Hasta el amanecer.

di _Ruggelaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo_Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***



Capitolo 1
*** Prologo_Capitolo 1. ***


Prologo_Capitolo 1.
 
 
Il sole era alto quel giorno nel cielo di Buenos Aires. Era una di quelle giornate estive molto afose, quando senti bruciare la pelle e fai fatica a respirare; una di quelle giornate che dovrebbero essere passate in costume in riva al mare, prendendo il sole ed ascoltando la musica, o magari chiacchierando con i propri amici.
Il mare era tranquillo, il vento soffiava leggero mentre Camilla Vargas, sdraiata supina sul suo costosissimo telo da mare rosa, si abbronzava, insultando la sua ‘amica’ Natalia Perez.
“Non riesco a credere alla tua stupidaggine, Natalia. Come puoi essere mia amica?”.
NOSTRA!” esclamò il  resto del gruppo, sdraiato accanto a lei: Leon, suo fratello maggiore -ma solo di un anno-, Ludmilla Ferro, Marco Tavelli e Andres Calixto.
“Sì, sì… come volete… nostra” commentò la ragazza rossa liquidando il commento dei suoi amici e di suo fratello con un gesto della mano. “Il punto è che se non ragioni con quel poco di cervello che ti ritrovi, scordati di me… cioè, noi” si corresse ricevendo un’occhiataccia dai suoi compagni “e credimi…” mise una mano sulla spalla della ragazza “non conviene stare sola in mezzo alla savana” e le sorrise, indossando gli occhiali da sole e tornando sdraiata ad abbronzarsi.
“S-scusam-mi, Camilla. Hai ra-agione. Non ho pensato, ma t-ti pro-ometto che la prossima v-volta io…” ma non riuscì a terminare ciò che aveva da dire perché Camilla Vargas l’aveva bloccata con un gesto della mano.
“Non ci sarà una prossima volta, Natalia. O sei con noi, o contro di noi.”
“Sono con voi. C-certo che sono co-on voi!” esclamò, entusiasta di non esser stata cacciata dal gruppo più popolare dell’On Beat Studio.
Camilla Vargas alzò un angolo della bocca, soddisfatta del suo lavoro “Meraviglioso. Ma ora basta… devo pensare alla festa di questa sera. Leon?”.
“Dimmi” rispose scocciato il ragazzo.
“A che ora arriva Violetta?”.
Sentendo quel nome il cuore di Leon mancò un battito, mentre la testa era nella più totale confusione. Fece un respiro profondo, cercando di non risultare nervoso davanti ai suoi amici, o peggio, a sua sorella. Rispose qualche secondo dopo “Alle otto. Qual è il motivo del tuo interessamento?”.
“Fa’ in modo che io non la incontri.”
 
 
 “Sì, credo che questo sarebbe perfetto… se solo fossi interessata a tutto ciò!”.
Violetta Castillo era in collera.
La sua amica, Francesca Cauviglia aveva suonato al campanello di casa  sua con tre ore d’anticipo. Quella sera era in programma una festa per uno dei professori migliori dell’On Beat Studio, Pablo Galindo, ma purtroppo non era intenzionata a parteciparvi.
“Violetta, ti supplico. L’hai anche promesso a Leon”.
La ragazza alzò un dito davanti al viso della ragazza italiana “Oh no, mia cara. Io non ho promesso un bel niente a Leon. Ha organizzato tutto da solo… e sinceramente non m’interessa se ci andrà solo”.
“Un’altra discussione?”.
“Non abbiamo discusso, è lui che diventa geloso per ogni ragazzo che mi parla… anche solo per chiedere un’informazione!”.
Francesca scoppiò a ridere notando la faccia dell’amica. “Scusami, scusami. Lo sai com’è fatto Leon. Vedrai che quando ti vedrà con questo vestito farete pace” sorrise mostrando i denti ed agitando –tutta euforica- il vestito che aveva in mano.
Violetta sbuffò passandosi una mano sul viso. Come poteva spiegarle che tra lei e Leon non c’era niente, che erano solo amici… solo migliori amici che si volevano molto bene? Né Francesca, né nessun’altra delle sue amiche riusciva a capirlo. Perché? “Per l’ennesima volta Fran, io e Leon siamo solo amici”.
“Ma come fai a non notarlo! E’ chiaro come l’acqua! Tutti se ne sono accorti…”. Violetta sbuffò ancora una volta, gettandosi poi sul letto dov’erano stati buttati tutti quei poveri vestiti scartati da Francesca. “E credo che il sentimento sia reciproco… o mi sbaglio?”.
“Ti sbagli! Sei lontana milioni di anni luce!”. La ragazza italiana rise ancora una volta, sedendosi poi sul bordo del letto.
“Se t’infili questo vestito, e vieni alla festa, giurò che non ne parlerò più… per le prossime tre ore”.
Questa volta fu Violetta a lasciarsi scappare un sorriso, poi guardò con gli occhi ridotti a due fessure, la ragazza di fronte a sé. “Sei davvero una volpe, Francesca Cauviglia!”.
 
 
 Natalia Perez era tornata a casa. Marco Tavelli le aveva dato un passaggio con la sua nuova auto sportiva, regalatagli dai propri genitori per il compleanno, festeggiato qualche giorno prima.
Nata doveva ammetterlo, non appena quel ragazzo era entrato allo Studio non le era andato subito a genio, a dire la verità lo detestava. Con il passare del tempo, Camilla gli aveva lanciato degli sguardi, e Marco si era subito interessato alla ragazza rossa.
Bhe, come poteva non farlo?
Chi non era pazzo di Camilla Vargas?
Dopo mesi, alla fine, Nata era riuscita a farselo piacere, o meglio… cercava in tutti i modi di sorridere, essere dolce e gentile, e piacere a tutti.
Perché quello era ciò che doveva fare: piacere a tutti.
Soprattutto a Camilla.
Non poteva commettere neanche uno sbaglio, non poteva fare un passo falso… non di nuovo. Altrimenti sarebbe stata cacciata dal gruppo, e questo non poteva accadere.
Non doveva accadere. Non poteva permettersi di restare sola, come aveva detto Camilla ‘non conviene stare sola in mezzo alla savana’. E a lei non conveniva di certo.
Tornò in camera dopo aver fatto una bella doccia fredda per schiarirsi le idee, indossò il vestito per la festa organizzata al professor Galindo, e cercò, nel modo più castamente possibile, di applicarsi un po’ di trucco sul viso.
Si guardò allo specchio, e cercò di sorridere. Doveva sorridere.
Sorridere, sorridere, sorridere.
Avrebbe vinto contro tutti, bastava non fare un passo falso.
Restò a guardarsi per qualche minuto e alla fine, con un po’ di vergogna verso se stessa ma anche con un pizzico di sicurezza, poté constatare che era bella.
Si sentiva bella. Ma sapeva che accanto alla sua amica, Ludmilla Ferro, avrebbe brillato meno, molto meno.
Per non parlare di Camilla… Ovviamente sarebbero state loro due le ragazze più belle della festa, nessun dubbio al riguardo.
La sua attenzione fu catturata da una foto appesa alla parete, proprio sopra al suo letto. Ricordava quel giorno, ovviamente.
Il compleanno di Leon.
Notò che lei era in disparte, lontana dal suo gruppo, lontana dalle sue ‘amiche’. Ma sorrideva. Naturalmente era un sorriso falso, come tutti quelli che faceva ogni giorno, come tutti quelli che aveva fatto da quando aveva conosciuto il gruppo di Camilla Vargas. Ma non si lamentava, non poteva lamentarsi, non doveva lamentarsi.
Aguzzò lo sguardo sulla foto, su una ragazza bellissima (no, non erano né Camilla né Ludmilla), una ragazza seduta sulle gambe di Leon, una chioma di capelli castani ed un sorriso dolce, vero. Un sorriso da toglierti il fiato.
Violetta Castillo.
Non fu molto sorpresa quando spostò lo sguardo su Leon e vide che stava fissando la sua amica con uno sguardo dolce, pieno d’amore.
Ah, quanto avrebbe voluto un fidanzato come Leon Vargas! Non aveva mai avuto un ragazzo. Come potevano interessarsi a lei?
Leon sarebbe stato perfetto.
Certo, Violetta e Leon non erano fidanzati, ma secondo Francesca Cauviglia provavano un forte sentimento, l’uno per l’altra.
Sospirò, ammirando un’ultima volta il suo riflesso allo specchio, ma con un sorriso spento. Questa volta constatò che forse non era così bella.
 
 
 Il sole stava tramontando. Quel colore arancione sfumato al blu del mare stava riempiendo i cieli di Buenos Aires, ma c’era una persona in particolare che se lo stava godendo.
Diego Casal era arrivato in città da qualche ora, e la prima cosa che fece fu una passeggiata sulla spiaggia. Gli era mancato tanto quel posto; il cuore gli si riempì di gioia non appena scese dall’aereo e respirò l’aria sudamericana.
Aveva trascorso gli ultimi quattro anni in Spagna, dove aveva studiato in una prestigiosa scuola di ballo, ed aveva lavorato con i migliori ballerini del Paese.
Ma il richiamo dell’Argentina era arrivato, e la nostalgia di casa si faceva sentire. Aveva tanta voglia di riabbracciare suo padre, di sapere come stava, se il suo lavoro lo soddisfaceva, se era felice… anche senza sua moglie.
Diego aveva perso sua madre circa cinque anni prima, un brutto incidente automobilistico mente tornava a casa.
Non aveva mai potuto dirle addio.
Decise quindi di volare in Spagna, di iscriversi ad una scuola di danza… e qualche mese dopo arrivò una lettera che lo informava che era stato accettato come allievo alla Dance Accademy of Spain.
Si dedicò alla danza ventiquattro ore al giorno, 365 giorni all’anno. L’Argentina gli mancava, ma la passione per la danza era più forte –gli era stata trasmessa da suo padre, Gregorio-, e quattro anni dopo finì col diplomarsi con il massimo dei voti.
Suo padre sarebbe stato fiero di lui. Era quello che desiderava da tutta una vita: che i suoi genitori fossero fieri di lui, che riuscisse a farli sentir fieri d’aver un figlio come lui.
Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, trovò dieci chiamate ed otto messaggi da suo padre che voleva sapere se era arrivato, se andava tutto bene… e se aveva fame. Sorrise leggendo quell’ultimo messaggio, poi scrisse: ‘Sto bene, papà, tranquillo. Sono arrivato da due ore circa. Ho fatto una passeggiata sulla spiaggia, ma ora vado a casa perché sono stanco. Ci vediamo stasera, non fare tardi!
p.s. HO MOLTA FAME! PRENDI UN PAIO DI PIZZE!’
Lo inviò, per poi poggiare il cellulare sulla sabbia ed aspettare una risposta.
Respirò l’odore del mare, salsedine che si insinuava su per il naso. Ascoltò il rinsaccarsi delle onde, il piccolo sottofondo delle persone che chiacchieravano, gli strilli rauchi dei gabbiani… o come avrebbero detto in Spagna: el chillido de la gaviota.
Sentì il telefono squillare e lesse la risposta di suo padre: ‘Ma quale stanco!! Vieni subito allo Studio… STASERA FESTAAA!’.
 
 
Angolo autore:
Ciao a tutti!! Sono di nuovo io non so se qualcuno si ricorda di me, ma… eccomi! Questa  storia è molto simile all’altra ma non uguale. Detto questo, beh, fatemi sapere che ne pensate con una recensione, per favore. Baci.
_Ruggelaria

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.
 
 
Il sole era calato, lasciando posto alla luna piena, bella e brillante in cielo. Una perfetta sera d’estate… o almeno così pensava Leon.
Villa Vargas era particolarmente in confusione, quella sera. Camilla e suo fratello non facevano altro che gridare da almeno un’ora, ma i loro genitori non se ne curavano. Era in discussione l’arrivo di Violetta Castillo, il quale –specialmente- a Camilla dava molto fastidio.
“Ti ho detto che non la voglio più vedere in questa casa, Leon. Non quando ci sono anch’io. La discussione è finita”.
“Nient’affatto sorellina, credo che dovresti tener conto anche dell’opinione degli altri, per una volta. Con questo atteggiamento non andrai da nessuna parte”. Leon incrociò le braccia al petto, gli occhi verdi che ardevano mentre guardavano la ragazza rossa.
“Non mi sembrano importanti, le opinioni degli altri. Tengo conto solo quelle che m’interessano” rispose tranquilla.
“E quelle di tuo fratello non sono importanti, vero?”. Leon si sentiva offeso, sapeva che sua sorella era una di quelle ragazze che si lasciavano scivolare tutto addosso, che non aveva sentimenti, che non provava emozioni… ma davvero non riusciva a capirla.
“Non tutte”.
Leon sorrise, un sorriso amaro. Lo sapeva. Camilla era fatta così, non c’era modo di cambiarla. “Beh, non m’importa se non ascolterai le altre cose che ti dico, ma senti questa: non mi allontanerai da Violetta, mettitelo in testa una buona volta.”
E uscì, la porta sbattuta e i vetri della porta-finestra che vibravano.
Ma non era ancora finita. Camilla aprì la porta, raggiungendo suo fratello nel corridoio che stava per entrare in camera sua. “Sai, non ti conviene. E se ti dicessi una cosa della tua Violetta che tu non sai. Una cosa che ti farà cambiare idea su di lei?”.
Un sorriso comparve sulle labbra della rossa non appena vide l’espressione confusa sul viso di suo fratello. “Quale altra bugia vuoi inventare?”.
“Oh no, Leon… è tutto vero.”
 
 
 Violetta sapeva che aveva fatto un grande sbaglio ad accettare la proposta di Francesca ed andare alla festa. La musica –anche se era la sua passione, anche se l’amava più di ogni altra cosa al mondo… o quasi- era troppo alta, e le dava fastidio. I piedi le facevano male per via dei tacchi, per non parlare di Francesca che l’aveva lasciata sola per andar a cercare Maxi.
Una serata orribile! Per completare il tutto, il suo ‘passaggio’ le aveva mandato un messaggio dicendole che si sarebbero incontrati direttamente allo Studio, così aveva chiesto a suo padre di accompagnarla.
Gliel’avrebbe fatta pagare. Se l’era appena promesso quando lo vide scendere le scale dello Studio.
Era bellissimo come sempre. E come poteva non esserlo… in fondo era Leon Vargas.
Non appena la vide si fece spazio fra la gente, con la sua perfetta destrezza e quando arrivò davanti alla ragazza, Violetta notò che c’era qualcosa che non andava. “Ciao” disse con un’espressione confusa e curiosa “Tutto bene?”.
Leon scosse la testa, poi la prese per un braccio –delicatamente, ovvio- e la trascinò dentro l’aula di danza. “Dobbiamo parlare”.
Nel frattempo in mezzo alla pista da ballo Francesca stava dando il meglio di sé, insieme a Maxi –il suo migliore amico- e Lena, la sorella di Natalia Perez.
Camilla Vargas e Ludmilla Ferro fecero il loro ingresso nello Studio. Nata era proprio dietro di loro, insieme a Marco ed Andres. “Bello!” commentò Marco.
“Già visto. Tutto troppo scontato”.
“Camilla, per una volta potresti non liquidare tutto? Vorrei divertirmi!” la ribeccò Ludmilla.
“E da quando mi parli con questo tono?”.
“Non voglio discutere stasera” rispose la bionda fissando negli occhi la sua migliore amica, la sua complice.
“Bene, neanche io. E non voglio stare qui dentro. Andiamo fuori, c’è una cosa della quale voglio parlarvi”. E uscirono, lasciando la musica come sottofondo.
 
 
 “Cosa ti ha detto tua sorella?”. Violetta aveva il cuore a mille, la fronte sudata e decisamente non indossava né abiti né scarpe con cui si sentiva a suo agio e stava comoda.
Non aveva la forza di discutere con Leon.
“Niente. Non mi ha detto un bel niente. Voglio che sia tu a dirmi tutto.”
La ragazza fece un lungo e profondo respiro, cercò di calmarsi e di rallentare il battito… era molto agitata, e questo non andava bene… decisamente non andava bene.
Si sentiva svenire, le gambe stavano per cederle e le faceva male il petto. “Possiamo… possiamo parlarne un’altra volta?”.
Batté le palpebre, e Leon capì subito che stava per sentirsi male, un’altra volta. “Vilu, Vilu… stai bene?” domandò aprendo le braccia davanti a sé, pronto a prenderla se sarebbe caduta.
“Ho… ho solo…” e si portò una mano sul petto, all’altezza del cuore, il dolore era più forte. No, non poteva accadere di nuovo, non lì, non in quel momento. Respirò ancora, intervalli brevi e regolari, respiri lunghi e profondi, proprio come le aveva detto il dottore.
“Violetta…” sussurrò Leon in preda al panico. Molte volte, purtroppo, aveva assistito a quelle scene: Violetta che si sentiva male, e lui che non sapeva che fare, che non poteva far nulla! Si sentiva inutile!
Inutile.
La sua migliore amica, una delle sue ragioni di vita si sentiva male, era malata, e lui non poteva fare niente. “Violetta…” sussurrò nuovamente prendendola e facendola sedere sul parquet in legno, la schiena contro la parete. “Ascoltami, Vilu. Ora devi ascoltarmi… sei forte, so che ce la puoi fare… devi farcela, Violetta. Ti prego…” le prese la mano, e la strinse forte a sé.
Violetta continuò a respirare profondamente, intervalli brevi e regolari, gli occhi chiusi, la mano in quella di Leon.
Odiava quando lui la vedeva in quello stato, ma era una delle poche persone che riusciva a dargli la forza necessaria per riprendersi.
Aveva bisogno di Leon.
“Vilu, so che ce la puoi fare. Respira profondamente, rallenta il battito… Vilu, guardami, apri gli occhi” disse il messicano stringendo più forte la mano della ragazza.
“Guardami, Violetta. Guardami, apri gli occhi.”
E così fece. Il nocciola degli occhi della ragazza si mescolò con il verde smeraldo di Leon, occhi dentro occhi. “Respira… brava. Stai andando bene. Concentrati, Vilu. Guardami…”.
Leon era la sua ancora, la sua salvezza.
Avrebbe potuto vivere senza di lui?
Il battito cardiaco stava rallentando, i respiri erano quasi regolari, ed un leggero sorriso comparve sulle labbra di Leon. “Sei stata bravissima” sussurrò prendendole il viso fra le mani e poggiando la propria fronte su quella della ragazza. “…bravissima” ripeté, sentendo il cuore aprirsi in gioia fissando il leggero sorriso di Violetta, della sua Violetta.
“Leon, grazie. Lo sai che… sì insomma…”.
Leon sorrise ancora una volta, lasciandole il viso ed aiutandola ad alzarsi, subito dopo averle tolto i tacchi. “Sì, lo so. Vale lo stesso per me”.
 
 
Parlare con suo padre era stato alquanto liberatorio. La sera precedente era andato allo Studio, proprio come gli aveva detto Gregorio. Aveva festeggiato e si era divertito, ma non solo…
Da parte di suo padre, e del direttore dello Studio On Beat, era arrivata una proposta davvero molto interessante. Suo padre aveva informato Antonio, il direttore, che si era appena diplomato alla Dance Accademy of Spain, e che era un ballerino strepitoso… proprio come Gregorio.
Insomma, da quella mattina era l’assistente ufficiale di Gregorio Casal!
Diego aveva appena varcato la soglia dello Studio, quando sentì una voce dietro si sé chiamarlo. “Vedo che sei ansioso di iniziare a lavorare, eh… Proprio come tuo padre”.
Antonio Fernandez Vallejos, ma per tutti solo Antonio, lo stava raggiungendo con un sorriso dolce, le mani congiunte dietro la schiena ed un’andatura lenta ma discreta.
“Oh, Antonio! Buongiorno”.
“Buongiorno a te, Diego”.
“Ha visto mio padre? Vorrei ambientarmi nella classe prima dell’inizio delle lezioni” lo informò il ragazzo spagnolo, un sorriso eccitato sul viso entusiasta.
“Sì, certo! E’ nell’aula di danza. Vieni che ti mostro dov’è”, e s’incamminarono dentro la classe, dove trovarono Gregorio Casal intento a sistemare la piccola scrivania dov’erano poggiate i suoi oggetti personali.
“Diego, Antonio!”.
“Ciao, Gregorio. Ho incontrato tuo figlio nell’atrio, ed ho pensato di accompagnarlo qui, visto che è il suo primo giorno…”
“Ti ringrazio, Antonio” e con questo l’uomo anziano dai capelli bianchi e gli occhiali tondi sul naso, se ne andò, ma non prima d’aver strizzato l’occhio al giovane Casal ed avergli augurato un imbocca al lupo. “…bene, mio caro Diego, preparati perché ti strizzerò come uno straccio bagnato!”.
Diego Casal scoppiò in una risata dando un leggero pugno sulla spalla a suo padre. Quanto gli era mancato ridere e scherzare con lui! 
Una foto incorniciata e sistemata sul piccolo tavolo in legno, all’angolo dell’aula, catturò la sua attenzione. S’incantò a guardare la foto di lui da bambino. Lui e suo padre sorridevano soddisfatti mentre con una mano indicavano un enorme castello di sabbia.
Ricordava ancora che gli era costato diverse ore di fatica e che le onde del mare, la prima volta, lo avevano distrutto completamente.
Ma suo padre gli aveva sempre insegnato la virtù della pazienza, virtù che lui aveva applicato anche alla danza, e quindi con impegno avevano ricostruito il castello più lontano dalla riva.
Ciò che Diego aveva ignorato da bambino, e che ora gli sembrava perfettamente chiaro, era che durante la costruzione di quel castello, lui e suo padre, avevano costruito anche un po’ del loro meraviglioso rapporto.
Sorrise e distolse lo sguardo da quella foto, custode di uno dei momenti più felici della sua vita, e incrociò la sua figura nella parete ricoperta di specchi dell’aula di danza. Non era più il bambino di quella foto, era cresciuto ed era fiero della persona che era.
 
 
 Il cortile dello Studio era già pieno di gente perché le lezioni stavano per cominciare.
Era estate, e la scuola non era un problema, ma lo Studio richiedeva, se possibile, uno sforzo maggiore e quindi i ragazzi non erano esentati dal seguire le lezioni anche durante la stagione estiva.
Francesca e Violetta stavano avanzando tra la folla quando quest’ultima si sentì tirare per un braccio e fu costretta a voltarsi.
E chi altro poteva essere?
Quegli occhi verdi la lasciavano sempre senza fiato e le provocavano un tuffo al cuore. Alla bellissima visione composta dal verde degli occhi del ragazzo e dalla sua bellezza generale, si aggiunse il suo meraviglioso sorriso e subito Violetta si sentì lo sguardo furbo di Francesca addosso.
“Credo d’aver sentito Maxi che mi chiamava. Ci vediamo dopo a lezione” disse strizzando l’occhio all’amica prima di dileguarsi fra la folla.
“Come ti senti?” domandò dolcemente Leon spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Bene… adesso. Molto bene”. Il ragazzo le lasciò un bacio sulla guancia, per poi prenderla per mano ed avanzare nel cortile.
Più di una volta aveva pensato a lei come a qualcosa di più perché tra loro c’era sempre stato un rapporto… particolare. Ma nessuno dei due si era mai sbilanciato, forse per paura.
Non c’era mai stato neppure un bacio, solo continue provocazioni da parte di entrambi.
“Ti va di uscire, questa sera?”.
Violetta arricciò le labbra spostando lo sguardo altrove, il cuore che batteva per quella proposta che, anche se Leon gliel’aveva domandato tante di quelle volte che aveva perso il conto, era propensa ad accettare… poi pensò. “Mah, non saprei. Non ho così voglia d’uscire… in particolar modo con te. Dopo la scenata di ieri sera sono ancora arrabbiata”.
“Non avevamo fatto pace?”.
“No.” Rispose furba e schietta Violetta.
Leon incassò il colpo e sorrise estasiato.
Con un gesto rapido l’attirò a sé e poggiò la fronte sulla sua, fissandola intensamente con il suo solito sorriso che le toglieva il fiato. Le scostò una ciocca di capelli, nuovamente, e continuò a torturarla con lo sguardo senza dire nulla.
Sapeva, anche se non ne era del tutto sicuro, che la faceva impazzire almeno tanto quanto lei faceva impazzire lui con quei semplici sguardi.
Il loro provocarsi e il continuo tenersi testa, era un modo come un altro di dimostrarsi affetto, e questo lo sapevano entrambi.
Leon appoggiò entrambe le mani sul suo viso e lo tenne ben saldo, il sorriso che non svaniva.
Poi ad un tratto la lasciò andare e Violetta ebbe l’impressione di essersi appena svegliata da un sogno meraviglioso.
Quegli attimi con Leon avevano oscurato tutto il resto, avevano eclissato la realtà che li circondava e lei ora vi era stata catapultata di nuovo. “Stasera ti passo a prendere alle nove” disse con tono categorico Leon, indietreggiando. Violetta indietreggiò a sua volta.
“Te l’ho detto: non so se scenderò!” disse mordendosi il labbro inferiore e alzando le spalle. Leon rise e scosse la testa allontanandosi fino a voltarsi completamente e raggiungendo il gruppo dei suoi amici.
“Quando vi deciderete a stare insieme?” domandò Marco Tavelli, indicando con un cenno della testa Violetta, oramai di spalle.
Leon, che aveva ancora il sorriso stampato sul volto, si fece subito serio e diede una gomitata scherzosa all’amico.
“Marco!” ma non fu lui a gridare. Una rossa alle loro spalle aveva gli occhi fuori dalle orbite e il sangue al cervello. “Non provare a dire ancora una volta una cosa del genere!” esclamò Camilla Vargas, gli occhi di fuoco e le mani che tremavano per la rabbia.
Leon, che ne frattempo si era seduto, fissava sua sorella minore con uno sguardo ghiacciato, uno di quelli capaci di piantarti lame ghiacciate in fondo a cuore.
“E tu non guardarmi così! Sai perfettamente che ho ragione!”. Il ragazzo dagli occhi verdi non disse nulla, neanche dopo quella provocazione di Camilla.
La sera precedente, quando sua sorella gli aveva detto che lei sapeva alcune cose di Violetta Castillo delle quali lui non era a conoscenza, Leon le aveva sbattuto in faccia la porta della sua stanza ed aveva mandato un messaggio a Violetta, informandola che si sarebbero visti direttamente allo Studio. Così aveva iniziato a prepararsi, la musica al massimo volume.
Ma era vero, Camilla Vargas sapeva qualcosa della ragazza dai capelli mori che aveva fatto innamorare suo fratello.
“Non ti sopporto più, Camilla.” e detto questo diede una pacca sulla spalla al suo amico seduto accanto a lui, e disse: “Andiamo Marco, abbiamo lezione”.
 
 
Angolo autrice:
Buon pomeriggio, gente! Come state? Che ne pensate di questo secondo capitolo? Lasciatemi pareri ma soprattutto consigli se ne avete! Vorrei ringraziare le persone che hanno letto e recensito (ma anche solo chi ha letto) il prologo. Vi mando un grande bacio!
_Ruggelaria

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3.
 
 
Le condizioni atmosferiche di quella giornata estiva erano davvero ottime.
Violetta sentiva la pelle bruciare sotto il rovente tocco dei raggi di quel primo sole di Giugno. Sentiva il calore accarezzarle anche il viso e la sensazione le piaceva da matti.
La musica rimbombava nelle cuffiette, isolandola dal resto del mondo.
Una mano ghiacciata le sfiorò il ventre e Violetta sobbalzò di scatto. Il volto della sua amica Francesca le oscurò il sole, ma il suo meraviglioso sorriso compensò quell’assenza.
Francesca sembrava più bella e radiosa del solito con i capelli bagnati che sembravano più scuri e la pelle dorata per via dell’abbronzatura. L’ombra chiarissima di lentiggini che ricopriva le sue guance, sembrava più viva quel giorno.
“Sei ghiacciata, Fran!” si lamentò Violetta cercando di scostarsi per evitare le gocce gelide che cadevano dai capelli bagnati della sua migliore amica.
Francesca le tolse le cuffiette con un gesto rapido e le afferrò le mani, facendo leva sulle sue gambe per tirare su anche l’amica. Se Violetta non avesse affondato i piedi nella sabbia rovente e non si fosse opposta fortemente, Francesca avrebbe trascinato anche lei nella folle corsa che stava per intraprendere.
La ragazza italiana sbuffò all’opposizione dell’amica mise su un finto broncio. “C’è un sole splendido, l’acqua è meravigliosa e siamo in vacanza. Non puoi startene qui da sola tutto il tempo!” protestò Francesca incrociando le braccia.
La tesi dell’amica non faceva una piega, ma Violetta aveva troppi pensieri per la testa e se la sua amica voleva convincerla, avrebbe dovuto impegnarsi di più.
Francesca alzò gli occhi al cielo e prese a sbattere freneticamente il piede sulla sabbia, segno che stava pensando intensamente a qualcosa che potesse convincere l’amica a seguirla. “Federico e Leon sono in vantaggio a pallanuoto, e Maxi fa davvero schifo! Non vorrai dargliela vinta così?” chiese Francesca con sguardo furbo. Sapeva quanto Violetta fosse competitiva in tutto, soprattutto se si trattava di giocare contro Leon e di batterlo, e sicuramente aveva colto nel segno.
Infatti lo sguardo dell’amica si accese di colpo ma non ebbe neanche il tempo di accettare o declinare quell’invito che due forti braccia, congelate come la mano dell’amica, la afferrarono per la vita.
In un attimo si ritrovò a testa in giù, sorretta da una spalla che conosceva fin troppo bene.
Leon.
Picchiò forte con i pugni sulla schiena del ragazzo, ma invano: Leon non sembrava avere intenzione di fermarsi e il rumore delle onde che s’infrangevano sul bagnasciuga era sempre più vicino.
“Leon, mettimi subito giù!” urlò la ragazza, nervosa come non mai.
Neanche il tempo di protestare che si ritrovò completamente bagnata. L’acqua era gelida e i brividi di freddo non tardarono ad arrivare.
Leon stava fermo davanti a lei a godersi lo spettacolo che era.
Era furiosa e il ragazzo già si pregustava il momento in cui gli avrebbe urlato contro. Adorava farla arrabbiare, forse tanto quanto amava il suo sorriso, i suoi occhi… Forse era una delle cose che preferiva di più.
“Leon Vargas!” gridò lei scostandosi i capelli bagnati da un lato. Il ragazzo non riuscì a trattenere una risata e Violetta, irritata, gli diede le spalle.
“Senti freddo, Vilu?” la provocò ridendo ancora sotto i baffi.
“Ti ricordo che sono ancora arrabbiata con te per la storia di ieri sera, Leon! Non provocarmi!” lo zittì Violetta, voltandosi di colpo e puntandogli il dito contro.
Lo superò con l’intento di uscire e tornare al sole con la musica nelle orecchie, ma Leon l’afferrò per il polso e l’attirò a sé.
Si ritrovarono –ad un tratto- con i volti molto vicini, occhi dentro occhi. Le mani di Violetta erano poggiate al petto di Leon e lui la teneva stretta per i fianchi, quel sorriso furbetto ancora stampato sul volto. “Facciamo pace?” chiese il ragazzo mordendosi il labbro inferiore.
Violetta fece finta di pensarci su, poi si sciolse in un sorriso e prima che Vargas potesse fare qualsiasi cosa lo spinse facendolo cadere in acqua, esplodendo poi in una risata.
Lei e Leon avevano sempre avuto un rapporto alquanto… strano. Non c’era mai stato niente tra loro, erano semplicemente grandi amici, eppure… Violetta aveva sempre avvertito qualcosa quando era con Leon, e non poteva negare di sentire una forte attrazione nei confronti del ragazzo; ma nessuno dei due si era mai spinto oltre.
“Ehi, voi due! Venite a giocare o no?” gridò Maxi.
I due si scambiarono uno sguardo complice e raggiunsero gli altri.
 
 
 “Dov’è Leon?” domandò Ludmilla Ferro entrando in casa Vargas guardandosi intorno. “Avevamo deciso d’incontrarci tutti qui, oggi pomeriggio!”.
“Natalia muoviti ad entrare!” gridò Camilla Vargas notando la ragazza riccia sull’uscio della porta. “Per quanto riguarda Leon…” e storse la bocca, un’espressione stanca sul viso “…non appena la sua piccola ed innocua Violetta gli ha detto che lei ed il suo gruppo di amici sarebbero andati in spiaggia, non ha esitato un secondo a seguirla come un cagnolino. Patetico.”
Nel frattempo Ludmilla e Nata si erano accomodate sul divano in pelle rossa che spiccava nel salotto di Villa Vargas.
Un ticchettio di passi che si avvicinavano era sovrano del silenzio che si era creato “Ciao ragazze!” esclamò la signora Vargas.
Lucinda Vargas era una donna elegante, sofisticata e che voleva essere al corrente di tutto ciò che accadeva nella sua famiglia. Indossava un elegantissimo vestito nero, dei tacchi alti color argento, dei guanti di raso bianco –lunghi fino al gomito- una lunga collana di perle ed un paio di orecchini che si abbinavano al girocollo.
“Salva signora Vargas!” salutarono all’unisono Ludmilla Ferro e Natalia Perez.
“Sta andando ad un ricevimento?” domandò Nata sorridendole.
“Oh, sì. E sono anche il ritardo! Mio marito mi sta aspettando fuori, meglio che vada.” e s’avviò verso la porta, ma mentre stava per afferrare la maniglia d’ottone della grande porta di legno, si voltò nuovamente verso le tre ragazze che la stavano fissando.
“Camilla, tesoro… dov’è tuo fratello? Sono quasi le otto…”
La ragazza rossa fece una smorfia con il viso “E’ corso dietro a Violetta Castillo. Sono in spiaggia…”
Lucinda Vargas sorrise, un sorriso di una madre amorevole, che si preoccupa per i figli, che li accudisce quando sono malati. “Oh, mi è sempre piaciuta quella ragazza! D’accordo, ci vediamo più tardi. Salve, ragazze!”.
“Arrivederci!”. Ma la signora Vargas era già uscita, richiudendosi la porta di casa dietro le spalle.
Ludmilla Ferro si voltò verso la ragazza dai capelli rossi, un’espressione stupita sul viso. “Ai tuoi piace Violetta? Meraviglioso!” esclamò con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
“Oh, sta zitta, Lud! Piuttosto… dove sono Marco ed Andres?”.
“Arrivano. Invece dimmi tu una cosa: perché ci hai chiamati qui con tanta urgenza?”.
Camilla Vargas sorrise, poi accavallò le snelle gambe ricoperte dal tessuto dei jeans “Perché voglio dimostrare al mio caro fratellino che la sua tenera ed innocua Violetta non è la santarellina che crede…” spiegò “…e voi mi darete una mano.”
 
 
 “Ma quanto ci hai messo!” esclamò Leon Vargas porgendo il casco alla ragazza mora che stava avanzando verso di lui, ancora spaesato per tutto il tempo che aveva aspettato fuori. “Non voglio esagerare, ma è mezz’ora che ti aspetto qui fuori!” protestò.
Violetta alzò gli occhi al cielo e afferrò il casco, mettendosi poi sulle punte e sporgendosi verso il ragazzo per dargli un bacio sulla guancia.
La ragazza, che ormai era abituata, salì in sella alla moto con un gesto rapido e atletico, e subito Leon mise in moto. Non si allontanarono molto e Leon parcheggiò la moto davanti ad un parco per bambini.
Violetta corse subito verso le altalene e Leon la raggiunse subito con una busta in mano.
Da lontano la ragazza ci mise un po’ per capire di cosa si trattasse, ma quando Leon si sedette sull’altalena accanto a quella occupata da lei, non poté non sorridere.
“Ne avevo bisogno.” si giustificò Leon tirando fuori delle patatine fritte dalla busta del Burger King.
Violetta gli strappò gli strappò subito la busta dalle mani, alla disperata ricerca del suo hot brownie al cioccolato, con gelato sopra. “Diciamo che non te lo meriteresti… ma ho voluto chiudere un occhio.” scherzò Leon mentre la sua amica si era completamente avventata sul suo dolce.
“Con questo ti perdono tutte le cazzate che farai da qui ad un mese!” esclamò la ragazza, la bocca già tutta sporca di gelato.
Leon si lasciò andare ad una risata e lei non poté fare a meno di ammirare quel volto e quel sorriso. Il suo migliore amico era bellissimo, e il lato negativo era che non sarebbe mai potuto essere qualcosa di più. Ma in fondo… lei voleva davvero che lui fosse qualcosa di più?
Il cuore le si bloccò per una frazione di secondo che le parve eterna, come per ricaricarsi, per poi riprendere a battere ad un ritmo forsennato. “Mi hai davvero letto nel pensiero” disse Violetta riponendo nel sacchetto, ormai vuoto, l’altrettanto vuoto pezzo di plastica che avvolgeva il suo brownie.
“Io ti leggo sempre nel pensiero.” rispose il ragazzo con l’aria di superiorità.
Violetta si alzò in piedi e gli si parò davanti con un sorriso furbetto stampato sul volto. “Ma davvero? Vediamo, cosa sto pensando adesso?” chiese incrociando le braccia.
Leon gettò il cartone vuoto delle patatine nel sacchetto che la ragazza aveva lasciato a terra, e poi si alzò in piedi, parandosi davanti a lei.
Di nuovo occhi dentro occhi, come quel pomeriggio al mare. Le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, spostando lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra carnose, che quella sera sembravano volerlo tentare più del solito.
Leon l’afferrò per i fianchi, attirandola ancora di più a sé, mentre il cuore di Violetta continuava ad accelerare come per volerla avvertire di fermarsi, prima che fosse stato troppo tardi.
Lo sguardo di Leon era chiaro e i suoi occhi le stavano guardando dentro, stavano leggendo la sua storia come un libro aperto. Era una strana sensazione… si sentiva vulnerabile e incapace di qualsiasi reazione.
Il ragazzo si avvicinò quasi a coprire tutta la distanza che c’era tra i loro visi, ed entrambi ebbero un sussulto. Stava per succedere di nuovo, stava per ricominciare il loro gioco di seduzione. Leon riusciva a farla eccitare con dei semplici sguardi, con delle carezze e con quei sorrisi mozzafiato, e il che era preoccupante.
Cosa sarebbe potuto accadere se l’avesse baciata?
Avrebbe perso ogni controllo su se stessa, ne era certa.
Violetta gli avvolse le braccia intorno al collo, e appoggiò la fronte a quella dell’amico, stando attenta a non interrompere il contatto visivo ed a non perdere di vista quelle labbra che imploravano d’essere baciate.
Leon la cinse completamente tra le sue braccia, e la strinse ancora di più a sé, facendola sussultare. Adorava cogliere ogni suo gesto, ogni sua sensazione… adorava studiare ogni ua reazione. “Non mi hai ancora detto a cosa sto pensando” gli sussurrò piano Violetta, con quasi voce tremante.
Leon in quel momento non poté non notare tutta la dolcezza che esprimevano quei lineamenti delicati, quel viso perfetto e bellissimo e non poté tuttavia ignorare il crescente desiderio che sentiva, in quel momento, più che mai, di baciarla.
La tenne ancora sulle spine, gustandosi il suo sguardo curioso che attendeva una risposta, quando la bolla che sembrava avvolgerli ogni volta che stavano insieme, scoppiò all’improvviso, catapultandoli di nuovo nella realtà. “Leon, sei tu?” chiese una voce in lontananza.
I due si allontanarono l’una dall’altro in un attimo, come due bambini che erano stati sorpresi a rubare caramelle, voltandosi poi entrambi verso la direzione da cui era provenuta la voce.
 
 
 “Stai sbavando. Di nuovo.”disse Francesca piazzandosi davanti a Maxi, le braccia incrociate.
Il ragazzo distolse velocemente lo sguardo, come se fosse stato appena svegliato da un sogno bellissimo. “Cosa? No, io stavo solo…” balbettò imbarazzato il ragazzo, passandosi una mano dietro la testa.
La ragazza italiana annuì sgranando gli occhi, le braccia ancora conserte, in attesa di una risposta che potesse convincerla. “Io volevo solo vedere se… Ma insomma, si può sapere cosa vuoi?” sbottò il ragazzo accigliandosi. “E poi non sto sbavando!” aggiunse, toccandosi con il dito le labbra per assicurarsi di star dicendo la verità.
Francesca esplose in una risata e iniziò ad incamminarsi verso l’aula di canto. “Ma quando capirai che Nata non ti noterà mai?” urlò lei nel bel mezzo del corridoio.
Con uno slancio fulmineo Maxi le fu accanto, sbracciandosi nel tentativo di chiuderle la bocca. Ma purtroppo non aveva fatto in tempo e Nata si era voltata verso i due, scrutandoli in modo strano, e con un po’ di colorito sugli zigomi.
Maxi le rivolse un sorriso imbarazzato e alzò leggermente la mano intimorito, indeciso se rivolgerle un saluto o no.
In tutta risposta la ragazza si allontanò, insieme alla sua amica Ludmilla Ferro, come se non fosse successo nulla. “Ma come fai a rovinare sempre tutto?” chiese Francesca incredula allargando le braccia.
“Ma vuoi abbassare le voce! Come ti salta in mente di urlare in questo modo in corridoio?” domandò Maxi altrettanto incredulo. “E grazie per avermi fatto fare un’altra bella figuraccia con la ragazza dei miei sogni!” continuò stizzito guardandola fisso negli occhi.
“Scusa, cercavo solo di aiutarti…” ammise Francesca, visibilmente dispiaciuta. La ragazza italiana abbassò lo sguardo perché si sentiva realmente in colpa. Non voleva assolutamente mettere in ridicolo Maxi, era il suo migliore amico!
Il ragazzo sospirò comprensivo e subito si sciolse in un sorriso. “Fran, so che avevi le migliori intenzioni come sempre ma… forse è meglio che io ci provi da solo” disse lui nel tentativo di farla sentire meno in colpa. Francesca gli voleva davvero bene e lui ne voleva davvero a lei. Erano amici da una vita e senza di lei non sapeva proprio come fare, solo che… certe volte era troppo invadente.
“Sbaglio tutto. Sbaglio sempre tutto!” ammise l’italiana più a se stessa che all’amico. Maxi la guardò attentamente, scorgendo sul suo volto i soliti dettagli che aveva sempre ammirato: la pelle liscia e morbida, molto abbronzata in quel periodo, le leggere fossette ai lati della bocca, e quel leggero velo di lentiggini che incorniciavano quel volto perfetto.
Maxi le si avvicinò ancora di più e le accarezzò il braccio con fare amichevole. “Non hai sbagliato, Francesca. Volevi solo aiutarmi e lo apprezzo davvero tanto.” la consolò il ragazzo, cercando il suo sguardo. “E poi non è colpa tua se m’innamoro sempre della persona sbagliata.” aggiunse .
Francesca alzò lo sguardo cercando conforto negli occhi castani dell’amico. “Quindi… non ce l’hai con me, vero?” chiese un po’ titubante. Maxi si sciolse nuovamente in un sorriso, le circondò le spalle con il braccio e la condusse per il corridoio fino all’aula di canto. “Non potrei mai avercela con te, Francesca.” disse prima di varcare la porta dell’aula insieme all’amica.
 
 
Angolo autrice:
Ciao!! Tutto bene? Che pensate di questo capitolo? E’ molto Leonettoso, lo so *------* purtroppo non ho molto tempo per ‘commentare’, ma voi lasciatemi un parere e dei consigli se ne avete!! ;) Vi mando un grande bacio!
_Ruggelaria

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4.
 
 
Violetta quella mattina si era svegliata di pessimo umore. La sera precedente aveva creduto di poter avere finalmente delle risposte e di poter finalmente scoprire la sensazione che si provava a baciare quelle labbra.
Se solo quell’Alex non li avesse interrotti!
“Leon, sei tu?” ripeté la voce, questa volta più forte. Il ragazzo subito la lasciò andare e Violetta percepì subito l’assenza delle sue braccia intorno al proprio corpo. Sentì improvvisamente freddo e lo avvertì anche dentro di sé.
Qualcosa le diceva che quello era il momento, era l’occasione che stavano aspettando senza più paure e orgoglio… e loro l’avevano lasciata andare.
“Alex, che ci fai qui?” chiese Leon avvicinandosi al ragazzo visibilmente preoccupato.
Alex era castano, aveva la carnagione chiara e due occhi grandi color nocciola, che illuminavano il tutto, ma in quel momento non sembrava essere proprio in forma.
Leon si avvicinò ancora di più e intravide gli abiti dell’amico completamente sporchi di fango, gli occhi che non ne volevano sapere di restare aperti.
Alex tentò di andargli in contro ma inciampò e se Leon non fosse scattato per prenderlo, sarebbe caduto con la faccia a terra.
Dall’odore di alcool che aleggiava intorno al ragazzo, si poteva intuire il tipo di serata che aveva trascorso. “Ma guarda come sei ridotto!” lo riprese Leon, parlando più a se stesso che all’amico.
Lo aiutò ad alzarsi e lo convinse a camminare fino ad una panchina più vicina.
Violetta da lontano non era riuscita a vedere molto ma subito aveva compreso che qualcosa non andava, e quando vide Leon dirigersi verso la panchina vicino alle altalene, lo raggiunse automaticamente.
Il ragazzo messicano le rivolse uno sguardo dentro il quale Violetta colse il suo stesso dispiacere per quell’inopportuna interruzione, poi s’inginocchiò davanti all’amico e gli rivolse una serie di domande per cercare di capire cosa lo avesse spinto a bere fino a quel punto.
Alex infatti, sembrava esser su un altro pianeta, e non la smetteva di alternare risate sguainate a pianti isterici e disperati.
Ad un tratto la sua attenzione fu catturata dall’esile figura di Violetta, che ancora un po’ scossa, se ne stava un po’ in disparte a guardare il tutto. “Io ti conosco!” esclamò eccitato Alex, puntandole il dito contro “Tu sei quella che fa la preziosa con il mio amico, Leon! Ti ho vista alla pista di motocross qualche giorno fa, io…” ma non terminò la frase che si portò una mano alla bocca e, dando le spalle ai due, si accucciò dietro la panchina.
Sul viso dei due amici comparve un’espressione disgustata.
Violetta s’irrigidì al ricordo di ciò che aveva detto l’amico di Leon. Sentì uno strano bruciore proprio alla bocca dello stomaco.
Cos’altro aveva detto?
‘Tu sei quella che fa la preziosa con il mio amico, Leon!’. Quindi era così che Leon la descriveva agli occhi dei suoi amici? Quella che faceva la preziosa?
Per una frazione di secondo fu felice e soddisfatta di non aver dato quel bacio all’amico. Non solo si sentiva offesa e arrabbiata, ma anche delusa.
Il freddo che si era fatto strada dentro lei quando Leon aveva sciolto quella stretta, si tramutò in puro gelo.
E così Leon la credeva solo una bambina che si divertiva a giocare con lui, eh? Beh, sicuramente da lei non avrebbe più avuto nemmeno un minimo di attenzioni.
“Violetta, detta anche la ‘preziosa’.” si presentò la ragazza tendendo la mano al ragazzo e lanciando un’occhiataccia a Leon.
Alex le strinse la mano sorridente e soddisfatto come non mai, ma subito il suo viso mutò espressione: si chinò verso il basso, ancora una volta, e Violetta fece appena in tempo a scostarsi per evitare che il ragazzo vomitasse sulle sue scarpe.
“Lui… è Alex, e anche se non sembra, è molto felice di conoscerti.”
Uscì di casa senza salutare nessuno e si avviò allo Studio, sperando di riuscire a distrarsi un po’.
“Io credo che dobbiate provare.” disse Francesca determinata, mentre si piegava completamente su una gamba per riscaldarsi prima della lezione.
“Sai quanto m’innervosisca questo discorso, Francesca. Non parliamone più.” rispose secca Violetta tirandosi su i capelli e improvvisando un piccolo chignon.
“Se t’innervosisci è perché ti interessa.” commentò Lara alzando le spalle.
Come poteva riuscire a distrarsi con due amiche del genere? Non facevano altro che parlarle della sua situazione con Leon e del fatto che dovessero provare a stare insieme.
“Lara, non ti ci mettere anche tu per favore.” la pregò la ragazza, rivolgendole un’occhiataccia. Lara alzò gli occhi al cielo e prese anche lei a dedicarsi allo stretching.
“Cos’avete fatto ieri sera?” domandò Francesca imperterrita. Violetta, che aveva appena iniziato i suoi esercizi di riscaldamento, dovette fare una serie di respiri profondi per non cominciare ad urlare.
“Siamo stati ad un parco vicino casa mia, abbiamo mangiato roba del Burger King e parlato. Contenta?” sbuffò Violetta.
Francesca le rivolse uno sguardo indagatore, la fronte corrugata, segno che aveva intuito che qualcosa non andava. “Oggi mi sembri più nervosa del solito.” sentenziò tirandosi completamente su e parandosi di fronte all’amica.
“Dai, sputa il rospo!” esclamò Lara, affiancando la mora. Non c’era una via d’uscita, non c’era niente o nessuno che potesse distrarla e non farle pensare per un attimo a Leon, ed a quello che c’era sempre stato tra loro. L’immagine di loro due, stretti l’uno all’altro nel buio di quel parco, si fece sempre più nitida nella sua mente.
“Stava per succedere… stavamo per baciarci.” disse Violetta con un sospiro.
Francesca e Lara sgranarono gli occhi incredule, e la incitarono ad andare avanti.
“Solo che poi è arrivato un suo amico, sai, quell’Alex? Viene alla pista di motocross…” continuò guardando la sua amica Lara, la quale frequentava la pista di motocross come Leon ed Alex, ma lei lì lavorava anche come meccanico. “…e ieri non era molto in sé per via di qualche birra di troppo e così… niente.” spiegò la ragazza alzando le spalle.
Sembrava triste ma si sentiva anche peggio. Prima che le sue due amiche potessero dire qualcosa in proposito, le fermò con un gesto delle mani. “E’ stato meglio così, credetemi. Leon non ha proprio una buona opinione di me.” aggiunse Violetta con lo sguardo perso nel vuoto, sforzandosi subito dopo di sorridere.
Francesca le prese la mano e le rivolse un debole sorriso. “Vilu, non devi per forza essere sempre forte.” disse la mora quasi sussurrandolo.
 “E tantomeno devi avere paura di esternare i tuoi sentimenti. Leon è un tuo amico, ed è normale che tu ci sia rimasta male se ha detto o fatto qualcosa di sbagliato.” aggiunse Lara, poggiandole una mano sulla spalla.
Violetta si lasciò sfuggire una risata forzata e cercò ancora di sorridere. “Io non faccio la forte. Semplicemente non mi aspettavo che pensasse certe cose di me.” insistette, cercando di mostrarsi più convincente possibile.
“E si può sapere cosa pensa di te?” chiese Francesca, incrociando le braccia.
“Perché non lo chiedete a lui visto che è qui?” rispose Violetta con fare sarcastico, superando le amiche e dando una spallata di proposito a Leon, che intanto le aveva raggiunte.
“E’ ancora arrabbiata con me, vero?” chiese il ragazzo con un’espressione preoccupata sul volto. Francesca e Lara annuirono, e quest’ultima stava per chiedere al ragazzo cosa le avesse mai detto di tanto grave da averla fatta innervosire così tanto, ma Gregorio aveva fatto il suo ingresso nell’aula, seguito dal ragazzo spagnolo che aveva detto d’esser suo figlio.
 
 
 Camilla Vargas stava percorrendo il piccolo tragitto che divideva il parcheggio dai box.
Il terreno era un sbrecciato, e con le sue costosissime e meravigliose scarpe con i tacchi, era alquanto difficile camminare senza problemi.
Arrivò al delimitare dei box con una caviglia quasi slogata a causa di una storta.
“Serve qualcosa, signorina?” una voce maschile adulta attirò la sua attenzione. Si voltò, sempre con cautela, non voleva di certo cadere un’altra volta, soprattutto davanti a qualcuno.
Trovò davanti a sé un uomo di circa quarant’anni –anno più, anno meno-, un’ombra di barba bianca sul viso, gli occhi marrone chiaro, ed i corti capelli mori mossi leggermente dal vento.
La guardava incuriosito. Certo, non capitava di vedere tutti i giorni una bella ragazza, soprattutto lì, e soprattutto vestita in quel modo.
“In realtà, sì. La ringrazio… cercavo Alex Galàn. Mi hanno detto che corre qui.” rispose Camilla sorridendo, cercando di convincere l’uomo.
“Sì. E’ qui.” rispose “Cosa vuole da lui?”.
“Oh…” e si spostò una ciocca dei capelli rossi dietro l’orecchio, il sorriso e lo sguardo seducenti sempre presenti. Avanzò di qualche passo ed infilò le mani nelle tasche del giubbotto “…vede, siamo compagni di classe, e ci hanno assegnato un lavoro da fare insieme.”
Ma l’espressione sul viso dell’uomo le diceva che se voleva convincerlo, doveva impegnarsi di più.
“Alex mi ha dato appuntamento qui.” continuò Camilla.
Passò qualche secondo, poi l’uomo tese la mano nera, sporca di grasso e disse: “Nicolas Galàn.”
Camilla Vargas aprì leggermente la bocca, stupita d’aver parlato con il padre del ragazzo che stava cercando. Ora che ci faceva caso, in realtà i due si somigliavano un po’.
Certo, aveva visto Alex qualche volta, e sempre da lontano, ma qualche lineamento era del padre.
“Oh, piacere signor Galàn!” esclamò la ragazza tirando fuori la mano dalla tasca e stringendola all’uomo.
“Piacere mio, signorina. Aspetti qui, chiamo mio figlio…” e si avviò verso i box, con un leggero sorriso sulle labbra, poi si voltò, un dito alzato sulle labbra “…chi devo dire che lo aspetta?”.
Camilla Vargas alzò leggermente gli angoli della bocca, un sorriso furbo tanto quanto l’espressione sul volto. “Violetta Castillo.”
Nicolas Galàn le sorrise ed entrò nei box, mentre i lunghi e rossi capelli di Camilla ondeggiavano al vento, quel sorriso sempre presente.
Aveva un piano. Un bel piano.
Suo fratello, Leon, avrebbe visto con i suoi occhi che la ragazza del quale era innamorato, non era dolce ed innocente come credeva davvero.
Odiava Violetta Castillo dal primo momento che aveva messo piede allo Studio. Era arrivata con il suo talento, la sua bellezza e tutte quelle cose che Camilla già aveva…
Non era invidiosa, ma quella ragazza le faceva una tale rabbia che si era promessa che avrebbe fatto di tutto per screditarla agli occhi di tutti, specialmente di suo fratello.
Faceva tutto quello anche per lui, perché –che Leon ci credeva o no- lei gli voleva bene, era suo fratello maggiore –anche se solo di un anno- ed anche se litigavano ogni due per te, se non andavano mai d’accordo erano una famiglia, e la famiglia veniva prima di tutto; prima dello Studio, prima di Violetta, prima delle liti e di tutto il resto.
Sì, Camilla voleva bene a suo fratello.
Ma Leon le voleva bene?
Un paio di minuti dopo, sentì dei passi avvicinarsi e voltandosi verso la direzione nella quale era sparito –poco prima- il padre di Alex, ecco che lo vide tornare accompagnato da suo figlio.
Nicolas Galàn si bloccò al limitare dei box, mentre Alex lo sorpassò dandogli una pacca sulla spalla e raggiungendo la ragazza rossa.
Prima di parlare, Camilla fu certa che fossero solo loro due, poi sorrise all’amico di suo fratello.
“Perché hai detto a mio padre di chiamarti Violetta?”.
“Oh, caro. Io uso il mio nome solo quando mi conviene.” rispose la rossa sorridendogli.
“E non credi che adesso ti convenga farmi sapere chi sei?”.
“La sorella di Leon Vargas.” si presentò Camilla porgendo la mano, la quale il ragazzo francese strinse con un’ombra di sorriso malizioso sulle labbra.
“Non vi somigliate per niente.” commentò.
“Già. Ce lo dicono molte persone.”
Alex incrociò le braccia al petto dopo aver tirato un lungo sospiro “Suppongo che tu non sia venuta qui solo per presentarti, vero?”.
Camilla rise, le labbra rosse, ricoperte da uno strato di rossetto, curvate verso l’alto “Quanto sei perspicace, ragazzo! Ma sì, sono venuta qui per chiederti un favore.”
“Un favore? A me?” chiese incredulo puntandosi un dito contro “Ma se neanche ci conosciamo!”.
“Giusto un’altra volta. Ma appunto che non ci conosciamo sono venuta da te.” alzò un sopracciglio come a chiedere se fosse d’accordo.
Alex esitò qualche secondo, gli occhi ridotti a due fessure per scrutare meglio quella ragazza che aveva detto di essere la sorella di Leon Vargas, ma che si era annunciata come Violetta Castillo.
In un secondo gli balenò in mente i due momenti nei quali aveva visto quella dolce ragazza esile e bellissima: la sera precedente, della quale si ricordava poco e niente, e qualche giorno prima lì, alla pista di motocross, quando lei stava aspettando Leon ed Alex l’aveva affiancata, e…
“Allora? Ti va di farmi questo favore?”.
Il ragazzo francese tirò un sospiro, poi disse: “Di cosa si tratta?”.
 
 
 Natalia Perez era distesa sul suo letto, un libro aperto fra le mani e gli occhiali da lettura sul naso.
Era tardo pomeriggio, quasi l’ora di cena, e non appena era tornata dal mare, dov’era stata insieme a sua sorella, Lena, Ludmilla e Marco, si era gettata sotto la doccia e si era infilata la prima cosa comoda che aveva trovato: un paio di vecchi pantaloncini di una vecchia tuta, ed una canottiera che qualche anno prima utilizzava per dormire, e che nell’ultimo biennio gli andava larga.
Sì, una volta Natalia Perez aveva qualche chilo in più, ma né la sua famiglia né i suoi amici glielo facevano pesare.
Certo, Camilla Vargas qualche volta se ne usciva con una brutta battutina, ma riceveva subito delle occhiatacce dal resto del gruppo, e con il tempo aveva smesso, anche perché Natalia aveva un fisico bellissimo… ma lei sembrava non notarlo.
Pensava di essere ancora la ragazza che si vergognava di spogliarsi in spiaggia, la ragazza che non indossava mai un vestitino perchè altrimenti i suoi pochi chili in più sarebbero stati notati, quella che nessun ragazzo notava; ma non era assolutamente così.
Nata era bellissima, e questo tutti lo sapevano, perché era la verità.
Ogni volta che sua sorella la trovava a fissarsi allo specchio, che la vedeva toccarsi il ventre piatto, le snelle cosce, cercava in tutti i modi di farla sorridere perché, come tutte le ragzze, anche Nata invidiava da morire Camilla Vargas.
“Devi smetterla di paragonarti a lei.” le diceva Lena mettendole una mano sulla spalla “Lo sai che sei bellissima, non hai bisogno di invidiarla.”
Ma Nata non era convinta. Sapeva che la giovane Vargas era molto più bella di lei, e questo l’aveva accettato, in un certo senso; la cosa che non riusciva a non invidiarle era il fisico.
Come faceva ad essere così magra, così perfetta?
“Parli facile, tu. Non hai nessun problema, e mai ne hai avuti!” gli occhi erano lucidi, e le mani tremavano. Così Lena l’abbracciava forte, proprio come fanno due sorelle che si vogliono un mondo di bene.
In quel momento Nata sentì bussare alla porta. Si sfilò gli occhiali e pose il segnalibro dov’aveva interrotto la lettura. “Avanti.” disse.
Dalla porta sbucò l’esile figura di sua sorella, sorridente come sempre. Nata non ricordava un giorno della sua vita dove non avesse visto Lena sorridere.
Era la sua gioia, la sua speranza, nonostante fosse più piccola di lei… ma forse era proprio questo il punto.
“Guarda cos’ho qui!” esclamò entrando completamente nella stanza della sorella maggiore e sedendosi sul letto di fronte a lei.
Fra le mani aveva un vestitino color pesca, il tessuto leggero e bellissimo. “E’ bellissimo, Lena! Quando lo metterai?” domandò Nata sorridendole curiosa della risposta.
“Ma non è per me! E’ per te!”.
Natalia si accigliò, il cuore che le pulsava veloce contro la gabbia toracica… “Avanti, alzati!” le ordinò la ragazza “Voglio vedere come ti sta.”
“No! Lena tu sei pazza! Non posso indossare questo vestito. Mi scoprirebbe troppo le gambe, e con queste cosce che mi ritrovo! No, no. Non se ne parla!”.
“Oh, ma piantala! Non dirlo neanche per scherzo. Alzati.”
Nata provò ad opporsi un’altra volta, ma sapeva che sua sorella l’aveva sempre vinta, così si alzò dal letto e provò il vestito.
Si posizionò davanti allo specchio: il pesca che metteva in risalto la sua carnagione abbronzata, la scollatura a cuore e lo spacco in mezzo al seno che si appropriavano del petto possente, e il leggero tessuto che le ricadeva perfettamente sui fianchi presenti, ma non eccessivi.
“Ecco… te l’avevo detto. Sei bellissima, Nata.” le disse entusiasta Lena, la quale batteva le mani e saltava sul posto, il sorriso a trentadue denti che spiccava sul viso. “Ho indovinato anche la taglia.”
“Lena, io… non so che dire. Io… grazie. E’ bellissimo, è davvero meraviglioso!” esclamò felice, sorridente. E per la prima volta si sentiva bella, era bella.
Si voltò verso sua sorella e l’abbracciò amorevolmente, lasciandole poi un dolce bacio sulla guancia. “Sai, potresti indossarlo per un appuntamento con quel ragazzo che abbiamo visto al mare oggi…” propose furbamente la ragazza gettandosi sul letto della sorella, le braccia dietro alla nuca.
Nata, che stava ancora ammirando il suo riflesso allo specchio, si voltò rapidamente e sgranò gli occhi.
 “Com’è che si chiama? Ah! Certo, Maxi…”.
Il cuore di Nata adesso batteva ancora più velocemente, sentiva che stava per uscire dalla gabbia toracica e cadere lì, sul pavimento della sua stanza. “Ma come ti salta in mente! A me non piace Maxi. E poi anche se dovesse piacermi…” ed abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi “…io non piaccio a lui.”
Lena scoppiò in una fragorosa risata, la testa gettata indietro sul cuscino “Ma cosa vai dicendo, sorellina! Oggi ti mangiava con gli occhi! E poi la sua amica, quella con i capelli scuri… sì dai, quella italiana…”
“Francesca?”.
“Sì, lei! Non l’hai sentita mente gli diceva di venirti a parlare?”.
Natalia scosse la testa, ma in realtà sì, aveva sentito Francesca Cauviglia dire qualcosa del genere a Maxi… il ragazzo che le piaceva da molto, molto tempo.
Ma era sempre stata troppo codarda per andarci a parlare, ed a quanto pareva anche lui lo era. Perciò non sarebbe mai potuto accadere nulla.
“Beh, gliel’ha detto. Quindi aspettati una proposta da un momento all’altro.” disse Lena alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta “E adesso hai anche un vestito perfetto. Mi ringrazierai quando sarà il momento, sorellina.” ed uscì, ma non prima di averle strizzato l’occhio.
 Nata si sedette sul letto afferrando il computer poggiato sulla scrivania lì accanto, ed accedendo al suo account di Facebook, scrisse nella barra di ricerca: ‘Maxi Ponte’.
Si chiamava Maximiliano, ma da tutti era chiamato Maxi.
Aprì la foto del profilo e vide che era recente. C’erano sei, forse sette persone: Francesca che era sulle spalle di Federico, Violetta accanto a Leon ed una mano sulla sua spalla, mentre il ragazzo dagli occhi verdi le cingeva la vita con un braccio attirandola a sé, Lara Valente che scompigliava i ricci capelli di Maxi, e –Nata aguzzò la vista- c’era anche sua sorella!
Ma allora aveva fatto finta di non ricordare i nomi dei suoi, a quanto pareva, amici.
Ma perché l’aveva fatto?
La ragazza spostò nuovamente lo sguardo sulla foto puntandolo su Violetta e Leon. I due si guardavano con un sorriso sulle labbra e gli occhi a cuoricino.
Quanto avrebbe voluto un fidanzato come Leon!
Ma Maxi? Maxi era diverso: era divertente, simpatico, un perfetto ballerino, e poi era timido… proprio come lei.
Leon invece… beh, era Leon Vargas. Tutte le ragazze erano innamorate di lui, ma come biasimarle?
In quel momento il piano di Camilla le tornò in mente. Guardò ancora Leon e Violetta, e si convinse che forse non era un brutto piano, dopotutto.
 
 
Angolo autrice:
Salve piccole personcine. Grazie per essere ancora qui e non essere scappati a gambe levate. Allora… che pensate del capitolo? Non posso rimanere a riassumere, ma volevo dire una cosa: ci sono state persone purtroppo che hanno confuso le mie due storie, e non posso neanche dar loro torto perché sono MOLTO simili, lo so, ma come ho già spiegato prenderanno due strade diverse, completamente. Bene, dopo aver chiarito questo malinteso, vi saluto. Vi mando un grande bacio!
_Ruggelaria

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5.


 Violetta stava chiudendo l’anta del suo armadietto, per quel giorno le lezioni allo Studio erano finite, e lei non vedeva l’ora di tornare a casa e buttarsi sul suo letto, dimenticandosi di tutto quel che era accaduto la sera precedente, quando sentì un rumore alla sue spalle.
Voltandosi riconobbe la possente figura del suo migliore amico, o quel che credeva che fosse. Leon stava battendo le mani avanzando verso di lei, gli angoli della bocca piegati verso l’alto.
“Ma che brava, Vilu. Davvero incredibile.” Disse parandosi davanti all’esile figura della ragazza, che lo fissava curiosa di sapere cosa l’avesse spinto a fare quella scenata.
“Cosa vuoi, Leon?”
“Solo farti i complimenti per l’ottima interpretazione di oggi. ‘Oh, Diego, sei davvero bravissimo! Diego, così va bene? Dove hai imparato a ballare così?’” la prese in giro Leon, un sopracciglio alzato.
La ragazza cercò di soffocare una risata mordendosi il labbro inferiore, e Leon impazzì. Quando si mordeva le labbra lo faceva sempre uscir fuori di testa, come i denti affondavano in quella carne morbida che aveva una gran voglia di baciare…
Stava diventando pazzo.
Cercò di mantenere il controllo lasciando le braccia lungo i fianchi e le mani serrate in due pugni, le unghie conficcate nei palmi. “Mi trovi così divertente?”.
“A dire il vero, sì.” Rispose Violetta riponendo la chiave dell’armadietto dentro la borsa, e tornando a guardare il ragazzo di fronte a sé. “Il motivo di tutto ciò?”.
A Leon schizzò il sangue al cervello, le mani che fremevano dal toccarla, le labbra ancora di più, gli occhi che ispezionavano ogni centimetro di quella figura perfetta che si trovava di fronte a lui.
Allungò le braccia, le mani che batterono contro gli armadietti, ed il rumore sordo che rimbombò nel corridoio quasi vuoto. L’aveva imprigionata contro il proprio corpo, la schiena di lei che batté contro il freddo metallo.
Erano occhi dentro occhi, ancora una volta, e ad entrambi piaceva da pazzi quando accadeva.
Leon era più alto di Violetta, ciò significava che lei doveva tenere la testa un po’ alzata per guardarlo, ma ciò non la distraeva dal fatto di fissare le labbra del ragazzo. Erano così belle, così carnose che supplicavano di essere baciate.
Il corpo della ragazza bruciava, sentiva la pelle ardere nonostante fosse a diretto contatto con il proprio armadietto. Il respiro era diventato affannoso, il cuore che bussava contro la gabbia toracica. Teneva le mani sul petto del ragazzo, ed avvertiva il suo cuore –come il proprio- che batteva velocemente, come se avesse terminato una lunga corsa.
“Devi stare attenta, Vilu.” sussurrò Leon apparentemente tranquillo, avvicinandosi con il suo viso a quello della ragazza, i respiri che si mescolavano.
“A cosa ti riferisci?”. Parlare stava diventando tremendamente difficile, quasi quanto respirare.
“Lo sai.” e le loro labbra si sfiorarono, non toccandosi, ma il calore che emanavano lo avevano percepito entrambi, prima di allontanarsi bruscamente a causa della campanella che indicava che lo Studio stava chiudendo.
Si distaccarono l’uno dall’altra, gli zigomi rossi da parte di entrambi per quel momento imbarazzante ma tanto atteso.
Leon si passò la mano dietro al collo attento a non incontrare gli occhi della ragazza, che sapeva sarebbe stata la fine, soprattutto dopo quella dimostrazione d’affetto. “Vuoi che ti accompagni a casa?”.
Violetta scosse la testa, si stava torturando le mani e il labbro sanguinava per quanto forte lo stava mordendo. Avrebbe tanto voluto rispondere di sì, salire sulla moto di Leon ed aggrapparsi forte a lui, come aveva sempre fatto.
Ma l’orgoglio veniva prima di tutto, e non era giusto che lui l’avesse vinta così. Credeva che fosse solo una bambina che giocava con lui, che lo prendeva in giro facendo la preziosa. 
Bene.
“No. Ho voglia di fare due passi.” rispose fredda, anche lei attenta a non incrociare i due smeraldi che il ragazzo aveva a posto degli occhi.
“D’accordo. Ti chiamo stasera.” disse in tono categorico, come a sottolineare che lei era proprietà sua, che Diego né nessun’altro ragazzo avrebbero mai potuto toccarla.
La ragazza annuì leggermente, prima di avvicinarsi a Leon, alzarsi sulla punta dei piedi ed inchiodare le mani sulle sue spalle, lasciandogli poi un dolce bacio sulla guancia.
Nel frattempo il ragazzo le aveva circondato l’esile vita con le sue possenti braccia, e l’aveva stretta a sé, come per non lasciarla andar via mai più, come se quello fosse un addio.
Presto tutto quello si trasformò in un profondo e commovente abbraccio, nel quale Leon aveva infossato il viso nella spalla di Violetta e respirava a pieni polmoni il suo profumo. Quant’amava quel profumo! Era dolce, fresco e sapeva di Violetta, della sua dolce ed innocua Violetta.
La ragazza si teneva stretta al suo migliore amico, il naso e gli occhi che pizzicavano, mentre il cuore le faceva male. Cercò di ricacciare le lacrime, non voleva che Leon la vedesse piangere, non era giusto.
Si lasciarono andare, per poi guardarsi un’ultima volta negli occhi, prima che Violetta varcasse la soglia dello Studio e Leon lanciasse un forte pugno agli armadietti… 
Ancora quel rumore sordo.


 Maxi la fissava con la bocca aperta e gli occhi che brillavano. Da più di mezz’ora era seduto al bar della spiaggia insieme a Francesca e Lara (Violetta aveva detto di non sentirsi bene ed era corsa a casa con gli occhi ludici dopo esser uscita velocemente dallo Studio).
Natalia Perez era seduta a qualche tavolo di distanza da loro, insieme a Ludmilla, Camilla, Marco ed Andres. La ragazza si era accorta che qualche metro più in là Maximiliano Ponte la stava guardando, ed ogni volta che incrociava il suo sguardo –frazioni di secondo, chiariamoci- gli zigomi le si tingevano di un rosso fuoco.
Era sempre stata timida per quanto riguardava i ragazzi. Beh, in realtà era timida con tutti, a volte addirittura con i suoi parenti: zii, nonni, cugini.
L’unica persona con la quale Nata poteva essere se stessa senza mai sentirsi fuori posto, era con sua sorella, Lena. Lei la faceva sentire speciale, e non se ne vergognava, anche se era la maggiore fra le due, anche se sarebbe dovuto essere il contrario.
Nata stava sorseggiando della granita al gusto di arancia, quando vide –con la coda dell’occhio- la mano di Francesca Cauviglia che si agitava davanti al viso del ragazzo che la stava fissando da molto tempo.
“Maxi! Terra chiama Maxi!” esclamò la ragazza italiana ridendo alla faccia innamorata dell’amico.
Lara, nel frattempo, aveva iniziato a ridere a crepapelle vedendo che Maxi non rispondeva a nessuna delle loro domande.
Il ragazzo batté le palpebre, poi, come se fosse stato appena svegliato da un bellissimo sogno, guardo le amiche –una a destra ed una a sinistra- che lo fissavano sorridenti ed incredule.
“Ascolta, Maxi. Ti posso dare una mano… vado io a parlarci!” disse Francesca alzandosi, ma Maxi la prese per un braccio e la trascinò nuovamente sulla sedia.
“Non se ne parla neanche!”.
“E’ più di mezz’ora che la stai fissando!” esclamò invece Lara sgranando gli occhi “Perché non ti decidi una buona volta ad andarci a parlare?”.
Maxi sbuffò spettinandosi ancora di più i capelli ricci ancora un po’ bagnati a causa della nuotata che aveva fatto con le sue amiche. “E’ facile parlare per voi, eh! Siete ragazze!”.
Francesca e Lara avevano due facce come se qualcuno avesse appena dato loro un forte schiaffo. “Oh, caro mio… non sai proprio di cosa parli! Molte volte siamo proprio noi ragazze a dover fare il primo passo!” strillò Lara.
“Già, quindi tu ora ti alzi e le vai a chiedere un appuntamento.” aggiunse l’italiana tirandogli un braccio cercando di farlo alzare.
“Cosa? Adesso…? Io, io non credo che ne sarò capace…” balbettò in preda al panico.
“Oh, andiamo! Andrà tutto benissimo.” lo incoraggiò Lara dandogli una pacca sulla spalla.
“Ma ci sono i suoi amici, ed io… no, no. Non se ne parla.” si rifiutò Maxi rimettendosi seduto ed incrociando le braccia al petto.
Ok, era un ragazzo timido, ma non a tal punto di vergognarsi di chiedere un appuntamento ad una ragazza davanti ai suoi amici. Nata doveva proprio avergli rubato il cuore.
Francesca si passò una mano sulla faccia, per poi legarsi i capelli corvini in una coda e guardare la sua amica con fare stanco. “Aiutami.” supplicò.
“Maximiliano, ora tu ti alzerai da questa sedia e camminerai fino a quel tavolo” ed indicò con un dito il tavolo dov’erano seduti Nata ed i suoi amici “ e inviterai Natalia ad uscire. Tutto chiaro? Noi ti faremo forza da qui. Va’, amico mio, va’.”
Francesca scoppiò a ridere per l'interpretazione dell'amica, portandosi una mano alla bocca, mentre Maxi era ancora indeciso sul da farsi. E se Nata avesse rifiutato? E se si fosse messa a ridere? 
E se i suoi amici avessero riso? Non avrebbe potuto sopportare un’umiliazione del genere.
Guardò ancora una volta la folta chioma riccia della ragazza della quale era innamorato. Ogni lineamento era perfetto, dalla forma del viso al corpo. Aveva un sorriso che gli toglieva il fiato, per non parlare dello sguardo seducente, che -ovviamente- Nata non sapeva d’avere.
“Ancora qui sei? E vai!”. E lo spinse ad alzarsi, cosa che fece piuttosto rapidamente. Raggiunse a grandi falcate il tavolo dove sedeva Natalia Perez, e quando si trovò lì tutti si voltarono a fissarlo.
“Andrà bene.” cercò di convincesi Francesca, guardando poi la ragazza seduta di fronte a sé, la quale annuì “Sì. Ne sono certa.”
Ma in realtà nessuna delle due lo era.
“Scusate, è occupata questa sedia?”.
Sia Lara che Francesca si voltarono a guardare chi aveva fatto loro quella domanda, e Francesca rimase affascinata nel notare che già conosceva quel ragazzo… Ma sì, era il figlio di Gregorio: Diego Casal!
Notò che anche lui era in costume, doveva esser lì con qualche amico…
Diego la fissava aspettando una risposta, un sorriso sulle labbra. Francesca cercò di parlare, ma non uscì nulla dalla sua bocca se non qualche verso incomprensibile.
“In realtà sì.” disse Lara al posto dell’amica. Diego annuì con le labbra unite, e fece per andarsene, quando riconobbe Francesca. 
“Aspetta, ma ci siamo già visti.”
Questa volta la ragazza italiana sorrise ed annuì, poi fece un respiro profondo e disse: “S-sì, frequento lo Studio On Beat, e s-sono un’allieva d-di t-t-uo padre”.
Diego aprì la bocca sorpreso e sorrise “Ma sì, certo! Sei Francesca, vero?”.
La ragazza italiana si stupì che ricordasse il suo nome soltanto dopo un paio di giorni. Annuì con il cuore a mille e le mani che tremavano per l’agitazione.
Lara, che ne frattempo si era gustata tutta la scena, lo invitò a sedersi, dimenticandosi completamente di Maxi.
“Ma no, Lara…” recitò Francesca “…sarà qui con i suoi amici, non tratteniamolo.”
Diego rise leggermente “In realtà sono solo. Sono appena tornato dalla Spagna e non conosco nessuno, o meglio… ho perso i contatti con gli amici che avevo qui.”
“Oh, in questo caso… puoi unirti a noi.” propose l’italiana invitandolo a sedersi, anche lei completamente dimenticatasi di Maxi.
“Allora… com’è la Spagna?” gli chiese.
“Bellissima, davvero molto bella. Anche se non batte l’Argentina.” rispose Diego sorridendo, e facendo ridere le due ragazze. “Mi sembra che mio padre mi abbia detto che tu vieni dall’Italia, giusto? Sei italiana?”.
Il cuore di Francesca saltò un balzo, trattenne il fiato ed annuì. Gregorio gli aveva parlato di lei, e lui si ricordava così tanti particolari. “Sì. Sì, sono italiana, ma mi sono trasferita qui con la mia famiglia da molti anni.”
“E tu invece?” chiese Diego voltandosi verso Lara, la quale aveva lo sguardo fisso sulla sua granita. 
“Io sono messicana, trasferita da un anno circa. Anch'io frequento lo Studio.”
Diego aprì la bocca per dire qualcosa, ma la sua attenzione fu catturata da un Maxi che correva verso di loro, e che per poco non fece ribaltare il tavolino per quanto forte aveva battuto le mani sopra esso.
Aveva il respiro affannoso, gli occhi fuori dalle orbite e le guance completamente rosse.
Diego sgranò gli occhi per la sorpresa, mentre Lara e Francesca lo fissavano come a dire ‘E allora? Com’è andata?’.
“Maxi, sputa il rospo!” esclamò Lara. Ma il ragazzo non ne volle sapere. 
“Ha detto di no?” domandò Francesca, e Maxi scosse la testa lentamente.
“Ha detto di sì!” gridò Lara sorridendo ed alzandosi ad abbracciare il suo amico. Francesca rise per l’espressione che aveva sul viso. Si era fatto coraggio e Nata aveva accettato, era questo l’importante.
Maxi prese una sedia da un tavolo vuoto e si sedette di fronte al nuovo arrivato. “Congratulazioni!” gli disse Francesca dandogli una pacca sulla spalla. “Poi ci racconterai tutto…” aggiunse sorridendogli non appena lo vide aprire bocca. “Maxi, conoscerai sicuramente Diego, il figlio di Gregorio.”
“Certo!”.
“Frequenta lo Studio anche lui.” disse rivolgendosi a Diego, il quale annuì ed allungò una mano sopra il tavolo. Maxi la strinse e si presentò sorridendo.
“Bene! Io direi di andare a far un bagno!” propose lo spagnolo “Fa’ così caldo!”.
“Concordo.” rispose scherzosamente Francesca, completamente presa dal figlio del suo insegnate di ballo.


 “E’ tutto chiaro ciò che devi fare Natalia? Hai un ruolo semplicissimo, e non devi assolutamente sbagliare nulla.”
Camilla Vargas sedeva con le gambe accavallate sul divano in pelle rossa della propria casa, mentre Ludmilla era accanto a lei e Marco, Andres e Nata si trovavano di fronte a loro.
“Sì, certo. Certo che ho capito. Nessun problema.”
Camilla sorrise “Meraviglioso. Dopo che sarai entrata in gioco tu, toccherà a te, Lud.”
La ragazza bionda alla sua destra annuì, lo sguardo perso nel vuoto. Nell’ultimo periodo non era in piena forma, e ciò forse era dovuto a tutto quello stress che gli dava Camilla.
Era la sua migliore amica, ed era ovvio che voleva aiutarla a realizzare il suo piano, anche se a lei Violetta non aveva mai torto un capello.
“Bene.”
“Camilla, ascolta…” iniziò Marco poggiando i gomiti sulle gambe e fissando negli occhi la ragazza dai capelli rossi. “…abbandoniamo. Questo piano non ha alcun senso; potresti semplicemente accettare il fatto che Leon e Violetta presto o tardi staranno insieme. Io non capisco davvero cosa ci sia di male.”
Il silenzio regnava, un imbarazzo da parte di Nata e di Ludmilla nell’essere di troppo in quella conversazione appena iniziata ma che sarebbe andata a finire male.
“Tu quindi proponi di abbandonare tutto e far finta di niente, che non sia accaduto nulla, dico bene?”.
“Esatto.”
Camilla Vargas annuì tranquillamente, la lingua che scivolava sulle labbra e lo sguardo che scrutava i salotto di casa anche se lo conosceva meglio delle proprie tasche. “E perché proponi ciò, Marco?”.
“Perché vorrei evitare altro dolore a Leon.” spiegò, la mascella contratta. Era vero, Marco e Leon erano migliori amici, e si prendevano in giro a vicenda, lottavano e scherzavano in continuazione, da anni oramai… ma il loro rapporto era sempre stato così, e così si dimostravano affetto come due fratelli.
“Certo, capisco.” annuì ancora una volta Camilla “Ma non m’interessa. Se vuoi tirartene fuori fa’ pure, a me non cambia nulla. E’ vero, sei un elemento utile, ma non passerà molto tempo prima che ti rimpiazzi... anzi, a dire la verità c’è già qualcuno pronto a prendere il tuo posto.”
Marco alzò un angolo della bocca; di certo non si faceva intimorire da Camilla, e tutta quella situazione lo faceva ridere. “Ah, davvero? E chi sarebbe?”.
“Di questo non ti devi preoccupare. Allora? Sei con noi o contro di noi?”.
Marco esitò per qualche istante. Leon era il suo migliore amico, come poteva tradirlo? E se fosse venuto a conoscenza del piano e che anche lui ne faceva parte? Cosa sarebbe accaduto tra di loro?
Ma in fondo Leon gli perdonava sempre tutto, e non poteva di certo mettersi contro Camilla Vargas. Di sicuro non si faceva spaventare da lei, ma era a conoscenza delle cose che sapeva e poteva fare… e davvero non voleva rischiare. “Sono con voi. Ma Leon…”
“Leon niente, è uno sciocco se crede ancora che Violetta sia innocente. Ha gli occhi panati perché è innamorato di lei, ed errore più grande non poteva commetterlo.”
“Se dovete parlar male di me almeno non fatelo in casa mia.”
La voce di Leon Vargas arrivava dal piano di sopra, dov’era poggiato contro la ringhiera in legno, la mascella contratta.
Scese le scale molto lentamente, come se avesse tutto il tempo del mondo e raggiunse il gruppo di amici al centro del salotto, le braccia possenti incrociate al petto. “Si può sapere perché sono uno sciocco?”.
“Da quanto eri lì?”.
“Il tempo di poter capire che mia sorella mi considera uno sciocco…” rispose alla sua amica bionda “…ma questo già lo sapevo.” Aggiunse con un sorriso sghembo.
Afferrò delle noccioline dal contenitore in cristallo che si trovava sopra al tavolino fra i due divani, e le mandò giù.
“Ti rovinerai l’appetito.” commentò Natalia guardando il modo perfetto in cui Leon faceva qualsiasi cosa. 
“Non credo che cenerò.” e ne mandò giù altre, mentre sua sorella si guardava le unghie ed aveva un sopracciglio alzato.
“Non hai risposto alla mia domanda…” disse attirando l’attenzione della ragazza rossa “…perché sarei uno sciocco?”.
Camilla Vargas sorrise continuando a fissare le proprie unghie “Te l’ho detto tante di quelle volte, Leon.”
“Davvero non sei stanca di parlare di Violetta? Di attaccarla... Se fossi al tuo posto credo che mi sarei stancato da molto tempo.” scherzò, ovviamente offeso dall’atteggiamento di sua sorella. Camilla aveva il vizio di parlar male delle persone non presenti, lo aveva sempre fatto e sempre avrebbe continuato a farlo.
Leon sapeva da tempo ormai che lei detestava, odiava Violetta Castillo, e forse ne sapeva anche il motivo… forse, non ne era sicuro, ma ciò che non capiva, era perché volesse allontanarlo da lei.
Camilla alzò i suoi occhi castano chiaro sul fratello per la prima volta da quando era sceso, e notò che era senza maglia, con addosso solo dei pantaloni di jeans che arrivavano fino al ginocchio. “Hai detto bene, Leon… Se fossi stato al mio posto…”.
“Camilla, ne abbiamo già parlato più di una volta, vorrei non ripetere la sceneggiata che io mi arrabbio, urlo e tu fai come vuoi… sappiamo tutti qui che farai comunque come vuoi tu. Sei una bambina viziata che non conosce regole, e mi dispiace molto per te, dico davvero. Sono tuo fratello e sai che ti voglio bene più di ogni altra cosa al mondo, e mi fa male il cuore vederti così: sempre in competizione con altre persone, sempre a voler dimostrare di essere la migliore litigando o disprezzando la gente. Sai, se smettessi di avere questo atteggiamento e fossi disposta a fare amicizia, a conoscere il carattere ed il pensiero di altre persone, la gente ti apprezzerebbe più per quella che sei, e non per quella che vuoi essere. Pensaci.”
La ragazza rossa aveva nuovamente abbassato lo sguardo “Davvero?”.
“Davvero cosa?”.
“Sono la persona alla quale vuoi più bene?”.
I loro sguardi s’incrociarono di nuovo, e tutti i presenti avevano intuito che Camilla si stava riferendo a Violetta Castillo.


Angolo autrice:
Hola! Come state gente? Io ho un po’ di mal di collo, ma per il resto tutto bene. Ma non vi voglio annoiare con i miei problemi. Passiamo al quinto capitolo della nostra storia… Ho notato che sta ''''''''''riscuotendo molto più successo'''''''''' questa dell’altra… sarà perché i Leonetta sono migliori amici? Ditemi un po’ voi… iniziamo: troviamo Vilu e Leon che… awww, non trovo le parole. Si stavano per baciare un’altra volta!!!! MALEDETTE CAMPANELLE!! Poi Maxi, Fran e Lara (ho voluto dare un ruolo anche a Lara visto che dalla maggior parte delle persone è stata dimenticata, ma a me è sempre piaciuta come personaggio, ma attenti, non con Leon, chiaro). Maxi, Maxi, Maxi… finalmente ti sei fatto un po’ di coraggio, ed hai visto che è andato tutto bene! Oh, finalmente! Pooooi i Diecesca! Chi non shippa i Diecesca? Awwwww!!!!! Me li avete chiesti in tanti, ed accovi accontentati. Avevo già pensato, OVVIAMENTE, di metterli insieme... altrimenti. Diego che si ricorda il suo nome e che è italiana… e si vede chiaramente che la nostra Fran è COMPLETAMENTE COTTA dello spagnolo. Infine troviamo la nostra amata combriccola che continua con il piano –che presto saprete qual è, giuro- contro Vilu, e Leon che li coglie con le mani nel sacco, anche se non del tutto. Che ve ne pare del suo discorso di chiusura? *faccia tenera di WhatsApp* e della domanda di Camilla? Mmmm. Beh, io scappo, vi mando un grande bacio, recensite mi raccomando e ci vediamo al prossimo capitolo!!
_Ruggelaria

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