Sassolini Sherlolly

di yllel
(/viewuser.php?uid=176795)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sassolino # 1 ***
Capitolo 2: *** Sassolino # 2 ***
Capitolo 3: *** Sassolino # 3 ***
Capitolo 4: *** Sassolino # 4 ***
Capitolo 5: *** Sassolino # 5 ***
Capitolo 6: *** Sassolino # 6 ***
Capitolo 7: *** Sassolino # 7 ***
Capitolo 8: *** Sassolino # 8 ***
Capitolo 9: *** Sassolino # 9 ***



Capitolo 1
*** Sassolino # 1 ***


Ciao a tutti!

Ok... avete presente quando vi entra un sassolino nella scarpa e dite va bene uguale ma dopo un po’ dovete per forza tirarlo via?

Ecco, le mie idee per le one shot sherlolly sono cosi: non nella scarpa, ovviamente, ma nella mia testa... e devo togliermele, per cui ho pensato di inziare una raccolta.

Saranno storie più o meno lunghe e di diverso tenore (nella speranza che io riesca a mantenere il mio proposito), per ora tengo un rating giallo anche se questa prima è decisamente “tranquilla”.

Niente titoli, solo sassolini.

Come sempre, non mi appartiene nulla e scrivo solo per divertirmi (e per divertirvi, spero)



 
 
SASSOLINO # 1

 
 
 

L’atmosfera di casa durante le vacanze di Natale era assolutamente  unica e non replicabile, nemmeno a Baker Street con tutto l’impegno di Mrs Hudson e di John.

Questo pensiero assalì Sherlock Holmes improvvisamente e gli dipinse una smorfia in viso.

Assurdamente sentimentale.

Eppure, trovarsi a casa dei suoi genitori per le festività natalizie aveva un certo innegabile, misterioso e tranquillizzante fascino che non sarebbe mai riuscito a negare del tutto, benchè rimanesse abbastanza fastidioso.

Ed era il secondo anno di fila, quindi aveva anche dello straordinario... almeno per i suoi genitori.

Ma questa volta era tutto diverso, si disse Sherlock lasciando che un lieve sorriso sostituisse la smorfia scontenta di prima: i Watson vivevano nella più completa felicità, ora che il loro matrimonio era stato rinsaldato e l’arrivo della bambina aveva portato l’allegro scompiglio che solo una nascita può portare... lui non aveva in programma di drogare nessuno quest’anno, perchè non ne sussisteva la necessità (e di conseguenza non capiva  sul serio perchè sua madre insistesse  nel non farlo avvicinare alla cucina e continuasse ad annusare bevande e cibi che fino ad ora aveva praparato... come se lui, in caso di bisogno, avesse potuto abbassarsi a replicare lo stratagemma dell’anno precedente!): la faccenda del ritorno di Moriarty finalmente risolta e il perdono ottenuto per gli importanti servizi resi al Regno facevano di quel Natale un Natale assolutamente... ordinario.

O quasi.

“Ecco dove ti eri cacciato!”

La voce di Mary interruppe le sue elocubrazioni, e il tono della donna gli fece capire che il suo momento di riflessione personale e solitaria era purtroppo finito.

“Non ti starai per caso nascondendo, vero?” gli chiese infatti con voce divertita Mrs Watson.

Sherlock strinse le labbra e portò indietro le spalle.

“Ovviamente no” rispose con fermezza.

“Ovviamente no” ripetè Mary con un sorriso avvicinandoglisi un po’ di più, una luce maliziosa negli occhi.

“D’altronde perchè dovresti farlo?” continuò imperterrita “non ne hai nessun motivo, giusto?”

Il consulente investigativo si limitò a fissarla, deciso a non cogliere la provocazione.

Lei ricambiò lo sguardo, poi scosse piano la testa.

“Come pensavo” disse piano “sei terrorizzato”

Sherlock emise un grugnito.

“Dimentichi sempre che io capisco quando stai mentendo... e ti assicuro che non è difficile vedere quanto sei  spaventato in questo momento. Se vuoi una mano, possiamo fare le prove”

Lui alzò un sopracciglio con fare perplesso.

“Le prove?”

Mary annuì.

“Prova il tuo bel discorso con me. Vediamo come hai intenzione di approcciarti... quali parole intendi usare...”

“Non capisco assolutamente di cosa tu stia parlando” ribattè l’uomo.

La Signora Watson emise un gemito di frustrazione.

“Dai Sherlock! Potrebbe esserti utile! Dimmi come hai intenzione di dichiararti a Molly!” la donna battè le mani eccitata “è cosi romantico! L’atmosfera del Natale, questa meravigliosa vecchia casa, la famiglia e gli amici riuniti... neanche tu potresti combinare un disastro, è tutto perfetto!”

Il detective strinse gli occhi e Mary si portò una mano alla bocca nascondendo una risatina.

“Scusa” disse “non intendevo implicare che tu...”

“Non hai un infante da allattare o un pannolino da cambiare piuttosto che annoiarmi con i tuoi discorsi, Signora Watson?”

La donna alzò le spalle con noncuranza.

“Lizzie ha appena mangiato. E John è perfettamente in grado di occuparsi di tutte le sue altre necessità”

Sherlock la scrutò per qualche secondo.

“Avete fatto testa o croce per decidere chi dovesse uscire a parlarmi vero?” chiese infine con un sospiro di esasperazione.

Per tutta risposta, Mary si limitò a ridacchiare più forte.

Per guadagnare un po’ di tempo, il consulente investigativo fece vagare lo sguardo lungo tutto il giardino: nell’aria fredda di fine dicembre la natura riposava e tutto aveva un’aria di serena indolenza, come se l’attesa della primavera fosse un piacevole intermezzo da gustare con calma e tranquillità.

La quiete e la rilassatezza del paesaggio contrastavano con il turbinio di sensazioni che risuonava dentro di lui, sensazioni che poco avevano a che fare con l’attesa e la pazienza; quello era il giorno in cui avrebbe confessato a Molly Hooper di provare dei sentimenti nei suoi confronti, il giorno in cui avrebbe capitolato volontariamente e con piacere alla debolezza della natura umana, che tanto debole in verità non era.

Perchè se c’era una cosa che in quei mesi aveva capito, ancora più degli anni precedenti, era che circondarsi di gente amata non era un segno di disfatta, ma un punto di forza.

E Molly Hooper era la sua più grande forza.

Una costante, discreta, immensa e amorevole forza.

“Sai, mi sono sempre chiesta perchè l’anno scorso tu non l’abbia invitata”

Sherlock tornò a puntare i suoi occhi chiari sulla donna.

“Wiggins disse che se ci fosse stata lei, lui non sarebbe venuto ad occuparsi di voi. Ne aveva troppa paura dopo averla vista all’opera al laboratorio, quando mi ha schiaffeggiato”

Mary sorrise.

“Mmm... può darsi. Ma io penso anche che tu non volessi ferirla ulteriormente, o creare altri motivi per cui potesse essere delusa da te. Potevi drogare i tuoi genitori, tuo fratello e la moglie incinta del tuo migliore amico... ma non potevi drogare la tua patologa”

Di nuovo, Sherlock scelse di non rispondere: a quel tempo lui non si era certo potuto permettere di soffermarsi troppo su ciò che provava per Molly, ma ora si.

Ora era il momento.

La situazione  non esulava purtroppo dal creargli un certo nervosismo, ed era per questo che dopo il loro arrivo si era rifugiato all’esterno per riorganizzare i propri pensieri; avrebbe anche condiviso volentieri una sigaretta con Mycroft, ma suo fratello dopo il caotico assestamento  di tutta la compagnia era stato ancora più veloce di lui ad eclissarsi.

 “Riferisci a John che avete preso un colossale abbaglio e che la vostra preoccupazione è ingiustificata” disse, voltandosi per incamminarsi  verso il bosco.

“Ed è per questo che da quando siamo arrivati questa mattina sei stato cosi sfuggente? Perchè sei assolutamente pronto?

Sherlock arrestò i suoi passi.

“Te lo ripeto, non so assolutamente di cosa tu stia parlando. Chiunque sano di mente vorrebbe sfuggire alla cacofonia presente in quella casa e all’immagine di mia madre che gira come una trottola impazzita”

“Allora perchè ci avresti invitati tutti quanti?” ribattè Mary alzando un sopracciglio per poi scegliere un tono più dolce “È normale che tu ti senta confuso e indeciso nell’approccio e voglia avere un po’ di supporto, è un momento molto importante e vogliamo solo farti sapere che ti siamo vicini. E che siamo molto orgogliosi di te”

Il consulente investigativo si sentì invadere dall’irritazione, ci mancava solo che i Watsons facessero la parte dei saputelli.

Avevano ragione, naturalmente, ma questo non significava che lui dovesse loro confermarlo prima del tempo.

“Possiamo smetterla per favore?” chiese alzando le braccia e la voce al cielo senza voltarsi “l’essere diventati genitori  ha per caso rallentato ulteriormente le vostre capacità cognitive? Non c’è niente di cui essere orgogliosi o preoccupati, ok? Nessun momento importante e nessuna intenzione particolare! È solo Molly... la normale, prevedibile Molly. La patologa timida e con un gusto pessimo nel vestirsi, senza un passato misterioso o propensioni al dramma, se si escludono le sue orrende scelte in fatto di fidanzati. Quest’anno non lavora durante le feste e avrebbe passato un patetico Natale da sola, ho voluto farle un favore, nulla di più!”

Mary scosse la testa, rassegnata al fatto che l’amico non volesse condividere i suoi pensieri con lei.

Sherlock emise un gemito di frustrazione, ora avrebbe avuto bisogno di qualche altra ora per ritrovare la giusta concentrazione per finire di imbastire nella sua mente il discorso da fare alla donna a cui voleva dichiararsi.

Nessuno dei due si accorse della minuta figura che  era arrivata giusto in tempo per sentire l’esplosione frustrata di Sherlock senza recepire tuttavia il resto del discorso, cosa che le aveva riempito gli occhi di lacrime e l’aveva fatta tornare di fretta verso il cottage degli Holmes.

 
 
***
 
 

“Anthea, mia cara, sono sicuro che in qualche parte del mondo ci deve pur essere una crisi che ha assolutamente bisogno del mio intervento e della mia presenza a Londra”

Mycroft Holmes socchiuse gli occhi frustrato alla risposta negativa (e divertita) della sua assistente e rafforzò la presa sul telefono.

“Ne sei sicura? Forse è il caso che tu ricontrolli. Il Sud America è molto instabile in questo periodo, con il fatto che tutti guardano all’altra parte del mondo...” insistette l’uomo.

All’ennesima risposta negativa, l’uomo che era il governo giocò la sua ultima carta.

Implorò.

“Anthea... ti supplico, tu non hai davvero idea di quanto noiose e ordinarie si prospettino queste feste... non ce la posso fare e tu lo sai! Ora, se volessimo parlare di quell’aumento di cui avevamo accennato tempo fa... forse tu potresti essere cosi gentile da trovare un modo per tirarmi fuori di qua...”

Dall’altra parte  il tono di voce cambiò e costrinse Mycroft ad allontanare il cellulare dall’orecchio.

“Certo mia cara...” disse infine rassegnato cominciando ad annuire “la famiglia... molto importante... fortunato. Ovviamente”

L’assistente aggiunse qualche cosa che gli fece tornare il sorriso sulle labbra.

“Mi aspetto che questa promessa sia mantenuta al mio ritorno, mia cara...” sussurrò prima di rimettere l’apparecchio  in tasca e fermarsi a contemplare il nulla davanti a lui.

Due giorni a casa dei suoi con tutta quella gente... per non parlare della bambina, che Mary aveva già tentato di mettergli in braccio tre volte prima che lui riuscisse ad attivare la sua fuga strategica.

Sospirò. Ovviamente non poteva nascondersi per sempre, ma  cercò con lo sguardo il punto migliore per fumarsi almeno una sigaretta e fu allora che si accorse della figura rannicchiata sul gradino più basso del portico.

Fece una smorfia.

La postura e i tratti del viso indicavano chiaramente che Miss Hooper era in uno stato di agitazione misto a tristezza e lui era probabilmente (anzi sicuramente) la persona meno indicata per assisterla, tuttavia il maggiore dei fratelli Holmes non poteva negare di avere una sorta di debole per quella donna, e gli dispiaceva pensare che potesse essere proprio lei a sentirsi la più miserabile fra loro due in quel momento.

“Neanche mamma è indistruttibile. Prima o poi smetterà di affannarsi dietro a tutti e a tutto e di essere cosi molesta nelle sue attenzioni. Tranne che con la bambina, probabilmente.  La progenie dei Watson ha avuto il discutibile onore di far riaffiorare tutte le speranze e le illusioni sul fatto di avere dei figli normali che le possano dare dei nipoti”

Molly alzò lo sguardo sorpresa da quell’esordio e Mycroft ebbe la certezza di non essersi sbagliato: aveva gli occhi rossi per il pianto.

Annuì con un sorriso che sperò essere di incoraggiamento.

“Non c’è nessun bisogno di disperarsi, Miss Hooper. Anche questo Natale passerà. Purtroppo, temo non prima della tradizionale tombola dove ogni estrazione è abbinata ad un assaggio di liquore”

Sul viso di Molly apparve l’ombra di un sorriso e l’uomo si sedette accanto a lei.

“I Suoi genitori sono meravigliosi, Signor Holmes” disse la donna con calma e lui si ritrovò suo malgrado ad annuire.

“Si, purtroppo si. Questo rende tutto più difficile, non crede? Ci si sente praticamente costretti ad assecondarli”

All’espressione di nuovo perplessa della donna che denotava la difficoltà a seguire un pensiero cosi contorto, Mycroft decise di cambiare approccio.

“Presumo quindi che il suo stato di tristezza non sia dovuto al fatto che deve rimanere ancora due giorni qui” disse.

Molly scosse piano il capo, poi sembrò prendere in considerazione un fatto.

“Lei è in debito con me” commentò guardandolo fisso negli occhi.

L’uomo aggrottò le sopracciglia perplesso: era vero, alla finta morte di Sherlock qualche anno prima lui aveva dichiarato che ci sarebbe stata un’occasione in cui si sarebbe premunito di ricambiare l’aiuto che la patologa aveva loro fornito, solo che lei non si era mai preoccupata di esigere la sua ricompensa.

Fino ad ora, a quanto pareva.

“Corrisponde a verità” disse infine.

Molly strinse le labbra e guardò davanti a sè.

“Venire qui è stato un errore” sussurrò “non avrei dovuto accettare”

Mycroft fece un profondo sospiro.

“Che cosa ha fatto questa volta mio fratello?” chiese rassegnato.

Lei scosse il capo.

“Non... non importa. Sono io quella che ha sbagliato, che ha pensato fosse una buona idea. Per favore... mi aiuti a tornare a Londra. Faccia in modo che io debba tornare a Londra”

Mycroft esitò: aveva una mezza idea sul perchè il fratello avesse voluto invitare la sua patologa al cottage dei genitori per le feste, ma ovviamente Miss Hooper non doveva esserne a conoscenza o qualcosa era sopraggiunto a rimescolare le carte.

“Molly...” cominciò quindi, sorprendendo entrambi con quella manifestazione di maggiore intimità, ma lei lo interruppe, gli occhi di nuovo lucidi.

“Per favore... voglio andare a casa” lo supplicò.

Mycroft la osservò per qualche secondo in silenzio, poi annuì.

Peggio per te, fratellino.

 
 
***
 
 

La riorganizzazione del suo palazzo mentale e dei suoi pensieri aveva trattenuto Sherlock all’esterno per più di quanto avesse preventivato, cosi  fu con passo veloce che si apprestò a rientrare in casa.

Voleva parlare a Molly prima di cena e per farlo doveva evitare che sua madre la coinvolgesse nei preparativi.

Scorse subito la macchina scura ferma davanti al cancello e fece una smorfia.

A quanto pareva, Mycroft era riuscito a convincere la sua assistente a creare una crisi internazionale ad hoc per portarlo via da casa.

Fu quasi attraversato da una fitta di invidia, prima di ricordarsi di quanto avesse giudicato positivi i benefici che un ambiente come quello (domestico, amichevole, con delle persone care) avrebbe apportato alla sua dichiarazione a Molly.

Con un ghigno soddisfatto, entrò in casa.

E fu accolto dal caos.

Sua madre si affannava su e giù per le stanze, borbottando qualcosa a proposito di datori di lavoro insensibili e senza cuore, Mary cullava con gesti nervosi Lizzie e lo accolse con uno sguardo perplesso, mentre John non potè evitare di scuotere il capo.

Prima che potesse chiedere cosa stesse succedendo, suo padre scese dalle scale con un trolley in mano.

La borsa di Molly.

“Sul serio non c’è bisogno che si scomodi...” stava dicendo la patologa mentre affrontava i gradini a testa bassa.

Il Signor Holmes alzò la mano con noncuranza.

“Ci mancherebbe, non sarei  cortese se ti facessi portare la valigia alla macchina” l’uomo si fermò in fondo alle scale e aspettò che la patologa lo raggiungesse.

“Ma sei proprio sicura di dover andare?”

Al silenzio di Molly fece un sorriso triste e si affrettò a uscire per caricare la valigia.

Sherlock, che aveva seguito fino a quel momento la scena in silenzio, spalancò la bocca.

Andare???

“Oh! Io non capisco davvero come possano farlo, Molly! Richiamarti in servizio con cosi poco preavviso e a ridosso del Natale!” si lamentò la Signora Holmes “Mycroft! Non c’è proprio nulla che tu possa fare?”

Il figlio alzò le spalle.

“Mamma cara... tu sopravvaluti come al solito la mia posizione. Non vedo come potrei intervenire io, se il Bart’s ritiene di dover richiamare in servizio la Dottoressa Hooper ovviamente ci sono dei buoni motivi, che esulano completamente dalle mie competenze. Il minimo che potevo fare ovviamente era metterle a disposizione una macchina per rientrare più agevolmente”

“E io Le sono molto grata” commentò Molly, prima di alzare definitivamente la testa e scoprire che anche Sherlock era in casa.

“Oh...” commentò distogliendo lo sguardo e stampandosi un sorriso forzato in volto “devo proprio andare, grazie ancora dell’ospitalità Signori Holmes, avete una casa deliziosa”

Dal canto suo, il consulente investigativo stava affrontando un grande, grandissimo momento di panico che si stava risolvendo in uno sguardo vacuo e in un silenzio attonito, il cervello alla ricerca di una spiegazione possibile per l’improvvisa partenza di Molly e, cosa più importante, un modo per trattenerla.

Mary gli si fece vicino e gli diede un discreto ma deciso calcio alla caviglia.

“Fa qualcosa” gli mormorò a denti stretti.

Sherlock parve ridestarsi e scosse il capo.

“Un momento! Non puoi andare!” esclamò a gran voce.

Tutti si voltarono stupiti verso di lui, che deglutì e si attaccò al primo pensiero coerente che riuscì ad elaborare.

“Mamma ha ragione, Molly... non possono richiamarti con cosi poco preavviso, soprattutto considerando quanti turni di festività ti sei fatta in questi anni. Chiamiamo Stamford e gli diciamo che richiami in servizio qualcun altro”

La signora Holmes battè le mani soddifatta.

“Ben detto, figlio mio. Prendi in mano quel telefono e cantagliene quattro!”

“Io devo andare” la voce di Molly Hooper si fece sentire piccola ma decisa e in quel momento Sherlock capì.

Per qualche strano, contorto e impossibile motivo lei voleva andarsene e il richiamo in servizio non era una bugia, era stato creato appositamente.

Con uno sguardo tagliente rivolse la sua attenzione a Mycroft, il quale si limitò ad alzare le spalle di nuovo e a sostenere la sua occhiataccia.

Più tardi.

Più tardi si sarebbe occupato anche di lui e del suo ruolo in quella faccenda, adesso le priorità erano altre.

“Vengo con te”

Gli occhi spalancati di Molly gli rimandarono un’altra scioccante verità: non solo lei non voleva restare e, anzi, aveva chiesto aiuto a suo fratello per architettare una fuga credibile, ma non lo voleva neanche con sè.

La ragazza volse altrove lo sguardo.

“Devi passare il Natale con la tua famiglia” disse.

“Come se me ne importasse” commentò lui irritato.

“Sherlock!” il richiamo deciso di suo padre che era rientrato si accompagnò al gemito di disappunto di sua madre.

Molly strinse le labbra, poi cercò di fare un altro sorriso.

“Torno a Londra da sola, non c’è bisogno di preoccuparsi. Auguro a tutti un buon Natale” fece un gesto con la mano, si avviò verso la porta e la oltrepassò per raggiungere la macchina.

Con un gesto di frustrazione, Sherlock la seguì  sul portico.

“Cosi rovini tutti i miei piani!” urlò preso dal nervosismo.

Molly si fermò vicino alla vettura.

Poi si voltò, gli occhi lucidi per la rabbia e il dispiacere.

“I tuoi piani?!?” chiese allibita.

Sherlock ficcò a forza le mani nelle tasche del cappotto e fece un sospiro, poi annuì deciso.

“Esatto”

Molly si scostò dalla macchina e gli si avvicinò.

“I piani in cui hai deciso di fare un’opera di carità?”

Lui spalancò gli occhi.

“Di che diavolo stai parlando?”

La patologa chiuse gli occhi.

“Ti ho sentito parlare con Mary, prima. Ti ho sentito dire quelle cose su di me... sul fatto che sono normale... e prevedibile. E con dei pessimi gusti in tante cose, a quanto pare... ma almeno quest’anno non avrei passato un patetico Natale da sola, giusto?” fece un sorriso amaro e si morse il labbro per evitare che le lacrime cominciassero a scorrere.

Sherlock imprecò a voce alta.

“Linguaggio, figlio mio!”

Il consulente investigativo strinse le labbra, evidentemente aveva dimenticato di chiudere la porta.

Con un gesto deciso ritornò sui gradini e si ritrovò a fissare amici e parenti: fece loro un bel sorriso, poi afferrò la maniglia e con un gran fragore li rinchiuse in casa.

Poi si voltò di nuovo, in tempo per vedere Molly che stava per salire in macchina.

“Eh no!” borbottò fra sè allungando il passo e arrivando giusto in tempo per mettere la mano sulla maniglia della portiera per evitare che si chiudesse.

“C’è stato un malinteso” esordì.

Dalla sua posizione sul sedile, Molly tenne lo sguardo fisso avanti a sè.

“Ho sentito bene quello che stavi dicendo” mormorò.

“Allora significa che il tuo cervello non ha lavorato abbastanza da poter capire!”

La ragazza spalancò la bocca e si voltò verso di lui.

“Vuoi anche insultarmi, ora?”

Per un attimo, Sherlock rimase interdetto.

Si era prefigurato quindici scenari diversi per la sua dichiarazione a Molly.

Questo non era stato assolutamente previsto.

 “Senti” ricominciò lei con voce rotta “capisco che non sono importante come le altre persone in quella casa, ma questo non significa che tu... che tu debba pensare quelle cose. Se è perchè pensi che sono patetica non dovevi sentirti obbligato ad invitarmi, sono perfettamente in grado di gestire la mia vita e passare le feste da sola, non sarebbe la prima volta e non sarà neanche l’ultima e”

“Oh per la miseria!”

 
 
***
 
 

“Allora che sta succedendo?”

“Un attimo solo, non vedo bene... Mary non spingere! Stanno parlando, lei però è entrata in macchina”

“Myc, se solo tu fossi intervenuto subito...”

“Esatto mamma, diamo sempre la colpa a me della straordinaria inettitudine di mio fratello... e il mio nome è Mycroft!”

“Per lo meno la macchina non è ancora partita...”

“Oh caro... non pensi che la lascerà andare via, vero?  È cosi carina...”

“Fa a pezzi le persone morte”

“Mycroft!”

“E poi regala i suddetti pezzi a tuo figlio, mamma...”

“Adesso basta! John faccia passare me... senza offesa ma sono il più alto, ci vedo meglio”

“Si Signor Holmes...”

“Allora?”

“Oh”

“Oh, che cosa?”

 
 
***
 
 

Sherlock Holmes aveva zittito Molly Hooper nell’unico e più efficace modo che gli era venuto in mente.

“Quindi non pensi che io sia patetica”

L’interruzione del bacio portò a una smorfia di scontento del consulente investigativo.

“No” rispose unendo di nuovo le loro labbra.

“Perchè hai detto quelle orribili cose allora?”

Lui emise un gemito di frustrazione per la nuova interruzione.

“Colpa di Mary” borbottò prima di riprendere quella che aveva appena deciso di eleggere a una delle sue dieci attività preferite.

“Che c’entra Mary?”

Sherlock emise un altro gemito.

“Molly, sto cercando di far si che il nostro primo bacio sia indimenticabile, ma tu stai rendendo il tutto un po’ difficile!”

Alla vista della patologa e delle sue braccia improvvisamente conserte e non più sepolte tra i suoi riccioli (altra cosa  molto gradevole), il consulente investigativo capitolò.

“E va bene. Lei mi stava infastidendo” annunciò.

“Infastidendo?”

Annuendo deciso, Sherlock agitò le braccia.

“Mi ha seguito in giardino perchè lei e John erano convinti che ti avessi invitata con l’intento di dichiararmi!” dichiarò a gran voce “Ovviamente avevano ragione, ma non mi sembrava il caso di dirglielo e cosi ho cercato di sviare i sospetti, ma ero cosi nervoso che ho detto un mucchio di sciocchezze... e ti ho ferita” terminò in tono più tranquillo.

Visto che la patologa era rimasta in silenzio dopo quella spiegazione, il consulente investigativo strinse gli occhi preoccupato.

“Molly?”

 
 
***
 
 

“Si stanno ancora baciando?”

“No... adesso stanno parlando”

“E come parlano? Sono sereni o stanno litigando?”

“Non lo so... nostro figlio agita le braccia e lei lo ascolta”

“Quindi Sherlock sta rovinando tutto”

“John!”

“Ohhhh...”

“Di nuovo? Ohhhh, cosa?!?”

 
 
***
 
 

“Deduco che tu non sia più arrabbiata con me, visto il tuo assalto nei miei confronti... non che mi stia lamentando, sia chiaro”

Questa volta era stato Sherlock a interrompere il bacio iniziato con entusiasmo da Molly, giusto per essere sicuro che fosse tutto a posto.

Molly annuì, poi riprese a baciarlo.

“Come hai convinto Mycroft a organizzare il tuo rientro a Londra?”

Con un gemito di insoddisfazione, lei tornò a guardarlo.

“Ora chi è che sta rendendo difficile il nostro primo bacio?” chiese con una punta di esasperazione.

Sherlock inclinò la testa in segno di attesa.

“Oh, insomma! Mi doveva ancora un favore per averti aiutato nella tua finta morte”

L’espressione di lui si fece scandalizzata.

“E con tutto quello che avresti potuto chiedergli gli hai domandato questo??”

Lei si morse il labbro.

“Ero molto triste... e adesso che ci penso devo davvero rientrare a Londra. Almeno per coprire il turno di stanotte”

Un sorriso apparve sul viso del consulente investigativo.

“E io naturalmente ti accompagnerò, senza che la mia famiglia abbia qualcosa da ridire. Magnifico. Ti rendi conto, Molly Hooper, che stai rendendo il mio Natale meraviglioso?”

“Torneremo domani sera”

Il sorriso si fece meno convinto.

“Dobbiamo proprio?”

Molly annuì decisa.

Sherlock la osservò per qualche secondo per valutare la serietà della sua dichiarazione, poi capitolò con un sospiro.

“Va bene. Ma niente tombola con assaggio di liquore ad ogni estrazione”

“Parla per te, Sherlock Holmes. Io non vedo l’ora di giocare”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sassolino # 2 ***


Nuovo sassolino!
Grazie ancora a chi ha recensito/preferito/seguito. Buona domenica!
 
 
SASSOLINO # 2
 
“Molly!”
La Dottoressa Hooper alzò la testa dal microscopio a cui stava lavorando con uno scatto improvviso, e contemporaneamente si voltò  verso l’entrata del laboratorio da dove il suo nome era stato praticamente urlato.
Sherlock entrò a razzo facendo sbattere le porte contro il muro con forza , dietro di lui John spalancò le braccia d’istinto per evitare che il rimbalzo delle  ante lo colpisse in pieno.
“Che succede?” chiese allarmata la patologa: i tratti del viso e le labbra strette del consulente investigativo rivelavano una pronfonda tensione, ma per tutta risposta ciò che ottenne fu un’altra domanda.
“Dove sei stata?”
Molly si alzò dallo sgabello su cui era seduta e si avvicinò di un passo, uno sguardo confuso sul volto.
“Chiedo scusa?”
Sherlock avanzò  ulteriormente con le mani ficcate nelle tasche del cappotto.
“Dove diavolo sei stata?” chiese di nuovo con la voce alta e in tono aggressivo “Dove eri prima di iniziare il tuo turno quindici minuti fa?”
Istintivamente lei fece un passo indietro, quasi spaventata da quella specie di attacco: rivolse uno sguardo confuso a John, che però si limitò ad alzare le spalle in segno di impotenza.
“Io... io ero qui” rispose piano “Morrison si è ammalato e ho iniziato prima per sostituirlo su un’autopsia. Sherlock, che succede? Perchè sei cosi nerv”
“Dove è il tuo telefono?” l’interruzione arrivò rabbiosa ed ebbe l’effetto di far nascere una forte irritazione in Molly, che si ritrovò a rispondere questa volta con un tono di voce più alto.
“In borsa, santo cielo!” esclamò indicando il tavolo dietro di lei “Mi vuoi spiegare che cos’hai?”
Pe tutta risposta, il consulente investigativo si diresse deciso verso il punto indicato da Molly ed  estrasse il cellulare dalla borsa, lo guardò per un attimo e poi lo puntò con fare accusatorio verso la patologa.
“È in modalità silenziosa. Ed è quasi scarico”
Molly  gli si avvicinò, uno sguardo sempre più irritato sul volto.
“Può darsi, si. Prima di cominciare ho avuto una riunione e ho tolto la suoneria. Devo essermi dimenticata di riattivarla e di controllare la carica, ma mi dici cosa c’è di cosi sbagliato?”
I suoi occhi caddero sul display e si allargarono per lo stupore.
Risultavano una ventina di chiamate e altrettanti messaggi, tutti di Sherlock.
“Mi hai cercata. Mi dispiace, io...” iniziò cominciando a capire, cercando tuttavia di non roteare gli occhi e lasciarsi scappare un sospiro a quella reazione che le sembrava un po’ esagerata.
“Una cosa sola” iniziò però con voce tesa lui “una cosa sola è richiesta, non ci vuole un genio per ricordarsene... la suoneria esiste per un motivo, per essere avvertiti quando si è cercati. Caricare il telefonino è un gesto che qualsiasi idiota può compiere, non capisco quale sia la difficoltà”
“Sherlock...” John aveva evidentemente deciso di intervenire, ma il suo tono che invitava alla ragionevolezza non sortì alcun effetto.
Le mani di Molly si strinsero a pugno per la rabbia, ma si ritrovò incapace di reagire a quella cattiveria e subito dopo Sherlock decise di rincarare la dose.
“Ci si aspetterebbe di meglio da una laureata con un dottorato” urlò di nuovo agitando le braccia “ma a quanto pare questo non mette al sicuro dall’essere degli idioti!”
Molly sobbalzò all’insulto e John decise di farsi sentire  in maniera più energica: si frappose  fra i due e cercò  il contatto visivo con l’amico alzando le mani per invitarlo a calmarsi.
“Sherlock adesso basta!” gli disse con fermezza.
Il consulente investigativo si zittì e rimase a respirare forte per qualche secondo ancora in preda all’agitazione, poi lanciò il telefonino sul tavolo  e con un movimento veloce uscì  dal laboratorio.
Dopo qualche attimo di silenzio John si avvicinò a Molly e le appoggiò con gentilezza una mano sulla spalla.
Lei gli rivolse uno sguardo perso e confuso al limite delle lacrime.
“Mi dispiace, tesoro...” disse gentilmente il Dottore “c’è stata un’altra aggressione a una donna che correva nel parco. E questa volta è stata brutta... la donna è morta. La descrizione parlava di un corpo minuto e capelli castani. Lui...” John fece un respiro profondo “lui ha cominciato a chiamarti subito e non si è calmato neanche quando ha palesemente capito che non eri  tu. Ha visto il corpo ed è rimasto a fissarlo senza dire una parola per un tempo interminabile”
 La patologa si portò una mano alla bocca.
“Avrei potuto essere  io perchè in teoria il mio turno sarebbe dovuto cominciare solo pochi minuti fa” mormorò.
John annuì piano.
“E tu non rispondevi al telefono e non eri a casa. Sherlock è andato nel panico più assoluto... e questo è stato il suo modo di reagire. Non dico che sia giusto ma cerca di capirlo, ok?”
 
***
 
Una persona qualunque avrebbe pensato bene di non ritornare più su di un tetto sul quale aveva affrontato un pericoloso criminale, per poi buttarsi  e fingere un suicidio subito dopo che il suddetto criminale si era sparato.
Ma Sherlock Holmes non era una persona qualunque e Molly Hooper lo sapeva bene.
Dominare Londra con lo sguardo dal tetto del Bart’s aiutava l’uomo a rilassarsi e a concentrarsi e quindi ci andava spesso, restando ore con gli occhi rivolti all’orizzonte.
Dopo aver chiuso con calma la porta che dava sul tetto, Molly si avvicinò piano a Sherlock  consapevole del fatto che lui aveva già colto il suo arrivo, ancora un po’ incerta se questo potesse essergli una cosa gradita  ma determinata comunque a restargli accanto: dopo qualche istante di silenzio e senza il minimo cenno da parte sua gli si avvicinò ulteriormente e lo abbracciò da dietro, circondandogli piano il torace e appoggiandogli  la guancia alla schiena.
Sentì i  muscoli di Sherlock irrigidirsi per un istante e poi rilassarsi impercettibilmente, fino a che le sue mani non arrivarono a coprire le sue e le strinsero forte.
Molly fece un respiro profondo.
“Scusa” mormorò “So che mi raccomandi sempre di tenere il telefono a portata di mano e ben carico, ma questa mattina sono uscita di corsa e mi è sfuggito di mente”.
Sherlock abbassò la testa e di nuovo entrambi rimasero zitti.
“La vittima è stata picchiata dopo essere stata gettata a terra” iniziò infine lui con voce bassa “Trattenuta a forza sul terreno... per qualche motivo ha deviato dal suo solito percorso e il killer la stava aspettando”
Molly rafforzò la sua presa e rimase in attesa delle parole successive.
“Tutto ciò l’ho capito negli ultimi quindici minuti... ho rivisto la scena nella mia mente e ho ricostruito l’aggressione. Ma mentre ero li... mentre guardavo il corpo di quella donna non riuscivo a pensare ad altro che al fatto che potevi essere tu. Alla fine non ti somigliava nemmeno, ma il mio cervello si è rifiutato di andare oltre e ho avvertito questo bisogno di sentirti, questo bisogno di essere  sicuro che tu stessi bene. Ho continuato a chiamarti e richiamarti e non riuscivo a sentire la tua voce”
Il cuore di Molly si strinse di dispiacere al tono basso e spaventato di Sherlock, il quale sembrava incapace di venire a patti con il fatto di essersi fatto condizionare  dalla paura e dall’irrazionalità.
“Amarti a volte è difficile” continuò ancora lui.
La patologa si irrigidì a quelle parole mormorate con una dolorosa consapevolezza, e iniziò provare una sottile paura all’idea che Sherlock volesse rinunciare a loro due per evitare di poter essere in futuro travolto di nuovo dai sentimenti e dalle emozioni.
Finalmente lui si sciolse dall’abbraccio e si voltò: le prese il volto tra le mani e il suo sguardo era talmente profondo e appassionato da colorare i suoi occhi di un blu scuro.
“Ma è la cosa più bella e complicata che mi sia mai capitata e non voglio farne a meno” disse chinandosi su di lei per baciarla.
Molly gli intrecciò le mani nei capelli e si lasciò andare a un sospiro di sollievo quando, finito il bacio, rimasero di nuovo abbracciati, il mento di Sherlock appoggiato sui suoi capelli.
“Non andare più a correre fino a che non lo prenderò”
Nonostante il suo tono di supplica, lei si ritrovò a ad alzare la testa per guardarlo negli occhi e a scuoterla decisa.
“Sherlock, no. Non voglio rinunciare a quello che mi fa stare bene”
Avvertendo una protesta in arrivo, lei alzò una mano e la appoggiò con delicatezza sul suo torace.
“Abbiamo creato apposta il gruppo su Whatsapp... nessuna di noi va mai da sola e ci organizziamo per essere sempre almeno in tre. E sai bene che quando corro il mio telefonino è sempre carico... ci sentiamo sempre con anticipo per essere sicure di fissare orari e percorsi, evidentemente quella povera donna non era in contatto con noi, o non sarebbe successo nulla”
L’espressione di Sherlock si fece attenta.
“Il killer sapeva che sarebbe stata sola...” mormorò.
Molly seguì velocemente il suo ragionamento.
“Quindi ha potuto seguirla e agire indisturbato. Ma come poteva esserne sicuro?”
Un sorriso apparve sul volto del consulente investigativo.
“Non poteva. A meno che qualcuno non gliel’avesse confermato”
“Pensi a un complice?”
“Penso a una complice”
“Che cosa??”
“Rifletti  Molly. Chi meglio di qualcuno che fa parte del vostro gruppo potrebbe aggiornarlo? La vittima ha deviato il suo percorso perchè si sentiva al sicuro... stava correndo con un’altra donna che invece l’ha attirata nella trappola!”
Lei annuì piano.
“Nel gruppo ci sono un sacco di iscritte, non ci conosciamo tutte di persona ma naturalmente ci fidiamo del fatto che siamo tutte donne e quindi a volte capita di correre con delle sconosciute”
Sherlock battè le mani con soddisfazione e sfilò il telefono dalla tasca per azionare una chiamata.
“Lestrade? Dobbiamo fare dei controlli incrociati... si. Sarò da te quanto prima”
Con movimenti agitati si diresse verso le scale per scendere, poi sembrò ripensarci e tornò indietro per baciarla di nuovo  con passione.
“Il caso sarà risolto entro breve!” disse con un sorriso enorme quando si separarono “Io e te insieme possiamo affrontare tutto, Molly Hooper!”
Lei gli sorrise con dolcezza.
“Anche la paura?”
Lui annuì piano.
“Anche la paura”
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sassolino # 3 ***


Ciao a tutti! nuovo sassolino... spero non troppo strano! 
 

SASSOLINO # 3

 
 
“Al Bart’s,  subito!”
Sherlock Holmes si era appena accomodato nella macchina che lo stava riportando indietro dall’aereoporto e dal suo esilio, e il comando rivolto all’autista fu pronunciato in modo secco e deciso.
“Al mio ufficio” la voce altrettanto decisa di Mycroft arrivò a correggere le istruzioni.
Il viso del consulente investigativo scattò verso quello del fratello: i suoi occhi mandavano letteralmente lampi e John e Mary Watson si ritrovarono a fissare i due con curiosità mista a stupore.
Sherlock fece un veloce respiro alla ricerca di una qualche forma di compostezza, ma i suoi pugni chiusi indicavano chiaramente tutta la sua agitazione.
“No” riprese “Voglio”
“Dobbiamo analizzare l’inserto televisivo andato in onda e rivedere ogni particolare di quel giorno in cui Moriarty si è ucciso” lo interruppe Mycroft accavallando le gambe e preparandosi ad essere di nuovo contraddetto.
“Prima voglio vedere Molly” rispose infatti Sherlock “Ho bisogno di essere sicuro che stia bene e devo organizzare la sua sorveglianza”
Mary afferrò con forza la mano di suo marito e la strinse forte, realizzando ancora di più il pericolo estremo che il filmato appena trasmesso poteva celare.
Jim Moriarty, in qualche oscuro modo e per chissà quale  impossibile motivo, era forse  tornato...  e il suo odio per Sherlock Holmes poteva arrivare a colpire tutte le persone a lui vicine.
“Sherlock ha ragione, Molly lo ha aiutato nella sua finta morte” esclamò John ricambiando con decisione la stretta della moglie “dobbiamo assicurarci che quel pazzo, o chiunque si celi dietro a questa cosa, non abbia possibilità di farle del male”
Il Dottore guardò con preoccupazione l’amico stringere con forza la mascella e volgere brevemente lo sguardo fuori dal finestrino, come se sentir qualcun altro dare voce alle sue stesse paure non avesse fatto che aumentarle.
“Ho già provveduto a tutto io” replicò il maggiore dei fratelli Holmes “per cui ora andremo nel mio ufficio e cominceremo a lavorare a questa cosa. Nel frattempo potremo organizzare anche la sorveglianza per il Dottor Watson e sua moglie”
Mary emise un inconsapevole sospiro di sollievo, ma Sherlock rivolse a Mycroft un altro sguardo tagliente.
“Che cosa hai fatto?” gli chiese.
Per tutta risposta, l’altro si limitò a fissarlo e tra i due sembrò svolgersi un colloquio silenzioso al termine del quale Sherlock battè con rabbia un pugno contro il finestrino.
“L’hai mandata via!” urlò con impeto, facendo sobbalzare i due amici seduti in parte a lui.
Mycroft strinse le labbra e non rispose, tuttavia il suo sguardo si fece più in qualche modo sfuggente.
Sembrava si stesse quasi vergognando di qualcosa, pensò sorpreso John... non era possibile, ma l’espressione dell’uomo era un misto tra decisione e rammarico, come se fosse pienamente consapevole di star facendo qualcosa di doloroso ma estremamente necessario.
“Non avevi nessun diritto di farlo, lei è mia moglie!”
John rivolse di scatto l’attenzione verso il suo migliore amico: non era davvero possibile che lui avesse appena pronunciato quelle parole, doveva aver capito male!
Accanto a lui, però, sentì Mary soffocare un’esclamazione di sorpresa e si rese conto che il suo udito funzionava benissimo.
Oh, porca...
“Congratulazioni, Sherlock” Mycroft fece un mezzo sorriso di scherno e riprese la sua aria di sufficienza, il momento di debolezza ormai superato  “hai appena annunciato le tue nozze ai tuoi amici... pessimo tempismo, se mi permetti.  Direi che il momento non è dei migliori per festeggiare” aggiunse guardando i coniugi Watson con rassegnazione “Sono sicuro che quando questa storia sarà finita mio fratello avrà modo di offrire almeno da bere per celebrare la fine della sua verginità e il divorzio dal suo lavoro”
John scosse piano la testa.
“Quando?” riuscì infine a domandare, un tono incredulo nella voce e mille altri interrogativi nella testa.
“Non appena sono uscito dall’ospedale” sussurrò Sherlock, portando inconsciamente la mano destra verso l’anulare sinistro privo di un qualsiasi anello che potesse testimoniare quanto stava dicendo.
Non gli sfuggì l’occhiata di John.
“È stato un matrimonio perfettamente legale, se te lo stai chiedendo... un vero matrimonio” continuò con un sorriso per poi estrarre dalla tasca del cappotto un piccolo cerchio d’oro che però evitò di infilarsi.
Il Dottore non potè evitare invece un grugnito di insofferenza.
“E hai pensato bene di tenercelo nascosto?” chiese con un tono quasi aggressivo.
Sentì Mary accanto a sè sussurrare il suo nome per richiamarlo alla calma con dolcezza  ma quell’inattesa notizia, il fatto che di nuovo l’amico gli avesse taciuto un pezzo cosi importante della sua vita, non aveva fatto che aumentare la frustrazione che in quegli ultimi giorni lo permeava.
“Non era esattamente un buon periodo per voi, o l’hai già dimenticato?” ribattè il consulente investigativo.
John chiuse gli occhi e inspirò a fondo.
“Ma stiamo parlando del  tuo matrimonio, Sherlock!” sbottò infine, rendendosi subito conto di aver pronunciato una frase straordinaria e, fino a qualche minuto prima, assolutamente impossibile.
“Credo che tu possa capire come i motivi per tenerlo segreto fossero assolutamente ovvi. Mi stavo ancora occupando del caso Magnussen e non potevo permettere che Molly diventasse un bersaglio. Riesci a immaginare cosa avrebbe potuto fare quell’uomo se avesse saputo che in verità era lei il mio punto debole?”
“Ti ha aiutato a fuggire dall’ospedale la prima volta che sei stato ricoverato. E per questo a Natale non l’hai invitata dai tuoi...” sussurrò Mary cominciando a collegare i pezzi del puzzle, mentre un improvviso timore si faceva strada in lei.
“Molly non ha voluto sapere il motivo del mio comportamento. Sapeva cosa stavo facendo, ma non sapeva perchè” Sherlock arrivò a fugare le sue paure “il fatto che io fossi convinto di star facendo la cosa giusta per lei era abbastanza”
Mary annuì sollevata: forse un giorno avrebbe potuto condividere con la patologa alcune cose, ma era contenta che la scelta spettasse a lei.
“Le droghe? Janine?” tornò a chiedere John.
Sherlock scosse piano la testa.
“No, quello no. Noi... ci siamo chiariti solo dopo il mio ricovero”
Chiariti, eh?” domandò  John con una punta di sarcasmo, a cui si unì il divertimento una volta che l’amico cominciò a muoversi a disagio sul sedile.
“Diciamo che vedermi in quel letto d’ospedale ha cambiato alcune prospettive. Per entrambi” disse Sherlock con lieve imbarazzo.
“Oh, fammi il piacere! Molly aveva già rotto un fidanzamento a causa tua!” replicò Mary con un sorriso “diciamo invece che sono state le tue prospettive, a cambiare! E lasciami dire che era proprio ora!”
Per un attimo, l’atmosfera nella vettura si fece più leggera ma poi il Dottor Watson sospirò.
“Capisco la segretezza... ma perchè non dirci nulla neanche dopo? Sarebbe stato molto più logico che ci fosse Molly a salutarti oggi!”
Sherlock strinse le labbra e tornò a guardare fuori dal finestrino.
“Logico? Forse” concordò, stringendo di nuovo la sua fede nuziale nella mano e riprendendo poi a parlare con un sussurro “ma troppo doloroso”
Il viso di John si addolcì a quella confessione e la sua mano arrivò a toccare la spalla dell’amico in un gesto di conforto.
“Adesso sei qui” disse con decisione “presto la rivedrai”
Sherlock sorrise in modo lieve e puntò di nuovo l’attenzione su suo fratello.
“Non mi dirai dov’è... vero?” disse piano.
Mycroft sembrò di nuovo esitare, poi scosse lentamente il capo.
“La sicurezza della Dottoressa Hooper... Holmes...  non è una questione di cui tu ti debba preoccupare in questo momento, non puoi permetterti distrazioni... sai bene che questa era la soluzione migliore”
Mary si intromise con un moto di impazienza.
 “E Lei pensa davvero che non sapere dove sia possa essergli di aiuto?”
Mycroft la fissò per un attimo, poi si rivolse di nuovo al fratello minore.
“Ti eviterà di concentrare i tuoi pensieri in questioni che non ne richiedono la necessità” affermò con decisione, prima di fare un sospiro e continuare più tranquillamente “Sono sicuro che puoi pensare molte cose di me, ma non che lascerei la sicurezza di mia cognata al caso. Non fosse altro perchè mamma potrebbe uccidermi, se le capitasse qualcosa”
L’angolo della bocca di Sherlock si rivolse brevemente all’insù, poi annuì.
“Grazie...” disse in tono sincero.
Mycroft si schiarì la voce per rompere quel momento imbarazzante e la sua mano e il suo sguardo corsero a togliere un invisibile pelucchio dai pantaloni.
“Risolvi in fretta questo caso e la nazione ti sarà debitrice, Sherlock” disse prima di continuare con una smorfia  “Potrai tornare alle gioie del talamo nuziale in meno che non si dica”.
John a quel punto avrebbe potuto giurare di aver visto un leggero rossore salire dal collo verso le guance del suo amico, ma la situazione si fece di nuovo avanti in tutta la sua drammaticità nel momento in cui la macchina si fermò e uomini armati la circondarono per farli scendere ed entrare velocemente verso l’edificio in cui si trovava l’ufficio di Mycroft.
Un improvviso pensiero lo colpì.
“Sherlock!”
L’amico si bloccò sulla porta dell’ufficio in cui stava per entrare e si voltò con aria interrogativa.
“Sapevi quali avrebbero potuto essere le conseguenze” affermò deglutendo a fatica “sapevi quello che poteva succedere una volta arrivati da Magnussen e sapevi cosa sarebbe successo quando gli hai sparato”
Il consulente investigativo annuì.
“Si”
“Tu... l’hai fatto comunque. Hai ucciso quell’uomo sapendo che avresti perso la possibilità di stare con Molly”
“Era abbastanza prevedibile, si” confermò di nuovo Sherlock.
John gli si avvicinò.
“Perchè? Perchè l’hai fatto comunque?”
Sherlock inclinò la testa.
“Avevo fatto un giuramente al tuo matrimonio, John” dichiarò con semplicità.
“Ma...”
“I giorni con Molly sono stati un dono che non avrei mai pensato di poter avere o meritare,  amico mio... ma  non avrei mai accettato di ottenere  la mia felicità a scapito della tua”
“Grazie...” sussurrò il Dottore commosso.
Sherlock sorrise e annuì.
“Adesso andiamo. Dopo tutto, ho una moglie da riportare a casa”
 


 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sassolino # 4 ***


Buona domenica a tutti! Manco da tanto da questo fandom... la vita a volte fa giri strani!
Ho intravisto a sprazzi qualche sherlolly e mi scuso se non ho commentato, sappiate che le ho apprezzate, vista anche la penuria di storie su questa coppia!
Ecco il mio contributo (anche se un po’ particolare), vediamo se riesco a riprendere il ritmo. E comunque no, durante la mia assenza non ho acquisito nessun personaggio, per cui non mi appartengono neanche ora.
 
 
Sassolino # 4
 
 
Molly Hooper si sorprese a canticchiare sommessamente mentre riordinava le ultime cose sul suo piano di lavoro: i suoi movimenti si fermarono per un attimo a quella consapevolezza, poi un sorriso le spuntò sul volto e riprese i suoi compiti.
E perchè no, in fondo?
Era sola, nessuno avrebbe avuto la possibilità di ridire sul fatto che lei stesse reinterpretando un vecchio successo di musica Pop in un obitorio, le celle frigorifere a pochi metri da lei e degli strumenti affilati sporchi di sangue tra le mani; Molly era sempre molto rispettosa nel suo lavoro, verso le vittime che analizzava sui suoi tavoli e verso le famiglie che si appigliavano a lei per avere delle risposte... ma oggi era anche di buon umore e di questo non poteva, ne doveva, sentirsi in colpa.
La giornata era stata lunga e faticosa, ma il suo nuovo articolo stava per essere pubblicato su un’importante rivista scientifica, i nuovi tirocinanti di quest’anno sembravano meno imbranati del solito, il che avrebbe significato meno apprensione nel formarli e indirizzarli nella giusta direzione... lei e Mary si erano già accordate per andare a vedere il nuovo film di quell’attore che le faceva tanto impazzire, e che i critici dipingevano come un capolavoro... e la mensa del bar aveva finalmente introdotto di nuovo i muffins ai mirtilli.
E, soprattutto, tra meno di due ore sarebbe stata a casa.
Mentre finiva di riordinare i bisturi, attaccò un’altra canzone.
 
***
 
Il cielo di Londra era dipinto da una miriade di colori che contribuivano a rendere il tramonto spettacolare, e l’aria della sera era insolitamente calda per essere la fine di aprile, tanto valeva camminare fino alla fermata della metropolitana successiva e godersi quel tempo meraviglioso.
Molly stava ripassando mentalmente il contenuto del frigorifero per abozzare una lista della spesa, quando si accorse della macchina che la seguiva; inconsciamente aumentò leggermente il passo, nella speranza che si trattasse solo di una coincidenza, ma ben presto dovette capitolare e si fermò sul marciapiede.
Con un sospiro, si voltò verso il finestrino che si stava abbassando.
“Per favore, Anthea... proprio stasera?” chiese con una smorfia.
La donna nella vettura le rivolse un sorriso quasi di scuse.
“Mi dispiace, Dottoressa Hooper... lui ha particolarmente insistito”
Nel tono dell’assistente personale di Mycroft Holmes Molly colse un accenno di biasimo, come se le direttive del suo capo l’avessero indisposta e non fosse totalmente d’accordo con lui, tuttavia entrambe le donne erano consapevoli che i suoi ordini non si potevano ignorare, per cui Anthea aprì la portiera e Molly si infilò in macchina con un altro sospiro, questa volta molto più rassegnato.
“Congratulazioni per la pubblicazione dell’articolo, a proposito... fra le altre cose, naturalmente”
L’assistente non aveva smesso un attimo di guardare il suo telefono, ma il suo sorriso rivelò un intento sincero e la patologa si rilassò sul sedile mentre la ringraziava.
Almeno avrebbe fatto un viaggio molto più comodo rispetto alla metropolitana, se proprio doveva cercare un aspetto positivo nell’essere sequestrata a meno di un’ora dall’arrivo a casa.
 
***
 
Molly era stata nell’ufficio di Mycroft Holmes altre due volte prima di quella sera.
La prima, quando aveva iniziato a lavorare con Sherlock e le erano stati offerti dei soldi per spiarlo: il consulente investigativo l’aveva già avvertita che sarebbe potuto succedere, tuttavia era stato abbastanza traumatico e dell’esperienza conservava un ricordo spiacevole, nonostante fosse stata trattata con fredda cortesia.
(I soldi li aveva rifiutati, ovviamente, e quando Sherlock l’aveva saputo aveva commentato che era un peccato, perchè avrebbero potuto dividerli... qualche tempo dopo aveva rimarcato che anche John Watson aveva fatto la stessa cosa, e Molly si era sentita stranamente orgogliosa di sè stessa e di quell’ex soldato che sembrava poter diventare un buon amico per Sherlock).
La seconda volta costituiva per Molly un ricordo ancora più amaro, perchè era legata al finto suicidio del consulente investigativo e agli ultimi dettagli tecnici che erano stati discussi in quella stanza, prima che Sherlock saltasse da quel tetto e sparisse per due anni.
Anche in quel caso, l’atteggiamento di Mycroft aveva rasentato l’indifferenza, quasi a non voler riconoscere il ruolo che Molly stava per giocare in tutta la faccenda... tuttavia si era accorta delle occhiate che lui le aveva più volte dato, quasi a volersi assicurare della sua affidabilità, e su questo non poteva certo dargli torto, visto la delicatezza del momento e l’enormità della posta in gioco; aveva cercato di mantenere un atteggiamente calmo e professionale e di dimostrare cosi di essere pronta, mentre dentro di lei il suo cuore si lacerava al pensiero di quello che Sherlock stava per affrontare... doveva aver funzionato, perchè Mycroft non aveva sollevato obiezioni e tutto era andato avanti.
Ora, a distanza di quasi quattro anni da quella notte, Molly si ritrovava di nuovo seduta su di una sedia in quella stessa stanza, lo sguardo indagatore del maggiore dei fratelli Holmes fisso su di lei.
“Miss Hooper”
Con un cenno della mano Mycroft indicò il tè già pronto davanti a loro, e la patologa ebbe la strana sensazione che anche quello fosse un invito che in realtà celava un ordine, cosi si rassegnò e prese una tazza.
“Signor Holmes...” cercò di iniziare con tono educato, anche se tutta quella faccenda comiciava a darle sui nervi.
Un sorriso a labbra strette apparve sul volto dell’uomo mentre la interrompeva.
“Sono consapevole che il mio invito ha sconvolto i Suoi... piani  per questa sera, Miss Hooper, tuttavia ho ritenuto necessario incontrarLa. Dopo tutto, si prospettano dei cambiamenti non indifferenti che sarebbe poco opportuno sottovalutare, non crede?”
Molly strinse con forza il manico della tazza.
“Lei pensa che stia succedendo questo? Che io sottovaluti la situazione?”
“Francamente si, Miss Hooper. Lei e mio fratello, ovviamente... la sua straordinaria inadeguatezza in questo campo fa si che tali cambiamenti siano come dire... potenzialmente disastrosi?”
A quell’affermazione, la patologa decise di abbandonare ogni pretesa di forma di cortesia e appoggiò con forza la tazza sul tavolino, per prendere invece la sua borsa.
“Ho avuto una giornata lunga, Signor Holmes, per cui mi vorrà scusare se ora vado a casa mia
Mycroft fece una smorfia a quelle parole.
“Come ci si sente ad essere una seconda scelta, Miss Hooper?”
Molly fermò il braccio che stava per infilare nella giacca e lo fissò confusa.
“Chiedo scusa?”
“Sherlock Le chiede di indossare un rossetto rosso fuoco e di usare su di lui un frustino? Oppure grida il nome di John Watson nel momento del piacere? A pensarci bene, forse dovremmo parlare di terza scelta...”
Le dita di Anthea, che fino a quel momento avevano digitato velocemente sul telefono, si fermarono di botto e il suo sguardo si alzò sorpreso verso il suo datore di lavoro, la sua espressione ad indicare una chiara disapprovazione e incredulità per quelle parole.
Mycroft era tuttavia concentrato sulla reazione di Molly, e il pallore improvviso che era apparso sul suo volto sembrarono scuoterlo e farlo rendere conto dell’enormità di quello che aveva detto.
La bocca si contrasse in una smorfia di biasimo verso sè stesso.
“Chiedo scusa” disse con tono sommesso, passandosi una mano sugli occhi in un gesto di stanchezza “evidentemente ho avuto anche io una giornata lunga e difficile, anche se questo non giustifica assolutamente quello che ho detto. La prego di perdonarmi, Miss Hooper... ho passato il limite”
Molly tolse lentamente il braccio dalla manica della giacca e si appoggiò piano alla sedia, il viso rivolto a terra e lunghi respiri a testimoniare la sua ricerca di un controllo.
“Lei si preoccupa per lui” disse infine, alzando lo sguardo e rivelando occhi lucidi che tuttavia si rifiutavano di rilasciare lacrime.
Mycroft emise un gemito sorpreso per quell’affermazione, si aspettava per lo meno una ritorsione verbale, e non potè trattenere un pensiero ammirato per quella donna e la sua compostezza.
“Si. Costantemente” ammise.
“Perchè lo ama” disse Molly con calma “Lei non ha paura che Sherlock combini dei disastri, ha paura che soffra, perchè Lei può rimediare a tutti i guai che combina e a tutte le situazioni pericolose in cui si trova, ma non saprebbe come alleviare la sua sofferenza. Voleva essere sicuro che avrò cura di lui, come ogni altra volta in cui ha voluto incontrarmi”
Nella stanza calò il silenzio: Mycroft Holmes si ritrovò spiazzato dall’analisi spietata e veritiera di Molly Hooper; avrebbe potuto facilmente liquidarla, asserendo che in verità ciò che gli interessava era che Sherlock non fosse troppo una spina sul fianco, ma quella donna davanti a lui meritava la verità.
“Ho fatto i conti con diversi Sherlock in questi anni...” iniziò con un sospiro e la voce sommessa “quello capriccioso, quello ostinato e annoiato... quello dipendente dalle sostanze e in pericolo di vita. Ho sempre fatto del mio meglio per prendermi cura di lui, nonostante il nostro rapporto non proprio idilliaco, ma Lei capisce bene che questa volta io mi trovo in una situazione al di la della mia portata.
Mi muovo su di un percorso su cui riconosco di avere delle grosse difficoltà, Miss Hooper... un percorso che ho più volte sconsigliato a mio fratello di intraprendere, perchè di riflesso avrebbe messo alla prova anche me”
Sul viso di Anthea comparve un sorriso soddisfatto per la sincerità del suo capo, ma Molly strinse i pugni e assunse un’aria più decisa.
“Questo lo capisco” disse “può pensare quello che vuole di me, Signor Holmes... può pensare che io sia  troppo ordinaria o poco stimolante, ma dovrebbe dare più credito e fiducia a Suo fratello e alle sue scelte, anche se crede che siano un modo per accontentarsi. Non è stato facile neanche per me, ci ho messo del tempo, ma ora io riesco a farlo... e Le assicuro che farò tutto quanto in mio potere per far si che Sherlock stia bene”
Le lacrime iniziarono a scorrere sulle guance di Molly, e lei si odiò per quel momento di debolezza: le parole di Mycroft, per quanto ingiuste e orribili, avevano risvegliato in lei le antiche insicurezze che inizialmente l’avevano frenata nell’accogliere il cambiamento nel suo rapporto con Sherlock, insicurezze che pensava di aver vinto,  ma che evidentemente non si erano ancora sopite.
L’uomo si alzò e con un cenno fermò Anthea, che si era mossa dalla sua posizione sul divano per fare altrettanto, poi girò intorno alla scrivania frugandosi nel taschino della giacca.
Estrasse un fazzoletto e lo porse a Molly.
“Mi dispiace” ripetè con convinzione “le mie parole sono state di una cattiveria gratuita e ingiusta, eppure Lei non si è difesa o arrabbiata, la Sua unica preoccupazione è stata invece quella di difendere mio fratello... questo dovrebbe dirla lunga sull’opportunità che Lei gli stia accanto, e fa di Lei senz’altro una Prima Scelta” Mycroft abbozzò un sorriso “Molto azzeccata, mi verrebbe da dire”
Molly lo guardò sorpresa, ma poi sorrise e si asciugò gli occhi.
“Grazie”
L’uomo ritornò verso la sua scrivania, ma si bloccò come colpito da un pensiero improvviso e si voltò di nuovo.
“Forse la prossima volta che ci troviamo potrei offrirLe un tè per il semplice gusto di farlo, senza secondi fini e in un luogo più adeguato del mio ufficio?” chiese.
La patologa assunse un’aria stupita a quell’invito, ma fu veloce a riprendersi.
“Mi farebbe molto piacere” rispose dolcemente, prima di ammiccare “Allora però dovrà rassegnarsi a chiamarmi Molly”
Mycroft parve considerare la proposta e poi annuì.
“Anthea La farà accompagnare a casa”
Molly si diresse verso la porta, ma si voltò per un ultima volta.
“Non dirò a Sherlock di questo nostro incontro” annunciò.
Mycroft la guardò con perplessità, di nuovo stupito dalla forza della donna, poi fece una smorfia.
“Sappiamo bene entrambi, Molly, che lo scoprirà comunque...”
“Ma non da me” confermò lei decisa, sottintendendo che non avrebbe mai rivelato quanto alcune parole di Mycroft fossero state dolorose.
Il maggiore dei fratelli Holmes annuì: era abituato ai battibecchi con Sherlock, ma dubitava che questa volta si sarebbero limitati a qualche battuta velenosa, se lui avesse saputo tutta quanta la verità su quell’incontro.
“Grazie”
Molly gli sorrise un’ultima volta e poi se ne andò.
 
***
 
Grazie al passaggio in macchina non arrivò a casa troppo in ritardo: una volta entrata dal portone, salì le scale con un misto di gioia e trepidazione, poi arrivata davanti alla soglia dell’appartamento fece un grosso sospiro di contentezza.
La porta si spalancò di colpo e apparve Sherlock Holmes.
“Sei a casa” annunciò con un’espressione soddisfatta “e in ritardo di diciotto minuti. Perchè poi ti ostini a prendere la metropolitana con tutte le sue improbabili coincidenze resta un mistero”
Si fece da parte per farla passare, e non appena entrata Molly sorrise.
“Sono a casa” ripetè in un tono misto tra meraviglia e felicità.
Poi vide il salotto.
“Oh Sherlock...” esclamò mentre si toglieva borsa e giacca e li appendeva alla porta “è bellissimo!”
Si affrettò ad avvicinarsi al tavolo apparecchiato in modo elegante e illuminato da una candela posata al centro, mentre notava le diverse altre luci soffuse che decoravano l’appartamento: si girò e gli buttò le braccia al collo.
Sherlock ricambiò la stretta.
“È la tua prima sera ufficiale come inquilina a Baker Street... l’inizio della nostra convivenza. Ho pensato che dovessimo festeggiare” mormorò.
Molly si staccò dolcemente e gli rivolse un sorriso luminoso.
“È un’idea dolcissima e molto carina. Grazie”
Sherlock fece una smorfia a quegli aggettivi, poi iniziò ad osservarla intensamente e lei cercò di sostenere lo sguardo senza far trapelare cosa fosse successo nell’ultima ora. Sperò di riuscirci, perchè l’unica cosa che ora voleva era godersi quella serata come si era augurata per tutto il giorno.
L’espressione di Sherlock si fece intensa e Molly trattenne il respiro.
“Non ho cucinato, naturalmente” annunciò infine lui in tono solenne.
Molly fece un sospiro interno di sollievo e annuì.
“Naturalmente” disse con finta serietà.
Lui alzò un sopracciglio.
“John insisteva sul fatto che avrei dovuto cimentarmi, per dimostrarti tutta la mia buona volontà e rendere questo momento più personale... ma sappiamo entrambi che sarebbe stato un inutile perdita di tempo. E che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose”
Molly ridacchiò, e nel contempo sentì rintanarsi in un angolino molto lontano tutti i dubbi e le incertezze riaffiorati nel colloquio con Mycroft.
Questo era l’uomo di cui era innamorata e che le aveva chiesto di vivere con lui.
“È perfetto cosi, Sherlock... sul serio” disse felice “Ordiniamo take away”
Il consulente investigativo annuì soddisfatto.
“È quello che ho detto anche io. In perfetta sintonia, Dottoressa Hooper. Inoltre...” disse, piegandosi verso di lei e accarezzandole piano l’orecchio con le labbra “questo ci lascerà più tempo per un altro tipo di festeggiamenti”
La risata di Molly esplose allegra e fu seguita da un bacio intenso.
“Dammi solo il tempo di cambiarmi mentre tu ordini, ok?” gli disse infine quando ebbe modo di riprendere fiato.
Sherlock annuì di nuovo, e le sorrise mentre lei si dirigeva verso quella che era ormai ufficialmente la loro camera, ma non appena Molly fu sparita oltre la soglia la sua espressione si fece più dura, e con passo deciso andò in cucina a recuperare il telefono.
Mycroft rispose al primo squillo
“Fratello caro... già cosi annoiato dalla convivenza da voler parlare addirittura con me pur di sfuggire al tedio?”
“Non osare mai più” minacciò il consulente investigativo a denti stretti.
Nel ricevitore si udì il sospiro impaziente di Mycroft.
“Oso molte cose, in questo periodo. Sii più specifico, Sherlock”
“Hai incontrato Molly, o più precisamente l’hai fatta sequestrare all’uscita dal lavoro. È stato un discorso breve, ma a quanto pare intenso. Ha pianto... che cosa le hai detto?”
“Ma come, non te lo sei fatto raccontare?”
Sherlock fece una profonda inspirazione alla ricerca di un po’ di calma.
“È una serata importante per noi, non la rovinerò parlando di te” disse infine.
“Quindi lo hai solo dedotto, ma ti sei trattenuto...” fu la risposta sarcastica che ottenne “Oh, Sherlock. Mi domando quanto potrai resistere all’interno di questo quadretto di felicità domestica che”
“MYCROFT!”
Dopo un breve silenzio a quel richiamo irritato, l’uomo rispose con voce pacata.
“Ho solo voluto conoscere  meglio Miss Hooper, puoi darmi torto?”
Sherlock fece di nuovo un respiro profondo.
“Ti conosco, fratello caro. Tu non fai mai niente per niente...” disse con più calma “ma poichè Molly ti ha permesso di offrirle il tuo fazzoletto per asciugarsi le lacrime, direi che dopo tutto non è rimasta arrabbiata con te e che ha trovato modo di risponderti per le rime. Forse dopo tutto al momento non mi interessa sapere quali sciocchezze hai tentato di propinarle, visto che sembra serena”
“Ma ti sei comunque sentito in dovere di chiamarmi per ribadire la tua irritazione.”
“Ti avverto, Mycroft. Non tollererò altri rapimenti della mia patologa”
“Dovresti cominciare a chiamarla in un altro modo, visto che ora vivete insieme. C’è altro che vuoi sapere?”
Sherlock strinse con forza il telefono.
 “C’è altro che dovrei sapere?” chiese di nuovo minaccioso.
Mycroft fece un sospiro.
“No, direi di no” disse “Solo... tieniti ben stretta Miss Hooper”
“Mi stai dando la tua benedizione?” fu la risposta incredula del consulente investigativo.
“Non dire sciocchezze” rispose l’altro con un suono disgustato “Ti sto solo dicendo che se devi imbarcarti in una sciocchezza come questa, lei per lo meno ha le carte in regola per starti dietro e non impazzire nel tentativo di avere una... relazione  con te”
“Ti stai rammollendo con gli anni, fratello caro. Riesci persino a pronunciare la parola relazione senza stare male”
Con un altro sbuffo spazientito, Mycroft si apprestò a chiudere il confronto.
“Ma per favore. Vedi piuttosto di ordinare il tuo take away e di non mandare a fuoco l’appartamento con tutte quelle candele”
Sherlock stava per ribattere, ma la comunicazione era già stata interrotta.
Per un attimo, valutò combattuto se fosse il caso di insistere di più per sapere che cosa fosse successo nel colloquio tra Mycroft e Molly, ma l’arrivo di quest’ultima interruppe i suoi pensieri.
“Allora, quando si mangia?” gli chiese allegra.
Sherlock la studiò per un attimo.
A suo agio e felice di essere li con lui.
 Sorrise.
“Ora ordino.
Stavo controllando che le candele non diano fuoco all’appartamento.
Cinese o thailandese?”
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sassolino # 5 ***


Due aggiornamenti ravvicinati (più o meno)!.
Anche se questo più che un sassolino è un macigno, visti la sua lunghezza e alcuni dei temi trattati.
Un grande saluto a tutti.
 
***
 
“Accidenti, che efficienza... siete venuti  addirittura di persona.
Avevo detto all’Ispettore che sarebbe bastata una conferma scritta, in fondo ci sono delle attenuanti e se si eccettua il fatto che sa insultare alla grande, la ragazza in fondo è una cosina deliziosa”
Cosina è una definizione che eviterei di usare, se fossi in Lei” borbottò a denti stretti Sherlock Holmes, attirandosi un’occhiata curiosa da parte dell’uomo seduto alla scrivania.
“Mi scusi?”
Il consulente investigativo si mise ad osservarlo meglio.
Divorziato. Due volte. Pensa che le donne dovrebbero stare in cucina, visto il suo commento sulla “cosina deliziosa”, e ha fretta di chiudere la faccenda per andare a farsi una birra al locale qui di fronte.
“Lasci stare, nulla di rilevante” disse infine, sfoderando uno dei suoi collaudati sorrisi falsi e sforzandosi contemporaneamente di non dare dell’idiota alla persona davanti  a lui  “se le mie credenziali sono a posto, vorrei concludere la faccenda in fretta. Dopo di che ce ne andremo, e Lei potrà tornare ai suoi innumerevoli e sicuramente importanti impegni, sceriffo”
Lo sguardo del tutore della legge si fece in qualche modo preoccupato.
“Per ce ne andremo intende il ritorno immediato nel vostro paese, vero? Senza più causare problemi?” chiese guardingo.
Sherlock annuì convinto.
Assolutamente si. Con il primo aereo disponibile. Dopo che però avrò scoperto cosa diavolo sta succedendo, ovviamente.
“Ma certo” disse di nuovo con un sorriso “Le assicuro che la mia priorità è di tornare a Londra immediatamente, e dimenticare questo spiacevole equivoco”
E questo spiacevole luogo in mezzo al nulla.
Lo sceriffo contemplò ancora per qualche secondo le carte davanti a lui e, di nuovo, Sherlock trattenne un cenno di impazienza; l’altro finalmente annuì soddisfatto e si alzò dalla scrivania, facendogli cenno di seguirlo.
Le celle di detenzione della piccola stazione di polizia si trovavano sulla destra  ed erano vuote, ad eccezione di una.
“Ha fatto un bel po’ di casino quando l’abbiamo arrestata, ma poi se ne è rimasta zitta e buona” disse l’uomo in divisa, prendendo una chiave dal suo cinturone e avvicinandola alla serratura delle sbarre.
“Qualcuno è venuto a garantire per te. Sei libera, zuccherino” annunciò.
Sherlock fece una smorfia all’ennesimo commento idiota, ma  scelse di concentrarsi sulla donna seduta sulla panca della prigione; lo sguardo di lei si fece dapprima stupito e poi assunse un’espressione dispiaciuta e incerta,  e quella consapevolezza lo fece quasi pentire di essere venuto : la detenuta evidentemente non era contenta di vederlo e di essere rilasciata grazie a lui.
Beh. Prendere o lasciare, al momento lui era il suo unico lasciapassare per la libertà e lei avrebbe dovuto accettarlo, volente o nolente.
Il consulente investigativo  fece un respiro profondo.
“Ciao, Molly”
 
SASSOLINO # 5
 
 
Sherlock Holmes stava osservando da qualche istante e con occhio critico Molly Hooper, mentre quest’ultima risistemava nella sua borsa tutti gli effetti personali che le erano stati restituiti.
Risistemazione che stava procedendo con estrema lentezza, a testimonianza del fatto che lei stava rinviando quanto più possibile ogni discussione. E, se si voleva essere più precisi, anche ogni contatto visivo.
Avendo già esercitato una buona, buonissima dose di pazienza nell’ufficio dello sceriffo, Sherlock si ritrovò ad esserne sprovvisto per il suo approccio alla patologa.
Patologa che, per inciso, si era macchiata di un reato negli Stati Uniti, ed era appena uscita di prigione solo perchè lui se ne era fatto garante.
“Si può sapere che accidenti ti è saltato in mente?” sbottò quindi con un tono quasi aggressivo.
Molly mise la borsa a tracolla e alzò lo sguardo verso di lui.
Uno sguardo furioso, ma almeno un segnale di riconoscimento dopo i minuti di assoluto silenzio che erano seguiti all’uscita dalla stazione della polizia.
“Che diavolo ci fai qui, Sherlock?” fu la domanda che venne posta con tono altrettanto aggressivo.
Sherlock spalancò gli occhi.
“Stai scherzando, vero?” ribattè a sua volta, troppo stupito per aggiungere altro.
Molly si mosse a disagio e volse lo sguardo altrove, di nuovo ad evitare ogni contatto non strettamente necessario.
“Sarebbe bastato che Lestrade inviasse una dichiarazione che certificasse il fatto che sono una cittadina modello e non ho precedenti penali, e invece mi ritrovo te” dichiarò con animosità.
Le ultime parole suonarono quasi come un’accusa, cosa che fece infuriare ancora di più Sherlock.
“Cittadina modello?” le fece eco con sarcasmo, cominciando ad agitare le mani  “Certo, come no... tu sei assolutamente un esempio di moralità, ma immagina la mia sorpresa, quando Lestrade mi ha comunicato di aver ricevuto una telefonata da una sperduta cittadina degli Stati Uniti che annunciava il tuo arresto! O quando ho verificato come tu abbia mentito a Mike Stamford per avere delle ferie, dicendogli che dovevi andare a trovare una zia malata a Liverpool mentre invece ti trovavi oltre oceano a compiere un crimine!”
Molly ebbe la grazia di arrossire nel sentirsi ricordare le sue malefatte, ma la sua espressione mutò di nuovo quando scorse lo sceriffo che usciva dal suo ufficio.
Stringendo i pugni lungo i fianchi, assunse un’aria furiosa.
“Nulla di tutto questo sarebbe stato necessario se qui non fossero tutti UNA MANICA DI IDIOTI!” urlò in direzione del pubblico ufficiale, che a suo credito sussultò per l’insulto, ma scelse comunque di tirare dritto per la sua strada.
“Adesso basta” Sherlock afferrò con decisione il gomito di Molly, e la spinse lungo la via nella direzione opposta alla stazione di polizia.
La ragazza tentò di divincolarsi.
“Cosa stai facendo?”
Sherlock rafforzò la presa e le fece girare l’angolo.
“Evito che ti arrestino un’altra volta. Non ho fatto tutte quelle ore di aereo e  non ho sopportato il viaggio verso questo posto sperduto per vederti battere ogni record di minor tempo di recidiva” sibilò a denti stretti mentre la conduceva ancora più lontano.
Molly lo seguì in silenzio, ma quando si fermarono e la lasciò finalmente andare, fu lesta ad allontanarsi da lui.
“So badare a me stessa, Sherlock!” disse irritata, la coda di cavallo mezza sciolta per la notte passata in prigione che ondeggiava con furia “E non ti ho chiesto io di venire! Non ho bisogno di aiuto e soprattutto non ho bisogno di te!”
Le parole colpirono il consulente investigativo più di quanto avrebbe voluto: purtroppo riassumevano quello che era stato il suo rapporto con la patologa negli ultimi mesi, quando dopo il suo brevissimo esilio, la sua overdose in aereo e la frenesia del caso del ritorno fasullo di Moriarty si erano sempre più allontanati.
Fece un respiro profondo alla ricerca di calma: la notizia che Molly era stata arrestata negli Stati Uniti l’aveva riempito di quello che si poteva semplicemente definire panico; non sapeva neanche che non fosse a Londra (a testimonianza di quanto i loro rapporti fossero attualmente deteriorati), ma quando Lestrade gli aveva detto cosa stava succedendo, l’unica cosa a cui era riuscito a pensare era di raggiungerla per essere sicuro che lei stesse bene.
Ed eccola qui, furiosa e scarmigliata
(e vestita di nero, come una vera delinquente che agisce furtiva di notte)
che tentava di liquidarlo e dichiarava di non avere bisogno di lui.
“Questo lo valuterò io, Molly Hooper” disse infine, rispondendo all’ultima frase della donna “Ora, in quale dei quattro alberghi di questa città infernale hai preso alloggio?”
Molly serrò le labbra e volse di nuovo il viso dall’altra parte, le braccia incrociate al petto.
Sherlock sbuffò spazientito.
“Non farmelo dedurre, Molly” minacciò.
Lei si voltò a guardarlo, e nei suoi occhi passò  un lampo di sfida.
Il consulente investigativo fece l’ennesimo sospiro.
“Ok” disse rassegnato, cominciando ad osservarla per raccogliere dati.
 
***
 
“Effrazione?”
“Si, John. Effrazione. E oltraggio a pubblico ufficiale”
“La nostra Molly?”
Sherlock si irrigidì un attimo all’esclamazione di John.
“Stai attento tesoro, sai che Sherlock è geloso delle sue cose”
Il viso e la voce di Mary apparvero sullo schermo dello smartphone con cui stava avvenendo la video chiamata, e la donna fece ciao ciao con la mano.
Sherlock decise di ignorarla.
“Molly ha fatto un’effrazione all’obitorio della citta’, e poi ha reagito con veemenza al fermo quando è stata scoperta. E’ tutto quello che so al momento... lo sceriffo ha parlato di attenuanti, ma preferisco sentire la versione di Molly e non di quell’idiota” continuò a raccontare.
A Londra, John aggrottò la fronte davanti al computer.
“Vuoi dire che è volata oltre oceano solo per introdursi in un obitorio? Ma non ha senso! Come si e’ giustificata?”
A quella domanda, il consulente investigativo assunse un’aria di estremo fastidio e Mary sorrise.
“Non ti parla, vero?” gli chiese.
Serrando le labbra, il consulente investigativo si rifiutò di confermare l’ipotesi della donna, la quale non si diede per vinta.
“E’ comprensibile, visto gli ultimi avvenimenti” continuò infatti lei “ non ti sei più praticamente fatto vivo con Molly dopo che hai risolto il finto ritorno di Moriarty e hai ottenuto la grazia.... ah già, dimenticavo il tuo piccolo periodo di disintossicazione. Credo che sia un po’ arrabbiata con te, in questo momento. Anzi, ne sono sicura... vedi, con noi invece parla”
Sherlock fece una smorfia.
“Grazie dell’analisi, Signora Watson... ma sembra che neanche a voi abbia comunicato questa folle idea di venire qui, quindi non mi vanterei troppo. E alla fine sono comuque io che mi sono offerto di venirla a prendere in questo posto, dove la parola civiltà assume contorni molto sfuocati”
“Quando sarebbe comunque bastato un fax da parte di Lestrade...” commentò ironica Mary.
“Non potevamo certo pretendere di fidarci del bizzarro sistema legislativo di questo paese” replicò spazientito Sherlock, prima di aggiungere con un’ulteriore smorfia “Nè dei suoi rappresentanti della legge, se è per questo”
“Ma certo” concordò John in tono ironico, prima di tornare serio “quindi state per tornare?”
“Non appena Molly avrà finito con la sua doccia e si sarà tolta di dosso l’aria da galeotta, cercherò di capire cosa l’ha portata a questo gesto insano, e poi rientreremo a Londra”
“Mi raccomando, cerca di essere gentile” raccomandò John, prima di aggrottare di nuovo la fronte “un momento, dove sei ora?”
“In camera di Molly, ovviamente. Fortunatamente l’albergo che ha scelto è accettabile, la connessione wifi è sorprendentemente ottima”
“Smettila, Sherlock. Non sei nel deserto nè in un paese in via di sviluppo! Sono gli Stati Uniti!”
“Appunto...” borbottò il consulente investigativo.
“E comunque... Ti sei installato in camera sua?”
Sherlock sbuffò spazientito.
“Ho garantito per lei, John! E qualcosa mi dice che se la perdo d’occhio un attimo potrebbe ricacciarsi subito nei guai! È mio dovere guardarla a vista”
“Ovviamente” fu il commento ironico di Mary fuori dal campo visivo della webcam.
Sherlock decise di ignorarla di nuovo, e si sistemò meglio contro la parete del letto su cui era seduto.
“Adesso fammela vedere” dichiarò in tono di comando.
John scosse la testa e sparì per un attimo dall’inquadratura, solo per tornare subito dopo con la bambina in braccio.
“Saluta lo zio Sherlock, Josie” disse, agitandole una manina mentre la voltava verso la webcam.
“Non essere ridicolo, John. Non ha ancora l’età adeguata per poterlo fare.” Disse Sherlock avvicinandosi meglio all’immagine della sua figlioccia e scrutandola intensamente “L’aumento di peso mi sembra adeguato” dichiarò infine soddisfatto.
“L’hai vista solo due giorni fa, come puoi dirlo?”
Prima che ci potesse essere risposta, Josie fece un grazioso sbadiglio.
Sherlock sorrise, ma un rapido calcolo matematico sul fuso orario gli fece aggrottare le sopracciglia.
“Perchè sbadiglia?”
Mary fece di nuovo capolino nell’immagine.
“La signorina deve aver sonno, evidentemente” disse sorridendo alla figlia e prendendola dalle braccia di John.
Sherlock si raddrizzò a sedere sul letto.
“Non è nel rispetto dei suoi schemi pasti. Perche’ ha modificato il suo ciclo sonno-veglia?” quasi accusò.
“Perchè non è un robot, Sherlock” rispose paziente il Dottor Watson “Se ha sonno, dorme. I bambini hanno bisogno di molto riposo, soprattutto quando sono cosi piccoli. E bisogna senz’altro approfittarne”
“Ma...”
“Niente ma, Sherlock. Fidati, sono un dottore e un papà molto stanco. Ora, torniamo a Molly. Come ha reagito quando hai preso possesso della sua camera?”
Il consulente investigativo gemette al ricordo dello sguardo infuocato che gli era stato rivolto, prima che la porta del bagno fosse sbattuta con forza.
E non prima che lui avesse verificato che non c’era possibilità di fuga dalla finestra.
“Non molto bene” ammise.
John fece un sospiro.
“Ovvio. Cerca di risolvere questa faccenda senza irritarla troppo, ok?”
“Credo che sia altamente improbabile”
“Già, hai ragione” fu la risposta niente affatto consolante dell’amico “ma so che avrai cura di lei”
Sherlock chiuse la comunicazione, e si concentrò sulle parole di John.
Avrebbe avuto cura di Molly, certo.
Sempre se lei glielo avrebbe permesso.
 
***
 
Molly lasciò che l’acqua calda le sciogliesse la tensione dei muscoli dopo la notte passata in prigione.
Gemette internamente all’idea di quello che avrebbero potuto dire i suoi genitori, se in quel momento avessero potuto incontrare la loro figlia criminale, ma il pensiero di quello che l’aveva spinta a quel gesto estremo le ricordò la sua risoluzione e il suo bisogno di avere delle risposte.
Risposte che non era riuscita ad ottenere, prima provando con le buone e cercando di fare domande alle autorità, e poi nemmeno tentando di entrare di soppiatto nell’obitorio della città.
Era stata scoperta subito, praticamente.
E forse si, aveva inveito un po’ troppo contro le guardie di sicurezza e successivamente contro lo sceriffo, ma il loro livello di inettitudine e il modo in cui avevano liquidato le sue proteste l’avevano fatta infuriare.
E Molly negli ultimi mesi aveva accumulato una tale quantità di rabbia e di frustrazione, che lasciarsi trasportare fino ad arrivare all’arresto per effrazione e oltraggio a pubblico ufficiale non era stato affatto difficile.
Accidenti.
Con un sospiro chiuse l’acqua e cominciò ad asciugarsi, giudicando inutile rimandare oltre l’incontro con l’uomo che la aspettava oltre la porta; un tempo, Sherlock sarebbe stata la prima persona a cui si sarebbe rivolta per il suo problema, ma ormai era chiaro che tra loro due non esisteva più praticamente nulla, se mai qualcosa c’era stato in passato.
Sapere che se ne stava andando senza averla nemmeno salutata e della sua ricaduta nelle droghe era stato un colpo al cuore, ma non aveva nemmeno avuto la possibilità di rinfacciargli qualcosa, perchè lui l’aveva semplicemente evitata.
Da Mary e John aveva avuto aggiornamenti sul caso del finto Moriarty e poi del periodo di riabilitazione di Sherlock, ma nemmeno in occasione della nascita di Josie c’era stata la possibilità di incontrarsi e non essendo Molly una persona stupida (anche se qualcuno vedendola in prigione quella notte avrebbe potuto pensare il contario), aveva capito di non essere persona gradita. Cosi anche lei si era impegnata per evitare ogni contatto con il consulente investigativo.
Almeno fino ad oggi.
Lasciando i capelli umidi, dopo aver infilato jeans e maglietta Molly uscì dal bagno e trovò Sherlock seduto sul letto, le gambe stese davanti a lui, gli occhi chiusi e le mani congiunte sotto il mento.
Si risolse ad aspettare, quando invece improvvisamente lui parlò senza tuttavia aprire le palpebre.
“Perchè?”
Lei si perse per un attimo a contemplare il suo fisico asciutto e l’espressione rigida del suo volto, e di nuovo sentì l’irritazione invaderla.
“Perchè cosa?” replicò provocatoria.
Con movimenti veloci e fluidi, Sherlock scese dal letto e le si avvicinò pericolosamente, tanto che Molly potè vedere il cambiamento del colore dei suoi occhi che indicava tutta la sua agitazione.
“Perchè sei qui negli Stati Uniti. Perchè ti sei introdotta in quell’obitorio. Perchè sei cosi decisa a non curarti del fatto che sei finita in prigione. Perchè stai già pensando a un modo per riprovare la tua piccola avventura” elencò rapidamente continuando a fissarla, ma addolcendo lo sguardo mentre terminava sommessamente “Perchè, se non a me, non hai chiesto aiuto a nessuno e hai pensato di affrontare questa cosa da sola, visto che è cosi importante per te da rischiare tanto”
Molly sentì lacrime traditrici affiorarle agli occhi, e per darsi una compostezza si avvicinò alla finestra della stanza e contemplò il panorama davanti a lei.
“L’unico a cui avrei potuto chiedere aiuto eri tu, lo sai. E non era proprio il caso, non credi?” disse infine.
Sherlock sentì una punta di dispiacere invaderlo.
“Pensi che non ti avrei aiutato?” chiese incredulo.
“Penso che non me lo sarei potuta permettere... e non sto parlando del tuo compenso economico” con un mezzo sorriso, la patologa si girò verso il consulente investigativo “sto parlando del fatto che avrebbe implicato persino parlarsi di nuovo, cosa che ultimamente abbiamo entrambi accuratamente evitato. Perchè sei qui, Sherlock?”
Lui le si avvicinò di nuovo, questa volta più lentamente e in modo quasi titubante.
“Sai bene perchè”
Molly scosse piano la testa.
“No che non lo so”
“Molly...”
“Perchè io conto?” chiese ironica, la voce però pronta a spezzarsi “Perchè sono la persona più importante?”
La stanza si colmò del loro silenzio dopo questa affermazione a cui nessuno dei due sembrava volere o potere aggiungere qualcosa, poi Molly fu la prima a parlare.
 “Sai che ti dico?” affermò passandosi una mano tra i capelli umidi “non ha importanza. Ora sei qui e quindi tanto vale che ti assuma. Ho un caso da proporti, Sherlock”
Lui sembrò riscuotersi da qualsiasi pensiero lo avesse attraversato negli ultimi secondi.
“Ascolta...”
“No.” la patologa lo interruppe “il caso. Questo e nient’altro, per favore”
Il consulente investigativo sembrò combattuto all’idea di lasciar perdere la discussione, ma alla fine cedette e si sedette su una poltrona.
“Va bene. Ti ascolto”
Molly si girò di nuovo verso la finestra.
“All’università avevo un’amica carissima”cominciò a raccontare “Si chiamava Alice ed eravamo molto legate. Sognavamo entrambe di fare grandi cose nel campo della medicina. Lei era... era fantastica. Una persona solare e generosa, molto dotata e con grandi prospettive”
Sentendo un groppo alla gola, Molly fece un respiro profondo.
“Conobbe un ragazzo. Uno di qualche anno più avanti. Ricordo che quando me lo presentò, non potei fare a meno di pensare che fossero la coppia perfetta. Lui si chiamava Alan e sembrava trattarla come una regina. Era affettuoso e attento... lei ne era innamoratissima, cosi quando dopo solo sei mesi di frequentazione le chiese di sposarlo, rispose di si”
Sherlock la osservò contorcere le mani per l’agitazione crescente che il racconto le stava ovviamente procurando, ma si impose di non dire nulla.
Non era affatto sicuro di poter trovare le parole giuste, in quel momento.
“Dopo il matrimonio cambiò tutto. Alice divenne sempre più scostante ed elusiva, non riuscivo mai ad incontrarla per parlare e saltava spesso le lezioni, cosi quando mi annunciò che avrebbe lasciato gli studi non fui sorpresa, ma mi arrabbiai. Le dissi chiaramente che pensavo stesse facendo uno sbaglio, ma lei mi rispose che non potevo capire le esigenze di una coppia sposata.
Litigammo.
Io... avrei tanto voluto riavvicinarmi, ma mio padre si ammalò e morì e quando mi sentii pronta per provare a parlarle di nuovo, scoprii che lei e Alan si erano trasferiti. Se ne era andata senza neanche salutarmi e nonostante credo che sapesse del mio lutto, non si fece sentire. Persi ogni contatto con lei”
“Ma poi vi siete riviste”
Molly annuì piano.
“Qualche tempo fa, di ritorno dal lavoro, la trovai ad aspettarmi davanti al mio appartamento. Era in condizioni pietose, sembrava un animale ferito e braccato, era talmente spaventata che non si lasciava neanche toccare e sobbalzava ad ogni minimo rumore. Stava scappando... stava scappando da suo marito”
Inconsapevolmente, Sherlock strinse i pugni.
“Lui era un violento”
Di nuovo, Molly annuì.
“Gli abusi erano cominciati subito dopo il matrimonio. All’inizio erano stati solo degli episodi e Alice aveva cercato di minimizzare. Aveva lasciato gli studi e l’aveva seguito nel trasferimento per accontentarlo, ma le cose  non avevano fatto altro che peggiorare”
“E quando lei ha finalmente trovato la forza di lasciarlo si è rivolta a te, nella speranza che in nome della vostra vecchia amicizia tu volessi aiutarla. Cosi facendo, però, ti ha messa in pericolo. Alan sapeva quanto foste legate e avrebbe senz’altro pensato a te, perchè di sicuro avrebbe voluto riprendersela. Accogliendola, hai messo in pericolo la tua incolumità” decretò Sherlock con rabbia, l’immagine di Molly attaccata da un uomo violento che gli danzava potente in testa.
Molly si voltò e spalancò gli occhi.
“Che cosa avrei dovuto fare, secondo te? Ignorare la sua richiesta di aiuto? Lasciarla fuori dalla porta?” chiese stupita alzando la voce.
“Ragionare per un attimo sul potenziale pericolo che stavi correndo per una persona che non vedevi da anni!” replicò lui a voce altrettanto alta.
“Oh certo! Quindi va bene che io abbia rischiato tutto per te, ma non che lo abbia fatto per qualcun altro che comunque è stato importante per me in un periodo della mia vita!”
Nella stanza calò di nuovo il silenzio.
“No, ovviamente no” la voce di Sherlock arrivò quasi in un sussurro “tu sei cosi, Molly Hooper. Tu vuoi aiutare, anche quando sai che sarà difficile o pericoloso”
Lei sorrise piano a quelle parole, di nuovo calma.
“Non mi importava, l’avrei aiutata a qualunque costo” confermò  “ma ovviamente hai ragione. Alan era via per un congresso, ma non appena fosse tornato e avesse scoperto la fuga di Alice, sarebbe venuto a cercarla e non gli sarebbe stato impossibile scoprire dove abitavo. Dovevamo fare in fretta e decidemmo che Alice doveva sparire, lasciare la Gran Bretagna e rifarsi una vita da un’altra parte, con un altro nome. Lui aveva molte conoscenze e solo cosi non l’avrebbe trovata”
Sherlock aggrottò la fronte.
“Una buona idea, ma di difficile realizzazione. Chi vi ha aiutate? E perchè anche in quel caso non ti sei rivolta a me?”
“Tu non c’eri” dichiarò sommessamente Molly “è stato durante il periodo in cui eri... via. Dopo il finto suicidio. Cosi chiesi aiuto all’unico uomo che sapevo avrebbe potuto aiutarmi”
Un lampo di comprensione e di ammirazione per il coraggio di Molly passò negli occhi di Sherlock.
“Mycroft”
Lei tornò a guardare fuori dalla finestra.
“Alan era un personaggio molto popolare nel suo campo, anche denunciandolo avremmo rischiato che fosse libero dopo poco. Cosi chiesi a Mycroft di dare ad Alice una nuova identità... eravamo disperate e non pensavo sinceramente che lui avrebbe acconsentito, ma lo fece e lei arrivò qui.
Alan mi contattò, ovviamente, una volta arrivò persino a casa mia e iniziò a gridare, ma magicamente apparvero gli uomini di Mycroft e da allora non ne ho più avuto notizia”
Mentalmente, Sherlock si appuntò di ringraziare il fratello, mentre Molly continuava nel suo racconto.
“Il nostro rapporto ormai era compromesso, era difficile pensare di ricostruire l’amicizia di un tempo, ma per lo meno lei era felice e libera, finalmente. Non ci siamo più riviste”
Nella mente di Sherlock tutte le tessere del puzzle andarono al loro posto, questo però poteva significare solo una cosa.
“Ma lei è morta” disse lentamente “E tu pensi che non sia stata una morte naturale. Per questo hai tentato di entrare nell’obitorio. E per questo lo sceriffo ha parlato di attenuanti, gli hai detto che si trattava di una tua amica”
Molly fece un profondo respiro.
“Alice mi aveva indicata come suo unico contatto nel suo testamento” rispose con voce rotta “e quando ho saputo sono venuta subito. Dicono che si sia schiantata con la sua macchina perchè guidava ubriaca, ma io la conoscevo, non era da lei. Quando ho chiesto di vedere il tossicologico si sono rifiutati di mostrarmelo, anche quando ho avanzato le mie credenziali. Non hanno nemmeno fatto l’autopsia, ma io so che c’è qualcosa che non va” Molly scacciò con rabbia le lacrime che avevano iniziato a scenderle sul viso “Prendimi pure in giro, ma io me lo sento. In qualche modo, Alan l’ha trovata e si è vendicato”
Dopo il suo discorso Molly rimase in attesa che Sherlock elaborasse tutte le informazioni. Passati pochi secondi, lui parlò.
“Ok”
Quasi stupita, la patologa si rivolse verso l’uomo in poltrona.
“Ok?” ripetè un po’ incredula.
Sherlock annuì e le fece un sorriso.
“Ok, accetto il tuo caso. E questo può significare solo una cosa, Molly Hooper”
“Che cosa?”
“Che io dovrò insegnarti come si fa un’effrazione in piega regola”
 
***
 
Sherlock Holmes poteva quasi sentire dentro la sua testa la voce piena di biasimo di John Watson.
Dovevi riportarla a casa. Non farle reiterare il suo crimine rischiando di far arrestare entrambi.
Mentre avanzavano lungo il corridoio dell’obitorio e si preparava a forzare l’ultima porta, Sherlock scacciò la voce con fastidio.
“Oh, sta zitto!” sussurrò.
Dietro di lui, Molly lo tirò per una manica.
“Cosa?”
“Niente” replicò il consulente investigativo con una smorfia “ci siamo quasi”
Ovviamente, non potevi considerare l’alternativa di convincere lo sceriffo a lasciarvi analizzare il corpo e gli esami.
La voce questa volta era pericolosamente simile a quella di Mary Morstan Watson.
Sospetto che sia coinvolto in questa storia.
Sherlock potè quasi sentire il ghigno di Mary alla sua obiezione.
Forse. O forse volevi semplicemente abbagliare Molly con una fantastica avventura e farti bello ai suoi occhi.
Già, niente di meglio che una bella violazione di proprietà pubblica in una paese estero, per far colpo su una ragazza.
La voce di John si era affiancata a quella di sua moglie, con lo stesso tono ironico e saputello.
“Adesso basta, tutti e due!”
“Sherlock?”
Il tono preoccupato di Molly lo riportò alla realtà.
Lui fece un profondo sospiro.
Contemporaneamente sbloccò la serratura.
“Andiamo, dobbiamo sbrigarci” disse con sicurezza facendola entrare nella stanza e richiudendo la porta dietro di lui.
La patologa annuì e si diresse decisa verso le celle frigorifere, ma sembrò esitare di fronte allo sportello.
“Molly?” la esortò lui, comprendendo come fosse un momento difficile, ma come fosse anche importante fare in fretta.
Lei si riscosse e con un movimento deciso si infilò i guanti che si era portata e aprì il carrello per esaminare il corpo,  nel frattempo Sherlock si diede da fare per recuperare i documenti.
“Cosa dice il tossicologico?” la voce della ragazza arrivò ferma e risoluta.
“Grandi quantità di wodka alla menta”
“Lei la odiava. Non l’avrebbe mai bevuta”
“Ne sei sicura?”
Molly confermò con un cenno della testa mentre si chinava ad esaminare il corpo.
“Ad una festa del primo anno ci sbronzammo con della wodka alla menta, e Alice stette molto male. Dopo quella volta giurò che non l’avrebbe più toccata, anche il solo profumo le dava fastidio”
“Faccio fatica ad immaginarlo”
Molly non distolse l’attenzione da ciò che stava facendo.
“Che cosa?” domandò senza alzare la testa.
“Tu. Ubriaca”
Un breve sorriso apparve sulle labbra della patologa.
“Nonostante questo non hai esitato a rivolgerti a me, quando stavi organizzando l’addio al nubilato di John”
Sherlock rimase per un attimo in silenzio.
“Avevi ragione, sai?” disse infine.
“Su che cosa?”
“Non avevo bisogno del tuo aiuto, avrei potuto fare i calcoli da solo”
Molly si morse il labbro ma non commentò, poi trovò qualcosa che la fece sussultare.
“Sherlock, guarda qui!”
Il consulente investigativo si avvicinò veloce.
“Che cosa hai trovato?”
“Un segno di iniezione” indicò lei “minimo, ma visibile. Potrebbe essere stata prima drogata, e poi costretta a bere perchè il livello di alcolemia si alzasse”
“Un sedativo nel sangue si sarebbe confuso più facilmente e sarebbe stato più difficile trovarne traccia, soprattutto senza la volontà vera di trovarlo” commentò Sherlock “e da li, inscenare l’incidente sarebbe stato semplicemente il passo successivo e definitivo”
“Oh, povera Alice...” mormorò Molly con tristezza.
“Ho sempre pensato che tu fossi una grande impicciona!”
La voce sulla porta fece sussultare la patologa, ma soprattutto lo fece la pistola puntata verso di lei.
“Alan...” mormorò con paura e rabbia.
“Ed ecco che arriva il marito violento e assassino” commentò tranquillo Sherlock.
“Lei stia zitto!” la pistola si agitò verso di lui, cosa che era esattamente voluta: non avrebbe permesso a quell’uomo di fare del male a Molly.
Ma lei sembrava avere altre idee per la testa.
“L’hai uccisa tu!” gridò, riportando l’attenzione su sè stessa “dopo che per anni l’hai picchiata e trattata come una bestia!”
“Io la amavo!” replicò l’uomo, tornando a puntare la pistola verso la ragazza “e lei mi ha lasciato, con il tuo aiuto è sparita e ci ho messo anni per ritrovarla. E quando mi ha rivisto, ha avuto il coraggio di dirmi che non sarebbe tornata con me!”
“Amore?” chiese Molly “questo non è amore, è tutto il contrario! Sai una cosa, Alan? Lei era molto felice senza di te!”
“Sta zitta! Sta zitta!”
Sherlock era già pronto a scattare, quando un’altra voce si unì a quelle nella stanza.
“Io starei fermo e buono, se fossi in te”
Lo sceriffo era arrivato silenziosamente sulla soglia e ora puntava la sua pistola.
Per un attimo niente si mosse, poi Alan crollò a terra e alzò le mani sulla testa.
“Io la amavo...” cominciò a ripetere dondolandosi avanti e indietro, mentre lo sceriffo continuava a tenerlo sotto tiro e lo disarmava.
“Come no” disse l’uomo mentre lo ammanettava, e rivolgeva poi uno sguardo di fuoco verso Molly e Sherlock.
“Dovrei arrestare anche voi!”
“A nostra discolpa possiamo dire che pensavamo che Lei fosse complice nell’assassinio...” disse Sherlock “invece posso felicemente affermare che è stato solo tremendamente lento e ottuso”
L’ufficiale stava per replicare, ma poi vide Molly avvicinarsi.
“Senta...” iniziò, ma l’attenzione della donna era tutta rivolta verso il prigioniero.
“Questo è per Alice” mormorò lei, prima di tirargli un calcio in mezzo alle gambe.
Lo sceriffo fece un profondo sospiro, ma non si scompose più di tanto alle lamentele di Alan.
“Farò finta di non aver visto” disse infine “Ma voi due ora ve ne tornate dritti filati a Londra”
 
***
 
“Sei contenta che alla tua vecchia amica sia stata fatta giustizia, ma nonostante questo ti fai ancora delle colpe”
Molly si girò stupita verso Sherlock, poi si mosse per sistemarsi meglio nel sedile dell’aereo e si prese un attimo per considerare quell’affermazione.
“Si, credo di si” disse infine “Mi chiedo se avrei potuto essere un’amica migliore”
“Non devi biasimarti per non esserti accorta di quello che succedeva all’interno del suo matrimonio... lei avrebbe potuto parlartene, ma non l’ha fatto. E quando ti ha chiesto aiuto tu glielo hai dato, nonostante fossero passati anni”
Molly scosse la testa.
“Hai ragione, ma credo che ci sarà sempre una parte di me che si chiederà se avrei potuto fare di più”
L’aereo decollò e Molly rimase ad osservare il paesaggio che si faceva sempre più piccolo sotto di loro.
“Grazie di avermi aiutata, Sherlock” mormorò dopo qualche attimo.
Lui scosse la testa.
“Non avresti fatto quello che hai fatto, se non fosse stato importante e io... io volevo starti vicino ed essere per una volta quello che dava aiuto, piuttosto di riceverlo. Mi sei mancata” disse infine.
Lei tornò a guardarlo e vide la sua espressione intensa, e il senso di attesa per la reazione a quella sua affermazione così importante e sofferta.
A Molly, però, quelle parole da sole non potevano bastare.
“Allora perchè mi hai esclusa cosi?” chiese, non riuscendo ad evitare un tono di rabbia nella sua voce.
Un breve sorriso amaro apparve sul volto del consulente investigativo: se lo meritava, Molly aveva il diritto di chiedere e di non accontentarsi di una frase che, sebbene sincera, non spiegava nulla.
“Perchè sapevo di non essere pronto ad affrontarti” rispose “Perchè sapevo di meritare il tuo biasimo e avevo paura di perderti, che questa volta avresti deciso che ero andato troppo oltre. Ho fatto delle cose, Molly... cose che tu forse non avresti potuto accettare. E ne avresti avuto tutte le ragioni”
Gli occhi nocciola si fissarono sul suo viso, e lo scrutarono intensamente.
“Lascia che sia io a giudicare” disse infine lei.
Sherlock strinse le labbra.
“Io non sono sicuro che...”
Una piccola mano arrivò a stringere la sua. Ed era una stretta calda e confortante, che sapeva di amore e comprensione.
“Il viaggio è lungo” disse Molly con un sorriso “e io voglio sapere tutto. Parla con me, Sherlock Holmes”
E questo fu esattamente quello che lui fece.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sassolino # 6 ***


Ciao!
Ecco un altro sassolino... povero, era già a metà da un sacco di tempo, ma si è visto scalzare dagli altri. Un po’ di commedia/romanticismo prima del prossimo che, se riuscirò a scriverlo, sarà decisamente diverso.
Lo dedico a leloale, che è stata cosi gentile da commentare tutti i capitoli con entusiasmo e attenzione. Nonostante si scriva per la soddisfazione di farlo, le recensioni fanno sempre mooolto piacere, quindi grazie!
 
SASSOLINO # 6
 
“Oh… non mi sembra ancora vero!”
Mary Morstan Watson battè le mani entusiasta e sorrise.
“Oh si, Mary. Un pomeriggio di shopping... altamente stimolante”
Il commento sarcastico di  Sherlock era arrivato dallo sgabello in cucina, su cui era seduto: la donna si voltò per rispondergli con un tono simile, ma lo vide aprire con entusiasmo una scatola e cominciare ad estrarre qualcosa, e rendendosi conto che era in procinto di iniziare un esperimento e che nulla (o quasi) poteva distrarlo veramente, si rassegnò ad ignorarlo e continuò a sorridere.
“Non solo shopping...” disse “ ma anche un vero tè, servito a un vero tavolo, da qualcuno apposta per me... da bere con calma, senza nessuno in braccio e con dei veri stuzzichini”
“Non avevi detto che volevi metterti a dieta,  ora che hai smesso di allattare?”
L’espressione della Signora Watson cambiò impercettibilmente, segno che, esperimento o non esperimento, l’ultima affermazione meritava una replica decisa: se suo marito fosse stato presente, infatti, avrebbe subito capito che l’argomento appena toccato poteva rivelarsi esplosivo.
“Non dargli retta, Mary” l’entrata di Molly Hooper in salotto impedì alla discussione di continuare “Meriti una pausa, non sei ancora uscita da quando è nata Maggie. Ti sei guadagnata sicuramente la possibilità di un po’ di relax” aggiunse la patologa, mentre a testa bassa rovistava nella sua borsa alla ricerca di un laccio per capelli, che trovò dopo pochi secondi con un’esclamazione di soddisfazione.
Mary sorrise alla vista dell’amica che con fare automatico si legava la coda di cavallo e decise che nessuno, soprattutto Sherlock Holmes, avrebbe avuto il potere di rovinare il suo primo pomeriggio di libertà dopo tanto tempo.
Ovviamente, adorava la sua bambina, ma finalmente era arrivato il momento in cui si sentiva abbastanza pronta per lasciarla con qualcun altro per alcune ore.
Aggrottando la fronte, ripassò mentalmente il contenuto della borsa che aveva lasciato a Mrs Hudson, per essere sicura di non aver dimenticato nulla, e quando fu tranquilla un altro pensiero le attraversò la mente.
Forse, dopo tutto, poteva ancora lanciare una frecciatina.
“Io ho lasciato qualche gioco a Mrs Hudson per far star tranquilla Maggie... tu cosa lasci a Sherlock perchè non faccia i capricci?” chiese in tono serafico.
La schiena dell’uomo si raddrizzò di scatto, a testimoniare l’offesa ricevuta per essere stato paragonato a una neonata  di sei mesi, ma ancora una volta Molly evitò un’ulteriore diatriba verbale, rispondendo in modo distratto mentre si infilava il cappotto.
“Un polmone, due campioni di sangue e una lingua” affermò con naturalezza.
“E due occhi!”
La voce entusiasta di Sherlock, che aveva finito di svuotare il contenitore termico,  fece sorridere la patologa.
“Si, e due occhi” gli confermò  con un sorriso luminoso “un bonus dell’ultimo momento. So quanto li desiderassi. E dovrei tornare in tempo per vedere gli effetti del congelamento e della cottura”
Terminando poi di allacciarsi il cappotto si voltò verso Mary, che li osservava scuotendo leggermente la testa.
“Che c’è?” le chiese confusa, osservando la sua faccia.
La donna sorrise.
“Lascia stare, non avrei dovuto fare nessuna domanda. Andiamo?”
Molly annuì e si avvicinò a Sherlock, di nuovo concentrato sui suoi regali.
“Noi stiamo uscendo” annunciò.
“Mmm” fu l’unica risposta che ottenne, ma senza scoraggiarsi lei aggiunse
“Tornerò per cena, ovviamente”
“Mmm”
Ormai Sherlock sembrava totalmente assorto e incantato da ciò che cominciava a vedere al microscopio, per cui la donna si rassegnò con un sospiro.
“Non mi stai più ascoltando, vero?”
Mary fremeva impaziente sulla porta, per cui Molly fece per voltarsi e andarsene, ma un pensiero la bloccò.
“Per favore, potresti evitare di usare gli ultimi acidi che hai preso?”
“Mmm”
“Sherlock? Per favore, quella parte di esperimento la puoi fare domani in laboratorio”
Sherlock non staccò gli occhi dalle lenti, ma qualcosa nel tono di Molly evidentemente aveva fatto breccia nella sua concentrazione, perchè sembrò in qualche modo reagire.
“Ok, ok...” rispose senza alzare lo sguardo.
“Beh, sembra che sia il massimo che posso ottenere. Buon pomeriggio” sospirò Molly, prima di chinarsi per lasciargli un bacio sulla guancia.
“Si, si...” reagì Sherlock ancora assorto nel suo lavoro, per poi agitare una mano con fare dismissivo “ti amo anche io”
L’espressione di Molly a quelle parole si fece quasi assente, e la ragazza si riscosse solo al richiamo di Mary.
“Dai su, andiamo!”
“Si, certo” borbottò la patologa, voltandosi per raggiungere  l’amica sulla soglia dell’appartamento.
Prima di uscire, diede un ultimo fugace sguardo all’uomo seduto al banco della cucina, ma Sherlock Holmes non si voltò, nè diede segno di essersi accorto di quello che aveva appena detto e dell’effetto che aveva ottenuto.
 
***
 
“È stata un pomeriggio meraviglioso. Da rifare, quanto prima!”
“Sempre se Mrs Hudson accetterà di nuovo di tenerti aggiornata ogni dieci minuti con foto e messaggi su Whatsapp” commentò Molly divertita, mentre prendeva un altro sorso di tè.
Mary fece una smorfia e addentò un tramezzino.
“Credi che abbia esagerato?” chiese masticando con soddisfazione.
La patologa scosse la testa dolcemente.
“Credo che tu sia una madre che ama molto sua figlia” rispose sorridendo “e che sia una fortuna che Mrs Hudson abbia imparato ad usare uno smartphone”
Mary scoppiò a ridere, ma poi il si concentrò meglio sull’amica seduta di fronte a lei.
“Tu, Molly Hooper, non me la racconti giusta” dichiarò seriamente.
L’altra abbassò la testa, e si mise a giocare distrattamente con il cucchiaino.
“Che intendi dire?” chiese infine, cercando di infondere un tono casuale nella sua voce.
Mary le prese la mano.
“Non fraintendermi... sono sul serio convinta che sia stato un pomeriggio meraviglioso, ma tu mi sei sembrata... assente” disse con cautela.
Molly alzò lo sguardo di scatto.
“Oh” esclamò piano.
La Signora Watson le sorrise con incoraggiamento, cercando di farle capire che era tutto a posto.
“Che succede? Sputa il rospo”
Molly fece un profondo sospiro.
“Sherlock mi ha detto che mi ama” disse infine, una smorfia sul viso.
Mary aggrottò la fronte, non capendo decisamente cosa ci potesse essere di male in questo.
“Oh si... è stato cosi carino” disse, procedendo con cautela “Vorrei averlo ripreso con il telefonino, John avrebbe molto gradito. Non capita tutti i giorni la possibilità di vederlo così umano. Insomma, so che ti ama, ma spesso in pubblico è cosi contenuto!”
La coda di cavallo di Molly ondeggiò piano, mentre scuoteva leggermente la testa.
“Non credo che se ne sia accorto. Di averlo detto, insomma” sussurrò.
Mary fece una smorfia.
“Tipico di Sherlock” annuì divertita “Era cosi concentrato sulle parti del corpo che gli hai procurato che”
“Era la prima volta”
L’interruzione sofferta di Molly bloccò Mary.
“Che cosa?”
La patologa abbandonò il cucchiaino e congiunse le mani in grembo.
“È stata la prima volta che mi ha detto di amarmi...” disse infine “e credo l’abbia fatto per sbaglio... cioè, sicuramente non è stato intenzionale”
Mary strinse gli occhi.
“Spero che tu stia scherzando” affermò decisa.
Molly scosse di nuovo la testa, poi fece un sorriso forzato e cercò di dare alla propria voce un tono gaio.
“Stiamo parlando di Sherlock, lo conosci...” iniziò piano “per lui è difficile elaborare queste cose, fino a poco tempo fa le riteneva solo delle grandi sciocchezze, e io non posso davvero lamentarmi... voglio dire, anche se tu dici che in pubblico è molto contenuto, nel privato non è cosi” aggiunse arrossendo “E a me va bene. Avrei solo voluto godermi di più l’attimo, ma in fondo non è importante, giusto? Sono solo delle sciocche romanticherie, non tutti i primi ti amo vengono detti in momenti memorabili, no?”
“Se lo dici tu...”
Notando come Mary si stesse muovendo sulla sedia a disagio ed evitasse il suo sguardo, Molly emise un gemito.
“Perchè, come è stato il tuo con John?” chiese, intuendo già la risposta.
L’amica agitò una mano.
“Oh, non ne parliamo ora! L’hai detto anche tu, non è importante”
“Mary...”
“Il nostro primo weekend fuori! Aveva preparato un picnic sotto le stelle” fu la risposta data in modo veloce, quasi con fare colpevole.
“Oh”
“Ma il vino non era un granchè, se ti può consolare”
 
***
 
Mentre Sherlock era in procinto di utilizzare i suoi nuovi, pericolosi acidi, la sua mente fu attraversata da una sensazione fastidiosa che, nonostante diversi tentativi di bandimento, tornava sempre a fare capolino.
Rassegnandosi, il consulente investigativo decise di accedere al suo palazzo mentale per scoprirne la causa e, a ritroso, arrivò fino ai suoi saluti con Molly.
Oh.
Certo. Lei gli aveva chiesto di non farlo.
Davvero un peccato.
Il dibattito interiore sull’opportunità o meno di contravvenire alla richiesta ci fu, ovviamente, ma a onor del vero durò veramente poco, e Sherlock si rassegnò a rimandare la conclusione dei suoi esperimenti al giorno successivo.
Impensabile, fino a qualche tempo fa, ma ora faceva parte di una coppia e doveva esercitare dei compromessi; accingendosi a riordinare (cosa altrettanto impensabile, fino a poco tempo fa), Sherlock Holmes ebbe però un altro ricordo delle circostanze relative al suo saluto a Molly, e questo lo fece ricadere pesantemente sullo sgabello.
Oh.
Doppio oh.
Circostanze alquanto... singolari, a quanto pareva.
E che richiedevano ovviamente un’analisi più approfondita.
 
***
 
Vieni a Baker Street   16:45
 
Sto lavorando, Sherlock  16:48
E quindi?  16:48
 
E quindi, a meno che tu non sia in pericolo mortale, non verrò. 16:49
Perchè? 16:49
 
Perchè sto lavorando! 16:50
Ho bisogno di confrontarmi su una cosa  16:50
John?  16:53
 
Sempre lavorando, Sherlock! 16: 55
Oh, per favore, le allergie del Signor Davis possono aspettare.  16:55
 
Hai mai sentito parlare di privacy, Sherlock? 16:56
Come concetto generale o riferita a qualcosa di particolare? 16:56
 
Oh santo cielo. 16:57
 
Il telefono squillò quattro secondi dopo l’arrivo dell’ultimo whatsapp.
“John?”
“Breve e conciso, Sherlock. Cinque minuti e sono subito da Lei, Signor Davis!”
“Ho detto a Molly che la amo”
“Siii? E quindi?”
“Era la prima volta che lo facevo... mi confermi che questo momento, in una relazione, è un passo che viene connotato da un grande significato?”
“Beh, certo. Esprimere a voce i propri sentimenti a volte è ancora meglio che mostrarli, Sherlock. Tu non sei esattamente mister romanticismo e ci hai messo un po’, ma meglio tardi che mai. Congratulazioni, benvenuto nel mondo delle relazioni normali. Questo è un gran primo passo, porta il rapporto ad un livello diverso”
L’affermazione del Dottore fu accolta da un profondo silenzio, segno che in qualche modo Sherlock stava riorganizzando i propri pensieri, per aggiungere la nuova informazione al suo hard disk mentale: in attesa che il suo migliore amico riprendesse a funzionare, John ne approfittò per sistemare la scrivania e riguardare la cartella del Signor Davis.
“Quindi era davvero un momento importante”
La voce incredula del consulente investigativo tornò a farsi sentire: John aveva appoggiato il telefono sul tavolo e l’aveva messo in viva voce mentre faceva le sue cose, e controllò l’orologio.
Due minuti e trentanove secondi.
“Bentornato. Certo che era un momento importante” esclamò riprendendo il mano il cellulare.
“Ho detto a Molly che la amo” ripetè piano il consulente investigativo, con un tono quasi meravigliato.
“Non è cosi tremendo, Sherlock”
“Certo che non è tremendo, John...non dire sciocchezze. È la naturale evoluzione del nostro rapporto, e le modalita' in cui è successo sono assolutamente di secondaria importanza” il tono di Sherlock era tornato quello arrogante di sempre.
John quasi sorrise mentre diceva  “Bene. Molly se lo meritava, sarà stata felice... il primo ti amo è sempre bello” ma il telefono esibì di nuovo silenzio, e lui si ritrovò ad analizzare le ultime parole dell’amico.
“Sherlock? Quali modalita'?” chiese sospettoso.
“...”
“Sherlock che è successo?”
“Ecco io... Potrei averlo fatto in modo un po’... distratto. Ma in fondo non conta, giusto?”
Il consulente investigativo sentì il Dottore inspirare molto profondamente.
“Quanto distratto?”
“...”
“Sherlock?!?”
“Non me ne sono accorto. Stavo iniziando un esperimento e gliel’ho detto a mo’ di congedo, senza alzare gli occhi dal microscopio. Credo anche di avere agitato una mano per mandarla via, cosa che lei ha fatto” fu la risposta data con una lieve nota di panico.
La pausa di silenzio di John fu più eloquente di qualsiasi commento.
“Sei un idota” disse però infine, giusto per non lasciare spazio ai dubbi... e subito gli arrivò un misero tentativo di giustificazione.
“L’esperimento si stava prospettando come molto coinvolgente!”
Prendendosi il dorso del naso tra le dita per fermare un principio di emicrania, John scosse la testa.
“Ma non mi dire... Sherlock, era la prima volta, potevi anche impegnarti un po’di più!”
“L’avrei fatto, se me ne fossi accorto! Mi è semplicemente uscito cosi!” sbottò il consulente investigativo.
“Non ho dubbi” confermò l’amico “Ma Molly è una santa, si sa. Ti perdonerà”
“Perdonarmi? Le ho detto che la amo!”
“Distrattamente e per caso!” ribadì John con fermezza “ non sicuramente il modo migliore. Vedi di rimediare e prova a dirlo in modo più diretto, la prossima volta”
Dall’altra parte del telefono ci fu un gemito di sofferenza.
“Devo dirglielo di nuovo? Non basta una volta sola? E se lo faccio di nuovo in modo terribile?”
“Questa domanda non merita risposta, Sherlock” John fece per riattacare, poi fu preso a pietà “Anzi, si.
Senti, non esiste un modo terribile per dire ti amo, anche se forse tu potresti riuscire ad inventarlo. Ma sicuramente ci sono delle cose che puoi fare per rendere la seconda volta un momento speciale, visto che la prima è stata cosi... misera. Il resto verrà da sè”
“Quale resto?” chiese Sherlock sospettoso.
John sorrise, e guardò con affetto la foto di Mary che aveva sulla scrivania: il suo pensiero corse ad un picnic su un prato, sotto un cielo stellato di una notte estiva di qualche anno prima, e a un vino pessimo che però non aveva rovinato l’atmosfera.
“Quello in cui anche lei ti dice di amarti. Credimi, ne vale la pena” rispose infine.
 
***
 
Molly rientrò nell’appartamento a Baker Street in preda a diversi sentimenti.
Non per ultimo c’era il timore che, prima della sua sconvolgente dichiarazione, Sherlock non la stesse sul serio già più ascoltando, e che quindi avesse proceduto ad utilizzare quegli acidi particolarmente efficaci ma maleodoranti.
Una profonda inspirazione sulla soglia di casa la rassicurò almeno su questo aspetto: l’aria era satura solo dei soliti profumi e odori che lei aveva imparato ad amare cosi tanto.
Mentre oltrepassava la porta e procedeva ad appoggiare i suoi pacchetti e il suo cappotto, per un attimo ebbe la flebile speranza che Sherlock non fosse in casa, ma poi lui apparve dalla loro camera.
“Ciao”
“Ciao”
“Come è andato il pomeriggio?”
“Bene. Mary ne aveva bisogno, si è rilassata e divertita. I tuoi esperimenti?”
Molly cominciò a muoversi per la stanza per evitare di incrociare lo sguardo di Sherlock.
“Molto soddisfacenti. Ma ho lasciato indietro gli occhi per un’altra occasione” disse lui, avvicinandosi.
“Oh”
Passandole piano una mano sul braccio, lui la attirò leggermente a sè.
“Potremmo uscire a cena, se non sei troppo stanca”
Molly spalancò gli occhi, stupita da quell’affermazione.
Forse, dopo tutto, Sherlock era riuscito ad usare gli acidi e ora stava cercando di farsi perdonare. E questo significava che non aveva ricordo della sua affermazione.
“Abbiamo gli avanzi del take away di ieri, basterà riscaldarli” replicò un po’ più rilassata decidendo che, per il sollievo di non dover sostenere una conversazione imbarazzante, poteva perdonargli qualsiasi disastro avesse combinato.
“Allore posso chiamare Mycroft per i biglietti di quello spettacolo teatrale che volevi vedere”
A questa successiva affermazione, Molly ricominciò a preoccuparsi.
Doveva averla davvero combinata grossa.
Inconsciamente si guardò intorno per cercare di capire quali e quanti fossero i danni, visto che l’appartamento sembrava in ordine.
“Hai detto che quello spettacolo ti sembrava una cosa stupida!” disse distrattamente.
Sherlock sembrò sul punto di perdere la pazienza e si allontanò da lei.
“Lo penso ancora, per la verità!” sbottò infine “ma... a te farebbe piacere”
Molly tornò a guardarlo e gli sorrise, pronta a riconoscere quello che sembrava essere solo un enorme sforzo di gentilezza del consulente investigativo.
“Non c’è alcun bisogno, tranquillo” disse “Restiamo a casa, tira fuori gli occhi, dai”
Sherlock lanciò un grido di frustrazione.
“Perchè mi stai rendendo il tutto cosi complicato?”
Il sorriso di Molly scomparve.
“Cosa?”
“Sto cercando di ricreare il momento perfetto per rimediare al mio exploit di questo pomeriggio, ma tu non sei collaborativa” Sherlock cominciò a passeggiare nervosamente per la stanza.
“Oh.” Esclamò piano la patologa “quindi te ne sei accorto”
“Verso le quattro di oggi pomeriggio, si” ribattè automaticamente Sherlock, prima di fermarsi con un gemito “voglio dire... mi rendo conto di aver pronunciato la mia affermazione con pessimo tempismo e modalità, ma ora potremmo creare l’atmosfera e l’occasione giusta perchè io possa ripetermi e”
“Tu vuoi ripeterlo?” lo interruppe lei stupefatta.
Sherlock annuì.
“John dice che è un momento importante in una relazione, che si tradurrà in una risposta simile da parte tua, e che questo ci farà salire di livello nel nostro rapporto e gli darà un nuovo significato”
Un lampo di comprensione passò negli occhi di Molly.
“Non è necessario” disse rassegnata.
Sherlock alzò un sopracciglio.
“Come, non è necessario?”
“Non... non devi. Non sentirti costretto”
Lui le si avvicinò e la scrutò con attenzione.
“Tu non credi che io voglia ripeterlo” la accusò infine.
Il viso di Molly si rivolse al pavimento.
“Non è questo” sussurrò.
“Di che si tratta allora?” Sherlock sembrò considerare un attimo le sue parole e un’espressione stupita e ferita gli apparve sul volto “Tu non vuoi che io lo ripeta, perchè implicherebbe il fatto che tu mi risponda allo stesso modo. Oggi non hai ribattuto che mi ami anche tu”
Il viso di Molly scattò all’insù.
“Sherlock, tu non mi stavi nemmeno guardando o ascoltando” disse irritata e ferita.
Lui strinse le labbra.
“Ricordo perfettamente che sei rimasta in silenzio”
La patologa emise un gemito.
“Cosa avrei dovuto fare?” si agitò “Dirti una cosa cosi importante, quando invece a te era sfuggita per sbaglio ed eri di nuovo concentrato sui tuoi esperimenti?  Ti rendi conto che ho passato anni a morirti dietro e ad essere trattata come uno zerbino, a sentirmi insultare, o blandire solo per avere accesso all’obitorio? E adesso eccoci qua, a parlare del fatto che possiamo o no dirci che ci amiamo e io non... non...”
“Non credi che io sia cambiato cosi tanto da essere pronto per farlo, se non per sbaglio” concluse lui con tono accusatorio.
Molly si mise le mani ai fianchi, in una posa di forte irritazione.
“Non è questo il punto, è una cosa che ti è scappata, Sherlock. Non devi ripeterla solo per farmi piacere, o solo perchè John ti ha detto che era giusto cosi” urlò.
“Beh, questo libera dall’obbligo anche te,  a quanto pare!” le urlò di rimando anche lui.
Rimasero entrambi a guardarsi per qualche istante, poi Molly scosse piano la testa.
“Non posso credere che stiamo litigando per questa cosa”
Si stava mordendo il labbro inferiore, segno che il suo disagio e la sua rabbia si stavano trasformando in tristezza.
Sherlock odiava quando Molly era triste.
In una frazione di secondo, erano una nelle braccia dell’altro.
“Scusa” mormorò lui.
“Scusa tu” replicò piano lei, il viso affondato nel suo torace “Io ci ero rimasta un po’ male ma ero tranquilla, prima che Mary mi facesse notare quanto romantica fosse stata la dichiarazione di John”
Sherlock fece un sospiro.
“E io ero fermamente convinto di essere a posto, anche se non era stato il più romantico dei momenti, prima che John mi riempisse la testa di idee su un contesto e circostanze perfette” disse, prima di fare una smorfia e aggiungere “Ergo,  il nostro litigio è tutta colpa dei coniugi Watson”
Sentì Molly cominciare a ridere piano, e finalmente si rilassò del tutto.
Poi lei alzò lo sguardo, un sorriso di nuovo sul volto.
“Ti amo anche io, Sherlock” disse tranquillamente, rafforzando la presa delle sue braccia intorno a lui.
Il consulente investigativo sentì una strana sensazione, e si disse che John almeno su questo aveva avuto ragione.
Sentirselo dire era... bello.
 Poi alzò un sopracciglio.
“Ma io non ho ancora...”
Molly scosse la testa.
“Non importa. L’hai fatto prima, e credo che fosse l’unico modo in cui tu ti sentissi pronto di farlo. Non perchè non lo vuoi, ma perchè tu sei tu. E non ti vorrei in nessun altro modo”
Sherlock si chinò verso di lei.
“Potrei sempre decidere di fare un po’ pratica...” sussurrò.
“Quando vuoi” rispose Molly “sono sicura che te la caverai benissimo”
E il momento successivo le parole non furono davvero più necessarie.
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sassolino # 7 ***


Ok, è molto, molto lungo e, contrariamente allo “spirito” dei sassolini, forse avrà anche un seguito.
Contiene anche molti spoiler rispetto allo speciale, TAB, che ho visto al cinema. Ho voluto provare a sperimentare con alcune idee folli e sicuramente tirate per i capelli, ma lo spunto viene da una puntata di uno dei miei telefilm preferiti in assoluto, “Scarecrow and Mrs. King” (Top Secret, in Italia); chi è un po’ vecchietto come me forse se lo ricorderà, io lo adoravo. Nella fanfic ho messo due riferimenti e una battuta proprio di quella puntata, magari qualcuno li coglierà?
Un grande saluto a tutti.
 
SASSOLINO # 7

 
L’appartamento di Baker Street era avvolto da un clima che a un osservatore casuale sarebbe apparso calmo, ma che era invece saturo di tensione.
Al momento, le persone presenti (tante, comparate ai consuenti standard) cercavano di tenersi occupate senza dar modo al nervosismo di avere il sopravvento: Mrs Hudson si stava affaccendando in cucina per praparare il te per tutti, premurandosi di scacciare affettuosamente i tentativi di Mary per aiutarla.
“Cara, non preoccuparti... siediti e riposa” il tono dolce si accompagnò ad un gesto con la mano “hai detto che quindi è una bambina? Oh... non vedo l’ora che nasca, sarà una meraviglia, ne sono sicura”
Mary annuì, ma nei suoi occhi passò un lampo di preoccupazione mentre li faceva vagare per la stanza.
Mycroft e Anthea erano coinvolti in una fitta conversazione a bassa voce, intenti a consultare dei dati sul palmare dell’assistente; dal loro atteggiamento non riusciva a capire se le notizie che arrivavano fossero buone o cattive o, addirittura, se riguardassero tutt’altro rispetto alla questione che li aveva portati tutti li, su richiesta di Sherlock.
Beh. Quasi tutti, a pensarci bene... e questo era un ulteriore motivo di preoccupazione.
Il suo sguardo si spostò su John, che cercava di distrarsi conversando di sport con Greg Lestrade,  ma lei sapeva bene che il marito avrebbe resistito ancora per poco, e che quell’attesa per lui era ormai troppo; dopo pochi secondi, infatti, lo vide avvicinarsi a Sherlock.
“Hai detto di sapere quale sarebbe stata la prossima mossa di Moriarty” sbottò il Dottore rivolgendosi all’amico “Dopo aver detto che era morto. Vuoi per favore spiegarti, o dobbiamo stare qui ad aspettare ancora per molto che tu ti decida a condividere con noi le tue idee?” terminò  esasperato.
Tutti tacquero improvvisamente, e lo sguardo di Mary si posò infine sul consulente investigativo, che però non si voltò e continuò a guardare fuori dalla finestra.
“Non ci siamo ancora tutti... Anthea?” rispose l’uomo, facendo sorridere brevemente Mary.
Ma certo.
L’assistente di Myrcroft  fece un cenno con il capo, e consultò di nuovo il telefono.
“La nostra macchina ha prelevato la Dottoressa Hooper dall’ospedale circa venti minuti fa. Dovrebbe essere in arrivo”
A confermare le sue parole, un’autovettura scura si avvicinò al marciapiede, e Sherlock Holmes osservò la figura minuta uscirvi e presentarsi alla guardia davanti al portone.
Con trepidazione, ascoltò i passi sui gradini e la porta cigolare leggermente.
Scelse di non voltarsi subito: non vedeva Molly Hooper da molto tempo, e  quella situazione di emergenza andava contro ogni scenario che lui aveva prefigurato come possibile per il loro prossimo incontro, prima di capire che invece non ci sarebbe più stata la possibilità di rivederla; ora, però, la presenza della patologa era quanto mai necessaria: al fine di predisporre ogni ulteriore mossa,  voleva che tutte le persone coinvolte fossero  riunite intorno a lui.
Questa volta non avrebbe permesso che le cose andassero troppo oltre.
Sperò che tutti i segni della sua recente overdose se ne fossero andati, ma probabilmente l’occhio acuto di Molly avrebbe colto qualche indizio... si sarebbe arrabbiata, di nuovo, ma era prioritario ora occuparsi di altro e poi... poi si sarebbero dati delle spiegazioni, finalmente.
Un mucchio di spiegazioni.
Scacciò velocemente quei pensieri dalla testa, non era il momento di lasciarsi distrarre, e la sua concentrazione doveva essere dedicata a questioni ben più pressanti.
“Ciao a tutti”
Il saluto arrivò esitante ma, mentre tutti rispondevano,  Sherlock si limitò ad aggrottare  la fronte.
“Scusate, ma non capisco cosa sta succedendo. Cioè... ho visto il video di Moriarty, ma ovviamente non può essere lui, vero? Voglio dire... è morto... e io di queste cose me ne intendo” una risatina nervosa fece seguito a quella frase e,  con lentezza,  Sherlock si voltò: nessuno lo stava guardando, e quindi tutti mancarono di cogliere la sua espressione che da perplessa si faceva attonita, e poi furiosa.
Con pochi balzi attraversò velocemente la stanza, si lanciò verso la patologa e la incollò con violenza contro il muro.
Mrs Hudson lanciò un grido e Mary si avvicinò istintivamente ai due, ma qualcosa negli occhi del consulente investigativo la bloccò.
Nello sguardo di Sherlock c’era un misto tra  rabbia  e disperazione.
“Sherlock!”
John e Greg si fiondarono  verso l’amico, cercando di divincolarlo dalla stretta con cui aveva bloccato Molly ma, per tutta risposta, lui spinse ancora di più l’avambraccio contro il collo della donna, rendendole persino faticoso respirare: gli occhi di quest’ultima erano pieni di paura, e nella stanza risuonarono i suoi gemiti mentre cercava di prendere fiato.
“Sherlock, che diavolo stai facendo? Lasciala subito!” John cercò di rafforzare la presa sull’uomo, mentre Lestrade lo circondava al torace, ma Sherlock sembrava pervaso da una rabbia cieca e non cedette.
“Dov’è?” l’urlo minaccioso del consulente investigativo rimbombò per tutta la stanza “dimmi subito dove è!”
Anche Mycroft si era alzato dal divano e aveva raggiunto il fratello, mentre finalmente Greg e John riuscivano a staccarlo da Molly, senza tuttavia riuscire a calmarlo: Sherlock continuò ad agitarsi e a respirare forte, e mentre cercarava  di liberarsi per attaccare di nuovo la patologa, gli altri due uomini dovettero usare tutta la loro forza per trattenerlo.
“Adesso basta” urlò Mycroft, piazzandosi davanti a lui “Sherlock smettila! Dottor Watson, evidentemente le droghe non hanno ancora finito il loro effetto, forse è meglio”
“Guardala!” la rabbia di Sherlock  ora era rivolta al fratello  “guardala, maledizione!”
Il maggiore dei fratelli Holmes sobbalzò leggermente a quel comando  e volse lo sguardo verso Molly, la quale si era accasciata contro il muro con gli occhi chiusi, Mary e Mrs Hudson che le stavano accanto pronte a sorreggerla: sul suo collo si stava formando un livido rosso vivo, e il respiro era ancora accelerato.
Sul viso di Mycroft passò lo stesso sguardo sorpreso che aveva inondato Sherlock qualche secondo prima.
“O mio...” sussurrò piano.
John e Greg si osservarono stupiti mentre continuavano a trattenere Sherlock e, ad un tratto, nella stanza si udì una bassa risata, che poco si accordava al clima del momento: tutti gli occhi si puntarono su Molly, era lei che stava ridendo e la sua espressione terrorizzata era stata sostituita da una compiaciuta; la donna fece vagare il suo sguardo sui presenti mentre si rialzava e finiva di sogghignare.
John pensò a una crisi isterica e inconsciamente rafforzò la presa sull’amico, pronto a rimproverarlo, ma poi qualcosa lo fermò.
Lo sguardo di Molly era... diverso.
“I fratelli Holmes” disse la donna in tono divertito, mentre si sistemava il maglione e riprendeva un ritmo regolare di respiro “cosi perspicaci... quasi sempre” la sua mano andò al livido sul collo e fece una smorfia “Vi faccio i miei complimenti, francamente pensavo ci avreste messo ancora un po’ ma devo aver sbagliato qualcosa... forse il tono di voce? Oppure qualcosa in questi orribili vestiti? Lei è davvero bravo come dicono, Signor Holmes, anche se ha impiegato comunque un po’ di tempo.
A dire il vero ci siamo visti ben poco in questo ultimo periodo, come unica attenuante è un po’ debole, ma dovremo farcela bastare, non crede? Come Lei stesso ammette, c’è sempre qualcosa  che può sfuggire. Peccato, speravo che insieme ci saremmo divertiti un po’”
John avvertì il corpo di Sherlock irrigidirsi e, come tutti i presenti nella sala, tranne Mycroft, assunse  un’espressione stupita.
“Dov’è Molly Hooper?”
Nell’udire quelle parole, Mary fece un passo indietro dalla donna che aveva appena tentato di aiutare, e si portò una mano alla bocca.
Lo sguardo del Dottor Watson scattò verso l’amico, fissandolo come se fosse impazzito.
“Sherlock, che stai dicendo? È Molly, è lei, ed è qui
“No che non lo è” dichiarò Mycroft freddamente.
John spostò lo sguardo sempre più stupito verso di lui, e notò i pugni chiusi per la rabbia.
La donna si girò a guardare il maggiore dei fratelli Holmes, e lui la fissò a sua volta.
“Spero che sia consapevole del fatto che non lascerà questa casa fino a che non ci avrà detto dove è la Dottoressa Hooper, dopo di che, chiunque Lei sia, mi assicurerò che marcisca lentamente in una prigione della più infima qualità” disse lui, facendola sogghignare di nuovo.
“Io non capisco...” dichiarò Greg.
“È una copia” disse piano Mary, negli occhi un’espressione ancora incredula.
Nell’appartamento calò un silenzio attonito.
“Una buonissima copia. Che ha ingannato tutti voi” confermò la donna con una smorfia di compiacimento.
“No... un momento. Non è possibile... è uno scherzo, vero?” John scosse la testa incredulo e si voltò di nuovo a guardare Sherlock.
Il viso del consulente investigativo era più pallido del solito, e sembrava di pietra: quando parlò, si sforzò oltre ogni modo di infondere al suo commento un tono neutro, come nella miriade di altre deduzioni che aveva fatto in passato, ma non riuscì a nascondere la lieve nota di panico che lo assalì.
“Un’accurata chirurgia plastica, uno studio maniacale di tono di voce e movenze... una professionista, ovviamente”
Non era Molly. Quella donna non era Molly e questo significava che LEI era altrove.
Lontano da lui, dove non aveva potuto proteggerla.
“Ovviamente” confermò la donna, annuendo soddisfatta e abbandonando definitivamente ogni pretesa di impersonare la patologa “il mio lavoro consiste nel cambiare spesso faccia, diciamo che non mi fossilizzo mai su un personaggio” il tono e l’espressione degli occhi si erano fatti taglienti e molto diversi da quelli di Molly Hooper, solo le fattezze fisiche rimanevano quelle dell’originale “Anche se devo dire che impersonare la Sua schiavetta alla lunga mi ha un po’ stufato, sinceramente pensavo che rientrare nella Sua cerchia di conoscenze fosse, come dire... più eccitante. Ma come ho già detto, in questo periodo Lei è stato molto impegnato... credo di essermi sentita un po’ trascurata” finì con sarcasmo.
“Da quanto tempo?” la postura di Sherlock si irrigidì ulteriormente nel porre quella domanda, e il suo cuore accelerò i battiti in preda all’agitazione: non era del tutto pronto a ricevere la risposta, perchè significava quantificare qualcosa di orribile, qualcosa di tremendo che stava succedendo a Molly e, di riflesso, a tutti loro, ma  a quel punto aveva bisogno di sapere.
“Perchè non prova a dedurlo, Signor Holmes?” la provocazione ebbe il potere di irritare John, che si avvicinò alla donna.
“Non mi piace far male a una signora, ma penso che questa volta farò un’eccezione” dichiarò  in tono minaccioso, anche se nel suo atteggiamento  si poteva intravedere tutta la confusione che ancora albergava in lui, e l’esitazione che avrebbe provato a colpire qualcuno con la faccia di Molly.
“Io non ho nessun problema a farlo, invece” dichiarò Mary con un’espressione furiosa.
La donna si limitò a fare un sorriso ironico, prima di rivolgere al sua attenzione di nuovo a Sherlock, come se stesse godendo molto nel prolungare la sua agonia.
“Da tre mesi” dichiarò infine con un’espressione di trionfo.
Il consulente investigativo contrasse la mascella, mentre una smorfia di rabbia e dolore gli passava sul volto.
Tre mesi.
Greg Lestrade imprecò a gran voce.
“Fortunatamente, quando mi sono sostituita alla Dottoressa Hooper lei aveva già lasciato quella noia di fidanzato, qualche settimana dopo il matrimonio dei Watson... non credo che avrei potuto reggerlo, era davvero insignificante. Almeno ho evitato di dover rompere io il fidanzamento, sarebbe stata un’ulteriore seccatura, anche se probabilmente lui non si sarebbe accorto di nulla”
“Ma questo significa che...” sussurrò John.
“Quel giorno in laboratorio ero io, si...” continuò la donna con soddisfazione “e non provi a negare che gli schiaffi non Le siano in qualche modo piaciuti, Signor Holmes. Ci rimarrei molto male, ci ho messo cosi tanto impegno... ammetto di non aver saputo resistere e di aver preso un grosso rischio, ma mi sono molto divertita e, sul serio, Lei non era nelle condizioni di accorgersi dello scambio, giusto?”
L’accusa ebbe il potere di colpire Sherlock più di quanto avrebbe fatto un pugno in faccia, e John lo vide abbassare la testa mentre realizzava cosa potessero significare quelle parole.
Quel giorno era talmente sotto l’effetto della droga che non aveva colto ciò che oggi aveva subito avvertito, prima ancora di voltarsi per vedere la donna che era entrata nell’appartamento. Era bastato il modo in cui aveva salutato e aveva scoperto  l’inganno, ma quel giorno... quel giorno era stato solo capace di incassare gli schiaffi e rispondere con una battuta velenosa.
Poi se ne era andato.
E poi...
“E poi Le hanno sparato” andò avanti imperterrita la donna, affondando ogni parola come una coltellata “e la povera, piccola Molly era ancora troppo arrabbiata per poterLe stare vicino, Signor Holmes... ho fatto qualche puntatina in ospedale, giusto per mantenere le apparenze... ma  Lei era talmente sotto morfina che ero sicura non  avrebbe comunque potuto scoprirmi... come Molly mi sono presa un po’ di ferie e poi sono rientrata al lavoro, ma voi siete stati tutti semplicemente troppo occupati a fare altro per potervi curare dell’insignificante patologa. Continuare a sostiturmi a lei è stato fin troppo facile”
“Ma io ti ho vista... sono venuto ancora all’obitorio, ti ho interrogata quando Sherlock è scomparso dall’ospedale” sussurrò Greg.
“Come ho già detto, una buonissima copia... mi creda, Ispettore, mi impegno sempre molto per poter eguagliare l’originale e credo di aver fatto un ottimo lavoro” l’espressione sul viso della donna si fece di nuovo dolce mentre sorrideva e,  per un attimo, passò di nuovo ad essere Molly mentre diceva “non trovi anche tu, Sherlock?”
Il consulente investigativo alzò di nuovo lo sguardo, e i suoi occhi si erano fatti di ghiaccio.
“Preferisco l’originale” dichiarò.
“Che peccato. Non credo che sia disponibile, al momento” commentò di nuovo con tono duro la donna.
“L’avete uccisa?” la domanda fu posta con trepidazione e rabbia da Lestrade.
Sherlock scosse la testa e, dentro di sè, pregò che la sua prossima deduzione fosse la più corretta di tutta la sua vita.
“No. Molly le serviva...” disse “potrà anche essere una copia quasi perfetta da un punto di vista fisico e di atteggiamento, ma dubito che abbia le capacità per poter essere una patologa senza essere istruita”
La finta Molly fece una smorfia.
“Sarebbe stupito di sapere quanto vaste sono le conoscenze di una persona che fa il mio lavoro. Posso sostituire praticamente chiunque “ disse quasi offesa “ Comunque, abbiamo... convinto la Dottoressa Hooper a guidarmi durante le autopsie tramite una telecamera, e tenere un basso profilo non è stato affatto diffiicile”
“Convinto in che modo? Che cosa le avete fatto?” per la prima volta Mrs Hudson prese la parola, e la sua espressione era talmente furiosa che John temette potesse arrivare a schiaffeggiare la donna, la quale si limitò ad alzare le spalle con noncuranza.
“Tutto quello che era necessario per assicurarci la sua collaborazione. Non sembrava molto entusiasta, all’inizio, abbiamo dovuto essere molto persuasivi” dichiarò.
A quelle parole, Sherlock scattò di nuovo in avanti e la spinse ancora contro il muro.
“Tu” sussurrò “sei una donna morta... ma potrei essere magnanimo e concederti una morte veloce, se ora mi condurrai da Molly”
Lungi dall’essere spaventata, la donna sorrise con ferocia.
“Lei non ha ancora capito una cosa, Signor Holmes. Siamo noi  ad avere il controllo sulla situazione, quindi se non mi lascia andare, sarà Molly Hooper ad avere una morte veloce. Basta una mia parola, glieLo assicuro”
“Fratello. Lasciala andare... credo purtroppo che le sue minacce siano alquanto fondate” il tono deciso di Mycroft sembrò riscuotere il consulente investigativo che, a fatica, si allontanò dalla truffatrice.
“Ha detto che avete il controllo della situazione, ma essendo una professionista è ovviamente stata assunta” riprese il maggiore dei fratelli Holmes “per chi lavora? Che cosa vogliono i suoi committenti?”
“Pensavamo l’aveste capito, ormai. Le confesso che sono rimasta alquanto stupita dal fatto che il video di Jim sia stato trasmesso oggi, ho anche sobbalzato per la sorpresa, ma suppongo sia stato fatto per evitare che il Signor Holmes andasse troppo lontano con quell’aereo... non ci ringrazi” la donna alzò la mano e poi serrò le labbra e strinse gli occhi minacciosa “Ho un messaggio per voi, la prossima volta non si tratterà di un innocuo inserto televisivo... quello serviva per attirare la vostra attenzione e riunirvi tutti qui”
“Che intende dire?” alla domanda di Mycroft, la finta Molly fece finta di pensare.
“Mmm... vediamo. Diciamo che la sicurezza e la tranquillità di tutti hanno un prezzo” annunciò.
Il maggiore dei fratelli Holmes socchiuse gli occhi.
“Di quanto denaro stiamo parlando, esattamente?”
“Venti milioni di sterline, il valore dei piani militari per lo sviluppo della nuova arma tattica denominata Falco”
Nonostante l’espressione impenetrabile, il viso di Mycroft tradì leggermente la sua sorpresa a quella richiesta.
“Si tratta di un progetto ad alto livello di segretezza” commentò.
“Non si stupisca, siamo molto ben informati” commentò freddamente la donna “Dateci i piani, o vi troverete a fronteggiare conseguenze ben più gravi di una falla nella sicurezza. Avete cinque giorni, ci faremo vivi noi.
Ora, mi lascerete andare. Se non esco da questa casa entro... quattro minuti” disse consultando l’orologio” la vostra cara patologa morirà e questa non sarà l’unica cosa che potremmo decidere di far succedere. E neanche mi seguirete” aggiunse con un’occhiata gelida ad Anthea, che aveva ripreso discretamente in mano il telefono: l’assistente abbandonò il cellulare dopo aver gettato uno sguardo a Mycroft, e averlo visto scuotere leggermente la testa.
“Non pensiamo davvero di lasciarla andare, giusto?” chiese disperato Lestrade.
“Dobbiamo farlo” disse Sherlock.
“Ma...” la timida protesta di Mrs Hudson fu placata da una mano sul braccio di Mary, e l’anziana signora si voltò per nascondere le lacrime.
“Questo non significa che ora non ti daremo la caccia” minacciò la bionda.
“Oh... lo spero proprio. Il gioco è iniziato, signori, e la prossima mossa spetta a voi” rispose la donna, prima di voltarsi verso la porta e sparire oltre la soglia.
 
***
 
“Non posso davvero credere che l’abbiamo lasciata andare”
Greg Lestrade stava ancora osservando la porta da cui era uscita la finta Molly due minuti prima, incurante del fatto che Mycroft e Anthea si erano attaccati ai telefoni e Mrs Hudson era scoppiata in un pianto dirotto.
“Oh... quella povera ragazza”
John e Mary la aiutarono a sedersi, poi si guardarono  e, in una silenziosa comunicazione, la donna invitò il marito a spostarsi vicino a Sherlock.
Il Dottor Watson fece un cenno con la testa, e si avviò verso la finestra da cui il consulente investigativo aveva seguito l’uscita di scena della copia; gli si avvicinò guardingo, pronto a capire quale fosse lo stato d’animo dell’amico.
Sherlock però non diede segno di aver riconosciuto la sua presenza, e continuò a fissare la strada.
“Ha ingannato tutti noi” esordì prudente John “l’ha detto lei stessa, l’hai capito solo quando  ha commesso un errore, e questo significa che è stata molto... brava, se cosi si può dire. Non avresti potuto”
Sherlock si girò verso di lui e vedendo il suo sguardo, istintivamente John indietreggiò di un passo, interrompendo ogni tentativo di rassicurazione.
Il consulente investigativo lo superò, e si avviò verso la sua camera senza dire una parola.
“Sherlock...” il richiamo del fratello, accompagnato da un sospiro, non sortì alcun effetto.
La porta della stanza si richiuse piano e John era già pronto ad andare a bussare, quando il caos iniziò.
La prima cosa che Sherlock doveva aver afferrato fu probabilmente la sedia, che venne schiantata contro il muro. Seguirono in rapida successione altri oggetti, mentre Mrs Hudson lanciava un lamento.
“Sta distruggendo la stanza, qualcuno lo fermi prima che si faccia del male!”
John e Greg si stavano già per lanciare verso la porta, quando una voce li bloccò.
“Lasciatelo stare” fu l’ordine impartito con una nota di stanchezza.
Tutti si voltarono stupiti a guardare Mycroft, ma l’uomo alzò le spalle in un gesto rassegnato.
“O questo, o il ricorso alle droghe. Mio fratello ha bisogno di sfogare la sua frustrazione e tutti quegli altri sentimenti che questo momento  gli sta portando. Invito tutti a fare altrettanto, anche se in forma minore... non credo Mrs Hudson apprezzerebbe la distruzione totale dell’appartamento.
Abbiamo fallito, signori e signore... quella donna ha truffato tutti noi e ne siamo tutti egualmente responsabili, ma eviteremo di annegare nella nostra colpa” con un sorriso strinse la mano della sua assistente vicino a lui, in un gesto rassicurante “e ci daremo da fare per fronteggiare al meglio questa situazione”
La determinazione e le parole di Mycroft sortirono l’effetto desiderato e tutti rimasero in silenzio, cercando di recuperare un po’ di calma e di concentrazione, mentre Sherlock nella sua stanza continuava a sfogarsi distruggendo sistematicamente ogni cosa che gli capitava a tiro.
Quando i rumori cessarono, John fece un cenno di assenso e si diresse con passo sicuro verso la porta della camera da letto.
“Sherlock, sto per entrare” annunciò, prima di abbassare la maniglia.
L’amico era fermo in mezzo alla stanza, circondato dal caos totale, il respiro affannato e i capelli disordinati dai movimenti frenetici di poco prima; il cuore del Dottore si strinse nel vederlo cosi e gli andò  vicino, aspettando che fosse pronto a parlare.
“Tre mesi” mormorò infine Sherlock.
John strinse gli occhi e fece un sospiro.
“Si”
“Hai idea di quello che possono averle fatte in tutto questo tempo?”
Il Dottore scosse lentamente la testa, per evitare che gli arrivassero troppe immagini indesiderate.
“Non... non importa” rispose a fatica, non credendo a pieno neanche lui alle sue parole “noi la troveremo. Molly è forte e”
“Il mio subconscio ha tentato di dirmelo, ma era il momento sbagliato” lo interruppe Sherlock.
La testa di John scattò verso di lui.
“Che intendi dire?”
“Quando Mary mi ha sparato... Molly era con me. Qui” disse Sherlock indicandosi la fronte “mi parlava e mi diceva come evitare di morire, come cadere per far si che l’emorragia di bloccasse, mi invitava a concentrarmi... ma poi mi ha schiaffeggiato, ed era tutto sbagliato, la mia Molly non l’avrebbe fatto, non in un momento come quello, avrebbe continuato ad incoraggiarmi. E durante la mia overdose lei c’era, ma non era davvero lei, era un’altra persona,  era un inganno, ma in quei momenti io non... non sono riuscito a cogliere quello che la mia mente stava cercando di dirmi, non ho capito che”
“Sherlock, in entrambe le situazioni stavi rischiando di morire, accidenti!” lo interruppe John.
“Ma quel giorno in laboratorio no! Ero solo talmente fatto da non riuscire a concentrarmi, ho lasciato andare perchè sapevo di meritare la sua rabbia!” replicò il consulente investigativo frustrato “ e poi non l’ho più vista e ho evitato di incontrarla, Magnussen ha assorbito tutto il mio interesse e io non volevo che lui capisse...” si interruppe.
“Capisse cosa, Sherlock?” lo incalzò il Dottore.
“Che lei era la persona più importante” sussurrò piano il consulente investigativo “Non ho neanche voluto vederla prima di partire, pensavo di proteggerla, e invece per tutto questo tempo lei era già nelle loro mani. Ho sbagliato tutto. Tutto.
“Abbiamo sbagliato tutti” annunciò con fermezza John “non sei il solo ad averla lasciata da parte, e a non esserti accorto di nulla... ora non permettere a chiunque abbia fatto questo di farti sentire cosi. Dobbiamo ritrovarla, e dobbiamo farlo al più presto”
“L’abbiamo fatto tutti...” ripetè piano Sherlock, come se stesse lentamente realizzando una cosa “ e contavano su questo”
Pervaso da una nuova energia uscì dalla stanza,  e John lo seguì poco dopo.
“Dobbiamo scoprire perchè hanno preso Molly” annunciò il consulente investigativo con frenesia.
Mycroft stava leggendo una mail sul telefono e non alzò lo sguardo.
“Pensavo fosse chiaro” dichiarò “per i tuoi evidenti sentimenti nei suoi confronti. Bentornato fratellino”
“Quali evidenti sentimenti?” chiese perplesso Lestrade.
L’occhiata che Sherlock gli lanciò gli fece spalancare gli occhi, poi il consulente investigativo tornò a concentrarsi sul fratello.
“No. Contano su questo, che la consideriamo solo una vendetta personale nei miei confronti, ma c’è qualcosa di più. Erano certi del fatto che saremmo tutti stati distratti da Magnussen e che la copia avrebbe potuto agire indisturbata, senza curarsi troppo di essere scoperta. Volevano qualcosa che solo Molly poteva dargli”
“Tu continui a parlare al plurale” lo interruppe Mary “ma si può sapere di chi si tratta?”
“Moriarty” rispose distrattamente Sherlock, di nuovo assorto nei suoi pensieri.
“Hai detto che era morto!” replicò esasperato John.
“Cosa? Oh si, è sicuramente morto” confermò il consulente investigativo, provocando un gemito di frustrazione negli amici.
“Perchè allora parli di Moriarty?”
“Perchè Jim Moriarty, o quale fosse una volta il suo nome,  è morto. Ma Moriarty non è una persona... è qualcosa di più, un’entità costituita e preservata  negli anni per compiere crimini. Un’associazione a delinquere, se preferite”
“Che cosa??”
“Mentre ero su quell’aereo e ho avuto la mia... esperienza, ho risolto un caso dove il colpevole non era uno, ma un gruppo di persone che agivano tutte con un unico intento, impersonando a turno il fantasma”
“Il fantasma?”
Sherlock agitò una mano per aria.
“Non ha importanza, ora. L’importante è che ho capito che abbiamo a che fare con un’organizzazione...il caro Jim era solo quello che si era distinto in mezzo a tutti, ai suoi tempi, ma quando lui è morto Moriarty è rimasto in vita, capite? Non è cambiato nulla... i miei due anni via l’hanno indebolita e hanno reciso quanto Jim aveva creato, e nessuno più è stato cosi brillante da poter spiccare sugli altri. Ora sono tornati a fare gruppo”
“Quando siamo venuti qui hai detto di sapere quale sarebbe stata la prossima mossa” puntualizzò John.
“Qualcosa di altamente destabilzzante per il paese e con un grosso ritorno economico” rispose Sherlock “Hanno bisogno di rinforzare le loro fondamenta, questi ultimi anni sono stati un modo per riprendersi e pianificare la loro resurrezione. Non escludo che Magnussen facesse parte del gioco, ma il fatto che io l’abbia ucciso li ha costretti a riesumare Jim per non farmi uscire dal paese. Senza di me, il gioco non sarebbe stato altrettanto divertente”
“Non trovo per nulla divertente il fatto che vogliano estorcere al governo piani militari del valore di venti milioni di sterline” annunciò con freddezza Mycroft alzandosi in piedi.
“Perchè invece il fatto che abbiano Molly da tre mesi come lo giudica?” gli chiese Lestrade irritato.
Mycroft si fermò in mezzo alla stanza. La verità era che il destino della patologa gli stava molto a cuore, era una delle poche persone al mondo che si era guadagnata il suo rispetto non solo per quello che sapeva fare, ma per il suo buon cuore.
Il fatto che fosse stata presa mentre in teoria era sotto la sua sorveglianza, la diceva lunga sull’organizzazione che stavano fronteggiando ed era fonte di grande rabbia, ma in questo momento Mycroft Holmes aveva un ruolo da ricoprire e l’avrebbe fatto. Come sempre.
“Non essere a conoscenza della reale minaccia che stiamo subendo non giocherà a favore di eventuali trattative. Penso di avere molti colloqui da sostenere e molti aggiornamenti da dare, se volete scusarmi” dopo  un cenno ad Anthea, entrambi si diressero verso la porta, ma di nuovo lui si bloccò.
“Di qualunque cosa tu abbia bisogno, fratellino... puoi contare sul mio aiuto” disse con voce tesa, e poi emise un sospiro “Ma sai meglio di me che potrebbero essere necessari dei... sacrifici.
Tutti nell’appartamento capirono il riferimento a Molly, e ci fu un attimo di silenzio.
“Ma noi li fermeremo” disse infine Mary con un tono convinto, gettando un’occhiata al marito per sfidarlo  a negarle la possibiltà di dare una mano.
John le sorrise, perchè non se lo sarebbe mai sognato. Quella era la donna che aveva sposato, e non l’avrebbe voluta in nessun’altra maniera.
“E ci riprenderemo Molly” sussurrò Sherlock, sperando che non fosse troppo tardi.
 
***
 
“Una sosia, hai detto?”
“Una copia pressochè perfetta, Mike” John  mise una mano sulla spalla del vecchio compagno di studi in un gesto di consolazione, poichè capiva benissimo lo shock che stava affrontando.
“Da tre mesi?”
“Purtroppo”
“Oh santo cielo”  il Dottor Stamford cadde pesantemente su uno sgabello con un aria sconvolta “Certo, era più riservata del solito, ultimamente, ma con la fine del fidanzamento e tutto quello che era successo a Sherlock, nessuno poteva pensare che...”
“Mi serve sapere su cosa stava lavorando quella donna” lo interruppe il consulente investigativo.
Mike alzò lo sguardo verso di lui.
“Le solite cose. Autopsie e analisi di laboratorio” rispose incerto.
“Che altro? Ha chiesto di occuparsi di qualcosa in particolare?”
“Ora che mi ci fai pensare, si. Abbiamo un numero minimo di documentazione da produrre durante l’anno, di solito se ne occupano i tirocinanti ma Molly... quella donna, cioè... si è offerta di collaborare. La solita routine, studi su procedimenti e protocolli di patologia... ovviamente ha dovuto fare degli straordinari di notte, ma sai come è Molly, sempre disponibile, non ci ho trovato nulla di strano”
“Forse cercava qualcosa di particolare. Ho bisogno di avere accesso a tutto quanto”
Mike annuì e si allontanò per prendere il telefono.
“Sarà una montagna di roba...” disse John “la copia potrebbe aver approfittato del suo ruolo per accedere alle ricerche di qualcun altro, ti rendi conto di quanta gente lavora qui dentro? Piani di emergenza per attacchi terroristici, biochimici e altri protocolli... sempre se vogliono davvero utilizzare qualcosa presente al Bart’s”
“Ha mostrato un interesse inusuale per quella documentazione, e da qualche parte dobbiamo iniziare” ribadì Sherlock e poi si allontanò con aria tesa, e il Dottore lo vide entrare nell’ufficio di Molly.
Quando lo raggiunse, dopo aver concordato con Mike le modalità per analizzare il materiale, lo trovò seduto alla scrivania, intento a fissare una fotografia.
John si avvicinò e diede un’occhiata.
L’immagine era stata scattata nel giorno del suo matrimonio e ritraeva la gang di Sherlock, come Mary l’aveva definita: vicino agli sposi stavano il consulente investigativo, Greg Lestrade, Mrs Hudson e Molly... stavano tutti sorridendo.
“È stata l’ultima volta che siamo stati davvero tutti insieme” si rese conto il Dottore.
Sherlock strinse con forza la cornice e poi la riappoggiò sul tavolo, uno sguardo deciso sul volto.
“Mike ti ha dato accesso a tutto?”
John annuì.
“Allora cominciamo”
 
***
 
“È una perdita di tempo, non ne caveremo nulla”
“Sei libera di andartene quando vuoi, Donovan” Sherlock non alzò nemmeno gli occhi mentre le rispondeva.
“Sto solo cercando di dire che”
“Sally”
Il richiamo pacato ma fermo di Lestrade bloccò il sergente, che con un sospiro si rimise ad analizzare le carte davanti a lei.
“È come provare ad individuare un ago in un pagliaio...” mormorò la donna e, al suo fianco, l’Ispettore non potè che darle ragione silenziosamente.
Il materiale da analizzare era tantissimo e loro non sapevano davvero cosa cercare.
Sherlock aveva detto che poteva trattarsi di tutto, e francamente non capiva quasi nulla di quello che stava leggendo, ma niente  lo avrebbe fermato dal cercare di dare un contributo per ritrovare Molly. L’affetto per lei e la rabbia per essere stato imbrogliato erano sicuramente una buona motivazione... quelli, e la convinzione che Sherlock fosse pericolosamente sull’onda di un baratro che avrebbe potuto inghiottirlo, se non fosse riuscito a riportare indietro la patologa.
Ma erano già passati tre giorni e l’ultimatum si avvicinava alla sua scadenza. Nel frattempo, Londra era stata colpita da un incremento di violenze che potevano solo significare una cosa: Moriarty era tornato e si stava preparando a fare il gran botto.
La porta del laboratorio si aprì, e Mary entrò Mary con un contenitore pieno di bicchieri di caffè e dei sacchetti.
John le andò incontro, le prese le cose dalle mani e le diede un bacio.
“Come va?” gli chiese lei, già consapevole della risposta.
Lui scosse la testa.
“Nulla di nulla. Tu e Anthea che cosa avete scoperto?”
Anche Mary scosse il capo.
“Niente. Quella vipera ha usato l’appartamento di Molly per tutto questo tempo, le sue cose, i suoi conti correnti... ha vissuto la sua vita in tutto e per tutto. Non abbiamo rilevato nulla di strano”
John le appoggiò una mano sul ventre.
“State bene voi due?”
Mary annuì.
“Va tutto bene, tranquillo”
“Grazie per il caffè e i muffins, Mary” Lestrade arrivò a interrompere il momento e prese qualcosa per lui e Donovan, fermandosi poi esitante con lo sguardo rivolto a Sherlock.
“Ci provo io” sospirò John, afferrando un bicchiere e un dolce.
Il consulente invetigativo allungò una mano verso il liquido caldo senza distrarsi dai documenti.
“Dovresti mangiare anche qualcosa” gli disse l’amico.
Sherlock neppure rispose.
 
***
 
Allo scadere dell’ultimatum, Mycroft fu avvertito che avrebbe ricevuto una telefonata nel suo ufficio, e anche John, Mary e Sherlock  erano presenti.
Furono due uomini diversi a fare le telefonate, segno che l’organizzazione non aveva un leader come il consulente investigativo aveva già ipotizzato; la voce arrivò metallica e distorta, a confondere ogni tentativo di rintracciarla.
“Signori... È un piacere fare la Vostra conoscenza”
Mycroft fece una smorfia per quel falso convenevole.
“La prego, evitiamo inutili chiacchiere”
La persona dall’altro capo del telefono fece una bassa risata.
“Come preferisce, Signor Holmes. Quindi avete pronti i piani di Falco? Vi ricordo che l’ultimatum scade oggi”
“È un po’ impossibile cercare di convincere chi di dovere a rilasciare piani militari per il valore di venti milioni di sterline, quando non sappiamo neanche quale sia la minaccia che ci state facendo” argomentò Mycroft.
“Perchè non prova a guardare la Sua mail, Signor Holmes?”
Mycroft aprì la sua casella della posta, e  i presenti nella stanza videro la sua espressione farsi ancora più dura.
“Queste sono le planimetrie di Buckingam Palace i protocolli di sicurezza dei membri della Famiglia Reale. Come...”
“Non stia a farsi domande a cui non darò risposta, Signor Holmes” lo interruppe seccamente la voce “Siamo pronti a colpire più obiettivi contemporaneamente, non riuscireste ad evitare che qualcosa vada storto, anche con le vostre forze dispiegate al massimo. Pensi al caos che potrebbe seguire un attentato del genere... Sono riuscito ad avere tutta la Sua attenzione?”
“Si” mormorò con aria tesa  Mycroft.
“Bene. Vogliamo che sia il Signor Holmes a portarci la chiavetta con i piani di sviluppo di Falco: adesso abbiamo molta voglia di incontrarlo... potremo fare un omaggio al buon vecchio Jim, che riposi in pace. Crediamo anche di avere qualcosa che lui desidera davvero tanto”
Sherlock socchiuse gli occhi.
Molly.
“Potrei aver bisogno di ancora un po’ di tem” cercò di argomentare Mycroft.
“Tra quattro ore, Signor Holmes. E Vi comunicheremo gli estremi dell’incontro solo trenta minuti prima” lo interruppe di nuovo seccamente la voce, prima di lasciare solo silenzio.
John imprecò.
“Non ci andrai sul serio, vero? Sai che è una trappola, hai detto tu stesso che cercavano anche una vendetta personale” disse rivolto all’amico.
 “Hanno chiesto di me. E ci sarà anche Molly” rispose il consulente investigativo, lasciando intendere al Dottore che quella era di per sè una motivazione più che valida.
“Maledizione” sussurrò John “solo mezz’ora di preavviso”
Mary gli prese la mano.
“Ce la faremo” gli disse “Insieme”
Lui annuì e si rivolse all’amico.
“Giusto. Vengo con te e” aggiunse in fretta vedendo l’espressione di Sherlock “non discutere su questa cosa. Non hanno detto che avresti dovuto essere solo. In qualche modo forse se lo aspettano anche”
Sherlock rimase per un attimo in silenzio, poi fece un cenno del capo al Dottore per ringraziarlo; la sua attenzione si spostò quindi sul fratello.
“Le minacce alla casa Reale sono fondate?”
Mycroft annuì.
“Si, purtroppo si. Non capisco come abbiano fatto ad ottenere quelle informazioni, sono altamente riservate e praticamente inaccessibili. Inoltre vengono spesso modificate secondo un protocollo preciso, ma a quanto pare Moriarty ha in mano la chiave di codificazione”
“Qualcuno dall’interno?” chiese Mary.
L”uomo fece una smorfia.
“È probabile, ma con il poco tempo a disposizione che abbiamo sarà difficile neutralizzarlo... e non possiamo permetterci di fare accuse a casaccio, sono persone di alto profilo e sottoposte a rigidissimi controlli”
“Deve trattarsi di qualcuno con una posizione minore” ragionò Mary.
“Lo ritengo altamente improbabile, anche gli impiegati di basso livello vengono sottoposti a controlli periodici, e ovviamente non hanno accesso ad un certo tipo di informazioni”
“Perchè la Famiglia Reale?”
Mycroft sospirò spazientito alla domanda del fratello.
“Puoi certo immaginare quale danno morale, politico ed economico deriverebbe da un attentato di questo tipo!”
“Perchè non il Primo Ministro? O qualche politico o funzionario legato alla Finanza?” insistette il consulente investigativo.
“La Famiglia Reale è un simbolo...” disse quieta Mary.
“Molto protetto” ragionò ancora Sherlock, congiungendo le mani sotto al mento nella sua tipica posa di analisi “Hanno scelto una strada abbastanza complicata, ma in questo modo stanno mandando un messaggio: vogliono i piani militari dal Governo, ma anche la sua umiliazione...” gli occhi si socchiusero per raggiungere una maggiore concentrazione, e poi si spalancarono di colpo “come una donna tradita e maltrattata che chiede aiuto per avere la sua rivalsa!”
“E questo che c’entra?” chiese perplesso John.
Il consulente investigativo agitò una mano.
“Lascia stare. Dobbiamo ragionare sul fatto che Moriarty è un’organizzazione, non una persona singola. Qualcuno ha fatto in modo che potessero accedere a quelle informazioni per un  suo tornaconto personale... e le modalità con cui è successo devono  avere a che fare con il motivo per cui hanno preso Molly!”
Mycroft si agitò spazientito sulla sua poltrona.
 “Ancora con questa storia? Non hai trovato nulla che potesse collegarla a qualcosa di più di una semplice vendetta nei tuoi confronti!”
Sherlock scosse la testa e si voltò verso John.
“Che cosa ha detto Mike? A proposito della falsa Molly?” chiese frenetico.
L’amico si mise a pensare.
“Che si era offerta di aiutare con la documentazione e faceva molti straordinari... si fermava spesso oltre l’orario ma non era inusuale, pensa a quante notti ha perso a causa tua”
“Lavorava spesso di notte...Dove i pazienti sono  più accessibili e i controlli meno rigorosi...” Sherlock spalancò gli occhi “Se l’hanno fatto con Molly, cosa può avergli impedito di averlo fatto con qualcun altro?”
Mycroft fu il primo a cogliere il collegamento.
“Stai parlando di un’altra sostituzione! Certo... un ricovero ospedaliero avrebbe potuto essere il momento adatto” esclamò “il Bart’s è uno dei due ospedali di riferimento a cui vengono indirizzati i funzionari statali. Questo ci permette di concentrare i controlli e i protocolli di sicurezza, ma sicuramente se qualcuno di importante fosse stato ricoverato lo sapremmo, e sarebbe stato impossibile per un estraneo avvicinarsi, men che meno fare uno scambio di persona...”
“Per un estraneo forse si” confermò Sherlock “Ma non per una stimata Dottoressa con altissime credenziali...e non stiamo parlando di un funzionario in una posizione strategica.
Sarebbe bastato qualcuno con una posizione minore, ma che opportunamente guidato avrebbe potuto raggiungere le informazioni necessarie”
Mycroft premette un pulsante, e subito Anthea fece la sua apparizione.
“Controlli incrociati” ordinò spiccio “su tutti i funzionari e impiegati che negli ultimi tre mesi sono stati ricoverati al Bart’s, anche e soprattutto quelli con una posizione inferiore. Controlla anche gli accessi al pronto soccorso e alle analisi ed esami di routine”
L’assistente annuì mentre già stava digitando sul telefono e scomparve oltre la porta, lasciando i quattro presenti nella stanza ad attendere con trepidazione i risultati.
Anthea riapparve dopo circa venti minuti, e appoggiò un paio di fogli sulla scrivania di Mycroft.
“Mi permetto di segnalarle il numero 12, Signore”
L’occhio del suo capo corse subito al nominativo indicato.
“Maledizione” imprecò.
“Di chi si tratta?”
“Edward King è stato ricoverato sette settimane fa per un intervento programmato da tempo. È rimasto in ospedale per tre giorni... e ha avuto un controllo di routine la settimana scorsa”
Sherlock prese a passeggiare in modo agitato per la stanza.
“Il ricovero avrebbe dato tempo a Moriarty di fare tutti gli studi necessari per creare una copia, e la visita di controllo sarebbe stato il momento giusto per la sostituzione” disse “Entra un uomo, ne esce un altro, pressochè uguale. Scommetto che era single, la qual cosa avrà facilitato la sostituzione. Perchè Anthea ti ha subito fatto notare il suo nome?”
“Era un compagno di studi del figlio di Lord Moran. Da tempo il ragazzo è sotto controllo, non abbiamo potuto provare che fosse coinvolto nei piani dell’anno scorso per far saltare il Parlamento e ha continuato a godere di alcuni privilegi, viste le amicizie del padre e la mancanza oggettiva di prove. Tuttavia per lui ci sono state delle conseguenze”
“Di che tipo?” chiese Sherlock.
“Avrebbe dovuto occupare il seggio del padre alla Camera dei Lord, ma si è ritenuto non fosse opportuno. E so di per certo che la famiglia ha avuto un dissesto economico in seguito all’arresto e al processo di Lord Moran. Deve aver visto in Moriarty la sua occasione per vendicarsi”
“Come una donna tradita e maltrattata...” sussurrò John.
“... che chiede aiuto per avere la sua rivalsa” completò Mary.
 
***
 
“Mycroft conferma che stanno tenendo d’occhio Moran e il falso King, in modo assolutamente discreto, e ha già fatto in modo che fossero predisposti nuovi protocolli di sicurezza per la Famiglia Reale. Saranno attivati non appena questa storia sarà finita, per non destare sospetti”
John rimise in tasca il telefono che gli era stato affidato solo un’ora prima perchè le comunicazioni potessero essere sicure, e osservò Sherlock.
“Deve farti uno strano effetto... essere qui, dico”
L’amico lo guardò in modo interrogativo.
“Con tutto quello che è successo... non ti fa neanche un po’ impressione ritornarci di nuovo?”
Il consulente investigativo alzò un angolo della bocca.
“In verità ci sono venuto più volte, John. È un posto che mi aiuta a riflettere, e non ci trovo niente di strano”
Il Dottore fece una smorfia.
“Ma se le cose oggi non andranno come devono, credo che non ci tornerò mai più” aggiunse piano Sherlock.
John annuì.
“Sai che ti dico?” disse improvvisamente “Quando la bambina sarà nata e il tempo ce lo permetterà, ci verremo tutti quanti e faremo una gran bella festa. Sarà un modo per esorcizzare questo posto. Porteremo in braccio Mrs Hudson, se la sua anca farà i capricci. E ci saremo tutti
Sherlock fece un mezzo sorriso, ma poi la sua espressione si fece di ghiaccio.
“Andiamo” esclamò.
“Andiamo” ripetè John, mentre l’amico spalancava la porta che dava sul tetto del Bart’s.
 
***
 
Solo Sherlock e Mycroft avevano discusso gli ultimi dettagli del piano e dell’incontro, John e Mary si erano concentrati sulla loro parte, ma il Dottore pensava proprio (al di la di un ragionevole dubbio, che aveva fatto di lui un eccellente soldato per non aver mai dato niente per scontato) di essere pronto a quello che li aspettava sul tetto dell’ospedale.
Si sbagliava di grosso.
Non appena oltrepassata la porta di sicurezza, lui e Sherlock furono investiti da una luce che li costrinse ad abbassare lo sguardo.
“Fermi dove siete!” ordinò una voce, e subito dopo furono perquisiti alla ricerca di armi.
Quando fu accertato che entrambi  non avevano  una pistola, la voce tornò a parlare.
“Non si può mai essere troppo cauti, non è vero Signor Holmes? Ha con Sè i piani di Falco, presumo”
Sherlock si fece scudo con una mano sugli occhi.
“Trovo tutto ciò davvero sgarbato. Il caro Jim non ha mai usato simili trucchetti”
La voce ridacchiò.
“Al caro Jim piaceva essere melodrammatico in altri modi, ma alla lunga questo si è rivelato un problema. Negli ultimi tempi era come una scheggia impazzita, totalmente fissato su di Lei, Signor Holmes. Abbiamo dovuto aspettare che risolvesse il problema da solo... e per risolvere intendo il suo suicidio. È un vero peccato, perchè la sua mente brillante ci ha fatto molto comodo, per molto tempo. Ma ora bando alle chiacchiere... i piani, Signor Holmes, e spero per Lei che siano quelli originali, non dubiti neanche per un attimo che non potremmo riconoscere un falso”
Agendo lentamente e con le mani bene in vista, Sherlock estrasse la chiavetta dalla sua tasca e la alzò in alto.
“La lanci per terra” ordinò la voce.
La luce puntata negli occhi permetteva comunque di scorgere delle ombre, per cui John potè osservare una figura prendere la chiavetta e inserirla in quello che sembrava un computer.
I piani erano davvero quelli originali, cosa per cui Mycroft aveva storto il naso, riconoscendo però che era necessario che l’organizzazione pensasse di avere ancora il controllo della situazione affinchè abbassasse la guardia, e permettesse di scoprirne le ramificazioni.
“Ben fatto, Signor Holmes. Credo che ora passeremo al prossimo punto sulla nostra agenda” confermò infatti la voce dopo due minuti.
Sherlock strinse i pugni, impegnato in una lotta interiore per non cedere all’impazienza. Molly era li, lo sapeva, ma la luce negli occhi gli aveva impedito di scansionare il tetto e di comprendere la situazione. Finalmente le era vicino, ma qualcosa gli diceva che la vendetta di Moriarty stava per abbattersi  anche su di lui.
Ti prego...  si ritrovò a pregare ...rivoglio Molly con me.
“Abbiamo ideato un bel giochino per Lei, Signor Holmes. Si chiama  trova la differenza. È pronto?”
John udì l’amico inspirare forte: evidentemente Sherlock aveva già capito da quelle parole che cosa lo aspettava, ma lui lo scoprì solo venti secondi dopo quando la luce fu tolta loro dagli occhi, per permettere di vedere Molly sullo stesso lato del tetto da cui il consulente investigativo si era buttato anni prima.
Molly... e Molly.
Due persone assolutamente identiche. L’originale e la sua copia.
“Abbiamo Lei e il Dottor Watson sotto tiro, Signor Holmes, per cui la sua vera Dottoressa Hooper è stata istruita a non commettere sciocchezze. Della copia invece non ci importa nulla, ma supponendo che la signora abbia voglia di aver salva la vita, anche lei farà di tutto per convincerla che è l’originale. Vede... Lei sceglierà, Signor Holmes. E l’altra donna sarà uccisa. Spero abbia osservato abbastanza”
La luce tornò a colpire lo sguardo di John e Sherlock, rendendo impossibile un’ulteriore analisi delle due donne.
Sherlock strinse gli occhi e cercò subito di imprimere nella sua mente tutti i dettagli che aveva osservato, ma il tempo concesso era stato veramente poco, e le due Molly esibivano entrambe un’espressione impaurita. I capelli, i vestiti... tutto era identico.
“Le concediamo un aiuto, Signor Holmes” parlò di nuovo la voce, e John ebbe l’assoluta certezza che nel suo tono ci fosse una nota di divertimento.
“Quale?” chiese Sherlock a denti stretti.
“Potrà fare una domanda, una sola. E poi dovrà scegliere, o entrambe saranno uccise”
John si chiese disperato perchè gli uomini di Mycroft in appoggio a Lestrade non fossero ancora intervenuti, poi ricordò che il maggiore dei fratelli Holmes aveva dichiarato che sarebbero potuti essere necessari dei sacrifici... evidentemente si stava ancora cercando di isolare l’organizzazione prima di procedere, e fare in modo che non avesse possibilità di mettere in atto le sue minacce.
Se Molly muore, Sherlock non lo perdonerà mai.
Ma soprattutto, non perdonerà mai sè stesso.
“Una sola domanda?” chiese il consulente investigativo.
“Una sola” confermò la voce “Le conviene sceglierla bene, non crede?”
D’istinto, John appoggiò una mano sulla spalla dell’amico per comunicargli tutta la sua vicinanza, ma era consapevole che adesso era tutto nelle sue mani.
“Molly” cominciò piano Sherlock “ti ricordi quello che ti dissi la sera prima del mio finto suicidio? Al laboratorio, quando ti chiesi di aiutarmi? Sappi che... è ancora valido, non è cambiato nulla”
La luce fu di nuovo tolta dai loro occhi e entrambi gli uomini poterono osservare due diverse espressioni sui volti delle due donne, una di sollievo, l’altra di tacita rassegnazione, come se la domanda posta fosse troppo personale per poter improvvisare una risposta.
“Mi hai detto...” cominciò piano una delle due “che mi sbagliavo. Che io contavo, che ero sempre stata importante  e che ti eri sempre fidato di me. Ti chiesi di cosa avessi bisogno, e tu mi dicesti che avevi bisogno di me”
John tirò un inconsapevole sospiro di sollievo: non aveva mai chiesto a Sherlock e Molly cosa fosse successo quella notte, ma indubbiamente le parole dovevano essere vere, la copia non avrebbe potuto inventarle pensando di passarla liscia.
Osservò l’espressione dell’amico addolcirsi e poi farsi in qualche modo triste, mentre un mezzo sorriso gli attraversava il volto.
“Mi dispiace, Molly... ma adesso è il momento” disse Sherlock con voce rotta e John aggrottò la fronte, non riuscendo a capire la risposta del consulente investigativo.
Poi vide con orrore la finta patologa, quella che era rimasta in silenzio, annuire piano e lasciarsi andare oltre il cornicione del tetto, mentre altre parole di Sherlock arrivavano a confonderlo di più.
“Ora, Mary. Spara”
A distanza di oltre cinquanta metri, da una finestra da un palazzo di fronte al Bart’s, Mary Morstan Watson, ex agente della CIA e formidabile cecchino, sparò a Molly Hooper.
Sul tetto dell’ospedale, Sherlock gettò a terra John mentre gli uomini di Mycroft e Lestrade iniziavano il loro intervento.
 
***
 
Il sibilio delle pallottole durò quella che John considerò un’infinità di tempo, ma che a posteriori si rivelò come un’operazione perfetta e sincronizzata di cinquantacinque secondi.
Quando tutto fu finito, in mezzo al fumo delle pallottole e ai gemiti degli uomini catturati, il Dottor Watson riuscì a pensare a una sola cosa.
La falsa Molly Hooper si era gettata dal tetto.
E Mary aveva sparato all’originale su ordine di Sherlock.
Scuotendo la testa per schiarire la sua visuale, John osservò l’amico andare verso un membro delle forze speciali e farsi consegnare una pistola, poi lo vide avvicinarsi alla figura femminile stesa per terra.
Lo raggiunse velocemente, pronto a chiedere spiegazioni, quando fu bloccato dalle parole che il consulente investigativo rivolse alla donna mentre le puntava addosso l’arma.
“Dovrei ucciderti per il solo fatto di aver rubato a Molly un ricordo tanto privato e speciale”
L’altra fece una smorfia di dolore mentre si teneva il braccio colpito da Mary: una ferita seria, ma non tanto da metterla in pericolo di vita.
John si chiese distrattamente se sua moglie avesse sparato di proposito un colpo non letale, in preda al dubbio dopo le indicazioni di Sherlock.
Ma poi la donna parlò.
“Sembra che io abbia sottovalutato la piccola patologa” disse “forse dopo tutto è riuscita a raccontarmi delle bugie. Le parole non erano quelle?”
Il Dottor Watson sentì un brivido percorrergli la schiena. Quella era la finta Molly, il che voleva dire...
“Oh no” rispose Sherlock, tirando in piedi con malagrazia la prigioniera “le parole erano esattamente quelle. Ma vedi... non sono le uniche che ho pronunciato quella sera, e sapevo che la mia Molly avrebbe capito che cosa le stavo veramente chiedendo”
La donna sogghignò.
La Sua Molly, Signor Holmes, si è buttata dal tetto. Ma Lei mi ha smascherata, quindi suppongo che la consideri comunque una vittoria”
In preda alla rabbia, Sherlock trascinò la copia fino al cornicione, le spinse la faccia oltre il bordo e poi le si avvicinò a pochi centimetri.
“Quella notte Molly era molto preoccupata” sibilò a denti stretti “il piano ideato per il mio finto suicidio la spaventava, soprattutto il fatto che io dovessi saltare, ovviamente. Le spiegai come l’angolo giusto e le leggi della fisica avrebbero giocato a mio favore, le dissi che non avrei potuto fallire e che, anche ripetuto più volte, il salto si sarebbe sempre rivelato un successo”
John spalancò gli occhi mentre ricordava le parole che Sherlock aveva pronunciato poco prima.
Sappi che... è ancora valido. Non è cambiato nulla.
Con esitazione si avvicinò al bordo e guardò in strada, riuscendo a cogliere gli ultimi scampoli di un grosso materasso gonfiabile che veniva arrotolato.
La donna aveva visto la stessa cosa, e ora la sua espressione si era trasformata in una di disfatta.
“Quindi, come vedi, si. Credo proprio di aver vinto” dichiarò Sherlock con animosità, spingendo la donna verso uno dei membri delle forze speciali.
Mycroft scelse quel momento per fare la sua apparizione.
“Un lavoro molto ben fatto, fratello. Siamo riusciti a individuare e neutralizzare altri componenti, grazie alla rilevazione dei loro contatti”
Sherlock gettò un’ultima occhiata alla prigioniera.
“Assicurati che non abbia quella faccia ancora per molto” disse freddamente.
Mycroft Holmes si girò verso la donna e strinse le labbra.
“Sta tranquillo, sarà una delle prime questioni di cui mi occuperò personalmente” rispose altrettanto freddamente “Ma ora credo proprio che tu abbia qualcuno da incontrare”
 
***
 
John seguì Sherlock a precipizio lungo le scale, e quando arrivarono a terra fu sollevato nel vedere Mary che lo stava aspettando.
Le corse incontro e la abbracciò.
“Gran bel colpo, Signora Watson” sussurrò.
Lei rise piano contro il suo torace, ma il Dottore potè cogliere quanto ancora fosse scossa.
“Non riuscivo a credere che Sherlock mi avesse detto di sparare a quella Molly ma, come sempre, aveva ragione”
“Non dirglielo troppo spesso, ok?” scherzò lui per stemperare la tensione, poi i suoi occhi corsero all’amico che si stava avvicinando all’ambulanza, e insieme a Mary lo raggiunse.
Molly Hooper, la vera Molly Hooper, era seduta all’interno del veicolo, e due paramedici le stavano prestando alcune cure mentre lei forniva esitante alcune informazioni.
“No, non è allergica ad alcun farmaco” disse piano Sherlock, rispondendo al suo posto a un’ennesima domanda.
Nell’udire la sua voce, la patologa alzò gli occhi su di lui.
“Mi sono ricordata” sussurrò.
Sherlock annuì piano, incapace di avvicinarsi oltre.
“Si” le confermò “sei stata brava, Molly... molto brava e coraggiosa”
La donna si morse il labbro a quell’affermazione, poi volse lo sguardo altrove.
Nel frattempo, ormai, anche John, Mary e Lestrade si erano avvicinati ma, come Sherlock, sembravano incerti su come approcciare Molly.
“Vorrei andare a casa” la sua affermazione tranquilla colse tutti di sorpresa, e sembrò riscuoterli da quel momento di inerzia.
“Forse è meglio che tu ti faccia ricoverare” John fu il primo a parlare, ma la patologa scosse energicamente la testa.
“Sto bene, voglio andare a casa” ripetè un po’ più decisa, ma sussultò quando un pensiero sembrò attraversarle la testa “quella donna... ha vissuto a casa mia. Ha usato le mie cose” in preda ad un’ansia sempre più crescente, continuò “non posso tornare li, non posso. E non ho soldi, ma forse il mio conto corrente è ancora attivo, e se avessi il bancomat potrei ritirare del contante per un albergo. Non ho la mia borsa però, me l’hanno presa quando...” il respiro era ormai diventato affannato e lo sguardo vagava da una parte all’altra, le mani che si contorcevano in grembo.
Sherlock sembrò riscuotersi e le si avvicinò velocemente, poi le prese il viso tra le mani.
“Molly!” la richiamò dolcemente ma con fermezza.
“No!” con un urlo e uno scatto lei sfuggì al suo tocco, gli occhi pieni di paura.
L’espressione del consulente investigativo si fece incredula e ferita per il rifiuto che gli era appena stato dato, tuttavia abbandonò le mani lungo i fianchi e cercò di continuare a parlarle con calma.
“Verrai a Baker Street, per la tua dichiarazione c’è tempo e ora hai bisogno di riposo, vero Lestrade?”
L’Ispettore si affrettò ad annuire.
“Ma certo. Faremo le cose con calma, quando sarai pronta. Siamo solo contenti che tu sia tornata”
Il respiro di Molly sembrava essersi fatto più tranquillo.
“Non voglio venire a Baker Street” dichiarò piano.
John osservò Sherlock arretrare di un passo a quell’affermazione.
“Ok” dichiarò velocemente sua moglie cogliendo il suo sguardo “puoi venire da noi, cara”
L’attenzione di Molly si concentrò verso Mary, e i suoi occhi si spalancarono.
“Sei incinta” dichiarò.
Di nuovo il silenzio si posò sul gruppo come un macigno, rendendo lampante il disagio di tutti nell’affrontare il momento.
Molly era stata prigioniera per tre mesi, mentre le loro vite andavano avanti.
“Credo sia meglio che la Dottoressa Hooper venga da me”
La voce di Sally Donovan arrivò a spezzare il silenzio.
“Non credo proprio che...” iniziò Sherlock infastidito e, in qualche modo, impaurito per la sua incapacità di gestire la situazione, ma il sergente lo bloccò.
“Con me sarà al sicuro, ho una camera per gli ospiti e non sarà sola. Un volto conosciuto ma non troppo, credo che in questo momento sia proprio quello di cui ha bisogno, giusto Molly?”
La patologa esitò solo un attimo, poi annuì.
“Molly...” sembrò implorare Sherlock.
Ma lei si allontanò a testa bassa.
 
***
 
Sally Donovan si stava godendo un bicchiere di vino quando qualcuno bussò alla porta del suo appartamento.
Con un sospiro, si alzò dal divano e guardò attraverso lo spioncino, poi aprì la porta con aria rassegnata.
“Chissà perchè non sono stupita della visita, geniaccio” commentò, senza però dare un tono acido alle sue parole.
Aveva visto l’aria distrutta di Holmes quando si era reso conto che Molly Hooper era tornata, si, ma che non era pronta ad avere vicino lui e gli altri; nel suo lavoro, Sally aveva visto fin troppe vittime per non poter riconoscere quel meccanismo di difesa e, con quello che la patologa doveva aver passato, non era affatto sorpresa del suo rifiuto ad appoggiarsi agli amici. Aveva cercato di essere per lei una presenza discreta per tutta la sera, senza però perderla d’occhio: in quel momento Molly aveva solo bisogno di una figura che non fosse minacciosa, e a cui non dover render conto di nulla.
Tipico, fottuto, senso di colpa della vittima.
Sherlock esitò sulla soglia.
“Per favore...” mormorò infine.
Cercando di non  mostrarsi stupita per quell’insicurezza, cosi atipica, Sally scosse la testa.
“L’assistente di tuo fratello è arrivata con un forte tranquillante e con alcuni oggetti personali nuovi, adesso sta dormendo e sai che ne ha bisogno, Holmes”
Sherlock scosse la testa.
“Non voglio svegliarla. Io ho solo bisogno...” la sua smorfia dimostrò tutta la difficoltà che stava avendo per avanzare la sua richiesta.
Con un altro sospiro, Sally si fece da parte e lo fece entrare.
“Dovrai andartene prima che si svegli” disse in un tono che non ammetteva repliche “Spero che tu capisca che ora devi dare priorità alle sue esigenze”
Lui annuì e si diresse verso la camera degli ospiti.
Sally non si curò neanche di chiedergli come sapesse dove dirigersi.
“Donovan?” il sussurro la bloccò mentre stava per sedersi di nuovo sul divano.
“Si?”
“Grazie”
Lei osservò il suo volto tirato e la sua espressione stanca, poi gli fece un cenno con il capo.
Sherlock entrò piano nella stanza, e rimase per qualche minuto sulla soglia ad osservare la figura minuta di Molly addormentata, cercando di non lasciare che il panico lo travolgesse.
Molly era tornata e sarebbe stata bene, le cose si sarebbero risolte.
Si sedette sulla sedia accanto alla porta, e diede inizio alla sua silenziosa veglia.
Come promesso, quando Molly Hooper al mattino si risvegliò, lui era scomparso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sassolino # 8 ***


Ed ecco finalmente il nuovo sassolino... come promesso, è il seguito del precedente. Sono sicura che ci sarebbe stata bene una storia con più capitoli, per sviluppare bene tutte le sfaccettature, ma sinceramente  non ci sarei riuscita e spero di non aver trattato il tema in maniera troppo leggera.
Lo stile che ho adottato per la narrazione è un po’ particolare, spero che vi piaccia. Sono molto contenta di tornare a pubblicare, grazie a tutte le persone che in questi mesi di mia assenza hanno comunque continuato a commentare!
yllel.
 
SASSOLINO # 8
 
 
“Il Dottor Watson e sua moglie mi hanno detto che sono stati a trovarti”
”Oh si. Loro...sono stati molto gentili. Mi hanno regalato una nuova fotografia del matrimonio, e fatto vedere le ecografie. Ormai Mary è quasi al termine”
“Ti ha fatto piacere stare con i tuoi amici?”
“Beh ecco...Se devo essere sincera, io non lo so”
“Hai provato ansia, Molly? Qualcuno ti ha fatto sentire a disagio?”
“Oh no, questo no! È solo che... ero molto stanca alla fine dell’incontro”
“Vuoi parlarmi di come ti sei sentita in loro compagnia?”
“Non sono sicura che sia un sentimento giusto da provare”
“Lasciamo da parte il giusto e lo sbagliato, per ora. Dimmi solo come ti sei sentita”
“Soffocare... come se tutto intorno a me ci fosse una spasmodica attesa di chissà cosa, e ognuno di loro si stesse muovendo  in punta di piedi senza sapere bene come approcciare l’argomento. Nessuno di noi era sereno”
“Quindi non sei contenta di riprendere i rapporti con loro?”
“Non ho detto questo, solo non so che cosa aspettarmi, e questo mi mette in difficoltà”
 “Non sei obbligata a vederli se non vuoi, ma prova a considerare il fatto che l’intento  fosse solo quello di manifestarti la loro vicinanza. Credi che vogliano costringerti a raccontare del tuo rapimento?”
“Costringermi, no. Ma penso che si aspettino che succeda, prima o poi, che io ne parli... e non sono sicura di volerlo fare.  Sono contenta che ci fosse solo Sally quando ho reso la  mia deposizione. Lei non mi... giudica”
“È di questo che hai paura? Che qualcuno ti ritenga una persona debole per quello che ti è successo?”
“Non volevo dire giudica! Io...”
“Va tutto bene, Molly... rilassati. Sai che questo è uno spazio di rielaborazione e ascolto, abbiamo già parlato del fatto che è normale che una parte di te si senta in colpa, succede alle vittime di violenza”
“Non voglio sentirmi cosi”
“Lo so. Lavoreremo per fare in modo che emerga tutto il resto e lo faremo insieme, ok?”
“Ok”
“Bene. Che ne dici se ora  ci concentriamo  un po’ sulla respirazione?”
 
***
 
L’unico suono che si udiva nella stanza era il ticchettio del vecchio pendolo appeso al muro che scandiva il passare del  tempo.
L’uomo seduto in poltrona si mosse con fare nervoso e iniziò a battere ritmicamente le dita delle mani sui braccioli, seguendo  in modo inconscio l’andamento delle lancette.
La donna seduta di fronte a lui, invece,  aveva una postura rilassata, e il taccuino abbandonato sulle gambe accavallate.
Fu lei a rompere il silenzio per prima.
“Me lo lasci dire, Signor Holmes... sono piacevolmente stupita dal fatto che abbia finalmente accettato di incontrarmi”
Gli occhi chiari di Sherlock si puntarono sulla sua interlocutrice.
“Mary ha minacciato di non darmi la placenta dopo il parto come aveva promesso”
La donna non battè ciglio, nè sembrò particolarmente sconvolta da quella risposta e, anzi, fece un mezzo sorriso divertito.
Stizzito, il consulente investigativo volse lo sguardo verso un altro punto della stanza.
 “Qualunque sia il motivo che l’ha spinta ad accettare il mio invito, ora che è qui possiamo cercare di dare un senso a questo incontro. Vuole che Le parli delle mie qualifiche?” continuò in modo pacato la donna, guadagnandosi un’altra occhiata penetrante che le fece inclinare leggermente il capo.
 “O forse non è necessario... Mi sta già deducendo?” continuò con un tono incuriosito nella voce.
Sherlock serrò le labbra.
“Andrebbe contro l’idea del dare un senso a questo incontro, non crede?” chiese ironico “Discutere del prossimo viaggio di lavoro di Suo marito, o dei problemi con vostra  figlia adolescente, per non parlare del rifacimento del giardino di casa Sua sarebbe totalmente inutile, che ne dice?”
Di nuovo, la donna non sembrò colpita dal tentativo di provocazione di Sherlock e questa volta non ribattè, limitandosi a fissarlo e contribuendo cosi ad aumentare il suo nervosismo.
Con uno scatto, lui si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra.
Accidenti a Mary e a John. Accidenti a tutti quanti gli altri, che avevano insistito sull’importanza di questo incontro e sul fatto che
“In verità, Speravo di vederLa prima”
Sherlock raddrizzò le spalle e incrociò le mani dietro la schiena, mentre il suo sguardo vagava verso l’esterno.
“Sono stato molto impegnato. Smantellare un’intera rete criminale e ottenere il perdono della Regina richiede una considerevole quantità di tempo” disse infine.
“Quindi non ha avuto tempo...”
Sherlock si voltò a guardare la donna.
“Lo dice con un’aria molto scettica”
Lei fece un altro mezzo sorriso.
“Sa... credo che la sincerità sia un buon punto di partenza... so che Lei riteneva inutile questo incontro, quindi mi dica, perchè adesso è qui, Signor Holmes?”
La domanda fu posta con calma, ma ebbe il potere di far infuriare il consulente investigativo.
“Gliel’ho già detto, Mary ha minacciato di non darmi ciò che mi aveva promesso, e Le assicuro che ho in mente degli esperimenti spettacolari con quella placenta. Per il resto, come ha già puntualizzato Lei, non credo assolutamente che il Suo tempo possa in qualche modo -”
“La verità, Signor Holmes” lo interruppe con tono gentile, ma fermo, la donna “Potrebbe essere un modo come un altro per cominciare. Perchè alla fine ha deciso di venire?”
Il momento in cui Molly aveva respinto il suo tocco si affacciò prepotente nella mente di Sherlock. Il suo rifiuto ad andare con lui a Baker Street, la totale mancanza di fiducia che traspariva dai suoi occhi.
E la sua figura rannicchiata in quel letto quella notte che l’aveva vegliata, cosi fragile e sconfitta.
Il senso di impotenza. Marcato. Inesorabile e spaventoso.
Gridando internamente alla sua mente di tacere, e di smetterla di rimandargli quelle immagini e sensazioni dolorose, Sherlock si avvicinò alla donna.
“Perchè Lei ha insistito nell’invitarmi, più volte, fino alla nausea” rispose rabbioso, deciso a negare ogni difficoltà “Perchè tutte le persone che conoscono Molly hanno fatto dei colloqui con Lei, e sono convinte che anche io potrei  trarne giovamento. Che anche Molly potrebbe trarne giovamento, visto che Lei è la sua psicoterapeuta” mentre sul viso compariva un’espressione di scherno, il tono di Sherlock si fece pieno di disgusto “Non mi avrebbero dato pace fino a che non fossi venuto qui... Se parliamo tutti di quanto siamo stati stupidi e ciechi negli ultimi mesi,  sicuramente lei potrà dimenticare le torture fisiche e psicologiche a cui è stata sottoposta, giusto? E noi potremo andare avanti con il nostro senso di colpa ben riposto in un cassetto” Sherlock strinse le labbra in una linea sottile “Io, poi, sono il famoso e geniale consulente investigativo, sicuramente si  sta chiedendo quanto mi biasimi per quello che è successo.
Vuole chiedermi come sto, cosi potrà riferirlo a mio fratello che cosi generosamente paga il Suo onorario?” continuò, sempre più infuriato “Vuole sapere se ho problemi a dormire la notte,  o sento il prepotente desiderio di tornare a fare uso di sostanze? Saltiamo questa parte e andiamo direttamente a parlare di quanto La infastidisce e La insospettisce il fatto che l’assistente personale di Suo marito lo accompagni nel suo prossimo  viaggio di lavoro, sarà sicuramente una discussione più interessante e proficua”
Questa volta, il volto della donna tradì un attimo di incertezza e di stupore, ma poi riprese l’espressione impassibile di poco prima, mentre appoggiava il taccuino sul tavolino di fianco a lei.
“La mia priorità è Molly, Signor Holmes” disse infine con voce pacata “E si, sono fermamente convinta che tutta la cerchia dei  suoi conoscenti più stretti debba in qualche modo rielaborare ciò che è successo, il problema era capire quanto in questo momento Lei fosse pronto a farlo. Sto incontrando  Molly da quasi un mese, ormai, e Lei è l’unico ad aver sempre rifiutato di parlare con me... speravo che fosse in qualche modo disponibile, ma evidentemente mi sbagliavo. Dirò a Mary Morstan che può darLe la sua placenta, stia tranquillo... e quando avrà bisogno di me, io sarò qui”
Sherlock contrasse i pugni,  rifiutandosi di incontrare di nuovo lo sguardo della psicoterapeuta.
“Non credo che succederà, Dottoressa Cooper” disse freddamente “Mi spiace, ma non penso che riusciremo a dare un senso a questo incontro” dichiarò infine, voltandosi per dirigersi verso la porta.
“Molly sta facendo un buon percorso, tutto considerato. È una donna con una forza enorme”
Il consulente investigativo si fermò sulla soglia e rilassò impercettibilmente le spalle a quelle parole, con la sensazione che fossero state pronunciate non per blandirlo, ma semplicemente per tranquillizzarlo.
“Si” mormorò orgoglioso e un po’ più calmo.
Dopo qualche attimo, la dottoressa parlò ancora.
“Li ha, Signor Holmes?”
“Che cosa?” rispose lui di nuovo guardingo.
“Problemi a dormire la notte, o il prepotente desiderio di tornare a fare uso di sostanze”
Lui strinse con forza la maniglia della porta.
“Suo marito non la tradisce” disse infine “La sua assistente è una madre single in difficoltà economiche, lui cerca di aiutarla facendole guadagnare qualcosa con i rimborsi delle trasferte”
Senza aggiungere altro, Sherlock Holmes uscì dallo studio e richiuse la porta dietro di sè.
 
***
 
“L’altra sera Donovan ha proposto di fare una passeggiata, e io ho pensato fosse una buona idea. Ho pensato che potevo farcela.”
“E come è andata?”
“Non ci sono riuscita. Uscita dal portone, dopo circa cinquanta metri ho avuto uno dei miei attacchi. Sono dovuta rientrare in casa”
“Hai provato con gli esercizi che abbiamo visto insieme?”
“Si. Ma più cercavo di calmarmi, più sentivo il panico montare dentro di me”
“Sai dirmi che cosa ti spaventava di più?”
“La gente sul marciapiede. Non era tantissima, ma non riuscivo a smettere di pensare a tutte quelle persone  intorno a me, al fatto che avrebbero potuto sfiorarmi, mi sembrava che tutti mi fissassero e sapassero che avevo paura”
“Va bene, Molly. Proverai quando ti sentirai di nuovo pronta. Il fatto che tu abbia voluto tentare è molto positivo”
“Sul serio?”
“Piccoli passi, ricordi? E mi sembra che oggi tu sia venuta alla seduta senza nessuno ad accompagnarti”
“Si. E ho chiesto all’autista della macchina di Mycroft di non seguirmi fino alla porta, sono salita da sola fino al Suo studio”
“E come va invece con il sonno?”
 
***
 
Molly Hooper stava cadendo.
Le braccia allargate e il viso sferzato dal vento, vedeva il marciapiede avvicinarsi sempre di più e mentre la gravità la attirava verso di esso, quasi come se il tempo avesse rallentato improvvisamente, si ritrovò a chiedersi perchè stesse succedendo proprio a lei. Non riusciva a ricordare perchè fosse saltata, e le sembrò che qualcosa non andasse.
Una voce le risuonò nella mente.
“Mi dispiace, Molly... ma adesso è il momento”
Oh si.
Sherlock.
Stava saltando perchè lui gliel’aveva chiesto.
La discesa continuava, vertiginosa e lenta allo stesso tempo.
Molly sorrise, provando un inaspettato senso di libertà, poi capì che cosa c’era di sbagliato.
Il marciapiede si avvicinava inesorabilmente, e non c’era nulla che avrebbe fermato la sua caduta.
Perchè Sherlock le aveva detto di saltare? Dove era il materasso?
“Mi dispiace, Molly... ma adesso è il momento”
No... non era giusto. Lei era saltata come le era stato detto di fare, la volta precedente il materasso era pronto al suo posto, tutto aveva funzionato a dovere...
“... adesso è il momento”
Il marciapiede ormai era vicino, sempre più vicino...
“Mi dispiace, Molly...”
 
L’urlo si fermò in gola e le gambe scattarono per liberare il corpo dalle coperte, mentre Molly si metteva a sedere sul letto e cercava di dominare il panico che la stava inondando. La donna si portò le mani alla bocca per soffocare i singhiozzi, cercò di ritrovare un respiro regolare, e piano piano ritornò a stendersi e si raggomitolò in posizione fetale per avere conforto, ma poi si constrinse ad afferrare il quadernetto che teneva sul comodino per annotare l’ennesimo incubo.
La sua terapista aveva molto insistito su questa cosa, sottolineando il fatto che poteva aiutarla a differenziare le cose su cui lavorare: gli incubi non  erano sempre gli stessi, a volte Molly cadeva, altre volte si ritrovava nel laboratorio dove per tre mesi era stata drogata e torturata per fornire informazioni che aiutassero la sua copia a portare avanti il piano di Moriarty, altre volte riviveva il momento della sua cattura.
Il senso di impotenza.
Il senso di disfatta.
La paura di non farcela.
Ogni maledetto giorno e ogni maledetta notte.
Sei stata una vittima, Molly. Ma puoi scegliere di non esserlo più, se affronti i tuoi incubi.
Le parole della Dottoressa Cooper risuonarono nella sua testa come un mantra, e pian piano il respiro tornò regolare.
Non devi dimenticare ciò che ti è successo. Devi dominarlo e dimostrarti più forte.
Molly finì di appuntare i dettagli del suo incubo e con uno scatto deciso richiuse il quaderno, un’espressione determinata sul volto. Non si sarebbe fatta dominare.
Soprattutto non oggi.
Uscì dal letto e si diresse verso il piccolo bagno di servizio che comunicava con la camera da letto e, dopo una veloce doccia e dopo essersi vestita, entrò in cucina.
Sally Donovan la accolse con uno sbadiglio e una tazza di caffè.
“Buongiorno”
Molly prese la bevanda calda con un sorriso e un cenno di ringraziamento.
Le due donne condivisero in silenzio i primi sorsi di caffè, poi la poliziotta alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo.
“Dunque è il gran giorno, eh?”
Molly annuì.
“Come ti senti?”
La patologa si sorprese. Sally non le chiedeva mai direttamente come stava, cercava sempre di lasciarle i suoi spazi, soprattutto quando tornava dalle sedute di psicoterapia, e anche se nessuna delle due ne parlava, Molly sapeva che l’altra era consapevole dei suoi incubi. Donovan si stava dimostrando la compagna di convivenza perfetta, non intrusiva ma sempre attenta e presente.
Dopo un attimo di pausa, le rispose.
“Agitata, ovviamente. Ma anche eccitata e felice. La Dottoressa Cooper non era d’accordo, ma questa è stata l’unica cosa su cui mi sono impuntata, mi sento pronta e sento di doverlo fare. Non riuscirò mai davvero ad andare avanti, se non ricomincio. Mi aiuterà anche ad affrontare gli altri... problemi. Non posso contare a vita sul fatto che tu sia presente di notte nell’appartamento o che, addirittura, non vivrò più da sola”
Sally agitò una mano per liquidare quelle affermazioni.
“Sai benissimo che qui sei la bene accetta” disse in tono convinto.
Molly annuì.
“Lo so e ti ringrazio” disse “Ma sai bene anche tu che non è giusto.”
La poliziotta la osservò per un attimo, ripensando a quanti passi avanti Molly avesse già fatto in quelle settimane, e a quanto coraggio stesse dimostrando.
“Ok” disse infine con un sorriso “Ma sappi che avere una compagna di appartamento mi fa piacere”
“Fa piacere anche a me...” disse Molly afferrando un biscotto e dirigendosi verso la borsa che aveva preparato la sera precedente.
La patologa se la mise a tracolla e poi raddrizzò le spalle.
“Buona giornata!”disse con un sorriso.
“Buona giornata, Dottoressa Hooper”rispose Sally.
 
 
***
 
Dunque Mary Watson ha partorito”
“Oh si. La bambina è meravigliosa! Cosi piccola e cosi perfetta... Mary e John sono al settimo cielo”
“Sei andata in ospedale a trovarli?”
“No... io ho pensato che non fosse il caso. Però mi hanno mandato delle foto e dei video, e forse la settimana prossima potrò andare a casa loro, quando ci sarà una situazione più tranquilla, che io possa affrontare. E sa... è bella”
 “Cosa?”
“Una nuova vita che inizia.  Quando ho visto le immagini di Emma non ho potuto fare a meno di avvertire un senso di speranza, l’inizio di qualcosa di potenzialmente meraviglioso”
“È un’ottima sensazione, Molly”
“Si”
 
***
 
A Sherlock Holmes i corridoi del Bart’s non erano mai sembrati cosi lunghi ed intricati, e mentre li percorreva a passo veloce, non poteva nascondere a sè stesso il forte senso di attesa che lo inondava.
Dietro di lui, John Watson faticava a tenere il passo, e pensava di sapere benissimo cosa stesse passando per la mente dell’amico.
“Sherlock, fermati!”
Il consulente investigativo strinse le labbra al richiamo dell’amico, ma si costrinse a rallentare.
“La paternità ti ha rammollito, John. Non oso pensare cosa succederà quando dovremo scappare da qualche feroce criminale”
Il Dottore non si lasciò scoraggiare, deciso più che mai a non farsi distrarre dal tono di scherno dell’amico.
“Smettila. Sai benissimo che non ti ho chiesto di fermarti per questo, ma perchè sarebbe meglio se facessimo due chiacchiere, prima di entrare. So che per te è difficile e che questo è un giorno importante, per cui se senti il bisogno di parlarne adesso, per me va più che bene”
Sherlock strinse le labbra.
“Non capisco cosa tu intenda dire, John. Molly torna al lavoro, finalmente. Gli incompetenti si faranno da parte e tutto ritornerà come deve essere”
“Non è cosi semplice! E se tu avessi avuto la pazienza di continuare gli incontri con la Dottoressa Cooper...”
“Non ne ho bisogno. Il fatto che Molly voglia rientrare dimostra la sua grande forza, cosa di cui io non ho mai dubitato. Non sono cosi stupido da pensare che sia tutto risolto, ma questo è un passo avanti verso il ritorno alla normalità”
‘’Normalità? Sherlock, l’hai vista anche tu a casa nostra quando è venuta a trovare Emma, Molly ha ancora serie difficoltà anche a stare in una stessa stanza con noi, e io non vorrei proprio che la tua ansia si ripercuotesse su di lei”
‘’Ansia? Io non sono ansioso!’’
‘’Oh, ti prego, guardati! Sei un fascio di nervi, pronto a scattare! Il fatto che in tutto questo periodo voi non abbiate avuto molta interazione non gioca a tuo favore, tu non sai veramente come è la situazione!’’
‘’Le sto lasciando spazio, John! Questo non significa che non mi importi di come sta!’’
John si avvicinò al suo migliore amico.
“So che sei spaventato, Sherlock” sussurrò, guardandolo dritto negli occhi.
L’altro girò il viso verso il muro.
“No. Io non sono-“
“Lo siamo tutti, ok?”incalzò il Dottore “Spaventati, e incerti su come comportarci. Ma ci stiamo provando, tutti insieme. Non sei solo. Però... devi accettare che le cose potrebbero essere davvero differenti  e non voglio che tu ci rimanga male’’
 “Io voglio solo che lei stia bene...” sussurrò Sherlock.
John gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Serve tempo... molto di più di quello che è già passato. Il ritorno al lavoro è senz’altro un fatto positivo, ma non può bastare”
Sul viso dell’amico passò un’ombra, che si risolse con un cenno del capo e con una serie di passi veloci destinati ad arrivare a spalancare le porte dell’obitorio; Sherlock si pentì immediatamente del suo gesto quando vide Molly trasalire spaventata per l’improvviso rumore, e si diede mentalmente dello stupido, poi il suo sguardo si posò sugli uomini accanto alla patologa.
Mike Stamford si schiarì la voce.
‘’Ehm... ciao, Sherlock. Vedo che sei arrivato giusto in tempo per salutare il rientro al lavoro della nostra Molly. Siamo tutti contenti di averla di nuovo con noi”
Dopo una veloce analisi, arrivò la risposta tagliente del consulente investigativo.
“Allora perchè l’hai affiancata ad un supervisore?”
“Sherlock...” l’avvertimento di John arrivò alle sue spalle, ma Molly intervenne per prima.
“Devono valutare la mia idoneità” disse piano.
Sherlock  fece una smorfia.
“Sciocchezze. Tu sei la migliore patologa che hanno, qual è il problema?”
“Nessuno mette in dubbio le competenze della Dottoressa Hooper” si intromise l’uomo accanto a lei “vogliamo solo essere sicuri che il suo rientro al lavoro e il progressivo carico di responsabilità non siano troppo... faticosi da gestire”
Sherlock stava per obiettare, quando il suo sguardo si concentrò su Molly e vide.
Vide le mani che tremavano, il leggero velo di sudore sulla fronte, la respirazione forzatamente controllata e l’espressione concentrata per cercare di non mostrare  il panico.
Molly Hooper poteva essere tornata, ma una parte grande di lei era ancora nelle mani dei suoi rapitori.
E Sherlock Holmes non sapeva come fare per riportarla indietro.
 
***
 
“Come è andato il lavoro? Ormai sei rientrata da più di due settimane...”
“Oh, bene! Oggi ho ricominciato a praticare incisioni e ad usare la sega, una cassa toracica era cosi dura che sono dovuta salire sul tavolo per fare maggiore pressione... oh, mi scusi”
“Non scusarti! La mia espressione si farà di nuovo normale tra qualche secondo, te lo assicuro... quindi sei ancora sotto supervisione?”
“Si, ma il Dottor Rowen mi sta lasciando più spazio di autonomia, sembra molto soddisfatto di come sto procedendo”
“E tu sei soddisfatta?”
“Direi di si. Sospetto che Mike faccia in modo che il laboratorio non sia mai troppo frequentato quando ci sono io, ma nessuno mi fa domande, e penso di essere quasi pronta per andare alla mensa”
“Piccoli passi, Molly, ricorda. La nostra seduta è quasi finita, c’è qualche altra cosa che vuoi dirmi?”
“... Sherlock mi ha portato il caffè, questa mattina”
“Sembri quasi irritata”
“Oh no... è solo che... i ruoli si sono invertiti, era una cosa che facevo io e ora non faccio più, perchè non riesco ad entrare nella sala della macchinetta senza andare nel panico al pensiero di incontrare gli altri colleghi, e perchè non riesco ad affrontare l’idea di entrare in un luogo pubblico come una caffetteria.”
“Un giorno riuscirai di nuovo a farlo”
“Vorrei tanto che fosse già quel giorno”
 
***
 
 “E poi il Dottor Rowen ha detto ...Molto, molto bene Dottoressa Hooper. I miei complimenti, davvero un lavoro ben fatto”
John sorrise mentre osservava Molly che procedeva con passo leggero lungo il marciapiede fuori dal Bart’s, un’espressione soddisfatta sul viso.
“Si, l’abbiamo sentito, cara” disse “E devo dire che erano complimenti assolutamente meritati, la tua analisi è stata superlativa”
La ragazza annuì contenta.
“Si, lo è stata, vero?” disse felice.
“Non capisco perchè vi stiate stupendo, io non trovo nulla di straordinario nel fatto che Molly Hooper sia eccezionale nel suo lavoro”
Se possibile, il sorriso della patologa si allargò ancora di più al complimento di Sherlock, e il consulente investigativo dovette fare un grosso sforzo per trattenersi dall’avvicinarsi per godere meglio della sua espressione, rilassata e contenta; nonostante questi momenti si fossero moltiplicati nelle ultime settimane, Molly era ancora molto restia e spaventata dal contatto fisico e dall’invasione del suo spazio, e spesso Sherlock notava come lei dovesse ricorrere alle sue tecniche di respirazione e di controllo dell’ansia.
Il telefono di John squillò.
“Oh, è Mary. Scusate un attimo”
Il Dottore si allontanò e gli altri due rimasero soli sul marciapiede.
“Cioccolata calda” disse improvvisamente Sherlock.
“Cosa?”
“Cioccolata calda... oggi è una giornata perfetta per berne una. Il bar dietro l’angolo ne fa di molto buone. Ti va?”
Nello spazio di un attimo, l’espressione di Molly si fece di nuovo guardinga e insicura, e il cuore di Sherlock sprofondò.
L’idea di entrare in quel posto la stava atterrendo. Per un attimo, vedere Molly cosi contenta gli aveva fatto sperare che il peggio fosse alle spalle, o che per lo meno si sentisse cosi al sicuro con lui da provare ad entrare nel locale.
“O forse è meglio di no, probabilmente vuoi andare a casa” riprese lui, con uno sforzo per mascherare la delusione.
Vide Molly fare un lungo respiro e mordersi nervosamente il labbro inferiore, prima di fare un piccolo cenno deciso con la testa.
“Forse...”iniziò lei titubante “forse potremmo aspettare John, e chiedergli di prenderne da asporto? È una bella giornata, possiamo sederci su quella panchina e rivedere tutti i dettagli di questo ultimo caso.”
Sul viso di Sherlock apparve un grosso sorriso.
 
***
 
“Per il battesimo di Emma Watson andrò a fare del vero shopping, con Mary e Sally”
“Ti senti pronta?”
“Si. In questo periodo mi sento addosso un sacco di energie, sono tre giorni che dormo senza incubi... la cerimonia sarà molto semplice e Sherlock, come uno dei suoi regali, ha prenotato tutto il locale di Angelo, un ristorante dove saremo solo noi. Sarà una festa tra amici”
“Sembri contenta”
“Lo sono. Vorrei poter inscatolare questa sensazione e farne una scorta enorme”
“Questa sensazione è frutto del duro lavoro che hai fatto in questi mesi, Molly, non dimenticarlo. Te la sei meritata”
“Si, credo di si”
 
***
 
“Come diavolo è potuto succedere?”
“Ne so quanto te, Holmes, sono appena stata informata! Ma sta sicuro che lo scoprirò presto, e che qualcuno la pagherà cara!” La voce di Sally Donovan aveva la stessa inflessione adirata di quella di Sherlock Holmes, mentre entrambi avanzavano nei corridoi di Scotland Yard e arrivavano alle salette per gli interrogatori.
Il consulente investigativo spalancò una delle porte con violenza, e la vista che gli si presentò davanti lo riempì di rabbia.
Un giovane Ispettore appena trasferito (Torton? Gosman?) era seduto comodamente al tavolino con un quaderno aperto davanti a lui.
Di fronte, Molly Hooper con un’espressione terrorizzata.
“Ehi, come vi permettete? Questo è un colloquio privato” disse l’ uomo irritato.
Sherlock gli si avvicinò e lo prese per il bavero della giacca, in preda a una furia tremenda.
Questo è il peggior errore che tu potessi fare nella tua misera e patetica carriera”
“Holmes!” il richiamo di Donovan lo distolse dall’idea di cominciare a colpire il poliziotto, e riportò la sua attenzione su Molly.
“Ho cercato di spiegargli che ho già dato la mia deposizione” iniziò a parlare la patologa e qualcosa nella sua voce, cosi debole e spaventata, raggelò Sherlock.
“Gli ho detto che avevo già spiegato tutto, ma lui insiste” Molly scosse con forza la testa, il panico sempre più evidente nei suoi gesti e nelle sue parole, gli occhi grandi e lucidi rivolti a Donovan “vuole che gli racconti tutto... ha detto che tu mi aspettavi qui, Sally. Che dovevo seguirlo.... tu hai detto che non avrei più dovuto farlo, perchè mi sta facendo tutte queste domande? Io... io... non ci riesco. Per favore!”
“Ho solo pensato che fosse il caso di chiarire ancora alcuni aspetti” ribattè il poliziotto con voce incerta, realizzando la portata del suo impeto di zelo.
Sherlock mollò la presa su di lui con un suono disgustato e si mosse per avvicinarsi a Molly, ma  lei si coprì la testa con le braccia, come a cercare di difendersi.
Il gesto ebbe il potere di bloccarlo.
Esattamente come quella notte, quando l’avevano ritrovata.
In preda allo sconforto, si ritrovò ad assistere impotente al momento in cui la patologa perdeva tutta la sua sicurezza e i sorrisi guadagnati a fatica in quei mesi, la sua serenità di nuovo compromessa.
Donovan scattò verso di lei e le si mise di fronte.
“Non dovrai fare nulla, Molly”
La ragazza abbassò le braccia, ma iniziò a tremare e a stringere con forza le mani in grembo.
“Ma lui ha detto...” tentò di nuovo di spiegare, senza riuscire a trattenere l’affanno.
“Molly, stai iperventilando, prova a respirare come ti ha insegnato la Dottoressa Cooper!”
“Vuole sapere di quegli uomini, e di quello che mi hanno fatto, non posso... non posso” disse la patologa a fatica, il respiro sempre più corto ed erratico, gli occhi appannati per lo shock.
“Molly, guardami” Sally provò di nuovo a stabilire un contatto visivo “guardami, inspira ed espira con me”
Mentre Donovan cercava di calmare la patologa, Sherlock rivolse tutta l’immensa rabbia che provava di nuovo verso l’uomo ancora seduto e con un urlo soffocato lo afferrò, facendolo uscire a forza dalla sala.
“Sherlock!”
La voce e le mani di Lestrade lo bloccarono prima che potesse cominciare a colpire.
L’amico gli avvicinò la bocca all’orecchio mentre lo tratteneva a forza.
“Sarebbe comunque aggressione a pubblico ufficiale, e io non voglio arrestarti” sussurrò in fretta “credimi, non c’è nessuno più di me che vorrebbe vedertelo fare, ma non te lo permetterò comunque. E Molly tra poco uscirà da quella stanza, vuoi che si ritrovi di fronte a una scena di violenza?”
Respirando con forza, Sherlock considerò le parole dell’Ispettore e infine lasciò andare l’uomo, che si accasciò a terra. Da dietro la porta arrivarono i singhiozzi di Molly.
Il suo telefono squillò e, dopo aver gettato un’occhiata al display, si allontanò di qualche passo.
“Voglio che quell’uomo non abbia più la minima possibilità di avvicinarsi a Molly. Neanche per sbaglio al supermercato. Lo voglio fuori dalla città entro stasera” esordì rabbioso dopo aver accettato la chiamata.
“Sto già provvedendo, ma tu devi calmarti”
“La stava interrogando, Mycroft! Pretendeva che rivivesse di nuovo tutto da capo!”
“Sono... desolato. Quell’uomo si è presentato con delle credenziali affidabili, e gli uomini di guardia ci hanno messo un po’ a capire che qualcosa non andava”
Sherlock chiuse brevemente gli occhi, e fece un profondo sospiro.
“Avrei dovuto picchiarlo”
“Assolutamente no, sai che la tua posizione è ancora fragile, non è proprio il caso che tu sia arrestato. Me ne sto occupando io, te l’ho già detto. Va a casa, fratellino” il tono di voce del maggiore dei fratelli Holmes era fermo, ma pieno di compassione, perchè quello che le parole di Mycroft non dissero, era che questa era l’unica alternativa possibile.
In quel momento, Molly Hooper non aveva bisogno di Sherlock Holmes.
 
***
 
“Ti ho detto più volte che anche il silenzio può giocare un ruolo importante in una seduta, Molly, e io rispetto il fatto che tu non te la senta di parlare. Ma vorrei che, prima del nostro congedo, tu riuscissi anche solo a dire una parola che esprima come ti senti. Sarebbe importante”
“...”
“Va bene. Vuoi che metta un po’ di musica e proviamo con del rilassamento?”
“No”
“Ok. Allora aspetterò che tu sia pronta a parlare”
“...”
 
***
 
“Come sta Sherlock?”
“Mi piacerebbe tanto saperlo, ma evita ogni confronto, non fa altro che prendere casi e lavorare”
“Oh, John... che cosa possiamo fare?”
“Francamente, tesoro, non lo so proprio”
 
***
 
“Stronzo”
“Chiedo scusa?”
“Mi ha chiesto di provare a descrivere come mi sentissi, e questa è la parola che ho scelto”
“Scelta interessante. Vuoi spiegarmi?”
“Quel poliziotto... è stato uno stronzo. Non aveva nessun diritto di fare quello che ha fatto, nessun diritto di chiedermi quelle cose”
“Sono d’accordo”
“Ma io glielo ho permesso, ho permesso che il suo atteggiamento e le sue domande mi  facessero di nuovo provare paura”
“Molly...”
“È la verità. Ma io non voglio che accada più. Si ricorda quando mi disse che la paura sarebbe stata un sentimento dominante per molto tempo, ma che prima o poi sarebbe stata sostituita da altro?”
“Si”
“Sono arrabbiata. Sono arrabbiata con me stessa ma, soprattutto, sono arrabbiata con quell’uomo. È colpa sua se sono stata di nuovo male, non mia. Io ho ogni diritto di soffrire per quello che... per quello che è successo, e so che questo mi accompagnerà per sempre, ma non permetterò più a nessuno di decidere al posto mio, e non mi farò dominare dalle mie paure. Mai più”
 
***
 
“Sono favolosi!”
Nell’udire il commento proveniente dall’interno del suo appartamento, John sorrise e rivolse uno sguardo complice a Sherlock.
“Le ragazze hanno fatto shopping, di nuovo... preparati a un tripudio di vestiti, scarpe e borse” disse all’amico, prima di rivolgere lo sguardo verso il basso e verso la piccola forma al sicuro nel marsupio.
“E tu, signorina... spero proprio che non comincerai troppo presto, o dovrò traslocare per far posto alle cose tue e di tua madre”
Da dietro la porta giunse la risata di Molly, e il Dottore osservò il consulente investigativo  trattenere il fiato, per  poi rilasciarlo piano.
Dopo il brutto episodio a Scotland Yard, le cose stavano lentamente ma progressivamente migliorando e Molly stava facendo passi da gigante. La settimana precedente, il battesimo di Emma era stata un’occasione tranquilla e serena per tutti, ma non per Sherlock, il quale sembrava in grossa difficoltà, come se una parte di lui provasse un costante timore di avvicinare la patologa.
John scosse piano la testa e aprì la porta.
“OK, signore! Siamo colpevoli di essere uomini, quindi perdonate se non capiremo la straordinarietà di tutto quello che avete comprato!” esordì.
Mary si voltò verso di lui e lo raggiunse per depositare un bacio sulla sua guancia, e poi fece lo stesso sulla testa della figlia addormentata.
“Non comprato, tesoro!”esclamò ”Tagliato! Guarda Molly, non è una meraviglia?”
Il Dottore rivolse lo sguardo verso la patologa, e rimase a bocca aperta.
I suoi capelli erano diversi.
Molto.
Tagliati ad altezza delle spalle, esibivano anche un colore nuovo dalle tonalità più chiare: la coda di cavallo era semplicemente sparita.
“Wow, Hooper. Sei uno schianto” disse con sincerità.
John osservò Molly fare un sorriso timido, e spostare gli occhi verso Sherlock.
Il sorriso scomparve.
“Non ti piacciono?” chiese incerta, prima di raddrizzare le spalle e affermare decisa “io sono molto soddisfatta”
Il Dottore si voltò a guardare l’amico e lo trovò con i pugni chiusi lungo i fianchi, sul viso un’espressione glaciale.
“Sherlock...” sussurrò piano, cercando di rimuovere il consulente investigativo da quella specie di trance, nella speranza di evitare che Molly ci rimanesse male.
“No. Non mi piacciono”
La risposta di Sherlock rimase sospesa nell’aria per qualche attimo tra lo stupore generale.
Poi lui si girò, e uscì dall’appartamento senza aggiungere una parola.
 
***
 
“Quindi sono stati i capelli”
“Si. La trova una cosa sciocca?”
“No, Signor Holmes. Trovo perfettamente logico che sia stato qualcosa di assolutamente tangibile che non c’è più, anche se si tratta di un elemento in apparenza senza importanza. Non mi sarei aspettata altro, da una persona così votata alla razionalità come Lei”
“Lei lo sapeva, fin dall’inizio”
“Ma Lei non era pronto a sentirmelo dire”
“La... mia Molly non tornerà più, vero? Lei... lei è un’altra persona”
“Si, e non potrebbe essere altrimenti. Molly Hooper ha subito un trauma enorme e sta cercando di reagire, per far questo ha bisogno di lottare e di affrontare ciò che le è successo. Ce la farà, ma non sarà mai più la stessa. Conserverà alcune paure, e svilupperà nuove forze. Il suo processo di guarigione passa inesorabilmente dal cambiamento Signor Holmes, ed entrambi sappiamo che i capelli diversi non sono che un piccolo segno, ma ugualmente importante. Credo che la domanda ora sia...Lei vuole avere uno spazio in questo cambiamento? Perchè Molly avrà bisogno di supporto, non di rimpianti”
“Io non lo so. E se fosse Molly a non volermi accanto a sè?”
“Questa non è una domanda alla quale posso rispondere io, Signor Holmes. Ma credo che sia il momento per Lei di scoprirlo”
“C’è una sola persona che può dirmelo, vero?”
“Si”
“Sa... Lo provo. Costantemente.”
“Che cosa?”
“Il desiderio di tornare ad utilizzare la droga. Sarebbe... sarebbe il modo perfetto e più facile per chiudere fuori tutte queste sensazioni e tutta la rabbia”
“E che cosa La trattiene dal farlo?”
“Paradossalmente, la stessa cosa che mi spinge a farlo... l’immagine dello sguardo sofferente di Molly. Non mi abbandona mai”
“Beh, credo che questo possa essere un buon motivo per cercare la Sua risposta”
 
***
 
“Non sono ancora così sicura che sia una buona idea”
Sally Donovan incrociò le braccia al petto e si appoggiò alla cucina, uno sguardo di traverso sul volto.
Molly fece un sorriso, e poi finì di applicarsi il burro di cacao sulle labbra.
“Smettila, su... hai detto anche tu che i fiori sono molto belli”
La poliziotta fece una smorfia mentre si voltava a contemplare il mazzo di girasoli e margherite, che faceva bella mostra sul tavolo.
“Questo non significa che mi fidi di lui, ho ancora ben presente il suo commento nell’appartamento dei Watson” disse convinta.
La patologa si morse il labbro, e si mise ad osservare anche lei i fiori arrivati quella mattina. Erano stati recapitati accompagnati da un semplice biglietto, con una sola parola.
Perdonami.
Per la seconda volta da quando lo conosceva, Sherlock Holmes si scusava con lei, e questa volta Molly Hooper aveva avuto dei dubbi sull’opportunità di accettare quelle scuse. Il suo commento l’aveva ferita e indispettita, fino a che non ne aveva capito il motivo: il suo nuovo look aveva avuto per entrambi un’importanza enorme, ma per ragioni ben differenti... Molly capiva la paura di Sherlock e la sua difficoltà ad accettare i suoi sforzi per essere una persona diversa, una persona che affrontava le sue paure e che aveva bisogno, anche esternamente, di essere “nuova”, capiva che per lui comportavano la necessità di riorganizzare informazioni, comportamenti e pensieri.
Le spiaceva, ma il suo processo di guarigione doveva seguire quel percorso, e ora doveva concentrarsi su sè stessa.
Il campanello suonò, e Molly si riscosse dai suoi pensieri mentre Sally si precipitava ad aprire la porta.
“Holmes”
“Donovan”
La battaglia di sguardi durò solo qualche istante, poi la poliziotta si fece da parte con una smorfia.
Sherlock, però, rimase fermo sulla soglia.
“Preferirei andare subito, se Molly è pronta, ovviamente” disse con una certa rigidità, rivelando il suo nervosismo.
La patologa gli sorrise.
“Si, sono pronta” replicò, prendendo la borsa.
“Esattamente... cosa pensavi di fare?” Sally aveva le braccia di nuovo incrociate al petto, e il suo miglior sguardo inquisitorio sul volto mentre si rivolgeva al nuovo arrivato.
Sherlock si trattenne dal dare una rispostaccia, e raddrizzò le spalle.
“Una passeggiata a Regent’s Park, il taxi ci sta aspettando. E poi un te da Mrs Hudson...  non saliremo a casa mia” si affrettò a specificare, prima di lanciare uno sguardo nervoso a Molly e proseguire velocemente “ho pensato che un po’ di aria fresca e dei dolci fatti in casa potessero costituire un’occasione piacevole di... socializzazione. Sempre se per te va bene”
Lei gli sorrise di nuovo.
“Va bene, Sherlock”
Il consulente investigativo sembrò rilassarsi impercettibilmente, ma poi arrivò il commento di Donovan.
“Quindi pensi che tornerete... che ne so, per le 6?”
Lui strinse le labbra sempre più infastidito, e Molly decise di andargli in soccorso.
“Sally... sono sicura che non farò tardi. Ho il mio telefono con me e... sono in buone mani” terminò, notando come la sua ultima osservazione avesse rilassato i tratti del viso di Sherlock.
“Ok...” mormorò la poliziotta ancora poco convinta, mentre osservava i due uscire dalla porta e gettava un ultimo sguardo di avvertimento al consulente investigativo.
 
***
 
“Sarà una bella estate”
Molly offrì il viso al sole con soddisfazione.
“Pensavo che non avresti voluto vedermi, e ne avresti avuto tutti i motivi”
L’affermazione quieta di Sherlock rimase sospesa fra di loro per qualche attimo, poi la patologa parlò.
“Ci ho pensato, non lo nego” disse “ma credo di avere capito il motivo alla base della tua reazione. Sto cercando di concentrarmi su me stessa ma, credimi, so che anche per voi non è facile. Mi spiace”
Sherlock strinse i pugni.
“Perchè ti stai scusando?” disse con enfasi, meritandosi uno sguardo sorpreso da parte di Molly “sei tu la vittima! Sei tu quella che ha dovuto passare quell’inferno! Tu non dovresti capirmi, tu dovresti... odiarmi” continuò l’uomo in un sussurro.
“Sherlock...” tentò di interromperlo lei, ma lui scosse deciso la testa.
“Non mi sono accorto di quello che stava succedendo” riprese con forza “ho lasciato che ti prendessero e ti facessero del male, ho lasciato che quella... donna portasse avanti il suo imbroglio per mesi, Molly... per mesi!
“Tu non sei infallibile, Sherlock Holmes” l’affermazione della patologa fece apparire un sorriso amaro.
“No. Ma non avrei dovuto fallire proprio con te” terminò lui.
Molly lo osservò piegareil capo verso terra e, dopo un profondo sospiro, parlò.
“Quando ho capito che tu volevi che io saltassi dal tetto, una parte di me sperava che quel materasso non ci fosse”
La testa di Sherlock scattò improvvisamente di nuovo verso di lei, e nei suoi occhi potè leggere tutto lo stupore e la confusione per la sua affermazione.
“Perchè?”
Molly rivolse lo sguardo verso un punto lontano del parco.
“Ero distrutta e spaventata, stanca di ogni cosa” confessò “Per tutto il tempo in cui sono rimasta nelle loro mani, ogni volta che cedevo e davo un’informazione mi sentivo sempre più sconfitta e piena di vergogna, mi sembrava di star tradendo ogni cosa e persona in cui credevo. Se quel materasso  non ci fosse stato, avrei potuto finalmente essere libera... oggi però sono grata che invece ci fosse, oggi so che posso tornare a vivere bene, anche se sarà faticoso, e anche se non sarò più la stessa. Mi sono salvata, alla fine ho vinto io, alla fine li abbiamo battuti, anche se ci è costato tanto. Non voglio più dimenticarlo, Sherlock, e vorrei che non lo facessi neanche tu.
Io sono qui, anche grazie a te” gli occhi di Molly erano lucidi, ma si sforzò di non dare spazio alle lacrime.
Anche Sherlock stava guardando davanti a sè, e mentre lasciava che le parole di Molly fluissero dentro di lui per cominciare a liberarlo del peso che si era portato dietro in quegli ultimi mesi, allungò piano la mano verso  quella di lei, senza però afferrarla.
Molly continuò a guardare avanti, ma coprì la distanza che li separava e intrecciò le dita alle sue.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Sassolino # 9 ***


Tornata!
Attenzione: il nuovo sassolino è post stagione 4. Penso l’abbiamo vista in tanti, forse però non tutti, quindi... spoiler.
Io di questa quarta serie mi porterò nel cuore due cose:
l’ombrello di Mycroft.
La cucina di Molly Hooper.
Per il resto, sto ancora ponderando.
Non potevo però far finta di nulla, per cui ecco il mio piccolo contributo (altre note in fondo alla storia).
Come sempre, nulla mi appartiene... proporrei però un pensiero di riguardo al povero Victor Trevor, che tante volte è stato indicato come colui che ha iniziato Sherlock Holmes alla tossicodipendenza, e che invece giaceva in fondo a un pozzo. Ricordato come un cane, letteralmente.
 
***
 
“E cosi… tua sorella”
Lui stringe inconsciamente le mani in grembo, mantiene gli occhi puntati a terra e annuisce piano.
“Si. Mi... dispiace, Molly” la voce gli si spezza in gola, ma vuole assolutamente continuare quella conversazione “Mi dispiace molto, lei non è... non sta bene. Ha voluto-“
“Mycroft mi ha spiegato” lei lo interrompe  con garbo e decisione “mi ha detto tutto. Mi ha raccontato di quello che lei vi ha costretto a fare”
Sherlock Holmes rilascia un sospiro che non era nemmeno consapevole di star trattenendo e, finalmente, alza lo sguardo. Non è mai stato tanto grato a suo fratello come in questo momento, perchè non è assolutamente sicuro che sarebbe stato in grado di spiegare tutto alla donna che ha di fronte senza andare nel panico, senza peggiorare le cose o senza farle ancora più del male.
Il suo tono pacato lo inducono a sperare che ci sia spazio per essere capito e perdonato.
Molly però ha il viso rivolto altrove, i suoi occhi sono nascosti e lui non riesce a decifrarne l’espressione.
“Va tutto bene” continua lei con voce sottile “capisco perchè  hai dovuto farlo. È  stato orribile, ma ora è passato, no?”
Qualcosa, in questa risposta, così ragionata e pacata, lo disturba profondamente: no, vorrebbe risponderle lui, niente è passato e tutto è appena iniziato, perchè  ora nulla sarà  più come prima e Euros c’è, sarà  presente nelle loro vite per sempre e lui non sa come gestirà  le conseguenze di ciò che è successo.
Quello di cui è assolutamente convinto, è che non vuole che sua sorella, e quello che ha fatto, rimanga  di mezzo tra lui e questa donna che ha di fronte  come un fantasma. Ha bisogno della presenza di Molly nella sua vita, della sua forza e del suo appoggio, di poter contare su di lei,  di averla al suo fianco per
“Mi dispiace molto per la vostra famiglia... e per quel povero bambino, il tuo amico”
Questa  considerazione blocca ogni pensiero di Sherlock, che guarda stupito Molly.
“Deve essere difficile, per te e Mycroft... e non oso pensare ai tuoi genitori. Saranno devastati. Spero che riuscirete a risolvere al meglio. Grazie di essere venuto, ma ora devo prepararmi, il mio turno inizia tra un’ora”
Sherlock scuote piano la testa, meravigliato ancora una volta dalla bontà d’animo di Molly, che riesce a pensare al dolore degli altri prima che alla sua rabbia.
Tuttavia sente che qualcosa stona. La osserva alzarsi e dirigersi verso la sua camera,  e realizza che il loro colloquio è finito, ma che lui si sente... incompleto.
“Molly?”
La ferma proprio mentre sta per entrare nella stanza.
“Si?”
Di nuovo, vorrebbe che lei lo guardasse, ma Molly non si volta.
Deglutisce in modo nervoso e avverte i palmi delle mani che iniziano a sudare.
“Noi... siamo ok, vero?”
Geme internamente per quella domanda posta così  male, ma gli è uscita di getto battendo sul tempo ogni altro discorso che si era preparato in vista di quell’incontro.
Le spalle della donna si raddrizzano, e la coda di cavallo ondeggia leggermente.
“Certo, Sherlock. Siamo ok”
Più avanti, Sherlock Holmes capirà che cosa è stata quello strana sensazione che ha provato alla risposta di Molly Hooper.
Incredulo, realizzerà che, per la prima volta da quando si conoscono,  lei gli ha mentito.

 
SASSOLINO # 9
 
 
I momenti passati con Euros sono sempre una prova dura e impegnativa da affrontare, e tuttavia rappresentano anche uno stimolo.
Lei non parla, spesso non sostiene neanche lo sguardo per più di qualche secondo,  eppure a Sherlock sembra davvero di comunicare con lei, soprattutto quando suonano insieme, come se il violino facesse da intermediario in un linguaggio tutto speciale, che solo loro due possono capire e che, contemporanemente, unisce tutta la famiglia.
Sherlock attende con ansia e trepidazione i giorni in cui sale su quell’elicottero e arriva a Sherrinford, ma oggi è distratto da alcuni pensieri ed Euros lo avverte: il loro dialogo sonoro è fatto di piccole, infinitesimali note sbagliate da parte del fratello che vengono riprese e corrette dalla sorella, più con fastidio che con rabbia, quasi lo stesse amorevolemente rimproverando per essere poco attento.
A un certo punto, però, Euros rinuncia e smette di suonare; Sherlock accarezza ancora per qualche momento le corde del suo strumento, e poi la imita: è consapevole di non essere al meglio, ma i pensieri si accavallono nella sua testa e non riesce a liberarsene.
Sono passate tre settimane dal suo colloquio con Molly, e niente è ok.
Loro due, non sono ok.
Lei gli aveva assicurato di si, e per i primi tempi è sembrato che tutto stesse faticosamente tornando alla normalità, per quanto possibile.
Sherlock è stato assorto dalla sistemazione dell’appartamento, da nuovi casi, dai progressi quotidiani e francamente stupefacenti di Rosie, fino a quando non si è accorto di piccole cose.
Ogni volta che va all’obitorio, Molly fa in modo di non guardarlo e di stare nella stessa stanza con lui il meno possibile. Non è maleducata e risponde a tutte le domande e le richieste che le vengono poste, ma ha un fare distaccato.
Fa in modo di non incrociarlo mai quando fa da baby sitter alla piccola Watson.
Quello che Sherlock nota, non è solo la sua distanza emotiva, ma anche quella fisica.
Molly Hooper non gli si avvicina più.
Dopo quella telefonata, ha fatto in modo di tenere chiusi in una stanza del suo palazzo mentale tutti i pensieri e le emozioni che le parole pronunciate, pronunciate da entrambi, gli hanno scatenato. Ne ha paura, li teme e allo stesso tempo li desidera; quando ha parlato con Molly, una parte di lui sperava che lei l’avrebbe costretto a scoprirsi, ma non è stato così.
Lei era tranquilla, molto ragionevole e lui le è andato dietro, sollevato dal fatto di poter rinviare la discussione che un giorno, prima o poi, sarebbe potuta avvenire.
Ma ora sembra che questa discussione non potrà aver mai luogo, perchè Molly è lontana e lui non sa come avvicinarsi. In un certo senso, quello che ha adesso con la patologa è più complicato del suo rapporto con Euros.
Con un sospiro rimette il violino nella sua custodia.
“Lei era già triste”
La voce di sua sorella arriva così inaspettata e di sorpresa da fargli avere un sussulto, e alzare la testa di scatto.
Dopo settimane di silenzio, lei sta parlando ed ora è vicina al vetro, gli occhi chiari puntati su di lui.
Sherlock avanza di un passo verso il vetro in preda al timore e alla contentezza, ma lei lo blocca alzando la mano.
“Lei era già triste” ripete.
Lui scuote piano la testa.
“Non capisco. Di chi stai parlando?”
“Hai visto anche tu, le telecamere la stavano riprendendo. Nella sua cucina”
Sherlock sente una sensazione di gelo addosso: Euros sta parlando di Molly, e per quanto sia felice di sentire la voce della sorella, non le permetterà di pensare di fare del male ancora alla patologa.
“Lasciala in pace, per favore, ha già sofferto abbastanza” supplicherà, se necessario, ma non vuole che l’attenzione di Euros si punti di nuovo su Molly.
Lei  ha un moto di impazienza che si traduce in uno spasmo del corpo.
“NO!” gli dice, alzando la voce “tu hai guardato, ma non hai osservato!”
Sherlock assume un’aria confusa.
“Che cosa? Che cosa dovevo osservare?” chiede.
“Lei era già triste” ripete Euros per la terza volta “era già triste prima della tua telefonata”
Con queste parole la sorella si volta e arriva in fondo alla sua cella, dandogli le spalle. Si siede sul pavimento ed è chiaro che ritiene conclusa la loro conversazione.
 
***
 
La stanza è in penombra quando John Watson entra nell’appartamento.
Si assicura sempre di vedere Sherlock dopo che lui è stato a Sherrinford, per valutare quale impatto abbia avuto la visita e per vedere se il suo amico sta bene, per quanto si possa stare bene dopo aver incontrato la propria sorella psicopatica.
Vede Sherlock seduto nella sua poltrona, le mani portate al mento e  gli occhi socchiusi.
Si rassegna a un periodo di silenzio più o meno lungo, per cui si avvicina alla nuova cucina per farsi una tazza di tè ma la voce di Sherlock lo blocca.
“Dovresti aiutarmi con una deduzione”
John non è nuovo a queste accoglienze che non contemplano neanche un benvenuto e vanno subito al punto, tuttavia gli sembra di cogliere nella voce dell’amico un tono teso.
Abbandona l’idea del tè e torna in soggiorno, andando a sedersi sulla sua poltrona.
“Mi stai chiedendo aiuto? Wow... questa devo segnarmela” tenta di alleggerire un clima che sembra sempre più teso, ora che Sherlock ha aperto gli occhi e ha puntato il suo sguardo di ghiaccio verso di lui, ma la battuta che resta sospesa tra loro due non fa che aumentare il suo disagio.
Qualcosa non va.
“In verità ho più bisogno di una conferma, su una cosa che Euros mi ha detto oggi” risponde pacato Sherlock, e se non fosse per la linea sottile in cui stringe le sue labbra e per le parole che ha appena pronunciato, tutto sembrerebbe normale.
John assume un’espressione sorpresa.
“Euros ha parlato? Ma è fantastico! O forse no... Sherlock, che ti ha detto?” ora capisce la tensione dell’amico, spera solo che la sorella non abbia ricominciato con qualcuno dei suoi giochetti psicologici.
“Mi ha fatto notare una cosa. Una cosa che mi era sfuggita... una cosa che riguarda Molly Hooper”
Sul volto di John appare una leggera smorfia, impercettibile e invisibile a chiunque, ma non a Sherlock Holmes.
“Vuoi sapere cosa mi ha fatto notare Euros?” chiede il consulente investigativo senza spostare di un millimetro il suo sguardo.
Non dà modo al Dottore di rispondere, e prosegue imperterrito.
“Lei non rispondeva al telefono, ricordi? Ha visto il mio nome ma non ha risposto subito, tanto che Euros ha dovuto richiamarla. Io mi chiesi il perchè, Molly ha sempre risposto a ogni mia chiamata, non c’era motivo perchè non lo facesse anche in quel momento”
John si appoggia meglio allo schienale della poltrona e fa vagare lo sguardo.
“Forse era ancora arrabbiata con te per quella faccenda con Culverton Smith, non credi?” risponde infine lentamente “L’hai costretta a venire con un ambulanza e a farti un esame medico completo, solo  per attestare che stavi per suicidarti con tutta quella droga in circolo”
“Oh la tua mente semplice, John... che invidia” il Dottore sussulta al tono di scherno di Sherlock, che accompagna quello che suona a tutti gli effetti come un insulto “Molly e io eravamo d’accordo, è stata tutta una messa in scena a tuo favore, anche se ammetto che lei era molto preoccupata, e non molto concorde con il mio piano”
Le mani di John artigliano i braccioli della poltrona.
“Quindi lei sapeva tutto?” chiede a denti stretti.
Sherlock non smette di fissarlo, e poi risponde
“Ovviamente”
In quella parola si riassume tutto quello che un tempo era il rapporto tra Sherlock Holmes e Molly Hooper: una cieca, infinita fiducia l’uno nell’altra. La consapevolezza di poter contare sempre, sempre, nel fatto che nel momento del bisogno, per quanto difficile e pericoloso sarebbe stato, ci sarebbe stato  un porto sicuro a cui far riferimento.
John sente però solo emergere la rabbia per quell’ennesima dimostrazione di inganno da parte dell’amico, ma lui non gli permette di esternare il suo disappunto.
“Questo ci porta all’osservazione di Euros” continua Sherlock, e il suo tono si fa più incalzante e più arrabbiato “Molly era già triste prima che arrivasse la telefonata, qualcosa l’aveva già indisposta nei miei confronti, tanto da farle pensare di non rispondere al telefono. Cosa poteva essere?” improvvisamente si alza in piedi e comincia a passeggiare per la stanza “Dopo il mio compleanno lei è rimasta con me, qui. Abbiamo passato la serata insieme ed è stato... bello. Abbiamo parlato, mangiato altra torta e siamo stati bene. Finalmente le cose con te sembravano cominciare a risolversi, Smith non era più una minaccia e lei era ancora scossa, ma stava bene. Io stavo bene, come non succedeva da tempo” Sherlock si avvicina alla finestra per guardare fuori mentre pronuncia le parole seguenti “ Io non l’ho più vista fino a dopo Sherrinford, ma tu si. Ha fatto da baby sitter a Rosie qualche giorno dopo, prima che scoprissimo dell’esistenza di Euros... tu le hai parlato per ultimo”
Il consulente investigativo si volta lentamente e fissa di nuovo i suoi occhi chiari sull’amico.
“Che cosa le hai detto? Che cosa hai detto a Molly, John?”
Il Dottore chiude gli occhi e inspira forte.
“Mi spiace” sussurra.
Sherlock gli si avvicina, le mani strette lungo i fianchi.
“Non so che mi è preso, quel giorno” continua John in tono affranto.
“Che cosa le hai detto?” la domanda viene ripetuta quasi con disperazione.
“Irene” confessa infine John “le ho detto che Irene Adler è viva, che ti aveva scritto e che voi continuate a vedervi. Le ho detto che mi auguravo che tu prendessi la decisione di stare insieme a lei, che ti avevo consigliato di farlo”
Gli occhi di Sherlock vagano verso un punto lontano della stanza.
“Perchè?” chiede, incapace di comprendere il motivo di quella cattiveria.
John fa un mezzo sorriso amaro.
“Non lo so” risponde sinceramente “posso solo dire che era una giornata storta. Rosie non aveva dormito granchè e io... avevo appena trovato un messaggio vecchio di non so quanto di Mary, in cui mi chiedeva di passare in lavanderia. Era finito in fondo a un cassetto e sono rimasto a fissarlo per un’infinità di tempo senza riuscire a far altro che provare rabbia, e poi Molly è arrivata e... ed era felice. Ha cominciato a dire quanto fosse contenta che le cose tra noi si stessero appianando e che era sicura che tu ti saresti ripreso in fretta, che era stata una bella festa di compleanno e che forse l’anno prossimo avremmo potuto convincerti a festeggiare davvero e io... io sono sbottato. Ho detto qualcosa a proposito del fatto che c’era sicuramente un modo in cui tu avresti gradito festeggiare, ma che ne io ne lei avremmo potuto essere d’aiuto, e quando Molly mi ha guardato confusa le ho raccontato di Irene. Non so perchè, non riuscivo a sopportare il fatto che sembrasse cosi felice e innamorata  di te. Vorrei poter dire in tutta onestà che l’ho fatto per lei, per non alimentare le sue speranze, ma credo volessi solo ferirla. Che il cielo mi aiuti, volevo che stesse male quanto stavo male io in quel momento... le cose ora vanno un po’ meglio, ma certi giorni... certi giorni, semplicemente, Mary mi manca da morire” John si passa una mano sugli occhi con un gesto stanco e di sconfitta, capendo bene che il suo dolore non è una scusa valida per quello che ha fatto.
Passano alcuni momenti di silenzio, poi Sherlock parla.
“Non ho risposto al messaggio di Irene quel giorno” l’affermazione dell’amico gli fa alzare lo sguardo “non ce n’era motivo. Avevo già tutto quello che mi serviva qui, accanto a me... io e Molly abbiamo parlato veramente per la prima volta da mesi.  Senza più fidanzati idoti o finte fidanzate, droghe e pericoli mortali.... solo noi due”
John comincia ad intuire che ciò che ha detto a Molly può avere avuto un impatto più grande di quello che credeva, e ripensa con orrore al suo volto mentre le dice di Irene, alla sua espressione ferita e incredula... ma prima che possa aggiungere altro, Sherlock parla di nuovo.
“Quella sera io l’ho baciata”
Il Dottor Watson chiude gli occhi di nuovo e fa un profondo sospiro, realizzando infine l’enorme danno che le sue parole hanno provocato.
“L’ho baciata prima che lei se ne andasse” la voce di Sherlock ora è un sussurro, mentre ricorda quel momento “piano, per un breve attimo... e poi ci siamo sorrisi” la mano del consulente investigativo sale lentamente alla sua guancia sinistra, dove Molly lo ha accarezzato dolcemente, prima di prendere una decisione per entrambi  “Poi lei si è voltata e se ne è andata, voleva darmi spazio per riflettere su quello che era appena successo e aveva ragione, ovviamente, ero stupito e... confuso, ma non riesco a pensare a come si sia sentita lei dopo le tue parole. E dopo la nostra telefonata”
John potrebbe ipotizzarlo, se solo se la sentisse: potrebbe dire quanto le speranze di Molly si siano infrante su parole dette con cattiveria e malignità in un momento di rabbia, come le sue insicurezze e paure siano tornate prepotentemente alla ribalta, al pensiero di Sherlock con una donna come Irene al suo fianco, e che addirittura il suo migliore amico gli ha consigliato di non farsela scappare, perchè è la persona giusta per lui.
Potrebbe riflettere su come Molly possa essersi sentita, quel giorno nella sua cucina, quando Sherlock Holmes le ha chiesto di rivelare per telefono i suoi sentimenti più profondi, quasi come se fosse un gioco, un esperimento.
Potrebbe  pensare a Molly che scopre che le parole dette in quella telefonata non sono altro che il frutto di una forzatura violenta e malata... a Molly che si convince che quelle parole non hanno nessuna importanza e che, quindi, non ha importanza neanche un lieve bacio avvenuto quasi per caso, mentre in un cellulare il messaggio di un’altra donna aspetta una risposta a una proposta che è continuata nel tempo.
John Watson potrebbe, ma non lo fa.
Tutto quello che potrebbe pensare e dire, è già riflesso negli occhi pieni di rimpianto di Sherlock Holmes.
E ora lo sa: le parole dette in quella telefonata invece sono state importanti.
Non tanto perchè sono state pronunciate per salvare una vita.
Ma perchè erano vere, per entrambe le parti.
 
***
 
È il momento di curare alcune ferite, quelle che per lo meno possono essere curate.
Il Dottor Watson ha una missione, e per questo con un inganno fa ritrovare Sherlock e Molly nella stessa stanza fingendo (senza neanche una punta di vergogna, e sapendo bene che Mary avrebbe approvato) un’emergenza medica di Rosie per farli arrivare di corsa, le loro paure, i loro dubbi e le loro ritrosie accantonati a favore della loro figlioccia.
Quando entrambi capiscono che la bambina sta bene e che si è trattato di un trucco, è ormai troppo tardi e, per la prima volta dopo settimane, Sherlock Holmes e Molly Hooper sono l’uno accanto all’altra  e prima che possano dire qualcosa, John parla.
“Mi dispiace” esordisce con un lieve sorriso “Sono un pessimo amico. Certi giorni non so se sono più arrabbiato o triste, e questo mi confonde, mi fa stare male. Ho una boccaccia enorme che non riesco a tenere chiusa, e Sherlock direbbe che ho mancato di cogliere un’infinità di indizi che avrebbero dovuto farmi capire tante cose, ma questo non giustifica quello che ho fatto”
“John...” tenta di interromperlo Sherlock, ma senza successo.
“Euros ha solo finito qualcosa che io avevo iniziato” continua l’amico deciso “anche se penso possiamo essere tutti d’accordo che lei ha fatto peggio di me. Molto peggio, per la verità” con un sospiro profondo, John arriva al punto del suo discorso “quello che voglio dire... è che mi spiace. Davvero. Non voglio che quello che ho detto, o quello che è successo a Sherrinford, vi tolgano la possibilità di essere felici. Io voglio che siate felici, quindi adesso resterete in questa stanza fino a che non avrete risolto tutto”
Il Dottor Watson osserva i due amici e gli sembra che per lo meno stiano riflettendo sulle sue parole, ma poi  Molly si allontana da Sherlock e gli si avvicina. Lui è l’unico ostacolo fra lei e  la porta.
Accidenti, avrebbe dovuto seguire il consiglio di Greg e rinchiuderli a chiave da qualche parte.
La patologa si ferma davanti a lui e poi, lentamente, fa un passo in avanti e lo abbraccia.
“Tu, John Watson” gli sussurra con voce commossa “sei un uomo buono”
Lui accetta con piacere il contatto fisico, felice che Molly sembri averlo perdonato. Ora dovrà solo convincerla ad ascoltare Sherlock e, forse, questa volta il suo migliore amico potrà farcela.
Con qualche giusto consiglio e qualche dritta, ovviamente.
“Ma, come tu stesso hai ammesso poco fa, sei anche poco attento”
La voce del consulente investigativo risuona divertita nella stanza, e Molly ride sommessamente mentre si scioglie dall’abbraccio.
“Sherlock...” lo riprende dolcemente e lui le sorride, un sorriso grande e sincero, che gli illumina il volto.
“Ma tesoro, l’ha detto lui!”
John spalanca la bocca, e posa alternativamente lo sguardo sui due amici.
“L’hai chiamata tesoro...” sbotta incredulo, mentre Molly torna verso Sherlock e gli prende la mano, rivolgendogli uno sguardo di biasimo misto ad adorazione.
‘’Hai promesso che glielo avresti detto in modo gentile” gli dice, guadagnandosi un altro sorriso.
“Vero” annuisce lui, prima di posarle un breve bacio sulle labbra e girarsi di nuovo verso l’amico.
“John, devi sapere che...” inizia, ma il Dottor Watson non gli lascia il tempo di continuare.
Scoppia in una sonora risata e si precipita ad abbracciarli.
A quanto pare, nonstante le scuse fossero d’obbligo, per il resto si è preoccupato inutilmente.
Sherlock Holmes e Molly Hooper hanno, infine,  trovato il loro modo per arrivare alla felicità.
 
 
Ok... sono già state scritte tante bellissime fanfic sul possibile chiarimento romantico tra Sherlock e Molly dopo la telefonata, cosi io non ho voluto aggiungere nulla; sono partita da un’ottica diversa e mi piacerebbe riprenderla in parte, se riuscirò a scrivere la prossima storia che ho in mente. Per ora grazie e un grande saluto!
yllel
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3286617