Once Upon A Student

di SofiFlo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Si guardò intorno, disorientata. Veniva da un paesino piuttosto piccolo e l’immensità di quel luogo quasi la spaventava: il cortile dell’università era grande almeno cinque volte la piazza del paese e l’edificio che aveva davanti era alto, imponente, e talmente grande da coprire un intero lato del cortile, e le case degli studenti, che si affacciavano per tutto il resto della piazza, sembravano, nell’insieme, un oceano di finestre in muri di cemento, che in quel momento non riusciva a capire per quanto si estendesse. Regina si incamminò velocemente all’ingresso, sperando di non aver attirato troppo l’attenzione, stando ferma nel mezzo del cortile, e sperando di trovare in fretta la segreteria in modo da potersi fare indicare la stanza in cui avrebbe abitato e per informarsi sulle lezioni, nel caso ci fosse stato qualcosa che non veniva detto negli opuscoli informativi.

Cercò di non apparire troppo stupita mentre camminava per i corridoi di quel posto, guardandosi intorno e ammirando l’immensità di quel luogo, privo di eleganza, in alcune parti persino segnato dal tempo, ma immenso. La segreteria era deserta e per un attimo pensò di trovarsi nel luogo sbagliato, ma poi vide una delle tre segretarie alzare gli occhi dal computer e chiederle “Ti serve qualcosa, darling?” . Si avvicinò in fretta, curiosa, e a attenta a non mostrare esitazione, di fronte a quella donna con degli insoliti capelli tinti per metà di bianco e per metà di nero che la guardava con disinteresse. “Buongiorno signorina – un rapido sguardo alla targhetta appuntata su un’orrenda pelliccia bianca e nera aperta su un’ampia scollatura – signora DeVil. Sono Regina Mills, una nuova studentessa. Ho chiamato per avvisare che sarei arrivata oggi e vorrei sapere e per cortesia mi può informare sulla mia sistemazione e dirmi quando inizieranno le lezioni.” Si sforzò di sorridere, anche se normalmente detestava farlo, perché sentiva che quella stupida esibizione di denti la faceva apparire stupida e infantile. La donna alzò un sopracciglio, girò la sedia, cercò una cartelletta in un mucchio che teneva sulla scrivania, si voltò verso Regina e disse semplicemente “Documento, prego” e dopo che la ragazza ebbe provato la sua identità le diede in fascicolo, per poi tornare a guardare il computer senza dare altro segno di vita. Regina prese le valigie, infilò i documenti nella borsa a tracolla e mormorò un “Grazie” mentre lasciava quella stanza per trovare un posto migliore in cui leggere quei fogli.

Appena fuori dall’edificio, sedette su una panchina e lesse le prime righe

Scuola Superiore S.Nicks - Università di Storybrooke
Studente/essa: Regina Mills
Corso di studi: Medicina
Alloggio: Ed. 8 , appartamento 108 (n. stanze 3, studenti che condividono l’alloggio: Midas, French)


Si alzò così in fretta che quasi le caddero i fogli e una piccola chiave argentata – il numero 108 inciso nel mezzo - le scivolò nella mano. Raccolse tutto e si preparò ad andare in un appartamento che si aspettava di trovare vuoto, essendo arrivata in anticipo rispetto all’inizio delle lezioni, e preparandosi a leggere tutto il fascicolo che le era stato consegnato, per nulla entusiasta, ma determinata a dare il meglio nella nuova scuola.

L’edifico 8 era dietro il secondo palazzo studentesco  a destra dell’università, e una grossa strada che partiva dalla piazza conduceva a quello e altri edifici, e, infine, al parco che circondava l’abitato. Regina pensò che quel posto era davvero meraviglioso, e non riusciva nemmeno ad immaginare quanto potesse diventare bello in una giornata di sole, in una notte stellata o durante uno dei suoi tanto amati temporali estivi. Chiuse un attimo gli occhi e si perse in quella scena che ancora non aveva potuto sperimentare. Pensò alla pioggia che la colpiva con più o meno forza, lasciandola fresca e bagnata, i capelli appiccicati al collo e al viso, le mani libere a catturare tutte le gocce e il vento che riusciva a prendere nella corsa e quell’infinito senso di libertà, quello che poteva provare solo facendo qualcosa di così folle, qualcosa che mai le sarebbe stato permesso di fare se qualcuno avesse potuto vederla, qualcosa di così magico da tenerla in vita. E le venne da sorridere, pensando che un giorno, fregandosene di chi l’avrebbe vista, sarebbe corsa sotto la pioggia e si sarebbe sentita un tutt’uno con il cielo. Trattenne quell’esibizione stupida di denti, e proseguì, con il cuore un po’ più leggero, e la mente piena di sogni.

Raggiunse l’appartamento al terzo piano, appoggiò per un attimo i bagagli, notando la porta aperta, per poter controllare di essere in ordine e in quel momento vide un ragazzo uscire dall’unico altro appartamento su quel piano. Si sentì in imbarazzo all’istante, notando che questi la stava squadrando da capo a piedi, e fece fatica a sostenere il suo sguardo. Appariva un po’ folle, ma non era quel tipo di follia che la portava a sognare sotto la pioggia, era qualcosa di più cupo e spaventoso, inquietante. Quando quegli occhi si decisero a staccarsi, Regina seguì la figura mentre iniziava a scendere le scale e notò sulla giacca di pelle sgualcita che il ragazzo portava un grosso ricamo. ‘Jefferson’ una sola grossa parola, forse un nome. E non potendo fare a meno di essere curiosa, Regina controllò sul campanello dell’appartamento, e lo ritrovò, insieme a ‘Nolan’  e ‘Whale’ . imbarazzata dalla propria invadenza, si sistemò il vestito e entrò nel suo appartamento, pensando che quella porta aperta dovesse significare che le sue coinquiline erano in casa, e pensando che, se non altro, non le avrebbero dato problemi. Sua madre aveva verificato che non dovesse condividere l’appartamento con gente che non le sarebbe piaciuta o, ma questo era contro la politica stessa del campus, con dei ragazzi.

Appena aprì la porta, Regina si trovò di fronte una ragazza dai lunghi boccoli castani con dei libri in mano, che, a giudicare dal cappotto che indossava, sembrava intenzionata ad uscire. Un sorriso raggiunse gli occhi non appena vide Regina, e i libri vennero appoggiati su un tavolino all’ingresso, mentre la invitava ad entrare.  “Tu devi essere Regina! Io sono Belle, vieni, ti aiuto a portare le valigie.” Tutto quell’entusiasmo le sembrò per un attimo fastidioso, ma apprezzò la gentilezza della sua compagna, sperando che la ragazza non sprizzasse sempre così tanta energia da ogni poro della pelle. Appena ebbero portato le valigie in una stanza in fondo al corridoio che Belle aveva indicato a Regina, da un’altra stanza uscì una ragazza bionda, che lanciò un’occhiata a Regina e sorrise a Belle in cerca  di una conferma, per poi dare il benvenuto alla nuova arrivata con un abbraccio e presentarsi come Kathryn.

Con molto sollievo di Regina, le compagne di stanza la tennero impegnata per conoscerla solo per una mezz’oretta, poi avevano entrambe da fare: Belle doveva correre in biblioteca prima che chiudesse (il martedì aveva orari diversi dagli altri giorni e teneva aperto solo due ore, che per di più cambiavano ogni settimana e dovevano quindi essere controllati ogni volta sulla bacheca scolastica), invitò Regina ad andare con lei, ma poi si rese conto che la ragazza era appena arrivata e che poteva aver bisogno dei suoi spazi, mentre Kathryn, che era al secondo anno, aveva un esame da preparare ed era molto indietro con lo studio.

Così Regina sedette sul letto e lesse tutti i fogli che le erano stati consegnati in segreteria, si annoiò a morte nel leggere tutto il regolamento, per lo più composto da regole scontate o assurde (come, ad esempio, l’espulsione di qualunque ragazzo fosse stato trovato in compagnia di una ragazza scalza), che le tolsero tutto il buonumore con cui la sua esperienza era iniziata. L’unica buona notizia era che, prima delle lezioni, a cui mancavano ancora due settimane, ci sarebbero stati dei corsi facoltativi aperti a tutti gli studenti, che la giovane studentessa entusiasta aveva tutte le intenzioni di frequentare. Cominciò a disfare le valigie, ma siccome aveva intenzione di andare a correre prima che facesse buio, disse a Kathryn che sarebbe rientrata entro un’ora e mezza e uscì per allenarsi. Scoprì che nel parco c’erano diversi percorsi da seguire quando si correva e pensò che prima o poi avrebbe dovuto provarli tutti, ma per quel pomeriggio pensò che fosse una buona idea seguire quello che non entrava nel bosco vicino. Attraversò quindi il meraviglioso parco e si sorprese nel notare quanti altri studenti avevano la sua stessa abitudine. Li osservò tutti, prima di continuare a correre tra le vie del campus, per conoscerlo un po’ meglio. Evitò solamente una strada perché notò che due figure in lontananza stavano litigando e non volle rovinarsi la corsa, sapendo che qualunque cosa avesse sentito le sarebbe rimasta in mente tutta la notte come un mistero da risolvere. Lasciò che ancora un po’ d’aria le scivolasse sul viso mentre ritornava a quella che presto avrebbe chiamato ‘casa’.

[N.d.A. : Buonasera a tutti!
Non ho molto da dire se non che questo capitolo è la storia più lunga che io abbia mai scritto e proprio per questo opinioni/critiche/pomodori virtuali sono persino meglio accetti del solito. Questa frase fa proprio schifo. Comunque aggiornerò il prima possibile, che spero sia molto tardi, altrimenti vorrebbe dire che ho lasciato da parte tutto quel che dovrei fare per scrivere questa fanfiction.
•Sofia

"Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”
Mentre le leggi per cui i minori non possono viaggiare a piedi nudi con un adulto in un auto sono texane.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Arrivò nella grande aula che avrebbe ospitato le lezioni di quel giorno e restò colpita nel vedere quanti studenti erano presenti: sembrava non esserci neanche un posto libero, e Regina pensò di tornare a casa. Le altre due giornate di lezioni a cui aveva partecipato non avevano avuto una così grande partecipazione, ed erano tenute da relatori esterni, così aveva pensato di non dover arrivare molto in anticipo per la lezione tenuta da un interno. Evidentemente si sbagliava, e, pensò, sarebbe dovuta arrivare in anticipo a tutte le lezioni dell’anno visto che quel professore, Mr. Gold, non era solo il dirigente scolastico, ma anche il suo insegnate di anatomia. Si stava già ideando un intero semestre di lezioni seguite in piedi quando si sentì chiamare e notò le compagne di appartamento in prima fila. Non aveva ancora conosciuto bene le due ragazze, avevano fatto un paio di pranzi insieme, ma si conoscevano da quattro giorni e Kathryn sembrava sempre troppo impegnata a studiare, mentre Belle passava quasi tutto il suo tempo in biblioteca quindi quel gesto arrivò quando meno se l’aspettava, e lo gradì molto. Una di quelle sere, quando Kathryn avrebbe finalmente dato l’ultimo esame che le era rimasto da dare dall’anno precedente, Belle aveva promesso che avrebbero passato la serata tutte insieme, e Regina era stata contenta di aver trovato delle compagne di stanza gentili, carine e per nulla invadenti. Pensò, mentre si avvicinava loro in quella stanza affollata, che quell’anno, almeno per quanto riguardava loro, sarebbe andato a meraviglia.

“Tutto merito di Belle, è arrivata almeno un’ora in anticipo! Fosse stato per me, non avremmo mai trovato un posto a sedere, soprattutto in prima fila!” Belle arrossì un po’ mentre Kathryn elogiava la sua puntualità e Regina la ringraziava, e, per sua fortuna, un attimo dopo cominciò la lezione e tutte si voltarono, pronte a seguire attentamente quel corso che si prospettava molto interessante. Le tre ragazze seguirono ogni parola, ma mentre Kathryn, avendo già seguito le lezioni per un anno, non aveva difficoltà nel capire tutto quello di cui Mr. Gold parlava, e Belle non mostrava alcun dubbio, il che fece pensare a Regina che quest’ultima avesse già cominciato a studiare, a Regina sembrava tutto molto poco chiaro e nonostante si sentisse terribilmente in colpa, non poté fare a meno di distrarsi. Iniziò a giocherellare con la matita, pensò agli altri corsi che aveva frequentato e a quanto poco mancasse all’inizio delle lezioni. Sapeva che non si sarebbe potuta permettere nessun errore, che avrebbe dovuto essere una studentessa modello e raggiungere sempre i migliori risultati, e sapeva benissimo che distrarsi durante quella lezione era un pessimo inizio, ma, semplicemente, dopo un’ora e mezza non era più riuscita a seguire quella spiegazione. Dopo circa mezz’ora da quando aveva smesso di seguire aveva cominciato a guardarsi intorno. Cercava dinon farsi notare dal professore, ma essendo in prima fila non era possibile che questi non la vedesse. Guadando le altre persone sedute nelle prime due file, notò che sembravano tutti molto attenti, e che probabilmente lei e Belle erano state le uniche due folli ad andare prima ancora di aver frequentato le lezioni in quel campus. Notò però una ragazza bionda che, in seconda fila, nell’altra metà della sala, sembrava distratta quanto lei, e si accorse anche che la giovane, ma che sicuramente era qualche anno più avanti di lei all’università, nonostante sembrasse aver sonno, era anche brava a fingere di non essersi del tutto distratta dalla spiegazione.

Regina si voltò rapidamente verso il professore, mentre nella sala calava il silenzio e Mr. Gold fissava il proprio sguardo proprio sulla ragazza che Regina stava fissando qualche secondo prima. Gli occhi verdi della bionda si alzarono rapidamente, senza mostrare alcun segno di stanchezza, e guardarono l’insegnante, pieni di sicurezza. “Saprebbe dirmi di cosa stavo parlando, Signorina Swan?”

Il sorriso beffardo della studentessa fece partire una serie  di mormorii che non si spensero fino a fine lezione, e fu seguito solo da una risposta rapida e articolata della giovane e da un rapido cenno di approvazione del professore, che, severo, riprese a spiegare. Regina fu certa, però, che prima che la spiegazione riprendesse lo sguardo del professore si fosse posato su di lei, in un gelido e istantaneo rimprovero, che l’aveva lasciata immobile per il terrore fino alla – per fortuna non molto distante – fine della lezione. Appena aveva potuto, aveva lasciato l’aula, in imbarazzo e un po’ spaventata, dubitando che avrebbe partecipato alla lezione del pomeriggio, e certa che non si sarebbe seduta in prima fila una seconda volta.

Andò rapidamente a casa solo per cambiarsi e uscire a correre. Non riusciva a restare ferma a pensare e la turbava il modo in cui i cinque minuti nei quali aveva guardato la ragazza e il professore aveva voluto provare a metterla in difficoltà le avevano dato un senso di insicurezza che non riusciva a scrollarsi di dosso. Si sentiva tesa e nervosa, e le servì più di un’ora di corsa per sentirsi meglio. Si fermò solo quando l’mp3 suonò, avvisandola che la batteria era scarica, rendendosi conto di essere anche stanca. Non avendo alcuna intenzione di tornare all’appartamento e di spiegare a Belle e Kathryn quel fastidioso senso di inadeguatezza che il professore aveva causato in lei, sedette semplicemente nel prato e si guardò intorno. Cominciò a fare stretching, un po’ per evitare che tutti i muscoli le dolessero il giorno successivo, un po’ per rilassarsi, per non pensare a niente, e per potersi guardare intorno senza essere notata. Si sentiva un po’ sciocca, ma osservare gli altri impegnati nelle loro vite era una cosa che l’aveva sempre divertita molto, le piaceva notare i dettagli e i piccoli gesti che caratterizzavano le persone. I pochi amici che aveva avuto erano per lei un insieme di caratteristiche e movimenti che sembravano impercettibili per tutti gli altri, piuttosto che persone reali, complete.

Vide Swan passare, per fortuna su una strada abbastanza distante dal punto in cui era seduta, seguita da un ragazzo con i capelli scuri che ci stava palesemente provando, e non poté trattenere un sorriso nel notare che la bionda non sembrava dargli molta retta. Non sapeva perché si fosse soffermata a guardarli, ma non le piacevano il giubbino di pelle, la barba incolta e la sicurezza che quel ragazzo ostentava.  Sembrava così sicuro di sé, così confidente nel proprio fascino, così abituato a piacere, che probabilmente non si accorgeva neanche di non essere affascinante, ma piuttosto fastidioso. Ragazzi simili erano purtroppo una specie decisamente non in via d’estinzione.
Si alzò con l’immagine di quella ragazza che sembrava padroneggiare il mondo davanti agli occhi, e tornò a casa, correndo sovrappensiero, senza notare nient’altro intorno a sé.

Belle e Kathryn non le chiesero nulla riguardo alla sua assenza dalla lezione di Gold di quel pomeriggio, e lei non raccontò nulla, sperando che fosse passata inosservata quella sua fuga improvvisa e immotivata, e desiderosa di passare una bella serata con le sue compagne, senza nessuna preoccupazione. Quando propose di guardare un film insieme, però, le due si scambiarono uno sguardo, prima che Kathryn sussurrasse, con un sorriso malizioso, “Per questa sera, ti aspetta una sorpresa!”
Le dissero di prepararsi a uscire, senza nessun tipo di abbigliamento in particolare, e risero un po’ nel guardare Regina, indecisa riguardo a come vestirsi, tormentarsi nella curiosità. La contemplarono anche un po’ mentre rideva di quello scherzo misterioso, spostandosi con eleganza, sforzandosi di decifrare le loro espressioni e cercando di scegliere in fretta se fosse meglio mettersi una gonna o dei pantaloni.

La portarono davanti alla biblioteca, e da lì girarono l’angolo e si trovarono davanti ad una piccola porta. Entrarono senza la minima esitazione e all’interno trovarono altri ragazzi, alcuni seduti ad un tavolo a giocare a carte, alcuni su un tappeto a chiacchierare, alcuni seduti su un divano a guardare qualcosa alla tv e un paio di coppiette impegnate a baciarsi negli angoli. Belle e Kathryn si diressero verso i giovani seduti sul tappeto, che le salutarono e accolsero Regina esclamando entusiasti “Benvenuta nella Tana dell’Orso!”. Una ragazza bassa e dal viso rotondo, con i capelli corti che le davano un aspetto da folletto aggiunse poi, di fronte allo sguardo turbato di Regina “ È soprannominata così in onore del preside, che ce l’ha gentilmente concessa come ‘luogo ricreativo e di socializzazione’. In sostanza senza di noi sarebbe rimasta qui a prendere polvere.” 

Si fermarono per un po’ a chiacchierare, ma Regina non si sentiva decisamente a proprio agio in mezzo a quegli sconosciuti, e disse che aveva bisogno di una boccata d’aria, prima di uscire per alcuni minuti.

Quella notte aveva una stellata magnifica, e rimase ad ammirare il capolavoro che l’universo è , fino a quando un ragazzo uscì dalla sua stessa porta. Si avvicinò a Regina sorridendo, con quei denti bianchissimi che risaltavano nel  buio della notte e illuminavano anche i suoi occhi blu.

Aveva un pacchetto di sigarette in mano, e ne offrì una a Regina. Scosse la testa, quasi infastidita, con una serie di ricordi che riaffioravano, mentre guardava quel ragazzo portarne una alla bocca.
Tese la mano “Sei Regina, giusto? Io sono Robin, Robin Locksely” 

***

[N.d.A. Buonasera a tutti!  Mi spiace per il fatto che il secondo capitolo sia arrivato così tardi, ma ho dovuto scrivere una fiction per un concorso, che ha ridotto il mio già scarso tempo libero. Al ritardo hanno contribuito una settimana di smalto blu, che mi ha mandata in confusione e mi ha portata a rileggere la mia fanficion ‘Black nails, white smile, blue soul’ (e a chiedermi se soffro di qualche problema per cui invertire i colori rispetto a questa mi disturba) e un computer che decide di aggiornarsi quando io ho tempo per scrivere.

Scusatemi anche per la sfilza di parole inutili che vi ho appena posto come scusa, grazie a tutti quelli che stanno leggendo/recensendo/aggiungendo alle preferite/seguite.
Un abbraccio
•Sofia]
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Nel buio della notte, la sigaretta di Robin risplendeva come un piccolo faro rosso. Regina aveva sempre amato l’odore del tabacco bruciato, il modo in il suo fumo restava sospeso nell’ aria, la delicatezza di quel filo grigio, eppure i ricordi che Robin aveva fatto riaffiorare alla sua mente con quel semplice gesto la ferivano, le facevano male come un milione di chiodi nel cuore. Cacciò di mente quei pensieri, nascondendoli, urlanti, dietro una tenda. Finse di non sentire quel che il suo cervello le stava dicendo.

“Sì, sono Regina. Regina Mills” Le veniva quasi difficile presentarsi così. Era veramente solo ‘Regina Mills’? un nome bastava a definirla? Ogni cosa che aveva fatto parte della sua vita non l’aveva forse forgiata? Le costava fatica limitarsi a porre un nome, dopo il verbo essere, era per lei quasi un insulto, un modo di sminuire quel suo esistere che si estendeva ben oltre quel che agli altri bastava per definirla. In quel momento, persino la sua presentazione come un insieme di malattie le sembrava una descrizione degna.

“E sei solo quello?” Le sfuggì un sorriso, mentre si chiedeva se fosse così facile leggerle i pensieri in viso. Scosse la testa, arrossendo, e sentendosi un po’ infantile.
Anche Robin sorrise, non sembrava per nulla imbarazzato, solo divertito. Il fumo che usciva dalle sue labbra andò verso quel cielo stellato che si riusciva a contemplare così bene in quella stradina in penombra e lui lo seguì con lo sguardo, come se non ci fosse altro attorno a lui. “Sai, Regina, da piccolo amavo guardare le stelle. Mio padre mi portava spesso in campeggio vicino alle foreste e passava con me ore a contemplare il cielo. Mi insegnava i nomi delle stelle e delle costellazioni, mi indicava i pianeti e con un grosso telescopio mi permetteva di passare ore ad osservare la Luna. Ho sempre sognato di poter andare lassù, ma ad un certo punto decisi che mi piaceva il fatto che questo fosse solo un sogno. Non conosco nessuno che ami ogni cosa del mondo in cui vive, e penso che diverse cose della vita nello spazio le odierebbe chiunque. Quindi ho continuato ad osservare il cielo, a perdermici con l’immaginazione. La città di Storybrooke è celebre solo per l’università Nicks e per le meravigliose stellate che si possono osservare solo qui. E tu perché hai scelto di studiare qui?”

Quel ragazzo le aveva fatto una domanda semplice, eppure Regina esitò per un istante, ed ebbe anche la tentazione di non rispondere. “Non lo so. È una buona università e ne avevo sentito parlare bene. Voglio una buona preparazione e voglio essere un buon medico, un giorno. Credo che sia stato un caso, credo che non sia stata una vera scelta.”

“Sì, ma perché qui? Ci sono decine di università al pari di questa, e ce ne sono decisamente meno di livello ancora superiore, università che chiunque vorrebbe frequentare, se fosse solo la preparazione a contare. Nessuno arriva alla Nicks per caso, a meno che sia una seconda scelta, e non mi sembri il tipo di studentessa che si accontenta della seconda scelta.”

Esplose, come neanche credeva di essere capace “E su cosa basi queste affermazioni? Sulle tue grandi conoscenze di studente del –cosa, secondo anno?- o sulla grandissima stima che hai delle tua abilità di interprete del mondo? È un caso, e la Nicks è un’università come un’altra.”

Si diresse verso la porta da cui erano usciti, cercando di clamarsi e di non arrossire.

“Scusami! E comunque sono al terzo anno!”

Idiota.

Rimasero a chiacchierare per un po’,  Regina scoprì che Belle aveva già studiato tre quarti del programma di quell’anno, ma anche che era l’unica ad aver aperto i libri. Kathryn si era allontanata per un po’ con un ragazzo che la morettina che le aveva spiegato il significato della Tana dell’Orso le disse chiamarsi David. Lei si presentò come Mary Margaret, secondo anno, scienze politiche, facendo notare quanto poco numerosi fossero gli studenti del suo corso in quella scuola.

Regina e Belle se ne andarono presto, ma prima che arrivassero a casa, Belle disse di aver dimenticato la borsa nella Tana, e tornò indietro.

Mentre entrava nell’appartamento 108, Regina notò che dalla finestra, lasciata aperta, entrava della musica forte, ritmata, ed andò ad affacciarsi. Dal suo davanzale non poteva vedere molto in quella direzione, ma notò una finestra illuminata e molte persone che ballavano in un edificio nel terzo anello rispetto alla piazza principale. Anche se per un attimo tutto le sembrò normale, continuò a fissare quel quadrato illuminato, che le sembrava una finestra su una vita diversa da quella che conosceva, più che una che dava sull’interno di un appartamento. Combattuta tra il desiderio di prendere parte a quei festeggiamenti e il disprezzo, che riconosceva meglio, per quell’utilizzo del proprio tempo così lontano dalla sua realtà, notò, sul tetto di quello stesso edificio, una sagoma scura. Sembrava una ragazza, ma, da quella distanza, Regina non avrebbe saputo dirlo con sicurezza. Quella figura solitaria aveva qualcosa di familiare e di misterioso, di affascinante. La vide voltarsi, forse nella sua direzione, e poi guardare di nuovo un punto imprecisato dell’orizzonte.

Belle entrò, salutandola, e lei picchiò la testa contro l’anta aperta verso l’alto della finestra. Belle, stranamente, non chiese niente riguardo a quel che Regina stava osservando fuori dalla finestra, evitandole l’imbarazzo di ammettere di essersi ritrovata a fissare la vita degli altri dal davanzale, e andò in camera sua, canticchiando sottovoce.

Il giorno successivo cominciarono le lezioni, e, dopo colazione, Regina e Belle uscirono presto, volendo arrivare puntuali. Avrebbero cominciato la mattinata con le lezioni di biologia e nel pomeriggio avrebbero avuto anatomia. Regina era un po’ preoccupata che il professor Gold avesse notato il suo comportamento alla lezione precedente e sperava di non aver iniziato l’anno con il piede sbagliato, ma era anche pronta ad avere un anno estremamente difficile a causa di quella sua fuga durante la conferenza, e si era rassegnata che, se il professore avesse notato la sua distrazione e la sua fuga, quell’anno avrebbe dovuto dare il massimo nella sua materia per dimostrargli di essere una buona studentessa. Era sicura che ce l’avrebbe fatta, grazie alla sua buona memoria.

Le lezioni del mattino furono facili e durante la pausa pranzo sedette con  i ragazzi che aveva incontrato alla Tana dell’Orso, cercando di distrarsi e di scherzare. Quando in mensa passò Emma Swan – e tutte le teste, rapide, scattarono nella sua direzione – Regina la ammirò quasi spaventata, ripensando all’episodio di qualche giorno prima. E per un istante, le sembrò persino che Emma Swan la stesse guardando. Poi l’incanto che la bionda aveva portato nella stanza svanì, e tutti ripresero le loro conversazioni, mentre Regina fingeva che quei pochi secondi fossero già dimenticati, che quell’ingresso non avesse avuto alcun effetto su di lei.

Lasciò che Belle andasse in prima fila da sola, e prese posto in quarta fila, sulla sinistra, durante la lezione di anatomia, sperando di non essere notata. Seguì per tutto il tempo con la massima attenzione, ma non poté fare a meno di avere i brividi quando le parve che il professore la stesse guardando. Alla fine delle due ore, le ci volle un attimo per alzarsi dalla sedia, e vide tutti gli altri andar via velocemente, mentre cercava di preparare la borsa, cosa che le risultava difficile, visto che le tremavano le mani. Mr. Gold le passò accanto, e si fermò per un istante, guardandola. Si pentì di aver indossato una gonna al ginocchio, che in quel momento, sotto quello sguardo,  la fece sentire nuda. Le parole uscirono come un sussurro dalle labbra dell’insegnante “Signorina Mills! È un piacere vedere che ha seguito le orme di sua madre Cora. Spero solo che anche lei sia all’altezza del grande medico di cui porta il cognome”. Detto questo, se ne andò, lasciandola di stucco.

Tornata a casa, Regina cercava in tutti i modi di cominciare a studiare, ma le parole di Gold continuavano a tornarle in mente. Se il professore conosceva sua madre era chiaro che l’aveva riconosciuta non appena l’aveva vista – lei stessa aveva ammesso, vedendo le foto di Cora da giovane, che erano praticamente identiche – ma perché sua madre aveva voluto che avesse quel professore, perché non le aveva detto che conosceva il preside? Non era già abbastanza che la figlia seguisse le sue orme?

Regina decise di andare a correre per distrarsi un po’, ma non appena chiuse il libro un fogliettino verde smeraldo scivolò sul pavimento. In nero, con una calligrafia elegante, ma assolutamente anonima, c’era scritto “Spero che stasera tu non abbia impegni. Edificio 37, appartamento 225”

[N.d.A. Buongiorno! Ancora una volta mi devo scusare, mi spiace moltissimo impiegare così tanto tempo a pubblicare, ma di nuovo sono stata veramente impossibilitata (basti pensare che gli ultimi 10 giorni li ho passati senza computer…) A questo punto mi sa che dovrei decidere se abbandonare la storia o metterla in pausa, continuare ad aggiornare con ritardi mostruosi rispetto ai miei obbiettivi o scrivere capitoli lunghi la metà, ma nessuna delle opzioni mi piace. Vi prego quindi di scusarmi davvero, perché faccio del mio meglio e vorrei davvero riuscire a pubblicare ogni 10/15 giorni.
Grazie a tutti quelli che leggono e grazie ancora a chi recensisce, mi scaldate sempre il cuore
Un Abbraccio

•Sofia
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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quel bigliettino la sorprese più di qualunque altra cosa successa dal suo arrivo alla S.Nicks, e le fece dimenticare, almeno per il momento, il fatto che sua madre e il suo insegnante di anatomia, nonché preside della sua scuola si conoscessero. Guardò l’orologio e si chiese cosa intendesse il misterioso mittente per ‘sera’. Avrebbe dovuto dire a Belle e Kathryn dove stava andando? No, sarebbe stato meglio evitare. Sarebbe dovuta andare? Se l’edificio 37 era quello che pensava, sì, sarebbe dovuta almeno andare a dare un’occhiata.

Decise di aspettare almeno le dieci per presentarsi all’invito, ma uscì di casa anche qualche ora prima, per vedere il numero all’ingresso dell’edificio da cui aveva sentito provenire la musica, la sera precedente. Non avrebbe saputo dire cosa aveva provato quando aveva letto un  “37” in metallo dorato, un po’ consumato dal tempo. Non capiva chi e perché qualcuno l’avesse invitata lì, era lusingata dall’essere invitata nell’edificio nel quale venivano organizzate feste tanto rumorose e piene di vita da essere sentite anche negli appartamenti a centinaia di metri di distanza, ma temeva un po’ quel movimento sfrenato che aveva visto dalla finestra la sera precedente, temeva di non essere abbastanza sicura di sé per entrare in quel piccolo universo a lei sconosciuto all’interno di una scuola che già conosceva poco. In fondo, però, sapeva di essere troppo curiosa per poter rinunciare a scoprire chi l’avesse invitata e di voler provare quel divertimento, quella leggerezza, quella spensieratezza che sembravano provenire da quel luogo quando pieno di persone. Quel pomeriggio, guardando la casa, non l’avrebbe detta in nulla diversa dalle altre.

Le ore passarono in fretta e Regina dovette decidere cosa indossare. Optò per una  canottiera lunga, elegante, con dei jeans scuri e scarpe da passeggio, per non essere troppo distinta, ben sapendo, però, che quei vestiti le davano un aspetto più slanciato, che le infondeva sicurezza. Uscì dopo Belle e Kathryn, alle quali disse solo che avrebbe studiato ancora un po’, ed arrivò sotto l’edificio quando la musica era cominciata da poco meno di un’ora. Trovò la porta dell’edificio aperta, ed entrò, raggiungendo in fretta l’appartamento 225. Anche lì, la porta era aperta, ma perché c’erano persone che continuavano ad entrare e uscire, chiacchierando, molti bevendo.

La tromba delle scale era illuminata, mentre la festa era piuttosto buia, le uniche lampade avevano luci blu o viola e le diffondevano in modo da dare l’impressione che non stessero veramente illuminando, ma piuttosto che quello sprazzo di luce scura fosse una componente stessa dell’aria. L’atmosfera era tanto caotica che Regina non avrebbe nemmeno pensato che in un appartamento del campus fosse possibile creare un ambiente così innaturale. Le sembrava di essere precipitata nella casa di una qualche strega, o in un abisso, e vedeva tutti attorno a lei muoversi di un movimento che doveva essere una danza, ma che sembrava impossibile cogliere. Più che un ballo sembrava uno sfogo, sembrava emozione lasciata libera in quell’aria viola, sembrava un insieme di gesti naturali e abituali, che solo creature di natura separata da quella umana potevano compiere.
Impiegò alcuni minuti per rendersi conto che, in mezzo a quell’elegante movimento, non tutti stavano ballando. Alcune persone, come lei, camminavano e basta, o parlavano, e, adattando la vista, si potevano scorgere alcune coppiette impegnate ad allenare la lingua negli angoli dell’appartamento.

Quell’atmosfera la stava rendendo un po’ curiosa, ma anche un po’ spaventata. Per qualche secondo, le venne persino voglia di ballare, ma si trattenne, come aveva sempre saputo fare benissimo. Passò poco tempo e Robin comparve di fronte a lei, con un sorriso smagliante e una birra in mano. In un primo momento, si spaventò, e per un attimo pensò che l’invito fosse di Robin, ma quando questi esclamò, quasi urlando “Regina! Non mi aspettavo di vederti qui! Come va?” capì che non ne sapeva niente.

Le fece cenno di seguirlo, e Regina decise che forse poteva essere utile, se conosceva chi aveva dato la festa. Robin, decisamente alticcio, le raccontò che quelle feste c’erano da quando lui era arrivato alla Nicks, e che a organizzarle erano un paio di ragazze del suo anno, che però lui non conosceva bene. Aggiunse un sacco di inutili dettagli su come le feste avessero iniziato presto ad aver successo e a come le due – bellissime –  ragazze erano subito diventate popolari e amate da tutti gli studenti, nonostante fossero al primo anno.  A Regina sembrò quasi un bambino, quando si mise a raccontare di quanto fosse concentrato sui suoi studi e sulla sua passione per le stelle quando le prime feste erano state date e che, qualche volta, ci era andato solo per poi dileguarsi sulla terrazza dell’edificio.
In quel momento a Regina venne in mente la figura che aveva visto la sera prima, e pensò che anche lei, prima di andarsene, avrebbe dovuto fare un giro su quella terrazza.

Passò ancora un po’ di tempo con quel ragazzo, e lui, dopo circa un’ora, la invitò a ballare. In un primo momento, Regina pensò che stesse scherzando, ma poi Robin la trascinò in pista e non le restò che da seguirlo, con una risata. Regina non sapeva bare, ma Robin era abbastanza bravo per entrambi: sapeva guidare i movimenti di Regina, e, pur sfiorandola solamente, riusciva a non farla sentire sola in mezzo a quel gruppo di ballerini, che le davano la sensazione di essere la persona più goffa del mondo e la avrebbero messa continuamente a  disagio, altrimenti.

Ballando si divertì. Le sembro che il tempo non esistesse, le sembrò che non ci fosse nulla di importante al di fuori del muoversi in quel salotto così vivo e pulsante, e pieno di persone che da un momento all’altro avrebbero potuto fermarsi e giudicarla. Si sentì come e tutte quelle persone fossero come lei, e come se la conoscessero e la apprezzassero. Sentì una forma di libertà, conquistata con una fuga da qualunque preoccupazione, che non credeva possibile senza un’alterazione dovuta a qualche sostanza esterna a lei. E amò pensare che tutto quello fosse arrivato solo da lei.
Poco prima che smettessero di ballare – Regina non avrebbe saputo dire né come avevano fatto a smettere, né come erano riusciti a ballare così a lungo – Robin le si avvicinò, e, rapido, come se volesse invadere il meno possibile quello spazio che sentiamo nostro e personale, le sussurrò in un orecchio “Sono felice di averti incontrata qui”.

E mentre lo stato di euforia diventava quasi come un ricordo potente e vivo, che la faceva sentire serena anche a calma ritrovata, Regina decise di salutare Robin. si fermò e lo guardò un attimo, poi gli prese una mano e stampò un bacio sulle sue labbra, mormorando poi, rapida e confusa, “Ora devo proprio andare.”
Fu grata alle luci particolari dell’appartamento, che nascosero il suo rossore.

Si sentì un po’ in colpa mentre saliva le scale per raggiungere la terrazza. Si disse che quella era una bella serata, lo era davvero.
Fu scossa da un brivido appena mise un piede fuori dall’edificio. Quella notte c’era vento, e la terrazza sembrava il luogo meno adatto in cui rifugiarsi. Dopo un’occhiata veloce, non vedendo nessuno, si voltò per rientrare, pensando che la ragazza salita su quella terrazza la sera prima fosse un’intrepida appassionata di paesaggi notturni o un’illusione, ma sentì una voce alle sue spalle.

“Serve la chiave.”
Si voltò e vide una sagoma scura venirle incontro.
“Per rientrare, serve la chiave.” La prima cosa che vide fu un sorriso che sembrava volersi prendere gioco di lei. Poi Emma Swan apparve con chiarezza ai suoi occhi, in tutta la sua sicurezza e i suoi movimenti eleganti. La guardò per un istante da capo a piedi, con serietà, prima di tenderle la mano. “Benvenuta sull’edificio 37, Regina Mills.”


 [N.d.A. Buonasera ! spero che questo capitolo vi abbia messo un po’ di curiosità, perché, nella sua brevità ( mi scuso, ma non avrei potuto farlo più lungo perché dovevo arrivare proprio qui, ma sto già scrivendo il prossimo, e cercherò di compensare, anche aggiornando prima) aveva questo obbiettivo.
Aver aggiornato dopo 3 settimane è un successo per me, considerato tutto quello che il mondo a fatto per cercare di impedire che avessi successo, e sono estremamente confidente e speranzosa di riuscire a farvi avere iil prossimo capitolo prima del solito. Per l’estate progetto addirittura aggiornamenti super frequenti, visto che poi avrò un mese di totale distacco da ogni tecnologia.
A presto
Un abbraccio
•Sofia]
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Emma camminò fino al parapetto dell’edificio, tenendo la mano di Regina, poi sedette sul bordo e la invitò a prendere posto su uno sgabello di fronte a lei.

Regina fece per iniziare a parlare, a chiedere perché l’avesse invitata a quella festa, a cui, tra l’altro, Emma non partecipava veramente, a dirle che quel posto non era sicuro, e che era pericoloso stare dov’era seduta, a domandare perché fossero lì, in un posto così freddo, ma Emma chiuse gli occhi, e fece segno a Regina di imitarla.

Si sentiva una totale idiota, seduta su una terrazza ventosa, con gli occhi chiusi, di fronte ad una ragazza che non conosceva, in silenzio, però rimase lì, sbirciando, ogni tanto, per vedere se Emma si era spostata. Dopo quelle che sembrarono ore, Regina aprì gli occhi ed Emma lasciò passare alcuni minuti prima di fare lo stesso.

La bionda sorrise, come si sorride a un bambino piccolo, con dolcezza e assoluta calma, senza imbarazzo. Poi allungò le gambe e saltò dal muretto, dandosi la spinta con le braccia. Iniziò a camminare avanti e indietro, poi si fermò, all’improvviso.

“È affascinante. Il vento, voglio dire, è affascinante. Non lo vediamo, ma ne possiamo solo osservare gli effetti. Oppure lo possiamo ascoltare o sentire sulla pelle, e a occhi chiusi sembra quasi che ci avvolga e che sia tutto quel che esiste al di fuori di noi. Forse la magia sta nel chiudere gli occhi, ma nulla riesce a farmi sentire come il vento, solo, su questo tetto.
La prima volta che l’ho ascoltato così, avevo diciassette anni, credo. Ero uscita in giardino a passeggiare, con Neal, il mio fratellino di qualche mese, in braccio. C’era il sole, faceva veramente caldo, e appena uscita di casa potevo solo sentire il rumore del fiume che scorreva al di là della siepe. Cercavo di far addormentare il bambino, ma non ne voleva sapere. Allora gli cantavo qualche canzone sottovoce, in genere qualcosa di sdolcinato e un po’ triste, giusto per calmarlo.

Non avendo successo, cominciai ad allontanarmi dal fiume, e allora sentii il vento addosso. Il primo impulso fu quello di tornare indietro, per non fare ammalare il bambino, ma poi restai immobile. E chiusi gli occhi. In quel buio che mi ero creata, potevo sentire tutto: i miei piedi che avanzavano sul prato, il bambino tra le mie braccia, la sua mano sul mio cuore, i suoi piccoli respiri che si stavano facendo regolari, il sole,  i miei capelli mossi dal vento, il vento che mi avvolgeva. E rimasi lì, mentalmente lontana da tutto quel che conoscevo, e mi sembrava un sogno.”

Emma richiuse gli occhi, per alcuni secondi, poi tirò un sospiro, dolcemente. Regina alzò lo sguardo nella sua direzione, ed esitò un secondo. “Sì, è affascinate, quando qualcuno te lo mostra così.”

Emma le si avvicinò, aprendo le braccia con fare teatrale. “Allora. Regina Mills. Chi sei? Cosa fai in questa scuola? Perché ti è capitato di venir qui stasera? Come mai hai risposto ad un invito senza sapere da chi arrivasse? E soprattutto, chi sei, Regina MIlls? Chi senti di essere e cosa credi determini il tuo essere te stessa?”

“Io….non lo so. Sono regina MIlls, sono Regina Mills e basta. Studio medicina, solo da qualche giorno, in questa scuola. Sono uscita perché invitata ad una festa, probabilmente solo perché ero curiosa di capire chi mi avesse invitata, chi si fosse accorto che ero qui. Io sono solo una matricola, una come tante altre.  Ma piuttosto, perché mi hai invitata a questa festa?” Aveva i brividi. Cercava di sembrare scura di sé nel rispondere, ma di fronte a tutte quelle domande che mai le erano state poste si scoprì confusa, e assolutamente incapace di rispondere. Emma le aveva mostrato quanto fosse insicura, nonostante la conoscesse da soli cinque minuti. O era molto di più? A Regina sembrava di essere appena arrivata su quel terrazzo, ma sapeva che doveva essere passato un bel po’ , anche solo per tutto il tempo che avevano passato in silenzio, senza contare tutto quel che Emma aveva detto. E Regina si rese conto di non aver parlato più di tanto.

“Regina Mills, mi sorprendi. Hai risposto ad una sola domanda su cinque. Di cui una posta addirittura due volte. Ti credevo una ragazza diligente pronta a dar prova della propria preparazione ad ogni interrogazione.” Emma si stava prendendo gioco di lei con una naturalezza incredibile, un sorriso beffardo, la voce scherzosa. “ Prova a prenderne una per volta. Parti dalla più facile. Perché ti è capitato di venir qui stasera?”

Regina si sentì davvero come se un insegnante la stesse interrogando. Raddrizzò la schiena e iniziò a parlare con calma, e forse un po’ di distacco, come se fosse in una classe. A lezione, e sentisse la necessità di essere impeccabile.
“Ho trovato un invito. Non sapevo da chi arrivasse, ma non importava perché comunque non conosco, almeno non nel vero senso della parola, nessuno in questa scuola.  Non mi andava di uscire con le mie compagne di appartamento per andare a chiacchierare un po’ con alcuni loro amici, non sono antipatici, solo…non sono affascinanti. Vorrei passare il mio tempo con persone che catturano il mio interesse, che hanno qualcosa di originale e non sono un modellino ripetuto un milione di volte della stessa persona. Vorrei conoscere me stessa, e so che non sono come loro. Non posso essere come tutti gli altri. E fare qualcosa di diverso può dirmi un po’ di più su di me, non mi dirà chi sono, ma mi fa bene, ne sono certa.”

Emma rimase impassibile per alcuni secondi, poi sedette di nuovo sul parapetto, con le gambe incrociate. Raddrizzò un po’ la schiena, e guardò Regina dall’alto. “Non male. Direi che può andare. Continua, cosa ci fai in questa scuola? Studi medicina, lo so. Eppure, non saprei dirti quanti posti ci sono in cui studiare medicina. Dammi un motivo per cui lo fai qui. Dammi un motivo per essere in questa scuola, uno solo, che non sia il tuo indirizzo di studi.. voglio dire, credo che sia altamente improbabile che tra tutti i posti al mondo tu sia finita qui per puro caso. E se è così, spiega quel caso.”

Regina rimase del tutto interdetta. Perse persino la postura rigida e fiera. Guardò Emma, infastidita dal fatto di trovarsi più in basso della bionda e mormorò “Studio, studio e basta. Mi è stata consigliata, perché è una buona scuola, non lo so neanch’io come mai sono venuta proprio qui. È andata bene al momento della scelta, e basta, credo.”

“Chi? Chi te l’ha consigliata, intendo”

Regina tremava, un po’ di insicurezza, un po’ di rabbia e un po’ per il freddo “Io…credo che non conti. Ecco, credo che non conti per niente. Credo che sia più importante il fatto che qualcuno mi abbia consigliata e si sia preoccupata di indirizzarmi verso la scelta che riteneva migliore.”

“ Okay, tranquilla. Io…sai non so cosa sia importante, eccetto il fatto che ognuno di noi debba capire cosa ritiene importante. Questo è quello che conta, per me.
Sono venuta in questa scuola perché per me ha importanza sentirmi autonoma, separata da tutto e da tutti. Libera, in un certo senso.
Vivo a pochi chilometri da Harvard. E sono stata ammessa, ma poi ho capito che non volevo fare quello che tutti si aspettavano che facessi, non volevo neanche restare lì, vicina a tutto quel che conoscevo. Era una sicurezza, ma mi sembrava anche una prigione dorata. Non mi pentirò mai di essere partita, di aver scelto di studiare lontano, perché amo casa, ma amo anche avere il mio spazio, la mia vita.

Non sono una che dà grandi consigli da sorella maggiore o cose del genere, ma, Regina, non hai bisogno di nascondere i tuoi motivi. Nessuno capita alla Nicks per caso. Per qualunque motivo tu sia qui, mi fa piacere sapere che hai scelto questo posto. Sei in gamba, basta un’occhiata per capirlo.

E visto che te lo starai chiedendo, ti ho invitata perché sei l’unica del tuo anno che si è presentata ad una lezione di Gold, si è seduta davanti, e non ha ascoltato niente. Beh, a parte la tua amica mora, ma possiamo dirci che erano altre le ragioni per cui French non stava seguendo.” Emma le strizzò un occhio, aprì la porta della terrazza e le lanciò la chiave. “Resta qui finché vuoi, poi puoi lasciare le chiavi nella scatoletta all’interno della porta della terrazza. Buonanotte, Regina Mills.”

E detto questo, Emma fece per uscire.

“Un attimo!” Regina si alzò, e richiamò la sua attenzione

“Mmmh-mmh” annuì la bionda

“Le ultime due domande. Non mi hai più chiesto una risposta.”
Rise, e i boccoli dorati svolazzarono nel vento. “Sinceramente, non ho ancora trovato una risposta neanch’io, quindi non mi stupisco che tu non abbia niente da rispondere. Penso sia una di quelle cose che ci chiederemo per tutta la vita. Chi siamo? Fortunato chi lo sa.”

E detto questo, se ne andò con un sorriso, lasciando Regina sola di fronte alla stellata.

[N.d.A. Buongiorno a tutti! Finalmente sono riuscita a scrivere un capitolo in meno di tre settimane, e non avete idea di quanto ciò mi dia soddisfazione
Non ho molto da dire riguardo il capitolo, quindi buon weekend e buone vacanze a tutti!
Un abbraccio
•Sofia

"Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Per un paio di giorni, Regina non incontrò né Emma né Robin. Andando a lezione non aveva visto nessuno dei due, e non volendo parlarne con le sue coinquiline, che già erano infastidite dal suo far finta di niente riguardo la serata di cui non aveva raccontato niente, si era ritrovata a cercare di non pensarci.

Sedeva alla scrivania con i libri aperti sul tavolo, ma la sua mente era sulla terrazza di Emma. Il ricordo di quella notte sul tetto dell’edificio le occupava il cervello con prepotenza: prima di arrivare alla Nicks mai avrebbe pensato di salire su un tetto a ammirare un cielo che si vedeva benissimo anche stando con i piedi a terra. Tutto quello che era accaduto quella sera, alla Regina di qualche mese prima sarebbe sembrato un  film troppo fantasioso perché fosse stata lei a pensarlo: non sarebbe mai andata a una festa senza sapere chi l’avesse invitata, non avrebbe mai preso l’iniziativa di baciare un ragazzo, non sarebbe mai salita sulla terrazza della casa di sconosciuti, senza il permesso di nessuno.

Regina, seduta alla sua scrivania, si chiedeva chi fosse. Non si riconosceva, eppure le piaceva ogni dettaglio di quella sera che continuava a rimanerle in testa, e non se ne pentiva, non se ne pentiva per niente. Non aveva mai provato tante emozioni in una sera, e neanche in una giornata intera. Era felice di non aver bevuto: non sapeva se le sarebbe piaciuto, e temeva che se lo avesse fatto non sarebbe stata in grado di controllarsi, e probabilmente non solo non avrebbe incontrato Emma, ma non avrebbe ricordato con chiarezza la festa e la confusione, oltre che rischiare di fare qualcosa di stupido e di essere scoperta. Probabilmente, con la fortuna che aveva, se si fosse ubriacata sarebbe stato il professor Gold a trovarla barcollante in qualche strada del campus. Le strappò un sorriso l’idea di tutti i guai che si sarebbe tirata addosso, anche se, se mai avesse dovuto affrontare anche solo la metà dell’uragano che l’avrebbe travolta in una situazione del genere, Regina non avrebbe avuto niente da ridere.

Non avrebbe saputo dire che ore fossero quando vide un’ombra alla finestra. Considerato l’altezza a cui si trovava, pensò fosse un uccello che passava, ma quando si voltò e guardò con maggiore attenzione vide qualcosa di bianco attaccato al vetro della finestra. Non avendo messo le lenti a contatto, cercò gli occhiali nel cassetto della scrivania, e riuscì a leggere quel che c’era scritto senza alzarsi.

“Scendi al pian di sotto. “
Certi messaggi non avevano bisogno di una firma, pensò Regina.

La bionda stava appoggiata con la schiena alla parete accanto alla finestra del pianerottolo sotto la stanza di Regina, guardandosi le unghie.
“Cosa diavolo..?”
“No, Regina, non ora. Non chiedermi come ho fatto ad attaccare un foglio alla tua finestra perché la mia unghia sbeccata dovrebbe servirti da risposta.” Raccolse uno zainetto di pelle marrone da terra, mentre parlava, e si sciolse il cucù disordinato che aveva in testa, lasciando ricadere i boccoli biondi sulle spalle. Sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi, mentre diceva a Regina di seguirla.

“Ah, ti stanno bene gli occhiali. Dovresti metterli più spesso.”

“Emma! Non posso uscire così!” Regina si guardò, e indicò il la felpa gigantesca e  i cortissimi pantaloncini sportivi che aveva addosso, mentre cercava di attirare l’attenzione di Emma. La risata della bionda sembrò quella di un bimbo, acuta come il suono di un flauto, cristallina come l’acqua di un ruscello, e delicata, tanto che a Regina parve di sentire quel suono sfiorare delicato la sua guancia.

“Tranquilla, non ti porto ad una festa. Dubito che ci vedrà qualcuno”

Quando uscirono dall’edificio 8, Regina scoprì che Emma aveva parcheggiato la sua auto - un maggiolino giallo,  a cui Regina rispose con uno stizzito “Io su quel coso non ci salgo!”, che venne abbattuto facilmente da Emma quando si avvicinò al suo orecchio, con voce suadente “Fammi sapere come ti divertirai a star chiusa qui fuori: hai dimenticato le chiavi nel tuo appartamento e le tue amiche non torneranno per un bel po’, temo.”

Uscirono dal campus, Emma guidò per un paio di chilometri e alla fine raggiunsero una riserva naturale. La bionda prese uno zaino dal bagagliaio rifiutandosi di dire a Regina cosa ci fosse dentro fino a quando la mora non minacciò di tornare al campus con la sua macchina – perché sì, Emma aveva lasciato le chiavi in auto, e Regina le aveva prese pensando di chiudere il maggiolino, visto che la bionda non sembrava essersene ricordata. Regina guardò compiaciuta il picnic pronto dentro lo zaino di Emma.

Un sentiero portava dentro il bosco, ed Emma riuscì a convincere Regina, che ancora indossava le infradito che aveva in casa, a camminare per un pezzo, e quando si rifiutò di camminare la volle a tutti i costi prendere in spalla, per arrivare in cima ad una collina.

Emma stese una coperta sul prato, invitò Regina a sedersi, e iniziò a guardare l’orizzonte. La mora si tolse gli occhiali e chiuse gli occhi, rimanendo ad ascoltare il vento per un po’.
“Guarda! Regina, guarda!”

La mora aprì gli occhi e infilò gli occhiali più in fretta che poté, ma anche così si perse buona parte dello spettacolo:  Emma le stava indicando un meraviglioso stormo di uccelli che iniziava la migrazione.

“In questo periodo c’è sempre qualcuno in partenza” mormorò la bionda, con lo sguardo distante.

Non passò molto prima che Emma si riprendesse da quel momento di distacco dalla realtà, ma Regina si sentì quasi male nel vederla così turbata. Cercò in tutti i modi possibili di non pensarci e di concentrarsi solo su quella gita.

E tutto fu meraviglioso: Emma aveva preparato un picnic delizioso e sapeva un sacco di cose su quel parco e sugli animali che ci abitavano, tanto che Regina non credeva che avrebbe mai finito di raccontarle di tutto e di più, da tanto era
interessata a quel mondo che le sembrava nascosto ai suoi occhi.

Quando arrivarono al dolce, inizio a piovigginare,  e si ripararono sotto un pino, in attesa che quella pioggerellina fine cessasse. Mangiarono la torta al cioccolato con la schiena appoggiata al tronco del grande albero, un accanto all’altra, osservando i rami sopra di loro. Ad un certo punto, le goccioline cominciarono ad attraversare i rami del loro magnifico ombrello e le due giocarono a chi veniva colpita da meno gocce.

Emma, che era decisamente stata colpita da più goccioline ma non voleva ammetterlo, andò direttamente sotto la pioggia, urlando “Visto? Così vinci tu!” E risero, risero tantissimo.
Regina corse sotto la pioggia, ballò, cantò e rise con Emma, lasciandosi bagnare, senza preoccupazioni, senza pensieri.

Mentre la pioggia calava, andarono ad un lago all’interno del parco. Presero per un po’ il sole sulla riva, ma poi andarono con i piedi nell’acqua ed iniziarono a schizzarsi a vicenda, sollevando l’acqua con le mani, fino a quando, fradice di nuovo, ripresero ad asciugarsi al sole.

Ritornarono quando riprese a piovere, più forte, ed Emma prese un asciugamano dalla macchina, in modo che potessero entrare in auto senza essere anche loro come dei temporali estivi per l’interno della macchina.
Sulla via del ritorno, Emma accese la radio e cantò per tutto il tempo ogni canzone che sentiva. Doveva essere un cd con canzoni scelte da lei, pensò Regina, perché non solo le piacevano tutte, ma le conosceva anche a memoria. Lei guardava un po’ fuori dal finestrino, con la salvietta in grembo e le gambe incrociate, ridendo, ma non osando cantare, questa volta, non conoscendo neanche una canzone.

Arrivarono al campus così, con la musica alta, e sovrappensiero. Regina osservò solo la strada, senza pensare ad altro che alla magnifica giornata fino a quando non arrivarono sotto al suo appartamento. Emma scese con lei dalla macchina, ma con i finestrini appannati non avevano visto il professor Gold in piedi davanti all’edificio 8.

Alla mora si gelò il sangue nelle vene. E anche nelle arterie, alla vista del docente di anatomia. Emma lo salutò senza interesse, Regina un po’ tesa, ma tirò un sospiro di sollievo quando lui ricambiò il saluto senza aggiungere una parola, e se ne andò.

Si salutarono anche loro, Regina ringraziò mille volte e si complimentò ancora per il pranzo meraviglioso. Emma sorrise e la ringraziò per la magnifica giornata.

Le sue compagne di appartamento non le rivolsero la parola se non per rimproverarla per aver dimenticato le chiavi.

Andò in camera a studiare, e trovò cinque chiamate perse da parte di sua madre. Prese un respiro profondo e richiamò.

[Rinuncio a qualunque tentativo di aggiornare puntuale.
Con affetto,
Sofia

"Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


All’inizio della nuova settimana, Robin chiamò Regina. Fu tenero, e cercò di sembrare il più spontaneo possibile mentre le chiedeva di uscire: il giorno dopo ci sarebbe stato un piccolo concerto, di una band quasi sconosciuta, in un locale poco lontano dalla scuola, così le chiese se le andava di andarci con lui.

Regina si sentiva confusa, non sapeva cosa provava per Robin: le piacevano il modo in cui lui le aveva chiesto di uscire e come lui cercava di passare del tempo con lei, di piacerle, di vederla sorridere. Non avrebbe saputo dire le Robin le piacesse, ma le stava simpatico, e pensò che avrebbe potuto passare una serata divertente. Accettò cercando di non sembrare troppo imbarazzata, e si misero d’accordo sull’orario a cui sarebbe passato a prenderla. 

Il pomeriggio del giorno seguente sembrava non passare mai: Regina continuava a cercare di studiare, ma inevitabilmente il suo sguardo tornava al vestito che avrebbe indossato quella sera e lei si sentiva piena di insicurezze. La scollatura non aveva forse qualche centimetro di troppo? La gonna era forse un po’ troppo corta? Sarebbe sembrata goffa con qualcosa che le stringeva così tanto la pancia? Si abbinava con le scarpe? E con la borsa?

Stava impazzendo, quando Emma le mandò un messaggio. La invitava ad uscire con lei, dicendole che voleva farle vedere un posto e che c’era una sorpresa per lei. A Regina si strinse il cuore quando rifiutò. Emma insistette per sapere il perché e, non sentendosela di mentire, Regina ammise di avere un impego di cui preferiva non parlare. Quasi poteva vedere il volto di Emma rabbuiarsi, e fu più volte tentata di chiamare Robin e dirgli che stava male solo per poter andare con Emma. Alla fine, però, decise che sarebbe stato scorretto.

Quando Robin arrivò  sotto casa sua, era ancora in preda ai sensi di colpa, e non aveva mangiato niente perché si sentiva troppo male. Le venne voglia di restare a casa, ma, alla fine, salì sull’auto del ragazzo.
Robin cercò di metterla più a suo agio possibile, le chiese di scegliere il cd da ascoltare, le tenne la mano e chiacchierò, ma doveva aver intuito che per Regina non era proprio giornata. Per fortuna, il viaggio fu breve.
Arrivarono in un posto davvero carino: il locale era piccolo, ma con un grande portico che poteva ospitare molte persone e, oltre il portico, il palco su cui la band si stava già esibendo. Regina e Robin sedettero ad un tavolino, presero un paio di drink e delle patatine, che Regina non toccò, nonostante sapesse che senza cibo non avrebbe retto l’alcol. In realtà, non aveva neanche intenzione di bere più di un drink, quindi non si preoccupò troppo.

Robin cercò di iniziare una conversazione diverse volte, ma Regina continuava a deviare il discorso su quanto la band fosse brava. Quando finalmente si decise a chiacchierare tranquillamente, vide una chioma bionda, inconfondibile, comparire all’ingresso del locale. E decisamente il braccio che stringeva la mano ad una bellissima ragazza asiatica era della stessa persona. Cercò di restare concentrata, Robin le parlava ed era così gentile, ma anche lui si rese conto che era distratta, e non poté fare a meno di accorgersi, dopo un po’, dell’arrivo della bionda.

Passò una mezz’oretta così, prima che Regina si scusasse dicendo che sarebbe andata in bagno. Robin sussurrò rapidamente “Ti prego, resta” e lei, già a un metro dal tavolo si voltò irritata solo per dirgli “Sto solo andando in bagno!” davanti a tutti.

Se ne andò velocemente e ringraziò il cielo che il bagno fosse vuoto. Era nel panico, non sapeva cosa fare.  Alcune lacrime iniziarono a solcarle il viso quando Emma all’improvviso, entrò in bagno e chiuse la porta alle sue spalle a chiave.
Regina non la guardò, si strinse le braccia attorno al corpo e fissò il pavimento. Non sapeva neanche cosa dire. Emma si avvicinò, fastidiosamente lenta e sicura di sé.

“Avresti potuto dirmelo. Devo essere sembrata una completa idiota mentre entravo e ti guardavo a bocca aperta.”

“Io...mi dispiace, sarei venuta con te, se solo me lo avessi chiesto prima. Avevo già preso l’impegno.”

“Quindi voi…”

“Noi chi? Io e Robin?”

“State insieme da molto?” entrambe le voci erano rabbiose, aggressive, ormai.

“Non stiamo insieme. E comunque non so perché t’importi. Chi è la cinese?”

“Mulan è coreana. E…nessuno, non è nessuno, solo una ragazza che questa sera non è uscita con qualcun altro.”

“Quindi non posso neanche uscire con qualcun altro? Devi sapere chi vedo? Mi conosci da così poco. Cosa vuoi sapere di me?”

“Non ho detto niente riguardo alle vostre uscite! Io…sì, sono venuta qui con qualcun altro. E anche tu. È tutto quel che c’è da dire. Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto. Non credevo che sarebbe successo.”

“Non credevi che anche Robin potesse portarmi in un posto così carino? Non credevi che uscissi senza di te? Non credevi, cosa  non credevi?”

Emma tacque, ma continuò a guardare Regina, che, finalmente, aveva alzato lo sguardo. Prese un respiro profondo “Posso almeno fare quello per cui sono venuta?”
Regina fece un paio di passi verso l’uscita, e quindi verso Emma, credendo che avesse bisogno del bagno.

E poi si trovò stretta tra le braccia di Emma, che la stava baciando, delicatamente, con dolcezza. Le labbra della bionda sapevano di lei, completamente. Regina capì che non aveva ancora iniziato a bere. Le sue, invece, sapevano sicuramente di alcol.

Poi pensò a quello che stava succedendo. E si spaventò, e si spaventò del fatto di essersi spaventata. E si separò da Emma, e si diresse verso la porta.

Andò di nuovo al tavolino con Robin, e si scusò, dicendo di non essere stata bene. Robin si offrì di accompagnarla a casa, ma lei disse che potevano restare, che stava meglio. Prese un altro drink, poi lo trascinò tra la folla che si era creata davanti al palco. Bevve e ballò come una folle. Si sentì leggera, altrove, e si dimenticò di tutto.

Ad un certo punto, afferrò Robin e lo baciò con passione. Poi riprese a ballare, cercando di stargli più vicina possibile e muovendosi con lui.

Per sua fortuna, prima che collassasse, Robin la portò via, senza ascoltare i suoi reclami alcolici.

In auto, Regina si addormentò, e fu Robin a prenderla in braccio e portarla davanti alla porta di casa sua. Lì, si svegliò. Si sedette per terra e lo fissò per alcuni minuti, mentre lui la guardava dall’alto, senza capire.

“Mi sono resa ridicola davanti a tutti, non è vero?” mormorò mentre scoppiava a piangere. Robin si sedette accanto a lei e le cinse le spalle con un braccio, confuso e disperato.

Rimasero così per un po’, in silenzio. Robin fu il primo a parlare, alcuni minuti dopo. “Io…pensi che usciremo ancora?”

“Temo di no. Cioè, non lo so. Non so niente ora. Voglio dire, ricordo tutto, so tutto quello che è successo, ma non so cosa voglio o cosa penso. Solo non lo so.”

“Regina, so che può sembrare stupido e magari ti spaventa, ma io vorrei uscire seriamente con te. Vorrei avere la possibilità di conoscerti davvero e…non lo so. So solo che voglio te, e che tutto il resto è confuso.”

Regina si alzò in piedi, di scatto “Io…ho detto che non so cosa voglio perché non so cosa voglio. Non voglio essere misteriosa o cose simili. Voglio solo tempo per me. E non so se ne voglio per te. E forse questo non è il momento migliore per parlare o per pensare perché il mio cervello non sta decisamente dando il massimo, quindi, ti prego, va’.”

“Regina” Robin aspettò che lo guardasse prima di continuare. “Io non so cosa ci sia tra te ed Emma Swan,  non ti chiedo di dirmelo. Mi sono sentito un idiota, stasera , quando vi siete chiuse in bagno insieme, ma credo di conoscerti abbastanza da potermi fidare di te, e sono felice che tu sia tornata indietro. Non voglio che tu abbia paura. Io ci sono e voglio esserci, ma voglio che tu abbia i tuoi spazi, e che tu sia felice. Dammi una possibilità, pe favore.”

“Vattene. Vai a casa e basta.” Mormorò Regina, distrutta, prima di salire le scale e fiondarsi a letto, a piangere fino a quando lo sfinimento la fece addormentare.

[N.d.A. Buongiorno a tutti!
Spero che siate disposti a perdonarmi per non aver scritto per due mesi, e se vi servono delle giustificazioni per farlo, scusatemi perché sono andata in Africa a fare volontariato e non avevo l’acqua potabile in casa, figuriamoci un computer. È stata comunque la cosa migliore della mia vita.
Spero che vi ricordiate ancora la storia (io ho fatto fatica) e che la lettura di questo capitolo vi piaccia. In caso affermativo o contrario potete farmelo sapere nella magnifica sezione recensioni, lo apprezzo sempre.
Sperando di tornare presto, un abbraccio a tutti (soprattutto a quelli che come me, hanno appena avuto il rientro a scuola e che non si sono neanche accorti di essere stati in vacanza tre mesi)
•Sofia
P.S. so che Mulan è cinese. Solo non lo è nella mia storia]
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Emma camminava avanti e indietro, senza smettere di parlare, ma quelle parole non raggiungevano l’orecchio di Regina. Non riusciva a sentire e non riusciva a capire, e non era dovuto all’eco che avrebbe dovuto sentire in quell’edificio enorme, era come se ci fosse un velo tra lei ed Emma, un velo sottilissimo, che toglieva semplicemente un po’ di colore a tutto quel che aveva davanti.

Sentiva i suoi passi rimbombare sulle pareti di quella…chiesa? Sì, sembrava proprio l’interno di Notre Dame, almeno per come ricordava di averla vista a Parigi, ma non c’era la folla di quel giorno, la chiesa era deserta e c’era solo Emma…no, Emma era sparita, ora era Robin a camminare, sembrava un predicatore, vestito di bianco e di nero, forse aveva fatto cambio di ruolo con Emma, anche lei era vestita così fino a poco prima. Doveva essere un discorso molto forte, il suo, si muoveva con una sorta di agitazione, sembrava nervoso, muoveva le braccia, pareva, a volte, arrabbiato. E la folla lo acclamava, ma…quando era comparsa la folla, e perché erano in una piazza ora? La luce del sole le arrivava negli occhi, e non poteva vedere bene.

Sì, c’era Emma, di nuovo, non avrebbe confuso quella chioma bionda con nessun altra al mondo, ma…il fuoco la circondava e perché nessuno l’aiutava? Era su una pira, ma era ancora viva! Le fiamme salivano verso quella figura lontana e Regina sentì il proprio urlo, quel grido disperato che non sembrava neanche poter provenire dalla sua gola.

Le fiamme danzarono davanti ai suoi occhi, in un turbinio luccicante, che sarebbe potuto sembrare un bello spettacolo se non avesse visto quel corpo atletico dimenarsi al centro del fuoco, contorcersi in un’implorazione di pietà.


Regina si svegliò di soprassalto,  nella sua camera da letto, sudata da capo a piedi. Cercò di spostarsi i capelli appiccicati alla faccia, ma le mani, tremanti, non rispondevano.

Scese dal letto, sentendo ogni movimento pesante, come se il corpo non volesse risponderle.  Andò in doccia e rimase lì, vestita, sotto l’acqua fredda che le scorreva addosso. Sentì il suo corpo, in quel momento così estraneo, sussultare. Spense l’acqua e si sedette in terra, portandosi una mano alla fronte. Aveva la febbre, di questo era certa.

Si cambiò il pigiama, ma non asciugò i capelli. Per il caldo, non riuscì neanche a stare a letto a dormire, e si abbandonò invece sul divano.

Così, la mattina dopo, quando Emma arrivò a casa sua, fu Regina ad andare ad aprire. La guardò per qualche secondo, poi cercò di richiudere la porta, ma Emma la bloccò con il piede, e a quel punto Regina sapeva che non avrebbe vinto quella battaglia. Non le restava altra soluzione che farla entrare.

Sedette sul divano da cui si era appena alzata, cercando di tenere una postura composta, che non tradisse il disordine che aveva in testa, e sperando di avere i capelli in ordine, e rimase a fissare la bionda, che le stava di fronte, in piedi.

Per alcuni minuti, che a entrambe sembrarono ore, non dissero una parola. Si osservarono semplicemente a vicenda, come due animali pronti l’uno ad attaccare i punti deboli dell’altro, attente a non lasciare incrociare gli sguardi, neanche quando questi andavano ad accarezzare i tratti del volto che avevano davanti.

Quando Regina fece per aprire la bocca, Emma cominciò a parlare.

“Scusami per ieri sera” e subito fece una pausa. Alzò lo sguardo, i suoi occhi verdi si immersero in quelli color cioccolato di Regina, e qualunque esitazione svanì. “Scusami, scusami, scusami. Scusami se mi sono innamorata di te, scusami per non aver avuto il coraggio di dirtelo, scusami se ti ho baciata senza preavviso, senza chiederti il permesso.

Non avevo programmato niente di tutto questo, non mi sono innamorata di te al primo sguardo e non ti ho voluta conoscere per questo. Ho sempre saputo che eri favolosa, ma non volevo innamorarmi di te.

Scusami se mi sto per mettere a piangere e scusami se sto facendo venire le lacrime agli occhi anche a te.

Scusami, scusami, scusami se sono un completo disastro, scusami se non volevi che ti baciassi, scusami se ho sbagliato tutto.

Ti prego, scusami, ma non allontanarmi.”

Regina si alzò, barcollando leggermente, con le lacrime agli occhi. Fece qualche passo fino ad arrivare a pochi centimetri da Emma.

“No, non ti scuso.” Mormorò

Poi colmò lo spazio tra di loro con un abbraccio, strinse Emma, che la stava guardando con occhi tristi e spalancati, tra le sue braccia, interamente, con i bicipiti distesi lungo il corpo, immobili, lasciati cadere senza speranza. E infilò il proprio viso nell’incavo del collo dell’amica, immergendosi nel suo profumo.

“Scusami per aver avuto paura” sussurrò contro il suo collo “Scusami per averti allontanata, ieri sera. Scusami per averti lasciata scusare, anche se non hai colpa.”

Continuò, alzando il volto, fino a far sfiorare le loro labbra.

“Non andartene, per favore.” Uscì dalla sua bocca come un sospiro, quasi inudibile, come se non ci fosse.

Un attimo dopo, le sue labbra premevano su quelle di Emma. Fu un sollievo sentire di nuovo il suo sapore, quello che la sera prima non aveva cercato di allontanare dalla propria mente. La baciò con ansia, con una fretta quasi aggressiva, senza preoccuparsi di nascondere il desiderio, né di mascherare qualunque emozione passasse nel suo cuore, come aveva fatto fino a pochi minuti prima. Sapeva di essere al sicuro con Emma, si chiedeva solo come avesse potuto dimenticarsene così in fretta la sera prima.

Emma le prese la mano, e, guardando le loro dita intrecciate, assicurò a Regina che non aveva alcuna intenzione di allontanarsi. Le stampò un bacio sulla guancia prima di avvicinarsi al suo orecchio. “Sei bellissima, anche la mattina, con i capelli arruffati e il pigiama da nonna”

“Emma! Non prendermi in giro!” Nonostante le parole di rimprovero, Regina rise, e non accennò minimamente ad andare a cambiarsi.

 Lanciò invece Emma sul divano e si fece abbracciare da lei, mentre cercava di dormire ancora un po’, sperando di riposarsi a sufficienza dopo la notte precedente. La febbre era passata, ma lei si sentiva ancora stanca ed Emma era lì, e non voleva mandarla via. Quando le baciò la fronte, Regina sentì un brivido percorrerle tutto il corpo, scaldato immediatamente da quel contatto tenero e delicato.

Non riuscì a chiudere occhio per alcune ore, ma rimase tra le braccia della bionda a pensare a mille cose.

Immaginò un futuro insieme, immaginò di vivere con Emma e sentire il suo respiro delicato accanto a lei tutte le notti. Immaginò di avere dei figli, e pensò che nessuno di loro avrebbe avuto i capelli biondi e gli occhi verdi di Emma perché i suoi tratti avrebbero sicuramente dominato, per poi rendersi conto che non sarebbe mai stato possibile, e aver voglia di piangere.

Le ritornò persino in mente l’ultima volta che aveva fantasticato così riguardo la propria vita. Quanto faceva male sapere che quelle non potevano che essere illusioni, mentre una volta erano almeno potuti sembrare dei sogni realizzabili.

Decise che era meglio concentrarsi sul presente, e vivere la quotidianità, sperando, sempre, di saper trovare una soluzione a quel che avrebbe voluto non fosse così difficile.

Non voleva arrendersi, non voleva aver paura, non con Emma. Non si sarebbe arresa, mai. Non poteva aspettarsi che fosse tutto facile subito, e non avrebbe dato nulla per scontato. Non lo aveva mai fatto.

Regina voleva solo non pensare alla vita, in quella mattina ancora buia, sdraiata tra le braccia di una persona che per lei significava veramente più di quanto avrebbe potuto immaginare di trovare al suo arrivo a Storybrooke.

Quando il respiro di Emma si calmò, non riuscì a fare a meno di restare a guardarla, così vicina eppure irraggiungibile, immersa in un mondo celato dalle palpebre. Quanto le odiava, sapendo che nascondevano ai suoi occhi gli occhi verdi di Emma.

[N.d.A. E in questa giornata piovosa, ecco finalmente un nuovo capitolo!  Non ho molto da dire, mi dispiace di aver aggiornato così tardi, ma ho veramente cercato di fare il prima possibile…non ho scuse, sono la peggior scrittrice di fanfictions al mondo

Cosa ne pensate dell’ultima parte di questo capitolo, ho esagerato con la negatività? Se sì, scusatemi….spero, nel caso, di aver compensato con il restoJ

Spero che stiate bene e che abbiate ancora un po’ di voglia di leggere!

Un abbraccio
•Sofia

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