Mistero su tela

di Royce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ispirazione ***
Capitolo 2: *** La mente ed il braccio ***
Capitolo 3: *** Come funzionano i matrimoni ***



Capitolo 1
*** Ispirazione ***


Prologo
Ispirazione

 

Palazzo Blu di Solitude, Skyrim

 

Edward osservava pensieroso i propri allievi, mentre erano impegnati nella lettura di alcuni testi scolastici. L'idea di insegnare le tecniche magiche ai giovani non l'aveva mai convinto fino in fondo, nonostante Elisif la Bella avesse insistito molto per organizzare queste classi. Era d'accordo sul fatto che, al fine di padroneggiare perfettamente la Magicka, bisognasse seguire ferrei addestramenti fisici e mentali fin dalla giovane età.
Tuttavia, molti altri aspetti di queste lezioni lo lasciavano perplesso: aldilà della pericolosità intrinseca di certe scuole di magia, lo irritava profondamente il trovarsi di fronte a bambini neanche lontanamente in grado di comprendere cosa stessero facendo. La maggior parte di loro aspiravano al massimo ad imparare qualche trucchetto da mostrare ai propri amici ed in pochi avevano davvero le capacità per eccellere.
Tuttavia, dal momento che la sua paga dipendeva esclusivamente da queste lezioni volute dallo Jarl, non poteva lamentarsi. E poi, insegnare non era così male. Anzi, occasionalmente lo divertiva pure.

Mentre i pargoletti leggevano svogliatamente quelle pagine astrusamente complicate, Edward si beava della luce del giorno che illuminava il verde prato ove stavano seduti. Un paio di farfalle volteggiavano davanti ai suoi occhi, incuranti di quanto stesse accadendo attorno a loro. Il giardino del Palazzo Blu era il loro luogo sacro, il loro santuario di sapere. Ogni mattina, chi più puntuale, chi meno, tutti i piccoli studenti si radunavano attorno a lui. Erano perlopiù figli di famiglie ricche, che tenevano all'educazione delle proprie creaturine, nonostante la magia non fosse culturalmente radicata nelle tradizioni nordiche come per altre razze di Tamriel.
- Basta così per oggi – disse il maestro, battendo le mani sonoramente per richiamare la loro attenzione – Adesso proviamo un'esercitazione pratica. Dopodiché, potrete tornare a casa -
Gli studenti iniziarono a guardarsi tra di loro con trepidazione: era la parte che preferivano, quella in cui potevano finalmente dar sfogo al loro istinto, nonostante non avessero mai combinato molto.
- Astien – Edward indicò davanti a sé – Oggi sarai tu ad affrontare la prova -
Il piccolo, che aveva da poco compiuto nove anni, si avvicino con un'espressione esaltata, pur tradendo un pizzico di preoccupazione.
Il maestro lo prese con sé e dopo essersi inginocchiato per fissarlo dritto negli occhi, gli porse una benda di stoffa. Astien la prese e se la sistemò attorno agli occhi, sapendo già che tipo di esercitazione avrebbe affrontato. L'aveva già visto fare ai suoi compagni il giorno prima e non vedeva l'ora che toccasse a lui.
- Prima di iniziare, vorrei porvi una domanda – chiese Edward – Cos'è per voi la Magicka? -
Gli altri si guardarono tra di loro, confusi. Poi provarono a formulare qualche risposta.
- E' una forza magica che... che è dentro ognuno di noi -
- E' come un raggio di luce, ma con diversi colori -
- E' quando riusciamo a fare esplodere le cose... -
Edward li lasciò parlare, osservandoli senza dire nulla. Era importante che cercassero di formulare delle proprie risposte, per quanto sbagliate o infantili potessero sembrare.
Quando i piccoli ebbero finalmente finito, Edward alzò la mano per ottenere il silenzio.
- La Magicka è istinto – disse – E' un istinto primordiale che abbiamo tutti, fin dalla nascita. In alcuni è più forte, in alcuni è più debole. In alcuni si sviluppa prima, in altri dopo. Oggi Astien proverà ad ascoltare quell'impulso. Hai messo la benda? -
Astien annuì.
- Adesso voglio che vi mettiate a cerchio attorno a lui, ma distanti l'uno dall'altro -
Mentre gli altri presero posizione, Edward fece girare lentamente il bendato Astien su se stesso, in modo da fargli perdere i punti di riferimento che aveva prima di perdere temporaneamente la vista.
- Adesso ascoltami – gli sussurrò nell'orecchio – Ascolta solo la mia voce. Ci siamo solo io e te, nessun altro. Concentrati. Fammi un cenno quando sei pronto per proseguire -
Attese qualche secondo, poi Astien annuì leggermente.
- I tuoi compagni sono attorno a te, nel giardino. Tu non puoi vederli, ma puoi percepirli. Concentrati e lasciati guidare dalla Magicka, dal tuo istinto -
Astien rimase fermo, titubante. L'arte magica dell'Alterazione non era la più semplice da padroneggiare alla perfezione, ma allo stesso tempo era la più indicata per chi era alle prime armi. Persino il più selvaggio dei barbari, con il dovuto esercizio mentale, sarebbe stato in grado di percepire delle presenze a pochi metri di distanza da sé.
- Ascolta il tuo istinto, Astien – sussurrò – Senti la Magicka scorrere dentro di te. Ti sta parlando. Devi solo ascoltarla -
Poi fece cenno ai compagni di mantenere il più assoluto silenzio.
Il giovane, dapprima timoroso, aveva all'improvviso compiuto i primi passi, come se stesse lentamente imparando a camminare per la seconda volta. Davanti a sé aveva il giovane Moric, che lo fissava in religioso silenzio.

Passo dopo passo, Astien aveva già coperto metà della distanza che lo separava dalla propria meta. Ma proprio quando Edward pensava ormai che ce l'avrebbe fatta, il piccolo si fermò e lasciò cadere la propria benda.
Il maestro si avvicinò, sorpreso.
- Che è successo? -
- Al'inizio lo sentivo, maestro Edward – tentò di giustificarsi lui – Ma poi l'ho perso. Non percepivo più nulla. Nulla, lo giuro -
Edward raccolse la benda da terra, per poi accarezzare i capelli del fanciullo con fare paterno.
- E' un buon inizio. Ricorda che le arti magiche devono essere studiate costantemente, giorno dopo giorno, per poter essere pienamente padroneggiate. Non potete pretendere di... -

- Edward Lacroix! -

Sentì un'imponente voce chiamarlo alle spalle e si voltò rapidamente. Due guardie cittadine si stavano avvicinando a passo spedito. Dietro di loro, vi era Elisif la Bella, visibilmente sconvolta e preoccupata.
Lo Jarl si avvicinò e dopo aver salutato di sfuggita i bambini, prese Edward per un braccio, trascinandolo qualche metro più in là, in modo che non potessero sentire cosa gli avrebbe detto.
- Devo parlargli – disse lei, alle due guardie – In privato -
I due si fermarono di colpo, all'ordine ricevuto. Edward ed Elisif camminarono ancora per qualche metro lungo le mura della città, fino a che non furono sufficientemente lontani da orecchi indiscreti.
- Qual è il problema? - chiese lui, più irritato che spaventato.
- Devo parlarti -
- Questo l'avevo capito -
- Un uomo è scomparso stamattina. Uno scrittore – disse lei con trepidazione – Albarn Skorm. Lo conosci? Si era trasferito in città da poco -
Edward scosse la testa.
- Completamente scomparso. Questa mattina, la moglie non l'ha più ritrovato nel suo studio. Eppure, nessuno è entrato o uscito dai cancelli di Solitude durante la notte -
Il maestro alzò le spalle, con indifferenza.
- Non capisco cosa io abbia a che fare con tutto questo -
- Non vedi? Una persona scompare nel nulla. Così, senza lasciare alcuna traccia. Deve per forza essere stato un qualche tipo di incantesimo. Ne sono convinta. E tu sei il miglior mago che io conosca. O almeno, il migliore tra quelli di cui io mi fido -

 

Eris era seduta sull'erba ed ammirava in silenzio lo spettacolare scenario del fiume Karth, mentre scorreva delicatamente sotto l'arcata di roccia naturale posta al di sotto di Solitude.
A fianco a lei, vi era una tavolozza contenente diversi tipi di colori e di pennelli. Aveva trascorso l'intera giornata ad aspettare l'illuminazione ideale sulla riva del fiume ed ora pareva fosse giunto il momento di mettere mano al dipinto su cui stava lavorando. Era lì, davanti a lei, ancora da iniziare.
E così, afferrato il proprio pennello preferito, iniziò a portare la scena dalla realtà dei propri occhi alla tela del dipinto.
Iniziò a raffigurare le alte pareti di roccia della vallata, che costeggiavano imponenti le rive del fiume. Sopra di esse si ergevano le mura della città, anch'esse grigie, quasi a formare un tutt'uno con la conformazione del territorio. Con cura, delineò tutto l'arco di roccia di Solitude, dalle porte principali fino al Palazzo Blu, posto all'estremità opposta.
Passate le ultime pennellate di grigio, Eris iniziò a raffigurare il fiume che sottostava alla città. Le acque erano particolarmente tranquille quel giorno, ravvivate di tanto in tanto dai riflessi di luce e dalle imbarcazioni di legno che lentamente lasciavano il porto.
Gli scenari statici erano i suoi preferiti, sia da un punto di vista artistico che economico. Erano infatti i più richiesti tra i suoi clienti, disposti a pagare cifre anche elevate pur di mettere mano su un bel panorama della propria terra.
Eris era finalmente pronta a completare la propria opera, quando il suo cavallo si intromise, sfioradola con il muso. Di solito, richiamava la sua attenzione solo in caso di pericolo o in caso di fame. Stavolta, era il secondo caso. La giovane pittrice lo accarezzò dolcemente, per poi sussurragli qualcosa, come se potesse effettivamente capire cosa stesse dicendo.
- Tra poco andiamo a casa, non ti preoccupare. Ho quasi finito -
La bestia abbassò lo sguardo e si allontanò lentamente, facendo tintinnare tutto l'equipaggiamento artistico caricato sul suo dorso, tra tele, colori ed aste di legno.
Eris tornò a concentrarsi sulla sua opera. Mancavano solo due elementi per poter finalmente dire di aver terminato il dipinto.
Il primo era una figura femminile, in piedi alla riva del fiume. La dipinse con rapidi tocchi verticali e con una tonalità accesa, per farla risaltare. Ricordava vagamente la pittrice stessa, quanto a costituzione: stessa altezza, stessa corporatura, stessa acconciatura.
A fianco a lei, Eris iniziò a tratteggiare un'altra figura, questa volta maschile. Un uomo all'apparenza giovane, non troppo muscoloso e poco più alto dell'altra. Ma quando arrivò a dipingerne il volto, si fermò all'improvviso.
Lasciò cadere il pennello a terra.
Una lacrima scese dal suo volto, impattando sulla tela.
In breve tempo, i colori ancora freschi si mescolarono alle sue lacrime, mescolandosi tra di loro come in un vortice.

 

 

Pioveva quella notte ed ad Edward andava bene così.
Viveva in una piccola casa ricavata nell'interno della torre di guardia occidentale. Non essendo più disponibile del terreno edificabile all'interno della città, lo Jarl Elisif aveva concesso al proprio mago di corte di vivere comunque a Solitude, ma in una posizione poco usuale. Certo, salire le scale ogni sera era faticoso, ma vivere in cima ad una torre aveva anche i suoi punti di forza, primo fra tutti il silenzio totale di notte. A questo, andava ad aggiungersi la spettacolare vista della vallata, in giornate particolarmente illuminate.
Stava leggendo un bollettino consegnatoli poco prima da un corriere, contenente i principali fatti del momento. Tolti i soliti battibecchi politici, Edward non trovò nulla di particolarmente interessante.

Sentì bussare alla porta.
- Arrivo! – urlò, gettando via il foglio.
Raggiunto l'uscio, aprì la porta.

Davanti a lui, vi era una giovane donna, sulla trentina.
Notò subito una larga ferita all'altezza dell'addome ed i suoi vestiti ricoperti di sangue. A stento si reggeva in piedi.

Normalmente, una persona comune si sarebbe allarmata di fronte a tale spettacolo, o avrebbe quantomeno chiamato la guardia cittadina.
Ma Edward no. Sapeva perfettamente chi aveva davanti e perché fosse ridotta in quello stato.
- Cosa ti sei fatta stavolta? - le chiese, aiutandola ad entrare in casa.
- Non è niente, te lo assicuro. E' solo un graffio – sbuffò lei, barcollando verso il letto matrimoniale.
Edward la aiutò a sedersi, senza nascondere una certa disapprovazione.
- Non mi sembra sia “solo un graffio”. Stai ferma qui, vado a prendere delle garze -
Lei annuì, cercando di soffocare il dolore insopportabile che provava in quel momento.
Il mago iniziò a cercare i medicinali necessari, senza curarsi del disordine provocato dalla sua frenetica ricerca. Afferrate un paio di pozioni e delle bende, tornò nella stanza matrimoniale, dove lo attendeva la donna. Nel mentre, si era slacciata l'armatura di cuoio, rimanendo solo con un sottile vestito di stoffa, intriso di sangue.
- Raccontami cos'è successo questa volta – disse Edward, iniziando ad esaminare la ferita – Orsi? Necromanti? Scheletri? -
- Niente di tutto questo. E' stata una freccia -
- Solo una freccia? - chiese lui – Zoppicavi quando sei entrata in casa. Deve essere successo qualcos'altro -
L'altra scosse la testa.
- Mi hanno colpita mentre ero a cavallo. Sono caduta. Gli uomini di Brondiff mi hanno soccorso subito -
- Ho visto – rispose l'altro, notando un tentativo di bendaggio artigianale. Il tessuto completamente imbevuto di sangue e avrebbe fatto infezione, da lì a poco.
- Devo togliere queste bende e sostituirle con delle nuove. Farà un po' male -
- Fallo e basta – disse lei, sistemandosi i lunghi capelli chiari di lato.
Il mago iniziò a scoprire lentamente la ferita, che si estendeva lungo il costato. Notò subito che alcuni frammenti di legno erano rimasti conficcati, segno di una cura superficiale. D'altronde, non ci si poteva aspettare molto di più da una banda di mercenari.
Edward rimosse delicatamente ogni scheggia visibile, mentre l'altra cercava in tutti i modi di contenere le urla di dolore.
- Dovresti smetterla di accettare questi incarichi – disse lui – Non abbiamo bisogno di soldi. Possiamo vivere tranquillamente con la mia paga. Se proprio vuoi comprarti qualcosa, posso chiedere ad Elisif un prestito -
- Ne abbiamo già parlato e sai perfettamente cosa penso a riguardo – rispose l'altra, visibilmente irritata dall'argomento della discussione – Non cercare di cambiarmi. Questa è la mia vita e lo è sempre stata -
- Non è assolutamente questo che intendo e lo sai – proseguì l'altro, mentre ripuliva la pelle della moglie dalle chiazze di sangue – Ci sono molte attività a cui dedicarsi nella vita, che non siano uccisioni e battaglie. Potresti andare a pesca, potresti scrivere. Possiamo prenderci un campo tutto nostro, a sud, e vivere di agricoltura. Non ci servono soldi -
Eppure Edward sapeva che quelle parole non avrebbero avuto alcun seguito. Lei lo avrebbe rassicurato, gli avrebbe detto che la situazione era sotto controllo e la mattina dopo sarebbe partita nuovamente con quella banda di cacciatori di taglie, pronta a rischiare la vita inutilmente e per pochi spiccioli.
- Sentirai un leggero formicolio, adesso – disse lui, mentre dalla sua mano si propagava una magica aura biancastra. La ferita sul costato si cicatrizzò immediatamente, lasciando solo un livido rossastro in memoria dell'accaduto.
- Sei il migliore in questo genere di incantesimi – rispose lei, massaggiandosi la zona del copro prima ferita – Ma, a prescindere da ciò, scordati che io resti a casa a vita. Tu piuttosto, cos'hai che non va stasera? Mi sembri più nervoso del solito -
Edward evitò il suo sguardo e si avvicinò al piccolo mobile di legno posto a fianco del loro letto. Lì, aprì una piccola boccia di unguento verdastro e, una volta imbevuto un pezzo di stoffa, tornò da lei.
- Che succede? Uno dei quei marmocchi ti ha fatto imbestialire, immagino -
- No, loro non hanno niente a che fare con questo – rispose lui – Quale delle due caviglie ti sei storta? -
L'altra alzò leggermente la gamba sinistra. Edward le tolse delicatamente lo stivale, cercando di non farle fare movimenti bruschi. Nonostante la cura riposta nell'operazione, qualche fitta di dolore fu inevitabile. Una volta tolta la calzatura, il mago notò subito un'evidente chiazza violacea poco sotto il polpaccio.

- E' Elisif la Bella – spiegò lui, abbassandosi per meglio esaminare la contusione – Vuole che la aiuti per una faccenda -
- E scommetto che sia una faccenda pericolosa, altrimenti non saresti così irritato -
Edward annuì, mentre con le dita tastava delicatamente la ferita.
- Qui ti fa male? -
- No -
- Qui? -
- No -
- Qua sopra? -
- Sì -
Prese il panno ed iniziò a medicarla.
- Sono due gli aspetti che mi irritano in questa faccenda – spiegò lui – Il primo è il fatto che Elisif non sia in grado di fare assolutamente nulla da sola e che debba delegare tutto ai propri sottoposti -
- Sai come è fatta lei – rispose la moglie, cercando al meglio di nascondere le smorfie di dolore – E' giovane. Non è in grado di gestire un incarico di tale portata. Probabilmente mi comporterei anche io così se fossi Jarl. Non è facile -
- Non è una giustificazione -
Ci fu un istante di silenzio.
- Quale è il secondo aspetto? - chiese lei, più incuriosita che preoccupata – Non verrai pagato? -
- No – Edward iniziò a passare una benda attorno alla caviglia – E' la faccenda stessa che mi preoccupa. Un uomo è scomparso. Così, senza lasciare traccia, nel bel mezzo della notte. Sicuramente non è niente di buono. Non dico di avere paura, ma... -
- Un tempo eri diverso – rispose lei, rimettendosi finalmente lo stivale – Eri più combattivo, più coraggioso. Non dico che tu debba tornare ad essere dei nostri, ma queste faccende non dovrebbero preoccuparti minimamente dopo tutte le nostre avventure -
- E' proprio questo il punto. Quella vita fatta di taglie, caverne, forti e combattimenti non fa più per me. E' un capitolo chiuso. Sono venuto qui a Solitude per ripartire da capo. Volevo insegnare a quei ragazzi e limitarmi a fare un lavoro da consigliere per lo Jarl. E adesso, invece, la stessa persona che dovrebbe essere la mia protettrice, mi trascina nuovamente dentro la stessa vita che volevo lasciarmi alle spalle -
Edward si alzò e si diresse verso il tavolo da pranzo. Afferrò un calice, ancora mezzo pieno; dopo aver verificato che il contenuto fosse effettivamente vino, lo bevve in un sol sorso. Nel mentre, la giovane moglie Selene, si era sdraiata nel letto, esausta per la faticosa giornata.
- Io la aiuterò perché semplicemente non ho altra scelta – proseguì lui, tornando nella stanza da letto – Ma al primo pericolo, alla prima richiesta... -
Si accorse che la propria interlocutrice si era in realtà addormentata. Non che fosse inusuale parlare da solo per lui, ma in quel frangente decise che forse era meglio seguire il suo esempio ed andare a dormire.
Posò il calice sul mobile e si avvicinò a lei, osservandola mentre dormiva. Le passò una mano tra i capelli, delicatamente.
- Buonanotte – sussurrò, come se potesse effettivamente sentirlo.

Poi si sdraiò al suo fianco, in attesa di prendere sonno e porre finalmente fine a quella orrenda giornata.

 







Note:
Sì, purtroppo ho eliminato la precedente FF "Il Rosso e il Bianco", per mancanza di spunti. Semplicemente ho preferito ripartire da zero, anziché procedere stancamente in una storia verso la quale ammetto di aver perso qualsivoglia ispirazione. Mi scuso per l'accaduto.
La Fiction è ambientata dopo la fine del conflitto civile , ipotizzando una vittoria degli Stormcloack sulle truppe imperiali. Questo spiega la presenza di Elisif sul trono, ma al contempo anche i nuovi volti nella sua corte, come il protagonista.

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Capitolo 2
*** La mente ed il braccio ***


Capitolo 1
La mente ed il braccio

 

Casa di Eris, Solitude, Skyrim.

 

- Posso parlare? -
- Sì, certo. Ho finito di fare il volto -
- Bene -
Eris stava finendo di tratteggiare la slanciata figura maschile rappresentata nel ritratto, fedelmente ispirata al modello che aveva davanti a sé. L'uomo, un anziano nobile della zona, aveva trascorso quasi mezz'ora immobile, seduto su una poltrona di velluto verde, in attesa che la pittrice finisse di immortalarlo su tela. Non aveva specificato il significato di tale dipinto: forse sarebbe stato un regalo, forse un semplice ricordo da appendere in camera. In ogni caso, la paga era ottima, di gran lunga superiore alla media. Pertanto, la giovane Eris non si lamentava.
- Sai – disse lui, provando sollievo nel potersi muovere liberamente dopo quel prolungato periodo di stasi forzata – C'è un qualcosa di speciale nei tuoi dipinti -
Eris arrossì, senza dire nulla.
- Sembrano quasi... - proseguì lui, senza però trovare un aggettivo giusto.
- Vivi? - suggerì lei, abbozzando un sorriso.
- Vivi, esatto – sottolineò lui.
- Me lo dicono in molti -

 

 

Edward camminava a passo spedito per le strade della città.
Aveva un appuntamento fissato e non poteva tardare. Tra le mani, reggeva saldamente un messaggio cartaceo ricevuto poco tempo prima da un corriere.

Edward,

Purtroppo quest'oggi non sarò in città. Sarò impegnata altrove per questioni burocratiche di primaria importanza. Tuttavia, ho lasciato il compito al capitano della guardia di aiutati nelle indagini. Lo potrai incontrare davanti alla casa della signora Blackthorn, moglie dello scrittore scomparso.

Mi aggiornerete sui risultati in serata, al mio rientro.

Sinceramente,

Elisif”

 

Edward combatté con l'irrefrenabile voglia di accartocciare quel pezzo di carta e di gettarlo al bordo della strada, sforzandosi di guardare il lato positivo della situazione, per una volta almeno. Il capitano della guardia, un certo Sorik, era il suo più grande amico, nonché uno dei pochi alleati che aveva in città. Avevano trascorso insieme una quantità spropositata di tempo, al servizio dello Jarl. Sebbene ognuno si occupasse di questioni differenti nella corte, non passava giorno senza che i due non si incrociassero, non si scambiassero qualche battuta o non organizzassero una bevuta notturna insieme. Ecco, il trascorrere del tempo con lui avrebbe reso l'incarico leggermente più sopportabile, per quanto fosse possibile.

- Edward, amico mio! - urlò l'altro, vedendolo arrivare.
Il mago di corte si avvicinò e si lasciò abbracciare, per quanto quel tipo di confidenza non gli fosse mai stata più di tanto congeniale.
- Piacere di vederti, Sorik – disse, riprendendo lentamente le distanze.
Notò dietro di lui un paio di soldati della guardia cittadina, entrambi giovani ed assonnati. Erano sulla soglia della tenuta dei Blackthorn, un'imponente casa sulla strada principale di Solitude, a pochi passi di distanza dal Palazzo Blu. Proprio entro quello mura si era verificato il misfatto, quella sparizione a cui nessuno era riuscito a dare una spiegazione.
- Puoi ragguagliarmi sulla situazione? Elisif ha detto che mi avresti aggiornato brevemente – chiese Edward, ammirando le alte pareti della tenuta.
Sorik si grattò i capelli, guardando i propri colleghi con fare confuso.
- A dire il vero, non c'è molto da dire – spiegò, allargando le braccia – La moglie del nostro caro scrittore scomparso, Illda Blackthorne, è attualmente detenuta nelle prigioni della città. L'abbiamo intercettata mentre cercava di lasciare Solitude ieri sera -
- Un comportamento sospetto – commentò Edward, grattandosi il mento, pensieroso.
- Già – disse l'altro – Secondo me è stata lei ad ucciderlo -
- Ah davvero? E da dove trai questa conclusione? -
Sorik lo guardò stupito, come se la risposta fosse scontata.
- Erano sposati – disse.
- E... ? - rispose Edward, aspettandosi un qualche tipo di seguito a quella dichiarazione.
- E nient'altro. Erano sposati. Una moglie cerca sempre di uccidere il marito – commentò Sorik, sinceramente convinto della propria posizione – Fidati, mio caro. Ti parlo per esperienza -
Edward non diede più di tanto peso alle parole dell'amico. Certo, Sorik era simpatico, chiassoso, burlone. Ma non era di sicuro scaltro ed acuto a sufficienza per gestire un incarico di questo tipo. Di conseguenza le sue “geniali” intuizioni andavano considerate come superflui commenti, piuttosto che effettivi suggerimenti su eventuali piste da coprire.
- La tua argomentazione non fa una piega – commentò Edward, con una buona dose di sarcasmo che non fu tuttavia colta dal suo interlocutore.
- Grazie, amico – rispose Sorik – Adesso entriamo, dai. Elisif vuole che controlliamo l'interno della casa prima di trarre conclusioni. Anche se, secondo me, il caso è già risolto -
- Dopo di te – disse Edward, facendogli segno di entrare.
Sorik aprì di forza la porta d'ingresso, facendo risuonare i larghi frammenti di metallo della sua armatura ad ogni passo. Uno dei soldati restò a guardia dell'entrata, l'altro li accompagnò all'interno.
Un sontuoso corridoio conduceva direttamente ad una sala da pranzo, ricca di mobili ed accessori di ogni genere. Ovunque si potevano vedere dipinti, statue ed altri oggetti ornamentali, propri di chi non bada a spese.
- Tu dai un'occhiata in giro – disse Sorik al suo uomo – Noi andiamo nello studio dello scrittore. Se c'è qualche prova, sarà di sicuro lì -
Sorik fece strada ad Edward, che non era mai entrato in quella tenuta. Pochi passi e giunsero di fronte alla camera da letto dell'intellettuale scomparso.
Edward non poté non notare l'incredibile ordine dell'abitazione, non certo proprio di una scena del crimine. Si sarebbe aspettato almeno qualche mobile rovinato, delle chiazze di sangue da qualche parte; ed invece no, la casa era in perfetto stato. Sarebbe stato arduo pensare che proprio lì, pochi giorni prima, si era consumato un delitto.
Una volta dentro, il mago iniziò ad indagare attentamente, incuriosito ed allarmato allo stesso tempo. Sorik, invece, lo lasciava fare, restandosene fermo in disparte a braccia conserte.
- Sei tu la mente, qui – disse, sbuffando – Io ti lascio lavorare in pace -

Edward iniziò dalla scrivania, un luogo sacro per ogni intellettualoide che si rispetti. Di sicuro, avrebbe trovato qualche indizio da quelle parti.
Nuovamente, fu colpito dall'incredibile ordine degli oggetti: tutto, dai quaderni, ai libri, fino agli strumenti di scrittura, era sistemato in maniera certosina, impeccabile, quasi matematica. Difficile credere che ci fosse stata una colluttazione di qualche genere, perlomeno in quella stanza.
Rivolse la sua attenzione ad un taccuino, lasciato aperto in mezzo alla scrivania. All'apparenza, sembrava un testo scritto dall'uomo scomparso. Leggendo alcune parole, notò come si trattasse di una sorta di storia, lasciata però incompiuta.
- Ha lasciato questa frase a metà – commentò, indicando la pagina – Strano -
- Cosa c'è scritto? - chiese Sorik, che faceva difficoltà a nascondere il totale disinteresse per la faccenda.
- Sembra la descrizione di un paesaggio, un bosco o una foresta. Ma sembra interrompersi all'improvviso. Forse stava scrivendo mentre è successo -
- Successo cosa esattamente? - chiese l'altro – Quando la moglie l'ha ucciso? -
- Non ho detto questo – si affrettò a precisare Edward, come se avesse appena emanato una sentenza di accusa contro la moglie dello scrittore, involontariamente – Continuiamo a cercare -
Iniziò a sfogliare le pagine.
- Non avrai per caso intenzione di leggerlo tutto, spero? - domandò Sorik, piuttosto spaventato all'idea di doversi fermare lì più del dovuto.
Ma Edward aveva già trovato quello che cercava: poco prima, infatti, vi era una pagina mancante, completamente strappata via dal libro. Era impossibile risalire all'effettivo contenuto, ma a giudicare dalle parti immediatamente precedenti e successive pareva essere, ancora una volta, una descrizione di un'ambientazione boschiva.

- Abbiamo trovato il nostro primo indizio, caro amico mio – disse Edward soddisfatto – Questa pagina non è stata strappata a caso. Conteneva un qualcosa di importante. Me lo sento -
- Una moglie che uccide un marito con un foglio di carta – concluse Sorik, grattandosi il capo – Questa mi è nuova -
Edward gli rivolse un'occhiataccia, come per intimargli di smetterla di prendersi gioco delle loro indagini. Paradossalmente, doveva essere lui quello dei due a non avere voglia di essere lì. Ma le parti si erano invertite, come al solito. Di fronte alla totale assenza di professionalità di Sorik, anche un atteggiamento non curante come quello di Edward poteva passare per eccezionale zelo ed impegno.
- Non capisco perché ti comporti così, Sorik -
- Davvero? - rispose l'altro, irritato – Perché siamo alle solite, Edward. Questo è un palese caso di omicidio e abbiamo già un colpevole. Ma no, tu devi per forza scoprire le congiure del secolo dietro ogni minimo segnale. Ho una notizia per te, caro mio. La soluzione più ovvia è sempre quella giusta. Non esistono cospirazioni -
- Pensi che mi piaccia essere qui? - insorse Edward, ancora più irritato – Io ho un miliardo di cose migliori da fare che assecondare Elisif. Voglio che sia ben chiaro questo. Lo faccio perché devo, non perché io voglia farlo. Ma se faccio qualcosa, una qualsiasi cosa, volente o nolente, la faccio come si deve -
Sorik incassò il colpo, senza ribadire immediatamente.
- Mi ero dimenticato quanto tu fossi irritante, a volte – commentò sorridendo il capitano – Ma è anche per questo che ti voglio bene, amico -
- Già – rispose con sufficienza l'altro, voltandogli le spalle per tornare ad esaminare l'ambiente attorno a sé.

A pochi passi di distanza, giaceva il loro secondo indizio.

Nascosto in fondo alle ceneri di un camino, vi erano dei resti carbonizzati di un taccuino. Edward li notò subito, essendo tutto sommato ben visibili. Si abbassò e, afferrato quel che rimaneva di esso, lo esaminò.
- Un libro bruciato. Questa non può essere una coincidenza. Deve essere stato un suo diario, magari conteneva... -
- O magari – lo interruppe Sorik – era solo un libro pessimo che non gli era piaciuto. Ancora una volta, la tua fantasia ti allontana dalla realtà dei fatti -
- Può darsi – si rialzò l'altro, poco convinto dall'ipotesi dell'amico – Lo chiederemo direttamente alla signora Blackthorn, nelle prigioni -

Per il terzo indizio, invece, dovettero ringraziare la guardia cittadina.

Il giovane ragazzo, collega di Sorik, irruppe nello studio. Ansimava come se avesse appena attraversato di corsa l'intera tenuta.
- Capitano – disse, sforzandosi di assumere una posizione vagamente eretta – Dovete venire a vedere... In sala da pranzo -
Sorik, senza dire nulla, fece un cenno con la testa all'amico ed i tre si diressero a passo spedito verso il corridoio. Una volta giunti nella sala, il giovane soldato li condusse di fronte ad una parete, poco lontana dal tavolo ove i due coniugi erano soliti consumare i propri pasti.
- L'avete notato anche voi? - chiese lui, come se la risposta fosse lampante.
- No, soldato – tuonò Sorik – Spiegati -
L'altro deglutì, arrossendo all'improvviso. Poi si avvicinò alla parete, indicandola con la propria mano.
- Come potete notare, qui manca un quadro. Osservate: vi è un chiodo identico a tutti gli altri chiodi che reggono i dipinti della sala. Ma qui, l'opera sembra essere stata rimossa -
Effettivamente, quella parete conteneva un numero discreto di dipinti, tutti ordinati e sistemati alle medesime distanze, gli uni dagli altri. Eppure, lì si interrompeva questa serie, per qualche motivo.
- Cosa ha a che fare questo con l'omicidio?! - urlò Sorik, male interpretando l'intervento del giovane – Ci stai facendo perdere tempo! Noi stiamo cercando un'arma, un oggetto contundente, non dei consigli sull'arredamento -
- Aspetta, aspetta – si intromise Edward, placando temporaneamente l'ira dell'amico – Lascialo finire -
Il ragazzo annuì rivolto al mago, come per ringraziarlo del gesto. Poi si voltò, andando a raccogliere un dipinto poco distante da lui.
- Ho trovato questo nella cantina. Se provate ad appenderlo, pare combaciare perfettamente lo spazio vuoto lasciato nella parete -
Edward lo prese in mano e provò ad appenderlo: effettivamente era proprio quello il quadro mancante. Ma non appena lo rimise al suo posto, notò che esso era stato completamente stralciato, con tre netti solchi diagonali. Era davvero un peccato, visto che, all'apparenza, pareva essere davvero un'ottima ambientazione.
- Come lo spieghi questo? - chiese Edward a Sorik, rimanendo per una volta senza parole.
L'altro scosse la testa e rimase in silenzio.
Il mago, allora, decise di riprenderlo in mano, per esaminarne il retro. Proprio lì trovò ciò che stavano cercando.

Al mio Albarn. Con affetto, Eris”

-Una dedica da parte di un'amante – commentò Sorik, soddisfatto – Adesso la faccenda si fa interessante -

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Capitolo 3
*** Come funzionano i matrimoni ***


NOTA AI LETTORI:
Sì, sono ancora vivo.
Ma quella cosa chiamata "laurearsi a Luglio" mi impedisce di dedicare del tempo al mio passatempo preferito, con ovvie ricadute in termini di qualità e di tempistiche delle mie pubblicazioni. Senza contare il fatto che, non avendo neanche il tempo di scrivere, non ne ho nemmeno per seguire le vostre storie come invece dovrei.
Ancora un paio di mesi e tutto tornerà alla normalità.



Capitolo 2
Come funzionano i matrimoni

 

Palazzo Blu, Solitude.

 

- Oggi, caro Edward, ti spiegherò come funzionano i matrimoni -
Edward e Sorik erano seduti nella sala d'ingresso del Palazzo Blu di Solitude, in attesa di essere convocati in udienza dallo Jarl.
Il mago guardava fuori dalle vetrate con aria assonnata, mentre l'amico sembrava essere piuttosto divertito e soddisfatto della situazione, pur senza un apparente motivo.
- Allora? Vuoi che te lo spieghi, oppure no? - ripeté Sorik, per farsi finalmente ascoltare.
Edward annuì distrattamente, ma per l'altro quel gesto fu più che sufficiente per giustificare l'imminente fiume di parole che lo avrebbe investito di lì a poco.
- Vedi, mio caro, i matrimoni funzionano a fasi – iniziò a spiegare il Capitano, intervallando le proprie frasi con profonde sorsate di vino – Nella prima fase è tutto rose e fiori. O almeno, sembra esserlo. Ci si innamora, si è felici. Sembra che possa durare per sempre -
- Tu ne sai qualcosa, immagino – lo interruppe l'altro, divertito.
- Quante volte sei stato sposato, Edward? - chiese Sorik.
- Una volta. E spero di restare sposato fino alla fine, grazie -
- Ecco. Io ho tre volte più esperienza di te in tema di matrimoni – ribadì l'altro, facendo il segno del numero con le dita della mano.
- I matrimoni funzionano a fasi, caro mio – proseguì con la spiegazione – Prima ci si ama, poi si litiga. E poi ci si ammazza a vicenda. Fidati, è una gara di sopravvivenza. Ed io, per ora, ho sempre vinto. Non come il nostro amico scrittore... -
Edward sbuffò, annoiato.
Un giovane entrò nella sala, interrompendo le loro infantili discussioni. Vestiva una lunga tunica marroncina e camminava con fare veloce, ma allo stesso tempo composto. Una volta arrivato di fronte ai due, si fermò come se fosse sull'attenti, di fronte ad un ipotetico comandante militare. Che poi, Sorik lo era effettivamente, in un certo senso.
- Elisif è pronta a ricevervi. Vi aspetta nelle sue stanze. Se volete seguirmi... - e gli fece cenno di andare con lui.

Finalmente, i due eroi si alzarono, seguendo svogliatamente i passi dell'uomo di corte.

Sorik impugnava ancora saldamente la bottiglia di vino reperita poco prima dal tavolo delle vivande, mentre Edward cercava di nascondere ancora una volta il proprio cinico disinteresse.

Elisif la Bella era seduta su una sontuosa poltrona, diversa dal trono quanto a dimensioni, ma non meno ornata ed elegante. Attorno a lei, una coppia di giovani servitrici si davano un gran da fare per sistemarle l'acconciatura, utilizzando specchi, nastri ed altri attrezzi di cui Edward non conosceva l'esatta natura.

- Perdonatemi, ma non sono nelle condizioni per accogliervi come si deve – disse lei, senza muovere la testa di un millimetro, mentre una delle due fanciulle le stava annodando una treccia.
- Nessun disturbo, Jarl – rispose prontamente Sorik – Non c'è bisogno di tali convenevoli con noi due. Piuttosto, spero che la missione diplomatica di oggi si sia conclusa nel migliore dei modi -
- Abbiamo ottenuto dei risultati soddisfacenti – spiegò lei – Ma parte delle trattative si svolgeranno in serata, presso il nostro Palazzo Blu. Questo spiega il mio essere indaffarata con i preparativi -
Sorik si sfregò le mani, esaltato all'idea di un potenziale ospite di spicco.
- Chi abbiamo l'onore di ospitare? - chiese.
- Ulfric Stormcloack in persona – disse lei, con voce ferma.
Edward sorrise, ma la sua reazione non passò inosservata.
- Qualche problema? - chiese l'altra, spostando leggermente la testa per inquadrare il mago.
- Mi pongo solo un quesito – disse lui, divertito – Ma non ha importanza -
Sorik gli diede una leggera gomitata.
- Se hai qualche problema, dillo – ribadì anche lui.
- Mi chiedo – iniziò lui, rivolto ad Elisif – Come esattamente tu sia passata dal radunare eserciti contro gli Stormcloack, al farti bella perché Ulfric viene a cena da te -
Nella sala scese il silenzio.
Una delle due ragazze, colta alla sprovvista da tale ingiuria, lasciò cadere la spazzola per capelli.

Tutti lo fissavano con espressione esterrefatta, come se avesse appena bestemmiato contro uno dei Nove.

Elisif deglutì, sempre impassibile. Poi parlò.
- Farò finta di non aver sentito quanto tu hai appena detto, ma solo perché sei tu. Per inciso, vi è una grande differenza tra il “farsi belle” ed il rendersi presentabili agli ospiti, anche se capisco come l'essere presentabili sia un concetto a te estraneo -
Edward non rimosse il sorriso strafottente dal proprio volto, nonostante era consapevole del fatto che offendere un'autorità come lo Jarl fosse punibile con l'arresto. Voleva prendersi qualche soddisfazione, qualche ricompensa per l'ingrato compito che gli toccava fare, ma allo stesso tempo si accorse di aver esagerato.
- Siamo qui per aggiornarti sulle nostre indagini – si affrettò a precisare Sorik, prima che l'altro potesse aggiungere ulteriore veleno alle sue parole.
- Molto bene. Mi auguro che la vostra caccia sia stata proficua. La vedova Blackthorne vi aspetta nelle prigioni. Sia chiaro: non posso trattenerla a lungo senza una prova convincente contro di lei, pertanto cercate di rendere il più proficuo possibile il vostro incontro -
- Senz'altro – concluse rapidamente Sorik, sul punto di andarsene.
- E un'ultima cosa... - lo riprese Elisif, scostando per un istante da sé una delle servitrici – Nessuna violenza, chiaro? Non è una criminale come gli altri. Per quanto mi riguarda, è ancora una cittadina di Solitude come te -
Sorik si morse la lingua, dispiaciuto all'idea di dover rinunciare alle maniere forti. Poi annuì ed, afferrato Edward per un braccio, lo trascinò fuori dalla stanza.
I due si incamminarono lungo i corridoi del Palazzo Blu, diretti verso le prigioni.
Sorik precedeva il mago con un'andatura quasi febbrile: non vedeva proprio l'ora di affrontare quella strega e confermare, una volta per tutte, i suoi sospetti. La soluzione all'apparenza più ovvia doveva per forza essere quella corretta.

 

 

Le prigioni di Solitude erano, quanto ad arredamento e stile, l'esatto opposto rispetto ad i caldi ed accoglienti quartieri cittadini: un aspro odore di marcio misto a sangue accolsi i nostri due eroi, mentre si facevano strada tra quella giungla di gabbie, mattoni e paglia.
Al passare di Sorik, molti detenuti scattavano in piedi, cercando in ogni modo di attirare la sua attenzione, urlandogli contro, oppure afferrandolo per il braccio.
- Lasciatemi stare, schifosi – imprecò lui, divincolandosi dai loro artigli.

Poco dopo, raggiunsero la cella ove era detenuta la vedova.

Una signora all'apparenza anziana, seduta con sguardo fiero e nobile accanto ad un piccolo tavolo di legno. Il pasto era ancora lì, presumibilmente intatto dall'ora di pranzo. Edward notò subito come la differenza di età tra lei ed il marito scomparso fosse vistosa: un elemento da tenere a mente.
Il capitano della guardia tentò di aprire la porta per qualche secondo, prima di riuscirci: le serrature erano in parte arrugginite e davano diversi problemi.
La signora Blackthorne restò completamente impassibile all'ingresso dei due, facendo bene attenzione a non rivolgere loro lo sguardo.
- Quando mi lascerete andare? - chiese lei, con tono di voce basso ma risoluto.
Sorik scoppiò a ridere.
- Mai. Sei colpevole fino al midollo, mia cara – disse lui, cercando di trattenersi – Ma se confessi tutto, forse possiamo addolcire la pena -
L'altra lo fissò finalmente negli occhi, piena di rabbia.
- Ascoltami bene – gli intimò – Io conosco persone talmente importanti, qui a Skyrim, che se venissero da te dicendoti di metterti a quattro zampe ed abbaiare, tu lo faresti istantaneamente, come il cane che sei. Intesi? -
Sorik perse leggermente il controllo e lanciò via il tavolino che li separava, frantumandolo contro il muro. La vedova si ritrasse istintivamente all'indietro, colta alla sprovvista da quel gesto furente.
- Puoi chiamare tutti gli amichetti che vuoi – disse lui, avvicinandosi a lei – Ma qui dentro, sono io quello che fa la voce grossa -
A quel punto, Edward decise di intervenire, tirando a sé il proprio amico.
Sorik non oppose particolare resistenza, lasciandosi trascinare poco fuori dalla cella. Quando furono ad una distanza sufficiente dalla reclusa, Edward gli sussurrò qualcosa nell'orecchio.
- Perché non vai alla locanda e prendi un bel tavolo per due? - gli disse – Posso gestire questa situazione da solo -
Sorik si liberò dalla presa dell'amico, apparentemente irritato dalla proposta.
- Per chi mi hai preso? - disse – Vorrei ricordarti che io qui rappresento la guardia cittadina Semmai, se tu ad essere fuori luogo... - Poi si fermò di colpo, grattandosi la folta barba come se gli fosse venuto un improvviso colpo di genio.
- Aspetta un secondo. Oggi è Turdas, vero? - chiese ad Edward, che annuì in tutta risposta.
Sorik sembrò improvvisamente sollevato.
- Allora sì che ci vado alla locanda – disse ridendo – Stasera c'è quel bardo dal Rift. Come è che si chiama? Agor... Agnar... -
- Agnar lo Storpio. Proprio lui! – intervenne Edward, senza neanche sapere come facesse a ricordarsi tale nome – Non vorrai perdertelo, eh? Ci penso io qui. Tu vai a prenderci due bei posti, ti raggiungo in un batter d'occhio -
Sorik si sfregò le mani dalla trepidazione, poi se ne andò con passo spedito.
Con lui fuori dai piedi, Edward poteva finalmente condurre un interrogatorio come si doveva. Certo, Sorik ed il suo aspetto imponente potevano risultare molto utili ed intimidatori, a volte. Ma spesso era più un fardello che un aiuto, specialmente in situazioni in cui si rivelasse necessario un minimo di diplomazia.
Rientrato nella cella, Edward riprese il proprio posto, scusandosi per l'interruzione.
Anche la vedova pareva più a suo agio, senza un Nord di due metri ad alitarle contro in continuazione.
- Sai – disse il mago – Io sono qui per aiutarti. A differenza del mio amico, non penso tu sia colpevole. O almeno, non ne sono così sicuro. Ma devi aiutarmi ad aiutarti, se capisci quello che intendo -
L'altra sbuffò.
- Perché avrei dovuto ucciderlo? Sì, lo ammetto. Litigavamo tutte le sere, spesso urlavamo così forte da svegliare i vicini. Ma mai e poi mai l'avrei potuto uccidere – disse, con una sincera calma e compostezza.
- Perché? - chiese Edward – Lo amavi? -
La signora Blackthorne scoppiò a ridere talmente in maniera talmente plateale che persino Edward dovette accennare un sorriso, per non sentirsi a disagio.
- No. Certo che no. E', ed è sempre stato, un matrimonio di convenienza. Ma questo ha relativamente poca importanza. Dovreste parlare con quella pittrice piuttosto. Lei ne sa qualcosa di sicuro -
Edward si illuminò: la pittrice? Quella del quadro? Finalmente il mosaico stava prendendo forma.
- Abbiamo trovato un quadro strappato nella vostra abitazione. Dietro conteneva una dedica di una certa Eris. E' lei? Che rapporto aveva con suo marito? -
Il volto della vedova si caricò di odio.
- Perché non glielo vai a chiedere di persona? Vive in una baracca nel porto di Solitude, quella schifosa pezzente. Se è successo qualcosa al mio Albarn, lei lo sa di sicuro

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