It's not over before it's too late... and never it's too late

di Fauna96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Song of the Century ***
Capitolo 2: *** American Idiot ***
Capitolo 3: *** Jesus of Suburbia ***
Capitolo 4: *** 21st Century breakdown ***
Capitolo 5: *** Know your enemy ***
Capitolo 6: *** Holiday ***
Capitolo 7: *** Boulevard of broken dreams ***
Capitolo 8: *** ¡Viva la Gloria! ***
Capitolo 9: *** Before the lobotomy ***
Capitolo 10: *** Are we the waiting? ***
Capitolo 11: *** St. Jimmy ***
Capitolo 12: *** Christian's inferno ***
Capitolo 13: *** Last night on the Earth ***
Capitolo 14: *** Give me novocaine ***
Capitolo 15: *** She's a rebel ***
Capitolo 16: *** East Jesus Nowhere ***
Capitolo 17: *** Peacemaker ***
Capitolo 18: *** Extraordinary girl ***
Capitolo 19: *** Last of the American girls ***
Capitolo 20: *** Murder City ***
Capitolo 21: *** Letterbomb ***
Capitolo 22: *** ¿Viva la Gloria? ***
Capitolo 23: *** Restless heart syndrome ***
Capitolo 24: *** Wake me up when September ends ***
Capitolo 25: *** Homecoming ***
Capitolo 26: *** Horseshoes and handgrenades ***
Capitolo 27: *** Whatsername ***
Capitolo 28: *** The static age ***
Capitolo 29: *** 21 Guns ***
Capitolo 30: *** American eulogy ***
Capitolo 31: *** Epilogo: See the light ***



Capitolo 1
*** Prologo: Song of the Century ***


Saalve a tutti!! ebbene sì, sono tornata proprio il giorno del compleanno di Billie(auguri puffetto <3)...questa storia mi frullava in testa già da un po...in sostanza:e se Gloria non fosse altri che la sorella del nostro Jimmy? Questi sono i racconti intrecciati di Jimmy e Christian e Gloria...insomma leggete e ditemi un po che ne pensate :)
 
Image and video hosting by TinyPic Prologo – Song of the century


Settembre 1997
Jimmy si svegliò presto quella mattina. Fin troppo presto: fuori, il sole era ancora un pallido disco che non scaldava.
Non sapeva dire cosa l’avesse svegliato: c’era silenzio assoluto nella casa; persino sua sorella, famosa per parlare nel sonno, era quieta nella cameretta di fianco.
Forse l’aveva svegliato quello che chiamano sesto senso o intuito. Esitò, poi si decise a scivolare fuori dal letto e scendere a piedi nudi al piano di sotto.
Con sua gran sorpresa, sua madre era già in piedi a fumare. Gli dava le spalle e fissava la porta d’ingresso. Jimmy aprì la bocca per chiederle cosa ci facesse lì se non doveva andare al lavoro, ma la richiuse. Qualcosa gli diceva di stare zitto.
Finalmente la donna sembrò accorgersi di lui: si voltò. – Che fai qui? Torna a dormire – lo apostrofò.
- Cos’è successo? – chiese Jimmy. – E non dirmi “niente”! – aggiunse, come un bambino capriccioso.
Sua madre lo fissò per un attimo, poi disse con sorprendente leggerezza: - Tuo padre se n’è andato -. Jimmy sbatté le palpebre, perplesso. Andato? Nel senso che era... partito? Suo padre era un camionista, viaggiava sempre, ma... sarebbe dovuto restare a casa per qualche giorno... Un pensiero agghiacciante gli si formò nella mente, ma decise di non credergli. C’era una possibilità che stesse fraintendendo tutto...
Fissò la mamma aspettandosi una spiegazione, un chiarimento, ma lei sedette al tavolo senza più guardarlo.
Se c’era una cosa che Jimmy odiava era essere ignorato. E purtroppo gli accadeva spesso.
Strinse i pugni e strillò: - Mamma! Perché se n’è andato? Dove? Rispondimi! -.
- Vattene in camera tua -.
Jimmy si morse il labbro. Non era giusto. A nessuno importava di lui, solo perché aveva dieci anni!
Salì di corsa le scale, con gli occhi colmi di lacrime di rabbia. Che aveva fatto di male per essere trattato come un poppante? Sì, non era ancora adulto, ma non era nemmeno uno stupido moccioso!
- Jimmy -.
Sua sorella Gloria lo guardava dalla porta della camera, infagottata in un pigiama rosa. – Che è successo? -.
- Papà se n’è andato – rispose lui tirando su col naso rabbiosamente.
- Ma non mi ha salutato! – gridò lei corrucciandosi. Gloria aveva solo cinque anni, per cui Jimmy
non avrebbe dovuto prendersela perché non aveva capito, ma sentiva il bisogno di sfogarsi.
- Sciocca! Se voleva salutarci, l’avrebbe fatto! Non è mica andato via perché era costretto, ma perché voleva! -.
Gli occhi di Gloria divennero lucidi, ma non pianse; era orgogliosa, anche se era solo una bambina.
Jimmy si sentì un verme. – Scusa – bofonchiò. – Papà se n’è andato. So solo questo -.
- Non tornerà, vero? -.
- No... non penso -.
Lei abbassò la testa. Il fratello fece un passo avanti e le cinse le spalle sottili. – Sta’ tranquilla, Gloria. Non abbiamo bisogno di lui. Mi occuperò io di te e della mamma, vedrai -.
 

Christian non poteva crederci. Non capiva. Perché avrebbe dovuto lasciare casa sua? D’accordo, quando suo padre era ubriaco non risparmiava le botte, a volte doveva mangiare poco e cibo schifoso, ma... era casa sua. Papà non era poi così male: per il suo compleanno, un mese prima, l’aveva portato al luna park; voleva bene ai suoi fratelli e loro volevano bene a lui.
E allora... perché quello lì voleva portarli via? Non lo conosceva nemmeno.
Suo padre gridava, protestava, ma l’uomo rimaneva irremovibile. Christian sbirciò da dietro suo fratello che gli faceva da scudo: fuori c’erano anche dei poliziotti.
- I suoi figli devono venire con me – stava dicendo l’uomo, deciso.
Suo padre sbatté il pugno sul tavolo. – No! Che cazzo credi di fare? Nessun bastardo mi porterà via i ragazzi! -.
- Per ora, è una cosa temporanea. La prego, non opponga resistenza o dovrò chiedere alla polizia di intervenire. – Si voltò verso i quattro fratelli. – Per favore, prendete qualche cambio di vestiti e venite con me -.
- Perché? – chiese con aria di sfida Joshua, che con i suoi tredici anni era il più grande. – Noi non veniamo con te -.
A quel punto, il padre diede uno spintone all’uomo, che barcollò, e i poliziotti entrarono in casa.
Christian fu preso in braccio e trasportato fuori senza avere neanche il tempo di protestare. Il cielo era grigio dei fumi delle fabbriche, come sempre.
Il bambino si ritrovò in una macchina con due dei suoi fratelli al fianco. Era confuso e spaventato e scoppiò in lacrime. Simon e Mart si chinarono a consolarlo.
- Non piangere, Chris. Vedrai, ci porteranno a fare una visita o qualcosa del genere. Torneremo presto -. Simon era il più grande dopo Joshua, ed era anche il più assennato. Mart invece aveva otto anni e pareva spaventato quanto il fratello minore, ma si sforzava di non mostrarlo.
Christian si asciugò le lacrime e cercò di guardare fuori dal finestrino: il quartiere industriale dove era nato e cresciuto era sparito; si accorse con stupore che stavano attraversando la strada del centro di Detroit. Ma dove erano diretti? Davanti a lui sfilavano palazzi e case di ogni forma, macchine, persone affaccendate che camminavano sui marciapiedi.
Finalmente giunsero a destinazione. Christian scese dalla macchina e osservò l’edificio che aveva davanti: somigliava a una scuola.
- Perché ci hanno portati qui? – chiese. Nessuno dei suoi fratelli rispose.

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Capitolo 2
*** American Idiot ***


 American Idiot


23 Febbraio 2000
Jimmy accolse con sollievo il suono della campanella. Grazie al cielo era arrivato l’intervallo.
Si alzò stancamente dal banco, osservando gli altri ridere, tirare fuori le loro merendine, riprendere i discorsi di prima...
In verità Jimmy aspettava con impazienza l’intervallo solo perché trovava le lezioni insopportabilmente noiose, non per giocare e ridere con i compagni. Non aveva un vero e proprio amico: quando voleva divertirsi, fare un giro, si aggregava a un gruppo e andavano a mangiare un hamburger, poi alla sala giochi o al cinema. Lo tolleravano, senza dargli troppa confidenza, esattamente come faceva lui. Ma spesso preferiva stare da solo, immerso nei suoi pensieri.
Guardò fuori dalla finestra, nel cortile illuminato dal sole; era in comune con le elementari, e intravide sua sorella che saltava la corda insieme ad altre bambine. Non  c’era dubbio: quanto a socializzare, Gloria se la cavava molto meglio di lui. Nonostante la vita che faceva non fosse l’ideale, era una ragazzina allegra, estroversa, che trovava facile farsi amici. Tutto il contrario di lui, insomma.
Non aveva voglia di uscire. Fece una passeggiata svogliata lungo il corridoio, passando davanti al bagno dei maschi. Alcuni ragazzi si riunivano lì per fumare o altro, ma i professori fingevano di non vedere e non sapere nulla, anche se a volte uscivano le volute di fumo.
- Ehi, tu – Jimmy fece un salto, colto completamente alla sprovvista. La porta del bagno si era socchiusa e una fessura mostrava il viso e la figura massiccia di Dan Hodger. Dan aveva quindici o sedici anni ed era il ragazzo più temuto della scuola. Era stato bocciato un’infinità di volte, tant’è che quell’anno aveva iniziato appena la seconda. Un altro avrebbe abbandonato la scuola, ma non Dan. Si divertiva a fare casino e ad esasperare gli insegnati; be’, quando si faceva vedere.
- Vieni dentro – una mano afferrò Jimmy per un braccio e lo tirò dentro il bagno. Il ragazzino incespicò, deglutendo.
Dan lo fissò dall’alto in basso. – Come ti chiami? –
- Jimmy – rispose lui, incerto se sostenere o no lo sguardo dell’altro.
- Sei un cagasotto, Jimmy? –
- No... no, non lo sono! – si augurò di aver dato la risposta giusta.
Dan gli mise un mano una bustina di carta. – Vedremo subito. Ascolta: se esci fuori, al cancello vedrai un paio di tizi; digli che ti mando io e dagli questa ok? -.
Jimmy annuì, a metà tra il lusingato e lo spaventato per essere stato scelto.
Corse fuori con il cuore in gola. Eccoli là, tre ragazzi appoggiati alla grata, che osservavano con sdegno i bambini. Jimmy si avvicinò con le mani sudate. Sapeva benissimo in che razza di guai si sarebbe cacciato se lo avessero visto e sapeva anche altrettanto bene che Dan lo stava usando tipo postino. Ma d’altra parte, un badilata di botte lo aspettava se falliva, questo era poco ma sicuro. E poi... c’era qualcosa in Dan che lo affascinava incredibilmente. Si chiese se lo avesse scelto a caso o lo avesse osservato accuratamente prima.
Si schiarì la gola per attirare l’attenzione dei tre. – Ehm... scusatemi ma devo darvi questo... da Dan -.
La voce era uscita in un patetico squittio da ragazzina, ma non aveva potuto farci niente. Gli altri lo squadrarono dall’alto in basso.
- Da Dan, hai detto, cocco di mamma? – sogghignò uno. – Sei proprio sicuro? –
- Certo! – ribatté Jimmy, che iniziava a innervosirsi.
- Calma, bimbo, non mangio mai poppanti prima di pranzo – diede un’occhiata al contenuto della busta e annuì, soddisfatto. – Bravo bambino. Ora è meglio che vai, se no fai tardi a lezione – gli diede una pacca in testa e se andò insieme agli altri due con una risataccia.
Jimmy rimase lì. Sembrava... davvero un bimbo? Un “cocco di mamma”? Abbassò lo sguardo sulle scarpe da ginnastica. Oh, cosa avrebbe dato per essere come Dan! Grande e temuto da tutti. Forte.
 
All’uscita, si sentì afferrare per una spalla. Alzò gli occhi, e non fu sorpreso di incrociare lo sguardo beffardo di Dan. – Ehi, piccoletto, ce l’hai fatta? Non ti ho più trovato, dopo -.
Jimmy annuì. – Sì... gliel’ho dato. –
- E bravo Jim. Sei un tipo con le palle. Dove abiti? –
Jimmy sbatté le palpebre, sorpreso, e gli disse l’indirizzo. – Scusa, ma a che ti serve? -.
- Ci vediamo stasera! Non addormentarti, Jim! -.

 
La cena era stata deprimente come al solito; sua madre aveva bevuto parecchi bicchieri di vodka.
Jimmy si rifugiò in camera sua alla solita ora e attese. Dan non gli aveva detto un orario ma dubitava si sarebbe presentato subito dopo cena per riportarlo a casa alle dieci.
Alle undici e mezza si era appisolato; però, poco dopo, sentì un rumore alla finestra. Si svegliò di soprassalto, dandosi del cretino per essersi addormentato. Un sasso colpì di nuovo il vetro.
Si infilò le scarpe e scese le scale come un razzo, fermandosi solo per controllare che Gloria stesse dormendo. Di sua madre non se ne preoccupò.
Fuori lo aspettava Dan, con aria impaziente. I capelli ritti, tinti di uno strano bluastro, spiccavano nel buio.
Il ragazzo, quando lo vide, sorrise con un mezzo sbuffo e si affrettò a guidarlo verso la periferia. Jimmy gli trotterellava al fianco.
- Sai perché ti sono venuto a prendere? – disse Dan all’improvviso. – Perché non sei uno dei soliti coglioncelli. Tu... mi ricordi un po’ me stesso, lo devo ammettere. Ma se non venivo a prenderti, tu saresti diventato uno dei fottuti idioti di questa fottuta città. E sarebbe stato un peccato -.
Jimmy rimase zitto. Aveva capito dove stavano andando: al 7 – 11, il “covo” dei ragazzacci di Jingletown.
Era... be’, non c’era un modo preciso per definire il 7 – 11... era una sorta di parcheggio al chiuso trasformato in locale dai ragazzi, forse. O qualcosa del genere. Già da lontano si vedevano le luci, si sentivano voci gridare e cantare.
Arrivati, Jimmy esitò, ma la grande mano di Dan lo spinse e il ragazzino mise per la prima volta piede al 7 – 11.
Un gruppo di ragazzi era in parte in piedi, in parte seduto per terra appoggiato alle mura coperte di graffiti. Chi beveva, chi fumava, chi litigava...
Un ragazzotto con un piercing al sopracciglio si avvicinò a Dan e Jimmy che se ne stava lì a fissare tutto e niente, spaurito.
- Chi cazzo hai portato? – biascicò. – Qui non c’è mica l’asilo -.
- Chiudi quella cazzo di bocca, Liam. Non ho intenzione di discutere con un coglione ubriaco. Ehi – sbraitò poi, rivolto al resto del gruppo. Potevano essere una quindicina, quasi tutti maschi, a parte quattro o cinque ragazze. – Questo – proseguì Dan – è Jimmy, ed è mio amico. Da questo momento, se ne avrà voglia, farà parte del nostro gruppo, ok? E niente stronzate perché è più giovane, mi sono spiegato? -.
Jimmy si sentì osservato da tutti. Lo valutavano. Poi finalmente parlò una brunetta in minigonna con qualche ciocca colorata: - Non sembra uno stronzetto come quelli della sua età -. Si avvicinò a lui e gli sorrise. Lo superava in altezza di una spanna e aveva un’espressione vivace. – Sono Nan, ciao. Sei fortunato, non sono molti quelli che piacciono a Dan – ridacchiò, facendo l’occhiolino a quest’ultimo.
- Jim – disse Dan serio. – La gente ci tratta come pazzi delinquenti per il semplice fatto che non siamo come loro. Loro non sono altro che idioti, dei grandissimi idioti americani che non fanno altro che ingurgitare quello che gli dicono. Noi non siamo come loro, Jimmy, non vogliamo esserlo. E tu? Vuoi essere un idiota americano? -.
Jimmy osservò i volti intorno a lui, gli occhi bistrati di nero, i capelli colorati, i jeans strappati, i piercing. Com’erano diversi dai bravi ragazzi con le camicie della domenica e i capelli arruffati ad arte e il loro carico di ipocrisia...
Guardò Dan negli occhi. – No. Non voglio esserlo.

 
Vi saluta una Fauna molto gasata perché ha preso un bel voto in filosofiaXD A parte ciò... questo capitolo voleva spiegare come Jimmy è diventato il nostro Jesus of Suburbia... e ho pensato che doveva esserci una specie di predecessore di St Jimmy che gli insegnasse qualcosina... be’ ringrazio Class of 13 che ha recensito e.... commentate, commentate ;)

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Capitolo 3
*** Jesus of Suburbia ***


 Jesus of Suburbia

I Jesus of Suburbia
 

3 Marzo 2004
La coscienza tornò, insieme a un mal di testa martellante, seguito da un dolore sordo alla schiena.
Aprì gli occhi tentando di alzarsi, ma un improvviso malessere lo costrinse a crollare di nuovo a terra. Nonostante tutto, era perfettamente lucido: si trovava al 7 – 11 dopo una nottata passata a bere e divertirsi. Aveva dormito per terra, per questo la schiena doleva.
Riprovò ad alzarsi e stavolta riuscì a mettersi seduto, sebbene il corpo lanciasse vibranti proteste; intorno a lui, tra bottiglie vuote e altra spazzatura, tutti gli altri come angioletti. Oh be’, in senso molto figurato.
Fece un profondo sospiro issandosi sulle gambe che, anche se un po’ malferme, lo sostennero. Si passò una mano sulla faccia, scoprendo con sorpresa che aveva una gran fame. Se voleva mangiare, però, era meglio andare a casa: lì non c’era più neanche l’ombra di qualcosa di commestibile.
Uscì, e la luce del sole lo colpì con violenza, costringendolo a chiudere un attimo gli occhi. Che ora poteva essere? Sicuramente era pomeriggio inoltrato.
La sua casa era sempre la stessa, un po’ trascurata e malmessa, e anche le persone all’interno non erano cambiate granché: una donna depressa e alcolizzata e una ragazzina che cercava di trovare il suo posto nel mondo. Come lui, d’altra parte. Lui... era cambiato forse nel modo di vestire, nel comportamento e nelle abitudini, ma la rabbia che lo accompagnava era la stessa da quando aveva dieci anni.
Quando entrò, Gloria era seduta al tavolo della cucina a fare i compiti. Al contrario del fratello, che andava a scuola a cazzeggiare un giorno sì e tre no, e solo perché ci era costretto, a Gloria piaceva imparare e studiare. Era curiosa riguardo al mondo che la circondava, e anche piuttosto polemica. In questo erano uguali, ma lui tendeva più ad andare contro a testa bassa, mentre lei era una stratega.
Jimmy rispose al suo sorriso e le fece una lieve carezza sui capelli. Anche il profondo affetto che li legava era rimasto lo stesso con gli anni: Gloria non lo giudicava mai, non diceva una parola su quel che lui combinava; le importava solo che rimanesse accanto a lei, in qualche modo. Al contrario, sua madre non risparmiava acidi rimbrotti, proprio lei, l’ultima persona la mondo che avrebbe dovuto parlare!
Gloria si girò a guardarlo. – Hai tutta la matita sbavata – gli fece notare. Jimmy alzò le spalle e si diresse al frigorifero. Lo aprì, alla ricerca di qualcosa di edibile. Ah, figurarsi! Sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti prima che ci fosse un cazzo di cibo lì dentro!
- Mamma è andata a fare la spesa – lo informò Gloria, a mo’ di scusa. Jimmy rispose con un grugnito, accontentandosi di un pezzo di pane nella credenza. Almeno, non ce l’aveva tra i piedi a rinfacciargli che figlio snaturato era. Sua madre era così: quando era sobria, pretendeva do controllargli la vita (come tutte le madri), si chiedeva perché non fosse il figlio modello come quelli delle sue (ex)amiche; poi però beveva, e manco si ricordava più di avere un figlio. Che andasse a fare in culo.
Gloria, a dodici anni, era di gran lunga la più matura della “famiglia”. Lui invece non era altro che un bastardo senza né arte né parte, e lo sapeva benissimo. E non gliene fregava nulla. Sua madre faceva quello che le saltava in testa? Perfetto, pure lui. Gli piaceva divertirsi, sbronzarsi con gli amici anche tutti i giorni, farsi le canne. Era fatto così e non ci trovava niente di sbagliato.
 
Accese lo stereo, alzando il volume al massimo, tanto Gloria era uscita, per cui non l’avrebbe disturbata.
La sua camera era spaziosa, con le pareti tappezzate di scritte, bandiere, poster. Appeso al muro c’era un lungo specchio e fu lì davanti che si fermò un momento.
Il ragazzo che lo fissava era magro, di media altezza, un viso pallido e piuttosto carino. O almeno, le ragazze lo trovavano carino. I capelli scuri erano arruffati, gli occhi azzurri resi ancora più chiari dalla spessa matita nera. Era quello il riflesso che vedeva da quattro anni ormai, da quando Dan Hodger l’aveva iniziato al punk, da quando l’aveva tirato dall’abisso nel quale stava scivolando.
Dan era morto un paio d’anni prima, in un incidente stradale; Jimmy aveva sofferto molto per la sua perdita: era diventato una sorta di fratello maggiore per lui, gli aveva dato la possibilità di scappare dal grigiore della sua vita... Ma d’altra parte, la morte di Dan l’aveva fatto maturare ancora, e ora il “capo” non dichiarato del 7 – 11 era lui. Ma non più Jimmy. Jimmy era il ragazzino spaventato e arrabbiato, il fratello di Gloria... il capo del 7 – 11 era Jesus of Suburbia, come lo chiamavano i suoi discepoli. Carismatico, amante del rischio, intelligente... e, perché no, bello; Jesus of Suburbia, che seguiva solo i proprio comandamenti, non aveva altro Dio all’infuori di se stesso. Era il figlio della rabbia e dell’amore: la rabbia di suo padre e l’amore di sua madre. L’amore che un tempo sua madre aveva provato. E lui era lì, bloccato tra quei due sentimenti contrastanti, incastrato fra Paradiso e Inferno. Ok, al momento tendeva decisamente al secondo.
Qualcuno bussò alla porta e Jimmy sorrise lievemente; comparve la figura snella di Mary Jane, che senza esitare gli si avvinghiò addosso e lo trascinò sul letto. La notte prima lei non c’era per chissà quale ragione, e ora aveva tutto il diritto di spassarsela.
 

 
II City of damned
Mary Jane se n’era andata, lasciandolo mezzo nudo sul letto a fissare il soffitto. Stavano insieme da qualche tempo, non ricordava esattamente quanto. Era una bella ragazza, forse un po’ frivola, ma per scopare andava benissimo. Non che Jimmy fosse così superficiale: non si sarebbe mai potuto mettere con una stronza o scema solo perché era belle e brava a letto. Mary Jane era simpatica, non troppo assillante e tutto sommato gli piaceva. Andava bene: non stava mica cercando il vero amore e stronzate simili.
Sentì sbattere la porta di casa. Oh merda: Gloria non sbatteva mai le porte, quindi sua madre era tornata. Sbuffò, affondando la faccia nel cuscino. Lo aspettava un’allegra predica che gli sarebbe servita quanto erba guasta.
Si rivestì svogliatamente: maglietta sgualcita dei Sex Pistols, jeans strappati con catena e anfibi. Si ritoccò un poco la matita e scese giù con gran fracasso. Se sua madre era ben decisa a rovinargli la vita, lui avrebbe ricambiato con calore.
Lei era in cucina. Jimmy le passò davanti senza degnarla di uno sguardo; aprì il frigo, afferrò una birra e se la scolò. Era birra di pessima qualità, ma era il gesto che contava.
Fece per uscire per i fatti suoi, ma sua madre lo bloccò. – Jimmy, vieni qua -.
- Che cazzo vuoi? – replicò lui seccato.
- Devo parlarti. Siediti -.
Jimmy rimase in piedi, posando la bottiglia sul tavolo. – Sbrigati, mi aspettano -.
- Comportandoti così, fai del male a tua sorella -. La cosa lo lasciò spiazzato. Che c’entrava Gloria adesso? Si aspettava la solita ramanzina sulla totale inutilità della sua vita... Perché aveva tirato in ballo Gloria? Un nuovo piano per farlo sentire in colpa?
- Come credi che sia, per lei, avere un fratello sbandato che si droga? Io voglio che lei vada al college, non come te -.
Jimmy sentì la rabbia montargli dentro. Ah, era tutta colpa sua, giusto? Colpa sua se la loro vita faceva schifo? Colpa sua se suo padre se n’era andato e lei depressa?
Strinse i pugni. – Vaffanculo. Sono io che mi sbronzo a casa mia tutte le  sere da sette anni, io che lascio i miei figli a loro stessi, eh? La verità è che sei tu che non riesci a darle quello di cui ha bisogno. Ha più bisogno di una madre che di un fratello perfetto, non credi? All’ultimo ricevimento dei genitori sono andato io al tuo posto, perché eri lì in coma, praticamente. Se questo era solo un modo per... cazzo ne so, convincermi a fare qualcosa, a cambiare, non funziona. So benissimo che non te ne fotte niente di lei, come di me -.
Se ne andò sbattendo la porta con furia. Fanculo. Fanculo al mondo.
Il sole si era abbassato, l’aria era più fresca. Jimmy si guardò intorno. La rabbia si stava riaddormentando, ma si tratta va solo di un sonnellino: alla prima occasione sarebbe saltata fuori più forte che mai. Guardò le strade sporche, le vecchie case con i graffiti, i cassonetti straripanti di spazzatura. Ecco, era di nuovo Jesus of Suburbia; era nella sua Gerusalemme.
Passò correndo un gruppo di monelli con le facce sporche, sogghignando. La sua Gerusalemme aveva una buona percentuale di ragazzini che giravano in branco da una parte all’altra di Jingletown combinando marachelle. Molto tempo prima, anche lui era così; poi l’infanzia era finita bruscamente e si era perso in quel difficile luogo tra l’essere bambino e il diventare adulto. Ed era tuttora sperduto lì, sebbene non gli piacesse pensarlo. Ma era la verità per quanto spiacevole potesse essere. E prima o poi, anche quei ragazzini si sarebbero persi.
Poi c’erano i bravi ragazzi, che tra vent’anni sarebbero diventati le copie dei loro genitori: per i maschi un noioso lavoro in un qualche ufficio, le ragazze sarebbero diventate madri di famiglia bigotte.
C’erano gli emarginati, come sua madre, i rifiuti della società; e poi i suoi discepoli. Anche loro erano rifiutati dai benpensanti, ma c’era una gran differenza tra loro e gli altri: Jesus e i suoi non anelavano a entrare nelle parte “giusta” della società. Erano diversi, e tali volevano rimanere.
Si dice che i fantasmi appaiano sempre alla stessa ora facendo sempre le stesse cose; ebbene, quella era una città fantasma, dove tutti facevano le stesse cose ogni giorno, una città di dannati, da cui pareva che nessuno riuscisse a scappare.
- Ehi, Jesus! – uno dei suoi discepoli, un certo Aaron, gli sembrava, lo salutò. Lui rispose con un cenno pigro, continuando a camminare. Gli piaceva passeggiare per la città da solo, lasciando la mente libera di vagare. Gli dava la piacevole sensazione di... possedere tutto e tutti. Ma era una sensazione illusoria: ci poteva essere un padrone in una città di morti?
 

III I don’t care
Jimmy tolse il tappo al pennarello nero indelebile. Si mise in piedi sulla tazza del cesso per scrivere meglio sul muro.
Si trovava in un gabinetto pubblico, quello dietro al supermercato, e si stava dedicando a una delle sue attività preferite: scarabocchiare sui muri.
Disegnava, scriveva stralci di suoi pensieri, tutto quello che gli veniva in mente; come se a volte si sentisse così pieno da dover tirare fuori qualcosa, per non scoppiare.
Disegnò due figure nere; ad una aggiunse lunghi capelli e due grandi occhi. una ragazza. Una ragazza sconosciuta, dal volto ancora ignoto. L’altra figura rimase torvamente in ombra, minacciosa e inquietante, con il cappuccio tirato su e le mani in tasca.
Jimmy scese e si accovacciò per terra; si accese una sigaretta con dita nervose, la rabbia che gli mordeva il cuore. Perché? Perché, cazzo, non poteva... essere normale? perché c’era sempre qualcosa che gli impediva anche solo di provare ad essere, se non felice, quantomeno sereno? Dan avrebbe detto che lui era diverso dagli altri, e di ciò doveva esserne fiero. Ma ora era solo stanco.
Era come avere una belva annidata nel petto, da quel maledetto giorno di settembre.
Ma alla fine, era davvero importante? Gli importava “essere in pace con se stesso”?
Si alzò di scatto e scrisse sul muro a caratteri cubitali I DON’T CARE. I don’t care.
Uscì come una furia dal bagno ed entrò nel piccolo supermercato, l’unico della zona.
Era deserto a quell’ora, fatta eccezione per un giovane commesso che gli gettò un’occhiata inquisitoria. Doveva avere qualche anno in più di lui, un universitario. Jimmy lo ignorò, afferrò una bottiglia di vodka e la aprì con un gesto secco. Dirigendosi alla cassa, ne bevve una gran sorsata e la sbatté di fronte al commesso.
- Quanto viene? -.
Il ragazzo lo scrutò e gli disse il prezzo. Jimmy buttò ma terra la bottiglia che si ruppe in mille pezzi spargendo vodka dappertutto. – E’ troppo, cazzo! Fottiti -.
Si girò per andarsene , ma il commesso gli si parò davanti. – Quella me la paghi -.
- No. Non l’ho mica presa. Spostati, coglione -.
- Tu la paghi! Solo perché ti metti la matita come un frocio pensi di poter fare come vuoi? -.
Jimmy aspettava solo quel momento. Caricò indietro il braccio e gli mollò un poderoso pugno in faccia. Il ragazzo barcollò all’indietro, la bocca sanguinante, e Jimmy lo guardò dall’altro con disprezzo. – Adesso vai a piagnucolare dalla mamma? Non lo capisci che a me non importa? -.
Uscì a grandi passi; fuori lo aspettavano gli altri ragazzi, seduti sul marciapiede. Sembravano nervosi: Mary Jane, quando lo vide, si alzò e gli fece un cenno col capo.
Lui si voltò e vide parcheggiata lì una macchina della polizia. Cazzò, che due palle... probabilmente stavano solo facendo un giro ed erano stati attirati dal trambusto; oppure li aveva chiamati qualche vecchia rimbambita che aveva intravisto qualcosa dalla vetrina.
Un paio di poliziotti si avvicinarono. – Giovanotto, vieni con noi -.
- Perché dovrei? – Jimmy alzò le spalle. – No, non ci vengo -.
- Ragazzo... – iniziò a dire uno dei due afferrandogli il braccio. Jimmy gli diede uno spintone. Alle sue spalle, tre o quattro ragazzi si alzarono.
- Cerchiamo di mantenere la calma – disse l’altro il poliziotto con fare conciliante. – Abbiamo ricevuto delle lamentele sul tuo conto: vandalismo e minacce. Ma è tutto da confermare, vogliamo solo farti qualche domanda. Jimmy, giusto? – lui trasalì. – Niente manette, è solo un fermo -.
- Io non vengo con voi, ho dettò – ringhiò Jimmy. – Fuori dai coglioni -.
- Ora basta! – esclamò il poliziotto che aveva spintonato. – Fece un passo avanti, ma prima che anche il ragazzo potesse reagire, Joey e Kim erano intervenuti per il loro Jesus, e il poliziotto finì a terra.
Jimmy afferrò l’altro e lo buttò sull’asfalto vicino al collega. I suoi discepoli gli facevano cerchio attorno.
- Non sono Jimmy. Sono Jesus of Suburbia. Hai capito? O forse devo spaccarti la testa perché ti entri dentro? Prova a chiamarmi così o a toccarmi di nuovo e giuro che ammazzo tutti e due  qui, per strada. Non me fotte niente. Io faccio quello che voglio qui, e non sarà certo uno sbirro figlio di puttana a dirmi di smetterla. Non me ne importa niente. Niente -.
Se lo ripeteva anche dentro di sé. Non mi importa. Non mi importa. Non mi importa! Non mi importa di questa città, di questa gente... non mi importa neanche di me stesso.

 
IV Dearly beloved
- Adesso sei veramente nella merda, Jimmy, ma veramente! Picchiare dei poliziotti! – Mary Jane parlava, parlava da mezzora come minimo, ma lui aveva spento il cervello e si limitava a fissarla con uno sguardo vuoto.
Non lo capiva, quella ragazza, che lui era sempre nella merda? Qualunque cosa facesse, era lui quello sbagliato, il ritardato, l’imputato. sarebbe sempre stato così, in quella città così come dappertutto.
O forse no. Se... se avesse trovato un posto dove stare, il posto giusto per uno come lui... Ma via, non esisteva un posto giusto per Jesus of Suburbia... a meno che non se lo creasse.
- Mi ascolti? – strillò Mary Jane.
- No. Cazzo, piantala. non ho bisogno di un’altra rompicoglioni, ok? – aveva parlato in tono aggressivo, per ferirla. E ci era riuscito: lei rimase a bocca aperta, un’espressione offesa e dispiaciuta dipinta in volto. Era la prima volta che Jimmy la trattava con rabbia e disprezzo.
- Io... voglio solo aiutarti, Jimmy – balbettò.
- Ti ho chiesto aiuto, io? No! Non lo voglio e non ne ho bisogno – si alzò da terra e fece per andarsene ma lei lo afferrò per un braccio. – Non capisco... mi stai lasciando? -.
- Lasciarti? Non siamo mai stati insieme... non come stanno gli altri. Io non ti amo. Non sono in grado di amare nessuno, e non lo voglio nemmeno; pensavo lo sapessi -.
Liberò il braccio dalla sua debole stretta e se ne andò, senza voltarsi indietro a guardare la ragazza piangente.
Quando vide all’orizzonte il 7 – 11, si bloccò Non voleva andare lì ma... non sapeva dove altro andare. A casa? No, per carità. Tutte le opzioni si riducevano a quello sporco parcheggio con i muri coperti di graffiti.
Basta... basta... non ce la faccio più... Non riesco più a... vivere.Si accasciò a terra, nascondendo la testa tra le braccia.

 
V Tales from another broken home
Non riusciva più a respirare... Si sentiva soffocare dalla sua stessa vita. Allora... perché cazzo non moriva? Non respirava ma si trascinava avanti stancamente, come un morto vivente. Nonostante tutti i suoi sforzi, era diventato come qualunque altro abitante di quella città.
- Jesus! Jesus! Stai male? – Alzò il capo, incrociando lo sguardo con quello di... come cazzo si chiamava? Al momento, non riusciva a ricordarselo.
Scostò il ragazzo con un gesto secco e si tirò in piedi. – Mai stato meglio -.
Ora capiva. Si mise a correre mentre l’altro gli gridava. – Dove vai? -.
- Via! – rispose Jimmy. Sì, andava via, via da quella città maledetta con il suo carico di bugie e paura.
Corse fino a casa, si fermò, piegandosi sulle ginocchia con il respiro affannoso. Poi entrò, senza neanche richiudere la porta dentro di sé e salì i gradini a due a due.
Afferrò febbrilmente uno zaino e ci cacciò dentro due vestiti, qualche soldo...
- Jimmy – Al suono di quella voce, tutta la furia si acquietò. Si  voltò piano, temendo ciò che avrebbe letto in quegli occhi così simili ai suoi.
Gloria era in piedi sulla soglia, i capelli sciolti sulle spalle, a piedi nudi. – Te ne vai? – mormorò.
Jimmy deglutì. Nonostante tutto il bene che le voleva... non si sarebbe rimangiato la sua decisione.
Si inginocchiò di fronte a lei, come per scusarsi. – Sì. Io... non respirò più, Gloria. Voglio vivere, voglio... – la sua voce si spense, mentre aspettava che lo insultasse come meritava.
Inaspettatamente, Gloria lo abbracciò. – Portami con te! Ti prego... non lasciarmi qui, da sola... ti prego! Avevi detto che ti saresti occupato di me e della mamma! -.
- L’ho detto, è vero. Ma... io non so dove andrò, cosa farò, chi incontrerò... Come posso occuparmi di te in questo modo? Sarai più al sicuro qui... E la mamma non ha bisogno di me e non mi vuole. Non ho più niente da fare qui. –
Gloria si staccò, gli occhi lucidi. – Ma... io ti voglio bene -.
Jimmy sentì un gran calore nel petto. – Anch’io. E questo non cambierà mai, ovunque vada -.
Spinto da un impulso improvviso, afferrò la sua vecchia giacca di pelle e gliela mise sulle spalle.
– Adesso è un po’ grande, ma tienila comunque. Per ricordarti di me -.
Lei si strinse nella giacca tremando. Jimmy chiuse lo zaino, se lo mise in spalla e strinse a sé Gloria.
- Sii forte. Ricordati, non farti mai dire da nessuno cosa fare e cosa no. Tu sei forte -.
La sentì aggrapparsi a lui con le piccole mani. Non piangeva però. Non l’avrebbe fatto.
Jimmy si sciolse dall’abbraccio e la baciò in fronte. Poi voltò le spalle e se ne andò da quella casa. Non sarebbe tornato, no. Per li quelle quattro mura avevano significato solo dolore, costrizione...
Stava per infilarsi in macchina, quando comparve sua madre, correndo come una pazza verso di lui. Merda. Lo afferrò per le spalle scuotendolo. – Che stai facendo? – gridò. – Che fai? -.
Jimmy si tolse dalla sua presa febbrile e debole. – Me ne vado via. Non ce la faccio più. Lasciami, ora -.
Sua madre non lo lasciò, ma con gran sorpresa del ragazzo, lo abbracciò. Lui rimase un momento paralizzato, stupefatto... poi ricambiò esitante. Ma non voleva dire che sarebbe rimasto. Un abbraccio mentre stava salendo in macchina non bastava. Non più. Non avrebbe ricucito tutte le ferite degli anni precedenti.
Si scostò quasi con violenza, ignorando le sue grida e le sue lacrime sedette sul sedile chiudendo finalmente la portiera.
Accelerò per uscire dalla città. Più veloce, più veloce... lontano dalla morte, alla ricerca di qualcosa per cui vivere.
Si fermò solo dopo aver superato Jingletown. Scese dall’auto e guardò indietro. Intravedeva una fila di ragazzi vestiti di nero, schierati come un picchetto d’onore. I suoi discepoli. E davanti a tutti, una figurina sottile, infagottata in una giacca troppo grande per lei.
 

Salve:) Lo so, sono in ritardo ma considerata la lunghezza del capitolo sono scusata, vero?? Be’, mi sono ispirata parecchio al video di Jesus of Suburbia e spero di aver reso abbastanza giustizia a Jimmy... non sembra un bambinetto capriccioso, vero? Il prossimo capitolo invece sarà completamente dedicato a ChristianXD Grazie per le recensioni a Class Of 13 e Stray Heart! Alla prossima:)

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Capitolo 4
*** 21st Century breakdown ***


 21st Century breakdown

Marzo 2004
La notte era scesa in fetta sul quartiere residenziale. Una finestra al primo piano di una casa tra le tante si aprì piano; ne spuntò cautamente una testa che si guardò intorno. Non vedendo pericoli di alcuna sorta, il ragazzo scavalcò il davanzale e con un salto si aggrappò ai rami di un albero lì di fronte.
Rimase lì a dondolare, col respiro affannoso, le orecchie tese a cogliere il minimo rumore. Niente.
Si calò velocemente giù per il tronco, uno zaino in spalla. L’aria della notte era fredda e lui indossava solo una maglietta a maniche corte, ma aveva i palmi delle mani e la fronte sudati. Nonostante quello e il cuore che batte va veloce, non perse la presa.
Saltò il cancello e si ritrovò in strada. Libertà! Non si vedeva neanche una macchina. Con le converse che battevano allegramente sull’asfalto, si diresse verso la stazione. Avrebbe preso il primo treno in partenza. non importava dove fosse diretto, l’importante era che andasse lontano.
Christian aveva compiuto dodici anni da due giorni, ma aveva pianificato quella fuga da mesi. In effetti, da quando aveva messo piede in quella casa.
Da sette anni orami passava da una famiglia affidataria all’altra, vedendo suo padre e i suoi fratelli una volta al mese. si sentiva un oggetto passato di mano in mano, un giocattolo. Ma ne era stufo marcio. Non avevano nessun diritto di trattarlo così, come le varie famiglie da cui era stato non avevano nessun diritto di dirgli cosa fare e no. Oh, ma lui se ne andava, sarebbe stato padrone di se stesso senza nessuno tra i piedi.
Non uno dei suoi fratelli aveva cercato di ribellarsi a quel sistema crudele, forse perché alla fine si erano trovati dei nuovi genitori affettuosi, erano felici e tutto. Christian invece aveva avuto problemi sin dalla prima famiglia, e così tutte le successive. Che fosse lui o gli altri, era irrilevante.
l’ultima famiglia era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non andava bene come si vestiva, come si comportava, le gente che frequentava... Poi c’era stata la diagnosi della malattia e allora era crollato tutto. Era una malattia che colpiva il corpo con acuti e infiniti attacchi di dolore... Durante quegli attacchi non riusciva a muoversi, a pensare quasi... quando li aveva a casa gli davano degli antidolorifici, ma erano troppo blandi... A quel punto, Christian aveva mandato affanculo tutto. Quella era una malattia degenerativa, e avrebbe anche potuto non camminare più, sarebbe stato completamente succube della malattia... Oh, giusto, poteva tranquillamente lasciarci le penne da un momento all’altro. Perfetto. Se gli rimaneva da vivere poco tempo, l’avrebbe vissuto come voleva lui.
Era arrivato. Si fermò un momento a osservare l’imponente struttura della stazione. In tasca aveva i suoi pochi risparmi, ma credeva gli sarebbero bastati per un biglietto.
Poi il cuore accelerò. Un velo di sudore gli ricoprì la fronte. “Non ora!” pensò disperato. “Non ora, per favore!”. Si accasciò per terra, lame di dolore che gli trafiggevano le membra.
Si morse a sangue il labbro per non urlare. Nello zaino aveva portato qualche antidolorifico, ma era paralizzato... Perché tutto quel dolore a lui? Cos’aveva mai fatto di male?  Si graffiò le braccia sull’asfalto. Basta!
- Ragazzo, mi senti? – una voce, distorta dal dolore. – Ti senti male? -.
Un paio di braccia lo sollevarono. – Ti porto all’ospedale -.
Per quanto possibile, Christian si dimenò. No, no, avrebbero chiamato immediatamente quelli là! E lui si sarebbe trovato nella merda. Afferrò un lembo del vestito dell’uomo. – No – rantolò. – ora... ora passa. Niente... ospedale -. Avrebbe voluto di prendere le medicine nello zaino, ma non riuscì più a parlare. Rimase lì, raggomitolato tra le braccia di uno sconosciuto, a pregare che finisse. Anche se non sapeva bene chi pregasse, dato che pareva che Dio non lo ascoltasse affatto.
Poi, finì com’era iniziato. Christian si distese, con il respiro affannoso. E finalmente poté guardare il viso del suo soccorritore.
Non lo vedeva bene per il buio, ma sembrava un uomo piuttosto giovane, con una folta barba e vestiti dimessi. Pareva un barbone, o qualcosa del genere.
Lo mise giù con delicatezza. – Va meglio? –
- Io... sì. Grazie... -.
- Non c’è problema. Scappato di casa, eh? – gli sorrise.
Era piuttosto inutile negare l’evidenza. – Be’, sì. Ma quella non era la mia vera casa – spiegò.
l’uomo annuì con fare comprensivo, come se avesse capito tutto, ma non domandò più niente. Gli tese la mano. – Neal, piacere di conoscerti -.
- Christian – ripose lui, stringendogli la mano.
- Stavi andando alla stazione, eh? Anche io. Ma non sono del tutto sicuro che ti convenga andarci... –
Christian si irrigidì. – Cosa? –
Vuoi vedere che quello lì era un poliziotto in borghese o un assistente sociale? I suoi si erano già accorti della sua fuga e avevano chiamato chi di dovere?
- Ti beccheranno subito. Credimi. Io alla tua età avevo già provato a scappare un sacco di volte. Ma nel giro di un giorno, massimo due, mi riportavano a casa -.
Christian tacque. Ma cosa voleva da lui? Poteva anche essere un maniaco. Scemo lui che attaccava bottone col primo che capitava, di notte! Indietreggiò un poco, pronto a darsela a gambe al primo momento.
Neal non se ne accorse, o finse di non accorgersene. tirò fuori una mezza sigaretta e la accese.
- In realtà non dovrei fumare – borbottò. – Ma non vedo perché dire di no a certi piccoli piaceri quando ti restano due mesi scarsi di vita -.
- Sei malato? – chiese Christian, incuriosito suo malgrado.
- Sì. come te, piccolo. O meglio, mi auguro che non sia proprio la mia malattia, quella che hai tu. Si può curare? -.
- No. Però non è detto che debba morire... non lo so – mormorò il ragazzo.
- Ah. Be’, invece io sono allo stadio finale di un tumore. Quando ho scoperto di avere poco più di un anno, ho mollato tutto e mi sono messo a viaggiare... Vivo facendo qualche lavoretto, il più delle volte dormo per strada... Non sarà granché, ma sono libero. Non sono mai riuscito a essere libero, prima -.
Christian si morse il labbro. Libertà... quanto la desiderava! Era lì, davanti a lui, sospesa nell’aria, perfetta e luccicante. Ma così difficile da afferrare...
- Credimi, Christian – riprese Neal. – Se ora vai là e prendi un treno, tra ventiquattro ore sarai dentro una stazione di polizia ad aspettare che ti vengano a pendere. Torna a casa e porta pazienza. Ma continua a desiderare la libertà, non rassegnarti, e la troverai un giorno -.
Christian sospirò accucciandosi per terra. Pareva impossibile continuare a resistere... non aveva fatto altro per tutta la vita.
- Non ce la faccio – ammise in un soffio. – Ogni volta che ho un attacco... penso di morire. Voglio morire. Ma poi passa... e sono qui. E non so se voglio davvero morire... però voglio che tutto questo finisca. Se... se ci fosse qualcosa che mi aiuti a sopportare il dolore... non sarebbe così male, la vita -.
Neal allungò un braccio e gli cinse le spalle. – Ora sei giovane. Ma troverai un qualcosa per cui vivere, e la tua strada. Tutti la trovano -.

 
SalveXD Ecco qua, come promesso, un capitolo tutto per Chris :) Che dire... dopo una lunga riflessione, ho deciso di non specificare la malattia di Christian, un po’ per non scrivere uqalche baggianata, un po’ per evitare di offendere... Insomma, malattia è e tale rimane u_u Per il resto... vi supplico recensite!! Anche per dire che sono una frana totale.... meno male che Class Of 13 recensisce... grazieee!!! Baci a tutti

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Capitolo 5
*** Know your enemy ***


 Know your enemy

Aprile 2004
Gloria deglutì, sentendo un nodo in gola. Dannate lacrime. Odiava piangere: era patetico e non serviva a nulla. Non aveva pianto quando suo fratello se n’era andato, e non avrebbe pianto ora davanti, alla tomba di sua madre.
Non avrebbe mai creduto che sarebbe finita così: incidente stradale. Evidentemente ubriaca, si era messa in macchina, di notte... ed era successo quel che era successo. Ora era davvero sola. Jimmy se n’era andato qualche mese prima e sua madre era diventata sempre più depressa. Ma Gloria non biasimava Jimmy per quel che aveva fatto, perché lo capiva. Era la persona a cui voleva più bene in assoluto e, anche se erano lontani, il suo amore non era diminuito. A volte lo sognava, tormentato com’era sempre stato e questo per Gloria era segno che era ancora vivo; se l’avesse visto sereno e sorridente... forse avrebbe voluto dire che era morto. L’ultima volta che l’aveva visto felice, erano entrambi bambini.
Gloria condivideva con Jimmy l’irrequietezza ma, al contrario di lui, sapeva aspettare. Diciamo che Jimmy era portato a fare qualsiasi cosa, e Gloria pure, ma dopo aver riflettuto. In lei c’era una gran voglia di fare qualcosa, agire, ma si rendeva perfettamente conto dei propri limiti. Aveva dodici anni, era una ragazzina orfana che non sapeva bene che fare con la propria vita. Perciò avrebbe aspettato e poi sarebbe andata a cercare suo fratello. Ovunque fosse, lei lo avrebbe trovato.
Accarezzò lievemente la fredda pietra della lapide. Non era stata certo la madre ideale, ma era comunque la sua mamma. E Gloria nel suo cuore avrebbe serbato per sempre quei dolci ricordi nei quali faceva ancora parte di una famiglia felice.
 
Gloria era seduta sul letto della sua camera. Be’, in verità non era la sua camera, ma la stanza che le avevano dato i signori McLiving, i vicini di casa. A quanto pareva, non andava bene che una ragazzina che aveva perso la madre stesse da sola in casa, anche per poco, e quindi si era ritrovata soffocata tra le attenzioni della signora McLiving e la curiosità venata di timore dei due bambini. Dopotutto, lei era la sorella di quel teppistello appena sparito dalla città, sua madre l’ubriacona appena deceduta: c’era di che parlare per mesi.
Chissà cosa l’aspettava... un istituto, forse. O magari sarebbe rimasta lì... Se avesse potuto vivere per conto suo! Era capacissima di badare a se stessa, erano anni che lo faceva.
La signora McLiving spuntò sorridente dalla porta. Quella donna sorrideva sempre. Ma non si stancava mai?
- Tesoro, ci sono delle persone per te. Vuoi venire giù? –
Persone per lei? Gloria sbatté le palpebre, stupita, e si affrettò a scendere, mentre la donna faceva un’espressione di disapprovazione per la coda sfatta e arruffata, i vestiti stropicciati e le occhiaie. La signora apparteneva a quel genere di persone che sono convinte che una buona impressione è tutto. Ma Gloria aveva ben altro a cui pensare che alla buona impressione.
 In salotto la aspettavano due uomini sconosciuti. Gloria spostò lo sguardo dall’uno all’altro.
- Sei Gloria, vero? – disse uno. – Ciao, io sono Joe. Il cugino di tua madre -. Da quando sua madre aveva un cugino? E dove diavolo era stato per tutto quel tempo? Si limitò a fissarlo con uno sguardo cupo.
Quello si schiarì la voce, evidentemente in imbarazzo. – Ora verrai a stare da me. A Detroit. – Detroit? Cosa... voleva dire lasciare Jingletown, lasciare la California?
- No... – balbettò. – Non posso... – Doveva restare lì, ad aspettare Jimmy! Perché se lui fosse tornato prima del previsto, avrebbe trovato un viso famigliare ad accoglierlo... Come avrebbe potuto sapere che se n’era andata in un altro stato addirittura?
Joe fece un passo avanti. – Capisco che ti dispiaccia lasciare casa tua. Ma ti troverai bene con me e Margaret. E Detroit è una bella città, vedrai, ti piacerà -.
- No! – gridò Gloria. – Non posso! E mio fratello? -.
- Be’, è stato riferito che è scappato di casa -. intervenne l’altro uomo, un assistente sociale, forse.
Gloria aprì la bocca per dire che Jimmy non era scappato, che sua madre sapeva benissimo che se n’era andato e che comunque non era una fuga da ragazzino idiota, ma non ne ebbe il tempo.
- Non ha lasciato un recapito o un numero di telefono... se lo fosse, visto che è ancora minorenne, lo andremmo a prendere, ma date le circostanze... –
- Io non vengo! Non potete costringermi! -.
 
Potevano, invece. Sia legalmente, sia infilandola in macchina senza tante cerimonie. Animali.
Il tribunale aveva stabilito che il cugini di sua madre, in quanto suo parente maggiorenne più prossimo, diventasse suo tutore. Ovviamente questo implicava il trasferirsi in una città sconosciuta, e altrettanto sconosciute erano le persone che l’avrebbero presa in casa.
Gloria, per tutto il lungo viaggio dalla California al Michigan, si era chiusa in un silenzio ostile. Non serviva a molto, chiaro, ma non lo trovava affatto giusto. Chi cavolo si credeva di essere quello lì per scarrozzarla da un capo all’altro del continente? Dannazione... e se Jimmy fosse tornato per trovare una casa vuota e una tomba? Oh, se solo fosse stato maggiorenne il suo tutore sarebbe diventato lui... e tutti sarebbero stati più felici. Al momento, in ogni caso, il problema non si poneva, dato che lui non era rintracciabile, al momento.
- Senti, io capisco che non ti vada giù la situazione e che non ti vado giù nemmeno io, ma cerca di capire. Io non ho figli, non so come comportarmi con una ragazzina -. Joe stava giocando la sua ultima carta, dato che per tutto il tragitto aveva tentato di fare conversazione e non aveva trovato particolare incoraggiamento.
Gloria tenne la bocca chiusa, ma sentì una punta di empatia nel cuore. In effetti, anche per lui tutto quello doveva essere inaspettato... bisognava solo sopportare con buona pace. Forse non sarebbe stato così male vivere in Michigan e Joe e sua moglie, chi lo sa, potevano essere bravi genitori. Non che ci volesse molto a superare sua madre in bravura...
- Perché porti quella giacca così grande? -.
Gloria trasalì. Indossava, come sempre, il vecchio giubbotto di pelle che Jimmy le avevo lasciato. Ci si rannicchiò dentro come per proteggersi.
- Me l’ha data mio fratello... – mormorò.
- Oh, finalmente sono riuscito a farti parlare! Pensavo, su tuo fratello, che potremmo fare la denuncia di sparizione e...
- No! – Gloria si sporse in avanti. – No, assolutamente no! Jimmy voleva andarsene! Tornerà solo quando vorrà lui... se lo costringessimo, starebbe cento volte peggio. Io so com’è fatto -.
 
Una semplice villetta in un quartiere residenziale. Era quella la nuova casa di Gloria. Faceva freddo, molto più di quanto fosse abituata, e il cielo era nuvoloso.
Margaret si era rivelata una giovane donna, molto gentile e ansiosa di farle una buona impressione. Ma sì, poteva adattarsi a quella nuova vita, per il momento. Anche se le sarebbe mancato il sole californiano e Jingletown.
Dalla finestra della sua camera, vide un ragazzo uscire dalla casa di fronte con un pallone sottobraccio.
Gli altri vicini che aveva visto erano tutti anziani o con figli universitari, perciò fu un sollievo vedere un coetaneo. A Gloria piaceva conoscere persone nuove e scese in strada in tutta fretta. Dopotutto, bisognava pur farsi qualche amico.
Il ragazzo si era messo a palleggiare svogliatamente con una gamba; era molto pallido con profonde occhiaie, come se non dormisse da giorni, e capelli coloro cioccolato al latte.
- Ciao – lo salutò lei. – Io sono Gloria e mi sono appena trasferita qui -.
Il ragazzo la scrutò con strani occhi ambrati. – Christian – grugnì. Non era molto incoraggiante, ma Gloria non era tipo da arrendersi facilmente.
- Io ho dodici anni, tu? –
- Senti – bofonchiò lui. – Non  mi va di parlare, ok? –
Che antipatico! Poteva concedergli un’ultima possibilità... – Ok, allora giochiamo! –
Christian la fissò. – Giocare? A cosa, a palla muro? – sogghignò.
- A calcio! -.
- Certo, perché tu sai giocare. Figurati se ho voglia di star dietro a una ragazza. Ci si vede -.
La lascio lì con un palmo di naso.
Gloria si lasciò scappare un ringhio. Nessuno poteva trattarla in quel modo e sperare di passarla liscia. Quella era a tutti gli effetti una dichiarazione di guerra. Se non altro, era suo vicino, perciò poteva studiarlo bene. Conoscere il nemico.


Il primo incontro tra Christian e Gloria... non so esattamente da dove sia sbucato u.u Grazie come sempre a Class Of 13...stavolta non hai dovuto aspettare tanto ;)

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Capitolo 6
*** Holiday ***


  
Holiday

1 Aprile 2004
Grande, rumorosa, caotica: fu così che si presentò la città agli occhio di Jimmy. Per un momento si sentì smarrito come un bambino... ma si riscosse subito. Che cazzo, lui era Jesus of Suburbia, non bastava certo una lurida città per spaventarlo.
Infilò la strada centrale accelerando e guardandosi intorno interessato. Grattacieli sfrecciavano vicini a lui, sfidando la gravità e il cielo. Macchine di ogni tipo ed età, da eleganti SUV a vecchie utilitarie non dissimili dalla sua.
Tanto per cominciare, poteva trovare qualcosa da mangiare, stava morendo di fame; poi si sarebbe potuto fare un giro e nel frattempo cercare un alberghetto, un ostello, un buco sotto un ponte... un posto dive riposarsi in sostanza. Le sue finanze non erano granché, certo... avrebbe anche potuto trovarsi un’amica e stare a lei... oppure si sarebbe arrangiato. Non era un tipo schizzinoso; dopotutto, chi si accontenta, gode.
Ok, se avesse trovato un parcheggio... Stava iniziando a irritarsi: neanche un posto libero. Cazzo, era in città da dieci minuti ed era già nevoso!
Alla fine si infilò in un parcheggio strapieno e con qualche colpo alle altre macchine riuscì a ritagliarsi un posteggio.
Il sole batteva forte su di lui e sull’asfalto mentre camminava sul marciapiede. Andava più lentamente del solito, per assorbire ben bene tutto ciò che vedeva. La gente accanto a lui aveva un’aria frettolosa, e solo pochi lo degnarono di un’occhiata.
Lo stomaco brontolava senza posa; Jimmy si guardò intorno, esitante. Non aveva voglia di infilarsi in un bar, per non parlare di un ristorante, ma aveva notato un banchetto che vendeva hot dog. Ne comprò due che divorò seduto sul piedistallo di una statua.
Si trovava in una larga piazza lastricata, colma di gente di qualunque etnia ed età: ragazzini dai vestiti colorati, venditori ambulanti africani e orientali, uomini d’affari... Una bambina gli corse davanti, con la coda di cavallo svolazzante. Jimmy avvertì un peso allo stomaco pensando a Gloria. Non la vedeva da un paio di giorni e avvertiva già la sua mancanza...
Si avvicinò al banchetto per chiedere una birra. Il tizio degli hot dog era un omino dalla pelle color caffè e piccoli occhi luminosi. – Sei appena arrivato qua, eh? – parlava un inglese perfetto, ma l’accento era ispanico.
Jimmy annuì, ingollando un sorso. – Sei qui per la parata? -.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. – Che parata? –
- Non lo sai? Stasera, per celebrare le nostre vittorie in Medio Oriente, ci sarà una parata militare, con commemorazione dei caduti – fece un verso irrisorio. – E ovviamente ci sarà anche un banchetto gratis, ma non so quanto servirà – gli indicò la statua alle loro spalle.
Jimmy si guardò, osservandola bene. Rappresentava un monumento ai caduti: una donna, la Patria forse, teneva tra le braccia corpi di soldati. Ma la testa della donna era stata coperta da un sacchetto di plastica su cui qualcuno aveva scritto PUTTANA.
Jimmy si lasciò sfuggire un fischio sommesso. Governo di merda. Pensava che offrendo un po’ di divertimenti gratis, tutti avrebbero dimenticato tutto? Forse buona parte sì, ma non certo i familiari dei morti. Ci sarebbe sempre stato anche solo un misero un percento che avrebbe ricordato e protestato.
- Hanno fatto bene – commentò, indicando la statua. – Si sa chi è stato? –
- Macché! – rise l’uomo. – Una cosa è certa, però: chiunque sia, ha le palle -.
 
Jimmy inchiodò. E ora che c’era? Aveva fame (di nuovo), era stanco e voleva solo dormire. La gente iniziò a suonare il clacson e a scendere dalle macchine. Anche Jimmy scese, incazzato nero.
- E’ inutile scendere – fece un ragazzo vicino a lui. – Passa la parata -.
- Che me ne frega della parata! – ringhiò Jimmy. – Io voglio passare! -.
Il ragazzo alzò le spalle. – Hanno messo le transenne, non  so se quel macinino che hai riesce a buttarle giù. Senza offesa, eh -.
Jimmy lo fissò accigliato e lui scoppiò in una risata. – Dai, vuoi vedere la mia, di macchina? E’ peggio della tua! Comunque io sono Tunny, piacere -.
Gli tese la mano e Jimmy notò che portava un polsino con il simbolo anarchico. Era poco più basso di lui, con un viso largo, di quelli che tutti trovano simpatici. Jimmy esitò, incerto se presentarsi come Jimmy o  come... – Jesus – decise. Jimmy lo chiamavano solo sua madre e sua sorella... e loro non c’erano.
Tunny aggrottò la fronte. – Oh merda, mi stai dicendo che sei Gesù Cristo in persona? –
- Ma va! Secondo te perché cristo dovrebbe prendersi il disturbo di venire proprio da te? –
Tunny ridacchiò. – Per redimermi, ovvio. Figo, comunque, “Jesus”. Sai come avere il controllo della conversazione con un nome così. Vieni, dai -.
Lo trascinò tra le macchine ferme fino all’inizio della coda, dove c’erano le transenne. La strada era ancora deserta ma dietro ai suoi bordi c’era accalcata una sacco di gente.
Tunny sogghignò infilandosi una mano in tasca. Jimmy scalpitava, impaziente. Perché l’aveva portato lì davanti? Quel tipo non gli sembrava affatto filo – governo.
Qualcosa di bagnato gli scivolò lungo la punta del naso. Alzò il viso, stupito, e gocce di pioggia gli finirono negli occhi, si impigliarono nei capelli scuri. Cazzo, il suo primo giorno in città era stato veramente perfetto.
In lontananza, nonostante il rumore della pioggia già battente, si sentì una fanfara militare.
Jimmy notò improvvisamente che in prima fila, tra innocui nonnetti e bambini paffuti, c’erano parecchi ragazzi vestiti di pelle nera che si scambiavano sguardi complici.
La parata si avvicinava sempre di più... Jimmy si accorse di stare trattenendo il fiato, il corpo in tensione.
Poi, quando ormai la sfilata gli era davanti e lui cominciava a pensare che tutta quella suspence non aveva senso, una figura snella scavalcò una transenna e si parò di fronte ai militari. Era una ragazza bionda. Si rivolse alla folla: - Sapete perché fanno questo ridicolo balletto? Per nascondere il fatto che durante le operazioni cosiddette di pace, sono morti centinaia di soldati, senza contare le vittime civili. E’ il nostro governo che li ha uccisi -.
Un paio di poliziotti afferrarono la ragazza per le braccia, ma lei si divincolava tanto che furono costretti a gettarla per terra. Un mormorio rabbioso percorse la folla, ormai bagnata fradicia.
- Vi dà fastidio sentire la verità, sbirri? – gridò Tunny accanto a Jimmy. Con un movimento repentino, gettò qualcosa in mezzo alla sfilata. Una bomba carta. Poi diede un calcio alla transenna, e lo stesso fecero gli altri ragazzi.
In un  secondo, quella strada si tramutò in un inferno. Jimmy si ritrovò a boccheggiare là in mezzo, senza capire niente. Povero ragazzino, che credeva che i “disordini” provocati a Jingletown fossero il massimo della vita! Credeva di essere un uomo vissuto, e invece lì, all’interno di una vera battaglia, non sapeva che pesci pigliare. Cosa doveva fare? Partecipare o fuggire? E chi era il nemico?
Poi vide un ragazzino rannicchiato in terra, i vestiti e il viso macchiati di sangue, che veniva brutalmente preso a calci da un poliziotto. Non rifletté: si buttò avanti e spintonò con violenza l’uomo.
- Bastardo – ringhiò tra i denti. Magari quello lì aveva pure un figlio coetaneo di quel ragazzino... Si chinò e se lo prese sulle spalle per portarlo fuori da quella bolgia. Era leggero come una piuma.
- Jesus! – Con sua grande sorpresa, vide Tunny che correva verso di lui. – Stai bene, amico? Dobbiamo andarcene, se no ci ammazzano -. Aveva un occhio pesto e la bocca sanguinante, ma per il resto sembrava a posto. Jimmy lo seguì insieme a un gruppo di altri ragazzi malconci, che spesso si fermavano ad aiutare un amico.
Lo seguirono tra palazzi malandati e strade sporche, mentre il baccano si assottigliava sempre più. Jimmy aveva ormai il fiatone, il ragazzino che ciondolava dalla sua schiena. Improvvisamente, gli venne in mente la sua macchina. Cazzo, lo zaino con i soldi e tutto era là dentro! Merda.
A un certo punto, Tunny si fermò. – Oi, ci siamo tutti? –
Rispose un bofonchio collettivo che poteva essere sì come poteva essere no.
- Qualcuno ha visto mio fratello? – chiese una voce agitata. – Scottie! –
Jimmy si tolse delicatamente il ragazzo dalle spalle. – E’ lui? –
Il giovane che aveva parlato scattò in avanti. – Sì! – lo prese in braccio e gli diede uno schiaffetto. – Coglioncello, ci sei? Sei ancora tra noi? –
Scottie socchiuse gli occhi e mormorò qualcosa. Il fratello, visibilmente sollevato, fece un cenno a Jimmy. – Grazie, amico -.
- Ehi, dov’è quella pazza di Whatsername? –
Tunny fece un gesto con la mano. – Sai com’è fatta: se ne sarà andata per conto suo, come sempre -.
Piano piano il gruppo si sciolse, un po’ zoppicante.
Rimasero solo Jimmy e Tunny. Questi gli lanciò un’occhiata. – Non hai un posto dove dormire, vero? –
- Be’, no... – si strinse nelle spalle.
- Non importa: puoi stare da me quanto vuoi. Non c’è problema. Abito proprio qui -.
Il “qui” si rivelò essere un seminterrato di un palazzone, che consisteva in un salotto – cucina, una cameretta e un bagno. Jimmy fu sorpreso di veder troneggiare nel soggiorno una batteria, splendente e lucida, in pratica la cosa più pulita di tutta la casa.
- Suoni? – chiese stupito.
Tunny sorrise. – Già. Nel tempo libero. Comunque, puoi dormire sul divano. Tranquillo, io sto in camera mia, cos’ anche se russo non ti rompo -.
- Ok... grazie -.
Jimmy sedette sul divano che gemette un poco sotto il suo peso. Gli sarebbe venuto il mal di schiena, ma sempre meglio che dormire in macchina. O per terra, dato che la macchina non ce l’aveva più.
Tunny gli portò una coperta e una maglietta extralarge. – Così puoi cambiarti, sei ancora fradicio. Puoi anche farti la doccia, ma non sempre viene acqua calda -.
 
All’inizio era mia intenzione scrivere qualcosa di più allegro ma è venuto fuori così... Non è molto festaiolo come avrebbe dovuto essere. Il nome di Whatsername è scritto in corsivo perché dovete immaginare che sia pronunciato il suo vero nome; ma dato che noi stiamo frugando nei ricordi di Jimmy, sul suo nome ho immaginato ci fosse una specie di “cesura”... quindi mettete quello che più vi piace;) Ringrazio christine02 per essere passata... e... be’, sapete, non mangio i recensori XD Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Boulevard of broken dreams ***


Boulevard of broken dreams

2 Aprile 2004
Una strada buia, appena illuminata da vecchi lampioni. Cartacce e rifiuti vari ammassati negli angoli.
Jimmy si strinse nelle braccia; aveva freddo, ma non poteva coprirsi perché, ricordò all’improvviso, la sua giacca l’aveva lasciata a Gloria.
Camminava, ma non ricordava di aver iniziato. Era così da sempre e sarebbe stato così per sempre.
Stava in mezzo alla strada, solo. I palazzi proiettavano lunghe ombre su di lui. Il silenzio era così assoluto che poteva sentire il suo respiro e il suo cuore battere, lento. Incredibilmente lento.
Non si vedeva la fine della strada, ma ciò non lo turbava. Sapeva di dover camminare solo a lungo.
Sul marciapiede corse veloce una bambina dai capelli neri, tra le braccia di un uomo alto. Stranamente, la bambina era molto più... solida, vera rispetto all’uomo, che appariva lontano, sfocato. Un ragazzino rideva allegro, ma non si sentiva il suono della sua risata. Nessuno di loro parve accorgersi del viandante.
Sono fantasmi? O sono io il fantasma? La solitudine gli pesava sul capo greve e dura, ma da sempre lui era solo. Non c’era nessuno che lo confortasse, che lo venisse a tirare via da quella strada. Forse doveva solo aspettare.
Sul bordo del marciapiede era seduto un ragazzo con i capelli blu. Dan? Jimmy avrebbe voluto fermarsi, scoprire se quello era veramente Dan, parlare con lui, ma non poteva deviare dal percorso. Il suo cammino non prevedeva soste. Dan lo guardò passare avanti, muto e serio.
Man mano che proseguiva, i lampioni si facevano sempre più radi. L’oscurità lo inghiottiva sempre più. Figure sfuggevoli come sogni si inseguivano intorno a lui, parlottando, ridendo, singhiozzando.
Una sagoma alta esattamente quanto lui si mise al suo fianco, camminando con la stessa precisa falcata. Jimmy si voltò, cercando di coglierne i lineamenti, ma era troppo buio.
- Avresti potuto essere diverso – mormorò l’ombra. – Essere come gli altri. Sarebbe stato un male, questo, ma anche un bene -.
- Lo so – rispose il ragazzo. – Sarebbe stato anche più semplice. Ma è inutile pensare a come le cose sarebbero potute andare. Io ora sono qui, così come ho scelto di essere -.
L’ombra tacque. – E’ vero – ammise infine. – Hai fatto le tue scelte. Ma non hai ancora preso quella più importante -.
- Cosa? – Jimmy si girò di scatto, ma il fantasma (o quel che era) non c’era già più.
Imprecò e per la prima volta si bloccò. Non poteva proseguire: davanti a lui si presentava un bivio. Entrambe le strade erano rovinate, buie. Una valeva l’altra, no?
Avanzò esitante, pronto a imboccarne una a caso, ma si fermò nuovamente. E se invece non fosse stato lo stesso? Se una delle due l’avesse condotto alla morte? Lui non voleva morire. Non c’era nessun indizio o segno che lo aiutasse.
Un attimo... intravedeva delle figure in fondo a ciascuna via. In una c’era una sorta di bagliore dorato, come un guizzo di luce su capelli biondi; nella’altra, un riflesso di occhi scuri. Niente di vagamente incoraggiante, o che lo aiutasse a comprendere.
- Oi amico, sveglia! –
Si ritrovò sul divano mezzo sfondato di Tunny, sudato fradicio, con il suo nuovo coinquilino che lo scuoteva poco delicatamente. – Sorgi e risplendi! Forza, Jesus, la colazione è pronta -.
Jimmy si alzò lentamente, la testa rintronante. Il ricordo del sogno gli metteva addosso una strana inquietudine. Ma che cazzo voleva dire? Forse non ci stava del tutto con la testa... bah, stupidi sogni.
Mangiò di malavoglia i cereali che Tunny gli aveva offerto, facendo finta di ascoltare il chiacchiericcio incessante dell’altro. Alla fine non aveva compiuto una scelta. Si era fermato lì al bivio, e non aveva scelto nessuna delle due strade. Prima o poi avrebbe dovuto farlo. E scoprire cosa gli avrebbe riservato il futuro, pagare gli errori che sicuramente avrebbe commesso. Oh, ma diavolo! Era un sogno, punto. Non credeva minimamente a quelle stronzate sulle visioni, le premonizioni... vedeva solo il segno che era psicologicamente a pezzi.
- Il divano era così scomodo? –
Jimmy fissò il proprio commensale cadendo dalle nuvole. Il divano era proprio l’ultimo dei suoi pensieri, anche se in effetti poteva anche essere colpa del pessimo riposo che gli aveva concesso se il suo subconscio andava a ruota libera.
- Hai un’espressione serissima! Amico, sorridi, cazzo! Oggi ti faccio conoscere un po’ di gente -.
 
Un pub talmente squallido da non avere nemmeno un nome. Be’, se aveva pensato che la città offrisse qualcosa di meglio di Jingletown, si era sbagliato di grosso. Ad ogni modo, quel pub era il covo della banda di Tunny, un po’ come il 7 – 11 era stato il suo. Sentì un’improvvisa fitta di nostalgia per quei cretini dei suoi discepoli, ma nessun rimpianto. Se la sarebbero cavata: erano grandi e vaccinati.
Tunny e i suoi compari, però, non erano un semplice gruppo di teppistelli di provincia: progettavano dei veri e propri assalti al potere, come Jimmy aveva avuto modo di vedere la sera prima; li si poteva definire attivisti. I membri andavano da ragazzini entusiasti che ancora non sapevano bene il per cosa protestare a giovani combattenti con le idee ben chiare.
La cosa strana era la mancanza di un vero e proprio leader: si decideva tutto insieme, come in una sorta di confusionaria democrazia. Ovviamente, il maggior rispetto andava ai guerrieri più anziani, tra cui Tunny.
Jimmy venne presentato e accettato più in fretta di quanto lui stesso si aspettasse, grazie anche al salvataggio di quel ragazzino, Scottie. Questi lo guardava quasi con adorazione e suo fratello maggiore pareva aver deciso che non esisteva persona al mondo più degna della sua stima.
- Whatsername non c’è, vero? E’ quella che ieri sera ha bloccato la parata – gli spiegò Tunny. – Lei ogni tanto viene, ma solo quando le va. E’ strana, pensa che non sappiamo niente di lei, neanche dove abita... è forte, però. Ti scordi persino che è una ragazza -.
Jimmy si ricordava solo di una cascata di capelli biondi e una voce chiara e squillante. Oh be’, non era indispensabile per lui fare conoscenza con una tale invasata. Perché questa Whatsername non doveva starci troppo con la testa: gli altri si erano messi a raccontargli qualche loro precedente impresa e in tutte quelle più pazze, audaci e impossibili la fautrice era stata lei. Grande. Ci mancava solo una pazzoide nella sua vita già abbastanza complicata.
- Sei dei nostri allora, Jesus? –
- Sicuro! – Che altro doveva fare? Gli era offerta la possibilità di far parte di qualcosa, e in quel momento l’unica cosa di cui aveva bisogno era non sentirsi solo. Anche se in verità lo sarebbe stato. Anche se lui, unico sveglio tra i dormienti, avrebbe continuato a camminare solo per la città, avvolto dalle tenebre del suo stesso cuore.

 
Scrivere questo capitolo è stata veramente dura... penso di aver ascoltato Boulevard of broken dreams cento volte, come minimo. Spero che qualcuno apprezzi lo sforzo e mi lasci una recensione... grazie comunque a chi continua a leggere :)

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Capitolo 8
*** ¡Viva la Gloria! ***


¡Viva la Gloria!

Aprile 2009
- Gloria, sbrigati! Mi stai spappolando le spalle! – Christian si dimenò come un forsennato.
- Ehi, così mi fai cadere! Su, due minuti, Chris... e poi tu saresti un baldo giovane? –
Gloria agitò la bomboletta e finì di tracciare il graffito sul muro.
- Fatto! – saltò giù con agilità dalla schiena di Christian alla strada, mentre lui sospirava di sollievo.
Entrambi si voltarono ad ammirare la loro opera alla luce incerta di un lampione. Niente di particolarmente eccelso, un semplice murales colorato, ma dal significato importante. Forse non sarebbe servito a nulla, però chissà...
Soddisfatti, i ragazzi ripresero la strada verso casa parlando piano. Erano ormai cinque anni che si conoscevano, anni in cui avevano condiviso praticamente tutto: risate, giochi, banchi di scuola e sgridate. Non erano cambiati molto dai bambini che si erano trovati reciprocamente antipatici un pomeriggio nuvoloso. Un’analisi superficiale, perché era bastata una litigata e uno schiaffone da parte di Gloria per fare amicizia, nonostante tutto.
- Christian, te lo giuro: è cotta di te. Mi ha supplicato di organizzarle un appuntamento! –
Il ragazzo fece una smorfia disgustata.
- Non rientra nella tua top ten, vedo -.
- Gloria! Sulla Terra non c’è un’oca più oca di lei! Mi vuole solo perché non la voglio io! E poi, cos’è ‘sta storia che mi vuoi assolutamente trovare una ragazza? –
Lei alzò le spalle con un sorrisino malizioso. – Lo faccio per te! Sei sempre lì, ingrugnito! Ci vuole un tocco femminile nella tua vita! –
Fortunatamente per Christian, il discorso finì lì perché erano ormai arrivati a casa. Gloria lo salutò con un sorriso ed entrò in casa cercando di fare pianissimo. Joe e Margaret non avrebbero gradito sapere cosa aveva combinato, non solo quella notte, ma da qualche mese a questa parte.
La sua stanza era in penombra; Gloria sbadigliò e si buttò sul letto senza nemmeno svestirsi.
 
Pioveva forte e ovviamente Gloria si era dimenticata l’ombrello, e la sua giacca di pelle non aveva il cappuccio. Sospirando, dimenò la coda di cavallo e si buttò sotto l’acqua. In men che non si dica, i capelli le si appiccicarono alla fronte e i vestiti si infradiciarono. Si lasciò andare a un’imprecazione rabbiosa: che ingiustizia! Proprio oggi...
- Gloria! Little girl! – Un ombrello fendeva coraggiosamente la cortina di pioggia e veniva verso di lei; sotto c’era Christian, sorridente.
- Buon compleanno! – Gloria sentì la gioia illuminarle il volto. Corse dall’amico e gli buttò le braccia al collo stampandogli un bacio sulla guancia.
- Ti sei ricordato! –
- Ovvio – Christian le accarezzò goffamente la schiena.
Gloria si staccò, osservandolo con gli occhi azzurri scintillanti. Era alta quasi quanto lui. – E il tuo turno alla fabbrica? –
- Ho chiesto un permesso –
- Christian! Non dovevi... – ma era talmente felice che non ce la faceva proprio a rimproverarlo.
Si strinsero sotto l’ombrello ridendo e si infilarono nel primo bar disponibile. Gloria oramai parlava a raffica, gesticolando con fervore, come sempre quando era particolarmente felice; nessuno avrebbe potuto farla zittire e d’altra parte Christian nemmeno lo voleva.
Seduti a un tavolino uno di fronte all’altra, il ragazzo estrasse dalla giacca un pacchettino bagnato in un angolo e glielo porse sorridente; lei corrugò le sopracciglia. – Avevo detto niente regali –
Lui fece spallucce. – Lo dici solo per gentilezza. Lo so che ti fa piacere, Little girl –
Gloria gli lanciò un’occhiataccia, sia per il regalo che per il nomignolo. Non le piaceva sentirsi chiamare “ragazzina”: era tutta la vita che si sentiva piccola e impotente; ora aveva diciassette anni, cazzo! Era già qualcosa. Tuttavia la curiosità ebbe la meglio: strappò in fretta la carta e aprì la scatolina. Un lieve bagliore argenteo...
 
- Che bello! – Si era fermata di fronte alla vetrina del gioielliere osservando con desiderio un piccolo ciondolo: una fenice d’argento. Solitamente, Gloria non amava i gioielli, ma quello... la fenice, l’uccello del fuoco immortale...
- E’ carino... – commentò Christian.
- Sì, , ma decisamente fuori dalla mia portata economica – tagliò corto lei, allontanandosi, ma lanciando un’occhiata di rimpianto alla fenice.
 
Eccola lì, la stessa fenice che occhieggiava dal velluto blu su cui era posata. Gloria sgranò gli occhi. Non poteva crederci... ma come cavolo aveva fatto Christian a comprarlo? Lavorava in fabbrica e certo la paga non era principesca... anche ammesso che i genitori gli avessero dato una mano, restava comunque una bella spesa.
Si schiarì la voce. – Chris... grazie ma... –
- Non ti piace? Non era quello che volevi? – chiese lui immediatamente ansioso.
- No no, è proprio quello che volevo ed è meraviglioso... –
- Ah, bene – sorrise lui contento. – Allora a posto -.
Gloria fece per continuare la sua protesta, ma decise di desistere vedendo il suo sorriso. Lo conosceva bene, sarebbe stato inutile e l’avrebbe solo ferito. Christian amava fare regali ed erano sempre tutti azzeccati. Si allacciò il ciondolo al collo e gli occhi ambrati di Christian brillarono.
- Smettila di avere quell’aria compiaciuta! – lo sgridò lei rifilandogli un calcio sotto il tavolo. – Sì, sei molto bravo a fare regali, al contrario della sottoscritta che compra sempre cagate, soddisfatto? –
- Ma dai, Gloria! I tuoi regali sono sempre perfetti – le fece l’occhiolino. – Che hai fatto a scuola? –
- Credi che abbia seguito? Ero troppo felice! –
- Oh oh che ti succede, secchiona? Un ripensamento sull’istruzione? –
- Taci, ignorante –
Christian aveva abbandonato la scuola un anno prima circa ed aveva iniziato a lavorare. Non gli era mai piaciuto studiare, trovava fosse molto più utile darsi da fare nel vero senso della parola, contribuendo al guadagno. Gli piaceva la fabbrica, anche se era una vita faticosa e dura. E poi, gli pareva di ripercorrere le orme di suo padre, operaio per una vita, e che non vedeva da un sacco...
Gloria invece, amava lo studio, proprio come quando era piccola. Sebbene l’ambiente scolastico non le piacesse. Anzi, diciamo che le faceva proprio schifo. Persino in un liceo qualunque come il suo c’erano favoritismi, agevolazioni per i figli dei “vip”. Stupidate, certo, ma se era così in una squallida scuola superiore, figurarsi com’era messo il mondo!

 
Gloria, quando tornava a casa da scuola, si fermava sempre a comprare il giornale. Quel pomeriggio, per fortuna, non pioveva, per cui lo poteva leggere tranquillamente mentre camminava. Lo aprì con un gesto secco e subito una foto sfocata di manifestanti e polizia le si parò davanti. Sospirò tra i denti. Il malcontento si diffondeva rapido, da una città all’altra, con violenza, scontri, sangue... Sembrava che il punto di partenza fosse proprio la sua amata California, in cui non tornava da anni... chissà se Jingletown era cambiata... Comunque, le proteste partivano quasi sempre da operai, giovani madri, ragazzi in cerca di un lavoro inesistente; Christian le aveva confidato che anche nella sua fabbrica non si respirava un’atmosfera esattamente rilassata: i capannelli erano sempre più numerosi, si lanciavano occhiatacce agli uffici dei dirigenti...
I due ragazzi, in verità, non avevano le idee chiarissime, immersi com’erano in una marea di opinioni e fatti discordanti: Gloria era d’accordo con i motivi che spingevano la gente a scendere in piazza, ma quando vedeva le conseguenze di ciò, si chiedeva se fosse giusto agire così. Però, pareva che non esistesse altra maniera per far sentire la propria voce, perché le proteste pacifiche venivano ignorate da governo e stampa. Chiuse gli occhi. Come sempre, sentiva prepotente il desiderio di fare qualcosa, di non essere una spettatrice passiva. Era il suo Paese, la sua epoca, il suo mondo; chiudere gli occhi e far finta di nulla sarebbe stato da codardi, e lei non lo era.
L’articolo sosteneva che i manifestanti più agguerriti erano giovani, adolescenti o poco più, compatti, uniti e pericolosi. Il giornale – chiaramente  filo - governo – consigliava inoltre di diffidare delle associazioni equivoche di giovani, e di avvisare le autorità in caso di sospetti. Si concludeva confidando nelle lealtà dei buoni cittadini e con la speranza che questi ribelli fossero presto catturati. Oh be’, se per sospetti e ribelli intendevano tutti quelli che dissentivano con la linea politica del governo, lei ci entrava con tutte le scarpe. Anzi, avrebbe già dovuto essere in stato di fermo come minimo, considerati tutti i graffiti provocatori che lei e Christian avevano scritto nell’ultimo periodo. Nessuno sapeva della loro attività notturna di graffitari; all’inizio si era trattato di un gioco quasi, scritte e disegni innocenti. Poi, improvvisamente, la scossa: un pomeriggio, avevano preso con la forza un loro vicino di casa, un universitario. L’accusa era stata qualcosa tipo “incitazione alla sommossa”, ma non era quello il punto; quel ragazzo forse era colpevole, forse non,  ma era stato il modo in cui lo avevano portato via a spiazzare Gloria. Quel giovane viso striato di sangue e la madre piangente avevano bruscamente spazzato via gli ultimi residui della sua infanzia. Con Christian, aveva iniziato a informarsi di più, a cercare di capire quale fosse il giusto e quale lo sbagliato. Ma la faccenda si era dimostrata incredibilmente complessa.
La giustizia non esiste: non è che un altro modo per i potenti di governarci. La voce di Jimmy riecheggiò tagliente nella sua testa. Jimmy. Nonostante gli anni, l’immagine di suo fratello era rimasta immutata nella memoria: capelli scuri arruffati e occhi immensamente tristi; ma anche la dolcezza di quando la prendeva in braccio e la faceva volteggiare, la buonanotte sussurrata pianissimo quando tornava a casa tardi per paura di disturbarla...
Accarezzò con nostalgia la consunta giacca di pelle. Mi manchi, Jimmy. Come se non fosse passato nemmeno un giorno. Vorrei parlarti di me, di Chris, della mia vita... Cosa diresti ora di me?
Sospirò, abbassando lo sguardo sulla foto dell’articolo. E nel cervello le si accese la classica lampadina.
 
- Vuoi andartene in California? – I suoi genitori adottivi la fissavano sbigottiti. – E la scuola? Vuoi mollare tutto così? Perché? –
Gloria si morse il labbro. – Io... penso che ci siano cose più importanti della scuola. Sì, potrei aspettare il diploma, ma sento che questo è il momento. Non voglio aspettare. –
- Ti rendi conto che stai parlando di zone quasi di guerriglia? – esclamò Joe.
- Sì. E’ l’unico modo. Jimmy è là in mezzo, lo so -.
- Gloria... – Margaret si allungò verso di lei sfiorandole il viso. - Sai che non è detto, vero? Tuo fratello potrebbe essere ovunque... sono passati cinque anni senza un segno di vita... e la tua è solo un’intuizione, lo capisci? –
- Sì. Però in questo caso preferisco dare ascolto a quello che sento che al cervello –
- Saresti sola, Gloria. Non possiamo lasciarti andare –
Gloria li guardò con i suoi occhi di ghiaccio, così simili a quelli di Jimmy. – Voi non potete, ma io devo. vi voglio bene, in questi anni mi avete cresciuta come una figlia... ma devo andare -.

 
Ed ecco qua la nostra Gloria ormai cresciuta e pronta a prendere il volo; una delucidazione: nei capitoli con Christian e Gloria, i due hanno diciassette anni; quelli dal punto di vista di Jimmy, invece sono flashback, ambientati cinque anni prima. Ah, la situazione che sta vivendo la loro America ovviamente è puramente ispirata alle canzoni u_u Grazie a Christine02 che mi ha lasciato un commento e a tutti quelli che leggono seppur in silenzio... alla prossima;)
 
P.S: Manca meno di un mese al concerto di Milano!! *saltella per tutta la camera e si blocca adorante davanti al poster dei Green Day* :D
 

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Capitolo 9
*** Before the lobotomy ***


Before the lobotomy

Aprile 2009
Christian si sciolse le spalle doloranti. Un altro giorno di lavoro finito. Con i colleghi, si diresse agli spogliatoi, impaziente. A Christian piaceva lavorare, ma arrivava un certo momento della giornata in cui non vedeva l’ora di tornare a casa... non per la casa in sé, ma per vedere Gloria. Gloria. Il solo pensare a lei rese i gesti più veloci. Dio, che idiota. Era veramente un demente, ma non poteva farci assolutamente nulla. Era stracotto di lei da tempo, ormai.
- Come va la vita, ragazzo? -  gli chiese Ned, interrompendo le sue elucubrazioni. Ned era un omone con una folta barba bionda e un vocione che sembrava poter riportare in vita i morti. La prima volta che l’aveva visto, Christian aveva sentito le ginocchia molli, complice anche l’espressione all’apparenza truce dell’uomo. Dopotutto, all’epoca non era che un ragazzino fresco di studi, senza abbastanza esperienza da saper distinguere uno cattivo da chi faceva il cattivo. In realtà, era passato poco tempo, un annetto circa, ma lui si sentiva cambiato. Fisicamente il corpo si era rafforzato, ma anche e soprattutto dentro erano avvenute importanti rivoluzioni, prima tra tutte, il rendersi il conto di essere innamorato di Gloria.
Scrollò le spalle. – Va, come sempre. Nulla di particolare –
Ned lo osservò. – Devi stare attento, figliolo. Sta succedendo qualcosa, qua dentro, e non ti so dire se sarà piacevole -.
- Che vuoi dire? – Christian si accigliò. L’aria di rivolta era palpabile nell’atmosfera... era questo che significava? Ma l’uomo scrollò la manona. – Lascia stare, non è nulla. Come va con la tua ragazza, piuttosto? –
Christian divenne bordeaux. – Non è la mia ragazza -.
- E cosa aspetti a chiederle di diventarlo? Se non ti sbrighi, te la fregano da sotto il naso! –
Aveva perfettamente ragione, ma Christian aveva paura. Perché Gloria non mostrava mai verso di lui niente se non un caldo affetto, un’amicizia, intensa certo, ma amicizia. E se lui si fosse dichiarato, le cose sarebbero cambiate completamente... e forse in peggio. Cento volte meglio averla accanto semplicemente come amica che non averla affatto.
Si passò distrattamente una mano sul tatuaggio sulla clavicola. Il numero 13, con a lato due piccole ali. Il 13 perché era il giorno del suo compleanno: un numero, un programma. E le ali perché... perché sognava ancora di volare via. Volare via da quella vita e dalla sua malattia. Era peggiorata negli anni: ormai, quasi sempre, sentiva un dolore di fondo che lo accompagnava, leggero, finché non sfociava in qualche attacco.
Si infilò la borsa a tracolla, controllando che gli antidolorifici fossero dentro. Sapeva benissimo che doveva andarci piano con quella roba e cercava di stare ben attento, ma a volte la tentazione di far tacere la sofferenza era davvero troppo forte. Se non altro, seguiva scrupolosamente le indicazioni del medico e si segnava quante pastiglie prendeva a settimana. Il numero, negli ultimi tempi, era lentamente aumentato.
La fabbrica non era molto lontana da casa sua, a piedi ci metteva una ventina di minuti. I lampioni erano già accesi, nel cielo non si vedeva neanche una stella... come lo chiamavano? Inquinamento atmosferico. Che merda di mondo, non vedeva più neanche le stelle.
Sbirciò la finestra della camera di Gloria, nella speranza di riuscire a cogliere la sua sagoma, ma la stanza era buia.
Scrollò le spalle e si diresse verso casa sua.
- Sono a casa! – gridò, aprendo la porta.
Aveva stabilito un record, restando in quella famiglia per cinque anni; un po’ era stato quell’incontro con Neal a trattenerlo dallo scappare; dall’altra parte (inutile raccontarla su) era Gloria a impedirgli di andarsene. Non nel vero senso della parola, ovvio; ma Christian non poteva nemmeno concepire l’idea di non vederla più... Per cui, o restare lì o andarsene con lei.
Mangiò velocemente, rispondendo distrattamente alle domande di sua madre; i loro rapporti, col tempo, erano migliorati, ma Christian non avrebbe mai potuto considerare quel posto casa.
 
Fu svegliato da un bussare impaziente sul vetro della finestra. Balzò in piedi, districandosi dalle lenzuola. Aveva ancora ai piedi le scarpe. Sbadigliando, andò ad aprire la finestra, per scoprire Gloria appesa ala davanzale.
- Cosa fai qui? – Christian era sbalordito. La prese per un braccio e la tirò dentro prima che cadesse giù.
Gloria sembrava eccitata e impaziente. – Scusa, Chris. Ma devo parlarti -.
Christian sentì il cuore balzargli nel petto. Che volesse... no, no, impossibile. Era meglio non farsi stupidi castelli in aria. Ma la speranza è l’ultima a morire, no?
Gloria si sciolse la coda e si raccolse i capelli per rifarla. Segno di nervosismo.
- Chris... io me ne vado -.
Il cuore si tramutò all’istante in un macigno pesante una tonnellata.
- Io... ho deciso di tornare in California. A cercare mio fratello -. Già, il famoso Jimmy... Christian si vergognava ad ammetterlo, ma a volte non poteva fare a meno di essere... geloso di lui. Era veramente insensato, dato che era il fratello di Gloria e lei aveva tutto il diritto di sentire la sua mancanza... ma la gelosia restava lì a roderlo.
- Oh – mormorò. – Capisco -.
Da sempre Gloria voleva ritrovare suo fratello. Gliene aveva parlato decine e decine di volte, ma in verità Christian l’aveva sempre giudicata un’utopia, un sogno quasi infantile. Era semplicemente realista: chissà dov’era finito quel ragazzo! Cinque anni sono tanti. Ma Gloria era Gloria: se aveva deciso di fare una cosa, la faceva, infischiandosene dell’impossibilità o di altre quisquilie.
- Io... volevo chiederti se ti andrebbe di accompagnarmi – Christian la fissò. – Lo so, lo so, ha il lavoro e tutto... ma da sola non me la sento... e tu sei il mio migliore amico -.
- Sì! Sì, certo che ti accompagno! – esclamò lui. Avrebbe urlato per la felicità di sapere che lui era importante a tal punto per lei... gli aveva chiesto di accompagnarla, e una richiesta simile da parte di Gloria, l’indipendenza in persona, significava tanto.
- Ehi, che entusiasmo! Mi aspettavo una sequela di polemiche –
- Grazie per la fiducia, Gloria – borbottò lui, ma si addolcì quando gli si avvicinò e gli strinse il braccio.
- Scherzo, dai. Sono contenta che tu venga con me –
Si guardarono negli occhi e Christian sentì prepotente l’impulso di baciarla, di assaggiare quelle labbra rosee e piene... sarebbe bastato avvicinarsi di qualche centimetro...
Fu come se il suo corpo gli desse un avvertimento: una fitta di dolore lo percorse da capo a piedi. Trasalì imprecando mentre Gloria gridava: - Chris! Stai bene? –
Il ragazzo deglutì; il dolore se ne andò com’era arrivato. Be’, se quello era un segno per invitarlo a non commettere cazzate... mai avrebbe pensato che la malattia gli facesse pure da consigliere.
- Tutto a posto, Little girl – si concesse un sorrisetto nel vedere Gloria fargli un gestaccio poco adatto a una ragazza. Non si sarebbe mai stancato di prenderla in giro con quel nomignolo.
- Quando pensi di partire? – chiese Christian, tornando serio.
- Appena possibile – Gloria si strinse nelle spalle. – Ne parliamo domani, ora ti lascio dormire. ‘Notte –
Si calò veloce giù dalla finestra e sparì nella notte come uno spiritello.

 
Non ne parlarono l’indomani. Non fecero in tempo, semplicemente, perché accadde quel che Christian aveva intuito già da tempo.
Il ragazzo aveva il suo turno in fabbrica di sera, ma non riuscì nemmeno a raggiungerla. Camminava piano, immerso nei suoi pensieri; la strada era illuminata dai lampioni. Improvvisamente, una luce più forte.
Alzò gli occhi, stupito, e il cuore gli si bloccò: la fabbrica era in fiamme. Il fuoco ardeva, stagliandosi terribile contro il cielo buio. Rimase immobile un momento, poi si mise a correre.
Lo spettacolo che gli si presentò davanti era il più apocalittico che avesse mai visto: lingue rosse lambivano l’edificio, bruciandolo in un abbraccio mortale. Figure scure sciamavano all’esterno, alcune chiaramente terrorizzate, ma altre correvano decise verso il centro della città. La rivoluzione era arrivata a Detroit.
Christian era rimasto come ipnotizzato; poi imprecò sonoramente e fece marcia indietro.
Con il cuore che pareva volergli scoppiare nel petto, tornò al quartiere e gridò con tutto il fiato che aveva: - Uscite! La fabbrica brucia! –
Tra i primi a scendere in strada ci furono Gloria e i suoi genitori adottivi. – Christian, cosa...? –
- Hanno bruciato la fabbrica! E ora stanno andando in centro... per... combattere, penso... –
Tutti si guardarono intorno, spaventati e impotenti. Che fare? Da che parte schierarsi? Quella degli operai, che avevano tutte le ragioni per essere arrabbiati, ma sicuramente avrebbero messo a ferro e fuoco la città, o restare fedeli a un’autorità sempre distante dalle loro vite?
Christian forse avrebbe dovuto essere quello più confuso e in lotta con se stesso, ma in quel momento si sentiva stranamente leggero, vuoto, come se tutto quello non avesse importanza. La sua attenzione fu attirata da una discussione tra Gloria e Joe. Lui sembrava voler convincerla a fare qualcosa e lei puntava i piedi. Alla fine l’uomo le mise in mano qualcosa e l’abbracciò, e così fece Margaret.
Poi Gloria corse da lui. E, sarà stata la luce, ma pareva proprio avesse gli occhi lucidi.
- Andiamo, Chris. Volevi sapere quando saremmo partiti... be’, ora –
Christian strabuzzò gli occhi. – Che? Ma... – la sua protesta svanì sul nascere. In effetti, l’unica cosa che poteva trattenerlo era andata letteralmente in fiamme... che altro aveva?
- Joe ha detto che se me ne voglio andare, questo è il momento per farlo. Detroit per i prossimi mesi sarà invivibile... peggio della California. E comunque, aveva già deciso di lasciarmi andare, visto che ci sei anche tu. –
E così, quasi senza bagaglio, una città in rivolta e in fiamme alle loro spalle e senza nient’altro che loro stessi, partirono.

 
Dopo ben due settimane rieccomi! Non sono pienamente soddisfatta di questo capitolo... ma giudicate voi u.u Ringrazio LaMaggiore per aver recensito e tutti quelli che leggono! A presto (sempre che non venga uccisa dalle versioni di greco & latino) XD

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Capitolo 10
*** Are we the waiting? ***


Are we the waiting?

Pasqua 2004
- And I…. wanna beeee…. an anarchist!!! – Jimmy era ubriaco e anche parecchio. Se non lo fosse stato, non avrebbe mai e poi mai partecipato a quel patetico coro, con Tunny che suonava la sua batteria, ancora lucido abbastanza da ricordare la melodia della canzone.
Jimmy, per una volta, non era stato preso dalla sbronza triste, anzi si sentiva particolarmente euforico. Forse, dipendeva anche dalle varie azioni anti – governo che lo tenevano impegnato; quel pomeriggio, ad esempio, avevano aspettato che il sindaco e il consiglio comunale uscissero dal municipio e li avevano bersagliati di uova, il tutto accompagnato da grida e striscioni di protesta. Poi, ovviamente, era arrivata la polizia e loro erano scappati via... ma avevano fatto qualcosa con uno scopo. O almeno, così si sentiva Jimmy. Sicuramente, aveva più scopo che spaccare vetrine di negozietti di provincia.
Dopo quello, senza sapere come, si era ritrovato coinvolto in una festa a casa di Tunny (e sua, ormai), organizzata non si sapeva bene da chi, circondato da persone sconosciute. Ma il senso di disagio era stato ben presto lenito da robuste quantità di alcol e una canna veramente eccellente. Chissà dove l’avevano presa, perché raramente se n’era fumata una così buona.
Quanto tempo era che non si sentiva così piacevolmente leggero? Quasi... vuoto. Ma il vuoto andava bene, perché teneva alla larga i soliti pensieri amari, teneva lontana la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto quel che faceva...
Una ragazza inciampò e gli cadde tra le braccia. Jimmy la sostenne ridendo, e rise anche lei, gli occhi chiari invasi da una felicità assurda, senza senso... che sarebbe svanita con la sbronza.
- Jesus! – boccheggiò Tunny, facendosi largo tra la folla. Gli passò un braccio intorno alle spalle e gli porse l’ennesima lattina di birra. Jimmy aveva già bevuto troppo, non avrebbe dovuto, ma ormai non gliene fregava più nulla. Una birra in più non avrebbe certo fatto la differenza.
Si lasciò scivolare lungo il muro fino a sedersi per terra, sempre con Tunny accanto. Questi si accese una sigaretta, fece un paio di tiri e la passò a Jimmy, che accettò di buon grado.
- Sai, Jesus – mormorò – questa vita mi piace... ma penso sempre che potrei fare qualcosa di più. Ogni tanto mi viene voglia di andarmene a “far fortuna” – mimò un paio di virgolette. – Potrei diventare un batterista famoso. Poi mi dico che sono un coglione e resto qua -.
Jimmy sbatté le palpebre sorpreso. Non avrebbe mai immaginato che Tunny, sempre così allegro, soddisfatto, coltivasse un sogno della serie “impossibile – da – realizzare”. Be’, tutti avevano il diritto di sognare.
- Te? Non vorresti essere qualcuno di importante, o anche solo cambiare totalmente la tua vita? –
Jimmy si lasciò sfuggire una risatina. – Ah! Il mio più grande sogno era venire qui, in città - Meno male che l’alcol aveva steso su tutto una patina scintillante, altrimenti si sarebbe odiato per la propria pateticità. – Mi sembrava un paradiso rispetto, rispetto a dove stavo. Non volevo fare altro che andarmene da mia madre e dalla mia vita... e ora che sono qua... non so bene che fare -.
- Mia mamma era una puttana – disse Tunny con candore. – E’ morta quando avevo quattordici anni, per AIDS – sbuffò fuori il fumo con aria pensosa.
- Chissà come sta la mia, di mamma – borbottò Jimmy. – E mia sorella. Ah, ma lei starà bene sicuro. E’ forte, molto più forte di me -.
 
A un certo punto, si era sentito mancare l’aria, pressato tra persone, bottiglie, fumo...
Si era fatto largo a spallate e gomitate e si era precipitato fuori, a respirare l’aria fresca della notte. Prese un profondo sospiro, infilandosi le mani in tasca.
Gli sembrava di sentire il cervello bollire, per tutto quello che aveva ingurgitato; prima, si era addirittura addormentato, e al risveglio, aveva capito che stava iniziando a smaltire. Certo, restare là dentro non l’avrebbe aiutato; ormai, tanto valeva farsi una bella passeggiata notturna per schiarirsi ben bene le idee.
Aveva sempre avuto un rapporto complicato con la notte: da una parte l’amava, perché era durante la notte che si divertiva, era durante la notte che poteva essere se stesso senza nessuno intorno a giudicarlo; dall’altra, proprio la solitudine, il silenzio risvegliavano in lui pensieri scomodi, pensieri che Jesus of Suburbia non avrebbe dovuto avere.
Alzò lo sguardo e con sua gran sorpresa vide le stelle brillare. In effetti, quella era uno zona poco illuminata, rispetto alle luci abbaglianti del centro... Ricambiò lo sguardo lontano e ammiccante. Nelle sere d’estate come quelle, quand’era bambino, se ne stava sdraiato sull’erba di fronte a casa, con Gloria, a contare le stelle. Erano passati anni dall’ultima volta in cui aveva alzato lo sguardo al cielo, forse perché... perché di fronte a lui non era altro che una formichina. Invece no, lui voleva essere qualcuno di grande, di importante, qualcuno più di un uomo.
- Che coglione – commentò ad alta voce. – Jesus of Suburbia non è un cazzo. Io resto sempre Jimmy -.
Avrebbe voluto sapere esattamente cosa fare, chi essere. Per lo meno, una volta saputo il suo ruolo nel mondo, tutto sarebbe stato più facile... o no? Se avesse saputo con certezza di essere una nullità (e probabilmente lo era) l’avrebbe accettato senza fiatare? No, certo: non era mai stato il tipo che abbassava la testa e ubbidiva.
No, il vero problema stava nel provare dolore. Non fisico, ovvio, ma quel dolore sordo nel petto che lo rodeva; il dolore che portava con sé la paura di sbagliare, la nostalgia di casa... Oh, se avesse potuto schiacciare un interruttore e smettere di tormentarsi! Non sentire più nulla, nulla...
Si sedette sul bordo del marciapiede e nascose la testa fra le mani. Avrebbe voluto piangere, sfogare quella dannata sofferenza che sentiva... ma non riusciva. Era come bloccato, con un nodo terribilmente stretto nel petto.
Voleva essere libero da ogni vincolo... ma come poteva esserlo se era incatenato a se stesso?
- Hai intenzione di restare a piagnucolare tutta la notte, coglione? -
 
 
Vi saluta una reduce dal concerto di Milano! Posso dire solo che quei tre non sono uomini, sono... sono... ah, non ho parole! E in più hanno pure suonato Jesus of Suburbia e St. Jimmy, non so se mi spiego! A proposito, indovinate un po’ chi viene a scuotere Jimmy (domandoooona) xD Ringrazio come sempre chi legge anche se *sigh* silenziosamente ;) Alla prossima!

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Capitolo 11
*** St. Jimmy ***


 St. Jimmy

Lunedì dell'Angelo 2004
La voce era tagliente come un coltello, fredda e decisa. Se fosse stato chiunque altro, Jimmy sarebbe balzato in piedi pronto a prenderlo a pugni, perché nessuno si permetteva di chiamarlo coglione; ma non lo fece, perché quella voce gelida... era la sua.
Alzò esitante la testa. Una figura se ne stava davanti a lui a gambe divaricate e braccia conserte. Il viso era immerso nell’ombra del cappuccio.
Jimmy rimase immobile, ma un brivido gli corse lungo la schiena.
Un piede calzato da un anfibio gli allungò un calcio. – Mi ascolti o no? Tirati su, cazzone! –
Questa volta Jimmy obbedì, più per la rabbia e la curiosità che per altro. – Chi cazzo sei? –
Una risatina beffarda. – Buffo che proprio tu me lo chieda, Jesus –
Una mano affusolata comparve, evanescente come un fantasma tanto era pallida, e abbassò il cappuccio sulle spalle. Jimmy arretrò, sentendo un incredibile terrore attanagliargli le viscere.
Il viso che lo osservava con un sogghigno sulle labbra era pallido e perfetto, il viso più bello che avesse mai visto. Avrebbe potuto essere il viso di un angelo... se non fosse stato che era il suo. Come se qualcuno avesse fatto una fotocopia, togliendo però tutte le imperfezioni. I capelli scuri arruffati ricadevano a ciuffi sulla faccia e sugli occhi truccati; ecco, gli occhi erano l’unica differenza tra Jimmy e l’altro: questi li aveva neri, neri come la notte più profonda, spaventosi, in stridente contrasto col pallore della pelle.
Jimmy si passò una mano sulla faccia. Avrebbe dovuto smettere di bere e fumare così tanto, cazzo. Gli faceva veramente male, il cervello ormai era andato.
– Tutto questo è reale? – chiese a voce bassissima.
Il sorriso dell’altro si allargò. – Dipende, Jesus. E’ reale, perché lo stai vivendo. Io sono reale, perché tu mi hai chiamato. Per gli altri... chi lo sa. E che importa?
Jimmy deglutì. – Io non ti ho chiamato. E si può sapere chi sei? –
- Oh sì che l’hai fatto. Sono St. Jimmy, Jesus. Ora ci penserò io a te – Allungò una mano. Jimmy la fissò: avrebbe toccato pelle e carne calda o aria, vapore? E poi, cosa voleva davvero da lui? Come poteva fidarsi di un fantasma? Come poteva fidarsi di se stesso?
- Vuoi continuare a frignare come un poppante? A essere un poppante? Svegliati, Jesus: il mondo non è gentile con te, e tu non devi essere gentile con lui – Anche la voce era proprio la sua, solo più matura e fredda.
Jimmy afferrò la mano del santo. Era vera: la pelle era liscia, morbida, ma gelida più dell’acciaio dell’anello che portava al medio.
St. Jimmy rise e lo portò via con sé.
 
Il sole era già alto quando Jimmy tornò a casa. Sotto agli occhi esibiva un paio di occhiaie scure e in tasca sentiva il peso del nuovo coltello a serramanico. Non era mai stata sua abitudine portare armi: preferiva sempre una buona scazzottata, di quelle che ti fanno tornare a casa con gli occhi pesti e il naso rotto; ma una scazzottata era facile da perdonare. Una lama, no.
St. Jimmy l’aveva guidato attraverso viuzze scure e deserte, e gli aveva parlato a lungo. Non ricordava più gli argomenti della conversazione; ricordava solo il senso di terrore che gli incuteva il santo, una paura, però, stranamente rassicurante. St. Jimmy era una guida per lui, ne aveva bisogno. E poco importava se era solo frutto della sua immaginazione. St. Jimmy era lui e allo stesso tempo non lo era. Esisteva e non esisteva. Era un santo, un soldato suicida, figlio della paura e della guerra. Non era umano, eppure indiscutibilmente vero. Non sapeva con precisione se le altre persone potessero vederlo, ma lui di sicuro l’avrebbe rivisto.
In casa, trovò Tunny  che russava come un contrabbasso sul divano, circondato da bottiglie vuote e altra spazzatura. Alzò gli occhi al cielo: sarebbe toccato a lui pulire, poco ma sicuro. D’altronde, non aveva alcuna intenzione di farsi seppellire da quella roba.
Diede uno scrollone poco gentile a Tunny. – Sveglia! –
- Ma che cazz... oh, sei tu, Jesus – biascicò, cercando di mettersi seduto. Si guardò intorno con occhi appannati. – Che cazzo è successo qua? –
Jimmy sospirò. – Ieri sera. C’è stata una festa, ricordi? –
- Sinceramente, no. Vabbè... suppongo che dovremmo rimettere a posto tutto. A proposito, tu da dove spunti? –
- Ma niente... ho fatto un giro – borbottò Jimmy. Decisamente, non era una buona idea raccontare che aveva girato per la città con un tizio di nome St. Jimmy, frutto (forse) della sua immaginazione.
 
Per tutto il giorno fu inquieto e intrattabile; sentiva una strana sensazione nel petto che lo spingeva ad esplodere per ogni minima cosa. Le mani gli prudevano dalla voglia di picchiare qualcuno o, in mancanza di meglio, spaccare qualcosa. Era strano, perché non gli era mai successo di sentirsi così aggressivo senza una ragione particolare. No, ok, non era vero: lui era quasi sempre arrabbiato senza un perché, ma questo... sentimento era molto più forte e malsano del solito. Se la sua rabbia normalmente se ne stava a sonnecchiare sottopelle, aspettando un preteso per saltar fuori, questa era già esplosa, ma non riusciva a sfogarsi.
Alla fine, quando sgranò un rosario di imprecazioni perché il frigo come al solito non si chiudeva bene, anche Tunny perse la pazienza. – E che merda, Jesus! – sbraitò. – E’ tutto il giorno che sembra che hai chiodi nel culo, tanto sei nervoso! –
Jimmy lo fissò. Forse avrebbe dovuto scusarsi con lui, ma decisamente non era aria. – Ok, sai che faccio? Esco, così non ti rompo più le palle! – Sbatté la porta senza tanti complimenti e si ritrovò di nuovo in strada.
Si chiese oziosamente che ore potessero essere: il cielo era azzurro scuro, striato da nuvole bluastre.
In quei giorni stava diventando un’abitudine girare da solo per la città. Un gatto macilento lo osservava sospettoso, appollaiato su un bidone dell’immondizia. Jimmy si guardò intorno, raccattò un sasso e glielo lanciò contro. Il sasso colpì il bidone con gran fracasso, ma il gatto non si mosse nemmeno, restando a fissarlo con aria sdegnosa. Non faceva paura nemmeno a uno stupido animale. Grandioso.
- Ciao – si voltò di scatto. Una ragazza lo fissava sorridendo. Ma chi cazzo era?
- Sono Tilly – continuò lei. – Ci siamo conosciuti ieri sera da te, ricordi? –
A dire il vero, no. Ma un po’ di distrazione gli sarebbe servita in quel momento. Magari avrebbe scacciato quell’inquietudine nel petto.
- Ehm... vuoi bere qualcosa? – improvvisò.
Tilly annuì, sempre sorridente. Era carina, con quegli occhi chiari e le lunghe gambe avvolte dai jeans stretti.
Entrarono in un pub qualsiasi e ordinarono un paio di birre.
- Jesus, vero? Ho capito bene il tuo nome? –
Jimmy annuì, giocherellando con la bottiglia.
- Che nome strano. Be’, io sono proprio l’ultima a poter parlare: il mio vero nome è Matilda – fece una graziosa smorfia e Jimmy sorrise. – Tilly non è molto meglio ma mi accontento –
Chiacchierarono del più e del meno per qualche minuto. Jimmy si sentiva ancora inquieto, strano. Insoddisfatto. Forse... Si sporse in avanti e senza pensarci troppo, la baciò. Lei rispose immediatamente tirandolo a sé. Jimmy approfondì il bacio con foga, cercando di metterci dentro tutta quella aggressività, quella rabbia...
- Che cazzo fai?! Lascia in pace la mia ragazza! –
Si staccò per vedere un ragazzotto avvicinarsi con aria minacciosa. Tilly impallidì. – Nick... ti prego... basta! Sono settimane che tra noi è finita! –
Jimmy saltò in piedi, baldanzoso. – Hai sentito? Trovati un’altra ragazza, coglione –
Voleva provocare e ci era riuscito. In men che non si dica, si ritrovò sbattuto contro il tavolo con la testa rintronante. Ma si rialzò immediatamente e si buttò addosso a Nick.
Sentiva come fuoco liquido scorrergli nelle vene mentre rispondeva ai pugni. Tutto era attutito intorno a lui; si era perfino scordato il perché stesse combattendo, e comunque, non era quello l’importante. L’importante era sentirsi vivo. Non ragionava più: estrasse il coltello dalla tasca; la lama luccicò.
Poi fu rosso, terribilmente rosso... La lucidità tornò. Era chino sul corpo di Nick, che respirava appena; sul ventre, come un fiore cremisi, era aperta una ferita. E lui, Jimmy, stringeva il coltello sporco di sangue, come la sua mano e i suoi vestiti.
Intorno a lui, silenzio orripilato. Si alzò sulle gambe malferme, tremante. Cosa cazzo aveva fatto?
Incespicò verso la porta, pregando che qualcuno lo fermasse e lo portasse alla polizia, o lo riempisse di botte. Ma si erano tutti raccolti intorno al ferito ed erano spaventati. Scappò via, di nuovo.
Nel correre, mise male il piede e cadde. Non si rialzò: si rannicchiò lì per terra e scoppiò in un pianto disperato. Aveva ammazzato un uomo! Non si sarebbe mai perdonato....
- Jesus – alzò gli occhi. Eccolo lì... era colpa sua!
- Bastardo! – gli gridò contro. Aveva ancora in mano il coltello; glielo tirò addosso. – Che cazzo mi hai fatto? –
- Jesus – St. Jimmy gli si inginocchiò vicino. Lo osservava con i suoi occhi neri. – Non ti sei sentito libero, mentre combattevi? Non ti sentivi bene? –
- Che importa? Ora... l’ho ammazzato. E sto male –
- Non devi provare questo dolore, Jesus. Non è giusto. Se mi ascolti, farò in modo che tu non soffra più -.

 
Ta dan! Ecco qua, entrato in scena il buon vecchio St. Jimmy, the patron saint of denial *canticchia come una cretina* Be’, in ogni caso, spero di aver reso bene il contrasto interiore di Jimmy e di non aver scritto castronerie sul santo U_u Ringrazio Class Of 13 per aver recensito e i miei lettori... e per gli amanti di Chris & Gloria, stanno arrivando due bei capitoletti! *si sfrega le mani* Ciao verdini!!

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Capitolo 12
*** Christian's inferno ***


Christian’s inferno
Maggio 2009
Erano anni che rivolte e disordini si susseguivano in giro per l’America. Era un dato di fatto, e per quanto il governo si sforzasse di nasconderlo, lo sapevano tutti, e quasi tutti parteggiavano con i rivoltosi. Però, si sa come vanno certe cose: sembrano così lontane dalla nostra casa, dalla nostra realtà, che in verità non te ne preoccupi granché. Anche per Christian e Gloria era stato così; per quanti ciò li interessasse, le rivolte erano sempre state distanti e, nel bene e nel male, c’era sempre qualcosa di più immediato a cui pensare.
Ed ora stavano andando a ficcarsi dritti dritti nell’occhio del ciclone e, dicendo le cose con franchezza, non erano assolutamente preparati. Potevano essere più maturi dei loro coetanei, ma avevano pur sempre diciassette anni e nonostante tutto, la loro vita era sempre stata... be’ non semplice, ma quasi. Come dimostravano la fabbrica in fiamme e lo smarrimento che ne era scaturito, si sarebbero persi, in qualche modo.
Questo era quel che pensava Christian. Forse era troppo pessimista... Gloria glielo diceva sempre. Macché, era realista! Avrebbe voluto vederli, in giro per l’America con pochi spiccioli, alla ricerca di un fratello scomparso!
Gloria non sembrava condividere tali preoccupazioni; rannicchiata sul sedile del passeggero, dormiva tranquillamente come una bimba. Certo che era proprio bella... Christian scosse la testa con decisione. Non era il momento di pensare a certe cose. Bisognava pianificare, organizzare: non sapeva dove volesse andare Gloria con precisione. Sapeva che la sua città originaria era Oakland, per la precisione Jingletown; forse voleva passare di lì.
Con un tuffo al cuore, si rese conto che uno dei suoi fratelli qualche tempo prima si era trasferito proprio lì, o almeno così gli pareva di ricordare. Accidenti a lui, che aveva quasi perso ogni contatto con la sua famiglia! Era veramente uno stronzo... ma d’altra parte, non era del tutto colpa sua. E poi, tutti loro erano cresciuti, erano cambiati... Calcolò che il più grande dei suoi fratelli ora aveva circa venticinque anni. Cazzarola...
Con un mugolio, Gloria, al suo fianco, si svegliò. Il mascara era tutto sbavato intorno agli occhi azzurri.
- Dove siamo? –
- Abbiamo appena superato Ann Arbor. Secondo la cartina, per la notte dovremmo arrivare a una cittadina, così possiamo riposarci. –
Gloria annuì. Afferrò la cartina sul cruscotto e la studiò. Quanto ci avrebbero messo per raggiungere la California? Un bel po’, senza dubbio. Si chiese oziosamente se sarebbero passati da Jingletown. Be’, lei una visitina voleva fargliela, anche solo per vedere la tomba di sua madre. Dubitava che Jimmy fosse tornato a casa (odiava quel posto!) ma più che altro aveva voglia di rivedere i luoghi della sua infanzia.
Lanciò uno sguardo a Christian, che fischiettava qualcosa; notò le occhiaie più profonde del solito, lo sguardo quasi assente e si sentì trafiggere dalla colpa. Bella stronza che era: da quando erano partiti, Christian aveva guidato ininterrottamente, mentre lei si era pure messa a dormire.
- Chris – lo chiamò.  Guido io, dai –
- Sei sicura? –
- Certo! Su, accosta e scambiamoci di posto –
Come volevasi dimostrare, non appena la macchina ripartì, Christian piombò in un sonno profondo. Quel ragazzo alle volte si sforzava troppo. Nelle sue condizione, avrebbe dovuto proprio evitare strapazzi vari e invece.... anche solo il lavoro che aveva scelto la diceva lunga. Tuttavia, Gloria stava ben attenta a non fargli mai pesare la sua malattia, a non trattarlo mai come un infermo. Se c’era una cosa che Christian non sopportava era la pietà. Gloria lo comprendeva bene, perché anche lei si era beccata la sua dose di sguardi compassionevoli, quando stava ancora in California. Dopotutto, era figlia dell’ubriacona del quartiere e sorella di un mezzo delinquente drogato. Ma la pietà non serviva assolutamente a niente, se non a farti sentire una nullità. Anche Jimmy odiava essere compatito.
La strada davanti a loro era deserta, ma il sole la illuminava e rendeva il tutto più allegro. Gloria si sentì improvvisamente soddisfatta di se stessa ed impaziente di vedere che cosa le avrebbe riservato il futuro. Finalmente si stava avvicinando all’obiettivo che si era prefissata tanto tempo prima. E poi, avrebbe viaggiato e visto un po’ di più, e forse sarebbe riuscita anche a farsi un’idea più chiara sul mondo che la circondava.
 
- Non mi piace – sentenziò Gloria, osservando un piccolo Bed & Breakfast. – Odio queste cose, ho sempre l’impressione che vogliano fregarmi -.
- Neanche a me – ammise Christian. – Ma non possiamo continuare a dormire in macchina -.
Gloria sospirò. Aveva ragione, ovviamente, ma non le piaceva comunque. Non le piaceva l’ambiente squallido, l’omuncolo che se ne stava seduto alla reception e che li squadrava come per valutare se valesse la pena derubarli. Per risparmiare, decisero di prendere un’unica camera, ma quando si trovarono davanti un letto matrimoniale, Christian avrebbe voluto essere inghiottito dalla terra per l’imbarazzo.
- Io starò per terra, non preoccuparti – balbettò, pregando che la luce sbilenca coprisse il rossore sulle guance.
Gloria lo fissò. – Ok... guarda che abbiamo già dormito insieme, in campeggio! –
Christian non capì se lo stesse prendendo in giro o meno. – Si, be’, l’ultima volta avevamo quattordici anni – bofonchiò. Meno male che aveva pensato di comprare un sacco a pelo all’autogrill.
Quando fu il suo turno di andare in bagno, si osservò bene allo specchio. Faceva spavento, tanto era pallido e stralunato. Il flacone di pillole antidolorifiche era posato sul mobiletto. Negli ultimi tempi ne aveva prese troppe, per scongiurare il rischio di una crisi in un momento poco opportuno (come se esistessero momenti opportuni). Ma aveva esagerato, cazzo. Cazzo. Era un circolo vizioso, non riusciva a uscirne. Dolore o dipendenza, a lui la scelta.
Tornò in camera; Gloria era già sotto le coperte. Come al solito, non si era struccata bene per cui un leggero alone nero le circondava gli occhi.
Lui le sorrise e si distese a piedi del letto. Gloria si sporse fuori, i capelli sciolti sulle spalle nude.
- Chris, sei sicuro di non voler dormire nel letto? Ti spaccherai la schiena! –
Merda, perché non capiva? – Figurati, starò benissimo! –
- Ok... – lei si risistemò sul materasso, sospirando. – Sei pentito di essere venuto con me, Christian? –
- No – il ragazzo si appoggiò a un gomito, sorpreso. – Perché dici così? –
- Nulla. E’ solo che... è un po’ come se ti avessi costretto, ecco... Il fatto è che non volevo andare da sola. Avevo paura. Ho paura –
Christian provò l’impulso di stringerla a sé, cullarla, rassicurarla. Si limitò invece ad allungare una mano e posarla sul letto. – Di che cosa? –
- Non lo so con precisione. Forse che tutto questo sia... inutile. Magari... Jimmy non c’è nemmeno più o non vuole essere trovato -.
- Non dire così! Tu lo senti che è vivo, vero? E allora, fidati di te stessa. E poi, perché non vorrebbe essere ritrovato? Mi hai raccontato che vi volevate molto bene: e allora sono sicuro che vorrebbe anche solo rivederti –
Dita sottili e fredde si intrecciarono alle sue. – Grazie, Chris. Buonanotte –
Lui strinse la presa. – Buonanotte -.
Mentre Gloria si addormentò quasi subito, Christian rimase sveglio, a riflettere e a stringere la mano della ragazza.
Si chiese cosa sarebbe successo se l’avesse baciata, se le avesse detto che l’amava. Ma non l’avrebbe fatto. Non aveva abbastanza palle per dichiararsi. Però lo desiderava con tutta l’anima. Voleva che lei sapesse quanto l’amava, che era il centro del suo mondo, che se non fosse stato per lei...
Un dolore sordo interruppe i suoi pensieri. Mollò la mano di Gloria, si alzò e cercò di correre in bagno. Cadde sulle ginocchia e con la forza della disperazione riuscì a trascinarsi oltre la soglia; ma non ce la fece a prendere il flacone.
Rimase steso sulle piastrelle fredde, mordendosi a sangue le labbra per non far uscire nemmeno un gemito. Anche quando finì, rimase immobile, con la fronte premuta sul pavimento. No, non poteva dichiararsi a Gloria, non se era in quelle condizioni. Chi avrebbe voluto passare la vita accanto a un ammalato che sarebbe morto presto e che comunque necessitava di cure?
L’importante, ora, era che restasse abbastanza in forze per occuparsi di lei durante quel viaggio. Poi... se avesse ritrovato suo fratello, Gloria non avrebbe avuto più bisogno di lui.
Si alzò, col viso contratto e pallido. Gloria dormiva ancora pacifica, fortunatamente. Afferrò la borsa e ci frugò dentro. Estrasse un sacchettino di plastica stropicciato con le mani che tremavano.
Aveva preso quella roba parecchio tempo prima, solo per vere emergenze. Quella lo era? Ancora no, ma sarebbe potuto diventarlo. Si sarebbe ucciso se avesse esagerato. Ma... morto per morto...
Per Gloria. Lo faccio solo per Gloria.

 
Ehilà, salve! Ebbene sì, sono viva. Chiedo davvero scusa per il ritardo, ma quel bast... ahem, la buonanima del mio computer ha deciso di tirare le cuoia, appunto, perciò ho dovuto aspettare che arrivasse il successore. Meno male che si è salvato tutto il lavoro *inorridisce al pensiero di riscrivere il tutto* Che ne pensate di questo? I nostri si sono messi in viaggio, Chris si sta cacciando in un bel pasticcio, Gloria si ostina a non vedere che quel poverino è cotto di lei... Tutto normale, quindi. Un sentito grazie a Bloody Lau e catchadream che hanno recensito e ai lettori e... be’ lunedì vado al mare, quindi vi saluto per un po’. Tranquilli, l’aria marina mi ispirerà *vocina ironica: sogna ragazza, sogna* A presto!!

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Capitolo 13
*** Last night on the Earth ***


Last night on the Earth

Maggio 2009
Era stata una pessima idea quella di fermarsi a Glennigton* per la notte: tanto per cominciare, la città era cupa, sporca e i suoi abitanti erano in perfetto accordo con essa. Gloria non era certo una ragazza paurosa, ma passare la note in un orrido edificio in rovina, con un portiere dalla faccia da tagliagola era troppo anche per lei. Rimasero per il tempo strettamente necessario a comprare qualche provvista, poi di comune accordo parcheggiarono la macchina fuori città e mangiarono seduti sul cofano. Be’, se si faceva finta di niente, avrebbero anche potuto convincersi di essere in campeggio, o in una vacanza on the road. Gloria scosse la testa, rimproverandosi per quel pensiero infantile. Nascondersi, rifugiarsi nella propria mente non serviva a nulla, se non a farti stare peggio quando venivi ricatapultato nella realtà. Neanche da bambina aveva mai fatto grandi voli di fantasia: meglio restare coi piedi per terra e darsi una mossa per convivere coi propri problemi.
Lanciò un’occhiata a Christian che dondolava le gambe con aria assorta, mangiucchiando il suo panino. All’improvviso, e saltò in mente una cosa: - Christian! Non hai più avuto attacchi da quando siamo partiti? –
Lui si strinse nelle spalle con un sorrisetto. – Eh... chissà, magari cambiare aria mi ha fatto bene –
- Mmm... credi? –
C’era qualcosa nel suo atteggiamento che non la convinceva per niente: innanzitutto, non aveva propriamente risposto alla sua domanda. E poi, quasi non l’aveva guardata, aveva tenuto gli occhi incollati alle proprie ginocchia.
- Christian! – si alzò in piedi sospettosa.
- Cosa? – No, non era proprio capace di mentire.
- Dimmi la verità! Su non farmi arrabbiare! –
- Be’, la sai già, quindi.... – tentò di alleggerire a situazione Christian, ma si bloccò di fronte allo sguardo truce di lei. – D’accordo. Ne ho avuto uno l’altra notte, quando ci siamo fermati per dormire. E prima qualcuno, ma leggero... Niente di cui preoccuparsi -.
- Cazzo, Christian! Perché devo sempre tirarti fuori le cose con le tenaglie? –
Lui si accigliò. – Be’, non devi farlo per forza, sai? –
Gloria aprì la bocca, offesa,  probabilmente per mandarlo a fare in culo, ma Christian riuscì a prevenirla: - Scusa. Non volevo. Davvero, Little girl -.
- E non chiamarmi così! – sibilò lei, tornando a sedersi al suo fianco.
Christian sorrise sotto i baffi. Non gli dispiaceva il fatto che si preoccupasse per lui, ovvio, ma non voleva neanche esserle di peso. Di carattere, non era un piagnucolone e preferiva cento attacchi che farsi vedere debole davanti a Gloria; per questo, teneva la bocca chiusa e ingoiava qualunque tipo di dolore.
 
Quando erano bambini, duranti le belle notti stellate, quelle limpide e meravigliose, Christian le chiedeva sempre: “Se questa fosse la tua ultima notte sulla Terra, cosa faresti?” Era una specie di gioco tra loro due, per vedere chi avrebbe trovato la cosa più pazza e divertente da fare.
Quella notte, mentre osservavano la volta stellata, fu Gloria a domandarglielo: - Se questa fosse la tua ultima notte sulla Terra, cosa vorresti fare? – Ma era diverso dalle altre volte; prima, lo dicevano n tono allegro, giocoso. Stavolta, Gloria era seria. Non sapeva da dove le venisse quella gravità, ma le era venuta spontanea. Come se fosse davvero la loro ultima notte.
L’ultima notte sulla Terra. Anche Christian aveva capito che non era un gioco. Non poteva rispondere con una grossa panzana per farla ridere, come aveva sempre fatto. Doveva dirle la verità. Da qualche parte, aveva letto o sentito che la verità era una ragazza brutta e che non la si guarda volentieri in faccia. La verità che voleva sussurrare a Gloria, alla notte, non era brutta nel vero senso della parola, ma probabilmente sarebbe stata la ragazza a non guardarlo più in faccia.
Ora però stava attendendo la sua risposta.
- Se fosse la mia ultima notte sulla Terra... ti bacerei e ti direi che ti amo –
Era fatta. Aveva buttato la bomba ed ora non restava altro da fare che attendere lo scoppio che l’avrebbe sventrato. Improvvisamente, si rese conto di aver fatto una cosa molto, molto stupida. Cazzo, e ora? Complimenti, Christian... della serie “mai riflettere prima di parlare”. I palmi delle mani erano fradici.
Gloria era rimasta ferma, le spalle improvvisamente rigide contro le stelle. Ma non ci avrebbe messo molto a riprendersi, sicuro quanto lo era la sua imminente uccisione.
- Christian... – il suo volto era immerso nell’oscurità. – Perché non me l’hai mai detto? –
- Perché... be’, perché... – annaspò lui. – Perché non volevo perdere la tua amicizia. –
Basta far finta di niente, basta con le bugie. – Ma io ti amo, Gloria. Però, capisco che tu non provi la stessa cosa, quindi... –
Non riuscì a completare la frase, perché le labbra di Gloria si posarono sulle sue in un morbido bacio.
 
Per Gloria, l’amore era sempre stata una cosa... lontana dal suo mondo. No, non aveva mai fantasticato di principi azzurri o romantiche cenette a lume di candela... Certo, essendo una bella ragazza, molti a scuola ci avevano provato con lei e qualche cottarella se l’era pure presa... ma fidanzarsi e tutto quel che veniva dopo non era mai stato nelle sue priorità. Non ci pensava, tutto qua.
Ma Christian non era mai stato uno di quei ragazzi che avrebbero potuto chiederle di uscire. Era Christian, punto. E forse proprio per quello aveva “abbassato la guardia” e si era innamorata di lui. Un processo tanto inconscio che non se ne era mai resa conto... o forse non aveva voluto. Ed ora che lui finalmente si era dichiarato, la verità le si era presentata davanti quasi brutalmente e baciarlo era stata la cosa più naturale da fare. Aveva agito d’impulso, come sempre. Le labbra di Christian erano umide, esitanti, come le mani che si posarono sui suoi fianchi.
La ragazza si staccò. – Penso... credo di amarti anch’io –
Gli occhi di Christian sembravano splendere di luce propria. Le prese il viso tra le mani e la baciò con foga. Si sentiva come ubriaco di lei, incredibilmente leggero e felice.
Disegnò con le labbra il contorno della gola di Gloria scendendo lentamente, mentre le mani di lei gli stringevano convulsamente le spalle. Il suo seno si alzava e si abbassava rapido.
E poi, si ritrovarono stesi sul sedile posteriore della macchina, e la pelle di Gloria era bianca e morbida, e il suo sguardo serio ed ardente; le mani di Christian salde ma delicate, e la sua voce appena un sussurro che ripeteva: - Ti amo... ti amo... – E le stelle più luminose ad illuminare la loro ultima notte sulla Terra.

 
*Città puramente inventata
 



St. Jimmy: Finalmente si sono decisi! E che c***o, era ora, siamo al tredicesimo capitolo!
Io: O.O Santo, che ci fai qui? Questo è l’angolo dell’autore. E poi, te non ci sei nemmeno in questo capitolo!
St Jimmy: Ma se a nessuno frega un’emerita m***a di quel che dici, su! E che c***o sono ‘sti asterischi?!
Io: Censura. Devi smetterla di essere di essere così volgare, ok? E non parlarmi così, se no col piffero che ti faccio uscire stasera ù.ù
St. Jimmy: T.T E io sarei il cattivo, eh....
Bene, dopo questa piccola parentesi, ecco a voi il capitolo... be, sì abbastanza scontato u.u Spero comunque di essere riuscita ad esprimere bene il momento... insomma, dopo secoli si sono confessati il loro amore!! *St Jimmy finge un conato di vomito; l’autrice gli tira dietro una ciabatta*
Io: Santo, dai, ringrazia almeno i recensori e i lettori in generale senza fare lo scemo!
St Jimmy:*si massaggia la testa* Uff.... allora grazie a SweetRevengeMCR e a Rage Ramone... e un messaggio per voi: salvatemi da questa pazza!!
Io: *soffoca St Jimmy con un cuscino* Alla prossima e grazie :3

 
P.S: la frase di Chris sulla verità è ignobilmente scopiazzata da Cuore d’Inchiostro, cit. Dita di Polvere (♥)

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Capitolo 14
*** Give me novocaine ***


Give me novocaine

13 Giugno 2004
Terry, appoggiato al muro, si guardava intorno ansiosamente. Sapeva che era buio, che la polizia raramente passava di lì, ma non riusciva a tranquillizzarsi. Era il suo primo vero incarico da postino, a soli dodici anni, e aveva una paura matta che qualcosa andasse storto. Se proprio si doveva essere sinceri, l’incarico sarebbe spettato a suo fratello più grande, al momento febbricitante. Certo, Terry si sentiva molto fiero della responsabilità assegnatagli, ma... la tensione c’era.
E non aiutava il fatto che il cliente fosse in ritardo.
Si mosse a disagio, masticando nervosamente un chewing gum  che aveva perso da tempo il suo sapore.
Finalmente, gli parve di intravvedere qualcuno, per la precisione, due silhouette in fondo alla strada. Strano, però: quando si avvicinò di più, vide che era solo una persona, un ragazzo poco più grande di lui, capelli scuri e piuttosto pallido in faccia; si fermò non lontano da lui, gli lanciò una beve occhiata e si accese una sigaretta.
Terry esitò, poi si avvicinò sperando di avere un’aria disinvolta. – Ehi –.
Il ragazzo tenne lo sguardo fisso su un palazzo fisso davanti a lui. – Ehi-.
Terry, con un gesto rapido, tirò fuori dalla giacca un sacchettino di carta e glielo porse; il cliente lo fece sparire in fretta, passandogli i soldi. Terry lo salutò con un cenno del capo e si allontanò: fatto. Il tutto era durato sì e no un paio di minuti.
Si voltò un istante a guardare indietro e riuscì a cogliere lo sguardo del ragazzo. E si spaventò, perché quelli erano gli occhi di una persona che sta cadendo e che non prova nemmeno a cercare un appiglio, perché sa che non lo troverà. Una persona che si è autocondannata a morte, ma della quale, alla fin fine, non le importa poi molto.
 
Jimmy non si allontanò di molto dal luogo in cui aveva incontrato il piccolo spacciatore: entrò in una stradina laterale, un vicolo cieco, ed esaminò la merce. Cocaina. Non l’aveva mai provata prima, si era sempre limitato a qualche spinello.
Forse la sua esitazione si dovette notare , perché immediatamente udì la risata beffarda di St. Jimmy. – Che c’è, Jesus? Hai paura? –
Jimmy alzò gli occhi e tentò di sostenere lo sguardo scuro e gelido dell’altro: battaglia persa in partenza.
- Fatti i cazzi tuoi – non seppe rispondere di meglio.
Gli occhi del santo si assottigliarono. – Sono cazzi miei, Jesus. Io sono te, ricordi? –
- Vaffanculo – tagliò corto Jimmy. Si infilò il sacchetto in tasca e voltò le spalle al santo, sperando che sparisse o tornasse in Paradiso... o all’Inferno. Ma quel bastardo continuò a stargli alle calcagna con un odioso sorrisetto superiore sul viso angelico. – Sapevo che eri un frignone, ma un codardo no. Ho sempre pensato che fosse per il posto e la gente che avevi intorno... e invece guardati –
- Smettila! – Jimmy si accorse di tremare per la rabbia e la stanchezza. Era stufo di sentire quella voce odiosa sussurragli nell’orecchio. Voleva vivere la sua vita da solo, cazzo! Strinse i pugni. Quanto avrebbe voluto picchiarlo, ammazzarlo di botte! Ma probabilmente, avrebbe solo colpito l’aria, oppure avrebbe fatto del male a se stesso.
St. Jimmy ora era davanti a lui, col suo sogghigno inossidabile. – Che cazzo fai con la roba, allora? Perché se non la vuoi, dammela, mi serve –
Jimmy sentì lo stupore sovrastare per un momento la rabbia. Ma come...un santo, uno “spirito” si faceva?
St. Jimmy dovette intuire il suo stato d’animo e ridacchiò.- Ci sono tanti modi per fare un buon uso della coca. Non ho il tempo né la voglia di spiegarteli. Deciditi –
Lo fece non perché gli andava. Lo fece perché sentiva il santo premergli sull’anima, lo fece perché era arrabbiato, lo fece per mostrargli che non era un codardo.
Be’, se non altro, era vero che annebbiava i sentimenti e con essi il dolore. Forse... non era così male. Cadde, ma non se ne accorse, o meglio, non se ne curò. Non gli importava di nulla, ma stavolta sul serio, perché lui, in effetti, non era nulla.
- Santo – farfugliò. – Ma tu... hai mai visto Dio? –
La voce di St. Jimmy arrivò forte e chiara nonostante l’obnubilamento. – Perché, credi in Dio, Jesus? Tu, che ti sei autoproclamato “Gesù”? –
- Non so se ci credo. Ma lei... lei sì –
- Lei? – la voce di St. Jimmy si fece pericolosa. – Ah, che te ne frega? Tu sei Jesus of Suburbia. Perché dovrebbe importarti di Dio, se lo sei già tu? –
 
I giorni iniziarono ad assumere una strana routine. Strana perché sapeva cosa avrebbe fatto, più o meno, ma neanche tanto bene, poi. Si svegliava e si ritrovava in mezzo a un vicolo, in un pub con la testa sul tavolo, in un letto con una ragazza sconosciuta al fianco, oppure nel suo appartamento. Poi cercava di riprendersi, andava a cercare Tunny o qualcun altro che conoscesse e si dava al cazzeggio per il resto della giornata. C’erano le riunioni con il loro gruppo, qualche incursione contro il governo; ogni tanto andava a sentire Tunny e la sua band che suonavano. Erano in quattro e di solito provavano nel loro salotto, dato che la batteria stava lì. All’inizio Jimmy, sentendo il baccano che facevano e l’effetto prodotto sulla sua povera testa rintronata, aveva bestemmiato come un turco contro di loro; poi, ascoltandoli con più attenzione, si sera reso conto che non erano affatto male, anzi.
La sera uscivano tutti insieme, e Jimmy rideva e scherzava con gli altri, finché, approfittando dell’ubriachezza dei compagni, sgattaiolava in disparte a drogarsi. Non sapeva proprio perché provasse il bisogno di nascondersi: gli altri, anche se solitamente si limitavano a qualche canna,non lo avrebbero certo biasimato o giudicato. Era una sorta di stupida, puerile vergogna a spingerlo, la vergogna di essere caduto in basso e non fare un cazzo per rimediare.
E in basso lo era davvero, un miserabile bastardo dannato all’inferno: così si sentiva, quando si ritrovava tra le braccia una ragazza nuda e lui non ricordava nemmeno il suo nome; o quando, un mattino, gli era stato riferito da un pimpante St. Jimmy che aveva picchiato a sangue il postino di turno, un quattordicenne, perché secondo lui il prezzo non corrispondeva alla quantità.
La sua vita precedente – Gloria, sua madre, i ragazzi del 7 – 11 – era stata relegata in un angolo oscuro della mente e lasciava che la polvere si accumulasse silenziosamente su di essa.
Stava morendo, consumandosi lentamente, e il peggio era che lo sapeva di non essere più un uomo vivo. E St. Jimmy sempre dietro di lui, che allungava una mano e lo spingeva sempre più nel baratro.
Una sera, aveva deciso di provare l’eroina. Aveva preso in mano la siringa con fermezza, fregandosene di tutti i pericoli che comportava, non da ultimo l’AIDS. Che senso aveva farsi venire caga, a quel punto? Come se non avesse già rischiato abbastanza.
Luci, voci, poi un ambiente familiare ed infine buio. Oscurità totale. Non vedeva, sentiva o toccava nulla.
E’ questo morire? Sono morto? Probabilmente sì. Non c’è Paradiso né Inferno, pare.
Il panico – ma i morti lo potevano provare? – improvvisamente gli riempì la testa. Cazzo, no! Non voglio morire!
La voglia di vivere gorgogliò impetuosa dentro di lui, ma il desiderio da solo non bastava a resuscitare... Ci voleva qualcosa di più forte. Qualcosa come un calcio nello stomaco.

 
Salve! Eccovi qua un capitolo, un po’ sofferto devo ammettere... non è facile scrivere di Jimmy e di tutti suoi problemi, mannaggia a lui -.-
St. Jimmy: Di’ che in verità il caldo e il c*******o dell’estate ti seccano il cervello e l’ispirazione (ancora asterischi D:)
Uhm... ehm... si be’ ho avuto da fare le centomila versioni di greco e latino! *lancia un’occhiata ai libri coperti di ragnatele* Sì, be’ passiamo a ringraziare SweetRevengeMCR che ha recensito e chiunque segua e apprezzi questa storia anche se in silenzio xD
St. Jimmy: certo che sono veramente s****o qua... insomma, sembra che a ‘sto povero cristo ficchi a forza in gola la coca!
Be’ psicologicamente parlando, lo costringi davvero... sei la sua parte peggiore!
St. Jimmy: Bah...*si mette a mangiare i ramen*
Okkei, due cose e siete liberi: la “lei” di cui parla Jim non è altri che Gloria; sì, secondo me lei un po’ ci crede... comunque approfondirò meglio nel capitolo su di lei e Chris; poi ho aggiunto quella parte sulla band di Tunny... perché in seguito sarà importante! E... chi sarà mai stato a dare un calcio nello stomaco a Jimmy? *grande mistero* Sì, erano tre in realtà le cose U_u  Bene, ora vi saluto e vi avviso che il 10 parto per una settimana e non penso di pubblicare prima... quindi arrivederci :))) *fa ciao ciao con la manina e ruba i ramen a St. Jimmy*

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Capitolo 15
*** She's a rebel ***


She’s a rebel

4 Luglio 2004
Non era esattamente quello che si aspettava dal suo dopo – morte: un calcio, seguito a ruota da un’imprecazione affatto soffocata. Poi una voce acuta che gli trapanò i timpani senza pietà: - Tunny! Da quando tieni cadaveri sulla porta di casa? –
- Cadaveri?! -
Jimmy si sforzò di aprire gli occhi, dare un segno di vita (ormai gli era chiaro che la Nera Signora l’aveva risparmiato) ma risultò difficile far ubbidire il proprio corpo.
- Ma è  il mio coinquilino, che cadavere! – La voce profonda di Tunny era decisamente meno fastidiosa della precedente, che tuttavia non tardò a farsi risentire: - Sembra morto –
- Jesus? Amico? Cazzo, lo vedo che sei vivo, alza il culo! –
Avrebbe voluto farlo ma...
Acqua gelida gli schizzò in faccia, sui vestiti, dappertutto; fu come se il freddo avesse riattivato le funzioni: Jimmy aprì gli occhi, tentò di alzarsi, ricadde giù boccheggiando come un pesce fuor d’acqua.
- L’acqua fredda fa miracoli – sentenziò soddisfatta la voce acuta. Ora che stava un po’ meglio, Jimmy notò che non era acuta in senso sgradevole; pensandoci bene, assomigliava a una campanella d’argento.
Gli occhi appannati misero a fuoco prima Tunny, accovacciato accanto a lui, poi un paio di gambe che... cazzo, che gambe. Fasciate da jeans strappati, dritte e scattanti. Quelle gambe appartenevano a una ragazza con in mano una bacinella e un mezzo sorriso sulle labbra carnose.
Jimmy deglutì, accettò la mano di Tunny e con un po’ di fatica riuscì a tirarsi su.
Si sentì improvvisamente una merda. Una cosa piccola e patetica, al confronto della dea che gli era apparsa. Non è che quella ragazza fosse particolarmente bella (non era affatto da buttare, eh) ma sembrava.... emanare una tale luce da annullare ogni altra cosa. Jimmy non sapeva spiegarlo; sapeva solo che fino al giorno prima lui non credeva a stronzate come il colpo di fulmine, ed ora stava fissando come un pesce lesso quella ragazza sconosciuta.
Tunny gli batté una mano sulla schiena. – Hai un’aria da schifo, Jesus. Che ti è successo, si può sapere? –
- Io... – sentì un rimescolio nelle viscere. Cazzo. Non ci poteva credere.
Lasciando i due con un palmo di naso, schizzò in bagno, dove si ritrovò sul cesso a vomitare persino l’anima. Per un po’, stette troppo male per pensare ad altro, ma quando si riebbe, si disse che non solo era un coglione, era anche un coglione sfigato: era mai possibile che al primo incontro con una ragazza del genere se ne scappasse in bagno a vomitare? Era incredibile. E patetico.
E quando si specchiò, la rimanente fiducia in se stesso e la possibilità di carpire alla ragazza il numero di telefono precipitarono nel Tartaro: colorito bianchiccio con una sfumatura verdastra, occhiaie blu che avrebbero ricacciato Dracula con un guaito nella sua tomba.
- Jimmy, sembri una merda spiaccicata – informò il proprio doppione nello specchio. Si buttò in faccia un po’ d’acqua (altra acqua gelata, sì) ed uscì. Non poteva restare barricato in bagno per sempre, dopotutto, nonostante la figura di merda.
Tunny era seduto al tavolo del cucinino, mentre lei si dava da fare ai fornelli, facendo ondeggiare la lunga chiome bionda.
- Jesus, tutto bene? - Gli chiese l’amico, preoccupato. Jimmy sentì un moto d’affetto per quel ragazzo, che nonostante tutto l’aveva accolto in casa e trovava persino il tempo per preoccuparsi per lui. Era parecchio in effetti che nessuno stava in ansia per Jesus of suburbia.
- Tranquillo, Tunny. Ho solo esagerato un po’, ieri sera. – E cazzo, quella roba non l’avrebbe mai più toccata. Che St. Jimmy andasse a fare in culo, lui non ci teneva a crepare. Non dopo aver scoperto la sua esistenza...
La ragazza gli sorrise, porgendogli una tazza. – Tieni, è tè caldo. Dovrebbe aiutarti –
Ricambiò incerto il sorriso, accettando la bevanda. Non si conoscevano, lui aveva palesemente l’aria di un tossico e lei gli sorrideva e gli aveva pure preparato il tè. Wow.
- Jesus, eh? Forte. Io sono Whatsername
- Già, lei è la pazza della parata, ricordi? – si intromise Tunny.
Come poteva dimenticarsene? Ricordava di aver pensato di non voler avere niente a che fare con una tale invasata. Ah, l’ironia della vita...
Si affrettò a stringere la mano di Whatsername e si stupì nel costatare che sembrava quasi quella di una bambina: piccola, morbida, paffuta, forse, con le unghie tenute corte, anche se non rosicchiate come le sue; lo smalto nero, invece, era tutto smangiucchiato.
Labbra rosee e carnose, nasino leggermente storto, occhi che variavano dal verde all’azzurro, sottolineati dalla matita. Conclusione: una ragazza, Jimmy avrebbe osato dire, meravigliosa.
Lei e Tunny parlavano del più e del meno come vecchi amici, mentre Jimmy si limitò ad ammirarla come un idiota. Di sicuro, una così aveva il ragazzo, anzi, centinaia di ragazzi, e lui era decisamente l’ultimo arrivato. E poi, chi aveva detto lei l’avrebbe voluto? Era solo un poveraccio senza né arte né parte, mentre lei si meritava un tipo sicuro di sé, brillante, con carattere...
- Vi va se stasera ci vediamo, ragazzi? Una bevuta insieme, come ai vecchi tempi. A Toronto la gente non è granché... –
- Volentieri! Jesus, sei dei nostri, vero? –
- Certo! – faticò a trattenere l’entusiasmo nella voce. E glielo chiedeva pure? Passare una serata con lei... be’, d’accordo, non erano loro due soli, ma sempre meglio che niente, no?
Whatsernameli salutò allegramente e sparì, e Jimmy rimase a fissare come un baccalà la porta chiusa.
Tunny gli rifilò una gomitata nelle costole. – Inutile che fai quella faccia, amico: per essere brutali, non te la dà. Non la dà a nessuno –
- Che vuoi dire? – chiese Jimmy, sentendosi infastidito dalla volgarità di Tunny. Che cazzo, lui non voleva... si, ok, voleva, ma non una botta e via. Avrebbe voluto conoscerla meglio, uscirci insieme...
- Be’, nel senso che tutti ci hanno provato con lei e sinceramente anch’io... lei non vuole. Neanche una bevuta insieme, una bacio... niente. Non si capisce perché... Per cui, rassegnati. –
Strano. Che non ritenesse nessuno degno di lei? Ma via, stronzate: gli era sembrata simpatica, semplice, una alla mano. E allora? Forse... una sorta di voto? Magari il suo ragazzo era morto e lei voleva restargli fedele. Un po’ una cretinata, ma era leggermente più probabile, per una ragazza. In ogni caso, non gliene fregava più di tanto. Voleva solo rivederla,e sentirla, e bearsi di lei.
 
Jimmy si sentiva uno stalker, ad essere sinceri. Aveva tormentato gli altri per ottenere il suo indirizzo e dopo molti sguardi straniti e qualche insulto, era riuscito ad ottenerlo. Poi, era corso sotto casa sua (una anonimo palazzone come tanti) e si era bloccato lì.
Che fare? Suonare? Poteva non essere in casa, in effetti. Aspettare di vederla comparire come per magia? Si cacciò le mani in tasca, dandosi dell’idiota e del maniaco. Andiamo, era chiarissimo che lei non voleva nulla da lui, altrimenti l’altra sera avrebbe flirtato almeno un po’... Invece, l’aveva trattato sì con calore, ma non diversamente da tutti gli altri. Era come aveva detto Tunny, punto. Doveva semplicemente accettarlo e piantarla.
Lanciò uno sguardo irritato alla facciata del palazzo, come se fosse colpa sua. Non sapeva nemmeno il perché di quella ossessione – non riusciva a definirla in altro modo – per Whatsername. Non aveva nemmeno la forza per contrastarla, non ci aveva nemmeno provato. Forse, un altro modo per definirla ci sarebbe stato, ma lui non voleva pensarci. Tuttavia, dal’altra parte, non aveva sempre definito se stesso “il figlio della rabbia e dell’amore”? Finora, solo il suo cuore nero e cupo era venuto fuori, ma si era dimenticato che esisteva anche quello rosso, pulsante, vivo. Che in quel momento batteva più forte che mai nel petto.
Innervosito da quei pensieri, si guardò intorno quasi cautamente.  Se St. Jimmy l’avesse visto in quelle condizioni, l’avrebbe sbeffeggiato a vita e a morte. Ma poi, che andasse a fare in culo, insomma! Il signorino non s’era affatto visto di recente e poi da quando doveva render conto a chicchessia di ciò che faceva?
Nulla di nuovo all’orizzonte. Tanto per ingannare il tempo, andò al bar lì dietro a prendersi una tazza di caffè e quando uscì col bicchiere bollente in mano e alzò lo sguardo verso il condominio, per poco non si strozzò con la bevanda.
Appoggiata coi gomiti sulla ringhiera di un balcone, i capelli biondi al vento, c’era Whatsername. Sembrava scrutare pensierosa il cielo, i palmi delle mani sul viso.
Jimmy rimase a fissarla imbambolato. Poi si diede uno schiaffo mentale, buttò giù il caffè con un sorso per farsi coraggio (non sarebbe bastata una bottiglia di whiskey) e la chiamò. Al limite, poteva fingere di non aver sentito.
Lei trasalì, abbassò gli occhi cangianti su di lui e gli sorrise. A quel punto, le ginocchia di Jimmy erano ridotte a pura gelatina.
- Jesus, che fai lì? –
- Uh... nulla. Facevo un giro e ti ho vista... –
- Ti va se mi unisco a te? –
E lo chiedeva pure?! – Certo, volentieri! –
Nel giro di un paio di minuti, eccola al suo fianco, una maglietta dei Ramones extra – large che le stava comunque da Dio, jeans e converse verdi.
- Ti spiace se prendo un panino? Sto morendo di fame... –
Jimmy non dimenticò mai e poi mai quel fottutamente meraviglioso pomeriggio che passò a parlare e parlare. Partirono dai loro amici per arrivare al governo, all’attuale situazione politica, alle loro azioni...
- Io sono sempre stata contraria alla violenza – gli rivelò Whatsername. – E se devo essere sincera, i metodi che utilizziamo non mi piacciono. Ma non so che altro fare. Le proteste pacifiche vengono sempre ignorate – Fece una risatina. – Io... io voglio cambiare il mondo. Una cazzata da bambini, ma voglio riuscirci. Non so come, ma ce la farò -.
Jimmy l’ascoltava ammirato. – Anche a me piacerebbe cambiare il mondo – ammise. – Ma non penso di esserne in grado. Guardami: io sono solo un ragazzino di periferia che ha avuto la sfacciataggine di chiamarsi “Jesus” –
- Tutti possiamo fare qualcosa – Whatsername gli posò una mano sul braccio. – Anche un ragazzino di periferia. O una come me... – abbassò gli occhi.
Jimmy la guardò senza capire. – Che vuoi dire? Tu.. tu sei fantastica! Sei... il sale della Terra, come si dice! Tu... io non so come tu faccia, ma sento che stringi il mio cuore... lo stringi come se fosse una bomba a mano! E per questo so che tu sei pericolosa, ma non mi importa! – Si rese conto di aver appena sparato un cumulo immenso di stronzate, eppure non gli importava neppure di quello.
Ma quando vide lacrime luccicare nei suoi occhi verdazzurri, si bloccò. Oh merda. Non ne combinava mai una giusta.
- Jesus – iniziò lei, ma fu interrotta: - Jimmy. Sono Jimmy – Voleva essere solo Jimmy con lei.
- Jimmy – ripeté. – Anche tu mi piaci, mi piaci tanto, ma io non posso... non ci riesco. Mi sentirei male da morire  a stare con te... come se ti tradissi –
- Ma.. che dici? – Jimmy allungò le braccia e le cinse le spalle sottili. La sentì abbandonarsi sul suo petto, incredibilmente fragile.
- Io... Jimmy io sono una puttana. Non in senso figurato... nel senso che per vivere, mi prostituisco -.

 
Ehi... ciao! *si nasconde dietro St. Jimmy*
St Jimmy:*la prende per la collottola e la piazza davanti al computer* Assumiti le tue responsabilità!
*respiro profondo* Hai ragione, Santo. Ooook... non so se la montagna mi abbia fatto bene o male. E non so dove mi sia nata l’idea di Whatsername che si prostituisce O.o Innanzitutto, spero con tutto il cuore che lei e Gloria non vengano fuori uguali, perché a parer mio sono molto diverse... quindi ditemi che ne pensate :D (recensite, cioè. Per favore T.T) Uhm... be’, il capitolo, almeno all’inizio, ho cercato di renderlo il più allegro possibile, proprio com’è la canzone, che personalmente adoro. Questo l ‘avevo già scritto, ma lo ricordo: Whatsername è scritto in corsivo perché questa è la storia di Jimmy e lui non ricorda il suo nome; al posto di “Whatsername” potete metterci quello che più vi piace U.u Bene bene ringrazio e mando una torta di ringraziamento virtuale a SweetRevengeMCR che recensisce sempre... e vado a cercare 18 virgola 50 cents per comprare il libro con i testi dei Giddì ;D
St. Jimmy:*sottovoce* barbona...
Santo, sta’ zitto! Sei ancora in punizione per i festini che hai organizzato quando non c’ero!
St Jimmy: Oh porc.... ._.

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Capitolo 16
*** East Jesus Nowhere ***


 
East Jesus Nowhere

Giugno 2009
La ricezione della radio era disturbata: accordi di chitarra si mescolavano alle voci gracchianti dei dj in un assurdo minestrone, inframmezzato da rumori disturbanti.
Christian sbuffò scocciato, continuando a cambiare canale; nulla, non riusciva a prendere. Per forza, erano praticamente in mezzo al nulla! Nient’altro che stupidi campi di grano con al centro un malinconico spaventapasseri. Un gran stato, il Kansas, non c’era che dire.
Di punto in bianco, proprio quando Christian aveva deciso di arrendersi e spegnerlo, una voce forte e chiara uscì dall’apparecchio.
- E potete vedere, fratelli, che stiamo diventando una nazione senza Dio... – Una manata disgustata di Christian mise a tacere il disgraziato dall’altra parte. Grandioso, un predicatore! Proprio quel che gli serviva, sentir magnificare Dio!
Prese un profondo respiro, imponendosi la calma. Meno male che Gloria si era addormentata e non aveva potuto vedere quello scatto di rabbia. Si era già accorta del fatto che lui fosse spesso nervoso, intrattabile... E non era stupida. Non ci avrebbe messo molto a capire la causa della sua irritabilità. La faccenda avrebbe dovuto fargli suonare un bell’allarme in testa, ma al momento aveva deciso di ignorarlo. Quando (e se) la storia fosse venuta fuori, Gloria gli avrebbe fatto il culo, ma non aveva intenzione di caricarle sulle spalle anche i suoi problemi da... be’, da drogato. Inutile girarci attorno: ormai si drogava di antidolorifici. Che, tra l’altro, non erano infiniti. E poi? Sarebbe andato in crisi di astinenza? Aveva provato a ridurre la dose ed aveva ottenuto solo un costante malumore. ‘Fanculo.
Un rumore simile a uno sputacchio lo riportò bruscamente a problemi più terra terra, quale la benzina quasi finita.
- Oh merda – borbottò. – Andiamo, rottame, non lasciarci a piedi proprio ora -.
La macchina evidentemente non gradì l’epiteto e con uno sbuffo finale si fermò definitivamente. Cazzo.
Uscì dalla macchina e si mise a scrutare l’orizzonte, disperato; niente, solo fottutissimo grano... aspetta. Forse... quella era una torre, un campanile? Comunque, qualcosa che indicava un centro abitato. Un po’ lontano, ma non era il momento di fare i pelandroni.
- Perché ci siamo fermati? – chiese la voce assonnata di Gloria. Christian si voltò, cercando di nascondere il nervosismo.
- Abbiamo finito la benzina. Ma forse là c’è un paese o qualcosa del genere e ci sarà pur un distributore... –
Gloria annuì. – Bene! – aprì la portiera e balzò fuori dall’auto. – Non mi va molto di lasciare la macchina qui ma... prima andiamo e prima torniamo! –
Lo prese per man iniziando a camminare. Chiedendosi come facesse ad essere così... così incredibile, Christian la seguì.
 
Camminarono per tre ore circa, tagliando attraverso i campi per far prima. Si auguravano entrambi di raggiungere il paese prima che facesse buio, altrimenti si sarebbero irrimediabilmente persi.
Lo stomaco di Christian brontolava senza posa, ben deciso a far arrabbiare il possessore, il cui ultimo pensiero avrebbe dovuto essere il cibo. I piedi gli dolevano e il sole aveva battuto impietoso sopra di loro per buona parte della marcia.
Quando finalmente sbucarono dall’ennesimo campo, tutti arruffati e semicoperti di spighe, rimasero un attimo stupiti: si trovavano di fronte a un piccolo agglomerato di case che parevano però abbandonate da tempo. Al centro svettava una chiesetta, il cui campanile avevano visto prima, anch’esso in rovina e cadente.
- Sembra una città fantasma – commentò Gloria, stringendosi nel giacchino di pelle. Peccato che la loro auto non andasse a benzina fantasma.
- Grandioso – sbottò Christian tirando un calcio alla strada. – Siamo fottuti –
Gloria rimase in silenzio a riflettere. Purtroppo, non si vedevano soluzioni, neanche restando calmi e lucidi. Dubitava che ci fossero taniche di benzina lasciate lì a marcire; sembrava davvero che l’unica fosse farsela tutta a piedi fino al primo distributore. Si passò una mano sulla faccia. Sei sempre stato difficile da trovare, fratellino...
Si voltò verso il compagno, che pareva intento a imprecare a denti stretti. Era stranamente suscettibile in quel periodo, lui che cercava sempre di essere gentile, e Gloria stava tentando di capirne la ragione. Sembrava quasi... scosse il capo, allontanando quei pensieri e gli posò una mano sulla spalla.
- Chris, sarebbe meglio fermarsi qui, non credi? E’ sera, non riusciremmo alla macchina col buio –
Christian annuì, improvvisamente abbattuto. – Mi dispiace – borbottò. – Non mi sono accorto di quanta benzina ci restasse. E ora non ho preso con me neanche un po’ di cibo -.
- A quello ci ho pensato io – sorrise lei dandogli una gomitata scherzosa. – Su con la vita! –
Christian le posò le mani sulle spalle e la baciò dolcemente. – Scusami – Scusami per essere un cazzone. Per non sapere prendermi cura di te come dovrei.
Gloria gli strinse forte la mano e lo guidò fino alla chiesa. – Io... entro un attimo, Chris, ti dispiace? –
Il giovane scosse il capo e la osservò aprire cautamente il portone  e sparire all’interno.
Della religione loro due non discutevano mai, avendo opinioni opposte ed essendo entrambi piuttosto testardi. Christian non credeva in Dio. Se anche fosse esistito, lui non ne aveva mai ricavato nulla; tutto ciò che voleva, poteva procurarselo con le sue sole forze, non certo pregando un Dio che sembrava divertirsi a tormentarlo. Se esisteva, perché non lo guariva dalla sua malattia? Ok, forse non meritava tanto, era solo una formichina nel mondo... e allora perché non faceva cessare tutte le guerre? Perché non pensava a quei bambini che morivano di fame ogni giorno? Poteva essere infantile, ma era stanco di vedere ingiustizie. Se Dio era tanto buono e giusto come dicevano i preti, come poteva starsene tranquillo lassù senza intervenire? E tutti quei predicatori ricchi sfondati come potevano definirsi servi di Dio? Perché Lui non li fulminava, vedendo ciò che facevano in Suo nome?
Così tanti perché e neanche una risposta.
 
- Ehi, scusa! –
 
La chiesa era piccola e un tempo doveva essere stata piuttosto accogliente, ma ora le pareti erano scrostate, le statue crepate e la sporcizia regnava sovrana.
Gloria si fece il segno della croce e si fermò davanti all’altare, anch’esso percorso da crepe e sporco. Peccato che una chiesa così graziosa come quella fosse ridotta così... osservò il viso sofferente di Cristo crocifisso e si mise a mormorare un Padre Nostro. Da bambina, pregava tutte le sere prima di andare a dormire; era l’unica nella sua famiglia a farlo. Jimmy aveva smesso non appena era cresciuto e sua madre... be’, meglio sorvolare.
Gloria invece, stranamente, non aveva mai perso la fede, nonostante tutto ciò che le era capitato e ciò che aveva davanti agli occhi ogni giorno. Sapeva bene che c’erano membri del clero che non seguivano per nulla le regole e i doveri di un sacerdote, che nella Chiesa si nascondevano individui abietti, ma il “trucco” era saper distinguere la vera fede da tutte quelle chiacchiere intorno ad essa. Non era certo una teologa e non aveva intenzione di andare a cercare il pelo nell’uovo: credeva in Dio, e tanto le bastava. Lei sapeva che c’era e sapeva che l’avrebbe aiutata in qualche modo, e pregava anche per Jimmy, per Christian che non credeva. Era vero che avevano sempre ricevuto mazzate dalla vita, ed anche lei, ma era sempre riuscita a rialzarsi anche grazie alla fede. Credere non significava essere moralisti o bigotti, come pensava la maggior parte della gente. Significava avere la speranza che Qualcuno ci sarà sempre, che non si sarà mai soli.
Faceva freddo, dentro le mura di pietra, e il sole non illuminava quasi più le vetrate. Chiedendosi se avrebbero trovato un posto per dormire, uscì dalla chiesa, trovando Christian in compagnia di un giovanotto sui venticinque, che chiacchierava allegramente. Christian, invece sembrava a metà tra lo stupefatto e l’infastidito e quando la ragazza si avvicinò, capì subito il motivo del fastidio: il ragazzo era un prete.
Christian si voltò verso di lei trattenendo uno sbuffo. Il giovane sacerdote le sorrise e le porse subito la mano. Chissà che ci faceva, lì.
- Salve; sono Martin –
Gloria gli afferrò la mano. – Salve, padre. Io sono Gloria -.
- Niente padre, lascia stare – rise lui, stringendogliela con calore. – Non mi piace, mi fa sentire strano. Martin va benissimo -.
 
Martin era sacerdote solo da qualche mese e stava viaggiando per raggiungere la parrocchia affidatagli. Il suo mezzo di trasporto era un pulmino stile figli dei fiori (Gloria rise tra sé, immaginandosi un prete hippie) che conteneva ogni ben di Dio, comprese taniche di benzina. Il giovane fu felice di “ospitarli” per quella notte e si offrì di riaccompagnarli alla macchina il mattino seguente.
- Se ci sarà ancora – bofonchiò Christian, caustico.
- Ma certo che sì! Che se ne fanno, di un rottame come il nostro? – rise Gloria.
Martin raccontò loro che si era fermato per riposare un poco e d era rimasto stupito nel trovare il paese abbandonato: non credeva esistessero ancora città fantasma. Era simpatico, entusiasta, ma tutto ciò non fece cambiare opinione a Christian sui preti: erano sanguisughe, pronti ad approfittarsi dell’ingenuità della gente. Presto lasciò la compagnia, adducendo come pretesto la stanchezza, sebbene un po’ gli scocciasse di lasciare Gloria sola con quello lì.
All’interno del pulmino c’era qualche sacco a pelo; Christian si distese sopra uno di essi, ma non dormì: ascoltò le voci che gli giungevano attraverso i finestrini aperti.
- Chris non è sempre così – stava dicendo Gloria. – Il fatto è che... lui e la religione... –
- Capisco bene – replicò tranquillamente Martin. – Anch’io fino a una decina d’anni fa consideravo Dio e tutto questo favolette per creduloni, quasi. – Tacque un attimo. – Ero un... perdigiorno. Non mi importava di nulla... finché non ho ricevuto la chiamata. Da allora la mia vita è cambiata –
Silenzio.
- Vi amate molto. E’ bello vedere due persone così unite –
- Be’... – Gloria sembrava un po’ imbarazzata, ma anche lusingata. – Ci prendiamo cura l’uno dell’altra. Tutto qua –
Una risata sommessa. – Sapessi quanto è difficile trovare una persone che si prende cura dell’altra. Triste a dirsi, ma è così. Noi cerchiamo di fare del nostro meglio -.
A quel punto, Christian scivolò nel sonno; l’ultima cosa che ricordò di aver pensato fu: Mi sto davvero prendendo cura di Gloria?
Si svegliò dopo qualche ora, con il calore confortante del corpo di Gloria stretto al suo.

 
St Jimmy: I miei complimenti. Un mese ci hai messo.
*si guarda i piedi*
St. Jimmy: Invece di ascoltare quelle stupide lezioni di chimica, dovresti pensare a scrivere!
Santo, sono io poi che mi becco i quattro!
St. Jimmy: Ma tu odi quella materia!
Certo che la odio... ma che devo fare, eh? Passiamo al capitolo, che è meglio u.u Bien, ho voluto parlare appunto della spinosa questione della fede. Ovviamente, queste sono solo le opinioni dei protagonisti; volevo solo spiegare come due persone possono vivere la religione nel mondo attuale, ed è venuta fuori questa cosa. Il fatto che finiscano in un villaggio abbandonato l’ho preso dal titolo della canzone: “East Nowhere” è un modo di dire intraducibile... è un po’ come dire “ a casa del diavolo”. Credo.
St. Jimmy: Ringrazia quei pazientissimi lettori e recensori che ti seguono e andiamo... devo comprarmi le sigarette!
Sì, ma in casa mia non fumi! Sciò, va’ in giardino! *gli tira dietr
o i soldi per le sigarette*Ci vediamo presto (spero) xD

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Capitolo 17
*** Peacemaker ***


 
Peacemaker
Giugno 2009
Martin li riaccompagnò alla loro macchina come promesso e regalò loro un paio di taniche di benzina, tanto per stare sicuri.
- Spero di rivedervi – disse, stringendo la mano a Gloria. – Vi auguro buona fortuna e... be’, è proprio una frase da prete, ma pregherò per voi! –
- Grazie di tutto – sorrise Gloria, facendo contemporaneamente un cenno a Christian, che sospirò e si fece avanti. Certo, era grato a quel tipo per tutto quello che aveva fatto per loro: non era da tutti fermarsi a dare una mano a due perfetti sconosciuti, prete o non prete. Ma, diceva sempre suo padre, non bisognava mai fare di un’erba tutto un fascio: sarebbe rimasto della sua opinione, ovvero di non fidarsi degli uomini di Chiesa.
Un po’ riluttante, strinse la mano di Martin, ringraziandolo; il giovane trattenne con le dita quelle di Christian. – Posso parlarti un momento? –
Christian sbatté le palpebre sorpreso. – Sì, certo -.
Si allontanarono un poco da Gloria, che si dondolava sugli anfibi, osservandoli pensosa.
Martin lo guardò dritto negli occhi. – So di non piacerti e che tu non credi né nella Chiesa né in Dio – esordì. – Ma vorrei che accettassi un... un’esortazione: ogni tanto prova a pregare -.
Poco mancò che a Christian ruzzolassero gli occhi fuori dalle orbite. Ma lo stava prendendo in giro? D’accordo che era un prete, ma c’era un limite a tutto!
- Il fatto è che voi due mi sembrate molto uniti. Ma tu... c’è come un’ombra in te. E per questo ti chiedo di provare a pregare, perché Dio ti aiuti -.
- Dio non ha mai mostrato un segno verso di me – ribatté Christian freddamente. – Non c’è mai stato nella mia vita, non si è mai occupato di me. Perciò, o se ne frega di tutti noi o non esiste. Personalmente, non ci trovo alcuna differenza: solo ero e solo rimango -.
Martin sospirò. – Forse... sei tu che hai ignorato Lui, non credi? –
Questo fece seriamente arrabbiare Christian. – Me la sono sempre cavata da solo in ogni situazione – sibilò. – Eppure ogni tanto, mi avrebbe fatto piacere un aiutino. Credi che non l’abbia chiesto? Non sono così ottuso da non capire quando non ce la posso fare. Eppure, quell’aiuto non è mai arrivato. E’ inutile – concluse  - non sprecare il tuo tempo con me. Non ho bisogno di una coscienza in più, né tantomeno di un dio che mi dica cosa fare -.
Voltò le spalle al giovane e tornò verso Gloria. Martin sembrò lì lì per richiamarlo indietro, ma poi rinunciò. Pregherò io per te, Christian. I suoi occhi si posarono su Gloria, che aveva preso per mano il ragazzo. E penso di non essere l’unico a farlo.
 
- Ma ti ha fatto arrabbiare? Avete litigato? – domandò Gloria, una volta in macchina osservando il volto rabbuiato di Christian.
- Ma no, no... –
- Sicuro? – gli occhi azzurri erano taglienti quanto lame.
- Ma sì... – Christian si voltò e le fece un sorriso forzato. – Sai cosa penso io su tutto questo... e Martin non è male, ma è pur sempre un prete -.
- Sì... – Gloria sospirò, abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia. C’era qualcosa che non andava, e doveva smetterla di girare intorno al problema. Era vero che era da stupidi buttarsi di petto contro un muro senza riflettere, ma era stufa di quella situazione.
- Christian – esordì.
- Vuoi passare da casa tua? – la interruppe quasi precipitosamente lui. La guardò con la coda dell’occhio, per poi tornare a fissare la strada.
- Che? – fece lei, presa alla sprovvista.
- Vuoi fermarti a Jingletown? – ripeté Christian. – Magari... per fare visita a tua mamma... e, sai, tuo fratello potrebbe anche essere tornato lì -.
Gloria esitò.  – Io... non penso che Jimmy sia tornato a casa. O meglio, potrebbe ma non per restare. Lui odiava quel posto, non avrebbe mai sopportato di vivere lì per sempre. Al massimo, potrebbe essere tornato una volta per salutare me e mamma -.
- Ma in ogni caso ti farebbe piacere passare, no? –
- Sì, ma... Christian, io non voglio che tu ti senta obbligato. Questo viaggio l’ho voluto io, è vero, ma tu sei il mio compagno di viaggio e molto di più... E se qualcosa non ti va, dimmelo. Ti vedo così... arrabbiato in questo periodo -.
Il ragazzo strinse le nocche sul volante. – Gloria, sai bene che le decisioni spettano a te. Io posso consigliarti, ma tu di sicuro sai meglio di me dove andare. E non sono arrabbiato – brontolò infine.
- No, eh? Sei intrattabile. Per favore, dimmi cosa c’è che non va! Fidati di me -.
- Ma io mi fido! – gridò. – Cazzo, Gloria, sei la persona alla quale affiderei la mia stessa vita! –
- Ah, ho capito... non vuoi farmi preoccupare, scommetto -. Gloria alzò gli occhi al cielo. – La tua stupida mania dell’eroe solitario -.
- Che?! – Questa era nuova. Eroe solitario? Ma che cazzo...?
- Sì, il fatto che tu ti tieni tutto dentro per non creare problemi, a me come a chiunque altro. Be’, devi piantarla. Siamo entrambi abbastanza grandi, mi pare -.
Un silenzio greve di cose non dette scese tra loro. Christina sospirò, muovendosi a disagio. Merda. Perché era così scemo? Sentiva che Gloria stava scivolando via dalle sue braccia, dopo tanto tempo passato a sognare che lei rimanesse per sempre lì, al sicuro; ma era davvero al sicuro nell’abbraccio di un tossicodipendente? Era certo che se avesse lasciato che quelle pillole creassero silenziose un muro tra loro, l’avrebbe persa per sempre. E se le avesse detto la verità, forse sarebbe andata nello stesso modo. Avrebbe dovuto dirglielo subito, fine della storia. Questo perché era un codardo, sì, un maledetto codardo. Ed era inutile ormai piangere sul latte versato. Dire le cose come stavano probabilmente avrebbe peggiorato la situazione, ma non c’era via d’uscita. Tira fuori quelle palle, Christian. Prese un profondo respiro e iniziò a parlare.
 
- Ferma la macchina –
Tra tutte le reazioni possibili e immaginabili, questa non era stata contemplata.
- Cosa? –
. Ferma la macchina, ho detto! –
Christian obbedì, attonito. Un secondo dopo, la guancia bruciava per lo schiaffo che Gloria gli aveva appena somministrato.
- Ma sei stupido?! –
Pareva che Gloria fosse sul punto di esplodere: poco mancava che le uscisse fumo dalle orecchie.
- Quando pensavi di dirmelo, deficiente? Quando andavi in overdose, magari?! Sei veramente un coglione, non pensavo! – riprese fiato, rossa in faccia. – E non venire a raccontarmi stronzate come “non volevo farti preoccupare”! Non provarci! Perché adesso non sono solo preoccupata, sono furiosa! E mi dispiace che tu non mi abbia detto nulla! – Si passò una mano tra i capelli, quasi esausta.
Christian aprì la bocca, ma la richiuse senza dire nulla, come un pesce rosso. La furia di Gloria gli aveva azzerato ogni capacità reattiva: non l’aveva mai vista così, e la cosa peggiore era essere lui stesso il motivo di quella rabbia. Non riusciva a dir nulla e in ogni caso, non avrebbe proprio saputo cosa dire, perché tutto sarebbe sembrato banale, ottuso, inadeguato. Un po’ come lui.
- Da quanto tempo li prendi? –
- Da quando siamo partiti... ma all’inizio era semplice dose standard. Poi.. ho aumentato. –
Gloria si stropicciò gli occhi, sbavandosi tutto il mascara. – Ok. Affrontiamo la cosa. E’ chiaro che non puoi smettere di punto in bianco. E’ impossibile. Per cui... alla prima città che incontriamo, andiamo da un dottore. A farci consigliare, perlomeno. – Si accomodò meglio sul sedile, braccia conserte, un’espressione arcigna in viso.
Christian mosse cautamente la mano verso la chiave e rimise in moto. Tossicchiò. – Vuoi tenere tu le medicine rimaste? –
Gloria sospirò e per la prima volta la stanchezza si fece largo su suo volto liscio come una crepa. – No. Io non posso e non voglio costringerti a fare nulla. Dipende da te -.
 
Gloria si sentiva stanca. Immensamente stanca e vecchia, come se avesse vissuto mille anni. Aveva voluto chiudere gli occhi, fare l’ingenua e aveva sbagliato in pieno. Lo vedeva che Christian aveva un problema e stupidamente aveva fatto finta di niente. Però... dall’altra parte, perché Christian non aveva parlato? Sì, certo, per non farla preoccupare... ma anche per orgoglio. Quello stupido orgoglio che condividevano, purtroppo, quello che li aveva spinti a partire senza chiedere l’aiuto di nessuno e quello che stava lentamente ma inesorabilmente spezzando quel che c’era tra loro. Non che Gloria lo amasse di meno; anzi, i suoi sentimenti per Christian erano una delle poche certezze che aveva. E lì stava il problema. Perché lei si era innamorata ed era ancora innamorata di un ragazzo dolce, un po’ goffo, buono e gentile. Un ragazzo che tentava di sconfiggere la sua malattia senza ricorrere a droghe. Per questo il ragazzo che aveva davanti agli occhi non poteva essere Christian... Christian non diventava violento perché non aveva preso gli antidolorifici, Christian non avrebbe mai scatenato una rissa per una banalissima questione di precedenza a un distributore...
Gloria non era arrabbiata. Non ci si può arrabbiare con un estraneo. Gli disse freddamente che se voleva, poteva tenersi la macchina: lei, un passaggio fino in California l’avrebbe trovato. Lui la fissò sconvolto, un occhio pesto. – Ma... cosa... insomma, perché? Noi... –
- Noi non siamo nulla. Io sono partita con Christian e tu non sei Christian. –
Non sentiva niente dentro, assolutamente niente. Ci sarebbe stato tempo, poi, per piangere, gridare e sentire la sua mancanza e darsi dell’idiota... Ma lei era una donna forte, una donna emancipata, senza nessun bisogno di un uomo al suo fianco... specialmente un uomo così.
Tuttavia, mentre si allontanava in macchina – lui non l’aveva voluta tenere – sentì qualcosa di bagnato scivolarle sulle guance.

 
Salute;) Be’... questo capitolo non mi soddisfa per nulla.
St Jimmy: Che novità...
Sia perché interpretare il testo è stata un faticaccia, sia perché non mi piace com’è venuto fuori. Ma ormai è fatto e pubblicato, tocca a voi dirmi che ne pensate U.u
St Jimmy: Bah, a me fa piacere che si siano lasciati... altrimenti c’era troppo zucchero nell’aria *smorfia*
Si veramente cattivo e cinico, santo! Proprio ora, che arriva Halloween, ovvero tanti dolci da mangiare... *sguardo sognante*
St Jimmy: Macché dolci... si va a c*********e tutta la notte e a spaventare i bambini! *sguardo assetato di sangue *
Ehmmm... sì e.e Ringrazio quella santa (non come te, santo) di SweetRevengeMCR e torno nel mio antro xD
 
P. S. Non so chi tra voi sia appassionato di fumetti/manga/videogiochi... ma io il 1° novembre vado al Lucca comics :D Mi porta il mio adorato papà, anche se quando gli ho chiesto di andare in America a vedere il musical di American Idiot ha detto di no... genitori x)

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Capitolo 18
*** Extraordinary girl ***


Extraordinary girl

4 Luglio 2004
Nata e cresciuta tra i bassifondi di Los Angeles, Whatsername non aveva mai avuto grandi possibilità di scelta. Sua madre era una delle donne di un piccolo boss e lei aveva sempre dato per scontato che suo padre fosse lui. Tuttavia lo vedeva solo da lontano e non gli rivolse mai la parola, anche se ogni tanto sua madre tornava a casa con vestitini sfarzosi e bambole meravigliose. Prima ancora che compisse dodici anni, però, il destino, o meglio, qualche gang rivale aveva lasciato riverso su un marciapiede in una pozza di sangue quel padre evanescente; e le due donne avevano perso il loro protettore e la loro sicurezza.
Whatsername, rispetto alle molte altre ragazzine che vivevano lì, era stata una privilegiata: era andata a scuola regolarmente e nonostante fosse piuttosto graziosa non aveva ricevuto attenzioni pericolose da parte di nessuno. Quando suo padre morì, la madre decise di dare fondo ai suoi risparmi e con quelli mandò la ragazza in un collegio, il più lontano possibile. La sua speranza era di vedere la figlia distante da quel mondo, con una vita più serena, felice.
Ma se c’era un aggettivo che non si addiceva a Whatsername era proprio “serena”. Irrequieta, ribelle verso le regole della scuola, lei che era abituata ad andare e venire come le pareva, si trovò subito a disagio lì. Forse era anche la cognizione della sua diversità: le sue compagne, sebbene non particolarmente ricche, erano indubbiamente borghesi. Lei no, e non riusciva a passare sopra quel confine che le divideva. Tuttavia, si sentiva inquieta anche verso quella che aveva sempre considerato come casa sua. Vedeva il disagio, vedeva le sue amiche costrette a prostituirsi per dar da mangiare ai fratellini, e ragazzini che spacciavano con un pistola più grande di loro sotto la maglietta. Perché nessuno si interessava a loro? Le autorità non sapevano che sotto i loro talloni vivevano e soffrivano poveri disgraziati?
Durante le vacanze stive del suo quattordicesimo anno, conobbe Mark, un giovane punk che viveva in un appartamento cadente nel suo stesso quartiere. Si innamorarono e senza pensarci due volte, Whatsername se ne andò via con lui. Fu Mark a far nascere in lei quella voglia di cambiare il mondo, a farla diventare una piccola rivoluzionaria come lo era lui.
- Pensavamo di essere liberi, e in effetti era così. Viaggiavamo, vivevamo alla giornata – Whatsername sospirò. – Durò più di un anno quella vita... poi successe quel che doveva succedere -.
Avevano preso parte a una grande manifestazione, addirittura di fronte alla Casa Bianca. Come sempre, avrebbe dovuto essere pacifica, ma presto saltarono fuori sia armi di fortuna come mattoni, stanghe, sia coltelli e bombe carta. La polizia agì, e finì in un bagno di sangue. Whatsername si ruppe un paio di costole e si procurò un trauma cranico. Quando riprese i sensi, era distesa in un letto d’ospedale, sola, anche se non per molto: prima di riuscire a connettere il cervello, entrò un giovane sconosciuto. Disse di chiamarsi Victor Whane, era un poliziotto e l’aveva raccolta lui dalla strada. Lei gli domandò ansiosamente di Mark, glielo descrisse, ma Victor scosse la testa, dicendole di non averlo mai visto. In ogni caso, le promise di cercarlo, in quell’ospedale come negli altri; lei lo pregò anche di spargere la voce della propria permanenza lì: magari Mark era stato ferito in modo lieve e la stava cercando per la città.
Quando Whatsername venne dimessa dall’ospedale, ovvero due settimane dopo, di Mark ancora nessuna traccia. Victor non aveva il coraggio di dirle quel che pensava, cioè che molto probabilmente il giovane era uno dei tanti corpi che erano rimasti distesi a lungo davanti alla Casa Bianca. Whatsername dentro al cuore lo sapeva, ma nel suo sfrenato ottimismo di ragazzina continuava a sperare disperatamente che lui rispuntasse fuori da qualche parte.
La prima reazione di Victor, quando la accompagnò fuori dall’ospedale e vide la sua aria sperduta, fu di portarla a casa propria, prepararle una tazza di cioccolata calda e metterla a letto rimboccandole le coperte. Tuttavia, il suo lato poliziesco e ligio al dovere prevalse e le chiese innanzitutto dove fossero i suoi genitori, dato che pareva proprio scappata di casa.
- Ma io non volevo tornare a casa. Sinceramente, mi vergognavo a tornare da mia madre dopo che me n’ero andata senza quasi salutarla... dopo tutti i sacrifici che lei aveva fatto per me – Tuttavia Victor, incredibilmente, la convinse. Con dolcezza e perseveranza, alla fine riuscì a metterla su un treno in partenza per la California, anzi, la accompagnò personalmente fino al suo vecchio quartiere.
- Diceva di volermi vedere entrare in casa mia, da mia madre, così si sarebbe sentito più tranquillo. E, be’, in casa ci entrai. Solo che mia madre non c’era più. C’era una famiglia ed erano mesi ormai che abitavano lì. Non sapevano nulla di mia madre: cercavano una casa e l’avevano trovata, punto. Nessuno si fa mai troppe domande in quartieri come quello. –
Non sapeva più che fare, Whatsername. Non aveva più nessuno, una casa o amici. In effetti, l’unico che poteva aiutarla era Victor, ma lei aveva sempre odiato essere di peso agli altri. E poi, con che scusa poteva ospitarla? Non poteva certo portarsi  in casa una ragazzina come se niente fosse, proprio lui, un poliziotto. Però il padre della famiglia, probabilmente mosso a compassione, si offrì di ospitare Whatsername, almeno finché non si fosse trovata una sistemazione. Whatsername era molto grata, ma odiava con tutto il cuore il fatto di dipendere dalla pietà di altre persone, sconosciute per di più. Accettò solo perché altrimenti sarebbe morta di fame e per rassicurare Victor, che le lasciò anche il proprio numero di telefono e le raccomandò di chiamarlo per qualsiasi cosa. Ma in quella casa (la sua casa, dopotutto) non restò più di qualche giorno, giusto il tempo di raccogliere le idee e progettare qualcosa. In realtà non progettò un bel niente, ma se ne andò ugualmente così com’era arrivata, senza riflettere troppo. Aveva pensato di poter continuare la sua vita vagabonda, ma una ragazzina sola, senza soldi, senza nessuno non poteva fare tanta strada.
- Non è che non capissi la condizione in cui ero. Ma aveva bisogno di fare qualcosa. Di sperare in qualcosa. Per farla breve... mi trovarono mezza morta di fame e freddo. Gli uomini del mio protettore – si strinse nelle spalle. – Sono brave persone. Non obbligano nessuna delle ragazze, sono giusti e non hanno mai toccato una di noi. Io posso viaggiare e concilio i miei due... lavori, se si può chiamarli così -.
Jimmy aveva ascoltato in silenzio se non per qualche rara domanda, incuriosito, dispiaciuto e ammirato dalla forza d’animo della ragazza. Cazzo... invece di piagnucolare sulla sua vita, avrebbe dovuto ringraziare in ginocchio...
- Ora.. tu forse mi giudicherai una... non so nemmeno come definirmi, ma io non voglio che il mio ragazzo, la persona che amo, debba dividere il mio corpo con sconosciuti. Io... voglio donarmi con tutta me stessa a chi amo. Ma non posso -.
Jimmy esitò, poi si piegò in avanti ad afferrarle le mani. – A me non importa! Io... mi accontenterei di un posticino nel tuo cuore... un sorriso, un bacio... Nulla di più, credimi. Mi basterebbe anche solo poterti vedere, vedere e basta. Non so come tu faccia, e forse ti sembrerà una stronzata visto che ci conosciamo da poco... ma tu mi fai essere qualcuno che non sono più da tempo. Per cui, ti prego, non mi mandare via. Non mandarmi di nuovo da... lui -.
- Lui? – Whatsername gli posò esitante una mano sul viso. La guancia era leggermente ruvida di barba appena accennata.
- Lui... St Jimmy – Era la prima volta che parlava con qualcuno del Santo. Anche perché, che cosa poteva dire di lui? “Penso che sia la mia parte oscura, quindi è solo la mia immaginazione, oppure sto diventando schizofrenico...” Le persone gli sarebbero scoppiate a ridere in faccia, oppure gli avrebbero consigliato un buon psichiatra. E poi, non c’era nessuno di cui si fidasse davvero... Be’, per essere sinceri, Tunny si era rivelato un buon amico, leale e sincero, che non faceva troppe domande ma al contempo si preoccupava se lo vedeva strano o scazzato. Ma erano uomini, dopotutto: non si facevano confidenze la sera prima di andare a dormire come ragazzine, anche perché erano sempre troppo ubriachi per mettere insieme qualche parola di senso compiuto. E forse Jimmy provava anche un senso di vergogna a parlare dei suoi problemi, piccoli o grandi che fossero; anni prima, era Dan che raccoglieva i pensieri del ragazzino ancora insicuro, che lo ascoltava, pur prendendolo in giro. E c’era Gloria, che anche se piccola, non era affatto stupida e capiva molte più cose di tutte le teste di cazzo di Jingletown messe assieme.
E Whatsername... Whatsername avrebbe capito? O l’avrebbe trattato come un bambino che si crea un mondo immaginario per sfuggire ai problemi?
- Non so esattamente chi o cosa sia... potrebbe essere un diavolo, se ci credi, o potrei essere semplicemente impazzito e immaginarmi tutto... Lui... mi aiuta, in qualche modo. Ma non so se sia il modo giusto -.
Whatsername sbatté le palpebre e inclinò il capo di lato come per riflettere. – Ti fa paura – disse piano. Non era una domanda. Jimmy la fissò senza parlare.
- Ti fa paura – ripeté lei aggrottando la fronte. – E’ chiaro che ti fa paura. Eppure non vuoi staccarti da lui, qualunque cosa sia. Perché? –
Jimmy non l’aveva mai vista in questi termini. Non aveva mai riflettuto sullo strano, morboso filo che univa lui al Santo.
- Perché... be’, perché sono solo. E lui... lui mi dà conforto. Può essere un conforto sbagliato ma è già qualcosa -.
- Tu non sei solo, Jimmy. Lo sei solo se vuoi esserlo -.
- Ci sto provando a non esserlo più... – la guardò dritto negli occhi e lei abbassò il capo come una bambina.
- Non posso, Jimmy. Sono così... sporca che non posso. Tu non capisci... arrivi a un certo punto che hai paura e ribrezzo del sesso... Io non so se riuscirò ad amare come prima -.
A quel punto Jimmy fece la cosa migliore e al tempo stesso, la più stupida che potesse fare, almeno a suo parere: l’afferrò per le spalle e disse serio: - Provaci – e la baciò.
E fu dolce oblio; esistevano solo loro due, le loro labbra, il respiro che accelerava. Jimmy la strinse a sé, sentì il petto di lei contro il suo, le mani da bambina che gli accarezzavano il viso, il collo, le spalle.
Erano secoli che non provava quelle sensazioni durante un bacio: il cuore impazzito, le labbra ardenti, il vuoto nel cervello.
Si ritrovò improvvisamente tra le lenzuola morbide di un lettino, mentre spingeva Whatsername sotto di lui e le sfilava la maglietta. La baciò ancora e ancora, godendosi il suo sapore, mordendole le labbra morbide. Si strinse a lei con tutta la forza che aveva, aggrappandosi alla sua pelle calda, alle sue carezze, alla sua voce che bisbigliava parole che non capiva ma che gli scendevano dolci giù per la schiena. Si aggrappò a lei perché solo così poteva salvarsi dall’abisso.
 
Riaprì gli occhi diversi ore dopo, il viso premuto contro la sua schiena, i loro corpi allacciati. Respirò profondamente; da quanto tempo era che non si sentiva così... così leggero, sereno... felice? Non riusciva nemmeno a ricordarselo. Chiuse di nuovo gli occhi, pregando di restare così per sempre, che quel momento si cristallizzasse nell’eternità...
- Jesus –
Il sangue smise di scorrere, un groppo gli chiuse la gola. Non poteva essere...
- So che mi hai sentito. Girati e guardami in faccia, coglione -.
Molto lentamente sciolse la presa dalla vita di Whatsername e si voltò. Eccolo lì, il bastardo.
- Che cazzo vuoi? – sibilò, attento a non svegliare la ragazza.
- Che cazzo voglio, Jesus? Ottima domanda – gli sorrise sardonico. – o forse volevi dire che cazzo vuoi tu, Jesus? Vuoi lei? – indicò con un cenno del capo Whatsername. – Non puoi averla. Lo sai che non sarà mai tua, non è tipo da farsi mettere delle catene. Vuoi una vita senza pensieri? Allora hai un motivo in più per non tenere la ragazza. Scegli tu. Ma scegli. Scegli in quale mondo vuoi vivere -.
 
Quando Whatsername si svegliò, era solo nel suo lettino. Se n’era andato dunque... forse era meglio così. Ma... la sua giacca era ancora lì e così gli anfibi. Sentì poi lo scroscio dell’acqua nel bagno. Non se n’era andato.
Si sentì sollevata, felice quasi, solo per un istante, poi la realtà le crollò addosso: si era innamorata di nuovo. Proprio quello che aveva promesso di non fare mai più.
Whatsername si rannicchiò con la testa sulle ginocchia e pianse; se lacrime di gioia, dolore o rabbia, non lo sapeva neppure lei.
 

Buonsalve popolo verde! Devo dire che sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo... mi è piaciuto molto scrivere la storia di Whatsername, anche se gliene ho tirate dietro un bel po’, povera u.u Allora... la faccenda è che in realtà Whatsername ha paura di amare di nuovo; lei forse non se ne rende conto, ma Jim in un certo senso sì e vorrebbe aiutarla, anche se in effetti anche a lui farebbe comodo una mano... Lasciatemi un commentino se vi va, come ha fatto SweetRevengeMCR (grazie cara) xD Alla prossima ;)
 
PUBBLICITA’ *siccome siamo in tempo di crisi, l’autrice si è dovuta piegare al Potente*
Stanco di essere bistrattato dai compagni? Stufo di essere tiranneggiato dai genitori? Hai le scatole piene di essere una pappamolle? Abbiamo ciò che fa per te!
Chiama il numero verde 333 131313 e riceverai immediatamente il tuo St Jimmy a casa! St Jimmy ti farà diventare un vero ribelle e tirerà fuori il tuo lato oscuro! Dovrai pagare solo le modiche spese di spedizione: St Jimmy chiede solo vitto e alloggio! (inclusa una dose standard giornaliera di sigarette, ramen ed eventuali sostanze stupefacenti).
Attenzione: la presenza di St Jimmy potrebbe causare: distruzione di stanze e/o edifici, genitori e/o vicini incazzati, denunce e/o arresti da parte delle autorità competenti.
Per lamentele e/o eventuali rimborsi rivolgersi al nostro ufficio reclami e chiedere della signorina Franca.
Chiama subito per ricevere il tuo St Jimmy: se sei tra i primi 100, riceverai in omaggio u nuovissimo set di borchie! CHIAMA ORA!
 
Ditta Giorni Verdi, Jingletown, CA, USA
Presidente: Guglielmo Giuseppe Fortebraccio
Vice Presidente: Michele Rino Suonodibasso Dirnt

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Capitolo 19
*** Last of the American girls ***


Last of the American girls
Luglio 2009
Le mani affondate nelle tasche, la giovane camminava a testa china sotto il sole, osservando corrucciata l’asfalto. Cazzo. Non ci voleva proprio, restare a piedi: era già in ritardo per la manifestazione. Però, da una parte, era felice di camminare, di levarsi dal cubicolo soffocante di una macchina. Ed era anche felice di rivedere la sua California. La mente le scappò, i ricordi la invasero come un fiume in piena... No. Aveva preso la sua decisione, anni prima, e non era nella sua natura piangersi addosso pensando a ciò che avrebbe potuto o meno fare. Nessun rimpianto. Questo gliel’aveva insegnato proprio lui.
Sospirò e si passò una mano tra la folta chioma bionda, accarezzando con lo sguardo il paesaggio tutto intorno a lei. Le macchine, piuttosto rare, le passavano accanto veloci, senza degnarla di un’occhiata e meno male: non aveva proprio voglia di rifiutare passaggi e proposte sconce. Non che avesse paura, no; aveva imparato da tempo a difendersi da quegli stupidotti senz’altro da fare che infastidire ragazze. E poi... be’ lei non era certo una verginella innocente. Un bene da un lato, dato che conosceva quel mondo buio, dall’altro un po’ le dispiaceva non aver conservato la purezza fanciullesca. Be’, quella era stata una sua scelta... ma si sa, del senno di poi son piene le fosse.
Si infilò in bocca un chewing gum alla fragola e continuò a camminare.
 
Lo specchio crepato restituiva un’immagine francamente scioccante; sperando che fosse solo il vetro che distorceva i suoi lineamenti, Gloria si lavò per bene la faccia con acqua rigorosamente gelida, strofinandosi gli occhi gonfi. Si asciugò il viso con una salvietta ruvida e tornò a osservare il proprio riflesso: una ragazza col volto un po’ arrossato per l’acqua fredda, i capelli scompigliati e occhi azzurri completi di borse. Sospirando afferrò un elastico e con pochi colpi di spazzola si fece la sua solita coda di cavallo. Poi prese matita e mascara e passò a truccarsi con la stessa cura con cui, un tempo, aveva dipinto i muri della sua città. Finita l’operazione, aveva un aspetto vagamente più decente. Si voltò, con sulle labbra già la domanda “Come sto?” ma si bloccò. Era sola: Christian non c’era più. Scacciando certi pensieri inopportuni che le erano finiti nella mente, si impose di darsi una mossa; raccattò borsa e qualche vestito sparso e si dedicò a contare i soldi rimasti. Non molti. Anzi, per essere franchi ne rimanevano appena per pagare la camera e per qualche pasto... e poi? Non aveva pensato a questo, eh? Prima, quando si fermavano in cittadine varie, trovavamo sempre qualche lavoretto da svolgere. Ma una ragazza sola... Se si fosse azzardata a chiedere, sapeva che tipo di proposte le avrebbero fatto. Già il tipo del motel aveva fatto qualche allusione, nemmeno tanto velata. Si morse il labbro. Non si sarebbe abbassata a svendere il suo corpo: Gloria aveva certi principi e li avrebbe rispettati... fino alla morte? Alla morte di fame?
- Jimmy, vaffanculo! – sbottò. – Giuro che se non ti fai trovare, ti ammazzo! Cretino... – peccato che lei, da brava sorella, stesse seguendo le sue orme con la stessa cretinaggine.
Decise di riflettere per bene sul da farsi in macchina: non aveva voglia di restare in quella pidocchiosa stanzetta, chiusa a chiave per paura che qualche bastardo si infilasse nel suo letto.
Diede un’ultima occhiata allo specchio – perché poi si desse tanta preoccupazione non lo sapeva – e uscì infilandosi la giacca. Tre secondi dopo fece marcia indietro: aveva dimenticato il portafoglio. E’ un miracolo che non mi sia ammazzata da sola o non abbia già fatto esplodere la macchina.
 
Poco prima di giunger in California, la ragazza aveva fatto uno strano incontro. Si era fermata in un bed ‘n’ breakfast lungo la strada, per riposarsi un po’ e bersi un caffè, e al tavolino vicino al suo aveva notato un ragazzo poco più giovane di lei. Aveva il viso affondato nelle braccia come se stesso dormendo, ma quando lei aveva spostato la sedia, aveva alzato il capo di scatto mostrando una pelle grigiastra e occhi gonfi, per pianto o mancanza di sonno. L’aveva osservata con occhi spenti, quasi spiritati. Le era sembrato una persona che ha perso l’unica cosa importante nella vita... Lo sapeva perché anche lei ci era passata. E c’era in mezzo tutt’ora, solo che lei aveva trovato la forza di andare avanti in se stessa, in ciò che faceva... Il giovane evidentemente no. Le aveva fatto quasi tenerezza, e gli aveva rivolto la parola. Lui l’aveva guardata stranito, poi aveva detto roco: - Come mai parla con me? Che cosa vuole? –
Si era stretta nelle spalle. – Nulla. E’ solo che penso di capire quel che sta passando... E poi, ho voglia di parlare con qualcuno -.
Lui aveva fatto una strana risata gracchiante. – Si è mai sentita più miserabile di un verme? Ha mai desiderato morire ma non avere le palle di farlo? –
- Sì, certo. Penso che davvero poche persone non si siano trovate nella sua situazione. In ogni caso – si era alzata per andare a pagare – qualunque cosa lei abbia combinato, sono certa che c’è un modo per rimediare. Non è finita finché non è troppo tardi... e non è mai troppo tardi. Almeno finché siamo vivi, no? –
Era sempre stata la sua filosofia di vita. Una sorta “finché c’è vita c’è speranza”. Poi dipendeva se ciò che facevi poteva definirsi vita, e parecchi altri problemi... ma lei era viva, giovane, in salute... sempre meglio di niente. E continuerò ad andare avanti finché mi sarà possibile.
 
Devo andare avanti. Gli occhi di Gloria vagavano lungo l’orizzonte e la strada che si srotolava davanti a lei. Tutto intorno, un silenzio pesante le copriva le orecchie come ovatta. Ma se avesse provato a fischiettare o ad accendere la radio o a rompere il silenzio in qualche modo, sarebbe stato peggio: ogni cosa le avrebbe ricordato che era sola, che aveva volutamente spezzato l’unico legame che ancora conservava. E perché poi? Per paura. Paura di non riuscire a fronteggiare la situazione in cui Christian si era cacciato. E paura di lui stesso, anche. Non era riuscita a riconoscere in quello sguardo appannato e fisso gli occhi caldi color ambra che l’avevano sempre confortata e che tanto amava.
Si passò una mano sul viso stanco. Non era da lei piangere sul latte versato, e poi, non era sempre stata sola? Tutte le persone a cui aveva voluto bene si erano allontanate da lei; che fosse per loro scelta o cause indipendenti era irrilevante. Cosa aveva creduto? Che solo perché si erano detti “ti amo” sarebbe durata per sempre? Che sarebbero sempre stati insieme? No, Gloria non era quel tipo di ragazza. La verità era che si poteva contare solo su se stessi, perché le persone sono fragili e basta un soffio a spazzare via le loro promesse.
Improvvisamente inchiodò e fece precipitosamente marcia indietro. Cazzo, era così presa a farsi seghe mentali che aveva completamente ignorato il cartello che indicava il confine con la California! Non ci poteva credere: era a casa.
Spinta di un impulso improvviso, scese giù, nell’aria calda che le accarezzò la pelle. Cos’è che diceva Jimmy? “Casa è dovunque il tuo cuore sia”. Ma lui lo diceva sempre in tono sarcastico e di solito aggiungeva: “Ma il cuore non batte mai a tempo. E se non batte a tempo il cuore di uno solo, figurati quello di più persone”.
Casa... in effetti che cosa le significava quella parola? Non aveva più una madre ad accoglierla, ma solo freddi fantasmi di un’epoca lontana.
Stava sul serio piangendo? Ma che cazzo di bambinetta era diventata? Si strofinò rabbiosamente gli occhi, sporcandosi di mascara fino alle tempie. Stupida. Stupida ragazzina.
- Ehi, tu – una voce maschile, gelida, la immobilizzò.
Si voltò, per incontrare gli occhi scuri di un giovane che la osservava serio. Infilato nella cintura, si vedeva chiaramente il manico di un coltello.
- Chi sei? Da dove vieni? – il tono era sospettoso, quasi di minaccia.
Gloria assunse un’espressione conciliante – Mi chiamo Gloria. Sono appena arrivata in California... –
- E che cosa ci fai qua? Di che gruppo fai parte? –
- Gruppo? – ripeté Gloria attonita. – Di che stai parlando? –
Il ragazzo la squadrò con minuzia. – Chi è il tuo capo? – insistette, posando una mano sul manico che gli spuntava dai jeans.
Gloria si sforzò di restare calma. – Ti ripeto che non faccio parte di nessun gruppo. Non so nemmeno di cosa stai parlando! –
Seguì un lungo silenzio, durante il quale lui continuò a scrutarla intensamente. – Davvero? – mormorò infine. – Non sai nulla? La California è divisa. Al momento sei nel territorio di Gary. Da che parte stai, pro o contro gli scontri? –
Prima che Gloria potesse raccapezzarsi, una voce acuta li interruppe bruscamente: - Timmy, che cazzo stai facendo? Lasciala in pace! – Una ragazza bionda, poco più grande di Gloria, irritata e seccata, comparve al suo fianco.
Timmy sgranò gli occhi nel vederla. – Ehi! Sei tornata! –
- Ma va’? – lo prese in giro lei con un sorrisino. – Tu, piuttosto. Non vedi che è solo una ragazzina sola che non sa che pesci prendere? E’ dall’inizio che vi guardo: è ovvio che non è una spia! –
Gloria rimase zitta, sebbene non le fosse piaciuto essere chiamata “ragazzina”. In effetti, l’unico che aveva potuto affibbiarle simili epiteti era stato Christian, ma...
- Dove stai andando? – le domandò la ragazza, spingendo indietro senza cerimonie Timmy.
- Verso Oakland, ma... –
Entrambi si lasciarono sfuggire un fischio. – La zona x – commentò lei.
- E poi mi dice che non sa un cazzo? – interloquì Timmy, sconcertato. – Cosa ci vai a fare? –
Gloria fu tentata di rispondere con un secco “cazzi miei”, ma si morse la lingua. Meglio non peggiorare la situazione. – Devo trovare una persona – si risolse a dire, alzando le spalle.
La ragazza inclinò il capo di lato come per riflettere, poi estrasse un foulard con la bandiera americana e glielo porse. – Mettilo bene in vista. Così non ti romperanno le scatole le altre gang – Gloria lo prese esitante. – La California è tutta divisa, ma se porti a bandiera si vede che sei dalla nostra parte e dovrebbero lasciarti in pace -.
- Ma lo sei davvero dalla nostra parte? – Timmy era ancora sospettoso, gli occhi rivolti a due fessure. Si rivolse alla ragazza: - Non possiamo lasciarla andare così! Dobbiamo portarla alla base -.
Lei alzò gli occhi al cielo – Non sapevo foste diventati così paranoici... va bene! Che palle -.
- Portarmi dove? – esclamò Gloria, piccata dal fatto che stessere decidendo senza manco degnarla di uno sguardo.
- Alla base. Murder City -.
 
 
Ahem... c’è qualcuno che si ricorda di me? Mi dispiace davvero moltissimo di aver lasciato passare così tanto tempo, ma tra scuola e un calo di ispirazione son passati due mesi T.T Spero di farmi perdonare con questo capitolo... e con aggiornamenti più frequenti (non sperateci troppo. La scuola nuoce alle fan fiction) Anyway... avete capito chi è la ragazza misteriosa?? Spero di sì... se no è un problema mio, non vostro ._. Non so che altro dire, se non che mi dispiace davvero e che spero che a qualcuno interessi ancora leggere questa storiella ;) Rage & Love

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Capitolo 20
*** Murder City ***


Capitolo dedicato a BJ <3 Happy birthday, Saint Billie! :*


Murder City

Luglio 2009
Christian si svegliò con un gran mal di testa, come se un  Martello gli stesse picchiando sulle tempie. Chiuse gli occhi con un sospiro, anche se il sonno ormai era scivolato via. Non altrettanto si poteva dire del volto che lo perseguitava nei sogni.
La schiena era a pezzi per il fatto di essersi addormentato sul sedile della macchina, praticamente incastrato tra la portiera e Sal. Lui dormiva ancora, e anche i due ai posti di guidatore e passeggero russavano della grossa.
Tentò di raddrizzarsi cautamente per non svegliare l’amico e fece mente locale, come ogni mattina da qualche tempo a quella parte. Sono Christian. Ho diciotto anni. Sto andando in California. Sto cercando di disintossicarmi. Un lungo sospiro. Non ho la più pallida idea di dove sia la ragazza che amo.
 
Potevano essere passati minuti come anni a quando Gloria se n’era andata lasciandolo lì. Da quel momento in poi, le giornate si erano susseguite pallide e slavate, con lui abbandonato a se stesso e alle sue pillole. Non aveva capito perché lo lasciassero stare lì come un morto vivente senza buttarlo fuori a calci nel culo. Forse gli faceva pena. E comunque non disturbava in nessun modo: semplicemente tentava di ricordarsi se valesse ancora la pena di vivere e, se no, cosa ci facesse ancora lì. La cosa migliore da fare probabilmente sarebbe stata spararsi un colpo in fretta, ma era troppo, troppo codardo. Era più comodo imbottirsi di medicinali fingendo che lo aiutassero a star meglio, mentre lo trascinavano sempre più nella tomba. L’unico pensiero lucido che ogni tanto si affacciava nella sua mente obnubilata era che Gloria non c’era più, Gloria se n’era andata perché lui non era stato capace di occuparsi di lei come doveva. All’inizio, forse, era stato arrabbiato con lei; poi con se stesso. Ora invece non provava più assolutamente nulla. Si era come scordato di essere vivo.
A farglielo ricordare era stata quella giovane donna che in un certo qual modo avevo sovrapposto all’immagine di Gloria. Buffo, perché non le somigliava neanche un po’ fisicamente... e a ben vedere, nemmeno di carattere. Tuttavia, quell’incontro gli aveva dato come una scossa elettrica. Svegliati, Christian! Cazzo, fai qualcosa!
Come prima cosa, avrebbe dovuto gettare nel cesso quelle dannate pillole, ma era abbastanza intelligente da sapere che interrompere di botto gli avrebbe solo causato crisi di astinenze, oltre alle sue solite, acute e insopportabili ormai. Dunque, bisognava diminuire le dosi, ma stavolta sul serio. Era stato allora che aveva fatto il secondo incontro che gli aveva salvato la vita.
Sal, Tunny e Alec venivano da New York ed erano diretti in California, come molti altri giovani.
La California era a pezzi. Letteralmente. Christian non avrebbe mai immaginato una situazione del genere: guerriglia continua, morti per le strade. Era uno spettacolo apocalittico e in casi così dovevi essere svelto a scegliere da che parte stare, perché era facile finire per terra nel proprio sangue per una parola sbagliata.
I tre ragazzi erano californiani di origine, anche se erano mancati da casa per molti anni; avevano deciso di tornare per dare manforte ai ribelli, o, come diceva Tunny, “a fare il culo ai bastardi del Governo”. Tunny non era estraneo alle proteste: cinque anni prima, aveva fatto parte di un gruppo anarchico, che poi aveva abbandonato dopo la strage di LA. Christian ricordava vagamente quell’episodio (aveva dodici anni all’epoca) ed era rimasto piuttosto sbalordito nel sentir raccontare la storia un po’ diversamente da come i giornali avevano riportato.
Tunny era fuggito ed era finito a New York, dove aveva messo su una band con Sal ed Alec, ed erano pure diventati moderatamente famosi.
“Ma casa è casa” aveva detto Tunny. “Non possiamo abbandonare così mamma California”.
In un impeto di buoni sentimenti e pietà (Christian non avrebbe saputo definirlo diversamente) avevano portato con loro quel ragazzino smarrito e mezzo drogato, completamente abbandonato a se stesso.
 
- Murder City? Che razza di nome è? –
Tunny si strinse nelle spalle. – Che devo dirti? Così mi hanno riferito. E’ la prima base che si trova. E la migliore. Chi lo sa, magari potrei incontrare qualche mio conoscente – Si mise a elencare tutti i tizi che avrebbe potuto o voluto incontrare, mentre Christian staccò il cervello, emettendo solo qualche sporadico “mmm”. Tunny gli stava simpatico, per carità, ma se iniziava a parlare, nessuno lo fermava più. Anche a lui sarebbe piaciuto incontrare una certa sua conoscente...
- E mi ricordo benissimo il giorno in cui si sono incontrati lei e Jesus! Lui era svenuto davanti alla porta di casa nostra e lei ci ha inciampato sopra! –
- Jesus è il tizio che ti manda tutte le informazioni? – si informò Alec, interrompendo quel fiume di parole.
- Proprio lui! Era davvero un bel tipo... strano, e un po’ fuori, forse, ma... mi è dispiaciuto che non fosse venuto con me a New York –
Sal alzò gli occhi al cielo e si voltò verso Christian. – Tutto bene? – si informò a bassa voce -.
Christian annuì abbozzando un sorriso. Sal era quello che lo teneva sott’occhio, nel senso che era lui che gli razionava le pillole e stava attento alle crisi. Gli piaceva, Sal, sempre molto calmo e impassibile, ed era rassicurante sapere di averlo accanto in quelle situazioni. Ma non era come avere Gloria, certo. Non sarebbe mai stato nulla come prima.
 
Gloria si ritrovò praticamente al centro di un cerchio composto da ragazzi e ragazze armati e dai vestiti strappati, i capelli spesso tinti di colori improbabili; l’unica cosa che accumunava quel bizzarro esercito era che, sotto forma di sciarpa o toppa, tutti mostravano fieri le stelle e le strisce.
Il capo, Gary, era un tipo quasi buffo, dato che era basso, con la testa tonda rasata; ma quando passava, tutti si scostavano con  rispetto. La bandiera americana, lui l’aveva addirittura tatuata sul braccio. Fissò Gloria direttamente occhi negli occhi, dato che era alto quanto lei. Al contrario di Timmy, non le chiese che una cosa: il suo nome. Poi alzò le spalle e decretò che poteva restare quanto voleva. Anzi, se avesse voluto unirsi a loro, sarebbe stata più che benvenuta. Detto questo, le voltò le spalle e se ne andò per i fatti suoi.
Gloria rimase ferma, con un palmo di naso. Tante storie, e poi la lasciavano lì, così? Anche gli altri ragazzi si dispersero in fretta, tornando alle loro incombenze e Gloria si guardò intorno, alla ricerca di quella ragazza che le aveva dato il foulard, o di Timmy, le uniche facce conosciute. Tuttavia, non vedeva nessuno dei due e infine decise di mettersi alle calcagna di Gary.
- Scusa! – gli gridò dietro. – Aspetta... vorrei chiederti una cosa! –
Gary la fissò quasi scocciato, in attesa.
- Per caso, conosci un ragazzo di nome Jimmy? E’ uno alto,un po’ mi somiglia... dovrebbe avere ventidue, ventitre anni circa -.
- Conosco tre Jimmy, ma nessuno ti somiglia- fu la risposta lapidaria -.
- Oh – Gloria fece un passetto indietro. – Capisco... ehm, grazie -.
- Senti, non ho intenzione di averti in mezzo ai piedi tutto il giorno: trovati qualcosa da fare, ok? – Gary si infilò le mani in tasca, osservandola. – Che so, va’ a fare la sentinella, fai amicizia con qualcuno...  basta che non intralci -.
Gloria spalancò la bocca, indignata, ma il fiume di insulti che avrebbe voluto riversare su di lui fu (provvidenzialmente) bloccato dall’arrivo di un latro tizio. – Gary! Tunny è arrivato! –
La bocca sottile di Gary si distese in un lieve sorriso. – Era ora -.
 
- Questa è Murder City? – domandò Christian stupito. Sembrava quasi un campeggio. Un campeggio malmesso, tra l’altro.
- Ti aspettavi una vera città? – ridacchiò Tunny. – E’ già tanto che abbiano le tende, cazzo! Ah, non vedo l’ora di ritrovare il vecchio Gary e tutti gli altri... Oh! – sgranò gli occhi nel vedere una ragazza bionda correre verso di lui. – Che ci fai qua? – le gridò, stritolandola in un abbraccio prima che Christian riuscisse a vederla bene in faccia.
- Tunny! – rise lei. – Quanto tempo! –
Christian fece vagare lo sguardo sulle teste dei ragazzi che li circondavano. E il suo cuore si fermò.

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Capitolo 21
*** Letterbomb ***


Letterbomb
18 Agosto 2004
 
Caro Jimmy,
non so nemmeno da dove iniziare. Non sapevo nemmeno se chiamarti così o Jesus, il nome che ti sei appiccicato addosso tu stesso. Ma poi ho deciso di usare quello più vero, di nome. Sì, mi rendo conto di arrampicarmi sugli specchi, ma non sono mai stata una persona coraggiosa. Imprudente, testa di cazzo, sì. Per una causa che reputo giusta, potrei fare anche la kamikaze. Ma poi, quando si parla di vita vera, di affetto e di amore, sono più inesperta e paurosa di una bambina. Una delle prime volte che abbiamo parlato, quel pomeriggio dico, ti dissi che avevi paura. Ma forse avrei dovuto aggiungere che avevo paura anch’io. Tu di St Jimmy, io di me stessa. Perché posso assicurarti che sono bravissima a fare la ragazza di una notte (è il mio lavoro) ma non quella che ti rimane accanto per tutta la vita. Non vuol dire che non fossi innamorata di te. Io ti amavo, Jimmy. Io ti amo. Non te l’ho mai detto, tu sì, invece, ma so che non ti importava. A me invece sì, ma non riuscivo. Scusa.
All’inizio, era... come un film per liceali. Lei incontra lui, si innamorano, hanno problemi come tutte le coppie, si riconciliano e vivono per sempre felici e contenti. Se il “sempre” è il presente senza futuro, allora in quei momenti avevamo il nostro lieto fine. Sai, quando ero poco più di una bambina e Mark mi rendeva felice in qualche modo,io gli dicevo “Ferma il tempo”. E sembrava si fermasse davvero.
Invece ha continuato a ticchettare inesorabile, come il timer di una bomba.
Come mai quel giorno te ne sei uscito con quella frase? Il mio cuore è una bomba a mano, hai detto, e ce l’hai in mano tu. Non capii. Tu sorridesti, mi baciasti, ma io continuavo a non capire. Ora capisco. Forse.
Sapevamo che non saremmo durati. A dire il vero, io pensavo che saremmo morti. Quelle manifestazioni sempre più violente, gli scontri, te che sputavi sangue... Non ti so dire se avessi paura della morte; sì, ci pensavo, ma non con lucidità e con chiarezza. La morte altrui non mi fa paura, di questo son sicura. Ed ecco dimostrato quanto io sia codarda, in realtà. Tu avevi paura, Jimmy? Non me l’hai mai detto.
Tornando a noi, le cose andavano bene, vero? Sì, a parte le ferite che ci beccavamo quasi ogni giorno, eravamo felici. O qualcosa di molto simile, che è meglio di niente. E allora, perché ti sto lasciando? Perché... perché non posso fare altrimenti. L’hai detto tu: il tuo cuore è una bomba a mano e la tengo in mano io. Ma io non voglio morire, Jimmy. Per questo ti sto lasciando.
Tu stai morendo. E io non posso salvarti. Se potessi farlo, credimi, non mi muoverei di un passo. Rimarrei al tuo fianco a tentare di disinnescare quella bomba. Ma ho capito che l’unico che può disinnescarla sei tu, e devi volerlo. Che io ci sia o no, è irrilevante.
Tu, senza dubbio, non sarai d’accordo. Sarai incazzato nero, lo so: brucerai questa lettere, ogni mia fotografia, spaccherai qualcosa, ti ubriacherai. Ma è la verità. Jimmy, tu non ti vuoi salvare. Non ora, almeno. Ti sei illuso che io potessi salvarti, quando io stessa faccio fatica a tirare avanti. Non ti sto biasimando per questo, sia chiaro: siamo umani, siamo deboli. Anch’io pensavo di poterti aiutare, in realtà. Ma l’amore non risolve tutto. Anzi, crea ancora più problemi. Dopo che ci siamo messi insieme, tu hai dovuto combattere contro te stesso ancor più di prima. Jimmy, andiamo: credevi non riconoscessi dei tagli “da lametta”? Io, che mi sono tagliata per anni? Ho rispettato comunque la tua decisione di non parlarmene, ma se te l’avessi chiesto, tu avresti negato, oppure mi avresti parlato di St Jimmy.
St Jimmy. Colui che ti ha reso il Jesus of Suburbia, che ti ha guidato per tutto questo tempo. Perché l’hai chiamato santo, non l’ho mai capito. Forse perché, sotto quella corazza, hai un disperato bisogno di credere in qualcosa, anche se falso. Hai ancora fede, dopotutto, e questa è davvero una bellissima cosa, perché io non ho più fede, e quindi speranza.
Solo, questa fede, Jimmy, dirigila verso qualcos’altro, che non sia “lui” o te stesso; o meglio, il te stesso che è il Jesus of Suburbia. Tu non sei il Jesus of Suburbia. Non lo sei, perché colui che ti ha dato quel titolo non esiste, non è mai esistito: l’hai creato tu. St Jimmy non è che il prodotto della rabbia che tuo padre ti ha lasciato dentro. Ma tu non sei fatto solo di rabbia, non è vero? Tu hai anche un cuore capace di amare. Lo so, l’ho visto. Sei fatto di rabbia e amore, sei spaccato a metà. E non sai mai cosa scegliere, vero?
Ti starai arrabbiando ora, perché non sono riuscita a dirti davvero il perché di questa lettera. Innanzitutto, se dovessi parlarti faccia a faccia, non riuscirei ad andarmene né a dirti tutto questo. Sì, scusa vecchia e stupida, ma è la verità, mi fai quest’effetto; te ne sei mai reso conto?
La ragione di tutto questo è... noi ci amiamo. E stiamo affogando insieme. Io tiro giù te, tu tiri giù me. Il tuo cuore ti ucciderà a lungo andare, ma ucciderà anche me perché lo stringo io. Io non voglio morire, Jimmy. E non voglio che tu muoia. Per questo me ne vado. Non ti faccio nessun tipo di promesse, né tantomeno previsioni. So solo che seguirò la scia di rivoluzioni, come ho sempre fatto, e tenterò di vivere. So che non mi seguirai, sei troppo orgoglioso per farlo, vero? Be’, è meglio così, credimi. Lascio questa città, che sta lentamente bruciando, lo sento nelle ossa. Se sia positivo o meno, dovresti dirmelo tu, che il fuoco ce l’hai nel sangue, nel petto e negli occhi.
Ciao, Jimmy. Non avere paura di lui. Scaccialo e se non basta, uccidilo. Ma accogli l’amore, il dolore o quel che tutto questo ti lascerà. Tutto, tutto, tranne lui. Perché tu non sei il Jesus of Suburbia: sei molto di più.
 
Ti bacio per l’ultima volta. Forse.
Non era una bugia tutto ciò che ti ho detto e che ti ho donato. So che lo sai, ma dovevo dirtelo.
 
La firma era uno scarabocchio illeggibile, forse anche perché la penna blu si era scaricata. Il foglio era stato strappato da un bloc  notes. Un angolo era macchiato di nero: smalto per unghie.
Fuori c’era rumore, un misto tra grida, fischietti, crepitio di fiamme. Il mozzicone di sigaretta nel posacenere era freddo, e anche il caffè, ormai. Il vetro della finestra rotta luccicava sul davanzale che pareva coperto di brina, mentre le macchie di sangue sul pavimento aumentavano a ritmo regolare, scandito dallo sgocciolio.
Un solo, singolo sparo risuonò.
 
 

Incredibile: ho aggiornato. Sì, lo so, sono passati mesi, ma non ho mai rinunciato a questa storia e spero davvero di riuscire a terminarla, ispirazione permettendo. Un grazie gigantesco a coloro che continuano a leggere nonostante tutto e in particolare a SweetRevenge MCR <3 A presto spero :3

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Capitolo 22
*** ¿Viva la Gloria? ***


¿Viva la Gloria?

Luglio 2009
- E tu cosa cazzo ci fai qui? – Christian e Gloria si ritrovarono a chiedere all’unisono, quasi fossero in un telefilm per adolescenti. A differenza di un telefilm per adolescenti, non scoppiarono a ridacchiare come idioti ma rimasero a guardarsi, se non in cagnesco, diciamo in modo alquanto sospettoso.
Insomma, a dirla tutta, Christian era davvero felice di rivederla, tuttavia avvertiva un certo risentimento iniziare a pungolarlo: avrebbe potuto restare comunque con lui, no? Lo aveva praticamente abbandonato, no? Sì, lui era comunque un coglione di proporzioni gigantesche, però un aiutino non sarebbe stato sgradito.
Quanto a Gloria, era un miscuglio di emozioni discordanti. Non si aspettava di rivedere così presto Christian, non si aspettava di provare il desiderio di stringerlo a sé e soprattutto, non si aspettava di provare una buone dose di sensi di colpa. Gloria non si sentiva mai in colpa. Tutto ciò che faceva, lo faceva per una buona ragione; e se per caso sbagliava, be’ ormai era fatta, no? Aveva sempre trovato piuttosto fastidiose le persone che piangevano sul latte versato, ragion per cui i sensi di colpa non facevano parte della sua gamma di emozioni. Solitamente, quantomeno.
Christian tossicchiò. – Dei tizi mi hanno dato un passaggio. Cioè, mi hanno praticamente accolto sulla loro macchina e io mi sono lasciato scarrozzare. Tu? –
- Oh, io sono qui per caso. Dubito che mi fermerò molto. Mi ha portato qui una ragazza, quella lì bionda -.
Cadde un silenzio stranamente goffo per loro, che un tempo trovavano sempre qualcosa di cui parlare, e anche quando stavano zitti, c’era un’atmosfera confortante e intima.
- Ehi Chris, voglio presentarti una mia amica... oh porca troia! – Tunny fissò Gloria con gli occhi fuori dalle orbite, un braccio ancora sulle spalle della ragazza bionda. Gloria alzò un sopracciglio.
Il giovane si voltò verso l’amica. – Tu... Gesù, te ne sei accorta anche tu, vero? –
Lei si strinse nelle spalle. – Certo – si scostò da Tunny e si allontanò velocemente.
Christina sbatté le palpebre. – Voi, ehm, vi conoscete? –
- No! – rispose Gloria irritata. – Anzi, sarei molto grata al tuo amico se la piantasse di fissarmi come se avesse davanti la Madonna! –
Tunny rise piano, gli occhi ancora increduli. – Un fantasma più che altro. Tu... be’, potresti essere la versione femminile di uno che conoscevo una volta -.
Ci volle qualche secondo perché l’importanza di quelle parole colpisse Gloria; poi lei si lanciò quasi su Tunny, gli occhi colmi di speranza. – Conosci mio fratello? –
- Non lo so se era tuo fratello – Tunny la osservò attentamente. – Io conoscevo un tizio di nome Jesus che, cazzo, era davvero uguale a te -.
Gloria sembrava sul punto di piangere dalla gioia. Lanciò uno sguardo trionfante a Christian, poi afferrò le mani di Tunny. – E’ lui! Quando l’hai visto l’ultima volta? Dove? Dimmelo, ti prego! –
Il sorriso di Tunny si spense in una smorfia triste. – Ragazzina... se sei davvero sua sorella... Io non so come dirtelo ma... penso che Jesus sia morto -.
 
Christian raggelò. Oh, cazzo. Morto. Dopo tutta la fatica, il dolore, l’amore di Gloria... lui era morto? Se glielo avessero raccontato, avrebbe riso; sembrava una di quelle barzellette amare che ti fanno ridere perché nella realtà piangeresti. Quelle storielle che descrivevano la vita così com’è, cinica e dura.
Gloria barcollò e Christian si domandò se sarebbe caduta. Ma no, si disse un secondo dopo, certo che no. Gloria non cadeva. Gloria non si spezzava. Gloria si consumava dall’interno, veniva divorata dai suoi demoni, che la rosicchiavano piano piano, così nessuno se ne accorgeva.
- Mi dispiace – disse Tunny a disagio.
- Come fai a sapere che è morto? – la voce era puro ghiaccio, come i suoi occhi. Teneva lo sguardo fisso, senza guardare davvero nessuno di loro. – Come? Hai forse visto il suo cadavere? Gli hai tenuto la mano mentre crepava? Come?! –
Tunny non si fece intimidire; alzò un braccio come per posarglielo sulle spalle, ma la ragazza si scostò; allora lui le afferrò la mano. – Ascoltami. Non lo so con certezza, lo ammetto. Ma cinque, quattro anni fa, in città c’è stata quella gigantesca fuga di gas con relativa esplosione... avrai sentito, no? E sai da dove è partita? Dal quartiere dove c’era il nostro vecchio appartamento e so che lui ci abitava ancora, ci eravamo sentiti. Dopo averlo saputo, ho chiesto in giro, ho telefonato a chiunque e nessuno ha più visto Jesus da allora. Giornali, telegiornali, liste di sopravvissuti... niente -.
- Non vuol dire un cazzo! Magari è sopravvissuto e se n’è andato! O è rimasto lì! –
- In mezzo a macerie? A fare che? Quella città non è mai stata ricostruita – Tunny sospirò. – Jesus era mio amico. Gli avevo lasciato il mio indirizzo di New York, poteva venire da me. O tornare a casa sua, da te. Perché sarebbe dovuto restare lì? –
- Non lo so, d’accordo? – strillò Gloria. – Non lo so! Contento? Ma Jimmy non è morto! Lo sentirei! –
Si allontanò come una furia. Christian fece un mezzo passo avanti, ma cambiò immediatamente idea: era inutile cercare di parlarle quando faceva così, senza contare che tra loro i rapporti erano ancora tesi.
Si voltò verso Tunny. – Pensi sia davvero morto? Il fratello -.
Tunny si morse il labbro. – Chris, è sopravvissuto un quarto degli abitanti. Jesus, o Jimmy come lo chiama la ragazzina, sinceramente aveva smesso già da tempo di vivere, dopo che... – sbuffò – Lasciamo stare. Sì, penso sia morto, ma il bastardo aveva un culo niente male. Forse la sorellina ha ragione. Ma tu come la conosci, cosa c’entri in tutta ‘sta storia? –
- Troppo lungo da raccontare – tagliò corto Christian. – Siamo partiti insieme, cioè lei mi ha trascinato in questa... questa... – non sapeva esattamente come definire la situazione in cui erano. Tunny lo tolse dall’imbarazzo: - Merda. Questa fottuttissima merda -.
 
Ai confini di Murder City scorreva un fiumiciattolo, un misto di fango e liquami; Gloria era andata a rifugiarsi lì e lì Christian la trovò, quasi per caso. In effetti, non era stata sua intenzione cercarla, voleva lasciarla bollire un po’ nel suo brodo. I suoi piedi erano stati però di un altro parere e così il suo cuore.
Gloria era rannicchiata per terra, un ammasso di pelle nera, capelli arruffati e mascara sbavato. Tra le dita tremanti stringeva una sigaretta da cui aspirava nervosamente.
Christian rimase in piedi dietro di lei. – L’ultima volta cha hai fumato avevi quindici anni e dopo due boccate hai sputato anche l’anima. Per di più, l’odore di fumo ti fa schifo – le fece presente.
Gloria non si girò a guardarlo. – Non posso cambiare idea? –
- Non lo fai mai. Chi te l’ha data? –
- La tipa bionda. L’amica del tuo amico. Se n’è andata – aggiunse – Non so dove; non so nemmeno come si chiama, a dirla tutta – Si voltò verso di lui. – Il pensiero che Jimmy sia morto non mi ha mai nemmeno sfiorato. Lui doveva essere vivo, perché sì, perché lo sentivo. Manco fossi un fottuta sensitiva -.
Christian si accucciò accanto a lei. – Quindi ora che vuoi fare? –
- Non lo so. Forse è morto davvero e allora nulla ha più senso per me -.
E io? Avrebbe voluto chiederle Christian, ma rimase zitto. Poi Gloria lo fissò negli occhi con i suoi arrossati, mostrando le strie nere lungo le guance smagrite. – Sono una stronza, lo so. E un’ipocrita. Ti ho urlato contro, ti ho disprezzato per la tua dipendenza. Ma anch’io sono drogata, drogata da quest’idea che mio fratello mi stia tranquillamente aspettando. Non è vero – affondò il viso tra le mani e scoppiò in lacrime.
Christian si mosse per abbracciarla ma poi lasciò cadere le braccia e si limitò a stare accanto a lei senza una parola, sperando che bastasse. Alla Gloria che conosceva sarebbe bastato, ma alla ragazzina dal cuore spezzato che gli piangeva davanti? Non ne era sicuro.
 


Ehilà punkers ;) Come procede questa non – estate? La mia costellata di versioni di greco, già. E pioggia, ovviamente. Bene, che ne pensate di questo capitolo? La discesa di  Gloria nell’oscurità? Ci tenevo a pubblicarlo perché la prossima settimana parto, e farò ritorno solo a settembre e.e
Vi mando i saluti di St Jimmy: è sparito per l’estate, penso che farà ritorno tra qualche settimana più stronzo che mai ^^ Grazie ai recensori: OriginalPrankster, SweetRevengeMCR e nobodylikeme e a tutti i lettori :3 Avete sentito probabilmente che i puffi verdi saranno in tour l’anno prossimo?! *^*
Ps: mi ero dimenticata una cosa molto importante! Allora, volevo ricordare che tutti i capitoli di Jimmy sono flashback, mentre quelli di Chris e Gloria sono il presente, diciamo, accaduti cinque anni dopo. Dunque nel presente Chris e Gloria hanno 17 - 18 anni, Jimmy 22 circa u.u Giusto per ricordarvi, perchè dubito si capisca nella storia 

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Capitolo 23
*** Restless heart syndrome ***


Restless heart syndrome

Luglio 2009
Gloria non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase lì, seduta nel fango, a piangere. Avvertiva la presenza di Christian accanto a lei, ma era come se fosse sola, completamente rinchiusa in luogo inaccessibile per chiunque. Ed era meglio così: aveva bisogno di sfogarsi e di farlo in solitudine; solo quando si fosse riappacificata con se stessa, sarebbe riuscita ad accettare di essere consolata da altri.
Stupida. Stupida ragazzina con uno stupido cuore troppo irrequieto, ecco quel che era. Per tutta la sua breve vita aveva cercato nemici da combattere, mostri da sconfiggere, solo per rendersi conto (in ritardo come sempre) che era lei il suo nemico e che il resto erano solo mulini a vento.
Una volta, tanto tempo prima, Christian le aveva detto che avere il proprio corpo contro era orribile; avere una parte di te che cerca di sopraffarti è terribilmente frustrante, e spaventoso, anche. Non puoi fidarti degli altri, non puoi fidarti di te stesso... di chi, allora? Forse, solo di Dio.
E poi c’era il dolore, certo. Gloria naturalmente non aveva mai subito un attacco come quelli di Christian, non aveva mai provato un dolore fisico così intenso; ma c’era quello del cuore, altrettanto bruciante, come se vi fosse un buco da cui scivolava via il sangue, lento e corrosivo. Jimmy...
Spiò tra le dita la figura ancora immobile di Christian: aveva lo sguardo perso tra i ciottoli del rigagnolo, le labbra strette in una riga. Appariva malaticcio come lo era sempre stato da quando si conoscevano; non gli aveva nemmeno chiesto se aveva avuto attacchi durante il viaggio, se prendeva ancora gli psicofarmaci... Come al solito, “io” era la parola che campeggiava nella sua mente.
Prese un profondo respiro e si passò le mani sotto gli occhi, macchiandosi ancora di più gli zigomi; poco male, a nessuno fregava un cazzo che sembrasse o meno un panda.
Christian ai suoi movimenti alzò lo sguardo e Gloria, incrociando quegli occhi, nonostante tutto, tanto buoni, sentì di amarlo davvero, come forse non l’aveva amato neanche la loro prima notte insieme.
Lui non le fece domande idiote della serie “Come ti senti?”, ma si limitò ad abbozzarle un sorriso e a tenderle la mano. – Andiamo. Tunny mi starà cercando -.
Gloria gli afferrò le dita, ricambiando il sorriso e sentendosi contemporaneamente la stronza delle stronze per averlo trattato... be’, come lo aveva trattato. Non che lui fosse uno stinco di santo, per carità, ma lei... “Esageri sempre, cazzo!” La voce irritata e insieme divertita di Jimmy la colpì come una pugnalata nelle costole; vacillò e si piantò i denti nella lingua per non piangere di nuovo.
Si lasciò guidare da Christian per l’accampamento senza registrare davvero la direzione, finché non avvertì il vociare sempre più intenso e un profumo di cibo stuzzicarle il naso; all’improvviso si rese conto che stava davvero morendo di fame.
Senza lasciare la mano di Christian, si guardò intorno, registrando finalmente i tavolacci buttati quasi a caso qui e là e la cucina all’aperto allestita alla bell’e meglio.
Con il cielo che andava scurendosi, tutti i ragazzi stavano affluendo lì in fretta, chiacchierando e cercando di indovinare che cosa ci fosse per cena. Sembrava una scena così... normale, più consona a un campeggio che a un accampamento di rivoluzionari, o quel che era.
Christian la guardò. – Hai voglia di mangiare? –
Gloria annuì e lui sorrise. – Bene. Aspetta però -. Estrasse un fazzoletto di carta tutto stropicciato e le pulì gli zigomi e le guance. – Se no, sembri appena tornata da una guerra -.
Si misero in fila con gli altri e Gloria si stupì nel notare che alla postazione del cuoco c’era il capo in persona, Gary, il quale al momento buttava abbondanti manciate di sale nella pentola. Sembra che in questo posto non ci sia logica. E se c’è, non la capisco.
 
Più di ogni altra cosa, a Gloria era mancato dormire con Christian. Dormire e basta, abbracciata a lui, anzi aggrappata a lui. Il fatto che non l’avesse mai scrollata via nel sonno la sbalordiva ancora.
Ovviamente col senno di poi fu un bene che fosse così avvinghiata alla schiena di Christian, perché si accorse subito dei tremiti che lo scuotevano.
- Porca puttana – esalò. – Chris! Christian, svegliati! –
Non la sentiva, era inutile. Provò ad afferrargli la spalla, ma era impossibile. Che devo fare?
- Christian! – il tono della sua voce rasentava l’isteria; ne prese coscienza, ma il pensiero passò veloce nella sua testa senza suscitare reazioni.
- Cos’è tutto ‘sto casino? – fece una voce dall’ingresso della tenda. Probabilmente uno dei vicini era stato svegliato.
Gloria non si preoccupò nemmeno di voltarsi, figurarsi rispondere: tutti i suoi sforzi erano concentrati nel prendere il viso di Christian tra le mani e impedire che si mordesse la lingua o soffocasse.
- Dio santo! Ehi, c’è uno che sta male! –
Non le importava dei passi e delle voci che si avvicinavano, vedeva solo il viso bianco di Christian e i suoi movimenti convulsi. Ti prego, ti prego...
Poi qualcuno la afferrò per le spalle e la scostò; lei incespicò, lasciandosi sfuggire un mezzo grido. – No! Ha bisogno di aiuto, devo calmarlo...! –
- Sta’ buona lì, ci penso io – rispose una voce ruvida. Gloria si ritrovò tra le braccia di una ragazza che le impedì di muoversi, e osservò sconvolta Gary e una altro paio di ragazzi afferrare Christian e tenerlo fermo. Tentò di divincolarsi, allungando una mano verso di lui, ma Gary abbaiò, senza nemmeno alzare lo sguardo: - Mandy, portala fuori! –
Due braccia magre la costrinsero verso l’uscita della tenda, nonostante i suoi strattoni disperati; nelle pupille le bruciava l’immagine di Christian in preda al dolore.
- Calmati, su! – registrò le parole ma era come se non le capisse; sulla mente le era calato uno spesso velo nero e l’unica cosa che al momento comprendeva era Christian, e il fatto che fosse davvero in pericolo. Era la prima volta che subiva un attacco durante il sonno: per quanto dolorosi fossero, erano sempre arrivati quando lui era cosciente e, in qualche modo, capace di controllarli.
Aveva paura, tanta paura. Come forse non ne aveva mai provata in vita sua, gelida e solida come ghiaccio. Era la paura di perdere qualcuno, anzi l’unico che le fosse rimasto. Niente più Jimmy... presto anche niente più Christian?
Avvertì che qualcuno le batteva sulla spalla; alzando lo sguardo perso, incrociò quello di una ragazzina tutt’ossa coi capelli tagliati male, che la fissava preoccupata. – Te stai bene? –
Gloria scrollò le spalle senza risponderle; a dire il vero, trovava difficile spiegare a parole come si sentiva, e anche se ci fosse riuscita, dubitava che chiunque altro avrebbe capito. Era egoista del suo dolore, voleva tenerlo per sé. Dopotutto, aveva permesso solo a pochissimi di leggerla davvero e quella ragazzina, per quanto i suoi occhi fossero duri e consapevoli, per lei non era nessuno.
- Gloria? – poteva essere passato un secondo come un’ora quando si sentì chiamare. Alzò lo sguardo svogliata e riconobbe Tunny, l’amico di Christian... e di Jimmy.
Lo fissò senza parlare e lui fece un sorriso tirato. – Sta bene ora. Si è svegliato -.
- Dav- davvero? – Dio, aveva balbettato sul serio?
- Certo, ragazzina - si intromise Gary, che usciva in quel momento dalla tenda. – Come nuovo, il tuo ragazzo -.
Gloria non poté trattenersi: di slancio, buttò le braccia al collo di quel buffo ragazzo, che in riposta le regalò un paio di rigide pacche sulla schiena.
- Grazie -.
Gary si staccò con un cenno del capo e se ne andò in fretta sotto lo sguardo ora divertito di Tunny; anche Gloria si concesse una risatina, poi si voltò ed entrò nella tenda. L’unica cosa che voleva in quel momento era stringere la mano di Christian tra le sue e dirgli, e sentirsi dire, che sarebbe andato tutto bene.
 
 
E rieccomi, stranamente puntuale. Ma che brava che sono :3
St Jimmy: Non commenterò.
Oh, per sua grazia divina, è tornato il Santo. Ovviamente, solo per rinfacciarmi il fatto che IO debba andare a scuola (e affrontare la maturità) e LUI no.
St Jimmy: Mi pare ovvio, scusa.
*rotea gli occhi* Be’, tanto per cominciare, spero che il ritorno sui banchi, o a lavoro per chi ha già raggiunto l’indipendenza economica, sia andato bene ^^ Non sono pienamente soddisfatta di questo capitolo (NdSt Jimmy: Strano) ma spero vi piaccia. Al prossimo tornerà Jim... ora che ci penso, dato che sarà Wake me Up when September ends, avrei dovuto pubblicarlo questo mese... be’, pace u.u Grazie alla mia fedelissima SweetRevengeMCR e a voi, o silenti lettori. E siccome sto diventando una nerd coi fiocchi vi lascio la mia pagina tumblr.
St Jimmy: Sfigata >.>
 
PS: se vi state chiedendo come cacchiarola abbia fatto Gary a calmare Christian... be lui aveva un fratellino che soffriva di attacchi epilettici, dunque sa cosa fare in casi del genere. Si vede che adoro Gary? Mi vien voglia di scrivere qualcosa solo per lui <3

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Capitolo 24
*** Wake me up when September ends ***


Wake me up when September ends

10 Settembre 2004
Il temporale era scoppiato senza preavviso; aveva piovuto per tutta la notte senza interruzioni fino alla mattina.
Tunny si appoggiò allo stipite della porta sospirando. Cosa doveva fare? Spingerlo di peso fuori dal letto? Sedergli accanto e parlare come a un malato terminale? Gesù, non era mai stato in una situazione del genere. O meglio, sì, certo che era stato mollato, come probabilmente a chiunque era successo; e a volte c’era stato male, altre volte no, ma mai si era rifiutato di alzarsi dal letto e parlare con la gente. Quella depressione (non sapeva come altro chiamarla) era totalmente all’infuori della sua sfera di comprensione. Forse non aveva mai amato quanto Jesus. Forse Jesus non ci stava granché con la testa. Pazzo o meno, però, era comunque suo amico. E si rifiutava di lasciarlo lì a marcire, soprattutto con il gran casino che stava succedendo fuori dalla porta.
Si avvicinò all’involto di coperte che un tempo era stato Jesus. Si schiarì la voce: - Jesus? Amico, dai, alzati. Non puoi restare qua per sempre -.
Si aspettava una replica velenosa, della serie “ah, non posso?”; sarebbe già stato qualcosa. E invece, silenzio totale. Tunny sospirò e si piegò per posare una mano dove intuiva ci fosse la spalla.
- Ascoltami, io capisco tutto. Davvero. Ma mi rifiuto di credere che il figlio di puttana che si è battuto con tre poliziotti ora rifiuta persino di alzarsi dal letto! Dio! – prese un profondo respiro. – Io non lo so che cazzo è successo tra te e lei e sai che ti dico? Non mi importa. Mi importa del fatto che sei lì da una settimana! Mi hai sentito? Una fottutissima settimana! E se non ti alzi e butti giù qualcosa, giuro su Dio che ti butto giù io! –
Non era da Tunny sbraitare così e infatti, non appena chiuse la bocca, si sentì in colpa. Ma quel che è troppo è troppo, anche per uno tollerante e bonaccione come lui. E siccome era anche uno che non lanciava minacce a vuoto, si preparò seriamente ad assestare un calcio nel culo di quell’idiota.
- Che te ne frega? –
Si bloccò a metà della rincorsa, incredulo. – Prego? –
Jesus non si mosse, tuttavia la sua voce aspra ripeté: - Che te ne frega di quel che faccio? –
Tunny si sedette sul bordo del letto stringendosi nelle spalle. – Siamo amici, no? Almeno, io ti considero mio amico. E, be’, ho sempre dato per scontato che gli amici si preoccupino l’uno per l’altro, specie quando sono nella merda. Tu non credi? –
 
Amici. Che buffo. Aveva sempre avuto difficoltà a relazionarsi con gli altri ragazzini, ai tempi della scuola, e infatti il suo primo vero amico era stato Dan. Da quel momento in poi, aveva avuto solo compagni di bravate e seguaci, ma mai nessuno con cui parlare davvero, con cui condividere le cose e semplicemente star bene.
Tunny gli voleva bene ed era preoccupato sul serio per lui; e in fondo in fondo al suo dolore e allo strato di apatia che si era costruito, Jimmy avvertì l’affetto per quello scemo scaldarlo.
Ma niente, niente avrebbe potuto distoglierlo dalla realtà, ovvero che lui non era più un cazzo. Lei aveva ragione: non era Jesus, era solo un ragazzino stupido e innamorato... ora senza più nessuno. St Jimmy era un’illusione, dunque buona parte della sua vita era un’illusione. Forse avrebbe dovuto solo tornare a casa, dalla sua Gloria.
Sospirò e sbirciò da sotto il lenzuolo: Tunny evidentemente aveva desistito, tuttavia gli aveva lasciato una tazza di cereali sul comodino. Più per fargli un piacere che per latro, si costrinse a buttar giù qualcosa, ma dopo due cucchiaiate avvertì il senso di nausea risalirgli lo stomaco. Lasciò perdere e seppellì il viso nel cuscino.
Nell’aria c’era ancora un leggero odore di bruciato: le ultime tracce delle foto di lei, che aveva bruciato nel disperato tentativo di cancellare il suo viso. Ovviamente, era stato tutto inutile, la sua immagine continuava a danzargli nella mente, indomita e bellissima. Si era imposto di non pronunciare mai più il suo nome, di seppellirla a fondo nei meandri della sua mente e del suo cuore, ma non avrebbe funzionato.
Paradossalmente, ora St Jimmy gli sarebbe stato utile; la violenza gli avrebbe fatto dimenticare il dolore, la rabbia avrebbe fagocitato l’amore, anche solo temporaneamente. Ma il bastardo non si faceva vedere da giorni, il che era strano: St Jimmy era lui, era una fottuta proiezione della sua mente, perché allora non veniva fuori? Che cazzo di problemi mentali aveva?!
Sapeva di non potere rinchiudersi per sempre nella sua stanza; almeno... almeno per tutto settembre. Sì, avrebbe dormito per tutto il mese, come in letargo e quando si sarebbe svegliato, avrebbe potuto riprendere la sua vita. Se ce l’avesse avuta ancora.
Settembre... Jimmy non aveva mai creduto molto alle coincidenze, ma sinceramente nemmeno al destino; eppure, settembre era sempre stato... be’, di merda. Quando aveva dieci anni, se n‘era andato suo padre lasciandoli soli; ora lei.
Ricordò la sensazione orribile che l’aveva colto nel sapere di essere solo, la convinzione di essere lui la causa di tutto e la responsabilità del prendersi cura di sua madre e di sua sorella. La solitudine l’aveva sempre accompagnato da lì in poi, solitudine e senso di colpa.
Si accorse di star piangendo silenziosamente, i pugni stretti come un bambino e le lacrime che andavano a inzuppare il cuscino; no, lui era ancora quel bambino abbandonato dal padre, dimenticato dalla madre e con una sorellina da consolare. Non era mai cresciuto, quei sette anni non erano mai passati. Settembre non era mai finito.
 
- Jesus, devo parlarti. E’ importante -.
Jimmy si rivoltò tra le lenzuola, sentendo il tono serissimo di Tunny ed emerse dal sonno letargico, l’ennesimo.
La prima cosa che notò fu che il viso solitamente allegro e pieno dell’amico era più pallido e tirato, come se fosse preoccupato. Indossava una maglietta nera stinta, diversa dalle sue solite irreverenti.
- Stavo pensando seriamente di andarmene, Jesus – Jimmy aggrottò la fronte. – Ascolta, là fuori è un gran casino. Stanno facendo rastrellamenti, arresti di massa. Metà di noi è... andata. Lo ammetto, Jesus, ho paura. Per cui io e gli altri della band abbiamo deciso di trasferirci a New York. Almeno finché la situazione non si raffredda, e vorrei che tu venissi con noi -.
- Grazie. Ma non verrò – Non ci dovette nemmeno pensare. Non gliene fregava un bel nulla di dove posare il culo e al momento il suo ultimo desiderio era spostarsi.
- Jesus, è pericoloso, cazzo. Rischi di avere la testa spappolata se ti azzardi a mettere il naso fuori di casa, e non solo. Non ci si può fidare di nessuno e... –
- Tunny – Jimmy si rizzò sul letto. – Non me ne fotte niente. Di quel che succede là fuori, se mi arrestano o meno. Davvero, voglio solo essere lasciato in pace -.
- Mi rifiuto di lasciarti qui! Porca puttana... –
Jimmy non rispose; non avrebbe ottenuto nulla, sapeva che Tunny lo avrebbe trascinato in una conversazione senza fine, colma di imprecazioni e preghiere. E aveva ragione, anche, ma lui non se ne sarebbe andato, perché non gli importava. Perché era più facile star seduto senza far nulla che combattere. Per tutta la sua vita non aveva fatto altro che buttarsi a testa bassa contro mulini a vento: era ora di piantarla lì, di ammettere la sconfitta e dire addio a Jesus of Suburbia. Non era mai esistito, aveva ragione lei. Aveva sempre avuto ragione lei.
 
Tunny partì un paio di giorni dopo, solo suo malgrado. Aveva l’oscuro presentimento che non avrebbe rivisto mai più Jesus. Sì, gli aveva fatto promettere di farsi sentire e tutto... ma aveva paura, sul serio. Si pentì di averlo lasciato solo non appena richiuse la porta, ma cosa avrebbe dovuto fare? Sollevarlo di peso? Non che si sarebbe fatto problemi, ma non poteva e non voleva certo obbligarlo. Chissà... una cosa dava  per certa: il Jesus che aveva conosciuto mesi prima era morto.  Se fosse un bene o un male. Tunny non avrebbe proprio saputo dirlo.
 


Un po’ in ritardo ma eccovi il capitolo!
St Jimmy: Il capitolo delle pippe mentali.
Non posso darti torto stavolta.
St Jimmy: Ci mancherebbe!
Cosa devo dirvi? Che mi dispiace se è venuto una schifezza perché Wake me up when September ends è la mia canzone preferita in assoluto, la prima dei nani che è ascoltato <3 Ah, quanti ricordi...
St Jimmy: Lascia stare i flashback, tanto non li distrai dal fatto che hai scritto tante s******e. E levami ‘sta censura!
Passiamo ai ringraziamenti *ignora il fumo che esce dalle orecchie del santo*  OriginalPrankster che mi ha fatto ascoltare il predicozzo di St Jimmy – St Jimmy: Tanto se l’aspettava, no?- (tranquilla, ti ha già perdonata) e tutti i lettori. Alla prossima!
 
PS: Qualcuno a novembre va al Lucca comics?? :3

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Capitolo 25
*** Homecoming ***


Homecoming


19 Ottobre 2004
I The death of St Jimmy
Tunny gli mancava. Jimmy giocherellò con la tazza di caffè in bilico sulle ginocchia. Santo cielo, era davvero incapace di cucinare qualunque cosa, persino del caffè. Ingollò comunque quell’intruglio amaro e si guardò intorno. Bene. Che fare?
Lanciò un’occhiata distratta alla finestra; da qualche giorno sembrava che la situazione si fosse rasserenata e non c’erano più stati disordini gravi. Non che lui avrebbe comunque preso parte a manifestazioni o marce: era da tempo che non gli interessava più quella roba, ma la confusione fuori lo avrebbe aiutato a uscire un po’ dalla sua apatia. Anzi, non era più indifferenza e basta: ora, sentiva un fondo spesso di malinconia e nostalgia. Sempre più volte si sorprendeva a fissare il vuoto ricordando la sua infanzia e Jingletown; le cose belle, ma anche le varie stronzate che aveva fatto e i dolori che aveva vissuto. E anche inferto, sì. Chissà come stavano Mary Jane e tutti gli altri, i suoi seguaci. E Dan... Un momento. Dan era morto, era morto da un sacco di tempo. Che andava a pensare? Al massimo, poteva passare sulla sua tomba e salutarlo, rigorosamente senza fiori, perché Dan li avrebbe detestati. Passare sulla sua tomba avrebbe significato tornare a casa... da sua madre... da Gloria. Perché non farlo e basta? Cosa lo tratteneva ancora lì? Non c’era più nemmeno St Jimmy a spingerlo da qualche parte, a guidarlo lungo le strade buie che aveva percorso. Sì, perché nonostante tutto, St Jimmy l’aveva aiutato a farsi largo in quella città tentacolare. Forse nel modo sbagliato, ma qualcosa aveva fatto. Avrebbe voluto avere qualcuno con cui parlare, litigare anzi; era così tanto tempo che non si sentiva vivo... forse l’ultima volta era stata con... con...
Jimmy si alzò di scattò dal divano e si catapultò quasi fuori dalla porta, alla ricerca di aria e gente. Tuttavia il vecchio quartiere era desolatamente vuoto: i giovani come lui che di solito animavano quelle vie sporche, i  ragazzini dall’aria furba che li seguivano come ombre si erano volatilizzati.
Jimmy deglutì. Provò quasi l’impulso di mettersi a chiamare per vedere se c’era qualcuno, nascosto in qualche vicolo o dietro le tende scolorite di una finestra. Provò sollievo fisico nel notare un gatto ossuto che sbucava fuori da dietro un bidone dell’immondizia, guardandosi intorno con guardinghi occhi gialli. Jimmy si accovacciò per terra e allungò una mano verso l’animale, che lo scrutò sospettoso ed infine decise di fidarsi abbastanza da avvicinarsi; gli concesse qualche carezza sul pelo spelacchiato mentre Jimmy sospirava. -  Sembra che siamo rimesti io e te, micio -.
L’occhio gli cadde su un giornale stropicciato a terra, calpestato e umido. Era di qualche giorno prima e Jimmy inclinò il capo per leggere l’articolo. Parlava del ritrovamento di un cadavere nella baia; oh be’, che strano, un altro morto. Jimmy sospirò, continuando a grattare le orecchie del gatto. Secondo il giornalista, la vittima era un uomo sui vent’anni, capelli scuri, piercings, nessun documento; causa della morte non era stato l’annegamento bensì un colpo di pistola alla testa. Nient’altro: unico labile indizio per l’identificazione, una cicatrice sul polso sinistro.
Jimmy raggelò. Non era possibile. Lentamente, si portò la mano sinistra davanti agli occhi e la voltò piano. Eccola lì, la sua cicatrice, pallida e frastagliata. Si era tagliato solo una volta in vita sua ed era stato più per il gusto di spaventare un po’ che reale voglia di auto lesionarsi. Santo Dio... capelli scuri, piercing al sopracciglio, una ventina d’anni...
Il gatto lo fissava, indispettito forse perché aveva smesso di carezzarlo. Be’, lui chiaramente lo vedeva e lo sentiva. Calma. Non era morto. Era una coincidenza, doveva essere una coincidenza...
Però. Però... c’era una persona che gli assomigliava tantissimo, anzi che era la sua copia sputata. Solo che non era una persona. Non reale, quantomeno. Come poteva essere il corpo di St Jimmy, quello, lui che non aveva corpo? Come... come...
Era per questo che non si era più fatto vedere? Era per questo che si sentiva vuoto, come se fosse morta una parte di lui?
 
II East 12th  Street
Perché sono qui? Ottima domanda. Lui non entrava in un ufficio lindo e pulito a cercare lavoro. Jesus of Suburbia non si sarebbe mai abbassato a tanto. Piantala, si disse con stizza, non sei più Jesus. Non sei più niente, non hai più niente, nemmeno St Jimmy...
- Il prossimo! –
Jimmy balzò in piedi e si avvicinò alla scrivania dell’impiegata, passandosi nervosamente una mano sui jeans. La donna lo osservò con qualcosa che lui non riuscì a definire, stupore probabilmente. Forse anche disprezzo e Jimmy non poteva proprio biasimarla, visto lo schifo che al momento provava per se stesso. Dopo aver sbandierato in lungo e in largo il suo odio per quel mondo e le sue istituzioni, eccolo tornare strisciando in grembo a zio Sam. Ma cosa doveva fare? Non aveva più la passione per lasciarsi morire di fame per rispetto vero i propri ideali, se mai l’aveva avuta. Per cui, doveva trovarsi un lavoro.
- Nome? –
Jimmy lo disse a bassa voce, come se temesse di farsi sentire da qualcun altro.
- Che tipo di lavoro cerchi? –
Jimmy scosse il capo. – Qualunque cosa... non è che abbia specifiche capacità – ammise.
La donna sospirò, l’espressione leggermente ammorbidita. – Ragazzo... ti rendi conto che ci sono persone con qualifiche che cercano davvero un lavoro? –
- Certo – rispose. – Non sono un idiota. Le ho detto che mi va bene qualsiasi cosa... anche stura cessi, per quanto mi riguarda -.
Lei lo guardò, poi gli porse alcuni fogli. – Compilali, dai, vedo cosa posso fare -.
 
Alla fine, il lavoro glielo trovarono. Più o meno: si trattava di un compito da passacarte, in realtà piuttosto noioso e deprimente, ma Jimmy non si lamentò. Non era più il ragazzino sciocco che sfotteva a ogni piè sospinto, convinto di essere il re del mondo. Anzi, il dio del mondo. E poi, quel lavoro meccanico gli consentiva di pensare, di vagare con la mente, sognare. Era come quando si drogava, senza però le conseguenze spiacevoli dello spinello e della coca.
Proprio davanti alla sua postazione, era seduta una ragazzina pallida dagli occhioni spenti che svolgeva praticamente il suo stesso lavoro. Jimmy avrebbe voluto parlarle; gli sembrava così giovane e così triste... chissà perché. Forse era rimasta sola, come lui. Avrebbe potuto invitarla a uscire, anche solo per scoprire come sorrideva. Probabilmente da bambina, con le fossette sulle guance. Però non lo faceva mai, non le diceva nemmeno ‘buongiorno’ la mattina. Eppure si sentiva così solo, costantemente. La sera, dopo il lavoro, si attardava in un piccolo pub a fumare e bere caffè (erano secoli che non toccava alcol) sempre solo, e ricordava quando era circondato dagli altri, disperati par suo, che si facevano forza a vicenda e parlavano, parlavano.
- Posso? – alzò lo sguardo dal fondo scuro della sua tazza e con sorpresa vide la ragazzina pallida dell’ufficio che indicava la sedia. Le fece un cenno con la sigaretta e lei sedette, i capelli puliti e la camicetta in ordine.
Rifiutò con cortesia una sigaretta, ma si versò una dose generosa di caffè. Poi disse: - Hai mai pensato al suicidio? –
Jimmy osservò la cenere sul tavolo. – Sì. Credo -.
- E? –
- Penso che non lo farò mai. Non ho abbastanza coraggio -.
Lei sospirò. – Io sì. Sono così stanca, sai. Se muoio, potrò riposare -.
Jimmy inclinò il capo di lato. – Perché mi dici queste cose? –
Lei si strinse nelle spalle. – Mi andava di parlare con qualcuno e ho pensato che tu avresti capito -.
 
III Nobody likes you
Gloria gli sorrideva dolcemente, tendendo le braccia per farsi sollevare in aria. Jimmy tentò di correre verso di lei, ma gli sembrava di avere i piedi incollati al suolo.
- Jimmy! Vieni dai! –
Aprì la bocca per scusarsi, per dirle che non riusciva a muoversi, ma a quanto pareva non riusciva neanche a palare.
- Jimmy – si voltò di scatto, riconoscendo quella voce, la chiamò, ma lei non si vedeva da nessuna parte.
E lui era sul divano di casa sua, in realtà, la faccia contro il bracciolo e la gamba in una posizione contorta.
Doveva essere notte tarda, o al massimo mattina presto, perché il cielo al di là del vetro era di un blu scuro striato di nuvole. La televisione era rimasta accesa dalla sera prima, un ronzio rassicurante di televendite, telegiornali notturni, programmi porno. Jimmy fissò inebetito quelle immagini colorate, senza che gli trasmettessero alcun senso; tuttavia non spense né abbassò, ma spostò invece lo sguardo sul tavolinetto crepato davanti a lui; c’era una tazzona di caffè ormai vuota circondata da aloni appiccicosi e bustine di zucchero. Non ricordava con esattezza quanti caffè avesse bevuto; la cosa più sorprendente era il fatto che si fosse addormentato con tutta quella caffeina in corpo.
Si stropicciò per bene gli occhi e si guardò intorno; la solitudine lo colpì senza preavviso , fredda e spietata e lui desiderò terribilmente il conforto di un’altra persona che lo stringesse. Come sua madre.
Ma lei non c’è, pensò. Non c’è più nessuno. Nemmeno Tunny. Nemmeno quella ragazza: a quest’ora sarà morta. Chiuse gli occhi d nuovo, cercando di scacciare l’amaro in bocca e di riordinare i pensieri. Cosa doveva fare? Anzi, no: cosa voleva fare? Nonostante la semplicità di quella domanda, si scoprì incapace di rispondere. Voleva  rivedere su madre, eppure non se la sentiva di affrontare il suo sguardo che, per una volta, avrebbe avuto tutte le ragioni di essere colmo di biasimo. Voleva... lei, ma sapeva che gli avrebbe portato solo disgrazie. E allora?
 
Doveva essersi riaddormentato perché si ritrovò a sobbalzare all’insistente bussare di qualcuno. Balzò in piedi, consapevole del proprio aspetto da morto vivente e aprì cauto la porta, senza aspettarsi nessuno in particolare. Al massimo della banalità, non era altri che il postino.
 
IV Rock ‘n’ roll girlfriend
Era una cartolina spiegazzata d New York, con un’imponente Statua della Libertà come immagine. Jimmy la voltò e scoprì una calligrafia disordinata resa ancora più illeggibile dalla penna che evidentemente stava per scaricarsi. Jimmy aggrottò la fronte e si tuffò nella lettura.
 
Ciao Jesus! Siamo arrivati a NY, finalmente! Vorrei che tu fossi qui, non riesco a smettere di preoccuparmi, cazzo, quindi per favore chiamami a questo numero: 2123497156795. Stiamo bene comunque, anzi, ci stanno offrendo un mucchio di possibilità per sfondare! Nel frattempo, be’, sappi che mi sono sposato. Eh cazzo, ci siamo fermati a Las Vegas nel tragitto ed è capitato. E’ già tutto finito, chiaramente, sapevo a malapena il suo nome (Dana) però nel frattempo sono diventato un po’ patrigno di suo figlio. Marmocchio simpatico, l’ho conosciuto e l’ho portato un po’ in giro, quella settimana che ci siamo fermati da quelle parti. Però, Jesus, qua ho conosciuto una bomba di ragazza! E’ una tosta, seriamente: lo stronzo del suo fidanzato precedente l’ha lasciata incinta e lei si è passata nove mesi d’inferno e adesso tira su da sola il bambino. Quindi sì, sono diventato patrigno anche suo. Volevo mandarti una foto di tutti e due, ma non ne ho trovate di decenti. Sai, questa mia nuova vita mi sta facendo bene: non ho più bevuto (va bene, un goccio di birra di tanto in tanto) e manco uno spinello mi sono concesso. Diavolo, dovevi venire anche tu! Per favore CHIAMA. Sono preoccupato.
 
Tunny
 
Jimmy rimase pensieroso, gli occhi che scorrevano dal numero di telefono al francobollo appiccicato un po’ sbilenco. Tunny lo aveva pensato. Tunny si preoccupava per lui, lo pregava di farsi sentire. Non era solo, non così tanto come aveva pensato. E se fosse andato sul serio a New York? Un posto valeva l’altro dopotutto e lì c’erano persone che conosceva.
Afferrò la giacca e si infilò la cartolina in tasca, chiedendosi se avrebbe trovato una cabina telefonica funzionante e, soprattutto, se in tasca ci fosse ancora qualche spicciolo.
 
V We’re coming home again
Casa. Questo fu il sentimento che investì il suo cuore quando mise piede sulla piattaforma polverosa della stazione di Jingletown. Tutto era rimasto immutato, e ci mancava altro: era stato via nemmeno un anno, non una decade.
Erano scese forse due persone con lui, sconosciuti che l’avevano degnato a malapena di uno sguardo; provò un’inesplicabile fitta di nostalgia nel ricordare le occhiatacce che l’abbigliamento punk, gli occhi bistrati e l’aria strafottente attiravano, quando era ancora Jesus of Suburbia.
Era ancora una città di morti, però... era la sua città dei morti. Conosceva ogni viuzza, ogni antro più nascosto; ricordava il punto di marciapiede dove aveva sorretto un amico strafatto, il pezzo di asfalto su cui da bambino si era sbucciato il ginocchio cadendo dalla bici. Ma non si soffermò troppo: voleva tornare a casa.
Man mano che si avvicinava, il cuore saliva sempre più in gola al pensiero di quel che avrebbe fatto e detto; forse si sarebbe scusato; sicuramente avrebbe preso Gloria tra le braccia e l’avrebbe fatta volteggiare in aria... chissà quant’era cresciuta... E che fratello cafone era: non aveva niente per lei, nemmeno una cazzata per dimostrarle che aveva pensato a lei.
E sua madre... Dio, sua madre... alla fin fine si era comportato né più né meno come suo padre, dimostrando che la bastardaggine era un fatto genetico. Sì, decisamente avrebbe dovuto scusarsi per prima cosa.
La villetta gli parve vagamente più curata, ma forse gli appariva così perché gli era mancata. Non si sentivano rumori o altro. Jimmy controllò l’ora: era primo pomeriggio, dovevano essere a casa entrambe. Si passò la lingua sulle labbra secche e suonò il campanello. Risuonarono passetti rapidi e Jimmy sorrise, immaginando il visetto di Gloria...
Una giovane donna aprì la porta; aveva in braccio un bimbo di pochi anni con gli occhi assonnati e un peluche stretto nella manina.
- Sì? – chiese gentilmente la donna. Jimmy la fissò inebetito. Che cazzo...
- Cerchi qualcuno? – insistette lei.
Jimmy si scosse dal proprio rincoglionimento. – Be’, sì. La mia famiglia, in realtà. Mia madre e mia sorella, fino a un anno fa abitavano qua... –
Lei scosse il capo. – Mi dispiace, non so dirti nulla dei proprietari precedenti.. sono qui solo da qualche mese -.
Il ragazzo annuì, incapace di dire altro. Borbottò delle scuse e fece un passo indietro, il cuore che batteva come intorpidito. Non capiva. Dove potevano essere andate? Ma perché poi? Suvvia, sua madre non se ne sarebbe mai andata, non ne era in grado.
Era lì, fermo nel giardino di quella che era stata la sua casa e non sapeva che fare, quando qualcuno lo chiamò esitante: - Jimmy? –
Per un folle momento fu convinto di avere davanti la sua sorellina e che si erano semplicemente spostate qualche metro più in là, una questione di comodità, era lui che non ci aveva pensato... Ma non era Gloria, quella ragazza. La osservò e solo quando lei ripeté il suo nome la riconobbe. – Mary Jane? –
Era.. era così diversa. Niente abiti provocanti e provocatori, trucco piano e leggero; che fine aveva fatto la piccola punk che gli piaceva e a cui piaceva tanto?
Lei gli si avvicinò stupita. – Che fai qui? –
- Che cacchio ti è successo? – sbottò Jimmy, osservando attonito la gonnellina azzurra da brava ragazza.
Mary Jane parve leggermente imbarazzata. – Nulla. Ho... cambiato stile, Jimmy. Sono cambiata io, ecco. Tu no, invece –
Jimmy aggrottò la fronte e non rispose. Mary Jane esitò, poi disse: - Cerchi... tua madre e Gloria? –
- Sì! – cretino a non pensarci. – Dove sono? Sono andate via dalla città? –
Mary Jane si morse il labbro. – Gloria sì. Tua mamma... - si interruppe, occhi bassi e mento tremante.
- Cosa? – la afferrò per le spalle. – Mary Jane, dove sono? –
- Gloria sono venuti a prenderla gli assistenti sociali. L’hanno portata da dei tuoi parenti, non so chi. Questo perché... era rimasta sola -.
Sola. Sola. Ora anche lui lo era davvero.
 



Un po’ in ritardo, ma sono riuscita a pubblicare oggi, il compleanno di Tré <3 Auguri Franky :3
Questo capitolo non mi dispiace affatto, devo ammettere. Un grazie a SweetRevengeMCR come sempre fedelissima e un bacio a voi lettori *torna a seppellirsi nello studio*

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Capitolo 26
*** Horseshoes and handgrenades ***


Horseshoes and handgrenades
 

Luglio 2009
 

- Sei sicuro di farcela? Non ti farebbe male riposare ancora un po’, sai, e nessuno ci troverebbe nulla da dire, dopotutto... –
- Gloria, sto bene e sono stufo di stare sdraiato qui. Non è nemmeno un letto -.
- Perché non mi hai detto che eri scomodo? Potevo trovarti un’altra coperta! –
- Perché non mi pareva il caso, ecco perché. Ora smettila e sta’ tranquilla -.
Christian si aggirò un po’ traballante per la tenda, avvertendo i muscoli e i tendini riassestarsi riluttanti. Glori lo seguiva passo passo, pronta a sorreggerlo se fosse inciampato, ma lui sapeva che non sarebbe accaduto: per la prima volta dopo molto tempo, provava una cauta fiducia nei confronti del suo corpo. Stava... sì, stava bene e non era tanto per dire o per rassicurare Gloria.
Sorrise, stiracchiandosi piano nella luce del sole che filtrava attraverso la stoffa e porse la mano alla ragazza, tirandola verso l’uscita. Gloria lo seguì, stringendogli le dita forse un po’ più forte del normale, ma Christian non ci fece caso; voleva godersi quella bella giornata e il suo cielo azzurro.
Osservando i ragazzi correre qua e là per il campo, un pensiero lo colpì. – Da quanto tempo siamo qua, Gloria? –
Lei lo fissò sbattendo le palpebre, come se anche lei avesse smesso di calcolare il tempo e ci stesse pensando seriamente solo ora che lui gliel’aveva fatto notare. – Non so bene... una settimana, giorno più giorno meno -.
Christian sospirò, sentendosi un parassita, e Gloria aggrottò la fronte. – Ehi. Non penso che loro si sarebbero fatti problemi a cacciarci: se ci hanno permesso di stare qui, significa che non siamo un peso -.
- Oppure che si aspettano qualcosa in cambio -.
Gloria alzò le spalle. – Anche se fosse? E’... normale, no? –
Christian annuì, senza aggiungere parola e continuò a passeggiare con calma. Era intuibile che cosa volessero da loro due, in realtà: altre braccia per la loro causa, la “rivoluzione” o qualunque cosa fosse. Christian non ci aveva mai riflettuto sul serio: la sua priorità, da quando erano in viaggio, era tenere Gloria e se stesso al sicuro. Che gli altri si scannassero pure, la cosa non lo riguardava. Sapeva che Gloria la pensava in maniera diversa, tuttavia non gli aveva mai imposto nulla, forse anche a causa delle sue condizioni. Ma era ora di smetterla di nascondersi dietro la sua malattia; era ora di tirar fuori le palle e combattere, come facevano i ragazzi che li circondavano. Non importava per quale ragione combattesse, non più, ma doveva uscire dalla prigione che si era creato su misura.
Come a farlo apposta, accanto a loro passò Gary, con il solito viso duro e impassibile. Lui si aspettava che combattessero, che si unissero a loro anche solo per gratitudine, e non aveva neanche tutti i torti.
Si voltò di scatto verso Gloria, avvicinandola a sé. – Gloria... e se restassimo? Se ci unissimo a loro sul serio?
Gli occhi azzurri di Gloria si allargarono sorpresi. – Perché? – domandò ed era incredibile quanta intensità riuscisse ad esprimere con una sola parola.
Christian sospirò. – Io... ci credi se ti dico che non lo so? –
Lei gli lanciò un’occhiata sbieca e lui si corresse: - Va bene, lo so. Non so come spiegarlo. Voglio stare qui e aiutare. Forse voglio sdebitarmi, forse voglio dimostrare a me stesso e a te che non sono un ragazzino debole –
- Christian – gli posò una mano sulla guancia. – Io non ho mai pensato che tu sia debole –
- Ma lo sono stato – la interruppe. – E’ così, Gloria, ed è arrivato il momento che anch’io mi metta in gioco. So che non devo dimostrare niente a nessuno ma... – la sua voce si affievolì e spostò lo sguardo sulla desolazione che li circondava. – Ma voglio farlo -.
Gloria lo osservò a lungo, poi lo trascinò di nuovo nella loro tenda e lì parlarono a lungo. Christian non aveva mai parlato così tanto in vita sua e soprattutto di sé e di ciò che pensava. Nemmeno con Gloria, benché l’amasse. Ecco, ora poteva realmente dire che l’amava, dopo tutto quello che avevano passato, insieme e non; prima, era amore o solo qualcosa di simile, un gioco tra due ragazzini ignari? Si sentì improvvisamente vecchio, ma non era  così sgradevole, tutto sommato. Crescere, maturare, capire.
 
Raccolti in un cerchio approssimativo, tutti i componenti di Murder City osservavano Gary in attesa; il ragazzo, seduto come i suoi soldati, aveva in grembo una mappa del territorio circostante e, soprattutto, della città.
- Non c’è molto da dire – esordì il capo, lasciando scorrere lo sguardo sulle testoline colorate. – Cerchiamo di riprendere la città da quei porci schifosi e aiutiamo i poveracci che sono bloccati lì dentro. Non saremo soli, alle porte della città è accampato il gruppo di... – alzò un sopracciglio – un certo J, secondo le informazioni. Ovviamente anche così saremo in svantaggio numerico e di armi. Non c’è bisogno che venga a dirvi cosa e quanto rischiamo, perciò chi non se la sente resti qui. Non c’è nulla di male -.
Gloria osservò Christian con la coda dell’occhio: sperava ancora che il ragazzo cambiasse idea, non per codardia, ma perché era ancora debole e lei non poteva, non poteva permettergli di combattere. Ma Christian non si mosse. Come tutti gli altri.
Gary si raddrizzò. – Bene. Tra venti minuti partiamo -.
Venti minuti erano fin troppi per raccogliere i loro pochi averi; era quasi spaventoso riuscire a stipare tutta la vita di due ragazzi in uno zaino neanche troppo grande, ma era davvero tutto quel che possedevano. Le cose più preziose non si trovavano nelle loro tasche o nello zaino, ma ben custodite dentro di loro. Forse qualcuno l’avrebbe definita una cosa bella, nobile, ma in quel momento metteva solo tristezza: significava che non c’era niente che avrebbe testimoniato il loro passaggio su quella terra; sarebbero scomparsi, semplicemente.
- Sei preoccupata? – domandò Christian.
Gloria lo fissò sorpresa. – No... cioè, un po’, per te. Ma non ho paura -.
Christian le sorrise. – Nemmeno io -.
Si strinsero forte l’uno all’altra, ma non per sconforto o timore, era... era un bisogno più forte, la necessità di far sapere all’altro che erano lì, insieme. E che solo questo contava.
 
E contò soprattutto quando videro il fuoco e sentirono le grida e gli spari all’interno della città.
Era ormai tardo pomeriggio e iniziava a farsi buio; avevano marciato per qualche ora, anche se marciare non era decisamente la parola giusta: li faceva sembrare dei soldatini giocattolo, splendenti e lustri nelle loro uniformi, ma innocui e immortali. Loro... non erano soldati, erano solo un gruppo di ragazzi e di sicuro non erano immortali.
Persino a distanza, Christian riusciva a percepire il calore che si sprigionava dalla città; vide ombre scure correre in controluce, armate perlopiù, udì le urla, ma non riusciva a definire se fossero manifestazioni di dolore o rabbia o furia. Strinse più forte la mano di Gloria. Era quella la guerra?
Stranamente, tutto quello che lo circondava assunse una patini onirica. Non si isolò completamente, tuttavia osservò alla stessa maniera di uno spettatore incuriosito; Gloria era accanto a lui, quindi andava tutto bene.
- Aspettate! – sbraitava Gary. – Non entrate ancora, cazzo! –
Più facile a dirsi che a farsi: tutti i ragazzi di Murder City si erano spinti in avanti, chi per curiosità, chi per preoccupazione e, senza dubbio, qualcuno per combattere.
In ogni caso, erano lì, bloccati, senza sapere cosa fare, quando una fiumana sciamò fuori dalla città, verso di loro. Impossibile dire se fossero amici o nemici.
- Pronti – mormorò Gary, e fu come se lo avesse urlato.
Christian deglutì, Gloria si rizzò con la schiena dritta.
Poi, una delle figure che capeggiava il gruppo si mise ad agitare le braccia. – Ragazzi! Siamo dei vostri! Non sparate! –
Christian aguzzò la vista per distinguere i lineamenti dell’uomo, ma fu solo quando si avvicinarono ulteriormente che riuscì a vedere un volto magro sporco di fuliggine su cui spiccavano gli occhi chiari.
- Oh mio Dio -.
Si voltò: Gloria era bianca come un cencio e fissava il ragazzo a occhi sgranati, il respiro mozzo.
- Gloria, cosa c’è? –
- E’ lui – Gloria prese un lungo respiro. – E’ Jimmy.
 
 


Buon anno! Ecco a voi il primo capitolo del 2015, spero vi piaccia :) Ebbene sì, quello è Jimmy: Gloria ce l’ha fatta. Ovviamente manca ancora un po’ alla fine, ma siamo a un buon punto. Se andate nei capitolo indietro, vedrete che ho aggiunto date per rendere più chiaro l’intreccio; quelle dei capitoli su Jimmy sono biecamente prese dal libretto di American Idiot. Tanti e tanti grazie a chi continua a seguire e a OriginalPrankster e SweetRevengeMCR :3

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Capitolo 27
*** Whatsername ***


Whatsername
 
1 Gennaio 2005
 
Era proprio lì, davanti a lui. Era di spalle, ma i lunghi capelli biondi con le ciocche colorate erano inconfondibili, così come le spalle sottili e le Converse verdi sbiadite. Aprì la bocca per chiamarla, ma si rese conto con orrore di non riuscire a ricordarsi il suo nome. Come avrebbe potuto riportarla da lui se non ricordava nemmeno il suo nome? La ragazza si voltò e con dolore Jimmy vide che era proprio lei: naso all’insù, guance piene da bambina, occhi chiari come acqua pura. Se si fosse girata ancora un po’, l’avrebbe visto... e allora...
E allora, Jimmy si svegliò.
Era disteso sulla sua branda, la coperta attorcigliata intorno alle gambe e i capelli appiccicati alla fronte sudata.
Merda. Merda merda merda. Si tirò su in un cigolio straziante, con il suo viso ancora impresso nella mente; e sarebbe rimasto lì per sempre, ma muto e senza nome, perché nonostante tutti gli sforzi, non riusciva assolutamente a ricordare come si chiamasse. Il suo volto, per quanto avesse bruciato tutte le fotografie, era rimasto lì, dolce e delicato, non meno nitido di quello di Tunny o della sua sorellina. Era sempre stato lì, pronto a balzare fuori nei momenti meno opportuni e immancabilmente lui lo scacciava con furia. Erano secoli che tentava di non pensare a lei, non aveva più pronunciato il suo nome... finché esso era diventato evanescente quanto lei. Dov’era? Stava bene? Era al sicuro? Il suo istinto e il fatto che la conoscesse bene gli dicevano che doveva essere lì, da qualche parte in mezzo ai combattenti, ai ribelli, ma introvabile. Quantomeno, introvabile per lui. Oh, se solo si fosse ricordato il suo nome... What is her name? What is her name?
 
Dopo aver scoperto che la mamma e Gloria se n’erano andate, aveva lasciato definitivamente Jingletown. Che gli importava di quel cazzo di posto, se non ci abitava più nessuno di cui gli importasse? Era definitivamente senza casa e senza nessuno: se n’erano andati tutti, tutti. A quel punto, l’unica cosa che poteva fare era tornarsene in città: lì almeno aveva un tetto sopra la testa.
Il viaggio di ritorno rimase nebuloso nella sua testa; forse aveva dormito, o forse aveva semplicemente fantasticato, gli occhi persi lungo il paesaggio che gli sfilava davanti. Era scivolato giù dal treno e i suoi piedi lo avevano portato automaticamente verso casa; non aveva fatto molto caso alla gente in subbuglio che correva qua e là; solo dopo aveva iniziato a sentire l’odore di gas.
Quella era l’ennesima dimostrazione di... be’, della sua sfiga. Che la chiamassero un po’ come volevano... destino, karma, ma stava di fatto che ogni volta che la sua situazione sembrava stabilizzarsi, tranquillizzarsi, arrivava qualcosa a distruggere tutto. Che palle.
Ed ora si trovava in una cantina, con la schiena a pezzi e la punta delle dita costantemente fredde. Oh, ed era di nuovo a capo di un gruppo anarchico, come ai vecchi tempi.
Insomma, parecchie cose erano cambiate: non andava più in giro a spaccare vetrine per il gusto di farlo, non era più una delle pecore nere della sua cittadina tranquilla. Era un criminale. Un fuorilegge. E così i suoi compagni, che avevano alzato la voce contro il regime militare instaurato in città.
Sapeva che non erano i soli: altre città erano nelle loro stesse condizioni e dunque c’erano altri gruppi come loro, logico. Ma erano isolati dal resto del mondo e costretti a nascondersi come topi, se volevano salvarsi e riuscire a combinare qualcosa di concreto. Buffo come in quegli anni, che avrebbero dovuto essere i più spensierati e felici della sua vita, quante volte si fosse ritrovato a lottare per la pellaccia e soprattutto a capire cosa diavolo doveva fare per dare un senso alla vita che si era guadagnato. E quando diceva buffo, intendeva orribile.
Non aveva chiesto lui di diventare un leader anarchico, eppure era successo ed era assolutamente ignaro di cosa fare. Era capitato, come ogni cosa, e lui... be’, l’aveva accettato. Come al solito senza pensare sul serio a ciò a cui andava incontro.
Una ragazzina si alzò dal giaciglio improvvisato e si avvicinò a lui; doveva essere la sorellina di qualcuno e il pensiero gli riportò l’amaro in bocca. Gloria...
- Lo sai? – bisbigliò la bambina. – Oggi è il primo giorno dell’anno? –
Jimmy abbozzò un sorriso. – No – ammise – non lo sapevo -.
Non lo sapeva davvero: aveva perso il conto dei giorni trascorsi ad acquattarsi, scappare, urlare ordini sommati a quelli passati nel sotterraneo.
- L’anno scorso – continuò lei – la mamma per l’ultimo dell’anno ha cucinato tanto. Aveva fatto una torta buonissima – fissò Jimmy, che non osò chiederle dove fosse ora la madre. – Ho fame – pigolò.
Jimmy si sentì terribilmente in colpa. Non poteva certo attingere alle razioni di tutti per dare qualcosa di più a lei...
- Come ti chiami? –
- Lilly – rispose. – Io lo so come ti chiami tu: Jimmy – Sì, era quello il suo nome: non Jesus, solo Jimmy.
- Ok, Lilly – si alzò in piedi. – Vado a prenderti qualcosa di buono. Tu resta qua da brava e tornerò subito -.
La ragazzina si accigliò. – Posso venire con te? –
- No – tagliò corto Jimmy e se la svignò prima che quel visetto sporco riuscisse a fargli cambiare idea. D’accordo, erano le sei di mattina ed era altamente improbabile un attacco, ma non avrebbe messo in pericolo la vita di una bambina.
Non lontano dal loro rifugio, c‘era uno dei pochi negozi rimasti in piedi. Era diventato più che latro un emporio aperto ventiquattr’ore su ventiquattro in cui si vendeva di tutto e in cui la gente arraffava ciò che poteva in fretta e pagava (se pagava) con qualunque cosa avesse sottomano.
La via sembrava sgombra. Jimmy entrò in fretta, pensando a cosa avrebbe potuto comprare coi pochi dollari accartocciati in tasca. Anche solo un po’ di schifezze, tipo cioccolato e caramelle, per tirare su Lilly e gli altri ragazzini.
Se avesse dovuto dar retta alla sua proverbiale fortuna, non sarebbe uscito vivo da lì: avrebbero sganciato una bomba proprio sopra la sua testa, una scarica di mitragliatrice avrebbe trapassato la vetrina e i muri... una cosa del genere. Invece, qualcuno o qualcosa doveva aver chiuso un occhio stavolta, perché arrivò indenne fuori, con in mano anche uno dei rari giornali. Era utile sapere cosa succedeva nel resto del mondo, se si fossero degnati di dare le vere notizie.
Ovviamente, i bambini furono oltremodo felici di avere qualcosa con cui ingozzarsi e pasticciare; Jimmy lasciò nelle mani di Lilly la borsa di plastica e si ritirò, osservandoli con un mezzo sorriso e stupendosi di quanto si sentisse vecchio. Dio, al massimo poteva avere dieci anni in più del più piccolo tra loro... Scosse il capo, aprendo svogliatamente il giornale e leggiucchiando qua e là. Mmm, strano: rivolte, scontri tra polizia e manifestanti... nulla di nuovo sotto il sole.
Osservò qualche foto, sfocata e confusa, e il cuore gli mancò di un battito. Merda. Era... era... cazzo, era lei! Oh, ne era sicuro, avrebbe messo una mano sul fuoco; sfiorò con dita tremanti la sagoma sfumata, sforzandosi con tutte le forze di ricordare. What is her name? What is her name?
Come, in nome di Dio, era mai possibile ricordare ogni singolo istante che avevi passato con una persona e non ricordarti il nome di quella persona? Senza il suo nome era perso, non poteva cercarla, chiedere notizie, niente.
- Capo – trasalì. Giusto: era lui il capo. Fissò il ragazzotto che si era autoproclamato suo vice o qualcosa del genere. – Che facciamo? –
- Non lo so – confessò Jimmy. Lasciò cadere il giornale a terra. – Pensiamoci -.
What is her name?
 



Non potete immaginare che fatica scrivere questo capitolo. D’altronde, non potevo buttare giù pagine di pippe mentali di Jimmy su Whatsername, quindi è venuta fuori questa cosa. Grazie mille a OriginalPrankster e SweetRevengeMCR e a chiunque non si sia ancora rotto della sottoscritta :) Ora scappo perché la maturità incombe *fa ciao ciao con la manina*

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Capitolo 28
*** The static age ***


The static age
 

Luglio 2009
 


Era giovane, col volto pallido e gli stessi occhi di Gloria; effettivamente, non c’era dubbio sul fatto che fossero fratelli. Stringeva un serramanico sporco e sembrava stanco come tutti quelli che lo seguivano.
Christian avvertì la mano di Gloria cercare la sua e aggrapparvisi; quanto a lui, si limitò a non staccare gli occhi di dosso al giovane, ora intento a parlottare con Gary. Lanciò un’occhiata a Gloria, immobile come una statua, e le fece un cenno incoraggiante col capo; ma lei scosse la testa, quasi terrorizzata. Ma come? Si faceva cogliere dalla paura proprio ora? Paura di cosa, poi? L’aveva riconosciuto, era lui... era...
- Jesus?! – Christian si riscosse per vedere Tunny, sbalordito, lanciarsi verso il presunto Jimmy e afferrarlo per le spalle. – Sei tu?! Porca puttana, sei tu, sul serio? –
- Tunny? –
I due si abbracciarono come fratelli, tra le esclamazioni di Tunny, “Ero sicuro che fossi morto, Cristo” e “Cosa ci fai qui?” e fu proprio allora che Gloria sciolse delicatamente la presa dalla mano di Christian e fece un esitante passo avanti. Jimmy la vide da dietro le spalle di Tunny e immediatamente chiuse la bocca.
Fu... strano. Commovente, forse; se fosse stata la scena di un film, gli spettatori sarebbero stati tutti in lacrime. Gloria senza dubbio aveva due lacrimoni agli occhi che tratteneva per orgoglio, mentre Jimmy la fissava, pieno di sorpresa, dolore, amore... Christian non riusciva a dirlo con esattezza. Lo vide sfiorare la guancia di Gloria con dolcezza e bisbigliare il suo nome in una domanda. Poi Gloria spezzò la distanza tra loro e lo strinse tra le braccia, a lungo.
 
Era come un sogno, avere Jimmy tra le braccia. L’ultima volta che l’aveva fatto, era una mocciosa che gli arrivava a malapena al petto. Ora rimaneva comunque più bassa di lui, ma riusciva a raggiungerlo. Lui non appariva molto diverso da cinque anni prima: era solo più stanco, più vecchio, avrebbe osato dire, ma rimaneva pur sempre il solito Jimmy vestito di nero, con quello sguardo particolare negli occhi di ghiaccio.
La prima cosa che gli disse quando ruppe l’abbraccio fu: - Volevo dirti che ti odiavo. Ti odiavo perché avevi abbandonato me e mamma, e la mamma era morta per questo -.
- Ma non l’hai fatto – notò lui. Persino la voce non era cambiata.
- No – fu d’accordo Gloria. – Non l’ho fatto -.
 

Le presentazioni con Christian furono un po’ impacciate, come dovrebbero essere le presentazioni tra fratello maggiore e ragazzo della sorellina. Solo che... non erano nel salotto di una casa la sera del ballo scolastico: erano in un campo messo su alla bell’e meglio, con alle spalle una città che bruciava. Inoltre, Jimmy sembrava più interessato a rimirare Gloria, cercando di rivedere la bambina che aveva lasciato anni prima, che fare il discorsetto a Christian, pertanto lui decise di lasciarli in pace, andandosi a sedere accanto a Tunny. Questi pareva ancora incredulo e scuoteva la testa fra sé e sé. – Ma ci credi? – bofonchiò quando Christian gli fu vicino – Passi anni a credere che uno dei tuoi più cari amici sia morto... ed eccolo lì, fresco come una rosa. Sembra che alla fine la tua ragazza avesse ragione -.
Christian annuì, senza staccare gli occhi da Gloria. Era felice, ora? Aveva ritrovato il suo adorato fratellone, praticamente il suo solo scopo da quando aveva dodici anni. Ed ora?
 

- Non... non l’hai più rivista? E non ricordi nemmeno il suo nome? –
Jimmy fece un sorriso amaro. – No, Gloria. Ma suppongo sia meglio così. Non eravamo adatti a stare insieme – giocherellò con un buco particolarmente slabbrato dei jeans, sentendosi stranamente sotto esame. Gloria, pur essendo la sua sorellina, l’aveva sempre messo piuttosto in soggezione, involontariamente: era impaurito di deluderla, di non essere un buon fratello. Chiaramente, si era dimostrato un disastro su tutta la linea, ma poteva rimediare. Forse. La dolce ragazzina che si faceva sollevare in aria senza sforzo si era tramutata in una giovane donna dallo sguardo tormentato e stanco. Aveva notato con preoccupazione gli zigomi troppo appuntiti, in coppia con le occhiaie spaventose del ragazzo, ma aveva tenuto la bocca sigillata. Dopotutto, non aveva alcun diritto di intromettersi nella vita di sua sorella, per quanto desiderasse che lei lo invitasse. Dunque si era messo a raccontarle la sua, di vita, da quando l’aveva abbandonata fino ad allora, più o meno. Non si era reso conto che ci fosse così tanto da dire sulle stronzate che aveva combinato un ragazzino, eppure buona parte della notte era passata, e loro erano ancora lì, a recuperare gli anni perduti. Le aveva detto tutto, persino di St. Jimmy, e lei aveva capito. Non l’aveva preso per pazzo o altro, perché lei capiva.
Gloria si riavviò automaticamente la coda arruffata. – E... cosa fai, qui? –
- Il capo – rispose lui, sinceramente. – Pianifico attacchi eccetera. Provo a prendermi cura di tutti. E’ la prima cosa utile che sia riuscito a combinare dopo aver fatto l’egoista. Suppongo che, sotto sotto, mi mancasse la famiglia – sogghignò e improvvisamente tornò a essere il diciassettenne ribelle di un tempo.
Gloria alzò un sopracciglio – Non siamo mai stati una vera famiglia, Jimmy – obiettò. – Io la volevo tanto ma... con la mamma era impossibile. Pazienza -.
- E lui? – Jimmy avrebbe voluto mangiarsi la lingua. – Stava andando benissimo, ed ecco che gli scappava la classica domanda da fratello geloso. Patetico.
- Christian? Noi... siamo una famiglia, in un certo senso – Gloria lo guardò, improvvisamente impacciata. – Spero che... insomma, so che non ti aspettavi di vedermi qui e con un ragazzo, poi... –
- Cazzo, no, scusami. Sono io che... – faccio il fratello con anni di ritardo.
- Perché Jesus? – buttò lì Gloria, senza guardarlo in faccia. Sciocca, perché era lei quella imbarazzata?
- E’ solo un soprannome. Mi chiamavano così a Jingletown e me lo sono tenuto. Nessuno sapeva il mio vero nome, nemmeno Tunny, e io stavo bene così -.
- Ma perché proprio Jesus? – insistette lei, ma Jimmy fece un gesto stanco. Sarebbe stato troppo complicato e doloroso raccontarle il moto della sua testa di adolescente incazzato col mondo e soprattutto con se stesso. Quella persona ormai era morta da tempo: al suo posto c’era un uomo con delle responsabilità, delle vite sulle spalle. Non era un manager come avrebbe voluto sua madre, ma sempre meglio di un piccolo idiota che taccheggiava i negozi. Non si considerava più un dio in terra, ma solo... solo Jimmy.
- Cosa farete ora tu e Christian? –
Gloria aggrottò le sopracciglia. – Che significa? Restiamo qua e combattiamo. Siamo venuti per questo -.
- E’ pericoloso! –
Lei gli lanciò uno sguardo di compatimento. – Lo sapevo già. Jimmy, ti voglio bene e tu lo sai. Ma sono io che decido cosa fare della mia vita. Ne ho passato gran parte a pensare a te, a cercarti. Ora si tratta di me e basta. Non sei l’unico ad aver trovato un buon motivo per combattere -.
Jimmy le prese dolcemente le mani. – Non voglio decidere per te, sorellina. Ma dimmi: quel buon motivo per combattere è anche un buon motivo per morire? –
 
 
 

E dopo mesi mi ripresento con un capitolo in cui si dà spazio praticamente solo all’analisi psicologica. Ben fatto. Non posso dire altro se non un sentito grazie a chi c’è ancora e a chi si è aggiunto. Spero che ora che l’autrice è matura aggiornerà con più frequenza.

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Capitolo 29
*** 21 Guns ***


21 Guns
 
Luglio 2009
 
C’erano una volta dei bambini. Bambini forse non troppo felici, ma chi può dire di esserlo davvero? Loro vivevano quel che avevano da vivere, ci provavano se non altro, e provavano anche ad essere un poco felici. Purtroppo, i bambini non restano tali per sempre (sarebbe decisamente troppo bello) quindi anche loro crebbero, forse un po’più velocemente del solito e conobbero per bene tutto il dolore e lo sporco del mondo.
La storia potrebbe concludersi qui. Nessun lieto fine perché, siamo sinceri, quanti lieti fini avete trovato nella vita reale? Però, be’, la storia non finisce qui, perché quei bambini hanno scoperto dell’altro: un po’ di amicizia e di amore, non abbastanza per bilanciare il resto, ovvio, ma abbastanza per condividere con qualcuno quelle brutture. Dunque, la storia che all’inizio era sembrata tanto triste non lo è davvero, non così tanto. Non si possono promettere lieti fini perché quelle vite sono tutte vere, ma ci si accontenta.
Ora, gran parte di quei bambini era schierata di fronte a una città di fumo e acciaio, una città mangiatrice di cuori e sogni. Alcuni erano agitati, altri no. Alcuni sarebbero morti, altri no. E loro lo sapevano, anzi, temevano di morire tutti. E non era paura, in realtà, perché sarebbero rimasti insieme: nessuno da piangere, nessuna tomba su cui portare i fiori, tanto non sarebbe rimasto nessuno.
Oh, dolce oblio. La cura di tutti i mali, dimenticare un volto, un nome che brucia troppo la carne. Dimenticare non è così semplice come dicono, ma non è nemmeno così difficile come appare a chi si attacca alla bottiglia. Succede, ecco tutto, senza un perché o un percome, e questo Jimmy poteva assolutamente confermarlo. Poteva anche confermare che si avverte la mancanza di qualcosa o qualcuno quando non ce l’abbiamo più e altre stronzate del genere. Chissà perché gli venivano in mente appena prima della sua possibile morte e non gli veniva in mente quel fottutissimo nome. Ah, come amava il senso dell’umorismo della vita. Come l’aver appena ritrovato la sua sorellina e rischiare di perderla qualche ora dopo: sia che morisse lui sia che morisse lei, si sarebbero nuovamente lasciati e allora il senso di quegli anni passati separati, se mai ci fosse stato, si sarebbe completamente perso.
Oppure, potevano sopravvivere entrambi; però sarebbe potuto morire Christian e, se a lui non importava granché, il cuore di sua sorella si sarebbe sbriciolato e questo non poteva permetterlo.
L’unica soluzione sensata era prendere entrambi, infilarli in un bunker o qualcosa del genere e gettare via la chiave. Ecco: tutti felici, a parte i due piccioncini... ma vaffanculo, insomma, stava salvando loro la vita. Sennonché lui non era il genere di fratello maggiore capace di fare così: amava troppo Gloria, non ce l’avrebbe mai fatta a imporle qualcosa contro la sua volontà, men che meno usando le maniere forti. Erano sue le scelte, avrebbe deciso lei se combattere e vivere per qualcosa in cui credeva. E soprattutto, le augurava con tutta l’anima di trovare quel qualcosa per cui vivere e morire. Lui credeva di averlo trovato, ed era già qualcosa.
Si chiese come sarebbe stato morire. Non aveva paura della morte, ma nemmeno la cercava con avidità come poteva fare qualche anno prima. Non si poteva esattamente definire tranquillo, ma non era agitato. Per una volta nella vita, non lo era affatto.
Non lo era nemmeno quando ruppero le fila e si gettarono all’assalto della città. Non ne aveva motivo: la sua famiglia, tutta la sua famiglia, era lì con lui.
 

Pare sciocco, forse, ma Christian stava provando una paura folle di morire, cosa che nemmeno lui si sapeva spiegare. Non aveva paura del momento prima del trapasso, perché, per doloroso che fosse, lui aveva una certa confidenza con la sofferenza fisica; tantomeno temeva l’aldilà: sempre ammesso che ci fosse, non ricordava di aver arrecato particolari offese a Dio, a parte qualche bestemmia, a suo avviso giustificata. Allora, perché si trovava così terrorizzato ai margini del campo di battaglia?
Lo sguardo gli cadde su Gloria, come sempre al suo fianco. Ovvio. Non c’era nemmeno da domandarselo, era sempre Gloria la risposta alle sue preoccupazioni e paure, nel bene e nel male.
Aveva paura di perderla. Perché se fosse morto e lei fosse sopravvissuta l’avrebbe persa comunque. Era un egoista, lo sapeva benissimo, ma Gloria era una delle poche cose belle che gli fossero mai capitate e aveva tutte le intenzioni di tenersela stretta. Almeno per un po’: l’eternità, sfortunatamente, non apparteneva ancora a nessuno.
Avrebbe combattuto in nome di quel futuro che sentiva sottratto da anni; un futuro in cui lui e Gloria avrebbero potuto vivere in tranquillità, o quasi.
Gli avevano piazzato tra le mani una sbarra di ferro e attaccato alla cintura qualche granata. Si chiese quanto sarebbe potuto durare uno come lui, che a malapena sapeva usare il coltello per tagliare la carne. Senza dimenticare la sua adorabile compagna di vita, che poteva intervenire in qualsiasi momento e lasciarlo rantolante per terra, in preda al dolore.
Improvvisamente i suoi pensieri subirono un brusco arresto e lui si ritrovò parte di una marmaglia che gridava e si gettava contro la città, contro il nemico. Non sapeva perché stesse facendo anche lui lo stesso, quando avrebbe preferito afferrare Gloria, spostarsi e lasciar combattere gli altri, che non avevano nulla da perdere. Un istante dopo, si vergognò di quel pensiero. Non era un vigliacco, non lo era affatto, e non era nemmeno un moccioso incapace di prendere decisioni senza pentirsene.
Era in ballo e doveva ballare. Voleva ballare, aveva deciso di ballare. E fanculo il resto.
 

Gloria perse immediatamente di vista sia Jimmy che Christian. Un minuto prima erano accanto a lei, quello dopo stavano assaltando tutti insieme la città e loro non c’erano più.
Gloria non era mai stata paurosa né dipendente da alcuno, tuttavia il trovarsi improvvisamente sola in mezzo a facce perlopiù sconosciute la mandò nel panico. Forse era la troppa adrenalina che rombava insieme al sangue nelle orecchie, forse il tutto che era troppo. Lei non aveva mai combattuto in vita sua: sapeva giusto menare le mani, come un bulletto di periferia. E poi... quella domanda che le aveva posto Jimmy, sul combattere e morire per qualcosa: lei, una riposta, non ce l’aveva mica. Credeva di averla, insomma, non era la stessa cosa?
No, non lo era, e lo stava scoprendo ora, terribilmente sola eppure circondata da tanta gente. Perché un conto era combattere con l’idea di dare la vita, un altro lasciarci le penne sul serio: dubitava di essere pronta a fare qualcosa del genere. Morire.
Il pensiero di diventare niente più che un pezzo di carne freddo, immobile, incapace di parlare, ridere, baciare era... era disumano. Così come lo era immaginare tutti coloro che la circondavano, compresi quei soldati che si buttavano su di loro, cadaveri.
Gloria gridò, ma il suo grido non si sentì neppure nel clamore in cui era immersa. Gridava ancora quando qualcuno con addosso un’uniforme si avventò su di lei. Il corpo reagì al posto suo: lo schivò, le dita si chiusero intorno all’impugnatura del coltellaccio che fece mulinare davanti a sé; il movimento disegnò una stria di sangue lungo il petto del soldato. Gloria si gettò in avanti e piantò la lama nel torace, i palmi e i polsi che si tingevano di cremisi e il respiro affannoso. Poi incrociò lo sguardo con quello del soldato che si afflosciava a terra: i suoi occhi erano chiari, dilatati dalla paura e dal dolore e terribilmente giovani. Gloria annaspò, incapace di sottrarsi a quel viso che poteva avere la sua stessa età. Le morì praticamente tra le braccia, senza dire una parola e lei rimase lì, senza sapere se premeva le dita sul suo petto per arginare la ferita o per dargli il colpo di grazia. Quel ragazzo non voleva morire, gliel’aveva letto negli occhi, eppure era morto. Fosse stato più veloce, sarebbe stato vivo, e lei morta.
Jimmy l’aveva avvertita. Jimmy le aveva detto che doveva essere pronta a morire. E visto che non lo era, aveva ucciso un altro.
Si tirò in piedi, tremante. E’ la guerra, si disse. E’ la guerra. E tu devi uscire viva di qui, tornare da Christian e Jimmy e rimettere tutto a posto. Ecco quel che devi fare.
Le mani ormai erano impregnate di sangue. Che importava quante altre gocce vi sarebbero cadute?
 

Giunse al limitare della città che la battaglia era già iniziata. Ritardataria, come sempre, ma per una buona causa stavolta: aveva portato i rinforzi.
Gary e Jimmy non ce l’avrebbero mai fatta, da soli. Le venne quasi da sorridere pensando agli occhi azzurri di Jimmy, sempre colmi di sarcasmo, scetticismo, disillusione. Le avevano detto che era diventato un abile leader, uno di quelli per cui dare la vita. Voleva sapere se era vero. Voleva rivederlo.
 
 


Ormai avete capito che io e la puntualità non andiamo proprio d’accordo, persino quando mancano due soli capitoli alla fine (eh già). Ringrazio come sempre voi tutti punkettoni pazienti e in particolari i recensori SweetRevengeMCR e ele29na. Vi voglio benissimo; voglio benissimo anche ai Giorno Verde che forse il prossimo anno sono in tour. (E ditemi che avete capito di chi è l'ultimo POV. Se no mi faccio pena davvero)

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Capitolo 30
*** American eulogy ***


American eulogy
 
Luglio 2009
 
A: Mass hysteria


- Gloria! – due mani la presero per gli avambracci e Gloria si riscosse dalla trance in cui sembrava essere caduta. Si ritrovò a fissare gli occhi di suo fratello, così simili ai propri.
- Gloria! – ripeté lui – Sei ferita!
Con suo stupore, Gloria si accorse di sanguinare dalla spalla. Era del tutto intorpidita, non provava neppure dolore. Jimmy la afferrò fermamente per il polso. – Andiamo: tu non stai bene.
La trascinò via dalla battaglia, verso un palazzo diroccato che avevano eletto a rifugio e infermeria temporanea; Gloria lo seguì docilmente: non sapeva bene che fare. Tutte quelle persone...
- Ecco, siediti. Ora verrà qualcuno a controllarti. – Jimmy si accucciò di fronte a lei. – Cosa c’è, Gloria? Cos’è successo? –
- Io... – la voce le uscì in un rantolo. Ci riprovò: - Tutti quei soldati, Jimmy... io... li ho uccisi... – si mise a singhiozzare incontrollabilmente, afferrando la maglia di Jimmy. – Io... n-non volevo... m-ma... –
- Lo so – suo fratello le accarezzava dolcemente il capo. – Lo so, Gloria. Credi non lo sappia? Sono quasi cinque anni che faccio questa vita... e non ho sempre dormito bene la notte -.
Gloria lo guardò da dietro un velo di lacrime. – E... io cosa devo fare? –
Jimmy la strinse a sé. – Nulla, ragazzina. E’ proprio questo il problema: non puoi e non devi fare nulla perché... – si strinse nelle spalle – Perché cosa vorresti o potresti fare? Forse puoi dire una preghiera, ma alla lunga non cambia niente – la lasciò andare, dolcemente. – Resta qui. Riposati. Andrà tutto bene –
L’ultima volta che le aveva detto qualcosa del genere, non l’aveva più visto per cinque anni. Ma lei si fidava di suo fratello, perciò annuì debolmente e lasciò che lui le scivolasse via dalle braccia.
 
Lasciare sua sorella era stato più difficile di quanto non avesse mostrato. Gloria gli era sembrata in pessime condizioni, dal punto di vista psicologico. Quello di cui aveva davvero bisogno era un bel sonno e un risveglio in un ambiente sereno. Entrambe le cose erano chiaramente impraticabili.
Ciascuno reagiva in modo diverso al trauma dell’aver ucciso la prima volta: c’erano state alcune reclute che non avevano mangiato per giorni; altre che si erano comportate come se non fosse successo nulla, ma la notte si erano svegliate urlando. Jimmy apparteneva a quest’ultima categoria, con la differenza che lui non gridava mai: si svegliava da sogni confusi e insanguinati sudato, col batticuore, ma rigorosamente in silenzio; era come se si azzittisse da solo. Non aveva mentito a Gloria, anzi, ogni tanto quegli incubi lo perseguitavano ancora e l’avrebbero fatto di sicuro, dopo quella battaglia. Se non fosse morto, ovviamente.
Correndo piegato in due per evitare pallottole vaganti, raggiunse una postazione capitanata da una piccoletta di cui, al momento, gli sfuggiva il nome. Stavano usando come riparo un carro armato che era stato rovesciato in qualche modo e chiaramente svuotato dei suoi occupanti.
- Come va? – chiese gridando per superare il rumore di una granata.
La piccoletta si abbassò per evitare un pezzo di muro strappato dall’esplosione e gli fece il segno dell’ok, dopodiché strisciò per raggiungerlo.
- Non male, capo – confermò, sorridendogli sotto lo strato di polvere e sudore che le copriva il viso. – Certo, loro sono in vantaggio numerico, ma da quando sono arrivati quegli altri... –
- Non chiamarmi capo – fece Jimmy automaticamente; poi registrò il resto dell’informazione: - Quegli altri chi? –
Lei si strinse nelle spalle. – Non lo so. Un altro gruppo... non li ho mai visti, non so chi sia il loro capo –
Questa era nuova. Non doveva arrivare nessuno, anzi, non sapeva ci fossero altri gruppi nelle vicinanze. E se anche ci fossero stati, chi li avrebbe chiamati?
Scosse la testa; non era importante, alla fine, se questo poteva aiutare a portare a casa vivo qualcuno in più. Si rifornì in fretta di munizioni, batté la mano sulla spalla della ragazza e si gettò a capofitto nella mischia.
Mentre combatteva, tendeva a tenere la mente in modalità automatica, eliminando tutte le emozioni e i pensieri inopportuni; era anche quella una maniera per sopravvivere e restare concentrati e, finora, aveva sempre funzionato alla perfezione. Poi, qualcosa incrinò le sue mosse, riportando alla mente ricordi, sentimenti, tutto.
Era una chioma bionda, di quelle splendide, lussureggianti, che esistono solo nei libri di fiabe; ma in mezzo all’oro c’erano ciocche rosse, verdi, viola.
Era lei. Dio Onnipotente, era lei.
Jimmy allungò un braccio, aprì la bocca per chiamarla...
Il suo nome. Me lo ricordo.
 
B: Modern world


Christian era stato ferito a una gamba, per cui alcuni suoi commilitoni (aveva ormai il diritto di chiamarli così, no?) stavano cercando di convincerlo a ripararsi da qualche parte. In quel momento, lui era impegnato a insistere che la ferita non era così grave come sembrava e nemmeno faceva così tanto male, quando lo vide. Era strano, perché non stava nemmeno guardando da quella parte; aveva colto un movimento con la coda dell’occhio e... l’aveva visto cadere. Non c’erano stati spettacolari schizzi di sangue, Jimmy era semplicemente caduto, con un braccio teso verso qualcosa o qualcuno.
Christian, senza nemmeno pensare a quel che stava facendo, si precipitò verso di lui. Una parte della sua mente gli chiedeva se lo facesse per salvare una vita o piuttosto per evitare un immenso dolore a Gloria... ma non importava! Forse lo faceva in massima parte per lei, ma... Jimmy era una brava persona e si meritava come chiunque di vivere. Vero, si conoscevano da pochissimo, ma perché avrebbe dovuto lasciarlo per terra a dissanguarsi?
Provò a tirarlo su, ma la gamba ferita vacillò, sembrò sul punto di crollare... Inaspettatamente, qualcuno sorresse il corpo inerte di Jimmy dall’altro lato.
- Grazie – mormorò Christian, alzando lo sguardo per incontrare quello chiaro di una ragazza. Sembrava stanca e turbata quanto lui, ma gli abbozzò un sorriso e si mise quasi a portare entrambi di peso verso un rifugio.
- Là – boccheggiò Christian individuando un sito che fungeva da infermeria.
Posarono a terra Jimmy, che aveva solo un piccolo foro all’altezza del petto. Non usciva nemmeno così tanto sangue... Christian osservò il suo volto pallido, poi un paio di ragazzi che corsero ad affaccendarsi intorno a lui, infine la ragazza, e fu sorpreso di vedere che aveva le lacrime agli occhi. Deglutì e le si avvicinò; allora, guardandola bene in faccia, la riconobbe come quell’amica di Tunny, che era sparita la mattina dopo essere arrivata. Non conosceva il suo nome, però.
- Stai bene? –
- Io... sì, certo... ma Jimmy... –
- Lo conosci? Bene, intendo –
Annuì, i capelli biondi che andavano a oscurarle il viso. – Sì... da parecchio non lo vedevo e... –
Christian non ebbe il tempo di tentare di rassicurarla più che altro perché una scarica di imprecazioni lo ammutolirono: sangue denso e rosso aveva preso a fuoriuscire dalla ferita di Jimmy, inzuppando le bende e le meni di chi cercava di curarlo, e l’asfalto... tutto.
Una parte di Christian avrebbe voluto girarsi dall’altra parte, tapparsi le orecchie e gli occhi; l’altra lo spingeva ad agire, fosse anche solo prendere la mano di Jimmy e ascoltare il suo battito che si affievoliva; glielo doveva, visto che Gloria non era lì al suo fianco...
Gloria. Dov’era? Doveva sapere che suo fratello stava morendo, cazzo, e senza di lei... Christian si tirò in piedi guardandosi intorno come in un sogno. Lanciò un’occhiata al corpo di Jimmy seminascosto dai “medici”, poi alla ragazza bionda che ormai piangeva apertamente...
- Chris? – come se l’avesse evocata, eccola lì, malferma sulle gambe ma indubbiamente viva e in salute, più o meno. Gli si avvicinò e lo strinse come se avesse temuto di non poterlo più fare, e probabilmente era così.
- Sei vivo – mormorò Gloria, la faccia premuta contro la sua spalla sporca di sangue. – Ti ho perso a un certo punto, avevo paura... –
- Va tutto bene – la cullò Christian, odiandosi per quella bugia; non andava bene un cazzo e le sarebbe bastato allungare il collo per accorgersene. – Sto bene e anche tu e... – E?
- Chris, io... – si bloccò a metà frase e lui la sentì irrigidirsi contro il suo petto. – Jimmy? –
- Gloria... – come per un riflesso condizionato, tentò di bloccarla, di proteggerla da quella visione, ma Gloria non si era mai fatta proteggere da lui: si districò dalle sue braccia, fece un passo avanti e lo vide bene.
- JIMMY! 

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Capitolo 31
*** Epilogo: See the light ***


Epilogo – See the light
 


Luglio 2009
 

Era una sensazione strana, che assomigliava al galleggiare, ma non nell’acqua... nell’aria. Non era affatto spiacevole, anzi. Alcuni dicevano che la morte non era spaventosa: era uguale al periodo trascorso nella pancia della madre, solo che le persone non potevano ricordarlo e quindi andavano nel panico pensando alla morte.
Per farla breve, non era spaventato. Però, c’era qualcosa che lo disturbava, come un pizzicorino sulla nuca, il ricordo di un sogno... Doveva fare delle cose, sì. Ma dall’altra c’era la quasi irresistibile tentazione di restare lì, nella pace e nel silenzio, a farsi cullare dal nulla. Era davvero rilassante stare lì, ovunque fosse lì. Dopotutto, perché dopo la morte avrebbe dovuto per forza esserci qualcosa? La vita era già abbastanza faticosa... il pensiero di affrontarne un’altra eterna non lo entusiasmava più di tanto, per non parlare della possibilità di reincarnarsi. No, grazie, stava bene lì dov’era... non fosse stato per quella sensazione...
 
Alla fine, il capo dei “medici” aveva chiesto a Christian il permesso di iniettare a Gloria un sonnifero: era sveglia da troppe ore, senza contare lo stress e la stanchezza accumulati; finora aveva retto solo grazie all’adrenalina e alla testardaggine, ma avrebbe presto avuto un collasso. Christian aveva acconsentito un po’ a malincuore perché non gli piaceva sapere Gloria sotto medicinali, ma capiva bene che non c’era alternativa per farla riposare qualche ora. Lui era riuscito a dormire un poco, così si ritrovava a vegliare entrambi i fratelli.
Non l’aveva detto a Gloria, ma purtroppo era convinto che Jimmy fosse spacciato: l’aveva letto nei visi troppo seri che li circondavano, nelle lacrime malcelate di Tunny e della ragazza bionda; e se lo sentiva dentro. E poi, bastava guardare le guance bianche di Jimmy per dargli ancora qualche ora, giorno a voler essere ottimisti.
Jimmy non sarebbe stato certo il primo a morire tra loro: nel giorno appena passato, Christian aveva assistito a più morti e funerali di quanto avesse fatto in diciotto anni di vita. Il campo di battaglia si era tramutato ben presto in un cimitero, sia per i loro soldati quanto per i nemici, ora uniti per sempre nella sepoltura. Christian ricordava di qualche poeta o scrittore studiato al liceo che declamava che nella morte siamo tutti uguali; l’aveva davvero capito solo ora, coperto di sangue e sporco, circondato da morti e feriti.
Si sentiva così stanco... non aveva nemmeno capito se avessero vinto o no. Probabilmente sì, dato che non erano stati arrestati o altro e l’esercito ‘regolare’ si era ritirato senza più colpo ferire. Ma da parte loro non c’era stato nessun festeggiamento: solo dolore, esaurimento, tenue speranza per alcuni feriti che non erano messi troppo male. Le facce che lo circondavano erano tutte così svuotate in quel momento... che senso aveva combattere se non riuscivi neanche a gioire delle poche vittorie? Non potevi farlo, perdevi troppo e non guadagnavi un bel nulla.
Abbassò lo sguardo su Gloria; probabilmente avrebbe dimostrato una disgustosa insensibilità, ma non appena si fosse ripresa un poco, voleva parlare con lei del loro futuro. L’ideale sarebbe stato voltare le spalle a tutto e tutti e vivere loro due nel bel mezzo del nulla, senza preoccupazioni o casini vari. Il Christian che era partito mesi prima l’avrebbe fatto senza pensarci due volte, chiuso com’era nel suo egoismo, nella sua malattia, nel suo amore per Gloria; il Christian del presente poteva ben dire di essere cresciuto e diventato un po’ più saggio e sapeva che, fosse anche fuggito in Siberia, i problemi del mondo avrebbero sempre trovato il modo di raggiungerlo. Gliel’aveva dimostrato quel viaggio: erano partiti spinti da un personalissimo motivo e si erano ritrovati invischiati in qualcosa di molto più grosso.
In sostanza, voleva proporre a Gloria di restare con i ragazzi di Murder City, anche se Jimmy non ci fosse stato più. Finalmente, dopo anni di inadeguatezza, aveva trovato il modo di fare qualcosa, piantandola di crogiolarsi nell’autocommiserazione, e non voleva mollare tutto di nuovo.
Non sapeva come l’avrebbe presa Gloria e non sapeva come avrebbe preso lui un eventuale rifiuto; non poteva immaginare una vita senza di lei, eppure... eppure...
 
Whatsername piangeva. Non capiva come né perché, ma Jimmy lo sapeva. La sentiva accanto e la sentiva piangere. Aveva pianto più di tutti, più di Tunny, anche più di Gloria, e lui questo non riusciva a sopportarlo. Non aveva mai sopportato i pianti, di chiunque, perché si sentiva un idiota, incapace di dire una parola di conforto. Se a piangere poi era una persona come lei, come Gloria, ragazze che amava e che erano forti, tanto più forti di lui... il dolore e l’impotenza erano schiaccianti.
Come in quel momento. Lui non poteva fare niente, giaceva immobile in un nulla che da confortante era diventato soffocante, come una coperta troppo calda. Non riusciva ad allungare la mano per asciugarle le lacrime né poteva parlarle per dirle che sarebbe andato tutto bene. No, lui doveva... doveva svegliarsi!
 
La mano di Jimmy stretta nella sua ebbe un guizzo. Gloria si chinò a controllargli il viso, che però rimase addormentato, anche se inquieto.
Al risveglio, Gloria si era ritrovata accanto al fratello, con Christian che vegliava entrambi e parlottava piano con Tunny; quando si era alzata, si erano zittiti tutti e due, ma lei aveva ovviamente intuito di cosa parlassero. Non era stupida: sapeva che le possibilità che Jimmy si svegliasse erano rade, tuttavia non aveva intenzione di abbandonare la speranza: la sua testardaggine l’aveva condotta fino a lui quando chiunque avrebbe rinunciato da tempo, perché darsi per vinta ora? Così si era seduta di nuovo accanto a Jimmy, aveva abbozzato un sorriso a Christian e Tunny e aveva ripreso la sua veglia.
- Gloria –
Dopo forse ore di silenzio quasi assoluto, anche la voce quieta di Christian la fece sobbalzare; incrociò i suoi occhi nocciola, stanchi probabilmente quanto i propri, ma ancora dolci, ancora amorevoli. Le si avvicinò piano e sedette accanto a lei con le ginocchia strette al petto.
- Pensavo una cosa – cominciò – o meglio, a cosa fare... dopo – prese un profondo respiro – Cioè... nel caso Jimmy non ce la facesse – la fissava come se temesse una crisi isterica. Gloria gli lanciò un’occhiata obliqua. – Credi che non lo sappia? Lo vedo da me che... che può non farcela. Piantatela di trattarmi come una bambina -.
Il suo sbotto sembrò in qualche modo tranquillizzare Christian, che raddrizzò la schiena e assunse un’espressione decisa. – Ho pensato molto, Gloria, a cosa voglio fare dopo. E ho deciso che voglio restare qui, con loro, a combattere. Finalmente ho trovato qualcosa e... – si interruppe. – Non è che tu non sia abbastanza. Sai quanto ti amo. Ma questo è diverso, è... –
- E perché pensi che io non sia d’accordo?  - lo colse di sorpresa, se ne accorse.
- Non sapevo se ti andasse di restare, soprattutto con Jimmy... be’. Noi dopotutto siamo venuti fin qui per lui e non abbiamo mai parlato realmente di cosa significa quello che lui ha fatto e costruito qua. E’ comprensibile non voler restare... –
- E’ egoista e infantile – lo interruppe Gloria. – Jimmy è mio fratello ed è la ragione per cui sono rimasta, è vero. Ma ci ho pensato anch’io e sono d’accordo con te – per la prima volta lasciò andare la mano di Jimmy e afferrò quelle di Christian. – Io voglio stare con te, Chris, ma voglio stare con te in un mondo migliore di quello che abbiamo visto. E’ una cosa sciocca da dire, ma non so come altro dirla. Voglio continuare a combattere, con te e lui al mio fianco... o in sua memoria -.
Dopo tutta l’insofferenza, la rabbia, la paura e il dolore, era quasi strano ritrovarsi così pacificati, pur avendo deciso di continuare a combattere; non era la lotta a testa bassa dei ragazzini che scrivevano sui muri e saltavano la scuola, era una cosa molto più profonda e indefinibile. Ma migliore senza dubbio.
 
Christian avrebbe ricordato quel momento per tutta la vita probabilmente: il viso di Gloria era come illuminato dal sole, solo che, be’, era una giornata piuttosto  nuvolosa e cupa e loro erano letteralmente circondati dal grigio, del cemento e dei palazzi. Ma lui sentiva come uno scintillio nell’aria, una certa aria di attesa; e anche Gloria dovette sentirla perché, senza lasciargli le mani, si chinò nuovamente su Jimmy. E, senza preavviso, quelle labbra livide si schiusero per inghiottire aria, due fessure azzurre si aprirono lentamente...
 
- Gloria – gracchiò Jimmy. Sua sorella lo fissava sbalordita e felice, così come Christian accanto a lei. Jimmy tentò un sorriso.
- Ho ricordato il suo nome.


THE END
 




Non ci posso credere: è finita! Devo ammetter che è stato un lingo viaggio scrivere questa storia: per quanto ci fossi affezionata, mi sono bloccata spesso, come avrete notato e qualche volta ho persino pensato di non farcela. E invece no, ed è solo grazie a voi, miei cari lettori e recensori; vorrei abbracciarvi uno per uno e invece mi limiterò a citare chi posso:

Fiore_Del_Male, GipsyK, incismile, Ladradifiori, Little_girl, Lizzie96, mizu_chan_foREVer, OriginalPrankster, Rage Ramone, Sidney Rotten, SweetRevengeMCR che mi hanno preferito;

belieber_idiot, Class Of 13, Jawaad_69, Michelle Diamonds, Nutella_Girl, sarathevampirediaries che mi hanno ricordato

Billie_LoveLove, Class Of 13, DoMaggiore, ele29na, endless_nameless, Fearfromthedarkness, gigiola, Giuliasassoli, Hoshi_Hime, Ladradifiori, Little_girl, OriginalPrankster, _neith che mi hanno seguito;

Class Of 13, _Idiot_, Christine02, DoMaggiore, Rage Ramone, SweetRevengeMCR, OriginalPrankster, endless_nameless, ele29na, _hell_inside_, Hoshi_Hime che mi hanno recensito.
 
Spero di aver messo tutti! E ovviamente, un grazie sentitissimo  a chiunque abbia letto e apprezzato in silenzio <3 E un grazie anche ai puffi verdi, mia fonte d’ispirazione e di vita :3

Baci verdi e alla prossima!

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