A scary story in a crazy life

di A Wonderful Secret
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Mai più nomadi! (Forse) ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Ernie? Ma io mi chiamo Erien! ***



Capitolo 1
*** Prologo: Mai più nomadi! (Forse) ***


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A scary story in a crazy life

 
Prologo: Mai più nomadi! (Forse)
 


 
Continuo a dipingere, nonostante il caldo vento serale di questo tre settembre entri dalla finestra scompigliando i miei biondi capelli sciolti. Il colore del tramonto filtra nella mia camera e All the little Lights di Passenger si riproduce dalla radio accesa da ore.
La voce di mia madre, dal piano di sotto, mi chiama per avvertirmi della cena. Così, lentamente e di malavoglia, ripongo i pennelli nel bicchierino, lascio la tela sulla scrivania e chiudo gli acquerelli, per poi spegnere la musica.
Mi stiracchio e corro in bagno per lavarmi le mani e legarmi i capelli in una coda malfatta.
Una volta scese le fatidiche scale, dove da piccola sono caduta rompendomi un braccio, arrivo in cucina e mi siedo in parte a papà, con mia mamma davanti. Hanno un'aria piuttosto seria e ho l'impressione che debbano dirmi qualcosa di veramente importante.
«Erien..» inizia mio padre, con il suo solito vocione calmo e gentile. «Ti ricordi di quella riunione che abbiamo frequentato io e tua madre lo scorso anno per la regia del film che sarà girato in Giappone?»
Mi mordo il labbro. Conosco già ciò che sta per dirmi. I miei genitori sono grandi attori, più che altro registi, e questo li spinge a girare per il mondo e io, ovviamente, loro unica figlia, sono sempre stata costretta a seguirli, così ho sempre abbandonato amicizie e scuole, ricominciato scuole e amicizie, per quanto queste ultime possano esserlo state.
Sicuramente ora mi dirà che dovremo partire per il Giappone, che questo settembre non potrò continuare il Liceo qui a Londra ma che dovrò riprendere in mezzo a quegli sconosciuti che parlano una lingua per me impossibile. Sono stata sbattuta per anni in diversi Paesi, come Italia, Inghilterra, Francia e Spagna. Quindi mi sono adattata all'italiano, al francese e allo spagnolo. Il giapponese è improponibile!
Comunque, viaggiare mi piace molto, ho visto posti meravigliosi, ma ho diciassette anni, non posso vivere come una nomade, ho bisogno della mia vita, dei miei spazi! E tutto questo non l'ho mai dato a vedere, tutta questa mia frustrazione, era solo.. mia. Ai miei genitori annuivo semplicemente, perché non potevo fare altro. Dovevo fare come mi dicevano e anche questa volta farò altrettanto.
«Vediamo il tuo sconforto ogni volta che ti diciamo che dobbiamo partire, cambiare luogo, lingua, abitudine, cultura.. per questo ci sembrava troppo portarti con noi in Giappone»
Sgrano gli occhi. «Papà, che vuoi dire? Dove hai intenzione di mandarmi, in un orfanotrofio?»
O lì, o non so dove. Non ho parenti vivi, che io sappia. Amiche? Non lo sono abbastanza da ospitarmi per qualche anno.
Sento i miei genitori ridere. « No, no, non lo faremo mai. Ti manderemo in California»
Aggrotto le sopracciglia, ancora più confusa.
«Non ha senso andare in California se voi starete in Giappone! Mi sembra più conveniente restare qui a Londra»
«In California abita mia zia, Katy, ed è disposta da farti più o meno da genitore. Non significa che vivrai con lei, ma nello stesso quartiere, Bloody Street, forse il nome non è molto invitante. Ma tranquilla, non c'è niente di sanguinolento in giro. Tu frequenterai un college, ti abbiamo già iscritta. Avrai delle normalissime compagne di stanza, la mattina avrai scuola, il pomeriggio potrai studiare, frequentare dei corsi – c'è anche arte, che a te piace tanto – o andare a visitare la città con le tue amiche. Ma in quest'ultimo caso ti servirà un approvazione da un genitore e dato che noi non saremo lei, zia Katy ti firmerà ogni permesso al nostro posto. Katy serve a questo oppure, se hai bisogno di qualcosa, dai vestiti o a qualsiasi altro, la zia potrà accontentarti»
Rimugino su tutto il discorso che ha fatto mia mamma, mentre i miei genitori mi guardano speranzosi di una mia buona reazione.
In effetti, tutta questa situazione non mi dispiace fin troppo. Un college, con una zia che potrà aiutarmi e sarà pronta ad ascoltarmi vicino a scuola, potrò girare per la città senza preoccuparmi, un corso d'arte al pomeriggio, e chissà magari ci saranno altri corsi interessanti, forse mi troverò delle amiche e poi, la cosa più bella in California, l'oceano! Mi immagino su una tavola da surf in una delle gare più prestigiose ad acchiappare il primo premio! Okay, forse sto sognando troppo.
« Va bene, accetto. A patto che un anno dopo non torniate per dirmi che partiamo di nuovo»
«Certo che no, Erien. Finirai i tuoi studi e collegata a quel college c'è una prestigiosa Università, con la facoltà anche artistica. Potrai studiare lì, abitando sempre nel college riservato all'Università, e laurearti. Oppure fare quello che vuoi, tanto conclusa la quinta Liceo sarai maggiorenne»
«Mi sembra un'ottima idea! Quando si parte?»
«Domani. Sì, te l'abbiamo detto con un po' di ritardo ma l'abbiamo saputo tardi anche noi. Prendiamo un aereo e ti accompagneremo in California, anche per salutare zia Katy. Dopodiché, tu starai da lei finché non inizierà la scuola, circa tra una settimana»
«D'accordo» sbuffo, scombussolata, finalmente iniziando a mangiare quel cibo che nemmeno avevo notato tanto ero presa dal discorso.
Dai, non sarà così terribile. Mi sono sempre abituata ai cambiamenti, e lo farò anche questa volta.
 



 
ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti e benvenuti in questa mia storia! Spero che questo prologo vi abbia incuriosito :)
All'inizio di ogni capitolo metterò un'immagine che rappresenta un momento particolare del capitolo e in quasi tutti i capitoli ci sarà un riferimento a una canzone, un brano, che rispecchia l'umore della protagonista in quel momento.
Non aggiornerò molto spesso perché lavoro e ho poco tempo, però spero almeno una volta ogni due settimane!
A presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Ernie? Ma io mi chiamo Erien! ***


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Capitolo 1: Ernie? Ma io mi chiamo Erien!


 
Ne ho visti tanti di aeroporti, conosco a memoria la procedura da fare per salire su un aereo. Potrei considerarlo la mia seconda casa, ormai non ho nemmeno più l’ansia di dover stare sospesa nel cielo.
Ho appena affrontato circa dieci ore di viaggio, ascoltando un sacco di volte Promise di Ben Howard, da Londra fino a San Diego, una città della California meridionale, situata verso il confine con il Messico. Credo di essere contenta tutto sommato, mi ispira come città e poi ha costa sull’oceano Pacifico e questo mi rende ancora più eccitata. Io adoro l’acqua e spero di poter imparare a.. non so.. magari fare surf!
La mano di mio padre stringe il mio braccio e ferma i miei sogni ad occhi aperti.
«Che c’è?» domando, vedendo la sua improvvisa preoccupazione.
«Stavi per andare a sbattere addosso al lampione» risponde, con una punta di seccatura nella voce.
Ridacchio, dandomi della stupida da sola. Poi mi guardo intorno e mi rendo conto di aver pensato ai fatti miei fino ad ora, seguendo i miei genitori ma senza osservando effettivamente ciò che succedeva. Non so dove mi stanno portando, ma presumo da zia Katy. Ci immergiamo in un quartiere con la strada larga e lunga, tanto che non vedo la fine. I marciapiedi sono costellati da alberi alti, le case sono semplici e dall’esterno sembrano davvero accoglienti, anche se piccole. C’è un cartello, proprio all’inizio, con scritto “Bloody Street” e capisco di essere nella via giusta.
«Qual è la casa di zia Katy?» domando curiosa, provando ad indovinare mentalmente. Io mi immagino zia Katy come una vecchietta, buona, tranquilla e molto generosa. Con una casa vecchia e ristrutturata più volte, dal colorito di un giallo-grigio strano.
«Una delle prime case.. questa, appunto» indica mia madre, con un sorriso.
La casa in questione, sembra come tutte le altre. È bianca, abbastanza alta, con un giardino riempito da qualche pianta di rose.
Ci fermiamo al cancelletto, dove mio padre suona il campanello con su scritto “Katy” e un altro nome sbiadito, non si riesce a leggere bene.
Dopo pochi secondi, esce dalla porta di legno una donna, non troppo vecchia come l’avevo pensata io. Indossa un grembiule viola e tiene le mani nelle tasche. Ha un bel sorriso e i suoi occhi emanano sicurezza.
«Buongiorno! Ma quanto sono felice di vedervi! Jenna, non mi ricordavo più del tuo viso!» trilla, con una voce squillante e allegra, riferendosi a mia madre. «E ancora meno del tuo, Mark» dice poi a mio padre.
Poi mi vede e sorride. «Tu devi essere Erien. Sai, non ti ho mai vista prima, se non in fotografia, ma avremo modo di conoscerci»
«Certamente» rispondo, per poi non sapere che altro dire.
Intanto, lei ci fa entrare in casa.
I mobili sembrano antichissimi, quasi tutti in legno. L’ingresso comprende un semplice appendiabiti spoglio e un tappeto con dei cerchi color rosso scarlatto sopra uno sfondo nero.
«È quasi ora di cena, quindi ho pensato di preparare da mangiare anche per voi, Jenna e Mark» propone zia Katy. «Mi farebbe piacere se restaste. Per passare un po’ di tempo insieme, dato che c’è l’occasione»
«Oh, d’accordo, però prima di domani dobbiamo andare in aeroporto, per partire per il Giappone» rispose mia madre, sedendosi sul divano dopo che la zia disse di poter fare come se fossimo a casa nostra.
«La mia stanza dov’è?» domando a zia Katy, seguendola in cucina, una stanza abbastanza piccola e circolare, mentre i miei genitori restano in salotto a guardarsi attorno. «Vorrei liberare il salotto per portare le mie valigie nella mia camera»
«Oh, tesoro, non preoccuparti per l’ordine, comunque sali le scale che ci sono in salotto, percorri il corridoio e l’ultima stanza è la tua»
«Va bene, grazie» le dico, tornando dov’ero e prendendo le valigie. Quando sono entrata, non mi erano accorta delle scale. Comunque, salgo i gradini trascinando i bagagli fino ad arrivare nel corridoio. Ci sono due stanze sulla sinistra, e una sulla destra. L’ultima è la mia. La porta è aperta, così entro, curiosa.
La stanza è semplice, senza fronzoli, colori o addobbi. Immagino che sia così spoglia in modo che possa sistemarla io come preferisco.
Al centro della stanza c’è un tavolino in legno, con sopra tre libri giganteschi e una penna d’oca appoggiata su un foglio bianco. A circondare questa specie di scrittoio c’è un divanetto con la stoffa consunta. Vicino all’ampia finestra, che oserei chiamare vetrata dalle sue notevoli dimensioni, c’è un letto. Il mio letto. Mi ci siedo sopra, per testare la sua morbidezza. E invece è davvero duro. Odio i materassi così, ma mi ci abituerò. Non si può avere tutto dalla vita.
Davanti al letto, c’è un armadio a due ante con degli intarsi di due serpenti che formano un cuore. È un po’ inquietante e inesplicabile come cosa, ma in fondo tutta questa abitazione un po’ lo è.
Appoggio le due valigie e la borsa sul letto e torno al piano di sotto, sentendo il richiamo da parte di mia madre.
«Eccomi!» esclamo correndo sulle scale.
«Ora mangiamo, che poi io e papà dobbiamo partire»
«Okay» rispondo.
In effetti, solo ora il mio cervello si accorge. I miei genitori. Non so quando potrò rivederli, non avevo pensato al fatto che questa sarà la prima volta che vivrò senza di loro.
Sospiro, dirigendomi in cucina. Mi siedo a capo tavola, esattamente di fronte a zia Katy. Ha i capelli biondi, come me, lunghi e mossi e ha gli occhi grigio azzurri che emanano gentilezza, ma allo stesso tempo un certo mistero.
Chiacchieriamo per tutta la durata della cena e io mi godo al meglio questo momento con i miei genitori.
 
«Quando ci rivedremo?» domando a papà, che è sulla porta, pronto per uscire.
«Non lo so, tesoro, le riprese ci terranno molto occupati e io e tua madre speriamo almeno per Natale di venire qui da te. Altrimenti, si passa alle vacanze estive»
«E quelle pasquali?» sospiro.
Lui lancia un’occhiata a mia madre. «In quel periodo saremo molto occupati con l’organizzazione delle riprese di un cortometraggio»
«Ah» rispondo. «Va bene»
«So che non ti va bene» sussurra mio papà all’orecchio, mentre mi abbraccia e mi lascia un bacio sulla fronte. «Esiste Skype però. Almeno una volta alla settimana potremo vederci in videochiamata»
«Sì, ma non è la stessa cosa» ribatto.
«Lo so, ma è per il tuo bene lasciarti qui. Sei in buona compagnia. E poi avrai il college» dice, indicando con un cenno della testa zia Katy, che abbraccia mia madre.
«Già»
«Oh, Erien..» mia mamma viene ad abbracciarmi, accarezzandomi i capelli. «Tu hai diciassette anni, non penso sentirai così tanto la nostra mancanza»
«Dovrò soltanto farci l’abitudine, non mi sto mica mettendo a piangere»
«Lo so. Ma io non credo ci farò l’abitudine. Insomma, ti ho sempre avuta accanto. Tu venivi a studiare e a fare i compiti sul set, è che ti abbiamo sempre trascinata via dai i tuoi amici e questa scuola serviva»
«Non preoccuparti, mamma, davvero»
«Coraggio, si va in Giappone!» esclama mio padre, afferrando la sua valigia. Mamma fa lo stesso e insieme escono, continuando a salutarci con la mano. Li guardo pian piano scomparire dalla finestra del salotto.
 
È la sera del nove settembre, e domani inizia la mia nuova scuola. Durante questa settimana, sono stata bene con zia Katy. Mi ha detto di godermi gli ultimi giorni di vacanza, per questo quando lei alle sei del mattino si alzava faceva tutto in silenzio per permettermi di non svegliarmi, così potevo dormire anche fino a mezzogiorno. È molto gentile e comprensiva. Qualche giorno fa, mi ha chiesto di mostrarle i miei dipinti e lei è rimasta molto affascinata dal disegno di una bambina seduta in un campo di papaveri, sotto la pioggia. “Ne puoi disegnare uno uguale per me?” mi ha domandato. Io le ho risposto:“Se ti piace tanto, posso regalartelo. Non è uno dei migliori e non mi piace in modo particolare. Non ci sono legata”. Così l’ho convinta a tenerlo.
«Mi sembri preoccupata, Erien» Katy mi risveglia dai pensieri. Siamo come ogni sera sedute sul divano o a guardare la tv, a chiacchierare o fare giochi in scatola. Stavolta stanno trasmettendo un programma di artisti musicali.
«Mm.. è per domani. Insomma, ho cambiato così tante scuole che non dovrei essere preoccupata. Però.. questa volta è un college. Ci sarà una nuova routine. Immagino le regole siano più pesanti e avrò qualcuno in camera con me. Sono sempre stata abituata ad averne una tutta per me e, siccome non sono così brava a fare amicizia, può succedere che mi capiti una ragazza insopportabile»
La zia sorride. «Io ho sempre frequentato una semplice scuola e sempre la stessa, quindi non so esattamente come metterti in guardia. I tuoi genitori mi hanno detto di raccomandarti di stare attenta ai ragazzi e di non metterti mai in pericolo con loro. Sono molto protettivi Jenna e Mark. Ma io ti dico: segui il tuo cuore. È l’unico che potrà aiutarti nei momenti in cui hai bisogno e nessuno è presente lì per te»
Non so perché, ma in questo discorso è come se Katy avesse lasciato un pezzo della sua vita.
«D’accordo» rispondo, annuendo. Controllo l’orologio, sono quasi le undici. «Forse è il momento di andare a dormire.. domani a che ora la sveglia?» domando alla zia.
«Io direi alle sette, perché anche se abiti vicino, hai tempo per prepararti per bene e controllare di avere tutto nella valigia che porterai con te»
Annuisco e le do la buonanotte. Una volta salite le scale, entrata in bagno e messo il pigiama, mi butto sotto le coperte e chiudo immediatamente gli occhi. Il problema, adesso sarà addormentarsi.
 
«Erien.. sono le sette» sento una voce che mi costringe a svegliarmi. Apro gli occhi e vedo zia Katy, già vestita e preparata appoggiata allo stipite della porta.
La guardo con gli occhi gonfi dal sonno. Ho dormito molto poco questa notte.
«Mettiti un po’ di correttore prima di andare. Quelle occhiaie sono spaventose» ridacchia la zia, che poi se ne va al piano di sotto. Forse a qualcuno potrebbe dar fastidio il modo in cui rinfaccia i difetti, ma per me è meglio così perché ti mette la realtà davanti, non la tiene nascosta. Apro la mega-finestra e guardo fuori. Piove. Wow. Giornata perfetta.
Dopo essermi vestita, scendo in cucina.
«Oh, la colazione è già pronta! Katy, guarda, sei stata gentilissima in questi giorni, io ero abituata a fare praticamente tutto da sola, non so come ringraziarti, io..» cerco di dire qualcosa di carino alla zia, che sta versando il caffè nella mia tazzina.
«Faccio tutto questo per te perché hai bisogno di rilassarti e di pensare a te stessa. Sempre tutti questi cambiamenti, tu hai bisogno di essere tranquilla. Il college ti servirà e quando avrai bisogno chiamami. Hai il mio numero, no?»
«Sì, certamente»
Una volta pronta, con tutti i bagagli e un po’ di trucco a coprire quegli orrori, posso dire di essere pronta.
«Ci sentiamo allora, eh! Mi racconterai tutto» mi dice zia Katy, mentre apre il cancelletto per aiutarmi ad uscire.
«Va.. bene» arranco con le valigie su per il vialetto.
«Sicura di farcela da sola? Sono quasi cinque minuti di strada!» urla, mentre io continuo senza fermarmi, perché se mi fermassi rischierei di cadere al suolo come un pero. Le faccio segno che va tutto bene, camminando in semi-salita verso il mio college.
Dopo quei pochi minuti che mi sono sembrati un’eternità, arrivo davanti a un edificio: San Diego College. Immagino sia questo, anche perché è uguale alla foto che c’era sul sito. Entro, spinta da una miriade di studenti, più grandi e più piccoli, che fanno a gara per chi entra per primo senza morire spiaccicato sotto i bagagli.
A un certo punto, quando sotto i miei piedi vedo il pavimento e non più il marciapiede, immagino di essere dentro e sento una botta sulla testa. Alzo lo guardo e mi ritrovo un borsone appoggiato su di me.
«Scusa!» esclama un ragazzo, alto praticamente come la porta, con gli occhi azzurri, i capelli scuri e la barba. «Non l’ho fatto di proposito»
«Non preoccuparti» rispondo, ma lui ormai si è trascinato insieme ai suoi compagni verso la parte dell’Università.
Nel frattempo, seguo la massa, che si rivolge ad alcuni fogli appesi con scritto i compagni di stanza di ognuno. Quando arriva il mio turno, non trovo il mio nome. Mi guardo intorno e tutti sono già nella loro camera, perché qui è disabitato.
Mi rivolgo alla segretaria.
«Mi scusi, non c’è il mio nome su quei fogli» dico, appoggiando esausta le braccia sul bancone al quale la donna sta dietro.                                           
«Dimmi il tuo nome e cognome» mi dice, mettendosi degli occhiali rossi.
«Erien Jackson»
La guardo controllare sul computer e dopodiché scuotere la testa.
«Mi spiace, qui c’è solo un Ernie Jackson»
«Ernie?» sbotto, confusa. «Ma io mi chiamo Erien! E sono una ragazza»
«Lo vedo bene. Dimmi il numero di tua madre e di tuo padre, se uno dei due coincide con quello che ho scritto qui significa che sei tu Ernie. Poi chiamerò i tuoi genitori e domanderò effettivamente se ho sbagliato io, ma purtroppo finché non li chiamo e non conosco la verità su questa storia, dovrai andare nel dormitorio maschile in camera con chi ti spetta. O meglio, con chi spetta a Ernie. Senza che tu vada a controllare, i tuoi compagni si chiamano William e Flynn. Stanza 113»
Le riferisco i numeri di telefono dei miei genitori e quello di mio padre è lo stesso presente nel modulo. La tizia ha sbagliato a scrivere il mio nome e per questo dovrò starmene in mezzo a tutti quegli insopportabili ragazzi maleducati per.. non so quanto tempo, ma spero poco.
Sbuffo. Questa giornata si sta rivelando ancora peggiore di come è iniziata. Senza dire una parola, mi dirigo nella camera 113, sperando che almeno i miei coinquilini sappiano lasciarmi in pace per quei pochi giorni in cui si metteranno a posto le cose.









ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Sono tornata con il primo capitolo!
Innanzitutto ringrazio le persone che hanno recensito il prologo e sono contenta che sia piaciuto.
Ho paura per questo invece, ho l'impressione che sia troppo lungo e noioso.. non so, fatemi sapere:)
Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto. A presto♥
A Wonderful Secret

 

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