Nel buio... con te... in te...

di Morgana89Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno da lui. ***
Capitolo 2: *** In balia di te. ***
Capitolo 3: *** Sei la mia acqua nel deserto. ***
Capitolo 4: *** Ritorno ad Hogwarts ***
Capitolo 5: *** Cena a Malfoy Manor ***
Capitolo 6: *** Riunione di famiglia a Grimmauld Place ***
Capitolo 7: *** Confessioni ***
Capitolo 8: *** Furia felina. ***
Capitolo 9: *** Una nuova avventura. ***
Capitolo 10: *** Il nuovo anno. ***
Capitolo 11: *** Ricerche pericolose - Pov Cassandra. ***
Capitolo 12: *** Senza di te. ***
Capitolo 13: *** I panni sporchi si lavano in famiglia - Pov Narcissa. ***
Capitolo 14: *** Vuoto profondo. ***
Capitolo 15: *** Amore di ieri, odio di domani – Pov Cassandra. ***
Capitolo 16: *** Come lui. Peggio di lui. ***
Capitolo 17: *** In pericolo di vita? ***
Capitolo 18: *** Non sei degno di mia sorella. ***
Capitolo 19: *** Non sono un padre. ***
Capitolo 20: *** Candida come lenzuola di lino bianco. ***
Capitolo 21: *** Il tuo profumo - Pov Cassandra. ***
Capitolo 22: *** Verde disprezzo. ***
Capitolo 23: *** Una vita nuova.. ***
Capitolo 24: *** Per il bene superiore - Pov Narcissa ***



Capitolo 1
*** Ritorno da lui. ***


Ritorno da lui.

Esco dall'infermeria ostentando una sicurezza che non provo, consapevole che il mio comportamento nelle prossime ore determinerà la mia sopravvivenza o la mia condanna a morte. Il marchio continua a bruciare sul mio braccio da ore, ed ormai quel dolore è parte indelebile di me.

Attraversato il portone del castello l'aria fresca della sera mi investe, svegliandomi i sensi e ricordandomi che sono ancora vivo e che devo mantenere il controllo su me e sui mie sentimenti se voglio rimanere tale e portare a termina la missione che mi sono prefissato di compiere diversi anni or sono.

Non appena oltrepasso le barriere che proteggono Hogwarts mi smaterializzo a Casa Riddle, senza darmi il tempo di pensare, perché una parte di me teme che se lo facessi non avrei la forza di continuare a camminare. L'imponente villa si staglia di fronte a me ed una goccia di sudore, gelida come il mio sangue, scivola lentamente lungo la mia schiena. La sento nitidamente e ne percepisco il percorso. È l'unico sintomo del terrore che per qualche secondo mi attanaglia lo stomaco ed il cuore.

Rimango immobile ad osservare il profilo del palazzo contro il cielo nero. Un pensiero attraversa la mia mente: non ci sono stelle né luna questa notte. Se volessi potrei tornare sui miei passi consapevole che nessuno scoprirebbe che sono stato qui. Se volessi potrei lasciare la mia vita ed il mio lavoro e sparire nel nulla. Mi basterebbe poco per farlo; sono un abile mago e potrei nascondermi in qualche angolo remoto della Terra. Nel momento in cui la parola "nascondermi" scivola traditrice nella mia manete sento il disgusto per me stesso pervadermi l'anima. Non sono un codardo. Non lo sono mai stato. E se c'è una cosa che so per certo è che non finirò la mia esistenza rintanato in un buco come un lurido topo di fogna.

Mi concedo ancora qualche istante per ricomporre i mie pensieri. Non posso lasciar trasparire alcuna emozione quando sarò al suo cospetto e, soprattutto, dovrò essere sufficientemente controllato da poter pilotare i miei ricordi, quando il Signore Oscuro scruterà nella mia mente.

Silenzioso come un ombra entro nell'enorme villa di proprietà della famiglia Riddle. Come previsto non vi trovo nessuno. Sicuramente i Mangiamorte sono stati congedati dopo aver subito l'ira di Voldemort, non essendoci motivi per trattenerli al suo cospetto. Salgo le scale per dirigermi verso la stanza che so essere la sua dimora quando egli si trova in questa casa ed, infatti, scorgo una debole luce provenire dalla porta che racchiude il salottino privato del Signore Oscuro. Mi fermo qualche metro prima dell'ingresso, sconcertato. Ero sicuro che almeno un uomo sarebbe rimasto a sorvegliare il corridoio, ma non vedo nessuno.

Poi lo scorgo, sul pavimento: un serpente lungo diversi metri di un pallido verde acido. Lo fisso, senza distogliere lo sguardo, non temo gli esseri striscianti, semplicemente mi disgustano per il modo in cui si muovono e per l'apparente consistenza della loro pelle. "Sono qui per vedere il Signore Oscuro" non so cosa mi spinge a parlare a quell'essere come se potesse sentirmi, ma il mio sussurro sembra sortire l'effetto sperato, perché lo vedo srotolare le proprie spire e sparire nella stanza in cui si trova il suo padrone. Pochi secondi dopo sento distintamente dei sibili provenire dall'interno e la risposta dell'uomo al serprente.

"Codaliscia, fa entrare il nostro ospite e lasciaci soli" brividi freddi mi percorrono la schiena al suono gelido di queste parole. Passano solo pochi attimi e la porta si apre, accecandomi con la luce abbagliante che proviene dall'interno. Un ometto basso e viscido, che conosco bene, mi fa cenno di avvicinarmi e, non appena lo attraverso, chiude l'uscio alle mie spalle e sparisce, non prima di darmi il tempo di scorgere il sollievo nei suoi occhi appannati.

Non parlo e non mi muovo. Mi permetto solo di chinare il capo ed abbassare gli occhi in segno di ossequio. Non mi inginocchio, non l'ho mai fatto e di certo non inizierò oggi. Non mi abbasserò mai così tanto (cosa che non posso dire degli altri mangiamorte). Sento distintamente il serpente strisciare verso un angolo della lussuosa stanza in cui mi trovo. Trascorrono attimi interminabili, senza che alcun suono giunga alle mie orecchio, sin quando un sussurro appena percettibile anticipa il dolore atroce che in pochi secondi riempie il mio corpo: "Crucio". Mi sforzo di non lasciare che alcun lamento esca dalle mie labbra, sono pur sempre un uomo orgoglioso, ed, inoltre, sono ben consapevole che urlare e chiedere pietà non servirebbe a nulla. Non passa molto che mi ritrovo steso sul pavimento freddo e polveroso, mentre il mio corpo si contorce tra spasmi atroci che sembrano spezzare ogni fibra del mio essere.

Non so quanto tempo sia trascorso quando, finalmente, quel dolore cessa e mi sforzo di rialzarmi e pronunciare poche parole "Merito la Vostra punizione, mio Signore". Non dico altro, non servirebbe. Attendo solo che sia l'altro a parlare.

"Severus..." il mio nome viene sussurrato quasi con dolcezza e sembra un sibilo fra le sue labbra, "non pensavo che ti avrei rivisto. Vi ho chiamati diverse ore fa. I tuoi compagni si sono presentati immediatamente. Ma tu... non eri fra loro. Ed ora vieni qui, nella dimora di mio padre. Cosa dovrei fare con te?".

Pondero le parole con studiata attenzione, sapendo che da queste dipenderà la mia vita "non nego i miei errori, mio Signore. Sono consapevole di averVi indispettito e di non essere degno di stare al Vostro cospetto. Ma ho tardato ad arrivare volutamente, anche a rischio di incorrere nella Vostra giusta ira".

Aspetto una risposta sempre senza alzare lo sguardo verso l'uomo che più di ogni altro mi disgusta, e vengo presto accontentato "Mi hai disobbedito volutamente, è questo che stai dicendo? Spiegami perché non dovrei ucciderti".

Quelle parole rimbombano nella mia mente assordanti e distorte. Perché non dovrebbe uccidermi? Potrei implorare, potrei cercare di blandirlo. Ma so che non servirebbe. "Perché Vi servo. Avete bisogno di me, mio Signore" non appena queste frasi escono sfrontate dalla mia bocca, il mio cuore perde un battito ed io attendo di vedere una luce verde preannunciare la mia morte. Sicuramente non mi aspettavo che sarebbero state seguite da una risata crudele e fredda.

"Sei sempre stato coraggioso e sincero, Severus. Ti ho sempre apprezzato per questo. Non mi ami follemente come la cara Bella, non mi lusinghi come il vecchio Lucius, né, tanto meno, mi temi come il viscido Codalisca. Mi hai sempre servito fedelmente, perché sei come me, attratto dal potere che le arti oscure possono concedere ad un uomo, ed io ti ho sempre apprezzato per questo. Ma pensi davvero che ciò sarà sufficiente?".

"Non mi aspetto di essere perdonato senza una punizione. Come Vi ho già detto, merito di essere punito. Ma confido che Voi comprendiate la ragione delle mie azioni" tentenno volutamente, con l'intenzione di convincerlo che le mie frasi successive sono solo considerazioni ovvie, "sapete bene dove mi trovavo quando mi avete chiamato, così come sapete che se fossi venuto da voi senza esitare, non avrei avuto più la possibilità di continuare a rivestire il ruolo di insegnante nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Ho scelto di disobbedirvi, sapendo di potervi dare di più rischiando la Vostra ira in questo modo, piuttosto che..." non posso continuare, perché la mia mente viene brutalmente ed immediatamente violata... non devo perdere la concentrazione ed il controllo. Sforzo i miei pensieri in modo tale che mostrino a Lord Voldemort solo ciò che io voglio che veda.

 

Sono nell'ufficio di Silente, fingo di essere addolorato per quella lurida mezzosangue e suo marito, quando in realtà mi dispero per la caduta del mio Signore. Che cosa ne sarà di me ora? Sento un barlume di speranza e di sollievo quando quel vecchio pazzo mi dice che un giorno Lord Voldemort tornerà al potere e che quel moccioso inutile di Potter avrà bisogno della mia protezione. Non posso non pensare a quanto sia stolto il Preside a credere che davvero io sia dalla parte del bene.

 

Sono seduto al tavolo degli insegnanti, quando lo vedo entrare nella stanza insieme agli altri insulsi ragazzini del primo anno. Lo odio con tutto me stesso. Disprezzo ogni centimetro del suo corpo, persino quegli odiosi capelli nero corvino.

 

Sono nel reparto proibito della biblioteca, con quell'inetto di Raptor. Non capisco cosa stia tramando ed il Preside mi ha chiesto di controllarlo. Sono incerto su come comportarmi con lui, non riesco a comprendere se sia solo un ragazzino ambizioso che cerca la pietra filosofale per raggiungere la gloria, o se stia lavorando per altri fini. Cerco di estorcergli informazioni, ma lui è evasivo. Non ho altra possibilità che credere che stia agendo per se stesso ed assecondare il volere di Silente.

 

Sono ad Hogwarts ed è appena cominciato il Torneo Tremaghi. Igor Karkaroff mi raggiunge nella mia aula di pozioni ed attende la fine della lezione per parlarmi. Quell'uomo mi disgusta: è un viscido traditore. Gli rispondo cercando di togliermelo dai piedi. Non voglio restare un minuto più del dovuto nella medesima stanza con simile feccia.

 

Com'è iniziato il tutto si ferma. Ma comincia il dolore della maledizione cruciatus. Il tempo passa e non riesco a capire se la mia sofferenza dura minuti, ore, od anni. Sono steso a terra, quando ci sono arrivato non ne ho idea. Ad un tratto l'incantesimo si interrompe ed io mi accorgo di tremare e non potermelo impedire. Un lampo di luce ed un taglio poco profondo, ma doloroso si apre sul mio viso, sento il sangue sgorgare lentamente. Al primo se ne aggiungono altri, su ogni parte del mio corpo: gambe, braccia, petto. Non sono così profondi da uccidermi, ma lo sono abbastanza per torturarmi.

"Va via e la prossima volta che ti chiamo fa in modo di presentarti al mio cospetto immediatamente. Non sarò sempre così clemente" poche gelide parole che mi permettono di provare un momentaneo sollievo. Sono vivo. Sono salvo. Per il momento.

Mi alzo tremante e stremato. Non so come, ma ad un certo punto mi rendo conto di essere all'aperto. Mi chiedo confusamente come ho fatto ad arrivare sin qui.

Respiro l'aria del mattino e solo compiere questo semplice gesto mi procura fitte di dolore terribili. Devo resistere. Non posso svenire qui. Nella mia mente un solo pensiero si focalizza, mentre cerco di radunare le forze: non posso andare ad Hogwarts in questo stato. Con il poco barlume di lucidità che riesco a racimolare decido di smaterializzarmi a Spinner's End. Entro in casa mia ed immediatamente la parte lucida della mia mente registra che qualcosa non è come dovrebbe essere. Sento una presenza estranea, ma non riesco a comprendere cosa mi faccia essere così sicuro che qualcuno sia nella mia abitazione e, soprattutto, di chi si tratti.

Vedo solo due occhi blu come il mare in tempesta d'inverno, prima di svenire.

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Capitolo 2
*** In balia di te. ***


 

In balia di te.

Sento dolore ovunque, sono indolenzito e sofferente. Ma non è questo ad avermi svegliato. Riesco a fatica a comprendere che qualcuno o qualcosa mi sta bagnando le labbra e che è stato questo gesto a destarmi dal mio stato di incoscienza. Mi rendo conto che sono assetato, come se non bevessi da settimane, ma è solo con enorme forza di volontà che schiudo le labbra per accogliere qualche salvifica goccia d'acqua. Anche deglutire mi causa dolore e non appena il liquido raggiunge la mia gola mi rendo conto che non si tratta affatto di acqua. Ha un sapore amaro e disgustoso. È una pozione, ma sono troppo frastornato per comprendere quale. Devo aprire gli occhi, capire cosa mi sta accadendo intorno, ma proprio non ci riesco.

Cerco di concentrarmi su ciò che mi circonda e, soprattutto, su quanto accaduto. Dolorose le immagini dell'incontro col Signore Oscuro si presentano nella mia mente. Ed ancor più doloso mi investe il ricordo di due profondi occhi blu, blu come il mare in tempesta d'inverno. La mia mente spossata riesce a formulare un solo pensiero razionale: devo aprire gli occhi.

Mai gesto in vita mia mi è sembrato così difficile. Eppure lo compio ogni mattina appena sveglio, non dovrei trovarlo tanto difficoltoso. Non appena le mie palpebre cominciano a sollevarsi la luce che illumina la stanza mi colpisce ferendomi gli occhi e sono costretto a richiudermi. Un rumore mi avvisa che il mio tentativo, molto probabilmente non è passato inosservato, infatti quando mi arrischio a riprovare mi rendo conto che le tende della mia camera da letto sono state accostate ed ora la stanza si trova in penombra. Mi volto leggermente verso desta e incontro di nuovo quelli occhi e, questa volta, riesco a scorgere anche il viso del loro possessore. Bella. Riesco a pensare solo questo: è bella, come l'ultima volta che l'ho vista. Quanto tempo è passato da quando ho potuto posare per l'ultima volta i miei occhi sul suo viso perfetto? Era dodici anni che non potevo bearmi della dolcezza dei suoi lineamenti perfetti.

"Non sei cambiata di una virgola", pronunciare queste poche parole mi costringe a tossire, la gola riarsa dalla mancanza di liquidi. Il dolore che questi pochi gesti mi provocano mi ricorda cosa ho dovuto subire solo poche ore fa. Sempre che siano passate veramente solo poche ore da quando sono entrato in casa mia.

"Per quanto tempo sono rimasto incoscente?", mi sforzo di pronunciare ancora qualche suono, non senza soffrire.

"Sei rimasto incosciente per più di ventiquattro ore, Severus", il mio sguardo dev'essere veramente confuso e preoccupato, perché lei precede ogni mia domanda fermandola sul nascere, "mi sono permessa di inviare un gufo ad Albus Silente – non da qui, mi sono recata a Diagon Alley mentre tu riposavi – per avvisarlo che ti saresti preso qualche giorno di riposo e che non eri solo a casa. Non ho firmato la missiva, tranquillo. Nessuno sa che ci sono io qui".

Continuo a guardarla, beandomi della sua presenza, come un naufrago che avvista la terraferma dopo giorni di infinita disperazione trascorsi in mare.

"Eri in condizioni disastrose, Severus. Ho curato le tue ferite. Non ti rimarranno cicatrici, erano tutti tagli superficiali. Ma hai perso molto sangue e ti ho preparato una pozione rimpolpasangue, che dovresti assumere", mentre parla ha preso un calice dalla scrivania, su cui vedo appoggiato il mio paiolo ed alcuni ingredienti, ed ora me lo sta porgendo aiutandomi ad assumere la mia medicina. Vorrei dirle che lei è l'unica pozione che mi serve, ma temo che scoppierebbe a ridere, d'altronde non sarebbe da me affermare certe cose. Quando la sua mano si posa sulla mia nuca non posso evitare che un fremito attraversi tutto il mio corpo. Bevo come se ne andasse della sopravvivenza della mia anima, sapendo che solo al termine la sua mano si sposterà dal mio collo, quando in realtà l'unica cosa che voglio è che lei non interrompa quel contatto con la mia pelle. "Hai ancora molti lividi su tutto il corpo. Deve averti torturato per ore", pronuncia queste parole con calma, come se stesse parlando del tempo. Non chiede nulla, lei sa già tutto. Non ha bisogno di spiegazioni.

"Lo ha fatto", rispondo, anche se so che non serve che lo faccia. Voglio solo continuare a parlare con lei. Voglio continuare a sentire la sua voce. "Come sei entrata?".

"Sono un'ottima strega. Lo hai dimenticato?".

La scruto per qualche secondo, indeciso e titubante, ma alla fine mi impongo di porle la domanda che, so, lei sta aspettando "Perché sei qui, Cassandra?".

Quando pronuncio il suo nome sussulta, come se non se l'aspettasse. Mi fissa con occhi persi e, quando ormai pensavo che non avrebbe risposto, parla, con voce piatta "sapevo che stava succedendo qualcosa e quando, ieri sera Silente ha avvisato la professoressa Alexandrovna che il Preside Karkaroff era sparito, lei è venuta da me per chiedermi di venire in Inghilterra, al fine di aiutare i nostri studenti a ritornare a Durmstrang. Non ci ho messo molto a capire. Sapevo che lui era un mangiamorte e che se è scappato lo ha fatto per un motivo".

"Non ti ho chiesto perché sei in Inghilterra", puntualizzo quando mi accorgo che non intende continuare. Mi comporto come un bambino imbronciato, me ne rendo conto.

"Cosa vuoi che ti dica?", mi guarda, ostentando una sicurezza che nessuno di noi prova in questo momento.

"Non so cosa vorrei che tu dica, Cassandra. Forse la verità", rispondo distogliendo lo sguardo. Sono debole e me ne vergogno, ma non posso continuare a perdermi nei suoi occhi.

"Ho mandato una seconda lettera a Silente. Ieri pomeriggio. Per avvisarlo che sarei arrivata da Durmstrang domani sera, ma se non vuoi che resti qui posso andar via oggi stesso", non capisco se sia arrabbiata o se il suo sia un tentativo di farmi dire qualcosa. Non sono mai riuscito a scorgere nel suo viso ogni suo sentimento. È abile a celare al mondo i suoi pensieri, non solo perché è un occlumante naturale, ma anche per il tipo di educazione che ha ricevuto. Fredda e glaciale. È questo che pensa di lei chiunque si soffermi alla sola apparenza.

"Non voglio tu vada via", sento le mie guance scaldarsi pericolosamente, mentre queste poche parole escono dalla mia bocca, senza che io riesca a fermarle. Me ne vergogno, è lei lo sa. Non perché non siano vere, ma perché pronunciarle mi fa sentire debole. Lei mi fa sentire debole. L'ha sempre fatto. E non solo, mi fa anche sentire inferiore, inadeguato e... eccitato. No. Eccitato non lo devo neanche pensare. Morgana! Non posso pensare a cosa si nasconde sotto quella sua tunica rosso sangue. Non ora, mentre sono costretto in un letto, accudito da lei.

Come se questo pensiero mi abbia risvegliato dal torpore in cui mi trovavo sino a pochi attimi fa, mi rendo conto vividamente del fatto che sotto al lenzuolo di seta verde sono nudo. Perché sono nudo?

"Dove sono i miei vestiti?", riesco a balbettare in evidente imbarazzo. Merlino! Non sono più un ragazzino, come posso comportarmi come un adolescente in preda agli ormoni, solo perché lei è nella mia stessa stanza.

"Ho dovuto spogliarti per curare le tue ferite", mi risponde con la sua calma serafica. Quando si comporta così vorrei scuoterla, per vedere se al suo interno davvero si cela un cuore o se semplicemente ne è priva come appare.

"Andrò via domattina. Starò sicuramente meglio ed, in ogni caso, penso sia meglio non arrivare ad Hogwarts insieme", il mio tentativo di cambiare argomento è così debole, che mi chiedo come ho fatto, solo poche ore fa, a sopravvivere a Lord Voldemort, se non so neanche controllarmi e darmi un contegno dignitoso con lei dinanzi.

I miei pensieri vengono interrotti bruscamente da un movimento alla mia destra. Posso immaginare i miei occhi sgranati per la sorpresa, mentre osservo quasi ipnotizzato, le lunghe dita affusolate di Cassandra sbottonare con studiata lentezza i bottoni della sua tunica porpora. Sembra quasi chiedermi il permesso di proseguire o, per lo meno, intenzionata a concedermi la possibilità di fermarla.

Vorrei parlare, ma non ci riesco. La mia salivazione è ormai azzerata. Le mie guance si tingono ancor più di rosso quando con un gesto elegante e raffinato fa cadere la tunica ai propri piedi. Riuscirebbe a far sembrare regale anche il gesto più volgare. Continuo a fissare, ipnotizzato, il suo corpo, fasciato in un completo intimo in pizzo blu royal. Non poteva indossare nulla di più adatto. Persino il nome del colore dei suoi indumenti mi ricorda quanto io sia inadeguato di fronte a lei, così regale, così eterea, così irragiungibile.

"Non posso...", vorrei dirle perché non sono degno di contemplare il suo corpo perfetto e di ragioni, ne sono certo, potrei elencarne milioni. Peccato che ora non me ne venga in mente neanche una. O meglio, le poche che passano per la mia mente mi sembrano così deboli, così insulse. "Non sono tuo marito", stupido! Ecco cosa sono, uno stupido! Fra tutte le cose che potevo dire, proprio questa.

"So bene che non sei mio marito. Lui era biondo ed è morto due anni fa", non prima di averti fatto generare un erede, vorrei aggiungere, ma mi mordo la lingua appena in tempo. Avrei dovuto stare zitto e non ricordarle la morte di suo marito, mentre è praticamente nuda vanti a me.

Nuda davanti a me. Mentre realizzo ciò, la mia mente si perde nel ricordo dell'unica altra volta in cui mi sono trovato in una situazione simile con lei.

 

Alzai gli occhi dal libro che stavo leggendo, perché qualcuno stava bussando insistentemente alla porta di casa mia. Stizzito mi diressi verso l'uscio. "Professor Silente, sono appena cominciate le vacanze estive, quale emerg...", mi bloccai nel bel mezzo del discorso e mi si seccò la bocca all'istante. Non era Albus Silente l'uomo che si trovava dinanzi a me. Non era un uomo a dir la verità. Mentre realizzai quest'evidente circostanza, lei entrò nella mia dimora, senza preoccuparsi di essere invitata a farlo. D'altronde quando mai lei si preoccupava di aspettare che le si permettesse di fare qualcosa. Il mondo era sua, o per lo meno, questo le era stato insegnato.

Chiusi la porta alle sue spalle e la segui verso il soggiorno. Se non avessi saputo che quella era casa mia avrei pensato di essere io l'ospite. Dovevo dire qualcosa, ma non mi veniva in mente nulla di sensato. "Vado a prendere del vino elfico", riuscii infine a pronunciare queste poche parole e mi voltai per andare in cucina. La verità era che avrei potuto appellare la bottiglia ed i bicchieri, ma avevo la necessità di allontanarmi da quella donna. Ci misi molto più del tempo necessario, nel tentativo inutile di dare un senso alla sua visita.

Tornato nel salotto con bottiglia e bicchieri rimasi paralizzato alla vista del suo corpo, coperto solamente da un completo intimo in pizzo verde scuro, molto elegante e decisamente sensuale. Sedeva mollemente sulla mia poltrona col libro che stavo leggendo in mano. Quando entrai le sue sopracciglia si alzarono pericolosamente, come a volermi sfidare a dire qualcosa.

 

Ricordo ancora ogni particolare: la bottiglia che cade e si rompe, la pozza di vino che si espande sul pavimento, lei che si alza dalla sedia ed io che, dimenticando totalmente il buon senso, mi avvento sul suo corpo come un affamato su un banchetto.

Mentre rammento i dettagli di quella prima volta insieme, una morsa si stringe intorno al mio cuore, al pensiero di cos'è accaduto dopo.

 

Eravamo stesi sul mio letto, lei con la testa accoccolata sul mio addome ed io con la mano che percorreva dolcemente la sua schiena dal basso verso l'alto e viceversa. Non mi ero mai sentito così bene in vita mia, soprattutto non negli ultimi anni della mia vita. Nulla aveva importanza in quella stanza per me. Per la prima volta in tutta la mia esistenza non sentivo più il peso dei miei errori premermi sulle spalle. Se non felice, sicuramente ero sereno.

Una parte di me mi diceva che tutto ciò non poteva essere reale e non poteva durare a lungo. Lei era troppo per uno come me. Parlammo tutta notte. Ed io le raccontai tutta la mia vita, tutti i miei sbagli. Non sapevo dove stavo trovando la forza di farlo; sentivo solo che di lei potevo fidarmi incondizionatamente ed avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno. Mi addormentai solo verso le quattro del mattino, con la consapevolezza che lei sapeva tutto di me. Ogni cosa.

Quando mi svegliai non la trovai nel mio letto e, per un secondo, immaginai che fosse semplicemente in un altra stanza. La mia illusione durò solo finché non individua un foglio di pergamena sul mio comodino. Lo presi con mano tremante e vi lessi poche parole, sufficienti a spezzarmi il cuore: "Probabilmente quando ti sveglierai sarò già sposata. Non mi sono pentita di questa notte con te. È stato come vivere la vita di un'altra donna. Grazie di avermi donato il tuo cuore, ne avrò cura. Spero che un giorno potrai perdonarmi. Ti rammenterò per sempre".

Rimasi sdraiato su quel letto per ore, senza trovare la forza di muovermi.

 

Ricordo solo vagamente i momenti successivi di quella giornata. So che ad un certo punto riuscii ad alzarmi dal letto e che quando mi diressi in cucina per mangiare qualcosa e vi trovai la Gazzetta del Profeta del giorno desiderai non essermi mai svegliato. In prima pagina c'era la sua foto, di fianco a quella del fidanzato (ormai marito). Il giornalista annunciava al mondo magico che quella mattina si sarebbe tenuto il matrimonio dell'anno. A me sembrava che stesse annunciando la fine della mia vita. Di nuovo.

Conservo ancora quella pagina di giornale.

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Capitolo 3
*** Sei la mia acqua nel deserto. ***


Sei la mia acqua nel deserto.

Lei è qui, quasi nuda davanti a me. Ed io per qualche secondo senso un forte senso di vertigine che mi assale. Non posso sopportare di averla qui, sapendo che la perderò presto. Di nuovo.

"Non farlo. Te ne prego. Ti sono grato di avermi salvato. Ma ti imploro: vestiti e va via", riesco a pronunciare queste poche frasi, senza che la mia voce tremi, è questo mi sembra già un enorme successo.

"So che l'ultima volta ti ho ferito. Credimi... Ne sono consapevole. Ma ero una ragazzina incastrata in un matrimonio che non desiderava, con un uomo che non conosceva. Non avevo la forza di ribellarmi ai miei genitori e, forse, non volevo farlo. Avrei arrecato loro un enorme dispiacere", ascolto le sue giustificazioni, di cui non ho bisogno, perché infondo so già tutte queste cose, "tu sei stato la mia ribellione alla mia famiglia. Una ventata di aria fresca in una vita opprimente. Sei stato un ricordo da custodire gelosamente per tutti gli anni del mio matrimonio".

"Hai ragione, Cassandra. Io sono stato qualcosa, tutto questo probabilmente. Ma è passato", non so neanche perché lo sto dicendo. Forse temo troppo che lei mi ferirà ancora. "Non ero l'uomo giusto per te allora e non lo sono neanche ora. Non sono ciò che cerchi; non posso amarti".

"Non insultarmi, Severus. Se pensi che io stia cercando un uomo che mi ami e mi veneri, dimostri solo di non conoscermi affatto", non riesco a concentrarmi sulle sue parole, perché mi perdo inesorabilmente sul suo corpo perfetto.

È più maturo. Forse porta qualcuno dei segni della gravidanza; le sue curve sono più morbide, meno acerbe. Ma non ricordo di aver mai visto nulla di più bello. Si avvicina a me ed io non ho più la forza di protestare, quando le sue labbra rosee si posano sulle mie, mi perdo nel calore del suo bacio. Dopo alcuni minuti lei si stacca da me e a me sembra che manchi l'aria in questa stanza. Scosta delicatamente le coperte dal bordo del letto e si sdraia accanto a me. Sento il calore del suo corpo nudo scaldare le mie mebra.

"Non intendo farti male e so che non puoi sopportare troppo nelle tue condizioni, perciò dovrai accontentarti dei miei baci e di qualche dolce carezza. E non storcere il naso. Ti ho visto!", mi rimprovera ed io non posso non piegare le labbra in un piccolo sorriso.

"La dolcezza non è decisamente il tuo forte. Come puoi pretendere che non sia scettico se usi questi termini?". Forse è perché ho ripreso il mio tono acido, non ne sono certo, ma mi sembra che lei sia più rilassata ora.

"Non ti posso promettere che ci sarò per sempre. Non lo farei e sai che non sarebbe da me. Ma se non altro posso prometterti che domattina non me ne andrò lasciandoti un biglietto sul comodino". Ci addormentiamo così, stretti l'uno all'altra, in un abbraccio che di dolce non ha nulla, ma che mantiene il gusto amaro del possesso.

Quando mi sveglio è notte inoltrata ed il mio stomaco reclama del cibo. Mi alzo senza svegliarla e mi dirigo in cucina, dove mi preparo un panino ed un buon caffé amaro. Un'abitudine, quella del caffé, che ho imparato da mio padre e non ho mai abbandonato. Mentre sto mangiando arriva Cassandra, avvolta in una delle mie vesti da camera. Il blu della seta fa risaltare meravigliosamente il blu dei suoi occhi. Morgana! Come divento sdolcinato quando c'è lei! Mi crucerei se potessi.

"Non immaginavo indossassi questo genere di indumenti", sottolinea l'ultima parola con l'intenzione di schernirmi e la sua battuta ironica ed altezzosa risveglia i miei sensi.

"La tua lingua biforcuta meriterebbe di essere punita", se mi aspettavo che la mia risposta sarebbe stata accolta con timoroso silenzio, ovviamente sbagliavo.

"Forse è proprio quello che vuole", riesce sempre a spiazzarmi con la sua arroganza.

Mi alzo, la prendo per il gomito e la trascino di sopra. Forse sono un pò troppo rude, ma sicuramente lei non protesta affatto.

"Se ti venisse voglia di protestare, ricordati che lo hai voluto tu...", la voce mi esce come un ringhio roco e l'unica sua risposta è un brillio eccitato negli occhi.

La mattina ci raggiunge, trovandoci svegli, solo molte ore dopo, ma a me sembra sia sempre troppo presto. Quando decido di alzarmi e vestirmi, oramai il mio corpo si è completamente ripreso e sento solo un leggero indolenzimento alle ossa ed ai muscoli.

"Devo tornare ad Hogwarts. Se vado ora posso arrivare per la colazione", mi sto giustificando?

"Se non ti spiace io resto a poltrire ancora un pò. Ci vediamo questa sera?", non faccio neanche in tempo a rispondere che lei sta già dormendo.

 

Mi smaterializzo ai confini del parco del castello e mi dirigo immediatamente verso l'interno. In pochi minuti sono dinanzi all'ufficio del preside. È mattina, quindi so per certo che lo troverò qui, infatti quando busso la sua voce gentile e pacata mi invita ad entrare.

Entro un pò titubante. Non mi preoccupa dover raccontare a Silente del mio incontro con Lord Voldemort; mi preoccupano molto di più eventuali sue domande su come ho trascorso gli ultimi due giorni.

"Severus, sei qui", è un'affermazione la sua, non certo una domanda e come al solito non dimostra alcun timore, né alcuna preoccupazione. Anche se scorgo un certo sollievo nel tono della sua voce.

"Sono qui, Albus. Ho provveduto a portare a termine il mio incarico nel migliore dei modi", rispondo senza lasciargli il tempo di chiedere, e proseguo, sperando che se parlo io, lui non interverrà "il Signore Oscuro mi ha riaccolto fra i suoi mangiamorte, non senza qualche difficoltà, ma credo di essere riuscito a convincerlo della mia devozione".

"Ho parlato col Ministro a lungo negli ultimi giorni. Ci sono avvenimenti di cui credo tu non sia al corrente. Peter Minus è stato avvistato a nord di Londra, da alcuni Auror. Tale circostanza ha convinto Cornelius della verità delle mie affermazioni degli ultimi anni", parla con circospezione, come se temesse la mia reazione a queste rivelazioni, "questa sera verrà ad Hogwarts per parlare alla scuola al fine di chiarire gli avvenimenti che hanno portato alla morte del giovane Diggory. Vi sarà anche un inviato della Gazzetta del Profeta probabilmente, e mi sono permesso di invitare anche Sirius Black". Rimango spiazzato da quest'ultima affermazione.

"Dovrebbe importarmi, Albus? Sai bene che non sono tra i fan di Black, ma sono certo di poter rimanere nella medesima stanza con lui senza ucciderlo, almeno per qualche ora", noto con piacere di non aver perso il mio tono mellifluo ed ironico.

"Hai fatto il possibile per... diciamo vendicarti di Black l'anno scorso. Mi sentivo in dovere di avvisarti che il Ministro ha rivalutato la sua posizione e che intende rendere partecipe il mondo magico questa sera stessa del fatto che Sirius è stato assolto dal Wizengamont questa mattina e che, pertanto, da domani potrà essere considerato un uomo libero", si ferma titubante, sembra voler prendere tempo, "credo che la notizia renderà felice il giovane Harry e qualche altra persona".

"Ti riferisci a qualcuno in particolare?", cerco di sondare il terreno. Albus non sa con chi ho trascorso gli ultimi giorni, ne sono sicuro, non può saperlo.

"Sirius ha dei parenti in vita. Lo sai bene; oltre alla sorella, che per quanto ne so non si trova in Inghilterra, ha anche tre cugine. Mi chiedevo solo se potessi tenere d'occhio Narcissa Malfoy ed eventualmente informarmi se lei manifestasse l'intenzione di riallacciare i rapporti col cugino", ora capisco di cosa stiamo parlando e mentalmente tiro un sospiro di sollievo.

Dopo essermi dato dello sciocco mi azzardo a rispondere ironicamente "Lady Malfoy ha ottimi gusti in fatto di amicizie e di parentele da coltivare", sottolineo l'ultima parola.

"Mi stai dicendo che non si riavvicinerebbe al cugino? Per quel che ne so, ha sempre avuto un ottimo rapporto con l'ultima dei Black, pertanto posso permettermi di coltivare la speranza che ove la ragazza riallacciasse i rapporti col fratello, probabilmente anche lei potrebbe voler fare altrettanto. E questo, un giorno, potrebbe andare a nostro favore, non trovi?". Mi limito ad annuire e dopo essermi congedato esco dall'ufficio di Albus Silente e mi ritiro nelle mie stanze nei sotterranei.

 

La sera mi raggiunge sin troppo in fretta e quando mi dirigo verso la sala Grande la stretta allo stomaco che mi ha accompagnato per tutto il giorno non è ancora andata via. Entrando vedo immediatamente che il tavolo degli insegnanti è già al completo e che vi sono state aggiunte delle sedie. Il preside mi accoglie col suo solito sorriso sereno, ma nei suoi occhi vedo un tacito monito. Raccogliendo tutta la pazienza che posso racimolare mi avvicino ai miei colleghi ed al ministro e quando scorgo la sua figura magra ed arrogante, un ringhio cerca di uscire dalle mie labbra, ma lo controllo e con il tono più controllato che trovo lo saluto con un semplice "Black" ed un cenno del capo.

Lui risponde con la stessa freddezza, ma di sicuro non mi aspettavo nulla di diverso.

"Fra pochi minuti i ragazzi cominceranno ad entrane, per il banchetto di fine anno", interviene Albus, probabilmente con l'intento di evitare battibecchi fra di noi.

Prendiamo posto al lungo tavolo e noto immediatamente che rimane una sedia vuota fra Minerva e Black – seduto alla sinistra del preside.

Quando la sala si riempie molte teste si voltano a fissare con curiosità la figura di Sirius Black, ma noto che pochi sono gli sguardi apprensivi, pertanto è evidente che la notizia della sua riabilitazione deve già essere stata portata all'attenzione dell'opinione pubblica. Mentalmente mi maledico per aver passato due giorni senza leggere i giornali.

Quando Cornelius Caramel si alza ed inizia a parlare alla sala gremita, annunciando a tutti il ritorno del mago oscuro più temuto d'Inghilterra, ed a spiegare che il ruolo di Black è stato ormai rivalutato e la sua innocenza riconosciuta, gli studenti e gli insegnanti ascoltano in religioso silenzio. L'intera scolaresca trattiene il fiato ascoltando le parole dell'uomo.

La porta si apre con un tonfo sordo, ogni singolo studente ed insegnate sobbalza sulla sedia ed all'unisono tutti si voltano verso l'ingresso. Il tempo sembra fermarsi quando la figura eterea della donna più bella che io abbia mai visto si muove sicura fra i tavoli delle case di Hogwarts. Mi concedo il lusso di osservarla, consapevole che tutti gli occhi sono rivolti su di lei, che sembra non curarsene affatto.

I suoi occhi blu incrociano per un secondo i miei, per poi muoversi sul resto delle persone presenti. È altera, sicura di sé e della sua bellezze. I lunghi capelli biondi risplendono come oro fuso alla luce delle candele; sono acconciati in una treccia lunga posata dolcemente sulla spalla sinistra che sfiora, al ritmo dei suoi passi, il suo seno e la fa somigliare ad una valchiria. Il corpo è snello e sinuoso, pieno nei punti giusti e nulla in esso lascia trasparire che ha affrontato una gravidanza. Il viso è un ovale perfetto ed i lineamenti sono quelli di una bambola di porcellana. Il sorriso, appena accennato, sembra gridare al mondo che lei sa perfettamente di essere bella e che il resto del mondo non è nulla in suo confronto.

Indossa una lunga tunica vermiglia, con una cintura nera in vita ed un mantello di pelliccia marrone sulle spalle esili.

È bella di una bellezza sfrontata ed irriverente. È una donna che non passa inosservata e che sa di attirare l'attenzione su di sé, ma non se ne cura. Ogni cellula del suo corpo sembra urlare "io sono troppo per te, non perdere tempo ad osservarmi, non ne hai il diritto".  

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Capitolo 4
*** Ritorno ad Hogwarts ***


 

Ritorno ad Hogwarts.
 

"Cassandra, che piacere averti di nuovo qui, ad Hogwarts", le parole del preside sembrano risvegliare l'intera sala, che immediatamente stacca gli occhi sognanti dalla figura di quella bellissima donna.

"Preside, è un onore per me essere qui. Anche se devo ammettere, avrei preferito tornare fra queste mura in altre circostanze", la sua voce è melodiosa come quella di un usignolo. Senza aspettare altre parole si avvia decisa verso il posto che è rimasto libero al tavolo degli insegnanti e nel farlo passa dietro alla mia sedia ed io non posso, purtroppo, far a meno di fremere quando percepisco il suo profumo (fiori di thiaré ed argan, sensuale ed esotico, come lei).

Si siede sicura fra Minerva e Sirius Black, e nel farlo la vedo rivolgere un cenno sicuro all'uomo, e dire con voce ferma e sufficientemente alta da essere udita in tutta la sala "ti trovo bene fratello, a quanto pare Azkaban non ha avuto alcun effetto negativo su di te". Lui si avvicina e le bacia la guancia, "ed io noto con piacere che il matrimonio non ha avuto alcun effetto negativo su di te, Cassandra".

A queste parole un mormorio concitato percorre l'intera sala. Vedo in un angolo del tavolo di grifondoro Potter ed i suoi amici sussurarre guardando la donna ed il suo fratellino. Ormai tutti hanno compreso chi sia la donna entrata in sala con così tanta sicurezza: Cassandra Dorea Black.

Il minstro termina il discorso in poche battute e, subito dopo, comincia il banchetto. Per tutta la durata della cena mi sforzo di conversare con Minerva normalmente, quando in realtà la mia mente mi rimanda immagini diaboliche della notte appena trascorsa, che dovrei solo sopprimere. La verità è che vorrei prendere Cassandra per un polso, trascinarla nei sotterranei e prenderla sulla mia scrivania. Non posso permettermi di continuare ad indugiare in queste elucubrazioni mentali, soprattutto non quando l'oggetto delle stesse e seduta a due sedie da me e sta conversando col caro fratellone.

Al termine della cena, mentre la giovane strega si avvicina ai suoi studenti, probabilmente con l'intenzione di istruirli, visto che l'indomani torneranno a Durmstrang, Albus attira la mia attenzione e quella di Minerva. Rimaniamo nella sala ancora qualche minuto e, salutato e ringraziato il ministro, anche Black si avvicina a noi. Nello stesso momento Potter, Weasley e Grenger si spostano verso il tavolo degli insegnanti.

"Sirius. Sono felice che tu sia libero", sento il ragazzino rivolgersi al padrino, dopo un breve abbraccio.

"Siamo molto felici anche noi", esprimono il loro sollievo anche gli altri due.

"Harry", interviene il preside attirando l'attenzione su di sé, "ho discusso con Sirius prima di cena, ed ho concordato con lui che dopo un paio di giorni dai Dursley, potresti passare il resto dell'estate con lui. Ed egli ha espresso la volontà che anche i signori Weasley e Grenger si uniscano a voi".

I ragazzi sono, ovviamente, disgustosamente entusiasti della cosa.

"Immagino che lei stia velatamente ipotizzando di riempire la mia dimora di ragazzini, preside", la voce melodiosa di Cassandra interrompe bruscamente le esclamazioni entusiaste ed un piccolo ghigno soddisfatto si dipinge nella mia mente.

"La tua dimora Cassy? La casa in Grimuld Place è, sino a prova contraria, mia. Sono io l'erede dei Black", mi preparo mentalmente (e gongolando) a godere di una bella litigata fra fratelli, quando "non era mia intenzione agire senza il suo consenso, Cassandra", la risposta pacata di Albus, giunge con l'evidente intenzione di portare ad una conciliazione, e mi impedisce di gustarmi lo spettacolo.

"Raggiungo i miei studenti, domattina intendo partire per le dieci, in modo tale da arrivare prima di sera. La ringrazio per l'accoglienza che ha riservato ai ragazzi della mia scuola. Buonanotte, preside", con un genno del capo ai presenti, si volta e se ne va, senza dare il tempo ad altri di intervenire.

"Mi spiace, Sirius. Temo di aver agito senza pensare alle conseguenze e non era di certo mia intenzione alimentare discordie fra di voi", Albus si rivolge a Black, che gli sorride pacatamente. È ormai evidente a tutti nella stanza che fra i due fratelli non scorre buon sangue e, forse, non sono mai andati veramente d'accordo.

Mi congedo e mi dirigo nelle mie stanze. Non sopporto di rimanere nello stesso luogo con quell'uomo per un secondo di più. Sto già meditando di immergermi nella lettura di un buon libro, prima di andare a dormire, quando, aperta la porta un profumo esotico colpisce, nuovamente, le mie narici. Chiudo la porta senza distogliere lo sguardo dalla figura perfetta che mi si staglia dinanzi, "pensavo fossi tornata dai tuoi studenti".

"Vado ad attendere il suo professore di pozioni nelle sue stanze, con l'intento di passare tutta la notte nel suo letto... suonava male, non credi?", pungente come sempre.

"E' questo il tuo intento?".

"Se non mi vuoi qui, esco immediatamente", mentre parla si dirige verso la porta ed io non posso far altro che bloccarla prendendola per un polso.

"Non ho detto nulla del genere e non desidero che tu te ne vada", detto ciò mi avvicino a lei e la bacio, e quando lei risponde con urgenza, nulla ha più importanza, se non i nostri corpi abbracciati e le nostre labbra unite. In un lampo di lucidità mi ricordo di sigillare la porta, prima di prenderla in braccio e trasportarla nella mia camera da letto.

L'adagio sul letto e mi sdraio sopra di lei, "che cosa stiamo facendo?", la frase esce dalle mie labbra senza che io riesca a fermarla. "Mi stai chiedendo di definire questa cosa, Severus?", la sua risposta mi coglie impreparato. Non sono certo di voler veramente dare una definizione a ciò che sta accadendo fra di noi.

"Non so, Cassy. Solo mi stavo chiedendo perché sei qui... e, soprattutto, quanto resterai... non fraintendermi. Non ho intenzione di tirarmi indietro. Ma tu sai bene cosa sto facendo e che i prossimi anni saranno sicuramente difficili...".

"Sta per iniziare una guerra. Forse domani non saremo neanche vivi. Che importanza ha una definizione? Non possiamo solo... vivere il momento?", mi interrompe ed io non so più cosa ribattere. Ha ragione. Forse domani saremo morti, perché rifiutarla.

Passiamo la notte insieme e la mattina lei è ancora qui, nel mio letto. Il suo corpo nudo è stretto al mio ed un fremito mi percorre la schiena al solo contatto col calore della sua pelle. Le sto accarezzando i morbidi capelli d'oro, quando i suoi occhi si aprono lentamete. "Che ore sono?".

"Le sette, Cassandra. Puoi dormire ancora un...", si alza interrompendo la mia frase.

"Non posso. Vorrei parlare con Albus Silente prima di raggiungere i miei studenti e partire". La confusione nei miei occhi dev'essere evidente, perché continua a parlare dandomi spiegazioni che non ho chiesto, ma per le quali le sono grata. Mezz'ora dopo è uscita dalle mie stanze lasciandomi solo coi miei pensieri.

Il solo pensiero che fra poche ore lei sarà tornata in un paese straniero mi colpisce come un pugno nello stomaco. La quotidianità degli ultimi giorni mi stava piacendo. Mi sono abituato ad averla nella stessa stanza e nel mio letto.

Guardo l'orologio. Sono le nove ed io dovrei proprio alzarmi. Mi faccio una doccia veloce e mi vesto con una delle mie solite tuniche nere, dopo raggiungo la sala grande per la colazione e vi trovo gran parte degli studenti.

Al tavolo dei professori Cassandra sta parlando col preside ed io mi concedo ancora la possibilità di guardarla per qualche minuto e mi perdo nel ricordo di una mattina di diversi anni fa.

 

Era il mio primo anno come professore ad Hogwarts ed ero forse più agitato io dei miei studenti. Quando posai gli occhi su quella che era stata la mia casa, notai immediatamente due iridi blu puntate su di me. La proprietaria non doveva avere più di diciassette anni e non mi era completamente estranea. D'altronde avevo frequentato quella scuola sino a pochi anni prima e, pertanto, io e lei sicuramente ci eravamo incontrati qualche volte. Passai diversi minuti osservando la bellezza di quella ragazzina e cercando di rammentare un nome che non voleva affiorare alla mia memoria.

Poco dopo la ragazza, accompagnata dalle sue amiche uscì dalla sala grande ed io mi diressi alla mia prima lezione, rendendomi conto, troppo tardi che il destino aveva voluto prendersi gioco di me, ed infatti mi ritrovai gli stessi occhi blu ad accogliermi in aula. A quel punto, in compenso, mi fu semplice scoprire il suo nome e con non poco timore mi accorsi che non si trattava di altri che della sorella minore del mio acerrimo nemico, Cassandra Blck.

Fu sicuramente la lezione peggiore e la più lunga della mia vita. Non riuscivo ad evitarmi di tornare regolarmente ad osservare la sua figura armoniosa dalla quale, nonostante tutto, mi sentivo attratto. La contemplai a lungo mentre, sicura di sé, con gesti precisi e misurati portava a compimento una delle pozioni più complicate con cui una ragazza della sua età poteva venire a contatto.

Era bella, elegante e... irragiungibile. Non solo perché mia studentessa (anche se ancora per poco), ma soprattutto perché ultimo membro di una delle famiglie di purosangue più influenti e potenti del mondo magico ed anche se io non fossi stato un mezzosangue, sapevo comunque di non essere abbastanza per lei.

Eppure quello fu il primo momento nella mia vita in cui i miei pensieri si riversarono inesorabilmente su quella giovane donna dai capelli d'oro come i riflessi del sole sulle acque del Lago Nero in una calda mattina d'estate.

 

Sorrido sedendomi accando a lei al tavolo dei professori e rendendomi conto che nulla è cambiato realmente: oggi come allora lei riesce sempre ad attrarmi irrimediabilmente ed a farmi sentire inadeguato. Lei è sempre troppo per me.

Non faccio in tempo ad allungare la mano per appropriarmi dell'agognata tazza di caffè, che una voce sgradita mi giunge all'orecchio.

"Mocciosus, non dovresti stare così vicino a mia sorella, non te lo permetto ed inoltre, dubito che lei gradisca la tua viscida presenza".

"Sei ancora qui, Black!", la mia replica atona, giunge all'uomo senza che io mi volti e prima che possa continuare, la donna di fianco a me si alza, per avvicinarsi al fratello. Si allontanano, perciò non posso sentire cosa si stanno dicendo, ma dalle maniere concitate, posso ben dedurre che stanno discutendo animatamente.

Dopo qualche minuto la ragazza ritorna al suo posto e con poche parole si congeda dal preside e dagli altri insegnanti, senza neanche degnarmi di uno sguardo. Non che mi aspettassi dimostrazioni di affetto o altro, anche perché non avrei gradito nulla del genere in pubblico, ma almeno un gesto di saluto. Stizzito termino la mia colazione e subito dopo mi dirigo di nuovo nel mio ufficio. Quest'oggi gli studenti torneranno alle loro case ed anche io dovrei fare i bagagli. Devo ammettere che quest'anno scolastico è stato particolarmente estenuante e difficile.

Quando entro nel mio ufficio noto una foglio di pergamena dall'aria piuttosto pregiata sulla mia scrivania. Non appena riconosco la calligrafia elegante ed ordinata un tenue sorriso increspa le mie labbra e per l'ennesima volta negli ultimi giorni mi maledico per la mia debolezza. Sono solo poche parole, ma mi rasserenano la giornata: "Ci vedremo presto". Un unico pensiero mina per un secondo la mia felicità: quanto presto?

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Capitolo 5
*** Cena a Malfoy Manor ***


 

Cena a Malfoy Manor.

Sono trascorse già due settimane dalla fine della scuola e devo dire che provo quasi nostalgia per quelle mura di pietra (non per gli studenti, sia chiaro, per loro mai), ma per la vita tranquilla che vi scorre all'interno. La guerra non è ancora veramente cominciata, ma già si sente il terrore nell'aria. La riabilitazione di Sirius Black e l'ammissione da parte del ministro del ritorno di Voldemort ha scatenato il panico nel mondo magico. Diagon Alley è spesso deserta, poche persona rischiano di muoversi, se non per soddisfare le proprie primarie necessità, ed hanno sempre l'aria di chi vorrebbe essere ovunque, tranne che lì. Per strada ci si muove a gruppetti e la diffidenza nei confronti del prossimo è palbabile e snervante. Non che io condivida tale stato di tensione, ma non mi piace dovermi spostare tra persone in evidente agitazione febbrile.

Questa giornata era già cominciata male con la prima riunione dell'Ordine della Fenice. Non capirò mai perché Silente ha voluto istituire il quartier generale dell'organizzazione a casa Black. Certo la villa è antica ed intrisa di incantesimi protettivi (molti dei quali, probabilmente, di magia oscura, visto il passato della dinastia), ma si tratta comunque della casa di una delle più antiche e nobili famiglie purosangue. Se a questo poi aggiungiamo che vi abita quel cane pulcioso e che pertanto ad ogni riunione dovrò avere a che fare con lui, le cose non migliorano di certo.

Devo dire che quando mi ci sono recato ho sperato di trovarci anche Cassandra, e sono rimasto piuttosto deluso notata la sua assenza, il che sicuramente non ha contribuito al miglioramento del mio umore. Pensandoci sono stato uno stupido, Silente non avrebbe fatto partecipare una donna la cui "fedeltà" è più che dubbia ad un incontro così importante. Anche se non mi spiego come pensa di fare a tenerla fuori dalla casa dei suoi genitori.

Quel che non mi sarei aspettato è che la giornata potesse peggiorare. Quando, tornato a casa, ho trovato un gufo reale ad attendermi, dovevo capire che la serata, purtroppo, non era ancora finita. D'altronde quell'animale lo conosco piuttosto bene, perciò non mi sono sorpreso quando ho scorto la calligrafia del mittente, anche se mai mi sarei aspettato un invito a cena da parte di Narcissa. Ed ora sono alle prese coi preparativi per la serata. Io che odio la mondanità. Certo è che a Malfoy Manor non ci si può presentare col medesimo abbigliamento che si utilizza per andare a fare compere a Diagon Alley e ciò non aumenta di sicuro la mia voglia di recarmici. Fortunatamente non è la prima volta che vengo invitato da Lucius o da sua moglie e, pertanto, ho dovuto già da anni munirmi di un paio di completi adatti a questo genere di occasione. Con poca voglia ed un certo disgusto mi accingo a sostituire la mia semplice veste in cotone nero, con una in raso del medesimo colore, alla quale abbino una camicia bianco latte.

Ho risposto all'invito più che altro poiché volevo scoprire se sotto vi fosse qualche questione urgente da trattare; magari Lord Malfoy desiderava parlare del Signore Oscuro o di qualche missione che gli era stata assegnata. In tal caso potrei venire a conoscenza di qualche informazione importante per l'Ordine e, pertanto, non era il caso di rifiutare.

Pochi minuti dopo mi sono materializzato davanti al cancello in ferro battuto di Malfoy Manor. Ogni qual volta che mi trovo dinanzi all'enorme maniero rimango affascinato dall'edificio, come se non l'avessi mai visto. Trasuda lusso e opulenza da ogni singolo angolo, persino il giardino è pregiato come un gioiello prezioso. Senza contare quegli stupidi uccellacci che girano fra l'erba ben curata: pavoni albini. Prima o poi credo che chiederò a Lucius perché mai ci siano dei pavoni albini nella sua dimora.

Suono al campanello ed il vecchio elfo domestico che funge da maggiordomo mi apre, credo si chiami Bredly, ma non me ne sono mai veramente curato. Dopo avermi fatto strada fino al salottino verde, nel quale solitamente mi soffermo a chiacchierare con Lucius le poche volte in cui vengo in questo castello, mi offre un bicchiere di vino elfico e mi avvisa che i padroni di casa arriveranno presto. Mi accomodo sulla poltrona vicino al camino, in attesa. Passano solo pochi secondi prima che la porta si apra e quando mi volto verso di essa il mio cuore perde un battito e rimango paralizzato per qualche attimo. Fortunatamente gli anni come spia mi hanno temprato abbastanza da permettermi di riacquistare il pieno controllo senza che nessuno scorga il mio turbamento.

Mi alzo con la mia solita calma avvicinandomi al padrone di casa ed ai suoi accompagnatori.

"Lucius, mio amico, è un piacere essere nella tua dimora. Narcissa, il tuo invito è stato davvero molto gradito", a questo punto non mi è possibile evitare di salutare anche la terza adulta entrata nella stanza, "signora Selwyn, è un onore poterla incontrare di nuovo".

"Lo è anche per me, professor Piton. Posso presentarLe mio figlio Antares? Antares lui è il professor Piton e sarà tuo professore di pozioni ad Hogwarts", così dicendo mi indica il figlio ed io devo fare forza su tutto il mio autocontrollo, per evitare di sbarrare gli occhi quando mi viene detto che il ragazzo frequenterà la mia scuola.

"Sono certo che la nostra scuola sarà onorata di ospitare un allievo di così nobili origini", mi ritrovo a pronunciare queste parole chiedendomi se potrò sopravvivere alla vista quotidiana di quel ragazzino, tanto più che assomiglia così tanto alla madre: gli stessi capelli, lo stesso portamento altezzoso. L'unica cosa che li distingue è il colore degli occhi; deve averli presi dal padre, perché sono di un verde profondo che non ho mai visto in nessuno dei componenti della famiglia Black. Nel momento in cui faccio questa considerazione due occhi verdi, appartenenti ad un altro ragazzino, mi si formano nella mente e l'ironia della situazione mi colpisce: quegli occhi sono l'unica cosa che Harry Potter ha ereditato da sua madre. Scaccio questi pensieri come se fossero mosche fastidiose e mi concentro sulla conversazione, proprio mentre Lucius mi parla: "Sono felice che la pensi così, caro amico. È proprio per questo che ti abbiamo invitato a cena. Vorrei che tu potessi conoscere Antares e prenderlo sotto la tua ala protettrice ad Hogwarts!".

"Sarà per me un onore occuparmi del giovane signor Selwyn", il mio tono mellifluo, nasconde la leggera ironia che non posso evitare nella mia voce, forse solo Cassandra deve averla sentita, perché per pochi secondi un'espressione indecifrabile si dipinge sul suo volto.

"La cena dovrebbe essere pronta fra pochi minuti, mi accompagni, Severus?", così dicendo Narcissa mi prende sotto braccio ed insieme ci avviamo verso la sala da pranzo. Per l'ennesima volta mi ritrovo a percorrere i corridoi pieni di opulenza di questa casa e non posso far a meno di ammirare la ricchezza e l'eleganza della famiglia Malfoy. Di Lucius e Narcissa si possono dire molte cose, anche negative, ma non si può negare che siano ospiti eccezionali e raffinati.

Sediamo a tavola e pochi secondi dopo gli elfi domestici iniziano a servire le prime pietanze. Il cibo che ci viene servito è squisito ed io, per quanto non ami particolarmente mangiare, non posso far a meno di esserne deliziato. La conversazione, al contrario, è piuttosto scadente e squallida. Noto che la padrona di casa sembra assolutamente intenzionata a tener lontane le chiacchiere dalla politica e dalla situazione delicata in cui versa attualmente il mondo magico. Ad un ascoltatore poco attento potrebbe sembrare che la sua intenzione sia di evitare che i due ragazzini vengano coinvolti in simili argomenti, ma io so bene che non è così. Non è mai stato un problema, per i coniugi Malfoy, parlare di determinate questioni davanti al giovane Draco. Devo dedurre, pertanto, che il problema di Narcissa siano le idee di Cassandra e questo mi porterebbe a presumere che, forse, la giovane non è propriamente affine alle idee di Voldemort. Devo ricordarmi di riferire i miei sospetti a Silente.

"A proposito di incontri interessanti, Cassandra, ho saputo che qualche giorno fa hai avuto modo di fare quattro chiacchiere col giovane Scamander", la frase di Lucius mi ha decisamente colto alla sprovvista e devo fare affidamento su tutto il mio autocontrollo per evitare che il pugno (metaforico) che ho appena ricevuto nello stomaco sia percepito da tutti i partecipanti alla cena.

"Sì, cugino. Ci siamo incontrati a Diagon Alley per un thè", il suo tono è, evidentemente, turbato e titubante ed il suo sguardo mi evita. Un moto di rabbia e di delusione mi colpisce in pieno. Cosa ci faceva con quell'uomo?

"Non devi essere imbarazzata, Cassy, sei giovane. È normale che tu voglia rifarti una vita. Charles sarebbe sicuramente un partito accettabile, di buona ed antica famiglia. E poi, se non ricordo male è anche un bell'uomo ed ha l'età giusta per essere un buon padre per tuo figlio. Ti ricordi di lui Severus? Era a scuola con noi, credo nel tuo stesso anno", alle parole di Narcissa non posso che rispondere con una smorfia di puro disgusto.

"Lo ricordo benissimo. Un inetto ed incapace, senza ambizioni e con poco cervello".

"Per te sono tutti inetti ed incapaci, Severus".

"Niente affatto, Lucius. Sono solo sincero. Per esempio di te ho sempre pensato che sei intelligente, così come di tua moglie. Ed anche di Draco ho un ottima considerazione".

Per fortuna la cena è quasi al termine e devo sopportare questa casa, che di colpo è diventata troppo stretta ed asfissiante, solo per poco più di mezz'ora ancora. Non appena mi è possibile mi congedo e nel baciare la mano alla giovane Black evito di guardarla negli occhi. Non ho proprio la forza di farlo, al momento sono troppo furioso per quanto scoperto poco prima.

Appena esco dal cancello del Manor mi smaterializzo direttamente nella mia camera da letto. Non ho neanche la forza di cambiarmi. Mi sdraio sul letto amareggiato e pieno di rabbia. Vorrei che Cassandra fosse qui, solo per potermi liberamente sfogare con lei. Ho voglia di urlare e di aggredire qualcuno.

Dev'essere molto tardi ed io ancora non sono riuscito a prendere sonno, quando un ticchettio alla finestra mi distrae. Un gufo a quest'ora? Spero non sia qualcosa di urgente. Mi alzo e non appena l'animale mi porge la zampa riconosco la carta utilizzata. Non leggo neanche il messaggio, mi limito ad incenerirlo con la bacchetta. Non posso sopportare anche di sorbirmi le sue sciocche scuse. Dovevo aspettarmelo, infondo, che avrebbe cercato di intrattenersi con uomini più adeguati al suo status sociale e sono solo stato uno stupido ad illudermi che ci fosse una possibilità per noi. Lei è fatta così, infondo. Usa gli uomini per i suoi scopi, come le è stato insegnato sin da bambina. Ed io non sono stato altro che una pedina, un divertimento momentaneo, un gioco.

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Capitolo 6
*** Riunione di famiglia a Grimmauld Place ***


 

Riunione di famiglia a Grimmauld Place.
 

Sono passate ormai diverse settimane da quella cena a Malfoy Manor e non ho avuto più alcuna notizia di Cassandra. Io non l'ho cercata e lei non ha più scritto. Forse è meglio così, infondo ho sempre pensato che stessimo facendo una sciocchezza e che la nostra, chiamiamola relazione, fosse sin troppo avventata e non avrebbe potuto portare a nulla.

Per l'ennesima volta mi ritrovo sdraiato sul mio letto ad elencare le innumerevoli cose che ci distinguono e ci rendono incompatibili. Ho valutato la possibilità di scriverle su un foglio, salvo poi rendermi conto che sarebbe stato un comportamento da dodicenne in preda alla disperazione da prima cotta. Mentalmente mi sono dato dell'idiota e del debole.

Detesto il fatto che lei possa farmi questo.

Devo uscire da questa casa. Ultimamente sono rimasto troppo tempo qui a rimuginare su situazioni che non posso controllare. Ho un paio di commissioni da fare a Nocturn Alley, che sto rimandando da troppo tempo.

Dopo essermi preparato in fretta mi smaterializzo nella stradina più squallida e malfamata della Londra magica. Se non fossi costretto, probabilmente non mi recherei mai in questi luoghi, ma, purtroppo, alcune cose non possono essere fatte altrove.

"Piton...", il commesso del negozio in cui sono appena entrato mi rivolge un cenno di saluto. Ci conosciamo da diversi anni e mi rifornisco spesso da lui per i miei ingredienti di pozioni. Beh... per quelli poco legali almeno.

"Rik! Mi servirebbero un paio di cose. Se non le hai subito te le ordino e passo a prenderle fra qualche giorno".

"Immagino non si tratti di lumache cornute e crine di unicorno".

Sogghigno ironicamente prima di rispondergli, "perché vendi anche queste cose? Se avessi bisogno di ingredienti comuni non perderei il mio tempo in questa strana cenciosa, non credi?".

Prima che possa dire altro, sento la porta aprirsi dietro di me ed una voce sin troppo famigliare mi giunge alle orecchie.

"Narcissa, davvero... non capisco perché tu lo difenda! Mio fratello è sempre stato un ragazzino arrogante ed irrispettoso nei confronti della famiglia".

La risposta dell'altra donna viene bloccata sul nascere, quando le due nuove clienti si accorgono della mia presenza. Io vorrei sparire, ma sarebbe piuttosto scortese, perciò mi obbligo a salutare educatamente le due avventrici.

"Narcissa, signora Selwyn", mi rivolgo a loro con un lieve cenno del capo.

"Suvvia Severus, Cassandra è mia cugina ed è anche stata una tua allieva se non ricordo male. Potresti anche abbandonare tutta questa formalità".

"Narcissa, non è mia abitudine essere informale con una semi-sconosciuta", so che sto calcando malignamente sull'ultima parola e so anche che pronunciarla è veramente crudele, ma la mia rabbia non si è affatto affievolita col trascorrere dei giorni.

Posso notare un'ombra scura passare per un secondo negli occhi della donna più giovane, che comunque prontamente mi risponde "non mi dispiacerebbe se mi chiamassi per nome, ovviamente se posso permettermi di fare altrettanto, Severus".

Mi limito a rivolgere alle due donne un leggero sorriso e cambio immediatamente argomento "vi prego, servitevi pure. Le mie commissioni potrebbero andare per le lunghe".

"Ti ringrazio, Severus", rimarca ulteriormente il mio nome, come se volesse puntualizzare che non siamo sconosciuti, "ha tutto quanto le avevo ordinato?". L'ultima frase la rivolge al commesso, che con un cenno del capo le porge un pacchetto. Non lo apre ed un pò rimango deluso. Sono curioso di sapere cosa sia venuta ad acquistare in questo luogo poco raccomandabile.

Prima di uscire le due donne si fermano nuovamente a salutarmi.

"Severus, mi piacerebbe aver modo ancora di scambiare qualche parola con te in merito a mio figlio. Sai, l'anno scorso ha frequentato Durmstrang e temo che cambiare scuola possa scombussolarlo. Mi farebbe piacere poter discutere della sua situazione con un suo professore", è evidente il suo tentativo, debole, di poter rimanere da soli.

"Dovrebbe discuterne col preside, signora Selwyn", strascico volutamente la parola ed i suoi occhi mi lanciano lampi di odio così potenti che mi sorprendo di essere ancora vivo, "sono certa che il ragazzo non avrà problemi a scuola, ma comunque il professor Silente sarà ben lieto di vederla e di approfondire la questione".

"La ringrazio, professor Piton. Allora scrivero al preside".

Se il nostro scambio, glaciale, di battute ha in qualche modo turbato o insospettito Narcissa, devo ammettere che lei non lo ha certamente lasciato intendere. Mi sorge spontaneo il dubbio che sappia più di quanto voglia far credere.

Rimasto solo col proprietario del negozio, ordino gli ingredienti che mi servono e poi, uscito mi smaterializzo nuovamente in un'altra parte di Londra. Mi trovo davanti una serie di villette a schiera tutte uguali e mi dirigo, a passo deciso, verso il numero 12. Senza suonare il campanello, entro in casa e scendo le scale che conducono alla cucina. Sento delle voci allegre all'interno della stanza, e, senza trattenere una smorfia di disgusto dopo averne riconosciute alcune, entro nel locale ben illuminato.

"Buongiorno, professor Piton", la signora Weasley mi saluta gioviale.

"Buongiorno, signora Weasley", mi costringo a rispondere, mentre agli altri rivolgo un flebile cenno del capo, prima di accomodarmi su di una sedia il più lontano possibile da Potter e Black. Albus non è ancora arrivato, e mentre sono qui in attesa dell'inizio della riunione, mi ritorna alla mente lo stralcio di conversazione che ho udito, innavertitamente, prima all'interno del negozio.

 

"Narcissa, davvero... non capisco perché tu lo difenda! Mio fratello è sempre stato un ragazzino arrogante ed irrispettoso nei confronti della famiglia".

 

Le parole pronunciate da Cassandra rimbombano nella mia mente, mentre mi sforzo di comprenderne appieno il significato. Certo forse non voglion dire nulla di importante, ma sicuramente denotato un certo grado di... diciamo affetto... da parte di Lady Malfoy, nei confronti del cugino.

Ormai manca solo Albus ed i ragazzini sono già stati mandati di sopra, visto che l'uomo dovrebbe giungere a momenti. Non faccio in tempo a finire questo mio pensiero, che sento la porta d'ingresso aprirsi. Quando il preside entra rimango spiazzato e penso di non essere l'unico. Con lui, infatti, vi è l'unica donna che non avrei mai pensato di poter veder passare da quella porta. Vedo la mia confusione rispecchiata negli occhi di tutti i componenti della stanza.

"Albus, sei impazzito?", il primo a riprendersi è il vecchio Alastor, che esprime a parole tutto ciò che io sto pensando in questo momento.

"Caro vecchio amico, penso di poter dire con sicurezza che non vi sono stati cambiamenti nel mio stato mentale ultimamente".

"Il ché non è certamente una risposta negativa alla sua domanda", la mia risposta sprezzante ed ironica non si lascia attendere che qualche secondo.

"Suvvia, Severus. Non è educato esprimerti in questo modo".

"Narcissa, veramente mi stai rimproverando per la mia ironia, quando ne sei la causa?". La donna sorride sorniona alla mia domanda, ovviamente retorica, ma l'atmosfera nella stanza non cambia di una virgola, continuando a rimanere piuttosto tesa.

"Non sei gradita in questa casa", e, purtroppo, anche il caro Black non può evitare di dire la sua. Perché mai non può stare zitto qualche volta; ci riempirebbe tutti di immensa gioia.

"Cugino, potrei dire lo stesso di te. Ed in effetti tu, qui, non sei gradito ormai da molto tempo", la risposta pungente della donna mi fa sorridere. Ho sempre trovato stimolante l'ironia e la sottile crudeltà di Narcissa.

L'espressione rabbiosa dell'uomo parla chiaro, se potesse credo che salterebbe alla giugulare della donna, azzannandola e lasciandola in terra a morire dissanguata.

"Lady Malfoy è qui su mio preciso invito, pertanto, chiederei a tutti voi di trattarla col massimo rispetto", Albus interviene nel vano tentativo di appacificare gli animi.

"E perché mai sarebbe qui, preside?", la voce di Black trema dalla rabbia che tenta inutilmente di reprimere, ma la sua domanda è più che legittima.

"E' qui per partecipare alla riunione".

"Questo potrei sostenere che fosse ovvio a tutti, preside", non posso trattenermi dal rimarcare quanto la sua risposta non sia una risposta.

"Come ho già detto, è qui su mio invito per partecipare alla riunione. Non ho altro da aggiungere. Ora continuiamo", il suo tono è pacato, ma definitivo. Nessuno osa più ribattere.

La riunione continua come al solito. Ognuno dei partecipanti informa i presenti delle novità che ha scoperto. Dura all'incirca un paio di ore, ed alla fine mi rendo conto che non abbiamo risolto poi molto. Nulla di veramente nuovo è stato prospettato e, d'altronde, Lord Voldemort al momento sembra che non si stia quasi muovendo. Nelle ultime settimane i suoi mangiamorte sono stati convocati solo un paio di volte e più che altro per questioni futili. Mi chiedo se non sia solo la calma prima della tempesta o, peggio ancora, se non ci troviamo proprio nell'occhio del ciclone in questo momento.

Solo alla fine, il preside si volta verso Narcissa, "Come vede, Lady Malfoy, le persone presenti in questa stanza sono tutte intenzionate a combattere Lord Voldemort e, come le ho già detto quando ci siamo incontrati qualche giorno fa, un aiuto dall'interno è sempre gradito e lei si trova nella posizione ideale per fornircelo".

"Mi sembra che lei abbia già un ottimo aiuto all'interno", i suoi occhi si posano su di me e per qualche secondo mi chiedo se il preside non abbia commesso un errore terribile invitandola qui, "non temere, Severus", risponde dandomi l'impressione di sapermi leggere come un libro aperto, "Albus Silente non è uno stolto. Ho pronunciato un voto infrangibile che vi tutela tutti prima di essere ammessa a partecipare a questa riunione. E prima che me lo chiediate, sono stata io stessa a chiedere di poter essere presente".

"E perché mai la moglie di uno schifoso mangiamorte come Lucius Malfoy dovrebbe voler far parte dell'Ordine della Fenice?".

La rabbia ormai è evidente sul volto della donna, "non osare insultare mio marito, cugino! Proprio tu che sei un vigliacco traditore del suo sangue, osi parlare?".

"Traditore del mio sangue? Come ti permetti? Io vi odiavo tutti... non siete mai stati la mia famiglia... mi facevate schifo, anzi... mi fate schifo!".

I volti dei due Black sono deformati dalla rabbia e dal disgusto. Non so proprio chi dei due sembri più irritato e schifato in questo momento.

"Noi ti facciamo schifo? Tuo padre si è lasciato morire dal dolore, a causa tua. Hai la sua morte sulla coscienza, eppure pensi di essere migliore di me, perché sono sempre rimasta fedele alla famiglia", il dolore sul viso di Narcissa è così palpabile, mentre pronuncia queste parole di odio nei confronti del cugino che ho quasi avuto la tentazione di avvicinarmi a lei e cingerle le spalle con un braccio.

In quel momento il tempo nella stanza sembrava essersi fermato. Gli occhi di tutti si spostano dall'uomo alla donna, in attesa del prossimo passo. I due, al contrario, continuano a guardarsi negli occhi con disprezzo, sino a quando Black non abbassa lo sguardo e, con mio sommo stupore, vedo una lacrima solcare il suo viso.

Narcissa, riconquistata la propria compostezza, si volta ed esce dalla stanza, senza più degnare di uno sguardo nessuno.

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Capitolo 7
*** Confessioni ***


 

Confessioni.

 

Arrivo a casa che è ormai sera e sono ancora scosso dalla giornata. Devo ammettere che nulla di ciò che è accaduto oggi era prevedibile.

Entrando per la seconda volta in pochi mesi mi rendo conto che qualcosa non va. Mi viene immediatamente in mente il ricordo di quella sera, dopo il primo incontro col Signore Oscuro, quando varcata la soglia della mia abitazione il profumo di Cassandra mi ha immediatamente colpito e reso cosciente del fatto che qualcuno era entrato senza il mio permesso.

Ho solo qualche secondo per comprendere che non si tratta del medesimo aroma, quando entrando nel mio salotto, scorgo una figura esile davanti al caminetto acceso.

"Ci incontriamo per la terza volta in un solo giorno, devo preoccuparmi, Cissy?". Non sono in molti a chiamarla così, ma è un piccolo vizio che mi è rimasto dagli anni della scuola. Ovviamente utilizzo questo soprannome solo quando siamo soli, non amo l'idea che qualcuno possa ipotizzare che fra noi vi sia una qualche relazione inappropriata, non solo perché suo marito è un mio amico, ma anche perché non sopporterei che si creassero strani pettegolezzi intorno a lei. Sorrido senza riuscire a trattenermi, rendendomi conto che, nonostante tutto, ancora sento la necessità di proteggerla, anche se lei è più grande di me.

"Non mi chiamavi così da tanto tempo, Sev". Mi guarda, come se non mi vedesse da anni, come se non credesse davvero di avermi davanti a lei, ma dura solo pochi secondi, dopo le sue iridi si scuriscono e mi si gela il sangue nelle vene, "ti scopi mia cugina, credi che non lo sappia?". La sua voce è dura ed il mio cuore perde qualche battito alle sue parole.

La fisso senza saper bene cosa dire. È furiosa, lo capisco, la conosco troppo bene per non rendermene conto. Passiamo dei minuti a fissarci, sino a quando non riesco più a reggere le accuse nei suoi occhi ed abbasso i miei sconfitto.

"Non perdere tempo a negare, sarebbe inutile ed avete già insultato abbastanza la mia intelligenza, entrambi. Comunque non sono qui per questo".

"Se non sei qui per questo motivo, perché mai hai tirato fuori quest'argomento?".

Mi guarda, per qualche secondo, credo con l'intenzione di soppesare attentamente la risposta da darmi ed io trattengo il fiato in attesa, cercando inutilmente di non farle comprendere il mio stato di agitazione.

"Volevo una reazione sincera da te. E sappiamo entrambi che sei fin troppo bravo a fingere. Dovevo agire ora che non te lo aspettavi".

"Te lo ha detto lei?".

"Non la conosci così bene, se pensi che lo farebbe. L'ho capito l'altra sera a cena, ma era più che altro un dubbio allora. Quando l'hai vista entrare eri sorpreso, ma non ci hai messo più di due secondi a capire chi fosse ed hai nascosto il tuo turbamento subito".

"E la conferma l'hai avuta ora?", le chiedo dubbioso.

"No. La conferma l'ho avuto quest'oggi, a Nocturn Alley. Le vostre battute gelide erano così impregnate di tensione sessuale, che ogni mio dubbio è sparito", sembra tentennante, come se volesse chiedere qualcos'altro, ma non si azzarda a farlo.

"Ormai siamo qui e ne stiamo parlando. Chiedimelo e basta...", non sono certa di voler sapere cosa intende domandarmi.

"Voglio sapere due cose e voglio che tu sia sincero con me. La prima è da quanto va avanti questa storia e la seconda è se ne sei innamorato".

Decisamente non volevo sentirla la sua domanda, anzi le sue domande. Cosa dovrei risponderle?

"Cissy, io... non so cosa vorresti che ti dicessi".

"Prova con la verità", sorride sorniona continuando a sorseggiare un bicchiere di vino color sangue. Mi decido a sedermi di fronte a lei ed a far comparire un bicchiere anche per me, non di vino, ho bisogno di qualcosa di più forte, del buon whisky incendiario. In tutto ciò non ho smesso di guardarla neanche per un secondo. È veramente bella. Mi chiedo come possano essere tutti così belli i membri della famiglia Black. Sì, anche quel cane pulcioso è compreso, anche se mi duole ammetterlo.

Raccolto tutto il coraggio di cui sono dotato, mi decido a tentare di rispondere alle sue domande, chiedendomi se posso veramente fidarmi di lei e sino a che punto.

"E' capitato, una sola volta, diversi anni fa; prima del suo matrimonio ovviamente. Ed è successo di nuovo di recente... per quanto concerne la tua seconda domanda...", cosa dovrei risponderle? Amo Cassandra? Non me lo sono mai veramente posto questo quesito. D'altronde come potrei dirmi innamorato di una donna che conosco appena e che non vedevo da diversi anni?

"Non rispondere... non sono affari miei. Non avrei dovuto chiedere", la guardo sconcertato. Ha davvero ritrattato la sua domanda? Perché? "Tornando a questioni più serie, sono qui per rassicurarti sulle mie intenzioni".

Respiro, sollevato dal suo cambio di argomento. Solo ora mi rendo conto di quanto mi avesse sinceramente agitato la situazione che si era creata poco fa.

"Quali sarebbero le tue intenzioni?".

"Possiamo parlare tranquillamente qui, Sev? È sicuro?", mi osserva dubbiosa e comprendo che non sono l'unico in crisi.

"E' sicuro. La casa è ben protetta, anche se a quanto pare tu sei entrata senza problemi".

"Io ti conosco da una vita e non è la prima volta che entro nella tua dimora", la vedo prendere fiato e mi rendo conto che stiamo arrivando ai discorsi seri, "sono preoccupata, Severus".

Lo dice con un candore ed una sincerità che mi lasciano interdetto. Non sono abituato ad un atteggiamento così limpido da parte sua. Narcissa è una brava donna, ma educata sin dall'infanzia a fingere ed a non lasciarsi andare a slanci emozionali e trasporto di alcun tipo, soprattutto al di fuori della stretta cerchia familiare.

"Per cosa.... se posso chiedere?", posso immaginare cosa la preoccupi, ma vorrei capire cosa passa per la sua mente e dove intende arrivare.

"Il Signore Oscuro sta prendendo potere e tu lo sai bene. Certo, sino ad ora, si tratta più che altro di riunire i vecchi sostenitori e di radunare le proprie forze e, sicuramente, il mondo magico ormai è allerta, ma comunque non sono tranquilla".

"Tuo marito è un mangiamorte", obiezione ovvia e quasi sciocca da parte mia, ma veramente non riesco a comprendere dove ci stiamo dirigendo. Ripenso alla sua comparsa al quartier generale dell'Ordine e mi chiedo se non fosse una visita sinceramente interessata la sua. Sto per scoprirlo probabilmente.

"Anche tu lo sei", la sua risposta non è piccata e stizzita come potrebbe essere, ma al contrario sembra una semplice costatazione senza implicazioni di sorta.

Sono titubante, ma alla fine decido di sbilanciarmi, forse troppo, ma che ci posso fare, le donne Black mi convincono sempre, in un modo o nell'altro, a fidarmi di loro, "non lo sono più da molto tempo, Narcissa". L'ho detto. Forse mi sono scavato la fossa con le mie stesse mani. Già la vedo, mentre va dal Signore Oscuro tutta gongolante, ad aggiornarlo in merito al mio tradimento. Lei mi sta guardando e nei suoi occhi leggo delusione. Mi vergogno come mai prima di oggi, quando mi rendo conto di aver pensato qualcosa di orribile su una donna che, lo so bene, è mia amica e c'è stata, sempre, quando avevo bisogno di un conforto.

"Non ti fidi di me!", non è una domanda la sua, ma una costatazione così chiara ed impregnata di cocente delusione che mi sento orribile e perfido in questo momento. Come posso non fidarmi di lei? "Sai, io ho sempre saputo che non saresti stato per sempre dalla parte di Voldemort", è la prima volta che le sento pronunciare questo nome e mi aiuta a riscuotermi dai miei pensieri.

"Cosa ti ha fatto pensare che la mia lealtà un giorno sarebbe venuta meno?", non sono certo di volere che risponda, ma non posso trattenermi dal chiedere.

"Sei un serpeverde, Severus. Ciò implica che tu possiedi alcune qualità, quali ad esempio la lealtà. Anche io mi ritengo leale, verso la mia famiglia soprattutto".

"Continuo a non capire. Dici che sono leale, ma allo stesso tempo dubiti che io lo sia".

"Si può essere leali a molte cose, mio caro", non mi chiamava così da molti anni, forse non l'ha mai fatto di persona, ma era scritto sempre all'inizio delle sue lettere ai tempi della scuola.

"A cosa pensi che io sia leale?", la mia voce trema mentre le faccio questa domanda e me ne vergogno profondamente, ma lei finge di non aver sentito e le sono profondamente grato per questo.

"La domanda giusta sarebbe a chi penso che tu sia leale", lo dice con una tranquillità disarmante ed il mio stupore deve essere impresso in ogni centimetro del mio viso a giudicare dalla sua espressione. "Ho sempre pensato che l'amassi profondamente, era così evidente. E proprio non comprendevo perché ti ostinassi a definirla un'amica e, soprattutto, perché tu l'abbia lasciata andare. Io ho rinunciato a te per rispetto del tuo amore per lei". Non può averlo detto, non veramente. Mi sveglierò fra poco e mi renderò conto che tutto questo è stato solo un brutto incubo, perché Narcissa Black in Malfoy non può aver detto una cosa del genere. Sono sconvolto come non lo sono mai stato in vita mia e continuo a fissare le sue iridi azzurre, così fredde e così calde, chiedendomi se il mondo domani comincerà a girare al contrario.

 

"Quando ti ho conosciuta, tre anni fa, ho pensato che fossi un angelo. La ragazza più bella che avessi mai visto. Così dolce, così perfetta", le parole parverò uscire dalla sua bocca senza che lui potesse in alcun modo fermarle, cosa gli era saltato in mente quando aveva deciso di bere quell'idromele. Si stava mettendo in imbarazzo e lo sapeva bene. Tutto ciò era ridicolo, lei era una sua amica e lui gli stava confessando la propria attrazione.

"Sei ubriaco, Severus! Solo per questo ti dirò quel che sto per dirti: in un altro mondo, forse, ti avrei concesso almeno una notte con me", sorrideva placidamente mentre pronunciava quelle parole.

"Solo una notte?", la sua voce era imbronciata quanto il suo viso, mentre pronunciava quelle poche sillabe.

"E' l'unica cosa che potrei darti...".

"Allora dammela", la guardava convinto e spavaldo, come solo l'alcol poteva renderlo. Lei lo stava fissando e per un attimo lui pensò che avrebbe detto di sì, da quattordicenne incosciente qual'era. Fu un attimo, il viso di lei sempre più vicino e le sue labbra sulle sue, un bacio dolce, casto e così morbido. Il suo primo bacio. Gli sembrava di essere in paradiso, ma durò troppo poco.

"Questo è tutto ciò che potrai mai avere da me", non gli diede il tempo di rispondere, si alzò ed andò via, così com'era arrivata.

 

Quel ricordo balena nitido nella mia testa, improvvisamente. La mattina dopo rammento di essermi convinto che fosse stato solo un sogno, ed ancora oggi, a dir la verità non sono certo che sia stato realtà e non ho mai avuto il coraggio di chiederlo a lei.

"Non fraintendermi, Severus. Non pensare che ti amassi. Non è così. Sapevo che tu provavi attrazione per me e qualche volta ho pensato di sfruttare la cosa, sai... ero promessa, ma non ero innamorata di Lucius. Ero giovane e mi chiedevo spesso se valesse la pena rinunciare al divertimento per rimanere fedele ad un ragazzo che per me era poco più che uno sconosciuto", lo dice con franchezza e mi lascia sempre più sconvolto.

"Stiamo divagando e tutto ciò non ha alcun senso", cerco di recuperare la mia tranquillità ed impassibilità, ma non posso impedire al mio cuore di battere furioso nel mio petto, "che cosa vuoi, Cissy? Non capisco dove tutto ciò voglia arrivare".

Mi fissa per qualche minuto, incerta e quasi scioccata dal mio cambio repentino. "Voglio solo una cosa, Sev. Proteggere la mia famiglia... ed un alleato in questo compito. Non penso di poter contare su Lucius, questa volta. Posso contare su di te?", mi fissa per attimi che sembrano interminabili.

"Potrai sempre contare su di me... sempre...", non potrei mai tradirla, lei è stata tutto per me nei miei momenti bui, più che un'amica, quasi una sorella e a volte... quasi una madre.

"Allora siamo dalla stessa parte", lo dice come se non ci fosse possibilità di dubitare della cosa. Si alza e mi si avvicina. Vedo il suo viso ad un soffio dal mio e sento le sue labbra leggere premere sulle mie in un bacio casto e surreale. Finisce così, com'è iniziato. Non riesco a muovermi, ma la sento allontanarsi e sulla soglia di casa le sue parole mi giungono come un pugnale dritto al petto "Questo è tutto ciò che potrai mai avere da me".

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Capitolo 8
*** Furia felina. ***


 

Furia felina.

 

E' passata ormai una settimana da quell'ultima riunione dell'Ordine della Fenice e dal mio successivo incontro con Narcissa Malfoy. Ho ripensato spesso alle parole che sono state dette quella sera e devo ammettere che saperla in qualche modo dalla parte dei buoni mi rende più sicuro. Un'alleata fra i mangiamorte può solo essermi utile.

Ormai manca poco all'inizio del nuovo anno scolastico ed una parte di me non vede l'ora di tornare nel castello, alla quotidianità di lezioni noiose e ragazzini arroganti. Mentre penso agli ultimi impegni che devo portare a termine prima di fare rientro ad Hogwarts mi torna in mente che quest'anno il giovane Selwyn frequenterà la mia scuola di magia e stregoneria. Non so perché ma tale considerazione un pò mi lascia l'amaro in bocca. Forse non voglio ammettere a me stesso che dover vedere ogni giorno il figlio dell'uomo che mi ha tolto l'unica vera donna della mia vita mi spaventa. Non sono mai stato bravo a scindere i figli dai genitori, Potter ne è la prova. Chissà se con Selwyn andrà diversamente?

Mentre sono perso nei miei pensieri un leggero bussare alla porta mi distrae. Mi dirigo verso l'ingresso pensieroso, non ho proprio voglia di incontrare nessuno in questo momento, né Silente, né tanto meno altre persone.

Apro l'uscio, mentre una mano, istintivamente si posa sulla bacchetta, ma quando vedo il suo viso mi rilasso ed indietreggio lasciandola passare. Entra senza dire una parola e si dirige in salotto. Io chiudo la porta, prima di seguirla.

"Cassandra, posso offrirti...", la mia frase viene bloccata sul nascere da un suo schiaffo, che mi blocca a metà. Dopo qualche secondo mi volto per incontrare i suoi occhi, sento ancora la guancia bruciare dove la sua mano ha colpito. Furia. Nelle sue iridi vi è solo cieco furore.

Rimaniamo così, a guardarci come due animali in attesa l'uno della prossima mossa dell'altro. Siamo due leoni a caccia, due fiere intenzionate a sopraffare l'altro.

"Semi sconosciuti. È questo che siamo dunque?". La sua domanda mi colpisce, più che per il tono, per il fatto che arriva inaspettata dopo diversi giorni che non ci vediamo. Ora sono io quello furioso.

"Come puoi venire qui, dopo tutto questo tempo, a pormi questa domanda?".

"Io posso fare quello che mi pare, Severus!".

"Ovviamente... tu sei una Black", la frase sembra essere stata sputata con disgusto, tanto il mio tono è tagliente. È forse lo è davvero. Forse veramente lei mi disgusta in questo momento. O forse, molto più realisticamente, lei mi disgusta già da diverso tempo.

Vorrei controllarmi e trattenermi, ma sono veramente al limite della sopportazione in questo periodo e proprio non riesco ad evitare di continuare a parlare, con un tono così gelido che fa rabbrividire persino me.

"Tu sei una purosangue, quindi puoi fare tutto ciò che vuoi, vero? Insomma, hai passato l'ultimo anno di scuola a farmi gli occhi dolci ed a lanciare stupide frecciatine maliziose, sapendo benissimo che subito dopo i M.A.G.O. avresti sposato un altro uomo. Dopo la scuola ti sei presentata a casa mia e mi hai sedotto, senza neanche darmi il tempo di capire cosa ci facessi lì, ed il giorno dopo sei sparita lasciandomi un biglietto sul comodino. Torni, dopo più di dieci anni, e nuovamente sconvolgi la mia vita ed entri nel mio letto. Dopo mi sbatti in faccia, senza neanche avvisarmi, il fatto che dovrò sopportare di vedere tuo figlio ogni giorno per i prossimi anni. E non contenta mi fai dire da tua cugina che hai già adocchiato la prossima preda. Dopo di che sparisci di nuovo ed oggi ti presenti qui e mi schiaffeggi?", mentre ho pronunciato queste parole mi sono avvicinato a lei e non sono riuscito ad impedirmi di prenderla per le spalle e scuoterla. Per la prima volta da quando la conosco, vedo paura nei suoi occhi e la cosa mi spaventa. Io non le farei mai del male, sono arrabbiato, furioso, ma non le farei male veramente, ma lei sembra non esserne certa.

"Non è come pensi...", la sua voce è flebile, ma non mi impietosisce ed io continuo a stringerla, sempre più forte. Ora vorrei davvero farle del male, perché mi sta facendo sentire in colpa, come se fossi io dalla parte del torto. Lo vorrei veramente. "Lasciami, mi fai male... Severus... lasciami...", solo quando sento un tremito nella sua voce la lascio stare. Non sono quel tipo di uomo, quello che picchierebbe una donna, non lo farei. Mio padre lo faceva con mia madre ed io lo odiavo per questo. Ha gli stessi occhi spaventati di mia madre in questo momento. È turbata, molto più di quanto dovrebbe. Una certezza nella mia mente; improvvisa e chiara.

"Lui ti ha picchiata?", non posso evitare alle parole di uscire dalla mia bocca. Non posso non chiederle se suo marito l'abbia mai maltrattata.

Lei non risponde, mi volta le spalle. Sta tremando, è evidente. Ed io non so cosa fare. Se ora l'avvicinassi mi respingerebbe, lo so bene. La lascio respirare e ricomporsi. È l'unica cosa che posso fare.

"Non intendo parlare di questo con te. È per parlare di noi che sono qui". È più controllata ora. Lo sento.

"Non sapevo esistesse un noi", vorrei non essere così sarcastico, ma proprio non posso evitarlo. Sono ancora furioso e lei ancora mi volta le spalle.

"Io, invece, speravo potesse esistere", la sua voce è un poco più di un sussurro, un soffio di vento, posso immaginare quanto le pesi pronunciare queste parole. Mi avvicino, senza sapere bene cosa fare, le cingo le spalle con le mie braccia e la costringo a voltarsi. Non mi soffermo a pensare per più di qualche secondo e mi fiondo sulle sue labbra. Sono calde e morbide ed io passerei la mia vita a baciarle. Mentre le mie labbra si muovono contro le sue, nella mia mente un altro bacio prende il posto della realtà per qualche secondo, quello di Narcissa, l'altra sera.

Mi allontano da lei, spaventato... dovrei dirglielo? Forse non serve che lo faccia, non ha significato nulla infondo. E se lei avesse baciato quello Scamander? Io vorrei saperlo, anche se non avesse significato nulla. Sì, devo dirglielo.

"Qualche sera fa Narcissa è stata qui", mi guarda, in attesa. Credo si stia chiedendo dove intendo arrivare, "avevamo alcune questioni importanti da discutere...".

"So bene quali sono le idee di mia cugina in merito alla protezione della famiglia. Non devi preoccuparti, io non intendo in alcun modo ostacolarla", mi blocca. Ed io mi ritrovo ad annuire, rinunciando immediatamente ai miei propositi confessori. Infondo, non c'è motivo di parlarne con lei, darei solo molta più importanza a qualcosa che, in realtà, non ne ha affatto.

Sono solo pochi secondi, un bruciore sordo, al braccio sinistro, sufficiente per lasciarmi sfuggire un lieve gemito. La mia mano destra si posa sull'avambraccio, con la speranza di affievolire il dolore e gli occhi di Cassandra si spostano. Ha ovviamente notato e compreso il mio gesto ed un velo di preoccupazione attraversa i suoi occhi.

"Devi andare", non è una domanda la sua, perciò mi limito ad annuire per confermarle i suoi sospetti, "se per te va bene ti aspetterei... non abbiamo finito di parlare e vorrei discutere del messaggio che ti ho scritto giorni fa, a cui tu non hai risposto".

Vorrei dirle di no, che deve andarsene e, se possibile, non tornare mai più, ma mi ritrovo ad annuire, un attimo prima di smaterializzarmi.

 

È tardi quando rientro finalmente in casa, è stata una serata dura e lunga. Stare dinanzi al Signore Oscuro cercando di reprimere tutti gli altri pensieri che affollavano la mia mente, è stato snervante e complicato.

Sento un moto di delusione, non appena mi accorgo che Cassandra non è nel mio salotto. Una parte di me aveva sperato sinceramente di ritrovarla qui al mio ritorno. Sono stato via per ore, cosa mi aspettavo, che mi attendesse seduta su quella sedia? Dovrei smetterla di fare pensieri così sciocchi ed inutili. C'è una guerra ed io mi rammarico perché non trovo una donna ad aspettarmi amorevolmente a casa, come un marito che torna da lavoro. Mi sono rammollito. Non sono così. Non cerco questo e di sicuro lei non può darmi questo.

È meglio che vada a letto. È tardi e domani dovrò finire di sistemare i miei bagagli per il ritorno ad Hogwarts. La scuola inizierà fra una settimana ed io dovrei essere lì prima, per sistemare le ultime cose ed aiutare il preside nell'organizzazione del nuovo anno scolastico. Un sorriso si spande sul mio viso, mentre sento che domani sera, finalmente, sarò di nuovo a casa.

Salire tutte queste scale sino alla mia camera alle due del mattino è snervante, sono così stanco. Apro la porta e mi blocco sull'uscio, esitante. Un abito verde è appoggiato con eleganza sulla sedia davanti alla porta ed una chioma di capelli biondi è distesa sul mio cuscino. Mi avvicino e la osservo. È così bella quando dorme, sembra serena e tranquilla. Sorrido al pensiero che così non sembra pericolosa, non molto per lo meno. E sicuramente ingannevole, io la conosco e lo so bene che in realtà pericolosa lo è eccome.

Mi spoglio e mi sdraio accanto a lei. Vorrei abbracciarla, ma non ne ho il coraggio, potrebbe non apprezzare affatto. E poi non voglio sembrare debole domattina quando si sveglierà. Mi lascio cullare dal sonno così, con lei al mio fianco, il suo corpo caldo vicino al mio ed il suo profumo che mi invade i sensi.

Mi sveglio di colpo, tutto bagnato. Il mio primo pensiero è che stia piovendo, un acquazzone. Dev'esserci un acquazzone. Ma che sto dicendo. Sono nel mio letto. Non può piovere. Il mio cervello è ancora assonnato e ci mette qualche secondo a realizzare che qualcuno sta ridendo di me.

"Ti stai divertendo?".

"Non ti svegliavi più ed io mi stavo annoiando ad aspettarti. Inoltre devo tornare al Manor prima di pranzo".

"E cosa ci fai ancora qui?".

"Ti ho detto che vorrei parlare, non scherzavo".

"Cassandra, diciamoci la verità. Non abbiamo nulla da dirci. Siamo incompatibili: tu hai un figlio a cui pensare ed io una guerra da combattere!".

Mi guarda per qualche secondo, penso che se ne andrà ed invece si avvicina al letto. Si siede di fianco a me e mi guarda. "Potremmo combattere insieme, Sev". Non mi aspettavo questa risposta. Non era affatto prevista.

"Non sai quel che dici. Io sono un mangiamorte...".

"Un mangiamorte pentito", mi ferma senza darmi tempo di continuare, "sei una spia per l'Ordine della Fenice. Un uomo di Silente che combatte in una posizione difficile. Pensi che non lo sappia? Sai bene che so tutto, Sev. Mi hai raccontato tu tutto!".

"E' vero. Ti ho raccontato io tutto e proprio perché sai la verità dovresti capire che è meglio starmi lontano...", non riesco a guardarla in faccia. È così difficile. Troppo difficile.

"Non hai risposto alla mia lettera, quella che ti ho inviato qualche settimana fa".

"Non l'ho letta. Ho riconosciuto la carta e l'ho bruciata senza aprirla. Ero furioso", lo dico guardandola negli occhi e per qualche secondo vi leggo dolore.

"Capisco. Allora sarà meglio che ti aggiorni. Ho chiesto a Silente di poter usare il laboratorio di Hogwarts per delle mie ricerche e vorrei che tu collaborassi con me".

"Collaborare per cosa?". Non sono certo di voler lavorare con lei.

"Se accetterai ne parleremo con calma. A scuola...", lo dice sorridendo e solo ora capisco cosa vuol dire.

"Risiederai ad Hogwarts?". Non può essere. Silente non può farmi questo. Ma che dico? Certo che può. E poi lui non sa nulla.

"Sì, è così... mi ci recherò fra un paio di giorni, per ambientarmi".

"Ambientarti? Hai passato sette anni in quel castello", mentre lo dico un ghigno ironico si dipinge sul mio volto. Poi un dubbio mi assale, "cosa ti ha chiesto in cambio?".

"Silente? Mi ha fatto una proposta che non potevo rifiutare... lo scoprirai presto...". Mi guarda confusa, poi sembra comprendere, "pensi mi abbia offerto il ruolo di insegnante di difesa contro le arti oscure? Non lo farei, Sev. Non ti pugnalerei alle spalle".

Non rispondo, sarebbe troppo umiliante per me esprimere quel pensiero. Perché, in realtà, una parte di me pensa che lo farebbe.

Ora che ci penso non so chi sia il nuovo insegnante di difesa contro le arti oscure, ma immagino lo scoprirò presto, visto che domani sera devo vedere Silente.

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Capitolo 9
*** Una nuova avventura. ***


 

Una nuova avventura.


La scuola è meravigliosa questo pomeriggio. Non avevo capito quanto mi fosse mancato il castello sino a quando non mi ci sono trovato davanti di nuovo. È bello, maestoso ed imponente. Mi è sempre piaciuto quest'edificio in stile medievale, le torri, i torrioni ed i gargoyle.

Ho appuntamento con Silente, ma prima passo dal mio studio a posare i miei effetti personali, quei pochi che riporto a casa quando vi torno per le vacanze, non molto in effetti, la maggior parte delle mie cose le lascio qui.

Quando busso alla porta dell'ufficio del preside, sento una voce femminile provenire dall'interno. Come avevo immaginato si tratta di Minerva.

"Severus, bentornato", mi saluta benevolo Silente.

"Preside, Minerva!", rispondo, facendo un cenno alla donna.

"Avevamo giusto necessità di parlarti. Ci sono stati alcuni problemi per il completamento del corpo insegnati quest'anno e sono molte le novità di cui dovremmo discutere".

"Albus, parliamo di un problema alla volta, per piacere. Iniziamo dal corpo insegnanti, cosa ne dite?", interviene saggiamente Minerva. L'ho sempre ammirata, perché è una donna molto logica e sa sempre come gestire le situazioni di crisi.

"Giusto. Bene... il problema è che non abbiamo un insegnante di difesa contro le arti oscure ed il ministero fa pressione per ingerirsi nella gestione scelta, con la scusa dei tempi bui che stiamo attraversando, perciò vorrebbe propormi una rosa di candidati di dubbio gusto e scarse capacità", il preside si ferma, come soppesando ogni singola parola che sta pronunciando, "non vedo molte soluzioni possibili, pertanto la mia idea sarebbe che fossi tu ad assumere questo ruolo. Se lo vorrai ovviamente".

Lo fisso, impassibile, mentre mi chiedo se sta scherzando o è serio. Sono anni che aspiro al posto di insegnante di difesa contro le arti oscure e lui me lo ha sempre negato. Ed oggi, dal nulla, mi sta facendo una proposta che non ho alcuna intenzione di rifiutare e sembra quasi preoccuparsi che io dica di no. "Ne sarei onorato preside. Ha già in mente qualche candidato per il posto di insegnante di pozioni?".

"In effetti sì. Confidando nel fatto che avresti accettato ho inviato una missiva ad Horace Lumacorno, chiedendogli di riprendere il proprio posto. Ed egli mi ha scritto proprio questa mattina dicendomi che avrebbe accettato".

"Bene, quindi direi che almeno questo punto non sarà un problema".

"Giusto Minerva, almeno questo è stato semplice", fa una pausa e sembra divenire più serio, "quest'anno il ministro ci fornirà una squadra di Auror, che pattuglierà la scuola. Risiederanno al castello e rimarranno finché la situazione non migliorerà, se migliorerà ovviamente. Dovrebbe essere tutto per questa sera. Se non ti spiace rimanere ancora qualche minuto Severus, avrei necessità di parlarti in privato". Congedata Minerva, Albus sembra assorto nei suoi pensieri ed io rimango in attesa di capire di cosa voglia discutere, anche se posso immaginarlo, vista la mia recente conversazione con Cassandra.

"Preside... di cosa vorrebbe parlarmi?", cerco di risvegliarlo dai suoi pensieri. Mi guarda e sembra misurare le parole.

"Qualche giorno fa ho incontrato la signora Selwyn. Mi ha chiesto di ammettere suo figlio ad Hogwarts, verrà smistato il primo settembre coi suoi compagni del primo anno". Si ferma ed io vorrei scuoterlo con violenza, detesto la sua reticenza. So benissimo che non mi ha chiesto di parlare in privato per dirmi che avremo un nuovo studente ad Hogwarts.

"Albus. Non che non mi interessino i nostri studenti, ma dubito che fosse necessario rimanere soli per discutere di questo...".

"Hai ragione. La verità è che ho bisogno di chiederti un favore. So che sei già molto occupato, ma è importante. Cassandra Selwyn mi ha chiesto la possibilità di utilizzare i laboratori di pozioni per alcune ricerche. Vorrei che tu la aiutassi e controllassi quello che fa. Non sono certo di potermi fidare di lei, mi capisci?".

"Certo. Non è un problema per me aiutare la signora Selwyn ed intanto tenerla sotto controllo", non so se chiedergli altro, forse non dovrei, ma sono troppo curioso, devo sapere, "Preside... immagino che lei abbia chiesto qualcosa in cambio della concessione dei laboratori della scuola".

Mi osserva, come se fosse indeciso sulla risposta da darmi. Posso vedere il dubbio nei suoi occhi.

"Sì, le ho chiesto qualcosa in cambio". Non dice altro. Dovevo aspettarmelo.

"Posso sapere cosa?".

"Non oggi, Severus. Ora sarà meglio che tu vada. Abbiamo entrambi molte cose da fare".

Il suo è un congedo e non me lo faccio ripetere. Quando Albus non vuole parlare è inutile discutere, ormai lo so bene.

 

È notte fonda ed io sono sveglio. Sono andato a letto molto tardi, consapevole che per essere in grado di alzarmi domattina devo dormire almeno qualche ora, ma l'unico risultato che ho ottenuto è stato di girarmi e rigirarmi fra le lenzuola. Non dormo molto ormai da anni, ma non mi sono abituato alla cosa. Al contrario, l'insonnia mi disturba ogni notte.

Non ha senso che rimanga qui, disteso a fissare il soffitto del mio letto a baldacchino. La pendola nell'angolo della stanza mi informa che sono solo le tre di notte. Decido di alzarmi e mi vesto. Potrei andare a fare un giro nel parco del castello o magari ad Hogsmeade. La cittadina mi ha sempre affascinato di notte. In pochi minuti mi sono vestito ed ho raggiunto il cancello della scuola. Esco, percorrendo la strada che porta al centro del villaggio. Ricordo quando la utilizzavo per andare ad Hogsmeade durante gli anni della scuola. Un sorriso mi increspa le labbra mentre rammento che proprio su questa panchina, per la prima volta ho capito di aver perso veramente la donna che amavo.

 

Era l'ultimo giorno prima delle vacanze di Natale del suo settimo anno ad Hogwarts e Severus stava aspettando Lucius Malfoy. Lui aveva già finito la scuola, ma si erano dati appuntamento per definire alcune questioni che li avrebbero impegnati durante le festività. Era uscito presto e pertanto si era fermato su quella panchina, sotto quell'albero di magnolia. Faceva freddo e nevicava molto quel giorno, ma a lui il gelo dell'inverno non dava fastidio. Al contrario, lo faceva sentire a casa come se fosse parte di lui. Si era sempre chiesto se amasse particolarmente il freddo per il fatto di essere nato a gennaio, o solo perché rispecchiava l'aridità della sua anima, ma non aveva mai ottenuto risposta a quella domanda.

I suoi pensieri erano fissi sulla fine della scuola; ormai mancavano solo pochi mesi e poi sarebbe stato libero di seguire il proprio destino. E lui la strada da percorrere l'aveva scelta già molti anni prima. L'unica certezza che aveva è che dopo Hogwarts ci sarebbe stata solo la guerra e che i suoi poteri, che senza modestia poteva definire straordinari, sarebbero stati incanalati verso un unico scopo: servire il Signore Oscuro e percorrere con lui la via della grandezza e del potere. Non aveva dubbi su questo Severus. E se anche li avesse avuti, quel giorno si sarebbero dissolti nel nulla, per sempre.

La sentì, prima di vederla, la sua risata era inconfondibile e così cristallina da far pensare che non potesse appartenere ad un essere umano normale. Era un suono così bello e così dolce, che senza pensarci si voltò per cercare con gli occhi la fonte di quella voce che era già giunta alle sue orecchie così prepotentemente da sconvolgergli tutti i sensi. Non parlava con lei da quasi un anno, magari oggi sarebbe riuscito a fermarla e...

Fu un attimo, meno di un secondo, un battito di ciglia ed un sono crack che proveniva dal suo petto. Il suono del suo cuore che si era spezzato, irrimediabilmente, perché lei non era da sola, ma stringeva le mani di un ragazzo dai capelli neri dolcemente scompigliati dal vento, il sorriso sincero e beffardo e gli occhi incorniciati dagli occhiali.

Lily Evans stava percorrendo la strada che dalla scuola andava verso il villaggio di Hogsmeade accompagnata da James Potter, l'uomo che più di ogni altro lui detestava. La sua Lily sorrideva al suo nemico giurato, rideva alle sue battute ed era così intenta a guardarlo con affetto da non rendersi conto che a pochi metri da loro lui stava seduto stringendo fra le mani ciò che restava del proprio muscolo cardiaco. Di sicuro non poteva chiamarlo cuore, perché lui da quel momento seppe di non possederlo più un cuore, non uno vitale e sincero per lo meno.

Lui, da quel momento, seppe di non avere più una scelta, la sua via era segnata. James Potter l'aveva tracciata con un pugnale affondato nel suo petto.

 

Una risata, tanti anni fa, mi ha impedito di scegliere. La risata dell'unica donna a cui avrei affidato la mia intera esistenza. È bizzarro come vanno le cose nella vita. Lei mi ha impedito di scegliere quella prima volta, perché sapevo allora come so ora che se me lo avesse chiesto io avrei rinunciato ai miei propositi per lei. Non lo avrei mai ammesso, ma se Lily mi avesse chiesto di combattere con lei, per il bene, io lo avrei fatto, per lei.

E sempre lei, qualche anno dopo, mi ha costretto, di nuovo, a fare una scelta che ha segnato la mia vita per sempre. Proprio lei mi ha portato, inconsapevolmente, sulla via del bene. Dalla parte dell'Ordine della Fenice e di Silente.

"Uno zellino per ogni tuo pensiero", una voce, seguita da una dolce risata. Sì, è decisamente strano come va il mondo. Sempre su questa panchina, una risata, appartenente ad una donna, mi distoglie dai miei pensieri.

"Cassandra...", non riesco a dire altro. E forse non c'è altro da dire. Io sono seduto qui, su questo maledetto mucchio di assi, mentre lei è qui, davanti a me, bella come sempre, elegante come sempre, Black come sempre. Ed io vorrei solo capirla, entrare nella sua testa e comprenderne i più oscuri pensieri.

"Uno zellino per ogni tuo pensiero", lo ripete, ma questa volta c'è qualcos'altro nella sua voce, una nota triste, amara. Forse, addirittura, vi è paura nella sua voce.

Mi alzo all'improvviso, la prendo per le spalle e l'avvicino a me. La bacio, con passione, urgenza, desiderio e violenza. Lei non si oppone, risponde al mio bacio ed in questo momento mi chiedo se questo nostro cercarci e poi mandarci via, trovarci e poi scappare, non sia indice del fatto che in realtà non siamo fatti per stare insieme, ma semplicemente, entrambi, ci usiamo per dimenticare il passato, le nostre sofferenze ed i nostri timori per il futuro.

Ma, infondo, ha veramente importanza perché lo stiamo facendo? Se ci fa stare bene, non è sufficiente? Tempo fa lei stessa mi aveva detto che potremmo morire domani, ed è vero, potremmo. Quindi perché porci tante domande. Per una volta nella mia vita dovrei solo vivere il momento ed essere felice, anche se, forse, dopo me ne pentirò. Perchè, infondo, lo so bene che più in alto sali e più è dolorosa la caduta, ma se lei mi porta così in alto da dimenticare, almeno per un pò, la mia sofferenza, perché mai non dovrebbe valerne la pena?

"Sei il mio veleno. Mi ucciderai, ma non posso fare a meno di berti...", mi stacco da lei per sussurrarle queste parole all'orecchio. La sento irrigidirsi fra le mie braccia per qualche secondo. Dopo si appoggia al mio petto, e stringe la casacca che indosso con le sue unghie, le sento attraverso la stoffa e quasi mi fanno male.

Rimaniamo così, per un tempo che sembra infinito, forse pochi minuti, forse ore. Finché lei non si stacca da me quanto basta per guardarmi negli occhi, "Non smettere di bermi, perché io morirei se lo facessi". Sembra sincera ed io voglio pensare che lo sia. Mi chino quanto basta per sfiorare le sue labbra e dopo un attimo di esitazione, le chiedo, urgentemente, di dischiuderle per me. La bramo, la desidero. Voglio che sia mia, se non per sempre, almeno sin quando ci sarà possibile.

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Capitolo 10
*** Il nuovo anno. ***


 

Il nuovo anno.

 

Mi sveglio col suo corpo sopra il mio. Di nuovo. Oggi è il primo settembre ed ormai è quasi una setimana che lei dorme accanto a me ogni notte. Mi chiedo se domani riuscirò a svegliarmi ancora con lei al mio fianco. Fino ad ora la scuola è stata deserta e nessuno si è curato di quel che facevamo noi, ma da questa sera sarà piena di studenti ed i suoi alloggi non sono vicini ai miei.

E poi ci sarà suo figlio. E questo fatto non posso di certo ignorarlo. Cosa accadrebbe se lui ci scoprisse? Non sono certo della reazione che avrebbe il ragazzino. Insomma, io sono un suo insegnate e... beh... sono io: Seversu Piton, il figlio di una strega e di un babbano.

"A cosa pensi, Severus?", la sua voce assonnata mi risveglia dai miei pensieri e mi riporta alla realtà.
"A nulla di importante. Pensavo solo che fra qualche ora questo castello sarà pieno di adolescenti chiassori. Di nuovo!", le rispondo col mio solito cinismo e lei sorride. Vorrei chiederle come ci comporteremo da oggi in poi, ma temo di sembrare ansiaso e debole e la cosa non mi piace.

Quest'ultima giornata di libertà scorre velocemente fra i preparativi per il nuovo anno scolastico. Le sei arrivano sin troppo velocemente e dalle finestre della sala grande scorgo le carrozze con gli studenti salire lentamente il viale che porta al portone d'ingresso.

Mi siedo al mio posto, di fianco ad Albus e a Pomona. Sono stranamente ansioso e questa cosa non mi piace per nulla. Solo in questo momento mi rendo conto di quanto, in realtà abbia fatto affidamento sul fatto che ogni sera lei bussasse alla mia porta e si infilasse nel mio letto.

Mi sono crogiolato nella sensazione di familiarità che questo nostro strano rapporto mi stata concedendo. Era quasi normale, ormai, sapere che mi sarei svegliato con lei e, soprattutto, la mia insonnia era molto diminuita col suo corpo caldo a ricordarmi che non ero solo.

Una parte di me teme di sprofondare di nuovo nella disperazione e nella solitudine senza di lei. Quanto mi sono rammollito?

Osservo gli studenti entrare, a piccoli gruppi e dirigersi verso i rispettivi tavoli. Mi soffermo, solo qualche secondo in più, su Potter e sui suoi amici grifondoro, con un moto di disgusto che mi accartoccia lo stomaco. Non posso fare a meno di odiare quegli sciocchi ragazzini. Me ne hanno fatte passare così tante e sono talmente arroganti ed incuranti delle regole, che talvolta vorrei farli sparire dalla faccia della terra.

Il mio sguardo si sofferma su di un ragazzo biondo, superbo ed sicuro di sé almeno quanto suo padre, ma dolce e leale, quanto sua madre. Conosco Draco sin da quanto era un bambino e so bene che, infondo, è migliore di quello che vuole apparire. Un pò mi ricorda me stesso, travolto da una vita che non ti da possibilità di scelta e che ti toglie, giorno dopo giorno, il libero arbitrio.

Mentre sto riflettendo su queste cose, Minerva entra nella sala, seguita dai ragazzini del primo anno e dal giovane Selwyn. Potrebbe benissimo confondersi nella folla, con la sua aria da bambino. È bello, ingenuo ed ha ancora tutta la vita davanti. Al contrario del cugino si vede che lui non è ancora stato toccato dal marciume di questa vita. Sono così simili, eppure così diversi. Entrambi biondi, entrambi sicuri di sé, entrambi belli. Ma gli occhi li distinguono, non solo per il colore (grigi il più grande e verdi il più giovane), ma per quel che vi si legge dentro. Antares ha una luce vivida e gioiosa nelle sue iridi, mentre Draco... gli occhi di Draco parlano solo di una persona che è cresciuta troppo in fretta.

Mi ricorda molto me stesso. Certo, proveniamo da due ambienti completamente differenti e due famiglie che hanno pochi punti in comune, ma entrambi siamo dovuti crescere più in fretta di quanto fosse necessari. Forse questa caratteristica, in qualche modo, ci accomuna a Potter, solo che lui, non so bene come, è riuscito a mantenere un pò di ingenuità.

Mentre sono perso nei miei pensieri mi accorgo, vagamente, che lo smistamento è praticamente finito e che Minerva ha chiamato Antares Selwyn e gli ha fatto indossare il cappello parlante. La sala sembra quasi annoiata mentre il ragazzo è seduto sullo sgabello. Probabilmente lo considerano tutti uno smistamento sicuro. Infondo è figlio di un Selwyn e di una Black, non ho dubbi che sarà nella mia casa. Un altro purosangue altezzoso da gestire. Di sicuro la cosa non mi riempie di gioia. Soprattutto vista la relazione che ho con sua madre. Per un secondo il mio sguardo si posa su di lei e vedo che sta ricambiando.

"Tassorosso", sento l'urlo del cappello e mi giro sbigottito verso il ragazzino. Aspetta, cos'ha detto? Non avrà veramente smistato quel moccioso in tassorosso?

Antares sembra sicuro di sé, mentre si dirige verso il tavolo giallo nero. Il resto della sala, invece, sembra sbigottito. Ci vogliono diversi secondi prima che gli applausi partano. Con la coda dell'occhio vedo Draco osservare il cugino dirigersi verso i propri compagni di casa. Una strana espressione si dipinge, anche se solo per pochi secondi, sul suo viso. Sembra quasi invidioso. Lo capisco: deve ritenere un sollievo la possibilità di prendere il distacco dalla famiglia, soprattutto in momenti come questo. Un pò come la possibilità di ricominciare da zero. Quella possibilità che a lui è stata brutalmente negata troppe volte.

Il resto della cena trascorre tranquillamente. Noto immediatamente qualche sguardo di odio fra i serpeverde ed i grifondoro, ma nulla di diverso dal solito.

Una parte di me non vede l'ora che questo banchetto arrivi al termine. Sono stremato e vorrei solo trovarmi nella mia camera, sotto le mie lenzuola.
Passa almeno un'altra ora, prima che il preside si alzi per congedare gli studenti ed io attendo solo qualche attimo ancora, prima di dirigermi verso le mie stanza. 
Non ho sonno. È ancora presto. Perciò mi approprio di uno dei miei libri di letteretatura e mi siedo con un bicchiere di vino davanti al camino delle mie stanze private.

Passo ore a leggere e solo quando guardo l'orologio mi accorgo che è mezza notte passata. Un pensiero fugace passa per la mia mente: lei non è venuta questa sera. Non che mi aspettassi che lo facesse, ma la verità è che un pò mi ha deluso. È come se, implicitamente, ammettesse di vergognarsi di me e della nostra relazione. Altrimenti perché mai dovrebbe cambiare abitudini, solo per nascondersi da altri.

Sei uno sciocco Severus. E lo sei sempre più spesso ultimamente. Ti sei appoggiato ad una donna come se fosse l'unica cosa importante della tua vita, mentre non dovresti far altro che continuare da solo il tuo cammino. È con questi pensieri in mente che mi addormento, sulla medesima poltrona sulla quale stavo leggendo.

 

"Sei mio amico, Sev?".

"Certo che lo sono. Lo sarò per sempre".

"Quindi non mi tradirai mai? Ci sarai sempre quando avrò bisogno di te?". La bambina pronuncia queste parole guardandolo negli occhi, con sguardo sincero e adorante. Lui non ricambia, cercando di evitare le sue iridi verdi. Non è mai stato bravo coi sentimenti.

"Ti ho mai abbandonata?", le pone quella domanda quasi con voce implorante, come se volesse assicurarsi di non averlo fatto, come se lui stesso temesse di averlo fatto qualche volta o di poterlo fare in futuro.

"Certo che no. Mai!". Lei sorride felice.

Si trovano sotto ad un faggio sulla riva del lago nero. Il primo anno ad Hogwarts è ormai finito e l'indomani torneranno a casa. Nessuno dei due vorrebbe farlo. Entrambi temono, per motivi diversi, le vacanze estive.

"Lily... lo sai che puoi contare su di me. Per sempre...".

 

Mi sveglio di colpo, non comprendendo cosa sia accaduto. Ho vagamente idea del fatto che stavo sognando Lily. Era da tanto che non mi capitava. Prima le mie notti erano sempre piene di sogni che la riguardavano.

"Hai detto Lily... la stavi sognando?". Mi volto ed i suoi occhi blu mi scrutano dalla porta. È lì, ferma, immobile e mi fissa. Non capisco se sia arrabbiata. Dal suo tono non si direbbe, ma con lei non si sa mai.

"Sì, la stavo sognando", ammetto pacatao, "ho ricordato l'ultimo giorno del nostro primo anno ad Hogwarts. È da un pò che non mi capitava di sognarla".

"Ti manca?". La sua domanda mi lascia spiazzato. Cosa dovrei dirle? Potrei dirle che non mi manca, che non penso mai a lei, ma mentirei e sono così stanco di mentire con tutti. Non voglio doverlo fare anche con lei.

"Meno di quanto mi sia mancata all'inizio". È la verità, null'altro. E dirlo ad alta voce mi fa sentire meglio. Lei sembra dubbiosa.

"Immagino che tu stia soffrendo meno del periodo subito successivo alla sua morte", pronuncia queste parole quasi soppesandole.

"Sì. È vero. Ma non era quello che intendevo. Io l'ho persa molto prima", mentre lo dico non riesco a sostenere il suo sguardo ed i miei occhi si spostano verso il fuoco nel camino. "Ho perso Lily quando sono diventato un mangiamorte. E quando lei è morta, non la vedevo da diversi anni ormai. È passato molto tempo, Cassandra. Non penso che la dimenticherò mai del tutto. Cerca di capire... lei è stata importante". Vorrei che comprendesse che il ricordo di Lily non sminuisce il mio affetto per lei, ma non so come farglielo capire.

"Nei prossimi giorni probabilmente dovrò allontanarmi dalla scuola. Ho alcune cose da risolvere, alcune ricerche da fare".

La guardo. Non mi sta dicendo tutto. È evidente, "cose che riguardano Silente?".

"Sì", non aggiunge altro.

"Non mi hai mai detto cosa ti ha chiesto in cambio della tua permanenza a scuola". La mia non è una domanda, ma spero comunque che lei risponda, anche se non sembra intenzionata a farlo.

"Magari ne parleremo... ma non oggi".

"E quando? Pretendi da me fiducia e sincerità, ma non sei disposta a dare altrettanto".

"Cerca di comprendermi, Severus. C'è una guerra, e noi combattiamo tutti dalla stessa parte. Non è così?". Quindi quel che deve fare riguarda la lotta contro Voldemort. Non mi fa di certo stare più tranquillo questa notizia.

"A proposito di guerra. Forse vorresti sapere che fra un paio di settimane dovrei vedere Narcissa. Sarà un incontro segreto... mi ha lasciato intendere di poter avere delle informazioni per l'Ordine. Ma non vuole rischiare troppo recandosi al quartier generale. Un incontro con me, anche se venisse scoperto, sembrerebbe meno sospetto".

"Immagino che sia così", si ferma, ma capisco che non ha finito. I suoi occhi si perdono lungo le pareti della stanza, ma non le sta guardando, è evidente, "tu... ti fidi di mia cugina?".

Bella domanda Cassandra. Io mi fido di Narcissa?

"Sinceramente? Non lo so. Non al cento per cento. Ma non mi fido totalmente di nessuno, nenche di Albus Silente".

Ora mi guarda stravolta, forse l'idea che io non mi fidi di Silente la lascia perplessa o forse si sta chiedendo se dubito anche di lei. Se sapesse anche solo la metà delle cose che so io su Albus, neanche lei si fiderebbe.

"Lo hai detto tu, Cassy. Questa è una guerra. Solo uno stolto non avrebbe delle riserve. Ed io, in particolare, non posso permettermi di non essere vigile".

"Hai ragione, ovviamente. Dovrei andare ora. Perdonami se non resto con te questa notte, ma domattina penso che Antares passerà dal mio studio e non vorrei non mi trovasse. È il suo primo giorno di scuola e sarà molto agitato".

Posso strozzarlo quel ragazzino? "Ma certo. Immagino che sia meglio che vai", e per piacere avvelena tuo figlio per me. Le sorrido mentre va via.

Meraviglioso, quel moccioso è appena entrato nella mia vita e già lo odio. Potrei anche arrivare a detestarlo più di Potter.

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Capitolo 11
*** Ricerche pericolose - Pov Cassandra. ***


 

Ricerche pericolose - Pov Cassandra.

 

Sono le quattro di sabato mattina e la scuola è ormai iniziata da diversi giorni. Ho deciso di approfittare del fine settimana per adempiere ai compiti che Silente mi ha praticamente imposto quando sono venuta a chiedergli ospitalità, perciò ora sto uscendo dal castello, sperando vivamente che nessuno si accorga del mio allontanamento. Infondo non mi faccio mai vedere molto in giro per la scuola e l'unica persona che potrebbe venire a cercarmi è Antares, ma confido sul fatto che mi dia retta e che utilizzi questi giorni per portarsi avanti con i suoi di compiti.

Mi si stringe il cuore ad uscire senza avvisare Severus; sono troppi giorni che non abbiamo modo di parlare, lui è occupato con le lezioni ed io ho altri pensieri per la testa. Mi sembra di tradirlo e di mentirgli, quando, in realtà, non faccio che cercare di proteggerlo. Lui è pur sempre un mangiamorte. Certo, un mangiamorte pentito, una spia, ma pur sempre un uomo fidato del Signore Oscuro, sempre a contatto con lui e fin troppo vicino a quel mostro.

Ricordo di aver visto Tom Riddle la prima volta molti anni fa, quando ancora era un essere umano. Avevo dodici anni allora ed ero una ragazzina sciocca e petulante. Una giovane Black viziata ed abituata ad avere tutto. Quando lo vidi entrare nel salotto della mia abitazione lussuosa, pensai che era proprio un bell'uomo. Ed in effetti lo era, non lo si può certo negare. Aveva lineamenti perfetti, un viso aristocratico ed era piuttosto avvenente, sia nei modi che nel fisico. Sembrava anche un uomo gentile ed affabile. Era molto educato e ricordo che mi sorride con dolcezza, o almeno io pensai che lo fece.

Pochi anni dopo, ripensando a quel momento e a quello che quell'uomo era diventato, capii che la bellezza in un essere umano non è tutto ed, al contrario, può solo essere ingannevole.

La stessa cosa la compresi quando mio marito, il perfetto giovane purosangue erede della famiglia Selwyn, si dimostrò per quel che era: un uomo abbietto, ipocrita e violento come pochi altri ne ho conosciuti nella mia vita. L'unica cosa buona che ho avuto da lui è stato mio figlio, il mio piccolo Antares. È un bambino così dolce e così genuino. Non assomiglia affatto al padre caratterialmente e me ne compiaccio. Spero solo che la vita non lo cambi troppo, come purtroppo ha fatto con tutti noi.

Persa nei miei pensieri non mi sono accorta di essere ormai uscita dal castello. È ora di smaterializzarsi e, purtroppo, non sono certa di essere pronta. La sensazione di occlusione e di risucchio che causa la materializzazione mi lascia scossa e tremante, quando atterro con grazia su questa immensa scogliera dispersa nel nulla. Mi blocco ad osservare il paesaggio. È decisamente brullo ed inospitale. Strano luogo, veramente strano e così cupo.

Mi siedo su questa roccia fredda, ascoltando l'odore della salsedine ed il rumore delle onde che si infrangono contro gli scogli. Sono adulta ed una strega capace, ma questo luogo mi fa paura, mi attanaglia il cuore in una morsa. Rimango qui per ore, con una pergamena sulle ginocchia ed una piuma in mano. Appunto ogni sensazione, ogni rumore, ogni bisbiglio della roccia. Mi sta parlando. Cerca di farmi comprendere cose che, forse, pochi potrebbero capire. I miei studi sono stati lunghi e pazienti a Durmstrang. Al contrario di Hogwarts la scuola nordica è molto più tollerante, pertanto mi ha aperto strade che in pochi hanno il coraggio di percorrere. Ci sono forze oscure su questa roccia, molto oscure. Qui sono state fatte magie intrise di crudeltà e di rancore. Sento altro, ma non riesco a comprenderlo appieno.

Rimango seduta sul freddo terreno roccioso per ore, non so neanche quanto tempo è passato, ma ormai il sole è sorto da diverse ore. Qui non c'è nessuno e probabilmente non vi sono centri abitati per diversi chilometri.

Cassandra è inutile tergiversare. Sai bene cosa devi fare ed anche se la cosa non ti piace non ha senso tirarti indietro. Non puoi far nulla qui, senza avere le conferme che cerchi da chi, sicuramente, conosce meglio di te questo genere di incantesimi oscuri.

Non sono mai stata coraggiosa e non ha senso negarlo. Tutte le scelte della mia giovane vita sono state condizionate dalla mancanza di coraggio. Mi è sempre sembrato più semplice vivere nelle linee tracciate dalla mia famiglia, da mio marito, dal mio lavoro. Anche ora, infondo, sto seguendo le linee tracciate da Albus Silente, come una brava ed ubbidiente bambina.

Solo con Severus posso uscire dagli argini, ma ora lui non è qui e non può far nulla ed è stata una mia scelta tenerlo lontano da me in questa situazione.

Mi smaterializzo di nuovo, e di nuovo le sensazioni sgradevoli che attraversano il mio corpo ci mettono qualche minuto per calmarsi. Vedo la mia destinazione di fronte a me. È lontana qualche centinaio di metri, ma mi fa comunque ribrezzo. Sento dei brividi ghiacciati percorrere la mia schiena ed un rigoletto di sudore freddo scorrere lungo la spina dorsale. Come ho già detto, non sono mai stata particolarmente coraggiosa.

Cinicamente mi rendo conto che da una scogliera sono scappata e su una scogliera sono atterrata. L'alta torre della fortezza che si staglia dinanzi a me mi guarda beffarda, come a volermi sfidare. Sembra chiedermi se so cosa sto facendo ed io vorrei rispondere che non è così. Io non so cosa sto facendo. Io non ho mai saputo cosa stavo facendo, in nessun momento della mia vita.

D'altronde, solo pochi minuti fa ho avuto personalmente la conferma di quel che Albus Silente mi aveva accennato e non posso negare di aver avuto paura, sincera e folle paura. A volte non si può far altro che ammettere che c'è un solo modo per combattere il male: con altro male. E così eccomi qua. Ciò che devo fare è piuttosto semplice, infondo: stringere un patto col diavolo, vendergli la mia anima e quella dell'intero mondo magico. È l'unica via per far trionfare le forze del bene. Quanto è beffardo il destino, a volte.

Non mi resta che aspettare che il sole tramonti, studiando gli incantesimi che proteggono questo luogo infernale, sperando di riuscire ad entrare sana ed uscire per lo meno viva. Sono invisibile agli occhi di qualunque osservatore, poiché prima di partire ho apportato a me stessa un incantesimo di disillusione, ma non sono certa che sia saggio avvicinarmi troppo senza un piano e molta prudenza. Perciò mi accampo nella foresta vicina, in attesa.

È un luogo arido e scarno, ma penso di aver riconosciuto la maggior parte degli incantesimi che lo proteggono e, pertanto, potrei riuscire ad entrare con pochissime difficoltà. So già dove dirigermi, per fortuna mi sono informata a lungo, studiando ogni singola informazione che ho trovato nella biblioteca di Hogwarts. Vedo il mio obiettivo: l'ultima finestra della torre più alta della fortezza. È lì che giace l'uomo che sto cercando.

È ormai notte fonda quando decido di agire e sono ormai convinta di essere pronta. So quel che devo fare e come comportarmi. Mi ci vogliono diversi minuti, forse ore, per superare tutti gli incantesimi protettivi e giungere alla mia metà.

Solo quando attraverso silenziosa come un'ombra la finestra mi rendo conto che, in realtà, non ero affatto pronta a quello che mi aspettava. Oltrepasso le inferriate facilmente, grazie alla mia forma minuta che non ha alcun problema a infilarsi fra le sbarre. Atterro con la mia solita grazia sul pavimento ed osservo quel mucchio cencioso di stracci che giace scomposto su luride pietre ricoperte da uno spesso strato di polvere che vi si è posata nel corso degli anni.

Decido di prendermi altro tempo, per osservare lo scheletro di un uomo che ha fatto tremare per diversi decenni l'intero mondo magico. Se oggi mi dicessero che devo aver paura di lui, credo che scoppierei a ridere e di gusto pure. È solo il fantasma di quel che doveva essere una volta. Un fantasma ridotto ad ossa e pelle incartapecorita e distrutta dagli anni e dalle difficoltà. È difficile ora credere che un tempo gli uomini tremavano dinanzi a lui e, spesso, non vedevano la luce del giorno dopo averlo incontrato.

Probabilmente si sente osservato, perché dun tratto si muove, girandosi verso di me e, con evidente difficoltà, apre, lentamente, le palpebre. Mi perdo in quegli occhi di giada così splendenti e luminosi, che contrastano notevolmente con il resto del corpo dell'uomo e con l'ambiente in cui ci troviamo. Sono gli occhi di una persona viva, ma che ha sofferto molto e non solo fisicamente.

Lui mi sta osservando, incuriosito, ma senza muoversi. Non capisco se non voglia o se lo faccia soffrire qualsiasi movimento. È ora di uscire allo scoperto, ormai non posso più tirarmi indietro e non importa che io non sia pronta.

La mia trasformazione non lo lascia per nulla stupito, al contrario lui continua ad osservarmi coi suoi occhi brillanti, quasi curiosi, ma senza lasciar trasparire alcun emozione.

"Una rondine... scelta interessante. Sai cosa simboleggia quell'animale, ragazza?", la sua voce è così roca. È evidente che non la usa da molto tempo. Forse sono diversi decenni che non ha qualcuno con cui parlare. È un uomo sorprendente, non posso evitare di pensarlo. Insomma, io compaio dal nulla, nella sua stanza, e l'unica sua considerazione è sull'animale in cui mi trasformo come animagus? È decisamente sorprendente ed accattivante.

"A dir la verità non mi sono mai posta la domanda".

Mi guarda ancora, sembra studiarmi ed osservarmi con attenzione, come soppesando ogni centimetro del mio corpo. Vorrei tanto sapere cosa sta pensando e cosa passa per la sua mente. Pensavo che ne avrei avuto timore, invece sono solo incuriosita da questo vecchietto così pacato e così sicuro di sé, nonostante tutto.

Si sta alzando, forse dovrei aiutarlo. Titubante mi avvicino di un passo, ma lui mi ferma con un gesto della sua mano, "non sono così vecchio da non sapermi muovere da solo. Credimi", mi guarda ancora, con quelle iridi così espressive e così poco adatte al suo viso ed al suo corpo, "inoltre, tu non dovresti avvicinarti troppo, non pensi? Posso essere molto pericoloso. Non te lo hanno detto?".

"Sei qui per annunciare la primavera?", continua a parlare ed io lo osservo dubbioso. Forse non è tanto in sé. "Non sono matto", mi legge nel pensiero? Com'è possibile? Non ha neanche una bacchetta, "ad un mago potente non serve una bacchetta per alcuni incantesimi. La rondine è l'animale che simboleggia la primavera. Quindi, sei qui per annunciare la primavera, ragazza?".

Ora sono un pò in ansia e leggermente impaurita. Non pensavo di dover schermare la mente da un uomo che non è altro che il relitto di sé stesso.

"In un certo senso sì, sono qui per annunciare la primavera".

Ora sorride, sornione, "allora sbrigati...".

Lo guardo sconcertata, "sbrigarmi a fare cosa?".

"Uccidimi. Fa presto. Sono stanco".

Mi rendo conto di avere la bocca e gli occhi spalancati, ma non posso far nulla per cambiare questa situazione. Tutto avrei pensato, tranne che mi sarei trovata dinanzi un uomo che mi sta chiedendo di ucciderlo. Questo potrebbe complicare le cose, perché se lui si è arreso ed è in attesa della morte, non ha alcun motivo di aiutarmi. Eppure... i suoi occhi sembrano dire altro.

"Non sono qui per ucciderti", parlando mi siedo a terra, di fronte a lui, con la schiena poggiata alla parete opposta di questa cella. "Mi manda Albus Silente". Al suono di quel nome una scintilla si accende in quei due splendidi occhi di giada. E lui continua ad osservarmi, senza parlare, senza muoversi. Ma i suoi occhi... loro ridono.


 

***

Piccoli appunti necessari:
1. il punto di vista è di Cassandra, per ovvi motivi: Severus non c'è, quindi non poteva essere lui a raccontare;
2. la prossima settimana non sarò a casa, quindi non so quando riuscirò ad aggiornare;
3. ringrazio le mie fedeli lettrici per i loro commenti incoraggianti: Manu75 e Morgana_Altea.
4. spero che qualcun altro voglia dirmi cosa ne pensa di questa storia.
A presto.

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Capitolo 12
*** Senza di te. ***


Senza di te.

 

Mi sono svegliato con una strana sensazione questa mattina, una sensazione di pericolo che non provavo da qualche anno ormai. Ricordo ancora quando, durante la prima guerra magica, ogni mattina aprivo gli occhi con un senso di angoscia opprimente in petto, consapevole che quello poteva essere il mio ultimo giorno di vita.

Durante la giornata non ho visto Cassandra da nessuna parte, ed anche se oggi è sabato mi sembra strano che non si sia presentata neanche all'ora dei pasti. Suo figlio non sembra preoccupato, perciò o non sa che non è a scuola, oppure è stato avvisato della sua assenza.

Il mio stato di ansia perdura sino al pomeriggio, senza che io possa far nulla per impedirmi di pensare a lei e a dove si sia cacciata. Verso le tre mi decido ad uscire della scuola. Oggi ho appuntamento con Narcissa e non posso proprio non presentarmi. Spero solo che non si accorga del mio stato di apprensione.

Appena fuori dal castello mi smaterializzo. Aspetto qualche secondo prima di aprire gli occhi, ascoltando i rumori che mi circondano ed annusando l'odore di questo luogo. Mi mancava l'odore di salmastro che odono le mie narici.

Alzo le palpebre sul lago di Loch Lomond e la vedo: Great House. Una delle più modeste proprietà dei Black. Ci sono stato spesso in gioventù. Sapevo che durante le vacanze estive vi avrei trovano Narcissa da sola almeno un paio di settimane all'anno. Lei adora questo luogo ed io ho imparato ad amarlo altrettanto.

Mi avvicino alla modesta, se così si può definire, abitazione e suono al campanello, in attesa che qualcuno venga ad aprirmi. Il mio pensiero vaga alla prima volta che mi sono recato in questa casa, tanti anni fa.

 

Aveva appena compiuto diciassette anni ed aveva passato subito l'esame di smaterializzazione, perciò non era stato difficile per lui recarsi in quel luogo isolato, indicatogli dalla ragazza. Era stata una fortuna per lui potersi allontanare dall'abitazione dei propri genitori, anche se solo per qualche giorno. Lui e Lily non si parlavano più da mesi, pertanto tornare in quella casa era stato orribile. Prima aveva lei nei momenti di bisogno. Ora era da solo.

No, non era da solo, per fortuna c'era Narcissa. Non aveva avuto bisogno di dirle nulla, semplicemente lei sapeva e, pertanto, prima che lui partisse con l'espresso per Kings cross, gli aveva inviato una missiva in cui si era offerta di ospitarlo per qualche giorno in quel luogo. Lui era stato un po' restio ad accettare, ma alla fine aveva ceduto, conscio che a casa sua avrebbe passato due mesi d'inferno.

Lei aveva aperto il portone indossando un abito leggere rosa salmone. Era così elegante ed eterea che per qualche secondo a lui si era fermato il cuore.

"C'è anche Lucius?", era l'unica cosa che era riuscito a dire entrando in casa.

"A dire la verità no, siamo solo noi due ed il mio elfo domestico personale", aveva risposto lei, con semplicità.

Inderdetto lui l'aveva fissata, prima di riuscire a formulare ancora qualche parola, "non è sconveniente che tu sia da sola con me in questa casa?".

"Intendi approfittare di me, Severus?". Quella frase lo aveva fatto arrossire violentemente e lei aveva sorriso sorniona.

"Certo che no. Mi preoccupo per la tua reputazione".

"Il mio fidanzato sa che sono qui da sola, come ogni anno da quando ne ho compiuto sedici, per rilassarmi dalla vita mondana. Così anche i miei genitori. Nessuno è mai venuto a disturbarmi qui. È il mio rifugio".

"Ed io cosa ci faccio qui, allora?".

"Tu avevi bisogno di un rifugio ed io non sono egoista... se lo desideri possiamo incontrarci solo per i pasti, o neanche per quelli. Il mio elfo può servirteli in camera. Puoi fare ciò che vuoi. Considera questa casa come se fosse tua".

 

"Siamo soli?", ho preso l'abitudine da quel giorno di porle questa domanda ogni volta che mi apre la porta di questo luogo.

"Come sempre. Ho fatto servire del té nel salottino di giada...", la seguo, ricordando che ogni stanza di questa casa porta il nome di una pietra preziosa ed è arredata coi colori della stessa.

Mi accomodo nella poltrona di fianco al fuoco, mentre lei, come sempre si siede sul divanetto. Ricordo che all'inizio mi sorprendevo di quanto sembrasse regale, sempre elegante ed inappuntabile. Compresi presto che tale caratteristica apparteneva a tutti i membri della famiglia Black; la loro educazione dev'essere stato molto rigida.

"Il signore oscuro sta tramando qualcosa", come sempre diretta e concisa. Evidentemente non ha intenzione di intrattenersi in inutili convenevoli.

"Sì, lo temo anche io, ma non riesco a comprendere appieno dove siano diretti i suoi piani attuali".

"Non ho notizie certe, ma qualcosa penso di averla compresa, origliando sprazzi di conversazione di Lucius più che altro", rimango in attesa che continui, "penso stia cercando di ascoltare integralmente quella profezia".

La guardo, sorpreso, "cosa sai tu della profezia?".

"So tutto quello che è accaduto Severus. So che tu hai origliato una conversazione fra Albus Silente e Sybilla Cooman. So che hai riferito ciò che hai sentito a Voldemort e che le tue parole hanno condotto alla morte di Lily e James Potter", continuo a guardarla sconvolto, "sono sono una stupida ed inutile moglie purosangue. Io ascolto. Sempre".

Non posso evitare un sorriso compiaciuto. Lei è sempre stata così intelligente. Sto per risponderle, quando il suono del campanello ci interrompe. Mi giro verso Narcissa e vedo in lei la medesima confusione che dev'essere stampata sul mio viso.

"Aspettavi qualcuno?".

"Solo te...". Alle sue parole la mia mano va verso la bacchetta, quando un elfo entra nel salottino e si dirige verso la sua padrona.

"Padrona, fuori c'è il signor Black. Chiede di poter parlare con lei".

Dopo un attimo di esitazione Narcissa gli dice di farlo entrare. Fantastico, la giornata non poteva che peggiorare. Ci mancava solo un incontro inaspettato con quel lurido cane rognoso.

Passano pochi istanti, quando la porta si apre e lui entra col suo solito passo elegante ed i suoi portamenti strafottenti. Azkaban ha sicuramente fatto sbiadire un pò della sua bellezza, ma l'anno trascorso in libertà gli ha restituito molto.

"Le tue frequentazioni sono decisamente peggiorate, cugina", lo dice con fare sprezzante e con un'espressione disgustata. Vorrei tanto affatturarlo, ma metterei Narcissa in una spiacevole situazione.

"Le mie frequentazioni erano più che onorevoli, prima che tu entrassi in questa stanza".

Mi metto comodo, in attesa di potermi godere un bel battibecco fra cugini. So già chi vincerebbe, Narcissa è sempre stata una serpeverde sino al midollo.

"Sei sempre così dolce cugina, che mi sorprendo quando il terreno dove cammini non si sgretola sotto la tua acidità corrosiva". Mentre parla Black si siede sulla poltrona di fronte alla mia e continua a fissarmi in cagnesco. Mi fingo superiore, e cerco con ogni fibra del mio essere il mio sguardo più altezzoso.

"Mocciosus... cosa ci fai qui?".

"Io, al contrario di te, sono stato invitato", mi rendo conto che ogni sillaba da me pronunciata sprizza astio e disprezzo. Individuo un ghigno divertito di Narcissa, ma non smetto di fissare Black negli occhi. La tensione fra noi è così forte da essere palpabile.

"Cosa ci fai tu, qui, cugino?", la voce di Narcissa mi arriva ovattata, mentre cerco di controllare il mio odio per lui.

"Volevo parlare in privato con te, ed immaginavo che se ti avessi trovata qui, saresti stata sola", dopo una pausa studiata continua, "ovviamente sbagliavo".

"Severus, come ti ha detto, è stato invitato da me. Abbiamo alcune cose da discutere. Immagino tu possa ascoltare, visto che comunque lui le riferirà all'Ordine della Fenice", mentre pronuncia queste ultime parole, Narcissa mi guarda, come chiedendomi tacitamente il consenso a continuare. Le faccio un cenno affermativo, anche se speravo che lo buttasse fuori a calci, ma daltronde lei non lo farebbe. È troppo educata.

"Come stavo dicendo a Severus, ho scoperto che Voldemort intende ascoltare per intero la profezia che fu pronunciata circa 15 anni fa. Come ben saprete entrambi, per farlo, dovrebbe introdursi al Ministero".

"Se non sbaglio le profezie possono essere ritirate solo da coloro che ne sono oggetto", Black interviene, "quindi, supponendo che non si introdurrà lui stesso nel Ministero, vorrà in qualche modo convincere Harry a farlo".

"Per una volta hai detto qualcosa di vagamente intelligente, Black", non riesco proprio a trattenermi.

Il suo sguardo mi fa capire che sarebbe felicissimo di uccidermi qui, davanti alla cugina.

"Domani durante la riunione avviserò Silente e gli altri di quanto abbiamo appreso, verrai anche tu Narcissa?", lo ignoro volutamente.

"Non sarebbe saggio per me rischiare di farmi vedere in giro, visto che si presume io resti qui un paio di settimane", mi sorride dolcemente mentre mi parla e vedo, con la coda dell'occhio, Black muoversi a disagio sulla sedia. "Resti per la notte, Severus?", quando le sento pronunciare quelle parole, rischio di strozzarmi col té che sto sorseggiando.

"Non credo sarebbe opportuno... mi aspettano a scuola". Mentre parlo la guardo, cercando di capire quale sia il suo intento. Temo che voglia provocare il cugino, ma forse non le è chiaro che non serve che lo aizzi contro di me.

"Non sarebbe opportuno perché ci sono io?", la voce gelida del mio nemico mi raggiunge ghiacciandomi il sangue nelle vene. Appunto, avevo ragione. Mi volto verso di lui, lentamente.

"Cosa stai cercando di insinuare, cane rognoso?", sono livido di rabbia e credo sia evidente. Se c'è una cosa che non sopporto è che si metta in dubbio la moralità di una persona a me cara.

"Insinuando? Nulla... sto solo valutando ciò che vedo".

"Se devi dire qualcosa, Black, dillo chiaramente e valuta bene le parole che intendi utilizzare, perché credimi: sto perdendo la pazienza", scandisco le ultime parole quasi sillabandole. Sono decisamente alterato e persino Narcissa appare preoccupata.

"Vieni qui spesso?".

"Non penso sia affar tuo, o sbaglio?", questa volta è stata lei a rispondere, precedendomi.

"No. Hai ragione... non è affar mio... ma è un problema di tuo marito".

È un secondo, non riesco a trattenermi. Sfodero la bacchetta tremante di rabbia e lancio uno schiantesimo contro quell'uomo irritante e supponente. Lo vedo volare contro il muro. Non si è neanche accorto dei miei movimenti, pertanto non è riuscito a fermarmi.

Si alza dolorante, nonostante la forza del mio incantesimo è ancora cosciente. Lo vedo tremare, mentre si volta verso di me.

"Come osi? Dovrei essere io ad affatturarti. Ti trovo qui. In una proprietà della mia famiglia. Con mia cugina. Da solo. Dovrei ucciderti solo per questo. Senza contare che so chi sei, e la cosa non migliora di certo la situazione", trema dalla rabbia. Me ne accorgo, ma io non sono da meno.

Narcissa si alza, con la sua solita eleganze e si pone in mezzo, fra noi due. Il nostro viso dev'essere una maschera di livore e di rancore, perché lei sembra, per la prima volta, preoccupata.

"Non osare insinuare che io possa, in qualche modo, compromettere Narcissa", la mia voce è spezzata mentre parlo, non riesco più a controllarmi, "non mi permetterei mai di farlo. Non la sfiorerei neanche con un dito. Io la rispetto", sento quasi una nota di supplica nella mia voce, e me ne vergogno.

"Quanto pensi che valga il rispetto di un mangiamorte?", lo sputa con odio. Non sopporto più di averlo di fronte, vorrei ucciderlo in questo momento. Non farei mai ciò che lui insinua. Mai. Rispetto Lucius e rispetto il suo matrimonio. Ma soprattutto rispetto Narcissa. Lei è troppo importante per me. Non rischierei mai di perderla per un'ora di sesso. Senza contare che c'è Cassandra, ma ovviamente non posso dirlo questo.

Mi dirigo verso la porta, tremante. Non guardo nessuno di loro in viso. Esco da questa casa e mi smaterializzo. Senza parlare, senza salutare, ma senza riuscire a dimenticare l'ultima frase di Black. È vero, sono un mangiamorte. Non posso negarlo. E lui ha ragione. Non merito una donna come Narcissa, né una donna come Cassandra. Sono sporco, insudiciato dai miei errori, e sono solo un mezzosangue.

Ed è in questo momento che capisco: devo allontanarla da me.

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Capitolo 13
*** I panni sporchi si lavano in famiglia - Pov Narcissa. ***


 

I panni sporchi si lavano in famiglia – Pov Narcissa.

 

Rimaniamo da soli. Non ho avuto neanche il tempo di fermarlo, ma d'altronde forse non avrei avuto il coraggio di farlo. Il suo viso era distorto dal dolore quando è "scappato" e Severus non mi avrebbe mai permesso di vederlo in quello stato, né tanto meno di lasciare che mio cugino lo vedesse in quel modo.

Mi sento in colpa; mi rendo conto di aver esagerato. Ho visto il disagio di Sirius ed i dubbi sul rapporto fra me e Piton farsi largo nella sua mente e non sono riuscita a resistere. Non avrei dovuto, sono stata impulsiva e sciocca e così ho provocato dolore all'unica persona su cui son certa di poter fare sempre affidamento.

"Vi ho interrotti?", ghigna mentre pronuncia queste parole ed io vorrei finire quel che Severus aveva cominciato, schiantandolo con forza, ma mi trattengo.

"Non avresti dovuto. Hai esagerato". Lo guardo e per un secondo rivedo il mio cuginetto in lui. Mi sta osservando con un cipigno colpevole in viso. Mi ricorda quando da bambino lo scoprivo a fare qualcosa di sbagliato e lui mi fissava con occhi languidi impedendomi di rimproverarlo. Gli volevo così bene allora, era il mio cuginetto preferito.

"Mi dispiace", mormora titurbante.

"Non è con me che dovresti scusarti...".

"Scherzi, vero? Se pensi che mi scuserò con Mocciosus dimostri solo di non sapere chi hai davanti. Sono sempre io, Sirius. Avrò anche quindici anni in più, ma non sono maturato così tanto".

Non resisto e scoppio a ridere. Lui è sempre riuscito a farmi ridere di cuore e senza difficoltà. Lo adoravo anche per questo. Il mio Sirius.

"Davvero? Sei sempre tu?", lo dico con una nota implorante nella voce. Voglio convincermi che non sia passato più di qualche attimo da quando lui, scappando dalla mia vita e dalla nostra famiglia, mi ha distrutto, portandosi una parte di me con sé.

Ci guardiamo per diversi attimi, entrambi consapevoli che non potremo mai più tornare indietro, mai più riavere quel che la vita ci ha brutalmente strappato. Una serpeverde ed un grifondoro, ma due Black. Siamo sempre due Black.

"Sii sincera, Cissy. Cosa c'è tra di voi?".

"E' mio amico...", lo fisso negli occhi mentre lo dico, sperando che lui mi creda.

"Solo un amico?", ovviamente non ha funzionato. Distolgo lo sguardo, senza sapere bene cosa dire. Diversi anni fa gli avrei confidato tutto, nonostante sapessi quanto poco apprezzasse Severus, ma oggi... non so neanche chi sia l'uomo che mi sta di fronte.

"Cissy... sono io... sempre io... Sirius. Solo Sirius", mi implora con un filo di voce appena udibile.

"Ci sono stati un paio di baci, a distanza di molti anni l'uno dall'altro. Nulla di più", è la verità e spero di non pentirmi di avergliela rivelata.

Mi guarda, quasi disgustato, ma si ricompone in fretta, "lo ami?". Lo dice di getto, quasi temesse lui stesso di pronunciare quelle parole.

"Amarlo?", lo guardo confusa mentre ripeto quella strana parola, "no... non lo amo. Di sicuro non come amo Lucius. Lui è diverso. È qualcosa di diverso dall'amore che si può provare verso un marito". Mi rendo conto, troppo tardi, di non aver negato di amarlo, di non aver nascosto il mio affetto per lui.

"Lo capisco... mi viene difficile accettarlo, ma lo capisco", lo guardo stupita, come può capirmi?, "veramente fra voi non c'è stato altro, se non un paio di baci?".

"Sì, veramente".

Mi guarda attentamente, prima di continuare "quindi è vero", al mio sguardo confuso risponde, "è vero che lui ti rispetta".

"Lo è... non ha mai neanche provato ad avvicinarmi".

"Ma davvero? E quindi spiegami: come potete esservi baciati?", la sua voce ora è intrisa di sarcasmi e di scetticismo.

"Sono stata io a baciare lui. È così difficile da credere?". Mi volto non appena ho terminato la domanda. Mi è sembrato di sentire un rumore, ma ora la casa appare assolutamente silenziosa. Devo essermi immaginata tutto. Questa guerra mi sta rendendo paranoica. Non sopporto più questo stato di perenne ansia ed insicurezza.

"Sei venuto qui per un motivo, vero Sirius?", credo sia meglio cambiare argomento e d'altronde abbiamo discusso abbastanza della mia vita sentimentale, soprattutto considerato che non ci vediamo da diversi anni.

"Ricordi la prima volta che siamo stati qui, insieme?", la sua domanda mi colpisce come un pugno, dritto alla stomaco. Come potrei dimenticare?

"Certo che lo ricordo. Tu avevi tre anni ed io sette. Io ero qui con mia madre, per trascorrere qualche settimana estiva in un luogo più fresco e, forse, più consono a delle bambine. Tua madre ti portò qui perché sperava di riuscire ad inculcarti i valori della famiglia Black fin da infante, facendoti crescere in mezzo a me e alle mie sorelle. Appena entraste da quella porta, tu ti guardasti intorno un pò spaesato. Non avevi mai trascorso molto tempo con noi, poiché Walburga non amava molto mia madre, poiché nonostante fosse una Rosier da nubile, loro non avevano mai legato molto a scuola". Mi interrompo qui, perché nono sono certa di riuscire a continuare. Un nodo alla gola mi fa capire quanto forte sia la mia commozione in questo momento.

"E' vero. All'inizio quasi si odiavano, lo ricordi?", lo dice sorrideno, e non posso non sorridere anche io, "ho sempre sospettato che il vero problema fosse che mia madre e tua madre si erano contese il marito da giovani". Scoppio a ridere alla sua affermazione. Mi sono chiesta spesso anche io se non fosse quello il problema in realtà. È forse è davvero così.

Lo guardo. Non ha quasi più nulla di quel bambino. Ma è ancora un Black, sin nel midollo. I folti capelli, ancora scuri nonostante la carcerazione e l'età, gli ricadono in morbide onde sulle spalle, e, nonostante io sia certa non perde molto tempo a prepararsi la mattina, riescono comunque ad essere perfettamente in ordine. I suoi occhi grigi, tipico tratto caratteristico dei Black, sono sempre vivi e contengono una scintilla di superiorità, indice dell'assimilazione di ciò che ci è stato insegnato prima ancora che imparassimo a camminare. Il suo corpo è snello, ma massiccio. Il corpo di un uomo che ha sofferto, ma che sta ricominciando a vivere. La sua postura riesce ad essere contemporaneamente rigida e naturale, elegante e strafottente. Ho sempre adorato questo miscuglio di forze contrastanti presenti in lui. È come se in lui si incontrassero il giorno e la notte, l'oscurità ed il buio... sì, forse, lui è sempre stato il tramonto della nostra famiglia. E lo aveva impresso in ogni fibra del suo essere, sin dall'età di tre anni.

"Quel giorno ti gettasti fra le mie braccia, cercandovi rifugio. Ricordo ancora l'espressione di tua madre quando lo facesti. Se fosse stato per lei ti avrebbe punito molto duramente per quel gesto".

"Non era di certo il tipo da abbracciare suo figlio, la cara Walburga", lo dice con una tale amarezza, che mi sorprendo si possa provare un sentimento così negativo nei confronti di una madre. Una parte di me si chiede se anche il mio bambino, un giorno, parlerà così di me. Il mio Draco. È l'unica ragione della mia vita e credo mi si spezzerebbe il cuore se mi odiasse così tanto.

"Io penso che una parte di lei ti volesse bene e ti abbia continuato ad amare sino alla sua morte. Semplicemente non era in grado di dimostrare affetto", non credo di essere molto credibile, infatti quando pronuncio queste parole lui scoppia a ridermi in faccia.

Solo quando si è ricomposto ed ha smesso di contorcersi in preda alle risa riesce nuovamente a parlare. "Hai più visto Andromeda?", sembra temere la mia reazione quando mi pone la sua domanda. Devo ammettere che la stavo aspettando da molto tempo.

"No. Non la vedo da quando è andata via di casa", un groppo in gola mi impedisce di parlare. È pur sempre mia sorella, anche se i nostri rapporti si sono interrotti bruscamente, "so che si è sposata e che ha una figlia che sta facendo l'accademia per diventare auror".

"Sì, Dora è una ragazza simpatica, molto intelligente", sorride, "anche se molto sbadata. Mi ricorda te a dir la verità".

"Me?", fingo di essere offesa.

"Sì, te. Ricordi quante volte sei caduta da bambina? Quanti piatti hai rovesciato e quanti vasi hai rotto?".

"No. Niente affatto. Non ricordo nulla del genere", parlo imbronciata e incrocio le mani sul petto, come a sfidarlo a continuare.

"Certo, per chi ti conosce ora, probabilmente, anche solo pensare che tu sia stata una ragazzina impacciata è impossibile. Narcissa Malfoy, la regina del ghiaccio, che non riesce ad entrare in una stanza senza inciampare nel tappeto".

"Non è assolutamente vero quello che stai insinuando!", ora sono quasi furiosa. Lui si sta facendo palesemente beffe di me.

"D'avvero? Perché io ricordo una certa festa di Natale, del 1968. Eri poco più di una bambina all'epoca, ma eri bellissima nel tuo primo abito elegante da donna. Era tutto in seta blu scuro", mentre parla mi guarda in volto ed io rammento quel giorno, "avevi delle scarpe con un tacco basso, ma sufficiente per farti inciampare nel vestito non appena entrata dalla porta".

Sorrido, mio malgrado, al ricordo di quella sera, "se non fosse stato per Lucius che, coi suoi riflessi allenati, mi prese fra le braccia impedendomi di cadere rovinosamente a terra, avrei fatto una figura terribile".

"Vero. Ricordo che pensai che lui era com un principe azzurro che trae in salvo la sua principessa", si ferma un attimo, e mi guarda in modo intenso, "negli anni della prima guerra mi sono chiesto tante volte se avessi ragione, se lui fosse davvero in grado di salvarti".

Le sue parole mi colpiscono, "dubito che tu pensassi a me durante la prima guerra", cerco di recuperare un pò del mio autocontrollo.

"Eri mia cugina. Sei mia cugina. Uno dei pochi membri della mia famiglia rimasto. Sicuramente uno dei pochi a cui tengo ed abbia sempre tenuto. Certo che pensavo a te, durante la guerra", si blocca e mi guarda negli occhi. Il suo sguardo è indecifrabile, mi chiedo dove voglia arrivare, "mi avresti ucciso, Cissy?".

Sobbalzo al suono delle sue parole, lo guardo anche io negli occhi e per l'ennesima volta nella mia vita, mi chiedo se potrei uccidere un membro della mia famiglia. Io, Narcissa Black, potrei mai uccidere Andromeda, suo marito, sua figlia, Sirius, Cassandra, suo figlio? Io, Narcissa Black, potrei mai uccidere Bellatrix?

"Non penso che potrei mai uccidere un membro della mia famiglia... mai...".

"Neanche se ne andasse della vita di tuo marito? O tuo figlio?", la gola mi si è seccata di colpo. Se qualcuno minacciasse la mia famiglia, io la proteggerei anche a costo di uccidere? "Sei andata a parlare con Silente, per salvarli. Ti sei messa contro Voldemort. Stai collaborando con l'Ordine della Fenice. Se ti conosco e se sei ancora la bambina con cui sono cresciuto, sono piuttosto sicura che faresti di tutto per salvare la tua famiglia".

"Chi ti dice che non abbia mentito a Silente e che non stia agendo per conto del mio Signore?".

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Capitolo 14
*** Vuoto profondo. ***


 

Vuoto profondo.

 

Mi materializzo dinanzi ai cancelli di Hogwarts. È notte fonda quando arrivo e le tenebre si espandono intorno a me. Mi devo appoggiare alle inferriate, per non crollare a terra, sfinito. Rimango qui per quelle che sembrano ore, prima di trovare la forza di andare oltre e di percorrere il lungo sentiero tortuoso che mi porterà all'ingresso del maniero. Le ombre della notte mi circondano, ma forse sono dentro di me, e non fuori dal mio corpo come mi appare.

Un dolore acuto mi colpisce repentino. Come sono finito a terra? Mi osservo le mani, in ginocchio sull'arido e gelido terreno. Il ginocchio pulsa terribilmente, devo averlo battuto con violenza. Perché non sono in piedi? Non riesco davvero a capire come sono arrivato qui, come sono finito al suolo. Mi rialzo a fatica, traballante. Dopo quelle che sembrano miglia, ma in realtà sono solo poche centinaia di metri, entro nel salone d'ingresso ed invece che dirigermi verso le mie stanza, i miei piedi mi portano da tutt'altra parte. Sembra che sappiano dove stanno andando, al contrario di me, che non so proprio cosa sto facendo.

Mi trovo davanti ad una porta di pino chiaro. Una piccola parte del mio cervello sa dove sono. Mi appoggio al legno caldo per non cadere e dopo altri minuti d'agonia comincio a battere furioso sullo stipite. Non so che ore sono, non ne ho idea, ma dev'essere molto tardi, perché fuori è buio. Sento dei passi frettolosi oltre la porta. Lei spalanca l'uscio ed io quasi le cado addosso. Vedo terrore nei suoi occhi, per qualche secondo. Mi chiedo in che condizioni sono. Devo essere proprio messo male se mi guarda così.

"Che cos'è successo, Severus?", la sua voce calma mi restituisce un poco di lucidità.

"Posso entrare?", riesco a dire solo queste poche parole.

"Certo", mi afferra per un braccio e mi aiuta a varcare la soglia dei suoi appartamenti. Sono stato qui solo altre due volte nella mia vita. La prima la ricordo ancora, con tanta nostalgia. Se le avessi dato retta allora, forse ora le cose sarebbero diverse.

 

"Signor Piton, mi segua. Subito", la sua voce autoritaria lo colpì allora, come non aveva mai fatto nessuno prima. Lei gli incuteva timore e rispetto. Ed in pochi riuscivano a fare altrettanto.

Si aspettava di essere punito, severamente. Sapeva di aver combinato un bel guaio, ed era stato stupido a farsi beccare. Da lei. Se lo avesse visto Lumacorno lo avrebbe solo lodato, com'era accaduto altre volte. Ma lei no, lei lo avrebbe punito. Lo sapeva.

"Non conosco quell'incantesimo", mentre pronunciava quelle poche parole lo fissava con uno sguardo strano e lui era sempre più confuso. Aveva appena chiuso la porta alle loro spalle e lui si era fermato in mezzo a quella stanza, imbarazzato, non sapendo come comportarsi. "Si sieda", lo disse indicando una piccola poltrona dinanzi al caminetto acceso. Lui si sedette sempre più titubante e confuso. Dopo pochi secondi fu raggiunto da una tazza di té, un aroma invitante raggiunse le sue nari, era una delle migliori qualità di earl gray.

"Sono una grifondoro, signor Piton. Non ho l'abitudine di avvelenare i miei studenti, né tanto meno di costringerli ad ingerire mistugli illegali".

Ancora poco convinto il ragazzo si decise ad assaggiare il té e non potè non trovarlo delizioso, essendo della sua qualità preferita.

Il silenzione nello studio della professoressa McGranitt venne interrotto dalla donna, "mi vuole spiegare dove ha imparato quell'incantesimo? Sembrava piuttosto complicato".

"E' di mia invenzione", nonostante lo disse con un filo di voce, quasi sussurrando, non poté evitare che una nota d'orgoglio trasparisse dal suo tono. La donna ora lo fissava sorpresa.

"Lei è un ottimo trasfigurante, potrebbe fare carriera in quest'ambito", lo sguardo del giovane si fissò su quegli occhi così simili a quelli di un felino, la scrutava come volendo sondarne i pensieri più intimi. Era sinceramente tentato di invadere la sua mente, se fosse stato attento lei, probabilmente, neanche se ne sarebbe accorto.

"Non le consiglio di farlo. Sono una buona occlumante anche io", il sorriso della strega sembrava quasi prendersi gioco di lui.

"Non aveva detto di essere una grifondoro, professoressa?".

"E' vero, ma non ho detto di essere stolta. Lei ha trasfigurato una porzione di prato piuttosto elevata, in modo tale da farla divenire una sorta di prigione, unificandola ai rami degli alberi soprastanti", non era una domanda, ovviamente, lei aveva visto. E le ci erano voluti dieci minuti per liberare i malcapitati, se così poteva definirli. Sapeva che quei due ragazzi un pò meritavano quel che era avvenuto.

"Perché non mi punisce, e la facciamo finita?".

"Perché non è mia intenzione punirla. Al contrario, mi chiedevo se lei volesse guadagnare qualche punto in più per il suo curriculum lavorando per me per quest'ultimo anno di scuola".

Vide chiaramente i pensieri del ragazzo di fronte a lei susseguirsi sul suo viso, ed i suoi sentimenti esprimersi con un candore che non gli apparteneva: sorpresa, orgoglio, desiderio... finché un ombra oscura non passò su quegli occhi.

"Non mi interessa la sua materia. Grazie per il té", non le diede il tempo di rispondere, si alzò e se ne andò, senza voltarsi indietro. Lei rimasta sola in quella stanza si ritrovò a pensare di non essere affatto sorpresa, ma decisamente dispiaciuta. La verità, e lo sapeva bene, era che sperava di salvarlo. Lo aveva visto crescere, sempre più solo e sempre più vicino al male. Lo aveva visto da bambino, tutt'altro che indifeso, ed attratto dal potere. Si era affezionata a quel ragazzino magro e disperato.

 

Sento quello che sta pensando e non posso fare a meno di rassicurarla, "non avresti potuto fare nulla. Non avrei mai cambiato idea".

"In nessun caso?", lo dice come se sapesse che la risposta non è quella che io vorrei dare ed io sono troppo ubriaco per riuscire a mentirle, "non per te...", le rispondo prima di essere in grado di fermarmi.

"E per chi?", credo che lei non abbia mai veramente capito la ragione delle mie scelte. In fondo quando ho accettato di tradire il Signore Oscuro e di essere una spia, ho chiesto a Silente di non rivelare a nessuno i miei motivi. Ed anche io non ho detto la verità che ad una sola persona. "Puoi dirmelo sai... io lo vedo come la guardi, so che tra di voi ci sono dei... sentimenti". Parla di Cassandra, lo capisco immediatamente, nonostante la mia mente sia poco lucida.

"Non è come pensi", il tono della mia voce è più duro di quel che vorrei, ma solo il pensiero di Cassandra, in questo momento, per me è come una pugnalata dritta al cuore. E pensare che ero convinto di non averlo neanche un cuore. "Ho bisogno di una pozione antisbornia. Non sono in condizione di andare da solo nelle mie stanze".

"Hai bisogno di una pozione o di un amica?".

La guardo a lungo prima di rispondere, "di entrambe, Minerva".

 

Solo diverse ore dopo riesco a trascinarmi nella mia camera. La sbronza è passata, ma il mio umore è ancora piuttosto nero, anche se rimanere un pò con Minerva mi è servito. Lei è così tranquilla e posata. Non ha osato fare domande ed apprezzo molto questa sua caratteristica. L'ho sempre ammirata, ma durante gli anni della scuola non avrei mai ammesso la cosa. Oggi, invece, non ho più remore nei suoi confronti. È una donna straordinaria. Forse avrei potuto esporle i miei dubbi, ma la verità è che lei cercherebbe di dissuadermi dalle mie intenzioni e non posso permettermi di farmi convincere.

È con questi pensieri che mi dirigo verso le mie stanze e solo dopo aver chiuso la porta mi rendo conto di non essere solo.

"Dove sei stato?".

"Potrei farti la stessa domanda, mi pare", nel mio tono c'è più cattiveria di quanto vorrei, ma la sua domanda mi è sembrava quasi un'accusa.

"Io sono stata via per fare delle ricerche per la missione affidatami da Silente", ora sono certo che sia un'accusa.

"E non pensi che avresti potuto avvisarmi?", non posso impedire alla rabbia di montarmi dentro, "non hai mai pensato che io avessi il diritto di sapere, di essere informato".

"Ed io, Severus? Io ho il diritto di sapere e di essere informata", si avvicina a me parlando e vedo una luce furiosa nei suoi occhi.

"Perché dovresti? Tu non sei nessuno. Non hai alcun diritto nei miei confronti", vedo nei suoi occhi il dolore che sento nel mio cuore, mentre pronuncio queste parole. Rimaniamo a fissarci l'uno di fronte all'altra, per un tempo interminabile. Non penso quel che ho detto, ma una parte di me ritiene che ho fatto bene, dovevo dirlo. Per lei è troppo pericoloso starmi accanto. E, soprattutto, è troppo degradante. Io non sono abbastanza. Non sono abbastanza. Come ho fatto ad essere così stupido da pensare che potesse funzionare? Come ho potuto essere così stolto da ritenere che lei potesse accontentarsi di me?

"E' questo che pensi?", la sua voce trema, mentre mi pone questa domanda. I suoi occhi sono lucidi e vi leggo implorazione. Mi sta chiedendo di chiederle scusa, di rimangiarmi ogni parola. Ed io vorrei davvero farlo, ma non posso. E non per orgoglio, non solo.

Mi volto prima di risponderle, incapace di vedere ulteriormente il suo dolore. "Sì, è questo quello che penso", sento il rumore del mio cuore che si spezza, di nuovo, "pensavi forse di essere importante? Davvero credevi che potessi amarti? Sei stata solo un gioco, Cassandra. Un bel gioco, divertente, ma nulla di più".

Non credevo di possedere la forza di farle del male. Non a lei e non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme. Ma l'ho fatto. Ci sono riuscito. Dovevo farlo. Allora perché non mi sento meglio?

"Mi fai schifo", lo dice con un disgusto che apre ancora di più la crepa che si era formata nel mio petto, "ti prendi gioco anche di Narcissa? Ti scopi anche lei?", mi volto di scatto quando sento le sue parole e le sono addosso, senza riflettere, senza ragionare. L'ho afferrata per le spalle e sbattuta contro il muro. Sento la parete fredda a contatto con le mie nocche, che stringono la sua pelle sotto la stoffa del vestito.

"Come osi? Non ho mai toccato Narcissa. Non lo farei mai", mi ferisce, forse ancor di più per il fatto che suo fratello, poche ore fa, ha insinuato le medesime cose.

"A quanto pare lei non è solo un gioco. Chissà se Lucius sapesse che ti sbatti sua moglie, come la prenderebbe", una vena di pazzia nei suoi occhi mi spaventa.

"Non oseresti... non lo faresti... e comunque non sarebbe vero", la mia voce trema mentre pronuncio queste poche parole e lei sembra godere del mio timore. In questo momento mi ricorda terribilmente Bellatrix e mi preoccupa.

"Non è vero? Non l'hai mai baciata? Non hai mai messo le tue sudice mani da mezzosangue sul suo corpo".

"Cosa sai?", non posso evitare di chiedere, anche se non vorrei sapere.

"So abbastanza per sapere che sei un essere ignobile ed immondo, che non merita di vivere, né di essere amato. Capisco perché lei ha scelto James. Lui era migliore di te: bello, coraggioso, forte e, soprattutto, purosangue", lo ha detto. Ha detto l'unica cosa che non doveva dire. Indietreggio schifato alle sue parole e non posso fermarmi. La mia mano si muove senza controllo e si scontra, con violenza sul suo viso.

Lei non mi guarda. Rimaniamo fermi per alcuni secondi. Poi si muove, verso la porta e sparisce, veloce, ma non abbastanza da nascondermi una lacrima, solitaria, che scende sul suo viso di porcellana.


 

***

Non odiatemi, in fondo era necessario!
Ringrazio tanto Manu75 e Morgana_Altea per le loro recensioni... aspetto i vostri commenti su questo tristissimo capitolo!
Spero che anche qualcun altro mi voglia far sapere cosa pensa della mia ff.
A presto e scusate se non sono riuscita ad aggiornare prima!

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Capitolo 15
*** Amore di ieri, odio di domani – Pov Cassandra. ***


 

Amore di ieri, odio di domani – Pov Cassandra.

 

Esco dalle sue stanze piangendo, come non ho mai pianto negli ultimi anni della mia vita. Non riesco a togliermi di mente i suoi occhi delusi, il suo viso distorto dal dolore e dalla rabbia. Quasi corro dirigendomi nel mio ufficio. Sento le lacrime continuare a sgorgare dai miei occhi, ormai arrossati. Solo dopo aver chiuso la porta dietro di me ed aver insonorizzato la stanza, mi lascio andare ai singhiozzi.

Mi lascio scivolare contro il muro e mi rannicchio con le mani intorno alle ginocchia. Non riesco a fermare i singulti. Non posso credere che mi abbia schiaffeggiato. Non Severus. Sento ancora la guancia bruciare dove la sua mano si è scontrata con la mia pelle. Fa male. Non fisicamente. Non è stato un colpo forte. No. È la mia anima che duole. Il mio cuore è spezzato. Rimango qui, in questa posizione scomoda, così a lungo che quando alzo il viso il sole è ormai alto in cielo.

Mi dirigo verso il mio letto e mi lascio cadere sul materasso. Incapace di muovermi ancora, mi raggomitolo su me stessa. Non ho neanche la forza di coprirmi con la coperta. Davanti ai miei occhi i suoi d'onice. Continuo a vedere l'orrore che vi ho intravisto scappando. So di avergli fatto male, molto più di quanto ne ha fatto lui a me.

Passano ancora ore, il mio stomaco brontola, ma io lo ignoro, convinta che se fingo di non aver fame, allora non dovrò necessariamente alzarmi a mangiare qualcosa. Nel pomeriggio qualcuno bussa alla mia porta, ma non mi alzo e non lo lascio entrare. Non so se sia Severus o qualcun altro, ma non mi interessa. Non mi importerebbe neanche se fosse Antares. Semplicemente non voglio vedere nessuno. Voglio rimanere da sola, raggomitolata sulle mie pregiate lenzuola di seta a maledirmi per la mia stupidità.

Perchè io sapevo quale sarebbe stata la sua reazione e la verità è che volevo semplicemente una scusa per potermi allontanare da lui. Scoprire del suo rapporto con Narcissa mi ha ferito così tanto. Non pensavo di poter odiare un altro uomo, dopo mio marito. Ma sapere che hanno un rapporto così intimo e stretto mi ha turbata. Non ho mai neanche sospettato che fossero così tanto amici, sempre che di semplice amicizia si tratti. Lui ha detto di non essere andato a letto con lei, ma dovrei credergli? Con me non si è mai fatto troppi scrupoli. Perché con lei avrebbe dovuto?

Mi rendo conto che la verità è che l'idea che lui non l'abbia sfiorata, considerato il tipo di rapporto che ho capito hanno, mi ferisce ancora di più. Possibile che per Severus, Narcissa conti più di me? Che lei sia così importante da rispettarla così tanto, nonostante lei sia una donna bellissima, molto più di me. E di sicuro, da quel che ho sentito, lui avrebbe avuto occasione per approfittare di lei e del suo affetto.

Sono d'avvero così sciocca da essere più ferita dall'idea che lui non abbia fatto sesso con mia cugina, piuttosto che dal contrario?

Una consapevolezza mi colpisce in pieno, come un pugno nello stomaco, crudele e preciso. Narcissa quest'estate mi raccontò della sua intenzione di rivolgersi a Silente di diventare una spia per l'Ordine della Fenice. Mi disse che voleva proteggere la sua famiglia. Ma... è possibile che non fosse quello il suo vero intento? O non solo quello? È possibile che lei lo abbia fatto per protegge anche Severus? Mi sono chiesta per mesi il senso delle sue azioni, ed ora eccolo qui, chiaro e coerente: l'unico modo che Narcissa aveva per proteggere contemporaneamente suo figlio ed il suo caro amico era passare dalla parte di Silente.

Solo in tarda nottata riesco ad alzarmi, farmi una doccia e cambiarmi. Esco dalle mie stanze dopo aver preso solo alcuni oggetti essenziali e mi dirigo verso l'esterno del castello. Ho lasciato un messaggio a Silente, avvisandolo che sarei stata via per alcuni giorni.

Mi smaterializzo e mi ritrovo nuovamente in questo luogo inospitale e temibile. Nessuno vorrebbe stare qui, nessuno verrebbe spontaneamente in queste terre brulle. La fortezza si staglia dinanzi a me, orribile e impenetrabile. Mi trasformo ed i miei sensi si acuiscono. Ora sono parte della natura. Mi sento libera. Adoro la mia forma animale. In questo stato posso fare ciò che voglio ed andare dove voglio, senza essere controllata, guardata e giudicata. Così posso entrare in qualsiasi stanza, senza che ogni uomo si volti a guardarmi perché sono oggettivamente una bella donna.

Con grazia entro dalla finestra, perennemente aperta sul vuoto. Non servono sbarre per tenere un prigioniero rinchiuso in questo angolo d'inferno. Mi adagio sul pavimento, leggiadra e sicura. Lui è sveglio e mi osserva. Sembra sorpreso di vedermi.

"Sei tornata", non è una domanda la sua, ma una semplice affermazione. Una certezza sussurrata al vento. Mi crogiolo ancora un pò nel sentire la brezza leggera fra le piume, poi mi trasformo e mi siedo di fronte a lui, sul pavimento sudicio, incurante di ciò che mi circonda.

"Sono tornata", neanche la mia è una domanda.

Mi guarda negli occhi ed io non riesco a reggere il suo sguardo per molto. Mi imbarazza e non posso evitare di distogliere i miei occhi blu dai suoi, verdi come il muschio sul tronco degli alberi.

"Non sembri felice, bambina", vorrei dirgli che non sono una bambina, ma tra di noi vi sono forse ottant'anni di differenza, quindi posso ben comprendere perché utilizzi quell'epiteto.

"Mi sono solo svegliata bruscamente da un bel sogno", un sorriso triste si dipinge sul mio viso.

"Immagino che non stiamo parlando di tuo marito", la sua frase mi colpisce. Cosa sa lui di mio marito?

"Dai per scontato che sono sposata, vecchio!", non posso trattenere l'astio nella mia voce.

"No, do per scontato che lo fossi. In passato. Un passato non troppo lontano direi", mi osserva, poi continua ed è come se mi leggesse dentro, "lui non era un bel sogno, vero?".

"Come fai a sapere che sono stata sposata e che non è stato un matrimonio felice?", mentre lo dico mi sento veramente una bambina e comprendo pienamente perché lui venga considerato uno dei maghi più potenti degli ultimi secoli.

"So che sei stata sposata perché, anche se ormai quasi invisibile, un sottile cerchio di pelle più chiara si intravede sul tuo anulare sinistro. So che non era un matrimonio felice perché nei tuoi occhi non vedo il dolore di una vedova innamorata, e, perché sei una Black, quindi posso immaginare che il tuo matrimonio sia stato combinato". Una Black. Sei una Black. Non mi sono mai presentata. Come può sapere chi sono? Comincio a pensare che sia davvero un mago pericoloso ed astuto.

"Smettila di pensare, io posso leggerti dentro anche senza una bacchetta. Non ti ho, forse, avvertita durante la tua visita passata?".

"Lo hai fatto", vorrei chiedergli spiegazioni, ma il mio orgoglio mi impedisce di risultare debole.

"Conoscevo tua nonna, Melania. Era una donna così bella. Molto più giovane di me. La vidi ad una festa, tanti anni fa. In quel periodo io ero già conosciuto, in alcuni ambienti, per le mie idee. Lei era in viaggio con suo padre, in Bulgaria. Le somigli molto, ma non puoi essere una McMillian, c'è qualcosa di diverso in te. Fisicamente siete molto simili, anche se i suoi occhi erano di un caldo color nocciola, mentre i tuoi ricordano un mare burrascoso. Seppi diversi anni dopo che avrebbe sposato un Black, quindi ho immaginato chi fossi", mi guarda, come studiando ogni mio centimetro, "sì, siete diverse. Lei era un cerbiatto impaurito, tu sei un lupo fiero. Simili all'apparenza, ma diverse come il giorno e la notte".

Non posso non sorridere quando mi paragona ad un fiero lupo. Ma le mie labbra tornano quasi subito in una posizione neutra, quando realizzo che Severus mi fa sentire un cerbiatto, impaurita, insicura e in balia delle sue azioni, "sbagli. Non penso di essere né fiera, né forte come un lupo".

"Lui chi è?"

"E' importante?", anche se gli dicessi il suo nome, non credo che per lui farebbe alcuna differenza.

"Non lo è. Ma non dovresti lasciarlo andare se ti fa stare così male...".

"Non dovrei rincorrerlo. Non lo merita", sospiro, triste e sconsolata, "comunque non sono qui per questo".

"Lo so. Mi dirai perché sei qui?".

Sorride divertito. Si sta prendendo gioco di me, di nuovo. Un pensiero fugace attraversa la mia mente. Forse gli fa bene che io sia qui. Lo distraggo. Le giornate in questa cella devono essere monotone.

"L'altra volta non sono potuta rimanere, ma ti ho detto che avevo bisogno di informazioni".

"Ma non mi hai detto che genere di informazioni", mi interrompe sospettoso. È la parte più difficile per me. Sono qui per un motivo ben preciso, ma non so come lui reagirà.

"Posso farti una domanda, Gellert?", non so se sia il caso di chiedere. Ma è da quando abbiamo parlato l'altra volta che ci penso ed ho veramente bisogno di sapere. Devo capire chi ho davanti.

"Immagino tu possa farmi una domanda, come immagino che io potrei non rispondere", è furbo, ma questo lo sapevo già. Bene. Visto che per lui sono un lupo, sarà il caso di tirare fuori la mia anima fiera e selvaggia.

"Sono qui perché Albus Silente mi ha detto che avrei potuto fare affidamento su di te, nel caso avessi avuto bisogno. Mi ha detto che tu mi avresti aiutata, se te lo avessi chiesto".

"Mi hai già detto che ti ha mandato lui", mi interrompe stizzito, sembra quasi che la mia frase l'abbia infastidito in qualche modo.

"E' vero. Quello che non so, però, è perché un mago come Silente mi mandi dal mago oscuro più famoso degli ultimi cento anni".

"Non so perché sei qui, come posso sapere come mai lui ti ha mandato da me?", mentre mi pone questa domanda sposta il suo sguardo verso la finestra. Sembra cerchi di non guardarmi in viso, ma anche nella penombra di questa lurida cella, posso vedere i suoi occhi velarsi di lacrime. È un attimo, ma è sufficiente a far sorgere in me un dubbio, seppur lieve.

"Tu conoscevi Silente?", mi guarda confuso, allora cerco di spiegarmi meglio, "intendo prima del vostro famoso scontro nel 1945".

"Cosa ti aspetti che ti risponda?", la sua domanda mi sorprende.

"La verità?", la mia più che una domanda è un'affermazione e credo che lui l'abbia capito, perché i suoi occhi si posano sul pavimento e rimane in silenzio per un tempo che mi sembra lunghissimo, mentre io attendo, con ansia, una risposta.

"Sì. Lo conoscevo", sospira, ed è un sospiro così triste, che mi si ferma dritto al cuore, "ci siamo conosciuti da ragazzi. Avevamo appena finito entrambi la scuola. Eravamo maggiorenni, ma poco più che bambini. Due ragazzi intelligenti, che si erano trovati a condividere le vacanze estive...".

Si ferma, ma sento che il suo racconto non è finito. Si è solo bloccato, incapace di proseguire.

"Avete avuto una relazione?", mentre lo dico la mia voce è un sussurro e dentro di me mi sento una stupida anche solo per averlo pensato.

"Eravamo innamorati", è un sussurro, ma lo sento ed i miei occhi si spalancano per la meraviglia. Albus Silente innamorato di Gellert Grindelwald. Non me l'aspettavo. "Non far uscire questa mia confessione da questa cella", sembra un ordine più che una richiesta. Quasi una minaccia. "Ora, Black, perché non mi dici che cosa vuoi da me?", anche questo è un ordine.

"Voglio che mi aiuti a sconfiggere Voldemort", lo dico con tutto il coraggio che riesco a trovare nel mio corpo. Solo una lieve nota di timore attraversa la mia voce.

"Lo farò, ma ad una condizione", dovevo immaginarlo. Cosa potrebbe volere? E, soprattutto, io posso accontentarlo?

"Quale condizione?".

"Te lo dirò solo dopo che avrai promesso di portare a compimento la mia richiesta".

Tentenno. Promettere, senza sapere cosa mi chiederà non è saggio. Lo so bene. Silente mi ha detto di chiedere aiuto a lui. Mi ha detto che solo lui può aiutarci. Devo fidarmi e sperare che non mi chieda troppo. "Va bene. Lo prometto. Cosa vuoi in cambio?". I nostri occhi si incrociano per qualche istante, ma mi impongo di non abbassare lo sguardo.

"Quando avrai ottenuto ciò che vuoi, voglio che mi uccidi".


 

***

Prima di tutto vi ringrazio per le recensioni positive e mi scuso per il ritardo nel pubblicare il capitolo, ma è un periodo proprio pieno. Altro che vacanze!
Vi regalo un altro Pov di Cassandra, che spero tanto apprezziate!

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Capitolo 16
*** Come lui. Peggio di lui. ***


 

Come lui. Peggio di lui.

 

L'ho colpita. Non riesco a pensare ad altro. E lei ha pianto a causa mia. Mi dirigo verso il letto. Mi butto sulle lenzuola, senza neanche preoccuparmi di coprirmi. Non dormirò questa notte. Lo so già. Non ho di certo bisogno di una sfera di cristallo per capire che non riuscirò a chiudere occhio. Continuo a fissare il soffitto del mio letto a baldacchino. Per ore. Chiedendomi come ho potuto essere così stupito. Uno schiaffo. Non potevo fare nulla di peggio che schiaffeggiarla.

Tutta la mia infanzia e l'adolescenza l'ho passata a giurare a me stesso che non sarei mai diventato come mio padre. Oggi, in una sola notte, ho fatto tutto ciò che lui avrebbe fatto: mi sono ubriacato ed ho schiaffeggiato una donna. Oggi, sono stato lui. E mi faccio schifo. Mi disgusto.

 

Un rumore, come di vetro che va in frantumi, aveva svegliato il bambino nel suo lettino. Si era accoccolato sotto le lenzuola, impaurito e tremante, sperando con tutto se stesso di non sentire le urla. Aveva cinque anni, Severus, ma aveva imparato ormai da tanto tempo che gli adulti non sono sempre un modello da seguire e che spesso sono le persone che ti sono più vicine quelle che ti deludono di più. Contava i secondi Severus. Dopo solo cinquanta flebili attimi le urla ed il pianto sconsolato e sconnesso di sua madre aveva raggiunto le sue giovani orecchie. La voce della donna era sempre più soffocata da quella dell'uomo che avrebbe dovuto proteggerla. Il suo tremore era aumentato. Voleva veramente alzarsi ed andare a difendere sua madre da suo padre, ma era solo un bambino, piccolo e gracile. Non poteva fare nulla e lo sapeva.

 

La lettera per Hogwarts per Severus era arrivata quella mattina. Il suo primo pensiero era di andare nel parco giochi, doveva aveva conosciuto quella bambina, Lily. Voleva correre da lei e farle vedere la sua lettera. Era così orgoglioso, Severus. Stava correndo verso la porta di casa, quando quella si era aperta di botto. Suo padre stava rientrando, ubriaco. Di nuovo.

"Dove corri, moccioso impertinente?", era di cattivo umore, lo sentiva dalla voce.

"Vado nel parco", il suo era un sussuro flebile. Il massimo che riusciva a pronunciare davanti a lui.

"Cos'hai in mano?", l'istinto gli disse di nascondere la lettera dietro la schiena. Suo padre si avvicinava minaccioso, "Eileen, cos'ha questo moccioso arrogante in mano?".

Sua madre era comparsa sulla porta del soggiorno. Il suo sguardo era impaurito.

"E' solo la sua lettera di ammissione ad Hogwarts. Lascialo andare. Vuole solo condividere la sua gioia con una sua amica". Nell'esatto momento in cui sua madre aveva pronunciato quelle parole, il giovane Severus aveva capito che erano quelle sbagliate.

Non ebbe neanche il tempo di muoversi o di ribattere. Non ebbe il tempo di pensare o di difendersi. Lo schiaffo di suo padre, forte e potente, doloroso di cocente umiliazione, lo raggiunse sulla guancia destra. Fu solo il primo di una lunga serie.

Non si ricordava di aver perso conoscenza, Severus, ma quando si svegliò nel suo letto, molte ore dopo, la notte era ormai calata. La sveglia sul suo comodino segnava le 23.59. Il suo undicesimo compleanno era finito, e gli aveva portato la gioia più grande ed il dolore più profondo che un giovane mago potesse provare. Era la prima volta che suo padre picchiava lui. Non sarebbe stata l'ultima.

Non si mosse da quel letto per diversi giorni, Severus. Non riusciva a muoversi. Sua madre gli disse che aveva un paio di costole incrinate e molti lividi. Quando finalmente riuscì ad alzarsi era ormai passata una settimana. Voleva vedere Lily, Severus, ma non poteva. Non in quelle condizioni. I lividi sul suo viso erano ancora troppo evidenti. Troppo violacei per passare inosservati e troppo numerosi per essere attribuiti ad una caduta.

Non aveva pianto, Severus, e quel giorno, guardandosi allo specchio, una settimana dopo il suo undicesimo compleanno, si era ripromesso che non lo avrebbe mai più fatto.

Non riuscì a mantenere quella promessa. Molti anni dopo aveva pianto, sul cadavere dell'unica persona che, quel giorno di diversi anni prima, avrebbe voluto vedere.

 

Era nel dormitorio di Serpeverde. La scuola era cominciata da due settimane. Era il suo secondo anno ad Hogwarts. Era sollevato di ritrovarsi di nuovo in quel castello. L'estate a casa sua era stata un inferno.

Non che la vita a scuola fosse proprio tutta rose e fiori, ma almeno poteva stare lontano da suo padre e dalle urla di sua madre.

La porta della sua stanza, che si apriva, distolse Severus dai suoi pensieri. Era a petto nudo e si stava osservando allo specchio. Alcuni lividi erano ancora ben evidenti sulla sua pelle candida.

"E' stato tuo padre?", la voce del ragazzo dinanzi a lui lo fece rabbrividire. Si meravigliava ogni volta di come potesse essere profonda e sensuale, nonostante il suo proprietario sembrasse un delicato angelo effeminato.

"Sì. Un suo regalo di addio, prima del ritorno a scuola", ormai riuscia a scherzarci.

La mano dell'altro raggiunse la sua guancia, in una carezza che nessuno dei due avrebbe mai ammesso essere avvenuta. Non fuori da quella stanza. Le labbra calde dell'amico si posarono sulla sua fronte, in un gesto così intimo e così delicato, che nessuno avrebbe mai creduto potesse appartenere a loro.

"Mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo".

"Mi dispiace che tu sappia che sopporto tutto questo", lo disse guardandolo negli occhi. Quelli occhi grigi e cristallini. Quegli occhi che potevano gelare il sangue nelle vene di molti ragazzi ad Hogwarts, ma che quando guardavano lui erano sempre intrisi di dolcezza.

"Se non ci fossi tu, Lucius... non so dove sarei oggi".

"Sai bene che se avrai bisogno potrai sempre contare su di me. Siamo amici, Severus".

Era vero. Erano amici. Lo erano diventati il suo primo giorno ad Hogwarts, quando con passo fiero e deciso si era diretto verso il tavolo della casa in cui era stato smistato, si era seduto di fianco al prefetto e si era, per la prima volta nella sua vita, sentito in famiglia.

 

L'imponente dimora si stagliava elegante e sicura dinanzi a lui. Aveva attraversato il cancello senza la necessità di chiedere il permesso di entrare. Lui era libero di arrivare quando lo desiderava. Non vi si recava spesso, ma comunque vi aveva tranquillo accesso.

Tremava mentre si dirigeva verso il portone. Era notte fonda, ed il buio intorno a lui era pesante ed impenetrabile. Solo lo scricchiolio del legno aveva annunciato il suo ingresso in casa.

Si era diretto, con la sicurezza che solo chi conosce bene un luogo può avere, verso il piano di sopra. Verso una camera che conosceva bene. Non aveva bussato. Era capitato altre volte che entrasse in quel modo. Solo quando ormai era all'interno della stanza illuminata dai tenui raggi della luna si era accorto che, quella notte, qualcosa era diverso.

Una candela si era accesa all'improvviso sul comodino. Una chioma biona e due occhi azzurri si erano soffermati su di lui, confusi. Per degli attimi interminabili si erano guardati. Lui con il viso tumefatto ed un labbro sanguinante, avvolto nel suo vecchio mantello nero. Lei con i capelli in disordine ed il corpo fasciato in una camicia da notte di seta azzurra, che ben poco lasciava all'immaginazione.

Un rumore alla sua destra ad indicare che il proprietario della camera si stava svegliando. Severus non gli aveva dato il tempo di alzarsi dal cuscino. Era uscito dalla stanza dirigendosi verso la biblioteca, dove si era versato un bicchiere di firewhiskey e si era seduto su una poltrona in attesa.

Quando sentì la porta aprirsi, un sorriso mesto increspò le sue labbra, "temo di aver combinato un bel casino".

"Non preoccuparti. Piuttosto, che ti è successo? È da un pò che non ci vediamo, ma sono certo che l'ultima volta la tua faccia non era conciata così".

"Mio padre", due parole. Erano state sufficienti a dare mille spiegazioni. A Lucius non serviva altro. Aveva già con sé il necessario per medicarlo.

"Non pensavo che ti fosse concesso dormire con lei...", un sorrisetto malizioso era comparso sul suo viso beffardo.

"Ormai è ufficialmente la mia fidanzata. E... comunque... non dorme con me. Ha una stanza in fondo al corridoio", alla risposta dell'amico il più piccolo scoppiò a ridere, pentendosi immediatamente di averlo fatto, quando un dolore sordo lo colpì in pieno petto, dove le mani di suo padre erano state più crudeli.

 

Era stata una giornata lunga e difficile. Aveva finto di sorridere ed essere felice per loro, stretto nel suo abito elegante, troppo soffocante per farlo sentire a proprio agio. Non appena gli era stato possibile si era rifugiato in quel lurido locale ed aveva annegato i propri pensieri in litri e litri di alcol di diverso tipo.

Dopo era finito in quella piccola camera da letto, con quella donna di cui neanche ricordava il nome. Era stato veloce, rude e veramente poco soddisfacente. Era stato squallido e tetro, poco più che mera ginnastica. Le urla di lei erano state così false e così esagerate che ne era ancora disgustato.

L'odore di alcol se lo sentiva addosso, come se si fosse incollato alla sua pelle. Era stato degradante, orrendo, ma gli serviva. Gli serviva così tanto. I suoi due migliori amici si erano sposati quel giorno e lui, invece che essere felice per loro, aveva passato la giornata a sperare di svegliarsi da un brutto sogno. Non voleva ammetterlo, ma li invidiava. Erano giovani ed innamorati, anche se molti potevano pensare che il loro fosse solo un matrimonio di convenienza.

Erano felici.

E lui? Lui non avrebbe potuto più entrare nella camera da letto di Lucius a qualsiasi ora della notte, svegliarlo e rimanere con lui, sino all'alba a bere e a lasciarsi dolci e pudice carezze sulla pelle. Non avrebbe più potuto scrivere a Narcissa nei momenti di bisogno, chiedendole di poter passare, anche solo un pomeriggio in sua compagnia.

Tutto questo gli era precluso. Da oggi in poi sarebbe stato sconveniente. Ancor più di quanto lo era stato sino a quel momento.

 

Intorno a lui vi erano solo uomini incapucciati. Sui loro visi bagliori argentei. Maschere a coprire i loro lineamenti. Aveva da poco compiuto diciassette anni. Non aveva ancora finito la scuola, ma era lì. Il dolore al braccio era stato terribile, ma lui aveva resistito. Era rimasto impassibile, anche se dentro urlava.

Solo, in quel cerchio di corpi umani, si era reso conto che l'urlo che gli era morto in gola non era dovuto al dolore fisico. Aveva realizzato, in un solo secondo, in poco più di un attimo, che con quel rito stava rinunciando alla sua vita. Aveva appena messo se stesso al servizio di un pazzo, senza possibilità di tornare indietro. E, soprattutto, aveva appena rinunciato, per sempre, alla sua migliore amica.

Se lei lo avesse scoperto, non lo avrebbe mai perdonato.

 

Mi ero addormentato, ma forse sarebbe stato meglio rimanere sveglio tutta la notte. Quelle immagini ancora balenano per la mia mente. Non facevo quegli incubi da anni ormai. I momenti peggiori della mia vita, uno dopo l'altro. Fisso il buio della mia stanza, chiedendomi se potrò mai guardarmi di nuovo allo specchio, senza provare disgusto per me.

Cassandra, per qualche giorno, è riuscita a farmi sentire un uomo migliore. Ora so che non era che un'illusione. Ho passato la vita a cercare di essere diverso da mio padre. Non ho avuto alcun successo. Non sono migliore di lui. Forse peggiore.


 

***

Un grazie a tutti coloro che leggono regolarmente questa storia, e soprattutto a chi mi lascia un piccolo comento, per farmi capire cosa ne pensa!
Questo capitolo è forse un pò di passaggio, ma a me piace molto ed aggiunge qualche pezzetto in più alla vita del mio personaggio preferito.

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Capitolo 17
*** In pericolo di vita? ***


 

In pericolo di vita?

 

E' sabato ed è mattina presto. Mi dirigo verso l'ufficio di Silente su sua richiesta. Ho una brutta sensazione. Questa guerra ci fa vivere tutti in perenne allerta, ma l'urgenza con cui sono stato richiamato mi fa sentire ancora più in ansia. Non posso non pensare che sia accaduto qualcosa.

"Cioccorana", pronunciare la parola d'ordine, ogni volta, mi riempie di disgusto. È mai possibile che quest'uomo non possa utilizzare delle parole più serie. Sempre nomi di discutibilissimi dolciumi.

Non appena varco l'ingresso dell'ufficio del preside, avverto un'atmosfera di tensione che quasi mai è stata presente in questo luogo. L'ultima volta che ho sentito tanto dolore in questa stanza la ricordo bene, anche se vorrei solo dimenticarla.

 

"Aveva detto che l'avrebbe protetta", le parole erano state pronunciate poco più udibili di un alito di vento. Erano seguite a infiniti minuti di dolore e di lamenti disumani da parte dell'uomo, accucciato a terra, inerme, senza vita nei suoi occhi color dell'ebano.

Il mago anziano lo guardava, incapace di dire altro. Incapace di consolare quell'anima distrutta. Avevano già parlato a lungo, degli avvenimenti appena accaduti, di come muoversi nel prossimo futuro, del bambino. Non era riuscito a far pronunciare che poche e deboli parole a quel ragazzo cresciuto troppo in fretta. Era riuscito a strappargli una promessa, in cambio del silenzio.

Lo aveva visto accucciarsi a terra, come un animale ferito. Aveva capito che non era pronto a stare da solo, ma contemporaneamente, non era desideroso di parlare.

Lo conosceva da anni e sapeva quanto odiava mostrarsi debole, ma quel giorno, Severus Piton, sembrava un bambino inerme ed abbandonato a se stesso. Forse solo al mondo non lo era, ma di sicuro si sentiva tale.

 

Mi sforzo di cacciare dalla mia mente quelle immagini. Non posso permettermi di perdermi in ricordi dolorosi. Non ha senso. Non oggi.

Mi concentro su ciò che mi circonda. Ci sono Albus e Minerva.

"Stiamo aspettando qualcun altro?", dai loro sguardi sembrano quasi in attesa di qualcosa o di qualcuno.

"No. Aspettiamo un messaggio", non sono le parole di Minerva a colpirmi, ma il tono con cui vengono pronunciate. Sembra aver pianto a lungo. Non sono abituato a vederle far trasparire un qualche sentimento.

Albus mi osserva, sembra anche lui molto provato. Non resisto e non posso non chiedere "chi è morto?".

"Non è morto nessuno. Non oggi", le parole del preside, per qualche motivo, non mi fanno sentire più tranquillo, "la signora Selwyn è arrivata a casa del cugino ferita gravemente. È riuscita a materializzarsi dentro l'abitazione appena in tempo. Subito dopo è svenuta. L'abbiamo portata immediatamente al San Mungo. Ora la stanno curando. Mi hanno detto che ci avrebbero fatto avere notizie della sua salute appena possibile". Lo guardo, confuso ogni sua parola sembra arrivare ovattata alle mie orecchie. Mi sono fermato alla prima frase, incapace di metabolizzare a pieno le altre.

Mi rendo conto di essere fermo, in questa posizione, da troppo tempo perché sembri normale. Cassandra è ferita. Queste sono le uniche parole che la mia mente riesce ad elaborare.

"Cassandra è ferita?", la mia, più che una domanda, sembra una supplica. Sto implorando Albus di dirmi che non è vero e me ne rendo conto, come mi accorgo dello sguardo che Minerva mi rivolge non appena finisco di parlare.

"Sì, Severus. È ferita", le parole del preside sembrano una dolce e velenosa cantilena alle mie orecchie. Ferita. Lei è ferita e l'ultimo ricordo che ha di me è il mio schiaffo che la colpisce sul viso. Questa strana sensazione che mi invade lo stomaco, questa ansia che mi attanaglia le viscere, l'ho provata solo un'altra volta in tutta la mia vita.


"Senso di colpa, Severus. È il senso di colpa che ti fa star male", le parole sembravano appena aver scalfito la corazza dura che il ragazzo si era scolpito intorno.

"Senso di colpa...", stava ripentendo quelle parole come se fossero per lui una nenia calmante.

"Senso di colpa...".

 

"Senso di colpa...", le parole mi escono dalla bocca da sole, come se non potessi impedire al fiume in piena di straripare. Albus mi guarda, sorpreso. Non penso che sospettasse qualcosa. Io e Cassandra siamo stati entrambi molto attenti a non rendere pubblica la nostra relazione.

Sento qualcuno che mi sfiora il braccio e solo con esasperante lentezza mi volto ad osservare il viso di chi mi sta aiutando a sedermi. Devo avere proprio un viso sconvolto.

"Severus. Ti senti bene?", nella sua voce sento dubbio, trepidazione ed ansia.

"Sto bene, grazie Minerva", è solo con uno sforzo incredibile che riesco a calmarmi ed a smettere di tremare. "Com'è accaduto?".

Albus abbassa lo sguardo, credo che si senta responsabile per quanto successo, ma non comprendo come mai. Non capisco ed io detesto non capire.

"Non sono chiare le dinamiche dell'incidente", lo ringrazio mentalmente per non aver fatto altre domande. Li ringrazio entrambi a dir la verità.

"Incidente?", nella mia voce si sente una nota di dubbio, che non era mia intenzione inserire nelle mie parole, ma purtroppo stento a credere che si tratti veramente di un incidente.

"Severus...", lo blocco, con un gesto della mano. Non voglio sentire altro. Sono arrabbiato ora.

"Chi c'è con lei?", mi guardano entrambi confusi, "al San Mungo, Albus. Chi c'è con lei?", mi sto trattenendo dall'urlare.

"Credo che ci sia Narcissa", quando sento il suo nome sospiro, più rilassato. Mi fido di Cissy.

"Suo figlio sa cos'è accaduto?".

"Non ancora. Non volevamo parlargliene sino a quando non avremmo avuto notizie più sicuro su ciò che è avvenuto e, soprattutto, sulla salute di sua madre".

"E' suo diritto essere informato. Stiamo parlando di sua madre", ora sto urlando. Non so neanche io perché, ma non riesco a trattenermi. La rabbia è troppa. La paura è troppa. Non voglio ammetterlo, ma sono spaventato.

Mi guardano entrambi come se fossi impazzito, come se fossi un alieno.

"Gliene parlerò io". Albus sembra intenzionato a ribattere, ma qualcosa nel mio tono e nel mio viso sembrano fermarlo. Penso che abbia capito che tra me e Cassandra c'è qualcosa... forse... c'è stato qualcosa.

Mi alzo e mi dirigo verso la porta, senza più voltarmi indietro. Dentro di me mi chiedo cosa dovrei pensare, o fare. Cosa siamo io e Cassandra, e, soprattutto, come devo comportarmi con Antares? Forse dovrei chiamare Narcissa e far parlare lei col bambino. No. Mi comporterei come un vigliacco se lo facessi.

Dove sarà quel moccioso altolocato? Cosa fanno gli studenti il sabato mattina? Dubito che lo troverei in biblioteca, soprattutto visto che oggi è una bella giornata di sole. Sospiro, sconfortato, all'idea di dover uscire dal castello. Il sole mi colpisce in pieno viso, accecandomi. Sono un animale notturno, amo il buio, e mal sopporto la luminosità di tale astro.

Ci metto qualche minuto ad abituarmi alla luce del sole, dopodiché mi guardo intorno e posso notare che, effettivamente, molti studenti si trovano in giardino quest'oggi. Girovagano per i prati, oziando, quando dovrebbero essere rinchiusi in biblioteca a studiare.

Ci metto qualche minuto, ma alla fine riesco a vedere la chioma bionda di Antares di fianco ad una corvina, che preferirei non aver scorto. Una domanda mi sorge spontanea: cosa ci fanno quei due bambocci arroganti insieme? Uno posso anche sopportarlo, ma due no. Sono troppi. Insieme. E dopo una mattina come quella odierna. Decisamente il fato mi è avverso quest'oggi.

Mi avvicino alla strana accoppiata con fare sconsolato. In questo momento vorrei essere ovunque, tranne che qui.

"Che bel quadretto. Tre grifondoro, una corvonero ed un tassorosso. Tutti insieme", il mio solito tono sarcastico raggiunge il gruppetto, che si volta verso di me. Sui loro visi la medesima espressione di chi vorrebbe trovarsi ovunque, tranne che nel luogo in cui è. Per una volta nella vita mi rendo conto di condividere qualcosa con questi giovani ragazzi. Neanche io vorrei essere qui. E soprattutto io non vorrei essere qui con loro, sapendo cosa sto per dire al più giovane.

"Signor Selwyn, mi segua", il mio tono perentorio non ammette replice e, nonostante mi sembra che la signorina Granger vorrebbe ribattere, il ragazzino la blocca e le fa cenno di lasciar perdere. Intravedo tutto con la coda dell'occhio, perché intanto ho iniziato a dirigermi verso l'interno del castello. Antares mi sta seguendo.

Mi volto a guardarlo solo dopo essere entrato nel mio ufficio ed aver chiuso la porta alle mie spalle. Lo osservo a lungo, prima di sedermi e fare cenno anche a lui di accomodarsi. Mi sento un pò a disagio e non lo avevo previsto. Questa sensazione, mi rendo conto, non è legata a ciò che sto per dirgli, ma piuttosto al fatto che in questa medesima stanza, qualche giorno fa, mi sono ritrovato da solo con sua madre. In questa stanza l'ho schiaffeggiata. In questa stanza, quache settimana fa ho spogliato Cassandra, l'ho baciata, l'ho accarezzata con passione, l'ho... basta. Devo smetterla di pensare a quel che è accaduto in passato, oppure non riuscirò neanche a guardarlo ancora in faccia.

"Desidera un thè, signor Selwyn?". Leggo sconcerto nei suoi occhi. Non si aspettava questa domanda. Ah... sciocco ragazzino. Non mi aspettavo neanche io di portela, quindi siamo pari.

"Certo professore, mi farebbe piacere".

Mi alzo per preparare la bevanda. Potrei farlo rimanendo fermo, ma ho la necessità di muovermi ed allontanarmi da lui. Ho bisogno di voltarmi per poter riprendere fiato, senza che lui se ne accorga.

Dopo qualche minuto gli porgo la sua tazzina. Sto cercando di allontanare il momento in cui dovrò parlare, ma ormai non posso più star zitto.

"Suo zio, quest'estate, mi ha chiesto di prendermi cura di lei". Asserisco, forse con ovvietà.

"Me lo ricordo. E le sono grato di essersi preso in carico la mia istruzione. Lei è molto gentile a farlo, soprattutto visto che non sono un membro della sua casa". Mi osserva, coi suoi enormi occhi verdi. Così limpidi e sinceri. Per qualche secondo rivedo in lui la mia Lily. Anche lei aveva degli occhi sinceri, cristallini. Non sapeva mentire Lily, neanche quando la verità avrebbe ferito l'altra persona. Le leggevo dentro le menzogne, senza fatica. Potrei leggere anche lui, senza alcuno sforzo.

Non assomiglia a Cassandra. Chissà da chi ha tratto questi caratteri così particolari.

"Non Le ho chiesto di venire qui per parlare della sua istruzione", sospiro, cercando di raccogliere tutto il mio coraggio, "questa notte sono accaduti dei fatti di cui lei deve essere messo al corrente", per la prima volta vedo terrore nei suoi occhi, "sua madre è stata ferita in un incidente ed ora si trova al San Mungo". Lo dico tutto d'un fiato, come se sentirlo velocemente potrebbe diminuire la portata delle mie parole, come se potesse affievolire il dolore e la disperazione che invadono i suoi occhi sinceri. È strano, e forse anche sciocco, ma per qualche minuto vedo Draco.

 

"Severus...", si voltò verso la porta del suo ufficio. Conosceva bene quella voce.

"Draco. Come mai sei qui? Ci sono problemi?". Sembrava impaurito.

"Severus... lui... lui è tornato, vero?". La sua voce tremava mentre pronunciava quelle parole. Semplici, ma terribili.

"Sì, lui è tornato". Non avrebbe alcun senso mentire. Lui lo verrebbe a sapere comunque, presto e nel peggiore dei modi.

"Mio padre è un mangiamorte", la sua non era una domanda, ma un'affermazione, carica di dolore e di malcelato disgusto.

"Lo sono anche io, Draco".

"Lo so. Lo sei anche tu. Lo sarò anche io, Severus?", non avrebbe mai voluto che quella domanda gli venisse posta. Cosa doveva rispondere? Come poteva distruggere le sue speranze di un futuro sereno e tranquillo in quel modo. Si erano guardati a lungo, consapevoli l'uno dei pensieri dell'altro.

"Probabilmente".

"Mi insegnerai a proteggermi?". Sembrava quasi un ordine, sicuramente non una semplice richiesta. Il tono implorante era completamente sparito, per lasciare spazio al solito borioso e sicuro di sé.

 

"E' in pericolo di vita?", le parole di Antares mi risvegliano dai miei pensieri.

"Non lo so. Purtroppo non abbiamo ancora avuto ulteriori notizie, perciò non so se sia o meno in pericolo di vita", mentirgli non servirebbe a nulla e comunque non me la sento di prenderlo in giro, "il preside è in attesa di avere informazioni dal San Mungo e non appena saprà qualcosa te lo farò sapere".

"Non posso andare a trovarla? Non mi è permesso vederla?", il suo tono è implorante e sembra quasi pregarmi.

"Non sono certo di poter fare qualcosa in tal senso". Mi dispiace disilluderlo così, ma purtroppo non so davvero se mi sarà possibile fargli vedere sua madre, né tanto meno se sarà possibile a me vederla. Non avrei mai pensato, io, di trovarmi in una situazione simile. Sono preoccupato per una donna e dispiaciuto per suo figlio.


 

***
 

Ringrazio prima di tutto chi legge e, soprattutto, chi commenta.
Purtroppo vi avviso sin da ora che, forse, non riuscirò a pubblicare altri capitoli sino ad ottobre, perché avrò un settembre di fuoco (mio matrimonio e un esame importante). 
Spero che comprendiate... e che vi piaccia il capitolo.

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Capitolo 18
*** Non sei degno di mia sorella. ***


Non sei degno di mia sorella.

 

Passano ancora molti giorni, prima che i guaritori ci informino della salute di Cassandra. Sono giorni terribili. Mi trascino fra le lezioni, il pranzo e la correzione dei compiti. Vorrei solo potermi sedere nella mia stanza, al buio e dormire, pensare e ricordare.

Non posso farlo. Non mi è permesso essere debole, né, tanto meno, farmi vedere debole. Antares, intanto, si presenta nel mio studio almeno due volte al giorno, cercando un conforto che non penso di potergli dare. Non sono mai stato capace di consolare qualcuno. Figuriamoci un ragazzino spaventato dalla possibilità che sua madre muoia.

Oggi le notizie dal San Mungo non sono state di molto migliori da quelle dei giorni passati. Il medimago che si sta occupando di Cassandra ha parlato di piccoli ed incoraggianti miglioramenti. Non sono un guaritore, ma non sono neanche uno sciocco. So cosa significa. Lei è stabile, non peggiora, ma piccoli miglioramenti non sono una certezza di guarigione.

È con l'umore a terra che mi smaterializzo a Grimmauld Place. La riunione è iniziata, quando entro nella cucina della vecchia casa dei Black. I miei occhi incontrano, quasi subito, quelli di Narcissa ed il litigio avuto con Cassandra mi torna in mente. Solo l'idea che qualcuno creda che io e questa splendida donna potremmo avere una relazione mi provoca ribrezzo. Non sono cieco, è ovvio. Lei è bella, elegante e raffinata. È desiderabile. Lo è molto, ma ciò non significa che io potrei anche solo sperare di poterla toccare in modo lascivo. Non lo farei. Una vocina nella mente mi ricorda che non sarei mai degno di lei, neanche se lo volessi.

I miei occhi si posano sulla persona a cui la voce appartiene, che, stranamente, si trova seduto accanto alla cugina. Mi fissa, ma per una volta non dice nulla ed io con la mia solita calma mi accomodo all'unica sedia vuota.

La riunione continua noiosa ed inuile, come sempre. Solo dopo una serie di lunghe chiacchiere boriose, Silente sposta l'argomento sulla salute di Cassandra.

"Che cosa le è accaduto, Silente?", la voce della signora Weasley, ansiosa e preoccupata, raggiunge le mie orecchie risvegliando il mio interesse che era scomparso da tempo.

"Non è chiaro, Molly. Non lo sappiamo. Sappiamo solo ciò che ci avete raccontato tu e Sirius".

"E cioè?", è la voce di Narcissa, questa volta, ad attirare la mia attenzione. Non mi è mai parsa così tesa. Agli occhi di chi non la conosce può sembrare fredda e algida come sempre, ma in realtà è evidente, almeno per me, quanto sia in ansia per la salute della cugina. Le vuole bene, non vi è dubbio al riguardo. Mi chiedo cosa penserebbe se sapesse che la piccola Cassandra mi ha accusato di portarmela a letto.

"La signora Selwyn è arrivata qui in fin di vita, con delle ferita piuttosto gravi e, probabilmente, maledette. È svenuta subito dopo essersi materializzata, senza che sia stato per noi possibile chiarire le dinamiche dell'incidente".

"Incidente?", la voce di Cissy trasuda ironia, "sappiamo bene che non è stato un incidente. Non è successo per caso che mia cugina sia stata aggredita. Non è stato un errore a portarla ad essere ricoverata al San Mungo".

Un lampo nei suoi occhi mi spinge a parlare, "se sai qualcosa, Narcissa, perché non lo dici anche a noi?".

"Le mie sono solo supposizioni, purtroppo. Nulla di più".

"Che genere di supposizioni?", una strana morsa mi stringe lo stomaco. È come se una parte di me sospettasse qualcosa, ma non so di cosa si tratti. Quali supposizioni potrebbe mai aver fatto Cissy? E, soprattutto, perché i suoi occhi sono così tristi mentre mi guarda, indecisa. Dopo si spostano su Albus Silente e sembra, ancora, che sia combattuta. Vorrebbe dire qualcosa, ma non è sicura di poterlo fare. Sospira. Ed il suo sospiro mi sembra quasi una condanna a morte. "Cassandra è un animagus. Si trasforma in una rondine. Se fosse stata ferita quando era un animale, anche se poi è riuscita a trasformarsi e a materializzarsi in questa casa, le sue ferite potrebbero essere più gravi del previsto, anche se all'apparenza non è così". Parla senza prendere fiato, come se desiderasse dire ogni cosa, ma non fosse sicura di potersi spingere così oltre.

Il silenzio nella stanza ora è palpabile e carico di tensione.

"Lobalung...", il sussurro di Silente è appena udibile, ma tutti ci voltiamo verso di lui. Sul mio viso deve essere ben visibile un'espressione sconcertata. Cosa significa? Perché sta pensando ad una creatura magica così pericolosa proprio in questo momento?

Lo vedo alzarsi come se fossi in trance. "Perdonatemi, devo assentarmi. La riunione è finita". La sua voce arriva ovattata fra i miei pensieri. Esce dalla stanza in pochi minuti e sparisce senza più pronunciare neanche una parola.

Il rumore delle sedie che si spostano mi annuncia che anche altri si stanno alzando. Mi riscuoto dal mio torpore, riprendendo il mio normale contegno. Forse troppo lentamente, perché non posso evitare gli occhi di Black, che mi fissano con insistenza, come se cercassero di leggermi l'anima.

Non faccio in tempo ad alzarmi, congedarmi e dirigermi alla porta, che una mano mi afferra il bracco e mi trascina nel salotto al primo piano. Mi volto infuriato per incontrare di nuovo gli occhi indagatori di Black, che mi scrutano senza remore.

"Che vuoi, Black?".

"Non lo dico spesso, perciò non abituartici, ma... mi sono sbagliato", il primo pensiero che attraversa il mio cervello è che il mondo sta girando al contrario. Lo penso solo per qualche secondo, almeno sino a quando il pugno di questo stronzo non si abbatte sul mio naso con violenza, cogliendomi di sorpresa e mandandomi a sbattere contro un tavolino di cristallo.

Mi riprendo giusto in tempo per sfoderare la mia bacchetta e attaccare quel viscido verme. Purtroppo non lo colpisco, è sempre stato veloce a difendersi.

Dobbiamo aver causato molto rumore, perché sento dei passi concitati ed in quattro entrano nella stanza, disarmandoci ed impedendo che il nostro duello causi più danni di quelli gia prodotti. La rabbia che sento dentro è tale che appena sento le parole di Narcissa, che ci guarda entrambi accigliata e furiosa.

"Che cosa vi è saltato in mente? Siete forse due ragazzini? Non vi sembra di essere cresciuti a sufficienza da poter evitare di duellare ogni volta che restate nella medesima stanza per più di cinque minuti?". La sua voce trema di rancore mentre parla, ed Arthur, Molly e Malocchio la fissano sconvolti. Sorrido. Non posso evitarlo. Loro non hanno mai assistito alla perdita di controllo da parte di Lady Malfoy, la regina del ghiaccio. Io, al contrario, a qualche sfuriata ogni tanto sono abituato.

 

Era il secondo anno ad Hogwarts e, per l'ennesima volta, si ritrovava nella sala comune di Serpeverde, con un labbro gonfio, un occhio nero e un polso slogato. Li odiava, tutti e quattro. Riuscivano sempre a trovarlo quando era da solo e ad attaccarlo cogliendolo di sorpresa. Non avrebbero vinto in un duello alla pari. Lo sapevano bene, ma Black e Potter non erano mai stati corretti con lui. Per fortuna era tardi e la sala comune era vuota. Non avrebbe sopportato di mostrarsi nuovamente così debole coi suoi compagni.

Un rumore lo colse di sorpresa, costringendolo a voltarsi. Narcissa lo stava fissando, con la fronte corrucciata.

"Cosa ti è successo?", il suo tono era irato e non ammetteva un silenzio come risposta.

"Nulla di grave. Un piccolo incidente", non riusciva a quardarla in viso. Le stava mentendo e lo sapeva bene.

"Il tuo incidente implica uno scontro con mio cugino e quell'idiota del suo migliore amico?", ora la sua voce tremana e lui aveva assunto un'espressione così colpevole da non necessitare di una risposta.

A quel punto la ragazza aveva cominciato ad urlare come un'assatanata. Non aveva smesso di inveire contro di lui per almeno dieci minuti. Aveva svegliato tutta la casa di Serpeverde e si era calmata solo quando Lucius Malfoy, che all'epoca frequentava il settimo anno ed era caposcuola, aveva minacciato una punizione severa se non fossero andati tutti a dormire.

 

Quel giorno è rimasto impresso nella mia mente, come se fosse accaduto la settimana scorsa. Forse per questo non mi scompongo particolarmente quando, non ricevendo risposta da nessuno di noi, la donna comincia ad urlare facendo rimbombare la sua voce in tutta la casa. Distinguo poche parole nel suo discorso sconnesso, tra cui "immaturi", "bambini", "incoscienti". Insomma, ci apostrofa con un bel numero di aggettivi poco gentili.

Approfitto di un momento in cui si è fermata per riprendere fiato, per intervenire "è stato lui a cominciare. Mi ha tirato un pugno sul naso, senza motivo e senza lasciarmi il tempo di comprendere cosa stesse per fare...", non finisco la frase che già ho compreso di aver sbagliato. I suoi occhi mandano bagliori pericolosi e lei continua ad urlare per altri dieci minuti, prima che si stanchi e si zittisca, senza però smettere di guardarci con gli occhi ridotti a due fessure.

Passano alcuni minuti di totale silenzio. Molly Weasley sembra indecisa se intervenire o meno e continua a spostare lo sguardo da me a Sirius, per poi posarlo su Narcissa e controllare che non ricominci ad urlare.

"Esigo una spiegazione", il suo è poco più che un sussurro. Quasi un ringhio.

"Una spiegazione?", Black comincia a ridere istericamente. Sembra un pazzo in questo momento e vorrei davvero comprenderlo, ma non ci riesco. Non so cosa gli sia preso. Non che di solito sia completamente sano di mente, ma neanche così tanto fuori di testa.

"La vorrei anche io", la mia voce risulta più stizzita di quanto vorrei. Trattengo a stento la mia rabbia.

"Ti scopi mia sorella", la frase di Black mi colpisce, molto più del suo pugno, molto più delle urla di Narcissa. Non è una domanda. Mi volto a guardarlo. Dovrei negare? Dovrei rispondere? Non ho mai pensato di trovarmi nel bel mezzo di una conversazione di questo tipo.

Ora il silenzio nella stanza e ancora più carico di tensione e le facce degli occupanti sono a dir poco comiche. Gli occhi di Molly Weasley sono così aperti da uscire quasi dalle orbite. Arthur, invece, ha assunto la stessa colorazione di un pomodoro molto maturo. E Malocchio.... quando lo quardo quasi scoppio a ridere. La sua bocca storta è leggermente aperta e sembra incapace di chiuderla.

"Sarebbe questo il tuo problema?", la voce di Cissy interrompe questo silenzio surreale e carico di tensione. Una parte di me vorrebbe aver fermato le sue parole, soprattutto quando vedo il cugino voltarsi verso di lei con gli occhi fiammeggianti.

"Non dovrebbe?", la sua voce sembra veleno.

"Forse non sono affari che ti riguardano, Black", finalmente mi sono riscosso dal mio torpore e riesco a recuperare un pò del mio autocontrollo.

"Non sono affari miei? Stiamo parlando di mia sorella!".

"Non ti sei preoccupato molto di lei e delle sue amicizie quando te ne sei andato di casa, abbandonandola", va bene... forse non ho proprio recuperato tutto il mio autocontrollo. Anzi, forse non ne ho recuperato neanche un po'...

"Non osare parlare di cose che non conosci. Non ti azzardare ad intrometterti in questioni di famiglia. Te l'ho detto qualche giorno fa: non sei degno di mia cugina. Non sei degno neanche di mia sorella".

"Lo so bene. Non ho bisogno che sia tu a dirmelo", c'è più amarezza di quanto vorrei nella mia voce. Senza lasciare il tempo a qualcuno di ribattere esco dalla stanza e mi smaterializzo appena fuori da questa casa maledetta.

So che le mie parole sono giunte inattese e che sicuramente hanno sorpreso molte delle persone presenti in quel salotto. So che probabilmente mi sono mostrato molto più debole di quanto avrei dovuto. So di aver sbagliato ad ammettere di essere indegno. So che è la verità. Non sono degno di nessuna di loro. Non lo sono mai stato e non potrò mai esserlo.

Non mi materializzo al castello, ma in una piccola stradina sudicia e buia. Busso ad una porta che non vedo da molti anni ormai. Non devo aspettare molto prima che una donna bassa e formosa apra l'uscio. Mi osserva a lungo, prima di farsi da parte e farmi passare. Saliamo una lunga e logora scalinata che porta al piano superiore.

Lei chiude una piccola porta dietro di me, prima di parlare "Severus. È da tanto che non ti vedo".

"Niente parole. Niente chiacchiere", il mio sguardo è più duro di quanto vorrei, quando mi avvicino a lei e poggio con prepotenza le mie labbra sulle sue.

La ringrazio, mentalmente, perché mi permette di perdermi in lei e di dimenticare gli ultimi terribili giorni.


 

***
 

Aggiorno con qualche giorno di anticipo. Avevo bisogno di una mattina di relax. Per un paio di settimane sarò assente, poi ricomincio ad aggiornare con più regolarità.
Sono curiosa di conoscere i vostri commenti su questo capitolo.
A presto!

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Capitolo 19
*** Non sono un padre. ***


 

Non sono un padre.

 

Ritorno al castello, che ormai il sole è alto nel cielo. Nella mia mente l'unico pensiero è che vorrei dimenticare questi ultimi giorni. Voglio tornare ad essere il freddo e arcigno professore di pozioni, senza cuore, almeno a detta di molti dei miei studenti. Voglio dimenticare Cassandra, suo fratello e persino Narcissa.

Mi dirigo sicuro verso i sotterranei. La quiete che si sente in questi tetri corridoi mi ha sempre fatto sentire a casa qui. Silenzio, c'è silenzio ovunque. La luce, tra queste mura di pietra, è di un sinistro verdognolo. Le lanterne non producono calore e non creano un ambiente confortevole e tiepido. Sono fredde. Sono verdognole e, soprattutto, sono adatte a me. Camminare fra questi corridoi mi sembra la cosa più naturale che io abbia mai fatto. Il suono lieve dei miei passi decisi sul pavimento di pietra mi tranquillizza anche nei momenti più bui.

Volto l'angolo che porta al mio ufficio e non mi serve più di qualche secondo per comprendere che qualcuno mi sta aspettando. Sono due le chiome bionde che posso distinguere persino da qui. Uno strano senso d'inquietudine mi pervade nel momento in cui riconosco i due ragazzini che mi guardano mentre mi avvicino.

"Signor Malfoy, signor Selwyn, mi stavate aspettando?".

"Possiamo entrare, professore?", il più grande dei miei alunni interviene, precedendo Antares, e con il suo solito tono sicuro e, quasi, annoiato. Gli faccio un breve cenno col capo, permettendogli così di avere il mio assenso. Ho sempre ammirato l'educazione di Draco, che gli permette di mantenere un contegno adeguato a qualsiasi situazione, senza mostrare la minima traccia di umanità. In parte, credo, si tratti di talento naturale. Non solo, infatti, il ragazzo che ho di fronte è l'ultimo erede di una delle più grandi casate di maghi e, pertanto, educato sin da bambino a mantenere sempre uno solida compostezza ed un adeguato controllo di sé, ma è anche un occlumante ed un legilimens naturale. Questa sua caratteristica lo rende un muro inespugnabile, le sue emozioni non possono essere lette neppure da chi lo conosce bene. Persino sua madre, talvolta, mi ha prospettato i suoi timori per questa particolare dote del figlio. Narcissa, per quanto sia una Black, è prima di tutto una genitrice apprensiva e preoccupata per il suo unico cucciolo ed ha sempre avuto timore che la sua incapacità di dimostrare i propri sentimenti potesse impedirle di scoprire per tempo i suoi problemi ed aiutarlo come qualsiasi madre vorrebbe fare con la sua prole.

Dev'essere veramente dura, per una donna, vedere il proprio bambino indurirsi, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sino a costruirsi una corazza dura e infrangibile. Lui non era così da bambino. Lo rammento, all'epoca frequentavo poco la loro casa, ma ricordo benissimo di aver pensato che quel piccolo essere umano era un libro aperto. Ora non lo è più e, forse, visto lo stato delle cose, è meglio così. Ora, io e lui, siamo molto più simili di quanto io sia mai stato con chiunque altro.

"Professor Piton, io... volevo sapere, se per caso, lei avesse qualche notizia di mia madre", Antares mi riscuote dai miei pensieri e non posso non chiedermi da quanto tempo sono qui a guardare il piccolo di casa Malfoy. Da tanto, probabilmente, visto che lui mi restituisce uno sguardo stupito e sconcertato.

"Non so nulla di diverso rispetto a quanto le ho già detto un paio di giorni fa. Sua madre è ancora incosciente, ma stabile. Stanno cercando di trovare una soluzione al suo stato ed una cura per la sua malattia", mantengo, per fortuna, un tono neutro e controllato.

"Posso vederla? La prego, me la faccia vedere", non so cosa rispondergli. Non dipende da me e lui non è neanche un mio studente.

"Mi dispiace, ma io...",

"Lei lo ha promesso!", vengo interrotto da quel ragazzino insolente e il mio impulso sarebbe di punirlo, ma comprendo il suo dolore e cerco di trattenermi, "ha promesso a mio zio di proteggermi".

"Ed è per questo che non posso permetterti di lasciare il castello e di vedere tua madre", con la coda dell'occhio posso vedere un guizzo di comprensione negli occhi di Draco, e la cosa mi preoccupa.

"Io voglio vedere mia madre", ora il suo tono ha assunto tutte le sfumature di un ordine, il piccolo Lord che si cela dietro quell'apparenza debole e malaticcia a quanto pare ogni tanto viene fuori.

"Io vorrei che i miei studenti fossero persone intelligenti e non delle teste di legno incapaci, ma, purtroppo, ho imparato presto che nella vita non sempre i nostri desideri si realizzano".

"Davvero sta paragondano il mio desiderio di vedere mia madre con il suo odio per gli studenti? Lei è veramente senza cuore come dicono, è un essere orribile", il suo scatto d'ira mi sorprende, non me lo aspettavo da lui, sembra così tranquillo come ragazzo, così poco propenso a perdere la calma, che le sue parole, per quanto non mi feriscano di certo un pò mi turbano.

"La prego di mantenere la calma, signor Selwyn, altrimenti mi vedrò costretto a punirla per la sua insolenza", eccoci qui, la montagna imperturbabile e irremovibile e l'uragano che tenta, con tutte le sue forze di sgretolarne l'armatura. Il gigante ed il bambino. Dobbiamo essere quasi paradossali, visti dall'esterno. Il suo dolore è così palpabile che, per l'ennesima volta nella mia vita, mi rendo conto di quanto possa essere pericoloso mostrarsi deboli. Il mio, al contrario, è sempre presente, da quando ho compiuto tre anni, ma rimane comunque sempre celato, nel più remoto angolo della mia mente stratificata.

"Mi chiede di mantenere la calma? Mia madre sta morendo", in uno scatto di furia cieca le sue mani si abbattono producendo un tonfo secco sul bordo nella mia scrivania e, come se vedessi tutto al rallentatore, con la coda dell'occhio percepisco una boccetta d'inchiostro che cadendo si infrange sul pavimento immacolato, mentre, quasi nel medesimo momento una calda goccia di acqua salata scorre lungo la guancia del ragazzo che si trova dinanzi a me, sino a poggiarsi, quasi con delicatezza al centro, fra i suo arti, sul legno di mogano scuro.

Non mi lascia il tempo di rispondergli, né per consolarlo, né per riproverarlo. Si volta di scatto e, raggiunta la porta in pochi passi, esce da questa stanza e, forse, dalla mia vita.

Rimaniamo noi, i due pezzi di ghiaccio. Io, seduto impassibile sulla mia sedia, con le mani delicatamente poggiate sui braccioli, la testa leggermente inclinata di lato e la postura rigida che mi caratterizza. Draco, con una gamba accavallata sull'altra, le mani rilassate sulle proprie cosce e il viso delicatamente rivolto verso il basso, con lo sguardo perso in un punto indefinito del mio desco.

Ho sempre trovato preoccupante questa sua abitudine, quando è tranquillo, di inclinare il viso verso il basso, quasi in un gesto di muta resa nei confronti del mondo, quasi volesse dire, almeno con i movimenti del suo corpo, che si è arreso alla vita molti anni fa. Il suo, infondo, è un dolore muto, non si vede, ma c'è, sempre e costantemente. Non ho mai compreso, appieno, che cosa gli faccia provare tanto struggimento, ma la sua malinconia, per quanto non sia visibile, è così forte da essere quasi palpabile.

"Avresti dovuto essere più delicato, Severus", un'affermazione. Semplice, concisa, ma piena di significato. Non vi è neanche un briciolo di accusa nel suo tono piatto. Solo una mera e cordiale costatazione.

"Avrei potuto", non posso che assentire.

È da diverso tempo che non siamo da soli in quest'ufficio. Draco ha sempre avuto l'abitudine di venire, qualche volta, a trovarmi, semplicemente per bere una tazza di té, il più delle volte senza rivolgerci alcuna parola. Trovando, forse, conforto, dalla presenza nella stanza di un'altra persona come lui.

"Una volta, Pansy, mi ha definito un freddo manichino senza cuore ed ha detto che, se non fosse per il fatto che mi ha visto sanguinare, avrebbe creduto che non vi è nulla che scorre nelle mie vene", deve averlo ferito, quella frase, anche se non lo mostra. Altrimenti, molto probabilmente, non l'avrebbe ricordata, ma persino in questo momento dal suo viso non traspare alcun emozione. Quanto vale una società che trasforma i suoi componenti in esseri senza cuore?

"Pensi che avesse ragione?", solo a lui, tra i miei studenti, mi rivolgo con toni così cordiali, ma, infondo, è sempre il mio figlioccio.

 

Aprendo la porta della sua abitazione, si trovò dinanzi all'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere, Lucius. Era dal giorno del matrimonio del suo amico, che non avevano occasione di vedersi, se non qualche volta di sfuggita al cospetto dell'Oscuro Signore. Era da qualche mese, ormai, che tradiva Lord Voldemort e faceva la spia per Albus Silente ed, in quel momento, avere dinanzi a sé l'uomo che gli aveva fatto conoscere il mago oscuro più pericoloso di tutti i tempi, gli fece provare un moto di rabbia. Riuscì a controllare a stento la tentazione di toccarsi il braccio sinistro in un gesto di stizza e di disgusto. Quel marchio, in quel momento, era così vivo sulla sua pelle, da provocargli quasi un dolore fisico, nonostante non fosse stato attivato per chiamarlo. La sua pelle in quel punto bruciava, per l'umilizione di essersi lasciato controllare da un uomo crudele e bieco.

"Lucius...", la sua voce riuscì a rimanere atona, mentre si spostava leggermente per far passare l'ospite, "cosa ti ha portato nella mia umile dimora?".

"Narcissa ha messo al mondo il mio erede, ieri sera. Draco, l'ho chiamato Draco ed è nato ieri sera alle ventidue".

"Mi felicito con te per la tua nascita", non riusciva a comprende perché non si era limitato ad un messaggio via gufo. Non poteva credere che fosse lì per annunciare la nascita del suo rampollo.

"E' un bel bambino, Severus, forte come i Black, ma d'aspetto è un vero Malfoy. Ha gli occhi grigi, però, tipici della famiglia di mia moglie. Spero solo che non cambino colore, ho sempre invidiato quegli occhi di ghiaccio", ghiaccio... sarebbe divenuta, negli anni, una parola sempre più adatta a descrivere lo spirito tormentato e freddo del giovane Malfoy.

"Draco? Scelta interessante. Hai messo sulle spalle di tuo figlio un bel fardello, dandogli il nome di una delle costellazioni più grandi dell'intera volta celeste".

"E' mio figlio. Mi aspetto molto da lui e sono certo che non mi deluderà". Come al solito il suo vecchio amico dimostrava di avere poca considerazione per le altre persone. Nel corso degli anni le sue aspettative nei confronti di Draco sarebbero state sempre più opprimenti per il ragazzo.

"Non avevo dubbio alcuno sulle tue alte aspettative", mentre rispondeva gli stava porgendo un bicchiere di vino, prima di prendere anche il proprio ed accomodarsi nella poltrona di fronte a lui, dinanzi al camino.

"Sono qui per un motivo preciso, Severus. Ho riflettuto a lungo. Tu sei una persona capace, un ottimo mago, con abilità sopra la media", le lusinghe non erano mai servite a blandirlo, al contrario lo annoiavano, ma i modi di Lucius erano stati sempre molto pomposi, "e, soprattutto, i tuoi pensieri coincidono con i miei e le nostre idee politiche sono simili", idee politiche, dentro di sé aveva sorriso a quelle parole ed aveva avuto la tentazione di dirgli quanto quell'affermazione fosse sbagliata, "sono qui per chiederti di avere un ruolo nella vita di mio figlio. Sei mio amico ed amico di mia moglie. Narcissa ed io abbiamo riflettuto e non vi è persona più adatta di te ad assumere la posizione di padrino di Draco".

Non aveva parlato per diversi secondi, chiedendosi se fosse impazzito o se stesse facendo quella proposta seriamente. Lui, un mezzosangue di basso livello, fare da padrino all'erede delle più potenti casate magiche.

"Molte persone sarebbero più idonee a questo ruolo".

"Noi vogliamo te e non accetteremo un no come risposta".

 

Non so come mai, proprio in questo momento quei ricordi siano riaffiorati nella mia mente, forse, semplicemente, perché ora lui mi sta chiedendo di assumere quel difficile ruolo. Mi sta, implicitamente, chiedendo di tranquillizzarlo, comprenderlo e, forse, consolarlo.

"Non sono di ghiaccio, Severus. Come, d'altronde, non lo sei neanche tu. Semplicemente so quanto possa far male mostrarsi deboli e non voglio concedere un facile accesso a chi non aspetta altro per pugnalarmi".

Sono parole dura, soprattuto se pronunciate da un ragazzo di appena quindici anni. Sono ancora più tetre se si considera che il giovane che mi siede di fronte viene considerato privilegiato dai suoi coetanei.

"Non sei troppo giovane, per sapere cosa significhi essere pugnalati al cuore?".

"Sono un Malfoy. No, non sono troppo giovane per proteggermi e per proteggere la mia famiglia", mi sembra di sentire me alla sua età, qualcuno avrebbe dovuto proteggere entrambi, ma non lo ha fatto, "vorrei potermi permettere di essere spensierato e senza necessità di una corazza di dura pietra, ma non posso. Nessuno avrebbe pietà di me, Severus. Non ho alcuna intenzione di permettere ad altri di distruggermi".

Fa quasi male sentirlo parlare così, ma mi rendo conto che è saggio, infondo, da parte sua comportarsi in questo modo. Sappiamo entrambi che si trova in una posizione delicata e che potrebbe volerci veramente poco perché la sua famiglia si distrugga con le sue stesse mani. Ed è vero, in tanti non aspettano che di scoprire un punto debole nei Malfoy, per colpire ed affondare una casata così potente.

"Temo che tu abbia ragione".

"E' il peso della forza che ha la mia famiglia nel mondo magico. A volte vorrei che qualcuno ci passasse, anche solo per pochi minuti, è che capisse quanto è pericoloso essere un Malfoy".

"Ti riferisci a qualcuno in particolare, Draco?", sorrido, avendo colto la sua allusione.

"Sai quanto lo detesto, non è di certo un mistero".

"Ti ho sempre detto che non è saggio detestare apertamente un ragazzo che viene tenuto in così alta considerazione dal mondo magico".

Scoppia a ridere ed è da così tanto che non sento quel suono che, un pò, mi scalda il cuore. Mi sono affezionato a questo ragazzo e, quando rivedo in lui il bambino gioioso che era un tempo, ne sono sempre felice. Non lo ammetterei mai, è ovvio, ma tengo a questo piccolo smorfioso ed arrogante purosangue.

"Proprio tu parli? Tu che lo odi con tutto te stesso e non fai assolutamente nulla per dissimulare il tuo astio?".

"Non hai tutti i torti, ma sai benissimo quanto mal sopporti l'incapacità e l'inettitudine".

"Oh... sì! È evidente a chiunque ti ha visto, anche solo per una lezione, nella medesima stanza con Paciock", una smorfia di disgusto si dipinge, involontaria, sul mio volto. È vero. Ho sempre odiato quel ragazzino impacciato, ma per motivi che Draco neanche può immaginare, oltrechè, ovviamente, per la sua incapacità e goffaggine.

"E' evidente che anche tu lo detesti, anche se non mi è chiaro cosa ti ha mai fatto quel ragazzino", me lo sono chiesto molte volte. È un grifondoro, ma è pur sempre di famiglia purosangue e, a dir la verità, esclusi i Weasley, il mio pupillo, solitamente, rispetta i membri di famiglie così antiche.

"Vuoi la verità?", non mi aspettavo che me la offrisse così, senza protestare.

"Sai bene che ogni cosa detta qui dentro, rimane qui. Abbiamo fatto un patto tempo fa, lo ricordi?".

"Lo ricordo bene e, prima o poi ti chiederò di onorare quel patto", nel suo sguardo duro vi è qualcosa che mi spaventa in questo momento, "lo invidio. E no, non sto scherzando. La verità è che lo invidio Severus. Non posso impedirmi di farlo. Lui ha tutto quello che vorrei avere io. È un purosangue, ma non ne sente il peso e vorrei tanto poter dire lo stesso, ma non è così per me", non me lo aspettavo e lo sconcerto sul mio viso dev'essere evidente, perché lui distoglie lo sguardo palesemente imbarazzato. Il rossore sul suo viso pallido, seppur lieve, spicca ancora di più.

Non mi da il tempo di rispondere, poiché si alza e mi volta le spalle, quasi si fosse pentito di aver pronunciato quelle parole.

"Ora è meglio che vada, tu sicuramente hai molte cose da fare, ed io... sarà meglio che vada a cercare e calmare mio cugino, prima che decida di fare qualche sciocchezza". Esce con grazia ed eleganza dalla stanza, vorrei che facesse lo stesso dalla mia vita, ma non so se riuscirei a sopportarlo. Ricordo ancora la mia reazione alla richiesta di Lucius, la frase che pronunciai quel giorno.


"Io non sono un padre, Lucius. Non puoi chiedermi di esserlo per tuo figlio".

 

È vero, io non sono un padre e Draco, di sicuro non mi permetterebbe di esserlo per lui.  


***



Ringrazio molto tutti coloro che leggono e sopratutto coloro che commentano questa ff, ed in particolare Manu75, amas95 e Morgana_Altea, per le loro recensioni incoraggianti.
Spero di avere dei riscontri anche a questo di capitolo e soprattutto che piaccia a molti.

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Capitolo 20
*** Candida come lenzuola di lino bianco. ***


Candida come lenzuola di lino bianco.

 

I giorni si susseguono noiosi e tutti uguali, senza alcuna distinzione l'uno dall'altro, se non per il numero sul calendario, che cambia a cadenza regolare e senza imprevisti.

Questa domenica mi sono svegliato, come sempre, dopo solo alcune ore di sonno e con la volontà di andare nella sala grande, per fare colazione molto presto ed evitare, così, la moltitudine di studenti chiassosi. I miei piano sono stati stroncati dopo solo mezz'ora di veglia dal richiamo del mio Signore. Il bruciore al braccio sinistro è stato molto più intenso del solito e mi ha lasciato senza fiato per qualche secondo.

Uno strano senso d'inquietudine mi accompagna per tutto il tragitto versa Casa Riddle. Ho sempre trovato molto tetra quest'abitazione e, soprattutto, ho sempre compreso sin troppo bene la volontà del signore oscuro di abitare questo luogo, che per lui non è altro che il ricordo di tutte le sofferenze della propria infanzia ed adolescenza. Siamo molto simili in questo. Anche io risiedo ancora nella vecchia abitazione dei miei genitori ed ogni centimetro di quel luogo mi ricorda mio padre e l'odio che provo per lui.

Questo sono per noi due le nostre rispettive abitazione: il memento di quello che siamo, di quello che eravamo, di quello che avremmo potuto essere. Nessuno di noi, però, lo ammetterebbe mai apertamente. Ci renderebbe troppo deboli agli occhi altrui.

 

Il ragazzo, non dimostrava più di sedici anni, anche se nel suo sguardo vi era la consapevolezza di un uomo adulto o forse di un bambino che non ha mai potuto lasciarsi andare alla spensieratezza. Nonostante la giovane età e la consapevolezza di essere inadeguato e diverso da tutti coloro che si trovavano nel grande salone, si era mosso con una risolutezza ed una sicurezza che gli altri gli invidiavano.

"Severus Piton...", il suono serpentino uscito dalle labbra del giovane Tom Riddle, rendeva il suo nome con una dolce carezza. Sembrava assaporare ogni lettera, ogni sillaba, mentre pronunciava quelle due parole, come se gli fossero care, "ero impaziente di conoscerti. La tua fama, le tue capacità mi sono note. Lucius mi ha parlato molto bene di te".

Si era rivolto al giovane lord con un cenno del capo e lo stesso Severus, per una frazione di secondo aveva incontrato gli occhi dell'amico, esprimendogli in silenzio la propria riconoscenza. Era felice di trovarsi in quella casa ed al cospetto del mago oscuro più potente di tutti i tempi. No, forse felice non era proprio il termine corretto da utilizzare. Lui era onorato di essere là, era curioso di conoscere l'uomo che incuteva tanto timore. Felice non poteva considerarsi, non lo era più da tempo o, molto probabilmente, non lo era mai stato.

"Mio Signore, sono onorato di essere, finalmente, dinanzi a Voi e di potervi conoscere. Servirvi è il mio obiettivo sin da quando ho avuto notizia delle vostre strabilianti imprese".

"Mi sarai utile, Severus. Mi sarai molto utile".

Dopo una breve presentazione, il Signore Oscuro aveva richiesto di parlargli in privato, e, sotto gli sguardi invidiosi di tutti coloro che avrebbero voluto l'occasione di trascorrere del tempo da soli con Lord Voldemort, si erano congedati per appartarsi nella stanza privata del mago più vecchio.

"Noi due siamo più simili di quanto appaia, non pensi Severus?". Non si era aspettato di essere paragonato all'uomo, ma non poteva di certo negare le similitudini esistenti fra loro.

"Non sono certo di potermi considerare un vostro simile. Siete molto più grande di me, e non in senso anagrafico". Aveva dimostrato umiltà. Umiltà che persino quel gionro, dinanzi ad un uomo così pericoloso non provava. Una parte di lui si era sempre sentito molto al di sopra di quell'uomo bieco. Si era avvicinato al Signore Oscuro col solo intendo di approfittare del suo potere per ottenere più facilmente il proprio.

Quella era stata solo la prima di una lunga serie di incontri solitari. Lui e pochi altri avevano il privilegio di poter entrare nella villa del Lord e nelle sue stanze senza dover attendere di essere chiamati.

 

Al solo pensiero di tutto ciò che è accaduto dopo quel primo giorno rabbrividisco. Se potessi tornare indietro, con la coscienza e la conoscenza che ho oggi, tante cose le avrei fatte in modo diverso.

Entro sicuro in questa vecchia abitazione, percorrendo i corridoio che conosco sin troppo bene. Salgo la scalinata che mi porta al primo piano, per raggiungere quella porta. Ogni volta che vedo il legno scuro e lucido dell'uscio delle stanze del Signore Oscuro, una piccola parte del mio cervello mi urla di andar via e di scappare. Non vorrei essere qui. Non mi piace questo luogo. Non mi piace la sensazione di essere imprigionato dentro azioni e pensieri che non condivido più.

Una strana inquietudine mi accoglie mentre la mia mano pallida si avvicina al legno freddo per bussare. La porta si apre, senza che alcun suono sia pervenuto dall'interno.

"Severus...", ogni lettera del mio nome viene intrappolata dalle labbra di Tom Riddle, come se lui stesse racchiudendo la mia anima in nere spire di veleno, soltanto chiamandomi, "ti aspettavo".

Mi avvicino di qualche passo e mi inchino leggermente. Le mie spalle si curvano di pochi centimetri, ma nella parte nascosta della mia mente impenetrabile, un brivido di disgusto verso me stesso si espande. Pensare che una volta anche io mi sono inginocchiato dinanzi a quest'uomo. Quanto poco rispetto di me stesso ho avuto per vendermi a lui, per un pò di potere.

"Mi onora essere al vostro cospetto, mio Signore". Se mi vedessi dall'esterno credo che mi odierei. So di essere credibile quando mi rivolgo a lui con così tanto rispetto e devozione. Ed è questo che mi fa provare ancor di più orrore per la mia persona. Mi viene così faccile sottomettermi? È vero che in realtà... mi blocco. Blocco i miei pensieri. Come posso essere così stupido da lasciarmi andare a questo tipo di elucubrazioni in questa stanza? Da quando sono così incauto?

"Gli uomini di Silente si stanno muovendo, Severus... non so come e non so dove, ma qualcosa sta succedendo". Mi guarda, attendendo, ovviamente, che io gli risponda. Devo stare attento e rimanere concentrato o potrei morire.

"Silente sta cercando di bloccare il suo operato su più fronti, mio Lord, ma per quel che ne so io, al momento, non ha ottenuto alcun risultato degno di nota".

Per qualche secondo il mio respiro si blocca e rimango immobile, in attesa. Sento il suo potere entrare nella mia testa, con prepotenza e crudeltà. Vuole accertarsi della mia sincerità. Nonostante tutto non si fida di me.

Rimaniamo così, a guardarci l'un l'altro, ancora per un pò, mentre, strisciando come un serpente velenoso lo sento uscire da me. Mi faccio ancora più schifo in questo momento. Mi sento sporco, perché so che ciò che ha visto lo ha compiaciuto. Glielo leggo negli occhi, lo sento nella sua mente.

Non posso trattenermi ed evitarlo. Una parte di me, non piccola ad esser sincero, desidera penetrare i pensieri del Signore Oscuro, anzi brama entrare nei meandri della sua mente, per dimostrare a me stesso che l'essere che ho davanti è fallibile e non è altro che un uomo.

È solo per una manciata di secondi, ma quello che provo è indescrivibile. Non si tratta di dolore, ma di ansia, preoccupazione, desolazione. Esco, silenzioso come un'ombra, cauto come una piuma che scivola verso il pavimento in un giorno d'estate. Lui non si è accorto di nulla, continua a guardarmi tranquillo. Io, invece, devo fare il possibile per non mostrare il mio sgomento. Qualcosa è accaduto dall'ultima volta che mi sono permesso di sfidare la morte così da vicino. Qualcosa che non riesco a comprendere pienamente.

"Controlla le mosse di Silente e informami se dovessero esserci dai cambiamenti. Continua a servirmi in modo soddisfacente, e verrai ricompensato. Sei congedato". Non attende il mio saluto. Si volta e torna a fissare il vuoto, fuori dalla finestra di questa sua immensa prigione dorata.

Devo impormi di non correre, mentre mi dirigo verso l'esterno. Ho bisogno di aria ed è con enorme sollievo che, finalmente, respiro nel gelido autunno inglese. Quello che ho percepito, seppur per poco tempo, mi ha sconvolto. Che cos'ha fatto quell'essere con la sua anima e con la sua mente? Non riesco a capire, ma sono certo che si tratta di qualcosa di oscuro e di terribile.

Neanche mi rendo conto di quel che sto facendo, quando mi ritrovo in questo piccolo e squallido vicolo della Londra babbana. Il mio cervello, senza che io pensassi, mi ha portato dove ho bisogno di essere in questo momento. Qualcuno, forse, direbbe che è stato il mio cuore a farmi arrivare sino a qui, ma sarebbe da ipocriti pensare che quel gelido muscolo che pompa il sangue nelle mie vene possa prendere una qualche decisione per me.

La vetrina desolata si staglia davanti a me e, per una volta, accolgo la sua vista come se stessi salutando un vecchio amico che non ho occasione di vedere da anni. Attraverso il vetro asettico trovandomi dinanzi ad un locale variopinto e chiassoso. Sulla destra si trova la più stravagante sfilata di essere umani: un uomo dal cui nasco escono nuvolette viola e scintille verdi; una donna coperta di macchie arancioni, simili a piccoli pois su tutto il corpo; una mamma con un bambino il cui naso ha assunto la stessa forma e dimensioni di quelle della proboscide di un elefante. È deludente notare come maghi così inetti da non riuscire a controllare i più banali incantesimi sono liberi di vagare per il territorio inglese.

Non mi curo degli sguardi sorpresi che mi vengono rivolti, né tanto meno di quelli spaventati. Il mio aspetto, d'altronde, ha sempre ingenerato timore e reverenza negli altri. A dir la verità, timore sempre, sin da quando ero bambino, ma la reverenza è venuta molto tempo dopo e solo quando ho imparato a produrre tale sentimento nell'altro.

Salgo quattro rampe di scale, sino ad arrivare al reparto di mio interesse. Un medimago tirocinante sembra intenzionato a fermarmi, ma cambia idea quasi subito e prosegue per la sua strada senza dire una parola. Non so cosa mi faccia essere così sicuro, forse il senso di quiete e di tranquillità che si espande dalla porta del reparto, ma quando la mia mano si avvicina alla porta so che è quella giusta. Infatti, non appena l'uscio si sposta quel tanto necessario a mostrarmi l'interno fiocamente illuminato della stanza il mio sguardo si posa, immediatamente, su di lei.

Per qualche secondo il mio stomaco viene stretto in una morsa gelata e non sono sicuro di riuscire ad attraversare questa porta. Il suo viso dolcemente adagiato sul cuscino, nonostante le evidenti differenze, mi ricorda il viso di un'altra donna, e vorrei scappare e correre via da questo luogo, senza più fermarmi, senza guardarmi indietro. Per la seconda volta nella mia vita, vorrei nascondermi e ricominciare da zero, in un paese diverso, lontano da tutti e, forse, anche lontano dal mondo magico.

 

La casa che si stagliava dinanzi ai suoi occhi era il tragico scenario di un evento orribile. Intorno al cancello d'ingresso e lungo le strade desolate ancora si potevano scorgere i resti di una festività grottesta. Le zucche intagliate brillavano ad intervalli regolari lungo tutta la via.

Con un terribile senso di oppressione allo stomaco, il giovane uomo aveva attraversato il cancelletto, che, nonostante fosse spalancato, sembrava invitare a rimanere all'esterno. La porta della piccola, ma ordinata villetta, era socchiusa e non era servito toccarla perché si muovesse sui cardini, senza il minimo rumore.

Il corpo inerme di un giovane uomo era steso a terra, proprio dinanzi alla scalinata che porta al piano di sotto. Si era fermato davanti al ragazzo. Lo aveva guardato a lungo. Quel viso che aveva tanto odiato e che lo aveva tanto disprezzato in passato ora era lì, senza vita, senza quella scintilla di derisione negli occhi, senza la sicurezza nei gesti tipica di un bambino tanto amato. Aveva sofferto negli ultimi mesi e lo si poteva leggere in ogni centimetro del suo bel volto. Per qualche secondo, dimentico dei torti subiti, si era sentito vicino a quell'uomo ormai vuoto.

Con la consapevolezza che quella sarebbe stata la sera più orribile della sua vita aveva finalmente trovato la forza di salire le scale di lucido legno bianco e candido, come l'anima della donna che aveva trovato riversa sul gelido pavimento di marmo nella cameretta del suo bambino. I capelli, rossi come il fuoco, sparsi intorno al viso d'angelo, sembravano le fiamme dell'inferno in cui lui era caduto. Gli occhi, verdi come la giada, lo stavano guardando, accusandolo di non averla protetta, di non aver mantenuto la promessa fattale molti anni prima, di non essere rimasto con lei, come le aveva assicurato avrebbe sempre fatto.

Voleva toccarla, ma temeva il momento del primo contatto con quel corpo ormai svuotato. Quando, finalmente, aveva avuto la forza di circondarla con le braccia e di accoglierla vicino al proprio cuore, si era sorpreso nel trovarla ancora così calda. Avrebbe potuto essere semplicemente addormentata, se non avesse avuto quei due occhi così belli aperti nel vuoto.

"Mamma...", la voce flebile era arrivata a lui come una pugnalata, dritta al cuore. Aveva dimenticato che il bimbo era ancora in quella casa e, soprattutto, non aveva previsto di incontrarlo e di sentirlo parlare. Quella voce, quel suono, quella parola... non l'avrebbe mai dimenticata.

 

Devo fare forza su tutta la mia volontà e la mia determinatezza, per allontanarmi da quella casa distrutta e ritornare in questa asettica stanza d'ospedale. Quella vocetta tremula, talvolta, ancora oggi mi sveglia di notte e percorre i miei incubi, incurante della mia sanità mentale.

Mi avvicino al suo corpo esile, adagiato con cura e grazia sul letto. L'eleganza e la compostezza della famiglia Black non è stata scalfita dalla malattia e dalla sofferenza. Sembra addormentata. È così diversa da Lily. Lei persino nella morte emanava gioia di vivere e spensieratezza. Cassandra, al contrario, sembra una dea, una ninfa caduta in un sonno profondo in un giardino incantato.

Vorrei scuoterla, ma sembra così fragile, così debole. Se fossi un altro tipo d'uomo, forse, ora mi lascerei andare alle lacrime, ma non posso permettermi di farlo.

Guardarla qui, pallida come le lenzuola di lino su cui è distesa, mi fa capire quanto io realmente tenga a lei. Non mi ero reso conto di quanto in profondità fosse entrata nella mia vita. Non avevo capito quanto, nonostante la rabbia, i litigi e le incomprensioni, io avessi fatto affidamento sul fatto che lei ci sarebbe stata, comunque.

"Mi chiedevo quando ti avrei visto qui", nonostante il tono pacato della voce, devo fare affidamento su tutto il mio autocontrollo, per impedirmi di mostrare la paura che per un attimo ha attraversato il mio corpo. Mi volto, con calma ed ostentando una sicurezza che non ho, per incatenare i miei occhi d'ebano nei suoi di zaffiro.

"Vieni spesso, Cissy?", mentre parlo lei mi sfiora la guancia con le sue lunghe dita ed un brivido mi scorre lungo la schiena.

"Ogni giorno. Spero sempre di arrivare e trovarla sveglia, che mi guarda coi suoi occhi irrispettosi e con la sua espressione più sfacciata", si ferma per osservare la donna alle mie spalle, "pensi mai a come sarebbe la nostra vita se avessimo fatto delle scelte diverse?".

"Non mi piace perdermi in questo genere di considerazioni. Non posso cambiare il passato, quindi non vale la pena di pensarci".

"Potremmo sai... potremmo cambiare il passato...", sembra persa in pensieri che non posso vedere. L'istinto è troppo forte e cerco di penetrare nella sua mente, ma non posso. Sorride. "Draco mi somiglia. Almeno in questo".

Arrossisco lievemente, sono stato incauto e deve aver avvertito la mia presenza, "Perdonami. Non avrei dovuto".

"Come sta?".

La guardo confusa prima di rispondere, "è incosciente in un letto d'ospedale".

Non mi guarda, continua a fissare Cassandra, a cui io do le spalle, "mi riferivo a Draco".

"Spadroneggia fra i giovani serpeverde, come il degno erede di suo padre. Si azzuffa con Potter ed i suoi amici e, quando si annoia, studia".

Le mie parole ottengono l'unico effetto di farla voltare nuovamente verso di me. È così vicina che posso vedermi riflesso nelle sue iridi e, purtroppo, posso sentire il suo odore. Profuma di glicine e rosa canina. Ha il medesimo odore da quando frequentavamo la scuola insieme. È così adatto a lei, così elegante.

"Sai bene che non era quello che stavo chiedendo, Sev".

"Cosa vuoi che ti dica, Cissy? È un ragazzo intelligente, come sua madre, freddo, come suo padre...".

"E impenetrabile, come il suo padrino", sorrido, mio malgrado, fiero di quel ragazzino arrogante.

"E' preoccupato. E non posso dargli torto. Non posso rassicurarlo, perché non so neanche se domani sarò ancora vivo per poter mantenere la promessa che andrà tutto per il meglio. Siamo in guerra". Mi sento un bambino imbronciato, quando evidenzio l'ovvio.

"Siamo in guerra...", ripete la mia frase, come se la stesse assaporando, come se le servisse risentirla, per comprenderla appieno.

Si volta e si dirige verso la porta, senza più guardarmi e lasciandomi qui, immobile e sorpreso. Si ferma solo quando la sua mano è ormai sulla maniglia, "proprio perché siamo in guerra e perché non sappiamo se domani saremo qui, dovremmo approfittarne per godere di questi attimi di vita che ci scorrono addosso. Vivi, Severus. Fallo finché il respiro non abbandonerà i tuoi polmoni, finché non sarà troppo tardi".

La osservo uscire, silenziosa com'è entrata. Chiudo la porta magicamente dietro di lei, e dopo aver effettuato qualche incantesimo alla stanza, in modo tale che nessuno venga a disturbami, con cura maniacale inizio a svestirmi. Prima il mantello, che adagio con grazia sulla poltrona, dopo la casacca, bottone dopo bottone, in una danza flessuosa e continua. Solo dopo essere rimasto a petto nudo ed aver tolto le scarpe mi sdraio sul letto, accanto a Cassandra.

Il suo corpo caldo mi rassicura. È viva e lo sono anche io. Ed in questo momento è l'unica cosa che conta.


 

***
 


Ringrazio, prima di tutto, coloro che hanno commentato e le mie lettrici appassionate, che mi rendono sempre felice e mi fanno apprezzare ancor di più la possibilità di pubblicare sul sito questa storia.

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Capitolo 21
*** Il tuo profumo - Pov Cassandra. ***


Il tuo profumo – Pov Cassandra.

Il suono delle voci che mi circondano mi arriva ovattato, come se vi fosse una porta socchiusa fra me e loro. Una porta che non riesco in alcun modo ad aprire. Non riesco a muovermi, non riesco ad aprire gli occhi. La gola mi brucia, come se non bevessi da settimane.
Non so dove sono, ma sto cercando di ricordare come ci sono arrivata. Non ci riesco. L'utima immagine che ho nella mente è Severus, di fronte a me. I suoi occhi di ossidiana che mi guardano con ira, la sua mano che si muove e colpisce la mia guancia. 
Non ricordo nulla dopo quell'evento, eppure sono certa di non essere qui a causa sua. Quel gesto sconsiderato non può di certo essere stato seguito da altri dello stesso genere. Conosco quell'uomo, per quanto sia difficile vedergli dentro, e sono certa che non avrebbe mai continuato a picchiarmi. Allora perché l'ultima cosa che ricordo è il suo sguardo dopo avermi tirato quello schiaffo?
Mi duole la testa, un dolore sordo, continuo. Sento male anche al ventre. Vorrei urlare, vorrei piangere. Perché non ricordo cosa mi sia accaduto? Nella mia mente solo il vuoto. Intorno a me il nero denso dell'oblio. 
Sento delle voci, dev'essere passato del tempo rispetto a prima. Forse ho perso conoscenza e non lo ricordo. È strano. Sembra che sia trascorso solo un secondo, eppure prima sentivo solo silenzio intorno a me. Ora invece ci sono dei suoi. Suoni che mi circondano. Tintinnio di oggetti metallici, voci che sussurrano frasi che non riesco a comprendere, parole urlate da persone sconosciute. 
Sento dolore. Sta aumentando. È un dolore sordo, pulsante. Vorrei urlare, fa così male. Brucia le viscere dall'interno. Il mio addome va in fiamme. La testa pulsa. Sempre più forte, sempre più forte. 
Non so dove sono. Nulla intorno a me si muove. Eppure, poco fa sentivo delle voci, o almeno così ricordo. Dev'essere passato del tempo. Non riesco ad avere una percezione coerente della realtà che mi circonda. Devo calmarmi e devo capire. Che cosa mi è accaduto? 
Ho sentito un rumore. Sembrava quasi una porta che si apre, ma è stato un suono così flebile che potrei averlo immaginato. Questo però non può essere frutto della mia immaginazione: è un odore. Un profumo che ho sentito così tante volte. Sei qui, accanto a me. Non puoi essere frutto della mia fantasia. Devi essere qui. Non so cosa tu stia facendo, ma solo il fatto che ci sei mi fa sentire più tranquilla. Sei qui. Non mi hai abbandonata. Non mi odi.
Una voce di donna interrompe i miei pensieri. La riconosco, è Narcissa. State parlando, ma le vostre voci sono così lontane che non riesco a capirvi. Ci provo con tutta me stessa. Voglio concentrarmi sui suoni in questa stanza, ma non riesco a farlo. È così difficile. È come se io fossi in un altro mondo, come se ci fosse una spessa coperta tra di noi, che mi impedisce ogni contatto.
Avverto, più che sentirlo, che siamo rimasti da soli. Un lieve brivido di paura mi attraverso la schiena. Una parte di me, quella razionale, è sicura che non sei stato tu a causarmi le ferite che mi hanno portato in questo letto, che ormai ho realizzato essere del San Mungo. L'altra parte, quella emotiva, si chiede come mai, se davvero tutto questo non è opera tua, l'ultimo ricordo che ho è il tuo schiaffo che mi fa bruciare la guancia. 
Posso sentire ancora il calore della tua mano contro la mia candida pelle. Se potessi penso che tremerei ancora a quel ricordo, ma non posso. Non posso muovermi, non posso parlare, non posso comunicare con te in nessun modo. Mi sento sola, rinchiusa in un corpo vuoto. È terrbile saperti vicino a me, senza avera la possibilità di vederti.
Ti sento. Ti stai coricando sul letto, al mio fianco. Avverto il tuo calore. È così strano. Sei qui, mi tocchi ed io percepisco la tua presenza, ma tra di noi c'è qualcosa. Ci separa, ci divide. Siamo insieme, ma siamo lontani.
È snervante. È difficile. Questa è una delle poche volte nella mia vita in cui vorrei piangere. Vorrei urlare, gridare, scompormi come non ho mai fatto. Tu sei qui, ma è come se io non ci fossi. Non posso dirti tutto quello che mi sono tenuta dentro fino ad ora. Non posso dirti quanto ti amo. Perché è la verità: io ti amo, Severus Piton, come non ho mai amato nessuno. Ti ho amato sin dal primo momento in cui ti ho visto. Lo ricordo, chissà se anche tu te lo ricordi? Non penso... ma nella mia mente è impresso a fuoco ogni secondo di quel primo giorno di scuola.

L'espresso per Hogwarts si stagliava imponente davanti alla bambina, che nonostante l'eccitazione e la voglia di correre e gioire come gli altri ragazzi, rimaneva immobile e silenziosa di fianco ai genitori. Un ragazzo, di qualche anno più grande, ed i suoi amici parvero attirare la sua attenzione. Li guardava solo quando la madre era voltata dall'altra parte, come se temesse la sua reazione nel caso in cui l'avesse scoperta a guardare quel gruppo di giovani.
Mancavano pochi minuti alla partenza del treno e suo fratello maggiore stata ormai salutando la sua famiglia, così anche lei si voltò per accomiatarsi dai genitori.
Pochi minuti dopo era salita sul treno, che stava lentamente prendendo velocità.
"Ti accompagno a cercare le tue amiche, Cassy".
"Non preoccuparti, Reg. Penso di riuscire a trovare Amanda e Clarissa da sola", la verità era che odiava quelle due oche. I loro genitori erano amici da sempre e, pertanto, avevano deciso anni prima che anche loro lo sarebbero state, costringendole a frequentarsi sin dalla tenera età. Lei però non era mai riuscita a farsele piacere, così pacate, così falsamente gentili. Non vedeva l'ora di arrivare a scuola ed essere smistata, per poter finalmente incontrare altre fanciulle della sua età. 
Senza dare al fratello il tempo di replicare si era diretta a grandi passi verso il fondo del treno. Aveva intravisto Sirius salire nell'ultima carrozza e voleva parlare con lui. Da quando all'inizio di quell'esteta era fuggito di casa, non avevano più avuto modo di vedersi e lui gli mancava così tanto.
Lo aveva trovato solo diversi minuti più tardi, coi suoi amici, all'entrata di uno scompartimento. Era rimasta un pò in disparte, non le era mai piaciuto quel Potter, l'aveva presa in giro fin da bambina, quando accompagnava il fratello maggiore alla stazione.
"Mocciosus... chi si rivede", il tono derisorio del fratello l'aveva colpita. Non riusciva a vedere a chi si stesse rivolgendo, ma la sua espressione era cattiva, anzi... crudele.
Non aveva mai visto suo fratello in quel modo. Era rimasta sconvolta da quella visione. Aveva assistito a tutta la scena da lontano. Avevano schernito quel ragazzo per una decina di minuti, finché lui non era riuscito a difendersi e mandare Sirius a sbattere contro il muro opposto allo scompartimento. 
Quando li aveva visti spostarsi verso di lei si era nascosta all'interno di uno scompartimento vuoto, dal quale era uscita solo dopo essersi assicurata che non fossero più in vista. 
Timorosa si era diretta verso il luogo dello scontro e dal vetro della porta aveva visto quel ragazzino rimettersi seduto con un libro di pozioni fra le mani. Lo aveva osservato a lungo, con un moto di rabbia per suo fratello che le saliva sempre più potente dallo stomaco.
Non capiva perché l'avessero preso di mira, non sembrava pericoloso, né tanto meno cattivo. Solo in un secondo momento la sua attenzione si era indirizzata verso lo stemma sulla sua logora divisa, quel giovane apparteneva alla casa di Salazar Serpeverde. In un barlume di disprezzo verso suo fratello si chiese se fosse quello il motivo di tanto odio e desiderò, per la prima volta, di essere smistata anche lei in quella casa.
"Puoi entrare, Severus non morde", la voce era gentile, ma non si aspettava di essere interrotta, perciò era sobbalzata girandosi verso la ragazza dietro di lei. L'aveva fissata a lungo: dolci occhi verdi pieni di gioia, lunghi capelli rossi come il fuoco ed un corpo ormai maturo. Per un secondo indiviò quella ragazza, ormai donna. Lei ancora aveva le sembianze di una bambina acerba, fragile e immatura.
"Perdonami, non volevo spaventarti, io sono Lily", le aveva porto la mano, che lei non aveva stretto, ma non si era scomposta, "se cerchi uno scompartimento in cui sederti puoi entrare con noi".
"Con voi?", solo in quel momento aveva notato lo stemma di griffondoro sulla divisa e si era chiesta cosa avessero in comune quella ragazza con il ragazzino dai lunghi capelli neri. 
"Sì, con me e Severus", aveva accennato a lui, che incurante di tutto continuava a leggere il suo libro con passione. 
In poco tempo lei aveva riacquistato la propria freddezza e compostezza, tipica dei Black, "No, grazie. Stavo cercando le mie amiche", senza salutarla né rivolgerle un secondo sguardo l'aveva sorpassata, tornando verso il centro del treno e lasciandola insieme a quel ragazzo così diverso da lei.
Avera raggiunto le sue "amiche", si era seduta accanto a loro e aveva preso un libro da leggere (una delle letture che sua madre pretendeva da loro "Il sangue puro e le famiglie di maghi che possono vantarlo"), ed aveva finto di essere immersa in quelle pagine di pergamena antica. 
La verità era che aveva trascorso il resto del viaggio in treno a pensare a lui. Non si era chiesta se fosse di sangue puro o di una famiglia importante, non aveva preso in considerazione la possibilità che fosse o meno un buon partito per lei. Semplicemente non aveva pensato a nulla. Si era soffermata sui suoi occhi scuri come l'ebano, in cui per un secondo si era persa, sui suoi capelli neri come la notte. Aveva rivisto le sue mani chiare ed esili, ma piene di piccoli calli, scorrere sulle pagine di quel libro, ed aveva desiderato sentirle sulle sue guance e sui suoi capelli. 

Ho sognato o solo ricordato? Non ho idea di come i miei pensieri si siano persi nelle rimembranze di quel giorno così lontano. Sento freddo, dove prima si trovava il tuo corpo, perciò tu non sei qui. Non più.
Apro gli occhi e volto il mio viso verso la parte del letto in cui so che ti trovavi. Mi servono diversi secondi per capire che veramente ora i miei occhi sono aperti e devo chiuderli più volte, sbattendo le palpebre a causa della luce accecante. Sono sveglia. 
Sento dolore ovunque, ma sono ancora sveglia. Sono di nuovo in questo mondo, ho attraversato quel muro spesso che mi separava da te. L'ho fatto troppo tardi. Tu non sei più qui. Una lacrima, solitaria e salata, scende dal mio occhio, percorre la strada tortuosa sulla mia guancia sinistra e si posa delicatamente fra le mie labbra.
Il sapore del sale mi risveglia e mi fa capire quanto la mia gola sia arsa dalla sete. Non vedo nessuno in questa stanza, ma fatico a muovermi. I miei occhi si incatenano al comodino, di fianco a questo letto ed intravedo una brocca d'acqua fresca ed un bicchiere di vetro. Mi sforzo con tutte le forze che mi restano per alzare il braccio e dirigerlo verso quella fonte di soddisfazione, così vicina, ma così lontana. Ovviamente sono ancora troppo debole per riuscire ad afferrarla ed ancor prima di essermi avvicinata a stringere le dita contro il vetro di quell'oggetto, un mio movimento troppo brusco lo fa cadere. Osservo, come se lo vedessi a rallentatore, il contenitore dirigersi verso terra, senza che io possa far nulla per fermarlo. Sento il vetro infrangersi col pavimento di marmo, producendo un rumore assordante per le mie orecchie ancora abituate all'oblio ed ai rumori attutiti. 
Passano solo pochi secondi prima che la porta si apra ed un medimago entri nella stanza. Mi guarda sorpreso, dopo si avvicina e mi aiuta a mettermi seduta.
"Signora Selwyn. Si è svegliata. Cominciavamo a perdere le speranze", mentre mi parla ricompone la brocca dell'acqua, la riempie e mi porge un bicchiere colmo di liquido trasparente. Mi aiuta a bere e per me è come se stessi ingerendo linfa vitale. È fresca e la mia gola è grata della dolce sensazione che lascia al suo passaggio. 
"Da quanto sono qui?", la prima frase che riesco a pronunciare, seppur con voce roca, è quella che mi gira per la mente da quando mi sono svegliata.
"Sono circa quattro settimane", la sua voce è dolce mentre mi informa che quattro settimane della mia vita sono sparite nel nulla. 
"Che giorno è oggi?", quattro settimane, non riesco a smettere di pensare a quanto sono lunghe.
"Il 1 novembre".
Ieri era halloween e tu eri qui, nel mio letto. Sento ancora il tuo profumo. Era l'anniversario della sua morte e tu eri con me. Una lacrima vorrebbe scendere ancora lungo il mio viso. Non voglio piangere. Non davanti ad uno sconosciuto. Non per la seconda volta in un giorno.
"Che cosa mi è accaduto?".
"Speravamo potesse raccontarcelo lei, signora Selwyn. L'hanno portata qui in pessime condizioni, ma nessuno sapeva da cosa o da chi fosse stata aggredita. Ci sono volute settimane per trovare una cura adeguata e fermare la fuoriuscita del sangue dalle ferite che aveva su tutto il corpo. Ora sembra che si stiano rimarginando, ma di alcune temo che le resteranno delle lievi cicatrici".
Continua la sua visita per alcuni minuti, mi aiuta ad ingerire una pozione calmante per lenire il dolore, dopo mi lascia riposare, promettendomi che sarebbe tornato nel pomeriggio a controllarmi.
Così rimango nuovamente da sola, chiedendomi che cosa mi sia accaduto e come mai non ricordo proprio nulla. Mi sembra che mi sia stata rubata una parte consistente della mia vita e che io non possa far nulla per recuperarla. Mi sento frustrata, arrabbiata. Come mai sono in questo letto, dolorante e piena di tagli che non ricordo di essermi procurata?
"Sei sveglia...", il suo è poco più di un sussurro, ma sufficiente a farmi sussultare alla melodia della sua voce. Mi volto verso la porta e alzo lentamente lo sguardo, sino ad incontrare i suoi occhi tempestosi. 
Per la prima volta, da anni, lo vedo veramente ed ho la sensazione che anche lui, finalmente, veda me. Nei suoi occhi sembra si sia alzato un vento in tempesta. Un tornado si muove in quelle gemme di gelido ghiaccio. La verità è che ci sarebbe molto da dire, tanto da raccontare, ma non serve. Non è più necessario dir nulla. Non dobbiamo perderci in ricordi dolorosi. 
Si siede accanto al mio letto, senza pronunciare un'altra sillaba ed io non mi perdo un secondo di tutti questi suoi tiepidi movimenti. È delicato, mentre accavalla le gambe con eleganza. Le sue labbra disegnano un flebile sorriso sul suo volto magro e pallido. Non lo ricordavo così scarno.
"Sono sveglia", non riesco a dir altro. Nessun suono vuole uscire dalle mie labbra e solo queste parole mi sono costate molto più di quanto avrei potuto immaginare. Mi sembra di aver recuperato metà della mia vita in pochi minuti, anche se ancora ho un buco di quattro settimane da riempire.
"Stai bene?", deve aver realizzato quanto la sua domanda suoni stupida in questo momento, ma sorrido serena.
"Ora sto molto meglio", la mia risposta sembra coglierlo di sorpresa. Non posso negare che anche io sia sconvolta da me stessa. Non pensavo che avrei mai detto una cosa del genere davanti a lui e, soprattutto, riferendomi al fatto che la sua presenza mi fa, stranamente, sentire meglio, "sono al sicuro adesso".
Vedo una lacrima cercare di uscire dai suoi occhi, ma lui lotta per ricacciarla indietro ed impedirsi di sembrare debole. Non ha mai tollerato la possibilità di mostrarsi bisognoso di aiuto. Forse perché è più grande di me, o perché, infondo, è cresciuto in fretta.
"Puoi perdonarmi?", non mi permette di parlare, mi interrompe per pormi questa domanda così diretta. Lo guardo sgranando gli occhi. Perdonarlo? 
"Sei mio fratello".
"Non è quello che ti ho chiesto...", è vero. Non è ciò che ha chiesto, ma cosa dovrei rispondere?
"E tu, Sir, potrai perdonarmi?", vorrebbe interrompermi, ma con un gesto lo obbligo a zittirsi ed ascoltarmi, "non ti ho appoggiato quando sei scappato di casa. Ti ho odiato, senza darti tempo o modo di spiegare. Non ho neanche tentato di capirti, di starti vicino", sputo le parole che mi sono tenuta dentro troppo a lungo, senza neanche tentare di arginare il fiume in piena che scorre dalle mie labbra.
Continuo a scusarmi per un tempo indefinito. Più tento di bloccare le parole, più queste mi escono dalle labbra traditrici. Più cerco di controllarmi, più perdo la calma. Continuo a parlare, parlare e parlare, finché le sue dita non si posano sulle mie labbra, costringendomi a tacere. Si avvicina a me e mi abbraccia, amorevole. Io mi sciolgo fra le sue braccia, sentendomi finalmente a casa, come non accadeva da anni. 
"Lui non mi piace e non saremo mai amici", non ho bisogno di chiedergli di chi sta parlando, "e non ti prometterò di certo che non litigheremo e non lo prenderò in giro. Ti mentirei se lo facessi", mi costringe ad allontanarmi dalle sue braccia per guardarlo in viso, "però ti giuro, Cassy, che se ti rende felice non mi opporrò alla vostra relazione".
Non servono altre parole. Mi stringo ancora fra le sue braccia, ringraziando di avere di nuovo il fratello che ho perso molti anni fa. 
Una parte di me, quella serpeverde probabilmente, ha solo un piccolo moto di rabbia, al pensiero che James Potter me lo ha portato via ben due volte: la prima quando è diventato suo amico, la seconda quando lui ha deciso di marcire ad Azkaban a causa dei suoi sensi di colpa per la sua morte. Un sorriso increspa le mie labbra, quando, anche se non vorrei, penso che alla fine, nonostante tutto, sono stata io a vincere e l'ho riavuto nella mia vita.



 
***



Ringrazio, come sempre Manu75 e Morgana_Altea che hanno letto e commentato il precedente capitolo, permettendomi di conoscere il loro pensiero e le loro emozioni.
Spero che anche altri di voi apprezzino allo stesso modo la mia storia e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, soprattutto di questo capitolo, che ho trovato difficile e complesso.

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Capitolo 22
*** Verde disprezzo. ***


Verde disprezzo.
 

Sono tornato ad Hogwarts con l'amaro in bocca quella mattina. Lasciare il tuo corpo caldo alle prime luci dell'alba è stata per me una sofferenza maggiore di quanto avrei mai potuto pensare. È stato rassicurante stare al tuo fianco, ho dormito come non avevo mai fatto prima, non negli ultimi anni almeno. Mi hai reso sereno, almeno per qualche ora. Sentire il tuo respiro caldo sfiorarmi l'orecchio era per me una certezza. La sicurezza di saperti viva, nonostante l'apparenza, mi ha tenuto in vita.

Il tuo corpo straziato da ferite che non sono stato capace di riconoscere mi ha sconvolto. Non riuscire a comprendere cosa o chi ti ha ridotto in quello stato mi ha lasciato bramoso di conoscenza. Odio non sapere, è sempre stato così.

Tu lo sai: i libri sono sempre stati i miei unici amici, prima di lei, prima di Lily. Sono stati il mio unico conforto anche dopo di lei, dopo che l'ho persa, dopo la sua morte. Ho passato, pertanto, diverse ore in biblioteca, vagando fra gli scaffali senza motivo, senza saper bene cosa cercare, cosa aspettarmi. Senza la certezza di dove cercare.

Ero nel mio studio ed era sera, quando Albus Silente ha bussato alla mia porta. Non viene mai nel mio ufficio. Solitamente se serve vado io da lui. Quando ho visto la sua figura tranquilla dinanzi a me, nell'antro della porta, il mio cuore ha mancato un battito. L'unica altra volta in cui ricordo che sia mai venuto da me è stato quando mi ha annunciato la morte di Lily e James Potter. Quell'unica volta la associo al giorno più orrendo della mia intera esistenza.

È entrato, cauto come se stesse violando la mia intimità e gli son stato grato per le sue premure. Si è seduto con la sua innata serenità davanti al mio camino spento, illuminandolo di scoppiettanti fiammelle gialle. Un piccolo moto di irritazione mi ha colpito, quando il mio ufficio si è riscaldato, sotto il gentile tocco del fuoco. Non è mia abitudine concedermi questo piccolo lusso. Sono troppo abituato a rimanere rintanato nelle tenebre, per far entrare il sole nella mia vita. Sono un'ombra della notte, che rischia di essere disfatta dalla luce.

"Dovresti accendere il camino ogni giorno, Severus. Ti farebbe bene sentire il calore del fuoco, ed inoltre rende più ospitale l'ambiente, non trovi?".

"Non mi sembra", la mia voce è piatta, ma penso che lui abbia compreso gli sforzi che sto facendo per non rispondergli male e spegnere di nuovo quella piccola fonte di vita che non bramo minimamente.

"Mi offriresti un bel té, caro mio?", la capacità dell'uomo di sembrare sereno, se non addirittura felice, in qualsiasi situazione, mi irrita notevolmente, ma ormai ho imparato a non curarmene più.

Con gesti misurati faccio comparire due tazze fumanti, il colore della bevanda tradisce la differenza fra le due miscele. Il mio è un earl gray, l'unico té che, almeno a mio parere, vale la pena di sorseggiare. Il suo non saprei neanche come definirlo, una miscela dolciastra di frutta secca, té nero e erbe. Non riesco ad immaginare qualcosa di più disgustoso, ma a lui piace e ormai, dopo tutti questi anni, non ho neanche la necessità di chiedergli cosa desideri, lo so già. Nonostante la sua imperscrutabilità ed i suoi misteri, è l'uomo che conosco meglio.

Mi siedo dinanzi a Albus ed afferro la mia tazza, come fosse la mia unica ancora di salvezza. Non so cosa aspettarmi, non so perché è qui e lui non sembra intenzionato a parlare. Ci studiamo a lungo, come due falene nella notte che si osservano dai loro nascondigli, convinte che nessuna delle due potrà attaccare l'altra per prima.

"Non sono qui per darti brutte notizie", un flebile sollievo si espande nel mio corpo, da qualche parte, qua sul petto, in un luogo che neanche ricordavo esistesse, "Cassandra si è svegliata qualche mattina fa. Mi è giunta notizia oggi dall'ospedale. Hanno fatto i necessari accertamenti e sembra che, nel complesso, stia bene", il mio cuore perde un battito o forse due.

Mi guarda, come se fosse in attesa di una mia qualche reazione. Io non so cosa si aspetti da me, ma di sicuro erra nei suoi desideri. Il calore che sento laggiù, vicino allo stomaco, è il massimo della gioia che posso esprimere.

Già, il massimo che posso mostrare, non che voglio. Perché la verità è che ormai non sono più capace di essere felice. Non lo so fare. Non so sorridere in un modo che non dimostri disprezzo. Non so dimostrare alcun sentimento, non sono capace. Non ci riesco. È oltre le mie possibilità. Sono ghiaccio, pietra dura.

Non chiedo altro. Se lo facessi, dimostrerei un interesse che non posso mostrare.

"Mi chiedevo se potessi farmi un favore", il mio sopracciglio si alza quasi in automatico, mentre mi chiedo se non lo sto già facendo, "vorrei che portassi Antares da sua madre questo pomeriggio".

"Portare Antares da sua madre?", lo guardo, come se mi avesse chiesto di ucciderlo. A dir la verità, probabilmente, avrei trovato meno strana questa di richiesta, "sei impazzito, Albus?", la mia voce trasuda sconcerto. Dev'essere davvero ammattito, o forse sono io che sono uscito di senno e tutta questa conversazione non sta avvennendo, se non nella mia mente bacata.

"Non sono affatto impazzito. Tu e Cassandra...".

Mi alzo, colpito in pieno dalle sue parole, "io e Cassandra cosa?", la mia voce trema mentre gli pongo la domanda che, dentro di me attende attenzioni da parte mia da tanto tempo, un quesito a cui io non voglio rispondere ed a cui non voglio che altri lo facciano.

"Severus, calmati. Mi pareva solo che il vostro rapporto fosse sufficientemente... amichevole", sottolinea questa parola come se neanche lui la credesse adatta a descrivere questa linea sottile, questo filo di seta che mi lega a quella donna, "da permetterti di avere un comportamento altrettando gentile con suo figlio".

"Vorresti davvero che accompagnassi il bambino da sua madre?".

"Sì, vorrei davvero che lo facessi".

"E non pensi che la cosa potrebbe, non so... sembrare strana? Se qualcuno ci vedesse?".

"Sei un suo insegnante", la risposta a lui sembra così ovvia che mi fa quasi dubitare della correttezza delle mie osservazioni e dei miei timori, "e sei amico di sua cugina e della famiglia di lei. Mi sembra che non ci sia nulla di strano nella tua... accortezza nei suoi confronti", rimarca queste ultime parole come se si aspettasse davvero che, in questo modo, mi si incollassero addosso rendendomi diverso.

Non posso proprio evitare di sospirare, sconfortato. Quest'uomo non cambierà mai e non serve a nulla che io mi irriti per le sue stramberie.

 

"Severus... dovresti sorridere di più. È Natale", il sorriso dell'uomo era giocoso, come quello di un bambino a cui è appena stato consegnato il regalo tanto agognato,"non ti mettono allegria le decorazioni?".

"Dovrei gioire di alberi addobbati, caramelle e dolciumi di diverso genere?", la voce dell'uomo al suo fianco era amara come fiele, tagliente come una lama appena affilata, rovente come lava eruttante.

"Dovresti gioire dei sorrisi degli studenti, delle vacanze imminenti. Dovresti gioire sentendo le carole per i corridoio della scuola, quardando la neve cadere lenta oltre le finestre. Dovresti gioire del calore del fuoco nei caminetti accessi, della cioccolata bollente sui tavoli delle case".

"La gioia non fa per me, Albus! Continua pure a divertirti tu al mio posto", senza aggiungere altro era andato via, lasciano l'altro da solo a chiedersi se un giorno qualcosa o qualcuno sarebbe riuscito a farlo ridere di nuovo.

 

Sono passati anni da quel giorno, eppure è ancora impresso nella mente ogni dettaglio di quella conversazione. Lo sguardo di Albus che sembra deridermi oggi come dieci anni fa. La sua capacità di farmi sentire inadeguato ed infantile, come un bambino che mette il broncio, è sempre presente e sempre più forte.

"Bene. Allora è deciso. Partite alle cinque", si alza chiudendo un discorso che mi sembrava ancora lontano da una fine ed esce dal mio ufficio così in fretta da non darmi il tempo di replicare.

La verità è che abbiamo giocato una partita a scacchi con le mosse già scritte, da lui. Mentre io manovravo le mie pedine lui sorrideva consapevole che ogni quadrato da me conquistato non era altro che un punto per il suo re.

Potrei riconrrerlo, presentarmi nel suo ufficio, dirgli che non intendo portare quel bambino a Londra. Potrei. È un mio diritto. Ma cosa riuscirei mai ottenere? Una conversazione estenuante e sconveniente. Un discorso che non voglio affrontare.

Non posso far altro che rassegnarmi a prendermi carico di quel moccioso insolente e sperare che non mi pentirò di averlo fatto.

 

È con la consapevolezza che non sarà un viaggio piacevole e che le prossime ore saranno, forse, le più difficili della mia vita che mi appresto ad attendere Antares davanti al portone d'ingresso della scuola. Mancano pochi minuti all'ora stabilita ed io mi sento come uno studente al primo esame ed è una sensazione che proprio non mi piace.

Un rumore mi scuote dal mio torpore e lo vedo. Cammina in silenzio e con gli occhi bassi verso di me. In questo momento sembra il bambino che è. Dimentico che ha solo dodici anni. Dimentico che è solo un ragazzo a cui hanno strappato l'infanzia di mano. Un ragazzo che è stato portato via da casa propria, a cui sono stati tolti gli amici. Un bambino che non ha idea di cosa gli riservi il mondo, che non sa quanto sarà duro il suo futuro. Un bambino che non conosce veramente il destino infausto che la sua famiglia gli ha riservato, fra responsabilità, decisioni difficile e, soprattutto, bivi che potrebbero cambiare la vita di un'intera discendenza magica. È l'ultimo, il più giovane di discendenze di una della famiglia di maghi più potenti d'Inghilterra. Non ne porta il cognome, ma è un Black e, come ogni altro membro di questa famiglia, dovrà affrontare il mondo e le aspettative ed i pregiudizi di questo.

Mi guarda cauto, prima di salutarmi. Continua ad osservarmi, come se non sapesse che tipo di reazione aspettarsi da me.

"E' stato avvisato della nostra destinazione?".

"Sì, professore".

"Le hanno detto che sua madre si è svegliata?".

"Sì, professore", le sue risposte sono telegrafiche. Mi sta studiando e probabilmente ricorda ancora il nostro ultimo incontro e l'esito poco piacevole dello stesso.

"Andiamo. Le regole sono semplici, signor Selwyn: poche parole e passo svelto. Non ho tempo da perdere", forse sono più duro del necessario, ma davvero non vorrei essere qui, con lui, ora.

Mi avvio verso i cancelli di Hogwarts, verso l'esterno della scuola, unico posto in cui potremo smaterializzarci. E durante il tragitto spero solo che per lui non sia la prima volta, perché proprio non ho voglia di dovermi anche prendere cura di un ragazzino alla sua prima smaterializzazione.

Mi segue, senza dire una sola parola. Lo sento dietro di me, silenzioso come un'ombra, ma presente come un macigno posto sul mio stomaco: è la personificazione del senso di colpa.

Per cosa poi, non lo so. Forse perchè ho una relazione con sua madre. È questo che abbiamo, no? Una relazione. Che parola strana. Difficile da comprendere per chi come me è sempre rimasto in disparte, lontano da tutto e da tutti. O forse perché so che avrebbe necessità di qualcuno che lo conforti, ma io sono certo solo di una cosa: non sono io la persona che può confortarlo.

"Si appoggi al mio braccio. Ci smaterializzeremo dentro il San Mungo, così eviteremo problemi e il rischio di essere visti".

Non dice nulla, non pone domande. Sento la sua mano sul mio braccio, come un presenza estranea, difficile, incomprensibile. È come una malattina, un virus a cui non sono abituato, a cui non sono capace di resistere, ma da cui vorrei guarire.

Il famigliare strappo nei pressi dell'ombelico mi colpisce proprio mentre penso che il corpo accanto al mio è la prova del suo tradimento, della sua crudeltà. Lei mi ha illuso e poi abbandonato. Con lei ho ceduto a sentimenti che neanche pensato potessero nascere nel mio cuore e nella mia mente, e poi la sua pugnalata dritta al petto, precisa, sicura, determinata. Ancora sento il senso di vuoto di quella mattina. La rabbia provata alla vista di quella foto.

Sono passati anni eppure, ancora oggi, la odio per quell'illusione, per avermi fatto assaporare qualcosa di molto simile alla felicità, all'appagamento, per poi togliermi ogni cosa. Una parte di me non l'ha mai perdonata e, forse, non lo farà mai.

In pochi secondi l'ambiente accanto a noi cambia. Il prato intorno ad Hogwarts lascia il posto agli asettici muri di quest'ospedale. Volto il viso verso Antares. Sembra scosso e il suo colorito non è dei migliori, ma pare che sia tranquillo e, soprattutto, non stia per rimettere sulle mie scarpe. Per fortuna. Per lui ovviamente.

"Professore", stavo già camminando lungo il corridoio, quando la sua voce mi ferma. Per la prima volta da quando lo conosco sembra implorare. Mi volto a guardarlo e vedo preoccupazione nei suoi occhi. Il timore lo tradisce e le sue mani tremano impercettibilmente, ma sono troppo esperto nel notare i segni di debolezza di un uomo, per non vedere.

Non parla, mi guarda. Sospiro rassegnato, tornando sui miei passi, "sì, signor Selwyn?".

"Mia madre... lei...", non mi guarda più negli occhi, osserva le sue mani traditrici, "lei... in che condizioni è?".

Avrei dovuto aspettarmi questa domanda, ma sono comunque impreparato. L'ultima volte che l'ho vista sembrava morta... forse questa non è la risposta giusta. "Lei è sveglia. È stata ferita, ma ora sta meglio. Ed è sveglia. È l'unica cosa che conta", alza gli occhi sul mio viso e vedo il sollievo nelle sue iridi verdi. Un verde così diverso da quello che tormenta i miei sogni. Sembra quasi ringraziarmi ed io non sopporto il suo sguardo grato. Devo voltarmi e ricominciare a camminare. Non posso sopportare il suo viso. Fa male. Non so perché, ma fa male.

Lei mi guardava con la stessa gratitudine, quando la difendevo da sua sorella. Lei. Lei che oggi mi guarderebbe con odio e disprezzo. Lei che una volta mi ha guardato con odio e disprezzo. Non posso pensare a Lily. Non ora.

I miei passi rimbombano nel corridoio vuoto ed io ho la sensazione di camminare verso un destino che non conosco. Inconsapevole. Incapace di conoscere una risposta all'unica domanda che mi pongo ogni giorno: domani sarò ancora qui? Domani cosa accadrà.



 

***




Mi scuso tantissimo per il ritardo nella pubblicazione del capitolo, purtroppo è stato un periodo molto pieno. Cercherò di essere più puntuale.
Ringrazio molto chi mi sengue con costanza e chi mi fa sapere sempre il suo parere, soprattutto Manu75.
Aggiornerò presto, lo prometto!

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Capitolo 23
*** Una vita nuova.. ***


 

Sono passati giorni da quando ho accompagnato Antares da sua madre ed ancora fatico a dimenticare gli occhi di Cassandra che mi osservano quasi con gratitudine. Abbiamo passato due ore intere con lei in quella gelida stanza d'ospedale ed in tutto quel tempo avrò detto si e no tre frasi, però ho avuto modo di osservare madre e figlio insieme.

Non abbiamo avuto modo di parlare, con suo figlio presente, ma le cose che non abbiamo detto in qualche modo aleggiano fra noi, come se, infondo ognuno di noi conoscesse già i pensieri dell'altro. È sempre stato così. Per questo la nostra relazione è facile, perché non è mai servito parlare. Non troppo. Non è servito discutere o decidere, sembra che quel che vogliamo coincida perfettamente.

Non sono più riuscito ad andare a trovarla, ma non possono negare, neanche a me stesso, che ogni muscolo del mio corpo anela la sua presenza, il suo profumo, le sue parole.

Chino sulla mia scrivania non mi volto neanche al suono della porta che si apre. Come sempre Albus non ha rispetto per la mia intimità. Ho sempre disprezzato questa sua pessima abitudine. Entra nella vita altrui senza chiedere il permesso e pretende di continuare a farne parte a modo suo.

“Non sono Silente...”, alzo di scatto la testa verso il suono dolce e profondo della sua voce. È bella. Lo è sempre. Non è cambiata molto e me ne sorprendo. Dopo tutte quelle settimane in ospedale, il suo corpo non è divenuto meno florido.

Alzo il viso per incontrare i suoi occhi e mi senso perso in quel mare in tempesta. L'ultima volta che li ho visti lei stava uscendo dalle mie stanze in lacrime. Non abbiamo avuto modo di parlare di quanto accaduto, eppure sembra quasi che non vi sia nulla da discutere. Lei mi guarda come se non fosse mai successo nulla.

In qualche modo ciò mi fa soffrire. L'ho schiaffeggiata. Sono stato imperdonabile. Non può semplicemente fingere che non sia accaduto.

“Non guardarmi come se fossi un fantasma...”.

So che non dovrei, ma una rabbia ancestrale mi assale, “come ti sei ferita?”. Non ho diritto di chiedere, non ho diritto di pretendere una risposta, eppure non posso fare a meno di imporre la mia domanda.

Mi guarda e per un secondo vorrei leggere la sua mente, “non posso risponderti. Non posso darti i dettagli, ma non è successo nulla di grave, semplicemente un incidente con una creatura magica. Ero trasformata quando mi ha colpito ed ha procurato più danni di quelli che avrebbe avuto un suo attacco su un essere umano”. Sa che non mi basta, ma non dirà nulla di più. Ho sentito Silente parlare di quello strano volatile che, a suo dire, l'avrebbe attaccata. Ed ho fatto delle ricerche al riguardo. Ciò che non capisco e dove sia accaduto. Non è una creatura che si trova comunemente.

“Devo parlarti, Severus...”, i suoi occhi si abbassano al suolo e non so come mai ma mi sembra di leggervi paura. Forse ancora teme la mia reazione? Non la picchierei mai. So che è accaduto, ma non lo rifarei mai. Mi sono pentito molto di quell'unica volta.

“Non ti farei mai del male. Mi dispiace moltissimo per quanto accaduto...”, mi blocca, poggiando una mano sul mio petto. Non mi ero accorto si fosse avvicinata così tanto.

“Quello che sto per dirti ti farà perdere il controllo, lo so bene. Perciò ti chiedo di restare calmo e di non urlare. Ho insonorizzato e sigillato la porta. Puoi distruggere questa stanza se ti farà sentire meglio”, mi sta lasciando. Questo pensiero si forma sibillino nella mi mente e non posso darle torto. So di non essere l'uomo giusto per lei. L'ho sempre saputo, perciò che senso avrebbe fingere che non sia così? Aspetto consapevole che le sue prossime parole metteranno la parola fine alla nostra relazione. Doveva andare così. Fa già male, ma riuscirò a rinchiudere questo dolore in una parte della mia mente, dove nessuno potrà estirparlo. “Sono incinta, Severus...”, il suo è poco più che un sussurro e per diversi secondi il mio cervello sembra andare semplicemente in blackout.

Mi ci vogliono diversi respiri profondi per ritornare ad esistere. Incinta... incinta... una parola così strana se ci si riflette.

“E' mio?”, non potevo dire nulla di più stupido e mentalmente mi sto schiaffeggiando da solo.

Mi guarda, non dice nulla e d'altronde non ho certo bisogno che lo faccia. So bene che è mio figlio. Persino pensarla questa parola mi sembra assurdo. Non so cosa dire, non so cosa fare. Sembra sorpresa della mia reazione, come se si fosse aspettata qualcosa di diverso.

Non sono un padre. Non lo sono stato per Draco, seppur indirettamente, come potrei esserlo per una creatura indifesa e minuscola, che sta per giungere in un mondo pieno di nefandezze e di dolore. Cosa potrei mai dare a questo bambino, nel pieno di una guerra che mi vede già schierato dalla parte sbagliata.

Mi siedo, perché, infondo, è l'unica cosa che riesco a fare. Passano ore, credo, ed io rimango seduto su questa logora poltrona intento ad osservare le fiamme scoppiettanti del camino.

“Ha subito dei danni dal tuo incidente?”, sembrano passati anni senza che nessuno di noi abbia pronunciato una sola parola. La mia voce suona roca e strana persino alle mie orecchie, come se non la usassi da secoli.

“I medici dicono che la bambina sta bene”. La bambina... guardo Cassandra negli occhi, vedo in lei l'incertezza ed il dubbio in merito alle mie azioni. Sta aspettando che io scoppi, ma non sento di volerlo fare.

“Non sono un padre. Non sarò mai un buon padre”, vedo in lei la comprensione per le mie parole. Sentimento che non pensavo di poter leggere nelle sue iridi. Cosa dovrei fare ora? “Cosa vuoi che faccia...?”, sembro patetico persino a me stesso, come se non fossi neanche la stessa persona.

“Non ti sto chiedendo nulla, Severus. Ho solo pensato che fosse giusto dirtelo”. Nei suoi occhi non c'è rabbia, né dolore. Solo una gelida rassegnazione.

Non è quello che voglio. Non voglio lasciarla andare via. Non voglio scappare. Non sono un padre, non ho mai avuto un buon esempio da imitare, ma non sono un vigliacco.

Osservo a lungo le sue forme, consapevole che vi è una lieve rotondità sul suo ventre. Così minima che potrebbe tranquillamente passare inosservata agli occhi di chi non conosce la verità, ma io ormai so cosa si cela sotto la sua veste. Ed è una parte di me che vive in lei.

Contro ogni più assurda aspettativa il mio cuore si scalda al pensiero che, seppur dovessi morire domani, una parte di me vivrebbe ancora, in lei, e fra qualche mese su questa arida terra assassina.

“Sei certa che sia una bambina?”.

Mi sorride, come solo una donna che cela un segreto così dolce può fare, “me lo hanno confermato poco prima di dimettermi. È una femmina, sta bene e cresce sana e forte, nonostante tutto”.

Sospira e distoglie gli occhi dai miei. Vedo ancora la paura nei suoi e tremo al pensiero che sia dovuto al mio gesto sconsiderato di qualche settimana prima.

“Non smetterai di portare avanti la missione che Silente ti ha affidato, vero?”, la mia domanda è inutile. Conosco la risposta e non ha senso fingere che non sia così, ma voglio sentirlo dire a lei.

“Non posso. Soprattutto ora. Voglio che le forze di Silente vincano questa guerra, anche per il bene di nostra figlia”, quando pronuncia le ultime parole il mio cuore smette di battere. Nostra figlia... che suono dolce che ha questo veleno sulle sue labbra.

È strano, se ci si riflette. Dire mio figlio, come arrogandosi il diritto di possedere un altro essere umano.

 

Non è bellissimo, Severus? Mio figlio...”, ricordo ancora quando Narcissa mi mostrava i progressi del piccolo Draco, con tutto l'orgoglio che solo una madre può avere. La gioia per i suoi primi passi, le prime parole.

 

Farò tutto ciò che posso per proteggere mio figlio. Non ho paura di morire per lui. Non m'importa. Voglio solo che egli viva in un mondo migliore e che sia felice”, quelle parole le aveva pronunciate solo poche settimane prima, durante una loro conversazione privata e lui le aveva sentite così vere. D'altronde solo una madre potrebbe tradire l'uomo che ama e gli ideali con cui è stata cresciuta, solo per assicurare un futuro migliore a suo figlio.


 

Rifletto a lungo sulle parole di Narcissa e sul loro significato. Una madre farebbe qualsiasi cosa per suo figlio. Ed un padre? È davvero minore l'amore che ha un padre per la sua prole?

Non penso che sia così. Non dovrebbe essere così. Mi sento sopraffatto da tutti questi pensieri e dalla consapevolezza che, anche se non lo voglio, anche se non avrei mai fatto nulla per averlo, avrò un figlio. Una figlia.

Respiro e solo così mi rendo conto di aver trattenuto a lungo l'aria nei polmoni. Decido, senza bisogno di esprimere a parole la mia scelta, che non commetterò con lei gli stessi errori che mio padre ha fatto con me. Forse questa è la possibilità che mi è stata donata di essere migliore. Di provare a redimermi.

“Sposami...”, sembra un ordine, non certo una richiesta, eppure è uscito dalla mia bocca senza che io abbia avuto il tempo di capire il significato della mia parola. La guardo negli occhi e vedo la stessa mia sorpresa in lei.

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Capitolo 24
*** Per il bene superiore - Pov Narcissa ***


Per il bene superiore... - Pov Narcissa

 

“Zia! Zia! Dove sei?”, corri per il giardino di Malfoy Manor. Lo fai spesso. Sei un arcobaleno di vita dopo una tempesta terribile e devastatrice. Compi undici anni fra una settimana e sai già che, se non oggi, sicuramente fra pochi giorni riceverai la tua lettera per Hogwarts. Sei una strega, non che avessi dubbi al riguardo.

“Elisabeth... non correre o ti farai male! E poi una signorina di buona famiglia non corre”, sento Draco rimproverarti gentilmente. Lui ti adora. Sei la sua famiglia. Lo sei sempre stata, sin da quanto ha scoperto che saresti venuta al mondo.

 

Era la vigilia di Natale del 1995, la guerra imperversava fuori dalle mura di questa magione, ma noi avevamo fatto il possibile per fingere che tutto fosse normale.

Cassandra era raggiante in un abito largo sui fianchi, piuttosto strano per lei, che solitamente amava vestire abiti succinti e provocanti.

Severus, che solitamente declinava i nostri inviti, stranamente ci aveva raggiunti al termine della cena, per assistere alla fittizia gioia dei ragazzi durante l'apertura dei regali. Fittizia perché la guerra fuori era ormai palpabile, seppur noi eravamo chiusi nella nostra prigione dorata.

Il nervosismo era nell'aria, eppure non ne capivo il motivo. Era un giorno di festa, ma continuavo a sorprendere Cassandra lanciare strane occhiate a Severus e lui quasi arrossire in risposta.

Lucius, Narcissa, Antares... devo parlare con voi di una cosa importante”, era stato Severus ad iniziare il discorso, forse conscio che come capo famiglia quel racconto spettava a lui. “Una settimana fa io e Cassandra ci siamo sposati”, aveva lanciato la sua bomba a mano, senza remore, senza tergiversare, consapevole che qualsiasi giro di parole sarebbe stato solo inutile e deleterio.

Il silenzio era piombato nella stanza ed in qualche modo aveva reso l'ambiente più piccolo, quasi impregnando l'aria con la portata di tale affermazione. Lucius era rimasto impietrito, non sapendo come reagire e forse sentendosi ferito dal fatto che non lo avevano avvisato prima e non gli avevano chiesto di partecipare alla cerimonia.

Io, dopo la sorpresa iniziale, mi ritrovai a sorridere, nonostante dentro di me qualcosa si fosse spezzato, perché anche se tra me e Severus non vi era mai stato nulla, in qualche modo saperlo libero mi faceva sentire più vicina a lui. D'altronde però non posso che essere felice per lui. Era arrivato il momento di abbandonare il passato e di iniziare a volgersi al futuro, e, soprattutto di abbandonare il ricordo di una donna che non aveva fatto altro che portargli dolore.

Scoprii in quel momento che mio figlio era stato il testimone di Severus alle nozze e Sirius quello di Cassandra. Non so cosa mi colpì di più, se la capacità di Draco di nascondere un tale segreto a sua madre o la decisione di mio cugino di accettare quell'unione che aveva tanto disprezzato.

Dobbiamo dirvi un'altra cosa...”, questa volta era stata Cassandra a parlare ed i suoi occhi erano incatenati a quelli del figlio. Non posso dimenticare lo sguardo di una madre timorosa. “Noi... aspettiamo un figlio... una figlia in realtà. Nascerà in primavera”.

 

Ricordo come se fosse ieri il momento in cui tua madre ci disse che saresti arrivata e non dimenticherò neanche la tua nascita, in un letto del San Mungo, in un giorno che di primaverile non aveva nulla. Fuori infuriava una tempesta, la stessa che riempiva gli occhi di Severus.

 

Credo di aver commesso un errore, Cissy”, i suoi occhi tremavano e potevo leggervi tutta la paura per il futuro che il resto del suo corpo nascondeva, “promettimi che ti prenderai cura di lei, se dovesse succedermi qualcosa”.

 

Lo promisi, ma sperai per tutta la guerra di non dover mai mantenere quel patto.

Invece, oggi sei qua, nel tuo vestito color lavanda che sta divinamente con i tuoi capelli corvini, come quelli di tuo padre. Eccitata come solo una bambina può essere, all'idea di accompagnare la futura moglie del tuo padrino, come damigella, all'altare.

Perché, sì, oggi mio figlio si sposa. La guerra è finita da qualche anno. All'inizio è stata dura, ma alla fine siamo riusciti a ricominciare e ad andare avanti.

Draco indossa un abito verde petrolio e quando gli ho chiesto come mai avesse scelto un colore così poco tradizionale, la sua risposta mi ha lasciata esterrefatta, “Lui indossava un abito di questo colore il giorno del suo matrimonio”.

Chissà se lo sapevi, Severus, quanto lui ti voleva bene e quanto male gli ha fatto perderti. Forse più di quanto lo abbia ferito l'incarcerazione e la morte ad Azkaban di suo padre. Voleva bene a Lucius, ma con te si sentiva al sicuro.

Elisabeth lo ha salvato. La necessità di risollevarsi per prendersi cura di lei. Solo questo gli ha permesso di trovare una donna da amare e decidere di sposarla per avere una famiglia con lei.

Molte sono le persone che mancheranno al giorno più importante della sua vita. Fra questi vi è anche Antares, suo cugino. Lui è partito per l'America due anni dopo la guerra e lo abbiamo rivisto solo un paio di volte durante qualche festività. Avrei voluto prendermi cura di lui, ma non me lo ha permesso.

Lo hai ferito, Cassandra. Lo hai ferito profondamente quando hai deciso di compiere quel gesto assurdo, che solo da poco sono riuscita a comprendere, e che ti ha portata inesorabilmente via da noi.

 

Erano trascorsi tre mesi dalla fine della guerra, il mondo magico si stava lentamente risollevando, ma tu non accennavi a riprenderti. Ormai conoscevo a memoria le tue giornate, fra la cura di Elisabeth, sempre più dolce, sempre più bella, sempre più simile al padre in alcuni atteggiamenti che, ad occhio estraneo, potevano non essere compresi, e le ore trascorse a Godric's Hallow.

Ti era costato molto portarlo là, eppure sapevamo tutti che era la scelta più giusta. La sua tomba, a pochi passi da quella della sua amata Lily, risplendeva algida e funerea, com'era stato lui in vita. Marmo del più nero esistente, su cui spiccavano, incise, poche parole:

 

Severus Piton, amico, marito, padre leale”.

 

Niente di più. Non vi erano altre parole capaci di descriverlo.

Quella mattina non ti recasti presso la sua tomba ed io credetti che era un segno della tua guarigione, credevo significasse che stavi tornando a vivere, che ti stavi risollevando.

Il dolore della sua perdita ci aveva colpiti tutti, in pieno, come un fulmine a ciel sereno. Era stato brutale, crudele ed inesorabile. Ed era arrivato proprio nel momento in cui ormai, eravamo convinti di poter ritornare ad una vita, se non felice, quantomeno accettabilmente serena.

Immagina il mio sgomento quando scoprii che ti eri recata al ministero, presso l'ufficio auror, per confessare l'omicidio di Gellert Grindelwald.

Cercai in tutti i modi di salvarti, ma non potevo far nulla. Non potevo intervenire in nessun modo, perché il tuo crimine non era stato commesso in Inghilterra e ti trasferirono solo pochi giorni dopo presso la prigione di Nurmengaard.

Ti condannarono ad una pena a vita. Un colpo duro per la nostra famiglia già segnata da troppe perdite. Non riuscii a parlare con te se non dopo quattro anni, quando ormai eri in punto di morte e mi diedero la possibilità di farti visita, per l'ultima volta.

Con me solo Draco, ad udire le tue ultime parole, a comprendere il significato della tua decisione e delle tue azioni. Scoprimmo così che grazie all'aiuto ed alle conoscenze in materia di magia oscura di Grindelwald riuscisti ad aiutare Harry Potter a trovare e distruggere gli Horcrucx.

Nell'ombra, ovviamente, come una spia, come l'uomo che hai sempre amato. Scoprimmo il prezzo del suo aiuto quel giorno, e tu moristi due settimane dopo, da sola, in una cella dell'unica prigione, ancora oggi definita inespugnabile.

Moristi come la peggiore dei criminali.

 

Ancora oggi sono convinta che moristi felice, perché solo così avresti potuto raggiungere Severus e, soprattutto, assicurarti che Lily tenga le sue manine candide lontane da lui.

Mi piace immaginarvi insieme, abbracciati, ad osservarci da qualche luogo lontano, partecipi della gioia di Draco, che oggi sposa la sua dolce Asteria.

“Elisabeth, smettila di comportarti come una selvaggia, rovinerai l'acconciatura”, mi sorridi mentre ti volti verso di me e mi corri incontro, “e smettila di correre. Non si addice ad una damigella. Ora mettiti in posizione, la sposa sarà qui a momenti”, mi volto verso un altro raggio di luce, eccentrico e meraviglioso, coi suoi capelli color del mare, “Teddy, vieni anche tu. Il tuo posto è al fianco di Elisabeth”. Lascio i bambini all'inizio della passerella e mi dirigo al mio posto di fianco a mio figlio, in attesa che la musica cominci e che la sposa arrivi, leggiadra, di fianco al suo futuro marito.

Sorrido mentre li osservo, così dolci e gioiosi. Quel poco che resta della mia famiglia. I bambini della guerra. È così che li chiamo dentro di me.

Sono nati nel mezzo di un conflitto sanguinoso di cui, fortunatamente, non hanno ricordo. Hanno perso i loro genitori per il bene superiore, ma hanno avuto la fortuna di vivere in un mondo migliore, che li rispetta per quello che sono: creature innocienti.

Ed io, Narcissa Black in Malfoy, ho avuto la fortuna, e di questo vi ringrazio, di avere loro a rallegrare le mie giornate ed a rendermi felice.

Elisabeth, con i suoi lunghi capelli corvini, che mi ricordano tanto suo padre, e quegli occhioni blu da cerbiatta, come la madre. E Teddy, il nipote di mia sorella, la mia ancora, il bambino i cui genitori si sono uniti contro il parere di molti, ma sicuri del loro amore.


 

***

 

Lo so, sono imperdonabile. Sono sparita per quasi due anni con questa storia, ma oggi ho deciso di chiuderla. Ho riflettuto molto su quest'ultimo capito e su come dovevano andare le cose. Avrei potuto scrivere un destino diverso per Severus e Cassandra, ma avrei sconvolto troppo il personaggio di Piton e non volevo farlo.
Credo che, infondo, non gli sia andata poi così male. E' stato felice, seppur per pochi anni.
Spero che qualcuno dei vecchi lettori voglia terminare la storia e farmi sapere cosa ne pensa. Spero di non aver deluso nessuno. 
E' quasi doloroso mettere la parola FINE. Cassandra era (è) un pò una parte di me.
 

 

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