Star Wars.

di Ilarya Kiki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tanto tempo fa, su una montagna lontana lontana… ***
Capitolo 2: *** Da quella notte, nulla fu più come prima. ***



Capitolo 1
*** Tanto tempo fa, su una montagna lontana lontana… ***


*Howdy everyone!
*Ciao a tutti cari lettori, sono l’autrice, e sono qui per una breve brevissima premessa alla storia che vi state accingendo a leggere.
*Non preoccupatevi, nulla di grave, è solo un’informazione di servizio per non farvi rimanere troppo straniti.
*Frisk in questa storia sarà veramente loquace. E irritante. E soprattutto un po’ oligofrenica (“rincoglionita” mi sembrava una parola brutta).
*Ah sì, e anche fanciullina.
*No panic, sto scrivendo un’introduzione proprio per giustificare la mia scelta di caratterizzazione e spiegarne il motivo: come ben sapete, la povera bimba è posseduta durante tutto il suo viaggio nell’Underground da una mente esterna, e le sue azioni sono guidate da essa.
*Parlo, ovviamente, di Chara, impersonata dal giocatore.
*O l’autore.
*Me, insomma.
*Dato quindi che Frisk mi avrà allegramente nella sua testa a decidere tutto quello che farà e dirà, mi presento subito: il mio character name è Golia, piacere a tutti! (ammetto di essere stata indecisa anche fra Mentos, Ricola e Tictac, ma alla fine l’italianità ha prevalso).
*Insomma, essendo io la vera destinataria di tutti gli aggettivi là sopra, conseguentemente vedrete Frisk comportarsi esattamente come agisco io, ossia come una simpatica zuzzurellona.
*Ah tranquilli, non sono una di quei Chara che fanno le Genocide.
*(odio l’umanità solo occasionalmente).
*Bene, chiarito questo, vi lascio davvero alla storia.
*Buona lettura!

 

 

Tanto tempo fa, su una montagna lontana lontana…

 

“SAAAAAAAAAANS!”
Papyrus si issò a fatica sulla grondaia ai bordi del tetto, lottando contro il vento e la pioggia torrenziale, e strinse le dita scheletriche per non perdere la presa sulle tegole scivolose. Purtroppo per lui gli scheletri non pesano molto di più di un arboscello in primavera, quindi il rischio di essere spinto dalla tormenta e capitombolare giù di sotto era molto elevato, ma questo non fermò la sua determinazione. Era adirato e preoccupato, e la sua sciarpa rossa sbrindellata sventolava alle sue spalle come il mantello di un vero cavaliere.
“SAAAAAAAAANS! – chiamò di nuovo, urlando tutta la sua rabbia – SMETTILA! SCENDI DA LÍ!”
“MAI!” rispose la voce di suo fratello suonando folle e ferita, così inusuale per uno come lui, come se stesse rispondendo al suo peggior nemico. Papyrus si sentì un po’ morire dentro a sentirlo così.
La figura incappucciata di Sans apparve accovacciata sul tetto, ancorata precariamente alla superficie sdrucciolevole e con qualcosa di tecnologico fra le mani. Solo i suoi occhi brillanti rilucevano nella fosca aria della tempesta, stagliandosi febbrili dalla penombra che copriva il suo viso solcato da rigagnoli di pioggia. Papyrus finalmente si sollevò in piedi e si aggrappò al camino per non perdere l’equilibrio, messo in serio pericolo dalle folate di vento.
“IO NON TI RICONOSCO PIÚ, SANS! NON ANDARE DOVE IO NON POSSO SEGUIRTI!” urlò il povero scheletro, piegato in due per non prendere il volo ma deciso a non abbandonare l’unico altro membro della sua famiglia.
“TU NON CAPISCI! – rispose l’incappucciato ruggendo contro i tuoni – NON CERCARE DI FERMARMI!”
“ERI MIO FRATELLO, SAAAANS! ERI MIO FRATELLO!”
Sans smise con un sussulto di armeggiare con cavi e pinze. Sollevò lentamente la testa.
Vide Papyrus di fronte a lui, in lotta contro i rovesci del cielo, bagnato fradicio e quasi in lacrime.
Nonostante tutto, gli scappò un sorrisetto sbilenco.
“Eh. – disse – Paps, ma tu…”

 

 

Tutto era cominciato parecchio tempo prima, per la precisione un paio di mesi avanti.
I mostri erano, in quel periodo, ancora intrappolati nell’Underground: in pochi ormai avevano mantenuto viva la speranza che uno sfortunato essere umano, il settimo e ultimo, precipitasse in quel buco umido dove trascorrevano le loro monotone esistenze e fosse usato per distruggere la barriera. Ancora meno mostri, per la precisione quelli che vivevano nella amena cittadina di Snowdin, continuavano a disperare di trovar presto la loro libertà, ma semplicemente perché l’unico umano che effettivamente era caduto ed era disponibile alla causa si era rivelato troppo adorabile perché si potesse anche solo pensare di mandarlo in pasto al re. Ovviamente, questo essere umano era Frisk.
La bimba si era conquistata in meno di mezza giornata i cuori di tutti gli abitanti della zona nevosa: aveva coccolato tutti i cani, aveva liberato il povero Gyftrot dalla sua miseria, era (quasi) riuscita a sopportare Jerry ed era persino stata capace di farsi dare il numero di telefono da Papyrus, che come è risaputo è impresa pressoché impossibile, considerati i suoi standards (come poi ci fosse riuscita, questo se lo chiedevano tutti).
Sans non faceva altro che seguirla ovunque andasse, trascurando ancora più del solito il suo lavoro di sentinella, e questo doveva per forza essere segno di quanto quella bambina piacesse anche a lui. Di certo, non era mai stato tipo da fare una cosa del genere. Non era tipo da fare cose in generale, in realtà.
In ogni caso, l’inizio della nostra strana vicenda avvenne proprio in un momento in cui Frisk si era ritrovata di nuovo di fronte al piccolo scheletro, circa verso l’ingresso della grotta delle cascate, e si era fatta fare un occhio viola per colpa di uno stupido telescopio che lui si era portato dietro. Cosa diavolo Frisk sperasse di vedere attraverso quel coso, poi, non si sa, dato che in quella maledetta caverna c’erano solo rocce, pietruzze luccicanti e infiltrazioni, ma forse aveva solo ceduto alla strana fascinazione che Sans era in grado di creare con chiunque gli parlasse: di fatto aveva abboccato allo scherzo come una scema.
Si era allontanata un po’, ferita nell’orgoglio, e aveva fatto quello che faceva sempre quando qualcosa le metteva tristezza: aveva telefonato a Papyrus.
Sans ancora la fissava con quei suoi occhi brillanti, divertiti dalla sua reazione piccata.
“Ah, mio fratello dici? Ma certo che ha un telescopio! – aveva detto squillante la voce di Papyrus attraverso il ricevitore – Lui adora quella roba inter-galattica e fantascientifica! Ah, non te l’ha detto? Ah. No, lui non dice mai niente a nessuno in realtà!”
Frisk aveva premuto il pulsante di fine chiamata.
Click.
“Ah.” Aveva detto, girandosi e puntando gli occhi neri dentro le orbite vuote di Sans. Lo scheletro mantenne il sorriso ma parve impallidire (impallidiscono, gli scheletri?), perché il tono dell’umana era serio come un annuncio di licenziamento.
“Ehi, ragazzina? – aveva detto, senza rompere (ma con un certo sforzo di volontà) la sua calma compiaciuta - …che hai?”
“Lo sapevo. – riprese Frisk – Lo sapevo, maledetto sacchetto di ossa traballanti. Sei nerd anche tu.”
“…cosa?” minimizzò subito Sans, alzando un’arcata sopraccigliare come se quell’affermazione fosse completamente assurda.
“Se se, fai poco quello che cade dal pero. Ormai ho capito come funzioni, ormai nulla potrà più nasconderti da me. Sei nerd anche tu ma non vuoi dirlo perché sembreresti meno fico. Ma ormai è troppo tardi.”
La bimba gli si piazzò davanti con espressione serissima, e Sans si lasciò sfuggire un risolino tra i denti perché la faccina determinata di quel cucciolo di umano – con l’occhio ancora cerchiato di viola – era irresistibile.
“No dico? Ti serve una calcolatrice? Perché stai dando i numeri ragazzina.”
“Certo certo. Intanto, tu hai disperato bisogno di una cosa.”
Frisk gli puntò l’indice contro, confondendolo ancora di più.
“Dobbiamo fare una maratona di Star Wars. Io, te, il divano, una coperta e tante patatine. Non puoi sfuggirmi.”
Sans a questo punto si lasciò andare completamente, preso in contropiede dalla proposta, ridacchiò sollevando le spalle e infilò una mano nei capelli della bambina, scompigliandoli tutti.
“Eh eh eh va bene va bene, se ti fa piacere lo faremo.”
Anche Frisk sorrise scoprendo tutti i dentini, gongolando contenta per il sì e per le coccole inaspettate. Lo scheletro le fece l’occhiolino.
“Questo vuol dire che pensi di restare?”
“…perché, vorresti che io restassi con te?”
“Certo sarebb… aspetta, ci stai provando?”
“…sì?”
“Vai va. Fila che c’è gente che ti aspetta più avanti.”

 

Questa piccola promessa passò presto in secondo piano, e sia Frisk che Sans non ci pensarono più per un po’. Insomma, si trovarono anche con ben altro per la testa: Frisk, per esempio, fu piuttosto impegnata a cercare di non farsi uccidere brutalmente da Undyne, da Mettaton, da tutti i mostri pagati da Mettaton (per colpa di Muffet ora solo la vista delle ciambelle glassate le dava attacchi di panico) e da quella stupida erbaccia di nome Flowey, che poi però si era rivelata essere il figlio del re condannato ad un destino peggiore della morte e allora parliamone e allora oddio cos’è quel laser e allora “lasciami vincere” e allora… sì, insomma, il resto è storia.
Di fatto, prima della continuazione di questa storia la barriera fu infranta, i mostri tornarono in superficie e Frisk decise di restare a vivere con la sua mamma capra, anche perché, nonostante non l’avesse mai detto a nessuno, se era scappata al monte Ebbot tutta sola era perché in realtà la sua vita precedente non era proprio tutto questo gran bijou (ma questo, forse, è materiale per un’altra storia).
Passarono i giorni e venne l’estate, e tutti lavorarono moltissimo per costruirsi una vita fuori dalle caverne, chi trasferendosi in città vicine e chi costruendosi una nuova casa lì sul fianco della montagna, vicino alla foresta: per loro fortuna, scoprirono che il monte Ebbot era molto vicino al mare e il clima che trovarono fu semplicemente delizioso. Nacque una nuova cittadina, e fu chiamata – con la tradizionale originalità dei nomi degli insediamenti dei mostri – Woods. C’era la locanda, il mercato, il pub e anche una scuola, insomma, tutto quanto: i mostri avevano spostato le loro attività all’esterno e probabilmente si sarebbero espansi sempre di più.
Con grandissima gioia di Frisk, tutti i suoi amici più cari avevano deciso di restare a vivere vicino a lei in quel piccolo paesino, perché non tutti provavano simpatia istantanea per gli umani come i cani o come Mettaton, che aveva subito deciso di andare a occupare una bella villa nel mezzo di una città umana lì vicina, infestandola insieme a suo cugino Napstablook.
Ma ora non è il momento di stare ad approfondire come si organizzarono i mostri fuori dalla barriera e quello che fecero, piuttosto, ci interessa sapere che una sera di Luglio, mentre fuori l’aria fresca dava un po’ di respiro alla calura del giorno e lucciole vaganti danzavano fra i fiori nei cortili, Frisk andò a citofonare alla nuova casa dei due fratelli scheletri, con una borsa sulle spalle e la custodia di un cofanetto di dvd in mano.

 

Papyrus fu parecchio stupito di trovarsi la sua piccola amica alla porta, quella non era proprio l’ora in cui i ragazzini della sua età andavano in giro. Lui tra l’altro stava uscendo e si trovò in imbarazzo su come accoglierla.
“Saluti Frisk! Buonasera! Che bello vederti qui… emh… mi spiace di non poterti offrire nulla, ma abbiamo appena finito di cenare… non è un po’ tardi?”
“Ciao Papaya!”
“…senti io sto andando da Undyne, ma non me la sento di chiederti se vuoi venire perché poi magari facciamo tardi e poi Toriel si arrabbia e…”
La bambina non era nemmeno stata ad ascoltarlo, si era chinata da un lato per guardare oltre la sua figura sottile e si era messa a cercare con gli occhi qualcosa all’interno della casa. Sans stava sdraiato sul divano col telecomando in mano.
“Ehi tu! – urlò Frisk – Non ti sarai mica dimenticato della promessa che mi hai fatto, eh?”
Papyrus si grattò la testa, confuso, mentre suo fratello si alzava pigramente per scoprire chi era la nuova arrivata e si stupiva ugualmente della sua presenza, e soprattutto della sua espressione carica di aspettativa.
“Frisk! – esclamò – Entra, non stare lì fuori! Ma si può sapere che ci fai qui?”
La bimba superò Papyrus, mollò a terra la sua borsa e mostrò entusiasta quello che aveva in mano, sollevandolo come se fosse stato un trofeo e sfoderando un sorriso sdentato estremamente contagioso. I due scheletri la osservarono senza capire il motivo di tutta quella gioia.
“…sono film?” chiese Papyrus, continuando a grattarsi la testa.
“…l’ho trovato oggi pomeriggio al blockbuster! – spiegò Frisk, stringendosi al petto il cofanetto – Così finalmente possiamo guardarli insieme!”
Sans ebbe un lampo di consapevolezza, nel leggere cosa c’era scritto sulla scatola in mano alla bambina, e si ricordò di quella volta, che sembrava quasi una vita prima, quando le aveva promesso che avrebbero fatto una maratona insieme di una saga di film della quale non sapeva assolutamente nulla se non che il nome prometteva piuttosto bene. Dopo tutto quello che era successo se ne era praticamente scordato, ma evidentemente Frisk era parecchio determinata e questa sua dedizione per lui gli scaldò il cuore.
“Cos’è?” chiese Papyrus interessato.
Star Wars! Questa è la saga di fantascienza più bella della galassia!”
Frisk sembrava in stato di estasi.
“Oh mi spiace, ma non posso guardarli con voi, Undyne mi aspetta. Ciao ciao!”
“Ciao Paprika!”
Papyrus si defilò veloce come il vento fuori dalla porta di casa, evidentemente sentendo puzza di una serata parecchio nerd in arrivo, e non quel tipo di nerd che andava a genio a lui: era più un tipo da piratesco o automobilismo, e Sans lo sapeva benissimo. Lo scheletro rimasto invitò la bimba a raggiungerlo sul divano aprendo accogliente un braccio, e lei si trascinò dietro la borsa fin lì per poi spiccare un salto e finirgli letteralmente in braccio. I suoi occhietti lucidi di contentezza facevano presagire qualcosa di parecchio speciale.
“Vedrai che ti piaceranno un sacco Sans! Se ti piace la fantascienza perderseli è un delitto!”
“…ma quanti sono…?” chiese lo scheletro sorridendo, dopo aver preso in mano il cofanetto che pareva di dimensioni più consistenti di quelle che si era aspettato vedendolo a distanza.
“Sei!”
“Eh?!”
“Sette, in realtà… ma il settimo non è ancora uscito in dvd.”
“…ma Frisk, sono tantissimi!”
“La notte è lunga mio caro Sans!”
La ragazzina saltò giù dal divano e si mise a ravanare dentro alla sua borsona, tirandone fuori una coperta, un sacchetto di biscotti, un thermos pieno di the e il pigiama. Lo scheletro si chiese, con allegra rassegnazione, in quale diavolo di situazione s’era andato a cacciarsi con quella promessa che le aveva concesso, facendo nuovamente nota mentale di quanto non gli andasse a genio fare promesse alla gente.
“Immagino che dovremmo iniziare subito allora, o l’alba arriverà prima che abbiamo finito!” affermò con un occhiolino, avvolgendosi la coperta sulle spalle e creando uno spazio apposta per Frisk tra le sue gambe. Lei non se lo fece dire due volte e inserì il primo cd nel lettore, spense le luci, prese il telecomando e si fiondò addosso al suo amico, infilandosi nel nido che questo le aveva preparato. Lui la circondò poi con le braccia e appoggiò il mento osseo sulla sua testa, in modo tale tutti e due, avvolti dalla coperta, sembrassero un grosso involtino.
Schermo nero, musica iniziale, titoli di testa.

 

Da quella notte, nulla fu più come prima.

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*Beccatevi questa immagine di Sans e Frisk vestiti da pinguini. C'entra con la storia? Assolutamente no. Sono carini? Sì.
*Al prossimo capitolo!

*Goli-COFF COFF
*Kiki

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Capitolo 2
*** Da quella notte, nulla fu più come prima. ***


Da quella notte, nulla fu più come prima.

 

Papyrus non avrebbe mai potuto immaginare quanto sarebbe cambiata la sua vita a partire dal giorno seguente, quando verso mezzanotte tornò a casa e trovò un grosso involtino di ossa e materia umana arenato sul divano, di fronte ad un film con un sacco di astronavi e quello che sembrava un grosso mostro ricoperto di pelo con un cinturone sulla spalla pieno di munizioni. I due spettatori erano così intenti che nemmeno si accorsero del giovane scheletro di ritorno, il quale cercando di non disturbarli si defilò in punta di piedi fino in camera sua e si chiuse dentro, felice di constatare che i suoni degli spari non riuscivano a oltrepassare la sua porta. Si addormentò contento, pensando che era un sacco di tempo che suo fratello Sans non si lanciava anima e corpo in una attività che non fosse la lettura solitaria e il pisolino tattico della pausa pranzo.
Il mattino dopo, i due folli maratoneti erano ancora lì, addormentati uno sull’altro in posizioni improbabili, con la televisione dimenticata accesa sulla schermata del menù dell’ultimo dvd. Papyrus sospirò, sceso in vestaglia da camera sua per prepararsi la colazione, nell’osservare suo fratello avvolto nella coperta come in un mantello con cappuccio, e Frisk che si gli si era in qualche modo addormentata addosso e che – per qualche strana legge della fisica – era riuscita a piazzargli un piede in faccia. Avevano entrambi le occhiaie viola di chi ha passato undici ore consecutive di fronte a uno schermo televisivo, e che non si è pentito di farlo. Papyrus non si aspettava che avrebbero seriamente tirato tutta la notte svegli, ma si prese ogni responsabilità del caso: preparò del the per colazione, svegliò i due zombie e la più piccola fu prontamente riaccompagnata a casa, mentre il più grande si trasferì a finire di recuperare le ore di sonno perdute nel buio di camera sua.
Sembrava ancora tutto normale.
…per il momento.

 

“Fratello.”
La voce parve provenire dalle cavernose profondità degli inferi. Un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Papyrus prima che i suoi occhi incontrassero la figura di Sans, apparso sotto la soglia della cucina, statuario e pesto come una presenza eruttata dall’aldilà. Aveva ancora la coperta drappeggiata sulla testa e sulle spalle come un mantello e le sue orbite, già abbastanza gonfie in circostanza normali, erano cerchiate di ombre violacee e sembravano due buchi neri: insomma, sembrava un tristo mietitore lugubre e molto rimbambito in cerca di anime da mietere e caffeina.
“Ah, buongiorno Sans!” rispose Papyrus vispo, affettando i pomodori.
Era ora di cena.
“Fratello… - continuò a biascicare Sans - …devi assolutamente vederlo anche tu, Star Wars. È una figata.”
Il più giovane sospirò, e scosse la testa. Il suo fratellone aveva il metabolismo di una rana in ibernazione invernale, e quando veniva privato della sua linfa vitale – il sonno – tendeva a dare un po’ i numeri. Papyrus quindi mise subito giù coltello e pomodori e cercò il bollitore per fargli un caffè, perché anche se era parecchio esilarante in quello stato semi comatoso, temeva che sarebbe potuto venirgli il mal di testa e non poteva sopportare di vederlo star male.
“Sono sicuro che sia una figata Sans, ma sai che non mi fa impazzire la fantascienza. Probabilmente mi addormenterei a metà! Nyehehehehehe!”
Sans avanzò solennemente fino alla seggiola più vicina e vi si appollaiò, stringendosi la coperta sotto al mento e scuotendo lentamente il capo.
“Non capisci Paps. Non è solo spazio. È tutto. Ci sono avventura, amore, ideali, famiglia… i cavalieri jedi. Ci sono persino le corse! E tu adori le corse.”
“…corse di macchine nello spazio? Ecco questo sembra interessante.”
“…di sgusci, Paps. Di sgusci.”
Papyrus alzò la testa e vide l’espressione serissima di suo fratello da sotto il cappuccio di coperta, e i suoi occhi sbarrati e cerchiati di occhiaie buie. Se gli scheletri avessero avuto i capillari, probabilmente in quel momento avrebbero pulsato nella cornea di Sans – ovvio che si presuppone che gli scheletri avessero avuto anche una cornea.
“Dì un po’ fratello – insinuò Papyrus un po’ insospettito –… ma avete anche bevuto qualcosa tu e Frisk? Va bene la carenza di sonno, ma mi sembri leggermente strafatt…”
“È la FORZA Papyrus, la FORZA che ora scorre dentro di me!”
Papyrus strabuzzò gli occhi e Sans scoppiò a ridere, piegandosi in avanti sul tavolo e sbattendoci il pugno sopra, quasi fino alle lacrime, con quella sua voce cavernosa da signore degli inferi in pieno jet-lag. Certo che quei film dovevano essergli piaciuti davvero un sacco per mandargli il cervello così tanto in pappa. Papyrus gli sbatté la tazza piena di caffè di fronte al muso e si piantò le mani sui fianchi, indispettito perché suo fratello si stava divertendo un sacco e lui non capiva il perché.
“Meglio che ti svegli un po’ Sans, sei strano.”
“Strano non sono. Strano tu sei, giovane Papadawan.”
“Cos…”
“Ehehehehe guarda.”
Sans sollevò una mano dal tavolo, e contemporaneamente si sollevò anche uno dei pomodori che stavano sul bancone della cucina. L’ortaggio fluttuò elegantemente nell’aria brillando lievemente per la magia azzurra del mostro, attraversò lo spazio tra il piano cottura e il tavolo ondeggiando in sospensione e si andò a posare sulla mano aperta dello scheletro, che lo prese con le dita e gli diede un bel morso. Sans era l’unico mostro in grado di usare quel tipo di potere telecinetico con tale precisione, ma di certo non era una gran notizia che lo possedesse dato che tutto il regno lo sapeva benissimo; piuttosto, era strano che lo usasse così a caso, essendo lui l’incarnazione della nullafacenza.
“Beh? – commentò Papyrus sempre più confuso da quella dimostrazione di abilità – …non avrai mica intenzione di mangiarti quel pomodoro col caffè!? Le tue scelte alimentari sono sempre più a fondo nel baratro del degrado fratello!”
Sans masticò compiaciuto: “Ma no Paps… è la Forza. La forza scorre potente nella nostra famiglia.” E dette un sorso alla sua tazza di caffè.
“Oh Dio se fai schifo.” Gemette il povero Papyrus, arrendendosi definitivamente e lasciando suo fratello solo in cucina a finire il suo pomodoro alla caffeina.

 

Esiste una categoria di persone, e parlo di umani e mostri indistintamente, che sono talmente abituate a sparare fandonie sempre più grosse per divertirsi e a prendere in giro chi gli sta attorno, che non si capisce mai se scherzano o fanno sul serio. Ora, queste sono persone del peggior tipo: uno poi non sa mai come comportarsi con loro, perché tutto quello che esce dalla loro bocca può essere altamente inaffidabile, anche se magari hanno deciso di dire cose vere.
Sans non faceva parte di questa categoria di persone, anche se spesso camminava in equilibrio sul confine tra esse e la gente normale: adorava scherzare in continuazione, ma era ben in grado di diventare serio e di distinguere le situazioni come si deve – rare volte, quando si arrabbiava sul serio, era capace di diventare terrificante.
Papyrus però si convinse che quella cosa, Star Wars, l’avesse fatto precipitare senza speranza nel baratro dei mentecatti: da quella mattina, tutto quello che suo fratello maggiore diceva era diventato un mistero, e soprattutto non si capiva più se nelle cose che diceva ci credesse davvero oppure se stesse solo scherzando. Pareva che non capisse più nemmeno lui stesso il confine tra la realtà e l’Impero Galattico.
…ed era tutta colpa di Frisk.

 

*Oh, ehi, ahahah, ciao!
*Sono sempre io, Golia, che interrompo la storia e intervengo un secondo.
*Sono ancora qui per una questione di giustificazioni, non spaventatevi!
*Dunque, quello che volevo dirvi è questo: dato che a Sans è
dato completamente di volta il cervello, e che non è che ci sia una vera e propria trama da raccontare, ma solo una serie delle cose stupidissime che hanno dovuto sorbirsi tutti quanti i suoi amici e parenti, non aspettatevi una storia lineare.
*Insomma, più che altro aspettatevi episodi sparsi.
*Tipo quello là sopra dove non sono riuscita a capire se voleva imitare Palpatine o il maestro Yoda.
*In ogni caso, era tutto qui: lettore avvisato mezzo salvato.
*Buon proseguimento di lettura!

 *Ah già, dovrei dare un nome al prossimo episodio, tipo… ah, ecco. “Cani” andrà benissimo.

 

 

“Cani.”

 
Come è stato accennato in precedenza, alcuni dei mostri che in precedenza vivevano nell’Underground avevano deciso di trasferirsi a vivere nelle città umane vicino al monte Ebbot, e la maggior parte di questi – come probabilmente poteva essere intuibile – erano cani in cerca di amore e affetto. Questo era stato ovviamente possibile perché il corpo delle Guardie Reali era stato sciolto da re Asgore il giorno seguente alla rottura della barriera, dato che il progetti di portare guerra al genere umano erano sfumati, e quindi tutti i suoi componenti avevano potuto scegliersi un diverso tipo di carriera: Undyne, per esempio, era diventata maestra di ginnastica nella nuova scuola di Toriel, Numero 1 e Numero 2 avevano aperto insieme una società di incontri romantici – che pareva andare alla grande –, mentre i cani si erano appunto trasferiti nelle città degli uomini e avevano trovato delle famiglie amorevoli con cui vivere. Il Cane più Piccolo era stato adottato da una famiglia con quattro bei bambini che giocavano sempre con lui, Dogi e Dogaressa condividevano piacevolmente un appartamento con una coppia sposata in pensione che amava le gite al parco mentre Doggo, da vero duro quale era, viveva con una numerosa famiglia in una bella casa a limitare di un bosco popolato da scoiattoli, che lo tenevano impegnato tutto il giorno in corse e rincorse.
Alcuni cani, nonostante le scelte dei loro compagni, avevano però deciso di restare a vivere a Woods, per vari motivi. Tra essi c’erano il Cane Grandissimo, il Cane Fastidioso e Endogeny, il quale era in realtà formato da parecchi cani fusi assieme e quindi non se la sentiva molto di terrorizzare il genere umano coi suoi bisogni canini moltiplicati per diciassette. Il Cane Grandissimo sembrava aver deciso di stabilirsi nel cortile della scuola, mentre il Cane Fastidioso era semplicemente troppo affezionato alle ossa di Papyrus anche solo per pensare di potersi allontanare un kilometro di troppo da casa sua. Insomma, questa era la situazione: ma perché perdere un intero paragrafo per parlarne?
Occorrerà dunque aggiungere che, nonostante la Guardia Reale ormai non esistesse più, Undyne, Sans e Papyrus avevano continuato a prendersi un po’ cura di questi cagnoloni che erano rimasti a vivere con loro, un po’ per nostalgia e un po’ perché era davvero piacevole passare a dargli una grattatina dietro le orecchie, in memoria dei vecchi tempi in cui lavoravano nella neve tutti insieme.
Dunque, detto questo, potete capire benissimo qual’era la situazione quando Undyne, uscita dalla scuola dopo la fine delle lezioni, passando a salutare il Cane Grandissimo si rese conto che qualcuno gli aveva fatto un collarino con sopra una targhetta, su cui stava scritto Chewbacca.

 

“Okay, qualcuno mi spieghi che diavolo vuol dire.”
Sans si girò appena, sollevò le spalle e ridacchiò, con fare innocente.
Undyne era appena entrata da Grillby’z, immergendosi nell’atmosfera calda e leggermente fumosa del pub, seguita dal Cane Grandissimo a poca distanza (…o dovrei forse chiamarlo Chewbacca?), il quale allegramente fece il suo verso, che apparentemente non era più un abbaio ma una sorta di urlo scoordinato. Gli avventori del bar scoppiarono a ridere a quella strana dimostrazione di affetto canina, evidentemente sorpresi, mentre il piccolo scheletro lanciò in giro un paio di occhiate divertite, con apparente grassa soddisfazione, e poi si rigirò verso il suo ketchup condito con patatine. Undyne notò la cosa e gli puntò contro un dito accusatorio: “Tu! – urlò – Tu sei stato! Avrei dovuto immaginarmelo!”
La donna pesce avanzò a grandi falcate verso al bancone, dove Sans continuava a mangiare come se nulla fosse e un paio di mostri si spanciavano dal ridere fino alle lacrime.
“Solo una cosa Sans. – disse Undyne, turbata – …perché?
“…ho solo pensato che nessun cane avesse ancora un nome vero e proprio. Perché, ho fatto male?”
Grillbyz scosse lentamente la testa, asciugando un boccale di vetro dietro al suo bancone.
“…non è che tu abbia fatto male… è solo che… perché?
“Beh, è un nome carino, no? Gli ho anche insegnato a fare il verso come si deve…”
In quel preciso momento una palla di pelo bianca sfrecciò dentro il locale, saltando dentro da una finestra, inseguita da un grido di battaglia infuriato: pochi secondi dopo anche Papyrus rovinò dentro al pub di corsa – passando ovviamente anche lui dalla finestra – all’inseguimento del fuggitivo, il quale era ovviamente il Cane Fastidioso con una delle tibie di riserva del povero scheletro fra i denti. Undyne, lesta come sempre, con uno scatto atletico saltò su un tavolo e acciuffò al volo la bestiola per la collottola, la quale iniziò a scodinzolare furiosamente per un paio di secondi, poi si stancò, chiuse gli occhi e si addormentò, lasciando andare l’osso (lett.).
Papyrus era stanco morto per la corsa, e fu molto contento di riavere indietro la sua tibia. Sembrava tutto di normale routine, se non fosse che Sans faceva di tutto per non scoppiare a ridere platealmente e teneva serrati i denti nello sforzo, cosicché Undyne si insospettì e, guardando meglio, si accorse che anche il Cane Fastidioso aveva una nuova targhetta.
Ewok.
“…anche lui? – chiese Undyne, sempre più esasperata dal non capirci un tubo di quella situazione – …ma che vuol dire?”
“Quel cagnetto è adorabile ma anche terribilmente seccante, mi sembrava calzasse a pennello.”
SAAAAAANS! – a urlare era stato, ovviamente, Papyrus – SMETTILA DI ESSERE COSÌ STRANO! NON TI SOPPORTO PIÚ!
“Ma poi Sans, mica ce l’aveva già un nome, questo cane? Non si chiamava Toby?”
“Eh, cosa?”
“Cosa? Oh, chissene frega.”
Gli altri clienti del bar si stavano divertendo un mondo, ma la situazione migliorò ancora di più quando ad entrare nel locale fu la piccola Frisk, con la cartella sulle spalle e un gran sorriso sul volto pieno di finestre per la mancanza di dentini.
“Sans sei il migliore!” Gridò. Evidentemente aveva sentito Chewbacca lì fuori fare il suo AAAAARRRRRRNNNNNGGGGGGGHHHH.
“Non ho mai visto Endogeny così contento! – continuò la bimba, entusiasta – Quella di dargli un nome da Star Wars è stata un’idea fantastica, sembra avergli rallegrato la giornata… è sempre lì a cercare di grattarsi da solo sulla testa con tutte quelle zampine… povero Endogeny, o forse dovrei dire Jabba the Hut!
Papyrus urlò di nuovo, Undyne posò Ewok sul bancone e si massaggiò le tempie e Sans finalmente scoppiò a ridere platealmente, invitando Frisk accanto a lui per offrirle un po' del suo ketchup alle patatine.
Quel pomeriggio fu veramente memorabile per tutti.

 

“Bonus”

 
Anche Jerry stava passando una giornata fantastica. Andava a pedinare tutti i mostri che incontrava per strada per descrivergli quanto si sentisse felice in quel momento, e anche se la maggior parte di loro riusciva a dribblarlo con discreta abilità alcuni rimanevano invischiati nella sua conversazione.
“Sans è davvero un amico fantastico! – diceva a tutti, al settimo cielo dalla gioia – È ovvio che io e lui abbiamo un rapporto molto esclusivo, guardate cosa mi ha regalato stamattina! E mi ha dato anche un soprannome dell’amicizia!”
Allora Jerry sollevava orgoglioso una targhetta in cartoncino, esibendola come un trofeo, che teneva legata al collo.
Sulla targhetta c’era un nome.
Jar Jar.

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*Fine del secondo capitolo! Spero che vi sia piaciuto!
*Informazione importantissima: Star Wars VII è uscito finalmente anche in dvd (l'ho visto al Mediaworld)! Che ne so, magari qualcuno vorrà guardarsi pure quello...
*Detto questo, alla prossima! - entra nell'iperspazio per fare un'uscita d'effetto -

*Kiki/Golia

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