Memories

di _Fallen_Angel_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Surprises from the Cage ***
Capitolo 2: *** Another brick in the wall ***
Capitolo 3: *** A loss ***
Capitolo 4: *** Near the end ***
Capitolo 5: *** Mistery solved ***
Capitolo 6: *** Possession ***
Capitolo 7: *** Last step to freedom ***
Capitolo 8: *** Books, archangels and other things... ***
Capitolo 9: *** I walk on a lonely road, the only one that i have ever known... ***
Capitolo 10: *** Something new... something old ***
Capitolo 11: *** My heart will go on ***
Capitolo 12: *** Help ***
Capitolo 13: *** Wish you were here ***
Capitolo 14: *** Falling stars ***
Capitolo 15: *** New divide ***
Capitolo 16: *** Finding a way ***
Capitolo 17: *** WonderLand ***
Capitolo 18: *** The line between hell and heaven ***
Capitolo 19: *** No surprises, please ***
Capitolo 20: *** The Wall ***



Capitolo 1
*** Surprises from the Cage ***


Sono sveglio? Sto sognando? Non mi sembra. C’è Dean, qui accanto a me. Eppure… Qualcosa non torna. Ah, già, la mia anima. Bobby si sposta nella stanza. Va in cucina a prepararsi il caffè, probabilmente. Una fitta al petto mi distoglie da quel pensiero. La mia anima… E’ vero, fino a poco tempo fa, un’anima non ce l’avevo. Ero solo l’involucro vuoto di un uomo che non c’era più. Eppure, forse, sarebbe stato meglio se fosse tutto rimasto com’era prima che Morte mi restituisse ciò che avevo lasciato per troppo tempo sola nella gabbia di Lucifero. E che Castiel facesse il resto, restituendogli la memoria. I ricordi di un anno di torture e di solitudine mi sono ripiombati addosso tutti insieme, senza lasciarmi via di fuga da quella realtà orribile. Mi ricordo tutto. Ogni cosa. Dalla risata del demonio ogni qual volta che mi infliggeva dolore psicologico, al rantolo godurioso che gli usciva dalla gola quando il dolore, invece, era fisico. Non avevo idea di quanti modi per torturare un’anima esistessero… Eppure, in mezzo a tutto quel marciume nero, c’era anche una luce. Qualcosa era stato con me in quella gabbia, per tutti quel trecento sessanta cinque giorni. Qualcosa di bello, che era riuscito a darmi la forza per non impazzire del tutto. Ogni tanto, in mezzo alle torture, riuscivo a scorgere un lampo di luce alle spalle del mio aggressore. Era solo un istante, ma ogni volta avrei giurato di sentire una voce familiare sussurrarmi all’orecchio: “Tieni duro Sammy.” E io la ascoltavo. Stringevo i denti, pensavo a cose belle, e tutto si faceva più sopportabile, per quanto la situazione lo permettesse. Bobby torna dalla cucina, tre tazze fumanti tra le dita. Mi rivolge uno sguardo veloce, mi fa un mezzo sorriso, porgendomene una.
-Bevi.- il suo tono e brusco, ma i suoi occhi sono gentili. E’ preoccupato. Per me. Di nuovo. Sorrido a mia volta, prendendo di buon grado la tazza tra le mani.
-Grazie Bobby.- lui brontola un prego, allontanandosi verso Dean, intento a studiare delle carte. Adesso davano la caccia ai Leviatani. Bel cambio di rotta. Dall’apocalisse ai peggiori mostri mai creati da Dio. Non potrò mai lamentarmi della mia vita monotona da uomo d’ufficio. Mi sarebbe piaciuto, una volta… Ma ora è tardi. Bevo un sorso della brodaglia bollente che mi ha preparato Bobby, scottandomi la lingua. E’ tè. Da quando Bobby fa il Tè? Ma non ho il tempo di preoccuparmi di quello perché di colpo, senza nessun preavviso, la testa mi esplode. Il dolore è accecante. Urlo, e quasi non me ne accorgo. Mi stringo le mani alle tempie, tentando di reprimere quel dolore insopportabile.
(Sfogliava pigramente le pagine della rivista, annusando di tanto in tanto le pagine patinate. Amava quel profumo. Pensava a come potersi sbarazzare dei due ficcanaso che si erano presentati quella mattina alla scuola, facendo ricerche dove non dovevano e intrufolandosi in posti che non era loro concesso di visitare. Tipo il suo territorio di “caccia”. L’alieno che ballava il liscio con un ometto spaventato a pagina 21 della rivista gli fece scappare una risata. Gli umani sanno essere assurdi, a volte… E di certo lui non aiutava a normalizzare quella razza bizzarra. Quanto amava quel caos divertente… Il pensiero gli tornò automaticamente a quei due strani ragazzi che aveva incontrato quella mattina. Un mezzo sorriso prese a solcargli il volto. Certo che quello alto era proprio carino…)
Era un ricordo. Non è la prima volta che mi succede una cosa del genere. Ci sono delle notti in cui sogno ricordi vissuti nella gabbia, frammenti di memoria ancora non tornati al loro posto. Ma questa volta è stato diverso. Questo ricordo non era mio. Non ho mai vissuto una cosa del genere!
-SAMMY!- la voce di Dean spazza via ogni mia traccia di riflessione su ciò che ho appena visto, costringendomi ad aprire gli occhi sul mondo reale.
-Cosa…- balbetto. Bobby, che mi sovrastava fino a cinque secondi fa, si lascia cadere a sedere alla mia destra, tirando un sospiro di sollievo. Dean non sempre per nulla rincuorato dal mio risveglio.
-Che cazzo è successo Sammy!?- chiede. Esige delle spiegazioni. Che io non ho.
-Non… non lo so Dean… Era un ricordo, uno di quelli che avevo perso per quella cosa del blocco della memoria…- Dean alza gli occhi al cielo, esasperato. Vorrei farlo anche io.
-La so quella roba, Sam! Mi hai detto che anche di notte ti succede di recuperare dei pezzi. Ma non ti sei mai messo ad urlare così!- aveva ragione. Questa volta era stato diverso. Abbasso lo sguardo, notando solo adesso il contenuto della mia tazza di tè sparso ovunque sul tappeto del salotto. Mi do un nocchino mentale. Adesso Bobby dovrà pulire quell’affare vecchio di cento anni, che probabilmente non vede del sapone dalla prima guerra mondiale. Sbuffo. Devo rispondere a Dean.
-Non era mio, questo frammento. Non era un mio ricordo. Non so di chi fosse, ne perché sia nella mia testa.- alzo gli occhi in quelli di Dean. –Lo giuro.- lui esita un momento, come se fosse indeciso sul credermi o meno. Ma poi cede, annuendo piano. Fa per alzarsi.
-Ok… Bene. Dobbiamo capire questa faccenda. Ora chiamo qualche sensitivo e…- ma lo fermo. Gli afferro un braccio, costringendolo a rimettersi seduto accanto a me.
-No. Non adesso. Lasciamo questa cosa così com’è, per ora. Ok? Ci sta che questa cosa non succeda più, ci sta che fosse un ricordo intrappolato nella gabbia con me, che per sbaglio è venuto via insieme alla mia anima. Vediamo come vanno le cose e, se peggioro, chiamiamo qualcuno.- sono risoluto. Non voglio che gente sconosciuta frughi un altro po’ nella mia psiche. Non dopo l’ultima bravata che ha fatto Castiel. Che riposi in pace… Sempre se questa frase si possa applicare anche agli angeli. Alla fine, povero diavolo, aveva sempre cercato di agire per il meglio. “Il meglio per Dean”. Il pensiero, acido e tagliente, mi attraversa la mente in un lampo, quasi non mi accorgo di averlo pensato. Bobby e Dean si scambiano uno sguardo dubbioso. Negli occhi di Dean c’è anche tanta paura. Semra quasi rabbia. Ma alla fine tacciono entrambi e, annuendo, si alzano, tornando a ciò che stavano facendo prima della mia crisi. Sospiro, andando ad arrotolare il tappeto. Sembra che avrò molto lavoro da fare, oggi. Sperando che tutto vada bene…

Nota dell'autrice: salve a tutti coloro che hanno avuto la pazienza e la curiosità di arrivare fin qui :) Spero che vi sia piaciuto questo primo capitoletto. Non è nemmeno quello meglio scritto, quindi, se questo pezzo non vi è piaciuto particolarmente, magari gradirete di più quelli che seguiranno. O almeno, così si spera ;) Chiedo scusa anche per eventuali comportamenti OOC dei personaggi. Ho cercato di rispettare quelli originali, ma è dura... Grazie dell'attenzione e del tempo dedicatomi!

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Capitolo 2
*** Another brick in the wall ***


Butto la pistola sul sedile posteriore dell’auto, lasciandomi cadere esausto sul sedile del passeggiero. Sbuffo, tirando fuori con l’aria anche tutta l’ansia che quella caccia ai fantasmi, letteralmente, mi ha procurato. Sono passati due giorni dalla mia crisi. Ancora niente, ne su quel versante, ne su Richard Roman, Dick per gli amici… e per tutto il resto del mondo. Dean mette in moto, lo sguardo concentrato, dritto davanti a se. E non è alla strada, che sta pensando. Mentre attraversiamo le immense praterie degli stati meridionali statunitensi, mio fratello pondera. So che è deluso. Pensavamo di essere vicini a scoprire una delle basi operative di Roman, e invece adesso ce ne torniamo a casa con un pugno di mosche e una gran delusione addosso.
-La prossima volta li faccio fuori tutti.- ringhia Dean all’improvviso. Io annuisco, deciso, ma non dico niente. Non è il caso di parlare con una tigre affamata che ha appena mancato la preda. Quella sera, a casa di Bobby, c’è una gran calma. Fin troppa. Bobby è andato ad aiutare Rufus a sotterrare il corpo di un vampiro. “Non torno prima delle due”, aveva detto.
-Vado a letto, Dean.-
-Va bene- mi risponde lui, ma nei suoi occhi vedo saettare per un attimo un lampo di paura e di sospetto. Pensa che mi senta ancora male, o che abbia qualche allucinazione. Io alzo gli occhi al cielo, sgattaiolando al piano di sopra. Mi stendo sul letto della stanza degli ospiti. Sbadiglio, spegnendo la luce e, quasi immediatamente, mi addormento. Dio, come sono stanco…
(Non aveva mai visto un sorriso tanto puro. Cioè, intendiamoci, di bei sorrisi ne aveva potuti osservare a bizzeffe, in quegli anni di reclusione in quella stramaledetta scuola superiore. Era il “custode carino” e le ragazze non gli risparmiavano mai un sorrisetto o un’occhiatina allusiva. Ma il sorriso di quel ragazzo… Era luce pura. Non avrebbe voluto rispondere a quel sorriso, ma non ebbe scelta. Era contagioso. E, quando il ragazzone davanti ai suoi occhi smise di sorridere, si sentì come se qualcuno avesse tirato le tende della sua anima, oscurandone una parte, impedendo al sole di raggiungerla. Era stato allora, forse, che si era ricordato di avere un cuore…)
Uno schiaffo si abbatte, potente, sul mio viso. Spalanco gli occhi, tentando di tirarmi su a sedere, roteando alla cieca le braccia per trovare un appiglio. Mi guardo ansiosamente intorno. Sono per terra. Batto una manata contro il ferro della montatura del letto. Sono caduto. Sono per terra e sono caduta dal letto nel sonno.
-Sam! Cristo Sammy!- Dean mi tiene le mani sulle spalle, la presa ferrea sulla mia maglietta. E’ arrabbiato. E spaventato. Probabilmente una cosa deriva dall’altra e viceversa. -Sam, che succede?!-
-Io… E’ stato un altro…- balbetto, deglutendo a vuoto. Mi passo una mano trai capelli, gli occhi spalancati, ancora troppo destabilizzato per provare ad alzarmi in piedi. –Era un altro frammento non mio. Questa persona che… mi ha impiantato i suoi ricordi nella testa, lui… o lei… Non ha passato solo delle immagini, o dei filmati, come un film. Ha passato anche le sue emozioni.- torno a fissare io fratello negli occhi, chiedendo tacitamente una spiegazione. Non ho parole. Ho sentito le emozioni della persona protagonista del ricordo che ho appena vissuto. Le sensazioni di lei verso di me. Mi stima. Gli piaccio. Prova una specie di timore adorante nei miei confronti. E’ qualcuno che mi conosce, o che io, comunque, ho incontrato. Lui o lei mi hanno visto sorridere. Deve essere stato prima della morte di Dean…
-Ok, ok, ok, adesso calmati Sammy.- Dean mi da una pacca sulla spalla, tirandomi su per un braccio, facendomi alzare dal pavimento freddo. Mi siedo sul letto, che cigola sotto al mio peso. Lui si mette accanto a me. -Che hai visto sta volta?- mi chiede. E io inizio a raccontare. E, mentre racconto, mi viene ancora una volta in mente la luce nella gabbia, quella che mi aveva permesso di sopravvivere mentalmente a quell’esperienza. All’inizio avevo pensato si trattasse di Dean. Pensavo che avesse trovato un modo, insieme a Cas, di riuscire a mandarmi dei messaggi, come minimo. Ma poi avevo cambiato idea. Non poteva essere Dean. Un paio di volte, nella luce mi era sembrato di intravedere un paio di ali. A volte anche di più… Era un angelo. O due. O tre angeli, non importava. Qualcuno assisteva alla mia tortura e quel qualcuno aveva le ali. Iniziai nuovamente a perdere la speranza. Gli angeli non erano li per me. Come avrebbero potuto? Io sono una delle due cause per cui ai pieni alti c’è una guerra civile. Non mi avrebbero mai aiutato. Probabilmente erano lì solo per godersi lo spettacolo. Ma quelle parole rimbombano, forti, nella mia testa: “Resisti. Tieni duro.”. Non capivo e non capisco tutt’ora perché un manipolo di angeli sadici dovesse incitarmi a stringere i denti. La voce era sempre la stessa, una particolarità che non avevo notato, inizialmente. Mi sembrava di riconoscerla, a volte. Ma immediatamente dopo che pensavo di averne colto il proprietario, l’immagine del suo viso si dissolveva. E io rimanevo allo stesso punto di prima. Dean mi schiocca le dita un paio di volte davanti agli occhi. Sbatto velocemente le palpebre, distolto dai miei pensieri.
-Ehi, bell’addormentato?- solleva un sopracciglio, sospettoso e ironico. Come sempre. Scuoto la testa, tentando di tornare completamente alla realtà.
-So bene, sto bene. Stavo solo pensando alla gabbia…- vero in parte. Almeno non ho dovuto mentire. Lui si incupisce di colpo, come se gli avessi appena detto che ho appena investito il gatto dei vicini.
-Non ci pensare più Sam.- conclude, scuotendo la testa. Lo guardo allontanarsi, pensieroso. So che vorrebbe poter fare qualcosa per me in questo momento difficile. So che si sente impotente e so anche che si detesta per non essere in grado di curare le mie ferite invisibili. Lo ha fatto per tutta la vita, con l’unica differenza che quelle ferite, sbucciature, bruciature… erano fisiche. La cosa contro la quale sto combattendo adesso è tutta nella mia testa. Mi lascio ricadere pesantemente sul letto. Chiudo gli occhi, cercando di riprendere un po’ di sonno. Non sarebbe male passare una notte a dormire in pace, senza troppe sorprese indesiderate…


Angolo della scrittrice (da strapazzo): salve a tutti, bentornati a quei poveri 40 lettori che si sono sorbiti il primo capitolo. Spero abbiate trovato interessante l'incipit di questa storia e spero vogliate proseguire nella lettura :) Se volete lasciate qualche commento, così che io possa migliorare e correggermi. Alla prossima!

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Capitolo 3
*** A loss ***


Ci sono giorni vuoti in cui non ci sono caccie, non ci sono fughe ne inseguimenti. Non c’è movimento alcuno. Sono le così dette giornate normali, fatte di libri, di ricerche e di tazze di caffè. E, ora che Bobby ha inspiegabilmente riempito la dispensa di bustine profumate, di tè. Prima dell’apocalisse mi piaceva fare ricerche in compagnia. Mi piaceva confrontare i miei dati con quelli di Dean, per capire meglio la situazione, per stimare risultati e trovare al più presto una soluzione. Due cervelli sono meglio di uno, dopo tutto. Ma le cose, ultimamente, sono cambiate. La compagnia di Dean durante le sessioni di lettura è diventata eccessiva. Mi sento costantemente osservato dal suo sguardo preoccupato, costantemente sotto esame. Ho preso l’abitudine di raccogliere tutti i volumi che mi servono, per poi rintanarmi nella stanza degli ospiti al secondo piano, ormai diventata la mia stanza. Anche adesso dovrei essere chino su quei tomi pesanti. Dovrei concentrarmi, trovare un mito, una fiaba, qualcosa che possa spiegare il comportamento dei leviatani, che possa farci prevedere la loro prossima mossa. Ma non ci riesco. Sto steso sul letto, supino, lo sguardo sul soffitto scrostato. Da quanto tempo Bobby non ridipinge questa casa? Probabilmente da quando sua moglie è morta… Pover’uomo. Ne ha passate tante, troppe nella sua vita. A cosa stavo pensando? Ah, già. A un certo Trickster di mia conoscenza. Come se non bastassero l’apocalisse, i Leviatani e tutto il resto, Gabriel è morto. Un sorriso malinconico mi piega le labbra, ma non arriva a coinvolgere gli occhi. Una volta pensavo di odiarlo. All’inizio, la prima volta che lo conobbi, pensavo fosse un piccolo mostriciattolo stronzo che si divertiva ad ammazzare gente a caso. Non sapevo chi fosse, non sapevo il suo nome. Sapevo che agiva come un Trickster, per cui gli diedi la caccia. Anche la seconda volta che l’avevo incontrato, quando lo avevo pedinato, cercando di ucciderlo, dopo che lui aveva ucciso Dean davanti a me più di un centinaio di volte, lo avevo considerato un bastardo. Ma, alla fine di quella vicenda, quando mi aveva preso da parte e mi aveva spiegato il perché delle sue azioni, in lui avevo cominciato a scorgere del buono. Alla fine, lo faceva per me. Mi voleva far vedere come Dean fosse il mio punto debole, il mio tallone d’Achille. Aveva ragione. Ne ero, ne sono consapevole. Io e Dean siamo uno la debolezza dell’altro. Se uno sta per cadere, l’altro si butta la suo posto. E’ sempre stato così, e sempre lo sarà. Una specie di bizzarra quanto macabra costante nella vita di noi Winchester. Ma lui mi aveva mostrato la cosa sotto una nuova luce. Non pensavo che qualcuno, nel mondo, si potesse interessare alla mia incolumità. Lui mi dimostrò il contrario. Iniziai a provare simpatia per lui. Non era completamente stronzo, alla fine. Aveva solo dei modi decisamente sbagliati per dimostrare alle persone il suo interesse. Ogni tanto, durante le caccie, lo chiamavo con la mente. Nella maggior parte dei casi, il bastardo mi ignorava. Ma certe fortuite volte arrivava, ascoltava i miei problemi e, se poteva, interveniva. Dean, il giorno dopo, si grattava la testa nel trovare il cadavere del vampiro che stavamo cercando steso nel bosco, oppure i resti bruciati di un Wendigo nella sua caverna. O il contenitore di un demone riversato senza vita nello sgabuzzino di un bar, o di un fast food, il mostro al suo interno morto con lui. Non sapeva come qualcuno avesse potuto precederci. Ma le volte che la cosa accadeva erano così rare, che alla fine lui quasi se ne dimenticava. Iniziai a fare amicizia con quel Trickster dalla faccia simpatica e dai modi bruschi. Ogni tanto compariva accanto a me, quando Dean si allontanava per un po’, con un pacchetto di caramelle in una mano e un gran sorriso stampato in faccia. Quando Dean venne portato all’inferno dai mastini infernali, divetò praticamente il mio coinquilino. Ovunque andassi, in qualunque Motel mi nascondessi, li mi trovava, col solito pacchetto di caramelle e l’espressione allegra, porgendomi un dolcetto. Mi aiutò a cercare dei modi per riportare Dean in vita. Purtroppo, si rivelarono tutti dei fallimenti. Quando avevo scoperto che, in verità, era sempre stato un arcangelo, mi arrabbiai con lui. Non me lo aveva detto. Nonostante la fiducia che avevo dimostrato nei suoi confronti, nonostante mi fossi aperto con lui, non mi aveva detto niente. Mi ero sentito tradito e usato. E non lo avevo più chiamato. E lui, dal canto suo, non si era presentato. A volte, però, mi appariva in sogno. Non era il protagonista, non si palesava platealmente come avrei pensato avrebbe fatto. Nei sogni, arrivava silenzioso, mettendosi in disparte. Lo potevo vedere sullo sfondo della scena che stavo immaginando, le mani cacciate nelle tasche del giacchetto e lo sguardo triste. Oppure compariva solo per pochi istanti e io riuscivo a scorgerlo solo con la coda dell’occhio, prima che scomparisse. La cosa andò avanti per un mese circa. Dean pensava che semplicemente fossi stressato per tutta la faccenda del litigio fra angeli e demoni. In parte era vero. Ma il fatto era che, senza l’appoggio di Gabriel, mi sentivo solo. Bobby lo aveva intuito e, quando ci trovavamo soli in una stanza, magari proprio per ricerche come quella che dovrei fare in questo momento, cercava di capire cosa c’era che non andava. Io gli dissi che avevo litigato con uno dei pochi amici che mi fossero rimasti al mondo. Lui aveva annuito, con l’aria di chi la sa lunga.
-Chiamalo. Parlaci. Risolvete. In una vita come la nostra, ogni secondo è prezioso, Sam. Non ci sono tante seconde possibilità. Potresti morire domani, speriamo proprio di no, e rimpiangere per sempre di non aver fatto pace con questo tizio.- aveva scosso la testa, tristemente. –Fidati, Sammy, so di cosa parlo.- non avevo voluto indagare oltre. Non avevo mai visto Bobby piangere, o mostrare una qualsiasi debolezza. Quel giorno, vidi gli occhi dell’uomo che mi aveva cresciuto come un padre inumidirsi di lacrime per la prima volta nella mia vita. Mi incupii, tornando a fissare i libri. Doveva essere una cosa collegata a sua moglie. Comunque, avevo seguito i suoi consigli. Avevo richiamato Gabriel, quella sera stessa. Non era comparso. Ci riprovai quella dopo. Ancora niente. Ci provai altre volte, sempre con lo stesso risultato. Alla sesta volta, forse per esasperazione, forse perché, come me, non ce la faceva più, il Trickster si presentò. Sobbalzai sul letto, quasi cadendo di sotto per la sorpresa. Non pensavo sarebbe venuto. Avevo quasi perso la speranza.
-Ciao Kiddo.- ma il sorriso che di solito gli attraversava il viso, illuminandogli gli occhi quando mi rivolgeva quelle parole non c’era.
-Sam!- due colpi forti si abbattono sulla porta. Mi torno di colpo su a sedere, afferrando un libro a caso e aprendolo a una pagina qualsiasi.
-Entra.- Dean apre la porta, entrando con un sopracciglio alzato. -Hai finito? Andiamo a cena. La vicina ci ha portato la torta di mele.- e i suoi occhi brillano un poco alla sola idea della leccornia. Mi fa quasi ridere. Ma sono ancora invaso dall’adrenalina dello spavento che mi ha appena fatto prendere, e non riesco a fare altro che annuire nervosamente, chiudendo il libro che ho appena aperto. Lui mi guarda male, girandosi con un brontolio confuso. Probabilmente ha capito perfettamente che non ho ancora letto nemmeno una parola. Mentre lo seguo, mi sento uno studente beccato a guardarsi un porno durante le ore i studio pomeridiane. Rido tra me e me dell’idea. Gabriel l’avrebbe gradita.

Angolo della scrittrice: Hello! It's me... Aggiungo questa nota a fine capitolo solo per informarvi che posterò molto spesso, (ogni due\ tre giorni) perchè gran parte della storia è già scritta, o comunque è già in incubazione nella mia testa. Spero che vi piaccia questo terzo capitolo e che vi abbia incoraggiato ad andare avanti nella lettura :) Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Near the end ***


-Sam! Alla tua destra!- scarto di lato, evitando per un pelo il pugno serrato di un Leviatano. Quello, sbilanciato dal colpo andato a vuoto, inciampa. Devo approfittarne. Estraggo il machete con un movimento fluido. Salto su di lui. Si ribella. Le enormi, disumane mandibole si allargano sulla sua faccia, mentre quello allunga il collo, cercando di staccarmi un pezzo di carne. Ma non glielo permetto. Abbasso il braccio con un colpo deciso. Un secondo dopo la testa senza vita del mostro rotola sul pavimento, inerme. Non ho il tempo di metterla in un sacco che, alle mie spalle, sento dei passi avvicinarsi. Mi pulisco il sangue nero dalla faccia, girandomi e, con un colpo calibrato, tagliando la gola al mio aggressore. Quello rantola, mentre altro liquido nero gli esce dal taglio. Con un grugnito mi avvento su di lui e, con un altro fendente, mando la sua testa a fare compagnia a quella del compagno. Dean sta ancora lottando, nella parte nord del magazzino. Bobby sta mettendo frettolosamente nel suo sacco le teste dei quattro Leviatani che ha appena fatto fuori. Solleva lo sguardo dal suo lavoro e, notando che lo sto osservando senza far nulla, spalanca gli occhi, adirato.
-Muoviti! E va ad aiutare quell’altro idiota laggiù!- mi riscuoto, infilando alla svelta le due teste delle mie vittime nel mio sacco. Lo stringo bene con una corda, poi corro verso la voce di Dean.
-Arrivo!- grido. Deve sapere il rumore dei passi che sente arrivare sono i miei. O rischio di rimetterci la pelle anche io. Mi cede un ginocchio e, per un pelo, non cado per terra. No. Non ora. Non è possibile. Ma il dolore arriva. Irrefrenabile, una fitta mi spacca in due la testa. Un grido mi squarcia la gola, mentre, impotente, cado in ginocchio a terra, tenendomi la testa tra le mani. Non ora, non ora ti prego…
(Il ragazzone era concentrato. Teneva le sopracciglia corrucciate e, senza quasi accorgersene, ogni tanto, mentre prendeva appunti sul piccolo taccuino stretto tra le sue enormi mani, accartocciava il labbro superiore. Era uno degli spettacoli più dolci e buffi ai quali avesse mai avuto l’onore di assistere. Sapeva di doversene andare. Sapeva che non era sano quello che stava facendo. Si stava affezionando ad un essere umano, e la cosa non poteva far altro che nuocergli. Poteva indebolirlo, o peggio, farlo scoprire da coloro ai quali, da decenni se non di più, si stava nascondendo. Era sempre filato tutto liscio come l’olio, finchè quel ragazzone un po’ troppo cresciuto e suo fratello non erano venuto a bussare alla sua porta…)
Riapro gli occhi, ansimando. Sono ancora steso sul pavimento freddo del magazzino. Mi isso a sedere. Non sono più tra gli scaffali di metallo. Qualcuno mi ha messo più lontano dal centro della battaglia, vicino all’uscita di emergenza. Cerco di tirarmi in piedi, ma barcollo, perdendo l’equilibrio, ricadendo giù come un sacco di patate. Batto velocemente le palpebre. Ho la vista appannata. Guardo verso il basso. Mi si gela il sangue nelle vene. I pantaloni e la parte inferiore della camicia sono coperti di sangue. Sangue umano.
-DEAN! BOBBY!- la gola mi fa male, ma il terrore mi permette di gridare forte, ignorando il dolore e la raucedine. –RAGAZZI!- mi viene da vomitare. Cerco nuovamente di mettermi in piedi, e di nuovo fallisco. Non mi resta altro che gattonare. Stringendo i denti, mi metto carponi, iniziando ad avanzare verso gli scaffali più vicini. Dove sono Dean e Bobby? Che sta succedendo? Mi hanno spostato loro? Dove sono?? Gattono ancora per qualche metro, poi, aiutandomi con le sbarre di acciaio degli scaffali, mi isso in posizione eretta. Trascino un passo davanti all’altro, la vista ancora leggermente sfocata.
-BOBBY! DEAN!- urlo di nuovo. Questa volta ottengo una risposta. Un rumore. Qualcuno sta correndo verso di me. Mi porto una mano alla cintura, constatando con orrore che non ho più il machete. Ho solo un coltellino da lancio. Faccio un altro passo. Se devo morire, lascerò in eredità a quel bastardo un bel po’ di cicatrici su quella faccia di merda che si ritrova. Adesso riesco ad intravedere una figura. E’ venti metri davanti a me, troppo lontana perché la mia vista malandata riesca a capire chi è. Ma, appena sento il suo ringhio, so già di chi si tratta. Il leviatano mi corre incontro. Adesso lo vedo abbastanza bene. Spalanca le fauci enormi e, mentre lo fa, sembra quasi che sorrida. Un sorriso sadico, pieno della selvaggia euforia della caccia. Puttana. Lo ammazzo. La rabbia sembra cancellare via ogni dolore. La vista mi torna. Ormai il mostro mi è addosso. Le schifose file di denti bianchi chiazzati di nero mi si parano a pochi centimetri dagli occhi. Scarto di lato, dandomi la spinta contro lo scaffale. Ma questo Leviatano è più furbo di quello che ho ucciso poco fa. Fa un giro di novanta gradi su se stesso, tornando immediatamente alla carica. Le mie gambe, ancora deboli, non scartano in tempo. Sento le lame affilate delle zanne affondarmi nella spalla. Grido. Ma non chiudo gli occhi. Adesso che il mostro è bloccato nella mia carne, è il momento di finirlo. Gli pianto il coltellino nella nuca. Quello strilla, mollando la presa su di me. Ruoto la lama nel suo collo, facendo schizzare ovunque il suo denso sangue nero. Gli taglio la parte destra della gola. Il bastardo rantola. Vedo rosso. Il tremito alle gambe è passato, la vista è tornata perfettamente normale. Il mostro non è ancora morto. Con un ringhio bestiale si getta nuovamente su di me. Lo scarto. Ma riesce comunque a graffiarmi un fianco. Stringo i denti, cacciando un gemito strozzato. Devo resistere.
-DEAN!- grido. –BOBBY!- non so quanto ancora potrò continuare questa lotta impari senza soccombere. Il Leviatano attacca di nuovo. Non ho il tempo e la forza di evitarlo. L’impatto mi scaraventa a terra. Sbatto la testa sul pavimento, chiudo gli occhi per un millisecondo. Quando li riapro, il mostro è su di me. Un rivolo della sua saliva fetida mi cola sul viso. Se non fossi troppo impegnato a sopravvivere, vomiterei. Ma sono spacciato. Muovo un altro fendente, che gli fa un taglio sulla spalla. Sembra non sentirlo. Chiudo gli occhi, opponendo le ultime resistenze. Sono morto… Un ringhio. Un urlo. Un sibilo metallico. Poi qualcosa di vagamente sferico che rotola accanto al mio viso. Che sta succedendo? Non sono ancora morto. Apro gli occhi. Le mie mani spingono ancora contro il corpo del Leviatano, ormai privo di testa. Dean, ansimante e col viso sporco di sangue nero, fissa il cadavere dall’alto, lo sguardo rabbioso della caccia ancora impresso nelle pupille. Poi sposta gli occhi più in avanti. Incontra i miei. E lo sguardo gli si fa di colpo incredibilmente sollevato. -Cristo, Sammy.- mi porgo una mano. Io la afferro, issandomi in pieni, ancora stordito. Mi da uno strattone verso di se, abbracciandomi. –Imbecille.- ringhia.
-Puttana.- ridacchio. Lui si allontana di un passo da me, le mani ancora sulle mie braccia. E’ terribilmente serio.
-Hai avuto un’altra delle tue visioni. Ti ho dovuto trascinare qui di peso.- lo sguardo gli ricade sul corpo esanime del leviatano ai nostri piedi. –Questo doveva essere l’ultimo. Io e Bobby abbiamo ammazzato tutti i suoi amichetti fetenti, ma questo era riuscito a scappare. Sono arrivato appena in tempo.- mi guarda meglio, allarmandosi non appena nota le mie ferite.
–Santo iddio Sammy!- con rabbia, toglie le mani dalle mie braccia, tirando un calcio al cadavere del mostro. –Figlio di puttana!- torna con gli occhi su di me, lo sguardo venato di ira folle. Per un attimo mi ricorda Jack Torrance di “The Shining”.
-Bobby è già alla macchina. Muoviamoci, così rattoppiamo il colabrodo a cui ti ha ridotto questo bastardo.-

Angolo della scrittrice (per modo di dire): rieccomi qui, tornata con un altro capitolo. In questo ho messo un po' più di azione, per movimentare questa storia dai tratti prevalentemente introspettivi e lenti. Spero vi sia piaciuta! Se volete lasciate una recensioncina con le vostre impressioni, che male non fa ;) Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Mistery solved ***


Sono passate tre settimane dal magazzino. E’ passata una settimana da quando sono in questo schifoso centro di recupero per malati mentali. Lucifero non mi lascia un secondo in pace. Non serve più a nulla tentare di mandarlo via col dolore. Lui resta come e quando vuole. I medici mi imbottiscono di farmaci inutili, pensando che la mia sia solo una psicosi. Se solo sapessero che Satana in persona è il mio compagno di stanza, forse si ricrederebbero. Dean continua a cacciare da solo i leviatani. Ha detto che io, nelle mie condizioni, sarei solo di intralcio. Devo prima capire come liberarmi di Lucifero e delle visioni. Anche se, riguardo alle ultime, avrei qualcosa da dire. Vorrei capire, per esempio, chi è che me le ha inculcate nel cervello. Se ci fosse Gabriel, lo farei scoprire a lui. E’, anzi, era un arcangelo. Gli bastava un tocco per leggere i pensieri di una persona. Sospiro, guardando fuori dalla piccola finestra della mia cella. Un pezzo di cielo azzurro, frammentato dalla chioma frusciante di un albero, è tutto ciò che del mondo mi è concesso vedere. Se Gabriel fosse vivo, saprebbe come mandar via Satana dai miei pensieri… Lui sapeva tutto, ogni cosa. Ha sempre saputo che il mio destino sarebbe stata la distruzione, ha cercato di fermarmi, di mettermi in guardia. E io, cretino, l’ho ignorato. “Che sia”, avevo detto. “Farò il mio lavoro”. Ero fiducioso nel fatto che avrei sempre avuto lui su cui contare. Ma poi se ne era andato. E la persona che lo aveva ammazzato è diventata anche il mio compagno di cella. Che ironia.
-A che pensi Sam? Oh, aspetta, non me lo dire, ce l’ho sulla punta della lingua…- Lucifero schiocca le dita un paio di volte, stringendo gli occhi, la lingua trai denti, come se davvero si stesse sforzando di ricordare. Come se non fosse egli stesso parte dei miei pensieri. Alzo gli occhi al cielo. –Ah! Già! Gabriel!- annuisce, soddisfatto.
-Sparisci.- sussurro, secco. Lui fa una faccia fintamente offesa, indicandosi. -Io? Ma come, Sammy, pensavo fossimo diventati amici!- mi trattengo dal tirargli un pugno in faccia. So che servirebbe solo a fare una crepa nel muro alle sue spalle. Maledetto Satana incorporeo…
-Ma, dimmi… Non è che ci stai pensando un po’ troppo, a quel Trickster da strapazzo, ultimamente? No, perché il bagno è li, se vuoi farti una s…- scatto in piedi, dandogli le spalle.
-Basta! Sta zitto!- voglio solo sembrare scocciato, seccato dalla sua impertinente invasione dei miei pensieri. Ma sono rosso come un peperone. Dio, perché non sparisce?
-Perché sono parte di te, Sam.- dice lui, improvvisamente pacato, inclinando la testa da un lato. Io sospiro, chiudendo gli occhi, lasciandomi di nuovo cadere pigramente sul letto.
-Oh, oh… eccola che arriva!- l’eccitazione trapassa, palpabile, dalla sua voce. E, all’improvviso, sono invaso dal panico. Se Lucifero è felice, vuol dire che qualcosa andrà storto.
-Cosa arri…- ma non riesco a finire la frase. Una fitta acuta di dolore mi perfora il cranio e io cado a terra, gridando.
(Non avrebbe dovuto andare li. Non avrebbe proprio dovuto. Stava in pieni in mezzo alla piccola camera di Motel, rigido, pronto a scomparire al minimo sentore di movimento. Tese le orecchie, ma l’unico suono che riuscì a sentire fu il sonoro russare degli inquilini. Sorrise. Meglio così. Iniziò a girottolare tranquillamente per la stanza, lanciando occhiate curiose un po’ dovunque. Non era mai stato nella camera dei fratelli Winchester, prima. In nessuna delle tante. Si avvicinò con passo furtivo alla borsa più grande, quella che doveva appartenere a Dean. Sbirciò dentro, estraendone poi soddisfatto una copia di un giornaletto porno sgualcita. Se la sarebbe tenuta, quella. Schioccò le dita una volta, e la rivista sparì. Fu allora che, quasi con timore, si avvicinò al letto del più piccolo dei due fratelli. Quello dormiva a pancia in su, una gamba scoperta, appoggiata sulle coperte, il resto del corpo coperto fino al petto. Teneva un braccio piegato sul ventre, l’altro abbandonato lungo un fianco. Quando i suoi occhi arrivarono al viso, il suo cuore gli fece una capriola nel petto. Il volto di Sam era imbronciato, perfino nel sonno. Le sopracciglia erano corrucciate, proprio come quella mattina mentre prendeva appunti. Le labbra erano piegate in una smorfia concentrata. Fu tentato di allungare una mano, di passare le dita trai lunghi capelli di lui. Ma un brontolio glielo impedì.
-No, non…- un rantolo. –Ti prego, no…- rizzò la schiena di scatto. La voce era di Sam, che ora teneva i pugni stretti, le unghie piantate nel palmo delle mani. Le sopracciglia avevano preso una piega angosciata, la bocca semiaperta faceva respiri frettolosi e irregolari. Poche gocce di sudore iniziarono ad imperlargli la fronte. Involontariamente, nel sonno, Sam Winchester tirò un calcio. Dean, nell’atro letto, si tirò di colpo su a sedere, allarmato.
-Sammy? Ehi Sa…- ma la voce gli si impigliò in gola, non appena vide la sua figura scura che sovrastava il letto di suo fratello. Non fece in tempo a dire niente. Con un tocco delicato dello sconosciuto sulla fronte, il maggiore degli Winchester ricadde supino nel letto, come svenuto. Ci furono momenti di assoluto silenzio, nei quali nell’aria tesa della stanza non si sentiva altro che il frastornante suono di un cuore terrorizzato, partito al galoppo e ormai incapace di fermarsi. La figura scura si impose di calmarsi. Doveva stare calmo. Aveva tutto sotto controllo, aveva represso ogni pericolo. Tornò con gli occhi su Sam. Aveva ripreso a dormire tranquillo. Ma lui sapeva che gli incubi non erano scomparsi. Posò un dito sulla tempia dell’oggetto della sua ossessione, carezzando appena la sua pelle, prima di assorbire, con un sospiro, ogni traccia di negatività nei pensieri di lui. Si sentì attraversare da una scarica d’adrenalina. Dunque era quello l’effetto che faceva farsi carico fisicamente del dolore altrui. Non male... L’espressione facciale di Sam si addolcì all’istante, non appena lui gli tolse il dito dalla tempia. I muscoli del suo corpo si rilassarono, forse per la prima volta da tanto, troppo tempo. Sam era tranquillo. Il respiro era regolare. Fu tentato di leggere cosa stesse sognando adesso che tutta la paura e l’angoscia se ne erano andate. Ma non lo fece. Si limitò a guardare ancora un po’ la figura dormiente del ragazzone davanti a lui. Sorrise. Era la prima buona azione che faceva da anni. Decenni. Secoli. Ormai non lo ricordava più… Ma doveva andarsene. Ogni secondo che stava lì lo legava sempre di più a quell’enorme esserino fragile che dormiva ora beato davanti ai suoi occhi. E lui non poteva permettersi un simile lusso. Si chinò in avanti, appoggiando appena le labbra sui morbidi capelli di Sam. -Sogni d’oro, Kiddo.- mormorò, prima di sparire con un fruscio d’ali.
)
Spalanco gli occhi, inalando una grande boccata d’aria. Attorno a me ci sono tre medici. Uno di questi mi sta facendo una puntura. Calmanti, forse… Ma non mi interessa. So chi è la persona che mi ha impiantato i ricordi nella testa. Non posso crederci… Non riesco a crederci. Era così semplice! Era così ovvio. All’improvviso tutto si collega. La luce nella gabbia di Lucifero. Ora mi ricordo. Aveva sei ali. Ali dorate. Avevo pensato appartenessero ad angeli diversi, ma alla fine, dopo circa due mesi, avevo scoperto essere di uno solo. Una figura leggermente più scura spiccava all’interno della luce. Due occhi color del Whisky mi fissavano, venati di tristezza ma duramente, tremendamente determinati. Occhi che, una volta, non avevano fatto altro che sorridere. E, pian piano, agli occhi si era aggregato anche tutto il resto e, dopo sette mesi di prigionia, per la prima e ultima volta ero riuscito a vedere il viso del mio sostenitore. Gabriel. Ero convinto fosse stata un’allucinazione. Gabriel era morto, lo aveva ucciso Lucifero. Eppure era lui. “Tieni duro, Samshine”, era stata l’ultima cosa che mi aveva detto, prima che Morte strappasse la mia anima alla gabbia e la riportasse in superficie. La luce mi aveva seguito, mentre l’essere più antico dell’universo intero mi trascinava fuori. I suoi occhi mi avevano accompagnato per tutto il tempo. Me li sentivo ancora addosso, attraverso le cupe sbarre della prigione di Lucifero, quando Morte aveva chiuso la porta.
-Gabriel…- annaspo, cercando di mettermi a sedere mentre i medici mi tirano giù. –Gabriel!-
-Stia calmo, le stiamo dando un farmaco che calmerà il dolore.- no. Non voglio che passi. Ne voglio ancora. Voglio un altro frammento, adesso!
-No, no! Gabriel, Gabriel!- grido, divincolandomi. Ma, ormai, il calmante è entrato in circolo. Sento le membra farmisi pesanti. Le palpebre stanno aperte a stento. -Per… favore…- biascico, prima di chiudere gli occhi, sprofondando in un sonno senza sogni, popolato solo da tenebre e da tristi, spenti occhi color Whisky.

Angolo della "scrittrice": ed ecco svelato il fantomatico mistero dalla soluzione più che ovvia! Grazie per essere arrivati fin qui, vi meritate una medaglia al valore ;) Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Ditemi cosa ne pensate :) Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Possession ***


-Ho saputo che hai avuto un’altra crisi ieri.-
-Si Dean.-
-Che hai visto?-
-E’ stato Gabriel a mettermi quei ricordi nella testa Dean.- ecco, l’ho detto. Dovevo. Per forza. So che non la prenderà bene. Al solo suono di quel nome nell’aria, mio fratello ha storto la bocca, prima di spalancare gli occhi e la bocca in un muto grido di stupore. E’ arrivato prima il disappunto.
-Ah.- spalanco gli occhi. Non era la reazione che mi aspettavo.
-Ah?- chiedo, sbalordito.
-Ah.- ripete Dean, annuendo appena. –La cosa non è poi così strana, Sammy…- non credo alle mie orecchie.
-Cosa vuoi dire?!- Lucifero, dietro di me, seduto sul tavolo dove solitamente mangio, sghignazza compiaciuto.
-Quello che ho detto. Era una delle prime opzioni che mi erano venute in mente quando mi hai detto di queste visioni.- si stringe nelle spalle, alzandosi, andando verso il tavolino a prendere i resti del mio pranzo. Mi guarda, un sopracciglio alzato. -Lo vuoi?- io scuoto la testa, troppo basito per parlare.
-Perché mai hai pensato a lui?-
-Perché quando pensi a lui ti escono i cuoricini dalle orecchie, Sam.- è stato Lucifero a parlare. Gli lancio una rapida occhiata assassina, trovandolo intento a fissare inebetito il soffitto, con un sorriso assurdo sulla bocca, gli occhi persi e beati. Sbuffo.
-Perché è una delle poche persone capace di fare una cosa del genere, Sammy.- risponde Dean, addentando un pezzo del mio hamburger. Quella risposta mi tranquillizza. Per lo meno non pensa alle cose assurdamente ridicole che ha appena detto Lucifero… Sarebbe stata la mia fine sentir dire quelle parole da Dean. Troppo imbarazzante e decisamente inappropriato. -Finche sono ricordi innocenti, Sam, va tutto bene. Ti ha lasciato la sua memoria in eredità, ecco tutto.- si stringe nuovamente nelle spalle, finendo con un secondo morso la metà dell’hamburger che avevo lasciato. Abbozzo un sorriso smozzicato. Non è proprio così innocente il contenuto di quei ricordi… Do la schiena a Dean, girandomi su un fianco, cercando un po’ di privacy.
-Ah, comunque ho trovato un tizio che potrebbe aiutarti con Satana.- mi drizzo di colpo a sedere. Lucifero, seduto accanto a Dean, inclina la testa di lato, improvvisamente curioso. Mi rallegro nel vedere una traccia di preoccupazione nei suoi occhi.
-Chi?- scrolla le spalle, masticando un grissino.
-Si chiama Emmanuel. Penso sia come Pamela, sai? Tipo un veggente, un sensitivo, roba così.- annuisco piano, deglutendo, mandando giù con la saliva anche l’eccesso di gioia che mi è salito al cervello. Non posso dimostrarmi troppo positivo. Il destino non lo è mai stato con me. Salterà sicuramente fuori che questo tizio è un ciarlatano e che non può fare niente per me. L’allegria scema un po’, e io riprendo a respirare normalmente. Mi fa improvvisamente male la gola. Mi accorgo solo ora di star trattenendo il pianto. Dean non mi guarda. Mi porto velocemente una mano agli occhi, asciugando le lacrime che rischiano di tradirmi. Dean osserva ciò che rimane del grissino, prima di riprendere a parlare.
-Lo vado a prendere domani mattina. Per domani sera dovremmo essere già qui.- alza gli occhi, piantandomeli in faccia con spietata determinazione. –Guarirai Sam.- annuisco di nuovo, tentando di sorridere. Quella sera, dopo la quotidiana visita serale del primario di psichiatria e le solite quattro chiacchiere inutili per stabilire a che punto fossi, dormii sonni agitati.
(“Candy man” suonava piano nella stanza. Sorrise. Che colonna sonora fuori posto, nello studio di un avvocato. Che la segretaria avesse sbagliato ad impostare la musica da sala d’attesa? Guardava le persona sfilargli davanti, tutte di fretta, tutte senza vederlo. Osservava i loro volti. Mancava qualcosa… Ogni volto era diverso, ma ognuno mostrava i segni che la vita aveva lasciato passando: ansia, organizzazione, disciplina, fretta. La vita li stava travolgendo. Una smorfia tra il triste e il divertito gli attraversò fulminea il volto. Tutti correvano. Sarebbero morti di li a cinquant’anni massimo. Non avevano ancora capito che il loro lavoro e i loro vestiti costosi non sarebbero stati di alcun conforto nella tomba. Sbuffò, scocciato, stanco di tutta quella gentaglia inutile. Schioccò le dita e, in un secondo, si ritrovò proiettato a kilometri e kilometri di distanza. Una stanzina d’albergo. Sorrise, rassicurato. Non voleva altro che vedere il suo protetto.
-Sammich!- chiamò, allegro. Nessuna risposta. Inarcò un sopracciglio. –Sammich?- ripetè, adesso interrogativo. Si lanciò rapide occhiate intorno, improvvisamente pronto all’attacco al minimo accenno di movimento estraneo. All’improvviso, la porta del bagno si aprì. Per poco non finì per terra, dallo spavento che si prese. Una nuvola di vapore uscì dalla stanzetta, seguita immediatamente da una figura alta. Sam Winchester emerse dalla nebbiolina profumata, con solo un asciugamano addosso. Si stava strofinando la testa con un panno più piccolo. Sospirò, gettando quest’ultimo sul letto. Poi si accorse della presenza al centro della stanza. Drizzò la schiena, tendendo i muscoli. Si girò di scatto e, quando incontrò i suoi occhi, la sua espressione si rilassò.
-Gabe… Gesù, mi hai fatto prendere un infarto.- sorrise. Gabriel non sapeva che rispondere e, anche se l’avesse saputo, non avrebbe potuto articolare parola alcuna. Sam Winchester era praticamente nudo davanti ai suoi occhi, bagnato, appena uscito dalla doccia, i capelli in disordine e il più bel sorriso che avesse mai visto stampato in faccia. Si ritrovò la gola incredibilmente secca, gli occhi improvvisamente appannati da qualcosa che, certamente, non erano lacrime. Fece finta di nulla, scrollando le spalle, cacciandosi le mani nelle tasche del giacchetto e imbastendo uno dei suoi soliti sorrisetti beffardi. Era un professionista. Salutò il suo protetto con un gesto del mento, non potendosi, però, impedire di leccarsi le labbra asciutte. Diamine, quel ragazzo era fottutamente illegale…
-Ehi la, Sam!- si affrettò a schiarirsi la voce. Il tono gli era uscito decisamente più roco di quello che avrebbe voluto. Quello allargò il suo sorriso, riprendendo l’asciugamano che aveva lanciato sul letto pochi secondi prima.
-Qual buon vento?- chiese, riprendendo a strofinarsi i capelli, impedendo loro di gocciolare sulla moquette da quattro soldi. Gabriel si strinse nelle spalle, sporgendo appena il labbro inferiore con nonchalanche.
-Mi annoiavo.- fece schioccare le dita, facendo apparire un sacchetto di cioccolatini sul comodino accanto a Sam. Lo indicò. –Direttamente dalla Svizzera!- annunciò, entusiasta. Sam spalancò, gli occhi, alzando le sopracciglia, allibito.
-Cosa?- lanciò una rapida occhiata al sacchettino accanto a se, poi tornò a guardare l’arcangelo, scuotendo la testa divertito. –Devi smetterla di rubare cose a giro per il mondo.- “e tu devi metterti qualcosa addosso, prima che sia troppo tardi” avrebbe voluto rispondere Gabriel. Ma stette zitto, continuando semplicemente a sorridere.
)
Non ho provato dolore, questa volta. E’ stato semplicemente come sognare. Eppure sono sudato fradicio. Alzo le coperte. Oh. E ho anche un’erezione.
-Gesù.- sbotto, irritato. Mi alzo, dirigendomi a grandi passi in bagno. Mi chiudo la porta a chiave alle spalle, per quanto sappia perfettamente sia una cosa inutile. A quest’ora non viene mai nessuno a controllarmi. E l’unica persona che potrebbe arrivare, certamente non si fa fermare da una porta. Infatti…
-Il durello mattutino ti da problemi, Sam?- la voce canzonatoria di Lucifero mi arriva alle orecchie come una secchiata d’acqua gelida. Stringo i denti, abbassandomi i calzoni.
-Sta zitto.- sibilo. Ma, quando mi giro per trafiggerlo con lo sguardo, non trovo ciò che mi aspettavo. Quasi mi strozzo con la mia stessa saliva dalla sorpresa. Sopprimo un singhiozzo. Gabriel mi sta guardando, la testa inclinata da un lato e gli occhi vispi fissi sul mio pacco.
-Bell’attrezzatura.- mi strizza l’occhio. Ed è così realistico, così vero, così… così Gabriel, che quasi ci credo. Quasi cado vittima dell’illusione che ho davanti. Allungo una mano, arrivando vicino alla guancia di quell’essere bellissimo che mi si trova davanti, allegro e scherzoso, come sempre. Ma non è lui. Lo so. Gabriel è morto. Con me c’è solo una persona.
-Vattene Lucifero.- schiocco la lingua, ritirando pigramente la mano. Voglio assolutamente liberarmi di questa faccenda che ho tra le gambe, per la miseria. Al più presto. Con un moto di lusinga, mi rendo conto che quello che fisicamente sto provando io ora, lo ha provato anche Gabe quando mi ha visto seminudo nel ricordo che ho appena sognato. Non riesco a trattenere un sorriso. Inizio a muovere la mano. Nella mia testa non c’è spazio per altro che non sia Gabriel che mi guarda, desiderandomi come io ho desiderato lui. Lucifero, finalmente, tace. Esco dal bagno, tirando lo sciacquone, asciugandomi le mani con un pezzo di carta igienica. Mi tengo il labbro inferiore trai denti, sorridendo tra me e me. Dio, pensavo che non mi sarei più sentito così… E invece Gabriel riesce a farmi stare meglio, perfino da morto. La tranquillità del momento si incrina un po’, quando questo pensiero colpisce la mia mente. Tutto ciò che mi resta di lui sono i frammenti di memoria che mi ha lasciato. All’improvviso, vengo preso dal panico. E se il sensitivo riuscisse davvero a far sparire Lucifero? E se con lui se ne andassero via anche i ricordi di Gabe?! No. Non lo permetterò. Quei ricordi mi appartengono. Sono miei. Miei. Nessuno può levarmeli. Tantomeno uno stupido sensitivo da strapazzo. Sento la possessività farsi largo nel mio petto, invadendomi il cuore e l’anima. Miei.

Angolo della scrittrice: Salve a tutti! Eccoci col nuovo capitolo... Quello precedente non ha riscosso molto successo, nonostnte io lo reputassi e lo reputi tutt'ora un buon prodotto. Per favore, ditemi cosa non vi piace e cosa potrei migliorare, in modo che possa esercitarmi sul mio stile e lavorare sui vostri suggerimenti :) Grazie!

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Capitolo 7
*** Last step to freedom ***


Alla fine il misterioso sensitivo truffatore si è rivelato essere Castiel in preda ad un amnesia. Già. Me ne sono stupito anche io, quando, pochi minuti fa, dalla porta non è entrato un vecchietto tutto tarocchi e braccialettini da quattro soldi come mi ero immaginato, bensì Castiel, affiancato da una tranquillissima Meg Masters e da un turbato Dean che, per una volta, non ha detto niente. La prima a prendere parola è stata proprio Meg.
-Clarence, qui, ha appena recuperato la memoria. E’ qui per aiutarti.- teneva gli occhi alti, sul viso di Castiel, mentre parlava, un sorriso furbetto a dipingerle le labbra. Dean la guardava in cagnesco dalla parete di fronte al mio letto, dove era andato ad appoggiarsi. Non potevo credere alle mie orecchie. E nemmeno ai miei occhi. In un primo momento avevo pensato che quello davanti a me fosse un falso, uno shape shifter dall’umorismo fin troppo spiccato. Avevo lanciato uno sguardo confuso ed esasperato a Dean, cercando risposte. Lui aveva semplicemente annuito. E ora sono qui. Castiel è seduto sul letto, davanti a me. Mi fissa dritto negli occhi, mettendomi a disagio. Cristo, devo imparare a fare come fa lui.
-Lucifero è qui con noi, adesso?- annuisco. Lucifero, seduto sul solito tavolo, mi fa una linguaccia, tirando fuori la lingua biforcuta. Lo ignoro. Ho altro a cui pensare. Mi schiarisco la voce, lanciando un’occhiata nervosa a Dean e a Meg, dritti dietro Castiel, come le due parti della sua coscienza. Ironicamente, l’angelo e il diavolo.
-Cass, umh… vorrei parlarti un momento da solo.- il sorriso sul volto di Meg si amplia e, per un momento, temo che mi abbia letto nel pensiero. Sono tentato di chiudere gli occhi, mettendomi le mani sulle orecchie, come un bambino piccolo, per impedirle ogni via di accesso visibile alla mia mente. Poi mi rendo conto di quanto stupida e patetica apparirebbe quell’azione, e mi trattengo. Lei lancia uno sguardo divertito a Dean che, dal canto suo, ha strinto gli occhi a una fessura, per nulla allegro della mia richiesta. Imbastisco un’espressione implorante. Ma ci pensa Cas a congedarli.
-Andatevene. Mi serve spazio.- dice, asciutto. Sollevo un sopracciglio. Mi aspettavo un tono più pacato. Meg mi lancia un’ultima occhiata, stringendosi nelle spalle, uscendo di scena col sorriso sempre sulle labbra. Dean ci mette di più a decidersi.
-Non voglio lasciarlo solo. Potresti anche fallire, Cas.- al punto Castiel si gira verso di lui, dandomi momentaneamente le spalle. Non posso più vederlo in faccia, eppure so perfettamente che l’espressione che ha adesso non è più quella decisa e sicura di quando, due secondi fa, squadrava me.
-Non dopo tutto quello che ho fatto Dean.- la sua voce profonda è piena di solenne rimorso. –Non fallirò di nuovo.- lo sguardo di Dean si incrina. Non è più aggressivo. E’ triste. E’ lacerato. E non per me. All’improvviso mi sento un intruso. Castiel e Dean si guardano per pochi istanti, ma a me sembra di aver appena assistito alla prima di un film tragico, ma di averlo visto a metà, perché entrato nella sala solo all’inizio del secondo tempo. So che c’è il dramma, lo leggo nell’aria e nelle note lente e malinconiche della colonna sonora. Eppure non colgo la trama. Faccio scattare lo sguardo da uno all’altro più volte. Dean sta stringendo i pugni. E ancora non stacca gli occhi da quelli di Cas. Alla fine serra le palpebre, annuendo piano, come se ogni movimento gli provocasse un dolore immenso.
-Ok. Sbrigati.- e, senza aggiungere altro, senza guardare più nessuno, esce, la testa bassa, gli occhi lucidi, le dita ancora contratte in un pugno chiuso. Castiel si gira di nuovo verso di me. Sembra tranquillo, ma nel profondo dei suoi occhi azzurri vedo la tempesta infuriare. Sono il senso di colpa e il senso di dovere.
-Castiel… tutto bene con…- ma lui mi interrompe.
-Cosa volevi dirmi?- torna a piantarmi gli occhi in faccia. Mi porto una mano alla nuca. Ecco. Devo dirglielo. Devo raccontargli tutto. Mi mordo l’interno guancia. Diamine. Nella mia testa sembrava più facile.
-Senti… Umh… ci sono dei ricordi che vorrei tenere.- comincio. Lui assottiglia gli occhi, curioso e confuso, inclinando leggermente la testa di lato. Deglutisco a vuoto. Quel gesto mi ricorda terribilmente il protagonista delle mie angosce. Lucifero ride sotto i baffi.
-Ovvero?- chiede Cas. Sorrido, un sorriso tirato e nervoso.
-I ricordi del suo scopamico, l’arcangelo Gabriele, niente popò di meno!- Lucifero applaude a se stesso e alla sua affermazione. Vorrei tirargli qualcosa. Ma so che sarebbe inutile. Sospiro, chiudendo gli occhi. E comincio a parlare. Racconto tutto. Mi sembra quasi che la voce che sento risuonare nella stanza non sia la mia, che le parole che mi escono di bocca non sia io a pronunciarle. Sono vuote, incorporee. In un angolo della mia mente, so che è un meccanismo di autodifesa. Se parlassi col cuore, e non solo col cervello, crollerei. Castiel ascolta, in religioso silenzio. Corruccia appena le labbra, concentrato.
-Capisco…- dice, quando finisco. Io fisso il vuoto alla destra della sua testa. Non riesco a guardarlo negli occhi. Lui annuisce, tra se e se. Abbassa gli occhi sul copriletto bianco su cui è seduto, perso nei suoi pensieri.
–Sapevo che si era affezionato, ma non fino a questo punto…- il cuore mi fa una capriola nel petto a quelle parole, ma il mio viso rimane impassibile. E’ troppo tardi per essere lusingati dalle attenzioni di un morto.
-Povero piccolo Sammy, dolce, piccolo Sammy… Aveva tanti amici, e adesso non ne ha più… Povero piccolo Sammy, anche l’amore hai perso tu…- Lucifero canticchia, appoggiato sulle mani al tavolino, lo sguardo divertito rivolto al soffitto. Lo ignoro, e questa volta non devo nemmeno sforzarmi. Tanto tra poco sparirà, lo stronzo. Castiel annuisce un’altra volta. -Bene.- dice e, senza preavviso, solleva una mano, posandomela sulla guancia.
–Farà un po’ male, ma guarirai. Io ti guarirò.- è solenne. E’ deciso, determinato. Risoluto. E mi spavento. Per un attimo, un infinitesimale, immenso attimo, mi viene voglia di scappare. E poi sento caldo. Un caldo torrido, soffocante. Non posso scacciarlo. E’ dentro di me, cresce, mi brucia. Annaspo, in cerca d’aria. I polmoni mi vanno a fuoco. Non riesco a respirare. Castiel chiude gli occhi, serrando i denti. Il dolore non è solo mio. Lucifero ride. Tra tutto quel calore, deve sentirsi a casa. La mia mente vacilla, tra lo svenimento e la veglia, per un secondo. Non ce la faccio più. Il terribile presagio che niente funzionerà mi schiaccia. Poi mi ricordo la luce nella gabbia. Anche allora pensavo che non ci fosse via d’uscita a quell’oscurità. Poi era arrivato Gabriel. E con lui la speranza. E con lei la forza. Ero sopravvissuto. Stringo i denti, reprimendo un urlo di dolore. Ce la posso fare. Penso forte a Gabriel, al calore del suo sorriso, alla sua assurda capacità di farmi ridere anche nei momenti più cupi. Ai suoi occhi color Whisky. Lucifero smette di ridere. Castiel stringe la presa sul mio viso, graffiandomi. E, in un lampo, è tutto finito. Non brucio più. Il fuoco si è spento. Spalanco gli occhi che non mi ero accorto di aver chiuso, ansimando. Mi porto una mano al petto. Riesco di nuovo a respirare. Sorrido, estasiato e stupefatto.
-Castiel… Ha funzionato! Ca…- ma, quando mi giro, la gioia scompare con la stessa rapidità con la quale è arrivata. Castiel è piegato in due, una mano alla tempia, gli occhi spalancati e fissi sul pavimento, intenti a fissare, pieni di sofferenza, il vuoto. Mi chino su di lui, lo prendo per una spalla.
-Cas… Cas?!- lo scuoto, tentando di riportarlo al presente. Quando mi guarda, i suoi occhi sono spalancati, le pupille grandi di paura.
-Lui… Lui è qui.- si punta un dito alla tempia. Torna a fisare il pavimento. -Ce l’ho fatta.- ma, chissà perché, non c’è nota di trionfo o soddisfazione nelle sue parole. Mi si stringe il cuore. Ma ormai è fatta. Gli stringo la spalla, tentando di passargli un po’ del mio conforto. Quasi riesco a sentire la risata sadica del diavolo nella sua testa, furiosamente allegra, gioiosa per il nuovo ospite da torturare…

Angolo della "scrittrice": salve! Che ne pensate? Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! Mi piacerebbe che mi deste un feedback della storia fino ad ora, se non vi dispiace! Ringrazio molto chi lo ha già fatto :) Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Books, archangels and other things... ***


Non conosco la musica che sta passando alla radio. Non l’ho mai sentita. A quanto pare, nemmeno Dean.
-Maledetto affare, non da mai una canzone decente!- con un gesto irritato, la spenge. Gli lancio uno sguardo, preoccupato. E’ da quando siamo scappati dal manicomio che si comporta così. Un minuto è tranquillo, quello dopo si irrita per qualsiasi cazzata. Come per questa cosa della radio. Non ha mai inveito contro l’Impala. Mai. Sospetto c’entri qualcosa la drammatica situazione in cui abbiamo lasciato Castiel. Purtroppo, avendo assorbito i miei malanni, per così dire, adesso c’è lui al mio posto, nella cella imbottita che fino ad una settimana fa era mia. Ma non l’abbiamo lasciato solo, alla fine… Con lui c’è Meg. Dean ha avuto qualcosina da ridire, all’inizio, e nemmeno io ero proprio d’accordo con l’idea di lasciare Cas, in quelle condizioni soprattutto, tra le mani di Meg. Ma lei, al solo nostro riferimento a qualche possibile ulteriore danno all’angelo, si era incupita. Era seria. Non avevo mai visto un demone così serio. Soprattutto nel fare del bene per qualcun altro. Alla fine avevo ceduto e, dopo interminabili sessioni di domande e interrogatori pressanti, anche Dean si era arreso. Ma, a quanto pare, una parte di lui non ha ancora accettato l’idea. Non ho più avuto sogni. Gabriel non mi è più comparso. Sembra che i frammenti della sua memoria che mi aveva lasciato in eredità siano finiti. A volte rivedo quelli che ho già affrontato, consolandomi con quelle immagini familiari. Ma non posso fare a meno di sentirmi deluso. Speravo ci fosse di più… Speravo avesse qualcosa in più da dirmi. Mi mordo l’interno guancia, puntando lo sguardo fuori dal finestrino. Non devo pensarci. Stiamo dando la caccia ai più tosti figli di puttana del creato. Non posso permettermi di divagare. E poi, all'improvviso, un dolore lacerante mi spacca la testa in due. Grido, piantandomi le mani nelle tempie, cercando di contrastare l’ormai familiare fitta acuta.
-SAM!- dean vira bruscamente, sgommando sul secco cemento dell’autostrada. Accosta, prendendomi i polsi, strattonandomi. –SAM!- caccio un altro grido che, lo sento, assomiglia a una risata.
(Si era accoccolato su quel divano all’incirca un quarto d’ora prima, assicurando ad un Sam preoccupato che, essendo un arcangelo plurimillenario, certamente aveva anche la pazienza di aspettare tranquillo per un po’, nell’attesa che quello finisse il suo dannatissimo libro. Sam lo aveva ringraziato, regalandogli un sorriso riconoscente. Era solo grazie a quel sorriso che Gabriel era riuscito a sopportare quei noiosissimi quindici minuti senza impazzire. Voltò la testa verso il suo protetto, ancora immerso nella lettura.
-Che leggi?- che stupido, ancora non glielo aveva chiesto. Sam chiuse gli occhi un momento, sospirando, un sorriso divertito sulle labbra.
-Shining.- inclinò appena il libro verso l’arcangelo, in modo da fargli vedere la mostruosa fotografia della faccia di Jack Torrence che sbucava con espressione folle dalle assi sfasciate di una porta. Alzò un sopracciglio, curioso e divertito a sua volta.
-Non credi che ci sia già abbastanza orrore nella tua vita, kiddo?- chiese e, improvvisamente, gli balenò in testa un’idea. Lanciò una rapida occhiata alla spalliera del divano sul quale Sam se ne stava comodamente appoggiato. Si leccò velocemente le labbra. Si, dai. Poteva anche provarci… Che male poteva fare un tentativo? Si mosse di una culata più vicino al suo protetto, facendo finta che fosse per poter studiare meglio il libro che quello reggeva tra le mani. Sam aveva chiuso il volume, tenendo il segno col pollice, per poter osservare anch’egli il viso impazzito del protagonista.
-Hai ragione… Ma che ti devo dire, adoro Stephen King.- fece spallucce, tornando con gli occhi su di lui. Per un attimo, le intenzioni di Gabriel vennero meno. Deglutì, sforzandosi di sorridergli.
-Hai degli ottimi gusti.- gli disse con fare allegro, facendogli l’occhiolino. Il viso di Sam si illuminò di uno dei sorrisi più belli che Gabriel avesse mai visto. Come tutti gli altri, del resto…
-Davvero? Dici?- la sua voce trasudava lusinga e orgoglio da tutte le parti e Gabriel si ritrovò a pensare, e non era la prima volta, a quanto intellettualmente solo dovesse sentirsi quel ragazzo. Suo fratello, Dean, non aveva mai letto niente che non fosse un fumetto di Topolino o il menù del McDonald’s. E, se invece lo aveva fatto, non ne parlava mai. Era per lo più fissato con i film degli anni settanta e non faceva altro che parlare dei cult musicali dell’epoca di suo padre. Sam era un lettore. Amava i libri e le storie che essi avevano da raccontare al mondo, le dimensioni, fantastiche o realistiche che fossero, nelle quali poteva liberare tutta la sua fantasia repressa. Non era mai stato bambino, Sam Winchester. E nemmeno suo fratello Dean. Ma avevano due temperamenti diversi, due differenti nature. E Sam aveva represso da sempre la sua indole naturalmente fantasiosa e sognatrice, ficcandola tutta esclusivamente nella lettura. E non poteva parlarne con nessuno, perché nessuno, attorno a lui, avrebbe capito. Gabriel si sentì stringere il cuore.
-Assolutamente si. Mi piace “Carrie”. “IT” non lo sopporto… odio quando si fa del male ai bambini…- rabbrividì platealmente. –Ho apprezzato molto anche “Il miglio verde”, anche se non è horror come quasi tutte le opere di King.- Sam annuì, entusiasta. Sembrava essersi completamente dimenticato del libro che stringeva tra le dita. O quasi. Mise il segno, preparandosi a riporlo. Gabriel esultò internamente, come un bambino che fosse appena riuscito a convincere i genitori a portarlo al Luna Park. Si sentì potente. In quel momento era più importante lui, di quell’ammasso di carta. Poi si ricordò di essere un arcangelo, una creatura celestiale ed eterna. E un po’ si vergognò di se stesso.
-Il mio preferito dei suoi libri e assolutamente “l’ombra dello scorpione”.- annunciò estasiato Sam, gli occhi che brillavano di luce nuova, mai vista. Gabriel si perse un secondo nel suo sguardo. Non lo aveva mai visto così appassionato. Dovette fare violenza a se stesso per restare concentrato sul discorso. Iniziarono una fitta conversazione sui libri di Stephen King, viaggiando con la mente tra le miriadi di storie che aveva scritto. Erano d’accordo sul fatto che la sua scrittura avesse perso mordente nel corso degli anni e, più si andava avanti, più diventava banale e scialba. Certo, sempre per gli standard di Stephen King. Poi passarono al più generale genere Horror. Sam andò letteralmente in visibilio quando Gabriel nominò “Il silenzio degli innocenti”.
-Cristo se adoro quel libro!- aveva esclamato. –Hannibal Lecter è, generalmente, uno dei più affascinanti personaggi letterari mai esistiti, a parer mio!- e giù discorsi sul come “Red dragon” non legasse nemmeno le scarpe agli altri due libri della saga, di come il dottor Lecter, checchè svalvolato che fosse, fosse fottutamente intrigante. Parlarono a lungo della folle genialità dei criminali psicopatici di tutto il mondo letterario. Arrivò la sera e nemmeno se ne accorsero. Quando, finalmente, l’occhio di Sam cadde sull’orologio al muro, trasalì, scattando in piedi.
-Gesù, è tardissimo! Dovevo andare a comprare da mangiare!- si passò le mani trai capelli, lanciando sguardi esasperati dal libro, ancora ben chiuso sul divano, in attesa, all’orologio che, a quanto pareva, di tornare indietro non aveva alcuna voglia. –E’ tutto chiuso ormai!- Gabriel gli afferrò un braccio, strattonandolo con decisione, facendolo nuovamente sedere davanti a se.
-Respira, Samshine, o ti prenderà un infarto.- prese “Shining”, sbattendolo con forza tra le mani del proprietario. Sam lo guardò allibito.
-Ma…- l’arcangelo gli mise una mano sulla bocca, facendo no col dito.
-Ah ah, kiddo. Leggi il tuo libro, d’accordo? Io ordino la pizza.- si alzò, sorridendo furbetto, andando al telefono a muro vicino alla porta d’ingresso sotto gli occhi stralunati e segretamente ammirati di Sam Winchester. Gli fece un occhiolino. Sam si lasciò scappare un sospiro esasperato, aprendo il libro sulle sue ginocchia, ridacchiando esterrefatto. Gabriel evitò di proposito di sottolineare quanto ingiustificata fosse stata la paura di lui di rimanere senza cibo. Era un arcangelo, dannazione! Avrebbe potuto far spuntare dal nulla una pizza grande come il Colosseo senza sforzo alcuno. Ma ordinarla gli piacque di più come idea. Rendeva tutto molto mondano e ordinario. E sia lui che Sam avevano bisogno
di normalità, almeno per una sera…
Una volta compiuta la sua missione e dopo aver mandato mentalmente a quel paese il fattorino tardo di comprendonio, Gabriel tornò a sedersi accanto a Sam, nuovamente immerso nella lettura. Tornò a fissarlo sottecchi . Gli tornò in mente quell’idea malsana che aveva avuto qualche ora prima. Fece nuovamente una culata verso il suo protetto. Allungò una mano. Ma prima di poter fare alcun che, si ritrovò le spalle avvolte dal forte braccio di Sam. L’arcangelo spalancò gli occhi, piantandoli sbalordito sul profilo di lui. Non si era mosso di un millimetro. Continuava a leggere, l’unico cambiamento costituito dalle guance, adesso leggermente spruzzate di rosso. Si lasciò sfuggire un sorriso affettuoso.
-Interessante il buon vecchio Jack che perde la brocca?- Sam annuì lievemente, rivolgendogli un occhiata veloce e un sorriso timido. A Gabriel bastava. Portò anch’egli gli occhi sulle pagine punteggiate di lettere nere del libro, senza realmente leggere nulla. Posò la testa sulla spalla del suo protetto. Che fosse telepatico? Il moccioso lo aveva preceduto, togliendogli il fiato. Sorrise un’altra volta. Schioccò le dita. A una ventina di kilometri di distanza, l’orario di consegna di due pizze venne spostato di un’ora.
)
Sono sempre stato evasivo con Dean su quei due mesi, o per lui quarant’anni, in cui mi aveva lasciato solo. A Bobby avevo solo accennato qualcosa. Nessuno ha mai saputo quanto uniti eravamo diventati io e Gabriel in quel periodo. Avevo passato momenti tremendi, in quel periodo. Ma avevo lui. Era l’unica luce nel mare di tenebre in cui ero finito. Andavo a puttane sempre più spesso, prendendole per lo più da dietro, toccandole il meno possibile, immaginando che, al posto di ognuna di loro, ci fosse un certo arcangelo di mia conoscenza. Non ricordavo mai i loro nomi. Al massimo mi poteva scappare un "bellissimo" ringhiato trai denti, o qualcosa di simile. Tutte parole che avrei voluto poter rivolgere all'originale e non a puttane prese a caso. Alla fine non mi importava nemmeno se pensavano fossi gay. Che pensassero il cazzo che pareva loro. Per me erano solo una massa indistinta di bambole gonfiabili. Mi sento male al solo pensarci. Ero crudele. Cinico. In rotta di collisione. Avevo perfino tagliato i ponti con Bobby. Gabriel era la mia unica costante. Da quando era tornato Dean, aveva smesso di venire. Si presentava ancora, quando lo chiamavo, ma la complicità che si era creata tra noi in quei due mesi di solitudine era svanita. O si era nascosta, per lo meno. Non potevamo più permetterci di essere vicini a quel modo. Quello che ho appena visto dalla prospettiva di Gabriel, è uno dei ricordi più preziosi che ho. Ora possiedo anche il suo punto di vista. Una lacrima cade sul mio viso, mentre, piano piano, torno alla realtà.
-SAMMY CAZZO, apri gli occhi, porca puttana!!- Dean sta gridando. Quanto tempo sono rimasto svenuto? Sotto la schiena, sento ancora la morbida consistenza dei sedili dell’Impala. Poco. Molto poco.
-Dean…- sussurro. Apro gli occhi. E’ su di me, gli occhi colmi di preoccupazione ed angoscia.
-Sam! Oh, grazie a Dio, Sam!- mi tira una botta sulla spalla, aiutandomi a tirarmi a sedere. –Mi hai fatto prendere un infarto, idiota!-
-Puttana.- rispondo io, massaggiandomi la nuca e guardandomi intorno. –Quanto tempo sono stato via?- una risata sarcastica gli esce dalla gola.
-“Via”.- ripete, mimando le virgolette con le dita. –Su per giù cinque minuti.- conclude poi. Annuisco. Già. Decisamente troppo poco. Avrei preferito che durasse ore, quel frammento. Avrei voluto immergermi in quel ricordo, affogarci dentro, rimanerci intrappolato per sempre. E’ il più luminoso che abbia mai visto. Fino ad ora. Al pensiero che possano esserci altri frammenti di quel genere, il cuore sembra esplodermi nel petto. Dean mi schiocca le dita davanti agli occhi un paio di volte.
-Ehi, bell’addormentato, i miei occhi sono qui!- io mi riscuoto dalla mia dolce riflessione, tornando con gli occhi su di lui, ridacchiando.
-Mi scusi, non succederà più!- lui alza gli occhi al cielo, tornando al posto del guidatore con un brontolio sommesso. Con un brusco scatto del polso rimette in moto.
-Non vuoi sapere cosa ho visto?- chiedo, con fare innocente. Muoio dalla voglia di raccontarlo a qualcuno. Lui torna con le ruote sulla strada.
-Onestamente? No. Dalla tua faccia si direbbe che tu abbia appena visto il miglior porno della tua vita.- si rabbuia. –E dato che le cose che vedi sono ricordi di Gabriel… brrr.- rabbrividisce, premendo sull’acceleratore. –Non voglio nemmeno pensarci.- sussulto appena, colto nel vivo. Lancio una rapida occhiata piena di sgomento verso Dean, ma lui sta ridacchiando sotto i baffi, gli occhi sulla strada. Stava scherzando. Mi rilasso, tirando un sospiro di sollievo. Torno a guardare fuori dal finestrino e, senza un'altra parola, si riparte.

Note a pie' di pagina: Premessa: mi sono divertita troppo a scrivere il ricordo di Gabriel di questo capitolo! Ma capisco che ci siano cose che potevano essere eliminate e parti che sarebbero potute essere più scorrevoli. Bene, detto ciò, ditemi che ne pensate! Spero continuiate a leggere! Alla prossima!

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Capitolo 9
*** I walk on a lonely road, the only one that i have ever known... ***


E’ finito. Tutto finito. Barcollo senza meta da un’ora, ormai. Sono ancora in questo fottuto edificio a vetri, la parodia di una sede di una grande società finanziaria. Potrà anche esserlo stato, di facciata, ma adesso non lo è più. E’ più simile a una carcassa morta che a un edificio. Apro una porta, l’ennesima. Guardo dentro. Un altro ufficio. L’ennesimo. Un singhiozzo mi si strozza in gola. Non ricordo più la strada per uscire. Ma che importanza ha? Dick Roman potrà anche essere morto, ma Dean se ne è andato. Anche Cas se ne è andato. Ha provato ad aiutarci, ha partecipato al nostro piano, si è impegnato nonostante l’instabilità mentale a fare qualcosa di buono per noi. E poi è sparito nel nulla, trascinato chissà dove dall’esplosione innescata dal capo dei Leviatani mentre moriva. Purgatorio, ha detto Crowley, prima di portarsi via anche Kevin. Chiudo la porta, riprendendo a camminare. Vado piano, non ho fretta. Nessuno mi aspetta fuori da questo edificio morto. Nessuno mi aspetta a casa. Non è come quella volta, quando Dean è stato trascinato all’Inferno dai mastini infernali. Adesso non ho davvero più nessuno. Quella volta avevo Bobby. Ma Bobby è morto. Quella volta avevo Gabriel. Anche Gabriel è… è… Deglutisco a vuoto. Per poco le gambe mi cedono. Muovo le labbra, ma non ne esce niente. Non ho più voce. Oppure la voce mi è rimasta impigliata in gola a causa del nodo che la stringe. Non saprei dirlo… Sono solo. Tremendamente solo. Alzo gli occhi al soffitto, senza affatto scompormi quando noto che la luce sta sfarfallando in maniera piuttosto preoccupante. Che vengano pure, i demoni. Che mi uccidano. Mi appoggio con la schiena al muro, lasciandomi scivolare a terra. Solo allora noto che tutte le altre luci del corridoio sono perfettamente a posto, la luce ferma nelle lampadine. Sospiro. Nemmeno oggi mi sarà concessa la grazia. Quando il mal di testa arriva, travolgente, quasi non lo sento. Sono apatico. Quel dolore è solo una delle odiose cose che provano che sono ancora vivo…
(Gabriel se ne stava appoggiato alla parete, osservando nella semi oscurità della stanza il petto di Sam alzarsi ed abbassarsi regolarmente da sotto al lenzuolo. Dormivano tutti, nella piccola stanza di motel. Tutti eccetto lui. Gabriel non si scompose minimamente quando, annunciato da un fruscio d’ali, accanto a lui apparve Castiel.
-Non dovresti essere qui.- l’arcangelo alzò gli occhi al cielo, mascherando l’irritazione con un sorrisetto divertito, ma teso.
-Nemmeno tu, Cassie. Eppure…- si strinse nelle spalle, tornando a guardare i suoi protetto. Era così debole ed indifeso in quel momento, cullato dalle braccia di Morfeo, il viso rilassato come quelli di un bambino. Il sorriso sul volto di Gabriel divenne più sincero.
-Io sono qui per prote…-
-Esatto. Anche io.- il suo tono non ammetteva repliche. Distrattamente, sentì i denti del tramite di Castiel serrarsi, i pugni di lui stringersi per la rabbia.
-Non ne vedo la necessità.- allora Gabriel sospirò.
-Sono qui per il tuo stesso motivo Cassie.- si mosse, avanzando di qualche passo verso il letto di Sam. Dean emise un mugolio, poi tacque. “Curioso”, pensò Gabriel. “Riesce addirittura a percepire quando qualcosa ha intenzione di toccare il suo fratellino. Che tenero!”. Arrivò ai piedi del letto del suo protetto, le mani in tasca e l’espressione piena di affetto. Sollevò un angolo delle labbra in un sorriso intenerito.
-Non credo proprio, Gabriel.- anche da li, l’arcangelo riusciva a sentire il disappunto di Castiel arrivargli addosso ad ondate. Era quasi una sensazione fisica.
-E invece si. Pensi che non sappia quello che senti per il nostro caro BarbieKen, qui?- disse, indicando con un gesto del capo il letto di Dean, voltandosi verso suo fratello. Quello spalancò gli occhi, colto alla sprovvista. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, come se volesse parlare, ma qualcuno glielo impedisse ogni volta.
-Io…- le guance gli si tinsero di rosa acceso, mentre lo sguardo nervoso e scioccato saettava veloce da lui a Dean. –Non è come…-
-Non è come penso, Cassie?- fece Gabriel, divertito. Tornò a guardare Sam. –Non dire stronzate. Non puoi mentire a me. Ma vedi…- avanzò di un altro passo. Era ancora troppo lontano. Si mosse di nuovo. Alla fine si trovò accanto al letto all’altezza della testa di Sam. Quello la girò verso di lui, nel sonno, come se inconsciamente ne avvertisse la presenza. –Non sei l’unico a sentire cose del genere.- e, con un gesto lento e calcolato, fece scorrere le dita trai capelli lunghi del suo protetto, saggiandone con calma la setosa consistenza.
-Cosa?- Castiel era ancora più confuso di prima. Anche se gli dava le spalle, a Gabriel sembrò quasi di vederlo, il broncio stordito e mezzo spaventato del suo fratellino, le sopracciglia corrucciate e gli occhi assottigliati, come in cerca della soluzione ad un complicato problema di matematica. Ridacchiò tra se.
-Tu le provi per Dean-o... Io per Sammich.- aveva pronunciato quell’ultima frase a voce così bassa che nessun’essere umano avrebbe potuto sentirla. Ma Castiel si. Ed era quello che Gabriel voleva. Ci furono un paio di minuti di silenzio, nei quali le rotelle al lavoro nel cervello di Castiel furono l’unica cosa in grado di muoversi. Il resto era immobile, perfettamente silenzioso. Sembrava quasi che i tempo si fosse fermato.
-Capisco.- disse infine l’angelo, annuendo piano. Ed era tutto ciò che serviva a Gabriel per poter tornare a respirare tranquillo.
)
-NO!- grido. Mi porto le mani al viso, piantandomi le unghie nelle guance. –NO!- le lacrime che fino ad ora sono riuscito miracolosamente a frenare, adesso mi bagnano la faccia, inarrestabili. Non è possibile. La gola mi brucia come se avessi bevuto acido. La testa mi gira sotto al peso di ciò che ho appena visto. Gabriel ha appena detto di amarmi. L’ho sentito dalla sua voce. L’ho sentito rimbombare nella mia testa. L’ho sentito nell’emozione immensa che riusciva a stento a trattenere mentre pronunciava quelle parole ad infrasuoni. Non avrebbe dovuto… Un essere celestiale, eterno, perfetto perfino nelle imperfezioni come lui, innamorato di me, il bambino col sangue di demone, il contenitore designato per Lucifero, l’idiota che aveva fatto scoppiare l’Apocalisse. Una risata isterica mi esce dalla gola, graffiandola col suo suono rauco e raschiante. E’ quasi innaturale. Ma, Dio, com’è liberatoria. Sono folle. Pazzo. Fuori di testa. Senza controllo. E, per la prima volta in vita mia, sento di avere il permesso di fare ciò che voglio.
-DEAN!- grido, anche se so che nessuno sentirà. –CASTIEL! BOBBY!- singhiozzo. –GABE!- sono solo. Non ho più nessuno. Sono solo…

Note della "scrittrice": rieccoci qui riuniti a leggere l'ennesimo capitolo... Che ve ne pare? E' una delle cose più tragiche e lagnose che abbia mai messo giù, ma spero vi piaccia comunque, almeno quanto a me è piaciuto scriverla :) Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Something new... something old ***


Amelia mi sorride, appoggiata con la schiena al lavello della cucina, una tazza di caffè fumante tra le dita sottili. E’ bella. E’ gentile. E’ semplice. E’ normale. E’ tutto ciò che ho cercato per tutta la vita e no ho mai potuto avere. Eppure… Non mi torna qualcosa. La amo, ne sono certo. Lei mi ha fatto la prima torta di compleanno della mia vita, se non si conta il maldestro tentativo di Dean di qualche anno fa di prepararmene una. Aveva quindici anni. Papà mise la torta in frigo, dicendo che non avevamo tempo per certe cose e che, se ce ne sarebbe stato, non avremmo potuto comunque stare dietro a regali e candeline. Quella notte Dean aveva soffocato il pianto sul cuscino. Ha sempre fatto il duro, ma era quello che stava peggio. Alla fine la torta era rimasta agli inquilini che successivamente avrebbero alloggiato in quella camera di Motel. Amelia è ordinaria e proprio per questo così preziosa ai miei occhi. Una donna normale per un uomo che di normalità ha solo sentito narrare nei libri e nei film. E nemmeno lì, alla fine. Mi sta insegnando a vivere come lei. La amo per questo. Mi sta offrendo la sua dimensione, un posto dove poggiare la testa stanca e un angolo di tranquillità e pace. Ma non è il mio mondo. Mi sento fuori luogo, sbagliato. L’altro giorno stavo leggendo “The Shining” per la milionesima volta. Mi si è seduta accanto e io, girandomi, ho sorriso, aspettandomi di trovare due occhi color del whisky ad osservarmi, curiosi e divertiti. Il macigno che mi è piombato sul cuore quando, girandomi, ho trovato solo il dolce, allegro sguardo di Amelia, mi ha mozzato il fiato. Sono dovuto uscire a prendere un po’ d’aria. Sono passati tre mesi da quando Dean e Castiel sono stati spediti in Purgatorio. Tre mesi di atroce agonia. I primi tempi sono stati semplicemente una perenne tortura. Mi alzavo la mattina e l’unica cosa a cui pensavo era tornare a dormire la sera. Ma ho continuato la mia vita. Ho strinto i denti e sono andato avanti. Dean e Bobby non avrebbero voluto che mollassi. E nemmeno Gabriel. Ma le mie azioni erano meccaniche, vuote… Mi muovevo perennemente, viaggiando in lungo e il largo per gli Stati Uniti, tenendo sempre la mente occupata. Se mi fossi concesso di pensare, di riflettere anche solo un istante sulla mia vita, sarebbe stata la fine. In quel periodo ho avuto altre due visioni. Una più dolorosa dell’altra…
(Se ne stavano lì, a guardare il nulla, uno appoggiato all’altro. Ovviamente Gabriel sulla spalla di Sam e Sam sulla sua testa. Il contrario sarebbe stato decisamente scomodo e quasi impossibile. Gabriel sorrise a quel pensiero.
-Kiddo, pensi mai di poter morire?- chiese all’improvviso, facendo trasalire il suo protetto.
-Ogni volta.- rispose quello, senza dare alcuna intonazione alla voce. Aveva troppa paura per farlo. L’arcangelo annuì, strusciando la guancia sulla camicia di flanella di Sam.
-Mh…- e, per un altro po’, non ci fu altro che il soffiare tranquillo del vento trai rami degli alberi. Erano in un parco. Non sapevano nemmeno in che stato fosse e, onestamente, non gli importava. Gabriel era apparso, quella mattina presto, rapendo Sam dalla sua stanza provvisoria di Motel, schioccando le dita tutto allegro, facendoli apparire chissà dove. Era una bella giornata, comunque. Di tanto in tanto una nuvoletta bianca tagliava il cielo terso. Erano arrivati al parco una mezzoretta prima. E, da allora, si erano scambiati si e no due parole. Ma andava bene così. Era tutto perfetto. Se non fosse stato per la crescente inquietudine che andava espandendosi nel petto dell’arcangelo come un rampicante orribile ed insidioso, la giornata non avrebbe potuto essere migliore di così. Eppure Gabriel aveva un presentimento, un presagio. Quella pace non sarebbe durata a lungo. Magari un giorno, forse due. O magari un mese, chi lo sa. Forse avrebbero avuto ancora un po’ di tempo, prima che quella sensazione spiacevole diventasse realtà. Si sentiva a disagio anche per il fatto che di solito sapeva sempre con precisione quando e come una catastrofe sarebbe arrivata. Quella volta no. La cosa lo innervosiva, e non poco.
-Perché?- chiese all’improvviso Sam, spezzando il silenzio. Gabriel si strinse nelle spalle.
-Così…- ma Sam non se la bevve.
-Tu pensi mai di poter morire?- eccolo. Sam Winchester con il suo infallibile intuito e il suo tatto da elefante in un negozio di vasi di porcellana . Gabriel non riuscì a trattenere una risata divertita. Non riusciva mai a nascondergli niente…
-Qualche volta.- quasi poteva sentire la frustrazione di Sam crescergli nel petto.
-Quante volte?- Gabriel sospirò, arrendendosi.
-Molte, ultimamente.- Sam deglutì a vuoto, prima di fare un’altra domanda.
-Perché?- Gabriel non voleva rispondergli. Non voleva caricarlo di altre preoccupazioni. Ma sapeva che il suo protetto non si sarebbe arreso finche non avesse ricevuto una risposta decente.
-Perché ho una brutta sensazione Kiddo, tutto qui. Può essere una cazzata, per quanto ne so. Magari un tornado in Nevada. L’ennesimo… Non lo so, Samshine, è solo un presentimento.- si strinse nuovamente nelle spalle, tentando di liquidare la faccenda. Forse perché quella giornata era stata troppo bella per rovinarla con strani presagi, forse perché anche Sam non poteva sostenere quella conversazione un minuto di più, forse perché anche Sammich voleva godersi quel momento con lui, ma alla fine il minore dei fratelli Winchester tacque. Non rispose. Passò soltanto un braccio attorno alle spalle di Gabriel, attirandoselo più vicino. Quello sussultò appena, sorpreso dall’audacia di quel contatto. Era già successo, si, ma non era certo un’abitudine. Sam doveva essere davvero preoccupato, per fare una cosa simile… Alzò appena lo sguardo verso il viso di Sam. Quello fissava dritto davanti a se, le mascelle serrate. Guardava una coppia di passerotti inseguirsi scherzosamente nel prato. Qualche volta uno riusciva a raggiungere l’altro, ma, non appena la missione sembrava compiuta, uno dei due scappava di nuovo, lasciando l’altro a doverlo inseguire da capo. Sembrava così concentrato su quella scena… Gabriel non la trovava interessante. Aveva occhi solo per il suo protetto. Una sensazione opprimente, sebbene infinitamente più piacevole del presagio che lo aveva assalito poco prima, gli salì lento e inarrestabile dalla bocca dello stomaco, su su, fino ad attanagliargli la gola. Voleva baciarlo… Lo voleva tantissimo. Non era lontano, sarebbe bastato allungare leggermente il collo e… Ma non lo fece. Strinse i denti, voltandosi con decisione dall’altra parte, mandando giù con la saliva quel groppo fastidioso ed ingombrante che lo stava soffocando. Non doveva. Non poteva…
)
Avevo raccontato ad Amelia di una persona speciale che mi aveva lasciato tempo prima del nostro primo incontro. Non le avevo detto chi fosse, ne che sesso avesse. Lei aveva annuito, consolandomi per quanto poteva. Non era servito a niente… Alle mie orecchie, le sue parole erano sembrate solo sussurri incorporei dispersi nel vento. Ora sta girando attorno al tavolo. Mi sta dicendo qualcosa, mentre si siede accanto a me. Non riesco a capire. Sono distante, la mia mente vaga nei ricordi di qualcun altro…
(-Mi vuoi bene Sammich?- che domanda sciocca, se ne rendeva conto da solo. Era una domanda da bimbo, una richiesta di conferma da parte di qualcuno che non avrebbe potuto rispondere altrimenti. Sam spalancò gli occhi, socchiudendo la bocca, inarcando le sopracciglia. Le guance gli si tinsero leggermente di rosso.
-Cosa? Io… beh, si. Sei mio amico, no?- si schiarì la voce, tornando a pulire la canna del suo fucile, impegnandosi come se non lo avesse mai fatto prima. Gabriel si grattò distrattamente la nuca, spostando lo sguardo nervoso da una parte all’altra della stanza.
-Ok…- se fosse stato solo, si sarebbe messo a ballare la salsa. Ma si trattenne. Non era il caso di mostrare quanto contento potesse renderlo Sam con una sola frase smozzicata. -E… ti dispiacerebbe se morissi?- Gabriel trasalì, spalancando gli occhi dalla paura quando il suono del fucile sbatacchiato con violenza sul tavolino gli esplose nelle orecchie. Sam ora lo fissava, un pugno stretto attorno allo strofinaccio, gli occhi di fuoco.
-Ancora con questa storia?!- ringhiò. –Si può sapere per quale cazzo di motivo tiri sempre in ballo la tua morte ora? E’ diventato il tuo argomento preferito! Ed è un argomento di merda, se proprio vuoi saperlo!- Sam si alzò di scatto dalla sedia, tirando per terra lo strofinaccio. Gabriel si premette di più contro il separé azzurro di quella camera di Motel. In un angolo remoto della sua psiche, pensò che era buffo che, ogni volta, loro due si incontrassero in una stanza di Motel. Sam doveva aver passato due terzi della sua vita in quelle schifose stanzette opprimenti. Ma ogni altro pensiero venne spazzato via dalla sua mente quando Sam si mosse, facendo un passo verso di lui. Gabriel deglutì, tentando di imbastire un sorrisetto divertito.
-E’ che voglio un bel necrologio sulla mia tomba Kiddo, e me lo devo preparare prima! Sai che schifo se sulla lapide ci scrivessero “Qui riposa l’arcangelo Gabriele: mangiava dolci e andava a puttane”, no?- la battuta gli era venuta male. Nella sua testa era suonata più divertente. Si appiattì contro la leggera parete di legno, quando, con altri due passi, Sam gli arrivò davanti, sovrastandolo. Il dolce ragazzone di poco prima si era trasformato in un crudele cacciatore. Lo guardava, dall’alto, gli occhi due pozze scure di rabbia.
-Non. Ci. Pensare. Più.- e, più che a una voce umana, assomigliava ad un ringhio. Di colpo Gabriel si sentì sbattuto contro la parete da due mani eccessivamente forti premute con forza sulle sue spalle. Il legno scricchiolò, minacciando di creparsi.
-Kiddo, ma che cazz…- ma, alzando lo sguardo, se lo ritrovò col viso a meno di venti centimetri dal suo. Ogni forma di protesta fu annientata, affogata dalla pappa informe che era diventata il cervello dell’arcangelo. Esisteva soltanto Sam, adesso, e il suo fiato che, ad ondate, andava ad infrangersi sul suo viso. Gabriel rabbrividì, inalando l’odore del suo protetto, cercando di non far vedere lui quanto innaturale fosse diventato il suo respiro.
-Sammich…?- la voce gli uscì in un ansimo incontrollato. Sam teneva pe pupille fermamente piantate nelle sue. Gabriel poteva scorgere l’ira sparire pian piano, riassorbita nei meandri della sua anima. Qualcos’altro prese il suo posto. Ma Gabriel non ebbe il tempo di capire cosa fosse. Sam chiuse gli occhi, sospirando. Fece scivolare le mani dalle sue spalle alle sue braccia, mantenendo comunque una presa ferrea sulla sua carne. Si chinò in avanti e, per un attimo, Gabriel credette che lo stesse per baciare. “Avanti”, gridò dentro di se. “Avanti, ti prego! Baciami!” ogni fibra del suo essere implorava che ciò accadesse. Ma le intenzioni di Sam, a quanto pare, erano diverse. Quando il suo protetto posò la fronte sulla sua con un movimento stanco, Gabriel riuscì quasi a sentire il suono del suo cuore che si spezzava. Sapeva che era impossibile, ma il dolore che seguì quella delusione fu tale che, per pochi istanti, ci credette.
-Ovvio che mi dispiacerebbe… E’ naturale…- e, detto ciò, lo aveva abbracciato. Gabriel aveva ricambiato la stretta, senza azzardarsi a fare niente di più.
-Va bene… Scusa Kiddo, so che era una domanda idiota.-
-No, non lo era…- scosse la testa Sam. Gabriel colse la palla al balzo, buttando lì un pensiero che, da un po’ di tempo, gli ronzava fastidiosamente nel cervello.
-Fammi una promessa. Anzi, facciamoci una promessa, Samshine. Non so tu, ma quando morirai, io soffrirò. Molto. Ma non mi farò intralciare dal dolore di un… amico perso, ok? Puoi farlo anche tu per me?- forse era troppo pretenzioso. Forse era stato troppo fiducioso, pensando che Sam lo considerasse importante alla stessa maniera di come lui considerava importante Sam. Ma lo aveva dovuto dire. Si diede mentalmente dell’idiota, maledicendo se stesso e la sua maledetta lingua senza freno.
-Ok.- era stata la risposta di Sam. Il cuore nel petto di Gabriel aveva fatto una capriola, sebbene ancora appesantito dal mancato bacio di poco prima.
-Bene.- e non aveva aggiunto altro.
)
-Cosa Amelia? Scusa, ero distratto…- abbozzo un mezzo sorriso, cercando di farmi perdonare. Lei alza gli occhi al cielo, sbuffando divertita.
-Sempre con la testa tra le nuvole, Sam Winchester!- mi picchietta con un dito sulla fronte. –Stavo parlando del trasloco! Dobbiamo ancora scaricare un paio di casse dal furgone, ti ricordi?- mi sorride. Un sorriso smagliante, sincero, puro. –Ti va bene iniziare domani mattina sul presto?- mi chiede. Io annuisco.
-Perfetto!- tento di sembrare convincentemente entusiasta. Fallisco miseramente. Lei ride ancora, prendendo la scarsità della mia reazione per sgomento.
-Tranquillo, dopo possiamo anche tornare a dormire! Pigrone!- mi da un pugnetto sulla spalla, tornando al lavello per svuotare la tazza. Non ha più voglia di caffè. Torna da me, sorridente. Mi prende per mano. Già prima che mi tiri leggermente verso di lei so cosa vuole fare. Mi alzo, sorridendo a mia volta e la seguo in camera da letto. A volte capita che la chiami “Gabe”. All’inizio ci rimaneva molto male. Poi le spiegai di quella certa persona che avevo perso prima di conoscerla. Lei mi chiese “Si chiamava proprio così? Gabe?” e io annuii soltanto, senza dire niente. “Nome insolito”, aveva detto lei, ma poi aveva lasciato perdere, notando, grazie al cielo, quanto l’argomento mi recasse disagio. Ora, quando capita, lei non fa una piega. Ormai ha capito. La mia persona speciale non se ne è mai andata via del tutto…

Note della "scrittrice": Rieccoci qui! Allora, in questo pezzo mi sono prodigata di mettere non uno, ma ben due ricordi, che spero voi abbiate gradito leggere :) E' stato molto interessante e coinvolgente per me metterli su "carta" (via, su pagina di word, ma dettagli)! Spero questo capitoletto vi sia piaciuto! Fatemi sapere che ne pensate :) Alla prossima!

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Capitolo 11
*** My heart will go on ***


E’ finito tutto. Di nuovo. O meglio, è ricominciato tutto da capo. Dean è tornato circa un mese fa, Castiel l’ha seguito a circa una settimana di distanza. Io ho lasciato Amelia. Dovrebbe essere tutto tornato alla normalità, no? La ruota della fortuna dovrebbe girare a nostro favore, per una volta… E invece no. Castiel è impazzito. E non bonariamente come la scorsa volta. Adesso c’è qualcuno dietro di lui, qualcuno che manovra le sue mosse. Siamo sulle tracce del tablet angelico ormai da giorni. E ogni secondo che passa, il nostro vecchio angelo custode sembra peggiorare. Dean è preoccupato. Molto preoccupato. E, solitamente, i suoi presentimenti su Castiel sono giusti. Nel bene e nel male.
-Sammy, ma l’hai visto?- mi ha chiesto ieri sera. –Non sembra nemmeno più lui. Ma che gli sta succedendo?- l’angoscia nei suoi occhi era una presenza viva. Si muoveva nel profondo delle sue pupille, come un gatto irrequieto. Non ho potuto far altro che smozzicare qualche frase fatta, cercando di consolarlo. Ho il sospetto che qualcosa di strano sia accaduto in Purgatorio, nell’anno che sono stato solo. Qualcosa di segreto. Dean non vuole nemmeno sfiorare l’argomento, ogni volta che provo ad avvicinarmici mi trafigge con gli occhi, lanciandomi uno dei suoi sguardi “se continui così ti squarto”. E a me non resta altro che chiudere la bocca. Qualsiasi cosa sia successa, è una cosa grossa. Girottolo pigramente tra le enormi stanze del bunker, bevendo di tanto in tanto un sorso di caffè. Controllo i pannelli di controllo attività demoniaca. Tutto a posto. Torno in cucina, dove Dean è intento a confabulare con qualcuno al telefono.
-Si, è strano…- borbotta, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo basso. –Non so cosa gli stia prendendo.- c’è una breve pausa. –No, lui mi ha detto che non è per quello....- si gira. Mi vede. Vedo lo spavento oscurargli fulmineo lo sguardo, prima di scomparire. –Senti… emh… Ti richiamo, ok?- e aggancia. Mi avvicino, curioso ed irritato al fatto che abbia chiuso la chiamata a causa mia.
-Chi era?- lui fa spallucce.
-Un amico.- inarco un sopracciglio.
-Pensavo non avessimo amici.- sbuffa, alzando gli occhi al cielo, andando verso la moca, versandosi con astio un po’ di caffè.
-Beh, parli tu, col tuo amichetto alato morto stecchito!- alza gli occhi dalla tazza ormai piena, l’espressione incerta. Ha paura di aver esagerato. E, in effetti, non ha tutti i torti. Ma non posso fargli vedere come il ricordo di Gabriel mi ferisca. Sospiro, chiudendo gli occhi, come se avessi a che fare con un bambino in vena di bizze.
-O tu, col tuo amichetto alato impazzito.- lo sento sobbalzare leggermente. Apro le palpebre, trovandolo intento a fissare con esagerata concentrazione la sua tazza fumante. Si accorge che lo sto osservando. Si affretta a bere.
-Ci sto lavorando.- mugugna, tra un sorso e l’altro.
-Mh mh…- Annuisco con sarcasmo. Già. Ci sta “lavorando”. Non voglio sapere come. –Senti, vado a letto, ok? Se suona qualche allarme…-
-Ti tiro giù dalla branda.- conclude lui, alzando il pollice in su, bevendo un altro sorso. Alzo gli occhi al cielo, uscendo dalla stanza. Mi avvio a passo svelto verso camera mia, riavvolgendo per l'ennesima volta il registratore della mia memoria. Ci sono passaggi della mia vita che ancora devo realizzare di aver vissuto... Mi sono messo con Amelia. Dean è tornato. Castiel è tornato. Ho lasciato Amelia. Io e mio fratello ci siamo trasferiti qui nel bunker. E in tutto questo lasso di tempo, non ho più visto nemmeno un frammento della memoria di Gabriel. Ho paura sia la buona volta che non ne riceverò più… E non sono ancora pronto a lasciarlo andare. Arrivo in camera, mi lascio cadere di peso sul letto. Le doghe cigolano. E la mia testa esplode.
(Kiddo? Sammich? Ci sono? Si, ci sono.)
Cosa? Che sta succedendo?!
(Ciao Samshine! Immagino tu sia un po’ confuso adesso… Questo ricordo non è strutturato come gli altri, come avrai notato. Beh, a dirla tutta, non è nemmeno un ricordo… E’ un messaggio sulla segreteria telefonica, mettiamola così!)
La sua voce allegra mi rimbomba nella testa.
-Gabe!- ma so che non risponderà. Come ha detto lui, non è che una semplice registrazione. Il cuore mi si stringe nel petto, rischiando di implodere. Lui non è qui. Non tornerà.
(Beh, comunque… Eccoci qui, io e te, alla fine di questo percorso. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi, dei frammenti che hai visto fino ad ora. Sei disgustato? Compiaciuto?)
Quasi me lo immagino sollevare le sopracciglia con fare ammiccante. Involontariamente, sorrido.
(Sappi, Sam, che per me è stato molto difficile, anche da morto, lasciare quei ricordi nella tua testa. Avevo paura che avresti ricominciato ad odiarmi, come ai bei vecchi tempi. Non sono pezzi di me facili da condividere…)
All’improvviso la sua voce e seria, quasi solenne. Davvero raramente l’ho sentito parlare così. Lo ascolto in venerante trepidazione.
(Ma l’ho fatto. Mi sono imposto un atto di fede. Ironico, non trovi? Un arcangelo del Signore che deve sforzarsi per trovare in se stesso un po’ di fede da concedere al prossimo. Una barzelletta da aggiungere al repertorio, insieme ai tizi che entrano in un Caffè e SPLASH!)
Mi accorgo a malapena di star ridendo tra me e me come una ragazzina. Solitamente non rido alle battute squallide. Al massimo scuoto divertito la testa, quando Dean si mette a spararne cinque o sei di fila a causa della noia durante gli interminabili viaggi nell’Impala. Ma Gabriel… Lui è sempre stato speciale. In modi strani, che ancora stendo a capire, è sempre riuscito a riportarmi il sorriso.
(Comunque… Dicevamo? Ah già. I ricordi. Purtroppo non potrò mai vedere come reagirai alla visione di quei frammenti di memoria. Quando li vedrai, sarò già svanito del tutto… Ero nella gabbia di Lucy con te, Kiddo, ti ricordi? Non ti ho lasciato un solo istante.)
La sua voce suona insieme fiera e malinconica.
(Sto svanendo, Kiddo… Lottare con te, lottare per te nella Gabbia è stata una delle ultime cose che farò. O almeno credo. La mia evanescenza è durata già più di quanto dovrebbe… In ogni caso, eccoci qui, alla fine della nostra strada insieme. Almeno ci siamo divertiti, no? E spero che ciò che ti ho mostrato non abbia rovinato tale divertimento… Tu sei stato il mio umano preferito fin dal primo momento che mi sei capitato davanti. Eri sveglio, forte, in gamba... E mi hai ridato la speranza. Prima di te, la mia vita era una fuga costante, fatta di punizioni per i peccatori e di dolci sgraffignati qua e la. Alla stregua di un ladruncolo, tu pensa! Da arcangelo a taccheggiatore. Com’ero caduto in basso… Ma tu mi hai fatto rialzare. Non sei stato dolce, non mi hai preso sottobraccio, portandomi con te sulla retta via. Mi hai semplicemente spinto giù da quella sbagliata. Ma forse è stato meglio così. Non so come avrei reagito alla dolcezza…)
Ma io avrei voluto dargliela. Voglio dargliela. Voglio che sappia che io avrei potuto dargli qualsiasi cosa, se solo l’avesse chiesto. Magari non all’inizio, magari un po’ più in la… Ma avrei fatto di tutto per lui. E lui non lo saprà mai.
(Beh, ma la storia della mia vita la sai già, no, Sammich? Te l’ho lasciata in eredità… La mia storia di redenzione, la mia travagliata storia d’amore unilaterale! Una tragedia Shakespeariana. Mi piace. Non mi pento di nulla. Sono contento aver perso la testa per te, Kiddo. Eri quello giusto.)
Il cuore mi balza in gola. Gabe…
(So cosa pensi. “Ma no, Gabe, sono solo un bambino demoniaco. Guarda come giro il collo di trecentosessanta gradi e sputo vomito sul soffitto!”)
Nonostante il peso sullo stomaco e il nodo alla gola, sorrido di quella buffa imitazione. Avrebbe avuto un futuro come attore…
(E no, Samshine, non sono d’accordo. Cioè, un po’ demoniaco sei, ma possiamo concordare sul fatto che questa cosa aggiunga solo un po’ di pepe alla faccenda. Sono in disaccordo sulla tua percezione di te stesso. Non sei oscuro, Sammy. Non sei cattivo. Guarda cosa è stata la tua vita fino ad ora! Un sacrificio dietro l’altro, una sequela di buone azioni a discapito della tua stessa incolumità! Sei un eroe. Sei il mio eroe Sam.)
Eccoci tornati all’uso del nome senza vezzeggiativi. E’ tornato serio. E, tutto ad un tratto, come una visione, mi appare chiaro come lui mi ha sempre visto. Per lui, il vero angelo ero io. Mi porto una mano alla bocca, soffocando un conato di vomito. Se solo capisse quanto distorta sia la sua, di percezione…
(Non dimenticartene mai. Tu mi hai salvato, mi hai dato speranza, fiducia in me stesso e nell’umanità. Mi hai fatto riscoprire il mondo come mio padre voleva che lo vedessi. Detto ciò, kiddo, direi di aver già rubato anche troppo del tuo tempo prezioso.)
Il mio cuore salta un battito. NO!
(Non so se vedrai altre mie memorie dopo la fine di questo messaggio.)
NO! Dio, ti prego, no!
(Ci tengo solo a dirti che… che…)
Me lo immagino torturarsi le mani. Cosa? Cosa vuoi dirmi?!
(Insomma Kiddo, lo sai.)
Sospira. No! No Cristo, non lo so! Cosa intendi?! Gabe!
(Non smettere mai di lottare per ciò che credi giusto Sammich. Perché lo è. Stringi i denti, Sam, la vita è dura e non ti lascerà mai un attimo di tregua, ma tu non devi arrenderti. Se l’evanescenza me lo concede, sarò li con te, il più a lungo possibile. Pensami, di tanto in tanto. Chiamami. Vedrò di essere li per te.)
E, di colpo, nella mia mente la sua voce passa in secondo piano. L’immagine nitida, chiara del suo viso troneggia su tutto. Ha la sua solita aria furbetta, ma nel suo sguardo serpeggia la tristezza. Un mezzo sorriso gli spicca sulle labbra.
(A presto Samshine.)

Angolo della scrittrice: Ed eccoci tornati su "Chi vuole un po' di smielatezza drammatica gratuita?". Beh, la risposta, ovviamnete, è "voi!", dato che siete tornati qui a leggere la mia storia xD Allora? Che ve ne pare? Questo è organizzato un po' diversamente dai capitoli precedenti. Mi piaceva sperimentare questa formula. Ditemi che ne pensate :) Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Help ***


Dean ha un amico vampiro. E Castiel, fino a poco fa, era controllato mentalmente da uno dei vertici dei piani alti del paradiso. Abbiamo trovato Metatron, lo scriba di Dio. E Kevin ha scoperto che devo salvare un’anima innocente dalle fiamme dell’inferno. Ok, le cose raramente sono state così incasinate. E parla uno che di cose incasinate ne ha viste, e molte. Siamo di nuovo in viaggio. Stiamo andando a tutta velocità verso un buco di città nel mezzo al Kansas per incontrare un gream reaper che possa portarmi all’inferno. Possibilmente senza farmi passare dalla morte.
-… e allora gli diremo che non sono fatti suoi e, se controbatte, gli diremo che abbiamo degli amici potenti. Perché no, possiamo anche dire nomi e cognomi, così quello si piegherà di sicuro! Lo seguiremo ovunque lui voglia portare il culo e scassineremo l’inferno alla ricerca di Bobby. Chiaro?- mi astengo dall’alzare gli occhi al cielo solo perché so che lo farei innervosire ancora di più. In quanto al parafrasare i suoi discorsi, Dean non è mai stato un asso. Pensiero e parola, molte volte, si equivalgono, quando è lui a parlare. Annuisco soltanto, lucidando una falce. Non si sa mai… Se il gream reaper si ribellasse e minacciasse di andare a spifferare tutto a Crawley, saremmo fregati. Meglio prevenire che curare.
-Non useremo quell’affare se non in caso di estrema necessità.- decreta Dean. Annuisco di nuovo, anche se il suo ordine ha lasciato in me un senso di fastidio. Crede che non lo sappia anche da solo?! Faccio un profondo respiro. Non è il momento di litigare. Arriviamo a destinazione che è già sera. La cittadina è davvero piccola e le strade brulicanti di persone risplendono sotto la luce delle insegne a neon. Non c’è nulla di naturale qui. La donnina dell’insegna di un bar alza e abbassa una gamba a intermittenza. Lancio uno sguardo verso Dean. Una volta ci si sarebbe fermato senza pensarci due volte, sotto ad un insegna del genere. Non importa quanto il lavoro da fare fosse urgente. “Dai, solo un’occhiata Sammy!”. Quasi lo vedo. Un Dean di sette anni più giovane mi invita con sguardo estasiato ad entrare in uno strip club, sfregandosi le mani per il lauto bottino che sa di poter fare. Ma la macchina non decelera, non si ferma. Dean nemmeno si accorge di quel posto. E passiamo oltre… Faccio un sospiro tra il sollevato e il malinconico. La vita ci ha travolti. Due ragazzi, una volta ventenni, siedono nella stessa macchina di quel tempo. Ma loro sono cresciuti. Se l’età si contasse in esperienza, e non in anni, ne avremmo minimo cento a testa. Siamo fermi, adesso. Dall’altra parte della strada, con due ruote sul marciapiede, stanno una decina di auto. Tra tutte spicca un piccolo taxi giallo. Nel posto del guidatore c’è un ometto sulla trentina, intento a mangiarsi un panino del McDonald’s. Dean affila lo sguardo. E’ quello che stavamo cercando.

Siamo riusciti a convincerlo. Non sappiamo come, dato che al solo nominare Crawley, quello sembrava dover svenire da un momento all’altro. Ma ce l’abbiamo fatta. E adesso lo sto seguendo per un vicoletto laterale, infossato tra gli edifici scuriti dagli anni e pieno zeppo di puttane in cerca di lavoro. Si girano tutte a guardarmi, ma io passo oltre. Onestamente, anche il solo pensare di sfiorare una di loro mi da il voltastomaco. E pensare che una volta ero un cliente abituale… Alla fine ci fermiamo davanti ad un muro di mattoni, pitturato con qualche murales scolorito. E ora? Alzo un sopracciglio, lanciando un’occhiata perplessa e sospettosa al mio accompagnatore. Quello si gira verso di me, gli occhi fermi.
-Non ti porterò direttamente all’Inferno, come ti ho già detto prima. Spero per te che tu ti sia portato un’arma. Altrimenti la vedo dura che tu riesca ad uscire vivo da questa storia…- e, detto ciò, schiocca le dita. Il muro si apre. Sgrano gli occhi. Per un attimo mi sembra di essere Harry Potter, davanti al passaggio per Dyagon Ally. Poi la gravità sembra impazzire e, in un baleno, mi sento strappare da questo mondo, trascinato in una nuova dimensione. Ho solo il tempo di formulare un pensiero (Ti prego Gabe, aiutami!) prima di venire inghiottito dal muro. Quando la sensazione di sballottamento finisce, apro gli occhi. Il paesaggio che ho davanti è completamente diverso da come me lo aspettavo. File e file di alberi spogli mi circondano, lasciando passare la luce opaca e grigiastra del cielo. Le foglie dai colori spenti del sottobosco sembrano apparse li per magia. Dei ringhi sommessi arrivano alle mie orecchie. Ma chiunque sia il loro proprietario, è parecchio lontano da qui. Dunque è questo il Purgatorio.
-Bene, il mio compito finisce qui. Hai ventiquattro ore prima che torni a prenderti! Ricordati: segui il fiume, trova il portale per l’Inferno, torna il prima possibile. - e, detto ciò, la mia guida scompare. Mi lancio rapide occhiate intorno. Poi chiudo gli occhi. Il debole scroscio dell’acqua del fiume mi arriva distante ed attutito. Il suono arriva da ovest. Riapro gli occhi, mettendomi a correre. Devo sbrigarmi. Non ho molto tempo. (Ti prego Gabe, veglia su di me.) E, sopra al suono del mio cuore impazzito, mi sembra quasi di sentire una risposta. (Sempre, Kiddo.)

Angolo della scrittrice: Ok, mettiamo subito le mani avanti. Questo era un capitoletto di passaggio, ci sta che lo troviate sbrigativo e scialbo nella forma e nel contenuto. Ci sta. Dovevo scrivere questa parte per poter tenere una coerenza temporale nella mia storia. Perdonatemi. Alla prossima (che si spera arrivi presto)!

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Capitolo 13
*** Wish you were here ***


La divina provvidenza, per una volta, ci ha aiutati. O meglio, Naomi, l’angelo stronzo. Ma uno vale l’altro, alla fine, di questi tempi. E’ stata lei a permettere a Bobby di arrivare finalmente in Paradiso, luogo lui designato fin dall’inizio. Mi ha sorpreso la tenacia di Crawley nel volerselo riportare nell’abisso. Avevo capito fin dall’inizio che non sarebbe stato facile, fin da quando ho scoperto che il gream reaper che mi aveva traghettato in Purgatorio era stato ammazzato dagli sgherri del re dell’inferno. Ma non pensavo che si sarebbe presentato di persona. Ne che si sarebbe opposto con tale fermezza. Se non fosse stato per Naomi… Per quanto mi dispiaccia, le dobbiamo il culo. Sono da solo nel bunker. Ho trovato una pallina da tennis. La mia attuale occupazione, qui dentro, è quella di tirarla contro il muro della sala da pranzo, riprendendola al volo prima che cada. Dean è uscito. E’ andato a dare la caccia al nostro angelo custode che, da qualche settimana a questa parte, sembra avere un nuovo migliore amico. Sospetto che sia anche questo ad aver spinto Dean a muovere il culo dalla sedia. Me lo immagino fumare di gelosia mentre si butta a sedere sull’Impala, sbattendosi dietro la porta come una furia, prima di lanciarsi all’inseguimento. Sorrido divertito, pensando a quando fottuto sarà Metatron quando farà un passo falso e Dean avrà la scusa buona per farlo fuori e riprendersi Cas. La nostra vita sta diventando una soap opera… Lancio la palla un'altra volta. Il ritmo del colpi sul muro e nelle mie mani mi ricorda vagamente il battito del cuore di un uomo assopito. Non è troppo veloce. Ma è vivo. Mi rassicura.
-Mi dispiace che tu non abbia visto il Bunker…- inizio. –E’ un bel posto. Ti sarebbe piaciuto.- non è la prima volta che parlo da solo. E’ diventata un’abitudine, ormai, da quando ho visto l’ultimo messaggio di Gabe. Mi ha riacceso la speranza. A volte mi dispiace che l’abbia fatto. Prima, almeno, avevo una certezza a cui aggrapparmi. Gabriel era morto. I morti non tornano. A meno che non siano Dean o Castiel, ma penso che la cosa non sia così comune tra la gente… Adesso è diverso. Mi ha detto di questa “evanescenza”. Ho chiesto a Cas, una volta, cosa fosse.
-Quando un angelo muore, non se ne va subito. Non ci sono posti come paradiso, inferno e purgatorio per noi, Sam. Solo il nulla. Cessiamo di esistere. Prima di svanire del tutto, possono passare anche mesi. In questo tempo noi siamo nell’aria. Siamo atomi che viaggiano tra altri atomi, ma siamo ancora coscienti. A volte, qualcuno è riuscito a tornare. Pochi. Quasi nessuno. Ma qualcuno è riuscito a non svanire.- dannato Castiel e le sue buone notizie. Dannata la speranza.
-C’è una sala da biliardo qui. Avremmo potuto, non lo so, farci due tiri…- la palla rimbalza di nuovo. La riacchiappo al volo, ma per poco non mi sfugge dalle dita malferme. Mi accorgo solo ora che tremano. Non ci faccio caso. Torno al mio gioco ripetitivo, riprendendo il filo del discorso.
-O la cucina. Ti sarebbe piaciuta pure quella… C’è un freezer enorme, ci avresti potuto mettere una gelateria intera.- deglutisco, perdendo per un attimo la presa sulla realtà. La palla mi passa sopra la testa, rimbalzando un paio di volte alle mie spalle, per poi zittirsi. Fisso il muro davanti a me, senza realmente vedere niente. Sento il mio essere allontanarsi dal mio corpo. Vuole andarsene. Non vuole più stare qui dentro, in un petto che sembra esplodere e in un cervello che non vuole altro che crogiolarsi nel dolore. Sospiro, girandomi. La pallina non c’è più. Probabilmente è sparita sotto qualche divano. Chiudo gli occhi. Mentalmente protendo le braccia, afferrando la mia anima inquieta, rimettendola al suo posto. Non è la prima volta che succede. Non sarà l’ultima. In un libro ho letto che si chiama “depersonalizzazione”. Per una volta non è una cosa demoniaca, angelica o roba simile. Solo psichiatrica. Mi schiarisco la voce, avviandomi con le mani in tasca verso camera mia.
-Oppure la biblioteca. Ci sono un sacco di libri laggiù…E non solo su mostri et simila. Ti sorprenderebbe quanta letteratura si può trovare nei rifugi anti atomici dei cacciatori del soprannaturale…- sorrido a me stesso, immaginandomi la sua risata. Questa battuta lo avrebbe sicuramente divertito. Mi butto sul letto a pancia in giù. Mi ricordo solo troppo tardi di avere le mani ancora bloccate nelle tasche e per poco non sbatto la faccia sulla testiera del letto. Mi limito a semi affogare nel cuscino, prima di riuscire a puntellarmi sulle mani e ad alzarmi. Sbuffò, levandomi i capelli dalla faccia. Riesco quasi a sentire le sue battutine sulla scarsa coordinazione delle persone troppo alte.
-Sta zitto, nanetto.- ridacchio, tirando un cuscino verso la porta. Nessuno me lo ritira indietro. Mi lascio cadere supino. Chiudo gli occhi. Basta. Non voglio più pensare. Ma qualcuno, il fato o, chi lo sa, proprio Dio, vuole diversamente. Rabbrividisco. Sento accapponarmisi la pelle, ogni pelo ritto sull’attenti. Faccio per aprire gli occhi, ma mi ritrovo le palpebre incredibilmente pesanti. Tendo l’orecchio. Se ci fosse un fantasma o un poltergeist, l’allarme suonerebbe. Ma niente. Non un fiato. Nel bunker regna il silenzio. Deglutisco a fatica, la bocca dello stomaco contratta dall’ansia in una morsa. E poi arriva. Il contatto. Non mi aspettavo sarebbe stato così reale. Il tocco di uno spettro è freddo, incorporeo, irreale. Quelle che adesso scivolano lente sul mio viso sono dita calde, vere, reali. E allo stesso tempo non lo sono. Allungo le mani alla cieca, ma accanto a me non c’è nessuno. Non c’è pressione sul materasso che indichi la presenza di un’altra persona. Sono solo. Eppure la carezza sul mio viso c’è. E’ innegabile. Sento la mano senza corpo diminuire la pressione sulla mia pelle. “NO!” vorrei urlare. “Gabe, sei tu?”. Ma la voce mi muore in gola. E non per paura o per angoscia. Ma per stanchezza. Sono stanco. Incredibilmente, schifosamente stanco. Voglio solo dormire… No! Le dita! Sono ancora sul mio viso! Devo… devo chiedere… No… Per favore… Non ancora…
(Correva. Sentiva la terra dura sotto le scarpe battere e scricchiolare appena sotto le suole ad ogni passo. Doveva muoversi, e non poteva volare. Per una volta, in vita sua, Gabriel si sentiva in trappola. Veramente in trappola. Quando se ne era andato dal paradiso, comunque, la sua gabbia era un bel pianeta grande e popolato da miliardi di persone divertenti. Avrebbe sicuramente trovato un modo per passare il tempo. E un posto dove nascondersi. In quel momento, mentre correva come non aveva mai fatto in vita sua, si sentiva morire. Sentiva il petto come schiacciato in una morsa, la gola gli doleva per l’angoscia di non riuscire a fare in tempo e il cuore gli stava esplodendo nel petto. Cazzo, come faceva fatica spostarsi a piedi! Ma quel coglione di suo fratello gli aveva tolto le ali… Stupido bimbetto orgoglioso. Decise che se avesse visto Lucifero un’altra volta lo avrebbe preso a cazzotti. E non ci sarebbe andato leggero, questa volta. Il fiato gli usciva a rantoli spezzati dalla trachea, seccandogli la lingua. Doveva ricordarsi di tenere la bocca chiusa. Cristo, se era difficile! Maledette faccende umane. Sentì una fitta acuta al fianco. Si premette una mano nella carne, gemendo appena, rallentando appena. Sentì una scossa elettrica attraversarlo da capo a piedi, come se un fulmine lo avesse appena colpito in pieno. Cadde sulle ginocchia. Gli si mozzò il fiato. Tentò di immettere aria nei polmoni, ma la fitta al fianco peggiorò. Si portò la mano libera davanti agli occhi. Era trasparente. La ignorò. Sputò saliva e sangue, strinse i denti. Doveva raggiungere i due fratelli Winchester prima che partissero di nuovo. Doveva riuscire a passare a Sam gli ultimi ricordi. E magari, riuscire a sopravvivere. Ma quella era un’altra storia, ci avrebbe pensato a tempo debito. Prima le cose importanti. Si puntellò con la mano trasparente sul ginocchio, issandosi a fatica in piedi, sputando di nuovo. Questa volta il sangue si presentò come un grasso grumo vermiglio. Stava peggiorando. E non poteva permetterselo. Riprese ad avanzare. Piano. Raggiunse il ciglio si una strada. Doveva chiedere aiuto. Alzò il pollice in alto, aspettando che un benefattore si fermasse e lo trasportasse verso la sua cara destinazione. Peccato che gli esseri umani fossero nati con la diffidenza e il dubbio nel DNA, perché nessuna delle settantotto macchine che gli erano passate davanti, fino a quel momento, si era fermata. Lo avevano guardato storto, per poi proseguire. Alla fine qualcuno si fermò. Una vecchietta con enormi occhiali verdi e rughe profonde attorno agli occhi gli aprì con inaspettata grinta lo sportello del passeggiero.
-Salta su, giovanotto!- gli aveva gridato. Gabriel si era sentito terribilmente come in uno di quei film di azione che, verso metà, diventano un porno. Scacciò immediatamente il pensiero. Non aveva altra scelta che seguire l’energetica anziana signora, ovunque lei avesse voluto portarlo. Non appena entrò nell’angusta 500, però, si rilassò. Cosa poteva esserci di peggio che svanire prima di poter consegnare l’ultima parte di se all’unica persona che, nel mondo, avesse importanza? Di certo non venire stuprato da una vecchietta. Alcune ci avevano già provato, ed era stato sopportabile. Alla fine, sarebbe stato un po’ ipocrita da parte sua, rifiutarle perché anziane. Sospirò, lasciandosi andare contro il morbido sedile nero. Alla fine la signora doveva andare molto vicino alla sua destinazione.
-Alla casa di riposo dalla quale sono evasa- aveva detto, annuendo con convinzione. -Sono andata a comprare a mio marito del buon Martini. Non può stare senza, pover’uomo…-. Lo aveva sceso ad appena cinque chilometri da dove doveva andare. Non aveva nemmeno voluto che la pagasse con quei miseri dieci dollari che si portava appresso. Era stata gentile. Se fosse stato ancora un arcangelo, Gabriel l’avrebbe certamente messa in lista per il Paradiso, con tanto di suite imperiale per lei e il suo marito alcolizzato. Ma non aveva più quel potere… E non era più sua giurisdizione assegnare le anime all’aldilà. Camminò per circa due ore, che a lui sembrarono anni, fermandosi ogni qual volta che il dolore si faceva troppo grande ed intenso da sopportare. Più volte dovette conficcarsi un coltello nella carne, per riuscire a distrarsi. E continuava a camminare. Ormai, di correre, non se ne parlava. Dopo tempo interminabile, riuscì ad arrivare alla sua meta: il bunker dei “men of Letters”. Tirò un sospiro di sollievo che sembrò prosciugargli l’anima. Chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi. Sentiva il corpo farglisi sempre più leggero. Strinse i pugni, scoprendo con orrore di non avere più le dita. Doveva fare un ultimo sforzo. Proiettò la mente oltre il muro di piombo. Percepì due menti addormentate. Sorrise appena, per quanto il dolore gli permettesse di fare. Visualizzò una scatola. La riempì della poca memoria che gli restava da trasferire al suo protetto. Mentalmente, gliela lanciò addosso. La vide scomparire piano piano, assorbita dal cervello di lui. Sospirò di nuovo, lasciandosi finalmente cadere a terra. Si sdraiò sul ghiaino, rannicchiandosi su se stesso. Sentiva le fitte ai fianchi affievolirsi. Per un attimo se ne rallegrò. Ma risprofondò nel panico quando realizzò che era perché stava per andarsene per sempre. Tirò giù la paura con la saliva, sentendo il retrogusto ferreo del sangue scendere con loro. Doveva restare calmo. Guardò verso il basso, scoprendo di non avere più le bambe.
-No!- gridò. –Non adesso! Non ancora Padre!- si puntellò sulle braccia, cercando di alzarsi. –Non ho ancora finito qui! Ho solo iniziato!- si trascinò di qualche metro verso il portone blindato del bunker. –Lasciami qui, Padre! Non voglio lasciarlo solo! Non ho finito con lui!- le sue grida si facevano sempre più flebili, man mano che le corde vocali si volatilizzavano col resto del corpo. Il cuore era l’unica cosa davvero viva di quell’ammasso di angoscia e tormento che era diventato l’arcangelo Gabriele.
–Perché Castiel si?! Dean merita forse più protezione di Sam?!- ma si rese conto solo allora che suo padre non era mai stato giusto. Che il mondo non girava correttamente. Che il marcio di tutto, stava alla base. O peggio, ancora prima. Suo padre non lo avrebbe sentito. Non sarebbe corso ad aiutarlo. Non lo avrebbe risparmiato. Era da solo. E da solo ce l’avrebbe fatta. Con le poche dita rimaste attaccate alle mani artigliò la terra, trascinandosi ancora verso il bunker.
-Io. Non. Me. Ne. Vado.- ringhiò. E furono le ultime parole che riuscì a dire. Prima di scomparire nella tiepida aria della sera, sotto forma di leggere particelle d’aria.
)
Spalanco gli occhi, ansimando. Mi tiro su a sedere, lanciandomi attorno veloci occhiate ansiose. Non c’è nessuno. Mi prendo la testa tra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. La visione sembrerebbe suggerire che Gabriel è morto davvero. Ma… la carezza di prima non può altro che essere sua. Alzo lo sguardo. Una lacrima solitaria scende sul mio viso. Gabriel è nell’aria. E’ li, in attesa. Sta spettando di essere abbastanza forte da poter tornare. Ne sono certo.
-Sono qui anche io Gabe. Aspetto anche io.- “Di vederti tornare. O di morire per primo”.

Angolo della """"scrittrice""""" : viva la tristezza! Sto cominciando a sospettare di avercene messa un po' troppa... Forse è eccessiva? Vi è piaciuto questo capitolo? Se ne avete il tempo e la pazienza, per favore, lasciate una recensioncina per me, in modo che possa capire come sta procedendo questa mia storiella! Grazie :) Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Falling stars ***


Angolo della scrittrice: salve! Scusate il ritardo nella pubblicazione, ma il fatto è che questo è il penultimo capitolo che ho scritto. Non ho ancora visto la 9 stagione, quindi non posso scrivere capitoli che la riguardino. Che ne pensate di questo qua? Vi piace? Non vi piace? Scrivetemelo :) Da ora in poi pubblicherò i capitoli ad intervalli molto più lunghi. Può darsi che dopo il prossimo capitolo dovrò aspettare anche un mese prima di pubblicare ancora. Spero che abbiate pazienza e che continuerete comunque a leggere la mia storia :) Alla prossima!
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Non ho mai preteso tanto dalla vita. Mi sarebbe piaciuto poter diventare un avvocato, e nemmeno particolarmente bravo. Mi bastava essere discreto. Avrei voluto sposare Jessica, avere dei bambini. Invecchiare con lei, mano nella mano, sul portico davanti casa, prima coi figli, poi attorniati di nipoti, seduti su sedie a dondolo di legno. E quando la vita mi ha negato anche quella piccola miseria che chiedevo per me, non mi sono lamentato tanto. Solo un po’, all’inizio. Poi basta. Lo avevo accettato. Avevo preso le mie decisioni, avevo fatto le mie scelte, intraprendendo la via del cacciatore. Non ho mai avuto rimpianti per questo. Era ciò che andava fatto. La vita mi ha dato una strada alternativa a quella che avevo pianificato. E non era nemmeno tanto male. Mi ha dato una macchina, un fratello, il mondo come casa e la libertà dei nomadi vaganti. Il lavoro, a lungo andare, è diventato una routine. Mi andava bene anche quello. Poi, la stronza, mi ha dato un’illusione: Gabriel. Avrei sperato durasse di più. Avrei voluto che quel respiro puro che era la sua presenza rimanesse per sempre nei miei polmoni. A quanto pare, ho osato sperare troppo. La vita mi ha punito, sottraendomi l’aria. Gabriel è morto. Ho imparato ad accettare anche questo. Adesso ogni cosa è triste, vuota, forzata. Io e mio fratello siamo in balia delle forze esterne che governano i nostri giorni bui. Angeli, demoni, soprannaturale… Non sappiamo più che fare. E adesso sono qui, in una chiesa sconsacrata, in piedi davanti al re degli inferi, una siringa piena del mio sangue stretta tra le dita. L’ago, brillante sotto la luce opaca del giorno che filtra dai rosoni, non aspetta altro che bucare la pelle del mostro che ho davanti. Crowley ghigna, sicuro di se.
-Non servirà a niente. Credi di poter guarire me, il re dell’inferno!?- mi lecco le labbra, prima di affondargli con un colpo deciso la siringa nel collo.
-Si.- ringhio, a denti stretti, sentendo una fitta acuta lacerarmi lo stomaco e i polmoni. Sto andando nella direzione giusta. Sta funzionando. Ritraggo il braccio, strappando l’ago dalla carne del demone. Lui tossisce un paio di volte, poi sputa un grumo di sangue sul terreno.
-Dovrai fare di meglio, Moose.- alza gli occhi su di me. Li vedo lampeggiare di odio. –Ci vidiamo tra un’ora…- sorride maligno. Gli do la schiena, tornando verso l’altare dove tengo gli strumenti per la cura. Ho quasi finito. Dovrebbero mancare ancora solo tre iniezioni. Poggio le mani sul marmo freddo, alzando gli occhi verso la croce che, fino a poco fa, era rovesciata. Adesso è dritta, grazie a me e a Dean. E’ tornata ad essere il simbolo di Dio.
(Devo farcela Gabriel. Non ho salvato te, non ho salvato Dean… Non sono riuscito a salvare chi amavo. Questa è la mia redenzione.) So che non è un bel posto per pregare. Mi giro, trovando Crowley intento a borbottare qualcosa sotto voce.
-Che stai facendo?- mi avvicino a grandi passi, la siringa ancora stretta nel pugno. Quando gli arrivo vicino, quello alza il viso da terra. Ha gli occhi grandi. E’ spaventato. Boccheggia. Mi allontano di un passo, forse anche due, confuso. No. Sta recitando, non c’è dubbio. Il re dell’inferno inizia a parlare, con la voce rotta e lo sguardo perso. E io non so più cosa credere.
-Ho sempre cercato di rendere fiera mia madre. Quando ero piccolo, ero un bambino adorabile, intelligente, bravo… valevo addirittura tre maiali… Ma a mia madre non bastava…- snocciola altre frasi, una dopo l’altra. Sta raccontando la storia della sua vita. A me. Balbetta, a volte incespica nelle sue stesse parole, si lancia intorno occhiate nervose, di tanto in tanto ferma lo sguardo sui suoi piedi, in basso, come se provasse una grandissima vergogna. E forse è così. Lo sto ad ascoltare, basito. Non riesco a proferir parola. Me le ha tolte tutte di bocca lui.
-Io volevo solo essere amato, IO MERITO DI ESSERE AMATO!- l’ultima sua frase rimbomba come un tuono tra le mura della chiesa, un lamento triste, un grido disperato di aiuto. Ansima. Ritorna in se, spalancando gli occhi, realizzando cosa ha appena detto. Cosa ha appena lasciato uscire. Probabilmente non lo aveva mai fatto prima. Mi avvicino di qualche passo.
(Gabe, stammi vicino.)
-Crowley, posso aiutarti. Fatti aiutare, e io posso guarirti. Posso far sparire il passato. Ci stai?- lui mi guarda, la bocca semiaperta, lo sguardo sconcertato. Serra le labbra. Deglutisce. Dentro di me incrocio le dita e, quando lui annuisce, tiro mentalmente un sospiro di sollievo. Inclina la testa da un lato, gli occhi bassi. Ha completamente ceduto. Io annuisco, infilandomi l’ago nel braccio, prelevando il sangue. Ho quasi finito.
(E’ quasi finita…E’ quasi finita Gabe. Dammi la forza di fare ciò che devo.)

Sono seduto accanto all’impala, Dean tiene un braccio attorno alle mie spalle. E’ arrivato appena in tempo. Non sono riuscito a fare l’ultima iniezione a Crowley. Ma ormai è praticamente guarito. Se Dean non fosse intervenuto, sarei morto, come era prestabilito dovesse accadere. E non mi sarebbe nemmeno dispiaciuto più di tanto. Magari sarei riuscito a vedere di nuovo papà, Jessica, mamma… Gabriel. Ma il fato ha voluto mandare Dean in mio soccorso. E sono ancora qua, vivo, sulla terra. Il cielo sopra di noi è tempestato di stelle cadenti, che strappano il velo della notte con le loro scie brucianti. Probabilmente ogni singolo essere umano sulla terra le sta guardando, come noi. Anche nei paesi dove ora è giorno. Perché quelle non sono stelle. Sono angeli. Metatron ha appena chiuso i cancelli del paradiso. Gli angeli stanno cadendo, uno ad uno, sul mondo che per anni hanno osservato senza far niente. Con la coda dell’occhio, vedo lo sguardo di Dean saettare angosciato da una luce all’altra, in cerca dell’unica che per lui abbia importanza. Non lo biasimo. Lo sto facendo anche io. E mi sento un po’ uno schifo per non stare cercando Cas, come dovrei. Ma tra tutte le faccie urlanti che mi sfrecciano innanzi, nessuna è quella che vorrei vedere. Una donna dai capelli neri cade molto vicino a noi, superandoci, cadendo in un luogo imprecisato alle nostre spalle. Riesco appena a vedere i suoi occhi scuri, pieni di terrore e di rabbia, prima che la sua figura infuocata scompaia dal mio campo visivo. Mi si stringe il cuore dalla paura. Nonostante la vista appannata dal dolore e dalla debolezza, accelero la velocità con la quale i miei occhi scattano da un angelo all’altro. Devo trovare il mio. So quanto vana sia la mia speranza… Potrebbe cadere ovunque. Oppure potrebbe non cadere affatto. In fondo, non so nemmeno se è vivo… Ma la speranza bastarda che da sempre mi affligge peggio di un cancro non mi lascia tregua. Non posso fermarmi. Devo trovarlo.
-Dean…- nella mia voce c’è più angoscia di quanta vorrei farne trapelare. Ma lui non sembra farci caso. I suoi occhi non lasciano il cielo.
-Gli angeli…- deglutisce, osservando l’ennesima scia infuocata schiantarsi al suolo. –Stanno cadendo.- e nessuno dei due proferisce più parola. Siamo troppo occupati a cercare ciò che abbiamo perso tra le scie delle stelle cadenti. Sembriamo due bambini che cercano di vedere quante più comete possibili, in modo da esprimere una gran quantità di desideri. In verità, ne abbiamo solo uno e non basterebbero le luci di tutte le stelle del firmamento perché possa realizzarsi.
 

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Capitolo 15
*** New divide ***


(Le pareti bianche sembravano quasi stringersi attorno a lui. La vista gli stava tornando gradualmente e tutto quel bianco innaturale lo stordiva. Sbattè un paio di volte le palpebre, velocemente. Tentò di portarsi le mani al viso, per stropicciarsi gli occhi. Fu con una morsa alla bocca dello stomaco che scoprì di avere i polsi legati dietro la schiena. Aprì quanto più poteva le palpebre, tentando di mandar via quella nebbiolina fastidiosa che gli appannava la vista. Chiuse gli occhi. Li riaprì. Sospirò di sollievo. Stava cominciando a vederci di nuovo. Solo in quel momento si accorse di non essere solo, in quella cella bianca. Perché, ormai era ovvio, non era in quel posto per una visita di piacere. Chi mai lega i suoi ospiti alla parete del soggiorno?! Una figura minuta sedeva in un angolo della stanza, su un piccolo sgabello bianco, come tutto il resto. Teneva i gomiti appoggiati sulle cosce, le punte delle dita congiunte davanti al viso. Gabriel sbattè ancora velocemente le palpebre, cercando di focalizzare la vista sull’intruso. O meglio, sul padrone di casa. L’intruso, stando alle evidenze, era lui.
-Sta tranquillo Gabriel, la vista ti tornerà da se in capo a pochi minuti. Devi solo aver pazienza.- quella voce… l’aveva già sentita. La figura non si mosse. Gabriel strinse i denti, sbuffando irritato. Ma chi era questo signor sconosciuto che si permetteva di dargli ordini?!
-Dove sono?- prima le cose importanti. Doveva ancora capire dove si trovava. Piano piano pezzi della memoria tornarono al loro posto nel suo cervello e la situazione, per quanto possibile, diventò ancora più paradossale. Stava morendo. Pochi minuti prima era accanto al bunker dei fratelli Winchester, si stava trascinando per terra, stava cercando con le sue ultime forze di arrivare da loro, da Sam, per consegnargli gli ultimi ricordi e poi… più niente. Dopo non c’era niente. L’arcangelo prese un grande respiro, trattenendo per qualche secondo l’aria nei polmoni. Doveva calmarsi. Ma appena l’aria gli entrò nella trachea, capì quanto quel gesto fosse stato inutile. Superfluo. Non aveva bisogno di ossigeno. Non più. Quando la ritirò fuori, non sentì alcun mutamento in se. L’ansia era rimasta, e con lei la preoccupazione. Lo sconosciuto si schiarì la voce.
-In paradiso.- e, dal tono di voce, trasudava colpevolezza. Lo sconosciuto ne aveva combinata una grossa, la sua voce bassa e strascicata lo tradiva. Gabriel gioì tra se e se per tale scoperta. Quel tizio gli stava già antipatico.
-Capisco…- rispose l’arcangelo, anche se in verità non stava capendo niente. Non poteva essere in paradiso. Era svanito. Sarebbe dovuto scomparire, diventare una stella, fondersi col cosmo, qualcosa del genere. E invece era in una dannatissima stanzetta fastidiosamente bianca, con un ometto antipatico che non voleva dargli risposte soddisfacenti.
-Ti starai chiedendo perché non ti sei dissolto…- la vista di Gabriel migliorò un poco. Adesso riusciva a distinguere i vestiti che lo sconosciuto indossava. Sembrava un pescatore, visto così…
-Può darsi, si…- rispose ironico. Vide lo sconosciuto annuire a se stesso, muovendo appena le mani davanti a se.
-Ebbene, Gabriel… Non lo so nemmeno io.- l’arcangelo soppresse a stento un urlo di frustrazione. Utile. Davvero utile.
-Wow. Fantastico. E il premio Nobel per la risposta più esaustiva di sempre va a….?-
-Metatron.- rispose l’altro. E la vista tornò completamente negli occhi di Gabriel. Spalancò la bocca e gli occhi, in un muto grido di stupore. La figura minuta assunse dei tratti precisi, un volto, un’espressione. Metatron, lo scriba di Dio, lo stava guardando tronfio dall’alto del suo sgabellino di plastica. Gabriel strattonò le catene, i denti stretti, gli occhi iniettati di sangue.
-Figlio di puttana!- ringhiò, ferendosi i polsi sulle manette, strattonando per l’ennesima volta. Si gettò verso l’angelo, venendo sbalzato nuovamente indietro dalle catene. –Vigliacco! Dov’eri quando Lucifero e Michele stavano combattendo!? Dov’eri quando è scoppiata l’Apocalisse?! Codardo!- ma l’ometto stava fermo, impassibile, sordo ad ogni offesa. Continuava a fissarlo con sguardo imperscrutabile, le dita a coprirgli la parte inferiore del viso. Alla fine scosse la testa, divertito.
-Gabriel, Gabriel, Gabriel… Non cambi mai, eh, piccoletto? Il più giovane degli arcangeli, i più forti servi di Dio.- gli occhi di Metatron brillarono per un istante di pura, accecante invidia, prima di tornare tranquilli. –Colui che fuggì dal paradiso per trovare pace, che critica me per aver fatto lo stesso.- Gabriel si sentì colto nel vivo. Fu come se gli avessero appena tirato un pugno nello stomaco. Si piegò in due, smise di dimenarsi. Non sapeva come ribattere. Lo stronzo aveva ragione.
-Io ho capito i miei sbagli...- sussurrò trai denti, gli occhi fissi sul terreno. Metatron annuì, con faccia sarcasticamente convinta.
-Certo, ovviamente. Grazie a Sam Winchester, nevvero? Quanto fascino, quanto carisma, quanto ascendente che hanno su voi angioletti caduti i fratelli Winchester. Prima Castiel, poi te…- la bile risalì in gola all’arcangelo, soffocandolo. Spalancò gli occhi, piantandoli furenti e addolorati sul volto di Metatron.
-Che cazzo stai dicendo!?- Metatron sollevò un angolo della bocca in un sorriso trionfante.
-L’offesa è la difesa dei deboli.- citò, rabbuiandosi. –Mi sarei aspettato di più da te. Cadere per un essere umano?! Per un peccatore del suo calibro?! Sei caduto così in basso, Gabriel…- ma l’arcangelo aveva smesso di ascoltarlo. Se avesse continuato, probabilmente sarebbe esploso. Aveva dovuto prendere le distanze, prima che fosse troppo tardi. Ci furono lunghi istati di silenzio, in cui i due stettero a guardarsi negli occhi per un tempo che parve loro infinitesimale. Uno con lo sguardo di fuoco della belva addomesticata, l’altro con la calma pacata e gloriosa del vincitore.
-Ho una teoria del come tu sia ancora vivo, sai?- Metatron fu il primo ad interrompere quel silenzio assassino.
-Spara.- rispose secco Gabriel. L’angelo si mosse sullo sgabello, tutto contento, come un bambino che voglia esporre la lezione imparata a memoria ad una maestra severa, sapendo di poter prendere un bel voto nonostante la rigidezza di lei.
-Beh… anche gli esseri umani rimangono sulla Terra come fantasmi, quando hanno questioni in sospeso.- esordì. –La tua questione in sospeso potrebbe essere il giovane Winchester e la sua protezione.- Gabriel sussultò. Ancora una volta, nonostante l’antipatia, quell’ometto aveva dimostrato una terribile sagacia ed un fin troppo spiccato intuito. Metatron proseguì. –Avendo tu pensato al ragazzo, prima del momento critico dell’evanescenza, forse sei riuscito a trarre abbastanza forza dalla tua questione in sospeso, o per meglio dire, dal tuo senso di colpa, da riuscire a sopravvivere.- aveva gesticolato tutto il tempo che aveva parlato. Finito il discorso, si ricompose, squadrando con orgoglio il viso esterrefatto ed immobile del suo interlocutore. –Allora? Che te ne pare?- Gabriel dovette a malavoglia ammettere che il discorso di Metatron non faceva una piega. L’angelo annuì tra se e se, convinto e fiero della sua deduzione. Ma Gabriel non ne aveva ancora abbastanza di risposte.
-E come mai sono qui, adesso?- Metatron spalancò gli occhi, stupito, distolto dalla sua vanagloria.
-Non è ovvio? Ti ci ho portato io!- e fin li, Gabriel ci era arrivato anche da solo. Stette in silenzio, fissando in cagnesco il suo aguzzino, attendendo ulteriori informazioni. Quello sbuffò, alzando gli occhi al cielo. -Beh, semplicemente ti sei rimaterializzato davanti alle porte del paradiso. Avevi quattro ali spezzate, le altre due ridotte a brandelli maciullati di carne e ossa. E’ stata Naomi a trovarti. Ti ha portato dentro, sistemato in un posto comodo, ordinato che venissi curato.- ridacchiò, fissando un punto imprecisato sul candido pavimento ai suoi piedi. –Non ha fatto in tempo a far niente…E’ stata esiliata sulla Terra, con tutti gli altri.- se il cuore di Gabriel avesse pompato, in quel momento avrebbe saltato un battito. Forse anche due. Esiliati? Cosa?! Sulla confusione ebbe la meglio la paura.
-Cosa hai fatto?- si stupì di sentire la calma più totale nella sua voce. Era come se stesse parlando del tempo. “Che tempo fa oggi, Metatron?”. Quello alzò lo sguardo verso di lui, piantando con eccitata determinazione gli occhi nei suoi.
-Li ho esiliati. Lo ho ricambiati con la stessa moneta!- si sfregò le mani, estasiato. –Io e te siamo gli unici esseri celesti rimasti in paradiso!- Gabriel dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non mostrare emozione alcuna. Doveva battere quel piccolo verme bastardo giocando una carta che non aveva mai usato prima: l’indifferenza.
-E perché me? Non dovrei essere laggiù, con tutti gli altri?- “si, ti prego, imbecille, rispediscimi laggiù!” pregò dentro di se. “Rimandami da Samshine”. Metatron inclinò la testa da un lato, ponderandoci un po’ su, prima di rispondere.
-Beh… possiamo dire che sei una buona fonte di energia. Mi servi per mantenere questo posto attivo.- si strinse nelle spalle. –Un arcangelo ha una potenza incredibile. Mi basta prelevare un centesimo del tuo potere ogni giorno, per mandare avanti la baracca.- indicò il soffitto, con un gesto esplicativo. –E il bello è che il giorno dopo avrò la stessa energia del giorno prima da utilizzare, perché voi arcangeli ve la fabbricate da soli! Non è incredibile?- Gabriel di incredibile, ci trovava solo l’astuta crudeltà di lui. Era senza cuore. Senza anima. Un manipolatore senza scrupoli. Strinse i denti, ferendosi i palmi delle mani con le unghie, mandando a puttane ogni tentativo di indifferenza nei confronti del suo interlocutore.
-Troverò un modo per uscire.- Metatron alzò un sopracciglio, scettico.
-Solo Dio in persona saprebbe uscire da qui intero.- un sorriso furbetto si formò sul volto di Gabriel, tendendosi fino ad assomigliare ad un ghigno. Gli occhi color Whisky trafiggevano come lame affilate la figura minuta che avevano davanti, sicuri, determinati.
-E chi ha detto che voglio uscire intero?- “se mi senti, Samshine, sono vivo”.
)
Il cuore mi batte all’impazzata nel petto. Lo sento pulsare forte contro la mia gabbia toracica, minacciando di spaccarla a suon di colpi, aprendosi un varco per uscire. Ci metto qualche secondo a realizzare di essere vivo, un essere a se, pensante e parlante. Questo non era un ricordo. Non aveva la stessa consistenza delle vecchie memorie di Gabriel. E’ stato più come il messaggio sulla segreteria, come lo ha chiamato lui. Allento la presa spasmodica delle dita sul lenzuolo, sentendomi le mani leggermente indolenzite. Prendo un bel respiro, tentando di calmarmi. Non so come quel ricordo mi sia arrivato, ma so che non mi è stato lasciato, come gli altri, nella gabbia di Lucifero. No. Questo è nuovo. Mi è stato mandato da molto lontano. Probabilmente risale a parecchi giorni fa. Mi tiro su a sedere, passandomi le mani trai capelli. Gabriel è vivo. Ma non può raggiungermi. E’ imprigionato in quella specie di cella bianca che ho visto nel ricordo.
-Dean…- la voce mi esce come un rantolo inconsistente. Mi graffia la gola, per poi sparire nel nulla. Mi lancio occhiate frettolose intorno, come se da un momento all’altro dovesse piovermi addosso la risposta a tutto questo casino immane. Gabriel è stato qui pochi giorni fa. Era qui con me, mi ha… accarezzato la testa. Suona stupido perfino tra le sicure pareti della mia mente. Eppure è successo… Non può essere stato altri che lui. “Chi ha detto che voglio uscire intero?”. Un’illuminazione mi perfora la mente, invadendomi di adrenalina. Punge appena sotto la pelle, come se fatta di tanti piccoli aghi. Mi ha mandato dei pezzi. Sta tentando di scappare, facendo dei tentativi. Ha provato a raggiungermi fisicamente, ma ha fallito. E’ arrivato solo a metà. Poi ha provato a raggiungermi nella maniera, ormai, convenzionale per noi: il pensiero. E questa volta ha fatto centro. Una strana euforia mi pervade. Mi viene quasi da ridere. So perfettamente che non c’è nulla di cui essere allegri: Castiel è umano, gli angeli gli danno la caccia e io e Dean abbiamo ancora un milione di casini irrisolti da chiudere e archiviare per sempre. Eppure il sorriso che, incontrollabile, mi illumina il viso, non riesco ad evitarlo. Sento un moto irrefrenabile di orgoglio scadarmi il petto, salendo fino alla gola. Gabriel sarà anche un cazzone, quando ci si mette, sarà anche il più piccolo trai quattro arcangeli, ma è l’unico di quei figli di puttana che è sopravvissuto a questa merda di mondo. E’ l’unico che è stato abbastanza forte e intelligente per cavarsela, sempre. E’ stato l’unico a trovare sempre un modo, una via, per salvare il culo a se stesso e a coloro che ha deciso di proteggere. All’improvviso mi sento esplodere di energia. Non so come abbia fatto Gabriel a raggiungermi con la mente dal paradiso. Nei meandri più oscuri della mia psiche serpeggia malevolo un presentimento, ma lo ignoro. Devo sfruttare quest’onda positiva di carica e motivazione per riuscire a concludere qualcosa. Inizio a correre per il corridoio.
-Dean!- ma ancora la voce non mi è tornata. Tempismo impeccabile. Dannato corpo umano…
-Sam!- esclama mio fratello, vedendomi entrare come una furia in cucina. Urto contro il tavolo, facendo cadere la sua tazza di caffè. Lui si limita a guardarla cadere, osservando, poi, per qualche secondo i cocci, in silenzio, mentre io riprendo fiato.
-E’ per questo che non ci capitano mai cose belle Sammy…- sospira. Alzo gli occhi al cielo. Non ho tempo per queste cose.
-Dean.- esordisco, con un soffio di voce. Lui si tende verso di me, porgendomi l’orecchio per riuscire a sentire. Mi esorta a proseguire. Mi schiarisco la voce, tentando di migliorare la situazione. -Dean, dobbiamo fare qualche ricerca sul potere degli arcangeli. Quanto forti possono essere, i loro limiti eccetera…- tutto inutile. La voce si rifiuta di collaborare. A deciso di fare sciopero oggi. Dean si raddrizza, guardandomi storto. Ha già fiutato la puzza di bruciato che aleggia nell’aria.
-E perché, scusa?- è sospettoso. E ha ragione. Sospiro. Mi toccherà raccontargli tutto. O quasi…
-Dean, credo che Gabriel sia ancora vivo.-

Angolo della scrittrice: Ta-daaaaaaah! Un capitoletto extra, prima dello stacco che mi concederò per vedere la nona stagione e per poter scrivere il resto della storia che la riguarderà! Spero vi sia piaciuto :) Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Finding a way ***


C’è qualcosa di strano in Dean. Continua a dire cose senza senso, campate per aria. Che, alla fine, si rivelano sempre esatte. Non capisco… Troppe cose sono successe in queste ultime settimane. Sono resuscitato da un coma apparentemente irrecuperabile, Castiel è diventato umano, è inseguito dall’ottanta per cento della sua vecchia razza ed Abbadon è tornata in vita. Di nuovo. Comincia a diventare un cliché. E nemmeno uno di quelli interessanti. Abbiamo catturato Crowley. E Gabriel non si è più fatto vivo. Ci sono delle notti in cui sento che qualcuno c’è, che non sono solo. Mi sveglio, mi guardo intorno. Ma la stanza è vuota. E fredda. Certe volte mi addormento sul divano e la mattina dopo mi ritrovo inspiegabilmente nel letto, con tanto di coperte rimboccate. Oppure non mi ricordo il tragitto che ho fatto dall’alimentari al bunker. E’ come all’inizio di questa brutta faccenda, quando temevo di impazzire. Solo che questa volta non è Lucifero a tormentarmi. E’ qualcos’altro… E la cosa peggiore è che non riesco ad afferrare cosa sia. E l’atteggiamento strano ed incoerente di Dean non fa che peggiorare la mia inquietudine. Castiel, per qualche motivo incomprensibile, se ne è andato. Gli avevamo offerto ospitalità qui nel bunker, al sicuro con noi. Ma, a quanto pare, la cosa non faceva per lui. Dean sorvola sempre l’argomento. E io lo lascio fare. Abbiamo già troppi problemi di nostro.
-No, Sam! Scordatelo! Abbiamo cose ben più importanti a cui pensare!-
-Ma Dean, è solo una prova, voglio vedere se…-
-Un no è un no Sammy. E io ho detto no, punto.-
-Ma Dean…-
-No.- Dean è irremovibile. Non so da dove mi sia venuta l’idea, ma stamani mattina sono andato a spulciare gli archivi giù in cantina. E non solo alla lettera “a”, di “arcangelo”, come al solito. Non ero mai andato a vedere se c’era qualcosa sui serafini. Ho trovato una marea di cose straordinarie, dal come evocarne uno, al come ucciderli, al come stabilire il vero potenziale di ognuno di loro. Ora, Gabriel non è propriamente un serafino, ma ci si avvicina. Voglio testare alcune formule, voglio vedere se funzionano. Tentar non nuoce, dicono i vecchi. Ma Dean è di tutt’altro avviso.
-Ascolta Dean, non sto chiedendo la luna. Voglio solo il bunker per qualche ora. Ho già gli ingredienti, sono tutti in dispensa! Farò in fretta, non ti devi preoc…-
-Piantala Sam. E’ una follia! E non ho ancora capito perché tu sia così fissato con questa storia di Gabriel! L’hai visto morire Sam!- il verde dei suoi occhi si rabbuia, una triste ombra grigia li offusca per un attimo. –Non credere che non capisca cosa senti. Non è bello perdere un amico. Ma devi accettarlo Sammy.- alza gli occhi nei miei. Adesso mi sta pregando. Sta pregando affinchè io ragioni. Ma lo faccio. Lo sto facendo anche adesso. E sono i suoi, di ragionamenti, che non tornano.
-Dean, io so cosa ho visto. E lo avevo accettato, credimi. Ma le mie visioni parlano chiaro. Non è morto Dean! E’ intrappolato da qualche parte! Dobbiamo…-
-Dobbiamo cosa, eh? Dimmelo! Non dobbiamo niente a quel trickster da strapazzo Sam. Niente. Non mi interessa se eravate diventati amiconi per la vita, Sammy. Abbiamo cose più importanti ed urgenti da fare. Tipo sterminare un po’ di demoni, dato che ci siamo! Abbiamo i nomi, Cristo! Andiamo. Ad. Ucciderli.- solleva le sopracciglia, indicando con un gesto secco delle mani la porta d’ingresso. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. Ho ancora una carta da giocare.
-Dean, ma non capisci? Sarebbe tutto più semplice con lui dalla nostra parte! Stiamo parlando di un arcangelo!- allargo le braccia, spalancando gli occhi, imitando il suo stile canzonatorio. Non voglio perdere questa battaglia. I suoi occhi si induriscono, lo sguardo è fermo nel mio. Stiamo per attimi interminabili in silenzio.
-No Sam. Un no è un no.- gira le spalle e se ne va. Rimango fermo, in mezzo alla sala, ritto in piedi ed esterrefatto. Pensavo di poter ragionare con lui. Pensavo avremmo potuto trovare un compromesso. A quanto pare mi sbagliavo. Mi caccio le mani nelle tasche, serrando le mandibole. Tiro un calcio ad una sedia, che si ribalta, sbatacchiando rumorosamente per terra. L’eco dell’urto si espande nell’aria, come le onde generate da un sasso tirato nell’acqua. -Dannazione!- ringhio trai denti. Ho lasciato passare troppo tempo. Gabriel potrebbe davvero essere morto, per quel che ne so. Attraverso a grandi passi la sala grande. Sono stato un idiota. Avrei dovuto agire prima. Ma il tempo è mancato… Abbiamo dovuto affrontare un problema dietro l’altro e la situazione ci è sfuggita. Scendo le scale che portano alla cantina con passo pesante. Arrivo davanti alle porte della cella di Crowley. Non mi resta altro che tentare il tutto e per tutto. Sospiro. Sono davvero ridotto male… Spingo le ante. Le mie braccia non sono mai pesate così tanto.
-Oh, buona sera Sam! Qual buon vento?- la voce rauca del re degli inferi arriva dalla penombra. Riesco a malapena a scorgere il suo profilo scuro. Accendo un faretto. La scena si illumina. Crowley si ritrae, strizzando le palpebre, ancora poco abituato alla luce.
-Sono qui per informazioni.-
-Ancora? Ma non vi è venuta a noia questa interminabile crociata ai demoni? Potreste dedicarvi ad attività più divertenti…- mi fa un occhiolino. Reprimo il desiderio di sbattergli la porta in faccia, tornandomene a farmi i fatti miei al piano di sopra. Ma non posso. E’ di vitale importanza che collabori. Mi dipingo un mezzo sorriso sulla faccia, prendendo da un angolo della stanza uno sgabello, mettendomi davanti a lui. Ci separa solo un misero tavolino di legno… e le manette.
-Magari più tardi… Ora mi serve che tu mi dica una cosa.- Crowley scrolla le spalle, sorridendo beffardo.
-Sono tutto orecchie.- sento la bocca incredibilmente secca. Vorrei schiarirmi la gola, ma non devo mostrare segni di debolezza. Questa parassita ne approfitterebbe all’istante. Devo stare vigile e attento ad ogni mia mossa.
-Cosa sai degli arcangeli? Del loro potere, intendo. Quanto è grande?- il re dell’inferno alza un sopracciglio, preso in contropiede. Non si aspettava la mia domanda.
-Perché mi chiedi questo?- si è fatto improvvisamente sospettoso. Era prevedibile.
-Perché sospetto che uno di loro possa essere ancora vivo.- meglio giocare la carta della verità, per ora. Condita con contorno di omissione. Crowley assottiglia lo sguardo, e certamente non per la luce. Ha fiutato una preda ghiotta.
-Dimmi di più Sam. Dammi i dettagli e forse, dopo, potrò valutare se dirti ciò che so.- digrigno i denti. Mi ero aspettato una sua difesa, un suo modo per aggirarmi e usarmi a suo vantaggio. Ma avrei preferito filasse tutto liscio, almeno per una volta.
-Quid pro quo, Clarice.- sorrido, sarcastico. Questa frase starebbe da Dio in bocca a mio fratello. Detta da me, invece, sembra una forzatura. Crowley alza un angolo della bocca, un ghigno allo stesso tempo complice e maligno. Quest’uomo è un enigma.
-Quid pro quo, sono d’accordo.- fa una breve pausa.- Prima tu, insisto.- il sorriso non abbandona il suo viso. Ma a questo gioco possiamo giocare in due.
-Mi sono arrivati dei messaggi telepatici, delle visioni, che facevano capire che uno dei quattro arcangeli poteva essere ancora vivo.-
-Che tipo di visioni?- alza le sopracciglia con fare ammiccante. Lo fulmino con lo sguardo, sperando di poterlo far esplodere con la sola forza del pensiero. Non si deve azzardare a fare un gesto del genere con me. Gabriel lo faceva. Era una cosa sua. Nessun’altro può.
-Visioni di vita passata. Una specie di autobiografia a filmati.- Crowley spalanca gli occhi. Per un attimo il ghigno vacilla. Per poi tornare, più largo e tronfio che mai.
-Gabriel.- decreta. E’ come ricevere una pugnalata al cuore. Il gelido freddo della sua voce mi trapassa il costato, infilandosi nei miei polmoni.
-Perché lui?- mi sforzo di stare calmo. Non devo far passare niente all’esterno. Ma credo che ormai sia troppo tardi… Crowley si rilassa sulla sedia, senza mai smettere di sorridere, lo sguardo arrogante piantato nel mio.
-Semplice, per due ragioni. Primo: nessun’altro arcangelo ti avrebbe lasciato i suoi ricordi. Nessuno ti era vicino come lo era lui.- il pugnale si gira nella mia carne. Il dolore aumenta. –E, secondo: nessun’arcangelo ha un vissuto al di fuori del paradiso. Tranne Gabriel.- il suo sguardo brucia di vittoria. –Avresti dovuto pensarci subito.- ha ragione. Il bastardo ha ragione. Come ho fatto a non pensarci? Beh, ormai è fatta. Poco male. Avevo pianificato di dirglielo dopo, in ogni caso. Dovrò inventarmi qualcos’altro.
-Ok. Ora tocca a te dirmi quello che sai.- lui annuisce, tutto convinto.
-Bene bene bene… Dato che stiamo parlando di Gabriel, non mi dilungherò in chiacchiere. Ecco vedi, è meglio saperle subito le cose, no? Almeno si risparmia un sacco di tempo! Se non avessi saputo subito di chi si stava parlando, avrei sprecato il fiato parlando di situazioni generali, di dettagli inutili, di…-
-Ti stai dilungando. Stringi.- sbotto. Non ho tempo per i suoi giochetti. Non appena Dean si renderà conto che non sono in camera mia, verrà a cercarmi. E se scopre che sono qua giù, e che cosa sto facendo…
-Va bene, calma… Bene, Gabriel. E’ il più giovane degli arcangeli, ha un potere relativamente medio, più potente di Raphael, ma decisamente inferiore a Michele e Lucifero. Mi dovrai dire qualcosa di più, Sam. Altrimenti temo non ci sia molto da dire sul tuo amico.- vorrei spaccargli i denti. Inspiro dal naso, espiro dalla bocca. Devo. Stare. Calmo. La cosa sta procedendo bene, devo mantenere questa direzione.
-Credo sia intrappolato in Paradiso. Credo che ci sia qualcuno, lassù, che voglia tenerlo lì per fornire… energia.- esito. Non so quanto posso dirgli. Potrebbe usare queste informazioni per i suoi scopi, un giorno. Non devo dirgli troppo. Solo il necessario. Crowley annuisce con falso disinteresse. Nei suoi occhi brilla la scintilla della caccia.
-Fammi capire bene… Tu vuoi sapere da me, un demone, il re dell’Inferno, se ci sono possibilità, per un arcangelo, di fuggire dal Paradiso?- ridacchia, divertito. –Temo che tu sia nel posto sbagliato Sam.- No. No, lui sa. Deve sapere. Questa stronzo sa sempre tutto, dannazione.
-Stai bluffando. Tu sai qualcosa. Sai sempre tutto.- l’adulazione. Di solito funziona. Crowley alza gli occhi al soffitto, stringendosi nelle spalle con fare innocente.
-Chi lo sa Sam! So solo che se un angelo dovesse fare una cosa simile, morirebbe sicuramente nel tentativo. Già altri, prima del tuo Gabe, sono stati fatti prigionieri, ai piani alti. Ribelli, sai…- si passa un dito davanti alla gola con un gesto teatrale. –Non li trattano bene. O meglio, trattavano, adesso non c’è più nessuno che ges…-
-Taglia corto Crowley. Sai se questa cosa sia da riferire anche agli arcangeli?- quello sbuffa, alzando gli occhi al cielo.
-E io che pensavo stessimo socializzando…- è il mio turno di sbuffare. Sto perdendo troppo tempo qua sotto. Questa cantina puzza di chiuso e di zolfo in maniera allucinante. E Dean potrebbe venire a controllare da un momento all’altro.
-Ti porterò dei libri, se vuoi. Una tv, un porno, quello che vuoi. Dimmi solo ciò che voglio sapere.-
-E va bene, Sam, se proprio insisti… Credo che un arcangelo potrebbe farcela. Certo, non intero.- il mio cuore salta un battito. E’ esattamente quello che ha detto Metatron nella visione.
-Ma…?- lo incoraggio.
-Ma? Ci sono dei ma? Beh, si, un paio… Forse anche tre. Ma tu devi dirmi di più, Sam. Altrimenti…- si passa due dita davanti la bocca, chiudendosi le labbra con una zip immaginaria. Tentenno. Non so cos’altro dire. Non ci sono altri segreti di stato angelico da riferire. Non so altro che possa interessargli abbastanza da indurlo a parlare.
-Beh, Metatron ha esiliato tutti gli angeli dal Paradiso, ma ha tenuto Gabriel per mantenerlo attivo. Credo che prima ci fossero degli addetti, tipo.- ma lui scuote la testa, trattenendo a stento un sorriso, come un bambino che vuole che la madre risponda all’assurdo indovinello senza risposta che le ha appena proposto. -Non so altro.- bandiera bianca. Non so come proseguire. Al che, Crowley si china in avanti, tendendosi verso di me.
-Sia io che te sappiamo che non è vero Sam…- sorride. Sono confuso.
-Che vuoi dire?- lui si tira indietro, sbattendo la schiena sullo schienale della sedia.
-Oh, andiamo Sam! Tu sei un pozzo di informazioni! E bada bene, non devono per forza essere informazioni tattiche, utili o possibilmente sfruttabili a mio vantaggio. Forse non lo sai, ma vado pazzo per i pettegolezzi.- il sorriso si allarga. Per un attimo mi ricorda lo Stregatto di “Alice nel paese delle meraviglie”. Lo lessi con Gabriel, una volta.
-Pettegolezzi? In che senso?-
-Dimmi qualcosa di te e il signor arcangelo Gabriele. In che rapporti eravate?- dannazione. Maledetto, fottuto, infame re dei crossroad pacts. Ne sa una più del diavolo. E c’è da credermi quando dico che il diavolo ne sa tante. Parlo per esperienza personale.
-Eravamo amici.- a grandi linee, è la verità. Crowley affila lo sguardo.
-Ah si? Buoni amici?-
-Si, abbastanza. Mi ha fatto compagnia quando Dean è venuto giù all’inferno a farvi una visita, qualche anno fa.- il re dell’Inferno mi guarda, apparentemente impressionato.
-Wow. Che strana coincidenza… E’ proprio quando ai piani alti hanno cominciato a rintracciare le sue mosse dopo millenni che era scomparso dall’universo… Bene. La cosa si fa interessante.- Stringo le mascelle. I denti scricchiolano per la pressione.
-Ti ho detto abbastanza. Ora è il tuo turno di parlare.- lui ride, scuotendo la testa.
-Non credo proprio, Winchester! Prima finiamo il discorso…- mi muovo sullo sgabello, irrequieto. Devo resistere.
-Ok. Che altro vuoi sapere?-
-Oh, beh… Il perché si è fatto così distratto da quando tu l’hai degnato della tua regale presenza, per esempio.- sorride sornione. Mi ha in pugno.
-Non ne ho idea, dovresti chiedere a lui.- sto sulla difensiva. Non devo fargli scoprire troppo. Schiocca la lingua sul palato.
-Già, dovrei… Ma perché scomodarsi, quando ho te qui, adesso?- questa volta, non riuscirò a sfangarla facilmente. La situazione è critica. Dovrò scucirmi un po’, per questa volta. Non sarebbe nemmeno così male raccontare a qualcuno di me e di Gabriel, per una volta. Così, solo per levarsi il peso. Peccato che quel qualcuno, in questo caso, sia il fottuto re dell’Inferno. Ovvero l’ultima persona in questo universo che dovrebbe venire a conoscenza delle mie debolezze.
-Credo fosse perché gli stavo simpatico.- Crowley alza un sopracciglio.
-Solo?- sbuffo. Dannazione se è insistente.
-Gli piacevo.- le labbra di lui si allargano in una grande e sorpresa “o”. Emozione del tutto fittizia. Voleva arrivare lì fin dall’inizio. Un po’ mi imbarazza sapere quanto palese fosse il sentimento di Gabriel nei miei confronti. Ma per lo più mi lusinga.
-E a te?- il pugnale che mi ero dimenticato di avere conficcato nel costato riprende forma e spessore, ricominciando a farmi dolere le viscere.
-E a me?- ripeto, sperando di guadagnare tempo. Dovrei sapere che questa mossa è completamente inutile, davanti a Crowley. Ed infatti lui non fa una piega, continuando a ghignarmi divertito, padrone della situazione.
-E a te piaceva?- vorrei poter sparire. Se fosse Bobby a chiedermelo, se pur con una certa ritrosia, lo direi. Potrei provare a farlo anche con Dean, seppur con ancora maggior difficoltà. Ma è Crowley con cui sto parlando, adesso. Non è mio amico. Non lo chiede per sapere se sto bene. Lo chiede per trovare un punto debole nella mia difesa. Vuole abbattere il mio muro, usando il più infimo degli attacchi: quello emotivo. Lui aspetta. Mi guarda, seduto comodo sulla sua seggiolina, squadrandomi con sguardo trionfante. Ha tolto i mattoni alla base. Tra poco il muro crollerà. Tic toc, tic toc… E’ solo questione di attimi.
-Si.- rispondo, in modo meccanico. Lui alza un sopracciglio, inclinando la testa verso di me.
-Si… cosa?- deglutisco.
-Si, anche a me piaceva.- tira su la testa. Si porta una mano alla bocca, come sovrappensiero.
-Ti piaceva… in che senso?- pianta le pupille nelle mie, quasi fossero coltelli affilati. Ha vinto. Ironicamente, scacco al re.
-Nel senso che se mi avesse chiesto di scappare con lui, lo avrei fatto. Che se mi avesse chiesto di scoparlo, lo avrei fatto. Che se mi avesse ordinato di scegliere tra lui e il mondo, avrei scelto lui.- ok, più diretto e sintetico di così non avrei potuto essere. Mi darei una pacca sulla spalla, se solo il mio cuore non fosse tre metri sotto terra, calpestato, tritato, distrutto e mezzo mangiato dai vermi. Crowley sorride, vittorioso.
-Ottimo.- sussurra, gustandosi ogni sillaba della mia risposta, imprimendosela a fuoco nella mente.
-Ora dimmi se un arcangelo sopravviverebbe alla fuga.- Crowley spalanca gli occhi.
-Wow, Winchester. Coraggioso da parte tua fiatare, dopo ciò che mi hai appena detto.- concordo. Ma non ho altra scelta. -Comunque, eccoti cosa so: non ci sono mai stati casi di arcangeli imprigionati. Anche perché erano loro a comandare in Paradiso, fino a qualche tempo fa. Beh, prima che li sterminaste tutti… In ogni modo, per quanto ne so io, le celle ai piani alti non sono progettate per esseri come loro. Non so fino a che punto un angelo come Metatron possa averle fortificate, ma dubito che basti a tenerci dentro una bomba atomica ad orologeria come un arcangelo indemoniato, perdonami il gioco di parole. Quindi…- si stringe nelle spalle. –Una possibilità c’è.- aspetta un paio di secondi, guardandomi in viso per osservare la mia reazione. Non nota nulla di particolare, a quanto pare, perché quasi immediatamente distoglie lo sguardo, come seccato. Sto diventando bravo a nascondere le emozioni. Ancora un po’ di gavetta e potrei anche pensare di propormi ad Hollywood come nuovo attore prodigo. Specializzato in film drammatici, ovviamente.
-Un’ultima cosa.- proseguo. Lui torna a guardarmi sottecchi.
-Dimmi.- mi schiarisco la voce.
-Ci sono dei modi per agevolare questa fuga… dall’esterno?- ora la sorpresa sul suo volto è genuina, vera. Nei suoi occhi serpeggia una vena ammirata. La ignoro. Non ho bisogno di ammirazione, da uno come lui.
-Vuoi aiutarlo?- annuisco. Lui si sfrega le mani, eccitato. -Bene, Winchester. In tal caso… Non ci sono molte cose che posso dirti. Non sono un esperto in materia.- ghigna. Sto zitto, in attesa. Non ha ancora finito. –Ma ci dovrebbero essere delle formule che fanno al caso tuo sul tablet angelico. Come ci sono formule per liberare Lucifero sul tablet demoniaco, ci saranno delle cose del genere anche sul tablet degli angioletti immacolati!- mi guarda per un attimo, lasciando che le sue parole aleggino nell’aria, prima di posarsi su di me, facendo presa, cementificandosi nella mia mente.
-E in che parte del tablet dovrebbero trovarsi?- non posso pretendere che Kevin mi traduca tutto in poche ore. Ci ha messo una vita anche solo per tradurne un misero quarto. Crowley medita un momento, prima di rispondermi.
-Te lo dico solo perché mi stai particolarmente simpatico, Sam… Oppure perché mi fai pena, devo ancora decidere. Ma credo stiano nella parte finale della seconda facciata.- si stringe nelle spalle. –quelle di Lucifero stavano li.- all’improvviso si batte una manata sulla fronte, guardandosi il polso, facendo finta di consultare un orologio inesistente. -Gesù, come si è fatto tardi! E’ tempo che tu torni in superficie, Sam! O Dean, lassù, potrebbe chiedersi dove sei finito!- mi fa un occhiolino. Non rispondo. Non mi muovo. Continuo solo a fissarlo, impassibile.
-Grazie Crowley.- dico soltanto, alzandomi, facendo per andarmene. Accosto la porta dietro di me. Appena un secondo prima che le ante si chiudano del tutto, una voce giunge alle mie spalle, emergendo, strisciando, dalle tenebre della cella.
-Grazie a te, Sammy.-

Angolo della "scrittrice": Allora, non ci ho messo poi tanto! Sono arrivata solo fino al quatro\quinto episodio, ma mi sembrava abbastanza per buttare giù qualcosa. Ho impostato questo capitolo incentrandolo principalmnte sui dialighi. Che ne pensate? Spero vi sia piaciuto :) Bene, grazie per l'attenzione e per il tempo dedicatomi. Alla prossima!

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Capitolo 17
*** WonderLand ***


-Cas si sta rifacendo una vita Sam… Anzi, se la sta facendo adesso, per la prima volta. Non ho… non ho avuto il cuore di strapparlo a quella realtà.- Dean guida, lo sguardo fisso davanti a se. Scuote lievemente la testa, come se lui stesso si stesse chiedendo se le sue scelte siano state giuste o meno. Ha trovato Castiel, un paio di giorni fa. Pensavamo di aver perso ogni sua traccia… e invece, lui è risbucato fuori. Ha chiamato Dean. Gli ha dato una dritta su un caso. Dean è partito, come sempre alla chiamata del nostro, ormai, ex angelo custode. Il caso è stato risolto. E mio fratello, ancora una volta, ne è uscito sottosopra. Sospetto che c’entri il fatto che Cas è stato invitato ad uscire da una donna. Ma questo è meglio tenerlo per me.
-Dean, ascolta… Questo me lo hai già detto. Circa settanta volte. La mia domanda è un’altra.-
-Ovvero?- chiede lui, stringendo gli occhi, la voce impregnata di sarcasmo. –Come mi sento, Sam? Come sto, sapendo che… insomma Sam, non è ovvio?- tira una botta sul volante. –Avrei preferito mille volte che mi avesse seguito! Ma ognuno fa le sue scelte Sammy. Non potevo obbligarlo.- i suoi occhi lucidi mi fanno vacillare. Vorrei parlare ancora, aggiungere un milione di osservazioni, provare a far capire, più che a capire io stesso, il perché di quel dolore, di quelle lacrime trattenute a stento. Perché Dean non vuole capire. Forse, non ci arriverà mai…
-Va bene Dean, ok.- annuisco, usando un tono conciliante. Ma c’è ancora una cosa che non capisco, la cui risposta inspiegabile mi perseguita. –Ma pensaci… non potresti invitarlo a vivere nuovamente nel bunker? Starebbe bene, non dovrebbe più dormire nello sgabuzzino di un negozio…- la sua risposta secca non si fa attendere.
-No Sam.- la sua voce è dura, determinata. Ma diventa incredibilmente soffice, rattristata, quando aggiunge. –Non posso accontentare tutti.- altri mille dubbi nascono nel mio cervello, urlando per essere espressi. Ma sto zitto. Non fiato. Sposto solo lo sguardo su di lui, gli occhi grandi di sorpresa e confusione. La voglia di parlargli della mia personale esperienza con gli angeli mi assale, soffocandomi. Mi mordo la lingua, tornando a piantare lo sguardo fuori dal finestrino. Non posso aggiungere benzina al fuoco. Nel mio caso non si potrebbe nemmeno parlare di “benzina”. Non basterebbe. Sarebbe più come far eruttare un vulcano sopra l’allegra cittadella che è stata costruita lui attorno. Una strage.
-Quanto manca?- chiedo.
-Poco. Il vecchio Sunny abita poco oltre quella collina laggiù.- indica un punto davanti a se, trattenendo un sorriso. –Finalmente una caccia normale, eh? Come ai vecchi tempi!- mi fa l’occhiolino. Sbuffo, divertito. Mio fratello sembra bipolare, a volte. Un secondo prima è depresso, quello dopo ride e scherza come se niente fosse. Mah. Deve essere una cosa di famiglia, la malattia mentale.
(-Non sei malato Samshine!-)
Mi sembra quasi di sentire. Ora sta a me sorridere sotto i baffi.
(-Sei solo particolare! Le persone particolari vengono spesso scambiate per pazze… ma ciò non significa che lo siano! A parere mio, Sammich, la gente che giudica le persone diverse da loro, ha solo tanta invidia repressa da sputare addosso a qualcuno.-)
Mi ricordo molto bene quella conversazione. Ormai, sono passati anni… Avevo chiesto a Gabriel cosa ci fosse di sbagliato in me, il come mai mi sentivo così sporco, strano… malato. E lui mi aveva risposto in quella maniera. Sorridendo. Ma con gli occhi seri. E, stranamente, quella combinazione non mi ha mai inquietato. Solitamente, quando un sorriso non arriva a coinvolgere gli occhi, si capisce subito che è falso, che la persona che si ha di fronte sta mentendo, o comunque si sta forzando. In quel gesto, invece, Gabriel era riuscito a passarmi fiducia e tranquillità. Mi ha rincuorato. Gabriel è sempre stato un mago in questo: rendere ciò che negli altri appare fastidioso incredibilmente piacevole e divertente. Non riesco più a trattenere il sorriso, ormai.
-Che hai da ridere?- Dean mi riscuote dal mio sogno ad occhi aperti. Sobbalzo, l’allegria sparisce dal mio volto.
-Eh?- balbetto, tentando di tornare coi piedi per terra. Quasi non ho sentito la domanda che mi ha appena posto. Lui alza gli occhi al cielo, scocciato.
-Alice… torna da WonderLand, per favore.- sbuffo.
-Taglia corto. Mi veniva da ridere perché pensavo a te, da piccolo, chiuso in una casa per ragazzini sfollati… Chissà il divertimento!- bella trovata, Sam Winchester. Mi darei volentieri una pacca sulla spalla, se solo non sembrassi incredibilmente idiota, se lo facessi. Ma Dean è tornato con gli occhi sulla strada, lo sguardo pensieroso, lontano. Probabilmente rivolto ai suoi sedici anni, a ricordi che nessuno, al di fuori di lui, conosce. Ricordi che ha costruito da solo. Svoltiamo, entrando in una dissestata stradina di campagna, isolata da tutto il resto. Sale su, per la collina, fino ad una casetta azzurra arroccata sulla cima del rilievo. E’ graziosa, vista da qui. Sembra una casetta per le bambole. In un angolo della mia testa, penso che sarebbe stato bello, crescere in una casa come questa. O comunque metterci su famiglia… Lancio uno sguardo verso Dean, ma lui è ancora sovrappensiero. Sbuffo dal naso, rassegnato. Io e Dean, ormai, abbiamo due WonderLand differenti.

Nota dell'autrice: Salve a tutti, eccoci tornati dopo un periodo spropositato di tempo. E rieccoci con un capitolo di passaggio. Come avrete notato, non ci sono contenuti fondamentali ai fini della storia. Era solo una cosetta così, che volevo postare per mettere qualcosa tra il vecchio capitolo e quello che dovrà uscire poi, quando vedrò le puntate salienti e potrò scrivere qualcosa di significativo ;) Comunque, vi pongo sempre la solita domanda: che ve ne pare? Piaciuto? Non piaciuto? Piaciuto un pochino? Ditemelo voi :) Alla prossima!

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Capitolo 18
*** The line between hell and heaven ***


Una luce accecante mi colpisce in faccia. Batto velocemente le palpebre, tentando di alleviare la spiacevole sensazione. Non funziona. E’ come se non avessi potere alcuno sul mio corpo…
(Questa caccia alle streghe, letteralmente, è durata fin troppo.
-Dean… Questa roba non ha senso… Guarda qua. Ci sono un sacco di informazioni sui ghoul, ma nessuna di queste dice il perché dovrebbero attaccare proprio una confraternita di cheerleader!- non ricevo risposta. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo, chiudendo con uno scatto secco il computer. Quel bastardo se ne è andato senza avvertire. Di nuovo. Non è possibile che ogni volta trovi una scusa buona per lasciare a me tutto il lavoro della ricerca. “Le scartoffie non fanno per me Sam… Sono un uomo d’azione!”. Non ho mai trovato un senso a queste sue uscite. Cioè, non sono forse io a salvargli il culo ogni volta?! Siamo uomini d’azione. Non sono mica nato con “topo di biblioteca” stampato in fronte! Scuoto la testa, esasperato. Faccio per alzarmi, ma un rumore sospetto mi fa drizzare le orecchie. Mi irrigidisco, tutti i muscoli all’erta. Estraggo la pistola dalla custodia sulla mia gamba, sotto ai jeans.
-Dean?- chiedo, stupidamente. Non può essere lui. Prima mi avrebbe risposto, sennò. Mi do un nocchino mentale che, stranamente, schiocca quasi come reale, come fisico, nell’aria immobile della stanza. Non ci faccio caso. Ho altri problemi da affrontare adesso. “Ti prego, fa che non sia un ghoul. Ne ho abbastanza di quei bastardi…”
-Non c’è bisogno che tu preghi, Sammich.- il mio cuore si ferma. Salta un battito. Ne salta due. Tre. Quattro. Poi riprende il suo ritmo, ma a velocità centuplicata. Apro la bocca, come per parlare. Ma la gola è secca. Non esce alcun suono. Entro nella sala d’ingresso, le gambe instabili, la pistola ancora stretta tra le mani tremanti. Guardo in alto. Sulla cima delle scale, un sacchetto di caramelle in mano, sta Gabriel. Mi guarda da lassù, per la prima volta in vita mia mi sento squadrare dall’alto in basso.
-Ciao, Kiddo.- sussurra, e la sua voce è così calda, così allegra, così familiare… Che mi ritrovo impossibilitato a frenare le lacrime che, spontanee, mi salgono agli occhi, premendo per uscire.
-Gabe…-la voce mi esce in un singhiozzo. Il suo sguardo si incupisce.
-Sam…- è serio. Scende un gradino. Resto immobile, lo sguardo fisso su di lui. Ne scende un altro. Deglutisco. Quante volte ho sognato questo momento? Quante volte mi sono ritrovato a pregare un Dio che so non esserci più per riavere indietro quello che di più caro mi ha portato via? Mia madre, mio padre… Gabriel. E ora lui è qui, nel bunker, con me, che scende la scalinata d’ingresso con lentezza disumana, gli occhi fissi nei miei. L’oro delle sue iridi, solitamente irrequieto e vivace adesso è piatto. Ma non ci faccio caso. Ancora una volta, ho cose più importanti a cui pensare. Finalmente scende dall’ultimo gradino. Ancora pochi passi e mi raggiungerà. Potrei muovermi io verso di lui, velocizzando il tutto. Ma il mio corpo non mi risponde. Sono sotto shock. Lui mi sorride, sollevando un angolo della bocca.
-Ehy, ehy Kiddo… Sono qui…- allunga un braccio. Finalmente mi tocca. Le sue dita piccole ma forti si stringono attorno al mio braccio, rassicuranti. E io non resisto più. Lo prendo per la manica del giacchetto, strattonandolo, facendolo finire dritto tra le mie braccia. Lo stringo, forte, gli accarezzo la testa, la schiena. Singhiozzo. I versi strozzati del pianto escono dolorosi dalla mia gola secca.
-Gabe… Gabe… Gabe dannazione… Gabe…- mormoro in una lenta ed inesorabile litania. Lui ricambia l’abbraccio, premendo il viso contro il mio petto.
-Sono qui…- non riesco a crederci. Non posso crederci. Lo stringo più forte. Lo sento tossire.
-Ehy ehy Samshine! Se continui così mi sa che a fine giornata avrai solo metà arcangelo da spupazzarti!- e rido, una risata liberatoria, limpida. Rido e piango insieme. E’ così vero, così reale… Come la mano che, un giorno adesso fin troppo lontano, mi ha carezzato attraverso le sbarre del paradiso. Il mio cuore batte impazzito nel mio petto. Porto una mano al suo viso, facendoglielo alzare verso il mio. Sono pazzo. Pazzo di lui. Lui mi guarda dal basso, gli occhi gradi di sorpresa e di aspettativa. Mi vuole anche lui. Adesso ne sono certo.
-Vorrei poterti guardare così per sempre, Kiddo…- mormora, quasi sulle mie labbra. –Ti hanno mai detto che hai degli occhi bellissimi?- e, a quel punto, perdo completamente la testa. Con un ultimo, strozzato singhiozzo, mi piego su di lui e, finalmente, faccio toccare le nostre labbra. Le sue sono sottili, piccole. Sanno di zucchero. Mi viene da ridere. Era abbastanza ovvio il sapore che avrebbero avuto. Questo nanetto mangia solo dolci! E’ lui il primo ad aprire la bocca, a lasciare che il tutto si intensifichi. Non esito un momento a concedergli ciò che vuole. Lascio che invada la mia bocca. Inspiro forte il suo odore, mentre lascio che anche la mia lingua vada in esplorazione. E’ una sensazione tutta nuova, totalmente differente rispetto ad un bacio tradizionale. Non ho mai baciato un uomo, prima. E’ strano… I suoi capelli, relativamente lunghi, mi rassicurano. Ci passo le dita attraverso, fermandomi poi sulla sua nuca, aggrappandomi alle ciocche più lunghe che partono da lì. Gli strattono la testa indietro, prendendo il controllo del bacio. Lui mugola sulle mie labbra. Le vibrazioni della sua voce si espandono piacevolmente, strusciando direttamente sulla mia lingua. Dio, come vorrei che questo momento non avesse mai fine. Ma, dopo un po’, mi tocca staccarmi da lui, per riprendere aria. Gabriel mi guarda con occhi socchiusi, la bocca semi aperta, il fiato che, come quel giorno nel Motel, si infrange ad ondate affannate sul mio viso. Questa volta non mi devo trattenere. Questa volta non ci sono stupide pippe mentali a fermarmi. Gli bacio l’angolo destro della bocca. Poi la guancia. Poi lo zigomo. Salgo su, fino alla fronte. Poi sui capelli.
-Mi sei mancato… Tantissimo…- stringo i denti, sentendo le lacrime tornare ad affacciarsi. E’ passato troppo tempo… Lui annuisce, facendo strusciare i capelli sulle mie labbra. Sorrido appena, rassicurato da queste sensazioni calde che mi sta trasmettendo. Lui è qui. E’ qui con me adesso.
-Kiddo… C’è una cosa che ti devo dire…- il sorriso sul mio viso si allarga. Gli poso le mani sulle spalle, allontanandolo per poterlo guardare in faccia.
-Anche io Gabe! Ho tantissime cose da chiederti e da raccontarti! Come hai fatto a scappare dal paradiso? Come fai ad essere qui? Devo dirlo a Dean! Probabilmente tenterà di ucciderti, li per li, ma vedrai che poi gli passa! Lo sai come è fatto, no? E’ un tipo fumino, ma alla fine poi…-
-Sam, non sono mai scappato dal paradiso.- il mio sorriso si congela. Il tempo si ferma. Mi sento mancare l’aria nei polmoni. Ridacchio, istericamente.
-Cosa? No, no, tu sei qui, io…-
-So cosa sembra, Sammich… So che ti sembra di avermi qui, ma è tutto mentale. Siamo nella tua testa, adesso. Sono riuscito a stabilire un contatto, ma non durerà per molto…- i suoi occhi sono tristi, affranti. La loro normale e consueta profondità è celata dietro ad un velo piatto. E’ come se un pezzo di lui si fosse volatilizzato, lasciando un buco vuoto nella sua anima. Cosa che, alla fine, non si allontana nemmeno tano dalla realtà. Deglutisco a vuoto. Il dolore nel petto esplode. E’ come se mi avessero appena preso a pugni in cento, dopo avermi riempito di pallottole il cuore. Deglutisco di nuovo. Mi guardo intorno, lanciando rapide occhiate spaesate ovunque, e allo stesso tempo in nessun posto.
-No… No…- balbetto. Barcollo all’indietro, lasciandomi cadere sulla prima sedia che incontro sul mio cammino. Mi prendo la testa tra le mani. -No…- lui mi si avvicina, inginocchiandosi davanti a me. Mi separa le ginocchia, infilandosi tra le mie gambe, poggiando i gomiti sulle mie cosce. Mi prende il viso tra le mani, facendomelo alzare, scoprendo quanto miserabile io mi sia ridotto ad essere in così pochi secondi di tempo. Prima ero felice, allegro, completo. Adesso ho le guance rigate dal pianto e non sento più il cuore battermi nel petto.
-Sammich… Lo so che stai male. Non sto bene nemmeno io, che credi? Ma Metatron, lassù, è un bravo carceriere, dannatamente preciso e ferreo nei dettagli. Non mi lascia molto tempo per cercare di contattarti, Sam. Ma sono qui, no?- mi sorride, tristemente. Lo guardo, in attesa. Lui scuote la testa, poggiando la fronte sulla mia. -Quello che voglio dire, Sam, è che ci sto lavorando, ok?- annuisco, posando a mia volta le mani sul suo volto.
-Ho… ho visto tutti i tuoi ricordi, Gabe…- sussurro. Si lascia scappare una risatina, che risuona nell'aria pesante della stanza come una pioggia rinfrescante dopo mesi e mesi di siccità.
 -Già… ho notato che sono stati di tuo gradimento.- Sorrido con lui.
-Molto.- lui annuisce.
-Già…- poi si rabbuia. Posa le mani sulle mie, ai lati del suo viso. Alza gli occhi, piantandoli nei miei.
-Ma non sono qui solo per una visita di cortesia Sammich. Ci sono altre cose che ti devo dire.- il suo tono si è fatto urgente, ansioso. Ricambio il suo sguardo, ora allarmato.
-Che succede?-
-Sam, non sei solo qui dentro.- corruccio le sopracciglia, ora confuso.
-Cosa?- lui si lancia rapide occhiate nervose attorno, come se avesse paura di essere spiato.
-Abbiamo poco tempo prima che capisca come espellermi…-
-Ma chi Gabe?-
-Lui! L’angelo che…- e, all’improvviso, tutto tace.
)
Grido. Sento qualcuno, accanto a me, che parla. Ha una voce roca, bassa. Crowley. Mi giro verso di lui. Ha tra le dita un paio di strani stuzzicadenti di ferro. Li sta puntando pericolosamente vicino alla mia fronte. Urlo di nuovo, tentando di divincolarmi. Cerco di chiamare Dean, ma, al posto di una parola articolata, esce un verso grottesco, quasi animale. E’ con una morsa al petto che mi rendo conto di non essere più in grado di parlare. Mi guardo intorno, lo sguardo appannato dal dolore. Sono in una specie di vecchio magazzino, una vecchia fabbrica abbandonata. E poi lo vedo, mio fratello, in fondo alla stanza, vicino alla porta di uscita. Non è solo. Mi ci vuole qualche secondo per poter identificare la sua compagnia. E’ Castiel. Stanno parlando. Cas ha addosso il suo vecchio impermeabile. Sono vicini, i loro visi sono a pochi centimetri l’uno dall’altro. Dean è curvo su se stesso, il viso basso. Conosco questa sua posa. Sta trattenendo il pianto. Tento di chiamarlo di nuovo, ma, per l’ennesima volta, il suo nome viene tramutato in un grido informe. Vedo Castiel dirgli qualcosa. Dean torna a sorridere. E’ un sorriso tirato, teso, ma comunque di un sorriso si tratta. Sono quasi sollevato che ci sia Castiel con Dean. Almeno non è solo ad affrontare l’assurda situazione nella quale, apparentemente, sono. Nessuno dei sue sta facendo nulla per fermare Crowley dal piantarmi questi aggeggi infernali nel cranio. Quindi presumo faccia parte di un loro piano. Urlo di nuovo. Il re dell’infermo mi ha appena piantato un altro arnese puntuto nel cervello. Gabriel ha detto qualcosa a proposito di un angelo. Ha detto che non sono solo. Il panico mi assale. Ma che sta succedendo? Gabriel è ancora con me? La risposta mi viene sbattuta nuda e cruda in faccia dall’evidenza. No. Non c’è più. Probabilmente era la sua presenza a lenire tutto questo dolore. E’ stato risucchiato in paradiso. Un altro grido mi squarcia la gola, prima che la mia mente cada di nuovo nelle tenebre.

Sono riuscito a espellere Gadreel. Il bastardo ha opposto una strenua resistenza. Mi sono servite tutte le mie forze, nonostante l’aiuto di Crowley, per cacciarlo via dalla mia mente. Era a lui che si stava riferendo Gabriel. Probabilmente è stato anche grazie al suo avvertimento che sono riuscito ad accettare la possessione angelica abbastanza in fretta da riuscire ad uscirne. Dean mi ha confessato tutto. E’ stato lui a lasciare che lo stronzo mi possedesse, all’inizio di tutta questa vicenda. Lo guardo con astio, mentre mi parla, illuminato solo dalla luce gialla dei lampioni per la strada. Castiel lo scruta, in piedi alla sua destra. Ha lo sguardo triste. Probabilmente sa che il suo protetto non uscirà vincitore da questa discussione. Per un momento odio anche lui. Perché deve sempre stare dalla parte di Dean, anche se è nel torno marcio? Perché non può vedere oltre i suoi occhi da cucciolo perdutamente innamorato del padrone? Dovrebbe stare dalla mia parte, almeno questa volta. Ho ragione. Ho fottutamente ragione. Ma gli occhi dolci e compassionevoli di Castiel non accennano a lasciare Dean nemmeno per un istante. Lo sostiene con la forza dello sguardo, l’unica cosa che può fare in questo momento. Poi Dean decide di andarsene.
-Me ne vado Sam. Sono veleno, uccido tutti quelli che mi stanno attorno.- in un momento normale, diverso da quello attuale, gli direi che non è vero, che si sbaglia, che è una delle persone migliori che abbia mai incontrato nella mia vita. Ma non ora. Adesso sono solo una bomba ad orologeria piena di rabbia e rancore, pronta ad esplodere in qualsiasi momento.
-Vai. Non ti fermerò.- è l’unica risposta che gli do. Vedo il suo sguardo affranto, mentre si gira, dandomi le spalle. Si avvia verso l’Impala. Ha le spalle curve, come schiacciate da un peso troppo grande per loro. E, per un attimo, sono tentato di corrergli dietro, di fermarlo, di aiutarlo a sostenere quel peso. Ma no. Ora come ora, non sono capace di compassione. Con la coda dell’occhio vedo Castiel fare un passo verso di lui, come se anche lui volesse raggiungerlo. Ma non va oltre. Si ferma alla mia sinistra, le mani abbandonate lungo i fianchi, gli occhi blu colmi di tristezza e il viso un maschera cupa di rimorsi e rimpianti. Un po’ il riflesso di ciò che sarei io, se adesso mi levassero di dosso la rabbia. Dean monta in macchina. Non si guarda indietro. Si sbatte la portiera alla spalle. Mette in moto. Parte. Io e Cas stiamo fermi, in piedi sotto il lampione, a guardarlo allontanarsi, i capelli e le giacche sempre più bagnate dalla pioggia che, sottile, vien giù dal cielo, fredda e tagliente come aghi ghiacciati.

Angolo dell'autrice: Ben tornati! Come vi è sembrato questo capitolo? E' ancora un po' diverso dai precedenti, spero abbiate apprezzato la nuova formula (e spero di non aver creato incongruenze con la storia che verrà, dato che quello di cui ho parlato in questo capitolo è l'ultimo episodio che ho visto o.o). Alla prossima!

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Capitolo 19
*** No surprises, please ***


Sono successe parecchie cose negli ultimi tempi. Non pensavo che quei Ghost Facers avrebbero apportato un così drastico aiuto alla mia situazione. E invece… Quei due idioti si sono presentati, gridando ai quattro venti di avere un caso per le mani. Si era scoperto essere un semplice psicopatico dalla fantasia troppo spiccata, alla fine, ma l’aiuto non era consistito nella risoluzione del caso. Bensì nel farmi riallacciare i rapporti con Dean. I due ragazzi del team Ghost Facers si sono lasciati, alla fine della caccia. Un po’ mi è dispiaciuto. Facevano una bella coppia, anche se parecchio strampalata. Mi hanno sempre ricordato una versione ignorante e poco seria di me e di Dean. E’ stata questa somiglianza a farmi riavvicinare a mio fratello. L’idea di finire divisi e rabbiosi come loro mi ha fatto riflettere sull’importanza del mio rapporto con lui. Così ci ho ripensato. Abbiamo ricominciato a cacciare insieme. Dean, per riuscire a vincere contro Abbadon, si è fatto passare il marchio di Caino da niente popò di meno che Caino stesso. Quello della bibbia, esatto. Grazie al provvidenziale aiuto di Crowley, che penserò io stesso a sgozzare non appena tutta questa storia sarà finita. Castiel ha rubato una Grazia. Ha di nuovo molti dei suoi poteri angelici, ma, a quanto pare, il volo non è incluso nel pacchetto. Ci ha chiamato stamani, per comunicarci lo schema che aveva individuato negli omicidi di Gadreel. E’ stato grazie a lui che l’abbiamo trovato. Ma, da allora, non risponde più. Dean ha provato a chiamarlo sei volte, tutte e sei senza risultato. Ha perfino ricorso alla preghiera, nonostante sappia perfettamente quanto sia inutile. Probabilmente quelle preghiere sono arrivate a Metatron, dato che la Grazia di Castiel ce l’ha lui. Il bastardo… Digrigno i denti, salendo a bordo dell’Impala, solo pensandoci. Ha ancora Gabriel. Premo sull’acceleratore, diretto verso il Motel dove Cas aveva affittato la camera prima di sparire dalla faccia del globo terrestre. Dean mi ha detto di indagare. Io indagherò. L’ho lasciato da solo con Gadreel. Spero lo uccida. Quel fottuto figlio di puttana ha osato ravanare nel mio cervello a suo piacimento per mesi. E’ giusto che si becchi una lama angelica dritta nel cuore. Arrivo finalmente al Motel. E’ anonimo, alla scritta rossa sul tetto manca “l”. Sospiro, estraendo la pistola. Spero di non avere complicazioni. Spingo piano la porta, evitando che cigoli. Controllo il muro alla mia destra, prima di uscire dalla protezione parziale che mi concede lo stipite di legno. Con passi leggeri arrivo al centro della stanza. Mi guardo intorno. Certo che Castiel si è dato un bel da fare in queste ultime settimane. I muri sono ricoperti di volti, uno collegato all’altro da un’intricata rete di linee rosse e nere. Un mezzo sorriso mi piega le labbra. Non è stato con le mani in mano, il nostro angelo custode. Ancora un po’ di pratica e diventerà un cacciatore migliore di noi.
-Ciao Sam.- non ci sono stati preavvisi. Nessun rumore ha avvisato il suo arrivo. Sobbalzo, girandomi di colpo, puntando la pistola verso la minuta sagoma di Metatron, che alza le mani in alto, come in gesto di resa. Peccato che i suoi occhi stiano ridendo, divertiti dall’intera situazione.
-Oh! Oh, io la metterei giù quella pistola Sam… Ho un patto per te.- mi sorride, schifosamente allegro. Distrattamente, mi chiedo se sappia delle sporadiche fughe di Gabriel dalla sua prigione in paradiso. Deglutisco a vuoto, senza spostare la pistola, tenendola sempre puntata sulla sua testa. So che è inutile. Ma almeno non mi sento inutile io stesso.
-Un patto?- chiedo, guardingo. Qualsiasi proposta da parte sua è una lama a doppio taglio. Devo stare molto attento. Lui annuisce.
-Esattamente. Tu hai qualcosa di mio… Io ho qualcosa di tuo.- sento il cuore saltarmi in gola. Sbarro per un attimo gli occhi, terrorizzato. Lo sa. Sa di Gabriel. Serro le mandibole. No. Niente panico. Devo stare calmo, dannazione. Metatron mi sorride, sornione. –Gadreel per Castiel.- la tensione che abbandona i miei muscoli è quasi una cosa tangibile nell’aria. Come miele che si scioglie nell’acqua calda. Sento la mente improvvisamente leggera. Mi viene quasi da ridere. Quasi. Perché è pur sempre di Castiel, un mio amico, di cui si sta parlando. Con un movimento della pistola lo incito a proseguire.
-Va avanti.- lui si stringe nelle spalle.
-Pensavo ad un piccolo scambio. Troviamoci qui alle sei di domani.- stranamente, il suo viso è una maschera di pietra. Non l’ho mai visto così serio. Ma è solo un secondo, prima che, con un fruscio d’ali, scompaia nel nulla. Rimango solo nella stanza, la pistola ancora puntata contro il vuoto. Non mi ha dato il tempo di dire niente. Non sono riuscito a replicare. Abbasso lentamente l’arma, le braccia rigide come legno. Faccio un passo barcollante all’indietro, appoggiandomi alla scrivania. Poso la pistola nella fondina. Mi passo una mano sul viso.
-Cazzo!- batto un pugno sul tavolo, facendolo tremare. Non sono riuscito a spiccicare una parola sull’argomento che mi premeva di più. Lo stronzo se ne è andato prima. Prendo un bel respiro, ricomponendomi. Devo andare a dire a Dean ciò che mi è successo. Metatron mi ha detto l’ora e il luogo il cui potrò trovarlo domani. Forse non tutto è perduto.

Metatron è riuscito ad evitare ogni trappola che avevamo posto lì per lui. Ci ha disarmato. Con una facilità allarmante ha liberato Gadreel, per poi scomparire nel niente, lasciandoci senza parole, più confusi e disperati che mai. Almeno, ha mantenuto la parola data. Castiel è di nuovo con noi. Ma, nonostante la libertà riacquisita, il nostro angelo custode non sembra per nulla allegro.
-Spero tu non abbia programmi per la giornata Cas…- inizia Dean, il primo di noi tre che osa rompere il silenzio. –Ma io e Sammy avremmo alcune cose da chiederti e altre da raccontarti.- sorride, ma il sorriso non arriva a coinvolgergli gli occhi. Un brivido mi scuote la spina dorsale. Non presagisco nulla di buono. Castiel ci fa accomodare nella sua stanzina, sistemando alla bene e meglio tre sedie attorno al microscopico tavolo centrale. Ci sediamo tutti e tre, guardandoci negli occhi come lupi pronti all’attacco. Non so il perché di questa tensione.
-Ieri Metatron mi ha rapito dalla mia stanza. Mi ha portato in un posto, non so, sembrava una biblioteca. Può darsi che fosse il Paradiso, ma non mi ricordo di quel posto…- Castiel prende a parlare, lo sguardo basso, sulle sue dita intrecciate. A tratti annuisce a se stesso, come a sostegno delle sue parole, quasi cercasse una conferma esterna. A volte alza lo sguardo. Stranamente, non guarda Dean. Mi lancia occhiate nervose, di tanto in tanto. Nell’ombra dei suoi occhi vedo una colpevole consapevolezza . C’è qualcosa che vuole dirmi. Ma non la dirà. Non con Dean presente. Lancio uno sguardo a mio fratello, che ricambia l’occhiata, alzando un sopracciglio. Il nervosismo di Cas non è passato inosservato. Alla fine del racconto, comunque, nessuno osa chiedere niente.
-Ok, bene…- sussurra Dean. Sposta gli occhi sulla finestra, notando il sole scendere pigro sull’orizzonte. Si batte le mani sulle cosce, schioccando le labbra.
–Bene.- ripete. –Credo che andrò a comprare la cena.- e, con un altro dei suoi sorrisi cinici, si alza, andando a recuperare la giacca. Castiel fa per seguirlo, ma Dean lo respinge, alzando una mano a mezz’aria. -No, Cas. Mi sembra ci siano delle questioni irrisolte tra te e mio fratello. Ora vi lascio in pace. Parlate del cazzo che volete, io levo le tende per un po’.- sputa quell’ultima frase come se fosse fisicamente fatta di cianuro. Castiel sospira.
-Dean… Se vuoi puoi stare…- ma mio fratello scuote la testa. Nei suoi occhi leggo una traccia di tradimento. Alzo gli occhi al cielo. A volte Dean sa essere una tremenda regina del dramma.
-No, vado a fare la spesa.- indica con un gesto brusco il mini frigo vicino alla porta del bagno. –Anche perché non hai la birra in quel frigo di merda. Mi spieghi a che ti serve?!- e, detto ciò, scompare oltre l’uscio, sbattendosi la porta alle spalle. Sbuffo, scocciato. Quante storie per un paio di occhiate. Se avessi avuto quello scambio con Gesù Cristo si sarebbe sentito meglio. Castiel scuote la testa, sconsolato, tornando a sedersi accanto a me.
-A volte proprio non lo capisco…- sussurra, agitando distrattamente il suo bicchiere d’acqua, ancora mezzo pieno. Non mi lascio distrarre. C’è qualcosa che Castiel muore dalla voglia di dirmi, ma che, per qualche motivo, è restio a fare.
-Cas… cos’è che volevi dirmi?- lui alza gli occhi dal bicchiere, guardandomi per un istante, prima di riportarli in basso.
-Gabriel è venuto a farmi visita, stamani. E’ stato lui a rapirmi da qui.- lo guardo, stranito. Il respiro mi inciampa trai denti, mozzato dalla sorpresa. Confuso, scuoto la testa, sorridendo stordito a me stesso.
-Non… non credo sia possibile Cas…- balbetto, guardano ovunque fuor che lui. L’angelo annuisce piano, lanciandomi un’occhiata sbieca, pronto a scattare se la situazione degenera. Sa quanto io sia sensibile all’argomento. Già una volta ha provato a parlarmi di Gabriel. E’ finita con me che gli puntavo una pistola alla tempia e lui che scompariva nel nulla, battendo in ritirata con un fruscio d’ali.
-E’ ciò che ho visto.- dice lui piano. Le parole gli escono lente dalla bocca, come se volesse darmi il tempo per assimilarle. Mi schiarisco la voce, alzando finalmente gli occhi nei suoi.
-Raccontami che è successo.- ordino. Lui obbedisce. Prende a parlare, un torrente di vocali e consonanti gli esce dalla gola, acquisendo un senso a contatto con l’aria. Mi guarda fisso, lo sguardo triste e guardingo. Lo ascolto, a volte ridacchiando, a volte lottando contro me stesso per non piangere. Tipico effetto di Gabriel. Con lui non sa ai quali delle due opzioni scegliere. Quando Castiel finisce, riallacciandosi al racconto principale, tiro quasi un sospiro di sollievo. Troppe informazioni. Il mio cervello sta per fondere.
-Ma quindi… sta bene? L’hai visto bene?- sospiro, torturandomi le mani. Castiel inclina la testa da un lato, come se non riuscisse a pieno a capire il significato della mia domanda.
-Si.- risponde. –Fisicamente stava bene.- la mia mente si ferma in automatico su quel “fisicamente”. Fiuto puzza di bruciato.
-E mentalmente?- alzo un sopracciglio. Lo sento agitarsi leggermente sulla sedia, sistemandosi il trench.
-Aveva gli occhi di una bestia nella gabbia.- conclude. Annuisco. Questo, purtroppo, lo sapevo già.
-Non ti vedo sorpreso.- Cas stringe gli occhi a una fessura, sospettoso. Mi batto una mano sulla gamba, ridendo, alzando gli occhi al soffitto. Non rispondo. Il nodo stretto che mi stringe la gola non me lo permette. Dopo attimi infiniti, Castiel si alza, andando verso il frigo. Ne estrae una bottiglia di succo di arancia. Me la sbatte davanti.
-Bevi.- sembra un ordine, ma la sua voce è morbida. Vuole aiutarmi. Gli sorrido, riconoscente, stappando la bottiglia. Agito un attimo il suo contenuto, sospettoso. E’ un po’ che non bevo succhi di frutta… Tipo da quando avevo dieci anni. Ne bevo un piccolo sorso. Cosa mi sono perso… Il sapore fresco e dolce mi scende per la gola, senza bruciare, senza ferire. Scoppietta nella mia bocca, rinfrescandomi. Avido, bevo metà bottiglia. Castiel torna a sedersi accanto a me, guardandomi mentre poso il succo sul tavolo.
-Mi ci voleva.-
-Pensavo che voi Winchester rinnegasse ogni altra bevanda che non fosse la birra.- rido, colto nel vivo.
-E’ vero. Ma questo solo perché ci siamo scordati quanto siano buone le cose semplici!- indico con un colpetto dell’indice la bottiglia davanti a me. Cas sorride, annuendo.
-Può darsi…- stiamo un momento in silenzio, contemplando la sua eterna bellezza. Una macchina sfreccia sulla strada, rompendolo, ma allo stesso tempo arricchendolo. E’ rilassante stare così, seduti in una camera di Motel, a parlare del più e del meno, senza avere davvero una meta precisa. Mi ricorda i vecchi tempi, quando ancora le caccie consistevano in qualche fantasma vendicativo, un paio di vampiri e un branco di ghoul. Darei tutto per tornare a quei tempi, prima della morte di Dean, prima dell’Inferno. Troppe cose sono successe, da allora. Troppe persone ho seminato sul mio cammino.
-Sam…- riprende a parlare Castiel. –Adesso ti andrebbe di raccontarmi di te e di Gabriel?-

Angolo della "scrittrice": buonsalve a tutti! Ben tornati! Scusate l'enorme spazio di tempo che c'è stato tra lo scorso capitolo e questo, ma ho avuto parecchi problemi e non sono riuscita a vedere gli altri episodi... almeno fino a ieri sera. Quindi, se la scrittura di questo pezzo vi sembra peggiore di quella che ho usato per gli altri (perchè lo è, purtroppo) è perchè l'ho buttato giù all'una di ieri. Non avevo proprio la testa per farlo, ma se non mi ci mettevo subito avevo paura di dimenticare qualcosa (cosa che comunque avrò fatto sicuramente). Bene, fatemi sapere che ne pensate! Alla prossima (che si spera sarà leggermente migliore) :)

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Capitolo 20
*** The Wall ***


Fiumi interminabili di parole escono dalla mia bocca, zampillando come sangue da una ferita aperta. Non avevo idea di quante cose tenessi chiuse dentro di me, di quante cose stessero premendo come pazze per uscire. Ho solo aperto un minimo la porticina della mia anima. Un poco, giusto per sbirciarvi all’interno. Non avevo calcolato la forza premente dalla parte opposta. Sta uscendo tutto. Non ho alcun controllo sulle mie parole. Sotto agli occhi grandi e comprensivi di Castiel, il muro che avevo eretto a protezione della mia anima sta crollando, mattone dopo mattone.
-…E poi lui è tornato. Avevo bisogno di lui, così è tornato. Anche se c’era Dean, anche se non potevamo più esser uniti come eravamo prima che tu salvassi mio fratello… Lui tornò. Ma era triste…- Non sorrido. Non piango. Non batto ciglio. Parlo soltanto, liberandomi del muro. Un peso in più si solleva dalle mie spalle ad ogni parola che dico, volando via. E’ liberatorio. Non mi immaginavo sarebbe stato così piacevole condividere i miei malanni. Cas non dice una parola. Le dita intrecciate davanti a se, le mani giunte e lo sguardo concentrato, mi ascolta, nemmeno stessi dicendo la messa. In un piccolo angolo della mia mente penso che nessuno mi è mai stato ad ascoltare così tanto. All’infuori di Gabriel, si intende. Dovrei ringraziare più spesso il nostro angelo custode…
-E poi i suoi ricordi hanno cominciato ad apparirmi come visioni.- eccoci. Questa è la parte più difficile. Alzo gli occhi dal legno laccato del tavolino, incrociando per un momento gli occhi azzurri di Castiel. E’ mortalmente serio. Deglutisco, mordendomi l’interno guancia. So che non mi schernirà. So che sarà comprensivo. Allora perché è così difficile parlare?
-Sam…- comincia lui, percependo il mio disagio. –Sei stato già molto coraggioso a raccontarmi la vostra storia fin qua. Se non te la senti, puoi anche non…- ma io scuoto la testa, stringendo i pugni.
-No. No Cas, grazie, ma… Mi fa bene. Devo farlo. O esploderò.- lui annuisce, tornando in fase di ascolto. Sospiro. E’ il momento di aggiungere le emozioni ai fatti. E, si sa, per gli esseri umani è come impiccarsi con le proprie mani.
-Lui… Mi ha detto tante cose, con le visioni. Cose che non mi aveva mai detto, che non aveva mai avuto il coraggio di dirmi.- mi mordo il labbro. Sento la prima lacrima fare capolino, ma la ricaccio indietro con forza. Non ancora. -Mi ha mandato le immagini dei nostri incontri più felici, dei nostri momenti più belli. Non voleva che io fossi solo. Me lo disse chiaramente, una volta…-
(-Odio vederti solo Sammich… Quando tuo fratello va a fare l’eroe e si porta a casa la solita puttana di turno, o quando ti isoli nella lettura dei manuali, o quando ti metti in disparte perché Dean e Cas possano fare quella loro cosa con gli occhi… Sai, quando si spogliano senza spogliarsi, quando amoreggiano senza flirtare e roba così. Roba da “Siamo solo amici ma…”-)
Sorrido, ricordandomi di quel momento ormai troppo lontano. Sento il cuore stringersi, tentando di scomparire dal mio petto. Ormai sono passati anni da quel giorno.
(-Le persone buone non dovrebbero mai stare da sole.-)
Mi aveva detto. Gli ero quasi scoppiato a piangere in faccia. Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere. Mi ero limitato a sorridergli, all’epoca, riconoscente. Avrei potuto fare molto di più, se avessi saputo come sarebbero andate a finire le cose.
-Mi ha mandato le sue memorie per non farmi rimanere solo con la mia tristezza. Voleva regalarmi uno sprazzo di luce nella merda di vita che faccio.- un sorriso amaro mi piega le labbra in una smorfia sghemba, quasi forzata. –E, per certi versi, ce l’ha fatta.- “Ma è morto”. Vorrei dire, ma le parole mi si incastrano in gola. “E un ologramma non può sostituire l’originale”.
-Guardi ancora quei ricordi?- annuisco, torturandomi le mani.
-Onoro la sua ultima volontà…- Castiel annuisce a sua volta, continuando a fissarmi. Sento il suo sguardo trapassarmi il cranio da parte a parte.
-Puoi raccontarmi qualche memoria?- me l’aspettavo. Mi aspettavo questa domanda. Eppure, pur essendo preparato, non riesco ad assorbirla completamente. Non riesco ad elaborarla. Rimango interdetto, in silenzio, per qualche secondo. Mi fisso le mani, seguendo il percorso di un paio di vene sporgenti.
(-Hai delle belle mani Samshine!-)
Quando me lo disse? Tre, quattro anni fa? Certamente, al tempo queste vene sporgenti non c’erano. Mi fa così male pensare a quanto tempo sia passato, da quando ci siamo toccati l’ultima volta. Fisicamente, per lo meno. E’ come avere una lama infilata per traverso nel costato, il realizzare di quanto lui, nonostante il tempo che è passato, mi sia rimasto sotto pelle.
-Una, in particolare, mi è rimasta impressa. Mi era venuto a trovare nel Motel in cui stavo. Abbiamo letto insieme Shining.- sorrido. Mi tremano le labbra. –Abbiamo ordinato una pizza. E’ stato gentile con me, voleva che avessi una serata normale. Che avessimo una serata normale. In quel ricordo lui… mi ha lasciato anche il suo desiderio di tranquillità.- ora anche la voce a preso a tremare. Deglutisco, tentando di calmarmi. –Voleva vivere in pace… con me.- è inutile nascondersi. E’ inutile fingere o mentire. Era quello che voleva. Era quello che volevamo. In quei due mesi di assenza di Dean, ci eravamo molto avvicinati al nostro obiettivo. Ma nessuno dei due aveva le palle per farsi avanti, per far diventare la cosa ufficiale. Io perché avevo già perso troppo, lui perché non si aspettava un “si”. Entrambi avevamo paura dell’abbandono. Entrambi abbiamo vacillato, pagandone le conseguenze. Sento cinque dita stringersi delicatamente attorno al mio polso. Alzo appena lo sguardo, incrociando quello addolorato di Castiel.
-Mi dispiace.- mormora, gli occhi adesso lucidi di compassione. Annuisco leggermente, tornando ad immergermi in me stesso. Sento le sue dita scivolare via.
-In un altro ricordo, ci sei anche te Castiel. Anche se per poco.- lo sento tendersi sulla sedia per la sorpresa.
-Davvero?-
-Si. Gabriel ci stava guardando dormire, quando gli sei apparso tu accanto. Lui ti ha detto di accettare ciò che… ciò che provi per Dean.- digrigno i denti. E’ così fottutamente difficile mettere le parole una davanti all’altra senza crollare. Sento improvvisamente la mancanza del mio muro. Sarebbe tutto più semplice, se adesso mi rintanassi al suo interno. Peccato che, con il mio sfogo, non abbia lasciato altro che macerie. Ma al momento non sono schizzignoso. Anche una pila sfatta di mattoni nudi può aiutarmi. Lascio che le emozioni escano temporaneamente dalla mia voce. Le recupererò più tardi. Per ora mi permetto di respirare.
-E poi ha detto che mi amava.- il silenzio che si crea nella stanza è carico di significati, di parole e di storie mai vissute. E’ carico della potenza di cose mai realizzate, ma comunque presenti. E’ carico di una speranza morta, rinata ed ammazzata nuovamente. E’ carico di rimpianto.
-Me la ricordo, quella notte…- sussurra alla fine Castiel, rompendo la quiete. Gli sorrido appena, sentendo aggiungersi nell’aria il suo disagio. Ora ha le sopracciglia corrucciate, il viso piegato in un broncio. Non apprezza l’essere stato scoperto. Non gli piace l’infiltrazione di Gabriel nella sua privacy.
-Non te la prendere, lui è fatto così.- rispondo, quasi più a me stesso che a lui. Ma cas sembra apprezzare, rilassandosi.
-Lo hai detto a Dean?- chiede, sospettoso e terrorizzato. Scoppio a ridere. Crede che Dean gli parlerebbe ancora in maniera coerente, se sapesse cosa prova per lui? Probabilmente non gli parlerebbe proprio. Non ce ne sarebbe tempo, con tutto il sesso che gli farebbe fare. Povero fratellone frustrato…
-Assolutamente no! A te il privilegio!- sorrido, dandogli una pacca sulla spalla, divertito dal suo imbarazzo. Non sono l’unico fratello minore a vivere un amore travagliato. Mi verso un altro bicchiere di succo, ben contento di questa pausa inaspettata. Bevo un paio di sorsi, storgendo la bocca. Si è riscaldato. Castiel prende direttamente la bottiglia, scolandosi tutto il contenuto rimasto. Non molto, comunque…
-Sapevo che Gabriel ti era affezionato, ma quella sera ebbi la conferma. Sam, lui ti considerava il centro del suo universo.- per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva. Castiel e il suo tatto. Mi guardo spaesato intorno, come se avessi appena battuto la testa. La sensazione è simile. Stordimento e dolore. Un bel mix, non c’è che dire. Mi schiarisco la voce. Distrattamente mi chiedo dove si sia cacciato Dean. E’ fuori da un pezzo, ormai. Lancio uno sguardo all’orologio a muro affisso sopra al letto, dall’altra parte della stanza. E’ passata mezz’ora appena. Cazzo.
-Grazie Cas…- sospiro, rassegnandomi. Lascio andare anche l’ultimo mattone nel baratro, abbandonando per sempre la speranza di ricostruire il muro. Quando tornerà mio fratello ci ripenserò. Scenderò nell’abisso e recupererò i mattoni, uno dopo l’altro. Ma adesso nascondersi è solo energia sprecata.
-E tu?- alzo un sopracciglio.
-Io cosa?-
-Tu che provavi per lui?- lo guardo un momento, il viso immutato, impassibile. Di colpo scoppio a ridere. E’ una risata isterica, stridula. Graffia la gola e le orecchie. Non è certamente la risata più bella e sana che io abbia mai fatto.
-Sai, sei la seconda persona che me lo chiede! E non so davvero che risponderti Cas! Mi sembrerebbe così stupido dirti le stesse cose che ho detto a quel bastardo di Crowley!- rido, rido e rido, una mano premuta sullo stomaco e l’altra sugli occhi, a coprire le lacrime che, inesorabili, stanno tornando ad affacciarsi.
-Puoi dirmi quello che vuoi. Io cercherò di capire.- risponde lui, semplicemente. Io scuoto la testa, continuando a ridacchiare, il cuore a pezzi.
-Vorrei solo che tornasse… Solo che…- i singhiozzi prendono a scuotermi la schiena. Sento la gabbia toracica sobbalzare, la mia gola stringersi, soffocandomi dolorosamente. –Voglio l’amico che avevo… La mia persona. Perché cazzo tutte le persone che amo finiscono così!?- gridò, battendo un pugno sul tavolo. Lascio che la mano che tenevo sul viso cada, mostrando alla stanza e a Castiel cosa l’assenza del muro ha provocato in me. Lacrime calde mi solcano il viso, scavando fiumi di tristezza sulle mie guance. Ho gli occhi rossi. Mi bruciano. Mi passo le dita trai capelli, arpionandoli, tirandoli, sperando che quel misero dolore fisico possa lenire quello mentale.
-Sam…- sussurra Cas, ora spaventato. Allunga una mano, ma io la caccio via, alzandomi come una furia dalla sedia, rovesciandola.
-Lui era l’unica fottuta luce che mi era rimasta! L’unica cosa che mi ricordasse che ero, che sono un essere umano e non una macchina assassina!- grido, dando un calcio al frigo. –Lo amavo, lo amo da morire!- un altro singhiozzo mi si impiglia in gola. Il pianto continua. Il dolore non accenna ad andarsene. –Prima Jessica, poi Gabriel! Non ho niente, porca puttana, niente!- prendo un coltello dal lavello. Lo afferro dalla parte della lama, stringendo forte. Sento la sedia di Castiel strusciare sul pavimento. Lo sento alzarsi, allarmato.
-Sam, no!- ma è troppo tardi. La lama ha tagliato la mia carne, il sangue gocciola giù dalla ferita, sul pavimento. Brucia, ma non è poi così male, in fondo. Sento distrattamente le sue dita sfilarmi il coltello dalle mani. Sento l’acciaio sbatacchiare nel lavandino, tornando al suo posto.
-Vedi Cas…- sussurro, la voce altalenante a causa dei singhiozzi che mi sconquassano il petto. –Vedi Cas, questo non fa nemmeno lontanamente male come la sua assenza.- un paio di lacrime cadono dalle mie labbra, posandosi sulla lingua. Il sapore salato della mia disperazione mi fa sorridere.
-Io… io capisco Sam…- balbetta lui, spaesato. Non è abituato a tanta misera umanità. Non l’abbiamo mai abituato a queste esternazioni estreme. Posa lo sguardo sulla mia mano ferita. Il sangue picchietta indisturbato sul pavimento, come grosse e macabre gocce di pioggia. Abbasso lo sguardo sulla pozza rossa ai miei piedi. E’ bella. Mi piace.
-Decisamente meglio del sangue dei mostri che uccido…- sussurro sovrappensiero.
-Sam… Lascia che ti guarisca…- prende la mia mano, facendo per poggiarci due dita sopra.
-NO!- la ritraggo di scatto, facendolo barcollare. Mi guarda, confuso. Nei suoi occhi serpeggia, pericolosa, anche la rabbia.
-Perché?-
-Perché… finché questa resta, posso… non pensare a Gabriel.- sussurro, abbassando gli occhi. Prendo uno straccio, iniziando a pulire il sangue dal pavimento. Almeno quello glielo devo. Povero Castiel… Mi dispiace che stia momentaneamente diventando la mia valvola di sfogo. Nessuno dovrebbe sopportare una merda di questo genere… Soprattutto considerando che la sua vita, già senza ulteriori complicazioni, non è un granché. Sento lo schiocco delle sue dita. Lo straccio mi scompare dalle mani, la macchia sul pavimento svanisce.
-Capisco.- dice. Mi alzo nuovamente in piedi, lo sguardo basso. Dall’esterno, probabilmente, sembro un bambino colto dalla madre a rubare nello zaino dei compagni di classe. –Ma non è tutto perduto Sam. Non è morto, lo sai…-
-E’ come se lo fosse.-
-Non è vero.- prendo un bel respiro, aprendo e chiudendo le mani in un gesto spasmodico di rabbia. Perché non vuole capire?!
-Si. Invece.- tengo i denti stretti, mentre parlo. –E’ tenuto prigioniero in paradiso da quel piccolo verme bastardo di Metatron, in una gabbia che nessuno è mai riuscito a forzare, nel posto meno accessibile dell’universo dall’esterno.- prendo un bel respiro. –E’ davvero difficile, se non impossibile, che io trovi un modo per aiutarlo a evadere.- concludo, ammettendo al mondo e a me stesso la tragica verità. Castiel sospira. Forse mi sta dando retta. Forse no.
-Troveremo un modo.- mi sorride. Sembra fiducioso. Ma vedo che nei suoi occhi ristagna la mia stessa identica tristezza. In questo momento siamo in due, ad aver bisogno di un muro dietro al quale nascondersi. Io ho perso l’amore della mia vita, lui ha perso un fratello.
(-Castiel? Si, è il mio fratellino preferito, nonostante il senso dell’umorismo non esista, in quel povero Cristo. In senso figurato, ovviamente, non scomodiamo il poverò Gesù... Comunque! Quando era piccolo, lo portai sulle rive del mare primordiale. Vedemmo il primo pesce uscire fuori dall’acqua. Era così emozionato, il nanerottolo, che per poco non lo pestò.-)
A entrambi, ormai, resta solo il muro.

Angolo della "scrittrice": buona mattina, buon giorno o buona sera, dipende da quando avete visto e letto questo capitolo! Allora, che ve ne pare? Lo so, è un poema... E' lunghissimo. Ma hei, quando le idee chiamano, che siano buone o che siano cattive, si risponde. Ovviamente... ALTRA TRISTEZZA SMIELATA GRATUITA! Spero abbiate gradito ;) Alla prossima!

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