Il gioco della ladra di katherine9608 (/viewuser.php?uid=685507)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
La luna faceva capolino tra le fronde degli alti alberi del bosco. La sua luce era l'unica che illuminava il percorso, posandosi timidamente sui tronchi e sulle foglie cadute a terra.
I piedi nudi di Malia procedevano passo dopo passo su quelle foglie secche producendo un fruscio che stonava con l'impalpabile silenzio della notte.
La sua pelle nuda era completamente esposta al freddo autunnale di Londra. Non sapeva che fine avessero fatto i suoi vestiti. Non aveva avuto tempo di cercarli prima di scappare.
Il buio intorno a lei le raggelava completamente le membra. Aveva ormai smesso di tremare convulsamente, le estremità del suo corpo erano quasi del tutto insensibili. Tutto era freddo.
Procedeva con passi lunghi e felpati senza sapere con precisione dove era diretta, i suoi pensieri si facevano sempre più annebbiati.
Era quasi giunta alla fine del bosco di Regent's Park e intravedeva delle luci intermittenti. Erano le luci delle macchine della polizia appostate nello spiazzo di strada che precedeva il lago.
Il battito cardiaco di Malia accelerò rapidamente, per un attimo si bloccò. La sua mente si rifiutava categoricamente di procedere oltre, e di farsi catturare, ma il corpo la tradì, come una farfalla notturna attirata dalla luce in cerca di calore.
Fece ancora qualche passo in avanti e iniziò a distinguere le sagome di alcuni poliziotti intorno alle macchine parcheggiate, due figure in piedi le davano le spalle. Si diresse verso di loro. Tutti parlavano animatamente. I suoni si mischiavano nella sua testa e rimbombavano in modo da risultare indistinguibili.
Ormai solo le fronde di un albero e un arbusto di fronte a lei la separavano dalle due figure di spalle. Chinò la testa, come a volersi nascondere dietro i suoi lunghi capelli marroni.
Lui non l'aveva vista, ma lei lo aveva subito riconosciuto, un lungo cappotto scuro, una massa di riccioli neri.
Sarebbe dovuta fuggire, avrebbe dovuto iniziare a correre lontano da lì, ma ormai non riusciva più a pensare razionalmente, il suo corpo freddo era pericolosamente attratto fuori dal bosco, in cerca di calore. Ormai nulla di tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento sembrava avere importanza.
In un attimo assunse una sicurezza estranea alla sua persona e spostò con una mano le fronde che la nascondevano, l'ultimo ostacolo che la separava dalla strada aperta, e lui si voltò, e la vide.
Rimase un attimo a fissarla, sussurrò qualcosa alla figura più bassa, a fianco a lui, facendola girare di scatto.
L'attenzione di tutte le persone presenti in breve tempo si concentrò su di lei, tutte le voci rimbombavano nelle sue orecchie.
La vista le si stava appannando. Con l'ultimo fiato che le era rimasto, prima di cadere a terra formulò la sua richiesta :
'' Qualcuno ha un cappotto ?".
NOTA:
Il personaggio di Malia ispirato a Malia Tate di Teen Wolf , mi sono ispirata solo alla sua storia e ad alcuni tratti della sua personalità ma per il resto è un personaggio completamente diverso ( e non c'è nulla di sovrannaturale nella mia storia, nessun riferimento ad un altra serie TV).
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Le giornate dell'unico consulente investigativo di Londra proseguivano nella inusuale quotidianità di sempre, mentre il suo fidato dottore trascriveva sul suo blog tutti gli straordinari casi il suo geniale e intrattabile coinquilino risolveva mano a mano.
Eppure al 221 B di Baker Street gli spari di pistola, le camminate nervose, esperimenti di ogni tipo e l'intrattabilità del Detective continuavano ad essere la norma. Sherlock aveva appena risolto una serie di casi, aveva smascherato la ''Lega dei Capelli Rossi'', aveva decifrato un codice di figure danzanti, e aveva aiutato un insegnante di letteratura inglese a capire chi aveva fatto irruzione nel suo studio a Manchester. Era accasciato sulla sua poltrona con la testa all'indietro e gli occhi socchiusi, si annoiava terribilmente. Aspettava che John gli trovasse un caso, perchè il suo computer era sulla scrivania e la sua nullafacenza lo rendeva troppo pigro per alzarsi e leggere la sua casella postale, lavoro che aveva affidato all'amico.
-Sai John- si decise a rimpere il silenzio - i casi più interessanti sono quelli che a un occhio più esperto appaiono banali, o semplici ma insoliti, non sempre è necessariamente presente un omicidio, ma qualcosa che rende un evento quotidiano inspiegabile, o misterioso, in cui c'è un dettaglio fuori posto. Sono i casi anonimi i più difficili e intriganti, è come cercare di ricordarsi un volto in mezzo ad una folla piena di persone che non si conoscono''.
John continuava a scorrere con il mouse le varie mail, cercando di ovviare al senso di inquietudine che Sherlock finiva per trasmettere anche a lui in quelle giornate.
-Omicidio del banchiere Crosby?
Ottenne un mugolio di dissenso come risposta.
-Rapina alla gioielleria di Oxford Street?
Una gesto di disapprovazione con la mano lo zittì.
Di scatto il consulente si alzò, raccolse un foglio dalla pila di giornali che erano disordinatamente sparsi ai suoi piedi e lo porse a John indicando un articolo a pagina 6.
-Voglio indagare su questo- esordì all'improvviso, per far capire che in mancanza d'altro quella era la cosa che lo interessava di più.
''Malia Blackwell: ragazza scomparsa 10 anni fa, il padre la crede ancora viva'' questo era il titolo del breve articolo, affianco alla foto della giovane diciottenne creduta morta fino a quel momento.
-Vuoi riaprire un caso chiuso da 10 anni? Chiese il medico, anche se ormai più niente lo sorprendeva.
Sherlock aveva già trovato la sciarpa e i guanti neri, era già pronto a uscire di casa dopo essersi infilato in grande velocità il cappotto.
-Mi hai tolto le sigarette!
***
Il signor Blackwell era un uomo sulla sessantina, capelli mezzi bianchi e mezzi grigi, occhi incavati e stanchi e pelle pallida e l'abbigliamento poco curato. Sherlock era riuscito a farsi aprire la porta sfoggiando uno dei distintivi rubati a Lestrade e l'uomo si era dimostrato ben contento di essere ascoltato da un autorità. Così raccontò ai due suoi ospiti dell'incidente nel quale aveva perso la moglie e la figlia e degli strani eventi che si erano susseguiti all'accaduto.
Sherlock volle vedere la stanza della ragazza che il padre aveva mantenuto praticamente uguale a dieci anni prima.
Era una camera piccola, con un unica grande finestra, ma ricolma di libri. La prima cosa che saltò agli occhi a John fu il grande manifesto della tavola periodica appeso alla parete sopra il letto e vari certificati incorniciati vicino ad essa che testimoniavano meriti e premiazioni di concorsi scolastici. La libreria conteneva libri di chimica, anatomia umana, appoggiati anche sui ripiani della scrivania insieme a qualcuno di letteratura inglese.
Non era difficile dedurre che Malia fosse una ragazza studiosa, appassionata alla scienza e devota alla lettura. L'incidente d'auto che la avrebbe uccisa 10 anni prima non era da imputare a nessun colpevole, una notte piovosa che aveva fatto perdere l'aderenza tra le ruote e la strada, scarsa visibilità, la madre di Malia aveva preso una strada non agibile, una curva su un ponte, e la macchina era decappottata finendo nelle acque del Tamigi. Solo un corpo però era stato ritrovato,si credette che quello di Malia fosse stato trasportato lontano dalla corrente.
Eppure il signor Blackwell ci sperava ancora dopo tutto quel tempo. Perchè aveva sentito strani rumori nel mezzo della notte, perchè alcuni oggetti venivano spostati, perchè non aveva mai conosciuto bene sua figlia e poteva aspettarsi qualunaque cosa, perchè forse stava solo impazzendo , ed era quella la spiegazione più plausibile.
Ma il consulente investigativo vedeva cose che a tutti gli altri sfuggivano, e anche se non poteva ricavare nulla dalle testimonianze dell'incidente accaduto 10 anni prima, aveva notato un dettaglio che stonava con tutte le cose vecchie conservate in quella stanza e che contornavano quel caso. Un filo di polvere che si interrompeva sulla scrivania.
un cassetto aperto di recente. Che il signor Blackwell non aveva toccato da almeno un mese.
Dentro c'era un computer portatile nascosto sotto una pila di volumi di poesie di Baudelaire.
Sherlock tornò a casa soddisfatto, aveva portato con se il computer e si era tenuto occupato per tutta la serata, lasciando John solo a dialogare con la signora Hudson al piano di sotto. Eppure non ne ricavò nulla, era stato resettato, nessun file, nessun codice binario, nulla che potesse farlo risalire al possessore.
I giorni passavano e casi più interessanti lo tenevano impegnato, non si curò di scansionare il computer ai raggi X, ma lo tenne chiuso in un cassetto della sua scrivania, come se quello fosse il suo destino. Vi furono vari episodi che lo distrassero, dovette fingere la sua morte, poi tornò a Londra, infine uccise un uomo per aiutare il suo migliore amico. E quel cassetto rimaneva sempre chiuso. Fino a che un giorno, in modo del tutto inaspettato e sorprendente si aprì.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Malia stava iniziando a preoccuparsi. Ormai da 5 mesi abitava nello stesso appartamento , in una casa in disuso nella brughiera poco fuori Londra. Era solita cambiare alloggio con grande frequenza. Odiava stare nello stesso posto per troppo tempo, la monotonia la soffocava.
Questo iniziale fastidio si trasformò col passare dei giorni in vera e propria paura: sentiva incombere su di lei il peso e la responsabilità di tutti quegli anni passati in fuga.
La persona per cui lavorava era scomparsa nel nulla, non aveva più ricevuto messaggi, email, o consegne anonime. Questi erano gli unici modi in cui aveva potuto avere contatti con essa in 10 anni di corrispondenze. Lei si era sempre fidata di questo benefattore perchè l'aveva salvata.
Dopo quella fatidica notte 10 anni prima il suo benefattore (così lo chiamava) si era messo in contatto con lei, aveva mostrato di conoscere le sue grandi doti mentali e fisiche, e si era proposto di aiutarla a sparire dal mondo.
Così aveva sempre vissuto nell'ombra adempiendo a missioni di spionaggio, furti di informazioni segrete per lo più. A volte le bastava usare le sue doti informatiche a distanza. Altre volte si recava direttamente nel luogo incriminato introducendosi furtivamente nelle case di persone di spicco per estorcere lettere, documenti, file che nascondevano segreti scandalosi e immorali capaci di far naufragare matrimoni di spicco o rovinare politici corrotti.
Molto spesso non capiva l'importanza o la gravità delle informazioni che rubava, il suo unico compito era quello di farle arrivare al benefattore. Lui (o lei, siccome non ne conosceva l'identità) pensava a tutto il resto: alla sua protezione, a farle recapitare tutto il materiale di cui necessitava per le sue missioni, pagava tutto ciò di cui aveva bisogno compreso alloggio e ogni tipo di comfort di cui sentiva la necessità
.
A lei tuttavia non importavano i soldi, solo quanto bastava per continuare a proseguire il suo lavoro in tutta sicurezza, le piaceva quello che era tenuta a fare. Poteva dare libero sfogo della sua abilità mentale e fisica: era finalmente libera.
Si era estraniata dal mondo, la sua casa esisteva ancora e lì viveva ancora suo padre (che la credeva morta). Ogni tanto nelle ore che seguivano al tramonto si sedeva sul tetto della casa di fronte, vicino al camino, coperta dalla sua mantella nera e osservava la luce della televisione accesa al piano di sotto e lo vedeva seduto sul divano di spalle. A volte quando lui era a lavoro entrava persino nella sua vecchia camera nella quale il tempo era fermo a 10 anni prima, quando tutto era cambiato. In certi momenti, molto rari, aveva bisogno di sentirsi appartenere a qualcosa di fisso e sicuro. Per questo la sua vecchia casa rimaneva sempre il suo punto di riferimento a Londra, e a volte vi portava anche alcune delle cose che rubava, per poi riprenderle quando ne aveva bisogno. Non che le mancasse la sua vita precedente, non si era mai sentita di appartenere ad una vita fatta di amici, fidanzati, bollette, studi e altre cose che rappresentavano la normalità per le sue coetanee.
Ormai viveva nascosta nell'ombra, sola, senza nessuno su cui contare a parte questa misteriosa figura : '' il benefattore'' di cui nella pratica non conosceva nulla. Ma ora il suo unico punto di riferimento era sparito e tutto il suo mondo stava iniziando a vacillare.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
M
A Baker Street tutto era calmo e silente. Il sole era completamente
calato,
nonostante fosse ancora tardo pomeriggio, come in ogni buia giornata
autunnale.
Di fronte al portone principale le macchine e i taxi sfrecciavano
veloci e quei rumori, oltre ai passi dei passanti, erano gli unici che
si sentivano. L'appartamento del primo piano era vuoto, come
dimostravano tutte le luci spente.
Sul retro però Malia aspettava il momento migliore per
colpire.
Era con le spalle al muro, cercando di rimanere nascosta,
sotto
il suo mantello nero, il cui grande cappuccio le nascondeva in parte il
volto.
Aveva imparato ad essere una brava ladra : non le fu difficile
introdursi attraverso la finestra che dava sulla camera da letto, a
volte non le era nemmeno necessario rubare ciò che cercava,
le
bastava un occhiata, una lettura
veloce per ricordare intere pagine piene di ogni tipo di scritto a
memoria.
La sua memoria fotografica era sempre stata sopra la norma.
Non appena entrava in una stanza capiva subito dove si trovavano i
documenti o gli oggetti che era stata incaricata di rubare, prevedeva
subito dove le sue ''vittime'' avrebbero nascosto le cose.
Tuttavia in quell'appartamenti tutto era nel più completo
disordine, tutto era nel posto sbagliato.
Nel salotto le tende erano tirate e la stanza era molto buia.
Fogli, giornali, volantini sparsi sul tavolo e
sul pavimento, insieme a provette, materiali di dubbia providenza che
di sicuro non si sarebbero dovuti trovare in un' abitazione privata ma
in un laboratorio.
Il muro vicino alla porta d'entrata era interrotto da alcune
protuberanze, Malia le sfiorò con una mano coperta
da un guanto nero :''spari?''. Un brivido le attraversò la
spina dorsale.
Doveva concentrarsi sul computer. Sapeva che era lì da
qualche parte.
Aveva saputo del coinvolgimento di Sherlock Holmes in quella
faccenda, ma non si era mai sentita in pericolo, ora invece era troppo
esposta e non
poteva permettere che qualcosa potesse ricondurre a lei.
C'era un computer portatile appoggiato sulla scrivania vicino ad una
tazza di
caffè vuota, ma non era il suo.
Iniziò a controllare la libreria dietro la poltrona,
spostando attentamente libri di chimica, trattati di medicina,
enciclopedie. Ricordava
mentalmente la posizione esatta di ogni cosa per poi riordinare tutto.
Doveva essere per forza in quella stanza, non poteva tenerlo in cucina
o in bagno, nemmeno nella sua camera da letto: non c'erano posti in cui
nasconderlo. Rimaneva solo la stanza al piano di sopra da controllare,
ma sapeva che quella stanza era appartenuta al dottor John Watson
quindi era altamente improbabile che fosse lì.
Un po sconfortata salì le scale, se non era lì
voleva dire che se ne era disfato molto tempo prima, dopotutto era
passato così tanto tempo...
Tutto era in ordine in quella camera, in contrasto con il resto della
casa, ma coperto da
almeno due strati di polvere, le ricordò la sua
camera da letto: come l'aveva tenuta suo padre per tutto quel tempo.
Controllò tutti i cassetti della scrivania e finalmente, lo
ritrovò, sotto un grande atlante di anatomia.
Rimase per un attimo sorpresa, erano passati due anni ed eccolo
lì dove ormai non sperava più di trovarlo, lo
rigirò un po tra le mani come per accertarsi che fosse
proprio il suo. Le scappò un sorriso, ma non si sentiva
ancora sicura, voleva uscire da lì al più presto.
Richiuse tutti i cassetti, sistemò come meglio poteva tutto
ciò che aveva spostato dentro di essi e si
affrettò a tornare al piano inferiore. Dopo aver sceso di
corsa le scale stava correndo verso la camera da cui era entrata quando
di colpo si bloccò.
Sulla soglia della porta una figura alta e slanciata la stava fissando.
Malia si sentì raggelare per un istante il sangue, era lui:
Sherlock Holmes.
Lo aveva visto prendere un taxi poco prima, ci aveva davvero impiegato
così tanto? Perchè non lo aveva sentito aprire il
portone e salire le scale? Aveva sempre i sensi all'erta per questo
genere i cose.
'Chi sei?'' chiese lui facendo un passo avanti con cautela. Malia stata
totalmente presa alla sprovvista e per un secondo si sentì
in trappola.
Il respiro accellerato la stava tradendo, sentì
un senso di oppressione sul petto e il battito cardiaco
salirle all'impazzata.
L'unica cosa che ogni cellula del suo corpo bramava di fare
in quel momento era scappare il più lontano
possibile da quella casa.
Ma rimaneva immobile, nonostante il buio le impedisse di vederne il
viso, sentiva lo sguardo del detective bruciarle il corpo. Per un
attimo pensò che sarebbe svenuta, ma poi sentì il
sangue pompare fino alla testa e assecondò il suo istinto di
fuga: si girò in fretta verso la finestra da cui era
entrata che era ancora aperta. Stava per balzare fuori quando si
sentì tirare indietro.
Sherlock le aveva tirato giù il cappuccio e le teneva con
una stretta ferrea un lembo della stoffa nera del mantello. Non
riusciva a muoversi e fu costretta
a girarsi, trovandosi faccia a faccia con lui.
Osservò i suoi occhi di ghiaccio farsi più chiari
sotto uno spiraglio di luce e le soppraccigglia aggrottarsi.
Il detective ebbe un sussulto, il cappuccio calato aveva liberato una
folta chioma di capelli castani. Poteva vedere chiaramente i
grandi occhi scuri spaventati della ladra sotto la luce della luna, le
guancie pallide, le sopracciglia folte e dritte. Le labbra erano
socchiuse per lasciare spazio ai respiri affannosi e frequenti che
andavano di pari passo con il suo battito cardiaco notevolmente
accellerato.
Aveva già visto quel viso prima, solo che apparteneva ad una
ragazzina di 16 anni che aveva visto in una foto nella casa di quel
padre disperato. Una qualsiasi persona comune non l'avrebbe
riconosciuta ma lui la ricordava, lui ricordava sempre ogni
particolare.
''Malia?'' sussurrò. Era una domanda, ma lui conosceva
già la risposta.
Lei continuava a
guardarlo come un animale che sta per essere rinchiuso in una gabbia e
torturato, in quel momento non le importava che lui sapesse
di lei, voleva solo scappare.
Aveva sentito la sua presa su di lei allentarsi e questo le
bastò per staccarsi da lui con uno strattone,
colpì con il computer che teneva in mano il
braccio di lui che
le teneva in pugno il mantello. Si rigirò e balzò
fuori dalla finestra.
Era una caduta di qualche metro che le avrebbe sicuramente provocato
brutti lividi ma l'adrenalina che aveva in corpo la costrinse a
rialzarsi
Iniziò a correre velocemente nel vicolo sul retro lontano da
quella casa.
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5
Malia era tornata nel suo appartamento ancora con l'adrenalina in
corpo. Sentiva il cuore batterle veloce nel petto, le gambe le
tremavano, era sfinita perchè aveva corso per un periodo di
tempo che le era parso interminabile,
Entrò nel suo appartamento di soppiatto come se stesse
commettendo un altro furto, non accese le luci e si precipiò
alla finestra per controllare che in strada non ci fosse nessuno.
Tutto era buio e silezioso, si sentivano solo i suoi respiri affannosi
e intensi.
Si fece cadere contro la parete, in ginocchio, cercando di calmarsi.
Teneva ancora saldamente tra le braccia il suo computer, per colpa del
quale si trovava in quella orribile situazione.
Era con quel computer che aveva iniziato, lì erano arrivate
le prime istruzioni, e lei con molta diffidenza le aveva seguite per
filo e per segno, poi erano arrivate le ricompense e allora aveva
capito che stava facendo la cosa giusta, non per gli altri, ma
finalmente per se stessa. Perchè quella era stata la sua via
di fuga dalla sua vita monotona, nella quale si sentiva sbagliata e
incompleta.
Adesso però era arrivata a rischiare troppo, aveva
oltrepassato il limite e le rimaneva solo una speranza.
Sentì il battito cardiaco alzarsi alle stelle mentre
accendeva il computer. Una volta connessa a internet entrò
nel suo vecchio indirizzo di posta elettronica che era riuscita a
eliminare su ogni server rendendolo raggiungibile solo da quel
dispositivo elettronico. La password era una sequenza di 8 cifre che
non seguiva nessuna logica, quindi impossibile da indovinare, ma che
lei ricordava alla perfezione.
Già sapeva che nemmeno Sherlock Holmes avrebbe indovinato
quella password, e d'altronde cosa poteva aspettarsi di trovare nella
posta elettronica di una diciottenne? La aveva sottovalutata.
''Ma ora non avrebbe commesso più lo stesso errore''
continuava a ripeterle una vocina nella sua testa, ora era lei ad aver
sottovalutato lui.
Dopo aver scrutato da cima a fondo la posta ricevuta dovette accettare
i fatti: l'ultimo messaggio ricevuto risaliva a 2 anni prima, a poco
prima che il computer venisse confiscato dalla sua vecchia casa.
Sentì il pavimento scomparirle da sotto i piedi, un senso di
nausea e la gola seccarsi all'improvviso.
Era stata una stupida a rischiare così tanto, sperava
davvero di trovare un messaggio, un indizio lasciato per lei in quel
computer che non usava da anni?
Ora si ritrovava con niente, si era fatta riconoscere da Sherlock
Holmes mentre compiva un furto proprio in casa sua. Furto che si era
rilevato del tutto inutile. Era rimasta con niente, nessuno l'avrebbe
aiutata questa volta, non poteva più aspettare che
il '' benefattore'' si facesse vivo, doveva accettare il fatto che
l'aveva abbandonata. Non aveva amici, nè una famiglia, non
più. Aveva rinunciato a tutto per intraprendere quella vita
da fuggitiva.
Si era messa in trappola da sola, come un topo attratto dal formaggio,
e la sua trappola non era altro che il consulente investigativo
più famoso di Inghilterra., Aveva le spalle al muro, non
poteva farsi catturare, poteva accettare tutto ma non questo. Non
poteva accettare l'idea di vivere in gabbia, tutto ciò che
aveva sempre voluto era essere libera.
Superato lo shock iniziale cercò di riordinare le idee, si
precipitò in cucina e aprì il cassetto dove
teneva i fiammiferi.
Accese il camino a legna e mentre il fuoco attecchiva radunò
tutti i fogli che le capitavano sottomano, i libri, tutti i documenti
accumulati e che avrebbero potuto comprometterla, mano a mano che il
fuoco si alimentava e si faceva sempre più caldo e
scoppiettante vi gettò anche la sua macchina fotografica e
il telefono cellulare. E infine il suo computer nero.
Le fiamme erano l'unica luce nella stanza, si riflettevano sulla sua
mantella nera, le guardava impassibile mentre si nutrivano
ferocemente di tutto ciò che aveva creato, tutto
ciò che aveva rubato, tutto ciò che era stata in
quegli ultimi anni. L'energia del fuoco si espandeva e il calore creava
un terpore che la avvolgeva come per inghiottire anche lei.
C'era solo un modo per fermare le indagini che Holmes aveva riaperto
quella sera: doveva scomparire di nuovo, e quella volta per sempre.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Dopo un estenuante silenzio di qualche settimana, Sherlock si era
presentato alla porta di John proprio quella mattina, chiedendogli di
accompagnarlo fuori città per un caso importante. Era
visibilmente emozionato e impaziente di partire, così senza
fare troppe domande John aveva colto l'occasione al volo,
perchè d'altronde non aspettava alto che staccare un po'
dalla sua routine quotidiana.
Ora erano seduti in silenzio sul taxi diretto verso Hampsted Heath.
John non sapeva ancora di cosa si trattava, l'amico era totalmente
assorto nei suoi pensieri, e la sua attenzione era presa altrove.
Finalmente ruppe il silenzio: ''Questa notte a Baker Street
c'è stata un effrazione'' si limitò a constatare
calmo.
John sussultò '' che cosa hanno rubato?''.
''Un computer''.
''Hanno rubato il tuo computer?'' John aggrucciò la fronte.
''No il computer di Malia Blackwell''.
Continuava a non capire.
Sherlock sospirò infastidito, erano passati due anni e
probabilmente l'amico aveva dimenticato completamente quella
storia.
'' La ragazza creduta morta in un incidente stradale 10 anni fa''. John
ci mise ancora un po' ma poi ricordò i fatti.
'' E perchè mai qualcuno dovrebbe volere quel computer? Mi
stupisco che tu lo abbia tenuto per tutto questo tempo''.
''La domanda è chi mai potrebbe volerlo'' Sherlock rivolse
all'amico uno sguardo di sfida, accennando un sorriso.
John rimase un attimo ancora senza capire, poi una scintilla
attraversò i suoi occhi.
''Hai detto creduta
morta'' fece una pausa ''Credi che sia stata Malia?''.
''No non lo credo, lo so, l'ho vista.'' disse quasi sottovoce lasciando
l'amico di sasso, per poi tornare a guardare fuori dal finestrino
assorto nei suoi pensieri.
Una volta arrivati ai piedi della collina di Hempsted Sherlock
iniziò a passare in rassegna ogni casa cercando qualcosa di
non ben definito. Il luogo era tranquillo e isolato dal caos della
città, vi erano grandi spazi verdi, e gli alberi addobbati
con i colori caldi autunnali davano una nota di luce al paesaggio
sovrastato da grosse nuvole grige.
''Cosa stiamo cercando?'' Chiese John cercando di rendersi utile.
Sherlock iniziò a esplicitare il suo flusso di pensieri
deduttivi.
''E' scappata da Baker street nel mezzo della notte, non può
aver preso un taxi, se non voleva attirare l'attenzione, le corse delle
metropolitane sono troppo rade negli orari notturni, deve aver corso,
questo è il posto più vicino a Baker Street, poco
fuori Londra''.
''Cerchiamo un posto dove possa nascondersi per un periodo di tempo
breve. Ha vissuto come una fuggitiva per tutti questi anni, se
è rimasta a Londra deve aver cercato di cambiare molto
spesso alloggio''.
John sospirò, lì iniziava la brughiera, e si
estendeva per altri 20 miglia, ci avrebbero messo un giorno per trovare
il posto giusto.
Dopo quasi un ora l'attenzione di Sherlock fu attirata da una casa a
due piani, fuori dal cancello era appeso un cartello rovinato con la
scritta mezza cancellata''Affittasi'.
Sherlock suonò il campanello e aspettarono qualche minuto in
silenzio. Venne ad aprire una vecchia signora che li accolse con uno
sguardo triste e diffidente.
''Siete della polizia?'' quella domanda li colse entrambi di sorpresa.
''Perchè ? Cosa è successo?'' chiese John.
Dopo quella domanda nella testa di Sherlock aveva suonato un campanello
d'allarme, senza curarsi di nessun altro aveva salito le
scale esterne che conducevano al piano di sopra, si
sentiva puzza di bruciato, non solo di legna, ma l'odore
pungente della plastica fusa.
L'appartamento era spoglio, una cenere scura copriva il pavimento di
fronte al camino, dove erano rimasti solo i resti di elementi
elettronici distrutti.
Tutto il resto sembrava essere lasciato in sospeso. Nella camera da
letto vi erano alcuni libri sul comodino e l'armadio
conteneva ancora dei vestiti da donna.
Una sensazione di angoscia si faceva strada nella testa
dell'investigatore, l'idea di essere arrivato troppo tardi, per un
attimo sperò di non trovare quello che cercava. Ma la sua
infallibile razionalità gli diceva che era lì da
qualche parte. Cercò di affonare i sensi fino a che non lo
trovò, per terra, vicino al letto, una polvere bianca,
sembrava sale. Con le mani coperte dai guanti ne raccolse uno strato e
lo avvicinò al naso. Ispirò e ebbe la conferma :
cianuro.
John nel frattempo era salito al piano di sopra, visibilmente scosso.
''Non è qui Sherlock, si è tolta la vita''
Sherlock non diede alcun segno di sorpresa o turbamento. ''Dove l'hanno
portata?'' si limitò a chiedere.
Arrivarono all'obitorio nel giro di mezzora, era un ospedale poco
lontano da Hempsted. Per John quella storia si faceva sempre
più oscura, ma era finita, Malia si era avvelenata e tutto
sembrava essere tornato come doveva andare fin dall'inizio, solo con un
ritardo di una decina d'anni.
Tutta via Sherlock aveva insistito per vedere il corpo. Continuava a
non capire il prechè proprio la notte prima era venuta da
lui, a riprendersi il computer, se subito dopo voleva togliersi la
vita. Era forse perchè lui l'aveva vista?
Questo lo faceva sentire a disagio, aveva avuto quel computer
con sè per due anni e non aveva capito che lei era viva, e
lo era stata per tutto quel tempo. Ora per colpa di quella sua
valutazione sbagliata, il caso si era riaperto e questa volta c'era
anche il cadavere. Per questo voleva vederlo. Questa volta avrebbe
fatto le cose per bene senza tralasciare nulla.
In quella faccenda c'erano ancora molte questioni che non tornavano.
Ma non ebbe tempo per fare congetture di alcun tipo, Malia ebbe il modo
di sorprenderlo un altra volta.
Il medico legale aveva acconsentito a mostrare loro il corpo prima che
lo portassero nella camera ardente, un semplice esame tossicologico era
bastato per evidenziare l'avvelenamento da cianuro.
Una volta entrato nella camera dell'obitorio seguito dai John e
Sherlock si bloccò di colpo, lanciando un esclamazione di
terrore.
Di fronte a loro un lettino vuoto, il lenzuolo bianco a terra e nessun
segno del corpo di Malia.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Malia camminava da un tempo indeterminato nel parco di Regent's, era
notte e il vento era gelido. Quell'atmosfera la riportava a quella
notte di 10 anni prima.
L'acqua scura e gelida che entrava da ogni parte e la soffocava, il
tentativo disperato di tornare in superficie, la macchina che
sprofondava nel fiume mentre fuori la pioggia scendeva velocemente
continuando a colpire il suo corpo già bagnato.
Lì tra quelle acque torbide c'era il corpo di sua madre che
stava affondando nell'oscurità.
Lei aveva iniziato a correre, e scappava ancora adesso in una notte
fredda.
Quella volta però la sua corsa si sarebbe fermata.
Il freddo si era impossessato del suo volere e quella volta era davvero
troppo stanca per voltarsi e correre via.
''Qualcuno ha un cappotto?''
Si era ritrovata seduta vicino ad una macchina della polizia avvolta in
una coperta calda mentre un agente di polizia con un taccuino in mano
continuava a ripeterle le stesse domande. Le chiedevano se aveva
documenti, dove abitava, che avrebbero dovuto portarla in commissariato
per il riconoscimento della sua identità.
Lei non rispondeva, guardava un punto indefinito fisso di fronte a lei,
tremando ancora per il freddo.
Sherlock era dietro di lei, parlava con John spiegandogli come aveva
fatto a capire che l'avrebbero trovata lì, conosceva a
memoria ogni singola strada di Londra ed erano pochi i posti dove
avrebbe potuto nascondersi una donna senza vestiti. Avevano chiamato
Lestrade e si erano appostati all'uscita del parco, prima o poi lei
sarebbe arrivata da loro se non voleva morire di freddo, e
così era stato. Ma il consulente investigativo ancora non si
spiegava molte cose.
Si avvicinò alla figura di spalle rannicchiata
nella coperta marrone e si sfilò il cappotto per
appoggiarglielo sulle spalle.
Lei ebbe un sussulto e si girò di scatto, come per
difendersi da un attacco improvviso, spaventata. Lui si
bloccò un attimo, stupito da quella reazione improvvisa, poi
il corpo di Malia si rilassò e strinse il cappotto a
sè.
''Come hai fatto a sopravvivere ad un' intossicazione di cianuro di
potassio?'' le chiese posizionandosi di fronte a lei.
Lei lo fissò per una attimo, dal basso verso l'alto,
cercando di sostenere il suo sguardo di ghiaccio che non lasciava
trapelare nessuna emozione.
''Nitrito di amile, respirato ogni minuto per trenta secondi'' era la
prima volta da quando l'avevano trovata che proferiva parola, sapeva
che le sua conoscenze di chimica avrebbero stupito persino il grande
Sherlock Holmes. Lui infatti si lasciò trapelare un sorriso,
ma poi aggiunse con tono fermo: '' Dovrai venire in commissariato con
noi''.
***
Le luci della stazione del dipartimento di polizia di Scotland Yard
tremolavano rendendo quella situazione ancora più irreale.
Sherlock e Malia erano seduti uno di fronte all'altra, entrambi con lo
sguardo serio e pensieroso. Sembravano quasi impegnati in una battaglia
fatta di sguardi, ignorando ogni altra persona presente. Lestrade, in
piedi dietro a Sherlock, decise di rompere il silenzio:
''Dovrò chiamare suo padre''. Malia abbassò lo
sguardo sospirando, sapeva che era inevitabile.
''Dopo potrò andarmene?'' chiese rivolta all'ispettore.
''Non credo Malia Blackwell'' scandì il suo nome leggendolo
da un documento che teneva in mano '' nessuno sa nulla di lei negli
ultimi 10 anni, cos'ha fatto in tutto questo tempo?''
Fu Sherlock a rispondere: ''Rubava'' lasciò tutti in sospeso
per poi continuare a parlare quasi annoiato dalla banalità
delle sue stesse osservazioni: '' Non cose materiali, non solo, ma
principalmente informazioni''.
Malia ebbe un sussulto, cercò di mascherare il panico che si
faceva strada dentro di lei come meglio poteva.
Ma Sherlock notò il suo stupore: '' Dovresti fare
attenzione, quando bruci qualcosa, tutto lascia una traccia''.
Lei continuava a fissarlo paralizzata, cosa poteva aver scoperto?
'' D'altronde è chiaro che te ne sei andata mentre ancora il
fuoco bruciava, non tutto è andato distrutto'' non ottenendo
ancora alcuna risposta aggiunse ''a cosa ti servivano quei documenti?
Ricatto? Spionaggio?''
Malia ora gli rivolgeva uno sguardo carico di rabbia, raddrizzando le
spalle per mostrarsi sicura, non voleva che credesse che aveva paura di
lui.
Così decise di passare dalla difesa al contrattacco :''
Vuole sapere per chi lavoravo?'' disse tutto d'un fiato con aria di
sfida.
Riuscì nell'intento desiderato vedendo il viso affilato del
suo interlocutore, prima immobile come quello di una statua greca, dare
segno di essere stato colto alla sprovvista.
''Lei lavorava per qualcuno?'' sbottò Lestrade, che al
contrario aveva reazioni molto spontanee.
Lei allora discostò per un attimo lo sguardo per posarlo sul
commissario di polizia ''parlerò solo con lui'' facendo un
cenno verso Sherlock.
Lestrade fu molto contrastato ma alla fine il consulente investigativo
ebbe la meglio e lo convinse ad andarsene.
Sherlock giunse le mani sulla bocca, aspettando in silenzio.
''Non le dirò chi è'' iniziò la ladra
'' io stessa non conosco l'identità della persona per cui
lavoro, ma le darò tutte le informazioni necessarie per
arrivare a lui''
''Come hai fatto a fidarti per oltre dieci anni di una persona che non
hai mai visto?''
''Mi ha dimostrato che potevo fidarmi''.
''Perchè hai aspettato due anni per venire a riprenderti il
computer?''.
Malia era stanca di quelle domande. ''Allora vuole sapere chi
è?'' tagliò corto.
''Cosa vuoi in cambio?''.
Voglio che essere scagionata da tutte le accuse su di me''.
Sherlock si lasciò sfuggire una risata sarcastica: ''
perchè pensi che io possa e voglia farlo?''
''Perchè ho sentito molto parlare di lei, tu in questo posto
sei l'autorità massima, tutti obbediscono ai suoi ordini
senza fiatare, so che farebbe di tutto per conoscere il tassello
mancante di questo puzzle, e so che anche lei ha finto la sua morte''.
''Con un risultato decisamente migliore del suo'' la interruppe con
tono sarcastico.
Malia replicò infastidita '' In compenso ha tralasciato
dettagli importanti nel mio caso, non è riuscito a capire
l'importanza del mio computer, vuole commettere un altro sbaglio del
genere o vuole andare a fondo questa volta?'' terminò
mantenendo il tono di voce calmo ma pungente.
Sherlock la scrutò per qualche secondo, con lo sguardo fiero
e spavaldo, poi si alzò e le porse la mano ''Abbiamo un
accordo quindi?''
Lei rimase stupita, non credeva che sarebbe stato così
facile, si alzò e gli strinse la mano, sentendo il contrasto
fra la sua mano e gelida e quella di lui calda.
Uscendo si trovò di fronte il dottor John Watson, conosceva
anche lui ovviamente, che la guardò in modo interrogativo.
''Lasciala andare John '' lo avvertì Sherlock.
Lui guardò l'amico con uno sguardo di rimprovero, ma si fece
da parte, quasi sollevato di lasciarla andare via.
Malia si fermò e si tolse il cappotto che teneva ancotra
sulle spalle, sotto aveva i suoi vestiti che avevano recuperato
dall'obitorio.
'' Grazie del cappotto signor Holmes'' asserì porgendoglielo.
Lui le fece un cenno col capo, conscio del fatto che avrebbe dovuto
affrontare Lestrade e l'intero dipartimento di Scotland Yard per aver
lasciato scappare una criminale.
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