Amor, ch’a nullo amato amar perdona.

di The Wretched And Divine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I


Si agitò sul freddo trono di marmo scuro in cerca di una posizione comoda. Era seduto lì da tutto il giorno ed i muscoli cominciavano a dolere, ma a lui non importava: aveva altro a cui pensare.
Si accarezzò la barba con meccanica lentezza e movimento ripetitivo, aspettando il compimento di ciò che era stato concordato. Il tempo non era mai passato così lentamente, pensò tra sé e sé, lasciando vagare lo sguardo da un angolo all’altro della stanza.
Tamburellò distrattamente le dita sul bracciolo della sua poltrona, ma si alzò di scatto subito dopo: rimanere seduto ad aspettare lo faceva innervosire.
Cominciò a percorrere il perimetro della stanza fissando il pavimento, fermamente deciso a non assecondare l’idea che gli era balenata in mente. No, non avrebbe guardato un’altra volta nella Finestra. Proseguì nella sua attività ancora per un po’, ma alla fine si fermò battendo i piedi a terra, emettendo un suono molto simile ad un ruggito.
Si avvicinò ad una bacinella di ossidiana sorretta da una struttura di ossa –o almeno questo parevano; vi guardò dentro.
L’acqua contenuta nel recipiente riluceva di una sfumatura argentea, ma non passò molto tempo prima che la superficie si increspasse mostrando delle figure in movimento: quattro fanciulle stavano giocando a palla nel bosco, ridendo allegre, mentre una donna coglieva dei fiori e li intrecciava in una corona, che porse poi alla giovane più bella. La fanciulla ringraziò con un bacio la donna, si pose la corona sul capo e tornò a divertirsi con le altre ragazze.
L’uomo continuò a fissare l’esile figura che correva spensierata, lasciando i lunghi capelli rossi ondeggiare al vento, e assaporò tutte le dolci sensazioni che quella visione gli procurava.
Non lussuria, no. Era qualcosa che andava oltre. Certo, la desiderava ardentemente, ma non era solo questo.
Per mesi interi non aveva fatto altro che fissare la Finestra per deliziarsi la vista con quella splendida fanciulla, e nonostante fossero ormai diventate parte della routine, continuava a non stancarsi di quelle visioni.
Era completamente assorbito da quella fanciulla, ma in un modo che andava oltre il mero piacere fisico.
All’improvviso le enormi porte di massiccio ebano rifinite in oro si spalancarono, rivelando una piccola figura che attendeva sulla soglia.
Il rumore destò l’uomo che distolse lo sguardo dalla bacinella e posò gli occhi sul servo, alzando le sopracciglia in modo interrogativo.
«Buongiorno Signore.»
«Vieni avanti.» Esordì con voce profonda Ade, sempre rimanendo accanto alla Finestra.
«Non volevo disturbarla, mio Signore, ma è giunta l’ora.»
Il Dio rimase in silenzio per qualche secondo, continuando a fissare la giovane donna.
«Va bene.» Disse infine.  «Avverti mio fratello che sono pronto a procedere.»
Il servo si inchinò profondamente e uscì immediatamente, lasciando l’uomo solo con i propri pensieri.
Si incamminò verso un enorme specchio appeso alla parete rivolta più a nord e si rimirò, passandosi le mani sulla lunga tunica nera come per lisciarla da eventuali pieghe.
Era un giorno speciale, e ci teneva ad essere il più presentabile possibile, per quanto fosse tristemente convinto dell’insuccesso di ciò in cui sperava.
Arrivò anche a chiedersi se fosse quella la scelta giusta. Ma ormai il dado era tratto, non poteva tirarsi indietro.
Ricominciò a camminare, diretto questa volta verso la grande porta, con una certa sollecitudine.
Suo fratello lo stava aspettando, era tutto pronto: l’ora era giunta.









- Spazio autrice -
Ciao a tutti!
Penso abbiate capito che si tratta di una storia incentrata sul rapimento di Persefone da parte di Ade. Ho sempre amato questo mito, e sebbene non sia scritto da nessuna parte che si tratti di una storia d'amore, non è scritto nemmeno il contrario. Mi piace pensare che Persefone sia stata colpita dall'amore di Ade e l'abbia poi ricambiato, a lungo andare.
Detto questo, spero che la storia vi piaccia...e vi chiedo gentilmente di lasciarmi una recensione, per sapere le vostre impressioni o se avete eventuali suggerimenti per migliorare.
Grazie dell'attenzione :)
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II


 
Era una bellissima giornata, così Persefone e le sue ancelle ne approfittarono per godersi un po’ di sole.
Decisero che sarebbero andate nel bosco che preferivano in assoluto: quello dove cresceva l’albero di ulivo più antico che si conoscesse e ai piedi del quale scorreva un fiumicello di acqua freschissima.
Demetra, come di consuetudine, andò con loro. Non lasciava mai la figlia da sola, sebbene non ci fosse alcuna particolare motivazione che andasse oltre il semplice desiderio di protezione materna.
«Madre, unisciti a noi! Kerkyra ha ideato un gioco davvero divertente!» Esclamò la fanciulla, piroettando su se stessa e agitando così la leggera veste di seta verde acqua che indossava.
La donna rifiutò cortesemente, augurando alla figlia e alle altre giovani buon divertimento.
Persefone, Kerkyra, Electra e Clio iniziarono a giocare insieme, formando una visione incantevole che Dementra osservava dall’ombra dell’ulivo: una danza di sete dai colori tenui accompagnata da un dolce suono di risate limpide come l’acqua di sorgente.
La mattinata passò così, tra giochi e risate sotto ad un cielo terso e senza la minima traccia di nuvole. Le cose però iniziarono a cambiare nel pomeriggio.
Mentre le fanciulle giocavano, il manto celeste mutò improvvisamente, passando ad un color grigio che non prometteva nulla di buono.
La madre di Persefone le richiamò, consigliando di tornare a casa, ma le ragazze dissero che un po’ di pioggia non avrebbe fatto male a nessuno e che sarebbero rimaste un altro po’ a giocare.
Demetra sospirò accennando un sorriso e scuotendo leggermente la testa: Persefone era sempre stata una bambina vivace e testarda, ovviamente sempre nei limiti del rispetto per la madre. Non ebbe però il tempo di finire di formulare il pensiero, che una folata di vento improvvisa spazzò la palla nel cuore del bosco, tra i gridolini allarmati delle ragazze.
«Bene, ve l’avevo detto che sarebbe stato meglio rientrare!» Predicò Demetra, alzandosi lentamente dalla roccia sulla quale era seduta. «Torniamo a casa, dai.»
Le giovani si incamminarono, discutendo sulle dilettanti attività nelle quali avrebbero potuto cimentarsi al riparo dalla pioggia.
Persefone camminava con loro e le udiva parlare, ma senza ascoltarle: per qualche strano motivo, stava pensando alla palla.
Si voltò e accertandosi che non la scoprissero, furtivamente si addentrò nel bosco.
Era la prima volta che fuggiva da sua madre, e la cosa le diede una certa inquietudine…ma doveva riprendere la palla.
Continuò a camminare fino a quando non raggiunse una radura che non aveva mai visto prima.
Circondata da alberi immensi e cupi, ai piedi di una roccia dal colore insolitamente scuro, spiccava l’oggetto che stava cercando.
Si avvicinò aggraziatamente per raccoglierla, sempre guardandosi intorno: il bosco non la convinceva per nulla e pensò che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi.
Stava per andarsene, quando udì un rombo assordante che quasi la disorientò; sempre più impaurita, Persefone iniziò a correre verso l’uscita del bosco.
Non riuscì a percorrere nemmeno due metri, però, che udì una seconda volta quel rombo disumano; questa volta però fu accompagnato da quello che la ragazza credeva essere un terremoto: la terra cominciò a tremare sotto ai suoi piedi, e la fanciulla non potè più trattenere un grido di terrore.
Davanti a lei, enorme e possente, era apparso un carro nero e oro, trainato da quattro cavalli neri come la notte.
Persefone immediatamente chiamò aiuto, ma la figura che si sporse dal carro e le afferrò il braccio non le diede il tempo di nemmeno di pensare.
Venne caricata di peso sul carro e svanirono, lasciando solo una nube di fumo nero a testimonianza dell’accaduto.  

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III


Si portò una mano alla testa cercando di fermare l’incessante pulsare e fare mente locale.
Tentò di capire cosa fosse successo, ma tutto ciò che ricordava era una carrozza con dei cavalli neri e un uomo che la afferrava; controllò il braccio e si accorse che sulla pelle pallida come la Luna spiccavano dei segni rossi, simile all’impronta di una mano: se fino a poco prima aveva l’idea che si fosse trattato di un sogno, ora ogni dubbio si era dissipato.
Si drizzò a sedere e si accorse di aver dormito su un lenzuolo nero impreziosito da ricami in oro, e non ebbe la più pallida idea di dove potesse trovarsi.
Come in risposta alla tacita domanda, le pesanti tende si scostarono, rivelando un uomo che la fissava.
Persefone sussultò dalla paura e indietreggiò fino ad urtare la schiena contro la testata del letto.
L’uomo immediatamente si protese in avanti come per proteggerla, ma si fermò immediatamente, e dopo essersi ricomposto si schiarì la voce.
«Perdonami, non volevo spaventarti…immagino che non sia la migliore delle presentazioni.» Rise debolmente per alleggerire la tensione e tornò a puntare i freddi occhi sulla fanciulla.
«Cosa…» Farfugliò lei. «Chi sei? Dove sono? Cosa ci faccio io qui?»
Ade incrociò le mani dietro la schiena ed iniziò a vagare per la stanza.
«Capisco i tuoi dubbi, e sei più che legittimata a farmi domande…che necessitano una risposta, ovviamente.» Il Dio continuò a camminare. «Da dove posso iniziare?»
Mentre la tetra figura vagava immersa nei propri pensieri, Persefone ebbe tutto il tempo di osservarla: indossava una lunga tunica di seta nera rifinita in argento che ben si abbinava ai suoi occhi grigi che di tanto in tanto sembravano rilucere di uno strano bagliore argenteo; i lineamenti erano duri, con il viso allungato ed il naso leggermente aquilino che sovrastava la bocca sottile. La fanciulla pensò che molto raramente si fossero piegate in un sorriso.
«Ma sì, immagino che dovrei cominciare il racconto dall’inizio. Non credi?» E senza aspettare una risposta da parte della giovane, aggiunse «Prego, seguimi.»
Si avviò fuori dalla stanza da letto e Persefone non ebbe altra scelta se non quella di seguirlo.
«Ma dove mi stai portando?»
«Lo scoprirai presto.»
E fu così.
Il Dio condusse la fanciulla davanti alla bacinella di ossidiana, ma il viso della ragazza si risolse in un’espressione di terrore e si immobilizzò.
«Oh, queste?» Rise Ade, indicando le ossa che sorreggevano la bacinella. «Non preoccuparti, non appartengono ad umani. Avvicinati, ti prego.»
Persefone ubbidì, seppur titubante. L’uomo le fece cenno di guardare dentro, e così lei fece.
Vide il suo volto riflesso nell’acqua e si chiese per quale assurdo motivo l’uomo volesse che si guardasse allo specchio, ma l’immagine di se stessa mutò subito in qualcos’altro.
Persefone si trovò a guardare Demetra, sua madre, disperare sul prato in cui quella mattina si era tanto divertita, consolata da un uomo dalla folta barba grigia.
«Non capisco…» Cercò di dire la fanciulla, ma l’uomo la invitò gentilmente a prestare silenzio e continuare a guardare.
Demetra stava spiegando che sua figlia si era allontanata per cercare la sua palla, ma che non era poi tornata indietro. L’uomo dalla folta barba alternava momenti di ascolto a ipotesi di cosa potesse essere successo, ma più questi parlava e più la donna piangeva.
Alla fine, infuriata, giurò che se la figlia non fosse tornata indietro, dovunque si trovasse, avrebbe procurato carestia e siccità.
«Allora, mia dolce Persefone, capisci ora?» Chiese l’uomo.
«Io…sì, insomma. Credo di sì.» Rispose la ragazza, ancora perplessa da ciò che aveva visto.
«Questa è quella che io chiamo Finestra. Mi mostra ciò che succede nel mondo esterno…e in questi ultimi tempi, non ho fatto altro che guardare te.» Si girò e cercò di interpretare l’espressione di Persefone, che però rimaneva irriverente.
«Quindi tu mi hai rapita.» Sussurrò la fanciulla.
«Non lo definirei esattamente un ra-»
«MI HAI RAPITA!» Esclamò Persefone, che cominciava ad infuriarsi. Prese a camminare avanti ed indietro come un leone in gabbia.
Non riusciva a capacitarsene. Cosa avrebbe fatto? Come ne sarebbe uscita? E soprattutto, perché?
La testa le girava, le mancava il fiato e sentiva la rabbia crescere dentro di lei.
L’uomo cercò di avvicinarsi e protese delicatamente il braccio, come per sfiorarle la candida guancia, ma Persefone si ritrasse di scatto e colpì il Dio in piena faccia.
Ci volle un po’ perché si rendesse conto di ciò che era successo.
«Come hai osato?» Si tastò lo zigomo; gli occhi che lanciavano bagliori incandescenti.
L’uomo avanzò verso di lei, feroce come una belva. La fanciulla indietreggiava impaurita, ma stando ben attenta a non lasciar trasparire le sue emozioni, fino a ritrovarsi con le spalle al muro.
Il Dio avvicinò il proprio viso a quello della fanciulla, arrivando ad un centimetro: la ragazza percepiva tutto il suo calore, tutta la sua potenza.
«Ero ben consapevole del fatto che mi avresti rifiutato. Ma mancarmi di rispetto a quel modo…» Portò una mano al collo della fanciulla e strinse leggermente, constatando che le sue guance pallide iniziavano ad arrossire. 
Le lacrime iniziarono a rigarle il viso; il Dio lasciò la presa, e la ragazza si accovacciò a terra, portandosi le ginocchia al petto, sconvolta ed impaurita.
La tetra figura si chinò e si avvicinò di nuovo. Sussurrò «Hai capito ora?» E si alzò, in tutta la sua magnificenza.
«Io sono Ade, Signore degli Inferi. E tu non oserai mai più contraddirmi, chiaro?»
Si voltò per uscire, dando le spalle alla ragazza.
Persefone rimase lì, rannicchiata a terra, sola.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV


Erano passati diversi giorni da quando Persefone era stata rapita, ma confinata nell’Oltretomba non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse effettivamente passato.
Ciò che sapeva è che nel frattempo Ade aveva cercato in tutti i modi di scusarsi per lo spiacevole accaduto. Un giorno si offrì addirittura di portarla a fare un giro degli Inferi; Persefone accettò, forse per compassione.
Le mostrò le Praterie degli Asfodeli, ma le anime che vagavano senza ricordare nulla del loro passato la rendevano terribilmente angosciata. Ade, accortosi dello stato d’animo della fanciulla, decise di farle visitare i Campi Elisi.
Certo, erano decisamente meglio degli Asfodeli, ma a Persefone mancavano i fiori, il Sole, gli animali.
Lì sotto non cresceva nulla, ad eccezione degli alberi piantati dal Signore degli Inferi, ma i loro frutti non erano come quelli in superficie.
Fallito il tentativo del Dio di aiutarla ad ambientarsi, Persefone passò ogni istante delle lunghissime giornate chiusa nella sua stanza. All’inizio aveva pianto. Aveva versato una lacrima per ogni cosa e persona che aveva perso. Ma ormai anche questa misera forma di consolazione le era stata portata via: non aveva più lacrime, quindi non poteva più lasciarsi andare ad un pianto liberatorio per poi addormentarsi esausta, sperando di risvegliarsi da quell’incubo.
Al suo risveglio però, la realtà si presentava puntuale come un orologio, e con essa anche Ade.
L’uomo infatti ogni giorno si recava nella stanza della fanciulla, per accertarsi delle sue condizioni. Cosa che fece anche quella mattina.
 «Buongiorno mia adorata.» Esordì, sedendosi su un bordo del letto.
Persefone mugugnò qualcosa di incomprensibile senza aprire gli occhi, poi si girò dall’altra parte senza degnare di uno sguardo l’uomo.
Ade la fissò per un po’, lasciando scorrere lo sguardo sulle curve armoniose del corpo della fanciulla, poi sospirò.
A quel gesto Persefone prestò attenzione: quando sospirava, solitamente il Dio, doveva dirle qualcosa che andava oltre i semplici convenevoli e domande di rito.
«C’è una cosa che devo dirti…» Iniziò, ma la fanciulla continuò a non guardarlo. «E’ molto importante Persefone. Ti prego, guardami un momento negli occhi.»
La ragazza obbedì, e gli intensi occhi verdi fissarono quelli grigi e freddi. Notò che l’uomo indossava soltanto dei pantaloni di raso neri, senza nulla a coprirgli il petto nudo.
 «Cosa c’è, mio Signore?» Sputò fuori le ultime due parole come se fossero state veleno.
«Si tratta di tua madre.»
Immediatamente Persefone si rizzò a sedere, fissando l’uomo. Aveva un’espressione peggiore del solito: non che normalmente fosse particolarmente allegro, ma ora sembrava che qualcuno gli avesse risucchiato tutta l’energia dal corpo.
«Ecco…» Continuò a farfugliare Ade, straziandosi le dita. «Tua madre ha scoperto dove ti trovi. Ha già dato inizio ad una carestia senza precedenti, e se non ti restituisco a lei, continuerà…e ciò non è possibile. Quindi Zeus mi ha ordinato di lasciarti andare. Sei libera.»
Persefone ebbe una specie di shock.
Sarebbe stata libera, finalmente.
Chiuse gli occhi e abbozzò un sorriso: riusciva a vedere i colori dei frutti, il profumo dei fiori, la fresca brezza marina che le scompigliava i capelli.
Libera.
Quando riaprì gli occhi, si accorse che il Dio nascondeva una mano dietro alla schiena, e si chiese il perché di quel comportamento.
Come in risposta alla tacita domanda, lui abbassò lo sguardo e tirò fuori un frutto rosso, rotondo e liscio: una melagrana.
 «Dato che sei così di ottimo umore, pensavo che avessi anche voglia di mangiare un po’…sono giorni ormai che non tocchi cibo, devi nutrirti, cara.» Così dicendo porse il frutto alla fanciulla, che prima socchiuse gli occhi e passò lo sguardo dall’uomo alla melagrana, ed infine la afferrò.
Ade continuò a sedere in silenzio, osservando il frutto che spiccava tra le esili e pallide mani della ragazza. Persefone lo spezzò a metà, ammirandone i chicchi: non erano belli come quelli che mangiava con Demetra, ma sebbene odiasse il Dio, era d’accordo sul fatto che avrebbe dovuto mangiare qualcosa.
Prese un chicco tra le mani e lo avvicinò alla luce di una candela, rimirandolo per qualche secondo. Infine fece per portarselo alle labbra, ma un urlo improvviso del Dio la bloccò.
Ade infatti aveva proteso un braccio verso Persefone, come per fermarla. La ragazza lo guardò, incerta sul da farsi.
«Io… non mangiarlo.» Farfugliò Ade. Sembrava che le parole fossero uscite con grande sofferenza.
Persefone continuò a fissarlo, incredula.
«Perché non dovrei?» Chiese, non lasciando il frutto.
L’uomo le voltò le spalle, visibilmente stravolto.
«Perché sono un maledetto bugiardo, ecco perché. Uno stupido, rozzo, bugiardo egoista.» Ringhiò, e prese a camminare per la stanza, come suo solito quando era in preda all’agitazione.
«Non capisco…»
«Quel frutto.» Ade indicò la melagrana. «Se ne mangi anche un solo chicco, sarai costretta a rimanere qui con me per sempre.»
Persefone guardò il frutto inorridita, e lo lanciò istintivamente con un gridolino.
Il Dio guardò il frutto rotolare e lasciare dietro di sé una scia rossa; a Persefone diede l’impressione di un uomo il cui cuore fosse stato lanciato a terra, come la melagrana, ma non glielo fece notare.
Tacque, e continuò ad ascoltare ciò che Ade aveva da dirle.
«Mi dispiace davvero tanto di averti rapito e di averti fatto del male, è una cosa per la quale mi biasimo ogni giorno. Sapevo che non sarei stato l’uomo che desideravi…»
Nel cuore di Persefone iniziava a far breccia un sentimento nuovo: compassione? Forse, ma non ebbe il tempo di scoprirlo. Con la stessa velocità con cui era apparso, venne spazzato via dall’ira.
«Ma allora perché l’hai fatto?» Gridò la fanciulla, e si alzò, in modo da ritrovarsi faccia a faccia con il Dio.
Lui la guardò, sorridendo leggermente alla visione di quello splendido viso. Fece per accarezzarle la guancia, ma la fanciulla si scostò immediatamente, adirata. Ade non si scompose, ma rimase al suo posto, continuando a guardarla.
«Immagino che tu conosca i miei due fratelli, Zeus e Poseidone. Dei dei Cieli e dei Mari…e a me cosa resta? Gli Inferi. Non ho mai accettato questa mia condizione. Rilegato qui sotto senza mai poter vedere la luce del sole. Tutti benedicono gli altri Dei e maledicono me, come se avessi scelto io di starmene rinchiuso qui. Poi ho visto te, Persefone. Inizialmente mi sembravi un ottimo modo per punire gli altri Dei, ma poi è cambiato qualcosa. Non sei più stata uno strumento…» Si zittì.
Persefone lo guardava sempre più infuriata.
«Ecco spiegato tutto. Sono uno strumento! Oh no, non continuare ti prego. Ora mi dirai che poi ti sei accorto di volermi come consorte, perché eri stufo di stare solo, non è così? Ma so che vuoi soltanto soddisfare la tua lussuria.» Lo sfidò la ragazza.
Il Dio si irrigidì e contrasse la mandibola. Poi proseguì.
«Permettimi solo di farti notare che se avessi voluto, avrei potuto possederti quando volevo. Ma non l’ho fatto.»
Persefone aprì la bocca per replicare, ma la richiuse immediatamente. Aveva ragione. Anche se si trovava lì da parecchio, lui non aveva mai provato a toccarla.
Ade sospirò, esausto. «La tua innocenza, la tua spensieratezza…mi hanno colpito. Osservandoti, mi sono reso conto che al mondo non esiste soltanto il cupo e grigio inverno. Questo posto aveva bisogno di un po’ di primavera. Io avevo bisogno della primavera. Mi rendo conto di parlare da egoista, e ciò che ho fatto è spregevole. Ma posso assicurarti di averlo fatto con le migliori intenzioni.»
Guardò la fanciulla che stava ad ascoltarlo, come incantata.
«Ho pensato solo a me stesso, è vero. Non speravo di piacerti, ma pensavo di poterti rendere felice.»
Persefone non osava avvicinarsi, ma continuava ad ascoltarlo. Si sentiva come rimpicciolita di fronte alla presenza del Dio; ma al tempo stesso provava qualcosa di nuovo per quell’uomo che si stava aprendo a lei. Non era più il freddo Signore degli Inferi incapace di provare sentimenti.
Le lacrime cominciarono a rigare il viso della ragazza, che fece per dire qualcosa all’uomo, ma lui la interruppe.
«Un fiore non può sopravvivere senza la luce del Sole, e me ne rendo conto soltanto ora.» Sentenziò, e detto questo lasciò la stanza, incapace di sopportare le lacrime di quella creatura. Persefone rimase sola con i propri pensieri.
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V


Era seduto sul trono, quando Persefone entrò timidamente.
Aveva la stessa tunica che indossava il giorno del rapimento, notò Ade, e aveva legato i folti capelli rossi in una treccia, in modo da lasciare libero il viso e mettere in risalto i grandi occhi verdi.
«Sei tu.» Osservò il Dio.
La ragazza annuì. «Uno dei tuoi servi è venuto a chiamarmi…volevo solo avvisarti della mia partenza.»
Ade rimase in silenzio, e Persefone lasciò la stanza, non avendo altro da aggiungere.
L’uomo si alzò per chiudere le porte –che gli sembravano più pesanti del solito-, si lasciò cadere con le spalle appoggiate al legno scuro e immediatamente calde lacrime argentee cominciarono a rigare gli zigomi pronunciati.
Era una sensazione nuova per lui. Gli Inferi gli avevano prosciugato tutta l’empatia ed era ormai incapace di provare sentimenti, ma si rese conto che ad Afrodite le tenebre non facevano paura.
Passò tutta la mattinata sul pavimento, ringhiando di allontanarsi a chiunque provasse ad entrare.
Si trascinò vero la Finestra, deciso a porre fine a qualsiasi legame tra gli Inferi ed il mondo mortale. Se non poteva avere Persefone, non voleva nemmeno più vederla.
Percependo la vicinanza del suo Signore, l’acqua si increspò e rivelò subito delle immagini.
Demetra stringeva Persefone tra le braccia, come per accertarsi che nessuno le avrebbe di nuovo portato via la figliola. Zeus era con loro, e stava parlando con una donna dalla pelle pallida e una lunga treccia nera, della stessa tonalità dei suoi occhi: Ade la identificò con Ecate.
I momenti che seguirono furono molto concitati, tra domande da parte di tutti gli Dei, risposte e racconti di Persefone.
 «Dev’essere stato terribile, figlia mia.» Demetra la guardava con dolcezza materna. «Ma ora è tutto finito. Sei tornata, questo è l’importante. Quel mostro non ti avrà mai più.»
Persefone si fissò le punte dei piedi, senza dire nulla.
«Cosa c’è, tesoro?»
«Beh mamma…» Cominciò Persefone. «Credo che tornerò da quel mostro, come l’hai chiamato tu, molto presto.»
Ci fu un silenzio generale. Tutti guardavano la fanciulla, ammutoliti.
«Ma cosa vai blaterando tesoro? Sei forse malata?»
«Ho mangiato un frutto degli Inferi, alcuni chicchi di melagrana.» Disse la fanciulla.
Demetra arrossì di rabbia. «Zeus, tuo fratello ci ha ingannati! Quel traditore bugiardo. Ha costretto la mia piccola Persefone a mangiare quei frutti infernali in modo da farla rimanere con lui!»
Avrebbe continuato ad urlare all’infinito, se la figlia non l’avesse fermata.
«No mamma, non mi ha né costretta né ingannata. L’ho deciso io.»
Rimasero tutti sbalorditi da quell’affermazione, ma Persefone spiegò tutto a Demetra, che sebbene con una certa riluttanza, chiese a Zeus di mandare a chiamare Ade.
Il Signore degli Inferi nel frattempo fissava la Finestra senza riuscire a capacitarsi di ciò a cui aveva appena assistito. Stava sognando, doveva essere l’unica spiegazione.
Quando però Zeus in persona si presentò al suo cospetto, non ebbe più alcun dubbio che si trattasse della realtà.
«Salve, fratello.» Cominciò Zeus con solennità. «Devi venire con me.»
E Ade non se lo fece ripetere due volte.
In un batter d’occhio si ritrovarono in superficie, al cospetto di tutti gli altri Dei.
Ade era a disagio, si sentiva gli occhi di tutti puntati addosso; non gli importava però, perché anche i verdi occhi di Persefone lo stavano guardando.
 «Ade.» Demetra fu la prima a parlare. «Mia figlia dice di aver mangiato una melagrana. Puoi confermarlo?»
Ade smentì. Ricordava ancora il frutto che rotolava sul pavimento, ed era sicuro di non aver visto la ragazza mangiarne un solo chicco.
«Mamma, te l’ho già detto.» Si fece avanti la ragazza. «Sì, ho mangiato sei chicchi.»
Demetra sprofondò in un pianto incontrollato, inveendo contro Ade e rifiutando ogni tipo di consolazione.
Intervenne Zeus dall’alto della sua saggezza di giudice imparziale, essendo Ade suo fratello e Persefone sua figlia.
«Un anno ha dodici mesi. Persefone ha mangiato sei chicchi di melagrana. Passerà sei mesi negli Inferi, e sei mesi nel mondo dei Vivi.»
Le reazioni dei presenti furono molteplici, tra pianti, grida e risate di gioia.
Alla fine, Persefone chiese di poter rimanere sola con Ade per un momento, e gli altri acconsentirono.
Quando anche Demetra, che era rimasta indietro, se ne fu andata, il Dio fece per parlare, ma Persefone lo zittì.
«Sediamoci prima, ti prego.» E insieme, l'uno di fronte all’altra, si sedettero sul bel prato verde, sotto l’ulivo.
Ade fissò la fanciulla con sguardo interrogativo, non riuscendo ancora a capire cosa fosse successo.
«Mi dispiace, Ade.»
Per l’uomo fu una strana sensazione udire il suo nome pronunciato da quelle belle labbra. In tutto il tempo che la ragazza aveva passato con lui, non una sola volta l’aveva chiamato per nome.
 «Ti odiavo, più di ogni altro al mondo. Quale creatura se non un essere spregevole avrebbe potuto strappare la Dea della Primavera alla terra, all’aria, e rinchiuderla nel Mondo dei Morti?»
L’uomo fece di nuovo per parlare, ma per la seconda volta lei lo fermò.
«Ero distrutta. Per notti e giorni ho pianto, ho imprecato, ho maledetto gli Dei. Non capivo perchè avessi voluto rapirmi, sapendo che ti avrei rifiutato. Ma poi è successo qualcosa.»
Puntò gli occhi verdi in quelli grigi.
«Ero abituata a vederti come freddo, insensibile ed egoista. Sei il Re degli Inferi, cosa potevo aspettarmi? I morti non hanno più un cuore.»
Ade ascoltava, e nel frattempo in lui si mescolavano emozioni contrastanti: dalla curiosità al dolore, dall’ira alla compassione, alla felicità.
«Negli ultimi tempi ho iniziato a capire chi sei veramente, invece. Un Dio, certamente, ma un Dio solo, abbandonato da tutti, distrutto…eppure ancora capace di mostrare affetto. All’inizio non me ne rendevo conto, ma ho iniziato a vedere sotto un’altra luce tutto ciò che hai fatto per me. Non ho mai incontrato nessun altro con la tua premura e preoccupazione nei miei confronti…»
Si zittì, cercando di cogliere i sentimenti che Ade celava sapientemente dietro un’espressione calma e risoluta.
«Non ti ho vista mangiare la melagrana. Quando è successo?»
Persefone aspettò qualche secondo prima di rispondere, poi disse «Quando mi hai detto che un fiore non può vivere senza la luce del Sole. Volevo dimostrarti che ti stavi sbagliando.»
Ade la guardò, poi scoppiò in una fragorosa risata.
La fanciulla rimase come pietrificata, non sapendo a cosa attribuire quella risata. Si stava prendendo gioco di lei? Dopo che gli aveva confessato i suoi sentimenti?
Il Dio si accorse che la ragazza lo stava guardando in cagnesco, allora smise di ridere, e la guardò, tornando serio.
«Oh, Persefone. Sei sempre stata una ragazza così difficile da comprendere. Forse è per questo che ti amo.»
Lei lo fissò, a bocca aperta. «Cosa…puoi ripetere?»
Ade accennò un sorriso timido. «Ti amo.»
Persefone non sapeva bene come reagire. I suoi sentimenti verso il Dio erano cambiati, e ora era decisa a passare sei mesi di ogni anno con lui. Ma non si aspettava questo. Da lui.
Ade, come percependo i suoi pensieri, si chinò in avanti e premette le sue labbra su quelle della fanciulla.
Rimase sorpresa, di nuovo. Non si aspettava nemmeno questo. Ma poi ricambiò immediatamente il bacio, buttando le braccia al collo del Dio.
I due innamorati rimasero così, stretti l’un l’altra, nella felicità della reciproca compagnia, sotto all’ulivo che iniziava a tingersi dei meravigliosi colori del tramonto.

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