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di guimug
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 – Campane ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 – Romeo è sempre Romeo ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 – Il sole sorge sempre ad oriente ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 – Ancora campane ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 – Campane ***


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Cap. 1 – Campane

 


I rintocchi che avevano scandito quella giornata finalmente tacevano, quelle lugubri martellate che il campanile della chiesetta di Lakewood aveva fatto riecheggiare erano cessati ma nella testa di Candy ancora risuonavano come a volerle ricordare che era successo ancora, che la Nera Signora di nuovo si era presentata alla sua porta per rubarle la felicità.
Quando le avevano portato la notizia lei era nel roseto intenta a potare un cespuglio di “Dolce Candy” e l’apparire di quei due uomini che entravano dal cancello con un aspetto formale non l’aveva impressionata più di tanto, era abituata a veder comparire banchieri e uomini d’affari ed anche qualche esponente politico che con suo marito Albert intrattenevano rapporti di lavoro, ma quando uno dei due le si rivolse direttamente capì subito che c’era qualcosa di stonato.
“È lei la signora Candice White Andrew?” La domanda posta con tono freddo ed ufficiale la prese in contropiede. “Sì” rispose, “Ma voi chi siete?”
“Moglie del signor Albert William  Andrew?” continuò nella stessa forma e Candy cominciò seriamente a preoccuparsi
“Sono io, ma cosa volete da me? È successo qualcosa ad Albert?” chiese con un leggero tremito nella voce e l’uomo rispose “Sono il detective Reynolds, deve seguirci alla stazione di polizia!”
“Perché? Cosa è successo? Vuole rispondere?” ma nessuno dei due volle fornire alcuna informazione, si limitarono ad intimarle di fare presto e di seguirli nella loro vettura.
Al comando della Polizia di Chicago Candy fu ricevuta dal commissario capo James Malone che la invitò a sedere, sedendosi a sua volta di fronte a lei cominciò a guardarla indeciso…si vedeva che aveva qualcosa di molto importante da comunicare ma non riusciva a trovare le forze per cominciare; diamine conosceva bene quella signora bionda, aveva anche ballato con lei alla festa annuale della polizia ed ora era costretto ad essere per lei il latore di una tragica notizia.
“Commissario la prego, mi dica cosa è successo! Dov’è mio marito? La prego non mi tenga sulle spine!” lo esortò Candy che ormai sentiva l’ansia attanagliarle il cuore.
“Signora, lei sa dove doveva andare oggi suo marito?”
“Mah, so che doveva incontrarsi con due rappresentanti di non so quale grossa compagnia europea per delle questioni d’affari, si dovevano vedere al Plaza qui a Chicago ma non so di preciso di cosa dovessero parlare. Ma cosa c’entra questo?”
Il commissario era arrivato al punto, raccolse le forze e pregò che nulla lo interrompesse perché certe cose è meglio riferirle tutte di un fiato:
“Allora…suo marito ha effettivamente incontrato queste due persone al Plaza ma poi, siccome questi due uomini volevano fare un po’ di festa per celebrare gli accordi presi e, come lei sa, negli Stati Uniti per legge non si possono commercializzare alcolici hanno convinto il sig. Andrew ad accompagnarli in uno speak-easy di cui avevano avuto l’indirizzo dal concierge. Come lei saprà questi locali clandestini sono in mano alla malavita organizzata e spesso fra le bande scoppiano delle lotte…dei regolamenti di conti e oggi…”
“No!!! Non è possibile!! Albert è rimasto coinvolto? Ma dov’è adesso? Come sta?”
“Ecco signora” continuò Malone con fare sempre più imbarazzato “c’è stato uno scontro a fuoco, colpi di pistola e di mitra ed una pallottola ha colpito il sig. Andrew al torace…”
“Si ma lo avranno portato in ospedale!! Dove? Al S.ta Johanna? Perché non mi hanno portata là?” chiese Candy con la voce rotta, aggrappandosi a quell’ipotesi per scacciare la terribile verità che sentiva essere dietro l’angolo, se l’avevano portata alla polizia voleva dire che…
“Purtroppo signora il colpo è stato fatale, il sig. Andrew è deceduto. Quando sono arrivate le ambulanze non hanno potuto far altro che constatarne la morte.”
Candy rimase muta, non riusciva a comprendere appieno ciò che il commissario le aveva appena raccontato, Albert non c’era più? La persona che per tutta la sua vita l’aveva tratta fuori da ogni guaio l’aveva lasciata per sempre? l’uomo che aveva sposato per costruirsi finalmente un futuro sereno era stato ucciso in un locale malfamato? No, rifiutava di accettare questa realtà anche se in cuor suo sapeva che ancora una volta la morte era venuta a riscuotere un tributo di dolore alla sua porta.
Facendosi forza per ricacciare indietro le lacrime chiese “Dov’è adesso? Posso vederlo?”
“Certo signora” rispose Malone “Reynolds l’accompagnerà all’obitorio, tra l’altro è necessario che lei riconosca la salma ufficialmente”
La salma? Ora il suo Albert veniva chiamato così? “Venga signora” la chiamò Reynolds “Mi segua”
Candy seguì il detective per corridoi e scale fino all’obitorio posto nel sotterraneo dove su delle barelle si indovinavano le sagome di alcuni corpi celati alla vista da lenzuoli bianchi, Reynolds chiamò un inserviente che spostò in avanti una delle barelle: “È pronta signora?”, chiese il detective a bassa voce.
Pronta? E come si può essere pronti a qualcosa di simile! Candy era frastornata, vedeva le pareti piastrellate della camera mortuaria, le barelle addossate al muro, sentiva l’odore dei disinfettanti ma ancora non riusciva a rendersi conto…pronta, sì doveva esserlo e la riposta le uscì con un filo di voce: “Sì detective, sono pronta!”
L’inserviente scostò il lenzuolo scoprendo la salma; i tratti dolci del viso incorniciato dai capelli biondi, gli occhi chiusi in un sonno troppo profondo per essere interrotto, le labbra appena dischiuse come se avessero un’ultima parola da pronunciare le apparvero dietro un velo di lacrime che cominciava a riempirle gli occhi.
“È lui…il mio Albert! Albert!! Albert!! Dio che ti hanno fatto!!!”, l’angoscia non più trattenuta dall’esile speranza che dopotutto potesse trattarsi di un errore eruppe in tutta la sua forza e Candy la lasciò fluire, esplose in un pianto dirotto e cercò di buttarsi sul corpo del marito trattenuta a stento dal detective Reynolds poi, quasi a voler fuggire dal dolore, fece l’unica cosa che poteva fare per trovare un minimo sollievo e svenne.

 

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Capitolo 2
*** Cap. 2 – Romeo è sempre Romeo ***


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Cap. 2 – Romeo è sempre Romeo
 

 

“O onesto speziale! Il tuo veleno è rapido, e così, con un bacio, io muoio.”
 
Pronunciata la battuta Terence si accasciò accanto al catafalco dove Katherine era sdraiata nella scena finale della tragedia, era ancora una volta Romeo e viveva ancora la storia d’amore più celebre della letteratura.
Sdraiato sulle assi del palcoscenico, immobile nella sua morte apparente sbirciava lo svilupparsi del finale del dramma e cercava di indovinare dalle facce degli spettatori delle prime file se la recitazione fosse stata convincente, a giudicare dalla tensione sui volti di alcuni signori sembrava proprio di sì!
 
Pugnale benedetto! Ecco il tuo fodero, qui dentro arrugginisci, e dammi morte!
 
Ecco, ora era morta anche Giulietta ed alcune signore del pubblico avevano cominciato ad accostare agli occhi i loro fazzoletti di batista ricamati per asciugare qualche furtiva lacrima; Terence sorrise compiaciuto, anche stavolta erano riusciti a coinvolgere il pubblico, a catturarne i sentimenti…ora mancava solo una battuta:
 
“Questa mattina porta una pace che rattrista; nemmeno il sole mostrerà la sua faccia. Andiamo via da qui, a ragionare di questi dolorosi avvenimenti. Per alcuni sarà il perdono, per altri il castigo immediato: poiché mai storia fu più triste di quella di Giulietta e del suo Romeo.”
 
Il dramma era finito e per un attimo fu il silenzio totale, le luci si erano spente ed era il momento in cui gli attori aspettano che il pubblico emetta il suo verdetto, quei secondi di silenzio che possono portare al trionfo degli applausi o al fallimento dei fischi…un attimo di limbo fra paradiso ed inferno, poi il teatro esplose in un fragoroso battimani; ancora una volta il successo aveva arriso alla compagnia!
Terence e gli altri attori ringraziarono il pubblico dal proscenio con una serie di inchini, dalla platea arrivò anche qualche gridolino di apprezzamento per il bel Romeo da parte delle spettatrici più giovani.
Terence sorrise, certo gli facevano piacere i complimenti ma lui non cercava l’apprezzamento di quelle ragazze, ogni volta che terminava una rappresentazione il suo pensiero andava ad una persona in particolare per la quale continuava a recitare anche se lei non era tra il pubblico.
Mietere un successo dopo l’altro, impegnarsi nel lavoro era diventata la sua missione per dimostrare a Candy che lui era rinato, che il Terence abbrutito e disperato che la loro separazione aveva creato era ormai solo un pallido ricordo; lo aveva giurato quella sera nel giardino della villa di Lakewood mentre la spiava alla finestra, aveva promesso a se stesso che sarebbe diventato un grande attore per lei, e chissà che le cose non avrebbero potuto prendere una piega diversa.
Ora la rappresentazione era finita e Terence, smessi gli abiti di scena, rientrava a piedi in albergo. Gli piaceva camminare per le strade di New York dopo una lunga tournee che lo aveva portato ad esibirsi nei più prestigiosi teatri europei da Parigi a Roma fino alla consacrazione a Londra, era contento di ritornare per così dire “a casa” in quella città che gli aveva visto muovere i primi passi della sua carriera.
Varcando la porta girevole dell’Hilton si ritrovò per un attimo a pensare a cosa sarebbe successo se quella sera, in quell’oscuro teatrino di periferia, il suo angelo biondo non fosse apparso…magari adesso starebbe elemosinando un tozzo di pane in qualche oscura strada del Bronx o di Brooklyn, sempre se fosse sopravvissuto!
Invece adesso stava chiedendo le chiavi della sua suite ad un concierge in uniforme che però gli consegnò un biglietto dicendogli “Il signore è atteso nel salottino privato”.
Terence lo guardò perplesso, chi mai poteva cercarlo? Era rientrato da solo due settimane e per tutto quel tempo era rimasto confinato fra teatro ed albergo senza incontrare praticamente nessuno; guardò il biglietto da visita che teneva fra le dita che recava stampato a caratteri alquanto pomposi il nome “Archibald Cromwell”. Archie? E che cosa voleva da lui quel damerino elegante? Se lo ricordava ai tempi della Royal St. Paul School schizzinoso ed indisponente, poi era cambiato ed era addirittura diventato un buon amico; aveva sposato una delle migliori amiche di Candy, una certa Annie Brighton, diafana e timida…la persona adatta a lui!
Ma se ora era qui…magari gli portava qualche notizia di Candy? Magari Candy era con lui?
“Calma Terence!” si disse ”Non saltare a conclusioni affrettate, forse è solo di passaggio e vuole salutarti…comunque sentiamo un po’!”
Entrò nel salottino e, seduti su due poltrone, c’erano Archie ed Annie che vedendolo entrare si alzarono e si precipitarono a salutarlo.
“Terence! Che piacere vederti!” disse Archie stringendogli la mano “Ti ricordi di Annie?”
“Certo che mi ricordo Archie!” rispose Terence facendo un compito baciamano alla ragazza “Come state? Cosa vi porta qui?”
Fu Annie a rispondere: “Non hai saputo nulla di Candy?”
Terence impallidì, “Che cosa le è successo? Sta male? Io sono rientrato da poco dall’Europa e quindi non posso sapere nulla, dov’è adesso?”
“Speravamo che potessi dircelo tu!” proseguì Archie “E’ scomparsa da circa un mese, una settimana dopo che Albert è morto!”
“Come? Albert è morto? E com’è successo? Non ne sapevo nulla, in Europa non leggevo i giornali americani!! Dimmi Archie, raccontami tutto!!”
Archie cominciò dal principio, da quella maledetta giornata della sparatoria allo speak easy fino al funerale di Albert, “Dopo il funerale c’è stata l’apertura del testamento e Candy è stata nominata erede universale della fortuna degli Andrew; il giorno dopo al sig. George, l’amministratore della famiglia, è arrivata questa lettera.”
Tese a Terence un foglio su cui il giovane lesse:
 
«Gentile Sig. George;
con la presente le affido la procura totale per quanto riguarda la gestione delle proprietà finanziarie ed immobiliari della famiglia Andrew di cui sono entrata in possesso a seguito del testamento del mio defunto marito Albert William, da questo momento lei ha carta bianca in tutte le questioni riguardanti gli affari mentre io sento il bisogno di allontanarmi da Lakewood e da tutto ciò che mi possa ricordare la famiglia Andrew ed il mio povero Albert.
Non so se e quando rientrerò, le auguro di star bene.
Sinceramente sua
Candice White ved. Andrew”
 
“E da allora nessuno ne ha più avuto notizie!” esclamò Annie con un singhiozzo, “Quando abbiamo saputo che tu eri tornato a New York abbiamo pensato che, magari, poteva essere venuta a cercarti”
“Maledizione no!” urlò Terence “Se avessi saputo qualcosa sarei corso subito a Lakewood!!”
La frustrazione per non essere stato presente quando la sua Candy aveva bisogno di lui lo faceva infuriare, investì la coppia con parole dure “Ma voi due non potevate starle vicino? Cosa avete fatto per confortarla? Evidentemente non vi siete comportati da bravi amici se avete permesso che la disperazione la sopraffacesse a tal punto da farla fuggire!”
“Hai ragione Terence” rispose Archie con voce rassegnata “Non siamo stati capaci far nulla per lei, ma tutto è successo troppo in fretta”
“Va bene, ma avete fatto delle ricerche?”
“Si, abbiamo ingaggiato anche un detective privato della Pinkerton che ha ricostruito gli ultimi movimenti di Candy. Sembra che il giorno della sua scomparsa sia andata a trovare il Dott. Leonard, il direttore dell’ospedale S.ta Johanna dove ha lavorato come infermiera, e da lì poi si sia recata alla stazione.
Abbiamo chiesto al Dott. Leonard cosa volesse da lui ed all’inizio non voleva dirci nulla, poi grazie al nome di famiglia ed ai cospicui finanziamenti che l’ospedale riceve dagli Andrew ci ha rivelato che gli aveva chiesto come poter rintracciare una sua vecchia collega, una tale Flanny Hamilton che, dopo aver prestato servizio come crocerossina in Francia durante la guerra, era tornata in America ed adesso lavora al Mount Sinai Hospital.
Siamo venuti subito a New York per incontrarla ma poi, vedendo il tuo cartellone a Broadway, abbiamo pensato che forse…beh…forse avrebbe potuto venire da te, ma evidentemente ci siamo sbagliati.”
Terence era paralizzato, cercava di figurarsi il carico di dolore che Candy stava sopportando e che cercava di esorcizzare con la fuga; maledizione, ma perché non l’aveva visto lei il suo cartellone? Probabilmente era arrivata a New York prima che lo esponessero altrimenti…altrimenti cosa? Chi gli assicurava che lei lo avrebbe cercato? Che volesse condividere con lui la tragedia? Magari pensava di non contare più nulla per lui, o magari era lui che non contava più nulla per lei!
“Candy!! Come potresti mai pensare qualcosa di simile?” pensava il ragazzo, poi con voce decisa si rivolse ad Archie ed Annie: “Bene, quindi la prima cosa da fare adesso è di andare a cercare questa Flanny Hamilton e chiederle se Candy si sia messa in contatto con lei! Muoviamoci!!”
“Ma è sera ormai!” obiettò Annie con un filo di voce.
“Gli ospedali sono sempre aperti, e non abbiamo tempo da perdere!! La mia Candy è da sola là fuori ed ha bisogno di me!!” e pose una tale enfasi su quel “mia” che i due ragazzi non ebbero più dubbi, era di nuovo il Terence innamorato della Royal S. Paul School

 

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Capitolo 3
*** Cap. 3 – Il sole sorge sempre ad oriente ***


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Cap. 3 – Il sole sorge sempre ad oriente

 


L’austera facciata del Mount Sinai Hospital li sovrastava nell’incerta luce di una sera inoltrata, rischiarata solo da qualche lampione si delineava quasi unicamente per le file di finestre illuminate ai vari piani, i tre ragazzi entrarono nell’atrio e si rivolsero ad un’annoiata infermiera che presiedeva il banco dell’accettazione.
Archie la salutò, “Buonasera signorina, potrebbe dirci se stasera è in servizio un’infermiera di nome Flanny Hamilton?”
La ragazza lo squadrò con aria sospettosa, che strano che un ragazzo così raffinato venisse a cercare quella sua collega così scontrosa e indisponente. Ma del resto c’è un dio dell’amore per tutte e Flanny evidentemente aveva pescato bene, a giudicare dai vestiti sembrava essere un ragazzo di ottima famiglia, quello che si definisce “un buon partito”.
“E brava Flanny!” pensò, “Allora sotto sotto anche lei è una ragazza come le altre!!” Comunque il regolamento vigeva per tutti e la risposta fu “Non sono permesse visite private durante l’orario di servizio! Nemmeno per i fidanzati…” aggiunse in tono malizioso.
Archie rimase interdetto senza sapere cosa replicare, fu Annie ad aggiungere “Il signore è mio marito, la prego di non fare commenti fuori luogo!”
“Allora a maggior ragione non posso farvi passare!”
“Ma è molto importante che noi vediamo la sig.na Hamilton subito!” proseguì Archie.
“Il regolamento parla chiaro, non sono permesse visite private durante il servizio a meno di gravi motivi familiari e solo da parte di parenti stretti. A quanto pare voi non fate parte di questa categoria quindi non posso farvi passare!”
Terence aveva ascoltato lo scambio di battute e ritenne fosse suo dovere intervenire “Signorina, non ci tratterremo molto a lungo, dobbiamo solo chiedere un’informazione alla signorina Hamilton e poi andremo via”.
Inutile, la testardaggine della ragazza era granitica “Vi ho già detto di no! Ora andatevene o dovrò chiamare la polizia!”
“Noi stiamo cercando una persona scomparsa che sappiamo essersi incontrata nei giorni scorsi con la sig.na Hamilton” sbottò Terence “ e se per causa sua a questa persona capita qualcosa di brutto solo perché non abbiamo potuto avere delle notizie importanti la riterrò responsabile! Provi a raccontare questo alla polizia!”
La ragazza sembrò accusare il colpo, “Va bene, va bene…Flanny è al reparto C, medicina interna al quarto piano. Salite le scale a destra, ma io non vi ho detto nulla chiaro?”
Senza nemmeno ringraziare i tre si avviarono verso la scala lasciando l’infermiera di guardia ai suoi scrupoli di coscienza, una volta arrivati al quarto piano imboccarono un corridoio ove si aprivano le porte delle corsie.
Fermarono un’altra infermiera e Terence chiese dove potesse trovare Flanny.
“Chi, cuore di ghiaccio Hamilton?” rispose la ragazza “E cosa vuoi da lei? Credimi, perdi il tuo tempo!”
Terence cominciava ad essere irritato, era evidente che Flanny non fosse molto popolare fra le sue colleghe ma questo non doveva diventare un ostacolo.
“Faccia meno spirito e mi dica dove posso trovarla!!” abbaiò il ragazzo e l’infermiera perse tutta la sua voglia di scherzare, “La seconda corsia a destra…mi scusi” ed in un fruscio di gonne inamidate si allontanò.
Entrati nel grande camerone scorsero vicino ad un armadio contenente cartelle cliniche una ragazza occhialuta con i capelli neri legati in una coda di cavallo, Terence le si rivolse chiedendole “Buonasera signorina, è lei l’infermiera Flanny Hamilton?”
“Si sono io, lei chi è? E cosa vuole da me?” rispose la ragazza con fare brusco.
“Mi chiamo Terence Granchester, e questi sono Archibald Cromwell e sua moglie Annie. Siamo amici di una sua ex collega di Chicago, Candy Andrew, che è scomparsa e stiamo cercando di trovarla.
Da alcune notizie in nostro possesso sappiamo che è venuta a New York per incontrarla, lei può dirci qualcosa in proposito?”
Flanny squadrò il ragazzo cercando di capire chi fosse, il viso le era familiare poi all’improvviso si ricordò di quando a Chicago Candy cercò con mille sotterfugi di cambiare il turno per incontrare il suo innamorato.
Ed ora eccolo qui, stavolta è lui che cerca lei! Da quello che sapeva questo ragazzo era un famoso attore che per un certo periodo era caduto in disgrazia a seguito di un incidente sul palcoscenico in cui era rimasta coinvolta una sua collega, ora però si era ripreso ed aveva saputo rilanciarsi alla grande.
Ma pensa un po', una celebrità che potrebbe avere tutte le donne del mondo era alla ricerca di una ex infermiera, perché? Possibile che quella cosa che chiamano amore esista davvero? Eppure Candy glie ne aveva parlato tante volte, anche in occasione del loro ultimo incontro…povera ragazza, quanto soffriva ancora in virtù di quel sentimento a cui lei, algida ed intransigente, aveva deciso di rinunciare.
Evidentemente era qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione, comunque rispose “Si, è venuta da me qualche settimana fa. Era sconvolta per la morte del marito, pensava che la scelta di inseguire la felicità si fosse rivelata un condanna per tutti quelli che sceglievano di starle vicino, mi ha raccontato che aveva deciso di lasciare la vita agiata per dedicarsi al servizio dei più sfortunati e, siccome io ho fatto la crocerossina sui campi di battaglia, riteneva che fossi la persona più indicata a darle informazioni su come avrebbe potuto fare.
Le ho chiesto se volesse riprendere il suo lavoro da infermiera in un ospedale ma lei mi ha fatto intendere che quel che desiderava era proprio il contatto umano con gente che non aveva nulla, una sorta di missione se vogliamo, ed allora l’ho indirizzata presso un medico che presta servizio al molo di Ellis Island dove ogni giorno arrivano bastimenti di disperati che hanno lasciato le loro case in Europa per inseguire un sogno in America.
Là forse avrebbe potuto trovare ciò che cercava.”
Terence impallidì, cosa era successo alla sua Candy? Dove la stava portando la disperazione? Davvero pensava che potesse anche minimamente essere responsabile per le disgrazie capitate?
Ringraziarono Flanny e corsero via, la giovane infermiera li guardò uscire pensando “Coraggio Candy, quando tutto sembra perduto c’è sempre un angelo che ti può salvare!” poi, quasi vergognandosi di quel pensiero troppo sentimentale, riprese il suo lavoro.
Fuori dall’ospedale Terence fece cenno ad un taxi, Archie ed Annie fecero per salire anche loro ma lui li fermò, “No ragazzi, lascitemi andare da solo! Ellis Island non è un bel posto, aspettatemi al mio albergo e prometto di farvi avere notizie al più presto!”
Archie protestò un po’ ma Terence fu irremovibile e la coppia dovette rassegnarsi, “Al porto presto!”, gridò all’autista e la vettura partì. Giunto sul molo Terence riuscì, non senza qualche difficoltà ed un bel po’ di dollari, a trovare un passaggio su una chiatta che faceva la spola fra Ellis Island e la terraferma trasportando rifornimenti in un viaggio e rifiuti nell’altro.
Ormai era notte fonda quando sbarcò, davanti a lui bassi edifici di mattoni mostravano la prima immagine che gli emigranti avevano dell’America; si diresse all’edificio che gli sembrava ospitare degli uffici e provò ad entrare. All’interno un poliziotto leggeva un giornale sorseggiando una tazza di caffè, quando lo vide lo apostrofò dicendo “Sei un po’ troppo ben messo per essere uno dei pezzenti che arrivano qui! Che cosa vuoi?”
Sorvolando sul fare maleducato della guardia Terence rispose “Sto cercando una persona, una donna bionda con gli occhi verdi e tante lentiggni…dovrebbe essere qui come infermiera o qualcosa di simile”
“Si…credo di sapere a chi ti riferisci, è arivata da poco. Sai, qui di infermiere non ce ne sono mica tante...tanto a questi morti di fame basta una bella spulciata e via, se sono sani entrano e se no restano qui finchè guariscono. Se non guariscono pazienza…uno di meno!!”
Terence fece ricorso a tutto l’autocontrollo che il suo sangue inglese poteva dargli per evitare di spaccare il muso di quel poliziotto arrogante e chiese ancora, ma mettendo un accento più duro nella voce “Dove la posso trovare?”
Il poliziotto, forse colpito dallo sguardo che non ammetteva repliche gli indicò un edificio a destra “ È laggiù, nel blocco dove ci sono le famiglie con bimbi piccoli”
Rigraziando con tono sarcastico (dopotutto era un attore navigato) Terence corse all’edificio indicato ed entrò, se poteva esserci un immagine dell’inferno in terra quell’antro poteva tranquillamente avvicinarsi…ovunque famiglie ammassate su giacigli di fortuna con le loro povere cose legate alla meglio che attendevano di poter avere il sospirato visto per il loro sogno americano, e lì da qualche parte c’era la sua Giulietta.
Cominciò a girare fra la gente, provò chiedere a qualcuno di loro ma nessuno riusciva a capirlo…chi gli parlava in italiano, chi in olandese e chi in tedesco e lui nonostante avesse girato l’Europa conosceva solo poche parole di quegli idiomi.
Comunque mettendo insieme qualche frase smozzicata ed aiutandosi a gesti quelle persone riuscirono ad indirizzarlo verso un ala del fabbricato, una specie di porticato che si apriva verso il mare aperto, col cuore in gola cominciò a correre in mezzo alla calca e raggiunse quella specie di loggione.
Lì era la sede degli uffici, il posto dove veniva deciso il destino di quei disgraziati con un timbro e lì c’era una figura china su una scrivania con la testa appoggiata alle braccia che dormiva.
Terence non aveva dubbi, una sola occhiata e l’aveva riconosciuta! Si avvicinò delicatamente per evitare di spaventarla e si fermò a guardarla. E fu allora che il dubbio lo colse! E se vedendolo non ne avesse voluto sapere nulla di lui? Se lo avesse scacciato in malo modo?
In fondo lui cos’era ancora per lei? Che diritti poteva avanzare?
Mentre si interrogava Candy si svegliò, ora doveva decidere e non ci sarebbe più stata un’altra occasione; oltre le finestre il sole stava sorgendo sul mare tingendo l’orizzonte di una striscia rosea e creando un effetto magico sui biondi capelli di Candy che in controluce brillavano.
Lui la guardò. Guardò i magnifici occhi verdi che ancora non lo avevano messo a fuoco e:
 
“Qual luce erompe da quella finestra! Là è l’oriente e Giulietta è il sole!
Levati o sole bello a cancellar l'invidiosa luna già malata e livida di rancore, perché tu, sua ancella, sei molto più bella di lei!!”

 
Candy rimase interdetta, spalancò gli occhi e vide nell’incerta luce del mattino il volto del ragazzo.
Per un momento si chiese se stesse ancora sognando, se fosse un’allucinazione creata dalla stanchezza ma poi allungò una mano e carezzò quel volto tante volte sognato.
Terence, era davvero Terry che era venuto a cercarla…non era rimasta sola! Di colpo sentì che il macigno che le premeva sul cuore era scivolato via, come quella volta a Londra con una corsa indiavolata a cavallo Terry l’aveva guarita dal male per Anthony ora era tornato ancora per riportarla indietro verso la vita lasciando che il dolore per Albert cominciasse a trasformarsi in una quieta e malinconica nostalgia.
Era ancora lui, lo stesso della nave, lo stesso della carrozza a Chicago quando potè vederlo per un solo momento e d’improvviso capì che lui non era mai andato via dal suo cuore, che Albert era stata solo una romantica parentesi ma che lei era sempre e solo sua.
Alzò lo sguardo verso di lui, ormai illuminato dalla luce del sole nascente ed esclamò:
 
“Oh Romeo! Romeo! Perché sei tu Romeo!”…e si sciolse nelle sue braccia.

 

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Capitolo 4
*** Cap. 4 – Ancora campane ***


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Cap. 4 – Ancora campane

 


Il campanile della piccola chiesa di Lakewood suonava ancora ma stavolta Candy era felice di sentire il suono di quel bronzo, non erano i lugubri rintocchi che troppe volte aveva dovuto udire dando l’ultimo saluto a qualcuno che le era caro; prima Anthony, poi Stear ed infine Albert, sembrava quasi che quelle campane la odiassero.
Le avevano trasmesso solo dolore, non erano state testimoni nemmeno del suo primo matrimonio visto che lei ed Albert si erano sposati nella cattedrale di Chicago, ma ora era venuto il momento di imporre una nuova direzione alla sua vita e cosa c’era di meglio se non esorcizzare quel nemico sonoro costringendolo a partecipare alla festa?
Attraverso la finestra aperta della sua camera Candy lasciò vagare lo sguardo sulla campagna circostante, era passato un anno da quando Terence l’aveva ritrovata ad Ellis Island strappandola alla disperazione in cui era sprofondata; all’inizio non voleva credere che lui fosse tornato, che fosse pronto a ricominciare una storia con lei, aveva paura che la maledizione di cui si era convinta essere portatrice avrebbe finito per distruggerlo.
Terence era stato paziente, l’aveva lasciata sfogare e le era stato vicino per settimane mentre lei continuava la sua opera di assistenza presso il centro di smistamento immigrati; si incontravano quasi tutti i giorni, lui le aveva trovato una sistemazione modesta ma accogliente a New York da cui poteva facilmente raggiungere Ellis Island ma che le consentiva di vederlo con sufficiente regolarità.
Era anche riuscito a convincerla ad andare a vederlo a teatro e quella sera finalmente aveva recitato davvero per lei, le battute di Romeo le aveva potute dedicare alla sua vera Giulietta e, dopo qualche mese, aveva preso il coraggio a due mani e al termine di una giornata particolarmente romantica trascorsa fra Central Park ed un grazioso locale del centro le aveva fatto la fatidica domanda.
“Candice White, vuoi farmi l’onore di diventare mia moglie?”
Lei al primo momento era rimasta di sasso, poi era scoppiata a ridere come una bambina.
“Ma come? Io ti chiedo di sposarmi secondo le regole e tu mi ridi in faccia?”
Candy rideva ancora, poi asciugandosi gli occhi rispose “È proprio per quello! Da te mi sarei aspettata una richiesta molto meno formale, qualcosa tipo -Ehi Candy, perché non mi sposi?-, qualcosa di più adatto al tuo caratteraccio insomma!”
“Si va bene, con te non ne faccio mai una giusta! Se mi comporto in maniera rude dici che sono un maleducato, se faccio il gentiluomo mi ridi in faccia, dimmi cosa devo fare con te?”
“Mah, non so! Prova a rifarmi la domanda!”
“Candy, vuoi sposarmi?” ripeté Terence, stavolta con una punta d’ansia nella voce; voleva una risposta e la voleva adesso.
Candy lo guardò negli occhi, i suoi magnifici occhi di smeraldo incrociarono lo sguardo trepidante del ragazzo, poi la sua voce sottile rispose semplicemente “Sì!”, non serviva altro a Terence, dolcemente allungò una mano e la accarezzò attirandola a sé, le loro labbra si cercarono e sugellarono l’intesa con un bacio dolcissimo.
Ora il giorno era arrivato e lei era già pronta nel suo vestito bianco, sotto Archie l’aspettava per accompagnarla in chiesa su una carrozza e Patty ed Annie sarebbero state le sue damigelle d’onore.
Scese lentamente le scale della villa ed uscì nel tiepido sole della tarda primavera, la carrozza era lì davanti ed Archie l’aiutò a salire; uscirono dal Cancello delle Rose che per l’occasione sembrava voler mostrare tutta la sua magnificenza con una fioritura fuori dell’ordinario quasi a voler celebrare il ritorno alla felicità di colei che tanto amava quei fiori.
Giunsero alla chiesa ove gli invitati avevano già preso posto, a differenza del matrimonio con Albert, che aveva dovuto svolgersi secondo le precise regole dell’etichetta, l’atmosfera era molto più rilassata; c’erano Miss Pony e Suor Maria con una delegazione dei bambini della Casa di Pony, c’erano Tom ed il Sig. Cartwright, il sig. George e persino Flanny che per una volta aveva messo da parte la sua gelida corazza e mostrava un sereno sorriso.
Archie le offrì il braccio e mentre Patty ed Annie camminavano avanti a loro la scortò lungo la navata verso l’altare dove, elegantissimo nel suo abito scuro, Terence aspettava senza riuscire a celare l’emozione.
Ad un passo da lui Archie lasciò che Candy prendesse posto a fianco dello sposo e la cerimonia finalmente iniziò:
“Siamo qui riuniti per unire quest’uomo e questa donna nel sacro vincolo…”
“Ci siamo” pensava Terence “Ora finalmente sarai mia moglie e non ti lascerò mai più fuggire via!”
“Vuoi tu Terence Granchester prendere la qui presente Candice White…”
Il “Sì” gli uscì quasi prima che il prete avesse terminato la formula, strappando qualche risatina poi fu la volta di Candy:
“E vuoi tu Candice White prendere il qui presente Trence Granchester come tuo legittimo sposo, per amarlo ed onorarlo in ricchezza e in povertà, in salute e malattia finchè morte non vi separi?”
Candy ricacciò indietro il nodo di commozione che le serrava la gola, incrociò lo sguardo con quello del suo Terry e sussurrò un tenero “Sì!”.
“Allora per i poteri conferitemi dalla chiesa e dallo stato dell'Illinois vi dichiaro marito e moglie, può baciare la sposa!”
Terence scostò il velo che copriva il viso di Candy e la baciò dolcemente, mentre i singhiozzi di Miss Pony e Suor Maria facevano da colonna sonora.
Uscendo le campane suonavano a festa ma presto un altro suono si aggiunse, era una melodia che Candy conosceva bene perché l’aveva sentita per la prima volta tanti anni fa sulla Collina di Pony suonata dal suo principe.
Si voltò e vide Archie che, indossato il costume scozzese, stava suonando la cornamusa; a Candy parve che fosse il suono più bello del mondo e per un attimo credette di vedere a fianco di Archie le ombre di altri tre suonatori che le sorridevano e le auguravano di esser per sempre felice.
“Candy, andiamo” le disse Terence offrendole il braccio per salire sulla carrozza
“Vengo Terry, con te per sempre!” e prese posto accanto a lui, la carrozza partì mentre le campane riprendevano il loro festoso concerto.

 

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