Breakdown

di getsomeSleep
(/viewuser.php?uid=834602)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm stupid ***
Capitolo 2: *** My bike is stupid ***
Capitolo 3: *** The coke is stupid ***
Capitolo 4: *** KFC ***



Capitolo 1
*** I'm stupid ***


1 - I'm stupid.

Questa volta ho fatto una cazzata.
Okay, ammetto che aver rotto il finestrino del pickup di Roscoe, il ragazzo che, se volesse, ti perseguiterebbe anche da morto, e avergli gridato che era una testa di cazzo, non è stata un'idea così brillante.
Ma non è forse vero che sono un idiota? Certo che sì.
E ora, il bestione e i suoi compari mi stanno inseguendo. Che serata.
«McQueen! Sei un uomo morto!» mi grida lui una decina di metri alle mie spalle.
Per fortuna è notte fonda. La poca luce dei lampioni non illumina granché, e questo aiuta un povero ragazzo nella mia situazione.
Non chiedetemene la ragione, ma scappare in quel modo mi dava un brivido di divertimento. Adrenalina.
Prendo una strada secondaria che porta a una via con piccole case. Non c'è molto tempo per pensare a quanto carine siano queste, quei tizi mi stanno raggiungendo.
Scelgo una casa a caso. Due piani. Piccolo balcone. Adatta alla situazione. Ha una tubatura attaccata al muro. Senza pensarci, mi ci arrampico. Rischio di cadere, ma raggiungo il mio obiettivo con successo.
Le voci e i passi pesanti dei ragazzi che mi stanno alle calcagna continuano a risuonare per la via deserta. Rido sommessamente. Come sempre, Jeremy McQueen ce l'ha fatta.
Resto un paio di minuti seduto sul balcone, ma il freddo l'ho sempre odiato, quindi perché non entrare in questa casa così carina?
Ho sempre avuto da arrangiarmi da solo e ho imparato parecchie cose. Io e il mio gruppo non ci definiamo delinquenti. Scassare serrature, entrare in case altrui... Lo facciamo per divertimento. Quel brivido di adrenalina in più. Non mi sono mai fatto prendere. Che dire, ho talento.
Entro facendo attenzione a non fare nessun rumore. Appena messo piede nella stanza un buonissimo odore fruttato mi stuzzica le narici. Mi guardo attorno. Penso sia la stanza di un ragazzo e grazie alla luce di un lampione puntata direttamente su questa camera, posso vedere i vestiti sparsi sul pavimento abbastanza chiaramente. Mi volto verso il letto. Ma, sorpresa sorpresa, una ragazza dai capelli scuri abbastanza arruffati, dorme tranquillamente. Il copriletto azzurro la copre fino alla vita. Giro per la stanza. Non è male. Le pareti sono blu, i mobili di legno. Il pavimento di parquet amplifica il rumore dei miei passi perciò provo a fare attenzione.
Sento un lamento uscire della labbra della ragazza. Resto immobile. Per fortuna la ragazza non si sveglia.
Mi metto a curiosare in giro per la piccola stanza. Appesi ai muri ci sono dei poster di gruppi musicali conosciuti, varie fotografie, volantini biglietti di concerti e qualche disegno. Ci sono anche un acchiappa-sogni e una collana di fiori colorati.
Uno stereo è attaccato a una presa. Guardo i suoi cd. Ha davvero buoni gusti.
La ragazza continua a rigirarsi nel letto, ma non ci faccio troppo caso. Ma quando sento che lentamente la coperta viene spostata, mi volto anche io con cautela, e poi succede in un attimo. Le luci si accendono e la ragazza è in piedi davanti a me con una mazza da baseball in mano. Oh, e viene verso di me con lo sguardo da omicida, ma prima che lei possa farmi davvero male, o peggio, farmi scoprire e attivare la reazione a catena di conseguenze piacevoli quanto un pugno dritto nelle palle, mi metto dietro di lei e le tappo la bocca con una mano e cerco di prendere anche la mazza senza troppa delicatezza.
Lei continua a divincolarsi e a provare a gridare, che cosa seccante.
«Okay, ascoltami. Non voglio farti male - e si divincola - mi sto solo nascondendo. Stai ferma e non gridare» le sussurro all'orecchio.
Lei come risposta mi morde la mano e io la ritraggo di scatto. Ora siamo distanti.
«Ma che cazzo, sei pazza?» le dico sempre a bassa voce. Okay, magari non era la cosa giusta da dire.
«Io sarei pazza? Chi sei? Che cosa ci fai qua dentro?» mi dice con voce un po' più alta della mia.
«Abbassa la voce per favore. C'è gente che dorme - e con questa mi guadagno uno sguardo grondante di rabbia - comunque io sono...»
«McQueen! Brutto figlio di puttana vieni fuori!» Ecco i bestioni alla riscossa.
«Sono quello che quei brutti tizi stanno cercando» termino sorridendo.
«E che cazzo ci fai qui?» dice lei piuttosto incazzata e con la mazza di metallo ancora tra le mani.
«Posso nascondermi qui? Solo fino a quando non se ne vanno.»
«Aspetta, ma tu sei Jeremy McQueen? Andavi alla Shelley l'anno scorso?» dice lei cogliendomi un po' di sorpresa.
«Esattamente» le rispondo io sorridendo.
Lei va verso la finestra e guarda fuori e poi il suo sguardo torna su di me.
«Soltanto fino a quando non se ne saranno andati» dice lei andando a mettere a posto la mazza da baseball.
Io non dico niente e la osservo.
Pantaloni neri da basket e una maglietta verde. I capelli che prima sembravano scuri erano di un colore abbastanza indefinito. Li guardi una volta, e sono rossi. Li guardi un'altra volta e sono arancioni.
«Posso sapere come ti chiami? » le chiedo il più gentilmente possibile.
«No.»
«Oh andiamo, sei la mia salvatrice» le dico avvicinandomi.
Lei si allontana, e io mi fermo.
«Agnes.»
Nome interessante.
«E come fai a sapere chi sono?»
«A scuola si parla ancora di quando tu e gli altri idioti del tuo gruppetto avete fatto saltare in aria la macchina del professore di spagnolo - il nostro capolavoro, non c'è che dire, peccato che per questo abbia beccato la bocciatura e l'espulsione - e poi perché sei stato insieme a una ragazza che conosco."
Rido sommessamente.
«Jodie?»
«No, Christina.» Non era finita bene.
«Di che anno sei?» le chiedo.
Lei mi guarda per qualche secondo per poi rispondere che è del secondo anno.
La osservo mentre si siede sul letto disfatto.
«Smettila di fissarmi» la sento borbottare e mi fa ridere.
Vago un po' per la camera.
«Mi presti questo?» e le faccio vedere un CD che mi incuriosisce.
«No» risponde lei mettendosi sotto le coperte.
«E perché no?»
«Perché dovrei rivederti» risponde con un'alzata di spalle.
Colpito.
«So che vorresti rivedermi» le dico sorridendo.
Agnes guarda il cellulare scuotendo la testa, ma posso giurare di aver visto un sorriso.
«Sono le due e mezza, scusa se non ti tengo compagnia, ma sono stanca, e penso che i tipi fuori se ne siano andati. Puoi andare ora.» Mi avvicino al suo letto.
«Certo. Buonanotte Agnes» le dico lasciandole un bacio sulla guancia.
La sua risposta consiste nel tirare fuori la mazza da sotto il letto.
Però, prima di uscire, le prendo il CD, un banale pretesto per rivedere la sua faccia imbronciata.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** My bike is stupid ***


2 - My bike is stupid
Sul posto di lavoro ci possono essere due tipi differenti di capo.
Il primo è quello che legge attentamente il curriculum, che ti fa domande sulle tue aspettative future e via dicendo. Nella maggior parte dei casi ha un ufficio proprio e pretende un comportamento formale, che gli si dia del lei e che si venga vestiti da cerimonia al lavoro. Insomma, il primo è un capo che si fa rispettare e sa di avere una posizione più alta e più pagata rispetto ai poveri idioti seduti alle scrivanie poco fuori dal suo ufficio.
«Agnes, vuoi un biscotto?»
Poi c'è Brian, il mio capo.
Curriculum? Non sa neanche come si scrive. L'unica competenza che devi avere per lavorare al Game Over è l'essere un po' nerd. Se qualcuno provava a dargli del lei, a lui prudevano le mani, che poi, siamo seri, chi darebbe mai del lei a quel bamboccio di Brian? Andiamo, lui mi ha insegnato che Dungeons and Dragons è sacro ai livelli della Bibbia. E questo è il motivo per cui Brian è il capo migliore del mondo.
«Ti ho mai detto di no?» gli rispondo io prendendo un biscotto al cioccolato dalla confezione.
Mi appoggio con i gomiti sul bancone e mi guardo attorno. Il Game Over è l'unico negozio di fumetti e videogiochi della zona. È davvero un bel posto, e non lo dico perché ci lavoro. È accogliente, le pareti azzurre con manifesti di eventi o locandine appesi a queste, gli scaffali pieni di fumetti e videogiochi. Sì, è il più bel negozio del mondo.
«Ciao, bimba» mi saluta Blake venendo verso di me. È appena entrato.
«Oddio, sei cresciuto così tanto dall'ultima volta che ti ho visto» gli dico mentre vado ad abbracciarlo.
«Ci siamo visti un'ora fa.»
«Lo so.»
Lui ride e mi bacia la testa.
Blake è mio cugino. Ha tre anni più di me, e questo gli da il potere di chiamarmi bimba, cosa che fa da sempre. Non che mi dispiaccia.
Viene a scuola con me, ma lui è dell'ultimo anno. Ho un ottimo rapporto con mio cugino, mi aspetta fuori dalle classi finite le lezioni, mi porta a fare dei giri in macchina, mi accompagna ai concerti. È la mia persona preferita subito dopo Billie Joe Armstrong.
«Ciao Brian, che hai oggi di nuovo?»
«Action figure di Captain America nella versione nuova, il nuovo numero di Batman e una XBOX usata» gli risponde Brian indicando a mio cugino i nuovi arrivi. Gli occhi di Blake si illuminano quando sentono le parole 'nuovo numero' e 'Batman' nella stessa frase.
Ritorno dietro il bancone e inizio a preparare le carte per gli ordini da fare nei prossimi giorni e pensando al brutto idiota che stanotte era entrato nella mia stanza e al CD che mi aveva preso. Sì, ho controllato.

                                    ***

«Brian, io vado a casa. Ci vediamo domani» dico mentre metto il giubbotto e lo zaino.
«Ciao Agnes » dice scompigliandomi i capelli rossicci.
Fuori dal negozio c'è la mia bici legata, e dopo aver messo le cuffiette parto verso casa.
Canticchio una canzone mentre pedalo per strada, ma a metà la bici inizia a fare la difficile.
Scendo con il nervoso che inizia a salire.
Ecco, la catena è caduta. Perfetto direi.
Rimango a fissare quell'ammasso di ferraglia inutile ricoprendolo di insulti.
Mi tolgo lo zaino e lo appoggio a terra, mentre cerco di girare al contrario la bicicletta, e dopo tre tentativi ci riesco.
Mi tiro su le maniche. Quella stronza è andata a incastrarsi.
«Oh, andiamo!» grido alla bicicletta.
E dopo qualche altra imprecazione, riporto la bici con le ruote per terra e inizio a camminare verso casa.
Mentre lancio tutte le maledizioni possibili al mio ridicolo mezzo di trasporto, il suono di un clacson mi fa spaventare. Ci manca anche questa.
«Guarda un po' chi è rimasto a piedi.»
Mi volto verso la strada e vedo Jeremy sopra un vecchissimo pick-up giallo.
Alzo gli occhi facendo un lamento a voce troppo alta e facendolo ridere.
«Vuoi un passaggio?»
«No, sto bene qua» dico. E intanto il pedale della bici mi fa lo sgambetto facendomi cadere.
Perché a me? Perché?!
Sento la portiera chiudersi e in pochi istanti lo vedo davanti a me e mi guarda con un'espressione seria. Ma solo per i primi tre secondi, perché nel giro di pochi istanti ha le lacrime agli occhi dal ridere.
«Hai finito?» esclamo dopo averlo visto ridere a lungo cercando di trattenere il sorriso che sta spuntando.
«Certo, scusa. Vieni» mi dice e mi prende le mani tirandomi su.
Rimane a guardare la mia bici e me.
«Mi dai un passaggio o no?» gli dico dopo la quarta volta che mi guarda.
Sorride.
Prende la mia bici e la carica nel cassettone del pick-up. Io cerco di aprire la portiera per entrare in macchina, ma non si apre.
«Ehm, Jeremy, puoi sbloccare la portiera?»
«Quella non si apre, devi salire di qui» dice indicandomi il lato del conducente.
Dopo aver avuto qualche difficoltà a sorpassare la leva del cambio senza cambiare marcia, riesco a sedermi sul sedile.
Un secondo dopo sento lo sportello chiudersi.
«Allora, dove ti porto?»
«Cooper Boulevard.»
E mette in moto. Parte subito il cd che mi ha preso ieri, cioè, stamattina.
«Agnes, hai bei gusti, te lo concedo» mi dice dopo che la prima canzone finisce.
«Compenso i tuoi che sono pessimi» gli rispondo io indicando con un cenno della testa i dischi di musica house. L'unico che si salva era il cofanetto di Eminem.
«Se questo è il tuo ragionamento, io compenso la tua personalità scadente con la mia perché sono favoloso» dice con un gesto di mano parecchio da ragazza.
'Non pensare a Jeremy che indossa una coroncina e un boa di piume' mi ripeto. Ma è una cosa troppo bella per non pensarci.
Scoppio a ridere e le mie risate non finiscono vedendolo fare una faccia confusa come poche.
«Che c'è?» chiede lui con un sorriso che aleggia sulle sue labbra.
«Oh, niente. Mi è balenata nella mente un'immagine di te con boa rosa e coroncina in testa.»
Silenzio.
«Tu non sei tutta regolare» dice facendomi ghignare.
Dopo altre due canzoni, arriviamo davanti a casa mia.
«Sai, quando sono entrato in camera tua ho pensato fosse la stanza di un ragazzo» mi dice.
«Sta' zitto, la mia stanza è femm... Okay, hai ragione, ma a me piace così.»
Parte la suoneria del mio telefono.
«Ciao papà. Sì, sono appena arrivata. Papà verso che ora torna a casa? Uhm, okay.. Papà è capace si aggiustare una bici? Sì, sono caduta perc- papà, non ridere di me. Va bene, ciao.» E detto questo, chiudo la telefonata.
Jeremy mi guarda chiaramente confuso.
«Okay, te lo devo chiedere. Perché parlavi di tuo padre in terza persona?»
Inizio a ridere. A ridere rumorosamente.
«Io ho due papà.» Lo vedo aggrottare le sopracciglia.
«Due papà?»
«Sì, sai, quando due uomini si vogliono tanto bene...»
«No, quello l'ho capito. Solo, tu da dove salti fuori?»
Sorrido.
«Magia. Devo andare» dico e sgattaiolo fuori dal finestrino del pick-up anche se con parecchie difficoltà.
Tirando un sospiro di sollievo per essere stata capace di evitare l'argomento "adozione", entro in casa accolta dal familiare miagolio dei gatti più belli del mondo, Zeke e Trevor.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The coke is stupid ***


3 - The coke is stupid
«Agnes, tesoro, muovi il culo» sento gridare mio padre da dietro la porta della mia stanza.
Mi alzo e mi trascino fino al corridoio.
Guardo mio padre, col maglioncino verde di flanella guardarmi con una ciambella in mano.
«Buongiorno anche a te, papà» gli dico io sorpassandolo e prendendogli la ciambella dalle mani.
Amo i miei due papà.
Dean e Corey Harriet.
Sono due persone completamente diverse.
Il primo ha i capelli castani e gli occhi chiari. Non esce di casa senza una camicia stirata e inamidata o un maglione.
Corey... Che dire. È il papà col quale andresti a fare un tatuaggio o al quale chiederesti una sigaretta. È un ex giocatore di rugby professionista e mi ha insegnato ad amare quello sport.
«Muoviti. Devi andare a scuola.»
«Come se non lo sapessi» mormoro mangiando un altro pezzo della mia colazione.
Ritorno in camera e mi vesto alla solita maniera. Jeans, maglietta a maniche corte con sopra una felpa o una camicia a quadri aperta.
Scelgo la felpa.
Mi lavo la faccia e i denti, metto gli occhiali e torno in salotto.
«Papà, la bici è a posto?»
«L'ho riparata ieri sera» dice mio padre con in bocca i cereali. 
«Ci vediamo dopo» dico baciando la guancia dei miei per poi uscire con la giacca addosso.
Prendo la bici dal garage e mi scappa un sorriso.
Ovviamente non si era limitato ad aggiustare la catena, ma aveva fatto la revisione completa. Le ruote gonfiate, i pedali stretti e la sella regolata.
Metto le cuffiette nelle orecchie e parto verso la scuola.
In pochi minuti entro nel parcheggio e vado a legare la bici dietro l'edificio come faccio tutte le mattine.
«Ciao, cugina stupida» sento la voce di Blake dire.
«E da quando saresti diventato quello intelligente?» replico io.
«Hai fatto colazione?» mi chiede.
«Sì» gli rispondo.
«Beh, ti ho portato lo stesso un Bounty, per essere sicuro che la mancanza di roba da mangiare non ti faccia diventare una vecchia frustrata.» Ma che carino.
Scuoto la testa con un sorriso mentre ci incamminiamo verso l'interno.
Entro nell'aula di geografia e nel banco accanto al mio trovo Julius.
«Ciao, compagna di banco» mi saluta mentre approfitta dell'assenza del professore per giocare con la PSP.
Mi siedo appoggiando la testa sul banco.
«Odio i lunedì» dico.
«Ma oggi è mercoledì.»
Alzo la testa con uno sguardo parecchio confuso.
«Nes, meno pizza e Breaking Bad da oggi in poi.» Detto questo si becca uno sguardo omicida da parte mia.
Il prof attraversa la stanza.
«Aprite il libro a pagina 384»

                                    ***

«Nes, mi dai un passaggio in bici?» E nella lingua di Julius voleva dire che lui pedalava e io mi mettevo sul portapacchi.
«Dove andiamo?» gli domando.
«A che ora lavori oggi?»
«Quattro e mezza.»
Annuisce lasciandomi senza una risposta.
Gli lancio le chiavi del lucchetto e Julius slega e monta sulla bici.
Io, come sempre d'altronde, mi siedo sul portapacchi.
Mentre percorriamo la strada che porta verso casa sua, ci mettiamo a cantare. Siamo talmente bravi che le persone sentendoci si toccano come se fosse passata l'ambulanza.
La casa di Julius è una bella villetta a schiera. Niente di particolarmente appariscente. Ma nel giardino sul retro c'è un tappeto elastico, e con questo non devo aggiungere altro.
Scendo in modo non molto aggraziato e, mentre il mio amico porta la bici, andiamo verso quella meraviglia che ha in giardino.
Ora, non sono molto propensa allo sport o a qualsiasi cosa implica movimento e sudorazione eccessiva, ma chi non ama i tappeti elastici? Nessuno.
Dopo aver tolto le scarpe e i giubbotti, iniziamo a rimbalzare e a ridere come degli emeriti deficienti, cosa che siamo sotto ogni punto di vista.
«Nes, sei pronta a vedere il famosissimo carpiato Rydell?»
«Ti farai male, e io riderò di te.» Gli amici si vedono nel momento del bisogno.
«Sta' zitta» dice fulminandomi.
Si prepara come se fosse davvero un atleta di alto livello. Poi cade. E io rido.
«È stato più divertente del previsto» gli faccio notare.
«Quando imparerò a fare questo cavolo di salto ti inchinerai di fronte alla mia bravura» mi dice lui con finto fare altezzoso, facendomi ridacchiare.
Per alcuni secondi c'è un silenzio leggero. Ma il nostro 'ho fame' lo spezza in un istante.

«Agnes» mi chiama Julius con la bocca piena di pane e nutella. Io alzo lo sguardo in attesa che continui.
«Non dovremmo metterci a studiare?» Lo sguardo che gli rivolgo sarebbe stato lo stesso se mi avesse detto di essere a dieta.
«Farò finta di non aver sentito quel che hai appena detto» gli rispondo facendogli nascere un sorriso alla nutella sulle labbra.

                                  ***
Mentre pedalo verso casa, mi ritrovo a pensare alle ragazze e al genere femminile in generale. 
Mia nonna è, apparentemente, l'unica donna capace di capirmi,Mi manca davvero tanto, ma il Minnesota non è vicino. Mi manca la sua cucina, il suo salotto dall'aria antica ma non vecchia, con il caminetto di mattoni e i mobili di legno. Mi manca stare seduta con lei sul divano a guardare i più stupidi reality show che trasmettono. Mi mancano i suoi consigli e le sue mani rugose che mi accarezzano i capelli. Mi manca sentirla raccontare della sua vita passata insieme a mio nonno e di come lo abbia amato per tutta la vita. A volte è parecchio strano avere una donna come punto di riferimento. Insomma, sono circondata da uomini dalla mattina alla sera. Un po' di tempo fa avevo un'amica. Non è finita bene. Essendo una persona possessiva sono molto gelosa di ciò che considero mio. La mia amica si stancava di me e smetteva di parlarmi. E io ho fatto la stessa cosa.
Assorta ancora dai pensieri di un paese lontano e di una delle persone a cui voglio più bene, arrivo nel vialetto di casa mia. Non ci sono le macchine dei miei.
Canticchiando una canzone di Ariana Grande apro la porta di casa e butto lo zaino e il giubbotto all'ingresso. Tolgo gli auricolari e faccio andare la canzone a volume alto.
Interrompo la mia performance canora degna di un uccello agonizzante per chiamare i miei ragazzi, Zeke e Trevor.
Il primo è una piccola palla di pelo di quattro mesi, l'avevo trovato tre mesi prima per strada e l'ho nascosto nella mia felpa. I miei papà lo sono venuti a sapere solo un mese dopo che io lo avevo portato a casa. Era di tutte le sfumature del marrone e aveva gli occhietti verdi. Un gatto con la passione per l'arrampicata. Fa free climbing sulle tende, sulle persone... Su Trevor.
Quest'ultimo è il gatto con più scazzo che abbia mai visto. È perennemente sdraiato. Dappertutto e in tutte le posizioni. Per spostarsi da un posto dove sdraiarsi all'altro, lui si butta per terra e rotola.
Alla fine fa le stesse cose che vorrei fare io.
Verso di me vedo arrivare solo Zeke.
Lo prendo in braccio e lui si arrampica per riuscire a sedersi sulla mia spalla, poi vado verso il frigo.
Avanzi. Avanzi. Avanzi. Pizza. Avanzi.
Qualcosa mi attira e non sono gli avanzi.
Prendo il cartone della pizza, la bottiglia di coca cola e chiudo il frigo.
Mentre vado verso camera mia, parte teenage dirtbag.
Her name is Noelle
I have a dream about her
She rings my bell
I got gym class in half an hour
Oh, how she rocks
In Keds and tube socks
But she doesn't know who I am
And she doesn't give a damn about me
Entro in camera cantando il ritornello, ma appena rivolgo la mia attenzione verso il mio letto, dalla mia bocca esce un'imprecazione davvero poco femminile che fa scappare via Zeke e che mi fa cadere la bottiglia di coca cola.
Seduto tranquillamente sul mio letto c'è Jeremy.
Ci guardiamo per qualche secondo.
«Hai davvero detto...» inizia a domandarmi riguardo alla parolaccia.
«Sì, cazzo. Sai, mi sono dimenticata di averti invitato» dico sarcasticamente.
Tra le sue braccia c'è Trevor con l'espressione di chi si è appena fatto una canna.
«Che ci fai qui?» gli chiedo.
«Sono passato a trovarti e a ridarti il cd - fa una pausa - prego, siediti, fa come se fossi a casa tua» dice indicandomi lo spazio vuoto accanto a se.
Raccolta la coca da terra mi avvicino, gli metto il palmo aperto della mia mano sul viso e spingo la sua faccia da culo sul cuscino, facendolo ridere.
Mi siedo a gambe incrociate sul letto e apro il cartone della pizza.
Guardo Jeremy.
«Pensi di andartene o...» dico lasciando in sospeso la frase.
«Tu hai da studiare?» Povero ingenuo.
«Se avessi dovuto studiare avrei un libro in mano, non una fetta di pizza.»
«Allora sto qua a tenerti compagnia» dice sorridendo e posando Trevor sul cuscino.
«Ma non hai niente di meglio da fare?»
«No. Niente di meglio.»
Sorrido. Poi, senza guardarlo, gli allungo una fetta di pizza.
Dopo due fette di pizza mi viene sete.
Prendo la bottiglia e cerco di aprirla con davvero scarsi risultati.
«Jeremy, mi apri la coca?»
«Mhmh» mi risponde masticando.
Con poco sforzo svita il tappo, ma la coca cola schizza dappertutto come se fosse un irrigatore da giardino.
Coperta bagnata, pizza inzuppata. Vestiti bagnati e appiccicosi.
Rimango un attimo senza parole, ma vedendo la faccia di Jeremy, un misto di sorpresa e di ilarità, scoppio a ridere. Jeremy mi segue.
«Spero ti piaccia la pizza al salame e coca cola» mi dice indicandomi il cartone.
Lo guardo un attimo.
Ha la parte inferiore della maglietta e i pantaloni bagnati.
Mi alzo e controllo sul pavimento e sulle sedie, cercando la felpa di Eminem di Blake.
La trovo e gliela lancio. Poi vado in bagno e nel cesto della roba da stirare (cosa che non capisco. A volte Dean si comporta come una casalinga) e trovo i pantaloncini blu che mio padre usa per giocare con me in giardino.
Torno in camera e Jeremy si sta mettendo la felpa. Lo ammetto, è molto carino.
«I pantaloni li cambi in bagno» dico porgendogli i pantaloni.
Lo sento ridacchiare mentre gli indico il bagno.
Velocemente tolgo i vestiti appiccicosi e metto la maglietta del negozio sopra una maglietta a maniche lunghe e un paio di jeans presi a casaccio. Quelli con l'orlo troppo alto.
Essere alta un metro e cinquantatré è scomodo. Dean è diventato la mia sarta personale e gli orli vanno che è una bellezza.
Una volta uscito dal bagno, si rimette vicino a me sul letto.
«Che facciamo?» mi chiede.
Guardo l'ora sullo schermo del mio telefono.
«Sono le quattro e un quarto. Devo andare al lavoro."
«Dove lavori?»
"Al Game Over» gli rispondo.
Per pochi istanti regna il silenzio.
«Me lo sarei dovuto aspettare» borbotta facendo girare lo sguardo ai miei poster di supereroi e ai fumetti sparsi per la stanza.
Esco dalla stanza e Jeremy mi segue.
Mentre camminiamo in corridoio, sento la porta di casa aprirsi e un «È uscito il nuovo Call Of Duty, muovi il culo» diffondersi fino alla casa dei vicini.
Blake.
«Come se non lo sapessi, te l'ho fatto mettere da parte» dico io scendendo le scale.
«Agnes.»
«Sì?»
«C'è un ragazzo dietro di te.» Ah, già.
Silenzio. Solo silenzio.
«A-ah. Lui è il mio tutor... Di scienze.»
«Ok, va bene. Tu chi sei?» dice rivolgendosi a Jeremy. Mi sono dimenticata un particolare abbastanza fastidioso di mio cugino. È l'unico che sa riconoscere una mia bugia. E questa è evidentemente una bugia visto che il ragazzo accanto a me l'ho conosciuto tre giorni fa e che il mio tutor di scienze non esiste.
«Sono-» inizia Jeremy.
«Oh cazzo, sei Jeremy McQueen» esclama mio cugino.
Ma perché cazzo tutti riconoscono questo cretino?
«Ehm, sì. Sono un suo amico.»
Blake lo osserva.
«Nes, abbracciami.» Alzo gli occhi.
Metto le braccia attorno al suo collo.
«Perché cazzo ha la mia felpa e i pantaloni del sabato del rugby di tuo padre?!»
Sbuffo.
«La coca-cola ha schizzato dappertutto.»
«Adesso è così che si dice?!»
Rimango perplessa qualche istante.
«Non credevo portassi a casa dei ragazzi per far "schizzare la coca-cola dappertutto"» continua. Ora sono offesa.
«Ma cos'hai in testa, segatura?!» dico allontanandomi velocemente da lui.
Mi volto verso Jeremy che sorride abbastanza in imbarazzo.
L'imbarazzo ha lasciato la sua firma anche sul mio viso come se mi avesse tirato uno schiaffo e il segno della mano mi fosse rimasto stampato e ben visibile sul viso.
«V-vado al lavoro, Blake, chiudi tu.» Ed esco con la testa bassa e senza salutare nessuno.
Corro e raccolgo la mia bici lasciata sul prato a prendere un sole che oggi non esiste.
Inizio a pedalare velocemente verso il negozio.
Cosa cazzo ha nel cervello quel coglione di Blake? Ho fatto solo cadere una bottiglia di coca-cola, cazzo.
Gli sembro il tipo di ragazza che potrebbe portare a casa un ragazzo?
Arrivo velocemente davanti al negozio.
«Ciao Brian, come stai?» Mi avvicino a lui e gli scompiglio i capelli lunghi. Quando capita di ritrovarsi in una giornata con pochi clienti, gli faccio le trecce. Mi piacciono i suoi capelli.
«Bene, sei pronta per il giorno del giudizio?» mi chiede con aria seria. E il giorno del giudizio, lo è davvero. Ogni volta che esce un nuovo videogame pieno di violenza gratuita e di sangue come se piovesse, che tra parentesi è uno dei generi che preferisco, il negozio è invaso da ragazzi di tutte le età che vengono a ritirare il disco chiuso dentro una custodia che hanno ordinato almeno quattro mesi prima della data di uscita.
Sono già stanca.
La porta si apre e vedo questo ragazzino corre tutto trafelato verso la cassa.
«Ho ordinato il nuovo Call Of Duty.»
Sospirando, vado a prendere l'ordine.
Sarà un pomeriggio infernale.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** KFC ***


«Non ce la faccio più. Prima o poi darò fuoco a questo stupido negozio e vivrò di pesca come Sampei» dice Brian. Le sue versioni su come migliorare la sua vita si sono evolute nel tempo: tre mesi fa, all'uscita del nuovo Assassin's Creed, voleva diventare compagno di meditazione del Dalai Lama. O l'anno scorso, quando era uscita una nuova console, voleva imparare a coltivare cotone e ritirarsi nel suo mondo fatto di solitudine e di magliette.
«Brian, posso farti una domanda?» dico stropicciandomi gli occhi.
«Certo, piccola Agnes.»
«Che cazzo di problemi hai?» Lo sento ridere.
«Vado a casa, ho visto troppi invasati oggi» gli dico.
«Dopodomani è giorno di paga.»
«E non potrei esserne più felice» gli rispondo con un sorriso prima di lasciargli un buffetto sulla guancia.
Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
Sono le 19:42  e ho due messaggi di Blake.

Ci tengo a scusarmi.

Ammettilo però, far schizzare la coca-cola dappertutto è abbastanza equivoco.

Cretino. Solo lui potrebbe collegare le due cose.
Metto la giacca, esco dal negozio e vado a slegare la bici per tornare a casa.
«Ciao, tesoro» mi saluta mio padre appena mi vede. È seduto sul divano con i pantaloni della tuta e una vecchia maglietta gialla con macchie di candeggina.
Mi tolgo la giacca e mi dirigo verso Dean. Gli lascio un bacio sulla guancia ricoperta da un accenno di barba che, di sicuro, domani non avrei trovato.
«Ciao, papà. Com'è andata al lavoro?»
«Sono stanco» mi risponde.
«Papà non è ancora arrivato?» chiedo.
«Dovrebbe arrivare a momen-»
Mio padre viene interrotto da Corey che entra in casa abbastanza rumorosamente.
Io e Dean ci scambiamo un'occhiata.
«Ciao principesse» ci saluta appena ci vede.
Ricambio il saluto ridendo, mio padre fa finta di essere offeso, ma senza risultati soddisfacenti.
«Vado in camera a cambiarmi, poi scendo per apparecchiare» dico ai miei.
Mentre salgo le scale sento uno schiocco di un bacio e le voci dei miei papà mischiarsi chiedendosi a vicenda come fosse andata la giornata.
Entro in camera e mi tiro via le magliette lasciandole per terra e metto quella comoda del pigiama. I pantaloni fanno la stessa fine.
Mi volto verso il mio letto ancora da fare e vedo Zeke addormentato. Dopo aver accarezzato il mio gattino, vado di sotto per apparecchiare la tavola.

                                      ***
Jeremy.

Agnes esce di casa palesemente imbarazzata. Io e il ragazzo che è entrato poco fa ci scambiamo un'occhiata.
«Tieni le mani a posto. Lei non va bene per te» mi dice.
«E chi saresti tu?»
«Sono suo cugino.»
"L'ho conosciuta solo due giorni fa» gli dico cercando di spiegargli le mie intenzioni amichevoli verso sua cugina.
Lui sta zitto e annuisce solamente.
«Sei una leggenda. Come avete fatto a far saltare la macchina del professore di spagnolo?» E qui la conversazione prende decisamente una piega migliore.
Salgo in macchina e vado verso casa. La radio è spenta, così la accendo e il cd che ho preso ad Agnes inizia a riprodurre la canzone che, rispetto alle altre contenute nel disco, mi piace di più.
Dopo meno di cinque minuti arrivo a casa e quando entro, mia madre sta cucinando qualcosa che sfrigola ed emana un profumo davvero molto buono.
«Ciao ma'» la saluto andando verso di lei e lasciandole un bacio sulla guancia.
«Sto cucinando il pollo alla paprika» mi dice.
«E io ti voglio tanto, tanto bene.» Il pollo alla paprika è il mio piatto preferito.
«Vai a cambiarti» dice mia madre «tra poco è pronto.»

                                     ***

Mio padre a cena ha raccontato una barzelletta talmente squallida che mia madre mi ha chiesto di chiamare qualcuno per farlo sopprimere, e sono scoppiato a ridere.
«Mamma, vado da Tyler» le dico. «Non aspettarmi alzata.»
Ovviamente non vado da Tyler.
Agnes mi ha confuso con il suo imbarazzo, perciò penso di andare da lei.
Arrivato sotto casa sua, mi arrampico sul tubo attaccato al muro e cerco di aprire la finestra, che non collabora.
Riprovo e non si apre.
Quando, guardando attraverso le tende, vedo Agnes entrare in camera, mi blocco.
Ha il pigiama con cui l'ho vista l'altra volta e i capelli bagnati. In mano ha una tazza che fuma.
Prende il portatile e lo porta sul letto con se.
Si mette sotto le coperte e spegne la luce, e sicuramente starà guardando un film o una qualche serie tv. Sto lì a guardarla per un po'. Ogni tanto sbadiglia e beve un sorso dalla tazza di star wars.
Sto lì, seduto in equilibrio sul piccolo balcone fino a quando non la vedo chiudere gli occhi.

                                      ***
Agnes.

«Julius» bisbiglio e lui si volta verso di me. «La numero tre.»
Lui guarda il suo foglio per un attimo e poi annuisce con un espressione meravigliosa.
Inutile dire che la mia verifica di storia non sta andando molto bene, e visto che il mio amico è un fenomeno in questa materia, mi aiuta sempre.
Julius tossisce, il segnale che abbiamo accordato, e io alzo la mano.
«Mrs. Cage, posso chiedere un fazzoletto a Julius?» le domando.
«Oh, certo cara.»
Il mio amico mi allunga il fazzoletto con le soluzioni sopra e faccio finta di soffiarmi il naso rumorosamente, poi copio la domanda.
Dopo dieci minuti suona la campanella e tiro un sospiro di sollievo. Meglio stendere un velo pietoso, probabilmente l'unica domanda che ho fatto giusta è quella di Julius.
«Allora, piccola scema, com'è andata?» mi domanda il mio amico stiracchiandosi. Gli faccio una smorfia e lui scuote la testa sorridendo.
Julius, i suoi capelli biondicci e il suo profumo davvero troppo buono, sono entrati a far parte della mia vita in prima media. Stavo attraversando la strada e mi ha investito mentre era sui pattini. Mi ero sbucciata entrambe le ginocchia e lui mi ha portata a casa in spalla come se pesassi pochissimo. Mi ha aiutato a medicarmi e poi ha chiesto scusa ai miei genitori. L'ho amato da quel momento. È una parte fondamentale di me e io una parte importante di lui. Io non potrei stare senza lui. I miei stravedono per Julius, è come se fosse un secondo figlio. È la persona con cui sto bene, e mi basta. Nessuno dei due ha mai pensato al nostro rapporto come rapporto amoroso. Siamo una cosa nostra, che non ha una definizione.
«Andiamo da KFC?» gli chiedo una volta fuori da scuola.
Mi guarda per un secondo. «Pago io» gli dico sospirando.
«Era questo che volevo sentire» mi risponde lo scroccone.
 
                                     ***

«Voglio avere un figlio da questo chicken nugget» dice il mio amico con la bocca piena.
«Voglio essere la madrina.»
Dopo aver finito di mangiare il pollo, leggendoci nel pensiero, io e Julius ordiniamo una fetta di torta al cioccolato. Ma ha talmente tanto cioccolato nell'impasto, nella glassa, nello sciroppo, nei pezzettini sopra quel pezzo di paradiso che, anche se siamo pieni, la mangiamo lo stesso. Non possiamo negarci i piaceri della vita.
Con due forchette, iniziamo a gustarci la torta e come due bambini, ci impiastricciamo la faccia di glassa.
«Julius, sono sporca in faccia, per caso?» gli chiedo come se non lo sapessi da me.
«Assolutamente no, sei linda e pinta esattamente come lo sono io» mi risponde sorridendo.
Finita la torta, mi abbandono sul divanetto sul quale siamo seduti e appoggio la testa sulla spalla di Julius.
«Piccoletta, se mi sporchi la maglietta ti tiro via le sopracciglia mentre dormi.»
Prendo un tovagliolo e mi pulisco la bocca, poi mi volto verso di lui.
«Sono ancora sporca?»
Trattenendo un sorriso, annuisce.
Si bagna il dito con la lingua e mi pulisce la guancia e sotto il naso. Quando ha finito, lo guardo. Non ho idea di come abbia fatto, ma si è sporcato sotto l'occhio destro e tutto il mento.
Prendo un fazzoletto e gli pulisco il mento, poi, come ha fatto lui, mi bagno il dito e pulisco la guancia sporca.
Ritorno con la testa sulla sua spalla.
«Andiamo a casa? Mi è venuto sonno» mi dice lasciando un piccolo bacino sulla mia fronte. Io annuisco.
Mi offre il braccio e usciamo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3447172