Frammenti di te di Seele (/viewuser.php?uid=78384)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Svegliati ***
Capitolo 2: *** Nove ***
Capitolo 3: *** Famiglia ***
Capitolo 1 *** Svegliati ***
Svegliati
Louis
finì di abbottonarsi i jeans,
raccolse la maglietta dal pavimento e la indossò con
tranquillità.
Sentiva il respiro leggero di Harry al suo fianco mentre si
rivestiva, i suoi occhi puntati addosso; quasi poteva percepire un
sorriso rilassato sulle sue labbra. Terminò di infilarsi le
scarpe,
ma prima di alzarsi dal letto sentì le molle cigolare sotto
al peso
di Harry che si metteva seduto.
“Non
andare troppo veloce, mi
raccomando” disse il ragazzo nel suo orecchio, con voce
appena più
roca del solito per avere appena finito di fare l'amore. “Sai
che
ci sono dei lampioni spenti.”
Louis
sentì le sue braccia cingergli
la vita e le spalle da dietro, sorrise automaticamente. “Stai
attento” aggiunse piano, posando il mento sulla sua spalla e
premendo un piccolo bacio
sulla sua mandibola.
“So
badare a me stesso, Harry” gli
ricordò Louis con una risata lieve, voltando il viso verso
il suo.
Come previsto, le loro labbra si incontrarono in un bacio leggero,
che Louis dovette interrompere troppo presto: Harry odorava ancora di
amore, di lenzuola e di baci, e temeva che sarebbe ritornato di corsa
nel letto se non se ne fosse andato il prima possibile.
Harry premette
il palmo della propria
mano contro il suo petto, proprio sul cuore, prima di sciogliere
l'abbraccio e lasciarlo andare.
Louis si
voltò un attimo prima di
varcare la soglia; aveva percepito la sua strana preoccupazione e
desiderava rassicurarlo. “Ehi, amore” lo
chiamò, facendolo
arrossire come da copione, anche dopo tanti anni. Era bellissimo;
nudo tra le coperte, con i ricci scompigliati e le labbra ancora
rosse dei suoi baci.
“Stai
tranquillo” sorrise. Attese
che Harry ricambiasse, poi uscì di casa.
*
“Dai,
cazzo, muoviti!” sbottò
Louis, fermo da almeno un quarto d'ora ad un incrocio per colpa di un
un ragazzo a cui non partiva il motorino. “Che
palle” esalò
frustrato, controllando l'orologio.
Sarebbe di certo
arrivato tardi
all'incontro con gli stilisti, che ultimamente avevano deciso di
cambiare la sua immagine. Louis sapeva già cosa lo
aspettava: un
nuovo taglio di capelli, un altro tipo di abbigliamento, e
probabilmente avrebbe anche dovuto indossare capi di una determinata
marca, per fare pubblicità.
Louis
tamburellò le dita sul volante,
abbassando gli occhi sulla fede d'argento che portava al dito medio,
identica a quella che Harry indossava a sua volta. Di solito bastava
che le lanciasse uno sguardo per tranquillizzarsi, ma stavolta si
sentiva stranamente nervoso. Voleva soltanto arrivare all'incontro e
poi tornare a casa il prima possibile, per vedere il sorriso di Harry
e sentirsi di nuovo bene.
Gli girava la
testa, come succedeva di
solito quando era molto stanco. Si passò una mano sugli
occhi, prima
di alzare lo sguardo e controllare la situazione davanti a
sé.
Il ragazzino
sulla moto sembrava
finalmente aver capito quale fosse il problema. Louis gli
suonò
animatamente, sbuffando. Il suo era solo un commento di lode, non un
incitamento annoiato, davvero.
Louis
cambiò marcia e girò le ruote
verso destra, pronto a prendere quella direzione. Nel frattempo
estrasse il telefonino dalla tasca, selezionando dalla rubrica il
numero di Harry, e fece per scrivergli che era ancora vivo, visto che
lo aveva tempestato di telefonate. La suoneria lo aveva nervosamente
accompagnato per tutto il tragitto, e ora era quasi arrivato.
E, nell'esatto
secondo in cui sbloccò
il freno a mano e premette annoiato il piede sull'acceleratore, fece
l'errore di alzare il volume della radio e mettere in moto senza
controllare gli specchietti.
Poi fu solo il
buio.
*
Harry
sospirò sollevato quando sentì
la suoneria del suo cellulare diffondersi nella cucina, e lesse il
nome di Louis in sovrimpressione sullo schermo; si portò
subito il
telefono vicino con la mano che non era impegnata a cucinare,
sistemandolo fra orecchio e collo e rispondendo immediatamente.
“Lou!”
esclamò, con un sorriso
enorme. “Non so perché ma pensavo-”
“È
lei Harry Tomlinson-Styles?”
domandò una voce sconosciuta e calma, quasi fredda,
dall'altro capo
del telefono.
Il sorriso dal
volto di Harry scomparve
velocemente come era apparso. “Sì, sono
io” confermò,
interdetto, “chi parla?”
“Sono
il primario Wright
dell'ospedale Mithcell” Harry mancò un battito.
“Può confermare
che questo cellulare appartiene a Louis Troy Austin?”
Louis.
“S-sì,
ma è conosciuto come Louis
William Tomlinson” si sforzò di rispondere.
“Cosa- cos'è
successo?”
“Non
posso fornirle alcuna
informazione sul paziente, se prima non conosco il vostro grado di
parentela” rispose il primario.
Paziente.
Harry
sentì un groppo in gola. “La
prego, mi dica cosa-”
“Il
suo grado di parentela, Sir.”
“Sono
suo marito” esalò Harry, a
corto di aria. “Siamo sposati da tre anni. Lei deve dirmi-
sono suo
marito, lei deve dirmi.”
Sentì
un vociare leggero dall'altra
parte della cornetta, e si sforzò di concentrarsi sul
proprio
battito cardiaco per calmarsi. Louis doveva per forza averlo messo
tra le persone da contattare in caso di...in caso di incidenti. Era
inverosimile che non potesse conoscere la sua situazione.
Anche il vociare
cessò, e Harry
ascoltò uno snervante silenzio mentre tentava di non pensare
al
peggio. Magari era stata una ferita superficiale, o un calo
improvviso di zuccheri, una piccola perdita di sangue...
“D'accordo”
il primario tornò a
parlargli, “abbiamo controllato. A questo punto, essendo i
genitori
del parente irraggiungibili, spiegherò a lei
l'avvenuto.”
“Mi
dica” lo pregò Harry, per
l'ennesima volta.
A quel punto
stringeva il cellulare in
mano, incurante di bagnarlo leggermente. L'acqua continuava a
scorrere davanti a sé, e solo distrattamente se ne rese
conto prima
di chiuderla. Stava già straripando dalla pentola in cui
aveva
intenzione di cucinare della pasta.
“Il
paziente ha fatto un grave
incidente in auto” Louis.
“Un'altra macchina è arrivata a
grande velocità sull'autostrada, il conducente era ubriaco,
il
signor Tomlinson non ha fatto in tempo a spostarsi e le due
automobili si sono scontrate” Louis.
“Il suo cuore si è
fermato due volte, ma siamo riusciti a rianimarlo” Louis.
“Ha delle costole rotte e varie emorragie interne, ha ancora
bisogno di trasfusioni ed è attualmente in coma.”
Louis,
Louis, Louis.
“Signor
Tomlinson-Styles?”
Louis,
Louis, Louis.
“Signor
Tomlinson-Styles, mi sente?”
Louis,
Louis, Louis.
“Signor
Tom-”
“Sto
arrivando” rispose solo Harry,
per poi riattaccare.
*
Harry si sedette
accanto al letto di
Louis, in una camera privata che era riuscito ad ottenere dai medici.
Si stava asciugando gli occhi con la mano non occupata a stringere
quella di Louis, in attesa di sentirla rispondere al contatto.
Si sentiva
piuttosto debole; aveva lo
stesso gruppo sanguigno di Louis, e non aveva esitato un secondo
prima di farlo sapere al primario con cui aveva parlato al telefono.
Aveva mangiato velocemente qualcosa per riprendere le forze, poi si
era catapultato nella stanza di Louis.
E lì
aveva iniziato a piangere senza
possibilità di smettere. Perché adesso era tutto
davanti ai suoi
occhi; non poteva più sembrare uno scherzo di cattivo gusto,
né un
incubo, ma era tutto così reale da terrorizzarlo. La mano di
Louis
era calda nella sua, segno che era ancora vivo, ma respirava solo
grazie ad una macchina e il solo pensiero faceva stringere il cuore
di Harry.
Gli avevano
tolto la fede e l'avevano
consegnata a Harry, che l'aveva conservata con cura ma non aveva
avuto il coraggio di togliere anche la propria. Tirò su col
naso e
osservò gli occhi chiusi di Louis, sussurrando come tra
sé e sé
rassicurazioni e promesse.
“Ti
sveglierai, Lou, io lo so che
puoi farcela.”
Conobbe la
dottoressa Chittle, una
donna dai lunghi capelli castani e dagli occhi azzurri, un paio di
occhiali sul naso e la pelle chiara. Gli disse che avrebbe dovuto
rivolgersi a lei d'ora in poi, perché si sarebbe occupata
personalmente del paziente.
Si
addormentò sulla poltrona accanto
al letto di Louis e dormì lì quella notte,
incapace di tornare a
casa. Aveva avuto solo la forza di avvertire sua madre della
situazione, ed Anne aveva preso il primo aereo verso Londra.
Liam era stato
il primo ad arrivare, il
giorno dopo. Si trovava fuori dall'Europa per una vacanza, ma non
aveva esitato un secondo prima di partire per raggiungerli.
Non aveva avuto
il permesso di entrare
nella stanza, per cui era stato Harry ad uscirne. Si era subito
lasciato avvolgere dalle braccia forti di Liam e aveva ricominciato a
singhiozzare, proprio quando credeva di aver finito le lacrime.
Liam si
occupò di tutto. Telefonò ai
manager, mettendoli al corrente della situazione, chiamò
anche Zayn
e Niall. Non sapeva per quale motivo, ma Harry aveva telefonato solo
a lui; forse perché sapeva che, fra i tre, sarebbe stato il
più
adatto ad occuparsi di quelle faccende, e perché
inconsapevolmente
sentiva che non ne sarebbe mai stato in grado da solo.
Anne lo convinse
a tornare a casa per
la notte, gli preparò la cena e gli disse che sarebbe andato
tutto
bene. Harry si lasciò trattare come se fosse tornato ad
essere un
bambino, bisognoso di rassicurazioni e cure.
Anne
riuscì a contattare Johannah, e
la donna arrivò in ospedale il giorno dopo insieme al
marito. Le
sorelle di Louis non c'erano; Mark spiegò che non avevano
voluto dir
loro nulla, per non preoccuparle.
Gli occhi di
Johannah non mostravano
alcuna emozione. Solo quando entrò nella camera e prese la
mano di
suo figlio scoppiò in lacrime.
E i giorni
passarono.
Giorno 7
“È
già passata una settimana, Lou.
Non posso crederci. Torna indietro, amore, ti prego.”
Giorno
13
“LouLou?
Siamo io e Daisy. Mamma e
papà hanno detto che non stai bene. Quand'è che
ti svegli?”
Giorno
21
“C'è
troppo silenzio qui. Forse
dovrei suonare qualcosa alla chitarra, ma non sono sicuro che ad
Harry andrebbe bene.”
Giorno
28
“Louis,
amore, tuo padre vorrebbe
venire qui. Gli ho detto di no. Vorresti che venisse? Non siete mai
andati d'accordo, non so cosa fare. Mi dispiace così tanto
se non
riesco ad essere una brava madre, così tanto.”
Giorno
34
“Si
sente la tua mancanza durante le
prove. E anche quella di Harry, sembra assente. Ho iniziato a dover
chiacchierare persino io al tuo posto, renditi conto.”
Giorno
37
“Louis,
tesoro. Cerca di svegliarti,
lo sappiamo che sei forte. Harry è distrutto, ti prego,
fallo per
lui. Sei come un figlio, sono così in pensiero.”
Giorno
42
“Louis?
Lottie dice che non ti
sveglierai più. Mamma sembra così stanca. Ho
tanta paura.”
Giorno
46
“Sai
che puoi considerarmi una
sorella maggiore, Louis. Ho bisogno che tu faccia tornare il sorriso
sulle labbra di mio fratello.”
Giorno
50
“Avanti,
ragazzo, svegliati. Non ce
la faccio più a vedere tua madre in queste
condizioni.”
Giorno
54
“Stiamo
pensando di sciogliere il
gruppo. Senza di te non è più lo stesso,
Lou.”
Giorno
57
“Sei
mio fratello, dovresti
svegliarti e dirmi che andrà tutto bene! Perché
non ti svegli?!”
Giorno
63
“Ti
amo, Louis. Non voglio lasciarti
andare. Ti prego, dammi un segnale che sei vivo, apri gli occhi. Mi
manchi così tanto.”
Improvvisamente
la mano di Louis in
quella di Harry sembrò muoversi, quasi impercettibilmente.
Ma Harry
se ne accorse immediatamente.
“Louis?”
domandò, con un filo di
voce. “Louis, sei- mi riesci a sentire, Louis?”
La sua mano
iniziò a tremare, subito
seguita dal suo braccio. Il suo intero corpo iniziò ad
agitarsi a
causa di alcuni spasmi.
Harry si
costrinse mentalmente a
lasciare la mano di Louis, ma solo per aprire con forza la porta
della stanza e chiamare a gran voce il nome della dottoressa Chittle,
aspettando che lo raggiungesse in fretta mentre alternava sguardi al
corridoio e a suo marito.
Nello stesso
momento in cui incontrò
gli occhi di sua madre dei medici entrarono in fretta all'interno
della stanza, spingendolo fuori e intimandogli di farsi da parte.
“Si
sta svegliando!” sentì dire
dalla dottoressa Chittle, prima che la porta si chiudesse.
“Sta
tentando di respirare da solo. Presto, presto!”
Harry si
lasciò mettere seduto su una
sedia da sua madre, poi scoppiò a piangere. L'emozione di
rivedere
Louis muoversi, anche solo per quegli spasmi, aveva preso il
sopravvento su di lui. Sapeva che nulla era certo, che Louis avrebbe
potuto benissimo non svegliarsi, ma lo sperava così
tanto.
Trascorsero
minuti, forse ore
interminabili. Harry strinse convulsamente la mano di sua madre tutto
il tempo, fino a vedere le nocche sbiancare; probabilmente le stava
facendo male, ma Anne sembrava non fare attenzione a quel
particolare. Si limitava a ricambiare la presa, mentre Gemma
domandava se potesse essere d'aiuto in qualche modo e beveva
nervosamente un caffè.
Era assurdo come
sia lei che Anne si
fossero affezionate a Louis, in quegli anni. Lo consideravano parte
della famiglia.
I Tomlinson,
invece, si trovavano a
Doncaster. Le ragazze dovevano andare a scuola, e i gemelli erano
ancora troppo piccoli per restare a casa da soli per troppo tempo.
Anne aveva
avvisato Johannah con una
chiamata, e lei non aveva nemmeno parlato; dopo aver sentito quello
che Anne aveva da dirle, aveva riattaccato senza dire una parola.
Anne sapeva che stava già cercando un nuovo volo verso
Londra.
E finalmente, la
dottoressa Chittle
uscì dalla stanza. Era la prima volta che Harry la vedeva
sorridere.
“Posso
fare entrare uno di voi. È
sveglio.”
Harry si
sentì morire di felicità.
Gemma lo mise in piedi e gli diede una leggera spinta, sorridendogli
sollevata.
Harry si sentiva
le gambe tremare
mentre varcava la soglia e...oh.
Louis.
Era vivo.
Era seduto, con
una gamba vicino al
petto su cui aveva posato un braccio e l'altra stesa lungo il
materasso. Era piuttosto pallido, ma sembrava stare bene, e i suoi
occhi erano così azzurri. Harry si
chiese come diavolo avesse
fatto a dimenticare che fossero così tanto azzurri,
così vivi,
così...così suoi.
“Ciao”
disse, quasi in un sussurro.
Non lo lasciò rispondere perché, dimenticandosi
per un istante
delle flebo e di tutti i macchinari che lo circondavano, in due
lunghe falcate si avvicinò a Louis e lo strinse stretto tra
le sue
braccia.
Si sorprese
quando lo sentì agitarsi
leggermente nella sua presa, come se tentasse di liberarsi e di
respingerlo. Sul momento non ci fece caso; era ovvio che fosse
dolorante, o intontito, e si scostò in un secondo. Non smise
di
guardarlo, né di sorridere o di parlare. “Sei tu,
sei qui, sei-”
“Chi
sei tu?” domandò
Louis, interrompendolo. Aveva la voce roca per non averla usata per
molto tempo, ma il tono era a metà fra il confuso e
l'infastidito.
Gli occhi di
Harry persero luce per un
secondo. “Lou, sono io. Sono- sono Harry, Louis. Harry.”
Louis lo
fissò per qualche secondo,
con la fronte corrugata. “Io non ti conosco” disse
infine.
Harry
lanciò un veloce sguardo, di
puro panico, alla dottoressa Chittle. Poi tornò a guardare
Louis,
sorridendo nervosamente.
“Avanti,
Lou, non è divertente.”
Louis non
rispose, si limitò a
mantenere la stessa espressione sospettosa, e Harry sentì di
nuovo
gli occhi farsi lucidi.
“Avanti,
non puoi -non puoi non
ricordarti di me! Sono-” ma la dottoressa Chittle si
avvicinò e lo
allontanò di pochi passi, parandosi lei di fronte a Louis.
“Signor
Tomlinson, come si sente?”
chiese, ignorando la presenza di Harry alle sue spalle. Louis vide i
suoi occhi tremare, come se stesse combattendo per non piangere, poi
guardò confuso la donna dinanzi a sé.
“Bene,
mi sento bene. Cosa ci faccio
qui?”
“Lei
ha fatto un incidente con la sua
auto. Aveva delle costole rotte, ma sono guarite, insieme alle
emorragie interne. Fortunatamente era in ottima forma, per cui
sarà
dismesso a breve.”
Gli occhi di
Louis si spalancarono.
“Quanto a breve? Ho un provino per X-Factor, il mese
prossimo.
Dovete assolutamente farmi uscire di qui prima di Giugno! Potrebbe
essere l'occasione della mia vita, e-”
“Louis.”
fu lo sconosciuto ad
interromperlo, con espressione, adesso, più interdetta che
preoccupata. “Sei stato ad X-factor nove anni fa.”
Louis
alzò gli occhi al cielo. Fece
per parlare, ma la dottoressa Chittle lo anticipò.
“Signor
Tomlinson, mi sa dire la sua
data di nascita?”
Louis la
guardò scettico. “Lei crede
che io-”
“La
sua data di nascita, signor
Tomlinson.”
Louis
alzò gli occhi al cielo. “24
Dicembre 1991”, rispose. La dottoressa Chittle si
voltò a guardare
Harry per conferma, che annuì.
“In
che luogo è nato?”
“Doncaster.”
“Il
nome dei suoi genitori?”
“Johannah
e Troy.”
“Ha
dei fratelli?”
“Solo
sorelle.”
Harry scosse
impercettibilmente la
testa. Louis non lo notò, impegnato a rispondere alle
domande.
“Sua
madre si è risposata?”
“Sì.”
“Quante
volte?”
“Una.”
Di nuovo, Harry
scosse la testa. Adesso
la preoccupazione era ben visibile nei suoi occhi.
“Signor
Tomlinson...mi sa dire in che
anno siamo?”
Louis rispose
senza esitazioni. “2010,
Maggio.”
Harry smise di
respirare.
“E
quanti anni ha?”
“Diciotto.”
La dottoressa
Chittle si voltò verso
Harry. Il ragazzo era sbiancato, i suoi occhi sembravano aver perso
emozioni.
“Louis...Louis,
tu non hai diciotto
anni, ne hai ventisei. E non siamo nel 2010, siamo nel 2019”
spiegò, senza fiato.
“Signor
Tomlinson, è sicuro di non
ricordare nient'altro?” domandò la dottoressa
Chittle,
sistemandosi gli occhiali sul naso. Louis abbassò la testa,
sentendosi improvvisamente spaventato.
“Posso...posso
parlare con mia
madre?” fece invece, stringendo le coperte nei pugni chiusi.
“Al
momento i suoi genitori si
trovano a Doncaster” spiegò la dottoressa,
“dovrà aspettare.”
Harry si
sforzò di mettere in funzione
la mente. Era chiaro che Louis volesse qualcuno di cui si fidava
vicino, in quel momento.
“Stan”
mormorò, come fra sé e sé.
Louis sgranò gli occhi in sua direzione.
“Come
fai a sapere che...” provò a
chiedere, ma si interruppe quando Harry tirò fuori dalla
tasca dei
jeans un cellulare e cercò un numero nella rubrica. Doveva
essere un
modello davvero all'ultimo grido, perché Louis non ne aveva
mai
visti simili.
“Stan,
sono Harry. Sì. Si è
svegliato. Devi venire immediatamente.”
Seguì
il silenzio per alcuni secondi.
“Ti trovi in città? Perfetto. Ti aspettiamo, fa'
in fretta.”
Ripose il
cellulare nella tasca. “Stai
tranquillo, Lou, Stan sta arrivando. Sarà qui a
momenti.”
Louis
aggrottò la fronte. “Io non
riesco a capire chi tu sia, Harry.”
Harry fece per
parlare, ma si
interruppe a metà frase. “Io sono...”
Lanciò
un'occhiata alla dottoressa
Chittle, tornò su Louis, abbassò lo sguardo e lo
sollevò
nuovamente dopo pochi secondi.
Louis non sapeva
ancora chi era, nel
2010. Non poteva...lo avrebbe scioccato.
“Sono
il tuo migliore amico, Lou. Il
tuo migliore amico dal 2010.”
Louis scosse la
testa. “È Stan il
mio migliore amico.”
“Sì,
ma dal 2010 ne hai altri
quattro.” sorrise Harry, o almeno, cercò di
sorridere. “Siamo
io, Zayn, Liam e Niall. Sono proprio qui fuori. Vuoi-”
“No.”
rispose secco Louis,
fermandolo dall'aprire la porta. “In questo momento voglio
parlare
soltanto con Stan.”
Harry
annuì lentamente. Guardò la
dottoressa Chittle, che annuì a sua volta. “Va
bene.”
“Puoi
uscire, per favore?” chiese
Louis. Harry sospirò, ma provò ugualmente a
sorridere lievemente.
“D'accordo.”
“Intanto
le farò degli accertamenti,
signor Tomlinson” disse la dottoressa Chittle. Fu l'ultima
cosa che
Harry sentì, perché poi uscì dalla
stanza.
Sei paia di
occhi si posarono
immediatamente su di lui mentre si chiudeva la porta alle spalle,
tutti di un colore diverso. Il verde scuro di quelli di sua madre, lo
smeraldo di quelli di sua sorella, il cioccolato di quelli di Liam,
il cielo di quelli di Niall e l'ambra di quelli di Zayn. Rimasero
tutti in attesa, senza parlare, quasi senza respirare.
Poi Harry
sorrise, piangendo nello
stesso tempo, lasciando andare sia la gioia che le lacrime che aveva
trattenuto.
“Sta
bene” esclamò, felice, prima
di incupirsi e abbassare il tono di voce.
“Ma
non ricorda chi siamo.”
Angolo
Autrice
Popolo
di efp, sono tornata.
O
almeno spero; si vedrà, si vedrà.
Ho
scritto questo capitolo quasi due anni fa, e oggi l'ho ritrovato del
tutto casualmente. L'ho letto, ho pensato che la storia sembrava
carina, e ho deciso di riprendere a lavorarci.
È
completamente ispirato alla storia Everyday
( qui
il link della storia in lingua originale e qui
quello della versione tradotta in italiano ), che ha come portagonisti
Kurt e Blaine di Glee. Vi consiglio di andare a dare un'occhiata,
perché è davvero bellissima.
Chiarimenti:
-
Ripeto, la mia storia è ispirata a Everyday, ma spero di discostarmene il più
possibile.
-
Il banner è opera mia, ma non so di
chi sia quella fanart. Se qualcuno lo sa, mi faccia sapere!
-
Non ho assolutamente idea di come sia avere a
che fare con l'amnesia, né studio medicina. Non sono neppure
mai stata ospedale per problemi seri, quindi mi scuso in anticipo per
eventuali stronzate inesattezze nella storia; se qualcuno di voi
nota un errore, mi faccia sapere. Provvederò a sistemare.
-
Essendo la storia stata scritta due estati fa,
ovviamente il personaggio di Zayn è presente, ma
vedrò come conciliare la sua presenza con i fatti attuali.
Inoltre, Zayn è sempre stato uno dei miei personaggi
preferiti, per cui non credo di essere disposta a rinunciare.
Se
vi va, lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate!
Spero
di aggiornare presto,
Seele
|
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Capitolo 2 *** Nove ***
Nove
Stan
arrivò in ospedale un quarto
d'ora dopo, mentre Harry spiegava ancora la situazione al resto della
band e ai suoi familiari.
Harry si
voltò repentinamente verso il
corridoio proprio quando Stan avanzò in sua direzione, come
se fosse
talmente in pensiero da udirne anche il minimo passo.
Sospirò,
sollevato -per qualche sciocca ragione, aveva temuto che accadesse
qualche imprevisto o che non potesse venire- e lo raggiunse mentre
ancora camminava, fermandolo.
Gli
posò le mani sulle spalle,
stringendole leggermente. “Grazie per essere qui”
sorrise, e agli
occhi di Stan parve esausto e felice, “non avrei saputo chi
altri
contattare, se tu ti fossi rifiutato.”
Stan rimase in
silenzio per qualche
istante, poi sorrise leggermente e scosse la testa. Prima ancora che
potesse dire qualcosa, la dottoressa Chittle uscì nuovamente
dalla
stanza di Louis e Harry si rivolse immediatamente a lei.
“Dottoressa-”
“È
ancora un po' intontito, ma i
valori si sono perfettamente ripristinati e potrà tornare a
casa a
breve” lo anticipò lei. “Ho ancora da
controllare alcune cose,
ma deciderò domani.”
Lanciò
una breve occhiata a Stan, di
cui Harry aveva già fornito i dati per lasciarlo entrare
nella
stanza. “Il signor Stanley Lucas?”
domandò. Stan rispose con un
cenno affermativo. “Può entrare nella stanza. Le
raccomando solo
di non confondere il paziente, o di non spaventarlo.”
“Non
si preoccupi” fece Stan con
leggerezza, e per un attimo Harry desiderò soltanto pregarlo
disperatamente di seguire alla lettera le indicazioni della
dottoressa. Fu proprio lei a distrarlo mentre Stan entrava nella
sala, dicendogli che aveva da parlargli in proposito della situazione
di suo marito.
Non appena Stan
varcò la soglia, Louis
dapprima sobbalzò e poi corrugò le sopracciglia.
Stan gli
resituì lo stesso sguardo
interdetto, come al solito come uno specchio delle sue azioni, e si
sedette sulla sedia accanto al suo letto. Louis lo fissò
ancora per
qualche secondo, poi finalmente aprì bocca.
“Sei
vecchio” sbottò.
“Gli
anni passano per tutti, amico”
rise Stan. “E oh, avanti, sono solo nove anni meno giovane.
Dimostro così tanto i segni dell'età?”
Il tono
fintamente indignato di Stan
strappò a Louis un sorriso. “Quindi è
davvero passato tutto
questo tempo?”
Stan
alzò le spalle. “Sono ancora
offeso, ma sì.”
“E io
e te siamo ancora migliori
amici?” domandò Louis, confuso. “Quel
tipo alto ha detto che-”
“È
una lunga storia” lo interruppe
Stan. “Non saprei nemmeno da dove cominciare a
raccontartela.”
Louis aggrottò la fronte. “Com'è
possibile
che un estraneo si sia messo in mezzo alla nostra amicizia?”
borbottò.
“Il
fatto è che non è un
estraneo, Lou”, cercò di spiegargli Stan, senza
rivelare troppi
particolari. “L'hai incontrato ad X-Factor nove anni fa, e da
allora non vi siete più separati. Se si è messo
in mezzo è perché
lì ce l'hai voluto tu.”
C'era un leggero tono d'accusa
nel suo tono di voce, e Louis preferì ignorarlo. Si
grattò la nuca
con fare pensieroso. “Cosa è successo in questi
nove anni?”
chiese infine. “Fammi un riassunto.”
Stan aveva un
po' perso i contatti con
Louis ultimamente, quindi non seppe precisamente come rispondere.
“Vediamo...ci sono stati, uhm, vari cambiamenti nella tua
vita. Per
cominciare, tua madre si è risposata e ha avuto altri due
gemelli,
e-”
Louis trasalì. “Mamma ha lasciato Mark?”
domandò, gli
occhi sgranati.
Stan
sospirò: ad ogni modo lo avrebbe
scoperto da solo, e sarebbe stato peggio. “Sì,
Louis. So che non
ti piace questa cosa, ma-”
“Considero
Mark il mio vero
padre!” protestò Louis, interrompendolo di nuovo.
Stan fece per
aprire bocca, ma quando vide gli occhi di Louis sbarrarsi ancora di
più ammutolì. “Altri due
gemelli? Ma che cazzo-”
“Louis,
per l'amor di dio, siamo in un ospedale” lo riprese Stan.
“Calmati.
Sentirti urlare così potrebbe spaventare qualcuno.”
Louis non si
curò del suo rimprovero,
cocciuto come se fosse tornato a- oh, giusto, Louis era
tornato ad avere diciotto anni. “Devo parlare con mia madre.
E con
Mark.”
Stan alzò gli occhi al cielo, cambiando argomento.
“Ho
anche buone notizie.”
“Fammi
indovinare” Louis alzò un
sopracciglio, ironico e ancora alterato, “sono
miliardario?”
“Sì.”
La risposta di
Stan arrivò talmente
velocemente, e con un tono così serio, che Louis non seppe
inizialmente come reagire. Così Stan continuò.
“Fai
parte di quella che in passato è
stata la boyband più famosa al mondo, i One
Direction” raccontò.
“Ora siete adulti e prendete il vostro lavoro con
più serietà, ma
avete ancora successo.”
Le labbra di
Louis si schiusero per la
sopresa. “Stai scherzando” fece infine, scuotendo
la testa.
“No,
affatto. Anche Harry fa parte di
questa band, e gli altri sono qui fuori.”
“Stan, non è
divertente.”
“Sono
serio!” sbottò Stan,
incrociando le braccia al petto. “Fidati, Louis.”
Louis
sbuffò, rimase in silenzio
qualche istante e poi arrossì appena. “Quel
ragazzo con i capelli
ricci, Harry...”
Stan sorrise.
“Non provare nemmeno a
fingere quel tono disinteressato, Lou.”
Louis
sgranò gli occhi, recitando
palesemente. “Io? Perché dovrei
essere interessato?”
replicò, ma la voce gli si abbassò appena nel
pronunciare l'ultima
parola. Stan sapeva che gli piacessero i maschi sin da quando aveva
sedici anni- ma a diciotto Louis era tutt'altro che pronto a fare
coming out.
L'amico
roteò gli occhi, lanciandogli
poi un'occhiata eloquente. “I primi giorni ad X-Factor non
facevi
altro che parlarmi di lui. Di quanto lo ritenevi stupendo
e di
quanto avresti voluto portartelo a letto.”
Louis
borbottò qualcosa fra sé e sé,
appena in imbarazzo. “Beh, al dito aveva una fede.”
Stan rimase in
silenzio. Louis aspettò
per alcuni secondi che prendesse parola, ma quando non lo fece
trasalì e Stan si spaventò, sobbalzando a sua
volta. Probabilmente
Louis sarebbe scoppiato a ridere, ma in quel momento era troppo
impegnato a ricordarsi di respirare.
“Mi
stai dicendo che- quel ragazzo lì
è- proprio quel ragazzo lì
è mio-”
“Marito”
lo precedette Stan,
temendo che sarebbe soffocato, “è tuo
marito, Louis. Siete sposati da tre anni.”
Louis
esalò solo un verso strano, a
metà fra la sopresa e la confusione. “Non ci siamo
mai lasciati?
Com'è possibile che la nostra relazione sia durata, quanto,
cinque
anni-”
“Nove”
lo corresse Stan.
“Nove”
ripeté Louis, e
sembrava sul punto di dare i numeri. Stan parlò per farlo
tacere.
“Louis,
Louis, calmati” gli intimò,
e Louis fu talmente stupito dal suo tono adulto da zittirsi
all'istante. “So che la tua vita familiare ha subito
innumerevoli
cambiamenti durante gli anni, sin da quando eri piccolissimo”
gli
disse, con tono fermo ma quasi dolce, “però questo
non significa
che Harry non sia la persona adatta per te, quella con cui fare una
famiglia vera. Lo ami, Louis, e lui ti ama” spiegò
con fermezza,
“e non hai dubbi sulla vostra relazione, né ce li
ha lui. Questa è
una cosa seria, non è un gioco. Ci avete pensato bene prima
di
sposarvi, o di parlare di figli.”
Louis sbiancò. “Figli?”
ripetè.
“No!”
Stan stese in avanti le mani,
temendo seriamente che Louis stesse per avere un attacco di panico.
Aveva sempre odiato le responsabilità. “Non avete
figli, Lou. Sta'
tranquillo.”
Louis
rifiatò. “Mio Dio, Stan. Ho
una certa età, a quanto pare, non farmi rischiare
l'infarto.”
Stan rise
brevemente per la battuta; se
Louis scherzava, voleva dire che riprendeva a ragionare. Gli
lanciò
un sorriso intenerito.
Louis se ne
accorse subito. “Che hai
da sorridere come un idiota?” domandò, delicato
come nove anni
prima. Stan grugnì una risata.
“Stai
affrontando tutto così bene,
Louis. Sono fiero di te. A quest'ora io sarei già preda di
una crisi
nervosa o di un crollo emotivo.”
Louis
tirò un sorriso triste. “In
realtà sono terrorizzato, Stanie. Non andartene, per
favore.”
Stan gli strinse
una spalla,
sorridendogli rassicurante. “C'è Harry proprio qui
fuori, Lou.
Starà attento a te e, vedrai, basterà la sua
presenza a
tranquillizzarti.”
Lo
guardò negli occhi: “fidati di
lui. Immagino sia strano pensare che qualcuno che ritieni uno
sconosciuto sia in realtà la persona più
importante della tua vita,
ma ti assicuro che lo è.”
Abbassò
leggermente la voce,
mantenendo a fatica gli occhi nei suoi, “e ti conosce meglio
di
quanto io ti conosca...”
Louis si morse
il labbro inferiore.
“Davvero?”
Stan
sospirò e annuì. “Davvero.”
Entrambi
rimasero in silenzio per
quelli che parvero minuti interi. Poi Louis sembrò
arrabbiarsi e
sbottò, “però è davvero
bellissimo, cazzo.”
Stan
scoppiò a ridere. “Chissà in
quanti gli mettono gli occhi addosso ogni giorno...”
continuò
Louis.
“Non
è che non lo sappiano, Lou”
rise ancora Stan, senza pensare a quel che stava per dire,
“ci sono
vostre foto su tutti i giornali e-”
“Aspetta”
Louis sbiancò
nuovamente, come realizzando il senso della parola marito
solo
in quell'istante, “mia madre sa che sono gay? Le mie sorelle
sanno
che sono gay? La gente sa che sono-”
“Tutto il mondo sa
che sei gay, Lou” sbuffò Stan. Louis
boccheggiò qualche istante,
prima che i suoi occhi si fissassero in qualche punto indefinito
della stanza.
Stan
deglutì, preoccupato. “Non c'è
nulla di cui preoccuparsi. Lo sanno tutti, e a tutti sta bene. Anzi,
ci sono persino dei fan entusiasti che tu e Harry stiate insieme,
sono incredibilmente supportivi. Dovresti vedere quanto sono felici
per voi.”
“Oh
mio Dio” mormorò Louis.
“Quando- quando diavolo ho fatto-”
Louis non
riusciva nemmeno a
pronunciare quella parola, e Stan quasi si pentì di avergli
detto la
verità. “Hai fatto coming out cinque anni fa. Se
lo aspettavano
tutti, erano in così tanti a sospettare che tu ed Harry
steste
insieme da un pezzo.”
Louis chiuse gli
occhi e inspirò a
fondo, tentando di calmarsi. “Posso vedere...non so, delle
foto?”
Stan scosse la
testa, risoluto. “Le
vedrai quando ti calmerai un pochino. Sei agitatissimo, Lou, e non
dirmi di no: so ancora riconoscere quando fai finta di essere
tranquillo.”
Louis si
massaggiò le tempie. “Posso
sapere almeno come diavolo sono finito in coma?”
“Hai
fatto un incidente in auto”
raccontò Stan, “hai girato le ruote prima di
riprendere a guidare.
Non hai fatto in tempo a spostarti quando un'altra macchina ti
è
venuta addosso.”
Calò nuovamente il silenzio, scandito solo dai
loro respiri. Quello di Louis era ancora accelerato, ma secondo Stan
era solo impegnato ad assimilare tutta quella massa di informazioni.
Fu lui,
stavolta, a fare una domanda.
“Qual è l'ultima cosa che ti ricordi?”
chiese, incuriosito.
Louis ci
pensò per qualche lunghissimo
istante. “Io...non lo so” mormorò,
pensieroso. “Ricordo di
essermi trasferito a Londra, ricordo l'accademia teatrale, il negozio
in cui ho lavorato...” elencò, stringendo gli
occhi per scavare
più a fondo nella propria mente. “E la casa in cui
abito e-”
“Oh,
la casa in affitto a Londra,
intendi?” lo interruppe Stan. “Non abiti
più lì, ovviamente.”
“Immagino
che...” Louis lasciò in
sospeso la frase, incerto.
“Sì,
abiti con Harry” confermò
Stan. “Avete una villa in periferia.”
“È una bella casa?”
“È
enorme.”
“Beh” borbottò
Louis, faticando per non lasciarsi scappare un sorriso,
“direi che
essere un cantante famoso ha i suoi vantaggi.”
Stan
alzò gli occhi al cielo,
scoppiando a ridere per il tono della sua voce. “E ora
cos'altro
vuoi sapere?”
“Raccontami
di mia madre, delle mie
sorelle. Raccontami ancora di Harry e della band.”
“D'accordo...”
*
Stan si chiuse
silenziosamente la porta
alle spalle, e Harry alzò subito la testa dalla spalla di
sua
sorella non appena udì il rumore della porta che si apriva.
“Mio
Dio, Harry” sbottò Stan,
spaventato, “sei un antifurto o qualcosa del
genere?”
Harry
non colse l'offesa, ancora intontito dal sonno.
“Come-”
“Sta
bene” lo anticipò Stan, “gli
ho spiegato un po' di cose. La sua famiglia, il suo presente, e
te.”
Harry si
svegliò completamente solo al
sentirsi nominare, ma Gemma parlò prima di lui.
“Gli hai detto che
sono sposati?” chiese, corrugando la fronte. “Non
capisci che
rischio hai-”
“Poteva
succedere qualche catastrofe
con il suo cervello, okay” ammise Stan, sollevando gli occhi
al
cielo, “ma non è successo. Per lo più,
Harry, adesso puoi fare lo
sdolcinato quanto ti pare.”
Gemma
guardò Stan con occhi
arrabbiati, invece Harry gli sorrise con gratitudine.
“Davvero gli
hai detto tutto?” chiese, contento. “E lui ha
reagito bene?”
Stan
annuì. “Gli ho raccontato di
X-Factor, della band, del suo coming out. Gli ho detto che al vostro
matrimonio ti sei vestito di bianco ed è scoppiato a
ridere.”
Anche Harry
rise, intenerito dai
ricordi. “Ora gli hanno portato la cena, sta mangiando.
Harry”
cambiò tono immediatamente, guardandolo serio,
“non penso che ci
sia bisogno che te lo dica, ma meglio che tu lo sappia. È
davvero,
davvero spaventato da questa situazione, anche se cerca di non darlo
a vedere.”
“Lo
immaginavo” sospirò Harry.
“Farò del mio meglio per
tranquillizzarlo.”
Stan
annuì, poi si stiracchiò e
raccolse la sua giacca dalla sedia vuota accanto a quella di Harry.
“Beh,
allora vado. Se avete bisogno
sapete come contattarmi. In fine settimana sarò fuori
città, ma
fino ad allora sono a vostra disposizione.”
Fece per
allontanarsi, mentre anche
Gemma si alzava per andare a comprare qualcosa per cena al bar
dell'ospedale. Harry fece per seguirla, ma all'ultimo momento
tornò
sui suoi passi e attraversò velocemente il corridoio che
Stan aveva
già oltrepassato.
“Stan!”
chiamò, intravedendo la
sua figura, fermandolo prima che uscisse dal reparto. Il ragazzo si
arrestò e gli lanciò un'occhiata sorpresa,
aspettando che Harry lo
raggiungesse.
Quello che il
ragazzo fece lo lasciò
basito. Harry lo abbracciò, forte, stringendolo con affetto.
Sciolse
l'abbraccio solo alcuni secondi
dopo che anche Stan lo ricambiò, piuttosto goffamente visto
lo
stupore. Ma non si allontanò di molto, rimase a guardarlo
negli
occhi.
“Grazie
mille” fece, con voce
chiara e sincera. “So che io e te non siamo mai stati grandi
amici”
mormorò subito dopo, “ma quello che hai fatto per
Louis oggi
significa davvero tanto per me.”
Lo
abbracciò nuovamente. “Grazie,
Stan. Grazie sul serio.”
Stan
iniziò a sentirsi in imbarazzo,
adesso capiva perché Louis fosse tanto preso da lui: Harry
sembrava
una persona così...onesta. E guardava negli occhi con
talmente tanta
attenzione da far dimenticare tutto il resto del mondo.
“Stai
tentando di sedurmi?” rise,
per alleggerire l'atmosfera. Harry gli rivolse uno sguardo confuso.
“Lascia
stare” scrollò le spalle
il ragazzo, “era solo una battuta.”
Tornò
serio in un secondo. “Ora è
tutto nelle tue mani.”
“Lo
so” replicò Harry, senza
esitare. “Grazie ancora.”
Stan sorrise,
finalmente spensierato.
“So che ci puoi riuscire, Harry.”
Gli diede le
spalle, e Harry rimase a
guardarlo con un sorriso accennato finché non lo vide
scomparire
oltre la porta.
*
“È
ancora qui, signor Tomlinson?”
Harry si
stropicciò un occhio,
rivolgendo un sorriso stanco ma gentile alla giovane infermiera
appena uscita dalla stanza di Louis. “Suo marito sta bene,
ormai.
Perché non va a casa a riposarsi?”
“Non
riuscirei a dormire lontano da
qui, Amanda, lo sai” rispose, con tono educato. “E
quante volte
ti ho detto di darmi pure del tu?”
Amanda si
lasciò scappare un sorriso,
poi si morse il labbro inferiore, e infine si scostò i
capelli dalla
fronte. “Oh, al diavolo, non se ne accorgerà
nessuno. Vuoi
entrare?”
Harry rise.
“Come al solito.”
Amanda gli porse
una mano per aiutarlo
a rialzarsi, sembrava esausto. “Solo perché sei
testardo.”
Harry
alzò gli occhi al cielo.
“Grazie, Amanda.”
“Vai
dentro” rispose lei, con
affetto. “Ti copro io.”
In quei due
mesi, fra di loro si era
sviluppata una sorta di amicizia. Inizialmente Amanda lo aveva
riconosciuto e gli aveva chiesto conferma della sua
identità, poi
aveva cominciato a fermarsi a fare due chiacchiere con lui la notte,
quando lo scopriva ancora seduto sulle poltroncine fuori dalle sale,
incapace di dormire.
Harry le
lanciò un ultimo sorriso, poi
entrò nella stanza di Louis cercando di fare il minimo
rumore. Anche
quando Louis era in coma, aveva sempre avuto quella paura sciocca di
svegliarlo durante la notte.
Quando Louis
alzò però la testa dal
cuscino per controllare chi fosse entrato, Harry si sentì il
cuore
leggero e pieno di gioia. Doveva ancora abituarsi all'idea di Louis
sveglio.
“Oh,
sei tu” commentò il ragazzo,
mettendosi seduto. Harry gli sorrise, raggiungendo il fianco del suo
letto e sedendosi sulla poltrona voltata verso di lui.
“Come
mai non stai dormendo?”
domandò, mettendosi comodo. “Sarai
stanco.”
“Tu,
piuttosto. Tu sì che sembri
esausto. Perché non vai a casa?”
replicò Louis. Si morse il
labbro subito dopo, accorgendosi del proprio tono di voce.
“Scusa,
non volevo suonare infastidi-”
“Non
preoccuparti” scosse la testa
Harry, con una risata accennata. “Non mi va di andare a casa,
ecco.
Volevo...tenerti compagnia.”
Louis
alzò un sopracciglio. “Mentre
dormivo?” ribatté, scettico.
“Va
bene, va bene” sorrise Harry,
alzando scherzosamente gli occhi al cielo. “È che
quella non è
'casa' senza di te, Lou.”
Louis si sentì stranamente arrossire.
Quel ragazzo non stava flirtando, era serio e dolce e-
“Scusami”
fece, timido, “troppo
presto, vero?”
Louis
sentì il bisogno di schiarirsi
la voce. “No, no, capisco” si affrettò a
rispondere. “Credo-
credo che sia lecito, no?”
Lo sguardo gli cadde
involontariamente sulla sua mano, e sulla fede che portava
all'anulare. Fece per aprire bocca, ma cambiò idea; Harry
intuì
ugualmente i suoi pensieri.
“Ce
l'ho io, la tua fede” sorrise
Harry, sentendosi felice per quel nulla. “La tengo al sicuro,
stai
tranquillo.”
Il tono di
questo ragazzo...era così
strano. Uno strano bello. Come una ninna nanna.
Aveva un timbro
profondo, dolce,
tranquillo. Louis si mise più comodo nel letto, posando la
guancia
contro il cuscino e tenendo la testa voltata verso di lui.
“Quindi...nove
anni...wow.”
Non voleva
realmente dirlo, ma le
parole gli uscirono di bocca da sole. Non si sentiva ancora pronto a
trattare l'argomento con il diretto interessato.
“Non
ci pensare ora, Lou. Ne abbiamo
tutto il tempo.”
“Adesso
dormi anche tu, no?”
“Sì.
Ora sono più tranquillo.”
Il buio della
stanza e la stanchezza
stavano velocemente guidando Louis verso il sonno, il quale si
limitò
quindi ad annuire a rivolgere ad Harry un sorriso.
“Buonanotte,
Harry.”
“Buonanotte,
Lou.”
*
Louis rise
rumorosamente, e Harry si
svegliò di soprassalto.
Scattò
dritto, lasciando lo scomodo
schienale della poltrona e premendo le mani sui braccioli,
svegliandosi all'istante. Si ritrovò due paia di occhi
puntati
addosso, sorpresi: quelli di Louis e di sua madre.
Li
fissò qualche secondo senza nemmeno
respirare e poi ricadde con la schiena sullo schienale, portandosi le
mani sul viso e espirando con sollievo. Solo ora si ricordava che
Louis si era svegliato il giorno prima.
“Uh,
buongiorno anche a te?”
commentò il ragazzo, divertito. Harry scostò le
mani dal proprio
volto, di nuovo calmo -anche se i battiti del suo cuore non ne
volevano sapere, di rallentare un po' invece di scoppiare di
felicità. “Sì, buongiorno.”
“Era
ora che ti svegliassi, tesoro”
disse Johannah con dolcezza, “finalmente hai dormito quanto
si
deve.”
Harry rivolse la
domanda a lei, ma i
suoi occhi erano incapaci di staccarsi da quelli di Louis.
“Che ore
sono?”
Johannah
guardò il proprio orologio da
polso. “Quasi ora di pranzo. Tua sorella voleva portarti da
qualche
parte per pranzare, non mi ricordo.”
Harry non gliene
fece una colpa; anche
lui riusciva a malapena a pensare ad altro che non fosse Louis
è
sveglio. Impiegò qualche secondo per decidersi ad
alzarsi,
segretamente impaurito all'idea di allontanarsi da suo marito.
Finalmente
annuì, decidendo che
comunque con sua madre sarebbe stato al sicuro. Non era mai stato
così protettivo -fra loro due, era Louis il più
geloso e
possessivo- ma quegli ultimi due mesi avevano forzato il cambiamento.
Aveva il terrore di perderlo di vista anche solo per un secondo.
Non fece nemmeno
in tempo a perdersi
nei suoi pensieri, che appena oltrepassò la soglia della
porta dopo
aver salutato, sua sorella lo afferrò per un braccio e gli
sorrise.
“Ho
prenotato al ristorante italiano
a due isolati da qui. Da quant'è che non fai un pranzo
decente?
Avanti, andiamo!”
Lo
trascinò letteralmente per le scale
e nella sua auto, ignorando le sue risate e le sue false proteste.
Solo quando si sedettero al tavolo, il suo sguardo si
addolcì e gli
prese una mano fra le sue.
“Sono
così felice che tu sia felice”
sorrise, “questi due mesi sono stati un inferno.”
“Puoi
dirlo forte” conciliò Harry,
ma anche lui non perse il tono contento. “Non posso ancora
credere
che sia sveglio.”
Gemma rise
apparentemente senza motivo,
e Harry la guardò confuso. La ragazza sorrise maliziosa.
“Ho
una bellissima notizia” lo
informò, “sai cosa ha detto la dottoressa
Chittle?”
Harry scosse la
testa, non cogliendo la
nota ironica della sorella. “Purtroppo stavo
dormen-”
“Louis
tornerà a casa con te,
dopodomani” sorrise la sorella, entusiasta.
“Verrà con te. Non è
fantastico?”
Harry
sobbalzò. “Sul serio? Sarà
dismesso così a breve?” chiese conferma, quasi
incredulo. “E
tornerà a vivere con me?”
“È
quello che ho appena detto, Haz”
sbuffò Gemma. Si addolcì nel vedere il sorriso
felice, ancora
stupito, che si disegnò lentamente sulle labbra di suo
fratello. “È
finita, Harry” disse sottovoce, come se fosse stato un
segreto,
“sta bene.”
Gli strinse
più forte la mano, vedendo
i suoi occhi diventare lucidi.
“È
salvo, scricciolo.”
Angolo
autrice
Eccovi
il nuovo capitolo! Spero che questa storia inizi a piacervi.
Il
titolo si riferisce chiaramente agli anni che Louis ha perso -quelli
che ha trascorso con Harry.
In
questa storia, Louis non crede molto nelle relazioni a lunga durata,
perciò è importante far notare quanto sia stupito
da questo fatto.
Purtroppo
sono di fretta, e non posso dire molto altro- lasciatemi una
recensione, se vi va!
A
presto,
Seele
|
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Capitolo 3 *** Famiglia ***
Famiglia
Harry era appena tornato in
ospedale,
quando Johannah uscì dalla sala in cui si trovava Louis.
Gemma sgranò gli
occhi. “Te ne vai
di già?” commentò, senza riuscire a
trattenersi. “Non è
nemmeno ora di cena. Non mi importa che tu sia arrivata stamattina,
non è comunque abbastanza.”
Johannah rimase senza parole. Harry
si scusò al posto suo: “Scusa, Jay”
fece, “Gemma ha questo
carattere che-”
“Mi hanno
telefonato dall'albergo.
Daisy si è presa la febbre” spiegò la
donna, interrompendolo.
“Ah,
capisco” Gemma incrociò le
braccia al petto, “tua figlia con la febbre è
più importante di
tuo figlio con l'amnesia.”
Johannah aprì
bocca per ribattere, ma
Gemma fu più veloce ad allontanarsi. “Vado a casa,
dolcezza”
sorrise a suo fratello, cambiando immediatamente espressione,
“se
ti serve qualcosa sai dove trovarmi.”
Harry attese che si
allontanasse, poi
tornò a sorridere nervosamente a Johannah. “Gemma
è un
po'...diciamo che ha questa fissazione con i rapporti familiari,
ecco.”
Johnnah sospirò.
“Mi dispiace,
Harry” mormorò, “è
solo...così difficile accettare
questa situazione. Ed io non sono mai stata una brava madre,
purtroppo.”
Harry scosse la testa,
fingendo di non
pensarla allo stesso modo. “Non preoccuparti. Ti do il
cambio”
ridacchiò, incamminandosi già verso la stanza di
Louis.
Il ragazzo era un po' perso
nei suoi
pensieri, quando Harry varcò la soglia e chiuse con
delicatezza la
porta. Louis alzò gli occhi verso di lui, sorpreso.
“Di
già?” chiese, confuso.
“Credevo fossi uscito o-”
“Sono appena
tornato” sorrise
gentilmente Harry, prendendo posto alla poltrona. Louis
corrugò le
sopracciglia.
“Non sei
obbligato. Intendo, sono
adulto e vaccinato e-”
“Lou”
Harry interruppe le sue
parole, “per me non è assolutamente un obbligo,
non preoccuparti.
Vengo qui perché mi sei mancato tanto, perché
voglio accertarmi che
tu stia bene.”
Louis doveva ancora
abituarsi a
quell'amore, a quel sorriso, a quegli occhi verdi e puntati senza
paura o incertezza su di lui. Arrossì al pensiero e, Gesù,
non aveva mai arrossito per nessun altro prima di incontrare Harry.
“Ok” borbottò, innervosito al pensiero.
Harry forse
intuì i suoi pensieri,
perché rise. “Com'è andata con tua
madre?”
Louis si morse un labbro,
sembrava
sospettoso. Harry percepì la sua diffidenza senza
difficoltà.
“Lou”
lo chiamò, con tono dolce,
“pensi che non lo sappia? Ti conosco da nove anni, so
qualsiasi
cosa di te. Puoi parlarmi liberamente.”
Louis lasciò
andare un sospiro.
“Faticavo a credere che fosse venuta, stamattina. Le cose
sono un
po' cambiate nel corso degli anni...sembrava non accettare che le
femmine probabilmente non mi-”
La sua voce si
incrinò per un secondo,
Harry annuì tranquillo e Louis riprese, senza
però terminare la
frase. “E quindi ho notato che iniziava ad allontanarsi un
po'. Poi
ho anche voluto andare a Londra per fare l'attore, me ne sono andato
di casa, non era molto d'accordo...”
Harry gli prese la mano tra
le sue, e
Louis si stupì tanto per l'intimità di quel gesto
quanto per la
naturalezza con cui il ragazzo aveva compiuto l'azione. “E
oggi di
cosa avete parlato?” chiese. Nel suo tono non c'era altro che
gentilezza; non voleva obbligare Louis a raccontargli, ma nel caso
avesse deciso di farlo gli avrebbe dato tutto il suo appoggio. Louis
abbassò lo sguardo sulle sue mani enormi che inglobavano la
sua,
deglutì imbarazzato e risollevò gli occhi,
tentando di riprendere a
parlare.
“Dicevo...”
si era dimenticato la
domanda di Harry, ma quando vide allargarsi sul suo volto un sorriso
divertito ricordò all'istante. “Le ho chiesto
perché fosse venuta
e mi ha detto un po' di cose, non era un discorso molto sensato,
almeno secondo me. Le solite frasi, tipo 'sono tua madre, è
ovvio
che sia qui', ma non penso che sia davvero tanto ovvio. Ha detto che
il nostro rapporto è migliorato- è migliorato per
davvero, Harry?”
Harry si morse il labbro in
risposta, e
Louis sorrise triste senza lasciarlo parlare. “Lo
immaginavo.”
Abbassò di nuovo
gli occhi sulle loro
mani, corrugò le sopracciglia. “Non le ho chiesto
cosa pensa
di...noi due, del nostro...matrimonio. Avevo- avevo paura di
domandarlo.”
Gli veniva ancora strano,
pensarsi
sposato. Sopratutto con un maschio. E in particolare con Harry.
“Stavamo insieme
già da cinque anni,
non l'ha presa così male. Quando scoprì che
stavamo insieme si
scandalizzò quasi” rise,
“però poi-”
“Raccontami”
Louis lo interruppe bruscamente, senza voler suonare davvero
sgarbato, “com'è successo?”
Harry arrossì, e
Louis si sentì per
un secondo girare la testa. Per lui era normale arrossire di fronte
ad uno sconosciuto così pieno di amore nei suoi confronti,
ma se
Harry arrossiva ancora all'età di ventisei anni e di fronte
a
lui...Cristo, era adorabile.
“Beh”
cominciò Harry, con una
leggera risata nervosa, “io e te cominciammo a vivere insieme
subito dopo X-Factor.”
Louis trasalì. “Dopo così poco
tempo?” domandò, sorpreso.
“Eravamo
già molto innamorati”
spiegò Harry, quasi offeso. Louis ridacchiò.
“Quando Jay
scoprì che stavamo
insieme era una sera qualunque, ma...non avevamo fame? Diciamo che
avevamo altre cose per la testa” rise Harry, facendogli
intuire
cosa fosse accaduto. “Tua madre ebbe la geniale
idea di
farci una sopresa e di venire a cena da noi. Si trovava a Londra
proprio per questo. Aveva una copia delle chiavi di casa,
provò a
bussare ma non la sentimmo, e lei pensò di iniziare a
cucinare, nel
caso non fossimo stati ancora in casa. E diciamo che...quando
entrò
capì perché non avevamo sentito il
campanello.”
Louis scoppiò a
ridere, ma si passò
una mano sul viso. “Dio, che figura” rise.
“Scommetto che abbia
anche spalancato la porta mentre ci davamo dentro, o qualcosa del
genere.”
“Esattamente” rise anche Harry,
“poi...scappò
via. Letteralmente! Se ne tornò a Doncaster e venne di nuovo
a
Londra una settimana dopo, chiedendo spiegazioni.”
Harry sentì
Louis irriggidirsi, perciò
gli sorrise e lo rassicurò accarezzandogli sia il dorso che
il palmo
della mano fra le sue. “E le spiegammo, Lou. Le spiegammo
tutto.
Che c'era stato un colpo di fulmine, che magari eravamo giovani e
ingenui, ma credevamo davvero in quello che stavamo
diventando.”
Accarezzò con lo
sguardo la fede al
proprio dito, sorridendo con dolcezza. “E a quanto pare non
ci
sbagliavamo.”
Harry rimase in silenzio
per qualche
secondo, senza smettere di accarezzarlo, e Louis iniziò a
sentirsi
in imbarazzo. Tossicchiò per attirare la sua attenzione e
destarlo
da chissà quali ricordi.
“Scusa”
rise Harry, “stavo
dicendo. Jay non era molto convinta, all'inizio, ma poi
accettò la
cosa. Penso che sia rassicurata dal fatto che sia io
la
ragazza della coppia, almeno secondo lei” alzò gli
occhi al cielo,
scoppiando a ridere subito dopo. “E le piace la mia
cucina.”
Louis rise con lui,
sentendosi più a
suo agio. Gli sorrise persino, forse il primo sorriso sincero da
quando si era svegliato dal coma.
Harry riprese parola,
arrossendo di
nuovo impercettibilmente. E Louis gli aveva solo sorriso,
per
l'amor di dio. “Domani vorrei farti conoscere gli
altri.”
Louis sbattè le
palpebre, confuso.
“Chi?”
“Gli
altri” ripeté Harry,
ridacchiando, “i ragazzi che fanno parte della band a cui
anche io
e te apparteniamo. Zayn, Liam, Niall. Ti va?”
Louis sbuffò.
“Suppongo di non avere
alternative” borbottò. “Ma quando esco
da qui? Mi sembra di
stare in prigione.”
“Dopodomani” sorrise Harry, “non devi
sopportare ancora molto.”
“Ma Stan ha detto che la mia casa
qui a Londra è stata venduta. Tornerò a
Doncaster, andrò in
albergo, o...?”
Louis sapeva già
quale fosse
l'alternativa, ma Harry la confermò. “La
dottoressa Chittle ha
detto che, per la tua memoria, sarebbe meglio se tu tornassi a vivere
dove vivevi e a frequentare i luoghi che già frequentavi
prima
dell'incidente. Riprendere la routine potrebbe far scattare qualche
meccanismo nel tuo cervello.”
Louis rimase in silenzio, e
Harry
comprese quale muta domanda Louis gli stava ponendo.
“Tornerai a
casa nostra, Lou. Sono sicuro che ti
piacerà un sacco,
l'abbiamo arredata insieme.”
Nei suoi occhi
tornò quello sguardo
dolce e malinconico e Louis pensò a una miriade di cose in
un
battito di ciglia. Arredare casa, cucinare insieme, dormire nello
stesso letto, tenersi per mano, litigare per gelosia, guardare la
televisione sul divano con una coperta addosso, baciarsi, fare
l'amore. Per un secondo accarezzò il suo corpo con
gli occhi,
velocemente, ma Harry dovette accorgersi dei suoi pensieri;
arrossì
e si sedette più composto, sorridendo in leggero imbarazzo.
Louis trasalì
alla sua reazione, tornò
a puntare gli occhi nei suoi e non sulle sue spalle larghe, sul suo
bacino stretto, sulle sue gambe lunghissime o sul suo petto ampio.
Oppure sul suo collo bianchissimo, sulle sue braccia toniche, sulle
sue mani grandi e...ricordava la curva del suo di dietro quando lo
aveva visto uscire, il suo sedere piccolo e sodo e-
Louis, questo non
è decisamente il
momento adatto per farsi spuntare un'erezione.
Tossì di nuovo,
stavolta per
richiamare la propria attenzione.
“Allora” fece, con tono
eccessivamente alto, “di che colore sono le piastrelle del
bagno?”
Si sentì talmente
stupido da
maledirsi.
“Sono, uh,
azzurre. A me non sono mai
piaciute” rise Harry, “ma a te sì.
Quindi non ci penso più di
tanto.”
Harry abbassò
gli occhi, sorrise e poi
li rialzò in quelli di Louis.
“Sai,
Lou” disse, arrossendo
appena, “non vedo l'ora che tu torni a casa.”
*
Louis si svegliò
per primo, la mattina
dopo, e non fu affatto sorpreso di trovare al suo fianco Harry
addormentato. Stavolta il ragazzo aveva posato le braccia sul letto,
con sopra la testa. Aveva i capelli ricci arruffati e a Louis quella
sembrava una posizione scomodissima, ma forse lui c'era abituato.
Non resistette alla
tentazione di
passare una mano tra i suoi capelli -sembravano così
morbidi!
Harry non si
svegliò, contrariamente a
come Louis aveva immaginato. Doveva essere davvero esausto.
Louis continuò
ad accarezzargli i
capelli, spaziando però lo sguardo e stropicciandosi gli
occhi con
la mano libera. Guardò fuori dalla finestra, il cielo era
grigio e
nuvolo. E lui aveva un leggero languorino. Chissà che ore
erano. Per
quanto il cibo dell'ospedale facesse schifo, era pur sempre cibo.
Il suo stomaco
brontolò, e Harry rise.
Louis trasalì,
sentendolo; Harry era
sveglio?
“Buongiorno”
sorrise il ragazzo,
sollevando finalmente le palpebre. La sua voce era roca e Louis
sentì
un brivido salire lungo la sua spina dorsale.
Rispose, quindi, solo con
un mormorio
insensato.
Aveva ancora la mano fra i
ricci di
Harry; arrossì, liberandola. Harry rise ancora e
sollevò la testa,
portando una mano a stropicciarsi gli occhi e l'altra a tirarsi
indietro il ciuffo ribelle che gli cadeva sulla fronte.
“Stai
bene?” domandò, premuroso.
Louis annuì, ancora imbarazzato. “E tu?”
replicò subito dopo.
“Quella posizione non aveva l'aria di essere
comoda.”
Harry scrollò
solo le spalle, senza
smettere quel lieve sorriso.
Amanda entrò in
quel momento.
“Buongiorno ad entrambi” sorrise, con quel
buonumore che la
differenziava da tutte le altre infermiere. “Harry, devo
chiederti
di lasciare la stanza per stamattina. La dottoressa Chittle vuole
fare degli ultimi controlli a Louis per accertarsi di poterlo
dismettere domani.”
“Ricevuto”
sospirò Harry,
alzandosi dalla poltrona. “A dopo, Lou” sorrise,
uscendo dalla
stanza dopo aver salutato anche Amanda.
Ancora una volta, Louis non
poté
trattenersi dal fissare il sedere di Harry mentre il ragazzo, forse
inconsapevolmente, ancheggiava. Amanda notò la direzione dei
suoi
occhi e ridacchiò, Louis la incenerì con lo
sguardo.
“Harry mi ha
parlato di te” lo
ignorò la ragazza, “sei un tipo
fortunato.”
“Oh sì, sono
stato in coma per due mesi e ho dimenticato nove anni della mia vita,
direi che questa è una grande fortuna”
replicò Louis, ironico.
Stavolta fu lei a schioccargli un'occhiataccia.
“Sei fortunato ad
avere Harry”
spiegò, piccata. “Ce lo avessi io un marito
così” borbottò poi
tra sé e sé, posando la colazione di Louis sul
letto.
*
Harry rientrò
nella stanza poco dopo,
insieme ad altri tre ragazzi. Louis guardò prima il sorriso
rassicurante di Harry e poi esaminò i loro volti, alla
ricerca di
qualcosa che glieli ricordasse.
Il ragazzo più
alto aveva gli occhi
scuri e i capelli castani, Harry gli indicò la poltrona su
cui di
solito lui si sedeva per prendere posto. Un altro aveva i capelli di
un colore misto fra biondo e castano, le iridi azzurre, e il sorriso
che gli rivolgeva era bianchissimo ed entusiasta. Si sedette sul
divanetto in fondo alla sala, che Louis non ricordava essere
lì la
sera prima, e fu affiancato dall'ultimo ragazzo. La sua pelle era
piuttosto scura e i suoi capelli nerissimi, i suoi occhi color ambra.
“Ti sei
svegliato!” trillò il
ragazzo biondo, quasi scodinzolando. Louis alzò un
sopracciglio.
Udì la risata di
Harry più vicina
alle proprie orecchie, prima di percepire il materasso abbassarsi
leggermente sotto il suo peso. Si sedette accanto a lui, sul letto;
non aveva molto spazio a disposizione, perciò Louis gliene
procurò
abbastanza da star comodi entrambi. Harry gli rivolse un sorriso di
ringraziamento e Louis si sforzò di guardare altrove per non
arrossire.
“Ti presento
Liam, Niall e Zayn. Li
consideri fratelli,” fece Harry, indicandoli mentre li
nominava.
Liam prese subito parola,
raccontandogli della band e dei manager, Niall gli parlò di
Eleanor
e Louis a quel discorso alzò talmente tanto il sopracciglio
che
l'amico dovette spesso fermarsi durante il racconto per frenare le
risate. Solo Zayn stava in silenzio, ridendo soltanto di tanto in
tanto e annuendo.
“Amico, ci sei o
non ci sei?” lo
richiamò Louis ad un certo punto, infastidito dal suo
silenzio.
Odiava le persone che facevano 'da sfondo', restando solo zitte ad
ascoltare; gli sembravano lontane.
Zayn scoppiò a
ridere, per nulla
offeso. “Mi hai detto la stessa cosa, la prima volta che mi
hai
rivolto la parola” commentò.
Louis fece per rispondere,
ma Harry lo
anticipò. “Zayn è fatto
così, non ti preoccupare. Siete migliori
amici, sai?”
Louis sgranò gli
occhi. Era
impossibile; non che qualcuno di loro gli andasse davvero a genio
oltre ad Harry, ma non avrebbe mai potuto immaginare che il suo
preferito fosse Zayn.
“Fate degli
scherzi terribili”
aggiunse Liam, alzando gli occhi al cielo.
“Quello che vedi
non è mica il vero
Zayn” rise Niall, “ti sembra tranquillo e
riservato, ma poi...”
“Mi state
offendendo, lads!”
protestò Zayn, senza trattenersi dal ridere.
“Sono sicuro che
ti lamentavi con lui
di noi quando venivi qui, Zee!”
“Sempre meglio di te che
piagnucolavi come una femminuccia, Nì.”
“L'unico che
piangeva a dirotto,
veramente, era Harry...”
“Ehi! Ma da che
parte stai,
Lee?”
Louis li guardò soltanto, notando l'atmosfera familiare
che aleggiava tra di loro. Era chiaro che si conoscessero da una
vita, che sapessero come scherzare e prendersi in giro, come
conoscessero tanto i punti deboli quanto quelli forti gli uni degli
altri. Louis si chiese quanto avrebbe dovuto recuperare.
Lo stomaco di Niall
brontolò e lo
destò dai suoi pensieri. Il tempo era volato, si era
limitato a
fissarli tutto quel tempo e ad ascoltare i loro racconti, fare
domande e rispondere a tono ai loro commenti bonariamente offensivi.
“Che ne dite se
vado a prendere dei
panini al bar? La ragazza che ci lavora mi stava mangiando con gli
occhi. Sono sicuro che mi darà qualcosa di
commestibile.”
“Finiscila, Liam!” rise Niall. Louis
pensò
che rideva sempre, era inarrestabile.
“Ti
accompagno” si offrì Zayn,
alzandosi dal divanetto. Gli sorrise prima di uscire dalla sala.
“Nel linguaggio
di Zayn, quello
equivaleva ad un abbraccio” commentò Niall.
“Ah,
sì?” fece Louis, scettico, ma
sorridendo. “Non sembra molto espansivo”
commentò.
“Non lo
è” scosse la testa Harry,
“ma ci tiene a noi più di quanto sembri.”
“E di Liam cosa
mi dite?” chiese
Louis. “È uno con la testa sulle spalle, no? Dio,
che noia.”
“Beh,
è una fortuna che sia così”
ridacchiò Harry. “Figurati che i
primi tempi lo chiamavano daddy Liam. E sei tu
il più
grande del gruppo.”
Louis rimase zitto a
guardare Niall,
decidendo di ignorare la provocazione e sventolando solo una mano in
risposta, con noncuranza. Gesù, quel tipo biondo era
inquietante.
Non smetteva di sorridere.
“Mi fai
paura” commentò.
“Louis!”
lo sgridò Harry,
scoppiando a ridere.
“Sul
serio!” si difese Louis,
ridendo con lui. “Non la smetti mai, Niall? Mi sembri un
cagnolino!”
Il sorriso di Niall si spense e gli sembrò sul
punto di piangere. Anche Louis smise subito di ridere, sbigottito.
“Cosa, ti sei
offeso? Ma, Niall, non
volevo- e poi scusa, come fai a cambiare espressione così
velocemente, hai preso lezioni o-”
“Stavo scherzando”
ricominciò a ridere Niall, dandogli una pacca sulla spalla.
Zayn e Liam tornarono poco
dopo,
consegnando loro i panini. Louis notò che nel proprio c'era
pomodoro
e mozzarella, giusto come piaceva a lui. Allora lo conoscevano per
davvero, pensò sorpreso.
Lanciò
un'occhiata veloce a quello di
Harry, provola e prosciutto. Decise che avrebbe fatto meglio a
ricordarselo.
Il pomeriggio trascorse
più in fretta
di quanto Louis si sarebbe mai aspettato. Era chiaro che insieme
formassero una band affiatata -si conoscevano fin troppo bene. Anche
Louis aveva abbandonato qualsiasi sospetto o pregiudizio e scherzava
con loro come se già li conoscesse.
A fine serata erano ancora
nella sala,
e ormai Louis si era completamente abituato a loro e al calore di
Harry al suo fianco, sul materasso.
Liam agitò la
mano prima di uscire
dalla stanza, Niall gli rivolse un sorriso ampio e gli diede un
abbraccio veloce, e Zayn batté il proprio pugno contro il
suo
ridendo leggermente. Harry rimase a guardarli varcare la soglia con
un sorriso accennato, tranquillo, posando distrattamente la testa
sulla spalla di Louis.
Il ragazzo voltò
involontariamente il
viso verso il suo, sorpreso, e Harry sollevò la testa
arrossendo
appena.
“Scusa, non-
è un'abitudine”
spiegò, facendo come per scendere dal letto. “Ora
torno a-”
La mano di Louis si chiuse
inconsapevolmente intorno al polso di quella di Harry. Il ragazzo
alzò gli occhi nei suoi, stupito; Louis pensò ad
una scusa, ma non
gliene venne in mente nessuna. Ormai lo aveva fermato, tanto valeva
dirgli la verità.
“Tu- tu dormi di
nuovo in stanza,
no?” borbottò, in imbarazzo. “Almeno
potresti- dormire qui.
Intendo, qui, cioè, qui. Quella poltrona
non sembra l'ideale
per riposare e-”
Harry lo salvò
dal dire altro,
rivolgendogli un sorriso ampio e luminoso e semplicemente scivolando
steso, cercando di occupare meno spazio possibile. Il letto era
abbastanza grande per starci entrambi, ma loro restavano comunque due
adulti.
Louis non si rese conto di
tenere
ancora il polso di Harry nella mano fin quando non sentì la
sua
scivolare dalla presa e scendere, fino a intrecciare le dita alle
sue. Louis fece per ritirarsi per istinto, ma si fermò
subito; per
quanto non se lo ricordasse, era suo marito. Non
aveva nessun
motivo per imbarazzarsi vicino a un ragazzo con cui sicuramente non
si era limitato a tenersi per mano.
Rise fra sé e
sé per quel pensiero, e
Harry sorrise con lui senza domandargli spiegazioni. Louis si chiese
se davvero fosse in grado di intuire tutti i suoi pensieri, ma
scrollò mentalmente le spalle e scivolò anche lui
steso sul letto.
C'era un piccolo spazio
vuoto fra i
loro corpi, e Harry fu così gentile da lasciarlo tale,
stringendo
solo la mano alla sua. Posò la guancia sul cuscino,
chiudendo gli
occhi.
“Ci vediamo
domani, Lou.”
Per un
istante, Louis desiderò davvero baciarlo.
Angolo
Autrice
Sì,
eccomi. Ugh.
Vi
sarete tutti accorti della mia assenza- forse lo
avevo già
detto nei capitoli precedenti, ma questa è una vecchia
storia
scritta almeno un paio di anni fa, perciò...non ho mai
seguito molto
la band, ma mia sorella mi ha raccontato qualcosa, per cui dovrete
semplicemente immaginare che la mia storia sia ambientata un po' nel
passato (ma in realtà nel futuro...? Lascio i
problemi di
fantascienza ad altri) per poterla leggere. Spegnete il
cervello.
Ho
pensato di aggiornarla, visto che avevo comunque questo capitolo
pronto. Se vi piace, fatemelo sapere! ♥
Seele
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