Woman

di xwilliamseyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo Capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono Capitolo ***
Capitolo 10: *** Decimo Capitolo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo Capitolo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo Capitolo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo Capitolo ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo - Primo Capitolo ***




Prologo
 
Non imparammo mai a contare, a dividerci le cose in parti uguali.
Era tutto o niente.
Non restò nulla di ciò che eravamo; tutto si si portò inevitabilmente nella mani dell'altro, si confuse, si trasformò e si sbiadì nel nulla.
Dalla scuola alla patente di guida, dagli amici ai sabati sera passati sotto le coperte.
Dal presente al futuro.
No, ora non lo chiamerei amore il nostro, era più vicino ad un qualche tipo di ossessione, di quelle rare e dolorose.
Era tutto o niente.
Era dedicarsi completamente all'altro, era perdersi nell'altro e mai più ritrovarsi.
Era soffocarsi, era perdere i sensi.
Rimanemmo da un giorno all'altro nudi, ripieni solo di quel sentimento caldo che pareva tenerci in vita, insieme.
E per quanto ti avessi dato il meglio, per quanto spoglia fossi, per quanto freddo sentissi mai riuscii ad allontanarmi completamente da te, a riprendere la mia vita tra le mie sole mani.
Ci eravamo appartenuti inevitabilmente e irrimediabilmente.

E sai, ho paura che sarà così per sempre.

 
***
 
Primo Capitolo
 
Le strade erano afose, strette e giallastre per via delle luci che le percorrevano.
Osservai in alto, verso il cielo e lo vidi tremendamente nero. Neanche una stella lo colorava, lo rendeva più chiaro, lo illuminava.
Camminavamo a passo svelto io e Adele, con le cosce appiccicate per via del caldo e i capelli arruffati sulle schiene seminude.
Avevamo fretta di raggiungere Piazza Giorno, lì dove avremmo trovato tutti i nostri amici, coetanei e conoscenti del liceo.
Era la vigilia di Ferragosto, mancava poco e sarebbe arrivata la mezzanotte.
Ci eravamo ripromesse di festeggiarlo quell'anno il 15 Agosto, di scappare da casa e divertirci.
Avevamo diciassette anni e ci credevamo immortali; era una bella sensazione la nostra. Quei brividi sottocutanei che non volevano lasciarci in pace e le guance perpetuamente arrossate alla vista di un bel ragazzo.
Sentirsi vive in ogni secondo, avere così tante cose da scoprire e provare.
Mancavano pochi passi e ci saremmo ritrovate ai limiti della piazza. Dalla nostra distanza riuscivamo già a sentire voci, urla e canzoni passate al massimo sulle radioline.
“Senti Flora? Hanno già iniziato a fare un casino da pazzi!”
Adele prese ad agitarsi e ad accelerare ulteriormente il proprio passo. Iniziò ad allontanarsi di parecchio dalla mia figura che le arrecava dietro.
“Si, ma non correre così!”
Provai ad urlarle invano. Sembrava completamente distratta dal divertimento che ci stava aspettando.
E dietro un'alta salita le luci si fecero sempre più intese e le voci e i corpi delle persone sempre più chiari.
Piazza Giorno ci era davanti.
La prima cosa che pensai fu il fatto che fosse completamente diversa dalla piazza che era di mattina. Così calma, così muta, solo il vento a volte smuoveva le foglie degli alberi che la circondavano; ed ora era più viva di una battaglia, più rumorosa di uno stadio.
Spalancai gli occhi più che stupita, provando dentro di me uno strano senso di soddisfazione.
Avanzammo sempre di più facendoci spazio tra la folla disordinata e super eccitata. Ritrovammo dopo un po', per fortuna, alcuni dei nostri amici seduti su di un muretto poco distante.
“Ciao!”
Urlò Adele accostandosi man mano.
“Ehi, ciao!”
Ricambiarono loro in coro.
La mia amica si affiancò completamente a loro ed afferrò una bottiglia di birra dalle mani di Chiara, già mezza ubriaca.
Io guardai tutti interdetta, un po' indecisa sul da farsi. Intrecciai i piedi fra di loro e mi tenni stretta le mani sullo stomaco, cercando di essere meno appariscente possibile.
Non ero mai stata timida eppure in quella situazione nuova e estremamente chiassosa, disagio e diffidenza si fecero sentire in me, rendendomi restia e silenziosa.
“Flora! Avvicinati!”
Mi urlò Massimo con un sorriso confidenziale a circondargli il viso.
Ricambiai quella cortesia proseguendo nella loro direzione.
Eravamo noi, i soliti.
Flora, Adele, Massimo, Chiara e Lucio.
Ci eravamo conosciuti al liceo e frequentando gli stessi posti negli stessi giorni avevamo creato una specie di piccola comitiva, dove ci si divertiva senza troppe pretese o novità.
Li guardai uno ad uno e li vidi talmente felici che tutto il mio timore e la mia insicurezza svanirono in un istante.
Mi portai sul muretto a mia volta continuando ad osservare i loro volti per poi distogliermi ogni tanto su quelli della piazza.
Conoscevo più o meno tutti. Chi di vista, chi di persona.
Non vedevo altro che libertà, felicità e spensieratezza e tutto questo rese un po' più leggera anche me.
“Zayn! Sei tornato, finalmente!”
Urlò Massimo con un tono liberatorio e fiducioso.
“Ti eri perso?”
Continuò saltando giù dal suo posto a sedere.
Dalle nostre spalle era apparso improvvisamente un ragazzo che non avevo mai visto. Si confondeva quasi con tutto il buio che lo circondava per via dei suoi capelli neri e della sua carnagione olivastra.
Avanzò sempre di più fino a ritrovarsi perfettamente davanti a noi.
Massimo lo circondò con un braccio strappandogli di mano le tre bottiglie di birra che aveva portato con sé.
Lo sconosciuto sbuffò per un attimo, prima di stiracchiarsi e massaggiarsi i capelli all'indietro con una mano.
“E questo chi è?”
Chiese silenziosa, al limite della curiosità Adele, mentre gli concedeva continui sguardi di meraviglia.
“Zayn, un mio amico. Si è trasferito qui da Milano”
Chiarì in un secondo il nostro amico, con la faccia eternamente puntata sul suo vetro.
“Ciao”
Affermarono Chiara, Adele e Lucio con simpatia.
Il ragazzo ricambiò il saluto rivolgendoci un veloce sguardo di intesa.
Così prese posto vicino a Massimo, afferrando a sua volta una bottiglia e portandola alla bocca con disinvoltura.
Ne sorseggiò alcune gocce prima di azzardare uno sbuffo di appagamento.
Dalla mia postazione lo vedevo per metà. Vedevo le sue gambe magre avvolte in un pantalone nero che terminavano con delle sneakers marcate Nike e la sua canotta grigia e malandata da cui fuoriuscivano una quantità inaudita di tatuaggi: sul petto, sulle braccia.
Mi ritrassi di qualche centimetro sbalordita.
Doveva essere molto più grande di noi quel ragazzo, pensai, rivolgendogli un ultimo sguardo di sottecchi.
“Verrai a scuola da noi?”
Chiese Chiara, spostandosi lentamente verso di lui.
“No”
Rispose, azzardando una risata.
“Ho finito da un po'”
Riprese, guardandola dritta negli occhi. A quel contatto la mia amica si vide costretta a deglutire e ad abbassare immediatamente lo sguardo.
La intimorì spaventosamente l'espressione di quello straniero.
E io sentii che fosse strano, perché a Chiara nulla e nessuno la spaventava.
Dopo un po' si ritrasse, accostandosi nuovamente verso Lucio.
Il ragazzo continuò a bere e a ritornare sulla piazza e su i suoi pensieri.
“Sembra strano..”
Mi sussurrò improvvisamente Adele in un orecchio, mentre lo indicava a mezz'aria con la testa.
Lo guardai un'ultima volta.
Aveva il viso buio e le palpebre semichiuse. Le labbra erano vivide per via della birra che continuava a portare quasi meccanicamente alla gola.
Mi sembrò per un attimo una specie di statua di marmo corrosa dal tempo. 
Così le confermai con un cenno e un brivido nel cuore le sue parole.
“Ci alziamo un po'? Voglio ballare”
Afferrò un mio braccio beccandomi di sorpresa e mi trascinò verso la folla.
Iniziò ad agitare le braccia e tutto il corpo come se lo facesse per l'ultima volta in tutta la sua vita.
Scoppiai quasi a ridere a quella vista, ma mi trattenni con il timore di offenderla.
Mi avvicinai a lei ed iniziai più o meno ad imitarla.
La musica cominciò ad avvolgerci completamente. La sentivamo nei polmoni, e di tanto in tanto pareva solleticarci le corde vocali, tant'è che ridevamo e sghignazzavamo senza alcun motivo. Ci stringevamo fra di noi e verso la gente che avevamo attorno, che ricambiava avvicinandosi a sua volta.
Una grande e magnifica festa, una festa giovane come l'estate, una festa infinita come le nostre anime.
Dopo circa un quarto d'ora Adele si fermò e con una certa fretta si accostò ad una parete più o meno lontana. Sorpresa e spaventata le corsi dietro, cercando di afferrarla per il colletto della maglia.
“Adele, tutto bene?”
Le accarezzai le spalle e i capelli mentre la guardavo stranita.
Il suo volto era sbiancato e gli occhi le tremavano. Sfiorai un lembo di pelle e la sentii tremendamente sudata, ma di un sudore freddo.
“Ehi!”
La richiamai, non ottenendo nessuna risposta.
Si portò una mano sul petto e chiuse gli occhi.
“Mi manca il respiro, ho la nausea”
Disse in un sussurro. 
“Devo solo riposare un po'”
Le feci un cenno con la testa e prendendola sotto braccio la riportai verso il nostro muretto.
C'erano solo Lucio e Chiara che chiacchieravano animatamente nel loro piccolo.
Lucio ci vide arrivare, e scomposto anche lui dal viso di Adele prese a scontrarsi verso di noi immediatamente.
“Ragazze, che succede?”
Osservò prima il mio volto e poi l'altro, che si rinchiudeva sofferente sotto se stesso.
“Non si sente bene”
E con un ultimo aiuto la appoggiai sul cemento.
Una volta seduta si tirò i capelli all'indietro, sulle spalle.
“La riempi di acqua?”
Mi porse una bottiglia di birra vuota, indicando la fontanella alla mia destra.
La afferrai e proseguii nella direzione da lei indicata.
Quando fui a pochi passi dalla mia meta il cielo si colorò improvvisamente di mille colori.
Erano i fuochi d'artificio, era arrivata la mezzanotte, era Ferragosto.
C'era il giallo, l'arancione, e il celeste che si univa al verde e il verde che si univa al viola.
Alzai completamente il mio volto verso l'alto, sorridendo.
Non li avevo mai visti così da vicino i fuochi d'artificio, e in quel momento mi parvero la cosa più bella e magica di questo mondo.
Ritornai dopo un po' alla realtà grazie ad uno scossone datomi da una ragazza di passaggio, che facendo urtare la mia mano sul ferro della fontanella mi aveva ricordato della bottiglia che avevo ferma tra le mani.
La poggiai verso il getto d'acqua e la lasciai riempire del tutto.
Ritornai verso Adele, notando con gioia dal suo viso che sembrava già stare meglio.
Fece scivolare la bottiglia tra le sue mani per poi ringraziarmi con un sorriso.
La scolò subito per metà.
“Come stai?”
Le chiesi.
“Ora meglio”
Mi sorrise di nuovo rivolgendomi uno sguardo e poi scendere con un balzo sul terreno.
“Ritorniamo a ballare?”
Mi domandò con convinzione. 
Arretrai stupita.
“Sei sicura?”
“Si”
Strinse tra la mano destra un mio braccio, trascinandomi per l'ennesima volta.
Si notava, però, dai suoi passi un pizzico di stanchezza e disturbo.
Feci finta di non farci caso, presa com'ero dalla situazione che ci circondava.
Era arrivata l'una e mezza quando ritenemmo opportuno tornarcene a casa. Il cielo aveva preso a rimbombare e un vento gelido a percorrere le nostre spalle.
Con il terrore di una tempesta tornammo su i nostri passi.
Salutammo tutti.
“E Zayn dov'è?”
Chiese Adele, mentre io solo guardando i volti dei miei amici mi resi conto che mancava.
“E' andato via”
Sentenziò Lucio con distrazione.
La mia amica rispose con un cenno mentre con una mano mi invitava a starle affianco mentre ci allontanavamo.
La confusione, le luci, le urla si sbiadirono, sempre più lontane.
Per fortuna ci trovavamo in una zona abbastanza illuminata e vivendoci da una vita tutto quel silenzio e quel buio non ci spaventava; camminavamo a testa alta e con un passo moderato.
“E' stata una bella serata, dai”
Affermai io, tra una chiacchiera e l'altra.
“Si” 
Replicò lei con una strana espressione.
“Non ti è piaciuto qualcosa?”
“No..è che...poteva andare meglio forse”
“In che senso?”
Si prese nuovamente il petto tra le mani, per poi passarle un attimo dopo sullo stomaco.
“Devo vomitare Flora, devo vomitare”
Iniziò a ripetere più volte con il viso verso l'asfalto e avanzando a fatica.
“Vomita, allora! Non c'è nessuno!”
Le indicai un angolo dietro ad un palazzo. Lei vi si accostò, chinandosi ed aprendo con forza la bocca.
Restò così per un qualche secondo fin quando capii che se continuavo ad osservarla assorta non si sarebbe mossa.
“Mi giro, tranquilla”
Mi voltai, dandole completamente le spalle.
Avevo l'attenzione verso la strada deserta e verso gli enormi e alti lampioni. In un secondo dal semibuio avanzò una figura magrolina che non impiegò molto a mostrarsi completamente.
Zayn mi stava di fronte, arrancando con il passo.
Mi scrutò in volto con attenzione per poi indicarmi. E in quel momento esatto il rumore del vomito di Diana prese a spezzare il silenzio.
Il ragazzo si scostò a destra delle mie spalle.
“Mi sa che ha bevuto troppo”
Disse, forse tra sé e sé.
Con determinazione le si avvicinò, toccandole un braccio.
“Mi dai una mano?”
Mi guardò dalla sua distanza, facendomi cenno di approssimarmi.
Obbedii e - come lui mi aveva indicato – tenni stretti i capelli di Adele, mentre quella povera ragazza pareva rigettare l'anima.
“Dovevamo incontrarci due volte stasera, era destino”
Esclamò improvvisamente, lasciando cullare i suoi occhi sul mio viso.
Aveva un'espressione in una qualche modo divertita, ma rilassata.
La luce dei lampioni scivolava sulla sua pelle e creava zone d'ombra particolari sul suo profilo e su i suoi tatuaggi, che sembrava mi stessero osservando.
Notai, poi, con distrazione che i suoi occhi erano umidi e rispecchiavano insolitamente i confusi bagliori che ci circondavano.
Arrossii. 
Mi sembrò così attento, diverso, migliore.
“Ho sognato il numero due ed una donna stanotte, tu ci credi ai sogni?”
“Sì, più o meno”
Balbettai più che stranita da quella domanda.
Mi sorrise di nuovo per poi prestare attenzione verso il basso.
La mia amica si rialzò dopo non molto, asciugandosi nervosamente la bocca con il palmo della mano e cercando dalle mie mani un fazzoletto.
Lo estrassi con velocità dalla mia borsetta e glielo porsi.
Lo strappò letteralmente dalle mie mani per poi gettarselo sul viso.
“Grazie”
Mormorò con distacco e vergogna.
“Ma figurati”
Rispose lui tastandosi con soddisfazione le tasche dei jeans.
Cacciò una sigaretta ed un accendino da una, portando la prima alla bocca e usando la fiamma del secondo per accenderla e quindi fumarla.
Si lasciò avvolgere da una nuvola di fumo prima di guardare Adele un'ultima volta.
Io lo osservavo non con gli occhi ma con il cuore spalancato.
Mi metteva paura, non so, ma allo stesso tempo anche una quantità immonda di curiosità e meraviglia.

-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Benvenuti alla mia nuova storia!
Troviamo un'enorme rivoluzione: non tratta più di Louis! Bensì, il nostro protagonista è Zayn.
Ok ok, mi ispirava troppo, non è stata mica colpa mia?
Ci sto lavorando da più di un mese ormai, manovrando tutti i piccoli dettagli al meglio.
Ho assunto anche una meravigliosa beta per eventuali consigli
KoiNoYokan grazie mille di nuovo!
I prossimi quattro capitoli sono già pronti quindi non credo di tardare con gli aggiornamenti settimanali.
Spero vi piaccia quest'inizio e che vi abbia incuriosito.
Al via questa nuova avventura con tutti voi!
*una piccola recensione proprio non mi dispiacerebbe..fa un grande sorriso*
Un bacio.
-Manu
p.s. il titolo di questa fanfiction riprende l'omonima canzone dei The 1975

 
- ZAYN -



(la mia ossessione con i tatuaggi continua anche qui, perdonatemi)

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo ***




Secondo Capitolo
 
Si girò perfettamente nella mia direzione, cacciando un'ultima nuvola di fumo dalla bocca.
Aveva notato il mio sguardo scrutatore e forse ne voleva capire il motivo. Sembrava prossimo a farmi un cenno ma io non glielo permisi, distogliendo immediatamente i miei occhi.
“Dove andate?”
Domandò.
“A casa”
Rispose Adele con secchezza. Capii dal suo tono di voce e dalla sua espressione che voleva andarsene il più presto possibile da lì.
Si avvicinò a me di nuovo, pizzicandomi di nascosto un braccio.
Sussultai per un secondo per poi voltarmi verso di lei. Riscontrai i suoi occhi nei miei; sembrava chiedessero una qualche pietà.
“Dobbiamo andare, ciao”
Gli sorrisi debolmente.
“Ciao”
Ricambiò con una nota di delusione.
Io e Adele proseguimmo, confondendoci con i muri scrostati e i palazzi muti.
E nonostante ci separassero ormai metri e metri da Zayn, mi sembrava di percepire ancora il suo sguardo sulle mie spalle, eppure non volli voltarmi.
Non volevo dargli una soddisfazione o, anzi, sapere di essermi sbagliata.
Preferii rimanere nel dubbio.

 
***
 
Venti anni fa era tutto diverso, era in qualche modo tutto più distante.
Le amicizie non si creavano con le parole, ma con gli sguardi, con le intese.
Le bugie si nascondevano meglio, le verità si aveva sempre paura a confessarle.
A Dicembre faceva più freddo ma lo si soffriva di meno. I maglioni enormi non venivano definiti “i maglioni della nonna” ma “i Maglioni”.
Ci sentivamo alla moda e un po' più speciali ad indossarli.
Poi c'erano le sciarpe lunghe metri e i cappelli di lana. 
Mi domando se i ragazzi di oggi sappiano cosa siano.
C'erano quelle fantasie strane e tristi ma che a noi piacevano tanto, ma soprattutto c'era il telefono fisso.
Non esistevano i cordless, i cellulari e i computer li avevano solo le persone ricche, ma ricche per davvero.
Si doveva stare attaccati ad un muro per parlare, contorcersi alla ricerca della posizione più comoda per colpa di quel maledettissimo filo.
E il suono del telefono era uno, squillante e assordante come nessun altro.
Ricordo ancora quello che mi svegliò la mattina dopo, il 15 mattina.
Mi stringevo sotto il mio cuscino cercando di non fare caso a quel suono, di sperare che quello dall'altra parte si sarebbe presto arreso. Ma più serravo gli occhi e più pareva che quel suono agonizzante aumentasse.
Disperata mi alzai ed afferrai il telefono alla mia sinistra.
“Pronto?!”
“Flora, ciao, sono Massimo”
“Massimo? Che succede?”
Schiarendomi la voce mi preoccupai di quella insolita chiamata, perché Massimo non mi aveva mai chiamato a casa, non ne aveva mai avuto il bisogno. C'era sicuramente qualcosa di strano.
“Ehm..”
Iniziò a balbettare, quasi con vergogna.
“Ci sei?”
“Si, niente, volevo dirti che piaci a Zayn”
“Che?”
“Mi ha chiesto di dirtelo, Flo, non fare tante storie”
Sentenziò con acidità, forse infastidito dall'intera situazione.
Io rimasi in silenzio, incredula a quella rivelazione.
“Flo gli devo dire qualcosa?”
“No! Che gli vorresti dire? Si vedrà”
“Va bene, fate come vi pare. Ciao, ci vediamo”
“Si, ciao”
E in men che non si dica riagganciai, rigettandomi sul letto.
Osservai il soffitto bianco che mi sovrastava pensando e riflettendo su una marea di cose.
Sulla serata di ieri, sulla gente, su Zayn e su di me.
Mi sembrò strano che avesse notato me, che senza farsi troppo problemi lo aveva detto subito a Massimo, che era stato sfacciato e, comunque, coraggioso.
Pensai a me che ricordando le parole del mio amico stavo ora sorridendo, con gli occhi stralunati e vivi.
E' sempre bello sapere di piacere a qualcuno, che quel qualcuno tra tanti abbia visto e notato proprio te.
E' una sensazione strana e nuova quella che si prova ogni volta in questi precisi momenti.
Mi misi in piedi dopo una mezz'oretta, spostandomi verso la cucina.
Erano ormai le undici e decisi di non fare colazione, scombussolata com'ero.
Avanzando verso la finestra notai che il cielo era di un grigio candido e che le strade erano piuttosto bagnate.
“Ha piovuto parecchio stanotte?”
Domandai a mia madre, che nel frattempo era intenta a cucinare per il pranzo.
“Si, una vera tempesta! Non hai sentito niente?”
“No”
Risposi, mentre il mio sguardo vagava ancora oltre il vetro; e tra un pensiero e l'altro mi ricordai di Adele.
“Devo chiamare Adele, ieri non si è sentita bene”
Affermai ad alta voce.
“Che ha avuto?”
“Mal di stomaco, indigestione forse”
Le chiarii mentre avanzavo verso la mia stanza.
Afferrai il telefono rigettandomi nuovamente sul mio letto.
Aspettai alcuni secondi prima di sentire la voce della mia amica.
“Pronto?”
“Adele, sono Flora. Come stai?”
“Ciao Flo! Meglio, grazie, mi sento solo lo stomaco sottosopra”
“E' normale non preoccuparti”
“Che vergogna per ieri, mamma..”
“Ma no, sai quante persone vomitare avrà visto quello”
“Che c'entra! Mi vergogno terribilmente lo stesso, speriamo di non rivederlo mai più”
A quelle parole azzardai una leggera risata e mi convinsi di raccontarle tutto.
“Devo dirti una cosa”
“Cosa?”
“Massimo mi ha chiamato stamattina e mi ha detto che piaccio a Zayn”
“Dici davvero?”
“Si, si”
Scoppiò a ridere, azzardando addirittura dei versi.
“Non lo facevo così sveglio”
“Neanche io”
“E tu? A te piace?”
“Non l'ho visto benissimo, si può dire che non lo conosco nemmeno e..”
“Ok, ma esteticamente, ti piace?”
“Ti ripeto, non l'ho visto benissimo”
“Se, okay, tutte scuse. Non puoi dire che non sia bello. Un po' strano, misterioso certo, ma di certo non brutto”
“No, sic..”
“I tipi misteriosi sono sempre i migliori Flo!”
Si lasciò trasportare da un improvviso entusiasmo, impedendomi quasi di parlare.
“Smettila”
Le ordinai cercando di rimanere seria mentre un sorrisetto mi pizzicava le labbra.
“Devi vederlo assolutamente il prima possibile. Non deve dimenticarsi di te”
Presi a ridere rumorosamente, non ricambiando quella che forse era una provocazione.
“Dico sul serio, Flo! Dove lo trovi un altro così?”
“Va bene, va bene. Vediamo di fare qualcosa, tanto starà con Massimo la prossima volta che ci vediamo tutti”
“Perfetto. Ora devo andare, non mi dire niente Flo. Ciao!”
“Ciao Adele!”
Riagganciò lasciandomi con un sorriso da ebete stampato in faccia.
Mi portai le mani sul viso cercando di trattenere quante più emozioni possibili.
Felicità, meraviglia, allegria, entusiasmo.
Sembravano essere sul punto di farmi esplodere da un momento all'altro, incapaci di contenersi all'interno di me.
Era una bella sensazione dopo tutto, l'eccesso.
Mi alzai di getto e ricordando quegli stessi occhi umidicci ripiombai all'indietro, intimidita dai miei stessi pensieri.

-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccoci al secondo capitolo!
Allora Zayn, chiaro chiaro, dice a Flora (tramite Massimo) che le piace. Questo ci fa capire che è piuttosto sfacciato e impulsivo, alla fine non si erano nemmeno parlati per davvero il giorno precedente. 
Mhm io credo che siamo tutti un po' curiosi della sua prossima mossa.
Che ci nasconda altre sorprese? Staremo a vedere.
Spero vi piaccia.
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF

- ZAYN - 

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo ***




Terzo Capitolo
 
Forse il problema di noi donne è proprio questo: amiamo fantasticare sul nostro cuore. Immaginare che qualcun altro possa strapparcelo dal petto con forza, interesse, improvvisazione e cura. 
Ci piace immaginare quel tipo di felicità che si vive in due. 
Già, il problema sono i romanzetti rosa che ci ostiniamo a leggere, le commedie romantiche che non smettiamo di vedere e i film drammatici su cui non evitiamo mai di versare una lacrima.
Ci ostiniamo a creare un mondo fatto di gioia e certezza, un mondo fatto di cartone. E ci accorgiamo troppo tardi che il cartone sotto la pioggia si frantuma, si sgretola al minimo tocco.
Che non tutto è così facile come sembra, che il detto “gli opposti si attraggono” non è poi così vero, che, alla fine, anche le persone più simili, anche le idee più coordinate hanno sempre qualcosa da polemizzare.
Io e Zayn eravamo diversi da tutti gli altri.
Avevamo qualcosa di simile ma pochissimo in comune, eravamo diversi ma non fino in fondo.
Eravamo quelle vie di mezzo che non accontentano mai nessuno.
Tranne noi, noi ci accontentavamo.
O, forse, facevamo finta di accontentarci.
Lo rividi di nuovo quella sera stessa. 
Ci rincontrammo di nuovo tutti. Si faceva così quando si abitava vicini, non c'erano limiti di tempo, non esisteva la frase “non ci vediamo mai” e neanche quella “ci vediamo sempre” usata come scusa.
Non facevamo caso agli orologi, alle chiacchiere che si ripetevano all'infinito, ai silenzi immensi, al fare sempre le stesse cose.
Ci bastavamo noi; la nostra pelle a contatto, i nostri sguardi su di un unico cammino.
Di quella sera ricordo i profumi. 
Quello delle strade bagnate, quello del pollo di mamma e quello che avevo io addosso.
Avevo rubato un paio di gocce di un profumo costoso che mia mamma conservava gelosamente sul suo comò.
Mi guardai allo specchio e mi sentii più bella.
Mi sorrisi, azzardai qualche posa.
Avevo i capelli nerissimi arricciati dietro le spalle e sul davanti. Gli occhi pesantemente truccati da un ombretto nero e un rossetto rosso ad impiastrarmi le labbra.
Sollevai gli sbuffi della mia gonna a pois e feci un giro su me stessa.
Quella sera mi piacevo.
E mai come allora, mi sentivo speciale.
Lo squillo del mio citofono interruppe le mie risate improvvisate davanti al vetro.
“Vado io!”
Urlai, mentre scivolavo i piedi sul pavimento lucido per fare il più presto possibile.
“Chi è?”
“Sono Adele, scendi”
“Arrivo”
E con un veloce saluto a mia madre scesi in fretta le scale.
Era una strana impazienza la mia.
Un'impazienza che mi sapeva troppo di felicità, di curiosità e di certezza.
Il dubbio non li aveva ancora sfiorati tutti quei miei pensieri.
Ci salutammo e con due espressioni speranzose stampate in faccia ci dimenammo verso le strade deserte della nostra città.
La nostra destinazione era il parco. 
Un luogo di ritrovo per tantissimi ma che per noi era diventato una vera e propria casa.
Avevamo visto e la notte e il giorno, avevamo visto e la pioggia e il sole cocente.
Avevamo visto le foglie ingiallirsi, finire sulla terra e poi rinascere di nuovo.
E quel parco aveva visto noi cadere per poi sorridere, piangere per poi scherzare.
Sorridevo ancora quando le porte arrugginite del parco ci erano davanti.
Le attraversammo per poi imbatterci, dopo pochi passi, in Lucio, Chiara e Massimo, e Zayn.
Rivolsi un veloce sguardo a lui per primo.
Mi incuriosì la sua posizione strana. 
Sedeva ricurvo sull'erba e sembrava star disegnando o scrivendo qualcosa.
Capii, però, che non potevo mettermi ad osservarlo e così distolsi immediatamente il mio sguardo, rigettandolo su quello dei miei amici, che ora mi salutavano calorosi, come sempre.
E lì, in tralice, vidi che anche Zayn si era girato verso la nostra direzione.
Si mise in piedi e pulendosi le mani sul proprio pantalone si fece un po' in avanti.
“Hai il pantalone fradicio Zayn. Cazzo, te lo avevo detto di non metterti seduto sulla terra”
Il ragazzo si guardò dietro, toccando poi il proprio sedere e cercando di ripulire il guaio; ma le mani gli si fecero verdognole. Aveva i polpastrelli pieni di filetti di erba bagnata e fango squamoso.
“Che schifo”
Biascicò per poi guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa con cui pulirsi.
“Ci sta una fontanella qui?”
“Si, sta parecchio più in là però. Vabbé, ti accompagniamo, dai”
Massimo avanzò verso il centro del parco, invitandoci tutti a fare altrettanto.
Camminavamo lenti, improvvisando chiacchiere inutili e senza senso.
Quando arrivammo alla fontanella lasciammo Zayn al suo lavoro.
“Sbrigati però”
Gli urlò Massimo.
“Ragazzi, niente spiagge hawaiane quest'anno?”
Alla nostra destra spuntò Beatrice, una nostra compagna di scuola.
I suoi dentoni bianchi le fuoriuscivano quasi dalle gengive e degli zigomi rossastri per via del sole rendevano i suoi occhi chiari ancora più chiari.
Spalancò le braccia nel tentativo di abbracciare tutti.
“Beatrice! E anche tu sei rimasta qua!”
Lucio le scivolò vicino per primo, baciandole affettuosamente le guance.
Questo gesto attirò l'attenzione di tutti. 
Eravamo sul punto di scoppiare a ridere. Sapevamo che a Lucio infondo piaceva un po' Beatrice.
“Cazzo”
Esclamò Zayn. 
Mi voltai nella sua direzione. 
Lo vidi divincolarsi nel tentativo di pulirsi via tutto quel fango dai pantaloni.
Ma per quanto ci provasse proprio non riusciva a toglierne alcune chiazze posizionate più in basso, lì dove le sue mani non potevano arrivare.
“Vuoi una mano?”
Esplosi, presa forse dalla situazione o forse solo dalla voglia di offrirgli un piccolo aiuto.
Spalancò i suoi occhi sul mio viso e con un cenno del capo disse di sì.
Inumidii un fazzoletto e lo lasciai scivolare sul pantalone, stando attenta a non inzupparlo troppo o a rovinarlo.
“Così va bene”
Zayn si guardò indietro di nuovo per poi toccare leggermente le parti che un tempo erano infangate.
“Si, grazie Flora”
Stava continuando a guardarsi quando io gli appiccicai il mio sguardo addosso.
Mi richiamò la sua voce così delicata e allo stesso tempo sicura, e il modo in cui aveva pronunciato il mio nome.
Era del tutto confidenziale, come se mi chiamasse da una vita, come se ci conoscessimo da sempre.
“Di niente”
Replicai più o meno silenziosamente.
Mi guardò un'ennesima volta prima di abbozzare un piccolo sorriso.
Si tese verso di me e afferrando il foglio che aveva in una tasca me lo mostrò.
“Ti piace?”
“Si...è bellissimo. Sei davvero bravo”
Sentenziai estraniata.
Osservai con attenzione quel foglio.
C'era una scritta con migliaia di decorazioni a cerchiarla.
E c'erano anche tantissimi colori.
Non era forse nulla di straordinario, eppure a me piacque molto.
Mi sembrò dire tante cose quel semplice “midnight”, quel semplice celeste che incontrava il nero senza troppe regole e quel bianco che si intraveda dietro ad un giallo.
Puntai i miei occhi su i suoi.
E per quanto vicini fossimo, quella vicinanza, quella estraneità, quell'inconsapevolezza non mi intimidirono per niente.
“Hai degli occhi bellissimi”
Disse.
Sorrisi ancora di più a quelle parole, rispondendo con un chiaro “grazie”.
“Dove hai imparato a disegnare così bene, tu?”
Mi concessi questa curiosità.
Prima di rispondere si abbandonò ad alcuni secondi di silenzio, riempiti da uno sguardo, che io ricambiai senza troppe domande.
Io e Zayn abbiamo sempre parlato con gli sguardi, le parole non ci bastavano mai.
Ci dicevamo le bugie, ci scambiavano la felicità, condividevamo una lacrima.
I silenzi riempiti con gli occhi, i silenzi preferiti alle parole erano i nostri.
Mi perdevo completamente in lui  e lui si perdeva completamente in me.
Eravamo immersi, migliaia e migliaia di metri di acqua sulle nostre spalle.
Sarebbe uscito per primo il più veloce, il più attento, il più vivo.
Io credevo che nessuno di noi due ne sarebbe mai uscito, che nessuno di noi due avrebbe mai trovato lo spiraglio d'aria fuori le onde.
Io credevo e mi sbagliavo.
Zayn era vivo, io soltanto persa.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Benvenuti a questo nuovo capitolo!
Qui troviamo nuovo contatto tra i nostri due protagonisti, un contatto che appare semplice, scontato ma intenso. E Zayn non demorde la sua sfacciataggine rivolgendosi a Flora con tono completamente confidenziale e diretto.
Troviamo un paio di riflessioni di Flora e l'ultima preannuncia un po' quello che succederà e che scopriremo man mano.
Un percorso verso quelle verità a cui lei vuole puntare con tutti il suo cuore.
Ok, per il momento probabilmente vi sembrerà tutto molto confuso ma vi garantisco che ogni cosa a tempo debito si farà sempre più chiara.
Voi sarete con lei, vero?
Spero vi piaccia.
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF

 
- ZAYN -


 

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo ***




Quarto Capitolo
 
“Hai finito Zayn?”
Chiara si girò verso di noi, puntando il suo sguardo sul pantalone di Zayn.
“Si”
Rispose lui mentre si dava un'ultima aggiustata.
Guardò l'altra in viso, abbozzando un piccolo sorriso e poi spostarsi in avanti.
Ma dopo soli due passi si rigirò verso di me.
“Vieni?”
Mi accostai a lui immediatamente, senza batter ciglio.
“E tu chi sei?”
Beatrice spalancò la bocca in un sorriso enorme sul volto di Zayn. Socchiuse le palpebre per poi tendere la mano in avanti.
“Piacere, io sono Beatrice”
Zayn la strinse con evidente decisione, presentandosi a sua volta.
La ragazza gli concesse un ultimo sguardo attento prima di fuggire via, scusandosi per uno strano impegno.
Lucio, nonostante tutto, continuò a guardarla imbambolato, fin quando la sua chioma biondastra non si confuse dietro gli alti alberi e poi le strade trafficate.
Preso dalla distrazione, Massimo gli si avvicinò furtivamente al collo sferrandogli uno schiaffo dietro la nuca.
Lucio sobbalzò e urlò, rigettandosi all'indietro nel tentativo di vendicarsi.
A tutti, a quella scena, scappò un'enorme risata rumorosa.
“Ah bell'innamorato!”
Lo prese in giro Massimo mentre iniziò ad allontanarsi, con la paura di essere preso seriamente a botte.
“Sei uno stronzo Massimo!”
Gli urlò Lucio, più infastidito che arrabbiato.
L'altro lo stava a guardare da lontano, mantenendosi una mano sullo stomaco per le troppe risate.
“Scemi andiamo”
Chiara iniziò ad oltrepassare il ponte che collegava i due lati del parco, divisi per mezzo di un laghetto verdognolo. Con un cenno del capo ci invitò a seguirla, e lentamente le ci avvicinammo.
Zayn mi era al lato. Pochi centimetri dividevano i nostri corpi. 
Di tanto in tanto gli lanciavo un'occhiata in tralice, curiosa di sapere dove guardasse.
La sua attenzione era diretta ai suoi piedi, ma in verità sapevo che stava solo pensando a qualcosa, immerso come la sera precedente tra la sua probabile miriade di pensieri.
Solo quando giungemmo dall'altra parte si distrasse, guardandosi intorno.
Girò completamente il suo corpo verso gli alberi che ci circondavano, verso i rami che ci sovrastavano e verso i fiori che spuntavano seminascosti tra l'erba più o meno alta.
“Non c'erano parchi del genere a Milano?”
Gli sussurrai incuriosita questa domanda, incollando il mio viso sul suo.
Mi osservò stranito.
“Si...ma ogni parco è diverso a modo suo. Vedi, quei fiori viola laggiù, ad esempio, non ci sono a Milano”
Indicò alcuni fiori alla sua destra. Avvicinai il mio sguardo e non impiegai molto ad intravederne alcuni.
“Quelle sono ortensie”
Zayn riprese il suo sguardo su quelle piante. Pareva rivolgerle un'attenzione ancora maggiore.
“Sono molto belle”
Esclamò con il viso che sembrava disorientato e incantato.
“A te piacciono?”
D'improvviso si rivolse a me. Uno strano sorriso gli incorniciava il viso, dando vita a delle sottili grinze attorno agli occhi.
“Si, mi piacciono molto tutti i tipi fiori”
“Anche a me..c'era da aspettarselo da una che si chiama Flora
Rivolgendomi un piccola spinta di confidenza si spostò un po' più in là e appoggiandosi per terra ne strappò uno.
Lo avvicinò alla mia mano, invitandomi a prenderlo.
“Grazie”
Gli dissi con una voce squillante e inaspettata.
Lui non replicò una parola di cortesia, si limitò a sorridere.
Non verso di me, verso terra.
Verso l'asfalto mischiato alle crepe d'erba.

Ci spostammo, infine, verso un ampio spazio verde costellato da panchine e tavoli da picnic. Non c'erano molto persone, solo alcuni bambini che giocavano a pallone e che si rigettavano sull'erba fresca e fangosa, e alcuni anziani che seduti sulle panchine ferrose e arrugginite contemplavano il venticello che di tanto in tanto spostava le foglie.
Zayn mi afferrò per un braccio.
La sua stretta decisa mi parve per un attimo dolorosa. Ero sul punto di gettare un piccolo urlo quando mi rivolsi involontariamente verso il suo viso.
Aveva gli occhi all'infuori e la fronte lucida per via del sudore. Le sopracciglia gli si erano incurvate in un'espressione non semplicemente felice, ma entusiasta.
Restai a guardarlo con la bocca spalancata fin quando non riconfermò la sua stretta per trascinarmi verso un tavolo.
“Oh! Sediamoci qui”
Portandosi una mano alla bocca urlò ai nostri amici rimasti indietro di raggiungerci.
Dalla nostra distanza notai i loro sguardi confusi che si trasformarono ben presto in sguardi rassegnati.
Scalarono la piccola discesa lentamente, stando attenti a non scivolare.
“Potevamo sceglierci un posto migliore eh”
Sbuffò Massimo con lo sguardo puntato per terra, spaventato dalla probabilità di inciampare in un fosso. 
Zayn li guardava sostenendo un sorrisetto sotto i baffi.
“Sediamoci dai”
Con un balzo infilò una gamba e poi l'altra nello stretto tavolo da picnic.
Provai ad imitarlo. 
Stavo stendendo la prima gamba quando mi ricordai di avere la gonna. Mi ritrassi indietro sperando di non attirare eccessivamente lo sguardo di Zayn. Afferrai in fretta i lembi del vestito e lo strinsi intorno alle cosce, approssimandolo ad una specie di pantalone. E mantenendo la stretta mi infilai a mia volta.
Nascosi gli occhi sul tavolo.
Zayn intanto iniziò a tamburellare furiosamente le dita sul legno leggero e  rovinato. Sembrava stranamente tormentato. 
D'impulso osservai le sue dita, accorgendomi di un enorme tatuaggio posizionato sulla mano sinistra.
Sembrava una specie di ragnatela mista ad uno strano disegno ad uncinetto. Gli incorniciava perfettamente il dorso, quasi a sembrare un guanto bucherellato.
Lo osservai per parecchio quasi come assente e solo in quel momento, solo a quella vicinanza mi accorsi di quanto fossero enormi, neri e numerosi i suoi tatuaggi.
Mi accorsi di quanta poca pelle si intravedesse tra un disegno e un altro, tra un colore e tra una scritta.
Facevano uno strano contrasto con la sua pelle scura e spigolosa, con le sue vene robuste che fuoriuscivano quando contraeva i muscoli.
In tralice mi misi ad osservarlo meglio, a spostare per quanto potessi i miei occhi sul resto del braccio.
Facevo quasi fatica a distinguerli gli uni dagli altri da quella mia posizione troppo vicina e allo stesso tempo troppo poco attenta.
Riuscii solo a distinguere un enorme serpente posizionato sulla spalla destra. Era rannicchiato su stesso e dal suo corpo fuoriusciva lunga, oltre la spalla, quasi sul braccio, la sua testa che terminava con la tipica lingua biforcuta.
Quel serpente mi rabbrividì per un attimo, destando dentro di me una strana sensazione. Era come se la paura si fosse unita irrimediabilmente alla curiosità dando vita ad un qualcosa di irrequieto e parecchio difficile da gestire. Mi resi conto che non riuscivo più a comportarmi con la mia solita sfacciataggine, con la mia lingua lunga, con la mia voglia di immedesimarmi nell'altro.
Lo vedevo troppo troppo diverso da me Zayn in quel momento.
Con la sua pelle nera in contrasto con la mia chiara, con i suoi pensieri in lotta con le mie parole sincere, con i suoi occhi scuri incastrati con i miei chiari.
E a me, infondo, le differenze senza ritorno non erano mai piaciute.
Si portò poi una mano sulla spalla che stavo osservando, grattandosi con una certa delicatezza. La spostò anche sul braccio e finì con l'intrecciare le sue mani.
“E' proprio una bella sera”
Si disse ad alta voce, girandosi verso di me. 
Annuii con convinzione osservando il cielo.
Ero rimasta al cielo grigiastro e ora guardandomi in alto non vidi altro che un cielo blu, limpido, rischiarato dalla luce immensa della Luna e di alcune stelle.
Quando Massimo, Lucio, Chiara e Adele si sedettero con noi, quel mio momento di osservazione terminò, distratta dalle loro chiacchiere e dalle loro risate rumorose.
“Zayn ma tu lavori?”
Lucio richiamò lo sguardo di Zayn su di sé, incrociando le braccia al petto con la speranza di iniziare una conversazione seria e interessante.
“Si, nel locale di mio padre. Un bar qui in zona”
“Quale?”
“Bar Rosso”
“Mai sentito”
“Abbiamo aperto da poco infatti. Un paio di settimane forse”
La conversazione cadde precipitosamente con queste ultime parole. 
Il tono di Zayn si fece più lontano, distratto e annoiato, e aggiungerei, infastidito. Sembrava non volesse dire troppe cose su stesso.
Voler restare nell'ombra e nell'incertezza ancora per un po'.
Lo guardai in volto.
Già sentivo che mi sarebbe bastato così poco per capirlo.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eccoci al quarto capitolo!
Non so voi, ma questa seconda settimana di scuola è stata per me a dir poco stressante, non ho avuto un minuto libero. Per fortuna, però, è finalmente arrivato il tanto delizioso sabato di relax. 
Allora, tornando a noi, questi capitoli iniziali stanno lasciando man mano briciole della vita e del carattere di Zayn. La miriade di tatuaggi (adoro, adoro, adoroooo), la testa continuamente tra le nuvole e questa estrema e ambigua riservatezza. Insomma, un bel po' di mistero che non a caso rende Flora sempre più curiosa e attenta.
Non vi anticipo nulla se non che nei prossimi capitoli ne vedremo delle belle.
Spero vi piaccia.
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF

 
- ZAYN -



(bellino proprio)

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Capitolo 5
*** Quinto Capitolo ***




Quinto Capitolo
 
Lucio, dal suo canto, si ritrasse. Sembrava fosse infastidito dal suo tono di voce e dall'espressione di svogliatezza che stava prendendo vita sull'altro.
Si girò verso Massimo, nel tentativo di riprendere almeno la sua di attenzione.
“Andiamo a giocare un po' a pallone?”
“Con quale?”
Sbuffò con sorpresa Massimo.
“Quello di quei ragazzini, ci uniamo a loro, che ci frega”
“Lucio ma dai”
Gli afferrò un polso portandoselo verso di sé.
“Mi sto annoiando troppo”
Lo tirò sempre di più fin quando non si mise in piedi, costringendo anche l'altro a fare altrettanto.
Massimo sospirò più e più volte fin quando non si allontanarono del tutto.
Adele e Chiara mi guardarono per un secondo con fare furtivo per poi spostarsi su Zayn. 
E senza essersi parlate o scambiate alcuno sguardo si misero in contemporanea in piedi. 
“Andiamo a vedere un po' il laghetto. Chissà se sono rimasti dei pesci là”
Sbrigarono, prima di sparire oltre un piccolo cerchio di alberi verdi e folti.
Rimanemmo soli.
Mi chiesi immediatamente se tutti lo avessero fatto apposta, se si fossero messi d'accordo o se, invece, fosse stato solo un brutto scherzo del destino.
Ci riempirono parecchi minuti di silenzio. Si muovevano solo le nostre palpebre e le dita di Zayn, che avevano ripreso ad agitarsi senza sosta.
D'improvviso si arrestò con un ultimo grande colpo sul legno.
Sussultai presa alla sprovvista, portandomi una mano lenta al petto.
“Scusami!”
Urlò lui, poggiando una mano sulla mia spalla.
Lo guardai, finalmente con gli occhi dritti, scoperti e chiari.
“No, figurati”
Gli risposi concedendomi un sorriso divertito.
“Stavo pensando troppo. Mi capita”
“Capita a tutti”
Mi guardò un'ultima volta stranito per poi osservarsi intorno con silenzio.
“Ci vieni un attimo con me?”
“Dove?”
“Là, dove sono i fiori”
Con un dito mi indicò l'altro lato del parco, quello dove eravamo stati poco prima.
Con i prati verdi e immensi, che dalla nostra distanza, sembravano di mille colori.
“Lo dico ai ragazzi semmai”
Balbettai io.
“Ma no, si stanno divertendo parecchio, resteranno ancora qui per parecchio. Poi figurati se non ci aspettano”
Cercò di rassicurarmi e poi prendere con decisione di nuovo il mio polso.
Stavolta fui sul punto di fermarlo, di strattonare la sua mano dalla mia e mandarla lontano.
Appoggiai velocemente le mie dite sulle sue e le incastrai negli spazi. D'un tratto, però, lui appoggiò anche l'altra mano rendendo impossibile una mia via di fuga.
Mi voltai verso i miei amici.
Verso Lucio e Massimo che stavano giocando, assorti in una partita di calcio con un bambino di poco più di dieci anni e verso Adele e Chiara che stavano chiacchierando, ridendo e contemporaneamente contemplando il laghetto scuro.
Li guardai con perplessità.
“Flora, non preoccuparti davvero”
E qui la sua stretta si trasformò in una carezza, in un semplice gesto d'affetto e di sollievo.
Il cuore mi si fermò, la mente mi si annebbiò. 
Accennai un “va bene”, lasciandomi trascinare.
Con quanta facilità era stato capace di cambiarmi?

Quando arrivammo dall'altro lato il cielo era ritornato nero.
Una nuvola enorme aveva ricoperto la Luna, rendendola invisibile.
Il venticello si era trasformato in vero e proprio vento, e le foglie non venivano più solo spostate ma piuttosto sollevate del tutto.
Mi sembrò strano un cambiamento del genere, erano passati poco più di dieci minuti dal cielo chiaro e sicuro.
Camminammo ancora per alcuni passi, oltrepassando il prato verde con i fiori colorati.
Mi arrestai dinanzi a loro.
“Zayn, i fiori sono qui”
Lo fermai con sicurezza.
Lui si girò verso di me, osservando i fiori che mi erano a lato.
“Ce ne sono di più belli là”
Sentenziò deciso e incurante.
“Vieni dai”
Tornò indietro alla ricerca del mio braccio.
Questa volta, però, decisamente non glielo permisi. Scostai la mia mano portandola dietro la schiena.
“Dove vuoi portarmi?”
“Più in là, ti ho detto che ci sono fiori più belli”
Guardai altrove, ma i miei occhi non riuscivano a vedere altro che buio e vasti prati incolti e vuoti.
“Non c'è niente là”
Gli indicai con il mento la zona. 
Aveva scelto la persona sbagliata da prendere in giro.
Io non mi fidavo, non conoscevo neanche il cognome di quel ragazzo dai capelli neri e la pelle scura che mi era di fronte. Non conoscevo il suo passato e né tanto meno il suo presente.
Tutta la mia curiosità sparì, tutto quell'interesse, tutti quei pensieri sognati verso il soffitto biancastro di casa mia dissolti.
Solo una cosa riecheggiava sicura nella mia mente: dover scappare via.
E così iniziai ad indietreggiare, un passo dopo l'altro, non distogliendo per un attimo il mio sguardo dal suo.
“Flora ma che fai?”
Mi chiese con la voce stordita.
“Non li voglio vedere i fiori io, Zayn, torniamo dai nostri amici”
Incominciai ad indietreggiare con passo più svelto.
Ormai ci distavano parecchi metri.
Zayn mi guardò nel semibuio, spalancò gli occhi.
La pelle sembrava essersi assottigliata sugli zigomi a quell'espressione e le pupille ingrossate e accese.
Portò il viso verso terra.
“Possiamo restare almeno qui?”
Mi indicò i fiori alla mia sinistra, avvicinandosi con calma.
Li osservai a mia volta per poi rigettare un ultimo sguardo verso l'altro lato del parco, là dove erano i nostri amici.
Intravidi a pochi passi da noi, oltre alcuni cespugli, i visi di alcune persone e mi dissi che se qualcosa fosse andato storto avrei potuto gettare un urlo e quegli uomini e quelle donne non avrebbero impiegato molto a raggiungermi.
Così, rassicurata da quelle figure accennai un “si” con la faccia e lasciai andare le mani sul davanti.
Zayn allontanò lo sguardo da me e si mise seduto tra l'erba, tra un piccolo spiraglio verde, lì dove i fiori non lo completavano del tutto.
Stese la mano e ne strappò uno. Afferrò lo stelo con forza e se lo portò tra le dita.
Alzò il volto verso di me, guardandomi sbalordito. Sembrava che il fiato gli si fosse sospeso.
“Siediti”
Mi disse. Il suo non sembrò né una domanda, né un invito e né una cortesia, più una specie di ordine.
Gli obbedii lenta, accostandomi di fronte a lui. Raccolsi nuovamente i lembi della mia gonna e, con un piede alla volta, mi trascinai sull'erba.
Radunai le mani sul vestito, facendo forza, con la speranza di non far intravedere nemmeno un lembo di pelle.
Zayn riprese a strappare un altro fiore e un altro ancora, e tutti continuava a portarli, ad intrecciarli tra le mani.
“Che stai facendo?”
Gli chiesi, sporgendomi verso di lui. Ma lui si ritrasse, scuotendo il capo.
“Lo vedrai fra un po'”
Mi rigettai all'indietro, stranita e con la curiosità che ora si stava riprendendo e che nel suo piccolo stava soffocando.
E dopo aver strappato una decina di fiori ed averli avvicinati ed uniti gli uni agli altri, capii che si trattava di una semplice corona di fiori. Legò il tutto con un doppio filo che strappò da una tasca del pantalone.
Allungò le mani in alto e me la mostrò.
“Ecco qua”
Mi avvicinai per sfiorarla. Soffice, umida, fredda ma colorata. Mi ricordava la mia infanzia e quella mia mania del raccogliere quanti più fiori possibili per poi essere costretta a nasconderli sotto il mio cuscino.
D'un tratto si avvicinò precipitosamente a me. I nostri visi distavano pochissimi centimetri. Non ci eravamo mai visti così da vicino e in quello sguardo incontrai perfettamente, per la prima volta, i suoi occhi color nocciola. Parevano illuminati da una strana luce, forse una luce propria.
Rimasi immobile al mio posto, incantata da quella strana magia che erano capaci di trasmettermi. Mi ritrassi, però, pochi attimi dopo quando la realtà mi si ripresentò davanti e il buio che ci circondava sembrava fare pressione sulla mia mente e sul mio corpo. 
Zayn, a quel mio gesto, si ritrasse a sua volta preso di sprovvista. 
Si permise una risata rassegnata mentre si rimetteva poco lontano.
“Volevo solo mettertela in testa”
Arrossii nel giro di qualche secondo, sperando con una risata di smontare il tremendo malinteso che avevo pensato e creato.
E avvicinandomi di nuovo verso di lui mi lasciai poggiare quei fiori sui capelli.
Osservò la sua creazione con fare soddisfatto e un' incurvatura piacevole sulle labbra.
D'istinto mi immedesimai nel suo sorriso e lo imitai, perfettamente e irrimediabilmente.
“Lì c'erano dei fiori più adatti ad una collana”
Indicò la distesa verde oltre le sue spalle, facendo spallucce per poi raccogliere distrattamente altri piccoli fiori.
Ne strappava i petali con confusione e silenzio, e un'espressione buia e vuota, piano piano, prese a ricoprirgli il viso.
Lo stava rifacendo. 
Si stava riperdendo in una miriade di sconfinati pensieri.
Il cuore mi si gelò e le labbra si seccarono inevitabilmente. 
Iniziai a provare uno strano senso di colpa, uno strano stato di disagio e mi sembrai così sciocca, assurda e patetica nell'aver pensato così male di lui, nel aver pensato che volesse solo usarmi e farmi del male, nell'aver pensato al peggio e mai, nemmeno per un attimo, al meglio.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! allora..SCUSATEMI. Sono passati ben 15 giorni dall'ultimo aggiornamento ma non ho potuto fare altrimenti. La scuola mi sta risucchiando nel vero senso della parola, non ho un minuto di libertà. Fortunatamente avevo il capitolo pronto e dopo una veloce correzione l'ho immediatamente pubblicato.
Allora, qui, troviamo una Flora che per la prima volta prova paura di fronte ad un Zayn che appare troppo troppo misterioso, tant'è che la nostra ragazza pensa al peggio. Ma alla fine tutto si risolve per il meglio e il nostro ragazzo si dimostra infinitamente carino. Tuttavia eccolo lì che ripiomba nei suoi pensieri, ma cos'avrà da pensare così tanto?
Mhm lo scopriremo.
Buona lettura!
Al prossimo.
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF
 
- ZAYN -


 

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Capitolo 6
*** Sesto Capitolo ***



Sesto Capitolo
 
Continuava a raggomitolarsi nei suoi pensieri. 
Ai miei occhi mi sembrò sordo e completamente assente, iniziò anche a farmi paura. Mossi il mio sguardo altrove per poi riporlo nuovamente sulle mie gambe. Restammo in silenzio per alcuni istanti fin quando qualcosa dentro di me si rese conto che così proprio non si poteva continuare.
“Cosa stai pensando?”
Gli chiesi, con la voce svelta e chiara e gli occhi puntati sulla sua figura ricurva.
Alzò lentamente la testa verso di me, con lo sguardo vitreo e la bocca serrata. Rimasi di pietra, mentre lui continuava a non smuoversi dal suo silenzio.
Pensai di averlo infastidito, di aver osato troppo e, così, in preda alla vergogna, cercai di ritornare a qualche minuto prima.
Quel suo ambiguo silenzio mi ghiacciò il sangue. Mi resi conto che quella che mi era davanti era una persona più che strana, con i demoni che fuoriuscivano dal corpo instancabili.
Il vento riprese il suo movimento furioso, scostando violentemente i miei capelli. Iniziai a sbraitare tra me e me cercando di tenerli fermi sulle spalle.
Zayn alzò completamente la testa abbozzando uno sguardo, prima stranito e poi leggermente divertito.
E improvvisamente si mise in piedi. Si scostò l'erba dai pantaloni, schiacciando distrattamente i fiori con cui aveva giocato poco prima.
Sgranchì la schiena per poi osservare oltre il ponte.
“Ora devo andare”
Mormorò. Feci fatica a sentirlo.
“Cosa?”
Mi guardò dall'alto, con il suo solito sguardo confuso.
“Devo andare. Salutami i ragazzi”
Afferrò una sigaretta dalla tasca, serrandola tra le labbra.
Era sul punto di accenderla quando se la riportò tra le mani.
“Ciao Flora”
Mi disse, tremando quasi con la voce. Pareva avesse vergogna o, addirittura, paura.
Iniziai a sentirmi confusa a mia volta, mentre lo vedevo allontanarsi e confondersi con le ombre del parco.
Mi misi in piedi velocemente, cercando di stargli dietro.
Pochi passi ci dividevano.
“Zayn, dove vai?”
Gli chiesi. La gola mi si fece secca, mentre una voce rauca si fece spazio tre le mie corde vocali. Gli occhi si rimpicciolirono in due fessure. 
Lui si fermò, voltandosi per metà verso di me. Mi squadrò da capo a piedi in silenzio.
“Devo andare”
Ripeté prima di riprendere il passo. 
Rimasi immobile, osservando la nuvola di fumo che lo accerchiava e quell'aria preoccupata farsi sempre più spazio sul suo volto.
Il mio respiro si sospese per poco, fin quando decisi di dirigermi a passo svelto dall'altra parte.
Durante quel cammino, che assomigliava più ad una corsa da vero film horror, mi domandai ossessivamente cosa gli fosse preso.
Giunsi alla conclusione che qualcosa lo turbava, ma turbava per davvero.
“Flora..”
Adele arrestò le sue chiacchiere con Chiara quando mi vide venirle incontro. La sua faccia era a dir poco preoccupata e sbalordita.
Si mise in piedi per poi raggiungermi.
Lui dov'è?”
Mi chiese con gli occhi che cercavano di sfuggire ai miei. Io mantenni lo sguardo basso per poi rivolgerle, con una finta sicurezza, una risposta.
“Se n'è andato, aveva da fare”
Abbozzai un sorriso.
Adele spalancò gli occhi. 
Proprio non riuscivo a mentirle.
“Tutto bene?”
Riprese, concedendosi un tono di voce basso e timoroso.
“Si, davvero. Ci siamo divertiti, è stato carino”
Mi squadrò anche lei per poi fermarsi sulla mia testa. 
Tastai i miei capelli, accorgendomi della collana di fiori che ancora si intrecciava tra i miei nodi.
La rimossi con lentezza. Alcuni fiori si sgretolarono tra le mie mani, altri si agganciarono inevitabilmente a qualche ciuffo.
La osservai tra le mie mani con un certo divertimento.
“Me l'ha fatta lui”
Le dissi, mentre continuavo serrarla tra le mie dita.
“Che carina”
Sentenziò, accarezzandola a stento a sua volta.
Dopo un po' portò una mano sulle mie spalle.
La sua mano era stranamente fredda e umida. Rabbrividii prima di osservarla attenta in viso.
“Andiamo dai ragazzi”
Si avviò verso i nostri amici, che non avevano fatto altro che osservarci per tutto il tempo. I loro visi erano un misto tra il preoccupato ed il rassicurato.
Rivolsi anche a loro un sorriso, mentre i miei occhi cominciavano ad inumidirsi.
“Com'è andata?”
Mi chiese Lucio, con lo sguardo sicuro ed entusiasta. Lo osservai assente per un istante per poi rispondere con il solito e schematico “bene”.
La nostra serata non durò per molto altro tempo, sarà stata un'ora o forse poco più di due.
Il viso di Adele non riusciva a staccarsi dalla mia figura silenziosa, buia, racchiusa su stessa. 
Lo stomaco mi faceva male, lo sentivo tremendamente vuoto e contratto su stesso. Pensai che forse quella era la sensazione della delusione.
Perché mi ero aspettata chiacchiere di affetto e avevo ricevuto chiacchiere in difetto.
Ripercorsi i suoi occhi nel mio silenzio, quegli occhi che riuscivano a trasformarsi in un istante, a nascondersi nel buio di se stessi. 
Pensai che se mai ci saremmo rivisti mi avrebbero dato del filo da torcere, mi avrebbero chissà quante volte illuso e disorientato.
E pensai che forse la colpa non era la sua, che c'era di più. Qualcosa che non controllava ma che voleva nascondere.
Alzai il volto istintivamente verso Massimo, fissandolo.
Lui si girò verso di me con gli occhi terrorizzati.
“Flora..”
Biascicò con voce stridula.
“Che c'è?”
“Da quando conosci Zayn?”
Gli chiesi, senza fare giri di parole o perdermi in stupide preoccupazioni.
“Beh..un paio di settimane. Perché?”
“Dove lo hai conosciuto?”
“Nel mio palazzo, si è trasferito da poco. Ve l'ho detto”
Disse, cercando conferma sulle facce degli altri.
“E cosa sai di lui?”
“Quasi niente..quello che ha detto anche a voi. Flora, ma perché queste domande? E' successo qualcosa?”
Si scostò verso di me, intrecciando le braccia al petto con fare attento.
Scrollai la testa verso destra e sinistra.
“No, era per sapere. Non mi ha raccontato molto di sé”
“Non lo fa con nessuno”
Disse Lucio, intromettendosi infastidito.
Massimo guardò prima lui e poi me.
“E' carattere Flora, vedrai che piano piano si scioglierà”
Appoggiò con forza una mano sulle mie spalle rinchiudendomi sotto di sé affettuosamente.
“Poi gli piaci, gli piaci per davvero. Fidati”
Mi rivelò furtivamente, cercando di non darlo a sentire anche agli altri.
Gli sorrisi, immergendomi ancora di più nel suo abbraccio.
“Già. E' carattere”
Confermai, ritornando a poco a poco sui miei passi.
Quando ritornai a casa il dolore allo stomaco era ancora lì. Ribolliva su stesso, infiammandosi come se fosse all'inferno.
Mi diressi in bagno per fare una doccia e poi verso la mia stanza, gettandomi così sul letto.
Mi volsi sul lato destro, raggomitolandomi sotto il sottile lenzuolo.
Avevo gli occhi sbarrati sulla camera buia, verso il balcone con la persiana aperta per metà. 
Il mio sguardo si perse verso le luci che illuminavano a stento le strade e verso i palazzi scoloriti, accantonati gli uni sugli altri.
Mi tormentai confermando tra me e me il fatto che Zayn nascondeva qualcosa, che c'era qualcosa che proprio non voleva mostrare di sé.
Che i suoi pensieri erano unici e che fosse diviso tra scelte buone e cattive.
Che fosse diviso tra bene e male.
Ed io, terribilmente, dovevo sapere di cosa si trattasse.

-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! E sono passati altri tredici giorni..sono imperdonabile. Solita colpa della scuola, davvero, quest'anno sono in continuazione con l'acqua alla gola. Questo era l'ultimo capitolo che avevo pronto e quindi ora BUH non so neanche io cosa succederà nei prossimi. Spero, spero, spero di riuscire a scrivere il settimo sabato prossimo e pubblicarlo immediatamente o al massimo il giorno seguente.
Comunque, qui troviamo Zayn al limite della sua chiarezza; è diventato un ragazzo estremamente misterioso tanto che Flora si dice "ora devo capirci qualcosa, cazzo" (immaginiamola così dai).
Chissà cosa scoprirà la nostra protagonista e cosa si cela dietro ai pensieri del nostro affascinante ragazzo.
Spero vi piaccia!
Al prossimo!
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF
p.s. in tutto ciò io devo ancora decidere il prestavolto della nostra protagonista, voi avete già un'idea?

- ZAYN -


 

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Capitolo 7
*** Settimo Capitolo ***



Settimo Capitolo
 
“Come siamo finiti così?”
Non faccio altro che domandarmelo. In continuazione. Mi sembra di leggere questa domanda ovunque. Sulle pareti olivastre di casa, sui vetri delle finestre, sul grande orologio in cucina e proprio qui, nel té, che con fatica sto cercando di buttare giù. Lo rimescolo in continuazione con il cucchiaino e ne bevo alcune gocce; è diventato freddissimo. E' da buttare.
Una mano appoggiata svogliatamente sul lato destro della faccia e i capelli disordinati raccolti per metà. 
In casa non si sente un rumore, c'è il silenzio e il buio.
Ogni tanto qualche macchina sfreccia sotto il balcone per poi sparire oltre i palazzi, oltre le strade. 
Katelin è in camera. Non credo stia dormendo, si starà sicuramente divertendo con tutti i giocattoli che non fai altro che comprarle. Non le fai mai mancare uno sfizio, Dio, sta diventando viziatissima...ma rimane sempre e soltanto dolce. 
Katelin, Katelin, Katelin, le maestre dell'asilo le fanno sempre i complimenti sul nome, dovresti vedere come è contenta. E' tutto merito tuo, no? Dicesti che dovevamo darle un nome inglese, per via delle origini di tua madre. Dicesti che con un nome inglese le sarebbe stato più facile sentirsi un piccola principessa. E' strano, la moglie di William, la nuova principessa d'Inghilterra, si chiama proprio Kate. Si avvicina terribilmente al suo nome, quasi avessi predetto il futuro.
A volte mi domanda di te, anzi, di noi. Mi guarda con quei suoi occhioni verdi e le labbra all'ingiù: “Mamma, perché papà non abita più con noi? Non vi amate?”
Non puoi immaginare il mio tormento, la mia paura, il mio disorientamento. Le rispondo ogni volta la stessa cosa: “Siamo parecchio diversi, litigavamo soltanto”. Nient'altro che una bugia, una bugia. Di quelle che tutti i genitori separati dicono ai propri figli. Ma sai una cosa? Io faccio l'eccezione, neanche io so qual è la verità. 
Già. Eccola di nuovo: “Come siamo finiti così?”
Divisi senza un concreto e reale motivo. C'era amore, forse troppo, e c'erano urla, forse troppe anche queste. I nostri caratteri così diversi che avevano imparato ad essere così simili hanno deciso di allontanarsi. Per sempre. Per sempre? Neanche qui so darmi una risposta.
So solo che ti penso, spesso. Sarò sincera: sempre.
E' che la mia pelle profuma ancora troppo di te e ad ogni angolo, dietro ogni muro, mi sembra di sentire l'odore delle tue sigarette. Quelle di una vita, che non hai mai abbandonato, neanche per un secondo. Anche quando, con una mano sul pancione e l'altra sulla tua spalla, ti urlavo: “Smettila, fai male alla bambina!”
Quanto cazzo sei e sei stato testardo. 
Ricordo i tuoi occhi verdi girarsi verso di me, rimpicciolirsi, e la tua bocca schiudersi in una bestemmia. 
Dicevi: “Io faccio quello che mi pare!” con le vene che si ingrandivano a dismisura sul collo e le tue mani che si agitavano furiosamente all'aria. E dopo facevi quello che hai sempre fatto: scappare.
Le responsabilità non ti sono mai piaciute, i doveri, le regole. Ti definivi “libero” e lo rivendicavi in ogni occasione.
Quanto sono stata paziente ogni volta, quante lacrime ho trattenuto, quante bugie ho detto solo perché ti amavo con tutto il mio cuore. 
Ti amavo, ti amavo, ti amavo. Dalla radice dei miei capelli alle punta dei piedi. Un amore senza confini, talmente grande che mi pareva fuoriuscisse dalla mia pelle.
Ed un amore così grande non può sparire, non può.
Ci pensi spesso anche tu a queste cose, Zayn?
Lo spero.
Chissà, forse sei troppo distratto a pensare a te stesso e a tutti quei tatuaggi che proprio non vuoi smettere di farti. 
Mi promettesti che era l'ultimo dieci tatuaggi fa.
Che ossessione la tua.
Quante ossessioni sono le tue!
Tutto quello che toccavi diventava un'ossessione e lo sono stata anch'io, vero?
E chi le dimentica tutte quelle attenzioni che mi davi, tutti quei regali, tutte quei baci, tutte quelle carezze che mi sfioravano quasi fossi il bene più raro e prezioso del mondo.
Le tue mani nei miei capelli e i tuoi occhi nei miei, incastrati perfettamente, serrati con il lucchetto.
Mi sussurravi di continuo: “Ti amerò”. La prima volta replicai: “Perché, ora non mi ami?” Mi rispondesti che il futuro era il tuo tempo preferito perché ti sa di infinito e di spazi senza limiti, che il presente è piatto e rinchiuso tra le sue pareti mentre il futuro, il futuro non ha bisogno di nulla e, soprattutto, non ha regole.
Proprio come te.
Sento un nodo alla gola, credo di star per piangere. Ricordare alcune cose mi fa fin troppo male, dovrei smetterla.
Sono le cinque del pomeriggio, ti sto aspettando e ti penso.
Anni fa di solito a quest'ora scrivevo, ora non ne ho più voglia. Tu dicevi che era inutile scrive, tutta fatica sprecata. Rimproveravi il mio taccuino e la mia mente concentrata. Eppure ti piacevo anche così, con i miei bisogni e i miei piaceri che proprio non ti scendevano giù.
Mi guardo allo specchio della nostra vecchia camera e mi sembra di vederti sempre al mio fianco. Con i nostri anni passati sulla pelle e sulle occhiaie. Siamo bellissimi insieme. Penso che tutti ci avrebbero invidiato.
Sorrido e vedo una tua mano ferma sulla mia spalla destra. Distolgo lo sguardo dallo specchio e tu non ci sei. Ho freddo. Freddo di cuore e sentimenti.
Non ne posso più, mi è così difficile ammetterlo. La reputo una sconfitta la mia, dopo tutto quello sono e che voglio essere.
Devo farlo.
Mi dispiace, ma mi manchi.

Sono le sei e un quarto del pomeriggio, finalmente sei arrivato. Bussi con la tua solita fretta. Rispondo al citofono e ti urlo: “Hai fatto tardi!” mi rispondi “Finiscila Flora” con un tono freddo e disinteressato.
Davvero ti sono così indifferente?
Preparo Katelin e le dico di fare la brava, di non mangiare più di un gelato e di non piangere se io non ci sono. Accenna un “sì” con la testa e mano nella mano la accompagno verso di te.
Quando ci incontriamo non mi guardi neanche in faccia, rivolgi le tue attenzioni al pavimento e poi alla nostra bambina. Le sorridi e spalanchi le braccia verso di lei. Katelin è diffidente, stringe ancora più forte la mia mano per poi cercare una mia rassicurazione. 
“Kate vai con papà, vi divertirete un mondo”
Le sorrido per quanto mi è possibile e cerco di allentare la sua presa. La sua manina mi sfugge dalla mia e lentamente si avvicina verso di te. Tu le dai una bacio sulla fronte e cerchi di rimpiazzare la mia mano.
Ancora una volta non mi guardi. 
Sto per innervosirmi, cosa ti ho fatto?
Stringo le braccia al petto e ti rimprovero: “Alle nove deve essere a casa”
“Non preoccuparti” mi rispondi noncurante.
E vai via, cercando di attirare l'affetto di Katelin.
Ora ha quasi paura, si vergogna terribilmente di te. 
Se solo tu fossi più presente, se solo dimostrassi un po' di affetto e di rispetto anche per me, se solo le nostre mani sarebbero capaci di incrociarsi ancora, tutto questo non sarebbe un problema, non esisterebbe.
Katelin ti amerebbe, come faceva quando a due anni cercava le tue braccia e cerchiava con le dita i tuoi tatuaggi con gli occhi spalancati e super concentrati.
Quando l'unico rimedio ai suoi pianti senza sosta eri tu.
I bambini non fanno differenza tra uomo e donna, ma tra cuore e cuore. E il tuo è solo e buio ed il mio...è solo, nascosto dietro un velo di amore.
E Zayn, tu mi manchi, tu ci manchi.
Mi porto le mani alla testa e urlo come se non ci fosse un domani.
Spero di sentirmi meglio, ma ne dubito.
Il mio cervello è ancora più incasinato di prima.
Ho sbagliato tutto.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Ebbene si, sono io! Non sono un miraggio! Finalmente dopo più di un mese ho aggiornato. Quanto mi sono mancanti i miei Zayn e Flora, e a voi? Lo spero! Perdonatemi davvero per questo immenso ritardo ma in tutto questo tempo non ho avuto un minuto libero, l'ultimo anno si sta rivelando più impegnativo del previsto. La prossima volta credo di aggiornare prima perché ci sono le vacanze di Natale, yuppie!
Beh, avevo in mente questo capitolo da così tanto e sono felice di essere finalmente riuscita a portarlo per iscritto. Ci ho messo tutto il mio cuore, ho addirittura pianto, sigh.
E' una specie di resoconto che Flora fa sulla sua vita presente. Probabilmente avrete le idee confuse tra passato e presente ma sono sicura che con il tempo capirete!
Spero vi piaccia.
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF

 
- ZAYN -



(la serietà)

 
 

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Capitolo 8
*** Ottavo Capitolo ***



Ottavo Capitolo
 
In estate al sole piace corrodere le strade, gli alberi e le sue foglie. I fiori che spesso li circondano e le persone. Il sole si diverte con poco e in estate, nel mese d' agosto, da' del suo meglio. Il cemento pareva sul punto di esplodere quella mattina quando, tra una bugia e l'altra, mi ero diretta di corsa verso casa di Massimo. Il sudore aveva ormai preso posto fisso sulla mia fronte e tra i miei capelli, e il respiro iniziava pian piano ad affievolirsi. I marciapiedi erano deserti fatta eccezione di poche panchine all'ombra occupata dai soliti vecchietti e bambini. Mi guardavo intorno disorientata e pregavo che casa di Massimo fosse ormai il più vicino possibile. Dopo un venti minuti d'agonia mi ritrovai il grande palazzo verde in cui abitava di fronte. I muri crepati e scoloriti contribuivano all'aspetto desolato di cui sembrava vittima indiscussa, ma i balconi spalancati e i panni stesi confusamente facevano ben intendere che anche lì ci fosse vita. Lentamente proseguii verso il portone e scorsi i diversi e vari nomi elencati sul citofono. Per mia fortuna non erano molti, forse una decina, e quando trovai il nome che mi interessava, sul mio viso spuntò un'espressione di enorme soddisfazione. Mi resi conto che la mia non era stata fatica sprecata. Ero sul punto di spingere il minuscolo pulsantino rosso quando il mio indice destro si fermò, alla distanza di pochissimi millimetri. Tutte le buone intenzioni e i buoni propositi che mi ero detta la sera prima e quella mattina sembravano essere svaniti nel nulla e al loro posto un senso di disagio e terrore aveva preso dimora nel mio cuore, il quale iniziò a battere all'impazzata. Ritrassi immediatamente la mia mano e la strinsi forte al petto. Non distolsi, però, gli occhi da quel nome. Forse era quello il motivo di tutta quell'ansia, di tutta quella paura. Quelle vocali e quelle consonanti che si incontravano e si scontravano con violenza e frastuono. Quel nome che pareva gridasse anche se privo di vita. Quel “Malik” inciso con l'inchiostro nero, a caratteri cubitali, rinchiuso tra le sue mura. Ripercorsi la sera prima attimo dopo attimo e stranamente un senso di vergogna iniziò a farsi spazio dentro i miei pensieri. Che diritto avevo io di sbirciare tra le sue cose? Che diritto avevo io di presentarmi a casa sua senza alcun invito? Scossi la testa al suolo ed arretrai di qualche passo, per poi voltarmi del tutto e allontanarmi. Alle mie spalle udii all'improvviso lo stridio del portone, sul punto di aprirsi. Girai la mia testa e con la coda dell'occhio vidi una ragazza passare tra le porte difettose di quell'entrata. La somiglianza era impressionante. Gli stessi capelli scuri, nero corvino, la pelle olivastra e i movimenti confusi ma decisi. Preferii non guardarla troppo e proseguii sui i miei passi. La sua voce, però, iniziò a risuonare tra quei muri bollenti e il suo nome a tartassarmi il cervello. Mi bloccai d'istinto, ma mossa da un briciolo di adrenalina presi a nascondermi dietro il muro poco distante.
“Zayn, sbrigati!”
“Arrivo!”
Il chiasso della sua voce e delle sue scarpe gommate. 
Il portone che prese a sbattere.
“Waliyha, mi spieghi il motivo di tutta questa fretta?"
"Giacomo di certo non aspetta me! Ho l'appuntamento tra dieci minuti e tu devi fare anche quel cavolo di servizio"
"Non è colpa mia se Fadi ancora non è arrivato"
Mi decisi a questo punto di guardarli in faccia, spostandomi di poco dal mio nascondiglio. 
La sorella aveva le braccia incrociate al petto con le spalle rivolte verso il fratello e un viso imbronciato e furioso. Ribolliva di rabbia e di impazienza. Zayn, invece, la guardava impaziente, fin quando non decise di accendersi una sigaretta, forse per ammazzare il tempo. 
Al suono dell'accendino acceso, Waliyha sgranò gli occhi per poi girarsi di scatto.
"Ti metti pure a fumare ora? Zayn, cazzo, io non ne posso più! Fai arrivare Fadi, ora!!"
Il tono della sua voce prese a rimbombare furiosamente e i suoi piedi non facevano altro che calpestare più e più volte il suolo.
Zayn si tolse la sigaretta dalle labbra e la portò lontano da se'.
"Non posso farci niente, okay? Ancora non hanno inventato il teletrasporto, mia cara"
Prese a dire, con un velo di irritante ironia. I capelli della sorella presero a rizzarsi a quelle parole, ormai sul punto dell'arresa più totale.
"Va bene, lo hai voluto tu: io me ne vado"
"Che fai tu?"
"Me ne vado, da sola!"
"...Waliyha, torna subito qua!"
I piedi di Waliyha presero a muoversi sempre più veloci e incuranti della voce più che arrabbiata del fratello. 
"A dopo!"
Alzò una mano in segno di saluto e si diresse verso la mia direzione. Immediatamente presi a far finta di nulla, a guardarmi confusamente i piedi. Mi sorpassò perfettamente incurante, troppo distratta dal suo nuovo obiettivo. Quando ormai mi dava le spalle, alzai il volto e la osservai nuovamente. Si faceva spazio tra le macchine e i marciapiedi con fretta ed estrema determinazione. Cambiai nuovamente il mio punto di vista, ritornando a Zayn, il quale sbraitava silenziosamente tra sé e sé.
"Zayn!!"
Una voce maschile arrivò dalle mie spalle e la figura di una ragazzo mi sopraggiunse. Intimorita dalla mia possibile scoperta arretrai un'ennesima volta. 
"Fadi, finalmente! Dove cazzo stavi?"
"Scusa, sono stato parecchio incasinato questa mattina"
"Se, non ho neanche potuto accompagnare Waliyha"
"E allora?"
"Quella è una testa calda, da sola non deve andare da nessuna parte"
"Che rompicoglioni che sei, smettila di f.."
Le parole di Fadi si bloccarono per metà e il silenzio, un silenzio tremendo prese vita. Incuriosita e un tantino spaventata diedi uno sguardo. 
I corpi di Fadi e Zayn erano distanti pochi centimetri, e Zayn teneva bloccato Fadi per un braccio. Un'espressione spaventosa gli incorniciava il viso. 
"Mi fai mal.."
"Non chiamarmi mai più così capito!"
Dopo un po' lo strattonò lontano, mollando definitivamente la sua presa.
"E dammi la roba ora"
Fadi lo guardò con un'espressione intimorita e disprezzante, ma senza dire una parola o muovere un dito gli passo una busta di plastica bianca.
"Ci sono tutti?"
Zayn gli strappò la busta dalle mani e gli si posizionò completamente davanti, privandomi così di una vista sufficiente.
"Si, ce ne ho messo anche qualcuno in più. Ti basteranno pure per i prossimi anni mi sa"
Fadi stava per mettersi a ridere ma un nuovo sguardo di Zayn gli bloccò anche solo il respiro.
Abbassò la testa e frugò al suo interno. Dal mio canto provai a sporgermi di qualche centimetro; ormai la mia curiosità si era estesa ogni oltre limite, eppure le circostanze sembravano non volerla soddisfare.
"Va bene, grazie"
Pronunciò con il solito tono di voce burbero.
"A presto"
Continuò.
"Non c'è di c.."
Avanzai ancora di qualche passo, ma all'improvviso inciampai in una crepa, portando le mie ginocchia rumorosamente sul terreno.
Zayn e Fadi si voltarono nella mia direzione.
"Ma chi è?"
Il mio corpo era steso per metà, alzai il viso ed incrociai involontariamente e sfortunatamente quello di Zayn.
"Flora.."
Sussurrò, mentre con passi lenti cominciò ad avvicinarsi a me.
Ormai scoperta lo guardai con gli occhi che tremavano, terrorizzata dal mio stesso corpo. 
"Flora"
Ripeté, e lo sguardo che si rimpiccioliva per la luce o forse per la rabbia.
"Che ci fai qua?"
Ci distavano ancora parecchi metri quando con un mormorio impercettibile gli risposi "nulla".
Mi alzai in fretta e presi ad allontanarmi sempre di più fin quando non iniziai a correre.
"Flora!!"
Urlò, con le scarpe gommate a strisciare sul marciapiede ruvido.
Accelerai il mio passo ma fu tutto inutile, riuscì a raggiungermi e ad afferrare un mio polso con la stessa forza con la quale aveva afferrato quello di Fadi. Gettai un piccolo urlo con le lacrime agli occhi.
"Ti fermi, cazzo. Che ci fai qui?"
I miei occhi iniziarono a fissare il suolo con il desiderio di essere lasciata.
"Allora?"
Mi strattonò una seconda volta, aumentando di poco il tono della voce. 
La mia posizione fu irremovibile: fissa sulle crepe del cemento.
"Flora, guardami quando parlo!"
Il terzo e ultimo strattone mi costrinse a guardarlo negli occhi, in quegli stessi occhi verdi che avevo avuto il piacere di incrociare così tante volte in quei pochi giorni ma che ora desideravo non rivedere mai più in tutta la vita, perché rossi di terrore e viva cattiveria.
La gola quasi mi si prosciugò a quella vista e per un momento pensai per davvero che fosse arrivato il mio momento.
"Lasciami, ti prego"
Gli dissi, con la voce spezzata, mossa solo dall'adrenalina che per fortuna ancora non aveva deciso di abbandonarmi.
"Mi spieghi che ci facevi qui?"
Ribatté, con lo stesso tono di prima.
"Nulla. Lasciami, ti prego"
Presi a ripetere, quasi come un disco rotto.
"Flora, la smetti e parli?"
"Lasciami Zayn, lasciami!"
Stavolta urlai anch'io, con le corde vocali quasi ad uscirmi dalla gola e con una forza che mi permise di confondere Zayn e portarlo a decidere di lasciarmi. 
Mi guardò confuso e scosso.
Per un minuto rimanemmo in silenzio. Gli occhi dell'uno nell'altro. Con le mie lacrime a rigarmi il volto e i suoi tremoli a scuotergli le palpebre. Così diversi forse non lo fummo mai. E forse non lo fu mai nessuno. Il terrore incontrò la confusione, la determinazione l'eterno dubbio e il nero della sua mente incontrò il bianco della mia. Ennesime vittime di differenze destinate ad incontrarsi.
"Mi fai paura"
Furono le mie ultime parole, sussurrate tra le labbra a denti stretti.
Parole che forse non avrei mai voluto dire ma che la situazione e il mio cervello mi costrinsero ad esprimere.
Zayn non reagì, fermo come prima sui miei occhi.
Io, invece, finalmente riuscii ad allontanarmi, a scappare del tutto.
In quel momento solo un pensiero si ripeteva tra i miei.
Zayn mi faceva paura, era sicuramente pericoloso.
Per se stesso e per me.
Non avrei dovuto mai più rivederlo.

 
-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Eh no..non sono sparita e nemmeno la mia storia! Vive e vegete, con la speranza della vostra gioia! Vi sono mancata, vero? E anche Zayn e anche Flora, vero vero? Lo spero! A me tanto, li pensavo spesso anche se poco. Purtroppo i miei buoni propositi di scrivere durante queste vacanze di Natale sono falliti miseramente a causa della mia nullafacenza più totale (non parliamo della scuola, per piacere). Ma non pensiamoci più, su! Finalmente l'ottavo capitolo!
Siamo ritornati alla Flora adolescente, ai primi approcci con Zayn che a quanto pare stanno diventando sempre più disastrosi. Sapete, penso che me la farà impazzire la mia protagonista, ma d'altronde non è quello che sta facendo con tutte noi in questi giorni? Con le sue interviste e foto?!?! 
Bene, mi ha anche mandato fuori traccia il bad boy...che altro dire, spero questo capitolo vi sia piaciuto come sempre e che "l'eterno dubbio" di Flora non vi spaventi, anzi, vi incuriosisca, così come la busta di plastica di Zayn, cosa ci sarà mai?
Lo scopriremo..
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF


(sempre più folle, cuccioloso e bono, mi sembra ovvio)

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Capitolo 9
*** Nono Capitolo ***



Nono Capitolo
 
Passarono giorni e settimane.
Ore ed ore a contare i minuti che ci avevano divisi.
Sulla mia pelle continuava a girare l'odore di quell'orribile sensazione.
La paura.
Al solo pensiero di quello che era successo in quella calda giornata di agosto, i miei occhi sbarravano all'improvviso, forse increduli per ciò che per davvero avevano visto.
Mi guardavo allo specchio piena di vergogna. Quel tipo di vergogna che senti quando capisci di provare sentimenti troppo forti, forse ridicoli, forse assurdi, perché, infondo, io e Zayn, cos'eravamo? Né amici, né qualcosa di più e né, tanto meno, sconosciuti. Cosa esattamente? 
Pensavo alla parola "conoscenti" ma la vedevo fredda e grigia e mi rendevo conto che no, noi non eravamo "conoscenti". Pensavo al fatto che, probabilmente, tra di noi ci fosse un legame indefinibile, sconosciuto al vocabolario italiano.
Nessuna parola ci definiva.
Eravamo, irrecuperabilmente e semplicemente, indefinibili.
Da quell'accaduto non vidi più Zayn.
Non solo per la mia volontà, pareva che anche il destino volesse aiutarmi.
Ripercorrevo le strade che più volte avevamo percorso insieme, mi ritrovavo nei luoghi in cui ci eravamo incontrati e mai, nemmeno una volta, lo avevo incrociato.
L'estate era ormai al termine.
Le giornate si erano accorciate e la sera un freddo venticello ci costringeva a portare sulle spalle una felpa. 
Si iniziava a respirare l'odore dell'inchiostro, delle pagine nuove e di quelle usate, degli zaini, delle mattine buie.
Quello sarebbe stato il mio ultimo anno di liceo, e l'unica sensazione che riuscivo a provare era d'infinita stanchezza. 
Avevo passato sei anni in un posto che non era il mio, rinchiusa tra quattro mura rigide come quelle di un carcere.
Avevo semplicemente sbagliato tutto, dall'indirizzo all'anno perso dietro una marea di cazzate.
Durante quegli ultimi giorni avevo preso la strana abitudine di addormentarmi solo dopo un preghiera. Pregavo Dio di far passare quell'anno il più veloce possibile, di rendere quei mesi quanto meno stressanti, di rendere tutto più sopportabile. 
Pregavo tutto ciò con il cuore che tremava.
Volevo liberarmi di un peso, forse il più pesante che io avessi mai retto.
E comunque mi sentivo sola tra quelle preghiere e quelle speranze, mi sentivo debole e tremendamente turbata con l'odore di quella paura sulla pelle, che a lavarla via con il tempo, io lo sapevo, non se ne sarebbe mai andata.
Una sera Massimo mi si avvicinò.
Pareva si vergognasse e solo dopo una manciata di secondi prese a parlarmi.
“Flora, ma...cos'è successo tra te e..”
Lasciò la frase a metà, cercando di completarla sporgendosi in avanti e distogliendo gli occhi di tanto in tanto. 
Io avevo capito dall'inizio cosa intendesse ma ero comunque decisa a sentirlo dalla sua bocca.
“Tra me e?”
Dissi con sicurezza e sincera curiosità.
Storse il muso in un'espressione stupita per poi grattarsi la testa.
“Zayn”
Sussurrò, cercando un mio sguardo d'approvazione.
“Perché?”
Chiesi, lasciandolo nuovamente di sasso.
“Mi ha raccontato che ti ha trovato a spiarlo sotto casa”
Replicò, tutto d'un fiato. Sembrava sicuro di quello che doveva dire e che, soprattutto, voleva sentirsi dire. 
“Spiarlo? Che esagerazione! Mi ero ritrovata lì per caso”
Le guance iniziarono ad arrossirsi. Rabbrividivo al pensiero delle assurdità che Zayn avesse potuto rivelare a Massimo per ingigantire la cosa a suo vantaggio e mettere me nel ridicolo. 
Intanto Massimo aveva iniziato a guardarmi con fare preoccupato ma attento. 
“Flora, ti prego..”
Si interruppe ancora. Ora quello vergognato sembrava nuovamente lui.
“Può pensare che tu sia una pazza, una pervertita, o qualche cazzata del genere”
Sgranai gli occhi ed emisi una risata nervosa. 
“Per piacere!”
E gli diedi uno spintone che, comunque, non lo distrasse dalla sua espressione.
“Flora smettila, da quando lo conosci ti sei bevuta il cervello, menomale che sono giorni che non si fa più vedere alme...”
“Come sono giorni che non si fa più vedere?”
Lo bloccai, trattenendo inverosimilmente il respiro.
“Eh, boh, non lo vedo più”
“Come non lo vedi più?”
“Flora che cazzo ne so! Non risponde ai messaggi, tiene il telefono spento”
Il mio viso si scurì completamente. 
“Ma è successo qualcosa?”
“Che io sappia niente, all'improvviso, da un giorno all'altro è sparito nel nulla. Io lo sapevo che..”
Si arrestò, quasi avesse detto troppo.
Restò in completo silenzio prima di voltarmi le spalle.
Immediatamente io mi agganciai ad un suo braccio per riportarlo su di me.
“Massimo, sapevi cosa?”
Avvinghiai le mie unghie nella sua pelle, mentre piccole gocce di sudore cominciavano a scendermi lungo le tempie.
Abbassò il capo a terra.
“Io credo sia coinvolto in un brutto giro. Qualcosa di brutto per davvero, Flo'. E non parlo di stronzate come erba e canne, qualcosa di peggio, molto peggio. Non mi bevo il fatto che i genitori si siano trasferiti qua per aprire un cacchio di insulso bar, che credi? sono strani pure loro!. Per non parlare della sorella. E' completamente matta. Urla tutto il giorno da far paura”
E mentre si esprimeva su questo i suoi occhi si facevano sempre più lucidi, pareva stesse cacciando l'anima.
Ed io, invece, sempre più piccola, sempre più...spaventata.
Immediatamente mi apparve davanti agli occhi l'immagine di quella busta di plastica. Quella busta che aveva aspettato per tutto quel tempo, con ferocia e rabbia. Quella busta che aveva controllato centimetro per centimetro. 
“Flo', tutto bene?”
Massimo appoggiò una mano sulla mia spalle destra riportandomi alla realtà. Continuava a guardarmi con quegli occhi lucidi, più preoccupato che mai.
“Hai visto qualcosa?”
Chiese, con voce strozzata.
Alzai il mio sguardo completamente, sorprendendolo, per poi scrollarmi di nuovo verso il basso.
“Un suo amico gli aveva portato una strana busta..”
Mi pronunciai, con i denti che digrignavano fra di loro.
“E lui sembrava pure piuttosto ansioso di riceverla”
“Una busta? Merda. Chissà che cazzo c'era!”
D'improvviso chiuse la sua mano sinistra in un pugno, colpendo con furia il muro di cemento che ci era accanto.
Arretrai di qualche passo perdutamente spaventata.
Alcune gocce di sangue iniziarono a colargli lungo le increspature delle ossa, eppure parve non farci caso. 
Si appoggiò alla parete portando il suo sguardo ormai assorto verso il terreno.
Dopo alcuni secondi di terribile silenzio riprese a parlare.
“Flora, mi devi promettere una cosa”
Si fermò, trattenendo il respiro per poi ricacciarlo con forza e decisione.
“Non devi più vederlo, mai più. Anche se ritorna, promettimi che lo eviterai. Fai finta di non averlo mai conosciuto”
I miei occhi si espressero in un uno sguardo di stupore misto al panico. Il tono della sua voce e quelle parole mi terrorizzavano oltre ogni dove. 
Il cuore che fino ad allora aveva cercato di controllarsi, ora esplodeva in battiti veloci, velocissimi, sconnessi e completamente confusi.
Mi squadrò con rabbia e rimprovero.
“Mi hai capito? Con quella gente non si scherza. Se entri nel loro giro poi non ci esci più. Senti, ora spero che ti abbia preso per una pazza, almeno quello che si spaventa è lui e non ci ritorna più da te”
Iniziai a tremare, dalla testa alle ginocchia, che senza controllo volevano dibattersi fra di loro. 
Che stupida a non averlo capito prima. 
Era così evidente.
Quella puzza di fumo insopportabile, quella pelle secca e tutti quei spaventosi tatuaggi, neri come il carbone.
Quelle apparenze mi avevano parlato così tante volte ed io le avevo sempre ignorate. Mi domandavo, in quel breve lasso di tempo, come fosse stato possibile, ma mi ritornavano in mente i suoi occhi e quella frase che spesso mi era capito di leggere e sentire “gli occhi sono lo specchio dell'anima”.
E quegli occhi non erano neri, secchi, spenti, erano, semplicemente, color nocciola. Rinchiusi tra due piccole palpebre, spesso aperte per metà. 
C'aveva il vizio di non sgranare mai gli occhi, lo ricordavo bene, di tenerli sempre aperti per una parte, quasi avesse paura di mostrarli al mondo.
Una persona che gli occhi li vuole nascondere, una persona che l'anima non la mostra al mondo per paura, vergogna o, ancor peggio, timidezza, non può essere pericolosa.
Mi ritornò in mente un'altra frase “l'apparenza inganna, l'anima mai”.
Ripresi così la mia sicurezza, mi scrollai di dosso la paura e quel suo odore che mi accompagnava da settimane. Finalmente c'ero riuscita, e non era stata questione di tempo, lo sapevo, ma di risposte.
“Massimo, non siamo per niente sicuri di questo. Era una busta di plastica, ci poteva essere di tutto e..”
“Ma ti sei bevuta il cervello?”
Mi guardava neanche avesse visto la morte. 
“Flora, che cazzo ci poteva essere, eh? Lo hai detto stesso tu che era ansioso di riceverla”
“Poteva essere un regalo, una raccolta di figurine, un qualcosa del genere”
Iniziai a farfugliare, non sapevo più come continuare il discorso. D'altronde anche le mie parole non erano certezze.
“Ora lo stai addirittura difendendo! Cazzo, Flo', quante volte lo hai visto a quello?”
Rimasi in silenzio, con le labbra serrate e nervose.
“Allora?”
Replicò, con fare a dir poco esausto.
“Tre, quattro”
“Tre, quattro...praticamente uno sconosciuto! Ti ripeto, ti sei bevuta il cervello. Sono stato un cretino ad avertelo presentato, e lui s'era pure invaghito di te! Ma tanto gli è passata altrimenti non se ne sarebbe andato”
Si fermò per poi affermarmi per un polso.
“Io lo vedo dai tuoi occhi e da come ne parli che ti piace, Flo', e anche parecchio ma te la devi far passare 'sta cotta. E' un pazzo, un delinquente, forse un assassino...chi può dirlo!”
Mi scrollò più volte avanti e indietro, fin quando io con decisione riuscii ad allontanarmi dalla sua presa.
“Il pazzo sei tu, Massimo! Ma come ti permetti di stritolarmi in questo modo, di alzare la voce così con me!? Non sono tua sorella, cazzo!”
Urlai a pieni polmoni fin quando la gola non prese a bruciarmi all'inverosimile e gli occhi a cacciare qualche lacrima di pura rabbia.
Lui, dal canto suo, sembrava scioccato da quelle mie parole ed arretrò a sua volta.
“Flo', davvero, non so che ti sia preso. Quando starai meglio forse potremmo riprendere a parlare da persone normali. Per il momento io ti ho avvertito. Ciao”
Mi parlò con calma, mi squadrò da capo a piede, per poi voltarmi le spalle ed allontanarsi con noncuranza.
Il mio cuore era deciso a non calmarsi, stuzzicato ancora una volta da quel mio tono di voce e da tutti quei sentimenti che si facevano lotta fra di loro.
Mentre lo vedevo allontanarsi, farsi scuro, confondersi con le ombre della notte compresi il mio briciolo di stupidità.
Avevo preferito dar retta all'incertezza, piuttosto, che alla certezza.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Cavolo, sono passati due lunghi e folli mesi dall'ultimo aggiornamento. Mi sono successe tante di quelle cose che non avete idea, con la scuola, la vita sentimentale, le amicizie..di tutto davvero! Per questi motivi avevo serie dfficoltà ad immergermi completamente nella scrittura, ma ora eccomi qui!
Scrivere dopo tutto questo tempo è stata per me un'enorme soddisfazione e spero, soprattutto, che quello scritto in questo capitolo vi piaccia. 
La mia parte preferita è quella in cui descrivo gli occhi di Zayn per la quale sono stata ispirata da questa foto.
Per ora è tutto, spero di rivedervi il più presto possibile! 
Un bacio. 
-Manu
#WOMANFF

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Capitolo 10
*** Decimo Capitolo ***



Decimo Capitolo
 
La sua figura divenne presto per me un'ombra.
Fastidiossima, opprimente all'inverosimile.
Di giorno e di notte tormentava i miei pensieri e i miei ragionamenti.
Sapevo che il mio unico desiderio era quello di mettere un punto fermo a tutto, ma per quanto ci provassi qualunque cosa me lo impediva.
Qualunque cosa, compresa la sua assenza.
Avvertivo il bisogno materiale di parlargli, urlargli addosso quanto lo odiassi per il manicomio che mi aveva messo in testa,  guardarlo negli occhi e fargli capire la merda che mi stava costringendo a vivere.
Quei fottutissimi occhi non riuscivo a togliermeli proprio dalla testa, e la sua voce, e le sue mani. E il suo essere unico, e il suo profumo.
Non tutti hanno l'abilità di entrare nella vita degli altri con così tanta forza, improvvisazione, determinazione.
Molti se ne vanno, altri arrivano per poi scappare di nuovo.
Molti restano, ma pochi vivono.
Lui, l'eccezione, c'era riuscito.
Era vivo, dinamico, presente nella sua costante assenza.
Era il rompicoglioni per eccellenza.
Continuavo a tormentarmi su questi pensieri e molti altri. Sapevo di dovermi scusare con Massimo, ad esempio, cercare di riavvicinarlo a me, ma l'orgoglio me lo impediva in tutti i modi. E quello stesso orgoglio più volte mi aveva costretto a rinchiudermi dentro casa, piena di vergogna per gli sguardi che avrei potuto incontrare e non riuscire a reggere.
Ma comunque sapevo che prima o poi avrei riavuto la faccia tosta e mi sarei ripresentata al mondo: io le mie parole non le ho mai rimangiate.
Mia mamma mi diceva spesso che la mia sfacciataggine sarebbe stata la mia rovina, che mi avrebbe allontanato da tutti e tutto, che nessuno mi avrebbe mai sopportata. Eppure io gli amici che mi sopportavano ce li avevo, mi volevano bene così com'ero. Ero sicura che non mi avrebbero mai abbandonato. Mia mamma si sbagliava di grosso, ne ero convinta.
Avrei imparato a mie spese che me la sarei vista brutta con il mio carattere, che di porte in faccia ne avrei ricevute a migliaia.
Sentivo l'arroganza dentro di me crescere giorno dopo giorno, farmi orribile dall'interno. Ma l'interno non è mai visibile allo spettatore e Adele tutto ciò non lo capiva, forse, semplicemente, lo avvertiva.
Non faceva altro che guardarmi con sospetto, spesso distacco e paura. Mi parlava, parlava, parlava, e io, puntualmente, la ignoravo.
Ero sicura che quello che pensavo fosse giusto, tutto il resto sbagliato.
L'affetto per un fantasma è pericoloso, peccato che io non me ne rendessi conto.
Frantuma, spezza pezzo dopo pezzo, non restituisce.
Eppure, i fantasmi così come arrivano sono destinati a sparire, è la natura.
Il mio, forse per sfortuna, era contro-natura, sarebbe rimasto per sempre.
Tra la luce e il buio, tra il visibile e l'invisibile tutta la mia vita.
“Che hai?”
Mi chiedeva Adele, con voce soffusa, ormai abituale.
Cos'avevo? Non lo sapevo. Forse mancanza. C'era qualcosa nella mia vita che non andava, c'era un posto vuoto sullo scaffale dell'esistenza. I pezzi non erano ordinati, confusi gli uni sugli altri. 
E il disordine, per eccellenza, non era mai stato di mio gradimento.
Sbuffavo a quella sua domanda, per poi replicare con “niente”.
E lei che ritornava su i suoi pensieri.
Immobili.
“La devi smettere”
Disse d'un tratto, un giorno.
“A fare cosa?”
“A comportarti così”
“Cioè? Come?”
Non si capiva chi delle due stava prendendo per il culo l'altra.
“Come un'eremita, è bruttissimo davvero”
Scoppiai in una leggere risata.
Lei mi mise una mano sulla spalla per riprendere la mia attenzione.
“Non sto scherzando”
Sgranò gli occhi su di me.
La mia espressione riprese ad essere seria.
“Io lo so che è per quello, ma vorrei che fossi tu a dirmelo”
“Ma che dici? Io non ci penso neanche più”
“Flora ma a chi vuoi prendere in giro? Me, davvero?”
Si indicò il petto più volte quasi si fosse offesa. Tirò un respiro prima di riprendere a parlare.
“Ti conosco da troppo tempo, questi giochetti che fai non attaccano. E ora, vuoi parlare o no?”
“Parlare? E di cosa?”
Scattò in piedi dimenando le mani all'aria.
“E basta!”
Mi urlò dritta in faccia. La sua voce era completamente cambiata. Piena e acuta come non l'avevo mai sentita prima. Mi si avvicinò di nuovo per stritolarmi le spalle.
“Flo' è ora di smetterla, tanto quello non torna più, mi dispiace dirlo..”
Soffuse l'ultima parola, quasi vergognata, per poi portare il viso a terra. La fissai fin quando non riprese il suo sguardo su di me.
Ora mi stava sorridendo.
“E' bello invaghirsi di un ragazzo, sapere poi di essere ricambiata. Ma le cose non sono sempre quello che sembrano, Flo', alle persone piace dire stronzate, divertirsi con i sentimenti e le emozioni degli altri. Non farti trattare come un giocattolo, non sei il tipo”
“Non mi faccio trattare come un giocattolo”
“Ecco, brava”
Si avvicinò sedendosi al mio fianco. Mi sorrise per un'ennesima volta per poi poggiare la sua testa nell'incavatura tra il mio collo e la mia spalla sinistra.
Rimanemmo in silenzio per un paio di secondi, sentivo solo il suo respiro entrare ed uscire dai polmoni. 
“E comunque io non mi sono invaghita”
“Meglio così”
Replicò in modo distratto.
“Con Zayn sento che è diverso”
Stavolta alzò completamente il volto per guardarmi in faccia.
“Diverso?”
“Si, diverso. E' qualcosa di più forte e strano allo stesso tempo. Sento il dovere di parlargli, di guardarlo ancora una volta”
“Ti sei bevuta il cervello”
Esclamò all'improvviso con disinvoltura.
Accennai una risata.
“Anche Massimo l'ha detto”
“Già, lo so. Mi ha raccontato tutto. Sperava che io riuscissi a farti ragionare infatti”
“Non è questione di ragionare, Adele, perché non lo capisci? E' così e basta”
“Flora! Ma lui non esiste!”
“Esiste, ma che cazzo dici!”
“Non è più qui, sparito nel nulla! Perché devi farti uccidere da una persona che non se ne fotte un cazzo di te? Di quello che stai passando?”
“Non puoi dirlo! Non lo conosci!”
“Perché tu si! Giusto!”
Improvvisamente le nostra urla presero a sovrapporsi furiose le une sulle altre, le finestre quasi traballavano dai loro infissi. I nostri visi si erano arrossati e le pupille dilatate all'inverosimile.
Non avevamo mai litigato così, ma non ce ne rendemmo subito conto.
Continuammo per molto a dire sciocchezze, idee sconnesse, senza senso. Il nostro unico scopo era quello di far prevalere il pensiero dell'una sull'altra. Di avere ragione.
Anche Adele era una faccia tosta, una sfacciata quasi quanto me.
E due pensieri uguali non si fondono, semplicemente si sovrappongono.
Si fanno lotta.
Era quello che stavamo facendo in fondo.
“Io l'ho guardato negli occhi!”
Sbraitai più di prima.
“Ora fai pure la romantica? Sei ridicola, davvero”
“Non sono ridicola, smettila!”
La gola e gli occhi presero a bruciarmi. Sapevo che quella che stava crollando ero io.
Io ero debole, la più debole fra le due.
“Non capisci, ok? Non puoi capire come mi sento in questo momento. Quanto vorrei urlare ma non posso perché so che non servirebbe niente, perché so che il mondo non sarebbe in grado di ascoltarmi. Io devo parlare con Zayn, nient'altro. Capire delle cose. Comprendilo, ti prego, provaci!”
Adele sbarrò gli occhi per poi rigettarsi come un sasso sul letto che le era alle spalle.
Rimase a guardare il soffitto prima di esplodere con un tono pacato, privo di qualsiasi sentimento.
“Flo' io non ti capisco, ma sento che è bellissimo..”
Si rimise in piedi per dirigersi verso di me.
“Non ti sei bevuta il cervello, io lo so, sei cosciente di quello che fai e che provi. Vorrei solo che tu fossi più razionale, tutto qua. Ma a quanto vedo di razionale non ti è rimasto niente, è tutta questione di cuore”
Mi sorrise con fare sincero, forse provato.
“Vuoi sapere davvero come la penso? Penso che tu e Zayn vi rivedrete, forse non domani, forse non questa settimana, un giorno, ne sono sicura. Il mondo è piccolo, e due persone come voi il destino non le avrà fatte incontrare per sbaglio”
Stava dicendo delle sciocchezze, non ci credeva manco lei, lo sapevo. 
Voleva tirarmi su di morale, forse scusarsi, forse aveva paura di perdermi. 
Adele mi voleva bene, non avrebbe permesso ad una cosa da nulla di dividerci.
E nonostante l'assurdità di quelle parole, le accennai un sorriso di consenso e l'abbracciai, stringendola con quanta forza avessi in corpo al mio petto.
Sentirla così vicina mi ridiede quasi tutta la forza che avevo perso in quelle lunghe e ultime settimane.
“Ritornerà, tranquilla”
Mi sussurrò in un orecchio.
Quasi quasi ci avrei creduto anch'io.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Ho aggiornato dopo una sola settimana, miracolo! E' che l'affetto per questa fanfiction sta diventando sproporzionato e, inoltre, voglio davvero mostrarvi tutto quello che ho in serbo per i nostri protagonisti. Allora, in questo capitolo Flora parla con la sua amica Adele che inizialmente la rimprovera ma poi, alla fine, quasi la appoggia. D'altronde tutte le amiche fanno così, è questo il bello. Eppure, la nostra Flora sarà in grado di riprendere in mano la situazione? Di controllare le proprie emozioni un tantino di più? E poi...Zayn quando torna, dove è finito? Sono sicura che manca anche a tutte voi!
Spero che vi sia piaciuto.
Cercherò di aggiornare ogni domenica da oggi in poi, sperate con me!
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF

 
- ZAYN -
 


(il nostro fantasma preferito
)

 
 

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Capitolo 11
*** Undicesimo Capitolo ***



Undicesimo Capitolo
 
 
Ed iniziai a crederci per davvero.
Forse perché mi ero resa conto che concedermi all'illusione fosse meno doloroso del concedermi alla realtà.
Mi sembrava di vederlo, dappertutto.
Negli angoli delle strade, negli sguardi degli estranei, sotto le luci soffuse dei lampioni.
Iniziai anche a tormentarmi con l'idea che se avessi azzardato a distrarmi, che se avessi smesso di cercarlo, lo avrei perso per sempre. 
Ero diventata, letteralmente, una bussola impazzita.
Tutti si erano completamente rassegnati ai miei comportamenti. Fredde e indifferenti erano le loro parole e le loro occhiate. 
I loro sorrisi smorzati, quasi fossi diventata una persona senza alcuna speranza.
E tutto ciò che non sembrava avere soluzione alcuna, una mattina sparì nel nulla. 
Capita.
Ci sono cose che non si dimenticano mai, altre che si lasciano dimenticare in un istante ed altre che si nascondono per tempo.
Il sole aveva preso ad illuminare la mia stanza, i raggi caldi sfiorarono lentamente il mio viso. Quando sbarrai gli occhi, un cielo azzurro e incontrastato mi era davanti.
Sentivo il nulla nel mio petto.
Una strana sensazione.
Una sensazione che non sentivo da tempo.
Una sensazione terribile.
Mi alzai lentamente e mi diressi verso il bagno. 
Il mio sguardo era violaceo e scavato. Mi fissai per alcuni secondi inerme. 
Dentro di me avrei voluto urlare, ma lì, in quella situazione, restai muta difronte alla mia persona. 
Ero la sola carnefice del mio aspetto.
Avevo come dimenticato le mie sofferenze, ne portavo solo i segni.
Come tutto a questo mondo sarebbero presto spariti.
Un bicchiere di té e dei biscotti.
Il panorama della cucina era sempre lo stesso.
Gli stessi alberi verdastri, le stesse strade consumate e le stesse persone.
C'era Lucia, la ragazza dai capelli ricci e rossi del palazzo difronte, che correva come una matta. 
Mesi ormai che la guardavo, mesi che non faceva altro che accumulare ritardi.
Con la giacca che le ballava sulle spalle e le cuffiette per metà inserite nelle orecchie.
Mi dissi che un giorno me lo sarei fatto spiegare il motivo del suo perenne ritardo.
Il tè continuava ad essere bollente, erano passati già dieci minuti.
Era il 10 settembre.
Tutto quel silenzio, quell'indifferenza, quella calma, sarebbero presto finiti.
Tutto sarebbe ritornato caos e rabbia.
Provai a non pensarci, c'era ancora un po' di tempo.
Mi tirai sulle maniche e le incrociai al petto sospirando per la mia mancata pazienza. Il mio carattere aveva così tanti difetti che anche solo immaginarli era impossibile. Azzardai una risata su i miei pensieri, mentre con una mano afferrai la tazza e la portai alle labbra, soffiando con debolezza. Era ancora caldo ma non eccessivamente.
Con sorsi sostenuti lo buttai giù, esplodendo alla fine in un sorriso di soddisfazione.
Avanzai successivamente verso il frigorifero cercando di immaginare quale pietanza mia madre avrebbe cucinato quella mattina.
C'erano delle strane verdure e del pollo. Contorsi le labbra in un'espressione di disgusto prima di richiudere la portiera e correre verso il bagno.
Come mossa dall'istinto decisi in quei pochi secondi che avrei mangiato fuori. Non sapevo dove, né con chi, ma questo non rientrava tra le mie preoccupazioni.
Piuttosto mi spaventava il fatto di non riuscire a coprire quelle orrende occhiaie. Immediatamente corsi al riparo con quanta più cipria possibile.
Preferivo sembrare un fantasma che uno zombie. 
Erano passate le undici quando finalmente riuscii a liberarmi dall'ossessione dello specchio e a spostare la mia attenzione verso una qualche pizzeria. 
Le strade erano piuttosto deserte, probabilmente per via del caldo atroce che catturava e intrappolava il cemento.
Quando ormai i miei piedi avevano gridato all'arresa, mi fermai difronte ad una delle mie pizzerie preferite. 
L'ambiente qui, al contrario, era piuttosto vivo.
Lo schiamazzo dei piatti di ceramica, il profumo della pasta, lo stridio del fuoco, le urla dei bambini.
Tutto sembrava fare un gran casino.
Forse ero stata fuori dal mondo per troppo tempo.
Decisi di non perderne altro e mi diressi verso una cameriera alla ricerca di un tavolo. 
Ne beccai una alle mie spalle e con passo sicuro e dito già mezzo alzato, avanzai verso di lei. Spalancai la bocca quando una figura minuta si intromise tra di noi. Ricordo perfettamente il profumo dei suoi capelli: impregnati di camomilla. 
“Tavolo per quattro?”
Chiese, con voce stridula e agitata. 
Solo quando il suo viso si voltò verso il mio, la riconobbi. 
Quella pelle olivastra fu inconfondibile. 
Il respiro mi si fermò a mezz'aria, arretrai di qualche passo. Riportai alla mente quella mattina rovente di agosto, e nel mio petto mi sembrava di rivivere la medesima agitazione. 
Una mano le toccò la spalla destra.
Zayn mi era altrettanto difronte. I capelli rasati, la barba rada intorno alla mandibola e un viso scavato da uno sguardo confuso.
Non si accorse di me subito, ci vollero dei secondi. Non appena mi incrociò deglutì incurante. Cosa sembravamo? Due fottutissimi sconosciuti. Nient'altro. Di quelli che si incontrano per caso, di quelli che tanto si dimenticano. L'indifferenza era davvero riuscita a dominarci, a cancellarci. Due passi indietro e quell'istante si sarebbe annullato per sempre. Ma, al contrario, non ci fu nessun passo indietro, anzi. Si scostò dalla sorella per farsi avanti. 
“Flora”
Pronunciò in un arrancato sorriso. Gli occhi gli si rimpicciolirono, distorcendosi quasi in una smorfia. 
“Ciao”
Replicai, definirei, disorientata.
All'improvviso mi ritrovai in un suo abbraccio. Non riuscivo a comprendere il perché di quel gesto: non lo aveva mai fatto. Il suo corpo era solitamente caldo e profumato. Mi chiesi quante cose di lui erano rimaste invariate. 
Si allontanò da me trattenendomi lungo le braccia. Gli occhi fissi sulla mia figura imponente. Mi sembrava anche lui decisamente confuso; perso in qualcosa di completamente estraneo. 
“Come stai?”
Chiese, continuando a stringermi.
“Bene, tu?”
Cercai di essere gentile e impassibile, per quanto mi era possibile.
Gli sorrisi leggermente. In quel momento desideravo ardentemente che mi togliesse le mani di dosso. Lo stava rifacendo: stritolarmi per farmi ragionare a suo piacimento. Provai a scrollarmi leggermente, muovendo qualche passo. Contro ogni mia aspettativa la sua presa non fu molto forte, mi liberai in un istante, lasciando il suo sguardo costante.
“Bene. Sono venuto per mangiare una pizza con la mia famiglia”
Indicò un gruppo di persone dietro di sé, facendo spallucce. 
“Tu?”
Incrociò le braccia al petto, imponendosi in avanti con una certa curiosità. 
“Lo stesso”
Mentii spudoratamente, poco mi importava di cosa fosse o non fosse la verità.
“Mi fa pia..”
“Ma che fine hai fatto?”
E poco mi importava della sua reazione a quella mia domanda. Sentivo il dovere di sapere, mentre la gola prendeva a pizzicarmi sempre di più. 
Rimase di sasso. Non si pronunciò per i successivi istanti, cercando forse una distrazione sui muri o sulle persone che ci circondavano.
“Ho avuto da fare”
Sussurrò quasi con vergogna. 
“Cosa?”
“Cose che non ti riguardano”
Il tono della sua voce prese ad alterarsi, seguito da uno sguardo che io avevo già avuto modo di conoscere.
“Sei un idiota”
Sembrerà strano, ma mi pentii immediatamente di quelle mie parole. Trattenni il respiro quasi con lo scopo di rimangiarmi tutto. E la sfacciataggine, e l'insulto di un momento.
“Lo so”
Non fece altro che pronunciarsi in una risata di nervosismo, con il volto verso il pavimento. Pensai che forse se l'era già sentito dire un miliardo di volte. Eppure questo non mi fece sentire meno in colpa.
“Devo chiederti scusa?”
“Quella è l'ultima cosa”
“E cosa ci sarebbe prima?”
Dovresti ritornare. Pensai. 
“Semplicemente una spiegazione. Le persone normali non spariscono dalla faccia terra senza un motivo”
“Perché, la morte ha un motivo?”
“Ora ti metti a fare anche il filosofo? Non dire stronzate, per piacere”
Scoppiò in una risata che contribuì a rendermi ancora più nervosa.
“Cosa ridi?”
“E' che non pensavo di contare così tanto per te”
Con quelle parole era come se mi avesse spogliata, lì, davanti a tutte quelle persone, davanti al mondo. E mi avesse poi anche graffiato, senza alcuna pietà. Ci sono molti sentimenti che hanno paura della luce del sole, che preferiscono il buio dell'anima, restare nascosti, anche per una vita intera.
Credevo davvero che i miei fossero di questo tipo, ma evidentemente non era nel loro destino.
La nudità è disagio e fastidio. Siamo esseri umani in fondo, gli istinti sappiamo dominarli per bene, o almeno, lo crediamo.
“No, infatti. E' che non sopporto le cose fatte a metà”
“Certo”
Volle incrociare a tutti i costi un mio sguardo, forse per rimproverarmi o forse per autocompiacimento. 
“Sei tornato a Napoli per restarci o per scappare di nuovo?”
“Io invece sono per le cose fatte a metà. Se una cosa non mi piace, che senso ha portarla a termine?”
Cambiò discorso senza troppi giri di parole. Voleva evidenziare le nostre differenze, giocare ad un qualche stupido gioco?
“Sbagli, sai? Ora la filosofa devo farla io: una vita senza punti, non è vita”
Arrestai il mio sguardo sul suo. Non provavo più alcuna emozione se non determinazione più assoluta. Continuai a ripetermi mentalmente che la vita deve essere punti fermi, non deve esserci assolutamente spazio alla confusione.
“Non andremo mai d'accordo noi due, stanne certa”
Lasciò che un strano silenzio ci circondasse prima di continuare il suo assurdo discorso.
“Ma tanto ho capito che anche a te piace giocare con il destino. Quindi giochiamo”
“Io odio giocare”
“Tutte scuse”
Mi diede uno schiaffetto sulle spalle prima di afferrami per un polso.
“Flora, sono tornato”
Le sue labbra erano incorniciate da un sorriso.
Per pochissimo i nostri visi non presero a sfiorarsi e il mio cuore a sfondare il petto per raggiungere il suo.
Debole non volevo esserlo, non credevo di esserlo, eppure il semplice toccarsi mi distruggeva.
Rendersi conto, al contrario, che lo sarei stata per il resto della mia vita, non mi sarebbe mai stato possibile.


-SPAZIO AUTRICE
Che tempi e orari scomodi per aggiornare! Ma lo scorrere del tempo ha voluto che io fossi in tempo d'esame; non so più cosa sia la libertà. Ma okay, passiamo alle cose interessanti. Zayn è tornato, finalmente! A me sembrava di non vederlo da una vita, figuriamoci per la nostra Flora. La sfacciataggine di entrambi non ha limiti, si sento due leoni pronti a sbranarsi. Spero di riuscire a portare nel prossimo capitolo qualcosa di davvero rivoluzionario per la nostra carissima coppietta. E spero anche di non farvi aspettare altri due mesi..perdonatemi in anticipo.
Un bacio.
-Manu

 
- ZAYN -



(si dai, rispecchia abbastanza la mia descrizione..)
 
 

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Capitolo 12
*** Dodicesimo Capitolo ***



Dodicesimo Capitolo
 
Il ritorno implica molte cose: diversità, somiglianze, ricordi, avventure, novità, ma soprattutto cambiamenti. Ero sicura che non sarebbe stato lo stesso, come avrebbe potuto dopo tutto. Sentivo Zayn lontanissimo dal mio corpo, anche se in quel momento mi era di fronte e mi guardava, dritto negli occhi. 
“Allora? Non sei felice?”
Sul viso gli spuntò un sorriso spudorato, malizioso, eccentrico. Mi tastò una spalla, spostandomi lievemente verso di sé. Restai nel mio silenzio per altri secondi prima di sollevare il viso e rivolgergli un timido sorriso di consenso. 
“Devo recuperare un sacco di tempo. Cosa mi sono perso?”
“Fra un po' inizia la scuola”
Risposi senza pensarci troppo su. La situazione mi pareva assurda, inverosimile e una sola domanda continuava a rimbombarmi nella testa: cosa cazzo hai fatto?
“Bene. A che anno sei?”
“Ultimo”
“Ancora?”
Scoppiò in una mezza risata. Non voleva umiliarmi, lo capii da subito, semplicemente era intento a provare un modo alternativo per smuovere la situazione.
Mi guardai intorno. Alcune persone avevano iniziato ad osservarci con insistenza, mi resi conto che stavamo dando troppo nell'occhio, così ,sfiorandogli un braccio, lo invitai ad uscire fuori. Rimase per un attimo scombussolato dalla mia richiesta per poi farsi guidare senza alcun indugio. 
“Mi fa piacere che sei tornato”
Il mio tono era pacato e tranquillo. Non avevo voglia di controbattere di nuovo, ma solo di ascoltarlo. 
“Tu che mi dici invece?”
“Nulla”
Non riuscii a contenere la mia espressione di disgusto e rimprovero. Sentivo che non voleva far altro che raccontarmi una marea di palle e odiavo ancor di più il fatto che si credeva in grado di mentirmi. Il suo viso si smentiva troppo: quegli occhi umidicci, quelle rughe forzate e quelle occhiaie violacee. 
“Ora vado, sto morendo di fame. Ciao Zayn, ci vediamo in giro”
Gli rivolsi un ultimo sorriso prima di voltargli le spalle, ma prima che fossi in grado di terminare i miei passi, una sua mano mi arrestò.
“Flora aspetta..”
Mi voltai nuovamente nella sua direzione, in silenzio, aspettando nuove stronzate.
“Sei arrabbiata, vero?”
“No, perché dovrei?”
“Perché eri sotto casa mia quel giorno?”
“Ero di passaggio”
“A spiarmi?”
Sgranai gli occhi. Quel suo comportamento mi stava irritando più che mai. Ora la vittima si sentiva lui, bisognoso più che mai di spiegazioni.
“Ma cosa vuoi? Ero di passaggio, abitiamo nello stesso quartiere, non è poi tanto difficile”
Abbassò lo sguardo. Pensai volesse lasciarmi finalmente in pace, così ripresi a camminare verso l'ingresso della pizzeria.
“Vuoi delle scuse? E questo quello che vuoi, Flora? Per questo ti comporti così?”
Sentivo i suoi occhi bagnaticci pizzicarmi la schiena, richiamarmi a sé senza alcun permesso.
“No”
Lo guardai e gli sorrisi, un'ennesima stupidissima volta. Avevo il cuore sul punto di scoppiarmi dal petto, la forza di parlare si stava esaurendo. Speravo con tutta me stessa che la smettesse e mi lasciasse andare, una volta per tutte. 
Non ero fatta per lui, chi volevo prendere in giro? Anzi, non ero fatta per nessuno. Io con tutti quei complessi, con quei desideri, con quelle speranze che nessuno mai avrebbe voluto e potuto sopportare. Il mio cervello provò ad auto-convincersi in quegli istanti che io avrei imparato a bastarmi da sola, d'altronde con il tempo tutto passa e tutto guarisce. Eppure, una lacrima impercettibile mi scivolò sul viso.
“Mi servono delle spiegazioni”
Mi voltai di scatto, mossa da una scarica di adrenalina.
“Di cosa?”
“Me lo chiedi anche?”
“Ma sono cose mie, Flo, una persona a volte ha bisogno di cambiare aria”
“Certo, ma non sparendo così, dal nulla!”
“Ora sono qui, cosa importa”
Mi avvicinai a lui lentamente, scuotendo nervosamente il viso verso il suolo.
“Cosa importa? Importa che io ci tengo a te! Hai la minima idea di cosa ho passato? Quanto ti ho pensato, quanto mi sono preoccupata? So che non conto un cazzo nella tua vita, che forse sarò una delle migliaia di ragazze che hai abbindolato solo per il gusto di farlo. Ma sai cosa ti dico? Che non puoi fare tutto quello che vuoi nella vita: o entri, o esci, non sono permesse entrambe le cose. E ora tu sei tornato, pretendendo di “recuperare” le cose. Stai certo che io non ti aiuterò e che tu non mi coinvolgerai.”
Il bruciore si era fatto insopportabile e la secchezza della mia gola mi impediva di proseguire. Ma quante altre cose avrei voluto dirgli, quante verità avrei voluto sbattergli su quella faccia da impertinente. Se lo meritava, eccome se se lo meritava, anche se ora aveva preso a guardarmi con gli occhi da cane bastonato; eppure, contro ogni mia aspettativa avanzò con ferocia. 
“Flora, e tu come pretendi di decidere la vita degli altri? “O entri, o esci”? Ma che cazzo dici? Chi cazzo l'ha deciso?”
“Mai sentito parlare di “leggi della natura”?
“No! E so per certo che non esistono. Il problema è che tu sei una maniaca del controllo, ecco tutto. Ti devi dare una calmata.”
“Okay, come vuoi, hai ragione tu”
Gli poggiai entrambi le mani sul petto e lo allontanai con forza da me.
“Ma permettimi di decidere almeno per me”
Lo salutai con una mano e corsi via.
“Tanto so che non è quello che vuoi”
“Ma la smetti?”
“Anche a me importa di te, invece. E no, non si sono mai neanche avvicinate migliaia di ragazze a me. Ci sono parecchie cose che non sai, Flo', e ti ostini a credere il contrario”
“Sono tutte stronzate le tue”
“Forse, ma...intanto scusa”
E in un attimo ogni parte del mio corpo si spostò dalla sua inquietudine. Deglutii prima di sorridere alle mie scarpe. Incrociai le braccia al petto e per la prima volta in quella mattinata iniziai a guardare Zayn per davvero.
Era bastato così poco.
Dicono che con le parole non si fa nulla, io, invece, penso, l'esatto contrario. Dopo tutto una parola può essere realmente più forte e dolorosa di uno schiaffo, perché lo schiaffo poi passa, ma la parola ti rimane dentro e si cementa in una qualche parte profonda della tua esistenza, a volte in silenzio e altre più rumorosa che mai. Siamo fatti al 60% di astrattezze, ma non lo ammetteremo mai. Troppo finti-concreti per farlo. 
Mosse qualche passo nella mia direzione, distanziandomi pochissimi centimetri.
“Me lo dai un abbraccio?”
Non accennai neanche un segno di consenso, semplicemente gli gettai le braccia al collo e lo strinsi a me. 
Non lo avevamo mai fatto prima. 
Sentivo la sua puzza di sigaretta starmi addosso, azzeccarsi ai miei vestiti ma non mi importava. L'importante era lui, che ora mi tastava la schiena, sforzandosi di tenermi salda, di mantenere quel gesto quanto più a lungo possibile. Tutto quel tempo lontani si esaurì in un istante e le nostre urla quanto al più dimenticate.
Afferrò il mio viso tra le due mani e lo avvicinò al suo. 
“Non ti facevo così sfacciata, sai?”
I nostri occhi non erano mai stati così vicini. Facevo fatica a respirare e muovermi era pressoché impossibile. Iniziai ad emettere qualche risata.
“Mi piaci, Flo', tanto. Ti vorrei tutta per me, ma non so se ne sarei in grado.”
Lentamente mi allontanò da sé, sostenendo l'aria soddisfatta e tranquilla.
“Ora non ricominciare”
“A fare cosa?”
“A dire cose senza senso. Non avevi detto che ti piacevano le cose fatte a metà? E facciamole a metà allora”
“Ho quest'onore?”
“Esatto, sei una persona veramente fortunata”
Provai a distogliere la sua attenzione da quelle parole che sentivo avrebbero portato solo guai. Nuove urla, nuove lacrime, nuovi tremoli. Bastava per oggi. Meglio lasciarsi con il ricordo di un abbraccio.
“Ora andiamo a mangiare, che dici?”
“Io volevo andarci mezz'ora fa”
Mi prese sotto la sua spalla ed insieme proseguimmo.
“Poi mi spiegherai che ci facevi sotto casa mia”
“E tu perché sei sparito”
“E se ti dicessi che ho un regalo per te?”


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Vi avevo lasciato dicendo "spero di non farvi aspettare altri due mesi" e invece? Sono passati eccome! Ormai non ho più scuse, ma purtroppo ho la maturità e non riesco proprio a dedicarmi alla mia storia. Spero di recuperare quest'estate, ma non vi prometto nulla..Beh intanto godiamoci questo capitolo che vede i nostri protagonisti lottare per poi sciogliersi in un sentito abbraccio. Molto carini direi. Speriamo che si diano una mossa a questo punto eh!
Al prossimo!
Un bacio.
-Manu

#WOMANFF
 
- ZAYN - 



(io mi chiedo come abbia fatto Flora a non saltargli ancora addosso..)

 
 

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Capitolo 13
*** Tredicesimo Capitolo ***



Tredicesimo Capitolo
 
Strinse le mie dita tra le sue.
Fu un attimo.
Con forza e determinazione mi riportò all'interno della pizzeria, barcollando tra i tavoli e le sedie di legno.
Eravamo vicini alla sua famiglia quando finalmente mi lasciò andare. I loro occhi si puntarono inevitabilmente sulla mia figura imbarazzata. Azzardai un sorriso e un “buongiorno” sussurrato. 
Zayn mi rivolse un ultimo sguardo, un ultimo sorriso prima di infilare le mani in una giacca di pelle nera. Estrasse un paio di chiavi argentee e ci giocò per un attimo, lanciandole in aria.
“Vieni con me”
Un ennesimo sorriso con tanto di denti in bella vista e occhietti strizzati. 
Non sembrava una richiesta, né un ordine, forse una via di mezzo. Mi avvicinai a lui e lo seguii verso l'uscita.
“Dove vai?”
Quella che probabilmente era la madre si girò verso di lui, con un tono di voce pacato ma estremamente severo.
“A casa, devo prendere una cosa, torno subito”
Non replicò, tornando al suo posto, dopo aver rigettato sul figlio uno sguardo di puro rimprovero.
Quello sguardo, che per un attimo era passato anche su di me, mi incenerì. Scrollai il capo e ripresi verso l'uscita.
Zayn accelerò il passo, prendendo posto davanti ad una compatta macchina nera.
“Entra”
“Che dobbiamo fare?”
“Prendere il regalo, no?”
Lo guardai confusa, con gli occhi che si spostavano da una parte all'altra.
“Non credo sia tanto urgente”
Gesticolai le mani all'aria per poi portarle dietro la schiena. 
Non mi sembrava realmente urgente, avremmo avuto moltissimo tempo se quel suo “sono tornato” fosse stato sincero. 
Spalancò gli occhi disorientato, per poi abbozzare un “e invece si”.
Mi voltai verso il suolo un' ultima volta prima di aprire la portiera del passeggero. 
Appena dentro sbuffai un sospiro di disgusto che mi costrinse a trattenere il respiro: l'odore del fumo di sigarette era intollerabile, impregnava qualsiasi cosa. Mantenni la mano alla bocca fin quando Zayn non si accorse del mio disagio. Si espresse in un' espressione confusa e decisamente imbarazzata.
“Perdonami” borbottò prima di mettere in moto il mezzo. 
Allontanai la mano dal mio viso e la portai verso la cintura, sospirando un'ennesima volta.
“Non era urgente”
“Ormai siamo qui”
Esplose in una risata distratta, rivolgendo gli occhi per un attimo su di me.
“Che hai?”
Mi chiese. La sua voce sembrava preoccupata. Mi rivolsi a lui, con gli occhi interrogativi.
“Nulla, solo tanta fame”
“Ora ho capito”
“Cosa?”
Il suo viso continuava a farsi sempre più serio. 
“Cosa?” 
Domandai una seconda volta. Iniziavo a preoccuparmi.
“Sei una di quelle persone che pensano con lo stomaco”
Sgranai gli occhi, quegli stessi occhi che un secondo dopo si videro catturati da quelli di Zayn. I suoi erano lucidi, brillavano tra le palpebre chiuse per metà. Un folata di vento attraversò il finestrino alla sua sinistra, spostando delicatamente i capelli sulla sua fronte e quel suo profumo eccentrico nella mia direzione. Rigettai il capo verso il sedile.
“Quanto sei idiota”
“E' la terza o quarta volta che me lo dici oggi”
“Ci sarà un motivo”
Lasciò una mano dal volante, indirizzandomi uno schiaffetto sulla spalla.
“Smettila Flo', tutta questa cattiveria gratuita non ti s'addice”
Sorrisi tra me e me, domandomi se avesse ragione o meno, neanche io sapevo dirmelo. 
Erano passati circa dieci minuti quando finalmente ci ritrovammo sotto il grande palazzo verde. Zayn parcheggiò disinvolto prima di invitarmi ad uscire.
“Curiosa?”
“Abbastanza”
“Meno male”
Mi guardò con fare soddisfatto prima di accostarsi alla mia spalla sinistra.
Salimmo un paio di scale prima di trovarci di fronte all'ingresso del suo appartamento.
“Eccoci qua!”
Esclamò, facendo rimbombare le sue parole per tutto il lungo corridoio che ci era davanti. La casa era buia, le tapparelle delle stanze tutte abbassate, solo qualcuna faceva filtrare i raggi del sole. Un silenzio tombale regnava quelle quattro mura. Intimorita mi avvicinai più possibile a Zayn, che con una certa fretta provvide ad aprire qualche finestra. 
La luce a poco a poco iniziò a mostrare sempre più particolari: un tavolo di legno, un paio di sedie giallastre, un enorme frigorifero bianco e dei girasoli sintetici appoggiati alle pareti. 
“Benvenuta!”
Urlò spostandosi verso le altre stanze. 
“Aspettami in cucina”
Mi arrestai e proseguii a guardarmi intorno, fin quando i miei occhi non si posarono su delle foto poggiate su di un muretto di marmo. Ritraevano dei bambini e non mi ci volle molto a riconoscere Zayn. Quegli occhi eccentrici e quel sorriso curioso erano ineguagliabili. Appoggiava il visino rotondo sui polsi , dovutamente ritratti verso di sé. Sembrava un posa tanto studiata eppure il suo sorriso replicava, al contrario, la spontaneità del momento. Afferrai il piccolo portafoto e lo portai a me, desideravo osservare ogni dettaglio di quell'istante.
“Flo', eccomi”
Mi voltai verso di lui con la foto ancora stretta tra le mie mani. Gli sorrisi debolmente mentre lo vedevo avvicinarsi.
“Sei andata a beccare la mia foto migliore”
Afferrò a sua volta l'oggetto dalle mie mani. Lo osservò con attenzione prima di agitarlo in aria.
“Come hai fatto a riconoscermi?”
“Gli occhi, sono gli stessi, e pure il sorriso”
Gli indicai i dettagli, scorrendo delicatamente sul vetro trasparente.
Abbozzò un sorriso prima di rimetterla al suo posto. Io continuai a guardarla, come incantata, pensando al fatto che alcune parti del nostro corpo hanno la capacità di rimanere immutate, anche con il passare di anni e anni, emozioni e sentimenti, esperienze e dolori. 
Mi afferrò un braccio, costringendomi a voltarmi completamente verso di sé.
“Ecco a te”
Spostò verso le mie mani un pacchetto blu. Lo osservai con attenzione, sorridendo di sorpresa.
“Cos'è?”
Alzai gli occhi verso di lui con coraggio ed estrema meraviglia. Non mi aspettavo un gesto tanto carino, certo spontaneo e sentito.
“Aprilo e lo saprai”
La sua espressione di euforia continuava a crescere.
Con determinazione iniziai a spacchettare tutto, a togliere nastrini e adesivi vari. Dopo alcuni secondi mi ritrovai di fronte ad un braccialetto argenteo, sul quale era inciso il mio nome a lettere corsive. Era estremamente lucido e splendente. Arretrai il viso di qualche centimetro con il cuore che prese a battermi all'impazzata.
“Ma sei pazzo?”
Accompagnai le mie parole con una risata tra il terrore e l'eccitazione.
“Perché?”
Prese a ridere anche lui, con una leggera sorpresa per la mia reazione.
“Non ti piace?”
“Certo che mi piace! Ma non dovevi!
“Smettila che è una stronzata. Un pensierino cosa sarà mai”
Lo osservai per un altro paio di istanti prima di sbuffare nella rassegnazione.
“Ora lo voglio mettere, mi aiuti?”
Lo tirai fuori dallo scatolo e lo lasciai tra le mani di Zayn.
“Certo”
Gli accostai il mio polso destro. Attentamente fece scattare la clip, stringendolo alla mia pelle.
“Perfetto”
Lo scrollai verso il basso, accertandomi che non fosse troppo largo.
“Ti va benissimo, ottimo”
E così iniziai a guardarlo con occhi diversi.
Il mio cuore gli sorrideva come mai aveva fatto prima. Quanta meraviglia portavo dentro di me in quel momento, mi sembrava impossibile riuscire a contenerla. Pensai che tutta la mia vita fosse concentrata in quella circostanza, che il destino mi avesse riservato quegli istanti di pura gioia per merito o semplice caso. Lui prese a guardarmi intontito e incerto, arretrando di qualche passo. Lo osservai a lungo fin quando non sentii il venir meno di quel momento magico. 
“Dove l'hai preso?”
Decisi di avvicinarmi a lui, di avanzare con lo sguardo rivolto verso il bracciale e un'espressione interrogativa sul volto.
“Dirtelo mi costringerebbe a rivelarti dove sono stato”
“Ah giusto. Continuerà ancora per molto a rimanere un mistero, allora?”
“Già...forse”
Fece spallucce, infilando entrambe le mani nelle tasche della giacca.
“Hai detto che hai fame. Mi sa che è meglio tornare alla pizzeria”
Distolse lo sguardo dalla mia figura e lo indirizzo verso la porta d'ingresso.
Io seguii la sua espressione con uno strano senso d'insoddisfazione che continuava a crescere. Eppure dopo alcuni secondi tornò su di me, il viso aleggiato da un sorriso timido.
“Fai sembrare che il cattivo qui sono io”
Gli occhi gli brillavano di insicurezza nonostante il tono di voce fosse spontaneo e vivace. Spostò le braccia al petto, richiudendosi su se stesso.
“Non è così?”
“Ma la smetti di offendermi?”
Mi afferrò per un braccio, pizzicando lievemente la pelle.
“E' divertente”
Una risata accompagnò le mie parole mentre a mio volta presi a pizzicarlo.
E poco a poco la sua mano si spostò sotto la mia nuca costringendomi ad avvicinarmi alla sua figura ricurva. I nostri nasi si toccarono di lì a un secondo. Fu questione di istanti, talmente brevi che il mio corpo e la mia mente non ebbero il tempo di reagire. Avvicinò le mie labbra alle sue e, dopo un secondo di esitazione, ci richiudemmo in un bacio.
Il cuore non lo ricordo.
Non ricordo i battiti infiniti che si susseguivano instancabili, veloci, anzi velocissimi.
Ricordo gli occhi chiusi, il buio degli occhi chiusi.
Le sue mani nei miei capelli e il suo sapore e il suo odore tutt'uno con i miei.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Indovinate un po'? Ho finito la maturità! Quale miracolo, quale gioia! Ora ho talmente tanto tempo libero che sento di dover piangere. Ovviamente ne ho subito approfittato per scrivere il nuovo capitolo, e che capitolo! Dopo tredici dannatissimi capitoli i nostri protagonisti si baciano, ve lo sareste mai aspettato? Mh..chissà. Spero vi piaccia! D'ora in poi cercherò di aggiornare più spesso, spero abbiate fiducia in meno ahaha.
un bacio.
-Manu

#WOMANFF
 
- ZAYN -
(childhood)



(la foto di Zayn da piccolo descritta da Flora è questa, se non si fosse capito lol)

 
 

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo Capitolo ***



Quattordicesimo Capitolo
 
Zayn mi guardava al di sotto di un paio di ciuffi neri, decisamente scomposti sulla fronte. Un mezzo sorriso gli aleggiava sulle labbra, la mano destra ancora poggiata sotto la mia nuca. I suoi occhi nei miei. Non sembrava per niente terrorizzato, a disagio, confuso o quant'altro, anzi, al contrario, completamente sicuro di quello che aveva fatto. Si allontanò da me con un gesto rapido per poi guardare altrove.  Dal mio canto, invece, l'imbarazzo c'era, eccome se c'era. Non si espresse in un paio di guance rosse ma in un respiro a mezz'aria, incapace di riprendersi e prendere coscienza di quello che per davvero era accaduto. Riprese a guardarmi con una nota di alter ego e determinazione. Non pensai a nulla se non al fatto che quel gesto fosse nei suoi pensieri da chissà quanto tempo. Non era stata questione di un caso ma di semplice e sincera volontà.
“Torniamo in pizzeria?” il tono di naturalezza con cui espresse quella domanda non mi sorprese, tant'è che ricambiai con un altrettanto naturale “si”. Mi afferrò per un polso, facendo scivolare le sue dita sulle mie, incrociandole perfettamente. Osservai quell'unione con fare confuso e stranamente divertito. Strinse sempre di più la sua pelle contro la mia, impedendomi di divincolarmi. Eppure io non avevo proprio intenzione di lasciarlo.
I nostri passi volarono lungo l'estesa rampa di scale per poi riposarsi nella calda automobile. 
Il viaggio fu silenzioso, movimentato solo da un paio di sguardi silenziosi che parevano giocare a nascondino. Non era certo timidezza la nostra, ma semplice inesperienza.
Quando scendemmo Zayn calcò una distanza tra i nostri corpi.
“Ci vediamo, allora”
“Certo”
Lo guardavo con un certo fascino e mistero. E a concentrarsi bene sentivo ancora il suo odore umidiccio e polveroso su di me, sul mio collo e sulle mie braccia. Un bacio era stato capace di fare tutto questo?
I suoi occhi si strizzarono in uno sguardo di approvazione e per un istante di spaesamento. Lentamente si voltò, dirigendosi con una certa fretta verso il tavolo della sua famiglia. Si richiuse su stesso, afferrando con voracità una fetta di pizza divorandone un boccone. Si lasciava scorrere l'olio lungo il mento, sembrava decisamente affamato.
A me, invece, la fame era passata. 
Feci dietrofront sostenendo un passo deciso verso l'uscita. Il sole del pomeriggio a picchiarmi sul collo nudo e le spalle fin troppo coperte. Aumentai di poco la mia velocità rincuorando un respiro affannato. 
Gli occhi perfettamente puntati in avanti ma forse, in fondo, da tutt'altra parte.
Io e Zayn eravamo questo? Pura e istintiva confusione? Un attimo prima eravamo sul punto di ucciderci di parole, l'altro di silenzi di passione. 
Mi tormentavo chiedendomi come tutto questo fosse possibile, se la stupida in questo enorme casino ero io, e soltanto io. Ripresi alla mente i suoi occhi. Quegli occhi capaci di dire un milione di bugie, di mutarsi in innocenza anche se bramosi di dominio. E per quanto ci fosse di sbagliato non potevo annullare, provare a capovolgere quell'immensa curiosità che era capace di suscitarmi. Quanto spavento c'era nel mio cuore, chissà quanto, eppure in quel momento era coperto, silenziato da una miriade di veli di attrazione. E l'attrazione ci rende ciechi, sordi e muti.
Quando le mie mani toccarono la porta di casa lo stomaco prese a fare strani rumori. L'ampia cucina era deserta, silenziosa e illuminata per metà. Piccole gocce d'acqua scendevano dal rubinetto rotto e umido. Mi avvicinai riempendo un mezzo bicchiere d'acqua che portai alla bocca con noncuranza. Avanzi poi verso il frigo dove agganciai un fetta di prosciutto e una sottiletta. Infilai tutto in un panino e mi lasciai trasportare da un sapore secco e decisamente salato. Lo stomaco cominciò a rilassarsi e a riprendersi su stesso, la testa a fare meno male e il cuore, invece, sempre più pesante. Una strana sensazione proprio all'altezza del petto. Mi sembrava che la ragione, la vera e giusta ragione si stesse riappropriando del mio corpo. La mia lucidità rischiarò i miei occhi sporchi. 
Io di illudermi non ne ho proprio voglia. Io non mi farò mai illudere. Io non sono come tutte le altre, io capisco cosa è giusto e cosa è sbagliato. Zayn non si prenderà gioco di me, non mi userà come un giocattolo perché semplicemente annoiato. E poi? E poi vogliamo parlare di tutti quei misteri? Quella busta, quella maledetta busta. Droga, ne sono sicura, sicurissima. Erba, cocaina, spinelli o Dio sa cosa. Cazzo, ho diciotto anni non quindici. Non sono mica scema.
Con una certa fierezza mi alzai dal tavolo di legno sferrando due pugni netti sul piano ruvido per metà. La gola mi bruciava di orgoglio e schietto femminismo. Il calore avanzava lungo il viso arrossato e le ascelle umidicce. 
Aprii il balcone e provai a prendere una boccata d'aria, a distendere per quanto mi fosse possibile i pensieri. Bestemmiai tra me e me la debolezza umana. Quel nostro essere istinto e ragione, quel nostro sbagliare di continuo prendendone effettiva coscienza sempre troppo tardi. 
Provavo a rassicurarmi, a darmi coraggio, a cancellare tutto. A cancellare il cuore che troppe volte accelerava il suo battito all'impazzata, si faceva sentire ancora e ancora. Che non dava tregua, che non si ammutoliva. 
Forse perché l'amore è vita e il cuore da' la vita. 
Coraggio serve nella vita, spudorato coraggio. 
I sentimenti sono la nostra più grande rovina, ma come si fa a zittirli?
Sbuffai rumorosamente gonfiando le guance, incapace di darmi una risposta fattibile e sensata. Eppure di rassegnarmi io non ne avevo proprio voglia. Io ero diversa, fottutamente diversa.
Una mano calda e ruvida mi toccò la spalla costringendomi ad un sussulto.
“Flora”
La voce soffusa di mio padre mi accarezzò il timpano. D'istinto mi voltai rivolgendogli un sorriso, destandomi con convinzione dalla mia mente fin troppo occupata.
“Cos'è questa faccia brutta?” 
Gli occhi erano strizzati da un paio di rughe e da un'espressione assonata. Si portò una mano sulla fronte cercando di ripararsi dai sottili raggi di sole che gli impedivano la vista completa del mio viso. Si avvicinò lentamente a me, afferrando con spontaneità la ringhiera di ferro arrugginito e bollente. Gli lanciai un mezzo sorriso, con una goccia di sudore a scendermi lungo la guancia destra.
“Niente, tutto bene”
Provai a mostrare un'espressione audace, disinvolta e sicura. Speravo di mascherare quelle mie assurde preoccupazioni che ormai straripavano da tutti i pori della mia pelle, tramutandosi in spasmi ed espressioni arricciate.
Sgranò gli occhi, sbuffando in una risata compiaciuta e presuntuosa.
“C'è qualcosa che non va”
Lo guardai disperata, con gli occhi imploranti di pietà. Non sapevo più dove nascondere il mio disagio. Non sono mai stata brava a dire le bugie, a nascondere le emozioni. 
Un paio di istanti di imbarazzante silenzio si posizionarono tra le nostre figure leggermente distanti.
Mio padre puntò il suo sguardo altrove, oltre i palazzi corrosi dall'afa. Sembrava essere alla ricerca di una qualche ispirazione o forse spiegazione. Abbassò lo sguardo sul ferro nero e lucido, torcendo le mani in rigidi pugni. 
“Non puoi mentire proprio a me, Flo”
Gli angoli della bocca si incurvarono in una smorfia. Non capivo se si trattasse di dispiacere, delusione o semplicemente orgoglio. Come padre si sentiva in potere di capirmi, di svelarmi, quasi di leggermi nel pensiero. Stiracchiò la slanciata figura, allontanandosi di qualche passo e tenendo le mani svogliatamente lungo i fianchi.
“Non ho niente, davvero”
Replicai. La voce paonazza, decisamente disperata. Incrociai le braccia sulla ringhiera ignorandone il bruciore che pian piano iniziò a sollecitare la mia pelle. E puntai a mia volta la vista altrove, cercando alla buona di evitarlo.
Anche di spalle sentivo il suo sguardo pesante, vicino al rimprovero sulla mia piccola e insignificante figura, ricurva su se stessa. Il respiro pesante e rassegnato, il mento leggermente barbuto grattato con una nota di sommessa rassegnazione.
“Va bene”
Sospirò prima di allontanarsi con passi silenziosi e leggeri. La sua ombra si distese lungo il largo balcone permettendomi di tirare un sospiro di sollievo. 
Con mio padre non parlavo quasi, anzi, con i miei non parlavo quasi mai.
Non erano in grado di capirmi, almeno come io volessi e intendessi essere capita. Preferivo stagnare nel mio silenzio angoscioso piuttosto che ricevere uno dei loro soliti e vecchi consigli, che tra l'altro si rivelavano puntualmente un frutto di vigliaccheria e timidezza.
E la vigliaccheria nella vita proprio non era nei progetti. 
Mi sentivo decisamente meglio quando i raggi del sole finalmente si nascosero per metà dietro una piccola collina in lontananza. Mi lasciai trasportare da quello spettacolo aranciato prima di tornare dentro. 
Il cuore aveva ripreso a lasciarmi respirare come una persona normale. Lento e rilassato era il mio respiro, leggera e vuota la mia mente. Un sottile ricordo dell'incontro di quel pomeriggio mi balenava irrimediabilmente ancora tra i pensieri. Tuttavia, sentivo il potere di contenerlo, di dominarlo. 
Un bacio, cos'altro è un bacio? Un incontro istantaneo di due labbra.
Un incontro istantaneo che si consuma in fretta ma che dura nel tempo.
E per me il tempo non doveva necessariamente mostrarsi duraturo.
Mi gettai sul divano caldo e consumato. Un rivolo di silenziosa polvere si liberò nell'aria costringendomi ad uno sbuffo spontaneo. Agitai una mano all'aria allungandomi poi verso il telecomando posizionato sul piccolo mobile di legno decorato. Tentai un tasto, due, tre alla ricerca di un canale quantomeno interessante. Un paio di film in bianco e nero, commedie senza speranza, repliche su repliche di vecchie serie tv andate ormai a male.
Il trillo del telefono interruppe l'aria monotona rigettandomi in uno stato di noia. 
“Vai tu, Gabrielle?”
Urlò dal bagno mio padre, con la voce ovattata dal getto di acqua.
Con una spinta di decisione mi misi in piede, pestando a piedi nudi il liscio pavimento in marmo. Le dita piegate per metà e uno slancio verso la cornetta.
“Pronto?”
“Buonasera, sono Zayn, un amico di Flora. Flora è in casa?”


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! Buon martedì mattina a chi mi leggerà in questo momento! 
Rileggendo il vecchio capitolo mi sono resa conto che scarseggia parecchio di descrizioni, Flora e Zayn mi sembrano tanto due marionette (bleah), così in questo ho abbondato e tutto mi è costato una bella disperazione.
Flora è tormentata. Ha paura di quello che possa fare Zayn al suo cuore, ha paura di rimanere delusa. E poi non si fida. Non si fida. Ma cosa cacchio c'era in quella busta? Droga, possbile? Voi cosa ne pensate?
Spero vi piaccia!
Un bacio.
-Manu

 
- ZAYN -



(che meraviglia queste foto che escono all'improvviso..)

 

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