Luna d'argento: Alfa e omega

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sano principio ***
Capitolo 2: *** Aura ***
Capitolo 3: *** Al sicuro ***
Capitolo 4: *** Predatore dell'aria ***
Capitolo 5: *** La parola ai saggi ***
Capitolo 6: *** Villaggio in festa ***
Capitolo 7: *** Le emozioni di una figlia ***
Capitolo 8: *** Due fiere e il loro regno ***
Capitolo 9: *** Le aquile gemelle ***
Capitolo 10: *** Stirpe valorosa ***
Capitolo 11: *** Cuore di madre ***
Capitolo 12: *** La realtà dei gioielli ***
Capitolo 13: *** Branco sotto scacco ***
Capitolo 14: *** L'alba del nemico ***
Capitolo 15: *** In lotta contro la bestia ***
Capitolo 16: *** Il nostro dopoguerra ***
Capitolo 17: *** Nobiltà d'animo e cuori felici ***
Capitolo 18: *** Cuccioli d'uomo ***
Capitolo 19: *** Amore oltre la morte ***
Capitolo 20: *** Addio o arrivederci? ***
Capitolo 21: *** I nostri amici umani ***
Capitolo 22: *** Forti e uniti ***
Capitolo 23: *** Dichiarazione di guerra ***
Capitolo 24: *** Pronti a combattere ***
Capitolo 25: *** Liberi di vivere ***



Capitolo 1
*** Sano principio ***


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Luna d’argento: Alfa e omega

Capitolo I

Sano principio

Il giorno arrivava con il sole, puntuale dopo la notte. Mi svegliavo per l’ennesima volta nel mio mondo, la verde e rigogliosa foresta. Sbadigliando silenziosamente, mi rimetto in piedi, e guardandomi intorno, non vedo che i miei figli e mia nonna. Brutus, Nova e Delta, i miei amati nipoti, hanno ormai compiuto un anno d’età, e nonostante la crescita imminente, non rinunciano a dormire gli uni al fianco degli altri, quasi a volersi reciprocamente proteggere anche durante il sonno. Quella tenera scena mi strappa un sorriso, e appena un attimo dopo, il mio sguardo si posa sul sentiero a me vicino. Lo stesso, conduce nei meandri della foresta, e muovendo alcuni incerti passi in avanti, annuso il terreno, sperando, nonostante il lungo lasso di tempo ormai trascorso, di riuscire a trovare anche una minima traccia di mia sorella. Notandomi, mio fratello Rhydian mi ferma. Proprio come me, è perfettamente consapevole della sua tragica morte, ma contrariamente a lui, io non riesco a rassegnarmi. Era mia sorella, e le volevo bene, e nonostante le liti e gli screzi che eravamo solite avere da cucciole, una di noi due era poi sempre pronta a compiere il primo passo del cammino che ci avrebbe condotte al perdono del torto subito, e nella maggioranza dei casi, io sceglievo di agire, prima che lei potesse farlo. Ad essere sincera, non credo di essere mai stata una lupa solitaria e litigiosa, ma al contrario amavo e amo la mia intera famiglia, composta non soltanto da chi mi è parente, ma anche da chi è vicino al mio cuore, proprio come l’umana Saskia. Non la vedo da molto, e il suo pensiero continua a galleggiare come una barca su un metaforico lago all’interno della mia mente. Ad ogni modo, ignoro il tentativo di mio fratello portandolo al fallimento, e continuando a camminare, raggiunto un punto a dir poco critico. Mi muovo con molta più decisione, e improvvisamente, lo vedo. Un piccolo e colorato fiore è spuntato fra l’erba, proprio nell’esatto luogo dove mia sorella era rimasta immobile e priva di forze nel triste giorno della sua dipartita. Alcuni giorni dopo la sua scomparsa, i miei congiunti ed io abbiamo deciso di agire, e raggiungendo il villaggio degli umani, abbiamo mostrato loro il corpo. Quell’unico gesto era bastato a comunicare le nostre intenzione, e ancora una volta, ho assistito, ferma, afona e inerme, alla cerimonia dell’ultimo saluto. È ormai passato quasi un anno, eppure ricordo tutto. Il dolce e piacevole odore della lavanda che si insinuava nel mio umido naso, il letto di paglia su cui venne adagiata, l’acre incenso che bruciava assieme ad un ciuffo del suo grigio pelo. Nonostante l’andar del tempo, ogni singola cosa. Quasi istintivamente, mi volto. Mia figlia Cora è placidamente addormentata, e avvicinandomi di soppiatto, provo a svegliarla. e ridestandosi dal torpore in cui è caduta nell’ormai lontana e scorsa notte, è colpevole del risveglio dei due fratelli. Mugolando qualcosa in risposta, si lamenta, e alzandosi in piedi, mi guarda con aria interrogativa. “Cosa c’è?” sembra chiedere, continuando a guardarmi e non proferendo parola. King e Murdoch la imitano dopo alcuni preziosi secondi, e mantenendo il silenzio, attendono una risposta. Colta alla sprovvista dal dolore derivante da quei tristi ricordi, non ho la forza di parlare, e per pura fortuna, qualcun altro sceglie di farlo per me. “La ricordi ancora, vero?” chiede Rhydian, sottilmente sarcastico. “Era nostra sorella.” Rispondo, mentre i miei occhi azzurri bruciano a causa di non poche lacrime desiderose di uscirne rovinando il mio piano di mantenere la calma. “Vuoi rivederla?” indaga poi mia nonna, tacendo nell’attesa di un mio parere a riguardo. Scivolando nel più completo mutismo, mi limito ad annuire, e preparandomi a seguirla, non riesco ad evitare di posare il mio sguardo sui miei nipoti. Giovani, forti, agili, eppure forse troppo provati dagli eventi e non ancora pronti a seguire le nostre orme. Brutus e Delta prendono parte a quel muto gioco di sguardi, e negando con un singolo cenno del capo, esprimono il loro dissenso. “Vengo con voi.” Esordisce Nova, con le zampe che tremano e gli occhi che brillano. “Sei sicura?” non posso evitare di chiedere, volendo unicamente evitare che soffra come in quella nefasta notte. “Certo. Era mia madre, ed io le renderò giustizia.” Rispose, guardandomi con aria fiera e convinta. Mantenendo il silenzio, le diedi le spalle, vedendola quindi iniziare a camminare al mio fianco. Per qualche arcana ragione, il nostro viaggio si rivelò più lungo del previsto, ma nonostante tutto, ci impegnammo a fondo al solo fine di perseguire il nostro obiettivo. Con lo scorrere dei minuti, i nostri passi apparivano sincronizzati, e dopo un tempo che nessuno di noi fu in grado di definire, la nostra meta. Eravamo ormai arrivati, e abbaiando, sperai di attirare l’attenzione degli umani. Sapevo bene che Astral era stata sepolta nel suo villaggio, ma ero anche perfettamente consapevole di un secondo particolare, secondo il quale Saskia e i suoi genitori erano le uniche persone a conoscere l’esatta ubicazione della sua tomba. Alcuni preziosi attimi svanirono come nebbia e polvere dalle nostre vite, e vedendola raggiungerci, venni pervasa dalla gioia. Uno sguardo bastò a comunicare con lei, e guardandomi indietro, la convinsi delle mie vere intenzioni. Un mio debole uggiolio ruppe il silenzio, e facendoci strada, ci convinse a seguirla. Camminando, giungemmo alla fine del sentiero prossimo alla sua casa, e ai piedi di un albero, notai una sorta di fossa. Un fiore era da poco spuntato lì accanto, e avvicinandomi, lasciai che qualcosa di completamente diverso entrasse nel mio campo visivo. Chronos era già lì, e mantenendo il silenzio, si limitava a posare una zampa su quella piccola e fredda lapide. Cadendo, le sue fredde e amare lacrime bagnarono l’inospitale e nuda terra, e improvvisamente, un singolo suono abbandonò le sue labbra. “Astral.” Il nome di mia sorella pronunciato con una dolcezza tale da riuscire a sciogliermi il cuore, e appena un attimo dopo, un gesto ancor più nobile. Mia nipote Nova mosse alcuni decisi passi in avanti, e posando il suo sguardo su di me per alcuni sporadici secondi, scelse di lasciare una sua impronta nel terreno. Il dolore si impossessò poi di lei, che mugolando per il dolore, trovò subito rifugio accanto a Saskia, che notando la sua sofferenza, si inginocchiò al solo fine di abbracciarla. Il tempo continuò quindi a passare, e durante il nostro viaggio di ritorno verso casa, non feci altro che pensare. Noi lupi eravamo animali territoriali, e malgrado la forza di emozioni e sentimenti quali l’amore e la gelosia, riuscivamo ad essere perfettamente leali, arrivando a compiere gesti dettati dal dolore e dalla nostra stessa impulsività al solo fine di onorare i nostri morti. Il comportamento di Chronos continuava a stupirmi, e sdraiandomi in terra prima di dormire, compresi che eravamo un branco unito, ma che ognuno di noi agiva per un proprio sano principio.

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Capitolo 2
*** Aura ***


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Capitolo II

Aura

Il dorato sole del mattino mi solleticava il muso e gli occhi, e svegliandomi, continuavo a guardarmi intorno. Ogni membro della mia famiglia era ancora accanto a me, e nulla sembrava cambiato. Molti sostengono che la notte sia portatrice di consigli, ma a mio avviso, la stessa dispensa novità. Difatti, qualcosa di nuovo aleggia nel bosco. Trasportato dal vento, un nuovo odore. Non ricordo di averlo mai sentito, eppure mi giunge incredibilmente familiare. In questo preciso istante, vorrei davvero svegliare i miei congiunti e allertarli di quello che credo essere un pericolo, ma notando la stanchezza e lo stato in cui versano, preferisco lasciare che riposino. Ad ogni modo, i minuti passano, e quell’odore non scompare. Le mie narici ne sono ormai piene, e il bosco mi attende. Lanciandomi quindi in una corsa sfrenata, annuso alternativamente l’aria e il terreno, sperando di raccogliere ulteriore indizi circa l’ora sospetta provenienza di quella scia odorosa. Nulla da fare. Le mie speranze si affievoliscono, e improvvisamente, un suono mi distrae. I miei amici gufi sono corsi in mio aiuto, e volando silenziosi, solcano i cieli a me irraggiungibili. Squarciando il silenzio, lanciano strilli acuti, e continuando a correre, mi concentro sul mio obiettivo. La mia corsa pare non aver fine, e mentre il bosco si fa progressivamente più fitto, qualcosa mi blocca. Una voce conosciuta pronuncia il mio nome, e guardando dritto di fronte a me, lascio che i nostri sguardi si fondano. Silver mi ha raggiunta, e incredibilmente non è solo. Una femmina è immobile al suo fianco, e un particolare, il colore dei suoi occhi unito a quello del suo pelo, mi colpiscono. Iridi verdi come la foresta stessa, e un manto color dell’avorio. Non riesco a crederci, eppure quella lupa condivide con il mio Scott una somiglianza a dir poco disarmante. “Cosa vuoi da me? e chi è lei?” chiedo, confusa e spaventata dalla sua vista. “Runa, ti prego, sta calma. Noi vogliamo aiutarti.” Esordì Silver, avvicinandosi lentamente al solo scopo di ammansirmi. Indietreggiando, facevo in modo che la distanza esistente fra me e lui rimanesse uguale, e tremando come una leggera foglia, mi scoprivo incapace di calmarmi. “Andrà tutto bene, te lo prometto. Ora seguici, e lasciati aiutare.” Continuò la lupa dal pelo scuro, sorridendo in maniera debole ma al contempo convincente. Scuotendo leggermente la testa, mi decisi, e accostandomi ai miei due amici, iniziai a camminare senza proferire parola. Il tempo scorreva, e un dubbio mi lacerava le membra. Tentavo in ogni modo di non pensarci, ma l’aspetto della lupa che aveva scelto di aiutarmi non fa che ricordarmi il mio amato, e guardandola, fui vinta dalla tentazione di porre la fatidica domanda. “So che è incredibile, ma somigli moltissimo a…” in quel momento, la vergogna mi impedì di parlare, e la frase mi morì in gola. Sorprendentemente, la mia amica parve leggermi nel pensiero. “Scott?” azzardò, sempre sfoggiando quel debole sorriso. “Come lo sapevi?” chiesi, venendo colta alla sprovvista dal suo acume. “Era mio fratello.” Rispose, lasciando che la felicità abbandonasse il suo viso spegnendosi come una candela. A quelle parole, non risposi, ma un ricordo mi fece letteralmente sussultare. Stando alle mie nitide rimembranze, Scott non mi aveva mai parlato della sua famiglia, ma ad essere sincera, avrei dovuto capirlo. Un branco non è che un nucleo familiare, e ora la cruda verità si mostrava ai miei occhi, confondendomi e spiazzandomi come mai prima. Barcollando, rischiai di cadere, e sforzandomi di rimanere in equilibrio, fissai lo sguardo su un immaginario punto lontano, scoprendo quindi di essere ormai giunta a destinazione. Silver si era ormai fermato, e con lui quella che credevo essere la sua compagna. “Benvenuta alla tana.” Disse lei, che intanto aveva ritrovato la calma e appariva tranquilla. Sorridendo a mia volta, mi guardai intorno. “Sembri felice, osservai, sedendomi e continuando a guardarla in attesa di scoprire la sua identità. “Lo siamo.” Proruppe Silver, interrompendo il flusso dei miei pensieri e avvicinando alla lupa unicamente per deporre un bacio sul suo muso. A quella vista, sorrisi. Istintivamente, ricordai i tempi felici trascorsi al fianco della mia metà, e rompendo il silenzio, scelsi di parlare. “Non conosco il tuo nome.” Dissi, riferendomi alla compagna di Silver. “Sono Aura.” Rispose, sperando che riuscissi a perdonare quella sorta di dimenticanza. Avvicinandomi, la salutai, e tornando a sedermi ai piedi di un albero, continuai a studiare l’ambiente circostante. Avevo appena stretto una nuova amicizia, entrando in contatto con una femmina dal nome enigmatico quanto il corso degli eventi nella mia vita.    

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Capitolo 3
*** Al sicuro ***


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Capitolo III

Al sicuro

Seppur non volendo, avevo finito per addormentarmi sotto al grande albero che aveva messo radici poco lontano dalla tana del mio amico Silver, e sentendomi chiamare da una voce nella mia testa, mi svegliai di soprassalto. Notandomi, i miei amici tentarono di tranquillizzarmi, e parlando con Aura delle ansie che mi divoravano l’anima da tempo ormai immemore, mi sentii decisamente meglio. Comodamente sdraiata fra l’erba, non faceva che pormi domande, alle quali rispondevo senza esitazione. “Pensi ancora a mio fratello?” esordì, dando inizio a quello che consideravo un amichevole interrogatorio. “Non sai quanto.” Ammisi, con la voce corrotta dal dolore e il muso contratto in una smorfia di sofferenza. “Tu e Silver sembrate felici, ma Scott ed io eravamo diversi.” Dissi poi, guardandola negli occhi e sforzandomi di non piangere ricacciando indietro piccole e amare lacrime. “Vi amavate?” continuò, per poi tacere nell’attesa di una mia risposta. “Profondamente.” Confessai, lasciando che le mie labbra si dischiudessero in un luminoso sorriso. “Come sai se n’è andato, ma mi ha lasciato dei regali stupendi.” Aggiunsi, sentendo la gioia farsi largo nel mio giovane cuore. “Che vuoi dire?” chiese poi, spinta da una comprensibile e genuina curiosità. “Abbiamo avuto dei cuccioli.” Ammisi, lasciando che i miei pensieri volassero liberi come uccelli intenti a sfuggire ai rigori dell’inverno che presto sarebbe tornato. “Ora sono adulti, e non esiste giorno in cui io non veda in loro una sua somiglianza. “Confessai, scivolando poi nel mutismo e ponendo fine a quella discussione. “È passato molto tempo ormai… perché non trovare un’altra metà? Non vorrai rimanere da sola, giusto?” osservò la mia amica, rompendo il silenzio mantenuto fino a quel momento. La reazione che seguì quelle parole fu totalmente inaspettata, e piombando letteralmente di fronte a lei, ringhiai con forza, riuscendo a sentire perfino un rivolo di bava abbandonare la mia bocca. “Mai! Lui era il mio compagno, e se due lupi si accoppiano è sempre per la vita!” urlai, perdendo completamente il controllo delle mie emozioni e ponendo inaudita enfasi sull’ultima frase che pronunciai. Non potevo crederci. Aura, la lupa della quale ero finalmente riuscita a fidarmi, e inizialmente mostratasi amichevole, ora pronunciava quelle parole. Indignata, le diedi le spalle, e fuggendo nel bosco, mi augurai di riuscire a tornare indietro sana e salva. Il viaggio che mi aveva condotto alla sua tana era stato incredibilmente lungo, e dato il forte vento che spirava scuotendo i rami degli alberi senza pietà, gli odori e le piste che ero solita seguire svanivano senza fare ritorno, e per la prima volta dopo un così lungo lasso di tempo, iniziai a sentirmi nuovamente persa. La rabbia e lo screzio avuto con Aura avevano prosciugato gran parte delle mie energie, e la mia vista iniziava ad annebbiarsi. Di fronte a me solo figure indistinte, e una stanchezza indescrivibile era in procinto di impossessarsi del mio corpo. Soccombendo al dolore provato, mi accasciai a terra, temendo di morire e divenire il lauto pasto di un affamato falco o di uno scaltro avvoltoio, animali poco magnanimi e mai pronti a sacrificare una preda per volontà o costrizione. Ero incapace di muovermi, e i miei erano chiusi. Uno svenimento non era che il risultato della mia spossatezza, e rimanendo immobile, parlavo con me stessa, pregando di riuscire a restare in vita. Il mio branco e la mia famiglia erano per me troppo importanti per essere abbandonati, e mai, in nessuna occasione, mi sarei permessa di lasciarli da soli. In altri termini, sapevo bene che avrei continuato a lottare per esistere, riuscendo nell’intento di svegliarmi e tornare al sicuro.

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Capitolo 4
*** Predatore dell'aria ***


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Capitolo IV

Predatore dell’aria

Avevo fallito. Ce l’avevo messa tutta, ma avevo fallito. Le forze mi avevano nuovamente abbandonata, non lasciandomi scelta dissimile dal venir meno cadendo pesantemente in un cespuglio di rovi. Ora come ora, non riesco a svegliarmi, eppure sento che qualcosa mi solletica il pelo. Con uno sforzo immane, apro lentamente gli occhi, e noto il fragoroso scrosciare della pioggia primaverile. Cadendo, questa mi bagna il pelo, e riuscendo finalmente nel forse misero intento di rialzarmi, non sento che dolore. Una spina mi è entrata nella zampa, e ogni passo è una sofferenza, una sorta di castigo che sono costretta a sopportare, ben sapendo che i miei lamenti non possono essere uditi da nessuno. Il tempo scorre, e la mia vista si annebbia. Alcune piccole e vermiglie gocce di sangue mi scivolano sul muso, poiché anche al mio occhio sinistro è toccata la stessa e medesima sorte di una delle mie zampe anteriori. Per pura fortuna, non sanguinavo copiosamente, e nel semplice tentativo di comunicare la mia presenza e chiedere aiuto, ruppi il silenzio con un forte ululato. Forse non avrei dovuto farlo, ma ero di nuovo sola, lontana dal mio branco, e quella era l’unica delle mie possibilità. Mentre il dolore mi pervadeva, speravo ardentemente di riuscire ad attirare la loro attenzione e convincerli a venire in mio soccorso, e pur guardando dritto di fronte a me, non vidi nulla. Con fare sconsolato, spostai il mio sguardo sull’ora plumbeo cielo coperto dalle nuvole. La pioggia continuava a cadere con velocità inaudita, e improvvisamente, una nube venne squarciata come l’oscurità della notte. Il grido di un volatile raggiunse quindi le mie orecchie, bucandomi il timpano senza alcun ritegno. Quasi per istinto, mossi il capo in direzione di quel suono, e mantenendo il silenzio, notai un’aquila dalle piume marroni come foglie autunnali. Le piume del capo bianche come neve, e il becco, fine e appuntito, di un giallo quasi aureo. “Chi sei? Cosa ci fai qui?” chiesi, ritrovandomi preda dell’ansia e della confusione. “Calma, giovane lupa. Sono qui per aiutarti.” Disse, sperando con quelle parole di riuscire ad ammansirmi. Per nulla convinta delle sue intenzioni, ringhiai sonoramente, ma il fiero volatile parve ignorarmi. “Il tuo branco ha bisogno di te. Ora va da loro, e sii forte, gloriosa Runa.” Continuò, mantenendo una calma e una compostezza incredibili. Appena un attimo dopo, il mio interlocutore si dileguò sparendo fra le nubi, e continuando a camminare nonostante il lancinante dolore che mi attraversava il corpo, la mia mente venne travolta dai dubbi. “Chi era quell’essere? Come sapeva il mio nome? Perché mi chiamava gloriosa?” pensavo, torturandomi le membra fino a sentirle dolere. Interrogativi che non avrebbero forse mai trovato una vera risposta, ma sui quali continuai a concentrarmi per il tempo e le ore a venire. Ad ogni modo, con il calare della notte e lo spuntare dell’argentea luna nel cielo ormai tinto di nero a causa dell’oscurità, vidi con i miei stessi e azzurri occhi ogni speranza abbandonarmi definitivamente. Mi ero davvero persa, ed esisteva una possibilità secondo la quale non sarei mai riuscita a tornare a casa. Fortuna volle che le stelle continuassero a sorridermi, e nel buio della notte, una luce conosciuta. Il brillare delle iridi di mio fratello Rhydian. A quanto sembrava, non tutto era perduto. Aveva sentito i miei lamenti e il mio incessante ululare, e preoccupandosi, era venuto a cercarmi. “Runa!” mi chiamò, felice di rivedermi. “Grazie alla luna stai bene!” aggiunse, avvicinandosi e accostando il suo muso al mio. “Vieni, ti riporto al branco.” Disse poi, invitandomi a camminare al suo fianco e seguirlo. Fissando il suo sguardo sul terreno, Rhydian notò la presenza di una fastidiosa spina, ormai penetrata così a fondo nella mia zampa da fare in modo che ogni impronta da me lasciata risultasse coperta di rosso sangue. “Resta ferma.” Pregò, invitandomi a sollevare l’arto ferito e rimuovendo la causa del mio malessere con il solo uso dei denti. Tale gesto risultò in un dolore inizialmente atroce, destinato tuttavia ad essere lenito dalla presenza della soffice erba pregna di lucente rugiada, che agiva da panacea per la mia vistosa ferita. Ad ogni modo, i minuti continuarono a scorrere, e dopo un tempo interminabile, giunsi di nuovo a casa. Al mio tanto sospirato ritorno seguì una calda accoglienza da parte dei miei congiunti, in particolare i miei vetusti nonni, che alla mia vista affermarono di avermi aspettato in piedi per quasi un intero giorno, rinunciando quindi al sonno e al riposo. Avvicinandosi, sfregai il mio muso contro i loro, e notando la ferita in prossimità del mio occhio sinistro, mio nonno si affrettò a ripulirla dal sangue. “Sdraiati.” Chiese, in tono quasi supplichevole. Obbedendo a quella sorta di ordine, mi acquattai fra l’erba, vedendo poi che una piccola foglia mi veniva adagiata sull’occhio. “Ora dormi, domani starai meglio.” proruppe mia nonna, fornendomi un utile consiglio e posando su di me il suo sguardo docile e amorevole. Guardandola a mia volta, non potei fare a meno di sorridere leggermente. Il tempo passava per noi tutti, e anche per lei. A suo dire ero ancora giovane e forte, con tutta una vita davanti, ma da ormai quasi un anno, continuava a ripetere che né a lei né al marito sarebbe rimasto molto da vivere. Prontamente, smentivo ogni volta tale inezia, credendola irreale e priva di alcun fondamento logico, salvo poi sospirare mestamente e arrendermi all’invincibile evidenza. Era vero, e presto o tardi anche lei sarebbe morta, unendosi al mio amato Scott e a mia sorella Astral in quello che sia noi che gli umani conoscevamo come aldilà. Grazie al cielo e alla luna la sua salute non era cagionevole, e mantenendo la mia immobilità, mi decisi. Sapevo bene che era la più saggia fra di noi, e prendendo un profondo e ampio respiro, scelsi di chiederle chiarimenti e spiegazioni riguardo ad ognuno dei dubbi che con estrema lentezza si era insinuato nella mia mente, proprio come freddo vento fra le crepe di un muro. “Nonna?” la chiamai, sperando di attirare e ottenere la sua attenzione. “Sì?” chiese, incerta e dubbiosa. “Possiamo parlare?” indagai, conservando la segreta speranza di vederla acconsentire e realizzare il mio desiderio. “Lo faremo domani.” Rispose, parlando in tono serio ed evitando di voltarsi. Continuando a guardarla, non demorsi, e ringhiando in maniera poco offensiva, sperai invano di convincerla. “Ho detto domani.” Ripetè, ponendo inaudita enfasi sull’ultima parola che pronunciò. Sorprendentemente, il suo tono sembrava essersi fatto più cupo, e lasciandomi vincere dalla paura, scelsi di desistere. Provocare la sua ira in un momento così delicato era certamente l’ultimo dei miei pensieri, e riflettendo, mi illuminai in perfetta autonomia. Un giorno, in un futuro non troppo lontano, avrei scoperto la realtà che si celava dietro alle parole del predatore dell’aria.  
 

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Capitolo 5
*** La parola ai saggi ***


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Capitolo V

La parola ai saggi

Ancora una volta, ero sveglia e vigile. Non avevo dormito, rimanendo in piedi per tutta la notte e scoprendomi troppo impegnata a pensare e tracciare linee e solchi nel terreno dove ero certa che l’erba non sarebbe cresciuta. Non avevo la minima idea del perché, ma per qualche strana ragione, non facevo che pensare alle parole di quella saggia aquila, grondanti una verità che ancora non conoscevo. Il mattino stava per farci visita, e con il sorgere del sole, mi recai subito da mia nonna. “Lo faremo domani.” Mi aveva detto nell’ormai scorsa notte, alludendo alla misteriosa conversazione che avremmo avuto nei giorni a venire. Guardandola, la invitai a dare inizio al suo discorso, e squarciando il silenzio, i miei amici gufi scesero in picchiata, iniziando quindi a zampettarmi intorno. “Grazie di essere venuti.” Esordì mia nonna, guardando i tre volatili negli occhi color dell’oro. In quel momento, scoprii la verità. A quanto sembrava, ciò che la mia saggia e vetusta nonna aveva da dirmi appariva di vitale ed estrema importanza, tanto da richiedere perfino la presenza dei miei custodi alati. “Dovremo farlo noi?” chiese Owen, per poi piombare nel silenzio e attendere una risposta. “Fare cosa?” mi intromisi, spinta da un’insaziabile e genuina curiosità che speravo qualcuno fosse in grado di soddisfare. È giunto il momento per te di conoscere una nuova realtà. Drizza le orecchie, nipote mia, non mi ripeterò.” Continuò mia nonna, per poi scivolare per alcuni sporadici secondi nel più completo mutismo. I minuti scorrevano, e la mia ansia saliva. I miei congiunti mi si stringevano intorno, e ad essere sincera, avevo paura. Sin da quando non ero che una cucciola innocente e indifesa, i cambiamenti mi avevano sempre spaventata, e perfino ora, in palese età adulta, le cose non erano per me cambiate neanche di una misera virgola. Seduta di fronte a mia nonna, rimanevo ferma e inerme, e improvvisamente la vidi aprir bocca per parlare. “Sei pronta?” mi chiese, al solo fine di spezzare la tensione che ogni essere nell’intera foresta avvertiva sulla propria pelle. “Sì.” Mi limitai a rispondere, deglutendo e sperando di riuscire a sciogliere lo stretto nodo che intanto si era formato all’interno della mia gola. “Ricordi i graffiti nella caverna degli umani?” indagò, tergiversando ancor prima di procedere e riuscendo a farmi sdraiare su un metaforico letto di spine. Mantenendo il silenzio, non feci che annuire, per poi avere la sfortuna di vederla chiudere gli occhi. Per quanto ne sapevo, il silenzio da parte sua non era mai di buon auspicio, e vederla serrare le palpebre era da sempre un segno perfino peggiore. “Avevi ragione. Gli umani che conosci sono individui di buon cuore, e cercano in ogni modo di avvertirti. Disse, parlando in tono serio e non mancando di apparire irrimediabilmente enigmatica. Cosa?” ebbi la sola forza di chiedere, con la paura negli occhi e il terrore nell’animo. “Scar è ancora vivo, e assieme a noi vogliono muovergli guerra. Da soli non ce la faranno, e noi dobbiamo aiutarli. Solo così la sua minaccia svanirà per sempre. Credi di farcela?” rispose, erudendomi e completando il suo discorso con quella domanda. La stessa, ebbe il potere di spiazzarmi e lasciarmi senza fiato e parole. Conoscendomi a fondo, sapevo bene di potermi definire impulsiva e al contempo onesta, ma in tale situazione, sentii che il dolore aveva di nuovo raggiunto il mio corpo e la mia mente, riportando a galla pensieri riguardanti i miei trascorsi e il mio passato, secondo i quali non ero sola, ma dentro di me sentivo di esserlo. Il mio amato Scott non era più al mio fianco, e data la sua assenza, non mi sentivo all’altezza di tale compito, ma ad ogni modo, ero combattuta. Avrei potuto mentire e accettare, rischiando quindi la mia vita per i miei congiunti e la mia famiglia umana, o dire il vero e comportarmi da vigliacca. Un aggettivo che non userei mai per descrivermi, e che mai avrebbe abbandonato le mie labbra. Ero spaventata, certo, ma non vigliacca. Andando alla disperata ricerca di chiarezza, chiusi gli occhi, ed inspirando, ricordai. Ero figlia dei due capibranco Alistair e Nadia, e sapevo che entrambi, dall’alto dei cieli o di un luogo a me sconosciuto, osservavano ogni mia mossa. Rivedendo i loro volti nel profondo dei miei ricordi, parlai con me stessa, e il mio pensiero parve riflettersi nelle parole di mio fratello Rhydian. “Puoi farcela.” Mi disse, sorridendo leggermente e volendo unicamente tentare di infondermi la sicurezza e il coraggio che mi mancavano. “Crediamo in te.” Dissero poi in coro i membri del mio branco, parlando in tono serio e al tempo stesso colmo di fiducia nei miei riguardi. Scavando più a fondo, rividi anche il volto della mia amica Saskia, rimembrando l’ira e la collera presenti negli occhi del padre, primo degli umani ad aver scelto di attaccare Scar e il suo branco, e capo di tale rivolta contro il terrore che spargeva ovunque  riuscisse ad arrivare, uccidendo qualunque fiera o uomo tentasse di ostacolarlo. Tutti noi ne avevamo avuto abbastanza. Troppi branchi erano stati decimati a causa sua, e troppi umani uccisi o mortalmente feriti a causa dei suoi gesti. Nessuno sapeva quale fosse il suo vero scopo, celato da un apparentemente insensato desiderio di distruzione, sangue e dolore, ma io sì. Lui voleva me, me e nessun altro. Ad ogni modo, sapeva bene di non potermi convincere a passare dalla sua parte, e tentando di far leva sulla mia sensibilità unita alla mia insicurezza, attaccava senza sosta apparente coloro che amavo. Prima il mio Scott, poi mia sorella Astral, per poco non anche mia nipote Nova, e solo la muta e argentea luna sapeva chi sarebbe un giorno stata la sua prossima vittima. Riaprendo gli occhi, tornai in fretta alla realtà dalla quale mi ero estraniata, e guardando ognuno dei miei congiunti negli occhi, mi preparai a dir loro la nuda e cruda verità. “Devo pensarci.” Dissi, chinando il capo a causa della vergogna provata e dando loro le spalle al solo scopo di abbandonarli e nascondermi nell’ombra ancor prima della notte.

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Capitolo 6
*** Villaggio in festa ***


Luna-d-argento-III-mod
 
Capitolo VI

Villaggio in festa

Il canto di un uccello mi invitava a svegliarmi e dare inizio alla mia giornata, e aprendo gli occhi, notai che i miei nonni erano già in piedi, ma a differenza del resto dei miei congiunti, impegnati in una battuta di caccia o intenti a lottare tra loro per divertimento, loro rimanevano fermi e immobili, concentrati unicamente sulle loro rispettive immagini riflesse nell’acqua del fiume. “Va tutto bene?” chiesi con un filo di voce, avvicinandomi e provando istintivamente pena per entrambi. “Come già sai non ci resta molto, e perfino quest’acqua è piena di ricordi. Guarda bene, li vedi anche tu?” rispose mio nonno Titan, per poi invitarmi a posare il mio sguardo sulla limpida acqua del tranquillo fiume dove ognuno di noi era solito abbeverarsi. Inizialmente, rimasi interdetta, per poi essere colpita da un lampo di genio e comprendere la realtà delle parole di mio nonno. Concentrandomi a fondo, usai la mia immaginazione, e appena un attimo più tardi vidi i volti di Scott e Astral sostituirsi al mio. Colta da un dolore che credevo sopito, soffocai con tutte le mie forze il nodo che minacciava di attanagliarmi la gola impedendomi di respirare, e dando le spalle a quel corso d’acqua, pronunciai una singola e semplice frase. “Se mi cercate, sarò al villaggio.” Dissi, sottintendendo il mio voler far visita alla mia cara amica Saskia. Non la vedevo da tempo, ed ero certa che anche lei sarebbe stata felice di rivedermi. Correndo fra gli alberi della foresta, rimanevo concentrata sul mio obiettivo, riuscendo a raggiungerlo dopo solo pochi minuti. Non appena arrivai, notai una sorta di particolare. Sembrava incredibile, eppure l’intero villaggio della mia amica era in fermento. Non riuscivo a vederla, e andando alla ricerca della sua umile dimora, vagavo senza proferire parola. Improvvisamente, li vidi. I genitori di Saskia. Camminavano al fianco della figlia, e suo marito Truman le stringeva la mano. Abbaiando felice, cercai di attirare la sua attenzione, e vedendola voltarsi, sorrisi. Appariva felice, e magnifica in un abito acquamarina. Avvicinandosi, si inginocchiò per accarezzarmi, e imitandola, Truman mi posò una mano sulla testa. Guardandolo, sfregai il muso contro la sua mano, e fu allora che lo vidi. Il suo ventre appariva leggermente gonfio, e sembrare nascondere una sorpresa, un piccolo segreto che avrei scoperto al momento giusto. Mugolando leggermente, mi avvicinai fino a leccarle il viso. “Da brava, scendi.” Chiese, ridendo divertita. Abbandonandomi ad un secondo uggiolio, obbedì, pur non desistendo dal seguirla. Silenziosamente, parlavo con me stessa, e ad ogni passo, mi chiedevo dove stessero andando. Mi concessi quindi del tempo per riflettere, e continuando il mio inudibile soliloquio, compresi che qualcosa stava per accadere. Temendo per la sua incolumità, afferrai una manica del suo vestito, e ringhiando debolmente, tentai di convincerla a cambiare strada. Notando il mio a suo dire strano comportamento, mi colpì il muso in maniera poco offensiva, per poi provare a consolarmi. “Runa, starò bene, tranquilla.” Mi disse, inginocchiandosi nuovamente di fronte a me. A quelle parole, emisi un ennesimo lamento, per poi scegliere di fidarmi e sorridere. Alcuni minuti passarono, e senza aver modo di accorgermene, mi ritrovai davanti alla casa che le apparteneva, e che ora condivideva con il marito. Aprendo la porta, mi invitò ad entrare, e attraversando un ampio corridoio, raggiunsi una piccola stanza. Le pareti erano decorate con dei vistosi fiocchi dai colori caldi e vivaci, e al centro della camera troneggiava una piccola culla. In quel momento, la verità si palesò davanti ai miei occhi. Truman e Saskia si erano amati, e incredibilmente, stavano per avere un bambino. Un nuovo arrivo nella loro famiglia, un piccolo membro del villaggio dove vivevano, e un momento di luce e felicità nelle nostre rispettive vite. Salutando Saskia con un’affettuosa leccata sul viso, decisi di tornare a casa. Durante il viaggio di ritorno, lasciai che il vento, occupato a spirare facendo muovere i rami degli alberi e gli esili steli d’erba, mi calmasse i nervi. Una volta tornata alla tana, scelsi di riposare accanto al fiume, e poco prima di cadere preda del sonno e addormentarmi, rividi in quelle chiare, fresche e dolci acque il volto della mia grande amica. Augurandole ogni bene, mi abbandonai fra le braccia di Morfeo, ben sapendo che ciò che l’aspettava non era che una nuova vita unita ad un intero villaggio in festa.    

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Capitolo 7
*** Le emozioni di una figlia ***


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Capitolo VII

Le emozioni di una figlia

Un giorno. Soltanto un ennesimo giorno era passato, e dopo la mia visita al villaggio umano, ero tornata alla foresta, ricevendo la calda accoglienza del mio branco. Anche se dopo un tempo infinitamente lungo, avevano capito che i miei amici erano gente di buon cuore, e che potevamo fidarci. Ad ogni modo, mi scoprivo intenta a fissare il tranquillo specchio d’acqua dove solevo abbeverarmi sin dai miei tempi da cucciola, e voltandomi, notai un particolare capace di scioccarmi e riportarmi alla realtà dalla quale mi ero forse involontariamente estraniata. Tutti i miei congiunti erano al mio fianco, e l’unica assente all’appello era mia figlia Cora. Preoccupata, mi guardai intorno chiamando il suo nome, ma da parte sua nessuna risposta. Una delle mie ragioni di vita era scomparsa, ed io non riuscivo a darmi pace. Il tempo scorreva, e con l’andar dello stesso, i membri del mio branco assistevano all’aumentare della mia preoccupazione, che in un momento del genere, raggiungeva livelli storici e mai toccati prima. “Qualcuno sa dov’è andata?” chiesi, rivolgendomi ai suoi fratelli e ai cugini, che come me, erano esterrefatti. Scuotendo la testa, non fecero altro che affievolire le mie speranze. Istintivamente, mi voltai verso Chronos e Dharma, suoi zii acquisiti. Mantenevo il silenzio, ben sapendo che il mio mutismo appariva eloquente. Per tutta risposta, i miei amici partirono alla sua ricerca, lasciandomi sola nella disperazione e nell’impotenza. Sconsolata, mirai il cielo, e concentrandomi sul volo di un uccello, mugolai sommessamente. Subito dopo mi sdraiai fra l’erba, sperando di cadere preda del sonno e scoprire di stare vivendo un incubo. Non volevo crederci, e non desideravo altro che svegliarmi. Per pura fortuna, e poco prima che mi addormentassi, un suono ridestò la mia attenzione. Alzando nuovamente lo sguardo, rividi i miei custodi alati, e abbaiando, cercai di chiamarli a me. “Cosa c’è?” chiese Owen, trovando rifugio sul ramo di un albero sotto il quale ero solita rifugiarmi. “Mia figlia è sparita, e temo di non rivederla mai più.” Piagnucolai, per poi nascondere il muso fra le zampe e uggiolare debolmente. “Mantieni la calma, la troveremo.” Continuò Casper, avvicinandosi e riuscendo a rincuorarmi. “Tu credi?” chiesi, quasi andando alla ricerca di una conferma. “Anche se svanita senza prima avvisare, ha sempre una speranza di ritornare.” Concluse la dolce e saggia India, sollevando un’ala e apparendo incredibilmente seria. “Perlustreremo i cieli per l’intero giorno, e una sorpresa ti attenderà al suo ritorno.” Aggiunse Owen, guardandomi e scegliendo di spiccare il volo. I suoi familiari lo seguirono senza proferire parola, e rimanendo ferma e immobile, li osservai volare liberi nell’aria. Animata da una nuova speranza, mi avvicinai al fiume, e bevendo pochi sorsi d’acqua, mi fermai a pensare. Le rime dei miei custodi alati avevano sempre avuto un significato ben preciso, rivelandosi talvolta profezie o indici di fortuna. Sorridendo debolmente, parlai con me stessa, scegliendo di fidarmi e attendere. La notte calò in fretta, e addormentandomi profondamente, immaginare il mio avvenire unito a quello del mio branco. Quella che vivevamo era per noi lupi la stagione degli amori, e nonostante tale consapevolezza, non avevo modo di gioire. Dati i trascorsi miei e dei miei congiunti, sapevo bene che Scar continuava a nascondersi nel buio, pronto a rivelarsi a noi e attaccare. Tali e oscuri pensieri occuparono la mia mente per il resto della notte, provocandomi incubi orribili. Faticando a dormire e passare una notte tranquilla, rimasi sveglia e vigile fino al dorato mattino. Una nuova giornata ebbe quindi inizio, e fissando il mio sguardo sulla fitta boscaglia, sentii uno scalpiccio a dir poco caratteristico, al quale seguirono le grida dei miei amici alati, saggi poeti e grandi compagni degni della mia fiducia. Finalmente, uno dei miei sogni era diventato realtà, e continuando a guardare dritto di fronte a me, rividi mia figlia. Fortuna volle che non fosse sola, ma accompagnata da un lupo a me sconosciuto. Un nostro simile dal pelo bruno, il cui colore ricordava quello del manto di una volpe. Notandomi, mia figlia mi corse incontro, e posando il suo sguardo su di me, non fece che scusarsi e implorare il mio perdono. “Perdonami, avrei dovuto dirtelo.” Disse fra le lacrime, che cadendo le rigavano il muso fino a farlo bruciare. “Cora, piccola mia. Ciò che importa è che sei tornata, e ora va tutto bene.” Risposi, avvicinandomi lentamente e leccandole il muso al solo scopo di far sparire le sue lacrime. “Non mi presenti il tuo amico?” continuai, regalandole un luminoso sorriso e tacendo nell’attesa di una sua risposta. In quel preciso istante, mia figlia formulò una frase che credevo non avrebbe mai pronunciato, riuscendo a sorprendermi e rendermi orgogliosa allo stesso tempo. “Lui non è un mio amico. È la mia metà.” Confessò non riuscendo ad evitare di sorridere e scambiandosi un bacio con il lupo che amava. A quella vista, sentii il mio cuore traboccare di gioia, e rimanendo a guardarli in perfetto silenzio e al fianco dei miei congiunti, scoprii colma d’orgoglio, e finalmente pronta a fronteggiare la crescita e le emozioni di una figlia.

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Capitolo 8
*** Due fiere e il loro regno ***


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Capitolo VIII

Due fiere e il loro regno

Una singola e stellata notte aveva conciliato il mio sonno, e svegliandomi, scoprivo il buio attorno a me. Mancava poco all’arrivo dell’alba, e notando una nuova luce prendeva il posto della mia tanto amata luna nell’odierno e azzurro cielo, ripensai a quanto era accaduto nella giornata ormai trascorsa. La mia amica Saskia era andata avanti con la sua vita, convincendo i genitori a lasciarle vivere la sua storia d’amore con l’adorato Truman, i miei custodi alati mi avevano fatto un’importante visita, e mia figlia non faceva che gioire e bearsi della compagnia della sua metà. Parlandole, avevo scoperto che il suo amato rispondeva ad un nome. Ace. Per qualche strana e a me ignota ragione, quel nome mi ispirava fiducia. Non avevo ancora avuto modo di conoscerlo a fondo, ma nonostante tutto, ero certa di una cosa. Mia figlia era felice, e se lei lo era, non potevo che esserlo a mia volta. Con lo scorrere del tempo, mi convinsi di dover lasciare ai due innamorati del tempo da trascorrere in reciproca compagnia, così che il loro amore potesse definitivamente sbocciare. Il sorriso di mia figlia Cora accompagnava il mio viaggio, e guidata dalla presenza di entrambi i miei nonni, li seguivo fino ad una destinazione a me sconosciuta. Al contrario di me, impegnata in un’attività completamente diversa, King e Murdoch erano andati a caccia, sperando di catturare qualche preda e sfamare il branco. In circostanze normali, tale responsabilità sarebbe certamente stata affidata al mio Scott, ma data la sua prematura scomparsa, il ruolo non poteva che essere tramandato ai suoi figli, che a mio dire facevano un lavoro eccellente. Ero orgogliosa, ma anche piena di sospetti. Non avevo infatti modo di sapere quando e se Scar sarebbe di nuovo partito all’attacco, e il timore che riuscisse a ferire me e i miei cari, inclusa la giovane Saskia e il suo intero villaggio, mi spaventava a morte. Camminando, scuotevo la testa nel semplice tentativo di liberarmi da quell’oscuro pensiero, e pur fallendo, tentavo con tutte le mie forze di apparire calma e rilassata. “Dove mi portate?” chiesi, spinta dal dubbio e dalla curiosità. “Dove crediamo tu non sia mai stata.” Rispose mio nonno, evitando di guardarmi e mantenendo una ferrea concentrazione. Da quel momento in poi, il silenzio avvolse l’intera foresta, e non proferendo parola, continuavo a seguirli, curiosa della meta che avremmo presto raggiunto. Camminavamo da ormai qualche ora, e improvvisamente, mi ritrovai ai piedi di un colle. “Ci siamo quasi.” Proruppe mia nonna, rompendo il silenzio esistente fra noi e parlando al solo scopo di incoraggiarmi. Annuendo con decisione, scelsi di obbedire a quella sorta di ordine, e una volta giunta alla mia destinazione, non riuscii letteralmente a credere ai miei occhi. Credevo che la vista mi stesse ingannando, eppure non era così. Dalla sommità di quel colle si vedeva l’intera foresta, così come il lago, la cascata, e poco più in là un punto color sabbia, che stando al parere dei miei nonni, rappresentava il villaggio umano. Stupita, non riuscivo a parlare, e non muovendo un muscolo, rimasi ferma e inerme, unicamente concentrata sul naturale spettacolo a me dinanzi. Alcuni minuti passarono, e voltandomi verso mia nonna, notai il suo muso corrotto dal dolore. Avvicinandomi, accostai la mia zampa alla sua, e dandomi le spalle, lei scelse di ignorarmi. A quanto sembrava, era troppo addolorata per parlarmi, e guardando mio nonno negli occhi, andai alla muta ricerca di spiegazioni. “È qui che tutto ha avuto inizio.” Disse soltanto, per poi tacere e tentare di confortare la moglie. A quelle parole, sussultai. Migliaia di dubbi affollarono la mia mente. “Perché diceva così?” “Cosa voleva dire?” “Perché mia nonna piangeva?” mi chiedevo, interrogandomi e fallendo nel tentativo di trovare una risposta per quelle enigmatiche domande. Sperando di non riaprire vecchie ferite, decisi di informarmi, e parlando ancora con il mio saggio nonno, ero giunta nel luogo dove due coraggiose fiere avevano dato vita al loro regno.

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Capitolo 9
*** Le aquile gemelle ***


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Capitolo IX

Le aquile gemelle

Altre tre settimane erano lentamente scivolate dalla mia vita, e rimanendo sdraiata nell’erba di fianco alla tana che condivido con il mio intero branco, non facevo che sorridere e sentire il mio cuore gonfiarsi fino a traboccare di gioia alla vista di mia figlia, che correndo per i sentieri della foresta, si beava della compagnia e dell’amore della sua metà. Il suo adorato Ace, che a suo dire, sarebbe un giorno diventato padre dei suoi cuccioli. Rimanendo ferma e inerme, li guardavo da una debita distanza, e pur non proferendo parola, sapevo di essere orgogliosa. Ad ogni modo, due differenti pensieri continuavano a fluttuare nella mia mente. Uno riguardava gli imminenti attacchi dell’odioso Scar, l’altro andava alla mia cara amica Saskia. Come ben sapevo, era da poco in dolce attesa, e anche non conoscendo il suo futuro figlio, ero certa di volergli già un gran bene. Il tempo scorreva, e dopo aver informato il mio branco, avevo deciso di fare una tranquilla passeggiata nella foresta, conservando la segreta speranza di ritrovare la calma e distendere i miei ora logori nervi. Fissando il mio sguardo sul sentiero che ero intenta a percorrere, camminavo lentamente, e annusando l’aria a intervalli regolari, mi preparavo al pericolo. La vita di noi lupi era scandita e condizionata dallo stesso, perciò montare costantemente la guardia era l’unica delle mie possibilità. Improvvisamente, un rumore alle mie spalle mi distrasse, e voltandomi di scatto, ringhiai. Il mio fiero sguardo cadde quindi su un verde e rigoglioso cespuglio, le cui foglie erano appena state mosse dal vento. Tornando a concentrarmi sul mio percorso, ripresi il mio viaggio, avendo cura di non lasciare impronte. Data la situazione di imminente pericolo, farlo sarebbe stato imprudente, e non volendo farmi scoprire dal nemico o da qualunque altro predatore, camminavo a passo leggero, quasi felpato, mantenendo un silenzio a dir poco perfetto. Una lunga ora volse al termine, e allo scadere della stessa, scoprii di aver finalmente raggiunto la mia destinazione. Il mio scopo, il mio obiettivo, la meta che mi ero prefissata. Ero di nuovo ai piedi del colle precedentemente mostratomi dai miei saggi nonni, e con un ultimo sforzo, ne raggiunsi la cima. In quel preciso istante, alzai lo sguardo, e mirando il cielo, vidi due nuvole venire improvvisamente squarciate. Il sole splendeva, e il tempo atmosferico non presentava pecche di sorta. In altre parole, la pioggia non ci avrebbe fatto visita. Alcuni semplici istanti trascorsero, e un grido già sentito perforò le mie sensibili orecchie. Di fronte a me, due aquile perfettamente identiche. Gemelle, come direbbero i miei amici umani. “Chi siete? Che volete farmi?” chiesi, incerta e impaurita. “Non muoveremo un artiglio su di te, giovane Runa, ma c’è qualcosa che devi sapere.” Disse una delle due parlando in tono serio. “Io sono Night, e lei è mia sorella Legend.” Continuò il volatile, presentando sé stesso e colei che con lui condivideva un legame di sangue. “C’è qualcosa che devi sapere.” Disse Night, sempre utilizzando lo stesso tono colmo di serietà. “Ne sei inconsapevole, ma questo è il luogo in cui tutto ha avuto inizio.” Continuò Legend, sollevando un’ala durante il suo discorso. “Che significa?” biascicai, avendo unicamente le forze necessarie a porre quella domanda. Tacendo, attendevo una qualsiasi risposta, e con lo scorrere del tempo, il mio corpo tremava. Ero spaventata dai segreti e dall’ignoto, che sarebbero presto svaniti con quella così importante rivelazione. “Due coraggiose fiere hanno fondato un branco su quest’alto colle, e da allora la loro valente stirpe vaga nella foresta. Nessuno conosce i loro nomi, ma una sola lupa, prescelta dal destino e dalla nostra amata luna, affronterà il pericolo e il dolore. Gli stessi non la scalfiranno, e sarà sempre capace di rialzarsi. Ora addio, e che la regina dei cieli ti accompagni per sempre.” Un discorso pieno di significato, che dentro di sé racchiudeva mille misteri diversi. Parole che mi avevano colpito e sconvolto, e delle quali avrò salda memoria fino all’ora della mia morte. Un singolo attimo cessò d’esistere, e spiccando un volo leggiadro e senza esitazioni. In quel mentre, la paura mi governava, e colta dal freddo e dalla stanchezza, scelsi di non tornare indietro. Per qualche strana ragione, quel luogo mi ricordava casa, e addormentandomi, continuai a pensare all’importante discorso delle aquile gemelle.  

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Capitolo 10
*** Stirpe valorosa ***


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Capitolo X

Stirpe valorosa

Un mese. Un semplice periodo di trenta lunghi giorni che si erano rincorsi nel calendario della mia vita, correndo così veloci da sparirne completamente. Dormivo, ma venni svegliata da un odore penetrante e disgustoso. L’orribile olezzo del sangue mi aveva nuovamente riempito le narici, e improvvisamente, la fredda pioggia iniziò a scrosciare. Un temporale era in arrivo, e rimettendo in piedi, allertai i miei congiunti. Un singolo attimo. scomparve quindi dalla mia esistenza, e correndo, mi diressi subito verso il villaggio umano “Dobbiamo aiutarli, subito!” dichiarai, per poi continuare la mia corsa e concentrarmi unicamente sul mio obiettivo. Saskia. La mia grande amica umana, unica ragazza di cui riuscissi a fidarmi, ora aveva bisogno del mio aiuto, ed io avrei sfidato la peggiore delle tempeste per riuscire nel mio intento. Inizialmente, i membri del mio branco si ostinavano a pensare che il suo popolo mi avesse addomesticata, ma ora la cosa non importava minimamente. Sapevo di volerle bene, e quello non era che l’unico dei miei pensieri. Ad ogni modo, il tempo scorreva senza sosta, e la pioggia cadeva. Fredda, copiosa e incessante. Correvo ignorando il dolore ai muscoli tesi come corde di violino, con la ferma e decisa intenzione di raggiungere il villaggio. Ero stanca, ma non avrei mollato. Per pura fortuna, la mia amica non era da sola, e il suo amato marito non lasciava il suo fianco in nessuna circostanza, ma pur sapendolo, continuavo a sentire l’impellente desiderio di vederla e controllare il suo stato di salute. Non appena arrivai, un mio potente latrato sovrastò il rumore della pioggia cadente, e lanciandomi in una nuova corsa, raggiunsi la sua casa. Sollevando leggermente una zampa, grattai alla porta, e questa venne aperta solo qualche minuto dopo. “C’è Runa.” Disse Truman, rivolgendosi alla tanto amata moglie. Alla mia vista, la mia amica non potè che sorridere, e invitando me e i miei congiunti ad entrare, si scostò leggermente dall’uscio. Alcuni minuti passarono, e sdraiandomi sul tappeto accanto al caminetto, la guardai. Seduta al mio fianco, teneva una mano ferma sul suo gonfio ventre, carezzandolo come era solita fare con il mio ora umido pelo. Rimettendomi in piedi, mi stiracchiai come un agile felino, e mugolando sommessamente, chinai il capo. Andando quindi alla ricerca di conforto, mi avvicinai a Truman sperando in una carezza, che arrivò senza farsi attendere. Leccandogli una mano, lo vidi sorridere, e appena un attimo dopo, rividi il volto di Saskia. Felice come sempre, mi sorrideva, e chinandosi fino a raggiungere la mia altezza, estrasse dalla tasca del vestito una sorta di piccolo ciondolo. Una pietra azzurra legata a un cordino, che grazie al suo aiuto, finì per adornarmi il collo. Continuando a camminare, si avvicinò ai miei congiunti, e guardandoli, regalò un semplice e sobrio ninnolo anche a loro. A mia figlia toccò una collanina simile alla mia, mentre ai miei figli e allo zio Chronos, un pendente color dell’oro. Presto arrivò il turno del fedele Ace, che ricevette un pendente color dell’erba, la cui forma ricordava quella di un quadrifoglio, simbolo di fortuna e positività. Gli ultimi furono i miei nipoti, e un gioiello rosso come il sole al tramonto impreziosì le loro esili figure. “Teneteli sempre, qualunque cosa accada.” Mi disse, facendo suonare quella frase come un avvertimento. Alle sue parole, non risposi, e limitandomi ad annuire, fissai il mio sguardo sulla porta. La pioggia aveva finalmente smesso di scrosciare, e per tutti era ora di tornare a casa. Avvicinandosi alla porta, Truman scelse di aprirla, e rimanendo immobile, regalai un debole sorriso a Saskia. Non potevo parlarle, ma ciò che volevo dirle era semplice. “Buona fortuna.” Questa l’unica frase che avrei voluto rivolgerle parlando, ma nonostante il mio ardente desiderio di farlo, non avevo la possibilità. Ad essere sincera, non avrei mai voluto andarmene da quella casa, ma la mia era la foresta, e camminando lentamente, mi decisi. Quel pomeriggio fui l’ultima ad andarmene, ma prima che potessi farlo, la voce di Saskia mi distrasse. “Runa?” mi chiamò, incerta e dubbiosa. Attirata dal suono della sua voce, mi voltai, e guardandola negli occhi, attesi. Muovendosi lentamente, la mia amica mi raggiunse. Il marrone dei suoi occhi si fuse quindi con l’azzurro dei miei, e guardandomi con aria seria ma al contempo preoccupata, pronunciò una frase che mi colpì così violentemente da ferirmi l’anima. “Torna subito alla tana. Dovrai proteggere me e la bambina. Promesso?” disse, completando quel discorso con una domanda. Mantenendo il silenzio, annuii con decisione. Quel pomeriggio fui l’ultima ad lasciare casa di Saskia, e una volta raggiunta la tana, mi addormentai, sfinita. Durante il sonno, non sentii né vidi altro che le aquile gemelle, ricordando quindi i primordi della mia stirpe valorosa.


E con la fine di questo capitolo, per i lettori curiosi, i ciondoli indossati da Runa e dalla sua famiglia.


Ciondolo-Runa

Ciondolo-Murdoch-King-Chronos

Ciondolo-Ace

Ciondolo-Brutus-Nova-Delta

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Capitolo 11
*** Cuore di madre ***


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Capitolo XI

Cuore di madre

Le visite della fredda pioggia si facevano sempre più frequenti, e dopo una calda estate, il colorato autunno aveva raggiunto la foresta. Come ogni volta, le foglie degli alberi mutavano il loro colore, e il sole, timido e tiepido, si nascondeva dietro alle grigie nuvole. Ad ogni modo, quello odierno è un giorno speciale. Mi sono svegliata da poco, e una foglia caduta dall’alto del ramo di un albero, danza sull’acqua del fiume, permettendomi di assistere ad un vero e proprio spettacolo. Il freddo mi limita nei movimenti, e improvvisamente, qualcosa mi colpisce il muso. Scuotendo il capo, imputo la colpa di tutto ad una goccia di pioggia, ma alzando lo sguardo, la vedo. È neve. Acqua ormai gelata che forma fiocchi meravigliosi, mai uguali fra loro. L’intera foresta viene lentamente imbiancata, e camminando, mi guardo costantemente intorno. Mi sono ora unita ad una battuta di caccia assieme ai miei congiunti. Data la stagione, trovare cibo è sempre più difficile, e siamo fermamente convinti che cacciare in gruppo faciliterà tale compito. I minuti scorrono lenti, e con i sentieri coperti da una bianca e magnifica coltre di neve, possiamo affidarci solo all’istinto. Improvvisamente, un odore permea l’aria. Ace è il primo ad accorgersene. Spaventata dalla sua impulsività, mia figlia Cora indietreggia, e mantenendo il silenzio e l’immobilità, ascolta con orecchie tese il sommesso ringhio del suo amato. Un cespuglio freme, e da dietro un albero, spunta quella che crediamo essere una preda. Il ringhio di Ace si fa più forte,  e non appena si avvicina, le cose cambiano. Di fronte a noi, un nostro simile intimorito dalla nostra presenza. A quanto sembra, è ancora un cucciolo, e tremando, indietreggia. Alla sua vista, mia figlia Cora tenta di raggiungerlo e riportarlo alla calma, e sorprendentemente, il piccolo la lascia fare. “Sei solo?” chiede, per poi tacere nell’attesa di una risposta. “Sì, e non ho più una mamma.” Risponde, chinando il capo in segno di tristezza e vergogna. “Scusa, non volevo spaventarti.” Azzarda Ace, tentando di giustificarsi per quanto ha fatto. Mantenendo il silenzio, il cucciolo continua a tremare, e andando alla ricerca di protezione, si avvicina timidamente a mia figlia. Sollevando lo sguardo, la fissa con timore, e mentre i suoi occhi sembrano riempirsi di lacrime, mia figlia avanza una proposta in grado di cambiare la vita di quel povero cucciolo. Solo e affamato, non sembrava sapere dove fosse, né avere un posto dove andare, e date le circostanze, l’istinto di mia figlia non tardò a dominarla. “Sarò io la tua mamma.” Disse, avendo la fortuna e il piacere di vedere un sorriso illuminare il volto di quella dolce creatura. “Come ti chiami?” chiesi, spinta da una genuina curiosità. “Xena.” Rispose la cucciola, sorridendo debolmente. “Dì, ti va di venire con noi?” proruppe Chronos, lasciando che il suo lato paterno prendesse il sopravvento. “Al caldo?” chiese la piccola, con il corpo ancora scosso da tremiti piuttosto evidenti. “Al caldo.” Rispose lui, con aria convinta. A quelle parole, la dolce Xena non rispose, ma annuendo, si lasciò guidare da Cora durante la caccia, per poi dormire al suo fianco una volta tornata a casa. Poco prima che dormisse, ebbi modo di guardarla negli occhi. Due iridi dai colori tenui e diversi. Una azzurra, l’altra castana. Occhi dolci, profondi e pieni di luce, caratteristica presente sin dalla sua nascita, che aveva avuto il potere di mostrare la nobiltà dell’animo di mia figlia Cora, che si univa e confondeva con il suo cuore di madre.

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Capitolo 12
*** La realtà dei gioielli ***


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Capitolo XII

La realtà dei gioielli

Il sole tardava a fare la sua comparsa nel cielo, e benchè fosse nascosto dalle pesanti e tuttavia abili nuvole, alcuni dei suoi potenti e caldi raggi filtravano attraverso le stesse, colpendo i germogli delle tenere piantine che spuntando sfidano neve e intemperie, e che un sperano un giorno di diventare alberi forti e robusti. Sorridendo leggermente, non faccio che posare il mio sguardo colmo d’orgoglio su mia figlia Cora e sul suo amato Ace. Entrambi, avevano cercato di avere una loro famiglia e dei cuccioli da accudire, ma a quanto sembrava, la maestosa e argentea luna aveva altri piani per una coppia giovane come la loro. L’amore che li univa si vedeva chiaramente, e grazie allo stesso, avevano scelto di attendere fino a ieri, quando la luna stessa ha fatto in modo che il loro cammino si incrociasse con quella della dolce e piccola Xena, lupacchiotta orfana di madre per cause a me ignote. Affamata e infreddolita, vagava nella foresta coperta dalla bianca neve, che sciogliendosi, sta lentamente permettendo a erba, fiori e piante di crescere tornando al loro originale splendore. Lentamente, il re del cielo torna a regnare, investendo con la sua potenza il ciondolo regalatomi dalla mia amica Saskia. Azzurro come i miei occhi, mi ricorda chi sono, e per pura fortuna, o forse a causa della sua generosità, non sono l’unica ad averlo. Difatti, ogni membro del mio branco ne possiede uno, diverso e unico nel suo genere. Quattro sono i colori che li caratterizzano, e per qualche strana ragione, credo che gli stessi abbiano una sorta di significato segreto e nascosto. Potrei sbagliarmi, ma voglio esserne sicura. La cattiva sorte vuole che non esista modo per me di esserlo, poiché l’unica persona a conoscere la verità è la mia grande amica umana, che per pura sfortuna non può né deve scoprire che possiedo il dono della parola. Ora come ora, perfino il potermi esprimere come lei e i suoi simili deve restare un segreto, ed io, giurando sulla luna, ho promesso che lo sarebbe rimasto fino al giorno in cui la sovrana dei cieli avesse scelto di chiamarmi a sé, spingendomi a chiudere gli occhi e dire addio al verde mondo della natura. Sono quindi ferma a riflettere, in una posizione di stallo. Confusa, ho tentato di chiedere spiegazioni alla mia saggia nonna, ma essendo i ciondoli manufatti umani, non ha saputo darmi risposta. Pensando, ho ricordato l’altura dove ho conosciuto le aquile gemelle, e chiamandole, non sono che incorsa in un secondo errore. Difatti, neanche loro conoscono il reale significato di quei gioielli, e sdraiandomi ai piedi di un albero con fare sconsolato, sospiro. Ho le zampe incrociate, e attendendo, penso. I minuti scompaiono lentamente dalla mia vita, e improvvisamente, un’illuminazione. “Teneteli sempre, qualunque cosa accada.” Questa la semplice e ad ogni modo enigmatica frase pronunciata da Saskia dopo la consegna dei ciondoli. In quel momento, un dubbio mi balenò in mente sorgendo come il sole. Che fossero magici? Non potevo saperlo né averne la certezza, ma la mia mente mi portò, per qualche ignota ragione, a scartare tale ipotesi. Stando ai miei ricordi, la stessa Saskia aveva espressamente rivelato che erano simboli di fortuna, perciò avevo scelto di fidarmi e credere alle sue parole. Come sapevo, solo lei conosceva la realtà dei gioielli.

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Capitolo 13
*** Branco sotto scacco ***


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Capitolo XIII

Branco sotto scacco

Era di nuovo notte, e per l’ennesima volta, mi scoprivo intenta a sognare e ricordare il mio amato Scott. Guardandomi indietro, riesco ancora a ricordare il giorno in cui ci siamo incontrati. È corso in mio aiuto salvandomi da Scar, e sin da allora, ci siamo seppur lentamente innamorati. Il tempo aveva quindi continuato a scorrere, e in una soleggiata mattina, dopo una notte passata a piangere e lamentarmi per un dolore apparentemente inspiegabile accompagnato da un orribile senso di nausea, avevo scoperto di stare aspettando dei cuccioli ora adulti, principale e inesauribile fonte del mio orgoglio. Ora come ora, mi agito nel sonno, e chiamando il mio Scott per nome, mugolo. Improvvisamente, una sorta di voce nella mia testa iniziò a parlarmi, e non riuscendo a scacciarla, non potei che subirne gli effetti. “Fuggite verso nord, ora.” Diceva, suonando pericolosamente simile a quella appartenuta alla mia metà. Svegliandomi quindi di soprassalto, chiamai a raccolta i miei congiunti. “Ragazzi, svegliatevi, vi prego!” gridai, sperando di ridestarli dal torpore in cui erano caduti. Incredibilmente, mia nonna fu la prima a svegliarsi. “Runa, tesoro, va tutto bene?” chiese, guardandosi con aria seria e al contempo preoccupata. “Si tratta di Scott. Mi ha parlato, e mi ha implorato di fuggire dalla foresta.” Dissi, faticando a respirare a causa della moltitudine di emozioni che turbinava nel mio animo. “Stai scherzando? E dove andremo?” chiese mio fratello Rhydian, allarmato dalle mie urla. “Verso nord.” Dichiarai, fallendo nel tentativo di mantenere la calma. “Partiremo domani.” Aggiunsi, per poi tacere e sentire una sorta di nuova e mistica energia pervadere ogni cellula del mio esile corpo. Le ore notturne passarono, e con l’arrivo del giorno, il freddo iniziò a farsi sentire. Attorno a noi non c’era che il silenzio, rotto unicamente dal sibilare del vento. minaccioso, soffiava strappando le foglie agli alberi con inaudita prepotenza, e durante il nostro viaggio, qualcosa accadde. Voltandomi di scatto, mi accorsi che mia nonna sembrava scomparsa. Per pura fortuna continuava a seguirmi, sorretta dal marito in ogni momento. La stanchezza sembrava dominarla, e un’azione semplice quanto respirare era per lei quasi impossibile. Era ormai vecchia e stanca, e malgrado continuassi a negarlo, sapevo che presto mi avrebbe lasciata. Alcune ore scomparvero dalle nostre rispettive vite, e rifiutando di avanzare, mi chiamò a sé. Non volendo farla attendere mi avvicinai. “Non resisterò per molto, e dovrai farmi una promessa.” Disse, riuscendo con quelle parole a stimolare la mia curiosità. Muovendo un singolo passo verso di lei, mi mostrai disponibile a realizzare ogni sua volontà, ma nulla avrebbe potuto prepararmi a ciò che mi avrebbe detto nei secondi a venire. “Sei sempre stata una lupa forte, coraggiosa e piena di vita. Ami i tuoi simili, il tuo branco e perfino gli umani. Ti prego solo di non cambiare mai.” Continuò, strappandomi non poche lacrime, amare quanto frutti di bosco non ancora maturi. Rompendo quindi gli argini presenti nei miei occhi, piansi, e guardandola, pregai perché non mi lasciasse. “Te lo prometto.” Soffiai, per poi regalarle un sorriso e tornare a concentrarmi sul viaggio che ci avrebbe condotti in un luogo sicuro. Il tempo continuava a scorrere senza sosta, e un suono ormai conosciuto mi indusse a fermarmi. “Aspettate!” gridò una voce alle nostre spalle, facendoci sobbalzare. Spaventata, mi voltai istintivamente. Dietro di noi non c’era che Aura, che seguita da Silver, sembrava volerci parlare. Appariva seria, e posando il mio sguardo su di lei, la lasciai fare. “È un viaggio pericoloso, e non potete andare da soli.” Dichiarò, convinta delle sue stesse parole. “Non siamo soli, e non abbiamo certo bisogno di voi.” Ebbi la sola forza di rispondere, ringhiando sonoramente e avvicinandomi a lei con fare minaccioso. Per nulla intimorito dal mio comportamento, Silver tentò di riportarmi alla calma, e guardandomi negli occhi, pronunciò una singola e semplice frase, capace per qualche strana ragione di atterrirmi. “Non provare a sfiorarla, sai che ha ragione.” Sibilò acido, per poi voltarsi e portarsi in testa alla nostra marcia. Alle sue parole, non risposi, e sbuffando, ripresi il mio cammino. La sera stava calando, ed ero sicura che se non avessimo trovato un riparo saremmo certamente morti congelati. Camminando, spostai lo sguardo sulla mia ormai vetusta nonna, che pur respirando a fatica, si mostrava stoica e pronta ad andare avanti. Nel tentativo di infonderle coraggio, sorrisi, e tornando a concentrarmi sul sentiero da percorrere, lasciai che un singolo ma importante pensiero trovasse un posto nella mia mente. Il colle. In quel momento, quello era l’unico luogo sicuro al quale potessi pensare, e prendendo il posto di Silver, guidai i miei congiunti fino alla meta. Le zampe mi dolevano come non mai, ma sprezzante del dolore e del pericolo, camminavo, decisa a raggiungere il mio traguardo. Come c’era d’aspettarsi, raggiungere la sommità di quel colle non fu certo facile, ma una volta arrivati in cima, ci accasciammo, distrutti. Il sonno ci catturò dopo pochi minuti, e rinunciandovi, continuai a vegliare e vigilare sui miei congiunti addormentati. Il mio sguardo si posò su ognuno di loro, ma in particolar modo sulla mia saggia nonna Athena. La vecchiaia la stava letteralmente consumando, e data la sua debolezza, sapevo bene che qualunque fiera più forte e giovane avrebbe potuto facilmente ucciderla. Ne ero certa, ma non mi sarei arresa. “Ti salverò, nonna.” Le sussurrai, guardandola dormire, calma e ignara di tutto. Rimanendo sveglia, passai quella notte a pensare, imparando prima di tutti un’importante lezione che identificai come verità. In quel preciso istante, il nostro non era che un intero branco sotto scacco.

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Capitolo 14
*** L'alba del nemico ***


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Capitolo XIV

L’alba del nemico

Il silenzio regnava sovrano nel buio della notte, la luna sembrava fissarmi con una calma a mio dire innaturale e mostruosa, brillando come era solita fare con l’aiuto del sole. Quella degli astri era una diarchia benevola e priva di contraddizioni, e mirando il cielo, mi godevo lo spettacolo offerto dalle stelle. Coraggiose e timide al tempo stesso, brillavano di luce propria, e per qualche arcana e a me ignota ragione, sembravano sorridermi, splendendo nella loro magnificenza. Svegliata da un suono conosciuto, mi guardavo intorno tenando di localizzarne la fonte, e fissando il mio sguardo su un robusto albero, li vidi. I miei custodi alati mi avevano seguita. Forse per paura di perdermi, o forse per assicurarsi che nulla di infausto mi accadesse. Non ne ero sicura, ma alla loro vista, sorrisi. Notandomi, mi si avvicinarono silenziosi. “Cosa fate qui?” chiese Owen, sussurrando al solo scopo di non essere sentito. “Viaggiamo verso nord, e riposiamo qui per questa notte.” Risposi, imitando alla perfezione il suo tono di voce, basso e quasi inudibile. “Cosa? Non avete saputo?” continuò la moglie India, sorpresa dalle mie parole. Mantenendo il silenzio, la guardai senza capire, sperando segretamente che fornisse ulteriori spiegazioni. “Ai piedi di quest’altura sorge una grotta, e una fiera attende solo di essere scorta. Incrociare il suo impervio cammino non dovrete, se vivi e vegeti restare volete.” Sapienti rime composte e pronunciate dal giovane Casper, che sollevando un’ala e chiudendo gli occhi, assumeva un’aria colta, saggia e intelligente. “Siete sicuri? Cosa dovrei fare?” chiesi, conservando la segreta speranza di stare vivendo un sogno o un incubo. “Restate qui. È un luogo sicuro, e di certo non sveglierete la bestia.” Rispose Owen, per poi tacere e sparire dalla mia vista assieme al resto della sua famiglia. In quel momento, mille dubbi iniziarono a ronzarmi in testa come fastidiosi e voraci insetti. “Si riferivano a Scar? Poteva esserci un nuovo nemico?” quesiti che mi tormentavano fino a portarmi al dolore fisico e morale. “Cosa? Chi.. Chi è la bestia?” chiesi, urlando con quanto fiato avessi in gola e sperando unicamente di essere sentita. Sfortuna volle che i miei amici fosse troppo lontani per ascoltare la mia supplica, e quasi ignorandomi, continuarono imperterriti a volare, raggiungendo i loro caldi e sicuri nidi. Dormendo profondamente, i miei congiunti non si accorsero di nulla, e parlando con me stessa, dovetti ammettere di aver paura. Il mio intero branco mi definiva coraggiosa, ma dopo quello che i miei custodi alati mi avevano riferito, non m sentivo capace di reagire. Non ne avevo mai parlato con anima viva, eppure quella era la mia più grande paura. Non essere in grado di aiutare coloro a cui volevo bene. Il tempo scorreva, e rifiutandomi per l’ennesima volta di dormire, tremavo. Pregando, speravo ardentemente che il mattino non arrivasse. Un desiderio patetico che non si sarebbe mai realizzato, e un fondato timore stando al quale il nemico ci avrebbe trovati con l’arrivo dell’alba.

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Capitolo 15
*** In lotta contro la bestia ***


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Capitolo XV

In lotta contro la bestia

Puntuale come sempre, il sole era sorto, ed io, sveglia prima degli altri, tremavo di paura. Rannicchiata in un angolo come una cucciola spaventata, non avevo il coraggio di muovermi. La luce di un giorno completamente nuovo illuminava la foresta, e dati i miei trascorsi, sapevo che quello appena iniziato non prometteva nulla di buono. La paura e il terrore mi dominavano, e rimanendo ferma e inerme, pensavo. Migliaia di pensieri affollavano la mia ora confusa mente come fastidiose tarme o voraci insetti, e inesorabilmente, il mio corpo era scosso da tremiti sempre più evidenti. Deglutendo sonoramente, sciolsi il nodo che mi attanagliava la gola, e alzandomi in piedi, tentai di allertare i miei congiunti. Ignari di tutto, dormivano tranquilli, ed io ero tesa e nervosa come una corda di violino. Con mia grande sorpresa, la mia amica Aura fu la prima a svegliarsi. Proprio come me, non faceva che tremare, e guardandosi intorno, cercava il mio sguardo. “Li hai sentiti anche tu?” chiese, facendo suonare quella frase come incredibilmente enigmatica. “Sentito cosa?” indagai, andando alla muta ricerca di dettagli e informazioni. “Stanno arrivando, preparati.” Continuò, facendo improvvisamente seria e mostrandosi pronta a difendersi e attaccare. Di chi parlava? Cosa stava accadendo? Due domande che non potei evitare di pormi, e che trovarono una risposta solo pochi minuti dopo. Allo scadere degli stessi, un ringhio potente e quasi sovrannaturale scosse l’intera foresta, ridestando i miei amati congiunti dal torpore in cui si erano permessi di cadere nell’ormai scomparsa notte. Ringhiando a loro volta, assunsero tutti la posizione di attacco, e imitandoli, tentai di apparire minacciosa, pur non potendo evitare di tremare come una foglia mossa dal vento. Fermi e immobili, eravamo pronti, e nel tentativo di infonderci coraggio l’un l’altro, non facevamo che guardarci negli occhi. Concentrata e impaurita dall’ignoto, raccoglievo il mio coraggio, e improvvisamente, udii un ululato a dir poco caratteristico, seguito da altri due a me completamente sconosciuti. Il tempo continuava a scorrere, e mentre la tensione presente nell’aria poteva tagliarsi con un coltello, guardai dritto di fronte a me. Per il momento, nulla da segnalare. Dopo quella sorta di avvertimento, la calma era tornata a regnare sovrana sul colle e sull’intera foresta, e tutto era fin troppo strano. “Scar! Vieni fuori e combatti da vero lupo! Hai paura di affrontarci a viso scoperto?” chiesi, parlando al vento che spirava trasportando le parole da me pronunciate verso mete sconosciute. Improvvisamente, una risposta alle mie parole. Di fronte a noi si palesò il nemico, che per nostra pura e nera sfortuna, non era solo. Altri due lupi a lui simili si mostravano pronti a difenderlo dai nostri attacchi, considerandolo un loro superiore.  Rimanendo fermi e immobili, non attendevano che l’ordine di agire, e in quel preciso istante, scoprii che quelle immonde creature avevano perfino dei nomi, che presto avrei imparato a disprezzare e odiare più di ogni altra cosa. “Prince, Diablo, prendeteli.” Ordinò quel lurido mostro, aizzando i suoi sottoposti contro di noi. Senza esitare, questi obbedirono, e quasi istintivamente, tentai di mordere e difendermi. I miei denti lacerarono la loro tenera carne, e sanguinando copiosamente, quei lupi si accasciarono a terra, apparendo inchiodati al terreno sotto il mio sguardo colmo d’ira. Le ferite che gli avevo provocato erano gravi, ma per qualche strana ragione, riuscirono ad alzarsi da terra, quasi come se nulla fosse accaduto. Una strenua lotta andò avanti per un tempo indefinibile, e la stanchezza iniziava a fare la sua comparsa. Stoica e coraggiosa, andavo avanti, ma con lo scorrere dei minuti, ansimavo per la stanchezza. Un singolo attimo svanì poi dalla mia vita, e tutto mi apparve chiaro. “È una trappola. Stanno cercando di sfiancarci.” Pensai, parlando con me stessa. Voltandomi poi di scatto, posai alternativamente lo sguardo su ognuno dei miei congiunti, che annuendo lentamente, scelsero di mettere in atto il piano che sapevano avessi appena avuto modo di ideare. Difatti, a iniziare da mio fratello Rhydian, ognuno di loro si sedette in maniera composta e tranquilla, fissando tuttavia con odio ognuno dei nemici, che al contrario di noi tutti, apparivano ora increduli e irrimediabilmente confusi. “Come hai fatto a capirlo?” chiese Scar, dubbioso e incerto. “Semplice.” Risposi, per poi tacere e notare un’irosa espressione dipingersi sul suo volto. “Rifiuti di ammetterlo, ma in realtà sei debole. Ti credi un capobranco, e nonostante i tuoi sudditi, non lo sarai mai. Io sono figlia di due splendide fiere, e in quanto tale, le vendicherò, facendoti conoscere il dolore prima della morte.” Aggiunsi, ringhiando e avvicinandomi con fare minaccioso. Nel mio comportamento, un singolo passo falso. Muovendomi lentamente, lasciai che il mio sguardo cadesse sul ciondolo regalatomi da Saskia. Azzurro come i miei occhi e l’acqua del fiume, brillava grazie alla luce del sole. Notandolo, Scar scelse di sfiorarlo con una zampa. “Cos’è questo?” chiese, sarcastico. “Nulla che ti riguardi.” Risposi a muso duro, per nulla spaventata dal suo atteggiamento. “Nulla che mi riguardi? Sicura, domestica?” continuò, ferendomi il muso con una zampata e riuscendo a disorientarmi. Scuotendo leggermente la testa, mi guardai intorno, e improvvisamente, un particolare attirò la mia attenzione. Il ciondolo che mi apparteneva giaceva fra la verde erba sporca di lercio sangue, e fissandolo, mi sentii improvvisamente impotente. Sdraiandomi in terra, non mossi un muscolo, e limitandomi a guardare i miei compagni, stanchi ma pronti a continuare la battaglia, pronunciai una frase che non avrei mai creduto di riuscire a formulare in nessuna occasione. Avevo ormai gettato le armi, e notando che Scar continuava ad avvicinarsi, lo guardai con aria sconfitta. “Che aspetti? Finiscimi.” Piagnucolai, nascondendo il muso con una zampa a causa della vergogna. Era incredibile, ma dopo quanto era successo, avevo letteralmente perso la speranza. Il ciondolo regalatomi dalla mia amica era divenuto il simbolo della mia forza interiore ed esteriore, e ora che era andato inesorabilmente in pezzi, mi sentivo vuota, debole e sola. Quasi ignorando le mie parole, Scar si preparò ad attaccare e mettere fine alla mia fragile vita, e nell’esatto momento in cui credetti che tutto fosse perduto, vidi una lignea freccia conficcarsi nel tronco di un albero a me vicino. Una voce squarciò poi il silenzio, e nello spazio di un momento, notai che l’intera famiglia di Saskia era corsa ad aiutarci. Le frecce scagliate da suo padre erano infuocate, e la vista del fuoco bastò a scacciare i nostri nemici. Alla vista di Saskia e di sua sorella, fui felice. Grazie al loro aiuto, ero finalmente salva, e anche se tale battaglia sembrava vinta, sapevo bene che tutti eravamo ora in lotta contro una vera bestia.
 

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Capitolo 16
*** Il nostro dopoguerra ***


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Capitolo XVI

Il nostro dopoguerra

Sangue. Un rosso liquido che continuava a sgorgare dalle nostre ferite nonostante la fine della battaglia, e con il dolore che ci pervade, il nostro viaggio progrediva senza alcuna sosta. Eravamo gli uni assieme agli altri, stanchi ma uniti. Le mie ferite bruciavano dolendo come mai prima, e guardandomi intorno, scelsi di prendermi una pausa e riposare, sdraiandomi in terra e posando lo sguardo sui miei congiunti. Feriti e stanchi proprio come me, non desideravano altro che dormire, ma al contrario di tutti loro, mia figlia Cora appariva preoccupata. Essendo sua madre, mi preoccupavo a mia volta, e guardandola negli occhi, scossi leggermente la testa, desiderosa di spiegazioni. “Ace.” Mormorò guardandomi con aria addolorata. “Che è successo? Cosa ti ha fatto?” chiesi, tacendo nell’attesa di una sua risposta. Alcuni attimi di silenzio seguirono quell’istante, e curiosa, non facevo che attendere, pur evitando di farle pressione. “Se n’è andato, mi ha lasciata durante la guerra.” Disse poi, rompendo il silenzio creatosi fra di noi e scoppiando in lacrime. “Cosa come ha osato?” esclamai, incredula. “C’è di peggio.” Aggiunse, cogliendomi di sorpresa. Guardandola con aria seria, la incoraggiai a parlare, e nulla potè prepararmi alla frase da lei pronunciata. “Xena gli vuole bene. Lo crede suo padre, ha deciso di seguirlo, e…” la frase le morì in gola, soffocata da un nodo di pianto unito a un fiume di calde e amare lacrime. Un leggero ringhio abbandonò le mie labbra pochi istanti dopo. La rabbia mi pervadeva, e non riuscivo a credere a ciò che avevo appena avuto la sfortuna di sentire. Non volevo crederci. Parlandomi, Ace aveva ammesso di amare mia figlia, promettendo poi di continuare a farlo fino al giorno in cui il tempo li avrebbe separati per sempre, eppure da insensibile codardo, l’aveva lasciata, spingendola in una spirale di tristezza e dolore. Affranta, Cora non cercava che conforto nelle mie parole unite a quelle della nonna, che sorprendentemente, non ebbe nulla da dirle. “Il cuore non sbaglia mai, la mente è l’unica a farlo.” Questa l’unica frase che le rivolse prima di abbassare il capo e abbeverarsi al fiume come era solita fare ormai da lungo tempo. Sorridendo debolmente, trasse conforto da quelle parole, e sdraiandosi ai piedi di un albero, rifiutò di muoversi fino a sera. Era arrabbiata? Delusa? Non lo sapevo, né avevo modo di scoprirlo. Per qualche arcana ragione, Cora risultava spesso imprevedibile. Poteva apparire folle, ma tutto lasciava presagire che la mia amata figlia si stesse lasciando andare, seguendo le orme dell’ormai attempata nonna e ritenendosi pronta a lasciare la verde foresta e l’intero mondo. Ero sua madre, l’avevo vista nascere, e cresciuta sin da allora. Una sola cosa era certa. Non potevo permetterlo, e per quanto fosse stato in mio potere, avrei riportato un sorriso sul suo volto, ammirando di nuovo lo splendere delle sue azzurre iridi. Tutto in quello che definivamo il nostro dopoguerra.

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Capitolo 17
*** Nobiltà d'animo e cuori felici ***


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Capitolo XVII

Nobiltà d’animo e cuori felici

Un altro lungo giorno stava per concludersi, e rimanendo al fianco di mia figlia Cora, non osavo muovermi. Passavo intere ore a cercare di rincuorarla sperando di vederla sorridere, ma ogni mio sforzo si rivelava tristemente vano. Il tempo continuava a scorrere, e alzandosi in piedi, mi parlò, convinta. “Devo trovarli entrambi, e subito.” Disse, posando il suo sguardo sulla parte più fitta della foresta, che avevamo esplorato insieme e solo in poche occasioni. “Sei sicura?” biascicai, preoccupata. “Io amo Ace, mamma. In ballo c’è anche mia figlia, e nessuno sa cosa potrebbe accadere.” Rispose, guardandomi negli occhi e rimanendo fedele a quella che era la sua decisione. In quel preciso istante, il mio cuore si gonfiò di dolore e inquietudine, e scegliendo di seguirla, mi unii a lei nella ricerca del suo amato. “Vengo anch’io.” Dichiarò una voce alle nostre spalle, che inizialmente stentammo a riconoscere. Voltandomi di scatto, scoprii che quella voce apparteneva a mia nonna, e fissandola con aria seria e al contempo addolorata, sperai di convincerla a desistere dal farlo. “Sei troppo debole, resta qui a riposare.” Le dissi, fornendole un utile consiglio e sperando ardentemente che lo seguisse senza opporsi. Per pura sfortuna, ciò non accadde, e fissandomi, la mia vetusta nonna non accennò a cambiare idea. “Sarò anche debole, ma finchè avrò vita dovrò proteggere il branco. Ora andiamo, non manca molto alla notte.” Continuò, per poi iniziare a camminare e guidare Cora nel suo viaggio. Lo stesso si rivelò incredibilmente lungo e difficile, ma con il calar della sera, giunte ad una radura, scorgemmo tutte una piccola ombra seguita e accompagnata da una più grande. Due corpi illuminati dalla luce dell’argentea luna, che si rivelarono essere quelli di Ace e della piccola Xena. Seguiva l’amato padre senza proferire parola, e alla sua vista, mia figlia si lanciò al loro inseguimento. “Ace!” gridò. “Che stai facendo?” aggiunse, sperando di vederlo voltarsi e ricevere una qualsiasi risposta. “Cora! Perché mi segui? Cosa vuoi da me?” chiese, voltandosi verso di lei e guardandola fissamente negli occhi. “Risposte.” Disse lei, convinta delle sue idee. “Perché l’hai fatto? Perché hai voluto lasciarmi?” chiese, con la voce spezzata e corrotta dal dolore, e gli occhi velati di lacrime. “Non pensi a noi? E Xena?” continuò, non riuscendo a smettere di piangere e fallendo nel tentativo di ritrovare la calma ormai persa. “Cora, amore mio, io ti amo, e non avrei mai voluto farlo, ma Xena continuava a piangere, e...” Disse, per poi tacere tentando di riprendere fiato. “E cosa?” mi intromisi. “Tu l’hai abbandonata!” gridai, volendo unicamente difendere il sangue del mio sangue. “Runa, tu non capisci. Xena ha un’altra madre! urlò con quanto fiato avesse in gola per tentare di difendersi da quelle che alle sue orecchie giungevano come accuse. “Chi sarebbe?” ebbi la sola forza di chiedere, con la voce ancora contaminata dalla rabbia. “Mia sorella Queen. Il suo branco è stato attaccato dagli umani, e da allora, Xena la crede morta. Lei vive in questa radura, e dobbiamo lasciarla andare.” Disse, per poi darci le spalle e squarciare il silenzio con un potente ululato. Un richiamo dai molteplici significati, e a cui nessun lupo avrebbe mai saputo resistere. Alcuni minuti svanirono come nebbia dalla nostra vita, e allo scadere degli stessi, una lupa grigia uscì dall’oscurità. Sembra incredibile, eppure è davvero la sorella di Ace. “L’abbiamo trovata.” Afferma lui, afferrando la cucciola per il collo e avvicinandola delicatamente alla sorella. “Vi ringrazio. Grazie di aver ritrovato la mia piccola.” Dice poi, avvicinandosi a Cora e strofinando il muso contro il suo. Accettando quel gesto senza proferire parola, mia figlia sorrise leggermente, e guardando quella cucciola negli occhi per l’ultima volta, le diede tristemente le spalle, non potendo poi evitare di piangere. Notandola, la piccola si voltò tentando di seguirla, e mugolando leggermente, si allontanò da quella che era la sua vera madre. “Aspetta.” La pregò, parlando con voce quasi angelica. Obbedendo a quella sorta di ordine, Cora tornò a guardarla, e regalandole un seppur debole sorriso, lasciò che una sua lacrima raggiungesse il terreno, bagnandolo come la fredda pioggia invernale. “Ti voglio bene.” Disse la piccola, sollevando leggermente una zampa in segno di saluto. Il silenzio che seguì quell’istante ci rese sordi e increduli, e mantenendo il silenzio, la vidi compiere un gesto nobile e al di fuori del normale. “Anch’io, Xena, anch’io.” Rispose, per poi avvicinarsi a me e continuare a guardare quella cucciola intenta a seguire la madre nella fitta e buia foresta. Quella notte era stata per tutti noi davvero preziosa. Un addio toccante, e un momento che nessuno dimenticherà mai. La piccola e dolce Xena aveva ritrovato le sue radici, e noi avevamo sperimentato sulla nostra pelle la nobiltà d’animo di Ace. Il suo gesto era inizialmente apparso crudele, ma proprio grazie a lui, i cuori di sua sorella Queen e della sua amata Cora erano finalmente caldi e felici.

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Capitolo 18
*** Cuccioli d'uomo ***


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Capitolo XVIII

Cuccioli d’uomo

Un altro lunghissimo mese colmo di emozioni ed eventi ha lasciato silenziosamente la vita di noi tutti, e mentre la foresta si sveglia con il levarsi del sole, che occupa il suo posto nel terso e azzurro cielo di questo calmo mattino, una moltitudine di voci mi distrae. Sono di nuovo impegnata in una delle mie solite passeggiate mattutine volte a scaricare lo stress e la tensione, e quell’insieme di voci, unite in un coro di gioia e gran festa, mi attira come il sangue di un animale ferito farebbe con un qualsiasi predatore. Un minuto scorre svanendo dalla mia esistenza, e correndo, li raggiungo. I miei amici umani sembrano chiamarmi, ed io non voglio farli attendere. Mia figlia Cora mi segue, con la piccola Xena appena dietro di lei, impegnata a tenere il nostro passo annusando l’erba e il terreno alla ricerca di impronte. Ad ogni modo, la fortuna ci assiste, e in pochi minuti, giungiamo alla nostra destinazione. È quindi questione di un singolo istante, e ciò che ho la fortuna di vedere, mi meraviglia, lasciandomi letteralmente senza parole. La mia amica Saskia è accompagnata dai genitori e dal marito Truman, che stringe la mano dell’amata guardandola con occhi colmi d’amore e orgoglio. Il villaggio è di nuovo in festa, e stavolta per un motivo ancora più importante. Sapevo bene che la mia amica era in attesa di un figlio, e finalmente oggi quella sorta di miracolo si compiva, proprio davanti agli increduli occhi miei e della sua intera comunità. Sorridendo, Saskia stringe fra le braccia un fagotto, e spostando leggermente quella morbida coperta, mostra a tutti quell’adorabile creatura. Il frutto del loro sconfinato amore, il motivo della loro gioia, e il concreto seme del loro sicuro avvenire. Il bimbo che tanto avevano atteso, e di cui perfino io ero felice. Nonostante la gran festa in onore di Saskia, gli umani non tardarono a notare la presenza mia e di parte dei miei congiunti, e avvicinandomi, mi lasciai accarezzare. Chinandosi leggermente, la mia amica mi passò una mano sulla testa, e leccandola, sorrisi. “Hai visto? È mia figlia, e si chiama Lyuba.” Sussurrò, trovando ancora non poche difficoltà a smettere di sorridere e trattenere la contentezza. “E guarda, non è sola.” Disse il marito, avvicinandosi a me e lasciando che strofinassi leggermente il muso contro il viso della loro bambina. Appena un attimo dopo, scoprii la verità. L’uomo stringeva infatti un secondo fagotto, e il colore della coperta, azzurro come i miei occhi e il ciondolo che sua moglie mi aveva regalato, mi portò ad intuire il sesso del piccolo. Un bellissimo bambino. Forte e sano quanto entrambi i genitori, portava un nome che valorizzava la sua nascita unita alla sua esistenza. Duncan. Un nome corto e semplice, recante nella loro lingua, un sapiente misto di russo, hindi e rumeno, il significato di guerriero. In quel preciso istante, un secondo sorriso mi illuminò il volto, ma la mia felicità si spense non appena il mio sguardo cadde sul mio ciondolo. Ricordavo bene il giorno in cui Saskia ne aveva regalato uno ad ogni membro del mio branco, e sapere che si era spezzato, mi avviliva. Chinando lo sguardo in segno di vergogna, mossi una zampa al solo scopo di toglierlo, per poi prenderlo in bocca e mostrarglielo. Stando al suo giudizio, la pietra era in buone condizioni, ma lo stesso discorso non appariva applicabile alla sottile catenina a cui quel gioiello era appeso. “Dallo a me.” Disse, parlando in tono calmo e al contempo serio. Mantenendo il silenzio, mi limitai ad obbedire, e alcuni attimi più tardi, mi accorsi che un accurato lavoro manuale aveva riportato il mio gioiello al suo antico splendore. “Non lasciarlo mai, capito?” mi avvisò, seria. Annuendo con decisione, la guardai, e lasciandomi abbracciare sia da lei che dal marito, la salutai con calore, per poi voltarmi e congedarmi da entrambi. Quel pomeriggio, tornai alla foresta in compagnia di Xena e Cora, e una volta arrivata, mi sdraiai fra l’erba, sfinita dalla stanchezza. Addormentandomi, mi rifugiai nei miei stessi sogni, immaginando, con un gran sorriso sulle labbra, l’avvenire di quei dolci cuccioli d’uomo.
 

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Capitolo 19
*** Amore oltre la morte ***


Luna-d-argento-III-mod
Capitolo XIX

Amore oltre la morte

Solo un giorno scompariva dal mio talvolta arduo vivere, e svegliandomi ancor prima dell’alba, sentivo per l’ennesima volta una voce nella mia testa. Non volevo crederci, ma anche in questo caso apparteneva al mio amato Scott. Sognavo, e ad occhi chiusi, rivedevo il suo volto, sentivo la sua voce e potevo perfino riuscire a toccarlo e baciarlo come ero solita fare quando era in vita. Sono ancora giovane, e nonostante tutto ciò che abbiamo passato, l’ho amato sin dal primo giorno. È sparito dalla mia vita come nebbia portata via dal vento, ma io lo amo ancora. Sin da quando mi ha lasciata rimanendo orfano della sua stessa vita, popola i miei sogni e la mia mente, parlandomi attraverso una profonda dimensione onirica. Tempo addietro, utilizzavo i miei sogni come strumento per fuggire da una realtà dolorosa e avversa, e ancora oggi questa non è che una mia abitudine, ma tale azione ha recentemente acquisito un nuovo significato. I miei congiunti non lo sanno, né io l’ho mai detto ad anima viva, ma ogni notte, fissando l’argentea luna, spero ardentemente di addormentarmi e incontrare il mio amato, così da potergli parlare e continuare a confessargli i miei sentimenti, così come facevo prima che la malvagità di un lupo come Scar me lo portasse via, impedendomi di vivere appieno il sogno d’amore che insieme avremmo voluto realizzare. La notte è ancora lunga, e ammirando il brillare delle lucenti e timide stelle, sono occupata a pensare, lasciando che il mio muso venga bagnato da fredde e amare lacrime contenenti preziosi ricordi. Dopo la sua dipartita, la luna ha voluto che incontrassi sua sorella Aura, e una lite avuta con lei mi aveva portato a voler restare da sola nonostante quanto mi fosse accaduto. Non sono che una lupa, e data la nostra natura, dopo la morte del compagno, il componente della coppia ancora in vita ha due possibilità. Trovare un nuovo amore, o restare da solo fino all’ora della propria scomparsa dal mondo. Ascoltando la voce e le ragioni del mio cuore, ho scelto di prendere questa strada, rifiutandomi di sostituire Scott con un lupo da lui diverso, e continuando, stoica come sempre, ad essergli fedele affrontando ogni avversità. Ogni giorno vedo i miei figli crescere, e il semplice gesto di guardarli negli occhi rievoca in me miriadi di ricordi. C’è poi mia sorella Astral, caduta in battaglia per mano dello stesso Scar, già colpevole di molti altri indicibili crimini. Un fiore e molte lacrime. Questi i miei omaggi a lei durante ogni visita a quella che è la sua tomba, situata nel villaggio degli inizialmente tanto odiati umani. Contrariamente a lei, strappata alla vita nonostante la sua forza d’animo, il suo adorato Chronos è ancora vivo, e non esiste giorno in cui non me ne parli ricordandola con amore, né notte in cui non ululi piangendone la scomparsa e pregando invano perché la nostra luna possa riportarla indietro. Sappiamo bene che non accadrà mai, e che i nostri desideri non saranno mai realizzati, ma non vogliamo arrenderci, poiché il nostro è un amore capace di andare oltre la nera e invincibile morte.  

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Capitolo 20
*** Addio o arrivederci? ***


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Capitolo XX

Addio o arrivederci?

“Ti amo.” “Resta.” “Non andartene.” Queste le tre frasi che dormendo mugolavo nel sonno, conservando la sempre vana speranza di essere sentita dall’unico lupo a cui le stesse erano rivolte. La sfortuna voleva che finissi per agitarmi fino a scoprirmi madida di sudore, per poi svegliarmi e arrendermi alla triste evidenza secondo la quale il mio tanto amato Scott non poteva che ormai essere frutto dei miei ricordi e dei miei vividi sogni, avendo terminato la sua esistenza troppo presto. Gli sono sopravvissuta, e i miei figli lo sanno bene, ma quel giorno, durante la guerra che gli umani avevano deciso di iniziare per cancellare la minaccia di Scar, avrei voluto esserci. Stargli vicino, combattere e salvarlo dal viaggio verso la luce che me l’ha ormai strappato come un fiore reciso prima di sbocciare nella sua bellezza. Avrei davvero voluto, ma ora tutto questo appartiene al passato, e mentre gli eventi non possono essere forzati, e il tempo non può essere controllato, rimango qui, ferma ad attendere il sorgere del sole, al seguito del quale, darò inizio alla mia giornata. Le ore passano, e non appena il dorato e magnifico astro re del cielo fa la sua comparsa, mi sveglio, sentendomi stanca ma al contempo animata da una forza che non credevo di possedere. Mia nonna Athena dorme ancora, faticando a respirare a causa della vecchiaia. Alla sua vista, sento gli occhi lacrimarmi, e nascondendo il muso fra le zampe, evito di guardarla, ben sapendo che tale spettacolo è per me letteralmente atroce. Suo marito Titan è lì con lei, e vegliandola, si assicura che nessuna fiera abbia il coraggio di avvicinarsi e attaccare. Ho faticato ad accettarlo, ma so comunque che sono entrambi prossimi al trapasso, e qualcosa, un odore in quest’aria mattutina, mi spinge a credere che non manchi molti a tale ed inevitabile evento. Tutto nella foresta sta cambiando, e perfino l’acqua del fiume appare diversa. Più torbida e meno limpida del solito, ha un colore più scuro del normale, e l’odore che sembra caratterizzarla è forte e penetrante, a tratti disgustoso. Ignara di tutto, mia figlia si avvicina chinandosi per bere, e agendo d’istinto, la fermo. “Non farlo.” L’ammonisco, vedendola raggelare e sperando che mi ascolti. “Cosa? Perché?” chiede, guardandomi con aria confusa. “Veleno.” Dice una voce alle sue spalle, che voltandomi scopro essere quella della zia Aura. Guardandola, non muovo un muscolo, e nonostante la mia immobilità, sento che la rabbia mi pervade. Il tempo scorre, e mentre la mia stessa mente è occupata a viaggiare alla ricerca di una ragione per tutto ciò che sta accadendo, un ricordo mi coglie di sorpresa. L’avevo scoperto durante uno dei miei giorni di fuga dalla tana, ma vicino alle cascate, un gruppo di uomini dalla pelle chiara, e perciò dissimili dalla famiglia di Saskia operava alle loro spalle, progettando di ampliare il loro territorio a scapito di noi animali, riversando i loro tossici scarichi nei fiumi dove eravamo soliti trovare acqua da bere. Non riuscivo a crederci. La nostra amata foresta sarebbe presto stata distrutta dalla sete di potere e grandezza di alcuni umani. Avevamo dei nuovi nemici, e non potevo certo permettere che il mio branco soffrisse a causa loro. Decisa a raggiungere il mio scopo, informai ognuno dei miei congiunti riguardo ai veleni presenti nelle acque del nostro fiume, e ascoltandomi in religioso silenzio, ognuno di loro annuì senza proferir parola. Si fidavano di me, ed io non potevo deluderli. Con il calar della notte, mi addormentai accanto ai miei figli, e sognando lo rividi ancora una volta. Il mio Scott. L’unico lupo che avessi mai amato e avuto il coraggio di amare, tentava di contattarmi nuovamente attraverso i miei sogni, e in quella sorta di mondo parallelo, potevo chiaramente sentire la sua voce. Spezzata dal dolore e dalla paura, mi implorava. “Ti prego, scappa e proteggiti, non voglio perdere te e i miei figli!” Diceva, piangendo lacrime la cui vista era per me insopportabile. Un mugolio seguì quelle parole, ed io terrorizzata, non mi mossi. Alcuni istanti trascorsero sparendo quindi dalla mia vita, e versando amare lacrime a mia volta, non ebbi la forza di parlare. “Mi dispiace. Non posso salvarli.” Avrei voluto dire, pur non riuscendoci a causa dell’immenso dolore provato e tacendo al solo scopo di mantenere una calma ormai persa. Svegliandomi di soprassalto, mi rimisi in piedi, e guardandomi intorno, diedi un ultimo sguardo alla verde e rigogliosa natura che mi circondava. Ero distrutta. Avevo riavuto il mio ciondolo e conosciuto la felicità della mia amica Saskia, ma mi sentivo incredibilmente incerta. Quello dato alla mia amata foresta, sarebbe stato un addio o un arrivederci?

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Capitolo 21
*** I nostri amici umani ***


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Capitolo XXI

I nostri amici umani

Avevo di nuovo parlato con il mio branco. Li avevo messi al corrente di quello che sarebbe stato il nostro immediato futuro, e seppur con grande incertezza, avevano scelto di seguirmi verso la nostra nuova meta. “Sicura che possiamo fidarci?” mi chiese Aura, in testa alla marcia proprio come me. “Conosco quell’umana sin dalla sua infanzia. È mia amica, e le ho perfino salvato la vita.” Dissi, ricordando il giorno legato all’eroico gesto che mi aveva permesso di guadagnare la fiducia dei genitori di Saskia. Una lunga pausa di silenzio fu ciò che accompagnò parte del nostro viaggio, ma improvvisamente, l’angelica voce di Xena mi distrasse dalla moltitudine dei miei pensieri. “Ti hanno addomesticata?” indagò, facendo uso dell’innocenza che la sua età comportava. A quelle parole, mi voltai subito verso quello che lei considerava suo padre. “Ace! Cosa le insegni?” dissi, redarguendolo per ciò che avevo appena sentito. “Lasciala stare, è solo una cucciola.” Rispose mia nonna Athena, ultima di noi a prendere parte a quella discussione, che rischiava di accendersi come la scintilla madre di un devastante incendio. Traendo conforto dalle sue parole, ritrovai la calma, e continuando a camminare, mi ritrovai di fronte al villaggio dei miei amici. “Siamo arrivati.” Dichiarai, gonfiando il petto e parlando in tono solenne. Qualche deciso passo in avanti mi permise poi di raggiungere casa di Saskia, e posando una zampa sulla lignea porta, mugolai nella speranza che venisse aperta. Per pura sfortuna non ricevetti risposta, e nel tentativo di ridurre i tempi della nostra attesa, mio fratello Rhydian iniziò ad abbaiare. I suoi latrati provocarono il pianto di Duncan e Lyuba, i due figli che Saskia aveva dato alla luce appena un mese prima. Ad ogni modo, il suo espediente parve funzionare, e la mia amica, accompagnata dal marito Truman, comparve sull’uscio di casa con la sua bimba fra le braccia. “Runa! Siete tutti qui!” esclamò, sorridente e felice di vedermi. “Che le succede? Sembra nervosa.” Le chiese il marito, avanzando poi una giusta ipotesi sul mio attuale stato d’animo. Mantenendo il silenzio, la mia amica mi si avvicinò per poi inginocchiarsi in terra, e posandomi una mano sulla testa, chiuse gli occhi per un singolo attimo. Tesa come una corda di violino, abbaiavo senza sosta, ma lei, persa in una sorta di mistico trance, pareva ignorarmi. “Portali alla grotta. Sai cosa accadrà con la pioggia.” Disse, rivolgendosi all’amato Truman e scivolando conseguentemente nel silenzio. “Ma…” biascicò lui, incerto e dubbioso sul da farsi. “Ho detto portali alla grotta.” Ripetè, ponendo inaudita enfasi sul nome del luogo che avremmo dovuto raggiungere. Ferma e immobile, rimanevo in silenzio, ma guardando la mia amica negli occhi, non potevo fare a meno di avere dei dubbi su di lui. Ad essere sincera, non l’avevo mai vista comportarsi in quel modo prima d’ora. “Che fosse spaventata? Che avesse paura come tutti noi?” questi i miei unici pensieri sul suo conto, che appesantivano la mia mente fino a minare la mia lucidità. Spostando il mio sguardo su Truman, lo vidi compiere un singolo gesto con la mano, al seguito del quale, scelsi di seguirlo. Obbedendo agli ordini della cara moglie, ci aveva condotto ad una grotta da me già conosciuta, e sdraiandomi in un angolo di quella spelonca, ammirai i disegni presenti sulla parete rocciosa. Alcuni minuti passarono, e allo scadere degli stessi, chiusi gli occhi. Non dormivo, ma ero felice. Avevamo trovato un riparo, e finalmente eravamo al sicuro. Tutto grazie ai nostri amici umani.

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Capitolo 22
*** Forti e uniti ***


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Capitolo XXII

Forti e uniti

Il mattino arrivava puntuale come al solito, e ammirando il sorgere del sole, mi svegliavo. Piena di energie, ma triste e stanca allo stesso tempo. Ancora confusa e assonnata, mi guardo intorno, avendo la fortuna e il piacere di notare che la amica Saskia è venuta ad augurarmi il buongiorno. “Ben svegliata. Ti senti meglio?” mi disse, per poi pormi quella domanda e ridurmi al mutismo. Guardandola senza capire, mantenevo il silenzio, e non proferendo parola, speravo che si spiegasse meglio. “Ti agitavi nel sonno, ora come stai?” chiese, continuando a guardarmi concentrando su di me il suo sguardo dolce e serio al tempo stesso. “Meglio.” Avrei voluto dire, fornendola la risposta che sapevo desiderasse sentire. Ad ogni modo, non potevo parlarle. Un altro dei miei desideri era quello di poterle rivelare la mia capacità di farlo, ma nonostante tutto, ero certa che la cosa l’avrebbe sconvolta. Non facevo quindi altro che tacere lasciando che i miei gesti le permettessero di comprendermi, e per lunghissimi anni, tale espediente funzionava alla perfezione. Il tempo continuava a scorrere, e nascondendomi in un buio angolo di quella grotta, pensavo. “Mi agitavo davvero nel sonno? Cosa mi stava accadendo? Perché ero costantemente allerta?” domande che mi ponevo parlando con me stessa, e che nonostante i miei sforzi, non trovavano né sembravano avere una risposta. Andando alla ricerca di conforto, mi rivolsi a mia nonna, e sdraiandomi al suo fianco, la guardai. Appariva perfino più stanca di me, e lasciando che il colore dei suoi occhi si fondesse con quelle dei miei, mi guardò. Nel suo sguardo qualcosa di diverso. Un misto di gioia, orgoglio e dolore. Avvicinandomi, non volli che parlarle, e mantenendo il silenzio, sperai che i suoi ormai famosi consigli potessero aiutarmi, e per pura fortuna, o forse grazie all’intervento di forze a me superiori, le sue parole mi furono di gran conforto. “Sei solo stanca, ma non puoi mollare.” Esordì, per poi tacere al solo scopo di prendere fiato e respirare profondamente. “Ti conosco da quando sei nata, e forse non ricordi, ma i tuoi genitori hanno voluto che gli facessi una promessa.” Continuò, scivolando nuovamente nel più completo mutismo. Il suo respiro si faceva sempre più irregolare, e tentando in ogni modo di nascondere il dolore realmente provato, continuava a fissarmi mostrando una compostezza mai vista. “Un giorno, poco prima dell’incendio, mi hanno chiesto di prendermi cura di te, così che anche dopo la loro morte tu avessi una guida. Ricorda solo una cosa. Proteggi il tuo branco.” Disse poi, non riuscendo a fermare le calde e amare lacrime che in quel preciso momento le rigavano il muso senza alcun ritegno. Muovendo un singolo passo in avanti, asciugai le sue lacrime leccandole il muso, e appena un attimo dopo, accadde l’irreparabile. Tossendo con forza, mia nonna finì per sputare del rosso sangue, e sentendosi incredibilmente debole, cadde in terra. Allarmata, la scossi con vigore sperando che riuscisse a riprendersi, e incredibilmente, riuscì a riaprire gli occhi. “Addio, mia piccola Runa.” Quelle le ultime parole che mi rivolse prima di spirare. In quel preciso istante, iniziai a piangere, e fuggendo dalla caverna, chiesi l’aiuto della luna e degli umani. I miei amici tentarono di aiutarla e strapparla a un avverso e funesto destino, ma per lei non ci fu speranza. Se n’era andata. Mi aveva lasciata per sempre, e l’unica cosa certa era che fosse orgogliosa di me. Guardandomi negli occhi, Saskia mi abbracciò stringendomi forte a sé. “Mi dispiace moltissimo.” Sussurrò nel mio orecchio, accarezzandomi la testa e sperando di riportare un sorriso sul mio volto. Per pura sfortuna, il suo espediente parve non funzionare, e per la prima volta in tutti quegli anni, piansi di fronte a lei. I miei congiunti mi si strinsero intorno, e versando amare lacrime, prendemmo tutti un’importante decisione. Dopo la morte della nostra amata e vetusta nonna, avremmo dovuto essere forti e uniti.

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Capitolo 23
*** Dichiarazione di guerra ***


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Capitolo XXIII

Dichiarazione di guerra

I minuti continuavano a scorrere, e i miei amici umani non volevano che aiutarmi. Guardando alternativamente me, i miei congiunti, e la mia ormai defunta nonna, ogni membro della comunità si adoperava per dare inizio ad un rispettoso funerale, che avrebbe permesso all’anima di mia nonna di congiungersi con la luna e le stelle. Un mucchio di paglia era divenuto la sua bara, e nell’aria serpeggiava il dolce odore della lavanda. Mantenendo il silenzio, respiravo trattenendo le lacrime e sperando di non crollare, ma fallendo nel mio intento, piansi. Le mie lacrime cadevano copiose sul terreno, e muovendomi lentamente, abbassai il capo in segno di rispetto, per poi pronunciare una frase tanto semplice quanto per me significativa. “Sarò il tuo orgoglio.” Quattro parole che sussurrai poco prima di chinarmi e deporre un bacio sul suo muso. In quel preciso istante, qualcosa accadde. Il vento che spirava le scompigliò il pelo, e  sulla sua nuda pelle, si palesò una sorta di marchio. Una ferita aperta e profonda, con del sangue rappreso ancora intorno. A quella vista, sussultai. Seppur per un singolo istante, credetti di sognare. Avevo sempre creduto che mia nonna Athena fosse morta a causa della sua ormai veneranda età, ma posando lo sguardo sul suo fianco, scoprii di sbagliarmi. Qualcuno l’aveva uccisa, ed io non avevo dubbi. Chinandomi nuovamente, annusai quella ferita, ed esaminandola, ebbi una sola certezza. Scar. Il mio nemico, l’oggetto del mio odio, la mia tanto detestata nemesi. La tristezza mi colse di sorpresa, e mentre le mie lacrime si mischiavano al suo sangue, le diedi le spalle, allontanandomi dignitosamente. Preoccupandosi per me, mio fratello Rhydian mi si avvicinò, e parlandomi, tentò di consolarmi. Essendo troppo triste e stanca per credere alle sue parole, lo ignorai, continuando a piangere e non facendo altro che dargli le spalle. “Lo uccideremo, una volta per tutte.” Dissi, parlando sottovoce e sperando di non essere sentita. Conoscendomi, sapevo di non essere una lupa violenta, ma dopo quanto era accaduto, qualcosa in me era scattato come una molla. Quell’odioso lupo avrebbe dovuto morire, ed io me ne sarei assicurata personalmente. Le mie stesse zampe sarebbero state la sua morte, e nel giorno della sua dipartita, tutti i lupi della foresta avrebbero gioito. “Non avremo pietà. Non la merita dopo quanto ha fatto al branco e alla mia Astral .”Proruppe Chronos, avvicinandosi e interrompendo il flusso dei miei pensieri. Mantenendo il silenzio, mi limitai a guardarlo, e lasciando che le nostre zampe si toccassero, mi mostrai d’accordo con lui, stringendo con il mio intero branco un patto che nessuno sarebbe mai stato capace di sciogliere. Sin dal giorno in cui l’avevo incontrato, i nostri cammini si erano incrociati, e ora più che mai ero certa che meritasse morte, dolore e sofferenza. Non ne era consapevole, ma il suo ignobile e imperdonabile gesto appariva ai nostri occhi come una forte e chiara dichiarazione di guerra.

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Capitolo 24
*** Pronti a combattere ***


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Capitolo XXIV

Pronti a combattere

Ancora una volta, eravamo uniti in un viaggio verso il colle che avevamo visitato poco tempo prima, utilizzandolo come rifugio poco prima di una delle tante battaglie combattute contro Scar. Il silenzio regnava attorno a me, e l’unico suono udibile era quello dei nostri passi, lenti ma decisi. Camminavamo senza sosta, tesi e pronti a difenderci in ogni momento. Contrariamente agli altri, che alla mia vista apparivano calmi, Chronos ed io non lo eravamo. In noi albergava la rabbia. Un sentimento che sin dall’infanzia non ci era mai appartenuto, ma che ora, dopo quanto era accaduto, aveva trovato un posto nei nostri cuori, divisi in due parti dominate rispettivamente da collera e dolore. In quegli istanti, perfino i nostri pensieri erano simili. Io tacevo, rimembrando il mio amato Scott e la mia cara nonna Athena, e lui pareva imitarmi. Pur rimanendo concentrata sul mio cammino, ero certa che nella sua mente ci fosse ora posto solo per la sua adorata Astral, mia coraggiosa sorella caduta durante una battaglia che ci aveva comunque visti vincitori. Perfino la figlia Nova ricorda ancora quel momento, in cui la madre aveva chiuso gli occhi proprio di fronte a lei, esalando l’ultimo respiro e lasciando per sempre questo vasto mondo. Quasi per istinto, mi volto a guardarla, notando che proprio come il padre, piange in silenzio. Le lacrime di entrambi bagnano il terreno, e improvvisamente, lei si ferma. “Non posso farlo.” Dice, guardando dapprima il terreno e poi ognuno di noi. “Non sono violenta, e non lo sarò mai, e se la mamma è morta è anche colpa mia.” Continua, struggendosi e imputandosi la colpa di quanto accaduto in quel nefasto giorno. “Nova, ascolta. Devi farlo. Per tutti noi e anche per la mamma.” Risponde suo padre, innamorato perso di una figlia ribelle e debole quanto lei, che nei suoi tempi di cucciola non faceva altro che giocare e imparare da lui ogni singola sfaccettatura dell’essere una lupa forte e coraggiosa. A quelle parole, non rispondo, e appena un istante più tardi, qualcuno pare farlo per me. È Brutus, suo unico fratello a parlarle. I loro sguardi si incrociano, e guardandola, è pronto a consolarla. “Sai che sarebbe orgogliosa. Ti ha salvata da Scar, ti voleva bene e te ne vorrà sempre.” Dichiara in tono solenne, incontrando l’approvazione di sua sorella Delta, più piccola degli altri di solo pochi minuti. “Grazie, ragazzi.” Risponde poi, commossa dalle loro parole. “Che dici, ne sei convinta?” azzarda poi il padre, volendo unicamente incoraggiarla a prendere parte alla battaglia che ai nostri occhi appare decisiva. Mantenendo il silenzio, la giovane lupa annuisce, per poi farsi coraggio e pronunciare una frase che è per noi un’iniezione di forza e autostima. “Per la mamma.” Dice, ricordando con gioia e orgoglio colei che le ha offerto il dono della vita rendendola la lupa che è oggi. “Per la mamma.” Ripetono i fratelli, sorridendo convinti e orgogliosi della forza d’animo mostrata dalla sorella. Dopo quel momento così intimo, il viaggio continua, e con lo sfumare del mattino in pomeriggio, giungiamo alla sommità del colle. Stando a quanto i miei custodi alati mi hanno raccontato, la bestia che cerchiamo si nasconde in una grotta, e ululando, spero segretamente di svegliarla e spingerla a combattere. Ad ogni modo, il mio espediente pare avere un risultato completamente diverso. Alcuni secondi svaniscono dalla mia vita, e al mio cospetto appaiono in volo le aquile gemelle. Due volatili maestosi, che incredibilmente rischierebbero la vita al solo scopo di obbedirmi. “Hai chiamato?” chiedono, parlando all’unisono e attendendo una mia risposta. “Dov’è la bestia?” indago imponendomi con fermezza e sperando che riescano a fornirmi delucidazioni a riguardo. “Nella grotta più vicina, ma fa attenzione.” rispondono, per poi scegliere di avvertirmi del pericolo imminente. “Grazie Night, grazie Legend. Tornate indietro.” Ordinai, per poi vederle sparire fra le nuvole che iniziavano a prendere posto nel cielo. Un singolo attimo svanisce senza fare ritorno, e la nostra caccia continua. Scar è il nostro unico obiettivo, al quale si aggiunge quello di ucciderlo senza alcuna pietà. La grotta nella quale si nasconde appare umida e buia, e il suono del moto di un corso d’acqua non fa che innervosirci. Crede di aver scelto un posto sicuro e lontano da noi, ma si sbaglia. Noi lo troveremo, e per lui sarà la fine. In completo silenzio, ci aggiriamo guardinghi, e improvvisamente, una voce ci fa gelare il sangue nelle vene. “Fermi!” grida la stessa, che nella spelonca risuona producendo un’eco apparentemente infinita. “Cosa fate qui?” chiede poi, uscendo dall’ombra e rivelando la sua identità. È un tirapiedi di Scar, e alla sua vista, mi faccio avanti. “Cerchiamo la bestia che ti comanda, vile scagnozzo.” Rispondo, sperando di fornire le informazioni che cerca. “Il mio Signore non è una bestia, e di qui non passerete.” Continua, tentando di apparire coraggioso di fronte al mio atteggiamento. Ci prova con tutte le sue forze, ma il suo stesso corpo lo tradisce. Trema come un cucciolo di fronte al pericolo, mostrandosi patetico e privo di spina dorsale. “Ne sei certo?” mi informo, avvicinandomi minacciosa e ringhiando sonoramente. “Mortalmente, piccola domestica.” Afferma, sputando poi quel velenoso termine. Perfettamente immobili, i miei congiunti assistono alla scena, e la rabbia di mia figlia si palesa in quell’istante. “Non chiamarla in quel modo!” urla, scagliandosi sul nemico e riuscendo a ferirlo al muso. “Lei non è una domestica, e non lo sarà mai, capito?” aggiunge, ancora irosa e desiderosa di porre fine alla vita di quello sporco individuo. Spaventato, il lupo non può che annuire, e allontanandosi, Cora lascia che si rialzi da terra. “Non provarci mai più.” Conclude, guardandolo con occhi colmi d’odio. Il terrore ha ormai preso pieno possesso del suo corpo, e Prince, questo il nome di quell’orrendo lupo, fugge spaventato come una lepre di fronte a una volpe. Lui è sistemato, e ora tocca a Diablo. Braccio destro del nostro nemico, si preannuncia duro da abbattere, e perfino il suo nome suggerisce sangue e violenza. Ad ogni modo, andiamo avanti, e prima che possiamo accorgercene, eccolo. Proprio di fronte a noi, ringhia senza sosta, avendo come unico desiderio quello di proteggere il suo padrone. “Allontanatevi, inferiori.” Ci avverte, trattenendo l’ormai ovvio istinto di attaccare e farci del male al solo scopo di difendersi. “Tu non ci interessi. Dov’è lui? Dov’è Scar?” indaga Chronos, facendosi coraggiosamente avanti. “Non è qui.” Risponde, con la voce apparentemente incapace di tradire qualsiasi tipo di emozione. “Allora portaci da lui.” Ordina mio fratello Rhydian, mostrando le zanne e gli artigli. “Resta dove sei, sta mentendo.” Rivelo, smascherando quell’odioso traditore ancor prima che il suo piano possa compiersi. In quel preciso istante, una fragorosa e malvagia risata riecheggiò nell’intera grotta e dall’ombra emerse colui che cercavamo. “Complimenti, meticci. Siete riusciti a trovarmi, ma siete pronti alla lotta?” chiese, sarcastico. Quasi ignorando quelle parole, nessuno di noi rispose, e mentre un potente ringhio abbandonava le mie labbra, mi lanciai su di lui, mordendogli il collo con tutte le mie forze, scuotendolo come se fosse stato un debole coniglio. Incredibilmente, riuscì a liberarsi dalla mia presa, e sopportando il dolore e l’odore del sangue, passò all’attacco. Pronti a tutto, schivammo a turno ogni sua zampata, ma Nova non fu abbastanza veloce. Un suo singolo colpo la scaraventò in terra, e anche la ferita che ne risultò non sanguinava, lei sembrava debole e priva di forze. Allarmata, gridai il suo nome, ma da parte sua neanche un anelito di vita. Correndole incontro, la chiamai più volte, ma nulla parve funzionare. All’improvviso, un quasi impercettibile movimento dei suoi occhi, ancora chiusi. Avevo capito ogni cosa, e allontanandomi, tornai a combattere. Incuriosito, Scar si avvicinò di nuovo a lei, e in quel momento, qualcosa accadde. Lentamente, Nova riaprì gli occhi, e rimettendosi in piedi con velocità inaudita, sferrò un attacco tale da stordire il nemico. Guardandola, Chronos si scoprì orgoglioso. La sua amata figlia si era finta morta per tutto quel tempo, cogliendo il nemico di sorpresa e atterrandolo a sua volta. Per nostra sfortuna, non era ancora finita. La stanchezza stava lentamente avendo la meglio su di noi, ma parlando con me stessa, mi davo coraggio, esprimendo come unico desiderio quello di restare in vita e non mollare. “Proteggi il tuo branco.” Mi ripetevo, recitando quelle poche e semplici parole come un antico mantra ormai dimenticato. Completamente rapita da tali pensieri, non mi accorsi della presenza di Scar alle mie spalle, e una sua zampata bastò a mandarmi al tappeto. Mi scoprii quindi priva di conoscenza, e anche in quegli istanti, continuai a farmi forza. “Fallo per loro, e anche per Scott.” Mi dissi, per poi riacquistare le forze necessarie ad alzarmi e passare di nuovo all’azione. Ad ogni modo, e prima che potessi farlo, Scar mi si avvicinò, minando con le parole la mia calma e il mio stato d’animo. “Runa! Povera, dolce e innocente Runa! Non provi vergogna?” mi chiese, sputando dapprima quello che era il mio nome. “Per cosa?” indagai a mia volta, stanca e livida di rabbia. “Tu e il tuo insulso branco avete provato a sfidarmi, ma a che scopo? Perché avete scelto di farlo?” continuò, ponendo domande retoriche e con il solo potere di adirarmi e farmi quindi perdere il lume della ragione. Sbuffando, tentai di darmi un freno, ma una voce nella mia testa mi spinse ad agire. “Fallo ora, e finiscilo per sempre.” Diceva quella voce, anche stavolta mia guida durante questa così ardua battaglia. “Perché tu hai ucciso mia madre!” gridai, poco prima di avventarmi su di lui e lasciar penetrare i miei artigli nella sua carne. In un urlo di dolore, lo vidi letteralmente contorcersi in terra, e un mio semplice sguardo parve inchiodarlo al terreno. Incredibilmente, Scar riuscì a rialzarsi, e con voce flebile, pronunciò una frase per mezzo della quale scrisse il suo destino. “Tua.. madre… meritava di morire.” Biascicò, faticando a mantenere il suo ormai precario equilibrio e sentendo ognuna delle sue ferite bruciare come fuoco vivo. “Come la mia Astral?” Disse una voce alle sue spalle. Voltandomi, scoprii l’arrivo di Chronos. Considerandosi troppo debole per agire e lottare al nostro fianco, era rimasto in disparte, ma quella fatidica frase si era rivelata troppo da sopportare. Nello spazio di un momento gli fu addosso, e attaccandolo, pose definitivamente fine alla sua esistenza. Una volta soddisfatto, Chronos indietreggiò, e guardando la forza vitale abbandonare i suoi occhi, non proferì parola. “È finita.” Si limitò a dire, per poi voltarsi e guardarmi negli occhi. “Ce l’abbiamo fatta.” Aggiunsi, lasciandomi poi trascinare dalla gioia provata in quel momento. I nostri occhi brillavano per la contentezza, e una volta tornati sulla cima del colle, ci lasciammo tutti andare ad un ululato forte e collettivo. Non riuscivo a crederci. Avevo guidato una rivolta contro un lupo del calibro di Scar, avevamo sofferto, pianto e lottato aspramente, ma alla fine ce l’avevamo fatta. Eravamo rimasti uniti come un vero branco, e soprattutto, ci eravamo dimostrati pronti a combattere.            

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Capitolo 25
*** Liberi di vivere ***


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Capitolo XXV

Liberi di vivere

Un altro anno se ne stava lentamente andando, e ancora affranta, ricordavo mia nonna. Strappata alla vita da Scar, un lupo ormai morto per mano mia e del mio branco, mi voleva bene, tanto da confessarmi il piano dei miei genitori appena prima dell’incendio causa della loro fuga dalla foresta. In quella così nefasta notte, avevano chiesto alla mia amata nonna Athena di prendersi cura di me anche in loro assenza, e lei, assieme al marito Titan, l’aveva fatto, onorando tale promessa come ogni altra che si rispetti. Il tempo sta passando, e ora è tutto diverso. Per pura fortuna, o forse grazie all’intervento di forze a me sconosciute, il sole e la luce emanata dai suoi raggi hanno portato numerose novità in quella che è la mia vita. Il vento ha agito in maniera simile, e spirando gentilmente, mi ha dato modo di respirare e pensare. Ora come ora, molte cose sono cambiate, e nulla è più come soleva essere. Sono cresciuta, e anche se la mia giovinezza sta sfiorendo, la cosa non mi tocca. Incredibilmente, mi sento molto più forte e saggia, e guardandomi intorno, non posso che provare orgoglio. La splendente e maestosa luna ha operato la sua ormai conosciuta magia, dando a mia figlia Cora e al suo amato Ace, la singola ed aurea possibilità che da lungo speravano di ottenere. Rimanendo costantemente l’uno al fianco dell’altra, si sono amati, e con la benedizione della regina dei cieli, hanno avuto l’onore e la fortuna di accogliere ben cinque cuccioli nella loro famiglia. Piccoli e giocosi ammassi di pelo, come loro li definiscono, ma anche fonte di quella che è ora la loro felicità. Due adorabili femmine e tre energici maschi. Questo ciò che il cielo ha deciso di regalar loro, avendo piani ben precisi per la coppia che formano e formeranno per il resto della vita. Nessuno di loro ha ancora un nome, ma la cosa pare non tangere nessuno dei due orgogliosi genitori. Un giorno quei cuccioli cresceranno, sviluppando un carattere e un’identità tutta loro, e anche se forse io non ci sarò, e il mio corpo cesserà di esistere, il mio spirito continuerà ad accompagnare Ace e Cora nel loro viaggio alla scoperta dell’ignoto. Ad ogni modo, la mia gioia pare non aver fine. Per qualche strana e a me ignota ragione, mio fratello Rhydian e la sua cara Dharma erano fermamente convinti di non poter avere una loro famiglia, ma la scorsa notte, durante uno spaventoso temporale, le mute ma sorridenti stelle hanno esaudito il loro desiderio, e un nuovo e dolce cucciolo si è unito al branco. Ultimi, ma non per importanza, ci sono i miei amici umani. La fortuna ha rivolto un sorriso anche nella loro direzione, e grazie alla stessa, i genitori della mia cara amica Saskia sono giunti ad un importante e vantaggioso accordo con coloro che chiamano “visi pallidi.” Seppur a malincuore, hanno deciso di sacrificare il villaggio in cui vivevano per evitare che la foresta venisse ferita o distrutta. Inizialmente, non potevo che essere triste e dispiaciuta per quello che sarebbe stato il loro avvenire, e pensando, mi chiedevo spesso cosa sarebbe accaduto, ma anche in questo caso, i miei muti pensieri sono stati ascoltati. Il pomeriggio sta ora per sfumare in nera e buia notte, e guardandomi intorno, sono felice di essere dove sono. Una maestosa e verde radura in cui Truman e Saskia hanno intenzione di dar vita a un nuovo villaggio con l’aiuto e la presenza dei rispettivi genitori, e un nuovo ambiente naturale al quale sono pronta ad abituarmi. Ognuno di noi ha ancora con sè i ciondoli che lei stessa ci ha generosamente regalato, e proprio oggi, poco prima di ritirarsi nella sua piccola casa e dormire, mi ha tenuto compagnia, rivelandomi finalmente il mistero che da anni orbitava attorno a quei gioielli. Non erano certo magici, nè avevano alcun potere speciale, ma erano comunque equamente importanti, in quanto simbolo dell'amicizia che avevamo costruito insieme. Sorridendo, l'ho guardato negli occhi, ed eseguendo il gesto della monta, le ho fatto le feste abbaiando con gioia. "Ti voglio bene anch'io." Ho pensato, poco prima di lasciarla andare e vedere quella porta chiudersi con estrema lentezza. Era vero. Anch'io volevo bene a Saskia e alla sua intera comunità, compresi i suoi tanto amati figli Duncan e Lyuba, che come ogni nuovo membro del branco, crescono in gran fretta, e con ogni ciclo solare, non faccio che sorridere guardandoli imparare l’arduo mestiere rappresentato dalla vita, e stasera, guardando la luna, ricordo uno degli importanti disegni presenti sulle rocciose pareti della vecchia spelonca che mi aveva tempo addietro offerto un rifugio. Mia nonna non ha mai avuto modo di dirmelo, ma riflettendo, mi guardo indietro, e fermandomi a pensare, credo di aver finalmente capito. Sin dal giorno della sua morte, non ho fatto altro che guidare il branco verso ardue battaglie e mete sconosciute, e tutto questo per un semplice motivo. Io, la bianca lupa Runa, sono una nuova alfa. Conoscendo i miei trascorsi e i traguardi raggiunti al fianco di coloro che mi amano, non temo il dolore, i miei nemici o la tirannia del freddo, ben sapendo che tutti noi siamo ora liberi di vivere.




Avendo letto quest'ultimo capitolo siete finalmente giunti al culmine del viaggio intrapreso dalla nostra amica Runa. Grazie a tutti coloro che hanno letto, anche in silenzio, e arrivederci nei miei prossimi scritti,

Emmastory :)     

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