Il gioco del destino

di Greystar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno ad Hogwarts ***
Capitolo 2: *** Bacchette, ricordi e gufi inaspettati ***



Capitolo 1
*** Ritorno ad Hogwarts ***





 Capitolo I : Ritorno ad Hogwarts



 
“Harry, muoviti o mi toccherà subire il suo muso lungo per settimane!” esclamò spazientito, continuando ad arrancare sul pendio della collinetta di un verde lussureggiante, insofferente tanto quanto segretamente pensieroso per ciò che stavano per fare.
Un sonoro sbuffo, accompagnato da un’imprecazione borbottata a labbra strette per essere quasi ruzzolato a terra, non avendo notato una roccia spuntare tra l’erba, fecero intuire al rosso che l’amico gli era alle spalle, nonostante tutto.
“Non potevi farle cambiare idea, o per lo meno persuaderla a non fare questa cosa?” domandò retorico, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Ron si bloccò di scatto, voltandosi quanto bastava per guardarlo negli occhi. Gli anni erano volati come se fossero nuvole spazzate via da un forte vento, eppure nulla era cambiato poi così tanto da separarli. Lo fissò con uno sguardo tra l’interrogativo e il sarcastico, con il sopracciglio sinistro sollevato a rafforzare l’idea dell’assurdità che aveva appena detto il ragazzo. Quest’ultimo lo superò alzando gli occhi al cielo e prendendo un profondo respiro.
“La odio tanto quanto le voglio bene. Questa è l’unica cosa che l’ha salvata in tutti questi anni.” Commentò soffermandosi a osservare il panorama che potevano finalmente ammirare da quella modesta altezza.
Il campo da Quidditch si stagliava davanti ai loro occhi, occupando gloriosamente il primo piano. I ricordi si versarono nelle loro menti come fiumi in piena che straripano gli argini e portano via con sé tutto ciò che trovano sul loro cammino.
Harry poggiò la mano destra sulla spalla sinistra dell’amico, stringendola per fargli capire che provava le stesse emozioni nel ritrovarsi lì, con lui, dopo tutti quegli anni.
“Forse aveva i suoi buoni motivi per farci fare questa scarpinata. Ricordami di ringraziarla.” Affermò il rosso, spaziando con lo sguardo ogni più piccolo particolare, controllando che tutto fosse rimasto così come l’aveva lasciato diciannove anni prima.
“Hermione ha sempre ragione. Non farlo, o accrescerai ancor di più il suo ego, te ne prego.” scherzò, sorridendo e puntando il dito verso l’orizzonte.
Il sole stava calando, lasciando il posto ad un tramonto mozzafiato, incorniciando e tracciando il profilo di quella che era stata la loro casa, il loro porto sicuro e diciamo apertamente, anche la fonte di una marea di guai e pericoli: Hogwarts.
Sempre così immobile, fissa, imperturbabile ed eterna. Sembrava non avesse visto nemmeno la più pallida ombra di una guerra, tanto le mura apparivano solide e algide. Tutto nel suo aspetto rimandava a sicurezza e pace.
 
 
 
 
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“Avere un padre Auror non ti salverà da tua madre!” urlò la donna, afferrando per il colletto della camicia il ragazzo che stava tentando di fuggire da lei.
“Nemmeno se è Harry Potter?” tentò di smorzare la situazione, sfoderando un sorriso falso e pieno di rancore.
“James Sirius Potter! Impara a tenere la lingua apposto o giuro che te l’annodo.” Rispose placidamente, avvicinandosi e sistemandogli il nodo della cravatta con la cura e l’attenzione che solo una madre sa utilizzare verso un figlio.
Una risatina trattenuta a stento dalle labbra strette risuonò nell’aria, gli occhi rivolti chissà dove di una Weasley che afferrava saldamente il braccio della donna.
“Che hai da ridere tu, strega?” l’ammonì il ragazzo, liberandosi infastidito dai gesti del genitore e allentando di nuovo il nodo che odiava in maniera spropositata. Se la sarebbe volentieri tolta quella cravatta, lanciandola via, dandole fuoco, regalandola ad un elfo per liberarlo, così avrebbe fatto felice anche sua zia e la sua strana associazione del CREPA.
Ginevra Weasley lo fulminò con lo sguardo e passò un braccio intorno alle spalle della nipote, stringendola e regalandole un bacio sulla tempia.
“Non trattare male tua cugina. Ti ricordo che è l’unico motivo per cui non sei stato espulso l’ultima volta.”
“Sì, certo. Come no.” Borbottò, dando le spalle ad entrambe e piegandosi sulle ginocchia per allacciarsi le scarpe. “Non sarebbe successo niente se non le piacesse tanto rispettare le regole.”
“Rose!”arrivò distinta la voce squillante di un’altra donna che si stava avvicinando.
Il giovane James alzò lo sguardo, e sbuffò sonoramente associando la figura a quella di Hermione. “Fantastico.”
“Mamma, sono qui con zia Gin a dare fastidio a James.” Rispose divertita, sistemandosi la borsa a tracolla e spostando la lunga treccia rossa dietro la schiena.
“Non dovreste essere rinchiusi in biblioteca voi due?” li ammonì il tornado di capelli indomabili che li aveva appena raggiunti, tirandosi dietro un Albus assai reticente.
“Zia! Lasciami, so camminare da solo!” protestò, riuscendo finalmente a liberarsi e massaggiandosi i polsi. Gli occhi verdi puntati sulla madre, come a rimproverarla per averle permesso di venire a prenderlo fuori dall’aula in cui aveva appena terminato lezione di Erbologia e mettendolo così in ridicolo davanti ai suoi compagni.
“Adesso andiamo mamma. Io ho praticamente già fatto tutti i compiti, ma posso sempre ripassare qualcosa. Meglio essere preparati a tutte le evenienze.” Disse con tono saccente la giovane, afferrando per un gomito ciascuno i due cugini e iniziando a trascinarli davanti a sé.
Le due donne osservarono la scena trattenendo le risate e il divertimento.
“E ancora non c’è Lily a tenergli testa. L’anno prossimo sarà un inferno per loro due. Rose avrà sicuramente un’ottima alleata.”
Hermione annuì mostrandosi d’accordo e sistemandosi il trench rosso, che nascondeva uno dei suoi tailleur migliori. Voleva essere perfetta, o almeno al meglio per quel suo grande ritorno ad Hogwarts. Non vi aveva più messo piede da diciotto anni, da quando aveva conseguito i MAGO. Sospirò a fondo, riempiendosi i polmoni di quell’aroma di libri, pietra e inchiostro che mai avrebbe dimenticato e sempre avrebbe collocato tra i suoi preferiti.
Lì era entrata in contatto con il mondo magico, lì aveva appreso quanto più possibile sulla magia, lì aveva scoperto il senso dell’amicizia, del coraggio, della lealtà, dell’amore, ma anche del dolore, del tradimento e della sofferenza.
In poche parole, lì era cresciuta, diventando una donna.
 
 
 
 
 
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“Dammele.” Ingiunse l’uomo tendendo la mano in avanti in attesa di qualcosa.
Lo sguardo non ammetteva possibilità di repliche, tanto era perentorio e impassibile, che costrinse il giovane ad afferrare una scatolina dalla tasca interna della giacca, proprio dietro lo stemma della sua casata e consegnargliela.
“Spero tu sappia che non passerò sopra ad una cosa del genere.” commentò, scegliendo accuratamente una sigaretta tra quelle del pacchetto appena sequestrato al ragazzo. “Queste sono illegali qui. Vuoi rischiare di farti espellere per uno stupido vizio?” lo ammonì, per poi puntare lo sguardo in lontananza, richiamato dal suono di una voce a lui nota. “Sei fortunato che tua madre non sia qui in questo momento, o ti saresti beccato molto più di una bella sgridata.” Continuò quasi distrattamente.
“Mi avrebbe tolto la scopa fino ai trent’anni, lo so. Grazie papà. Cioè, scusa papà, non succederà più.” promise con faccia colpevole, che si tramutò presto in sorpresa e leggermente da ebete alla vista di una treccia rossa svolazzante che gli sfrecciò davanti a gran velocità, senza degnarlo di uno sguardo, troppo impegnata a spingere due riluttanti e quasi del tutto rassegnati ragazzi chissà dove.
“Davvero?” mormorò stupito l’uomo, passandosi una mano tra i capelli per ravvivarli e posando le iridi ghiacciate in quelle identiche del figlio.
“Una Weasley? Quella Weasley?” cercò di attirare l’attenzione labile del giovane, invano.
“Hyperon!” esclamò, facendolo sussultare.
“Che c’è? Chi? Io? Ma che vai a pensare? Mai e poi mai nella vita.” lo rassicurò con un’espressione seria e convinta. Forse per un estraneo, non per il padre che l’aveva cresciuto.
“Certo. E io sono una farfallina che svolazza su un fiore.” Liquidò la faccenda, ritenendo che fosse il modo migliore per non dar peso al tutto e peggiorare così una situazione che poteva divenire tragicomica se avesse davvero avuto un futuro un giorno.
“Come va a Pozioni? Hai recuperato quell’Accettabile del mese scorso?” domandò interessato, facendosi di lato per far passare degli studenti, ed poggiando la schiena ad una colonna del porticato interno della scuola.
“Sì, sì. Il professor Lumacorno era più felice di me quando mi ha consegnato il compito stamattina. Oltre Ogni Previsione.” Spiegò fiero ed orgoglioso, passandosi i libri da un braccio all’altro, per non stancarsi troppo. “Ora però, devo andare. Ho gli allenamenti con la squadra.”
“Vai, vai. Ci vediamo a cena.” Lo salutò con una pacca sulla spalla, aspettando poi di vederlo sparire dalla sua visuale.
Portò la sigaretta che rigirava tra le dita alla bocca e l’accese con l’accendino che trovò all’interno della scatolina, assaporando l’acredine del fumo che gli scendeva in gola, scaldandolo e rilassandolo quasi all’istante. Aveva smesso da quando Astoria era rimasta incinta, per non nuocere al bambino, ma ormai Scorpius era grande e ogni tanto si concedeva qualche piccola eccezione alla sua astinenza completa.
“Vergognati! Le sequestri a tuo figlio e poi le fumi tu? Pessimo esempio Draco. Pessimo esempio.” Commentò una voce maschile alle sue spalle, cogliendolo alla sprovvista.
“Blaise, sei tu! Mi hai fatto prendere un colpo.” Lo riproverò, allungando il pacchetto nella sua direzione. “Vuoi favorire?”
“In perfetto stile Serpeverde.” Sorrise, imitandolo nei gesti e ritrovandosi così a perdersi tra le nuvolette di fumo bianco che uscivano dalle labbra del biondo. “Non verrà?” gli rivolse la domanda che più gli premeva fare, forse spinto anche dalla curiosità nonché preoccupazione di sua moglie Daphne.
“Non credo ce la faccia. Forse è meglio così.” Ammise, gettando il mozzicone ancora da terminare a terra e pestandolo con un la punta della scarpa. “Forse non sarei dovuto venire neanche io. Cosa devo dimostrare?”
“Agli altri niente, a tuo figlio invece una cosa fondamentale: che ci si può redimere dai propri errori, esattamente come hai fatto tu, e in piccola parte anche io.”
 
 
 
 
 
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“Sei qui.” Sussurrò, prendendo un respiro profondo e allungando una mano verso il suo viso.
L’accarezzo come se fosse la cosa più delicata e fragile del mondo, godendo del calore della sua pelle.
“Vieni immediatamente dentro e siediti. Sarai stanca.” La invitò premuroso, passandole un braccio intorno alla vita e togliendole subito di mano la pesante valigia.
“Non più del solito.” Ammise regalandogli un sorriso sincero. “Però accetto volentieri la tua offerta.” Scherzò, lasciandosi condurre vicino al letto matrimoniale e sedendosi con calma, dopo aver tolto il mantello e averlo adagiato di fianco a sé. Con lo sguardo vagò attraverso lo spazio circostante, studiandone i particolari con curiosità e lasciando le mani sulle cosce, strofinandole un po’.
Lui tradusse i gesti come un chiaro segno di freddo, così puntò la bacchetta verso il camino, aizzando le fiamme.
“Come al solito, vedo che non hai sistemato le tue cose. Perché?” gli domando con aria di rimprovero, dando un colpetto con la punta del piede destro al baule che sostava lì, come in attesa di essere richiuso da un momento all’altro.
“Perché sai benissimo che sono un tipo previdente. Preferisco usare ciò che è indispensabile per non dover correre se ce ne fosse il bisogno.” Le spiegò, avvicinandosi e inginocchiandosi davanti a lei.
Si fissarono negli occhi per tutto il tempo che fu loro necessario per riconoscersi in ogni singolo dettaglio e lineamento, per far calmare il cuore impazzito di due coniugi che ancora si amavano come il primo giorno di matrimonio, poi Draco chinò la testa, adagiandola sul grembo di Astoria, alla ricerca di un rifugio, del suo rifugio. La strinse con le braccia intorno ai fianchi e inspirò il suo profumo, che altro non era diventato che il suo calmante naturale.
“Non sei felice di vedermi?” gli chiese, carezzandogli amorevole il viso e i capelli.
Lui alzò di colpo la testa, fissandola negli occhi con un’espressione seria.
“Stai scherzando? Non ho aspettato altro da quando sono qui e ho dovuto lasciarti a casa dei tuoi.”
“Shh. Sì, scherzavo stupido. Lo vedo che sei felice di vedermi, anche se non lo sarai mai quanto lo sono io di vedere te. Sono stati giorni difficili.” Commentò rassicurandolo e invitandolo a tornare a poggiare la testa sulle sue gambe.
Gli tirò con delicatezza indietro i capelli, scoprendo il suo profilo e chinandosi per regalargli un bacio sulla guancia.
Sapeva che suo marito era sempre preoccupato per lei, che non faceva più nulla se non in conseguenza delle sue condizioni di salute. Le era sempre stato vicino, fin dalla prima visita in cui le avevano comunicato di essere affetta da quella assurda malattia.
Sentiva le forze venirle meno ogni giorno che passava, e piangeva di nascosto da lui perché piano piano stava rinunciando a gesti quotidiani che le richiedevano un impegno che la sfiancava.
Non si sentiva più donna, non più da quando aveva dovuto rinunciare a fare l’amore con lui, a sentirsi sua moglie a tutti gli effetti.
Era un dolore troppo grande da affrontare per una sola persona, e anche se Draco appariva forte davanti a lei e Scorpius, inneggiando a visite dai migliori medici, che stavano dissanguando il loro conto alla Gringott, sapeva che non si sarebbe mai rassegnato. Non avrebbe mai accettato la sua malattia come invece stava iniziando a fare lei stessa. Non che fosse una cosa facile, ma non poteva fare altrimenti. Aveva un figlio a cui donare tutto l’amore che poteva, almeno finché avrebbe potuto farlo.
Lui prese a carezzarle la gamba, partendo dalla caviglia velata dalla leggerissima calza nera, salendo fino al ginocchio dove incontro l’orlo della sua gonna e poi più su, insinuandosi sotto il tessuto. Strinse appena sospirando forte, e questo gettò nella tristezza più totale Astoria, che non riuscì a trattenere una lacrima, che solitaria decise di affrontare il vuoto e cadere proprio sulla guancia di Draco.
“No, amore mio, no.” Le disse subito, sollevando la testa e poggiando la fronte contro la sua.
Le passò la mano destra dietro la nuca spingendola contro di sé, per farle capire che gli dispiaceva.
“Non posso. Non posso fare più nulla. E tu vorresti fare l’amore con me, e anche io…ma non posso…non so se ci riuscirei…” pronunciò le parole con la voce incrinata da un pianto che a stento riusciva a trattenere. “Non sarei dovuta venire.”
“Non dirlo neanche per scherzo. Il tuo posto è qui, accanto a me. Non importa dove, l’importante è che tu sappia che sono al tuo fianco, sempre. Sei tutta la mia vita, te ne rendi conto vero? E non m’importa se non puoi fare l’amore con me, non mi serve di certo per amarti di più o per sentirmi più amato da te. Chiaro? Te lo ripeterò all’infinito se ce ne sarà il bisogno.”
Ed era vero che la considerava tutta la sua vita. Li ricordava bene quegli occhi innocenti e carichi di determinazione che lo avevo rimproverato più volte, quando lo trovava sul letto a compiangersi dopo la fine della guerra. Lo spettro di una persona che si stava lasciando andare non era bastato a fermare l’innocenza di Astoria. Aveva accettato rifiuti, non sempre delicati, lo aveva scosso dal suo stato di torpore autoimposto, con metodi sempre più aggressivi, fino a quel giorno in cui si era alzato dal letto, con l’istinto di prenderla a schiaffi dopo che gli aveva lanciato un secchio di acqua gelata addosso, senza curarsi minimamente delle conseguenze. Le si era avvicinato infuriato e lei aveva sorriso soddisfatta e dolce, incrociando le braccia dietro la schiena e facendosi avanti con coraggio, aspettando che lui facesse davvero qualcosa. Sapeva nel suo cuore che non avrebbe mai toccato una donna, e infatti si era bloccato, con il petto che faceva su e giù per lo sforzo di trattenersi e la bocca dischiusa pronta a lanciare le peggiori offese.
Contrariamente a quello che Draco si sarebbe aspettato, lei si era avvicinata incurante del pericolo e gli aveva poggiato una mano sul petto, all’altezza del cuore. Non avrebbe più dimenticato le sue parole.
“Draco, io accetto tutto di te, anche le ombre della tua anima e del tuo passato, perché ho visto la luce brillare nei tuoi occhi.
Io non permetterò che tu la perda per errori che non sono stati i tuoi.
Solo se tu lo vuoi, io sono qui.
Ci sarò sempre, nel bene e nel male, nel buio e nella luce.”
La sua piccola Astoria.
La sua ancora di salvezza in una vita nuova e piena d’incognite e ostacoli da superare. L’amava più di se stesso.
E in quel momento, mentre la prendeva tra le braccia e l’aiutava ad alzarsi, si sentiva morire dentro perché sapeva che non avrebbe potuto farlo per sempre, che l’avrebbe vista spegnersi lentamente e questo sarebbe stato ancora più logorante se il fato avesse deciso di portarsela via senza preavviso.
L’aiutò a spogliarsi e a infilare la camicia da notte. Aspettò che avesse finito di usare il bagno e poi si premurò di rimboccarle le coperte, stendendosi poi accanto a lei, ancora vestito.
“Non ho ancora visto Scorpius. Come sta? Ha recuperato il voto in Pozioni?” chiese, scostandosi i lunghi capelli castani dal viso.
“Sta bene, tranquilla. Sono sicuro che più tardi verrà a trovarti. Ora si starà facendo la doccia dopo gli allenamenti.” Le rispose, intrecciando le dita con le sue. “Però sai già che se ti troverà addormentata non ti sveglierà. Lo vedrai comunque domani mattina.”
“Povero figlio mio. Non merita di avere una madre che non può stargli dietro.” Mormorò sbadigliando, e socchiudendo gli occhi per la stanchezza.
Se lo avessero pugnalato al cuore sapeva che il dolore non sarebbe mai stato pari a quello che le sue parole gli avevano procurato. Portò delicatamente il dorso della sua mano che ancora stringeva tra le dita e lo baciò.
“Sei la miglior madre che si possa avere, Astoria. Non dimenticarlo mai. Scorpius ti ama più di quanto immagini. Adesso riposa. Il viaggio sarà stato stancante.”
“Dagli un bacio da parte mia a cena.”
“Sai che non lo bacerò mai davanti ai suoi compagni di scuola.”
“Sei il solito idiota.”
“Grazie amore. Riposa, io vado a mangiare qualcosa. Vuoi che ti faccia portare del cibo in camera?”
“No. Ho sgranocchiato qualcosa durante il viaggio. Sono solo molto stanca.”
“Va bene.”
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Camminava in religioso silenzio, tra quelle mura, facendo ben attenzione a sfiorare con la punta delle dita la dura pietra, provando a vedere se ricordava ogni più piccola scanalatura o nicchia. Toccare, imprimere e riportare alla memoria ogni emozione provata in quegli anni che le sembravano così lontani eppure in quegli istanti così recenti e freschi.
Una gonna della divisa fin troppo lunga, un paio di calze che prudevano tanto da far desiderare di strapparle appena se ne aveva l’occasione, una camicia candida che non aspettava altro che venisse tolto il maglioncino per macchiarsi di qualsiasi cosa fosse reperibile in quel momento, nonostante gli sforzi per tenerla intatta. Tutto riaffiorava alla mente dolcemente, rendendola consapevole che ora tutto questo era la vita quotidiana della sua bambina, Rose. Che di bambina, oramai, aveva davvero poco.
Una cascata di capelli rossi, due occhi marroni, tanta intelligenza e altrettanta poca grazia la contraddistinguevano dalla maggior parte dei suoi coetanei e non. Come avrebbe potuto essere diversamente? Era la figlia di Hermione Granger e Ronald Weasley.
Senza rendersene conto, svoltò a destra bloccandosi di fronte ad una porta all’apparenza come tutte le altre, forse ancor più insignificante, date le condizioni in cui versava. Avrebbe potuto nascondere un vano per le scope del vecchio Gaza o un magazzino per chissà quale scopo. Nessuno avrebbe associato ad esso qualcosa di importante. Nessuno tranne lei.
Allungò timidamente la mano a sfiorare il legno corroso dal tempo e dai tarli, seguendone le fattezze e arrivando al chiavistello, che strinse tra le dita e tirò verso di sé tentando di aprire la porta.
Una folata di polvere la colse in pieno costringendola a tossire, chiudere gli occhi e agitare la mano davanti al viso per allontanare la nuvola che si era propagata dal movimento dell’apertura dell’uscio.
La gola secca la costrinse a mandar giù la saliva più volte e attese qualche secondo per rialzare le palpebre, incontrando l’immagine che aveva esattamente nella sua testa.
Nulla era cambiato.
Nulla era mutato in quello stanzino, in quelle panche ammassate le une sulle altre, in quegli scaffali di legno ormai consunto, in quelle boccette in disuso e qualche calderone andato oramai in pensione.
Si accorse che le faceva male il petto, più precisamente la parte sinistra, come se qualcuno le stesse stringendo un poco alla volta, sempre più forte, il muscolo cardiaco. Portò la mano come a carezzarlo dal di fuori, imponendogli di calmarsi e cercando di tranquillizzarlo. Non sarebbe stato un semplice ricordo di sedici anni prima a farle provare quelle sensazioni. Eppure sapeva di mentire a se stessa affermando di aver dimenticato e di non aver attribuito a quell’avvenimento un importanza rilevante.
A qualche metro di distanza, il giusto perché Hermione non se ne accorgesse, Draco Malfoy rimase ad osservarla in ogni suo minimo gesto.
La mano sinistra fu chiusa a pugno nella tasca dei pantaloni, tanto stretta quasi fino a negare l’afflusso di sangue alla punta delle dita, ma soprattutto facendo sentire prepotentemente la presenza di un legame. La fede all’anulare stava lentamente lasciando il segno sulla pelle morbida e candida ricordandogli che non avrebbe dovuto pensare a lei in quei termini, che non era giusto e mai lo sarebbe stato. Nemmeno avendolo fatto diciotto anni prima.
Espirò con foga, alzando il volto verso l’alto e cercando di non dar peso al fastidio che sentiva alla bocca dello stomaco e che si stava velocemente propagando a tutto il corpo.
La cravatta si fece improvvisamente troppo stretta intorno al collo, come se riuscisse a bloccare il passaggio dell’aria verso i polmoni, negandogli di respirare in modo efficace. Infilò l’indice e il medio tra il colletto della camicia e la pregiata striscia di seta nera, dapprima con l’intenzione di allentare il nodo, poi sciogliendolo del tutto e optando infine per tenerla nella mano.
Un bacio.
Il ricordo di un dannato bacio poteva davvero avere il potere di rendergli la mente annebbiata e il cuore palpitante? Questa era la domanda che lo assillava, mentre la osservava scostare la pesante e logora porta di legno di quella stanza.
Possibile che anche lei ricordasse tutto come se fosse successo il giorno precedente?
Avanzò di qualche passo deciso ad andarle vicino ma si fermò quasi subito, cercando d’imporsi che sarebbe stato molto meglio lasciarla stare e tornare sui propri passi.
Aveva una moglie che amava più della sua vita.
Aveva un figlio a cui badare. Un figlio che amava con tutto se stesso.
Un figlio evidentemente innamorato della figlia di Hermione.
Scosse la testa e si appiattì contro il muro, celando la proprio figura dietro ad una colonna e ringraziando il gelo del marmo su cui poggiò la fronte che lo riportò alla realtà, rendendogli un po’ di quell’autocontrollo che aveva sentito scivolargli via.
Lei si voltò nella sua direzione, come se l’avesse sentito arrivare e rivolse all’aria un sorriso timido e appena accennato, come se stesse pensando di essere matta e di avere le allucinazioni.
Hermione avrebbe voluto avere ragione, avrebbe voluto saperlo lì nelle sue vicinanze a condividere una memoria, più di un battito perso, qualche respiro mozzato e tanta, ma tanta malinconia per qualcosa che poteva essere ma che non era mai stato.
Un bacio.
Il ricordo di un bacio poetava farla tornare ragazza e farle immaginare cosa sarebbe potuto succedere se…? Questo il quesito che le rimbalzava da un neurone all’altro, senza lasciarle sosta, almeno finché non sentì delle voci in lontananza.
Si guardò attorno, avvertendo quasi la sua mano sfiorarle una spalla e le sue labbra poggiarsi sulle proprie.
Hermione chiuse gli occhi e li riaprì, scuotendo la testa e fuggendo via, lasciando dietro di sé solo il rumore dei tacchi alti che incontravano il pavimento, un profumo fin troppo noto alle narici di Draco e la consapevolezza che nessuno dei due aveva dimenticato.
Nessuno dei due poteva e voleva dimenticare.
Nonostante tutto.
Nonostante il tempo.
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Il motivo per cui il pesante volume di Storia della magia fosse finito con tanta forza sul capo di Scorpius Malfoy, fu ben presto molto chiaro all’intero corpo studentesco, intento a consumare la cena.
“Cosa diavolo ti è saltato in testa, razza di idiota?” urlò infuriata Rose, preparandosi a colpirlo di nuovo, se in risposta avesse ottenuto esattamente ciò che credeva.
Il giovane ragazzo riaprì gli occhi dopo aver accusato l’improvviso colpo e scattò in piedi lasciando cadere sul tavolo il calice, versando così l’intero contenuto del suo succo d’arancia. Si ritrovò a sovrastare di parecchi centimetri l’indomabile chioma rossa dell’unica ragazza in grado di fargli perdere il controllo. In tutti i sensi.
Portò la mano destra a massaggiarsi il punto dolente appena colpito e assottigliando gli occhi grigi li puntò in quelli di lei.
“Ti ha per caso dato di volta il cervello, Weasley?” domandò sorpreso e anche abbastanza infuriato.
“No, credo fermamente che tu sia un vero e completo idiota! Ne ho avuto le prove due secondi fa!” affermò, sollevando ancor di più il volume e cercando invano di portarlo sopra la testa del suo interlocutore.
Lui glielo sfilò facilmente dalle mani, prendendola alla sprovvista, e lo lanciò sul tavolo, incurante che atterrasse sui resti del suo pranzo.
Lo sguardo inorridito e indignato della ragazza fu immediatamente sostituito dalla maschera di orgoglio che aveva sempre indossato.
“Tu!” lo indicò, puntandogli l’indice destro al centro del petto. “Come ti sei permesso di votare contro alla mia ammissione al Club dei Duellanti?”
“Non fa per te, Rose. Fattene una ragione. Sei brava con gli incantesimi, ma l’ultima volta che hai provato a duellare con qualcuno sei finita a terra dopo neanche un minuto. Prepara pozioni e studia Storia della magia, non andare a puntare la tua bacchetta contro qualcuno che potrebbe farsi molto male. L’ho fatto per il tuo bene. Mi ringrazierai un giorno, fidati.”
Allontanò con un gesto secco il suo braccio e tornò a sedersi, dandole le spalle e lanciando un sguardo esasperato a suoi amici, che avevano assistito rapiti alla scenetta appena conclusasi. O meglio, così pensavano, perché se c’era una cosa che Rose aveva ripreso dalla madre, era proprio la testardaggine inaudita con cui sapeva impuntarsi su quello che voleva.
“Scorpius?” lo richiamò, addolcendo la voce e posandogli una mano sulla spalla destra e avvicinandosi al suo orecchio sinistro.
Un brivido percorse la sua spina dorsale appena avvertì il respiro un poco affannato di lei sulla pelle. Rimase con la forchetta a mezz’aria, il pezzo di arrosto a pochi centimetri delle labbra dischiuse e gli occhi sgranati.
“Non dimenticare che sono io a decidere le coppie per il ballo di Primavera. Ti ci vedo bene a scendere le scale con Elisabeth avvinghiata al tuo braccio.” soffiò perfida, stringendo la presa della sua mano che increspò la sottile stoffa della camicia bianca del biondo.
“Non oserai?” mormorò cercando di non strozzarsi e provando a darsi un contegno.
“Oh sì che oserei. Ma non succederà perché tu rivedrai la tua votazione stasera, alla riunione del comitato, giusto? Era un’ipotesi, così, giusto per parlare.”
“Si chiama ricatto, Weasley. Non è da te.” Le fece notare, girandosi di lato e mettendosi a cavalcioni sulla panca.
Il suo movimento la costrinse a rialzare il busto e tirarsi indietro per non scontrarsi con il suo viso.
“Si chiama ottenere quello che si desidera, Malfoy, e non sarai tu a impedirmelo. Né ora né mai.”
“Ad una condizione.”
“Come? Non sei nella posizione per dettare condizioni.” Gli ricordò, iniziando a temere ciò che le avrebbe proposto di lì a pochi istanti.
Si guardò attorno, notando che lo sguardo di molti studenti era puntato su di loro, anche se alcuni facevano finta di essere interessati ai loro piatti, sapeva benissimo che avevano le orecchie tese per captare qualsiasi cambiamento interessante avrebbe potuto prendere la loro discussione.
“Io potrei dover sopportare Elisabeth per una serata, tu dovresti rinunciare a far parte del Club dei duellanti per tutto il tempo in cui io farò parte del consiglio direttivo. Chi ci rimette di più, io o te?” le fece notare, con un sorriso soddisfatto stampato in volto.
“Sentiamo.” Lo incitò, stringendosi al petto il libro che lui le stava restituendo, incurante delle briciole che vi erano rimaste attaccate.
“Lascerai che sia io ad allenarti una volta a settimana. Ti insegnerò a duellare e a non farti del male da sola. Sei particolarmente dotata d’intelligenza e furbizia, ma sei maldestra quanto un gatto obeso che prova a fare le scale di corsa. In salita. Con un topo in bocca.”
Una risata generale si levò dalla tavolata serpeverde per contagiare poi anche tutte le altre.
“Come osi…?” iniziò la rossa, aprendo la bocca pronta ad esplodere.
“Rose? Che succede?” chiese una voce femminile alle sue spalle.
“Signora Weasley.” La salutò Scorpius, alzandosi e rimanendo di fronte alla ragazza, attendendo una risposta.
“Mamma, niente. Va tutto bene. Io e Scorpius prendevamo accordi su una questione.” Si giustificò, pulendo la copertina del suo libro.
“Quale questione?” domandò un’altra voce, stavolta maschile.
Ora sì che qualsiasi risata si era spenta. Come anche ogni tipo di rumore, forse anche i respiri erano trattenuti più del dovuto.
“Rose mi ha chiesto di aiutarla ad entrare nel Club dei Duellanti. Così le ho offerto di allenarsi con me.” Spiegò, allentando il nodo della cravatta.
“Mi sembra un’ottima idea.” Confermò Hermione, lanciando uno sguardo indecifrabile all’uomo sopraggiunto appena dopo di lei. “Mi sono arrivate voci sulla tua bravura. Sei contenta, tesoro?” le chiese, osservandola.
“Come una Pasqua. Grazie, mamma.” Rispose a denti stretti, arrossendo fino alla punta delle orecchie, e stringendo spasmodicamente le dita attorno al libro. “Signor Malfoy. Scorpius. Se volete scusarmi andrei a mangiare.” Concluse, fulminando il compagno, e facendogli capire che la questione non era affatto chiusa.
Anzi.
Era appena iniziata la guerra.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Bacchette, ricordi e gufi inaspettati ***








Nota dell'autrice: Dunque, non ho scritto nulla nel precedente capitolo, proprio per saggiare come sarebbe stato il mio ritorno tra voi. Beh che dire: mi avete stupito come sempre. Ringrazio infinitamente chi mi ha dato il bentornata privatamente e chi l'ha fatto con una recensione. 
Questa mia piccola perla mi sta richiedendo particolare attenzione: è proprio per questo che l'aggiornamento sarà quasi mensile purtroppo, ben lungi dai miei soliti tempi standard. Ma ammetto che ci sto mettendo molta più cura dei dettagli che nelle precedenti storie.
Spero di continuare ad appassionarvi.
Un bacio,
Greystar.
 







 

Un lievissimo chiacchiericcio aleggiava nell’aria, insolito per quell’ora della mattina, in cui tutti erano ancora al caldo sotto le coperte, aspettando con poca voglia che suonasse la sveglia.

Un gruppo di persone marciava in schiera tra i corridoi dell’antico castello, scendendo e salendo scale, senza mai fermarsi.

“Avrei dovuto portare con me Hugo. Farà impazzire i miei genitori.” Confidò la donna, stringendosi nel mantello nero che l’avvolgeva come una coperta.

“Gli terrà compagnia, vedrai. Non c’è niente di meglio che le risate di un bambino per alleggerire la tensione. Andrà tutto bene.” la confortò Ginevra, passandole la mano nell’incavo del gomito destro e tenendola a braccetto. “E poi non credo sia il caso di far vedere Hogwarts a lui e Lily prima del tempo. Gli rovineremmo la sorpresa, no?”

Hermione sorrise al pensiero del suo primo giorno di scuola, e si trovò più che d’accordo con la cognata.

“Ronald, sistemati la cravatta!” gli suggerì, interrompendo la conversazione che l’uomo stava avendo con Harry.

“Se me la tolgo, non è meglio?” propose speranzoso, allentando il nodo.

“Non farmi fare brutta figura. Vieni qui.” Lo raggiunse, facendo capire alla donna di lasciarle il braccio per qualche istante.

“Dobbiamo andare dalla Preside in quando genitori, non come studenti. Non ho paura che mi sospenda.”

“Non ci scommetterei.” Scherzò, passandogli le mani sulle spalle e posando un leggero bacio sulla sua guancia. “Se fai il bravo ti prometto una ricompensa.”

“La cosa potrebbe interessarmi, donna. Molto.” Rispose, con un languido sorriso, afferrandole la mano e riprendendo a camminare insieme agli altri.

Il quartetto rallentò il passo, fino a fermarsi quando dalla parte opposta del corridoio videro venire loro incontro altre quattro persone.

Una decina di metri sembrò essere la distanza limite concessa da entrambe le fazioni, tanto che nulla apparve cambiato dai tempi in cui in quella scuola ci andavano per studiare e non per conoscere il rendimento scolastico dei propri figli.

“Buongiorno.” La voce di Daphne Greengrass ruppe il silenzio, fendendo l’aria come una lama e aspettando una risposta che non era certa di ricevere.

La donna al suo fianco, dai lunghi capelli neri, le teneva il braccio con entrambe le mani, nello stesso identico gesto compiuto pochi istanti prima da Hermione e Ginevra, ma che non sembrava avere le stesse note di leggerezza. C’era qualcosa di importante nel peso che quelle dita infondevano nella carne della sorella, come se non potesse fare a meno di quel sostegno.

Un dettaglio che non passò inosservato a nessuno degli ex Grifondoro, fu il braccio di Zabini che circondava la vita della donna che era sua cognata. E se già questo risultava anomalo, molto di più lo era la solidità con cui non accennava a lasciarla andare e l’assoluta fiducia che Astoria sembrava avere nei suoi confronti.

Avanti allo strano trio, capeggiava Draco Malfoy, il completo elegante nascosto sotto il mantello nero, e lo sguardo proiettato davanti a sé.
Era come se stesse cercando di proteggere qualcuno.
Tutti e tre sembravano voler proteggere Astoria, facendole scudo con il proprio corpo.

Eppure sembrava non avesse alcun bisogno di aiuto o difesa.

I lunghi capelli scuri erano annodati in una treccia morbida che le ricadeva sulla spalla sinistra. Non indossava un copri abito, ma il vestito lungo fino ai piedi, di lana, le fasciava amabilmente il corpo, che sembrava quello di una ragazzina. Un corpo molto più esile di quello che avrebbe dovuto essere.

Gli occhi brillavano di un forza che sembrava non avere eguali.

“Buongiorno a voi.” Rispose Hermione, stringendo appena la mano del marito, per allentare improvvidamente la presa, quando notò lo sguardo del biondo ricadere per una frazione di secondo proprio su quell’intreccio.

Distolsero lo sguardo, sviandolo su qualsiasi altra cosa che non fossero i loro occhi.

Un saluto accennato salì dai presenti, tranne che da Draco che decise di rendere il proprio saluto con un cenno del capo.

Non era mai stato bravo con le parole. Sicuramente non quando doveva essere cortese.

“Draco.” lo chiamò la moglie, facendogli segno di avvicinarsi.

Bastò uno sguardo per fargli intendere cosa volesse lui facesse. Una madre che fa presente al proprio figlio cosa è giusto fare e cosa no, ecco come apparirono agli occhi dei presenti.

“Buongiorno.” Sibilò a voce bassa, ma non al punto da non poter essere udito.

“Che dite, entriamo?” chiese retorica Ginevra, ostentando una sicurezza che sentiva in realtà venirle meno quando si trovava faccia a faccia con qualcuno che aveva avuto a che fare con la guerra, con i Mangiamorte, con Voldemort in generale. Menzogne. Le mancava la lucidità se pensava che erano stati parte di quella fazione che le aveva ucciso un fratello.

Strinse i denti per non far intendere il turbamento che dopo tutti quegli anni non l’abbandonava mai, neanche una volta.

Harry le sfiorò il braccio per tranquillizzarla e farle capire che eri lì, accanto a lei.

L’insolito gruppo si avviò verso la statua già diligentemente spostata che nascondeva la scala a chiocciola che li avrebbe condotti nell’ufficio.

Evitando l’imbarazzante momento della scelta su chi avesse dovuto intraprendere la scalinata per primo, Ron si fece avanti, porgendo la mano alla moglie e lasciandola passare avanti, per poi seguirla.

In pochi minuti si ritrovarono tutti e otto nell’ufficio, chi seduto, chi in piedi, ad ascoltare quello che un’anziana McGranitt aveva da dire loro, ovvero il motivo della loro convocazione ad Hogwarts.

“Miei cari, sono estremamente felice di vedervi qui, tutti. E sono onorata che abbiate accettato il mio invito. Spero che le vostre sistemazioni siano di vostro gradimento.” Iniziò, accomodandosi sulla grande poltrona dietro la scrivania.

Gli anni si facevano vedere sul suo volto, che annoverava molte più rughe di quelle che ricordassero i presenti.

“Quanti anni avrà?” chiese sottovoce Ron ad Harry.

“Almeno centodieci. Ci scommetto venti galeoni.” Rispose, con faccia pensierosa.

“Facciamo cinquanta.”

“Ci sto.”

Lo sguardo infuriato di Hermione li zittì all’istante, come succedeva esattamente quando erano dei ragazzi, riportandoli ad un comportamento adeguato ed educato.

“Ho un progetto in mente, e mi serve il vostro aiuto per attuarlo. Come ben sapete la Seconda Guerra Magica ha lasciato un segno indelebile nei nostri animi, ed è mio onere e desiderio fare in modo che tutte le generazioni future possano ricordare ciò che è successo ed esattamente come è successo.
Non servirà a molto trascrivere ciò che è accaduto, per quanti particolari minuziosi potranno essere descritti, a nulla varrà non poter vedere con i propri occhi la cruda realtà di quei momenti. Siete qui perché vorrei che ognuno di voi condivida una serie di ricordi con me, con gli studenti e con l’intera comunità magica. So che quello che vi chiedo non è facile. Riportare alla memoria determinati istanti della vostra vita sarà doloroso, e mai avrei voluto domandarvi di farlo, ma è per il bene di tutti. Chiunque ha il diritto e il dovere di essere a conoscenza della vera sofferenza e crudeltà di cui ognuno di voi è stato vittima. Nessuno avrà più il coraggio di sfiorare idee come quelle di Voldemort se avrà visto ciò che è stato capace di creare, o meglio distruggere. Nessuno avrà scuse se avrà avuto l’opportunità di conoscere realmente come sono andati i fatti.”

Il silenzio calò al termine del suo discorso, come una pesantissima coperta, avvolgendo i presenti in un abbraccio soffocante, caldo, che di materno e dolce non aveva assolutamente nulla. C’era il dolore del dover rivive attimi che tutti avevano cercato di lasciarsi alle spalle. C’era l’incredulità per l’assurda richiesta della loro ex professoressa. C’era tutta la sofferenza che straziava il loro cuore a causa dei caduti che ancora non erano stati pianti a sufficienza. C’erano tante emozioni contrastanti che sentivano la testa scoppiare.

“Draco…” soffiò Astoria, posandogli una mano sulla sua e attirandolo verso il basso, poiché seduta.

“Dimmi…” rispose distrattamente, piegandosi sulle ginocchia per arrivare ad avere gli occhi all’altezza dei suoi.

“Credo che i tuoi ricordi siano importanti. Molto importanti. Tra tutti i presenti tu hai assistito a situazioni che potranno dimostrare tutta la crudeltà e la pazzia di quell’essere. Tu, hai il dovere di condividere i tuoi ricordi, hai dei doveri verso la Comunità Magica e mai come in questo momento puoi davvero contribuire a renderla un posto migliore. Fa in modo che nessun possa rivivere sulla propria pelle quello che hai passato, quello che tutti noi siamo stati costretti a passare. Lo farai?” gli chiese, parlando come se non fosse presente nessun’altro eccetto che loro due.

Lui la guardò attentamente, soppesando le parole e passando gli occhi su ognuno dei presenti,, soffermandosi una frazione di secondo in più proprio in quelli castani di Hermione, da cui riuscì a notare la scia di una lacrima ancora evidente.

“Certo.” Acconsentì, rialzandosi e rivolgendosi alla preside. “Lo farò.”

“Lo faremo tutti.” Aggiunse Hermione. “Ma ci dia il tempo per decidere quali ricordi, e soprattutto il tempo per elaborare e prepararci a ciò che dovremo fare. Questo ce lo deve.” Concluse con aria seria e sicura.

“Senza dubbio non posso che accettare questa tua richiesta Hermione. Proprio per questo motivo ho messo a vostra disposizione delle camere. Voglio che abbiate tutto il tempo per riflettere. Vi ringrazio infinitamente per aver permesso ad una povera e vecchia signora di concludere un progetto iniziato molti anni fa. Ho atteso molto tempo prima di arrivare a voi, perché sapevo che sareste stati quelli più importanti e fondamentali. Sì, Harry…” aggiunse notando la sua espressione perplessa. “…non siete le uniche persone a cui ho chiesto quello che ho chiesto a voi. Molti altri sono stati qui. Mancavate solamente voi.”

“E sia. Preside, le confesso che non avrei mai immaginato una cosa del genere.” ammise Ginevra, alzandosi dalla sedia e allungando una mano verso la donna. “Le faremo sapere quando saremo pronti.”

“Avete tutto il tempo che volete.” Confermò stringendole la mano con dolcezza e gratitudine.

Ripeté il saluto con tutti i suoi ex studenti.





 

§





 

“Dopo di te.” Le disse, spostandosi di lato in modo da lasciarle lo spazio necessario per attraversare la porta ed entrare nell’enorme stanza destinata all’allenamento.

Se c’era una cosa che Rose Weasley odiava con tutta se stessa era proprio la finta gentilezza mostrata da chi sta per colpirti alle spalle. Ed era così che pensava avrebbe fatto il biondo compagno di scuola. Aveva già immaginato in quanti modi l’avrebbe offesa e presa in giro, umiliata per non sapeva esattamente quale motivo. Si odiavano. Si ignoravano.

Fino ad allora era andato tutto esattamente come doveva andare. Almeno fino a quando lui aveva deciso di non acconsentire al suo ingresso al Club dei duellanti.

“Grazie.” borbottò niente affatto colpita dal suo gesto, troppo presa dal nervosismo del trovarsi lì da sola con lui.

“Lo dici come se ti avessi appena messo tra le mani un Mandragora.” Rispose, richiudendo la pesante porta di legno alle proprie spalle e superandola.

Nessuna risposta se non uno sbuffò insofferente, fu l’unica cosa che udì Scorpius. Era nervoso, e nemmeno sapeva bene perché.

Aveva ben pochi rivali in quella scuola, per quanto concerneva il duello magico. Quegli incontri sarebbero stati una passeggiata per lui. Lo faceva solamente per fare un favore alla ragazza.

Certo, perché erano talmente amici che era normale offrirsi di aiutarla ad imparare a duellare.

Si diede del cretino più di una volta, mentre abbandonava il mantello su una panca e iniziava a slacciarsi i polsini della camicia bianca. Si ritrovò a fissare le innumerevoli foto attaccate al muro principale, in cui centinaia di studenti, maghi e streghe famosi, si allenavano in combattimento.

“Addirittura?” gli chiese, incrociando le braccia sotto il seno, non accennando minimamente a togliersi qualche indumento.

“Regola numero uno: meno vestiti ingombranti hai indosso e più veloce sarai nei movimenti. E visto la tua insuperabile agilità, credo che ti converrebbe rimanere in intimo.” Disse sarcastico, rendendosi conto, solamente dopo aver pronunciato le parole, di cosa aveva inconsciamente proposto alla ragazza.

Impiegò ancora più foga ed attenzione nel sistemare i polsini della camicia, arrotolandoli fin sopra il gomito, evitando volutamente di incrociare il suo sguardo.

Rose per tutta risposta sganciò con fervore il mantello facendolo cadere a terra, incurante del fatto che potesse sporcarsi e stessa fine fece fare al maglioncino rosso e oro. Con passo fermo e deciso afferrò la propria bacchetta e salì sulla pedana posizionandosi nella parte sinistra.

Il ragazzo si voltò per capire cosa stesse facendo e si stupì nel vederla pronta e soprattutto senza molti degli indumenti che di solito la celavano alla sua vista. Convenne che la gonna fosse leggermente più corta di quando avesse mai notato in tutti quegli anni.

“Regola numero due: mai, e poi mai avere fretta di affrontare qualcuno. Perdi la lucidità e non riesci a soppesare i reali pericoli ed insidie. Devi prenderti tutto il tempo che ti occorre per studiare il tuo avversario.” La riprese, sedendosi sulla panca a gambe aperte e poggiando i gomiti sulle ginocchia.

Prese a giocherellare con la propria bacchetta, rigirandosela tra le dita e facendola volteggiare in aria per poi riafferrarla senza problemi.

“Hai intenzione di continuare a parlare come un Professore o salire su questa dannata pedana e farmi vedere come si duella?” sbottò impaziente, mentre lo osservava fare tutto tranne quello per cui erano lì in quel momento.

“I capelli.”

“Cos’hanno i miei capelli che non va?”

“Legali. Potrebbero coprirti gli occhi.”

Quegli splendidi occhi color cioccolato, caldi, passionali, in cui affogare ed essere felice di morire. Ma questo non lo disse. Non ad alta voce almeno.

Rose alzò gli occhi al cielo, esasperata e con gesti veloci intrecciò i lunghi capelli rossi, legandoli con un laccetto nero che teneva sempre al polso destro.

“Va bene ora, Professore?” lo canzonò, allargando le braccia in modo teatrale e facendogli segno di salire sulla pedana.

“Non ancora.” Rispose, con tutta la calma del mondo. Sembrava quasi divertirsi ad innervosirla.

“Cos’altro c’è che devo fare? Dovevo mettermi in pantaloncini e canottiera? O era meglio una tuta? Avresti potuto dirmelo! Non posso leggerti nel pensiero. E poi questa storia…”

Non la fece finire di parlare, inducendola a interrompersi autonomamente, vedendolo avvicinarsi sempre di più, fino a salire i tre gradini dietro di lei e arrivare a pochi centimetri dal suo viso.

“Mai e poi mai offendere l’avversario prima ancora di aver iniziato il duello.” Le intimò in tono serio.

La soppesò con lo sguardo, indugiando più di qualche secondo sulle sue labbra colorate di rosso, tono che si stava diffondendo velocemente anche alle gote, vuoi per l’imbarazzo della vicinanza, vuoi per l’ira a stento trattenuta.

“E questa cos’era? La regola numero tre?” gli chiese, riprendo il controllo di sé e osservandolo mentre si allontanava per posizionarsi dal lato opposto.

“No. Quello era un avvertimento.” Affermò, ponendo la propria bacchetta davanti al volto. “Il saluto. Bisogna sempre salutare formalmente il proprio avversario. Ci si batte con lealtà. Il coraggio e l’astuzia sono due qualità che spesso non vanno a braccetto. O si ha una o si ha l’altra. Tu credo che farai bene a puntare sull’astuzia.”

“Dovrebbe essere il contrario Malfoy. Lascia il coraggio a chi lo sa usare.”

“Voi Grifondoro non avete ancor imparato in tutti questi anni che il coraggio non si dimostra solo buttandosi nella mischia come scavezzacollo. La gloria è quello che cercate per sentirvi superiori a tutti gli altri. Si possono raggiungere gli stessi obiettivi anche con la maestria della manipolazione.”

“Meglio una cicatrice di una lingua biforcuta.”

“La lingua biforcuta, come la definisci tu, ha voce in capito sulla tua possibile ammissione al Club dei Duellanti. Non dimenticarlo, Weasley. Intesi?” chiuse il discorso, invitandola a salutarlo formalmente.

La ragazza eseguì l’ordine, fissandolo con una sfida negli occhi, che andava ben oltre i loro piccoli problemi da adolescenti. C’era la tempesta nelle sue iridi, una voglia di prevalere e primeggiare che non avevano nulla a che fare con la ben nota e celebre intelligenza e sete di sapere ereditata dalla propria madre. No, il suo era il desiderio della ribalta, di farsi valere per ciò che era veramente e non per il nome, anzi, cognome che portava.

Stesso sentimento che albergava nell’animo di Scorpius, che più imparava a conoscerla da lontano, più intuiva quanto fossero simili da quel punto di vista. Entrambi ambivano a mostrarsi per ciò che sapevano essere e non per ciò che tutti pensavano fermamente fossero diventati.

Niente legami con i propri genitori. Non avevano nulla a che fare con loro.

“Sibilerai il via?” chiese sprezzante, alzando un sopracciglio e passandosi la lingua sul labbro inferiore, che strinse tra i denti nel tentativo di concentrarsi.

“Potrei stupirti con un ruggito.”




 

§





 

“Perché la trattano come se fosse un oggetto prezioso?” domandò Ronald, versandosi dell’acqua nel proprio bicchiere e poi in quello della sorella.

“Chi?” chiese la moglie incuriosita.

“Astoria. Sembra abbiano tutti paura che possa cadere da un momento all’altro e andare così in frantumi. Non è strano poi come gli stia sempre attaccato Zabini? Va bene che sia il cognato, va bene che potranno anche essere amici, ma possibile mai che Malfoy accetti di vederlo costantemente appiccicato alla moglie?” espresse i propri dubbi, lasciandosi andare poi contro lo schienale della sedia.

“Forse perché è proprio così.” Propose Ginevra, alzandosi in piedi ed iniziando a sparecchiare.

“Lascia, faccio io. Tu hai apparecchiato.” Si propose Hermione, alzandosi a sua volta.

“Aiutami pure, non te lo impedirò.” Le sorrise tranquillamente.

“Comunque che intendevi, Ginny?” le domandò il marito, poggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le dita delle mani.

“Credo che quella donna abbia qualcosa. Non appare sulle copertine dei giornali da parecchio tempo oramai, e questo è strano tenendo conto di tutta la fatica che sta facendo Malfoy per riabilitare il proprio nome. Sono anni che fanno beneficenza, partecipano a cene di gala importanti, compiono gesti non dico plateali, ma quasi, per far comprendere all’intero Mondo Magico che sono cambiati, cioè che lui è cambiato. Astoria e Scorpius non c’entrano nulla con tutto quello che è successo.” Provò a dare forma ai propri pensieri. “Insomma, è strano che lei sia sparita dallo scenario pubblico da mesi, senza una precisa spiegazione. È sempre stata definita la donna perfetta, colei che aveva fatto in modo che l’ex Mangiamorte potesse redimersi.” Pronunciò le ultime parole con un tono sarcastico, non riuscendo a trattenere il fastidio che ancora provava nei confronti dell’uomo.

“Quindi secondo te sta male?” cercò di chiarire Hermione, mentre ripiegava la tovaglia per poi riporla in un cassetto. “Potrebbe essere. Non mi stupirebbe che Draco abbia fatto in modo che nessuno sapesse dell’ipotetica malattia della moglie. Forse ha contratto una qualche patologia particolare in uno dei loro innumerevoli viaggi.”

“Spero non sia nulla di grave comunque. Quel ragazzo, Scorpius, per quanto mi costi ammetterlo sa il fatto suo. Non vorrei mai che soffrisse per via della salute della madre.” Ammise Harry, con un’espressione che appariva davvero dispiaciuta.

“È la fotocopia del padre.” Commentò distaccato Ronald, rizzando la schiena come se fosse stato punto nel vivo.

“Non ha i suoi occhi.” Disse Hermione, per poi girarsi immediatamente verso la finestra, fingendosi impegnata a sistemare il tendaggio rosso porpora. Si maledisse in ogni lingua conosciuta per aver fatto una precisazione del genere, temendo di essere giudicata per aver notato quel particolare.

“Se è per questo nemmeno il carattere fortunatamente. Da quello che ci racconta Albus sono diventati molto amici e lui non ha nessun atteggiamento o ideale in comune con il nostro carissimo furetto platinato.” S’intromise Ginevra, sdrammatizzando la situazione, visto lo sguardo che aveva rivolto il fratello alla moglie.

La donna aveva sempre intuito che qualcosa fosse successa tra Malfoy ed Hermione. Nell’ultimo anno che avevano trascorso nella scuola, era stata molto tempo con l’amica, ma aveva anche notato che spesso e volentieri spariva dalla circolazione, e caso strano, coincideva spesso e volentieri con l’assenza di lui. Qualche supposizione, di pura fantasia l’aveva fatta, ma poi s’imbatteva nella spensieratezza di Hermione, nel suo fare finalmente più allegro e meno silenzioso dei primi mesi, arrivando alla conclusione che qualsiasi cosa facesse, o facessero, in quei buchi temporali, non le importava. Aveva visto rifiorire la sua migliore amica, e assurdamente vedeva qualcosa cambiare anche in Draco, come se stesse pian piano tornando a vivere, per la prima volta in vita sua.

“Sarà. Ronza un po’ troppo in torno a Rose.” Aggiunse il fratello, contrariato, mettendo in mostra la normale gelosia di padre.

“Tua figlia ha quasi diciotto anni. Non è più una bambina.” Gli fece notare divertito Harry.

“Pensa se Rupert Zabini iniziasse a corteggiare Lily. Vorrei proprio vedere la tua faccia.”

“Lily ha solamente dieci anni.”

“Esattamente quanti il piccolo Zabini. A settembre andranno a scuola insieme. Non prenderti gioco di me. Poi sarà il mio turno.” Rise, dandogli una pacca sulla spalla.

“La mia bambina non ha occhi che per il padre. Vero Gin?”

“Certo, Harry. Solo per il suo papino.” Sghignazzò.





 

§






 

“Troppo lenta!” la riprese per l’ennesima volta, schivando facilmente l’incanto.

“Vai al diavolo tu e la tua bacchetta Malfoy!” urlò esausta, alzando le braccia in segno di resa e iniziando a scendere dalla pedana.

L’aveva torturata per un’ora e mezza, senza mai lasciarle un minuto per riprendersi. Aveva lanciato più Schiantesimi andati a vuoto in quell’arco di tempo che in tutto il suo percorso scolastico. Non andava mai a colpo. Prima era troppo lenta, poi troppo imprecisa, poi non teneva la bacchetta nel modo giusto, poi sbagliava la pronuncia.

Non aveva idea di quanto potesse essere stancante imparare a duellare in maniera efficiente. Scorpius aveva avuto anni per allenarsi. Era entrato a far parte del Club dei Duellanti già al secondo anno, facendosi riconoscere per le proprie abilità. E lei stupidamente aveva pensato di poter essere idonea solamente grazie alla propria intelligenza. A nulla era servito sapere a memoria decine e decine di incantesimi, se poi non riusciva a colpire l’avversario nemmeno con uno di questi.

Non si accorse che Scorpius l’aveva seguita, finché non l’afferrò saldamente, trattenendola per una spalla, proprio prima di poggiare il piede sul pavimento di pietra.

“Aspetta.” Le disse quasi come una scusa. “Sono stato troppo esigente, lo ammetto. Ma da te mi aspetto grandi cose.”

Rose rimase congelata dalle sue parole, non trovando il coraggio di voltarsi e fissarlo negli occhi, decise di non muoversi, come in attesa di spiegazioni.

“A mala pena ci conosciamo, come puoi aspettarti qualcosa da me? Solamente perché sono figlia di Hermione Granger e Ronald Weasley, questo non vuol dire che sia perfetta.” Rispose con un tono amareggiato.

“Non intendevo questo.” Chiarì lui, lasciandola andare come se si fosse scottato a contatto con lei. “So bene cosa si prova. Da un punto di vista negativo se vogliamo, ma lo so.” Ammise, voltandole le spalle e scendendo con un balzo dalla pedana, per poi sedersi sulla panca.

“Non hai idea di quanto m’infastidisca essere associata a loro. Non perché non li ammiri, chi non lo fa? Non esisterebbe più il mondo magico come lo conosciamo noi se non fosse per loro. Ma io sono una persona e non solo loro figlia. Questo la gente non lo capisce e non lo capirà mai.”

“E tu allora continua a farti valere per quello che sei! Sempre ed in qualsiasi momento.” le disse, alzando la testa e fissandola. “Rose. Rose e basta.”

“Tu quale vuoi vedere?” chiese senza riflettere su quello che stava dicendo.

“Io ne ho visto una sola. E non mi dispiace affatto, credimi.” Ammise, alzandosi e risistemandosi le maniche della camicia.

“Lascia fare a me.” Si fece avanti lei, raggiungendolo e infilando i piccoli bottoncini nelle asole, con facilità.

Scorpius s’irrigidì quando le sue dita iniziarono a sfiorarlo e si ritrovò a combattere col desiderio di affondare le dita tra i suoi capelli, stringerli e baciarla come fosse l’unica cosa sensata da fare al mondo.

Socchiuse le palpebre, inalando il profumo della ragazza, imprimendolo nella propria memoria così che non avrebbe mai potuto dimenticarlo, neanche volendo.

“Ragazzina, so vestirmi da solo.” Commentò, cercando di alleggerire la tensione.

Per tutta risposta lei alzò il viso verso di lui, che la superava in altezza di una decina di centimetri buoni, sbattendo un paio di volte le palpebre alla ricerca delle parole giuste da dire.

Ma Rose sembrò aver perso l’uso della voce, sentendosi un groppo scendere e salire nella gola.

“Perché hai gli occhi chiusi? Ti da così fastidio che ti tocchi?” domandò intimorita dalla risposta.

“Non sono abituato a farmi vestire da mani femminili.” Le disse, aprendo finalmente gli occhi. “Se capisci cosa intendo.” Concluse con un’espressione maliziosa e un sorriso ammaliante.

“Oh.” Si allontanò immediatamente da lui, per andare a recuperare il proprio mantello e il maglioncino. “Grazie, per la lezione. Ci vediamo.” Lo salutò senza voltarsi e sparendo oltre la porta che non si curò nemmeno di richiudere, talmente aveva fretta di andarsene.

Scorpius sorrise, sistemandosi il mantello sulle spalle e spegnendo l’illuminazione con un colpo di bacchetta. La penombra regalatagli dalla fioca luce lunare fu come un balsamo per i suoi nervi che finalmente si rilassarono.

Quella ragazza sapeva che tasti toccare, e lui come un pivello non sapeva quanto ancora avrebbe resistito prima di baciarla.






 

§






 

“Assurdo. Tutto questo è veramente una pazzia.” Pronunciò le parole talmente a bassa voce, che fece fatica perfino lei stessa ad udirle.

Si era ritrovata a passeggiare tra i corridoi dopo cena, con la scusa di non essere riuscita a digerire bene e che camminare le avrebbe giovato. Nessuno si era offerto di accompagnarla perché avevano imparato a riconoscere quello sguardo. Voleva stare da sola a pensare e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea.

Ed aveva pensato, riflettuto ritrovandosi poi all’improvviso ad alzare gli occhi ed incontrare quelli di Draco che la fissavano a pochi metri da lei. Un pesante maglione beige, un pantalone nero nelle cui tasche erano nascoste le mani e uno sguardo perso. Sembrava un randagio in cerca di riparo.

Era bastato un semplice gesto della testa di Hermione a convincerlo ad entrare in una stanza proprio alla sinistra della donna. L’aveva seguita, curandosi di richiudere la porta.

L’osservò accendere un paio di candele con un incantesimo non verbale e avvicinarsi ad una libreria.

Stringeva con le mani i lembi di un caldissimo cardigan bianco di lana, cercando di difendersi come meglio poteva dal freddo. Le gambe coperte dalle pesanti calze nere e le ballerine dello stesso colore, risaltavano per contrasto. Aveva raccolto i capelli in un disordinato chignon, tanto che qualche ciocca ribelle scendeva qui e là a circondarle il volto.

Sfiorando con il dito medio il dorso di un libro impolverato, carezzandone le rifiniture in pelle tutto ciò che riuscì a portare con sé non fu altro che polvere. Se ne stava lì, sul suo polpastrello, grigia come le iridi che le stavano perforando la schiena a furia di non staccare un attimo lo sguardo da lei.

Perché lei lo sentiva. Hermione percepiva su di sé lo sguardo di Draco prima ancora di poterlo vedere. Sentiva correre lungo la spina dorsale un brivido che aveva imparato a riconoscere, e che a distanza di anni, a quanto pareva, non aveva minimamente dimenticato. Era come se un cubetto di ghiaccio le fosse scivolato lungo la pelle delicata e sensibile della schiena. Si ritrovò a socchiudere gli occhi, cercando alla rinfusa dentro le proprie emozioni, il controllo.

“Come stai?”

Di tutte le cose che avrebbe potuto dirle dopo quasi vent’anni, quella gli sembrava la più stupida e al contempo la più semplice e indolore. Certo. Indolore. Perché di dolore ce n’era stato parecchio nel loro passato.

“Bene. Diciamo che non posso lamentarmi. Tu?” rispose cautamente lei, voltandosi mentre strofinava le mani per eliminare la polvere rimasta sulle dita.

“È passato tanto tempo.”

Lei alzò lo sguardo per incontrare il suo e gli sorrise suo malgrado. Non poteva controllare qualsiasi cosa e di certo quello che sentiva in quel momento, nel rivederlo dopo tutti quegli anni, e soprattutto nel rivolgergli la parola, non avrebbe mai potuto gestirlo. Era qualcosa di viscerale che non l’aveva mai abbandonata. La speranza di rivederlo si era annidata in un angolino del suo cuore, mettendo le radici, rimanendosene tranquilla lì, senza intaccare nulla di tutto ciò che aveva intorno, tutte le emozioni e i sentimenti che nutriva per la sua famiglia, suo marito e i suoi figli. Mai aveva concesso a quella minuscola speranza di superare tutto il resto. Eppure non era riuscita a sradicarla. Ci teneva. Anzi, in più di qualche occasione si era ritrovata senza accorgersene a nutrirla e tenerla in vita perché non appassisse.

“Già. Diciannove anni.” Disse, poggiandosi allo scaffale pieno di libri.

L’aula di Antiche rune era sempre stata la sua preferita perché appariva come una piccola biblioteca, un concentrato di sapere, racchiuso in una piccola stanza.

“Non pensavo avremmo mai avuto modo di parlare di nuovo. Da soli.” Confessò lui, sedendosi su un tavolo, lasciando le gambe a penzoloni.

“Perché? Non c’è nulla di male no? Siamo solamente due vecchi…”

“Cosa? Amici? Nemici? Conoscenti? In realtà c’è mai stata una vera definizione per il nostro rapporto. Non lo trovi divertente?”

“Secondo me invece abbiamo passato tutte e tre le fasi. Più o meno.” Rispose Hermione, arrossendo appena.

“Sembri felice.”

“Anche tu.”

“Davvero?” domandò ironico, sfociando in una breve risata amara.

“Si tratta di Astoria, vero?”

Lui la fissò come se le fossero cresciute altre due teste sulle spalle. In fondo come aveva fatto a sperare che nessuno se ne sarebbe accorto? Aveva spiegato alla moglie che non era il caso di accompagnarlo ad Hogwarts per quel progetto della Preside, che non aveva senso stancarsi per una sciocchezza del genere. Ma era stato tutto inutile. Lei era testarda e aveva intenzione di passare più tempo con il figlio, prima che fosse troppo tardi.

“Cos’ha? Qualcosa di grave?”  

Annuì con la testa, incapace di trovare le parole giuste per spiegare quello che aveva Astoria. Un velo di tristezza gli attraversò il volto e si passò una mano tra i capelli scompigliandoli. La stessa mano che si trovò assieme alla gemella a nascondere il viso dallo sguardo indagatore della donna che pensava non avrebbe mai più avuto l’occasione di rivedere. La stessa per cui aveva deciso di tornare a vivere. La sua Hermione, perché per qualche istante, tanti anni prima, l’aveva sentita sua. Aveva avuto il privilegio di tenerla tra le proprie braccia.

Una marea di emozioni lo attraversarono, gettandolo nello sconforto.

Amava sua moglie e stava provando qualcosa di simile alla morte nel vederla sfiorire pian piano, molto prima di quello che avesse dovuto fare, consapevole del fatto che non poteva far nulla per aiutarla.

Serbava ancora qualcosa per Hermione nel proprio cuore, qualcosa che non aveva un nome e mai lo avrebbe avuto.

Perché il destino aveva voluto diversamente. Perché qualcuno aveva deciso cosa era giusto e sbagliato per tutti. Compresi loro.

“Io…” provò a dire qualcosa, troppo dispiaciuta nel vederlo in quello stato. “Se posso fare qualcosa…”

Gli si avvicinò posando le mani sulle sue e cercando di scostargliele dal viso con delicatezza.

“Guardami, Draco. Sono io. Con me puoi parlare.” sussurrò, dopo essere riuscita a svelare il suo volto e aver poggiato la fronte alla sua. Intrecciò le dita alle sue, stringendole per fargli sentire la sua vicinanza, incapace di guardarlo negli occhi, nonostante fosse stata proprio lei a chiederglielo. “Sei sicuro che non si possa fare qualcosa? Conosco molti medici al San Mungo che…”

“Si sta spegnendo, piano…ogni giorno di più…ogni settimana ha sempre meno forza della precedente…” disse con voce atona, senza avere nemmeno più la forza di versare una lacrima. Troppo ne erano cadute dai suoi occhi perché gliene fosse rimasta qualcuna. Aveva imprecato dei in cui non credeva e altri in cui riponeva almeno un po’ di fiducia.

“Troppo tardi. È troppo tardi. I medici se ne sono accorti quando la malattia oramai era troppo avanzata per poter essere tenuta sotto controllo.”

“Tu le starai vicino. Tu devi essere forte per lei.” Lo spronò, prendendogli il volto tra le mani e costringendo entrambi a guardarsi negli occhi. “Io so che ne sei capace. Io ti ho conosciuto veramente e non ho dubbi sul fatto che saprai cosa fare. Cosa ti ho fatto ripetere fino alla nausea, quel giorno, diciannove anni fa?”

Non sono un codardo. Posso farcela.” Pronunciò le parole come un mantra.

“Esatto. Puoi farcela. Puoi essere e fare qualsiasi cosa.”

Si allontanò da lui, indietreggiando di qualche passo con l’intenzione di mettere più spazio possibile tra loro due. Perché la vicinanza stava risvegliando qualcosa che era meglio rimanesse sopito. Qualcosa che entrambi aveva deciso consapevolmente d’imprigionare e custodire, lontano da occhi indiscreti e idee sbagliate. Proprio perché erano loro due ad essere sbagliati insieme. E lo sarebbero sempre stati.

“Scorpius lo sa?” domandò, passandosi una mano sul collo.

“Sì, lo sa. Da un paio d’anni ormai. Non ci è sembrato giusto tenerlo all’oscuro di una cosa simile.”

“Avete fatto bene. È stata la scelta giusta. Merlino, ha solo diciotto anni.” Scosse la testa, incredula per la notizia appresa. “Potrei chiedere a Rose…”

“No! Se Scorpius vuole, sarà lui a parlare con qualcuno di questo. Se così non fosse, meglio lasciar stare. La prenderebbe molto male. Te lo assicuro.” La contraddisse fermamente, scendendo dal tavolo. “Fa come se non ti avessi detto nulla. Lei non vorrebbe farlo sapere in giro.”

“Se ne accorgeranno prima o poi, Draco. Perfino Ron ha capito che ha qualcosa.”

“Non me ne importa niente di quello che pensa tuo marito. Digli di non fare supposizioni e non azzardarti a dirgli nulla di tutto questo.” Alzò il tono della voce, improvvisamente arrabbiato.

“Di certo non andrò ad affiggere dei manifesti. Per chi mi hai preso, Malfoy? Non sono una pettegola, men che meno quando si tratta di questo genere di cose. E tu…” Rispose stizzita, dandogli le spalle. “…a volte non sembri minimamente cambiato.”

“Cos’è? Pensavi di poter fare miracoli?” sputò sarcastico seguendola.

“Credevo di poterti aiutare. Tutto qui.”

“Ti sono sempre piaciute le cause perse.”

“Tu non sei una causa persa. Non lo sei mai stato. Anche se vuoi farlo credere a chiunque non ti abbia conosciuto davvero. Per tua sfortuna con me ti sei rivelato, perciò so quanto puoi valere. Tira fuori le palle, una volta tanto, e combatti anche se sai che perderai. Lei ha bisogno di te in questa battaglia, di suo marito e non di un uomo compassionevole che le mostra solo la sua pietà!” non si accorse di stare urlando, finché lui non le tappo la bocca con una mano.

“Sta zitta ora!” le intimò, fulminandola con lo sguardo. “Non hai nessun diritto di dirmi cosa è meglio per me e per mia moglie. Non hai nessun diritto su di me. Non più. L’hai perso diciannove anni fa.”

Draco la lasciò in mezzo al corridoio, allontanandosi a passo svelto, lontano da lei, dai ricordi che aveva con e di lei, da un passato rinnegato.





 

§





 

Il gufo planò così silenziosamente, che Scorpius non fece in tempo a portare alle labbra l’ultimo pezzo di crostata che teneva in mano. Le briciole caddero sul tavolo e la lettera esattamente tra le sue mani.

Il ragazzo trattene il respiro, bloccando l’aria nei polmoni affinché non li lasciasse.

La carta di un panna chiaro, recava il suo nome delineato con scrittura elegante, raffinata, in qualche modo letale.

Era appena arrivato il momento che non pensava arrivasse mai più. Aveva rinunciato a quel sogno, a quell’idea qualche mese prima. Ora tutto poteva essere ribaltato. Ora tutto stava per cambiare.

“Hey! Notizie importanti, vero?” domandò incuriosito Albus, lanciando un’occhiata al biondo, mentre finiva la propria colazione.

“Nulla d’importante.”

“Dalla tua espressione non si direbbe.” Commentò poco convinto.

Il fatto che lo ignorasse quasi deliberatamente bastò a far comprendere al ragazzo, che c’era qualcosa che non andava. Quando mai un Malfoy perdeva l’occasione di battibeccare con un Potter?

Lo vide alzarsi e pulirsi i pantaloni, senza mai abbandonare la corrispondenza, che non aveva neppure aperto, quasi ne conoscesse già il contenuto.

“Scorpius? Tutto bene?”

“Sì. Tutto è come dovrebbe essere.” Mormorò distratto, lasciandolo con il tovagliolo sulle labbra e un’espressione interdetta.

La chiamata era arrivata, non ne aveva alcun dubbio.

Loro non inviavano missive per declinare una candidatura.

Loro scrivevano solo per convocare.

L’esercito della notte lo voleva.

E lui aspettava quella chiamata da più di un anno.

Non aveva aspettato altro. Almeno fino a quel momento.

Ora aveva qualcosa, o meglio qualcuno, da perdere.




 
§



 

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