino che mi si era conficcato in un ginocchio e ne approfittai per legare i miei capelli in un alta coda di cavallo sulla quale sistemai una benda che mi copriva parzialmente gli occhi. Era l'unica cosa che avevo trovato rovistando nella sacca. In questo modo sperai di essere meno riconoscibile, dopotutto usavo sempre portare i miei capelli sciolti e a volte, anche una coda di capelli raccolti e un coprifronte potevano fare miracoli... 
Dopo averlo fatto mi trattenni nuovamente alla merlatura di pietra e rivolsi maggiore attenzione al pubblico della piazza.
Riuscii a scorgere Saephira e Kazuyro in un angolo. Dal viso della mia amica barda traspariva una tristezza smisurata, e sembravano anche inutili le parole che il suo nuovo ammiratore cercava di pronunciare per confortarla.
Sospirai, avrei voluto essere là per abbracciarla. Per cercare da lei un po' di conforto, proprio lei che tante volte aveva asciugato le mie lacrime e raccolto le mie confidenze.
Scorsi Dahnael avanzare verso Saephira e mormorarle qualcosa all'orecchio che parve gettarla maggiormente nello sconforto. 
La mia amica affondò il viso tra le mani artigliate e scosse la testa disperata.
Quando spostai lo sguardo lo vidi. Tra le prime file laterali. Lui e la sua zazzera rossa.
Supposi che dopotutto ad Araziel non poteva dispiacere che l'elisiano che aveva infangato il nome della sua legione venisse ucciso. Stava mormorando qualcosa a Flamet. L'assassina aveva sorriso melliflua, causandomi nello stomaco un chiaro moto di fastidio e... gelosia?
Abbassai lo sguardo, tristemente. Dietro ad Araziel stava schierata tutto il resto della legione.
Infine un viso gradito fece capolino tra la folla. Bello come la notte e gelido come il ghiaccio.
Shad stava salendo le scale di piazza della pace. Portava al braccio la chierichessa, Ethun, e sembrava fare certi sorrisi di circostanza a chi si fermava a parlare con lui.
Studiai l'aspetto di Ethun. Il fermaglio dorato che sembrava ferire la grande crocchia scura, spiccava ai primi raggi di sole più intensi. Le lunghe gambe della chierica erano ristrette in un paio di eleganti calze e il vestito corto, rigorosamente in maglia metallica, le conferiva una rispettabilità senza pari.
La piazza era sempre più gremita. 
Così come mezza Pandaemonium era accorsa, notai che anche gli elisiani non erano stati da meno, quanto a pettegolezzi.
Intere legioni elisiane sostavano ai fianchi della grande pedana in legno. La loro lingua sconosciuta si intrecciava alla nostra più familiare e giungeva a me, nell'eco di singole parole o di suoni sconnessi.
Stavo ancora scrutando l'immensa folla quando mi sentii spingere in avanti da qualcosa.
Mi sorressi alla parete e quando mi voltai per poco non urlai. Davanti a me c'era il muso di un fiero spirito del vento. Mi fissava silenzioso con i suoi occhi assenti e senza pupille.
Ad averlo vicino potei percepire il gelo del suo respiro, ma non mi mossi di una virgola e capii, nel momento in cui l'essere animato si spostò e venne ad accovacciarsi al mio fianco, chi fosse il suo proprietario.
Guardai con tenerezza quello spirito grande e grosso rimanere a farmi compagnia e pensai a Shad. Si era accorto di me e mi aveva mandato un segno.
Quando mi sporsi a guardare nuovamente oltre le mura e lo cercai, trovai i suoi occhi. Mi lanciò solo uno sguardo fugace, poi tornò a voltarsi con teatrale disinvoltura verso l'asmodiano che gli stava rivolgendo la parola in quel momento, e riprese una fitta conversazione stringendo la mano di Ethun nella sua.
Ad un certo punto sembrò che la piazza non fosse più in fermento. Calò un silenzio lugubre, e ai lati della pedana due guardie Reian accompagnarono il prigioniero.
Velkam teneva le mani legate dietro la schiena e la testa bassa.
Il panico mi assalì, quando lo vidi, come se fino a quel momento mi fossi aspettata un esito diverso.
Dov'era finito Gaar? Perchè Velkam era ancora in catene?
La mia evidente agitazione infastidì lo spirito che grugnì di disapprovazione.
"Velkam...", mormorai con gli occhi che mi diventavano lucidi.
Gli animi iniziarono a surriscaldarsi quando un elisiano che non riconobbi, probabilmente uno dei governatori elisiani, salì sul patibolo ad annunciare l'ingresso del prigioniero. Era un tiratore biondo e dall'aspetto severo e fiscale.
All'inizio pronunciò alcune parole incomprensibili, poi però, la sua voce forte e chiara si levò, e riconobbi nel suo accento melodioso la nostra lingua. 
"Signori...", disse, " Voglio solo esprimere la mia più sentita disapprovazione per quanto è accaduto con il nostro prigioniero. Questa è la sorte di chi tradisce Atreia... e il popolo elisiano, naturalmente!". Rimase terribilmente serio e rivolse uno sguardo rammaricato verso Velkam, che da un angolo guardava con ostentata ostilità il tiratore. "Spero che quest'esecuzione di oggi sia di monito per tutti quanti, mi dispiacerebbe se si ripetesse una cosa simile ancora una volta... Lord Silence è un governatore di buon cuore e odia gli inutili spargimenti di sangue...", annunciò con quello che mi parve un finto rammarico. 
"Se così fosse, sarei costretto ad agire allo stesso modo. Non si dica mai che gli elisiani non sono rispettosi della legge... ed è lo stesso atteggiamento che ci aspettiamo da voi... asmodiani, quando avrete trovato la traditrice".
Silence volse i suoi gelidi occhi verso la platea. Nella parte in cui erano raccolti la maggior parte degli asmodiani, poi fece un cenno del capo col quale invitò il guaritore dell'anima ad apprestarglisi incontro.
"Con il potere conferitomi dal Governatore del Sanctum, Fasimede, e dalle leggi che da sempre la governano, io, Governatore Silence, dichiaro te, Velkam, figlio di Cornelius, responsabile di alto tradimento e massimo disonore nei confronti del popolo elisiano. Per tutto ciò ti sarà negata l'immortalità di cui un Daeva gode. Da oggi, nessun obelisco potrà più accogliere la tua anima....", chiarì il Governatore lanciando un occhiata al cacciatore elisiano che lo guardava con disprezzo.
Il Guaritore che aveva salito le scale lentamente, impacciato dalla sua lunga veste, si accostò al nuovo obelisco consacrandolo affinchè Velkam potesse legarvi la sua anima.
I miei respiri iniziarono a divenire irregolari, senza che me ne fossi accorta. 
Scossi il capo terrorizzata. 
Adesso la legione di Velkam farà qualcosa, ne sono certa. Gaar apparirà con un manipolo di uomini e lo porteranno via... pensai.
Tutto continuava ad accadere, lentamente, ma nessun manipolo di uomini assaltava l'obelisco e portava via Velkam.
A quanto sembrava, piuttosto, gli Empirean Knights erano tutti presenti alla cerimonia.
Mi accorsi con sgomento dell'arrivo di qualcuno che mai, mi sarei aspettata, di vedere tra la folla.
Gaar e un pugno di altri pochi funzionari avanzavano placidamente nella piazza. L'assassino sembrava discutere animatamente con uno di loro. Un fattucchiere, a dirla tutta.
La pistola che avevo stretto in un pugno mi cadde di mano. 
Ero allibita... troppo sconvolta per riuscire a pensare lucidamente a cosa fare. Gaar aveva tradito Velkam?
Non sembrava per nulla preoccupato dell'imminente esecuzione del cacciatore, anzi, rideva e discuteva con altri elisiani con la massima spensieratezza.
Mi morsi il labbro tanto violentemente da farlo sanguinare.
Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Causare un diversivo, dare a Velkam il tempo di scappare, quantomeno.
Senza indugiare ancora raccolsi la mia borsa e mi lanciai a capofitto giù per le scale. L'unica soluzione era gettarsi nella piazza e lasciare che gli altri mi vedessero per far scoppiare un finimondo. Al resto avrei pensato a tempo debito.
Non feci caso a quello che lo spirito del vento fece, non appena mi vide alzare e andare via. Probabilmente era rimasto di sopra come gli era stato ordinato dal padrone.
Attraversai la piazza spintonando la gente. "Permesso", "Scusate", dicevo, tentando di apparire il più disinvolta possibile.
Avevo scelto di mescolarmi tra le fila degli elisiani, che, ne ero certa, avevano meno familiarità col mio volto di quanto potessero averla quelli della mia legione. 
Fu quando riuscii ad arrivare a due file dal patibolo che gli sguardi miei e di Velkam si incontrarono.
Il cacciatore scosse il capo preoccupato, tentando di dissuadermi da quello che stavo per fare, ma era troppo tardi.
Mi gettai davanti al patibolo, esattamente davanti agli occhi di tutti, tra lo stupore del maggior numero degli asmodiani.
"La traditrice!", qualcuno urlò tra la folla.
"Sì, è proprio lei".
Lo sguardo di Gaar si sollevò dallo stupore. Il flusso di parole che stava pronunciando si bloccò, e il fattucchiere che gli stava accanto seguì il suo sguardo cosciente.
Riuscii a svincolarmi con facilità da una guardia che mi si era gettata addosso, poi, quando raggiunsi il largo maggiore della piazza, cercai di scappare verso la zona commerciale di Lamina ma in quel momento mi sentii le gambe paralizzate e ruzzolai a terra.
Consapevole di essere stata vittima di un qualche incantesimo sollevai lo sguardo a cercarne l'autore e vidi il fattucchiere che prima era intento a conversare con Gaar, con la mano ancora sospesa.
Come aveva osato attaccarmi in una zona neutrale? 
Sguainai le pistole nel tentativo di difendermi ma già una nuova formula stava per essere pronunciata da quell'ufficiale elisiano.
In quell'attimo di immobilità, in cui tutti rimasero a guardare cercando di indovinare quello che di lì a poco sarebbe accaduto, si udì uno sparo che colpì in pieno la barriera del fattucchiere elisiano.
Araziel, da lontano, aveva sparato e teneva palesemente in mano la pistola ancora fumante.
Lo vidi avvicinarsi piano.
"E' una zona neutrale, Cohaku, non la toccare!". 
L'ufficiale elisiano lo guardò con scherno. "Levati di mezzo, Araziel, è una traditrice".
"E' nostra...", aveva soffiato tra i denti il tiratore caricando nuovamente i revolver, "tocca a noi catturarla, non a te!".
Approfittai di quel temporeggiamento per alzarmi, ma una freccia del vento, lesta, mi tagliò la coscia facendomi urlare di dolore. Mi accasciai, senza avere più le energie necessarie per poter correre fuori dalla fortezza. 
"Prendetela!", aveva urlato l'elisiano ai suoi legionari, ignorando il minaccioso invito di Araziel.
Quell'intervento azzardato era costato a Cohaku l'ostilità di tutta la mia legione. Il capannello di curiosi adesso si era allargato lasciando ai due lo spazio di fronteggiarsi. 
Notai l'elisiano sollevarsi nell'aria per caricare un colpo potente, questa volta diretto ad Araziel, ma il tiratore fu più lesto. Lo schivò, reagendo alla provocazione con un colpo stordente. 
"Che cosa state facendo? Non sapete che piazza della Pace è una zona neutrale?", stava urlando una guardia Reian indignata, cercando di farsi spazio tra la folla.  
Sia il tiratore che il fattucchiere ignorarono l'avvertimento. Bastò un colpo ben assestato di pistola a spaccare la barriera di protezione di Cohaku e a ferirlo mortalmente.
"Ehi tu! Tiratore!", urlavano intanto le guardie, a monito, cercando di placare la rissa.
Flamet, l'assassina, si affiancò subito ad Araziel quando uno degli altri elisiani aveva cercato di immobilizzarlo. Dalle sue labbra sottili uscì un ringhio minaccioso, e ad essa presto si affiancarono Galthun, Pausania, e Yumeria.
"Se è la guerra che cercate, guerra sia", aveva sibilato minacciosa Flamet sguainando i pugnali che rilucettero alla luce del sole, ormai alto.
"Araziel!", lo chiamai arrancando, sperando che mi sentisse. Non volevo che si mettesse nei guai, non per me... attaccare in una zona neutrale e uccidere un nemico poteva essere punibile tanto quanto un tradimento. "Non farlo"
Troppo tardi. Una serie di pallottole ben calibrate investirono l'ormai inerme petto del fattucchiere elisiano. Nessuna barriera lo proteggeva, e questo comportò la sua totale disfatta.
Cohaku si accasciò, spalancando le candide ali in un gemito, mentre il mana gli veniva soffiato via da una potente raffica di colpi di pistola.
Se prima pensavo che si fosse scatenato il finimondo, non avevo ancora visto quello che sarebbe accaduto di lì a quel momento.
Tutti i compagni di Cohaku si gettarono contro Araziel, il quale, dal canto suo, aveva chiamato allo scontro i suoi legionari.
La voce di Galthun era emersa tra la confusione nel pronunciare parole di formule magiche. Sebbene Araziel fosse attaccato da più angolazioni le sue ferite sembravano rimarginarsi all'istante, tanto potenti erano le cure del chierico di legione.
Anche Flamet adesso era alle prese con un'altolocata barda elisiana, Yumeria, invece, aveva spedito il suo spirito del  vento a impacciare, con i suoi stordimenti, un altro fattucchiere che dalla folla si era unito alla mischia per vendicare il loro compagno.
Avvertii una calda cura avvolgere la mia gamba e risanarmi la ferita. Notai lo sfarfallare di un archetto e compresi che Saephira aveva cercato di aiutarmi. Da lontano i suoi occhi sembravano dirmi: scappa.
Le rivolsi un mesto sorriso, prima di rimettermi in piedi e cercare di correre nella direzione opposta.
"Prendetela, sta scappando!", aveva detto un Elisiano indicandomi.
Mi soffermai davanti al patibolo, dove Velkam, notai, aveva poggiato una mano all'obelisco e vi aveva appena legato la propria anima. 
Raggelai e il mio cervello andò momentaneamente in tilt. Non era possibile... erano riusciti a imporgli di farlo. Scossi il capo sbaragliata dallo stupore. "No...", urlai, rimanendo impietrita davanti alla pedana.
Non mi opposi quando due guardie asmodiane mi immobilizzarono. 
"No... no... vi prego! Prendete me, ma non lui!", dissi in preda ai singhiozzi. "Vi prego!".
Scorsi il governatore elisiano indirizzare un cenno del capo al guaritore, poi dopo quella che mi parve una triste nenia funebre, l'obelisco si lineò. Delle profonde crepe comparvero sulla superficie liscia della pietra finchè non si spezzò del tutto.
"Velkam!", avevo detto piangendo, mentre cercavo di divincolarmi. "No! Ti prego! No!".
Sentivo la testa pesante, e i sensi talmente allerta da star male. "Velkam..." stavo mormorando in preda alla disperazione.
Non riuscivo a scorgere più Gaar, non sapevo che fine avesse fatto, e l'unico motivo per cui avrei voluto saperlo era quello di ucciderlo con le mie mani.
"Traditore bastardo!", avevo ringhiato tra me, al suo pensiero.
Nel silenzio assordante della piazza, adesso, si potevano solo sentire i miei respiri affannati e i miei singhiozzi mentre cercavo di divincolarmi senza risultato.
Scorsi Gaar avanzare tra la folla che sembrava essersi spartita per formare un corridoio e permettergli di passare. L'assassino camminava a passo lento, sul suo viso era dipinta un'espressione grave e tormentata.
Lord Silence gli si accostò per qualche momento, mormorandogli all'orecchio alcune parole che sembrarono avere l'aria di un falso conforto. Vidi il giovane assassino elisiano annuire mestamente e sguainare entrambe le spade dai foderi fissi alla sua schiena.
"Un momento!", disse Lord Silence, richiamando l'attenzione di tutti con un cenno della mano.
"Adesso che la vostra prigioniera è catturata, noi elisiani ci auguriamo che giustizia sia fatta anche nei nostri confronti", aveva concluso gelidamente, invitando Gaar a salire sul soppalco.
Il popolo elisiano sembrò levare un cenno d'assenso alle parole del Governatore.
"L'ufficiale a cinque stelle Gaar, in quanto ammirevole soldato della fazione, e rispettabile nuovo capo della prestigiosa legione degli Empirean Knights, sarà il giusto punitore del suo predecessore".
Scossi il capo sconcertata a quelle parole. Incredula... basita... mentre vedevo Gaar avanzare sul patibolo con le spalle ricurve dal peso di quell'incarico.
Perchè?
"Sei un bastardo!", stavo urlando, sicura che mi sentisse.
Gaar mi ignorò. Lo vidi esitare solo un momento, come se fosse stato toccato nel profondo dalle mie urla di dolore, poi si dispose davanti a Velkam, che sollevò il capo per incrociare il suo sguardo un'ultima volta.  
Le lacrime che mi offuscavano la vista scorrevano copiose sul mio viso ormai sciupato. Non potevo più fare niente, mentre la morsa di quelle mani asmodiane mi immobilizzava. Sentivo i loro artigli affondarmi violenti nella carne, e sentii le loro dita stringere ancora più forte nel momento in cui Gaar levò entrambe le spade preparando il colpo.
"Non farlo, ti prego!", dissi accasciandomi sfinita sul pavimento della piazza "Gaar, non farlo...". 
Non riuscii a guadagnami neanche l'attenzione della folla, che intenta, stava aspettando con trepidazione il momento dell'uccisione del capo degli Empirean knights, da parte del suo secondo. Solo gli occhi di Saephira incontrarono i miei e compresi in essi tutto lo strazio e il tormento che le mie sofferenze le arrecavano.
Quando Gaar, con un movimento secco e preciso affondò entrambe le spade nell'addome di Velkam , urlai.
Mi sentii morire dentro nel momento in cui nei suoi occhi indifesi e nel suo sguardo smeraldino vidi, piano piano, svanire tutta la vitalità. 
Le labbra sottili e morbide del cacciatore elisiano, che tanto avevo baciato, si spalancarono come per un respiro mancato e le sue gambe cedettero, mentre sotto di lui si apriva una pozza di sangue scarlatto.
Barcollai quando i miei occhi incrociarono i suoi, sempre più assenti e spenti. Avrei voluto morire, avrei voluto che in quell'istante avessero fatto di me qualsiasi cosa.
Uccidetemi, vi prego... voglio andare da lui... 
"Velkam...", fu quello che uscii, debole, dalle mie labbra. Ero distrutta, spiazzata, mentre lasciavo ciondolare la testa ormai priva di qualsiasi forza, abbandonandomi alla forza dei miei carcerieri.
Non potei scorgere il viso di Gaar. Avrei voluto proprio vedere la sua espressione mentre lo uccideva.
Con che coraggio era riuscito ad ammazzarlo? Come aveva potuto tradire il suo migliore amico in quel modo?
Quando cavò via le spade insanguinate dalla ferita, Velkam si accasciò sul suo stesso sangue. Lo vidi rannicchiarsi su se stesso nell'ultimo anelito di respiro.
Le ali del cacciatore elisiano si spalancarono per l'ultima volta, macchiando il loro candore con il sangue copioso che fuoriusciva dalla ferita, poi, per l'ultima volta, il suo corpo si dissolse nell'aria per non fare mai più ritorno. 
La sua anima, ormai, era perduta per sempre. E io con essa. Non provai neppure a scappare dal mio destino.
Presto, molto presto, ci saremmo reincontrati...


[Non odiatemi, vi prego... anche se me lo merito ç_ç Al prossimo capitolo e... recensite pure, ditemi tutte le brutte parole che vi passano per la testa... io le accetterò]
Link del gruppo per fare tutte le discussioni che desiderate:   https://www.facebook.com/groups/964519573578228/

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Capitolo 45
*** -36- Morte di Daeva ***



Caos, un disordinato caos regnava in piazza delle Pace quel giorno. 
Araziel era ancora là, nel bel mezzo di quel tumulto che si era trasformato in una vera e propria faida. 
Flamet era sfrecciata alle spalle di un grosso e barbuto gladiatore e senza dargli neanche il tempo di rendersene conto, gli aveva piantato una fulminea stilettata alla carotide cercando con gli occhi l'approvazione del suo capo legione. Sangue scarlatto era schizzato fuori dalla ferita del gladiatore elisiano, e la sadica assassina, sentendolo insozzarle il viso, si era passata una mano sulla guancia con deliziata perversione, prima di buttarsi nuovamente nella mischia.
Araziel le aveva lanciato un lesto occhiolino poi aveva indietreggiato agile, schivando con facilità il colpo di picca che un altro gladiatore elisiano gli aveva indirizzato. 
Un balzo agile lo aveva fatto levare da terra con sicurezza disarmante, il suo corpo si era librato nell'aria roteando, ancora una volta, mentre azionava con una perfetta simbiosi caricatore e grilletto risucchiando via dal nemico tutta l'energia magica.
Quando l'elisiano si era ritrovato con le spalle al muro Araziel aveva lanciato ai suoi piedi una bomba intrappolante, e solo in quel momento, imbracciato il suo potente cannone, aveva sparato sfondando letteralmente il torace del malcapitato gladiatore.
Fu uno spirito del vento a coglierlo di sorpresa. Un'incantatrice dall'aspetto angelico lo aveva mandato nella sua direzione e non appena la bestia lo aveva colpito con il suo morso paralizzante, per alcuni infiniti secondi Araziel non potè più muoversi.
L'immobilità di quel breve momento gli costò cara. Una freccia, rapida e precisa, gli si piantò al torace, proprio in direzione del cuore.
Potè quasi percepirlo, il suo cuore contrarsi in un sussulto, i suoi battiti decelerare...
In quel momento Araziel fu consapevole. Eccola la morte di una Daeva. Una morte lenta e dolorosa. Dolorosa e infinita... eterna.
Araziel sentì il dolore acuto di un secondo dardo che aveva sfondato la rigida protezione della giubba in pelle, proprio sulla pancia.
Il tiratore strinse una mano attorno all'asta della freccia e incurante del dolore, come un vero guerriero doveva essere, la strappò via in un ringhio.
Il suo sguardo austero, in punto di morte, si levò verso il misterioso autore di quel gesto, lo cercò tra la folla e... lo riconobbe.
Era un'elisiana giovane e minuta. Vestiva una succinta armatura in pelle e due grandi occhi neri spiccavano nel roseo candore del suo viso. Portava un largo cappello in pelle che le ombreggiava parzialmente il viso.
"Kath", disse Araziel mentre espirava faticosamente mentre le sue forze scivolavano via. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Da quanto tempo non vedeva quella maledetta elisiana...
La ragazzetta dal viso così familiare teneva l'arco teso, con una nuova freccia incoccata. Sarebbe stata la freccia del colpo di grazia.
Ecco il secondo motivo per cui detestava gli elisiani fino alla morte, era là, di fronte a lui, e si chiamava Kathniss. L'unica elisiana a cui avesse mai dato la sua fiducia e che, come si riconfermava in quel momento, non la aveva mai meritata.
Non che già non lo sapesse...
L'elisiana avanzò a passo sicuro verso di lui. "Mi dispiace Araziel", aveva detto la sua giovane voce, "qualcuno doveva pur mettere fine a questa assurda buffonata". Le sue rosee labbra delicate si erano arricciate, e le sue morbide dita avevano stretto maggiormente il manico dell'arco, come se dire quelle parole le fosse costato grande sforzo.
L'immagine del capo dei Dead can Dance sconfitto aveva causato un attimo di smarrimento tra gli altri membri della legione. Lo stesso Galthun sembrava in crisi per non essere riuscito a curare tempestivamente quella ferita mortale che aveva squarciato il petto del tiratore.
Un rivolo scarlatto colò sul mento del giovane mentre uno dei due revolver gli scivolava dalla mano, poi le gambe di Araziel avevano ceduto e nell'agonia un sorriso sghembo gli aveva lineato il viso. "Finiscimi, principessa", aveva detto con tono melodioso, per quanto gli fosse possibile, mentre un rigurgito di sangue gli dipingeva le labbra di rosso.
Kathniss abbassò lo sguardo. Le sue labbra si assottigliarono e il suo petto si gonfiò in un respiro più profondo che evidentemente stava cercando di controllare. 
Una pronta reazione di Flamet a quell'affronto venne frenata da un rapido gesto del tiratore scelto, che imperioso le aveva imposto di restare per dov'era.
Kathniss si avvicinò, incerta. 
Araziel potè scorgerne gli stivali di cuoio di fronte a lui e con le ultime forze che gli restavano fu rapidissimo, riafferrò il revolver che gli era cascato per terra e sparò un improvviso colpo al ginocchio dell'elisiana. Questa, dolorante, gli cadde di fronte.
I loro occhi si incontrarono per qualche altro secondo, poi Araziel sorrise beffardo, sollevò la pistola e la puntò nello sguardo smarrito della nemica. 
Ancora una volta la vittoria era sua. Fino all'ultimo respiro.
Il rumore di quell'ultimo sparo spezzò il silenzio, poi fu buio anche per lui...

...

Il corpo di Velkam si era accasciato al suolo senza vita davanti ai miei occhi increduli. Stavo strattonando le guardie che mi trattenevano urlando: "Voglio vederlo, vi prego... vi prego!".
Nessuno sembrava udire le mie strazianti preghiere. Il mio pianto isterico era l'unica cosa che sembrava intrattenere i più sadici della platea.
"Vi prego... voglio vederlo per l'ultima volta", avevo implorato supplicante, ma non ebbi il tempo di terminare la frase che il corpo di Velkam si dissolse nell'aria, lasciandomi nel più totale sconforto.
Smisi di piangere. Non mi importava più nulla di morire, anzi, se mi avessero uccisa subito sarebbe stato anche meglio.
Il vento asciugò le ultime lacrime sul mio viso, facendomelo pizzicare. 
Udii uno sparo giungere dall'altra parte della piazza. Prima uno, subito dopo un altro.
Sobbalzai ricordandomi solo in quel momento di Araziel e dello scontro in cui poco prima si era gettato per difendermi.
Mi sentii ancora più in colpa. Esausta e spossata, debole, dolorante da ogni parte.
I polsi mi bruciavano, là dove le unghie affilate delle guardie asmodiane mi affondavano nella carne, immobilizzandomi. La gamba faceva male, nel punto in cui la freccia del vento di Cohaku mi aveva tagliato la carne. Evidentemente, pensai, la cura di Saephira non era stata totalmente rigenerante.
Iniziai ad essere impaziente di morire. Volevo ricongiungermi a Velkam il prima possibile. Vivere insieme finalmente, in un aldilà solo per i Daeva. Lontani dai pregiudizi. In un mondo dove forse eravamo tutti figli del dio Aion, tutti uguali, senza alcuna distinzione di razza.
Provai a immaginare a come potesse essere stata Atreia ai tempi della pace, perchè questa terra lo era stata, una terra di pace... 
Prima dell'era dei Balaur. Un tempo di cui io non potevo avere memoria. Un tempo tanto passato quanto leggendario. 
Fu mentre pensavo a queste cose che sembrò farsi spazio nella mia testa un insistente e sempre crescente sussurro. Quel suono di voci sconosciute iniziò a ronzarmi nella testa. Parlavano una lingua che conoscevo e come se ad un certo punto qualcuno avesse alzato il volume di una frequenza nascosta si fecero sempre più forti, fastidiose, arrivando infine a coprire il chiasso dell'intera piazza.
Mi sentii soffocare ed ebbi uno spasmo, prima di serrare le palpebre urlando...

Ma quando riaprii gli occhi mi accorsi di stare urlando nel bel mezzo di una spiaggia deserta. L'aria salmastra mi pizzicò il naso, e un venticello leggerò venne a scompigliarmi i capelli.
Il tumultuoso rumore delle onde mi accolse. 
Mi guardai intorno un po' dubbiosa. Non conoscevo nessuna spiaggia come quella.
Abbassai lo sguardo osservando i miei stivali che affondavano in quella sabbia chiara e granulosa.
"Ciao Selhen", avevo udito una voce femminile alle mie spalle.
Mi riscossi all'improvviso, sobbalzando. 
Mi voltai fulminea cercando i miei revolver alla cintura, ma rimasi sconcertata quando mi accorsi che i foderi erano vuoti.
I miei occhi scarlatti si mossero verso la voce che aveva pronunciato il mio nome lasciandomi stupefatta. "Silyssa", mormorai. "Dove... dove mi trovo? Dov'è Velkam?".
In quel luogo di estrema pace sembrava quasi del tutto fuori luogo ricordare la morte dell'elisiano che avevo amato.
Il volto di Silyssa si contrasse. Avrei potuto trovarci quasi qualcosa di buffo se non avessi interpretato quell'espressione come una dolorosa aria di sconfitta.
"Mi dispiace...", disse la fattucchiera addolorata. Si tormentò nervosamente una ciocca di capelli rossi abbassando lo sguardo.
Rivolsi il mio sguardo malinconico verso quella distesa d'acqua scura e agitata.
"Sei stata tu ad evocarmi?", chiesi con voce spezzata.
Un ciuffo di capelli mi volò tra le labbra e qui restò impigliato. Me lo tolsi con un artiglio infastidita.
"Già... sono brava con la magia elfica, non è vero?". Per quanto si sforzasse di sembrare seria potei quasi avvertire una punta di vanità in quella domanda.
Non risposi.
"Che cosa ci faccio qui?", chiesi infine, acidamente.
"Ti ho appena salvato la vita e tu mi chiedi cosa ci fai qui?", disse la strega irritata.
"Chi ti ha chiesto di salvarmi?", continuai, "Che può importarmene di una vita eterna senza... senza lui", urlai. Di nuovo la mia vista si era minacciosamente annebbiata.
"Ho solo pensato che.... avresti dovuto poter scegliere, disse Sily dolcemente sistemandosi pacatamente il lungo guanto bianco che le copriva un'ampia porzione di braccio.
Feci caso solo in quel  momento a cosa indossava. Era un abito lungo fino ai piedi. Candido ed elegante. I suoi piedi artigliati erano scalzi tra la sabbia. Due guanti e uno spallaccio a decorazione di un braccio scoperto completavano il tutto. 
Era tutta un tripudio di candore angelico, così come il fermaglio bianco che spiccava come una nuvola tra i suoi capelli rossi.
Se non fosse stato per le inequivocabili orecchie a punta che sbucavano dalla cascata di capelli scarlatti, Silyssa sarebbe sembrata quasi un'entità divina ed io mi sarei già creduta bella che morta.
"Non sono morta... vero?", domandai dubbiosa, guardando alle sue spalle. Quasi come se mi fossi aspettata di veder sbucare Velkam tra quelle rocce muschiose.
"No", disse lei con tono rassicurante.
"Cos'è questo posto?", domandai.
"Ti trovi a Vengar", mi annunciò la fattucchiera.
"Vengar...", mormorai. Corrugai la fronte. Non c'era nessuna regione con quel nome nelle carte di Atreia.
"E' una terra sommersa di cui soltanto io ho scoperto l'esistenza", terminò lei guardando il mare.
Non capii fin quando i miei occhi non si levarono fissando lo sguardo là dove avrebbe dovuto esserci il cielo. Un'enorme massa d'acqua ci sovrastava senza però caderci sulla testa.
"E' incredibile" mormorai.
Adesso comprendevo il buio di quel posto e la profonda oscurità del mare che avevo di fronte.
"Già..." aveva detto Silyssa improvvisamente più seria. "Potrai scegliere di rimanere in esilio per sempre su questa terra, oppure potrai decidere di tornare in superficie e... morire".
L'ultima parola risuonò nella mia testa. 
Esilio o morte.
Qualunque esilio sarebbe stato dolce se Velkam fosse stato con me, ma in quel modo... non ne valeva la pena. Non volevo la vita a prezzo della sua morte.
"Non posso continuare a vivere una vita eterna sola e a metà", le dissi.
Silyssa mi studiò per un momento, poi annuì. "E' la stessa cosa che pensai anch'io un po' di tempo fa".
Corrugai la fronte. "Non capisco...".
Silyssa sospirò. "Vissi disgraziatamente in quel periodo di caos che seguì la divisione di Atreia. Con questa divenne più forte l'astio tra i capi elisiani ed asmodiani.
Tuttavia, noi gente comune, non avevamo alcun motivo per odiarci. Fino a qualche giorno prima eravamo fratelli, tutti uniti sotto il nome dello stesso dio. 
Ma quando i Governatori imposero quelle leggi, le conseguenti infrazioni di esse portarono le classi dirigenti a mettere dei paletti all'amicizia tra le due razze, e con le nuove punizioni i rapporti tra la gente comune cominciarono a incrinarsi sempre di più. 
La propaganda, d'altro canto, faceva la sua parte presentandoci gli elisiani come minacce da abolire e usurpatori di un potere millenario.
Così... quell'odio, un odio voluto, divenne parte di ogni membro della comunità. 
Gli asmodiani rimasero nella loro oscurità, si cibarono di essa, la elessero a loro signora e divennero sempre più simili alle bestie feroci. Tanto temerari quanto indomabili.
Gli elisiani dal canto loro rimasero nella loro altezzosa boria, ritenendosi gli unici veri discendenti di Aion e farneticando su quanto Aion li avesse fatti nobili nel sangue".
Silyssa parlava aspramente e il rumore del mare talvolta copriva le sue parole.
"Conobbi un elisiano...", il tono era divenuto più carezzevole, "Per me era solo uno come tutti gli altri compagni, non ero ancora abituata a discriminare un elisiano come un nemico solo perchè viveva dall'altra parte di Atreia. Mi sentivo smarrita ogniqualvolta me ne trovavo uno davanti...", la fattucchiera si strinse tra le proprie braccia, come se in quel momento desiderasse veramente sentire un abbraccio.
"Non era difficile amarsi, non in quei tempi in cui eravamo così simili, quando ancora l'oscurità non aveva fato impallidire la mia pelle e il gelo di Asmodae non aveva ancora gelato il mio cuore".
Guardai Silyssa ad un tratto più interessata.
"Sei stata innamorata di uno come Velkam...".
Silyssa annuì. "Lo condannarono a  morte poco tempo dopo...", sospirò, "io invece riuscii a farla franca. Per quanto avessi desiderato morire con lui, qualcosa mi trattenne dal farlo. Credevo nelle mie doti magiche e nella magia che mia nonna mi aveva insegnato, e a tutti i costi avrei dovuto trovare una soluzione".
"Ci sei riuscita?", domandai incalzante.
Annuì. "Non ci crederai Selhen, ma oggi Elyos è qui con me... viviamo il nostro esilio insieme".
Realizzai solo in quel momento il significato della sua vecchia e assurda richiesta. "La fiala di sangue...", mormorai.
"Secoli senza alcun senso, Selhen... Secoli di totale solitudine quando invece avrei voluto morire e tornare da lui, ma quando ti ho incontrata... beh, ho capito che la mia attesa era stata ricompensata".
Non la ascoltavo più. Un flusso euforico di parole premeva in me per uscire. "Tu puoi... Silyssa, puoi far tornare Velkam come hai fatto con il tuo Elisiano, ti prego, dimmi che puoi!".
Silyssa alzò una mano con gesto imperioso per zittirmi.
"Dopo tutti quegli anni di ricerca... leggendo libri su libri, finalmente avevo trovato quello che desideravo, mi serviva solo un ingrediente raro, così raro da trovare di questi tempi... non il sangue di un'asmodiana innamorata, ma il sangue di un elisiano che amava una di noi".
"Dimmi che ne hai ancora un po' Silyssa, ti prego", la supplicai accaldata.
Ancora una volta l'espressione di Sily non mi piacque.
"No... ma consolati col fatto che non ci sarebbe stato utile, visto che si tratta del sangue dell'elisiano in questione".
Mi lasciai cadere sulla sabbia reggendomi il viso tra le mani. Ogni mia speranza era andata in frantumi con quel "no".
"Mi manca Sily...", piagnucolai senza trattenere le lacrime. "Non ce la posso fare da sola...".
La fattucchiera avanzò nel suo lungo vestito e un largo spacco si aprì fin sopra la sua coscia, poi si chinò verso di me e in un gesto di conforto mi passò la mano guantata su una spalla. "Vivi Selhen, non smettere di sperare", mi aveva sussurrato ad un orecchio.
Proprio in quel momento si udì il rumore di un trotto lontano, poi un richiamo ci fece voltare entrambe. 
Potei scorgere un giovane a cavallo di un maestoso destriero nero la cui criniera svolazzava alla delicata brezza marina.
Non tardai a capire di chi si trattasse dal momento che Silyssa si illuminò. Se nei suoi occhi di solito aleggiava un'aria malinconica e un'antica saggezza, all'improvviso era emersa nei suoi occhi la Silyssa più giovane e vitale e meno infantile che avessi mai visto.
Fu solo un'impressione, ma mi parve che le sue gote si colorassero di un debole rossore.
"Silyssa", la chiamai all'improvviso. Vederla così felice al posto mio, mi aveva irritata.
"Voglio tornare ad Atreia", il mio tono era fermo e severo.
La fattucchiera si allontanò di un passo ma non disse nulla.
Tornai dritta e voltai le spalle alla figura dell'elisiano a cavallo che la aveva richiamata.
"Se non troverò vendetta, quanto meno troverò la morte...", conclusi.
Non c'era il sangue di nessun elisiano innamorato che avrei potuto usare. Mi irritava il fatto che Silyssa si fosse servita di me e di Velkam solo ed esclusivamente per la sua felicità.
"Ne sei proprio sicura?", chiese.
"Sì. Torna da Elyos, ti aspetta...".
Silyssa voltò lo sguardo nuovamente verso l'elisiano amato, gli rivolse un debole sorriso prima di tornare a guardarmi. "Come desideri...", disse, "ma se cambierai idea... invoca il mio nome, e io ti aiuterò... te lo devo".
I suoi occhi divennero rossi e luminosi, la sua voce tonante cominciò a pronunciare parole sconosciute. Potei percepire una forte energia avvolgermi e scuotermi dentro. Frantumarmi per viaggiare attraverso spazi sconosciuti fino a ricompormi in un posto nuovo.
Ad un certo punto non udii più il rumore dei flutti. L'aria salmastra e umida fu sostituita da quella secca e silvestre della foresta di Eltnen. Ero tornata al Kisk che avevo lasciato vicino al rifugio.
In ogni caso forse avrei dovuto essere grata a Silyssa, mi aveva evitato la galera affrancandomi del piccio di evadere da una prigione per andare a cercare quell'assassino traditore.
Vivere a Vengar, sotto il mare, in quell'Atlantide senza tempo, sarebbe anche stata una buona soluzione, se solo fossimo stati in due. Io e Velkam.
...

L'aria profumava di fiori, Verteron era illuminata a giorno e a quell'ora. I contadini del posto erano intenti a pascolare porgus e ad arare i campi. 
Velkam si ricompose davanti all'obelisco che gli aveva salvato la vita, Proprio in mezzo a un campo, dietro una siepe. 
Si fissò i vestiti laceri e sporchi di sangue fresco. Il sangue che gli era colato copioso dalle ferite infertegli dalle spade di Gaar.
Quella era la sua ultima chance. 
Le forze gli mancavano e la stanchezza sembrava essere sopraggiunta all'improvviso.
Brutt'affare la mortalità. Adesso non c'era più niente in lui dell'elisiano invincibile che era stato. Slegato da ogni obelisco. Senza più alcun appiglio.
Il piccolo obelisco personale si dissolse nell'aria lasciando al suo posto un ciuffo di fiori schiacciati dal suo peso.
Velkam ne raccolse uno. Era stato risparmiato dal peso del kisk e si ergeva ancora intatto, sventolando al vento.
Ne spezzò con mano delicata il tenero gambo e lo infilò alla cinghia della giubba in cuoio. Lo avrebbe regalato a lei.
Selhen era stata catturata. E adesso avrebbe avuto solo una vita per metterla in salvo.

"Non posso farlo, mi stai chiedendo troppo!" gli rimbombarono nella testa le parole di Gaar.
Stava ripensando all'ultima discussione che avevano avuto in cella. Quando Gaar aveva tirato fuori dalla sua borsa un kisk personale per permettergli di legarvi l'anima.

E' l'unica possibilità che abbiamo, e tu sei il mio successore, Silence imporrà a te di punirmi per avere prova della tua fedeltà", aveva detto il cacciatore massaggiandosi la fronte pensieroso.
"Chi ci prova che non appena la tua anima sarà sciolta dall'obelisco principale tu possa resuscitare a questo kisk?".
"Nessuno, ma lo penso io".
Gaar aveva sbuffato. "Rischieresti di svanire per sempre... se la tua esecuzione venisse rimandata... se qualcosa andasse storto e il tempo dell'obelisco scadesse... sai bene che è temporaneo".
"Dammi un'alternativa", aveva detto placido Velkam.
Gaar tacque.
"Non c'è, quindi farai quello che ti dico. Ti offrirai a Silence e ai suoi collaboratori nel momento in cui ti chiederanno di uccidermi... perchè te lo chiederanno, credimi! E se non lo facessi finiresti per farmi compagnia".
"Mh...", l'assassino grugnì imbronciato.
"Credo in te, fratello", lo aveva rassicurato il cacciatore.
Gaar aveva sollevato lo sguardo. Era la prima volta che Velkam lo appellava realmente in quel modo.
"Ci rivediamo presto, amico... quindi vedi di morire nel momento giusto".
Velkam abbozzò un sorriso. "Ci proverò...".


E così era morto ed era risorto, per l'ultima volta. 
Quanto la vita adesso sarebbe stata generosa con lui? 

[Ciao ragazzi, eccovi il nuovo capitolo con un'impronta tutta 4.8 nell'ispirazione. Silyssa ha eletto Vengar come luogo di esilio pacifico per lei e per Elyos, ma Selhen? Secondo voi è così portata per la solitudine? Non è vecchia quanto Sily, dopotutto...
Per quello che riguarda Velkam invece, è vivo sì, ma non è tutto oro quello che luccica. 
Al prossimo capitolo! Bacione a tutti i miei lettori!]

Questa colonna sonora spacca!

https://www.youtube.com/watch?v=40nVxx_1I0c&list=PL9133B5F732A6BFA0

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Capitolo 46
*** -37- Occhi elisiani ***


Se c'era una cosa che in quel momento detestavo dell'essere Generale, era che la mia faccia fosse nota ai più.
Rovistai nel cespuglio davanti al quale Gaar aveva posizionato il kisk. Come concordato c'era una borsa dentro la quale trovai tutto l'occorrente che mi sarebbe servito per spostarmi il più discretamente possibile. La afferrai e me la misi al collo.
Trovai l'arco, là vicino, aggrovigliato ai rami del generoso cespuglio e ben nascosto. Imbracciai anche quello, insieme alla faretra. Non era la mia ma per accomodare poteva anche andare.
Quando pensai di essere apposto srotolai una delle tante pergamene meditando sul da farsi.
Fortunatamente per me, pensai,ero resuscitato per l'ultima volta al kisk che Gaar aveva trafugato dalle prigioni un'ora prima.
Ringraziai mentalmente il mio migliore amico nel momento in cui ritrovai nella borsa un sacchetto ricolmo di polpette dolci di kokonas. Ne presi una soppesandone la consistenza con le dita, poi la infilai tutta in bocca gustandola deliziato.
Erano squisite, rese ancora più buone dal mio digiuno forzato di prigionia.
Ne trangugiai un altro paio, poi raccolsi la pergamena per Eltnen che avevo poggiato accanto a me, srotolata, ed evocai il teletrasporto per ritrovarmi davanti al punto di ritrovo dell'alta fortezza di Eltnen.
Divenni invisibile all'istante e mi lanciai in caduta libera oltre le recinzioni di quell'ampia piattaforma.
Io e Gaar ci eravamo dati appuntamento sul retro della fortezza, in un angolo più nascosto del lago circostante.
Spalancai le ali e le battei con vigore dirigendomi verso il luogo prestabilito.
Quando vi giunsi mi accorsi che Gaar non era ancora arrivato.
Mi chinai sulla riva del lago e mi sciacquai il viso con abbondante acqua fresca e cristallina.
"Velkam", mi giunse all'orecchio la voce familiare del mio migliore amico.
Sollevai lo sguardo con un mezzo sorriso. "Ciao capo!", lo apostrofai scherzosamente.
Gaar era ancora sospeso in volo. Le sue ali sbatterono nervosamente a quella lusinga ma sorrise amaro. "Essere capo a questo prezzo non è una bella cosa", disse infine richiudendo le ali all'improvviso e lasciandosi cadere coi piedi al suolo.
Gli sorrisi. Gaar evitò il mio sguardo, fingendosi concentrato a sistemare i propri polsini in pelle.
Era di gran lungo ben messo, in confronto alla mia tenuta malandata. Il suo fisico asciutto spiccava sotto il pesante giubbino nero in cuoio e le sue spade, assicurate alla schiena, rilucevano scintillanti alla luce del sole pomeridiano di Elisea.
"Non sai quanto io sia felice di rivederti vivo!", disse.
Scossi il capo con aria sarcastica. "Vivo è una parola grossa".
"L'importante è che respiri", disse il mio amico assassino mentre si inoltrava tra i cespugli più alti per cercare di essere il più invisibile possibile.
Lo seguii. "Notizie di Selhen?", domandai.
Gaar scosse il capo. "Non so dirti se per fortuna, o per sfortuna... ma è praticamente sparita nel momento in cui le guardie asmodiane l'hanno catturata".
Corrugai la fronte. "Sparita?".
"Letteralmente", annuì Gaar.
Mi morsi il labbro pensieroso. "Quindi non l'hanno rinchiusa".
Il mio amico scosse il capo.
Selhen era sparita e non avevo idea di dove fosse. Cominciavamo bene!
Gaar si lasciò andare ad un'imprecazione decisamente poco a modo. "Quell'insolente asmodiana, le avevo raccomandato di starsene nascosta".
Abbozzai un sorriso alle parole del mio migliore amico. Era tipico di Selhen trovare sempre un modo fantasioso per mettersi nei guai.
"Dove l'avevi nascosta?", domandai.
Gaar aveva dato un calcio ad uno slink di lago freddandolo con un colpo secco e letale di una delle sue spade.
Guardai la sfortunata creatura sulla riva del lago e sollevai un sopracciglio. "E lui che colpa ne aveva?".
Gaar mugugnò innervosito. "Non tentare di venirmi a fare la morale per uno slink di lago, adesso".
Sospirai. "Perchè non cominciamo a cercarla dal luogo in cui l'avevi nascosta?". Avevo incrociato le braccia ponderando le varie possibilità quando un battito di ali che non era di Gaar sovrastò lo scroscio dell'acqua del lago.
"Come mai tutta questa fretta?", una gelida voce femminile, alta e chiara, catturò la nostra attenzione costringendoci a sollevare gli occhi.
Era un'asmodiana, comparsa dal nulla dopo aver seguito Gaar, supposi, da invisibile.
I fluenti capelli rossi dell'assassina dondolavano per la gravità, mentre un sorriso mellifluo rivelava due bianchissimi canini appena più sporgenti del normale. Le sue ali nere sbattevano rumorose a sorreggere il corpicino minuto.
Percepii il vento causato dallo spostamento dell'aria. Era così vicina che potei scorgerne chiaramente gli occhi ostili e invasi di furia.
"Guarda, guarda... aggiungiamo un nuovo traditore alla lista, vero Gaar?".
L'assassina aveva sorriso serpentina spostando lo sguardo da Gaar a me.
"Bentornato nel regno dei vivi, generale", disse sarcastica rivolgendosi a me, mentre accarezzava dolcemente la spada che stringeva tra i ditali metallici e affilati.
"Flamet...", digrignai i denti assumendo un'espressione minacciosa. Sparii con l'abilità in cui ero decisamente più talentuoso per tentare di sfuggirle.
"Dove credi di andare?", tuonò la voce dell'assassina mentre si fiondava nel luogo in cui la mia sagoma era appena sparita, ma menando un fendente alla sola aria.
Cercai in fretta un punto sopraelevato, giusto il tempo in cui ero coperto dalla mia invisibilità. Gaar intanto, per temporeggiare, le si era lanciato alle spalle fulmineo.
"Sei un'asmodiana fin troppo avventata, tesoro", l'aveva apostrofata mentre la immobilizzava rapido con una stretta alla gola.
L'assassina svelta e minuta com'era riuscì a sfuggire dalla sua presa. Il mio amico gettò uno sguardo intorno a sè, cercandomi, poi si lanciò in un combattimento corpo a corpo contro l'asmodiana.
Trassi una freccia dalla faretra e la incoccai, nella speranza che Gaar potesse tener fisso lo scontro in un punto preciso, in modo da permettermi di mantenere meglio la mira su Flamet, ma la giovane assassina fu più scaltra. Spalancò le ali librandosi nell'aria e con una tonante formula magica evocò l'occhio magico ottenendo all'istante la vista.
Imprecai. Adesso che ero mortale sarebbe bastato un solo colpo di spada a farmi morire per sempre.
Flamet ghignò deliziata prima di lanciarsi fulminea verso di me. Scartai di lato, rapidamente, prendendo ancora una volta distanza da lei e con la punta di una freccia avvelenata la colpii di striscio ad un braccio.
Un urlo di dolore irruppe dalle labbra sottili dell'asmodiana che, furiosa, si scagliò nuovamente nella mia direzione.
Scattai, ancora. Le mie gambe si immersero nell'acqua del lago mentre una nuova freccia scoccava nell'esatto momento in cui Gaar la coglieva alle spalle immobilizzandola momentaneamente con uno dei suoi attacchi più micidiali.
"Non farai fuori tanto facilmente un ufficiale a cinque stelle come la sottoscritta, Gaar...", disse l'asmodiana ammonitrice, "e in ogni caso non riuscirai a proteggere il tuo amichetto mortale tanto a lungo...".
Fu talmente lesta che i miei occhi stentarono a percepirne il movimento. Con una rapidità inaudita capovolse il pugnale conficcandolo violentemente nel fianco del mio migliore amico.
Gli occhi castani di Gaar si spalancarono e un rantolo gli uscì dalle labbra schiuse.
Prima che l'attenzione dell'assassina fosse nuovamente rivolta su di me scoccai un nuovo dardo che la prese alla coscia e spiccai un altro balzo all'indietro.
"Maledetto!", aveva urlato Flamet con frustrazione strappandosi la freccia conficcata nella coscia.
Un fiotto di sangue asmodiano macchiò l'erba soffice della riva, poi l'assassina, come se nulla l'avesse scalfita, spintonò l'ormai debole Gaar per lanciarsi contro di me in un balzo ferino.
Schivai facilmente quell'assalto impreciso, e la lama del suo pugnale mi passo praticamente davanti agli occhi, ma non fui tanto fortunato col secondo, il quale mi si conficcò dritto nella coscia.
"Occhio per occhiò", cantilenò allegra l'asmodiana mentre si passava la  punta della lingua sulle labbra con sguardo invasato. Spiccò un perfetto balzo all'indietro per fermarsi a contemplare soddisfatta il pugnale imbrattato dal mio sangue. Lo leccò lentamente, compiaciuta.
"Il sapore della vendetta e del sangue elisiano e così... dannatamente dolce!", disse carezzevole.
Gaar era ancora abbandonato sul terreno erboso. I suoi occhi si aprivano e chiudevano pericolosamente, in una lenta agonia. 
Flamet si era lasciata andare ad una risata tanto trasportata mentre scrutava il profondo taglio sul suo fianco.
"Non sperare in un suo aiuto, cacciatore... il mio veleno non gli permetterà di fare un passo".
Deglutii, incoccando una nuova freccia, ma mancai il bersaglio e questa si conficcò al tronco di un arbusto.
"Sono brava a schivare, cacciatore?", ghignò l'asmodiana scartando di lato prima di gettarmisi nuovamente addosso.
L'arco mi traballò tra le mani, ma riuscii a svincolarmi dalla presa dolorosa dell'asmodiana che aveva affondato le sue dita artigliate nel mio avambraccio. Andai a coprire Gaar tendendo nuovamente il mio arco, ma non ero riuscito a prevenire un mossa repentina di Flamet. Questa, infatti, con un tiro preciso e calibrato aveva lanciato uno dei suoi pugnali che, roteando nell'aria, sarebbe venuto a conficcarmisi dritto al cuore.
Come se fosse tutto rallentato vidi la lama luccicante dirigersi verso di me. Era troppo tardi per evitarla. Stava per affondare nel mio petto quando Gaar con le ultime forze che gli rimanevano si sollevò parandomisi davanti e facendomi scudo col suo corpo.
Il pugnale si conficcò al centro del suo petto con una letale precisione. Perforò la giubba in cuoio affondando fino all'elsa.
"Gaar!", urlai.
"Dannato elisiano!", stava imprecando Flamet contrariata. Per colpa di Gaar aveva mancato me che ero il suo principale bersaglio.
Adesso eravamo solo io contro di lei. 
Con un rapido movimento incoccai due frecce contemporaneamente, tesi l'arco lasciando poi andare i due dardi che sibilanti affondarono alla sua spalla e alla sua pancia.
L'assassina ululò di dolore mentre il sangue scarlatto gli macchiava i denti bianchissimi in un rigurgito sofferente. 
Sputò il sangue e con sguardo carico d'odio tentò di lanciare l'ultimo pugnale che stringeva in mano.
Scartai con facilità evitandolo e incoccai l'ultima freccia avvelenata e paralizzante indirizzandola al cuore.
Fui rapidissimo. Il dardo sibilò fendendo l'aria e giunse a destinazione sfondando il nero cuoio.
Flamet rantolò per l'ultima volta.
Senza alcuna pietà scoccai una nuova serie di frecce che le ferirono nuovamente il petto e la pancia.
Le labbra sottili dell'assassina dalla fulva chioma rossa, sporche di sangue fresco e vivido, si aprirono, e i suoi occhi si spensero quando le palpebre calarono pesanti su di essi. Il lugubre suono di due ali che si spalancavano accompagnò la sua morte.
Accorsi da Gaar. Appariva in fin di vita, ma la sua tempra assurda lo aveva tenuto ancora tra la vita e la morte.
"Gaar" lo chiamai allarmato inginocchiandomi al suo fianco per guardarlo negli occhi.
Gaar abbozzò un sorriso ma fu più che altro una smorfia di dolore. "La fortuna delle resurrezioni...", disse.. "Va' fratello... prima che torni con i rinforzi. Non preoccuparti per me".
Annuii, Gaar aveva ragione. Se Flamet avesse parlato di me sarebbero accorsi in gran numero per eliminarmi definitivamente.
"Il rifugio...", disse l'assassino in un sussurro.
Abbassai il capo intendendo alla perfezione la sua indicazione. Mi preoccupai quando un pensiero mi sfiorò la mente. Se lo avessero trovato ancora lì moribondo ogni parola di Flamet sarebbe stata creduta e Gaar sarebbe stato accusato di tradimento.
"Devi morire e trovarti un alibi prima che arrivino", gli dissi.
Gaar ridacchiò sommessamente e di nuovo una smorfia di dolore lo colse. "E' vero. Penso che sia ora di cominciare a ricambiare il favore, non credi?", disse pacato.
Compresi quello che mi stava chiedendo. Voleva essere ucciso.
"Usa il veleno più letale", terminò con voce spezzata.
Annuii rovistando nella borsa alla ricerca di uno dei miei veleni migliori, e fortunatamente lo trovai.
Aprii il coperchio e vi imbevvi la punta della freccia, poi quando ritenni di avercela tenuta abbastanza arretrai mirando dritto al suo cuore, per esaudirlo.
L'arco si tese, mentre entrambe le mie dita stringevano la corda piumata della freccia. Una morsa allo stomaco reprimeva una parte di me che si ribellava a quel gesto.
"Senza remore...", disse il mio amico con uno sguardo rassicurante, "pensa a trovarla".
"E tu trovati un buon alibi", gli dissi di rimando. Non volevo che lo incontrassero là.
Scoccai chiudendo i miei occhi. Non vidi la freccia sfondare le protezioni del mio amico ma ne udii il suono sordo e raccapricciante. Quando riaprii gli occhi quelli di Gaar erano già chiusi. Aveva smesso di respirare e le familiari ali lo avevano avvolto in un abbraccio candido e delicato. Passarono pochi interminabili secondi, poi il suo cadavere si dissolse nell'aria per tornare all'obelisco di resurrezione.

Avevo appena visto svanire il corpo esanime di Gaar quando, sollevando lo sguardo, scorsi con incredulità quel viso così familiare che fino a quel momento avevo desiderato ardentemente vedere.
"Selhen?". Aveva visto tutto? 
Lei era là. Ma da quanto? 
Aveva una mano dalle lunghe dita diafane sulle labbra. I suoi occhi erano spalancati in un'espressione sorpresa e incredula anch'essa. Non parlò, non disse nulla, solo... abbassò il braccio lentamente. Come se avesse paura che un movimento di troppo avrebbe potuto farmi svanire.
"Selhen...", la chiamai di nuovo rimanendo immobile.
Lei aveva fissato il posto dove poco prima stavano richiuse le ali bianche di Gaar, poi le sue labbra scarlatte si erano aperte in un radioso sorriso. "Dimmi che non sei un sogno... dimmi che non sto sognando", farfugliò.
Accelerai il passo zoppicante verso di lei e senza lasciar spazio a nessun altro indugio la strinsi in un energico abbraccio e la baciai. La baciai a lungo. Come avevo desiderato fare fino a quel momento.
Lei mi pizzicò una guancia, come per accertarsi della mia consistenza.
"Tu... sei qui... sei qui con me... sei vero", sussurrò percorrendomi avida con lo sguardo.
"Sì asmodiana, sono qui con te".
Solo in quel momento parve realizzare cosa le fosse successo. Scosse il capo e si abbandonò ad una risata di esultanza prima di catapultarsi letteralmente tra le mie braccia. "Sei vivo! Sei vivo!", urlò. "Ma... sei ferito", aveva abbassato lo sguardo a fissare preoccupata la mia coscia.
"Shhh", le intimai. Non era il caso che urlasse. Nè che si preoccupasse. Non in quel momento. Le accarezzai dolcemente il labbro inferiore con un dito poi la presi nuovamente per mano per allontanarmi da quel posto dove ormai non eravamo più al sicuro.
Ci inoltrammo nella foresta di Eltnen. Selhen avanzava mano nella mano con me, guardandomi raggiante.Il sole morente filtrava tra gli alberi alti lasciando spazio alle prime oscurità della sera mentre noi, finalmente uniti, ci inoltravamo in quel bosco, sempre più scuro, lasciandoci tutto alle spalle.
"Come sei riuscito a salvarti?", mi domandò lei quando fummo giunti al rifugio che Gaar mi aveva indicato. Mi accorsi dalle tracce evidenti che Selhen si era rifugiata là fino a quel momento.
"Di questo potremmo parlarne un'alta volta?", domandai con trasporto tirandola delicatamente a me per un fianco.
"Non posso credere che tu sia vivo", mormorò lei con gli occhi lucidi mordendosi il labbro per l'evidente commozione.
"Sono qui adesso...  e non andrò più via, te lo prometto".
"Ma... la tua anima".
La zittii con un bacio. "Di quella non mi importa... troverò un modo per vivere con te il più a lungo possibile". Le sussurrai dolcemente sulle labbra. 
Le sue dita affilate strinsero delicate il mio giubbotto in pelle e scorsi il suo petto gonfiarsi mentre inalava il mio profumo. "Vuoi dire che... se morissi....".
Scossi il capo vagamente incupito. "Perchè hai questo talento innato per rovinare i momenti migliori?", le chiesi cercando di apparire dolcemente ironico.
Lei abbozzò un sorriso. 
"Ti fidi di me?", le chiesi all'improvviso.
Lei annuì un po' insicura. 
"Per ora questo può bastare", le dissi tornando a baciarla con maggiore trasporto.
Non seppi mai quanto rimanemmo in quella grotta. Se mezz'ora, un giorno o un'eternità.
La guerra tra elisiani e asmodiani là fuori impazzava, e lì, in quel piccolo angolo di Eltnen, là dove tutto un tempo era iniziato, un generale elisiano un po' matto ed un'asmodiana un po' ingenua, si stavano amando.
Avremmo dovuto fuggire, nasconderci, ma a questo avremmo pensato a tempo debito.
Ci eravamo cercati troppo a lungo perchè potessimo reprimere quel bisogno che in quel momento avevamo l'uno dell'altra.
"Zl ipr...", sussurrai nella mia lingua accarezzando dolcemente le curve dei suoi zigomi.
"Ti amo...", rispose lei dolcemente "Ti amo tanto, elisiano..."
E bastò quella semplice frase a ricordarmi ogni momento. Il nostro primo e timido bacio, le nostre ricognizioni a Tiamaranta, i nostri fugaci incontri a Sarpan. Tornò alla mia mente l'immagine di lei, in quella radura, che mi posava un bacio insicuro sulla guancia, di me che la coglievo di sorpresa con un bacio meno innocente nel deserto di Kamar. Gli occhi azzurri e afflitti di Echo e ancora i suoi, scarlatti come il sangue che scorreva uguale nelle nostre vene, i nostri cuori pulsanti mentre facevamo l'amore tra i ruderi del lago della solitudine.
"Voglio che resti con me per sempre...", mormorò. Le sue parole mi giunsero come un'eco lontana ma non tardai a darvi una conferma.
"Per sempre...", risposi, suggellando quella promessa con un bacio.

[E finalmente ecco a voi l'ultimo agognato capitolo narrato dall'eccezionale punto di vista di Velkam. La vicenda può dirsi chiusa ma...  così, giusto per chiudere in bellezza, ho pensato di concludere il tutto con un epilogo. Tengo a precisare che mi farebbe piacere leggere le vostre ultime recensioni. L'epilogo lo devo ben pensar quindi... lo caricherò appena avrò modo e ispirazione per tirarlo fuori. Spero tanto che abbiate gradito questa dolce e tormentata vicenda, e ovviamente vi aspetto su Selhen's dreams e su WattPad (sono Selene Brahms) per regalarvi la lettura di qualche altra novità. Un abbraccio forte forte a chi fino ad ora mi ha seguita fedelmente e un GRAZIE. L'appuntamento, ovviamente, è all'epilogo. Ciao cuori <3 ]

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Capitolo 47
*** -Epilogo- Come andò a finire ***


Non c'era stata tanta esitazione nella nostra decisione. La vita era stata piuttosto generosa con me e Velkam dopotutto, e questa convinzione ci aveva accompagnati per lunghi anni.
Velkam mi era stato accanto in ogni momento. Sperduti in un piccolo villaggio umano di Ishalgen, non avevamo più dovuto preoccuparci di niente. Non era stata la triste e solitaria Vengar il luogo del nostro esilio, ma un chiassoso villaggio di esseri umani, una modesta casa sulla collina di Aldelle, dispersa tra le montagne, e una dignitosa vita in cui le ali non mi erano più servite.
In un primo momento gli umani avevano guardato il mio aspetto spettrale con un po' di sospetto. Ero troppo pallida, e i miei occhi troppo innaturali. Ma poi avevano cominciato a non considerarmi come una minaccia, e lo stesso Velkam, era apparentemente molto più umano, quindi, sembrava essere lui a garantire per me.
Avevamo vissuto aggregandoci ad un villaggio in cima alla collina di Aldelle e lì eravamo rimasti. Lontano dalla nostra vecchia vita. Lontano da Atreia. Nella vecchia casa abbandonata dei miei genitori che per l'occasione avevamo rimesso a nuovo.

"Azariel!", ero sbucata preoccupata dalla porta delle cucine col cuore che aveva mancato un battito. Un fracasso assordante era provenuto dal salone in cui la piattiera era rovinosamente precipitata sul pavimento. I miei occhi rossi si erano puntati sul disastro di cocci sparpagliati sul pavimento.
"Scusa mamma, non era mia intenzione... non lo controllo!", si era giustificata mortificata la ragazzina.
Deglutii. Con cipiglio preoccupato percorsi per l'ultima volta la piattiera distrutta che mostrava un evidente segno di bruciatura nell'angolo.
La bambina dai capelli albini come i miei era arretrata di un passo, timorosa di un'imminente punizione, mentre si osservava le mani terrorizzata.
"Capisco...", dissi solo mordendomi il labbro, cercando di camuffare un'ingente preoccupazione. 
Gli occhi verdi di Azariel mi guardarono incredula, poi le sue piccole labbra rosee si spalancarono. Ne compresi il motivo: ogni qualvolta era accaduto qualcosa di strano le mie reazioni erano sempre state isteriche.
All'improvviso un richiamo ci fece voltare. "Dov'è il mio piccolo angelo?", aveva proferito un'allegra voce maschile proveniente dal giardino.
"Papà!", esultò la bambina dimenticando all'istante l'accaduto per correre a lanciarsi tra le braccia di Velkam.
Vidi dalla finestra lui radioso prenderla al volo e farla roteare nell'aria. "Buonasera principessa!", la salutò.
La risata contagiosa di Azariel risuonò nell'aria e a me, china a spazzare via i cocci, venne spontaneo curvare le labbra in un sorriso. Lasciai andare per un momento la mia occupazione per andare ad affacciarmi all'uscio ed osservare quell'ormai usuale scenetta.
Velkam stava giocosamente strofinando il pugno tra i lunghi capelli di nostra figlia, arruffandoglieli.
Lei aveva cercato di mordergli la mano protestando, e lui per tutta risposta l'aveva immobilizzata e se l'era caricata sulle spalle come un sacco di patate.
"Ciao Elisiano", l'avevo salutato ancora appoggiata allo stipite della porta accogliendolo con un dolce sorriso.
"Ciao Asmodiana", aveva mormorato lui, spostando con facilità il peso di Azariel chiassosa e scalciante all'altra spalla e sporgendosi a baciarmi dolcemente sulle labbra.
Ricambiai di buon grado. Mi era davvero mancato.
"Bleah!", aveva commentato la bambina muovendo i piedi.
Ridacchiai, dimentica per un momento di quello che era accaduto qualche momento prima, ma quando me ne ero ricordata ero tornata ad incupirmi. 
A Velkam non era sfuggita una mia singola espressione. "Che cosa c'è?", domandò con dolcezza.
Scossi il capo come a dire ne parliamo dopo. 
"Azariel, quali erano i patti?", dissi poi col tono più imperioso che mi riuscisse.
La bambina sbuffò con disapprovazione quando Velkam la poggiò nuovamente coi piedi per terra. "Quando tornava papà... a nanna", bofonchiò lei col muso lungo.
Poggiai la mano su un fianco cercando di apparire il più autoritaria possibile, ma la bambina abbracciò la coscia del padre. "Non ho sonno", si lamentò.
Alzai gli occhi al cielo esasperata. "Diglielo tu... ti prego", boccheggiai a Velkam con il solo labiale cercando di non farmi notare da lei.
"Su su, principessa...", disse paziente l'elisiano inducendola a prendere le distanze e inginocchiandolesi di fronte per tentare di essere più persuasivo guardandola negli occhi. "Se fai la bimba obbediente domani papà ti porta a caccia con lui!".
Gli occhi di Azariel si illuminarono. "Veramente?".
Il cacciatore annuì con un sorriso. Le labbra della piccola si aprirono in un sorriso radioso. "Grazie papà", esultò stringendogli le braccia al collo. La vidi posare uno schioccante bacio sulla guancia a Velkam e scappare in casa con un frettoloso e giocoso: "Notte!".
Quando Azariel fu sparita oltre la porta di camera sua, Velkam mi tirò a sè in un'energica e dolce stretta costringendomi a sciogliermi in un bacio dolce e lento. "Mi sei mancata, asmodiana", sussurrò sulle mie labbra con voce roca.
Mi morsi il labbro rabbrividendo a quel tono, ma mutai radicalmente espressione quando ripensai a quello che era accaduto poco prima.
Velkam mi guardò interrogativo senza però smettere di stringermi a sè.
"E' successo di nuovo...", esordii io preoccupata.
"Mh...", mugugnò l'elisiano avendomi compresa perfettamente.
"Azariel inizia a manifestare poteri da Daeva".
Velkam alzò le spalle rassegnato. "Sapevamo che le probabilità che nascesse umana erano bassissime".
"Ma... tutti questi anni passati a nasconderglielo. Ho cercato di proteggerla in tutti i modi... se scoprissero che è nostra figlia...".
"Non puoi negarle l'ascensione, Selhen",
Abbassai il capo afflitta. "Speravo che la mia eredità umana potesse prevalere... invece è venuta fuori una fattucchiera coi fiocchi!".
"Fattucchiera?". Velkam corrugò la fronte incredulo.
Annuii sospirando "Oggi ha fatto esplodere una piattiera".
Velkam ridacchiò, il che mi portò a fulminarlo con lo sguardo. Prendevo la cosa molto sul serio e mi irritava il suo modo di prendere le cose alla leggera. "C'è veramente molto poco da ridere, elisiano!".
Continuò a ridere, ignorando il mio avvertimento, tanto che coinvolta dalla sua contagiosa risata non potei fare a meno di ridere a mia volta. "Sei un idiota!", lo rimbeccai con un falso cipiglio imbronciato.
"Ehi, ehi, asmodiana... modera i termini", disse con un sorriso furbo immobilizzandomi entrambe i polsi contro la parete.
Curvai un angolo delle labbra a quell'ammonimento e mi sporsi per dargli un morso al labbro inferiore poi presi le distanze dalle sue labbra. "Velkam... la bambina potrebbe svegliarsi".
L'elisiano ridacchiò e mi lasciò andare concedendosi solo un lungo bacio appassionato. "Ti amo, asmodiana", mormorò, "esattamente come il primo giorno".


Le acque di Vengar erano scure e rumorose, proprio come quando stetti a farvi visita tanti anni fa, così tanti che ormai non li contavo più.
Io ero lì, sempre uguale ad allora, a dispetto del tempo che era passato inesorabile i miei capelli erano sempre gli stessi, albini, lisci e setosi mi frustavano la faccia al forte vento. Indossavo dei pesanti stivali in cuoio che affondavano nella sabbia chiara e granulosa e Silyssa era davanti a me. Identica anche lei a come me l'ero ricordata, col fiero taglio delle sopracciglia sottili a definirne lo sguardo e i suoi occhi profondi viola ed enigmatici. Sulle sue labbra era dipinto un sorriso triste e comprensivo.
"Temevo che ti risaresti fatta viva per questo motivo", disse tetra.
Risposi curvando appena le mie labbra, ma non sorrisi.
"Ammetto di essere felice che ciò sia accaduto molto più tardi di quanto immaginassi".
Non risposi, mantenni piuttosto il mio sguardo spento sul mare scuro e agitato. Statuaria e fredda, bianca come un fantasma, me ne stavo ritta su quella spiaggia spettrale senza dire nulla. I miei occhi rossi erano l'unica cosa che avesse un colore caldo. Perfino le mie labbra adesso apparivano di un colore più sbiadito ed evanescente.
Udii quella vecchia domanda risuonare ancora una volta nella mia testa. Era la voce di Silyssa a proferirla: "Ne sei sicura?".
Staccai solo in quel momento il mio sguardo perso dalla superficie burrascosa del mare per incrociare i suoi occhi viola. "Sì", dissi soltanto con tono piatto.
Silyssa sospirò. "Azariel...".
"Se la caverà", la interruppi, "ne abbiamo già parlato e ha capito perfettamente... non è più una bambina".
L'espressione di Sily si fece grave. "La lascerai da sola...".
"E' un modo come un altro per proteggerla, sarà meglio per lei che ogni legame con me venga reciso... non potrò starle vicino in ogni caso". Tentai di apparire fredda eppure la mia voce sicura si incrinò impercettibilmente. Deglutii.
"Le mancheresti...", continuò Silyssa ostinata nella sua crociata per far leva sui miei sensi di colpa.
Repressi il groppo in gola che mi si era formato all'improvviso. Sì, le sarei mancata. Io e mia figlia sembravamo sorelle, eppure io l'avevo cresciuta... avevo molti più anni alle spalle e per lunghissimo tempo ero stata per lei un punto di riferimento.
C'era una parte di me in quella ribelle Daeva dai capelli albini come i miei, e la rivedevo spesso nei suoi bronci o nelle sue proteste.
"Abbi cura di lei, Silyssa", mormorai pericolosamente sull'orlo del pianto. "Sarai per lei la mentore migliore, insegnale tutti i trucchi del mestiere", terminai ironizzando.
La dolce curva delle labbra di Sily si piegò all'insù.
"Hai portato quello che ti avevo chiesto?".
Annuii rovistando nella borsa dalla quale trassi un piccolo obelisco portatile che piazzai sulla sabbia.
Non ne usavo uno da centinaia di anni. Del resto, per tutto quel tempo avevo vissuto la mia vita fingendo si essere una semplice essere umana.
In rare occasioni mi ero ritrovata a spalancare le mie ali. E nemmeno Azariel, da bambina, aveva notato in me neppure il più lontano bagliore della furia asmodiana.
All'inizio il mio intento era stato quello di proteggere Azariel. In cuor mio avevo sempre sperato che potesse vivere lontano da quel desolato scenario di guerra, odio e distruzione che era Atreia.
Ma il dio Aion non aveva udito le mie preghiere, anzi, aveva avuto tutta l'intenzione di ingrossare le proprie fila proprio con una nuova giovane asmodiana.
La piccola e brillante Azariel aveva presto cominciato a manifestare i poteri che aveva dentro di lei distruggendo oggetti di casa e mandando in frantumi suppellettili. E ad ogni oggetto distrutto un nuovo senso di angoscia sbocciava velenoso dentro di me.
Avevo avuto paura. Paura che se la mia piccola fosse finita ad Atreia avessero potuto scoprirne i natali. Paura che i Daeva avessero potuto far pagare a lei le mie trasgressioni.
Io e Velkam temevamo quel giorno in cui Munin sarebbe venuto a portarla con sè per un lungo addestramento dal quale la nostra piccola Azariel avrebbe fatto ritorno con un bel paio d'ali.
Arrivò. E quando fu di ritorno dall'addestramento di Ishalgen la mia piccola si preparava a partire per Atreia, mio malgrado.
Fu la sera prima della sua partenza che io e Velkam decidemmo di rivelarle ogni cosa.
Quella fu una notte molto singolare. La notte in cui io e lei rimanemmo veramente legate da un filo invisibile. La notte in cui lei comprese di non essere mai stata l'eccezione in famiglia, ma che entrambi, io e Velkam, eravamo stati uguali a lei. 
La vidi studiare la figura di Velkam per la prima volta con occhi diversi. Eppure non urlò contro di me come immaginavo avesse fatto. Non mi si scagliò contro dandomi della bugiarda.

"E' assolutamente importante che tu non riveli nulla delle tue origini, tesoro", l'avevo incalzata stringendo affettuosamente la sua mano.
Azariel ricambiò la stretta annuendo. "Non riesco a credere che anche tu sia una Daeva come me, mamma...", mormorò lei con un'intensa luce negli occhi.
Distolsi lo sguardo. "Non ho bei ricordi di quella vita...".
Era venuto Velkam a posarmi dolcemente il palmo su una spalla.
Azariel ci guardò con un sorriso tenero. "Ho sempre guardato a esempio un amore come il vostro".
"Non innamorarti mai di un elisiano", la rimbeccai tentando di ironizzare pizzicando il braccio a Velkam che mi stringeva.
"Scorre sangue elisiano nelle mie vene... come riuscirò ad odiarli?".
Velkam titubò. "Non è importante il come farai...".
"Tesoro, nessuno dovrà sapere che scorre sangue elisiano nelle tue vene. Se risalissero a noi...".
Mia figlia sorrise. "Sarò muta come un pesce".


Il ricordo si dissolse dalla mia testa lasciando davanti ai miei occhi ancora il mare oscuro di Vengar.
Non sentivo spesso Azariel, ci scrivevamo di rado. Ogni accesso per Atreia mi era negato e probabilmente non avrei più visto quella terra per il resto della mia vita.
Io e Velkam ci eravamo finti mortali. O forse lo eravamo stati, timorosi, come ognuno di loro, delle malattie e della morte incombente che in qualsiasi momento avrebbe potuto colpire Velkam.
Ogni notte, nel buio della mia stanza, sperando che Velkam non mi sentisse, mi abbandonavo alle mie inquietudini. Spesso un nodo alla gola o dei singhiozzi mi coglievano di sorpresa a quei tristi pensieri. Avevo rivelato anche a lui quelle mie preoccupazioni. Avevo paura, una paura matta dell'oblio in cui sarebbe finito se il fuoco della vita si fosse estinto in lui.

"Non devi temere la morte... non la temono gli umani, per quale motivo dovremmo temerla noi eletti?", mi aveva detto lui dolcemente quella notte.
Avevo appoggiato il capo al suo petto e ne avevo inspirato il profumo intenso, accarezzando le sue braccia scoperte e muscolose.
"Ho paura di domani... ho paura di perderti ancora", avevo mormorato afflitta con gli occhi lucidi e un dolore atroce che mi dilaniava il cuore.
Velkam mi accarezzò le labbra scarlatte facendomi sentire una stretta maggiore, come se volesse trattenermi a sè, forte, e non lasciarmi più andare.
Noi eletti, aveva detto, da buon borioso elisiano non aveva perso la sua mania di protagonismo, e la cosa avrebbe potuto divertirmi se il discorso non fosse stato tanto serio.
"Non siamo più eletti da un pezzo".
"Tu lo sei sempre stata...".
"Ma tu non lo sei più!", lo rimbeccai con un tono delicato ma esasperato.
"Sono solo un Daeva con un privilegio in meno", disse lui con una scrollatina di spalle.
Posai con forza le mie labbra sul suo petto per lasciarci un bacio disperato. I miei occhi si serrarono per sbarrare l'uscita alle lacrime che mi bruciavano gli occhi.
Sapevamo tutti e due che non era solo un privilegio in meno. Ma lui sminuiva sempre ogni cosa. Era consapevole di quanto soffrissi, di quanto mi sentissi in colpa per non essere riuscita a far nulla per lui quella volta di tanti anni fa.

Velkam diventava sempre più debole. Ogni decennio che trascorreva lasciava un invisibile segno di debolezza e cedimento in lui. La sua natura da Daeva sfioriva, giorno dopo giorno, e così il corpo mortale e caduco di Velkam iniziava ad essere sempre più esposto alla malattia.
Per anni avevo cercato di allontanare dalla mia mente quei pensieri. Velkam era mortale, e come tale, sarebbe venuto un giorno, più o meno lontano, in cui avremmo dovuto dirci addio.
La sua apparente giovinezza non aveva preservato il suo corpo dalle malattie. Nessuna immortalità lo proteggeva più, e così Velkam aveva iniziato a manifestare alcuni disturbi che anche certi altri abitanti del villaggio avevano mostrato.
Molti avevano parlato di un'epidemia che si era imbattuta nei villaggi vicini. Io non ne fui intaccata, e a me toccò solo il triste destino di rimanere fianco a fianco a Velkam mentre lo vedevo spegnersi ogni giorno di più, tossendo e sputando sangue nei suoi chiari disturbi respiratori.
Mi sentivo impotente. Imprigionata nel mio mondo di finzione. Nessun chierico poteva curare Velkam, nessun medico era stato in grado di trovare una cura a quel male che aveva mietuto così tante vittime.
L'epidemia aveva decimato il villaggio e così, con Velkam, aveva iniziato a spegnersi l'ultima parte di vita che mi era rimasta.
Avevo avvisato Azariel con una lettera, quella volta. Si era precipitata da noi il giorno stesso e non aveva lasciato neanche per un momento la mano del padre.
Io fingevo di apparire forte, ma dentro di me morivo. Non c'era niente che nessuno potesse fare per lui.
Non avevo più mangiato nè dormito. Costantemente seduta accanto a lui, in quel maledetto letto, lo avevo vegliato fino al suo ultimo respiro.
Velkam mi aveva sorriso, nonostante apparisse chiaro quanta energia un'azione del genere gli costasse. Mi aveva stretto la mano dolcemente e i suoi occhi verdi avevano brillato.
"Zl ipr", aveva sussurrato nel suo accento melodioso prima che i suoi occhi si chiudessero per sempre.
Ero scoppiata a piangere senza ritegno, davanti allo sguardo sconcertato di mia figlia che poco dopo aveva pianto con me.
"Ciao Papà", aveva mormorato rimanendo rigida ai piedi del suo letto.
Non era servito a nulla stringerlo forte a me, chiedergli di tornare. Velkam se n'era andato per sempre e aveva strappato a me ogni debole desiderio di vivere quell'assurda vita e andare avanti.


Silyssa mi osservava in silenzio mentre mi asciugavo una lacrima col dorso della mano. "Lega la tua anima a quel kisk", disse con tono materno indicandolo con lo sguardo.
Eseguii rievocando nella mia memoria la formula.
"Voglio che tu ti prenda cura di Azariel", dissi alla fine prima di tornare dritta davanti a lei e gettare le mie pistole sulla sabbia. Sfavillarono inquietanti, come se non fosse passato neanche un giorno dall'ultima volta che le avevo usate.
"Non sarà sola", disse la fattucchiera annuendo.
"Grazie", replicai facendole poi un cenno con il capo.
La strega si chinò sulla sabbia e prese a tracciare su di essa un cerchio che includesse al suo interno sia me che il kisk.
"Porta i miei saluti al tuo elisiano", disse tornando a recuperare il suo tono infantile e stravagante. Poi la sua voce tonante prese a invocare chissà quali forze oscure. Il kisk fu avvolto da un denso fumo nero prima di creparsi fino al piedistallo.
Chiusi gli occhi stringendo i pugni. La mia anima stava per essere slegata anche dall'ultimo obelisco, poi finalmente sarei stata mortale anch'io, come Velkam.
Avevo passato tutta la mia esistenza cercando di stare con lui. Avevo combattuto per lui. Sarei andata fino in fondo.
Come mia madre prima di me, avevo scelto di porre fine alla mia vita per ricongiungermi all'uomo che amavo.
Mi parve strano che ci fosse, ma fui sicura di scorgere la luna nel cielo. Oltre la coltre d'acqua che ricopriva quel magico posto.
Un calore crescente mi avvolse. Il vento divenne più impetuoso e le onde cominciarono a infrangersi alte negli scogli. Gli occhi rossi di Silyssa divampavano di furia mentre le stridenti parole che pronunciava risuonavano in una lingua sconosciuta.
Mi parve di avere un capogiro. Scossi il capo sentendo le palpebre farsi più pesanti.
Il sorriso pulito di Velkam mi balenò nella mente. Ero ad Eltnen, di nuovo, e lui stava sorridendo con Gaar, si prendevano gioco di me perchè mi avevano già notata dietro quel cespuglio ma avevano fatto finta di niente.
La sua freccia mi sfiorava il costato mentre mi chiedava chi fossi. Non aveva per niente l'aria dell'elisiano minaccioso mentre lo faceva.
"Sono... un'asmodiana", avevo risposto ingenuamente io, e lui aveva riso, di nuovo. Quel sorriso luminoso... cosa avrei dato per rivederlo ancora una volta!
La mente mi giocò un tiro mancino nel rimostrarmi le sue prime battutine ironiche nei miei confronti. I nostri fugaci incontri a Sarpan e il suo bacio leggero sulla guancia.
"Avrei voluto provare un'altra cosa...", risuonò la sua voce nei miei ricordi.
La prima scossa elettrica a quel contatto mi mozzò il respiro. Caddi carponi all'interno del cerchio ma era come se fossi rinchiusa all'interno di una bolla. Ora non sentivo più niente... niente a parte le parole di Velkam che riecheggiavano nella mia testa dolorose. "Cosa accadrebbe se io adesso mandassi al diavolo tutte le convenzioni sociali del nostro mondo, se prendessi te, asmodiana, tra le mie braccia, se ti baciassi come esattamente un attimo fa ho desiderato fare?".
Lo desideravo, desideravo maledettamente un bacio come quello, esattamente come lo avevo desiderato quando me lo aveva detto.
Le mie dita affondarono nella sabbia. Sentii i granelli riempirmi le unghie mentre mi mordevo dolorosamente il labbro nel momento in cui una parte della mia anima mi veniva brutalmente strappata.
"Ti amo asmodiana", fu l'ultimo ricordo che echeggiò nella mia mente, ritornò ai miei occhi l'immagine dell'elisiano che avevo amato distrutto dalla malattia, pallido e debole, mentre tentava di darmi forza. Lui che non ne aveva. Lui che stava soffrendo pensava a non far soffrire me. A rassicurarmi che mai mi avrebbe dimenticata. 
"Zl ipr" mormorai nella sua lingua mentre le mie palpebre diventavano pesanti. Mentre perdevo ogni mio senso e respiravo per l'ultima volta l'odore salmastro del mare.

Silyssa si chinò e scostò i capelli dal viso di Selhen. Era abbandonata sulla sabbia e i suoi occhi erano chiusi in un sonno eterno.
"Adesso siete di nuovo insieme", mormorò la fattucchiera accarezzando dolcemente la guancia dell'asmodiana con un dito artigliato.
"Voi sì, che avete vinto la vostra battaglia".
Il suo pugno si strinse sui vestiti di Selhen un'ultima volta. Poi la figura dell'asmodiana si dissolse nell'aria senza lasciare più traccia.
Il vento ormai aveva cancellato il cerchio sulla sabbia, e il tonante rumore del mare era tornato a scandire quegli attimi di eternità solitaria.
Selhen e Velkam, altrove, erano tornati a vivere insieme. 
Ma questa volta per sempre. 

FINE

[L'epilogo si commenta da solo quindi ho ben poco da dire. Spero che questa storia vi abbia lasciato qualcosa, o che per lo meno vi abbia emozionato durante la sua lettura. Non pretendo molto, quindi termino col ringraziarvi per avermi seguita fino ad ora e spero, quanto meno, di non avervi deluso troppo. Un bacione a tutti quanti e felice Solorius a tutti. <3 Sto pensando a una nuova storia, ma non so quando la pubblicherò. Spero di sentirvi nelle recensioni e di avere un vostro ultimo parere a riguardo. Vi aspetto sul gruppo e su WattPad (Sono Selene Brahms). Ciao!]

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Capitolo 48
*** -Speciale dopo tanto tempo- Azariel ***


Era notte fonda, ad Atreia, e nei meandri più profondi del sottosuolo del Katalam, Araziel sedeva stancamente davanti alle rovine distrutte dell'ingresso di Katalamize.
Il Daeva era intento a fasciare con delle bende pulite una ferita al polso. Non appariva teso o guardingo, nonostante il combattimento appena concluso con un balaur, era consapevole che da quando Balaurea era stata sommersa da un'enorme massa d'acqua, gli accessi al sottosuolo del Katalam erano rimasti sbarrati, e così quel luogo era tramontato.
Nessuna lotta veniva più intrapresa sui suoi larghi gradoni, nessuno shugo si aggirava più per quei corridoi desolati. L'intero sottosuolo sapeva di abbandono. Solo pochi Daeva, per lo più solitari e temerari come lui, tendevano a girovagare per quei luoghi deserti alla ricerca di qualche insperata fortuna.
Araziel non desiderava nulla di tutto ciò. La sua era solo diventata un'abitudine malsana e senza senso. Girovagava intere notti per quei corridoi ripensando ai bei momenti che tra quei ruderi abbandonati aveva trascorso con la sua legione.
Già... la sua legione.
I Deads can Dance si erano sciolti da un pezzo. Galthun, Flamet, Pausania, avevano preferito cercare fortuna altrove dopo la catastrofe che aveva portato via l'intero Katalam. Lui li aveva lasciati liberi di scegliere, da buon capo sapeva che solo un obbiettivo comune avrebbe giovato all'intera legione e se loro avrebbero desiderato crescere e migliorarsi altrove, Araziel glielo avrebbe lasciato fare.
Da quel momento i Deads can Dance si erano fusi ai Prepotenti, una delle legioni più prestigiose di Asmodae. Araziel aveva seguito i suoi legionari ma, nonostante ciò, aveva ricominciato ad operare da solo.
Troppo spesso si lasciava prendere da reminescenze. Troppo spesso rimpianti o domande venivano a fargli visita e aveva sentito il bisogno ma allo stesso tempo l'impossibilità di gettarsi in mezzo alla battaglia.
La grandezza asmodiana aveva subito una dura battuta d'arresto durante i tempi dell'inondazione. Una nuova catastrofe aveva scoraggiato la fazione e gli elisiani sembravano essersi moltiplicati quando era stato il momento delle conquiste delle fortezze o delle nuove terre emerse. Akaron, Vengar, Signia.
Nessuno parlava più del Katalam, di Sarpan, di Tiamaranta. Perfino il sottosuolo era finito nel dimenticatoio finchè i Daeva non avevano trovato un modo geniale per ritornare nei suoi bui corridoi.
Era stato costruito apposta un grande portale per permettervi l'accesso a ore limitate del giorno, ma nonostante ciò il luogo non era tornato in vita così come si era sperato. Nessuno aveva ambito più a girovagarvi, nè c'era più alcuno shugo che avrebbe scambiato monete antiche per le cose che chiunque avrebbe potuto raccogliervi.
Araziel era uno dei pochi asmodiani che era rimasto legato a quei ruderi solitari.
La lucente porta d'etere di Katalamize mandava bagliori sinistri che gli illuminavano il viso mentre lui, aiutandosi con i denti, aveva stretto il nodo di una bianca fasciatura al proprio polso.
Quando il tiratore ebbe terminato quella che per un Daeva solo era un'impresa piuttosto ardua, si fermò a fissare il proprio operato. La fascia era stata sistemata in maniera piuttosto sciatta, però era abbastanza stretta da bloccare l'emorragia che la spada di quel balaur appena ucciso gli aveva inferto.
Il Daeva girò lo sguardo sul cadavere ancora immobile ai suoi piedi. Lo insultò poco decorosamente e assestandovi un calcio con disprezzo si alzò in piedi lanciando un ultimo sguardo al grande ingresso circolare di Katalamize. Tentò di decifrare con scarso risultato le antiche rune annerite che erano incise nella pietra chiedendosi chi avesse abitato quei luoghi prima che i Daeva lo popolassero... e lo dimenticassero.
Mentre si abbandonava a questi pensieri, il tiratore dai capelli rossi aveva tirato fuori dai foderi entrambi i revolver e si era avviato verso l'uscita del sottosuolo. Era sicuro che non avrebbe incontrato nessun elisiano ma l'esperienza gli insegnava che la prudenza non era mai troppa.
Lasciandosi alle spalle il cadavere del Balaur Araziel si avviò nuovamente nel buio sottosuolo. Udì per alcuni istanti solo il suono delle gocce di condensa che si infrangevano sulla superficie di piccole pozzanghere, poi, all'improvviso uno lembo di stoffa che spariva dietro l'ingresso al corridoio centrale catturò la sua attenzione.
Il tiratore balzò sull'attenti. Era sempre piacevole confrontarsi in un faccia faccia con un elisiano, benchè negli ultimi tempi quelli vaganti nel sottosuolo fossero pochi e perfino inoffensivi.
Le sopracciglia rosse di Araziel si incurvarono verso il basso. Il cipiglio selvaggio del suo volto affilato divampò di furia asmodiana quando i suoi occhi azzurri sfavillarono.
Il caricatore scattò con un rumore che gli parve riecheggiare nell mura deserte poi Araziel accelerò precipitosamente il passo puntando uno dei suoi revolver alla schiena della presunta elisiana. La giovane sembrava essersi nascosta nel momento in cui aveva udito i suoi passi.
Indifesa, per l'appunto... si disse.
"Mani sopra la testa, elisiana...", ghignò spingendo la canna della pistola con più forza contro la spina dorsale della donna.
I suoi capelli erano lunghi fino alla vita, argentei, quasi bianchi.
La ragazza sollevò le mani in alto in segno diresa. Ma prima che Araziel potesse far caso al colore della sua pelle un tono brusco e altezzoso lo sorprese. "Sei forse cieco, tiratore? da quando confondi i tuoi simili per nemici?".
Il tiratore si accigliò per un momento. I suoi occhi corsero a cercare una conferma sul dorso pallido delle mani dell'asmodiana, ma si accorse con perplessità che non c'era traccia di artigli su quelle morbide dita tozze e delicate.
Araziel abbassò comunque la pistola permettendo alla ragazza di voltarsi.
"Che razza di asmodiana è una che non possiede neanche gli art...". La voce gli si spezzò in gola nel momento in cui il tiratore potè scorgerne il viso.
Quei tratti... quegli occhi.... li avrebbe riconosciuti dovunque.
L'Asmodiana si era voltata di scatto evocando una barriera di protezione. Una fattucchiera, dunque, si disse Araziel.
"Ti stai chiedendo che fine abbiano fatto i miei artigli? Ho appena finito di limarli stamattina", disse la giovane fattucchiera con un sorriso mellifluo allontanando l'arma di Araziel con un gesto sprezzante della mano. "E ora se non ti dispiace...".
Il tiratore colto per un momento alla sprovvista si era fatto da parte per lasciare passare la bella ragazza dai capelli fluenti.
Soppesò le possibilità nel valutare la somiglianza. Era possibile che quell'asmodiana c'entrasse qualcosa con Selhen?
E di Selhen? Che ne era stato?
"Decisamente strano... un'asmodiana che lima le unghie...", la apostrofò con tono provocatorio mentre infilava nuovamente il revolver nel fodero.
"Questioni di moda".
Araziel inarcò un sopracciglio. "Moda?".
"A Sanctum è molto in voga, non lo sapevi?", stava dicendo la fattucchiera divertita dopo aver ripreso a camminare.
Il tiratore tralasciò volutamente il tono provocatorio dell'ultima insinuazione. "Cosa ci fa una donzella come te soletta per il sottosuolo?".
"Attendevo la protezione d'un Daeva tutto d'un pezzo come te!", rispose prontamente la ragazza soffermandosi davanti alla miniera di ID. Araziel la studiò mentre con incantesimi e concitati movimenti della mano iniziava a far fuori una serie di klaw saccheggiatori.
"Non sei un po' fuori tempo per sterminare klaw?", domandò il tiratore con una punta di ironia nel tono della voce.
"Ho bisogno di una piccola quantità di ID da portare alla mia mentore. Ne necessita per alcuni esperimenti".
Araziel sollevò le sopracciglia con l'aria d'aver compreso. "Mh, capisco!", disse in tono grave.
La ragazza aveva appena folgorato un klaw con un nuovo incantesimo  "Beh tiratore, hai l'aria del lupo solitario tormentato, capisco che avrai dimenticato quali sono le buone maniere ma... non mi hai neppure detto come ti chiami".
Il tiratore esitò per un momento, poi disse sospirando. "Araziel".
La ragazza si fermò nell bel mezzo di un incantesimo tenendo una mano sospesa a mezz'aria. "Quell'Araziel?", chiese cercando la conferma negli occhi dell'asmodiano.
"Capo dei Dead Can Dance... uno dei tiratori più forti della fazione asmodiana e via dicendo... sì quello!", aveva concluso incrociando le braccia con aria compiaciuta.
Le piccole labbra rosee della fattucchiera si schiusero in una piccola o perfetta, poi un sorriso le animò il visetto di porcellana.
"Ho sentito molto parlare di te...".
"Già" stava dicendo il tiratore con un mezzo sorriso accostandosi a lei per sparare due colpi precisi su un grosso klaw saccheggiatore.
"Grazie", aveva detto la fattucchiera chinandosi a saccheggiare il piccolo cadavere.
"Tu... mi ricordi qualuno". Aveva ripreso il tiratore pensieroso indicandola all'improvviso con un indice accusatorio a un palmo del naso di lei.
"Davvero?", le sopracciglia chiare della giovane si inarcarono sugli smeraldini occhi verdi. Era pallida, molto pallida, ma senza artigli, e la coda doveva essere celata dal vestitino che indossava.
"Mi ricordi Selhen".
Per quanto Araziel sapesse che era severamente vietato pronunciare il nome della più conosciuta traditrice di Atreia non si fece alcun tipo di problema a usarlo davanti quella sconosciuta.
La fattucchiera per tutta risposta rabbrividì a quel nome. Per un attimo la sua maschera fatta di sicurezza e alterigia parve vacillare poi il suo viso tornò a riacquistare la sicurezza di sempre.
"Prima mi scambi per un'elisiana e quasi mi ammazzi, adesso stai anche osando paragonarmi alla storica traditrice di Atreia... bene! E ne parli perfino come se l'avessi conosciuta...".
Araziel notò che c'era una punta di morbosa curiosità nel finale del discorso della ragazza.
"Come ti chiami asmodiana?".
La ragazza che ormai aveva smesso di saccheggiare i corpicini dei klaws carbonizzati adesso era tornata ad osservarlo guardinga. "Perchè ti interessa?".
"Pura curiosità".
Araziel la scorse titubare per un altro momento, poi con voce spezzata disse... "Azariel".
Bingo! Azariel! Un nome così simile al suo ma che sapeva avere ben altro significato.
"Azariel... l'angelo della luna, proprio come Selene voleva essere un tributo a quel corpo celeste".
La ragazza abbozzò un tenero sorriso che non sfuggì al tiratore, ma presto la sua espressione si trasformò in un broncio.
"Che ne è stato di Selhen?", domandò infine Araziel con aria spiccia. Non c'era rabbia nella sua voce, nè sdegno, solo curiosità.
"Cosa?", l'asmodiana continuava a far finta di non comprendere.
"Sei sua figlia... te lo leggo in faccia, sputa il rospo Azariel!".
"Non so di cosa parli", disse la fattucchiera dandogli le spalle per dirigersi verso l'uscita.
Araziel fu più svelto, la bloccò per un polso costringendola a voltarsi, ma lei gli sfuggì, perdendosi nel buio di qul luogo sotterraneo. Araziel rimase in piedi, dubbioso. Le pistole gli sfavillavano ancora ai fianchi illuminando il luogo circostante.
Selhen gli aveva chiesto di restare, ripensò. Lo aveva fatto? No, quindi che diritto aveva di pretendere l'attenzione di sua figlia?
Ripensò all'ultimo incontro di lui e Selhen in cella. A quei tempi il suo orgoglio asmodiano era troppo grande per lasciare spazio ai sentimenti. A quei tempi era il capo di una legione, e se volevi avere pugno fermo sui tuoi uomini dovevi mettere da parte i sentimentalismi.
Il tiratore si lasciò cullare per un momento dal ticchettio delle zampette dei klaw, poi decise che per quella notte sarebbe tornato a casa. Aveva bisogno di riposare.
La stanchezza lo sorprendeva sempre più spesso, negli ultimi tempi. Araziel sapeva che non si trattava di stanchezza fisica, eppure la sentiva gravare sulle sue membra come veleno.
"Sei ancora convinto di conoscere la mia storia?".
Una voce femminile rimbombò tra le pareti rocciose del corridoio. Un mucchio di klaw si diedero alla fuga quando quella voce ruppe la loro laboriosa quiete.
Araziel si voltò e la vide all'entrata del corridoio. In una posa fiera ed eretta, con la compostezza e l'arroganza di un elisiano, si disse.
"Sì", proferì il tiratore accomodandosi su un masso lì vicino.
Azariel fece un passo riluttante verso di lui.
"Solo se mi prometti che sai mantenere i segreti".
 
 
Saephira trafficava nelle sue cucine con aria assorta. Per quel giorno si era congedata dalle missioni molto presto e aveva deciso di dedicarsi alle mansioni domestiche al posto del proprio shugo servitore. Qualche tappeto colorato qui, qualche tendaggio stravagante lì, la sua abitazione si era trasformata decisamente in quella che il suo amico Dahnael avrebbe definito una casa bardosa.
A quel pensiero abbozzò un sorriso che si spense nel momento in cui i sui occhi scorsero la cassettiera contenete tutti i vestiti di Selhen.
Quando lei era comparsa e la sua casa era confiscata tutti i suoi averi erano stati bruciati. Eccetto quella cassettiera.
Avevano comperato la maggior parte di quegli abiti insieme e ad ognuno di esso era legato un ricordo che aveva di lei.
Aveva supplicato Araziel, che ai tempi era il capo della loro legione, di trafugarla per lei mentre ne svuotavano l'appartamento. Lui all'inizio aveva titubato un istante, e in quel momento Saephira era stata consapevole di come nominare Selhen costituisse per lui la riapertura di una profonda ferita.
Non lo aveva mai saputo con certezza ma la barda supponeva che Araziel avesse vissuto il tradimento di Selhen come un fallimento.
All'inizio la daeva aveva pensato che un po' Araziel se lo meritasse, era stato lui a lasciare in accademia, da sola, una Selhen ancora innamorata di lui, poi aveva rivalutato la propria opinione perchè Selhen gli era cominciata a mancare ogni volta che quella  cassettiera si parava di fronte al suo sguardo.
Toc toc. Qualcuno aveva compostamente bussato alla porta.
Lo shugo servitore si era precipitato all'ingresso finchè non era rispuntato con l'ospite.
"Araziel?".
Araziel era un lupo solitario. Non lo si vedeva più in giro da un pezzo e il suo comportamento era tornato quello schivo di sempre.
Cosa ci faceva il suo ex capo legione alla sua porta?
"Ciao Saephira".
"Qualcosa... non va?", aveva detto la barda sbattendo le lunghe ciglia sugli occhi azzurri, vagamente perplessa.
"Sono venuto in possesso di notizie alquanto riservate, ma pensavo che tu volessi esserne messa al corrente".
Saephira accarezzò lo schienale di una delle sedie che circondavano il tavolo. "E' necessario che io mi sieda?".
Il tiratore fece spallucce.
"Allora...", sospirò Saephira sedendosi sulla comoda e confortante superfice legnosa. "Di quali notizie riservate si tratta?".
La cicatrice di Araziel parve inspessirsi ombreggiandogli una parte del viso. "La figlia di Selhen è a Pandaemonium", annunciò il suo tono fermo.
 
 
Da quando la maledizione di Dahnael era stata spezzata tutto sembrava essersi risolto per il meglio. Il giovane Daeva era rimasto per un po' di tempo lontano dalla scena, a smaltire i fastidiosi sintomi che la dipendenza dall'odella gli aveva provocato.
La costante compagnia di Lacie l'aveva incoraggiato così tanto che i due, alla fine, avevano deciso di iniziare a convivere insieme nella stessa villa a Pernon. Del resto, il fatto che Dahnael avesse cominciato a diventare una personalità di spicco a Pandaemonium gli aveva permesso di acquistare un'abitazione in uno dei quartieri più ricercati di Pernon.
Pochi mesi dopo la scomparsa di Selhen tutto era sembrato così irreale che l'isolamento per astinenza non gli era neanche dispiaciuto. Più volte era tornato a chiedersi cosa fosse successo veramente e che fine avesse fatto la sua amica Selhen. Era grazie a lei e in parte anche al tizio elisiano, che la sua maledizione era stata spezzata.
Era un pomeriggio buio e freddo nella monumentale Pandaemonium.
Dahnael si era recato al tempio dell'oro per riscuotere alcuni pagamenti ottenuti dalla vendita dei mobili della vecchia casa quando nel centro della piazza un candido baluginio attirò la sua attenzione.
Il ragazzo sollevò la testa fulmineo e assottigliò lo sguardo cercando di mettere a fuoco quella candida figura nel buio.
La piazza, di solito gremita di gente, quella notte era deserta e buia. Le notti senza luna erano tra le più spettrali nella cittadella di Pandaemonium.
Dahnael aguzzò la vista. L'esile figura si stava dirigendo risoluta verso la piazza retrostante alla famosa taverna Apellbine.
Il tiratore si accigliò. Conosceva bene le retrovie di Pandaemonium, e sapeva bene i tipi di Daeva che li frequentavano visto che lui, fino a qualche tempo prima, era stato uno di quelli.
Il ragazzo scese con passo celere e felpato i gradini del tempio, risoluto a pedinare a debita distanza quella figura.
Potè scorgere un'ampio gonnellone svolazzante e il ticchettio delicato di tacchi contro il pavimento in pietra.
La ragazza dai lunghi capelli albini si guardò indietro furtivamente prima di addentrarsi in un buio corridoio.
Dahnael approfittò per studiarla un momento. I suoi capelli erano così bianchi che non aveva mai visto nessuna Daeva averli di quella gradazione di colore... nessuno tranne...
"Selhen?", mormorò il tiratore accelerando il passo.
Possibile che Selhen fosse tornata a Pandaemonium?
Con il cuore che batteva un po' più forte per l'ansia Dahnael si tirò il cappuccio di pelle sopra la testa e si lanciò al silenzioso inseguimento della misteriosa Daeva.
Non l'aveva mai vista prima, ne era certo.
Vide la giovane fermarsi in un angolino buio della piazza dove anche lui, un tempo, usava spesso sostare in attesa dello shugo contrabbandiere. Questa si guardò intorno alla ricerca di qualcuno ma riconoscendosi sola si appoggiò stancamente alla parete.
Da buon asmodiano i suoi occhi misero chiaramente a fuoco la figura della ragazza nella semioscurità, e quando questa si fu appoggiata al muro con la schiena Dahnael non ebbe più dubbi.
Stessi tratti, stessa forma delle labbra. L'inconfondibile colore dei capelli bianchi ormai lunghi fin quasi alla vita e troppo cresciuti.
Raggiunse la ragazza ancora col cappuccio sollevato sulla testa. Se si fosse sbagliato e lo avessero riconosciuto avrebbe potuto incorrere in pesanti sanzioni solo per aver proferito il nome di una delle peggiori traditrici di Atreia.
"Selhen", chiamò.
Non ebbe il risultato sperato, ma di certo ci fu una reazione nella Daeva poco lontano da lui che non gli sfuggì.
La ragazza si guardò intorno spavantata prima di cercare rifugio nell'angolo più buio e recondito del vicolo.
Quando Dahnael svoltò quell'angolo se la ritrovò davanti e la immobilizzò tappandole la bocca per soffocare il suo urlo di terrore.
Un'essenza profumata invase le narici di Dahnael nel momento in cui la strinse. "Dimmi che sei tu... dimmi che sei tornata!", supplicò Dahnael trascurando tutti gli iniziali propositi di anonimato.
"Chi sei? Lasciami andare", disse la ragazza terrorizzata.
La voce che avrebbe voluto udire sembrava essere salita di qualche ottava, eppure il tono imperioso era lo stesso di quello che tanto tempo prima Selhen rivolgeva a lui.
Era lei... doveva essere lei. Non poteva essersi volatilizzata nel nulla!
Quando la giovane Daeva si voltò i suoi occhi erano fiammeggianti. Sembrava pronta ad attaccare ma qualcosa la trattenne dal farlo. Le sue piccole labbra si schiusero mentre i tratti duri della furia asmodiana abbandonavano a poco a poco il suo viso.
"Dahn... Dahnael?", domandò incerta.
Dahnael scorse il colore delle iridi con un certo sgomento. Erano verdi. E gli occhi di Selhen non erano mai stati verdi.
Non rispose.
"Tu sei Danhael... quel Dahn!". Esultò la ragazza sorridendo. "La mia mentore ti liberò dalla maledizione".
Dahnael corrugò la fronte incerto.
"Silyssa", disse ancora, risoluta.
Ad un tratto quel nome risvegliò in lui dei ricordi sopiti. Annuì scettico. "Come fai ad essere a conoscenza...?".
"E perchè tu hai proferito quel nome?".
Dahnael sorrise abbassando il cappuccio dalla testa per rivelare completamente il proprio aspetto.
"Ciao Dahnael", sorrise la sconosciuta studiandolo con maggiore interesse. "Sono felice di conoscere l'unica persona di cui veramente io possa fidarmi".
Il Daeva guardò quella che era la copia sputata di Selhen con gli occhi verdi e sorrise scettico. "Che ne è stato di Selhen?".
"Lei... non ti ha mai dimenticato e mi ha parlato tanto di te". La sconosciuta sorrise.
"Potrò avere delle risposte, finalmente?", chiese Dahnael incerto.
La ragazza annuì e aprì un portale. "Silyssa ti darà tutte le risposte che cerchi", disse indicandogli il varco luminoso con una mano dalle dita tozze e delicate.
Solo in quel momento Dahnael realizzò chi fosse. Il perfetto mix tra un'asmodiana dai capelli candidi e un elisiano dagli occhi verdi e senza artigli. Quella Daeva era la figlia di Selhen.
 
[Non vi avevo parlato di quelli che erano stati tre dei personaggi più importanti della storia, quindi ho deciso di scrivere uno speciale. Mi mancava scrivere di loro quindi ho voluto farlo. Spero che la cosa sia stata di vostro gradimento!]

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