Fog's dream

di dreaming_eclipse
(/viewuser.php?uid=62966)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Your tears, my sea ***
Capitolo 2: *** Whirlpool ***
Capitolo 3: *** Ice ***
Capitolo 4: *** Fog ***
Capitolo 5: *** My Lovable Air ***
Capitolo 6: *** Only Dream: song-chapter ***
Capitolo 7: *** Sunshine ***
Capitolo 8: *** Sea Breeze ***
Capitolo 9: *** Gong! ***
Capitolo 10: *** Light Life ***



Capitolo 1
*** Your tears, my sea ***


Mi è venuta la voglia leggendo delle fic di Turkina... Ed ecco qui. Spero vi piaccia.

                            dreaming_eclipse

 

 

 

Your Tears, my Sea

 

 

Credetti seriamente di impazzire.

Era lì… il ragazzo che tanto avevo desiderato, che mi aveva soffocato il cuore con il suo sorriso, che mi aveva riscaldato con poche parole… ora era lì davanti a me.

E piangeva. Era fragile: il suo appoggio, il suo pilastro in mezzo alla disperazione che costantemente sembrava avvolgerla, sembrava poter crollare da un momento all’altro. E lei sapeva che qualunque cosa sarebbe seguita, sarebbe crollata con lui.

Si era sempre ripetuta che il senso di protezione che aveva nei suoi confronti era stupido: lui non aveva bisogno di lei, lui aveva già tutto ciò che poteva chiedere alla vita, lui era completo.

E adesso aveva anche una ragazza, un’estranea, qualcuna che non conosceva le sensazioni che vi erano tra loro.

Eppure… ora piangeva. Accoccolato nell’angolo delle scale, stringeva le braccia attorno ai jeans, che umidi di lacrime imbarazzate coprivano il fisico che tanto avevo ammirato in qualche momento di debolezza, sul viso una leggera barba incolta, un segno di ribellione e, forse, infantile, colorava la pelle vicine alle labbra fini, una parte di lui che non ero mai riuscita a guardare veramente.

Ma ciò che più mi spaventava erano i suoi occhi. Lucidi, di quel verde profondo che mi aveva sempre intrappolata, di cui mi sentivo così dipendente e schiava, sembravano implorare di essere chiusi.

Mi inginocchiai al suo fianco e gli passai un braccio sulle spalle.

La mia voce tremava quando parlai, cercai di nascondere il mio turbamento: "Lore, cosa è successo?".

Il mio verde oceano torno a fissare le proprie ginocchia: "È finita. Mi ha detto che non vuole più avere a che fare con me. Credevo che dopo l’ultimo litigio la situazione si fosse ristabilizzata, ma… sembrava così tranquilla, non… non me lo aspettavo.".

Pazza. Hai tutte le fortune… e le rifiuti così. Se solo lui mi dedicasse un briciolo dell’affetto che prova per te.

Dovevo stare zitta, io non meritavi certo più fiducia: lo tradivo costantemente, desiderandolo e mentendogli, desiderio e menzogna in un turbine di momenti, incisi nella mia memoria.

Non seppi rispondere al suo tormento, forse troppo sopraffatta dal mio. Semplicemente mi strinsi a lui, non sapendo se fossi io a confortare lui, o il contrario.

 

Il giorno dopo lo trovai davanti alla fermata dell’autobus, ad aspettarmi. Mi accorsi di lui troppo tardi per il quotidiano esercizio di autocontrollo a cui mi sottoponevo quotidianamente e il battito del mio cuore calò di colpo, per poi ripartire come un cavallo al galoppo nei pascoli infiniti delle sue iridi, pronto ad essere inghiottito dal baratro scuro che le sormontava. L’ipod mi estraneò come sempre dal resto della folla, da tutti i rumori della città e rimase solo la sua immagine e il rintocco del mio amore nascosto. Nient’altro.

Arrivammo insieme a scuola. Lui stava in silenzio e di tanto in tanto cercava i miei occhi. Cercavo di sorridergli, incoraggiante, ma la preoccupazione traspariva visibilmente, dato che ogni volta si voltava prima che potessi proferire parola.

Venne a prendermi anche il giorno dopo, e quello dopo ancora, ma il silenzio continuava a imperversare e la sua sofferenza mi consumava.

Un mattina decisi di parlargli. Mi mancava il mio appoggio, la mia colonna portante, senza di lui non vivevo. Non volevo pensare all’egoismo nascosto da questa frase.

 

"Piantala!" esordii mentre scendevamo dal pullman. "Di fare cosa?".

"Con questo silenzio. Piantala!" risposi innervosita.

Lui mi osservò per un po’ e ancora una volta non riuscii a ricambiare lo sguardo: "Cosa vuoi che faccia?".

La domanda mi prese alla sprovvista. Cosa voleva dire? Avevo detto in modo parecchio chiaro cosa volevo, non mi pareva servissero spiegazioni. "Parla! Mi togli l’aria col tuo mutismo!".

Si rivolse nuovamente alla strada: "Scusa…".

Ecco. Lo odiavo quando faceva così. Sembrava non capirlo, ma quella parola era capace di portare a galla i più profondi sensi di colpa della mia anima. Di colpo mi infuriai: "Non chiedere scusa, cavolo! Reagisci! Dì qualcosa, qualunque cosa! Ma non mi portare giù con te.". Sentii di avere le lacrime agli occhi. Ero andata oltre: stupida, stupida stupida!

E non resistetti, sfiorai i suoi occhi, per poco, ma basto. Ero roventi. "E allora lasciami in pace! Fammi andare giù da solo!".

Za! Pugnalata al cuore! E le lacrime scivolarono dall’argine. "Credi davvero che io possa rimanere quassù senza di te?". Silenzio. E i miei passi che lo abbandonava sul marciapiede.

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Whirlpool ***


Questo capitolo mi è venuto un po' più corto... Vi accorgerete che non scrivo mai capitoli particolarmente lunghi. Spero li apprezzerete ugualmente e magari prima o poi imparerò =) Grazie a Tanny per la recensione:

Ti ringrazio davvero per i complimenti, che ho apprezzato davvero tantissimo, e spero che leggerai anche il seguito del primo capitolo. Quanto a migliorare.... Beh, io mi impegno =) i risultati spero arriveranno!

 e a:

1 - bribry85 [Contatta]
2 -
Nessie [Contatta]
3 -
pirilla88 [Contatta] 

Per aver aggiunto questa Fic ai loro preferiti. Ecco il seguito... per favore commentate!!!

                                                               Dreaming_Eclipse

 

 

Whirlpool

 

 

Caddi sul banco, letteralmente. Non volevo essere consolata, non volevo carezze sulle spalle. Nemmeno sue… forse. Le lacrime scendevano copiosamente. Sentii il saluto dei miei compagni di classe quando entro dalla porta, i suoi passi che si fermavano giusto davanti a me, e il suo sguardo, pungermi attraverso la barriera di riccioli scuri che di certo non avrei avuto il coraggio di attraversare. Avevo paura del mio prato, dei fili d’erba che sotto quelle nubi potevano sembrare così scuri, delle onde che in quella tempesta ci avvolgevano e ci allontanavano. I passi ripresero e con loro il battito del mio cuore e un singhiozzo scappò al mio controllo. Ed arrivò, inevitabile, la sua mano sulla mia spalla, una distanza mortificata mantenuta a stento, prima che mi voltassi per abbracciarlo. Lo amavo. Ne avevo il permesso?

 

Tornammo a casa ancora insieme. Non chiedevo altro, ma continuavo a pensare a ciò che ci eravamo detti durante il tragitto di andata. Il pomeriggio i miei mi avvertirono che saremmo andati a cena da una mia amica. Fui felice: non vedevo Francesca da tempo. Quando arrivai fu come qualche anno fa: la nostra amicizia era intatta. Ci precipitammo sul lettone, in camera sua, come facevamo da piccole e spettegolammo del più e del meno. Quando, però, uscì fuori il nome di Lorenzo la sua espressione mi fece preoccupare. Le stavo raccontando dei miei sentimenti nei suoi confronti, lei aveva sempre saputo tutto, per me non era niente di che, il solito discorso con Francesca. Ma vedevo il suo viso farsi sempre più ansioso davanti alle mie parole, alle mie elucubrazioni e a tutte le seghe mentali che aveva sempre sopportato di me. Non capivo e il silenzio scese di colpo. Fui lei a romperlo: “Così… ti piace ancora?”.

Probabilmente impallidii. Cosa voleva dire quel tono? E soprattutto… dove voleva arrivare con quella domanda? “Beh… sì.” Le risposi dubbiosa e un po’ inquieta. Non capivo da dove provenisse quella soffiata di aria strana che mi aveva invaso quando mi aveva domandato una cosa così ovvia.

“Cavolo!” borbottò tra sé. La fissai per un po’, poi non resistetti: “Fra, devi dirmi qualcosa?”. Sì, conoscevo bene quell’espressione sul suo viso. Ricambiò lo sguardo, ma rimase in silenzio. Ripetei la richiesta: “Fra, cosa mi nascondi?”. E lei capitolò.

 

Conoscevo Lorenzo da circa due anni e da un anno e mezzo mi piaceva. Avevamo fatto finalmente amicizia dopo sei mesi di pedinamenti, lettere, mai consegnate, fantasticherie varie: semplicemente era finito nella mia classe e successivamente mio compagno di banco grazie all’aiuto della prof. E forse fu lì che mi innamorai davvero di lui. Iniziò a chiacchierare con me e io non riuscivo a fare a meno di vibrare dalla gioia ogni volta. Erano parole stupide, ordinarie, prive di significati particolari o profondi. Erano chiacchiere dedicate al giorno in sé, che non prevedevano niente per il futuro, ma per me erano l’aria che respiravo. Piano piano mi accorsi che lui stesso mi cercava e che conversazioni s’infittivano durante la giornata, fino a farmi finire in un’immensa utopia onirica, che da sola mi ero creata e che lui sembrava voler alimentare. Ed ero felice. Ma non mi accorsi di con che occhi osservava Francesca quando uscivamo insieme, né delle parole dolci che usava in sua presenza, né delle battute con cui si abbelliva davanti al suo cuore. Fui fortunata perché fu lei a impedirmi una delusione del genere. Fui fortunata perché per il mio bene rifiutò a sé stessa ogni desiderio di lui. E io non lo scoprii… fino a quel giorno.

 

Davanti al mio sguardo vacuo, il suo si riempì di lacrime: “Mi dispiace, non sapevo cosa fare, lui ci provava e io non sapevo come comportarmi e tu non te ne accorgevi o forse sì, non riuscivo a capirlo”. Rimasi con le labbra sospese, come per urlare, ma non spirai fiato. “Helène, ti prego, dì qualcosa!”. Frasi fumose, perse nel mio baratro personale. Non capivo. Non POTEVO capire. Lorenzo, il MIO Lorenzo non era diventato mio amico per una sciocca cotta, non per la mia migliore amica. Il mio prato non poteva diventare così brullo tutto a un tratto, il mio mare calmo non poteva iniziare a vorticare per quella manciata di parole. Non potevo accettare che fosse la realtà, quell’immenso vortice, che mi stava portando via dalla mia amica, non poteva esistere realmente. E lo cancellai: presi la maglia che mi era scivolata dal letto e nascosi i miei brividi, mi alzai lentamente per assicurarmi al terreno e sorrisi. Irrealmente sorrisi, quasi isterica, forse falsa, ma sorrisi. E Francesca mi abbracciò.



Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ice ***


So bene che questo capitolo è ancora più corto del precedente, ma ho visto che eravate così entusiasti che ho voluto aggiornare il prima possibile. Solo che non ho avuto molto tempo... e tra i miei che entravano in camera ogni tre per due e le uscite con le bimbe (scusate! XD) sono riuscita a fare solo questo. Spero che vi piaccia, comunque! ^_^
Tanny: ti ringrazio di nuovo per i complimenti che mi fanno davvero inorgoglire ^_^ quanto a Francesca... in fondo vorrei definirla come una brava persona. Dopotutto è stata solo una vittima dell'innamoramento di Lorenzo, e ha cercato con tutta sé stessa di resitere a quello che era un flirt piuttosto evidente (per tutti tranne che per Hélene XD). Spero mi seguirai ancora e magari che riconsidererai il personaggio di Francesca, sennò pazienza... è giusto che ci siano personaggi apprezzati e personaggi antipatici ^_^
amimy: Sono davvero onorata dalle tue parole! L'aggettivo "sublime" non è cosa da poco ^_^ non me l'aspettavo, potrei addirittura iniziare a diventare presuntuosetta, quindi non viziatemi XD davvero grazie. Sono felice che tu riesca a immedesimarti nella mia storia; felice da una parte e triste dall'altra perché credo che descriva una situazione non molto piacevole; comunque spero che mi seguirai ancora e mi lascerai qualche suggerimento =)
dorotyy991: Grazie di cuore, sono felice davvero che ti sia piaciuta e che tu riesca a capire per mezzo delle mie parole le sensazioni che derivano da questo caso, in fondo è quello che volevo riuscire a fare. Comunque anch'io non so bene come finirà questa storia... vorrà dire che lo scoprirò strada facendo ^_^
                                                        Dreaming_Eclipse
 
E ora ecco il capitolo:
 
Ice
 

Quando arrivò il momento di andare a scuola ebbi paura. Non sapevo bene di cosa, non aveva senso, in fondo, cosa pensavo sarebbe cambiato da parte sua? Infatti non era lui il problema. Ero io. Non mi fidavo più del mio ossigeno, temevo potesse dimostrarsi tossico, forse… o esserlo sempre stato. Avevo scoperto che aveva sempre avuto un sapore diverso da quel che mi aspettavo. E ora che lo avevo notato non riuscivo più a inspirare, non riuscivo ad accettare quel profumo che aveva iniziato a scendermi giù per la gola da quella maledetta sera. Non riuscii a dormire e ne approfittai per prendere l’autobus prima del solito, per non correre il rischio di trovarlo alla fermata ad attendermi. A scuola quando arrivò i suoi occhi erano stupiti quando mi incrociarono, ma i miei furono freddi. Sì, sapevo mentire quando volevo. Ero fin troppo brava, ma mi stupii ugualmente: di solito lasciavo che almeno le mie iridi, almeno quello spicchio azzurrino con cui osservavo il mondo, facessero intendere le mie emozioni. Ero convinta che bastasse poco per rendersi conto che stavo male a causa di essi e certe volte questo mi imbarazzava, ma in fondo lo apprezzavo. Ora sentivo chiaramente quanto si fossero congelati in quelle ore di congetture, di quanto li avessero inzuppati le mie lacrime, sfuggite al mio autocontrollo quando mi ero coricata la sera prima. Mi voltai e finii per ignorarlo tutto il giorno. Lui dal canto suo tentò di parlarmi, prima turbato, poi confuso, infine, una terza inutile volta, cosciente e rammaricato. Non si può dire che avesse capito esattamente cosa fosse successo. Certo per lui era che fossi arrabbiata con lui e che avessi una certa quantità di ragione. Forse immaginò in parte che potessi aver capito qualcosa, ma preferì sperare di sbagliarsi.

E io non volevo spiegare, non riuscivo nemmeno a parlargli. Ero delusa: da lui e da me stessa, dal mio angelo e dal mio demone, da tutto ciò di cui ero composta. Ero straziata dagli attacchi di rabbia, d’insoddisfazione, di panico che mi assaltavano nel bel mezzo della giornata e non sapevo come affrontare il suo sguardo alla fine delle lezioni. Riuscii a fuggire via per vari giorni. Scivolavo tra i banchi e correvo via.

 

Ma un sabato il professore di italiano mi chiamò per parlare di alcuni cambiamenti nel mio metodo di scrittura: era preoccupato perché avevo iniziato ad essere estremamente confusa nell’andamento dei vari argomenti nei miei scritti, anche nei temi la mancanza di Lorenzo mi faceva perdere la bussola. Il professore scappò via ed io, presa dalle sue parole, mi accorsi troppo tardi di essere sola in classe con una specifica persona. Mi ritrovai attaccata al muro, con il mare di lava fertile e profonda dei suoi occhi che mi immobilizzava e mi toglieva il fiato, mentre cercavo un appiglio nella fredda parete alle mie spalle. Era arrabbiato, frustrato, lo si leggeva anche troppo bene: “ Mi spieghi cos’è successo?” disse amaro. Respiravo a fatica, non ero mai stata così vicina al suo viso come in quel momento. Sentivo di poter mancare a tutta la mia determinazione da un momento all’altro. Poi abbassai le palpebre per un attimo.. e lo vidi due anni prima, quando ci conoscemmo, quando mi sorrideva ogni volta che ci incontravamo, quando non mi accorgevo che ogni volta accanto a me c’era anche Francesca. Lo guardai e fui glaciale, ancora una volta, più di quanto mi aspettassi: “Perché me lo chiedi? Ti sei reso conto di aver sbagliato qualcosa?”. Rimase interdetto. Non avevo mai usato quel tono con lui. Anzi… non lo avevo mai usato con nessuno. “Hèlene, cosa hai? Mi eviti da giorni…”. Sorrisi sarcastica: “Cosa vorresti che facessi?”. Lorenzo mi fissò per un po’: “Qualunque cosa abbia fatto, sai che non era mia intenzione ferirti… Ti voglio bene, lo sai. So di essere stato un po’ scontroso in questi ultimi tempi. Mi dispiace, non volevo. Ero abbattuto per Clara, lo sai.”, io risposi semplicemente: “Forse non riguarda questi ultimi tempi..”. Non era una battuta figa da film, non era così che volevo chiudere. Ma qualcosa di me chiedeva solo di perdonarlo e di far tornare tutto come prima. Era stupido, in fondo; lui mi voleva bene, no? Il perché aveva iniziato a volermene non era importante. Eppure qualcosa dentro di me, una certezza, un fondamento, si era rotto nel momento in cui erano mancati quei primi giorni di amicizia sincera. Dopotutto, era veramente consapevole di ciò che voleva dire per me quel “ti voglio bene”?

 

 

 

Rettifico: non è affatto più corto dei precedenti O_o eppure, mi pareva....

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Fog ***


E rieccomi, un po' in ritardo, cercando gni volta di scrivere un po' di più...(Ho raggiunto le 1000 parole!!! 1066 per la precisione U_U)
Rispondo subito alle vostre splendide recensioni... veramente, mi riscaldate il cuore!!!
Tanny: come sempre, sono veramente felicissima di averti come critica XD sei veramente dolce... forse un po' esagerata ^_^In questo capitolo ho cercato un po' di risollevare la figura di Lorenzo... dopotutto se è il suo migliore amico ci sarà un motivo, si spera... =) fammi sapere come appare ogni personaggio, in modo da capire cosa devo sottolineare e cosa no!!! Mi aiuti davvero tanto nei tuoi commenti! grazie mille!!! bacio!!!
Amimy: Wow, sinceramente certi aggettivi non me li aspettavo... che bello!!! meno male che la apprezzate... in questa fic mi ritrovo spesso e quindi ci tengo particolarmente... i tuoi commenti mi riempiono d'orgoglio (il che può essere pericoloso.... vi avverto: so essere MOOOOOOLTO orgogliosa XD). Quanto alla lunghezza dei capitoli, come vedi mi sono messa subito all'opera!!! bacio!
                                                                                          Dreaming_Eclipse
 
Fog
 

Lorenzo venne più volte alla fermata dell’autobus per vedermi. Io cercavo sempre di evitarlo, in modo che non potesse fermarmi e riuscivo a raggiungere il bus giusto un attimo prima che mi scorgesse. Una volta si accorse di me, ma fortunatamente non fece in tempo a salire anche lui: però il suo sguardo triste ancora una volta mi uccise. Mi mandava messaggi e io combattevo con la mia mano, che restava sospesa per dieci minuti almeno, indecisa se cliccare il pulsante della risposta o no. La storia si concludeva sempre con una brutta caduta del mio cellulare, che risultava essere la mia malcapitata fonte di sfogo. I messaggi si accumulavano nelle mie cartelle, sapevo che non avrebbe mollato: una vocina dentro di me mi ripeteva che ci teneva davvero alla mia amicizia, ma io testarda non ci avrei creduto mai. La cosa, che più mi stupiva e, allo stesso tempo, mi faceva vacillare nella mia testardaggine, era che il ritmo degli sms non accennava minimamente a diminuire. Ogni giorno un nuovo messaggio, ogni giorno un “ho un disperato bisogno di sentirti” mi faceva rabbrividire, un “ti voglio davvero bene” mi faceva lacrimare, uno “spiegami, ti prego” mi faceva sentire una cretina. Forse avrei dovuto parlargli, perlomeno, ma avevo il terrore di cadere in una situazione senza uscita, in un tunnel in cui la luce si allontana sempre di più e ti fa sentire in quegli incubi che fai a sei anni e che ti tormentano per tutta la durata della tua esistenza.

Nel frattempo ogni mattina parlavo con Marissa, la mia compagna di banco. La conoscevo da parecchi anni in meno di Francesca, ma la adoravo allo stesso modo. Lei cercava di consigliarmi, voleva spingermi a parlargli, e mi abbracciava ogni volta che i miei occhi iniziavano a sfocarsi, umidi. Non so proprio come avrei fatto senza di lei. Era un’amica sincera, che mi apprezzava senza alcun legame d’obbligo, per stupide vicende passate o… beh, per convenienza. E continuava a ricordarmelo, giorno dopo giorno, con le sue parole gratuite e semplici. Forse pensavo così per rivendicazione nei confronti di quello che non riuscivo a non considerare “il mio migliore amico”, ma le volevo bene seriamente. Un giorno mi trovò accoccolata sulla sedia, in classe in anticipo sulla campanella. Ero la prima a stancarmi delle mie continue crisi, ero noiosa, lo sapevo, ma veramente non sapevo come comportarmi. Mi si avvicinò e mi tenne stretta a sé fino a quando non alzai la testa e le sorrisi triste. Lei ricambiò mi parlò speranzosa: “Sicura che non sia il caso di parlargli? Così non risolvi niente, lo sai…”. Le risposi un po’ angosciata, ma felice di averla accanto: “Non dovrebbe fregarmene più niente di lui…”, lei mi guardò seria: “Ma te ne frega ed è inevitabile! Stare male entrambi che senso ha?”. Già… che senso aveva? Lorenzo mi aveva illuminato i giorni per così tanto tempo che adesso anche il sole mi dava il calore grigio della luce artificiale; con lui, sempre sincero o meno, mi sentivo bene. Era passato troppo tempo per i miei gusti, la mia pelle si stava ingrigendo come il cielo e, anche se si era comportato male, dovevo sperare che adesso si fosse pentito. Dovevo sapere se stava con me solo per abitudine o se tutti gli abbracci, tutte le consolazioni avevano un significato. Se avessi scoperto il contrario, avrei acconsentito alle nuvole perché mi oscurassero completamente, ma fino ad allora il mio sembrava solo un comportamento idiota e infantile. Decisi che avrei fatto la strada del ritorno con lui quel pomeriggio.

Ringraziai Marissa e insieme preparammo i libri e, visto che mancavano ancora dieci minuti all’inizio delle lezioni, ripassammo scienze per il compito imminente. Quando arrivarono i nostri compagni di classe, come sempre il Maroni mostrò tutta la sua conoscenza in ambito di parolacce nel tempo necessario a varcare l’uscio della porta, motivo per cui cademmo a terra dalle risate (n.d. autrice: piccolo riferimento a vita reale. Lo so, siamo stupidi…) e mi sentii rasserenare. Sì, decisamente amavo quella classe e non me lo avrebbe fatto dimenticare uno stupido risentimento, di cui il diretto interessato non sapeva nemmeno il motivo. Appena entro in classe, però, non seppi come comportarmi: guardarlo male non aveva senso, ma non volevo che pensasse che non fossi più arrabbiata con lui. E poi, in fondo, qualcosa di me, una parte forse troppo stupida e viziata, ma apprezzabile, era felice che mi riservasse così tante attenzioni ultimamente. Cercai perciò di evitarlo il più possibile, ma era complicato: non la smetteva di fissarmi e io mi sentivo colpevole. Al cambio della quarta ora sarei andata a chiedergli di tornare a casa insieme, in modo che non avesse altre pause per approfittare della mia improvvisa disponibilità. Le ore passarono lente e opprimenti, come nebbia che sembra bloccare il mondo intero in un istante eterno e soffocante. Non ascoltavo le parole del prof, di fatto feci scena muta un paio di volte quando notò che non stavo attenta e mi chiese della lezione, ma dopotutto sentivo che non sarei mai riuscita a stare attenta. Forse era una scusa, ma in quel momento non avevo bisogno di sensi di colpa.

Finalmente la campanella mi avvisò che era il punto dello spettacolo in cui sarei dovuta entrare in scena. Presi un respiro, mi alzai e mi diressi verso di lui. Stava chiacchierando con il Maroni, sorrideva e disegnava un linea curva e ingarbugliata sul banco, lo sguardo pensoso si rivolgeva ogni tanto al disegno, che immaginai avesse una forma più sensata visto da un altro punto di vista. Come era bello, però! “Basta, calmati, non è il momento…” mi ricordai e ancora una volta preparai un rifornimento di ossigeno, visto che di lì a poco mi sarebbe mancato il fiato. Quando lo chiamai si voltò, più felice che sorpreso, e mi guardò curioso. Io distolsi lo sguardo da quei baratri ipnotici, che spuntavano prepotenti sotto i cappelli arruffati, e recitai la parte che mi ero ripetuta incessantemente per quattro ore di fila: “Più tardi vorrei parlarti, va bene se torniamo insieme?”. E il premio Oscar per la miglior recitazione!!!!!!!!!! Okay, forse è un po’ esagerato per nove parole. Si alzò fino alla mia altezza e la superò con facilità: “Perfetto!” e con un mezzo sorriso traboccante di speranza mi lasciò scivolare al mio posto, giusto in tempo prima dell’arrivo del prof di matematica.



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** My Lovable Air ***


E rieccomi col quinto capitolo! ^_^
 
Tanny: Wow!!! Un angelo XD Mi piace questo ruolo! Beh... Tu sei un agelo in ogni tua recensione... davvero =) Francesca c'é sempre, ma, come ho detto nel secondo capitolo, ultimamente non è molto presente nella vita di Hèlene perché sono in scuole diverse. Marissa è la compagna di banco di Hélene, Nonostante si conoscano da meno tempo, la sua amicizia è molto importante per la nostra protagonista e tra loro c'è una certa intesa, anche se l'esperienza l'una dell'altra è minore ^_^. Questo capitolo forse ti piacerà... ho deciso di dare un po' di sollievo ai nostri personaggi dopo tanti giorni di depressione XP. bacio!
 
Amimy: Ed ecco qui, più in fretta possibile, un altro capitolo! ^_^ Questo non raggiunge i 100 purtroppo... alla fine mi sembrava giusto interromperlo.. e così... 928! XD Quanto alle coincidenze, spero proprio che questa storia finisca bene per entrambe, anche se non ho ancora bene deciso come concluderla... beh... c'è tempo! Vorrei riuscire a fare almeno un po' di capitoli =) Poi col vostro supporto, credo proprio che ce la farò ^_^ siete dolcissime, grazie! bacio!
 
                                                                                   Dreaming_Eclipse
 
My Lovable Air
 

 

Camminavamo fianco a fianco, sul marciapiede che percorreva la solita via, ormai così familiare che l’avrei potuta percorrere anche a occhi chiusi. Eppure eravamo entrambi persi. Il silenzio più assoluto incombeva e ci divedeva, una spessa patina di distacco ci separava, un intruglio d’imbarazzo e timore dell’altro che ci soffocava appena tentavamo di schiudere le labbra. Ti cercavo con gli occhi, ma tu sembravi continuare a sfuggire, mi voltavo e tu cercavi il mio sguardo e così continuavamo in una danza di scintille e di cenere che vorticava, nascondeva e illuminava, e ci lasciava impazzire nelle nostre congetture private. Quando finalmente ci incontrammo il mio cuore si tuffò dal trampolino, ma chiuse gli occhi e io nascosi i miei. Avevo paura. Paura di quello che mi avresti detto, paura di quello che avresti pensato, paura di sbagliare a tuffarmi e di non trovare l’acqua fresca ad accogliermi tra le sue braccia. E tu non parlavi. Perché non parlavi? Non ti ero mancata in questi giorni? Era finzione quell’ansia che leggevo nei tuoi messaggi? Non capivo. Forse la mia paranoia mi stava assalendo ancora, come sempre, e come sempre mi impediva di vedere qualcosa, ma fino a che non l’avrei scorta, questa verità nascosta, come avrei potuto crederci? “Mi manchi…” sussurrai a me stessa. E fortunatamente lui non lo sentì.

Ero così presa dal mio terrore che quasi saltai quando parlò: “Per domani c’è da studiare 20 pagine di storia.. Uff! credo che non sopravvivrò! È dagli ebrei che non apro il..” le sue parole fluttuarono a mezz’aria, incomplete, mentre il mio sguardo confuso e un po’ tradito lo chetava. Poi l’astinenza si fece sentire e le frasi traboccarono, chiacchiere futili, senza profondità, ma di cui sentivo troppo la mancanza.  Parlammo della scuola, degli amici, addirittura scherzammo e ridemmo, come se quei giorni di tortura non fossero mai esistiti. E quando arrivammo a casa lo salutai quasi sollevata. Solo dopo aver aperto il cancello e tirato fuori le chiavi, però, mi arrivò in viso come uno schiaffo l’entità di ciò che avevo lasciato che succedesse. Non avevo risolto niente. Avevo riempito il tempo, lasciato nascondere ogni preoccupazione, mi ero dissetata della sua voce, senza accorgermi che era acqua salata, che mi aveva reso ancora più vogliosa, ancora più bisognosa di lui. Cretina. Sì. E già mi mancava.

Mi voltai e lo rincorsi. Non so come mi venne, fui impulsiva, risoluta, forse per la prima volta nella mia vita; non riuscivo a controllare le lacrime che di colpo si erano affacciate alle mie palpebre. Mi piantai sul marciapiede, quando la distanza tra me e lui si accorciò a cinque metri, e urlai, perché mi sentisse chiaramente: “è per questo che sei mio amico?! Per passare il tempo nel tragitto da scuola?!”. Lui si voltò sorpreso. Mi fissava con uno sguardo che sembrava chiedere di tradurre quella che per lui era una bestemmia: “Ma di cosa stai parlando?”. Scoppiai a piangere, mi strinsi con le braccia per evitare di stringere lui: non era il momento, dovevo essere forte, dovevo capire. “Ho … parlato con Francesca.. mi ha detto tutto, mi ha detto il motivo per cui è cominciata questa storia, mi ha detto di tutte le volte che hai approfittato del mio affetto!”, rimase bloccato al suo posto, a osservarmi con le due stelle del mio sistema solare. Il silenzio calò di botto, come una pietra franata dal monte, scesa dalla pendice solitaria e pesante. Rimanemmo fermi, bloccati in quella bolla che non avevamo la forza di far scoppiare, mentre lottavo contro il mio corpo, perché non impedisse ai miei occhi di vedere la sua immagine, perché non offuscasse con le lacrime il suo viso. “È vero.. all’inizio è stato come dici.. ma ti giuro che non è più così! Ti voglio bene, non so fare a meno delle tue parole di conforto, dei tuoi abbracci, dei pomeriggi insieme a vedere film! Non saprei mai rinunciare alla tua amicizia.. ti voglio bene, come hai potuto pensare il contrario?”, disse.. ed era sincero, lo sapevo.. “Perdonami.. non ti mentirò più, te lo prometto, sarò l’amico perfetto, non ti tradirò mai.”. Si avvicinò e allargò lievemente le braccia, come a chiedere il permesso di cingermi.. ma era troppo lento e non riuscii a evitare di correre tra le sue braccia. Mi lanciai nel suo calore e lasciai che i singhiozzi di paura si calmassero con me.

Mi lasciò al cancello di casa, sorridendomi finalmente tranquillo. Io mi sforzai di ricambiare, felice, ma un sussurro nel mio cuore mi ricordava che la tristezza non sarebbe mai finita. “Amico”. Questo ero per lui e questo voleva essere per me, la situazione non era cambiata. Ma oggi non era tempo di pensarci.

Prima di entrare in casa, mi preparai al mio spettacolo quotidiano. Mi asciugai le lacrime, mi inumidii le dita per passarmele dove ero arrossata, mi legai i capelli, sorrisi alla lamiera di metallo del citofono, controllando che fosse un sorriso credibile, e sbattei gli occhi un paio di volte. Ero pronta. Infilai la chiave e la girai sicura. “Ciao! Sono a casa!”. Altri tre “ciao” seguirono il mio e mia madre venne a chiedermi come avevo passato la mattinata. Io risposi col solito “bene” vago e le sorrisi per addolcire il tono. Mi rifugiai velocemente in camera, accesi il computer, la mia vera casa certe volte, presi il cordless e informai Marissa e Francesca del sotterramento dell’ascia di guerra. Ero tranquilla con me stessa, mi ero abituata all’odore dell’aria, riscoprendo nelle sue spire i vecchi sapori, e riuscivo finalmente a respirare la mia vita.



Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Only Dream: song-chapter ***


Ed ecco un regalino per le mie seguaci ^-^

Una song-fic fresca fresca che ho voluto dedicarvi. Spero vi piaccia! Fatemi sapere, intanto io preparo il prossimo capitolo!!! (lì commenterò anche le vostre recensioni = )  ).

Bacio!!!

 

P.S. La canzone è "Dancing di Elisa".

 

Dreaming_Eclipse

 

 

Only Dream

 

 

 

Il tempo prenderà la mia mente
e la porterà via lontano, lì dove posso volare
la profondità della vita metterà in
secondo piano la tentazione di vivere per te
Se fossi destinata ad essere sola,
il silenzio farebbe scendere le mie lacrime perché tutto riguarda l'amore
e ora so meglio come la vita
sia una piuma che ondeggia

 

Le parole di Elisa mi lasciavano galleggiare nella città, mentre una leggera brezza mi riportava a te. Sì... che tristezza, ma.. non avrei mai potuto rinunciare a quella situazione. Adoravo sapere che la mia vita aveva un fulcro: un punto in cui tutto iniziava e finiva. Adoravo sapere che ovunque sarei andata qualcosa mi avrebbe tenuto legata a questa strada, che percorrevo adesso con l’i-pod in mano, sognando, come sempre, forse stupidamente, ma consolata da quella stupidità. Mi chiedevo se sarebbe mai finita. E cosa avrei fatto se fosse finita. Mi chiedevo come si potesse vivere senza un odore che ti faccia volare nella spuma delle nuvole o senza una voce che ti faccia saltare di colpo il cuore, fino a spegnere il tuo organismo per dieci secondi. Davvero c’era il modo di sopravvivere così? Non volevo saperlo, vivevo nella mia bolla di convinzioni, che mi sembrava troppo fragile per essere anche solo sfiorata e che per questo avevo paura di avvicinare. Come avrei potuto stare bene senza il battito del mio cuore che mi riempiva costantemente le orecchie? Come senza le gocce salate che mi riscaldavano il viso quando volevo sfogarmi? Sapevo che prima o poi di tutto ciò sarebbe rimasto solo il nostalgico sorriso di una quarantenne, se mi fosse andata bene, ma in fin dei conti non aveva importanza. Non volevo pensarci. Dovevo vivere, adesso. Non avevo mai avuto una mentalità del genere, ma sui miei sogni non ammettevo repliche. Dopotutto era tutto ciò che potevo avere e, forse, tutto ciò di cui avevo veramente bisogno.

 

No non tornerò indietro ma abbasserò
lo sguardo per nasconderlo dai tuoi occhi
perché quel provo è così dolce e sono così
spaventata che addirittura il mio stesso respiro
potrebbe scoppiare se fosse una bolla
e farei meglio a sognare invece di combattere

 

Sì, nella mia bolla di convinzioni, che nella loro insicurezza mi mantenevano lontana da te, ma che mai avrei rinnegato, paurosa di perdere anch’esse, paurosa di perdere te. Non avrei potuto lasciarti indietro, nemmeno dopo quello che avevo scoperto. Un abbraccio era bastato per farmi dimenticare ogni cosa, la tua gioia quando ti avevo sorriso mi aveva completamente disarmato e ora ero inerme davanti a te, tra le tue braccia, ancora adesso, nonostante qualche ora mi dividesse da quel momento, indecisa se lasciarmi trasportare del tutto dal tuo calore o no. Sapevo cosa voleva dire per te quel gesto e, nonostante i tuoi occhi accesi più che mai, nonostante tutte le parole che avevi scolpito nella mia mente, non potevo sperare di raggiungere i miei sogni, ma forse era giusto così. Forse dovevo solo immaginare e piantarla di illudermi, perché avevo già tanto di te, più di ciò che avevano molte altre ragazze innamorate quanto me dei loro principi azzurri. Più di troppi… e non sapevo se me lo meritavo davvero. Non sapevo cosa avevo il diritto di desiderare e, forse, avrei dovuto solo smettere di farlo e sognare.

 

Quindi metto le mie braccia attorno a te
attorno a te, e spero che non farò niente
di male, i miei occhi sono su di te, su
di te, e spero che tu non mi ferirai.

 

E quindi mi perdo nei miei sogni e immagino di abbracciarti ancora. È tutto ciò che voglio: solo il tuo abbraccio, ma quando voglio e dove voglio. È tutto ciò che chiedo. Non voglio farti male, però. Non lasciarti far male da me e tu non mi farai mai del male. Non è vero? Tu non mi vuoi far soffrire, giusto? Allora non me ne farai mai.

 

 


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sunshine ***


PERDONO PERDONO PERDONO!!!!!! (io che imploro in ginocchio per il ritardo)
Scusate, davvero... So che avrei dovuto aggiornare prima, ma ho avuto un vuoto di idee pazzesco (o forse, semplicemente pigrizia acuta -_-").
SCUSATE!!! Spero che questo capitolo vi piaccia e mi faccia perdonare ^_^
 
amimy,: Ti chiedo ulteriormente perdono per averti fatto aspettare così tanto, dopo che mi avevi chiesto di aggiornare velocemente. Ancora una volta ti ringrazio per i complimenti. Quanto alla song-fic, credo che mi riescano perché la musica mi piace davvero molto e tendo a ritrovarci delle emozioni con una certa facilità, in particolare quelle di Elisa e degli Evanescence, che sono citati in questo capitolo. Spero che con G vada tutto bene =) Quanto a saper scrivere.. mi pare che anche tu non sia niente male!!!! almeno da quello che ho letto XD un bacio sublime XD!!!
Tanny: Mi sei mancata tantissimoooo!!!!! =) Davvero... sei un appoggio davvero importante, soprattutto perché sei la prima che mi abbia mai commentato e perché tutte le tue recensioni sono esageratamente lusinghiere. Sono felice di farti appassionare. Spero mi racconterai com'è andata in Spagna!!! E che apprezzerai questi due capitoli come regalino di "bentornata". Stammi bene anche tu e torna a commentare il prima possibile, fammi sapere anche tu della song-fic ^_^ bacio!!!
Turkina: Dileeeeeeeeeeeeee!!!!!!! Lieta che ti sia piaciuta e che ti ricordi una storia dolce come quella tua e del tizio che conosciamo XD Brava brava torna alla conversazione su msn... (anche se sei già tornata perché ti sto rispondendo con una settimana di ritardo, ma va beh... ^_^) bacio!!!!
Sbranina: Ma ciiiaaaaaaoooooo!!!!!! ^_^ A parte che mi hai completamente toppato i nomi dei due protagonisti principali -_-", sono davvero felice di ricevere una tua recensione. Grazie per tutti i complimenti. Come ti ho detto l'altro giorno, Marissa è ispirata a M... ma Anna compare in questa puntata sotto le vesti di Ambra!!!!! ^_^
Fammi sapere e dammi un po' di consigli!!! Sei tu la veterana di EFP, dopotutto...bacio!
                                                                                                     Dreaming_Eclipse
 
 
 
Sunshine
 

Quella mattina gli Evanescence mi accompagnavano a scuola. Ero completamente persa tra le note di Everybody’s Fool, che al momento sembravano l’unico motore che guidava le mie gambe, quando mi accorsi che Lore mi aveva già affiancato da un pezzo. Mi maledissi per la mia sbadataggine e lo salutai, togliendomi gli auricolari dalle orecchie. Lui sorrise di rimando e me ne fregò uno, ampliando l’espressione sul suo viso, mentre riconosceva  il gruppo. Sapeva quanto mi piacesse. Non si spiegava però la mia varietà di gusti in ambito musicale, che varava da gruppi dark come i suddetti a rock punk, anni ’80, blues, jazz, classico, fino a canzoni italiane come De André e Tiziano Ferro (n.d. io: contenta, martina?) (n.d. Marty: bravissima ^_^).  Arrivammo velocemente in classe e subito mi avvicinò Ambra, salutandomi allegra: “Ciao Helly!”. Io abbandonai il mio amore e mi buttai nella nostra conversazione femminile: “Ciao Ambry! Come va oggi?”. “Meglio di ieri… mio fratello ha miracolosamente capito che è meglio se non tocca il mio computer” rispose lei con un sorriso che mi fece preoccupare per la salute del malcapitato parente. Non sopportavo quel bimbetto, ma non gli auguravo morti dolorose. Ci sedemmo al banco immerse nella confusione mattutina e fui contenta di aver indossato la mia camicetta sbracciata preferita, perché un sole rassicurante sembrava fatto apposta per rendere quel giorno splendido, mentre mi accarezzava la pelle nel suo abbraccio impalpabile, ma caldo. “Allora stasera ci sei?” la voce di Ambra mi risvegliò da quel torpore e mi riportò nell’aula della vecchia scuola. “Stasera?” chiesi confusa. “Helly! Non dirmi che te ne sei dimenticata!” disse mettendo su un’espressione un po’ offesa. La guardai un po’ sperduta, poi l’illuminazione arrivo violenta, mentre arrossivo per l’imbarazzo. Cavolo! Il suo compleanno! Negli ultimi giorni non avevo lasciato proprio tempo per certi pensieri. “No! Certo che no, scusa..” accennai, sorridendo per farmi perdonare. Lei sorrise di rimando e tornò vitale: “Uff! Non ti dovrei più parlare, ma per te farò un’eccezione”. La guarda con gratitudine, mi dispiaceva davvero: dovevo riprendere la mia vita in mano, non potevo permettermi perdite di lucidità del genere. Il pomeriggio avrei chiamato Marissa la missione “Regalo”. La mia amica arrivò proprio in quel momento. Ci salutò e si sistemò nell’altro banco al mio fianco. Lorenzo stava chiacchierando con il professore, appena entrato. Di tanto in tanto mi lanciava occhiate disperate, mentre l’anziano insegnante, uno dei più importanti esponenti del movimento di pensiero degli “Ai miei tempi..”, capace di trattenerti durante tutta l’ora di lezione in un discorso di argomento: perché voi ragazzini di oggi siete così cretini, mentre noi del ’56 siamo forbiti e acculturati. Insomma, per il mio amore la situazione era tragica e io non avevo certo intenzione di andare a salvarlo. Si può dire, anzi, che mi godevo la scena con una certa crudeltà, ma dopotutto era troppo comico. Quando finalmente la campanella di fine ora suonò la fine della tortura, le ore successive sembrarono prendere il volo, soprattutto perché la mia totale concentrazione era impegnata nella ricerca di un’idea per il regalo per Ambra. Quando uscimmo, io e Marissa ci demmo appuntamento alla fermata dell’autobus e ci separammo davanti al portone, prima che la festeggiata arrivasse e scoprisse il punto cruciale della nostra conversazione. Abbandonai Lore, senza risparmiarmi un sorriso triste e malcelato, e accompagnai Ambra a casa. Aggiornai anche lei degli ultimi avvenimenti in ambito “ragazzi” (un ambito che amavo e odiavo in base all’ascoltatore delle mie congetture, ma che con lei era sempre bene accetto) e lei mi raccontò del fratello, che scoprii essere ancora vivo, fortunatamente.

Quel pomeriggio, il sole ci accompagnò ancora, mentre io e Marissa vorticavamo tra un negozio e l’altro. Forse era il sollievo di ritrovare la mia vita invariata dopo il discorso con Lore, ma ero veramente raggiante, mi sentivo leggera, spensierata. Marissa fu felice di vedermi tranquilla e insieme passammo un piacevole pomeriggio, che si concluse, però, con una corsa all’ultimo minuto, quando ci accorgemmo che alle 18.00 non avevamo ancora preso niente. Beh.. a parte una maglia per me, un paio di orecchini per sua madre e un paio di waffel. Era come se tutte le nubi di quei giorni avessero improvvisamente deciso di diradarsi e la città si fosse coperta di un sottile velo di luce. Sì, mi sentivo bene. Decidemmo di metterci la gonna, il che ebbe come conseguenza altri 20 euro da sottrarre alla paghetta appena ricevuta, e fui felice di rimettermi i miei adorati stivali, che avevo lasciato da parte, data la temperatura in rialzo.

Alle 20.07, con sette minuti di ritardo, dovuti alla scelta della maglia, ero in pizzeria. Cercai con gli occhi i miei compagni di classe, quando sentii la voce di Ambra che mi chiamava dalla saletta privata. Mi venne incontro e mi accompagnò dentro. Sapevo che Lore era a una cena di famiglia, ma percorsi ugualmente la stanza nella speranza di vederlo. Niente, chiaramente. Non mi accorsi di un paio di occhi, che in quel momento mi stavano osservando con una certa attenzione. Mi sistemai accanto alla mia amica e mi lasciai condurre dalle chiacchiere, risi di gusto, a mio agio tra i miei compagni, e urlai “Discorso!” con gli altri, davanti al viso imbarazzato di Ambra, quando arrivò la millefoglie. Subito successivamente la mia attenzione fu catalizzata dal dolce. Dopo il dessert (per me, doppia porzione..), uscimmo nel cortile del ristorante e io lasciai la festeggiata agli altri invitati. Un attacco di nostalgia, mi riportò temporaneamente nella mia malinconia, alimentata dalla presenza mistica delle stelle sopra di me, che sembravano portarmi troppo lontano dal presente. Mi appoggiai al muretto che circondava il cortile e lasciai vagare i pensieri, che erano l’unica parte di me, capace e desiderosa di vedere in quel buio fresco e tranquillo. Non mi accorsi dei passi che percorrevano il mio ponte con la realtà, non mi accorsi dell’ombra più fitta davanti a me: “Stai da sola?”. Alzai gli occhi. Lui mi sorrise.

 



Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sea Breeze ***


SCUSATE SCUSATE SCUSATE!!!!! Ho fatto ancora più ritardo dell'altra volta, ma ultimamente non riesco a muovermi dal letto... Imploro perdono XD Comunque eccomi qui, spero che questo capitolo sia sufficiente per espiare le mie colpe XD
Amimy: direi che sto mettendo a dura prova la tua pazienza XD mi dispiace davvero... comunque.. 20 minuti??? Come avete fatto??? Sono stupita (e ancora più dispiaciuta che per il ritardo, non deve essere stata una bella esperienza se è finita così presto..). Ma cos'è successo? Se hai voglia di parlarne, stai tranquilla che sono qui a "leggerti" ^_^ non ti preoccupare.. Comunque spero che troverai presto qualcuno che ti meriti più di questo G. Credo davvero che tu scriva bene... non dovresti affatto stupirtene!!! XP bacio.. commenta presto!
Tanny: Wow!!! In discoteca!!!!!!!!!!!!!!! XD che billo ^_^ vorrei andarci anch'io, in Spagna... dev'essere davvero stupendo... c'è stata mia sorella e le piacque molto, quindi... ^_^ Grazie dei complimenti! In qualità di angioletto posso dire che sto "svolazzando" di gioia XD Quanto agli spagnoli (qualche ragazzo carino????? XD), vedrai che riuscirete a tenervi in contatto: con posta, msn, cellulare... di metodi ce n'è! E comunque chissà che un giorno tu non decida di tornare a trovarli, no? Ti chiedo ancora scusa per averci messo così tanto. Davvero, mi impegnerò per fare prima stavolta ^_^ Un bacio grande!!!
Dreaming_Eclipse
 
Sea Breeze
 
 

 

Per un attimo avevo creduto che Lorenzo fosse venuto a prendermi dall’oscurità di quella notte per portarmi via con lui, come un vero principe, con tanto di cavallo bianco, magari. La realtà mi crollò addosso con una noncuranza che mi disarmò. Ma la delusione durò poco: una chioma dorata, leggermente mossa, mi sfiorava quasi il viso, mentre due labbra fini, appena socchiuse respiravano, riscaldandomi la guancia, e due occhi scuri mi fissavano maliziosi. “Stai in disparte?” ripeté alimentando il calore sulla mia pelle, dovuto, oltre che al respiro del “nuovo arrivato”, alla porpora imbarazzata che stava lentamente ricoprendo il mio viso. Feci la sostenuta per paura di quello che il suo sguardo mi stava esplicitamente dicendo. “Beh, sì.. volutamente”. Lui rimase qualche secondo appiccicato alla mia fronte, poi si alzò, visibilmente sicuro del suo “charme”. “Ah, ricevuto il messaggio” disse con un’espressione lievemente ferita. “No, aspetta!”. Si voltò falsamente stupito, con un sorriso malcelato che mi fece quasi arrabbiare, ma, in fin dei conti, non aveva fatto niente di male e non me la sentivo di stare ancora lì ferma in silenzio. “Scusa, non volevo essere maleducata, non te ne andare”. Lui si sedette esageratamente vicino a me, considerata la quantità di parole che ci eravamo scambiati. Mi allontanai istintivamente e lui non insistette, anche se mantenne quel sorriso ebete. “Allora? Che fai qui tutta sola?”. “Nulla di particolare, pensavo” dissi ironica. “A cosa? O forse.. a chi?”. “Niente, stupide speranze da adolescente”. “Ah, allora è un “chi” davvero!” disse sorridendo, per la prima volta spontaneo. Notai che aveva un sorriso dolce. “Beh, come hai visto le conosco bene certe illusioni. In effetti, mi sembrava strano che una ragazza così carina fosse libera”. “Allora ho qualcosa di strano o non sono così carina come dici, perché sono libera davvero!” dissi incredibilmente allegra. “Ma un fortunato “lui” ha il tuo cuore e, probabilmente, presto tu avrai il suo”. “Non ne sarei così sicura”. Ora che aveva smesso di provarci, quel tipo iniziava decisamente a piacermi, nonostante fosse comunque esageratamente lusinghiero. Chiacchierando con lui, mi sentivo a mio agio, non avevo bisogno di nascondere niente, o forse era impossibile farlo, perché riusciva a tirarmi fuori le parole dalla bocca, come se il mio cuore avesse trovato un amo a cui abboccare e, pur sapendo cos’era, avesse deciso di assecondarlo, solo per il gusto di uscire un po’ fuori dall’acqua. Parlammo della scuola, degli amici, della festa, ma soprattutto di Lorenzo. Sembrava incuriosito da come riuscivo a rimanergli amica senza mai sfociare in situazioni imbarazzanti. Mentre gli raccontavo tutta la nostra storia per filo e per segno, il mio ascoltatore commentava, rideva, criticava e elogiava, condivideva le mie sensazioni di due anni e mi consigliava. Certe volte mi faceva arrossire con complimenti come: “Quel Lorenzo dev’essere proprio matto.. o forse è cieco, che ne dici?” o “Se io fossi al suo posto, approfitterei subito di tutto questo affetto da parte tua, invece di lasciarlo andare così!”. Ma in fondo era proprio questo suo aspetto che mi faceva sentire a posto con me stessa. Dimenticai tutto il resto, passammo tutta la sera sparlando e ridendo, seduti sul muretto del ristorante, fregandosene delle battutine scherzose dei miei compagni, sotto le stelle, che tanto mi avevano fatta intristire, sotto la luna che illuminava una simpatia a pelle che non riuscivo a scacciare. I miei amici avevano frainteso, non era sbocciato nessun “nuovo amore”, nessuna “passione focosa”, Lore era sempre ben impresso nella mia testa, solo che il suo nome era ormai solo un sottofondo, che arricchiva la mia conversazione con quello sconosciuto di cui non sapevo nemmeno il nome.

“Mi chiamo Federico”. “Federico?”. Scoppiò a ridere, probabilmente a causa del tono della mia voce: “Sì, è così strano?”. Non resistetti e mi aggiunsi al coretto della sua ilarità: “No, no! È che non sei un tipo da “Federico”!”. “In che senso, scusa?”. “Nel senso che non è un nome che ti avrei attribuito..”. “Ah… e allora come mi avresti chiamato? Magari “Romualdo” o qualcosa del genere!” Ripartì a ridere! “Uffi, no, cretino! Semmai.. boh.. Andrea, ecco..”. “E come mai “Andrea” sì, e Federico, no?”.  “Mi sembri un tipo da “a”..”. Sorrise rassegnato: “Un tipo da “a”..”.

A fine serata ero tranquilla e allegra. Mi aveva fatto piacere parlare con quello sconosciuto: forse avevo bisogno di dire finalmente quello che avevo dentro a qualcuno che non ne avesse niente a che fare. La storia di Francesca mi aveva un po’ spiazzato (solo un po’?!) e avevo bisogno di riprendere fiato. Perciò quando mi accorsi del tempo passato, mi stupii dell’angoscia che mi salì su all’idea di separarmi da Fede (che ormai, per me, era inevitabilmente e irrimediabilmente Andrea). Mi sentivo come in una di quelle giornate afose sulla spiaggia, quando arriva la folata fresca che aspettavi e ti fa sentire bene per quei pochi secondi, fino a quando non cala il vento e hai addirittura più caldo di prima. Avevo paura di aver trovato solo altre sensazioni di cui sentire la mancanza. Fortunatamente il venticello tornò presto a rinfrescare i miei dubbi: “Beh.. mi dai il tuo numero?”. Lo fissai falsamente sconcertata e lui si corresse subito: “Mi scusi, mademoiselle, se ho avuto l’ardire di domandarle un’informazione così intima, riformulo.. gradirebbe, se non le spiace, darmi il suo numero di cellulare?”. “Uhm.. credo di poterla accontentare..” risposi sorridendo. Forse non l’avrei mai chiamato, ma almeno avrei saputo di averne la possibilità e non avrei rimpianto niente.

Quando arrivai a casa, per prima cosa mi buttai sul letto. Sonno! Già, meglio dormire subito: il giorno dopo ci sarebbe stata scuola.. e Lorenzo.

 


Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Gong! ***


Beh, eccomi qui, con un capitolo un po' più lungo del solito ^_^

Spero vi piaccia!

Amimy: Ma dai.. come avete fatto!?!? Beh.. credo che abbiate avuto i vostri motivi per lasciarvi così, però mi dispiace davvero.. e ora com'è il vostro rapporto? Riuscite ad essere amici come se non fosse successo niente? Grazie mille come sempre per i complimenti, spero che il lieto fine che vorrei dare a questa storia valga anche per te, anche se credo che sara un lieto fine piuttosto relativo. Per di più credo che dovrò ridurre i capitoli, perchè durante l'estate non potrò aggiornare granché, quindi forse è meglio se la concludo prima questa fic... Voi che ne dite? Voglio sapere cosa ne pensate! Preferite più capitoli, ma a distanze di tempo anche enormi o capitoli meno numerosi, ma più completi possibili, e, se vorrete, una nuova fic in un momento più disponibile?Comunque piantala di dire che scrivi male e non provarci nemmeno a smettere!!! ^_^ bacio!!!

 

Tanny dove seiii???? Ho bisogno del tuo supporto morale!! X-)

Dreaming_Eclipse

 

 

Gong!

 

 

Quella mattina, a scuola Lore era raggiante. Chissà, forse la stagione stava contagiando anche lui. Quando mi avvicinai, mi sorrise e chiacchierammo quei cinque minuti prima della campanella. Forse avevo le allucinazioni, ma la prima campanella, quella che ci invitava a prendere posto ai banchi prima dell’arrivo del prof, sembrava assumere, da un po’ di tempo, il timbro del “gong” che senti sempre all’inizio di un incontro di wrestling. Una specie di avvertimento perché tu sia preparato ai pugni della scuola. Quel giorno però, forse perché Lore mi stava distraendo proprio in un momento così critico, forse perché non avevo ancora compreso di essere sul ring, il colpo fu duro e improvviso.

“Un 3!?” esclamai appena preso in mano il foglio. Sapevo di aver fatto schifo a quel compito, ma non mi aspettavo meno di 5.

“Beh, ammetterai che non è proprio una tesi da università” rispose il prof di fisica, sotto al mio sguardo ancora allucinato.

Tornai al posto meccanicamente, lasciando il compito di vivere unicamente al mio organismo. Forse era esagerato, ma non avevo mai preso un voto così basso e non mi andava di cominciare proprio adesso.

“Dai, Hèlene, non è la fine del mondo” disse Ambra, più abituata a certi combattimenti, nonostante in quel momento ammirasse con allegria il suo 6 e mezzo. Io la fissai con lo sguardo perso: stavo decisamente uscendo dal controllo, dovevo tagliare i fili prima di un attacco isterico. Non fu difficile, grazie all’intervento di Qualcuno: “Che è successo, Hèlene? Sembra che tu abbia visto un fantasma” disse, sorridendo, il mio mare calmo. Poi scorse il voto e cambiò espressione. “Ma dai.. hai la media dell’8 e c’è un altro compito, non sarà un problema”. Vedendo che avevo ancora difficoltà a ingranare, aggiunse: “Forza, ti aiuto io, se vuoi.. Questo argomento l’ho capito piuttosto bene”.  E in effetti, il “piuttosto bene” era a dir poco modesto, visto che un 9 rosso acceso faceva capolino dal foglio protocollo che stringeva in mano. Mi ripresi e annuii, sorridendo e maledicendomi per quei capricci: aveva ragione Ambra.. non era certo la fine del mondo! Purtroppo era difficile continuare a ripeterselo durante tutta la mattinata e lo smacco mi bruciava nell’orgoglio. Sapevo che sarebbe andata ancora peggio quando avrei dovuto dirlo ai miei. Quel pomeriggio lo passai a distrarmi, non avendo voglia di girare il coltello nella piaga, come avrei fatto, invece, studiando fisica. Forse qualunque persona normale si sarebbe buttata a capofitto sui libri, ma io dovevo smaltire la rabbia verso me stessa. Sì, ero stupida, ma il mio peggior difetto, in fondo, era proprio l’orgoglio. Mi buttai sul letto, lasciando passare il leggero mal di testa che mi veniva quando ero nervosa, e ascoltai Tiziano fino allo spasimo, incantata dalle parole di “Scivoli di nuovo”, una canzone in cui mi ritrovavo spesso. Alle 16.16, il campanello del mio cellulare squillò, non per avvertirmi di lotte o dolori in arrivo, stavolta. Solo della mia consolazione, che quella mattinata mi aveva fatto dimenticare temporaneamente: un messaggio di Andrea.

 

Buongiorno, stella^_^. Mi è venuta voglia di sentirti.

Come va nei tuoi dintorni? Tutto bene stamani?

Fede (o Andrea XD)

Sorrisi e risposi subito:

Buongiorno!

Qui tutto bene, a parte un brutto 3, causato dai piani inclinati (promuoverò una campagna a favore dell’aumento di estensione a livello globale della pianura Padana XD). E laggiù?

Helene

 

Con un trillo entusiasta, il cellulare mi recapitò la sua lettera virtuale:

 

Senza di te,

 tutto si perde in queste colline irritanti,

di cui non saprei calcolare niente perché non studio fisica XD.

Andrea

 

Riuscì ancora una volta a farmi riprendere colorito, con quelle battutine un po’ sceme, ma così ironiche e rincuoranti:

 

Oh poverino! XP Ti serve qualche lezione!?

Helene

 

Appoggiai il cellulare alla mensola e mi buttai sul tappeto di camera. Forse mi avrebbe fatto bene una bella dormita. Bip! Bip! Come non detto.. avevo una conversazione in corso.

 

Non da te, caro il mio asinello!

Andrea

 

Lanciai uno sguardo indignato al mio povero cellulare, innocente da qualunque colpa, e risposi indignata:

 

Se è così, allora non vorrai dover conversare a un livello culturale così basso!

Arrivederci! -_-“

Helene

 

Mi concessi un sorrisino soddisfatto e mi riaccoccolai tra i cuscini, anche se dovevo ammettere che chiudere così la conversazione, anche se per gioco, mi sarebbe dispiaciuto. Bip! Bip! Mi rimangiai tutto, allegra.

 

Perdono, sei il mio asinello preferito! =)

Andrea

 

 

Sei perdonato! Ora mi riposo un po’! =)

Helene

 

Quando lessi il suo messaggio, rimasi un po’ stupita. Non era una cosa seria, ma ero abituata a esternare il mio voler bene a una persona solo dopo qualche giorno, mentre noi ci conoscevamo solo.. beh, solo da poche ore! Insomma, questo è quello che mi aveva scritto:

 

Va bene, Helene! Buon riposo.. Tadb!

Andrea

 

Ma sì! “Tiadibbio” anch’io! Ero felice: avevo trovato un amico. La mia brezza, che riaffiorava tra le onde del mare del mio paesaggio preferito. A tale proposito, mi tornò in mente la proposta che il mare in questione mi aveva fatto oggi pomeriggio: in fin dei conti quel 3 non era stato così tremendo, mi aveva dato la scusa per stare ancora un po’ con lui. Gli inviai un sms, dicendogli che accettavo la sua proposta e chiedendogli di vederci il giorno dopo a casa sua (la mia camera era off-limits: troppi oggetti imbarazzanti: dai regalini di mia nonna alla mia collezione di rifiuti organici che dimenticavo di riportare in cucina, tipo ciotole di corn-flakes e bucce di arancia). Lore accettò di buon grado e il giorno dopo mi presentai alla sua porta con dieci minuti di anticipo, come una brava scolaretta. Ero stata più volte dai suoi: casa sua era sempre perfettamente pulita, nonostante la sorellina minore di Lore che scorrazzava per ogni stanza. Si chiamava Irene e aveva 8 anni, l’età in cui il bambino medio passa bruscamente da peste a angioletto, a seconda di pochi fragili differenze di educazione, che sono però in grado di sconvolgere il carattere di un bimbo. Lei, fortunatamente, faceva parte del secondo gruppo: era adorabile. Appena mi vedeva, correva ad abbracciarmi come se fossi una star che le appena concesso di fare la sua conoscenza. Il che era davvero lusinghiero! Quando avvenne la scena, Lore sorrise ironico e io ricambiai, chiedendo alla sorella la terribile domanda che mai e poi mai andrebbe posta al fratellino del tuo amico: “Come si comporta Lorenzo, Irene?”. Il mio amore sbuffò rassegnato e la piccola rise di gusto, poi ci lasciò fare i compiti, a malincuore. Lore era un insegnante perfetto, non si arrabbiava mai, anche se dovevo sopportare le sue prese di giro, quando mi inceppavo in una formula o quando, rassegnata, finivo per battere la testa contro il tavolino! Alla fine, però, nonostante le distrazioni, dovute allo sguardo impossibile da ignorare del mio docente, sentii che qualche nozione doveva essermi entrata in zucca. Sì, ero pronta per affrontare il prossimo scontro! Dopo questo mio pensiero dall’intonazione un po’ troppo tragica, tornai alla realtà, riafferrata bruscamente da quel verde profondo, che da un po’ di tempo avevo lasciato da parte. Ancora una volta, affondai tra quelle spighe di grano fresco, mentre il proprietario temporeggiava sull’uscio, dispiaciuto quasi quanto me di doverci separare. I capelli scuri, spettinati, gli accarezzavano la fronte, le labbra erano schiuse come se stesse per dire qualcosa. Infine si stesero in un sorriso, un ultimo sorriso di affetto che coprì definitivamente il cielo della mia giornata e portò la notte su di me. Una notte di sogni.

 


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Light Life ***


Salve a tutti... e scusate davvero per questo ritardo immenso... ma purtroppo in questi due mesi ho passato un periodo sentimentalmente parecchio confuso e, nonostante ci abbia provato più volte, non sono mai riuscita a scrivere un capitolo per ricordarvi di me. Vi chiedo davvero perdono, ma la confusione che avevo in testa era ed è enorme! Spero comunque che mi seguirete ancora! vi risponderò meglio più tardi perché al momento ho solo un mini-capitolo di 192 parole per rammentarvi questa piccola FIC. Appena riprenderò il ritmo ne scriverò uno lunghissimo per farvi riappassionare a questa storia, ve lo assicuro!!!! Intanto ecco qui:
 
 
 
Light Life
 

 

Oggi lo avrei rivisto ancora.. La solita scusa: “Oggi ci vediamo? Mi sento ancora un po’ insicura per il compito..”, “Mamma, vado da Lore a studiare!”, “Scusa, ma devo proprio chiarirmi su quella formula.”. La realtà è che non mi importava niente. Volevo solo vederlo. Di lì a poco sarebbe finita la scuola e poi probabilmente ci saremmo persi, quindi era giusto approfittare di tutto il tempo che avevamo, no? Alla fine, per un motivo o per un altro eravamo sempre l’uno a casa dell’altra. Mi sentivo nella perfezione più assoluta, o perlomeno abbastanza persa nella mia vita da non vederne i difetti. Immersa nei raggi mattutini o nella calma fresca della notte, con le stelle a illuminare ogni passo. Mentre mi avviavo verso il suo portone mi lasciai cullare dalle mie fantasie, esasperandole un po’, ben conoscendo l’impossibilità di vedere anche il mio mare in quel paesaggio perfetto a parole, ma con una testarda speranza sempre accesa nel profondo del mio inconscio. Oggi era sereno, come se il sole volesse incoronare quella pace che albergava nel mio cuore, e il calore mi abbracciava e mi rilassava, senza esagerare nella sua temperatura.



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=343826