Frammenti di te

di Seele
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Svegliati ***
Capitolo 2: *** Nove ***
Capitolo 3: *** Famiglia ***



Capitolo 1
*** Svegliati ***


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Svegliati



Louis finì di abbottonarsi i jeans, raccolse la maglietta dal pavimento e la indossò con tranquillità. Sentiva il respiro leggero di Harry al suo fianco mentre si rivestiva, i suoi occhi puntati addosso; quasi poteva percepire un sorriso rilassato sulle sue labbra. Terminò di infilarsi le scarpe, ma prima di alzarsi dal letto sentì le molle cigolare sotto al peso di Harry che si metteva seduto.

“Non andare troppo veloce, mi raccomando” disse il ragazzo nel suo orecchio, con voce appena più roca del solito per avere appena finito di fare l'amore. “Sai che ci sono dei lampioni spenti.”

Louis sentì le sue braccia cingergli la vita e le spalle da dietro, sorrise automaticamente. “Stai attento” aggiunse piano, posando il mento sulla sua spalla e premendo un piccolo bacio sulla sua mandibola.

“So badare a me stesso, Harry” gli ricordò Louis con una risata lieve, voltando il viso verso il suo. Come previsto, le loro labbra si incontrarono in un bacio leggero, che Louis dovette interrompere troppo presto: Harry odorava ancora di amore, di lenzuola e di baci, e temeva che sarebbe ritornato di corsa nel letto se non se ne fosse andato il prima possibile.

Harry premette il palmo della propria mano contro il suo petto, proprio sul cuore, prima di sciogliere l'abbraccio e lasciarlo andare.

Louis si voltò un attimo prima di varcare la soglia; aveva percepito la sua strana preoccupazione e desiderava rassicurarlo. “Ehi, amore” lo chiamò, facendolo arrossire come da copione, anche dopo tanti anni. Era bellissimo; nudo tra le coperte, con i ricci scompigliati e le labbra ancora rosse dei suoi baci.

“Stai tranquillo” sorrise. Attese che Harry ricambiasse, poi uscì di casa.


*


“Dai, cazzo, muoviti!” sbottò Louis, fermo da almeno un quarto d'ora ad un incrocio per colpa di un un ragazzo a cui non partiva il motorino. “Che palle” esalò frustrato, controllando l'orologio.

Sarebbe di certo arrivato tardi all'incontro con gli stilisti, che ultimamente avevano deciso di cambiare la sua immagine. Louis sapeva già cosa lo aspettava: un nuovo taglio di capelli, un altro tipo di abbigliamento, e probabilmente avrebbe anche dovuto indossare capi di una determinata marca, per fare pubblicità.

Louis tamburellò le dita sul volante, abbassando gli occhi sulla fede d'argento che portava al dito medio, identica a quella che Harry indossava a sua volta. Di solito bastava che le lanciasse uno sguardo per tranquillizzarsi, ma stavolta si sentiva stranamente nervoso. Voleva soltanto arrivare all'incontro e poi tornare a casa il prima possibile, per vedere il sorriso di Harry e sentirsi di nuovo bene.

Gli girava la testa, come succedeva di solito quando era molto stanco. Si passò una mano sugli occhi, prima di alzare lo sguardo e controllare la situazione davanti a sé.

Il ragazzino sulla moto sembrava finalmente aver capito quale fosse il problema. Louis gli suonò animatamente, sbuffando. Il suo era solo un commento di lode, non un incitamento annoiato, davvero.

Louis cambiò marcia e girò le ruote verso destra, pronto a prendere quella direzione. Nel frattempo estrasse il telefonino dalla tasca, selezionando dalla rubrica il numero di Harry, e fece per scrivergli che era ancora vivo, visto che lo aveva tempestato di telefonate. La suoneria lo aveva nervosamente accompagnato per tutto il tragitto, e ora era quasi arrivato.

E, nell'esatto secondo in cui sbloccò il freno a mano e premette annoiato il piede sull'acceleratore, fece l'errore di alzare il volume della radio e mettere in moto senza controllare gli specchietti.

Poi fu solo il buio.


*


Harry sospirò sollevato quando sentì la suoneria del suo cellulare diffondersi nella cucina, e lesse il nome di Louis in sovrimpressione sullo schermo; si portò subito il telefono vicino con la mano che non era impegnata a cucinare, sistemandolo fra orecchio e collo e rispondendo immediatamente.

“Lou!” esclamò, con un sorriso enorme. “Non so perché ma pensavo-”

“È lei Harry Tomlinson-Styles?” domandò una voce sconosciuta e calma, quasi fredda, dall'altro capo del telefono.

Il sorriso dal volto di Harry scomparve velocemente come era apparso. “Sì, sono io” confermò, interdetto, “chi parla?”

“Sono il primario Wright dell'ospedale Mithcell” Harry mancò un battito. “Può confermare che questo cellulare appartiene a Louis Troy Austin?”

Louis.

“S-sì, ma è conosciuto come Louis William Tomlinson” si sforzò di rispondere. “Cosa- cos'è successo?”

“Non posso fornirle alcuna informazione sul paziente, se prima non conosco il vostro grado di parentela” rispose il primario.

Paziente.

Harry sentì un groppo in gola. “La prego, mi dica cosa-”

“Il suo grado di parentela, Sir.”

“Sono suo marito” esalò Harry, a corto di aria. “Siamo sposati da tre anni. Lei deve dirmi- sono suo marito, lei deve dirmi.”

Sentì un vociare leggero dall'altra parte della cornetta, e si sforzò di concentrarsi sul proprio battito cardiaco per calmarsi. Louis doveva per forza averlo messo tra le persone da contattare in caso di...in caso di incidenti. Era inverosimile che non potesse conoscere la sua situazione.

Anche il vociare cessò, e Harry ascoltò uno snervante silenzio mentre tentava di non pensare al peggio. Magari era stata una ferita superficiale, o un calo improvviso di zuccheri, una piccola perdita di sangue...

“D'accordo” il primario tornò a parlargli, “abbiamo controllato. A questo punto, essendo i genitori del parente irraggiungibili, spiegherò a lei l'avvenuto.”

“Mi dica” lo pregò Harry, per l'ennesima volta.

A quel punto stringeva il cellulare in mano, incurante di bagnarlo leggermente. L'acqua continuava a scorrere davanti a sé, e solo distrattamente se ne rese conto prima di chiuderla. Stava già straripando dalla pentola in cui aveva intenzione di cucinare della pasta.

“Il paziente ha fatto un grave incidente in auto” Louis. “Un'altra macchina è arrivata a grande velocità sull'autostrada, il conducente era ubriaco, il signor Tomlinson non ha fatto in tempo a spostarsi e le due automobili si sono scontrate” Louis. “Il suo cuore si è fermato due volte, ma siamo riusciti a rianimarlo” Louis. “Ha delle costole rotte e varie emorragie interne, ha ancora bisogno di trasfusioni ed è attualmente in coma.”

Louis, Louis, Louis.

“Signor Tomlinson-Styles?”

Louis, Louis, Louis.

“Signor Tomlinson-Styles, mi sente?”

Louis, Louis, Louis.

“Signor Tom-”

“Sto arrivando” rispose solo Harry, per poi riattaccare.


*


Harry si sedette accanto al letto di Louis, in una camera privata che era riuscito ad ottenere dai medici. Si stava asciugando gli occhi con la mano non occupata a stringere quella di Louis, in attesa di sentirla rispondere al contatto.

Si sentiva piuttosto debole; aveva lo stesso gruppo sanguigno di Louis, e non aveva esitato un secondo prima di farlo sapere al primario con cui aveva parlato al telefono. Aveva mangiato velocemente qualcosa per riprendere le forze, poi si era catapultato nella stanza di Louis.

E lì aveva iniziato a piangere senza possibilità di smettere. Perché adesso era tutto davanti ai suoi occhi; non poteva più sembrare uno scherzo di cattivo gusto, né un incubo, ma era tutto così reale da terrorizzarlo. La mano di Louis era calda nella sua, segno che era ancora vivo, ma respirava solo grazie ad una macchina e il solo pensiero faceva stringere il cuore di Harry.

Gli avevano tolto la fede e l'avevano consegnata a Harry, che l'aveva conservata con cura ma non aveva avuto il coraggio di togliere anche la propria. Tirò su col naso e osservò gli occhi chiusi di Louis, sussurrando come tra sé e sé rassicurazioni e promesse.

“Ti sveglierai, Lou, io lo so che puoi farcela.”

Conobbe la dottoressa Chittle, una donna dai lunghi capelli castani e dagli occhi azzurri, un paio di occhiali sul naso e la pelle chiara. Gli disse che avrebbe dovuto rivolgersi a lei d'ora in poi, perché si sarebbe occupata personalmente del paziente.

Si addormentò sulla poltrona accanto al letto di Louis e dormì lì quella notte, incapace di tornare a casa. Aveva avuto solo la forza di avvertire sua madre della situazione, ed Anne aveva preso il primo aereo verso Londra.

Liam era stato il primo ad arrivare, il giorno dopo. Si trovava fuori dall'Europa per una vacanza, ma non aveva esitato un secondo prima di partire per raggiungerli.

Non aveva avuto il permesso di entrare nella stanza, per cui era stato Harry ad uscirne. Si era subito lasciato avvolgere dalle braccia forti di Liam e aveva ricominciato a singhiozzare, proprio quando credeva di aver finito le lacrime.

Liam si occupò di tutto. Telefonò ai manager, mettendoli al corrente della situazione, chiamò anche Zayn e Niall. Non sapeva per quale motivo, ma Harry aveva telefonato solo a lui; forse perché sapeva che, fra i tre, sarebbe stato il più adatto ad occuparsi di quelle faccende, e perché inconsapevolmente sentiva che non ne sarebbe mai stato in grado da solo.

Anne lo convinse a tornare a casa per la notte, gli preparò la cena e gli disse che sarebbe andato tutto bene. Harry si lasciò trattare come se fosse tornato ad essere un bambino, bisognoso di rassicurazioni e cure.

Anne riuscì a contattare Johannah, e la donna arrivò in ospedale il giorno dopo insieme al marito. Le sorelle di Louis non c'erano; Mark spiegò che non avevano voluto dir loro nulla, per non preoccuparle.

Gli occhi di Johannah non mostravano alcuna emozione. Solo quando entrò nella camera e prese la mano di suo figlio scoppiò in lacrime.

E i giorni passarono.


Giorno 7


“È già passata una settimana, Lou. Non posso crederci. Torna indietro, amore, ti prego.”


Giorno 13


“LouLou? Siamo io e Daisy. Mamma e papà hanno detto che non stai bene. Quand'è che ti svegli?”


Giorno 21


“C'è troppo silenzio qui. Forse dovrei suonare qualcosa alla chitarra, ma non sono sicuro che ad Harry andrebbe bene.”


Giorno 28


“Louis, amore, tuo padre vorrebbe venire qui. Gli ho detto di no. Vorresti che venisse? Non siete mai andati d'accordo, non so cosa fare. Mi dispiace così tanto se non riesco ad essere una brava madre, così tanto.”


Giorno 34


“Si sente la tua mancanza durante le prove. E anche quella di Harry, sembra assente. Ho iniziato a dover chiacchierare persino io al tuo posto, renditi conto.”


Giorno 37


“Louis, tesoro. Cerca di svegliarti, lo sappiamo che sei forte. Harry è distrutto, ti prego, fallo per lui. Sei come un figlio, sono così in pensiero.”


Giorno 42


“Louis? Lottie dice che non ti sveglierai più. Mamma sembra così stanca. Ho tanta paura.”


Giorno 46


“Sai che puoi considerarmi una sorella maggiore, Louis. Ho bisogno che tu faccia tornare il sorriso sulle labbra di mio fratello.”


Giorno 50


“Avanti, ragazzo, svegliati. Non ce la faccio più a vedere tua madre in queste condizioni.”


Giorno 54


“Stiamo pensando di sciogliere il gruppo. Senza di te non è più lo stesso, Lou.”


Giorno 57


“Sei mio fratello, dovresti svegliarti e dirmi che andrà tutto bene! Perché non ti svegli?!”


Giorno 63


“Ti amo, Louis. Non voglio lasciarti andare. Ti prego, dammi un segnale che sei vivo, apri gli occhi. Mi manchi così tanto.”


Improvvisamente la mano di Louis in quella di Harry sembrò muoversi, quasi impercettibilmente. Ma Harry se ne accorse immediatamente.

“Louis?” domandò, con un filo di voce. “Louis, sei- mi riesci a sentire, Louis?”

La sua mano iniziò a tremare, subito seguita dal suo braccio. Il suo intero corpo iniziò ad agitarsi a causa di alcuni spasmi.

Harry si costrinse mentalmente a lasciare la mano di Louis, ma solo per aprire con forza la porta della stanza e chiamare a gran voce il nome della dottoressa Chittle, aspettando che lo raggiungesse in fretta mentre alternava sguardi al corridoio e a suo marito.

Nello stesso momento in cui incontrò gli occhi di sua madre dei medici entrarono in fretta all'interno della stanza, spingendolo fuori e intimandogli di farsi da parte.

“Si sta svegliando!” sentì dire dalla dottoressa Chittle, prima che la porta si chiudesse. “Sta tentando di respirare da solo. Presto, presto!”

Harry si lasciò mettere seduto su una sedia da sua madre, poi scoppiò a piangere. L'emozione di rivedere Louis muoversi, anche solo per quegli spasmi, aveva preso il sopravvento su di lui. Sapeva che nulla era certo, che Louis avrebbe potuto benissimo non svegliarsi, ma lo sperava così tanto.

Trascorsero minuti, forse ore interminabili. Harry strinse convulsamente la mano di sua madre tutto il tempo, fino a vedere le nocche sbiancare; probabilmente le stava facendo male, ma Anne sembrava non fare attenzione a quel particolare. Si limitava a ricambiare la presa, mentre Gemma domandava se potesse essere d'aiuto in qualche modo e beveva nervosamente un caffè.

Era assurdo come sia lei che Anne si fossero affezionate a Louis, in quegli anni. Lo consideravano parte della famiglia.

I Tomlinson, invece, si trovavano a Doncaster. Le ragazze dovevano andare a scuola, e i gemelli erano ancora troppo piccoli per restare a casa da soli per troppo tempo.

Anne aveva avvisato Johannah con una chiamata, e lei non aveva nemmeno parlato; dopo aver sentito quello che Anne aveva da dirle, aveva riattaccato senza dire una parola. Anne sapeva che stava già cercando un nuovo volo verso Londra.

E finalmente, la dottoressa Chittle uscì dalla stanza. Era la prima volta che Harry la vedeva sorridere.

“Posso fare entrare uno di voi. È sveglio.”

Harry si sentì morire di felicità. Gemma lo mise in piedi e gli diede una leggera spinta, sorridendogli sollevata.

Harry si sentiva le gambe tremare mentre varcava la soglia e...oh.

Louis.

Era vivo.

Era seduto, con una gamba vicino al petto su cui aveva posato un braccio e l'altra stesa lungo il materasso. Era piuttosto pallido, ma sembrava stare bene, e i suoi occhi erano così azzurri. Harry si chiese come diavolo avesse fatto a dimenticare che fossero così tanto azzurri, così vivi, così...così suoi.

“Ciao” disse, quasi in un sussurro. Non lo lasciò rispondere perché, dimenticandosi per un istante delle flebo e di tutti i macchinari che lo circondavano, in due lunghe falcate si avvicinò a Louis e lo strinse stretto tra le sue braccia.

Si sorprese quando lo sentì agitarsi leggermente nella sua presa, come se tentasse di liberarsi e di respingerlo. Sul momento non ci fece caso; era ovvio che fosse dolorante, o intontito, e si scostò in un secondo. Non smise di guardarlo, né di sorridere o di parlare. “Sei tu, sei qui, sei-”

“Chi sei tu?” domandò Louis, interrompendolo. Aveva la voce roca per non averla usata per molto tempo, ma il tono era a metà fra il confuso e l'infastidito.

Gli occhi di Harry persero luce per un secondo. “Lou, sono io. Sono- sono Harry, Louis. Harry.”

Louis lo fissò per qualche secondo, con la fronte corrugata. “Io non ti conosco” disse infine.

Harry lanciò un veloce sguardo, di puro panico, alla dottoressa Chittle. Poi tornò a guardare Louis, sorridendo nervosamente.

“Avanti, Lou, non è divertente.”

Louis non rispose, si limitò a mantenere la stessa espressione sospettosa, e Harry sentì di nuovo gli occhi farsi lucidi.

“Avanti, non puoi -non puoi non ricordarti di me! Sono-” ma la dottoressa Chittle si avvicinò e lo allontanò di pochi passi, parandosi lei di fronte a Louis.

“Signor Tomlinson, come si sente?” chiese, ignorando la presenza di Harry alle sue spalle. Louis vide i suoi occhi tremare, come se stesse combattendo per non piangere, poi guardò confuso la donna dinanzi a sé.

“Bene, mi sento bene. Cosa ci faccio qui?”

“Lei ha fatto un incidente con la sua auto. Aveva delle costole rotte, ma sono guarite, insieme alle emorragie interne. Fortunatamente era in ottima forma, per cui sarà dismesso a breve.”

Gli occhi di Louis si spalancarono. “Quanto a breve? Ho un provino per X-Factor, il mese prossimo. Dovete assolutamente farmi uscire di qui prima di Giugno! Potrebbe essere l'occasione della mia vita, e-”

“Louis.” fu lo sconosciuto ad interromperlo, con espressione, adesso, più interdetta che preoccupata. “Sei stato ad X-factor nove anni fa.”

Louis alzò gli occhi al cielo. Fece per parlare, ma la dottoressa Chittle lo anticipò.

“Signor Tomlinson, mi sa dire la sua data di nascita?”

Louis la guardò scettico. “Lei crede che io-”

“La sua data di nascita, signor Tomlinson.”

Louis alzò gli occhi al cielo. “24 Dicembre 1991”, rispose. La dottoressa Chittle si voltò a guardare Harry per conferma, che annuì.

“In che luogo è nato?”

“Doncaster.”

“Il nome dei suoi genitori?”

“Johannah e Troy.”

“Ha dei fratelli?”

“Solo sorelle.”

Harry scosse impercettibilmente la testa. Louis non lo notò, impegnato a rispondere alle domande.

“Sua madre si è risposata?”

“Sì.”

“Quante volte?”

“Una.”

Di nuovo, Harry scosse la testa. Adesso la preoccupazione era ben visibile nei suoi occhi.

“Signor Tomlinson...mi sa dire in che anno siamo?”

Louis rispose senza esitazioni. “2010, Maggio.”

Harry smise di respirare.

“E quanti anni ha?”

“Diciotto.”

La dottoressa Chittle si voltò verso Harry. Il ragazzo era sbiancato, i suoi occhi sembravano aver perso emozioni.

“Louis...Louis, tu non hai diciotto anni, ne hai ventisei. E non siamo nel 2010, siamo nel 2019” spiegò, senza fiato.

“Signor Tomlinson, è sicuro di non ricordare nient'altro?” domandò la dottoressa Chittle, sistemandosi gli occhiali sul naso. Louis abbassò la testa, sentendosi improvvisamente spaventato.

“Posso...posso parlare con mia madre?” fece invece, stringendo le coperte nei pugni chiusi.

“Al momento i suoi genitori si trovano a Doncaster” spiegò la dottoressa, “dovrà aspettare.”

Harry si sforzò di mettere in funzione la mente. Era chiaro che Louis volesse qualcuno di cui si fidava vicino, in quel momento.

“Stan” mormorò, come fra sé e sé. Louis sgranò gli occhi in sua direzione.

“Come fai a sapere che...” provò a chiedere, ma si interruppe quando Harry tirò fuori dalla tasca dei jeans un cellulare e cercò un numero nella rubrica. Doveva essere un modello davvero all'ultimo grido, perché Louis non ne aveva mai visti simili.

“Stan, sono Harry. Sì. Si è svegliato. Devi venire immediatamente.”

Seguì il silenzio per alcuni secondi. “Ti trovi in città? Perfetto. Ti aspettiamo, fa' in fretta.”

Ripose il cellulare nella tasca. “Stai tranquillo, Lou, Stan sta arrivando. Sarà qui a momenti.”

Louis aggrottò la fronte. “Io non riesco a capire chi tu sia, Harry.”

Harry fece per parlare, ma si interruppe a metà frase. “Io sono...”

Lanciò un'occhiata alla dottoressa Chittle, tornò su Louis, abbassò lo sguardo e lo sollevò nuovamente dopo pochi secondi.

Louis non sapeva ancora chi era, nel 2010. Non poteva...lo avrebbe scioccato.

“Sono il tuo migliore amico, Lou. Il tuo migliore amico dal 2010.”

Louis scosse la testa. “È Stan il mio migliore amico.”

“Sì, ma dal 2010 ne hai altri quattro.” sorrise Harry, o almeno, cercò di sorridere. “Siamo io, Zayn, Liam e Niall. Sono proprio qui fuori. Vuoi-”

“No.” rispose secco Louis, fermandolo dall'aprire la porta. “In questo momento voglio parlare soltanto con Stan.”

Harry annuì lentamente. Guardò la dottoressa Chittle, che annuì a sua volta. “Va bene.”

“Puoi uscire, per favore?” chiese Louis. Harry sospirò, ma provò ugualmente a sorridere lievemente. “D'accordo.”

“Intanto le farò degli accertamenti, signor Tomlinson” disse la dottoressa Chittle. Fu l'ultima cosa che Harry sentì, perché poi uscì dalla stanza.

Sei paia di occhi si posarono immediatamente su di lui mentre si chiudeva la porta alle spalle, tutti di un colore diverso. Il verde scuro di quelli di sua madre, lo smeraldo di quelli di sua sorella, il cioccolato di quelli di Liam, il cielo di quelli di Niall e l'ambra di quelli di Zayn. Rimasero tutti in attesa, senza parlare, quasi senza respirare.

Poi Harry sorrise, piangendo nello stesso tempo, lasciando andare sia la gioia che le lacrime che aveva trattenuto.

“Sta bene” esclamò, felice, prima di incupirsi e abbassare il tono di voce.

“Ma non ricorda chi siamo.”





Angolo Autrice


Popolo di efp, sono tornata.

O almeno spero; si vedrà, si vedrà.

Ho scritto questo capitolo quasi due anni fa, e oggi l'ho ritrovato del tutto casualmente. L'ho letto, ho pensato che la storia sembrava carina, e ho deciso di riprendere a lavorarci.

È completamente ispirato alla storia Everyday ( qui il link della storia in lingua originale e qui quello della versione tradotta in italiano ), che ha come portagonisti Kurt e Blaine di Glee. Vi consiglio di andare a dare un'occhiata, perché è davvero bellissima.

Chiarimenti:

  • Ripeto, la mia storia è ispirata a Everyday, ma spero di discostarmene il più possibile.

  • Il banner è opera mia, ma non so di chi sia quella fanart. Se qualcuno lo sa, mi faccia sapere!

  • Non ho assolutamente idea di come sia avere a che fare con l'amnesia, né studio medicina. Non sono neppure mai stata ospedale per problemi seri, quindi mi scuso in anticipo per eventuali stronzate inesattezze nella storia; se qualcuno di voi nota un errore, mi faccia sapere. Provvederò a sistemare.

  • Essendo la storia stata scritta due estati fa, ovviamente il personaggio di Zayn è presente, ma vedrò come conciliare la sua presenza con i fatti attuali. Inoltre, Zayn è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti, per cui non credo di essere disposta a rinunciare.

Se vi va, lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate!

Spero di aggiornare presto,



Seele

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Capitolo 2
*** Nove ***


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Nove       



Stan arrivò in ospedale un quarto d'ora dopo, mentre Harry spiegava ancora la situazione al resto della band e ai suoi familiari.

Harry si voltò repentinamente verso il corridoio proprio quando Stan avanzò in sua direzione, come se fosse talmente in pensiero da udirne anche il minimo passo. Sospirò, sollevato -per qualche sciocca ragione, aveva temuto che accadesse qualche imprevisto o che non potesse venire- e lo raggiunse mentre ancora camminava, fermandolo.

Gli posò le mani sulle spalle, stringendole leggermente. “Grazie per essere qui” sorrise, e agli occhi di Stan parve esausto e felice, “non avrei saputo chi altri contattare, se tu ti fossi rifiutato.”

Stan rimase in silenzio per qualche istante, poi sorrise leggermente e scosse la testa. Prima ancora che potesse dire qualcosa, la dottoressa Chittle uscì nuovamente dalla stanza di Louis e Harry si rivolse immediatamente a lei.

“Dottoressa-”

“È ancora un po' intontito, ma i valori si sono perfettamente ripristinati e potrà tornare a casa a breve” lo anticipò lei. “Ho ancora da controllare alcune cose, ma deciderò domani.”

Lanciò una breve occhiata a Stan, di cui Harry aveva già fornito i dati per lasciarlo entrare nella stanza. “Il signor Stanley Lucas?” domandò. Stan rispose con un cenno affermativo. “Può entrare nella stanza. Le raccomando solo di non confondere il paziente, o di non spaventarlo.”

“Non si preoccupi” fece Stan con leggerezza, e per un attimo Harry desiderò soltanto pregarlo disperatamente di seguire alla lettera le indicazioni della dottoressa. Fu proprio lei a distrarlo mentre Stan entrava nella sala, dicendogli che aveva da parlargli in proposito della situazione di suo marito.

Non appena Stan varcò la soglia, Louis dapprima sobbalzò e poi corrugò le sopracciglia.

Stan gli resituì lo stesso sguardo interdetto, come al solito come uno specchio delle sue azioni, e si sedette sulla sedia accanto al suo letto. Louis lo fissò ancora per qualche secondo, poi finalmente aprì bocca.

“Sei vecchio” sbottò.

“Gli anni passano per tutti, amico” rise Stan. “E oh, avanti, sono solo nove anni meno giovane. Dimostro così tanto i segni dell'età?”

Il tono fintamente indignato di Stan strappò a Louis un sorriso. “Quindi è davvero passato tutto questo tempo?”

Stan alzò le spalle. “Sono ancora offeso, ma sì.”

“E io e te siamo ancora migliori amici?” domandò Louis, confuso. “Quel tipo alto ha detto che-”

“È una lunga storia” lo interruppe Stan. “Non saprei nemmeno da dove cominciare a raccontartela.”
Louis aggrottò la fronte. “Com'è possibile che un estraneo si sia messo in mezzo alla nostra amicizia?” borbottò.

“Il fatto è che non è un estraneo, Lou”, cercò di spiegargli Stan, senza rivelare troppi particolari. “L'hai incontrato ad X-Factor nove anni fa, e da allora non vi siete più separati. Se si è messo in mezzo è perché lì ce l'hai voluto tu.”
C'era un leggero tono d'accusa nel suo tono di voce, e Louis preferì ignorarlo. Si grattò la nuca con fare pensieroso. “Cosa è successo in questi nove anni?” chiese infine. “Fammi un riassunto.”

Stan aveva un po' perso i contatti con Louis ultimamente, quindi non seppe precisamente come rispondere. “Vediamo...ci sono stati, uhm, vari cambiamenti nella tua vita. Per cominciare, tua madre si è risposata e ha avuto altri due gemelli, e-”
Louis trasalì. “Mamma ha lasciato Mark?” domandò, gli occhi sgranati.

Stan sospirò: ad ogni modo lo avrebbe scoperto da solo, e sarebbe stato peggio. “Sì, Louis. So che non ti piace questa cosa, ma-”

“Considero Mark il mio vero padre!” protestò Louis, interrompendolo di nuovo. Stan fece per aprire bocca, ma quando vide gli occhi di Louis sbarrarsi ancora di più ammutolì. “Altri due gemelli? Ma che cazzo-”
“Louis, per l'amor di dio, siamo in un ospedale” lo riprese Stan. “Calmati. Sentirti urlare così potrebbe spaventare qualcuno.”

Louis non si curò del suo rimprovero, cocciuto come se fosse tornato a- oh, giusto, Louis era tornato ad avere diciotto anni. “Devo parlare con mia madre. E con Mark.”
Stan alzò gli occhi al cielo, cambiando argomento. “Ho anche buone notizie.”

“Fammi indovinare” Louis alzò un sopracciglio, ironico e ancora alterato, “sono miliardario?”

.”

La risposta di Stan arrivò talmente velocemente, e con un tono così serio, che Louis non seppe inizialmente come reagire. Così Stan continuò.

“Fai parte di quella che in passato è stata la boyband più famosa al mondo, i One Direction” raccontò. “Ora siete adulti e prendete il vostro lavoro con più serietà, ma avete ancora successo.”

Le labbra di Louis si schiusero per la sopresa. “Stai scherzando” fece infine, scuotendo la testa.

“No, affatto. Anche Harry fa parte di questa band, e gli altri sono qui fuori.”
“Stan, non è divertente.”

“Sono serio!” sbottò Stan, incrociando le braccia al petto. “Fidati, Louis.”

Louis sbuffò, rimase in silenzio qualche istante e poi arrossì appena. “Quel ragazzo con i capelli ricci, Harry...”

Stan sorrise. “Non provare nemmeno a fingere quel tono disinteressato, Lou.”

Louis sgranò gli occhi, recitando palesemente. “Io? Perché dovrei essere interessato?” replicò, ma la voce gli si abbassò appena nel pronunciare l'ultima parola. Stan sapeva che gli piacessero i maschi sin da quando aveva sedici anni- ma a diciotto Louis era tutt'altro che pronto a fare coming out.

L'amico roteò gli occhi, lanciandogli poi un'occhiata eloquente. “I primi giorni ad X-Factor non facevi altro che parlarmi di lui. Di quanto lo ritenevi stupendo e di quanto avresti voluto portartelo a letto.”

Louis borbottò qualcosa fra sé e sé, appena in imbarazzo. “Beh, al dito aveva una fede.”

Stan rimase in silenzio. Louis aspettò per alcuni secondi che prendesse parola, ma quando non lo fece trasalì e Stan si spaventò, sobbalzando a sua volta. Probabilmente Louis sarebbe scoppiato a ridere, ma in quel momento era troppo impegnato a ricordarsi di respirare.

“Mi stai dicendo che- quel ragazzo lì è- proprio quel ragazzo lì è mio-”

Marito” lo precedette Stan, temendo che sarebbe soffocato, “è tuo marito, Louis. Siete sposati da tre anni.”

Louis esalò solo un verso strano, a metà fra la sopresa e la confusione. “Non ci siamo mai lasciati? Com'è possibile che la nostra relazione sia durata, quanto, cinque anni-”

“Nove” lo corresse Stan.

Nove” ripeté Louis, e sembrava sul punto di dare i numeri. Stan parlò per farlo tacere.

“Louis, Louis, calmati” gli intimò, e Louis fu talmente stupito dal suo tono adulto da zittirsi all'istante. “So che la tua vita familiare ha subito innumerevoli cambiamenti durante gli anni, sin da quando eri piccolissimo” gli disse, con tono fermo ma quasi dolce, “però questo non significa che Harry non sia la persona adatta per te, quella con cui fare una famiglia vera. Lo ami, Louis, e lui ti ama” spiegò con fermezza, “e non hai dubbi sulla vostra relazione, né ce li ha lui. Questa è una cosa seria, non è un gioco. Ci avete pensato bene prima di sposarvi, o di parlare di figli.”
Louis sbiancò. “Figli?” ripetè.

“No!” Stan stese in avanti le mani, temendo seriamente che Louis stesse per avere un attacco di panico. Aveva sempre odiato le responsabilità. “Non avete figli, Lou. Sta' tranquillo.”

Louis rifiatò. “Mio Dio, Stan. Ho una certa età, a quanto pare, non farmi rischiare l'infarto.”

Stan rise brevemente per la battuta; se Louis scherzava, voleva dire che riprendeva a ragionare. Gli lanciò un sorriso intenerito.

Louis se ne accorse subito. “Che hai da sorridere come un idiota?” domandò, delicato come nove anni prima. Stan grugnì una risata.

“Stai affrontando tutto così bene, Louis. Sono fiero di te. A quest'ora io sarei già preda di una crisi nervosa o di un crollo emotivo.”

Louis tirò un sorriso triste. “In realtà sono terrorizzato, Stanie. Non andartene, per favore.”

Stan gli strinse una spalla, sorridendogli rassicurante. “C'è Harry proprio qui fuori, Lou. Starà attento a te e, vedrai, basterà la sua presenza a tranquillizzarti.”

Lo guardò negli occhi: “fidati di lui. Immagino sia strano pensare che qualcuno che ritieni uno sconosciuto sia in realtà la persona più importante della tua vita, ma ti assicuro che lo è.”

Abbassò leggermente la voce, mantenendo a fatica gli occhi nei suoi, “e ti conosce meglio di quanto io ti conosca...”

Louis si morse il labbro inferiore. “Davvero?”

Stan sospirò e annuì. “Davvero.”

Entrambi rimasero in silenzio per quelli che parvero minuti interi. Poi Louis sembrò arrabbiarsi e sbottò, “però è davvero bellissimo, cazzo.”

Stan scoppiò a ridere. “Chissà in quanti gli mettono gli occhi addosso ogni giorno...” continuò Louis.

“Non è che non lo sappiano, Lou” rise ancora Stan, senza pensare a quel che stava per dire, “ci sono vostre foto su tutti i giornali e-”

“Aspetta” Louis sbiancò nuovamente, come realizzando il senso della parola marito solo in quell'istante, “mia madre sa che sono gay? Le mie sorelle sanno che sono gay? La gente sa che sono-”
Tutto il mondo sa che sei gay, Lou” sbuffò Stan. Louis boccheggiò qualche istante, prima che i suoi occhi si fissassero in qualche punto indefinito della stanza.

Stan deglutì, preoccupato. “Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Lo sanno tutti, e a tutti sta bene. Anzi, ci sono persino dei fan entusiasti che tu e Harry stiate insieme, sono incredibilmente supportivi. Dovresti vedere quanto sono felici per voi.”

“Oh mio Dio” mormorò Louis. “Quando- quando diavolo ho fatto-”

Louis non riusciva nemmeno a pronunciare quella parola, e Stan quasi si pentì di avergli detto la verità. “Hai fatto coming out cinque anni fa. Se lo aspettavano tutti, erano in così tanti a sospettare che tu ed Harry steste insieme da un pezzo.”

Louis chiuse gli occhi e inspirò a fondo, tentando di calmarsi. “Posso vedere...non so, delle foto?”

Stan scosse la testa, risoluto. “Le vedrai quando ti calmerai un pochino. Sei agitatissimo, Lou, e non dirmi di no: so ancora riconoscere quando fai finta di essere tranquillo.”

Louis si massaggiò le tempie. “Posso sapere almeno come diavolo sono finito in coma?”

“Hai fatto un incidente in auto” raccontò Stan, “hai girato le ruote prima di riprendere a guidare. Non hai fatto in tempo a spostarti quando un'altra macchina ti è venuta addosso.”
Calò nuovamente il silenzio, scandito solo dai loro respiri. Quello di Louis era ancora accelerato, ma secondo Stan era solo impegnato ad assimilare tutta quella massa di informazioni.

Fu lui, stavolta, a fare una domanda. “Qual è l'ultima cosa che ti ricordi?” chiese, incuriosito.

Louis ci pensò per qualche lunghissimo istante. “Io...non lo so” mormorò, pensieroso. “Ricordo di essermi trasferito a Londra, ricordo l'accademia teatrale, il negozio in cui ho lavorato...” elencò, stringendo gli occhi per scavare più a fondo nella propria mente. “E la casa in cui abito e-”

“Oh, la casa in affitto a Londra, intendi?” lo interruppe Stan. “Non abiti più lì, ovviamente.”

“Immagino che...” Louis lasciò in sospeso la frase, incerto.

“Sì, abiti con Harry” confermò Stan. “Avete una villa in periferia.”
“È una bella casa?”

“È enorme.”
“Beh” borbottò Louis, faticando per non lasciarsi scappare un sorriso, “direi che essere un cantante famoso ha i suoi vantaggi.”

Stan alzò gli occhi al cielo, scoppiando a ridere per il tono della sua voce. “E ora cos'altro vuoi sapere?”

“Raccontami di mia madre, delle mie sorelle. Raccontami ancora di Harry e della band.”

“D'accordo...”


*


Stan si chiuse silenziosamente la porta alle spalle, e Harry alzò subito la testa dalla spalla di sua sorella non appena udì il rumore della porta che si apriva.

“Mio Dio, Harry” sbottò Stan, spaventato, “sei un antifurto o qualcosa del genere?”
Harry non colse l'offesa, ancora intontito dal sonno. “Come-”

“Sta bene” lo anticipò Stan, “gli ho spiegato un po' di cose. La sua famiglia, il suo presente, e te.”

Harry si svegliò completamente solo al sentirsi nominare, ma Gemma parlò prima di lui. “Gli hai detto che sono sposati?” chiese, corrugando la fronte. “Non capisci che rischio hai-”

“Poteva succedere qualche catastrofe con il suo cervello, okay” ammise Stan, sollevando gli occhi al cielo, “ma non è successo. Per lo più, Harry, adesso puoi fare lo sdolcinato quanto ti pare.”

Gemma guardò Stan con occhi arrabbiati, invece Harry gli sorrise con gratitudine. “Davvero gli hai detto tutto?” chiese, contento. “E lui ha reagito bene?”

Stan annuì. “Gli ho raccontato di X-Factor, della band, del suo coming out. Gli ho detto che al vostro matrimonio ti sei vestito di bianco ed è scoppiato a ridere.”

Anche Harry rise, intenerito dai ricordi. “Ora gli hanno portato la cena, sta mangiando. Harry” cambiò tono immediatamente, guardandolo serio, “non penso che ci sia bisogno che te lo dica, ma meglio che tu lo sappia. È davvero, davvero spaventato da questa situazione, anche se cerca di non darlo a vedere.”

“Lo immaginavo” sospirò Harry. “Farò del mio meglio per tranquillizzarlo.”

Stan annuì, poi si stiracchiò e raccolse la sua giacca dalla sedia vuota accanto a quella di Harry.

“Beh, allora vado. Se avete bisogno sapete come contattarmi. In fine settimana sarò fuori città, ma fino ad allora sono a vostra disposizione.”

Fece per allontanarsi, mentre anche Gemma si alzava per andare a comprare qualcosa per cena al bar dell'ospedale. Harry fece per seguirla, ma all'ultimo momento tornò sui suoi passi e attraversò velocemente il corridoio che Stan aveva già oltrepassato.

“Stan!” chiamò, intravedendo la sua figura, fermandolo prima che uscisse dal reparto. Il ragazzo si arrestò e gli lanciò un'occhiata sorpresa, aspettando che Harry lo raggiungesse.

Quello che il ragazzo fece lo lasciò basito. Harry lo abbracciò, forte, stringendolo con affetto.

Sciolse l'abbraccio solo alcuni secondi dopo che anche Stan lo ricambiò, piuttosto goffamente visto lo stupore. Ma non si allontanò di molto, rimase a guardarlo negli occhi.

“Grazie mille” fece, con voce chiara e sincera. “So che io e te non siamo mai stati grandi amici” mormorò subito dopo, “ma quello che hai fatto per Louis oggi significa davvero tanto per me.”

Lo abbracciò nuovamente. “Grazie, Stan. Grazie sul serio.”

Stan iniziò a sentirsi in imbarazzo, adesso capiva perché Louis fosse tanto preso da lui: Harry sembrava una persona così...onesta. E guardava negli occhi con talmente tanta attenzione da far dimenticare tutto il resto del mondo.

“Stai tentando di sedurmi?” rise, per alleggerire l'atmosfera. Harry gli rivolse uno sguardo confuso.

“Lascia stare” scrollò le spalle il ragazzo, “era solo una battuta.”

Tornò serio in un secondo. “Ora è tutto nelle tue mani.”

“Lo so” replicò Harry, senza esitare. “Grazie ancora.”

Stan sorrise, finalmente spensierato. “So che ci puoi riuscire, Harry.”

Gli diede le spalle, e Harry rimase a guardarlo con un sorriso accennato finché non lo vide scomparire oltre la porta.


*


“È ancora qui, signor Tomlinson?”

Harry si stropicciò un occhio, rivolgendo un sorriso stanco ma gentile alla giovane infermiera appena uscita dalla stanza di Louis. “Suo marito sta bene, ormai. Perché non va a casa a riposarsi?”

“Non riuscirei a dormire lontano da qui, Amanda, lo sai” rispose, con tono educato. “E quante volte ti ho detto di darmi pure del tu?”

Amanda si lasciò scappare un sorriso, poi si morse il labbro inferiore, e infine si scostò i capelli dalla fronte. “Oh, al diavolo, non se ne accorgerà nessuno. Vuoi entrare?”

Harry rise. “Come al solito.”

Amanda gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi, sembrava esausto. “Solo perché sei testardo.”

Harry alzò gli occhi al cielo. “Grazie, Amanda.”

“Vai dentro” rispose lei, con affetto. “Ti copro io.”

In quei due mesi, fra di loro si era sviluppata una sorta di amicizia. Inizialmente Amanda lo aveva riconosciuto e gli aveva chiesto conferma della sua identità, poi aveva cominciato a fermarsi a fare due chiacchiere con lui la notte, quando lo scopriva ancora seduto sulle poltroncine fuori dalle sale, incapace di dormire.

Harry le lanciò un ultimo sorriso, poi entrò nella stanza di Louis cercando di fare il minimo rumore. Anche quando Louis era in coma, aveva sempre avuto quella paura sciocca di svegliarlo durante la notte.

Quando Louis alzò però la testa dal cuscino per controllare chi fosse entrato, Harry si sentì il cuore leggero e pieno di gioia. Doveva ancora abituarsi all'idea di Louis sveglio.

“Oh, sei tu” commentò il ragazzo, mettendosi seduto. Harry gli sorrise, raggiungendo il fianco del suo letto e sedendosi sulla poltrona voltata verso di lui.

“Come mai non stai dormendo?” domandò, mettendosi comodo. “Sarai stanco.”

“Tu, piuttosto. Tu sì che sembri esausto. Perché non vai a casa?” replicò Louis. Si morse il labbro subito dopo, accorgendosi del proprio tono di voce. “Scusa, non volevo suonare infastidi-”

“Non preoccuparti” scosse la testa Harry, con una risata accennata. “Non mi va di andare a casa, ecco. Volevo...tenerti compagnia.”

Louis alzò un sopracciglio. “Mentre dormivo?” ribatté, scettico.

“Va bene, va bene” sorrise Harry, alzando scherzosamente gli occhi al cielo. “È che quella non è 'casa' senza di te, Lou.”
Louis si sentì stranamente arrossire. Quel ragazzo non stava flirtando, era serio e dolce e-

“Scusami” fece, timido, “troppo presto, vero?”

Louis sentì il bisogno di schiarirsi la voce. “No, no, capisco” si affrettò a rispondere. “Credo- credo che sia lecito, no?”
Lo sguardo gli cadde involontariamente sulla sua mano, e sulla fede che portava all'anulare. Fece per aprire bocca, ma cambiò idea; Harry intuì ugualmente i suoi pensieri.

“Ce l'ho io, la tua fede” sorrise Harry, sentendosi felice per quel nulla. “La tengo al sicuro, stai tranquillo.”

Il tono di questo ragazzo...era così strano. Uno strano bello. Come una ninna nanna.

Aveva un timbro profondo, dolce, tranquillo. Louis si mise più comodo nel letto, posando la guancia contro il cuscino e tenendo la testa voltata verso di lui.

“Quindi...nove anni...wow.”

Non voleva realmente dirlo, ma le parole gli uscirono di bocca da sole. Non si sentiva ancora pronto a trattare l'argomento con il diretto interessato.

“Non ci pensare ora, Lou. Ne abbiamo tutto il tempo.”

“Adesso dormi anche tu, no?”

“Sì. Ora sono più tranquillo.”

Il buio della stanza e la stanchezza stavano velocemente guidando Louis verso il sonno, il quale si limitò quindi ad annuire a rivolgere ad Harry un sorriso.

“Buonanotte, Harry.”

“Buonanotte, Lou.”


*

Louis rise rumorosamente, e Harry si svegliò di soprassalto.

Scattò dritto, lasciando lo scomodo schienale della poltrona e premendo le mani sui braccioli, svegliandosi all'istante. Si ritrovò due paia di occhi puntati addosso, sorpresi: quelli di Louis e di sua madre.

Li fissò qualche secondo senza nemmeno respirare e poi ricadde con la schiena sullo schienale, portandosi le mani sul viso e espirando con sollievo. Solo ora si ricordava che Louis si era svegliato il giorno prima.

“Uh, buongiorno anche a te?” commentò il ragazzo, divertito. Harry scostò le mani dal proprio volto, di nuovo calmo -anche se i battiti del suo cuore non ne volevano sapere, di rallentare un po' invece di scoppiare di felicità. “Sì, buongiorno.”

“Era ora che ti svegliassi, tesoro” disse Johannah con dolcezza, “finalmente hai dormito quanto si deve.”

Harry rivolse la domanda a lei, ma i suoi occhi erano incapaci di staccarsi da quelli di Louis. “Che ore sono?”

Johannah guardò il proprio orologio da polso. “Quasi ora di pranzo. Tua sorella voleva portarti da qualche parte per pranzare, non mi ricordo.”

Harry non gliene fece una colpa; anche lui riusciva a malapena a pensare ad altro che non fosse Louis è sveglio. Impiegò qualche secondo per decidersi ad alzarsi, segretamente impaurito all'idea di allontanarsi da suo marito.

Finalmente annuì, decidendo che comunque con sua madre sarebbe stato al sicuro. Non era mai stato così protettivo -fra loro due, era Louis il più geloso e possessivo- ma quegli ultimi due mesi avevano forzato il cambiamento. Aveva il terrore di perderlo di vista anche solo per un secondo.

Non fece nemmeno in tempo a perdersi nei suoi pensieri, che appena oltrepassò la soglia della porta dopo aver salutato, sua sorella lo afferrò per un braccio e gli sorrise.

“Ho prenotato al ristorante italiano a due isolati da qui. Da quant'è che non fai un pranzo decente? Avanti, andiamo!”

Lo trascinò letteralmente per le scale e nella sua auto, ignorando le sue risate e le sue false proteste. Solo quando si sedettero al tavolo, il suo sguardo si addolcì e gli prese una mano fra le sue.

“Sono così felice che tu sia felice” sorrise, “questi due mesi sono stati un inferno.”

“Puoi dirlo forte” conciliò Harry, ma anche lui non perse il tono contento. “Non posso ancora credere che sia sveglio.”

Gemma rise apparentemente senza motivo, e Harry la guardò confuso. La ragazza sorrise maliziosa.

“Ho una bellissima notizia” lo informò, “sai cosa ha detto la dottoressa Chittle?”

Harry scosse la testa, non cogliendo la nota ironica della sorella. “Purtroppo stavo dormen-”

“Louis tornerà a casa con te, dopodomani” sorrise la sorella, entusiasta. “Verrà con te. Non è fantastico?”

Harry sobbalzò. “Sul serio? Sarà dismesso così a breve?” chiese conferma, quasi incredulo. “E tornerà a vivere con me?”

“È quello che ho appena detto, Haz” sbuffò Gemma. Si addolcì nel vedere il sorriso felice, ancora stupito, che si disegnò lentamente sulle labbra di suo fratello. “È finita, Harry” disse sottovoce, come se fosse stato un segreto, “sta bene.”

Gli strinse più forte la mano, vedendo i suoi occhi diventare lucidi.

“È salvo, scricciolo.”



Angolo autrice


Eccovi il nuovo capitolo! Spero che questa storia inizi a piacervi.

Il titolo si riferisce chiaramente agli anni che Louis ha perso -quelli che ha trascorso con Harry.

In questa storia, Louis non crede molto nelle relazioni a lunga durata, perciò è importante far notare quanto sia stupito da questo fatto.

Purtroppo sono di fretta, e non posso dire molto altro- lasciatemi una recensione, se vi va!

A presto,



Seele

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Capitolo 3
*** Famiglia ***


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Famiglia



Harry era appena tornato in ospedale, quando Johannah uscì dalla sala in cui si trovava Louis.

Gemma sgranò gli occhi. “Te ne vai di già?” commentò, senza riuscire a trattenersi. “Non è nemmeno ora di cena. Non mi importa che tu sia arrivata stamattina, non è comunque abbastanza.”
Johannah rimase senza parole. Harry si scusò al posto suo: “Scusa, Jay” fece, “Gemma ha questo carattere che-”

“Mi hanno telefonato dall'albergo. Daisy si è presa la febbre” spiegò la donna, interrompendolo.

“Ah, capisco” Gemma incrociò le braccia al petto, “tua figlia con la febbre è più importante di tuo figlio con l'amnesia.”

Johannah aprì bocca per ribattere, ma Gemma fu più veloce ad allontanarsi. “Vado a casa, dolcezza” sorrise a suo fratello, cambiando immediatamente espressione, “se ti serve qualcosa sai dove trovarmi.”

Harry attese che si allontanasse, poi tornò a sorridere nervosamente a Johannah. “Gemma è un po'...diciamo che ha questa fissazione con i rapporti familiari, ecco.”

Johnnah sospirò. “Mi dispiace, Harry” mormorò, “è solo...così difficile accettare questa situazione. Ed io non sono mai stata una brava madre, purtroppo.”

Harry scosse la testa, fingendo di non pensarla allo stesso modo. “Non preoccuparti. Ti do il cambio” ridacchiò, incamminandosi già verso la stanza di Louis.

Il ragazzo era un po' perso nei suoi pensieri, quando Harry varcò la soglia e chiuse con delicatezza la porta. Louis alzò gli occhi verso di lui, sorpreso.

“Di già?” chiese, confuso. “Credevo fossi uscito o-”

“Sono appena tornato” sorrise gentilmente Harry, prendendo posto alla poltrona. Louis corrugò le sopracciglia.

“Non sei obbligato. Intendo, sono adulto e vaccinato e-”

“Lou” Harry interruppe le sue parole, “per me non è assolutamente un obbligo, non preoccuparti. Vengo qui perché mi sei mancato tanto, perché voglio accertarmi che tu stia bene.”

Louis doveva ancora abituarsi a quell'amore, a quel sorriso, a quegli occhi verdi e puntati senza paura o incertezza su di lui. Arrossì al pensiero e, Gesù, non aveva mai arrossito per nessun altro prima di incontrare Harry. “Ok” borbottò, innervosito al pensiero.

Harry forse intuì i suoi pensieri, perché rise. “Com'è andata con tua madre?”

Louis si morse un labbro, sembrava sospettoso. Harry percepì la sua diffidenza senza difficoltà.

“Lou” lo chiamò, con tono dolce, “pensi che non lo sappia? Ti conosco da nove anni, so qualsiasi cosa di te. Puoi parlarmi liberamente.”

Louis lasciò andare un sospiro. “Faticavo a credere che fosse venuta, stamattina. Le cose sono un po' cambiate nel corso degli anni...sembrava non accettare che le femmine probabilmente non mi-”

La sua voce si incrinò per un secondo, Harry annuì tranquillo e Louis riprese, senza però terminare la frase. “E quindi ho notato che iniziava ad allontanarsi un po'. Poi ho anche voluto andare a Londra per fare l'attore, me ne sono andato di casa, non era molto d'accordo...”

Harry gli prese la mano tra le sue, e Louis si stupì tanto per l'intimità di quel gesto quanto per la naturalezza con cui il ragazzo aveva compiuto l'azione. “E oggi di cosa avete parlato?” chiese. Nel suo tono non c'era altro che gentilezza; non voleva obbligare Louis a raccontargli, ma nel caso avesse deciso di farlo gli avrebbe dato tutto il suo appoggio. Louis abbassò lo sguardo sulle sue mani enormi che inglobavano la sua, deglutì imbarazzato e risollevò gli occhi, tentando di riprendere a parlare.

“Dicevo...” si era dimenticato la domanda di Harry, ma quando vide allargarsi sul suo volto un sorriso divertito ricordò all'istante. “Le ho chiesto perché fosse venuta e mi ha detto un po' di cose, non era un discorso molto sensato, almeno secondo me. Le solite frasi, tipo 'sono tua madre, è ovvio che sia qui', ma non penso che sia davvero tanto ovvio. Ha detto che il nostro rapporto è migliorato- è migliorato per davvero, Harry?”

Harry si morse il labbro in risposta, e Louis sorrise triste senza lasciarlo parlare. “Lo immaginavo.”

Abbassò di nuovo gli occhi sulle loro mani, corrugò le sopracciglia. “Non le ho chiesto cosa pensa di...noi due, del nostro...matrimonio. Avevo- avevo paura di domandarlo.”

Gli veniva ancora strano, pensarsi sposato. Sopratutto con un maschio. E in particolare con Harry.

“Stavamo insieme già da cinque anni, non l'ha presa così male. Quando scoprì che stavamo insieme si scandalizzò quasi” rise, “però poi-”
“Raccontami” Louis lo interruppe bruscamente, senza voler suonare davvero sgarbato, “com'è successo?”

Harry arrossì, e Louis si sentì per un secondo girare la testa. Per lui era normale arrossire di fronte ad uno sconosciuto così pieno di amore nei suoi confronti, ma se Harry arrossiva ancora all'età di ventisei anni e di fronte a lui...Cristo, era adorabile.

“Beh” cominciò Harry, con una leggera risata nervosa, “io e te cominciammo a vivere insieme subito dopo X-Factor.”
Louis trasalì. “Dopo così poco tempo?” domandò, sorpreso.

“Eravamo già molto innamorati” spiegò Harry, quasi offeso. Louis ridacchiò.

“Quando Jay scoprì che stavamo insieme era una sera qualunque, ma...non avevamo fame? Diciamo che avevamo altre cose per la testa” rise Harry, facendogli intuire cosa fosse accaduto. “Tua madre ebbe la geniale idea di farci una sopresa e di venire a cena da noi. Si trovava a Londra proprio per questo. Aveva una copia delle chiavi di casa, provò a bussare ma non la sentimmo, e lei pensò di iniziare a cucinare, nel caso non fossimo stati ancora in casa. E diciamo che...quando entrò capì perché non avevamo sentito il campanello.”

Louis scoppiò a ridere, ma si passò una mano sul viso. “Dio, che figura” rise. “Scommetto che abbia anche spalancato la porta mentre ci davamo dentro, o qualcosa del genere.”
“Esattamente” rise anche Harry, “poi...scappò via. Letteralmente! Se ne tornò a Doncaster e venne di nuovo a Londra una settimana dopo, chiedendo spiegazioni.”

Harry sentì Louis irriggidirsi, perciò gli sorrise e lo rassicurò accarezzandogli sia il dorso che il palmo della mano fra le sue. “E le spiegammo, Lou. Le spiegammo tutto. Che c'era stato un colpo di fulmine, che magari eravamo giovani e ingenui, ma credevamo davvero in quello che stavamo diventando.”

Accarezzò con lo sguardo la fede al proprio dito, sorridendo con dolcezza. “E a quanto pare non ci sbagliavamo.”

Harry rimase in silenzio per qualche secondo, senza smettere di accarezzarlo, e Louis iniziò a sentirsi in imbarazzo. Tossicchiò per attirare la sua attenzione e destarlo da chissà quali ricordi.

“Scusa” rise Harry, “stavo dicendo. Jay non era molto convinta, all'inizio, ma poi accettò la cosa. Penso che sia rassicurata dal fatto che sia io la ragazza della coppia, almeno secondo lei” alzò gli occhi al cielo, scoppiando a ridere subito dopo. “E le piace la mia cucina.”

Louis rise con lui, sentendosi più a suo agio. Gli sorrise persino, forse il primo sorriso sincero da quando si era svegliato dal coma.

Harry riprese parola, arrossendo di nuovo impercettibilmente. E Louis gli aveva solo sorriso, per l'amor di dio. “Domani vorrei farti conoscere gli altri.”

Louis sbattè le palpebre, confuso. “Chi?”

“Gli altri” ripeté Harry, ridacchiando, “i ragazzi che fanno parte della band a cui anche io e te apparteniamo. Zayn, Liam, Niall. Ti va?”

Louis sbuffò. “Suppongo di non avere alternative” borbottò. “Ma quando esco da qui? Mi sembra di stare in prigione.”
“Dopodomani” sorrise Harry, “non devi sopportare ancora molto.”
“Ma Stan ha detto che la mia casa qui a Londra è stata venduta. Tornerò a Doncaster, andrò in albergo, o...?”

Louis sapeva già quale fosse l'alternativa, ma Harry la confermò. “La dottoressa Chittle ha detto che, per la tua memoria, sarebbe meglio se tu tornassi a vivere dove vivevi e a frequentare i luoghi che già frequentavi prima dell'incidente. Riprendere la routine potrebbe far scattare qualche meccanismo nel tuo cervello.”

Louis rimase in silenzio, e Harry comprese quale muta domanda Louis gli stava ponendo. “Tornerai a casa nostra, Lou. Sono sicuro che ti piacerà un sacco, l'abbiamo arredata insieme.”

Nei suoi occhi tornò quello sguardo dolce e malinconico e Louis pensò a una miriade di cose in un battito di ciglia. Arredare casa, cucinare insieme, dormire nello stesso letto, tenersi per mano, litigare per gelosia, guardare la televisione sul divano con una coperta addosso, baciarsi, fare l'amore. Per un secondo accarezzò il suo corpo con gli occhi, velocemente, ma Harry dovette accorgersi dei suoi pensieri; arrossì e si sedette più composto, sorridendo in leggero imbarazzo.

Louis trasalì alla sua reazione, tornò a puntare gli occhi nei suoi e non sulle sue spalle larghe, sul suo bacino stretto, sulle sue gambe lunghissime o sul suo petto ampio. Oppure sul suo collo bianchissimo, sulle sue braccia toniche, sulle sue mani grandi e...ricordava la curva del suo di dietro quando lo aveva visto uscire, il suo sedere piccolo e sodo e-

Louis, questo non è decisamente il momento adatto per farsi spuntare un'erezione.

Tossì di nuovo, stavolta per richiamare la propria attenzione. “Allora” fece, con tono eccessivamente alto, “di che colore sono le piastrelle del bagno?”

Si sentì talmente stupido da maledirsi.

“Sono, uh, azzurre. A me non sono mai piaciute” rise Harry, “ma a te sì. Quindi non ci penso più di tanto.”

Harry abbassò gli occhi, sorrise e poi li rialzò in quelli di Louis.

“Sai, Lou” disse, arrossendo appena, “non vedo l'ora che tu torni a casa.”


*


Louis si svegliò per primo, la mattina dopo, e non fu affatto sorpreso di trovare al suo fianco Harry addormentato. Stavolta il ragazzo aveva posato le braccia sul letto, con sopra la testa. Aveva i capelli ricci arruffati e a Louis quella sembrava una posizione scomodissima, ma forse lui c'era abituato.

Non resistette alla tentazione di passare una mano tra i suoi capelli -sembravano così morbidi!

Harry non si svegliò, contrariamente a come Louis aveva immaginato. Doveva essere davvero esausto.

Louis continuò ad accarezzargli i capelli, spaziando però lo sguardo e stropicciandosi gli occhi con la mano libera. Guardò fuori dalla finestra, il cielo era grigio e nuvolo. E lui aveva un leggero languorino. Chissà che ore erano. Per quanto il cibo dell'ospedale facesse schifo, era pur sempre cibo.

Il suo stomaco brontolò, e Harry rise.

Louis trasalì, sentendolo; Harry era sveglio?

“Buongiorno” sorrise il ragazzo, sollevando finalmente le palpebre. La sua voce era roca e Louis sentì un brivido salire lungo la sua spina dorsale.

Rispose, quindi, solo con un mormorio insensato.

Aveva ancora la mano fra i ricci di Harry; arrossì, liberandola. Harry rise ancora e sollevò la testa, portando una mano a stropicciarsi gli occhi e l'altra a tirarsi indietro il ciuffo ribelle che gli cadeva sulla fronte.

“Stai bene?” domandò, premuroso. Louis annuì, ancora imbarazzato. “E tu?” replicò subito dopo. “Quella posizione non aveva l'aria di essere comoda.”

Harry scrollò solo le spalle, senza smettere quel lieve sorriso.

Amanda entrò in quel momento. “Buongiorno ad entrambi” sorrise, con quel buonumore che la differenziava da tutte le altre infermiere. “Harry, devo chiederti di lasciare la stanza per stamattina. La dottoressa Chittle vuole fare degli ultimi controlli a Louis per accertarsi di poterlo dismettere domani.”

“Ricevuto” sospirò Harry, alzandosi dalla poltrona. “A dopo, Lou” sorrise, uscendo dalla stanza dopo aver salutato anche Amanda.

Ancora una volta, Louis non poté trattenersi dal fissare il sedere di Harry mentre il ragazzo, forse inconsapevolmente, ancheggiava. Amanda notò la direzione dei suoi occhi e ridacchiò, Louis la incenerì con lo sguardo.

“Harry mi ha parlato di te” lo ignorò la ragazza, “sei un tipo fortunato.”
“Oh sì, sono stato in coma per due mesi e ho dimenticato nove anni della mia vita, direi che questa è una grande fortuna” replicò Louis, ironico. Stavolta fu lei a schioccargli un'occhiataccia.

“Sei fortunato ad avere Harry” spiegò, piccata. “Ce lo avessi io un marito così” borbottò poi tra sé e sé, posando la colazione di Louis sul letto.


*



Harry rientrò nella stanza poco dopo, insieme ad altri tre ragazzi. Louis guardò prima il sorriso rassicurante di Harry e poi esaminò i loro volti, alla ricerca di qualcosa che glieli ricordasse.

Il ragazzo più alto aveva gli occhi scuri e i capelli castani, Harry gli indicò la poltrona su cui di solito lui si sedeva per prendere posto. Un altro aveva i capelli di un colore misto fra biondo e castano, le iridi azzurre, e il sorriso che gli rivolgeva era bianchissimo ed entusiasta. Si sedette sul divanetto in fondo alla sala, che Louis non ricordava essere lì la sera prima, e fu affiancato dall'ultimo ragazzo. La sua pelle era piuttosto scura e i suoi capelli nerissimi, i suoi occhi color ambra.

“Ti sei svegliato!” trillò il ragazzo biondo, quasi scodinzolando. Louis alzò un sopracciglio.

Udì la risata di Harry più vicina alle proprie orecchie, prima di percepire il materasso abbassarsi leggermente sotto il suo peso. Si sedette accanto a lui, sul letto; non aveva molto spazio a disposizione, perciò Louis gliene procurò abbastanza da star comodi entrambi. Harry gli rivolse un sorriso di ringraziamento e Louis si sforzò di guardare altrove per non arrossire.

“Ti presento Liam, Niall e Zayn. Li consideri fratelli,” fece Harry, indicandoli mentre li nominava.

Liam prese subito parola, raccontandogli della band e dei manager, Niall gli parlò di Eleanor e Louis a quel discorso alzò talmente tanto il sopracciglio che l'amico dovette spesso fermarsi durante il racconto per frenare le risate. Solo Zayn stava in silenzio, ridendo soltanto di tanto in tanto e annuendo.

“Amico, ci sei o non ci sei?” lo richiamò Louis ad un certo punto, infastidito dal suo silenzio. Odiava le persone che facevano 'da sfondo', restando solo zitte ad ascoltare; gli sembravano lontane.

Zayn scoppiò a ridere, per nulla offeso. “Mi hai detto la stessa cosa, la prima volta che mi hai rivolto la parola” commentò.

Louis fece per rispondere, ma Harry lo anticipò. “Zayn è fatto così, non ti preoccupare. Siete migliori amici, sai?”

Louis sgranò gli occhi. Era impossibile; non che qualcuno di loro gli andasse davvero a genio oltre ad Harry, ma non avrebbe mai potuto immaginare che il suo preferito fosse Zayn.

“Fate degli scherzi terribili” aggiunse Liam, alzando gli occhi al cielo.

“Quello che vedi non è mica il vero Zayn” rise Niall, “ti sembra tranquillo e riservato, ma poi...”

“Mi state offendendo, lads!” protestò Zayn, senza trattenersi dal ridere.

“Sono sicuro che ti lamentavi con lui di noi quando venivi qui, Zee!”
“Sempre meglio di te che piagnucolavi come una femminuccia, Nì.”

“L'unico che piangeva a dirotto, veramente, era Harry...”

“Ehi! Ma da che parte stai, Lee?”
Louis li guardò soltanto, notando l'atmosfera familiare che aleggiava tra di loro. Era chiaro che si conoscessero da una vita, che sapessero come scherzare e prendersi in giro, come conoscessero tanto i punti deboli quanto quelli forti gli uni degli altri. Louis si chiese quanto avrebbe dovuto recuperare.

Lo stomaco di Niall brontolò e lo destò dai suoi pensieri. Il tempo era volato, si era limitato a fissarli tutto quel tempo e ad ascoltare i loro racconti, fare domande e rispondere a tono ai loro commenti bonariamente offensivi.

“Che ne dite se vado a prendere dei panini al bar? La ragazza che ci lavora mi stava mangiando con gli occhi. Sono sicuro che mi darà qualcosa di commestibile.”
“Finiscila, Liam!” rise Niall. Louis pensò che rideva sempre, era inarrestabile.

“Ti accompagno” si offrì Zayn, alzandosi dal divanetto. Gli sorrise prima di uscire dalla sala.

“Nel linguaggio di Zayn, quello equivaleva ad un abbraccio” commentò Niall.

“Ah, sì?” fece Louis, scettico, ma sorridendo. “Non sembra molto espansivo” commentò.

“Non lo è” scosse la testa Harry, “ma ci tiene a noi più di quanto sembri.”

“E di Liam cosa mi dite?” chiese Louis. “È uno con la testa sulle spalle, no? Dio, che noia.”
“Beh, è una fortuna che sia così” ridacchiò Harry. “Figurati che i primi tempi lo chiamavano daddy Liam. E sei tu il più grande del gruppo.”

Louis rimase zitto a guardare Niall, decidendo di ignorare la provocazione e sventolando solo una mano in risposta, con noncuranza. Gesù, quel tipo biondo era inquietante. Non smetteva di sorridere.

“Mi fai paura” commentò.

“Louis!” lo sgridò Harry, scoppiando a ridere.

“Sul serio!” si difese Louis, ridendo con lui. “Non la smetti mai, Niall? Mi sembri un cagnolino!”
Il sorriso di Niall si spense e gli sembrò sul punto di piangere. Anche Louis smise subito di ridere, sbigottito.

“Cosa, ti sei offeso? Ma, Niall, non volevo- e poi scusa, come fai a cambiare espressione così velocemente, hai preso lezioni o-”
“Stavo scherzando” ricominciò a ridere Niall, dandogli una pacca sulla spalla.

Zayn e Liam tornarono poco dopo, consegnando loro i panini. Louis notò che nel proprio c'era pomodoro e mozzarella, giusto come piaceva a lui. Allora lo conoscevano per davvero, pensò sorpreso.

Lanciò un'occhiata veloce a quello di Harry, provola e prosciutto. Decise che avrebbe fatto meglio a ricordarselo.

Il pomeriggio trascorse più in fretta di quanto Louis si sarebbe mai aspettato. Era chiaro che insieme formassero una band affiatata -si conoscevano fin troppo bene. Anche Louis aveva abbandonato qualsiasi sospetto o pregiudizio e scherzava con loro come se già li conoscesse.

A fine serata erano ancora nella sala, e ormai Louis si era completamente abituato a loro e al calore di Harry al suo fianco, sul materasso.

Liam agitò la mano prima di uscire dalla stanza, Niall gli rivolse un sorriso ampio e gli diede un abbraccio veloce, e Zayn batté il proprio pugno contro il suo ridendo leggermente. Harry rimase a guardarli varcare la soglia con un sorriso accennato, tranquillo, posando distrattamente la testa sulla spalla di Louis.

Il ragazzo voltò involontariamente il viso verso il suo, sorpreso, e Harry sollevò la testa arrossendo appena.

“Scusa, non- è un'abitudine” spiegò, facendo come per scendere dal letto. “Ora torno a-”

La mano di Louis si chiuse inconsapevolmente intorno al polso di quella di Harry. Il ragazzo alzò gli occhi nei suoi, stupito; Louis pensò ad una scusa, ma non gliene venne in mente nessuna. Ormai lo aveva fermato, tanto valeva dirgli la verità.

“Tu- tu dormi di nuovo in stanza, no?” borbottò, in imbarazzo. “Almeno potresti- dormire qui. Intendo, qui, cioè, qui. Quella poltrona non sembra l'ideale per riposare e-”

Harry lo salvò dal dire altro, rivolgendogli un sorriso ampio e luminoso e semplicemente scivolando steso, cercando di occupare meno spazio possibile. Il letto era abbastanza grande per starci entrambi, ma loro restavano comunque due adulti.

Louis non si rese conto di tenere ancora il polso di Harry nella mano fin quando non sentì la sua scivolare dalla presa e scendere, fino a intrecciare le dita alle sue. Louis fece per ritirarsi per istinto, ma si fermò subito; per quanto non se lo ricordasse, era suo marito. Non aveva nessun motivo per imbarazzarsi vicino a un ragazzo con cui sicuramente non si era limitato a tenersi per mano.

Rise fra sé e sé per quel pensiero, e Harry sorrise con lui senza domandargli spiegazioni. Louis si chiese se davvero fosse in grado di intuire tutti i suoi pensieri, ma scrollò mentalmente le spalle e scivolò anche lui steso sul letto.

C'era un piccolo spazio vuoto fra i loro corpi, e Harry fu così gentile da lasciarlo tale, stringendo solo la mano alla sua. Posò la guancia sul cuscino, chiudendo gli occhi.

“Ci vediamo domani, Lou.”


Per un istante, Louis desiderò davvero baciarlo.






Angolo Autrice

Sì, eccomi. Ugh.

Vi sarete tutti accorti della mia assenza- forse lo avevo già detto nei capitoli precedenti, ma questa è una vecchia storia scritta almeno un paio di anni fa, perciò...non ho mai seguito molto la band, ma mia sorella mi ha raccontato qualcosa, per cui dovrete semplicemente immaginare che la mia storia sia ambientata un po' nel passato (ma in realtà nel futuro...? Lascio i problemi di fantascienza ad altri) per poterla leggere. Spegnete il cervello.

Ho pensato di aggiornarla, visto che avevo comunque questo capitolo pronto. Se vi piace, fatemelo sapere! ♥



Seele

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