L'amore che non osa pronunciare il proprio nome

di LadyLigeia07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Parte ***
Capitolo 2: *** II Parte ***
Capitolo 3: *** III Parte (ultima) ***



Capitolo 1
*** I Parte ***


“L’amore che non osa pronunciare il proprio nome”

(The love that dare not speak its name)

-Fanfiction-

Note:

-Il titolo di quest’opera è tratto dalla poesia di Lord Alfred Douglas: “Two Loves”.

-Tutti i personaggi tratti dalla vita reale sono stati trattati con profondo rispetto.

-I personaggi: Asami Ryuichi, Takaba Akihito, Liu Feilong, Liu Yan Tsui, Mikhail Arbatov, Yoh; appartengono all’autrice Yamane Ayano (The Finder series).

-Fonti d’ispirazione sono state le seguenti opere di Oscar Wilde: “Il ritratto di Dorian Gray”, “L’usignolo e la rosa”; ed è stata menzionata/citata: “La Ballata del carcere di Reading”.

-È stata anche citata/menzionata la poesia di Baudelaire: “Il gatto” (I fiori del male).

-Un’altra fonte d’ispirazione è stata anche l’opera: “Un carnet de Bal” dell’autrice Nitta Youka.

-John Gray era un poeta e non un pittore.

-Il cognome “Westenra” è stato preso in prestito da un personaggio di “Dracula” - Bram Stoker.

-Per le fonti storiche ho usato Wikipedia.

 

V

Io non so se le Leggi sono giuste

o se le Leggi sono ingiuste;

tutto ciò che sappiamo noi che languiamo in un carcere

è che le mura sono troppo alte;

e che ogni giorno è lungo come un anno,

un anno i cui giorni sono lunghi.

(Da: “La Ballata del carcere di Reading”)

 

V

I know not whether Laws be right,

Or whether Laws be wrong;

All that we know who lie in gaol

Is that the wall is strong;

And that each day is like a year,

A year whose days are long.

(From: “The Ballad of Reading Gaol”)

 

I parte

 

Era il tardo pomeriggio di un giorno di primavera tanto splendido come non se ne vedeva uno così da tempo. Quell’uomo, dai bellissimi tratti orientali, guardava dalla finestra della sua camera e pensava, felice, a quanto era stato fortunato negli ultimi due anni della sua vita. Qualche volta, quando si trovava di umore meditabondo, riusciva a pensare con un misto di nostalgia e di amarezza alla persona che adesso gli permetteva di vivere con serenità. La sua mente tornava a quei giorni in cui aveva conosciuto casualmente quel nobiluomo giapponese che avrebbe cambiato per sempre il significato della sua vita: Una vita fatta di crudeltà, umiliazioni e privazioni. Era stato tutto un sogno? si chiedeva a volte nel buio della sua stanza prima di addormentarsi. Anche il quel momento, mentre riempiva d’acqua la vasca di ghisa smaltata nel suo bagno privato, si chiedeva se un giorno sarebbe riuscito a dimenticare quell’uomo. Quegli attimi di riflessione gli stappavano un sorriso amaro. Si chiedeva se quell’uomo sarebbe un giorno tornato da lui, per amarlo, come una volta, quando gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui. Non poteva negare a se stesso di amarlo ancora.

Una volta che ebbe finito di riempire la vasca con dell’acqua tiepida, prese uno sgabello dalla cucina e lo trascinò in bagno. Quel giorno aveva voglia di assaggiare una prelibatezza tipicamente occidentale e prese dalla sua dispensa una bottiglia di assenzio dalla marca rinomata, e preparò la mistura secondo i saggi consigli degli scrittori del tempo: dentro una piccola coppa trasparente ci mise uno schizzo di assenzio, sopra la coppa mise un cucchiaio forato con una zolletta di zucchero e ci aggiunse qualche goccia di laudano da una bottiglietta che teneva nella cassetta dei medicinali della sua stanza da bagno. Fece scorrere attraverso il cucchiaio uno schizzo di acqua gelata che aveva portato in un bicchiere, ed infine aveva appoggiato il tutto sullo sgabello e si era tolto la sua vestaglia di seta. Un attimo prima d’immergersi nelle acque profumate con dei sali francesi, aveva mischiato con cura la bevanda dentro la coppa.

Una volta dentro la vasca, socchiuse gli occhi per ricordare meglio quei tempi andati che sarebbero rimasti per sempre nella sua memoria fino alla fine dei suoi giorni. Osservando la lampadina accesa che illuminava il suo bagno, si rese conto che la droga iniziava a fare il suo effetto. Era come immergersi in un lungo e lucido sogno ad occhi aperti, senza tempo e senza spazio. Le sensazioni diventavano eterne ed incommensurabili. Quel bellissimo uomo avrebbe desiderato che quell’esperienza non finisse mai. Per mezzo di essa egli avrebbe continuato ad immaginare e a sognare l’unico uomo che avrebbe amato per l’eternità.

***

Era un tiepido pomeriggio di primavera quando un giornalista di origine per metà inglese e per metà giapponese passeggiava lungo le rive del Tamigi e si rendeva conto di quanto amasse la città di Londra, nonostante le sue numerose contraddizioni ed i pregiudizi della sua gente. Nonostante fossero molti anni che viveva in quella città, non riusciva ancora ad abituarsi allo sguardo di curiosità delle persone: quando veniva presentato a qualcuno, indipendentemente dallo status sociale di quella persona, invariabilmente veniva guardato con diffidenza o dubbio. Alcune persone proprio non sapevano come rivolgersi a lui, era come se si chiedessero se fosse il caso di trattarlo come un gentiluomo inglese o di usare l’approccio poco conciliante che di solito si usa con uno straniero. Nonostante i tratti orientali del suo viso fossero ammorbiditi dall’eredità materna, non riusciva ad evitare di essere guardato almeno con curiosità e perfino, a volte, con poco rispetto.

Si ricordava ancora, quando viveva nella città di Tokyo in compagnia di sua madre e di suo padre nella sua casa natale, dei giorni felici della sua infanzia. I suoi genitori erano figli di ricchi mercanti e, nonostante le differenze razziali e culturali, si erano sposati per amore dando uno schiaffo ai pregiudizi dei propri parenti. Sua madre, Jane, si era adattata egregiamente ai costumi giapponesi e si comportava sempre in maniera decorosa con i parenti di suo marito e con gli amici di famiglia. Riusciva persino a portare un kimono con molta grazia ed a fare gli onori da padrona di casa preparando il tè per gli ospiti.

Quel giorno, lungo il Tamigi, Akihito ricordò i profumi ed il calore della sua casa durante le giornate di primavera, e non poté impedire che alcune lacrime inondassero i suoi occhi scuri ed un’espressione di tristezza incurvasse le sue labbra sottili. Forse era meglio, pensò, non cedere alla nostalgia.

Di lì a poco sarebbe dovuto tornare nella sua camera in affitto. Egli aveva affittato una camera ammobiliata in un classico quartiere della classe media presso la villetta dove viveva un notaio: Anthony Nelson. Egli, non avendo figli ed essendo rimasto vedovo alcuni anni prima, aveva deciso di affittare una stanza a uno studente o a un lavoratore che avesse un impiego confacente alle caratteristiche che egli considerava degne di una persona perbene. All’inizio, nonostante le raccomandazioni dei suoi datori di lavoro, il giovane aveva fatto fatica a trovare un luogo nel quale vivere.

Akihito lavorava presso il “Golden Herald”, un giornale che si occupava prevalentemente di fatti di cronaca e di resoconti di riunioni mondane. Il giornale, sebbene non di prestigio, aveva un buon picco di vendite nei giorni dopo un ballo di gala o dopo la prima teatrale di qualche opera importante. Questo gli aveva permesso di entrare in contatto con il bel mondo dell’alta società londinese. Sorrise nel ricordare la prima volta che aveva visto quell’uomo dall’aria così misteriosa e affascinante una notte durante il ballo dato nella casa di Lady Westenra in una delle zone migliori del West End.

Una volta da solo nella sua stanza ammobiliata, Akihito aprì la finestra della sua camera. Gli piaceva guardare fuori verso il tramonto nei giorni in cui riusciva a finire presto di lavorare. Rimase per un po’a guardare le case dei dintorni ed i loro piccoli giardini. Gli piaceva respirare l’aria carica dei profumi della primavera.

Poco dopo qualcuno suonò alla sua porta: era la cameriera del signor Nelson, Ida, essa aveva in mano il vassoio con la sua cena. Rimasto di nuovo da solo, il giovane disse a se stesso che la mattina seguente era uno dei giorni più importanti per la sua carriera di giornalista. Il giorno dopo si sarebbe tenuto il secondo processo che vedeva coinvolti lo scrittore irlandese Oscar Wilde ed il marchese di Queensberry. Con una grande mossa da parte del suo avvocato, il marchese era riuscito a rovesciare le sorti che lo vedevano come imputato nel caso di calunnia contro il famoso scrittore, adesso era Wilde che doveva difendersi dall’accusa di sodomia e atti contro la morale nell’atmosfera rigida dell’epoca vittoriana. Le mani del giornalista tremarono al pensiero di quello che l’artista avrebbe dovuto affrontare il giorno seguente. Il marchese era riuscito a stanare tutti i giovani che avevano intrattenuto una presunta relazione di tipo omosessuale con lo scrittore, ed il giovane giornalista temeva che qualcuno di essi si lasciasse sfuggire alcuni dei nomi dei loro clienti. Anche Alfred Taylor sarebbe stato portato davanti alla corte il giorno seguente per aver fatto della sua casa al numero 13 di Little College Street, un luogo di incontri tra uomini della buona società londinese e giovani marchettari di bel aspetto. Bastava che uno di quei giovani si lasciasse sfuggire il nome di una persona che Akihito conosceva intimamente, perché la vita del giovane dal cuore sincero e dalle belle speranze crollasse per sempre.

Quella notte, nel suo letto, Akihito continuava a muoversi senza riuscire a prendere sonno. Qualcuno gli aveva consigliato l’uso del laudano quando si trovava in quelle condizioni, ma lui sapeva che un simile rimedio poteva procurare una rapida assuefazione nelle persone che ne facevano uso, e non voleva ricorrervi. Quella notte, mentre sembrava che il sonno ristoratore non dovesse arrivare mai, il giovane si ricordò del viaggio che aveva compiuto verso il Vecchio Mondo a soli dieci anni. Fino a quel momento suo padre l’aveva fatto educare in casa con l’aiuto di un’istitutrice, come si addiceva ai giovani delle buone famiglie europee i cui costumi egli ammirava tanto. La sua maestra, una ragazza per metà cinese e per metà giapponese, gli aveva insegnato i rudimenti del cinese mandarino e qualcosa del dialetto cantonese. Questo gli si era rivelato molto utile, quando, una volta finiti gli studi, il giovane era andato alla ricerca di lavoro. Uno dei suoi primi incarichi l’ottenne andando a fare un’indagine in una delle fumerie d’oppio che si trovava in uno dei quartieri più disastrati della zona vicino al porto di Londra. Egli era rimasto inorridito nel vedere quella casa fatiscente dal soffitto basso in cui c’erano alcune persone sdraiate su dei materassi a terra, le quali sembravano essersi straniate dal mondo mentre fumavano dell’oppio usando lunghe pipe. I clienti erano per lo più operai delle fabbriche o marinai del porto. Akihito, comunque, fece fatica a capire quello che dicevano i gestori del posto. Probabilmente perché si trattava del dialetto cantonese, in genere una buona parte degli immigrati cinesi proveniva dalle zone in cui si parlava quel dialetto. Akihito uscì completamente frastornato da quell’esperienza. Non aveva mai fumato dell’oppio in vita sua e gli effetti erano quanto di più strano egli avesse mai provato.

Il giovane si girò dall’altra parte del letto e allungando il braccio accese la lampada che si trovava sul comodino alla sua sinistra. Guardò la sveglia: erano le due di notte. In quel momento il giovane si ricordò di quella vecchia abitudine di sua madre di contare le pecore quando non riusciva a dormire e sorrise.

Ricordava di quando circa due settimane dopo essere partito dal Giappone, la nave nella quale egli aveva compiuto il suo viaggio verso l’Europa attraccò nel porto di Londra. Il viaggio era stato lungo e pesante, ma molti momenti di cupa tristezza ancora lo attendevano. Si ritrovò da solo in uno dei collegi più prestigiosi della città sotto lo sguardo arcigno di gelidi insegnanti e lo sguardo incuriosito, e a volte poco amichevole, degli altri bambini. Aveva pianto numerosi notti nella stanza che condivideva con altri allievi, ingoiando le sue lacrime in silenzio e pensando, con infinita malinconia, ai suoi genitori e alla sua patria lontana.

A suo vantaggio, si può dire, il giovane aveva il fatto di non essere digiuno in inglese come molti altri studenti che arrivavano da terre lontane.

Suo padre aveva provveduto a procurargli una buona e solida istruzione, ma si era dimenticato, come molti altri padri, che non solo della propria istruzione vive un uomo, ma anche dell’affetto dei propri cari.

Una volta finiti gli studi, il giovane aveva fatto fatica a trovare un posto dove lo volessero assumere. Sebbene avesse incominciato come libero professionista, egli ambiva a trovare un lavoro stabile che gli permettesse di vivere decorosamente. Rispondendo alle sue lettere, suo padre gli aveva fatto capire che poteva contribuire a pagare la maggior parte delle sue spese. ‘Potresti permetterti un bell’appartamento in una delle zone più belle della città’, aveva scritto, ma Akihito aveva preferito declinare gentilmente quell’offerta. Voleva essere un uomo indipendente.

Nei numerosi colloqui di lavoro che fece quando cercava di sistemarsi attraverso la sua professione, il giovane era incappato in tutti i generi possibili e immaginabili di direttori di giornali. Alcuni appena lo vedevano gli dicevano che il posto era già stato dato a qualcun altro. Altri lo fissavano con impertinenza, c’era stato perfino uno che gli aveva chiesto che origini avessero i suoi genitori e se erano sposati quando lui era nato. Quelle interviste l’avevano ferito profondamente, finché non era incappato nel direttore del Golden Herald. L’uomo aveva capito dal curriculum del giovane che egli era in grado di parlare più di una lingua in maniera fluida e che aveva fatto un bel po’ di esperienza sul campo; aveva anche esaminato, con delicatezza, altre caratteristiche della sua persona: il modo consono nel vestire e l’aria rispettabile, e gli aveva subito offerto il posto vacante.

Verso le tre del mattino, Akihito riuscì a prendere sonno. Poco prima di addormentarsi gli si presentarono alla mente alcune immagini della festa che si era tenuta in casa di Lady Westenra. Il pavimento del salotto sembrava essere stato lucidato a nuovo ed un lampadario di cristallo pendeva dal soffitto. Gli uomini e le donne erano vestiti con grande eleganza. I signori portavano finissimi completi oscuri, cravattini bianchi e panciotti dello stesso colore. Le giacche avevano la coda e le camicie erano bianche con i polsini ornati da gemelli d’oro. Le signore indossavano vestiti di seta dalle tinte pastello le cui falde erano tese con delle crinoline. Portavano pettinature elaborate e fiori e nastri tra i capelli. Esse avevano tra le mani i loro carnet da ballo ed i loro ventagli fatti di piume di struzzo con il manico di madreperla.

Quella sera si era presentato alla festa dopo che, nei giorni precedenti, il direttore del suo giornale gli aveva consegnato l’invito ricevuto dalle mani di Lady Westenra, una ricca nobildonna di mezza età. Il giovane era arrivato quella sera puntualmente. Davanti alla porta era apparsa la padrona di casa accompagnata dalla cameriera che aveva il compito di prendere in consegna i soprabiti, i cappelli ed i bastoni da passeggio degli invitati alla festa.

La signora gli sorrise e l’accompagnò lungo il corridoio che portava alla sala da ballo. Ella indossava un vestito color pesca ed una vistosa collana d’oro. Lungo il corridoio gli parlò del più e del meno, gli disse, con un ampio sorriso: “Spero, signor Takaba, che scriverà un bell’articolo per il suo giornale su questa mia piccola riunione. Oggi abbiamo la visita del figlio di un conte venuto dall’estero”, e subito dopo, usando in maniera delicata il suo ventaglio per indicare un angolo della grande sala, continuò: “Vede quell’uomo alto e biondo che sta discorrendo con quel gentiluomo dai tratti orientali? È proprio lui, il figlio maggiore del conte Arbatov, Mikhail.” Akihito, di riflesso, guardò subito in quella direzione e vide due giovani con le loro coppe in mano che parlavano. L’uomo dai “tratti orientali” sembrava un visconte giapponese di cui aveva sentito parlare nelle cronache mondane di altri giornali. Egli era un uomo vestito con un gusto squisito e che dimostrava meno dei suoi trentacinque anni. Il nobiluomo non si era ancora accorto che la padrona di casa si stava avvicinando nella loro direzione e aveva continuato il suo discorso con il figlio del conte russo. All’improvviso, aveva messo una mano nella tasca della sua giacca per estrarre un astuccio di argento che conteneva dei biglietti da visita. Con un gesto molto elegante prese uno di questi e lo consegnò al nobile russo. Lady Westenra arrivò tutta sorrisi in quel momento e, congiungendo le mani, chiese scusa per l’interruzione e presentò ai due giovani il giornalista del Golden Herald.

Akihito, sorrise di nuovo ricordando il suo primo impatto con il visconte Ryuichi Asami. Poco dopo si addormentò.

Il giorno dopo, il giovane dovette alzarsi controvoglia mentre la sveglia squillava a più non posso perché doveva recarsi nella sala di corte dove si sarebbe tenuto il secondo processo che vedeva coinvolto Oscar Wilde, questa volta nella parte dell’accusato.

Akihito arrivò trafelato nella sala dove si sarebbe svolto il processo. Egli aveva un posto assegnato nei banchi destinati ai giornalisti e una volta che gli indicarono il suo posto si girò a guardare una persona che lui conosceva, si trattava del giornalista di origini canadesi Robert Ross, suo amico, e lo salutò con un cenno del capo, alla maniera inglese.

La difesa di Wilde era stata assegnata all’avvocato Clarke, lo stesso che aveva condotto l’accusa contro il marchese di Queensberry. Wilde era rimasto detenuto nel carcere di Bow Street, non gli era stata concessa la libertà provvisoria. Il pubblico ministero incaricato dell’accusa, Charles Gill, si prese la briga di leggere davanti alla giuria e al pubblico che assisteva al processo, i versi di una poesia composta da Lord Alfred Douglas quando il giovane era ancora uno studente di Oxford, ed a un certo punto si rivolse a Wilde per chiedergli: Che cosa vuol dire ‘l’amore che non osa pronunciare il suo nome’? La risposta dello scrittore arrivò senza esitazioni: “L’amore che non osa dire il suo nome in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare…non c’è nulla di innaturale in tutto ciò.”

Il pubblico applaudì di fronte alla risposta dello scrittore. Akihito, seduto con il suo taccuino e la sua penna stilografica in mano, avrebbe voluto piangere. Il signor Oscar e lui, come molti altri, avevano lo stesso giro di amicizie, egli sapeva che lo scrittore trattava di proteggersi da accuse infamanti, da una possibile punizione indegna di un paese civile, ma lui sapeva come stavano veramente le cose. Lo sapeva da quel giorno in cui aveva iniziato una relazione molto intima e particolare con il visconte Asami. Loro conoscevano che cosa c’era tra Oscar Wilde ed il giovane Alfred Douglas, nel loro giro di amicizie non era un segreto per nessuno. Uno degli amici più intimi dello scrittore era stato il giornalista Robert Ross ed in seguito il pittore John Gray. Lo stesso Asami si era fatto fare un ritratto da quest’ultimo, il quale ornava una delle pareti del suo appartamento nel quartiere di Chelsea. Qualche volta, quando Akihito andava a fargli visita, rimaneva senza parole di fronte alla capacità che aveva avuto l’artista di estrapolare dagli indecifrabili lineamenti del suo raffinato amante la luce speciale che questo aveva nei suoi occhi. Tante volte Akihito aveva pensato a che cosa si potesse nascondere dietro a quello sguardo a volte misterioso e glaciale. Qual era il segreto che si nascondeva nel cuore di quell’uomo? si era chiesto tante volte. Sapeva molto poco del suo passato e della sua famiglia. Il visconte era rimasto per affari nella città di Londra e gli piaceva vivere lì, ma a parte questi piccoli particolari, il giovane giornalista ne sapeva ben poco.

Akihito non voleva piangere, mentre sentiva come a uno a uno i ragazzi che lo scrittore aveva frequentato in passato, venivano interrogati dal pubblico ministero. Vennero passati al setaccio le lettere che il marchese di Queensberry aveva conservato e nelle quali si parlava di come questo avesse cercato di mettere in guardia il figlio dalla sua amicizia con Wilde. Questo giocò molto in favore del padre, il quale aveva sempre avuto la fama di essere un uomo poco comprensivo, e perfino crudele, con i membri della sua famiglia.

La giuria decise solo per la non colpevolezza di uno dei ragazzi ascoltati. Visto che, alla fine, non si era giunti ad alcuna conclusione, il vice procuratore Lockwood chiese un nuovo processo.

Anche se temporaneamente libero, lo scrittore correva davvero il rischio di venire condannato. Alcuni dei suoi amici gli consigliarono di riparare, temporaneamente, all’estero. Intanto i teatri della città di Londra toglievano dai loro cartelloni il nome di Wilde. Tanti amici gli girarono le spalle e solo in pochi gli rimasero fedeli.

Durante il mese di maggio del’95 arrivò la sentenza definitiva. Il giudice Wills separò il processo dello scrittore da quello di Alfred Taylor. La giuria si espresse per la colpevolezza di Wilde. Il giudice emise la sentenza dopo aver detto che “Persone capaci di compiere simili cose sono chiaramente sorde ad ogni sentimento di vergogna. Questo è il peggior processo che io abbia mai presieduto”, e diede il massimo della pena: due anni di reclusione per entrambi gli imputati. Le persone in sala reagirono e insultarono lo scrittore. Wilde, visibilmente sconvolto e sul punto di svenire, venne praticamente trascinato via dalle guardie.

Akihito vide le lacrime sul viso di Robert Ross quella volta. Egli era stato uno dei pochi tra i presenti che si era alzato, nel momento in cui lo scrittore era passato davanti a lui, e si era tolto il cappello in segno di riconoscenza, affetto e rispetto.

Qualche tempo dopo, Akihito venne a sapere che Alfred Taylor era riuscito a fuggire negli Stati Uniti e che Wilde era stato trasferito nel carcere di Reading dove avrebbe scontato la maggior parte della pena inflittagli.

Il giorno seguente, il direttore del Golden Herald, Abbott Neill, chiese ad Akihito di procurarsi un appuntamento con Robert Ross e di andare a sentire il suo parere riguardo la sentenza dello scrittore. Akihito ottenne un appuntamento per il giorno seguente e si recò nella casa di Ross nella zona di Piccadilly verso le dieci del mattino.

Robert Ross lo ricevette in veste da camera, una cosa abbastanza inconsueta da parte sua, essendo egli di solito molto formale quando doveva rilasciare interviste. Una volta nel suo studio, Ross gli chiese se aveva intenzione di scrivere tutto quello che lui gli avrebbe detto. Akihito aveva considerato la questione del tutto fuori discussione. Rassicurò Ross che avrebbe solo scritto le cose che lui gli avrebbe autorizzato.

Il giornalista canadese era molto nervoso. Una volta che fece accomodare il suo ospite su una delle poltrone del suo studio, gli chiese se sapeva bene dei rischi ai quali molti di loro erano andati incontro in quei giorni. Akihito sapeva di che cosa stava parlando. Era stata una fortuna per tutti che alcuni dei ragazzi di Alfred Taylor si fossero rifiutati di testimoniare. Era un mondo a parte il loro, un mondo che sarebbe apparso indegno alla maggior parte dei beneducati inglesi. Uno dei ragazzi, Sean Stevens, aveva conosciuto Wilde attraverso John Gray, per il quale aveva posato come modello per alcuni dei suoi quadri. Quel ragazzo era ben conosciuto nel loro giro. Anche Ross aveva frequentato in passato la casa di Taylor e molti dei suoi conoscenti e amici avevano avuto appuntamenti da quelle parti: Lo stesso visconte Asami e il figlio del conte russo, Mikhail, facevano parte di quell’esclusivo circolo. Mikhail Arbatov, però, era stato il più furbo di tutti. Appena aveva sentito che aria tirava, già da prima dell’inizio del primo processo, si era fatto preparare le valigie ed era partito per un viaggio “di affari” a San Pietroburgo, chissà quando sarebbe tornato, semmai lo avrebbe fatto.

Akihito rimase allibito nel sentire Robbie Ross inveire contro Alfred Douglas. Lui, che di solito gli era parso così controllato. La sua avversione verso quel ragazzo era autentica e profonda. Attribuiva a lui tutti i mali e le disgrazie che gli erano capitate a Wilde dall’inizio della loro relazione. Egli era, agli occhi di Ross, solo un ragazzo viziato ed egoista che aveva trascinato lo scrittore verso quell’ orribile farsa del primo processo. L’artista non avrebbe mai dovuto intentare la causa per calunnia contro il marchese di Queensberry, era stata una follia sin dall’inizio, sapendo che cosa rischiava Oscar se si venivano a sapere i suoi giri. Cose personali e disdicevoli per la buona società vittoriana e che nulla avevano a che fare con le sue qualità artistiche e che si sapeva che potevano danneggiarlo irrimediabilmente. Con lo sguardo ancora costernato, Ross si rivolse al giovane giornalista:

“Dimmi che cosa dovrei fare io adesso? Per molto tempo si parlerà ancora di questa storia e non vorrei che prima o poi toccasse a qualcun altro di noi. Lo capisci, vero?”

Akihito capiva tutto perfettamente. Sapeva delle esperienze degli altri e del suo stesso amante presso i postriboli di soli uomini, ma si era sempre rifiutato di chiedere al visconte giapponese qualcosa riguardo a quelle esperienze. Akihito, per coloro che lo conoscevano, era una sorta di raro esemplare di onestà e purezza di pensiero. Forse era questo che aveva fatto provare al visconte Asami attrazione per lui. Qualche volta il giovane aveva pensato a questo. Si ricordava ancora della prima volta che era stato nell’appartamento dell’uomo. Egli lo aveva ricevuto con una coppa di buon vino e l’aveva fatto accomodare in salotto su un divano foderato di raso ricamato. Lo aveva guardato negli occhi prima di baciarlo e gli aveva detto: “Hai degli occhi infinitamente dolci e sinceri.” Questa affermazione l’aveva sconvolto profondamente. Il giovane non era abituato a ricevere gli elogi di un altro uomo e gli era anche sembrato che quello spontaneo apprezzamento nascondesse una sorta di malinconia, forse un triste e vecchio ricordo. Da quel momento, il giovane si sarebbe sentito prigioniero di quell’amore che non sarebbe riuscito a combattere e del quale non avrebbe mai potuto fare parola con nessuno, perché considerato proibito dalla società di quel tempo.

Quel pomeriggio, nel suo ufficio, Akihito scrisse l’articolo con i particolari della storia che Ross gli aveva autorizzato a scrivere. Londra era stata letteralmente subissata di articoli giornalistici che parlavano dello scrittore, dello scandalo, della condanna e della fine dell’estetismo come movimento artistico.

Hall Caine, scrittore e drammaturgo, rivoltosi a Coulson Kernahan, poeta, aveva commentato che si trattava di una tragedia per la storia della letteratura.

Verso sera, Akihito prese il suo cappello ed il suo bastone dall’attaccapanni che si trovava nel corridoio dell’ufficio del giornale, e si diresse verso casa. Il suo bastone era l’invidia dei suoi colleghi di lavoro. Esso aveva una bellissima impugnatura fatta di argento. Sorrise al ricordo delle circostanze che gli avevano permesso di entrare in possesso di quell’oggetto.

Alla fine del ballo che era stato dato da Lady Westenra nella sua villa, la cameriera gli aveva portato i suoi oggetti personali. Solo quando era già a casa, il giovane si era reso conto che quel bastone non era il suo. Nel disegno era somigliante, ma esso era fatto di un legno più fine e con una bellissima impugnatura di argento lavorato.

Il giorno dopo fece arrivare un messaggio a casa della nobile signora nel quale parlava dell’equivoco. La sera stessa, la domestica del signor Nelson gli portò nella sua camera una busta con un messaggio ed un biglietto da visita. Spiegò che era stato un gentiluomo a portarlo quel pomeriggio. Akihito si stupì nel leggere un messaggio scritto in giapponese. Il biglietto da visita era scritto, invece, in inglese. Si trattava del visconte Ryuichi Asami. Sul messaggio egli si scusava di essersi rivolto a lui usando la lingua del suo paese natale. “Spero che per Lei questo non rappresenti un problema,” aveva scritto.

Sul messaggio faceva presente al giovane che, per via di un errore, la cameriera di Lady Westenra aveva scambiato i loro bastoni da passeggio. Verso la fine del messaggio egli lo informava che, se per il giovane non era un problema, poteva tenersi il suo bastone. “Tanto io ho il suo, e mi sembra molto bello,” aveva scritto. Alla fine lo salutava cordialmente e lo invitava a rispondere al suo messaggio e di inviarglielo presso il suo indirizzo nel quartiere di Chelsea.

In quel momento Akihito non seppe cosa fare. Secondo le sue abitudini, sarebbe stato più consono rispondere al visconte di persona. Prese un foglio di carta ed scrisse un breve messaggio al nobiluomo in cui lo ringraziava, innanzitutto, per la sua gentilezza e per la sua offerta, e nel quale gli chiedeva, anche, il piacere di riservargli alcuni minuti del suo tempo in modo da poter ringraziarlo di persona. Subito dopo, il giovane giornalista mise il messaggio dentro una busta, scese al piano di sotto, prese il suo cappello dall’attaccapanni vicino all’entrata e uscì in strada.

Con passo leggero s’incamminò verso l’ufficio postale più vicino dove gli comunicarono che il suo messaggio sarebbe stato consegnato al destinatario il giorno seguente. Akihito non se la sentiva di presentarsi nella casa di un aristocratico senza previo invito e aveva deciso di usare il servizio postale per fare arrivare quel breve messaggio al visconte e ottenere, in cambio, un invito formale.

La risposta non si fece attendere e dopo un paio di giorni gli arrivò una lettera del visconte nella quale egli lo informava che sarebbe stato un piacere rivederlo, ma che invece del suo appartamento sarebbe stato molto più gradevole se si trovavano presso il “Savoy” per cena il successivo venerdì. “Cosa ne pensa Lei?” aveva scritto il visconte.

Per Akihito sarebbe stato senz’altro un piacere, ma subito si sentì a disagio nel ricordare che per recarsi al ballo di Lady Westenra aveva dovuto noleggiare un abito da cerimonia adatto all’occasione. Forse avrebbe potuto fare lo stesso per recarsi nel famoso ristorante. Il giovane si morse le labbra per cercare di non ricordare lo stato pietoso delle sue finanze ultimamente.

Il giorno fissato, venerdì, il giovane si era presentato puntuale all’appuntamento. Si era fatto prestare un abito elegante da un suo collega di lavoro che ne aveva un paio nel suo armadio, quegli indumenti gli consentivano di tirarsi fuori dai guai quando, casualmente, riceveva inviti del genere.

La sala era gremita di gente, e un cameriere, con un gesto cortese, lo condusse davanti al tavolo che aveva prenotato il visconte. Egli era lì che lo aspettava, e subito si mise in piedi per riceverlo e dargli la mano. Gli sorrise. I suoi gesti avevano qualcosa di galante e di enigmatico nello stesso tempo. Aveva i capelli oscuri pettinati all’indietro e portava le basette. Egli aveva, inoltre, una bella figura che gli permetteva di portare qualsiasi abito con disinvolta eleganza.

Quella sera, al letto, il giovane giornalista ricordò, con una buona dose di affetto sincero, quella prima cena al “Savoy” in compagnia del visconte.

L’Hotel Savoy, con il suo annesso ristorante, era stato il primo albergo di lusso aperto a Londra e si trovava presso la zona di Westminster. Akihito chiuse gli occhi mentre ricordava gli argomenti di cui aveva parlato con il nobiluomo e le cose squisite che avevano degustato in quel posto. Solo verso la fine del loro incontro, il giovane si sorprese nell’apprendere che il visconte voleva che uscissero insieme altre volte. Quella volta aveva accettato, con riluttanza, che il nobiluomo si accollasse tutte le spese della cena. Comunque, Ryuichi Asami, aveva un modo di porsi molto particolare che faceva che il suo interlocutore non potesse fare a meno di accettare le sue proposte, a volte anche di condividere i suoi punti di vista. Egli sapeva essere persuasivo senza risultare antipatico o impudente. Akihito era rimasto affascinato da lui, dalla sua conversazione e dal suo innegabile fascino personale. In modo naturale e piacevole il visconte gli chiese di poter vederlo altre volte…e di occuparsi lui delle spese. “Ultimamente non so bene cosa fare con il mio tempo libero e preferisco impiegarlo incontrando le persone che mi stanno simpatiche e che, naturalmente, vogliono starmi a sentire,” disse con un sorriso smagliante.

Nel fondo Akihito si vergognava un po’di aver accettato quegli inviti senza aver contribuito alle spese con un singolo penny, ma ormai era tardi per darsi pensiero. Al primo invito erano seguiti altri inviti al “Savoy”, alcune volte pranzi al Café Royal e gite fuori città. Il tutto era stato l’inizio di una grande storia d’amore. Anche se Akihito sapeva molto poco della vita del visconte e degli affari di cui si occupava, egli non poteva negare a se stesso di essere ormai coinvolto a tal punto in quella relazione da non poter concepire la sua stessa vita senza di lui.

***

Alla viglia della prima Guerra dell’oppio, il consumo nel Celeste Impero era dilagato fino agli strati più infimi della società, diventando un’epidemia sociale. Un tempo erano stati gli esponenti delle élite culturali e politiche a richiedere l’oppio e a farne uso, ma col tempo perfino la parte meridionale dell’impero era diventata, in gran parte, dipendente dalla droga. I lavoratori che svolgevano i lavori più umili lo usavano per alleviare le fatiche della vita quotidiana. Gli interventi governativi che cercarono di mettere un argine al dilagare di questa infezione sociale, furono tardivi. La sconfitta nella prima Guerra dell’Oppio aprì definitivamente le porte all’uso popolare e massiccio della sostanza nella Cina profonda. La coltivazione locale esplose ed spinse i contadini, che temevano delle ritorsioni, ad spacciarla per un prodotto straniero.

Il trattato di Nanchino, che portò a termine la prima Guerra dell’oppio nel 1842, assicurava al Regno Unito l’apertura di alcuni porti, tra cui Canton e Shangai, il libero accesso dell’oppio nelle province del sud con basse tasse doganali, e decretava la consegna dell’isola di Hong Kong all’impero inglese. Essa divenne una Colonia della corona Britannica con la fondazione di Victoria City, avvenuta l’anno seguente.

La prima guerra dell’oppio espose per intero le carenze dell'apparato militare cinese e aprì il paese alla penetrazione commerciale europea. Nel decennio 1850-60 la Cina si trovò ad affrontare una crisi interna di vaste proporzioni e un nuovo sciagurato scontro con la Gran Bretagna. Il conflitto, conosciuto come la seconda Guerra dell’Oppio, cominciò nel ‘56, in seguito all’attacco di una nave inglese nel porto di Canton, e finì nel ‘60, con una nuova resa della Cina, che fu costretta a firmare il trattato di Tianjin nel 1858 e quello di Pechino nel 1860. In base al primo trattato, la Cina, oltre a dover pagare una sanzione più pesante rispetto a quella versata a seguito della Prima Guerra dell’Oppio, dovette aprire altri porti e concedere il libero transito sul territorio ai commercianti stranieri. Con il trattato di Pechino, le forze occidentali ottennero esenzioni doganali ed il libero accesso delle loro navi alla rete fluviale cinese.

Sulle coste cinesi c’era una costante movimentazione di merci che avevano come luogo i porti di: Canton, Amoy, Fuzhou, Ningbo e Shanghai. In vista all’orizzonte c’erano sempre navi e vascelli pieni d’oppio. La colonia britannica di Hong Kong divenne il paradiso dell’oppio.

Nel 1860, dopo la sconfitta della Cina nella Seconda Guerra dell’Oppio, la penisola di Kowloon e l’isola di Stonecutter si aggiunsero, a seguito della Convenzione di Pechino, ai possedimenti della Gran Bretagna.

Alcuni anni dopo…

In seguito alla notizia dell’improvvisa morte del loro padre, due fratelli dovettero prendere la decisione di abbandonare la casa paterna e di partire, protetti dall’oscurità della notte, in una nave che salpava dal porto più vicino. Un viaggio che avrebbe loro permesso di sfuggire allo stesso destino del loro padre, un commerciante di tessuti che aveva ficcato troppo il naso negli affari della malavita locale. Il suo corpo senza vita era stato trovato un paio di giorni prima- con due colpi alla testa- sulle strade di Kowloon.

Il viaggio fu lungo e penoso. I fratelli non erano abituati a condividere il proprio spazio comune con gente di ogni risma e di ogni strato sociale. La notte in cui erano partiti avevano appena fatto in tempo a prendere un po’di denaro, i loro documenti ed i loro effetti personali, prima di inoltrarsi nella notte alla ricerca di qualche mezzo di trasporto che consentisse loro di arrivare al porto da dove sarebbe partita una nave verso la Gran Bretagna.

Il fratello maggiore, Yan Tsui, aveva dovuto, in pratica, trascinare il fratello più giovane, Feilong, fuori dalla loro casa. Quest’ultimo aveva ricevuto un duro colpo dall’improvvisa notizia della morte del padre. Era così confuso in quei giorni che chiese perfino a suo fratello il permesso di recarsi nella piazza del mercato più vicina, dove un suo amico d’infanzia, Yoh, collaborava coi suoi genitori nella gestione di un piccolo chiosco dove si vendevano cibi e bevande. Come unica risposta il fratello più grande l’aveva tirato dai capelli. “Sei impazzito, per caso?” aveva detto. “Non abbiamo tempo da perdere, e tu stai qui a pensare a quei buoni a nulla dei tuoi amici!”

Le punizioni del fratello maggiore erano molto severe e Feilong, quella volta, aveva evitato di opporsi alla sua volontà. Si era sentito, comunque, profondamente dispiaciuto di non poter salutare uno dei pochi amici e confidenti che aveva avuto nella sua vita.

La traversata dell’oceano durò circa due settimane e, un giorno di maggio, entrambi i fratelli arrivarono al porto di Londra. Era un giorno grigio e cupo, nonostante fosse già primavera, e Feilong dovette reprimere il desiderio di piangere al ricordo della sua città natale, della sua bellezza e dei suoi paesaggi. Il posto dove erano arrivati sembrava fatto di cemento e fango. In aggiunta, essi dovettero alloggiare in un piccolo e fatiscente appartamento dalle parti di Camden Town, insieme ad alcuni parenti che vivevano a Londra da qualche anno.

Furono anni molto difficili per il giovane Feilong, anni che egli preferì, in futuro, evitare di ricordare. Suo fratello aveva aperto una fumeria d’oppio in un luogo vicino al porto, un posto tremendo dove s’incontravano tutti gli esemplari di quella bassa umanità che viveva di traffico e malaffare. La prima volta che il fratello minore cercò di protestare per come Yan Tsui cercava di condurre le loro vite, si beccò un sonoro schiaffo e un invito a non interferire nei suoi affari se non voleva finire per strada mezzo morto di fame. Feilong aveva, a quel tempo, un grande timore di suo fratello e della povertà.

Feilong, sulle prime, non riusciva a spiegarsi come mai suo fratello non si facesse alcuno scrupolo nel mettersi a fare affari con quella sostanza che aveva provocato, indirettamente, la morte del loro padre. Pillole a base d’oppio e laudano si vendevano senza problemi per le vie di Londra, anche se il loro uso era consigliato a coloro che soffrivano di qualche disturbo medico. Yan Tsui aveva i suoi giri d’affari che poco avevano a che fare con l’uso appropriato dell’oppio come medicinale. Nella loro fumeria, l’oppio non veniva negato proprio a nessuno, nemmeno alle persone con evidenti sintomi di dipendenza. Yan Tsui non tollerava alcuna opposizione e presto si fece un nome nell’ambiente della malavita locale. Dopo un po’di tempo, l’uomo scoprì che avere le mani in pasta nello sfruttamento di essere umani poteva essere altrettanto redditizio.

Il quartiere di Whitechapel era uno dei più malfamati di Londra. C’era da aver paura a mettere piede da quelle parti a qualsiasi ora del giorno o della notte. Pochi anni prima erano stati commessi degli omicidi a danno di alcune prostitute del luogo, una serie di omicidi di cui non si era mai saputo chi fosse il responsabile. 

Yan Tsui non si fece problemi ad aderire a quel tipo di traffico ed in breve tempo si fece un nome come “guardiano” di alcune prostitute alle quali chiedeva un contributo in denaro in cambio della sua protezione. Ovviamente, le malcapitate non avevano nessun diritto di reclamare per il tipo di clienti con il quale l’uomo prendeva degli accordi. Se protestavano o facevano troppi capricci, come diceva lui, c’erano dure punizioni in arrivo. Egli non aveva alcuna pietà per le donne o per i bambini.

Feilong era rimasto inorridito nell’apprendere che classe di uomo fosse diventato suo fratello, nonostante conoscesse poco dei suoi giri d’affari. Quel poco che sapeva gli era stato riferito da alcuni dei suoi conoscenti. Di fronte a suo fratello egli si sentiva ancora, per molti versi, il ragazzo impaurito ed immaturo che suo fratello aveva trascinato fuori dalla loro casa a Hong Kong. A quel tempo il giovane aveva appena diciassette anni.

Gli anni erano passati più veloci per il giovane di quanto egli avesse voluto. Nonostante fosse a Londra da circa quattro anni, Feilong non aveva dimenticato parte dei suoi costumi, come portare un certo tipo di abbigliamento e tenere i capelli lunghi fino alle spalle. Suo fratello, invece, dopo i primi successi nei suoi affari, aveva incominciato a vestirsi alla maniera inglese.

Un giorno Yan Tsui arrivò a casa con la grande notizia che era riuscito ad accumulare abbastanza denaro da permettersi di trasferire i suoi affari in una zona migliore della città. Egli aveva acquistato una piccola proprietà nel quartiere di Soho. Già, verso la metà del XIX secolo, le famiglie più facoltose di quella zona si erano allontanate per andare a vivere nelle zone più limitrofi, e la zona di Soho era diventata un luogo di ritrovo con piccoli teatri, sale musicali e bordelli. Una parte della loro nuova proprietà era stata destinata a diventare una fumeria d’oppio, con arredi più consoni al tipo di persone che Yan Tsui intendeva ricevere. Egli voleva aprire una sorta di locale per un circolo esclusivo di persone: intellettuali, scrittori famosi, attori, e personaggi simili.

Il nuovo posto venne arredato prendendo spunto dalle fumerie d’oppio in voga durante gli anni in cui, nelle principali città cinesi, il piacere di fumare quella sostanza era riservato ad una certa élite. Il locale venne allestito con paraventi e tende rosse, eleganti divani, materassi ricoperti di seta. Pipe lunghe e dal disegno elaboratissimo venivano offerte agli ospiti. Una lunga sala era stata divisa in più scomparti dove ogni ospite poteva indulgere in quel piacere con il massimo della privacy. I pavimenti erano tutti ricoperti di tappeti persiani e lunghi candelabri con le loro candele profumate ornavano la sala disposti in comodi tavolini al centro. Gli ospiti potevano anche bere del buon tè se lo desideravano. Yan Tsui era contento di aver investito il suo denaro in un’attività così redditizia. I successi non si fecero aspettare.

Malgrado il fratello maggiore avesse tenuto il giovane Feilong quasi recluso in casa per tutti quegli anni, adesso gli chiese di collaborare appieno con l’attività che permetteva loro di vivere agevolmente. Il fratello minore aveva il compito di ricevere e di far accomodare gli ospiti. Egli portava sempre camicie di seta ricamata, e il suo portamento e la sua ambigua bellezza non tardarono in suscitare i primi sguardi d’interesse tra i numerosi avventori del locale.

Yan Tsui, in disparte, seguiva con gli occhi le mosse del fratello e degli ospiti. In quei momenti pensava che era stata una fortuna che quel ragazzo non avesse ancora disonorato la famiglia, con quella faccia da ragazzina che si ritrovava avrebbe potuto avere un enorme successo se si fosse deciso a fare uso delle grazie che madre natura gli aveva donato.

Lo sguardo accigliato del fratello seguiva il giovane dappertutto. Anche nelle loro stanze private, nei momenti in cui dovevano turnarsi per andare a riposarsi. Feilong non riusciva a spiegarsi il motivo dello sguardo severo del fratello, dopotutto stava facendo tutto quello che gli veniva richiesto.

Una di quelle notti, dopo le solite lunghe ore di lavoro, Yan Tsui si era avviato verso la sua stanza dopo aver salutato l’ultimo cliente. Mentre passava dal corridoio, si accorse che la porta della camera di suo fratello era semiaperta, e udì qualcosa che gli sembrò un gemito soffocato. Subito, immaginandosi il peggio, aprì la porta di colpo. Dentro suo fratello riposava comodamente nel suo letto, vicino a lui non c’era nessuno. Era una calda notte estiva e il giovane Feilong era appena coperto da un lenzuolo e da una camicia da notte dal tessuto molto sottile. Yan Tsui immaginò che il giovane si fosse mosso nel sonno, forse addirittura che stesse sognando quando aveva emesso quel gemito.

Il suo sguardo vagò lungo le pieghe di quel corpo sottile, si fermò lungo l’arco dei fianchi e procedette a nord, dove si fermò sulla pelle nuda di quel giovane petto esposto dall’indumento aperto.

In quel momento Yan Tsui pensò che se il giovane non aveva ancora disonorato la famiglia era stato per miracolo. Ricordò i suoi giovani compagni di scuola, in particolare quel suo amico Yoh, che qualche volta si era pure fermato a dormire a casa loro. In quel momento immaginò i due adolescenti come se li ricordava una volta, qualche anno prima. Subito dopo, la sua mente cedette all’impulso primitivo e la sua fantasia incominciò a suggerirgli il modo in cui i due ragazzi avrebbero potuto intrattenersi nelle notti calde e solitarie di Kowloon. Immaginò Yoh mentre accarezzava il morbido petto del fratello e portava le sue dita al suo bel viso e gli accarezzava le labbra. Nulla poté evitare che il Yan Tsui avesse un’erezione mentre seguiva le immagini che la sua mente gli suggeriva. Immaginò il proprio fratello mentre si abbandonava lascivamente alle carezze dell’altro ragazzo e che, per ricambiarlo del suo tocco gentile, gli toccava con agile mano il membro indurito. Yoh lo guidava sapientemente. Possibile che il proprio fratello potesse essere così scostumato? si chiese Yan Tsui, poco prima di ritirarsi nella stanza da bagno per poter masturbarsi con tranquillità. Maledisse se stesso per il desiderio che provava, ma soprattutto maledisse il proprio fratello perché gli faceva provare quel desiderio incestuoso e contro natura.

Le cose non migliorarono nei giorni seguenti. Con sguardo vigile, Yan Tsui continuava a seguire le mosse di suo fratello al lavoro, nell’attesa che il giovane commettesse un errore e gli offrisse una scusa per mettergli le mani addosso. Feilong non riusciva a spiegarsi l’improvvisa aggressività del fratello, i suoi rimproveri continui e la sua totale mancanza di tatto nel riferirsi a qualcuno dei loro clienti. Feilong s’intratteneva qualche volta a parlare con i clienti più assidui, alcuni erano oltremodo gentili con lui.

Una volta, dopo che uno di quei clienti speciali era andato via e entrambi i fratelli stavano chiudendo il negozio- era un giorno infrasettimanale e di solito in quei giorni chiudevano presto-, Yan Tsui si era avvicinato a Feilong, dopo che il giovane era andato nella sua camera per mettersi a letto.

“Come mai mi trovo sempre tra i piedi quel tizio lì? Ormai è la seconda volta che lo vedo questa settimana e la settimana scorsa è venuto quattro volte. Com’è possibile?” Feilong si girò a guardarlo sorpreso:

“Dovresti essere contento che ci siano dei clienti così affezionati al tuo locale. Non mi avevi detto che bisognava tenersi cara la clientela?”

Yan Tsui gli si avvicinò con la rabbia dipinta sul viso per via di una risposta che egli giudicò come un’insolenza. Senza alcun preavviso gli diede un forte schiaffo:

“Di che cosa stavate parlando oggi, eh? Cosa ti sei fatto fare da quell’uomo per farlo affezionare al nostro locale? Hai fatto qualcosa di sconveniente, per caso? Parla!”

Il fratello minore era rimasto sbalordito dopo che aveva ricevuto quel colpo inaspettato e, sul momento, non seppe cosa rispondere. Solo accarezzò la sua guancia gonfia e fissò suo fratello con uno sguardo carico di biasimo.

“Non guardarmi con quella faccia. Chissà cosa hai combinato con quel tizio di nascosto da qualche parte, per quello che me lo ritrovo sempre in giro. Che cosa ti ha fatto fare?”

“Ma si può sapere di che cosa diavolo stai parlando? Io non ho mai fatto nulla. Con chi credi di avere a che fare?” Ormai il fratello minore aveva perso la pazienza.

Yan Tsui, con gli occhi che esprimevano una rabbia che non poteva controllare, prese suo fratello per i capelli con un gesto violento e avvicinò il suo viso ai suoi occhi per guardarlo bene. Yan Tsui si era sempre chiesto come faceva il fratello minore ad avere quei lineamenti fini e dolci, quasi femminei. La loro madre non era mai stata una donna dalla notevole bellezza e nemmeno il loro padre, il defunto signor Liu.

“Ti avverto, e questo sarà il mio primo e ultimo avvertimento: Se ti sorprendo a fare con qualcuno delle cose sporche e sconvenienti, la pagherai molto cara!”

In seguito, con uno spintone, aveva lasciato andare via il fratello. Dopo era uscito dalla sua stanza sbattendo la porta. Feilong era confuso. “Che cosa gli sarà mai successo?” si era chiesto mentre si metteva a posto i lunghi capelli. ‘Razza di pazzo’, aveva pensato, ‘mi ha fatto male davvero’.

Feilong sapeva che suo fratello faceva un notevole uso d’oppio e per un attimo attribuì alla sostanza l’umore altalenante di Yan Tsui in quei giorni. Solo di rado il fratello più giovane aveva fumato quella cosa. Non voleva finire come altri clienti del locale, i quali, ormai, non ne potevano fare a meno. Anche quell’impresario teatrale, il signor Lelouch, che di solito si tratteneva a parlare con lui, non riusciva più a fare a meno di quella roba. Non si spiegava cosa aveva visto Yan Tsui nel loro atteggiamento per pensare così male di loro.

Una volta che il giovane si era messo la camicia da notte e si era infilato nel letto, aveva chiuso gli occhi cercando di non pensare a quanto era appena successo. La situazione l’aveva turbato non poco.

I giorni passavano e Yan Tsui usava qualsiasi scusa per rimproverare il fratello. Ce l’aveva con lui perché attribuiva alla sua avvenenza la colpa dei desideri che provava. Qualche volta, di notte, era andato a guardare attraverso la serratura della stanza del fratello. Yan Tsui diceva a se stesso che solo lo sorvegliava per essere sicuro che il giovane non disonorasse la famiglia facendosi portare al letto da qualcuno, ma la realtà era un’altra: Voleva vedere il fratello muoversi nel sonno, quasi del tutto nudo. A volte guardava dalla serratura della stanza da bagno mentre il giovane era immerso nell’acqua della vasca. Yan Tsui non si rendeva conto che tutto gli stava sfuggendo di mano.

Chissà per quanto tempo sarebbe andata avanti quella situazione prima di degenerare apertamente nella molestia sessuale, quando verso la fine dell’anno ’92, capitò da quelle parti il visconte giapponese Ryuichi Asami.

***

Era un bellissimo giorno di primavera nel giardino di Nan Lian che si trova sul Diamond Hill di Kowloon. Si tratta di uno dei posti più belli al mondo per chi sa apprezzare la vera bellezza. Il giovane udì chiaramente il canto di un usignolo e, alzando gli occhi verso il cielo, vide volare il piccolo uccello dal grigio e modesto piumaggio. Il ragazzo ebbe l’impressione di essere lì per la prima volta, come quando era bambino e si era fatto portare da quelle parti da sua madre, un giorno di primavera quando aveva cinque anni, prima che la donna morisse di una malattia sconosciuta ancora in giovane età.

Il presente ed il passato si fusero in un unico istante e il giovane rivisse, come in un sogno, quel giorno di primavera, come se fosse il primo, e forse l’ultimo della sua esistenza.

La vita del giovane era stata piena di tristi avvenimenti: la morte dei suoi genitori, un fratello maggiore violento e abusivo e un amore non corrisposto. Poteva anche esserci dell’altro?

Vide l’uccellino svolazzare di qui e di là, lo sentì emettere il suo canto melodioso dalla sua minuscola gola. Il giovane chiuse gli occhi e gli parve di essere diventato quel piccolo uccello che vive in maniera istintiva, senza pensare al domani.

In quella visione si ritrovò mutato in un usignolo dal magico canto. Egli inseguiva un sogno, forse il sogno della felicità. Vide un uomo molto distinto alla finestra di una casa con un bel parco ornato di grandi alberi e cespugli di rose. L’uomo, un nobile dai tratti orientali molto elegante, sorrise alla vista della piccola creatura. Egli era affacciato alla finestra del suo salotto e da lì guardava i cespugli di rose che si trovavano appena sotto il davanzale.

Quell’uomo sospirò nel ricordare che, per qualche strano motivo, non aveva visto ancora fiorire le rose nel suo giardino. Egli si protese in avanti per accarezzare le foglie lanceolate di un piccolo arbusto di rose lì vicino e disse: “Quanto vorrei vedere delle belle rose nel mio giardino!”

L’uccellino, sentendo il suo dispiacere ed essendo rimasto affascinato dal bell’uomo, si era avvicinato al cespuglio di rose sotto la finestra e aveva chiesto ad esso se c’era un modo per farlo fiorire. “Si,” aveva risposto il rosaio, “devi darmi calore attraverso il sangue del tuo cuore per una notte intera!” L’uccellino era rimasto sorpreso nel sentire quell’arbusto chiedere un sacrificio del genere, ma il rosaio aveva continuato: “È l’unico modo, altrimenti non potrò più dare dei fiori a nessuno e questo giardino rimarrà senza quei colori che lo facevano così speciale agli occhi del padrone,” poi aggiunse con tristezza: “Quest’anno l’inverno è stato troppo lungo.”

Gli occhi dell’uccellino fissarono l’uomo attraverso la finestra. Era un uomo di straordinaria bellezza e dai modi ricercati. Il suo fascino sarebbe stato sufficiente per ammaliare chiunque, anche un altro uomo come lui… oppure un piccolo e modesto usignolo primaverile.

“Forse, se non attraverso il mio canto, riuscirò a trovare un altro modo perché quest’uomo si ricordi di me per sempre,” disse il piccolo essere.

Il rosaio esclamò: “Se tu farai questo sacrificio, io tornerò a fiorire ogni primavera da oggi in avanti, per sempre.”

Quella notte l’uccellino si strinse ai rami del rosaio. Egli si strinse con forza, sentendo come, dolorosamente, le spine acuminate dell’arbusto trafiggevano il suo esile corpo. L’agonia fu lunga, ma il suo sacrificio fu ripagato allo spuntare del sole da una splendente rosa di un bel colore scarlatto. I suoi piccoli occhi fecero in tempo a guardare soddisfatti il bel fiore prima di chiudersi per sempre. Sui cespugli di rose dei dintorni incominciarono a spuntare le prime gemme.

Il gentiluomo dai modi affascinanti si affacciò alla sua finestra per sentire l’aria mattutina e scorse la rosa rossa e il piccolo uccellino morto ai piedi dell’arbusto. Gli dispiacque per l’uccellino morto e non ebbe il coraggio di tagliare quella rosa dalla spudorata bellezza. Essa era bella come la giovinezza, il suo colore rifletteva lo splendore dei tramonti primaverili. Nei giorni seguenti, il gentiluomo rimase stupito nel vedere che, poco a poco, nel suo giardino spuntavano le rose più belle che egli avesse mai visto. Alcune erano di quel seducente colore scarlatto che aveva il primo fiore, altre erano di un rosso scuro, dalla cupa e arcana bellezza. Da quel giorno il suo giardino divenne uno dei più ammirati dei dintorni.

 

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Capitolo 2
*** II Parte ***


II Parte

Ormai era giugno a Londra e un giorno come tanti al ritorno dal lavoro il giovane giornalista Akihito ricevette dalle mani di Ida, la cameriera di casa, una lettera che proveniva, questa volta, dalla Russia.

Una volta da solo nella sua camera, il giovane aprì la busta della lettera per leggere il contenuto. Era molto incuriosito dal fatto che era la prima volta che riceveva qualcosa dal figlio del conte russo, Mikhail. Si ricordava ancora delle circostanze che glielo avevano fatto conoscere. Era successo poco più di un anno prima al ballo di Lady Westenra, proprio il giorno in cui aveva conosciuto il visconte Ryuichi Asami. Allora il giovane non sapeva che il biglietto che quest’ultimo aveva allungato al figlio del conte conteneva l’indirizzo di Alfred Taylor. Anche Mikhail Arbatov faceva parte dello stesso giro di amicizie che li vedeva tutti coinvolti nei recenti avvenimenti di Oscar Wilde. Era strano, però, che il giovane russo avesse deciso di scrivere a lui piuttosto che a qualcuno degli altri.

Il giovane lesse la lettera. Essa era scritta in quello stile un po’canzonatorio che il giovane russo usava per parlare abitualmente. In quelle righe fece presente ad Akihito il perché del suo improvviso viaggio. ‘Come se fosse stato un segreto per qualcuno’, pensò il giovane. Anche se, a ben vedere, c’erano dei motivi validi che avrebbero dovuto spingere molti di loro ad un allontanamento temporaneo dalla città. Dopo lo scandalo ed il processo dello scrittore, molte delle persone che in passato avevano provato un po’di pietà per le persone che conducevano un altro stile di vita, adesso parlavano della faccenda come di qualcosa di riprovevole e indegno. La situazione era molto cambiata, le idee delle persone appartenenti alla loro cerchia sociale si erano molto inasprite. In quel momento il giovane si ricordò delle parole del visconte: “Non ti preoccupare, se io arrivo ad avere dei problemi, tu sarai l’ultima persona che verrà coinvolta. Non vorrei che tu pagassi per qualche mio errore.” L’espressione del visconte si era fatta cupa e seria in quel momento, senza che Akihito capisse bene il perché. Erano nello studio del suo appartamento a Chelsea e il giovane, intanto che il visconte gli accarezzava la guancia per rassicurarlo, aveva fissato quel suo ritratto appeso alla parete e si era chiesto che cosa si nascondesse nel passato del suo compagno.

Nella sua lettera, dopo aver raccontato alcuni avvenimenti della sua famiglia- sua sorella si stava per sposare con un ricco nobiluomo- Mikhail Arbatov aveva chiesto al giovane di informare gli altri suoi amici che pensava di ritornare a Londra appena finito di sistemare i suoi affari, comunque non prima di sei mesi. Alla fine della lettera aveva scritto: “Mi scuso di essermi rivolto a Lei per fare arrivare le mie notizie ai nostri comuni amici, dopotutto Lei, con la sua discrezione e i suoi modi amabili, risulta il più affidabile tra noi tutti, nonché la persona meno compromessa e che ha meno da rischiare.”

Akihito non seppe come interpretare le linee del giovane russo: lo lusingava l’idea di essere stato scelto per fare arrivare le sue notizie agli altri, ma nello stesso tempo non gli piaceva l’idea che il russo lo ritenesse meno coinvolto degli altri negli ultimi avvenimenti. E se qualcuno avesse scoperto qualcosa lo stesso?

Il giorno seguente il giovane giornalista si recò nel suo ufficio come al solito. Era un po’assonnato quella mattina. Dall’ufficio del direttore del giornale, Abbott Neill, Akihito sentì arrivare delle voci concitate. Si trattava del commissario di polizia di Scotland Yard: James Briggs. Di solito l’uomo, una persona che aveva la fama di essere alquanto prepotente, faceva visita a tutti i direttori dei giornali della città, per avvertirli, come se ci fosse bisogno, delle regole di condotta che i giornalisti dovevano rispettare quando si eseguivano delle indagini su sanguinosi fatti di cronaca. Briggs odiava i giornalisti. Secondo il suo punto di vista, essi tendevano ad impicciarsi troppo di certe faccende e ostacolavano la polizia quando c’erano dei casi da portare avanti. Akihito lo vide uscire furibondo dall’ufficio di Neill, quasi aveva investito il giovane al suo passaggio, ma era riuscito ad evitarlo all’ultimo secondo e gli era passato di fianco guardandolo di sbieco con disprezzo.

Akihito lo vide andar via, aggiustandosi la giacca e mettendosi il cappello sulla testa rossiccia. Appena lo vide chiudere la porta, andò nell’ufficio del suo capo per chiedergli come stava. Abbott si stava aggiustando i capelli brizzolati e mettendosi a posto il panciotto. Akihito si chiese come faceva il commissario di polizia a portare la giacca quel giorno, fuori incominciava a fare caldo sul serio.

Con gentilezza chiese al suo capo se aveva bisogno di qualcosa: un bicchiere d’acqua, una bibita. Neill gli sorrise: “Non ti preoccupare, non sei mica la cameriera. Quel tizio, Briggs, mi ha fatto arrabbiare sul serio questa volta. Come fa a comportarsi in quel modo con le persone? Dopotutto questo è un giornale, non può dirmi come devo trattare i miei impiegati! Se non fosse che quell’uomo ha ottenuto il suo posto tramite alcuni appoggi politici, l’avrei già mandato a quel paese da tempo... razza di bastardo prepotente.”

Neill si riprese, comunque, in fretta e invitò Akihito a continuare il suo lavoro. Il giovane uscì dall’ufficio del suo capo e tornò nell’ufficio che condivideva con gli altri impiegati: una lunga sala con due file di scrivanie- tutte provviste di risme di carta, penne, inchiostro e alcune di macchine da scrivere di recente produzione.

I giorni passavano, il giovane giornalista era preoccupato per non aver ricevuto ancora qualche notizia dal visconte. In genere si sentivano più di una volta alla settimana per decidere come passare le giornate libere, se andare in gita da qualche parte oppure andare a cena fuori insieme. Alcuni giorni dopo il processo il visconte aveva fatto sapere ad Akihito che, secondo lui, era meglio se evitavano di vedersi in luoghi pubblici per un po’di tempo, almeno finché la situazione non si fosse calmata. Il nobiluomo era alquanto preoccupato e non voleva correre dei rischi. Essendo una persona appartenente all’aristocrazia anche se scoppiava uno scandalo per via delle sue frequentazioni, poteva contare- in via ipotetica- sull'aiuto della sua ambasciata. Non sapeva, però, se gli sforzi che essa sarebbe stata disposta a fare per tenerlo fuori dai guai potevano valere anche per tenere fuori dai guai il figlio di un mercante, anche se ben posizionato socialmente.

Una di quelle notti, dopo che erano passate due settimane dall’ultima volta in cui aveva avuto notizie dal visconte, il giovane giornalista si decise a fare qualcosa. Il visconte gli aveva fatto avere una copia della chiave del suo appartamento di Chelsea con la precisa indicazione che venisse usata solo in caso di emergenze. Akihito era preoccupato, era arrivato a pensare che il nobile stesse passando per qualche guaio giudiziario del quale voleva tenerlo all’oscuro. Non riusciva a trovare un’altra ragione. Peraltro, non era tipico da lui sparire senza fare avere le sue notizie a qualcuno. Aveva parlato con alcuni dei loro conoscenti, nessuno l’aveva visto in giro in quelle due settimane.

Il giorno seguente, ormai verso la fine di giugno, Akihito si recò dopo il lavoro nell’appartamento del visconte. Salutò il portiere che era un uomo retto e discreto e salì al primo piano dove si trovava l’elegante abitazione del nobiluomo.

Fece girare la chiave nella serratura ed entrò. Una volta dentro chiamò il visconte per nome, senza ottenere alcuna risposta. Le stanze erano in penombra e si vedevano bicchieri vuoti un po’ dappertutto e un posacenere rovesciato in salotto. Il giovane ebbe un brutto presentimento. Di solito il visconte era un uomo molto ordinato e faceva venire spesso la cameriera nel suo appartamento per metterlo in ordine. “E se fosse partito all’improvviso?” si chiese il giovane. Era molto strano, aveva visto la sua giacca sull’attaccapanni all’entrata e aveva sentito il suo profumo alla lavanda nell’aria.

Gli sembrava di essere in una casa disabitata dove aleggiava solo lo spirito di qualcuno. Il giovane non era una persona superstiziosa, ma quel luogo gli fece una strana impressione trovandolo in quelle condizioni.

All’improvviso sentì un rumore provenire dallo studio. In un attimo aprì la porta e un senso di spavento seguito da un senso d’infinita pietà si aprì strada dentro in lui. Sulla chaise-longue preferita del visconte giaceva lui stesso, senza giacca, quasi al buio. Dentro la stanza c’erano bottiglie di liquore vuote rovesciate per terra, e c’era uno strano odore nell’aria. Akihito vide, sull’ampia scrivania, un contenitore vuoto di laudano e dovette trattenersi per non urlare.

Si precipitò dal visconte, per un attimo credette che fosse morto. Toccò il suo viso e le sue spalle, ma l’improvviso tossicchiare dell’uomo lo mise in allerta e dopo lo fece sorridere sollevato. Egli era ancora vivo! Akihito incominciò a piangere dalla felicità.

Il visconte aprì gli occhi e sorpreso nel vederlo gli chiese cosa stava facendo lì. Il giovane lo guardò con le lacrime agli occhi e rispose: “Ti sorprende? È da molti giorni che non ho tue notizie, ho pensato che fosse accaduto qualcosa e sono venuto da te subito.”

Il nobiluomo si mise seduto e lisciandosi il panciotto e i pantaloni disse, “Faccio orrore messo in queste condizioni. Potresti accendere la luce, per favore?”

Il giovane assentì e fece quanto gli era stato richiesto. Una volta di ritorno al fianco del nobiluomo gli chiese che cosa era successo. Fu in quell’istante che si accorse del ritratto sulla parete. Era il ritratto che, qualche anno prima, il visconte aveva commissionato a John Gray. Esso aveva dei profondi squarci- fatti probabilmente con un tagliacarte- che l’avevano del tutto rovinato. In esso il viso di Asami Ryuichi non era più riconoscibile. “Cosa è successo?” chiese il giovane. “Qualcuno è entrato e ha combinato questo disastro in casa tua?”

Il visconte cercò di apparentare sicurezza senza riuscirci:

“L’ho fatto io stesso, non volevo più vedere la mia faccia dopo quello che ho fatto in passato. Adesso le mie azioni mi si sono rivoltate contro!”

“Di che cosa si tratta?”

“Tu ti fidi di me?”

“Assolutamente!”

“Sono sicuro che dopo che ti racconterò quello che ho fatto, non sarai tanto sicuro delle tue parole.”

***

Verso la fine dell’anno’92, gli affari della fumeria d’oppio gestita dai fratelli Yan Tsui e Feilong Liu andavano a gonfie vele. L’arrivo di un nuovo cliente, un nobiluomo giapponese, aveva innalzato la categoria del locale. Esso era diventato un luogo di ritrovo per molte persone importanti, non solo artisti. Yan Tsui aveva chiuso un occhio di fronte all’interesse che il visconte Ryuichi Asami, o per dirlo alla maniera giapponese- anteponendo il cognome al primo nome- Asami Ryuichi, aveva dimostrato verso il proprio fratello, ancora giovane e inesperto. Yan Tsui sopportava, con calma apparente, le continue visite del nobiluomo al giovane Feilong. All’inizio era sembrato qualcosa di simile a quanto era già accaduto con altri clienti: essi avevano guardato con curiosità il giovane uomo, avevano parlato qualche volta con lui, gli avevano fatto dei gran sorrisi e alla fine il tutto si era concluso con un nulla di fatto.

L’interesse del visconte verso il fratello minore era diverso. Il nobiluomo poteva contare con la atmosfera discreta del locale per fare delle avance al giovane senza temere uno scandalo. Si vedeva che il visconte era abituato a frequentare degli uomini in altri luoghi di ritrovo, forse si era stufato di pagare qualcuno, almeno così la pensava Yan Tsui, soprattutto quando contava il denaro in cassa dopo che aveva chiuso il negozio.

Con un sorriso di soddisfazione il fratello maggiore si ritirava nella sua stanza dopo aver controllato, attraverso la serratura, che suo fratello non stesse combinando qualcosa con qualche cliente nella sua camera da letto. Yan Tsui non l’avrebbe mai permesso, solo con il visconte sarebbe stato disposto a chiudere un occhio perché portava dei benefici al loro locale e anche perché, grazie alla sua presenza e a quella di altra gente altolocata, la polizia tendeva a fare meno controlli.

Ad un certo punto, verso la fine di febbraio dell’anno ’93, Yan Tsui aveva deciso di concedere un po’di solitudine a suo fratello e al suo spasimante perché potessero avere dei momenti d’intimità. Usando una scusa qualsiasi spesso si assentava dal negozio, oppure s’inventava degli impegni quando il visconte si trovava nei paraggi. Qualche volta, quando stavano per chiudere il negozio ed era rimasto il nobiluomo come unico cliente, si ritirava nella sua stanza adducendo un’incredibile stanchezza… e così via.

Alla fine dei conti il fratello maggiore pensava che Feilong era nato per fare la prostituta, anche se ancora non se ne rendeva conto. Meglio che si vendesse a un membro dell’aristocrazia, anche se straniero, che non prostituendosi per strada o qualcosa di simile.

La situazione era ormai maturata così tanto, per la gioia del fratello maggiore, che una volta vide arrivare il visconte in compagnia di un giovane alto e fulvo con uno strano accento. Si trattava del figlio di un nobile austriaco. Yan Tsui aveva lasciato da solo il fratello nel negozio per un bel po’ di tempo, ed era uscito fuori a notte fonda inventandosi che doveva andare a riscuotere dei pagamenti arretrati da parte di alcuni clienti.

Forse il visconte si era portato l’altro ragazzo appresso per fare una cosa a tre e non voleva disturbare.

Due ore dopo, al suo ritorno, aveva trovato il visconte che parlava con Feilong ed erano da soli nel locale, e non c’era alcuna traccia dell’altro giovane. “Chissà cos’è successo?” si era chiesto Yan Tsui. Nel frattempo non erano arrivati altri clienti. Il fratello maggiore aveva visto il visconte accigliato e non gli ci volle molto per capire la situazione. A quanto pare il visconte non aveva mai avuto l’intenzione di condividere le grazie del suo giovane amante con qualcun altro, e una volta che aveva capito che le intenzioni dell’austriaco non erano altrettanto pure, aveva congedato quest’ultimo.

Il giorno dopo Yan Tsui chiese, con la dovuta precauzione, al fratello cosa fosse successo la notte precedente e questo, un po’ titubante, gli aveva spiegato che la notte prima il visconte aveva avuto una discussione con l’altro giovane, Wilhelm Franz, e che infine gli aveva chiesto di andarsene.

“Come mai?” chiese Yan Tsui.

“Non si stava comportando in maniera molto consona e il visconte sembra fissato con le buone maniere.” Yan Tsui guardò il giovane fratello con sospetto mentre pensava: ‘Quindi, sei riuscito ad intortare il visconte per bene, buon per noi. Speriamo che la tua tresca con quel tizio ci porti fortuna’.

Siccome il tempo passava e le visite del visconte si facevano più assidue, Yan Tsui decise di incominciare ad indottrinare il fratello con qualche bel sermone in modo che traesse il massimo vantaggio dalla sua situazione.

Tutto era incominciato in maniera molto discreta con qualche piccolo accenno alla loro situazione. Yan Tsui, per la prima volta, aveva trattato suo fratello con un minimo di riguardo e gli aveva fatto credere di essere interessato alla sua vita personale. Gli chiese, in maniera cortese, come stava andando tutto con il visconte. “Ti ha mai detto qualcosa riguardo alle sue attività oppure qualcosa sulla sua famiglia?”

A Feilong sembrava indecoroso porre tante domande ad un nobiluomo. Secondo quello che il suo amante gli aveva riferito, egli aveva studiato a Londra e poi era rimasto in città per poter portare avanti degli affari che avevano a che fare con l’esportazione di merci e così via.

“Merci?” chiese Yan Tsui, “Ti ha detto di che tipo di merci si occupa? Sembra interessante… non ti ha mai detto qualcosa riguardo ai piani che la sua famiglia ha per lui? Dovrebbe essere sposato alla sua età.”

Feilong lo guardò come se cercasse di rimproverargli la sua indiscrezione. “Mi sembra di cattivo gusto che tu parli di lui in quel modo, non lo conosci nemmeno! Cosa ti fa pensare che la sua famiglia intenda farlo sposare?”

Yan Tsui sorrise beffardo: “Non ti sarai mica illuso che quell’uomo tenga a te veramente? Dovresti incominciare a pensare al nostro…anzi al tuo avvenire, qualora quel tizio si stufi di te e ti metta da parte. Non hai mai pensato a questa possibilità?”

L’unica cosa che venne in mente a Feilong in quel momento, furono le parole gentili e le carezze del visconte. Egli gli stava insegnando a parlare bene in inglese, gli aveva portato pure un libro di poesie di un autore francese con il testo in inglese a fianco. Era un buon esercizio, in quel modo poteva imparare sia l’inglese sia un po’di francese. Sognava di andare a vivere a Parigi un giorno e glielo aveva detto, mentre il visconte -accarezzandogli i lunghi capelli- gli aveva risposto, parafrasando una delle poesie che avevano letto: “Vieni, mio bel ragazzo, sul mio cuore innamorato.” Feilong non poteva immaginare che i sentimenti che l’altro uomo provava per lui non fossero sinceri.

Il modo di parlare di Yan Tsui aveva offeso il giovane. Lui non voleva usare l’influenza che aveva sul visconte per trarre un vantaggio di tipo materiale, non gli piaceva l’idea di sfruttare qualcuno.

Suo fratello, vedendolo in pensiero, lo guardò accigliato: “Non ti vergogni di fare quello che fai con quell’uomo senza ricavarci nulla? Vuol dire che ti piace che quell’uomo ti tocchi in maniera perversa, e pensare che io ti avevo immaginato diverso dagli altri.”

Le parole del fratello oltraggiavano terribilmente l’orgoglio del giovane.

“È incredibile che tu sappia così poco di me. Come puoi trattarmi come se io fossi solo un corpo da mettere in vendita?!”

“Perché ti ho visto l’altra volta insieme a lui nella tua camera. Io avevo detto che andavo a dormire e voi ne avete approfittato per spassarvela. Non raccontarmi frottole adesso, il tuo corpo gioisce quando un uomo ti accarezza, non è vero? Almeno cerca di essere una puttana più furba la prossima volta.”

A momenti le parole del fratello maggiore lo facevano urlare dalla rabbia, egli era offensivo e indecoroso. Come si era permesso di guardarli mentre stavano insieme? Il suo sguardo era furibondo.

“Non mi guardare con quella faccia e metti a posto il locale, tra poco arriveranno i primi clienti.”

In quel momento Yan Tsui, che si trovava vicino alla cassa, si girò per mettere a posto alcuni assegni e non si accorse del colpo in arrivo. Si girò sorpreso e vide l’ira negli occhi del fratello minore.

“Come ti permetti, razza di puttanella impetuosa?! Fammi ancora una volta quello che hai appena fatto e te la farò pagare!”

Yan Tsui si allontanò imprecando e si diresse verso il bagno. Quel colpo l’aveva colto di sorpresa. Una volta dentro si mise un asciugamano bagnato sulla zona in cui suo fratello l’aveva colpito. ‘Puttanella bastarda!’ pensò, e dopo disse a se stesso che doveva tenerlo d’occhio e che doveva trovare il modo giusto per fargli imparare le buone maniere.

La situazione prese una strana piega durante la primavera di quell’anno. Feilong continuava a ricevere le visite del visconte con la riluttante complicità del proprio fratello, ma, incuriosito da alcune delle insinuazioni che quest’ultimo gli aveva fatto, aveva incominciato a sondare un po’ il terreno: voleva capire cosa poteva aspettarsi dal visconte in modo da non essere preso alla sprovvista. Lo stesso Asami incominciò a guardarlo con sospetto quando si sentì rivolgere delle domande sulla sua famiglia o riguardo i suoi affari. Non gradiva quell’improvvisa intromissione. Di quel giovane gradiva la compagnia silenziosa e la sensualità, c’era ben poco altro che lo interessasse veramente. Aveva incominciato ad abbreviare le sue visite, i giorni in cui rimaneva a dormire con il giovane nella sua stanza si fecero più rari, in generale le sue visite diminuirono. Ad un certo punto il giovane incominciò a convincersi che il fratello, nonostante i modi bruschi, avesse solo cercato di metterlo in guardia e che avesse ragione su quanto aveva affermato riguardo al visconte.

Feilong, quasi sempre vestito in maniera tradizionale, coi suoi abiti di seta ed il suo portamento felino, aveva incominciato ad attirare seriamente l’attenzione di altri clienti, probabilmente si era sparsa la voce sulla sua ‘natura’, come diceva suo fratello.

Il giovane, non sapendo bene come reagire alle risposte elusive del visconte, non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Ormai non risparmiava al visconte occhiate di rimprovero e scenate di gelosia ingiustificata. Il nobiluomo aveva incominciato a trovare tediose quelle visite. In cuor suo, comunque, si era promesso di aiutare il giovane ad uscire dalla sua situazione. Sapeva che non correva buon sangue tra lui e il fratello, e stava già escogitando un piano per portare il giovane fuori di lì senza che Yan Tsui protestasse troppo. Per fare quello, però, bisognava aspettare il resoconto sull’andamento dei suoi affari oltremare ai quali teneva molto.

Per cercare di dimenticare i motivi della sua tristezza e cercare di prendere lentamente le distanze da qualcuno che non sembrava essere più di tanto interessato a lui, Feilong aveva incominciato a fumare oppio. Già in passato l’aveva fatto, ma solo sporadicamente. Yan Tsui vedendolo fumare, non aveva neppure mosso un sopracciglio in segno di disapprovazione, anzi l’aveva guardato compiaciuto. Se il fratello minore diventava del tutto dipendente dalle droghe, lui avrebbe potuto manovrarlo meglio e fargli fare tutto quello che desiderava.

Il pomeriggio di una domenica Yan tsui era uscito di casa per andare a riscuotere alcuni pagamenti arretrati, dentro la tasca interna della giacca aveva una pistola, già gli era servita alcune volte quando qualcuno aveva cercato di fare il furbo, risultava comoda da usare nei momenti opportuni. L’unica cosa che lo faceva imbestialire a riguardo era il fatto di aver dovuto sganciare del denaro per i poliziotti della zona affinché chiudessero un occhio. Quei bastardi! pensava Yan Tsui quando si ricordava delle pretese di alcuni di loro. C’erano più poliziotti corrotti a Londra che avvocati, era questa l’idea che aveva.

Quando stava per lasciare la casa aveva visto il fratello, profumato e ben vestito, che fumava oppio nella grande sala. ‘Di sicuro aspetta quel tizio’, aveva pensato Yan Tsui.

***

Feilong, senza neanche accorgersi, si era svegliato in una delle stanze dell’ospedale più vicino. Qualche volta era già venuto in quel posto quando si era ammalato e si ricordava bene di quell’edificio vetusto dagli stretti corridoi. In quella stanza anonima, egli si accorse di avere il braccio sinistro fasciato, probabilmente era stato operato e gli avevano dato alcuni punti di sutura. Una lacrima scivolò sul suo viso nel momento in cui incominciò a ricordare qualcosa di quello che era successo. Le lacrime non fecero in tempo ad asciugarsi sulla sua pelle, che un’infermiera aprì la porta e fece entrare suo fratello con l’aria preoccupata e il cappello in mano.

“Ti ricordi di quello che è successo?” gli chiese.

Il giovane si ricordava di una discussione, ricordava di aver sgridato il visconte per qualcosa quando egli era venuto a fargli visita. Si ricordava di una colluttazione, si ricordava di avere spinto il visconte… e poi più nulla.

“Ringrazia che sia arrivato in tempo a casa, altrimenti avresti potuto morire dissanguato. Ho dovuto portarti in fretta, qui, in ospedale. Che cosa è successo? Avete litigato come due gatti? Il visconte ti ha scaricato?”

Feilong avrebbe voluto rispondere a quella domanda, ma non si ricordava nulla, era strafatto di oppio quando era successo. Suo fratello continuò:

“Mi sono dovuto inventare che un ladro era entrato nella nostra casa per non avere noie in ospedale. Capisci la situazione in cui stavi per cacciarci tutti e due per via dei tuoi amorazzi con il visconte?”

Feilong avrebbe solo voluto che suo fratello tacesse per sempre e che un’improvvisa catastrofe li colpisse tutti e due. Voleva smettere di soffrire. In quel momento avrebbe voluto solo mettere a tacere il suo dolore. La testa gli faceva male mentre cercava di ricordare come era avvenuto tutto quanto. Si ricordava di avere avuto tra le mani una pistola, probabilmente era una di quelle che si trovavano nella stanza di suo fratello, si ricordava di avere ricevuto un botta sul avambraccio. In quel momento pensò:

'Asami, perché hai sbagliato la mira? Sarebbe stato tutto più facile per me…e forse anche per te.'

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Capitolo 3
*** III Parte (ultima) ***


III Parte

 

Io camminavo, con altre anime in pena,

entro un diverso raggio,

e mi chiedevo se l’uomo avesse commesso

una grave o piccola colpa,

quando dietro di me una voce disse in un sussurro:

“Quel tipo sta per dondolare”

(Da: “La Ballata del carcere di Reading”)

 

I walked, with other souls in pain,

Within another ring,

And was wondering if the man had done

A great or little thing,

When a voice behind me whispered low,

“That fellow’s got to swing.”

(From: “The Ballad of Reading Gaol”)

 

Erano passati molti mesi da allora, Feilong continuava a fare la stessa vita di tutti i giorni, si alzava tardi verso il pomeriggio, eseguiva diligentemente gli ordini di suo fratello che ormai lo teneva sotto il suo potere. Era come un corpo senz’anima in quelle lunghe notti di lavoro. Nessuno dei loro clienti era in grado di leggere attraverso quelle oscure pupille il dolore mortale che si nascondeva dietro la facciata di sorrisi amabili e formule di cortesia trite e ritrite. Egli vagava nel mondo come un’ombra, la sua vita, dopo che il visconte era scomparso da essa, non era altro che quello, la vita di un essere senza anima, non aveva null’altro per cui vivere.

Il visconte non si era più fatto vivo da quella volta. Feilong non era sicuro di cosa fosse successo il giorno in cui era stato ferito e il più delle volte cercava di non pensarci. Era profondo e amaro il suo dolore e non conosceva requie. Nei suoi sogni continuava a vedere il nobiluomo, il suo corpo sognava le sue dolci carezze e qualsiasi suo ricordo si era trasformato in un’ossessione. Ormai la notte e il giorno non facevano differenza per il giovane…da quando aveva cominciato ad assumere oppio compulsivamente, come se questo avesse il potere di attutire la sua sofferenza, annientarla. Anche se l’unico potere che aveva quella sostanza era quello di anestetizzare temporaneamente il dolore di quelle ferite che egli avrebbe voluto non sentire mai più.

Il suo corpo desiderava così ardentemente sentire anche per un solo secondo quelle carezze che l’avevano fatto impazzire, che aveva finito per concedere il suo corpo ad altri clienti del locale. La maggior parte delle volte non era nel pieno delle sue facoltà mentali quando compiva quegli atti e da suo fratello non avrebbe potuto aspettarsi granché. Da lontano egli lo guardava con un sorriso beffardo, alla fine il fratello minore era quello che lui sempre si era aspettato che fosse. Almeno non faceva tanto il difficile, e questo era un bene.

Una notte uno dei clienti, un vecchio barone, gli aveva fatto delle proposte. Il giovane quel giorno non era proprio dell’umore adatto. Aveva per caso letto, mentre si trovava in un parco della zona, la copia di un giornale abbandonato su una panchina. Si trattava del Golden Herald, un giornale che si occupava di articoli mondani. C’era un articolo che parlava del visconte Asami e di uno dei ricevimenti al quale aveva partecipato. Il giovane aveva sentito un’improvvisa fitta al cuore, a volte avrebbe voluto andare a trovare il suo ex amante per chiedergli delle spiegazioni, ma poi si rendeva conto di quanto fossero disparate le sue aspettative.

Il barone gli aveva accarezzato le ginocchia e gli aveva sorriso. Feilong in quel momento era distratto pensando al visconte, e l’improvviso approccio dell’altro uomo l’aveva disturbato. Senza pensarci due volte lo aveva respinto in maniera brusca. Vide la sorpresa dipingersi negli occhi del barone, il quale, aggrottando le sopracciglia disse qualcosa di poco gradevole al giovane, prima di allontanarsi per andare a prendere il suo cappello all’entrata. Proprio in quel momento suo fratello era entrato nella grande sala dove c’erano solo quattro clienti a quell’ora della notte. Aveva capito pressappoco cos’era successo, ma non disse nulla. Voleva aspettare che gli altri ospiti se ne fossero andati.

Verso le tre del mattino il posto era vuoto, Yan Tsui stava mettendo in ordine il denaro che aveva in cassa. Nel momento in cui vide il giovane fratello allontanarsi per andare nella sua camera, gli chiese di aspettare. Feilong ubbidì malvolentieri alla sua richiesta. Senza preamboli il fratello maggiore gli chiese cos’era successo con il barone. Feilong gli rispose:

“Non ho più intenzione di fare altre cose contro la mia volontà, e non voglio essere toccato dagli altri come se fossi una merce in esposizione. Tutto qui. Ti sembra strana come richiesta?”

“Di tutte le persone che ho conosciuto, tu sei la persona più esigente con cui io abbia avuto a che fare. Perché fai così tanto il prezioso adesso, eh? Ti sembra normale fare così dopo tutto quello che hai già combinato? Te l’ho già detto una volta: cerca di comportarti in maniera più furba perché altrimenti ti renderò la vita molto difficile!”

“E se mi rifiuto di fare quello che mi chiedi, che mi farai?”

In quel momento Yan Tsui, che avrebbe voluto rispondergli a tono, si girò verso di lui e lo prese dai capelli strattonandolo. Lo minacciò, gli disse che se non si piegava al suo volere e si ribellava un'altra volta l’avrebbe buttato fuori in strada e avrebbe dovuto vendersi a chiunque per evitare di morire di fame. Ad un certo punto gli disse:

“Vuoi che ti provi che non sei altro che una volgarissima prostituta?”

Di seguito lo prese dal braccio e lo trascinò nella sua camera. La stanza di Yan Tsui era in disordine come al solito, e il letto era disfatto. Il fratello maggiore coprì la bocca del più giovane e l’avvertì che se avesse urlato per chiedere aiuto l’avrebbe pagata molto cara. In quel momento, con uno strattone, gli strappò la camicia che aveva addosso. Il fratello minore sentì come l’altro uomo accarezzava la sua pelle e gli sussurrava all’orecchio: “Da tanto tempo che avrei voluto fare questo con te. Lo sai? Fa’ il bravo e dimostrami tutto l’affetto che provi per il tuo fratello più grande.” Aprendo le labbra infilò la lingua nel suo orecchio. La sensazione era ripugnante. Feilong non poteva più sopportare quello sfoggio di attenzioni non richieste, le umiliazioni continue dei mesi scorsi ancora gli bruciavano… ed infine la cruda violenza di quella notte. Con una forte spinta si liberò dalle braccia che lo cingevano e raggiunse il cassetto del comodino che si trovava alla sinistra del letto. In un attimo estrasse la pistola che era dentro e che lui sapeva essere carica. Suo fratello non fece in tempo a reagire, e solo ebbe il tempo di guardare con improvviso orrore la pistola puntata contro di lui, prima che Feilong premesse il grilletto e sorridesse con ferocia, per la prima volta nella sua vita.

***

Akihito si era inoltrato nella notte alla ricerca di quelle informazioni che gli avrebbero consentito di scovare il giovane uomo di cui gli aveva parlato il visconte nel suo appartamento. Egli gli aveva confidato ogni cosa, ed il giovane giornalista si fidava delle sue parole, e non avrebbe potuto fare altrimenti perché provava un profondo affetto per quell’uomo e gli voleva credere, doveva credergli. Anche se adesso stava facendo qualcosa che andava contro il codice etico della sua professione. Asami gli aveva chiesto, come favore personale, di scovare il suo ex amante prima che venisse catturato dalla polizia, e di metterlo in salvo. Aveva raccontato la storia della sua relazione con quel giovane cinese che gestiva con suo fratello una fumeria d’oppio dalle parti di Soho. L’aveva guardato negli occhi e gli aveva domandato: “Tu mi credi, non è vero?”

Si ricordava ancora bene delle parole del visconte:

“Quella volta ero andato di domenica a trovare quel ragazzo. Era da solo quando sono entrato, dalla mancanza di luce nei suoi occhi capii che aveva esagerato con l’oppio. Già in passato avevo cercato di fargli capire che quella sostanza poteva essere molto pericolosa. ‘Un giorno di questi quella cosa ti toglierà la voglia di vivere’, gli avevo detto in passato e quel giorno glielo ripetei. Lui mi guardò con quei suoi occhi malinconici che mi avevano sempre fatto una profonda pietà e mi rispose: ‘E allora? Non dirmi che ti importa qualcosa!’ In seguito aveva riso, io mi sono detto che era un effetto della droga e gli dissi, come le altre volte, che avrei trovato il modo di tirarlo fuori di lì per portarlo a vivere da un'altra parte.

‘E poi?’ mi chiese, ‘Mi prenderai qualche bell’appartamento e mi verrai a trovare solo quando ti farà comodo? Non è vero?’

Era vero, purtroppo. Io avevo solo l’intenzione di proteggerlo come gli avevo promesso che avrei fatto, ma più avanti avevo l’intenzione di lasciargli avviata un’attività che gli desse da vivere e dopo, probabilmente, me ne sarei andato. Ti può sembrare indegno quello che ti sto raccontando, ma è la verità.”

Ricordandosi di quelle parole, Akihito si chiese se un giorno il visconte avrebbe fatto lo stesso con lui. Se un giorno, non molto lontano, il visconte avrebbe cercato di scomparire dalla sua vita con eleganza, fornendogli qualche piccolo contentino ed un sorriso. Egli allontanò quel pensiero subito perché lo faceva soffrire e preferiva pensare che il visconte era sincero con lui e che gli aveva raccontato assolutamente la verità. Le parole del nobiluomo continuavano a riecheggiare nella sua memoria:

“Io non l’ho mai amato, ma non volevo che continuasse a soffrire. Abbiamo discusso quella volta. Egli aveva alzato la voce e aveva iniziato a coprirmi d’insulti. Per un attimo scomparve nei suoi appartamenti privati. Io lo seguii e vidi che, poco dopo, usciva dalla stanza di suo fratello con una pistola in mano. Le mani gli tremavano, mi disse che si sarebbe sparato un colpo in testa se mi azzardavo a dirgli che lo volevo lasciare. Si era messo a piangere ed io ebbi paura che stesse per fare una cosa sconsiderata. Così mi sono avvicinato per strappargli l’arma di mano. Abbiamo lottato per un po’ed infine l’ho colpito sul braccio per fargli cadere la pistola. Non ci sono riuscito, purtroppo, e con immenso orrore vidi che si stava portando l’arma alla tempia. Con un gesto disperato cercai di strappargliela di nuovo e incidentalmente partì uno sparo che gli provocò una ferita profonda al braccio sinistro. Cercai di curarlo, anche se non avevo mai fatto nulla del genere in tutta la mia vita. Il ragazzo era incosciente. Avevo paura che avessimo dei problemi per via delle armi comprate al mercato nero che su fratello teneva in casa. In quel momento mi venne in mente un uomo che avrebbe potuto darci una mano e così lo mandai a chiamare.”

Si trattava del commissario di polizia di Scotland Yard: James Briggs.

In cambio del suo aiuto e del suo silenzio quell’uomo aveva preteso dal visconte una quantità spropositata di denaro, una parte del denaro era finita nelle tasche del fratello del giovane a patto che non parlasse e s’inventasse una storia qualsiasi una volta che il giovane avesse ripreso conoscenza in ospedale.

“Era quella la verità?” si chiese Akihito mentre si inoltrava dalle parti del porto, una calda notte di luglio, per chiedere informazioni ad alcuni strani personaggi che si trovavano da quelle parti. Erano spacciatori di droghe, persone che gestivano fumerie d’oppio di infima qualità. Quel poco di dialetto cantonese che sapeva gli stava risultando molto utile.

“E dopo cosa successe?” gli aveva chiesto Akihito quella volta.

“Il commissario mi disse che non mi sarei mai dovuto avvicinare di nuovo al ragazzo perché non voleva rischiare altri guai, già di rischi ne aveva corsi abbastanza ‘proteggendomi’. In quel momento Asami aveva sorriso con sarcasmo: ‘Protezione? Si era trattato di un vero e proprio ricatto.’ ”

“Era un ricatto, quindi?” si chiese il giovane giornalista.

Uno degli uomini che aveva incontrato quella notte gli diede delle informazioni utili dopo che il giovane gli aveva allungato alcune banconote di grosso taglio. Forse era vicino alla soluzione di quel caso. Quel tizio gli aveva spiegato che un giovane uomo, che corrispondeva alla descrizione fornita dal giornalista, era arrivato da quelle parti più di due settimane prima. A quanto pare, aveva chiesto di essere aiutato da qualcuno dei vecchi spacciatori che vivevano da quelle parti, sicuramente gli offrì molto denaro in cambio.

Con il favore della notte, Akihito s’inoltrò nella direzione indicata da quell’uomo a cui aveva dovuto pagare una consistente somma di denaro.

Egli arrivò in un luogo d’incubo dalle strade strette e maleodoranti, un luogo che veniva conosciuto come gli “slums” della zona del porto. Le abitazioni erano misere e di solito albergavano numerose persone. Arrivò nell’indirizzo indicato sul biglietto e cercò di spiegare all’uomo che gli aprì la porta il motivo per cui si trovava lì, ad un certo punto fece il nome del visconte. Quell’uomo, un tizio cinese molto anziano, lo fece entrare e dopo lo condusse nello scantinato della sua casa. All’interno era stata allestita una fumeria d’oppio di infimo ordine.  Akihito, con la sua aria perbene ed il suo cappello in mano, aveva attirato l’attenzione di alcuni degli ospiti che erano parzialmente coscienti in quel momento. Lo portarono di fronte ad uno stretto cubicolo dove egli poté vedere un giovane uomo con i capelli lunghi ridotto in uno stato pietoso. Quel ragazzo gli fece un’infinita compassione. Era così giovane, di sicuro aveva pressappoco la sua stessa età. In quel momento gli tornarono alla mente le parole del visconte riguardo a quello che era successo alcuni giorni prima.

“Ti posso assicurare che il fratello di quel ragazzo era un individuo della peggiore specie, sono convinto che gli abbia fatto qualcosa, non credo che quel ragazzo l’abbia aggredito senza essere stato provocato. Sono convinto che si sia trattato di legittima difesa, ma non c’erano testimoni al momento dei fatti. Sai cosa gli succederà se viene catturato dalla polizia e portato davanti alla corte?”

Akihito lo sapeva bene. Se il giovane veniva giudicato senza avere alcun modo di provare la sua innocenza, sarebbe stato condannato all’impiccagione.

Alcuni dei giornali che si erano occupati del caso, avevano parlato di un corpo insanguinato trovato in una delle camere da letto, esso aveva una profonda ferita alla testa. Non c’era un soldo in cassa ed il fratello minore era letteralmente scomparso dalla circolazione. Ovviamente era stato il primo ad essere sospettato dell’omicidio.

Davanti a quel corpo pallido ed emaciato, Akihito si chiese per l’ultima volta se stava facendo la cosa giusta. E se quel ragazzo avesse ucciso a sangue freddo il fratello per poter scappare con il denaro?

Forse non sarebbe mai riuscito a trovare una risposta soddisfacente a questa e ad altre domande, molte delle quali avevano a che fare con la posizione del visconte e la natura dei sui affari oltremare. Oscuri traffici?

Akihito si morse le labbra per non sentire il richiamo della sua coscienza e chiuse gli occhi per trovare la forza di adempiere al desiderio del visconte:

“Quando lo troverai, fatti aiutare da qualcuno, spendi tutto il denaro necessario, io ti farò avere tutto il denaro che mi posso procurare; e appena puoi fa’ salire quel ragazzo sulla prima nave a disposizione per farlo arrivare nel continente. In Francia ho alcuni amici che lo possono aiutare.”

***

Il giovane si svegliò nella vasca di ghisa smaltata, stava tremando. L’acqua era del tutto fredda. Da quanto tempo era lì? Sentiva le palpebre pesanti e le sue membra erano intorpidite. Egli si alzò con cautela e avvolse il suo corpo bagnato in un asciugamano. Dopo essersi asciugato con cura, egli si rimise la sua vestaglia di seta. Una volta uscito dal bagno si recò nella sua camera da letto e accese la luce. Era ormai buio, chissà da quanto tempo era calato il sole?

Dopo essersi rivestito, il giovane andò nel salotto del suo appartamento e, una volta che accese la luce anche lì, si diresse verso un mobiletto basso munito di ante e due cassetti che si trovava vicino alla finestra. In esso teneva alcuni documenti personali, carta, inchiostro e penne. Sopra di esso c’era un pacco che aveva ricevuto quella mattina con la posta, anche se non l’aveva ancora aperto. Si trattava di qualcosa che gli era stato spedito dal visconte. Il giovane non poté evitare che un sorriso malinconico gli si dipingesse sul viso. Un insieme di fulgidi ricordi si affacciavano alla sua memoria nel momento in cui qualche evento gli portava alla mente l’immagine del visconte. Egli l’aveva sempre amato, anche se non l’aveva più rivisto da quella volta in cui era rimasto ferito.

Ormai erano passati due anni dal giorno in cui, con l’aiuto di un giovane giornalista, egli aveva preso una nave al porto di Londra che l’aveva condotto al porto di Le Havre, dove c’erano delle persone che avevano il compito di portarlo a Parigi e di fargli avere un alloggio confortevole in una zona rispettabile della città. Alcune lacrime spuntarono dai suoi occhi scuri quando ricordò il momento in cui si era reso conto che non avrebbe rivisto il visconte mai più. Il nobiluomo voleva adempiere alla promessa che gli aveva fatto, forse voleva solo mettere a posto la propria coscienza. Ormai non aveva più alcuna importanza. L’aveva perso, per sempre.

Prese un tagliacarte dal cassetto di quel mobile e aprì il pacchetto di cartone facendo attenzione a non tagliarsi. Dentro c’era un libro: si trattava dell’ultima edizione di una raccolta di poesie scritta da un autore francese, la stessa opera che il visconte aveva usato per fargli imparare le lingue. Era un bel volume, foderato in pelle. C’era anche una lettera del nobiluomo: in essa chiedeva al giovane notizie sulla sua salute e alcune informazioni riguardo alle persone che avevano ricevuto l’incarico di passargli una rendita. Egli era stato così generoso con lui, gentile e disponibile... e non sarebbe mai stato nulla di più di questo.

Durante i suoi primi mesi a Parigi il giovane era stato seguito da un medico, il quale aveva l’incarico di aiutarlo nel lungo processo di disintossicazione. Era stata una cosa lunga e dolorosa, e nonostante il giovane non avesse più nulla da temere, qualche volta si concedeva qualche breve ricaduta nel suo vecchio vizio, proprio com’era successo quel giorno.

Sulla lettera c’era anche scritto che Akihito stava bene e che appena libero da alcuni impegni, gli avrebbe senz’altro scritto. Akihito…

In quel momento Feilong ricordò il giovane che era venuto a cercarlo nel posto dove egli si stava nascondendo. Sentì una dolorosa fitta al cuore ricordandosi di quei giorni. Egli era angosciato ed impaurito ed era andato a nascondersi da qualcuno dei suoi conoscenti che vivevano dalle parti del porto. Aveva subito scartato la possibilità di andare a nascondersi da quei pochi parenti che aveva in città e che se la passavano molto male. Era sicuro che la polizia sarebbe andata subito da loro nel momento in cui avrebbe incominciato a fare ricerche.

All’inizio i suoi conoscenti furono riluttanti all’idea di porgergli aiuto, ma la cosa cambiò radicalmente quando offrì loro del denaro. Comunque, non poteva aspettarsi che tollerassero la sua presenza per molto tempo e l’unica possibilità che aveva di salvarsi, fuggire a Hong Kong, era impraticabile al momento perché era da poco finita la guerra sino-giapponese e le rotte di viaggio non potevano ancora considerarsi sicure.

Si ricordò che Akihito gli aveva sorriso quando l’aveva visto, anche se il suo aspetto sarebbe stato sufficiente per spaventare chiunque. Se lo ricordava ancora come egli era quella notte, una delle più difficili della sua vita. Era stato un momento veramente speciale per lui quando si era trovato davanti quel giovane dai capelli castani e occhi scuri dallo sguardo gentile. In quel momento Feilong si era chiesto se il giovane fosse “di sangue misto”. Sotto molti aspetti somigliava fisicamente a molti ragazzi inglesi che aveva visto, ma i suoi occhi tradivano parte delle sue origini.

Il giovane giornalista aveva pagato le persone che lo tenevano in custodia, aveva usato anche un fine orologio da taschino come mezzo di pagamento. Dopo l’aveva fatto trasportare in un appartamento in un’altra zona della città e aveva fatto venire un medico che gli aveva dato dei consigli sulla cura che Feilong doveva seguire per uscire dallo stato in cui si trovava. Akihito aveva dato delle false informazioni sull’identità del giovane cinese.

Feilong sorrise con affetto ricordandosi tutte le premure che quel ragazzo aveva avuto per una persona di cui sapeva molto poco. Aveva capito che conosceva il visconte da un punto di vista personale, ma non fece domande. Che importanza aveva ormai?

Una volta rimessosi in sesto, fu accompagnato su una nave che l’avrebbe condotto in Francia. Gli erano stati procurati dei documenti falsi. Egli usava con i suoi amici a Parigi il nome “Fabien” che somigliava al suo e che era facile da pronunciare per i parigini. Avrebbe tanto da ringraziare al visconte per la sua situazione e invece a volte pensava a lui con amarezza per il fatto che non avesse mai ricambiato i suoi sentimenti.

Quella mattina il giovane era uscito a fare una passeggiata vestito all’occidentale di tutto punto. In giro aveva trovato un’edicola dove si vendevano alcuni giornali stranieri. Fu stupito nel trovare la notizia che il commissario di polizia di Scotland Yard era stato trovato ucciso nella sua villetta con giardino nella quale viveva da solo. Casualmente, durante le indagini, era stata trovata una piccola agenda rivestita in pelle quasi nascosta in un angolo sotto a un divano del salotto. La polizia era riuscita a risalire al nome del proprietario: Si trattava del figlio di un barone austriaco- Wilhelm Franz. Il giovane era stato in seguito arrestato e la sua ambasciata era intervenuta per farlo rilasciare su cauzione. Non era stata trovata l’arma del delitto e la difesa del nobile era stata affidata ai migliori avvocati della città. Costoro, indagando nella vita di James Briggs, avevano trovato molte proprietà immobiliari intestate all’uomo, anche una casa di campagna in una bella zona. Tutti si chiedevano da dove fossero usciti i soldi. Non ci volle molto per capire che il defunto aveva racimolato del denaro tramite il ricatto di molti personaggi della nobiltà e della politica locale. Anche se risultava impossibile risalire ai nomi della maggior parte delle persone che erano state le vittime dell’uomo.

Feilong aveva pensato in quel momento al fatto che fosse scandaloso che un membro della polizia si riducesse in quella maniera per trarre un vantaggio personale. Meno male che lui non aveva mai avuto nulla a che fare con quell’individuo, anche se di persone losche ne aveva conosciute parecchie, a cominciare da suo fratello… e dal visconte. Chissà quali erano davvero le attività nelle quali il nobiluomo era coinvolto?

Feilong aveva più volte pensato che esse avessero a che fare con il traffico d’oppio e forse anche di armi (destinate ai paesi in guerra e che servivano per l’appoggio di certe fazioni). Aveva, però, sempre preferito non indagare.

Sulla lettera che aveva ricevuto dal visconte, in fondo alla pagina, c’era un messaggio scritto postdata. Feilong sorrise ampiamente nell’apprendere che il suo benefattore, forse era meglio chiamarlo così da quel momento in poi, era riuscito a trovare, tramite alcuni conoscenti al porto di Hong Kong, un suo vecchio amico d’infanzia: Yoh. Il giovane sarebbe arrivato a Parigi da lì a pochi giorni. Adesso Feilong era felice davvero, aveva tanto bisogno di vedere una faccia amica, qualcuno che gli ricordasse la sua terra natale.

In quel momento, chiudendo gli occhi, il giovane si ricordò della visione che aveva avuto mentre era in bagno sotto l’effetto dell’assenzio e del laudano. Aveva visto il giardino di Nan Lian a Kowloon, un luogo incantevole e suggestivo dove era andato spesso durante la sua infanzia. In quella visione delirante aveva immaginato di volare, di essersi trasformato in un piccolo usignolo che era capace di pensare e di soffrire come un essere umano. Adesso Feilong non voleva più soffrire per qualche vecchio ricordo. In quel momento sentì una piccola fitta allo stomaco. Erano molte ore che non mangiava. In quell’istante decise di lasciare la lettera ed il libro sul mobile per andare in cucina a prendersi qualcosa. Lasciò il segnalibro in mezzo alla pagina che poco prima l’aveva interessato di più…

 

Il gatto

Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
trattieni le unghie della zampa,
e lasciami sprofondare nei tuoi begli occhi striati
di metallo e d'agata.
Quando le dita indugiano ad accarezzare
la tua testa e il dorso elastico
e la mano s'inebria del piacere di palpare
il tuo corpo elettrico,
vedo la mia donna in spirito. Il suo sguardo
come il tuo, amabile bestia,
profondo e freddo, taglia e fende come un dardo,
e, dai piedi fino alla testa,
un'aria sottile, un minaccioso profumo
circolano attorno al suo corpo bruno.

“Il gatto” (I fiori del male) - Charles Baudelaire.

 

Le chat

Viens, mon beau chat, sur mon coeur amoureux;
Retiens les griffes de ta patte,
Et laisse-moi plonger dans tes beaux yeux,
Mêlés de métal et d'agate.
Lorsque mes doigts caressent à loisir
Ta tête et ton dos élastique,
Et que ma main s'enivre du plaisir
De palper ton corps électrique,
Je vois ma femme en esprit. Son regard,
Comme le tien, aimable bête
Profond et froid, coupe et fend comme un dard,
Et, des pieds jusques à la tête,
Un air subtil, un dangereux parfum
Nagent autour de son corps brun.

“Le chat” (Le fleurs du mal)- Charles Baudelaire.

 

***Fine***

 

Musica:

-‘Wilde’soundtrack- An age of silver- Debbie Wiseman

-‘Chéri’soundtrack- Rose Acacia- Alexandre Desplat

-‘The nightingale’- Julee Cruise

 

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