Memories of my father

di DannyBuzz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Visioni ***
Capitolo 3: *** Condanne ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sistema Solare 139b, orbita di Teinar, nave capitale Breath of the Sun, 14 luglio 2107.


-Memoria condivisa, dici?-
Markus Bailey si allontanò dall'oblò di vetro rinforzato.
-Sì, il feto entra in legame con i genitori e ne conserva i ricordi, ma quando viene concepito questo legame si spezza: la maggior parte degli eventi viene dimenticata.-
Il Dottor Sherman Hoster rispose con un sorriso nervoso, distogliendo lo sguardo dal cadavere avvolto in un sacco bianco nell'angolo.
-Lui ha figli?- Disse Markus Bailey indicando il sacco.
-Solo uno, secondo le nostre informazioni, ma ha già dodici anni.-
-Quindi non è un pericolo, giusto?-
-Giusto.-
-Ottimo, Sherman.- Disse Bailey -Ora lasciami solo, per piacere.-
-Certo, Signore.-
Sherman Hoster uscì goffamente dalla stanza, probabilmente diretto al suo laboratorio, mentre Bailey attivò il comunicatore.
-Signore?- Una voce maschile gli rispose dala sala di comando della Breath of the Sun.
-Fateci scendere sulla superficie del pianeta.-
-Subito, Signore.-
Markus Bailey spense il comunicatore, e volgendo lo sguardo al sacco bianco sorrise.
-Il nostro tempo è giunto.- sussurò. -Preparatevi al dominio umano.-

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Capitolo 2
*** Visioni ***


Sistema Solare 139b, Teinar, Ascension City, 14 luglio 2120.


Tom si sveglio con il cuore a mille, urlando. Era da quando aveva memoria che quell’incubo si ripeteva, ogni anno il 14 luglio. Ma non era un banale sogno: era impresso nella sua mente come un eco lontano, ma non riusciva mai a ricordarne i dettagli, che sfuggivano dalla sua mente non appena si svegliava.
Guardò fuori dalla finestra: la seconda luna era ancora alta nel cielo, ma il Sole stava già sorgendo.
Tom si alzò, diretto alla cucina, dove lo aspettava la sua colazione. Mentre camminava nel corridoio spoglio vide la sua immagine riflessa in uno specchio a parete, solo per vedere la sua pelle azzurrina assumere una tonalità più scura, segno inequivocabile di vergogna. Sì, perché se c’era una cosa di cui si vergognava veramente, era di essere un Teinar, un “alieno”, come dicevano i Portatori di Luce, splendidi ed eleganti nella loro pelle rosata, gloriosi e potenti nei loro draghi d’acciaio.
Quando non faceva quell’incubo, sognava spesso di essere un Portatore di Luce, di poter viaggiare in un drago d’acciaio, di poter vedere la gloriosa madre dei Portatori di Luce, la Terra, o semplicemente di poter essere amico di uno di loro… Invece no: era un comune, stupido, Teinar, segregato per ordine dei suoi Signori sul suo brutto e sporco pianetino, costretto a vivere lontano da quei bambini infinitamente intelligenti e geniali, da quegli uomini saggi e gentili, e dal grande Spazioporto che dominava la collina al centro di Ascension City.
Fece colazione nella spaziosa cucina dalle pareti arancioni e si preparò per andare a scuola, una volta tanto non in ritardo.
Ma, appena entrato in classe, si accorse che quella lezione era diversa dal solito: L’istruttrice, una splendida Portatrice di Luce sempre perfetta e ordinata, sembrava nervosa, e accanto a lei c’erano altri due Portatori. –Allora, bambini- la voce melodiosa dell’istruttrice sembrava incrinata da una nota di tensione –Oggi faremo un piccolo controllo del vostro cervello, per scoprire se, dentro a quello di qualcuno di voi, c’è una cosa che non va per nulla bene. Capito?-
-Si, signora istruttrice- Rispose in coro la classe, tranne Tom, che improvvisamente sentiva girarsi la testa.
-Ottimo, state tranquilli, comunque: stanno controllando a tutti gli Alieni della vostra età, è improbabile che sia uno di voi il problema- Disse l’istruttrice esibendo un sorriso a trentadue denti.
Tom ora stava decisamente male, e quando vide i due uomini avvicinarsi a lui si sentì svenire. Stava per chiamare aiuto quando crollò a terra.




Era in piedi, dentro una stanza dalle pareti grigie, con un grande tavolo al centro.
Davanti a lui un Portatore di Luce in giacca e cravatta stava parlando.
-Non cre-
La scena sembrò scomparire.
-..che sia meglio per entrambi se non mi la- Di nuovo un interruzione.
-Vuoi dire condannare il mio popolo?- Ora era lui a parlare.
-No, vo- interruzione.
-...ciò che è giusto.-
Disse qualcosa, dopodichè scoppiò l'inferno.


Tom si risvegliò, intorno a lui vedeva pareti squallide e sporche, ma non avrebbe saputo dire dove fosse.
Tentò di alzarsi, ma anche solo provarci gli provocò un dolore terribile alla gamba, e, con il dolore arrivarono anche i ricordi.
La bomba.
Il fuoco.
I Teinar.
Le urla dell'istruttrice.
E la visione. Quella visione che lo aveva tormentato per anni, che ogni quattordici luglio turbava i suoi sogni.



Quello era l'incubo.


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Capitolo 3
*** Condanne ***


Sistema Solare 139b, Teinar, Ascension City, Quartier Generale del C.C.P.U., 2 Luglio 2120.


Il Quartier Generale del Centro di Controllo Planetario Umano era un luogo abbastanza spartano: pratico, ma con pochi lussi, o almeno così pensava Markus Bailey.
Si avvicinò ad uno schermo, che mostrava a intervalli di pochi secondi diverse immagini, tutte raffiguranti la stessa persona: Tom Ashlake, il più più grande errore di Bailey.
Sentì dei passi alle sue spalle, sapeva benissimo a chi appartenevano, quindi decise di non voltarsi, tanto per sottolineare la rabbia che provava in quel momento verso l'uomo che timidamente si stava avvicinando.
-Mi ha chiamato, Signore?- disse finalmente Sherman Hoster.
-Si, Sherman.- Markus Bailey soppresse tutta la rabbia che provava in quel momento sotto una maschera di tranquillità -Siediti pure- disse indicando una delle sedie appoggiate vicino al lungo tavolo metallico. -E' da tanto che non ci si vede, vero?-
-Dodici anni, esattamente. - Hoster si sedette lentamente, come se si aspettasse di poter venire ucciso da un momento all'altro, e volse a Bailey uno sguardo timido.
-Esatto, Sherman.- Markus notò che Hoster non era cambiato, era rimasto un insicuro leccapiedi: si sarebbe divertito con lui. -Ricordi cosa mi hai detto, prima di ritornare sulla Terra?-
-Abbiamo parlato di molte cose, Signore.- Hoster sorrise speranzoso.
-Sai di cosa sto parlando.- rispose Bailey seccamente "Sul serio crede di potersela cavare così?" Pensò, lasciandosi sfuggire un sorrisetto che lasciava trasparire una certa soddisfazione, quella sensazione appagante che prova un predatore quando si accorge di aver trovato la preda perfetta, disarmata ed ingenua.
-Sì- Ammise Hoster mestamente -Lo so.- Fece girare lo sguardo nella stanza, attento a non incrociare neanche per un istante lo sguardo di Bailey, che con ogni probabilità lo stava fissando; fu allora che capì di essere in trappola, con Bailey che sorridendo pregustava il momento in avrebbe condannato per tradimento Sherman, e un gigantesco schermo olografico che mostrava il Teinar che non doveva nascere, il frutto del suo unico, stupido, atto di eroismo.
Incurante della sua risposta, Markus Bailey iniziò a parlare. -Lui è Tom Ashlake, figlio di Elexi Ashlake, ultimo Re di Teinar.-
-Impossibile!- Disse Sherman Hoster, in un disperato tentativo di salvarsi -Elexii Ashlake è morto quasi tredici anni fa!-
-Impossibile, hai ragione- Bailey premette un tasto, spegnendo lo schermo. -A meno che il bambino non fosse nel grembo della madre il giorno della morte del Re... E se è così, è altamente probabile che il padre abbia condiviso alcuni ricordi al figlio, ricordi non molto comodi per noi, non trovi?-
-Certo ma...-
-E mi risulta anche che sei stato proprio tu, ha dare al piccolo Tom il suo nome umano, o sbaglio?- Ora Bailey stava esibendo un sorriso crudele, certo di avere la preda ormai nelle sue mani.
-Era solo un bambino!- Sherman si accorse di aver appena urlato davanti a Markus Bailey, ma ora non importava. -Voleva che ordinassi l'uccisione di un bambino? O che lo uccidessi io, a mani nude? A differenza di qualcuno, non sono un mostro!- Sherman Hoster si alzò, avvicinandosi a Bailey -Solo lei potrebbe avere il coraggio di uccidere un bambino.-
-Sforzi inutili, quindi, visto che ho appena ordinato a tutte le forze di polizia presenti sul pianeta di trovare Tom Ashlake, e di ucciderlo- Disse Bailey, con la voce incrinata da una nota di stupore: non credeva che Hoster fosse abbastanza coraggioso da ribellarsi in quel modo -Ora siediti.-
Sherman, improvvisamente svuotato da tutto il coraggio che aveva sentito fino a pochi istanti prima, si sedette, ma questa volta guardando ben fisso negli occhi Bailey.
-Vuoi un'altra guerra, Hoster?.-
-No... io non...-
-Immagina un esercito di Teinar infuriati per ciò che abbiamo fatto rubare delle navi, cacciarci via da qui, e iniziare una guerra contro l'umanità- L'espressione di Bailey ora non riusciva più a celare le sue emozioni.
-Non potrebbero mai vincere!-
-Non con le risorse che hanno oggi, certo.- Bailey si sistemò i capelli brizzolati, cercando di calmarsi. -Ma se trovassero l'entrata del Deposito? Se improvvisamente riscoprissero la verità? Saremmo costretti a ucciderli tutti, Hoster! Dobbiamo preservare l'ordine stabilito, per il nostro e per il loro bene.-
-Credi veramente di poter riuscire a controllarli per sempre? Prima o poi cominceranno a farsi delle domande, Bailey.- Sherman fece un mezzo sorriso -Fallirai.-
Bailey fece un cenno alle due guardie ai lati della porta -E' il momento di andare, Sherman.- Bailey si voltò, riaccendendo lo schermo -Mi sei stato molto utile.-
Sherman Hoster non produsse alcun suono, quando le due guardie armate lo portarono via, aveva lo sguardo vuoto, spento: aveva perso, non era riuscito a impedire la morte di Tom Ashlake.
Poco dopo l'uscita di Hoster, il comunicatore di Bailey ricevette una chiamata.
-Chi parla?-
-Il centro di ricerca di Marte, Signore: la stazione ARC è completa.-
-Ottimo, portatela qui e assemblatela.-
-Certo, arriverà in meno di una settimana, se tutto va come previsto.- Bailey sorrise, soddisfatto del lavoro dei suoi uomini.
-Porta i miei saluti al resto del centro di ricerca, vi auguro buona fortuna per i vostri futuri progetti- Markus Bailey spense il comunicatore, senza attendere la risposta. Accese uno schermo, che mostrava un gigantesco anello artificiale, l' ARC, chiudersi intorno a Teinar.
Quella stazione era il simbolo della completa realizzazione del suo scopo, lo scopo del Centro di Controllo Planetario Umano: i Teinar non torneranno mai più tra le stelle, il dominio completo sarà realizzato.

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


Sistema Solare 139b, Orbita di Teinar, 15 Luglio 2120

Le venti enormi navi cargo dell'ONU comparvero nello spazio silenzioso intorno a Teinar quasi contenporaneamente, spegnendo i motori iperluce.
Passo qualche istante, ed infine la quiete del vuoto fu rotta dall'apertura delle centinaia di saracinesce sulle fiancate delle navi e iniziando ad'assemblare il loro carico.
-Tutti i moduli dell'ARC sono in posizione e pronti all'aggancio, Signore-
-Ordina l'inizio della procedura d'aggancio- Bastian Koch congedò con un gesto il maggiore che lo assisteva, fissando con gli occhi azzurri la sua creazione, la stazione ARC, che prendeva forma.
Il progetto della stazione era iniziato tredici anni prima, quando la fine del Conflitto era ormai prossima, e l'allora ammiraglio Bailey aveva commissionato al più grande centro di ricerca e cantiere spaziale delle Nazioni Unite, su Marte, la creazione dell'immenso anello che proprio in quelle ore si stava lentamente assemblando intorno a Teinar, pianeta natale dell'omonima specie senziente, o Kud'ash, come gli indigeni usavano definirsi prima della fine del Conflitto.
A quei tempi Koch era nient'altro che un promettente ingegnere aereospaziale originario di quelle terre pianeggianti che un tempo costituivano la Polonia, appena distaccato sulla celeberrima struttura di ricerca costruita ormai venti anni prima sulla cima dell'Olympus Mons, montagna più alta dell'intero sistema solare, la dove neanche la sottile atmosfera di Marte disturbava i telescopi spaziali. Il centro di ricerca, infatti, non ospitava solo il laboratorio di ingegneria aereospaziale dove venivano progettate le titaniche corazzate delle Nazioni Unite, ma vi erano dislocati decine di centri di eccellenza praticamente in ogni campo: era li che era stato sintetizzato il batterio che permetteva al padre di Koch di vantare la veneranda età di centoquattro anni, e li era stato costruito il primo prototipo di motore a microonde, che aveva suscitato proprio in suo padre non poco scetticismo: -Con i microonde ci si cucina, non si salta nell'iperspazio!- aveva detto, facendo sorridere Koch non tanto per l'osservazione sulle microonde, tanto quanto la vetusta espressione "iperspazio" che ricordava all'ingegnere vecchi film che in gioventù vedeva almeno una volta ogni tre mesi con tutta la famiglia, ma neanche la fervida immaginazione del regista in fatto di armi titaniche poteva equiparare la richiesta che l'Ammiraglio Bailey gli fece quel pomeriggio.
A metà tra l'emozione per una nuova sfida ingegneristica e lo shock aveva riunito una squadra di ingegneri genetici e aereospaziali, includendo persino xenobiologi e qualche neurologo, ottenendo fondi praticamente illimitati e una nuova ala apposta per lo sviluppo di ARC grazie ai poteri concessigli dall'Ammiraglio. Tredici anni e molte delusioni e ripensamenti dopo, i componenti di ARC lasciavano i cantieri di Deimos, la luna minore di Marte, per raggiungere quel mondo così remoto ma cruciale per l'intera umanità, e infine chiudersi intorno a Teinar, attendendo l'ordine di attivazione.
L'uomo si destò dai suoi ricordi per tornare a osservare la splendida desolazione dello spazio, che ogni volta lo stupiva, e poco sotto un'altra landa sterminata, non altrettanto magnifica: Koch provava quasi pena da quel pianeta verde smorto, malato, devastato irreparabilmente dopo trenta anni di guerra senza quartiere, tutte cose che i media non facevano vedere. Sotto di lui ora passava un vasto oceano punteggiato da migliaia di isolette, un panorama forse un tempo magnifico, ma ormai anche il mare aveva assunto quella sfumatura verdognola che caratterizzava Teinar, e le isole erano totalmente spoglie e prive di vegetazione, tanto che dall'orbita si potevano scorgere i crateri più grandi causati dallo schianto delle bombe orbitali e i devastanti effetti sulla flora -Era necessario- si disse sottovoce più per convincersene che per altro, volgendo lo sguardo all'anello in costruzione, e improvvisamente sentendosi fiero di se e della sua squadra; rimase a fissare il cantiere per quelli che credeva fossero alcuni minuti, ma si dovette ricredere quando un ometto tarchiato con dei folti baffi gli consegnò la cena su di un vassoio di un grigio monotono, dileguandosi silenziosamente prima che l'ingegnere potesse ringraziarlo; Koch si voltò, per assicurarsi di essere solo, e incurante del ronzio delle telecamere appoggio il vassoio con il cibo a terra, tornando ad osservare la sua creazione.




Sistema Solare 139b, Teinar, Ascension City, Ghetto Teinar, 18 Luglio 2120

Tom si svegliò di colpo, solo nella sua nuova stanza, piangendo.
I suoi carcerieri, "I Guardiani dell' Akteth" come si facevano chiamare, lo avevano strappato dalla sua vita, dalla sua famiglia e dalla libertà rinchiudendolo in un buco sporco e vecchio dove l'aria e la luce filtravano a stento da una grata arrugginita sopra il suo giaciglio, un mucchio di lenzuola ingrigite ammassate in un angolo, come a formare un letto improvvisato.
Si alzò per andare a prendere la frugale colazione che chissà come ogni mattina ritrovava appoggiata su di un tavolino di plastica rotto in più punti, che ormai da tempo aveva perso il suo colore originario; ma nel farlo, girò con circospezione intorno alla pistola poggiata a terra al centro della stanza -Quando ti avremo convinto ad abbracciare la Causa- aveva detto una donna rugosa la cui pelle era ormai scolorita dalla poca luce -Ti servirà-. Tom non vedeva come potesse essergli utile una pistola, un' arma, giustamente proibita alla sua specie dai Portatori di Luce; e scoppiò di nuovo a piangere pensando all'Istruttrice, uccisa brutalmente da quei mostri che lo tenevano prigioniero "ecco cosa succede a dare a un Teinar un'arma pensò tra le lacrime.
-Passato il dolore alla gamba, Aktethon?- Tom si voltò di scatto, cercando di capire da dove proveniva quella voce Aktethon aveva detto il Teinar che ora si trovava davanti, la pelle più verde che blu, e una spaventosa cicatrice che partiva dall'estremità destra delle labbra fino quasi all'occhio, con una curva che faceva sembrare la vecchia ferita un inquietante sorriso.
Il Teinar, che nonostante la pelle scolorita non doveva avere più di venticinque anni, si accigliò, vedendo lo sguardo perplesso di Tom, e si affrettò a dare una spiegazione. -Io sono Winjalgho Medhalke, mio Signore, e la Lama mi ha ordinato di servirti e proteggerti da qui fino al giorno della mia morte- disse con tono marziale -Sarò il Comandante della tua Guardia dell'Akteth- concluse, mettendosi la mano sul cuore e irrigidendosi, mostrando una poderosa muscolatura che Tom non si aspettava, dato il colorito malato.
Ancora quella parola-Cosa è un Aktethon?- Chiese dunque alla sua nuova guardia del corpo, che intanto rimaneva irrigidita in piedi, in attesa di ordini.
-Aktethon vuol dire "Principe" nella nostra vera Lingua, mio Signore, è il tuo titolo, ma sei anche Reghat Akteth, "Re provvisorio", in attesa di ritrovare tuo padre, Elexii, duecentoquarantaduesimo Akteth dal Pianto del Padre, Signore di Teinar e del Regno delle Stelle, il Combattente, nonchè leggittimo padrone di Teinar e di tutti i pianeti del Sistema del Padre-
-Tu farnetichi, sporco traditore, prima della Discesa, vivevamo nel fango e non avevamo una lingua!- Tom era allibito dalle bugie in cui quel ragazzo credeva, certamente inculcate dai Guardiani dell'Akteth o da alttri gruppi terroristici, ingrati e codardi ingannatori.
Il ragazzo, nascondendo goffamente uno sbuffo cominciò a spiegare.




Sistema Sol, Terra, Europa, Palazzo di Diamante, 18 Luglio 2120

"Palazzo di Diamante", che nome ridicolo. Claudius Giraud entrò per la prima volta nell'immenso complesso di grattacieli, costruito dopo la fine della guerra come nuova sede delle Nazioni Unite. Senza fermarsi ad osservare i giochi di luce da capogiro creati dalle più grandi Archistar internazionali, attraversò la porta di vetro dell'Edificio C, che spiccava sopra ogni altra costruzione coni suoi quasi tre chilometri di altezza, e ignorò giornalisti e blogger accampati nella Hall, lasciando i suoi collaboratori tentare di rispondere a domande di cui non sapevano la risposta.
Entrò da solo nel primo ascensore disponibile, dove una squittente donna sui cinquanta, evidentemente a disagio nell'austero tailleur grigio topo, chiese "quale piano il Signore desiderasse visitare", "penoso" pensò Giraud mentre premeva il tasto del quarantaduesimo piano, chiedendosi come fosse possibile che quella donna fosse pagata per premere dei tasti.
Claudius Giraud era un'uomo sui settantacinque, ormai non troppo lontano dall'ingresso nella terza età, i capelli già bianchi che incorniciavano un viso pallido su cui stavano comparendo le prime rughe. Avrebbe desiderato una barba, ma il rigidissimo canone di "eleganza" vigente nelle alte sfere delle Nazioni Unite imponeva di avere il mento totalmente glabro, così si era adattato. Il completo bianco, con la stretta cravatta dorata, ricordava a Giraud un gelataio, o la mascotte di una vecchia marca di pneumatici della sua giovinezza, ma, come per la barba, alcuni sacrifici si rendono necessari.
La porta specchiata dell'ascensore, che non faceva che ricordargli il cattivo gusto contemporaneo, si aprì, rivelando i modesti uffici open space del quarantaduesimo piano, dove solitamente decine di ventenni di buone speranze lavoravano incessantemente per poter risalire la complicata gerarchia della più importante organizzazione sovranazionale al mondo, che peraltro dirigeva il Programma Coloniale Umano.
Come Claudius si aspettava, gli uffici erano completamente vuoti. Attraversò interminabili file di scrivanie di vetro, quasi inciampando in una sedia girevole che non era stata messa a posto. Regnava un silenzio quasi spettrale. Giraud, dopo aver camminato per quasi un minuto sul pavimento lucido, arrivò davanti alla porta insonorizzata della Sala Riunioni del quarantaduesimo piano, bussò, ed entrò senza aspettare la risposta.
-Benvenuto, Claudius, ti savamo aspettando già da un po'- Augustus Claudius si voltò verso l'italiano, che gli rivolgeva un ghigno quasi crudele, e salutò i presenti. -Buongiorno Hadrianus, buongiorno Traianus, buongiorno Nerva.-
-Buongiorno anche a te, Augustus.- Aggiunse sentendo il giovane schiarirsi la voce -Iniziamo.-

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