Clarisse

di Dragana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vecchie ferite ***
Capitolo 2: *** Sotto l'armatura ***
Capitolo 3: *** Canti di guerra ***
Capitolo 4: *** Fango sui vestiti ***
Capitolo 5: *** Campo minato ***
Capitolo 6: *** Ossa rotte ***



Capitolo 1
*** Vecchie ferite ***


VECCHIE FERITE

Una delle prime cicatrici che Clarisse si era procurata al Campo era in un punto, tra la clavicola e il collo, in cui una lancia poteva aprirsi un varco attraverso l’armatura greca, come aveva scoperto parecchio tempo prima Ettore che in quella maniera c’era morto trafitto da Achille. Achille era uno degli eroi preferiti di Clarisse, e più che la ferita stessa le aveva fatto male l’umiliazione di non essere riuscita a evitare una mossa che avrebbe dovuto conoscere benissimo, visto che, tocca ribadirlo, Achille era sul serio il suo eroe preferito.
La lancia era da addestramento, lei era arrivata da poco al campo e non aveva per niente tecnica (picchiare mostri con la mazza da baseball del coach sembrava non fosse considerato scherma), ma per Clarisse non contava, era stata sconfitta e solo questo aveva importanza. La lancia la impugnava Luke, ed erano stati fortunati perché a quella lezione di scherma era presente anche l’allora capocabina di Apollo che era intervenuta immediatamente, curando una ferita che sarebbe potuta essere mortale anche con una lancia spuntata. Mentre la curava, la capocabina di Apollo si premurava di convincere Luke che non è assolutamente colpa tua, sono cose che capitano, lo sanno tutti. Clarisse se ne stava lì infilzata come un kebab e quella cretina consolava Luke, e va bene che Luke piaceva a tutti e Clarisse era solo una mocciosa arrivata da poco, però insomma, a tutto c’è un limite e da quella volta aveva segnato sul libro nero la casa di Apollo e naturalmente Luke.
Poi Luke le aveva anche chiesto scusa, facendola incazzare ancora di più perché lei lo sapeva benissimo che sono cose che capitano, e non se ne faceva niente della sua pietà. Quando anni dopo era tornato con una cicatrice lunga mezza faccia e un’impresa fallita, Clarisse intimamente aveva gioito e non si era sentita nemmeno una brutta persona, tanto Luke non sbagliava mai e quindi non è che avesse fallito la sua impresa, semplicemente Chirone aveva deciso che era sopra le possibilità di chiunque e aveva bloccato le imprese a tutti. Perché se falliva Luke, che era perfetto, potevano forse riuscire gli altri? Clarisse avrebbe tanto voluto provarci, a dimostrare che la risposta poteva anche essere sì, ma non c’era stato niente da fare.
Luke non le era mai piaciuto. Riusciva a sconfiggerla perché era più grande di lei, e aveva insegnato a quella secchiona saccente di Annabeth Chase come farla incazzare a morte per poi sfruttare i punti deboli della sua rabbia. Non che Annabeth Chase ci riuscisse tutte le volte, si era presa senza un lamento la sua bella dose di mazzate, ma è il principio che conta. Luke non le piaceva e invece lui piaceva a tutti, Clarisse non capiva come mai, e la cosa glielo rendeva ancora più odioso.
In ogni caso, non era stata quella sulla clavicola la ferita peggiore che Luke le avesse inflitto.
Connor e Travis dicevano sempre che era nomale che Luke avesse convinto Chris, perché tra loro due era lei l’uomo della coppia e si sa che Luke piaceva a tutte le ragazze. Ora che era tutto finito Clarisse prendeva la cosa a ridere, ma quando Luke aveva tradito portandosi dietro mezzo Campo, ecco, Clarisse avrebbe barattato quella sensazione con centomila lance, piuttosto. Dicevano che era posseduto da Crono, Annabeth insisteva tantissimo su questo punto, ma anche se Clarisse di queste cose non capiva mai niente, aveva capito benissimo che Annabeth cercava di convincere gli altri solo per riuscire a convincere se stessa. Luke era posseduto da Crono, e va bene, però per esserlo aveva dovuto fare una scelta e Clarisse sapeva che davanti a una scelta simile lei piuttosto sarebbe morta ridendogli in faccia. Era convinta che sarebbe stato così per tutti, al Campo, e invece Luke le aveva fatto scoprire che non era vero e lei non riusciva a perdonarlo per questo.
Sapeva che quando parlava la gente lo teneva in considerazione, e Clarisse doveva riconoscere che era un ottimo guerriero e un buon stratega, ma non capiva perché la sua opinione valesse così tanto anche se la domanda era “è meglio Mac Donald o Kentucky Fried Chicken”. Si era chiesta che diamine avesse raccontato a Chris Rodriguez, che all’epoca ancora non le piaceva, anche se Silena diceva che gli guardava le braccia e forse aveva ragione lei e le piaceva solo che non se n’era accorta. Chris poi era indeterminato per modo di dire, perché era evidente a chiunque che il suo genitore divino fosse Hermes, quindi Clarisse non capiva cosa ci fosse da rimuginarci tanto: sapeva chi era suo padre, non bastava? Cosa credeva, che i padri divini degli altri ci passassero i week-end, con i loro figli? Ma Chris le diceva che non poteva capire, lei che era stata riconosciuta non appena aveva messo piede al Campo e nella cabina di Hermes non ci aveva passato nemmeno un minuto, e in effetti era vero che Clarisse non capiva. Non capiva nemmeno cosa ci fosse da dover capire. Tanto Chris ci sarebbe dovuto stare comunque nella maledetta cabina di Hermes, visto che era figlio di Hermes, no? A quel punto lui le dava ragione e cambiava discorso. E alla fine se n’era andato con Luke, per poi ritornare completamente fuori di sé.
Connor e Travis lo dicevano sempre, che a tutte le ragazze piaceva Luke, e lo dicevano con un tono strano, perché nemmeno loro avevano mai veramente perdonato il voltafaccia del loro fratello preferito. Luke era riuscito a piacere anche a Silena, e poi a far leva su questo per costringerla a fare la spia per il Campo, e questo Clarisse non glielo avrebbe mai perdonato. Non l’aveva capito, e anche se provava a non pensarci, immaginava quanto avesse sofferto Silena, quanto si fosse sentita tradita e sola e colpevole, e sentiva il desiderio di scendere nell’Ade a prendere Luke e torturarlo per l’eternità, fargli sentire ogni momento di dolore di Silena moltiplicato per mille.
Luke era morto da eroe, dicevano. Gli avevano persino bruciato il drappo sulla pira funebre, come agli eroi veri, e Clarisse pensava che era solo perché piaceva a tutti, e che non era morto da eroe, porco cazzo, non era per niente morto da eroe. Beckendorf era morto da eroe, Lee, Castor, persino Michael Yew. Silena era morta da eroe. Lui no. Lui aveva solo pareggiato i conti, e proprio a voler essere generosi. Clarisse lo detestava, e detestava il pensiero che sarebbe andato ai Campi Elisi quando l’unico posto che si meritava era il Tartaro, da dove aveva tirato fuori il suo Crono a pezzi per poi ingegnarsi tanto a rimetterlo insieme. Ma Luke piaceva a tutti e sarebbe piaciuto anche ad Ade. Però nel frattempo era morto e invece lei era viva, e Clarisse avrebbe potuto archiviarlo nel passato, e anche dimenticarlo, se non ci si soffermava troppo a pensarci su.
Almeno Chris era tornato, stava bene, Clarisse si era resa conto che le piaceva e che lei piaceva a lui. Una volta le aveva sfiorato la pelle nuda, sotto la maglietta, con quelle sue dita lunghe da ladro, aveva sentito al tatto la cicatrice tra il collo e la clavicola e le aveva chiesto come se l’era fatta.
Clarisse non aveva voglia di parlare di Luke.
Voleva seppellirlo in una tomba senza nome, condannarlo all’oblio, ma sapeva che non era possibile, la cicatrice che le aveva lasciato non sarebbe mai sparita, a ricordarle che, se una volta era stata Achille, poteva essere anche Ettore. Ed Ettore proteggeva la sua città, il suo popolo, la sua famiglia, in prima linea, senza tirarsi indietro, e per questo era anche lui un eroe. Periremo, ma gloriosi, e alle future genti qualche bel fatto porterà il mio nome.
Chris aspettava una storia piena di arti mozzati e sangue e battaglie, e Clarisse non voleva dirgli la verità, voleva solo le sue dita e i suoi baci. Così si era stretta a lui, facendogli spostare la mano perché non ci pensasse più, a quella cicatrice.
-È solo una vecchia ferita-, gli aveva risposto.







Note: Storia scritta per la Spring Shower, organizzata dal campmezzosangue, con prompt “Vecchie ferite”.
Poco da dire, se non che sono sempre stata convinta che a Clarisse non sia mai piaciuto particolarmente Luke. D’altronde non è mai piaciuto nemmeno a me.
La frase “Periremo, ma gloriosi, e alle future genti qualche bel fatto porterà il mio nome” la pronuncia Ettore nell’Iliade.
La storia non è betata né niente e non ne sono molto convinta, in realtà, ma ho deciso che poche seghe mentali e la pubblicavo, sia come sia.
Grazie a chi è arrivato fin qui, e a presto!

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Capitolo 2
*** Sotto l'armatura ***


SOTTO L’ARMATURA

Era un campo da baseball. Un campo da baseball non tanto grande (d’altronde la città era una cosa tipo “Dovecazzosiamo-abitanti 12”), ma ai mostri sulle gradinate e ai semidei seduti in prima fila sembrava andare più che bene. C’era pure uno che vendeva panini con la salsiccia e birre, ma dato che li vendeva a dei lestrigoni, forse quella non era proprio salsiccia.
Clarisse era pallida e la lancia non era bilanciata bene. Li conosceva tutti, quelli in prima fila. Nakamura aveva un viso impassibile, un’espressione così giapponese da sembrare fatta apposta. Forse lo era.
Aveva il sole in faccia. Male, doveva trovare il modo di girarsi durante il combattimento e averlo alle spalle.
Il suo avversario entrò, salutato dalle grida dei mostri. Aveva una mazza gigantesca e la roteava con una mano, sorridendo.
Clarisse rivolse una preghiera silenziosa a suo padre. Adrenalina, papà. A fiumi, per favore.
Quando il mostro la caricò, suo padre aveva esaudito la preghiera. Clarisse riuscì a schivarlo e a portarsi in una posizione più favorevole. Voleva provare a farlo stancare prima di attaccarlo, ma non era nelle condizioni adatte; tentò di farlo cadere per trafiggerlo dall’alto, ma lui le parò il colpo e le spezzò la lancia. Il vantaggio lo rese troppo sicuro di sé, però, e Clarisse trovò il modo di approfittarne: fece finta di accusare un colpo, rotolò a terra e, quando il mostro le si fece sopra per finirla, lo trafisse da sotto col suo moncone di lancia. Fine della storia.
Dagli spalti i mostri e i semidei rumoreggiavano, a parte Nakamura, che restava impassibile. Fece un cenno e un altro mostro, stavolta un lestrigone particolarmente incazzato, entrò in campo. Clarisse cercò di riprendere fiato. Doveva fare qualcosa, nessuno di quei mostri era troppo forte per lei, però non poteva continuare a combattere per molto e Nakamura lo sapeva, avrebbe semplicemente continuato a mandarglieli contro finché non fosse morta. Clarisse non capiva questa mania dei cattivi e dei giapponesi di non uccidere immediatamente la gente che volevano morta, ma in questo caso non vedeva vie d’uscita. Non aveva scampo. Decise che sarebbe morta portandosi dietro quel figlio di puttana di Ethan Nakamura, e per farlo doveva prima far fuori il lestrigone e poi salire sulle gradinate. Nakamura era bravo a combattere, ma lei avrebbe potuto sfruttare il fatto che adesso era senza un occhio. Strinse i denti e schivò una pietra che il lestrigone le aveva lanciato, però non fu veloce abbastanza da schivare quella subito dopo, che la beccò in fronte; si sentì girare la testa, il sangue cominciò a colarle sull’occhio. Riuscì a rimanere salda quando il lestrigone la colpì e a ferirlo al braccio con il suo pezzo di lancia; per il momento lo stava tenendo a bada, ma non riusciva a sganciarsi dalla lotta e lui la incalzava.
A un certo punto vide un movimento con la coda dell’occhio, sentì un boato rabbioso dalle gradinate e il mostro le si disintegrò davanti, senza che lei l’avesse ucciso; dietro alla pioggia di polvere di lestrigone c’era Chris, con il suo sorriso da spaccargli la faccia.
–Tu, dannato idiota…
–Ogni tanto dovrò salvarti anch’io–, fece lui.
Nakamura gridò un ordine, che andò perso nella confusione. Poi improvvisamente si piegò su se stesso, con un’espressione di dolore in faccia. “Allora non sei così impassibile, muso giallo di merda”,  pensò, quando si accorse che tutti i semidei in prima fila stavano facendo la stessa cosa. Contemporaneamente, le tettoie e i riflettori rovinarono sulle gradinate, schiacciando mostri come mosche. Clarisse notò che sul tabellone luminoso, che si stava anche quello schiantando verso la gradinata di destra, era comparsa la scritta luminosa “Campo Mezzosangue 1-Crono 0”.
Chris l’aveva presa per mano e la tirava verso l’entrata degli spogliatoi. –Ehi, Ethan salutami tanto Luke!–, gridò.
Will era lì che li aspettava, e copriva la loro fuga tirando frecce a tutto spiano; non guardava neanche se andavano a segno o no, scoccava e basta, come una mitragliatrice. Si diressero verso una delle uscite di sicurezza. –È chiusa!–, urlò lei, ma Chris la aprì senza problemi e si precipitarono fuori dal campo. –Pensavi che non avessi approntato una via di fuga?
–Ci inseguiranno!
–Forse qualcuno–, concesse Will, –ma i più hanno altro di cui occuparsi!
Chris saltò su un pick-up, si chinò sotto il cruscotto e il motore si accese. Partì con una sgasata degna di Fast&Furious.
–Perché siete tornati indietro, stupidi? Vi avevo detto di scappare!
–È quello che stiamo facendo! Mica pensavi sul serio che ti avremmo lasciata lì, no? Ti è piaciuto il mio lavoretto di sabotaggio?
Clarisse strinse i denti e si guardò indietro. La testa le girava e si sentiva malissimo. –Gli altri semidei ci seguiranno.
–Non credo–. Will sorrideva, e sembrava brillare. –Gli ho fatto venire a tutti un attacco di colite, penso che l’unica cosa a cui stanno pensando sia pregare che i bagni siano ancora agibili.
–Un attacco di colite?
–Mica siamo solo guaritori. Mio padre mandava pestilenze a tutto il campo acheo, io potrò mandare la cagarella a un pugno di semidei, no?
Clarisse scoppiò a ridere. –Cazzo, Will, me lo dovevi dire prima che hai…
Non riuscì a finire la frase, perché svenne.

Era una birra, una birretta fresca da bere seduta in veranda con sua mamma, “frega niente se non hai ventun anni, sono tua madre, se ti do una birra vuol dire che puoi averla”. Poi arrivò la cioccolata, quella al peperoncino di Silena, “te la faccio alla maniera azteca, cioccolato, peperoncino e sangue”.
–Will! Perché non si sveglia? Quanto ci mette? Will!
Aprì gli occhi. Chris era in panico totale.
–Non fare l’isterico, Chris, sono sveglia.
Lui tirò un sospiro di sollievo. Erano parcheggiati dietro una specie di garage abbandonato, lei era nel dietro del pick-up, in una pozza di luce solare. Sapeva che a Will piaceva stare al sole, ma tutta quella luce la stava accecando; Chris se ne accorse e la spostò appena, facendola sedere contro di sé.
–Come hai fatto a combattere con quella ferita? Perché non me l’hai detto subito, razza di stronza incosciente?–, le aveva detto Will.
Quando le avevano tolto l’armatura, avevano scoperto che era ferita a un fianco, e in maniera piuttosto profonda. Will era impallidito e Chris aveva perso la testa, così Will l’aveva spedito di guardia. Sfortunatamente alcuni dei mostri di Crono erano riusciti a seguire le loro tracce fin lì; sfortunatamente per loro, dato che Chris li aveva tritati senza che loro riuscissero nemmeno a guardarla, Clarisse.
–Quando mi hanno catturata, mi hanno perquisita e tolto tutto, armi, armatura, ambrosia. Poi è arrivato quel pezzo di merda di Nakamura e mi ha detto che Crono aveva intenzione di farmela pagare per quella faccenda del vello. Mi ha ferita, mi ha fatto mettere l’armatura da un paio di suoi scagnozzi, e mi ha fatto combattere. Questo è quanto.
Chris era impallidito. –Pensare che una volta non era male, Ethan–, aveva detto con un filo di voce.
–Hai combattuto tutto il tempo con quella ferita sotto l’armatura?
–Cazzo, Will, cosa dovevo fare? Sì che ho combattuto!– Ghignò. –Non c’era una scena simile nel Gladiatore? Sono Massimo Decimo Meridio, padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa, e avrò la mia vendetta, in questa vita o nell’altra!
–Non so, io a dire il vero non guardavo la trama, nel Gladiatore.
Tacquero tutti.
–Ragazzi, insomma, per essere tornati indietro… sì, ecco… siete stati molto coraggiosi. Davvero.
–Prego, non c’è di che.
–Anche noi ti vogliamo bene. Io di più.
La baciarono sulla guancia entrambi, uno per lato. Lei li spinse via sbuffando.







Note: Storia scritta per la Spring Shower, organizzata dal campmezzosangue, con prompt “sotto l’armatura”.
Per questa storia devo ringraziare OttoNoveTre (che è figlia di Atena), a cui ho lanciato il prompt senza che lei sapesse niente del fandom. Prima mi ha suggerito di fare una storia in cui alla fine si scopriva che sotto l’armatura c’era una ragazza (e Travis e Connor dicono che poteva starci perché in effetti nessuno al Campo ha mai pensato che Clarisse fosse una ragazza e sarebbe stata una scoperta sconvolgente), poi mi ha suggerito l’idea di riciclare la scena del Gladiatore. La storia è ambientata tra il quarto e il quinto libro, nel periodo in cui, come dice Percy, tutti partivano continuamente per delle missioni. Ho fatto Ethan particolarmente stronzo, ma mi sembrava una cosa molto da figlio di Nemesi giapponese. Domanda: solo io mi immagino esteticamente Ethan tipo una versione umana di Sasuke di “Naruto”?
Il fatto che i figli di Apollo oltre a guarire possano ammalare è un headcanon, ma nella mitologia Apollo lancia pestilenze come fossero coriandoli e così ho immaginato che Will, che è il miglior guaritore, è anche il migliore nel far ammalare la gente; solo che di solito non lo fa perché dice che è contrario alla deontologia professionale.
Spero che questa storia vi sia piaciuta, io mi sono divertita un sacco a scriverla! Non è betata, quindi tutti gli strafalcioni e le bruttezze sono esclusivamente opera mia.
Grazie a chi ha letto e a presto!



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Capitolo 3
*** Canti di guerra ***


CANTI DI GUERRA

“Che la guerra è bella anche se fa male
che torneremo ancora a cantare…”
(“Generale”, F.de Gregori)

La Terra era tornata a dormire, la notte era illuminata dal fuoco del falò e l’aria risuonava di canzoni, in greco e in latino, e qualcuna anche in inglese (che erano quelle più stupide, ma almeno erano divertenti). Il coach sembrava non avere intenzione di fermarsi prima di aver fatto vedere suo figlio a tutti; Clarisse non ci capiva molto di bambini, ma quel piccolo satiro secondo lei stava desiderando disperatamente una tetta e poi una culla, subito, grazie.
–Coach…–, provò a dirgli, ma lui non la ascoltò. –Ah, guarda qui! Reyna, la mia ragazza! Hai già conosciuto Clarisse, la mia ragazza? Eccole qui, le mie ragazze!
Reyna Ramirez-Arellano (Chris aveva cercato di farle pronunciare il suo nome con le “r” giuste, ma non c’era stato verso), si mise a ridere. –Coach, forse è il caso di portarlo a letto, Chuck, o no?
Ecco, Rrrreyna Rrrramirrrez-Arrrellano aveva buonsenso. –Stavo per dirlo io, Coach. L’hanno visto tutti, Chuck. Due volte. Potranno sopravvivere fino a domani.
Lui le guardò con le sopracciglia aggrottate. –Mah, forse avete ragione. Magari lo riporto a Mellie.
–Magari. Così mangia e va a dormire. Vorrei essere lui–, sospirò Reyna.
–Perché, ti piacciono le tette?
Forse avrebbe dovuto dire “sei già stanca?”, ma ormai era troppo tardi. Reyna aprì e chiuse la bocca un paio di volte, e il coach le disse di chiudere quella fogna prima di dire cose del genere davanti al bambino. Poi se ne trotterellò via, scandalizzato.
–Comunque sono portoricana, preferisco i culi. Reyna, molto piacere.
Clarisse ghignò. Non era una principessina sul pisello, questa Reyna. Le piaceva.
–Clarisse. Sei brava a combattere.
–Anche tu, ti ho vista alla guida dei greci. Ho avuto paura, pensavo che non sarei mai riuscita a trattenerti e che avevo portato l’Atena inutilmente. Avremmo dovuto asfaltarvi, sarebbe stato un peccato.
–Seh, sogna pure. Però forse ti avrei risparmiato, sei coraggiosa. Sembri quasi una figlia di Ares!
Reyna rise. –Dicono che Bellona sia la compagna di Marte, o sua figlia. Magari una volta vieni a trovarci a Nuova Roma, mi piacerebbe vederti alle prese con i ludi di guerra.
–I che?
–Giochi di guerra.
–Io non gioco alla guerra, io la faccio. Per voi è diverso?
Reyna si mise le mani sui fianchi. –Clarisse-non mi ricordo-il cognome. Ti è sembrato che giocassimo, contro gli eserciti di Gea?
Clarisse finse di pensarci su. –No, ve la siete cavati abbastanza bene, in effetti.
–Anche voi. Un po’disordinati, ma piacevoli. Ti ho sentita cantare alalà.
–Canto un sacco di roba. I rugbisti neozelandesi mi fanno una sega.
–È il canto di guerra di Bellona.
–È il canto di guerra di Ares.
Reyna si fece seria. –È il lato bello della guerra, vero? I canti, l’esaltazione, l’adrenalina della battaglia, i nemici che cadono, persino la polvere. Poi finisce, ti dovresti godere la pace, e invece ne vorresti ancora.
–Sì… l’odore del sangue, il rumore delle armi, le urla degli avversari, le ferite che bruciano… è lì che sei viva. Viva per davvero.
Si erano avvicinate. –Lo sai che non è finita, vero? Gea è sconfitta, ma ci saranno altri nemici. Altre battaglie. Altre canzoni.
–Non vedo l’ora.
–Ci sarai?
–In prima fila, e tu?
–Come tutte le volte.
–Sentitevi pure libere di continuare!
Clarisse fece un salto di mezzo metro. Chris era di fianco a lei e le guardava con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
–Ma sei scemo? Quante volte ti ho detto che non mi devi arrivare alle spalle in questo modo! Ehm, Reyna, questo è Chris, il mio, ah…
Reyna fece un mezzo sorriso. –Il tuo ragazzo. Molto piacere, Reyna Ramirez-Arellano.
–Chris Rodriguez. Querìas recoger a mi chica?
Te molestarìa?
–Avete finito di parlare in spagnolo? Non lo capisco!
–Però ti piace–, fece Chris, e schivò il cazzotto di Clarisse. –Sei lenta!
–Scusa, Reyna, ora devo andare a massacrare di botte il mio ragazzo. Goditi il nostro falò, sono sicura che non ce l’avete nel campo romano!
Reyna le fece cenno di andare. Clarisse scattò dietro a Chris, che però era già un bel pezzo più avanti e la aspettava, pronto a ripartire di corsa appena lei si fosse avvicinata. Si girò.
–Ci vengo, a fare i tuoi giochi di guerra!
–Ti aspetto!
Corse via, dietro a Chris. I canti risuonavano fortissimi, intorno al falò.










Note: Storia scritta per la Spring Shower, organizzata dal campmezzosangue, con prompt “canti di guerra”. È ambientata alla fine della seconda saga (seconda serie? Come si dice?) quando greci e romani festeggiano assieme. E, festeggiando festeggiando, volevo far interagire Clarisse e Reyna perché entrambe sono guerriere, entrambe guidano il proprio esercito, entrambe sono legate al coach, e loro due che hanno fatto? Hanno iniziato a flirtare. Scrivere di loro mi è piaciuto un sacco, comunque.
l’alalà era sul serio il canto da guerra di Ares e, più tardi, dei romani. Lo so che poi è stato ripreso durante il ventennio ma ovviamente non voglio fare apologia del fascismo, penso sia chiaro ma meglio specificare.
Lo scambio di battute in spagnolo dovrebbe voler dire: “Ci stai provando con la mia ragazza?” “Ti darebbe fastidio?”, ma io non so lo spagnolo e il traduttore è un mio amico che lo studia. Se c’è qualche latinos tra voi che pensa abbia scritto castronerie, me lo dica che correggo!
Ho molto in simpatia il personaggio di Reyna: ha la mia stessa sfiga in ambito sentimentale! Ho l’headcanon che sia bisessuale, forse perché la prima cosa che mi è venuta in mente quando Afrodite le ha detto “non c’è nessun semidio per te” non è stata “vabbè, sarà un mortale o un dio”, no, è stata “heeeheeeheee, sarà una semiDEA”. Chissà se scopriremo mai qualcosa in più, intanto io mi diverto così.
Grazie mille a chi legge e segue questa raccolta, un bacio e a presto!


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Capitolo 4
*** Fango sui vestiti ***


FANGO SUI VESTITI

–Clarisse, vieni con me, ho trovato un pos… hey!
Chris schivò una coltellata che gli stava arrivando dritta allo stomaco. Clarisse, che fino a tre secondi prima sembrava placida e tranquilla e si stava lucidando il pugnale che aveva usato a lezione di scherma, imprecò.
–Porco cazzo, Chris, mi dici cosa non ti è chiaro del concetto “fammi sentire che stai arrivando”? Sembra che tu lo faccia apposta!
Lui le diede un bacio sulla guancia. –Infatti lo faccio apposta, sto allenando i miei riflessi. Lo sai che sono diventato il più veloce della cabina?
–Ma vaffanculo.
–No, è vero! Abbiamo fatto una gara. Siccome ho vinto dei soldi, la prossima volta che usciamo ti pago il cinema.
–Mi sembra il minimo, dato che hai vinto grazie a me.
–Guarda che se la prendi così, ti porto a vedere “Io, te e la nostra estate fantastica”!
Clarisse si mise a ridere. –Cos’è che hai trovato?
–Un posto segreto. Sai, nascosto. Sai, se vogliamo stare da soli.
Lei rinfoderò il coltello. Ci aveva preso gusto un sacco a stare da soli. D’altra parte anche a suo padre e a suo nonno piaceva un sacco stare da soli con la gente, e nemmeno sua madre aveva mai disdegnato, quindi forse era ereditario. Si guardò rapidamente intorno, nessuno in vista. Lo abbracciò, e gli toccò il sedere. –Andiamo.

L’aveva portata nel bosco. Poi aveva seguito il ruscello, fino dove si insinuava tra le rocce e si perdeva, per rispuntare fuori più avanti. Ci si era infilato in mezzo, si erano arrampicati in un punto, passati tra il sottobosco in un altro, e Clarisse si era stupita di trovarsi in una radura che non aveva mai visto. Non è che fosse una radura soleggiata con robe romantiche tipo fiori, uccellini e alberi da frutto; era solo un pezzo (anche piuttosto fangoso) del ruscello, ma era tutto per loro.
–Cazzo, Chris, sei stato bravo!
–Merito un premio?
Lo baciò con foga. Le piaceva baciarlo. Le piaceva toccarlo. Le piaceva tutto, era come con le battaglie, alla fine era appagata per un po’, ma poi ne voleva ancora.
–Non ti meriti niente. Hai fatto solo il tuo dovere–, gli disse all’orecchio. Lui soffocò una risata sul suo collo.
Le aveva infilato una mano dentro i pantaloni (quando glieli aveva slacciati?) e porca puttana, quello che faceva, lo faceva bene. –Chris…
–Guarda che sono un figlio di Hermes, quello che non ci meritiamo ce lo rubiamo lo stesso.
–Chris, piantala.
Lui, inaspettatamente, la piantò. Tolse la mano e fece un passo indietro.
–Come vuoi. Che poi non si dica che sono una bestia che non sa quando fermarsi eccetera. Peccato, avevo preso tutto il necessario, se capisci cosa voglio dire. Ma non importa. Possiamo parlare di quanto è bello il sole, o giocare a tris con dei rametti, o…
Lei gli diede una spinta che lo fece cadere per terra a sedere. –Ahia, Clarisse!
Gli montò sopra a cavalcioni, tirandogli i capelli per fargli piegare la testa e baciarlo. –Quando dico "piantala", Chris, quello che intendo non è davvero piantala–, ringhiò.
Lui le sollevò la maglietta, le sollevò proprio tutto (Clarisse si chiese confusamente da dove venisse quella storia secondo cui i ragazzi si intorcinano con gli indumenti perché proprio Chris no), si chinò a baciarle la pelle e morderla e ok, lui non aveva problemi con i vestiti ma lei sì e tra un po’glielo strappava, quel bottone dei jeans.
Lui le prese delicatamente la mano. Ridacchiava, il bastardo. –Devi fare pace col cervello, Clarisse. Devi farti una chiacchierata davanti allo specchio e decidere che se quello che intendi è “ti prego Chris continua sono tua”, allora è quello che devi dire.
Si era slacciato lui i jeans, guardandola negli occhi. La guardava sempre così, come se vedesse solo lei, e aveva ragione, quando la guardava così era sua, era completamente fottuta.
–Mettiamo bene in chiaro le cose, Chris–. Gli infilò la mano nei jeans slacciati, sotto l’elastico dei boxer. Strinse. Lui le afferrò i fianchi. –Sei tu che sei mio.

–Si può sapere dov’eri finita? È tutto il pomeriggio che ti cerco!
Annabeth era in armatura, ma aveva a tracolla una borsa piena di disegni di edifici e roba varia. Clarisse pregò che non si trattasse di nuovo del tempio di suo padre sull’Olimpo, perché lei aveva dato già la sua opinione e non capiva cosa ci fosse di difficile da interpretare nelle parole “fallo tamarro”.
–Ero in giro, Annabeth. Cos’è che vuoi?
–In giro dove, scusa?
–Ma saranno cazzi miei? Nemmeno mia mamma mi chiede in giro dove!
Annabeth guardò alternativamente lei e Chris. Lui aveva appoggiato una mano sul braccio di Clarisse. –L’ho raggiunta dopo la lezione di scherma, siamo andati in armeria, poi l’ho convinta a passare un attimo da uno dei miei fratelli perché aveva preso in prestito una cosa mia e aveva bisogno di un incentivo per ricordarsi che era proprio mia sul serio, poi siamo passati alla stalla dei pegasi e nel mezzo abbiamo anche fatto una pausa merenda.– Si strinse nelle spalle. –Ci saremo girati intorno.
Lei alzò un sopracciglio. –Certo, Chris–. Sorrise. –E allora mi spieghi come mai avete entrambi il fango del ruscello sui vestiti?







Note: Storia scritta per la Spring Shower, organizzata dal campmezzosangue, con prompt “fango sui vestiti”. Ormai anche i meno svegli tra voi avranno notato che ho tenuto i vari prompt come titolo del capitolo, perché faccio schifo a dare i titoli e questo era un’abile escamotage. XDDDDD
La storia è ambientata tra la prima e la seconda serie di libri, quando Crono è sconfitto, Percy non è ancora perso (hehehe), e Annabeth sta ristrutturando l’Olimpo.
La parte centrale di questa storia è colpa di Vannagio: io l’avevo fatta pura e ingenua, e lei c’è rimasta male perché voleva più porno. Ora, questo non è un rating rosso e forse siamo anche più sul giallo intenso che sull’arancione, ma è il massimo che son riuscita a fare quindi accontentatevi.
Grazie a chi segue la raccolta, Clarisse dice che a voi non infilerà la testa nel cesso (forse).
A presto!


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Capitolo 5
*** Campo minato ***


CAMPO MINATO

–Mamma, clicca lì.
–Ma no Clarisse, per me il quadrato giusto è quest’altro… Ops.
–Cazzo mamma, se lì c’era il due e lì il tre, come hai fatto a pensare che quel quadrato andasse bene?
Sam si mise a ridere. –Ma che ne so, Clarisse, mi sembrava così. Mica sono un’esperta di campi minati.
–Io sì però. Lo sai che prima della battaglia con Gea i fratelli Stoll si sono fregati tutte le nostre mine e le hanno messe… cosa c’è?
Sua madre le indicò l’altra stanza, dove un tramestio indicava la presenza di qualcuno. Cazzo, è vero, c’era Alcide e quando c’era Alcide niente semidei, Campo e fini del mondo varie. Clarisse, che al Campo ci viveva, trovava difficilissimo evitare di tirare in ballo tutta quella parte della sua vita. Era come camminare su un campo minato, anzi, su un campo minato sarebbe stata decisamente più a suo agio.
–Ragazze, vi ho riattaccato internet… Si era staccato un cavetto, Sam, per quello non funzionava!
Sam, che ci teneva tantissimo a non vedersi piombare mostri a casa e il cavo l’aveva staccato apposta, alzò gli occhi al cielo e disconnesse tutto, poi chiuse il portatile.
–Sei un tesoro, ma qui abbiamo finito. Non voglio perdere tempo al computer quando Clarisse è a casa.
Alcide si fermò sulla porta e sorrise a entrambe. Bello era bello, niente da dire. Aveva un fisico che faceva girare la gente per strada, un naso rotto che lo rendeva soltanto più virile&maledetto, capelli neri e pizzetto incolto, e tatuaggi ovunque. Aveva anche un’età che era una via di mezzo tra la sua e quella di sua madre, volendo essere pignoli, ma sua madre non era mai stata una persona pignola. E, cosa che non ti aspetteresti mai da uno così, sembrava fosse un brav’uomo.
–Hai ragione, Sam. Sentite, vi porto a cena fuori in quel posto che fa le bistecche!– Si interruppe un attimo. –O magari voi due preferite stare un po’da sole? In quel caso vado giù dai ragazzi, non c’è problema.
Era davvero un brav’uomo. Clarisse si sentì intenerita.
–No, no, Alcide, vanno bene le bistecche. Quanto sono grosse?
–Molto grosse.
–Al sangue?
–Praticamente crude.
Clarisse ghignò. –Scommetto che ne mangio più di te.

Le bistecche erano davvero buone. La birra probabilmente anche, ma aveva preso la coca cola con la promessa che a casa avrebbero rimediato. Alcide aveva un tatuaggio sul braccio che raffigurava un lupo che ululava alla luna, e Clarisse pensò che sembrava un po’uno di quei licantropi fighi dei telefilm e che Silena l’avrebbe presa in giro tantissimo se avesse saputo che guardava i bicipiti anche al tipo di sua madre.
–Allora, Clarisse, è successo qualcosa di divertente negli ultimi tempi alla tua scuola?–, le chiese, in uno dei suoi tentativi di far conversazione per conoscerla meglio.
A Clarisse venne da ridere e quasi si strozzò con la bistecca. –Uh, sì, abbiamo fatto una specie di gemellaggio con una scuola di San Francisco. Sono venuti da noi e ci hanno portato una statua di Atena in regalo.
–Una… statua di Atene? E come mai?
–Atena, non Atene. La dea. Ce l’avevano rubata.
Alcide sembrava smarrito. Sam intervenne. –Sono scuole molto vecchie, hanno tradizioni particolari. È stato una sorta di gesto simbolico, no, Clarisse?
–Hai voglia. Li ha accompagnati il coach, quelli che hanno portato la statua.
–Uh, mi spiace per loro–, rise Sam. –È un patito delle mazze da baseball–, spiegò.
–E ha avuto un figlio. Il coach, dico. Sono la sua madrina… l’ha chiamato Chuck come Chuck Norris!
Alcide scoppiò a ridere. –No, sul serio? Per quello?
–Sul serio!– Clarisse rise. –Mamma, uno di quelli che ha accompagnato il coach era Nico di Angelo, cazzo quanto avrei voluto vedere il coach di fianco a Nico “tiro su zombie dalla terra e ho un palo in culo”!
Sam accennò con la testa in direzione di Alcide. Lui comunque continuava a ridere. –Gli zombie? Io non stavo molto attento a scuola, ma mica ci insegnavano gli zombie, mi sarei ricordato!
Cazzo. Non ci aveva proprio fatto caso. È che per lei le stranezze erano troppo normali per riuscire a evitarle con naturalezza. Per fortuna sua madre dirottò la conversazione su motociclette (non quella di Ares), tatuaggi e aneddoti divertenti, togliendo Clarisse dalle difficoltà.

Più tardi, in veranda, Clarisse ebbe la sua birra. Alcide si era discretamente ritirato dentro casa per lasciarle da sole; Clarisse si ritrovò ad apprezzare la sua delicatezza.
–Quindi questo è uno serio? Nel senso… te lo tieni?
Sam si accese una sigaretta e fece un lungo tiro prima di risponderle. –Boh. Lui è lanciatissimo e mi adora, io… Sai, sono io. Mi sono sempre piaciuti quelli sbagliati, lui sembra sbagliato e invece è giustissimo. Ho paura di fare un casino, e Alcide non se lo merita.
Clarisse non era molto esperta di consigli. Era anche quello un campo minato, per lei. Ce n’era solo uno su cui si sentiva di essere sicura, perché gliel’aveva dato Silena e Silena aveva indovinato subito dov’era il quadratino che non faceva esplodere le bombe.
–Però se ti piace non ha senso non iniziare neanche solo per delle seghe mentali. Mica devi vendergli l’anima. Magari prova. Vedi come va.
Sua madre si mise a ridere e le soffiò un po’di fumo in faccia.
–Senti un po’, adesso non è che solo perché salvi il mondo devi fare tu quella matura della situazione!
–Figurati. Tanto prima o poi, se te lo tieni, il casino lo farò io. Tipo che mi sbaglierò a parlare e gli dirò che mio padre è un dio e penserà che sia pazza.
–Nah. Gli diremo che è un dio nel senso che ha un’altissima opinione di se stesso–. Si guardarono in faccia. –Il che è vero.
–Si droga? Acidi, coca, funghi…
–Non mi pare. Dato che non l’ho mai visto farlo, immagino di no. Forse ogni tanto, ma non abitualmente.
–Male. Se ti arriva un messaggio-iride come lo giustifichi?
Risero. Una volta era successo davvero che Sam avesse giustificato così un messaggio-iride di Clarisse.
–Io troverò una spiegazione, tu cerca di trovare un telefono, quando vuoi chiamarmi.
–Dovrai stare attenta ogni volta che saremo insieme nello stesso posto, lo sai? E far finta di rifletterci quando proverà a suggerirti di mettermi il prozac nella bistecca.
–Sono tua madre, mi sembra il minimo cercare di toglierti dalle difficoltà.
Clarisse rise. –Mamma, cazzo, hai sbagliato fin dal concepimento.
Sam le allungò uno scappellotto in testa. –Scema. Piuttosto, adesso che siamo da sole: com’è quella storia dei fratelli Stoll e del campo minato?






Note: Storia scritta per la Spring Shower, organizzata dal campmezzosangue, con prompt “campo minato”.
Questa storia è un po’ a caso, ero indecisa se pubblicarla perché è abbastanza inconcludente, diciamo che sono quelle cose che servono più a me come studio dei personaggi che al mondo, ecco. XDDD Solo che ormai ce l’avevo, era scritta, e alla fine mi sono detta che, tra lasciarla per sempre nel pc e pubblicarla, almeno se la pubblico a qualcuno può interessare e se non interessa passerete oltre, mica chiedo dei soldi. XDDD
La mamma di Clarisse l’ho inventata, l’ho fatta già comparire in questa storia qui. Alcide è preso di peso da “True Blood”, perché è così figo che tempo fa, con le amiche, decidemmo che ogni universo ci debba essere un Alcide. La storia è ambientata dopo la battaglia con Gea, gli Stoll che si fregano le mine sono canon.
Grazie a tutti voi (quattro) che leggete, a presto!




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Capitolo 6
*** Ossa rotte ***


OSSA ROTTE

–Ehi, a cosa stai pensando, tesoro?
Clarisse era seduta nei pressi del campo da basket, la schiena appoggiata a un albero, con la gamba steccata. Sembrava insolitamente calma, mentre osservava la partita che si stava svolgendo.
–Silena.
Non girò nemmeno la testa. Silena era l’unica a chiamarla “tesoro” e Clarisse ogni tanto si chiedeva perché le permettesse di farlo. Le si sedette accanto e le allungò un paio di cioccolatini; lei ne scartò uno al peperoncino. Magari era perché le portava del cioccolato, pensò.
–Non posso muovermi. Will ha detto che devo restare ferma qui fino a nuovo ordine. Ho fatto incazzare i guaritori di brutto, stavolta.
–Will?
–Will Solace. Honey ha detto che il suo turno al PS era finito e che aveva un appuntamento, quindi mi ha mollata a lui.
Honey era la migliore guaritrice di Apollo. Ufficialmente la chiamavano così perché era parecchio bionda, ma in verità il soprannome era dovuto al fatto che era dolce come un cucchiaino di miele in un bicchiere di acido muriatico; in autunno sarebbe andata al college e quindi stava preparando Will Solace, che era molto portato, a sostituirla in infermeria. Sempre se “preparare” e “schiavizzare” potevano considerarsi sinonimi, ovviamente.
Silena le si avvicinò con aria cospiratrice. –Un appuntamento? Ma allora è vero che esce con Florian Wheat della casa di Demetra? Ha detto qualcosa?
–Non lo so e non me ne frega un cazzo–, sbottò Clarisse. I figli di Afrodite erano fastidiosi, sempre a spettegolare. Si rimise a fissare la partita.
–Cos’hai fatto per fare arrabbiare i guaritori, comunque?
Almeno aveva cambiato discorso. Sbuffò.
–Ho fatto a botte con Sherman e Mike, mi hanno fatto una leva e mi sono rotta una gamba. Quindi siamo andati in infermeria e Honey ha dovuto curare me e loro. Solo che poi sono uscita e ho rifatto a botte senza aspettare che l’ambrosia avesse fatto effetto, quindi mi sono di nuovo rotta la gamba nello stesso punto. La cretina mi ha mollato a Will, e lui ha detto che o rimango dove può vedermi, o la prossima volta mi manda a curarmi nell’ospedale pubblico, in cui sarò lasciata a morire perché la mia assicurazione sanitaria non copre le fratture causate da manifesta e ottusa deficienza.
–Cavolo. Tutte queste parole?
–No, ne ha dette di più, ma il succo del discorso era questo.
Silena guardò verso il campo da basket, in cui alcuni ragazzi delle cabine di Hermes e Apollo stavano disputando una partita che, basandosi sull’accanimento che ci mettevano, doveva essere un pochino più importante della finale di NBA. Will era seduto a bordo campo, leggeva un fumetto, e ogni tanto alzava lo sguardo nella loro direzione. Quando si accorse che lo guardavano fece il gesto del “ti tengo d’occhio”.
Silena rise e gli mandò un bacio. –Chi vince, comunque?
–Non ci sto facendo caso. Pensavo che Chris Rodriguez starebbe bene, con un tatuaggio.
Silena si girò a guardarla. Fece un sorriso da stregatto di cui Clarisse non si accorse, visto che guardava ancora il campo.
–Come ti è venuto in mente?
Clarisse si strinse nelle spalle.
–Ma niente, è che prima di iniziare a giocare facevano gli scemi e decidevano i tatuaggi che si sarebbero fatti. Quel coglione di Michael pensava a una freccia rivolta verso il pisello con scritto “è qui la festa”, Ethan il sol levante con dietro il monte Fuji e la scritta “banzai”, e Chris il cuore sul bicipite con scritto “perdoname madre por mi vida loca”. Una cazzata.
–Spero vivamente che cambino idea. Tutti.
–Ma mica dicevano sul serio. A parte Michael, lui è così scemo che magari sì. Però pensavo che a Rodriguez starebbe bene un tatuaggio sul bicipite. Non quella stronzata lì, un altro.
Silena fissò Chris Rodriguez. Effettivamente, Chris aveva questa abitudine di tenere sempre le maniche della maglietta arrotolate, e aveva un bicipite ben definito, nervoso, niente affatto male. Non era strano che qualcuno lo notasse. Ma che Clarisse la Rue ci fantasticasse su, ecco, quello era decisamente strano.
–Ti piacciono i ragazzi tatuati?
Clarisse fece una specie di strano verso, e arrossì leggermente. –No. Non mi piacciono i ragazzi tatuati. Perché devi sempre parlare di ragazzi, cazzo? Mi piacciono i tatuaggi, tutto qui.
–Mmh. E quando poi sei vecchio?
–Mia mamma dice sempre che tanto da vecchi saremo brutti lo stesso, tatuaggi o meno.
–È un punto di vista interessante. Anche se non credo che sarò brutta, da vecchia, avrò solo un tipo di bellezza diverso. Chissà cosa direbbe la mia, di mamma.
Clarisse si strinse nelle spalle, continuando a guardare il campo.
–Sai a chi starebbe benissimo un tatuaggio sul bicipite? A Charlie–, considerò Silena. L’altra la fissò.
–Chi?
–Charlie, della casa di Efesto!
–Ma chi è Charlie della casa di…
–Beckendorf!
–Ah! E chiamalo col suo nome, cacchio!
Silena scosse la testa. –Comunque quelli sì che sono bicipiti. Sarà tutto quel martellare.
–Mmmh. Se lo dici tu.
In quel momento, il campo da basket esplose in una serie di grida. A quanto pareva, la partita era finita; Travis stava urlando –Rivincita! E poi avete barato!–, e Lee gli faceva notare che detto da lui era decisamente poco credibile.
Chris si avvicinò a loro. Era tutto sudato ma sembrava non riuscire a stare fermo. –Ciao Silena! Clarisse, vuoi giocare?
–No!
A rispondere era stato Will, che non aveva nemmeno alzato gli occhi dal suo fumetto.
–Lascia perdere Clarisse, evita di fare una figuraccia, te lo dico perché sono magnanimo… lo sai cosa vuol dire magnanimo?
Clarisse non ne aveva idea, ma non avrebbe mai dato una soddisfazione a Michael Yew. Si alzò puntellandosi sulla gamba sana. –Ti faccio il culo anche con un osso rotto, Michael.
Will chiuse il fumetto. –Ospedale pubblico!
–Mi piacerebbe proprio vedere come faresti, Clarisse.
–OSPEDALE DI GREY’S ANATOMY!
Silena tirò Clarisse per la maglietta. –Michael, smetti di provocarla! E tu stai seduta e non dargli retta!
–La prossima partita, ok?–, le disse Chris.
Lei sbuffò e fece per rimettersi a sedere. Michael rise. –Che brava soldatina!
Clarisse si scagliò contro Michael, ma proprio quando stava per prenderlo, rovinò in avanti faccia a terra.

–Io non ho intenzione di farmi curare da lui!
–E io non ho intenzione di curarti, quindi per una volta siamo d’accordo!
–Invece io di quello che volete voi due me ne frego.
Lee aveva imposto a Michael di seguire gli ordini di Will in infermeria, e lui stava facendo la sua migliore espressione contrariata. Clarisse, d’altro canto, era furibonda.
–Avanti, prova con l’inno.
–Ma non serve l’inno! Basta steccare e darle l’ambrosia, no?
–Certo, la prima volta. E la seconda. La terza, dovresti saperlo, non si rischia per queste stronzate.
–Michael non lo sa fare, l’inno. Sa solo stare nelle file dietro, dove non c’è la battaglia vera, a tirare le sue freccine del cazzo.
–Te le infilo nel culo da cento iarde, le mie freccine del cazzo, tritasassi decerebrata!
Will tirò un fischio da carrettiere che li lasciò a tapparsi le orecchie con i timpani doloranti. –Mike, fai quell’inno. E tu, zitta.
Clarisse imprecò. –Che cazzo era quel…
–Te lo faccio risentire, se non stai zitta.
Stette zitta. Michael eseguì la preghiera a suo padre più borbottata della storia. Suo padre non si degnò nemmeno di prenderlo in considerazione. Will glielo fece rifare. Ogni volta che i due provavano ad accapigliarsi, Will fischiava. Alla fine, Michael era completamente stremato e l’osso di Clarisse non era migliorato di una virgola; Will mandò via suo fratello e ci pensò lui. –È stato l’osso rotto più sofferto del mondo–, commentò.
–Honey ci avrebbe messo meno.
–Honey ti avrebbe dato altra ambrosia e se avessi preso fuoco avrebbe contato sul fatto che a mr.D non sarebbe fregato niente, credo.
Lei gli fece un mezzo sorriso. Era sempre contento, Will. Ed era bravo come guaritore, molto più paziente di Honey. Gli diede un cazzotto. Lui, che non se lo aspettava, lo prese tutto.
–A me “stai zitta” non me lo dice nessuno, ci siamo capiti, Solace?
Uscì dall’infermeria seguita dalle imprecazioni soffocate di Will. Silena era lì che l’aspettava, e Clarisse si chiese di nuovo cosa diamine voleva, quella figlia di Afrodite, da lei. Quando la vide le diede il cioccolatino che non aveva mangiato e la prese a braccetto, e lei pensò di scuoterla via in malo modo, ma preferì mangiare il cioccolatino. Silena sorrise.
–E allora, questi bicipiti di Chris Rodriguez?–, le chiese.








Note: Storia scritta per la Spring Shower, organizzata dal campmezzosangue, con prompt “Ossa rotte”.
Non so se si capisce (se non si capisce ve lo dico adesso), ma qui sono ancora tutti abbastanza piccoli: Chris e Ethan sono ancora al Campo, per cui la storia si svolge entro e non oltre la fine del primo volume della saga. Quindi Clarisse e Silena ancora non sono così tanto amiche (ma Silena l’ha già puntata, perché lei è figlia di Afrodite e vede le possibilità, e la acchiappa col cibo come i gatti <3 ), e nemmeno Clarisse e Will, che nel mio headcanon lo sono. Inoltre non potevo fare che Will era già il più bravo guaritore del Campo, non aveva senso, era troppo giovane; per questo mi è saltato fuori l’OC di Honey, che in realtà (e me ne sono resa conto solo dopo aver riletto la storia perché sono stordita) è già comparsa in questa raccolta, nella storia intitolata “Vecchie ferite”. A Clarisse non sta particolarmente simpatica.
Questa è la storia in cui si scopre una parte fondamentale del mio headcanon, ossia che Chris porta le magliette come Mark Lenders. Oh, è un headcanon importante: era un gran figo, Mark Lenders.
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguita in questi deliri, e a presto, spero!



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