I was just guessing at numbers and figures
Pulling your puzzles apart
Questions of science; science and progress
Do not speak as loud as my heart
Tell me you love me
Come back and haunt me
Oh and I rush to the start
Running in circles, chasing our tails
Coming back as we are
Coldplay - The Scientist
Ymir Bodt era cresciuta nella convinzione che il vero amore fosse solo una barzelletta inventata per convincere le ragazze che il principe azzurro sarebbe un giorno giunto e le avrebbe rese delle donne felici. Era cresciuta con l'idea che un giorno avrebbe messo anche lei la testa a posto e si sarebbe sistemata come tutte le sue amiche, sarebbe diventata una brava moglie e un'ottima madre.
E ci aveva provato, ci aveva seriamente provato. Solo che l'amore continuava ad essere una barzelletta mal raccontata.
Aveva dato il suo primo bacio a 12 anni, ad un ragazzino di cui ora neppure ricordava il volto, figuriamoci il nome. Poi, stupidamente, lo aveva anche raccontato a sua madre che ne aveva fatto una scenata senza precedenti. Sarebbe diventata una poco di buono. Se avesse continuato per quella strada sarebbe rimasta incinta prima dei 18 anni e la sua vita sarebbe finita, perché nessuno avrebbe voluto sposarsi una sgualdrina.
E lei l'aveva lasciata parlare, facendo poi i suoi porci comodi in gran segreto. Agli occhi di sua madre era una brava ragazza, tutta casa e chiesa. Alle sue spalle non si faceva sottomettere da nessuno e spiegava le sue ali non appena la porta di casa si chiudeva e lei era libera nel mondo.
Sin da quando era solo una ragazzina si era resa conto che qualcosa in lei non andava. Aveva sinceramente tentato di avere delle relazioni come le sue amiche. Ma tutto finiva ancora prima di iniziare perché lei non provava nulla. Baciava dei ragazzi di cui non le interessava assolutamente nulla. Si faceva carina per piacere a delle persone a cui non le interessava di piacere in alcun modo.
Giocava a pallavolo, sport reputato abbastanza femminile dai suoi genitori, anche se proprio tra le mura di quegli spogliatoi si era accorta di quanto potessero essere attraenti i corpi femminili. Ma aveva subito accantonato qualsiasi pensiero potesse formarsi a tal riguardo nella sua mente.
Suo fratello e il suo amichetto le avevano fatto aprire gli occhi. Giocava spesso a calcio con loro nel parchetto vicino a casa. E ancora prima che Marco le dicesse qualcosa, lei si era accorta del modo in cui i due ragazzi si guardavano.
Jean, sempre un rompicoglioni, con un'espressione che le faceva venire voglia di spaccargli la faccia, sorrideva a Marco in un modo unico. Lo avrebbe visto sorridere allo stesso modo, con la stessa dolcezza, solo molti anni dopo e verso quello che era il sangue del suo sangue. E Marco, il suo dolce e stupido fratellino, che guardava Jean con una tale adorazione che non lasciava nulla all'immaginazione. Li guardava, li osservava attentamente e li invidiava perché loro erano riusciti a trovarsi.
Lei non ci era mai riuscita.
Era brava a fare le cose di nascosto. Aveva continuato ad affinare la sua tecnica negli anni, e a collezionare a questo modo molte esperienze. Forse anche troppe perché qualcuno potesse crederle davvero. Aveva avuto così tante storie sin da adolescente e molte di esse non erano mai andate oltre ad un primo appuntamento, ad una serata passata tra baci focosi. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che faceva, se ne rendeva conto. Prima della fine del liceo aveva baciato così tante persone che ne aveva anche perso il conto.
La prima volta che aveva baciato una ragazza era per scommessa. Era un modo per trasgredire alle rigide regole imposte dalla scuola e all'educazione omofoba ricevuta a casa. Non doveva esserci nulla di più dietro quel bacio, eppure le era piaciuto il contatto con delle labbra morbide, così diverse dalle labbra dei ragazzi che baciava di solito.
Sfiorare quelle labbra – perché non era stato nulla più di questo – aveva risvegliato qualcosa. Qualcosa che aveva assopito e che era stata brava a nascondere negli anni. E da quel momento aveva deciso di smetterla con tutte quelle relazioni prive di senso con ragazzi di cui non le importava nulla.
Aveva diciassette anni ed aveva deciso di prendere in mano le redini del proprio destino. Niente più ragazzi inutili. Niente più nascondersi a sé stessa. Niente più bugie con cui aveva cercato di illudersi.
Non aveva mai fatto sesso con un ragazzo. Ci aveva provato, ma non era riuscita a concludere niente. Le sembrava così sbagliato in quel momento. Non aveva una grande opinione del sesso. Se avesse dovuto dare retta a quello che le dicevano i suoi genitori, allora sarebbe dovuta rimanere vergine fino al matrimonio, ma a lei queste teorie religiose erano sempre state un po' strette. Il sesso era solo un atto fisico. Solo per sfogare la voglia, il desiderio, lo stress, la frustrazione. La procreazione avveniva se non stavi attento, e lei di certo di figli non ne voleva avere. Né allora né in futuro.
Aveva iniziato allora una relazione con una ragazza. Una ragazza della sua scuola. Era stata il suo grande amore adolescenziale. Era stata la sua prima volta. Ma alla fine del liceo tutto era finito.
Non aveva mai parlato con nessuno di quella storia, come neppure di quelle seguenti. Neanche a Marco, che qualche tempo dopo aveva trovato il coraggio di fare coming out con la madre.
Lei lo aveva difeso a spada tratta. Perché Marco era il suo fratellino e lei vedeva quanto Jean lo rendesse felice. Vedeva il modo in cui il suo viso si illuminava non appena scorgeva il ragazzo o ne parlava con lei la sera, quando si stringevano una nel letto dell'altro e lei lo ascoltava.
Non aveva mai provato quelle emozioni di cui parlava Marco. Era innamorata della ragazza con cui stava al liceo, ma si rendeva conto che non era il grande amore di cui parlava Marco senza neppure rendersene conto.
Lo invidiava. Lo invidiava da morire.
Una volta finite le superiori era finita anche la sua più o meno stabile vita sentimentale. Aveva avuto una relazione per quasi due anni, ma alla fine del liceo era stato chiaro ad entrambe che non sarebbe andata oltre. Stranamente le andava bene così. Almeno non avrebbe continuato ad avere una relazione seria di nascosto.
Non aveva paura. Non era spaventata da cosa avrebbero detto i suoi genitori. Aveva tenuto tutto segreto perché era abituata a fare così. I fidanzatini delle medie. Le ragazze delle superiori. Le sigarette nascoste bene nel cassetto della biancheria. I piercing alle orecchie nascosti dai capelli sempre sciolti in presenza dei genitori. Per non parlare dei racconti che si divertiva a scrivere e che faceva leggere a Marco. Nonostante tutte le regole e le proibizioni, si sentiva libera. Faceva in ogni caso ciò che più le andava. Bastava continuare a fare finta di essere una brava ragazza.
Qualcosa però era cambiato un pomeriggio di novembre.
Era in cucina a prepararsi un caffè prima di ritornare a studiare quando dal piano di sopra aveva sentito urlare e dei passi frettolosi che muovevano nella stanza di suo fratello. Sapeva che Jean era con lui. Non sapeva cosa però stesse esattamente succedendo.
Marco aveva rivelato alla madre la sua relazione con Jean un paio d'anni prima. E da allora le cose erano andate sempre peggio tra i due. Ymir sapeva bene che quella donna non avrebbe mai accettato degli omosessuali sotto il suo tetto, per quanto dicesse di amare i suoi figli. Capiva Marco, lo capiva così tanto che stava male per lui.
Ma capiva anche Jean.
Stavano insieme da sei anni. Sei anni in cui tutto era un segreto. In cui nessuno sapeva qualcosa di loro. Solo tre persone.
Poteva capire la frustrazione di Jean. Poteva capire le sue urla, anche se non sapeva quale ne fosse stato il motivo questa volta, ma doveva essere qualcosa di molto serio. Soprattutto quando aveva sentito la porta della camera da letto di Marco sbattere così forte che pensava fosse uscita dai cardini e visto Jean correre giù per le scale con il volto rigato di lacrime e la faccia sofferente come se gli avessero appena inflitto una ferita mortale.
Un'altra porta sbattuta, la schiena di Jean vista per l'ultima volta in quella casa – anche se allora non lo poteva ancora sapere – ed era corsa al piano di sopra, spalancando la porta della camera del fratello, trovandolo seduto sul letto, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, gli occhi fissi sul pavimento e il volto rigato dalle lacrime.
“E' finita.” La sua voce era stata un sussurro e Ymir si era avvicinata a lui, abbracciandolo e lasciandolo piangere. Aveva sempre temuto che un giorno sarebbe successo, anche se sperava di sbagliarsi. Era triste per il fratello, ma non riusciva ad avercela con Jean, perché lo capiva.
Lei non aveva più avuto relazioni serie, perché non voleva vivere tutto in segreto.
Aveva deciso allora, con Marco che piangeva contro il suo petto, che quelle mura stavano soffocando la sua libertà. La sua vita sentimentale era ormai fatta di incontri occasionali e scopate prive di senso. Litigate con i suoi genitori perché a 23 anni non aveva uno straccio di ragazzo mentre alcune delle sue compagne del liceo erano anche già sposate e con prole a carico. Lei li lasciava parlare, come sempre. Anche perché non credeva che avrebbe mai trovato il grande amore della sua vita come era successo a Marco. Era una cosa per pochi eletti e lei non aveva tempo per stare dietro a queste cose.
Accarezzando i capelli di Marco si era resa conto che se non avesse fatto qualcosa in quel momento, sarebbe stata insoddisfatta per tutto il resto della sua vita. E aveva dato una svolta alla propria vita non appena aveva conseguito la sua laurea in Lettere.
Con sommo disappunto dei suoi genitori aveva deciso che non avrebbe seguito la loro strada. Aveva deciso di non fare l'insegnante. Aveva trovato un lavoro come commessa di giorno e cameriera di sera. Aveva velocemente messo da parte dei soldi e a aveva fatto di tutto per andare a vivere da sola.
Il primo periodo aveva condiviso l'appartamento con altre tre persone e quella era stata una delle esperienze più belle della sua vita. Lavorava, usciva, e nel tempo libero scriveva. Aveva deciso che avrebbe fatto della scrittura il suo scopo.
All'inizio erano stati racconti. Poi il grande debutto.
Romanzo per il quale i suoi genitori non le avevano parlato per diversi mesi. E come avrebbero potuto quando era apertamente una critica a tutto quello che loro le avevano insegnato. Suo padre non poteva saperlo, lo avevano sempre tenuto all'oscuro, ma sua madre lo sapeva. Sapeva che quel romanzo era stato ispirato da Marco e dalla s
ua peccaminosa relazione con quel poco di buono di Jean.
Marco le aveva telefonato non appena il libro, con tanto di dedica, gli era stato recapitato al suo nuovo indirizzo londinese. Era arrabbiato. Le aveva anche detto che le avrebbe fatto causa, anche se lei aveva scritto che nulla nel libro era reale. Marco sapeva quanto era reale.
Si era stupita quando il suo editore le aveva consegnato la lettera di una
fan
in particolare. Joséphine Kirschtein aveva letto il suo romanzo di debutto, e le aveva scritto una lettera lunghissima, allegando il suo numero di telefono e un invito per prendere un caffè.
I caffè con Joséphine erano diventati in seguito una routine ogni volta che stava scrivendo qualcosa di nuovo, tutto fatto ovviamente alle spalle di Jean, che probabilmente non aveva mai letto quel romanzo, perché mai le aveva accennato qualcosa le volte che lo incontrava in qualche locale.
Era finalmente soddisfatta: a trent'anni guadagnava abbastanza soldi con i suoi libri da potersi permettere un appartamento da sola, in un complesso niente male che di certo non si sarebbe potuta permettere facendo l'insegnante. Quando avevano poi deciso anche di fare un film, tratto dal suo romanzo, la nave era salpata e lei poteva godersi i frutti dei suoi sforzi.
Nel suo perfetto quadretto stonava solo la sua vita sentimentale, ancora costellata da relazioni futili e prive di alcun senso.
Scriveva di amore, di grandi passioni, mentre la sua vita diventava sempre più sterile di anno in anno. Anche se ci provava ancora. Non aveva in realtà mai smesso di cercare il vero amore di cui tutti parlavano. Solo che non c'era.
Suo fratello invece sembrava averlo incontrato per la seconda volta in vita sua. O almeno questo era ciò che aveva pensato quando un giorno si era vista recapitare nella posta l'invito per il suo matrimonio. Marco si sarebbe sposato a Marzo, con la ragazza che aveva conosciuto a Londra. Annie piaceva molto a Ymir, questo non lo poteva negare. Solo che lei aveva assistito alla relazione di Marco con Jean, e Marco non l'aveva mai guardata come faceva con Jean.
Era arrivata a Londra senza sapere cosa trovarsi davanti, sapeva solo che avrebbe dovuto passare un paio di giorni in compagnia di sua madre e questo bastava per farle saltare i nervi. Da quando aveva pubblicato quel primo libro, i rapporti tra di loro erano sempre stati tesi. I contatti erano mantenuti al minimo e si sentiva a vedeva regolarmente solo con i fratelli minori. Loro erano del tutto indifferenti a tutta quella questione.
Durante il viaggio in aereo, Margherita Bodt si era seduta accanto a lei. La tratta era fortunatamente breve, ma questo non aveva impedito alla donna di esprimere dei pareri non richiesti. Ad una donna di 33 anni veniva detto di comportarsi bene, di non far fare brutta figura né a loro e ancora meno a Marco. Le veniva detto di mettere un vestito, anche se Ymir aveva portato con sé un bellissimo completo giacca e cravatta che aveva comprato per l'occasione.
L'apparenza era quella che contava per i Bodt, sempre e comunque, e sua madre aveva già capito perché lei avesse scritto quel libro. Ymir lo sapeva. E del resto lei non aveva mai nascosto ciò che era. Non ne parlava, non lo reputava necessario, ma non aveva mai nascosto il suo disinteresse nel sesso maschile.
Quel weekend sarebbe stato il peggiore della sua vita, ne era certa non appena aveva messo piede su suolo anglosassone.
Quello che non si aspettava era che invece del suo peggior weekend sarebbe stato quello di Marco.
Solo che mentre in chiesa stava scoppiando l'inferno, lei era in piedi, orgogliosa come non lo era mai stata prima di quel suo stupido fratello. E lei era sempre orgogliosa di lui, anche se non lo diceva mai.
“Ymir, cosa stai aspettando? Andiamocene!” Suo padre, infuriato come mai lo aveva visto, stava trascinando fuori dalla chiesa la sua famiglia, dopo aver insultato Marco, pronunciando delle parole irripetibili.
“Oh, voi andate pure. Io andrò a godermi il banchetto.” Aveva sorriso, notando lo sguardo carico d'odio del padre. Gli aveva dato subito le spalle, avvicinandosi agli amici di Marco, che cercavano di capire cosa fosse effettivamente successo per cancellare il matrimonio a quel modo.
Qualcuno aveva capito tutto. Qualcuno non aveva capito nulla. Altri facevano finta di non capire.
Annie se ne stava in disparte, trattenuta da Reiner e Bertholdt che le parlavano a bassa voce per farla calmare. Erano ancora in chiesa, e non era il caso di continuare a dare spettacolo a quel modo.
“Annie, andiamo alla festa. Ti sbronzi e non ci pensi più a mio fratello.” Ymir le aveva sorriso. Poteva capirla, lei avrebbe reagito anche peggio se fosse stata al suo posto.
“Voglio solo ammazzarlo. Se mi date una bottiglia, la spacco e lo ammazzo.”
“Annie, dai. E' Marco, sai che non lo puoi fare. Sarebbe comunque un peccato contro l'umanità farlo, anche se oggi è stato stronzo.” Reiner le aveva dato una pacca sulla schiena e la donna lo aveva fulminato con lo sguardo, anche se al biondo non interessava, visto che si era rivolto al proprio compagno come se nulla fosse. “Bertholdt, guidi tu fino al posto del banchetto?” Quando il moro aveva annuito, allora si era rivolto a Ymir. “Vieni con noi? O preferisci restare con Marco?”
“Vengo con voi. Con lui parlerò più tardi, quando si renderà conto di cosa ha fatto esattamente.” Aveva seguito i due uomini fuori dalla chiesa, camminando accanto ad Annie.
“Tu lo sapevi?” Annie le aveva rivolto la parola non appena si erano sedute in macchina.
“Che era in contatto con Jean? No, non erano in contatto da dieci anni, da quando Marco ha deciso di rifiutare il sincero amore di Jean.”
“Si chiama Jean? Che nome orrendo.” La bionda aveva legato i capelli, sospirando.
“Non è brutto. Sei tu che sei incazzata.” Dal sedile anteriore Reiner aveva ridacchiato e Annie aveva calciato il suo sedile. “Ed è anche un bel ragazzo!”
“Reiner, il tuo regalo non te lo torno indietro. Me lo tengo.” Annie aveva sbuffato, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “Ma voi sapevate qualcosa di sto tizio.”
“No, li ho solo visti limonare l'altra sera e poi scomparire. Me ne sono sinceramente stupito, ma ero anche felice. Voleva dire che il mio gaydar non era rotto.”
“Non eri felice, eri solo ubriaco.” Bertholdt aveva parlato forse per la prima volta.
“Ma ti ho sempre detto che Marco era gay quanto noi.”
“Era solo così nohomo che era bravo a fare finta di essere etero.” Ymir aveva sorriso. Non poteva non sorridere. Nonostante la situazione fosse tragicomica, lei era felice. Marco aveva finalmente rotto le catene che lo avevano legato per anni. Le dispiaceva per Annie sinceramente, nessuno si meritava una cosa simile. Era però felice per suo fratello. “Ha passato tutta la sua adolescenza con Jean, prima come amici e poi come fidanzati. Solo che non credo sia mai riuscito ad accettare completamente la propria omosessualità. Oddio, potrei usare questa storia per il mio prossimo romanzo, anche se poi Marco mi denuncerà davvero per diffamazione.”
“Avrai il mio consenso però. Voglio ucciderlo.”
“Oh, ci penserà il senso di colpa a farlo, non devi sporcarti le mani.” Ymir le aveva sorriso. “Mi dispiace per quello che è successo, ma sono felice per Marco. Ora è libero. Ora può decidere cosa fare e spero sinceramente che torni a Parigi e che si chiarisca una volta per tutte con Jean. Perché Jean non ha mai smesso di pensare a lui, e mi metteva troppa tristezza quando lo incontravo e finivamo per bere molto più di quanto non riuscissimo a tollerare. Lui parla sempre di Marco. E ancora si chiede dove ha sbagliato. Dovresti conoscerlo, Annie. Ha un carattere di merda, ma non è una cattiva persona. E sono sicura che non volesse rubartelo.”
“Non sono arrabbiata con una persona che neppure conosco. Ma Bodt poteva anche dirmi che gli piaceva il cazzo, mi sarei risparmiata la fatica di questa farsa.”
“Annie, non parlare così. Eri felice di sposarti.” Bertholdt l'aveva guardata attraverso lo specchietto.
“Ero felice perché i miei avrebbero smesso di rompere. Sapete entrambi che mi andava bene anche solo convivere. Andava tutto benissimo prima di tutta sta storia del matrimonio.”
Ymir l'aveva osservata. Aveva sempre pensato che Annie e suo fratello si amassero. Ma ora le sembrava che nessuno dei due fosse il grande amore dell'altro. Forse quando si diventava adulti il vero amore non c'era più e ti andava bene qualsiasi cosa ti facesse sentire meno solo. Forse i grandi amori erano destinati soltanto alla giovinezza, quando la testa è libera di navigare tra le nuvole e il cuore è così leggero che può sobbarcarsi l'onere dell'amore. Forse quando cresci vieni schiacciato in modo irreparabile dalla pressione della società e non puoi più concederti il lusso di amare veramente qualcosa, senza alcuna riserva.
Iniziava ad essere sempre più convinta che per il treno fosse passato e che di tutti quei grandi amori avrebbe solo continuato a scrivere e leggere.
Solo che il destino è imprevedibile e proprio quando stava per perdere la speranza, aveva incontrato due occhi azzurri che le avevano fatto sobbalzare lo stomaco.
***
“
Sei sicura di aver fatto bene a lasciarli da soli?” Historia camminava al suo fianco, stringendosi al suo braccio.
“Si, così almeno parleranno come si deve, e forse finalmente scoperanno per scacciare tutta quella tensione che c'era tra di loro.”
La bionda aveva ridacchiato, stringendo di più il suo braccio.
Quello era stato il suo colpo di fulmine. Quello che credeva non sarebbe mai arrivato. Quello in cui stava per rinunciare per sempre. Ed invece alla fine lo aveva trovato.
Aveva 33 anni e le farfalle nel suo stomaco battevano le ali così forte che credeva Historia le avrebbe sentite. E le mani le sudavano. E aveva paura di dire qualcosa di sbagliato, che avrebbe allontanato l’altra.
Si conoscevano da soli pochi giorni, e il massimo che Ymir aveva fatto era stato baciarla.
Avrebbe potuto provarci più seriamente, ed era sicura che Historia sarebbe passata per il suo letto. Solo che questo non le interessava. Per una volta non era mossa da bassi istinti sessuali nei confronti di qualcuno. Per una volta si sentiva di nuovo ragazzina, come se fosse alla sua prima esperienza amorosa, e forse era davvero così. Forse tutte le altre relazioni che aveva avuto, più o meno brevi, erano soltanto un palliativo nell'attesa di qualcosa di più importante.
“La prossima volta potresti venire tu a Londra, anche perché non so se potrò prendere altri giorni liberi.”
Ymir aveva annuito, sorridendo.
“Verrò molto volentieri. Così magari ti vengo a prendere al lavoro.”
Nella sua testa si stavano già formando i scenari più romantici a cui potesse pensare. Passeggiate in riva al Tamigi, come stavano facendo ora sulla Senna. Cenette cucinate a casa, come se si conoscessero da tutta una vita e non solo qualche giorno. Stava sicuramente correndo troppo. Si sarebbe ritrovata con il cuore spezzato nel giro di nulla. Ma non poteva farci nulla. Si sentiva come se fosse di nuovo una ragazzina. Come se fosse appena all'inizio di una qualsiasi esperienza sentimentale. Si sentiva improvvisamente insicura di sé stessa e di tutto ciò che avrebbe potuto dire.
“Sono davvero felice che tu sia qui... Non credevo avresti accettato.”
Historia era rimasta in silenzio per qualche istante.
“Ero molto indecisa, a dire il vero. Ma già il fatto che non mi hai ancora trascinata nel tuo letto è confortante.” Aveva sorriso, e Ymir si era persa su quelle labbra. “Voglio dire... Non sono una ragazzina e ho fatto anch'io le mie esperienze, solo che di solito quando conosci qualcuno ad un matrimonio finisce sempre con un'avventura da una notte.”
“All'inizio avevo pensato di fare lo stesso.” Ymir si era grattata la nuca, un po' imbarazzata a quella dichiarazione. “Avevo visto una ragazza bellissima, che ballava con quel frocione di Reiner, e mi ero detta che dovevo almeno provarci. Che fosse per un ballo, una scopata o qualsiasi cosa.”
Historia aveva riso, e Ymir aveva percepito il proprio cuore battere più forte. Aveva letto da qualche parte – ne aveva anche scritto – che l'amore fosse solo chimica, che il cielo sfornava endorfine come se non ci fosse un domani, e che l'amore non durasse per sempre. Ma quando l'aveva sentita ridere così spontaneamente, aveva pensato di volerla sentir ridere così per sempre, ogni mattina, ogni mezzodì, ogni notte. Voleva svegliarsi accanto a lei ogni giorno, addormentarsi cullata dal suo calore ogni notte. Ed era la prima volta che aveva dei pensieri simili per qualcuno.
E forse per Historia era lo stesso, altrimenti non si sarebbe trovata a Parigi in quel momento. Non con una quasi estranea. Se Historia non avesse provato almeno in minima parte ciò che provava lei, non avrebbe corso il rischio di trovarsi lì. Per la prima volta, sia lei che l'altra persona di muovevano in sincronia, muovendo probabilmente verso la stessa meta. E non voleva farsi illusioni. Non voleva vivere in una fantasia, ma il modo in cui Historia le sorrideva e la guarda le dava la speranza di un futuro insieme.
O forse era anche il lato romantico di Parigi che le faceva sperare ciò.
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