Four- Una scelta può liberarlo.

di Ironicamente_caustica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trasfazione ***
Capitolo 2: *** Quattro ***
Capitolo 3: *** Giochi e cicatrici ***
Capitolo 4: *** iniziato ***
Capitolo 5: *** Traditore ***
Capitolo 6: *** Figlio ***
Capitolo 7: *** Un anno da Intrepido ***
Capitolo 8: *** Prima a saltare, Tris! ***
Capitolo 9: *** Iniziazione ***
Capitolo 10: *** Scelte innoportune ***
Capitolo 11: *** Sei umana,Tris!? ***
Capitolo 12: *** Il Giorno delle Visite ***
Capitolo 13: *** Tris, una vera Intrepida ***
Capitolo 14: *** Sei carina, Tris ***
Capitolo 15: *** Questo è il posto giusto per te, Tris ***
Capitolo 16: *** Tris, sto bene ***
Capitolo 17: *** Perchè ti batte così veloce il cuore, Tris? ***
Capitolo 18: *** Hai detto che sono il tuo ragazzo, Tris? ***
Capitolo 19: *** Hai paura di me, Tobaias? ***
Capitolo 20: *** Sotto attacco ***
Capitolo 21: *** Simulazione ***
Capitolo 22: *** In fuga ***
Capitolo 23: *** spazio me ***



Capitolo 1
*** Trasfazione ***


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                                                                                        TRASFAZIONE
 
 
Mi risveglio dalla simulazione gridando.
Mi brucia il labbro e, quando lo tocco, mi ritrovo i polpastrelli macchiati di sangue.
Devo essermi morso.
L’intrepida che mi ha sottoposto al test attitudinale –Tori ha detto di chiamarsi- mi guarda in modo strano,mentre si tira indietro i capelli neri e li avvolge in un nodo.
Ha le braccia ricoperte di tatuaggi : fiamme,raggi di luce,ali di falco.
< Durante la simulazione .. eri consapevole che non si trattava di una situazione reale? > mi chiede, spegnendo la macchina.
Il suo tono e l’espressione del viso sono indifferenti,ma è un’indifferenza studiata, la sua, acquisita in anni di pratica.
La riconosco quando la vedo. Sempre .
Tutt’a un tratto il cuore inizia a battermi più forte.
È andata proprio come mi aveva detto mio padre.
Mi  aveva avvisato che mi avrebbero fatto questa domanda e mi ha anche detto che avrei dovuto rispondere.
< No > ribatto. < Se lo fossi stato, pensi che mi sari morso a sangue? >
Tori mi studia per qualche secondo,poi gioca con il pearcing che ha sul labbro prima di esclamare : < Congratulazioni. Il tuo risultato è Abnegante >.
Annuisco,anche se la parole “Abnegante” mi fa l’effetto di un cappio al collo.
< Non sei contento? > mi domanda.
<  I membri della mia fazione lo saranno. >
<  Non ti ho chiesto di loro,ti ho chiesto di te. > Tori ha gli angoli della bocca e degli occhi rivolti in giù,come se vi fossero attaccati dei piccoli pesi. Come se fosse triste. < Questo è un luogo sicuro. Qui puoi dire tutto quello che vuoi. >
Sapevo dove mi avrebbero portato le mie scelte nel test attitudinale prima ancora di venire a scuola stamattina.
Ho preferito il cibo all’arma. Mi sono buttato davanti al cane per salvare la bambina. Sapevo che così facendo il test sarebbe finito, e io sarei risultato Abnegante. Forse mi sarei comportato in modo diverso se mio padre non mi avesse istruito,determinando passo passo le mie scelte. In quel caso cosa mi sarei aspettato? Quale fazione avrei voluto?
Una qualunque. Una qualunque tranne gli Abneganti.
< Mi fa piacere > dico risoluto.
Non m’importa di quello che pensa,questo non è un luogo sicuro.
Non esistono luoghi sicuri,né verità sicure né segreti da poter confidare al sicuro.
Sento ancora i denti del cane affondarmi nel braccio e squarciarmi la pelle. Faccio un cenno i saluto a Tori e vado verso la porta, ma mentre sto per uscire la sua mano si stringe intorno al mio gomito.
< Sarai tu a dover convivere con la tua scelta > mi ammonisce.
< Tutti gli altri se ne faranno una ragione e andranno avanti per la loro strada,qualunque cosa tu decida. Ma tu non potrai farlo >
Apro la porta ed esco.
 
 
                                                                           ***
 
 
Torno nella sala mensa e mi siedo con gli altri Abneganti,tra gente che mi conosce appena. Mio padre non mi lascia partecipare quasi mai agli eventi pubblici: è convinto che combinerei solo guai,facendo sicuramente qualcosa che gli rovinerebbe la reputazione. Non che mi lamenti: preferisco starmene in camera mia, nel silenzio della casa vuota, piuttosto che essere circondato da persone umili e contrite.
La conseguenza delle mie ripetute assenze,tuttavia,è che gli altri Abneganti non si fidano di me. Credono che io abbia qualcosa che non va,che sia cattivo o depravato .. o strano. Persino quelli che mi rivolgono un cenno di saluto evitano di guardarmi direttamente negli occhi.
Mi siedo,le mani strette sulle ginocchia, e lascio vagare lo sguardo da un tavolo all’altro,mentre gli studenti finiscono il loro test attitudinale.
La postazione degli Eruditi è ricoperta di libri e foglio ma non tutti stanno studiando. Fanno solo finta. In realtà, quelle che si stanno scambiando sono confidenze e non idee, e i loro occhi tornano di scatto sulle pagine quando si accorgono di essere osservati. I Candidi parlano a voce alta, come sempre. I Pacifici ridono,scherzano,tirano fuori caramelle e snack dalle tasche e se li dividono. Gli Intrepidi sono turbolenti e rumorosi: semi-stravaccati su tavoli e sedie o appoggiati gli uni agli altri,si prendono in giro e si stuzzicano a vicenda.
Se solo mi fosse uscita un’altra fazione. Qualunque tranne la mia,dove tutti hanno già deciso che non sono degno della loro considerazione.
Finalmente entra nella sala mensa un’Erudita,che solleva una mano per chiedere la nostra attenzione. Gli Abneganti e gli Eruditi si zittiscono all’istante: < Silenzio! >,Intrepidi,Pacifici e Candidi neanche si accorgono della sua presenza.
< I test attitudinali sono terminati > annuncia la donna.
< Ricordatevi che non vi è consentito parlare dei vostri risultati con nessuno,nemmeno con la vostra famiglia o i vostri amici. La Cerimonia della Scelta si terrà domani,al Centro. Fate in modo di presentarvi almeno dieci minuti prima dell’inizio. Ora potete andare. >
L’intera sala si precipita verso l’uscita tranne il nostro tavolo.
Noi Abneganti aspettiamo che se ne siano andati tutti prima ancora di alzarci dalle sedie.
Conosco il percorso che seguiranno i miei compagni di fazione: attraverseranno il corridoio principale e raggiungeranno la fermata dell’autobus. Sarebbero disposti a cedere il loro posto a tutti gli altri e restare fermi lì per più di un’ora prima di salire a loro volta. Ma io non credo di poter più sopportare questo silenzio.
Anziché seguirli,sgattaiolo fuori da una porta di servizio che dà su un vicolo che costeggia la scuola. Ho già fatto questa strada altre volte,ma di solito cammino piano,cercando di passare inosservato. Oggi invece ho voglia di correre.
Con uno scatto veloce arrivo in fondo al vicolo e mi infilo in una strada deserta,saltando un buco nell’asfalto scavato dalla pioggia. La mia giacca da Abnegante è aperta al vento: me la sfilo dalle spalle,la faccio sventolare dietro di me come una bandiera e poi la lascio andare. Senza smettere di correre,mi arrotolo le maniche della camicia fino ai gomiti,poi, quando il mio corpo non riesce più a sostenere lo sforzo,rallento un po’. Sembra che l’intera città mi stia sfrecciando accanto,gli edifici che si fondono tra loro in una macchia indistinta. Il rumore delle mie scarpe che battono sul terreno mi arriva distante,come se non fossi io a provocarlo.
Alla fine sono costretto a fermarmi,perché mi bruciano i muscoli. Mi trovo nella terra desolata degli Esclusi,racchiusa tra il quartiere degli Abneganti,il quartier generale degli Eruditi,quello dei Candidi e la zona comune. A ogni riunione di tutte le fazioni,i nostri capi – di solito per bocca di mio padre – ci esortano a non temere gli Esclusi,a trattarli come esseri umani e non creature perdute e senza futuro. Ma io non ho mai avuto paura di loro.
Salgo sul marciapiede per guardare dietro le finestre. Per lo più non si vede altro che vecchi mobili,stanze vuote,per terra qualche rifiuto. Quando la maggior parte degli abitanti ha abbandonato la città  –  è questo che deve essere successo, dal momento che la popolazione attuale non è abbastanza numerosa da occupare tutti gli edifici- deve averlo fatto in tutta calma,perché gli spazi che abitava sono molto puliti. Non vi hanno lasciato niente di interessante.
Tuttavia,mentre costeggio un palazzo che fa angolo,intravedo qualcosa. La finestra dà su una stanza vuota,come tutte quelle che ho già oltrepassato,ma al di là di una porta scorgo un tizzone ancora incandescente,un fuoco non del tutto spento.
Preoccupato,provo a forzare la finestra. All’inizio non cede,ma poi  –  spingendola un po’avanti e un po’ indietro -  riesco a far scorrere il vetro verso l’alto. Infilo prima il busto e poi le gambe. Cado dall’atra parte,rotolando maldestramente sul pavimento e scorticandomi i gomiti.
Nell’appartamento c’è odoro di cibo,fumo e sudore. Mi avvicino alla brace,le orecchie ben tese a cogliere voci che mi avvertano della presenza di Esclusi,ma sento solo silenzio.
Le finestre dell’altra stanza sono annerite di vernice e di sporco,ma un filo di luce riesce a penetrare ugualmente,mostrandomi un pavimento cosparso di pagliericci e di vecchie lattine che contengono rimasugli di cibo ormai secchi. Al centro della camera c’è una piccola griglia. Il carbone è per lo più bianco e non c’è più alcuna fiamma,ma il tizzone ancora acceso mi fa pensare che chiunque sia stato qui se ne sia andato da poco. E, a giudicare dall’odore e dall’abbondanza di coperte e lattine vuote,dovevano essere parecchie persone.
Mi hanno sempre insegnato che gli Esclusi vivono isolati gli uni dagli altri e che non hanno mai formato nessuna comunità. Ora, di fronte a questo posto, mi chiedo come abbia potuto crederci. Che cosa li tratterrebbe dal raggrupparsi come abbiamo fatto noi? È nella nostra natura.
< Che ci fai qui? > La voce mi attraversa il corpo come una scarica elettrica. Mi volto,e nella stanza adiacente vedo un uomo con il viso sporco e giallognolo che si pulisce le mani su uno strofinaccio sbrindellato.
< Stavo solo ..> Guardo la griglia. < Ho visto il fuoco,tutto qui. >
<  Ah. > L’uomo si infila l’angolo dello strofinaccio nella tasca posteriore. Indossa pantaloni neri da Candido con toppe di stoffa azzurre da Erudito e una camicia grigia da Abnegante,uguale alla mia. È magro come un chiodo,ma sembra forte. Abbastanza da potermi far male, anche se non credo che ne abbia l’intenzione. < Grazie,immagino > dice. < Comunque non sta andando a fuoco niente,qui.>
< Lo vedo. Che cos’è questo posto? >
<  È casa mia > risponde lui con un sorriso freddo. Gli manca un dente. <  Non sapevo che avrei avuto ospiti,così non mi sono preoccupato di mettere ordine. >
Sposto lo sguardo da lui alle lattine sparpagliate a terra.
< Devi avere molto freddo,per aver bisogno di così tante coperte. >
< Mai incontrato un Rigido così impiccione. > si avvicina <  il tuo volto non mi è nuovo. >
So che non posso averlo già incontrato,di sicuro non dove vivo,circondato da case tutte uguali nel quartiere più monotono della città,e da persone vestite con gli stessi abiti grigi e pettinate esattamente nello stesso modo.
Poi capisco: per quanto mio padre cerchi di tenermi nascosto,è pure sempre il capo del consiglio,una delle persone più in vista della città,e io gli assomiglio.
 < Mi dispiace averti disturbato > dico con perfetta intonazione da Abnegante. <  Ora me ne vado. >
< Ti conosco > insiste l’uomo. <  tu sei il figlio di Evelyn Eaton,vero? >
Mi irrigidisco al suono di quel nome. Erano anni che non lo sentivo,perché mio padre non lo pronuncia mai e lo ignora se lo sente fare da altri. Essere di nuovo associato a lei,anche se per una questione di somiglianze,mi provoca una strana sensazione,come quando ci si infila un vecchio indumento che ormai non ci sta più.
< Come facevi a conoscerla? >
Doveva conoscerla bene per ritrovare i suoi lineamenti sul mio viso,nonostante la pelle più chiara e gli occhi blu invece che castano scuro. Quasi nessuno notava quante cose avevamo in comune: le dita lunghe,il naso adunco,le sopracciglia dritte e costantemente aggrottate.
Lui esita un po’. < Faceva volontario con gli Abneganti,a volte. Distribuivano cibo,coperte e vestiti. Aveva un viso indimenticabile. Inoltre,era sposata con un dirigente del consiglio. Non la conoscevano tutti? >
Intuisco se qualcuno mente dal modo prepotente in cui le parole mi arrivano addosso e suonano sbagliate. Dev’essere la stessa cosa che orva un Erudito a leggere una frase grammaticalmente scorretta. Qualunque sia stata l’occasione in cui quest’uomo ha conosciuto mi madre,non è stato perché lei gli ha passato una lattina di zuppa. Ma è tanto il desiderio di sentir parlare di lei che non insisto.
<  È morta,lo sapevi? >  butto lì.  < anni fa >
< No,non lo sapevo. Mi dispiace > dice,abbassando appena un angolo della bocca.
Mi sento strano a stare in questo posto umido che odora di corpi vivi e fumo,tra le lattine vuote che parlano di povertà e dell’incapacità di inserirsi. Eppure c’è anche qualcosa che mi attrae: la libertà,il rifiuto di appartenere a una categoria predefinita e da noi  stessi creata.
< A giudicare dalla tua espressione preoccupata,immagino che la tua Cerimonia della Scelta sia domani. Che fazione ti è uscita? >
< Non devo parlarne con altri. > rispondo meccanicamente.
< Io non sono un altro. Io non sono nessuno. È questo che significa essere Esclusi .>
Tengo comunque la bocca chiusa. Il divieto di rivelare i risultati del test attitudinale,o qualunque altro mio segreto,è impresso nello stampo che mi ha forgiato e che quotidianamente continua a forgiarmi. Non posso più cambiare ormai.
< Ah,sei un ligio alle regole > commenta lui,forse un po’ deluso. < Tua madre una volta mi ha detto che pensava di essere finita tra gli Abneganti a causa della sua indole arrendevole,perché era la strada più facile da percorrere,quella che comportava il minor grado di resistenza. > Si stringe nelle spalle. < Credimi, giovane Eaton,se ti dico che vale pena resistere. >
D’un tratto provo un impeto di rabbia. Quest’uomo non dovrebbe parlare di mia madre come se appartenesse a lui e non a me. Non dovrebbe costringermi a rimettere in discussione ogni ricordo che ho di lei solo perché,forse,gli ha dato da mangiare .. magari non è neppure vero. È un Escluso,un diverso,un niente.
< Ah,si? > sbotto. < E guarda dove ti ha portato resistere. A vivere di scatolette in palazzi fatiscenti. A me non sembra così entusiasmante. >
Mi dirigo verso la camera da cui è sbucato fuori. So che da qualche parte troverò un’uscita: poco importa dove mi condurrà,mi basta andarmene alla svelta.
Scelgo con attenzione dove mettere i piedi,per non calpestare le coperte. Sono già in corridoio quando l’uomo risponde: < Preferisco mangiare scatolette che farmi soffocare da una fazione > .
Non mi volto indietro.
 
 
                                                                  ***
 
Arrivo a casa e mi siedo sui gradini d’ingresso a respirare per qualche minuto la fresca aria primaverile.
È stata mia madre a insegnarmi a rubare momenti di libertà come questo,anche se non se n’è accorta. Io la osservavo quando se li prendeva: scivolava fuori di casa la sera, dopo che mio padre si era addormentato,e poi rientrava di nascosto appena la luce del sole cominciava a ricomparire dietro i palazzi. Se li prendeva anche quando era con noi,fermandosi a occhi chiusi davanti al lavello,così distante con la mente che non mi sentiva nemmeno se parlavo. Ma  ho imparato anche un’altra cosa ,guardandola,e cioè che i momenti di libertà prima o poi finiscono.
Mi alzo,spazzolandomi la polvere dai pantaloni grigi,e apro la porta. Mio padre è seduto sulla poltrona del salotto,circondato da documenti. Io raddrizzo la schiena più che posso,non voglio che mi rimproveri perché sto ingobbito. Vado verso le scale. Forse riuscirò a raggiungere la mia camera senza che si accorga di me.
< Raccontami de test attitudinale. > dice invece,e indica il divano per farmi sedere.
Attraverso la stanza,scavalcando con attenzione una pila di carte sul tappeto,e mi siedo dove mi ha ordinato,in bilico sul bordo del cuscino,per essere pronto ad alzarmi.
< Ebbene? > Si toglie gli occhiali e mi fissa,in attesa. Percepisco la tensione nella sua voce,il tipo di tensione che accumula in una giornata difficile a lavoro. Devo stare attento. < Che risultato hai ottenuto? >
Non ci penso un attimo a rifiutarmi di  dirglielo.
< Abnegante. >
< E nient’altro? >
Aggrotto le sopracciglia. < No,naturalmente no. >
< Non guardarmi in quel modo > ringhia,e io distendo la fronte.
< Non è successo niente di strano durante il test? >
Durante il test ero consapevole di dove mi trovavo,sapevo che  –  anche se mi sembrava di essere nella mensa della scuola -  in realtà me ne stavo straiato su una poltrona della saletta adibita ai test attitudinali,con il corpo collegato a una macchina da una serie di fili. Questo è strano. Ma non voglio parlargliene ora,non quando vedo il nervosismo ribollire dentro di lui come una tempesta.    < No > rispondo.
< Non mentirmi > sibila,afferrandomi il braccio. Le sue dita mi stringono come una morsa.
Non lo guardo. < Non sto mentendo. Sono risultato Abnegante,come previsto. La donna non mi ha neppure degnato di una seconda occhiata mentre uscivo. Lo giuro. > Mi lascia andare. Sento la pelle pulsare nel punto in cui mi ha trattenuto.
< Bene. Sono sicuro che hai bisogno di riflettere. Vai in camera tua. >
< Sissignore. > Mi alzo e attraverso di nuovo il salotto,sollevato.
< Ah > aggiunge
< Sissignore. >
 
 
                                                                 ***
 
 
Prima che tramonti il sole,mi prendo qualcosa da mangiare dalla dispensa e dal frigo:due panini,carote crude con il ciuffo verde,un pezzo di formaggio,una mela,un avanzo di pollo scondito. Tutto ha lo stesso sapore,di polvere e colla. Tengo gli occhi fissi sulla porta per non imbattermi nei colleghi di mio padre. Gli darebbe molto fastidio se fossi ancora giù al loro arrivo.
Sto finendo di bere un bicchiere d’acqua quando il primo membro del consiglio comincia a salire i gradini dell’ingresso,quindi mi affretto ad attraversare il salotto prima che mio padre raggiunga la porta. Lui aspetta con la mano sulla maniglia,le sopracciglia alzate,che io giri intorno alla balaustra;poi mi indica le scale e io salgo veloce,mentre lui apre la porta.
< Ciao,Marcus. > Riconosco la voce di Andrei Prior. È uno degli amici più stretti di mio padre,il che non significa nulla,perché nessuno lo conosce davvero. Nemmeno io.
Osservo Andrei dalla cima delle scale. Si sta pulendo scarpe sullo zerbino. Ogni tanto li vedo,lui e la sua famiglia,il perfetto nucleo Abnegante,il figlio e la figlia,che non sono gemelli ma frequentano entrambi due classi dopo la mia- camminare tutti composti sul marciapiede,salutando i passanti con piccoli cenni della testa. Natalie organizzava i programmi di volontariato a favore degli Esclusi. Mia madre deve averla conosciuta,anche se raramente frequentava gli incontri sociali degli Abneganti,preferendo tenere per sé i suoi segreti .. come io tengo per me i miei,nascosti in questa casa.
Andrew incrocia il mio sguardo e io scappo in camera mia,in fondo al corridoio,e mi chiudo la porta alle spalle.
Apparentemente la mia stanza è spoglia e ordinata quanto la camera di qualunque altro bravo Abnegante.Le lenzuola e le coperte grigie sono rimboccate strette intorno al materasso sottile e i libri di scuola sono impilati a formare una torre perfetta sulla scrivania di compensato. Un piccolo cassettone contenente diverse paia di capi identici sta accanto a una finestra da cui,il pomeriggio tardi, entra solo una sottile striscia di sole. Al di là dei vetri,la casa adiacente è perfettamente uguale a quella in cui abito,a parte la posizione di qualche metro più a est. Se davvero quell’uomo ha detto la verità,è stata la sua indole arrendevole a spingere mia madre negli Abneganti. Immagino la stessa cosa possa accadere a me,domani,quando mi troverò con il coltello in mano in mezzo alle coppe con gli elementi delle fazioni. Ci sono quattro fazioni che non conosco e di cui non mi fido,che hanno abitudini che non capisco,e una sola mi è familiare ed è per me prevedibile e comprensibile. Scegliere gli Abneganti non mi darà gioia e felicità,ma almeno avrò un posto confortevole in cui vivere.
Mi siedo sul bordo del letto.
No,non è vero,rifletto.
Poi deglutisco per inghiottire il pensiero,perché so da dove nasce:dalla parte infantile di me che ha paura dell’uomo che al piano di sotto sta ricevendo degli ospiti in salotto. L’uomo di cui conosco più i pugni che gli abbracci.
Controllo che la porta sia chiusa e, per sicurezza,incastro la sedia sotto la maniglia. Poi mi accovaccio accanto al letto e allungo il braccio per tirare fuori il baule.
Me lo diede mia madre quando ero piccolo,spiegando a mio padre che era per le coperte di riserva e che l’aveva trovato in un vicolo. Ma quando lo portò in camera mia,non lo riempì di coperte. Chiuse la porta e si portò un dito sulle labbra,poi lo posò sul e letto e lo aprì.
Dentro il baule c’era una scultura azzurra. Sembrava una cascata d’acqua,ma in realtà era vetro. Vetro perfettamente trasparente,liscio,senza alcuna imperfezione.
< Che cosa fa? > le avevo chiesto.
< Apparentemente nulla > mi aveva risposto con un sorriso. Ma era un sorriso tirato,come se avesse paura di qualcosa.
< Ma potrebbe riuscire a fare qualcosa qui dentro. > Si era messa una mano sul petto,proprio sopra lo sterno. < A volte le cose belle hanno questo potere. >
Da allora ho riempito il baule di oggetti che altri definirebbero inutili: vecchi occhiali privi di lenti,pezzi di computer buttati via,candele di accensione,fili elettrici senza guaina,il collo di una bottiglia di vetro verde,la lama di un coltello. Non so se mia madre li avrebbe trovati belli,e forse neanche per me lo sono,ma ciascuno mi ha colpito nello stesso modo del soprammobile: come oggetti segreti e preziosi,se non altro per il fatto di essere così disprezzati.
Invece di pensare ai risultati del mio test attitudinale,li prendo uno per uno e li rigiro tra le mani,finchè non li ho memorizzati tutti,in ogni loro singolo dettaglio.
 
 
                                                             ***
 
Mi sveglio di soprassalto sentendo i passi di Marcus in corridoio. Sono sdraiato sul letto con gli oggetti sparpagliati sul materasso intorno a me. I passi rallentano mentre lui si avvicina alla porta. Raccolgo le candele, i frammenti di computer e i fili e li getto nel baule,poi chiudo il lucchetto e mi infilo la chiave nella tasca. Solo all’ultimo momento,quando la maniglia già comincia ad abbassarsi, mi accorgo che la scultura è rimasta fuori,per cui la nascondo sotto il cuscino e spingo il baule sotto il letto.
Mi lancio verso la sedia sotto la maniglia per permettere a mio padre di entrare.
Quando lui apre la porta,fissa con sospetto la sedia che ho ancora in mano. < che cosa ci facevi con quella? Stavi cercando di chiudermi fuori? >
< No,signore >
< È la seconda volta che mi menti,oggi. Non ho cresciuto un figlio perché diventasse un bugiardo. >
< Io .. > non riesco a farmi venire in mente niente da dire,così chiudo la bocca e riporto la sedia verso il tavolo a cui appartiene,esattamente dietro la perfetta pila di libri.
< Che cosa stavi facendo qui dentro che non volevi farmi vedere? >
Stringo forte la spalliera della sedia,lo sguardo fisso sui libri.
< Niente. > mormoro.
< E fanno tre bugie. > La sua voce è bassa,ma dura come la pietra. Viene verso di me e io istintivamente indietreggio,ma invece di raggiungermi si china e tira fuori il baule da sotto il letto. Cerca di aprirlo ma non ci riesce.
La paura mi penetra nelle budella come una lama.
Stringo l’orlo della camicia,ma non sento niente sotto i polpastrelli.
< Tua madre diceva che questo serviva per le coperte. Diceva che di notte avevi freddo.
Ma io mi sono sempre chiesto: se dentro ci sono ancora le coperte,perché lo tieni chiuso? >
Solleva la mano,il palmo rivolto verso l’alto,e mi guarda severo. So che cosa vuole: la chiave. E devo dargliela,perché lui si accorge se mento .. si accorge di tutto quello che mi riguarda. Frugo nella tasca dei pantaloni e gli lascio ricadere la chiave nella mano. Ora non sento neanche più i palmi e il mio respiro comincia ad accorciarsi,come mi succede sempre quando capisco che è sul punto di esplodere.
Chiudo gli occhi mentre apre il baule.
< Che cos’è questa roba? > Le sue dita si muovono senza riguardo tra i preziosi oggetti,spostandoli di qua e di là. Poi comincia a tirarli fuori uno alla volta e a spingermeli sotto il naso. < A cosa ti serve questo,e questo ..! >
Sussulto ogni volta,ma non ho la risposta. Non mi servono. Non me ne serve nessuno.
< Questo comportamento  puzza di autoindulgenza! > grida,scaraventando il baule giù dal letto. Il contenuto si sparge su tutto il pavimento.
Non sento neanche più la faccia.
Le sue mani mi colpiscono il petto. Indietreggio incespicando e urto il cassettone. Lui solleva il braccio per colpirmi di nuovo e io esclamo,la voce strozzata per la paura: < La Cerimonia della Scelta,papà! >
Lui si ferma con la mano a mezz’aria e io mi ranicchio conto il cassettone,la vista annebbiata. Di solito cerca di non lasciarmi segni in faccia,soprattutto alla vigilia  di giornate come quella di domani,quando tante persone mi osserveranno,nell’attesa che io compia la Scelta.
Abbassa la mano e per un attimo penso che l’impeto di violenza sia passata,la rabbia spenta. Ma poi sibila: < Giusto. Resta qui. >
Mi accascio. Non mi aspetto certo che, ora che se ne è andato,ci rifletta e torni scusandosi. Non lo fa mai. Tornerà con una cintura e i solchi che mi scaverà sulla schiena saranno facilmente nascosti da una camicia e da un’espressione sottomessa da Abnegante. Mi volto,il corpo scosso da un fremito,mi aggrappo al bordo del mobile e aspetto.
 
                                                              ***
 
La notte dormo a pancia in giù,il dolore che addenta ogni mio pensiero,il pavimento cosparso dei frammenti dei miei averi. Dopo avermi colpito finchè ho dovuto infilarmi un pungo in bocca per soffocare le grida,ha calpestato tutti gli oggetti rompendoli o deformandoli fino a renderli irriconoscibili,poi ha sbattuto il baule contro il muro facendo staccare il coperchio.
Un’idea prende forma nella mia mente: Se sceglierai gli Abneganti non riuscirai mai a fuggire da lui.
Affondo la faccia nel cuscino.
Non sono abbastanza forte da resiste all’arrendevolezza,alla paura che mi trascina verso il sentiero che mio padre ha tracciato per me.
 
 
                                                                  ***
 
Il mattino dopo faccio la doccia fredda,non per risparmiare energia come prescrivono gli Abneganti,ma per intorpidire la schiena. Mi infilo lentamente i miei larghi,dimessi vestiti da Abnegante e mi fermo davanti allo specchio,in corridoio,per tagliarmi i capelli.
< Lascia fare a me > dice mio padre dal fondo del corridoio. <  È il tuo Giorno della Scelta,dopotutto. >
Appoggio la macchinetta sulla mensola creata dal pannello scorrevole e cerco di raddrizzarmi.
Lui si sistema alle mie spalle e io abbasso lo sguardo quando il rasoio comincia a ronzare. Rabbrividisco quando mi prende la testa per tenerla ferma. Spero che non se ne accorga,che non capisca che ogni suo minimo tocco mi terrorizza. < Sai che cosa ti aspetta > mi dice mentre con la mano mi copre la punta dell’orecchio prima di passare la macchinetta sul lato della testa. Oggi cerca di proteggermi dalle lame del rasoio,mentre ieri mi picchiava con la cintura. E questo pensiero è come un veleno che mi intossica la mente. È quasi buffo. Quasi mi viene da ridere.
< Te ne starai al tuo posto finchè non chiameranno il tuo nome. Poi ti presenterai e riceverai il coltello. Ti inciderai un taglio nella mano e lascerai colare il sangue nella coppa giusta. > I nostri occhi si incontrano nello specchio e lui stringe le labbra in una specie di sorriso. Mi tocca la spalla e mi accorgo che siamo quasi alla stessa altezza ora,quasi della stessa altezza,anche se io mi sento ancora molto piccolo.
Poi aggiunge,addolcendo la voce: < Il taglio farà male solo per poco. E dopo che avrai compiuto la Scelta sarà tutto finito. >
Mi domando addirittura se ricorda che cos’è successo ieri,o se l’ha già relegato in qualche compartimento separato dlla mente,scindendo il mostro dalla metà paterna. Io però non ho questi compartimenti e vedo tutte le sue identità,sovrapposte le une alle altre: mostro,padre,uomo,capo del consiglio,vedovo.
E all’improvviso il battito accelera,mi sento avvampare il viso e non riesco più a sopportare la tensione. < Non preoccuparti di quanto farà male > dico. < Sono allentato al dolore.>
Per un secondo i suoi occhi nello specchio sono come pugnali,e tutta la mia rabbia sfuma all’istante,sostituita dalle ben più familiare paura. Ma lui si limita a spegnere il rasoio e ad appoggiarlo sulla mensola,poi si avvia verso le scale,lasciandomi da solo a raccogliere i capelli,a spazzolarmi le spalle e il collo e a riporre la macchinetta nel cassetto del bagno.
Torno in camera mia e guardo gli oggetti rotti sul pavimento. Li raggruppo con cura in un mucchio e poi li butto nel cestino accanto la scrivania,un pezzo alla volta.
Mi rialzo con una smorfia,le ginocchia che mi tremano.
E in quel momento,mentre rifletto sulla vacuità della che mi sono costruito qui e osservo i detriti di quel poco che avevo,penso: devo andarmene.
Un’idea potente,che sento risuonare dentro di me con la forza del rintocco di una campana. Così me lo ripeto. Devo andarmene.
Vado verso il letto e infilo la mano sotto il cuscino. La scultura di mia madre è ancora intatta,azzurra e rilucente nel chiarore del mattino. L’appoggio sul cassettone,poco distante dalla pila di libri,ed esco chiudendomi la porta alle spalle.
Scendo di sotto,ma sono troppo nervoso per mangiare. Mi infilo ugualmente in bocca un pezzo di toast perché mio padre non faccia domande. In realtà,non ho niente di cui preoccuparmi:ora sta facendo finta che non esista,fa finta di non vedermi trasalire ogni volta che devo piegarmi per raccogliere qualcosa.
Devo andarmene. È un mantra,una formula rituale,l’unica cosa che mi rimae a cui aggrapparmi.
Mentre lui finisce di leggere le notizie che gli Eruditi pubblicano ogni mattina,io lavo i piatti,poi usciamo di casa insieme,senza parlare. Camminiamo sul marciapiede e lui saluti i vicini con un sorriso. Tutto è sempre in ordine per Marcus Eaton,tranne suo figlio,tranne me. Io non sono in regola,io sono un perenne disastro.
Ma oggi ne sono felice.
Saliamo sull’autobus e rimaniamo in piedi nel corridoio per lasciar sedere gli altri,perfetta immagine della deferenza degli Abneganti. Guardo salire le persone: Candidi impertinenti,Eruditi con aria da intellettuali. Osservo gli altri Abneganti alzarsi e cedere il posto. Oggi abbiamo tutti la stessa meta:il Centro,una colonna nera in lontananza che due guglie sul tetto che trafiggono il cielo.
Arriviamo a destinazione,e mio padre mi appoggia una mano sulla spalla mentre varchiamo l’ingresso,procurandomi una fitta di dolore in tutto il corpo.
Devo andarmene.
È un pensiero disperato e il dolore non fa che rinvigorirlo a ogni gradino della scalinata che porta al piano dove avrà luogo la Cerimonia. Faccio fatica a respirare,ma non è a causa delle gambe affaticate,quanto del mio debole cuore,che però si va rafforzando a ogni secondo che passa. Accanto a me,Marcus si asciuga il sudore sulla fronte,mentre tutti gli altri Abneganti tengono la bocca chiusa per non far sentire il respiro pesante,per non dare l’impressione che si stiano lamentando.
Sollevo gli occhi verso la cima della scale,eccitato da questo pensiero,questa necessità,questa possibilità di fuga.
Raggiungiamo il piano e tutti si fermano a riprendere fiato prima di entrare. La sala è poco illuminata,le finestre sono chiuse,le sedie disposte in cerchio intorno alle coppe che contengo rispettivamente vetro,acqua,pietre,carboni e terra. Io trovo il mio posto nella fila,tra un’Abnegante e un Pacifico. Marcus si ferma davanti a me.
< Sai cosa fare > mormora,e sembra quasi dirlo a se stesso più che a me. < Sai qual è la scelta giusta. So che lo sai. >
Fisso un punto indefinito sotto i suoi occhi.
< Ci vediamo presto. > aggiunge lui. Si dirige verso il settore degli Abneganti e si siede in primafila,accanto ad alcuni dirigenti del consiglio.
Gradualmente la sala si riempie. I ragazzi che devono compiere la Scleta sono in piedi sull’esterno,a formare un quadrato,mentre il pubblico è seduto sulle sedie al centro.
Le porte vengono chiuse e cala il silenzio quando il Presidente della Cerimonia,un Intrepido,avanza verso il podio. Si chiama Max. stringe le mani intorno al bordo del leggio e persino dalla distanza a cui mi trovo io si vede che ha le nocche scorticate.
Negli Intrepidi si impara a fare a pugni? Evidentemente si.
< Benvenuti alla Cerimonia della Scelta > esordisce Max. la sua voce profonda raggiunge facilmente ogni punto della sala,senza bisogno di microfoni,ed è abbastanza alta e forte da penetrarmi nella testa e avviluppare i miei pensieri.
< Oggi sceglierete la vostra fazione. Fino a questo momento avete seguito il percorso indicato dai vostri genitori,avete seguito le loro regole. Oggi troverete la vostra strada,creerete le vostre regole. >
Riesco quasi a vedere mio padre che stringe le labbra con fare sprezzante nel sentire un discorso tipicamente da Intrepidi. Conosco talmente bene le sue abitudini che quasi lo faccio anch’io,anche se non condivido il suo giudizio. Io non ho opinioni particolari sugli Intrepidi.
< Molto tempo fa i nostri antenati si resero conto che siamo tutti responsabili del male che c’è sulla Terra,ognuno per la propria parte,ma non si trovarono d’accordo sul nome da dare a quel male > continua Max. < Alcuni sostenevano che il male nascesse dalla menzogna .. >
Penso alle bugie che ho raccontato,anno dopo anno, sui miei lividi,e alle omissioni con cui ho protetto i segreti di Marcus.
< Altri dicevano dall’ignoranza,dall’aggressività ..  >
Peso alla serenità dei frutteti dei Pacifici,a come in mezzo a loro sarei al riparo dalla violenza e dalla crudeltà.
< Alcuni dicevano che la causa fosse l’egoismo .>
È per il tuo bene,ringhiava Marcus prima di vibrare il primo colpo. Come se picchiarmi fosse per lui un atto di sacrificio. Come se gli facesse male farlo. Ma non era lui a zoppicare in cucina,stamattina.
< E l’ultimo gruppo diceva che la colpa andava ascritta alla codardia. >
Alcune grida si levano dal settore degli Intrepidi,molti dei quali ridono. Ripenso alla paura che mi ha divorato ieri notte fino a togliermi ogni sensibilità,fino a mozzarmi il respiro. Penso a tutti gli anni in cui sono stato calpestato,polverizzato sotto il tallone di mio padre.
< È così che sono nate le fazioni: Candidi,Eruditi,Pacifici,Abneganti,Intrepidi. > Max sorride. < Da esse provengono i nostri amministratori,insegnati,consulenti,governanti e guardie. In esse si radica il nostro senso di appartenenza,il nostro senso di comunità,la nostra stessa vita. > Si schiarisce la gola. < Ma basta così,arriviamo al dunque. Ora verrete qui,prenderete il vostro coltello e compierete la Scelta. Il nome del primo convocato è Zellner,Gregory. >
Mi sembra quasi doveroso che il dolore segni il passaggio dalla vecchia vita a quella nuova,quando il coltello mi inciderà il palmo della mano. Però,questa mattina ancora non sapevo quale fazione scegliere come rifugio. Gregory Zellner solleva la mano sanguinante sopra la coppa che contiene la terra dei Pacifici.
I Pacifici sembrano una scelta ovvia come rifugio,con la loro vita serena,i frutteti profumati,la comunità sorridente. Tra loro troverei il tipo di accettazione che ho agognato per tutta la vita e forse,con il tempo,imparerei a sentirmi sicuro di me,ad accettarmi per come sono. Ma se guardo la gente seduta in quel settore,vestita di giallo e rosso,vedo solo persone sane o già guarite,capaci di allietarsi e di sostenersi. Sono troppo perfetti,troppo gentili perché uno come me possa essere spinto tra le loro braccia dalla rabbia e dalla paura.
La cerimonia procede troppo in fretta. < Rogers,Helena. >
 Helena sceglie i Candidi.
So che cosa succede durante l’iniziazione dei Candidi. Ne ho sentito parlare a scuola un giorno. Sarei costretto a rivelare ogni mio segreto,a dissotterrarlo con le unghie. Dovrei strapparmi la pelle di dosso per entrare nei Candidi. No,non posso farlo.
< Lovelance,Frederick . >
Frderick Lovelance,tutto vestito di azzurro,si taglia il palmo della mano e fa cadere il sangue nell’acqua già rosa degli Eruditi,facendole acquistare una gradazione un po’ più scura. Io imparo piuttosto in fretta,ma mi conosco abbastanza bene da sapere che sono troppo instabile,troppo emotivo per un posto come quello. Mi sentirei soffocato,mentre quello che voglio è essere libero,non essere rinchiuso in una nuova prigione.
Un attimo dopo stanno chiamando la ragazza Abnegante accanto a me < Erasmus,Anne >
Anne,un’altra che non mi ha mai rivolto che poche parole,percorre incerta tutto il corridoio fino al podio di Max. prende il coltello con mani troppo tremanti e si taglia il palmo,poi stende il braccio sopra la coppa degli Abneganti. È facile per lei. Lei non ha niente da cui scappare,solo una comunità gentile e accogliente a cui tornare. Inoltre,sono anni che non si trasferisce nessun Abnegante. È la fazione con il più alto tasso di fedeltà,secondo le statistiche.
< Eaton,Tobaias. >
Non mi sento nervoso mentre cammino verso le coppe,anche se non ho ancora scelto il posto per me. Max mi passa il coltello e io chiudo le dita intorno al manico. È liscio e freddo,la lama pulita. Un coltello nuovo,e una scelta nuova,per ogni persona.
Mi avvicino alle coppe,al centro della sala,passando davanti a Tori,la donna che mi ha sottoposto al test attitudinale. Sarai tu a dover convivere con la tua scelta,mi ha detto. Ha i capelli legati e noto che ha un tatuaggio sopra la clavicola,che si allunga verso la gola. Lei mi guarda negli occhi con un’intensità particolare e io la fisso a mia volta,calmo,mentre mi fermo in mezzo alle coppe.
Con quale scelta potrei convivere?
Non con gli Eruditi,non con i Candidi.
Non con gli Abneganti,da cui voglio scappare.
E neanche con i Pacifici,perché sono troppo disperato per farne parte.
La verità è che voglio che la mia scelta sia come un coltello affondato dritto nel cuore di mio padre,che lo ferisca con tutto il dolore,l’imbarazzo e la delusione possibili.
C’è una sola scelta che può farlo.
Lo guardo e lui annuisce. Mi incido nel palmo un taglio così profondo che mi vengono quasi le lascive agli occhi. Sbatto le palpebre per cacciarle indietro e serro la mano in un pugno per raccogliervi il sangue. I suoi occhi sono uguali ai miei,di un azzurro così scuro che quando c’è poca luca come in questo momento sembrano neri,come buchi scavati nel cranio. Sento la schiena pulsare e bruciare; la camicia sfrega sulla pelle scorticata,la pelle in cui ha scavato solchi con la cintura.
Apro la mano sopra i carboni.li sento bruciare nello stomaco,mi sento pieno fino a scoppiare di fuoco e fumo.
Sono libero.

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Capitolo 2
*** Quattro ***


Image and video hosting by TinyPic                                                                     QUATTRO
 
 
Non sento le grida degli Intrepidi,sento solo un ronzio.
La mia nuova fazione è come una creatura dalle molte braccia allungate verso di me. Le vado incontro senza avere il coraggio di voltarmi a guardare la faccia di mio padre.
Diverse mani mi toccano il braccio in segno di approvazione e io mio spingo verso il fondo del gruppo,con il sangue che mi cola sulle dita.
Raggiungo gli altri iniziati e mi fermo accanto ad un Erudito con i capelli neri,che mi soppesa e mi scarta con una sola occhiata. Non devo sembrare granché,nel mio grigio da Abnegante,altro e scheletrico dopo la crescita improvvisa dell’anno scorso. Dal taglio nella mano il sangue scorre abbonante,scivola lungo il polso e gocciola sul pavimento.
Ho affondato troppo il coltello.
Mentre l’ultimo dei miei coetanei avanza verso le coppe,afferro l’orlo della mia ampia camicia tra due dita e ,con un gesto deciso,strappo una striscia di stoffa dalla parte davanti;poi me l’avvolgo intorno alla mano per fermare il sangue. Questi vestiti non mi serviranno più.
Non appena l’ultimo esprime la sua scelta,gli Intrepidi seduti davanti a noi scattano in piedi e si lanciano verso l’uscita,trascinandomi con loro. Mi volto indietro prima di raggiungere la porta,incapace di trattenermi,e vedo mio padre seduto in prima fila,immobile,circondato da alcuni Abneganti. Sembra in stato di shock.
Accenno un sorriso. Ce l’ho fatta,sono stato io a provocare quell’espressione sulla sua faccia. Non sono il perfetto figlio Abnegante,condannato a farsi divorare completamente dal sistema e a sparire nell’anonimato. Al contrario,sono il primo traslazione Abnegante dopo più di dieci anni.
Mi volto e corro per raggiungere gli altri. Non voglio rimanere indietro. Prima ancora di uscire dalla sala mi slaccio la camicia strappata e la lascio cadere a terra. Anche la maglietta grigia che ho sotto è troppo grande per me,ma almeno è più scura e si confonde meglio con i vestiti neri della mia nuova fazione.
Gli Intrepidi si precipitano giù per le scale e spalancano le porte ridendo e gridando. Mi sento bruciare la schiena e le spalle,i polmoni e le gambe,e a un tratto non sono più sicuro della scelta che ho fatto,né delle persone a cui ho deciso di unirmi. Sono così rumorose e scatenate. Sarò davvero in grado di trovare il mio posto in mezzo a loro?
Non lo so.
Credo di non avere alternative.
Supero parte del gruppo in cerca dei miei compagni iniziati,ma sembrano spariti. Mi sposto di lato,sperando di riuscire a farmi un’idea di dove siamo diretti,e vedo poco più avanti i binari del treno,sospesi sopra la strada e racchiusi da un’intricata gabbia di legno e metallo.
Gli Intrepidi salgono i gradini e si riversano sulla banchina.
Ai piedi della scala la folla è così accalcata che non riesco a trovare un modo di infilarmi,ma so che se non mi sbrigo potrei perdere il treno,per cui decido di farmi strada a spintomi,stringendo i denti per impedirmi di scusarmi ogni volta che urto qualcuno. L’inerzia della folla mi spinge su.
< Te la cavi nella corsa > esclama Tori,affiancandomi sulla banchina, < per essere un Abnegante. >
< Grazie. > rispondo.
< Tu sai cosa succederà ora,vero? > Si volta e mi indica una luce in lontananza,il fanale di un treno in arrivo. < Non si fermerà. Rallenterà appena. E se non riesci a salire,per te è finita. Escluso. È molto facile essere buttati fuori. >
Annuisco. Non mi sorprende che le prove dell’iniziazione siano già cominciate,che siano cominciate nell’istante stesso in cui abbiamo lasciato la sala della Cerimonia della Scelta. Così come non mi sorprende che gli Intrepidi si aspettino che dimostri di essere alla loro altezza. Osservo il treno che si avvicina. Adesso sento anche il sibilo delle ruote suelle rotaie.
Lei mi sorride. < Ti troverai benissimo qui,sai? >
< Che cosa te lo fa pensare? >
Si stringe nelle spalle. < Mi dai l’impressione di essere uno pronto a combattere,tutto qui. >
Il convoglio si avvicina veloce e gli Intrepidi cominciano ad ammassarsi al suo interno. Tori corre lungo la banchina e io la seguo,imitando la sua posizione e i suoi movimenti mentre si prepara a saltare. La vedo afferrare la maniglia sul fianco della carrozza e buttarsi dentro,e faccio la stessa cosa,annaspando un po’ prima di trovare la presa e poi lanciandomi nel vagone.
Ma non ero preparato alla curva del treno e perdo l’equilibrio,andando a sbattere con la faccia contro a parete di metallo. Mi stringo tra le dita il naso dolorante.
< Che stile > esclama un Intrepido. È più giovane di Tori,ha la pelle scura e un sorriso aperto.
< Le sottigliezze lasciamole a quegli spocchiosi degli Eruditi > lo zittisce Tori. < È riuscito a salire,Amar,è questo che conta. >
< Però dovrebbe essere nell’altra carrozza,insieme agli altri iniziati > ribatte lui. Mi sta studiando,ma non nel modo che ha fatto il trasfazione Erudito alcuni minuti fa. Sembra più curioso che altro,come se fossi un oggetto strano che deve analizzare con attenzione per poterlo comprendere.
< se è amico tuo,immagino possa andare. Come ti chiami,Rigido? >
Il nome mi si forma sulle labbra nell’istante stesso in cui lui mi pone la domanda e sto per rispondere come ho sempre fatto,che sono Tobaias Eaton. Dovrebbe venirmi naturale,ma in questo momento non sopporto il pensiero di pronunciare il mio nome ad alta voce. Non qui,tra le persone che spero diventeranno i miei nuovi amici,la mia nuova famiglia. Non posso più essere  –  non sarò mai più  –  il figlio di Marcus Eaton.
< Per quel che me ne frega,puoi chiamarmi “Rigido” > dico,cercando di imitare le battute sarcastiche degli Intrepidi,che finora ho solo sentito nei corridoi della scuola.
Man mano che il treno acquista velocità,il vento nella carrozza aumenta sempre di più. È rumoroso
E mi ruggisce nelle orecchie.
Tori mi lancia una strana occhiata e, per un attimo, temo che voglia dire ad Amar come mi chiamo .. sono sicuro che se lo ricorda,dal testa attitudinale. Ma lei si limita ad annuire e io,sollevato,mi volto verso lo sportello aperto,la mano ancora sulla maniglia.
Prima d’ora non mi era mai venuto in mente che avrei potuto rifiutarmi di dire il mio nome,o che ne’avrei potuto dare uno falso,costruirmi una nuova identità. Qui sono libero .. di rispondere male,di respingere le persone e persino mentire.
Tra le travi di legno che sostengono i binari si intravede la strada. Siamo circa all’altezza di un secondo piano di un palazzo,ma più avanti la vecchia ferrovia lascia il posto a un linea nuova che sale ancora più in alto,avviluppandosi intorno ai tetti. L’ascesa è talmente graduale che non me ne sarei accorto se non mi fossi trovato a guardare la strada di sotto,quando abbiamo cominciato ad allontanarcene per avvicinarci sempre di più al cielo.
Mi sento le gambe deboli per la paura, per cui mi discosto dalla porta e mi accovaccio contro una parete,nell’attesa di arrivare ovunque stiamo andando.
 
 
                                                                     ***
 
Sono ancora nella stessa posizione – accucciato contro la parete,testa tra le mani – quando Amar mi tocca con il piede.
< Alzati,Rigido > il tono non è sgarbato. < È quasi ora di saltare. >
< Saltare? >
< Si. > risponde,sorridendo. < Questo treno non si ferma per nessuno. >
Mi tiro su. La stoffa con cui mi sono fasciato la mano è completamente intrisa di sangue.
Tori viene a prendermi e mi spinge verso l’uscita. < Prima gli iniziati!> grida.
< Che cosa stai facendo? > chiedo guardandola contrariato.
< Ti sto facendo un favore! > mi risponde,spingendomi di nuovo verso la porta.
Gli altri Intrepidi mi fanno spazio,sogghignando come predatori che pregustano il loro prossimo pasto. Io mi trascino fino al bordo,stringendo la maniglia con tanta forza da perdere la sensibilità alle dita. Individuo il punto su cui dovrei atterrare: più avanti la sopraelevata costeggia il tetto i un edificio,prima di cambiare direzione. Da qui,lo spazio tra il tetto e i binari sembra stretto,ma più il treno si avvicina più sembra allargarsi,e più mi sembra alta la possibilità di morire.
Tremo tutto mentre gli altri Intrepidi cominciano a saltare giù dalle carrozze di testa. Nessuno sbaglia a calcolare la distanza,ma questo non significa che non possa essere io il primo. Stacco a fatica le dita dalla maniglia,fisso il tesso e mi lancio con tutta la forza che ho.
Il contraccolpo dell’impatto mi attraversa il corpo come un fremito. Cado sulle ginocchia e sulle mani,e a ghiaia che ricopre il tetto mi si infila nella ferita. Mi osservo le dita. È come se il tempo avesse appena fatto un balzo in avanti e il mio salto fosse già svanito dalla vista e dalla memoria.
< Accidenti. > esclama qualcuno dietro di me < Speravo che più tardi ci saremmo divertiti a scrostare dal cemento frittata di Rigido. >
Guardo a terra con rabbia,mentre mi accovaccio sui talloni. Il tetto sotto di me s’inclina e oscilla .. non credevo si potessero avere le vertigini per la paura.
Però so di aver già superato due prove dell’iniziazione: sono salito su un treno in corsa e sono riuscito a saltare sul tetto.
Ora la domanda è : come fanno gli Intrepidi a scendere da quassù?un momento dopo Amar si avvicina al cornicione e scopro la risposta ..
Ci faranno saltare.
Chiudo gli occhi e faccio finta di non essere qui,inginocchiato sulla ghiaia,in mezzo a questi tipi pazzi e coperti d’inchiostro. Mi sono unito a loro per fuggire,ma questa non è una fuga,è solo un diverso tipo di tortura,ed è troppo tardi per tirarmi indietro. La mia unica speranza,allora, è sopravvivere.
< Benvenuti negli Intrepidi! > grida Amar. < Qui affronterete le vostre paure,cercando di non morire nel tentativo,oppure ve ne andrete da codardi. Quest’anno abbiamo avuto il record negativo di trasferimenti e non c’è da sorprendersi. >
Gli Intrepidi intorno ad Amar sollevano i pugni in aria ed esultano,accogliendo con orgoglio la notizia che nessuno vuole unirsi a loro.
< L’unico modo per entrare nella residenza degli Intrepidi da qui è buttarsi dal cornicione > prosegue Amar,allargando le braccia per indicare il vuoto che lo circonda. Poi si dondola all’indietro sui tacchi,agitando le braccia come se fosse sul punto di cadere,e un attimo dopo si raddrizza e sorride. Io inspiro profondamente da naso e trattengo l’aria nei polmoni.
< Come sempre,offro l’oppurtunità di saltare per primi ai nostri iniziati,interni o meno. > Amar scende dal cornicione e lo indica con un gesto,un’espressione interrogativa sul volto.
I giovani Intrepidi vicini al bordo del tetto si scambiano occhiate. A una certa distanza da loro,a lato del gruppo,ci sono l’Erudito di prima,una Pacifica e tre Candidi,due ragazzi e una ragazza. Siamo solo sei trasfazione.
Uno degli Intrepidi si fa avanti,un tipo dalla pelle scura che invita con un gesto i compagni a tifare per lui.
< Vai,Zeke! > grida una ragazza.
Lui raggiunge il cornicione con un piccolo balzo,ma calcola male la distanza e si ritrova troppo sbilanciato in avanti,perdendo l’equilibrio. Urla qualcosa di incomprensibile e scompare di sotto. La Candida trasale e si copre la bocca con una mano,mentre gli amici Intrepidi di Zeke scoppiano a ridere. Non credo che sia stato il momento spettacolare ed eroico che lui si era prefigurato.
Amar,sorridendo,indica di nuovo il cornicione. Gli iniziati interni vi si allineano davanti,e così fanno l’Erudito e la Pacifica. So che devo unirmi a loro,che devo buttarmi,a prescindere da come mi sento. Mi avvicino alla fila,rigido come se avessi viti arrugginite al posto delle giunture. Amar guarda l’orologio e dà il segnale di saltare ogni trenta secondi.
La fila si sta accorciando,si sta dissolvendo.
E a un tratto è sparita e io sono tutto ciò che ne rimane. Salgo sul cornicione e aspetto il segnale di Amar. Il sole sta calando dietro la linea frastagliata dei palazzi più lontani; è la prima volta che li vedo da questa prospettiva. La luce è dorata sopra l’orizzonte. Il ento che sale impetuoso lungo la parete dell’edificio mi fa svolazzare i vestiti.
< Vai! > dice Amar.
Chiudo gli occhi ma sono impietrito,non riesco neanche a spingermi oltre il tetto. Tutto quello che riesco a fare è sporgermi e lasciarmi cadere. Mi sento sprofondare lo stomaco mentre le gambe e le braccia si muovono affannosamente nel vuoto cercando qualcosa,qualunque cosa,a cui aggrapparsi; ma non c’è niente,sola la caduta,l’aria e il desiderio frenetico di un terreno su cui posare i piedi.
E poi.. colpisco una rete.
Le maglie si deformano e mi avvolgono con i loro fili resistenti. Delle mani mi fanno cenno dal bordo. Mi aggrappo alla rete con le dita e mi spingo verso di loro. Atterro in piedi su una piattaforma di legno,e un uomo con la pelle scura e le nocche scorticate mi sorride.
Max.
< Il Rigido! > mi do una pacca sulla schiena che mi lascia quasi senza fiato < È bello vedere che sei arrivato fin qui. Vai a raggiungere i tuoi compagni iniziati. Amar scenderà tra un secondo,sono sicuro. >
Alle sue spalle c’è un tunnel buio con le pareti di roccia. La residenza  degli Intrepidi è sotto terra. Mi sarei aspettato che fosse appesa a un grattacielo con cavi sottilissimi,una materializzazione dei miei peggiori incubi.
Provo a scendere i gradini per raggiungere gli altri trasfazione. Le mie gambe sembrano aver ripreso a funzionare.
La Pacifica mi sorride. < Non mi aspettavo fosse così divertente! > esclama. < Mi chiamo Mia,tutto bene? >
< Direi che sta cercando di non vomitare > sottolinea uno dei Candidi.
< Non trattenerti,amico > mi sfotte l’altro Candido. < Ci dispiacerebbe perderci lo spettacolo. >
La mia risposta arriva secca. < Piantatela. >
Con mia grande sorpresa mi danno retta. Probabilmente è la prima volta che vengono zittiti da un Abnegante.
Pochi secondi dopo vedo Amar raggiungere rotolando il bordo della rete. Scende gli scalini e, con quella sua aria selvaggia e disordinata,sembra già pronto per la prossima pazzia. Fa un cenno agli iniziati più vicini e ci raccogliamo in semi cerchio davanti alla bocca del tunnel.
Lui congiunge le mani davanti a sé. < Mi chiami Amar > si presenta a tutti. < Sarò il vostro istruttore. Sono cresciuto qui e, tre anni fa, ho terminato l’iniziazione brillantemente,il che significa che sarò responsabile dei nuovi arrivati per tutto il tempo che voglio. Fortunati che siete! Durante l’addestramento fisico terremo per lo più separati gli iniziati interni dai trasfazione,in poiché i primi non spezzino subito i secondi. >
A queste parole gli interni,che sono sul alto opposto del semicerchio sorridono.
< Ma quest’anno proveremo qualcosa di diverso. Io e i vostri capifazione vogliamo vedere se conoscere le vostre paure prima di cominciare i combattimenti vi aiuterà ad affrontar meglio il resto dell’iniziazione. Per cui ancora di farvi mettere piede nella sala mensa per la cena,faremo un po’ di auto-esplorazione. Seguitemi. >
< E se non volessi esplorare me stesso? > chiede Zeke.
Ad Amar basta guardarlo per farlo risprofondare nel gruppo degli interni. Amar è diverso da tutte le persone che ho mai incontrato fin’ora: affabile un minuto prima e duro quello successivo,a volte entrambe le cose contemporaneamente.
Lo seguiamo nel tunnel,finchè si ferma davanti a una porta che si apre nella parete di pietra e la spinge con la spalla. Entriamo in una sala umida con un’enorme finestra sul fondo. Sopra di noi tremolano lampade al neon dalla luce incerta. Amar si avvicina a una macchina molto simile a quella del test attitudinale. Sento uno sgocciolio:il tetto perde e si è formata una pozza d’acqua in un angolo.
La finestra si affaccia su un altro locale,enorme e vuoto. In ogni angolo c’è una videocamera di sorveglianza. Le avranno piazzate in tutta la residenza?
< Questa è la sala dello scenario della paura > annuncia Amar senza alzare lo sguardo. < Lo scenario è una simulazione in cui affronterete i vostri peggiori incubi. >
Sul tavolo,accanto alla machina,sono allineate diverse siringhe. Hanno un che di sinistro in questa luce instabile,come se potessero benissimo essere strumenti di tortura: coltelli,lame o attizzatoi incandescenti.
< Com’è possibile? > dice l’Erudito.< Tu non sai quali sono. >
< Eric,giusto? > chiede Amar. < Hai ragione. Non lo so,ma il siero che sto per iniettarvi stimolerà le aree del vostro cervello che gestiscono la paura,e sarete voi stessi,per così dire,a creare gli ostacoli della simulazione. A differenza dei test attitudinali,sarete consapevoli che ciò che accade non è reale. Io controllerò l’andamento della simulazione da questa stanza,e quando il vostro battito cardiaco raggiungerà un determinato livello,in altre parole quando vi sarete calmati o avrete affrontato la paura in modo significativo,indurrò il programma a passare oltre. Una volta affrontate tutte le paure,il programma terminerà e voi vi “sveglierete” di nuovo in quella sala,con una maggior consapevolezza dei vostri punti deboli. >
Prende una siringa e fa un cenno ad Eric.
< Permettimi di soddisfare la tua curiosità da Erudito. Tu andrai per primo. >
< Ma .. >
< Ma > lo interrompe Amar senza scomporsi < sono il tuo istruttore ed è nel tuo interessa fare quelo che dico. >
Eric rimane fermo un momento,poi si toglie il giubbino azzurro,lo piega e lo sistema sullo schienale di una sedia. I suoi movimenti sono lenti e calcolati;studiati,ho il sospetto,per irritare il più pssoibile Amar. Infine si avvicina a lui,che gli infila quasi con violenza l’ago nel collo e lo accompagna nell’altro locale.
Quando Eric si piaza al centro della sala al di là del vetro,Amar si collega con una serie di elettrodi e tocca lo schermo del computer per far partire il programma.
Eric è fermo,le mani abbandonate lungo i fianchi. Ci fissa da dietro il vetro ma un momento dopo,anche se non si è mosso,sembra che stia guardando qualcos’altro. La simulazione è cominciata. Non grida,non si agita,né piange come mi aspetterei da qualcuno che si trova faccia a faccia con le sue peggior paure. Il suo battito caridiaco,registrato sul monitor davanti Amar,accelera sempre di più,come le ali di un uccello che spicca il volo.
Ha paura. Ha paura ma non muove un muscolo
< Che succede? >  mi domanda Mia. < il siero sta funzionando? >
Annuisco.
Osservo Eric inspirare profondamente,spingendo l’aria fin giù nella pancia per poi espellerla attraverso il naso. Il suo corpo rabbrividisce e si agita,come se gli tremasse il terreno sotto i piedi,ma i suoi respiri sono lenti e regolari,i suoi muscoli si contraggono e poi si distendono,ogni pochi secondi,come se continuasse a entrare inavvertitamente in tensione e poi correggesse l’errore. Guardo il battito cardiaco sullo schermo e lo vedo rallentare sempre di più,finche con un colpo di polpastrello Amar ordina al programma di passare all’ostacolo successivo.
Questo succede più e più volte,a ogni nuovo ostacolo dello scenario. Conto silenziosamente le paure man mano che passano. Deici,undici,dodici. Poi Amar tocca lo schermo un’ultima volta ed Eric si rilassa,sbatte lentamente le palpebre e sorride rivolto alla finestra.
Noto che gli iniziati interni,di solito sempre pronti a fare commenti,rimangono in silenzio. Credo voglia dire che la mia sensazione è giusta: Eric è una persona da cui guardarsi. Forse addirittura da temere.
 
 
                                                                         ***
 
Per più di un’ora osservo gli iniziati affrontare le loro paure. Li vedo correre,saltare,puntare pistole invisibili e,in alcuni casi,buttarsi a terra faccia in giù,singhiozzando.
A volte riesco a immaginare che cosa stanno vedendo,a indovinare gli incubi striscianti,raccapriccianti che li tormentano;ma per lo più,i nemici contro cui combattono sono personali,e li conoscono solo loro e Amar.
Io rimango in fondo alla stanza e mi faccio sempre più piccolo ogni volta che lui chiama un nuovo nome. Resto per ultimo e intanto Mia sta per finire. Riemerge dallo scenario della paura e si ritrova rannicchiata contro il muro,la testa tra le mani. Si alza,con un’aria esausta,e si trascina fuori dalla stanza senza aspettare che Amar la congedi.
Lui guarda l’ultima siringa sul tavolo,poi me < Siamo rimasti solo io e te Rigido >  dice.  < Su vediamo di finirla, >
Mi fermo davanti a lui. Sento a malapena l’ago entrare. Non ho mai avuto problemi con le iniezioni,invece ad alcuni iniziati sono quasi venute le lacrime agli occhi quando è toccato il loro turno. Entro nella sala contigua e mi giro verso la finestra,che da questa parte è uno specchio. Un momento prima che il siero faccia effetto,mi vedo esattamente come abbaio agli occhi degli altri:ingobbito e infagottato in vestiti troppo grandi per me,alto,ossuto e sanguinante. Mi raddrizzo un po’ e rimango stupito dalla differenza: il piccolo accenno di forza che intravedo nel mio riflesso appena prima che stanza scompaia mi lascia sbigottito.
Una sfilza di immagini riempie la sala,un pezzo alla volta: il profilo della città,la voragine che si apre sotto i miei piedi profonda sette piani,il cornicione di fronte a me. Il vento sale lungo il fianco del palazzo,più sferzante di quando mi sono trovato su questo tetto nella vita reale,mi scuote i vestiti con tanta violenza da farli schioccare di qua e di là. Poi l’edifico comincia ad allungarsi,con me in cima, allontanandomi sempre più dal suolo. Il fondo della voragine si chiude e l’asfalto lo ricopre completamente.
Mi ritraggo dal bordo,ma il vento non mi permette di indietreggiar. Il mio cuore batte all’impazzata mentre accetto l’inevitabilità di quello che devo fare: buttarmi di nuovo,anche se stavolta non sono certo che non proverò dolore all’impatto.
Frittata di Rigido.
Scrollo le mani,chiudo gli occhi strizzandoli e grido tra i denti. Poi mi abbandono alla spinta del vento e cado,veloce.
Colpisco il duro asfalto.
Un dolore acuto e lancinante mi attraversa il corpo,ma per un secondo soltanto.
Mi alzo,mi pulisco la guancia dalla polvere e aspetto l’ostacolo successivo. Non ho idea di cosa sarà. Non ho mai speso tempo a riflettere sulle mie paure,o su che significasse liberarse,dominarle. Mi viene da pensare che senza di esse potrei essere forte,potente,inarrestabile. L’idea mi seduce per un breve istante,prima che qualcosa mi colpisca violentemente alla schiena.
Qualcos’altro mi colpisce sul fianco sinistro,poi sul destro,e mi ritrovo rinchiuso in una scatola grande a malapena per contenermi. All’inizio la sorpresa mi protegge dal panico,ma poi inspiro l’aria viziata,fisso il vuoto nel buio e sento lo stomaco contrarsi. Non riesco più a respirare. Soffoco. Mi mordo il labbro per non scoppiare a piangere. Non voglio che Amar mi veda piangere,e nemmeno che racconti agli altri Intrepidi che sono un codardo. Devo pensare ma non ci riesco,non finchè rimarrò qui dentro. La parete che mi preme sulla schiena è la stessa dei  miei ricordi da bambino,quando per punizione venivo rinchiuso nel ripostiglio buio al piano di sopra. Non sapevo mai quanto tempo ci sarei rimasto,in balia di mostri immaginari che mi strisciavano addosso nell’oscurità,nelle orecchie i singhiozzi di mia madre che filtravano attraverso i muri.
Colpisco con forza la parete davanti a me,più e più volte;vi infilo le unghie,anche se le schegge mi feriscono i polpastrelli; alzo le braccia e mi butto contro la scatola con tutto il peso del corpo,chiudendo gli occhi per far finta di non essere qui,di non essere qui. Fatemi uscire fatemi uscire fatemi uscire.
< Rifletti,Rigido! > grida una voce,e mi fermo. Mi ricordo che è solo una simulazione.
Rifletti. Che cosa mi serve per uscire da qui? Uno strumento,un oggetto con cui fare leva.
Tocco qualcosa con il piede e mi piego per raccoglierlo. Il coperchio della scatola si abbassa insieme a me, impedendomi di rialzarmi. Soffoco un grido e tasto con le dia l’estremità appuntita di un piede di porco. L’infilo tra le assi che formano l’angolo sinistro della scatola e spingo con tutta la forza che ho. All’improvviso le assi si aprono e cadono a terra tutto intorno a me. Respiro aria fresca,sollevato.
Alle mie spalle compare una donna. Non ne riconosco il volto ed è vestiti di piango,quindi non appartiene a nessuna fazione. Faccio per andare verso di lei ma davanti a me spunta un tavolo,con sopra una pistola e un proiettile.
Li guardo,perplesso.
Che paura è questa?
< Chi sei? > le chiedo,ma lei non risponde.
È chiaro quello che devo fare: caricare la pistola con il proiettile e sparare. Dentro di me cresce l’ansia che mi travolge come ogni paura. Ho la bocca secca e annaspo mentre cerco di afferrare il proiettile e la pistola. Non ho mai tenuto un’arma in mano prima d’ora,per cui mi ci vuole qualche secondo per capire come si apre il caricatore. In quei secondi penso alla luce che si spegnerà negli occhi di questa donna che non conosco,che non conosco abbastanza perché mi importi di lei.
Ho paura. Ho paura di quello che mi verrà chiesto di fare negli Intrepidi,e di quello che io stesso vorrò fare.
Ho paura che ci sia una violenza assopita dentro di me, provocata da mio padre e dagli anni di silenzio che la mia fazione mi ha imposto.
Inserisco il proiettile,poi sollevo l’arma con entrambe le mani. Sento pulsare il taglio nel palmo. Guardo in faccia la donna. Le trema il labbro inferiore e ha gli occhi pieni di lacrime.
< Mi dispiace > mormoro prima di premere il grilletto.
Vedo il buco scuro che il proiettile ha scavato nel suo corpo,prima che lei cada a terra,dissolvendosi in una nuvola di polvere al contatto con il pavimento.
Ma l’ansia non si placa,anzi la sento crescere dentro di me. Sento che sta per arrivare qualcos’altro. Marcus non è ancora apparso,ma arriverà. Lo so con la stessa certezza con cui so il mio nome. Il nostro nome.
Mi ritrovo al centro di un cerchio di luce,sul cui bordo vedo camminar un paio di logore scarpe grigie. Marcus Eaton entra nel cono di luce,ma non è il Marcus Eaton che conosco. Questo ha buschi neri al posto degli occhi e fauci spalancate invece della bocca.
Accanto a lui compare un secondo Marcus Eaton e lentamente,lungo tutta la circonferenza,spuntano sempre più numerose versioni mostruose di mio padre,fino a circondarmi completamente,le bocche senza denti spalancate,le teste piegate in strane angolazioni. Serro le mani a pugno. Non è reale. È evidente che non lo è.
Il primo Marcus slaccia la cintura e se la sfila dai calzoni,un passante dopo l’altro; contemporaneamente gli altri fanno lo stesso. A poco a poco le cinture si trasformano in corde di metallo che terminano con punte uncinate. I Marcus le trascinano disegnando linee sul pavimento,mentre le loro viscide lingue scivolano sulle bocche scure. Tutti simulataneamente tirano indietro le corde di metallo e io grido a pieni polmoni,stringendomi le braccia intorno alla testa.
< È per il tuo bene. > dicono i Marcus con voci metalliche all’unisono,come un coro.
Mi sento tagliare,strappare,ridurr a brandelli. Cado sulle ginocchia e mi premo le braccia contro le orecchie come se bastasse a proteggermi,ma niente può farlo,niente. Grido di nuovo, ma il dolore non si ferma, e neanche le voci.
< Non tollererò comportamenti autoindulgenti nella mia casa! >
< Non ho cresciuto mio figlio perché diventasse un bugiardo! >
Non ce la faccio a sentirlo,non voglio sentirlo.
Senza volerlo,un’immagine della scultura che mi ha dato mia madre mi si presenta alla memoria. Rivedo il posato in cui l’ho lasciata,sul mio cassettone, e il dolore si attenua. Mi concentro sul soprammobile e sugli altri oggetti sparpagliati sul pavimento della mia camera,distrutti; sul coperchio del baule livellato dalle cerniere. Ricordo le mani di mia madre,le sue dita sottili che chiudono il baule,fanno scattare la serratura e mi consegnano la chiave.
Una dopo l’altra le voci scompaiono,finchè non ne rimane nessuna.
Lascio ricadere le braccia,in attesa dell’ostacolo successivo. Le mie nocche sfregano contro il pavimento di pietra,freddo e impolverato. Sento dei passi e mi preparo a qualunque cosa stia arrivando,ma a raggiungermi è solo la voce di Amar: < Tutto qui? Non c’è altro? Caspita Rigido! >
Si ferma accanto a me e mi porge una mano. L’afferro e lascio che mi aiuti ad alzarmi in piedi. Evito il suo sguardo. Non voglio vedere la sua espressione. Non voglio che lui sappia quello che ora sa,non voglio diventare l’iniziato patetico con l’infanzia disastrosa.
< Dobbiamo trovarti un altro nome >  dice lui senza alcuna inflessione nella voce. < Qualcosa di più aggressivo di “Rigido”. Qualcosa come “Rasoio” o “Killer”,robe del genere. >
A quel punto lo guardo. Ha un mezzo sorriso stampato sulla faccia. Riconosco una venatura di compassione,ma non tutta quella che mi aspettavo.
< Neppure io vorrei dire il mio nome agli altri. > dice. < vieni,andiamo a mangiare qualcosa. >
 
 
                                                                        ***
 
Entriamo nella sala mensa e Amar mi accompagna al tavolo degli iniziati. Diversi tavolisono già occupati da Intrepidi che tengono gli occhi puntati sul lato opposto della stanza,dove cuochi ricoperti di pearcing e tatuaggi stanno ancora finendo di apparecchiare. La mensa è una caverna illuminata dal basso da lampade azzurre e bianche,che proiettano sugli oggetti una luce inquietante.
Mi accomodo su una sedia vuota.
< Accidenti Rigido. Sembri sul punto di svenire. > esclama Eric. Uno dei Candidi sorride.
< Siete sopravvissuti tutti quanti. > dice Amar. < Congratulazioni. Avete superato il primo giorno di iniziazione,con diversi gradi di successo. > guarda Eric.
< Però nessuno di voi è stato bravo come Quattro. >
Mi indica e io aggrotto la fronte .. quattro? Si riferisce alla mie paure?
< Hey,Tori > grida Amar in direzione di un tavolo alle sue spalle  <  Hai mai sentito di qualcuno a cui si sono presentate solo quattro ostacoli nello scenario della paura? >
< L’ultimo record di cui ho notizia era di sette o otto. Perché? >
< Ho qui un trasfazione che ha solo quattro paure. >
Tori mi indica e Amar annuisce. < Dev’essere un nuovo record. > dice lei.
< Bravo > si congratula Amar con me,poi si volta e va verso il tavolo di Tori.
Tutti gli altri iniziati mi fissano in silenzio e con gli occhi spalancati.
Prima dello scenario della paura mi avrebbero calpestato senza pensarci due volte pur di guadagnarsi un posto tra gli Intrepidi. Ora sono come Eric: qualcuno da cui guardarsi. Forse addirittura da temere.
Amar mi ha dato più di un nuovo nome. Mi ha dato potere.
< Ricordami come ti chiami in realtà? Comincia con la E ..? > mi chiede Eric,gli occhi socchiusi come se sapesse qualcosa ma fosse in dubbio se tirarla fuori o meno.
Anche gli altri potrebbero ricordare il mio nome,per averlo sentito durante la Cerimonia della Scelta.
Ricordarlo così come io ricordo il loro: vagamente,come una serie di lettere dell’alfabeto avvolte nella nebbia mentre aspettavo di essere chiamato.
Forse se riesco a imprimere con la forza nella loro memoria la mia nuova identità di Intrepido riuscirò a salvarmi.
Esito un momento,poi appoggio i gomiti sul tavolo e lo guardo a sopracciglia inarcate. < Mi chiamo Quattro. > dico. < Chiamami “Rigido” ancora una volta e io e te avremo un problema. >
Eric alza gli occhi al cielo,ma io so che il messaggio è arrivato a destinazione.
Ho un nuovo nome,il che significa che posso essere una persona nuova. Un persona che non tollera commenti sarcastici da Eruditi saccenti.
Una persona finalmente pronta a cambiare.
QUATTRO.
 

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Capitolo 3
*** Giochi e cicatrici ***


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                                                         GIOCHI E CICATRICI.
 
La palestra odora ti fatica,sudore,polvere e scarpe. Ogni volta che colpisco il sacco da boxe,mi fanno male le nocche,ormai scorticate,dopo una settimana di combattimenti.
< Deduco che hai visto il tabellone > dice Amar, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia conserte. < E che sai di doverti battere contro Eric,domani. Altrimenti non saresti qui ma nel tuo scenario della paura. >
< Non che qui non ci metta mai piede. > Mi allontano dal sacco,scrollano le mani. A volte stringo talmente tanto i pugni che mi si intorpidiscono i polpastrelli.
Ho quasi perso il primo combattimento.. contro Mia,la Pacifica. Non avevo idea di come fare a batterla senza colpirla,e non ci riuscivo proprio a farle del male. O almeno, non ci sono riuscito finchè lei non mi ha immobilizzato con una presa al collo e nel mio campo visivo sono apparsi tanti puntini neri. Allora l’istinto ha preso il sopravvento e mi è bastata un gomitata decisa alla mandibola per mandarla al tappeto. Mi sento ancora in colpa quando ci penso.
Stavo per perdere anche il secondo combattimento,contro il più robusto dei Candidi,Sean. L’ho sfinito a furia di rialzarmi in piedi ogni volta che pensava di avermi sconfitto. Non sapeva che ignorare il dolore è una delle cose che so fare meglio: l’ho appreso da piccolo,come succhiarmi il pollice o prendere la forchetta con la mano sinistra invece che con la destra. Ora ho la faccia piena di lividi e ferite,ma ho dimostrato quello che valgo.
Il mio avversario di domani è Eric. Per batterlo ci vorrà ben più di una sola mossa azzeccata,o della mia capacità di resistenza. Ci vorranno un’abilità che io non possiedo e una forza che non ho ancora acquisito.
< Si,lo so. > Amar ride. < Sai,ho sprecato un sacco di tempo a capire che cosa ti passa per la testa,così alla fine ho chiesto in giro: è saltato fuori che trascorri le mattine qui e le sere nel corridoio delle simulazioni. Non stai mai con gli altri iniziati. Sei sempre esausto e dormi come un sasso. >
Una goccia di sudore mi scivola dietro l’orecchi. L’asciugo con le dita avvolte nella benda protettiva,poi mi passo il braccio sulla fronte.
< Entrare in una fazione non significa solo superare l’iniziazione > continua Amar,infilando le dita nella catena del sacco da boxe per testarne la solidità. < Durante l’iniziazione,la maggior parte degli Intrepidi trova i suoi migliori amici,si trova la ragazza,o il ragazzo. Ci si fanno dei nemici anche. Ma tu sembri determinato a restare alla larga da tutto questo. >
Ho visto gli altri iniziati stare insieme,farsi i pearcing in gruppo e presentarsi agli allenamenti con nasi,orecchie e labbra torchiati e arrossati; li ho visti costruire torri sui tavoli con gli avanzi della colazione,ma non mi ha mai neanche sfiorato l’idea di poter essere uno di loro,o di doverci almeno provare.
Mi stringo nelle spalle. < Sono abituato a stare da solo. >
< Bè a me sembri sul punto di esplodere, e non vorrei proprio trovarmi nei paraggi quando succederà. Su,vieni. Io e alcuni amici stiamo uscendo per fare un gioco,sta sera. Un gioco da Intrepidi. >
Pizzico il nastro avvolto intorno alla mano. Non dovrei uscire a giocare,dovrei rimanere qui ad allenarmi e poi andare a dormire, in modo da essere pronto a combattere domani. ma quella voce,quella che dice “dovrei”, mi ricorda sempre di più la voce di mio padre , che mi ordina di comportarmi bene e di isolarmi. E io sono venuto qui perché volevo smettere di dar retta a quella voce.
< Ti sto offrendo un’opportunità unica e solo perché mi dispiace per te. > sottolinea Amar. < Non essere così stupido da gettarla via. >
< D’accordo. Di che gioco si tratta? >
Amar sorride e non risponde.
 
 
                                                                            ***
 
< Giochiamo a sfide. >
La ragazza che ha parlato,Lauren,se ne sta aggrappata alla maniglia sulla parete del vagone: si dondola fuori, spingendosi a limite, poi scoppia a ridere e torna di nuovo dentro. Poco le importa che il treno stia sfrecciando a tutta velocità sulla sopraelevata o che, se cadesse , si romperebbe l’osso del collo.
Nella mano libera stringe una fiaschetta d’argento .. il che spiega molte cose.
La testa inclinata di lato,spiega: < Il primo giocatore sceglie una persona e la sfida a fare qualcosa. Lo sfidato beve un sorso, esegue la richiesta e sfida a sua volta un altro giocatore in un’altra impresa. Quando tutti hanno eseguito il compito che è stato loro assegnato, o sono morti nel provarci, ci ubriachiamo e barcolliamo fino a casa. >
< Come si fa a vincere? > grida un ragazzo seduto in fondo alla carrozza. È appoggiato ad Amar come se fossero vecchi amici,o fratelli.
Non sono l’unico iniziato nel vagone. Di fronte a me ci sono Zeke, l’interno che ha saltato per primo, e una ragazza dai capelli castani, con una frangetta dritta sulla fronte e un pearcing sul labbro. Gli altri sono più grandi,tutti già membri effettivi. C’è molta confidenza tra loro: si appoggiano gli uni agli altri, si danno pugni sulle braccia, si arruffano i capelli a vicenda. È un miscuglio di cameratismo,amicizia e amoreggiamenti vari .. e non ho la benché minima famigliarità di nessuna delle tre cose. Cerco di rilassarmi,stringendo le braccia intorno alle ginocchia.
Sono proprio un Rigido.
< Si vince evitando di comportarsi da stupide finocchiette > dice Lauren < e .. hei,nuova regola: si vince anche eitando di fare domande idiote. > poi aggiunge: < Comincio io, in quanto custode dell’alcool! Amar ti sfido a entrare nel quartier generale degli Eruditi pieno zeppo di Lassi che studiano e a gridare qualcosa di veramente sconcio. >
Avvita il tappo della fiaschetta e gliela lancia. Tutti esultano mentre Amar toglie il tappo e beve un sorso del contenuto,di qualunque cosa si tratti.
< Avvertitemi quando arriviamo alla fermata giusta! > grida poi sopra gli applausi.
Zeke mi in indica con un cenno del capo < Hei,tu sei un trasfazione,giusto? Quattro? >
< Si > rispondo < complimenti per aver saltato per primo >
Mi rendo conto troppo tardi di aver forse toccato un tasto dolente: il suo momento di trionfo rovinato da un passo falso che gli ha fatto perdere l’equilibrio. Ma lui ride.
< Si,non è stato uno dei miei migliori exploit > commenta.
< Non che si sia fatto avanti qualcun altro > interviene la ragazza accanto a lui. < Mi chiamo Sauna,comunque. È vero che ti si sono presentate solo quattro paure? >
< Da qui il nome > dico.
< Wow > lei annuisce. Sembra ammirata,il che mi fa raddrizzare la schiena. < Devi essere un Intrepido nato. >
Mi stringo nelle spalle,come se quello che ha detto potesse essere vero, anche se so bene che non è così. Lei non sa che sono venuto qui per scappare dalla vita a cui ero destinato,o che mi sto impegnando duramente per superare l’iniziazione e non dover ammettere che sono un’impostore. Nato tra gli Abneganti,risultato Abnegante, rifugiato tra gli Intrepidi
Gli angoli della sua bocca si abbassano, come se le fosse venuto un pensiero triste,ma non le faccio domande.
< Come stanno andando i tuoi combattimenti? > mi chiede Zeke.
< Alla grande > rispondo,indicandomi la faccia coperta di lividi < Come puoi ben vedere. >
< Guarda > Zeke volta la testa e mi mostra un grosso livido sotto la mascella < Per questo devo ringraziare la ragazza qui presente > e indica Sauna con il pollice.
< Mi ha battuto > spiega lei < Ma sono riuscita a piazzare almeno un colpo,per una volta. Continuo a perdere. >
< Non ti dà fastidio che ti abbia picchiata? > le chiedo.
< E perché dovrebbe? >
< Non so. Perché .. sei una ragazza? >
Lei inarca le sopracciglia. < Cosa, pensi che non possa prenderle come qualunque iniziato, solo perchè possiedo attributi femminili? > si indica il petto e io mi sorprendo a fissarlo,solo per un secondo, prima di ricordarmi di distogliere lo sguardo, arrossendo.
< Scusa > farfuglio. < Non intendevo in quel senso. È solo che non ci sono abituato .. non sono abituato a niente di tutto questo. >
< tranquillo,ti capisco. > mi rassicura,per nulla arrabbiata.
< Ma devi sapere che per gli Intrepidi non ha nessuna importanza se sei femmina,maschio o che altro. Quello che conta è avere fegato. >
Amar si alza,si appoggia le mani sui fianchi in una posa teatrale e si avvicina all’entrata del vagone. Il treno sta scendendo e lui non si regge a nessun sostegno: si limita a spostarsi e dondolarsi, asseconda i movimenti della carrozza. Anche gli altri si alzano seguendo il suo esempio.
Amar è il primo a saltare,a lanciarsi nella notte. Gli altri escono uno dopo l’altro dietro di lui,e io mi lascio spingere verso la porta dalle persone che sono dietro di me. Non ho paura della velocità,solo dell’altezza,ma qui il treno è così vicino alla strada che salto senza alcun timore. Atterro su due piedi e barcollo qualche metro prima di fermarmi.
< Guardati, ti stai facendo le gambe da treno > dice Amar toccandomi il gomito. < Tieni,bevi un sorso. Hai l’aria di averne bisogno. >
Mi allunga la fiaschetta.
Non ho mai assaggiato liquori. Non ne ho mai avuto occasione visto che gli Abneganti non devono, ma ho visto gli effetti dell’alcool sulle persone : le scioglie, mettendole a loro agio .. e io ho un disperato bisogno di smettere di sentirmi compresso,come se stessi sul punto di esplodere,per cui non ci penso due volte, prendo la fiaschetta e bevo.
Il liquore brucia e sa di medicina, ma scende in fretta, lasciandosi dietro una sensazione di calore.
< Bravo! > esclama  Amar. Poi passa la fiaschetta a Zeke e gli mette un braccio intorno al collo,avvicinandogli la testa al petto. < Vedo che ha già conosciuto il mio giovane amico Ezekiel. >
< Il fatto che mi madre mi chiami così non significa che debba farlo anche tu > protesta Zeke, spingendolo via. Poi mi guarda. < I nonni di amar erano amici dei miei genitori. >
< Erano? >
< Bè,mio padre è morto,e anche i suoi nonni. >
< E i tuoi genitori? > chiedo ad Amar.
Lui si stringe nelle spalle. < Sono morti quando ero piccolo. Un incidente in treno,molto triste. > Sorride come se non lo fosse. < E i miei nonni hanno fatto il salto non appena io sono diventato un membro ufficiale degli Intrepidi. > conclude,mimando il gesto di un tuffo.
< Il salto? >
< Oh,non spiegarglielo davanti a me > dice Zeke,scuotendo la testa. < Non voglio vedere l’espressione della sua faccia. >
Amar non gli dà retta. < A volte,gli Intrepidi di una certa età decidono di andare spontaneamente incontro all’ignoto,buttandosi nello strapiombo. Mio nonno era molto malato. Cancro. E alla nonna non interessava continuar a vivere senza di lui. >
Alza il viso verso il cielo e nei suoi occhi si riflette la luna. Per un  momento penso che mi sta mostrando una parte segreta di sé,che di solito tiene rigorosamente nascosta dietro l’affabilità,l’umorismo e la spavalderia da Intrepido.
E quella parte mi spaventa,perché è dura,fredda e triste.
< Mi dispiace > mormoro.
< Almeno così ho potuto salutarli > ribatte Amar. < Il più delle volte la morte arriva e basta,senza darti il tempo di congedarti. >
La parte segreta svanisce dietro un breve sorriso e Amar trotterella verso il resto del gruppo,la fiaschetta in mano.
Io rimango indietro con Zeke che cammina con passi lunghi,goffo e aggraziato allo stesso tempo,come un cane randagio.
< E tu? > mi chiede. < Ce li hai ancora i genitori? >
< Uno solo. Mia madre è morta molto tempo fa. >
Ricordo il funerale,il chiacchiericcio sommesso degli Abneganti venuti a tenerci compagni in quel triste momento. Ci avevano portato da mangiare su vassoi di metallo,i piatti coperti con la carta stagnola, e poi avevano ripulito la cucina. Erano stati loro a riporre tutti gli averi di mia madre negli scatoloni,perché non rimanessero tracce di lei. Ricordo di averli sentiti mormorare che era morta per le complicazioni dovute al parto del secondo figlio. Eppure conservavo nella memoria un’immagine di lei, pochi mesi prima della sua morte: in piedi davanti al cassettone,si stava abbottonando una la camicia sulla maglietta intima aderente,la pancia piatta. Scuoto la testa per caciare via il pensiero. È morta. Il mio è solo il ricordo di un bambino .. inaffidabile.
< E tuo padre è contento della scelta che hai fatto? > mi sta chiedendo Zeke. < Si avvicina il Giorno delle Visite,sai? >
< No > rispondo con tono distante < Non è affatto contento. >
Mio padre non verrà mai a trovarmi,ne sono sicuro. Non mi rivolgerà mai più la parola.
Il quartier generale degli Eruditi è il più pulito di tutta la città: rifiuti e detriti vengono rimossi immediatamente dalle strade,le crepe nell’asfalto prontamente riempite di catrame. Per evitare di danneggiare in qualsiasi modo il marciapiede,cammino adagio, controllando ogni passa, a differenza dei miei incuranti compagni che – invece – pestano forte l’asfalto con le suole delle scarpe, provocando un brusio che mi ricorda il ticchettio della pioggia.
Passata la mezzanotte, le fazioni hanno il permesso di tener accese le luci nell’ingresso del proprio quartier generale.
Qui,invece,ogni edificio sembra una colonna di luce. Dietro alle finestre, vediamo tavole piene di Eruditi con i nasi sepolti nei libri o nei computer, intenti a parlottolare tra di loro. Giovani e vecchi e i capelli pettinati. Quasi tutti portano sul naso occhiali scintillanti. Vanesi,direbbe mio padre. Sono così preoccupati di apparire intelligenti da rendersi ridicoli.
Mi fermo ad osservarli.
Non mi sembrano affatto vanitosi: sono persone che farebbe di tutto per apparire intelligenti quanto ci spetterebbe da loro. E se ciò significa indossare occhiali anche quando non serve, non sta me giudicare. Avrei potuto essere uno di loro,se avessi scelto di rifugiarmi nella loro fazione. Invece ho deciso di unirmi alla gente che in questo momento li sta per prender in giro da dietro i vetri e che sta per gettare  scompiglio nel loro quartier generale.
Amar raggiunge l’ingresso dell’edificio centrale ed entra. Noi restiamo a guardare dall’esterno,sghignazzando. Dalla soglia osservo il ritratto di Janine Matthews appeso sulla parete opposta: ha i capelli biondi impeccabilmente pettinati indietro e il giacchino azzurro abbottonato sotto la gola. È indubbiamente una bella donna,ma non è questa la prima cosa a colpirmi di lei. Ciò che noto subito è lo sguardo arguto.
E oltre a questo .. forse è solo la mia immaginazione ma .. mi sembra un po’ spaventata.
Amar entra di corsa nell’atrio,ignorando le proteste degli Eruditi dietro il bancone e grida: < Ehi,Lassi! Guardate qui! > Ogni Erudito alza lo sguardo dai libri o dal computer e gli Intrepidi scoppiano a ridere quando Amar si volta,si cala i calzoni e mostra a tutti il sedere. Gli Eruditi escono da dietro il bancone per cercare di acciuffarlo,ma lui si tira su i pantaloni e scappa fuori. Tutti insieme schizziamo via per darci alla fuga.
Non posso farne a meno: rido anch’io,e mi sorprende scoprire che ridere fa venire i crampi allo stomaco. Zeke corre accanto a me. Ci dirigiamo verso i binari del treno,perché non c’è altro posto in cui fuggire. Gli Eruditi rinunciano a inseguirci dopo un solo isolato, così ci fermiamo in un vico e ci appoggiamo a un muro di mattoni a riprendere fiato.
Amar arriva per ultimo,le mani sollevate in segno di vittoria e noi lo accogliamo festosamente. Lui alza la fiaschetta come fosse un trofeo e indica Sauna.
< Ragazzina,ti sfido ad arrampicarti sulla stata che c’è davanti alla sede dei Livelli Superiori >
Lei prende la fiaschetta al volo quando lui gliela lancia e beve un sorso. < Contaci. > esclama,sorridendo.
 
                                                                            ***
Quando finalmente tocca a me,sono già quasi tutti ubriachi sbandano a ogni passo e ridono per ogni battuta,per quanto stupida possa essere.
Sono accaldato,nonostante l’aria fredda, ma la mia mente è ancora lucida e assorbe ogni dettaglio della notte: dall’odore intenso della palude al gorgoglio delle risate,al blu cupo del cielo contro cui si stagliano i palazzi. Mi fanno male le gambe dopo tutto questo correre,camminare e arrampicarsi, e ancora non mi è stata lanciata nessuna sfida.
Siamo ormai vicini al quartier generale degli Intrepidi. Gli edifici che sono ancora in piedi sono fatiscenti.
< Chi manca ? > chiede Lauren. I suoi occhi annebbiati scivolano su ogni viso finchè non si posano sul mio. < Ah,il trasfazione Abnegante con un numero per nome. Quattro giusto ? >
< Si > rispondo.
< Un Rigido? > il ragazzo che sedeva così a suo agio accanto ad Amar pronuncia le parole come se fossero tutte attaccate.
È lui che ha in mano la fiaschetta e che lancerà la prossima sfida. Finora ho visto gente arrampicarsi su strutture altissime,saltare dentro voragini buie, vagare dentro edifici abbandonati alla ricerca di sedie o di un rubinetto; ho guardato gente correre nuda per i vicoli o infilarsi aghi nei libi delle orecchie senza anestesia. Se mi venisse chiesto di pensare a una sfida, non saprei cosa inventarmi. È un bene che io sia rimasto per ultimo.
Mi sento agitato e con i nervi tesi. Che cosa mi chiederà di fare?
< I Rigidi sono persone molto convenzionali > dice il ragazzo,tranquillamente, come se fosse un dato di fatto. < Quindi per dimostrare che ora sei un vero Intrepido .. ti sfido a farti un tatuaggio. >
Osservo gli arabeschi di inchiostro sui loro polsi,braccia,spalle e colli; le borchie di metallo nei loro nasi,labbra e sopracciglia. La mia pelle è intatta,sana,integra,ma non rispecchia quello che sono. Dovrei avere delle cicatrici,essere segnato, come loro; ma nel mio caso,segnato dal ricordo del dolore che ho provato,segnato dalla sofferenza al quale sono sopravvissuto.
Mi stringo nelle spalle. < D’accordo. >
Lui mi lancia la fiaschetta e io la svuoto,ignorando il bruciore che mi scende in gola e il sapore amaro alla fine.
Torniamo alla guglia.
 
                                                                       ***
 
Tori viene ad aprirci vestita solo con un paio di mutande da uomo e una maglietta,i capelli che le coprono la guancia sinistra. Inarca un sopracciglio quando mi vede. È evidente che l’abbiamo svegliata da un sonno profondo, ma non sembra arrabbiata, sembra solo un po’ di malumore.
< Ti dispiace? > dice Amar. < Stiamo giocando a sfide. >
< Sicuro che vuoi farti tatuare da tipa mezza addormentata,Quattro? È un inchiostro che non va più via > mi chiede lei.
< Mi fido di te > rispondo. Non ho intenzione i tirarmi indietro,non dopo aver visto tutti gli altri affrontare le loro sfide.
< Giusto. > Tori sbadiglia. < Che cosa non farei per le tradizioni degli Intrepidi. Torno subito,mi metto un paio di pantaloni > dice, prima di chiuderci la porta in faccia.
Mentre venivamo qui ho provato a pensare a cosa farmi tatuare e dove, ma non sono riuscito a decidermi .. avevo la mente confusa. E lo è ancora.
Pochi secondi dopo Tori riappare con un paio di pantaloni,i piedi ancora scalzi. < Se finisco nei guai per aver acceso la luce a quest’ora, scaricherò la colpa sui vandali e farò nomi e cognomi. >
< Afferrato. > esclamo.
< Passiamo dal retro. Venite > ci invita lei,facendoci segno di seguirla.
Attraversiamo un salotto buio,perfettamente in ordine a parte alcuni fogli di carta sparsi sul tavolino da caffè. Su ognuno c’è un disegno diverso: alcuni sono composti da linee semplici e marcate,come la maggior parte dei tatuaggi che visto finora ,mentre altri sono più complessi e dettagliati. Tori dev’essere ciò che più si avvicina a un’artista nella fazione degli Intrepidi.
Mi fermo accanto al tavolino. Su un foglio sono disegnati i simboli di tutte le fazioni,ma senza i cerchi n cui di solito sono iscritti. L’albero dei Pacifici è in basso,come a formare un viluppo di radici da cui spuntano l’occhio degli Eruditi e la bilancia dei Candidi. Sopra questi, le fiamme degli Intrepidi sembrano quasi sprizzare dalle mani  degli Abneganti. È come se ogni segno scaturisse da quello precedente.
I miei compagni sono andati avanti. Attraverso la cucina per raggiungerli: è anch’essa molto pulita, ma gli elettrodomestici sono decisamente datati,il rubinetto è arrugginito e lo sportello del frigo è tenuto chiuso da una grossa morsa. La porta del frigorifero è tenuto chiuso da una grossa morsa. La porta sul retro è aperta e dà su di un breve corridoio che conduce allo studio.
Sono già passato di qua diverse volte, ma non mi sono mai preso la briga di entrarci, certo che non avrei trovato motivo di farmi bucherellare da uno degli aghi di Tori. Immagino di averne uno ora: quegli aghi rappresentano un modo per prendere le distanze dal mio passato .. non solo agli occhi dei miei compagni, ma ai miei stessi occhi, ogni volta che guarderò il mio riflesso nello specchio.
Le mura dello studio sono ricoperte di disegni. La parete accanto alla porta è dedicata esclusivamente al simbolo degli Intrepidi. Ce ne sono di ogni genere: neri e stilizzati,oppure colorati e irriconoscibili. Tori accende la luce sopra una sedia e dispone gli aghi su un vassoio. Gli altri Intrepidi si siedono su panche e sedie tutt’intorno, come se stessero per assistere ad uno spettacolo.
Mi sento avvampare.
< Trinci base del tatuaggio > spiega Tori < Meno ciccia c’è sotto la pelle, più la zona è vicina all’osso, più il tatuaggio fa male. Essendo il primo che fai,ti consiglierei .. che so .. il braccio o .. >
< .. una chiappa. > suggerisce Zeke,ridacchiando.
Tori alza le spalle. < Non sarebbe la prima volta. Né l’ultima. >
Fisso il ragazzo che mi ha sfidato,che mi osserva a sua volta con le sopracciglia inarcate. So che cosa si aspetta,che cosa si aspettano tutti quanti. Pensano che mi farò qualcosa di piccolo su un braccio o su una gamba,qualcosa da nascondere facilmente. Guardo di nuovo la parete con tutte quelle versioni dello stesso simbolo. Una fra tutte mi balza all’occhio,una raffigurazione delle fiamme particolarmente originale.
< Voglio quello > dico con un gesto.
< D’accordo > fa Tori < Hai già in mente dove? >
Io ho una sola cicatrice ,nel ginocchio, frutto di un taglio che mi sono fatto da bambino, cadendo per strada.
E trovo assurdo che,invece, tutti i soprusi che ho subito non abbiano lasciato tracce visibili. A volte, non avendo segni ad attestarlo, sono arrivato addirittura a dubitare che fosse successo davvero,perché i ricordi sbiadiscono con il tempo. Ora voglio qualcosa che mi rammenti le mie ferite,anche se guariscono,non scompaiono mai del tutto; che me le porterò ovunque, per sempre, perché così vanno le cose.
Così va con le cicatrici. Il mio primo tatuaggio sarà questo per me: una cicatrice. E non esiste miglior posto dove tatuarmi di quello legato al ricordo più doloroso che conservo.
Mi tocco le costole,ripensando ai giorni in cui erano coperte di lividi,gli stessi in cui ho temuto per la mia vita. Mio padre ha passato diverse brutte nottate subito dopo la morte di mia  madre.
< Sicuro? > domanda Tori < Forse è il punto più doloroso in assoluto >
< Bene > rispondo, e mi sistemo sulla sedia.
Gli altri applaudono e cominciano a far girare una seconda fiaschetta,più grande delle precedenti e color bronzo anziché argento.
< E così abbiamo un masochista sulla sedia sta sera. Fantastico. >
Tori si siede sullo sgabello accanto a me e si infila un paio di guanti di gomma. Io mi sporgo verso di lei e sollevo la camicia,mentre immerge un batuffolo di cotone nell’alcool e me lo strofina sul fianco. Poi fa per voltarsi ma si ferma, aggrotta la fronte e mi tasta la pelle. L’alcool brucia sulle ferite non ancora completamente rimarginate che ho sulla schiena,facendomi trasalire. < Come te le sei fatte queste,Quattro? >
Alzo lo sguardo e noto che Amar mi sta fissando,con la fronte aggrottata.
< E’ un iniziato > risponde per me. < Sono tutti coperti di tagli e lividi a questo punto. Dovresti vedere come zoppicano tutti quanti. Fanno pena. >
< Io ne ho uno gigante sul ginocchio > interviene Zeke. < E’ di un colore blu disgustosissimo .. >
Si arrotola la gamba del pantalone per mostrarlo agli altri e tutti cominciano a sfoggiare i loro lividi e le loro cicatrici.< Questo me lo sono fatto all’arrivo della zip-line. >
< Bè , io invece ho ancora un taglio di quando ti sei fatto sfuggire di mano un coltello durante gli allenamenti,per cui direi che siamo pari >
Tori mi studia per qualche secondo. Sono sicura che non si è bevuta la storia di Amar,ma non fa altre domande e accende la macchinetta. Il ronzio si diffonde nella stanza e Amar mi lancia la fiaschetta.
Sento ancora l’alcool bruciarmi nella gola quando l’ago mi tocca la pelle. Sussulto, ma non faccio caso al dolore.
Me lo godo.

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Capitolo 4
*** iniziato ***


Image and video hosting by TinyPic                                                                          INIZIATO
 
 
Quando mi sveglio,il mattino dopo, mi fa male dappertutto.
Soprattutto la testa.
Oddio,la mia testa.
Eric è appollaiato sul bordo del materasso accanto al mio e si sta allacciando le scarpe. Ha la pelle tutta rossa intorno a un nuovo peracing nel labbro. Dev’esserselo fatto di recente.
Non me ne sono neanche accorto. Mi guarda. < Hai una faccia da far schifo. > Mi metto a sedere e il movimento improvviso mi fa pulsare la testa ancora di più. < Spero che quando perderai non l’userai come scusa > aggiunge poi,con un mezzo sorriso sprezzante. < perché ti batterei comunque. >
Si alza,si stiracchia ed esce dal dormitorio. Io mi tengo la testa tra le mani per qualche secondo,poi mi alzo per andare a fare la doccia. Mi lavo tenendo metà del corpo fuori dall’acqua,per non bagnare il tatuaggio. Gli Intrepidi sono rimasti con me per ore,aspettando che Tori finisse,e quando ce ne siamo andati,tutte le fiaschette erano vuote da un pezzo. Tori mi ha fatto il segno con pollice alzato quando sono uscito barcollando dal suo studio,e Zeke mi ha messo braccio sulle spalle e mi ha detto : < ora si che sei un vero Intrepido > .
Ieri sera quelle parole mi hanno fatto piacere. Adesso vorrei solo poter riavere indietro la mia vecchia testa, quella che era concentrata e determinata e non si sentiva come se vi si fossero trasferiti tanti minuscoli omini armati di martelli.
Lascio che l’acqua fresca mi scorra addosso per qualche minuto ancora, poi controllo l’orologio sulla parete del bagno.
Mancano dieci minuti al combattimento. Sto per fare tardi.
Ed Eric ha ragione: perderò .
Mi premo una mano sulla fronte mentre raggiungo di corsa la palestra,i piedi infilati nelle scarpe solo per metà. Entro in fretta e furia e trovo gli iniziati trasfazione e alcuni interni schierati lungo il perimetro esterno dell’arena.
Amar,fermo al centro, controlla l’orologio,poi mi lancia un’occhiata severa. < Gentile da parte tua venire a farci compagnia. > dice. Deduco dal suo sopracciglio sollevato che il cameratismo di ieri sera non si estenda alla palestra e agli allenamenti. Mi  indica i piedi. < Allacciati le scarpe e non farci perdere altro tempo. >
Dall’altra parte dell’arena, Eric fa shioccare le dita,una dopo l’altra,lentamente,senza mai smettere di fissarmi. Mi allaccio le stringhe in fretta e infilo l’estremità nella tomaia, perché non mi intralcino.
Mentre mi posiziono di fronte a Eric, sento il cuore martellarmi nel petto, la testa pulsare e il fianco bruciare.
Amar fa un passo indietro ed Eric si lancia su di me, colpendomi dritto alla mascella  con un pugno.
Indietreggio barcollando, toccandomi il volto. Tutto il dolore si concentra nel cervello. Sollevo le braccia per parare il pugno successivo, la testa che continua a martellare. Vedi scattare la sua gamba e cerco di schivare il calcio, ma il piede mi colpisce con forza alle costole. Una specie di scossa elettrica mi attraversa il fianco.
< E’ più facile del previsto. > Esclama Eric.
Avvampo per l’imbarazzo e , approfittando del varco che lui arrogantemente lascia scoperto, gli tiro un montante allo stomaco. Eric mi colpisce sull’orecchio con la mano aperta. Sento un ronzio,perdo l’equilibrio e devo appoggiare le mani a terra per non finire steso.
< Sai > dice piano Eric. < credo di aver scoperto come ti chiami in realtà. >
La mia vista è annebbiata da una mezza dozzina di sfumature diverse di dolore.
Ignoravo che avesse così tante forme,come fossero sapori: cocente, aspro, sordo, pungente.
Eric mi attacca di nuovo: mira alla faccia ma mi colpisce alla clavicola. < Devo raccontarlo a tutti? Rivelare il gran segreto? > mi stuzzica, scrollando la mano indolenzita.
Ha il mio nome sulla punta della lingua, Eaton , un’arma ben più minacciosa dei suoi piedi,dei gomiti o dei pugni.
Gli Abneganti non ammetteranno mai ad alta voce, ma per loro il difetto principale degli Eruditi è l’egoismo. Io invece penso che sia l’arroganza .. l’orgoglio che provano nel sapere cose che gli altri non sanno. E ora che sono sopraffatto dal terrore, mi rendo conto che è anche la debolezza di Eric. Lui non mi crede capace di fargli male: fin dalla prima occhiata che mi ha dato, mi ha considerato un tipo umile, altruista e remissivo.
All’improvviso, sento la rabbia sopraffare il dolore. Gli afferro il braccio e lo tengo fermo mentre lo colpisco una,due,tre volte, e poi ancora e ancora e ancora. Non vedo neanche dove lo sto colpendo; non vedo, non penso e non sento. Sono vuoto, sono solo, non sono niente.
Poi finalmente le sue grida mi arrivano alle orecchie e lo vedo coprirsi il viso con entrambe le mani. Ha il mento e la bocca coperti di sangue. Cerca di sfuggirmi ma io lo trattengo con tutte le forze, come se ne andasse della mia vita.
Gli do un calcio nel fianco e lui cade. Sopra le sue mani strette a pugno,incontro i suoi occhi.
Ha lo sguardo vitreo e fuori fuoco. Il sangue spicca sulla pelle. E a un tratto mi rendo conto che sono stato io a ridurlo così. Sono stato io. La paura torna a strisciarmi dentro, ma è una paura di tipo diverso,sta volta. È la paura di quello che sono, di quello che potrei diventare. Mi pulsano le nocche ed esco dall’arena senza aspettare il segnale che decreta la fine del combattimento.
 
 
                                                                       ***
 
La residenza degli Intrepidi è buia e piena di angoli nascosti e tranquilli, il luogo ideale per riprendere fiato.
Scopro un corridoio accanto al Pozzo e mi siedo a terra, appoggiandomi al muro per sentire il freddo della pietra contro il corpo. Il mal di testa è tornato, insieme all’indolenzimento dovuto al combattimento, ma quasi non me ne accorgo. Ho le mani appiccicose di sangue .. di sangue di Eric. Cerco di pulirmele ma si è già seccato. Ho vinto l’incontro e questo significa che il mio posto tra gli Intrepidi è salvo, per il momento. Dovrei sentirmi soddisfatto,non spaventato. Forse perfino felice di avere finalmente un luogo a cui appartenere, di trovarmi tra persone che non passano la pausa pranzo a evitare il mio sguardo. Ma so che ogni cosa buona ha un prezzo. Qual è quello da pagare per essere Intrepido?
 
 
                                                                         ***
 
< Ciao. > Alzo gli occhi e vedo Sauna che bussa sul muro come fosse una porta. Sorride . < Non è esattamente la danza della vittoria che mi aspettavo, >
< Non so ballare. > taglio corto.
< Avrei dovuto immaginarlo. >
Si siede di fronte a me, la schiena contro la parete opposta. Solleva le ginocchia e se le porta al petto, stringendole tra le braccia. Ci sono pochi centimetri tra i suoi piedi e i miei. Non so perché noto questa cosa. In realtà si, lo so : lei è una ragazza.
Non so parlare con le ragazze.
Soprattutto con le Intrepide.
Qualcosa mi dice che non puoi mai sapere cosa aspettarti da loro.
< Eric p all’ospedale. > m’informa con un sorriso. < Dicono che gli hai rotto il naso. Di sicuro gli hai fatto cadere un dente. >
Abbasso gli occhi. Ho spaccato un dente ad una persona?
< Mi stavo domandando se ti andrebbe di aiutarmi > prosegue, toccandomi la scarpa con la punta del piede.
Come sospettavo: le ragazze Intrepide sono imprevedibili.
< Aiutarti a fare cosa? >
< A combattere. Sono una schiappa e vengo umiliata di continuo negli incontri. > Scuote la testa. < Tra due giorni devo affrontare questa tipa. Si chiama Fiona ma si fa chiamare Fiamma. > Alza gli occhi al cielo. < Sai come le fiamme degli Intrepidi .. vabbè. A ogni modo, è tra i migliori del nostro gruppo e ho paura che mi ucciderà. Nel senso di uccidere davvero. >
< Perché chiedi aiuto proprio a me? > domando, improvvisamente sospettoso. < Perché sai che sono un Rigido e quindi si presume che aiuti tutti? >
< Cosa? Non certo che no! > risponde con espressione confusa. < L’ho chiesto a te perché sei il migliore del tuo gruppo,ovviamente. >
Rido. < No,non lo sono. >
< Tu ed Eric eravate gli unici due imbattuti, e tu l’hai appena steso,per cui si, lo sei. Ascolta se non vuoi darmi una mano non devi fare altro che .. >
< Ti aiuto, è solo che non so come si fa. >
< Lo capiremo insieme. Domani pomeriggio? Ci vediamo in palestra? >
Annuisco.
Lei sorride, si alza e fa per andarsene. Ma dopo pochi passi si volta e comincia a camminare all’indietro lungo la camerata. < Smettila di tenere il broncio, Quattro. Hai fatto colpo su tutti quanti, è una cosa bella. >
Osservo il suo profilo mentre svolta l’angolo in fondo al corridoio. Ero così turbato dal combattimento che non ho riflettuto su cosa significasse aver battuto Eric: sono il primo della mia classe d’iniziazione. Avrò anche scelto gli Intrepidi come via di fuga per sottrarmi a mio padre, ma adesso non mi sto più limitando a tirare a campare .. sto primeggiando.
Guardo il sangue di Eric sulle mie mani e sorrido.
 
                                                           
                                                                          ***
 
La mattina dopo decido di osare : a colazione vado a sedermi con Zeke  e Shauna. Lei è mezza addormentata sopra il piatto e risponde alle domande con dei grugniti. Zeke sbadiglia dentro il suo caffè, ma mi indica la sua famiglia : suo fratello minore : Uriah, è seduto a un altro tavolo con Lynn, la sorellina di Shauna.
Sua madre, Hana – l’Intrepida più mite che abbia mai visto ( si capisce a che fazione appartiene solo per il colore degli abiti ) – è ancora in coda per prendere la colazione.
< Ti manca casa tua? > gli chiedo.
Gli Intrepidi hanno un debole per i dolci da forno, ho notato.
Ci sono sempre almeno due torte diverse a cena, e al momento c’è una montagna di muffin sull’ultimo tavolo da buffet. Quando ci sono arrivato io, i gusti migliori erano già spariti, così mi sono dovuto accontentare di un muffin alla crusca.
< Non proprio > risponde Zeke. < Voglio dire,sono lì. Gli iniziati interni non dovrebbero parlare con le loro famiglie fino al Giorno delle visite, ma io so che se avessi davvero bisogno potrei contare du di loro. >
Annuisco. A Sauna si chiudono gli occhi e finisce per addormentarsi con il mento appoggiato sulla mano.
< E tu? > dice lui. < Ti manca casa tua? >
Sto per rispondere di no, ma proprio in quel momento a Sauna scivola via la mano da sotto il mento e lei finisce con la faccia sopra il suo muffin al cioccolato.
Zeke ride così forte che gli vengono le lacrime agli occhi e io non posso trattenermi dal sorridere mentre finisco il mio succo.
 
 
                                                                          ***
 
Più tardi vado n palestra per incontrare Shauna. Ha i capelli corti pettinati all’indietro e ha allacciato ben stretti gli anfibi che di solito indossa slacciati, e con la linguetta che sbatte mentre cammina. Prende a pugni l’aria, fermandosi tra un colpo e l’altro aggiustando la posizione. Rimango un po’ a guardarla, non sapendo bene da dove iniziare. Anch’io ho appena imparato a tirar pugni, e non mi sento qualificato per insegnarle proprio niente.
Ma mentre la osservo, comincio a notare alcune cose: il modo in cui tiene le ginocchia rigide,e non solleva abbastanza la mano per proteggersi la mascella, o quello in cui sferra i pugni, a partire dal gomito invece di metterci tutto il peso del corpo. Lei si ferma per asciugarsi il sudore con il dorso della mano e , quando mi vede, fa un salto come se avesse appena toccato un filo elettrico scoperto.
< Regola numero uno per evitare di essere scambiato per un maniaco : annuncia la tua presenza quando entri in una stanza se chi c’è dentro non si è accorto della tua presenza. >
< Scusa > dico. < Stavo pensando a quali suggerimenti darti. >
< Oh. > si morde l’interno della guancia. < Tipo? >
Le spiego le cose che ho notato e poi entriamo nell’arena. Cominciamo ad allenarci lentamente, bloccando ogni colpo a mezz’aria per non farci male. Io devo continuamente toccarle il gomito con il pugno per ricordarle di tenere più alta la mano davanti alla faccia, ma dopo mezz’ora mi accorgo che comincia a muoversi meglio di prima.
<  La  ragazza contro cui devi batterti .. > inizio. < Io la colpirei qui, alla mascella. > mi tocco sotto il mento. < Un buon montante dovrebbe bastare. Esercitiamoci su quello. >
Si mette in posizione e noto con soddisfazione che ha le ginocchia piegate e che c’è un’elasticità nella sua postura che prima non c’era. Per qualche secondo giriamo in tondo uno di fronte all’altra, poi lei sferra un pugno: nel farlo la sua mano sinistra si abbassa, lasciando scoperto il viso. Io blocco il colpo, poi faccio il gesto di attaccare nel varco che ha lasciato nella guardia, ma all’ultimo istante mi fermo e la guardo con un sopracciglio alzato.
< Sai forse imparerei meglio la lezione, se mi colpissi davvero. > dice raddrizzandosi.
È tuta rossa per lo sforzo e ha una striscia di sudore luccicante lungo l’attaccatura dei capelli. I suoi occhi sono vivaci e seri. Per la prima volta mi rendo conto che è una bella ragazza. Di una bellezza diversa a quella a cui sono abituato a pensare, né dolce né delicata, ma che nasce dalla forza e dalla determinazione.
< Preferirei davvero di no > rispondo.
< Quello che consideri una sorta di residuo di cavalleria Abnegante in realtà è piuttosto offensivo. So badare a me stessa e sono in grado di sopportare un pò di dolore. >
< Non è questo. Non è perché sei una ragazza. È solo che .. detesto la violenza gratuita. >
< Questi sono discorsi da Rigidi >
< Non direi. I Rigidi sono contro la violenza,punto. Metti un Rigido tra gli Intrepidi e si lascerebbe semplicemente gonfiare di borre > dico, lasciandomi sfuggire un accenno di sorriso. Non sono abituato a usare lo slang degli Intrepidi, ma mi sento bene a rivendicarlo come mio, mi piace abbandonarmi al ritmo del loro linguaggio. < E’ solo che non riesco a considerarlo un gioco, tutto qui >
È la prima volta che confido a qualcuno questa cosa. So perché non riesco a considerarlo un gioco: per troppo tempo la mia vita è stata segnata dalla violenza.
Qui mi hanno insegnato a difendermi e a essere più forte, ma una cosa che ho imparato, e che non intendo imparare, è godere del dolore inferto agli altri. Se diventerò un Intrepido, lo farò a modo mio, anche se questo implicasse che una parte di me rimarrà per sempre Abnegante.
< D’accordo > dice. < Ricominciamo. >
Ci alleniamo fino a quando lei non prende padronanza dei montanti,e quasi ci perdiamo la cena. Mentre usciamo dalla palestra mi ringrazia stringendomi un braccio intorno al collo. È solo un abbraccio veloce e scanzonato, ma sufficiente a mettermi a disagio.
< Come diventare Intrepidi: Corso introduttivo > ride lei. < Lezione numero uno : è assolutamente normale abbracciarsi tra amici. >
< Siamo amici? > chiedo, scherzando solo per metà
< Oh, smettila > risponde, e si allontana saltellando nel corridoio che porta al dormitorio.
 
                                                                        ***
 
Il mattino dopo tutti i trasfazione seguono Amar.
Invece di entrare in palestra, imbocca un lugubre corridoio che termina con una pesante porta, poi ci ordina di sederci contro il muro e sparisce dietro la porta senza aggiungere altro. Controllo l’orologio: Shauna comincerà il suo combattimento a momenti .. gli interni ci stanno impiegando più di noi a completare la prima fase, perché sono più numerosi.
Eric si siede il più lontano possibile da me e io sono contento della distanza. La notte dopo il nostro combattimento mi è venuto in mente che avrebbe potuto rivelare a tutti che sono il figlio di Marcus Eaton, per vendicarsi della sconfitta, ma non l’ha fatto. Mi chiedo se stia solo aspettando l’occasione buona per colpire, o se mantenga il segreto per qualche altro motivo. In ogni caso è più sicuro stargli alla larga il più possibile.
< Che cosa pensate ci sia li dentro? > Mia, la trasfazione dei Pacifici, sembra nervosa.
Nessuno risponde. Io non sono affatto agitato. Non c’è niente dietro quella porta che possa farmi male. Così, quando Amar torna in corridoio e mi chiama per primo, non lancio occhiate disperate ai miei compagni di iniziazione,e mi li mito a seguirlo oltre la porta.
La stanza è sporca e male illuminata, e contiene solo un computer e una poltrona reclinabile, come quella del test attitudinale. Il computer è acceso e lo schermo si sta riempiendo di righe di testo scuro su sfondo bianco.
Quando andavo a scuola, facevo spesso volontariato nei laboratori di informatica; li pulivo e li mettevo in ordine, e a volte aggiustavo anche i computer che avevano problemi. Lavoravo sotto la supervisione di un’Erudita che si chiamava Katherine e che mi ha insegnato molto più di quello che fosse necessario, ben contenta di condividere le sue conoscenze con qualcuno che avesse la voglia di ascoltarla. Così, guardando la stringa sullo schermo, sono in grado di capire che tipo di programma sta girando, anche se non saprei bene cosa farci.
< Una simulazione? > ipotizzo.
< Meno sai, meglio è > mi risponde Amar. < Siediti. >
Lo faccio, abbandonandomi contro lo schienale e appoggiando le braccia sui braccioli. Amar prepara una siringa, la soleva alla luce per assicurarsi che fiala sia inserita nel modo corretto, poi mi infila l’ago nel collo senza preavviso, facendomi trasalire, e spinge lo stantuffo.
< Vediamo quale delle tue quattro paure si presenta per prima > dice. < Sai, mi stanno quasi annoiando. Potresti provare qualcosa di nuovo. >
< Ci lavorerò > rispondo.
Poi la simulazione mi inghiotte.
 
                                                                          ***
 
Sono seduto su una dura panca di legno, al tavolo di una cucina Abnegante. Di fronte a me c’è un piatto vuoto. Tutte le finestre hanno le persiane chiuse e l’unica fonte d’illuminazione è una lampadina nuda che penzola dal soffitto, il filamento arancione. Fisso la stoffa scura dei miei pantaloni. Perché sono vestito di nero e non di grigio?
Quando sollevo la testa mi trovo davanti .. Marcus. Per una frazione di secondo, lo rivedo esattamente com’era nel giorno della Cerimonia della Scelta, seduto dall’altra parte del salone, gli occhi blu scuro identici ai miei, la bocca serrata in un’espressione arcigna.
Sono vestito di nero perché ora sono negli Intrepidi, ricordo a me stesso. E allora perché mi trovo in una casa Abnegante,seduto di fronte a mio padre?
Il profilo della lampadina si riflette nel mio piatto vuoto.
Dev’essere una simulazione,penso.
La luce sopra si me sfarfalla per un istante e lui si trasforma nell’uomo che si presenta sempre nel mio scenario della paura: un mostro inquietante con dei buchi neri al posto degli occhi e una bocca vuota. Il mostro si lancia al di sopra del tavolo, allungando le braccia verso di me .. al posto delle unghie spuntano lame di rasoio.
Sferra un fendente, io mi butto all’indietro  cado dalla panca. Annaspo sul pavimento per rialzarmi e scappo in soggiorno. Lì trovo un altro Marcus che esce dal muro, le braccia protese per afferrarmi. Mi fiondo verso la porta d’ingresso, ma qualcuno l’ha barricata con blocchi di cemento, intrappolandomi all’interno.
Ansimando, mi lancio su per le scale,ma inciampo nell’ultimo gradino e mi ritrovo disteso sul pavimento di legno del corridoio. La porta del ripostiglio si apre e un terzo Marcus avanza verso di me, un altro esce dalla camera da letto dei miei genitori e un altro ancora striscia fuori dal bagno.
Mi rannicchio contro il muro.
La casa è buia. Non ci sono finestre.
Questo posto è pieno di lui.
Improvvisamente uno dei Marcus si materializza davanti a me e mi schiaccia contro la parete, stringendomi le mani intorno alla gola. Un altro mi scava con le unghie lunghi solchi nelle braccia. Il dolore lancinante mi fa salire le lacrime agli occhi.
Sono paralizzato, in panico.
Deglutisco a vuoto. Non posso gridare. Il dolore è acuto e il cuore mi batte all’impazzata. Cerco di tirare un calcio con tutta la forza che ho, ma colpisco solo l’aria. Il Marcus che mi tiene per la gola mi solleva contro il muro, fino a farmi sfiorare appena il pavimento con le punte dei piedi. Mi sento le braccia e le gambe molli, come quelle di una bambola di pezza. Non riesco a muovermi.
Questo posto .. questo posto è pieno di lui. Non è reale, mi rendo conto tutt’a un tratto. È una simulazione. È come nello scenario della paura.
Adesso i Marcus sono ancora più numerosi e tutti con braccia protese verso di me: se abbasso lo sguardo, vedo un mare di lame. Le loro dita si stringono intorno alle mie gambe,compresole di tagli. Il Marcus che mi sta strangolando affonda ancora di più le unghie e sento un rivolo caldo scorrermi lungo il collo.
È una simulazione, mi ripeto.
Cerco di infondere vita in ogni parte del mio corpo. Immagino il sangue scorrermi come fuoco nelle vene. Cerco il muro con la mano e comincio a tastarlo in cerca di un’arma. Uno di Marcus solleva le braccia, le sue dita sono davanti ai miei occhi. Grido e tiro calci all’impazzata mentre le lame affondano nelle mie palpebre.
La mia mano non trova un’arma ma una maniglia di una porta. La apro con furia e cado all’indietro dentro uno sgabuzzino, sfuggendo alla presa dei Marcus. C’è una finestra, abbastanza grande da passarci dentro : mi butto con la spalla contro il vetro e lo rompo. L’aria fresca mi riempie i polmoni.
Mi alzo a sedere, ansimando.
Mi tasto la gola,le braccia, le gambe, cercando ferite inesistenti. Sento ancora i tagli, avverto il sangue scorrere sul collo, ma la mia pelle è intatta.
Il mio respiro rallenta e con lui i pensieri.
Amar è seduto al computer, collegato alla simulazione,e mi sta fissando.
< Cosa? > dico senza fiato.
< Sei stato li dentro per cinque minuti. >
< E’ tanto ? >
< No > mi guarda accigliato. < No, non lo è per niente. È un ottimo tempo,in realtà. >
Appoggio i piedi a terra e mi prendo la testa tra le mani. Anche se la simulazione non è durata molto, continua a tornarmi in mente l’immagine deforme di mio padre che cerca di cavarmi gli occhi,e il mio battito cardiaco accelera di nuovo.
< E’ ancora attivo il siero? > domando, stringendo i denti. < E’ quello che mi provoca il panico? >
< No, dovrebbe essersi disattivato appena sei uscito dalla simulazione. Perché? >
Scrollo le mani, le sento formicolare, come se stessero per intorpidirsi. Scuoto la testa. Non era reale, mi ripeto.
Rilassati.
< A volte la simulazione può provocare un panico persistente, a seconda di cosa si vede > spiega Amar. < Ti riaccompagno al dormitorio. >
< No > scuoto la testa. < Sto bene. >
< Non era una domanda > si alza e apre una porta alle sue spalle. Lo seguo in un corridoietto scuro e poi lungo tunnel di pietra che ci riconducono al dormitorio dei trasfazione. L’aria sotterranea è fresca e umida. Si sente solo il mio respiro e l’eco dei nostri passi,nient’altro.
A un tratto mi sembra di vedere qualcosa, un movimento alla mia sinistra, e mi ritraggo di scatto, schiacciandomi addosso alla parete.
Amar mi blocca e mi mette le mani sulle spalle costringendomi a guardarlo in faccia.
< Ehi. Calmati, Quattro. > annuisco e una vampata di calore mi sale al viso,l’imbarazzo che si insinua nel mio stomaco. Dovrei essere un Intrepido. Non dovrei averpaura di essere aggredito nel buio da Marcus deformi. Mi appoggio alla parete e faccio un respiro profondo.
< Posso chiederti una cosa? > domanda Amar. Mi preparo al peggio, convinto che stia per interrogarmi su mio padre, ma non è così. < Come hai fatto a uscire da quel corridoio? >
< ho aperto una porta. >
< C’era una porta dietro di te fin dall’inizio? Ce n’è una nella tua vecchia casa? >
Scuoto la testa.
Il viso solitamente cordiale di Amar è molto serio. < Quindi l’hai creata tu dal nulla? >
< Si > rispondo > Le simulazioni sono tutte nella nostra testa. Quindi la mia mente ha fatto comparire una porta in modo che potessi uscire. Non ho dovuto fare altro che concentrarmi. >
< Strano > riflette lui.
< Cosa? Perché ? >
< La maggior parte degli iniziati non può far succedere nulla che non sia possibile nella realtà,perchè, a differenza dello scenario della paura, non si è consapevoli di trovarsi in una simulazione. E di conseguenza nessuno ne esce così in fretta. >
Mi sento il cuore in gola. Non avevo capito che questa simulazione sarebbe stata diversa dallo scenario della para .. pensavo che fosse normale essere consapevoli. Ma a sentire Amar, invece, questa simulazione assomiglia, al test attitudinale.. prima di affrontare il test, mio padre mi aveva messo in guardia contro la mia consapevolezza durante le simulazioni, raccomandandomi di nasconderla. Ricordo bene la sua insistenza, la sua voce testa e la forza con cui mi stringeva il braccio mente lo diceva.
Allora avevo pensato che non avrebbe mai parlato in quel modo se non fosse stato preoccupato per me. Preoccupato per la mia incolumità.
Era solo paranoia o c’è davvero qualcosa di pericolo nell’essere consapevoli durante le simulazioni?
< Io ero come te > mi confida amar < Potevo cambiare le simulazioni. Solo che pensavo di essere l’unico. >
Vorrei dirgli di tenere per sé i suoi segreti, di proteggerli. Ma gli Intrepidi non sono riservati quanto gli Abneganti, con tutti quei sorrisi a labbra strette e le loro case identiche e regolari. Amar mi sta guardando con un’intensità particolare,come se si aspettasse qualcosa da me.
Io cambio posizione, a disagio.
< Probabilmente non è una cosa di cui andare a vantarsi in giro > continua. < Gli Intrepidi tengono alle convenzioni tanto quanto le altre fazioni .. solo che qui non è così evidente. >
Annuisco. < Dev’essere stato solo un colpo di fortuna, non sono riuscito a fare la stessa cosa durante il test attitudinale. Di certo, la prossima volta sarà tutto regolare. >
< Giusto. > non sembra convinto. < Bè, la prossima volta cerca di non fare niente di impossibile, a bene? Limitati ad affrontare le paure in modo logico, che tu sia consapevole o meno. >
< Okay >
< Stai bene ora, giusti? Sei in grado di tornare in camera da solo? >
Vorrei dirgli che sono sempre stato in grado di tornare in camera da solo, che non ho mai avuto bisogno della sua assistenza, invece anche sta volta mi limito ad annuire. Lui mi stringe una spalla, in un gesto amichevole e se ne torna nel laboratorio delle simulazioni.
Non posso fare a meno di pensare che mio padre non mi avrebbe mai avvertito di non lasciare trapelare la mia consapevolezza nelle simulazioni solo per riguardo alle consuetudini. Mi ha sempre rinfacciato di metterlo in imbarazzo davanti agli altri Abneganti, ma fino a quel momento non mi aveva mai messo in guardia su come comportarmi né mi aveva dato consigli su come evitare di fare passi falsi.
Non mi aveva mai fissato con occhi sbarrati, ansioso di farsi promettere che avrei seguito le sue istruzioni.
Fa uno strano effetto sapere che, probabilmente, stava cercando di proteggermi, che forse non è il mostro spietato che immagino,quello che vedo nei  miei incubi peggiori.
Mentre vado verso il dormitorio sento un rumore provenire dal corridoio che mi sono appena lasciato alle spalle, come un scalpiccio ovattato che si allontana nella direzione opposta.

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Capitolo 5
*** Traditore ***


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All’ora di cena, appena varco la porta della mensa, Shauna mi corre incontro e mi dà un pugno sul braccio. Ha sul viso un sorriso così ampio che sembra che glielo abbiano intagliato nelle guance. Ha una tumefazione sullo zigomo destro, che più tardi diventerà un occhio nero.
< Ho vinto! > esclama. < Ho fatto come mi avevi detto tu: le ho dato un cazzotto dritto sulla mascella che l’ha decisamente spiazzata. Mi ha colpito all’occhio perché ho abbassato la guardia, ma poi l’ho riempita di botte. È stato fantastico! >
Sorrido. Non mi aspettavo che fosse così gratificante insegnare a una persona a fare qualcosa e venire a sapere che i tuoi consigli hanno funzionato.
< Brava > mi complimento con lei.
< Non ce l’avrei mai fatta senza il tuo aiuto. > il suo sorriso si addolcisce, diventa più sincero , meno superficiale, si solleva sulla punta dei piedi e mi bacia sulla guancia
La guardo mentre allontana il viso dal mio. Lei ride e mi trascina verso il tavolo dove sono seduti Zeke e diversi altri interni. Il mio problema, mi rendo conto, non è tanto che sono un Rigido, ma che non so come interpretare il significato che gli Intrepidi danno a queste effusioni. Shauna è carina e simpatica .. se fossimo Abneganti e io fossi interessato a lei, andrei a casa sua per cenare con tutta la sua famiglia, cercherei di scoprire quali progetti di volontariato le interessano e mi ci inserirei. Qui invece, non saprei da che parte cominciare, o persino come fare a capire se lei mi piace in quel modo.
Decido di non lasciarmi distrarre, almeno per il momento. Dopo essermi riempito il piatto, mi siedo a mangiare e ad ascoltare gli altri parlare e ridere. Tutti si complimentano con Shauna per la sua vittoria e indicano la ragazza che ha battuto, che è seduta a un altro tavolo, la faccia ancora gonfia. Al termine della cena, mentre punzecchio con la forchetta una fetta di torta al cioccolato, entrano in sala mensa due Erudite.
Ci vuole parecchio tempo per ottenere il silenzio dagli Intrepidi. Persino l’apparizione improvvisa delle due donna non è sufficiente a zittirli .. ovunque si sentono ancora mormorii, come un rumore di passi che si allontano di corsa. E a poco a poco, , vedendo che le Erudite si siedono al tavolo a parlare con Max senza che accada niente, le conversazioni riprendono. Io non parlo. Continuo a infilzare la torta con la forchetta, e osservo.
Max si alza e si avvicina ad Amar. Segue una conversazione piuttosto nervosa tra i tavoli e poi entrambi si muovo nella mia direzione. Verso di me.
Amar mi fa un cenno e io lascio sul tavolo il vassoio quasi vuoto.
< Siamo stati convocati per una valutazione. > m’informa Amar.
La sua bocca sempre sorridente è una linea dritta, e la voce solitamente vivace è piatta.
< Valutazione? > ripeto.
Max mi guarda e accenna un sorriso. < I risultati della tua simulazione sono stati un po’ anomali. Le nostre amiche Erudite, laggiù -- >
Le guardo e, con mia grande sorpresa, riconosco Janine Matthews, la rappresentante degli Eruditi. Indossa un vestito azzurro perfettamente stirato e al collo porta un paio di occhiali, il simbolo della vanità degli Eruditi spinto all’eccesso da diventare illogico.
Max prosegue: < Assisteranno a un’altra simulazione per assicurarsi che l’anomalia non sia dovuta a un errore nel programma . Amar vi accompagnerà subito nel laboratorio. >
Risento le dita di mio padre strette intorno al mio braccio, la sua voce come un sibilo che mi ammonisce di non fare niente di strano durante il test attitudinale. Mi formicolano le mani,il segnale che sto per andare nel panico. Completamente incapace di parlare, mi limito a fissare Max e poi Amar, e ad annuire. Non ho più la pallida idea delle implicazioni legate all’essere consapevoli durante le simulazioni, ma so che non è affatto positivo. Jeanine Matthews non sarebbe mai venuta qui solo per assistere a una mia simulazione se non ci fosse qualcosa di sbagliato in  me.
Raggiungiamo in silenzio il laboratorio, Jeanine e quella che immagino essere la sua assistente parlottano a bassa voce dietro di noi.
Amar apre la porta e ci lascia entrare uno per uno. < Vado a prendere il necessario perché possiate collegarvi anche voi > dice alle due donna. < Torno subito. >
Jeanine cammina avanti e indietro per la stanza con un’espressione pensierosa. La osservo circospetto, come farebbe qualsiasi Abnegante, messo in guardia fin da piccolo contro la vanità e l’avidità degli Eruditi. Mentre la seguo con lo sguardo, però, mi viene il dubbio che quello che mi è stato inculcato possa non essere vero. L’Erudita che mi ha insegnato a smontare i computer quando facevo volontariato nei laboratori di informatica non era ne avida né vanesia, e forse non lo è neanche Janine Matthews.
< Sei stato inserito nel sistema come “Quattro “ > dice Janine dopo qualche istante. Smette di passeggiare e congiunge le mani davanti a sé.
< Devo ammettere che sono stupita. Perché non ti fai chiamare “Tobaias” qui? >
Sa già chi sono. Bè, ovvio che lo sa. Lei sa tutto,no? Mi sento come se i miei organi interni si stessero rimpicciolendo e collassando l’uno sull’altro. Lei conosce il mio nome, conosce mio padre e, se ha visto una mia simulazione, conosce anche alcune parti più oscure i me. I suoi occhi chiari, sono quasi acquosi, incontrano  miei, e io abbasso lo sguardo.
< Volevo ricominciare da zero. > taglio corto.
Lei annuisce. < Posso capirlo, soprattutto considerato quello che hai passato. >
Lo dice in tono quasi ..gentile.
Mi irrigidisco e la fisso dritto in faccia. < Sto bene. > dico con freddezza.
< Naturalmente. > Lei accenna un sorriso.
Amar spinge un carrello nella stanza. Sopra ci sono fili, elettrodi e componenti di computer.
So che cosa devo fare: mi siedo sulla poltrona reclinata e appoggio le braccia sui braccioli mentre gli altri si collegano al programma. Amar mi si avvicina con una siringa e io rimango immobile mentre l’ago entra nella gola.
Abbasso le palpebre e il mondo scompare di nuovo.
 
                                                                            ***
 
 
Quando apro gli occhi, mi trovo sul tetto di un edificio incredibilmente alto, a un passo dal cornicione. Sotto di me c’è solo l’asfalto, le strade sono completamente vuote e non c’è nessuno che possa aiutarmi a scendere. Il vento mi sverza da ogni parte, spingendomi indietro, fio a farmi cadere sulla schiena, sopra la ghiaia che ricopre il tetto. Non mi piace stare quassù,a guardare il cielo vasto e vuoto che mi rammenta che mi trovo nel punto più alto della città.
Tutt’a un tratto ricordo che Janine Matthews mi sta guardando. Mi fiondo verso l’unica porta che c’è con l’intenzione di aprirla e intanto elaboro una strategia. Di solito affronto questa paura saltando giù dal cornicione, consapevole che si tratta di una simulazione e che non morirò davvero. Ma chiunque al mio posto non agirebbe così: cercherebbe piuttosto un modo sicuro per scendere.
Valuto le opzioni possibili. Potrei cercare di scaridinare la porta, ma non ho niente a disposizione ad aiutarmi .. sono circondato solo da cielo e ghiaia. Non posso far comparire dal nulla un attrezzo, perché sarebbe esattamente il tipo di manipolazione che Janine sta aspettando di vedere. Faccio un passo indietro e sferro un calcio alla porta con il tacco, ma quella non cede di un millimetro.
Con il cuore in gola, mi avvicino di nuovo al cornicione. Invece di guardare in basso i minuscoli marciapiedi, mi concentro sul fianco del grattacielo. Sotto di me ci sono centinaia di finestre munite di davanzali. Il modo più veloce per scendere, quello più da Intrepidi, sarebbe calarsi lungo la parete.
Mi copro la faccia con le mani.
So che tutto questo non è reale,però lo sembra, con il vento freddo e pungente che mi fischia nelle orecchie, il cemento ruvido sotto le scarpe. Rabbrividendo, scavalco il parapetto, mi volto di faccia all’edificio e inizio a calarmi, una gamba alla volta, fino a rimanere appeso al cornicione solo con le mani. Il panico ribbolle dentro di me e grido tra i denti. Dio mio.  Odio l’altezza. La odio. Sbatto le palpebre per cacciare indietro le lacrime – di cui incolpo il vento – e allungo la punta dei piedi fino al davanzale. Quando lo trovo, cerco con una mano il bordo superiore della finestra e, facendo leva sulle braccia per non perdere l’equilibrio, mi appoggio sul davanzale sottostante.
Sento il corpo sbilanciarsi all’esterno e grido di nuovo, stringendo i denti con tanta forza da farli stridere.
Devo farlo ancora una volta. E poi ancora. E ancora. Mi piego, tenendomi al bordo superiore della finestra con una mano e a quello inferiore con l’altra. Quando mi sembra di avere una buona presa faccio scivolare i piedi lungo la parete del grattacielo, ascoltandoli grattare il cemento, e infine mi lascio penzolare di nuovo.
Questa volta però, mentre mi allungo verso il davanzale sottostante, mi accorgo che la presa non è abbastanza salda; il piede scivola e il corpo si sbilancia all’indietro. Annaspo nel tentativo di trovare un appiglio, grattando la parete di cemento, ma è troppo tardi.
Precipito, e un altro grido mi sale da dentro, squarciandomi la gola. Per salvarmi potrei far comparire una rete o una corda calata dall’alto .. ma no, non posso fare niente o loro sapranno di che cosa sono capace.
Mi lascio cadere. Mi lascio morire.
Mi risveglio, e ogni parte del mio corpo urla per il dolore che la mia mente ha partorito.
Grido,gli occhi appannati di lacrime e dal terrore,e scatto a sedere, boccheggiando. Tremo tutto e provo vergogna per lo spettacolo che sto dando a questo pubblico, ma so anche che è una buona cosa perché penseranno che non sono speciale, che sono soltanto un altro Intrepido spericolato che pensava di potersi calare da un grattacielo e ha fallito.
< Interessante > commenta Janine. Riesco a malapena a sentirla sopra il respiro affannoso. < Non mi stanco mai di guardare dentro la mente delle persone. Ogni dettaglio suggerisce tante cose. >
Sposto di lato le gambe, che tremano ancora, e appoggio i piedi a terra.
< Sei andato bene. > dice Amar < Le tue doti di arrampicatore forse lasciano un po’ a desiderar, ma sei ugualmente uscito dalla simulazione in poco tempo, come l’ultima volta. >
Mi sorride. Devo essere riuscito a far finta di essere normale, perché sembra un pò meno preoccupato.
Annuisco.
< A quanto pare il risultato anomalo del tuo ultimo test era dovuto a un errore nel computer. Dovremo analizzare il programma per trovare il difetto > osserva Janine < ora,Amar, mi piacerebbe assistere ad una delle tue simulazioni, se non ti dispiace.>
< Una delle mie? E perché? >
< Le informazioni in nostro possesso suggeriscono che i risultati anomali di Tobaias non ti hanno allarmato, ma che anzi hai una certa dimestichezza con questo tipo di anomalie > risponde Janine con lo stesso sorriso bonario. < Vorrei capire se questa dimestichezza viene dall’esperienza personale. >
< Le informazioni in vostro possesso > ripete Amar. < E da dove arrivano queste informazioni? >
< Un iniziato si è presentato da noi per esprimere la sua preoccupazione riguardo il tuo benessere e quello di Tobaias > risponde Janine < Vorrei rispettare la sua privacy. Tobaias, puoi andare, ora. Grazie per l’aiuto. >
Guardo Amar. Lui annuisce appena. Io mi alzo e, ancora un po’ malfermo sulle gambe, esco lasciando socchiusa la porta per potermi fermare ad origliare. Ma non appena sono in corridoio,l’assistente di Janine la chiude con una spinta e non riesco più a sentire niente, neanche appoggiandovi l’orecchio.
Un iniziato si è presentato da noi per esprimere la sua preoccupazione. sono sicuro di sapere è quell’iniziato: il nostro unico ex Erudito, Eric.
 
 
                                                                            ***
 
Passa una settimana e la visita di Janine Matthews sembra non aver avuto conseguenze. Tutti gli iniziati, interni e trasfazione, affrontano ogni giorno le simulazioni, e ogni giorno mi lascio divorare dalle mie paure: altezza, reclusione, violenza, Marcus. A volte si mescolano tra loro, Marcus sulla cima di un grattacielo,atti violenti in spazi ristretti. Mi sveglio sempre mezzo delirante, tremante, imbarazzato per il fatto che, anche se sono l’iniziato con solo quattro paure, sono anche l’unico che – a fine simulazione – non riesce a liberarsene. Mi si presentano quando meno me l’aspetto, affollando le mie notti di incubi e le giornate di paranoie e brividi. Digrigno i denti, sobbalzo al minimo rumore,le mani mi si intorpidiscono all’improvviso.
Ho paura che impazzirò prima della fine dell’iniziazione.
< Tutto okkey? > mi chiede Zeke una mattina a colazione. < Sembri .. distrutto. >
< Sto bene > ribatto, più sgarbatamente di quanto non intendessi.
< Come no .. > risponde, sorridendo. < E’ okkey non essere sempre okkey,sai? >
< Si,certo > Mi costringo a finire di mangiare, benché in questi giorni mi sembra che tutto sappia di polvere. Anche se mi sento sul punto si barellare, almeno sto mettendo su peso .. muscoli, per lo più. Per uno come me, abituato a dileguarsi come se niente fosse, è strano rirovarsi a gestire un corpo così grosso. La cosa però mi infonde un po’ più di forza e sicurezza.
Io e Zeke andiamo a riporre i vassoi e stiamo per uscire e andare al Pozzo, quando il fratellino di Zeke – ricordo che si chiama Uriah – ci corre incontro. È già più alto di Zeke e ha una benda dietro l’orecchio che copre un tatuaggio appena fatto. Ha sempre voglia di scherzare, ma al momento no ..
Sembra sconvolto.
< Amar. > dice quasi senza fiato. < Amar è .. > scuote la testa. < Morto. >
Ridacchio. Sono vagamente consapevole che non è una reazione appropriata, ma non riesco a trattenermi. < Cosa? Che cosa intendi con: è morto ? >
< Una donna ha trovato un cadavere fuori dalla Guglia, stamattina presto > spiega Uriah. < L’hanno appena identificato. Era Amar. Lui .. lui deve essersi .. >
< .. buttato? > finisce Zeke.
< O essere caduto, nessuno lo sa > dice Uriah.
Salgo i canali che si arrampicano lungo le pareti del Pozzo. Di solito li percorro rasente al muro, per paura dell’altezza, ma questa volta non ci penso nemmeno al vuoto che si apre sotto di me. Oltrepasso bambini che corrono e urlano e gente che entra ed esce dai negozi. Salgo su per la scala che pende dal soffitto di vetro.
Nell’atrio della Guglia si è raccolta una folla. Mi infilo in mezzo alla calca, facendomi strada a gomitate. Qualcuno impreca o mi spintona infastidito, ma non ci faccio caso. Avanzo fino in fondo al salone, fino alle pareti di vetro che sovrasta le strade intorno alla residenza. Là fuori c’è una zona delimitata da un nastro, e una striscia rosso scura sull’asfalto.
La fisso a lungo, finchè non mi rendo effettivamente conto che a lasciarla è stato il sangue di Amar, quando il suo corpo ha impattato con il terreno.
Poi me ne vado.
 
 
                                                                       ***
 
Non conoscevo Amar abbastanza bene da sentirmi straziato dal dolore,non avverto quella pena che ho provato in altre occasioni. Strazio è ciò che ho provato dopo la morte di mia madre, un peso che mi rendeva impossibile arrivare a fine giornata. Ricordo che mi interrompevo nel bel mezzo di ciò che stavo facendo – anche le attività più banali – per riposarmi, e poi mi dimenticavo a che punto ero arrivato, o che mi svegliavo in piena notte con il viso bagnato di lacrime.
Non sento la perdita di Amar nello stesso modo .. in alcuni momenti mi trovo a rimpiangerlo: in fondo è stato lui a darmi il mio nome, e mi ha protetto anche se mi conosceva a malapena. Ma per lo più provo rabbia. La sua morte ha che fare con Janine Matthews e la simulazione a cui ha preso di assistere. Ne sono sicuro. E questo significa che quello che è successo è anche responsabilità di Eric, perché ha sentito la nostra conversazione ed è andato a riferirla alla rappresentante della sua vecchia fazione.
Sono stati loro a uccidere Amar,gli Eruditi. E invece tutti pensano che si sia buttato, o che si caduto.
Perché sono cose che ci si può aspettare da un Intrepido.
Quella sera stessa viene organizzata una cerimonia commemorativa in suo onore, ma già dal tardo pomeriggio sono tutti ubriachi. Ci raccogliamo intorno allo strapiombo. Zeke mi passa una tazza piena di un liquido scuro. Lo butto giù senza pensarci e mi sento pervadere da una sensazione di calma. Barcollo un po’ mentre gli restituisco la tazza vuota.
< Già mi sembra giusto > commenta lui, guardando il fondo della tazza. < Vado a prenderne dell’altro. >
Annuisco e mi metto ad ascoltare il ruggito dell’acqua nello strapiombo. Janine Matthews sembrava averci creduto che il mio risultato anomalo fosse dovuto solo a un problema del programma, ma se invece fosse stata solo una finzione? Se cercasse di eliminarmi come ha fatto con Amar? Mi affretto a relegare quel pensiero in un angolo della mente in cui non possa più trovarlo.
Una mano scura solcata da un cicatrice si appoggia sulla mia spalla. Mi volto. È Max.
< Stai bene,Quattro? >
< Si > rispondo. Ed è vero. Sto bene perché mi reggo ancora in piedi e non biascico quando parlo.
< So che Amar aveva un interesse particolare per te. Penso che vedesse in te un grande potenziale > dice lui con un lieve sorriso.
< Non lo conoscevo molto. >
< Era sempre un po’ inquieto, un po’ instabile. Era diverso dagli altri iniziati della sua classe. Credo che la perdita dei nonni avesse lasciato un segno. O forse il problema era più profondo .. non lo so. Magari sta meglio,adesso. >
< Sta meglio morto? > chiedo,aggrottando la fronte.
< Non è esattamente questo che intendevo > dice lui. < Ma noi Intrepidi incoraggiamo i nostri membri a scegliere liberamente il proprio percorso nella vita. Se questo è quello che ha scelto .. tanto meglio. > mi rimette la mano sulla spalla. < A seconda di come va l’esame di domani, io e te dovremmo parlare dei tuoi progetti per il futuro. Sei di gran lunga il nostro iniziato più promettente, nonostante la tua provenienza. >
Continuo a guardarlo senza parlare. Si può sapere che cosa sta dicendo, e perché lo sta dicendo qui, alla cerimonia commemorativa di Amar? Sta forse cercando di reclutarmi?
Per cosa?
Zeke torna con due tazze in mano, e Max si allontana, mescolandosi alla folla come se niente fosse. Uno degli amici di Amar è salito in piedi su una sedia e sta gridando frasi assurde su quanto sia stato coraggioso Amar a scegliere di esplorare l’ignoto.
Tutti sollevano i bicchieri e scandiscono il suo nome . Amar, Amar, Amar. Lo ripetono così tante volte che perde qualunque significato e diventa un suono inarrestabile e ripetitivo che divora tutto.
Poi beviamo. È così che gli Intrepidi piangono i morti: relegando il dolore nell’oblio dell’alcol e lasciandocelo.
D’accordo. Bene. Posso farlo anch’io.
 
 
                                                                       ***
 
All’esame finale è Tori a gestire il programma delle simulazioni. Tutti i leader Intrepidi, compreso Max, sono venuti ad osservarci mentre, uno alla volta, attraversiamo il nostro scenario della paura.
Il mio turno arriva quando più o meno metà del gruppo è già stato esaminato. Per la prima volta non mi sento per niente nervoso. Nello scenario della paura tutti sono consapevoli di essere in una simulazione, per cui non ho niente da nascondere. Mi infilo l’ago nel collo da solo e lascio che la realtà svanisca.
L’ho fatto decine di volte. Sono in cima ad un grattacielo e mi butto giù dal cornicione. Mi ritrovo intrappolato in una scatola di legno e mi abbandono per un attimo al panico, prima di scaraventarmi con la spalla contro la parete e mandarla in mille pezzi, per quanto impossibile nella realtà. Prendo una pistola e sparo alla testa ad una persona innocente – stavolta, un uomo senza volto vestito di nero come gli Intrepidi – senza neanche pensarci.
I Marcus che mi circondano sembrano più simili a lui di quanto non lo siano mai stati. Le loro bocche sono vere, anche se gli occhi sono ancora buchi neri. E quando tirano indietro le braccia per colpirmi, in mano hanno cinture e non catene dalle punte uncinate o qualche altra arma con cui potrebbero farmi letteralmente a brandelli. Incasso i primi colpi, poi mi lancio verso il Marcus più vicino e gli stringo le mani intorno alla gola. Lo prendo selvaggiamente a pugni in faccia con una violenza che mi regala un breve momento di soddisfazione prima di svegliarmi, accucciato sul pavimento del corridoio delle simulazioni.
Le luci si accendono nella saletta adiacente e riesco a vedere le persone al loro interno. Ci sono due file di iniziati che aspettano il proprio turno, tra cui Eric .. ormai ha così tanti pearcing nel labbro che mi ritrovo a fantasticare di strapparglieli uno a uno. In prima fila sono seduti Max e gli altri capifazione, e tutti annuiscono sorridendo. Tori alza i pollici nella mia direzione.
Mi sono presentato all’esame convinto che non m’importasse più né di passare, né di ottenere un buon risultato, né di diventare un Intrepido. Ma i pollici alzati di Tori mi riempiono d’orgoglio e mi concedo un piccolo sorriso, uscendo. Anche se ora non può vedermi, Amar ha sempre voluto che facessi bene. Non posso dire di averlo fatto per lui – non l’ho fatto per nessuno, in realtà, nemmeno per me stesso – ma almeno non l’ho messo in imbarazzo.
Tutti gli iniziati che hanno già attraversato il loro scenario, interni compresi, devono aspettare la fine degli esami nel dormitorio trasfazione. Zeke  e Shauna mi accolgono esultando, e io vado a sedermi sul bordo del mio letto.
< Com’è andata? > mi chiede Zeke.
< Bene. Nessuna sorpresa. E a te? >
< Terribile, ma ne sono uscito vivo. Invece a Shauna si sono presentate nuove paure. >
< Ma le ho gestite > ribatte lei con affettata noncuranza – ha un cuscino sulle ginocchia, uno di quelli di Eric: lui non ne sarà contento – ma poi si lascia andare e sorride. < Sono stata assolutamente fantastica. >
< Già,già > dice Zeke.
Lei lo colpisce con il cuscino, proprio in faccia, e lui glielo strappa di mano.
< Che cosa vuoi che ti dice? Si, sei stata fantastica. Si, sei la miglior Intrepida della storia. Contente ? > Poi la colpisce sulla spalla con il cuscino < E’ da quando abbiamo cominciato le simulazioni che si vanta senza sosta, perché è più brava di me. È fastidioso. >
< Mi sto vendicando di quanto ti sei vantato tu durante i combattimenti > risponde lei < “ Hai visto che cazzotto gli ho piazzato subito all’inizio?  “ E bla,bla,bla. > Gli da uno spintone e lui la prende per i polsi. Lei si libera e gli tira un orecchio e vanno avanti a ridere e ad azzuffarsi.
Sarà anche vero che non so interpretare le effusioni fra gli Intrepidi, ma a quanto pare so riconoscere un flirt quando ce l’ho davanti. Mi viene da sorridere. Immagino che questo metta fine alla “ questione Shauna “. Non che mi stesse davvero assillando, e questa probabilmente era già di per se una risposta.
Rimaniamo un'altra ora seduti chi su un letto chi su un altro, in attesa che gli altri finiscano e ci raggiungano nella camerata. L’ultimo ad entrare è Eric, che si ferma con espressione compiaciuta.
< E’ ora di andare a vedere i risultati > annuncia.
Tutti gli altri si alzano ed escono passandogli davanti. Alcuni sembrano nervosi, altri molto baldanzosi e sicuri di sé. Io aspetto che siano usciti tutti prima di raggiungere la porta. Ma invece di uscire, mi fermo, incrocio le braccia e fisso Eric per alcuni secondi.
< Hai qualcosa da dire? > mi chiede.
< so che sei stato tu. A dire agli Eruditi di Amar. Lo so. >
< Non so di cosa tu stia parlando > risponde lui, ma è evidente che lo sa.
< E’ colpa tua se è morto. > insisto. Mi sorprende quanto velocemente stia montando la rabbia dentro di me. Mi trema il corpo  e ho le guance in fiamme.
< Ti hanno colpito alla testa durante l’esame, Rigido? > mi provoca con un sorrisetto. < Stai straparlando. >
Lo sbatto con violenza contro la porta, poi lo tengo fermo con un braccio – per un momento mi stupisce scoprire di essere così tanto più forte di lui – e avvicino la faccia alla sua. < So che sei stato tu. > ripeto, scrutando i suoi occhi eri in cerca di qualcosa, di qualunque cosa. Ma non vedo niente, solo uno sguardo fisso, impenetrabile. < E’ colpa tua se è morta, e non la passerai liscia. >
Lo ladcio andare e mi allontano lungo il corridoio che porta alla mensa.
La sala mensa strabocca di Intrepidi, in tiro per l’occasione: i pearcing sono più vistosi del solito, i tatuaggi sono in bella mostra, anche a costo di andare in giro mezzi nudi. Cerco di tenere gli occhi sui volti mentre mi faccio spazio tra la calca. Profumi di torte, carne, pane  e spezie aleggiano nell’aria, facendomi venire l’acquolina in bocca.
Mi sono dimenticato di pranzare.
Quando raggiungo il mio solito tavolo, rubo un panino dal piatto di Zeke mentre lui non guarda, poi mi unisco agli altri, che aspettano in piedi i risultati. Spero non ci facciano attendere troppo. Mi sento come se fossi percorso da una scarica di corrente elettrica: le mie mani sono scosse da improvvise contrazioni e i miei pensieri sono frenetici,confusi. Zeke e Shauna cercano di dirmi qualcosa, ma nessuno di noi riesce a gridare abbastanza forte, per cui ci rassegniamo ad aspettare senza parlare.
Max in piedi su un tavolo e solleva le mani per chiedere silenzio. In parte lo ottiene, anche se è impossibile zittire tutti gli Intrepidi, alcuni dei quali continuano a chiacchierare e scherzare come se niente fosse. Però almeno riesce a sentirsi quello che dice.
< Diverse settimane fa alcuni iniziati scheletrici e spauriti hanno versato il loro sangue sui carboni ardenti e hanno fatto il loro ingresso negli Intrepidi > esordisce < A essere sincero, non mi aspettavo di vederne arrivare neanche uno alla fine del primo giorno. > Si ferma per lasciare spazio alle risate, che arrivano anche se non era un granchè come battuta. < Ma ho il piacere di annunciarvi che quest’anno tutti i nostri iniziati hanno ottenuto il punteggio necessario per inventare Intrepidi. >
Tutti esultano. Nonostante sappiano ormai con certezza che non saranno eliminati, Zeke  eShauna si scambiano occhiate nervose. L’ordine in cui saremo classificati determinerà il tipo di lavoro che ci sarà assegnato. Zeke passa un braccio sulle spalle di Shauna e la stringe a sé.
Improvvisamente mi sento di nuovo solo.
< Bando agli indugi > conclude Max < So che i nostri iniziati non stanno più nella pelle. Per cui, ecco i nostri dodici nuovi membri! >
I nostri nomi appaiano su un enorme schermo alle sue spalle, i caratteri abbastanza grandi perché si possano leggere anche dal fondo della sala. Il mio primo istinto è cercare nella lista i miei amici :
 
 
        6. Zeke
        7. Fiamma
        8. Shauna
 
Sento immediatamente alleggerii la tensione, almeno in parte. Risalgo la lista e per un attimo mi prende il panico perché non trovo il mio nome. Ma poi,eccolo, proprio in cima.
 
   1. Quattro
   2. Eric 
 
 
Shauna lancia un urlo e lei e Zeke mi stritolano in un abbraccio esagerato, e per poco non mi buttano a terra. Rido e sollevo le braccia per stringerli a mia volta.
In mezzo a quella baraonda devo aver lasciato cadere il panino che doveva essere la mia cena. Lo sento sotto il tacco ma continuo a sorridere, mentre vengo circondato da un numero sempre più grande di persone .. persone che non conosco neanche, che mi danno pacche sulle spalle, sorridono e mi chiamano per nome. Il mio nome che adesso è solo “ Quattro “, ogni sospetto sulla mia provenienza e sulla mia identità dimenticati, ora che sono uno di loro, ora che sono un Intrepido.
Non sono Tobaias Eaton, non lo sono più, non lo sarò mai più.
Sono un Intrepido.
La notte, frastornato per l’eccitazione e così pieno di  cibo da riuscire a malapena a stare in piedi, sgattaiolo via dai festeggiamenti e risalgo i canali fino alla cima del Pozzo e al salone della Guglia. Esco all’esterno e inspiro profondamente l’aria notturna, fredda e tonificante, così diversa da quella viziata e calda della mensa.
Cammino verso i binari della ferrovia, troppo eccitato per stare fermo. Sta arrivando un treno. Vedo lampeggiare la luce sulla prima carrozza man mano che si avvicina. Lo guardo sfrecciarmi accanto,possente e vigoroso, rombando come un tuono nelle mie orecchie. Mi sporgo verso le carrozze che scorrono davanti, godendomi per la prima volta i brividi di paura che sento nella pancia a stare cos’ vicino ad un oggetto tanto pericoloso.
Poi vedo una sagoma scusa di una persona,in piedi in uno degli ultimi vagoni. Una figura alta e magra,protesa verso l’esterno, aggrappata alla maniglia. Per un solo istante, mentre la macchia indistinta del treno passa,ne vedo i capelli scuri e ricci e il naso adunco.
Assomiglia  a mia madre
Poi la figura sparisce,insieme al treno.

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Capitolo 6
*** Figlio ***


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                                                                 FIGLIO



Il piccolo appartamento è spoglio, il pavimento porta i segni del passaggio della scopa negli angoli.  Non possiedo niente con cui riempire questa stanza, tranne i miei vestiti da Abnegante, al momento in fondo alla sacca che pende dal mio fianco. La butto sul materasso e apro i cassetti sotto il letto, in cerca delle lenzuola.
La lotteria degli Intrepidi è stata generosa con me, sia perché mi sono classificato primo, sia perché – a differenza dei miei estroversi compagni iniziati – volevo vivere da solo. 
Gli altri, come Zeke e Shauna, sono cresciuti in questa comunità e per loro il silenzio e la calma di un minuscolo appartamento sarebbero insopportabili.
Preparo velocemente il tllo, tirando bene il lenzuolo per riuscire a rimboccarlo sugli angoli. Le lenzuola sono consumate in alcuni punti, forse a causa delle tarme, o dall’usura, non so. La coperta, una tranmpura azzurrina, odora di cedro e polvere. Apro la borsa che contiene i miei miseri averi e tiro fuori la maglietta Abnegante, quella che indossavo il Giorno della Scelta. Sembra piccola, non cred che riuscirei più a infilarmela, ora. Ma nn ci provo nemmeno, la piego soltato e la lascio cadere nel cassetto.
Sento bussare e dico: < Avanti! > pensando che sia Zeke, o Shauna. Invece, a entrare è Max,un uomo alto con la pelle scura e le nocche utte scorticate.
Con le mani allacciate davanti a sé, percorre con lo sguardo tutta la stanza e arriccia il naso con disgusto alla vista dei pantaloni grigi sul letto. La sua reazione mi sorprende un po’. Sono pochi gli abitanti di questa città che sceglierebbero gli Abneganti come propria fazione, ma sono pochi quelli che la detestano. A quanto pare ne ho uno trovato uno.
Mi alzo, non sapendo bene cosa dire. C’è un capofazione nel mio appartamento.
< Ciao > lo saluto.
< Scusa se ti interrompo > dice lui. < Mi sorprende che tu non sia andato a vivere insieme ai tuoi ex compagni di iniziazione. Ti sei fatto qualche amico, vero? >
< Si, solo che me è più normale così. > 
< Immagino ti ci vorrà un po’ di tempo per staccarti dalla tua veccia fazione. > Max sfiora con un dito il ripiano della piccola cucina, guarda la polvere che si è accumulata sul polpastrello e si pulisce sui pantaloni. Mi lancia un occhiata di disapprovazione, come s eolesse esortarmi a staccarmi più in fretta dalla mia vecchia fazione. Se fossi ancora un iniziato, quell’occhiata potrebbe impensierirmi, ma ormai sono un membro effettio degli Intrepidi, e questo – lui- non me lo può più togliere, per quanto “ Rigido “ possa apparire.
O forse si?
< Questopomeriggio sceglierai il tuo lavoro > continua. < Hai già in mente qualcosa? >
< Immagino dipenda da cosa c’è disponibile > rispondo. < Mi piacerebbe occuparmi dell’insegnamento. Fare quello che faceva Amar.,magari. >
< Direi che l’iniziato che si è classificato primo potrebbe aspirare a qualcosa di meglio, non trovi? > inarca le sopracciglie mi accorgo che una si solleva più dell’altra. È interrotta da una cicatrice. < Sono venuto da te perché si è creata un’opportunità >
Scosta la sedia dal piccolo tavolo accanto al ripiano della cucina, la gira e vi si siede a cavalcioni.i suoi anfibi neri sono incrostati i fango marrone chiaro, le stringe sono nodose e sfilacciate all’estremità. Sarà anche l’Intrepido più anziano che abbia mai conosciuto, ma sembra fatto d’acciaio.
< A essere sincero, uno dei miei colleghi sta diventando un po’ troppo vecchio per fare il capofazione > continua, mente mi siedo sul bordo del letto. < Il resto i noi pensa che sarebbe una nuona idea immettere un po’ di sangue fresco nel gruppo di comando. Più specificatamente, introdurre nuove idee per l’iniziazione e per i nuovi membri. Di solito, questo compito viene affidato al capofazione più giovane per cui sarebbe la combinazione perfetta. Stavamo pensando di attingere alle ultime classi si iniziazione per far partire il programma di addestramento e verificare se qualcuno di voi potrebbe essere un buon candidato. Tu saresti la scelta più naturale. >
D’un tratto mi sento come se la pelle mi stesse stretta. Sta davvero suggerendo che io, a soli sedici anni, potrei essere qualificato per diventare un capofazione degli Intrepidi?
< Il programma di addestramento durerà più o meno un anno > prosegue Max < Sarà rigoroso e metterà alla prova le tue capacità in molti campi. Sappiamo entrambi che non avrai problemi nello scenario della paura. >
Annuisco senza rendermene conto, ma evidentemente la mia spavalderia non lo infastidisce, perché accenna un sorriso.
< Non ‘è bisogno che tu vada alla riunione per l’assegnazione dei lavori,oggi. L’addestramento comincerà molto presto. Domattina, in effetti. >
< Aspetta > lo fermo, mente un pensiero si insinua nel caos che ho in testa < Non ho altra scelta? >
< Certo che ce l’hai > Sembra sconcertato. < Ho solo dato per scontato che una persona come te avrebbe preferito addestrarsi per diventare un capofazione piuttosto che passare tutto il giorno a bighellonare accanto alla recinzione con un fucile in spalla, o a insegnare agli iniziati le tecniche di combattimento. Ma se mi sbagliavo .. >
Non so perché sto esitando. Non voglio passare le mie giornate a sorvegliare la recinzione o a pattugliare la città, e neanche a misurare il pavimento dell apalestra. Sarò anche portato per il corpo a corpo, ma questo non significa che vogli fare quello tutto il giorno, tutti i giorni. La possibilità di incidere sul futuro della fazione solletica la parte Abnegante, quella che ancora inugia nella mia mente, che , di tanto in tanto, reclama la mia attenzione.
Credo che mi infastidisca il fatto di non avere possibilità di scelta. 
Scuoto la testa < No, non ti sbagliavi > mi schiarisco la gola e cerco di mostrarmi più forte, più determinato. < Voglio farlo. Grazie. >
< Ottimo. > Max si alza e si fa scrocchiare una nocca, macchinalmente come per una vecchia abitudine. Sente la mano per salutarmi e glila stringo, anche se questo gesto non mi viene ancora naturale. Gli Abneganti non si toccano mai con tanta noncuranza. < Presentai domani alle oto nella sala conferenze, vicino al mio ufficio. Si trova al decimo piano della Guglia. >
Se ne va, disseminando pezzi di terra secca che si staccano dalle suole delle scarpe. Li raccolgo con la scopa che trovo appoggiata al muro accanto alla porta.risistemo la sedia sotto il tavolo che mi rendo conto che, se diventerò capofazione, dovrò rivedere mio padre. E non una volta ma regolarmente, finchè lui non decidera finalmente di ritirarsi e tornare nell’anonimato degli Abneganti.
Sento le dita perdere sensibilità.
Ho sfrontato mille volte le mie paure nelle simulazioni, ma questo non significa che non pronto a farlo nella vita reale.


                                                                           ***

< Hei, amico, te lo sei perso! > Zeke ha gli occhi spalancati, preoccupati < Gli unici lavori rimasti alla fine erano quelli più disgustosi, tipo pulire i cessi! Ma dov’eri? >
< Va tutto bene > rispondo mentre vado al nostro tavolo vicino alla porta,tra le mani il vassoio.
Shauna è già seduta con sua sorella minore,Lynn, e all’amica di Lynn, Marlene.
Appena le ho viste mi sono voltato per anarmene ( Marlen è toppo allegra per me,perfino quando sono i buon umore ), ma ormai è troppo tardi: Zeke mi aveva già visto. Uriah ci corre dietro per raggiungerci; sul suo piatto c’è più roba di quanto il suo stomaco possa contenere.
< Non mi sono perso niente. È passato Max da me > aggiungo.
Mentre prendiamo posto, sotto una delle lampade azzurre appese al muro, gli racconto della proposta di Max, stando attento a non farla sembrare una cosa troppo importante. Mi sono appena fatto degli amici, non voglio si creino tensioni e gelosie tra noi senza motivo. Quando finisco, Shauna appoggia la testa ad una mano e dice a Zeke: < Mi sa che dovevamo impegnarci di più durante l’iniziazione, eh? >
< Oppure dovevamo ucciderlo prima del test finale. >
< O entrambe le cose. > Lei mi sorride < Congratulazioni, Quattro. Te lo meriti >
Mi sento addosso gli sguardi di tutti, ciascuno come un potente raggio di calore, per cui mi affretto a cambiare argomento. < Dove siete finiti voi? >
< Io al centro di controllo > dice Zeke < Ci lavorava mia mamma e mi ha insegnato tutto quello che c’è da sapere. >
< Io voglio diventare capopattuglia .. più o meno > dice Shauna < Non è il mestiere più eccitante del mondo, ma almeno potrò stare all’aria aperte >
< Si, aspettiamo di sentirlo ripetere nel cuore dell’inverno, quando dovrai arrancare in mezzo metro di neve e ghiaccio > commenta Lynn sarcastica, infilzando con la forchetta il suo purè di patate. < Mi sa che è meglio che mi dia da fare durante l’iniziazione. Non voglio finire a marcire alla recinzione. >
< Non ne abbiamo già parlato? > interviene Uriah < Non usare la parola che inizia con la “ i “ almeno da due settimane prima che cominci. Mi fa venire voglia di vomitare. >
Osservo la montagna di cibo su suo vassoio < E invece rimpinzarti fino a scoppiare, quello va bene? >
Lui alza gli occhi al cielo e riprende a mangiare con la testa china sul piatto. 
Io punzecchio la mia cena: è da stamattina che mi è passato l’appetito… sono troppo preoccupato per domani per riuscire a riempirmi lo stomaco. 
Zeke nota qualcuno dall’altra parte della mensa. «Torno subito.» Shauna lo guarda attraversare la sala per salutare un capannello di giovani Intrepidi. Non sembrano molto più grandi di lui, ma non ricordo di averli visti durante l’iniziazione, perciò devono avere almeno un paio di anni più di noi. Zeke dice qualcosa, e il gruppo, che è composto per lo più di ragazze, scoppia a ridere; lui infila un dito tra le costole di una ragazza, che lancia un urletto. Accanto a me, Shauna li guarda in cagnesco e sbaglia a infilarsi in bocca la forchetta, spalmandosi la salsa del pollo su tutta la guancia. Lynn ridacchia nel suo piatto e Marlene le dà un calcio sotto il tavolo, facendosi sentire da tutti. 
«E così…» dice Marlene, alzando la voce. «Sai se ci sarà qualcun altro a seguire quel corso per capofazione, Quattro?»
 «Ora che ci penso, non ho visto neanche Eric, oggi» riflette Shauna. «Speravo che fosse scivolato giù per lo strapiombo, ma…» 
Mi infilo un boccone tra i denti e cerco di non pensarci. La luce azzurrognola fa sembrare cianotiche le mie mani; mi ricordano quelle di un cadavere. Non ho più parlato con Eric dopo averlo accusato di essere stato indirettamente responsabile della morte di Amar.
 Qualcuno ha raccontato a Jeanine Matthews, la rappresentante degli Eruditi, che Amar era consapevole durante le simulazioni e, in quanto ex Erudito, Eric è la persona di cui è più logico sospettare. Non ho neanche deciso che cosa farò la prossima volta che me lo troverò davanti. Picchiarlo di nuovo non dimostrerebbe che è un traditore della fazione. Devo trovare un modo per collegare i suoi movimenti dell’ultimo periodo agli Eruditi e portare le informazioni a qualche capofazione Intrepido.
 A Max, probabilmente, dal momento che è quello che conosco meglio. Zeke torna al tavolo e si risistema sulla sua sedia. 
«Quattro, che cos’hai da fare domani sera?» 
«Non lo so» rispondo. «Niente?» 
«Non più. Vieni con me a un appuntamento.» 
Il boccone di purè mi va di traverso. «Cosa?» 
«Ehm, odio dovertelo dire, fratellone» s’intromette Uriah «ma agli appuntamenti si usa andare da soli, non con gli amici.» 
«È un appuntamento doppio, ovviamente» risponde Zeke. «Ho chiesto a Maria di uscire e lei mi a pregato di trovare qualcuno per la sua amica Nicole. Le ho detto che tu eri interessato.» 
«Qual è Nicole?» chiede Lynn, allungando il collo per guardare il gruppo di ragazze.
 «Quella con i capelli rossi» risponde Zeke. «Quindi, otto in punto. Tu ci stai, non te lo chiedo neanche.» «Ma io non…» Guardo la ragazza con i capelli rossi dall’altra parte della mensa. Ha la pelle chiara e grandi occhi truccati di nero; indossa una maglietta aderente che mette in mostra la curva dei suoi fianchi e… altre cose che la mia voce interna Abnegante mi dice di non guardare.
 Ma io lo faccio lo stesso.
 Non sono mai uscito per un appuntamento, grazie ai rigidi rituali di corteggiamento della mia vecchia fazione che prevedevano che ci si dedicasse insieme a opere di volontariato e poi forse – forse – si veniva invitati a cena dai genitori di lei, e li si aiutava a sparecchiare dopo aver mangiato. Non ho mai neanche pensato di uscire con qualcuno. 
Era una cosa così irrealizzabile. «Zeke, io non sono mai…» Uriah aggrotta la fronte e mi preme un dito sul braccio, con forza. Io gli allontano la mano con una sberla. « Che c’è? »
 «Oh, niente» esclama lui allegramente. «È solo che sembravi più Rigido del solito, così ho pensato di controllare…» Marlene ride. 
«Sì, certo. Come no.» 
Io e Zeke ci scambiamo un’occhiata. Non gli ho mai chiesto esplicitamente di non rivelare la mia fazione di provenienza, ma a quanto ne so non ne ha mai parlato con nessuno.
 Uriah ne è a conoscenza ma, per quanto sia un gran chiacchierone, sembra anche il tipo che capisce quando deve tenersi per sé un’informazione.
 Eppure, non so come abbia fatto Marlene a non capirlo. Forse non è una grande osservatrice. «Non è niente di che, Quattro» mi rassicura Zeke, masticando l’ultimo boccone della sua cena. «Vai, le parli come se fosse un normale essere umano… cosa che tra l’altro è… e magari lei ti permetterà… uh!… di tenerle la mano. »
 Tutt’a un tratto Shauna si alza, facendo stridere la sedia sul pavimento di pietra.  
Si infila una ciocca di capelli dietro un orecchio e si dirige a testa bassa verso il punto di raccolta dei vassoi Lynn guarda Zeke in cagnesco – non che sia un’espressione molto diversa da quella che ha di solito – si alza anche lei e va a raggiungere sua sorella. 
«Okay, non devi tenere la mano di nessuno» prosegue Zeke, come se non fosse successo niente. «Vieni e basta, ok? Ti devo un favore.» 
Guardo Nicole. È seduta a un tavolo vicino al punto di raccolta dei vassoi e sta ridendo per qualche altra battuta. 
Forse Zeke ha ragione. Forse non è niente di che, e potrebbe essere anche questo un modo per liberarmi del mio passato di Abnegante e familiarizzare con il mio futuro di Intrepido. 
E inoltre… lei è carina.
 «Okay» dico. «Ci vengo. Ma se fai anche solo una battuta sul tenersi per mano, ti spacco il muso.» 

                                                                   
                                                                                ***


La  sera, quando rientro nel mio appartamento, avverto ancora odore di polvere e anche un po’ di muffa. Accendo una lampada, e sul ripiano della cucina intravedo un bagliore. 
Ci passo sopra la mano e una scheggia di vetro mi si infila nel polpastrello, facendolo sanguinare. Prendo la scheggia tra le dita e vado a buttarla nel cestino, dove ho messo un sacchetto nuovo questa mattina. 
Sul fondo trovo alcuni cocci che, a giudicare dalla forma, sembrano provenire da un bicchiere rotto. Io non ho ancora usato nessun bicchiere Un brivido mi attraversa la schiena. Esamino il resto dell’appartamento in cerca di altri segni di intrusione. Le lenzuola non sono sgualcite, non c’è nessun cassetto aperto e nessuna delle sedie sembra essere stata spostata.
 Ma lo saprei se avessi rotto un bicchiere, stamattina. 
E allora chi è entrato nel mio appartamento?
                                                                   


                                                                  * * * 


Non so perché, ma il primo oggetto su cui si posano le mie mani il mattino dopo, quando incespicando raggiungo il bagno, è la macchinetta per tagliare i capelli che ho comprato ieri con i punti-moneta della fazione. 
Sbattendo gli occhi ancora impastati dal sonno, la accendo e me la appoggio sulla testa come ho sempre fatto fin da piccolo. Piego in avanti l’orecchio per proteggerlo dalle lame. So come girarmi e spostarmi per vedere il più possibile dietro la testa. 
Questo rituale mi calma i nervi, mi fa sentire concentrato e stabile.
 Mi spazzolo dalle spalle e dal collo i capelli tagliati, li raccolgo e li butto nel cestino.
 È una mattina da Abnegante. Una doccia veloce, una colazione semplice, la casa in ordine. Solo che ai piedi porto stivali neri e indosso pantaloni, camicia e giubbino neri.
 Uscendo, evito di guardarmi allo specchio. Mi fa rabbia accorgermi di quanto siano profonde le mie radici di Rigido e quanto sarà difficile estirparle dalla mente, ancorate come sono a ogni parte di me.
 A spingermi ad abbandonare gli Abneganti e a entrare negli Intrepidi non sono stati nobili motivi, ma la paura e la voglia di rivalsa; e, proprio per questo, integrarsi sarà più difficile di quanto ci si possa aspettare.
 Raggiungo in fretta il Pozzo, emergendo da un arco che sbuca a metà salita.
 A differenza dei bambini che attraversano di corsa i canali, gridando e ridendo, io cammino rasente al muro: dovrei essere più coraggioso di loro, ma a quanto pare non lo sono.
 Non sono sicuro che il coraggio sia una qualità che si acquisisce con l’età, come la saggezza; ma forse qui, tra gli Intrepidi, è proprio il coraggio la forma più alta di saggezza: arrivare a comprendere che la vita può e dovrebbe essere vissuta senza paure.
 È la prima volta che mi capita di riflettere sulla vita degli Intrepidi, e continuo a rimuginarci sopra per tutto il cammino.
 Raggiungo la  scala che pende dal soffitto di vetro e comincio a salire tenendo lo sguardo puntato in alto, perché guardare il vuoto sotto i miei piedi mi getterebbe nel panico. Nonostante ciò, quando raggiungo l’ultimo gradino, il cuore mi batte a mille e mi sembra di sentirlo in gola. 
Max ha detto che il suo ufficio è al decimo piano, per cui prendo l’ascensore insieme a un gruppo di Intrepidi che si reca al lavoro. Non sembrano conoscersi come succede tra gli Abneganti. Memorizzare nomi e volti, necessità e bisogni, non è abbastanza importante per loro,perciò si limitano a stare con amici e con le loro famiglia, formando comunità miste ma separate all’interno della fazione. Esattamente come sto facendo io. 
Arrivo al decimo piano, ma non so bene dove devo andare. Davanti a me vedo una testa scura svoltare un angolo. 
Eric. 
Lo seguo, un po’ perché probabilmente conosce la strada, e un po’ perché – se non sta andando dove devo andare io – voglio sapere che cosa sta facendo. 
Ma quando anch’io svolto l’angolo, mi trovo davanti alla sala conferenze: al suo interno, vedo Max circondato da giovani Intrepidi. Il più vecchio può avere sì e no vent’anni e il più giovane non dev’essere molto più grande di me. Max mi vede attraverso il vetro e mi fa segno di entrare.
 Eric prende posto accanto a lui – leccapiedi , penso – mentre io mi siedo all’altra estremità del tavolo, tra una ragazza con un piercing nel naso e un tipo con i capelli di una tonalità di verde così brillante che fanno male gli occhi a guardarlo. Mi sento molto banale rispetto a loro… mi sarò anche tatuato le fiamme degli Intrepidi sul fianco durante l’iniziazione, ma non è che si vedano. «Direi che ci siamo tutti, per cui cominciamo.» Max chiude la porta della sala e si mette davanti a noi. 
Mi fa uno strano effetto vederlo in un ambiente così… ordinario, come se fosse qui per spaccare tutti i vetri e portare il caos invece che per dirigere una riunione. 
«Tutti voi siete stati convocati in primo luogo perché avete mostrato del potenziale, ma anche perché avete mostrato entusiasmo per la nostra fazione e interesse per il suo futuro.» Non ho idea di quando io possa aver fatto una cosa del genere. «La nostra città sta cambiando, più velocemente rispetto al passato, e per tenerci al passo dovremo cambiare anche noi. Dobbiamo diventare più forti, più coraggiosi e migliori di quello che siamo. Tra di voi ci sono le persone che possono aiutarci a raggiungere questo obiettivo, ma dobbiamo capire chi sono. Nei prossimi mesi, affronterete un programma che combina momenti di apprendimento e test di abilità, per insegnarvi quello che potrà tornarvi utile se riuscirete a superare il corso, ma anche per verificare la vostra velocità di apprendimento.» 
Questa sembra una qualità che gli Eruditi sarebbero interessati a valutare, non gli Intrepidi. 
Che strano. «La prima cosa che farete sarà compilare questo modulo informativo.» 
Mi viene quasi da ridere. C’è qualcosa di comico nel vedere un duro, incallito guerriero Intrepido tenere in mano una pila di fogli e chiamarli “moduli informativi”; ma è comprensibile che alcune cose debbano essere fatte nel modo tradizionale, perché è il più efficiente. Max fa passare i fogli intorno al tavolo, insieme a un mazzo di penne. 
«Il questionario ci dirà qualcosa in più su di voi e ci darà un punto di partenza sul quale misurare i vostri progressi. Per cui è nel vostro interesse essere sinceri e non cercare di apparire migliori di quello che siete.» Mi sento inquieto mentre fisso il foglio di carta. 
Scrivo il mio nome, è la prima domanda, e quanti anni ho, che è la seconda.
 La terza domanda è sulla mia fazione di provenienza, e la quarta sul numero delle mie paure. 
Alla quinta mi viene chiesto quali siano quelle paure. Non so bene come descriverle. Le prime due sono facili – Altezza, Reclusione – ma poi? Che cosa dovrei scrivere su mio padre? Che ho paura di Marcus Eaton? Alla fine scribacchio Perdere il controllo come terza paura e Minacce fisiche in spazi ristretti come quarta, ben sapendo che è molto lontana dalla verità. 
Le domande successive mi spiazzano. Sono affermazioni, formulate ad arte, su cui devo esprimere accordo o disaccordo. È giusto rubare se è per aiutare un’altra persona. Be’, questa è abbastanza facile: d’accordo.
 Alcune persone meritano di essere premiate più di altre. Forse. Dipende dal premio. 
Il potere dovrebbe essere concesso solo a chi se l’è guadagnato. Le situazioni difficili forgiano il carattere. Finché non si mette alla prova una persona, non si può sapere quant’è forte. Lancio un’occhiata intorno al tavolo per controllare cosa fanno gli altri. Alcuni sembrano perplessi, ma nessuno ha l’aria di sentirsi come me: turbato, quasi timoroso di esprimere un’opinione. Non so cosa fare, per cui cerchio la voce “d’accordo” sotto ciascuna frase e restituisco il foglio insieme agli altri. 


                                                                       * * *


 Zeke e la ragazza dell’appuntamento, Maria, sono in piedi contro il muro di un corridoio adiacente al Pozzo. Da qui riesco a vedere le loro sagome. Sono ancora appiccicati l’uno all’altra come cinque minuti fa, quando si sono allontanati, ridacchiando come idioti per tutto il tragitto. 
Incrocio le braccia e torno a guardare Nicole. «E così…» dico. 
«E così…» ripete lei, dondolandosi avanti e indietro sui piedi. «È un po’ imbarazzante, vero?»
 «Sì» concordo, sollevato. «Un po’.» 
«Da quanto tempo conosci Zeke?» mi chiede. «Non ti ho visto molto in giro.»
 «Solo qualche settimana. Ci siamo conosciuti durante l’iniziazione.»
 «Ah. Eri un trasfazione?»
 «Ehm…» Non voglio ammettere che mi sono trasferito dagli Abneganti, in parte perché ogni volta che lo dico la gente comincia a pensare che sia un perbenista, e in parte perché preferisco non fornire indizi sui miei genitori, se posso evitarlo. 
Decido di mentire. «No, è solo che… me ne stavo molto per i fatti miei, prima.» 
«Ah.» Lei socchiude gli occhi. «Devi essere molto bravo a evitare la gente.» 
«È una delle mie specialità. Tu da quando conosci Maria?» 
«Fin da piccola. Lei è il tipo che quando inciampa cade tra le braccia di un ragazzo. Non tutte abbiamo quel talento.»
 «Già.» Scuoto la testa. «Zeke ha dovuto insistere un po’ per farmi venire.»
 «Oh, davvero?» Nicole inarca un sopracciglio. «E ti ha almeno mostrato qual era la posta in gioco?» Indica se stessa.
 «Ehm, sì… Non ero sicuro che fossi il mio tipo, ma ho pensato che forse…» 
«Non ero il tuo tipo.» Improvvisamente il suo tono è diventato freddo. Cerco di fare marcia indietro.
 «Voglio dire, non penso che sia così importante. Il carattere conta molto di più del…» 
«Del mio aspetto insoddisfacente?» Lei solleva entrambe le sopracciglia. 
«Non volevo dire questo. Io… sono davvero una frana.» 
«Su questo non ci piove.» Afferra la piccola borsa nera che si era appoggiata contro le gambe e se la infila sotto il braccio. «Di’ a Maria che sono dovuta tornare a casa presto.»
 Si allontana dal parapetto e sparisce con passo rigido, lungo un canale. Io sospiro e guardo di nuovo Zeke e Maria. Dai minuscoli movimenti che riesco a cogliere, direi che non danno segni di stanchezza. Tamburello con le dita sopra la ringhiera. 
Ora che il nostro doppio appuntamento è diventato un imbarazzante triangolo, immagino non ci siano problemi se me ne vado.
 Adocchio Shauna mentre esce dalla mensa e la saluto con la mano. «Non doveva essere oggi la tua grande serata con Ezekiel?» mi chiede.
 « Ezekiel » ripeto con una smorfia. «Avevo totalmente dimenticato che è questo il suo vero nome. Sì, la mia ragazza mi ha appena scaricato.»
 «Bel colpo!» esclama, ridendo. «Quanto sei durato, dieci minuti?» 
«Cinque» rispondo e mi metto a ridere anch’io. «A quanto pare sono un insensibile.»
 «No!» dice lei con finta sorpresa. «Tu? Ma se sei così dolce e romantico!» 
«Divertente. Dov’è Lynn?»
 «Ha cominciato a litigare con Hector, nostro fratello minore. Ed è… uff… una vita che li sento battibeccare. Per cui me ne sono andata. Pensavo di andare in palestra ad allenarmi un po’. Ti va di venire?» 
«Sì, andiamo.» Ci incamminiamo e all’improvviso mi rendo conto che dovremo attraversare proprio il corridoio in cui, in questo momento, si trovano Zeke e Maria. Cerco di bloccare Shauna trattenendola con la mano, ma è troppo tardi. Vede i loro corpi pigiati l’uno contro l’altro e strabuzza gli occhi. Si ferma di botto, e io sento rumori di baci che vorrei non aver sentito. 
Poi lei riprende a camminare, così veloce che devo quasi correre per raggiungerla. «Shauna…» «Palestra.»
 Appena la raggiungiamo, lei si scaglia sul sacco da boxe. Non l’ho mai vista picchiare così forte prima d’ora.


                                                                   * * *




 «Anche se può sembrarvi strano, è importante che gli Intrepidi di alto livello sappiano come funzionano alcuni programmi informatici» sta spiegando Max. «Per esempio, quello che gestisce le videocamere di sorveglianza dal centro di controllo, ovviamente. A volte, a un leader può capitare di dover monitorare quello che avviene all’interno della fazione. Poi ci sono i programmi di simulazione, che dovete conoscere per poter valutare gli iniziati. E quello di tracciamento della moneta, che permette di far girare senza intoppi la nostra economia interna. E altri ancora. Alcuni di questi programmi sono piuttosto sofisticati, il che significa che dovrete acquisire velocemente alcune nozioni di informatica, se già non le conoscete. Ed è questo che faremo oggi.»
 Fa un gesto alla donna ferma alla sua sinistra. L’ho già vista quando abbiamo giocato a Sfide. È giovane, con ciocche viola fra i capelli corti e più piercing di quanti ne riesca a contare. 
«Lauren vi insegnerà un po’ di nozioni di base e poi vi sottoporremo a un test» prosegue Max. «Lauren è un’istruttrice degli iniziati, ma nel tempo libero lavora come tecnico informatico nel nostro quartier generale. È una cosa un po’ da Eruditi, ma gliela concediamo perché ci fa comodo.» Le fa l’occhiolino e lei sorride. «Procedi pure» le dice. «Io torno tra un’ora.» 
Max se ne va e Lauren batte le mani. «Bene» esordisce. «Oggi parleremo di come funziona la programmazione. Quelli di voi che hanno già un’infarinatura si sentano liberi di pensare ad altro. Gli altri è meglio che stiano concentrati perché non ho intenzione di ripetermi. Imparare questa roba è come imparare una lingua: non basta memorizzare le parole, bisogna anche comprendere le regole e capire perché funzionano in quel modo.» 
Quando frequentavo i Livelli Superiori facevo il volontario nei laboratori di informatica, sia per assolvere le ore di volontariato imposte dalla mia fazione, sia per stare il più a lungo possibile lontano da casa: in quelle occasioni ho imparato a smontare i computer e poi a riassemblarli, ma di programmazione non so un’acca.
 L’ora successiva passa in un turbinio indistinto di termini tecnici a cui faccio fatica a stare dietro. Cerco di buttare giù qualche appunto su un pezzo di carta che ho raccolto da terra, ma Lauren procede così in fretta che la mano non riesce a tenere il passo con le orecchie; così dopo pochi minuti ci rinuncio e mi sforzo solo di stare attento. Lei mostra gli esempi di quello che spiega su uno schermo in fondo all’aula ed è difficile non farsi distrarre dalla vista che offrono le finestre alle sue spalle.
 Da questa parte della Guglia si vede tutto il profilo della città, le torri del Centro che perforano il cielo, la palude che fa capolino tra gli edifici luccicanti.
 Non sono l’unico che sembra sopraffatto dal fiume di parole: anche gli altri candidati continuano a chinarsi verso i compagni bisbigliando freneticamente, nel tentativo di recuperare definizioni che sono sfuggite alle loro orecchie. Eric, invece, siede tranquillo sulla sua sedia, disegnandosi ghirigori sul dorso della mano con un sorrisetto compiaciuto sulla faccia. 
Riconosco quel ghigno. Ovviamente lui sa già tutta questa roba. 
Deve averla imparata negli Eruditi, probabilmente quando era piccolo, altrimenti non avrebbe quell’aria così strafottente. 
Non mi accorgo del tempo che passa finché Lauren non preme un pulsante per far riavvolgere lo schermo sul soffitto. «Sul desktop del vostro computer troverete un file chiamato “Test di programmazione”. Apritelo. Contiene un test che vi chiederà di esaminare una serie di brevi codici di programmazione e identificare gli errori che provocherebbero un malfunzionamento nel programma. Può trattarsi di errori macroscopici, come l’ordine del codice, o molto piccoli, come una parola o un puntatore messi al posto sbagliato. Per ora non vi è richiesto di correggerli, ma dovete essere in grado di individuarli. C’è un errore in ogni codice. Cominciate.» 
Tutti si mettono a battere freneticamente sui loro schermi. Eric si sporge verso di me e dice: «Ce l’avevate un computer nella vostra casa da Rigidi, Quattro?»
 «No.»
 «Be’, vedi, i file si aprono così» dice lui, battendo sul suo schermo con un gesto ostentato. «Vedi, sembra carta, ma in realtà è solo una figura su un monitor. Tu sai che cos’è un monitor, giusto?» «Falla finita» ringhio mentre apro il test.
 Guardo il primo codice. È come imparare una lingua , ripeto tra me e me.
 Tutto deve cominciare nell’ordine giusto e finire nell’ordine inverso.
 Devi solo controllare che tutto sia al suo posto. Invece di cominciare dall’inizio del codice e procedere verso il basso, mi concentro direttamente sul nucleo centrale, e mi accorgo che quella stringa finisce nel punto sbagliato. Seleziono la riga e premo sul pulsante a forma di freccia: se la risposta è corretta, il programma mi farà passare alla domanda successiva. 
Davanti ai miei occhi si apre una nuova schermata, che mostra un nuovo codice. Sono stupito.
 Devo aver assorbito più di quanto immaginassi. Comincio il nuovo esercizio nello stesso modo, spostandomi dal centro del codice verso l’esterno, confrontando l’inizio del programma con il fondo, prestando attenzione a virgolette, punti e barre inverse. 
Cercare errori in un programma è curiosamente rilassante, è come assicurarsi che il mondo sia ancora in ordine, sapendo che – finché lo sarà – tutto funzionerà senza intoppi. 
Mi estranio completamente dalle persone che mi circondano, mi dimentico della città davanti a noi e di quello che comporta completare questo esame. 
Mi concentro solo su quello che ho di fronte, il garbuglio di lettere sul mio schermo. È Eric il primo a finire, molto prima degli altri, ma cerco di non pensarci. E faccio finta di niente anche quando si piazza alle mie spalle e mi fissa mentre lavoro. Clicco un’ultima volta sul bottone con la freccia e compare un nuovo messaggio: ESAME COMPLETO.
 «Ottimo lavoro» dice Lauren, quando passa a controllare. «Sei stato il terzo a finire.» 
Mi giro verso Eric. «Scusa un attimo. Mi stavi spiegando cos’è un monitor? Certo, ho proprio bisogno che me lo spieghi tu, visto che evidentemente di computer non capisco niente.» Lui mi guarda torvo e io sorrido. 


                                                                   ***


Quando torno al mio appartamento trovo la porta aperta. 
Di un paio di centimetri soltanto, ma io so di averla chiusa prima di uscire. La spingo con la punta del piede ed entro con il cuore in tumulto, aspettandomi di sorprendere un intruso a rovistare tra le mie cose.
 Anche se non ho idea di chi potrebbe essere. Forse uno degli scagnozzi di Jeanine, a caccia di prove che dimostrino che sono diverso come Amar. O forse è Eric, che vuole tendermi un’imboscata. Ma l’appartamento è vuoto e non noto niente di diverso. 
Niente… tranne un pezzetto di carta sul tavolo. 
Mi avvicino lentamente, come se potesse prendere fuoco o dissolversi in una nuvola di fumo. Sul foglio c’è un messaggio scritto in una grafia piccola e inclinata. 
                                       
                                                    Nel giorno che più odiavi. 
                                                   All’ora in cui lei è morta. 
                              Nel posto in cui sei saltato su per la prima volta. 

In un primo momento le parole mi paiono prive di senso e penso che sia uno scherzo, o che qualcuno stia cercando di innervosirmi. 
Se così fosse ha funzionato, perché mi sento le gambe molli. Mi siedo rigidamente su una delle sedie sgangherate, senza spostare gli occhi dal foglio. 
Lo rileggo più volte e il messaggio comincia a prendere forma nella mia mente.
 Nel posto in cui sei saltato su per la prima volta. Deve riferirsi alla banchina da cui sono salito sul treno, subito dopo essermi unito agli Intrepidi.
 All’ora in cui lei è morta. C’è una sola “lei” a cui si può riferire: mia madre. 
È morta nel cuore della notte. Al mio risveglio il suo corpo era già sparito, trascinato via in gran fretta da mio padre e dai suoi amici Abneganti. L’ora della sua morte è stata calcolata intorno alle due del mattino, mi aveva detto lui.
Nel giorno che più odiavi. Questa è la più difficile. Si riferisce a un giorno preciso dell’anno, a un compleanno o ad una ricorrenza?
Non ci sono date del genere in arrivo e non vedo perché uno dovrebbe lasciare un biglietto con largo anticipo. Deve riferirsi a un giorno della settimana, ma quale odiavo di più? È facile: quello delle riunioni del consiglio, perché quelle sere mio padre tornava a casa sempre tardi e di umore nero.
Il mercoledì.
Mercoledì, due di notte, alla banchina vicino al Centro. 
Significa stanotte. E c’è solo una persona al mondo che può conoscere tutte queste informazioni: Marcus.


                                                                        ***

Stringo forte nel pugno il pezzo di carta piegato, ma non lo sento. Ho le dita intorpidite sin dal momento in cui ho ripensato a lui. Mi sono precipitato fuori dall’appartamento con le scarpe ancora slacciate, senza preoccuparmi di chiudere la porta.
Corro per i canali del Pozzo, incurante dell’altezza, e salgo le scale che portano alla Guglia, senza neanche provare la tentazione di guardare giù. Qualche giorno fa Zeke mi ha incidentalmente accennato dove si trova il centro di controllo.
Devo solo sperare che stia ancora lavorando, perché ho bisogno del suo aiuto per accedere alle immagini del corridoio su cui si affaccia il mio appartamento. So dove si trova la videocamera; è nascosta in un angolo dove pensano che nessuno la noti.
Be’, io l’ho fatto. Anche mia madre aveva l’abitudine di notare questo genere di cose.
Quando camminavamo per il quartiere degli Abneganti, solo io e lei, mi indicava le videocamere, nascoste in bolle di vetro o fissate agli angoli dei palazzi. Non faceva mai nessun commento, né sembrava preoccupata, ma sapeva sempre dove si trovavano e, quando passava loro davanti, non tralasciava mai di fissarle, come per dire: Anch’io vi tengo d’occhio.
Così, crescendo, ho preso l’abitudine di guardarmi sempre intorno e di osservare i dettagli del mondo che mi circonda. Prendo l’ascensore fino al quarto piano, poi seguo le indicazioni. Il centro di controllo si trova dietro un angolo, in fondo a un corridoio molto corto.
La porta è spalancata, ed entrando mi trovo davanti una parete di monitor, di fronte ai quali ci sono dei tavoli a cui sono sedute diverse persone. Altri tavoli sono sistemati lungo le pareti e vi sono sedute altre persone, ciascuna di fronte a uno schermo. Le immagini ruotano ogni cinque secondi, mostrando scorci diversi della città: i campi dei Pacifici, le strade intorno al Centro, la residenza degli Intrepidi, persino lo Spietato Generale con il suo enorme salone d’ingresso. In un monitor vedo il quartiere degli Abneganti. Mi riscuoto e mi metto in cerca di Zeke.
Lo trovo seduto a un tavolo alla mia destra: sta scrivendo qualcosa in una finestra di dialogo che occupa la parte sinistra del suo schermo, mentre su quella a destra scorrono immagini del Pozzo. Tutti nella stanza indossano cuffie, immagino per ascoltare le voci provenienti dal settore che stanno monitorando.
«Zeke» lo chiamo a bassa voce.
Qualcuno mi guarda, come per rimproverarmi della mia intrusione, ma nessuno dice niente. «Ehi!» esclama.
«Sono contento che tu sia venuto, mi stavo annoiando a… cosa c’è che non va?» Abbassa lo sguardo dalla mia faccia al mio pugno, in cui stringo ancora il foglietto di carta. Non saprei come spiegarlo, così non ci provo neanche. «Ho bisogno di vedere i filmati del corridoio davanti al mio appartamento» dico. «Delle ultime quattro ore circa. Puoi aiutarmi?»
«Perché?» chiede Zeke. «Che cos’è successo?»
«Qualcuno è entrato nella mia stanza. Voglio sapere chi.» Lui si guarda intorno per controllare che nessuno ci stia osservando né ascoltando. «Senti, non posso fare una cosa del genere. Neanche noi abbiamo il permesso di tornare su spezzoni specifici dei filmati, a meno di aver notato qualcosa di strano. È tutto in rotazione…»
«Mi devi un favore, ricordi? Non te l’avrei mai chiesto se non fosse importante.»
«Sì, lo so.» Si guarda intorno di nuovo, poi chiude la finestra di dialogo che stava usando e ne apre un’altra. Osservo il codice che compone per rintracciare il filmato e mi sorprende scoprire che, dopo un solo giorno di lezione, già ne capisco una parte.
Sul monitor compare l’immagine di uno dei corridoi vicino alla mensa. Lui vi batte sopra un dito e compare un’altra immagine, questa volta dell’interno della mensa; quella successiva è dello studio di un tatuatore, poi compare l’ospedale. Zeke continua a far scorrere immagini di settori diversi della residenza e io le guardo passarmi davanti, mostrandomi frammenti di vita quotidiana degli Intrepidi: gente che gioca con i piercing mentre aspetta in coda per prendere nuovi vestiti, gente in palestra che si allena a fare a pugni. Vedo un’immagine di Max in quello che pare essere il suo ufficio, seduto su una sedia, con una donna di fronte a lui. Una donna con i capelli biondi raccolti sulla nuca in una stretta crocchia. Metto una mano sulla spalla di Zeke.
«Fermo.» A un tratto il pezzo di carta nel mio pugno non mi sembra più tanto urgente. «Torna indietro.» Lui mi accontenta e ho la conferma di quel che sospettavo: c’è Jeanine Matthews nell’ufficio di Max, con i vestiti perfettamente stirati, la schiena diritta, e un raccoglitore sulle gambe.
Tolgo le cuffie dalla testa di Zeke e me le metto. Lui mi guarda contrariato ma non mi ferma. Le voci di Max e Jeanine sono basse, ma riesco ugualmente a sentirle.
«Li ho ridotti a sei» sta dicendo Max. «Direi che è piuttosto buono per… cosa? Il secondo giorno?»
«È una perdita di tempo» risponde Jeanine. «Abbiamo già il candidato. Me ne sono occupata io. È sempre stato questo il piano.»
«Non mi hai mai chiesto che cosa pensassi del piano, e questa è la mia fazione» risponde Max bruscamente. «Lui non mi piace e non voglio passare le mie giornate a lavorare con una persona che non sopporto. Per cui mi devi almeno lasciar provare a cercare qualcun altro che risponda a tutti i requisiti…»
«Va bene.» Jeanine si alza, stringendosi al petto il raccoglitore. «Ma quando il tuo tentativo fallirà, mi aspetto che tu lo riconosca. Mi spazientisce l’orgoglio degli Intrepidi.»
«Già, perché gli Eruditi sono il ritratto dell’umiltà» ribatte Max acidamente.
«Ehi» sussurra Zeke. «Il mio supervisore sta guardando da questa parte. Ridammi le cuffie.» Me le strappa dalla testa, e gli auricolari mi si impigliano nelle orecchie, facendomi male. «Devi uscire di qui o perderò il lavoro» insiste.
Sembra serio e preoccupato. Non faccio obiezioni anche se non ho scoperto quello che volevo sapere… ma è stata colpa mia se mi sono lasciato distrarre. Esco furtivamente dal centro di controllo, la mente che rincorre pensieri concitati: una parte di me è ancora terrorizzata al pensiero che mio padre sia entrato nel mio appartamento, e che voglia incontrarmi nel cuore della notte in una strada deserta; l’altra parte è sconcertata da quello che ho appena sentito.
Abbiamo già il candidato. Me ne sono occupata io. Stavano sicuramente parlando del candidato per il nuovo posto di capofazione.
Ma perché Jeanine Matthews si interessa di chi sarà nominato nuovo capofazione degli Intrepidi? Ripercorro tutta la strada fino al mio appartamento senza neanche accorgermene, mi siedo sul bordo del letto e fisso la parete davanti a me.
Continuo a seguire ragionamenti separati ma ugualmente frenetici. Perché Marcus vuole incontrarmi? Perché gli Eruditi si immischiano così nelle politiche degli Intrepidi?
Marcus vorrà farmi fuori senza testimoni, o vuole avvertirmi di qualcosa, o minacciarmi…? Chi era il candidato di cui stavano parlando?
Mi premo le mani sulla fronte e cerco di calmarmi, anche se ognuna di queste domande è come una fitta dietro la testa. Non posso fare niente riguardo a Max e Jeanine, ora.
Quello che devo decidere è se ho intenzione di andare all’appuntamento di stanotte. Nel giorno che più odiavi. Non sapevo neanche se ne fosse accorto, non pensavo che facesse caso a cose del genere. Sembrava considerarmi solo una seccatura, un motivo di irritazione.
Eppure, poche settimane fa, ho scoperto che ha tentato di aiutarmi. Forse, nonostante tutte le cose orribili che mi ha fatto e detto, una parte di lui si riconosce come mio padre.
Dev’essere stata quella parte a invitarmi a questo appuntamento, e lui sta cercando di farmelo capire dimostrandomi che mi ha osservato, che sa che cosa odio, che cosa amo, di che cosa ho paura. Non so bene perché questo pensiero mi infonde speranza, dopo tanti anni passati a detestarlo. Forse, proprio come c’è una parte di lui che si riconosce come mio padre, c’è anche una parte di me che si riconosce come suo figlio.

                                                                                       * * *

All’una e mezza di notte, quando esco dalla residenza degli Intrepidi, dall’asfalto sale ancora il calore del sole. Lo sento sulle mani.
La luna è coperta dalle nuvole, per cui le strade sono più buie del solito, ma io non ho paura né del buio né delle strade, non più. Prendere a pugni un branco di iniziati Intrepidi ti insegna anche questo. Inspiro l’odore dell’asfalto caldo e mi lancio in una corsa lenta, nelleorecchie il rumore cadenzato delle mie scarpe sul terreno. Le vie che circondano il quartiere degli Intrepidi sono vuote; i membri della mia fazione vivono tutti ammucchiati, come un branco di cani addormentati.
È per questo, ora mi rendo conto, che Max sembrava così infastidito al pensiero che vivessi da solo. Se sono davvero un Intrepido, non dovrei desiderare di condividere la mia vita con quella degli altri? Non dovrei cercare di amalgamarmi con la mia fazione, fino a non potermene più districare? Penso a questo mentre corro.
Forse ha ragione, e non sto facendo abbastanza per integrarmi… non mi sto sforzando.
Mi stabilizzo su un ritmo di corsa regolare, tenendo d’occhio le targhe con i nomi delle vie che percorro, per controllare dove sto andando. Riconosco gli edifici occupati dagli Esclusi perché vedo le loro ombre muoversi dietro le finestre annerite e sbarrate con assi di legno.
Mi sposto sotto i binari del treno: la griglia di legno prosegue dritta per un lungo tratto, poi curva allontanandosi dalla strada. Il Centro appare sempre più grande man mano che mi avvicino. Mi batte forte il cuore, ma non credo sia per la corsa. Raggiungo la banchina dell’appuntamento e mi fermo bruscamente ai piedi delle scale.
Mentre riprendo fiato, ripenso a quando ho salito questi gradini per la prima volta, tutto intorno a me un mare di Intrepidi che mi spingevano avanti tra gli schiamazzi. È stato facile lasciarsi trasportare dal loro slancio, allora. Adesso devo sospingermi da solo. Comincio a salire, il metallo che rimbomba sotto i miei passi, e quando sono in cima controllo l’orologio.
Due in punto. Ma la banchina è deserta. La percorro avanti e indietro, per assicurarmi che non ci siano figure sospette nascoste negli angoli bui. Un treno ruggisce in lontananza e mi volto per cercare nell’oscurità la luce del fanale.
Non sapevo che i treni circolassero anche a quest’ora; in teoria, dopo mezzanotte, non dovrebbe esserci corrente elettrica in nessuna parte della città, per risparmiare energia. Mi chiedo se Marcus abbia chiesto un favore speciale agli Esclusi. Ma perché dovrebbe viaggiare in treno?
Il Marcus Eaton che conosco non si azzarderebbe mai a fare una cosa così da Intrepidi. Piuttosto, preferirebbe farsi la strada a piedi e senza scarpe. Il fanale lampeggia una volta e il treno raggiunge la banchina dondolando. Palpita e sussulta, rallenta ma non si ferma, e vedo una persona saltare giù dalla penultima carrozza, snella e agile.
Non è Marcus, è una donna. Stringo il foglio ancora più stretto nel pugno, sempre più stretto, finché mi fanno male le nocche. La donna viene verso di me e, quando è a pochi passi di distanza, riesco a distinguerne i lineamenti. Capelli lunghi e ricci. Un naso prominente e adunco. Pantaloni neri da Intrepida, camicia grigia da Abnegante, stivali marroni da Pacifica.
Ha il viso asciutto e coperto di rughe, stanco… ma la riconosco, non ho mai dimenticato il suo volto: è mia madre, Evelyn Eaton.
«Tobias» dice in un sussurro, con gli occhi spalancati, come se fosse sorpresa di vedermi quanto lo sono io di trovarla lì. Ma è impossibile!
Lei sapeva che ero vivo, mentre io ricordo ancora l’urna con le sue ceneri sulla mensola del camino,segnata dalle impronte digitali di mio padre. Ricordo il giorno in cui mi sono svegliato e ho trovato in cucina un gruppo di Abneganti con i volti tetri.
Ricordo come tutti hanno alzato lo sguardo al mio ingresso e il modo in cui Marcus mi ha spiegato, con una compassione che sapevo non provava, che mia madre era spirata nel mezzo della notte, a causa di complicazioni dovute a un travaglio prematuro e un aborto spontaneo.
Era incinta? , ricordo di aver chiesto. Certo che lo era, figliolo, mi ha risposto per poi voltarsi verso gli altri. Colpa dello shock, ovviamente. Inevitabile, di fronte a una cosa del genere.
Ricordo di essere rimasto seduto con in mano un piatto pieno di cibo, in salotto, e tutti quegli Abneganti che sussurravano intorno a me, l’intero vicinato che riempiva la mia casa fino a farla scoppiare, e nessuno che diceva niente che mi importasse.
«Lo so che questo dev’essere… traumatico per te» mi dice. Riconosco a fatica la sua voce. È più bassa, più forte e dura di quella che ricordo, ed è così che mi rendo conto che gli anni l’hanno cambiata. Sento troppe emozioni dentro di me per riuscire a gestirle, e sono troppo violente per riuscire a controllarle.
E poi, a un tratto, non sento più niente. «Tu dovresti essere morta» mormoro in tono piatto.
È una cosa stupida da dire, soprattutto a una donna che è appena tornata dal mondo dei morti… ma tutta questa situazione è stupida
. «Lo so.» Mi sembra di vedere delle lacrime nei suoi occhi, ma è troppo buio per affermarlo con certezza. «Non lo sono.»
«Evidentemente.» La voce che mi esce dalla bocca è sprezzante, indifferente. «Eri davvero incinta, almeno?»
«Incinta? È questo che ti hanno detto? Che sono morta durante un parto?» Scuote la testa. «No, non lo ero. Erano mesi che programmavo la fuga. Avevo bisogno di sparire. Ho pensato che avrei potuto spiegartelo, una volta che fossi cresciuto.»
Sbotto in una breve risata, una specie di latrato. «Non dirmi che hai davvero creduto che Marcus Eaton avrebbe ammesso di essere stato abbandonato dalla sua stessa moglie. E proprio con me, poi?»
«Sei suo figlio» dice Evelyn, accigliandosi. «Lui ti vuole bene.»
A queste parole sento tutta la tensione delle ultime ore, delle ultime settimane, degli ultimi anni montare dentro di me, finché è troppo alta per riuscire a contenerla, e scoppio davvero a ridere. Quello che esce, però, è un suono strano, meccanico.
Mi spaventa anche se a farlo sono io. «Hai tutti i diritti di essere arrabbiato per essere stato ingannato» continua. «Lo sarei anch’io. Ma, Tobias, io dovevo andarmene, e so che tu capisci il perché…»
Allunga un braccio per toccarmi, ma io le afferro il polso e la spingo via. «Non mi toccare.»
«Ok, ok.» Alza le mani e indietreggia. «Ma tu capisci… tu devi capire.»
«Quello che capisco è che mi hai lasciato da solo insieme a un pazzo sadico.» È come se qualcosa dentro di lei crollasse. Lascia cadere le braccia lungo i fianchi, come due pesi morti, si incassa nelle spalle e persino l’espressione sul suo volto si allenta, quando mette a fuocoquello che vogliono dire le mie parole… l’unica cosa che possono voler dire. Io incrocio le braccia e raddrizzo la schiena, cercando di sembrare più imponente, forte e duro.
Mi riesce meglio ora, nel nero degli Intrepidi, di quando vestivo il grigio degli Abneganti, e forse è per questo che ho scelto di rifugiarmi in questa fazione. Non per rivalsa e nemmeno per ferire Marcus, ma perché sapevo che questa vita mi avrebbe insegnato a essere più forte. «Io…» fa per dire lei.
«Smettila di farmi perdere tempo. Per quale motivo mi hai fatto venire qui?» Butto a terra il biglietto accartocciato, davanti ai suoi piedi, e la guardo con espressione interrogativa. «Sei morta da sette anni, e prima d’ora non avevi mai pensato di fare un’apparizione così teatrale. Che cos’è cambiato?»
Lei rimane in silenzio per un un po’, poi si ricompone e dice: «A noi – noi Esclusi – piace tenere d’occhio quel che succede in città. Eventi come la Cerimonia della Scelta, per esempio. Il nostro informatore mi ha riferito della tua scelta… mi sarebbe piaciuto assistere io stessa alla Cerimonia, ma non volevo rischiare di incontrare lui . Sono diventata una specie di… capo degli Esclusi, ed è importante che non mi esponga». Sento un sapore acido invadermi la bocca.
«Ma bene bene. Che genitori importanti ho! Sono davvero molto fortunato.»
«Questo non è da te» mi rimbrotta. «C’è almeno una parte di te che è felice di rivedermi?»
«Felice di rivederti? Mi ricordo a malapena di te, Evelyn. È quasi più il tempo che ho passato senza di te che quello con te.» Il suo viso si contorce in una smorfia. L’ho ferita. Ottimo, sono contento.
«Quando hai scelto gli Intrepidi» riprende a dire lentamente «ho capito che era venuto il momento di cercarti. È da allora che ho in mente di contattarti, da quando hai compiuto la Scelta e sei andato a vivere da solo. Volevo proporti di unirti a noi.»
«Unirmi a voi. Diventare un Escluso? E perché dovrei fare una cosa del genere?»
«La nostra città sta cambiando, Tobias.» È la stessa cosa che ha detto Max, ieri. «Gli Esclusi si stanno coalizzando e lo stesso vale per Intrepidi ed Eruditi. In un futuro non troppo lontano, tutti dovranno scegliere da che parte stare, e io so da quale parte vorresti stare tu. Penso che potresti davvero fare la differenza, se ti unissi a noi.»
« Tu sai da che parte vorrei stare io. Ma davvero! Non sono un traditore della mia fazione. Ho scelto gli Intrepidi ed è a loro che appartengo.»
«Non sei uno di quegli incoscientiesagitati senza cervello» scatta lei. «Proprio come non sei mai stato un automa rigido e represso. Puoi essere migliore di così, migliore di come ti vorrebbe qualunque fazione.»
«Non hai idea di chi sia o di chi potrei essere. Mi sono classificato primo alla fine dell’iniziazione. Vogliono farmi capofazione.»
«Non essere ingenuo!» esclama, stringendo gli occhi. «Loro non vogliono un nuovo capofazione, ma una pedina da poter manovrare. Ecco perché Jeanine Matthews frequenta il quartier generale degli Intrepidi. Ecco perché continua a piazzare i suoi tirapiedi fra le vostre fila, in modo da avere delle talpe che la tengano aggiornata sui vostri comportamenti. Non hai notato che sembra sapere cose di cui non dovrebbe essere al corrente, e che gli Intrepidi continuano a modificare l’addestramento degli iniziati per testare nuovi metodi? Come se gli Intrepidi fossero tipi disposti a cambiare una cosa del genere, di loro iniziativa!» Amar ci ha detto che, fino a poco tempo fa, lo scenario della paura non faceva parte del primo modulo dell’iniziazione, e che è stato introdotto come fase sperimentale.
Ma Evelyn ha ragione: gli Intrepidi non fanno esperimenti. Se si preoccupassero davvero di essere più pratici ed efficienti, non perderebbero tempo a insegnarci a lanciare i coltelli.
E poi c’è Amar, che è stato trovato morto. Non sono stato io ad accusare Eric di essere un informatore? Non sono stato io a sospettare per settimane che fosse ancora in contatto con gli Eruditi? «Anche se avessi ragione» dico, facendo un passo verso di lei, la mia rabbia ormai sgonfiata, «anche se avessi ragione sugli Intrepidi, non mi unirei mai a voi.» E, cercando di tenere ferma la voce, aggiungo: «Non voglio rivederti mai più».
«Non ti credo» risponde lei piano.
«Non me ne frega niente di quello che credi.» Le passo accanto per tornare alle scale da cui sono salito. Lei mi richiama. «Se cambi idea, sappi che – se vorrai contattarmi – puoi consegnare un messaggio a uno qualunque degli Esclusi, e io lo riceverò.» Non mi volto. Scendo le scale di volata e mi metto a correre. Non so neanche se sto andando nella direzione giusta… so solo che voglio allontanarmi il più possibile da lei.

                                                                       * * *

Non riesco a dormire. In preda all’agitazione, cammino su e giù per il mio appartamento. Tiro fuori dai cassetti i resti della mia vita da Abnegante e butto tutto in pattumiera: la maglietta, i pantaloni, le scarpe, le calze, persino l’orologio.
A un certo punto, quasi all’alba, scaglio il rasoio elettrico contro la parete della doccia, mandandolo in mille pezzi. Il sole è sorto da un’ora quando vado allo studio dei tatuaggi.
Tori è già lì. In realtà, “lì” è una parola grossa, perché ha gli occhi assenti e gonfi di sonno e ha appena cominciato a bere il caffè.
«C’è qualcosa che non va?» mi chiede. «Non dovrei essere qui in questo momento. Devo andare a correre con quel fissato di Bud.»
«Spero che farai un’eccezione.»
«Non mi capita spesso di ricevere un cliente così impaziente di farsi bucherellare.»
«C’è sempre una prima volta.»
«Okay.» Lei si raddrizza sulla sedia, completamente sveglia. «Hai qualcosa in mente?»
«Qualche settimana fa, quando siamo passati dal tuo appartamento, ho visto un disegno con tutti i simboli delle fazioni. Ce l’hai ancora?» Lei si irrigidisce.
«Non avresti dovuto vederlo, quello.» So perché non avrei dovuto, il motivo per cui non espone in pubblico quel bozzetto. Perché suggerisce una propensione verso le altre fazioni, invece di affermare la supremazia degli Intrepidi, come tutti i suoi tatuaggi dovrebbero fare. Non ne conosco il motivo, ma se persino i veterani della fazione fanno di tutto pur di non darel’impressione di non essere abbastanza Intrepidi, c’è da chiedersi quale genere di minacce viene sbandierato sotto il loro naso. Ed è esattamente questa la ragione per cui mi trovo qui.
«È un po’ questo il punto» dico. «Voglio quel tatuaggio.»
Ci ho pensato tornando a casa, mentre rimuginavo su quello che mi ha detto mia madre.
Puoi essere migliore di così, migliore di come ti vorrebbe qualunque fazione. Lei pensa che per essere migliore dovrei abbandonare questo posto e le persone che mi hanno accolto come parte della loro comunità; che dovrei perdonarla e lasciarmi fagocitare dalle sue convinzioni e dal suo stile di vita.
Ma non è necessario che me ne vada e non devo fare niente che non voglio fare. Posso essere migliore proprio qui negli Intrepidi. Forse lo sono già, ed è ora di dimostrarlo.
Tori si guarda in giro e i suoi occhi guizzano verso la videocamera nell’angolo, quella che ho notato entrando. Anche lei è una che le nota.
«Era solo uno stupido bozzetto» dice ad alta voce. «Su, sei evidentemente scosso. Possiamo parlarne e trovare qualcosa di meglio per te.» Mi fa segno di passare sul retro.
Attraversiamo il magazzino e ci ritroviamo nel suo appartamento. Superiamo la sgangherata cucina ed entriamo nel soggiorno… i disegni sono ancora sparsi sul tavolino da caffè.
Lei fa scorrere i fogli finché non trova un disegno uguale a quello di cui le ho parlato: le fiamme degli Intrepidi sopra le mani degli Abneganti, le radici dell’albero dei Pacifici che si allungano sotto l’occhio degli Eruditi, in equilibrio sulla bilancia dei Candidi.
Tutti i simboli delle fazioni allineati uno sopra l’altro.
Lei lo solleva e io annuisco. «Questo non posso fartelo sotto gli occhi di tutti» dice. «Ti trasformerebbe in un bersaglio ambulante. Un sospetto traditore della fazione.»
«Lo voglio sulla schiena, lungo la colonna vertebrale.» Le ferite che mio padre mi ha inferto l’ultimo giorno che abbiamo passato insieme ormai sono guarite, ma voglio ricordare dov’erano: voglio ricordarmi per il resto della vita da cosa sono scappato.
«Tu non fai mai le cose a metà, eh?» Tori sospira. «Ci vorrà molto tempo. Diverse sessioni. Dovremo farlo qui, fuori orario, perché non ho intenzione di farci beccare da quelle videocamere, anche se loro raramente si preoccupano di guardare qui dentro.»
«Va bene.»
«Sai, chi si fa fare un tatuaggio del genere probabilmente farebbe meglio a non sbandierarlo ai quattro venti.» Tori mi guarda con la coda dell’occhio. «O potrebbe essere scambiato per un Divergente.»
«Un Divergente?»  
«E' così che chiamiamo chi è consapevole durante le simulazioni e si rifiuta di essere inquadrato» mi spiega. «Non è una parola che si pronuncia a cuor leggero, perché chi è anche solo sospettato di esserlo spesso muore in circostanze misteriose.»
Sta facendo uno schizzo del tatuaggio che ho scelto su un foglio di carta carbone, un gomito distrattamente appoggiato sul ginocchio. I nostri sguardi si incontrano e allora capisco: Amar.
Lui era consapevole durante le simulazioni, e ora è morto.
Amar era un Divergente.
E lo sono anch’io. «Grazie per la lezione di lessico» dico.
«Di niente.» E torna al suo disegno. «Mi sta venendo il sospetto che ci provi gusto a farti strapazzare.» «E allora?»
«Niente, è solo che è una caratteristica molto da Intrepido per uno che ha ottenuto come risultato Abnegante» dice, storcendo la bocca per un breve istante. «Cominciamo. Lascio un biglietto per Bud. Può andare a correre da solo, per una volta.»

                                                                           * * *

Forse Tori ha ragione, e mi piace “farmi strapazzare”.
Forse possiedo un lato masochista che usa il dolore per combattere il dolore. Il leggero bruciore che mi accompagna per tutto il giorno successivo mi aiuta sicuramente a concentrarmi su quello che sto facendo, invece che sulla voce bassa e fredda di mia madre e sul modo in cui l’ho respinta quando ha cercato di confortarmi.
Per anni, dopo la sua morte, ho sognato di vederla materializzarsi in piena notte nella mia camera, e passarmi una mano tra i capelli, mormorando parole confortanti ma senza senso, come: «Andrà tutto bene» o «Un giorno andrà meglio».
Poi, a un certo punto, ho deciso di smettere di sognare, perché era più doloroso alimentare un desiderio che non avrei mai potuto soddisfare che affrontare qualunque cosa mi riservasse il futuro. Persino ora non voglio neanche immaginare che effetto farebbe riconciliarmi con lei… che effetto farebbe avere una madre. Sono troppo grande per dare retta ad altre assurdità.
O per credere che tutto andrà bene. Controllo l’angolo della benda che fa capolino da sotto il colletto, per assicurarmi che sia a posto.
Questa mattina Tori mi ha disegnato il profilo dei primi due simboli, Intrepidi e Abneganti.
Saranno più grandi degli altri, perché rappresentano la fazione che ho scelto e quella per cui ho realmente una predisposizione.
O almeno, per cui credo di averla… è difficile esserne sicuri. Lei mi ha raccomandato di tenerli coperti. La fiamma degli Intrepidi è l’unico simbolo visibile quando ho addosso la camicia, e siccome non ho molte occasioni di togliermela in pubblico, credo che non avrò problemi.
Tutti gli altri sono già nella sala conferenze. Max sta parlando. Mentre entro e prendo posto, mi sento pervadere da uno strano – e pericoloso – sfinimento.
Evelyn aveva torto su alcune cose, ma non sugli Intrepidi: Jeanine e Max non vogliono un capofazione. Vogliono una pedina. Ed è per questo che la stanno scegliendo tra i più giovani, perché sono più facili da forgiare e da plasmare. Io non mi lascerò forgiare e plasmare da Jeanine Matthews.
Non sarò una pedina nelle loro mani, né in quelle di mia madre o di mio padre. Io non appartengo a nessuno se non a me stesso.
«Gentile da parte tua unirti a noi» mi accoglie Max. «La nostra riunione ha interrotto il tuo riposo?» Gli altri ridacchiano e lui riprende il discorso. «Come dicevo, oggi vorrei sentire le vostre opinioni su come migliorare gli Intrepidi; come immaginate la nostra fazione negli anni a venire. Vi incontrerò a gruppi, in base all’età, cominciando dai più grandi. Glialtri pensino a qualcosa di valido da dire.»
Se ne va con i tre candidati più grandi. Eric è seduto davanti a me, e noto che ha ancora più metallo in faccia dell’ultima volta che l’ho visto.
Ora ha degli anelli anche nelle sopracciglia. Presto sembrerà più un puntaspilli che un essere umano. Forse è questo lo scopo, la strategia. Nessuno, guardandolo adesso, potrebbe scambiarlo per un Erudito.
«Gli occhi mi ingannano o sei arrivato in ritardo perché ti stavi facendo un tatuaggio?» dice, indicando l’angolo della benda che spunta da sopra la spalla. «
Ho perso la cognizione del tempo. Pare che la tua faccia attiri parecchio il metallo, ultimamente. Forse dovresti farti controllare.»
«Divertente. Non pensavo che uno con le tue origini potesse sviluppare il senso dell’umorismo. Tuo padre non sembra il tipo da permetterlo.» La paura mi invade.
È terribilmente vicino a pronunciare il mio nome in mezzo a una sala piena di gente, e vuole che io lo sappia, che mi ricordi che sa chi sono e che può usare questa informazione contro di me in qualunque momento.
Non posso fare finta di niente. Il rapporto di forze si è rovesciato e non ho modo di ristabilirlo.
«Credo di sapere chi te l’ha detto» rispondo. Jeanine Matthews conosce sia il mio nome che il mio pseudonimo.
Dev’essere stata lei a dirglieli entrambi. «Ne ero già abbastanza sicuro» ribatte, abbassando la voce. «Ma sì, i miei sospetti sono stati confermati da una fonte attendibile. Non sei bravo come credi a tenere i segreti, Quattro.» Vorrei minacciarlo, dirgli che se spiffera il mio nome io rivelerò che è ancora in contatto con gli Eruditi.
Ma non ho nessuna prova, e comunque agli Intrepidi gli Abneganti piacciono ancora meno degli Eruditi. Perciò me ne torno al mio posto e mi siedo ad aspettare. Gli altri escono, man mano che vengono chiamati, e presto rimaniamo solo noi due. Max si ferma sulla porta e ci fa cenno, senza dire una parola. Noi lo seguiamo nel suo ufficio.
Lo riconosco: è lo stesso del filmato di ieri, quello in cui ha incontrato Jeanine Matthews. Mi concentro sul ricordo di quella conversazione per prepararmi a ciò che mi attende.
«E così…» Max intreccia le mani sopra il tavolo. Ancora una volta mi stupisce vederlo in un ambiente così pulito e formale.
Lui sta bene in palestra, a prendere a pugni il sacco, o vicino al Pozzo, appoggiato alla ringhiera, non seduto dietro a una bassa scrivania di legno, circondato da scartoffie. Guardo il quartiere degli Intrepidi fuori dalle finestre e individuonon molto lontano da qui, il cornicione da cui sono saltato il giorno in cui ho scelto questa fazione, e il tetto su cui mi trovavo un attimo prima di spiccare il volo.
Ho scelto gli Intrepidi , ho detto ieri a mia madre. Ed è a loro che appartengo. È proprio vero?
«Eric, cominciamo da te» dice Max. «Hai qualche idea su che cosa potrebbe aiutare gli Intrepidi a progredire?»
«Sì.» Eric si raddrizza sulla sedia. «Penso che si dovrebbe introdurre qualche cambiamento, a cominciare dall’iniziazione.»
«Che tipo di cambiamenti?»
«Per gli Intrepidi è sempre stato importante lo spirito di competizione. L’antagonismo ci stimola, ci aiuta a tirare fuori le parti migliori e più forti di noi. L’iniziazione dovrebbe promuovere questo spirito di competizione più di quanto non faccia ora, in modo da formare iniziati migliori. In questo momento gli iniziati competono solo contro il sistema, sforzandosi di ottenere il punteggio che consenta loro di avere un buon posto di lavoro. Credo che dovrebbero gareggiare l’uno contro l’altro per conquistarsi i pochi posti disponibili.» Non riesco a farne a meno, mi volto e lo fisso. Un numero limitato di posti? In una fazione? Dopo solo due settimane di iniziazione?
«E se non ci riescono?»
«Diventano Esclusi» dice Eric. Soffoco una risata beffarda. Eric continua: «Se crediamo che la nostra fazione sia davvero superiore alle altre e che i nostri obiettivi siano i più importanti, allora diventare uno di noi dovrebbe essere un onore e un privilegio, non un diritto».
«Stai scherzando?» intervengo, incapace di trattenermi oltre. «La gente sceglie una fazione perché ne condivide i principi, non perché è già competente nelle discipline che vi vengono insegnate. Tu sbatteresti la gente fuori dagli Intrepidi solo perché non è capace di saltare su un treno o di vincere un combattimento. Favoriresti le persone grosse, forti e spericolate rispetto a quelle minute, intelligenti e coraggiose. Non miglioreresti affatto gli Intrepidi.»
«Sono sicuro che le persone minute e intelligenti starebbero meglio negli Eruditi, o tra i piccoli Rigidi vestiti di grigio» dice Eric con un sorriso ironico. «E non penso che tu stia dando abbastanza credito ai nostri potenziali nuovi membri, Quattro. Questo sistema si limiterebbe a favorire i più determinati.» Lancio un’occhiata a Max. Mi aspetto di trovarlo freddo rispetto alla proposta di Eric, ma non lo è. È chino in avanti, tutto concentrato sulla faccia piena di piercing di Eric, come se vi avesse trovato ispirazione. «Dibattito interessante» commenta. «Quattro, tu come miglioreresti gli Intrepidi, senza rendere più competitiva l’iniziazione?»
Scuoto la testa e guardo di nuovo fuori dalla finestra. Non sei uno di quegli incoscienti esagitati senza cervello , mi ha detto mia madre. Eppure sono proprio queste le persone che Eric vuole negli Intrepidi: incoscienti, senza cervello ed esagitati
. E visto che Eric è il tirapiedi di Jeanine, mi domando perché lei lo abbia spinto a proporre un piano del genere… Ah! Perché gli incoscienti esagitati senza cervello sono più facili dacontrollare, più facili da manipolare. Ovviamente.
«Migliorerei gli Intrepidi favorendo il vero coraggio invece della stupidità e della brutalità» dico. «Eliminiamo il lancio dei coltelli. Prepariamo la gente fisicamente e mentalmente a difendere i deboli contro i forti. È questo che proclama il nostro manifesto: atti di coraggio ordinario. Penso che dovremmo tornare alle origini.»
«E poi possiamo prenderci per mano e cantare una canzone tutti insieme, giusto?» Eric alza gli occhi al soffitto. «Tu vuoi trasformare gli Intrepidi in Pacifici.»
«No. Voglio essere sicuro che siamo in grado di ragionare con le nostre teste, di pensare a qualcosa di più impegnativo della prossima scarica di adrenalina. O semplicemente di pensare, punto. In questo modo nessuno potrebbe assumere il controllo della nostra fazione… né manovrarci dall’esterno.»
«A me sembra un discorso da Eruditi» osserva Eric.
«Saper pensare non è una loro esclusiva» rispondo seccato. «Sviluppare la capacità di tirarsi fuori dalle situazioni difficili usando il cervello è lo scopo delle simulazioni.»
«Va bene, va bene» interviene Max, sollevando le mani. Sembra turbato. «Quattro, mi spiace dirlo ma sembri un po’ paranoico. Chi dovrebbe prendere il controllo della nostra fazione, o cercare di manovrarci? Le fazioni convivono pacificamente da prima che tu nascessi, non c’è motivo per cui questo debba cambiare.»
Apro la bocca per dirgli che si sbaglia, che nell’istante stesso in cui ha lasciato che Jeanine Matthews si intromettesse nelle faccende della nostra fazione, permettendole di piazzare trasfazione fedeli agli Eruditi nel nostro programma di iniziazione, nell’istante in cui ha cominciato a consultarsi con lei su chi nominare come nuovo capofazione, ha compromesso il sistema di equilibri e di reciproca vigilanza che ci ha permesso di coesistere pacificamente per così tanto tempo.
Ma poi mi rendo conto che dirgli tutto questo significherebbe accusarlo di tradimento, e svelare quello che so. Max mi guarda e gli leggo la delusione sul viso. So di piacergli, o per lo meno so di piacergli più di quanto gli piaccia Eric.
Ma mia madre ha ragione: Max non vuole una persona come me, in grado di riflettere con la propria testa, di perseguire un proprio progetto. Vuole uno come Eric, che lo aiuterà a realizzare il nuovo programma degli Intrepidi e che sarà facile da manovrare per il semplice fatto che è controllato da Jeanine Matthews, con cui Max ha una forte intesa.
Mia madre mi ha presentato due opzioni: essere una pedina degli Intrepidi o diventare un Escluso.
Ma c’è una terza possibilità: non essere nessuna delle due cose. Non allearmi con nessuno in particolare.
Vivere libero, nascondendo le mie opinioni. È questo che voglio davvero: liberarmi di tutti quelli che vogliono plasmarmi e modellarmi, uno alla volta, e imparare a modellarmi e plasmarmi da solo.
«A essere sincero, non penso che questo sia il posto giusto per me» dico, perfettamente calmo. «Quando mi hai chiesto cosa avrei voluto fare, ti ho risposto che mi sarebbe piaciuto diventare istruttore… e mi sto rendendo sempre più conto che è quello il mio posto.»
«Eric, ci vuoi scusare un attimo, per favore?» domanda Max.
Lui annuisce ed esce, nascondendo a fatica la sua contentezza. Non lo guardo andare via, ma scommetterei tutti i miei punti-moneta che sta quasi saltellando mentre si allontana nel corridoio.
Max si alza e si mette accanto a me, sulla sedia che Eric ha appena lasciato libera. «Spero che tu non l’abbia detto perché ti ho accusato di essere paranoico. Ero solo preoccupato per te. Ho il timore che tutta questa pressione sia motivo di stress per te e che ti impedisca di riflettere lucidamente. Penso ancora che tu sia un ottimo candidato: hai il profilo giusto, hai ottenuto ottimi risultati in tutto quello che ti abbiamo insegnato. E, detto fra noi, sei decisamente più gradevole di alcuni altri promettenti candidati, il che è importante in un ambiente di lavoro ristretto.»
«Ti ringrazio, ma hai ragione, tutta questa pressione mi sta stressando. E se diventassi sul serio un capofazione, la pressione sarebbe molto più alta.» Max annuisce tristemente.
«Bene.» Annuisce di nuovo. «Se vuoi diventare istruttore degli iniziati, ti sistemerò lì. Ma quello è un impiego stagionale, dove vorresti lavorare durante il resto dell’anno?»
«Magari al centro di controllo. Ho scoperto che mi piace usare i computer. Non credo faccia per me pattugliare la città.»
«Okay. Consideralo fatto. Grazie per essere stato sincero con me.» Mi alzo e non provo altro che sollievo. Lui sembra preoccupato, comprensivo. Non sembra sospettare di me, del vero motivo del mio rifiuto o della mia paranoia.
«Per favore, se dovessi cambiare idea» aggiunge «non esitare a dirmelo. Potrebbe farci sempre comodo uno come te.»
«Grazie.» Anche se lui è il peggior traditore della fazione che io conosca, e probabilmente almeno in parte responsabile della morte di Amar, non posso non provare un po’ di gratitudine nei suoi confronti per avermi lasciato andare così facilmente.

                                                                                * * *

Eric mi sta aspettando dietro l’angolo. Faccio per oltrepassarlo, ma lui mi afferra un braccio.
«Attento, Eaton» mormora. «Se ti fai scappare una sola parola sui miei rapporti con gli Eruditi, non ti piacerà quello che ti succederà.»
«E a te non piacerà quello che succederà a te se mi chiami un’altra volta con quel nome.»
«Presto sarò un tuo capofazione» continua, con un sorriso compiaciuto. «E credimi, ho intenzione di tenerti costantemente d’occhio e di controllare che tu applichi come si deve i miei nuovi metodi d’addestramento.»
«Non gli piaci, lo sai? A Max, intendo. Preferirebbe lavorare con chiunque altro piuttosto che con te. Ti darà ben poca libertà di movimento. Perciò, buona fortuna con il tuo guinzaglio corto.»
Divincolo il braccio dalla presa e mi dirigo verso gli ascensori.

                                                                             * * *

«Accidenti, che schifo di giornata!» esclama Shauna.
«Già.» Siamo seduti accanto allo strapiombo, noi due soli, con i piedi che penzolano oltre il bordo. Appoggio la testa a una delle sbarre di metallo che ci impediscono di cadere giù e morire. Gli spruzzi d’acqua mi bagnano le caviglie quando le onde più grandi s’infrangono contro la parete.
Le ho detto di aver abbandonato il corso per diventare capofazione e le ho raccontato della minaccia di Eric, ma non le ho detto di mia madre.
Come si fa a dire a qualcuno che tua madre è tornata dal regno dei morti? È tutta la vita che la gente cerca di controllarmi. Marcus era un tiranno a casa, non si muoveva foglia senza il suo permesso.
E poi Max che ha tentato di reclutarmi come suo galoppino. Persino mia madre aveva un piano per me: che  mi unissi a lei quando avessi raggiunto l’età giusta, per rivoltarmi contro il sistema delle fazioni contro cui è in guerra, qualunque ne sia il motivo.
E proprio quando pensavo di essere sfuggito a tutti questi tentativi di controllo, mi piomba addosso Eric a ricordarmi che, se diventerà capofazione, mi terrà d’occhio. Mi rendo conto che tutto quello che mi resta sono i piccoli atti di ribellione, come quando ero un Abnegante e raccoglievo gli oggetti strani che trovavo per strada.
Lo è anche il tatuaggio che Tori mi sta disegnando sulla schiena, quello che potrebbe costarmi il marchio di Divergente. Dovrò continuare a collezionarne altri, di questi brevi momenti di libertà, in un mondo che si rifiuta di concederla.
«Dov’è Zeke?» chiedo.
«Non lo so. Preferisco evitarlo, ultimamente.»
La guardo di traverso. «Sai, potresti semplicemente dirgli che ti piace. In tutta sincerità, non credo che l’abbia capito.»
«Questo è evidente» risponde, con una mezza risata. «Ma se fosse questo che vuole? Continuare a rimbalzare da una ragazza all’altra finché dura? Io non voglio essere una delle tante.»
«Dubito seriamente che lo saresti, ma capisco.» Rimaniamo in silenzio per alcuni secondi, fissando entrambi l’acqua che scorre impetuosa sotto i nostri piedi.
«Sarai un bravo istruttore» dice lei. «Con me sei stato fantastico.»
«Grazie.»
« Eccovi qui!» esclama Zeke alle nostre spalle. Con una mano tiene per il collo una grossa bottiglia piena di un liquido marrone.
«Venite. Ho scoperto una cosa.» Io e Shauna ci guardiamo e ci stringiamo nelle spalle, poi lo seguiamo fino alla porta sull’altro lato del Pozzo, quella che ho varcato la prima volta che sono entrato qui, subito dopo essermi lanciato giù dal tetto. Ma invece di portarci verso la rete, ci indirizza verso un’altra porta con la serratura bloccata da un pezzo di nastro adesivo, poi in un corridoio nero come la pece e su per una rampa di scale.
«Dovrebbe spuntare su… ahia!»
«Scusa, non ho visto che ti eri fermato» dice Shauna.
«Un attimo, ce l’ho quasi fatta…» Apre una porta, da cui penetra una luce fioca che ci permette di vedere dove ci troviamo. Siamo sull’altro lato dello strapiombo, diversi metri sopra l’acqua.
Il Pozzo sembra salire all’infinito sopra le nostre teste, e la gente che si muove nei pressi della ringhiera è piccola e scura, impossibile da distinguere da questa distanza. Rido.
Zeke ci ha appena regalato un altro piccolo momento di ribellione, probabilmente senza averne l’intenzione.
«Come hai fatto a scovare questo posto?» chiede Shauna con evidente ammirazione, mentre salta su una delle rocce sotto i nostri piedi. Da qui si vede un sentiero che ci porterebbe fino in alto e ci permetterebbe di passare sul lato opposto, se volessimo andare sull’altra sponda dello strapiombo. «Quella ragazza, Maria» spiega Zeke. «Sua mamma lavora nella squadra di manutenzione dello strapiombo. Non sapevo che esistesse una cosa del genere, ma a quanto pare sì.»
«La vedi ancora?» domanda lei, cercando di sembrare indifferente.
«Nah! Ogni volta che stavamo insieme, non facevo altro chepensare a voi. Non è un buon segno, giusto?»
«No» conviene lei, e sembra più allegra di prima.
Mi calo con prudenza sulla roccia su cui si è fermata Shauna. Zeke le si siede vicino, apre la bottiglia e la fa girare.
«Ho saputo che sei uscito dal programma di formazione» dice quando la passa a me. «Ho pensato che potessi aver bisogno di una bevuta.»
«Già» mormoro, prendendone un sorso. «Considera questa sbronza all’aperto come un grande…» e indirizza un gesto osceno al soffitto di vetro sopra il Pozzo. «Ossia, a Max ed Eric.»
E a Evelyn , penso, e butto giù un altro sorso. «Lavorerò al centro di controllo quando non dovrò addestrare gli iniziati.»
«Fantastico» esclama. «Sarà bello avere un amico lì dentro. Finora ancora nessuno parla con me.» «Un po’ come me nella mia vecchia fazione» dico ridendo.
«Immagina un’intera pausa pranzo durante la quale la gente neanche ti guarda.»
«Ahia» commenta Zeke. «Be’, scommetto che allora sei contento di essere qui, adesso.» Prendo di nuovo la bottiglia che mi sta passando, mi riempio la bocca con un’altra sorsata di liquore, lo sento pungere e bruciare in gola e mi pulisco con il dorso della mano.
«Sì, lo sono.» Se le fazioni stanno degenerando, come vorrebbe farmi credere mia madre, questo non è un brutto posto per guardarle crollare.
Almeno qui ho degli amici a tenermi compagnia.

                                                                           * * *

È appena calata la sera e mi sono tirato in testa il cappuccio per nascondere la faccia mentre attraverso di corsa la zona in cui vivono gli Esclusi, lungo il confine con il quartiere degli Abneganti.
Sono dovuto andare fino a scuola per potermi orientare, ma ora so dove sono e ricordo che strada ho fatto il giorno in cui mi sono infilato in un magazzino occupato da Esclusi, attratto dalle braci di un fuoco non del tutto spento.
Raggiungo la porta da cui ero uscito e busso con la nocca del dito indice. Si sentono voci dietro la porta, e da una finestra aperta esce odore di cibo, insieme al fumo del fuoco che, dall’interno, si sta spargendo per tutto il vicolo. Rumore di passi.
Qualcuno sta venendo a vedere chi ha bussato. Questa volta l’uomo indossa una camicia rossa da Pacifico e pantaloni neri da Intrepido.
Ha ancora uno strofinaccio infilato nella tasca posteriore, lo stessa dell’ultima volta che ho parlato con lui. Apre la porta solo quanto basta per guardarmi, non di più.
«Ma bene, guarda un po’ che cambiamento» esclama, vedendomi vestito da Intrepido. «A cosa devo questa visita? Ti mancava la mia gradevole compagnia?»
«Tu sapevi che mia madre era viva, quando ci siamo incontrati» dico. «È per questo che mi hai riconosciuto, perché la conosci bene. È per questo che sapevi che diceva di essere entrata negli Abneganti a causa della sua indole arrendevole.»
«Sì» ammette. «Non pensavo spettasse a me dirti che era ancora viva. Sei qui per pretendere le mie scuse, o cosa?»
«No. Sono qui per consegnare un messaggio. Glielo darai?»
«Sì, certo. La vedrò tra un paio di giorni.» Mi infilo una mano in tasca, tiro fuori un pezzo di carta ripiegato e glielo do.
«Puoi anche leggerlo, non m’importa. E grazie.»
«Figurati. Vuoi entrare? Cominci a sembrare più uno di noi che uno di loro, Eaton.»
Scuoto la testa. Ripercorro di nuovo il vicolo e, prima di svoltare l’angolo, mi giro e lo vedo aprire il biglietto e leggere quello che c’è scritto.
                                                                        Evelyn, un giorno. Non ancora.  
                                                                                                                     - 4
                                                                        p.s. Sono contento che tu non sia morta.


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Capitolo 7
*** Un anno da Intrepido ***


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                                             UN ANNO DA INTREPIDO
 
 
 
 
È passato un anno dalla mia iniziazione e da quando ho visto il mio nome accanto al numero uno della classifica.
Oggi è il giorno della Scelta e tra poco salterà il primo iniziato sulla rete dell’entrata posteriore per la residenza degli Intrepidi.
Sicuramente sarà un iniziato interno,quindi uno degli iniziati di Lauren.
A me sono stati assegnati i trasfaione,penso che sia per il fatto che lo sono io stesso,per facilitare il passaggio,ma questo Max non lo ha mai detto chiaramente.
Questa è la prima iniziazione con le nuove regole – regole degli Eruditi, o di Eric non c’è molta differenza – e per quanto è stata resa crudele so che saranno le settimane più lunghe della mia vita e che spesso mi scontrerò con Eric.
Non che questo mi dispiaccia,ma non fa altro che minacciarmi - quando qualcosa non gli sta bene – con il fantasma della mia vecchia identità.
È un anno che non sono più Tobaias Eaton.
Non ho più visto Evelyn e lei si è ben guardata dal cercami nuovamente. Ho detto la verità sono contento che lei non sia morta, ma non per questo significa che adesso dopo otto anni sia pronto ad avere una madre.
Sento il fischio del treno avvicinarsi, Max farà il discorso e a momenti il primo iniziato salterà.
Mi tengo in disparte perché se come sappiamo tutti succederà,il primo a saltare sarà un interno toccherà a Lauren accoglierlo, e infatti ecco che una macchiolina nera si avvicina,fino a diventare un corpo che sbatte contro la rete.
< come ti chiami? > chiede Lauren.
< Xavie >
< Primo a saltare, Xavie > annuncia Lauren < Benvenuto negli Intrepidi. >
Così dopo Xavie, tutti gli iniziati cominciano a saltare, con un intervallo di trenta secondi l’uno dall’altro.
I trasfazione che ho quest’anno sono davvero pochi, un Erudito, quattro Candidi e una Pacifica,e ovviamente sono saltati tutti dopo gli interni, anche se la cosa che realmente mi sorprende è che la prima trasfazionea  a saltare sia stata la Pacifica, Angel.
< Mi chiamo Quattro e sarò il vostro istruttore per tutto l’anno > mi presento ai trasfazione. < Se mi seguite andiamo,vi mostrerò la residenza. >
I trasfazione camminano silenziosi con i nasi rivolti all’insù per captare ogni dettaglio,anche dopo un anno resto ancora affascinato dalla residenza.
Appena giungiamo al Pozzo Eric con passo spavaldo e il suo solito ghigno in volto si avvicina agli iniziati.
< Sono Eric > dice. < Uno dei vostri capofazione, e sovrintenderò la vostra iniziazione. > dopo un attimo di silenzio in cui lo noto osservare uno per uno gli iniziati si apre in un sorriso sadico.
< Regole basi, alle otto ogni mattina pronti, l’iniziazione è divisa in tre moduli del quale poi vi parlerà Quattro > fa un cenno verso di me con la mano. < e per ogni modulo c’è una classifica, solo i primi dieci diventeranno membri ufficiali, ovviamente sarete valutati con gli iniziati interni. >
Detto questo gli volta le spalle e se ne va. Do un attimo agli iniziati per assorbire la notizia e vedo le varie emozioni passare sui loro visi. Sono tutti terrorizzati, l’Erudito singhiozza, l’unica che resta impassibile è la Pacifica.
 
                                                                      ***
 
< Hei amico, come sono gli iniziati di quest’anno? > mi chiede Zeke mentre poggio il vassoio accanto al suo.
< Non lo so amico, sono pochi e non hanno preso bene le nuove regole. > rispondo.
< Immagino .. hei sta sera vado a bere qualcosa al Pozzo con Shauna, vieni anche tu? >
< no sta sera no .. > dico mentre punzecchio il purè.
< E dai Quattro! > sbuffa Zeke. Ma poi viene distratto dal battibecco tra Uriah  e Marlene.
Dopo cena faccio un salto al centro di controllo, solitamente ci lavoro tutto l’hanno ma non durante l’iniziazione. Accendo la mia postazione e do una rapida occhiata in giro per controllare Max ed Eric, o Max e Janine ma il suo ufficio è vuoto, quindi dopo appena una mezz’ora spengo il computer e mi dirigo nel corridoio dello scenario della paura.
Ho fatto il rifornimento di siero sta mattina, quindi per il prossimo mese sono a posto.
Inserisco la fiala nella siringa, girandola verso la luce per controllare che sia inserita correttamente e mi infilo l’ago nel collo premendo lo stantuffo.
Chiudo gli occhi e la simulazione comincia.
 
                                                                               
                                                                        ***
 
Mi ritrovo nello sgabuzzino del piano superiore della casa Abnegante di Marcus e lo stupore che sia comparsa come prima paura mi lascia il tempo di non farmi sopraffare da un attimo di panico.
Corro a testa china contro la parete davanti a me,con la spalla e la mando in frantumi,appena ne esco prendo un respiro profondo di aria pulita e mi rendo conto di essere in cima al Millenium, il grattacielo più alto della città,che ora sembra ancora più alto di quanto non lo sia nella realtà.
Anche se non l’ho mai visto da questa angolazione la mia mente registra che deve essere per forza quel grattacielo. Sento lo stomaco sprofondare, i polpastrelli formicolare segno che il panico sta per prendere il sopravvento. Mi avvicino al cornicione con il vento forte che mi frusta il viso, spingendomi da una parte all’altra come quando sono ubriaco.
Non è reale. Ricordo a me stesso, chiudo gli occhi e mi lancio nel vuoto.
Atterro su un pavimento roccioso come quello della residenza degli Intrepidi in un corridoio che non ho mai visto.
Il mio cervello non fa in tempo a registrare il dolore dovuto all’impatto con l’asfalto che una donna senza volto, vestita da Esclusa, comprare davanti me.
Mi guardo la mano sinistra, impugno una pistola.
Mi impedisco di farmi divorare dal terrore ceco che provo ogni volta a questo punto e le sparo in fronte senza permettermi di guardare la scena.
Ancora prima che il corpo della donna tocchi a terra scompare,e alle mie spalle mi ritrovo nella mia vecchia camera Abnegante.
So cosa succederà ora,infatti dall’unico angolo buio della camera esce Marcus con gli occhi vuoti e neri, come cavità nel cranio. Sbatto le palpebre e ne compare un altro al suo fianco e via dicendo finchè questo posto non è piano di lui.
 < Lo faccio per il tuo bene, Tobaias > dicono i Marcus contemporaneamente mentre sfilano le cinture dai passanti dei pantaloni. Ho perso la sensibilità nelle dita, sento una goccia di sudore freddo corrermi giù lungo la colonna vertebrale,mentre il cuore accelera  e il respiro si fa superficiale.
I Marcus tirano indietro il braccio per colpirmi tutti contemporaneamente e dopo il dolore dei primi schiocchi di cinta mi avvento su quello alla mia sinistra.
Quando gli stringo le dita intorno alla gola scompare dalle mie mani, così come tutti gli altri, le luci si riaccendono e mi ritrovo rannicchiato nel corridoio,con l’adrenalina mescolata al panico che mi pompa forte nelle orecchie.
Mi chiudo la porta alle spalle e vado nel mio appartamento.
 
 
                                                                      ***
 
La settimana di iniziazione comincia,arrivo puntuale e spiego i moduli ai trasfaione con il fiato sul collo di Eric.
Quando cominciano i corpo a corpo cominciano i problemi, Eric è stato chiaro: il combattimento finisce solo quando uno dei due iniziati non è più in grado di combattere,ma io li fermo ogni volta prima che si arrivi a quel punto.
Dopo il quarto combattimento vengo chiamato nell’ufficio di Max per una bella ramanzina, mi scuso a denti stretti e vengo rimandato al mio posto nella palestra,penso che Max lo faccia perché cerca ancora di reclutarmi come suo galoppino.
Così dopo aver rischiato di perdere il lavoro come istruttore tiro a campare per forza di inerzia.
Mi alzo, alleno i trasfazione i maniera dura ma non sadica – a quello ci pensa Eric – non mi prendo la briga di imparare i loro nomi per quanto possa sembrare crudele so che nessun trasfazione arriverà alla fine dell’iniziazione; mangio con Zeke e Shauna, faccio un salto al centro di controllo per controllare Max e gli Eruditi, passo le notti nel mio scenario della paura o a bere con i miei amici,poi barcollo fino a letto e ricomincio da capo.
Scopro di aver avuto ragione. Alla fine del primo modulo tre dei quattro Esclusi sono l’Erudito e due Candidi.
Cominciano le simulazioni e per quanto sia l’unica cosa che approvi dell’addestramento degli Intrepidi provo una forte sensazione di disagio nel vedere dentro le loro teste e nelle loro paure più intime.
Al secondo modulo l’unica che non rischia di diventare un Esclusa è Angel, la Pacifica, che a dispetto degli altri iniziati ha solo otto paure che affrontata tutte relativamente bene e ne esce piuttosto velocemente.
Arriva il giorno dell’esame finale e anche se non mi è concesso vedere le simulazioni so già come andranno gli iniziati.
A cena ne ho la conferma,quando comprare la classifica, il resto dei trasfazioe sono Esclusi, Angel si è piazzata quarta,un ottimo posto, è un Intrpida nata.
Così torno al mio lavoro al centro di controllo,con le chiacchiere incessanti di Zeke, e le notti a bere nella parte nascosta del pozzo,i giorni passano e un nuovo giorno della Scelta si avvicina.




salve bella gente,mi scuso se questo capiolo è breve e superficiale,ma sappiamo tutti che il racconto che ci interessa arriverà dal prossimo capitolo,ovvero dalla scelta di Tris! 

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Capitolo 8
*** Prima a saltare, Tris! ***


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                                               PRIMA A SALTARE, TRIS!
 
 
 
 
Controllo l’orologio. Il primo iniziato dovrebbe arrivare a momenti,ormai.
La rete è tesa accanto a me, ampia e robusta, e illuminata dalla luce de sole che piove dall’alto.
L’ultima volta che sono stato qua risale all’anno scorso, nel Giorno della Scelta, e prima di allora, era il giorno in cui ho saltato io. Non mi piace ricordare la sensazione che ho provato quando mi sono avvicinato al cornicione dell’edificio, il corpo e la mente paralizzati dal terrore, e poi quella terribile caduta, l’agitarsi impotente di braccia e gambe, lo schiaffo delle fibre di rete contro la schiena e il collo.
< Come è andato lo scherzo? > chiede Lauren.
Mi ci vuole un secondo per capire di cosa sta parlando: il programma e la mia supposta intenzione di fare un scherzo a Zeke. < Non glielo ho ancora fatto,abbiamo avuto turni diversi,oggi. >
< Sai, se avessi voglia di studiare un po’ seriamente, potresti farci comodo nella squadra dei tecnici informatici. >
< Se state cercando gente, dovresti parlare con Zeke. È molto più bravo di me. >
< Si, ma lui parla troppo. Non selezioniamo tanto sulle competenze quanto sulla personalità. Passiamo molto tempo insieme. >
Sorrido. Zeke è un chiacchierone, ma a me non dispiace. A volte è bello non doverti preoccupare di trovare argomenti di conversazione.
Lauren gioca con uno dei pearcing che ha sul sopracciglio mentre aspettiamo. Io cerco di allungare il collo per vedere il tetto dell’edificio, ma non scorgo altro che cielo.
< Scommettiamo che il primo sarà uno dei miei iniziati interni? > mi sfida Lauren.
< E’ sempre un interno. Non scommetto. >
Gli interni sono avvantaggiati. Di solito sanno cosa li aspetta, anche se noi cerchiamo di tenerlo segreto il più possibile, utilizzando questa entrata solo il Giorno della Scelta. Ma gli Intrepidi sono curiosi ed esplorano la residenza quando pensano di non essere visti. Inoltre, crescono imparando ad alimentare il desiderio di compiere azioni spavalde e gesta estreme, e di metterci l’anima, qualunque cosa facciano. Ci vorrebbe uno strano tipo di trasfazione per riuscire a fare la stessa cosa senza che gli sia stato insegnato.
Poi la vedo.
Una macchia grigia, non nera come mi aspettavo, precipita dall’alto.
Con uno schiocco, la rete si tende intorno ai supporti di metallo e si flette per accoglierla. Per un secondo fisso stupefatto gli abiti che indossa e che conosco bene.
Stendo la mano verso di lei, perché vi si possa aggrappare,e  lei serra le dita intorno alle mie. La tiro fuori.
Quando ruzzola sulla piattaforma, la prendo per le spalle per stabilizzarla.
È piccola e magra .. ha un’aria così fragile che quasi è un miracolo se è sopravvissuta all’impatto con la rete. Ha grani occhi, di un azzurro luminoso.
< Grazie > mi dice. Sembrerà fragile, ma la sua voce è ferma.
< Non ci posso credere > esclama Lauren, in un tono più spavaldo del solito. < Una Rigida che salta per prima? Inaudito! >
Ha ragione. Non si è mai sentito. Ed è insolito che una Rigida passi agli Intrepidi. Non ci sono stati trasfazione Abneganti l’anno scorso, e prima di allora ero solo io, il primo dopo moltissimo tempo.
< C’è un motivo se se n’è andata, Lauren > dico, e a un tratto ho la sensazione di non essere più qui, dentro al mio corpo. Poi mi riscuoto,e chiedo all’iniziata: < Come ti chiami? >
< Ehm .. > Lei esita e – per uno strano, breve attimo – mi sembra di conoscerla. Non di averla incontrata negli Abneganti o a scuola, ma un livello più profondo .. mi rivedo in lei: quei suoi occhi e quella sua bocca che cercano un nome, insoddisfatta della prima risposta che le è salita alle labbra. Allora, il mio istruttore mi aveva mostrato una via di fuga dalla mia vecchia identità. Ora posso fare la stessa cosa per lei.
< Pensaci bene > le suggerisco, e quasi mi viene da sorridere. < Non potrai più cambiarlo dopo. >
< Tris > dice lei, come se ne fosse già sicura.
< Tris > ripete Lauren. < Dai l’annuncio, Quattro. >
Dopotutto è una mia iniziata, questa trasfazione Abnegante.
Mi volto verso il gruppo di Intrepidi che si sono raccolti per guardar saltare gli iniziati,e annuncio:
< Prima a saltare: Tris! >
Così se la ricorderanno non per il grigio che indossa ma  per il suo primo atto di coraggio. O di pazzia. A volte sono la stessa cosa.
Tutti esultano e, mentre le loro ovazioni riempiono la caverna, un altro iniziato piomba nella rete con un grido raggelante. È una ragazza, vestita nel bianco e nero dei Candidi. Questa volta è Lauren a stendere il braccio per aiutarla. Io metto una mano sulla schiena di Tris per accompagnarla verso le scale, nel caso non si ancora stabile come sembra, e prima ancora che faccia il primo passo le dico : < Benvenuta tra gli Intrepidi >.
 
 
                                                                       ***
 
Un’Abnegante, cinque Candidi, due Erudii. Questi sono i miei iniziati.
Per quel che ne so, i Candidi e gli Intrepidi hanno una percentuale, in entrata e in uscita, piuttosto alta; ne perdiamo tanti quanti ne acquistiamo. Considero mio compito portare questi otto iniziati almeno alla fine del primo giro di eliminazioni. L’anno scorso mi sono battuto più che ho potuto contro Eric e Max,quando hanno insistito per introdurre le eliminazioni, ma ormai pare che non verrano tolte, a tutto beneficio dei nuovi Intrepidi che quei due vogliono crear: crudeli e ottusi.
Ma io ho intenzione di andarmene da questa fazione non appena scoprirò il piano di Max e Janine. E se questo capiterà nel bel mezzo dell’iniziazione, tanto meglio.
Aspetto che tutti gli interni – compresi Uriah, Marlene, e Lynn – ci abbiano raggiunti e mi infilo nel tunnel, facendo loro segno di seguirmi.
Percorriamo il buio e lungo corridoio che conduce alla porta del Pozzo.
< Qui ci dividiamo > dice Laure quando arriviamo. < Gli iniziati interni con me, a voi non serve il giro turistico. > Sorride e gli interni la seguono nel corridoio che, aggirando il Pozzo, porta direttamente nella sala mensa.
Li guardo andarsene e, appena scompaiono alla vista raddrizzo la schiena. Ho imparato l’anno scorso che per essere preso sul serio fin dall’inizio devo mostrarmi inflessibile. Non go il fascino innato che aveva Amar, che si conquistava la lealtà della gente con un semplice sorriso o con una battuta, per cui devo compensare in altri modi. < Di solito lavoro al centro di controllo, ma nelle prossime settimane sarò il vostro istruttore. > comincio.  < Mi chiamo Quattro. >
Una dei Candidi – alta, con la pelle scura e una voce squillante – prende parola: < Quattro come il numero? >
Percepisco un punta di ribellione.
Chi non conosce il significato del mio nome spesso ne ride, e a me non piace essere preso in giro .. soprattutto non da un gruppo di iniziati freschi di Scelta, che non ha ancora idea di cosa li aspetta.
< Si > ribatto con irritazione. < C’è qualche problema? >
< No > risponde la ragazza.
< Bene. Stiamo per andare al Pozzo a cui vi affezionerete con il tempo. È .. >
La Candida m’interrompe di nuovo. < Il Pozzo? Che nome arguto. >
Sento montare l’irritazione e d’impulso mi avvicino a lei. Non posso permettere che qualcuno faccia battute su tutto quello che dico, soprattutto non nei primi giorni d’iniziazione, quando sono ancora così suggestionabili.
Devo dimostrare a tutti che sono una persona a cui è meglio non creare problemi,e  lo devo fare subito.
Mi chino su di lei e la fisso per qualche secondo, finchè non vedo il suo sorriso vacillare < Come ti chiami? > chiedo, tenendo la voce bassa.
< Christina. >
< Bene, Christina, se fossi stato disposto a sopportare l’impertinenza dei Candidi, avrei scelto la loro fazione. Lezione numero uno: impara a tenere la bocca chiusa. Chiaro? >
Lei annuisce. Io mi allontano, con il cuore che mi rimbomba nelle orecchie. Credo che sia bastato, ma non ne posso essere sicuro, non finchè l’iniziazione non comincerà davvero. Spingo la doppia porta che si apre sul Pozzo e, per un momento, lo guardo come se fosse la prima volta: uno spazio incredibilmente vasto, brulicante di vita e di energia, con l’acqua che pulsa nello strapiombo e si infrange contro le rocce, e conversazioni che riecheggiano dappertutto. In genere cerco di stare lontano dal Pozzo, perché è sempre caotico e pieno di gente, ma oggi lo adoro, non posso farne a meno.
< Se mi seguite > dico. < vi mostro lo strapiombo >
 
 
                                                                           ***
 
La trasfazione Abnegante si siede al mio tavolo. Chissà se sa chi sono o se , a calamitarla verso di me, è qualche invisibile vibrazione da Rigido che irradio mio malgrado.
Ma lei non mi guarda come se mi conoscesse.  Non sa cosa sia un hamburger.
< Non hai mai mangiato un hamburger prima? > chiede incredula Christina. I Candidi sono così, si meravigliano che non tutti vivano nello stesso modo in cui vivono loro. È uno dei motivi per cui non li sopporto. È come se per loro il resto del mondo non esistesse neanche; mentre per gli Abneganti esiste solo il resto del mondo.
< No > risponde Tris. Ha un tono di voce molto basso per essere una persona così piccola. Sembra sempre seria, qualunque cosa dica.
< E’ così che si chiama? >
< I Rigidi non mangiano cibi elaborati > spiego io, adottando il gergo degli Intrepidi. Suona innaturale, riferito a Tris. Mi sento come se le dovessi le cortesie a cui ero tenuto nei confronti delle donne nella mia vecchia fazione: deferenza, occhi bassi e conversazione garbata. Devo fare uno sforzo per ricordarmi che non sono più un Abnegante. E non lo è neppure lei.
< Perché? > domanda Christina.
< Tutto ciò che è superfluo è considerato inutile ed egoistico > risponde Tris e sembra che lo stia ripetendo a memoria. Forse è così.
< Non mi meraviglia che te ne sia andata. >
< Già > risponde Tris alzando gli occhi al cielo, il che mi sorprende. < E’ stato proprio per il cibo. >
Cerco di non sorridere. Non sono sicuro di riuscirci.
Poi entra Eric e tutti si ammutoliscono.
La sua nomina a capofazione è stata accolta con perplessità, e in alcuni casi, con rabbia. Non c’è mai stato un capofazione così giovane prima d’ora e sono stati molti a esprimere la propria contrarietà a quella decisione, preoccupati per sua età e per il suo passato da Erudito. Max si è assicurato di mettere a tacere quelle preoccupazioni. E così ha fatto Eric. Persone che il giorno prima parlavano apertamente, il giorno sopo si sono chiuse nel silenzio, spaventate, quasi come se lui le avesse minacciate. Conoscendo Eric, probabilmente l’ha fatto davvero, con parole pronunciate a bassa voce ma spietate,insidiose e .. calcolate, come al solito.
< Chi è quello? > sibila Christina.
< Si chiama Eric > rispondo. < E’ uno dei capifazione. >
< Davvero? Ma è così giovane. >
Serro la mascella. < L’età non conta qui. > Contano i rapporti con Janine Matthews.
Lui viene verso di noi e si lasci cadere sulla sedia accanto alla mia.
Io fisso il mio piatto.
< Bè non me le presenti? > domanda garbatamente .. come se fossimo amici.
< Queste sono Tris e Christiana. >
< Oh-oh una Rigida > dice Eric, con un sorrisetto di sufficienza. Per un attimo ho il timore che stia per dirle da dove vengo io. Mi metto una mano sulla gamba e stringo il ginocchio per resistere all’impulso di tirargli un pugno. Ma lui dice soltanto: < Vediamo quanto riuscirai a resistere. >
Vorrei darglielo lo stesso, il pugno. O ricordargli che l’ultimo trasfazione Abnegante che è arrivato qui, è riuscito a spaccargli un dente, per cui chissà che cosa potrebbe fare questo. Ma con le nuove regole che sono state introdotte – combattimenti a oltranza, finchè uno dei due non riesce più a restare in piedi, e prime eliminazioni dopo una sola settimana di corpo a corpo – ha ragione, è improbabile che lei resista a lungo, piccola com’è. Non mi piace, ma è così.
< Che hai fatto di recente Quattro? > mi chiede Eric.
Sento una punta di paura, per un momento temo che sappia che sto spiando lui e Max. scrollo le spalle.
< Niente di che >
< Max mi ha detto che ti sta cercando per parlarti ma tu non ti fai vedere. Mi ha chiesto di capire cosa succede. >
Non ho difficoltà a ignorare i messaggi di Max, come fossero cartacce spinte dal vento nella mia direzione. Le ripercussioni della nomina di Eric a capofazione possono non preoccupare più Eric, ma preoccupano ancora Max, a cui il suo protetto non è mai piaciuto quanto avrebbe dovuto. Lui preferiva me, anche se non so bene per quale motivo, dal momento che a me piace starmene per i fatti miei, mentre gli Intrepidi fanno tanto comunità.
< Digli che sono contento di quello che faccio ora. > rispondo.
< Quindi vuole darti un lavoro? >
Di nuovo quel suo sospettoso indagare, che trasuda dalla sua bocca, come pus da un pearcing.
< Così parrebbe >
< E a te non interessa. >
< E’ da due anni che non mi interessa.>
< Bene. Speriamo che lo capisca, allora. >
Mi dà una manata sulla spalla, come se fosse un gesto meccanico ma così forte da schiacciarmi quasi contro il tavolo. Gli lancio un’occhiata furiosa mentre si allontana. Non mi piace farmi mettere i piedi in testa, soprattutto non da fiancheggiatori degli Eruditi pelle e ossa.
< Voi due siete .. amici? > chiede Tris.
< Abbiamo fatto l’iniziazione nello stesso gruppo > Decido di giocare di anticipo, e mettere Eric in cattiva luce prima che lo faccia con me. < Lui si è trasferito dagli Eruditi >
Christina solleva le sopracciglia, ma Tris ignora completamente la parola “ Eruditi “, non dà alcun segno della diffidenza che dovrebbe portare incisa sulla sua stessa pelle, dopo una vita trascorsa negli Abneganti. Invece mi domanda: < Anche tu sei un trasfazione? >
< Mi aspettavo di avere problema con l’invadenza dei Candidi, ma adesso ci si mettono anche i Rigidi? >
Come è stato prima con Christina,la mia rudezza ha lo scopo di chiudere la porta prima che venga aperta più di quanto sia opportuno.
Ma Tris fa una smorfia, come se sentisse in bocca un sapore acido e risponde: < Dev’essere perché sei così accomodante. Più o meno come un letto di spine. >
La fisso e lei arrossisce, ma non abbassa lo sguardo. C’è qualcosa in lei che mi sembra familiare, anche se sono certo che me lo ricorderei bene se in passato mi fosse capitato di parlare, anche solo per un secondo, con un Abnegante dalla lingua così tagliente.
< Stai attenta Tris > l’avviso.
Attenta a quello che dice a me, è quello che intendo, ma anche attenta a quello che dici a chiunque, in questa fazione che dà valore alle cose sbagliate, che non capisce che per una persona che proviene dagli Abneganti difendere se stessa è la più alta forma di coraggio.
E mentre pronuncio il suo nome, mi ricordo perché mi sembra di conoscerla. È la figlia di Andrew Prior . Beatrice . Tris.
< Quattro! > Zeke urla da un altro tavolo e si sbraccia per richiamare la mia attenzione,prendo il vassoio ormai vuoto e lo raggiungo.
< che c’è Zeke? > chiedo.
< Senti amico, la vedi quella ragazza la giù?> mi indica un Intrepida vicino alla porta che da sul Pozzo con i capelli corti e i vestiti aderenti, con molta, molta pelle nuda. < le ho chiesto di uscire, ma domani lei è di pattuglia tutta la sera e io il giorno lavoro, quindi non è che mi potresti sostituire ora al centro di controllo? >
Sbuffo. < Zeke io .. >
< Grazie amico, ti devo un favore > e schizza via.
Si, mi deve un favore, più o meno da un giorno dopo la nostra iniziazione, quindi dopo due anni siamo almeno a un centinaio di favori che mi deve.
Lascio il vassoio e mi dirigo verso il tavolo dei capifazione dove si trova Eric,quando mi vede mi viene incontro.
< Senti Eric, puoi mostrare tu il dormitorio ai trasfazione? > Chiedo,con la mascella tesa. < ho un emergenza al centro di controllo. >
< Certo. > e sogghigna.
Me ne vado senza una parola perché so già che cercherà di terrorizzarli, lo fa sempre.
 
 

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Capitolo 9
*** Iniziazione ***


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Il mattino seguente,rifaccio il letto tirando bene gli angoli, faccio la doccia e una colazione semplice nel mio appartamento, e ancora mi sorprendo di quanto siano presenti nella mia vita queste mattine semplici, da Abnegante.
Alle otto in punto apetto i trasfazione al Pozzo,già da cinque minuti, ma per loro fortuna arrivano tutti puntuali,così mi dirigo verso la Guglia per portarli nel poligono degli Intrpidi..
< Per prima cosa, oggi imparerete a sparare > dico. < Poi passeremo ai combattimenti corpo a corpo. >
Piazzo una pistola in mano a tutti i trasfazione, senza guardare in faccia Tris quando le do la sua.
< Fortunatamente, se siete qui significa che già sapete salire e scendere da un treno in corsa, quindi non c’è bisogno che ve lo insegni. > dico mentre continuo a fare su e giù davanti alla fila di iniziati.
< L’iniziazione si compone di tre moduli. Misureremo i vostri progressi e vi classificheremo in base alla vostre prestazioni in ciascuno dei tre. I moduli non hanno tutti lo stesso peso nel determinare il punteggio finale, per cui è possibile, anche se difficile, migliorare di molto i vostri risultati. > spiego. < Noi crediamo che una buona preparazione si possa sconfiggere la viltà, che noi definiamo come l’incapacità di agire nelle situazioni di paura. > mi fermo,e giro sui tacchi. < Ogni stadio è finalizzato ad affrontare un aspetto specifico della preparazione. Il primo stadio è prevalentemente fisico,il secondo prevalentemente emotivo, il terzo prevalentemente mentale. >
< Ma che cosa .. > mi interrompe il Candido, Pater, sbadigliando propriomentre passo davanti a lui. < Che cosa c’entra saper sparare con una pistola con il .. coraggio? >
Faccio ruotare l’arma che ho in mano la impugno, e poi premo la canna sulla fronte di Pater abbassando il cane.
L’iniziato rimane a bocca aperta con lo sbadiglio che gli muore in gola, paralizzato.
 < SVEGLIA! > gli dico. < Hai in mano una pistola carica, idiota. Agisci di conseguenza. >
Poi abbasso l’arma e riprendo a camminare, mi sorprende che Pater riesca a tener freno la lingua dopo una vita nei Candidi.
< Per rispondere alla tua domanda .. è molto meno probabile che te la fai sotto e chiami la mamma,se sei preparato a difenderti. > continuo la spiegazione. < E questa è un’informazione che vi sarà utile anche più avanti, in questo modulo. Dunque guardatemi. >
Mi giro verso la parete su cui sono appesi i bersagli,divarico i piedi, impugno l’arma con entrambe le mani,chiudo un occhio per prendere la mira e sparo.
Normalmente non sparerei così, dopo due anni con gli Intrepidi, centro il bersaglio con una sola mano mentre sono in movimento,ma durante l’iniziazione devo mostrare loro la tecnica, il resto verrà da se.
Certo, se riusciranno arrivare alla fine dell’iniziazione.
Rimetto la sicura e mi sposto di lato per osservare gli iniziati che cominciano a sparare uno dopo l’altro.
C’è un Erudito, Edward se non sbaglio, che non se la cava niente male, ha una buona presa sul calcio della pistola,e la posizione è corretta, la mira può ancora migliorarla. Giro intorno ai trasfazione allineati per osservare se tengono la corretta posizione, e i miei occhi scivolano su Tris che sembra quasi spaventata dall’arma che tiene in mano, la detonazione è così forte che quasi le schizza in faccia.
Non credo che arriverà alla fine.
Continuo a camminare dietro di loro, dando piccoli accorgimenti, ma in linea di massima se la cavano tutti, mentre torno indietro noto Tris sparare un’altra volta; questa volta le braccia si muovono appena e i piedi restano ben piantati nel terreno, ma la vera cosa che cattura la mia attenzione sono i suoi occhi, si accendono.
Vedo l’adrenalina e la potenza che sente dentro brillargli in quei grandi occhi azzurri.
 
 
                                                              ***  
 
All’ora di pranzo vado a sedermi al solito tavolo e trovo già Zeke ad ingozzarsi,come al solito.
< Hei amico! > mi da una pacca sulla schiena mentre mi siedo. < Grazie ancora per ieri sera. >
< Si, si .. >
< Come sono gli iniziati? >
< Migliori di quelli dell’anno scorso > dico guardandoli,e mentre scorro con gli occhi i vari tavoli i miei occhi finiscono su Tris, che è seduta con Christina,l’altro Erudita Will,e Al un dei trasfazione messo meglio. Stanno tutti ridendo e Tris è rossa in viso, ma opo un attimo si unisce alle risate dei suoi compagni. < Qualcuno potrebbe piazzarsi bene >
< Spero solo che quell’idiota di mio fratello si impegni > risponde Zeke. < o lo scuoio vivo. >
Dopo un’attimo stiamo ridendo entrambi.
Shauna nonc’è perché oggi era di pattuglia alla recinzione, bello.
Continuo a mangiare in silenzio, mentre Zeke chiacchiera per entrambi come al solito, accontentandosi dei miei cenni con il capo e basta.
 Dopo pranzo i trasfazione mi aspettano fuori dalla sala mensa e li porto nella palestra,con i sacchi da box per ognuno di loro, la lavagna per gli incontri e ring.
Si posizionano ognuno dietro un sacco e io mi metto davanti a quello centrale in maniera che mi vedano tutti quanti.
< Come vi ho anticipato > comincio a spiegare. < ora imparereta a combattere. Lo scopo è prepararvi ad agire, allenare il vostro corpo a rispondere alle minaccie e alle difficoltà, cosa di cui avrete bisogno se vi volete conservare la vita negli Intrepidi >
< Oggi esamineremo la tecnica e domani comincerete a combattere tra di voi, perciò vi conosglio di fare attenzione. Quelli che non imparano in fretta si faranno male >
Comincio ad elencare i diversi tipi pugni – partendo da quelli basilari per arrivare ai più complessi ed utili – spiegando loro la posizione corretta, mostrandoglieli poi uno ad uno prima in aria, dopo contro il sacco,faccio la stessa cosa con i calci solo che spiego quelli più semplici, ovvero per far cadere l’avversario o puntandogli alle costole per atterrarlo.
Dopo di che comincio a camminare intorno a loro, anche questa volta, sempre per correggere le posizioni, domani dovranno combattere e con le nuove regole solo uno resterà in piedi e voglio prepararli al meglio.
Dopo un po’ mi fermo davanti a Tris, osservandola con sguardo pragmatico; mi rendo conto che rispetto all’inizio ha migliorato la posizione, piegando le ginocchia e alzando i gomiti, anche se tende ad avere la guardia troppo alta per proteggere il viso, lasciando scoperto torace  e stomaco.
Il suo vero problema è che è piccolina, ma questo potrebbe portarle un vantaggio in velocità, anche se dovrebbe usare di più ginocchia e gomiti, così dico : < non hai molti muscoli. > incrocio le braccia mentre la guardo. < Questo significa che ti  conviene usare soprattutto i gomiti e le ginocchia. Puoi esercitare più forza in questo modo. >
Le stendo una mano sullo stomaco, è così piccola che le mie dita le ricopre quasi tutta la gabbia toracica. < non dimenticarti mai di mantenere la tensione qui. > le suggerisco. Poi tolgo la mano e riprendo a controllare il resto degli iniziati,fino a quando non mi sento uno sguardo addosso e con la coda dell’occhio noto che è Tris a guardarmi,mentre parla con Christina.
La cosa procede così per il resto del pomeriggio,e alcuni sono migliorati riuscendo a spostare di parecchi centimetri i sacchi,altri hanno ancora grosse difficoltà.
Alle sei li mando via dalla palestra,riprenderemo domani alle otto e cominceranno gli incontri tra di loro.
 
 
                                                                    ***
 
Dopo cena vado al centro di controllo e trovo Zeke,mezzo addormentato sul suo computer,un altro Intrepido che beve il caffè e un terzo che praticamente russa alla sua postazione.
Il mio supervisore non c’è quindi mi siedo e avvio il programma.
< Hey Quattro > dice Zeke < sei venuto a darmi il cambio? >
< te lo sogni, dopo ieri sera > risponde.
Lui sbuffa con un sorriso sulle labbra e torna con gli occhi sul suo computer.
Mi infilo le cuffie e comincio a guardare la rotazione delle telecamere, cambiano circa ogni venti secondi,e abbiamo tutti settori diversi per impedire che guardiamo le stesse immagini.
Eric sta uscendo dall’ufficio di Max con il suo solito ghigno sul viso,vorrei tirare un pugno contro il muro, per non essere arrivato cinque minuti prima per ascoltare la loro conversazione, o magari ancora meglio tirare un pugno direttamente ad Eric,strappandogli via tutto quel ferro che ha sul viso.
Resto a guardare le rotazione ancora per un ora e quando sto per spegnere e andarmene nello scenario della paura, Zeke dice: < Per sta sera ho finito,andiamo a berci qualcosa? >
Sto per rifiutare e seguire il mio piano originale, ma all’ultimo momento decido di accettare, è da ieri che sento questa tensione nevosa allo stomaco che mi fa sentire sovraccaricato di energia e ubriacarmi e sentire le chiacchiere di Zeke mi sembra un buon modo per scaricarle.
< Va bene,andiamo > dico spegnendo la mia postazione.
< Grande Quattro! Ma cosa ti è successo,solitamente avresti rifiutato. >
< Sono ancora in tempo, Zeke > dico lanciandogli un’occhiataccia.
< No, no non sia mai. Andiamo! > mi passa un braccio sulle spalle e ci avviamo verso il Pozzo.
La mattina dopo ho la testa che mi scoppia, e penso sia più dovuto alla mancanza di sonno che alcool, ma non posso dire lo stesso di Zeke che sta girando il suo caffè con gli occhi gonfi e semichiusi.
< Allora Shauna come va alla recinzione? > le chiedo,visto che sono giorni che non ci vediamo.
< Alla grande,voglio far domanda per diventare capopattuglia! >
< E brava la nostra Intrepida! > le do un pugnetto sulla spalla,mentre lei mi abbraccia. Istintivamente mi irrigidisco, non sono ancora abituato alle dimostrazioni d’affetto degli Intrepidi, forse non lo sarò mai.
< Allora non hai imparato niente dalle mie lezione è Quattro!? > mi prende in giro con un bel sorriso lei, ricordandomi di tutte le volte in cui dopo averla aiutata ad allenarsi nel corpo a corpo la sera – durante la nostra iniziazione – mi prendeva in giro per essere così Rigido.
Faccio spallucce  e mi dirigo verso la palestra. Oggi cominceranno i combattimenti e devo fare le coppie.
Quando entro nella palestra, Eric è già li appoggiato ad una colonna mentre gioca con un Pearcing al sopracciglio, con lo sguardo pensoso e arrogante tipico degli Eruditi, lo ignoro e mi avvicino alla lavagna, cominciando a scrivere i nomi dei trasfazione in ordine alfabetico accoppiandoli uno ad uno, anche se sono dispari.
                                                        
                                                           Al – Will
                                                Christina – Molly
                                                      Drew – Peater
                                                   Edward – Myra
                                                         Tris
 
Solo dopo che li ho accoppiati tutti quanti, mi rendo conto che chi non combatterà sarà Tris, ma proprio non me la sono sentita, è vero Myra è più debole di Tris, ma lei è così piccola che non voglio che la spezzino al primo giro e si, non voglio che Eric abbia la soddisfazione di dire che la Rigida non riuscirà a resistere negli Intrepidi per più di cinque minuti.
Poco dopo che ho finito di scrivere cominciano ad arrivare gli iniziati,resto davanti alla lavagna - in parte  per non far notare le coppie ad Eric - e dico: < Dal momento che siete dispari oggi uno di voi non combatterà > mi sposto,andandomi a mettere vicino ad Eric che si è avvicinato all’arena.
Mentre passo  scocco un’occhiata a  Tris che nota subito lo spazio vuoto accanto al suo nome.
Al e Will, guardano la lavagna e poi entrano nell’arena, uno di fronte all’altro, sollevano le mani come gli ho mostrato ieri per proteggersi la faccia – entrambi con una posizione corretta – e cominciano a girare l’uno intorno all’altro.
Mi accorgo subito che anche se sono entrambi ben messi c’è una grossa disparita tra i due iniziati: Al è più alto di quindici centimetri e due volte più grosso;dopo qualche secondo Al colpisce con forza Will sul mento e noto con la coda dell’occhio Eric sorridere, compiaciuto, mentre continua a giocare con la ferraglia sul sopracciglio.
Will barcolla di lato, ma riesce a bloccare il pugno successivo di Al,che per quanto alto e forte è molto più lento; riesce ad agganciarlo con la gamba facendolo cadere. Al si affretta ad alzarsi.
Adesso sono più esitanti di prima, e mi lanciano un occhiata aspettandosi che chiami la fine dell’incontro, ma non lo faccio me ne resto a braccia conserte.
< Pensate che sia un passatempo? Volete fare un pausa per una pennichella? Combattete! > sbraita Eric. Contraggo la mascella.
< Ma .. > Al si raddrizza. < C’è un punteggio o qualcosa del genere? Quando finisce l’incontro? >
< Finisce quando uno dei due non è più in grado di combattere > risponde Eric.
< Secondo le regole degli Intrepidi > dico. Non posso perderli al primo colpo. < uno di voi può arrendersi. >
< Secondo le vecchie regole > mi guarda Eric con gli occhi a fessura < In base alle nuove, nessuno si arrende >
< Un uomo coraggioso riconosce la forza degli altri. > sibilo.
< Un uomo coraggioso non si arrende mai. > mi corregge lui.
Restiamo a fissarci negli occhi, e lui mi ricorda il cane del mio test attitudinale, ma continuo a fissarlo teso, poi  mima una parola con la bocca : Tobaias Eaton.
< Ma è ridicolo > ci richiama Al < Che senso a picchiarlo? Siamo nella stessa fazione! >
< Ah, credi che sia tanto facile stendermi? > gli risponde Will < Avanti. Cerca di colpirmi, bradipo. >
Will solleva di nuovo le mani, ma ora sono i suoi occhi ad essere cambiati, sono più determinati rispetto a prima, ecco cosa porta la nuova iniziazione di Eric e Max: due iniziati della stessa fazione che si scontrano per spirito di sadismo, e non di competizione genuina.
Al tenta di sferrare un pugno, ma Will abbassa la testa,schiva un altro colpo e gli arriva di lato, sferrandogli un calcio sulla schiena.
Al barcolla ma si gira e gli si scaglia contro, afferrandogli il braccio per non farlo scappare via, poi gli sferra un pugno potente alla mascella.
Lo sguardo di Will si spegne e si affloscia a terra come una marionetta; vedo la paura negli occhi di Al che gli è subito accanto, dandogli dei colpetti al viso per farlo riprendere,finalmente sbatte le palpebre.
< Tiratelo su > ordina Eric, mentre guarda famelico Will quasi privo di coscienza e Al come se fosse di sua proprietà, o meglio che rivendicasse  il merito della sua vittoria.
Mi giro verso la lavagna e cerchio il nome di Al. Vittoria.
< Prossima coppia .. Molly e Christina! > grida Eric.
Intanto Al ha sollevato Will, e io lo afferro per la vita infondo alla palestra, portandolo in infermeria.
Non vorrei lasciare gli iniziati con Eric, ma dovranno imparare a farci i conti se questo è il posto in cui vogliono restare.
Un po’ sorreggendolo e un po’ trascinandolo riesco a portare Will in infermeria, ha ripreso conoscenza ma è ancora confuso.
< Primo corpo a corpo > dico entrando, quando Grace l’infermiera mi vede con Will; si dirige verso un letto e mi fa cenno di straiarlo li.
Aspetto vicino al tavolo dei medicinali mentre L’infermiera controlla Will, ma tutto sommato sta bene,ha preso un pugno potente ma niente che ghiaccio e un livido bluastro non sconfiggano.
È proprio per questo che volevo che tornasse la vecchia iniziazione, per non far crollare gli iniziati, ma soprattutto per non renderli crudeli e assetati del piacere di infliggere dolore, come Eric.
< Come stai? > chiedo a Will.
< Bene, un po’ intontito ma bene >
< Okkey resta un po’ qua, ci vediamo dopo pranzo>
Fa un cenno con il capo ed esco, ritornando in palestra, ma la trovo vuota.
Mi avvicino alla lavagna ma sembra che il secondo combattimento non sia finito, visto che non c’è scritta la vincitrice.
La strisciata di sangue sull’arena mi fa pensare che non sia andata bene e che Erci stia dando una lezione ai trasfazione a suo modo.
Esco e mi dirigo al Pozzo.
< Forza Christina! > sento le voci di Al e Tris che gridano, mi dirigo verso il suono e poco prima di uscire dal buio noto tutti gli iniziati attorno allo strapiombo e Christina appesa nel vuoto.
Eric.
Serro i pugni. Mi giro e me ne vado.

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Capitolo 10
*** Scelte innoportune ***


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                                                SCELTE INNOPPORTUNE
 
 
 
Mi sveglio con la sensazione alla bocca dello stomaco che oggi succederà qualcosa di brutto.
Mi alzo e mi prendo la testa tra le mani per scacciare via la sensazione, forse sarà dovuta dallo scenario della paura di ieri notte, ma non ho mai avuto un panico così persistente, quindi deve essere qualcos’altro.
Mi faccio la doccia, mi vesto , vado alla mensa e mi siedo al mio posto : ma la sensazione rimane. Cerco di mandare giù almeno un muffin al cioccolato, ma mi si ferma in gola, lo stomaco chiuso; sento distrattamente Shauna battibbeccare con Zeke, senza sentirli  realmente.
Quando arrivo in palestra Eric mi da le spalle, sta facendo lui le coppie, quando si volta mi lancia un occhiata e si apre in quel suo ghigno raccapricciante, appena si sposta capisco il perché: Tris dovrà combattere contro Peater.
Per un attimo resto intontito, ma poi sento quella sensazione di calore salirmi in petto, voglio prenderlo a pugni.
Lo ha fatto apposta, per dare una lezione a me; per dimostrare che io sono l’eccezione alla regola, che i Rigidi non durano negli Intrepidi e in quanto tale Tris non resisterà fino alla fine del primo modulo dell’iniziazione.
Gli iniziati cominciano ad entrare e io mi sposto al muro accanto alla porta, irrigidendo tutti i muscoli per non scagliarmi contro Eric.
Vedo Tris spalancare gli occhi alla vista del suo compagno, ma non mi importa è un iniziata come le altre, la sensazione di fastidio allo stomaco è solo dovuta alla frase sottintesa di Eric,si è così. È così .
Intanto Molly ed Edward si recano al centro dell’arena e cominciano a combattere.
Edward è veloce ed ha anche più disciplina oltre che forza, Molly non vincerà, dopo poco è a terra e quando la vedo scollarsi dal pavimento Tris si alza per cominciare il suo combattimento.
< Tutto bene, Rigida? > la provoca < Sembri sul punto di scoppiare in lacrime. Potrei andarci piano con te, se piangi. >
Eric si avvicina a me e comincia a battere freneticamente il piede a terra, sento il viso contratto e una sensazione di acido scendermi giù nella gola, intanto i due iniziati continuano a tenere alta la guardia mentre si studiano.
< Su, Rigida > dice Peater < Solo una piccola lacrima, magari qualche supplica. >
Tris storce la bocca alla parola “ supplica “ come se preferisse farsi massacrare di botte piuttosto che supplicarlo e sferra un calcio sul fianco dell’avversario, o almeno ci prova, perché Peater l’afferra per il piede e la manda a terra,riesce a rialzarsi e si affretta a rimettersi in piedi.
< Smettila di giocare con lei > interviene Eric al mio fianco. < Non ho tutto il giorno. >
Peater fa scattare il braccio sinistro e colpisce Tris alla mascella con un pugno, che la confonde facendola barcollare senza però cadere a terra.
Il Candido le si para davanti dandole un calcio allo stomaco,e Tris cade.
Sento la rabbia montare e non capisco se preferirei prendere a pugni Eric o Peater, magari tutti e due, ma la cosa che vorrei maggiormente adesso è mettermi tra lei e il suo avversario, non riesco a capire questo impulso.
Sarà perché sento di doverle quella cortesia della mia vecchia fazione?
Tris si rialza, ma Peater l’afferra per i capelli e le sferra un pugno sul naso, probabilmente glielo ha rotto perché del sangue denso e scuro comincia a scorrerle sul viso, la spinge facendola cedere un'altra volta,Tris  tossisce sangue ma riesce ad alzarsi di nuovo, è tosta e coraggiosa, ma dovrebbe davvero perdere i sensi in questo momento.
È solo un iniziata,mi dico.
Peater le dà un violento calcio sulle costole,che la manda al tappeto e lei si rimette in piedi un'altra volta,svieni per favore!
È solo un iniziata
Tira un pugno allo stomaco del suo avversario e il gemito di dolore di Peater mi provoca un delizioso brivido di piacere perverso, nello stesso momento le dà una sberla sull’orecchio a palmo aperto.
È solo un’iniziata.
Me ne devo andare, non voglio più restare qui a guardare qualcuno giocare al massacro, Eric e Peater si somigliano molto.
È solo un iniziata.
Spingo la porta e la apro.
È solo un iniziata.
Esco dalla porta.
È solo un iniziata.
Mi chiudo la porta alle spalle e comincio a correre.
 
 
 
                                                                                ***
 
 
È ora di pranzo ma non vado nella sala mensa, non ho fame.
Dopo il combattimento di Tris,sono uscito dalla residenza degli Intrepidi e sono salito sul primo treno che mi sono trovato davanti,sono arrivato alla recinzione ma quando ho visto che Shauna era di pattuglia sono tornato indietro, lei si sarebbe accorta che stavo per implodere e non volevo che facesse domande, perché non avevo davvero risposte da darle.
Così sono tornato indietro e mi sono messo a correre fino al quartiere degli Esclusi, poi ho svoltato verso quello degli Eruditi e la mia rabbia è cresciuta, sono tornato dagli Intrepidi ma la rabbia non si era sgonfiata.
Mi sto facendo la doccia ma come chiudo gli occhi rivedo Tris riversa nell’arena gonfia e grondante sangue, perché mi sento così?
Si è una Abnegante.. no non lo è più è un Intrepida, o almeno vorrebbe diventarlo, in quanto tale deve imparare a combattere e anche a perdere durante una lotta.
È perché Eric lo ha fatto di proposito,e quest’iniziazione è troppo crudele?
Eppure il suo sangue è ancora davanti alle mie palpebre, sferro un pugno controllo le mattonelle della doccia e le nocche  si spaccano, tingendo di rosa l’acqua che si raccoglie ai miei piedi.
Esco dalla doccia e mi vesto velocemente, dirigendomi verso il corridoio delle simulazioni.
Apro l’armadietto con dentro la mia scorta personale,inserisco il siero e mi spingo quasi con violenza l’ago nel collo, spingo lo stantuffo e la simulazione comincia.
Apro gli occhi e il sole mi ferisce gli occhi, sono sul tetto di un edificio così alto che non esiste nella Città,non sento il vento sferzante che mi spinge contro il cornicione, la rabbia mi ribbolle nel petto, mi lancio senza esitare.
Ho un solo obbiettivo.
Cado e mi ritrovo chiuso in una scatola di legno, non sembra nemmeno lo sgabuzzino della mia infanzia, ma non mi importa mi lancio contro la parete e la mando in frantumi.
Sono in una stanza mai vista, le pareti bianche sembrano inconsistenti.
Una ragazzina dai capelli biondi è davanti a me, è vestita da Abnegante.
Questa paura da quando sono entrato nello scenario mi provoca un ondata di panico, non sento più i polpastrelli .. ma ho un obbiettivo così alzo la pistola che ho in mano e le sparo al petto, cade a terra.
Mi volto e sono dove volevo essere, a casa di Marcus.
Lo aspetto e dopo un attimo eccolo che compare davanti a me, per la prima volta non sembra un mostro, ma i buchi neri sono solo i suoi occhi, i nostri occhi.
Si moltiplica ma non gli do nemmeno il tempo di sfilare la cintura o dire il mio nome che mi lancio su quello davanti a me,trascinandolo a terra.
Gli sono a cavalcioni e gli tempesto il viso di pugni,sotto la mascella, sullo zigomo, sull’occhio, sul naso sulla bocca, tiro indietro il gomito per colpirlo ancora una volta ma è scomparso,mi ritrovo di nuovo nel corridoio.
Mi siedo a terra e mi prendo la testa tra le mani, cercando la calma.
Quando arrivo nella palestra gli iniziati si stanno accanendo tutti sui sacchi ed Eric li osserva,ovviamente Tris non c’è.
Quando sente la porta si volta verso di me < Come sta la Rigida? > mi chiede Eric. Vorrei strappargli i pearcing uno ad uno.
< Non lo so > dico con finta noncuranza mentre mi metto al suo fianco ad osservare gli altri. < Avevo di meglio da fare che andare a controllare una Rigida per due pugni che ha preso. >
Mi avvio verso Myra per correggere la sua posizione, ma prima con la coda dell’occhio vedo il sorriso di Eric sparire e lo sgomento sul viso.
Bene.
< Myra alza di più il gomito > dico dandole un colpettino sul gomito.
Mi volto ed osservo Peater colpire il sacco, vorrei accanirmi su di lui, ma lo lascio stare  e passo oltre.
Sono le sei sto per mandare via i trasfazione quando Eric dice: < Iniziati, domani farete un escursione con Quattro > mi guarda < Alle otto e un quarto ai binari. Bene andate. >
Tutti i trasfazione mi passano accanto mentre escono dalla porta per andarsene.
< Andiamo da Tris? > dice Al con lo sguardo pensoso, preoccupato.
< Si, andiamo a vedere come sta poverina > risponde Christina, mentre Will annuisce e li segue.
La palestra finalmente è vuota e posso accanirmi sul sacco, lo scenario della paura mi ha aiutato a far uscire un po’ di rabbia, ma la sento ancora, spingermi sui polmoni.
Entro in mensa afferro un vassoio e vado verso Zeke che è stranamente silenzioso.
Mentre passo mi accorgo che i trasfazione amici di Tris sono seduti a mangiare tranquillamente, questo significa che è sola, mi siedo senza neanche salutare Zeke e divoro tutto come se non ci fosse un domani.
< Hey Quattro ma che hai? > mi chiede Zeke
< Perché? >
< Perché stai mangiando come mio fratello! >
< Ah .. > rispondo con la bocca piena < ho saltato il pranzo >
Dopo neanche cinque minuti ho finito di mangiare, mi alzo e ripongo il vassoio senza ascoltare le proteste di Zeke.
Mi dirigo verso l’infermeria e noto che all’interno c’è anche un altro iniziato, un interno.
Tris dorme, ha un occhio gonfio, che tra poco diventerà anche nero e non riuscirà ad aprirlo,il labbro spaccato e un livido sul mento. Probabilmente anche le costole le daranno problemi per qualche giorno,mi giro e me ne vado.
 
 
                                                                  ***
 
La notte sogno Tris che viene presa a pugni da Peater, di nuovo, solo che questa volta non mi importa se non dovrei intervenire, mi scaglio contro di lui, ma qualcuno mi sta trattenendo con la forza.
Eric.
Cerco di divincolarmi e per quanto impossibile riesce a trattenermi, ora Tris è a terra, non grida ma vedo distintamente i suoi occhi chiedere aiuto, così ricomincio a lottare come un animale selvatico in trappola.
Ed è così che mi sento. Un animale.
Peater le sferra l’ultimo colpo fatale e vedo la luce abbandonare i suoi occhi azzurri,diventando vitrei.
< E’ questo che succede ai Rigidi, Tobaias > sussurra Eric.
Poi mi sveglio, sudato, tremante e già esausto.
Dopo colazione mi dirigo verso i binari, sono le otto tra un po’ arriveranno gli iniziati.
Sono in testa al gruppo, vicinissimo ai binari, mentre il treno si avvicina provocandomi un dolce brivido di paura che mi si raccoglie nello stomaco, vedo Will salire nel vagone con un po di difficoltà, poco dopo afferro la maniglia e salgo anche io, rimanendo davanti al portellone aperto, con la coda dell’occhio vedo Al afferrare Tris da sotto le ascelle per aiutarla a salire e anche se lei lo ringrazia l’occhiata che gli lancia dice perfettamente il contrario.
< Tutto bene? > le chiede Peater con espressione beffarda < Non ti senti un po’ .. Rigida? >  poi scoppia a ridere e i suoi “ amici “ lo imitano.
< Siamo tutti impressionati dalla tua incredibile arguzia > interviene Will.
< Sicuro di non voler passare agli Eruditi, Peater ? > aggiunge Christina < Ho sentito che sono molto aperti verso gli effeminati. >
Cerco di non sorridere. Non sono sicuro di riuscirci, così mi volto prima che Peater possa rispondere < Devo ascoltare voi che litigate per tutto il viaggio? > chiedo con voce severa.
Torno a guardare fuori dal portellone tenendomi per le maniglie,concentrandomi sul vento che mi frusta i vestiti e sul paesaggio che ho davanti, poi sento qualcosa bruciarmi la schiena.
Uno sguardo. Tris mi sta fissando intensamente.
Sono a disaggio, sposto il peso da un piede all’altro ma mi obbligo a rimanere fermo.
< Secondo te che cosa c’è là fuori? > chiede Tris a Christina < Oltre la recinzione >
< Le fattorie immagino. >
< Si ma voglio dire .. oltre le fattorie. Da cosa difendiamo la città noi? > spiega Tris
< Dai mostri! > risponde Christina, alzo gli occhi al cielo.
< Fino a cinque anni fa non c’era nessuno a fare la guardia alla recinzione > osserva Will. < Non vi ricordate quando la polizia degli Intrepidi pattugliava il quartiere degli Esclusi? >
< Si > sussurra Tris. Probabilmente sta pensando alla sua famiglia, perché sono stati proprio gli Abneganti a dire che gli Esclusi avevano bisogno di aiuto, non di polizia. E sicuramente suo padre, come il mio, fu tra quelli che votarono a favore, essendo meglio gli Abneganti a poterglielo dare, non noi.
< Ah, giusto > commenta Will < Scommetto che tu li vedevi spesso >
< Perché dici questo? > chiede Tris, piuttosto bruscamente. A carattere. Bhè questo me lo ha già dimostrato diverse volte.
< Perché dovevi passare dal loro quartiere per andare a scuola, no? > si difende lui.
< Che hai fatto hai memorizzato la mappa della città per sport? > interiene Christina.
< Tu no? >
Il treno dà uno scossone e si ferma sotto un tendone,scendo per primo e gli iniziati mi seguono.
Davanti a noi c’è la recinzione di rete metallica < Seguitemi > ordino.
Mi dirigo verso il cancello e aspetto che si raccolgano intono a me < Se alla fine dell’iniziazione non vi sarete classificati tra i primi cinque, probabilmente finirete qui. > dico. < Nel corpo di guardia c’è qualche possibilità di fare carriera, ma non molta. Potreste riuscire a entrare nelle pattuglie dislocate oltre le fattorie dei Pacifici, ma ..  >
< E che cosa pattugliano? > mi interrompe Will.
Alzo una spalla < Presumo che lo scoprirai se ci lavorerai. Stavo dicendo .. chi comincia come guardia di recinzione molto probabilmente continuerà a fare la guardia di recinzione. Se vi puo consolare, alcuni di loro affermano che non è poi così male come sembra. > penso a Shauna e ai suoi racconti che a volte mi fanno ridere fino ad avere i crampi allo stomaco.
< Tu come ti sei piazzato? > mi chiede Peater.
Non vorrei rispondere, ma deve sapere con chi ha a che fare. < Primo. >
< E hai scelto di fare questo? > spalanca gli occhi verdi che potrebbero quasi sembrare innocenti. < Perché non hai scelto di lavorare al governo? >
Mi sto spazientendo < Perché non volevo > rispondo freddo.
Sta arrivando un camion con sopra dei pacifici e il capopattuglia si avvicina a controllare l’interno.
< Quattro! > mi volto e vedo che mi sta chiamano Shauna, così le vado incontro. < Fai vedere i lavori agli iniziati? >
< Proprio così > annuisco.
< Ma che ti è successo ieri? >
< Perché? > chiedo subito sulla difensiva.
< Niente, calmo Quattro > dice. < E’ solo che non ti ho visto a pranzo né tutto il giorno. >
< Ah .. ho avuto da fare con l’iniziazione e ho pranzato nel mio appartamento > rispondo.
< Chi è quella > mi chiede Shauna indicando Tris alle mi spalle che parla con un Pacifico con i capelli biondi ricci e un naso a punta larga.
< trasfazione Abnegante > dico con noncuranza.
< La Rigida che ha saltato per prima? >
< Si proprio lei > rispondo.
< Mmm .. > sospira Shauna continuando a guardare Tris e poi me, so che vorrebbe chiedermi qualcosa ma ci ripensa. Quando notiamo che il capopattuglia ha quasi finito mi saluta e torna al suo posto.
Mi volto e continuo ad osservare Tris che ora discute con Molly per difendere il Pacifico, quando lui le sfiora il braccio per poi salire sul camion comincio a camminare nella sua direzione.
< Temo che tu abbia un talento particolare per prendere decisioni poco opportune > dico.
< E’ stata una conversazione di due minuti > risponde lei alzando il mento con le braccia incrociate, mi guarda con aria di sfida.
< Non credo che la brevità la renda meno inopportuna. > guardo il livido sul suo occhio e d’istinto le avvicino il dito all’angolo dell’occhio, lei si ritrae ma tengo la mano sospesa tra noi due, voglio toccarla lo so è stupido, ma voglio assicurarmi che stia bene, e che sappia di quello che in realtà è capace.
Inclino la testa e sospiro : < Sai, se solo imparassi ad attaccare per prima, potresti fare di meglio >
< Attaccare per prima? In che modo mi aiuterebbe? >
< Sei veloce. Se riuscissi ad assestare qualche buon colpo prima che capiscano che cosa sta succedendo, potresti vincere. > scrollo la testa e alla fine mi convinco ad abbassare la mano, non capisce che potrebbe essere in grado di far molto di più.
< Mi sorprende che tu lo sappia. > mormora < dal momento che te ne sei andato a metà del mio unico incontro. >
È questo quello che pensa?
< Non era una cosa a cui mi andava di assistere > e prima che mi renda conto di quello che mi sono lasciato sfuggire, ho già parlato.
Lei mi guarda con gli occhi sgranati e un espressione interrogativa sul viso. Perdo l’uso della razionalità quando le sono troppo vicino, così mi schiarisco la gola e dico : < Sembra che stia arrivando un altro treno. È ora di andare Tris. >
L’iniziazione prosegue, sta mattina porto gli iniziati al poligono di nuovo, e noto con piacere che hanno fatto tutti passi avanti, in particolar modo Tris, che ora resta salda a terra, le braccia tese e la mira quasi perfetta, dopo il pranzo riprendiamo i combattimenti e Tris anche questa volta non deve combattere.
Dopo cena mi dirigo al centro di controllo, l’unico posto in cui trovo un po’ di calma nell’intera residenza degli Intrepidi.
< Quattro > mi saluta Zeke, mentre gioca ad un programma che si è scritto da solo. Se imparasse a parlare meno anche sul lavoro sarebbe un ottimo acquisto per la squadra di Lauren,ma so che è una possibilità remota quindi scuoto la testa per scacciare via il pensiero.
< Ciao > dico mentre mi siedo accanto a lui e avvio il programma.
Anche sta notte non c’è molto da vedere, i tunnel sono bui e si sente distrattamente il rumore dello scorrere dell’acqua nello strapiombo.
Mi lascio cullare dalle immagini che ruotano davanti ai miei occhi e quando non riesco a tenerli più aperti me ne vado a letto.
Sono passati due giorni dal combattimento di Tris con Peater, e non so il perché ma questo è il primo pensiero che mi colpisce appena apro gli occhi.
Mi alzo e faccio tutto come sempre, per pura forza di inerzia.
Dopo colazione lascio gli iniziati ad allenarsi con i sacchi e nel pomeriggio riprenderanno i combattimenti.
Quando è ora di cominciare i corpo a corpo mi rendo conto che non posso non far combattere Tris ancora, così la piazzo per ultima con Myra.
Non reputo Tris debole, al contrario, la reputo una delle più forti e coraggiose ragazze che abbia mai conosciuto anche se non nel senso fisico della parola.
Voglio farle capire di cosa è in grado di fare adesso dopo questi giorni di allenamento così avrebbe una maggior considerazione delle sue capacità.
I trasfazione entrano e cominciano subito a combattere, quando tocca a Tris, mi sposto accanto alla porta per poterla osservare meglio e vedere come reagisce contro Myra.
Si solo per questo voglio osservarla, solo per questo.
Si portano al centro dell’arena, mettendosi in posizione di difesa come gli ho insegnato.
Tris è più piccola dell’Erudita ma sicuramente è molto più forte e noto con piacere che ha ascoltato i consigli che gli ho dato quando eravamo alla recinzione.
Dopo un paio di secondi a girarsi intorno - e un paio di sbuffi da parte Eric – Tris si scaglia in avanti e assesta un buon montante alla mascella nei primi due minuti, Myra cade a terra priva di sensi e Tris vince.
Sento un pizzico di orgoglio per lei mentre cerchio il suo nome alla lavagna, anche se la verità è che battere una come Myra – che non riuscirebbe ad assestare un colpo neanche muovendole il braccio – non è una gran vittoria.
< Quattro > mi fermo quando sento la voce di Eric, non voglio ascoltarlo, voglio solo andare nel corridoio delle simulazioni e poi andarmene a letto.
Mi volto e noto che Eric indossa il giubbotto con la torcia attaccata e dietro di lui ci sono alcuni membri tra cui Shauna e Zeke e tutti gli iniziati interni, anche Uriah, Lynn e Marlene.
< Andiamo è arrivato il momento di far vedere a questi pivelli come giocano gli Intrepidi. > dice.
Capisco subito di cosa si tratta, così prendo la torcia che mi sta porgendo Zeke e mi avvio con tutti nella camerata dei trasfazione.

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Capitolo 11
*** Sei umana,Tris!? ***


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                                                     SEI UMANA, TRIS?
 
 
< Ognuno prenda un fucile! > grida Eric. < Tempo stimato? >
< Da un momento all’altro, ormai > dico controllando l’orologio < Quanto ti ci vuole  memorizzare gli orari del treno? >
< Chi me lo fa fare se ho te a ricordarmeli? > risponde lui, beffardo, dandomi una spintarella con la spalla.
Neanche l’avessi chiamato ecco che un cerchio di luce si avvicina in lontananza,illuminandomi il viso, quando è abbastanza vicino salgo immediatamente dentro e subito dopo noto Tris correre parallela al portellone aperto.
Stendo una mano per aiutarla a salire e non appena si stabilisce sui piede mi lascia senza degnarmi di uno sguardo, una parola, andando a sedersi dall’altra parte del vagone.
Appena gli iniziati – interni e trasfazione – sono all’interno del treno comincio a spiegare : < Ci divideremo in due squadre per giocare a strappabandiera. In ognuna ci saranno sia interni che trasfazione. Una squadra scenderà per prima e cercherà un posto dove nascondere la propria bandiera. Poi scenderà la seconda e farà la stessa cosa > la carrozza dondola e mi sostengo allo stipite del portellone aperto < E’ una tradizione degli Intrepidi, per cui vi suggerisco di prenderla seriamente. >
< Che cosa si vince ? > grida qualcuno.
Questo è il genere di domande che mi dà urto, non si deve vincere qualcosa, ma vincere  e basta è una delle regole fondamentali degli Intrepidi.
< Questo è il genere di domanda che un Intrepido non farebbe mai. Vinci che hai vinto, naturalmente. >
< Quattro e io saremo i vostri capisquadra > esordisce Eric guardandomi. < Dividiamoceli dai trasfazione, okkey? >
< Comincia tu > dico
< Edward >
Faccio scorrere lo sguardo sui trasfazione, anche se so già chi sceglierò. < Voglio la Rigida >
< Stai forse cercando di dimostrare qualcosa Quattro? > dice beffardo < Scegli i più deboli così se perdi già sai a chi dare la colpa? >
Sorrido. < qualcosa del genere. >
In realtà non penso affatto che sia la più debole, anzi, ed è – inoltre – la più perspicace ed intelligente degli iniziati, perfino più di qualche membro effettivo.
La vedo studiarsi con irritazione le mani e il viso rosso dalla rabbia, ma la verità è che non solo l’ho scelta per prima per farle guadagnare qualche punto agli occhi dei suoi compagni trasfazione, ma anche perché con la sua velocità e le spalle strette ha la corporatura perfetta per giocare e vincere a strappabandiera.
< Tocca a te > dico.
< Peter. >
< Christina >
< Molly > dice.
< Will >
< Al. >
< Drew. >
< E’ rimasta solo Myra. Viene con me. > dice Eric. < Ora gli interni. >
< Uriah > dico vedendolo sorridere come il cretino che è.
< Gabe >
< Marlene >
< Mike >
< Lynn > dico.
< Lukas >
< Sarah >
< Meg >
< Rob >
< Mat >
< Clara >
E alla fine le due squadre sono formate, ci ritroviamo con gli antipodi di squadre : noi veloci loro con il massimo della forza bruta, inutile in un gioco come questo.
< La tua squadra può scendere per seconda > mi schernisce Eric.
< Non darmi nessun vantaggio > dico sorridendo < Lo sai che non ne ho bisogno per vincere. >
< No so che perderai comunque a prescindere da quando scendi. Prendi la tua squadra di mingherlini e scendi per primo, allora >
Ci alziamo tutti in piedi e mi lancio giù dal treno in movimento, nella notte, sentendo l’adrenalina che comincia a circolare, poco dopo vedo anche Tris scendere, riuscendo a rimanere in piedi, brava, si sta facendo gambe da treno.
< Quando la tua squadra ha vinto, dove avete messo la bandiera? > mi chiede Marlene toccandomi la spalla.
< Dirtelo non sarebbe esattamente nello spirito dell’esercitazione Marlene > dico freddamente, qui sono il suo istruttore no l’amico di sua sorella maggiore con cui gioca a sfide di tanto in tanto.
< Dai, Quattro >
< Molo della Marina > grida Uriah < Mio fratello era nella squadra che ha vinto. Tenevano la bandiera nella giostra. >
< andiamo li, allora > interviene Will.
Così ci avviamo verso est, passando sul ponte sospeso sulla palude, che una volta era un lago, raggiungiamo la giostra e tiro fuori la bandiera,spiegando: < Tra dieci minuti, l’altra squadra sceglierà la sua posizione, vi suggerisco di sfruttare questo tempo per formulare una strategia. Anche se non siamo Eruditi, la preparazione mentale fa parte del vostro addestramento da Intrepidi. Probabilmente è l’aspetto più importante >
< Qualcuno dovrebbe restare qui a fare la guardia, mentre il resto i noi va a cercare la posizione dell’altra squadra > dice Will strappandomi di mano la bandiera.
< Si? Dici? > Marlene fa la stessa cosa < Chi ti ha messo al comando, trasfazione? >
< Nessuno > risponde lui < Ma qualcuno deve starci >
Appena la discussione si fa più aggressiva, smetto di ascoltare sedendomi sulla giostra, appoggiato alla zampa di plastica del cavallo; sono passati sette o otto minuti e sembra che si stia arrivando ad una strategia finalmente, così decido di abbassare lo sguardo sui visi degli iniziati, su una in particolare, ma mentre la cerco la vedo correre da dove siamo venuti, così mi alzo e faccio per seguirla.
L’ho quasi raggiunta, quando lei sale sul primo gradino di una scalinata di ferro che porta nel cuore della ruota panoramica, per saggiarne la resistenza.
< Tris > dico. Lei non sussulta, nonostante gli sia arrivato alle spalle e nel buio più totale, è perfettamente padrona di se.
< Si > dice voltandosi a guardandomi.
< Sono venuto a vedere che cosa avevi intenzione di fare >
< Sto cercando un punto più alto. Non ho intenzione di fare proprio niente. > ribatte stizzita.
È intelligente, avevo ragione. < Okkey, vengo con te >
< Ce la faccio >
< Non ne dubito. > dico, e ne sono certo,lei ce la può fare, anche a finire l’iniziazione a dispetto di quello che pensano gli altri. Lei è forte.
Comincia a salire e quando qualche metro ci separa, le vado dietro. Sento i polpastrelli formicolare, ma quando sono vicino a Tris mi sento più forte, posso farcela anche io.
Mi muovo più rapidamente di lei e dopo poco le mie mani afferrano i pioli che lasciano i suoi piedi.
Sento il vento frustarmi il corpo, cerco di ignorarlo e mi concentro su quello che devo fare.
< Dunque, dimmi .. > sussurro con il fiato corto per il panico < Secondo te quale è lo scopo di questa esercitazione? Il gioco, intendo, non l’arrampicarsi. >
Si ferma per un momento e guarda la strada sotto di noi, i suoi occhi brillano, sono vivi esattamente come il giorno che è saltata dal tetto, forse anche di più, non capisco come faccia; se guardassi di sotto rimarrei schiacciato dalla paura su questa maledettissima scala a quindici metri di altezza, con la brezza che si è trasformata in raffiche di vento forti.
< Imparare strategie > dice < Il lavoro di squadra, forse. >
< Il lavoro di squadra. > ripeto con una risata amara che mi si strozza in gola. Forse una volta era davvero questo lo scopo, un uomo coraggioso riconosce i propri limiti e si affida nelle mani dei suoi uomini.
< Forse no > si corregge. < il lavoro di squadra non sembra importante per gli Intrepidi. >
Il vento è sempre più forte,e  sento il respiro pesante, strozzarmisi in gola, stringo le mani più che posso perché ne ho perso la completa sensibilità, sto per cadere nel panico.
< Dovrebbe essere importante > dico, per distrarmi dai metri che separano i miei piedi dal terreno.
< Una volta lo era. Ora dimmi .. > continuo, ansimando convulsamente < che cosa pensi che abbia a che fare la strategia con il .. coraggio? >
< Ci .. prepara all’azione > dice. < Impariamo a elaborare strategie per poi applicarle. >
Non ce la faccio più, sento lontanamente la voce di Tris che risponde alle mie domande, mentre i miei organi interni sembrano collassare l’uno sull’altro alla ricerca della terra ferma.
< Va tutto bene, Quattro? > mi chiede alla fine Tris. Sorride , gli occhi accessi e il corpo perfettamente sotto controllo, come stesse facendo una semplice passeggiata.
< Sei umana Tris? Stare così in alto .. > deglutisco per convincere i miei polmoni a prendere aria.
< Non ti spaventa neanche un po’? >
La vedo guardare a terra, come soppesando l’idea di cadere, ma è determinata, convinta delle sue scelte.
Una raffica divento ci colpisce da sinistra, spostando il corpo di Tris verso destra, facendole quasi perdere la presa. Mi allungo e le metto una mano sul fianco spingendola dolcemente verso sinistra, per ristabilizzare la sua presa, e mentre lo faccio un dito trova un lembo di pelle scoperta, calda sotto la maglietta.
Mi formicola il dito e non è per l’altezza o il panico.
I miei muscoli rispondo tutti a questo breve contatto, come se fossi in procinto di scattare, sento il cuore pomparmi ancora più forte nelle orecchie, deve essere per la paura, si per forza,è così.
È così.
< Tutto bene? > le chiedo piano.
< Si > risponde troppo tesa e riprende la sua scalata, raggiungendo la piattaforma al centro della ruota, prendo un respiro per schiarirmi la mente e la seguo, mentre si accomoda tranquillamente sul bordo lasciando penzolare i piedi.
< Hai paura dell’altezza > dice. < Come fai a vivere nella residenza degli Intrepidi? >
< Ignoro la paura, faccio finta che non esista. > come potrei spiegarle che sono un vigliacco, che sono anni che cerco di liberarmi dalle mie paure ma restano sempre uguali, radicate profondamente in me?
Mi sta fissando,avverto il suo sguardo bruciarmi il viso, mi volto e nei suoi occhi noto domande, domande al quale so che non potrò mai rispondere. < Cosa c’è? >
< Niente > torna a concentrarsi sulla città e poi guarda in alto. < Non siamo abbastanza in alto. Mi arrampico >
Si alza continuando a studiare gli intrichi di ferro sulle nostre teste, cambio idea sulla sua opinione non è coraggiosa è folle. Pazza.
La pazzia degli Intrepidi.
Quella che ti porta a saltare nello strapiombo per gioco.
< Per l’amor di Dio, Rigida! > sbotto.
< Non devi seguirmi. > poggia un piede nel punto in cui si incrociano due spranghe e si spinge su, afferrando allo stesso tempo un’altra sbarra.
Come se potessi farla scalare da sola, per un maledetto gioco. < Invece si > la correggo e mi rendo conto che forse Tris non è l’unica folle.
Afferro la sbarra accanto alla sua mano e mi tiro al suo fianco, non ho più fiato e non è per lo sforzo fisico ma per quello mentale, questa non è una simulazione,si tira su ancora una volta e mi trovo alle sue spalle con il viso sopra la sua spalla < Vedi quella > dice indicando una luce ad intermittenza a terra.
< Si > dico sorridendo come non facevo da tanto tempo < Viene dal parco oltre il molo. Niente male : è circondato da spazio aperto, ma gli alberi forniscono una buona copertura. Evidentemente, non abbastanza > no, non abbastanza non avevano messo nei conto Tris.
< Okkey > si volta verso di me e mi rendo conto che tra i nostri visi c’è pochissimo spazio, quindici centimetri al massimo, e all’improvviso tutto scompare, non sono più appeso su una trappola mortale piazzata a trenta metri da terra, ma a pochi centimetri dal viso di Tris, che noto – per la prima volta – avere gli angoli della bocca naturalmente inclinati verso il basso, come me.
 < Ehm .. > farfuglia facendomi riscuotere, mi ricordo dove siamo. <  comincia andare. Ti seguo. >
Annuisco e scendo, riesco a trovare agilmente gli appoggi per i piedi,spostandomi da una sbarra all’altra, senza smettere di sentire il panico contorcersi nello stomaco.
Una sbarra di acciaio sbatte fragorosamente vicino al mio corpo, e contro un'altra mezza dozzina di sbarre, fino a rimbalzare sulla terra sotto di noi.
< Quattro! > urla Tris, quando alzo il volto la trovo appesa solo per le braccia e il panico mi assale, è un panico diverso, nuovo, non sono più sospeso in una delle mie quattro paure, ma sono davanti ad una che mi spinge a muovermi, ad agire.
 < Resisti! > le urlo di rimando < Cerca solo di resistere. Ho un idea. >
La mia mente è perfettamente lucida, sono sveglio e pronto a scattare e mentre scendo verso il terreno ad una velocità sorprendete penso alla cabina di comando.
Sono appena arrivato alla piattaforma dove eravamo pochi minuti fa, quando un nuovo urlo di Tris, mi si insinua nelle ossa,facendomi scendere la scaletta ancora più veloce.
Arrivo alla cabina e provo ad avviare la giostra ma non parte, apro lo sportelletto con i fili e per la prima volta ringrazio mio padre di avermi insegnato ad avviare una macchina con i fili, questa non è una macchina, ma il principio è lo stesso, spero.
Provo un paio di volte e sento solo il rumore sordo dei miei battiti cardiaci schizzati alle stelle, poi accade.
La giostra prende vita  e guardo Tris ridere ed esultare mentre scende, acquistando velocità, si stacca nel momento esatto solo che una cabina sta per schiacciarla, prontamente rotola di lato e quando è al sicuro si copre il viso con le mani.
Con Tris l’addestramento sta funzionando, ma non come vorrebbero Eric e Max – rendendola crudele – ma risvegliando in lei quell’energia e quel coraggio naturale che possiede,facendole avere una mente calma e lucida pronta ad agire nelle situazioni di pericolo.
Mi accuccio al suo fianco, mentre è ancora straiata a terra, e le  prendo una mano – scoprendole il viso - e questo contatto mi basta a risvegliare il formicolio provato sulla ruota panoramica a contatto con il suo fianco nudo. < Tutto bene? >
< Si > ha gli occhi vivi, brillano ed una strana eccitazione si fa largo dentro di me,facendomi scoppiare a ridere,cosa che fa anche lei dopo un attimo, mettendosi a sedere.
Siamo di nuovo vicini, ancora di più che sulla ruota panoramica – dieci centimetri al massimo – e l’aria tra noi vibra carica di elettricità.
< Avresti potuto dirmelo che funzionava ancora > dice tranquillamente, come se non avesse rischiato di morire due volte nell’arco di tre minuti. < Non saremmo stati costretti ad arrampicarci tanto per cominciare >
< L’avrei fatto se lo avessi saputo > rispondo. < Ma non potevo lasciarti appesa là, così ho tentato. Su, è ora di andare a rubargli la bandiera. >
Esito un attimo, sento ancora questa strana elettricità e per un secondo anche se breve la distanza che ci separa mi sembra troppo grande: l’afferro il più gentilmente possibile per il braccio, pigiandole il pollice sulla pelle morbida nell’incavo del gomito, cominciamo a correre, e questo contatto mi fa stare bene.
Mi sento eccitato,tanto quanto vedo Tris, con gli occhi spalancati,pieni di energia.
 
 
 
                                                                   ***
 
 
Sono le quattro del mattino e da venti minuti mi rigiro nel letto, sento la stanchezza pressare ogni muscolo del mio corpo, eppure la mia mente è lucida, perfettamente vigile, siamo rientrati mezz’ora fa dall’esercitazione e mi sento ancora carico e pronto all’azione.
Tris è stata davvero brava, molto coraggiosa, o forse pazza.
Tris.
Chiudo le palpebre e riesco ancora a vedere il suo viso a pochi centimetri dal mio, gli occhi spalancati e carichi di energia, per non parlare della stizza di Eric quando l’ho colpito e subito dopo la mia squadra ha vinto.
La soddisfazione più grande arriva dal fatto che sia stata proprio una Rigida a farci vincere, mentre Eric – l’Erudito mascherato da Intrepido, ottuso, crudele e sadico – ha perso.
Con il volto di Tris e i suoi occhi accesi, finalmente, prendo sonno.
Appena entro in palestra Eric è già lì, teso come una corda di violino, con le spalle rigide e la schiena dritta.
Deve aver preso male la sconfitta di ieri, sorrido.
Chissà cosa gli ha dato maggior fastidio: che sia stata Tris a trovare il modo di portarci alla bandiera, o che abbia perso.
In entrambi i casi mi sento bene.
< Domani sarà l’ultimo giorno del primo modulo. > esordisce quando i trasfazione sono entrati. < Riprenderete più tardi i combattimenti. Sta mattina imparerete a colpire un bersaglio. Ognuno prenda tre coltelli. >
Eric continua con voce più cupa del solito : < E prestate attenzione a Quattro, che vi mostrerà la tecnica corretta per lanciarli. >
All’inizio nessuno si muove. < Adesso! >
Mi posiziono davanti ai trasfazione, a mia volta davanti un bersaglio, sento lo sguardo di odio che mi lancia Eric,bene.
Impugno il coltello, divarico leggermente i piedi,inspiro mentre tiro indietro il polso, espiro quando lascio andare l’arma. Lo faccio più volte, centrando sempre il bersaglio.
< Allenarsi! > grida Eric, mentre il gruppo comincia a lanciare i loro coltelli, camminandogli intorno come una bestia in cerca della sua preda.
Tris è in piedi davanti al suo bersaglio a differenza degli altri continua a portare in avanti il braccio senza però lanciare l’arma, a poco poco corregge la postura, facendola diventare corretta completamente.
< Mi sa che la Rigida ha preso troppe botte in testa! > commenta ironico Peter  < Hei, Rigida! Hai presente un coltello? >
Lei lo ignora e continua ad allenarsi senza mai scagliare l’arma, ha capito la parte fondamentale del primo modulo di addestramento : è un esercizio più mentale che fisico.
Dopo poco ripete il movimento portando oltre la spalla il polso, scagliando questa volta il coltello che anche se non si conficca, colpisce il bersaglio davanti a lei, per prima rispetto al gruppo.
< Hei, Peter > dice beffarda. < Hai presente cos’è un bersaglio? > sorrido, e non provo neanche a trattenermi.
Mezz’ora dopo tutti conficcano le armi nei rispettivi bersagli, molti nelle assi di legno accanto, ma non lei che centra sempre la sagoma umana nei punti mortali; l’unico a non riuscirci è Al, che cerca le armi sul pavimento anziché staccarle dai bersagli come tutti.
Eric lo fissa con insistenza da qualche minuto, quando i suoi occhi si illuminano : ha trovato la sua preda.
< Quanto sei lento, Candido. Hai bisogno di un paio di occhiali? Devo avvicinarti il bersaglio? > l’iniziato lancia un altro coltello, rosso in viso, che finisce comunque contro il muro < Che cos’era questo, iniziato? >
< Mi è .. mi è scivolato > balbetta Al.
< Bè, penso che dovresti andare a raccoglierlo. > Eric scorre il resto dei volti < Vi ho detto di fermarvi? >
I coltelli ricominciano a volare, mentre Eric continua a rimane chinato su Al, con un sguardo furibondo.
< Andare a raccoglierlo > dice Al < Ma stanno tutti lanciando. >
< Quindi? >
< Quindi non voglio essere colpito. > Al può diventare un bravo soldato, o almeno in parte, non discute mai gli ordini e non sfida mai i suoi superiori a differenza altra iniziata, ma questa volta è al limite dell’obbedienza.
< Penso che tu possa contare sul fatto che i tuoi compagni hanno una migliore della tua. > Eric sorride feroce. < Vai a prendere il coltello >
< No >
< Perché no? Hai paura? > lo rimprovera Eric, si sta mettendo male, sento i muscoli tendersi e lo stomaco contrarsi.
< Di essere infilzato da un coltello volante?> scatta Al. < Certo che si! >
< Fermi! > grida Eric. < Allontanatevi. Tutti tranne te. >
Gli iniziati si allontano con il volto teso. < Mettiti davanti al tuo bersaglio. > ordina ad Al.
< Hei Quattro. Vieni a darmi una mano qui, okkey? >
Mi avvicino, grattandomi con il coltello il sopracciglio.
< Rimarrai la mentre lui lancia i coltelli > spiega Eric < finchè non impari a non battere ciglio. >
< E’ proprio necessario? > chiedo con voce annoiata,a differenza del mio corpo che è pronto ad ogni sua risposta fisica, lo sto sfidando apertamente dentro la sua palestra, della sua fazione, ma non me ne importa niente, non può comportarsi in questo modo solo perché il suo orgoglio è stato ferito ieri notte.
Continuiamo a fissarci negli occhi. < Comando io qua, ricordi? > mi dice piano < Qui, e da ogni altra parte. >
Sto per rispondergli che se comanda è solo perché importano i suoi contatti con gli Eruditi, perché non è in grado di pensare, ed è un sadico, esattamente il fantoccio che è disegnato, per essere.
Mi mordo l’interno della guancia sentendo il viso scaldarsi per la frustrazione.
Sto per girarmi verso Al, quando qualcosa o meglio qualcuno mi interrompe : < SMETTETELA! > sbotta Tris.
La guardo cercando di pietrificarla con lo sguardo, è una stupida ad aver aperto bocca, e soprattutto al rivolgersi così ad un Eric furioso, ma sapevo che sarebbe successo.
Il suo cervello da Abnegante è uscito fuori.
< Qualunque idiota può star davanti ad un bersaglio > continua lei, nonostante la trafigga con lo sguardo. < Non dimostra niente, se non che state facendo il bulli con noi. Il che, se non ricordo male, è un comportamento da vigliacchi. >
Avevo ragione, si sta mettendo in difesa del più debole.
< Allora non avrai problemi > la provoca Eric < a prendere il suo posto. >
Lo sguardo di Tris non vacilla nemmeno un istante, è determinata. È altruista e coraggiosa e come ogni volta che penso a lei anche un pò pazza.
Stringe le mani e con passo sicuro si posiziona davanti al bersaglio lasciato libero da Al, rivolgendogli un sorriso incoraggiante, si posizione al suo posto con le mani strette sui fianchi, il mento alto e la schiena dritta.
< Se chiudi gli occhi > l’avviso, scandendo ogni parola < Al, prende il tuo posto, chiaro? >
Annuisce.
La fisso attentamente negli occhi e tiro indietro il gomito,scagliandole il coltello a dieci centimetri dalla sua guancia.
Riprende fiato e chiude gli occhi.
< Ne hai abbastanza, Rigida? > spalanca gli occhi che si riaccendo di determinazione. < No. > dice.
< Occhi aperti allora > passo il coltello da una mano all’altra e la colpisco nuovamente, proprio sopra la testa.
< Su Rigida > continuo io. So di sembrare crudele, ma lei mi capisce, lo faccio solo per continuare a spronarla, ricordandole che se si arrende il suo amico prenderà il suo posto, la spingo al limite, perché è quando è altruista che diventa davvero coraggiosa. < Lascia che qualcun altro prenda il tuo posto. >
< Stai zitto, Quattro! > sbotta lei.
Impugno l’ultimo coltello e mi rendo conto che se voglio farla uscire da qui alla svelta l’unico modo è ferirla, tiro indietro il gomito, espiro e la colpisco.
Un rivolo di sangue sgorga dall’orecchio che le ho colpito.
< Mi piacerebbe fermarmi a vedere se voi altri siete coraggiosi come lei > dice Eric < ma penso che per oggi sia abbastanza. >
Le stringe una spalla, lanciandole uno sguardo di rivendicazione, come se fosse merito suo il coraggio che ha dimostrato Tris, ha trovato una nuova preda < Dovrei tenerti d’occhio > le sussurra all’orecchio.
Tutti se ne vanno e nella palestra rimaniamo solo io e Tris, che perde sangue abbondante dall’orecchio. < Il tuo .. > comincio.
< L’hai fatto apposta! > mi grida contro.
< Si > rispondo duro < E dovresti ringraziarmi per averti aiutata. >
< Ringraziarti?mi hai quasi mozzato un orecchio e hai passato tutto il tempo a provocarmi. Di cosa dovrei ringraziarti? >
Provocarla? È questo che crede? Lo spronata ha essere altruista e quindi coraggiosa. Le appaio davvero così? cosa altro devo fare per farle capire di stare attenta? Che in questo posto persone come lei, tendono ad avere vita molto breve.
< Lo sai, mi sto un  po’ stancando di aspettare che tu capisca! > dico guardandola con rabbia.
< Capire? Capire cosa? Che volevi dimostrare ad Eric che sei un duro? Che sei sadico, proprio come lui? >
E da quando ho scoperto che mia madre era viva e mia aveva lasciato con mio padre, questa è la prima fase che mi si ferma in gola, tra la rabbia e il dolore. Pensa che io sia un sadico, come Eric, come mio padre. < Non sono un sadico. > rispondo, scagliando il coltello sul tavolo vicino a me, lasciandomi alle spalle la Palestra e Tris. 

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Capitolo 12
*** Il Giorno delle Visite ***


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                                                 IL GIORNO DELLE VISITE
 
 
 
 
Oggi è la Vigilia del Giorno delle Visite, domani avrò la mia occasione.
Questo è il primo pensiero che mi colpisce appena apro gli occhi,spingendomi ad alzarmi dal letto come se fossi attaccato ad un filo elettrico scoperto.
< Che facciamo domani? > mi chiede Zeke appena mi siedo accanto a lui.
< Domani? >
< Si, hai presente il Giorno delle Visite? Stavo pensano che potremmo ubriacarci con mio fratello fino a svenire e poi convincere mia madre a farci una torta! >
< Parlate di domani? > interviene Shauna, entrambi annuiamo. < quindi che facciamo? >
< Ecco stavo giusto proponendo a Quattro .. >
< Smettetela > dico < Sto bene, domani lavoro non  vi preoccupate. E no, Zeke, non puoi dirmi nulla per convincermi, magari ci vediamo la sera. >
Finisco la mia colazione e vado in palestra, oggi ci sarà l’ultimo combattimento, così mi avvio sotto lo sguardo di Eric alla lavagna per fare le coppie:
 
                                                                     Will – Myra
                                                                       Al - Christina
                                                               Edward – Peter
                                                                     Tris – Molly
                                                                     Drew
 
Gli iniziati cominciano ad entrare e quando mi sposto dalla lavagna accanto alla parete vedo Tris guardare la lavagna, ma invece di sgranare gli occhi la vedo accendersi al nome di Molly, come se avessi esaudito un suo desiderio.
Will e Myra si portano al centro dell’arena e dopo pochi istanti Myra cade a terra priva di sensi, la stessa cosa accade tra Al e Christina, con Christina vincitrice, vedo Eric scuotere la testa alla vista di Al a terra – dopo solo un paio di pugni assestati bene – comincio a pensare che lo faccia a posta a perdere.
Il combattimento tra Edward e Peter dura poco di più degli altri; c’è una notevole differenza tra i due. Edward è più alto, agile e veloce, la vista di Peter sul pavimento mi provoca ancora un brivido di piacere perverso.
Subito dopo Molly e Tris si portano l’una di fronte all’altra, ma l’atteggiamento di quest’ultima è diverso.
Determinato. Non nel modo in cui lo era durante strappabandiera, ma in maniera fredda e distaccata, è fuoco.
< Era una voglia quella che ho visto sulla tua chiappa sinistra? > ridacchia Molly < Accidenti se sei pallida Rigida. >
Tris non cede alle provocazione, è determinata a vincere, non si muove di un centimetro mentre la sua avversaria le va in contro.
Molly fa sempre la prima mossa, e infatti le si lancia contro caricando tutto il peso, Tris si abbassa e le assesta un pugno allo stomaco, le scivola accanto prima che possa afferarla, blocca con l’avambraccio il colpo successivo ma il suo viso non fa una piega, con uno sbuffo di frustrazione Molly tira un calcio nelle costole di Tris, che la schiva assestandole una gomitata sulla faccia, che a sua volta la colpisce nello stomaco.
Tris fa una smorfia ma continua ad osservare l’avversaria, studiandola, hanno lo stesso difetto tengono la guardia troppo alta per proteggere il viso, immediatamente noto che anche Tris lo ha capito le tira un montante sotto l’ombellico, con lo sgambetto la fa cadere a terra e comincia a prenderla calci.
Prima uno, poi due, poi tre, Molly perde i sensi ma Tris è determinata ad accanirsi ancora su di lei.
L’afferro intrappolandola tra le mie braccia e la trascino via < Hai vinto > dico < Basta. >
La guardo negli occhi e per un attimo non sono più qui.
Rivedo il mio sguardo in lei, quando ho spaccato un dente ad Eric, non aveva intenzione di fermarsi neanche se Molly avesse sputato sangue, si sarebbe accanita su di lei ancora e ancora, uccidendola probabilmente.
< Fatti un giro > dico allarmato, ho quasi paura che se mi allontanassi potrebbe tornare ad accanirsi sulla sua compagna senza smettere.
< Sto bene > mi dice. < Sto bene ora > e questa volta sembra dirlo a se stessa, non c’è senso di colpa nei suoi occhi, solo fuoco e orgoglio per aver trasformato Molly in un ammasso di carne sanguinolento.
La giornata si trasforma in una macchia di suoi e colori indistinti, sono troppo concentrato su quello che dovrò fare domani.
Prima di andare a letto, entro nella camerata dei trasfazione per tirare giù la lavagna e calcolare i punteggi.
Pochi giorni fa mi sono dovuto battere contro Eric per are più peso a chi dimostrava un miglioramento, mentre lui diceva che andava premiato chi rimaneva costante, almeno su questa l’ho spuntata.
Posiziono la lavagna accanto ai miei piedi e seduto al piccolo tavolo comincio a calcolare i punteggi; Edward è primo dall’inizio ed è migliorato ancora quindi rimane tale, Peter è secondo, Molly dopo aver perso con Tris precipita e quest’ultima risale notevolmente.
Non so come sono andati gli interni, quello lo valuterò con Lauren tra un paio di giorni, ma questa posizione dovrebbe bastare per portare Tris al modulo successivo.
 
                                                              ***
 
 
 
Anno nuovo, Giorno delle Visite nuovo.
Due anni fa, quando ero un iniziato, ho fatto finta che questa giornata non esistesse proprio e mi sono rifugiato in palestra ad allenarmi con il sacco da boxe. Ci sono stato così a lungo che la puzza di polvere e sudore mi è rimasta addosso per giorni.
L’anno scorso, il primo da istruttore degli iniziati, ho fatto la stessa cosa, anche se sia Zeke che Shauna mi avevano invitato a passare la giornata con le loro famiglie. Questa volta ho cose più importanti da fare che prendere a pugni un sacco o rimuginare sulle disfunzioni della mia famiglia. Devo andare al centro di controllo.
Attraverso il Pozzo, schivando scoppi di risa e abbracci commossi.
Nel Giorno delle Visite è consentito a tutte le famiglie di riunirsi, anche se sono divise tra fazioni diverse, ma di solito, col tempo, smettono di farlo. La fazione prima del sangue , dopotutto.
La maggiore varietà di vestiti la si vede nei capannelli dei trasfazione: la sorella Erudita di Will è vestita di azzurro, i genitori Candidi di Peter sono in bianco e nero. Li guardo, domandandomi se siano stati loro a forgiarlo così com’è. Ma non credo che la gente sia sempre così semplice da spiegare.
Mi attende una missione, ma mi fermo lo stesso per un momento accanto allo strapiombo, appoggiandomi alla ringhiera. Sull’acqua galleggiano alcuni pezzetti di carta.
Ora che so dove si trovano i gradini intagliati nella pietra sulla parete opposta riesco a individuarli subito, e anche la porta nascosta da cui vi si accede.
Sorrido, pensando alle notti che ho passato su quelle rocce con Zeke o con Shauna, a volte a parlare, a volte solo seduti ad ascoltare l’acqua. Sento dei passi e mi volto.
Tris sta venendo verso di me, sottobraccio a una donna Abnegante vestita di grigio.
 Natalie Prior. Mi irrigidisco, in preda a un improvviso disperato desiderio di fuga. E se Natalie sa chi sono, da dove vengo? E se se lo lasciasse scappare, qui, in mezzo a tutte queste persone?
Non è possibile che mi riconosca. Non assomiglio per niente al bambino che conosceva lei, allampanato e ingobbito sotto dei vestiti troppo grandi.
Appena mi raggiunge, stende la mano verso di me.
«Ciao, mi chiamo Natalie. Sono la mamma di Beatrice.» Beatrice. Quel nome non c’entra niente con lei.
Stringo la mano di Natalie e gliela scuoto. Non ho mai condiviso la passione che gli Intrepidi hanno per questo gesto. È così strambo… non sai mai quanto stringere, quante volte scuotere.
«Quattro» dico. «Piacere di conoscerla.»
 «Quattro.» Natalie sorride. «È un soprannome?»
 «Sì» taglio corto e cambio subito argomento. «Sua figlia sta andando bene. Sto seguendo il suo addestramento.»
«Mi fa piacere sentirlo. So qualcosa dell’iniziazione degli Intrepidi ed ero preoccupata per lei.» Guardo Tris. Le sue guance hanno preso colore.
Sembra felice, come se la sola vista di sua madre le facesse bene.
 Per la prima volta mi rendo veramente conto di quanto sia cambiata da quando l’ho vista ruzzolare sulla piattaforma di legno, con quell’aria tanto fragile da farmi pensare che l’impatto con la rete avrebbe potuto spezzarla.
Non sembra più fragile ora, con quelle ombre sul viso disegnate dai lividi e quella nuova stabilità nella postura, come se fosse pronta a tutto.
«Non ha niente di cui preoccuparsi» rassicuro Natalie. Tris abbassa gli occhi. Credo sia ancora arrabbiata con me per averle ferito l’orecchio con il coltello. Non posso darle completamente torto. «Non so perché, ma hai un aspetto familiare, Quattro» dice Natalie.
La prenderei come una frase detta tanto per dire, se non fosse per il modo in cui mi sta scrutando, come se stesse cercando di incastrarmi.
«Non saprei spiegarglielo» rispondo, cercando di rimanere il più freddo possibile. «Non ho l’abitudine di frequentare gli Abneganti.»
 Lei non reagisce con sorpresa, paura o rabbia, come mi sarei aspettato. Si mette solo a ridere. «Ce l’hanno in pochi, di questi tempi. Non me la prendo.» Se mi ha riconosciuto, non sembra impaziente di dirlo. Cerco di rilassarmi.
«Be’, vi lascio al vostro incontro» le saluto.
 
 
                                                                       ***
 
 
Le inquadrature delle videocamere di sorveglianza sul mio monitor si spostano dall’atrio della Guglia alla cavità delimitata da quattro edifici, attraverso cui gli iniziati fanno il loro ingresso negli Intrepidi. Ci si è raccolta intorno una piccola folla, e le persone vi entrano e ne escono, immagino per testare la rete.
 «Niente Giorno delle Visite?» Gus, il mio supervisore, si ferma al mio fianco, sorseggiando una tazza di caffè.
Non è vecchissimo, ma ha un principio di calvizie sulla sommità della testa. Tiene i capelli molto corti, persino più dei miei, e ha i lobi delle orecchie dilatati da due grossi anelli. «Non pensavo di rivederti prima della fine dell’iniziazione.»
«Ho pensato che tanto valeva fare qualcosa di utile.»
 Vedo sul monitor tutta la gente uscire dalla cavità e farsi da parte, schiacciandosi con la schiena contro uno dei palazzi. Una figura scura si avvicina lentamente al cornicione, prende una breve rincorsa e salta, per poi scomparire di sotto.
Mi sento sprofondare lo stomaco come se fossi io a cadere: non mi abituerò mai a guardare certe cose.
«Sembra si stiano divertendo» dice Gus, bevendo un altro sorso di caffè. «Comunque, sei sempre il benvenuto al lavoro, anche fuori orario, ma non è un crimine andare un po’ a divertirsi, Quattro.» Mentre se ne va mormoro: «Così dicono».
Mi guardo intorno. Il centro è quasi vuoto. Sono in pochi quelli che vengono convocati per lavorare nel Giorno delle Visite, e di solito sono i più anziani. Gus è chino sul suo monitor. Accanto a lui altri due operatori fanno scorrere le inquadrature con le cuffie appoggiate sulla testa solo per metà. E poi ci sono io.
 Digito un comando per aprire il filmato che ho salvato la settimana scorsa. Si vede Max nel suo ufficio che, seduto al computer, scrive sulla tastiera con il dito indice,impiegando diversi secondi tra una lettera e l’altra per cercare il tasto giusto.
Non sono molti gli Intrepidi in grado di usare la tastiera… di sicuro non Max, che a quanto ne so ha passato la maggior parte della vita a pattugliare il quartiere degli Esclusi con una pistola al fianco. Non doveva aver previsto che un giorno avrebbe avuto bisogno di usare un computer. Mi avvicino al monitor per assicurarmi che i numeri che mi sono trascritto in precedenza siano esatti.
 Se lo sono, significa che quella che ho in tasca, annotata su un pezzo di carta, è la password per entrare nel computer di Max.
Da quando mi sono reso conto che collabora con Jeanine Matthews, e ho cominciato a sospettare che entrambi siano implicati nella morte di Amar, ho cercato un modo per indagare più a fondo. E ne ho trovato uno, qualche giorno fa, quando l’ho visto comporre la password. 084628. Sì, i numeri sembrano giusti. Ritorno alle immagini in diretta e faccio scorrere i canali finché non trovo la videocamera puntata sull’ufficio di Max e quella nel corridoio antistante. Digito il comando per escludere la prima dalla rotazione, in modo che Gus e gli altri non vedano quelle immagini, che gireranno solo sul mio schermo.
Le videocamere di tutta la città vengono distribuite tra le persone presenti nel centro di controllo in ogni momento, in modo da non finire a guardare tutti le stesse inquadrature. È previsto che una videocamera possa essere esclusa dalla rotazione generale solo per pochi secondi e solo se c’è qualcosa da verificare, ma spero di non metterci molto. Abbandono silenziosamente la mia postazione e vado agli ascensori.
Questo piano della Guglia è quasi vuoto, sono già andati via tutti. Ciò mi renderà più facile fare quello che devo. Premo il pulsante del decimo piano e, una volta arrivato, cammino deciso verso l’ufficio di Max.
Ho scoperto che quando si sta facendo qualcosa di nascosto è meglio non avere l’aria furtiva. Tamburello sulla chiavetta USB che ho in tasca mentre percorro il corridoio e svolto l’angolo per raggiungere l’ufficio. Spingo la porta con la scarpa… prima, dopo essermi assicurato che lui fosse andato al Pozzo per cominciare i preparativi per il Giorno delle Visite, sono passato di qui e ho bloccato la serratura con il nastro adesivo. Mi chiudo silenziosamente la porta alle spalle, senza accendere le luci, e mi accovaccio davanti al tavolo. Non voglio spostare la sedia per sedermi, e rischiare che lui si accorga che qualcosa è cambiato. Il sistema mi chiede la password.
Mi sento la bocca asciutta. Prendo il foglietto dalla tasca e lo stendo sulla scrivania, poi scrivo: 084628.
La schermata cambia, e quasi non ci credo che abbia funzionato. Muoviti!
Se Gus scopre che sono andato via, o che sono qui, non saprei che cosa dirgli, quale scusa plausibile inventare. Inserisco la chiavetta nel computer e trasferisco il programma che vi ho copiato prima di venire.
 Ho chiesto a Lauren di darmi un programma con cui sia possibile accedere dal mio computer a quello di un’altra persona.
 Le ho raccontato di voler fare uno scherzo a Zeke, e lei è stata felice di aiutarmi… un’altra cosa che ho scoperto degli Intrepidi è che sono sempre pronti a fare scherzi, e quasi mai sospettosi. Con una semplice sequenza di tasti, il programma è installato e nascosto in una parte del computer in cui sono sicuro che a Max non verrà mai in mente di guardare. Mi rimetto in tasca la chiavetta, insieme al foglietto con la password, ed esco dall’ufficio stando attento a non lasciare impronte sul pannello di vetro della porta.
È stato facile, penso mentre torno agli ascensori. Secondo il mio orologio ci ho messo solo cinque minuti. Posso dire che sono stato in bagno, se qualcuno me lo chiede.
Ma quando torno al centro di controllo, Gus è davanti al mio computer e sta fissando il mio monitor.
Mi sento raggelare. Da quanto tempo è lì? Mi avrà visto entrare nell’ufficio di Max?
 «Quattro» mi dice con voce grave. «Perché hai isolato questa videocamera? Non ti è permesso escludere i canali dalla rotazione, lo sai.»
«È che…» Di’ una bugia! Ma dilla subito! «Mi è sembrato di vedere qualcosa» finisco senza troppa convinzione. «Ci è permesso isolare i filmati se notiamo qualcosa di strano.»
Gus mi si avvicina. «E allora perché ho visto solo te su questo schermo, che uscivi proprio da quel corridoio?» Indica il corridoio sul mio monitor. Mi sento soffocare.
 «Mi è sembrato di vedere qualcosa e sono andato di sopra a controllare» rispondo. «Mi dispiace, volevo solo farmi un giro.» Lui mi fissa, mordicchiandosi l’interno della guancia. Io non mi muovo e sostengo il suo sguardo. «Se ti capita di nuovo, segui il protocollo. Prima di prendere qualsiasi iniziativa, ne parli con il tuo supervisore, che è… chi è, prova a dirmelo?»
«Sei tu» rispondo, con un sospiro. Non mi piace essere trattato con condiscendenza.
«Esatto. Vedi che ce la puoi fare. Sinceramente, Quattro, dopo un anno e passa che lavori qui non dovrebbero più esserci così tante irregolarità nelle tue prestazioni. Abbiamo norme molto chiare, e tutto quello che devi fare è seguirle. Questo è l’ultimo avvertimento, okay? »
«Okay.»
Sono stato richiamato altre volte per aver escluso le videocamere dalla rotazione, quando volevo assistere alle riunioni tra Jeanine Matthews e Max, o tra Max ed Eric. Non ne ho mai ricavato nessuna informazione utile e mi sono quasi fatto beccare.
«Bene» fa lui in tono più cordiale. «Buona fortuna con gli iniziati. Hai di nuovo i trasfazione, quest’anno?»
«Sì. Lauren ha gli interni.»
 «Peccato, speravo potessi conoscere la mia sorellina. Se fossi in te, farei qualcosa per rilassarmi. Qui siamo a posto. Ricordati solo di sbloccare quella videocamera prima di andartene.»
 Torna al suo computer e io distendo la mascella. Non mi ero neanche accorto che stavo stringendo i denti.
Con la faccia congestionata, spengo il computer e me ne vado. Non riesco a credere di averla scampata. Ora, con quel programma installato nel computer di Max, posso guardarmi tutti i suoi file nella relativa solitudine del centro di controllo. Posso scoprire che cosa stanno combinando esattamente lui e Janine.
Risalgo le vie del Pozzo ma è ancora affollato come prima, prima di girare e dirigermi verso la palestra vedo Natalie Prior trascinare via Tris con un forza per un braccio,scomparendo in un corridoio poco frequentato e non controllato dalle telecamere.
Strano, nessuno usa quel corridoio si può quasi definire un vicolo ceco, eppure la madre di Tris camminava con aria sicura, determinata, con quella stessa luce di urgenza che si è accesa negli occhi di Tris quando Eric mi ha chiesto di tirare coltelli ad Al.
Sembra quasi che quella donna sia già stata qua.
Scuoto la testa e mi avvio verso la palestra, ricacciando indietro il pensiero, Natalie Prior è la perfetta donna Abnegante,è impossibile sia già stata qua.
Appena entro l’odore di polvere e sudore mi trafigge, è un odore pungente ma nel tempo è diventato rassicurante, soprattutto in questo giorno.
Mi accanisco contro il sacco, pensando a quando avrò il primo momento di pace per controllare il programma che ho inserito nel computer di Max.
Arriva l’ora di pranzo e decido di andare nel mio appartamento, non voglio che Zeke e Shauna mi trascinino con loro, per quanto posso essere riconoscente per questo gesto, mi sentirei a disaggio in famiglie espansive e rumorose come solo quelle Intrepide possono essere.
Per me è meglio così, così è normale.
Calma e silenzio, solitudine.
È sera e ho passato buona parte del pomeriggio nel mio scenario della paura, dovrei mangiare ma mi sento ancora troppo esagitato al pensiero di Max e degli Eruditi.
Fisso la parete bianca davanti al mio letto e mi viene in mente una cosa.
Esco mi avvio nelle dispense degli Intrepidi alla ricerca di una bomboletta spray, o della vernice, quando la trovo corro di nuovo nel mio appartamento e guardo di nuovo la parete.
Mi ci avvicino prendendo in mano il pennello, scrivo.
 TEMI SOLTANTO DIO
Non è vero e le mie paure lo dimostrano, ma da oggi in poi sarà così,perché se realmente riesco a scoprire cosa sta succedendo tra gli Intrepidi ed Eruditi, per affrontare quello che varrà dopo dovrò essere tanto coraggioso da temere solo Dio.
Guardo l’orologio e mi accorgo che la cena nella mensa si è concluso, afferro la lavagna e mi dirigo dai trasfazione.

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Capitolo 13
*** Tris, una vera Intrepida ***


Image and video hosting by TinyPic                                       TRIS, UNA VERA INTREPIDA.
 
 
 
 
< Bene, ecco la prima classifica di fine modulo. > dico < Ora vi spiegherò come funzionano i punteggi. >
La porta si apre e ne entrano altri trasfazione così ricomincio da capo.
< Per quelli che sono appena entrati, sto spiegando come vengono calcolati i punteggi. Dopo il primo turno di combattimenti, vi abbiamo assegnato un livello di abilità. Il numero di punti che guadagnerete dipende dal vostro livello di abilità e dal livello della persona contro cui vincete. Guadagnate più punti se migliorate e se battete una persona di livello superiore. Non premiamo chi si accanisce sui più deboli. Quella è vigliaccheria. > mi fermo ed osservo un secondo Peter perché è di lui che sto parlando. < Chi ha un punteggio alto perde se viene sconfitto da un avversario con un punteggio più basso. > Molly emette un verso sgradevole, ma la ignoro. < La seconda parte dell’addestramento ha più valore della prima, perché è più strettamente legata al controllo della paura > proseguo. < Ciò premesso, è estremamente difficile raggiungere una posizione alta a fine iniziazione, se si è ottentuto un punteggio basso nella prima fase. >
Mi fermo un attimo distratto da Tris che sposta il peso da un piede all’altro, per contenere la tensione.
< Annunceremo chi non ce l’ha fatta domani. > concludo < Il fatto che voi siate trasfazion e non interni non sarà tenuto in considerazione. I quattro Esclusi potreste essere solo voi, solo loro ma qualsiasi altra combinazione è possibile. Detto questo, ecco i vostri punteggi. >
Appendo la lavagna e mi sposto di lato per mostrarla:
 
  1. Edward
  2. Peter
  3. Will
  4. Christina
  5. Molly
  6. Tris
  7. Drew
  8. Al
  9. Myra
 
< Che cosa? > sbotta Molly, dopo un attimo indicando Christina < Io l’ho battuta! L’ho battuta in pochi minuti e lei si è classificata sopra  di me? >
< Già > commenta Christina. < E allora? >
< Se vuoi assicurarti una posizione alta, ti suggerisco di non prendere l’abbitudine di perdere contro avversari con un punteggio basso. >
Mi infilo in tasca il gesso ed esco dalla camerata, sto parlando di Tris e lei lo sa, entrambe lo sanno, se chiudo gli occhi riesco ancora a vedere la luce sadica negli occhi di Tris mentre guardava inerme la sua avversaria.
Mi reco nel mio appartamento, m spoglio mettendomi a letto, con il pensiero ancora di questo lato di Tris e l’odore pungente della vernice nelle mie narici mi addormento.
Quella notte sogno che sto camminando all’interno della Guglia.
Sono solo, mentre avanzo in quel dedalo infinito di corridoi, e dalle finestre si vede sempre la stessa cosa: i binari della soprelevata che curvano fra gli alti palazzi, alla tenue luce del sole oscurato dalle nuvole. Mi sembra di camminare per ore, e mi sveglio di soprassalto con la sensazione di non aver dormito affatto.
Sento bussare e una voce che urla: «Apri!»
Mi sento sprofondare in un incubo peggiore di quello da cui mi sono appena risvegliato. Per un attimo immagino siano soldati Intrepidi venuti a prendermi perché hanno scoperto che sono un Divergente, o che sto spiando Max, o che – nell’ultimo anno – ho riallacciato i rapporti con mia madre, che è un’Esclusa.
Tutte cose che mi rendono un “traditore della fazione”. Sono venuti per uccidermi… ma mentre vado verso la porta, mi rendo conto che – se fosse davvero così – non farebbero tutto questo baccano. E inoltre, questa è la voce di Zeke.
 «Zeke» dico, aprendo. «Che ti prende? È notte fonda.»
Ha la fronte sudata ed è senza fiato.
Dev’essere venuto di corsa.
 «Stavo facendo il turno di notte al centro di controllo. È successo qualcosa nella camerata dei trasfazione.»
Per qualche motivo il mio primo pensiero è per lei , i suoi occhi spalancati che mi fissano da un angolo nascosto della memoria.
«Che cosa? A chi?» chiedo.
«Te lo dico mentre andiamo.» Mi metto le scarpe, mi infilo il giubbino e lo seguo in corridoio. «L’Erudito, quello biondo» dice Zeke.
Trattengo un sospiro di sollievo. Non è lei. Non le è successo niente.
«Will?»
«No, l’altro.»
«Edward.»
 «Sì, Edward. È stato aggredito.Accoltellato.»
«È morto?»
«Vivo. Una coltellata all’occhio.»
Mi fermo. « All’occhio? »
 Zeke annuisce. «A chi l’hai detto?»
 «Al supervisore notturno. Lui è andato a riferirlo a Eric, ed Eric ha detto che se ne sarebbe occupato.»
 «Come no.» Devio verso destra, nella direzione opposta al dormitorio dei trasfazione.
«Dove stai andando?» chiede Zeke.
«Edward è già in infermeria?» chiedo camminando all’indietro mentre parlo. Zeke annuisce. «Allora vado da Max.»
 
 
                                                                    ***
 
 
La residenza degli Intrepidi non è così grande da non sapere dove vive la gente. L’appartamento di Max è sepolto nelle profondità dei corridoi sotterranei e si trova vicino a una porta secondaria che dà direttamente sull’esterno, sulla ferrovia. Cammino a passo svelto in quella direzione, seguendo le lampade azzurre d’emergenza alimentate a energia solare. Batto col pugno sulla porta di metallo, svegliando Max nello stesso modo in cui Zeke ha svegliato me.
 Lui apre la porta di scatto dopo pochi secondi, i piedi scalzi e lo sguardo confuso. «Che cos’è successo?»
 «Uno dei miei iniziati è stato accoltellato a un occhio.»
«E sei venuto qui? Nessuno ha informato Eric?»
«Sì. È proprio di questo che volevo parlarti. Ti dispiace se entro?»
Non aspetto la risposta, gli passo accanto e mi infilo in soggiorno. Lui accende la luce e, davanti ai miei occhi, appare lo spazio abitato più caotico che abbia mai visto: tazze e piatti sporchi sparsi sul tavolino da caffè, i cuscini del divano tutti sparpagliati, il pavimento grigio di polvere.
 «Voglio che l’iniziazione torni a essere quella che era prima che Eric la rendesse più competitiva» dichiaro «e voglio che lui non metta piede nella palestra dove addestro gli iniziati.»
 «Non penserai davvero che sia colpa di Eric se qualcuno è stato ferito» dice Max, incrociando le braccia. «O di essere nella posizione di avanzare pretese.»
«Sì che è colpa sua. È ovvio che è colpa sua!» esclamo a voce più alta di quanto non intendessi. «Se non si stessero contendendo dieci posti soltanto, non sarebbero così disperati da essere pronti ad aggredirsi l’un l’altro! Lui li ha portati a un tale livello di tensione che è solo questione di tempo prima che esplodano!»
Max rimane in silenzio. Sembra scocciato, ma non mi ride in faccia. È già qualcosa.
 «Non pensi che sia l’iniziato che ha aggredito il compagno a dover essere ritenuto responsabile?» mi chiede. «Non pensi di dover incolpare lui, o lei, invece di Eric?»
 «Certo che lui, o lei, o chi diavolo è, deve essere ritenuto responsabile. Ma questo non sarebbe mai successo se Eric…»
 «Non puoi esserne certo.»
 «Qualsiasi persona con un po’ di sale in zucca ne sarebbe certa.»
 «Io non ho sale in zucca?» La sua voce si fa bassa, minacciosa, e improvvisamente mi ricordo che Max non è solo il capofazione a cui inspiegabilmente sto simpatico, ma è anche il capofazione che sta collaborando con Jeanine Matthews, che ha promosso Eric e che – probabilmente – è coinvolto nella morte di Amar.
«Non è questo che intendevo» dico,cercando di calmarmi.
«Dovresti stare attento a quello che dici e a come lo dici» ringhia, venendo verso di me, «o qualcuno comincerà a pensare che insulti i tuoi superiori.»
Non rispondo. Lui si avvicina ancora di più. «O che metti in discussione i valori della tua fazione.» I suoi occhi iniettati di sangue si spostano sulla mia spalla dove, sopra il colletto della camicia, si intravede una porzione del mio tatuaggio. Da quando me lo sono fatto, ho tenuto sempre nascosti i cinque simboli delle fazioni che ho sulla schiena, ma in questo momento mi viene il terrore che Max ne sia al corrente e che sappia che cosa significano: che non sono un perfetto Intrepido, che sono convinto che bisognerebbe valorizzare più di una virtù, che sono un Divergente.
«Hai avuto la tua occasione di diventare capofazione» continua lui. «Forse avresti potuto evitare questo incidente se non ti fossi ritirato come un codardo. Ma l’hai fatto. E ora ti tocca affrontarne le conseguenze.»
 La sua faccia mostra tutta la sua età. Ci sono rughe che non c’erano l’anno scorso o l’anno prima, e la pelle scura è diventata grigiastra, come se fosse ricoperta da un sottile strato di cenere.
 «Eric mette bocca nell’addestramento perché l’anno scorso tu ti sei rifiutato di seguire i suoi ordini…»
L’anno scorso interrompevo tutti i combattimenti prima che le ferite diventassero troppo serie, nonostante le direttive di Eric di proseguire finché uno dei contendenti non si fosse più rialzato. Ho quasi perso il posto di istruttore per questo. In effetti, l’avrei perso, se non fosse intervenuto Max. «…e io ti ho voluto dare un’altra possibilità di rimediare, tenendoti più sotto controllo. Ma ti stai giocando anche questa. Hai superato il limite.»
Il sudore che ho accumulato venendo qui è diventato freddo. Lui fa un passo indietro e apre di nuovo la porta.«Esci dal mio appartamento e vai a occuparti dei tuoi iniziati. Non voglio vederti sgarrare mai più.»
«Sissignore» dico a voce bassa, e me ne vado.
 
 
                                                                         * * *
 
 
 
 
Al mattino presto vado a trovare Edward in infermeria. Il sole sta sorgendo e risplende attraverso il soffitto di vetro del Pozzo.
Edward ha la testa avvolta in una fasciatura bianca e non si muove, non parla. Non gli dico niente, mi siedo soltanto accanto al suo cuscino e guardo scorrere i minuti sull’orologio alla parete. Sono stato un idiota.
Ho pensato di essere invincibile, che Max sifidasse di me, che il suo desiderio di avermi come collega non sarebbe mai venuto meno. Avrei dovuto saperlo. Max ha sempre voluto solo una pedina, così ha detto mia madre.
Non posso essere quella pedina. Ma non sono sicuro di cosa dovrei essere, invece.
Dopo un paio d’ore arriva Eric, vuole parlare con Edward e sbatterlo fuori, ovviamente Max a acconsentito.
Ma la cosa che davvero mi sorprende è che sia il trasfazione stesso a decidere di andarsene – probabilmente preferisce essere un Escluso che stare in una fazione che ci si uccide a vicenda per un posto migliore – e l’altra trasfazione Erudita, Myra, decide di andarsene con lui.
È meglio così sarebbe diventata un Esclusa, ora rimangano solo sette trasfazione dopo essere partiti in nove, Al è salvo perché è automaticamente salito in classifica e gli altri due Esclusi sono due interni, Rob e Ethan.
Oggi tutti gli iniziati hanno il giorno libero e anche io, ma vorrei davvero avere qualcosa da fare per non pensare a quello che è successo sta notte, sia al mio iniziato che con Max.
Mi dirigo verso il Pozzo passando in un corridoio poco frequentato, che ne ha un altro non controllato e sempre deserto, sto per girare a destra la ma voce di Uriah mi distrae: < Tris! >
Mi fermo schiacciandomi contro la parete nascosta nel buio per ascoltare, so che è stupido ma sono curioso di sentire cosa vogliono fare.
< Tutto bene? > le chiede.
< Ho avuto una notte difficile >
< Si, ho sentito di quel tizio, Edward > risponde Uriah < Ti và di uscire da qui? >
< Come? > domanda Tris. < Dove state andando? >
< A un piccolo rituale di iniziazione. Vieni. Dobbiamo sbrigarci. >
Li sento correre via nella direzione opposta alla mia, probabilmente sulla porta che da sulle scale di emergenza, proseguo nella mia direzione e quando arrivo in mensa non trovo ne Shauna ne Zeke allora capisco.
Zip- line.
Mangio da solo e in silenzio, alcuni trasfazione mancano nella mensa e gli interni sono davvero pochi,probabilmente tutti gli altri sono usciti.
 
 
 
                                                                       ***
 
 
All’ora di cena mi siedo con il mio vassoio davanti e poco dopo fanno il loro ingresso i membri e gli iniziati tra cui Tris.
Sono tutti scarmigliati dal vento ed eccitati, ma quella che attira davvero i miei occhi è Tris.
I capelli disordinanti in ricci vaporosi, gli occhi accesi, vivi, adrenalinici, e per la prima volta – forse non davvero la prima – mi rendo conto di quanto questo posato sia giusto per lei, di quanto sia Intrepida, molto di più di quello che sono o sono stato io durante la mia iniziazione.
Questo è il posto giusto per lei.
< Hei amico > dice Zeke sedendosi vicino a me.
< Zip- line? > chiedo.
< Si è stato fantastico .. e non immagini nemmeno Tris! > esclama Shauna.
< Tris? >
< Si è venuta con noi > risponde lei. < E’ stata la prima degli iniziati a lanciarsi, e vorrebbe rifarlo .. direi che non la possiamo più definire una Rigida! >
< Già > si intromette Zeke < Non vorrei dirlo ma mio fratello ha ragione: è un’Intrepida fino al midollo! >
Resto in silenzio continuando ad ascoltare la loro conversazione sulla zip- line  e su Tris, mi ritrovo a sorridere pensando che quando arriverà alla fine dell’iniziazione – perché ce la farà – sarà già stata accettata per quello che è e non grazie al suo istruttore come è stato per me.

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Capitolo 14
*** Sei carina, Tris ***


Image and video hosting by TinyPic SEI CARINA, TRIS
 
 
 
 
Oggi è il primo giorno del secondo modulo di addestramento,quindi cominciano le simulazioni.
Mi occupo da solo di questa parte dell’addestramento, perché si pensi che se se ne occupa un solo istruttore si ottiene un risultato migliore nella prova finale.
Esco dalla stanza delle simulazioni e comincio a chiamare uno per uno gli iniziati.
C’è un che di strano, di troppo intimo, nel guardare le simulazioni altrui. Mi mette a disagio costringere qualcuno, anche chi non mi piace – come in questo caso Peter – in una posizione di vulnerabilità. Ogni essere umano ha diritto ai suoi segreti. Guardare una dopo l’altra le paure dei miei iniziati mi fa sentire come se mi stessero scorticando la pelle con la carta vetrata.
E così prosegue tutto il giorno: siero, iniezione, paura, violazione della privacy.
Apro la porta e le faccio un cenno. < Vieni, Tris. >
Si alza dalla stessa posizione in cui era almeno un paio d’ore fa ed entra nella saletta.
Appena nota la poltrona, si irrigidisce e fa un passo indietro venendomi addosso < Siediti >
< Che simulazione è ? > chiede con voce tremante.
< Mai sentito la frase “ affronta le tue paure “ ? > dico. < Noi la prendiamo alla lettera. La simulazione ti insegnerà a controllare le emozioni durante una situazione di paura. >
< Presiedi mai ai test attitudinali? > mi chiede.
< No, evito i Rigidi il più possibile >
< Perché? >
< Ti aspetti davvero che ti risponda? > dico troppo severamente. So che non è colpa sua, mi lascio sfuggire troppo in sua presenza.
< Perché fai affermazioni così vaghe se non vuoi che ti si facciano domande? > risponde stizzita.
La ignoro e avvicino l’ago al suo collo.
< Un’iniezione ? >
< Qui utilizziamo una versione più avanzata della simulazione > spiego. < Un siero diverso e niente fili né elettrodi per te. >
< Come fa a funzionare senza fili ? >
È davvero troppo curiosa, mi chiedo come abbia fatto in questi sedici anni tra gli Abneganti, visto che la curiosità è una forma di egoismo.
< Bè, io ho i fili, per cui posso vedere che cosa sta succedendo. Ma per quanto riguarda te, nel siero c’è un minuscolo trasmettitore che invia i dati al computer. >
Le sposto il braccio, infilandole l’ago nel collo il più gentilmente possibile,osservandomi attentamente. < Il siero farà effetto entro sessanta secondi. Questa simulazione sarà diversa da quella del test attitudinale > continuo. < Oltre a contenere il trasmettitore, il siero stimola l’amigdala, che è la parte responsabile della gestione delle emozioni negative, come la paura, e quindi la induce un’allucinazione. L’attività elettrica del cervello viene trasmessa al nostro computer, che traduce la tua allucinazione in un’immagine simulata che io posso vedere e registrare.
Invierò poi i dati agli amministratori degli Intrepidi.
L’allucinazione scompare solo quando ti calmi, cioè quando il battito cardiaco rallenta e la respirazione torna sotto controllo. >
Lei ascolta in silenzio, ma vedo che i suoi occhi si stanno cominciando ad appannare.
< Sii coraggiosa, Tris. > le sussurro, poi chiude gli occhi e la simulazione comincia.
Lo scenario che inventa Tris ha un che di surreale, ma è quasi bello: il cielo verdognolo, l’erba gialla che si estende per chilometri in ogni direzione.
Nella simulazione di Tris, l’erba gialla è immobile. Se l’aria non fosse stagnante direi che è un sogno, non un incubo; ma l’aria immobile significa una cosa sola per me, e cioè tempesta in arrivo.
Un’ombra si muove sopra il prato, e un grosso uccello nero le atterra sulla spalla, conficcandole gli artigli nella camicia. Mi formicolano i polpastrelli se ripenso al modo in cui le ho toccato la spalla quando è entrata nel laboratorio, a come le ho spostato i capelli dal collo per farle l’iniezione. Stupido. Impacciato.
Lei colpisce con forza l’uccello nero, e poi tutto si scatena. Un tuono rimbomba nel cielo, che si fa tutt’a un tratto scuro. Non sono nuvole di un temporale, ma uno stormo incredibilmente grande di uccelli, che si muovono di concerto come fossero tante parti della stessa mente.
Il grido di Tris è il suono più brutto del mondo: lei desidera disperatamente aiuto e io vorrei disperatamente darglielo, anche se so che quello che sto vedendo non è reale, lo so. I corvi continuano ad arrivare, senza sosta, circondandola, seppellendola viva sotto le piume nere. Lei grida chiamando aiuto, e io non posso far niente e non voglio assistere .. non voglio guardare un secondo di più.
Ma poi lei si sposta lentamente nell’erba, abbandonandosi e rilassandosi. Se sta soffrendo non lo da a vedere: si limita ad abbassare le palpebre e si arrende e questo è quasi peggio di quando chiedeva aiuto.
E poi è finita.
Tris si solleva di scatto sulla sedia di metallo, tirandosi sberle su tutto il corpo per scrollarsi di dosso gli uccelli, anche se sono già spariti. Poi si raggomitola e nasconde la faccia.
Allungo la mano per toccarla, per rassicurarla, ma lei mi colpisce il braccio con violenza . < Non toccarmi! >
< E’ finita > dico, sorpreso, il suo pugn è più potente di quanto lei creda. Ignoro il dolore e le accarezzo i capelli, perché sono stupido, e inopportuno, e stupido ..
< Tris >
Lei si sta dondolando avanti e indietro, per calmarsi.
< Tris, ti riporto al dormitorio, okkey? >
< No! Non devono vedermi .. non così .. >
Ecco che cos’ha prodotto il sistema di Eric: una ragazza coraggiosa ha appena sconfitto una delle sue peggiori paure in meno di cinque minuti – un’impresa che normalmente richiede almeno il doppio del tempo – eppure è terrorizzata all’idea di tornare in corridoio, perché non vuole mostrarsi debole o vulnerabile. Tris è un’Intrepida, senza ombra di dubbio, ma questa fazione non è più fatta per gli Intrepidi.
< Hei, calmati > dico in tono irritato che non intendevo usare. < Ti faccio uscire dalla porta posteriore. >
< Non è necessario che .. > La vedo tremare tutta, fino alla punta delle dita, mentre rifiuta la mia offerta.
< Sciocchezze > La prendo per il braccio e l’aiuto ad alzarsi. Lei si asciuga gli occhi mentre vado verso la porta posteriore. Una volta Amar mi ha fatto uscire di qui, per riaccompagnarmi al dormitorio, anche se io non volevo .. esattamente come Tris non vuole che lo faccia io, ora. Com’è possibile vivere la stessa situazione, da prospettive diverse?
< Perché mi hai fatto questo? Qual era lo scopo eh? Quando ho scelto gli Intrepidi non pensavo di andare incontro a  settimane di torture! >
Se lei fosse un’altra persona, uno qualunque degli iniziati, a questo punto l’avrei già accusata di insubordinazione almeno una decina di volta. Mi sarei sentito minacciato dalle sue continue sfrecciatine rivolte contro il mio carattere, e cercato di reprimere con crudeltà i suoi atti di ribellione, come ho fatto con Christina il primo giorno. Ma Tris si è guadagnata il mio rispetto quando ha saltato per prima; quando mi ha tenuto testa la prima sera; quando non si è lasciata scoraggiare dalle mie rispostacce alle sue domande; quando ha difeso Al e mi ha fissato dritto negli occhi mentre le lanciavo addosso i coltelli. Lei non è una mia subordinata, non potrebbe mai esserlo.
< Pensavi che vincere le paure fosse facile? > le chiedo.
< Questo non è vincere la paura! La paura la si vince nella vita reale, e nella vita reale non sarò mai beccata a morte da uno stormo di cornacchie, Quattro! >
Comincia a piangere, ma io sono troppo colpito da quello che ha detto per sentirmi imbarazzato dalle sue lacrime. Lei non sta imparando la lezione che Eric vorrebbe che imparasse. Sta imparando altre cose, più sagge.
< Voglio andare a casa > mormora.
So dove sono piazzate le videocamere in questo corridoio,e spero che non ne ce ne sia nessuna che abbia recepito le sue parole.
< Imparare a pensare quando si è spaventati è una lezione che servirebbe a tutti, perfino alla tua famiglia di Rigidi. > le rispondo. Ci sono molte cose dell’iniziazione che non condivido male simulazioni non sono tra queste: sono il modo più diretto per insegnare a qualcuno ad affrontare le proprie paure e a superarle, molto più diretto del lanciare coltelli o dei combattimenti. < E’ questo che stiamo cercando di insegnarti. Se non riesci ad impararlo, ti toccherà fare fagotto,perché qui non ti vorremo. >
Sono duro con lei perché so che è forte abbastanza. E anche perché non conosco un altro modo di essere.
< Io ci sto provando. Ma ho fallito, sto fallendo. >
Mi viene quasi da ridere. < Quanto tempo pensi sia durata la tua simulazione, Tris? >
< Non lo so. Mezz’ora? >
< Tre minuti. Ne sei uscita tre volte più in fretta di tutti gli altri. Qualunque cosa tu abbia fatto non è un fallimento. >
Potresti essere una Divergente,penso.
Ma non ha fatto niente per alterare la simulazione, per cui forse mi sbaglio ed è solo molto coraggiosa.
Le sorrido. < Domani andrà ancora meglio, vedrai >
< Domani? >
È più calma ora. Le metto una mano sulla schiena, appena sotto le spalle.
< Che cos’hai visto nella tua prima simulazione? > chiede.
< Bon era tanto un “ cosa “ ma quanto un “ chi “ >
Non ho ancora finito la frase, quando mi rendo conto che avrei dovuto limitarmi a raccontarle della paura dell’altezza, anche se so benissimo che non è quello che mi sta chiedendo.
Quando c’è lei di mezzo, faccio fatica a controllare quello che mi esce dalla bocca. Perciò rimango sul vago, perché è l’unico modo per impedirmi di svelare troppo, la mia mente scombussolata dalla vicinanza del suo corpo, coperto dai vestiti.
< Non è importante. >
< Hai superato quella paura, ora? >
< Non ancora > siamo all’ingresso del dormitorio. Il tragitto non mi è mai sembrato così breve. Mi metto le mani in tasca per impedirmi di fare altri gesti stupidi. < Forse non ci riuscirò mai. >
< Quindi non ce se ne libera? >
< A volte si. A volte vengono sostituite da nuove paure. Ma il punto non è non avere mai paura. Questo è impossibile. Il punto è imparare a controllare la paura e a non esserne condizionati. È questo il punto. >
Lei annuisce. Non so perché sia venuta qui, ma se dovessi provare ad indovinare direi che ha scelto gli Intrepidi per la libertà. Gli Abneganti avrebbero soffocato la scintilla che c’è in lei fino a farla spegnere. Gli Intrepidi con tutti i loro difetti, hanno alimentato quella scintilla fino a farla diventare una fiamma. < Comunque è raro che le tue paure siano esattamente quelle che ti si presentano nella simulazione >
< Cosa intendi? >
< Bé, tu hai davvero paura delle cornacchie? > sorrido. < Quando ne vedi una, scappi urlando? >
< No, non credo. >
Lei mi si avvicina. Mi sentivo più al sicuro quando c’era più spazio tra di noi. Vorrei toccarla, e mi sento la bocca secca. Non penso quasi mai alla gente .. alle ragazze, in questo modo.
< E allora di cosa ho paura veramente? > mi chiede.
< Non lo so. Solo tu puoi saperlo. >
< Non pensavo che sarebbe stato così difficile diventare un’Intrepida. >
Sono contento di avere qualcos’altro su cui concentrarmi, invece di pensare a quanto sarebbe facile appoggiare la mano sulla curva della sua schiena. < Non è sempre stato così, mi dicono. Essere un Intrepido intendo. >
< Che cos’è cambiato allora? >
< I vertici. La persona che sovrintende all’addestramento stabilisce le norme di comportamento degli Intrepidi. Tempo fa Max e gli altri capi hanno adottato nuovi metodi per rendere l’iniziazione più competitivo e più brutale. >  tempo fa, la parte dell’addestramento dedicata al corpo a corpo era breve e non prevedeva combattimenti a mani nude. Gli iniziati indossavano imbottiture. Si valorizzava la forza, la tecnica e il cameratismo.
Perfino quando ero iniziato io era meglio di adesso. Non c’era un numero limitato di posti per gli aspiranti membri, e i combattimenti finivano quando uno dei due contendenti si arrendeva. «Dicevano che sarebbe servito per mettere alla prova la forza degli iniziati. Questo ha cambiato le priorità dell’intera fazione. Scommetto che non indovini chi è il nuovo beniamino dei capifazione.» Ovviamente, lei indovina subito.
 «Quindi, se tu ti sei classificato primo della tua classe» chiede «che posto ha ottenuto Eric?» «Secondo.»
 «Perciò lui è solo una scelta di ripiego. Era te che volevano.»
Intuitiva. Forse non ero la loro prima scelta, ma ero certamente un’opzione migliore di Eric.
«Che cosa te lo fa pensare?»
 «Il modo in cui Eric si è comportato a cena, la prima sera. Sembrava invidioso, anche se ha già quello che vuole.»
 Non ho mai pensato a Eric in questo modo. Invidioso? Di cosa? Non gli ho mai sottratto niente, non ho mai rappresentato una vera minaccia per lui. È lui che si è messo contro Amar… e contro di me.
Ma forse Tris ha ragione, forse non mi sono mai accorto di quanto fosse frustrante per lui essersi classificato secondo dietro un trasfazione Abnegante, nonostante tutti i suoi sforzi, o il fatto che Max preferisse assegnare a me il posto di capofazione, con tutto che lui era stato mandato qui specificamente per assumere quel ruolo.
Lei si asciuga gli occhi. «Si vede che ho pianto?»
La domanda sembra quasi buffa. Le sue lacrime sono sparite velocemente quasi tanto quanto sono arrivate, e ora il suo viso è di nuovo a posto, gli occhi asciutti, i capelli ordinati. Come se non fosse mai successo niente, come se non avesse appena trascorso tre minuti in preda al terrore. Tris è più forte di quanto fossi io.
 « Mmm. »
Mi avvicino a lei facendo finta di esaminarla, per scherzo, ma poi a un tratto non è più uno scherzo… siamo solo vicini e i nostri respiri si mescolano. «No, Tris…»
Poi azzardo un’espressione da Intrepidi: «Sembri una roccia». Lei sorride leggermente. E anch’io.
Rientra nella camerata trasfazione e io torno indietro nella stanzetta.
Eric invidioso.
Le parole di Tris mi girano ancora in testa anche quando faccio entrare Drew e mi immergo nelle sue paure.
Dopo quasi quaranta minuti ne esce è stato il più lento, tocca ad Uriah e per oggi l’addestramento sarà finito.
 
 
 
                                                                  ***
 
«Ehi» biascica Zeke assonnato, appoggiando la testa alla mano. «Sei venuto a darmi il cambio? Mi ci vorrebbero due stuzzicadenti per tenere aperti gli occhi.»
«Mi spiace. Ho solo bisogno di usare un computer. Lo sai che sono solo le nove, vero?»
Lui sbadiglia. «Mi viene sonno quando mi annoio a morte. Comunque il mio turno è quasi finito.» Mi piace il centro di controllo di notte.
 Ci sono solo tre persone davanti ai monitor, per cui la stanza è silenziosa, a parte il ronzio dei computer. Tutto quello che si vede dalle finestre è uno spicchio di luna, il resto è buio.
 È raro trovare un po’ di pace nella residenza degli Intrepidi, e questo è il posto dove la trovo più facilmente. Zeke torna a guardare il suo monitor.
 Io mi siedo a qualche postazione di distanza e giro lo schermo in modo che non sia visibile agli altri. Poi entro nel sistema, usando il falso account che ho creato diversi mesi fa, affinché nessuno potesse risalire a me.
 Una volta dentro, lancio il programma che mi permette di accedere al computer di Max in connessione remota. Ci mette un po’ per avviarsi, ma poi è come se fossi seduto nell’ufficio di Max e usassi la stessa macchina che usa lui.
Lavoro in fretta, sistematicamente. Le cartelle sono identificate da numeri invece che da nomi, per cui devo aprirle per forza per capire cosa contengono. La maggior parte è insignificante: elenchi di Intrepidi o programmi di eventi.
Le apro e le richiudo in pochi secondi. Esamino i file di una cartella dopo l’altra, finché a un certo punto mi imbatto in qualcosa di strano.
 Una lista di rifornimenti, in cui però non compaiono generi alimentari, vestiti o altre cose necessarie per la vita quotidiana, bensì armi, siringhe e qualcosa contrassegnato come SIERO D2. Mi viene in mente un solo motivo per cui gli Intrepidi potrebbero aver bisogno di così tante armi: un attacco.
Ma contro chi?
 Mi guardo di nuovo intorno, il cuore che mi pulsa nelle tempie. Zeke gioca al computer con un programma che si è scritto da solo. Il secondo operatore è accasciato su un fianco, gli occhi semichiusi. Il terzo sta girando pigramente la cannuccia nel suo bicchiere d’acqua, e intanto guarda fuori dalla finestra. Nessuno presta attenzione a me. Apro altri file. Dopo alcuni tentativi falliti, trovo una mappa.
 È contrassegnata da numeri e lettere, perciò all’inizio non capisco che cosa rappresenti, però poi apro una piantina della città, che trovo sul nostro database, per fare un confronto, e mi accascio contro lo schienale della sedia appena capisco quali strade riporta la mappa di Max.
Il quartiere degli Abneganti.
 L’attacco avverrà contro di loro.
Dovevo immaginarlo, naturalmente.
Chi altri Max e Jeanine potrebbero voler attaccare? La loro sete di vendetta è rivolta contro gli Abneganti da sempre.
Avrei dovuto capirlo quando gli Eruditi hanno messo in giro quella storia su Marcus, sul mostro che è come padre e marito.
 L’unica cosa giusta che hanno scritto, a quanto ne so. Zeke mi tocca la gamba con il piede. «Il mio turno è finito. Andiamo a dormire?»
«No, ho bisogno di bere qualcosa.»
Lui riprende vita all’istante.
Non capita tutte le notti che io decida di disertare la mia vita piatta e ritirata per una serata di autoindulgenza da Intrepidi.
«Sono con te» esclama.
Chiudo il programma, l’account, tutto. Cerco di lasciarmi alle spalle anche la scoperta dell’attacco contro gli Abneganti, almeno finché non riuscirò a capire che cosa farne; ma il pensiero mi insegue per tutta la strada fino all’ascensore, e poi nell’atrio e lungo i canali, fin giù nel Pozzo.
 
                                                                  ***
 
 
 
Non sono sicuro di ricordare che cosa mi ha fatto ridere, ma l’ha detto Zeke ed era divertente. Il Pozzo dondola tutt’intorno a me, come se fossi su un’altalena. Mi aggrappo alla ringhiera per non cadere e mi rovescio direttamente in gola quel che è rimasto nella bottiglia.
 Un attacco agli Abneganti? Quale attacco agli Abneganti?
 Ricordo solo vagamente.
 Be’, questa in realtà è una bugia, ma non è mai troppo tardi per imparare a mentire a se stessi.
Vedo una testa bionda muoversi tra la folla e la seguo con lo sguardo fino a mettere a fuoco il viso di Tris.
Per una volta non ha addosso mille strati di vestiti e non ha il colletto della camicia abbottonato sulla gola.
Riesco a vedere le sue forme. Piantala , mi rimprovera una voce nella testa, prima che i miei pensieri vadano oltre.
«Tris!» Il suo nome mi è uscito di bocca e non c’è modo di fermarlo, e neanche m’importa di provarci.
Vado verso di lei, ignorando le occhiate di Will, Al e Christina. E non è affatto difficile, perché i suoi occhi sembrano più luminosi e più penetranti del solito.
«Sembri diversa» dico.
Intendevo dire “più grande”, ma non voglio insinuare che prima sembrava piccola. Non avrà tutte le curve che hanno le donne più mature, ma nessuno potrebbe scambiarla per una bambina, guardandola in faccia. Nessuna bambina ha quella ferocia nello sguardo.
«Anche tu» osserva lei. «Che cosa stai facendo?»
Sto bevendo , penso, ma probabilmente se ne sarà già accorta. «Flirto con la morte» dico ridendo. «Bevo accanto allo strapiombo. Non è una grande idea, mi sa.»
«No, non lo è.» Lei non ride. Sembra diffidente. Di chi dovrebbe diffidare… di me?
«Non sapevo che avessi un tatuaggio» mormoro, osservando la sua clavicola. Ci sono tre uccelli neri, molto semplici, che sembrano volare sopra la sua pelle. «Giusto. Le cornacchie .»
Vorrei chiederle perché ha voluto tatuarsi una delle sue peggiori fobie, perché ha voluto stamparsi sulla pelle il marchio indelebile della paura invece di seppellirla, di vergognarsene. Forse lei non se ne vergogna come me.
 Mi volto a guardare Zeke e Shauna, che sono appoggiati alla ringhiera, uno accanto all’altra.
«Ti chiederei di unirti a noi» dico «ma non dovresti vedermi così.»
«Così come? Ubriaco?»
«Sì… be’, no.» All’improvviso non lo trovo più così divertente. «Immagino tu non abbia tutti i torti.»
«Farò finta di non averti visto.»
«Gentile da parte tua.» Mi chino, avvicinandomi più di quanto dovrei, e sento il profumo dei suoi capelli, la pelle fresca, liscia e delicata della sua guancia contro la mia.
Mi sentirei imbarazzato a comportarmi in modo così sciocco, così impertinente, se lei si tirasse indietro, anche solo per un istante.
Ma non lo fa… anzi, si avvicina un po’. «Sei carina, Tris.» Glielo dico perché non sono sicuro che lo sappia, e dovrebbe saperlo.
Questa volta lei ride.
«Fammi un favore, stai lontano dallo strapiombo, okay?»
«Naturalmente.» Lei sorride e io, per la prima volta, mi domando se le piaccio.
Se riesce a sorridermi anche quando sono in questo stato… be’, forse sì.
Una cosa la so: per aiutarmi a dimenticare quanto è orribile il mondo, preferisco lei all’alcol.
Torno dai miei amici che ondeggiano come tutto intorno a me.
< Ragazzi io vado a letto > dico.
< Di già? > piagnucola Zeke.
Li guado un attimo e vedo come Shauna continua a guardare Zeke, quindi annuisco e barcollo fino al mio appartamento.
Inciampo sulla porta e per poco non finisco lungo a terra, mi straio sul letto e  guardo il soffitto girare tutto intono a me,e il pensiero degli occhi luminosi e penetranti di Tris fa di nuovo capolino nella mia mente.
Magari le piaccio.
Magari posso trovare un modo per stare con lei, senza farla penalizzare agli occhi dei suoi compagni.
Sono uno stupido a fare questi pensieri .. ma lei mi ha sorriso.
Con la risata di Tris nelle orecchie mi addormento.

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Capitolo 15
*** Questo è il posto giusto per te, Tris ***


Image and video hosting by TinyPic    QUESTO E’ IL POSTO PER TE, TRIS
 
 
 
 
 
 
 
Un nuovo giorno, nuove simulazioni.
Tris è seduta sulla poltrona e già ha i classici sintomi del panico, anche s ein lei non sono quasi evidenti, mi accorgo della sua leggera iperventilazione solo perché le sono vicino, più del dovuto, più del consentito. Stupido.
< E’ solo una simulazione > le mormoro.
Annuisce, chiude gli occhi e si lascia trasportare via dall’allucinazione.
Riemergo dalla simulazione con una sensazione di pesantezza alla bocca dello stomaco.
Mi stacco dai fili e mi alzo. Lei si sta ancora riprendendo dalla paura di annegare, scrolla le mani e inspira profondamente.
La guardo un istante, non sapendo bene come dire quello che devo.
«Che c’è?» mi chiede.
«Come hai fatto?»
«A fare cosa?»
«A rompere il vetro.»
 «Non lo so.» Annuisco e le porgo la mano.
Lei si alza senza nessuno sforzo, ma evita il mio sguardo. Controllo gli angoli del laboratorio per vedere se ci sono videocamere: ce n’è una, proprio dove pensavo di trovarla, di fronte a noi. La prendo per il gomito e la porto fuori dalla stanza, in un posto dove so che non saremo osservati, un tratto cieco tra due punti sorvegliati.
«Che c’è?» ripete lei infastidita.
«Sei una Divergente.» Non sono stato molto gentile con lei, oggi.
Ieri sera l’ho incontrata allo strapiombo insieme ai suoi amici, e in un accesso di follia – o di ebbrezza – mi sono avvicinato e le ho detto che è carina.
Ho paura di essermi spinto troppo in là. E adesso sono ancora più preoccupato, ma per motivi diversi.
Ha rotto il vetro.
È una Divergente.
È in pericolo.
Lei mi fissa. Poi si appoggia al muro, adottando un’aria noncurante che quasi mi convince. «Che cosa significa Divergente?»
 «Non fare la finta tonta. L’avevo già sospettato l’altra volta, ma adesso è evidente. Hai manipolato la simulazione. Sei una Divergente. Cancellerò la registrazione, ma a meno che tu non voglia finire morta sul fondo dello strapiombo, vedi di trovare un modo per nasconderlo durante le simulazioni! Ora, se vuoi scusarmi.»
Me ne torno nel laboratorio, tirandomi dietro la porta.
È facile cancellare la registrazione, bastano solo pochi comandi e il suo fascicolo torna pulito. Lo controllo una seconda volta, per assicurarmi che vi rimangano soltanto i dati della prima simulazione.
Dovrò inventarmi una scusa per spiegare la sparizione dei risultati di questa sessione. Una bugia convincente, a cui Eric e Max possano credere fino in fondo. Tiro fuori in tutta fretta il mio coltellino e lo infilo tra i pannelliche proteggono la scheda madre del computer, creando una fessura. Poi vado in corridoio, alla fontanella, e mi riempio la bocca d’acqua.
Di nuovo nel laboratorio, sputo un po’ di acqua in mezzo ai pannelli. Metto via il coltello e aspetto. Dopo un minuto circa lo schermo diventa nero.
 Il quartier generale degli Intrepidi è una grotta piena di infiltrazioni, i danni dovuti all’acqua capitano di continuo.
Per oggi le simulazioni sono finite, comunicherò più tardi che la macchina di questa stanza è fuori uso, mi dirigo al Pozzo ed entro nella sala mensa.
< Quattro! > mi chiama Tori da un tavolo non troppo lontano, le vado incontro.
< Ciao >
< Ciao > ripete.
< Che ne dici se andiamo a farci un giro? >
Annuisco, c’è qualcosa di strano nella sua richiesta e me ne rendo perfettamente conto, quindi la seguo finchè non arriviamo nel corridoio in cui Uriah e Tris si sono incontrati il giorno della zip- line.
Tori si guarda intorno alla ricerca di telecamer ma quando non le vede ritorna a fissarmi.
< Che c’è? > chiedo.
< Sai oggi, ho avuto una conversazione interessante con una tua iniziata .. >
< Ah, si? > so già di chi si tratta, ma non posso fare a meno di sentire il cuore accelerare nella gabbia toracica.
< Già .. sai abbiamo avuto un discorso simili ha quello che ho avuto con te quando ti ho fatto il tatuaggio. >
< Lo immaginavo . >
< E’ al sicuro? Io ho inserito manualmente il suo risultato .. > dice Tori con evidente panico.
< Si, tranquilla , sai come sono queste mura .. con tutte queste infiltrazioni. >
Lei annuisce evidentemente tranquillizzata, mi stringe la spalla e se ne va, lasciandomi solo nel corridoio deserto.
 
 
                                                                                ***
 
 
 
 Ero disperato. Ho mandato un messaggio tramite lo stesso Escluso che ho usato l’ultima volta che mi sono messo in contatto con mia madre.
Le ho proposto di incontrarci sull’ultima carrozza del treno che alle dieci e un quarto attraversa il quartiere degli Intrepidi. Immagino che saprà come trovarmi. Mi siedo con la schiena contro la parete del vagone, un braccio intorno a un ginocchio, e guardo la città scorrermi davanti.
Di notte i treni vanno più piano ed è facile osservare come muta il paesaggio man mano che ci si avvicina al centro: gli edifici si fanno più alti e ravvicinati tra loro, ed è possibile trovare vecchie e piccole costruzioni in muratura accanto a veri e propri pilastri di vetro.
Come se ci fossero più città stratificate una sull’altra
.Quando il treno raggiunge il settore nord, vedo qualcuno mettersi a correre lungo la banchina. Mi alzo, aggrappandomi a un sostegno, mentre Evelyn piomba nella carrozza. Indossa stivali da Pacifica, un vestito da Erudita e un giubbotto da Intrepida. Ha i capelli raccolti sulla nuca, in un’acconciatura che rende ancora più duro il suo viso già severo.
«Ciao» mi saluta.
«Ciao.»
«Ogni volta che ti vedo sei sempre più grosso» osserva. «Immagino non abbia senso preoccuparsi che non mangi abbastanza.»
«Potrei dirti la stessa cosa, ma per il motivo opposto.»Lo so che non sta mangiando abbastanza. È un’Esclusa, e gli Abneganti non riescono più a distribuire gli aiuti come facevano un tempo, ora che gli Eruditi tengono loro il fiato sul collo.
Allungo la mano dietro la schiena per prendere lo zaino che ho portato con me, pieno di scatolette prese dal magazzino degli Intrepidi.
«Ho trovato solo dell’insipida zuppa con verdure, ma è meglio di niente» dico offrendogliele.
«Chi ti ha detto che ho bisogno del tuo aiuto?» risponde Evelyn con un tono vagamente diffidente. «Sto bene, sai?»
«Sì, non sono per te. Sono tutte per i tuoi amici denutriti. Se fossi in te non rifiuterei del cibo.» «Non lo sto facendo» dice, prendendo lo zaino. «È solo che non sono abituata a pensare che te ne importi qualcosa. È un po’ disarmante.»
 «Conosco bene la sensazione» rispondo con freddezza. «Quanto tempo è passato prima che ti preoccupassi di controllare come stavo? Sette anni?»
Evelyn sospira. «Se mi hai chiesto di venire qui solo per ricominciare questa discussione, temo di non potermi fermare molto.»
«No. No, non è per questo che te l’ho chiesto.» Non volevo contattarla affatto, ma non c’è nessuno, tra gli Intrepidi, a cui possa raccontare quello che ho scoperto… non so quanto i miei amici siano fedeli alla fazione e alla sua linea politica.
Però a qualcuno dovevo dirlo. Evelyn sembra conoscere cose sulla città che io ignoro, così ho pensato di chiedere il suo aiuto, prima che sia troppo tardi. È un rischio, ma non saprei a chi altro rivolgermi.
«Ho tenuto d’occhio Max» comincio. «Avevi ragione: gli Eruditi si sono coalizzati con gli Intrepidi. Stanno progettando qualcosa insieme, Max e Jeanine e chissà chi altro.»
Le dico quello che ho trovato nel computer di Max, gli elenchi di rifornimenti e le mappe. Le espongo le mie considerazioni sull’atteggiamento degli Eruditi verso gli Abneganti, le parlo degli articoli che hanno pubblicato e di come stiano aizzando perfino gli Intrepidi contro la nostra vecchia fazione.
Quando finisco, Evelyn non sembra né sorpresa né preoccupata. In realtà, non ho la più pallida idea di come interpretare la sua espressione.
Se ne sta zitta per alcuni secondi e poi dice: «Hai trovato qualche indizio su quando questo potrebbe accadere?»
 «No.»
«E che mi dici dei numeri? Quanto è grande il contingente che gli Intrepidi e gli Eruditi intendono mettere in campo? Come pensano di reclutarlo?»
 «Non lo so» rispondo, frustrato. «In realtà neanche m’importa. Qualunque sia il numero di soldati di cui riusciranno a disporre, basteranno loro pochi secondi per annientare gli Abneganti. Non è che gli Abneganti siano addestrati per difendersi, e anche se lo fossero non lo farebbero mai.»
«Sapevo che stava per accadere qualcosa.» Evelyn aggrotta la fronte. «Le luci sono sempre accese nel quartier generale degli Eruditi, ormai. Significa che non temono più i dirigenti del consiglio, il che… è un indizio della loro crescente ostilità.»
 «Okay. Come li avvertiamo?»
«Come avvertiamo chi? »
«Gli Abneganti!» esclamo con foga. «Come li avvisiamo che stanno per essere sterminati, come avvisiamo gli Intrepidi che i loro capi stanno cospirando contro il consiglio, come…»
Mi fermo.
Evelyn ha le mani abbandonate lungo i fianchi, il viso rilassato e passivo. La nostra città sta cambiando, Tobias.
È questo che mi ha detto la prima volta che ci siamo rivisti. In un futuro non troppo lontano tutti dovranno scegliere da che parte stare, e io so da quale parte vorresti stare tu.
 «Tu già lo sapevi» sibilo lentamente, sforzandomi di elaborare il concetto. «Sapevi che stavano studiando un piano di attacco, e che ci lavorano da tempo. È quello che stai aspettando. Tu ci conti, addirittura.»
«Non provo più niente per la mia vecchia fazione. Non voglio che gli Abneganti, o qualsiasi altra fazione, continuino a controllare questa città e la gente che ci vive. Se qualcuno vuole eliminare i miei nemici al posto mio, che ben venga!»
«Non ti credo» ribatto. «Non sono tutti come Marcus, Evelyn. Sono indifesi .»
 «Tu li credi innocenti, ma non li conosci. Io sì, li ho visti per quello che sono veramente.» La sua voce è bassa, gutturale. «Come credi che sia riuscito tuo padre a mentirti su di me per tutti quegli anni? Non ti rendi conto che gli altri leader Abneganti gli hanno retto il gioco? Loro sapevano che non ero incinta, che nessuno aveva chiamato un dottore, che non c’era nessun cadavere . Ma ti hanno ugualmente fatto credere che fossi morta, non è così?»
Non ci avevo mai pensato. Non c’era nessun cadavere.
Eppure tutti gli uomini e le donne presenti a casa di mio padre quell’orribile mattina, e al funerale la sera seguente, avevano finto per ingannare me e il resto della comunità. E perfino il loro silenzio stava a ribadire: Nessuno ci abbandonerebbe mai.
Chi potrebbe mai desiderare di farlo?
Non dovrei stupirmi nel trovare tanti bugiardi in una fazione, ma credo di possedere ancore un lato ingenuo, quasi infantile.
Ma ora basta.
< Pensaci > insiste Evelyn. < Sono quelle persone – il genere di persone disposte a raccontare ad un bambino che sua madre è morta solo per salvarsi la faccia – sono quelle le persone che vuoi aiutare? O non preferisci sostente chi vuole togliere loro il potere? >
Credevo di saperlo. Gli Abneganti innocenti, quelli dei gestiti di altruismo e dei deferenti inchini del capo, meritano di essere salvati. Ma i bugiardi che mi hanno imposto un falso lutto, che mi hanno lasciato solo con un uomo che mi maltrattava .. loro meritano di essere salvati?
Non riesco a guardarla, né a risponderle.
Aspetto che il treno passi accanto alla banchina e salto giù senza voltarmi indietro.
 
 
                                                                    ***
 
< Non prenderla male, ma hai un aspetto terribile. >
Shauna si siede vicino a me, appoggiando il vassoio sul tavolo.
La conversazione con mia madre mi ha rintronato come un frastuono imporovviso e assordante, e ora ogni altro suono mi giunge ovattato. Ho sempr saputo che mio padre era crudele, ma credevo che gli altri Abneganti fossero innocenti: nel profondo, ho sempre pensato di averli traditi abbandonandoli, di aver tradito i miei valori.
Ho l’impressione che, qualunque decisione prenda, tradirò qualcuno. Se avverto gli Abneganti del piano d attacco, tradirò gli Intrepidi. Se non lo faccio, tradirò la mia vecchia fazione ancora una volta, in modo più grave della volta precedente. Devo per forza prendere una decisione e il solopensiero mi fa stare male.
Sono arrivato in fondo a questa giornata per pura forza di inerzia: mi sono alzato e sono andato a lavoro. Ho affisso la classifica, che è stata oggetto di discussione con Eric e Max, ma ancora una volta l’ho spuntata, premiando chi stava migliorando. Sono andato a mangiare. E sono andato avanti.
< Hai intenzione di mangiare qualcosa? > mi provoca Shauna, indicando il piatto pieno di cibo.
Ristringo nelle spalle. < Forse. > so benissimo che sta per chiedermi che c’è che non va, così cerco un altro argomento di conversazione. < Come se la cava Lynn? >
< Dovresti saperlo meglio di me, dal momento che puoi vedere le sue paure e tutto il resto >
Taglio un pezzo di carne e me lo caccio in bocca.
< Com’è? > domanda lei, timidamente < Guardare le loro paure, intendo >
< Non posso parlartene, lo sai >
< E’ una regola degli Intrepidi o tua ? >
< Fa qualche differenza? >
Shauna sospira < E’ che a volte mi sembra di non conoscerla affatto, tutto qui. >
Mangiamo il resto della cena senza parlare. È la cosa che più mi piace di Shauna: non sente il bisogno di riempire gli spazi vuoti.
Quando finiamo, usciamo insieme dalla mensa.
Zeke ci chiama, dall’altra parte del Pozzo. < Hei! > sta giocherellando con un rotolo di nastro adesivo intorno al dito. < Vi va di andare a tirare qualche pugno? >
< Si! > rispondiamo in coro.
Ci incamminiamo verso la palestra e lei aggiorna Zeke sulla vita alla recinzione. < Due giorni fa l’idiota con cui ero di pattuglia si è fatto prendere dal panico; giurava di aver visto qualcosa fuori .. e alla fine si scopre che era un sacchetto di plastica. >
Zeke le mette un braccio intorno alle spalle, e io mi massaggio le nocche cercando di annullare la mia presenza.
Ci avviciniamo alla palestra e mi sembra di sentire voci all’interno. Apro la porta con il piede e dentro ci trovo Lynn, Uriah, Marlene e .. Tris.
La collisione di mondi mi coglie di sorpresa, ancora una volta.
< Mi era sembrato di sentire dei rumore > dico.
Uriah sta sparando a un bersaglio con una delle pistole con i proiettili di plastica, che gli Intrepidi usano per giocare. So per certo che non ne possiede una, quindi deve essere di Zeke. Marlene sta mangiando qualcosa; mi sorride e mi saluta con la mano mentre entro.
< E si scopre che è quell’idiota di mio fratello > esclama Zeke < Non si può entrare qui fuori orari. Attento, o Quattro lo dirà ad Eric, che come minimo ti farà lo scalpo. >
Uriah si infila la pistola nella cintola dei pantaloni, senza rimettere la sicura. Probabilmente si ritroverà con un bel livido sulla chiappa, quando la pistola gli sparerà nei pantaloni. Ma mi guardo bene dall’avvisarlo, però.
Tengo la porta aperta per farli uscire.
< Tu non lo diresti ad Eric > dice Lynn, sorpassandomi.
< No, non glielo direi > rispondo.
Quando mi passa davanti Tris, allungo istintivamente una mano e gliel’appoggio tra le scapole, sospingendola fuori. Non so quanto di intenzionale ci sia nel mio gesto, ma in realtà non m’importa.
Gli altri si incamminano fuori lungo il corridoio e il nostro piano originario di passare un po’ di tempo in palestra viene subito dimenticato, dal momento che Zeke e Uriah cominciano a litigare, mentre Shauna e Marlene si dividono il muffin che resta.
< Aspetta un attimo > fermo Tris. Lei si volta a guardarmi con aria preoccupata, perciò cerco di sorridere,a anche se trovo difficile farlo in un momento del genere.
Non ho potuto fare a meno di notate il clima teso che aleggiava in palestra sa sera, quando ho appeso la classifica. Non ho mai pensato, mentre calcolavo i punteggi, che forse avrei dovuto ridurre il suo per proteggerla. Le avrei fatto un torto piazzandola più bassa, ma forse avrebbe preferito l’insulto alla frattura che si sta creando tra lei e i suoi compagni trasfazione.
Anche se è pallida e stanca – ha le unghie spaccate e un’espressione incerta negli occhi – so che non è così. lei non vorrebbe mai essere infilata nel calderone solo per stare al sicuro. Mai.
< Questo è il posto giusto per te, lo sai vero? > dico < Tu sei dei nostri. Presto sarà finita, devi solo tenere duro, okkey? >
Improvvisamente sento una vampata di calore salirmi sulla nuca e  mi passo una mano dietro il collo. Non ce la faccio a guardarla negli occhi, anche se percepisco il suo sguardo su di me mentre il silenzio si prolunga.
Poi lei fa scivolare le dita tra le mie e io la guardo, colto alla sprovvista.
Le stringo una mano, appena un po’, e nonostante sia stanco e agitato, registro una cosa: anche se io l’ho toccata una mezza dozzina di volte – nei miei numerosi momenti di perdita di lucidità – questa è la prima volta che prende lei l’iniziativa.
Poi se ne va di corsa per raggiungere i suoi amici.
E io rimango nel corridoio, solo, a sorridere come un cretino.
Forse allora quando l’ho incontrata al Pozzo - nella mia follia momentanea le ho detto di trovarla carina – e ho pensato che forse anche io le piaccio, non sbagliavo.
Ma come potrei stare con lei, ammesso e non concesso che a lei interessi, se sono il suo istruttore?
Come faccio a non farla finire nei guai?
Sono questi i pensieri che mi accompagnano per tutto il tragitto fino al mio alloggio.

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Capitolo 16
*** Tris, sto bene ***


Image and video hosting by TinyPic TRIS, STO BENE
 
 
 
Per quasi un’ora cerco di addormentarmi, rotolandomi tra le coperte in cerca di una posizione comoda. Ma mi sento come se qualcuno avesse sostituito il mio materasso con un letto di pietre. O forse è solo che ho la mente troppo eccitata.
Alla fine ci rinuncio. Mi metto le scarpe il giubbotto e vado alla Guglia, come faccio ogni volta che non riesco a dormire. Vorrei attraversare di nuovo il mio scenario della paura, ma questo pomeriggio non mi sono ricordato di rinnovare la mia scorta di siero, e sarebbe troppo complicato procurarmelo ora. Allora vado al centro di controllo, dove Gus mi accoglie con un grugnito e gli altri due operatori in servizio non si accorgono neanche che sono entrato.
Non cerco di guardare i nuovo i file di Max; so già tutto quello che mi serve, e cioè che qualcosa di brutto sta per succedere e io non ho idea se cercare di fermarlo o meno.
Ho bisogno di confidarmi con qualcuno e condividere questo segreto, ho bisogno che qualcuno mi dica cosa fare .. ma non c’è nessuno di cui mi fidi abbastanza. I miei amici sono nati e cresciuti tutti tra gli Intrepidi, come posso sapere che non mi tradirebbero per i loro capi?
Per qualche ragione mi si affaccia alla mente il volto di Tris, la sua espressione aperta ma seria, mentre mi prende la mano nel corridoio.
Navigo tra i canali delle videocamere, facendo scorrere le immagini delle strade della città per poi tornare alla nostra residenza. I corridoi sono talmente bui che non potrei scorgere niente, neppure se ci fosse qualcosa da vedere. Nelle cuffie sento solo il rumore dell’acqua nello strapiombo o, nei vicoli, il fischio del vento. Sospiro, appoggiando la testa alla mano, e guardo le inquadrature cambiare, una dopo l’altra, lasciando che mi cullino in una specie di sonno.
< Vattene a letto, Quattro > mi suggerisce Gus dall’altra parte della stanza.
Mi riscuoto e annuisco. Se non riesco neanche a stare sveglio, non è una buona idea passare troppo tempo nel centro di controllo. Chiudo l’account e imbocco il corridoio che porta agli ascensori, sbattendo le palpebre nel tentativo di stare sveglio.
Mentre attraverso l’atrio, sento un grido provenire da sotto, dal Pozzo.
Non  uno strillo allegro, né un urlo di qualcuno preso alla sprovvista per uno scherzo .. ha il tono e l’urgenza di un grido di terrore.
Corro verso il Pozzo, disperdendo con i piedi piccoli ciottoli al mio passaggio. Il mio respiro è veloce e pensate, ma regolare.
Ci sono tre persone alte e vestite di scuro accanto alla ringhiera. Sono raccolte intorno a una quarta figura, più piccola. Anche se non vedo granchè, sono in grado di riconoscer una rissa. O almeno, la chiamerei “ rissa “ se non fossero tre contro uno.
Uno degli aggressori si vota, e appena mi vede, scappa nella direzione opposta. Mi avvicino proprio mentre uno degli altri solleva la vittima sopra lo strapiombo.
< Hei! > grido, poi vedo i suoi capelli biondi e non capisco più niente.
Carico a testa bassa uno degli aggressori. È Drew, lo riconosco dalla zazzera rosso- arancione: lo sbatto contro il parapetto, lo colpisco in faccia una, due, tre volte. Lui crolla a terra e io comincio a prenderlo a calci. Non riesco a pensare, non riesco a pensare a niente.
< Quattro! > La sua voce è bassa e roca ed l’unica cosa che riesce insinuarsi dentro di me in questo momento. Lei è appesa alla ringhiera e penzola sopra lo strapiombo come un’esca all’amo.
Il terzo aggressore è sparito.
Corro da lei, la prendo da sotto l’ascelle e la sollevo sopra la ringhiera. Me la stringo al petto.
Lei preme la faccia contro la spalla e stringe la mia camicia tra le dita.
Drew è a terra, svenuto. Lo sento gemere mentre la porto via .. non in infermeria, dove potrebbero pensare di andarla a cercare, ma nel mio appartamento, che è in un corridoio isolato e solitario.
Entro spingendo la porta con la spalla e la stendo sul letto. Le tasto in naso e gli zigomi per accertarmi che non ci siano fratture, poi le sento il polso e mi chino su di lei per controllare il respiro. Sembra tutto normale, regolare. Persino il bernoccolo dietro la testa, per guanto gonfio e scorticato, non sembra niente di serio. Non è ferita gravemente, ma avrebbe potuto esserlo.
Mi tremano le mani quando mi allontano da lei. Lei non è ferita gravemente, ma Drew potrebbe esserlo. Non so neanche quante volte l’ho colpito prima che lei mi chiamasse e mi risvegliasse. Anche il resto del mio corpo comincia a tremare. Le sistemo un cuscino sotto la testa ed esco per tornare al Pozzo. Mentre cammino, cerco di ricostruire mentalmente gli ultimi minuti, di ricordarmi che cos’ho colpito e quando e  con quanta forza, ma è tutto troppo confuso nelle nebbie dell’impeto della rabbia.
Chissà se anche per lui era così, penso, ricordando lo sguardo febbrile, spiritato, negli occhi di Marcus quando si infuriava.
Arrivo alla ringhiera e Drew è ancora lì, accasciato a terra in una strana posizione. Mi metto il suo braccio sulle spalle e per metà lo sollevo, per metà lo trascino fino all’infermeria.
Quando torno all’appartamento, mi infilo subito in bagno per lavarmi il sangue sulle mani. Ho le nocche coperte di tagli, provocati dall’impatto con la faccia di Drew. Se c’era lui, l’altro aggressore doveva essere Peter. Ma chi era il terzo? Non Molly, era una figura troppo alta e grossa. In realtà c’è solo un iniziato di quelle dimensioni.
Al.
Mi guardo allo specchio, quasi aspettandomi di vedere frammenti di Marcus che mi fissano dall’altra parte. Ho una ferita sull’angolo della bocca .. Drew mi ha tirato un pugno ad un certo punto? Non importa. Non importa se non ricordo niente. Quel che importa è che Tris respiri.
Tengo le mani sotto il getto freddo finchè il sangue non scompare e l’acqua ridiventa trasparente, poi me le asciugo e vado a prendere la borsa ghiaccio nel freezer. Mentre la porto a Tris, mi accorgo che è sveglia.
< Le tue mani > mormora, ed è una cosa talmente ridicola da dire : si preoccupa per le mie mani quando lei è appena stata fatta penzolare per la gola sopra lo strapiombo.
< Le mie mani > dico con irritazione < non sono affari tuoi >
Mi chino su di lei e le infilo la borsa ghiaccio sotto la testa, nel punto in cui prima ho sentito il bernoccolo. Lei solleva una mano e mi sfiora leggermente la bocca con i polpastrelli.
Non avevo mai pensato che si potesse sentire un contatto fisico in questo modo, come una scossa di energia. Le sue dita sono morbide, curiose.
< Tris, sto bene >
< Come mai eri li? >
< Stavo tornando dal centro di controllo e ho sentito un grido >
< Che cosa gli hai fatto? >
< Ho lasciato Drew in infermeria mezz’ora fa. Peter e Al sono scappati. Drew sosteneva che volevano solo spaventarti. Almeno, credo fosse questo che cerva di dire >
< E’ ridotto male? >
< Sopravvivrà. In quali condizioni non te lo so dire > concludo rabbioso.
Non dovrei mostrarle questo lato di me, quello che trae un piacere perverso dal dolore di Drew. Non dovrei neanche avercelo, questo lato.
Lei allunga la mano e mi stringe il braccio. < Bene > dice.
La guardo. Anche lei ha questo lato, deve avercelo per forza. Ho visto l’espressione sul suo volto quando ha battuto Molly, come se non avesse intenzione di fermarsi, neanche se la sua avversaria fosse svenuta completamente. Forse io e lei non siamo poi così diversi.
La sua faccia si deforma, si contrae, e lei comincia a piangere. Di solito, quando qualcuno scoppia a piangere davanti a me, mi sento mancare l’aria e vorrei solo scappare lontano, per non soffocare.
Con lei non mi succede. Non temo si aspetti qualcosa, o che abbia addirittura bisogno di me. Mi siedo a terra perché la mia faccia sia alla sua altezza, e la guardo attentamente per un momento.
Poi le accarezzo la guancia, attento a non premere i lividi che si stanno ancora formando, e faccio scorrere il pollice sullo zigomo. Ha la pelle calda.
Non trovo le parole per descriverlo, ma perfino in questo momento, con la faccia così gonfia e violacea, c’è qualcosa in lei che mi colpisce, che non ho mai visto in nessun altro.
E per la prima volta mi sento pronto ad accettare l’inevitabilità di quello che provo, anche se non mi fa piacere. Sento il bisogno di parlare con qualcuno, di fidarmi. E per qualche motivo so, semplicemente lo so, che quel qualcuno è lei.
Dovrò cominciare con dirle il mio vero nome.
< Potrei fare rapporto > dico, anche se già penso di sapere la risposta.
< No, non voglio che pensino che ho paura > annuisco continuando ad accarezzale lo zigomo dolcemente, e mi chiedo come possa essere coraggiosa, e come sia arrivata fino a questo punto senza spezzarsi come i suoi compagni.
Le simulazioni, Eric, Al e ora l’aggressione non l’hanno spezzata come sarebbe successo a chiunque – forse perfino a me – ma l’hanno resa ancora più forte, più dura di prima.
< Mi aspettavo questa risposta. >
< Credi che sia una cattiva idea se mi metto seduta? >
< Ti aiuto >
Le passo una mano dietro le spalle e con l’altra la sostengo la testa, mentre si tira su.
La vedo contrarre il viso per il dolore, per poi tornare ad un espressione determina.
< Non è necessario che nascondi il dolore > dico porgendole la borsa del ghiaccio < ci sono solo io, qui >
Si morde il labbro, con il viso bagnato dalle lacrime, soppesando l’idea di potermi mostrare che anche lei prova dolore o meno. < Cerca la protezione dei tuoi amici trasfazione, d’ora in poi > le consiglio.
< Pensavo di averla già > un singhiozzo di dolore le esce dalla gola, ma non è dolore fisico. Si preme la fronte con le mani cominciando a dondolare in avanti e indietro per tranquillizzarsi < Ma Al .. >
< Voleva che continuassi a essere la tranquilla ragazzina Abnegante > sussurro. < Ti ha fatto male perché la tua forza l’ha fatto sentire debole. Non c’è un altro motivo. > annuisce ma non sembra convinta delle mie parole, e forse non lo sono neanche io. Al si è sempre mostrato un buon amico nei suoi confronti, a volte fin troppo,e ricordo ancora la sua espressione di preoccupazione dopo il combattimento con Peter. < Gli altri smetteranno di invidiarti se ti mostri un po’ più vulnerabile. Anche se non è vero. > continuo, e so quanto non sia vero, quanto lei sia forte, ma adesso le sue priorità sono altre e devo farglielo capire.
< Pensi che io debba fingere di essere indifesa? > dice sconcertata.
< Si > le sfilo la borsa ghiaccio dalla mano – sfiorandole le dita, e questo semplice contatto far riaffiorare il calore del suo corpo contro il mio mentre la tenevo fra le braccia – premendogliela io stesso sulla testa. aggiungo < e invece dovresti lasciare che tutti vedano quel livido sulla guancia e tenere la testa bassa. >
So che quello che le consiglio per lei sia impossibile, Tris ha l’orgoglio che risiede in tutti gli Intrepidi, un ‘orgoglio che sta scoprendo ora, che ha sempre dovuto soffocare tra il grigio della sua vecchia fazione, e questo la porta ad avere una sfumatura verdognola, come se al solo pensiero le portasse la nausea.
< Non credo di poterlo fare >
< Devi >
< Mi sa che non hai capito > aggiunge con le guance rosse dalla rabbia < Mi hanno toccato >
Sento il corpo irrigidirsi e vibrare.
Mi hanno toccato.
La rabbia mi offusca di nuovo la mente e voglio solo tornare indietro e accanirmi su quei tre maledetti iniziati.
Mi hanno toccato
Immagini sgradevoli cominciano ha vorticarmi davanti agli occhi.
< Ti hanno toccato > ripeto gelido.
< non .. nel modo che stai pensando tu >  continua < Ma .. quasi. >
Continuo a fissarla in silenzio, soppesando l’idea di tornare a cercarli. Sicuramente Drew è ancor in infermeria, mi ci vorrebbe poco a scovarlo, gli altri non saprei dove trovarli, ma andrei fino in capo al modo per scovarli.
< Che c’è? > chiede riscuotendomi ancora una volta dalla mia nebbia di rabbia. Devo farle capire che è in pericolo, per ora questa è la mia priorità, al resto penserò dopo.
< Non vorrei dovertelo dire, ma sento che è necessario. Per il momento, per te è più importante stare al sicuro che avere ragione. Capisci? > annuisce. < Ma ti prego, non appena ne hai l’opportunità .. > proseguo prendendole il viso con la mano libera per costringerla a guardarmi negli occhi < ... distruggili. >
E so che lo farà, che la pagheranno. Perché se non lo farà lei, ci penserò io stesso.
Ride debolmente < Fai un po’ paura, Quattro >
Sospiro. < E fammi un favore, non chiamarmi così. >
< E come dovrei chiamarti, allora? >
< Niente > abbasso la mano. Voglio che lei sappia la verità, ma non sono ancora pronto, non sono pronto a leggere la pena nei suoi occhi. < Non ancora. >
Per questa notte non torna al suo dormitorio, anche se non le ho detto nulla, mi fa pensare che forse comincia davvero a considerare l’idea di mostrarsi più vulnerabile, per quanto non sia vero, e l’idea mi rassicura.
Mi straio sul pavimento accanto al letto, dove Tris è straiata, e mi addormento ascoltando il suono del suo respiro regolare, anche se è troppo veloce per essere addormentata.
Prima che il sonno mi trascini con se gli unici pensieri che mi vorticano nella testa non riguardano più a chi va la mia lealtà, ad Evelyn, o gli Eruditi, ma solo a come farla pagare agli aggressori di Tris, a come dirle la verità su di me, e a come potremmo avere un futuro dopo che avrà saputo la verità, sempre che lei vorrà a quel punto.
La notte sogno di nuovo Tris appesa sullo strapiombo, solo che questa volta finisce diversamente, non arrivo in tempo e vedo solo i suoi occhi vitrei mentre galleggia bluastra e gonfia nelle acque insidiose.
< E’ questo che succede ai Rigidi >
Mi sveglio di soprassalto con un grido che mi muore in gola, non appena vedo Tris straiata al mio fianco, protesa sul ciglio del letto nella mia direzione, come se avesse voluto annullare il più possibile la distanza tra noi.
La osservo per un momento, dormire tranquilla, e mi chiedo come ci riesca dopo quello che ha passato.
Sembri una roccia.
Ed è vero, non ho mai conosciuto nessuno che avesse la forza che possiede questa piccola ragazza straiata nel mio letto. I lineamenti non sono accigliati, ma rilassati e ancora una volta perdo lucidità, non combatto l’impulso di accarezzarla, così le sfioro la guancia, toccandole con il pollice l’angolo della bocca; si muove leggermente e per un attimo temo si stia svegliando, invece si rilassa e schiude le labbra: < Quattro .. > sussurra, debolmente. Forse l’ho solo immaginato o forse lo ha realmente detto.
Scuoto la testa e mi infilo nel bagno per fare la doccia.
 
 
                                                                          ***
 
 
A colazione mi infilo nella coda dietro Eric, con il mio vassoio in mano, mentre lui prende un lungo mestolo per mettersi le uva strapazzate nel piatto.
< Se ti dicessi che uno degli iniziati è stato aggredito ieri notte da alcuni suoi compagni > mormoro < te ne fregherebbe qualcosa? >
Lui spinge le uova su un lato del piatto e solleva la spalla.
< Potrebbe fregarmene che il loro istruttore non sembra capace di tenere i suoi iniziati sotto controllo > risponde, mentre io prendo una scodella di cereali. Lui nota le mie nocche scorticate. < Potrebbe fregarmi che questa ipotetica aggressione sarebbe la seconda sotto la custodia di quell’istruttore .. mentre tra gli iniziati interni non sembrano avere gli stessi problemi >
< E’ naturale che a tensione tra i trasfazione sia più alta. Non si conoscono tra i loto, non sanno nulla di questa fazione e provengono da ambienti diversi > ribatto < E tu sei il loro capofazione .. non dovrebbe essere una tua responsabilità tenerli “ sotto controllo “ ? >
Lui appoggia una fetta di pane tostato accanto alle uovo, servendosi delle pinze. Poi si avvicina  e mi sussurra : < Stai tirando troppo la corda, Tobaias, mettendoti a discutere con me davanti a  tutti. Risultati delle simulazioni “persi “. Una evidente predilezione per gli iniziati più deboli. Persino Max è d’accordo con me, ora. Se si fosse verificata un’aggressione, non credo che sarebbe contento di te, e potrebbe non obbiettare se suggerissi di rimuoverti dal tuo incarico. >
< Ti ritroveresti senza istruttore a una settimana dalla fine dell’iniziazione >
< Posso finirla io >
< Posso solo immaginare cosa succederebbe sotto la tua supervisione > rispondo, stringendo gli occhi. < non avremmo nemmeno bisogni di eliminare nessuno. Morirebbero tutti o se ne andrebbero di propria volontà >
< Se non stai attento, non avrai bisogno di immaginare proprio niente > raggiunge la fine del buffet e si volta verso di me.
< La competizione crea tensione, Quattro. È comprensibile che quella tensione venga scaricata in qualche modo. > Accenna un sorriso, facendo tendere la pelle tra i pearcing.
< Un’aggressione dimostrerebbe con certezza assoluta chi sono i forti e chi i deboli nel mondo reale, non trovi? Non avremmo nemmeno bisogno di affidarci ai risultati dei test, in quel caso. Potremmo prendere una decisione più consapevole su chi non merita di stare qui. Questo .. nel caso dovesse verificarsi un’aggressione. >
L’implicazione è chiara: in quanto vittima di un’aggressione, Tris sarebbe considerata più debole degli altri iniziati, e in quanto tale passibile di eliminazione. Eric non correrebbe in aiuto della vittima, ma ne chiederebbe l’espulsione come è stato per Edward prima che lui se ne andasse di sua iniziativa. Non voglio che Tris venga costretta a diventare un’ Esclusa.
< Bene > dico in tono improvvisamente gioviale < Allora, meno male che non ci sia stata nessuna aggressione, ultimamente >
Verso un po’ di latte sui cereali e vado al mio tavolo.
Eric non farà nulla a Peter, Drew o Al, e io ho le mani legate, a meno che non trasgredisca alle direttive, subendo le ripercussioni della mia insubordinazione. Ma forse .. forse non è necessario che agisca da solo. Appoggio il vassoio tra Zeke e Shauna e dico : < Ho bisogno del vostro aiuto >
< Dicci tutto > risponde Zeke.
< Sta notte tre dei miei iniziati hanno aggredito Tris >
< Tris? E come sta? > dice subito Shauna preoccupata, le si è affezionata. Ma con Tris è così: il suo coraggio, la sua disponibilità ad ascoltate con serietà e a correre in difesa dei più deboli rapisce tutti, me compreso probabilmente.
< Bene, l’ho portata via in tempo .. > entra Drew zoppicante in una maniera penosa. Bene. Sorrido di piacere perverso.
< Ma tre contro uno? Non è leale ! > sbotta Shauna.
< Già perché Peter ci tiene a essere leale è lo stesso iniziato che ha accoltellato Edward nell’occhio mentre dormiva, per un posto migliore nella classifica! >
< Chissà perché questo scontento del secondo posto non mi è nuovo .. > dice ironico Zeke.
 < Appunto e parlando di questo, Eric non farà nulla, tranne che sbattere fuori Tris. >
< Ovviamente >
< Appunto,ma devono pagarla. Ho un’idea >
Dopo aver parlato di cosa fare – e un colpo di genio da parte di Zeke – mi avvicino al tavolo dei trasfazione e dico: < Oggi faremo qualcosa di diverso, seguitemi >
Mentre mi volto vedo Tris seduta accanto ad Uriah che la guarda preoccupato.
< Stai attenta > le dice.
< Non preoccupati, ci pensiamo noi a proteggerla > dice Will.
Si è mostrata abbastanza vulnerabile da avere la protezione dei suoi amici – non solo trasfazione ma anche quella degli interni – bene, mi ha ascoltato per una volta, posso preoccuparmi un pò di meno.
Mentre risaliamo i cunicoli che dal Pozzo portano alla Guglia a stento mi accorgo dell’altezza per le centinaia di volte che ho percorso questa strada, anche se il mio cuore in fibrillazione non è propriamente d’accordo; arriviamo sul Palazzo di Vetro, che ora ci fa da pavimento e vedo Drew in fondo alla fila. < Accelera il passo Drew! > dico, con un sorriso sadico sulle labbra, mi volto istintivamente a cercare Tris e la trovo sotto braccio a Will.
Il viso mi si irrigidisce senza che gli abbia dato il comando, e sento la voglia di tirare un pugno sul viso del mio iniziato, senza un motivo preciso. Ha paura dell’altezza ricordo a me stesso, e probabilmente Tris gli sta offrendo solo il suo sostegno, ma la voglia di tirargli un pugno non mi passa comunque.
Sento un calore irradiarsi dalla bocca dello stomaco in tutto il petto, un calore che non ho mai provato prima, potrei quasi chiamarla gelosia.
Ma di cosa sono geloso?
Tris non è mia, e non so nemmeno se le piaccio o – soprattutto – se potrei continuarle a piacere dopo che le avrò detto la verità.
Tris è forte e sono certo che non potrebbe mai provare qualcosa – attrazione – per chi è vulnerabile, debole; cosa penserà dopo che le avrò detto la verità? Che sono un vigliacco, un debole, che non sono come lei, non sono l’istruttore freddo ed inflessibile che mostro di essere?
Non lo so ed è questo a provocarmi una nuova ondata di paura nello stomaco, paura di saltare nell’ignoto senza sapere se ci sarà una rete sul fondo pronta a prendermi.
Terminata la spiegazione dello scenario della paura e congedati gli iniziati per il pranzo, spingo Peter da parte e lo faccio entrare nella saletta di osservazione accanto allo spoglio corridoio delle simulazioni. Dentro è già stata sistemata una fila di sedie, se cui si accomoderanno gli iniziati prima del test finale. Ci sono anche Zeke  e Shauna.
< Dobbiamo parlare > esordisco.
Zeke si lancia su Peter, spingendolo contro la parete con una forza allarmante: gli fa sbattere la testa contro il muro, strappandogli una smorfia di dolore.
< Ehilà > lo saluta Zeke mentre Shauna si avvicina rigirandosi un coltello nel palmo della mano.
< Che cosa sta succedendo? > sbotta Peter. Non sembra minimamente spaventato, neanche quando Shauna prende il coltello per il manico e gli appoggia la punta sulla guancia, creando una fossetta. < State cercando di spaventarmi? > continua lui con un sorriso di derisione.
< No > rispondo < Cerchiamo solo di mettere in chiaro una cosa. Non sei l’unico ad avere amici che sono pronti ad usare la violenza. >
< Non credo sia previsto che gli istruttori minaccino i loro allievi, non credi? > Peter mi guarda con gli occhi spalancati e un’espressione che potrei scambiare per innocenza, se non lo conoscessi bene. < Tuttavia, chiederò ad Eric, per sicurezza. >
< Non ti sto minacciando > rispondo. < Non ti sto neanche toccando. E , secondo quanto attestano i filmati provenienti da questa stanza e ora conservati nei computer del centro di controllo, noi non ci troviamo neanche qui, in questo momento. >
Zeke sorride come se non riuscisse a trattenersi. È stata una sua idea, questa.
< Sono io quella che ti sta minacciando > dice Shauna, quasi ringhiando. < Un’altra aggressione, e ti impartirò una bella lezione sulla giustizia > Solleva la punta del coltello fin sopra l’occhio e gliel’appoggia sulla palpebra, premendo sempre di più. Peter raggela, incapace anche solo di respirare. < Occhio per occhio, livido per livido >
< A Eric può anche non importare della tua slealtà > dice Zeke < ma a noi si, e ce ne sono molti di Intrepidi come noi. Gente che pensa che non dovresti mai alzare le mani sui tuoi compagni di fazione. Gente che dà retta alle voci che girano e le diffonde alla velocità della luce. Non sarà un grosso problema per noi far sapere che razza di verme sei, né per loro renderti la vita molto, molto difficile. Vedi tra gli Intrepidi la reputazione tende a rimanerti appiccicata addosso. >
< Cominceremo da tutti i tuoi potenziali datori di lavoro > prosegue Shauna < Dei supervisori del centro di controllo se ne può occupare Zeke; dei capisquadra delle pattuglie alla recinzione me ne occupo io. Tori conosce tutti nel Pozzo. Quattro, tu sei suo amico, giusto? >
< Giusto > confermo. Mi avvicino a Peter inclinando la testa di lato. < Sarai anche uno senza scrupoli, iniziato .. ma noi possiamo renderti la vita un inferno. >
Shauna allontana il coltello dal suo occhio. < Riflettici >
Zeke gli lascia andare la camicia e gliela sistema, senza smettere di sorridere. La combinazione della ferocia di Shauna e dell’allegria di Zeke è talmente insolita da risultare inquietante. Prima di uscire, Zeke saluta Peter con la mano, poi io e Shauna lo seguiamo fuori.
< Vuoi che lo facciamo sapere in giro comunque, giusto? > mi chiede Zeke.
< Si > rispondo < Certo. E non solo di Peter. Ma anche di Drew e Al. >
< Magari, se sopravvive all’iniziazione, potrei farlo inciampare accidentalmente, in modo che finisca dritto nello strapiombo > propone lui ridendo, accompagnando la frase con un gesto eloquente del braccio.

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Capitolo 17
*** Perchè ti batte così veloce il cuore, Tris? ***


Image and video hosting by TinyPic PERCHE’ TI BATTE COSI’ VELOCE IL CUORE, TRIS?
 
 
 
Il mattino dopo trovo un sacco di gente raccolta intorno allo strapiombo. Tutti sono silenziosi e immobili, anche se il profumo della colazione ci chiama verso la mensa. Ci può essere solo un motivo per cui si sono radunati qui.
Accade quasi tutti gli anni, mi è stato detto. Una morte. Come quella di Amar, un improvviso e terribile spreco di vite. Il cadavere viene estratto dallo strapiombo come un pesce attaccato all’amo. Di solito si tratta di un giovane. A volte a causa di un incidente, una bravata particolarmente audace finita male; altre volte è solo una mente turbata e ferita dal buio, dalla pressione, dal dolore.
Non so cosa pensare. Forse dovrei sentirmi in colpa, per non essermi accorto di quel dolore. O triste, al pensiero che c’è chi non trova altro modo per sfuggirvi.
Sento qualcuno in mezzo al gruppo pronunciare il nome del morto, ed entrambe queste emozioni mi investono in pieno.
Al.
Al. Al.
Un mio iniziato, sotto la mia responsabilità. Ho fallito. Perché ero tutto preso a spiare Max e Janine, a incolpare Eric, o a dibattermi nell’indecisione sull’avvertire o meno gli Abneganti. Ma in realtà nessuna di queste ragioni c’entra: ho fallito perché ho preso le distanze da loro per proteggere me stesso, mentre avrei dovuto tirarli fuori dagli angoli bui di questo posto e mostrare loro quelli più luminosi .. ridere con gli amici sulle rocce dello strapiombo, farsi tatuaggi di notte dopo aver giocato a Sfide, lasciarsi sommergere da una mare di abbracci dopo la pubblicazione della classifica. Sono queste le cose che avrei dovuto insegnare ad Al : forse non avrebbero aiutato, ma avrei dovuto provare.
Una cosa so di sicuro: quando l’iniziazione di quest’anno sarà finita, Eric non avrà bisogno di darsi tanto da fare per togliermi questo incarico. Me ne sarò già andato.
Guardo il corpo gonfio e violaceo di Al riverso sul pavimento di pietra, mentre gli chiudono gli occhi per farlo sembrare addormentato.
Che cosa stupida.
Lancio un ultimo sguardo. Mi giro. E scappo via.
Corro, non so dove sto andando, ma ovunque lontano da qui.
È tutto una macchia indistinta di suoni e colori, di persone che si avvicinano per sapere come sto, nessuno pensa sia colpa mia, ma lo è.
 
 
                                                                    ***
 
Al. Al. Al.
Perché per gli Intrepidi tutti quelli che muoiono diventano eroi? Come mai ne abbiamo bisogno? Forse perché sono gli unici eroi che riusciamo a trovare in una fazione di leader corrotti, di compagni competitivi e di istruttori cinici. I morti possono diventare eroi perché non possono più deluderci;  possono solo migliorare con il tempo, man mano che ci dimentichiamo di com’erano.
Al era insicuro e sensibile, poi è diventato geloso e violento, e ora è morto. Uomini più fragili di lui sono sopravvissuti e uomini più duri sono morti .. e non c’è spiegazione per nessuna delle due cose.
Ma Tris ne vuole una, la brama , glielo leggo in faccia. È una specie di fame. O è rabbia. O entrambe le cose. Non credo proprio che sia facile voler bene a qualcuno, poi odiarlo e infine perderlo senza aver avuto il tempo di metabolizzare i propri sentimenti. La vedo allontanarsi dal gruppo di Intrepidi che scandisce cori, e la seguo perché sono abbastanza arrogante da credere di poterla far sentire meglio.
Giusto. Certo. O forse la seguo perché sono stanco di sentirmi così isolato e non sono più sicuro che questo sia il modo migliore di vivere.
< Tris > la chiamo
< Che ci fai qui? > chiede con amarezza. < Non dovresti essere nel Pozzo a rendere omaggio? >
< E tu? > Vado vero di lei.
< Non si può rendere omaggio ad una persona che non si rispetta > Per un momento mi sorprende che riesca ad essere così fredda. Tris non è sempre affabile, ma raramente è sprezzante. Ma già un attimo dopo scuote la testa. < Non intendevo questo. >
< Ah. >
< E’ ridicolo > dice arrossendo < Lui si getta dallo strapiombo, e questo Eric lo chiama coraggio? Eric che ti ha chiesto di tirargli addosso i coltelli? > La sua faccia si contrae in una smorfia < Al non era coraggioso! Era depresso ed era un vigliacco e mi ha quasi ucciso! Sono queste le cose che si rispettano qui? >
< Che cosa vuoi che facciamo? > dico più gentilmente che posso, che non è dire molto. < Che lo condanniamo? È già morto. Non può sentire niente ed è troppo tardi. >
< Non è Al il problema > risponde. < Il problema sono tutte le persone che danno retta ad Eric! Tutti quelli per i quali da oggi gettarsi nello strapiombo sarà una delle opzioni possibili. Insomma, perché non farlo se , dopo, tutti ti considerano un eroe? Perché non farlo se tutti ricorderanno il tuo nome? >
Ma naturalmente il problema è Al, invece, e lei lo sa.
< E’ che .. > Sta lottando, sta combattendo contro se stessa. < Io non posso .. questo non sarebbe mai accaduto tra gli Abneganti! Niente di tutto questo! E non me ne frega niente se dirlo fa di me una Rigida, non me ne frega, non me ne frega! >
La paranoia è talmente radicata in me che alzo automaticamente lo sguardo sulla videocamera di sicurezza sopra la fontanella, nascosta dalla lampada azzurra. La gente al cento di controllo può vederci e , se siamo sfortunati, potrebbe scegliere questo momento per ascoltarci, anche. Già immagino Eric accusare Tris di tradimento, il suo corpo riverso sull’asfalto, accanto ai binari del treno ..
< Attenta, Tris > l’avverto.
< È tutto quello che sai dire? > Mi guarda contrariata. < Che devo stare attenta? Tutto qui? >
Mi rendo conto che la mia risposta non è esattamente quella che si aspettava, ma per essere qualcuno che ha appena inveito contro la sconsideratezza degli Intrepidi, si sta decisamente comportando come uno di loro.
< Sei peggio dei Candidi, sai? > esclamo. I Candidi devono sempre dire la loro, e non pensano mai alle conseguenze. La porto via dalla fontanella. I nostri visi sono vicini, ora, e mi immagino i suoi occhi senza vita, la vedo galleggiare nell’acqua del fiume sotterraneo, come nel mio sogno .. e non riesco a sopportarlo, non dopo averla appena salvata da un’aggressione.
Chissà che cosa sarebbe successo, se non l’avessi sentita gridare.
Ma penso di saperlo.
Sento ancora i brividi percorrermi la schiena, ripensando al mio sogno.
< Non intendo ripetertelo più, per cui ascoltami bene. > Le metto le mani sulle spalle. < Ti stanno tenendo d’occhio. Te, in particolare. >
Ricordo lo sguardo di Eric fisso su di lei dopo il lancio dei coltelli. Le sue domande sui dati della simulazione cancellati. Ho dichiarato che il danno era stato causato da un’infiltrazione d’acqua, e lui ha trovato interessante che si fosse verificato appena cinque minuti dopo la fine della simulazione di Tris. Interessante.
< Lasciami andare > scandisce debolmente.
La mollo immediatamente. Non mi piace quel tono nella sua voce.
< Tengono d’occhio anche te? >
L’hanno sempre fatto, e sempre lo faranno. < Continuo a cercare di aiutarti, ma tu non me lo permetti >
< Ah, giusto. Tu mi aiuti! > esclama. < Provare a mozzarmi un orecchio,provocarmi e gridarmi addosso più che contro chiunque altro .. questo si che è aiutare. >
< Provocarti? Intendi dire mentre ti lanciavo i coltelli? Non ti stavo provocando! > scuoto la testa. < Ti ricordavo che se avessi ceduto, qualcun altro avrebbe dovuto sostituirti. >
In quel momento mi era sembrato evidente. Avevo pensato che, visto che lei sembra capirmi più di altri, mi avrebbe capito anche stavolta. Ma naturalmente non poteva. Non può leggere nel pensiero.
< Perché? > mi chiede.
< Perché .. sei un Abnegante > rispondo. < Ed .. è quando agisci per altruismo che sei più coraggiosa. Se fossi in te , mi preoccuperei di più di far credere che stai perdendo l’inclinazione verso l’altruismo, perché se lo notano le persone sbagliate .. bè, non sarà un bene per te. >
< Perché? Che gliene frega delle mie intenzioni? >
< Le intenzioni sono l’unica cosa che gli importa. Ti fanno credere che è quello che fai che gli interessa, ma non è così. Loro non vogliono che tu agisca in un certo modo, vogliono che pensi in un certo modo. Così sei facile da capire, così non rappresenti una minaccia. >
Appoggio una mano al muro, proprio vicino alla sua testa,e  penso al tatuaggio che mi corre lungo la schiena. Non è averlo fatto a rendermi un traditore, ma il significato che ha per me: il rifiuto del ristretto modo di pensare delle fazioni, un modo che estirpa dal mio essere diverso sfaccettature che mi compongono, riducendomi gradualmente a un’unica versione di me stesso.
< Non capisco perché gli interessa quello che penso, finchè mi comporto come vogliono loro > dice lei.
< Ti stai comportando come vogliono loro, adesso. Ma che cosa succederà quando il tuo cervello da Abnegante ti dirà di fare qualcos’altro, qualcosa che loro non vogliono? >
Per quanto mi stia simpatico, Zeke è l’esempio perfetto. È nato tra gli Intrepidi, ci è cresciuto e li ha scelti. Posso scommettere che guarderà le cose sempre dallo stesso punto di vista. Vi è stato addestrato fin dalla nascita a farlo. Per lui non esistono alternative.
< Forse non ho bisogno del tuo aiuto, ci hai pensato? > mi chiede Tris. Mi viene quasi da ridere. Ovvio che non ha bisogno di me. Quando mai è stata questa la questione? < Non sono debole, sai. Posso farcela da sola. >
< Tu pensi che il mio primo istinto sia di proteggerti. > Mi sposto, accostandomi a lei un po’ di più. < Perché si piccola, perché sei una ragazza, o perché sei una Rigida. Ma ti sbagli >
 Le vado ancora più vicino. Le sfioro il mento e, per un istante, mi viene la tentazione di eliminare del tutto lo spazio tra noi. < Il mio primo istinto sarebbe di spingerti al massimo, spingerti finchè non ti spezzi, solo per vedere quanto resisti. > E’ una confessione strana, azzardata. Io non intendo farle alcun male, non ne ho mai avuta l’intenzione. Spero che capisca quello che voglio dire. < Ma resisto. >
< Perché .. perché è questo il tuo primo istinto? >
< La paura non ti paralizza. Ti accende. L’ho visto. È affascinante > I suoi occhi durante le simulazioni sono ghiaccio, acciaio e luce azzurra. La ragazza minuta con le braccia nervose come cavi elettrici. Una contraddizione vivente. La mia mano scivola sul suo mento, le sfiora il collo. < A volte vorrei solo .. rivederlo. Vedere come ti accendi. >
Lei mi mette le mani sui fianchi e si spinge contro di me, o mi attira a sé, non so bene. Le sue mani si muovono sulla mia schiena e io la voglio, in un modo che non ho mai provato prima d’ora: non è superficiale attrazione fisica ma un desiderio puro, specifico. Non di “ qualcuno “, ma solo di lei.
< Dovrei piangere? > mi chiede, e mi ci vuole un secondo per rendermi conto che sta parlando di nuovo di Al. Bene, perché se questo abbraccio le facesse venire voglia di piangere, dovrei ammettere di non capire assolutamente niente di romanticismo. Il che potrebbe comunque essere vero. < C’è qualcosa di sbagliato in me? >
< Pensi che io ne sappia qualcosa di lacrime? > Le mie arrivano senza preavviso e spariscono in pochi istanti.
< Se l’avessi perdonato .. sarebbe vivo, ora? >
< Non lo so > Le poso una mano sulla guancia, allungando le dita fin dietro il suo orecchio. È davvero piccola. E la cosa non mi disturba affatto.
< Mi sento come se fosse colpa mia. >
Anch’io.
< Non è colpa tua. > appoggio la fronte alla sua. Sento il suo respiro caldo sul mio viso. Avevo ragione, questo è meglio che tenersi a distanza, molto meglio.
< Ma avrei dovuto. Avrei dovuto perdonarlo. >
< Forse. Forse avremmo dovuto fare tutti di più > ammetto,e poi senza pensarci me ne esco con una frase tipica da repertorio Abnegante: < Ma i sensi di colpa devono servire solo ad aiutarci a fare meglio la prossima volta >
Lei si stacca immediatamente, e io provo di nuovo l’impulso di essere crudele con lei, perché si dimentichi di ciò che ho detto e non mi faccia domande.
< Di che fazione eri, Quattro? >
Penso che tu lo sappia. < Non importa. Ora sono qui, ed è questo che faresti meglio a tenere presente anche tu. >
Non voglio più starle vicino; non desidero altro.
Voglio baciarla; non è il momento.
Le sfioro la fronte con le labbra e nessuno dei due si muove.
Non si torna più indietro, adesso. Non per me.
Restiamo fermi in questo modo per un tempo che sembra infinito, poi mi stacco e la saluto.
Passo il pomeriggio con gli occhi incollati allo schermo del centro di controllo e una sua frase mi rimane in testa tutto il giorno.
Questo non sarebbe mai accaduto tra gli Abneganti.
All’inizio mi viene da pensare: È solo che lei non li consoce per come sono davvero.
Ma io ho torto, e lei ragione. Al non sarebbe morto negli Abneganti, e non l’avrebbe nemmeno aggredita. Gli Abneganti non saranno buoni e puri come credevo un tempo, o come volevo credere, ma di sicuro non sono neanche malvagi.
Quando chiudo gli occhi rivedo la mappa del loro quartiere, quella che ho trovato sul computer di Max, come se ce l’avessi stampata sulle palpebre. Sia che li avvisi sia che non lo faccia sarò comunque un traditore, nei confronti degli uni o degli altri. Quindi, se la lealtà è impossibile, quale deve essere il mio obbiettivo?
Arriva sera e mi trascino in mensa per la cena. Shauna deve essere di pattuglia e Zeke è ancora ubriaco dalla cerimonia in onore di Al.
Quindi mangio da solo in un tavolo un po’ isolato, lanciando occhiate furtive a Tris. Ora non torno più indietro, ora voglio che lei sappia, voglio saltare nel vuoto anche se non so se ci sia la rete sul fondo.
Mi ci vuole un po’ per elaborare un piano. Se lei fosse una normale ragazza Intrepida,  io un normale ragazzo Intrepido, le chiederei di uscire. Potrei sfoggiare la mia conoscenza del nostro quartier generale e ci baceremmo accanto allo strapiombo. Ma tutto questo mi sembra troppo banale dopo le cose che ci siamo già detti, dopo che ho visto le parti più oscure della sua mente.
Forse è questo il problema .. il nostro rapporto è completamente sbilanciato: io la conosco bene, so di che cos’ha paura, che cosa le piace e cosa odia, mentre lei – di me – sa soltanto quel poco che le ho raccontato. E siccome faccio fatica a parlare di me, le informazioni che le ho dato sono così vaghe da essere insignificanti.
Tutt’a un tratto capisco cosa devo fare .. il problema diventa farlo.
Accendo il computer del corridoio delle simulazioni e lo imposto sul mio scenario della paura. Prendo dal magazzino due fiale di siero e le metto dentro una scatoletta nera che utilizzo a questo scopo. Poi vado verso il dormitorio dei trasfazione, senza sapere bene come farò a restare colo con lei il tempo necessario per chiederle di seguirmi.
Ma poi la vedo accanto alla ringhiera, insieme a Will e Christina, e per chiederglielo dovrei chiamarla, e non posso farlo. Sono impazzito, a pensare di lasciarla entrare nella mia testa? A pensare di farle vedere Marcus, farle scoprire il mio nome, farle sapere tutto quello che mi sono tanto preoccupato di tenere segreto?
Comincio a salire i canali del Pozzo, lo stomaco che mi si contorce. Quando arrivo nel salone di vetro, le luci della città si stanno spegnendo tutt’intorno alla Guglia. Sento i suoi passi sulle scale. Mi è venuta dietro.
Mi rigiro la scatola nera nella mano. Nell’altra stringo la siringa, che ho appena tirato fuori. < Dal momento che sei qui > dico, come se fosse un caso, il che è ridicolo, < tanto vale che entri con me. >
< Nel tuo scenario della paura? >
< Si >
<  Si può fare? >
< Il siero ti collega al programma, ma è il programma che determina quale scenario attraverserai. E in questo momento è settato sul mio >
< Me lo lasceresti vedere? >
Non riesco neanche a guardarla. < E per quale motivo pensi ci stia andando? > Lo stomaco mi fa sempre più male. < Voglio mostrarti alcune cose. >
Lei piega la testa e io le inietto il siero, proprio come faccio durante le esercitazioni. Ma poi, invece di farmi da solo l’iniezione, le porgo la scatola con la seconda siringa.
Credo sia il mio modo di pareggiare i conti tra noi.
< Non l’ho mai fatto prima > mi avvisa.
< Esattamente qui > Mi tocco un punto sul collo. Le tremano leggermente le mani mentre inserisce l’ago, e io avverto il pizzico ormai familiare. L’ho fatto così tante volte, che ormai non mi dà più fastidio. La guardo in faccia. Non si torna indietro, mai più. È ora di vedere di che stoffa siamo fatti entrambi.
Le prendo la mano, o forse lei prende la mia, ed entriamo insieme nel corridoio delle simulazioni.
< Vediamo se riesci a indovinare perché mi chiamo Quattro >
La porta si chiude dietro di noi e ci troviamo al buio. Lei mi si avvicina e dice: < Qual è il tuo vero nome? >
< Vediamo se indovini anche quello. >
La simulazione comincia.
Le pareti si trasformano in vasto cielo azzurro, e noi ci troviamo sopra il tetto di un palazzo, circondato dalla città che riluccica al sole. Per un attimo è piacevole, ma poi si solleva un vento forte, impetuoso, e io mi stringo a lei perché so che in questo momento è più stabile di me.
Faccio fatica a respirare, il che in questa circostanza è del tutto normale per me. La violenza delle raffiche mi soffoca e l’altezza mi fa venire voglia di raggomitolarmi e nascondermi.
< Dobbiamo saltare, giusto? > grida, facendomi ricordare che non posso raggomitolarmi e nascondermi, che devo affrontare la situazione.
Annuisco.
< Al tre, okkey? >
Annuisco di nuovo. Tutto quello che devo fare è seguirla, nient’altro.
Lei conta fino a tre, poi si mette a correre trascinandomi dietro, come se fosse una braca a vela e io l’ancora che cerca di frenare entrambi. Saltiamo, e combatto con ogni centimetro del mio corpo contro la sensazione della caduta,  ogni mio nervo che urla di terrore, finchè mi ritrovo a terra, le braccia strette intorno al petto.
Lei mi aiuta a rialzarmi. Mi sento stupido se penso a come si è arrampicata su quella ruota panoramica, senza la minima incertezza.
< Che cosa c’è ora? >
Vorrei dirle che non è un gioco, che le mie paure non sono eccitanti giri di giostra. Ma probabilmente non è questo che intendeva. < E’ .. >
Le pareti compaiono dal nulla e sbattono contro la sua schiena, contro la mia e contro i fianchi di entrambi, spingendoci l’uno verso l’altra, più vicini di quanto siamo mai stati.
< La reclusione. > sussurro. Ed è peggio del solito con Tris qui dentro, a prendersi metà dell’aria. Mi sfugge un gemito, mentre mi chino su lei. Odio stare qua. Lo odio.
< Ehi > sussurra Tris < Va tutto bene. Qui .. >
Mi prende le braccia e se le stringe intorno al corpo. Ho sempre pensato che fosse magra, che non avesse neanche un grammo di troppo. Ma la sua pancia è morbida.
< E’ la prima volta che sono contenta di essere così piccola. >
< mmm – mmm. >
Cerco di concentrarmi sul respiro, mentre lei elenca le strategie per uscire da qui, ripetendo quello che gli ho spiegato io. Si abbassa e mi tira giù con sé, per far diventare la scatola ancora più piccola, poi si volta in modo da appoggiare la schiena contro il mio petto, un ginocchio vicino alla sua testa, e l’altro sotto di lei. Siamo completamente avviluppati.
< Così è peggio. > dico, perché tra la tensione per l’essere racchiusi in una scatola e quella che mi provoca il contatto fisico con il suo corpo non riesco più a riflettere. < Così è decisamente …  >
< Sssst. Abbracciami. >
Le stringo le braccia intorno alla vita e nascondo il viso nella sua spalla. Profuma di sapone degli Intrepidi e qualcosa di dolce, come di mela.
Mi sto dimenticando dove siamo.
Lei sta di nuovo parlando dello scenario della paura e io la ascolto, ma al contempo sono concentrato sulle sue emozioni.
< Cerca di non pensare a dove ti trovi > conclude.
< Si? > Avvicino la bocca al suo orecchio, questa volta di proposito, un po’ perché mi aiuta a distarmi, e un po’ perché ho la sensazione di non essere l’unico che sta perdendo la concentrazione. < Facile, eh? >
< Sai, tanti sarebbero contenti di ritrovarsi intrappolati in uno spazio così ristretto con una ragazza. >
< Non quelli claustrofobici, Tris! >
< Okkey, okkey > mi prende la mano e se l’appoggia sul petto, appena sotto la clavicola. Non riesco a pensare ad altro che a quello che desidero, che a un tratto non ha più nulla a che fare con uscire da questa scatola. < Senti il mio cuore. Riesci a sentirlo? >
< Si. >
< Senti com’è regolare? >
Sorrido nella sua spalla. < Batte veloce >
< Si, bè, questo non ha niente a che fare con la simulazione > Chiaro che no. < Ogni volta che mi senti respirare, respira anche tu. Concentrati. >
Respiriamo insieme una, due, tre volte.
< Perché non mi parli da dove viene questa paura. Forse parlarne ci aiuterà .. in qualche modo. >
Ho l’impressione che questa paura avrebbe dovuto essere già finita, ma quello che lei sta facendo mantiene alto il mio livello di tensione, invece di azzerarlo del tutto.
Faccio mente locale sull’origine di questa scatola. < Ehm .. va bene > okkey, fallo e basta, devi semplicemente dire la verità. < questa fobia è collegata alla mia fantastica infanzia. Alle punizioni. Il piccolo ripostiglio al piano di sopra. > Venivo rinchiuso al buio per riflettere su quello che avevo combinato. Era meglio di altre punizioni, ma a volte ci rimanevo così tanto da avere l’impressione di soffocare.
< Mia madre ci teneva i cappotti invernali, nel ripostiglio. > mormora lei, ed è una cosa stupida da dire dopo quello che le ho appena confessato, ma capisco benissimo che non sappia che altro fare.
<  Non voglio più parlarne, davvero > taglio corto, quasi senza fiato. Lei non sa cosa dire, nessuno lo saprebbe: le sofferenza della mia infanzia sono troppo patetiche perché altri sappiano come affrontarle. Sento il mio battito cardiaco accelerare di nuovo.
< Okkey. Allora .. parlo io. Chiedimi qualcosa. >
 Sollevo la testa. Prima stava funzionando, concentrarsi su di lei. Il suo cuore batte veloce, il suo corpo contro il mio. Due scheletri fasciati di muscoli e aggrovigliati l’uno all’altra; due trasfazione Abneganti che lottano per non cedere nella tentazione di flirtare. < Perché ti batte così veloce il cuore, Tris? >
< Bè, io .. Ti conosco appena > Me la immagino aggrottare la fronte al buio. < Ti conosco appena e sono schiacciata contro di te in una specie di cassa, Quattro. Secondo Te? >
< Se fossimo nel tuo scenario della paura .. ci sarei anche io? >
< Non ho paura di te. >
< Naturalmente no. Non è questo che intendevo > Non intendevo: Hai paura di me? Ma: Sono abbastanza importante per te da poter entrare nel tuo scenario? Probabilmente no. Ha ragione, mi consce appena. Però il cuore batte veloce.
Rido e le pareti si sgretolano come se la mia risata le avesse squassate e mandate in mille pezzi. Inspiro profondamente l’aria fresca e ci stacchiamo l’uno dall’altra. Ho freddo al petto e alle gambe senza il calore del suo corpo. Mi guarda con sospetto.
< Forse eri tagliata per i Candidi perché sei una frana a mentire > la prendo in giro.
< Temo che il mio test attitudinale abbia escluso quella opzione abbastanza decisamente. >
< I test attitudinali non significano niente. >
< Che cosa stai cercando di dirmi? Non è per il test che hai scelto gli Intrepidi? >
Alzo le spalle. < Non esattamente, no. Io .. > Vedo qualcosa con la coda dell’occhio e mi volto. Sul lato opposto della stanza c’è una donna con un viso insignificante, ordinario.
Tra lei e noi c’è un tavolo con sopra una pistola.
< Devi ucciderla > dice Tris.
< Ogni singola volta >  
< Lei non è reale. >
< Lo sembra. La sensazione è reale. >
< Se fosse reale, ti avrebbe già ucciso >
< Va bene. Devo solo .. farlo. > Mi avvicino al tavolo < Questa paura non .. non è così male. Non mi manda in panico come l’altra > Panico e terrore non sono gli unici tipi di paura. Ce ne sono più profondi, di più terribili. L’ansia e l’orrore.
Carico la pistola senza pensarci, la sollevo davanti a me e guardo la donna. Il suo volto è inespressivo, come se sapesse che cosa sto per fare e fosse rassegnata.
Non indossa i colori di nessuna fazione, ma potrebbe benissimo essere un Abnegante per come rimane ferma ad aspettare che io le faccia male. Proprio come faranno i veri Abneganti se Max, Janine ed Evelyn porteranno a termine la loro missione.
Chiudo un occhio per prendere a mira, e sparo.
Lei cade, e ripenso a quando ho preso a pugni Drew: ero così accecato dalla furia, che ho continuato a pestarlo finchè non ha quasi perso conoscenza.
La mano di Tris si chiude intorno al mio braccio. < Su vieni. Proseguiamo. >
Oltrepassiamo il tavolo e io rabbrividisco. Già solo l’attesa dell’ultimo ostacolo potrebbe essere catalogata come una paura stessa.
< Eccoci > dico.
Una figura scusa si sta lentamente avvicinando al cono di luce in cui ci troviamo io e Tris. Cammina lungo il contorno, in modo che solo il bordo della scarpa sia visibile. Poi fa un passo verso di noi. È Marcus, con occhi come buchi neri, i vestiti grigi e i capelli corti che mettono in risalto la forma del cranio.
< Marcus > sussurra lei.
Io lo fisso, in attesa del primo colpo. < Questa è la parte in cui indovini il mio nome. >
< Lui è .. > Ora lei lo sa. Lo saprà per sempre, non potrei più farglielo dimenticare neanche se volessi. < Tobaias. >
È tanto tempo che nessuno pronuncia il mio nome in quel modo, come se fosse una rivelazione e non una minaccia.
Marcus srotola una cintura che tiene stretta in pugno. < E’ per il tuo bene > sibila, e io vorrei urlare.
Poi in un attimo si moltiplica, circondandoci, trascinando le cinture sulle piastrelle bianche. Mi rannicchio su me stesso, curvando la schiena, e aspetto, aspetto. Vedo la cintura scattare indietro e sussulto prima ancora che mi colpisca.
Ma non mi sfiora nemmeno.
Tris è davanti a me, il braccio sollevato, il corpo in tensione. Stringe i denti quando la striscia di pelle si avvolge intorno al suo polso, ma poi gliela strappa di mano con uno strattone e contrattacca. Il movimento con cui colpisce Marcus è così violento da lasciarmi a bocca aperta.
Marcus si scaglia contro di lei, ma io mi metto in mezzo.
Sta volta sono pronto .. sono pronto a combattere anch’io.
Ma quel momento non arriva mai, perché le luci si riaccendono e lo scenario della paura finisce.
< Tutto qui? > dice lei, mentre continuo a guardare il punto in cui stava Marcus. < Erano queste le tue peggiori paure? Come mai hai solo quattro .. Ah > mi guarda. < Ecco perché ti chiamano .. >
Temevo che, se avesse saputo di Marcus, mi avrebbe guardato con compassione, facendomi sentire debole, piccolo e vuoto. Invece lo ha visto e l’ha guardato con rabbia e senza paura. Non mi ha fatto sentire debole, ma forte.
Abbastanza da reagire.
La prendo per il gomito e la tiro verso di me, poi le bacio la guancia, lentamente, per sentire il calore della sua pelle sulla mia. La stringo aggrappandomi a lei.
< Ehi > sussurra < L’abbiamo superato. >
Le passo le dita tra i capelli. < Tu me lo hai fatto superare. >
< Bhe è facile quando le paure non sono le tue > scherza lei.
La prendo per mano e la porto fuori,all’inizio anche lei sembra a disagio in questo gesto e la capisco visto che mi sono sempre chiesto perché alle persone piaccia camminare mano nella mano, ma poi le faccio scivolare il pollice sul palmo della mano disegnando piccoli cerchi,e comprendo immediatamente il motivo: mi sento scosso da ondate di energia, nuove  e piacevoli e dal modo in cui la sento rilassarsi al mio fianco immagino che anche a lei piaccia, che senta quest’energia.  Riscendiamo verso il Pozzo, fino alle rocce dove andiamo a volte la sera tardi io, Zeke e Shauna. Ci sediamo su una pietra piatta sospesa sopra l’acqua: gli spruzzi mi bagnano le scarpe, ma non fa così freddo da darmi fastidio. Come tutti gli iniziati, lei è troppo concentrata sul test attitudinale mentre io faccio fatica a parlare. Pensavo che una volta svelato il segreto,il resto sarebbe venuto da sé, ma sto scoprendo che la franchezza è un’abitudine che si forma con il tempo e non interruttore che si può far scattare a proprio piacimento.
< Queste sono cose che non racconto a nessuno, sai. Neanche ai miei amici >
Guardo l’acqua scura e torbida e gli oggetti che trascina con sé: rifiuti, vecchi indumenti, bottiglie che galleggiano come piccole barche in partenza per un viaggio. < Il mio esito è stato quello che ci si aspettava. Abnegante. >
< Ah > si adombra. < E hai scelto gli Intrepidi lo stesso? >
< Per necessità >
< Perché te ne sei dovuto andare? >
Distolgo lo sguardo, incerto se confessare o meno le mie ragioni, sapendo che ammetterle farebbe di me un traditore della fazione, e mi farebbe sentire un codardo.
E non voglio esserlo ai suoi occhi.
< Dovevi scappare da tuo padre. > continua. < E’ per questo che non sei voluto diventare capofazione? Perché altrimenti avresti rischiato di rivederlo? >
Mi stringo nelle spalle. < Un po’ per quello, ma anche perché non mi sono mai sentito di appartenere fino in fondo agli Intrepidi. Di sicuro, non come sono diventati adesso. > Non è proprio la verità, ma sono sicuro che sia il momento giusto per parlarle di quello che so di Max e Janine e dell’attacco. Egoisticamente, vorrei tenere questo istante per me, almeno per un po’.
< Ma sei ... incredibile > esclama, facendomi inarcare le sopracciglia. Sembra confusa. < Insomma, secondo gli standard degli Intrepidi avere solo quattro paure è una cosa inaudita. Come potresti non appartenere a questa fazione? >
Mi stringo nelle spalle di nuovo. Più il tempo passa, più trovo strano che il mio scenario non si affollato di paure come quello di chiunque altro. Un sacco di cose mi rendono nervoso, ansioso, inquieto .. ma quando me le ritrovo di fronte riesco ad agire, non mi blocco. Davanti alle mie quattro paure, invece, rischio di rimanere sempre paralizzato.
È questa l’unica differenza.
< La mia teoria è che l’altruismo e il coraggio non siano poi così diversi. > Alzo lo sguardo e guardo il Pozzo levarsi altro sopra di noi. Da qui si vede solo una fetta di cielo notturno. < Ti eserciti tutta la vita a non pensare a te stesso, per cui – quando sei in pericolo – è quella la tua risposta istintiva. Potrei benissimo appartenere anche agli Abneganti. >
< Si,bè, io sono andata via dagli Abneganti perché non ero abbastanza altruista, per quanto ci provassi. >
< Questo non è del tutto vero. > dico sorridendo < Quella ragazza che si è lasciata tirare addosso dei coltelli al posto di un amico e che ha colpito mio padre con una cintura per difendermi .. quella ragazza così altruista, non eri tu? >
Con questa luce sembra quasi un’abitante di un altro mondo, i suoi occhi sono così chiari che sembrano quasi scintillare nell’oscurità.
< Non ti sei lasciato sfuggire niente, eh? > mi chiede, come se mi avesse appena letto nel pensiero. Ma non sta parlando di come la sto guardando ora.
< Mi piace osservare la gente > ripeto, cercando di fare il furbo.
< Forse eri tagliato per i Candidi, Quattro, perché sei una frana a mentire. >
Appoggio la mano accanto alla sua e mi avvicino a lei.
< D’accordo > il suo naso lungo e stretto non è più gonfio per l’aggressione, e neanche la sua bocca. Ha delle belle labbra. < Ti ho osservata perché mi piaci. E .. non chiamarmi “ Quattro “, okkey? È bello risentire il mio nome. >
Sulle prime sembra interdetta.
< Ma tu sei più grande di me .. Tobaias >
Come suona bene detto da lei. Come se non avessi nulla di cui vergognarmi. < Già questa enorme differenza di due anni è insormontabile, giusto? >
< Non sto cercando di sminuirmi > insiste. < E’ solo che non capisco. Sono più piccola, non sono bella, non .. >
Rido e le bacio una tempia.
< Non fingere > sospira quasi senza fiato. < Lo sai che non sono bella. Non sono brutta, ma di certo non bella. >
La parola “ bella “ e tutto quello che rappresenta mi sembrano così totalmente fuori luogo in questo momento che perdo la pazienza.
< E va bene, non sei bella. E allora? > sposto le labbra verso la sua guancia, cercando un po’ di coraggio. < Mi piaci come sei. > La guardo. < E sei terribilmente intelligente. Coraggiosa. E anche se hai saputo di Marcus non mi stai guardando in quel modo. Più o meno come si guarda un cucciolo maltrattato. >
< Bè > risponde in tono pragmatico. < Perché non lo sei. >
Il mio istinto aveva ragione: lei merita la mia fiducia. Posso confidarle i miei segreti, la mia vergogna, il nome che ho abbandonato. Le verità belle e quelle orrende. Ora lo so.
Appoggio le labbra sulle sue. I nostri occhi si incontrano e io sorrido e la bacio di nuovo,questa volta con maggior sicurezza.
Non è abbastanza. La tiro a me, approfondendo il bacio, e lei prende vita, mi abbraccia e si stringe a me .. e ancora non è abbastanza, come potrebbe esserlo?
Dopo un tempo infinito che siamo rimasti nascosti a baciarci nel Pozzo, la riaccompagno al dormitorio dei trasfazione, le scarpe ancora umide per gli schizzi del fiume, e lei mi sorride mentre sgattaiola dentro la camerata.
Mi incammino verso il mio appartamento, e ben presto il senso di inebriante sollievo lascia di nuovo il posto all’inquietudine. In un punto impreciso tra l’attimo in cui ho visto la cintura avvolgersi al braccio di Tris e quello in cui le ho detto che l’altruismo e il coraggio spesso coincidono ho preso una decisione.
Svolto all’angolo successivo, non più diretto al mio appartamento ma a una scala che dà sull’esterno e che si trova proprio accanto all’appartamento di Max.
Rallento passando davanti alla sua porta, per paura che il rumore dei miei passi lo svegli.
Che assurdità.
Il cuore mi batte forte quando raggiungo la cima della scala.
Sta passando un treno proprio adesso, la sua fiancata argentea cattura la luce della luna. Mi incammino sotto la sopraelevata in una direzione ben precisa.

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Capitolo 18
*** Hai detto che sono il tuo ragazzo, Tris? ***


Image and video hosting by TinyPic HAI DETTO CHE SONO IL TUO RAGAZZO, TRIS?
 
 
 
 
 
Tris proviene dagli Abneganti, ed è a loro che deve parte di quella sua forza innata che si risveglia ogni volta che viene chiamata a difendere i più deboli. Io non posso accettare che uomini e donne come lei cadano sotto i colpi dei soldati di Max e Jeanine.
Gli Abneganti mi avranno anche mentito, e forse io li ho delusi quando sono passato agli Intrepidi, così come sto per deludere gli Intrepidi adesso… ma ciò che conta è che non devo deludere me stesso. E, a prescindere dalla fazione a cui appartengo, so qual è la cosa giusta da fare.
 Il quartiere degli Abneganti è così pulito che non si trova neanche una cartaccia per le strade, sui marciapiedi o nei prati. Gli edifici grigi sono ordinati e decorosi, anche se danneggiati in alcune parti, perché i proprietari hanno altruisticamente rinunciato ai materiali per la ricostruzione a favore degli Esclusi.
Le strade sono una specie di labirinto, ma non manco da così tanto da aver dimenticato come raggiungere la casa di Marcus.
Strano come nella mia mente sia subito diventata casa sua e non più mia. Forse non è necessario contattare proprio lui, potrei andare da qualunque altro capofazione… ma, tra tutti, lui è il più autorevole, e inoltre non posso ignorare il fatto che ha cercato di proteggermi, sapendo che sono un Divergente.
Cerco di ricordare la sensazione di potenza che ho sentito montare dentro di me, quando Tris mi ha mostrato che era solo un uomo e non un mostro, e che ero in grado di affrontarlo. Ma ora lei non è qui con me, e io mi sento inconsistente come un foglio di carta.
Percorro il vialetto d’ingresso di fronte a casa e mi sento le gambe rigide, come se non avessi le articolazioni. Non busso, non voglio svegliare nessun altro. Allungo una mano sotto lo zerbino, prendo la chiave di scorta e apro la porta. È tardi, ma la luce è ancora accesa in cucina.
Varco la soglia e lo trovo già in piedi. Dietro di lui, il tavolo è ricoperto di carte.
È scalzo – le scarpe sono sul tappeto del soggiorno, con le stringhe slacciate – e i suoi occhi sono nascosti da ombre, come nei miei incubi.
«Che cosa ci fai qui?» Mi squadra dalla testa ai piedi.
Mi domando che cosa abbia da guardare, finché mi ricordo che porto stivali neri e pesanti e il giubbotto da Intrepido, e che sul collo si vede il tatuaggio. Lui si avvicina un po’ e mi accorgo che sono alto quanto lui e più forte di quanto non sia mai stato.
Non potrebbe mai avere la meglio su di me, ora.
 «Non sei più il benvenuto in questa casa.»
«Non…» Raddrizzo la schiena, e non perché lui detesta le posture scorrette. «Non me ne frega niente» dico.
Lui solleva le sopracciglia di scatto, come se fosse sorpreso. E forse lo è.
«Sono venuto per avvertirti. Ho scoperto una cosa. Un piano d’attacco. Max e Jeanine attaccheranno gli Abneganti. Non so quando, né come.»
Lui mi fissa per un secondo, come se mi stesse soppesando, e poi sulla sua faccia si disegna un ghigno sprezzante.
«Max e Jeanine ci attaccheranno» ripete. «Loro due da soli, armati di siringhe e siero di simulazione?» Poi socchiude gli occhi. «Ti ha mandato qui Max? Sei diventato il suo lacchè? Cos’è, vuole intimidirmi?»
Quando ho pensato di avvertire gli Abneganti, ero sicuro che la parte più difficile sarebbe stata varcare questa soglia. Non mi è mai passato per la mente che lui avrebbe potuto non credermi. «Non essere stupido» ringhio.
Non mi sarei mai rivolto a lui così quando vivevo in questa casa, ma dopo due anni passati ad adottare deliberatamente il linguaggio degli Intrepidi mi è uscito di bocca da solo.
«C’è un motivo se non ti fidi di Max, e ti garantisco che è un buon motivo. Fai bene a sospettare di lui. Sei in pericolo. Lo siete tutti.»
«Tu osi venire in casa mia, dopo aver tradito la tua fazione» risponde, abbassando la voce, «dopo aver tradito la tua famiglia… per insultarmi?» Scuote la testa. «Mi rifiuto di dar credito alle intimidazioni di Max e Jeanine, a maggior ragione se a farmele è mio figlio.»
«Sai cosa? Lascia perdere, sarei dovuto andare da qualcun altro.»
Mi volto per andarmene, ma lui mi blocca: «Non ti ho ancora congedato».
La sua mano si chiude attorno al mio braccio, e me lo stringe. Io la fisso e, per un attimo, mi sento frastornato, come se non fossi più dentro al mio corpo, perché estraniarmi è l’unico modo che conosco per sopravvivere.
Puoi batterlo , mi dico ripensando a Tris che fa scattare la cintura per colpirlo. Libero il braccio con uno strattone, e sono troppo forte perché lui possa trattenermi. Riesco a raccogliere solo l’energia sufficiente per andarmene, e lui non osa urlarmi dietro, perché i vicini potrebbero sentire. Mi tremano le mani, così me le infilo in tasca.
Non sento la porta chiudersi alle mie spalle, per cui so che mi sta guardando mentre mi allontano. Non è stato il ritorno trionfante che mi ero immaginato.
Mi sento in colpa quando rientro nella Guglia, come se avessi addosso gli occhi di tutti gli Intrepidi che mi giudicano per quello che ho appena fatto. Sono andato contro i miei capifazione, e per cosa? Per un uomo che odio, e che non mi ha neanche creduto?
Se questo è il risultato, tradire la mia fazione non è valso a niente. Mentre attraverso il pavimento di vetro, guardo lo strapiombo sotto di me, l’acqua calma e scura, troppo lontana per riflettere la luce della luna.
Poche ore fa mi trovavo in questo stesso punto e stavo per mostrare a una ragazza che conosco a malapena i segreti che ho sempre fatto di tutto per proteggere. A differenza di Marcus, lei si è dimostrata degna della mia fiducia. Lei , sua madre e il resto della fazione in cui lei crede meritano ancora di essere protetti.
E quindi è questo che intendo fare.
Il mattino mi sveglio ancora più stanco di quando sono andato a letto poche ora fa, arrabbiato e confuso.
Entro nella doccia mi lavo velocemente, poi le mie mani finiscono di propria volontà sul rasoio, mi posiziono davanti allo specchio e comincio a tagliarmi i capelli, come ho sempre fatto.
Quando sto per entrare nella mensa l’unica cosa che vorrei fare è parlare con Tris, ma se c’è una soluzione a cui sono riuscito ad arrivare è proprio questa : finchè non sarà conclusa l’iniziazione nessuno dovrà sapere di noi – noi, è così assurdo il pensiero che anche io le piaccio, che non la disgusto con la debolezza che ho mostrato in passato che ancora non ci credo – perché non voglio che venga accusata che gli ottimi punteggi che sta ottenendo siano dovuti ad un mio favoritismo invece che al suo unico merito e coraggio.
Perciò quando entro in mensa e la vedo con la coda dell’occhio sorridermi e fare un cenno con la mano la ignoro e mi dirigo subito al mio tavolo con Zeke.
< Hey amico, scusa se te lo dico ma hai una faccia da far schifo >
< Grazie tante è > grugnisco.
< Figurati, sono sempre qui per te. >
Alzo gli occhi al cielo e istintivamente guardo nella sua direzione e per un attimo i nostri sguardi si incontrano, mi costringo a voltarmi dall’altra parte anche se solo questo basta a rievocare in me la sensazione di calore del suo corpo tra le mie braccia, e la  mia fiducia che mi ha dimostrato di poter riporre in lei a differenza di Marcus.
Già Marcus.
 
 
 
                                                                      ***
 
< Due anni fa > sta spiegando Lauren, l’istruttrice degli interni, agli iniziati che si trovano davanti a noi nella sala dello scenario della paura, oggi faranno al prima prova prima del test finale. < Avevo paura dei ragni, di soffocare, di rimane intrappolata tra mura che mi si restringono lentamente addosso, di essere buttata fuori dagli Intrepidi, di morire dissanguata, di essere investita da un treno, della morte di mio padre, di essere umiliata pubblicamente e di essere rapita da uomini senza volto. > riprende fiato, poi continua: < La maggior parte di voi ha tra le dieci e le quindici paure nel suo scenario. È questa la media. >
< Qual è il numero più basso mai registrato? > chiede Lynn
< In anni recenti, quattro > risponde Lauren.
Sposto lo guardo dagli iniziati al pavimento, Lynn mi conosce abbastanza da collegare il mio nome alla risposta mentre si volta a guardarmi di sottecchi, ma lo sguardo che sento puntato addosso più intensamente è quello di Tris, che non mi ha più degnato di considerazione da quando ho distolto lo sguardo a colazione.
< Non scoprirete oggi, quante paure avete > prosegue Lauren < La simulazione è settata sul mio scenario, per cui troverete le mie paure, non le vostre. >
< Lo scopo di questo esercizio, tuttavia, è solo farsi un’idea di come funziona la simulazione, per cui ognuno di voi affronterà una paura soltanto. >
Detto questo le distribuisce tra gli iniziati e Tris essendo l’ultima capita quella del rapimento.
Io e Lauren ci colleghiamo ai monitor e cominciano le simulazioni; Will scaccia via i ragni, Uriah spinge i muri che si restringono, e Peter – con mia grande soddisfazione – diventa di una sfumatura quasi inverosimile di rosso durante la sua umiliazione pubblica.
Tutti gli iniziati hanno finito e tocca a Tris. Lauren le si avvicina e le inietta il siero nel collo: la simulazione comincia.
Si trova in campo con l’erba alta e verdognola ed è troppo buio perché lei veda qualcosa. Le mani degli uomini senza volto le si stringono intorno alle braccia e sulla bocca.
La scena cambia, quasi immediatamente, e mi rendo conto dove ci troviamo: lo strapiombo. La paura di Tris ha sostituito quella dello scenario della paura di Lauren.
 Devo costringermi a rimanere fermo e non interrompere l’allucinazione; Tris grida e si dibatte ed è la cosa più agghiacciante che abbia mai sperimentato, comincia a piangere e a gridare ossessivamente, i suoi rapitori cambiano e prendono le sembianze dei suoi veri aggressori.
So che gli iniziati la stanno guardando – che Drew e Peter la stanno guardando – così mi scollego velocemente dalla postazione < Ferma > ordino a Lauren, che interrompe il programma e Tris si risveglia nel corridoio rannicchiata su se stessa contro la parete, tra le lacrime.
< Che diavolo era quello, Rigida? > sbraito mentre la costringo ad alzarsi.
< Io .. > singhiozza < Io non .. >
< Controllati! Sei patetica. >
Il suo viso si contrae e le lacrime si fermano, non c’è più paura o imbarazzo nei suoi occhi ma solo rabbia, rabbia verso di me.
Mi colpisce con forza il viso con la mano aperta < Stai zitto > sbotta dopo, e con uno strattone si libera dalla mia presa, esce dalla stanza  da sola, chiudendosi con forza la porta alle spalle.
So che posso esserle sembrato duro, ma lei mi conosce, sa che l’ho fatto unicamente per lei, per non mostrare ai suoi aggressori che sono riusciti a spezzarla.
Perché alla fine anche questa non è la verità; l’hanno spaventata, hanno provato a spezzarla, ma lei si è a mala pena piegata, e per quanto durante tutta la sua allucinazione l’unica cosa che avrei voluto fare era stringerla e proteggerla, sa che ho agito così per far capire che non ci sono favoritismi, che quel posto in cima alla classifica se lo è meritato.
La giornata passa lenta e dopo aver congedato gli iniziati per pranzo, comincio a domandarmi dove sia  Tris.
A pranzo non è con i suoi amici.
Il primo pomeriggio stessa cosa; non è al Pozzo con Uriah, Marlene e Lynn, forse è uscita con Will e Christina.
Mi avvio verso il centro di controllo, dove so che potrò trovarla grazie alle telecamere.
Zeke mi saluta ma neanche accenno ad averlo sentito, concentrato come sono sul mio obbiettivo.
Comincio a far ruotare le inquadrature dentro tutta la residenza, ma lei non c’è; con le videocamere esterne trovo Will e Christina vicino alle rotaie del treno ma sono da soli.
Dove ti sei cacciata, Tris?
Continuo a far ruotare le telecamere ossessivamente, ma di lei nessuna traccia.
Poi qualcosa attira la mia attenzione: Eric sta uscendo infuriato dal suo ufficio, faccio scorrere ancora le immagini fino a trovare di nuovo Eric che ora si dirige al palazzo di vetro, l’immagine cambia ancora una volta e la vedo: Tris in un automobile Erudita.
Scatto dalla sedia e sto per spegnere l’account quando l’immagine di Eric che trascina fuori dalla macchina Tris per un braccio dentro la residenza mi si stampa sulle palpebre.
< Zeke, spegnimi la postazione! > urlo camminando all’indietro verso la porta.
< Perché? Dove corri? >
< Fallo e basta! >
Comincio a correre verso gli ascensori, mi ci lancio dentro proprio mentre le porte si stanno per chiudere; questi affari non mi sono mai sembrati lenti come in questo momento, corro su per le strade del Pozzo, e arrivo davanti alla porta dove troverò Tris ed Eric.
Apro la porta ed entro < Che stai facendo? >
< Esci da questa stanza > mi ordina Eric, con la voce alta mentre è chino su Tris.
< No > rispondo < E’ solo una stupida ragazzina, non c’è bisogno di trascinarla qui ed interrogarla. >
< Solo una stupida ragazzina > grugnisce lui. < Se lo fosse davvero, non sarebbe la prima della classifica, non trovi? >
Mi pizzico il dorso del naso e da sotto le mani lancio una lunga occhiata a Tris: Fingi di essere vulnerabile! Le grido nella mente e come se mi avesse sentito, abbassa il capo e dice:
 < Io .. io ero solo in imbarazzo non sapevo cosa fare > alza lo sguardo su Eric con gli occhi gonfi di lacrime e la voce strozzata. < Ho provato a .. e .. >
< Hai provato a  fare cosa? >
< A baciarmi > intervengo,con voce annoiata per darle una via di uscita < Io l’ho respinta e lei se ne è scappata via come una bambina di cinque anni. L’unica cosa di cui si può accusarla è la stupidità >
Rimango in attesa con il cuore che romba nelle orecchie e il respiro mozzato a metà.
Eric la osserva poi guarda me e alla fine scoppia in una risata, troppo lunga e fragorosa per essere reale. < Non è un po’ troppo vecchio per te, Tris? >
< Posso andare ora? > chiede spazzandosi via le lacrime con la voce ancora rotta.
< Va bene > risponde Eric < ma non lasciare mai più la residenza da sola, mi hai sentito? >
Poi si volta verso di me beffardo e dice: < e tu .. faresti meglio a stare attento che nessun altro trasfazione esca. E che nessun altro cerchi di baciarti >
Alzo gli occhi al cielo < va bene. >
Tris esce dalla stanza, dalla stessa porta da cui la trascinata dentro Eric, lui resta guardarmi con le braccia incrociate e l’espressione beffarda.
< Ma davvero Eaton? Voi Rigidi fate anche questo? Non è tutto un sfiorarsi di mani? >
< Va al diavolo Eric > ringhio.
< Stai calmo e ricordati con chi stai parlando. >
< Oh credimi, lo so benissimo > dico, ed esco senza voltarmi indietro.
Cerco di calmarmi e quando sono sicuro che Eric è andato per la sua strada e non mi sta più tenendo d’occhio – o almeno non più del solito – torno indietro e vado a cercare Tris, sperando che sia ancora dov’era uscita prima.
Apro la porta e la vedo seduta sull’asfalto appoggiata alla parete con le gambe tra le braccia, è così minuta.
Quando mi vede si alza e incrocia le braccia < Allora? > mi grida contro.
< Stai bene? > chiedo sfiorandole la guancia il più gentilmente possibile.
< Come no > dice < Prima vengo insultata davanti a tutti, poi mi tocca parlare con la donna che sta cercando di distruggere la mia vecchia fazione, e per finire Eric a momenti sbatte i miei amici fuori dagli Intrepidi .. per cui si, si sta rivelando proprio una giornata grandiosa Quattro. >
Scuoto la testa e guardo da un'altra parte, incapace di spiegare quello che vorrei dirle e rabbrividendo al sentirle usare il mio nome contro di me, lei che è l’unica a conoscenza della mia vecchia identità, l’unica per la quale il mio nome tra le sue labbra è una benedizione, non una vergogna.
< Che te ne frega, comunque? > continua < Devi scegliere cosa vuoi essere: l’istruttore crudele o il mio premuroso ragazzo? Non puoi essere entrambe le cose. >
Sussulto leggermente per le sue parole, le emozioni contrastanti che si danno battaglia dentro di me: il risentimento per averla sentita definirmi crudele e la speranza per un futuro meno solitario per averla sentita dire il mio ragazzo.
< Non sono crudele > provo a spiegarle < L’ho fatto per te, stamattina. Come pensi che avrebbero reagito Peter e quegli idioti dei suoi amici se avessero scoperto che tu e io siamo .. > sospiro, sentendo il calore dell’imbarazzo salirmi alla nuca < Non vinceresti mai, direbbero sempre che i tuoi punteggi dipendono dal mio favoritismo e non dalle tue capacità. > Apre e chiude un paio di volte la bocca, come per dire qualcosa di brillantemente ironico,e scartando l’idea sul nascere.
< Non era necessario insultarmi per dimostrare qualcosa a loro > mormora alla fine.
< Non era necessario che scappassi da tuo fratello solo perché ti ho ferito > ribatto, rendendomi conto che come la volta dei coltelli, anche se mi capisce meglio di chiunque altro, non può leggermi nel pensiero. < Tra l’altro .. ha funzionato no? >
< A mie spese >
< Non pensavo che te la saresti presa così > abbasso gli occhi, stringendomi nelle spalle per l’imbarazzo. Lei è coraggiosa, ed intelligente, ma posso ferirla nonostante ai miei occhi è una roccia. Io ho il potere di ferirla. Fa male questo pensiero. L’ultima cosa che vorrei è ferirla, farle male in alcun modo. < A volte mi dimentico che posso ferirti. > Mi correggo: < Che puoi essere ferita. > dico alla fine, perché non sono certo di poter essere l’unico a  ferirla, e se fosse realmente così la cosa fa ancora più male,perché io posso far soffrire Tris.
Sento le sue labbra sfiorare le mie,alzo gli occhi ed è davanti a me in punta di piedi.
< Sei in gamba, sai? > scuote la testa sorridendo < Sai sempre esattamente cosa fare. >
< Solo perché è tanto tempo che ci penso > dico, scoccandole un bacio veloce < A come gestire la situazione, se tu e io .. > faccio un passo indietro, sorridendo < Hai detto che sono il tuo ragazzo ho sentito bene, tris? > la prendo in giro.
< Non esattamente > dice con finta indifferenza < Perché ti piacerebbe? >
Le prendo il viso tra le mani e glielo alzo, appoggiando la mia fronte contro la sua, chiudo gli occhi e respiro il suo profumo, e il respiro caldo che si intreccia al mio.
Ora non si torna indietro, lei sa la verità, su di me e io voglio continuare ad averla accanto,a  sentire il suo calore sulle labbra, e la sua mano tra le mie; non so come si faccia ad essere il suo ragazzo, ma lei è così coraggiosa ed io voglio essere alla sua altezza, voglio provarci con tutto me stesso a rischio di finire frantumato al suolo.
Non si torna indietro. 
Salto dal tetto < Si > sussurro. < Pensi che lo abbiamo convinto che sei solo una stupida ragazzina?>
< Spero di si. A volte essere piccola aiuta. Non sono sicura di aver convinto gli Eruditi, però. >
Gli eruditi, gli Abneganti, l’attacco.
Devo dirglielo, voglio parlargliene, so che lei saprà come aiutarmi, che potremo trovare una soluzione insieme, ed affrontare qualsiasi cosa ci si pari davanti, insieme.
La guardo in maniera grave e dico < C’è una cosa che devo dirti >
< Cosa? >
< Non ora > e come sempre la paranoia ha la meglio, anche se so che questo è un punto ceco tra due videocamere di sorveglianza, non posso rischiare che qualcuno senta; senta come Eric quando Amar mi spiegò della pericolosità sulla mia coscienza durante le simulazioni. < Incontriamoci qui alle undici e mezza. Non dire a nessuno dove vai. >
Annuisce, e me ne vado da dove sono venuto.
 
 
 
                                                                          ***
 
 
A cena mi siedo vicino Zeke e ho notato con piacere quando sono entrato che anche Tris mi ignora, vuol dire che è tranquilla – o almeno spero – le ore mi sono sembrate interminabili oggi, e per me che sono abituato alla compagnia di me stesso e a non fare affidamento mai su nessuno, questo bisogno di lei, costantemente, che mi ribbolle nello stomaco mi fa sentire strano ed esagitato.
Ma è un strano bello. Sorrido.
< Hei Quattro ora sorridi da solo come un cretino? > mi chiede Zeke
< Cosa? >
< Su che pianeta sei sta sera? >
< Non fare il cretino Ezekiel, lascia il nostro povero Quattro nel suo mondo. > Shauna mi sorride strizzandomi l’occhio, deve aver capito qualcosa.
< Mi dici almeno dove sei corso così di fretta oggi pomeriggio? >
< Eric ha scoperto un mio iniziato che se l’è svignata > dico lanciando un occhiata furtiva a Tris, che distoglie lo sguardo non appena se ne accorge < e stava per fargli lo scalpo. >
< Aiha >
< Puoi dirlo forte. >
Continuo a mangiare in silenzio, aspettando con ansia le undici e mezza, troveremo una soluzione, lo so.
Quando mi incontro con Tris quella sera, non le dico niente la prendo per mano e ci avviamo verso i binari, sono teso e nervoso, la presenza di Tris mi infonde coraggio e tranquillità, ma sta per succedere qualcosa di brutto e dobbiamo trovare il modo fermarla, altrimenti un intera fazione verrà sterminata senza muovere un dito.
La fazione composta da gente come Tris, che lei ammira e che l’hanno resa quello che è oggi.
Il treno si avvicina e corriamo ancora mano nella mano paralleli alle rotaie, mi aggrappo alla maniglia e salto dentro, trascinandomi dietro Tris che mi finisce addosso.
La sostengo per i gomiti mentre dietro di noi la residenza degli Intrepidi rimpicciolisce.
< Che cos’è che mi devi dire? >
< Non ancora > le dico.
È inutile parlare di quello che so senza partire dalla base: gli Eruditi non temono più il consiglio, e questo è la parte che posso mostrarle più facilmente senza troppe spiegazioni.
E poi ancora una volta egoisticamente voglio tenere qualche attimo per noi due, prima di raccontarle ogni cosa, prima che tra noi due crolli il peso di queste verità; l’unico pensiero che mi infonde fiducia è che qualsiasi cosa stiano progettando Max e Janine potremo occuparcene insieme, perché ora che ho ammesso con me stesso e con Tris – più o meno – l’intensità di quello che provo non ho intenzione di lasciarla andare da nessuna parte. Sia che il nostro futuro sia negli Intrepidi, sia che sia da qualsiasi altra parte.
Qualche settimana fa quando ho scoperto il piano di attacco nel computer di Max ho deciso – istintivamente più che altro – di non lasciare gli Intrepidi come avevo deciso di fare prima che cominciasse l’iniziazione, solo ora mi rendo conto che questa decisione l’ho presa sulla base di quello che provo per Tris. Non avrei potuto lasciare gli Intrepidi abbandonando anche lei. E non perché non ce la possa fare tra di loro senza me, ma perché sono io che ormai non voglio e non posso più far nulla - andarmene via - senza lei.
Mi lascio cadere a terra tirandola giù con me, mi appoggio con la schiena alla parete del vagone e Tris si siede di fronte a me.
Il vento sferzante che entra dal vagone le muove ciocche di capelli sfuggiti dalla coda, dandole un’aria selvaggia e intrepida.
Non riesco più a trattenermi quindi le prendo il viso tra le mani, avvicinando la bocca alla sua.
Sento lo stridere delle rotaie ci stiamo avvicinando al centro della città, tra un pò dovremo alzarci, la notte è fredda e il vento pungente, ma non mi dà fastidio, mi sento caldo e vivo e lo è anche Tris tra le mie mani.
Sento che ha appoggiato una mano sul mio fianco e non la sposta, procurandomi altri brividi per tutto il corpo riesco a percepire il formicolio della pelle sotto il suo tocco; non mi rendo conto di come e quando sia successo ma dopo un po’ Tris è seduta sulle mie gambe, mi siedo più dritto per farla stare più comoda e per godermi interamente questo contatto. L’accarezzo lentamente, saggiando ogni centimetro del suo corpo sopra i vestiti, lungo la colonna vertebrale, poi mi ricordo una domanda che mi ronza in testa da svariati giorni, così le abbasso leggermente la cerniera del giubbotto nero che indossa, mi scosto di poco ed osservo il tatuaggio, i tre piccoli uccelli neri che volano sulla pelle chiara della sua clavicola, sorrido.
< Uccelli > mormoro < Sono cornacchie? Mi dimentico sempre di chiedertelo. >
Mi sorride e dice: < Corvi. Uno per ogni membro della mia famiglia. Ti piacciono? >
Non le rispondo, perché non troverei le parole adatte a descrivere quello che sento dentro in questo momento. Non sono mai stato bravo con le parole, e le uniche emozioni con cui ho familiarità sono la paura e l’angoscia, quindi decido che un gesto significhi più di tutte le parole confuse che potrei dirle.
Mi chino verso di lei e bacio dolcemente ogni piccolo corvo nero.
Sento i brividi percorrerle la pelle sotto il tocco delle mie labbra, ad occhi chiusi.
Distrattamente vedo la città estenderci al nostro passaggio e mi ricordo il motivo per cui in realtà siamo qui. Le sfioro la guancia.
 < Odio doverlo dire > sussurro < ma dobbiamo alzarci. >
Annuisce aprendo gli occhi. Quando siamo entrambi in piedi l’avvicino al portellone aperto, la città è buia essendo passata la mezzanotte, ma poi la vedo e sollevo la mano.
L’unico punto illuminato intorno a noi: la sede degli Eruditi.
< A quanto pare le ordinanze della città non significano niente per loro > dico < dato che quelle luci restano accese tutta la notte. >
L’ho scoperto durante i vari incontri con Evelyn nel cuore della notte, dove l’alba era più vicina della mezzanotte, eppure le luci degli Eruditi erano ancora accese.
< Nessuno se ne accorge? > mi chiede aggrottando la fronte.
< Sono sicuro di si, ma non fanno niente per fermarli. Forse non vogliono sollevare una questione per un motivo così futile. > scuoto la testa perché so che è arrivato il momento < Mi chiedo però che cosa stanno facendo gli Eruditi per aver bisogno di tutta questa illuminazione di notte >
Mi appoggio alla parete e la guardo, cominciando a dirle tutto quello che ho scoperto : < Ci sono due cose che devi sapere di me. La prima è che sono profondamente sospettoso nei confronti della gente in generale, è nella mia natura aspettarmi il peggio. E la seconda è che mi sono scoperto inaspettatamente bravo con i computer. > annuisce assumendo l’espressione aperta e seria - che ormai ho imparato a riconoscere – di quando le si sta raccontando qualcosa. < Qualche settimana fa, prima che cominciasse l’addestramento, mentre lavoravo ho trovato un modo per accedere ai file protetti degli Intrepidi. Pare che, in materia di sicurezza informatica, non siamo esperti quanto gli Eruditi. > continuo. < Così ho scoperto una serie di documenti che sembravano relativi a un piano di guerra. Ordini vagamente dissimulati, inventari di materiale, mappe. Cose così. E questi file erano invitati dagli Eruditi. >
< Guerra? > mi chiede Tris, scostandosi i capelli dal viso. Vedo il suo sguardo allontanarsi da questo momento, e potrei giurare di sentire gli ingranaggi del suo cervello girare mentre ogni tassello si incasella al suo posto. < Una guerra contro gli Abneganti. > la sua non è una domanda ma una costatazione.
< La fazione che controlla il governo. Si > dico intrecciando le dita con le sue. < Tutti quegli articoli servono a creare dissenso contro gli Abneganti. Evidentemente gli Eruditi vogliono accelerare il processo. Non ho idea di cosa fare al riguardo .. o persino di che cosa si potrebbe fare. >
< Ma > farfuglia Tris < perché gli Eruditi cercherebbero l’alleanza degli Intrepidi? >
Non le rispondo, aspetto che assimili le informazioni e trarre la conclusione. Sbarra gli occhi < Vogliono usarci. >
< Mi domando come intendano spingerci a combattere. > rispondo.
Tris ritorna lontano con lo sguardo come un attimo fa, forse a lei verranno idee che a me sono sfuggite, ma dopo un po’ abbassa gli occhi < non lo so > ammette.
Torniamo a sederci in silenzio contro la parete ognuno perso nei suoi pensieri, so che dirlo a Tris è stata la decisione migliore, come so che mi aiuterà a trovare una soluzione a riguardo perché siamo entrambi decisi ad avvisare e proteggere gli Abneganti.
Non è forse questo quello che ci chiedono i principi della nostra fazione? Atti di difesa ordinari. Il coraggio che spinge un uomo ad ergersi in difesa del più debole.
Condivido gli ideali con qui sono stati fondati gli Intrepidi ed anche se sono cambiati io continuo a crederci, e mi metterò in difesa degli Abneganti. Con Tris al mio fianco.
< Ti va di venire nel mio appartamento? > le chiedo con imbarazzo davanti all’entrata della residenza.
< io .. > farfuglia < io sono preoccupata per domani, Tobaias. >
< Vieni. Elaboriamo una strategia > mi giro a guardarla, mentre la prendo per mano < Senza ruota panoramica questa volta. >
Tris scoppia a ridere ma annuisce.
Percorriamo la strada fino al Pozzo e poi saliamo verso il corridoio che porta nel mio appartamento; siamo seduti sul letto in silenzio, fino a quando non capisco una cosa.
< Forse so cosa si nasconde dietro le tue paure. > dico.
< Che cosa intendi? >
< Bè tu non hai paura delle cornacchie, di affogare giusto? >
< Io .. > ci pensa su un attimo. <  Io credo di no. Cioè ovviamente non so nuotare, ma l’acqua mi piace, più o meno, e di certo non scappo via urlando quando vedo una cornacchia. >
< Appunto, pensaci cosa accomuna tutte le tue paure? Sia gli uccelli, che l’acqua, che il rapimento da parte di troppe persone per batterle o .. > sono combattuto se continuare, ma deve essere pronta domani. < .. o sparare ai tuoi genitori senza possibilità di fare nulla? >
Comincia a mordersi l’interno della guancia, accanendosi sulle dita intrecciate in grembo, poi sospira e mi guarda: < Non lo so davvero. >
< Penso > comincio < Che la cosa di cui hai davvero paura è perdere il controllo. L’impossibilità di avere la situazione in mano e ribaltarla a tuo favore. >
Tris mi guarda soppesando le mie parole, mai si apre in un sorriso enorme e mi getta le braccia al collo baciandomi: < Sottoscrivo quello che hai detto oggi: sei in gamba, davvero tanto. >
Io mi stringo nelle spalle imbarazzato dalle sue parole, ma godendomi quel contatto tra i nostri corpi allacciati.
< Domani dovrai solo capire in che modo ribaltare la situazione a tuo favore > continuo. < In che modo puoi riprendere il controllo in mano, e potrai stare relativamente sicura, perché tutti saranno in grado di manipolare le simulazioni. >
< Quindi, ad esempio, quando lo stormo di cornacchie mi attacca devo solo trovare il modo per riprendere il controllo della situazione. >
< Esatto. > le scocco un bacio veloce < Mantenere la mente lucida e trovare una strategia .. Hai già dimostrato di sparlo fare a trenta metri d’altezza >
Soffoco un brivido mentre il corpo di Tris vibra tra le mie braccia mentre ride, ride di me tra l’altro.
Se fosse chiunque altro non lo sopporterei, ma la sua risata è contagiosa tanto che mi ritrovo anch’io a ridere degli attimi di panico che mi ha fatto passare su quella maledetta giostra. 

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Capitolo 19
*** Hai paura di me, Tobaias? ***


Image and video hosting by TinyPic HAI PAURA DI ME, TOBAIAS?
 
 
 
Oggi ci sarà il test finale  poi la Cerimonia di Iniziazione.
Ricordo quelle poche Cerimonie di Iniziazione degli Abneganti, al quale ho partecipato. In quanto figlio di Marcus ci si aspettava di trovarmi al suo fianco, ma di tanto in tanto trovava una scusa per farmi rimanere a casa e impedirmi di metterlo in imbarazzo davanti alla gente della sua fazione.
Era una cerimonia tranquilla, semplice e incentrata sul pensare agli altri, esattamente come la vita nella mia vecchia fazione.
Ma tra gli Intrepidi è completamente un’altra storia.
Ricordo ancora l’aria di eccitazione ed alcool due anni fa, quando feci io l’iniziazione, le persone mi sembravano così esagerate e caotiche che non credevo che mi sarei mai adeguato, ed è ancora così, ma ho imparato ad amare il caos e la confusione che regna nella residenza in particolar modo oggi.
Oggi, come nel Giorno della Scelta, adoro il Pozzo.
Le persone vestite a festa, con i pearcing più vistosi del solito, i tatuaggi scoperti, i vestiti succinti e un sacco di pelle nuda.
Alcuni aspetti mi mettono ancora in imbarazzo e sarà per sempre così, perché per quanto io possa essere cambiato una parte del Rigido che ero rimarrà in me per sempre, devo solo accettarlo.
Mi reco al Palazzo di Vetro per avviare i computer del corridoio delle simulazioni, dopo pranzo avrà luogo il test finale.
È tutto pronto, ma non ho ancora incontrato Tris; siamo rimasti svegli buna parte della notte ad elaborare un piano per ogni paura che le si potrebbe presentare, forse l’avrei dovuta mandare a riposare ma non riuscivo a staccarmi da lei.
Dal suo corpo caldo, dalla sua mente brillante, dalla voce bassa e ferma, dalla sua ironia e soprattutto da quella lingua tagliente che ha dovuto sempre reprimere tra gli Abneganti.
< Vedo che hai già cominciato a festeggiare > dico sedendomi in mensa vicino a Zeke.
< Ci puoi scommettere amico! >
< Come se la cava Uriah? >
< Dovrà cavarsela alla grande oppure .. > fa un gesto eloquente con il braccio < Splash! E Ciao, ciao fratellino! >
Scoppio a ridere, perché se solitamente Zeke è divertente quando è ubriaco è uno spasso.
Dopo poco ci raggiunge anche Shauna non le dico nulla perché il suo sguardo parla chiaro: è preoccupata per sua sorella. Finiamo di mangiare in silenzio – tranne Zeke ovviamente – e decido di cercare Tris prima di dover andare nello scenario della paura; mi dirigo al Pozzo ma in quel oceano di pelle nuda e conversazioni fatte a voce troppo alta, non c’è nessuna testa bionda, così devio verso destra per uscire e provare nel dormitorio trasfazione.
Mi blocco davanti alle porte, non sapendo cosa dire se non è sola, opto per un discorso di ammonimento per gli iniziati ed apro le porte.
La camerata è vuota, completamente in silenzio, fatta eccezione per una respirazione regolare, scavalco un paio di letti e la vedo.
Tris dorme beatamente nel suo letto, ancora vestita e con le scarpe sopra la coperta, così decido di lasciarla riposare e torno da dove sono venuto.
 
 
                                                                      ***
 
 
< Bene direi che possiamo cominciare > esordisce Max. < scommetto che tra poco anche i trasfazione saranno qua. >
Annuiamo tutti e Max, Eric e gli altri capofazioni si siedono sulle sedie nella stanzetta accanto al corridoio, dove sono posizionati i monitor.
Io e Lauren non potremo guardare i test e soprattutto non assegneremo noi il punteggio della classifica finale, spetterà ad Eric e Max. Questa fatto mi ronza in testa da sa mattina, come un insetto che non desiste, se toccherà ad Eric fare il punteggio, temo che Tris verrà penalizzata.
Non può una Rigida classificarsi prima ancora una volta.
< Vieni Gabe > Eric chiama il primo interno, gli fa l’iniezione e lo porta nel corridoio.
Sono nervoso e teso, così mi concentro sul monitor che registra il battito cardiaco e mi concentro sul numero di paure di ogni iniziato.
Dieci.
Otto.
Tredici.
Undici.
Quando Marlene ha quasi finito il suo esame, noto con la coda dell’occhio Tris entrare con Christina, ora tutti i trasfazione sono pronti.
<  Ehi, Tris! > la chiama Uriah dall’altra parte della stanza < Puoi sederti in braccio a me, se vuoi. >
Mi irrigidisco al momento, forse Tris ha cambiato idea.
< Invitante > risponde < Non ti preoccupare, mi piace stare in piedi > Tiro un sospiro di sollievo, e il gruppo di Intrepidi radunato esultata quando la simulazione di Marlene si conclude.
< Trasfazione, l’ordine in cui affronterete il test finale è stato stabilito sulla base dei vostri punteggi attuali. > spiego. < Quindi Drew entrerà per primo e Tris per ultima. >
Drew entra nella stanze ed Eric gli fa l’iniezione, mi giro e incrocio gli occhi di Tris.
È tesa ma non dovrebbe esserlo, lei ne uscirà in pochi minuti, come ha sempre fatto e questo non c’entra niente con la sua Divergenza, ma solo con il suo coraggio.
Vorrei poter essere collegato al programma per poterla vedere, vedere quando si accende mentre le sue paure le si parano davanti.
Rivedere quegli occhi diventare ghiaccio, acciaio e luce azzurra.
Drew finisce dopo tante di quelle paure che ho perso il conto ed entra Molly, poi Chrstina, Will e Peter.
< Tris. > Eric la chiama e le pratica l’iniezione davanti alla porta.< Pronta? >
Da dove mi trovo posso solo osservare la sua reazione fisica attraverso il monitor, così mi concentro solo sul suono calmo e regolare del suo cuore, dopo pochi secondi il battito comincia ad accelerare, e lo resta per svariati minuti, non cerca di calmarsi ma affronta le sue paure a testa bassa, capovolgendo la situazione in suo favore.
È davvero una roccia, una forza della natura.
La vedo puntare una pistola invisibile e sparare in aria – probabilmente sta affrontando le cornacchie – tante volte che non le basterebbe un caricatore nella realtà. Comincia a parlare e non posso sentire le sue parole ne vedere a chi si rivolge; viene scaraventata a terra ma poi sposta il peso del suo avverso e dice qualcosa ancora una volta.
 I minuti scorrono inesorabili, il tempo si dilata ed ogni minuti mi grava addosso come un giorno, poi il monitor con il battito cardiaco di Tris diventa verde e la simulazione si conclude, Eric  e gli atri capofazione si scollegano dal programma e si alzano per andare da Tris.
< Quanti ostacoli? > chiedo.
< Solo sette > ghigna Eric con luce perversa negli occhi. Tris oggi ha solo confermato quello che lui sospettava quando le ho lanciato contro i coltelli, è una sua prede ora.
< Congratulazioni Tris > esclama < Hai completato con successo l’esame finale. >
Lei prova a sorridere, ma c’è una strana luce nei suoi occhi non appena si posano su di me.
< Ancora una cosa, prima di lasciarti preparare per il banchetto di benvenuto > continua Eric, aprendo un astuccio contente una siringa sterilizza, è una nuova procedura adottata dagli Intrepidi – omaggio degli Eruditi - la cosa non mi quadra. Da quando ci si preoccupa della scomparsa dei propri compagni in questa fazione? Non lo so.
< Almeno tu non hai paura degli aghi > ghigna Eric, mentre pratica l’iniezione su Tris, le spiega cosa le inietta e vedo i suoi occhi soffermarsi sul color arancio del liquido, è sospettosa.
I capifazione escono e io dovrei seguirli, ma indugio un po’ sulla porta ancora indeciso, poi le sorrido.
< Mi hanno detto che hai dovuto affrontare solo sette ostacoli > dico < Praticamente un record. >
< Tu .. non hai guardato la simulazione? >
< Soltanto sugli schermi. Solo i capifazione assistono a tutto. Sembravano impressionati. >
< Bè sette paure non sono proprio come quattro > risponde evidentemente sollevata < ma dovrebbero bastare. >
< Mi sorprenderei che non ti assegnassero il primo posto! > Se lo merita, e io sono orgoglioso di lei. Perché a dispetto della sua vecchia fazione, della sua corporatura, dei suoi modi ha dimostrato a tutti quelli che non credevano in lei che non solo ha portato a termine l’iniziazione, ma è anche la nostra miglior iniziata.
Ci dirigiamo al Pozzo e Tris non riesce a sfuggire del tutto dalla marea di braccia e sorrisi che si allungano verso di lei.
< Domanda .. > esita un attimo < Che cosa ti hanno raccontato del mio scenario della paura? >
< Niente, in realtà. Perché? >
< Tanto per sapere  > non mi guarda, tiene gli occhi incollati su un ciottolo che spinge nel canale.
Sembra voglia nascondermi qualcosa. Ma cosa? Forse sono solo troppo sospettoso, se ci fosse qualche problema me ne parlerebbe.
< Devi tornare al dormitorio? Perché se vuoi stare tranquilla e in pace fino all’ora del banchetto, puoi venire da me. > sgrana gli occhi e quella strana luce ricompare di nuovo, consono sospettoso c’è davvero qualcosa che non va. < Che c’è? >
< Andiamo. >
Il tragitto fino al mio alloggio non mi è mai sembrato tanto lungo, ho voglia di stringerla, di parlarle, ma ho anche paura perché non è rilassata come lo era ieri sera o quando eravamo sui gradini nascosti dello strapiombo.
< Vuoi un po’ d’acqua > le chiedo.
< No, grazie > tiene le mani intrecciate saldamente davanti a lei, forse è solo ancora scombussolata dall’esame.
< Va tutto bene? > le chiedo dolcemente, mentre con lei dita le sistemo i capelli, prendendole il viso, e non resisto più, la bacio tenendola gentilmente ancorata a me per la testa.
Le faccio scivolare il giubbotto dalle spalle per poterla sentire meglio, mi è mancata così tanto.
Appena il giubbotto tocca terra Tris mi spinge via, con gli occhi ludi e si compre il viso con le mani.
Forse ci ha ripensato e non mi vuole più, non mi vuole con il mio fardello di vigliaccheria che ormai lei conosce.
< Che c’è che non va? > scuote la testa. < Non dirmi che non c’è niente. > dico con più irritazione di quella che avrei voluto usare.
< Ehi, guardami > dico afferrandola per un braccio il più gentilmente possibile.
Ha lo sguardo liquido, distante, distante da me quasi .. spaventato.
< A volte mi domando. > sussurra < che cosa ti aspetti da tutto questo. Questo .. qualunque cosa sia. >
< Che cosa mi aspetto da questo > ripeto scuotendo la testa. < Sei un idiota Tris >
< non sono un’idiota > scatta, ora arrabbiata. < Ed è proprio per questo che trovo bizzarro che tu, tra tutte le ragazze che potevi scegliere, hai scelto me. Perciò, se stai solo cercando .. ehm, lo sai .. quello .. >
< Cosa? Sesso? > ora sono io ad essere arrabbiato < Sai, se volessi solo quello, probabilmente non saresti la prima persona  da cui andrei. >
E ancora prima di finire la frase mi rendo conto che l’idiota sono io. Lei distoglie lo sguardo con le mani premute sulla pancia, l’ho ferita, ancora una volta.
< Me ne vado >
< No, Tris > la richiamo afferrandola per un polso, prova a spingermi via così le prendo anche il secondo per bloccarla davanti a me e cercare di spiegarmi. < Mi spiace per quello che ho detto. Quello che intendevo era che tu non sei quel genere di ragazza. Me ne sono reso conto sin dal primo momento che ti ho vista. >
< Tu sei stato un ostacolo nel mio scenario della paura. Lo sapevi? >
< Cosa? > la lascio andare e capisco. Non sta rispondendo alla domanda sottintesa che le ho rivolto nel mio scenario, cioè se ero abbastanza importante da essere nel suo, sta dicendo altro, sta dicendo che ha paura di me.
Quello sguardo, gli occhi sfuggenti, la sua postura tesa. Lei ha paura di me.
Ha paura di me.
E improvvisamente non sono più nel mio corpo, ma mi rivedo famelico mentre mi accanisco su Drew, lei ha paura di me.
Sono come Marcus.
Lei ha paura di me.
< Tu hai paura di me? > è una cosa stupida da dire ma devo sentirlo dalla sua bocca.
< Non di te > esita un attimo, mentre soffoco la paura che mi avvolge. < Di stare con te .. con chiunque. Non ho mai avuto una storia prima e .. tu sei più grande, non so quali siano le tue aspettative. >
La paura svanisce lasciandomi scosso e shoccato. Tris non ha paura di me, ma di stare con me, tanto quanto io ho paura di stare con lei, forse ne ho anche di più.
< Tris. Non so che strane idee tu ti sia fatta, ma tutto questo è nuovo anche per me. >
< Strane idee? > ripete pensosa < Vuoi dire che tu non hai mai .. > inarca le sopracciglia < Oh. Oh .
Credevo .. Ehm, hai capito .. >
< Bhe credevi male > sento l’imbarazzo scaldarmi il viso, così abbasso lo sguardo, non sono bravo a parlare con le ragazze o di questo genere di cose, ma l’unica cosa che adesso conta è che Tris deve capirmi.
< Puoi dirmi tutto, sai > dico prendendole il viso tra le mani. < Sono più gentile di quello che sembravo durante l’addestramento. Te lo giuro. >
Le bacio dolcemente la fronte, la punta del naso, le labbra.
La prendo per le spalle e sotto le dita sento la voluminosità di una fasciatura. < Ti sei fatta male? >
< No, è un tatuaggio. È guarito, solo che .. volevo tenerlo coperto. >
< Posso vederlo? >
Annuisce leggermente mentre spinge la manica verso il basso, scoprendo la pelle della spalla e una porzione di braccio. Le sfioro dolcemente le ossa sporgenti disegnandone i contorni, ha la pelle calda. Sollevo l’angolo della fasciatura e lo riconosco. Due mani che si stringono in sostegno dentro un cerchietto.
< Ce l’ho anch’io > dico ridendo. < Sulla schiena >
< Davvero? Posso vederlo? >
< Mi stai chiedendo di spogliarmi Tris? > dico cercando di scherzare sulla nuova ondata di panico che mi chiude lo stomaco.
< Solo .. in parte >
Annuisco, adesso serio. Tiro giù la cerniera della felpa lanciandola, poi, sulla sedia sotto il piccolo tavolo da caffè.
Sono nervoso, nessuno mi ha mai visto senza una parte dei vestiti, sento l’adrenalina scorrermi dentro e non è perché le sto per mostrare il tatuaggio. Afferro l’orlo della maglietta e la sfilo dalla tasta.
Gli occhi di Tris mi scrutano avidi, studiando il simbolo degli Intrepidi sul fianco destro, abbasso gli occhi.
< Che c’è? >
< Non sono in molti ad avermi visto così > confesso < Anzi praticamente nessuno, a dire la verità. >
< Non capisco perché. Insomma, guardati > dice dolcemente. E ancora una volta la sua voce mi dice che non c’è nulla di cui vergognarmi. È vero sulla pelle non porto più le cicatrici della mia vecchia vita, ma sono appena li sotto e Tris le conosce, no,  non le conosce, l’ha capite e fatte sue, guardandomi ancora una volta non come il guscio vuoto che mi sono sentito, ma come il ragazzo forte che ce l’ha fatta.
Sento le sue dita muoversi gentili, curiose sulla mia schiena, disegnando con il dito i simboli delle fazioni. Una nuova scossa di energia mi attraversa il corpo.
< Penso che abbiamo fatto un errore > spiego. < Abbiamo tutti cominciato a criticare le virtù delle altre fazioni nello sforzo di valorizzare la nostra. Io non voglio commettere lo stesso sbaglio: voglio essere coraggioso, e altruista, e intelligente, e gentile, e onesto. La gentilezza continua a darmi un po’ di problemi. >
< Nessuno è perfetto > sussurra Tris. < non funziona così. se ti liberi di una cosa negativa, un’altra andrà a rimpiazzarla. > sento le dita sforare il secondo simbolo. < Dobbiamo avvertirti, sai. Presto >
< Lo so. Lo faremo. >
Mi volto per guardarla e nei suoi occhi leggo un misto di paura e curiosità.
< Ti sto spaventando, Tris? >
< No. Non proprio. Ho solo .. paura di quello che voglio. >
< Che cosa vuoi? > chiedo più teso di quanto avrei pensato di essere. < Me? >
Annuisce lentamente. Le prendo le mani e me le appoggio sullo stomaco,fin sul petto; il suo tocco lascia una striscia infuoca formicolante sulla mia pelle, la stringo tra le braccia nascondendomi nel suo collo.
Non è l’unica ad avere paura, solo che sono più bravo a nasconderla.
< Un giorno. > sussurro. < Se ancora mi vorrai, potremo .. potremo .. >
Sento Tris sorridere sul mio petto, vicino al cuore che in questo momento sta cercando di uscire fuori dalla gabbia toracica.
< Anche tu hai paura di me, Tobaias? >
< Sono terrorizzato > è inutile che lo nascondo, non a lei.
< Forse non ci sarai più nel mio scenario della paura. >
Mi chino baciandola lentamente. < in quel caso, tutti potranno chiamarti Sei. >
< Quattro e Sei > bisbiglia.
Ci baciamo di nuovo, questa volta entrambi rilassati, è come se stessimo facendo una cosa che facciamo da sempre, i nostri corpi sono disegnati per incastrarsi alla perfezione l’uno sull’altro.
Non siamo più due scheletri fasciati da muscoli, ma  due pezzi di uno stesso disegno che hanno trovato il loro posto nel quadro generale.
Non so cosa ci aspetterà domani, o il giorno dopo ancora, forse dovremmo combattere, forse diventeremo Esclusi per salvare gli Abneganti e forse non ci sarà concessa una casa in cui riposarci, ma so che qualsiasi cosa sarà io mi troverò sempre nel posto giusto, perché è questo che scatena in me Tris. La sicurezza di aver trovato finalmente il mio posto.
Ci sdraiamo sul letto e parliamo, come non abbiamo mai avuto il tempo di fare. Tris mi racconta di aver scoperto che la madre viveva tra gli Intrepidi e le prometto che troverò qualcuno nella residenza che la conosceva anche se sarà dura essendo passati molti anni. Tra un bacio ed una chiacchiera Tris si addormenta tra le mie braccia e per quanto il richiamo del sonno sia forte resto ad osservarla, sfiorandole i lineamenti del viso.
Quando dorme la sua forza non sparisce, è come guardare un’animale selvatico in procinto di scattare, le ciglia che sfiorano gli zigomi sporgenti, le labbra sottili leggermente schiuse che espirano l’aria calda direttamente sul mio viso.
Ed è così che mi addormento per la prima volta in tutta la vita con la pace, la completezza dentro.
Perché Tris mi rende di nuovo intero, completo.
 
 
                                                                  ***
 
 
Un suono stridulo esce dal microfono sul quale sta battendo un dito Eric, per controllare che funziona.
< Non siamo bravi a fare discorsi qui. L’eloquenza la lasciamo agli Eruditi > tutti ridono, ma la battuta sciapa detta da Eric, un ex Erudita suona davvero squallida. < Per cui sarò breve. Comincia un anno nuovo e abbiamo un nuovo gruppo di iniziati. E un gruppo leggermente più ristretto di nuovi membri. A loro facciamo le nostre congratulazioni. > si ferma dando il tempo alla sala piena di Intrepidi di scoppiare in un boato festoso.
< Noi crediamo nel coraggio. Crediamo nell’azione. Crediamo nel superameneto delle paure e nella possibilità di espellere il male dal nostro mondo, così che il bene possa fiorire e prosperare. Se anche voi credete in queste cose, vi diamo il benvenuto. > dice. < Domani, il primo atto da membri dei nostri primi dieci iniziati sarà di scegliersi la professione, nell’ordine in cui si saranno classificati. La classifica – lo so che è questo che in realtà tutti state aspettando – è stata stilata sulla base della combinazione dei tre moduli di addestramento e all’esame finale, lo scenario della paura. La classifica apparirà sullo schermo alle mie spalle. >
Appena pronuncia l’ultima parola, lo schermo si accende e i nomi degli iniziati compaiono. Sulla prima riga, accanto al numero “uno” c’è la foto e il nome di Tris.
Lo sapevo. È stata la migliore, mi sento il petto scaldarsi di orgoglio. Tris – la MIA Tris – è classificata prima. Drew è un Escluso, Peter è solo quinto e questo mi rende ancora più orgoglioso di lei; perché li ha distrutti, si è ripresa la sua rivincita dopo l’aggressione.
Non sento più le grida degli Intrepidi, Zeke che esulta per Uriah che è arrivato secondo, non sento nulla, vedo solo Tris che si abbraccia con Christina e ancora prima di poter semplicemente pensare mi avvicino a lei.
< Congratulazioni! > le urla addosso Uriah < Li hai battuti! >
Le picchietto sulla spalla con sguardo orgoglioso e un sorriso che nemmeno i sapevo di possedere.
< Dici che se ti abbraccio lascio intendere troppo? >
< Sai una cosa? Non me ne frega un accidenti. > dice alzandosi in punta di piedi premendo le labbra contro le mie.
E di nuovo tutto scompare, i problemi, gli Abneganti, gli Eruditi, la guerra, siamo solo io e lei. Io e la mia numero uno. Quattro e Sei. Due trasfazione Abneganti che sono arrivati primi nonostante tutto. Capisco solo ora che se entrambi avessimo fatto scelte diverse, ora staremmo facendo la stessa cosa in luogo più tranquillo, silenzioso con vestiti grigi anziché neri.
Le sfioro il collo con il pollice e si irrigidisce su di me all’istante.
Mi stacco e la guardo negli occhi, sta riflettendo: ha capito tutto. Glielo leggo negli occhi, ha trovato la riposta alle nostre domande, ogni pezzo al suo posto.
< Tris? >
< Non ora. > ma so cosa intende, siamo sotto gli occhi di tutti, troppo vicini ai suoi amici per poter dire quello che so aver capito. < Più tardi. Okkey? > annuisco e torno al mio tavolo.
Zeke mi abbraccia contento per il risultato di suo fratello, Shauna mi fa un sorrisetto complice – deve avermi visto mentre baciavo Tris – il resto della sala sembra ancora più piena di qualche secondo fa per le grida e le acclamazioni.
Ma il mio unico pensiero è di nuovo a Max e Janine, devo parlare con Tris per capire che cosa sta succedendo.
Il banchetto finisce e cerco di restare solo con Tris, ma non riesco a trovarla e appena la raggiungo viene di nuovo inghiottita dalle persone che si congratulano con lei, decido di lasciarle qualche ora per godersi il successo meritato e andarla a cercare più tardi, ma quel più tardi non arriverà perché proprio mentre mi infilo nel corridoio che porta al dormitorio trasfazione, il piano di Max e Janine prende forma sotto i miei occhi.

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Capitolo 20
*** Sotto attacco ***


Image and video hosting by TinyPic SOTTO ATTACCO
 
 
Sono davanti al corridoio dei trasfazione quando il rumore delle suole che calpesta il pavimento in direzione del Pozzo mi arriva alle orecchie.
Mi schiaccio contro la parete e guardo oltre la fine del corridoio, una colonna di Intrepidi con le divise da esercitazione all’esterno mi passa davanti.
Una cosa che ho sempre amato negli Intrepidi è il rumore e la libertà che fanno, ricordo i passi degli Abneganti tutti uguali e uniformi, mentre gli Intrepidi corrono o camminano insieme ognuno al suo ritmo; questa è la differenza che mi mette sull’attenti, il loro passi ora sono tutti perfettamente sincronizzati, il braccio che oscilla in avanti e poi torna indietro, uguale uno ad uno, hanno sguardi vuoti e spenti come fossero sonnambuli.
Quell’espressione mi ricorda quella che si ha durante la .. simulazione!
Ecco come hanno deciso di usarci gli Eruditi, il siero che ci è stato iniettato nel pomeriggio deve essere un siero della simulazione a lungo raggio, con il quale ci mandano gli ordine da eseguire. Io sono sveglio perché sono Divergente, questo significa che anche Tris è sveglia.
Sguscio in mezzo alla fila di soldati che mi cammina vicino e cerco di uniformare il mio passo con il loro, sperando che la poca luce impedisca a chi è sveglio di notare la differenza nei miei movimenti.
Probabilmente i capofazione sono svegli, chi altri sennò?
Arriviamo al Pozzo dove ci sono dei tavoli pronti con i fucili da montare sopra, mi avvicino e cerco di montare il mio con gli stessi movimenti dell’Intrepida di fronte a me, dalla parte opposta del tavolo.
Ci dirigiamo ai binari all’esterno della residenza, oltre al rumore di passi non vola una mosca, è un suono che mi ricorda un libro che avevo letto da piccolo, sulla guerra e sul plotone d’esecuzione. Perché è questo che siamo un plotone di soldati fantocci che verranno usati per sterminare un’intera fazione.
Oltrepasso la carrozza di fondo in cui si stanno stipando gli Intrepidi e mi dirigo a quella successiva, salgo su il più fluidamente e meccanicamente possibile per sembrare sotto simulazione anch’io, rimango vicino al portellone per aiutare gli altri a salire, non conosco molti visi che mi sfilano davanti in una massa confusa di colori, poi un viso attira la mia attenzione, allungo la mano meccanicamente e quella di Uriah si aggrappa alla mia, è sudata.
Mi oltrepassa senza guardarmi, ma la sua respirazione è veloce e superficiale, chi occhi accesi e il viso accigliato, deve essere sveglio anche lui. Cerco di allungare lo sguardo più che posso ma non vedo Tris da nessuna parte, noto Will e subito dopo Christina ma di lei nessuna traccia. Mentre mi chino per aiutare l’ennesimo soldato a salire vedo una testa bionda muoversi in mezzo alle spalle fasciate di nero, Tris.
Sorpassa il vagano in cui stanno salendo i suoi compagni e punta a quello dove mi trovo io, devo mordermi l’interno della guancia per costringermi a non chiamarla, stringo fino a sentire il sapore metallico del sangue inondarmi  la bocca; allungo una mano e Tris l’afferra, sale agevolmente come se fosse anche lei sotto simulazione e si sistema al mio fianco, ancora non mi ha notato.
Mi sposto dal portellone aperto una volta che tutte le carrozze si sono riempite e finalmente Tris mi vede; con la coda dell’occhio la vedo voltarsi verso di me e la delusione mista a sorpresa le attraversa il volto. Appena il treno acquista velocità faccio scivolare la mia mano nella sua stringendola dolcemente, le sue spalle si alzano e abbassano contro il mio braccio in un sospiro di sollievo silenzioso.
Il cuore mi batte forte nelle orecchie, e sento l’ormai familiare sensazione di paura che mi si annida nello stomaco mentre i polpastrelli cominciano a formicolare, mi concentro sul calore della mano di Tris nella mia e sul suono regolare del suo respiro mentre le disegno con il pollice cerchi sul palmo della mano. Riesco a  ritrovare un po’ di calma tanto da far cessare la fibrillazione nel petto. Il viaggio non mi è mai sembrato così lungo e allo stesso tempo troppo rapido, devo parlarle per formulare un piano per salvare gli Abneganti dai colpi degli Intrepidi. Sembra un incubo. È un incubo, penso. Perché quando tra poche ore tutto questo sarà finito gli Abneganti saranno stati cancellati e gli Intrepidi si sveglieranno con le mani sporche di sangue, trasformati in assassini. È peggio di un incubo. Sento la mascella contratta e tutti i muscoli urlare per la tensione che mi attraversa, il treno curva leggermente e comincia a rallentare, siamo arrivati.
Appena prima di saltare giù mi giro verso di lei e dico: < Scappa! > con voce perentoria.
< I miei genitori! > protesta lei con risolutezza, ancora perfettamente padrona di sé.
Torniamo a  guardare vanti, scendo dal treno pochi secondi prima di Tris, che appena sento atterrare dietro di me riprendo a camminare in avanti come tutti i soldati.
Cerco di concentrarmi sull’Intrepido davanti a me, sul suo passo e sulle spalle che si muovono su e giù mentre respira, perché le strade che mi scorrono nella visione periferica mi fa rabbrividire.
In questa follia che ci sta piombando addosso, mi prendo un attimo per me, un solo attimo per pensare alla ragazza che cammina al mio fianco. I suoi occhi sono di nuovo accessi in quella luce sicura che mi ha affascinato dalla sua prima simulazione. Mi prendo un attimo per pensare al fatto che siamo svegli, circondati da soldati e capifazione che potrebbero scoprirci da un momento all’altro e lei pensa alla vita della sua famiglia. Sa perfettamente, come lo so io, che la nostra morta potrebbe essere dietro l’angolo, ma non le importa, perché se il suo sacrificio significasse salvare i suoi genitori non esiterebbe nemmeno un attimo a morire. Mi prendo questo attimo per bearmi del suo coraggio, della sua forza, che riesco quasi a percepire scorrermi dentro, come un flusso che passa da lei a me.
Poi la realtà che ci circonda mi ripiomba addosso come un macigno.
Marcus era un sadico e forse molti degli Abneganti lo hanno aiutato a mentirmi, ma queste strade mi sono appartenute per sedici anni, ci ho camminato con mia madre notando ogni dettaglio che sfuggiva ad altri occhi ed ora è così diverso con le case vuote e le strade riempite da un fiume nero anziché grigio, tutto così cupo da farmi sentire una vampata di panico salirmi alla nuca.
Cominciano gli scoppietii dei fucili riversarsi sugli Abneganti che si lasceranno massacrare in silenzio, contraggo la mascella fino a sentire i denti stridere tra loro, riconosco uno dei colleghi di Marcus un secondo prima che un’Intrepida lo uccidi, Tori.
La colonna di soldati si fermano e così facciamo anche noi, mentre con la coda dell’occhio continuo a vedere macchie grigie crollare a terra,piano piano ogni soldato davanti a noi viene chiamato ad eseguire un comando di morte silenzioso, cosa faremo quando toccherà a noi?
< E’ una follia > sussurra qualcuno e riconosco immediatamente le ciocche scure e unte di Eric, mentre affonda un dito nella guancia di Tris.
 < Davvero non ci vedono? E non ci sentono? >  chiede ad Eric una voce femminile.
< Oh, vedono e sentono tutto. Solo che non elaborano autonomamente quello che succede > risponde. < Ricevono i comandi dai nostri computer attraverso i trasmettitori che gli abbiamo iniettato .. e li eseguono, ininterrottamente. > Preme un dito sul punto in cui ha iniettato il siero nel collo di Tris e la vedo adombrarsi mentre si costringe a non muoversi.
Fa un passo di lato piazzandosi di fronte a me < Ooh, ma guarda chi si vede! > esclama < Il leggendario Quattro. Nessuno si ricorderà che io sono arrivato secondo ora, eh? Nessuno mi chiederà più: “ com’è stato fare l’iniziazione con il tizio che ha solo quatto paure”? > Tira fuori la pistola e me la punta alla fronte, resto immobile con lo sguardo distante, mi estranio da me stesso rimanendo comunque perfettamente padrone del mio corpo, perché quella che mi preoccupa ora è Tris, che si sta lentamente irrigidendo al mio fianco.
Non fare sciocchezze Tris, penso.
< Pensi che qualcuno ci farebbe caso se venisse accidentalmente ucciso? > chiede Eric alla donna.
< Fai pure > risponde. < Non è più nessuno, ormai. >
< è un gran peccato che tu non abbia accettato l’offerta di Max, Quattro. Bè sicuramente un peccato per te. > mi deride armando il cane.
Tris mette la mano sulla fondina e mi irrigidisco mentre la punta alla fronte di Erci che strabuzza gli occhi e sembra un altro soldato fantoccio,
< Togligli la pistola dalla fronte > ordina.
< Tu non mi sparerai > sibila Eric, senza mai abbassare l’arma dalla mia fronte.
< Teoria interessante .. > per un attimo gli occhi di Tris diventano liquidi per tornare immediatamente fuoco, acciaio e luce azzurra – come durante le simulazioni – sparando al piede di Eric, che lascia immediatamente l’arma per afferrarselo con entrambe le mani, appena non sono più sotto tiro estraggo la pistola sparando alla gamba della donna Erudita che era con lui.
Tris mi afferra per il braccio e cominciamo a correre, possiamo nasconderci da qualche parte per fare il punto della situazione ma poco prima che ci infiliamo in un vicolo sento dei passi arrivarci alle spalle, afferro la mano di Tris trascinandomela dietro, obbligandola a correre come non ha mai fatto in vita sua, sento una detonazione.
Un singhiozzo le esce dalla gola mentre cade distesa atterra, mi avvicino a lei < Scappa! >
< No. > rispondo con la voce calma.
Sento il petto esplodermi, l’adrenalina scorrermi a fiumi ma non la lascerò in mano ad Eric e gli Eruditi, piuttosto morirò con lei.
 L’aiuto ad alzarsi e arriva Eric con altri soldati Intrepidi circondandoci sotto tiro.
< Ribelli Divergenti > dice, malfermo sulle gambe e bianco come un cadavere, sento il piacere perverso alla vista della sua sofferenza formarmi un ghigno in volto < Gettate le armi. >
Tris si appoggia con tutto il peso su di me mentre la sostengo e camminiamo spintonati dalle armi degli Intrepidi, fino a che non varchiamo una porta di un ufficio spoglio, dietro al tavolo c’è lei. Janine. Finisce la conversazione che stava facendo appena siamo entrati e riattacca bruscamente.
< Ribelli Divergenti > annuncia un Intrepido, stranamente esonerato dalla simulazione.
< Si lo vedo > dice Janine togliendosi gli occhiali.
 < Da te > dice indicando Tris < me lo aspettavo. Tutti quei problemi con il tuo test attitudinale me l’avevano fatto sospettare fin dall’inizio. Ma tu .. > sposta lo sguardo su di me < Tu, Tobaias – o devo chiamarti Quattro? – sei riuscito ad ingannarmi. Soddisfacevi i requisiti in tutto: risultati del test, simulazioni durante l’iniziazione .. tutto. Eppure eccoti qui. Forse potresti spiegarmi come mai? >
< Sei tu il genio > ribatto freddamente, con la tipica arroganza decantata di noi Intrepidi, per poter prendere tempo e trovare il modo di uscire da qui. < Perché non me lo dici tu? >
< La mia teoria è che in realtà sei un Abnegante. La tua Divergenza è molto debole. > risponde con un largo ghigno sulla bocca.
< Le tu capacità deduttive sono sorprendenti > continuo. < Considerami impressionato. >
Sento lo sguardo di Tris spostarsi sul mio viso, e un idea prende forma da se.
< Ora che la tua intelligenza è stata accertata, potresti procedere con a ucciderci > continuo < Hai ancora un sacco di capi Abneganti da assassinare, dopotutto. >
Se i miei commenti la infastidiscono Janine non lo dà a vedere, ma è normale è più una macchina che umana, dopotutto, Tris continua a tenere gli occhi puntati su di me, fino a che non la sento cedere. L’afferro per la vita e me la stringo contro, forse sarà l’ultima volta che sentirò il suo corpo contro il mio.
< Non essere sciocco, non c’è fretta. Siete entrambi qui per uno scopo estremamente importante. Vedi, mi sconcertava l’idea che i Divergenti fossero immuni al mio siero, per cui ho lavorato per rimediarvi. Ero convinta di esserci riuscita con l’ultimo lotto, ma come sapete, mi sbagliavo. Fortunatamente ho un altro lotto da testare. >
< Perché darsi tanta pena? > chiede Tris con voce ancora bassa e ferma
< C’è una domanda che mi martella nella testa sin da quando ho dato inizio al progetto con gli Intrepidi > spiega con un sorriso accondiscendente < Perché quasi tutte quelle nullità dalla volontà debole, timorose di Dio, che sono i Divergenti provengono dagli Abneganti? >
< Volontà debole > dico scoppiando a ridere < Ci vuole una volontà  forte per manipolare una simulazione, a quanto mi risulta. Invece, comandare un esercito controllando la mente dei soldati perché non si è capaci di addestrarne uno, quello vuol dire avere una volontà debole. >
< Non sono stupida > ribatte Janine < Una fazione di intellettuali non è un esercito. Siamo stanchi di essere dominati da un manipolo di idioti moralisti che rifiutano la ricchezza e il progresso, ma non potevamo fare niente da soli. E i tuoi capifazione sono stati felicissimi di contribuire, in cambio di un posto nel nostro nuovo e migliore, governo >
< Migliore > dico ghignando.
< Si, migliore. Migliore e che lavorerà per costruire un mondo in cui le persone possano vivere nella ricchezza negli agi e nella prosperità. >
< A spese di chi? > si intromette Tris con voce roca, sta perdendo troppo sangue < Tutta quella ricchezza .. non viene dal nulla. >
< Al momento gli Esclusi rappresentano un salasso per le nostre risorse. E lo stesso vale per gli Abneganti. Sono sicura che una volta che quel che rimarrà della vostra fazione verrà assorbito nell’esercito degli Intrepidi, i Candidi collaboreranno e saremo finalmente in grado di procedere oltre. >
Questo significa, che la piccola parte che risparmierà degli Abneganti diverrà compiacente e sotto ogni suo comando, altri fantocci.
< Procedere oltre > ripeto alzando la voce <  Non t’illudere. Tu sarai morta prima della fine di questa giornata, tu .. >
< Forse, se sapessi controllare i tuoi scatti d’ira > mi interrompe < non ti troveresti in questa situazione, tanto per cominciare, Tobaias. >
< Mi trovo in questa situazione perché mi ci hai messo tu > scatto  < nel momento stesso in cui hai programmato un attacco contro degli innocenti! >
< Innocenti > Janine ride. < Lo trovo un po’ buffo detto da te. Mi sarei aspetta che il figlio di Marcus Eaton sapesse bene che non tutte quelle persone sono innocenti. > si siede sul bordo scoprendo le ginocchia segnate dalle smagliature. < Potresti dirmi, in tutta sincerità, che non saresti contento di sapere che tuo padre è rimasto ucciso durante l’attacco? >
So cosa vuole che io dica, quello che si aspettava anche Evelyn da me, ma non lo otterrà, non sarò più la marionetta di nessuno, Tris aveva ragione quando diceva che gli Abneganti meritano di essere salvati, ed è quello che ho intenzione di fare, in un modo o nell’altro.
< No > rispondo a denti stretti < Ma almeno la sua cattiveria non ha portato la manipolazione di una fazione intera e l’assassino sistematico di ogni dirigente della città >
La fisso negli occhi come se mi trovassi davanti un animale feroce, ma poi mi rendo conto che lei è Janine, che non fa nulla per istinto umano, ma solo sulla base di calcoli. Anche tutto quello che sta facendo ora per lei è come risolvere un’equazione seduta a tavolino.
I dirigenti Abneganti, gli Intrepidi, noi, i Divergenti, sono solo voci di una lista che và spuntata.
< Quello che stavo per dire è che presto sarà mia responsabilità rimettere in riga decine di Abneganti e di loro giovani figli, e non è auspicabile che tra questi ci siano altri Divergenti, come voi, capaci di sottrarsi al mio controllo delle simulazioni. > fa qualche passo verso sinistra con le mani incrociate davanti a sé. < Perciò era necessario che sviluppassi un nuovo tipo di siero a cui i Divergenti non fossero refrattari. Sono stata costretta a riconsiderare i miei stessi presupposti di partenza. Ed è qui che entrate in gioco voi. > continua spostandosi nella direzione opposta < Hai ragione quando dici che avete una volontà forte. È vero che non posso controllarla, ma ci sono altre cose su cui posso fare pressione. >
Tris si appoggia alla mia spalla con la tempia, e sento la forza abbandonarla attimo dopo attimo, se non trovo un modo per portarla fuori di qui, morirà dissanguata davanti ai miei occhi. Mentre Janine perdeva tempo con le sue macchinazioni ho studiato un modo per lasciarci andare, devo solo aspettare che abbia sufficientemente abbassato la guardia, ma devo farlo alla svelta o perderò Tris.
< Posso già controllare quello che vedete e sentite > prosegue < Così per manipolare la vostra volontà ho creato un nuovo siero che altera la percezione di quello che vi circonda. Tutti quelli che si opporranno alla nostra egemonia dovranno essere monitorati strettamente. Tu sarai il primo a essere testato Tobaias. Beatric invece .. > si volta a guardarla < Tu sei troppo ferita per essermi utile, per cui alla fine di questa conversazione procederemo alla tua esecuzione. >
Sento Tris sussultare alla parola “ esecuzione”. Lei morta, e io privato della mia volontà? Penso.
< No > dico con voce tremante < Preferisco morire. >
< Ho paura che tu non abbia molta scelta > dice.
Non m’importa dell’attacco, di salvare gli Abneganti o fermare Janine, non so se arriverò alla fine di questa giornata vivo o per lo meno con il mio cervello ancora intatto, quello che m’importa ora è solo Tris, non posso lasciarla uscire da qui, mi volto e l’afferro di slancio baciandola.
Assaporo le sue labbra più del dovuto, se dovesse succederci qualcosa, questa è l’ultima immagine che voglio avere nella mente, le sue labbra contro le mie, il suo corpo minuto e caldo premuto sul mio. Mi riscuoto dal torpore che le labbra di Tris mi danno ed arriva la mia occasione: la lascio ansimante contro il muro, e mi scaglio con tutto il peso del corpo oltre il tavolo, su Janine stringendole le mani intorno al collo.
 Sento la sua pelle tendersi sotto la mia presa, il cuore schizzarle alle stelle e il respiro fermarsi, il suono del grido di Tris mi arriva ovattato alle orecchie, così come l’immagine delle guardie che mi puntano addosso le pistole. Ci vogliono due Intrepidi per staccarmi dal suo collo, schiacciandomi la  faccia sul pavimento,le ginocchia di un soldato sulle spalle; Tris si getta su di loro ma ha perso troppo sangue, l’afferrano da dietro risbbattendola contro la parete.
Sento Janine tossire e annaspare alle mie spalle, cerco di divincolarmi ancora tirando una gomitata all’Intrepido che mi trattiene a terra, mi colpisce con il calcio della pistola e non ho nemmeno il tempo di vedere l’oscillazione del mondo davanti ai miei occhi – per il colpo – che Janine mi infila con violenza l’ago nel collo, premendo lo stantuffo.
Sento Tris gridare, un suono doloroso che le esce dalla gola.
Poi il vuoto.
Buio.
Mi abbandono e il mio corpo si rilassa.

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Capitolo 21
*** Simulazione ***


Image and video hosting by TinyPic SIMULAZIONE
 
 
 
Stavo strangolando Janine.
L’ultima cosa che ricordo è il verso strozzato di Tris.
Davanti a me c’è di nuovo Janine che mi guarda con occhi acquosi, spaventati, mi scaglio verso di lei sbattendola contro la parete, le strappo un suono dai polmoni e non so perché a quel rumore il cuore mi sussulta. Delle guardie mi staccano di nuovo da lei.
Sono seduto nella mia postazione del centro di controllo. Come sono arrivato qui? Delle mani abbandonano le mie spalle e una porta si chiude.
Forse Gus si và a fare un giro. Penso.
Comincio a far ruotare le immagini una dopo l’altra, la residenza è tranquilla e silenziosa come se fosse notte.
Le strade della città sono affollate da Intrepidi che rivolgono le armi contro gli Abneganti. Abneganti? Sbatto le palpebre un paio di volte e il fiume tremante e spaventato grigio lascia il posto ad una folla di ribelli che cercano di assediare la città. Dobbiamo difendere i deboli, questo è il nostro compito. È quello in cui credo.
Perché non sono a combattere anch’io? Penso.
C’è qualcosa che devo fare, ma non riesco a ricordare cosa. Appena cerco di concentrarmi per riacquistare quel pensiero sfuggente sento una fitta trapassarmi gli occhi fino ad arrivare le tempie. Gemo premendole forte fra le mani, fino a che non torno sotto controllo.
Un giovane ribelle cerca di fuggire, una soldatessa alta con la pelle scura, lo ferma sparandogli un colpo mortale. Non ho mai ucciso nessuno e il mio scenario mostra quanta paura ho di uccidere un’innocente, ma queste persone non lo sono. Sono ribelli violenti che cercheranno di manipolarci e massacrarci alla prima occasione.
Manipolarci .. questa parola mi rimbalza nella mente, cercando di far presa su qualche altro pensiero, ma non riesco a mettere insieme i pezzi, un’altra fitta mi fa accasciare sulla porzione di tavolo lasciato libero dal monitor.
Prendo grosse boccate d’aria, cercando i placare il dolore, devo solo ritrovare la concentrazione sul compito che mi è stato dato: controllare che gli Intrepidi respingano l’attacco.
Gli Intrepidi continuano a tirare fuori i ribelli dalle case in cui si erano infilati, stipandoli in ginocchio sul ciglio della strada, chissà perché hanno cercato di conquistare proprio il quartiere degli Abneganti, cosa cercano dalla fazione più povera  e semplice di tutte?
Continuo a far girare le immagini sui monitor, in maniera meccanica, senza che nulla attiri la mia attenzione, è tutto calmo, troppo, c’è qualcosa che mi procura una fitta di inquietudine nella calma che regna nella residenza. Neanche di notte è tutto così immobile, freddo e statico.
Il mio compito è semplice, ma perché mi hanno messo qui? Sono uno dei loro miglior soldati, dovrei combattere, difendere la città, forse Max ..
Max. Il pensiero del mio capofazione mi procura un’altra fitta, c’era qualcosa che dovevo fare collegato a lui, ma cosa?
Lascio che le immagini mi trascinino in una sorta di dormi veglia, anche se mi sento padrone di me e perfettamente lucido. Estraniarmi da me stesso sembra l’unico modo per placare il mal di testa, esattamente come da bambino lo era per non provare dolore quando la cintura di Marcus schioccava sulla carne morbida della mia schiena. Il pensiero di Marcus mi fa accelerare il cuore, ma non per il panico come mi succede sempre è qualcos’altro, ma ancora una volta non riesco a capire cosa. Mi sento come se stessi cercando di legger un testo in una lingua sconosciuta; né afferro il concetto, me lo sento premere sul corpo con prepotenza, ma mi manca la chiave per decifrare il codice.
< Tobaias >.
Una giovane donna dai capelli biondi è entrata nel centro di controllo per aiutare i suoi compagni ribelli. Mi punta una pistola contro.
< Getta la pistola > le ordino.
Ha un viso famigliare. Penso.
Poi scuoto la testa capendo che è impossibile.
< Tobaias, sei una simulazione > dice.
< Getta la pistola o sparo. >
La donna non dà cenni di aver sentito, rimane ferma a guardarmi negli occhi con la pistola puntata su di me < Getta la pistola! >
< L’ho fatto! > ma non è vero, l’arma è ancora rivolta verso di me.
Poi mi corre incontro, afferrandomi per un polso, premo il grilletto ma la pallottola si conficca nel muro appena sopra la testa della donna. Mi dà un calcio nelle costole, approfittando della mia mancanza di fiato per torcermi il polso e disarmarmi, si tuffa contro l’arma e un attimo prima che riesca a raggiungerla l’afferro strattonandola via.
Ci guadiamo negli occhi, ha grandi occhi azzurri, che mi guardano dentro, cercando di smuovere un pensiero che preme per uscire; prima ancora di poterci riflettere l’istinto di sopravvivenza e l’addestramento prendono il sopravvento: le sferro un pugno alla mascella. Indietreggia alzando le mani per proteggersi il viso - tiene la guardia troppo alta – un difetto che mi ricorda qualcuno, ma chi?
La donna sferra un calcio alla pistola, per impedirmi di afferrarla e subito dopo ne sferra un altro nel mio stomaco,le afferro il piede prima dell’impatto con la carne trascinandomelo dietro, facendola cadere sulla spalla destra, trascinandomi dietro la gamba per sferrarle un calcio a mia volta, ma rotola su se stessa mettendosi in ginocchio.
- tutto bene?
- si, avresti potuto dirmi che funzionava .. non saremmo stati costretti ad arrampicarci.
Il movimento della donna, mi provoca un’altra ondata di fitte alla testa, e qualche immagine preme contro il cranio per avere la mia attenzione. Scaccio il pensiero mentre la donna sta per prendere la pistola sul pavimento vicino a lei, l’afferro per i capelli e la tiro di lato per impedirglielo, allunga il polso per torcermi la mano, ma è minuta e non abbastanza forte; la strattono sbattendola contro la parete.
< Tobaias > dice.
Come conosce il mio nome? Il suono della sua voce, provoca un effetto immediato sul mio corpo, che la mia mente non percepisce, come se bastasse quel suono per protendere il mio corpo verso il suo. Per un istante sento come se la mente e il corpo viaggiassero su frequenze diverse, ho il controllo della mia mente, ma il mio corpo è suo schiavo, reagisce al suo calore, alla sua vicinanza. Approfitta della mia distrazione per colpirmi la gamba con il tacco dello stivale che indossa, i capelli lunghi e biondi scivolano dalla mia presa, si tuffa verso l’arma, impugnandola per rivolgerla verso di me.
< Tobaias. Lo so che sei lì da qualche parte > dice. < Tobaias, favore >
La donna è davanti a me, puntandomi la pistola contro con il viso inondato di lacrime. Perché una ribelle dovrebbe piangere se sta per uccidermi e raggiungere il suo scopo?
< Per favore. Riconoscimi > cammino andandole incontro, la sua voce mi giunge distante, un suono famigliare, che mi fa pensare all’amore, l’affetto e il calore.
< Per favore, Tobaias, riconoscimi, per favore! >
- Tobaias. Per la prima volta il mio nome suona come una rivelazione e non una minaccia. Quel nome su quelle labbra suonano quasi come se non avessi nulla di cui vergognarmi.
Continuo ad andarle incontro, questa volta è il suono della sua voce a guidarmi verso di lei e non più il mio intento di fermarla, sento il cuore pulsare forte nella gabbia toracica, ma non c’è adrenalina, ne paura a scorrermi dentro, è qualcos’altro e non ne capisco il motivo.
Accade qualcosa di inaspettato: la donna, si blocca alzando il braccio con il quale tiene l’arma,me la rivolge, dandomi la possibilità di impugnarla per il calcio. Premo la canna contro la sua fronte, e la fisso negli occhi.
Sono grandi, azzurri e c’è una luce di forza che mi ricorda l’acciaio e il fuoco, attirano la mia attenzione, in quei due pozzi profondi, che sento di conoscere, di aver visto accesi, tristi, crudeli e pieni di lacrime di preoccupazione. Armo il cane della pistola.
- Il mio primo istinto è di spingerti al massimo, finchè non ti spezzi .. ma resisto.
- perché?  
- perché la paura non ti paralizza, ti accende e vorrei solo rivederlo.
Il mio corpo non vuole eseguire i comandi, so che devo sparare, lo so, ma non ci riesco c’è qualcosa in quegli occhi che mi trascina a fondo e mi fa riemergere, sento un ricordo, un pensiero, che cerca di uscire sempre più prepotente e sono vicino,vicino ad afferrarlo.
< Tobaias > mormora < Sono io >
La donna fa un passo avanti, stringendo le sue braccia intorno al mio busto.
- Quella forza .., con le braccia nervose come cavi elettrici. Una contraddizione vivente.
 Il cuore mi accelera per quel contatto così delicato, potrebbe scoppiarmi da un momento all’altro, sento un calore inondarmi il petto, la pelle brucia e formicola sotto il tocco della donna.
Anche tu hai paura di me, Tobaias?
La mia mente si sblocca.
Sono terrorizzato.
 Il corpo reagisce naturalmente al contatto con il suo e finalmente il cervello si ristabbilizza sulla giusta frequenza.
- Forse eri tagliato per i Candidi Quattro, perché a mentire sei una frana.
- Okkey, ti ho osservata perché mi piaci.
Lascio cadere l’arma con un tonfo sul pavimento. L’afferro per le spalle con troppa forza. Il cuore minaccia di fermarsi quando le consapevolezza di quello che stavo per fare mi colpisce con forza. Un grido di terrore le risale dalla gola, è il suono più brutto che abbia mai sentito, perché anche se pensavo che le sue urla di paura fossero agghiaccianti, questa è anche peggio: ha paura di me.
< Tris > dico, premendo la bocca contro la sua.
La stringo tra le braccia, sollevandola, mi aggrappo alla sua schiena con disperazione, ho rischiato di ucciderla, di perderla per sempre. Di svegliarmi e sapere che sono l’assassino dell’unica ragazza che voglio al mio fianco. Sono sudato e tremo di terrore. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia; Marcus, le mie quattro paure, lo sguardo di Janine, la morte di un’intera fazione; nulla di tutto questo potrebbe competere con il panico che sento sopraffarmi in questo momento, mentre stringo il piccolo corpo di Tris tra le braccia. Mentre la bacio con trasporto, con disperazione, chiedendo il suo perdono in una muta domanda. La metto a terra sfiorandole ogni centimetro del viso, le sopracciglia, il naso, gli zigomi. Ho quasi paura di vedermela svanire da sotto le dita, che scompaia, che non sia reale. O ancora peggio che questa è ancora una simulazione e tra un istante sarò il suo assassino.
Un gemito di dolore sale dalla gola di Tris e la bacio di nuovo, con ancora più dolore. Sento un calore salirmi dietro le orbite degli occhi, le lacrime premere per uscire fuori. Era dal presunto funerale di mia madre che non piangevo, che non mi venivano gli occhi lucidi, neanche quando Marcus aveva giornate particolarmente brutte, o quando la schiena lacerata sfregava contro il tessuto ruvido dei miei vecchi vestiti grigi. Ma adesso sento il bisogno di farle uscire fuori, perché io ho quasi ucciso Tris.
Tris mi si stringe al petto e comincia a piangere disperatamente sul mio petto. Il suo corpo è scosso dai singhiozzi e trema tutto, mentre l’energia l’abbandona. Si appoggia a me ed io la sostengo.
< Come hai fatto? > mi chiede.
< Non lo so. Ho solo sentito la tua voce. >
Tris torna a rifugiarsi nel mio petto, mentre la sostengo e mi aggrappo a lei con disperazione.
Mi ha riportato indietro. La stavo per uccidere e lei – stupida, sconsiderata, pazza e coraggiosa – qual è mi ha letteralmente armato la mano, perché preferiva perdere la vita che essere responsabile della mia morte.
Le immagini degli ultimi tre minuti continuano a vorticarmi davanti gli occhi chiusi, con violenza, quasi volessero creare un finale diverso.
Mi ha riportato indietro, e per la prima volta la consapevolezza di quello che provo per lei mi schiaccia contro il suo corpo con forza. Sento di essere calamitato verso di lei, ora non è più la forza di gravità a tenermi ancorato al terreno, ma Tris. Lei è un pianeta ed io le orbito intorno, costretto da una potenza che non avevo mai sentito in tutta la mia vita, una forza di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. Come se mi legassero a lei un milione di fili d’acciaio, e non potessi sfuggirgli. Ma ad essere onesto anche se avessi la possibilità di sfuggire dalla forza che mi lega a lei, non lo farei, non lo farei per nulla al mondo. Solo la morte potrebbe portarmi via da Tris, e forse neanche in quel caso.
Mi ha riportato indietro.
Esce dal rifugio del mio petto e guarda gli schermi che ci circondano, soffermandosi su quello in cui sta passando l’immagine della fontanella nel corridoio in cui abbiamo parlato durante il funerale di Al.
La fisso negli occhi per un’eternità. Chiedendomi come farò a sopravvivere a questo: sono la causa della morte di chissà quanti Abneganti, e di  chissà quanti altri ne sarei stato se Tris non mi avesse riportato indietro. Come potrò convivere con questo? Riuscirà Tris a guardarmi ancora in faccia? Decido di chiederglielo e basta: < Stavo guidando io la simulazione? >
< Non so se la stavi guidando o monitorando. > risponde Tris ma i suoi occhi mi dicono altro, che non è sicura, come non lo sono io. Sento lo stomaco contrarsi. < È già completa. Non ho idea di come ci sia riuscita, ma Janine ha fatto in modo che funzionasse da sola. >
Resto un secondo in silenzio, ammettendo la genialità di quella donna, poi scuoto la testa e dico: < E’ .. incredibile. Terribile, diabolico .. ma incredibile. >
Tris rimane incantata a fissare uno schermo, poi dal viso le scivola via tutto il colore.
< Tobaias! > grida < Ora! >
Corro verso il monitor davanti al quale mi avevano piazzato, lo tocco due volte per sbloccarlo ed apro il programma della simulazione. Tris resta fissa con gli occhi sullo schermo in cui si trova suo fratello. Il programma si apre ed è più complicato di quanto mi aspettassi, ma riesco a riconoscere alcune porzioni di codici uguali a quelle che si trovano nelle simulazioni che vengono usate durante l’addestramento. Parto da quelli spostandomi verso il centro, scorro più volte, eliminando alcuni parti del codice, dovrei esserci quasi.
< Tobaias .. > geme Tris.
Trovo la parte in cui sono contenuti gli ordini, la evidenzio e la elimino, sostituendola con l’ordine di non sparare, arrivo alla fine del programma, cancellando le ultime righe e la simulazione finisce.
Mi chino accanto al computer facendo scorrere il coperchio < Devo trovare i dati, o le basterà far ripartire la simulazione. >
Cerco freneticamente l’hard disk in cui è contenuto il programma, non lo trovo da nessuna parte, finchè non mi viene in mente che potrebbe essere stato inserito al posto della memoria principale del computer, volto la torre e lo trovo collegato dietro.
< Trovato > esclamo alzandomi da terra.
< Dobbiamo andare > dice Tris indicando lo schermo alla sua destra dove Max ed alcuni soldati ci stanno venendo incontro.
< Si > rispondo facendole scivolare un braccio intorno alle spalle < Andiamo. >

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Capitolo 22
*** In fuga ***


Image and video hosting by TinyPic IN FUGA
 
 
 
Percorriamo insieme il corridoio e svoltiamo l’angolo. Arriviamo all’ascensore e gli occhi di Tris individuano un corpo disteso tra i cadaveri di alcuni Intrepidi. È vestito di grigio, le scappa un verso strozzato e si volta, nel tempo che aspettiamo che le porte si aprino davanti a noi né riconosco il viso. Andrew Prior.
Tris si accuccia contro la parete accanto all’ascensore vicino al corpo di una guardia e vomita tutto il contenuto dello stomaco, le guance rigate dalle lacrime e gli occhi ombrati di dolore. Passano si e no cinque secondi e si tira su, con gli occhi di nuovo accessi, vigili e duri, entriamo nell’ascensore e scendiamo al pianterreno, le porte si aprono e l’aria fredda nel salone di vetro ci colpisce. Una folla urlante di soldati Intrepidi vestiti di nero si staglia davanti a noi, rimaniamo fermi perché vedo che Tris cerca il viso di suo fratello, un brivido di paura mi scorre lungo la schiena. Se fosse morto anche lui, non so sé Tris ne uscirebbe in piedi, forse tutto questo riuscirà a spezzarla, forse sta già cominciando a succedere ma non abbiamo il tempo di farle metabolizzare i suoi sentimenti, come non ne ho io. Dobbiamo andare via prima che Max e Janine ci raggiungano e si riprendano l’hard disk; Caleb ci corre incontro appena varchiamo la porta e Tris gli cade tra le braccia.
< Papà? > chiede.
Lei scuote solo la testa.
< Ah. È così che avrebbe voluto andarsene. > risponde Caleb con voce strozzata.
Li oltrepasso cercando di annullare la mia presenza, ma un’altra figura mi blocca sul posto, sento il panico montare dentro e tutto il viso sbiancare. Marcus.
Mi viene incontro stringendomi le braccia al collo, come non ha mai fatto prima d’ora, rimango rigido aspettandomi quasi di vederlo tirare fuori la cintura.
< Figlio mio > sospira, facendomi alzare gli occhi al cielo. Faccio una smorfia alle sue parole, come se fossero acido che mi scivola giù lungo la gola, cerco di deglutire ma ho la gola secca, i polmoni che premono alla ricerca d’aria mentre l’ormai famigliare sensazione di formicolio mi risale fino al palmo delle mani.
< Ehi > sbotta Tris staccandosi dal fratello. Si infila tra di noi spingendo via Marcus da dosso a me, con forza che lo avrebbe mandato a terra se lui non fosse così robusto ed alto in confronto a lei. < Ehi, lascialo stare! >
Ho il respiro corto e superficiale, sto cadendo nel panico.
< Stagli lontano! > sibila con voce glaciale.
< Beatrice, ma che stai facendo? > le chiede Caleb
< Tris > mormoro, alla ricerca di un salvagente. Lei, la mia roccia a cui aggrapparmi per non naufragare nel panico. Marcus la guarda con gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Non l’ho mai visto scandalizzato prima d’ora, non lui che è sempre perfettamente padrone del suo universo, ma adesso quell’occhiata che le rivolge mi risulta troppo falsa per essere reale.
< Non tutto quello che dicevano gli Eruditi nei loro articoli era una menzogna > Scatta, rispondendo al fratello.
< Di cosa stai parlando? > chiede Caleb.
< Non so che cosa ti abbia detto, Beatrice, ma .. > comincia Marcus.
< L’unico motivo per cui non ti ho ancora sparato è perché spetta a lui farlo > lo interrompe. < Ma stagli lontano o deciderò di infischiarmene. >
Le poso le mani lungo le braccia stringendola a me, perché è la mi ancora, perché mi ha protetto ancora una volta da mio padre, mi ha protetto da lui nel mondo reale.
< Dobbiamo andare > le mormoro incerto < Il treno dovrebbe arrivare da un momento all’altro. >
Camminiamo velocemente verso i binari. Ho la mascella contratta e guardo davanti a me. Non voglio andare da nessuna parte con Marcus, o con Peter che ci sta venendo dietro tenendosi una spalla con la mano grondante di sangue. Ma non abbiamo scelta. Probabilmente appena gli Eruditi saranno qui lo arresterebbero, uccidendolo , e per quanto il pensiero mi provoca una dolce sensazione di vittoria, non sono un sadico, non sono come lui. Non sarò colui che firma la sua condanna a morte; forse a parti opposte lui non esiterebbe un attimo a condannarmi a morte, ma io sono migliore di lui, vedo quanto sono diverso da lui ogni volta che mi guardo negli occhi di Tris o quando pronuncia il mio nome.
< Scusa > dice lei, riscuotendomi dai miei pensieri.
< Non hai nulla di cui scusarti. > le rispondo prendendola per mano, anche se sto ancora tremando. Come può chiedermi scusa se ha appena messo Marcus con le spalle al muro per me. La rivedo ancora una volta mentre strattona la cinta stretta intorno al suo polso, per poi usarla su di lui.
< Se prendiamo il treno che và nella direzione opposta, quello che esce dalla città, ci porterà alla sede dei Pacifici > dice < E’ lì che sono andati gli altri. >
< Che cosa ne pensate dei Candidi? Secondo voi, che cosa faranno? > chiede Caleb, facendomi ripensare a Janine. Così convinta che sarebbero stati dalla sua parte, una volta assorbito il resto degli Abneganti. Almeno per il momento non lo farà, abbiamo guadagnato tempo per elaborare un nuovo piano e fermarla. E per il momento possiamo contare sul fatto che non troveranno alleanza tra i Candidi che non accetterebbero un’azione così subdola. Certo, non potranno nemmeno combatterli.
Aspettiamo alcuni minuti accanto alle rotaie, Tris non si regge più in piedi, trema  barcolla contro il mio fianco, così la prendo in braccio mentre nasconde il viso nell’incavo del mio collo, respirando l’odore della mia pelle. Il movimento fa si che il suo odore – un misto di sudore, sapone degli Intrepidi, adrenalina e qualcosa di dolce come la mela che ormai associo unicamente a lei – mi colpisca in pieno viso. Il suo odore è quello che associo all’interezza, al coraggio e all’amore.
Mi concentro sul calore del corpo di Tris, perché sento fin troppo bene la presenza di Marcus alle nostre spalle, mettendomi sull’attenti con i muscoli tesi, in procinto di attaccarlo. Il treno arriva e metto giù Tris, corriamo per qualche metro gettandoci di lato per entrare nel portellone aperto. Tris cade sul braccio sinistro dimenandosi per trascinare il resto del corpo. A giudicare da come tiene il braccio destro lungo il fianco e dal sangue rappreso sulla camicia Abnegante che indossa, la ferita di Eric deve essere ancora aperta, deve aver perso molto sangue.
Si siede contro la parete del vagone mentre suo fratello le si siede di fronte;  mi posiziono al suo fianco, per mettere più distanza possibile tra lei e Marcus e Peter, anche solo per impedirgli di guardarla. Sono i suoi nemici, i miei nemici, i nostri.
Il treno scivola e osserviamo la città rimpicciolirci dietro di noi. Diventerà sempre più piccola lasciando spazio ai campi che circondano la recinzione, dove potremo trovare rifugio e conforto tra i Pacifici, potremmo rimanere lì per qualche tempo, per capire quale sarà la nostra prossima mossa, o almeno finchè non cominceranno a cercarci.
Nell’ultima ora la mia vita è cambiata completamente. Siamo quasi morti, ho quasi sterminato una fazione – forse – e soprattutto ho quasi ucciso Tris. Mi trovo con l’uomo che odio di più su un treno, e al suo fianco l’aggressore di Tris.
Tris. Rivedo i suoi occhi sicuri, e le guance rigate di lacrime, mentre mi offriva l’arma per ucciderla. Mentre mi riportava indietro. Ancora una volta la consapevolezza di quello che provo mi colpisce, facendomela stringere a me di istinto. Pieghiamo le ginocchi avvicinando le teste, creandoci una piccola tana solo per noi due. Dove anche per poco potremmo chiudere fuori tutti: Eruditi, Intrepidi, Abneganti, Marcus, Peter.
< Oggi i miei genitori sono morti > mormora, con voce tremante come se lo dicesse più a se stessa che a me. < Sono morti per me. >
< Ti volevano bene > le ricordo < Per loro non poteva esserci modo migliore per dimostrartelo. >
Annuisce studiando il mio viso.
< Sei quasi morta, oggi > sussurro < Ti ho quasi uccisa. Perché non mi hai sparato, Tris? >
< Non potevo. Sarebbe stato come sparare a me stessa. >
Le sue parole mi feriscono. Mi feriscono e curano allo stesso tempo ogni mia cicatrice  e ferita. Si sarebbe lasciata uccidere, avrebbe sacrificato se stessa per me. Ammiro il suo coraggio, la sua forza, il suo altruismo ma quello che mi colpisce in questo momento è altro: il fatto che una ragazza come lei è disposta a rinunciare alla sua vita, per la mia. Io che non sono altro che un’insieme di ferite e cicatrici, che mi sono sentito piccolo e vuoto. Io che sono stato un vigliacco, che sono fuggito deludendo la mia vecchia fazione.
< Devo dirti una cosa > bisbiglio. Tris fa scorrere le dita sui tendini del mio braccio fino a farla finire tra le mie di dita. Come se avesse anche lei bisogno di me quanto ne ho io di lei. Come se avesse bisogno della prova che sono davvero al suo fianco.
< Forse sono innamorato di te. > sorrido. < Aspetto di esserne sicuro per dirtelo, comunque > so che le sto mentendo, e forse lo sa anche lei. Mi sono innamorato di questa piccola e coraggiosa ragazza il giorno che ho visto il suo corpo schiantarsi contro la rete.
< Gentile da parte tua > dice, sorridendo anche lei. < Dovremmo trovare un foglio di carta così potresti fare una tabella, o un grafico o che so io. >
Rido davvero per la prima volta da quello che mi sembra un tempo infinito. La sua risposta è tagliente, ironica come la prima sera in cui abbiamo parlato.
< Forse sono già sicuro > ammetto, facendo scorrere il naso lungo la mascella, premendole le labbra dietro l’orecchio. < è solo che non voglio spaventarti. >
Ridacchia. < Pensavo mi conoscessi meglio. >
< Va bene. Allora .. ti amo. >
Mi bacia mentre il treno continua a scivolare dolce sotto di noi. Continuiamo a baciarci per tutto il tempo che vorremo, anche se sento gli occhi di tutti puntati su di noi. Posso comprendere la protezione di Caleb per sua sorella mentre un ragazzo più grande la bacia dentro un treno in cui siamo letteralmente saltati dentro. Ma lo sguardo di disapprovazione che sento da parte di Marcus mi fa irrigidire, non voglio che la guardi, che la guardi mai più.
Non è al sicuro e io voglio proteggere Tris. Nonostante sia coraggiosa e forte, io la voglio proteggere non m’importa più di niente se non di questo. Lei mi ha salvato da mio padre due volte e io farò la stessa cosa, la salverò da tutti quelli che oseranno torcerle un capello, perché la amo e non m’importa più di quello che ci aspetterà nei prossimi giorni, perché finchè saremo insieme potremo far tutto. Potremo combattere contro gli Eruditi, salvare gli Abneganti ed aiutare gli Intrepidi. Perché con Tris al mio fianco posso fare qualunque cosa.
Si scosta leggermente e tira fuori dalla tasca l’hard disk, rigirandoselo tra le mani, lo stringe al petto e si appoggia contro la mia spalla cercando di dormire.
Gli Eruditi non esistono più, nemmeno gli Abneganti. Siamo come gli Esclusi, non abbiamo una fazione, una casa o dei capifazione. Ma so – sappiamo – perfettamente quale è il nostro posto.
Guardo scorrere il paesaggio davanti a noi, mentre la respirazione tranquilla di Tris contro di me mi infonde tranquillità.
Forse domani dovremo combattere, forse avremo altre perdite, incalcolabili, forse non ne usciremo tutti vivi da quello che ci aspetta. Ma quello che so è che ora non appartengo più a nessuno, non sono un Intrepido, un Abnegante, sono solo io, Tobaias.
Sono Quattro, che con Tris al proprio fianco scoprirà cosa ci riserva il futuro, quante lotte dovremmo affrontare e quanto forti dovremmo essere.
Ma non m’importa. Mi concentro solo su Tris, sul mio amore per lei, sulla promessa di proteggerla e di farla uscire viva da quello che ci aspetta.
Mi concentro sul suo corpo caldo contro il mio.
Guardo fuori dal portellone concedendomi alla fantasia .. alla speranza.
Un futuro in qui io e Tris, saremmo liberi da ogni restrizione che vogliono imporci.
Liberi di essere noi due.
Speranza di un luogo migliore, un posto in cui costruiremo la nostra vita, la nostra casa.
Perché io da oggi sarò la sua famiglia, esattamente come è lei per me.
Chiudo gli occhi e rivivo ogni momento che abbiamo passato insieme, è così poco eppure mi sembra di amarla da tutta la vita.
Mi sono innamorato del suo coraggio, della cocciutaggine, del suo altruismo e della sua lingua tagliente. Mi sono innamorato lentamente ogni volta che mi rispondeva male, e non cedeva sotto le mie risposte crudeli. Mi sono innamorato quando non si è lasciata chiudere fuori, ma ha spalancato la porta ed ha preso posto accanto a me. Mi sono innamorato quando si è guadagnata il mio rispetto ogni singola volta. Mi sono innamorato perché non è mai stata una mia subordinata. Mi sono innamorato perché non si è tirata dietro a nulla, perché era pronta a dare la vita per i suoi genitori, per me.
Mi sono innamorato di Tris che è Divergente.
Non apparterremo più a nessuno, saremo tutte le virtù che la nostra città può dare.
Saremo Divergenti.
Perché ora so perfettamente chi sono e so perfettamente chi è Tris.

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Capitolo 23
*** spazio me ***


Grazie a tutti voi!
spero che vi sia piaciuto leggere questa storia tanto quanto a me è piaciuta scriverla. la Roth ha ragione Quattro è un personaggio potente ogni singola volta il suo nome compar sulla pagina e penso che in questo modo gli sia stata resa la giustizzia che merita.
lasciate tante recensione, positive o negative , non importa perchè voglio migliorare sempre di più  e solo grazie alle critiche di un occhio del lettore esterno posso farlo.
ci vediamo nella prossima storia, che sarà una mia originale. direi che qui si chiude il cerchio della saga di Divergent, grazie ancora a tutti voi che avete speso del tempo per leggere le mie parole.

- M.

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