Il dominio dei troni : La grande menzogna

di Eloreden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio del viaggio ***
Capitolo 2: *** La locanda di Edmund ***
Capitolo 3: *** Layla e Nikola ***
Capitolo 4: *** Inquisitori... ***
Capitolo 5: *** Un ricovero nel verde. ***
Capitolo 6: *** Il cadavere nel vicolo ***
Capitolo 7: *** Inquisitori ***
Capitolo 8: *** Avvenimenti ***
Capitolo 9: *** Inquisitori II ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** L'inizio del viaggio ***


Prologo
 
Il mondo era caduto. La Daimonefas, la guerra degli dei, aveva devastato il creato nelle sue fondamenta portandolo al collasso. Di tutte le divinità che occupavano i troni celesti solamente tre ne uscirono vive, non ci furono né vincitori né vinti in questa guerra, solo distruzione in tutto il creato. Nimernur, il falso dio, era di fatto il più giovane dei tre anche se la definizione di tempo per creature divine non ha molto significato. Erda il dominatore dell’Ade, il più potente tra i suoi fratelli, si erse allo stesso livello di Nimernur in potenza e grandezza, combattendo nella Daimonefas senza mai soccombere. Per ultima Levira, questa divinità nacque dalla fusione dei fratelli di Erda, troppo deboli per sostenere il confronto con gli atri due dei. Fu dopo la morte di alcuni di loro che gli ultimi rimasti fusero le loro menti e volontà per elevarsi a un livello superiore. In quel momento lo scontro sembrava non avere più fine. Un tempo incommensurabile passò mentre i mondi e gli universi crollavano. Quando Nimernur si accorse di tale devastazione fermò le ostilità e gli dei raggiunsero un compromesso. Venne suggellato un patto: quando i mondi vennero ricostruiti Nimernur acquisì il trono del piano materiale e il dominio sulle creature viventi. Levira, poi chiamata da molti Esmera, prese posto sul trono del verde crepuscolo delle anime. Erda, che già possedeva il suo regno, tornò negli abissi del mondo e sedette sul trono dei demoni caotici e le bestie che egli stesso aveva creato. I tre dei quindi crearono un concilio, il Trino Silente, tre supreme entità, senza forma né consistenza. Il loro compito era impedire che scoppiasse una nuova guerra a che i patti tra Dei fossero rispettati. Nessuna divinità avrebbe potuto varcare il confine del proprio regno, pena l’esilio dai troni celesti e la caduta come divinità. Questa è la nascita del nuovo ordine, questa è la nascita del nuovo mondo.
 
 
 
1
 
Tal sedeva alla locanda del porto. Una bettola sudicia per marinai e mozzi dove urla schiamazzi e imprecazioni aleggiano come il profumo di pesce marcio, fumo e mercanzie di ogni tipo. Un atrio ampio ospitava diversi tavoli e sedie tutti di legno di pessima fattura, infissi lasciati alla loro caducità lo separavano dall’esterno, quelle e delle spesse mura di pietra viva bagnata dall’umidità del fiume. Non ci mise molto a sentirsi a casa, era un menestrello, aveva vissuto la maggior parte della sua vita per la strada e quei posti lo facevano sentire a suo agio come le folle schiamazzanti e vivaci. Lesta la cameriera del locale sfilò con abilità tra tavoli e sedie, una ragazza dai capelli rossi accesi portati legati dietro la testa con una lunga coda. Gli occhi verdi della donna osservarono Tal che ancora distrattamente si guardava attorno.
“Allora?! Non ho tutto il giorno ragazzo, prendi qualcosa?”. Furono queste le prime parole che con una puntina d’irritazione uscirono dalla bocca della ragazza.
Lui la guardò un attimo “Una zuppa e dell’acqua”. La donna annuì semplicemente a quelle sue parole prima di tornare verso il bancone.  Ora che Tal la vedeva più chiaramente si rese conto della sua giovane età, non poteva avere più di diciassette anni. Il locandiere, che stava dietro al bancone, prese l’ordinazione dalla ragazza, un uomo alto, robusto, con una folta barba rossa e mani tozze e grosse. Indossava una canotta sporca di varie salse, il volto, con quell’espressione corrucciata e irritata, sembrava quello di un burbero appena uscito da una rissa. Tal osservo i movimenti dell’uomo e la sua corporatura: sembrava che quella descrizione calzasse perfettamente.
Non passò molto tra l’ordinazione e il suo pasto, quando arrivò la ragazza Tal le sorrise. Iniziò a mangiarlo con foga, la fame gli stava torcendo le budella. Erano tre giorni che non mangiava altro che pane e acqua: il viaggio era stato lungo e aveva rischiato di finire tutte le sue provviste, fortunatamente per lui era andata bene. Appena finito di mangiare subito la ragazza gli sbucò alle spalle con la destrezza di un fantasma.
“Fa cinque oni di bronzo” disse incalzando il ragazzo.
Tal non aveva un soldo in tasca tuttavia rimase molto calmo e pacato. Si voltò lentamente verso la donna mentre abbassava la mano per afferrare il suo sgabello da viaggio: un vecchio sgabello zoppo e logorato dal tempo, probabilmente il suo più fedele amico.  Lo issò sopra il tavolo quindi si voltò verso la donna donandole un sorriso.
“Un prezzo ragionevole” disse prima di saltare sul tavolo e quindi sullo sgabello.
 
Si voltò verso la folla, la sua platea. Quindi alzando la voce, per rendersi udibile a tutti i presenti iniziò a parlare: “A lungo ho viaggiato. Per mari e per monti i miei passi mi hanno guidato, finché in questa città son giunto, affamato, stanco e con sguardo un po’ smunto. Tal De Rocerc è il mio nome, mi presento ed ora per voi un’allegra canzone io canto”.
Le parole dalla bocca del menestrello uscivano musicali e orecchiabili tanto che lentamente il chiasso della taverna passo ad un silenzio quasi attonito, l’intera sala era rivolta verso di lui che con voce intonata iniziò a cantare una vecchia canzone marinaresca.
 
 
2
 
Lorens spillò le carte lentamente, osservandone solamente un angolo finché questo non diventava comprensibile. Appariva come un uomo sulla trentina d’anni, un fisico asciutto, lunghi capelli biondo cenere e barba leggermente incolta. Indossava un cappotto di cuoio verde lungo fino hai piedi. Un piccolo ghigno si formò sul suo volto, “Cinquanta oni d’argento”, gli altri al tavolo lo fissarono con attenzione scrutando quel volto sicuro di sé. Un ghigno si formò sul volto di uno dei marinai, uno dei soliti tipi poco raccomandabili che girano da quelle parti, con una lunga cicatrice sul viso, barba sudicia e faccia bruciata dal sole e dal sale. Mostrò i denti ingialliti dal fumo a Lorens.
“Balle! Tu non hai niente”. Lorens sollevò un sopracciglio e poi guardò gli altri due: uscirono dalla mano.
“Pronto a perdere zoticone?” affermò sicuro di sé prima ancora di vedere le carte. Intanto qualcuno alle sue spalle e voce alta abbozza una presentazione. Lorens girò di qualche centimetro la testa verso di lui.
“Puff… ” sbuffò il marinaio “Mendicanti, prenderà tante di quelle botte in men che non si dica, i protagonisti qui dentro campano molto poco…”
“Smettila di cianciare zoticone, fammi vedere le carte” incalzò Lorens.
“Chiamami ancora in quel modo e ti cavo quei begli occhietti verdi capito?” sputò in terra mostrando poi le carte al biondo davanti a lui.
Improvvisamente qualcosa non andava. I peli dietro la nuca di Lorens si arricciarono, dilatò le narici respirando forte.
“Pivello” se la rise il marinaio davanti a lui “Grazie per i cinquanta oni” la risata grassa e sgraziata entrò nelle orecchie di Lorens che nemmeno lo osservò, voltò la testa lentamente verso le sue spalle e iniziò a guardare con attenzione quel ragazzo che su di un tavolo si era presentato pochi attimi prima. A quanto pare aveva iniziato a cantare una vecchia canzone marinaresca, Lorens si osservò un attimo attorno e notò che tutta la bettolo si stava concentrando su di lui.
“No… Ho vinto io” sentenziò dando le spalle al marinaio e lanciando con un gesto della mano le carte sul tavolo: “Grazie a te”. La voce di Lorens era attonita, vacua, la sua concentrazione era prettamente verso Tal. Si costrinse a battere le ciglia per tornare alla realtà scuotendo anche la testa. Si voltò di scatto e iniziò a raccogliere velocemente i soldi mentre con un cenno della testa salutava i presenti al tavolo che ancora non riuscivano a capacitarsi come avesse fatto a fare quel punto.
“Arrivederci signori… È stato un piacere fare affari con voi”. Una volta congedato dal tavolo prese a camminare lentamente verso il ragazzo in piedi sullo sgabello. Tutta la folla era avvolta dall’euforia, schiamazzi e grida incitavano Tal a cantare una nuova canzone mentre qualcuno ancora batteva le mani al cielo o sbatteva i boccali di birra sul tavolo. Lorens, come un prestigiatore, dal palmo dell’altra mano tirò fuori una moneta d’argento. “Questo dovrebbe bastare per coprire le spese” pronunciò prima di lanciarla verso la cameriera.                               
Tal scese dallo sgabello e quindi dal tavolo. “Grazie mille messere” rivolse per primo la parola all’uomo tanto cortese da pagarli le spese del proprio pranzo.
“Lorens Meinford” disse questo allungando la mano vero Tal il quale cordialmente senza esitazione la strinse “Tal De Rocerc”, La stretta di mano fu sicura e salda.
“Tal, De Rocerc…” sillabò Lorens mentre squadrava la figura del menestrello. “Non è un nome di queste parti, e nemmeno l’accento, da dove venite se posso chiedere?”.
“Lontano… molto lontano, vi basti sapere questo” Un allegro sorrisetto comparse sul volto di Lorens. Lentamente si avviarono verso la porta per uscire dalla locanda.
“Um menestrello quindi” esordì Lorens proprio mentre chiudevano l’uscio alle proprie spalle “Sei stato portato qui dai tuoi viaggi?”
“Si, questa è soltanto un’altra tappa nel mio lungo viaggio”.

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Capitolo 2
*** La locanda di Edmund ***


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Ecco il "secondo" Capitolo dellla storia. Spero vi piaccia ma c'è ancora molto da raccontare, sicuramente il prossimo sarà più coinvolgente. Volevo ringraziare in generale chi ha commentato la storia precedente, per me i commenti costruttivi sono molto importanti sia per migliorare come scrivo che per aiutare voi che leggete. Vorrei aggiungere che pubblicherò la storia ogni lunedì con cadenza settimanale, probabilmente o la mattina o verso l'ora di pranzo.

Buona lettura e grazie a tutti.
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I due iniziarono a camminare lungo la banchina discorrendo del più e del meno. Il porto era avvolto dal caos marinai e garzoni che caricavano e scaricavano merci. La città di Moreim era molto grande situata al centro della nazione, uno dei porti principali sul fiume Hassin che attraversava quasi tutto il continente. Durante il suo tragitto ingurgitava molti affluenti e questo gli permetteva di essere uno dei fiumi più grandi e navigabili. La città si era sviluppata molto grazie a questo fiume e in pochi anni la popolazione era aumentata vertiginosamente facendola diventare il centro nevralgico del commercio del paese. Aveva una planimetria circolare: il porto era situato al centro della città che si era estesa tutta intorno, e da quest’ultimo, come un labirinto, innumerevoli vie si diramavano per tutta la città. Ma l’opera più grande mai realizzata era la “Croce di Dio”: soprannome dato allo snodo di strade più grande del paese. Due strade, infatti, tagliano a venti metri di altezza l’intera città incrociandosi sul porto, seguendo i punti cardinali, da nord a sud e da est ad ovest.
“Quanto tempo vi fermate qui in città?” Chiese dunque Lorens prima di congedarsi.
“Non so, dipende da quanto questa città ha da offrirmi”.
“Avete talento perché non vi fermate a teatro, potreste chiedere un’udienza, ho un’amica che lavora li e potrei combinarvi un provino se volete”
“Spiacente, il teatro non fa per me, ho avuto a che fare con gente come quella e preferisco non immischiarmici. Sapete, sono partito da casa solo con uno scopo: intrattenere la gente. Dare a loro un momento di fuga dalla realtà, senza voler chiedere in cambio nulla. Prendo solo quello che mi serve per non dormire sotto il cielo invernale e avere lo stomaco pieno”.
“Una nobile causa Tal De Rocerc, dove alloggerete questa notte”.
“Non so, avete un posto da consigliarmi a buon mercato?”.
La mano destra di Lorens arrivò pensosa ad accarezzarsi la corta barba ispida. “Ragazzo mio sei fortunato, vieni con me”.
Lo guidò attraverso molte vie della città fino a condurlo davanti ad una piccola locanda.
“Vieni, un posticino difficile da trovare ma tranquillo e accogliente, il proprietario è un mio vecchio amico”.
Si addentrarono per le vie della città. Il sole era ancora alto nel cielo e l’ora di pranzo era passata da poco. Le ombre proiettavano i profili dei palazzi intorno a loro, l’aria era frizzante e c’era una piacevole brezza primaverile ad accarezzare la pelle.  Camminarono per qualche minuto, continuando a discorrere dei viaggi che Tal aveva compiuto. Effettivamente aveva qualche storia da raccontare. Giunsero in fine alla piccola locanda, quasi fosse una bomboniera, era incastonata in mezzo a due palazzi più alti. La facciata aveva un’insegna di legno che recava lo stemma del locale: uno scorcio dello sguardo di un uomo con le iridi metà bianche e metà nere e nello sfondo c’era un disegno particolare che sembrava essere un turbine di vento. Tutto questo era incorniciato all’interno di uno stendardo dove in alto, c’era la scritta “Iarco Et Eonis”. Tal si soffermò qualche secondo sull’insegna “Un nome originale” pensò prima di varcare la soglia.
 
L’interno era fresco e accogliente, dalle finestre della facciata entrava molta luce e rendeva il tutto più vivo. Diversi tavoli e sedie erano disposti in maniera disordinata nella sala centrale. Davanti all’ingresso, dalla parte opposta del salone, due rampe di scale portavano ai piani superiori e probabilmente alle camere. L’ingresso era tenuto molto più pulito della locanda al molo, l’ambiente era più tranquillo seppur la stanza fosse quasi piena. Dietro il bancone un uomo con un panciotto nero e una camicia bianca era intento a pulire una pila di bicchieri: capelli castani pettinati all’indietro, un leggero accenno di barba, il tutto a decorare un volto pulito e asciutto come anche il suo fisico.
Che una risma di persone migliore frequentasse quel locale era evidente. “Amico mio!” affermò subito Lorens verso l’oste.
“Lorens!” salutò “Sei venuto presto” affermò l’altro uomo. Entrambi si diressero al bancone ma Lorens affrettò il passo per sporgersi e stringere prima la mano e poi l’avambraccio dell’uomo.
“Tal, Edmund” disse indicando prima il ragazzo e poi l’oste.
Quindi invertì le parti “Edmund, Tal”.
Ci fu una stretta di mano cordiale tra i due “È un piacere conoscere un amico di Lorens” affermò per primo Tal.
“Il piacere è mio, soprattutto se questo Tal si ferma come mio cliente” sorrise l’uomo.
“Siamo qui proprio per questo, Tal ha bisogno di un alloggio, puoi esserci d’aiuto?” Incalzò Lorens inserendosi nel discorso dei due.
“Controllo subito” Affermò Edmund mentre si spostava da un’altra parte del bancone. Infilò la mano in un cassetto estraendo un piccolo libro. Iniziò a sfogliarlo con molta calma mentre Lorens tamburellava le dita sull’asse di legno. La mano destra sfilò dal taschino del panciotto una penna.
“Quanti giorni pensi di fermarti Tal?”
“Non ho le idee molto chiare, è un problema?”
“Assolutamente, fa un One d’argento a notte, avete per pagare?”
“La prima notte la pago io” affermò Lorens lanciando una moneta d’argento all’amico intromettendosi nel discorso che stava avendo con Tal.
“Non esiste!” affermo il giovane menestrello “Sei già stato abbastanza cortese da offrirmi il pranzo non posso accettare nient’altro in più!” terminò con autorità
“Tranquillo Tal ho vinto questi soldi alla taverna da alcuni marinai ubriaconi, praticamente stanno offrendo loro” un mezzo sorrisetto si formò sul volto dell’uomo poi fece spallucce e si girò verso Edmund.
“Trattalo bene èh!? Ci conto! Io… ora… Ho alcuni giri da fare: ci vediamo questa sera Edmund”. Lorens con un cenno del capo si congedò da entrambi i presenti lasciando quindi la locanda.
 
Edmund si voltò verso la cucina, “Elor, vieni a darmi il cambio al bancone ho un cliente da accompagnare alle camere”.  Un ragazzo di una ventina d’anni usci dalla cucina, era poco più giovane di Tal che ne dimostrava all’incirca venticinque. Edmund invece sembrava avere sui trentotto anni, come all’incirca Lorens.
“Seguimi Tal, ti faccio vedere la tua stanza”. Affermò Edmund mentre sfilava con delicatezza una chiave dal mazzo che portava in vita. “Da questa parte” fece strada uscendo dal bancone e dirigendosi verso le scale. Il legno degli interni era tirato a lucido. Le scale scricchiolavano sotto i passi di Tal ed Edmund, due rampe li separavano dal piano superiore. Il corrimano era lucido e liscio al tocco, Tal aveva poche cose con sé: un piccolo fagotto con all’interno qualche abito di ricambio.
“In quella moneta d’argento è compreso anche un pasto al giorno, la locanda non chiude mai, sentiti libero di tornare all’ora che preferisci ma la chiave ogni qualvolta che uscite dovrete lasciarla a me o a mio figlio Elor che avete appena visto venir fuori dalla cucina”.  Tal annuiva ascoltando le regole del locale e della locanda. E alla fine si era reso conto che Edmund era una persona al quanto disponibile con i clienti. La locanda era un posto molto tranquillo e solitamente non succedeva mai nulla di burrascoso all’interno. Raggiunse la camera, l’uomo infilò la chiave sulla porta, con un movimento lento e un rumore metallico la porta si aprì. “È piccola lo so” ammise il locandiere “Tuttavia è fresca d’estate e calda l’inverno, li c’è una scrivani e davanti uno scrittoio nel caso ne avessi bisogno, un piccolo armadio per i tuoi abiti e il camino attualmente è spento, sentiti libero di accenderlo quando vuoi” Permise a Tal di entrare nella stanza scostandosi dalla porta. Tal la osservò con attenzione, era sicuramente una delle stanze migliori dove egli aveva mai dormito “Ma, signore, questa camera non vale un One d’argento”. Edmund sorrise “Lo so ma per gli amici di Lorens questo è il prezzo”.
Tal annuì con la testa in un cenno di ringraziamento, Edmund ricambiò il gesto e chiuse la porta. Rimasto solo nella stanza spalancò la finestra che dava sul retro del locale. Non filtrava molta luce poiché il sole in quel momento era dalla parte opposta del palazzo. Il vicolo sul quale si affacciava la camera non era molto largo. Tal si sedette sul letto, con felicità ne saggiò la morbidezza rimanendone quasi colpito, di rado aveva un così comodo posto dove dormire. Un’altra porta dalla parte sinistra della stanza dava su un piccolo bagno, dove una tinozza grande abbastanza per contenerlo era posta al centro della stanza. Tal sorrise, pensando di essere stato fortunata ad aver incontrato Lorens in quel locale, lanciò a terra accanto al letto il fagotto mentre sottobraccio non aveva mai mollato il suo sgabello. “Bene, è arrivato il momento di andare per strada”, incitandos apri la porta per poi richiuderla alle sue spalle.

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Capitolo 3
*** Layla e Nikola ***


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Parte abbastanza più corposa, era giusto metterla tutta insieme e non spezzarla secondo me magari le prossime saranno più leggere. Iniziamo a movimentare la storia e dare un brio all'azione. Mi sono perso un pò nelle descrizioni iniziali del capitolo, spero non aver fatto un macello. L'ho letta e riletta mille e mille volte per riuscire a semplificarla, eliminare ripetizioni aggiustare punteggiatura etc. Spero di aver fatto un buon lavoro.

Buona lettura a tutti.
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3
 
Era ormai sera quando Lorens arrivò davanti casa di Layla. Il dito andò a premere su un campanello, un complesso congegno meccanico scattò e all’interno della grande abitazione vennero avvertiti della presenza di Lorens al cancello. La casa di Layla era una villa molto grande, la sua era una famiglia altolocata. Un’edera verde e rigogliosa cresceva sul cancello avvolgendolo quasi completamente, tanto che rimaneva difficile osservare all’interno. Tutto intorno alla casa c’era un ampio giardino cosparso di siepi e fiori colorati. Ed al centro di quest’ultimo un sentiero di ghiaia faceva il giro della casa. Davanti alla porta d’ingresso un ampio spiazzo si apriva con una fontana al centro che zampillava acqua. Il portone d’ingresso della villa si socchiuse e un uomo anziano vestito da maggiordomo usci per dirigersi verso il cancello.
“Al! Vecchio mio!” affermo Lorens mentre il maggiordomo si avvicinava a grandi passi.
“Signor Mainford, qual buon vento” rispose cordialmente il maggiordomo. Un tipo arzillo nonostante l’età, i capelli erano tutti completamente bianchi come anche i baffi. Occhi piccoli come fessure osservavano bonariamente Lorens con un’espressione molto amichevole.
“Non essere sempre così formale Al!” Sogghigno Lorens mentre aiutava l’uomo ad aprire il cancello.
La ghiaia scricchiolava sotto i passi dei due mentre si accingevano a precorrere il vialetto e aggiravano la fontana giungendo in fine al portone.
“La signorina Layla è in soggiorno”. Lorens aprì da solo lasciandolo accostato per permettere al maggiordomo di entrare in casa.
“Grazie Al a più tardi”.
“Pensate di intrattenervi a cena?”.
“No grazie, questa sera sono di fretta”.
Il vecchietto annui e si congedò chiudendo la porta. L’ingresso era un atrio abbastanza ampio e delle colonne sostenevano il peso della volta. Il bassorilievo di un’edera prendere il via da queste, arrampicandosi verso l’alto, trasformarsi poi in una bianca incisione quando dalla pietra, si passava al legno scuro del soffitto. Davanti al portone d’ingresso una scala portava al piano superiore. Mentre alla sinistra e alla destra della scala partivano due lunghi corridoi. Le incisioni si ramificavano invadendo anche il piano superiore. Il pavimento era in marmo bianco, questo contrasto tra il pavimento e il soffitto con il bianco motivo floreale creava un gioco di rifrazione particolare. Il pavimento rifletteva le incisioni dando l’impressione di camminare su un tappeto d’edera. Lorens si diresse lungo il corridoio a destra delle scale: conosceva bene quella casa e sapeva dove si trovava il soggiorno. Aprendo la porta trovò Layla seduta su di un comodo divano, aveva in mano un libro e stava leggendo. Una ragazza minuta, dai mossi capelli biondi, occhi di un azzurro profondo e un viso amabile e bonario.
“Lorens” affermò melliflua, “Cosa ti porta fino alla mia dimora?”.
Lorens la osservò di spalle mentre apriva la porta per poi richiuderla alle sue spalle. La stanza era arredata con un grande camino barocco e al centro, quattro tra divani e poltrone, erano disposti circolarmente attorno ad un basso tavolino.
“Non si può fare nemmeno una visita di cortesia ad una mia buona amica?” la voce innocente di Lorens usci naturale come se stesse dicendo la verità a tutti gli effetti.
“Lorens…” lasciò per qualche secondo la frase in sospeso “Tu non fai visite di cortesia… E di rado ti si vede ai concili.”
Camminando andò a sedersi sul posto davanti alla donna. “Layla…”
“Quando principi una frase con il mio nome non è mai un buon segno” lo interruppe immediatamente, chiudendo il libro che stava sfogliando.
“Layla…” replicò Lorens con fare piuttosto serio.
“Andiamo Lorens, vai al dunque” lo interruppe di nuovo con un leggero tono di irritazione.
“Ne ho trovato uno Layla…”.
La donna lo squadrò per qualche attimo, una posa austera, schiena ben dritta, un vestito lungo che raggiungeva le caviglie e una postura signorile. Emise un lungo sospiro mentre chiudeva gli occhi, sfruttando quei momenti per pensare.
“Quanti anni ha?”
“Non so ma credo sulla trentina”
“Lorens ne abbiamo già parlato, con LEI è stato sufficiente, sai che non possiamo accettare membri troppo grandi, ti sei già dimenticato cos’è successo l’ultima volta?” nel proferire queste parole un cupo tono misto ad irritazione si sentiva chiaramente vibrare nella sua voce. Lorens attese qualche secondo prima di rispondere.
“Ma questa volta è differente non possiamo lasciarlo...”
“Basta!” gridò lei. “Il tuo metro di giudizio è sbagliato, non sei in grado di giudicare!” Si alzò in piedi stringendo i pugni e sbattendo il libro sul tavolo con risolutezza. “A causa dei tuoi giudizi quella ragazza è morta! Lo capisci questo?”.
“Si ma…” rispose visibilmente senza parole e in difficoltà.
“Niente ma! Non insistere!” i ricordi affiorarono violentemente nella testa di Layla che era decisa a chiudere il discorso definitivamente.
“Layla non capisci, tu devi vederlo per capire…”
“Lorens, non ho bisogno di vedere niente!” affermò con decisione. Improvvisamente qualcosa cambiò in lei. Gli occhi si spalancarono inondandosi di una luce vermiglia profonda e tenebrosa, la pelle cambiò, le vene iniziarono a pulsare nere e in rilievo, il viso ne era inondato. Lorens si alzò di scatto a quella visione e fece qualche passo di lato.
“Layla calmati, torna in te!” urlò l’uomo mentre l’aria circostante iniziò sfrigolare. Le luci della stanza si spensero lasciando alla flebile luce della luca luna il compito di illuminare la stanza filtrando dalla finestra. La figura di Layla così mostruosamente cambiata si stagliava immobile nella semi penombra della stanza. La testa scattò indietro flettendosi quasi innaturalmente e un respiro profondo spezzò il silenzio. Lorens si fece avanti a grandi passi con l’intenzione di sincerarsi delle condizioni della ragazza ma all’improvviso la mano di Layla scattò con un movimento impercettibile verso la gola dell’uomo sollevandolo da terra di parecchi centimetri. Un respiro si strozzò in gola a Lorens che iniziò ad annaspare afferrando le mani della donna.
Il voltò della donna era divenuto scuro e terrificante, vene nere scorrevano sulle guance fino ad arrivare alle tempie, i capelli biondi erano divenuti neri come la pece. Sporse il collo verso l’uomo abbassandolo alla sua altezza ma mantenendolo sempre sospeso.
“Non riuscirai a fermarmi seguace della luce”. La voce non era quella di Layla era diversa, sinistra e spettrale, come provenire da un altro posto, veicolata attraverso la donna. Un sibilo seguì quelle parole mentre quella creatura davanti a lui mostrava i denti quasi ringhiando.
Lorens non riusciva a respirare, il volto stava divenendo cianotico, la vista si annebbiava. Un urlo bestiale si espanse nell’etere facendo vibrare anche le ossa dell’uomo che improvvisamente venne sbalzato addosso al camino con una violenza inaudita. L’architrave scricchiolò all’impatto ma resse il colpo. La schiena dell’uomo si flesse e ricadde con il viso sul pavimento, rischiò di perdere i sensi ma fino all’ultimo rimase concentrato sul mantenere il contatto della realtà.
“Reichel, Morgana, Nikola, Asfald, Erini, Molohas, Duglas, Margot” iniziò a ripetere i nomi delle persone che conosceva e a lui più care per non disperdere i pensieri nell’oblio dello svenimento. L’urlo disumano che squarciava l’aria metteva a dura prova il suo fisico, le mani andarono alle orecchie mentre gli occhi si serrarono con forza. Tossì bruscamente quando l’aria tornò a irrompere nei suoi polmoni a seguito di un profondo respiro. Si accartocciò a terra in posizione fetale mentre lo sguardo si volgeva verso la donna che ancora in piedi stava urlando e dimenandosi in maniera evidentemente anormale. Lorens continuava a osservare attonito la scena annaspando ancora, l’ossigeno fece tornare la lucidità in breve tempo “Esme, Deli, Angelo, Edmund…”. 
In un attimo tutto finì, tanto bruscamente quanto era iniziato, Il grido si placò e l’aria smise di sfrigolare, la figura davanti a lui portò entrambe le mani al volto mentre una nuova estroflessione della schiena la irrigidì. Con lentezza, i capelli sfumarono nuovamente sul biondo, le vene scomparvero e gli occhi tornarono azzurri. Quando tutto tornò normale i muscoli della donna si rilassarono e lei cadde a terra come fosse senza vita. Lorens nonostante le ossa doloranti si sollevò, cedette un passo ma con le mani si riprese per dirigersi verso Layla.
“Layla?” Gridava “Layla! Sei con me?” si precipitò più in fretta che poteva sul corpo della ragazza. Poggiò una mano sul suo volto, il petto si alzava ed abbassava lentamente.
“Stai bene…” il cuore dell’uomo fu lasciato dalla presa del terrore mentre abbracciò la donna che sembrava svenuta ma incolume.
“Lorens… Promettimi che non cercherai più nessuno”.  Furono queste le ultime parole che pronunciò prima di svenire, in un flebile e delicato filo di voce, quasi fosse una richiesta da amica, anziché l’imposizione di un leader.
“Si… si…” affermò lui sorreggendole la testa. “Non cercherò nessuno…” terminò mentre con entrambe le mani che la cingevano la sollevò per distenderla sul comodo divano. Rimase in quella posizione qualche attimo, accanto a lei, mentre stremata respirava ancora con un po’ di affanno. Scosse la testa mentre si decise ad alzarsi per andare.
Quando usci dalla porta il maggiordomo era alla fine del corridoio che osservava in silenzio, Lorens annui e questi si precipitò subito verso di lui.
“È solo stanca, portale una coperta, ha bisogno di riposare.”
Lorens silenzioso uscì, sarebbe stata in buone mani, quelle di Alfred, una persona che teneva a lei Dio solo sa quanto. La tristezza gli attanagliò il cuore e affiorarono ricordi: ricordi di fiamme e fumo, un groppo in gola gli fermò per un attimo il respiro mentre usciva dal grande cancello della casa. Fece un sospiro voltandosi alle spalle. Sarebbe stata bene, tuttavia sapeva di averle mentito, questo era quello che lo faceva soffrire di più, ma non poteva farci nulla, era il suo destino. Gli attacchi che aveva stavano peggiorando. Giorno dopo giorno si facevano sempre più frequenti, quella creatura che di quando in quando veniva fuori era di un altro piano. Avevano provato di tutto e alla fine era stato deciso che forse il tempo e il riposo soltanto potevano sistemare le cose.
“Oh… Dea perché le fai questo? A lei che è la più vicina a te su questa terra?”. Domandò al vento mentre passeggiava. Una domanda retorica che riecheggiò un po’ tra i suoi pensieri. Il passo era leggerò e tranquillo seppur la testa vagava verso altre mete.
“Non mi sbaglio mai” affermò un uomo al bordo della strada, capelli neri corvini, ricci e arruffati, pelle chiara e un sorrisetto spalmato sul volto.
“Non hai più l’età per andare in giro a quest’ora”.
Lorens riconobbe subito la voce dell’amico ignorandolo volutamente finché non lo raggiunse “Tu mi stai sottovalutando” affermò con tono secco e di sfida. “E non fare il giovanotto, hai appena un anno meno di me”.
“Un anno è sufficiente per starti avanti senza sforzarmi. A chi arriva prima alla fucina?”. Affermo l’uomo riccio, anche lui aveva una barba poco curata e un lungo cappotto molto simile a quello che portava Lorens.
“Al tre…” I due si guardarono solamente per un istante
“Tre!”.
Entrambi pronunciarono il numero insieme partendo entrambi nello stesso momento. La fucina stava più o meno dall’altra parte della città ma nessuno dei due aveva intenzione di passare dalla strada. Salirono quindi lungo uno dei raccordi che portavano alla croce. A metà saltarono giù dalla balaustra, atterrando su di un tetto. Appena toccò le tegole l’uomo riccio prese a correre velocemente ma Lorens fu troppo brusco. Una tegola si ruppe con un rumore sordo, il piede scivolò e l’uomo iniziò a ruzzolare giù.
“Dannazione!” esclamò quando arrivò al cornicione. Una mano scattò, sapeva che se fosse caduto per strada non avrebbe avuto possibilità di vincere. Strinse la grondaia mentre i piedi oscillavano e con un piccolo sforzo tornava sopra. Rimessosi in piede ricominciò a correre, ma ormai l’altro aveva un largo vantaggio. Saltavano di casa in casa mentre l’obbiettivo si avvicinava ma alla fine non fu Lorens a vincere.
“Sei stato fortunato Nikola…” affermò Lorens con il fiatone.
“Tel’ho detto stai invecchiando amico” lo prese in giro l’altro.
“Vieni che abbiamo da lavorare, dobbiamo finire per domani un lavoro”.
“Cosa?” Lorens strizzò gli occhi incredulo “A quest’ora? Sei stato così subdolo da sfidarmi per farmi venire al lavoro?” domandò quasi irritato.
“Certo!” affermò Nikola “Se te lo avessi chiesto avresti inventato qualche scusa e te la saresti data a gambe… Così ho dovuto puntare si qualcosa che non avresti potuto rifiutare”.
Lorens scosse la testa, gliel’aveva fatta e alla grande per giunta. Si sfilò il cappotto mentre andava verso l’uscio della porta “Dai Nikola, accendi le fornaci, iniziamo a lavorare o no?” domandò mentre apriva la porta. Era il migliore amico di Lorens, quasi fosse un fratello, l’unico che riusciva a comprenderlo al volo in tutto e per tutto. Avevano passato l’infanzia insieme in quella gigante città, e quando all’età di diciassette anni Nikola parti verso una meta ignota con il padre lui ne fu molto dispiaciuto. Stette lontano da casa per dieci anni e quando tornò erano entrambi uomini. Aprirono poco dopo quell’officina insieme perché entrambi avevano la passione per la matematica e le scienze, le cosiddette costruzioni impossibili loro cercavano il modo per farle. Solamente la fucina di un fabbro gli permetteva di avere accesso a quello che volevano fare. Ci misero poco per farsi un nome in città dopotutto costruivano anche armi e armature di ottima fattura e finemente decorate. Molti fabbri chiedevano loro consigli ma custodivano i loro segreti gelosamente.
Entrambi lavorarono tutta la notte arrivando alla mattina stremati.

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Capitolo 4
*** Inquisitori... ***


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Perdonate il ritardo ma purtroppo ho avuto un sacco di problemi che mimhanno costretto s ciftare di un giorno l'uscita.
Eccoci qua di nuovo con un nuovo capitolo. Questa volta più breve ma non meno importante, iniziamo ad addentrarci in un mondo a voi sconosciuto e intricato.

Buona lettura, e come sempre i commenti e le critiche costruttive sono sempre estremamente gradite.
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4
 
La grande intersezione centrale ospitava un via vai di gente impressionante. Mercanti viandanti o semplici persone venivano e andavano da una parte all’altra dell’enorme piazza che incrociava le quattro grandi vie. La piazza aveva un raggio di cinquanta metri corsie preferenziali per carri e cavalli e ai lati bancarelle di venditori la decoravano. Si sentivano rumori di ogni genere, dai pianti di bambini alle urla dei venditori, dagli zoccoli dei cavalli al tintinnio e il crepitio di carri. Era in un angolo di quella piazza che Tal si era seduto sul suo sgabello aspettando l’ispirazione dal cielo. Era una bella giornata d’autunno e il sole splendeva, il mezzo del giorno si avvicinava e la folla aumentava attimo dopo attimo. E fu in uno di questi che il menestrello si innalzò al di sopra della folla salendo sul suo sgabello zoppo per incitare i presenti ad ascoltarlo. Lentamente, una volta iniziato a decantare le gesta del suo protagonista, la folla iniziò ad avvicinarsi a lui attirata dalla sua voce con sguardo perso. Le sue storie molto spesso parlavano di magia, draghi, cavalieri senza macchia e oscuri segreti nascosti nel cuore del mondo. Un contorno che a lui piaceva e che anche la gente apprezzava. Secondo il suo pensiero lui gli permetteva di volare, seppur per poco, in un altro mondo abbandonando la routine di ogni giorno per concedersi un piccolo ritaglio di fantasia. Era per questo che aveva così successo, o almeno così lui pensava.
 
Maxwell era seduto su una panchina in quella piazza, così affollata che era quasi fastidioso per lui rimanere li. Capelli corti castani, una mascella pronunciata e il naso schiacciato, un paio di cicatrici sul volto e un cappuccio in testa. Indossava stivali pesanti e un mantello verde che lo copriva interamente. La temperatura era ancora ideale, forse quell’inverno non sarebbe stato troppo freddo. Ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. Un menestrello aveva iniziato a raccontare un’eccentrica storia piuttosto fuori dal comune. Non era la storia in sé che gli interessava quanto quello che ne conseguì. Rimase talmente sbalordito che sgranò gli occhi incapace di credere alle sue percezioni, tuttavia non c’era scampo. Si alzò dalla panchina al lato della strada su cui era seduto e si avvicinò al menestrello. Era strano che un individuo simile decidesse di sua spontanea volontà di dare così tanto nell’occhio, oltretutto dimenandosi su quello sgabello zoppo e rischiando più e più volte di cadere non faceva altro che aumentare su di se l’attenzione. Pittoresche evoluzioni che divertivano ancor di più la folla venivano eseguite dal cantastorie mentre la gente lo ascoltava e si divertiva. Nella mente di Maxwell si formarono innumerevoli domande ma nessuna di queste ottenne una risposta concreta. Certo non poteva agire in pubblico così vistosamente quindi si sedette di nuovo e decise di attendere il momento più opportuno, non c’era ragione di agire in quel momento. Passò l’intera giornata li ad aspettare e ad ascoltare tutte le storie che l’uomo riuscì a raccontare. Sorrise quando sull’imbrunire il giovanotto aveva raccolto tante di quelle monete che quasi non gli stavano nel cappello. Aveva tirato su indubbiamente un bel gruzzolo, “ladro” pensò Maxwell mentre il ragazzo raccoglieva il suo sgabello e se ne andava. La via si stava lentamente svuotando e ormai rimanevano solamente le persone che rientravano a casa. Maxwell si era innervosito osservando l’arroganza che ostentava mostrando a tutti quello di cui era capace, senza avere remore o temere ritorsioni, qualcosa che non riusciva a mandare giù. “Sei così forte ragazzino? Ti senti al sicuro vero?” era questo quello con continuamente frullava nella testa dell’uomo. Quando lo vide raccogliere il suo sgabello si precipitò a inseguirlo rimanendo a debita distanza. Aspettando il miglior momento per colpire, furente ma ponderato, li addestravano per questo in fin dei conti. Svicolò insieme al ragazzo, camminarono per almeno mezz’ora finche il sole non calò e i vicoli divennero bui. Attese ancora qualche secondo prima di seguirlo dietro l’ennesimo angolo e vide che fece il suo ingresso in una locanda: “Iarco et Eonis”. Quando all’improvviso percepì una presenza alle sue spalle.
Sbuffò quasi ridendo “Da quando organizzate imboscate?”.
“Questa non è un’imboscata, è un salvataggio” affermò l’uomo dietro di Maxwell.
Passò solamente un istante, Maxwell non fece neppure in tempo a voltarsi che la mano dello sconosciuto lo trafisse. Abbassò gli occhi e vide che quella mano era incandescente come la lava. Non sentì alcun dolore, o forse era troppo grande per essere percepito, il volto si contorse solamente un secondo. La mano si ritrasse e il corpo dell’uomo cadde a terra.


 

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Capitolo 5
*** Un ricovero nel verde. ***


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Salve a tutti miei cari, anche se sarete pochi.
Il viaggio di Tal, quello vero, ha inizio. Siate clementi questa volta, ma per evitare di cannare l'appuntamento del lunedì l'ho corretto probabilmente molto di corsa e sicuramente avrò lasciato qualcosa (Eriky non picchiarmi quando troverai inevitabilmente ripetizioni) o più di qualcosa.

Inizia dopo due capitoli abbastanza intensi non spezziamo il ritmo e continuamo a mettere carne sul fuoco. Si contiuna ad incalzare e galoppare amici, spero vi piaccia e buona lettura a tutti.
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Lorens dischiuse gli occhi lentamente, sfregandoli con i palmi delle mani. Si era addormentato abbracciato all’incudine con la testa poggiata sul martello.
Un gemito di dolore misto a sonno usci dalla bocca dell’uomo, “Mi fa male tutto” affermò con voce stanca quasi in un sussurro. Mentre si sollevava da quella strana posizione iniziò a massaggiarsi la schiena con la mano destra mentre l’altra andò davanti al volto per scostarsi i capelli. In un gesto istintivo scostò la testa da un lato annusando l’aria e un pungente odore gli trafisse le narici: sudore. Scosse la testa come se dei sali gli fossero stati passati sotto il naso.  L’officina era molto grande seppur nascosta completamente al pubblico. Di facciata avevano solo un bancone e un’anticamera dove tenevano spade armature e vari oggetti in esposizione. Nikola e Lorens avevano costruito un vero e proprio laboratorio. Grazie alla grande fornace e al loro genio: avevano posto un serbatoio di acqua calda sotto di essa permettendogli quindi tramite il calore di sfruttare l’energia del vapore e alleggerire il loro lavoro. Avevano costruito un martello automatico che poggiava su di un’incudine, delle presse automatiche e oltre a questo avevano costruito un bagno a parte dove potersi lavare velocemente. Non era una tinozza poggiata a terra, bensì una doccia calda sospesa, questa volta però l’acqua era separata da quella che veniva utilizzata per i macchinari. L’unico inconveniente era la quantità d’acqua che veniva utilizzata. Spesso infatti, durante le lunghe giornate di lavoro, erano costretti a caricare la cisterna sul loro carretto ed andare al fiume per riempirla. Non avevano ancora un sistema automatico di raccolta ma ci stavano lavorando, dato che a conti fatti il fiume non era nemmeno tanto vicino.
“Nikola io ho bisogno di farmi una doccia” affermò lui guardandosi attorno alla ricerca dell’amico. Aveva la cognizione del tempo completamente sballata. “Nikola ma ci sei?” domandò al vento. A quanto pare sembrava essere uscito. Il negozio era ancora chiuso, si fece rapidamente la doccia, l’acqua era appena tiepida. Doveva aver dormito un bel po’ di tempo a giudicare da quel dettaglio. Uscì alla ricerca di un orologio ma quando lo trovò non ne rimase molto contento. Era fermo, si doveva essere dimenticato di caricare la molla. Scosse la testa si infilò dei vestiti puliti che solitamente entrambi tenevano lì per ogni occasione.
Sbirciando dalla finestra si accorse che la sera era ormai calata.
“Dannazione” affermò allargando le braccia, “Ho dormito troppo e quello stupido di Nikola non mi ha svegliato”. Tornò dentro correndo e sistemando la sala per la notte, nessuno doveva entrare all’interno delle loro fucine. Sistemò tutti gli attrezzi, compresi quelli di Nikola e chiuse il negozio.
 
Iniziò a camminare lentamente assorto nei suoi pensieri, doveva trovare un modo grazie al quale Layla comprendesse le capacità di Tal e lo accettasse. Era questo interrogativo che più di tutti gli ronzava in testa. Non solo, doveva fare tutto in maniera molto accorta altrimenti Layla si sarebbe di nuovo arrabbiata con lui e questa volta chissà se sarebbe stato in grado di fermarla. Gli balenò di nuovo la notte precedente, quella “mutazione”, si sforzò di ricordare le parole che gli erano state dette ma senza successo.
“Mi farò venire in mente qualcosa” ammise a se stesso. “E probabilmente sarà qualcosa di stupido e impulsivo ma funzionerà”.
Mentre parlava da solo con il suo intuito e la sua coscienza, due aspetti di lui che di rado riusciva a far andare d’accordo, Si trovò davanti all’insegna della locanda, dove quegli occhi colorati per metà lo scrutavano mentre entrava. Il salone era piacevolmente caotico, in fondo alla stanza, su di un piccolo soppalco, qualcuno suonava il pianoforte. Si era fatta sera e a quell’ora Edmund faceva spazio al centro della sala per far cantare e ballare chi avevano voglia di divertirsi o di sfogarsi. Tal era tra loro, intento a ballare con una ragazza mora ben vestita. Rideva e ballava saltellando prima su di un piede e poi sull’altro tenendo il ritmo mentre la donna gli andava dietro. Lorens dopo averlo notato si accostò al bancone avvicinandosi ad Edmund.
“Amico ti prego dammi qualcosa da mangiare o credo morirò”. Disse con calma mentre si sedeva. Il bancone, in contrasto con la sala, era più calmo e tranquillo. Dopotutto quasi tutti erano appoggiati con i gomiti al banco e rivolti verso la sala dove c’era una vera e propria festa in atto.
Un sorriso comico si formò sul volto di Edmund quando da sotto il tavolo tirò fuori del pollo e lo porse a Lorens. Notando che addirittura il pollo fosse caldo l’uomo biondo alzò lo sguardo verso il locandiere.
“È stato Nikola vero?”.
Edmind annuì semplicemente sorridendo alla domanda, dopotutto era una risposta così scontata che non aveva bisogno di essere argomentata. “Ti conosce davvero bene, mi ha anche dato una lista di orari entro i quali saresti arrivato”. Allungò quindi una mano verso i bicchieri e riempì uno di questi con del vino rosso.
“Tieni bevi un po’, tanto ha già pagato Nikola”.
Lorens si avventò su quel pollo cercando di darsi con difficoltà un contegno. Finì molto in fretta di mangiare e poi tornò sul motivo principale verso il quale era andato alla locanda.
“Cos’ha di speciale?” Gli domandò Edmund osservandolo con attenzione.
“È lui…” si limitò a dire Lorens mentre un piccolo sorriso gli storceva la bocca da un parte.
“Una capacità fuori dal comune.” terminò alzandosi dal bancone. “Lo porto a fare un giro, ha già pagato per i prossimi giorni?”.
“Per i prossimi tre, a quanto pare ha un gran successo qui a Morel”.
Lorens si mise in disparte con gli occhi puntati su Tal osservandolo e percependo ogni minima vibrazione dell’aria. Il ragazzo saltava e ballava in mezzo alla sala insieme a tutta la folla che allegra seguiva il ritmo del pianista.
Quando finalmente fu sufficientemente stanco da doversi fermare e si diresse al bancone per prendere qualcosa da bere Lorens lo intercettò.
“Ta! Che piacere rivederti, ti ho portato in un’ottima locanda, adatta a te a quanto pare”.
Tal si voltò di spalle sentendo una voce a lui familiare, sorrise nel vedere l’uomo “Indubbiamente un’ottima locanda” rispose di rimando ringraziando e annuendo con il capo.
“Ti offro da bene vieni, stai ballando da un pezzo!”
“Permettimi di fare il contrario” lo incalzò invece Tal “Quest’oggi è stata una giornata molto proficua!”. Lorens annuì di buon grado e insieme si sedettero al bancone dove Edmund gli portò dell’ottima birra. Passarono diverso tempo a discorrere quando alla fine decisero che era il momento di fare due passi in quella fresca giornata autunnale.
Il cervello di Lorens rimuginava ancora e ancora sul da farsi e a volte era talmente assorto nei suoi pensieri che Tal lo richiamava al presente. Inconsciamente portò Tal in una zona della città vicina al ricovero dove lavorava Layla. Quando se ne rese conto sorrise pensando all’ironia di quel casuale peregrinare nella città. Poi un’idea balenò nella mente dell’uomo come un fulmine improvviso. Fece un sospiro profondo e riprese a camminare insieme a Tal.
“Che hai Lorens? Ti vedo molto assorto questa sera”.
Lorens lo guardò con un mezzo sorriso “Si hai ragione sta sera sono particolarmente distratto. È il lavoro, ultimamente ho molto da fare e dormo poco…” ammise facendo spallucce e continuando a camminare.
I palazzi si susseguivano lungo la via, mentre le luci dei lampioni vibravano ad una leggera brezza. Un tenue tremolio che metteva quasi allegria smuovendo l’atmosfera piatta. All’improvviso l’urlo di Tal squarciò l’aria mentre Lorens si voltava spaventato, facendo un passo indietro, realizzò l’accaduto mentre il ragazzo si abbassava mettendosi in ginocchio. Un pugnale si era conficcato sulla sua spalla, velocemente si accasciò sul corpo del ragazzo che teneva i denti stretti.
“Dannazione stai bene?”
Tal contorse il volto in una smorfia, chiuse gli occhi, mentre la fronte si corrucciava. Lorens si alzò osservandosi intorno.
“Non riesco a vedere nessuno” affermò per poi voltarsi verso il ragazzo ancora in ginocchio “Ce la fai ad alzarti? Ti do una mano!”. Lorens si chinò per aiutare Tal ad alzarsi.
“Non è la prima volta che succede, evidentemente ho esagerato quest’oggi…” parlò a denti stretti con la bocca piegata da una smorfia di dolore.
“Qui vicino c’è un ricovero dove puoi fermarti, vieni con me ti aiuto”.
Tal annuì sorridendo leggermente “Grazie Lorens ma potresti essere in pericolo anche tu”.
Lorens lo osservò incrociando il suo sguardo con quello di Tal, improvvisamente il voltò del ragazzo si fece vacuo poi la testa iniziò a perdersi e svenne.
 
Tal si riprese appoggiato ad un muro, era spaesato. cercò di alzarsi ma quando fece forza sulle braccia il dolore gli mozzò il respiro. La destra scattò subito verso la spalla dolente afferrandola e stringendola per soffocare il dolore. Un gemito smorzato usci dalla bocca, gli tornò in mente la scena di quando veniva aggredito e trafitto alla spalla, scappava per i vicoli e riusciva a seminare gli assalitori. Si alzò lentamente da terra mentre il sangue bagnava la strada e il braccio era completamente inzuppato di quel caldo fluido cremisi. Si ricordò che nei paraggi doveva esserci un ricovero, iniziò a camminare un po’ a caso ma in breve tempo, guidato da quello che molti chiamerebbero istinto, giunse davanti ad una struttura che somigliava più ad un grande casale. Era immersa nel verde di un ampio giardino, l’edera avvolgeva quasi interamente le pareti mescolandola in modo perfetto al prato circostante. Si sentiva stanco e la testa gli girava: doveva aver perso molto sangue. Giunse davanti la porta, l’uscio aveva una finestrella screziata con il simbolo di una croce rossa e da quest’ultima filtrava una luce soffusa. Bussò con calma mentre le palpebre iniziavano a farsi pesanti. Non aveva forze e si appoggiò con la sballa sana alla porta. Sentì dei passi provenire dall’interno, lentamente scivolo in basso mentre la vista si annebbiava, tutto iniziò a girare e svenne sulla porta.

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Capitolo 6
*** Il cadavere nel vicolo ***


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Salve a tutti, si lo so sono in ritardo con il mio tipico lunedì. Imperdonabile? Bhè... Leggere quest'ultimo capitolo e correggerlo mi ha fatto capire che c'era qualcosa che mi stonava di brutto. La figura di Nikola era trattata poco e male anche durante il resto della storia quindi ho allargato la questione presentandolo e portandolo avanti in maniera più approfondita. Questo mi costerà un sacco di aggiunte e riletture per evitare insoncruenze con quello che ho gia scritto. Perdonatemi quindi se sono andato molto lungo e quello che posto qui sotto è solamente la chiusura della serata di Edmund e Lorens. Quindi in settinama probabilmente avrete due capitoli, uno piccolo piccolo che parla semplicemente della conclusione della serata di Nikola e chi egli in realtà sia e il successivo che riprende la storia e da dove Tal è rimasto.

Ho riellto diverse volte quello che ho scritto e dopo un pò tutto si è livellato apparendo fluido ai miei occhi quindi abbiate pietà di me.

Come sempre commenti costruttivi sono sempre bene accetti. Mi piacerebbe sapere dai voi che leggete cosa ne pensate, se dovrei mettere più carne al fuoco, trattare in maniera più accurata alcuni personaggi che magari vi sebrano sbiaditi o qualsiasi cosa. Fatemi sapere se ne avete la voglia.

Buona lettura a tutti.
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Nikola arrivò alle spalle di Lorens, erano entrambi al buio, al limitare di un prato dove al centro c’era un casolare ricoperto d’edera.
“Sei sicuro di aver fatto la scelta giusta?”.
Lorens strabuzzò gli occhi nel sentire quella voce ma non si voltò aspettando che una ragazza riccia e bionda aprisse la porta per poi soccorrere Tal sull’uscio.
“Si… Ho molti rimorsi, tuttavia era l’unico modo…” le parole uscirono grevi dalla bocca di Lorens aveva appena compiuto una scelta molto difficile per lui.“Come hai fatto a trovarmi?” Domandò per curiosità.
“Tra me e te c’è un legame, io so sempre dove sei…” affermò Nikola vago.
“Non me lo dirai vero?” Continuò Lorens voltandosi questa volta ad osservare l’uomo riccio davanti a lui.
“Già” Rispose secco e con un sorriso all’amico. “Tutti hanno dei segreti da nascondere, anche tu Lorens…”.
Con le spalle al muro si vide costretto ad annuire dandogli così ragione, “Andiamo alla Locanda, devo parlare con Edmund…” affermò prima di voltarsi.
I due scomparirono in un vicolo buio, non illuminato dai lampioni inghiottiti da quella notte. Lo sguardo di Nikola si alzò verso il cielo “Le nubi si addensano, preannunciano pioggia…”.
 
Lorens stava tornando verso la Locanda di Edmund quando qualcosa attirò la sua attenzione. Uno stivale che sbucava da un vicolo dietro alcune casse. Non lo aveva notato prima, forse non c’era, tuttavia un riflesso lunare aveva richiamato la sua attenzione. Si diresse con passo tranquillo verso quello stivale ma appena arrivò si rese subito conto della situazione.
“Lorens che fai? Vieni alla locanda?”. Lo chiamò Nikola.
Lorens non distolse lo sguardo, ma alzò il braccio e gli fece cenno di avvicinarsi senza parlare. Una volta che Nikola comprese ciò che aveva davanti si chinò anche lui sul corpo del poveraccio.
“Guarda qui” esordì Lorens “Un colpo letale, i vestiti attorno sono completamente bruciati e anche l’interno, sembra carbonizzato…”
“Che sia stata una lancia incandescente?”
Lorens scosse la testa senza sapere cosa pensare, “È plausibile, ma quanto deve essere calda una lancia per carbonizzare la carne in questo modo? Oltretutto guarda, non sembra molto regolare il foro, una lancia molto grezza, forse una picca, ma sarebbe stato comunque più precisa”.
Nikola annuì alle parole dell’amico, “Comunque dobbiamo chiamare la milizia, non possiamo lasciarlo di certo qui”.
Lorens annuì, Nikola aveva ragione ma non poteva di certo lasciare quel corpo senza neppure dargli un’occhiata.
“Sto di guardia e non faccio avvicinare nessuno, tu vai a cercare la milizia”. Nikola annuì poi velocemente si alzò in piedi percorse parte del vicolo e scomparve dietro l’angolo.
Lorens non perse tempo, si porto sul corpo dell’uomo e iniziò a frugare tra le sue cose. Non aveva molto con se. Lorens frugò in tutte le tasche ma quello che notò fu un piccolo segno che sporgeva da una manica che si era arricciata fino a metà dell’avambraccio. La scoprì immediatamente riconoscendoil tatuaggio che l’uomo aveva.
“Diamine…” il voltò si rabbuiò, e la voce si incupì, studiò per qualche minuto la ferita attentamente e poi quando era sicuro di aver perquisito l’intero cadavere si allontanò. Passarono ancora alcuni minuti prima che Nikola arrivasse con la milizia e Lorens ebbe il tempo di pensare.
Quella non era una ferita comune, oltretutto quel simbolo chiariva molte cose su chi fosse quell’uomo e rendeva ancora più inspiegabile come questi potesse essere morto in quel modo. Era estremamente difficile uccidere, e ancor più difficile prendere di sorpresa, quelle persone. Le guardie portarono via il corpo senza vita dell’uomo avvolto in un telo, “Io vado a dormire Lorens. Sono molto stanco, buona notte e a domani, non fare tardi in officina”.
 
Lorens tornò alla locanda “Iarco et Eonis”. L’ambiente si era tranquillizzato, era passato diverso tempo da quando erano usciti con Tal e l’ora si era fatta piuttosto tarda. Edmund stava sistemando la sala per la mattina mente il figlio, che avrebbe dovuto badare alla colazione, era andato a riposarsi poiché da lì a poche ore gli avrebbe dato il cambio. Un paio di persone erano al bancone che finivano di bere l’ultimo bicchiere della sera. Lorens si avvicinò ad Edmund e iniziò a dargli una mano per la sistemazione della sala nonostante le esortazioni dell’uomo a non farlo.
“Quindi Tal ha pagato i prossimi tre giorni…” Esordì Lorens mentre sollevava una sedia e la riponeva capovolta sul tavolo.
“Già, che idea hai al riguardo? Le direttive di Layla dopo l’ultima volta sono molto chiare a riguardo”.
 “Già… Proprio per questo farò in modo che sarà costretta lei stessa a spezzare le sue imposizioni”.
“E come pensi di fare?”
“L’ho già fatto affermò, mi è costato molto, ma credo questa fosse l’unica soluzione”. Lorens fece un profondo sospiro, con un che di sofferto. “Hai percepito qualcuno di loro per caso ultimamente? ” domandò a Edmund.
“Non ho sentino nulla, veramente da queste parti nessuno di loro passa mai… perché me lo domandi?”.
“Per il ragazzo” affermò Lorens “È in pericolo costante, dobbiamo marcarlo stretto, ho bisogno del tuo aiuto. Contattami ogni volta che esce dalla locanda, probabilmente starà fuori qualche giorno, forse anche una settimana. Mantieni la sua camera intonsa e se viene qualcuno a farti domande non dire che cel’ho portato io va bene?”. Lorens terminò: era estremamente serio su quello che diceva ed Edmund comprese la gravità della cosa quindi annuì, ma non fece domande, comprese che meno sapeva meglio era per lui..
 
Terminarono di sistemare la sala, a Lorens facevano ancora male i muscoli per gli sforzi della nottata precedente e sistemare la sala non era stato per niente riposante. Si salutarono e tornarono alle rispettive abitazioni. Un pesante sonno colse Lorens durante la notte, un sonno senza sogni, riposante, ciò di cui aveva effettivamente bisogno.
 

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Capitolo 7
*** Inquisitori ***


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Salve amici miei, è arrivata l'estate, stanno arrivando le mie ferie e questo comporterà una flessione nelle uscite. Diventerò un pò incostante durante anche tutto Agosto. Tuttavia non demordete, farò uscire qualcosa di tanto in tanto e se riesco nuovi capitoli. Il tempo si assottiglia e la voglia di passare la giornata al pc non c'è. Riprenderò a pieno ritmo a Settembre con le uscite settimanali che però verranno fatte probabilmente la sera.

Devo dire che scrivere questo piccolo capitolo mi è piaciuto, l'ispirazione giusta per partire l'ho avuta proprio questa mattina e come una furia ho scritto tutto quanto in meno di un'ora. Spero che la correzione sia altrettanto adeguata, anche se sicuramente avrò tralasciato molto, ho pensato anche hai nuovi personaggi e sono contento dello slancio che hanno.

Buona lettura a tutti e fatemi sapere cosa ne pensate. Se vi sembra scontato, banale o se nonostante tutti vi ha preso.
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La cattedrale della città era enorme. Un’icona splendente anche di notte, che, come un faro, irradiava la luce di Nimernur. Nikola apri la piccola porta innestata nel grande portale d’ingresso ed entrò. All’interno appariva quasi giorno. Innumerevoli candele brillavano e illuminavano ogni cosa, come una si esauriva subito veniva cambiata. Per far questo un grande numero di adepti e discepoli se ne prendevano cura pulendola e sistemandola ad ogni messa. Nikola attraversò la sala dirigendosi verso un battistero laterale, una statua battesimale con la relativa fonte era posizionata al centro di un ampio spazio circolare. Quest’ultima raffigurava un sole che illuminava una fonte dentro la quale un uomo in barca battezzava in bambino. L’immagine dell’astro era evocativa del dio della luce. Nikola indugiò, come faceva ogni volta, ad osservare la stella.
”Nimernur perché?” domandò prima di premere un piccolo simbolino al centro della sfera solare.
Un meccanismo fece scostare la statua circolare mentre una scalinata a chiocciola si formava hai lati di quell’ampia botola. Torce spente erano già attaccate al muro, Nikola non fece passare molti secondi, scese di fretta le scale mentre il meccanismo scattava di nuovo, le scale scomparivano nella roccia e la scultura tornava a bloccare il passaggio. Giunto in fondo uno stretto corridoio questa volta illuminato lo guidava verso una sala più ampia. Le pareti erano di roccia viva, bagnata dall’umidità e annerite dal fuoco delle fiaccole. Il corridoio era fatto ad arco e man mano che veniva percorso da Nikola il brusio aumentava. Alla fine del corridoio si apriva una sala più ampia illuminata da due candelabri che pendevano dal soffitto e diverse uscite laterali. Una decina di persone erano al centro di questa che confabulavano, Nikola scosse la testa “Tornate al lavoro avanti, non cincischiate su cose che non conoscete”. Tutti di colpo si ammutolirono “Ci scusi signore” dissero quasi in coro e iniziarono a sparpagliarsi. Nikola entro per poi prendere subito un corridoio piccolo e ceco. SI fermò davanti ad una porta, ormai era più di un anno che non varcava quella soglia. La aprì. Quattro candelieri ai lati della piccola stanza la illuminavano molto bene, nel centro un tavolo di marmo, liscio e gelato con sopra poggiato il corpo di un uomo. Nikola alla vista di quel corpo fece un profondo sospiro di rammarico, all’interno della stanza c’erano anche un uomo e una donna. La ragazza si fece subito in contro a Nikola.
“Dobbiamo fare qualcosa immediatamente, questa è una dichiarazione di guerra!”. Nikola non rispose, il tono della donna era furente. “A cos’è servita la tua politica? Non è cambiato nulla! Come possono ucciderci lo fanno”.
“Aruni, fammi pensare…” Disse Nikola.
“A cosa devi pensare! Mi sembra che non ci sia niente da pensare!” Affermò con un tono ancora più violento e burbero.
“Ora basta Aruni!” si intromise l’altro uomo, era di stazza imponente, sembrava che le stesse pareti di quella stanza gli stessero strette e che potesse sostenere il peso del soffitto da solo.
“Zitta? Ti mi dici di stare zitta mentre massacrano i nostri uomini? Non lo vedi cos’è accaduto”
“Arunil, fino a prova contraria Nikola è il tuo superiore, non permetterti più di alzare la voce su di lui…”
“Grazie Marco, va bene così, la capisco ma qui non ci troviamo davanti a una strega” disse Nikola interrompendolo. Lo stato d’animo di Arunil era molto turbata e Nikola comprendeva le sue rimostranze.
“Quando mai un nostro compagno caduto ha riportato una ferita simile? Avanti dimmene anche solo una”.
“Avranno trovato il modo di sfruttare la nostra magia e come hanno avuto la possibilità ci hanno subito attaccato”.
“I miei ordini sono stati chiari: cessare la caccia a Moreim, vegliare e controllare. Nessuno avrebbe potuto scoprirlo. Maxwell ha chiaramente disobbedito a un mio chiaro ordine. Sono tre anni che mi trovo qui a Moreim. Sono stato incaricato di vegliare su questa città e lo sto facendo a modo mio è chiaro Arunil? Tu seguirai i miei ordini e se trasgredirai avrai solo due scelte: fare la fine di Maxwell, oppure finire in cella per essere giudicata davanti a un tribunale come disertrice di un mio ordine diretto.” La voce di Nikola si fece improvvisamente autoritaria e sicura di sé. Arunil non rispose, rimanendo al proprio posto.
“Non esiste nessuno, nemmeno il più potente tra noi è in grado di fare una cosa del genere. Se qualcuno di noi fosse in grado di raggiungere la forza necessaria a portare un’arma a quelle temperature probabilmente sverrebbe per la fatica. Osserva le ferite e mantieni la calma invece di farti prendere dall’ira”. Arunil distolse lo sguardo da Nikola, “C’è qualcun… Qualcos’altro in giro per Moreim in grado di fare quella ferita e io voglio capire cos’è. Avvertite immediatamente tutti, in qualunque caso dobbiamo mantenere un profilo basso, non voglio morti inutili per qualche colpo di testa. Ora come ora non sono le streghe il nostro nemico chiaro?” Sottolineando l’ultima parola osservo prima Arunil e poi Marco, aspettando che entrambi annuirono.
“Bene andate!”.  Rimase da solo nella stanza, quando entrambi uscirono si alleggerì il cuore. La maschera di risolutezza che si portava dietro lasciò posto alla tristezza e al dolore per un compagno perduto.
“Stupido Maxwell!! Perché non hai seguito le mie indicazioni? Eri uno dei migliori e non seri riuscito nemmeno a combattere. Chi è stato a farti questo?” Le lacrime solcarono il volto di Nikola che si lasciò andare perdendo parzialmente il controllo. Strinse la mano a pugno battendola sul petto del compagno. “Torna alla polvere amico mio”. Passarono pochi attimi e il corpo senza vita dell’uomo si trasformò in fiamma, avvampò in un attimo e il fumo e le polveri volarono verso l’alto, dove una cappa usciva dal sottosuolo.
Nikola fece passare ancora qualche secondo prima di uscire, metabolizzò le lacrime, digerendo l’amaro in bocca per quella perdita. Conosceva Maxwell: era un ragazzo impulsivo. Probabilmente avrà fatto qualche colpo di testa, ma non meritava quella fine. Nessuno la merita, per questo da quando era arrivato a Moreim pochissimi inquisitori erano morti. Secondo lui c’era un’altra via oltre che il genocidio e la guerra senza confini. Aveva cessato ogni attività bellicosa dopo l’incendio di due anni fa capendo in quel momento che non si poteva battere un nemico così potente con la guerra. Doveva trovare un’altra via e probabilmente lo stesso Nimernur gliel’aveva mostrata. Chiuse la porta alle proprie spalle e tornò a casa per dormire, anche se probabilmente non avrebbe chiuso occhio quella notte.
 

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Capitolo 8
*** Avvenimenti ***


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Eccomi qui come promesso a riprendere a scrivere e trattare la storia. Una pausa estiva ci voleva anche se mi avesse fatto male ritorno a spran battuto da dove avevo lasciato. Scoprirete cosa sia successo a Tal e iniziamo a entrare più nel vivo degli eventi della città. Saranno presentati altri personaggi importanti. Un capitolo bello corposo e spero vi piaccia.

Oltre questo, come dico sempre, sono veramente graditi i vostri commenti (purché siano costruttivi). 

Buona Lettura.

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Tal socchiuse gli occhi, un tenue bagliore proveniva dalla finestra accanto a lui. Era assonnato e stanco. Si guardò attorno con molta calma, faticò un po’ a mettere a fuoco l’ambiente circostante. Il letto non era certo comodo come quello della locanda, anzi, era più rigido e duro. Cerco di fissare sé stesso nel presente, chiuse gli occhi con forza mentre la mente tornava alla sera prima. La spalla sinistra gli faceva male i pensieri e i ricordi tornarono alla mente e lui li fece fluire con calma, tornando a radicarsi nel tempo presente. Con più lucidità riuscì a distinguere in maniera piuttosto nitida tutto quello che lo circondava. La sala era ampia e c’erano molti letti disposti in maniera ordinata. La maggioranza di questi era vuota, attualmente, solo uno era occupato da un uomo che sembrava dormire profondamente. Sulla sinistra lungo tutto il muro che separava la sala d’ingresso dal ricovero vero e proprio c’erano diverse mensole e un lungo bancone con molti cassetti. Erbe e ampolle di ogni tipo, tutte etichettate e ordinate alfabeticamente adornavano questi immobili. Al centro una donna mora stava armeggiando con mortaio e pestello intenta a preparare qualche sorta di unguento. Era vestita con un abito lungo verde scuro con lateralmente quattro righe verticali hai lati di colore giallo, in vita era stretto con una cintura del medesimo colore delle righe e un grembiule poco più chiaro del vestito la proteggeva contro l’eventualità che lavorando potesse sporcarsi.
Con calma Tal sollevò il busto, aveva la schiena un po’ indolenzita. Si accorse che la spalla e il braccio erano fasciati e bloccati attorno al collo, il torace era nudo se non per la fasciatura che lo avvolgeva.
“Ben svegliato, ma non muoverti per oggi.”
Una calda e tranquillizzante voce di donna gli fece voltare lo sguardo. L’infermiera che stava poco prima armeggiando con gli utensili sul bancone si era accorta che si era svegliato e ora stava al bordo del letto. Aveva un volto dolce dai lineamenti morbidi, sia gli occhi che i capelli erano neri e questi ultimi erano lisci e raccolti in una lunga coda.
Tal si voltò ad osservarla “Non riesco più a stare sdraiato, mi fa male la schiena…” ammise. La donna si allontanò per poi tornare qualche secondo dopo con un secondo cuscino.
“Tieni, questo dovrebbe aiutarti”.
Tal la ringraziò sistemandosi ora in una posizione più comoda.
“Che… Che ore sono?” domandò l’uomo a voce bassa per non disturbare l’uomo che stava dormendo.
“Bhè diciamo che l’ora di pranzo è passata da un pezzo…” affermò mentre tornava al bancone e iniziava a sistemare le cose che aveva utilizzato “Sono le quattro del pomeriggio” puntualizzò alla fine “Tra poco arriverà Layla a sostituirmi” poi si fermò un attimo con una piccola esclamazione “Perdonami non mi sono minimamente presentata” si pulì le mani sul grembiule e di nuovo si diresse verso il letto di Tal. “Eleonor Railway. Piacere di conoscerti.”.
“Tal De Rocerc” affermò il ragazzo mentre stringeva la mano della donna. “E molte grazie di essersi presa cura di me”.
“Oh! No!” lo interruppe Eleonor. “A curare le tue ferite è stata Layla e come ti dicevo, dovrebbe arrivare a momenti”.
Tal sorrise alle sue parole “Allora la ringrazierò molto presto deduco”.
Fini di parlare quando la porta d’ingresso cigolò e si aprì lentamente.
“Eleonor, sono arrivata”. Una nuova voce femminile proveniente dalla sala antistante all’infermeria riecheggiò soave tra quelle quattro mura. Eleonor voltò la testa in un gesto istintivo senza però poterla vedere.
“Bene! Io allora vado a riposarmi un po’”. La ragazza mora si tolse il grembiule afferrando una borsa con le sue cose e uscì dal locale mentre Layla entrava e si preparava.
Tal la osservò con attenzione non tanto perché gli interessasse cosa stava facendo, quando perché quel viso aveva qualcosa di familiare e stava cercando di capire cosa.
Layla terminò di sistemare le sue cose quindi si diresse proprio verso di lui.
“Tu… Ora ricordo… Sei stata tu che hai aperto la porta ieri sera…” A Tal tornò nella mente la propria figura che stanca sveniva sull’uscio e l’ultima persona che vedeva era lei.
Layla visibilmente sorpresa sorrise mentre si avvicinava e completava di fare il nodo al grembiule.
“Avete una buona memoria date le condizioni con le quali siete arrivato davanti alla porta…”.
Tal la osservò sorridendo, ancora un po’ pallido in volto, “Come potrei dimenticare un viso così bello…” Affermò con un tono di voce serio, ma quando Layla stava per parlare continuò: “Questo è quello che dice la maggior parte della gente che voi salvate… ” sorrise “Non mentite ve lo leggo in faccia, tuttavia no, sono stati i vostri capelli biondi e ricci”. Tal sorrise e Layla che ormai aveva accorciato le distanze si sedette sul letto per farlo parlare. “Non avevate la coda se non sbaglio, perché vagamente ho memoria di un cespuglio biondo arruffato che stava davanti alla porta…” Scoppiò a ridere prendendola in giro.
Layla lo guardò un po’ storto, ma alla fine cedette alla presa in giro e alla risatina del ragazzo “Dovrei sentirmi offesa” affermò verso di lui.
“E come proteste? Sono un girovago menestrello…” Si mise di nuovo a ridacchiare “Sono la persona meno adatta ad offendere la gente. Dopotutto spesso nemmeno mi prendono sul serio” affermò terminando di parlare.
“Bene allora per questa volta deciderò di sorvolare…” non terminò di parlare. Il volto di Layla si voltò mentre Tal udiva la porta esterna che si apriva scricchiolando per richiudersi qualche secondo dopo.
“Layla ci sei?” chiese una voce di uomo oltre la porta dell’astanteria.
“Si Lorens, entra pure.” Layla rispose cordialmente mentre alzava gli occhi al cielo.
Un uomo con i capelli biondo scuro si affacciò alla porta solo con la testa.
“Layla?” disse una volta affacciatosi. Lentamente aprì la porta ed entrò dentro la stanza, si avvicinò ai due, Layla nel frattempo si era alzata dal letto per poi andare in contro a Lorens. I due iniziarono a bisbigliare sottovoce e quindi si allontanarono ed andarono nell’anticamera del ricovero. Prima di uscire Layla si fermò sulla porta osservando “Se hai bisogno chiama, io sono qui”. De Rocerc annui solamente con la testa lasciandosi sfuggire un sorriso. Si sdraiò di nuovo lasciando che la spalla, lentamente, aderisca al materasso duro. Chiuse gli occhi qualche istante.
 
 
 
Lorens era nella sua fucina insieme a Nikola, la mattinata non era molto fresca all’interno della loro bottega anche se alla fine, con l’inverno alle porte, si stava molto meglio che d’estate. L’intera bottega diventava un’autentica fornace. Il tintinnio di un campanello attirò l’attenzione di Nikola che si diresse verso il bancone. Lorens non si accorse di quello che succedeva ma quando l’amico lo scosse indicandogli di andare al bancone fece un’espressione interrogativa. Quando varcò la soglia della fucina una donna bruna lo aspettava, Raichel era una ragazza giovane, molto più giovane di Lorens. Dimostrava a malapena vent’anni, capelli neri talmente ricci che formavano dei boccoli naturali e ricadevano lunghi sulle spalle fino all’altezza del seno. Indossava vestiti semplici, un abito lungo azzurro ricamato con bottoni e motivi di vari colori.
“Raichel” affermò con tono interrogativo “Cosa ti porta qui?”.
La ragazza fece un sospiro, “Mi ha mandato Morgana, dovevo passare da queste parti e allora mi ha incaricato di venirti a parlare.”
“Quando Morgana nomina qualcuno non è mai di buon auspicio e sarebbe stato ancora peggio se fosse venuta di persona”. Lorens si appoggiò al bancone sporgendosi da questo in favore della donna. Era mattina molto presto, erano passate da poco le sei e nel locale non c’era ancora nessuno. Lei a sua volta si avvicinò sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Il viso di Lorens si incuriosì ancora di più, “Questa notte dici?” domandò retorico. “Si! Va bene passerò a darci un’occhiata puoi tornare alle tue faccende ora e grazie”. Lesto salutò la donna e scomparse dietro il bancone per entrare nelle fucine, afferrò il cappotto velocemente e lo infilò con un gesto veloce lasciandolo svolazzare.
“Ehi! Dove stai andando?” Gli domandò Nikola.
“Un affare importante ma non temere tornerò in mattinata, sembra che ci sia stato un altro caso insolito come quello che ha in cura Layla ora”.
Nikola a quelle parole annuì rabbuiandosi e mugugnando qualcosa.
“Fai in fretta comunque, abbiamo del lavoro da sbrigare e io da solo non posso farcela”.
Lorens annui sorridendo mentre s’ infilava il cappello, “Farò il possibile” disse prima di uscire dal retro.
 
Morgana era seduta su di un tronco che faceva parte di una sistemazione più ampia. Dodici piccoli tronchi erano disposti attorno ad uno centrale molto più grande degli altri. Quatto più vicini e altri otto più lontani come fossero dei cerchi concentrici. I quattro più vicini indicavano i punti cardinali e gli atri attorno spezzavano in terzi le distanze tra i quattro vicini.  Le radici di ogni ceppo erano ancora nel terreno rendendoli saldamente piantati a terra. Erini e Asfald fecero il loro ingresso nella piccola radura insieme. In silenzio i due si sedettero in due precisi posti attorno al ceppo centrale e quindi uno rimase vuoto.
“Bene! Ci siamo tutti” affermò Morgana dando un’occhiata ai presenti. I capelli della donna erano castani e mossi, mentre gli occhi erano nocciola. Pronunciò le parole con profonda noncuranza.
“Non manca uno di noi?” Affermò Asfald. Il più vecchio dei presenti, capelli brizzolati non molto lunghi e una folta barba, la voce era pacata e saggia.
“Tanto farebbe comunque come vuole senza mai aggiornarci sul da farsi, come fa sempre lui”. Rispose secca Morgana chiudendo gli occhi.
“Bene, allora ragguagliaci sul motivo per cu ci hai chiamato” incalzò la ragazza bionda. Erini portava i capelli corti, raggiungevano a malapena le orecchie.
“Potremmo avere un problema…” Iniziò Morgana a parlare lasciando subito la frase in sospeso a osservando le reazioni degli altri due.
“Cosa significa potremmo?” domandò l’uomo.
“Conoscete tutti il mio ruolo, questa notte ho fatto un sogno che mi ha turbato. Non sto qui a raccontarvelo, non ha molta importanza il sogno in sé poiché era molto confuso, sfocato e poco definito”. Prima di continuare fece un sospiro come se le sensazioni che il sogno avesse suscitato in lei fossero tornate all’improvviso. “Tuttavia, in quella confusione mi sono svegliata con un senso d’inquietudine e malessere, non sono in grado di spiegarvi le sensazioni che ha suscitato in me tuttavia sono molto rari i casi in cui faccio questi tipi di sogni”.
“Quanto rari Morgana?”. Chiese nuovamente l’uomo osservandola attentamente con i suoi occhi grigi.
Morgana fece un sospiro prima di rispondere, tentennò qualche secondo “È la prima volta…”. Asfald annuì lentamente pensieroso, Erini fece qualche smorfia con la bocca prima di rispondere.
“Morgana, magari è stato semplicemente un sogno no? Dopotutto lo hai detto tu stessa, non hai visto nulla in quel sogno”.
“È per questo che sono così in ansia, proprio perché non ho visto nulla non dovrei sentirmi così agitata, tuttavia quella sensazione di pericolo permane da questa notte”. Asfald non proferì parola continuava a pensare, in silenzio con le braccia conserte e un lungo mantello scuro che lo avvolgeva. Era mattina presto e l’inverno stava arrivando, ci furono lunghi attimi di silenzio tra i tre. Il respiro di Morgana si faceva sempre più affannato, e gli occhi vagavano nel vuoto.
“Morgana, perché Lorens non è qui?”
“Asfald…” principiò alla ricerca di un momento di calma “Lo sai meglio di me, lui non è tipo da riunioni, lui prende decisioni affrettate senza chiedere o senza aspettare consigli da nessuno, che senso avrebbe averlo qui?”.
“Mia cara Morgana, quando sono stati scelti i quattro membri da Layla nessuno di noi sapeva il motivo, poi con gli anni ho capito. Ha scelto due membri ponderati e attenti e li ha affiancati con altre due persone che sono l’esatto opposto”. Dicendo queste parole si voltò verso Erini “E questo perché noi riuscissimo a trovare un punto d’incontro tra le due facce della stessa moneta”.
“Ma lui è cocciuto e arrogante, stupido e impulsivo”.
“Si ed è per questo che ti piace così tanto…” Prese la parola Erini infilandosi in quel discorso con un’affermazione completamente insensata ma una volta finita la frase scoppiò a ridere sotto i baffi portandosi una mano alla bocca. Sia Asfald che Morgana lo fulminarono con occhi severi.
“Mh… si è proprio di questo che stava parlando Asfald…” tornò seria e un po’ scocciata si ricompose.
Morgana sospirò “Non è importante. Ad ogni modo ho mandato Lorens a raccogliere informazioni di quanto accaduto, ero preoccupata e la preoccupazione fa fare cose stupide”.
Erini s’intromise “Perdonami, racimolare informazioni su cosa?”.  Anche Asfald annui con fare loquace. Morgana scosse la testa “Ho decisamente la testa tra le nuvole, perdonatemi entrambi, non so cosa mi stia capitando, ad ogni modo: questa notte dopo aver fatto quel sogno non riuscivo a dormire e così sono uscita per fare due passi. Speravo che l’aria frizzante di Moreim mi tranquillizzasse, tuttavia nel mio vagare casuale per la città mi ritrovai in piazza del grande obelisco, qui ormai all’alba si stava spargendo la voce di una strana aggressione. Feci qualche domanda e riuscii a scoprire dove era stato ricoverato l’uomo e cosa gli era capitato. L’omicidio, anzi, l’aggressione” si corresse subito “Ha seguito le stesse modalità del paziente in cura da Layla.”
“Ma cosa pensi possa connettere questo con il tuo stato d’inquietudine?” chiese Erini piuttosto scettica. Passarono alcuni istanti di silenzio la risposta di Morgana si fece attendere un po’.
“In realtà nulla…” sentenziò infine il tono di voce era cupo.
“Hai quindi deciso di mandare Lorens a dare un’occhiata per tranquillizzarti”. Asfald sorrise verso l’amica interrompendo quel moto di preoccupazione di Morgana “Hai fatto la scelta giusta, Lorens quando vuole sa essere molto discreto e convincente. Approfondire la questione, non ci farà male e poi vedremo il da farsi e se non sarà nulla… bhè, meglio così non credete?” Chiese alle due donne. Entrambe annuirono, il volto di Erini era molto rilassato, si vedeva che non era affatto preoccupata per il da farsi. Mentre Morgana rimaneva molto tesa, Asfald si alzò in piedi “Direi che possiamo sciogliere la nostra riunione, ci aggiorneremo quando Lorens sarà tornato e ci avrà detto quello che ha scoperto”. Tutti si trovarono d’accordo e si congedarono, quando Erini e Asfald presero verso il bosco Morgana li salutò dicendo che sarebbe rimasta li ancora un po’ a meditare sul da farsi.
“Non crucciarti Morgana, andrà tutto bene vedrai” Asfald sorrise verso Morgana per poi voltarsi ed andare verso il bosco con Erini.
 
“Cosa ne pensi Asfald?” Chiese Erini quando erano ormai distanti da Morgana. Asfald non rispose, rimase in silenzio con lo sguardo pensieroso.
“Voglio dire, quante volte è accaduto che Morgana si sbagliasse?”.
“Mai... ” Sentenziò greve. “Le intuizioni di Morgana sono sempre state corrette e che abbia ragione o si fosse sbagliata…” Prese un lungo attimo prima di finire la frase “Bhè in entrambi i casi sono molto preoccupato”. Asfald con la mano sinistra scostò un ramo che gli impediva il cammino quindi scavalcò una radice mentre Erini gli faceva agilmente strada davanti.
“Non credi sia possibile per lei sbagliarsi?” Si voltò con la testa a parlare mentre entrava in uno stretto sentiero tra gli alberi. “Voglio dire, non può… Che ne so fraintendere il sogno con la visione?”.
“Vedi Erini”. Iniziò Asfald a parlare con voce paziente “È vero che il confine che separa il sogno dalla visione è molto sottile, e non nego che qualcuno inesperto possa confonderli. Morgana tuttavia ha un’anima molto sensibile al mutamento, è la persona più percettiva e più vicina all’altro mondo che io conosca. Certe cose non le puoi imparare con la pratica, con certi doni ci nasci”. In silenzio continuarono a camminare nel bosco.
 
La strada era piuttosto libera e Lorens aveva un passo piuttosto spedito. Dopo essere stato all’infermeria dove era stato ricoverato quel paziente, si era diretto verso quella di Layla e ormai era nei pressi della zona. Era passata l’ora di pranzo Nikola si sarebbe infuriato a morte ma valutava la situazione più importante che l’andare in officina.
“Layla ci sei?” domandò una volta aperta la porta dell’infermeria, non aspettò la risposta, che non tardò ad arrivare. Quando aprì la porta osservò Tal seduto sul letto, lo guardò solamente un attimo, poi tornò concentrato verso Layla. Si avvicinò parlando a bassa voce:
“Chi è quel ragazzo?”
“Un menestrello che è stato aggredito ieri notte”
“Ah… Campisco…”
“Perché sei venuto?”
“Sono venuto per avvertirti…” si fermò nel parlare un attimo guardando un attimo il ragazzo “Vieni nell’altra stanza”.
Layla annuì quindi si voltò verso Tal “Se hai bisogno chiama, io sono qui”.
I due uscirono dall’infermeria per andare nella stanza precedente: un’anticamera d’ingresso con qualche mensola e armadi per gli utensili e un letto, era in sostanza una camera d’accoglienza iniziale per le persone meno gravi che non necessitavano di essere ricoverate.
“Sotto consiglio di Morgana sono andato a dare un’occhiata al quartiere dell’obelisco, dove un uomo è finito in coma, e bhè… Ho fatto trasferire qui il paziente da lassù. Le dinamiche dell’aggressione sono le stesse dell’uomo che è in coma qui ormai da qualche mese”.
Layla si rabbuio in volto pensando “E come hai fatto a farlo trasfer…” Lorens la interruppe prima di terminare. “Sono stato convincente, ti basti sapere questo”. Layla alzò lo sguardo al cielo annuendo poi con la testa.
“D’accordo hai fatto bene, se le vittime continuano ad aumentare voglio che il consiglio si metta sul caso, dobbiamo fermare questo folle”.
“Da quando ci intromettiamo sulle questioni di cui dovrebbe occuparsene la città?” Domandò Lorens quasi incredulo, spesso era solo lui che si intrometteva in queste cose, Layla aveva sempre mantenuto un profilo basso e non si erano mai intromessi in faccende che non li iguardavano.
“Da quando è stata Morgana a dirti di andare a controllare”. Lorens annuì, effettivamente era dello stesso avviso di Layla.
“Ora ti saluto devo tornare in officina, Nikola mi ucciderà gli avevo promesso che sarei tornato in mattinata, avvertimi quando il paziente sarà trasferito, dovrebbe avvenire massimo in serata”.
I due si congedarono velocemente e Lorens uscì dal locale mentre Layla tornò ai suoi pazienti. Tal sembrava addormentato, lei si diresse verso il bancone e iniziò a preparare delle soluzioni saline per un’integrazione alimentare. Sul banco da lavoro erano già sistemati gli ingredienti con tutte le quantità separate. Layla sorrise, Eleonor aveva già sistemato tutto, con lentezza e precisione iniziò a mescolarli con cura. Molte idee si affollavano nella testa della donna, la mano che sorreggeva un piccolo cucchiaio vibrò per un attimo e il contenuto cadde. La testa della donna iniziò a girare. Smise di mescolare gli ingredienti fece un paio di passi indietro appoggiandosi su di un letto. Una voce nella sua testa iniziò a sibilare, una voce lontana, gli occhi si tinsero di nero sentiva la propria coscienza che veniva incatenata. Il respiro si fece affannato quando la voce di un uomo la richiamò nel presente, come se con una mano afferrasse la sua coscienza spezzando quelle catene che la legavano.
“Layla… Tutto bene?”.
Lei si voltò di scatto, Tal era sceso dal letto in fretta ed era andato verso di lei. Aveva probabilmente notato il suo malore.
“Vuoi sdraiarti?” disse poggiando una mano sulla spalla della donna.
Lo sguardo di Layla era assente, gli occhi avevano riacquistato il colore azzurro e la testa stava smettendo di girare, si issò con la schiena sollevandosi dal temporaneo appoggio di quel letto e osservò quindi l’uomo in viso. Ci mise un attimo prima di metterlo a fuoco bene.
“Grazie ma ce la faccio” fece per alzarsi ma fu troppo frettolosa le mancò il passo e ricadde indietro, nuovamente appoggiata a letto. Tal la cinse con un braccio per cercare di evitare che cadesse
“Forse è meglio se vi sdraiate” affermò con un pizzico d’ironia aiutandola ad appoggiarsi di nuovo.
Passò un minuto buono senza che lei dicesse nulla, seduta al lato del letto aspettando di riprendersi completamente. Fece qualche respiro profondo e alla fine si sollevò di nuovo questa volta stava bene.
“Voi non dovreste stare alzato. Avete perso molto sangue, mettetevi a sedere!”. Affermò la donna una volta che le forze le erano tornate.
“Prego, non dovete ringraziarmi per l’aiuto”. Affermò ironico e leggermente risentito, si voltò dirigendosi quindi verso il suo letto.
“Qual è il vostro nome?” chiese Layla con un piccolo sorriso.
“Tal De Rocerc”. Affermò lui senza voltarsi.
“Grazie Tal… Ma non vi dovete affaticare” Layla si avvicinò cingendolo con la mano sinistra alla vita cercando di aiutarlo e lo accompagnò al letto. Lui si voltò sorridendo leggermente divertito, si sedette sul letto. Un rumoroso brontolio della pancia richiamò l’attenzione della donna.
“Quello era il vostro stomaco!?”.
Tal per rispondere piegò la testa da una parte mentre faceva spallucce.
Layla rise di gusto osservando il volto un po’ imbarazzato di Tal.
“Potevate dirmelo subito che eravate affamato, avete anche saltato il pranzo, credevo che Eleonor vi avesse dato qualcosa da mangiare”. Velocemente si alzò dirigendosi verso uno degli scaffali al muro, ne estrasse un piatto e un cucchiaio. Sul fuoco, sempre acceso stava bollendo qualcosa, Layla con il mestolo riempì il piatto e stando attenta a non versarlo mentre tornava da Tal, glielo porse gentilmente.
“Brodo di carne e verdure, vi farà bene, integrerà i liquidi e i sali che avete perduto questa notte…”. Tal stava per afferrarlo ma si guardò la spalla fasciata quindi loquacemente osservò Layla.
“Dove ho la testa oggi! V’ imbocco io!”. Affermò mentre andava si sedeva sul letto dove Tal si era appena sdraiato.
Delicatamente affondò il cucchiaio nel brodo denso e bollente. Pezzi di carne e verdure galleggiavano sulla superfice. Layl lo riempì e quindi iniziò a soffiarci sopra, Tal la osservava, rimanendo abbagliato da quanta precisione ci fosse nei movimenti di quella donna, il movimento delle mani, della bocca degli occhi delle spalle. Era come se lei facesse tutto quanto in maniera precisissima, come se nessun gesto fosse mosso a caso. Nessun movimento inutile: ne rimase quasi incantato.
“Ecco…” Layla allontanò il cucchiaio e lo porto alla bocca di Tal che lo ingurgitò avidamente. “Cosa vi ha portato a Moreim Signor De Rocerc?”.
“Oh! Per l’amor del cielo vi prego!” affermò il ragazzo ridendo prima di mettere in bocca un nuovo boccone. “Chiamatemi Tal!” Disse cercando un tono informale con la ragazza davanti a lui. “Non sono abituato a parlare in questi termini”.
“Va bene Tal” Terminò di soffiare su di una nuova cucchiaiata di zuppa poi continuò “Sembrate avere una buona educazione, con tutto il rispetto, chi siete in realtà?”.
“Né più né meno che un umile menestrello Layla…” Disse Tal mentre ingoiava un altro cucchiaio di zuppa. La ragazza fece per portare alla bocca di Tal una nuova cucchiaiata ma poi si fermò lasciandolo con la bocca aperta. Lui aspettò qualche secondo prima di iniziare a parlare, anticipando le sue parole con un piccolo sbuffo divertito.
“Non so di questa terra, vengo da lontano, da oltre l’oceano, dove il tuo sguardo non può arrivare, il continente di Inmar…” Si interruppe mentre Layla allungò la mano per tornare a nutrirlo con un sorriso. Tal ingoiò prima di riprendere a parlare, “Ero piccolo quando decisi che volevo partire per girare il mondo, tuttavia mio padre…” Prese un altro cucchiaio e deglutì nuovamente. “Però! È buona questa zuppa devo ammetterlo”. Prese un altro boccone e ingoiò “Tuttavia mio padre non me lo avrebbe mai permesso, era un notaio, una persona distinta e rispettata da tutti in città. Oltretutto aveva un ottimo lavoro, guadagnava bene ed effettivamente solo un folle poteva scegliere di non seguire le orme del proprio padre”. Fece un sospiro per poi terminare la zuppa con altri quattro o cinque cucchiai.
“Avete rimpianti della vostra scelta?” Chiese Layla con discrezione.
“Non c’è istante della mia vita in cui io rimpianga di essere partito per questo viaggio. Devo dire che non ho vissuto molto di stenti nonostante sia un menestrello vagabondo…” Sorrise malinconico.
“Parlate molto bene l’Oerinico, suppongo siete qui da molto, avete acquisito anche l’accento di queste parti” affermò Layla con un tono di sorpresa. “Non sarà che voi mi state prendendo in giro?” domandò osservando il ragazzo negli occhi con sguardo penetrante. Non c’era ombra di bugia nello sguardo di Tal, “Mi date del bugiardo?”. Layla con calma distolse lo sguardo, si alzò ed andò verso il bancone senza dire una parola, quindi tornò indietro per tornare accanto a Tal questa volta veramente meravigliata.
“Tal non è la prima volta che sento gente che decanta le proprie gesta in giro per il mondo, e quanti di questi raccontano frottole non sto nemmeno qui ad elencarlo, perdonatemi se sono stata un po’ scettica ma non vedo traccia di menzogne sul vostro volto”. Inclinò la testa appoggiandola sulla spalla, la coda ricadde fluente nella stessa direzione “Continuate vi prego continuate!”.
Tal sospirò leggermente “Vi ho detto di darmi del tu accontentatemi via!”. Layla Sorrise “Vai avanti Tal raccontami di più…” disse veramente interessata ad ascoltarlo.
L’uomo sorrise sinceramente, “Così va meglio”. Alzò un attimo gli occhi al cielo quasi sognanti “Partii a quindici anni, appena compiuta la maggiore età… Partii…” fece una pausa forse con un pizzico di malinconia “Fuggii in realtà, come vi dicevo mio padre non me lo avrebbe mai permesso quindi qualche giorno prima presi accordi con un capitano che cercava un mozzo sulla nave, rubai un po’ di soldi a mio padre e lo sgabe…” Si interruppe guardandosi attorno, alla ricerca di qualcosa “Oh no!” Affermò Layla si voltò anche lei per osservarsi attorno “Cosa c’è? Non dovete agitarvi, vi fa male, dovete rimanere calmo e riposare” Tal la guardò sul volto per un attimo prima di sporgersi dal letto per guardare sotto “Lo sgabello! Il mio sgabello! Come posso averlo dimenticato?”.  Portò la mano destra al mento pensando “Ma certo! L’ho lasciato nella mia stanza, alla locanda Iarco et Eonis!” esclamò. “Devo andare a recuperarlo subito è un oggetto troppo importante per me”. Layla gli poggiò una mano sul petto per tranquillizzarlo, fece un sorriso tranquillo e rilassato. Lui rimase per qualche istante come incantato ad osservarla e quel sorriso lo fece placare, quasi fosse magico.
“Non preoccupatevi, il padrone della locanda è un mio caro amico, ci penserò io ad avvertirlo di tutto e a farvi avere il vostro sgabello al più presto se fosse necessario”. Layla piegò la testa da una parete “Tuttavia perdonami se te lo chiedo ma: Cosa te ne fai dello sgabello ora?” Tal si bloccò un attimo.
“Uh! Non hai tutti i torti… Va bene, se ti fidi del tuo amico quindi puoi chiedergli se tiene la stanza occupata ancora per un po’? Dopotutto ho pagato per altri tre giorni”.
“Lo farò molto volentieri non preoccuparti, ora riposati un po’, parleremo ancora, sono molto curiosa di conoscere i tuoi viaggi Tal De Rocerc”.
Tal si appoggiò al cuscino, mentre si placava lentamente, la stanchezza iniziava a farsi sentire chiuse lentamente gli occhi per addormentarsi poco dopo.
 

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Capitolo 9
*** Inquisitori II ***


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Riprende l'appuntamento costante di lunedì come in precedenza portavo avanti la storia. Devo scusarmi per questo capitolo, come detto in precedenza con il capitolo "Inquisitori", ho avuto in mente nuove idee che porterò avanti da ora in poi e c'è il rischio che mi vengano in mente dopo che ho postato il capitolo precedente. Questo in particolare si colloca temporalmente nella notte in cui Morgana ha la visione e scopre il corpo dell'uomo nella piazza per poi fare la riunione con gli altri due membri.

Qui vediamo le vicende dal punto di vista degli inquisitori, di come loro mettono in atto il piano per riuscire a trovare i colpevoli di questi crimini. Inizialmente non avevo intenzione di trattare l'inquisizione, lasciandola come un'organizzazione che non aveva un importante peso nella storia tuttavia ho cambiato idea e questo mi ha portato anche ad affrontare il tutto in maniera più razioncinante. Dopotutto loro sono i tutori della legge e del "sovrannaturale" è normale che portino avanti indagini dettagliate su quanto concerne i loro cittadini.

Vediamo come andrà avanti. Mi scuso ancora per averlo messo cronologicamente sbagliato e spero di non avervi rovinato la lettura.


A lunedì prossimo.

---------------------------- ATTENZIONE ------------------------



Nikola era all’interno del suo ufficio, come ogni stanza dei sotterranei della chiesa, era spartana. Mura vive torce accese hai lati della stanza, un candeliere sulla scrivania una sedia e un archivio. Marco bussò alla porta.
“Vieni pure” Rispose Nikola dall’altra parte.
“Lo hanno portato, vuoi venire a ispezionarlo?”. Nikola annuì semplicemente e si alzò dalla sedia dirigendosi prima verso la porta per poi dirigersi insieme a Marco nella stessa sala dove era stato portato Maxwell poco tempo prima.
“Cos’abbiamo?” chiese una volta varcata la soglia insieme a Marco.
Due chierici erano sul corpo dell’uomo che lo ispezionavano, una toga marrone semplice e un bastone in mano che con un tenue bagliore nella parte superiore veniva passato sul corpo dell’uomo.
“Trovato nulla?” chiese Nikola.
Entrambi scossero la testa rimanendo concentrati sul corpo. Una decina di minuti passarono senza che né Nikola né Marco fiatassero, nel frattempo anche Arunil era entrata rimanendo sulla porta.
“Nulla, non c’è traccia di energia psionica siamo spiacenti Monolito”.
“Avete fatto un ottimo lavoro, potete andare” li congedò Nikola.
“Devono essere stati loro per forza, dobbiamo capire come hanno fatto a nascondere le tracce”. Furono le prime parole pronunciate da Arunil appena i chierici uscirono dalla stanza.
“Non saltare a conclusioni affrettate” la riprese Marco.
“Arunil, sai per una volta essere imparziale? Non ti pare stiano succedendo cose piuttosto strane in città? Magari la stessa cosa che ha ucciso Maxwell si è macchiata anche di questo delitto”.
“Non lo capisci che ci stanno sfidando?” Disse Arunil con un tono irritato
Nikola la ignorò, fece qualche passo verso il corpo sul tavolo, l’uomo respirava ancora, il cuore batteva ma non si svegliava. “Guardate: non ha escoriazioni evidenti in testa o sul corpo se non per una bruciatura sul petto fatta con un ferro rovente. Questo significa che prima era stato immobilizzato o addormentato è poi stato lasciato in mezzo alla strada, non è stato ucciso, sembra in tutto e per tutto un’esca per qualcuno”
“Anche la bruciatura” si intromise Marco “è molto precisa, deve essere stata fatta di proposito, è troppo precisa per essere casuale. Anche l’altro aveva una bruciatura come questa”.
Arunil prese la parola “Ma non riuscite a vederlo? Siete cechi? “.  I due uomini so voltarono di spalle osservando la donna con perplessità.
“Di cosa parli Arunil” disse Marco sbigottito.
“Andiamo veramente non vi accorgete?” si avvicinò al copro dell’uomo “Sovrapponendo la cicatrice di quest’uomo con quella dell’altro che verte nelle stesse condizioni esce fuori il loro simbolo… Ci stanno sfidando.”
“Ma… è incompleto…” Disse Marko.
Nikola realizzò in quel momento “CI saranno altre vittime… Prioritario, dobbiamo metterci subito al lavoro, adunate tutti gli uomini che potete raddoppiate i turni e preparate le ronde. E lui portatelo al ricovero dove era destinato. Non c’è tempo da perdere”.
“Allora mi dai ragione!” affermò la ragazza.
“Non ho detto questo, ma… non nego possa essere una possibilità. Tuttavia la tua fissazione ci ha fatto saltare delle tappe, non fermiamoci, dobbiamo arrivare prima di tutti. Andate forza.”. Arunil rimase comunque scocciata dalla risposta di Nikola
 “Si Monolito Della Luce” disse formale Marco portando la mano al centro del volto di taglio e chinando leggermente il volto come segno di congedo “Andiamo Arunil avvertiamo le truppe”.
Nikola tornò al suo studio, prese qualche foglio e se ne andò dalla base. C’era poco che potesse fare li voleva andare a dare un’occhiata alla zona dell’aggressione, forse poteva scoprire qualcos’altro.
Era ancora notte fonda e la mattina doveva alzarsi presto per andare in officina da Lorens ma non si sentiva affatto stanco, aveva troppi pensieri per la testa per dormire e primo fra tutti l’idea che era troppo strano che le streghe avessero iniziato a comportarsi in quella maniera. Dopotutto non lo avevano mai fatto, però non poteva escludere che fosse cambiato qualcosa. Comunque a dispetto delle sue idee se avessero portato la guerra, bhè, guerra avrebbero trovato.
 
In giro non c’era anima viva, osservo il luogo dove era stato lasciato il corpo, in bella vista nella piazza, non c’erano tracce, nemmeno minime di stivali o segni che potessero far pensare che il corpo fosse stato trascinato. Osservava tutta la piazza in maniera pensosa cambiando spesso punto di osservazione per, magari, notare cose che non aveva visto in precedenza. In realtà non c’era nulla nella piazza che non tornasse ma alla fine il suo sguardo si posò su di un dettaglio, una piccola gocciolina di sangue al limite della piazza, accanto ad un vicolo. Lo osservò con attenzione chinandosi su di esso lo toccò con le dita, il sangue era rappreso e non era facile giudicare da quanto quella goccia fosse li tuttavia non doveva essere da molto. Se fosse accaduto in giornata qualcuno lo avrebbe calpestato, la piazza alla fine era piena di negozi, era improbabile che nessuno fosse passato in quel punto. La vittima non aveva ferite e le bruciature non sanguinavano. Molto probabilmente non era della vittima, quindi se tanto mi da tanto. Nikola si alzò ed entrò nel vicolo, non c’era più nulla, né a terra né sulle pareti. La dinamica a quel punto sembrava scontata e tutto portava a dare ragione ad Arunil tuttavia non c’era ancora modo di esserne sicuri al cento per cento. Fece un profondo sospiro e si diresse direttamente in officina, avrebbe dormito qualche ora nella branda prima di svegliarsi per lavorare. 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


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Inizio scusandomi con tutti, lunedì mi sono completamente dimenticato di postare il capitolo corrente. Non me ne vogliate. Per il resto chiedo nuovamente venia, ma mi rimane parecchio difficile riuscire a dare un titolo ai capitolo che possa essere sensato così ho deciso di passare alla nomenclatura capitolare classica. La storia è lunga e già non ho un nome per i capitolo, oltretutto spesso considero le parti che metto come tutte facente parti di un capitolo quindi da oggi cambierò modus operandi.

Mi piacerebbe sapere se a qualcuno interessa che io vada avanti con la storia, vedo diverse visualizzazioni ma nessuno che commenta. Sarai grato che qualcuno in maniera costruttiva mi dicesse dove secondo loi dovrei concentrare di più l'attenzione. Siamo ancora all'inizio  e praticamente non è successo quasi nulla ma la storia è iniziata e vi domando: Vi mette interesse/Curiosità?

Detto ciò buona lettura a tuti!
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Tal aveva dormito tutto il pomeriggio e la sera era stato svegliato da Eleonor per l’ora di cena. Aveva fatto due chiacchiere ed era andato a dormire. Un altro paziente, apparentemente in coma, era stato portato nel ricovero. Tal si rese conto che non erano solamente addormentati, ma completamente immobili, come se la loro mente fosse in un altro luogo. Non chiese molte spiegazioni si limitò ad osservarli per un po’ prima di tornare a dormire. Quando la mattina si svegliò era presto e Layla era già arrivata.
“Ben svegliato Tal”.
Tal si stropicciò gli occhi sollevando la schiena dal letto e issandosi. Con i piedi fuori dal letto si mise seduto con calma sbadigliando ancora una volta.
“Buon giorno”. Disse con voce ancora assonnata. La donna si avvicinò con una piccola scodella piena d’acqua e un asciugamano.
“Datevi una sistemata su”. Tal la osservò mentre gli occhi azzurri della ragazza lo guardavano intensamente. Aveva uno sguardo che in qualche modo lo catturava: intenso. Rispose con un sorrisetto quindi con la mano destra iniziò a sciacquarsi il viso, con calma.
“Grazie” disse mentre strofinava l’asciugamano sul volto.
Quando ebbe finito di lavarsi, Layla sistemò tutto quanto quindi tornò da Tal.
“Come vi sentite oggi?”
Lui la guardò di sottecchi “Perché devi farmelo ripetere tutte le volte?” chiese con tono annoiato.
“Come stai Tal?” si corresse divertita dai quei modi tutt’altro che usuali di Tal.
“Ecco, direi che oggi me sento più in forma, la spalla ancora dolorante ma non mi preoccupa” Osservò fuori dalla finestra per qualche attimo “Sembra una bella giornata, che ne dici che usciamo a fare due passi?”.
Layla annuì “Si ma non più di una mezz’ora, poi devo aprire il bancone”.
Tal scese con un piccolo salto dal letto, era evidente che quel ragazzo non riusciva a stare fermo, scrocchio il collo e sgranchì ogni muscolo del corpo che poteva essere mosso. Layla lo aiutò a infilarsi le scarpe e quindi uscirono all’aria fresca. Lei indossava la divisa verde e lui il cappotto messo sopra le spalle dato che non poteva ancora infilarlo. La giornata era fredda ma c’era un gran sole a splendere, il suo tepore si poteva sentire sulla pelle se solo qualcuno si fosse fermato a farci caso. Una leggera brezza invernale spazzava il verde tutto intorno. Immerso in un grande giardino, il casone che accoglieva il ricovero, avvolto dall’edera, si mimetizzava perfettamente con l’ambiente. Solo il camino fumante e degli angoli di muro che qua e la comparivano da dietro il verde del rampicante lo palesavano.
“Bene Tal raccontami ancora di te!”. Lei era frizzante quella mattina e la voce la smascherava nonostante un atteggiamento molto composto.
“Come sei rigida” Affermò l’uomo comprendendo quel contrasto in lei “Vediamo, dove ero rimasto?” domandò retorico.
“Mi stavate… Mi raccontavi di quando prendesti accordi con il capitano di una nave”.
Lui annuì sollevando le sopracciglia “Si, bhè... come ti dicevo mio padre non mi avrebbe mai lasciato partire quindi di mia spontanea volontà, quando compii quindici anni, presi accordi con il capitano di una nave mercantile in cerca di un mozzo e fuggii portando con me solo lo sgabello”. Il volto di Tal era sognante, era evidente che quella scelta per quanto dura da buttar giù gli aveva permesso di vivere la sua vita proprio come lui voleva. “Lascia solo un biglietto a casa, dove dicevo che un giorno sarei tornato a salutarli, da allora sono passati dieci anni”.
“E com’è stato salire su quella nave e partire senza sapere cosa il domani ti avrebbe riservato?”.
Tal a questa domanda abbassò il capo ridendo tra se e se. “Vedi” iniziò con calma “Quando parti, lasci tutto, te ne vai. È come scappare, è come mollare, non lo rimpiangi mai perché quello che trovi davanti a te è quello che cercavi ma non è comunque corretto…” Tal mentre parlava la condusse verso il tronco di un albero tagliato e si sedette si questo, lei di rimando si mise davanti a lui ad osservarlo con occhi attenti e sguardo sognante.
“Ho desiderato molte volte di scappare di fuggire via…”.
Tal scosse la testa “È proprio questo il punto, quando si fa così si fugge… Si abbandona qualcosa, qualcosa di più o meno importante, ma comunque si sta scappando, non vado fiero di quello che ho fatto…”. Un po’ di malinconia gli corrucciò quel volto gioviale che Tal sfoggiava sempre, in quel frangente sembrava molto più grande, più saggio, più vecchio. Maturo al punto che nessuno avrebbe quasi potuto riconoscerlo.
“Cosa vuoi dire?” gli chiese lei.
Lui non rispose, lasciò che lo sguardo si addentrasse verso qualcosa d’indefinito, osservò attorno a lui poi abbasso un attimo gli occhi e torno ad osservare Layla. I capelli ricci ondeggiavano al vento, aveva sciolto la coda quando era uscita dal ricovero. I riflessi del sole la facevano quasi splendere e gli occhi azzurri si tinsero di un colore più acceso, piegò un attimo la testa ad osservarla in silenzio.
“Tutti quelli che fanno come me scappato da un destino che non piaceva, invece di affrontarlo e plasmarlo, farlo diventare loro con le proprie forze. Layla, ripeto: non vado fiero dei quello che ho fatto, sono felice di come fino ad ora ho vissuto, ma non di quello che ho fatto per renderlo reale”. Tal sospirò “Quando scappi è perché hai mollato, è perché non hai avuto la forza di contrastare la marea, te ne rendi conto solo dopo molto tempo  un po’ ti brucia”. Il tono di voce si fece più acceso, Tal si alzò e si sedette a terra accanto a lei orientando il suo sguardo verso l’azzurro e limpido cielo. “Layla, scappare è sempre sbagliato, c’è sempre una possibilità, è facile fuggire in quel modo, lasciare tutto, ogni responsabilità ogni angoscia ogni cosa alle proprie spalle e ricominciare… Solo che devi convivere una vita con quello che hai fatto…”. Tal a questo punto fece un profondo sospiro, lento, l’aria fresca gli entrò nei polmoni lavando via il fuoco di quel discorso. Di nuovo la malinconia si affacciò su quel volto che ora era girato verso la ragazza. “Layla, non fuggire mai…” sorrise come a compatire sé stesso “Non ne saresti per nulla fiera, fidati di me”.
Layla gli poggiò la mano sulla spalla con fare rincuorante “Non è stata l’unica volta vero?”.
Lui rimase stupito di com’era riuscita a leggergli dentro, “No…”. Un ricordo bruciante venne scacciato dalla memoria mentre il menestrello scuoteva la testa. Layla gli sorrise confortandolo, si alzò e gli porse la mano.
“Torniamo, tra poco dovrò aprire il bancone”. Tal allungo la mano destra afferrando quella di lei, era ancora stupefatto di come i movimenti di quella ragazza gli risultassero così precisi in tutto quello che faceva. Tal osservò il sorriso di Layla per qualche istante “Si, torniamo”.



 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


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Iniziamo con un nuovo capitolo corposo e portiamo avanti un personaggio enigmatico del quale si è sentito parlare poco. Come al solito i commenti e le recensioni saranno molto gradite anche se negative ma scritte in maniera costruttiva.

Sono ansioso di sapere cosa ne pensate della storia, se vi ha annoiato la lentezza con la quale viente trattata oppure tutta questa carne al fuoco vi fa sperare bene per il futuro.
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Quando tornarono al ricovero ad attenderli sulla porta c’era Lorens. Layla gli si fece incontro superando Tal
“Lorens, ieri sera non sei più passato…”. Lasciò in sospeso la frase di proposito dando ad intendere che era curiosa di saperne il motivo.
Lorens abbassò il capo portando una mano al volto “Devi scusarmi ma mentre lavoravo mi sono addormentato di sasso e mi ha svegliato Nikola in tarda serata. Se non fosse stato per lui avrei dormito nella fucina comodamente appoggiato con la guancia ad un’incudine”. Scosse la testa con noncuranza e fece spallucce prima dell’arrivo di Tal che più lentamente li aveva raggiunti. Layla prese subito lo slancio per presentarli.
“Tal, ti presento Lorens”. Lorens allungò la mano e Tal fece lo stesso il volto di Tal tuttavia era perplesso, osservava Lorens con attenzione.
“Vi ho già visto da qualche parte?” domandò il menestrello incuriosito “Mi sembra voi abbiate una faccia familiare”.
Lorens dentro di se raggelò, tuttavia mantenne una calma apparente. “Non so, non credo…” rimase sul vago senza dare adito a quello che aveva appena affermato Tal cercando di far passare la cosa in maniera veniale.
“Alloggiava alla locanda di Edmund” disse Layla incalzandoli, “Forse lo avete visto lì, Lorens è un cliente abituale della taverna”.
Lorens annuì sorridendo sempre con un modo di fare molto superficiale “È possibile si… Comunque Layla sono venuto a parlarti di quel nuovo paziente”.
“Vieni entra”. Disse Layla sfilandogli davanti e aprendo la porta. Tutti e tre entrarono. “Perdonami un secondo Tal ma devo fare due chiacchiere con Lorens”.
Tal annuì “Fai pure con comodo, io mi riposo un pò” si fece da parte dirigendosi verso il suo giaciglio. Layla accompagnò Lorens verso il nuovo paziente che era stato portato lì la sera precedente.
Lorens girò attorno al corpo del paziente con molta calma, ovviamente l’unica cosa che si muoveva era il petto, che si alzava e abbassava con il respiro.
“Come l’altro sembra in uno stato di coma indotto, deglutisce solamente perché gli viene spontaneo quando mettiamo del cibo o dell’acqua in bocca”. Il tono di voce di Layla era rassegnato, era evidente che non sapevano cosa fare e quel poco che avevano provato era stato inutile.
“Almeno così non muore di fame” ammise tra sé e sé Lorens.
“Si ma non può rimanere così in eterno…” Terminò con un sospiro dispiaciuto Layla.
 
Il bosco era molto folto, nemmeno un raggio di luna, nonostante fosse piena, filtrava tra la fitta vegetazione. La figura di un uomo si muoveva nel buio, un lungo cappotto rigido di pelle marrone lo avvolge e in testa indossa un cappello del medesimo cuoio con una tesa piuttosto ampia e rovinata, mentre la coppola più larga alla base si stringeva di poco in cima, corta e piatta. Queste due parti del suo abbigliamento erano consumate dal tempo e da lunghi viaggi. Il cappotto era aperto a mostrare una camicia leggera e un paio di pantaloni neri resistenti. I calzari, degli scarponi di cuoio pesanti, sporchi di fango.  Nel cappotto e sul cappello sono evidenti delle lievi bruciature come se tizzoni ardenti fossero caduti per qualche istante su di essi senza però riuscire a bucare gli indumenti.
“Deve essere da queste parti” borbottò tra sé e sé mentre la mano destra andava a sorreggere il cappello che aveva in tesa. Si abbassò per schivare un ramo troppo basso. Un bagliore blu nell’oscurità attirò la sua attenzione. La testa si girò di scatto verso sinistra mentre la mano veniva sollevata. Una sfera di fuoco azzurro volava nella sua direzione ma s’infranse sulla mano che all’istante s’incenerì. Dalla mano nera spuntavano luminose venature di un rosso vivo, magmatico. L’aria attorno all’arto sfrigolava, la sfera oppose resistenza prima di essere distrutta dalla pressione delle dita che venivano serrata nel pugno. Come fosse un palloncino d’acqua qualche schizzo cadde sul cappotto lasciano un alone nero di bruciato. Prima di cadere a terra quello che rimaneva della sfera si dissipò nell’aria bruciando mentre cadeva. La mano carbonizzata venne aperta in un gesto plateale e nello stesso istante mutava partendo dal polso e tornava normale. Da sotto il cappello gli occhi dell’uomo brillarono per qualche istante di rosso. “Pirodemoni…” sogghigno mentre iniziò a muoversi verso quella direzione. “Significa che siamo vicini”. Fece qualche passo ancora, con estrema calma scavalcando un tronco. Nel momento in cui toccò terra un nuovo bagliore blu volò verso di lui. “Dannazione!” imprecò l’uomo mentre puntava i piedi frenando. Con entrambe le mani afferrò la sfera e la chiuse tra i palmi. Le venature rosse che erano apparse nelle mani si tinsero di blu e di nuovo scomparvero e tornarono normali.
“È un vorace, se non lo fermo rischia di dare fuoco all’intera foresta” pensò prima di afferrare con la mano un’altra sfera di fuoco che era stata lanciata alle sue spalle. “Il portale deve essere nelle vicinanze” Sollevò il busto e iniziò a guardarsi attorno. “Poniamo fine a tutto questo” gli occhi dell’uomo iniziarono ad illuminarsi di un rosso molto acceso, la pelle attorno ad esse prese ad incenerirsi. Profondi solchi e venature color del fuoco si formarono partendo dagli occhi, anche le mani mutarono allo stesso modo. Da sotto il cappello terrificanti fiamme guizzavano nel buio di quel viso. Si osservò attorno solamente per un attimo prima di schizzare ad una velocità tale che l’occhio di un uomo non sarebbe stato in grado di seguire. Anche il vorace ne rimase sorpreso, tanto che non riuscì a nascondersi. I voraci erano creature subdole, di piccole dimensioni che uscivano allo scoperto solamente di notte, il loro corpo emanava un oscuro fumo nero che li avvolgeva rendendoli praticamente invisibili nel buio. Senza indugio l’uomo infilò la mano all’interno della sfera di fumo e ne estrasse la creatura. Il corpo dei voraci era nero come cenere e su di esso protuberanze sputavano fuori quella foschia nera. Non aveva arti se non delle piccole zampe simili a quelle di un uccello e una bocca sproporzionata con aguzzi denti affilati. Il corpo era conico una testa grande proseguiva con un corpo che andava a sottigliarsi, come fosse uno strano e piccolo serpente con la bocca tanto grande da mangiare intero il pugno di un uomo.
“Dovè!” Tuonò la voce dell’uomo, tuttavia questa volta il tono era differente, come se due voci all’unisono risuonassero in una sola, una umana e l’altra profonda, potente e terrificante.
“Dimmi dov’è il cancello!” Gridò di nuovo verso il piccolo mostro che ormai terrorizzato cercava di dimenarsi dalla presa. Non ottenendo risposta le dita iniziarono a serrarsi attorno al corpo del demone. Scodinzolò tre secondi poi la coda indicò verso una direzione. L’uomo allentò la presa mentre il volto tornava normale, mosse qualche passo verso quella direzione e dopo poco lo vide. All’interno di un grande albero cavo. Il cancello era ancora piccolo, un vortice che fluttuava a circa un metro e mezzo da terra.
“Tu chi sei?” domandò il vorace con voce roca.
“Io? Qualcuno che veglia su questo mondo” Disse l’uomo prima di lanciare il demone all’interno del vortice viola e azzurro.
“Bene, chiudiamolo ora”. Dalla tasca dei pantaloni estrasse una pietra nera lucida, chiuse le mani ponendo la pietra nei palmi prima che questi iniziarono pulsare di rosso. Le venature brillavano più forte e si estesero verso il polso e poi lungo l’avambraccio. Un odore di bruciato invase l’aria e sotto il cappotto la camicia prese a consumarsi. Passò qualche secondo e quando aprì le mani la pietra che aveva era incandescente e vibrava sfrigolando all’aria. L’ afferrò sulla destra che poi venne serrata, la superfice del sasso si incrinò leggermente prima che l’uomo la lanciasse all’interno del vortice. La gemma, all’interno del tunnel, esplose facendo collassare la struttura pochi attimi dopo, scomparendo in un bagliore bianco. Il volto e la pelle tornarono normali, abbassò il cappello sugli occhi con un gesto semplice della mano destra per poi seguire la tesa da destra a sinistra come a farne il filo. “Torniamo in città e vediamo come proseguono le cose” disse tra sé e sé mentre si incamminava alla ricerca del sentiero.
 
Ci mise un po’ a ritrovare la strada e il giusto sentiero per scendere verso sud e uscire dalla foresta. Era veramente molto fitta e insidiosa. Una volta uscito una vasta prateria di qualche chilometro lo separava dalla città, che vista da lì, sembrava esattamente imponente. Le due grandi vie sopraelevate la tagliavano di netto: da nord a sud e da est a ovest. Da questa decine di scale e raccordi scendevano lungo la città per permettere la massima viabilità. Quella più trafficata era sempre il porto. Situato al centro dell’intersezione, sarebbe stata praticamente invisibile ad una prima occhiata. Solamente qualche punta delle vele si intravedeva tra i palazzi che di diversi piani coprivano gran parte della visuale. Il fiume infatti letteralmente all’ingresso della città scompariva alla vista dietro i palazzi e riappariva solo una volta che la città era terminata. La bellezza di quella vista lo lasciò in attimo estasiato. Il sole era ormai quasi sul tramonto e quel paesaggio cittadino aveva migliaia di colori. La reggia del sovrano che brillava d’oro, i palazzi di bianco marmo del consiglio e dei pubblici uffici sparsi per la città inconfondibili erano come un faro. Per non parlare dei quartieri alti, coperti dal verde dei giardini e dallo sfarzo delle ricchezze, probabilmente quella era la parte più suggestiva. Centinaia di colori, come a costruire un mosaico disordinato, brillano e riflettono con tonalità differenti la luce del sole, che lentamente, da bianca diventa rossa. Infinite sfumature di colori si slanciano verso il cielo e, poco prima di spegnersi, tingono di tanti colori le bianche nuvole passeggere. Poi il sole cala asciando solo un tenue ricordo della bellezza che si può intravedere. Ma è in quel momento che si accende una nuova magia : infinite luci si accendono per tutta la città come lucciole nella notte. Fiammelle sparpagliate prendono a delineare contorni di strade e vie. Il velo grigio della notte non sembra poi così grigio in fondo.
L’uomo che assisteva a quello spettacolo riprende la marcia scendendo lungo la collina sotto la quale la città inizia a coricarsi ne avrà per qualche ora prima di arrivare ai grandi portali che di notte si chiudono e solo una piccola porta permette il passaggio. La notte, la città si addormenta, le grandi carovane non possono entrare e solamente pochi riescono a poter tornare dentro a volte non senza avere le giuste conoscenze.
 
La prese con comodo, gli ci vollero tre ore prima di oltrepassare il fiume e raggiungere il lato sud est della città. Le mura erano imponenti, davano l’impressione che quella città fosse un enorme carcere e che all’interno ci fossero contenute bestie di dimensioni spaventose alte quasi dieci metri. I grandi portali di legno erano massicci, larghi più di un braccio d’uomo. Ci volevano dieci uomini per lato e un complesso sistema di carrucole per farle aprire lasciando uno spazio di dieci metri per l’ingresso. A quell’ora il portale era chiuso il suono della chiusura era stato udito chiaramente da Dean che per nulla di fretta aveva ascoltato il suono cigolante e metallico delle immense porte che si aprivano e chiudevano. Senza dubbio una struttura elegante, le porte erano a forma di arco. Un sesto acuto molto stretto in cima sorpassava di qualche metro l’altezza del muro non erano lavorate finemente ma quella forma le slanciava dando un aspetto elegante a quel massiccio pezzo di legno. Una piccola porta inserita all’interno dell’anta destra era stata costruita proprio per questo scopo. Dean busso tre volte, lo spioncino, uno stretto cassetto di legno sufficiente a mostrare solo pochi centimetri di un viso barbuto scattò a sinistra. “Chi siete!” chiese in uomo con una vecchia voce consumata dal tempo. Dean non rispose lasciando che una moneta d’argento cadesse accidentalmente nella fessura per gli occhi.
“Devo essermi sbagliato” disse distrattamente la stessa voce. Dean calò il cappello sugli occhi e abbassò lo sguardo per non mostrare il proprio viso e passare. Nessuno dei due guardò l’altro mentre un clangore metallico veniva emanato dalla serratura interna. La porta si apriva pochi istanti e si richiudeva subito dopo cigolando. Dean sfilò velocemente tra i vicoli, senza dare nell’occhio. Solitamente la notte la gente dei sobborghi era in casa, anche se effettivamente nemmeno quella era una zona sicura. La tensione che aleggiava in quelle zone si sentiva nell’aria ma Dean non ci fece molto caso, sembrava a suo agio, camminava velocemente tra i vicoli senza cercare rogne di alcun genere. Ci impiegò un’altra ora buona per passare il ponte e dirigersi verso il lato ovest della città. Sapeva bene dove andare, un piccolo ricovero immerso nel verde. Probabilmente sarebbe arrivato a notte fonda ma Dean dormiva di rado e quella era una sera in cui non sentiva la necessità di dormire. 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


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Salve a tutti ed eccoci qua con un nuovo capitolo. Molto tranquillo, di chiusura del capitolo che sta finendo e dalla prossima settimana riprendiamo con la storia di Tal.

Come sempre chiedo a tutti i lettori se l'avventura vi piace e critiche costruttive o dubbi a riguardo della storia.
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Raggiunse il ricovero che la luna era ben alta nel cielo e alcune nuvole la stavano offuscando. Chiuse gli occhi per qualche secondo cercando di concentrarsi, percepiva il tatuaggio sul braccio sfrigolare fece un sospiro di sollievo. Si diresse verso la porta e bussò tre volte, una donna mora gli aprì la porta e Dean cordialmente non appena al vide si sfilò il cappello accennando un inchino.
“Si?” Domandò la donna dalla fessura bloccata dalla catena sulla porta.
“Perdonate l’ora più che tarda ma sono qui per vedere un mio amico, si chiama Tal De Rocerc, ho saputo che è stato ricoverato qui per un’aggressione sta bene?” Disse Dean molto tranquillamente poi aggiunse “Posso vederlo?”.
“Come facevate a sapere che era in questo ricovero” chiese sospettosa la donna senza trafelare alcuna emozione o parola su Tal.
“Bhè” principiò Dean insilandosi il cappello in testa. “Stiamo parlando di un mio amico, sapevo che alloggiava da queste parti e ho girato tutti e tre i ricoveri della zona, andando per esclusione questo sarebbe dovuto essere quello giusto”.
Pochi attimi ancora di esitazione, lo squadrò dall’alto in basso. Dean effettivamente non aveva l’aria di essere una persona molto raccomandabile, specialmente dall’abbigliamento non proprio dei migliori. Tuttavia la donna mossa a compassione gli aprì la porta.
“Attualmente sta dormendo ma sta bene, posso offrirle qualcosa di caldo?”.
“Oh!” Accennò mentre entrava nella sala del bancone. “Mille grazie ma sto bene così” poi si fermò un secondo difronte alla donna “Non mi sono ancora presentato, mi perdoni la scortesia, il mio nome è Dean Eterion” quindi allungò la mano destra in direzione della donna.
“Eleonor Railway, può entrare per scaldarsi davanti al fuoco per un po’ ma non posso lasciarglielo incontrare, è ancora molto stanco e ha bisogno di dormire, tuttavia sta bene”.
Dean fece un sospiro di sollievo nel sentirlo dire. “Menomale, non sa quanto mi rincuora saperlo, ci siamo separati una volta giunti qui a Moreim ma dato che non riuscivo a trovarlo in nessuna locanda di queste zone ho temuto per il peggio e alla fine mi sono ritrovato qui, sa dirmi cosa gli è successo?”.
Eleonor scosse la testa “Un’aggressione, lo hanno ferito alla spalla e probabilmente deve aver preso un forte colpo alla testa, i suoi ricordi non sono molto chiari, non è stato nemmeno in grado di descrivere chi lo ha aggredito, fortunatamente non portava nulla con sé quindi non hanno potuto derubarlo”.
Dean annui tutto il tempo della spiegazione “Comprendo, allora lascio riposare sia lei che Tal, la ringrazio, e tolgo il disturbo, passerò a fargli visita domani, a presto”. Eleonor salutò Dean cordialmente prima di inchiavare di nuovo la porta.
 
Tal aprì di nuovo gli occhi. Il sole penetrava delicato all’interno della sala dalle finestre socchiuse, attenuato da bianche tende che, se da un lato riducevano la potenza del sole, dall’altro brillavano e diffondevano la luce in tutta la stanza morbidamente. Layla aveva dato il cambio a Eleonor senza che questi se ne accorgesse.
“Buon giorno” gli disse lei non appena si accorse che era sveglio.
Ancora assonnato fece mente locale “Buongiorno” rispose distrattamente e con voce assonnata.
Layla si avvicinò delicatamente verso di lui con grazia e si sedette accanto al ragazzo che aveva ancora gli occhi socchiusi.
“Oggi vi controllerò la spalla e se è migliorata vi lascerò andare, per la vostra strada…” Disse lei con un sorriso.
“Ah si?” affermò lui riprendendosi piano piano e sollevandosi seduto. “È un vero peccato, spero di avere bisogno di qualche altro giorno”.
Layla sorrise arrossendo un po’ “Su su, non volete tornare dal vostro amato pubblico?”.
“Bhè… Via… Ti dirò… Non si sta proprio male ad essere serviti e riveriti…” Tal sorrise caldamente, una di quei sorrisi che mette a proprio agio le persone.
Layla prese delle forbici e tagliò via il nodo che teneva la garza che avvolgeva la spalla proteggendo la ferita e allo stesso tempo manteneva bloccato il braccio evitando movimenti inconsulti.
Quando Tal sentì alleggerire la presa sulla spalla tirò un sospiro di sollievo, sembrava di togliersi un fardello, passarono pochi secondi e ora che l’afflusso di sangue tornava alla normalità iniziò a prudergli la spalla. Fece per grattarsi istintivamente ma Layla lo fermò subito dandogli uno schiaffetto sulla mano.
“Non provarci nemmeno…” asserì lei, con un ironico sguardo arrabbiato.
Tal sbuffò sorridendo e tolse la mano.
“Senti tirare i punti?”
“Non ancora, ma sono un po’ indolenzito”.
“Prova a muoverla delicatamente, solo la spalla, non il braccio...” Lasciò in sospeso la frase come ad attendere che lui iniziasse a muovere la spalla.
“Quando la porto in avanti mi tirano un po’”.
“Bene, i punti reggono bene, ti rimarrà un’attraente cicatrice di qualche centimetro ma non si può dire che non sta guarendo. Ti faccio un’altra fasciatura e ti lascio andare libero per la città”
Tal annuì ascoltando la ragazza, “È quasi un peccato” disse con un pizzico di malinconia.
Layla sorrise, “Bhè via potrete passare quando volete, anche perché tra una decina di giorni dovrò vedervi per togliervi i punti”.
L’uomo sorrise girando la testa e guardandola, fondamentalmente per lui, lei, era la prima persona che aveva conosciuto in quella città e per giunta gli aveva anche salvato la vita.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


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Scusate il ritardo, nel prossimo periodo rischi di procrastinare un po' la storia dato che ho unsacco di lavoro e poco tempo per scrivere. Posterò capitoli in maniera più lenta rischiando anche di saltare qualche settimana ma non temete non lo mollerò mai. Oltretutto rischio anche di peccare molto nella correzione e quindi fornirvi un lavoro più scadente e questo sarebbe inevitabile dato che la fretta è, come si suol dire, cattiva consigliera.

In questo capitolo trattiamo in maniera più accurata Erini e vediamo un pò anche la sua vita conoscendola meglio mentre Tal fa ritrno alla sua vita lasciando il Ricovero.

Cosa accadrà a Tal ora che è di nuovo a piede libero ignaro delle sue reali capacità?
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Tal varcò la soglia del locale di Edmund. L’uomo era al bancone che parlava distrattamente con alcuni clienti. Quando Tal si affacciò alla porta con disinvoltura si congedò per farglisi incontro.
“Come va? Ho saputo da Layla cos’è successo, posso assicurarti che la tua stanza è esattamente come l’hai lasciata!” affermò con sicurezza. “Ad Eccezione del letto, quello lo abbiamo rifatto”.
Tal annuì e sorrise al locandiere “Siete stato molto gentile, non dovevate disturbarvi tanto e grazie infinite della cortesia”.
“Avete bisogno di una mano per raggiungere la stanza?”.
“Ce la faccio ce la faccio” affermò con pacatezza.
Con calma si incamminò verso le scale, Aveva il braccio al collo e la spalla fasciata e ora che iniziava a muoversi più del solito sentiva un po’ di dolore intensificarsi ma nulla di insopportabile. Una volta salito in camera controllò subito se lo sgabello c’era o meno. Lo trovò immediatamente con un sospiro di sollievo, e trovò anche tutta la sua roba comprese le monete d’argento che aveva guadagnato con le sue storie qualche giorno prima. Era una città che offriva moltissimo a chi aveva qualcosa da dare e il gruzzoletto che aveva racimolato non era affatto male per essersi esibito un solo giorno. Quei soldi erano molto più di quando aveva fatto in altre città, molto spesso aveva più successo di altri menestrelli, non era una novità, ma questa volta, probabilmente grazie anche alla mole della città, andava incredibilmente bene. Si incamminò verso la finestra afferrando il suo amico di mille viaggi e quindi si sedette sopra di esso osservando alla finestra quello che succedeva. C’era poco da fare, si rese conto che quella città lo aveva catturato in ogni suo aspetto. Qualcosa, o qualcuno lo tratteneva lì, si sentiva sotto uno strano influsso ma non era per Layla, questo lo sapeva bene. Aveva viaggiato per innumerevoli posti e conosciuto altrettante persone belle quanto lei. C’era un’aura quasi magica che aleggiava in quella città, era un sesto senso, una fantasia, ma per ora questa fantasia lo teneva occupato e lo legava a Moreim, nel bene o nel male. Portò una mano verso i capelli accarezzandosi la testa. Deciso: sarebbe rimasto ancora un po’. Sapeva che avrebbe capito da solo quando sarebbe stato il momento di andarsene. Sorrise, si alzò di scatto e uscì dalla porta, qualcuno lo stava osservando.
 
Una piccola bottega, un’anonima drogheria di Moreim. Erini stava riordinando uno scaffale quando Lorens gli apparve dall’altra parte. In mezzo hai barattoli si riusciva a intravedere al di là di una delle finestre del locale. La ragazza sussultò solo un attimo, portò quindi una mano al petto, fece un sospiro per ritrovare la calma, Lorens non disse nulla. La sua espressione era piuttosto accigliata e seria. Erini annuì con la testa, a questo punto, l’uomo scomparve uscendo dal piccolo spiraglio. Gli occhi verdi della donna tornarono concentrati sul proprio lavoro, leggeva le etichette e poi sistemava tutto nello scaffale corretto. Una volta finito prese e si diresse verso il bancone a controllare. I capelli erano raccolti sotto un cappello e un lungo abito blu la vestiva.
“Erini!” una voce maschile dal retrobottega la chiamò. “Vieni a darmi una mano” continuò.
“Arrivo” disse lei. I clienti non erano ancora arrivati e velocemente saltellò dietro una tenda che stava alle sue spalle.
“Dimmi!” Disse ma appena varcata la soglia il ragazzo poco più grande di lei la cinse alla vita e la strinse a se baciandola. Lei ricambiò il bacio portando una mano sulla guancia del ragazzo. Dopo qualche attimo lei si scostò sentendo il tintinnio del campanello della porta che si apriva. Gli sorrise dolcemente “Era tutto qui?”. Il ragazzo annuì sorridendo. il retro del negozio era un piccolo laboratorio dove il ragazzo lavorava la carne che gli veniva consegnata, la preparava in vari modi per poi portarla sul bancone dove Erini la vendeva hai clienti.
“Signora Miranda” affermò la ragazza solare. Una signora anziana aveva appena varcato la soglia ed era spuntata nel locale.
“Come va signora Miranda?” Erini non ricevette risposta nonostante avesse utilizzato un tono di voce molto alto. “Mh… Il suo udito sta peggiorando”.
“Come dici Erini?”
“Vi chiedevo come stava andando” affermo la ragazza sorridendo. “Per un pelo” pensò tra sé e sé mentre la signora miranda prese a muoversi verso i due scaffali del locale.
“Èh! L’udito non è più come quello di una volta”. Erini sorrise a denti stretti “Me ne sono accorta”.
L’anziana Miranda era una signora arzilla, con qualche problema d’udito ma sempre allegra.
Raccolse un barattolo e si diresse al bancone proprio mentre Amir scostava le tende e distendeva la carne sul bancone. Lei gli sorrise e lui ricambiò per poi vedere l’arzilla signora dall’altra parte del bancone che stava arrivando.
“Signora Miranda!” affermò il ragazzo “È sempre un piacere vederla così in forma”.
La signora non rispose, in realtà non lo guardò nemmeno.
Non ricevendo risposta fece per scostare la testa verso Erini ma lei lo anticipò “Si sta peggiorando…” disse sempre a denti stretti.
E quando poi la signora Miranda sollevò la testa e riconobbe il ragazzo disse “Giovanotto!” affermò. “Non si saluta più?”.
Lui scattò dritto e alzò le mani “Perdonatimi signora Miranda, non volevo”.
“Oh! Povero ragazzo, non lo sapevo, allora sei giustificato” Rispose la vecchietta.
Erini e Amir si guardarono per un secondo poi sbottarono in una piccola risata. Lui tornò nel retro e Erini lo sentì distintamente ridere, la signora Miranda probabilmente no.
La giornata di Erini passò tranquilla, il lavoro lo affrontava sempre con allegria, finché aveva vicino a sé Amir non temeva nulla e sentiva di poter affrontare ogni cosa. C’erano stati periodi dove vivere non era esattamente facile, specialmente quando i primi tempi avevano aperto insieme quella bottega. Fortunatamente per loro la simpatia di Erini ha fatto arrivare altri clienti, poi si è sparsa la voce e ora fortunatamente se la passavano bene, stavano anche pensando di allargarla o spostarsi in una più grande sempre in zona ma erano opzioni che dovevano essere valutate attentamente. Uscì dal lavoro e si diresse a casa, mentre passeggiava sotto il lungo portico che seguiva la strada e sfilava tra le altre botteghe strinse il mantello attorno al collo. L’aria iniziava a farsi fredda l’inverno stava arrivando, la strada era poco trafficata a quell’ora ma i portici ospitavano un discredo viavai di persone, la maggior parte delle quali rientrava a casa dopo una giornata di lavoro. Rientrò in casa chiudendo la porta dietro le sue spalle e subito Amir gli si fece in contro, i due si abbracciarono e lei lo baciò sulla guancia.
“Devo uscire questa sera, ma torno presto!” affermò la ragazza.
“Ancora quella questione? Quando deciderai di smettere?” lui fece un sospiro, “È pericoloso, e lo sai come la penso”.
“Eccolo l’uomo che si preoccupa per la sua donna, così mi piaci”.
“Dai non scherzare” continuò lasciandola andare dal suo abbraccio e dirigendosi verso la cucina.
“Tranquillo sospirò lei, sembra che Lorens debba dirmi qualcosa d’importante, sarò di ritorno molto presto, non noterai nemmeno che sono uscita”.
Lui scosse la testa mentre lei lo seguiva in cucina, “D’accordo, ora mangiamo”. La tavola era imbandita c’erano delle scodelle con delle verdure uno stufato di manzo e la cosa che lei adorava più di tutte: una torta di more.
“Adesso mi ricordo perché ti amo così tanto”.

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