The Ark of Covenant. Reminiscence of a discendent.

di Anastasija00V
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 0.1 ***
Capitolo 3: *** Parigi, 24 Giugno 2009 ***
Capitolo 4: *** 1 ***
Capitolo 5: *** 2 ***
Capitolo 6: *** 3 ***
Capitolo 7: *** 4 ***
Capitolo 8: *** Il peccato è solo una tortuosa strada verso il pentimento. ***
Capitolo 9: *** 5 ***
Capitolo 10: *** 6 ***
Capitolo 11: *** L'arte racchiude i suoi principi. Ed in essi il tuo cuore sarà dipinto. Per sempre. ***
Capitolo 12: *** La rivoluzione è una bellissima serenata che arde tra le fiamme. ***
Capitolo 13: *** 7 ***
Capitolo 14: *** Reminiscence of a discendent. ***
Capitolo 15: *** Riconoscimenti e Ringraziamenti. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Noè uscì con i figli, la moglie e le mogli dei figli. Tutti i viventi e tutto il bestiame e tutti gli uccelli e tutti i rettili che strisciano sulla terra, secondo la loro specie, uscirono dall'arca. Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali mondi e di uccelli mondi e offrì olocausti sull'altare. Il Signore ne odorò la soave fragranza e pensò: Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto.

 

Finché durerà la terra,

seme e messe,

freddo e caldo,

estate e inverno,

giorno e notte,

non cesseranno.”

 

 

 

GENESI 8, 18-22

 

 

 

 

 

 

 

Una storia ispirata alle canzoni "Ascendead Master" e "Aristocrat's Symphony" così come il corrispettivi PV . So che l'introduzione può sembrare non pertinente, ma continuate a leggere...;-)

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Capitolo 2
*** 0.1 ***


Fino a quel momento la mia esistenza era stata segnata da tragici eventi. La mia natura certo non migliorava le cose. Ogni giorno ero divorato da una vendetta incontrollabile che mi faceva agire con nefasta forza ed energia. Uccidevo nella notte, cullato dalle tristi note di una ninna nanna lontana carica di ricordi e nostalgia, e mi nascondevo di giorno. Chiuso, solo nel mio monolocale periferico e spoglio (nonostante potessi permettermi molto di più di quel raccapricciante appartamento). Ero diventato una bestia assatanata di sangue. Bruciavo. Nell'inferno della mia anima tormentata. Ero stato educato da principe in passato. E ora cos'ero diventato? Solo l'ombra di me stesso. L'ombra da cui scappavo ed inciampavo ogni giorno di una misera esistenza...

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Capitolo 3
*** Parigi, 24 Giugno 2009 ***


Una vettura sbanda nella notte finendo fuori strada.

Dall'incidente solo una vittima riesce a salvarsi. Una bambina di 11 anni, Isabel Moncourt. I suoi genitori non ce l'hanno fatta.

Ora è sola al mondo.

- Codice rosso! Codice rosso!- Si sente urlare per i corridoi dell'Hôpital Saint Louis.

Dottori ed infermieri si precipitano senza esitazione alcuna davanti alla barella della piccola Isabel Moncourt che viene condotta d'urgenza nel reparto di rianimazione.

Un'infermiera le sorride stringendole la mano fredda e inerme, facendole coraggio e forse, facendosi coraggio.

Se ne vedono tante di vittime coinvolte in incidenti stradali...eppure, Isabel ora appare cosi unica. O forse semplicemente sola.

Tutti si affannano per tenerla in vita. Veloci. Precisi. Ma mai emotivamente distaccati. E chissà, forse pregando Dio di non aggiungerla alla gloriosa schiera di angeli innocenti.

Ma quella notte Isabel non sarebbe andata da nessuna parte. Anche se il suo cuore era stanco e debole e la frequenza dei suoi battiti irregolare, lei non si sarebbe incamminata per la Santissima via del paradiso. Non avrebbe seguito le voci sacre del Popolo Celeste che la esortavano alla luce.

Non avrebbe mai toccato quelle mani che si protendevano verso lei per aiutarla a non smarrirsi lungo la strada verso la Gloria Divina.

Qualcuno ha progetti ben diversi per lei.

E per agire gli basta un attimo.

Giusto il tempo di manomettere il generatore di corrente e ogni ferita di Isabel sarebbe stata rimarginata.

Come?

Attraverso un patto di sangue, in cui una vita cambia trasformandosi in qualcosa di pericolosamente affascinante.

Può una rosa strappata alla sua pianta continuare a sopravvivere e non appassire mai?

Così, in questa tragica notte, un nuovo fantastico bocciolo si aggiunge al roseto degli immortali.

E quando le luci si accendono, le sue palpebre rese perfette dal sangue mostrano i suoi occhi scarlatti sotto quegli sguardi umanamente increduli dei presenti.

- Che diamine...?

- È un miracolo!

Molti si fanno il segno della croce mentre Isabel guarda tutto con quell'aria tipicamente avida di un neonato dell'oscurità eterna.

L'atto è compiuto.

Le campane di una chiesa suonano attraverso rintocchi melodiosi la mezzanotte, celebrando con la solennità che solo la fede vera offre, il lutto per la perdita di un'anima.

Gli angeli piangono.

Piangono tutti nel Regno Dei Cieli.

Di chi è la colpa?

Di un mostro.

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Capitolo 4
*** 1 ***


Celato dietro le tende di un lussuoso appartamento di Parigi, percepivo con i miei sensi di creatura della notte quanto avveniva al reparto di rianimazione dell' Hôpital Saint Louis.

Un atto orribile sì, ma progettato fin nei minimi dettagli.

Credevo che Isabel sarebbe riuscita attraverso la sua condizione e attraverso la sua storia a tirarmi fuori da quelle colpe accumulate negli anni in cui avevo biasimato chiunque per ciò che avevo subito.

Mi sentivo condannato ad odiare la vita in ogni sua sfaccettatura dimenticando cosa fosse l'amore.

Ma adesso avevo deciso che tutto sarebbe dovuto cambiare.

Avevo deciso che la vita umana avrebbe avuto qualche senso e così, decisi di valutare l'acquisto di azioni, avevo deciso di entrare nel business. Volevo che quell'ospedale fosse stato mio.

Sì, lo so.

Era davvero stupido per un vampiro come me fare una cosa del genere.

Tutto ciò avrebbe significato esporsi al pubblico e fingere di essere come le persone indossando costantemente una maschera.

Sarebbe stato rischioso.

Se gli umani possono sembrare semplici da un lato, dall'altra parte, essi percepisco il “diverso” e lo fanno guardando negli occhi.

Ma non avevo certo paura di tutte queste sciocchezze.

Risoluto com'ero, avrei fatto di tutto per raggiungere i miei scopi. Dovevo solo giocare le mie carte e condurre il gioco muovendo le pedine a mio piacimento.

Il Cacciatore di Anime entrò nella stanza, vestito ancora da infermiere.

I suoi occhi erano elettrici, percepivo in lui il vigore suscitato dalla caccia.

- Ottimo lavoro.- Gli dissi.

E detto questo ci ritirammo nelle nostre stanze fingendo di essere umani. Ritornando per un momento, attraverso il contatto di soffici guanciali, al tempo che fu.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** 2 ***


Il mattino seguente mi affrettai ad avviare le pratiche per l'acquisto delle azioni riguardanti la gestione dell'ospedale e soprattutto per l'affidamento di Isabel.

Non avrei certamente lasciato la mia preziosissima neonata da sola a lottare con la sua nuova natura e commettere i miei stessi errori e terribili peccati.

Le avrei insegnato tutto ciò che doveva sapere, l'avrei guidata fino a che non sarebbe stata pronta per affrontare il mondo senza sentirsi continuamente minacciata tanto da sembrare lei stessa una minaccia per esso.

Non ci volle molto a sistemare le cose.

Le mie capacità di persuasione e i miei soldi furono il mio biglietto da visita.

Nessuno avrebbe saputo resistermi.

E così, qualche giorno dopo l'incidente (quando già si parlava della famosa e misteriosa guarigione di Isabel), mi recai all'Hôpital Saint Louis per andare a prendere la piccola.

La trovai deliziosa: i capelli lunghissimi e castani ricadevano morbidi sulle spalle, formando delle peccaminose onde sulle punte, gli occhi luminosi e di un rosso scarlatto simili a due boccioli di rosa che fiorivano sulla sua pelle, bianca e candida come la neve.

Le avevo inviato degli abiti nuovi e quella mattina non mancò di indossarli.

Il dottore mi salutò stringendomi la mano.

In altre circostanze non l'avrei mai permesso.

Evitare il contatto fisico con un umano è una regola fondamentale per mantenere al sicuro il segreto.

Per questo prudentemente indossavo sempre i guanti.

Mi parlò di quanto straordinaria fosse stata la guarigione di Isabel, dell'esito strabiliante dei suoi esami, di ciò che si raccontava in giro a proposito di quella notte e che l'opinione pubblica era divisa fra chi credeva fosse un miracolo, gli scettici e poi...chi credeva nel fatto che ci fosse qualcosa di più grande sotto, qualcosa di inimmaginabile che avrebbe portato alla luce antiche paure dissipate nel tempo come polvere nell'arco dei secoli.

Odiavo le formalità a volte e soprattutto, il ciarlare di quell'uomo.

A volte gli umani sono cosi poco spicci, risoluti. Non sanno che il loro tempo su questo mondo è breve e che non bisogna perdersi in futili chiacchiere?

Ad ogni modo, mentre quell'uomo panciuto dall'aria bonaria cercava di conversare con me, mi inginocchiai davanti alla bambina mettendolo finalmente a tacere.

Le porsi un mazzo di rose rosse, alla cui vista i suoi occhi si fecero più grandi e luminosi e sulla sua bocca si dipinse un sorriso aperto e innocente come quello di un qualsiasi altro bambino umano.

Ma ella non era più. E sapevo che avrei dovuto insegnarle a esprimere la sua euforia in maniera tale da non esser troppo “evidente” in pubblico.

- Ti piacciono le rose, piccola mia?- Le chiesi quasi in un sussurro.

Isabel rise.

I suoi occhi comunicavano più di quanto lo facessero i suoi gesti, più di qualsiasi parola.

Le adorava e le prese in grembo come una mamma con il suo bambino cullandole e carezzandole piano con quelle mani di bambola.

Forse fu quel suo modo di muoversi, con quella grazia particolare a generare sgomento nel dottore.

Il suoi occhi si dilatarono lasciando trasparire un velo di orrore.

Quel qualcosa che non sopportavo e che detestavo e soprattutto, che non volevo assolutamente che Isabel percepisse.

Una donna si era nel frattempo accostata all'uscio della porta ad osservare la scena.

Era la stessa che aveva tenuto la mano ad Isabel quando era in fin di vita. L'infermiera.

Ad ogni modo presi per mano la creatura e salutai il dottore con un breve ma risoluto cenno della mano.

- È stato un piacere conoscerla.

Il corridoio ora era animato.

Tutti volevano vedere la mia bambina sfilare elegantemente verso la sua nuova esistenza, mentre io mi compiacevo di vederla ammirare così.

Una canaglia come me in fondo ama ricevere attenzioni di qualunque genere, nonostante ciò possa sembrare quasi contraddittorio.

Ma cosa in fondo non lo è?

Ad ogni modo, fu l'infermiera ad attirare la mia attenzione.

Così innocente e pura come il suo camice bianco.

Sarebbe stata mia.

E sapevo esattamente in che modo avrebbe dimostrato la sua utilità.

Non ho forse lasciato intendere che i vampiri non sorridono mostrando i denti ai mortali?

Et bien, desolé, le rivolsi quel gelido sorriso che significava solo una cosa.

- Verrò a prenderti, ma chére.- Le sussurrai passandole accanto.

A Isabel cadde una rosa con cui stava giocando durante il passaggio.

Il destino di quella donna era ormai segnato.

Sapevo già che l'avrebbe raccolta e portata con sé e che sarebbe stata il suo chiodo fisso fino al giorno in cui sarei tornato e l'avrei stretta in un abbraccio di sangue.

Attendere e agire.

Due concetti contorti e contraddittori.

L'esistenza non è vita, ma con essa ha una cosa in comune: il compromesso.

 

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Capitolo 6
*** 3 ***


Mi resi conto più tardi che questa sorta di apparente e mascherata “vita” che mi ero creato con le mie stesse mani, era molto più complicata di quanto avessi mai pensato.

Se da una parte avevo i miei legali e collaboratori che si occupavano degli aspetti pratici dedicati al business e alla mia persona pubblica, dall'altra c'erano le difficoltà a trattare con una neonata vivace trasformata da bambina.

Mentre i “neonati adulti” sono più facili da gestire in quanto convenzionalmente abituati ad usare la ragione, i “neonati bambini” sono oltraggiosamente impulsivi e distruttivi.

Bevono di giorno alla luce del sole fregandosene di tutto e di tutti, tendono a saziarsi molto lentamente causando piccole stragi, hanno una forza nefasta e frignano come qualsiasi altro bambino quando fa i capricci. Peccato che dai loro occhi al posto delle lacrime scorra il sangue.

Isabel era una bambina abbastanza intelligente devo ammetterlo, ma a volte mi faceva andar fuori di testa.

Le avevo spiegato tutto sin dall'inizio.

Le avevo detto che ora tutto sarebbe stato diverso per lei, che avrebbe avuto abitudini ma soprattutto istinti diversi con cui doveva fare i conti.

- Lo capisci, dolcezza?

Le parlavo sempre in modo molto pacato anche quando perdevo la pazienza.

La tenevo d'occhio costantemente perché qualsiasi suo errore sarebbe stato fatale per me, per lei e per tutta la comunità degli immortali presenti sulla faccia della Terra.

Le insegnai come comportarsi in pubblico, in un modo che sembrasse quasi umana, le mostrai come sorridere in modo che non si vedessero i denti affilati, le comprai le lenti a contatto per nascondere i suoi occhi particolari. Imparò a muoversi molto, molto lentamente con gli esseri umani ed in presenza di essi, a fingere se ci viene offerto qualcosa da mangiare e da bere di apprezzarlo o a rifiutarlo con gentilezza fingendo sincerità.

E poi, le spiegai come nutrirsi e soprattutto di chi nutrirsi.

Mai dei bambini, donne in dolce attesa e anziani.

Cibarsi sarebbe stata un'attività della notte.

Ci saremmo introdotti nelle case e piano ci saremmo nutriti del nettare dei proprietari che dormienti non avrebbero percepito nulla.

- Non devi mai lasciare in fin di vita un essere umano mentre ti cibi di esso.

- Ma come faccio a sapere quando fermarmi?

- Lo capisci, bambina mia.

- Come?

- Ascolta i battiti del suo cuore. Se la frequenza incomincia ad indebolirsi vuol dire che hai bevuto troppo. Devi smettere prima, non dimenticarlo! Se non sei sazia troviamo un'altra preda.

Lo ammetto. Non sempre ero delicatissimo quando si trattava di insegnarle il “rapporto preda-cacciatore”.

Allora le compravo bambole, giocattoli, vestiti e gioielli costosi e ridicoli per una bambina dell'epoca moderna, del mondo super tecnologico e pragmatico.

Ad ogni modo, mi riconosceva come guida e mi serbava il rispetto che il ruolo richiedeva.

Si fidava.

A volte mi soffermavo ad osservarla.

E più lo facevo più mi rendevo conto di quanto spietato io fossi.

Nonostante gli affari andassero bene, e i miei interventi a favore dell'ospedale si erano rivelati proficui come previsto, il mio stato d'animo peggiorava.

Volevo di più sempre di più.

Mi dedicai anche alla beneficenza, feci costruire un albergo per i senzatetto, facevo offerte consistenti in chiesa quando accompagnavo Isabel a messa la domenica.

Ma niente di tutto ciò riusciva a sciogliere quel nodo al cuore, a sgretolare il macigno opprimente sul petto.

Avrei voluto ben presto scomparire e ritirarmi nella mia ombra a riflettere e forse chiedere perdono a Dio per tutto.

Eppure non avevo il coraggio di rinnegare ciò che ero.

Egoismo? Paura del Giudizio? O quel concetto sublime quale è la vanità, l'attaccamento ad un mondo che mi aveva rifiutato e che negli anni mi aveva reso un rifiuto spietato?

Non riuscivo a spiegarmi nulla.

Tuttavia, per il bene di quella bambina dovevo riuscire a trovare delle risposte.

Anche solo apparenti.

Anche solo per lei.

Molto spesso Isabel lasciava le sue bambole e le sue rose per correre ad abbracciarmi.

Lei poteva ancora amare.

Non aveva smesso neanche per un momento.

E quando la portavo al cimitero a visitare le tombe dei suoi genitori e mi allontanavo per rispetto del suo dolore, la sentivo piangere e ridere, poi raccontare e ridere ancora, lucidando le lapidi con quello sguardo, quella tenerezza che poche volte avevo visto negli occhi della gente.

Per questo dovevo muovermi.

Dovevo mantenere quell'anima innocente ancora pura. Pura per molto, moltissimo tempo.

Dovevo affrettare i tempi e focalizzare la mia attenzione sul progetto.

Doveva staccarsi da me per sempre o l'avrei portata nel mio limbo infinito di lutto e sofferenze.

Non potevo permetterlo.

Presto avrei fatto visita all'infermiera.

L'avrei pedinata ovunque, anche indirettamente.

La mia presenza silenziosa sarebbe diventata presto così assordante da stordirla fino a farla cadere nelle mie mani.

 

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Capitolo 7
*** 4 ***


Affidai a ciascuno del clan un compito.

Il primo ad agire fu il mio Cavaliere della Notte.

Fingendosi un dipendente della Bibliothéque Sainte Geneviève, si accostò a lei, mentre sfogliava e apprendeva con interesse quanto scritto sulle enciclopedie mediche seduta al suo angolo preferito.

Fece artificiosamente cadere da una pila di libri che reggeva sulle sue forti braccia, un libro dalla copertina blu sulla pagina su cui era focalizzata l'attenzione di lei.

- Chiedo umilmente perdono per la mia goffaggine e inattenzione, mademoiselle.

- No...non fa niente...che libro è?

Sorrisi godendomi da molto lontano la scena.

- Questo? È solo un vecchio libro che abbiamo deciso di mettere via. Nessuno ne è più interessato.- Disse sospirando rumorosamente risistemandolo sulla pila di libri.

- Aspetti! Posso...potrei dare un'occhiata?

Il Cavaliere la guardò perplesso fintamente indeciso sul da farsi.

- Per favore...solo un'occhiata.

Avete presente le mosche attratte dai colori delle piante carnivore?

Mi divertivo fin troppo.

- Tenga pure. Glielo regalo.

- No! Non posso accettarlo!

- Insisto. È suo.- Disse porgendole il libro.

Lei osservò quel libro, lo rigirò tra le sue mani incerte e poi voltandosi disse – Grazie.

Ma il Cavaliere era già sparito.

Molte volte mi sono chiesto come mai gli esseri umani nati dall'amore infinito ed eterno di Dio, siano attratti dal peccato.

Perché loro che possono essere avvolti dalla luce scelgono la solitudine delle tenebre.

Se potessi tornare indietro nel tempo sceglierei di morire in pace piuttosto che crescere abbracciando un destino da vampiro.

Ma allora ero solo un bambino.

Lesse quel libro fino all'ultima pagina, fantasticando sull'identità dei personaggi narrati, sulle loro vicende.

Divorò quella storia quella notte stessa.

Sembrava una fiaba in effetti.

Una rosa eterna che aveva scelto sin dall'inizio dei tempi i suoi discendenti che l'avrebbero custodita e protetta in cambio di bellezza e giovinezza attraverso il sangue.

Peccaminosa e sublime corteggiava gli uomini invitandoli a restare con lei.

Esistendo in lei.

Morendo in lei.

Per sempre.

Mentre dormiva le carezzai il viso sussurrandole di venire con me.

Le baciai le labbra calde con il quale aveva pulito il sangue dalle sue dita mentre in quel giorno di luglio, si era punta raccogliendo la rosa piena di spine.

La mia rosa.

Quella stessa rosa che avevo dato ad Isabel e che aveva fatto cadere sbadatamente.

Si svegliò di soprassalto in un bagno di sudore e si guardò intorno sentendosi minacciata.

Si avviò lentamente in cucina per andare a prendere un bicchiere d'acqua.

E poi, si guardò allo specchio sfiorando con le dita il punto da me avidamente toccato.

Con le stesse poi tracciò i contorni del suo viso e si fermò alle labbra, da cui avevo rubato un respiro.

Sentivo il suo desiderio di vivere una fiaba eterna.

E io aspettavo solo quello.

Chi ero io per negarglielo?

Vuoi vivere bella e per sempre?

Accomodati pure nel mio mondo.

Ma non credere che non ti abbia avvertito.

Da questa esistenza non si può uscire.

Non si fanno scelte.

Esse si seguono e basta.

Si vergognò si aver pensato in modo così peccaminoso.

Proprio lei, che con tutte le sue forze doveva lottare per salvare una vita, voleva abbandonarsi ad una morte senza pace.

Oh, Rosa Eterna, madre mia! Perché mi fai questo?

Si allontanò dallo specchio in fretta lasciando cadere la sua rosa mai appassita e corse a letto lasciandosi alle spalle l'inferno e godendosi i suoi sogni con la tranquillità di un'innocente.

Mentre io, la osservavo dalla finestra.

Logorato dai miei stessi gesti.

Fuori.

Solo con il vento che mi accarezzava il viso e che giocava con i miei ricci folti.

Ma non c'era tempo per essere sentimentali.

Non più ormai.

Per cui mi alzai e mi librai libero toccando il cielo discendendo nel vialetto deserto.

Camminai lentamente fino a casa godendomi il firmamento celestiale.

- Dov'è Isabel?- Chiesi brusco al mio fidato Cavaliere.

- È nella sua camera. Gioca con l'ultima bambola che le hai regalato.

Non mi nutrivo da un po' ormai.

Troppo tempo.

Ero nevrotico, non potevo pensare con lucidità. Accidenti!

- Isabel!- Urlai spalancando la porta della sua cameretta dai colori femminili e delicati.

- Sei tornato!

Corse ad abbracciarmi.

La sua stretta era forte. Se fossi stato umano mi avrebbe ucciso.

Intuivo che c'era un'ombra sul suo viso sempre vivace e allegro.

- Perché dici questo? Per quale motivo non sarei dovuto tornare?

Sulle mie labbra era dipinto un sorriso tirato e falso.

Si capiva dalla voce quanto fossi nervoso ed inquieto.

Mi aspettavo da lei una risposta che in realtà non volevo udire.

Il mio interesse verso il suo umore era puramente convenzionale, niente di veramente amorevole.

- So che mi lascerai. Sono giorni che non vieni a caccia con me. Mi consegnerai a quella donna. Quella raccapricciante umana! Non voglio!

Negli occhi aveva il fuoco.

Ma io ero l'inferno.

- Come osi parlare in quel modo scurrile. Come osi ritenerti superiore a lei e al resto del mondo? Sei solo una bambina. SEI SOLO UNA BAMBINA! UNA STUPIDA MOCCIOSA COME TUTTI GLI ALTRI! E NON CREDERE CHE QUESTA TUA NATURA TI RISERVERÁ DEI PRIVILEGI! DOVRAI LOTTARE ANCHE TU! SOLO CHE MENTRE GLI ALTRI MORIRANNO E ANDRANNO IN PARADISO, TU RESTERAI SU QUESTA TERRA PER SEMPRE!

Ero così fuori di me.

Avevo rotto la sua nuova bambola scaraventandola per terra con tutta la forza di cui ero capace.

Persino le bambole hanno una vita.

Persino le bambole possono morire.

Isabel era in lacrime.

Le avevo appena mostrato la mia vera natura.

Fino a quel momento avevo cercato di essere dolce e paziente, ma semplicemente non era per me tutto questo.

E lei doveva andare via da me.

Nel frattempo, che cosa avevo fatto?

- Isabel...mi dispiace...perdonami.- Cercai di dire immobile con lo sguardo perso nel vuoto.

- Che sta succedendo qui?

Tutti si erano precipitati in quella stanza.

Si erano precipitati da lei.

Persino loro riuscivano ancora a provare dei sentimenti che non avessero una connotazione malvagia.

La consolarono e la tennero stretta sul petto provando a rispondere alle sue impazienti domande e cercando di spiegarle la mia reazione irragionevole.

Per giorni non mi parlò.

Passarono le settimane.

E la mia Isabel non correva ad abbracciarmi quando tornavo a casa.

Troppe volte mi ero sentito in colpa.

Mia dolce Isabel, se solo tu sapessi!

Il mio cuore era dilaniato da ferite troppo profonde e non potevo guarire.

E più soffrivo, più diventavo cattivo.

- Devo dirti una cosa.

Era Isabel, che entrò come una raggio di luce nel mio studio mentre sbrigavo delle faccende riguardanti alcuni dei miei affari dell'ospedale.

La osservai avanzare verso di me con la bambola che avevo rotto quella notte.

Si sedette su una delle sedie posizionate di fronte alla scrivania.

E parlò.

- Ti chiedo scusa per ciò che ho fatto. Credo di aver ferito i tuoi sentimenti. Sono stata una sciocca. Mi mancavi ho agito d'impulso. Ho...ho creduto che tu non mi volessi più bene per via di quella donna...l'ho odiata. Avrei voluto ucciderla. Ero gelosa. Ero gelosa della sua bellezza e del suo corpo. Io non sarò mai come lei. Sarò come questa bambola che hai rotto. Nonostante le sue ferite è ancora qui. In braccio a me. Come il vampiro che abbraccia il mondo. Sarò una bambina in eterno. Però sono felice perché sono serena. Accetto il mio destino e ho deciso che ti darò ascolto. Quella donna sarà la mia compagna. Devi partire e cercare la felicità. Un giorno ci rincontreremo.

Terminò con un sorriso quello strabiliante discorso.

- Isabel- Dissi allargando le braccia. - Vieni qui.

Corse ad abbracciarmi avvolgendomi nelle le sue membra che riuscivo trovare ancora tenere e amorevoli nonostante la stretta simile ad una morsa fortissima.

Quella fu la prima volta che le chiesi di farlo.

Era sempre stata lei a fare la prima mossa.

Io glielo avevo lasciato fare con un velo di riluttanza.

Ma ora che la parte vulnerabile ero io, mi arrendevo ad un affetto a me incomprensibile.

Umano.

Dimenticato.

Naturale.

Sognato.

Affranto.

Infranto.

Ma era reale.

- Ascolta bambina mia, io non ti sto abbandonando e non ti abbandonerò mai. Solo che dobbiamo affrontare strade diverse, è il nostro destino, capisci?

- Lo capisco perfettamente.- Mi rispose con quella sua boccuccia di rosa.

- Verrai a trovarmi un giorno?

- Ovunque sarai.

 

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Capitolo 8
*** Il peccato è solo una tortuosa strada verso il pentimento. ***


Il peccato è solo una tortuosa strada verso il pentimento.”

 

 

 

Nella notte una donna percorre la navata di Nôtre Dame.

È vestita di bianco, avvolta nel suo scialle nero.

Si siede.

È sola. Quasi.

Si fa il segno della croce e prega.

Chiede innanzi a Dio perdono per la vergogna dei suoi peccati, perdono per i suoi pensieri che non osa neppur rivangare con la memoria.

Si inginocchia.

Chiede religiosamente protezione dal maligno e dalle tentazioni.

Sa perfettamente l'origine di tutto lo scempio nel suo animo.

Ha un volto e ha un nome.

Il mio.

Una suora attraversa i meandri della cattedrale con il turibolo fra le mani, spargendo con esso, l'incenso simbolico che si leva in alto come la preghiera disperata della donna.

Le sue mani giunte stringono un rosario.

Un Santissimo Rosario.

Contempla per ore l'altare versando delle candide lacrime.

Immobile.

La suora è affianco a lei nell'atto della preghiera adesso.

La donna la nota e si sistema accanto.

- Ho paura. Ho paura di tutto attualmente. Non riesco a trovare conforto. Forse Dio non può perdonarmi per tutto questo. Sta succedendo qualcosa in me. In ospedale la gente parla. Cos'è ora il bene e cosa invece il male? Non riesco a vedere più una via d'uscita. Più prego e più il maligno mi è accanto e vive con me. Mi osserva e credo...credo che stia giostrando la mia vita...Ho letto un libro. E ho una rosa che non appassisce mai. È sempre bellissima come la prima volta che la raccolsi al Saint Louis. L'aveva fatta cadere quella bambina. Guarita inspiegabilmente. So che non è un miracolo. E ora è con quel l'uomo, il rettore dello stesso ospedale in cui ogni giorno cerchiamo di salvare vite affidandoci a Dio. So chi è stato a cambiare Isabel. L'ho visto con i miei stessi occhi. Le giuro che non me lo sto inventando. C'era un infermiere. Bellissimo. Mai visto. Ricordo di lui i suoi occhi più di tutto, dipinti di un azzurro innaturale. Ci stavamo affannando per tenere Isabel in vita. I suoi battiti erano troppo deboli e l'emorragia non accennava ad arrestarsi. Avevamo davvero poche speranze. Ma lottammo con tutte le nostre forze...dopo il blackout la bambina non era più la stessa. Era viva ma non lo era! I suoi occhi erano diversi, scarlatti. Erano rossi come il sangue. Il suo collo era segnato dalla forma di un morso singolare. Il fatto che le altre ferite fossero scomparse tranne quello strano segno, mi lasciò interdetta, più di quanto già non fossi per via di quell'artificioso miracolo. Dissi al caporeparto di dare un occhiata. Ma lui non vide niente. Credetti di sognare allora. Ma non fu così. Quell'uomo, l'infermiere, aveva la mascherina macchiata di sangue. Capii. Anche se la mia ragione non voleva arrendersi a quelle assurde fantasie, compresi quanto era realmente accaduto. E da allora tutto questo è il mio chiodo fisso, il dolore più grande. Gli uomini non devono conoscere questi arcani. Essere scelti dalle Tenebre. Scegliere le Tenebre. Mio Dio e Mio Signore, perdonami. Lava i miei peccati come Gesù Cristo lavò i piedi ai suoi discepoli. Salvami dal maligno e dalle tentazioni che da esso provengono e che si aggrovigliano ai miei arti ogni notte, trascinandomi in un mondo di incubi e terrore. Amen.

Si fa il segno della croce. E prega ancora.

Nella penombra la suora resta ad ascoltare e ad osservare.

È una ragazza bellissima. Due occhi neri incastonati come pietre preziose su un volto dolce e candido e una bocca rosea, aggraziata, come lo sono i suoi movimenti silenziosi e pacati.

Quella suora però è tutt'altro che santa.

È la custode di un grande segreto.

Lo stesso segreto che spaventa la donna.

È una del clan.

È la Principessa Delle Rose.

E presto, avrebbe rivelato la sua identità e le sue agghiaccianti verità.

 

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Capitolo 9
*** 5 ***


Per un po' accantonai il mio progetto primario e mi dedicai interamente ai miei affari e soprattutto ad Isabel che diventava ogni giorno più inquieta.

Era ormai dicembre.

La neve cadeva a fiocchi trasformando il paesaggio in un grande letto soffice e ghiacciato.

Le luci arrecavano splendore ad ogni cosa.

Piccole e colorate come minuscole e simpatiche fate.

Stava arrivando il Natale.

Non ero molto sicuro di ciò che stavo facendo in quel momento quando mi recai a scegliere l'albero da addobbare e con esso le decorazioni e il presepe. Ma dovevo farlo per Isabel.

Era bello, osservare la gente in quel periodo. Così affaccendata...e i bambini...così felici.

Già. I bambini.

L'infanzia, una così bella esperienza di vita.

Talmente breve a volte da sembrare un attimo, un secondo di felicità voltatile.

Mi chiedevo se anche Isabel sarebbe rimasta davvero una bambina, o se un giorno nei suoi occhi avrei visto una donna con un passato da infante.

Un piccolo mendicante, sedeva con la sua mamma ad un angolo della strada. Infreddoliti e soli.

Senza pensarci, andai verso di loro. Infilai una mano nella tasca e da essa ne estrassi il portafoglio. Presi tutto ciò che avevo e senza pensarci lo misi in grembo alla donna che stupita mi ringraziò nel suo francese incerto.

- Merci monsieur! Che Dio la benedica! Grazie! Grazie! Buon Natale!

Mentre io mi allontanavo in fretta chiudendo gli occhi per un momento.

Solo fra tanta gente.

Qualche giorno dopo mi consegnarono ciò che avevo acquistato nel negozio di decorazioni.

Era una mattina senza neve. Io ero nella mia stanza da letto.

Riflettevo in generale su tutti i cambiamenti affrontati, tutti progressi finora raggiunti. E mentre lo facevo contemplavo il mobilio stile Luigi XVI.

Chiudevo sempre la porta a chiave.

Quello era un po' il mio rifugio, una finestra sul passato, lontano dal mondo esterno.

Il posto in cui potevo crogiolarmi nelle mie fragilità più profonde e accarezzare anch'io le mie rose rosse come il sangue versato per la salvezza della patria.

Fra le mani stringevo un calice di vino.

Mi piaceva sentirne il profumo così pieno di ricordi e d'amore, mescolare la sua essenza ai miei pensieri più intimi.

In quell'istante di semi-pace, una piccola manina bussò chiassosamente alla parta.

Era Isabel naturalmente.

- Vieni! È successa una magia!

Sapevo perfettamente a cosa alludesse.

Sorrisi appena chinando il capo e avvertento quella sensazione candida che si prova quando si rendono felici le persone.

- Arrivo subito, piccola.

Indossai la vestaglia di seta blu la raggiunsi nel salotto chiudendo la porta a chiave dietro di me.

Tutti erano riuniti intorno al grandissimo albero.

Sembrava vero, vivo, luccicante anche se spoglio.

- Cosa stiamo aspettando? Quest'albero di certo non si addobberà da solo! Dove sono le decorazioni? E guardate! C'è anche il presepe!

Isabel era bellissima.

Volteggiava da un angolo all'altro della stanza vestita del suo abito nero pieno di merletti.

Era uno dei suoi preferiti.

Con il suo entusiasmo riuscì a contagiare e rendere partecipi tutti noi in questa sua folle, folle idea.

Ad ognuno affidò un compito ben preciso.

Diventammo una squadra per volere del suo incanto.

Quando terminammo con le decorazioni, Essi decisero di andare a caccia.

Io rimasi ancora un po' in salotto, a contemplare la meraviglia che avevamo creato.

Accarezzai con dolcezza nostalgica il piumaggio viola e nero della maschera luccicante posizionata su un ramo del grande albero.

Trovai che fosse la cosa più preziosa presente in quel trionfo di luci e colori.

Sorrisi mio malgrado, perso nelle memorie romantiche.

- Dovremmo sistemare il presepe. Mi aiuti?

In quel momento avrei voluto bloccare il tempo per squarciare il presente.

Correre lontano.

Volare via da tutto quel dolore.

Ma invece ero lì a sorridere, fingendo di divertirmi, mascherato dietro un entusiasmo di cristallo che celava le mie vere emozioni.

Dopo aver finito di sistemare le Sacre statuette, restai con quella del Cristo Bambino tra le mani.

Così innocente mi scrutava l'anima, mi spogliava delle mie corazze, con quei suoi occhi azzurro cielo.

Non so per quanto tempo lo fissai. Forse pochi secondi che per me sembrarono l'eternità.

Se potessi mi inginocchierei all'istante e pregherei per la mia salvezza.

Madre mia, aiutami a superare il calvario di questo cuore senza vita!

- Gesù lo mettiamo nel cassetto. Non è ancora nato, sai? La notte di Natale la prima cosa che faremo sarà quella di adagiarlo sulla sua culla di paglia insieme alla Sua Mamma e al Suo Papà.

Sospirò diventando improvvisamente triste.

Sapevo a cosa stava pensando.

- Non credi che manchi qualcosa?

- Cosa?

- Come cosa? L'esperta sei tu e non sai che mancano i regali sotto quest'imponente albero?

Un velo di sangue scomparve all'istante dai suoi enormi occhi da cerbiatta, lasciando spazio ad un immenso e felice sorriso.

Corse ad abbracciarmi con slancio e la feci volteggiare tra le mie braccia forti.

- Guarda! Sta nevicando!- Esclamò guardando fuori.

Quello fu per me il primo Natale. Dopo tanto tempo.

Un gioco di luci mescolato a sentimenti, doni e nostalgia.

Ma in fondo è anche questo che ne da il suo significato.

Ricordarci che nessuno non ha memoria.

Che nessuno almeno una volta, non abbia avuto, o sfiorato l'idea di aver qualcosa in cui credere.

 

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Capitolo 10
*** 6 ***


Il bel tempo era alle porte e aveva ormai smesso di nevicare quando decisi di recarmi in ospedale per alcuni affari. Una sorta di piccolo convegno irritante, una riunione con i miei dipendenti.

Erano mesi che i miei collaboratori mi pregavano di organizzare questo incontro.

Malgrado ogni mia riluttanza, decisi di dare ascolto alle richieste avanzate.

Fino alla fine, nella grande sala, le attenzioni di tutti erano puntati su di me, anche quando ad intrattener la folla non ero io.

Fra tanti occhi ammaliati, c'erano i suoi.

La bocca semiaperta e lo sguardo concentrato paradossalmente perso nel vuoto.

Riuscivo a percepire i suoi pensieri, la sua anima, il tremolio impercettibile delle mani.

Sorrisi prendendomi gioco della sua paura, della sua insistenza e resistenza.

Rinascevo nella sua adorazione, e sull'altare della vita divenivo mistico.

Vuoi che ti tenda la mano?

L'infermiera distolse lo sguardo dal suo demone.

Non capisci che il vero malato sono io?

Non sei tu la pazza.

Sono io il folle comandante di quest'arca.

Affonderemo entrambi in un questi abissi spaventosi.

E tu cadrai in me, morirai e rinascerai con me, per me.

Fino alla fine dei tempi.

Dopo gli applausi generali e le frasi di commiato, raggiunsi l'uscita.

Lei era ancora lì. Al suo posto. Nella fissità di una bambola perfetta.

Le passai accanto.

Mi guardò nel lutto della sua anima.

Le sorrisi.

Come la prima volta.

Mostrandole i denti.

 

 

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Capitolo 11
*** L'arte racchiude i suoi principi. Ed in essi il tuo cuore sarà dipinto. Per sempre. ***


L'arte racchiude i suoi principi. Ed in essi il tuo cuore sarà dipinto. Per sempre.”

 

 

 

Un artista attende la sua musa alle porte del mondo.

Lo sguardo fisso, mistico.

Profonda dolcezza nell'aria.

È un artista senza tempo, un bambino senza età.

Sembra un piccolo principe, nonostante sia abbigliato semplicemente e sia seduto sui gradini sudici di una metropoli tal è Parigi.

Ascolta il silenzio nel rumore, trasforma tutto nel suono di un dolce canto, la melodia di una nota musicale.

Indugia nella notte fredda cullato da una brezza delicata.

Una fanciulla giovane e graziosa appare come un miraggio nel suo vestito bianco.

Lui la guarda.

La scopre.

È lei la sua musa.

È perfetta.

La invita a fermarsi e posare per lui.

Non occorron ciarle.

Sono i suoi occhi a farlo per lui.

E così rimediando una seduta logora per la sua preziosa dama, comincia a disegnare.

Lento, delicato, concentrato.

I lineamenti di lei brillano nello splendore del buio.

Si sente bella, forse?

Apprezzata come il più bel fiore di un giardino?

Amata come un amante ama la sua donna?

Un quadro imprime l'immagine di bellezza, gloria e magnificenza nell'eternità del tempo.

Un quadro è la fotografia del tempo, di cui le mani dell'artista ne sono le artefici assolute.

Nell'ombra di un angolo ecco che vien rotolando una mela rossa.

Suadente, peccaminosa.

Si ferma ai piedi della giovane donna.

Vi è una ruvidità che interferisce con la liscezza del frutto.

Sembra un'incisione di parole.

È piuttosto bizzarro.

Talmente curioso che la piccola Biancaneve attratta dal suo nobile e bellissimo aspetto, la raccoglie e ne incomincia a leggere le righe incise.

All'artista non importa se la sua musa si muove.

In fondo sta disegnando qualcosa di speciale, qualcosa che va aldilà di un semplice ritratto.

Ora la mano è decisa, i tratti sono forti...c'è del rosso...

La ragazza sente una presenza dietro di lei.

C'è qualcuno.

Molto rosso.

Egli disegna ciò che è celato nelle profondità del tuo cuore. Cosa nascondi, mia cara?”

Quella mela è stregata.

La fanciulla è spaventata.

Raccoglie la sua borsa e ne estrae il portamonete.

La mano trema.

Non sa neppure quanti soldi impugna.

Ma a lei non importa.

Tutto questo è un incubo e ci deve essere un risveglio, una luce oltre il buio.

Tutte le notti svaniscono nell'alba e si consumano lentamente in essa.

Sarà questa notte una di quelle?

Il suono prodotto dalle monete che cadono nel vecchio berretto abbandonato sul gradino, si mescola a quello angelico delle campane di Nôtre Dame a mezzanotte, ove la piccola mendicante di risposte e di pace vi si reca per chiedere aiuto e protezione.

Ma lei non sa di quel ragazzino che divenne artista del suo destino.

Non sa che nell'ombra ove ora sperduto e scomposto giace un piccolo principe, un infante, ambasciatore di dolce crudeltà, si cela una rosa rossa come il sangue tentatore e una piuma viola caduta dalle ali di un angelo meraviglioso.

La strega compie il suo sortilegio per conto della sua protetta, Creatrice di bellezza e vita eterna, di cui ne è discendente.

Così cala il sipario sulla scena.

In una metropoli come tante dove la vita riprende a scorrere veloce, ma che resta anche la Parigi di sempre, dove l'obelisco di Luxor si erge ancora fiero.

A Place de la Concorde.

 

 

 

 

Anteposta ad una Parigi in festa, una donna piange in ginocchio a Nôtre Dame.

Prega con tutte le sue forze perseguitata da i suoi demoni.

- Ti scongiuro Mio Dio, Padre Misericordioso, proteggimi dal male che tenta di distrarmi dalla Retta Via e che conduce a Te in eterno. E ti prego, perdona tutti i miei peccati. Perché ho tanto peccato in pensieri e senza virtù. Amen.

Si asciuga le lacrime.

È serena adesso.

Sicura che le sue preghiere più sincere e devote vengano accolte ed esaudite.

Dietro di lei, un'altra donna.

La guarda. La riconosce. È la suora dal volto angelico e dall'animo nero.

È inquietante, ma si fida di lei. Della sua beltà innocente e del suo sguardo attentamente assente.

Nasconde qualcosa fra le dita sottili.

Cos'è?

Ah, mia cara! Amo il luccichio prodotto dalla curiosità nei occhi scuri.

Lo sto bramando. Ti sto bramando. Vieni da me.

La principessa apre la mano candida come lo è la luna alta in un cielo limpido.

Vi è una rosa senza stelo.

È rossa.

Sanguina.

Non è vero.

Ma quello è il tuo cuore quando il momento sarà giunto e io l'avrò baciato, con l'arco tuo puntato verso di me.

Ora fuggi.

Corri lontano.

Continuerai ad odiarmi. Lo so.

Ma in fondo che differenza c'è?

Per uno come me verso il quale vi è solo disprezzo.

Immerso nell'immenso di se stesso.

Nella sua solitudine.

Nel suo involucro di bugie, di maschere.

Mentre tutt'intorno a sé l'odio.

Riflesso come uno specchio.

Odio.

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** La rivoluzione è una bellissima serenata che arde tra le fiamme. ***


La rivoluzione è una bellissima serenata che arde tra le fiamme.”

 

 

 

- E questa? Che cos'è?

- È arrivata stamattina. Nessuno ha specificato di che si tratta e neppure chi sia il mittente. Comunque io devo andare, mi hanno chiamata al primo piano. Fammi sapere appena scopri qualcosa.

L'infermiera aprì la busta di colore giallo ocra e ne estrasse un CD.

All'esterno nessuna informazione per cui non restava che guardarlo.

Erano le ore 21.00.

Si sedette davanti al PC e inserì il CD nell'apposito supporto.

Il video partì quasi immediatamente.

Un libro dalla copertina blu si apre. Al suo interno c'è una rosa rossa come il sangue.

- Ma...? Questo libro io lo conosco!

Si, piccola mia.

Ma ora guarda cos'altro ho in serbo per te.

 

Aperte le porte del grande del grande teatro, i giornalisti si precipitano dentro.

Esultanti.

Vivi.

Peccatori.

Un uomo li accoglie a braccia aperte all'imbrunire dell'ultima giornata di sole apprezzata.

Egli è il Principe dei Vampiri, il solitario per eccellenza, la via per l'eccellenza.

E presenta, abbigliato dei suoi indumenti tipici, la Compagnia della Rosa.

Che sciocchezza. No, no!

Sta presentando il meraviglioso Clan dei Discendenti della Rosa, coloro che onoreranno il mondo della loro esistenza fino alla fine dei tempi.

E poi lei, la piccola Isabel, splendente in ogni sua sfumatura.

Tutt'intorno un trionfo di luci e colori, più brillanti di qualsiasi arcobaleno.

Guarda, esultare mortali in questa apocalisse di vita!

Osservali gioire, fanciulla, mentre con il mio canto succhio via i peccati e ogni traccia di bruttezza ed orrore!

Ammira, oh fanciulla, mentre ascendo sull'altare sconsacrato e mi trasformo in un dio!

Occhi scarlatti, denti affilati, grida strazianti.

Come una fenice, dal dolore la bellezza.

Lascia che ti aiuti!

Lascia che beva il tuo nettare prezioso.

Ti ho raggiunta piccola fanciulla.

Mentre dall'alto nevicano rose e piume d'angelo color viola.

Conosci il mio volto.

Riconosci i miei Fratelli in questa notte infernale.

La storia malcelata ti vien ora del tutto raccontata.

Il tempo mio a disposizione è per me qui così terminato.

Andate miei prodi!

Proteggete il segreto e custodite questa miracolosa bambina!

Quanto a me, sto andando a prendere la nascitura.

Lo schermo diventò buio.

- Non è possibile!

Ma il video era ancora in produzione.

La storia non è finita.

Fra gli sguardi increduli, l'infermiera correva verso l'uscita del Saint Louis. Lontano.

Nella sua mente, l'annidarsi di nuovi pensieri.

Sfogati, oh fanciulla, in questa tempesta di emozioni, nel vento che ti accarezza il viso!

Lascia che esso giochi con i tuoi capelli scuri!

Non legarli! Non fermarti!

Non puoi scappare dal tuo destino, proprio come io non posso staccarmi da te.

Sai dove trovarmi.

Basta raggiungermi dove termina il paradiso.

 

 

 

 

Corsi più veloce del vento al galoppo del mio destriero bianco, sotto lo sguardo di una luna sorridente, mentre la gente mi indicava persa in romanticherie senza tempo.

E mi sentivo strano, elettrico al pensiero della mia preda che finalmente si sarebbe abbandonata tra le mie braccia, riconoscendomi il ruolo di unico amante.

Così agognato.

Così preteso senza capacità di raziocinio alcuno.

Dove la lussuria incontra la bramosia, e la voluttà l'incanto dell'amore.

Ah! Madre mia! Perché sono così attratto dalla purezza?

Perché l'anima mia innocente mai più riavrò.

La sete mi impediva di agire lucidamente.

Ero come intrappolato in un sogno, così piacevole, dal quale ben lontano dall'aspirar destarmi.

E come i miei pensieri selvaggi, il mantello mio nero fluttuava nella notte come fosse un paio d'ali, mentre i miei riccioli si stagliavano rompendo ogni legame di ragione e lambimento con il Creato.

E questa mia bocca già rossa, macchiata altresì sarebbe, di un così dolce peccato intriso in una vita.

Tutto in me ardeva di passione insana e affascinante.

Bruciavo nei miei desideri di fuoco.

 

Cosicché quando la mia mano apprestata fu a toccarti, senza esitare un solo istante, dopo averti posseduta in un bacio eterno, quell'altare riempito avrei.

E al tuo risveglio, tu. Bellissima.

In eterno.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** 7 ***


Percorse la navata di Nôtre Dame come una sposa che giunge pura e casta all'altare.

I lunghi capelli bruni che ricadevano sulle spalle rivelavano il candore di una promessa all'amore coniugale.

Ma nessun fiore bianco vi era deposto, nessuna festa, nessun canto, solo sguardi aggrottati nelle luci soffuse di candele ingiallite dal tempo.

Si inginocchiò sui nudi e freddi pavimenti pregando davanti al Sacro e Simbolico Altare.

Pianse silenziosa tutte le sue lacrime, tribolazioni del cuore.

Non ebbi il coraggio di ascoltare ciò che la sua anima proferiva con ardore all'Onnipotente.

Così restai seduto in disparte nell'ombra della mia ignoranza verso i sentimenti umani, io che uomo fui una vita di un'eternità remota.

E neppur osai proferir parola alcuna nonostante il tempo per me giunto fu.

Le campane destandosi intonar rintocchi austeri.

Lenti.

Lasciandoci assaporare le nostre confessioni fluttuanti.

Annie Smithers l'infermiera si alzò in piedi.

Terzo rintocco.

Si voltò incrociando i miei occhi di ghiaccio.

Stupore.

Paura.

Quarto rintocco.

Annie distolse appena l'attenzione.

Frazione di secondi.

Io non ero più.

Indietreggiando timorosa cadde nella mia tela di sangue, eternità e bellezza.

Quinto rintocco.

La tensione forte si dissolse nel ricordo obliato e travagliato come l'oceano in tempesta.

Le spalle e le membra morbide sotto le mie braccia ardenti.

Sesto rintocco.

Ultime sensazioni.

Ero pronto.

Inclinò il collo scoperto rivelando la bramosia di ricevermi.

Settimo rintocco.

Il bacio della vita eterna.

I miei denti dentro la sua carne.

Risucchiavo ogni traccia di imperfezione, rendendola bambola per sempre.

La sua essenza diveniva la mia.

Per ogni goccia del suo sangue la sua storia.

La rivedevo bimba, ragazza, donna...

La sue felicità, gli attimi condivisi, avvilimenti nel susseguirsi dell'allegro ciclo delle quattro stagioni.

I miei pensieri si mescolavano ai suoi.

Il mio battito divenne il suo.

La missione designata si insinuava nella psiche, come scritto su un pezzo di carta.

Il respiro si fece lento, al progredir l'affanno, all'avanzar silenzio.

Morendo tra le fauci del mostro, la sua pelle pallida splendette.

Il mio veleno l'aveva assassinata di ciò che casto e puro fu creato dalla Santità Eterna.

E qui, dove il Battesimo Benedetto venne a lei donato, un altro si insidiava e presidiava, cancellando ogni bonario avvertimento, auspicio, augurio...

Ah, Madre Mia! Nella mia crudeltà e per ausilio di un male immondo, ti mostro e ti rendo omaggio della Tua nuova vittima, che mia prede divenne...

Sull'altare dell'elevazione spirituale, distesi la mia Bella Addormentata.

Il corteo di Discendenti avanzò fiero portando cestini di rose rosse insieme alla piccola Isabel.

Sulla nascitura trionfo di petali delicati e profumati.

E...la mela rossa, con la frase, la sentenza incisa sul suo dorso, gravemente coricata sulla mano destra, nelle braccia ripiegate dolcemente sul ventre, per sempre freddo.

È così che questa storia termina.

Senza un lieto fine, in cui l'Arca fu rovesciata e governata da un profano scomunicato, condannato a vagare nella sua solitudine eterna.

Un essere che toccò l'altare e che lo trasformò in un patibolo.

È davvero questo che volete, umani?

Che qualunque cosa sfioriate diventi un'anatema in cambio di giovinezza e bellezza fino al Giorno del Giudizio?

Che l'amore diventi un'utopia?

Allora, non mi resta che dirvi...chiudete gli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Compimento trovato fu di profezia in maleficio

 

Su carne predette,

ferute appariron

che su bianca tela a lor tempo tinteggiate rosso sangue

 

E l'ombra nera a stento quasi sfumata

forma prese nell'identità del boia tentatore.

 

Il vagabondo della notte.

L'usurpator dell'Alleanza.

Saccheggiator dell'Arca.

Profanator dell'Ara.

 

 

 

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Capitolo 14
*** Reminiscence of a discendent. ***


Distesa supina, addormentata, aveva preso le sembianze di un angelo immortale, bello e demoniaco.

La notte, che nel frattempo si era illuminata di lampi e bagnata di pioggia, stava lentamente lasciando spazio alle prime luci di un'alba pacifica e brillante di sole.

Ero rimasto solo con quel che restava della mia preda pregante.

La ferita inflitta al suo collo si era ormai completamente rimarginata.

Brandii la mia spada secolare, per sempre fedele, sempre gentile al mio tocco, decorata con uno dei regali più preziosi e a me cari al mondo: un crocifisso di diamanti.

Mi avvicinai lentamente a lei fermandomi al suo capezzale di rose e sangue trafugato. Oh se non era bellissima! E ne accarezzai il viso con la punta della lama lucida e fredda, scendendo sul collo, sul seno...E poi, facendo rotolare la mela giù dal suo grembo, puntai al cuore.

Leonardo Da Vinci. Ultima cena. Profezia. Tradimento. Peccato. Pentimento. Morte.

Fu allora che aprì gli occhi. Uno spettacolo di sfumature rubine ombreggiate da folte e lunghe ciglia corvine.

- Benvenuta, mia giovane amica.- Le dissi inguainando la spada.

Il suo sguardo, veloce e attento si spostava avaramente in tutte le direzione.

Non le sfuggiva nulla: ogni dettaglio, ogni crepa, ogni movimento...Sembrava voler imbottigliare il mondo nelle orbite.

Poi, finalmente, diventai il protagonista delle sue volubili attenzioni.

Le sorrisi in modo oltraggiosamente odioso e seducente.

Ero una canaglia, una bestia, e nessuna bestia prova pietà dopo aver ucciso le sue vittime.

Le avevo mangiato la vita, ma lei mi guardava con adorazione, non più con orrore.

Mosse i suoi primi passi verso il sottoscritto e si inchinò, al corrente della sua missione, pegno del mio dono immortale.

Nei giorni successivi istruii Annie Smithers su tutto ciò che conveniva che lei sapesse.

Acquistai per lei ed Isabel una tenuta in periferia con tutti i comfort e strappai un assegno da milioni di euro.

Per ogni cosa dovevano solo farmelo sapere.

Annie riprese a svolgere la sua professione di infermiera facendosi, però, trasferire in un altro ospedale circa qualche mese dopo, e lo fece come se nulla fosse accaduto, con quella fermezza, quella convinzione nei gesti che mai mi era capitato di vedere in un novizio.

Rimasi estasiato, colpito. Riusciva a gestire la trasformazione e la morte dello spirito con disinvoltura disumanamente umana, scrutando il mondo con una freddezza e superiorità agghiaccianti. Eppure Isabel era felice lì con lei.

Di tanto in tanto ricevevo sue notizie, era come se stesse crescendo e formulava, artisticamente, concetti astratti sempre più complessi.

E mentre una sorta di vita apparente sembrava essere stata ripristinata, io mi ritiravo nella mia solitudine, come avevo progettato sin dall'inizio. A che scopo? Redenzione? Ah! Che sciocca creatura infernale!

Vendetti le mie azioni e sparii ai confini del nulla lasciando la città, con i suoi suoni e suoi colori, abbracciando la natura incontaminata, dove il tempo sembrava aver cessato di esistere secoli prima.

E così ognuno ritornò alle proprie occupazioni, memorie, dolori...

Avevo atteso quel momento da mesi ormai, ma ora mi sentivo vuoto e senza progetti.

A che cosa serviva quella ricchezza smodata e smisurata se racchiusa in mani glaciali incapaci di compiere azioni benevoli?

Nei pressi della dimora pietrosa, vi era un piccolo lago dalle acque fresche che, in estate, attiravano lucciole eleganti e luminose come fuochi d'artificio che scoppiano in cielo stagliandosi a festa e confondendosi tra le stelle.

Spesso nelle notti più buie mi ci recavo meditando in solitudine, accarezzando le piccole increspature bagnate oppure immergendovi la mano, sorprendendomi quasi della bianchezza iridescente della mia pelle marmorea.

Durante uno di quelli inverni freddi e silenti, mentre ero seduto sui verdi prati ricoperti qua e là di sprazzi innevati, nell'acqua si creò un vortice di cerchi concentrici provocati dalla caduta di una bellissima piuma viola.

Erano mesi che il Sesto Discendente, L'incantatrice, non inviava sue notizie...Succedeva piuttosto raramente.

Raccolsi l'involucro di leggerezza e fragilità e...qualcosa attirò la mia attenzione.

Potevo vedere chiaramente il mio riflesso in tutto il suo mirabile incanto irraggiungibile come un astro...e poi...

Lei.

Sì, esatto, proprio lei.

La identificai senza conoscerla, senza averla mai vista, ma sapevo che era lei, senza un motivo spiegabile e razionale.

La osservai danzare ed essere felice, quella felicità che conoscevo ma che avevo smesso di ricordare.

Mi era sfuggita, ecco.

Con i suoi folti capelli al vento che giocavano con lei ad ogni suo movimento.

Cosa notai principalmente di lei?

No. non era la sua bellezza, ma la bellezza dei suoi gesti, la grazia dell'anima, la sua energia radiante e fresca come una rosa.

Poi vidi una corona, tempestata di diamanti. Molti diamanti.

Soldati.

Arresto.

Buio.

Grida.

Spari.

Morte.

Una piccola onda provocata da un più forte colpo di vento, sommerse la visione.

Cancellando la mia forma.

La mia identità.

 

-Sei sicuro che non è stata una proiezione involontaria della tua mente?

Quando parlai agli altri della faccenda, tutti stentavano a crederci.

Soprattutto il Cacciatore, un essere troppo razionale per credere, testuali parole, “alle mie fandonie”.

- Vi assicuro che sto dicendo il vero!

- Andiamo! Non proferisci parola da mesi e adesso racconti storie fantomatiche di immagini proiettate nelle acque di un lago. Perdonami, ma mi sembra che tu stia confondendo la realtà per romanzi.

- Non sto impazzando! Cosa credi che siamo noi? Persone? Creature benedette come tutte le altre, eh? COSA SIAMO?

Stavo decisamente urlando. Negli occhi della principessa, terrore.

- E poi, se metteste in discussione le mie parole, dubitereste dei messaggi del Sesto Discendente.

- Hai visto l'Incantatrice?

Gli occhi del Cavaliere puntarono i miei infiammati di indignazione.

- No, visto non è proprio il verbo esatto. Ho percepito la sua presenza.

Mostrai loro la piuma viola intatta.

- Allora è vero...- Sussurrò il Cacciatore.

- E secondo te, chi è questa ragazza?- Intervenne il Principino.

Il più delle volte è distratto, immerso in qualche fiaba incantata da lui inventata.

Sorride poco, e se lo fa la sua dolcezza sembra rasentare la follia dell'empietà.

Eppure sembra un angelo candido, sono solo i suoi occhi ad esser cresciuti avendo visto cambiare il mondo di anno in anno, di secolo in secolo...

Sorrisi maliziosamente.

- Non so, credo avesse pressapoco la tua età.

Distolse lo sguardo immediatamente.

Credo che se avesse potuto sarebbe decisamente arrossito.

- E se fosse...e se fosse lei la S...- Accennò il Cacciatore.

- Non essere sciocco! Io non credo che ci sarà mai.

- E allora, chi dovrebbe essere? E perché l'Incantatrice ha lasciato che vedessi la sua immagine?- Disse il Cavaliere.

- Non lo so. Ma non intendo cercarla. Ho già i miei problemi.

- E forse, guarda caso, lei potrebbe essere una soluzione.- Ribatté il Cacciatore.

- Una soluzione a cosa? Non mi serve una donna e nemmeno una bambina. Ho bisogno di stare da solo. Anzi, devo stare da solo. È questo il mio destino.

- Che ti piaccia o no, non potrai mai essere solo. Appartieni a un Clan, o ti è sfuggito di mente?

Il Cacciatore aveva centrato il punto.

- Comunque non andrò a cercarla, sia ben chiaro. Fine del discorso.

Girai i tacchi e me ne andai nella mia camera. O come spesso diceva il Cacciatore, a rintanarmi.

Tolsi gli stivali e mi buttai sul letto con la faccia sui setosi guanciali lavanda.

Non riesco a spiegarmi ancora come fu possibile, ma mi addormentai. Profondamente. Come un bambino.

Sognai cose belle.

Sognai e basta come fanno gli esseri umani.

Danze. Ori. Lusso. Grazia e bellezza.

Sognai mia madre.

Sognai Versailles.

 

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Capitolo 15
*** Riconoscimenti e Ringraziamenti. ***


Riconoscimenti

 

Alla band Versailles (conosciuta anche come “Versailles Philharmonic Quintet”).

 

Un tributo alle storie da essa prodotte in musica.



Ringraziamenti


Ai Versailles,

per avermi regalato un sogno.

 

 

A tutti coloro che,

mi hanno sostenuta e supportata in tutti i momenti più bui della mia vita, amandomi sinceramente. Grazie.

 

E infine, un grazie a me medesima, che nonostante tutto, non ho mai mollato.

 

Inoltre ringrazio tutti coloro che leggeranno o hanno letto la mia storia.

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