Il Principe e la Povera

di iloveryuga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Colloquio ***
Capitolo 2: *** Decisioni ***
Capitolo 3: *** Questione di Tenacia ***
Capitolo 4: *** Azioni Affrettate ***
Capitolo 5: *** Ricordi e Regali ***
Capitolo 6: *** Uragani Gemelli ***
Capitolo 7: *** Situazione Idilliaca ***



Capitolo 1
*** Primo Colloquio ***


Lila rientrò a casa e chiuse a fatica la porta, la quale, da tempi immemori, faceva resistenza. Guardò sospirando il suo minuscolo monolocale e cercò di trovare le forze necessarie a sistemare i pochi e sgualciti vestiti, buttati alla rinfusa sul pavimento. Si sforzò parecchio ma, considerando il freddo penetrante che avvolgeva l’intero locale, e il fatto che il suo stomaco non toccava cibo da almeno una settimana, rinunciò al suo nobile progetto. Si lasciò cadere esausta sullo scomodo divano di pelle e si coprì fino al naso con la sua adorata trapuntina rossa, che l’avrebbe riscaldata per tutto l’inverno. Trasse un respiro profondo, cercando di dimenticare il fatto che non pagava le bollette ormai da tre mesi, infatti le avevano sospeso riscaldamento e gas. Tra poco sarebbe sicuramente toccato alla luce. Emise un gemito sconsolato e si rintanò di più sotto la coperta, cercando di scacciare quei pensieri nefasti. Anche se, prima o poi, avrebbe dovuto concentrarsi sulla sua situazione. D’altro canto, però, non era neppure colpa sua, in quanto lei ce la metteva tutta per trovare un lavoro ma nessuno era disposto ad assumere una neo-diciottenne che non aveva nemmeno conseguito un diploma superiore. Si mise a sedere, decisa a non rimuginare più, afferrò il telecomando e lo puntò in direzione della vecchissima televisione a tubo catodico… Ah, già. Niente TV, non poteva permettersi di far fronte ad una ordinaria fattura, figuriamoci aggiungendo le spese del televisore. Lasciò andare la testa all’indietro, facendola rimbalzare sullo schienale del divano e si massaggiò gli occhi, alla spasmodica ricerca di qualcosa che la aiutasse ad ingannare il tempo nell’attesa di coricarsi. Girò poco il viso, e l’occhio le cadde sul quotidiano che il suo amico edicolante le aveva regalato. Allungò la mano e lo afferrò, iniziando a sfogliarlo con noncuranza, persino le notizie di cronaca nera la lasciavano piuttosto indifferente. Voltò l’ennesima pagina con aria annoiata, ma si bloccò e riscosse quando lesse:”Kishatu Holdings Inc., l’azienda specializzata in comunicazioni riceve il premio per i più alti incassi dell’anno, le brillanti operazioni di mercato del giovane Ryuga Kishatu l’hanno portato a scalare le vette dell’Olimpo” Anche Lila aveva sentito parlare di questo Ryuga, la sua faccia era su tutti i cartelloni pubblicitari. Sembrava che, per quanto riguardava commercio e telecomunicazioni, la sua azienda fosse la migliore e la più qualificata. E dire che la sede principale si trovava proprio lì, a New York. La ragazza scrollò le spalle, alcuni hanno proprio tutte le fortune: sono belli, ultraricchi e dannatamente intelligenti. Questo fu, più o meno, il pensiero che formulò. Tuttavia, non era finita qui, c’era dell’altro, ben più importante e che poteva riguardarla: Ryuga stava cercando una nuova segretaria personale, in quanto la sua era appena stata congedata per maternità. Capitava a fagiolo… O forse no. Per un momento, le era balenato in mente di poter partecipare, ma sicuramente sarebbe stata scartata, considerando la moltitudine infinita di altre ragazze che si sarebbero presentate all’Empire, il palazzo sede dell’azienda, la mattina seguente. Lila si morse il labbro, lo faceva sempre quando era nervosa. Picchiettò un paio di volte le dita sulla carta rosina del giornale, ed espirò. Tentar non nuoce, le ripeteva la coscienza, tanto ormai le aveva provate tutte. Chissà, magari Kishatu avrebbe provato pietà per lei e… Nah, meglio non illudersi. In ogni caso, i colloqui si sarebbero tenuti l’indomani mattina alle otto e poteva partecipare qualunque ragazza avesse voluto. O almeno, questo diceva l’annuncio, ma per Lila era sottinteso:”Possibilmente ruffiane e tettone”, a giudicare dal fascino di Ryuga, non ci si poteva aspettare altro. Presa da un’improvvisa e frequente insicurezza, si fiondò davanti allo specchio del bagno, e storse il naso al suo riflesso: era molto carina in viso, due grandi occhi marron-verdi, un piccolo nasino a punta, due labbra sottili e morbide. Nonostante ciò, lei si vedeva brutta e assai poco avvenente, anche per il seno che lei considerava piccolo e il corpo a suo parere troppo magro. Sbuffò pesantemente e si mise a lavarsi freneticamente i denti, tanto valeva andare a dormire, visto che il giorno seguente avrebbe dovuto svegliarsi relativamente presto. Infilò il comodo pigiama rosa a orsetti, e si catapultò in un nanosecondo a letto, imprecando quando le vecchie e ormai arrugginite molle cigolarono sotto il suo peso. Si voltò su un fianco e chiuse gli occhi, attendendo che Morfeo la accogliesse fra le sue braccia e pregando Dio di svegliarsi per tempo, dato che era sprovvista di una sveglia.

La mattina seguente ebbe la conferma irrevocabile che dio non esisteva, e se esisteva di certo non la ascoltava per nulla. Si alzò di soprassalto, rendendosi conto, guardando l’orologio appeso, di essere in mostruoso ritardo, dato che erano già le sette e mezza e ci volevano almeno venti minuti a piedi per raggiungere il centro città da dove era lei. Infilò la porta del bagno a velocità supersonica e la doccia che fecce fu ancora più sbrigativa. Mentre si lavava i denti, cercò di scegliere gli indumenti più… Formali che possedeva. La scelta fu ardua, in quanto di solito indossava abiti piuttosto semplici e informali, per fortuna, però, aveva conservato l’outfit indossato alla cerimonia d’accoglienza alla prima superiore. Non essendo inoltre cresciuta quasi per nulla, qualunque cosa nuova o vecchia le andava bene. Abbottonò il cardigan nero a righe bianche, infilò saltellando per la stanza un paio di jeans e infine calzò le ballerine nero lucido che le avvolgevano il piede alla perfezione. Infine, si posizionò davanti allo specchio, cercando di rendersi presentabile con gli ultimi scampoli di trucco che le erano avanzati. Lasciò perdere la causa “capelli”, ci aveva ormai rinunciato da tempo, li legò soltanto in un comodo chignon per non averli attaccati al viso. Fatto ciò, afferrò al volo la borsetta in finta pelle nera, e si precipitò giù per le scale, sbucando nella strada malfamata del suo sobborgo e salutando con un cenno della mano il barbone all’angolo della strada. Corse a perdifiato per cinque isolati, senza nemmeno fermarsi ai semafori e rischiando di essere investita almeno due volte.

Arrivò all’Empire che erano le otto e cinque, si piegò su sé stessa col fiatone, i capelli appiccicati al viso per il sudore e il volto arrossato. I due buttafuori, uno di colore e uno bianco, che torreggiavano accanto alla porta girevole, si scambiarono uno sguardo confuso, interrogandosi sul da farsi; per fortuna, non appena Lila se ne accorse, riuscì a ricomporsi ed a sfoggiare il suo sorriso più falso e brillante, sistemandosi poi la chioma ribelle come poteva. Si avvicinò alla porta ancheggiando visibilmente, e tentando di risultare il più sensuale e credibile possibile, obiettivo pienamente conseguito, considerando che i due gorilla la lasciarono passare imperterriti, ennesima riprova che lei così brutta non era. Una volta dentro, Lila trasse un respiro profondo, e alzò la testa per guardarsi intorno, rimanendo a bocca aperta. L’ambiente attorno a lei era un esempio lampante di quella che si potrebbe definire un’amministrazione impeccabile. I dipendenti erano disposti su due lunghe scrivanie, ed ognuno era dotato di un computer di ultima generazione e di un auricolare. Tutti svolgevano la mansione assegnatagli con precisione ed efficienza, infatti il rumoreggiare di voci rimbombava nell’atrio, attraversato in continuazione da uomini in giacca e cravatta con pesanti ventiquattrore e donne avvolte in stretti tailleur di sartoria. Lila si ritrovava con la bocca spalancata e il naso all’insù quando un’avvenente biondona con dei tacchi vertiginosi le si parò davanti, sfoggiando un sorriso che più finto non si poteva:”Desidera?” chiese a Lila con fare servizievole; dapprima la ragazza non si rese conto che le era stata fatta una domanda, e continuò a fissare imperterrita ciò che la circondava. La bionda, dal canto suo, stava solo posando, non era davvero così disponibile, perciò si spazientì:”Signorina? Le ho chiesto se desidera qualcosa” in quel momento, Lila si riscosse, rendendosi conto di avere davanti la sosia di quell’attrice sconosciuta che recitava nella pubblicità degli assorbenti Lines E’ e si schiarì la voce, provando a darsi un tono:”Sì, sono qui per il colloquio di lavoro”. Immediatamente, la voluttuosa top model assunse un’espressione dubbiosa, la squadrò da capo a piedi e infine si decise a rispondere:”Bene, mi segua”. Dalla sua voce traspariva chiaramente che non le andava a genio come Lila si era abbigliata, ma cosa ci si può aspettare da una che cammina su due trampoli, nemmeno fosse un’equilibrista? Lila fu costretta a reprimere una risata quando iniziò a seguirla verso l’ascensore, per il modo eccessivo e esilarante di sculettare che la testimonial degli assorbenti ostentava, ma non perdeva mai l’equilibrio? Purtroppo no, si disse, perché arrivò all’ascensore sana e salva. Salirono fino all’attico, e lo stesso fece lo stomaco di lei, che se lo ritrovò praticamente fra l’esofago e la laringe. Quando finalmente le porte di quell’aggeggio infernale si aprirono, Lila si fiondò subito fuori. In fondo ad un lungo corridoio dalle pareti bianche e moquette grigia, stava la porta dell’ufficio del direttore, dal quale provenivano urla ben poco amichevoli. Nel notare la faccia preoccupata di Lila, l’avvenente biondona sorrise compiaciuta, e la invitò a sedersi accanto alle altre cinquanta candidate, disposte ordinatamente su due file. Cinquanta. Ed erano solo le otto e cinque. Chissà che calca incredibile ci sarebbe stata alle cinque di pomeriggio. In ogni caso, le stava spiegando miss assorbenti, lei sarebbe stata ricevuta per ultima, in quanto si era presentata senza appuntamento e senza alcun preavviso;inoltre, sentendo su di sè gli sguardi indagatori e schifati delle altre presenti, le quali erano tutte strafighe ultratruccate e scollate, la ragazza iniziò ad avvertire un forte senso di inadeguatezza, lo stesso che provava da piccola quando tutte le sue compagne avevano i genitori in prima fila alla recita scolastica, mentre lei era completamente sola di fronte ad un pubblico. Si sedette stringendo la stoffa ruvida dei jeans e cercando di infondersi un minimo di sicurezza, anche se i bisbiglii concitati delle ragazze affianco non conciliavano con la sua opera di self-control.

Le ore trascorsero noiose e petulanti, esattamente come le voci delle sue rivali, così acute e stridule da risultare nauseanti, spesso Lila si domandò come facesse Kishatu a sopportare tutte quelle oche travestite da canotti, ma preferiva non cercare risposta. L’orologio ticchettò le sei quando la penultima candidata a miss taccopiùalto uscì dall’ufficio furiosa, lanciando insulti e ingiurie all’uomo con cui aveva appena parlato. Immediatamente, la diciottenne prese a mangiarsi le unghie, vizio che si portava dietro dalle medie. In diciotto anni solo una volta le era capitato di sentirsi così nervosa e fuori luogo, ovvero durante l’unica messa di Pasqua a cui sua madre la trascinò a forza. Non ebbe però il tempo di ripensare a quanto quella cerimonia liturgica l’avesse stressata, che dalla stanza del direttore tonò un:”La prossima!” Lila inghiottì a vuoto la saliva, e per poco non si morse la lingua. Si alzò dalla sedia ed espirò, tentando di reggersi in piedi, contrastando con forza le gambe stile gelatina. Aprì lentamente la porta, ed entrò in un ambiente ancora più asettico del precedente, con l’unica differenza che, al posto delle sedie, sulle pareti erano appoggiati due divani di pelle nera assai pregiata, e davanti alla vetrata che costituiva l’affacciò alla skyline di New York stava una scrivania di mogano, probabilmente intarsiata a mano. Dietro di essa, stava seduto curvo su dei fogli, Ryuga. Lila lo squadrò per un secondo ma con attenzione: era bellissimo. Nonostante le sue origini fossero giapponesi, non aveva occhi a mandorla e pelle gialla, tutto il contrario , gli occhi erano ampi e andavano ad assottigliarsi solo verso la fine. Folte sopracciglia albine come la sua chioma incorniciavano due pozze gialle oro quali erano le sue iridi, strette e minacciose. I lineamenti del suo viso erano scolpiti e perfetti, il naso leggermente sporgente era perfettamente contestualizzato e le labbra sottili ma sensuali completavano quel quadro di eccellenza idilliaca. Senza contare poi i suoi capelli bianchi come la neve, fatta eccezione per una mèche rossa sul lato destro, che portava tagliati a spazzola e completamente ribelli. La sua presenza, seppur accomodata, era imponente e accentrava su di sé tutta l’attenzione… Forse era per questo che quell’ufficio era così spoglio? Per evitare che qualcosa distogliesse l’attenzione da lui? Non appena lui alzò lo sguardo dalla pila di fogli che stava siglando, lei si sentì gelare il sangue nelle vene e il fiato mozzarsi in gola. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma da essa non fuoriuscì alcun suono. Rimasero a fissarsi per un tempo che a Lila parve infinito; poi, finalmente Ryuga si decise a posare la penna con il nome della sua azienda sopra, e si aggiustò la cravatta rosso cremisi:”Prego, si accomodi”. La sua voce, oh la sua voce, rese le ginocchia di Lila un ammasso informe di ossa e tendini. Era così calda, avvolgente, sensuale… Persa in questi pensieri, per poco non si scordò di sedersi sulla poltrona in pelle davanti alla scrivania di Ryuga, il che le avrebbe fatto perdere diecimila punti in partenza. Si accomodò come le era stato suggerito, cercando di dissimulare la sua incertezza tirandosi diritta con la schiena. Lui si protese leggermente in avanti per darle la mano:”Ryuga Kishatu” lei si sforzò di sorridere:”Dalila Casterville, ma di solito mi chiamano Lila” si strinse nelle spalle e chinò il capo, rossa in volto e imbarazzata dalla cosa che aveva appena detto. Cosa poteva mai importare a lui di come la soprannominavano? Ryuga abbozzò un sorriso sghembo:”Lila, allora” Questo piccolo atto di cortesia conferì un minimo di fiducia alla diciottenne, che alzò gli occhi dalle mani giunte in grembo. Lui si fece più formale:”Innanzitutto, ho bisogno delle sue generalità. Data di nascita, indirizzo, se ha patente o simili” ecco che cominciavano le rogne… Lila si morse il labbro inferiore con forza, e giocherellò con l’unghia del pollice:”Sono nata nel… primo settembre del novantotto, abito al civico due di Arthur Avenue e… Non ho né patente né patentino” a queste parole, Kishatu strabiliò:”Lei ha… Diciotto anni?” Nel frattempo la squadrava da capo a piedi come se avesse avuto Frankenstein in persona seduto davanti a sé. Lila abbassò nuovamente il capo, desolata:”Sì…” Fu la sua flebile e appena udibile risposta. Vedendo il suo imbarazzo e non volendo metterla in soggezione, Ryuga decise di passare oltre:”Ok. Deduco che, quando è arrivata qui, lei fosse ancora minorenne. Per questo non ha patente né documento, dico bene?” Il silenzio della ragazza valse mille sì. L’albino rimase compassato e impassibile:”D’accordo. Titoli di studio?” Ancora una volta, la povera Lila si fece minuscola:”Io ho… Lasciato la scuola. Ma mi sarebbe davvero piaciuto andare all’università, puntavo ad Harvard, avrei voluto iscrivermi a Lettere Moderne. Ma, sa… Per me, che vengo da un piccolo paese del Wisconsin, ci sono sempre state poche possibilità…” Pronunciò questa frase con una tale malinconia, che Ryuga non poté fare a meno di chiedersi da quale diavolo di situazione potesse venire questa ragazza, ormai sull’orlo delle lacrime. Evidentemente non le faceva piacere rivangare il passato. Esattamente come a lui. Rimase a fissarla per qualche secondo senza dire nulla, rigirandosi la stilografica fra le dita:”Le piace Peter Cameron?” Lei sbatté un paio di volte le palpebre:”Lo scrittore di Un giorno questo dolore ti sarà utile?” L’albino annuì:”Esatto. Allora, le piace?” Ci pensò su un attimo, incerta di aver capito bene la domanda, poi rispose:”Sì, mi piace. E’ uno dei grandi scrittori moderni” Ryuga picchiettò i pollici fra loro, e calò di nuovo un silenzio assordante in quella stanza così dannatamente fredda. Fu lui a rompere di nuovo il ghiaccio:”Non vorrei essere indiscreto, ma… Perché ha deciso di presentarsi a questo colloquio? Sapeva di avere poche probabilità di ottenere il posto, lo vedo dal suo atteggiamento. Praticamente si sta scusando di essere venuta. Allora… Perché farlo?” Lila sentì che questa era la questione risolutiva, il punto focale di tutto l’incontro: o la andava o la spaccava. Trasse un profondo respiro, e cercò di sostenere lo sguardo indagatore di lui:”Perché io ho un sogno. Io… voglio realizzarmi con le mie mani, e le mie soltanto. Voglio trovare il mio posto nel mondo, ma senza qualcuno che me lo imponga. Insomma… questo lavoro rappresentava l’ultima possibilità di realizzare il mio desiderio. Dovevo almeno provarci” Tornò a fissare il pavimento, come se fosse giusto così e lei avesse appena compiuto un atto sconsiderato. Ryuga rimase profondamente colpito dalla spontaneità delle sue parole, e dal forte messaggio che quel pensiero esprimeva. La cosa ancora più incredibile, inoltre, era che lui e quella ragazza si somigliavano terribilmente, sia per idee che per situazione familiare, da quanto aveva potuto intuire. In tutti i suoi diciassette anni di brillante carriera, mai gli era capitato di incontrare una simile creatura, fascinosa e schiva allo stesso tempo, forte e combattiva ma contemporaneamente dolce e remissiva; tra tutte le donne che aveva visto, lei era stata l’unica ad abbassare il capo e ad ammettere di non essere capace, a riconoscere di avere dei limiti e dei difetti! E, paradossalmente, era ciò che lui cercava in una segretaria… o forse anche in una persona. Rilassò i lineamenti del viso, fino a prima contratti nel tentativo di mantenersi austero e distaccato, e si aprì in un sorriso gentile:”Ottimo motivo, direi. Molto letterario” Gli angoli della bocca di lei si piegarono all’insù, mentre un vago rossore si faceva largo sulle sue gote. Esalò un flebile “grazie”, a malapena udibile, ma carico di riconoscenza. L’albino avvertì che quel colloquio era concluso, non avrebbero avuto altro da dirsi. Di fatto, non aveva raccolto praticamente nessuna informazione su di lei, ma sapeva tutto ciò che c’era da conoscere, e forse anche di più, probabilmente troppo per essere il suo datore di lavoro. Si alzò dallo scranno, invitandola con un gesto della mano a fare lo stesso. Immediatamente, Lila sbarrò gli occhi, credendo che il colloquio fosse andato uno schifo, addirittura peggio dei predecessori, e faticò ad eseguire quanto le era stato testa consigliato di fare, ma alla fine riuscì a tirarsi in piedi, non senza una buona dose di fatica. Il suo collo ormai stava per diventare un tuttuno con la moquette, per quanto teneva la testa bassa, e lo chignon ormai si era disfatto per le innumerevoli volte in cui lei aveva giocherellato con le ciocche ribelli, senza contare quelle in cui se le era avvolte attorno al dito.  Ryuga, accorgendosene ma essendo conscio di dover ancora ponderare con attenzione la sua decisione, fece per rassicurarla:”La contatterò domani e le darò la mia risposta” L’ansia di Lila crebbe esponenzialmente, perché non poteva liquidare subito quella faccenda? Così nessuno dei due ci avrebbe pensato più. Così operando, invece, le stava aprendo un lucernario, una speranza che sarebbe andata irrimediabilmente in frantumi il giorno successivo. Sospirò pesantemente, e si forzò ad annuire:”D’accordo, grazie…” Ryuga abbozzò un sorriso:”Dovrei essere io a ringraziare lei” Sussurrò tra sé e sè. 

La accompagnò all’ascensore, e la salutò educatamente, con la promessa di risentirla l’indomani mattina per una conferma o smentita. Appena fu certo che lei non si trovasse più nel suo raggio visivo, tornò verso l’ufficio, e mentre attraversava l’atrio, si rivolse alla bionda da favola:”Abigail, contatta mio fratello e digli di richiamarmi il prima possibile, è estremamente urgente!” Quella sbatté le lunghe ciglia diverse volte, nel vano tentativo di fargli gli occhioni da cerbiatta, che lui puntualmente ignorò e superò senza nemmeno ripensarci. In quel momento, un solo pensiero affastellava la sua mente: Lila Castervillle.

 

 

Sorseggiava il suo scotch con ghiaccio mentre discuteva col fratello, Inuyasha. Si assomigliavano tantissimo, tranne per il fatto che Inuyasha portava i capelli lunghi. Quest’ultimo fece schioccare la lingua sul palato:”Fratellino, sei in un mare di guai” Sentenziò, mentre giocherellava coi pesciolini nell’acquario di Ryuga, il quale sospirò, e si sedette sul bordo della finestra del suo superattico, senza avere nemmeno un po’ di vertigini. Aveva la camicia sbottonata, che lasciava intravedere i muscoli perfetti e scolpiti di braccia e torso, teneva in mano il drink che stava bevendo e ripensava alla conversazione avuta quel pomeriggio:”Inuyasha”

“Mh?”

“Hai presente quando ti ronza in testa una frase che hai già detto tu tante volte, e qualcuno la usa identica ma senza conoscerti?” Inuyasha lo fissò dubbioso:”Vuoi dire che quella Lila la pensa come te?” Lui annuì sospirando:”Uguale. E’ così giovane, fratello, sarebbe un talento sprecato. Ho visto in lei la voglia di fare, grandi potenzialità” Come risposta a questa affermazione, ricevette un’aggrottata di sopracciglia:”Ma se hai detto che non avete praticamente parlato di nulla!” Lui scosse la testa:”Ha parlato, ma senza mai essere esplicita, e senza autocommiserarsi. Mi ha trasmesso… Davvero tanto” Inuyasha alzò le spalle:”Allora non hai scelta, assumila” Lui si passò una mano sul viso:”E’ una scelta difficile, devo pensarci accuratamente” calò il silenzio nella stanza. Dopo un po’, Inuyasha propose:”After?” Ryuga assentì:”After”

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Capitolo 2
*** Decisioni ***


Ryuga aprì gli occhi controvoglia, sospirando pesantemente. Aveva fatto spesso after con Inuyasha e, finora, il record di sonno perduto l’aveva battuto la notte precedente, coricandosi addirittura alle cinque. Si erano divertiti molto, cercando di scacciare o quantomeno allontanare le preoccupazioni che, di giorno, affastellavano le loro menti… Ok, Inuyasha escluso. Ryuga non aveva idea di come facesse suo fratello a non avere mai alcun tipo di pensiero e, di conseguenza, nessun genere di problema. Lui, invece, era sempre preso, incatenato in un vortice senza fine di brutte vicende e ansie che si trascinava dietro fin da quando aveva diciotto anni… Un altro elemento che lo legava e accomunava a quella ragazza. Oh no! Ecco che rimuginava ancora su quanto Lila gli era parsa terribilmente somigliante a lui stesso. Si sfregò con forza il viso, nel vano tentativo di allontanare l’immagine di lei dalla sua mente ma, nonostante ci avesse provato per una notte intera, bevendo e fumando come un turco, non ci era riuscito per nulla. Emise un gemito gutturale, esasperato e assonnato, e svelse con un rapido gesto le coperte. Posò i piedi nudi sul pavimento, per fortuna caldo grazie alla pregiata moquette, e sbadigliò, stiracchiandosi. Si alzò, infilò le mani in tasca, e si mise davanti alla parete finestrata, scrutando la skyline di New York con fare superbo, un’aria altezzosa ed egocentrica che lo contraddistingueva in ogni cosa, e che, per quante forze lui avesse impiegato nel tentativo di estirpare questo modo di vedere le cose, inculcatogli fin da bambino, nulla in lui si era modificato in quei diciassette anni di lontananza dalla sua casa e dal suo ambiente natale. Passò un paio di volte le mani nei capelli, solo per controllare che non fossero unti del sudore della sera prima, e posizionò una Marlboro fra le labbra, accendendola. Dopo un paio di tiri, la prese fra l’indice e il medio e la allontanò dalla bocca, buttando fuori il fumo. Inuyasha, che dormiva placidamente e russando sul divano, sentendo la puzza asfissiante che si diffondeva nel locale, si svegliò con un gemito sconsolato, e scacciò con la mano quell’odore acre che gli pungeva le narici:”Ryuga, ma devi proprio fumare anche di prima mattina?!” Piagnucolò, premendosi un guanciale sul viso. Ryuga rimase impassibile:”Se ti da fastidio, cambia stanza”. Quello si alzò di colpo, tirandogli il cuscino con forza:”Sei impossibile!” Gli ringhiò addosso, incrociando le braccia al petto. Il trentacinquenne si voltò, un ghigno beffardo gli increspava le labbra:”Altrimenti non sarei io, ti pare?” Esalò l’ennesima boccata e gliela sputo subito in faccia, ben sapendo quanto Inuyasha soffrisse al solo sentire il fetore di una sigaretta; quello, infatti, prese subito a tossire, così tanto che non riuscì neppure a ribattere, per quanto volesse. Ryuga, soddisfatto di averlo messo a tacere, camminò verso la scalinata che portava al piano di sotto:”Vestiti, coglione. Non è un bello spettacolo vederti come mamma ti ha fatto” Lo prese in giro, per poi continuare mentre scendeva i gradini:”Ce l’hai piccolo!” Inuyasha gettò gli occhi al cielo, sbuffò sonoramente e si vestì a malavoglia, mentre da sotto cominciava ad affluire una meravigliosa fragranza di caffè.

 

Ryuga sorseggiava e degustava il suo consueto Lavazza mattutino, mentre sfogliava il quotidiano, prestando particolare attenzione alla sezione di economia e borsa. Inuyasha, invece, era seduto dall’altro capo del tavolino e beveva tranquillamente il suo solito infuso di tè alle erbe aromatiche, il quale intenso profumo puntualmente raggiunse e schifò il fratello:”Si può sapere come diavolo fai a tracannare quella roba?! Fratello, devi smetterla di ostentare le tue origini nipponiche. Occidentalizzati, per amor del cielo e del mio naso!” Sbottò, girando la pagina con un gesto di stizza. Quello, piccato, rispose per le rime:”Per tua informazione, anche tu sei Giapponese. E poi sei tu a doverla piantare di rimandare a casa le donne che porto da te per fare after! Non riesco a capire come tu faccia ad avere la vita sessuale di un bradipo! Se non ti conoscessi, direi che sei ancora vergine!” A questa affermazione, per poco Ryuga non si strozzò col caffè, tossì diverse volte prima di riprendere a respirare regolarmente. Infine ridacchiò, cercando di stemperare, ma aveva un’espressione tesa che, per fortuna Inuyasha non notò:”Già… che assurdità. Sai com’è… è solo che non mi piacciono le donne che ti scopi, ecco tutto” cercò di dissimulare, ma non fu affatto facile: Ryuga Kishatu era davvero vergine. Certo, aveva portato a casa alcune donne, ci aveva limonato e… Forse qualche preliminare, ma nulla di più. Probabilmente risulterà strano, perfino impossibile, eppure questa è la verità. Ryuga, a differenza degli altri suoi quattro fratelli, aveva deciso di perdere la verginità con una donna e una soltanto. Nonostante ciò, aveva sempre mantenuto un atteggiamento spavaldo e vanitoso con gli altri membri maschili della sua famiglia, vantandosi spesso delle sue innumerevoli avventure sessuali, per non risultare uno sfigato e un buono a nulla agli occhi di suo padre, il classico patriarca che comanda e pontifica su tutto; egli si era sempre pavoneggiato davanti ai suoi figli, definendosi uno sciupafemmine, uno di quegli uomini che fanno stragi solo con uno sguardo o un cenno del capo al momento giusto. Crescendo in un simile ambiente, maschilista e conservatore, la mentalità di Ryuga sarebbe sembrata un’aberrazione agli occhi dei suoi familiari, per questo non ne aveva mai fatto parola a nessuno tranne che a sua sorella Kairi. Con lei, fin da piccoli, aveva sempre potuto sfogarsi ; certamente questo suo pensiero era stato uno dei principali argomenti di dialogo che avevano affrontato, e sul quale si erano trovati assolutamente d’accordo. Tuttavia, non era affatto facile stare a contatto con un manipolo di uomini così dannatamente misogini senza sentirsi in imbarazzo. Ma, del resto, nel corso della sua vita Ryuga aveva appreso assai bene come mascherare i suoi pensieri, in tutti i campi. 

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, finché Ryuga posò il giornale:”Kairi mi ha chiesto di accompagnarla al centro commerciale, le servono degli abiti nuovi per la conferenza che suo marito terrà all’università” Inuyasha annuì:”Va bene. Ma ricorda che devi contattare quella ragazza. So che ti pesa, ma ha bisogno di una risposta, Ryuga” Alzò lo sguardo dalla tazza di tè, cercando gli occhi di lui che, però, voltò lo sguardo dall’altra parte:”Lo so bene, non c’è bisogno che me lo rammenti” Rispose, con fare sprezzante, alzandosi. Si prospettava una giornata particolarmente lunga e complicata.

 

Era con la testa fra le nuvole e l’avrebbe notato anche un cieco, figuriamoci sua sorella:”Trovo che questo abito nero, tra quelli che ho provato, sia quello che mi sta meglio!” Trillò Kairi dallo spogliatoio ma, non udendo alcuna risposta da parte di Ryuga, fece capolino dalla tendina:”Fratellone, ci sei?” Lo fissò preoccupata, e lui si riscosse:”Uh? Sì, ti sta benissimo, prendilo…” Lei si intenerì e uscì dalla cabina, avvicinandosi a lui:”Fratellone, sicuro di stare bene? Mi sembri strano. Lo sai che con me puoi confidarti” Dapprima Ryuga rimase scettico, pareva non aver compreso le sue parole, poi sospirò e si sedette sulla poltroncina adibita alla prova delle scarpe. Sua sorella gli posò una mano sulla spalla e lui la guardò:”Ho in ballo una faccenda… complicata. Molto” Kairi sorrise e provò a sdrammatizzare:”Devo sedermi?” Ryuga non rispose allo scherzo e lei iniziò ad allarmarsi:”E’ una cosa seria?” L’albino espirò:”Non riguarda me direttamente… O forse sì, non lo so, sono confuso!” L’ultima volta che l’aveva visto così scosso e frastornato, stretto fra il cervello e… Probabilmente il cuore, fu quando, in quinta superiore, dovette aiutarlo a decidere se iniziare la propria personale attività, o lavorare nell’azienda di famiglia:”Sai qual è il consiglio che ti do sempre, Ryuga, cerca di semplificare il problema, in modo da potermelo spiegare” Il trentacinquenne annuì:”D’accordo, cominciamo dall’inizio. Ieri ho fatto i colloqui per la nuova segretaria, mh? E…” Kairi lo interruppe:”Aspetta, che fine ha fatto la tua precedente assistente? Uhm… Quella Jennifer” Lui la guardò in cagnesco:”Non tocchiamo l’argomento. Dicevo… Solite ragazze tuttofare con le labbra a canotto, non ho ascoltato una singola parola di quello che dicevano. Poi, per ultima, si presenta una ragazza normalissima, perfino sciatta, che… Ha diciotto anni, vive da sola, non ha finito la scuola e ama la letteratura…” Sospirò pesantemente e scosse la testa, incapace di continuare, e prese a fissare un punto indefinito davanti a sè. Lei sorrise:”Vorresti assumerla” sentenziò cantilenando, e ricevette come risposta un sonoro sbuffo:”Come posso io affidare buona parte della mia amministrazione ad una ragazza che non ha neppure un diploma?” Kairi scrollò le spalle:”Perché rivedi te in lei e sai che quella ragazza possiede grandi potenzialità che, senza il tuo aiuto, andrebbero sprecate. Semplice, hai incontrato il tuo sosia al femminile, e vorresti evitare che vivesse una vita infelice e vuota” Come al solito, lei aveva capito tutto senza che lui dicesse nulla. Si sapeva, Ryuga non era mai stato bravo ad esprimere i suoi pensieri e le sue emozioni riguardo un argomento di discussione; per contrasto, lei era incredibilmente abile a captare i segnali di lui ed a trasformarli in un pensiero logico e razionale. L’albino sospirò e chiuse gli occhi, poggiando il viso sulle mani, e sua sorella si appoggiò a lui:”La decisione spetta a te, Ryuga, ma io ti dico una cosa: segui il tuo cuore. Il cervello può sbagliare per tanti motivi, ma raramente il cuore commette errori” Queste parole suonarono strane alle orecchie di Ryuga, cresciuto invece con la mentalità opposta. Ma, intanto, era mezzogiorno, e Lila ancora non aveva una risposta.

 

Ryuga rientrò a casa dopo tre ore di intensi allenamenti in palestra, servitigli per defaticare la mente e scaricare tutta la tensione accumulata nelle ultime ventiquattr’ore. Buttò il borsone sul letto e andò in bagno per fare una bella doccia e lavare via sudore e ansia. Mentre si insaponava e frizionava i capelli, ripensò alla malinconia di quella ragazza nell’esprimere ciò che aveva dentro, e non poté fare a meno di dirsi quanto una persona così sensibile e con valori così saldi e nobili, nonostante venisse da una famiglia a quanto pareva disastrata, non avrebbe potuto che essere una tosta lavoratrice e, se fosse rimasta indietro di qualcosa, l’avrebbe sicuramente recuperato. Uscì dal box doccia, si avvolse un asciugamano alla vita e con un altro si asciugò la chioma folta e fradicia. Fissò il cellulare, posato su una mensola vicino allo specchio, per diversi istanti. In quel momento, un solo quesito ronzava nella sua testa: sì o no? Sarebbe riuscito a dirle di no e, di conseguenza, a non vederla più? Ma, dall’altro lato, era pronto a fare un simile salto nel buio, affidandosi ad una persona non qualificata per quel lavoro? Come avrebbe vissuto se avesse rifiutato, ce l’avrebbe fatta a lasciarla andare senza avere ripensamenti né rimorsi? E, per contro, con quale coraggio l’avrebbe licenziata se lei non fosse stata all’altezza della situazione come invece lui aveva creduto? Sospirò e prese l’phone 6 Plus, e guardò l’ora: le cinque. Era in mostruoso ritardo, e ne era cosciente, non era corretto far aspettare oltre Lila, sia per un sì che per un no. Trasse un profondo respiro, alzò il mento con sicurezza e compose il numero di telefono: era la scelta più giusta da fare.

 

 

Faceva di tutto per non pensarci, nonostante camminasse freneticamente avanti e indietro per la stanza: se non l’aveva chiamata, significava che non era assunta. Basta, inutile continuare a rimuginarci. Eppure, qualcosa le urlava che in realtà lui stesse ancora riflettendo sulla sua situazione. Doveva averlo sconvolto parecchio, se ancora non era in grado di fornirle una risposta. Si stava mangiando freneticamente le unghie e tra poco sul suo pavimento si sarebbe formato un solco perfetto per coltivare patate. Si prese la testa fra le mani, cercando di scacciare la convinzione ossessiva che, in realtà, l’avesse scartata a priori ma che non sapesse come comunicarglielo. Sussultò e per poco non cadde a terra quando il telefono squillò. Lo afferrò con mano tremante, e premette il tasto per accettare la chiamata:”P-pronto?” Rispose con voce tremula e spezzata dall’ansia:”Sono Kishatu. Ho preso una decisione” Lila ingoiò i litri di saliva che covava in bocca:”S-sì, mi dica, sono pronta” E in effetti lo era, si era già preparata da tempo al peggio:”Ho deciso…” L’attesa la stava uccidendo:”Sì?” Un altro silenzio:”E’ assunta”

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Capitolo 3
*** Questione di Tenacia ***


“E’ assunta” Queste due parole rimbombarono a lungo in quella stanza così fredda e vuota, affine alla mente di lei, nella quale non si muoveva alcun pensiero. Il tempo era come bloccato, sospeso in una dimensione ampia e fluttuante, in cui nulla era tridimensionale ma, piuttosto, evanescente. Lila non respirava o, almeno, questo sarebbe sembrato a chiunque l’avesse vista in quel momento. Era tutto fermo, immobile, e lo sarebbe rimasto per secondi che, al povero cuore della ragazza, parevano anni. Dall’altra parte della linea non si udiva nulla, solo un flebile esalare regolare tipico degli esseri viventi.

D’un tratto, Lila si riscosse, ma solo dopo aver sentito la calda e soave voce di Ryuga domandare:”Signorina, tutto bene?” Lei, ancora impossibilitata a formulare un pensiero razionale e logico, biascicò un:”S-sì, ci sono” Al di là del ricevitore, Ryuga stesso trasse un sospiro di sollievo e, quando percepì nuovamente quel silenzio così pressante, riprese:”Dica qualcosa, per l’amor del cielo!” Avvertendolo visibilmente esasperato, Lila sbattè le palpebre e tornò subito in sé:”Grazie… Grazie! Grazie davvero, non… Non la deluderò, promesso!” La sua voce trasudava riconoscenza e voglia di dimostrare il suo valore, cosa che, alle attente orecchie di Ryuga, non sfuggì. Lila fu sicura che lui stesse sorridendo:”Molto bene, allora. La aspetto domani mattina alle otto in punto. Veda di essere puntuale, non tollero ritardi” Rispose con voce asettica, distaccata, autorevole. Meglio chiarire le cose fin da subito, si disse l’albino, il quale stava formulando pensieri poco ottimistici riguardo la carriera della sua nuova segretaria. Nonostante avesse deciso di assumerla, infatti, lui la stava soltanto testando, voleva sondare il terreno, voleva vedere e sperimentare la sua resistenza. Era una prova di forza e testardaggine fra il principe e la serva; se Lila fosse riuscita a vincere, il posto sarebbe stato suo permanentemente. Ora vi starete chiedendo se Ryuga usasse questo sistema dannatamente estenuante con tutte le segretarie. La risposta è no.  Ma allora, perché comportarsi così solo e soltanto con lei? Perché, anche se lui non l’avrebbe mai ammesso né ad altri né a sé stesso, quella ragazza l’aveva colpito nel segno, scosso nel profondo. Non sapeva perché, non sapeva come, sapeva soltanto che, in circostanze analoghe ma con un’altra persona, appena questa si fosse presentata a quel modo nel suo ufficio, l’avrebbe cacciata senza esitazione. In lei, invece, aveva visto passione, umiltà, intelligenza. Una profondità di concetti che non si sarebbe mai aspettato. Ecco, allora, la verità: l’aveva sorpreso. Una cosa che non accadeva ormai da… Non se lo ricordava neppure. Non poteva permettersi di sentirsi confuso, distratto e, di fatto, auspicava che lei mollasse. Era una cosa davvero intollerabile che, solo una singola persona apparentemente misera, fosse riuscita ad attirare la sua attenzione: era una cosa che andava stroncata sul nascere. Nonostante ciò, una piccola, recondita e remota parte del suo cuoricino, ormai freddo e in disuso da anni, sperava che lei resistesse e rimanesse con lui. Più lui cercava di reprimere e cancellare questa voglia malsana, quell’angolo così gelosamente custodito da porte blindate in acciaio, scalpitava per prevalere sul suo lato razionale e responsabile. Una lotta interiore estenuante, che l’aveva portato quasi alla pazzia, e che aveva guidato la sua mano verso l’Iphone e la stessa che l’aveva quasi costretto a digitare quel dannato numero di telefono.  Lila, dal canto suo, era sempre stata una persona dubbiosa e insicura di sé, anche e soprattutto per l’ambiente nel quale era cresciuta, e la prospettiva di dover affrontare una simile responsabilità la terrorizzava. E se Ryuga si fosse sbagliato sul suo conto? Se fosse stata talmente incapace da combinare un pasticcio dietro l’altro? Non sarebbe di certo stata la prima volta. Nel suo paese, piccolo per quanto fosse, lei era soprannominata “Lila, il disastro ambulante” tanto che, quando andava a scuola, i suoi compagni la salutavano con un baldanzoso:”Ehi disastro!” Si sapeva, la piccola Dalila era talmente timida e imbranata da inciampare su qualunque buccia di banana si fosse trovata per terra. Anche con le relazioni era la stessa cosa, aveva ben pochi amici e, nel corso della sua vita, era stata con un solo ragazzo, che aveva mollato quando era partita per New York. Solo una persona le era stata sempre accanto ed era capace di comprenderla con un solo sguardo, la figlia di suo zio, sua cugina Julie. Con lei era sempre stato tutto fin troppo facile, si vedevano e si capivano, senza bisogno di parole superflue. Lila ci aveva sofferto da morire quando Julie dovette trasferirsi nel Nevada per il lavoro del padre. Tuttavia il loro rapporto non si era per nulla affievolito; certo, si vedevano solo nel weekend, quando andava bene, ma lettere, poi messanger e infine whatsapp le avevano tenute unite. Ma qui non si parlava di sua cugina, e quel posto non era Auburn, la sua città di provenienza, di circa duemila abitanti… In quella nuova realtà, dove anche una formica sembrava un gigante, perfino un lavoro da segretaria sembrava spaventoso e angosciante. Soprattutto se il tuo capo è un figo da paura che possiede un patrimonio superiore a quello di uno sceicco arabo. Per la prima volta da quando si era trasferita, Lila si ritrovò a rimpiangere Auburn, coi suoi quattro negozi sul viale principale e la scuola superiore composta solo di quattro sezioni che si alternavano di anno in anno. Cosa avrebbe fatto? Come si sarebbe comportata? Cosa avrebbe indossato? Avrebbe fatto le scelte giuste? Domande che, quando ancora abitava nel suo piccolo mondo, non si era mai posta. Le piombava tutto addosso così in fretta che non aveva avuto neppure il tempo di passare da euforica a terrorizzata. Non sapeva nemmeno come sentirsi. Abbassò lo sguardo, avvertendo già quel terribile senso di inadeguatezza che, da quando si trovava lì, la attanagliava quasi sempre, e si sedette sul divano:”Certo, otto in punto, niente ritardi” Ryuga non se la sentì di proseguire quella conversazione così… Bizzarra:”Buona serata, a domani” Lila trovò la forza per rispondere un cortese:”A domani” Nessuno dei due chiuse, calò ancora il silenzio. Poi, incredibilmente, l’albino parlò:”Lila?” La ragazza, già scossa e ancora più sorpresa che l’avesse chiamata così e non col suo vero nome, rispose:”Sì…?” Dopo qualche secondo, lui parlò:”Cerchi di mangiare qualcosa, le farà bene” Pronunciate queste parole, il trentacinquenne si affrettò a concludere la chiamata. Si schiaffò una mano in fronte, cos’era appena successo?! Che diavolo gli era saltato in mente per dire una cosa simile?! Da quando si preoccupava così per una persona qualunque? Probabilmente quella frase non l’avrebbe rivolta neppure a suo fratello. Aveva smesso di struggersi per le persone tanti e tanti anni fa. E allora, da dove gli era uscita quell’intimazione così accorata? Non se lo spiegava, non riusciva a darsi una risposta che lo soddisfacesse. Si sedette sul letto, abbastanza scosso e angosciato, e si prese la testa fra le mani: a quanto pareva, la doccia non era servita a granchè. 

Lila era pietrificata. Aveva ancora il vecchissimo cellulare Nokia apriechiudi, come lo chiamava Julie, attaccato all’orecchio, come se le parole appena pronunciate da Ryuga fossero imprigionate in quella scatolina e lei non volesse lasciarle sfuggire, per nessuna ragione al mondo. Si era preoccupato per lei…? Nemmeno suo padre le aveva mai consigliato di mangiare, e sicuramente non era tra i suoi pensieri il pranzo di Lila. Da dove veniva quella apprensione così sincera? Cosa avesse mai fatto per meritarsela PROPRIO DA LUI, non le era assolutamente chiaro. Di una cosa, però, era certa: non era stata una cosa ragionata, gli era venuto di getto pronunciare quella frase tanto dolce. Questo, se possibile, non fece che alimentare il suo dubbio, dato che lei sapeva perfettamente che, in una situazione normale, Ryuga non si sarebbe mai esposto così tanto. Indi per cui, in quell’istante di tenerezza idilliaca, lui aveva ragionato col cuore e non con la testa. Ma allora cosa gli diceva il cuore? Lila si grattò freneticamente la testa, conscia del fatto che, trattandosi proprio di quella persona, novanta su cento non avrebbe trovato risposte, a meno che non glielo chiedesse… E, anche in quel caso, non era affatto detto che lui le avrebbe risposto… Che macello, si disse, aveva a che fare con un soggetto incomprensibile. Certo, anche lei non aiutava con la sua timidezza, però diamine! Ryuga non lasciava trasparire nulla. Si rannicchiò su sè stessa, abbracciando le ginocchia e infilandoci la testa in mezzo. L’indomani alle otto… Non ci voleva neppure pensare.

 

Si guardò allo specchio e, come al solito, si trovò scialba e sciatta.Non era vestita male, semplicemente… Le sembrava poco formale indossare una camicetta a fiori, un paio di jeans e delle vecchissime All Star bianche. D’accordo, non aveva le disponibilità economiche per acquistare abiti migliori, ma anche presentarsi così il primo giorno di lavoro… Di fatti, quando varcò la soglia dell’ingresso, tutti gli occhi si posarono su di lei e sul suo abbigliamento. Notandolo, Lila diventò un tutt’uno con la tappezzeria, e affrettò il passo per raggiungere l’ascensore. Stringeva al petto una cartelletta color beige, contenente la carta di identità, che si era fatta fare il giorno prima, e alcuni fogli bianchi, nel caso le servisse… che so, prendere appunti? Non aveva idea di cosa volesse dire fare la segretaria, l’aveva solo visto in alcuni film, ma nel pratico non sapeva in cosa consistesse e quali compiti prevedesse, e sopratutto era sicura di avere molto da imparare. Appena le porte dell’ascensore si spalancarono, lei cercò di assumere l’aria più seriosa e sicura di sè che riuscisse ad ostentare, ma il risultato lasciava decisamente a desiderare. Una volta di fronte alla porta dell’ufficio del suo novello capo, trasse un respiro profondo e bussò. Qualche istante dopo, da dentro, giunse un:”Avanti!” che convinse Lila ad entrare. Si chiuse la porta alle spalle, e sussurrò timidamente:”Buongiorno, signor Kishatu” Ryuga, il quale stava già programmando di mettere in atto il suo piano… Diabolico, decise di tralasciare sull’abbigliamento di lei: non era carino infierire su una simile situazione economica, e lui non voleva certo essere scortese, ma solo sospettoso. Rispose al suo saluto con un cenno del capo:”Buongiorno a lei. Vede quella porta scorrevole alla sua destra?” Lila si voltò immediatamente verso la direzione indicatagli e riscontrò di non aver mai fatto caso alle due ante adiacenti collocate sulla parete. L’albino proseguì:”Lì dentro troverà un’uniforme, costituita da un tailleur, una giacca e un paio di scarpe con tacco. La prenda e la indossi, può cambiarsi nel bagno. Da ora in poi, voglio che lei la indossi ogni qualvolta metterà piede in ufficio. Sono stato chiaro?” La ragazza, colma di riconoscenza per averle procurato lui una divisa adatta e averle tolto l’incombenza di sceglierne lei una, annuì sorridendo:”Grazie mille, faccio subito” E così fu. Prese i vestiti, andò in bagno e si cambiò. Poi, naturalmente, si ammirò allo specchio: non era nulla di speciale, sia il vestito che la giacca erano grigio topo, mentre le scarpe erano nere. L’unico particolare che a Lila andava di traverso erano proprio queste ultime, dato che lei non aveva mai portato tacchi in vita sua. Si barcamenò fino all’ufficio, facendosi ridere dietro da Abigail, abituata invece a fluttuare su quei… Cosi. Per quanto Ryuga si sforzasse di mantenere un profilo freddo e distaccato, vedendola così, trattenne a stento una risata, che dissimulò schiarendosi la voce:”Non ci è abituata, vero?” Pose questa domanda retorica per il puro piacere di sentirglielo dire, lei sbuffò:”Cosa le sembra?!” Si pentì immediatamente di essere stata tanto indisponente, infatti si tappò velocemente la bocca e abbassò il capo:”E-ehm, volevo dire… No, signore, non ci sono abituata. Non ho mai portato tacchi” L’albino inarcò il sopracciglio, gesto che, Lila avrebbe presto imparato, significava intensa perplessità; ancora una volta, tuttavia, decise di passare sopra alla sua risposta arrogante. Non sapeva perché, ma gli veniva spontaneo abbonarle tutto. No, doveva diventare più rigido, se voleva avere una speranza  di poterla liquidare:”Che non ricapiti mai più una cosa simile. Non tollero l’anarchia né tantomeno la maleducazione nel mio ufficio. Non glielo ripeterò una seconda volta” E di nuovo la diciottenne si sentì sprofondare sotto il peso del suo sguardo accusatore, annuì sommessamente:”Scusi ancora…” Il trentacinquenne sospirò, fingendosi estremamente contrariato:”Non tollero questi atteggiamenti, se lo ricordi. Ora, mi porti un caffè forte con cinque zollette di zucchero, e veda di sbrigarsi!” Nell’impartire quest’ordine, usò il tono più perentorio che sapesse utilizzare, tanto che fece scattare Lila sull’attenti. La poverina non sapeva nemmeno l’ubicazione della macchinetta del caffè, e fu costretta a chiedere informazioni ad Abigail, la quale, ovviamente, le rispose con sufficienza.

Ci furono alcuni problemi con la macchinetta, Lila dovette addirittura chiamare il tecnico specializzato, dato che non scendeva la bevanda. Alla fine, tornò da Ryuga dopo venti minuti, rischiando di cadere infinite volte a causa di quelle maledette scarpe. Col fiatone e i capelli spettinati, posò il bicchierino sulla sua scrivania. Ryuga le buttò un fugace sguardo, poi si portò la bevanda alle labbra, e Lila attese il suo fatidico responso. Dopo qualche secondo di degustazione, l’albino sentenziò:”E’ amaro, le avevo detto cinque zollette” La ragazza cominciò a tremare ed a balbettare:”S-scusi… Io… Ero convinta fossero cinque, ma poi… C-ci sono stati dei problemi con la macchinetta e…” Il trentacinquenne alzò gli occhi su di lei, fissandola severo:”Non scarichi le sue responsabilità su altro, tenga gli occhi sulla palla: ha sbagliato, lo ammetta. E’ cosa matura riconoscere i propri sbagli” Dichiarò, lasciando cadere il caffè direttamente nel cestino. Lila strinse le mani in grembo e chinò il capo:”Scusi, ha ragione. La prossima volta farò più attenzione” Ryuga, fiero di aver cominciato a metterla in difficoltà, scandì:”Primo giorno.”

 

La giornata per Lila fu lunghissima e logorante. Qualsiasi cosa facesse, al suo capo non andava bene, l’avrebbe voluta in un altro modo. Cominciava a chiedersi se l’alternativa fosse Miss Assorbenti, in tal caso non avrebbe mai retto il paragone. Per grazia divina, l’orologio scoccò le cinque, orario in cui lei smontava. Cominciò a riordinare le sue cose, quasi certa che lei, in quell’ufficio, non ci avrebbe mai più messo piede. Fu come aveva pensato, lei non era all’altezza di un incarico simile; in più, come se non bastasse, aveva deluso l’unica persona che avesse mai creduto in lei. Mentre sospirava, rimuginando su queste cose, Ryuga si parò davanti alla sua scrivania, facendole prendere un accidente. Inspirò di colpo quando lo vide, poi si posò una mano all’altezza del petto:”Scusi, mi ha spaventata…” L’albino assunse un’aria sorniona:”Di solito le donne le ammalio, non credevo di essere così brutto da far spavento” A quelle parole, Lila avvampò su guance e orecchie:”N-n-no, si figuri, non intendevo quello… E’ solo che… Lei si è presentato così, di colpo, e io credevo…” Il trentacinquenne non la fece concludere:”La aspetto domani mattina alle otto, come sempre” La ragazza rimase a bocca aperta:”Ma… Io credevo che mi avrebbe licenziata!” Ryuga, il quale stava tornando verso il suo ufficio con le mani giunte dietro la schiena, si bloccò, e voltò poco il viso per domandarle:”E cosa glielo ha fatto pensare?” Lei guardò a terra, e prese a spellarsi le mani:”Beh, ecco… Non ho combinato nulla di buono, ho sbagliato tutto” In un secondo, le fu di nuovo davanti, questa volta ad un palmo dal viso:”Impari a guardarmi negli occhi quando parla, non sopporto che gli occhi vaghino altrove” Detto questo, si allontanò per fissarla con alterigia:”Sì, è vero, ha sbagliato tutto. Dalla prima all’ultima cosa. Ma, dopotutto, è ancora qui, non è scappata. Questo le fa onore, riconosco, ma si ricordi che siamo solo al primo giorno” L’ultimo inciso lo pronunciò con cattiveria, come se avessero aperto un vecchio conto in sospeso. Il rumore della busta bianca, contenente lo stipendio di Lila, perché Ryuga era uno degli unici che pagava i dipendenti a giornata e non a mese, sbattuta con forza sulla scrivania di lei, produsse un eco sordo che si propagò per tutto l’atrio del piano attico. Rimasero a fissarsi per secondi che parevano secoli, fin quando l’albino si allontanò nuovamente, sistemandosi il nodo della cravatta:”Buona serata, Dalila” Pronunciò il suo nome quasi schifato, mentre si ritirava nel suo antro… Ehm, ufficio, lasciando la povera Lila con un palmo di naso.

Appena entrata in casa, non prima, aprì la busta con mano tremante… Ottomila dollari?! Cioè lui la stava pagando mille dollari all’ora?! No, non era possibile, doveva esserci di sicuro un errore. Non era mica una principessa lei, e il suo tempo non valeva certo oro. Allora perché tutti quei soldi? Certo, non le facevano schifo, ma… Non le pareva giusto, era davvero troppo. Dopo averli contati ed essere sicura della cifra, li rimise al loro posto, e si sedette sul letto. L’indomani avrebbe chiesto spiegazioni, senza ombra di dubbio.

 

“Ryuga, sono le due di notte… Che c’è?” Rispose al telefono Inuyasha con voce impastata dal sonno:”Non ha mollato.”
“Che?! Tu sei pazzo, fratello, fottiti e torna a dormire”

“No, pezzo di stronzo, è una questione di principio. Domani vedrai che bell’accoglienza le farò, ho già un piano. Mollerà, te lo assicuro”

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Capitolo 4
*** Azioni Affrettate ***


Fantastico. Davvero fantastico. La giornata era cominciata malissimo per la povera Lila, svegliatasi con venti minuti di ritardo a causa delle ore piccole fatte la sera prima per sistemare le pratiche che non era riuscita ad archiviare a lavoro. Era così assonnata che, per un soffio, non uscì in ciabatte, facendosi ridere dietro da tutto il vicinato. Si vestì di corsa, rischiando di inciampare su un cuscino che aveva buttato a terra la sera prima, causa un piccolo ragno che vi zampettava allegramente sopra. Le facevano davvero schifo gli insetti, probabilmente tanto quanto gli egoisti e i fedifraghi. Infilò i tacchi a fatica, i piedi erano ancora gonfi e dolenti dal giorno prima, ma si sforzò di ignorarli. L’unico pensiero che le martellava in testa dalla sera precedente e che l’aveva tenuta alzata fino a tarda notte erano i soldi che Ryuga le aveva consegnato come stipendio. Non si capacitava di come una simile somma potesse essere così facilmente elargita; in effetti un’ipotesi plausibile le era venuta in mente, ovvero che lui la volesse mettere alla prova, per vedere se fosse stata così onesta da restituirglieli. Trattandosi proprio di lui, un ragionamento così pernicioso non era da escludere, in fondo sembrava facesse di tutto per metterla in difficoltà, era palese. Per verità, Lila era convinta che lui attuasse questo sistema con tutte, essendo un uomo tanto raffinato quanto rigido, perciò non se ne crucciava, ma pensava solo ed esclusivamente a compiacerlo il più possibile. 

Sospirò mentre si abbottonava la giacca di seta finissima che lui, gentilmente, le aveva regalato il giorno prima, assieme al tailleur e alle scarpe. Poco prima di infilare la porta, si ricordò di avere alcuni spiccioli nella borsetta, che le sarebbero serviti per prendere un santissimo caffè, senza il quale, probabilmente, non sarebbe riuscita ad affrontare l’ennesima sfibrante giornata di lavoro. Allora era di questo che parlava sua madre quando si lamentava della monotonia di essere un dipendente? Lila credeva di cominciare a comprendere le sue parole… Sopratutto se il tuo capo  era Ryuga.

Comunque, quella della caffeina era un’ottima idea. Mentre scendeva le scale frugò nella borsetta, alla spasmodica ricerca di un dollaro e qualche cents, trovandoli solo nella tasca. Fece una corsa assurda per arrivare al bar e ordinare rimanendo in tabella di marcia:”Un caffè, grazie Patrick” Il proprietario di quella piccola caffetteria era un vecchio amico di famiglia, e Lila andava spesso lì per scroccare qualcosa da mangiare; dal canto suo, Patrick, il panciuto e barbuto proprietario, era felice di poterla aiutare:”Certo, ma… Si può sapere dove stai andando? Devi per caso incontrare il presidente? Non è che me lo presenteresti?” Scherzò, mentre preparava la bevanda, Lila ridacchiò:”Che tu ci creda o no, ho trovato un lavoro come segretaria” Rispose lei, mentre si sedeva sullo sgabello davanti al bancone, poggiando la testa sulla mano. Patrick le servì il caffè:”Ehi, felice per te, piccola! Chi è il tuo capo?” Lei, a questa domanda, si morse il labbro e giocherellò con il manico della tazzina:”Beh… Che ne diresti se… Lui fosse Ryuga Kishatu?” L’omone lasciò cadere il bicchiere che stava pulendo con uno straccio, frantumandolo al suolo, assieme alla sua mascella:”Che… Non è uno scherzo, vero?” Scosse la testa:”No, no, tutto reale al cento percento” Il baffuto proprietario era sconcertato e, in minima parte, preoccupato:”Un giorno mi racconterai come ti sei cacciata in un tale pasticcio” A proposito di pasticcio! Lila era in un ritardo mostruoso, Ryuga l’avrebbe di sicuro cacciata se lei fosse entrata in ufficio anche solo alle otto e cinque. Nel tentativo affrettato di finire il caffè velocemente, si ustionò la lingua per quanto era bollente e, in un gesto istintivo, mollò la presa, facendo rimbalzare la tazzina sul piattino. Questo rinculo produsse uno schizzo, che andò a riversarsi direttamente sulla giacca di Lila, creando una quantomeno imbarazzante e mastodontica macchia marrone. La ragazza, vedendola, inspirò di colpo ma, non avendo il tempo materiale per rimediare a quello scempio, cercò di pulirsi con un tovagliolo, aggravando soltanto la situazione. Buttò un fugace sguardo all’orologio: le otto meno venti. Aveva il tempo contato, se guardava alle sue spalle avrebbe perfino potuto vederlo correrle dietro come un forsennato. Si alzò piagnucolando, e mise la borsetta in spalla:”Devo andare, Patrick, grazie ancora per il caffè” Disse, già col fiatone, posandogli i soldi sul bancone. Patrick, che aveva osservato tutta la scena ma che non ebbe tempo di commentare, le urlò dietro mentre lei usciva:”Aspetta, piccola, non vuoi pulirti?” Troppo tardi, lei era già lanciata in strada a tutta birra. Con quei tacchi era decisamente un azzardo correre così, ma non aveva scelta, se voleva avere speranza di arrivare in orario. Di sicuro Ryuga l’avrebbe scuoiata e poi bruciata per aver sporcato la divisa, ma sempre meglio avere la giacca macchiata che arrivare in ritardo, dato che avrebbe potuto levarsela con la scusa di avere caldo. Per fortuna trovò tutti i semafori rossi per le automobili, così poté attraversare senza impicci, un momento di grazia in quella giornata cominciata in modo pessimo. 

La cosa spiacevole, in verità, fu che nell’arco di solo due giorni si era fatta vedere dai buttafuori ansante e madida di sudore, tanto che questi ormai non ci facevano più caso, e anzi, si lasciavano sfuggire un sorrisetto quando lei arrivava, piegata su sè stessa, davanti a loro. Questa volta, però, dato che cominciava ad abituarcisi, Lila si ricompose quasi subito, ed entrò in ufficio. Come sempre, i dipendenti si girarono al suo passaggio, ma non per scherno, quanto per… Sorpresa e, nel caso dei maschi, apprezzamento; giunsero anche dei fischi da alcuni angoli del lungo corridoio. Purtroppo, però, la diciottenne era troppo timida per credere che fossero rivolti a lei, e li ignorò, proseguendo fino all’ascensore. Premette il pulsante per salire all’attico e si morse il labbro, cominciando a riflettere su una scusa possibile nel caso in cui lui le avesse chiesto conto del disastro che, praticamente, urlava:”Guardami!” Dalla sua giacca di sartoria. Chissà quanto gli doveva essere costata! Ecco che i sensi di colpa iniziarono ad assalire la povera ragazza, già abbastanza mortificata.

Mentre l’ascensore portava a termine la sua corsa, Lila iniziò a sentirsi il cuore martellarle nel petto e il fiato corto, cosa che le accadeva spesso quando si accingeva a dare una brutta… Pessima notizia. Ecco che le porte si aprivano, chiuse gli occhi, pregando Dio per l’ultima volta. Mise un piede fuori e, tutto d’un fiato, disse:”Signore, mi perdoni infinitamente per la giacca, è stato un incidente!” Non udendo alcuna risposta, aprì gli occhi. Lo spettacolo che le si parò davanti fu peggiore di qualunque patacca avrebbe mai potuto farsi. 

Ryuga e Abigail stavano… Limonando, sì, non c’è altra espressione per definire il loro atto. Si scambiavano effusioni, si baciavano sul collo, slinguazzavano… Inutile dire che la mascella della diciottenne era diventata un tutt’uno con la moquette. Non sapeva perché, ma la cosa non la infastidiva… Semplicemente la faceva imbestialire! Come aveva osato quel… Quel… Non sapeva neppure come definirlo. Maschilista, egocentrico, schifoso… Ehi, un momento. Lila si trovò a riflettere sul fatto che non avesse alcun motivo per dare così in escandescenze. In fondo, Ryuga non era suo amico, né un suo parente, tantomeno il suo ragazzo! Aveva il diritto di limonarsi e farsi qualunque ragazza attirasse la sua attenzione. Ma allora, perché se li vedeva così, le saliva il sangue alla testa? Forse perché Miss Assorbenti era seduta sulla sua scrivania, o forse perché quello non era certo il luogo per scambiarsi simili effusioni… No, no, non aveva a che fare con nessuna di queste due ipotesi. Per quanto non volesse riconoscerlo, Lila era dannatamente, irrimediabilmente, terribilmente gelosa. 

Esatto. Gelosa. Ma di cosa? Lei e Ryuga non avevano alcun tipo di rapporto, non intrattenevano nessuna relazione interpersonale. Eppure lei si stava rodendo il fegato. Non poteva credere che una simile sciacquetta fosse il tipo di un uomo così… Così… Apprezzabile, colto, raffinato. Ma, stando così le cose, era possibile che lei si fosse totalmente sbagliata sul conto di lui; davvero, un gesto del genere, di una tale volgarità, se lo sarebbe aspettato da tutti, ma certo non da Ryuga Kishatu. 

Era pietrificata, gelata, ghiacciata sul posto. Solo una cosa si muoveva, le lacrime che cominciavano a fare capolino dai suoi occhi. La cosa peggiore, era che Ryuga l’aveva osservata per tutto il tempo. Aveva studiato ogni suo singolo gesto, mossa, espressione facciale. Ce l’aveva fatta, l’aveva spezzata, le aveva distrutto quell’entusiasmo così fastidiosamente pungente. Del resto, si sapeva, lui era sempre stato un asso per quanto concerneva le persone; le capiva, le studiava, le scrutava fin nel profondo e, quando ormai aveva fatto credere loro di essere un amico, un confidente, una spalla su cui appoggiarsi nelle difficoltà, le lacerava nel profondo, lasciando in essi una cicatrice permanente, ardua da dimenticare e impossibile da cancellare. E loro mollavano. L’avevano sempre fatto. Cedevano, affrante, devastate, impossibilitate a continuare; su questo aveva costruito il proprio impero, sul fallimento degli altri, sulle loro debolezze. Questa era sempre stata la sua filosofia di vita: prendi i punti morti delle persone, e trasformali nella tua forza. 

Era diventato invincibile, la sua armatura di acciaio brillava fiera attraverso il ghigno beffardo che, con tanta alterigia, lui ostentava. E quel momento non faceva attenzione.Aveva notato che la diciottenne vedeva in lui una sorta di pigmalione, un dio greco, un pilastro solido sul quale appoggiarsi in una vita di incertezze e stenti; lo credeva un puritano, una persona di principi, uno di quegli uomini che non cedono a lussuria e ingordigia; fece leva proprio su questo, puntò al centro, vaporizzando quel ritratto sì tanto perfetto che lei si era dipinta, e si mostrò per ciò che era  davvero: uno stronzo, egoista e meschino opportunista, che faceva di tutto per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato. Si staccò da Abigail, gli aveva fatto schifo limonare con lei, ma era per una causa più che giusta. Fissò Lila, fingendosi… Mortificato? E, con voce melliflua, cantilenò:”Dalila, sono desolato, non pensavo sarebbe arrivata in orario…” Osservò a lungo la sua reazione, ma non riuscì a carpire alcun dettaglio, dato che lei non muoveva un muscolo. 

Plick. Sordo, freddo, distante dalla dimensione reale delle cose. Quella lacrima così ricolma di dolore, frustrazione e disgusto echeggiò per minuti nell’ambiente circostante. Probabilmente Lila non si era nemmeno accorta di essersela lasciata sfuggire proprio davanti a lui. Per attimi lunghi come anni nulla si mosse, fatta eccezione per l’espressione di Ryuga, che mutò da sorniona a stupefatta. Cosa… Perché una sola singola lacrima lo stava così schiacciando nel profondo? Si sentiva il petto stretto in una morsa di ferro, a stento riusciva a respirare. Non era la prima volta che distruggeva i sentimenti di una persona, ma allora perché con lei, dopo aver visto quella perla salata sgorgare giù da quegli occhi così puri ed innocenti, si sentiva una merda per averlo fatto? Nel suo cuore non vi era fierezza, né spavalderia, né orgoglio, ma solo una grande, incolmabile tristezza. Si stava rendendo conto solo in quel momento della gravità del suo gesto. E lei, finalmente, avrebbe mollato. Credeva che si sarebbe liberato di un peso, pensava… Di poterla cacciare fuori dal cuore a pedate, invece l’aveva soltanto fatta affondare, e con lei tutta la barca. 

 

Sbatté le palpebre un paio di volte, tentando di razionalizzare quanto stava accadendo attorno a lui, e cercando di trovare parole adatte a… Scusarsi? Ma con che faccia avrebbe potuto chiedere perdono? Per una cosa che, per altro, fino a poco prima lui non considerava nemmeno spregevole.  Alzò di nuovo lo sguardo, sentendosi un verme:”Lila, io…” Anche lei si riscosse, sentendo di nuovo la sua voce cambiare colore, dallo sprezzante al desolato. Cosa avrebbe potuto… Dovuto rispondergli? Non c’era nulla da aggiungere al teatrino al quale aveva appena assistito. Non voleva  più vedere lui, né Abigail, né quel dannato posto. Non tanto perché lui se la fosse sbattuta, quello… Purtroppo, era nelle sue facoltà. La cosa che l’aveva distrutta era la frase che lui aveva pronunciato quando l’aveva vista sulla soglia, come se, di lei, non gli importasse né gli fosse mai importato qualcosa. 

Ecco che si era illusa di nuovo. Quando le aveva intimato:”Mangi qualcosa, le farà bene” Lei aveva creduto che lui se la fosse presa a cuore, che… Per una volta nella sua vita, avesse incontrato qualcuno che avrebbe potuto prendersi cura di lei, che avrebbe potuto aiutarla e addirittura tirarla fuori dalla sua situazione. Stronzate. Per l’ennesima volta, qualcuno si era tranquillamente preso gioco di lei. L’aveva elevata ad un piano superiore, l’aveva fatta sentire voluta e desiderata, perfino indispensabile. E ancora, dopo diciotto anni, qualcuno era riuscito a frantumare quella piccola parte del suo essere che ancora credeva nel prossimo. Lo sprezzo con il quale l’aveva presa in giro, dicendole:”Sono desolato” Le aveva spezzato il cuore.

Dopo un lungo istante, chinò il capo, per evitare che lui vedesse altre lacrime colare copiose sulle sue guance:”Scusi, devo andare…” Detto questo, fece dietrofront e rientrò nell’ascensore, increscioso testimone della tragedia testa consumatasi in quell’atrio così bigio. Ryuga allungò una mano, come per trattenerla dall’inevitabile, ma fu inutile. Fissò per diversi minuti le porte ormai chiuse, senza emettere un suono, imprigionandosi con le sue stesse mani in un silenzio religioso, che fu puntualmente spezzato dal perfido commento di Abigail, che si stava tranquillamente rifacendo il trucco davanti ad uno specchietto portatile:”Che le sarà mai preso, mah, vai a capirle queste provinciali” 

I pugni di Ryuga si serrarono in una morsa, così potente che dal suo palmo cominciarono sgorgare piccole goccioline del sangue, simbolica epistassi del suo cuore:”Vada a farsi fottere!” Le ringhiò in faccia, gettandole addosso la pila di fogli sistemata sulla scrivania di Lila. Poi si avviò con ampie falcate verso l’ufficio e, una volta dentro, sbatté con forza la porta. In tutto questo, Abigail scrollò le spalle, soddisfatta di aver ottenuto ciò che da mesi bramava, ovvero un po’ di attenzioni di stampo erotico da parte del suo avvenente capo. In quel momento, sembrava l’unica serena.

 

Lila osservava con sguardo vitreo il fondo del bicchierino di caffè, ormai vuoto da dieci minuti. Era il terzo che beveva, escluso quello preparatole da Patrick. Aveva finito le lacrime ormai da un pezzo, e sentiva la gola terribilmente secca. Per la prima volta da quando era arrivata lì, si ritrovò a  pensare che Ryuga avesse escogitato tutto quel putiferio per vederla piegata ai suoi piedi, per avere la soddisfazione di osservarla mentre andava via, mentre mollava. In effetti, si era verificato esattamente ciò che lui aveva previsto, probabilmente aveva perfino goduto nel vederla piangere; ancora non si era perdonata quella lacrima, sfuggita al suo controllo, un po’ come la sua vita. 

Cosa le diceva sempre Julie in quelle situazioni? “Cerca sempre il rovescio della medaglia, non tutto è come sembra”, beh, lì c’era ben poco da fraintendere. Sospirò per la centesima volta, e giocherellò col cucchiaino di plastica nel bicchiere. Chissà quanto doveva fare schifo la sua faccia in quel momento. Gettò la testa all’indietro, ponendosi la fatidica domanda: che fare? Una cosa era certa: lei, per quanto il pensiero la nauseasse, aveva disperatamente bisogno di quel lavoro… Con tutto il trambusto di poco prima, si era totalmente dimenticata di chiedere delucidazioni sul suo esagerato stipendio… Un momento. Se lui la odiava al punto da cacciarla via con uno stratagemma così subdolo, perché retribuire così generosamente il suo lavoro? Avrebbe potuto pagarla una miseria, cosa che l’avrebbe di certo invogliata ad abbandonare. Oltre che stronzo, era dannatamente incoerente… O forse, dentro di lui, si alternavano due Ryuga, uno che voleva averla accanto e che sperava lei rimanesse, e un altro che invece voleva liberarsene a tutti i costi. Sia l’uno, che l’altro, avevano le loro buone ragioni che, per quanto si sforzasse, Lila non riusciva proprio a comprendere, dato che si conoscevano solo da pochi giorni. In ogni caso, questa risultava l’ipotesi più plausibile a giustificare due atteggiamenti così contrastanti.

La diciottenne si alzò, in preda ad una confusione totale: stando così le cose, come avrebbe dovuto comportarsi? Sospirò, ripensando di nuovo al fatto che, per vivere, aveva bisogno di lavorare e, finora, l’unica occasione che le si era presentata per riscattarsi era stata proprio… Ryuga. Che anche lui cercasse qualcosa di simile alla rivalsa? Che allontanasse le persone per non dover intrattenere con esse una relazione e, di conseguenza, non dover sbagliare né essere accusato di aver sbagliato? Se era vera la sua tesi, allora lei non aveva la benché minima intenzione di dar soddisfazione ad un Ryuga così stupido e… Fragile. No, doveva restare, anche solo per verificare di non essere in errore, lei aveva il dovere di rimanere.

Sapeva già che il suo capo l’avrebbe fatta soffrire, l’avrebbe atterrita e perfino maltrattata. Forse si sbagliava a vedere del buono in lui, forse avrebbe dovuto semplicemente andarsene e dimenticare quella brutta parentesi, ricominciare di nuovo da capo. No, non stavolta, si disse. Non finché non fosse stata matematicamente certa che lui fosse totalmente marcio. Decise di ascoltare il cuore, come le consigliava sempre Julie fin da quando erano bambine. Non poteva lasciare nulla di intentato, lei sarebbe stata la sua segretaria, e l’avrebbe aiutato a rinascere, a qualunque costo. 

Sorrise e si portò una mano al cuore, scalpitava di nuovo nel suo petto. Lanciando una cima di salvataggio a lui, sarebbe guarita anche lei, e questo pensiero rimosse dalla sua mente qualunque incertezza vagasse ancora libera. Sarebbe tornata da lui, e l’avrebbe fatto col sorriso, perché lei era la sua segretaria, e le segretarie sono sempre compiacenti con il loro capo.

 

Aveva la testa poggiata sulla scrivania. Non parlava, non si muoveva, non emetteva un suono. Ci era riuscito. Aveva appena mandato via l’unica persona che avesse mai attirato la sua attenzione, perché? Proprio per questo. Finora, era riuscito ad allontanare tutte le possibili fonti di distrazione senza alcun problema; ma ora, il peso che gravava sulla sua coscienza era così opprimente da togliergli il respiro. Emise un sospiro, e allungò la mano per accendere la radio. Alla stazione corrente davano Let Her Go, di Passenger. Spense subito, ora perfino la musica gli stava ricordando quale stupido gesto avesse compiuto. Battè un pugno sulla scrivania, facendola tremare e facendo cascare la penna che usava di consueto per compilare la burocrazia. 

D’un tratto, come un balsamo per le orecchie, giunse un bussare da fuori. Ryuga, che non aveva voglia di vedere nessuno, rispose:”Non ho voglia di vedere nessuno” Un momento… Dei suoi dipendenti, ce n’era solo uno che bussava tre volte invece che una. Alzò la testa, con gli occhi sbarrati, e da fuori giunse un:”Nemmeno la sua segretaria personale?” L’albino provò un turbinio di emozioni tutte insieme, e bofonchiò un:”Lila…?” Si alzò di colpo dalla poltrona in pelle, inciampando e rischiando di cadere, bestemmiando sotto voce, e si parò davanti alla porta. Prima di aprire, tuttavia, si pettinò adeguatamente i capelli all’indietro e si schiarì la gola, si aggiustò la giacca e, infine, tirò la porta verso di sé. La guardò con un sopracciglio alzato, mentre lei gli sorrideva compiacente. Se qualcuno li avesse fotografati in quel momento, sarebbero risultati spassosi agli occhi di chiunque:”Salve capo, le ho portato i documenti che non ho fatto in tempo a sottoscrivere ieri. Li controlli” Glieli passò Senza mutare espressione del viso.

Ryuga li prese, fissandola sospettoso, come se non capisse perché lei fosse ancora lì, e credendo fosse un trucco per avere qualcosa in cambio. Diede una rapida controllata a tutti i fogli, poi sentenziò:”Sì… Vanno bene” Lila ci rimase male, e fece il labbruccio:”Sicuro? A me sembrava che qualche firma non andasse bene” L’albino aggrottò la fronte, le si avvicinò e la fissò con due occhi enormi, sbattendo le palpebre diverse volte. 

Solo dopo che lei ebbe allargato il sorriso lui comprese il suo gioco. Fece finta di ricontrollarli, poi assunse l’aria più boriosa e schifata che riuscisse a dissimulare:”In effetti è un lavoro misero, mi aspettavo molto di più” La guardò di sottecchi e sorrise complice, lei si rianimò:”Davvero?! Ha ragione, mi metto subito all’opera per fare di meglio!” Trotterellò verso la sua scrivania, lasciando il trentacinquenne a fissarla con un’espressione a metà fra lo sconcertato e l’euforico. Poi scosse la testa, e tornò a sedersi al suo posto di comando. Riaccese la radio mentre piegava nuovamente la testa sulla pila di fogli, e partì la canzone Royals di Lorde. Lentamente, Ryuga alzò il collo, fissando la scatolina, per poi asserire:”Che, mi spii per caso?” Sospirò:”Come mi sono ridotto, a parlare con le radio!” Alzò gli occhi al cielo, e riprese a fare ciò che faceva di consueto, mentre il piede batteva a ritmo delle parole:”E noi non saremo mai reali, non scorre nel nostro sangue, quel genere di lusso non fa per noi”

 

Alla fine della giornata, quando il cielo ormai imbruniva, Lila si stiracchiò, felice di aver portato a compimento una mole di lavoro discreta. Era tornato tutto come alle origini, né più né meno. E questo, in fondo, era ciò che entrambi volevano, continuare così, fingendo di detestarsi e di non aver affatto bisogno l’uno dell’altra, anche se sapevano perfettamente di mentire. 

Sorrise mentre riordinava l’agenda degli appuntamenti di Ryuga, spuntando quelli confermati con una vi, cerchiando quelli in forse e sbarrando quelli cancellati. In quel momento, il trentacinquenne uscì dall’ufficio, passandosi una mano nei capelli. La guardò da sotto le folte sopracciglia con occhi scrutatori:”Ha terminato?” Le domandò incrociando le braccia; Lila ricambiò lo sguardo, annuendo, senza mai smettere di sorridere:”Tutto quanto. Posso andare?” L’albino annuì e le posò davanti la busta contenente lo stipendio. Ecco cosa aveva scordato! Approfittò subito per chiedere lumi:”Signore, scusi se mi permetto, ma… Questi soldi non sono un po’ troppi? Insomma… Praticamente mi sta pagando a peso d’oro” Disse, andando in diminuendo con la voce quando il suo sguardo si fece severo, e diventando più piccola di un topolino quando lui parlò con la sua voce imperiosa:”La smetta di sottovalutarsi, è una cosa che non tollero. In più, questo è lo stipendio minimo di tutti i miei dipendenti” Si addolcì leggermente:”Lo accetti e non faccia storie” Sentendolo più dolce, Lila sentì le gote imporporarsi e annuì leggermente, mormorando un timido:”Grazie…” 

La aiutò ad infilare la giacca e aggrottò le sopracciglia quando vide l’imbarazzante quanto mastodontica macchia di caffè spiccare sul grigio topo:”E quella?” Fece, indicando la pozza marrone vicina all’allacciatura. Lila si schiarì la voce:”La frase di scuse che ho pronunciato stamattina, che lei non ha minimamente ascoltato perché occupato a limonare con Miss Ass… Abigail, le chiedeva umilmente perdono per questo” Tirò la giacca con un gesto di stizza, ostentando una rabbia che, in realtà, era sfumata già da tempo. Lui sbuffò:”Dovrà rinfacciarmelo per tutta la vita?” Rispose esasperato, mentre la accompagnava all’ascensore. Lei entrò e si girò per guardarlo:”Mmmh… Non per tutta la vita. Diciamo per i prossimi… Due mesi?”

“Un mese e mezzo” Lei aggrottò la fronte:”Tre mesi”

“Un mese, prendere o lasciare” Lila sospirò:”Affare fatto. E’ abile a concludere una trattativa” Ryuga sorrise:”E’ il mio lavoro” Lei ricambiò il sorriso, e fece per premere il pulsante recante il piano terra, ma lui la fermò prima che potesse farlo:”Lila?” 

Lei si voltò nuovamente verso di lui:”Sì?” Con un tono che risultava più una domanda che un’affermazione, le disse:”La aspetto domani alle otto in punto” Notando la sua incertezza, la diciottenne si affettò subito a fugare i suoi dubbi. Lo guardò con convinzione:”Otto in punto, niente ritardi, lei non li tollera” Gli fece un occhiolino che lo rassicurò più di mille parole, facendogli increspare all’insù gli angoli della bocca:”Allora a domani, per l’ennesima volta, mangi” Sbuffò, fingendosi scocciata:”Sì, sì. Non si preoccupi” Ma lui fu certo di vederla sorridere, quando le porte dell’ascensore si chiusero. Quella fu, di certo, la giornata più strana e problematica che lui avesse mai vissuto ma, nel contempo, gli aveva aperto gli occhi su tante cose… Li avrebbe tenuti aperti, o sarebbe tornato nuovamente nel suo limbo?

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Capitolo 5
*** Ricordi e Regali ***


Era sul ring. Da solo. Una folla adorante lo acclamava e chiamava il suo nome a gran voce. Quella era forse la parte migliore: attendere l’avversario. Ghignava, come sempre, sapeva di essere il più forte, non aveva rivali. Qualunque cane avessero sguinzagliato, chiunque fosse venuto per usurpare il suo titolo di campione assoluto, sarebbe stato schiacciato come una misera mosca sotto le sue scarpe Adidas rosso fuoco. 

Saltellò sul posto alcune volte, ringraziando con le mani la folla adorante, già in fermento. Non c’era nessuno che se ne intendesse un minimo di pugilato e lotta libera che non conoscesse Ryuga “Dragone Rosso” Kishatu. Venivano da ogni angolo degli Stati Uniti per vederlo combattere, dentro l’arena che, solitamente, ospitava gli incontri, ovvero “Il Triangolo”, chiamato così per via dei tre tipi di lotta che ivi si praticavano, ovvero Kick Boxing, pugilato e libera. Ryuga era un asso in tutte e tre, ogni suo singolo avversario andava al tappeto per ko tecnico in meno di metà match; nessuno era in grado di tenere testa alla sua tecnica perfetta, non c’era uomo in tutti i cinquanta stati, e distretto federale, che potesse resistere alla potenza e alla precisione dei suoi colpi. 

Lui era veloce, fulmineo, letale. Conosceva l’esatta ubicazione di tutti i principali nervi corporei, ed era in grado di sferrare attacchi mirati proprio in quei punti. Chiunque avesse provato a sfidarlo, sarebbe finito steso nel giro di pochi minuti, senza neanche rendersene conto. Dove avesse imparato a battersi così magistralmente, nessuno lo sapeva, e in un certo senso preferiva non venire a conoscenza di una cosa simile. A loro bastava poter assistere ad un bel pestaggio, solo questo.

Ryuga, dal canto suo, non aveva la benché minima intenzione di rivelare il suo segreto; non aveva appreso da nessun grande campione l’arte del massacro, bensì da suo nonno. Fin da piccolo, egli gli aveva spezzato costole e ossa, obbligandolo a lunghi ed estenuanti allenamenti, senza toccare cibo. Perché? Semplice. Il vecchio Ryuga, nonno del nostro protagonista che fu chiamato così proprio in onore del Kishatu per eccellenza, era un pugile mancato, il quale non aveva potuto proseguire la sua brillante carriera a causa di un brutto infortunio alla gamba, che l’aveva lasciato claudicante per tutta la vita.

Ryuga senior, però, aveva sempre visto nel nipote un talento che superava di gran lunga il suo; il giovane ragazzo era scattante, agile, forte, una vera promessa, di certo non poteva farsi scappare un’occasione del genere da sotto il naso. Infatti, l’aveva tirato su a sua immagine e somiglianza, temprandolo all’inverosimile, rendendolo resistente a qualunque intemperia, quel piccolo ammasso di muscoli aveva una resistenza al dolore fuori dal comune, forse a causa delle botte che prendeva in continuazione da suo padre, o forse grazie a madre natura; in ogni caso, Ryuga senior non visse abbastanza per vedere suo nipote in rapida ascesa verso la gloria, e la brutta malattia che contrasse non gli consentì neppure di vederlo disputare il suo primo match. 

Ma al giovane Ryuga ormai poco importava di chi fosse presente, lui pensava ad una cosa e ad una soltanto: mandare al tappeto il suo avversario. Suo nonno gli aveva insegnato, a furia di pugni e calci in faccia, ad essere una macchina da guerra: risultato raggiunto pienamente, l’allievo aveva nettamente superato il maestro per forza e ferocia. Nulla avrebbe potuto distrarlo dal suo obiettivo, vincere, vincere, vincere e ancora vincere. Ce l’avrebbe fatta a far mettere il suo nome su quella dannata coppa dei campioni.

Creò degli ampi cerchi ruotando il collo, e sciolse le spalle. Il suo avversario, un tal “La Montagna”, il cui vero nome era Arthur Dempsey, si stava appropinquando al ring. Era davvero una montagna, in tutti i sensi: alto, più alto di Ryuga, che non era esattamente basso, considerati i suoi due metri e quindici, più largo di un armadio e con un ghigno agghiacciante stampato in volto. L’albino sorrise beffardo:’Più sono grossi, e più fanno rumore quando cadono’ si disse mentalmente, già pregustando la vittoria così gentilmente offertagli su un piatto d’argento. Appena questi si posizionò sul ring, salutando la folla, l’arbitro fece segno ai due contendenti di avvicinarsi, e questi obbedirono. Erano faccia a faccia, muso contro muso, il respiro dell’omone scaldava il viso di Ryuga, già di per sè contratto in una smorfia. Vedendo il suo atteggiamento strafottente di fronte ad un pezzo grosso come lui, Arthur lo fissò schifato:”Io ti schiaccio, insetto, ti conviene andare al tappeto” gli ringhiò, per poi ridere. L’allora sedicenne sorrise:”Non credo accetterò il suggerimento” La Montagna smise di sghignazzare, e si fece stranito. L’arbitrò segnò con un fischio l’inizio dell’incontro, e il pubblicò ammutolì.

Ryuga schivò un pugno che, altrimenti, avrebbe potuto frantumargli il viso, con una tale velocità che Arthur non se ne rese conto, ma prima che potesse ricomporsi, l’albino gli sferrò una potente ginocchiata all’altezza dello stomaco, facendolo piegare su sè stesso. Aveva già vinto, fin troppo facile. Ora era lui a ghignare, come si suol dire, ride bene chi ride ultimo:”Ehi, Montagna, guarda qua” Quello, dolorante e sfinito, con le braccia a cingere la fascia ventrale, alzò lo sguardo, per ricevere un calcio rotante in pieno viso, colpo finale, che lo scaraventò a terra e gli fece anche saltare un dente, che Ryuga prontamente afferrò: lui li collezionava come cimelio. 

Probabilmente il pubblico non aveva ancora realizzato cosa fosse appena successo, infatti il silenzio calò per alcuni secondi in quello stadio così grande. Tutti si riscossero solo quando l’arbitro fischiò la fine del combattimento, alzando il braccio del sedicenne per proclamarlo vincitore. Ecco che lì la folla impazzì, cantarono a ritmo il suo nome, battendo le mani seguendo le sillabe. L’albino inspirò a fondo l’odore della gloria che, ormai, era familiare alle sue narici da molto tempo. Qualcosa, però, lo distrasse dal suo giubilo, e lo costrinse a guardare in basso, per quanto lui opponesse resistenza. Fra la gente ammassata attorno al ring, riconobbe una sagoma, che lo fissava con sguardo affranto, disperati, lo chiamò con voce accorata:”Ryuga” Lui inspirò lentamente e sgranò gli espressivi occhi dorati:”Lila…” Quel nome echeggiò per istanti nella sua mente.

Si svegliò di soprassalto, tirandosi a sedere sul letto e respirando con forza. Ansimava, la fronte era imperlata di sudore e la confusione lo assaliva. Si guardò intorno, voltando lo sguardo ora da una parte e ora dall’altra. Poi si fissò frettolosamente il braccio: nessun numero. Sì, perché i lottatori del Triangolo erano segnati da un codice cifrato. Ma sulla sua pelle non si vedeva nulla che ricordasse l’arena. Chiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro, e deglutì: si era trattato solo di un tremendo incubo. 

Certo, non era la prima volta che i fantasmi del suo passato tornavano a fargli visita in sogno, ma la cosa che non comprendeva era cosa ci facesse Lila lì dentro. Di sicuro fu un brutto scherzo del suo subconscio, ma ormai quella ragazza era dappertutto! Certamente Ryuga non avrebbe mai immaginato che avrebbe potuto infilarsi anche là, in quella parte così remota di lui, che teneva gelosamente custodita in fondo al suo essere. Nessuno doveva venire a conoscenza del suo tenebroso passato, tantomeno lei. Scosse la testa, deciso ad allontanare l’immagine di Lila fra la folla, che lo fissava con quegli occhi così tristi… Sbuffò, perché doveva venire a tormentarlo anche mentre dormiva? Era sicuro che, se lei avesse scoperto anche la metà delle cose scabrose che lo riguardavano, sarebbe fuggita a gambe levate; d’altro canto, come darle torto. Era successo con tutti quelli che l’avevano conosciuto un poco a fondo, quel tanto che bastava a venire a conoscenza di alcuni particolari sul suo passato, erano scappate. Puff, erano come evaporate. E lui moriva dentro ogni volta che succedeva. Solo due persone condividevano con lui questo dolore, senza fare domande, senza parlarne mai: Inuyasha e Kairi.

Loro due erano ciò che a Ryuga era rimasto di una vita passata all’ombra di due uomini che volevano solo… Soldi, successo, fama. E per raggiungere queste tre cose, erano disposti a pagare qualunque prezzo, non gli pesò affatto sacrificare il membro più giovane della famiglia per vedere realizzate le loro più egoistiche e marce ambizioni. L’avevano picchiato a sangue, insultato, preso a calci… E lui aveva imparato a non piegarsi, di fronte a niente ed a nessuno; aveva perfino smesso di credere in Dio, dimenticò tutte le preghiere che aveva faticosamente imparato all’oratorio, per fare spazio ad un nuovo e moderno credo: nulla è reale, tutto è lecito. 

Già, gli era stato insegnato ad usare qualunque mezzo pur di trionfare, dato che niente era tangibile, né sentimenti, né dolore, né paura, tutte cose che Ryuga aveva disconosciuto e imparato ad odiare e respingere; codesti precetti erano diventati le colonne portanti della sua vita, dei pilastri solidi e marmorei ai quali lui si era sempre appoggiato, sul quale aveva basato la sua intera esistenza.

Del resto, aveva ricevuto un’educazione mirata, sia che avesse continuato la carriera di pugile, sia che avesse seguito le orme di suo padre e fosse diventato un brillante uomo d’affari, magari anche prendendo in mano le redini della piccola azienda di famiglia, progetto che, per verità, suo padre stesso aveva in mente per il suo geniale figliuolo. Ryuga, tuttavia, cresciuto con una mentalità ambiziosa, non si era certo accontentato della piccola impresa familiare, no, lui puntava alla vetta e, grazie al credo con il quale faceva riferimento, possedeva i mezzi atti a realizzare il suo proposito. E l’avrebbe fatto, con qualunque arma lui avesse a disposizione.

Si stropicciò gli occhi e si passò una mano sul viso. Il suo mondo, quello in cui aveva sempre vissuto e che aveva imparato a conoscere e dominare, a plasmare secondo i suoi canoni, si stava lentamente sgretolando davanti allo sguardo supplichevole di Lila; in fondo, lui sapeva bene perché la sua figura, paragonabile ad un angelo, comparisse anche nei suoi sogni. Lei, con i suoi atteggiamenti e il suo modo di vivere, gli stava aprendo gli occhi, poco a poco, sull’impossibilità di agire senza scrupoli pur di raggiungere uno scopo, poiché rischi di perdere le persone a cui tieni. E quelle, una volta perdute, non puoi ricomprarle, pur possedendo il più grande patrimonio mondiale. 

Sospirò nuovamente e fissò il soffitto, era tutto troppo difficile da accettare e da comprendere. Insomma, essere da quando si è nati in un modo, e poi vedersi sradicare ogni singola convinzione da una sola, minuscola lacrima…

Scosse la testa e guardò la radiosveglia: le cinque del mattino. Si alzò di scatto, si infilò la prima felpa che trovò nella cabina armadio, occultandosi il volto col cappuccio, indossò un paio di pantaloni comodi della tuta, inforcò le scarpe da ginnastica e afferrò le chiavi di casa, non prima di aver inserito le cuffiette nelle orecchie. Un po’ di sana corsa gli avrebbe disteso i nervi, e la musica l’avrebbe aiutato a non pensare più di tanto. E’ proprio vero che il buongiorno si vede dal mattino.

 

Quella mattina, Lila uscì di buona lena; si era comprata una sveglia, di quelle vecchie che trillavano per svegliarti, poiché era intenzionata a non ammazzarsi più per arrivare in orario. Per sua fortuna, quando arrivò in posta per pagare le bollette, non c’era ancora nessuno in coda, perciò riuscì a sbrigarsi con relativo anticipo, il che le permise di fermarsi da Patrick per comprare un brick di caffè e quattro ciambelle. Perché quattro? Beh, una era per lei e per il suo povero stomaco che reclamava cibo, ovviamente quella al cioccolato, le altre tre erano una analoga alla sua, una alla marmellata di fragole e una alla crema di nocciole. Non sapendo quali fossero i gusti di Ryuga aveva deciso di prenderle tutte e tre, giusto per andare sul sicuro; di certo, le due che lui non si fosse mangiato non sarebbero state gettate…

Era stato un bel pensiero, da parte sua. Ma, del resto, lei era più che mai intenzionata a vederlo di nuovo sorridere come aveva fatto il giorno prima. Avrebbe dato tutto ciò che possedeva per vedere quelle labbra perfette increspate all’insù; a quel pensiero, sorrise e arrossì, sperando con tutta sé stessa che lui le avrebbe rivolto qualche parola dolce vedendo le ciambelle.

Nel tragitto fino all’ufficio, la ragazza si morse il labbro più volte, riflettendo sul fatto che il suo capo avrebbe potuto non apprezzare quel tale atto di generosità, essendo lui una persona piuttosto riservata e fredda. Pregò Dio con tutta sé stessa affinché lo trovasse di buon umore, altrimenti sarebbe stata una vera tragedia, sia per lei che per i donuts. Una volta arrivata, salutò i due buttafuori con un cenno del capo, mostrandosi più disinvolta possibile, e ricevendo in cambio un sorriso cortese da parte dei due omoni. Raggiunto l’attico, posò le sue cose sulla scrivania, si tolse la giacca e rifece la coda che le era venuta male quella mattina. L’ansia la stava divorando, e se lui avesse rifiutato la sua cortesia? Se l’avesse di nuovo trattata male? Sbuffò sonoramente, quell’uomo era davvero incomprensibile per certe sue sfaccettature, non sapevi mai cosa aspettarti! Da un lato, quel lato del suo essere la attirava irrimediabilmente, il rischio dell’ignoto, un terreno minato tutto da disinnescare; dall’altro, però, spesso la mandava in crisi e le faceva salire il nervoso, cosa che non le capitava frequentemente, sopratutto con le persone a lei care. Lui, però, era un vero mistero. Un secondo ti voleva, il secondo dopo ti rifuggiva, quello ancora successivo ti trattava come l’ultimo mojo vileda prodotto dall’industria, e l’attimo seguente per lui eri una dea. Per un solo giorno, le sarebbe piaciuto da impazzire entrare nella mente del più brillante affarista di New York, solo per vedere come stridevano tutti quegli ingranaggi. 

Pensò di non entrare subito col sacchetto delle ciambelle, decise di aspettare un attimo, per farsi attendere un poco. Ogni tanto gettava qualche occhiata fugace alla porta, aspettando un qualche segnale che le suggerisse di farsi avanti; inspirò di colpo quando sentì delle urla potenti provenire da dentro: era la voce di Ryuga, furente, imperiosa, tonante. Imprecava e sbraitava contro un tizio di nome Steve, Lila lo capì dalle parole del suo capo che, saltuariamente, per ribadire il concetto di “non farlo incazzare”, chiamava il suo interlocutore di nome. Dopo minuti passati ad ascoltare attentamente quella conversazione, cercando di carpirne i dettagli, Lila non udì più alcun suono provenire dall’interno dell’ufficio e cominciò ad allarmarsi. Perché si era bloccato tutto così all’improvviso? Credendo fosse giusto non interferire, rimase comunque fuori, ma prese a spellarsi le mani. Infine, quando da dentro si sentì un tonfo sordo, la ragazza non si tenne più, entrò senza neppure bussare, preoccupata e ansiosa, e domandò:”Signore, va tutto bene?” Non appena lo vide che si teneva la testa e camminava a stento, inspirò di colpo, ma cercò di mantenere la lucidità sufficiente a sorreggerlo. Lo fece sedere sulla poltrona, e lo fissò con aria smarrita e terrorizzata:”Ryuga, si sente bene?” Il suono soave della voce di lei che pronunciava il suo nome, fu un balsamo alle orecchie dell’albino, che riuscì a guardarla negli occhi:”Sì… Tutto a posto. Nella… Nella cartella alla sua destra potrà trovare la cartina d’alluminio di un farmaco. Me la passi, per piacere” Rispose lui, ancora ansante.

La ragazza annuì ed obbedì immediatamente, passandogli la pillola di forma oblunga trovata nella ventiquattr’ore assieme alla bottiglietta d’acqua gasata posizionata sulla scrivania. Ryuga ingoiò la pastiglia e bevve una lunga sorsata, per poi trarre un respiro profondo. Lila era lì, imbambolata, non osava domandargli cosa gli fosse accaduto, anche perché temeva profondamente la risposta, e non aveva neppure la forza di chiedergli come stesse; l’unica azione che compì, fu quella di stringere la camicia, all’altezza del petto, nella mano destra, nel vano tentativo di bloccare il suo cuore spaventato, che batteva all’impazzata. 

Quasi intercettando i suoi pensieri, il trentacinquenne posò gli occhi sul suo viso, confuso e in preda al panico, tentando di tranquillizzarla con parole pronunciate dolcemente:”Va tutto bene, non si preoccupi” Sul volto di lui comparve un mezzo sorriso. Nonostante ciò, il fatto di non sapere cosa gli fosse accaduto e, di conseguenza, come poterlo evitare in futuro e come agire nel caso si fosse riverificato, la atterriva:”Cosa… Le è successo? Sempre che lei voglia dirmelo” Balbettò, provando ad assumere un tono di voce risoluto, ma con scarso successo. Ryuga, leggendole negli occhi una forte preoccupazione, fece spallucce:”Nulla di che, solo un piccolo capogiro” Lei, però, non era tipo da lasciarsi abbindolare così facilmente, incrociò le braccia e lo fissò in tralice:”Allora a cosa le è servita la pillola che ha appena preso?” L’albino sospirò, capendo che quella ragazza non era certo tipo da accontentarsi facilmente. Perché tutto quel dannato interesse? Meglio non porsi questa domanda, pensò; inoltre, ormai sapeva di potersi fidare di lei, almeno in parte, sarebbe stato meglio confessarle la verità e chiudere la faccenda:”E va bene, e va bene, vuoto il sacco. Ma lei mi deve promettere che terrà la bocca chiusa, nessuno al di fuori dei miei fratelli sa ciò che sto per dirle” Lila annuì, portandosi una mano alle labbra e premendocela sopra, come a confermare l’affermazione di Ryuga, sicché lui proseguì:”Soffro di ipertensione, ho forti sbalzi di pressione, sopratutto quando mi arrabbio” Apprendere questa notizia fu uno schock per la povera ragazza, la quale, in verità, sperava con tutto il cuore si trattasse davvero di una banalità. Come avrebbe dovuto comportarsi di lì in poi?

Di certo avrebbe dovuto mantenere la calma lei per prima, e cercare di non alimentare polemiche e discussioni. Certamente, però, non sarebbe stata capace di tacere nel caso in cui avesse visto un’ingiustizia, non era nei suoi geni. 

Sospirò:”Lei non dovrebbe fare sport, lo sa?” Ryuga scosse la testa:”Lo sport giova alla mia salute, impedisce al mio cuore di impigrirsi e, di conseguenza, invecchiare prematuramente” Lo fissò angosciata:”Il suo lavoro, però, non aiuta…” L’albino, percependo la sua agitazione crescente, le posò entrambe le mani sulle spalle e piantò lo sguardo dorato nel suo color nocciola:”Lila, va tutto bene. Sono anni che vado avanti così e non è mai accaduto nulla. Non si angosci, intesi?”

Erano così vicini, che Lila poteva sentire il respiro di lui sul naso. Quegli occhi così meravigliosamente intensi che la penetravano e la scrutavano nel profondo la facevano sentire minuscola, e lei si domandò se facesse questo medesimo effetto a tutti. Un unico pensiero, però, la faceva da padrone nella sua mente: chiudere la distanza tra di loro e posare le labbra sulle sue. Avvampò visibilmente, che diavolo le saltava in testa?! Fare simili voli pindarici non era da lei, sopratutto con il suo capo che aveva ben diciassette anni più di lei. 

Tuttavia, capirete bene che, con Ryuga come superiore, non era facile trattenersi. Abbassò la testa per non mostrare l’evidente rossore che le imporporava le gote, e lui sorrise teneramente, posandole una mano sulla testa e facendole una carezza:”Grazie per l’interessamento” Si alzò e si sistemò la giacca. Lila alzò il capo e il suo viso si illuminò, l’aveva appena ringraziata! Era così euforica che quasi non ci credeva. Si mise in piedi di colpo e zampettò fino alla sua scrivania, guadagnandosi lo sguardo confuso dell’albino, che la seguì con gli occhi per tutto il tragitto… O meglio, osservò il fondoschiena di lei, cosa che lui trovava particolarmente interessante. Scosse la testa, allontanando quel pensiero, quando lei rientrò con in mano un sacchetto piuttosto sospetto. Lei glielo porse, soavemente sorridendo, e cercò di trattenere l’ansia del responso. 

Il trentacinquenne lo esaminò, dopodiché lo aprì… Rimase sconcertato. Vedendolo così, Lila cercò di giustificarsi e prese a tormentarsi le unghie:”Ecco… Io non… Sapevo quale fosse il suo gusto preferito, così… Li ho presi tutti e tre” Ryuga prese quella alla crema di nocciole e la addentò, per poi leccarsi le dita:”Come faceva a sapere che stamane non ho fatto colazione? Davvero deliziosa. Dove le prende?” La ragazza sentiva di non riuscire più a trattenere l’eccitazione per tutti i complimenti che stava ricevendo, infatti sorrideva come un’ebete:”Da un vecchio amico di famiglia, ha un bar vicino a dove abito io” Il trentacinquenne annuì:”Gradirei che lei mi comprasse un caffè e una di queste tutte le mattine, potremmo mangiare insieme, sempre che le va, è ovvio” Con eccessiva euforia, rispose, usando il tono di voce più alto e stridulo che possedesse:”Ovvio che mi va!” Ryuga inarcò un sopracciglio, come se lei avesse oltrepassato i limiti, facendola ricomporre immediatamente. Si schiarì la voce:”Volevo dire… Mi piacerebbe molto fare colazione assieme a lei, signore” Rettificò con deferenza, guadagnandosi l’ennesimo sorriso sghembo da parte del suo avvenente capo:”D’accordo” 

Il loro momento di tenerezza idilliaca fu interrotto da Abigail, che entrò dopo aver bussato una volta. Senza neppure rivolgere un saluto alla sua collega, la biondona sorrise al suo capo e ammiccò:”Signore, la aspettano in sala riunioni per il meeting” Sbattè due o tre volte le lunghe ciglia intinte nel mascara, facendo sbuffare sonoramente Lila, la quale riempì anche le guance, vizio che si portava dietro da quando era bambina. A stento, vedendola in quella posa tanto puerile quanto simpatica, l’albino trattenne una risata; poi, tuttavia, cercò di darsi un tono, e con aria autorevole rispose:”Sì, sto arrivando.” Abigail annuì, e fece dietrofront con la camminata più sexy che potesse ostentare. 

La diciottenne fece per commentare, ma in quel momento le arrivò una chiamata da parte di sua cugina Julie, guardò Ryuga come a chiedergli il permesso, implicita domanda che ricevette subito consenso da parte del trentacinquenne. Lila si allontanò un poco, solo per evitare che lui sentisse cose… Magari imbarazzanti, ma lui non poté fare a meno di notare il rudere che la sua segretaria personale teneva attaccato all’orecchio, e che magari aveva anche il coraggio di chiamare cellulare! Tamburellò le dita sulla scrivania, attendendo che lei finisse, cosa che accadde pochi minuti dopo. Quando tornò davanti a lui, si mordeva il labbro per trattenersi, ma non stava più nella pelle: Julie stava venendo da lei per una visitina fuori programma. A quanto pareva, era riuscita a dare gli esami finali all’Università prima del previsto, e non vedeva l’ora di riabbracciare la sua adorata cuginetta che non vedeva da quasi sei mesi; già, tra il trasferimento, l’inizio dei corsi e tutto il resto, si erano perse un po’ di vista. Ma questa sarebbe stata l’occasione perfetta per ritrovarsi ancora una volta, e dividere tutte le emozioni dell’ultimo periodo insieme, come avevano sempre fatto.

Notando i denti conficcati nel labbro e il roteare ritmato della caviglia, fu Ryuga a porre la fatidica domanda:”Chi era? Se posso permettermi, ovviamente” La ragazza si ravviò i capelli, cercando di contenere l’allegria che scalpitava in ogni fibra del suo essere per venire a galla:”Entro questa sera dovrebbe arrivare mia cugina da Harvard. E’ una vita che non ci vediamo, mi mancava molto” Come al solito, rifletté lui, non aveva avuto problemi ad essere sincera e a rivelare quel particolare così intimo di sé, al contrario di lui, restio ad aprirsi su qualunque argomento non riguardasse il lavoro. Vedendola così, solare e sorridente, non poté fare a meno di intenerirsi un poco:”Allora sarà il caso che lei torni a casa. Insomma, di sicuro avrà diversi preparativi da fare. Se non erro, sua cugina è una persona alla quale lei tiene molto. Deve fare in modo che sia tutto perfetto, questo è il suo compito di oggi” Lei non si sarebbe mai sognata di chiederglielo, neppure le era venuto in mente di staccare così presto per organizzarsi, anche se, in verità, avrebbe proprio dovuto agire in questo modo. Doveva fare la spesa, riordinare un po’, lavare in terra e approntare un giaciglio per Julie. Non convinta che lui fosse serio e non credendo troppo a tutta quella grazia in un sol giorno, azzardò una domanda:”E’ proprio sicuro? Se vuole rimango” Ryuga sospirò e inarcò il sopracciglio:”Le ho detto che può andare, obbedisca, prima che io cambi idea” Le rispose con tono imperioso, quasi minaccioso, ma che nascondeva, molto in fondo, una soave dolcezza che, lentamente, stava iniziando a radicarsi nel gelido cuore di lui. Presa com’era dall’entusiasmo, senza neppure pensarci, gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia, per poi trotterellare allegra verso la sua scrivania e recuperare le quattro cose che aveva con sè

Ryuga, dal canto suo, rimase con un palmo di naso, immobile, con la mente fissa sul contatto che avevano appena avuto, un fugace momento, un rapido flash che l’aveva abbagliato, un fulmine a ciel sereno. Come poteva un solo singolo bacino a stampo sulla guancia renderlo confuso e senza parole? Sbatté un paio di volte le palpebre, tentando di scacciare via quell’immagine dalla mente, tuttavia sorrise, perché sapeva benissimo che non ci sarebbe riuscito.

 

Quella riunione, che si protraeva ormai da due ore, lo stava sfinendo da tutti i punti di vista. Si massaggiò le tempie, cercando invano sollievo dal mal di testa martellante che gli trapanava la scatola cranica da parte a parte. L’occhio, stanco e affaticato, gli ricadde sul suo smartphone, posato sulla cartella color beige davanti a lui. Un angolo della sua bocca si piegò all’insù, ripensando al vecchissimo Nokia che Lila portava appresso. Quella ragazza era… Meravigliosa e stramba allo stesso tempo, e forse era proprio il suo essere fuori dal comune a renderla meravigliosamente… Imbranata. Sì, imbranata e testarda. Scosse la testa e afferrò l’Iphone: era ora di cambiare un po’ lo status quo.

 

Per quella sera, Lila terminò tutti i preparativi, non senza una consistente dose di fatica e angoscia. Tutto sommato, però, le andava bene: conosceva a menadito Julie, perciò non dovette neppure interpellarsi sui suoi gusti. Inoltre, sua cugina e lei si assomigliavano moltissimo per carattere e per preferenze, avevano quasi tutto in comune, portavano perfino la medesima taglia. Non c’era cosa sulla quale si trovassero in disaccordo. Per Lila era stata come una sorella, durante il difficile periodo infantile. Una delle parti che la diciottenne amava di più, era di sicuro aspettare che lei suonasse al campanello: era un’emozione unica, tutte le volte che accadeva. 

Finalmente! Ecco il “ding dong” tanto anelato. Si precipitò ad aprire la porta, tirandola con forza quando questa, ovviamente, oppose resistenza. Con suo sommo rammarico, tuttavia, non si trovò davanti Julie, bensì il postino, che aveva da consegnarle un pacco a suo nome. La ragazza firmò e lo prese, leggermente confusa e frastornata, non aveva ordinato nulla da internet, di questo era sicura, e i suoi parenti non si sarebbero mai sognati di inviarle qualcosa di utile. Non sapeva che fare, aprirlo o non aprirlo? Beh, qualunque cosa fosse stata, si disse, non vi era altro modo per scoprirlo se non quello di recidere il nastro isolante con un taglio netto. Così fece, naturalmente, ma… Quello che vi trovò al suo interno la lasciò a bocca spalancata per attimi interminabili. 

Dentro, vi era un’altra scatoletta bianca, più piccola, contenente un Iphone 6s di color argento, le cuffiette e il bugiardino con istruzioni e garanzia    . Inoltre, un bigliettino di bella e fine carta color celeste spiccava sulla confezione plasticata. Lo prese e lo aprì, leggendo con una certa ansia. Era scritto in una grafia bellissima e assai arzigogolata, un corsivo così pulito e preciso da passare per un libro antico, il testo recitava:”Mi scuso per non averci pensato prima, tenga con cura quello smartphone, le servirà per lavorare. Cordiali saluti” E sotto vi era la firma di un nome che lei, ormai, conosceva meglio del suo: Ryuga Kishatu. Non poteva e non voleva assolutamente crederci: lui le aveva appena fatto un regalo da più di mille dollari.

Si inginocchiò a terra, stringendo al petto il foglio, perché l’aveva fatto? Sicuramente non per il lavoro, come invece millantava lui. Forse per poterle scrivere e mandare mail anche al di fuori dell’ambito lavorativo? Un milione e più di domande affollavano la povera mente di Lila, perennemente in movimento. E presto, molto prima di quanto lei si sarebbe mai aspettata, avrebbero trovato risposte.

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Capitolo 6
*** Uragani Gemelli ***


Ancora non poteva e non voleva credere ai suoi stupefatti occhi da cerbiatta, quelli che Ryuga fissava sempre come a volerli divorare avidamente. Le sue labbra dolci e sottili, rosee come boccioli, erano ancora schiuse dalla sorpresa. Sbatté alcune volte le palpebre, per poi strizzarle con energia, quasi a volersi risvegliare dall’ennesimo sogno deliziosamente inaspettato.

Le aveva appena regalato un Iphone 6s, non un cellulare qualsiasi! Come al solito, l’albino si faceva riconoscere per la dolcezza e la spontaneità dei suoi gesti, non ci aveva pensato sù nemmeno per un secondo, le aveva fatto dono dell’ultimo modello di smartphone sul mercato. Lila lo prese tra le dita, saggiandone la consistenza e tastò la superficie liscia del retro, carezzandola col pollice, quasi potesse far arrivare tutta la sua riconoscenza direttamente al mittente di quella magnifica sorpresa, presente sì gradito e apprezzato da migliorare ulteriormente quella giornata, già perfetta di suo.

Strinse al petto il telefono, ringraziando mille volte mentalmente Ryuga e mandandogli un milione di baci. Improvvisamente, si rese conto che avrebbe voluto rendergli grazie di persona… Quanto avrebbe voluto percorrere con le mani il suo petto nerboruto e ruvido, saggiare la consistenza dei suoi muscoli scolpiti, baciare quelle labbra… Senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò a stringere con forza il labbro inferiore fra gli incisivi, frattanto che il suo stomaco si contorceva in un milione di spire, provocandole un insolito e avvolgente calore a livello del basso ventre. 

Il tintinnare del campanello la destò dalle sue fantasie ben poco caste sul suo capo ultratrentenne, e la fece trasalire: era di sicuro Julie, non si poteva certo farla attendere! Si alzò di scatto, minacciando di cadere almeno due volte, causa ginocchia di gelatina, tutta colpa di Mister Regaliesorrisi… Caracollò fino alla porta di ingresso, e girò le chiavi nella serratura con mano tremante, sia per l’emozione di rivedere la sua adorata cuginetta, sia per i suoi pensieri alquanto erotici formulati appena prima. Aprì con un gesto rapidissimo, e si ritrovò davanti Julie, in tutto il suo splendore. 

La fissò per un secondo, e una minuscola punta di livore le pizzicò il naso. Se Lila era sottile, eterea, fluttuante, Giulietta Candore Casterville era esattamente l’opposto. Il suo viso era rotondo ma affusolato, inglobato da due enormi occhi blu come l’oceano. Specchiarsi in quelle due pozze d’acqua che sorridevano gaie e complici, aveva sempre rassicurato Lila, in qualunque circostanza. Sotto alle due grosse gemme, sormontate da sopracciglia sottili, vi era il naso, un pochino a patata verso la fine, e infine le labbra, non troppo carnose ma nemmeno sottili. Il tutto era magnificamente incorniciato da una massa gonfia e informe di capelli castani, del color della corteccia di un faggio. Il suo corpo, poi, fin dai tempi del liceo, faceva gola a molti ragazzi, che la consideravano come la preda più ambita di tutta la scuola, nonostante lei fosse molto mascolina nei modi e anche piuttosto rozza con l’altro sesso… Forse anche per questo era una prova fare breccia nel suo cuore, ah! Miseri stolti, nessuno si avvicinava a Julie Casterville, sopratutto se eri un maschio infoiato. In ogni caso, le sue curve sarebbero risultate attraenti anche ad un palo: seno prosperoso, fianchi sottili, glutei sodi e cosce da far invidia ad una modella. Che si poteva desiderare di più? 

Nonostante ciò, Julie andava poco fiera del proprio aspetto, e anzi, venerava Lila come la più elevata delle dee, ponendola su un piedistallo ideale. Le due avevano sempre avuto un rapporto bellissimo, si ritenevano sorelle, erano in sintonia su tutto; spesso, inoltre, Dalila si cacciava in qualche pasticcio sentimentale, allora interveniva la sua adorata sorellona per tenere lontani quei brutti ceffi malintenzionati! Eh sì, quelle due si amavano troppo per stare così tanto tempo lontane l’una dall’altra, ecco spiegata la visita fuori programma di Julie che, in quel momento, fissava con cipiglio preoccupato la sua piccola fragolina … In quel momento Lila sembrava più un porcospino, dati i capelli all’aria e il viso colorato di un rosso imbarazzante, per i motivi sopraccitati. Quando si rese conto di avere lo sguardo blu della cugina su di sè, si riscosse e le buttò le braccia al collo:”Julie!” Per fortuna quella riuscì ad afferrarla in tempo, altrimenti avrebbero fatto un bel capitombolo giù per la tromba delle scale, ritrovandosi con la faccia nello sportello della portineria… La ventiduenne rise:”Ciao, piccola mia, ti trovo in forma” Scherzò, accarezzandole dolcemente i capelli arruffati:”Hai cambiato parrucchiere?” Immediatamente, avvertendo l’ironia pungente di Julie sulla pelle, la ragazza inspirò di colpo e liquidò l’abbraccio con una velocità impressionante:”Oh, santo cielo, sono un disastro…” Piagnucolò, dopo essersi tastata la nuca, completamente scombinata. Un’altra risata cristallina riempì l’androne:”Ma andiamo, sei bellissima” Le sorrise dolcemente, rassicurandola come sempre e facendole un occhiolino di intesa, al quale Lila rispose con un ampio e radioso sorriso:”Grazie… Oh! Che sbadata, non ti ho ancora invitata ad entrare. Prego, prego, accomodati, non c’è bisogno di ricordarti che sei a casa tua” Le indicò col braccio l’interno dell’abitazione, e Julie accolse la sua richiesta ben volentieri, togliendosi subito le scarpe una volta messo piede nel monolocale. Si guardò intorno con aria indagatrice, ma la sua attenzione si focalizzò maggiormente sulla muffa agli angoli dei muri e sullo scricchiolare intermittente delle assi pavimentarie, che ondeggiavano sotto il suo peso, seppur dolce. Immediatamente scese il silenzio fra le due, mentre Lila aspettava con ansia che sua cugina dicesse qualcosa, qualunque cosa, anche un rimprovero… Ma vederla zitta con quell’espressione la rendeva terribilmente nervosa, e prese a spellarsi le mani con vigore. 

D’un tratto, finalmente, la situazione si sbloccò grazie ad uno sguardo dolce e tenero di Julie, che l’accolse fra le braccia, stringendola forte a sé:”L’hai sistemata egregiamente, è un posticino molto accogliente, sono fiera di te” Sono fiera di te. Da sempre, o almeno da che Lila ne aveva memoria, quelle quattro parole pronunciate dalle labbra di sua cugina l’avevano emozionata oltremisura, era ciò che più aspettava di sentirsi dire da lei, nient’altro. Se poi le pronunziava mentre la stringeva e la accarezzava, capace anche che Lila si sarebbe sciolta, da un momento all’altro. Sorrise sulla spalla di lei, incredibile… Aveva ancora lo stesso profumo di orchidee… Si beò di quell’aroma così fresco per un tempo che le parve infinito, poi si staccò e ricambio lo sguardo che Julie le stava rivolgendo:”Ho fatto del mio meglio. Me l’hai insegnato tu” Un labbro della sua interlocutrice si increspò all’insù, ma si tramutò in un’espressione esterrefatta quando l’occhio le ricadde sull’oggetto che Lila stringeva fra le mani. Strinse le labbra con forza e indicò il sottile strato metallico con le pupille dilatate:”Quello è un iPhone 6s…?” Sua cugina buttò lo sguardo al cielo, per poi annuire mollemente:”Già” Julie inspirò e aprì le fauci per porre un quesito, ma la diciottenne la bloccò subito, agitando le mani davanti al viso:”Prima che tu possa fare domande, ti avverto: è una storia luuunga… e complicata. Quindi mettiti comoda” E, prima che avesse il tempo di ribattere qualsiasi cosa, la prese per le spalle, costringendola a sedersi. Arrivate a quel punto, a Julie non rimase che emettere un lungo sospiro:”Ti ascolto”.

Lila raccontò per filo e per segno quanto era accaduto nei giorni precedenti, senza scordare di affibbiare curiosi e… Francesissimi epiteti a Ryuga riguardo la scappatella con Abigail… In ufficio. Concluso l’excursus su quanto fosse, ehm, come dire, zoccola la bionda, e ottenuto il pieno consenso di sua cugina riguardo questa faccenda, proseguì, soffermandosi anche sui dettagli… Su tutti, i dettagli:”E gli occhi… Oh, gli occhi… Mai visti occhi così gialli!” In quel preciso istante, la diciottenne pareva più una di quelle adolescenti sognatrici che sbavano dietro ad un idolo, oppure al ragazzo più figo della scuola. Julie arricciò il naso:”Per aver attirato la tua attenzione, deve essere davvero bono” Lila battè i palmi delle mani sul tavolo, protendendosi in avanti per arrivare ad un palmo dal viso di Julie:”Bono?! Lui è… Un sex symbol!” Urlò, saltellando ora di qua ora di là. 

Con un gesto rapido delle dita, la cugina la invitò ad avvicinarsi nuovamente e, quando lei seguì il suggerimento, quella si guardò attorno, come a controllare che nessuno stesse udendo la loro conversazione. Infine, le domandò in un sussurro:”Ce l’ha grosso?” Appena Lila realizzò cosa le era stato domandato, si ritrasse di colpo, rossa  in volto come un peperone maturo, e prese a balbettare:”M-ma che domande sono?! C-che cosa ne posso sapere io?! M-mica l-l’ho visto…” Come al solito, la schiettezza di Julie lasciava spiazzati. Di tutto il preambolo che le aveva fatto, probabilmente, le interessava ben poco. Quello che contava erano le misure, lei lo diceva sempre. Incrociò le braccia:”Andiamo, non fare l’innocente. Ti sarai fatta un’idea, mh?” La diciottenne guardò ovunque fuorché nella direzione di Julie, cercando ingenuamente di prendere tempo:”Beh, ecco… Non è che si capisca granché, però…” Sua cugina annuì fervidamente, incoraggiandola a proseguire:”Mi sembra… che ce l’abbia grosso, sì…” Quest’ultima frase fu un diminuendo esponenziale, raggiunse la soglia minima di udibilità, mentre la sua cervice sprofondava nel pavimento; Julie sorrise dolcemente:”Allora è proprio perfetto. Non lasciartelo sfuggire” Concluse con un occhiolino, e Lila trasse un sospiro di sollievo: il terzo grado era concluso, finalmente.

 

Cenarono in tranquillità, ridendo e scherzando come quando erano piccole; parlavano del più e del meno, mentre assaporavano le rosse fragole che Lila aveva acquistato per l’occasione. Il discorso proseguiva liscio e la diciottenne pensò di domandarle come andassero gli studi, ma non fu una brillante idea. Julie sospirò pesantemente, posando il cucchiaino:”Gli studi vanno bene, è il resto che non funziona” Immediatamente, Lila assunse un’espressione preoccupata:”Che vuoi dire?” L’altra si affrettò a tranquillizzarla:”Niente di grave, solo… Devo trovarmi un lavoro, a tutti i costi. Sto per dare gli esami finali e laurearmi, poi dovrò fare parecchio tirocinio in uno studio legale, magari anche prestigioso. Però… Per ora mi serve un lavoro normale, devo finire di mettere da parte i soldi per trasferirmi qui, a New York” Fece una piccola pausa per ingoiare il boccone che stava masticando:”Voglio starti vicina, più di quanto io abbia mai fatto. E poi, si sa che qui di lavoro ce n’è di più” La mascella di Lila si fracassò al suolo a seguito di quelle parole. Avrebbe voluto saltarle addosso per quanto era euforica. Avrebbero potuto stare di nuovo insieme! Ecco, quando si dice che una giornata non potrebbe andare meglio, ci si sbaglia di grosso. 

Però… In effetti rimaneva sempre l’incognita lavoro che, per sua cugina, non era un punto trascurabile. Julie viveva da sola ormai da tre anni, suo padre le aveva sempre elargito i fondi necessari a pagarsi gli studi; ma Travis ormai avanzava di età, e non poteva più garantirle anche i soldi per un eventuale trasloco. La sua carriera da brillante avvocatessa era in bilico su un filo spinato, che minacciava di spezzarsi per mancanza di denaro. Lila si morse il labbro a questo pensiero, non poteva permettere che lei mollasse tutto, proprio ora che era così vicina:”Senti… Io una mezza idea ce l’ho” Immediatamente, il volto della sua interlocutrice si illuminò d’immenso, accavallò le gambe sotto al tavolo e ci posò sopra i gomiti:”Dimmi tutto” La diciottenne sapeva bene che era un azzardo incredibile la proposta che stava per farle, sopratutto perché non era sicura di poter mantenere la parola. Si spellò le mani, doveva almeno tentare, aveva l’obbligo morale di farlo:”Che ne diresti se… Chiedessi a Ryuga il favore di assumerti? Solo temporaneamente, finché non avrai messo i soldi da parte, visto e considerato che te ne mancano davvero pochi” Non riusciva a guardarla negli occhi, perché si conosceva bene, sapeva perfettamente che, se non avesse conseguito il suo obiettivo con successo, si sarebbe sentita un verme e non sarebbe mai più stata capace di rivolgere la parola alla sua adorata cugina, alla quale lei teneva più di tutto al mondo. 

Quasi intercettando i suoi pensieri, Julie le sorrise dolcemente e le prese la mano:”Lila, grazie. Sarebbe davvero una manna dal cielo. Ma anche se non dovessi riuscire a convincerlo, non importa. Il solo fatto che tu l’abbia pensato mi rende felice” Udendo queste parole, Lila ricambiò il sorriso con entusiasmo, Julie proseguì:”E poi, che cavolo, non ci sarà mica solo lui in tutta New York City!” Risero entrambe, piuttosto spensierate e leggere d’animo. L’indomani, probabilmente, non sarebbe stato altrettanto piacevole.

 

La giornata era cominciata in modo pessimo. Non erano nemmeno le otto, e già Ryuga imprecava al telefono, contro il suo commercialista. Dopo minuti interminabili di conversazione del tutto sterile, l’albino chiuse barbaramente la linea in faccia all’uomo, per poi sbattere con forza il palmo sulla scrivania e ravviarsi i capelli. Si massaggiò il volto con fare stanco, la notte precedente non aveva chiuso occhio, causa soliti incubi in cui faceva inspiegabilmente capolino anche Lila. E’ così carina… Ryuga si sfregò con forza gli occhi, emettendo un verso esasperato. Doveva smetterla di formulare certi pensieri, non era certo consono da parte sua! Sbuffò, e poggiò il capo sul freddo legno, cercando di trovare un po’ di sollievo dal dolore incessante che gli martellava la testa. Forse avrebbe dovuto prendersi qualcosa, ma non aveva nemmeno la forza di chiamare Abigail e, onestamente, non voleva vedere la sua faccia da santarellina. L’orologio ticchettava, ignorando le sue sofferenze, le otto meno cinque minuti. Sì, ancora pochi istanti e lei sarebbe stata lì, in tutta la sua bellezza. Iniziò a tirarsi ritmate testate contro la scrivania, non era proprio possibile smettere di pensare a lei!

 

Pessima idea, era stata una pessima idea. Più passi compieva, e più se ne rendeva conto! Come le era saltato in testa di formulare una simile proposta?! Novanta su cento Ryuga avrebbe dato fuori di matto, sopratutto se, come lei credeva, si era alzato dalla parte sbagliata del letto. Camminava così veloce, nonostante avesse i tacchi alti indosso, che Julie, con le Vans, faticava a starle dietro, a volte doveva perfino rincorrerla:”Lila! Ehi, aspettami!” Le urlò contro per l’ennesima volta, erano neanche le otto e già glielo aveva gridato all’infinito. Quando raggiunsero l’entrata, Julie si piegò sulle ginocchia, ansante:”Si può sapere che ti prende?!” Solo in quel momento Lila si accorse di averla fatta correre per tutto il tragitto, presa com’era dalle sue considerazioni non se ne era proprio resa conto di marciare a passo così spedito. La aiutò immediatamente ad alzarsi ed a ricomporsi:”Scusami! E’ che credevo fossimo in ritardo” Accampò questa scusa per non rivelarle il vero motivo della sua agitazione, poiché l’avrebbe sicuramente indotta a cambiare idea. Senza indugiare oltre, varcarono la soglia dell’atrio, e anche Julie, come sua cugina, rimase a naso insù per tutto il corridoio, fino all’ascensore. Ogni tanto un ‘wow’ usciva in un soffio dalle sue labbra, venivano entrambe dalla provincia, nessuna delle due aveva mai visto tanta opulenza tutta in una volta. Lila sorrise vedendola così estasiata, ma subito i suoi dubbi tornarono ad assalirla. Si morse il labbro e affrettò il passo:”Vieni, Julie, siamo in ritardo!” La chiamò mentre premeva il pulsante dell’ascensore. Subito lei si precipitò al fianco della sua adorata cugina:”E’ bellissimo, Lila. Lavori in un posto fantastico” Le sorrise radiosa, e lei non poté evitare di avere un tuffo al cuore:”Già, e non hai ancora visto l’attico!” Salirono entrambe con lo stomaco in parapiglia, ma per due motivi ben differenti. Nel contare i secondi che la separavano dall’ufficio del suo avvenente quanto scorbutico e lunatico capo, Lila si ritrovò a pensare a tutta la sua vita. A quanto era stato bello conoscere Julie, a quanto fosse buono il gelato… Mmh, quanto sarebbe stato eccitante spargere tutto il gelato sul corpo di Ryuga e poi leccarlo, senza tralasciare un centimetro di quella pelle così perfetta e di quei muscoli marmorei. A quel pensiero, avvampò dalla testa ai piedi, ma diamine, che cavolo le saltava in testa?! Julie la fissò, stranita:”A che pensi? Continui a cambiare colore. Prima eri bianco cadavere, ora sei rossa come un peperone maturo” Lila espirò, dato che stava trattenendo il fiato, e scosse velocemente la testa:”Nulla, non preoccuparti” Istintivamente, strinse un poco le cosce, avvertendo uno strano e insolito calore a livello del basso ventre… E anche un po’ più giù, a dirla tutta. Si sforzò di rimanere lucida, per quanto il suo cuore imbizzarrito le consentisse, frattanto che le porte dell’inferno… Ehm, dell’ascensore, si spalancavano, con una lentezza snervante. Non appena lo spiraglio fu sufficiente a far trapassare una gamba, Lila si catapultò fuori, seguita a ruota da Julie, la quale si riservò di lanciare uno sguardo inceneritore ad Abigail, non appena le passarono accanto. Lila, invece, tenne il mento alto, e la ignorò completamente; tuttavia, ciò non fu dettato dal suo orgoglio, quanto più dal fatto che fosse talmente agitata da non riuscire a fare altro che non fosse camminare diritta davanti a sè, e già quello le risultava difficile, dato il tremolio che le scuoteva le ginocchia

Eccola, era davanti alla porta fatale. Strinse con forza le labbra, e bussò. Dopo qualche secondo, da dentro giunse un:”Avanti” parecchio moscio. Fantastico, è scazzato. Si schiarì la voce, e fece segno con il capo di entrare a Julie, la quale, in verità, non aveva la minima idea di cosa aspettarsi da quell’incontro. Entrambe misero piede sul morbido pavimento, e fissarono, con due sguardi diametralmente opposti, il direttore. Julie aveva gli occhi speranzosi e ridenti, l’unica cosa in cui sperava Lila, invece, era che Ryuga le avrebbe inflitto una morte rapida e indolore.

L’albino alzò la testa dalla pila di fogli che stava compilando sorridendo, ma la sua espressione gaia e giuliva si smaterializzò dal suo volto quando vide la sconosciuta figura accanto alla sua segretaria. Inarcò il sopracciglio:”Chi è lei?” Domandò con fare dubbioso, dimenticandosi anche di salutare. Ecco, già cominciamo male. Prima che Lila potesse avere il tempo di ribattere, però, Julie commise il grave errore di presentarsi autonomamente:”Julie Casterville, sono sua cugina, sa, quella che doveva arrivare ieri” Lila si sentiva morire, voleva sprofondare negli abissi dell’inferno. Non avresti dovuto farlo, ora mi spella! Contrariamente a quanto aveva congetturato, il viso di Ryuga si rasserenò, e l’albino si esibì nel suo più bel sorriso di circostanza:”Molto piacere, Julie. Lila la aspettava con ansia” La mora incrociò le braccia al petto:”Oh, lo so bene, siamo quasi sorelle io e lei” Lila pregò in tutte le lingue che conosceva che Ryuga non fosse infastidito dall’atteggiamento spavaldo di sua cugina, un po’ prevenuta nei suoi confronti a causa delle lodi che lei gli aveva tessuto del suo capo. Pessimo errore, ora gli farà il terzo grado! Ma il trentacinquenne lasciò correre, in effetti se l’era immaginata così protettiva, si concentro piuttosto sul colore diafano di Lila:”Lila, si sente bene? La vedo un po’ pallida” No! Non preoccuparti per me, cioè, preoccupati per me, ma non davanti a Julie! Alzò la testa e tentò di sembrare convincente:”Benissimo, grazie” Ryuga tirò un sospiro di sollievo.

Un momento… Di certo una ragione c’era se si era presentata lì con sua cugina, non poteva essere solamente che lei volesse fargli conoscere qualcuno, non aveva il minimo senso! E poi, a me cosa importa della sua famiglia, si ritrovò a pensare. Bugiardo, a te importa eccome. Scosse la testa, non era quello il momento per simili fandonie, e assunse un tono parecchio distaccato e autoritario:”Perchè siete qui tutte e due?” Eccolo, il momento fatidico. Lila si finse sicura di sé, ma si spellava furiosamente le dita:”Avrei un favore da chiederle, anche se so di non essere nella posizione per farlo” Ryuga intuì, ma decise di lasciarla proseguire:”Che genere di favore?” La diciottenne inspirò a fondo, e piantò gli occhi nei suoi:”Avrei bisogno che assumesse mia cugina” Notando l’espressione a metà tra il contrariato e l’esterrefatto di Ryuga, si affrettò ad aggiungere, con tono più veemente:”Non permanentemente! No, di certo. Ecco, vede… Lei studia giurisprudenza ad Harvard, ma vorrebbe venire a lavorare qui, a New York. Le mancano davvero pochi soldi per trasferirsi, ma senza un lavoro non arriverà mai a completare la cifra…” Incapace di continuare, chinò il capo. Allora intervenne Julie, che le posò una mano sulla spalla, fissando Ryuga con convinzione ed intensità:”Stia a sentire. So che lei non ha alcuna convenienza, ad assumermi, lo comprendo. Ma Lila ha bisogno di me, e io ho bisogno di stare a New York. Finora sono riuscita a conservare con parsimonia i soldi che mio padre mi mandava, ma ora lui non ce la fa più a spedirmi tutto quel denaro. So che non le importa nulla, e mi sembra anche normale, ma ci pensi sù, la prego” Gli parlò col cuore in mano, sotto lo sguardo ammirato di Lila che, anche in quel frangente, si sentì di dover imparare qualcosa da sua cugina, forte e determinata in ogni occasione, anche di fronte ai più potenti, lei non abbassava mai lo sguardo. Forse, in fondo, è così che ci si guadagna il rispetto. Ryuga soppeso attentamente le sue parole, nessuno gli aveva mai rivolto una supplica così sentita e accorata. Julie era la voce dell’amore e dell’affetto verso sua cugina, si percepiva, era quasi tangibile. Sospirò pesantemente, ti stai proprio rammollendo. Già, una volta non avrebbe esitato neppure per un secondo a sbattere fuori entrambe dal suo ufficio. Pregarlo di assumere una persona che gli avrebbe solo comportato una spesa supplementare, ah! Semplicemente ridicolo, ridicolo e patetico. Ma ora… Avvertiva una fitta all’altezza dello stomaco, le budella gli si stavano attorcigliando, e una malefica vocina nella sua testa gli sussurrava:”Aiutala, assumila” Perché si sentiva così spaesato? Perché non riusciva a cacciarle via come avrebbe fatto con chiunque altro? Ultimamente si stava facendo carico di un sacco di cose… No, non cose, persone. Il tal fatto lo faceva sentire insolitamente bene, per lui, che non si era mai legato sentimentalmente ad alcuno. Lentamente, grazie a Lila, stava riscoprendo un lato di sè che non credeva di possedere. O meglio, che forse aveva posseduto un tempo, ma di cui non rimembrava l’esistenza. E’ una cosa buona, giusto? Il muro che si era costruito in anni di lavoro si stava sfaldando, mattone dopo mattone. Forse non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere emotivamente, avrebbe dovuto tenere le distanze; nonostante ciò, le sue difese erano crollate, aveva ceduto, ed era un dato di fato ineluttabile. Che altro poteva fare se non piegarsi agli attacchi disarmati di quei due dannati occhi marron-verdi che gli avevano cambiato l’esistenza con un solo sguardo? Si rassegnò all’idea di essersi ammorbidito, ma non per questo doveva mostrarsi gentile e condiscendente in ogni occasione, per Giove e per Diana! Ecco… semplicemente si trovava in una di quelle situazioni in cui avrebbe fatto il bravo, tutto qui. 

Finse di assumere un’aria mesta e pensierosa, assorta, e posò due dita all’altezza delle tempie, in atteggiamento riflessivo. Sia Lila che Julie si guardarono, ansiose nell’attendere un responso di qualunque tipo. Era incredibile come quell’uomo riuscisse a tenere in scacco tutti con la sua apparente indifferenza, quasi snervante… Anzi, senza il quasi. Julie cominciava a spazientirsi, lei odiava da morire le persone “che se la tirano”, tuttavia c’era qualcosa in lui che non riusciva a darle completamente sui nervi, che le impediva di averlo in totale antipatia, ma non avrebbe saputo dire cosa fosse. Probabilmente la generosità con la quale aveva aiutato sua cugina, o forse il fatto che non fosse stato tanto scortese come se l’era immaginato, non se lo spiegava. E soprattutto non si spiegava il fatto che fosse ancora lì, impalata, senza aver detto nulla, col fiato sospeso.

Ryuga scavallò le gambe, lentamente, molto lentamente, posò i gomiti sulla scrivania ed intrecciò le mani sotto il mento. Rimase glaciale, impassibile e composto, mentre la sua voce incolore diceva:”In effetti…” Lasciò volutamente cadere la frase, voleva vedere la loro reazione. Nessuna delle due si mosse, contrariamente a quanto la sua immaginazione gli avesse fatto credere, erano entrambe sospese in un totale stato catatonico, di interdizione e attesa. Un mezzo sorriso fece capolino sulle sue labbra, non voleva farle soffrire oltremodo, perciò proseguì:”In effetti, ci sarebbe un posto vacante al telemarketing, la socia di Abigail se ne è andata settimana scorsa. Puoi prendere il suo posto, nella scrivania di rimpetto a quella di Lila” Non aveva affatto bisogno di una seconda al telemarketing, altrimenti non avrebbe cacciato a pedate Rosie, che tra l’altro era pure carina. Ma, purtroppo, era l’unica mansione libera in azienda, non avrebbe avuto altri posti dove sistemarla, in fondo, qualche telefonata in più non potrà fare di certo danni. Ancora fluttuanti nella loro catalessi più totale, non si accorsero che lui aveva ormai pronunciato il  verdetto tanto atteso, e rimasero a fissarlo per qualche secondo, immobili come statue di gesso. Quando finalmente realizzarono quanto era stato appena detto loro, entrambe portarono il viso in avanti, le pupille dilatate si bloccarono sull’immagine di Ryuga, come se non lo riconoscessero. Julie, tra le due la più scettica, azzardò:”Ma… Sta scherzando o dice sul serio?” Gli chiese con un sopracciglio arcuato, ottenendo come risposta una faccia piuttosto indispettita:”Io non scherzo mai, sopratutto sul lavoro, signorina Castervillle” Scandì bene ogni singola parola perché fosse il più pungente possibile, sopratutto il suo cognome, che pronunciò con sufficienza. 

Julie non se ne curò minimamente, voltò di scatto il viso verso Lila, altrettanto sorpresa e attonita:”L’hai sentito anche tu?! Verrò a lavorare qui!” Le disse con voce acutissima, Lila le prese le mani stringendole:”Sì, ho sentito!” Entrambe si misero ad urlare e scalpitare per la gioia, poi si abbracciarono, saltellando in tondo. Ryuga emise un verso schifato, mentre si massaggiava le tempie:”Detesto queste manifestazioni di giubilo” Brontolò sotto le grida acute delle due cugine, ma sul suo volto spuntò un sorrisetto divertito, in fondo, non sono così male… Chissà cosa combineranno in due. Il solo pensiero dei doppi guai che avrebbe avuto da ora in poi gli procurò un’emicrania, accentuata dagli acuti striduli delle due ragazze, che si misero a fare un buffo balletto coi fianchi, mentre cantavano:”Lavoreremo insie-me!” E si muovevano verso l’uscita. Due pazze scatenate, chi me l’ha fatto fare! Oddio, non che vedere quei due bei fondoschiena agitarsi a destra e a manca fosse un brutto spettacolo, però erano sempre di fronte alla somma autorità lavorativa! Ryuga alzò le spalle, rassegnato e consapevole di essersi attirato addosso due uragani dalla forza inarrestabile. Confermato, sei un completo idiota. Grazie Lila per avermi rimbambito del tutto.

 

Per quanto erano felici quasi volavano, invece di camminare, e ridevano per qualunque banalità, sopratutto si divertivano a scimmiottare Ryuga nei suoi atteggiamenti. Tutti nell’atrio le fissavano increduli, visto che praticamente l’unico rumore che si sentiva erano i loro sghignazzamenti e le loro prese in giro. D’un tratto, mentre camminavano senza prestare la minima attenzione a ciò che vi era davanti a loro, Julie si scontrò con qualcuno, cadendo rovinosamente a terra. Si massaggiò la testa, dolorante per la collisione col suolo, e con gli occhi stretti a due fessure cercò di capire chi le era venuto addosso. Quel che vide le fece morire le parole in gola: era un ragazzo molto alto e magro, portava i capelli neri rasi alla nuca e la barba. Era molto bello e attraente, nonostante fosse piegato in ginocchio a raccogliere i fogli che l’impatto con lei gli aveva fatto disastrosamente cadere dalle mani, sparpagliandoli tutti alla rinfusa per terra, e avesse un’espressione che dire furiosa era dire ben poco. Sentendosi in colpa per non aver “guardato prima di attraversare” e volendo rimediare in qualche modo, afferrò i moduli che si ritrovava davanti, impilandoli sopra al braccio:”Scusa, non guardavo dove andavo e ho fatto un bel casino” Si prodigò per raccoglierne quanti più potesse, ricevendo uno sguardo stupito dal ragazzo:”Non importa, fa niente” Cercò di fermarla, ma lei fu irremovibile; quando ebbe sistemato gli ultimi rimanenti, glieli porse:”Spero di non aver rovinato il tuo lavoro, se posso aiutarti in qualche modo…” Stavolta il bel moro le strappò quasi i fogli di mano, prendendoli sotto braccio stavolta:”No, ti ringrazio, buona giornata” E così come era arrivato, se ne andò, fissando davanti a sè. Era abbastanza evidente che non gli piacesse stare a contatto con le altre persone, sopratutto se si trattava di intrattenere una conversazione. 

Non si erano neppure presentati, eppure la mente di Julie era già fissa sui due smeraldi che quel ragazzo misterioso aveva al posto degli occhi. Si alzò lentamente, deglutendo, e tenendo lo sguardo fisso nella direzione in cui lui se l’era svignata in tutta fretta e, senza rendersene conto, strinse il labbro inferiore tra i denti, tentando di ritrovarlo fra la folla che passeggiava avanti e indietro, troppo intenta a vivere per curarsi della scena che si era appena consumata, mentre alzava la testa per cercare la sua figura esile e slanciata fra la moltitudine di persone che popolava quell’ingresso così mastodontico. Lila, che aveva osservato tutto, seppur rimanendo in disparte, le pose una mano sulla spalla:”Ti sei fatta male?” Le domandò, apprensiva, cercando i suoi occhi. Julie sospirò:”Tutto bene, tranquilla” Come se le avesse letto nella mente, la diciottenne le sorrise:”Lo rivedrai, se lavora qui sarà un gioco da ragazzi scoprire chi è” La cugina alzò le spalle:”Anche se fosse? Non mi sembrava tipo da intavolare una conversazione. E poi neanche lo conosco” Acciuffò da terra la borsetta, che le era caduta durante lo scontro con il mistero dagli occhi verdi, e se la rimise in spalla:”Non posso mica sbavare dietro al primo che mi sbatte addosso, ti pare?” Lila, la quale aveva sempre creduto fervidamente alle favole a lieto fine, nelle quali il principe azzurro galoppava sul suo bianco destriero per venire a salvare la bella donzella dai più intricati perigli, era sempre stata una convinta sostenitrice dell’amore a prima vista, e anzi, sognava fin da piccola il cosiddetto colpo di fulmine, l’incontro fatale con l’uomo dei sogni che l’avrebbe stregata e amata per tutta la vita. Beh, non è andata esattamente così, diciamo che gli ho rotto le scatole affinché mi assumesse, per il fulmine… In effetti mi ha fulminata con lo sguardo, qualche volta.

Scosse la testa e affiancò Julie, per portare avanti con furore la propria teoria:”Che ne sai, magari hai appena conosciuto l’uomo dei tuoi sogni e nemmeno lo sai! Domani scoprirò chi è, che ti piaccia o no” Affermò, riempiendo le guance come sempre, e scaturendo la risata di Julie:”E va bene, tigre, mi fido di te” Le scompigliò i capelli con infinito affetto e la strinse a sè mentre camminavano verso l’uscita. Lila l’accompagnò fin sul ciglio della strada, dove la ventiduenne si bloccò per chiamare il taxi che stava venendo verso di lei. La guardò dolcemente:”Vado a comprarmi qualcosa di decente da mettere, domani. Tu sei una figa della madonna, io non posso certo presentarmi in jeans, Vans e maglietta, ti pare?” Lila ridacchiò:”Stai benissimo vestita così” Julie annuì:”Già, ma il tuo bell’albino non credo la pensi allo stesso modo” Restarono per qualche minuto in silenzio totale, mentre lei saliva sul taxi. Poi, prima di imbottigliarsi nel traffico, tirò giù il finestrino per dirle:”Vado anche a cercare una casa con un affitto ragionevole, così non sarò costretta a stare a casa tua e a gravare sulle tue spalle” Le sorrise rassicurante. 

In quel momento, a Lila venne in mente che Joshua, l’ubriacone che viveva nel bilocale accanto al suo appartamento, era stato arrestato un mese prima per possesso di droga, e ora la vecchia padrona del condominio e di tutti i locali contenuti in esso, ovvero l’anziana e megera Svetlana, una russa dannatamente di sinistra e con un pessimo carattere, stava cercando un affittuario di quella casa di circa settantacinque metri quadri. La fermò subito, poggiandosi al tettuccio della macchina con le mani per guardarla, ovviamente sorridendole:”C’è un bilocale in affitto, accanto al mio. Puoi stare lì finché non trovi una sistemazione migliore. Con la padrona ci parlo io” Non sarà una passeggiata, quella vecchia strega mi odia, solo perché non le ho pagato un mese d’affitto e ho rifiutato di andare a letto con suo nipote. Julie le prese il viso tra le mani e le stampò un bacio in fronte:”Te l’ho mai detto che ti amo?! Sei fantastica, Lila, ti ringrazio davvero” La diciottenne l’abbracciò forte, per poi fare dietrofront e lasciare spazio all’autovettura gialla, ma Julie la fermò ancora:”Ah, sì! Quasi dimenticavo. Nel weekend devo tornare ad Harvard per prendere le quattro cose che ho lì e dare l’ultimo esame di diritto per laurearmi definitivamente. Non ti dispiace, vero? Se potessi avvisare anche il capo ti sarei infinitamente grata” La diciottenne annuì energicamente:”Nessun problema, lascia fare a me” Finalmente il taxi poté partire, mentre Lila salutava con la mano sua cugina.

Rientrò in ufficio con l’umore alle stelle, e si sedette placidamente alla scrivania, mettendosi subito all’opera… Un momento, qui qualcosa non va. In effetti non aveva ancora ringraziato Ryuga a dovere, si morse il labbro, che stronza sono, ci ha assunte entrambe senza batter ciglio e io non l’ho nemmeno ringraziato. Decise di rimediare subito a quell’imperdonabile mancanza, e sgambettò frettolosamente verso l’ufficio, ma perse l’equilibrio nell’ultimo tratto di percorso. Oh no, sto cadendo, mi romperò di sicuro il naso…

 

In quel preciso momento, Ryuga, col suo solito tempismo perfetto, aprì la porta, e riuscì per miracolo ad afferrare Lila che, invece di spiaccicarsi al suolo come una frittella lanciata male in aria, si scontrò contro qualcosa di duro e bronzeo. Mmh, questo deve essere il suo petto. Aveva i palmi delle mani e la fronte poggiati proprio all’altezza dei suoi pettorali scolpiti, dove il cuore pompava a ritmo… Stranamente sostenuto. Lui la fissava, incredulo, non aveva ancora realizzato la situazione che i suoi arti, callosi e ruvidi, si posarono sull’esile schiena di lei, stringendola involontariamente a sé. Lila rabbrividì a quel contatto, e un tremolio birichino corse lungo tutta la sua colonna vertebrale, raggiungendo le ginocchia, che diventarono subito gelatina allo stato puro. Rimasero così, avvinghiati l’uno all’altra per un tempo che ad entrambi parve meravigliosamente infinito, mentre la timida e giallastra luce del primo mattino faceva capolino dalle finestre. Lasciando cadere ogni sorta di inibizione, e considerando che forse non avrebbe mai più avuto un’occasione come quella, Ryuga affondò il naso in quella massa scomposta di capelli, come aveva sognato di fare dal primo momento che lei aveva messo piede nel suo ufficio, e inspirò a fondo il suo aroma di vaniglia. Parlò in un sussurro, la bocca poggiata sul suo cuoio capelluto:”Deve stare più attenta, un giorno o l’altro potrebbe farsi male sul serio” Le consigliò, mentre faceva correre lentamente la mano su e giù lungo la sua spina dorsale, scaturendo in lei un milione di brividi bollenti, il cui epicentro era il bacino ma anche e, sopratutto, il basso ventre. Schiuse poco le labbra per immettere aria nei polmoni, ma anche il suo respiro sembrava bloccato, e in un gesto audace strusciò la guancia sulla sua. E’ ispida… Proprio come l’avevo immaginata. In quel momento, immaginò di posarci le labbra, e far scorrere la lingua per tutto il profilo del suo zigomo, fino alla giugulare… Questi pensieri le annebbiarono la ragione, e tutto ciò che riuscì a mugugnare fu:”Mmh… Sì, farò più attenzione… Sì” Le sue parole risultarono niente più che sospiri alle orecchie di Ryuga, sussurri emessi a ritmo della mano che le percorreva sapientemente la schiena. Le piaceva averlo così vicino, e lui poteva percepirlo distintamente. Non correre, playboy, vacci piano. Lei non è come tutte le altre. Fattosi convinto di ciò, rinsavì, e la allontanò un poco, ottenendo in risposta il naso storto di lei che, evidentemente, si sentì improvvisamente fredda ed era ovvio che le mancasse qualcosa. Ma lui si affrettò a fugare i suoi dubbi, sorridendole gentile:”Se per lei non è un problema, mi piacerebbe riaccompagnarla a casa, stasera” No, non per  quello, ti prego, non pensare male. Ryuga pregò mentalmente che Lila non fraintendesse la sua gentilezza, non voleva scoparla, ma solo… Avvicinarsi a lei, credeva. In fondo, sarebbe stato bello conoscere qualcuno e avere una relazione normale, per una volta nella vita. Poi lei era bellissima, gentile, comprensiva, sentiva che avrebbe potuto dirle di tutto e confidarsi, avrebbe potuto aprirsi e, piano piano, sarebbero entrati in confidenza… Magari avrebbero anche potuto costruire qualcosa, insieme. Non correre, vai per gradi, non sai ancora se puoi fidarti di lei. Per questo doveva prima entrare in sintonia con lei, e sapere anche i più reconditi dettagli della sua vita, come buoni amici. In fondo, è questo che fanno le persone normali. 

Lila gli sorrise in modo radioso:”Certo! Mi farebbe un grande favore” Si scambiarono un lungo sguardo. In quel momento, a Lila non importava un fico secco che Ryuga avesse trentacinque anni e fosse il suo capo, stessa cosa valeva per lui. In quel preciso istante, l’unico loro pensiero era stare il più possibile l’uno con l’altra. E’ proprio vero che l’amore è cieco, non guarda in faccia niente e nessuno.

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Capitolo 7
*** Situazione Idilliaca ***


Gliel’aveva domandato davvero. Le aveva testè richiesto di poterla scortare a casa. 

Non poteva crederci assolutamente, le pareva impossibile. L’imbarazzo e l’esaltazione si davano strenua battaglia dentro di lei, capitolando in tortuose spire che le stringevano il petto in una morsa d’acciaio, accelerando i battiti cardiaci in maniera esponenziale. Cosa sarebbe accaduto quella sera? Quando il sole sarebbe calato, quale comportamento il suo animo le avrebbe suggerito? SI portò le mani al petto, auscultando il suo cuore cavalcare imbizzarrito lungo le vie della perdizione, sporgendosi verso un oscuro baratro di desiderio e… No, non dirlo.

In vero, Lila temeva moltissimo il sentimento che la scuoteva nel profondo, ne era atterrita; la voglia martellante di avere risposte, il continuo e incessante sospirare, lo stomaco in subbuglio… Questo insieme di sensazioni stordivano come il sì dolce aroma dei biscotti al cioccolato appena infornati e lasciava sospesi in uno stato catatonico. In effetti non si era mai trovata in una simile situazione, non aveva la benchè minima idea di cosa fosse e come si gestisse il parapiglia che aveva nel cervello e nel petto. La cosa certa, però, era che doveva darsi un contegno, soprattutto considerando che, da circa due minuti buoni, era immobile come una statua davanti a lui, con un sorrisetto sognante stampato in volto e i muscoli tesi come corde di violino.

Ryuga, dal canto suo, continuava a fissarla negli occhi, con espressione inebetita. La realtà dei fatti era che lui non conosceva minimamente gli affanni che lo confondevano, perciò non immaginava come avrebbe potuto agire una volta arrivato a casa della sua segretaria personale. Sicuramente non avrebbe perpetrato azioni perverse o maliziose, no, non erano questi i suoi intenti, anche se, con quel fondoschiena… Ma cosa andava a pensare?! Lei era una sua dipendente, ed era di molto più piccola! Rimproverarsi servì a ben poco, il solo pensiero di Lila esibita in pose assai poco caste, bastò a procurargli un’erezione considerevole, che iniziò a spingere sul cavallo dei suoi pantaloni gessati, firmati Dolce & Gabbana. Si maledisse mille volte mentalmente e si voltò immediatamente, schiarendosi la voce.

Anche parlare risultò un’ardua impresa, date le condizioni psicofisiche, ma si sforzò di mascherare la voce roca e ingolata:”Allora a dopo, buon lavoro” Senza aggiungere altro, prese il passo e si avviò verso il suo ufficio, lasciandola alquanto confusa e spaesata. Fantastico, ora ti eccitano le ragazzine, pervertito! La sua vocina interiore, tanto saggia quanto impietosa, continuava ad insultarlo con fervore, probabilmente se fosse stata reale l’avrebbe anche preso a calci. In fondo, non aveva tutti i torti, certi tipi di fantasie non avrebbero dovuto minimamente sfiorare la sua sfera sentimentale, e invece addirittura gli procurava eccitazione! Era terribilmente attratto da quella ragazzina dannatamente sensibile ed innocente, ma proprio per questo non poteva permettersi di sciupare quella bellezza quasi eterea, evanescente perfino. Autocontrollo, Ryuga, autocontrollo, devi soltanto accompagnarla a casa, reprimi gli istinti! Solo quando si fu definitivamente chiuso la porta dell’ufficio alle spalle si sentì al sicuro, protetto dall’incantesimo di quella piccola streghetta imbranata.

Lila era ancora bloccata nella stessa posizione. L’aveva davvero lasciata così, senza dire una parola?! Un secondo prima era stato gentile e conciliante, ed ora se ne andava senza far gesti, oltretutto dopo aver avuto l’ardire di farle una richiesta come quella di pochi attimi prima?! Gettò gli occhi al cielo, sospirando pesantemente, chi lo capiva era davvero bravo, chissà cosa diamine gli passava per la mente! A volte desiderava ardentemente essere un neurone appartenente al suo albino capo, solo per viaggiare liberamente nella sua testa e, magari, mettere anche un po’ d’ordine. Chissà quanta polvere, là dentro. A non usarlo mai il cervello si formano un sacco di ragnatele. Tentò di scacciare questi pensieri con movimenti repentini delle mani, frattanto che tornava alla sua fidata scrivania, evitando di interrogarsi ulteriormente sul contenuto della scatola cranica di Ryuga. Prese l’agenda rossa, sistemata aperta proprio davanti a lei, per poi alzare lo sguardo sull’orologio da muro nero con quadrante argentato appeso alla parete di rimpetto. Ogni singolo ticchettare di quel compagno freddo e incurante le procurava una piccola tachicardia, costringendola a mordersi il labbro per non contorcersi sulla sedia. Ogni battito mancato era un’agonia tremenda, un tonfo sordo nel profondo del suo esile petto. Per lei fu impossibile non cominciare a contare i secondi che la separavano dalla fine del turno lavorativo. Si prospettava una lunga ed estenuante giornata…

 

Quando, finalmente, l’orologio rintoccò le sei precise, Lila trasalì, e il suo povero cuoricino, ormai esausto, ebbe l’ennesimo sussulto, balzandole nel petto come una molla. Ormai era avvezza a questi movimenti inconsulti del principale muscolo involontario, si era comportato in modo analogo allo scoccare di ogni ora precedente questa, non c’era da stupirsi. Dopo alcuni istanti, che a Lila sembrarono un’eternità, finalmente la ragazza tirò il fiato e riprese a respirare regolarmente, con l’organo cardiaco che pompava diligentemente sangue alle gote, frattanto che il cervello si sbizzarriva, ancora una volta, in curiosi voli pindarici, figurandosi tutte le possibilità esistenti riguardo a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Fissò la porta dell’ufficio del suo capo, con occhi che tradivano ansia e anche una considerevole dose di aspettativa. Perché ancora non esce?

Strinse fra i denti il labbro inferiore, torturandolo con gli incisivi, mentre la folle paura che lui si fosse dimenticato serpeggiava crudele nella sua mente. Per non spellarsi le mani, riempiendole ancora una volta delle pellicine che aveva gettato circa due ore prima nel tentativo di rassettare la sua postazione, prese ad impilare ordinatamente i fogli compilati, cercando di far combaciare alla perfezione sia i bordi che gli angoli delle pagine, estraniandosi così da ciò che le accadeva intorno. Aveva lavorato duramente per tutta la giornata, senza concedersi neppure un minuto di riposo (aveva perfino saltato la pausa pranzo, rifocillandosi con un solo pacchetto di Oreo che aveva portato da casa), solo per vedere Ryuga soddisfatto, quel giorno più che mai.

Finalmente la porta si spalancò, e ne uscì l’albino, ostentando una certa fretta. Prese subito la giacca dall’attaccapanni, senza voltarsi e senza considerare che Lila si apprestò immediatamente per aiutarlo ad infilarla. Erano entrambi imbarazzati e tesi, si percepiva nell’aria attorno a loro, l’elettricità statica era quasi palpabile. Ma lui sapeva bene di avere sulle spalle l’incombenza della prima mossa. Chissà, magari non si è fatta strane idee, mantieni la calma. In ogni caso, bisognava smuovere la situazione, di per sé congelata; si girò lentamente, per ritardare l’inevitabile, e sforzò i lineamenti del viso per assumere un’espressione gaudente, con tanto di sorriso simil-rassicurante a incurvargli le labbra:”Se lei è pronta, possiamo andare”  Eccola lì l’espressione galeotta, quella in grado di scioglierla come burro al sole: se lui si fosse sempre mostrato in quel modo, di sicuro lei avrebbe obbedito a qualunque suo comando, senza porsi nemmeno un quesito. Con le guance imporporate che tendevano al viola, alzò gli occhi e li posò su di lui, incerta sulla risposta:”D’accordo… Prendo la giacca e sono da lei” Serrò gli incisivi su una piccola ed innocente pellicina appartenente al labbro inferiore, era chiaro che si stava prodigando in un imbarazzato tentativo di prendere tempo, e questo all’occhio di sparviero dell’albino non sfuggì. Ok, è carica di aspettative, cazzo. Doveva rassicurarla, ovviamente, tra i due era lui l’uomo, doveva appartenere a lui la capacità di fornire sicurezze, appigli fermi ai quali fare riferimento. Come se fosse facile. Si grattò freneticamente la testa, pervasa di un prurito anomalo, e la raggiunse, aiutandola a sua volta ad indossare il giacchino, evitando accuratamente di toccarla per non peggiorare la situazione. Sì, ce la posso fare.

Le stava lasciando tempo, era evidente, e per questo gli era estremamente grata. In effetti ne aveva proprio bisogno, non essendo avvezza a simili questioni, necessitava anche lei di ambientarsi, di imparare ad orientarsi nel nuovo mondo che si stendeva immenso davanti a lei. Sorrise nell’avvertire sulla pelle il tocco leggero e sfuggevole delle sue mani, era una sensazione così piacevole da desiderare che non finisse mai. Si voltò e lo guardò in viso:”Andiamo” Vedendola più serena e distesa, anche lui si rilassò, e ricambiò il sorriso gentile che gli stava rivolgendo:”Prego, dopo di lei” Aprì un braccio in direzione dell’ascensore, invitandola a precederlo, come un vero gentleman dovrebbe fare. Subito lei accolse il suggerimento, e si avviò, per poi premere il bottone di richiamo dell’ascensore, aspettandone l’arrivo con lui al fianco. Anche la discesa verso l’uscita fu un momento di altissima tensione per i due, i quali si rivolsero saltuari e fugaci sguardi, ma nulla di più, forse per timore di dissipare il buon umore che ormai li aveva avvolti, oppure, semplicemente perché a nessuno dei due veniva in mente un argomento abbastanza valido da intavolarci una conversazione che durasse più di tre secondi. Non appena le porte si spalancarono sull’atrio, entrambi avvertirono un grande senso di sollievo, per non parlare poi di quando furono finalmente fuori dall’edificio, le cui pareti parevano diventate quasi opprimenti.   Lila non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere la vettura del suo capo, poiché era l’unica Lamborghini Gallardo, rigorosamente bianca, parcheggiata nel raggio di isolati, con tanto di lacchè pronto ad aprire le portiere per far entrare entrambi. La diciottenne accettò quel gesto rivoltole con gentilezza e rispose con un cenno di ringraziamento. Perfino mettere piede in quella rappresentazione pura del lusso le risultò faticoso, e i suoi movimenti furono impacciati e sbrigativi. Non aveva mai visto una Lamborghini da vicino, e nemmeno immaginava che avrebbe avuto l’incredibile fortuna di potercisi sedere un giorno. Ma ora, la morbidezza sopraffina dei sedili in pelle la rendevano consapevole di non trovarsi in un sogno: era davvero accomodata nella splendida auto del suo altrettanto degno di nota capo. Beh, è nel suo stile, non gli si addicono le cose semplici. A quel pensiero le scappò un sorriso divertito, è proprio vero che la natura delle persone si rispecchia in ogni singola cosa che appartiene a quelle persone stesse.

Queste remunerazioni degne di nota vennero bruscamente interrotte dal posizionarsi deciso di Ryuga nel sedile del guidatore. In quel momento, Lila non riuscì a trattenere una risatina, che subito confuse l’albino. La fissò con aria indagatrice, inarcando un sopracciglio:”Che c’è da ridere?” Le domandò, accompagnando quella richiesta con una smorfia, alla quale lei rispose con un sorriso innocente e due occhi grandi come pozzanghere:”Niente, è che… Vedendo tutto questo, ho pensato lei avesse l’autista” Strinse le labbra per trattenere una nuova risata nascente, ma non smise di guardarlo con aria divertita e sbarazzina, ottenendo in cambio un mezzo sorriso sghembo:”No, mi fido soltanto della mia guida, non metterei mai la mia vita in mano d’altri. Tsk, e poi, se avessi l’autista, sarei costretto a licenziarne uno ogni giorno per i graffi. Ha idea di quanto sia difficile fare un parcheggio decente a New York, senza portare la macchina dal carrozziere un giorno sì e uno anche per rifare le fiancate?” Mentre sciorinava questa lunghissima carrellata di buone e valide ragioni per non assumere un guidatore, accese il motore e fece manovra, uscendo dal budello nel quale era costretta l’autovettura, schiacciata fra una Range Rover e una Kia Sorrento, e si infilò abilmente nel fitto traffico della Grande Mela, non senza proferire qualche colorita imprecazione rivolta ora a questo ora a quello.

Il viaggio fu veramente piacevole, chiacchierarono del più e del meno con animo leggero, fluttuante, lasciandosi andare a risate e scherzi vivaci, piccole ma dolci cose che, sul lavoro, raramente si concedevano. L’ultimo dibattito riguardava quei tipi di guidatori imbranati, il più delle volte neopatentati, che, per imparare a gestire un’automobile, cominciavano dall’autostrada, ricevendo dagli altri bestemmie di vario genere. Lila rise:”Sa che non ci avevo mai fatto caso? Io non ho mai guidato, l’ha sempre fatto mio padre, per accompagnarmi ovunque. Ma forse dovrei prenderla anch’io la patente… Ma non avrei comunque i soldi per una vettura decente” Sospirò a quel pensiero, e scrollò le spalle. Ryuga la guardò mentre inseriva la terza:”Sono convinto che riuscirà a mettere via i soldi per comprarsene una. Che auto le piacerebbe?” Le chiese innocentemente, ottenendo una risposta piuttosto sprovveduta:”Mah, non saprei… Non sono molto ferrata, quello esperto era mio zio, il padre di mia cugina. Lui sì che se ne intende, lui e mio padre discutevano sempre su quale marca fosse la migliore, ma io e Julie non ci capivamo mai nulla” Quel ricordo la fece sorridere teneramente, evocando immagini tanto piacevoli quanto lontane. Ryuga la fissò con aria afflitta, notando nella sua espressione un non so che di nostalgico e malinconico:”Com’è la sua famiglia? Le manca?” A quella domanda, Lila trasalì, non aveva nessuna intenzione di rivangare un passato che da tempo la tormentava e dal quale era riuscita a fuggire per miracolo. Abbassò lo sguardo sulle dita, intrecciate in grembo, e cercò di essere quanto più evasiva potesse, nella speranza che lui avrebbe compreso:”Non c’è molto da dire sulla mia famiglia…” Immediatamente Ryuga capì, e la sua espressione mutò in cupa e greve, frattanto che soppesava attentamente le sue parole. Era palese che quello non era uno degli argomenti prediletti dalla ragazza, per non dire che odiava battere quel chiodo. Probabilmente il dolore nel raccontare era tanto da farla piangere, si disse l’albino, la sua doveva essere una situazione davvero grave e opprimente. Ecco un’altra cosa che li accomunava e li avvicinava. Senza dubbio avrebbe voluto domandarle per quale motivo avesse vergogna o remore nel parlare di lei e dei suoi parenti, ma preferì tacere e non punzecchiarla oltre, non era giusto invadere la sua privacy, sopratutto in ambiti così delicati, in più non erano certo abbastanza intimi da affrontare discorsi così personali. Da quando sei così sensibile? 

Già, da quando? Da quando, in vero, aveva iniziato a conoscerla meglio, ad assimilare i suoi comportamenti e intenderli, abbastanza da sapere cosa dire in quasi ogni situazione. Non sapeva se questo fosse un bene o un male, ma di sicuro instaurare una sorta di rapporto con lei, lo stava aiutando a comprendere meglio anche sè stesso, parti di lui che non rimembrava stavano cominciando a tornare a galla, come piccoli isolotti che affiorano nell’oceano. Alcune emozioni, da tempo dimenticate, come la tensione dell’attesa e la gioia, spuntavano qua e là, saltuariamente, e colmavano il vuoto della logorante monotonia giornaliera che Ryuga soleva conoscere molto bene. Dopo lunghi istanti, annuì mollemente, valutando con cura la risposta da darle:”Capisco. Anche sulla mia non saprei che dirle” Calò un silenzio di roccia fra di loro, eppure Lila, dopo quell’affermazione che risultò stranamente rassicurante alle sue orecchie, lo sentì più vicino che mai. Da quella frase, traspariva una realtà affine, se non peggiore, a quella che lei stessa aveva vissuto. Quel pensiero, per certo, non la confortava, neppure la rallegrava, ma sapere di condividere una parte così privata di sè con il suo unico punto di riferimento in quella città che pareva sconfinata, le poneva nel cuore un senso di sollievo. Lo guardò, un velo di tristezza ad adombrarle gli occhi color nocciola, e mise la mano sinistra su quella con la quale lui stringeva la leva delle marce. Con quel gesto, la ragazza sperava di riuscire a smorzare un po’ la tensione che si stava facendo opprimente nell’abitacolo, e per fortuna Ryuga accolse la sua richiesta, sorridendole nel suo modo sghembo:”Da qui in poi mi deve indicare la strada, io non la so”                                                                                                                                              

Non era esattamente una frase rincuorante, ma almeno era riuscito a virare il discorso, indirizzandolo su un altro argomento. Intuendo la sua volontà di ignorare la conversazione precedente, la diciottenne ricambiò il sorriso ed assentì col capo:”D’accordo, ma mi deve promettere che non farà commenti…” L’albino scrollò le spalle con noncuranza, per tranquillizzarla e non caricarla di aspettative:”Stia tranquilla, ho visto di tutto nella mia vita”

Quando ormai erano quasi arrivati, il cellulare di Lila vibrò nella sua borsetta, provocandole un sussulto. Dannato coso, non puoi avvisare prima di giocare ad impersonare un vibratore?! Quello era più un pensiero da Julie, che da Lila, ma quando ci vuole ci vuole! Frugò nel borsello alla ricerca spasmodica dell’oggetto costosissimo, regalatole da Ryuga il giorno prima, esultando mentalmente quando finalmente riuscì ad estrarlo. Sullo schermo bloccato apparve l’icona di un messaggio, era sua cugina. Entrò nella home e lo lesse con ansia:

“Ho trovato un hotel che mi fa un buon prezzo, stanotte dormirò lì. Tu intanto parla con la vecchia befana per l’appartamento. Baci ;D”

Giunta all’ultima parola, Lila sorrise sollevata, felice nel sapere sistemata anche la sua adorata cuginetta. Ryuga voltò il viso per capire quale fosse la fonte delle vibrazioni appena udite, e vedendola con l’Iphone in mano rimase piacevolmente stupito, aveva accettato il suo regalo e senza avanzare rimostranze o proteste! Non era certo cosa da trascurare, mmh, facciamo progressi. Nonostante tutto, però, gli fece strano non sentire come la pensasse su quel dono così opulento nella sua sottigliezza, così pensò di attaccare una nuova dissertazione:”Le piace?” Solo dopo qualche istante, e dopo aver risposto a Julie, Lila realizzò che le stava domandando a proposito del telefono, e sorrise:”Bellissimo, io non me lo sarei mai comprata un oggetto così costoso” Lo rigirò per qualche secondo fra le mani, per poi alzare il viso per osservare la strada. Puntò il dito davanti a sè, indicando la fiancata del palazzo grigio e incrostato in fondo all’isolato. Gli fece segno di parcheggiare:”Ecco, si fermi qua, accanto al condominio. Siamo arrivati” Ryuga si sporse dal finestrino, per contemplare, con aria a metà tra lo sconcertato e il deluso, lo squallore che trasudava da ogni marciapiede di quel quartiere così povero e malfamato. Il ciarpame era ovunque, occupava ogni vicolo, così come i barboni che si riscaldavano al fuoco scoppiettante acceso in un bidone. L’albino trattenne un sospiro, poiché le aveva testè  promesso di non commentare quanto avrebbe visto, e lui era un uomo di parola. Tuttavia non si capacitava di come potessero ancora esistere e perdurare zone della città così sudicie e abbandonate, dove gli sciagurati derelitti che le abitavano, probabilmente, non avevano nemmeno il sostentamento giornaliero. Senza rimuginare oltre, o si sarebbe depresso, accostò l’auto dove gli era stato indicato, attirando sulla Lamborghini gli sguardi curiosi ed inquisitori della gente là attorno. Si sforzò di non fissarli e, per riuscirci, puntò le iridi color dell’oro su Lila:”Eccoci qua” 

Entrambi tacquero, chiudendosi in un mutismo solenne. Ora si trattava di compiere o non compiere il passo successivo, quello finale, decisivo. Di certo Ryuga non avrebbe proferito parola, era lei la padrona di casa, non poteva autoinvitarsi di sopra, lo avrebbe preso per un maniaco! Ed era l’ultima cosa che voleva, in quel momento. Lila, dal canto suo, nella sua mente, stava maturando l’idea di aprire la portiera e scappare a gambe levate, seguendo il ritmo imbizzarrito del suo muscolo cardiaco, che martellava nel petto e pompava sangue alle gote, rendendole di un color porpora acceso, e bollenti come carboni ardenti. Tuttavia, ragionò, quella sarebbe stata quasi certamente la sua unica occasione per avere un contatto più intimo e privato col suo avvenente capo. Si schiarì la voce e prese una decisione definitiva: o la andava o la spaccava. Senza guardarlo, ma fissando a terra per la troppa vergogna, sussurrò con voce tremolante:”Se viene un attimo di sopra le faccio un caffè, per ringraziarla del passaggio… E del telefono” Prese a spellarsi furiosamente le mani, in attesa della fatidica risposta. Il momento della verità era ormai giunto. Ryuga rimase attonito, fissandola con espressione enigmatica, valutando attentamente ogni sua movenza. La risposta era talmente palese che chiunque avrebbe potuto dedurla senza alcuna difficoltà, credeva davvero che le avrebbe mai detto di no? E’ così carina quando è imbarazzata.  Doveva decisamente dare un taglio a quei suoi vaneggiamenti erotici, ma a seguito di quella richiesta era quasi inevitabile che il suo subconscio volteggiasse in vezzosi e oziosi voli pindarici. Fortunatamente riuscì ad imbrigliare sapientemente la sua eccitazione, ricacciando indietro una poderosa erezione, che sarebbe stata ben visibile agli occhi di tutti. E di Lila. Anche lui provò a darsi un tono:”Accetto volentieri, ci vuole dopo una giornata come questa” Il cuore di Lila per poco non balzò fuori dal petto, non ci poteva credere. Fa un caldo, qui dentro! Si precipitò immediatante fuori dalla vettura, per prendere una boccata d’aria e prevenire un mancamento. Ryuga la seguì a ruota, chiudendo a chiave l’auto, e la fissò preoccupato:”Tutto bene?” Subito la ragazza si riscosse, oddio che figura! Riprenditi, forza! Gli sorrise, sforzandosi oltre ogni dire di essere rassicurante:”Benissimo, grazie”

Clack, pock, clack, pock. Fu questo a destare definitivamente Lila dal suo stato catatonico. Sapeva benissimo che cosa fosse quell’alternarsi di tonfi e ticchettii, e ne ebbe la conferma quando si voltò in direzione dei fastidiosissimi rumori. La signora Svetlana, coi soliti capelli grigi buttati alla rinfusa su quel tappeto di rughe, la schiena piegata in avanti e la mano che stringeva saldamente il bastone, veniva avanti verso il condominio di sua proprietà, e in cui Lila era affittuaria. Come già detto, tra le due non correva buon sangue, sia perché Lila era indietro con i pagamenti, sia per il rifiuto netto rifilato dalla ragazza al nipote della vegliarda. Era incredibile come quella cariatide potesse avere un piglio degno di una zitella trentenne, pettegola e acida, insopportabile e sempre con la risposta pronta. Il solo fatto di doverle chiedere un favore stava procurando conati di vomito alla povera Lila, già in preda ad un panico esistenziale. Prese un respiro profondo e diede fondo a tutta la sua concentrazione, per sfoggiare il suo miglior sorriso di circostanza. Si voltò verso Ryuga e gli disse:”Aspetti un minuto” E si lanciò in una corsetta affannosa, nel tentativo di raggiungere la vecchia prima che questa entrasse nel palazzo, cosicché la portiera, altrettanto zabetta, avrebbe udito tutta la discussione.                                                                   

Ryuga ammutolì, senza capire cosa stava accadendo, ma rimase a fissare la scena per cercare di scoprirne di più. Lila chiamò la signora quando ancora era in fondo alla strada, per arrestare il suo incedere irritante e pericolosamente spedito:”Signora Svetlana!” Ovviamente questa la ignorò totalmente, facendo finta di niente, e Lila fu costretta ad accelerare per raggiungerla:”Signora Svetlana, buonasera” Soffiò, piegata sulle ginocchia, col fiatone. Svetlana posò su di lei il solito sguardo schifato e contrariato:”Come ti sei conciata? Lo dicevo io, che per vivere avresti fatto la battona, era l’unica strada adatta a te” In tutti quegli anni di vissuto negli Stati Uniti, l’accento tipicamente russo si era smorzato di parecchio, ma ve ne erano ancora alcune tracce nella cadenza. Lila fece appello a tutta la sua pazienza per ignorare l’insulto bello e buono appena rivoltole, e contò fino a diecimila, prima di controbattere:”No, signora, ora sono segretaria in un’azienda molto famosa. Ma non sono qui per parlare di questo, avrei bisogno di un fav…” La vecchia non le lasciò nemmeno il tempo di terminare il periodo fraseologico, che riprese a muoversi in direzione della costruzione:”Scordatelo, non avrai alcuno sconto da me! Se non ti sta bene il prezzo, cambia alloggio!” Le strillò addosso con voce rauca, e Lila fu costretta a seguirla come un cane, sconsolata:”Signora, aspetti, non sa cosa voglio chiederle!”    In tutto questo, Ryuga non era riuscito a sentire una sola parola di quella discussione, ma aveva compreso diverse cose, la prima: Lila era in posizione di svantaggio rispetto a quell’ammasso indefinito di rughe. La seconda: a Lila serviva qualcosa che quella tizia, tutt’altro che amichevole, non voleva concederle. La terza: quel personaggio, che già gli stava potentemente sulle palle, stava insultando la sua Lila. La sua Lila. Poteva permetterlo? Ma no, di certo! Da bravo cavaliere senza macchia e senza paura, doveva accorrere in aiuto della sua gentil donzella, per salvarla dai felloni che le arrecavano fastidi. O qualcosa del genere. Con passo sicuro e spedito si avviò all’entrata del condominio, dove pochi istanti prima erano sparite le due litiganti.  Lila chiamò ancora, piagnucolando, la sua padrona di casa, nel vano tentativo di ottenere udienza da vostra altezza illustrissima:”Signora, la prego, almeno mi faccia finire la frase!” Con uno scatto felino, Svetlana si voltò, puntandole contro il bastone d’acero:”Tu sei solo una piantagrane, non ti farei un favore anche se tu fossi l’ultima persona sulla terra!” Ryuga varcò la soglia proprio in quell’istante, corrucciandosi e aggrottando le sopracciglia canute:”Che succede qui?” Domandò a voce alta, sovrastando le grida della vecchia, che lo squadrò con sufficienza:”E tu chi saresti, bellimbusto?” Lila lo guardò confusa, non sapendo cosa lui avesse intenzione di fare, e l’albino assunse l’espressione più spavalda del suo repertorio:”Io sono Ryuga Kishatu, proprietario della Kishatu Holdings Inc. Ne ha mai sentito parlare? Sa, stavo giusto constatando, che questo edificio non è a norma! Sarò costretto a chiamare il mio avvocato ed a consigliargli di demolirlo. Potrei farci un bel centro commerciale” Estrasse il cellulare dal taschino della giacca, firmata Dolce & Gabbana, e fece per comporre un numero. Immediatamente la vecchia compì una virata di opinione incredibile, agitando le mani davanti al viso:”No, no, no no, la prego, non lo faccia!” Ryuga alzò un sopracciglio e la guardò di sbieco, le dita ancora sul telefono, e rispose:”Non lo  farò SE lei concede a Lila quello di cui lei ha bisogno” Furiosa ma messa alle strette, la vegliarda si vide costretta ad accettare le condizioni, dato che l’affitto di questo e degli altri palazzi di sua proprietà erano la sua principale fonte di reddito, dopo la pensione. Guardò Lila, i due occhietti ancora vispi che la incenerivano:”Cosa vuoi?” La ragazza, nonostante avesse trionfato su quella serpe dai capelli grigi, non se la sentì di ostentare lo stesso atteggiamento di Ryuga, perciò preferì mantenere un profilo basso e rispettoso:”Mi servirebbe che lei affittasse il bilocale accanto al mio appartamento, quello in cui prima abitava Joshua, a mia cugina” Vedendo l’espressione fumantina e sull’orlo di una crisi di nervi della vecchia, si affrettò a specificare:”Non per sempre, naturalmente, solo finché non riuscirà a comprare un locale tutto suo. La prego” Chiusa all’angolo dallo sguardo dorato di Ryuga che minacciava morte, Svetlana assentì con un grugnito, ottenendo dalla diciottenne ringraziamenti profusi.                                        Senza rimanere un secondo di più, la padrona di casa si ritirò nella prima abitazione al pian terreno, sbattendo la porta. Non trattenendosi più, e non riuscendo a controllare la gioia, Lila si voltò e gettò le braccia al collo del suo principe azzurro, ottenendo in risposta una risata bassa e gutturale:”Grazie, grazie, grazie!” Trillò, stringendosi forte a lui, mentre l’albino si godeva nuovamente la sensazione dei loro corpi intrecciati in un abbraccio di fuoco:”Di nulla, è stato un piacere” Dopo poco la ragazza si allontanò e lo prese per mano, portandolo su per le scale fino alla porta di casa sua. Rovistò nella borsetta, come sempre, alla febbrile ricerca delle chiavi, ancora non si capacitava di come riuscisse a perdere gli oggetti in un contenitore di spazio così esiguo, ma questa era una delle domande alla quale non avrebbe mai trovato risposta. Quando trovò, finalmente, il tesoro perduto, si affrettò ad aprire la serratura ed a lasciarlo entrare:”Prego, non faccia caso al disordine, non aspettavo visite” Ridacchiò, come sempre quando era nervosa.

Diamine, è davvero piccolo. Ryuga si levò le scarpe per non sporcarle il pavimento, e posò lo sguardo ovunque, sopratutto sugli angoli delle pareti tutti appiccicosi di muffa e umido. L’arredamento era davvero spoglio, constatò, solo il minimo indispensabile per vivere, e nemmeno.  Lila, intanto, lo aveva preceduto in tutta fretta, mettendosi ai fornelli per preparargli il caffè che gli aveva proposto poco prima. Sperò vivamente di non combinare pasticci, come suo solito, non poteva permettersi di rovinare una serata così per la sua solita sbadataggine. Vedendola nervosa e sul chi va là, l’albino le pose una mano sulla spalla:”Faccia con calma, non c’è fretta” Disse con voce dolce e quasi melliflua, ottenendo in cambio un sorriso altrettanto zuccheroso:”Non si preoccupi, si accomodi pure al tavolo, io faccio in un attimo” A quel punto, Ryuga annuì una volta col capo e andò a posizionarsi dove gli era stato suggerito.              Dopo altri sguardi indagatori, finalmente il trentacinquenne si decise a dire qualche cosa a proposito della casa:”E’ carina, l’ha sistemata bene” Fu il primo complimento che gli venne alla mente, in realtà era pessima, ma non poteva certo dirle la verità, già tanto che era riuscita a trovare una cosa del genere data la sua situazione. La ragazza continuò ad armeggiare ai fornelli finché approntò la bevanda alla caffeina, e riuscì a rispondergli mentre la versava accuratamente nella tazzina:”Oh, beh, grazie. Non è granché, lo so, ma è il migliore che ho trovato, ed è abbastanza economico” Dal suo tono e dall’inflessione della sua voce traspariva un certo imbarazzo, come se si sentisse in difetto per averlo ospitato in un ambiente così modesto. Gli posò davanti il liquido color marrone scuro, bollente e fumante, e si sedette di fronte a lui. Ryuga ne prese un paio di sorsi, per poi sorriderle nel modo più dolce che conosceva:”Grazie, è buono” Lila sorrise di rimando, e lo fissò, colma di riconoscenza:”Dovrei essere io a ringraziare lei, sta facendo tantissimo per me, nonostante ci conosciamo da poco” Verso le ultime parole, abbassò lo sguardo con aria sottomessa, come sempre quando parlava con lui. Addirittura, lei credeva che non sarebbe mai riuscita a reggere per tutta la durata di una dissertazione gli occhi di lui, erano penetranti, sembravano scavarti nel profondo, rapivano tutte le emozioni che non venivano espresse a voce, e questo era un fattore micidiale, che la poneva in netto svantaggio rispetto a lui, sempre così distaccato e celato dietro una barriera alta kilometri, niente di lui era percepibile in modo cristallino, perfino le sue iridi ambrate occultavano sapientemente qualcosa di inarrivabile, concetti e sensazioni ai quali Lila non sarebbe mai arrivata, senza il suo aiuto.                                   

Ryuga la fissò a lungo, senza capire il motivo di tutta quella incertezza improvvisa, per poi risponderle con fare sicuro:”Perchè non dovrei? Lei ha bisogno di aiuto, di un punto di riferimento, non vedo per quale motivo non posso essere io” Quella frase arrivò come una stoccata al cervello di Lila, che andò in totale parapiglia. Vedendola tentennare ed esitare, l’ego di Ryuga prese a saltellare dentro di lui, in preda all’esaltazione, ah! Per una volta non ha la risposta pronta. Per non fargli avere la soddisfazione di vederla tacere e ostentare così il possesso dell’ultima parola, la ragazza si sforzò in modo disumano per trovare qualcosa da ribattere:”Perchè, ecco, perché lei è…” Niente, vuoto completo, non le veniva nulla in mente. Convinto del fatto che, per una volta, fosse riuscito a chiuderla in un angolo, l’albino si sporse in avanti, con un ghigno beffardo ad increspargli le labbra:”Io sono…?” Non posso lasciarlo vincere, dannato, guardalo, si diverte come un bambino a natale. Lila, presa dal fastidio di star inevitabilmente perdendo uno a zero, alzò lo sguardo, riempie le guance e incrociò le braccia al petto:”Perchè lei è arrogante e borioso, ecco!” Esclamò con voce stridula. Tutto rimase immobile per qualche istante, e il trentacinquenne sbatté alcune volte le palpebre, incredulo. Tuttavia, la visione di lei, imbronciata come una bimba, prese il sopravvento sulla leggera seccatura provocata dagli “insulti” appena rivoltogli, e scoppiò in una fragorosa risata, un riso profondo e gutturale, sempre piuttosto controllato ma liberatorio. La visione di lui così bastò per farle passare immediatamente il malumore, e si unì a lui nel giubilo, mentre quell’appartamento, freddo e immobile, assumeva contorni più rassicuranti e allegri.

 

Chiacchierarono tutta la sera, del più e del meno, con cuore e anima leggeri e fluttuanti. Nessuno dei due pensò ai rispettivi problemi per tutta la serata, cercando piuttosto di rimanere sereni per il maggior tempo possibile. D’un tratto, dopo l’ennesima discussione su un argomento futile quale la politica, Ryuga si fece serio e posato, le sopracciglia aggrottate:”Lila, a parte tutto, io ci sono sempre per lei. Di qualunque cosa abbia bisogno, le basterà chiedere” Rimasero per qualche istante in silenzio, mentre entrambi valutarono come proseguire il discorso appena intavolato, ma l’albino fu più lesto, e intercettò i pensieri di lei:”Non si preoccupi, non sta approfittando della mia gentilezza, se io gliela offro significa che voglio farlo” La rassicurò con tono più leggero e benevolo, frattanto che un sorriso tenero e imbarazzato arricciava le labbra di Lila, la quale rispose un “grazie” appena sussurrato, timido. In quel preciso momento, un pensiero attraversò la mente di Lila: non aveva nulla di materiale da richiedergli, dato tutto quello che lui le aveva regalato e lo stipendio considerevole che le forniva giornalmente, ma una cosa per sua cugina avrebbe potuto farla. Vediamo se poi rifiuta questo piccolo aiuto. Alzò lo sguardo e lo posò su di lui:”In effetti una cosa ci sarebbe…” Ryuga sorrise alla sua maniera, ma fu felice che lei avesse accolto di buon grado la sua richiesta, sta diventando tutto fin troppo facile. Non sapeva perché, ma aiutare quella ragazzina lo faceva sentire terribilmente bene, appagato, in pace con sè stesso. Era una cosa che gli veniva spontanea, non appena lei aveva bisogno, non riusciva a fare a meno di correre in suo soccorso. Non gli era mai accaduta una cosa simile, con alcuno, eppure adesso avvertiva come una sorta di dovere morale, un compito da assolvere. Forse si stava sbagliando a fidarsi a quel modo, viste tutte le batoste che aveva incassato nel corso della sua vita, nonostante ciò la voglia di prodigarsi per lei non si affievoliva, l’anelito di vederla sorridere era sempre più ossessionante nella sua testa. L’unica cosa che gli premeva, nell’ultimo periodo, era la sua felicità e la sua soltanto, un tarlo fisso che non lo aveva più abbandonato da quando lei aveva messo piede nel suo ufficio, vestita con i primi stracci trovati nell’armadio e i capelli arruffati dalla corsa. Annuì velocemente, attendendo con ansia che lei continuasse la frase:”Mi dica, la ascolto” La incitò, aiutandosi anche con un gesto esortativo della mano. Lei sperò con tutto il cuore che avrebbe potuto aiutarla anche in quello che andava domandandogli, e fu incerta nel parlare:”Ci sarebbe… Una persona, che lavora da lei, ne sono sicura. Se vuole gliela descrivo. Avrei bisogno che mi dicesse in che reparto è situato e il suo nome” Assunse un’espressione da cane bastonato, con tanto di occhioni da cerbiatta correlati:”Per favore” L’albino soppesò la sua richiesta, sì, posso farlo, ma perché me lo chiede? Storse il naso, credendo che lei avesse conosciuto un ragazzo e volesse saperne di più sul suo conto. Che, adesso ti metti a fare il geloso? Cerca di darti un contegno. Da quando, poi, saltava a conclusioni così dirette ed affrettate? Magari aveva solo incontrato una nuova amica e le sarebbe piaciuto rivederla, che diamine! Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, scopri di più. Fingendo di mantenere un certo distacco, assentì col capo:”Si può fare” Immediatamente Lila si fece prendere dall’eccitazione e fece per saltargli addosso e abbracciarlo, ma lui la fermò, portando una mano in avanti:”Solo, visto che dovrò invadere la privacy di un mio dipendente, vorrei sapere il motivo per il quale lei cerca questa persona” Affermò con tono sospettoso, e subito la ragazza si affrettò a rispondere:”E’ per mia cugina. Quest’oggi ha avuto un incontro con un tipo… E mi sembrava le piacesse, ecco. Sa, lei appartiene a quel genere di donne che non credono alle favole e al vero amore, vorrei dimostrarle che si sbaglia” Ryuga parve non capire, ma almeno fu sollevato nel sapere che la ricerca non riguardava lei direttamente:”Lei come sa che quei due sono fatti per stare insieme? Scusi se mi permetto” Lila scrollò velocemente le mani davanti al viso:”Oh, no, no, non si preoccupi. Comunque l’ho visto da come si sono fissati, sembrava si stessero mangiando con gli occhi” Raccontò, con aria sognante. Il trentacinquenne continuava a non comprendere i suoi discorsi melensi, e probabilmente non ci sarebbe mai riuscito. Non era abituato a simili fantasie amorose, tantomeno capiva come funzionassero certe cose e, sopratutto, come ragionasse la testolina di Lila, sempre stracolma di idee bizzarre o a lui sconosciute. Tuttavia si mostrò condiscendente e comprensivo:”Mh, d’accordo. Mi può descrivere questo individuo, per favore?” La diciottenne fece di sì col capo, e incominciò a sciorinare un elenco di caratteristiche del ragazzo misterioso, cercando di essere più dettagliata possibile. Nonostante gli avesse fornito tutte le informazioni delle quali disponeva però, Ryuga non riuscì comunque ad identificare il ricercato:”Ho tanti dipendenti che rispondono a questa descrizione, non so chi potrebbe essere” Questa affermazione fece chinare il capo a Lila, che assunse un’aria sconsolata. Vederla così gli fece piangere il cuore, e provò subito a rettificare:”Ma posso fare una ricerca più accurata domani mattina nel mio ufficio” Il morale della ragazza si risollevò immediatamente, gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte, pronunciando molti più “grazie” di quanti, probabilmente, ne avesse mai detti in vita sua. L’albino ricambiò dolcemente, avviluppandola con le sue braccia possenti e muscolose, mentre le sue mani callose e ruvide andavano a tracciare solchi immaginari sulla sua schiena minuta. Erano sistemati in una posizione assai sconveniente per entrambi, lei seduta a cavalcioni su di lui, e nessuno dei due accennava a volersi spostare o, quantomeno, a cambiare disposizione, ma anzi, si stringevano sempre di più, quasi a voler fondere i loro corpi. Il respiro di Ryuga era bollente e insistente sul collo di Lila, le provocava brividi incontrollati lungo tutta la spina dorsale. Affondò gli incisivi nel labbro inferiore per trattenere un sospiro, che premeva prepotente per fuoriuscire e liberarsi nel condotto uditivo dell’albino, il quale non era affatto indifferente alla situazione, infatti lottava con tutte le sue forze per ricacciare indietro un’erezione degna di nota, e oggi siamo a due, record. Considerato tutto, però, non poteva lasciarsi scappare un’occasione simile, e lasciò la mano libera dalle briglie, permettendole di infilarsi fra i suoi capelli castani e di tirarli leggermente, massaggiandoli con la giusta energia. A quel punto, ogni autocontrollo andò a farsi allegramente benedire, e la ragazza chiuse gli occhi, senza ostacolare più la fuoriuscita dell’aria.          

Il trentacinquenne proseguì la sua opera, e avvicinò pericolosamente le labbra all’orecchio di lei, sussurrandovi all’interno con voce arrochita:”Mi piacciono i suoi capelli, sono così morbidi” In realtà mi piace tutto di te, ti scoperei all’istante. Il chiodo fisso di lei sdraiata in un letto, con quella chioma bruna e informe sparpagliata su un morbido cuscino, la schiena inarcata sotto i suoi baci e la pelle bianca arrossata dai suoi denti lo mandò in visibilio, ma dovette contenersi e mantenere i piedi a terra.                                                                             

Le sorrise prima che lei avesse il tempo di compiere qualunque azione e, come se stesse sollevando una piuma, la mise a sedere sul tavolo, alzandosi:”Si è fatto tardi, meglio che vada” Fu la sua spiegazione lapidaria e concisa, non aveva minimamente voglia di esplicare le proprie ragioni, finendo molto probabilmente in polemica e rovinando così quella serata meravigliosa. La ragazza rimase delusa da quell’ennesima virata improvvisa, ma cercò per una volta di mettersi nei suoi panni e di comprendere per quale motivo non si spingesse mai oltre certi limiti, inoltre, pensò, un giorno avrebbero anche potuto parlarne con calma, se lui avesse voluto. Magari quando si sarebbero conosciuti meglio sarebbe stato tutto più semplice, e chissà che lui non avrebbe aperto uno spiraglio del suo cuore per lasciarla passare e capirlo maggiormente.  Sospirò, ormai rassegnata, ma allo stesso tempo sollevata di vederlo tanto interessato a lei e al suo benessere, fisico e psicologico, nemmeno mio padre si è mai preoccupato tanto. Storse il naso a questa elucubrazione, non era sicura che fosse esattamente un dato positivo quello, ma meglio considerarlo tale o le sarebbero saliti subito i cinque minuti, e non era il caso di sciupare una sì tanto piacevole serata per colpa di un troglodita maschilista che pensava solo a…:”Lila, io vado, viene a chiudere la porta?” La voce incalzante di Ryuga la riscosse dai suoi movimenti mentali ben poco cortesi, e subito la ragazza raggiunse il suo capo sull’uscio. Gli sorrise:”Ci vediamo domani, se per lei non è un problema vengo un po’ prima, così facciamo quella ricerca, di modo che, per quando arriverà mia cugina, avremo già concluso” L’albino annuì un paio di volte:”Nessun problema, la aspetto con qualche minuto d’anticipo” Ricambiò il sorriso e le fece una affettuosa carezza sul capo, scompigliandole i capelli:”Buonanotte, faccia sogni d’oro” Lila ridacchiò e gli rivolse un’espressione dolcissima, quasi da diabete:”Sogni d’oro anche a lei” Con la voce fu altrettanto melliflua, ma le venne spontaneo, quasi inevitabile data la situazione. Quando chiuse la porta a chiave, facendo scattare tre volte la serratura, emise un sospiro trasognato e si portò entrambe le mani al petto, dove il cuore cavalcava imbizzarrito ad un ritmo forsennato, quasi volesse balzare fuori dalla gabbia toracica e raggiungere Ryuga ad ampie falcate. Di sicuro, quella era stata la serata più bella della sua vita.

 

Il giorno dopo, come paventato, Lila si presentò in ufficio da Ryuga per le sette e quarantacinque minuti. L’albino aveva avviato una ricerca localizzata sul computer, spulciando per intero il database dei dipendenti, e immettendo come motore “capelli neri, occhi verdi”. Teneva una guancia poggiata sulla mano mentre, con aria annoiata, muoveva la rotellina    del mouse per scorrere tutti i risultati proposti dalla macchina. La ragazza era seduta accanto a lui che esaminava con occhio meticoloso ogni singolo ragazzo, per poi rispondere “no” a tutti. Finalmente, quando ormai tutte le speranze andavano perdendosi, la diciottenne riconobbe il soggetto incriminato. Puntò il dito contro lo schermo, indicandolo:”E’ lui!” Ryuga era talmente stufo che, per un momento, non capì di chi si trattasse; poi, però, ad un esame più attento, si riscosse:”Lui? Ma è Vito Rambed!” Lo disse come se avesse appena rivisto un vecchio amico di lunga data dopo anni di lontananza. Lila lo guardò confusa:”Sì… E allora?” L’albino la fissò con fare concitato:”E’ il figlio del mio avvocato di fiducia. Suo nonno è italiano, ma la famiglia si è spostata negli USA quando lui era molto piccolo. Io e suo padre ci conosciamo da tantissimo tempo, eh, abbiamo fatto l’università assieme, anche se lui ha cinque anni più di me e ha figliato prestissimo, a vent’anni, pensa” La ragazza lo ascoltò, incuriosita e famelica di conoscere, sul suo conto, quanto più potesse, dopo poco Ryuga riprese:”E’ stato proprio il caro vecchio Roberto a chiederei di assumere suo figlio per fargli un favore. Non potevo mica dirgli di no, ma siccome Vito non ha pressoché voglia di fare nulla, l’ho sistemato nel reparto contabilità, dove non può far danni… Spero” Scrollò le spalle, come a dire che di più non ne sapeva, perciò Lila si sarebbe fatta bastare le poche informazioni  che era riuscita a racimolare. Gli scoccò un bacio sulla guancia per ringraziarlo del lavoro fatto, ma lui la mise in guardia:”Se io ho un brutto carattere, Vito è proprio intrattabile. Credo abbia dell’astio nei confronti di suo padre, ma io in queste beghe familiari non entro mai. Sai com’è, prima di finire in mezzo…” Lila annuì:”Me ne ricorderò”                                                                                   

In quel preciso momento, fece capolino Julie, vestita in modo affine a Lila e con un sorriso stampato in faccia:”Buondì” Anche la diciottenne si prodigò in un’espressione allegra che, tuttavia, non esprimeva a pieno la gioia che provava. Aveva il capo più bello e gentile del mondo, o quasi, un lavoro fantastico e gratificante, non ti sbilanciare, una cugina perfetta, ti stai sbilanciando, e ora le aveva sicuramente anche trovato un ragazzo fatto apposta per lei! Ecco, ti sei sbilanciata. Cosa poteva desiderare di più? Non cantare vittoria, ragazza, ne hai ancora tanta di strada da fare. Era vero, verissimo, ma con le persone che amava di più al suo fianco, sentiva che avrebbe potuto fronteggiare tutto e tutti a mento alto. Proprio tutto?

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